Per
capire a fondo in che cosa esso consista, è opportuno ricordare il contesto culturale
cui si riferisce. In ambito filosofico esistevano infatti due differenti correnti di
pensiero: empirismo e razionalismo, i quali si distinguono per il concetto di “ragione”
che hanno. In particolare:
Il razionalismo, il cui maggior esponente era Cartesio, era quella corrente
filosofica che si proponeva di spiegare tutta la realtà tramite la ragione,
partendo dall’idea di Dio e dall’autocoscienza (il cogito ergo sum cartesiano).
Si avvaleva, cioè, del solo strumento della conoscenza a priori. Il punto debole
di questa corrente di pensiero, tuttavia, era rappresentato dall’impossibilità di
affermare con certezza che il pensiero corrispondesse all’essere, che il piano
logico corrispondesse al piano ontologico;
L’empirismo, rappresentato da Thomas Hobbes, John Locke e David Hume,
era la corrente filosofica che affermava l’esatto contrario del razionalismo:
secondo gli empiristi l’unico modo per conoscere la realtà circostante sono i
sensi e le nostre percezioni. Essi, cioè, utilizzavano esclusivamente conoscenze
a posteriori. In questo modo, però, le conoscenze che ne derivavano non
avevano valore universale, giacché si basavano su generalizzazioni
dell’esperienza e non, come quelle del razionalismo, su evidenze di tipo logico.
Ne derivava, quindi, uno scetticismo, e un’impossibilità di conoscere qualcosa
con sicurezza.
Per questi ultimi dunque la ragione è la facoltà di rielaborare i dati forniti
dall’esperienza, mentre per i primi la ragione coglie la dimensione ontologica, la
realtà, nella sua totalità. Il criticismo supera questo dualismo e cerca di sintetizzarlo
in un’unica corrente filosofica. Kant attua una vera e propria “rivoluzione
copernicana” nel campo della conoscenza filosofica, perché, come Copernico aveva
invertito il rapporto tra il sole e la terra, così il filosofo tedesco intende ora invertire i
rapporti tra soggetto e oggetto della conoscenza. Mentre prima si pensava, in maniera
dogmatica, che le conoscenze del soggetto si adattassero passivamente alla natura, col
criticismo si inaugura una nuova concezione per la quale è l’esperienza sensibile a
venir modellata dalle nostre strutture mentali. Il tipo di conoscenza che Kant inaugura
diventa così un accordo tra la conoscenza a priori dei razionalisti e la conoscenza a
posteriori degli empiristi: si tratta infatti di una sintesi tra elementi a priori, già
presenti nella mente del soggetto (quali ad esempio le categorie, o il concetto di
spazio e tempo), ed elementi a posteriori provenienti dall’esterno, dall’oggetto da
conoscere: il fenomeno.
Il criticismo, in tal modo, da un lato ammette che la conoscenza non deriva
interamente dall’esperienza, ma dall’altro esclude che la nostra ragione possa arrivare
a conoscere ciò che è oltre l’esperienza stessa. Nel tentativo di indagare su quali
aspetti del sapere ci si possa esprimere con certezza, Kant giunge a porre l’esistenza
di alcuni limiti: al di là di questi limiti vi è l’idea di Dio e altre nozioni metafisiche.
Egli inserisce il concetto di Dio come un postulato, in quanto non sarebbe possibile
spiegarlo solo con gli strumenti della pura ragione.
In particolare sarebbe impossibile per Kant dimostrare l’esistenza di Dio perché, nel
tentativo di farlo, la ragione entra inevitabilmente in una serie di antinomie, cioè in
contraddizioni con sé stessa. Troverebbe infatti spiegazioni logicamente sensate sia
ammettendo una possibilità che il suo opposto. Allo stesso modo sarebbe impossibile
affermare con certezza se il mondo abbia un inizio e un termine spazio-temporale o
piuttosto se sia infinito ed eterno, oppure se esista una libertà di scelta o viga solo il
principio di causa-effetto.
Kant afferma inoltre che “L’illuminismo è l’uscita della ragione dalla minorità”. Si
allontana però anche dall’illuminismo, contestando le sue teorie relative ai
fondamenti con cui la ragione conosce in modo universale, necessario ed
estensivo. La filosofia di Kant è dunque chiamata criticismo poiché esamina la
ragione con la ragione stessa. Questa posizione permette a Kant di stabilire i limiti –
ma anche le modalità – della conoscenza come dato di fatto. L’esperienza resta
comunque la condizione per eccellenza, che rende possibile la conoscenza. In altre
parole, prima di Kant si riteneva che il soggetto dovesse solo rilevare quelle
caratteristiche che l’oggetto rifletteva sul soggetto, il quale le doveva pertanto
codificare. Kant dice invece che non è l’oggetto a mostrarsi, ma è il soggetto a
definire le modalità mediante le quale l’oggetto gli appare. Ciascun soggetto ha leggi
della conoscenza soggettive, a priori, ma universali e necessarie, perché uguali in
ogni uomo. Sono modi (modalità) attraverso cui noi conosciamo. L’importanza della
filosofia di Kant sta dunque anche nell’aver “ribaltato” la conoscenza dall’oggetto al
soggetto, ed ecco il perché essa viene definita rivoluzione copernicana della
conoscenza.