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La relazione tra dati di fatto, che non si basano su nessun principio a priori, bensì
sull’esperienza e sono conoscenze solo probabili. È il caso delle scienze naturali.
Soffermiamoci sulla seconda tipologia: da questo tipo di conoscenze, secondo
Hume, non possiamo ricavare nessuna certezza, in quanto c’è sempre la possibilità
che “ogni cosa che è, può non essere”.
Ciò avviene perché tutti i ragionamenti che hanno a che fare con dati di fatto si
fondano sul rapporto di causa-effetto (affermo, ad esempio, che ai Tropici c’è un
clima caldo perché l’ho appreso da un amico). Tuttavia, qualunque effetto non può
mai essere ricavato a priori ma è tale solo in quanto è stato conosciuto tramite
l’esperienza. E quest’ultima ci rassicura solo su ciò che riguarda il passato, ma non
abbiamo nessuna garanzia circa il futuro.
Il rapporto causale secondo Hume non è, dunque, in nessun modo necessario e
valido ma, al contrario, è assolutamente arbitrario.
Ma allora perché l’uomo considera assolutamente certo che domani il sole sorgerà
ancora o che tutti gli esseri umani continueranno ad essere mortali?
Secondo Hume ciò accade per via dell’abitudine: un istinto naturale, un’inclinazione
ad aspettarci (senza che intervenga alcun ragionamento) che ciò che si è presentato
come regolare nel passato, continuerà a ripetersi anche nel futuro. Dunque, è solo
in base ad un nostro istinto soggettivo che riusciamo a fare previsioni, a sentirci
ancorati a delle certezze che ci permettono di orientarci perché, confessa Hume, in
verità le conoscenze scientifiche (basate sulla causalità) non possiedono nessuna
assoluta certezza, ma sono unicamente probabili (scetticismo).
Dall’abitudine deriva la credenza, che è un istinto, un sentimento, che ci spinge a
riconoscere la realtà di qualcosa e che Hume descrive come “uno dei più grandi
misteri della filosofia”. Nonostante, cioè, la ragione possa tranquillamente condurci
a pensare che domani il sole potrebbe non sorgere, noi siamo intimamente convinti
del contrario. E crediamo, soprattutto, che esiste un mondo esterno (anche mentre
noi stiamo dormendo e non ne facciamo esperienza diretta, ad esempio) o un “io”.
La critica di Hume alle sostanze materiali (il mondo esterno) e alle sostanze spirituali
(l’io, l’anima) è radicale.
1) Gli uomini credono che esista un mondo esterno che abbia un’esistenza
permanente e che i corpi, gli oggetti, le cose abbiano una oggettività e realtà che
prescinde dalla loro percezione. Secondo Hume, si tratta solo di “credenze”, in
quanto ciò che esiste sono unicamente le nostre singole e discontinue
impressioni particolari, che noi invece associamo ad una presunta “sostanza”.
2) Per lo stesso motivo, gli uomini associano ad un “io” l’insieme delle impressioni
che hanno. Sentono, cioè, l’esigenza di individuare un qualcosa di unitario e
stabile da cui scaturiscono le varie percezioni che si susseguono nel corso della
vita.
Non ho impressioni del mio “io”, come non ho impressioni delle “cose esterne”.
Nella totale incertezza in cui muoviamo, ciò che ci rimane è dunque unicamente il
nostro istinto che funge da guida e ci rassicura nella nostra condotta pratica.