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Popper e la verità come ideale regolativo

Dario Berti

Oggi1 vorrei provare a illustrare una tesi che è stata sostenuta da Popper: la tesi per cui il
progresso scientifico non avviene per accumulo di conoscenze, come comunemente si crede, ma per
eliminazione di errori. Possiamo illustrare la differenza tra queste due concezioni del progresso
servendoci di due immagini. L’idea che il progresso sia un accumulo di conoscenze può essere
paragonata all’opera di costruzione di un edificio. Ogni mattone che forma l’edificio è un piccolo
pezzo di conoscenza che si aggiunge agli altri. Una volta che è stato poggiato al suo posto, il
mattone rimane lì e serve da base agli altri mattoni che dovranno poggiare su di lui. Questa è l’idea
di progresso che Popper rifiuta. La concezione popperiana del progresso può essere invece
paragonata al lavoro di uno scultore. Questo lavoro consiste nel dare forma a un blocco di pietra per
un processo di sottrazione. Le parti che vengono sottratte corrispondono, nella nostra similitudine,
agli errori che via via vengono eliminati. Naturalmente queste sono solo delle metafore, per cui non
dovete prenderle troppo sul serio. Servono solo a darci un’idea intuitiva di cosa avesse in mente
Popper.

1. L’empirismo e l’induzione
Per quale motivo Popper rifiuta l’idea che il progresso avvenga in modo cumulativo? Per
rispondere a questa domanda dobbiamo fare un passo indietro, e tornare all’empirismo inglese,
dove questa idea è stata formulata per la prima volta. I filosofi empiristi, a cominciare da Bacone,
avevano cercato di capire come la scienza potesse acquisire delle conoscenze sul mondo. La loro
risposta era semplice e seducente: la conoscenza può essere acquisita solo partendo dall’esperienza,
dove per “esperienza” dobbiamo intendere ciò che possiamo vedere, toccare, ecc. Così, ad esempio,
noi possiamo sapere che l’enunciato: “Piove” è vero (o falso) solo dopo che abbiamo constatato con
i nostri occhi come stanno le cose.
L’esperienza sensoriale mi consente di accertare in modo conclusivo le asserzioni particolari o
singolari. Le asserzioni singolari sono quelle che vertono su un singolo oggetto. Esempi di
asserzioni singolari sono: “Socrate è calvo” oppure “questo cigno è bianco.” Le asserzioni
particolari vertono invece su un sottogruppo di una classe più ampia di oggetti. Asserzioni come:
“alcuni filosofi sono calvi” o “alcuni cigni sono bianchi”, sono esempi di asserzioni particolari.

1 Testo di una conferenza tenuta a Ca’ Foscari il 18/02/2016 per conto della Società Filosofica Italiana.

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L’esperienza, dicevo, ci permette di accertare un modo conclusivo questi tipi di asserzioni.
Questo però non è sufficiente, perché la scienza non è una semplice accozzaglia di asserzioni
singolari o particolari, ma è innanzitutto un sistema di asserzioni universali. Tutte le leggi della
fisica hanno la forma di asserzioni universali. Ad esempio, la legge: F = ma, mi dice che se di un
corpo conosco la massa e l’accelerazione, posso calcolare l’entità della forza che su si esso è stata
applicata. E ciò non vale solo per questo o quel corpo, naturalmente, ma per tutti i corpi possibili, in
ogni luogo e tempo.
A questo punto viene da chiedersi: come facciamo a giustificare un’asserzione universale? Gli
empiristi pensavano che ciò fosse possibile per mezzo di un procedimento logico chiamato
induzione. Tutto ciò che dobbiamo fare è accumulare un numero sufficientemente grande di
asserzioni singolari o particolari, e da qui passare alla nostra asserzione universale. Ad esempio,
dopo aver constatato che Tizio, Caio e Sempronio sono mortali, e dopo aver ripetuto questa
osservazione per un numero sufficientemente grande di volte, noi perveniamo alla conclusione che
tutti gli uomini sono mortali.
Il metodo induttivo presenta un limite ovvio ma, tutto sommato, accettabile: esso non ci permette
di giustificare in modo conclusivo le asserzioni universali. Partendo da una sommatoria di
asserzioni singolari come “Tizio è mortale”, “Caio è mortale” ecc. non è possibile ricavare con
assoluta certezza la conclusione che “tutti gli uomini sono mortali.” Per questa ragione si suole dire
che, in un ragionamento induttivo, la conclusione non è mai certa, ma è tutt’al più probabile. E il
grado di probabilità della conclusione aumenta con l’aumentare delle osservazioni fatte. Tutto
questo è compatibile con l’idea di un progresso cumulativo delle conoscenze. Si tratta,
naturalmente, di conoscenze probabili, ma il cui grado di probabilità aumenta col progresso
scientifico.

2. Il problema di Hume
Il problema è che, già a partire da Hume, si comincia a capire che l’induzione non garantisce
affatto il grado di probabilità di un’asserzione universale. Non importa quante volte osserviamo
l’accadere di un determinato fenomeno. La semplice osservazione di ciò che è accaduto in passato
non ci permette di stabilire il grado di probabilità di un evento futuro. Dal fatto che l’acqua finora
abbia bollito a 100° non segue che sia altamente probabile che lo farà anche in futuro. Noi crediamo
che sia probabile perché cadiamo vittima di un errore argomentativo. L’errore è questo: possiamo
dire che un certo evento è più probabile di un altro solo se assumiamo che vi sia una certa regolarità
nei fenomeni naturali. Ma questo assunto noi non lo possiamo stabilire a priori: lo dobbiamo per

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forza derivare dall’esperienza. Ma l’esperienza non può dirci nulla sul futuro, a meno che non
assumiamo la regolarità dei fenomeni naturali. In questo modo, però, il ragionamento induttivo
diventa circolare, perché assume nelle premesse quello che invece si tratterebbe di dimostrare. Tutto
questo significa che non esiste un’entità logica come un’inferenza induttiva. Ciò che noi chiamiamo
inferenza induttiva è semplicemente una petizione di principio che, come tale, non ha diritto di
cittadinanza nel discorso scientifico.
Per quale motivo allora noi, a dispetto di ogni logica, sembriamo fondare i nostri ragionamenti
sull’induzione? Secondo Hume, lo facciamo perché siamo soggiogati dall’abitudine. Ma l’abitudine
non ha, di per sé, nulla di razionale. Dire che l’induzione è qualcosa di irrazionale significa dire che
la scienza è irrazionale, perché tutte le leggi scientifiche sono ricavate per induzione.

3. Due possibili soluzioni al problema di Hume: l’irrazionalismo e il


criticismo
Di fronte a questa tesi così distruttiva ci sono possibili varie soluzioni.
La prima consiste nell’ingoiare il rospo, vale a dire: accettare la conclusione di Hume che
l’albero della scienza affonda le sue radici nell’irrazionale. È questa la via intrapresa
dall’irrazionalismo ottocentesco, e in particolare da Nietzsche. Secondo Nietzsche la scienza non è
altro che un sistema di errori utili alla sopravvivenza. L’induzione è uno di questi errori utili, perché
mi permette di orientare le mie azioni in modo efficace. Quando apro l’armadio, mi aspetto di
trovare le mie camicie, e non l’abisso dell’inferno. Quindi mi servo dell’induzione perché è più
funzionale agli scopi della vita, non perché abbia un qualche fondamento logico.
La seconda possibile soluzione al problema di Hume è rappresentata dalla filosofia di Kant. Kant
accetta la tesi di Hume che non è possibile costruire una scienza induttivamente, a partire
dall’esperienza. D’altro canto, a differenza di Hume e degli empiristi in generale, Kant pensa che la
scienza sia una forma di sapere assoluto, e non semplicemente probabile. A rendere assoluto questo
sapere non è l’esperienza, ma le forme a priori dell’intelletto. Queste forme a priori sono come delle
lenti con le quali noi vediamo la realtà. Se noi vediamo un mondo fatto di oggetti distribuiti nello
spazio e nel tempo è perché indossiamo delle lenti spaziali e temporali. E se noi vediamo un mondo
dove ci sono cause ed effetti è perché indossiamo delle lenti causali. È perché indossiamo delle lenti
causali che possiamo dire con certezza assoluta che, anche domani, l’acqua bollirà a 100°. Questa
certezza noi non la ricaviamo dall’esperienza, come ha giustamente osservato Hume, ma dal fatto
che sappiamo di indossare quelle lenti. Lenti che Dio ci ha dato e che non ci possiamo togliere.
La teoria di Kant ha un’implicazione importante, che di solito viene trascurata: se essa è vera, ne

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consegue che è impossibile che un dato sperimentale entri in conflitto con le predizioni scientifiche.
Come potrebbe, visto che i dati sperimentali sono già da sempre imbrigliati dalle forme a priori
dell’intelletto? Se io indosso degli occhiali euclidei, allora non potrò mai rilevare qualcosa che
contraddice gli assiomi della geometria euclidea. E se indosso gli occhiali di quello che Newton
chiamava il tempo assoluto e matematico, non potrà mai capitare che uno stesso evento accada
secondo intervalli di tempo diversi, a seconda degli osservatori.

4. La rivoluzione einsteiniana
Il problema è che è successo proprio questo. È successo ciò che la teoria di Kant escludeva che
potesse succedere. A un certo punto, tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, i fatti
non si accordavano più con le predizioni scientifiche. Il fatto che più di ogni altro ha scardinato la
fisica newtoniana è stato la scoperta che la luce si propaga a una velocità costante per tutti gli
osservatori. Questo fatto è, per ragioni che sarebbe troppo lungo mostrare, incompatibile con
l’assioma che il tempo sia una grandezza assoluta, e ci vorrà Einstein per rimettere ancora una volta
la teoria in accordo con le evidenze sperimentali. Questo però significa che la teoria di Kant è
insostenibile. Sarà anche vero che noi vediamo il mondo attraverso delle lenti categoriali. Ma queste
lenti non ci garantiscono un sapere assoluto sulla realtà, sono libere creazioni della mente umana e,
come tali, possono essere sostituite con delle lenti migliori e più accurate.
Ecco come Popper ha riassunto questo punto:

Kant […] credeva che le leggi di Newton fossero da noi imposte con successo alla
natura: che fossimo costretti a interpretare la natura secondo queste leggi; dal ché
concludeva che dovevano essere vere a priori. […]
Dopo Einstein, tuttavia, sappiamo che sono possibili anche teorie assai diverse e
interpretazioni differenti, e che queste possono risultare anche superiori a quella di
Newton. La ragione è dunque capace di più di una interpretazione, e non può imporne
alla natura una propria, una volta per tutte. (Popper, 1969, p. 329-330)

5. La soluzione di Popper al problema di Hume


La terza possibile soluzione al problema di Hume è suggerita da Popper. Anche Popper accetta la
la tesi di Hume per cui non è possibile dimostrare la verità di una teoria a partire da un campione
limitato di dati. Ma – e questo è il punto fondamentale – una teoria non ha bisogno di dimostrare
che è vera per essere autenticamente scientifica. Non c’è bisogno di alcun fondamento o
giustificazione conclusiva per una teoria. Come ha osservato Einstein: “I concetti fisici sono
creazioni libere dell’intelletto umano e non vengono, come potrebbe credersi, determinati

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esclusivamente dal mondo esterno.” (Einstein, Infeld, 1938, p. 41) Ciò che Einstein vuole dire è
questo: è irrilevante il come si arriva a formulare una nuova teoria, se per intuizione o per
l’osservazione fortuita di alcuni elementi della realtà. Al limite potremmo arrivarci anche per mezzo
di un sogno, come è capitato a quello scienziato belga, Kekulé, che giunse a formulare l’ipotesi
della struttura esagonale del benzene dopo aver avuto un sogno nel quale vide un serpente che si
mordeva la coda.

Il modo in cui si arriva a una teoria, dunque, non è importante. Ciò che conta veramente è che la
teoria, una volta formulata, possa essere sottoposta a dei controlli empirici. Ora, la funzione di
questi controlli empirici – e qui siamo al secondo punto importante – non è quella di verificare la
teoria, perché nessuna teoria potrà mai essere verificata in modo conclusivo dall’esperienza.
L’esperienza può tuttavia falsificare in modo conclusivo una teoria, può dimostrarci che la nostra
teoria è falsa. Nessuna esperienza può stabilire in modo conclusivo che un’asserzione universale
come “tutti i cigni sono bianchi” è vera. Ma basta trovare un solo esemplare di cigno nero perché
l’asserzione universale risulti falsificata. Scrive Popper:

La mia proposta si basa su un’asimmetria tra verificabilità e falsificabilità, asimmetria


che risulta dalla forma logica delle asserzioni universali. Queste, infatti, non possono
mai essere derivate da asserzioni singolari, ma possono venir contraddette da asserzioni
singolari. (Popper, 1934, p. 23)

6. La demarcazione tra scienza e pseudoscienza


Il fatto di assumere la falsificabilità come criterio fondante ha delle conseguenze importanti,
perché ci permette di tracciare una linea di demarcazione tra teorie scientifiche e teorie pseudo-
scientifiche. Una teoria è scientifica non quando è vera, ma quando è falsificabile, cioè quando è in

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grado di indicare con precisione sotto quali condizioni essa risulta errata. Viceversa, una teoria è
pseudoscientifica quando non esiste nessuna situazione che possa falsificarla. Popper illustra la
differenza tra questi due tipi di teoria con un esempio molto semplice. Se io dico: “Domani qui
pioverà” ho un’asserzione scientifica, perché è falsificabile dall’esperienza. Se invece dico:
“Domani qui pioverà o non pioverà” ho un’asserzione pseudo-scientifica, perché non è falsificabile
dall’esperienza. Questa asserzione è, infatti, sempre vera. Ma è vera non perché dice qualcosa sulla
pioggia o sul mondo più in generale: è vera in virtù della propria forma logica, in quanto è una
tautologia.
Qualcuno di voi penserà: ma nessun filosofo o scienziato ha mai formulato teorie tautologiche.
Non è affatto vero. Pensate, ad esempio, agli argomenti con cui gli scolastici pensavano di poter
provare che la Terra è immobile. Uno di questi argomenti suonava così: se lasciamo cadere un sasso
dalla cima di una torre, questo cade sulla verticale, e non spostato in ragione dell’intercorso
movimento della Terra. Il problema di questo argomento, come mostrerà Galileo, è che non prova
nulla, perché il sasso cadrebbe sulla verticale anche se la terra si muovesse a una velocità costante.
Quindi la tesi: “il sasso cade sulla verticale” è compatibile tanto con il geocentrismo che con
l’eliocentrismo.
Un altro esempio è il cosiddetto argomento idealistico per il toglimento la cosa in sé. Il concetto
di cosa in sé è contraddittorio, dicono gli idealisti, perché per poter dire che esiste la cosa in sé, la
devo pensare. Il problema di questo argomento è che non prova nulla, perché è perfettamente
compatibile con il realismo. Se infatti la cosa in sé esistesse anche in quel caso l’unico modo per noi
di riferirci ad essa sarebbe quello di pensarla.
La morale della storia è che una teoria che sia immune da ogni possibile confutazione non è una
buona teoria, ma è una cattiva teoria, perché non è informativa, cioè non mi dice nulla della realtà.

7. Conclusione
Potrei fare altri esempi di questo tipo, ma non voglio abusare del tempo a mia disposizione, per
cui mi avvio alla conclusione. Le cose che ho detto finora dovrebbero aver reso chiara la tesi
iniziale per cui il progresso si ottiene non per accumulo di verità, ma per eliminazione di errori. Il
fatto che una teoria venga confutata dall’esperienza non rappresenta una sconfitta, ma un successo
per la scienza, perché questo significa che un piccolo passo in direzione della verità è stato
compiuto. Come dice Popper: “il rifiuto delle teorie da parte della realtà è, a mio avviso, la sola
informazione che possiamo ottenere da parte della realtà: tutto il resto è soltanto una nostra
creazione.” (Popper, 1982, p. 21)

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BIBLIOGRAFIA
Einstein, A., Infeld L. (1938), The Evolution of Physics. The Growth of Ideas from
Early Concepts to Relativity and Quanta, tr. it. L’evoluzione della fisica, Bollati
Boringhieri, Torino 2012.

Hume D. (1740), An Abstract of A Treatise of Human Nature, tr. it. Estratto del trattato
sulla natura umana, Laterza, Bari 1983.

Popper, K. R. (1934), The Logic of Scientific Discover, tr. it. Logica della scoperta
scientifica. Il carattere autocorrettivo della scienza, Einaudi, Torino 2010.

Popper, K. R. (1969), Conjectures and Refutations, tr. it. Congetture e confutazioni, Il


Mulino, Bologna 2009.

Popper, K. R. (1982), Quantum Theory and the Schism in Physics from the Poscript to
the Logic of Scientific Discovery, tr. it. La teoria dei quanti e lo scisma nella fisica, Il
Saggiatore, Milano 2012.

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