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HUME E IL PROBLEMA DELLA CAUSALITÀ O DELL’INDUZIONE §§§

1) Hume si rese conto che noi tutti ci spingiamo ben oltre la testimonianza dei sensi,
e ci formiamo credenze (o coltiviamo aspettative, o facciamo predizioni) su cose di
cui non abbiamo mai fatto esperienza, e alla luce di queste credenze regoliamo poi
il nostro comportamento. Lo facciamo ogni santo giorno, in in niti modi, senza
pensarci, spontaneamente. Abbiamo le mani sporche, e per lavarle le mettiamo
nell’acqua, e non nel fuoco. Perché? Perché ci aspettiamo che l’acqua le pulisca, e
che il fuoco ci faccia del male. Se ci offrono un panino su un vassoio, prendiamo il
panino e non il vassoio. Perché? Perché crediamo che il panino ci nutrirà, e il
vassoio no. Prendiamo le scale per andare al pianterreno, invece di saltare dalla
finestra. Perché? Perché prediciamo che prendendo le scale rimarremo tutti d’un
pezzo, cosa che non succederà saltando oltre il davanzale. Ma queste nostre
credenze (e le azioni basate su di esse), sono credenze ragionevoli? Possono essere
giustificate? Gli empiristi pensano che le credenze debbano essere giusti cate sulla
base dell’esperienza. Se si chiede come fa a sapere che chi in la le mani nel fuoco se
le brucerà, l'empirista risponde “Per esperienza”. Ma appellarsi all’esperienza
passata per giustificare credenze o aspettative sul futuro signi ca impegnarsi in un
ragionamento induttivo. Pensiamo che il pane che stiamo per mangiare ci nutrirà
perché il pane ci ha nutrito quando l’abbiamo mangiato nel passato. Possiamo
esplicitare il nostro tacito ragionamento così:
Il pane mi ha nutrito lunedì.

Il pane mi ha nutrito martedì.

Il pane mi ha nutrito mercoledì.

Il pane mi ha nutrito giovedì.

Il pane mi ha nutrito venerdì.

Il pane mi ha nutrito sabato.

Dunque, il pane mi nutrirà domani (domenica).

Ma la conclusione NON SEGUE DALLE PREMESSE dunque il ragionamento non è


una verità analitica, ma non è nemmeno una verità sintetica aposteriori. Allora
come la mettiamo? §§§
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2) Due esempi di rapporto di causa ed effetto.
Applichiamo il principio dell’empirismo cioè il principio di veri cazione al
concetto di causa. Per sapere cosa realmente intendiamo con la relazione di causa
ed effetto esibiamo le situazioni di fatto empiriche percepibili da cui essa ha preso
origine. Ecco due casi chiaramente osservabili cioè di cui disponiamo le percezioni.
Vedo sul biliardo al tempo t1 la palla A che si muove verso la palla B ferma. Vedo al
tempo t2 la palla A contattare la palla B. Vedo al tempo t3 la palla B muoversi. Ecco
tutto. Constato una congiunzione costante tra la palla A e la palla B come due
fratelli che si accompagnano e che potrebbero scompagnarsi da un momento
all’altro. Ma non come due fratelli siamesi.
Secondo esempio. Vedo al tempo t1 due ammiferi. Uno acceso e l’altro spento.
Vedo al tempo t2 accostare quello acceso a quello spento. Poi vedo al tempo t3 che
quello spento si accende. Ecco tutto.

La mossa di Hume è che se noi descriviamo fedelmente ciò che accade in una
qualunque porzione di spazio-tempo, quello che possiamo dire fedelmente è che c’è
prima movimento della palla x e poi movimento della palla y, vale a dire che questo
riempirsi d’eventi l’uno accanto all’altro dello spazio-tempo è tutto ciò che accade.
Qualsiasi cosa che diciamo in più non è constatazione. Per esempio, dire che il
movimento di x PRODUCE quello di y è dire qualcosa di più, è alludere ad una
dimensione che sta dietro l’accadere puro. Abbiamo una successione d’eventi e il
provocare /produrre sembra qualcosa che sta dietro, ma è solo legalità. Il reale
sembra essere sempre il manifestarsi di una porzione del possibile, ecco che cos’è la
legalità. Lo stoppino del ammifero deve prendere fuoco, se lo accosto ad un altro
ammifero acceso, ma il “deve”, il "è necessario", non è più descrittivo,
constatativo, è una dimensione in più dove c’è il possibile sottoposto ad una
legalità rigorosa. Tutto quello che diciamo in più sembra essere un sogno, un
credere così senza più alcun dato. Non abbiamo una constatazione della legalità ma
solo dell’accadere nello spazio-tempo. Questo "in più" o "è necessario" è inventato.

Il dubbio di Hume non era sulla verità delle asserzioni causali ma colpiva la
categoria stessa di "causalità". E' come se noi non sapessimo più bene cosa
vogliamo dire quando diciamo che qualcosa è causa di qualcos'altro, sia nei contesti
più quotidiani che in quelli scienti ci anche più so sticati.
La categoria stessa, la nozione stessa, è colpita dalla critica di Hume. La sua
domanda è: "ma siamo sicuri che abbiamo in mente qualcosa di determinato, di
de nito, quando usiamo il concetto di causa?" ossia " che cosa abbiamo in mente
quando pensiamo al concetto di causa?".
L'analisi di Hume rivela che come minimo con 'causa', cioè con 'x è causa di y',
intendiamo la concomitanza di x e y. Ma poi c'è anche la necessità di tale
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concomitanza, che non è affatto chiara, a meno che noi non rinunciamo a quella
specie di ineffabile che sarebbe implicato nel concetto di causalità e che supera la
successione temporale di x e y.

Hume si è talmente inabissato nel problema della causalità - egli è causalità in atto-
che nella massima problematizzazione ha quasi visto dissolversi il mondo davanti
ai suoi occhi, polverizzarsi in percezioni discrete l’una indipendente dall’altra. §§§
3) Hume adesso analizza la nostra credenza nel nesso causale da un altro punto di
vista. Quello dell’INFERENZA CAUSALE. Vedo la palla A muoversi verso la palla
B ferma e inferisco deduco che la palla B si muoverà. Cioè anticipo un fatto futuro
ossia un’esperienza futura, cioè credo fermamente che accadrà un evento che ora
non mi è DATO ossia credo fermamente che avrò una esperienza che ora non mi è
DATA. Oltrepasso la mia esperienza, vado al di là di ciò che posso CONSTATARE.
sembra una violazione dell’EMPIRISMO che ci impone di attenerci al realmente
DATO.
Ma questa INFERENZA è giusti cata razionalmente? Cioè che ragioni ho per
credere che questa inferenza causale sia vera? Il credere in una realtà che ancora
non mi è data è giusti cabile? Oppure è una superstizione? Una magia?
Hume dice: ‘Questa è l’inferenza dalla causa all’effetto; e di questa natura sono tutti
i ragionamenti che facciamo nella condotta della vita; su cio‘ si fonda tutta la nostra
credenza nella storia e di qui deriva tutta la loso a, con la sola eccezione della
geometria e dell’aritmetica’.
Qui la nostra conoscenza compie un passo importante perche' si muove «fuori della
presente testimonianza dei sensi o dei ricordi della memoria»; ora soltanto in forza
della relazione di causa ed effetto «possiamo andare al di la‘ dell’evidenza della
memoria e dei sensi». Hume dichiara che di tale natura sono i ragionamenti che
facciamo nella condotta della vita e nella stessa nostra conoscenza della storia. «Se
chiedete ad una persona perché crede a qualche fatto che non è presente, per
esempio che un suo amico si trova in campagna o in Francia, vi dara‘ una ragione; e
questa ragione sarà qualche altro fatto, come una lettera ricevuta da parte
dell’amico o la conoscenza di sue risoluzioni e promesse precedenti».
Analogamente noi, leggendo determinate fonti storiche, siamo portati a concludere
che Cesare fu ucciso nelle note circostanze. È qui merito di Hume avere notato che
l’inferenza concerne del pari le vicende della vita quotidiana come la conoscenza
storica; questa, avendo a che fare col passato, non presenta caratteri essenzialmente
diversi dal rinvio che il presente ci spinge continuamente a compiere sia verso il
passato che verso l’avvenire. A questo tipo di inferenza si sottrae soltanto la
conoscenza matematica, le cui proposizioni si possono scoprire «con una semplice
operazione del pensiero, senza dipendenza alcuna da qualche cosa che esista in
qualche parte dell’universo ».
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Hume adesso ci mostra come l’inferenza causale non è una dimostrazione, cioè una
semplice relazione fra idee, che possa essere colta solo mediante la loro
comparazione.
Ecco come Hume si esprime sullo stesso argomento nelle Ricerche (ed; cit., pp.
33-34): «Tutti gli oggetti della ragione e della ricerca umane si possono
naturalmente dividere in due specie, cioè relazioni di idee e materie di fatto. Alla
prima specie appartengono le scienze della geometria, dell’algebra e dell’aritmetica;
e, in breve, qualsiasi affermazione che sia certa sia intuitivamente che
dimostrativamente. Che il quadrato dell’ipotenusa sia uguale al quadrato dei due
cateti è una proposizione che esprime una relazione fra queste gure. Che tre volte
cinque sia uguale alla meta‘ di trenta esprime una relazione fra questi numeri...
Anche se : non esistessero in natura circoli e triangoli, le verita‘ dimostrate da
Euclide conserverebbero sempre la loro certezza ed evidenza. Le materie di fatto,
che sono la seconda specie di oggetti dell’umana ragione, non si possono accertare
nella stessa maniera, ne' l’evidenza della loro verità, per quanto grande, è della
stessa natura della precedente. Il contrario di ogni materia di fatto è sempre
possibile, perche' non può mai implicare contraddizione e viene concepito dalla
mente con la stessa facilità e distinzione che se fosse del pari conforme alla realtà.
Che il sole non sorgerà domani è una proposizione non meno intelligibile e che non
implica più contraddizione dell’affermazione che esso sorgerà».
La distinzione tra frasi che esprimono relazioni tra idee e frasi che esprimono fatti
equivale alla distinzione kantiana tra frasi analitiche e farsi sintetiche. Nei termini
della scatola di Kant, l’inferenza “A dunque B” [ leggi: percepisco la palla A
muoversi verso la palla B dunque la palla B si muoverà] che esprime l’inferenza
causale, non è una frase analitica. Cioè il fatto che la palla B si muoverà non è
contenuto nel fatto che la palla A si muove verso la palla B. Dunque concepire la
negazione di questa frase non è contraddittorio, ma possibile, posso concepire
benissimo senza contraddizione che la palla B colpita dalla palla A stia ferma o si
disintegri.
Così dal fatto che il pane mi ha nutrito ogni giorno da lunedì a sabato non segue
logicamente che il pane mi nutrita domenica. Posso concepire senza contraddirmi
che domenica il pane mi avvelenerà. Questo mostra che l’inferenza causale non è
analitica. Cioè è escluso che l’inferenza causale sia frutto di una comparazione
semplice fra idee, cioè che sia analitica e a priori. ma allora non resta che ritenerla
risultato dell’esperienza. Cioè che sia una frase sintetica a posteriori.
Ma ciò equivale a dire che l’esperienza di fatti passati sta a fondamento della nostra
inferenza circa fatti futuri; questa è appunto la supposizione circa l’uniformità del
corso della natura.PRINCIPIO DI INDUZIONE.
Hume indaga quale sia il fondamento della supposizione circa l’uniformità della
natura; egli esclude anzitutto che esso sia ricavabile da una semplice comparazione
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di idee; l’argomento che adduce in proposito è lo stesso che gli ha consentito di
escludere che l’inferenza causale sia tratta da una semplice comparazione di idee.
In effetti, noi possiamo concepire un corso futuro della natura diverso dal suo corso
passato; ora tutto ciò che si può concepire, è possibile; e ciò che è possibile, non è
contraddittorio; ciò che non è contraddittorio, non è dimostrato o dimostrabile.
Scrive Hume nelle Ricerche (ed. cit., p. 44): «Non posso forse chiaramente e
distintamente concepire che un corpo, che cade dalle nubi e che sotto tutti gli altri
riguardi assomiglia a neve, abbia gusto di sale o si presenti al tatto come fuoco?...
Ora tutto ciò che è intellegibile e può essere distintamente concepito, non implica
contraddizione e non può essere provato falso da alcun argomento dimostrativo». Il
punto più originale dell’analisi di Hume è proprio quello che mette in chiaro come
la supposizione dell’uniformità della natura non trovi fondamento nell’esperienza;
gli argomenti probabili implicano la supposizione, la presuppongono; cio‘ e‘ quanto
dire che la supposizione fonda gli argomenti probabili, non già che ne viene
fondata; pretendere che essa venga fondata da quegli argomenti «è evidentemente
muoversi in un circolo ed accettare come sicuro proprio quello che e‘ il punto in
questione» (Ricerche cit., p. 44). , In altre parole: il passato non ci autorizza mai, per
quanto sia esteso, a ritenere
che il futuro gli assomiglierà; o, meglio, questo passaggio dal passato al futuro non
è basato su prove. Di qui la conclusione negativa di Hume.§§§
4) 1) noi siamo causalità in atto, cioè noi siamo tra l’altro inferenze causali. Senza
inferenze causali saremmo solipsisti, cioè vivremmo il mondo cioè tutto ciò che
accade come un miracolo istante dopo istante.
2) dallo sfascia carrozze. Vedo il pesante maglio che sta per abbattersi sulla mia
vecchia auto, deduco vitalmente che l’auto sarà ridotta a una sottile lamina. Su cosa
fondo la mia deduzione causale? Sul principio di induzione cioè che l’esperienza ci
ha insegnato che il futuro è simile al passato. Senza questo principio cosa sarebbe la
mia nozione di mondo? Ma di nuovo questo principio su cosa è fondato? Non è
analitico perché posso concepire senza contraddirmi che il futuro sia diverso dal
passato. Non è sintetico perché nora il futuro è stato simile al passato, ma
potrebbe darsi benissimo che il futuro che adesso mi sta arrivando del maglio
sull’auto sia diverso dal passato. Dunque il principio di induzione è esso stesso
infondato come la deduzione causale.§§§
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