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Dopo decenni di pensiero debole, ossia di nega-
CL 20-5146-X
zione della metafisica e dell'assoluto, si può par-
lare ancora di metafisica, oggi?
In copertina: Giorgio Morandi, «Natura morta», 1918. San Pietroburgo, Ermitage, © by SIAE, 1977.
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Francesco Barone, «Metafisica»: fascino di un'am-
biguità semantica - Carlo Bernardini, Il non fisico
della fisica - Enrico Berti, Una metafisica proble-
matica e dialettica - Remo Bodei, Il mondo na-
scosto - Umberto Eco, Brevi cenni sull'essere -
Domenico Losurdo, Metafisica, antimetafisica e
storia - Franco Volpi, La metafisica rimossa.
Metafisica
Il mondo nascosto
II
31
sempre la possibilità che sia sbagliata . Subito dopo Kant
inondò il mondo filosofico di confusione e di mistero [ . . . 1
Kant ha la reputazione di essere il più grande filosofo mo
derno, ma a mio giudizio egli fu una semplice calamità .
Bibliografia
39
McCormmach Russell, Pen s ieri n o t t u rn i di u n fisico clas-
sico , Ed . Riuniti, Roma 1 99 0 .
Molière Jean-Baptiste (Poquelin) , Il mala to i m m aginario .
Newton lsaac , Pri ncipia .
Piaget Jean e Garda Rolando, Ps icogenesi e sto ria delle
scienze, trad . it. , Garzanti , Milano 1 97 9 .
Russell Bertrand, Sin tesi fi losofica , La Nuova Italia , Fi
renze 1 9 6 6 .
Enrico Berti
UNA METAFISICA
PROBLEMATICA E DIALETTICA
l . Il pregiudizio antimetafisico
41
che non sia così . Apparentemente , infatti, la metafi
sica viene scelta come tema allo stesso modo in cui ,
in altri anni , sono state scelte l'etica , la politica, la
retorica, vale a dire le tradizionali discipline filosofi
che . Ma in realtà , mentre per le altre discipline ci si
attende semplicemente che ciascuno dei relatori
esponga il suo pensiero su problemi particolari inter
ni ad esse , nel caso della metafisica ciò che fa pro
blema è la stessa disciplina , la sua esistenza , il suo
diritto ad essere presa in considerazione, oggi , come
disciplina filosofica. Oppure essa viene trattata come
un oggetto di curiosità , o di ricerca storica , allo stes
so modo in cui potrebbero esserlo l'astrologia, l'al
chimia o la magia.
Oggi , quando qualcuno si dichiara per la metafi
sica, viene contestato prima ancora che si chiarisca
qual è la sua concezione della metafisica , cioè per
quale metafisica egli si schiera, come sarebbe giusto
fare nei confronti di chi si schierasse. per l'astrologia
o per la magia. Questo accade almeno in Occidente,
mentre pare che in Oriente le cose stiano diversa
mente, cioè che la metafisica goda di maggior credi
to. Qui bisognerebbe forse precisare a quale Oriente
ci si riferisce, se a quello antico o a quello odierno, la
cui somiglianza a quello antico è molto discutibile.
Ma tutti sappiamo che, nella storia del mondo , cioè
della cultura e della civiltà , quello che conta di più è
l ' Occidente, perché questo impone i suoi modelli an
che all 'Oriente , come accade ad esempio nel campo
della scienza e della tecnologia.
Io credo che il pregiudizio antimetafisico sia stato
alimentato, negli ultimi decenni , soprattutto da tre
42
correnti filosofiche, che hanno dato vita , almeno in
Italia , a delle vere e proprie mode . Innanzitutto esso
è stato alimentato dal neopositivismo, che ha domi
nato la cultura italiana negli anni Sessanta, a causa
del ritardo culturale rispetto ad altri paesi in cui l 'Italia
era caduta per colpa della guerra e dell 'isolamento
prodotto dal regime fascista. Solo negli anni Cin
quanta e Sessanta si è scoperta , in Italia , l'imp ortan
za della filosofia analitica , ma questa è stata per lo
più ridotta alla sua versione neopositivistica , cioè alla
più primitiva, quella che concepiva la filosofia come
analisi del linguaggio esclusivamente scientifico , l 'uni
co ritenuto da essa sensato. Perciò ha avuto grande
successo il famoso articolo del neopositivista Rudolf
Carnap, Uberwindung der Me taphysik du rch die
logische Analyse der Sprache, uscito in «Erkennt
nis>> ancora nel 1 93 2 , in cui i metafisici venivano bol
lati come musicisti senza talento , cioè come gente
che, quando parla, emette suoni del tutto privi di sen
so e privi anche della bellezza che hanno i suoni ve
ramente musicali2.
Negli anni Settanta , poi , c'è stata la moda del
marxismo , il quale imperava sull 'intera cultura italia
na (quante tesi di laurea in filosofia su Marx giovane ,
Marx vecchio, Marx ed Engels, Marx e Lenin , Marx
e Gramsci ! ) . Nell ' ambito del marxismo si era imposta
una certa concezione della metafisica , la quale non
risaliva nemmeno a Marx, ma era propriamente di
43
Engels , il riduttore e volgarizzatore del pensiero di
Marx . Engels , nel suo Anti-Dil h ring, aveva diviso
tutti i filosofi in due grandi categorie: i «dialettici>>, i
quali comprendono la dinamicità del reale, cioè ca
piscono che tutto cambia , si trasforma, e i «metafisi
ci>> , i quali sono invece per una visione statica, rigida,
della realtà , in cui ci sono solo essenze eterne e im
mutabilP . Questo giudizio stroncatorio della metafisi
ca , in base al quale i metafisici vengono ad essere
quasi degli imbecilli che non si accorgono dell 'esi
stenza del mutamento , è stato accolto come dogma
ed usato innumerevoli volte .
Se però si fosse andati a vedere quali filosofi En
gels collocava nell 'una e nell 'altra categoria, si sareb
be scoperto con qualche sorpresa che egli metteva
Aristotele - il quale deve essere considerato uno dei
grandi padri della metafisica , se non altro per avere
dato col titolo di una sua opera il nome a questa di
sciplina - non tra i «metafisici)) , ma tra i «dialettici)) .
Ciò significa da un lato che Engels conosceva abba
stanza bene Aristotele , e dall 'altro che la concezione
della metafisica da lui proposta, e fatta propria dai
seguaci del marxismo , era talmente angusta da non
essere nemmeno in grado di contenere uno dei suoi
fondatori .
Negli anni Ottanta, infine, c'è stato il cosiddetto
riflusso , che ha riportato di moda Heidegger. Dico
«riportato>> perché , avendo ormai una certa età, ri
cordo benissimo che Heidegger era già stato di moda
44
negli anni Cinquanta, al tempo dell'esistenzialismo, e
poi era stato messo da parte a causa dell 'egemonia
del neopositivismo e del marxismo. Quando questi
passarono, Heidegger tornò, grazie anche alla sua
morte , awenuta nel 1 976, ed alla preveggenza da lui
avuta nel disporre la pubblicazione dei suoi corsi uni
versitari con studiata lentezza , in modo che durasse
alcuni decenni. Ci siamo così ridotti , da vent 'anni a
questa parte, ad attendere continuamente la pubbli
cazione di un nuovo volume di Heidegger, come se
egli fosse ancora in vita e continuasse a scrivere .
Heidegger dichiarò semplicemente che l ' epoca
della metafisica è finita e siamo entrati in un'epoca
nuova , quella «post-metafisica)) , perché a questa ci ha
portato la stessa «storia dell'essere>> . Anch 'egli scris
se, come Carnap ed anzi in polemica con questo ,
una Uberwindung der Metaphysik {1 954), dando
tuttavia alla parola Ube rwindu ng - grazie all 'ambi
guità del tedesco u ber, che significa tanto «sopra>>
quanto ((attraverso>' - il significato non più di ((supe
ramento)), che aveva in Carnap , ma di <<oltrepassa
mento», implicante un «attraversamento>'4 . E poiché
per Heidegger il vero progresso consiste non nell' an
dare avanti , bensì nel tornare indietro (der Sch ritt
zu ruck) , cioè nel «rimemorare'' (anden ken ) , dobbia
mo riattraversare la metafisica all' indietro, ritornando
a prima della metafisica, per ritrovare l' «evento»
(Ereign is), cioè la manifestazione dell' essere , occul
tata dalla metafisica. Sarà forse per questo motivo,
45
cioè perché stiamo tornando indietro , che qui a Cat
tolica facciamo un corso sulla metafisica: il prossimo ,
per seguire Heidegger , dovrà essere sul mito , o sulla
poesia .
Ma in realtà quelle che sembrano aver concluso la
loro epoca sono proprio le tre citate negazioni della
metafisica . Il neopositivismo, infatti , è stato soppian
tato da un lato da P o p per, che ha sostituito al prin
cipio di verificazione quello di falsificazione , e dali ' al
tro dalla filosofia analitica di Oxford e di Cambridge ,
erede dell'ultimo Wittgenstein, la quale analizza il lin
guaggio ordinario , cioè il linguaggio del!' etica , della
politica , della religione, della stessa metafisica , rico
noscendo che esso può avere un senso. Non a caso ,
gli esponenti della filosofia analitica hanno ripreso a
scrivere libri di metafisica : per esempio P . F . Straw
son ha scritto, sotto il titolo di Indi vidua fs ( 1 959) , un
«saggio di metafisica descrittiva)) , come recita il sot
totitolo, e D . W. Hamlyn ha scritto una vera e propria
Metaphysics ( 1 98 1)5 .
Quanto al marxismo, anzitutto si deve rilevare
che oggi quasi nessuno parla più di Marx, il che è
grave , perché Marx resta un filosofo che ha detto co
se importanti e col quale, in filosofia, bisogna per
tanto fare i conti. Nella tradizione risalente al marxi
smo , tuttavia , è rimasta viva una critica alla metafisi
ca , sviluppata da uno degli esponenti più intelligenti
della Scuola di Francoforte , Jurgen Habermas, il qua-
46
le ha scritto qualche anno fa Il pensiero post-m eta
fisico (1 988) . Il titolo del libro è più heideggeriano
che marxista, ma Habermas critica la metafisica per
ché riconduce tutte le cose all 'Uno , perché riduce
l'essere al pensiero ed infine perché privilegia la teo
ria rispetto alla prassi. Si tratta , dunque , di critiche di
origine più marxistica che heideggeriana6.
Però Habermas subito aggiunge che la metafisica
di cui parla è quella iniziata da Platone , sviluppata
nell'antichità da Plotino e da Agostino, ripresa in età
moderna da Descartes , Schelling e Hegel , e culmi
nante infine in Heidegger. Come si può vedere , que
sto è un filone ben preciso e molto particolare di me
tafisica , cioè è la metafisica, potremmo dire , di tipo
neoplatonizzante o idealistico, sulla quale tra poco ri
torneremo . Dunque tutta la critica del marxismo alla
metafisica si è concretizzata, e molto onestamente
circoscritta, nella critica ad una particolare forma di
metafisica , non più alla metafisica in generale , mal
grado il titolo del libro di Habermas .
Lo stesso heideggerismo, che ha dichiarato la fi
ne della metafisica, si è trasformato nell 'ermeneutica .
Vattimo , che è sicuramente uno dei maggiori espo
nenti di questo indirizzo, dice che l 'ermeneutica è di
ventata oggi la koinè, cioè il linguaggio comune della
filosofia contemporanea, il che è vero , perché se fa
cessimo un' inchiesta , più di metà dei filosofi contem
poranei si dichiarerebbero sicuramente per l' erme
neutica . Ma di che cosa parlano oggi i filosofi erme-
47
neutici , cioè Vattimo in Italia , Gadamer in Germania ,
Rorty in America? Essi hanno preso alla lettera l ' in
dicazione di Heidegger, secondo cui per uscire dalla
metafisica bisogna ripassare attraverso di essa, quindi
continuano a parlare di metafisica. Essi continuano
infatti ad evocare , se non l'essere, l 'evento (Erei
gn is), la differenza antologica fra essere ed ente , cioè
tutto ciò che interessa la metafisica. Ecco perché ,
malgrado tutte queste critiche e malgrado il pregiu
dizio antimetafisico di cui esse sono espressione , è
abbastanza normale che oggi qui si faccia un corso di
conferenze sulla metafisica, il che dimostra che essa
è ancora oggetto di attenzione . Questo però non
vuoi · dire che ci siano idee chiare sulla metafisica,
perché tutta una serie di equivoci continua a rimane
re.
.
Cfr. E. Berti , Introduzione alla metafisica, Utet-Libreria, To-
7
nno 1 993, ristampato col titolo Metafisica in Paolo Rossi (direttore),
La filo sofia, Utet, Torino 1 995, vol. li!.
49
realtà, cioè di dire una volta per tutte come stanno le
cose . Esse sono metafisiche solo in un senso molto
improprio .
Le vere metafisiche sono le metafisiche della tra
scendenza, perché la parola «meta-fisica" indica una
concezione della realtà secondo la quale il principio
ultimo , il fondamento di tutto, è metà , cioè al di là ,
della fisica, vale a dire del mondo dell 'esperienza , os
sia è trascendente . Ma anche a questo proposito ci
sono molti modi di intendere la trascendenza. Rinun
cio ad esporne una classificazione completa, limitan
domi a qualche cenno sui due modi fondamentali.
C'è un tipo di metafisica che parte dal principio tra
scendente e pretende di dedurre tutto da esso, o di
spiegare tutto in base ad esso , per esempio parte da
Dio e pretende di mostrare come Dio ha creato il
mondo, perché lo ha creato in un certo modo , in
quale modo il mondo deriva da Dio.
In genere le metafisiche di questo tipo usano ar
gomentazioni di carattere dimostrativo , cioè dedutti
vo , e si configurano come veri e propri sistemi, cioè
insiemi rigorosamente concatenati di verità ed ab
braccianti l 'intera realtà, per cui si potrebbe parlare
anche di «metafisica sistematica>> . Esse presentano la
realtà come una specie di grande piramide, al cui
vertice naturalmente c'è Dio (chiamato con vari no
mi , l ' Uno , l ' Essere , il Bene , il Principio) e al di sotto
di Dio , da cui tutto discende , ci sono vari piani di
realtà , digradanti secondo una gerarchia di valore,
come in una specie di scala, finché si arriva al piano
terra , dove c'è la materia , il mondo sensibile , l 'espe
rienza. È questa una visione di tipo fondamentalmen-
50
te platonico , anzi neoplatonico. Si potrebbero fare
molti nomi di filosofi che, naturalmente in modi di
versi , l'hanno rappresentata: Platino , Scoto Eriuge
na, Nicola Cusano, Marsilio Ficino , e in età moderna
Schelling , specialmente l 'ultimo Schelling, e Gioberti.
Ad essa si riconduce però, a mio awiso, anche
una certa neoscolastica, quella che insiste sulla con
cezione di Dio come Esse ipsum e del mondo come
((essere per partecipazione>> . A questo tipo di metafi
sica si può ricondurre anche un filosofo come Dieter
Henrich, professore di filosofia a Monaco , che meri
ta di essere ricordato perché è riuscito a convertire
alla metafisca persino un teologo protestante come
Pannenberg, il che è tutto dire 8 . In questa concezio
ne la metafisica diventa un sapere che è quasi equi
valente alla religione , cioè un sapere che riesce a da
re un senso a tutte le cose e quindi ad assicurare una
specie di salvezza.
Senza mettere in discussione la buona fede dei
suoi sostenitori , ritengo che questa metafisica pre
senti qualche affinità con lo gnosticismo . «Gnosi)) in
greco significa conoscenza e lo gnosticismo è nato
come movimento filosofico alternativo alla religione,
prima ebraica e poi cristiana , il quale pretendeva di
offrire come contenuti di un sapere razionale, cioè
filosofico, quelli che invece erano i contenuti della fe
de, rispettivamente ebraica e cristiana. Si tratta di
una razionalizzazione , e quindi di una laicizzazione,
della teologia ebraica e cristiana . In questo senso lo
51
gnosticismo (non certo i pensatori sopra citati) è un
pericoloso awersario della fede religiosa , perché es
sendo un sapere di salvezza, rende la fede del tutto
superflua .
Questo tipo di metafisica è il più importante dal
punto di vista storico, perché ha percorso l'intera
storia della filosofia occidentale (provenendo forse
dall ' Oriente), a cominciare da Platone (e forse da
Parmenide) , ed è arrivato , praticamente senza solu
zione di continuità , sino ai giorni nostri. Non bisogna
però dimenticare che esiste un'altra concezione della
metafisica, meno continua e meno forte, che rove
scia il processo, cioè non pretende di partire da Dio,
ma prende le mosse dall'unico punto di partenza in
cui tutti ci troviamo e ci possiamo collocare in tutta
modestia e semplicità, vale a dire dal mondo del
l' esperienza , della vita quotidiana, del vissuto .
È questa la metafisica che io difendo , una meta
fisica cioè dell'esperienza , che non pretende di de
durre il mondo da Dio , ma guarda a come è fatto il
mondo , in particolare il mondo dell 'esperienza quo
tidiana (quello che l'ultimo Husserl chiamava «il mon
do della vita))) , per vedere se, per caso, esso non ab
bia bisogno di Dio per essere spiegato, per essere
reso completamente intelligibile, o comunque per
avere un senso . La maggior parte delle critiche che
sono state rivolte alla metafisica , in genere , colpisco
no il primo tipo, cioè sono appropriate al primo tipo
di metafisica, ma vengono arbitrariamente estese a
qualsiasi tipo, perciò chi ne fa le spese è il secondo,
che non ha nessuna colpa, perché è un discorso
completamente diverso. Vediamo allora in che con-
52
siste quest'ultimo discorso e chiariamo che cos'è, al
meno nella mia proposta, una metafisica problema
tica e dialettica.
55
ta la realtà ; «tutto domandare" significa un problema
che è solo problema, che non contiene in sé nessuna
soluzione precostituita , quindi è pura domanda .
L'esperienza è problematica anzitutto perché non
è statica, non è immutabile , ma è in divenire. Se essa
fosse immutabile , non sarebbe un problema. Quan
do, infatti, si guarda uno spettacolo in cui nulla cam
bia, in cui non succede mai nulla , è difficile avere dei
problemi , o dei dubbi. Nella nostra esperienza , inve
ce , accade tutto il contrario, cioè succedono conti
nuamente cose nuove . È questo ciò che suscita me
raviglia , ciò che rende perplessi . Infatti , di fronte ad
un fatto nuovo , a qualcosa che prima non c'era , vie
ne spontaneo chiedersi perché esso è accaduto , da
dove proviene questa novità .
In genere noi ci meravigliamo delle novità, non di
ciò che rimane sempre uguale , perché le novità , ap
punto in quanto tali , sono realtà a noi non ancora
note , che dunque desideriamo conoscere , e la mera
viglia non è altro che desiderio di conoscere , di ca
pire, di spiegare . Il fatto che nell'esperienza emerga
no continuamente situazioni impreviste , di cui non
sapevamo nulla, fa nascere in noi la domanda del
perché , cioè il problema. Quindi il mutamento , il di
venire , è già un motivo di problematicità , è già qual
cosa che fa dell' esperienza un problema. E poiché il
divenire attraversa l' intera nostra esperienza, senza
!asciarne fuori nessuna parte , esso fa dell'intera espe
rienza un problema .
Forse questo discorso a qualcuno può sembrare
troppo oggettivistico, naturalistico, implicante l'atteg
giamento di uno spettatore curioso e distaccato , qua-
56
le era proprio , ad esempio , dei filosofi greci , i primi
che parlarono di meraviglia. Ricordiamo allora che
l'esperienza va intesa nel senso ampio sopra illustra
to, e quindi coincide con la nostra stessa vita, con la
cosiddetta condizione umana. Ebbene , chi di noi può
dire di essere totalmente soddisfatto della sua condi
zione? Chi non ha motivo di lamentarsi perché qual
cosa non va come dovrebbe andare , perché la situa
zione in cui viviamo è precaria, incerta, insoddisfa
cente , motivo di ansia, di sofferenza, a volte addirit
tura di angoscia? Tutto questo non crea forse dei
problemi? Chi mai è senza problemi? Naturalmente
mi riferisco alle persone che pensano , che riflettono.
Se uno fa lo spensierato , beato lui ! Ma purtroppo
viene anche per lui il momento dei problemi, perché
poi ci sono i problemi di tutti , cioè i conflitti , le sof
ferenze , le malattie, la morte, il male in genere.
Mentre sull'esistenza dei problemi nessuno , sup
pongo, può avere dei dubbi, si potrebbe obiettare
che essa non significa che l' esperienza stessa , consi
derata nella sua totalità , sia un unico immenso pro
blema. A ciò vorrei rispondere che un insieme di
problemi , cioè di insufficienze , non può mai costitui
re una soluzione, cioè qualcosa di autosufficiente, co
me una somma di mancanze , o di debiti , non può
mai costituire un possesso , o un patrimonio . È que
sta , in fondo , la verità dell' argomento classico - per
la precisione aristotelico - secondo cui nella ricerca
delle condizioni di qualcosa, di qualunque tipo esse
siano, non si può procedere all' infinito , ma ad un
certo punto bisogna fermarsi, altrimenti non si riesce
a spiegare mai nulla.
57
Qui naturalmente parliamo tra filosofi - la meta
fisica è una parte della filosofia, o almeno vorrebbe
esserlo -: non è forse compito del filosofo doman
darsi il perché di tutto , mettere in discussione tutto,
anche ciò che per gli altri è owio, scontato , ciò che
sembra spiegarsi da sé? Il filosofo in genere non si
accontenta delle spiegazioni normali, vuole saperne
di più , vuole andare a fondo dei problemi , essere ri
gorosamente critico , cioè non presupporre nulla . Per
questo il filosofo mette in discussione la sua esperien
za , la sua condizione , la realtà in cui vive , cioè ne fa,
appunto , un problema . In questo senso non solo
l'esperienza è problematica , ma lo è anche la filoso
fia , anzi la filosofia è essa stessa pura problematicità,
ed in questo senso viene a coincidere con l' esperien·
za, è l ' esperienza divenuta cosciente di sé, della sua
problematicità .
Qualcuno potrebbe obiettare che egli non mette
in discussione nulla, che non si meraviglia di niente,
che non ha domande da porsi . Naturalmente ognuno
è padrone di fare quello che vuole , e quindi è anche
libero di non porsi nessun problema. Ma nessuno
può pretendere che questo atteggiamento sia ricono·
sciuto come filosofia . Da che il mondo è mondo , in
fatti, la filosofia è domanda, argomentazione, discus
sione . Del resto , nessuno è obbligato ad essere
filosofo . La maggior parte degli uomini vive , forse,
senza porsi troppi problemi . Ma i filosofi no , i filoso fi
sono proprio coloro che si pongono problemi , si me·
ravigliano , discutono e , se anche vogliono sostenere
che la realtà non è problematica , sono tenuti a giu-
58
stific are questa affermazione, a portare degli argo
menti , a discutere , e dunque a problematizzare .
Un mio caro amico recentemente scomparso,
Giovanni Romano Bacchin, che sosteneva anch 'egli
una metafisica problematica e dialettica , soleva dire
che la problematicità è improblematizzabile , perché il
metterla in questione significa già esercitarla l 0. È
questo un argomento simile a quello del migliore De
scartes , secondo cui di tutto si può dubitare , fuorché
del dubbio , perché dubitarne significa riprodurlo . Ma
è a nche l'argomento del Protrept ico di Aristotele ,
secondo cui , o si deve filosofare , o non si deve filo
sofare , ma anche per mostrare che non si deve filo
sofare, si deve pur sempre filosofare .
Ebbene , non siamo noi che , per una specie di de
lirio di ricerca, vogliamo mettere in questione anche
ciò che di per sé è chiaro : è la realtà stessa che è
continua domanda . Quello che mi preme chiarire ,
superando ogni contrapposizione tra soggetto e og
getto , cioè tra noi e le cose , è che questa unità , for
mata da noi e dalle cose , è essa stessa domanda, cioè
che i l nostro domandare è il domandare stesso delle
cose , alle quali , per così dire , noi diamo voce . La no
stra meraviglia di fronte alle cose , insomma, non è
altro che la problematicità intrinseca alle cose stesse ,
che si manifesta attraverso di noi , in quanto noi sia
mo parte , la parte cosciente , riflessiva , di questa
realtà e di questa esperienza .
Ora, se l ' esperienza è problematica , ciò vuoi dire
10
G. R. Bacchin, Originarietà e m ediazione nel discorso me
tafis ica , Jandi Sapi, Roma 1 9 6 3 .
59
che essa non è la soluzione , non è la spiegazione di
tutto, ma richiede una spiegazione diversa. Se la
spiegazione fosse la stessa esperienza , essa non sa
rebbe problema , non avrebbe tutte le caratteristic he
che abbiamo detto . Per me _la metafisica è tutta qui,
non ha bisogno di tanti altri discorsi . Una metafisica
problematica, infatti , consiste nel rendersi conto che
l 'esperienza , cioè la situazione in cui ci troviamo, la
realtà , la storia , la società , eccetera , non è essa la
soluzione di tutti i problemi , non è quello che nella
tradizione della metafisica si chiama l' ��assoluto>> , il
((principio» , ciò che non ha bisogno di altro , ciò che
non domanda spiegazioni 1 1 .
Dire questo significa riconoscere la trascendenza
dell'assoluto senza fare discorsi sull'assoluto: l'unico
discorso che si fa , verte sull'esperienza , cioè sulla no
stra situazione . Questa non è da noi conosciuta at
traverso qualche rivelazione per iniziati o attraverso
una particolare forma di intelligenza , né tanto meno
attraverso uno sguardo divino, cioè un vedere le cose
dal punto di vista di Dio . Per vedere che viviamo in
11 Q
uesto tipo di metafisica è sembrato a qualcuno «una curiosa
e dilettantesca , quasi casalinga , branca della teologia razionale» (R.
Casati , «L' indice dei libri del mesen, ottobre 1 99 5 , n . 9, p. 44} . Mi
dispiace di non saper offrire discorsi più complicati od oscuri , ma la
cosiddetta teologia razionale ha fatto parte da sempre della metafi
sica , anche se non mi sembra che nel mio discorso essa riduca que
st'ultima a una propria branca. Mi consola il fatto che questo disc or·
so «dilettantesco" è piaciuto a filosofi non certo teologizzanti come
G . Vattimo («La stampan, 18 ottobre 1 995) e G . Giorello («Lo scaf
fale", Rai 3, 1 7 settembre 1 995) , oltre che , naturalmente , a un «me·
tafisic o come A. Marchesi («L osse rva to re romanon, 2 1 -22 agosto
n '
1 995}.
60
mezzo ai problemi non c ' è bisogno di nessuna parti
colare intelligenza, ma tutti sono capaci di farlo. Ve
dere , anzi argomentare , la trascendenza dell'assolu
to, owero del principio, significa semplicemente
vedere questo .
Il riconoscimento della trascendenza dell'assoluto
non estingue la problematicità d eli ' esperienza , pro
prio perché l' assoluto di cui tale riconoscimento im
plica l'esistenza , è trascendente rispetto all ' esperien
za, cioè è esterno ad essa, totalmente altro rispetto
ad essa . Un tale assoluto lascia che l 'esperienza sia
quello che è, cioè problematicità pura . Certo, l 'asso
luto spiega l' esperienza, la spiega totalmente, anzi
viene riconosciuto come necessario proprio perché
l'esperienza esige di esser totalmente spiegata e non
contiene in se stessa la sua spiegazione . Ma , per il
fatto di essere trascendente , esso è una spiegazione ,
per così dire , esterna , che lascia intatta l 'esperienza
nella sua problematicità.
"Se l 'assoluto fosse immanente ali ' esperienza, di
esso si potrebbe fare esperienza , perciò, una volta
trovato , esso farebbe cessare la problematicità di
questa , come qualsiasi soluzione implicita nei termini
di un problema, una volta trovata , estingue il proble
ma stesso . Invece, se l' assoluto è trascendente rispet
to all'esperienza, di esso non si dà mai esperienza,
perciò l 'esperienza non finisce mai di suscitare me
raviglia , cioè rimane precaria, insufficiente , insoddi
sfacente . Questo è un dato di fatto che può essere
attestato da qualsiasi metafisica disposto ad accettare
'l espe rien z a così come essa è: il fatto di avere rico
nosciuto la trascendenza dell' assoluto , infatti, non
61
estingue minimamente la sua meraviglia, il suo senso
di precarietà , il suo non trovare nell 'esperienza una
spiegazione sufficiente di essa .
Perciò è meglio non awenturarsi nel tentativo di
dire come l 'assoluto è, o quale sia la sua essenza, la
sua natura , o chi egli sia . C ' è , infatti , chi dice che egli
è l' Essere , chi invece preferisce dire che è l'Uno , chi
dice poi che è l'Amore , e questa sembra a tutti la
definizione più suggestiva . Io preferirei dire che l' as
soluto è Intelligenza, cioè spirito , perché un ' intelli
genza veramente assoluta, cioè totale , perfetta, non
può non essere anche amore . Ma questo è sempre
un parlare per metafore , o per analogie, per cui for
se è meglio non dire nulla , cioè connotare l 'assoluto
con termini esclusivamente negativi , i soli che si ad
dicono ad un principio trascendente , quali appunto
«assoluto)) , «incondizionato)) , «in fini ton , ecc.
67
di essere ascoltata e presa in considerazione nella si
tuazione estremamente pluralistica, ma anche disin
cantata , della filosofia contemporanea , di cui questi
incontri su «Che cosa fanno oggi i filosofi?)) sono
l 'espressione .
Remo Bodei
IL MONDO NASCOSTO
72
rimasto coperto dalla cenere 1 . Col trascorrere del
tempo, la casa e il podere assumono una configura
zione precisa . Nell ' orto si distinguono chiaramente le
diverse colture , ciascuna nel suo specifico settore:
HQui il cavolo, qui prosperavano rigogliose le bietole
che stendono in largo le loro braccia, il romice rigo
glioso, le malve e gli elenii , qui la pastinaca e i porri
che devono il loro nome al capo, la lattuga pausa
gradita a nobili cibi [ ] e cresce il ravanello a punte
. . .
3 . Il raccolto di Eraclito
73
plesso , dapprima meno evidente e che tuttavia non
giunge mai ad essere definitivamente chiaro, univoco
e privo di ombre . Si produce ciò che, secondo l ' im
magine popolare della metafisica , potrebbe somiglia
re a un paradosso : il mondo nascosto e accessibile
solo all'anima è in realtà proprio quello che consente
di conoscere meglio anche le cose fisiche percepite
dalla vista e dall'udito , di modo che quanto si situa
più vicino a noi è proprio quanto ci permette di in
serirei nella trama più ampia delle cose (e viceversa,
perché - si sa - la via all' in su e la via all 'in giù coin
cidono) . Mentre sembra , dunque , che il pensiero ci
allontani da questo mondo , in verità esso lo sta pe
netrando e dipanando meglio, senza per questo ab
bandonare la superficie sensibile . Ne consegue che la
profondità non è altro che un'apparenza articolata
capace di istituire e di rendere più fitta la rete di re
lazioni .
Certo , «la reale costituzione di ciascuna cosa ha
l 'abitudine di nascondersi))4 e «l' armonia)) (o trama di
rapporti) celata , inappariscente o invisibile , è «più
forte•• di quella manifesta o visibile5 . Non esistono
dunque - come era , in precedenza , per Pitagora e
come sarà , più tardi e in modo differente , per Car
tesio o Husserl - evidenze intuitive , immediate , sem
plici e irrefutabili, né concatenazioni di discorsi a sen-
74
so unico , che non prevedano cioè una compresenza
irriducibile di opposti . La realtà è complessa , in con
tinua tensione verso l 'unità, ma attraverso molteplici
contrasti . La ricerca del sapere non segue infatti una
strada tracciata una volta per tutte, predeterminabile ,
in quanto «se non ti aspetti l ' inatteso, non lo troverai
l perché è duro da ricercarsi e difficile da ottenere))6 .
Di fronte a queste isolate affermazioni e in base a
una stilizzazione frequente della figura di alcuni filo
sofi , Eraclito è stato rappresentato - sin dall 'antichità
- come «l 'Oscuro)) , un incomprensibile e scostante
misantropo, un essere altero e solitario , custode di
verità troppo alte perché le persone volgari potesse
ro accostarvisi . Egli perciò avrebbe intenzionalmente
cifrato il suo pensiero per renderlo di difficile intelle
gibilità . Le cose non stanno tuttavia in questi termini .
Eraclito sostiene piuttosto che il /ogos è comune a
tutti gli uomini, che partecipano notoriamente da
svegli , in quanto pensanti e discorrenti , a un mondo
comune . La ' ragione' , ossia la facoltà di articolare i
pensieri attraverso il linguaggio, non ha in linea di
principio niente di insondabilmente misterioso . Pos
siede, al contrario, nel suo nome stesso di /ogos , la
medesima umile radice di «legume)) , di quel che an
che Simulo potrebbe coltivare nel suo orto . Implica
infatti la capacità di raccogliere o raccogliersi , di or
dinare o di articolare , di dividere e mettere insieme
quanto si ap-prende in modo sparso.
La ragione o il discorso sono , in linea di princi-
75
pio , luoghi aperti a tutti, anche perché vi si giunge
passando attraverso la testimonianza , anch 'essa co
mune , dei sensi : «Le cose di cui c'è vista, udito e per
cezione l queste in verità io preferisco» 7 . Chi si nega
alla ragione che sperimenta e alle percezioni com
prese , si autoesclude dal fecondo rapportarsi agli al
tri , si imbozzolisce all 'interno della sua dimensione
privata . Coerentemente , Eraclito non prende sul se
rio neppure se stesso in quanto individuo, non fa ap
pello alla propria autorità o al 'culto della personali
tà ' , all ' ipse dixit vigente nelle scuole pitagoriche : 16e
hai udito [e compreso] non me , ma il /ogos l è sag
gio concordare che tutte le cose sono uno))8 . Per
questo motivo il logos viene paragonato al nomos,
alla legge comune della città, che stabilisce i criteri di
convivenza9.
Diversamente da Pitagora (in cui si può dire che
prevalga l 'armonia visibile o, in determinate circo
stanze , udibile , quella degli accordi, della musica con
sonante dell � sfere dell 'universo) , in Eraclito è appun
to il contrasto a produrre l'unità in una ��armonia
invisibile» . Gli uomini , dice , «non comprendono in
che modo ciò che l diverge non di meno converge
con se stesso ; c'è un rapporto di tensione retrogra
da, come quello l dell'arco e della lira» w . Non si tro
va pertanto in lui l 'esaltazione d eli ' armonia, della
simmetria e della proporzione nelle loro forme espii-
76
cite , ' pitagoriche ' . Eraclito è consapevole del fatto
che ciò che si presenta quale kosmos (mondo in
quanto sinonimo di ordine , di regolarità e di bellezza)
è anche caos, accidentalità e bruttezza : «Il più bell 'or
dinamento del mondo l non è altro che un cumulo di
rifiuti ammucchiati a caso,, 1 1 . Una volta però che il
/ogos e i sensi , adeguatamente addestrati ed eserci
tati , ne penetrino la dura scorza , vi scopriranno , in
un percorso infinito , un ordine particolare e contrad
dittorio . Lo si può rinvenire cbme barlume (pallido
riflesso del fuoco universale «che non tramonta
mai,, 12) persino nell'universo privato del sognatore ,
allorché , ad occhi chiusi, si vedono le immagini illu
minate , i ��fantasmi,> dei nostri sogni : «l'uomo nella
notte si accende una luce, anche se la sua vista è
spenta» 13 .
Il sapere eracliteo sembrerebbe inoltre oscuro ,
anche perché esplicitamente accostato a quello ora
colare , secondo il celebre frammento per cui «il Si
gnore il cui oracolo è in Delfi , non dice e non na
sconde, ma dà segno>,14. Occorre però intendersi sul
senso dell 'espressione «dà un segno,> (in greco il ver
bo è semainein), che indica tanto il «mostrare COIJ un
dito)) , quanto il significare allusivo e che può quindi
rivestire tanto un valore gestuale che vocale di rinvio
a qualcos 'altro . Ora, a cosa rimandano tali allusioni?
Al ��Conosci te stesso !,> . L'elemento comune ai re-
12
Heracl . , fr. 1 6 D .-K.
= 8 1 M.
13 Heracl . , fr. 26 D . -K.
= 48 M.
14 Heracl . , fr. 9 3 D .-K.
= 14 M.
77
sponsi dell' oracolo di Apollo a Delfi e alla filosofia di
Eraclito consiste infatti nella necessità per l 'anima di
conoscere se stessa , di interrogarsi seriamente sulle
proprie ambiguità e dirimerle , e con ciò di affacciarsi
sul mondo e nutrirsi di esso . Non si deve tuttavia ri
tenere che esista una simmetria perfetta tra il lin
guaggio oracolare e quello filosofico . Eraclito vuoi si
gnificare che né il visibile o il superficiale in quanto
tale, né il nascosto o il profondo in quanto tali pos
seggono valore intrinseco . Quel che conta è l ' ardua
attività di ricerca che consente di tesaurizzare pochi
ma significativi risultati : «Quelli che cercano l 'oro sca
vano tanto e trovano poco» Is.
Poiché non tutto si mostra immediatamente , ab
biamo il dovere di metterei sempre in viaggio , di
scendere nel buio dei problemi per poi risalire alla
luce . Tale profondità non coincide però con l 'abisso
o il caos . È vero che «mettendoti a viaggiare non sco
prirai mai i termini d eli ' anima , anche se tu dovessi
percorrere ogni sentiero : tanto è profonda la sua mi
sura» 1 6 . Per quanto noi non perveniamo a conoscer
la a pieno , una «misura•• viene tuttavia presupposta . Il
percorso accrescerà l'anima , le farà fare valanga su
se stessa , le permetterà di comprendersi sempre di
più, ma non la spingerà in caduta libera senza termi
ne e senza meta . La ricerca della verità segue un lun
go e ininterrotto cammino, che richiede sforzo e sa
gacia e che la maggior parte degli uomini non ha
voglia , interesse e lungimiranza per percorrere .
1s
Heracl . , fr. 22 0 . -K. = 10 M.
16 Heracl . , fr. 45 0.-K. = 6 7 M.
78
Secondo Eraclito non si dà , quindi , un fondamen
to persistente del mondo , nel senso di quel che si
chiamerà in seguito «sostanza» (ousia , altro termine il
cui significato originario è legato alla vita quotidiana
e alla sfera economica, poiché indica, in origine , ciò
da cui si traggono i mezzi di sostentamento , il cam
po, la proprietà agricola) o «sostrato» (ypokeimenon
su b-ject u m ' ossia qualcosa ere sorregge il mutamen
to restando esso stesso immobile, in analogia con le
fondamenta di un edificio) . La natura del fuoco e del
danaro implica proprio che qualcosa resti se stessa
solo ed esclusivamente perché muta . Il fuoco , infatti,
al pari dell' oro o dell 'anima , è un 'entità che permane
non malgrado , ma grazie, al cambiamento . L' oro ,
poi , come è detto in un frammento (che riflette, fra
l'altro , l'esistenza all 'epoca di una società già forte
mente segnata , in Asia Minore, dal commercio e dal
la navigazione , favoriti dalla recente invenzione , in
quella stessa area, della moneta , che sostituisce gli
enormi ' pani ' di metallo) è ciò che si scambia con
tutte le merci, così come tutte le merci si scambiano
con l'oro : «Tutte le cose sono scambio equivalente
per il fuoco l e il fuoco per tutte le cose , l come i
beni lo sono per l' oro l e l'oro per i beni» 1 7 . Il fuoco
e l'oro rappresentano pertanto il simbolo di tutte le
reciproche conversioni del mondo , delle incessanti
vicissitudini che lo conservano nel suo divenire tra
passando : «Come [una] cosa e la medesima esiste in
noi l il vivo e il morto, l lo sveglio e il dormiente , l
79
il giovane e il vecchio : l queste cose infatti, scambia
tesi , sono quelle , l e quelle , scambiatesi , sono que
ste)) 18. Se dunque il fuoco e l ' oro consentono uno
scambio continuo di equivalenti , una metamorfosi
ininterrotta di ogni cosa nell 'altra , ne discende che la
·
precedente idea di un «principio>> o are h è, in quanto
origine e fondamento stabile del mondo, perde i suoi
caratteri distintivi . Viene già da ora sfatata la leggen
da secondo cui la metafisica occidentale {che per
Heidegger inizia comunque con Platone) avrebbe
spaccato il mondo in due , separando nettamente ciò
che è manifesto da ciò che è nascosto, la superficie
dal fondo , l 'apparenza dalla verità.
Occorre però aggiungere che la filosofia di Eracli
to non implica affatto l'idea di confusione, di un di
venire scomposto , torrentizio o fluviale , come po
trebbe suggerire il famoso (o famigerato) pan ta rei e
come , per certi versi , pensava anche Parmenide,
quando parlava degli uomini «a due teste», i quali,
con _una, pensano che l'Essere è, mentre con l 'altra,
che l'Essere non è , ossia che il mondo è dominato
dal divenire . O come sembra credere Teodoro nel
Tee teto quando - assimilando implicitamente gli ar
gomenti dei sofisti al rovesciarsi degli o p posti nelle
teorizzazioni dei seguaci di Eraclito - paragona, fre
nato però nella sua irruenza di giudizio da Socrate , i
loro frettolosi e assillanti ragionamenti, le loro «fra
sette enigmatiche)) , a <drecce estratte da faretre)) 19 e
lanciate in corsa . Tipico del filosofo dovrebbe invece
80
essere, secondo Socrate, il prendere tempo , il fer
marsi a riflettere20.
81
mente guardarsi . Quando il finalismo diventa un tabù
culturale , la concezione meccanicistica può trionfare
ed erigersi a modello di ogni sapere , in quanto rinun
cia solennemente all 'idea di qualsiasi condiscendenza
oggettiva della realtà verso un fine . Come ha osser
vato Spinoza , riducendo ogni causa finale a causa ef
ficiente : ((La causa cosiddetta finale , infatti, non è se
non lo stesso appetito umano , in quanto è conside
rato come il principio o la causa primaria d 'una cosa.
Per esempio, quando diciamo che l' abitazione è stata
la causa finale di questa o di quella casa , allora cer
tamente non intendiamo altro se non che l'uomo,
avendo immaginato i vantaggi della vita domestica,
ha avuto l 'appetito di costruire una casa. Quindi
l'abitazione, in quanto è considerata come causa fi
nale , non è altro che questo appetito singolare, il
quale , in realtà, è causa efficiente; la quale è consi
derata come causa prima perché gli uomini ignorano
comunemente la causa dei loro appetith>2 1 .
Non è tuttavia facile , in nessun campo del sapere,
sbarazzarsi del concetto di teleologia . Malgrado ogni
assalto sferrato contro il finalismo , è come se il com
pito di bandirlo non fosse mai compiuto ; come se ciò
che è stato cacciato dalla porta rientrasse camuffato
dalla finestra; come se esso venisse effettivamente
utilizzato senza che si abbia però il coraggio di pro
nunciarne il nome . Posto che la lotta nei confront i
del teleologismo abbia costituito una forma di igiene
21
Spinoza , Eth ica , IV, p raef. , trad . i t. di G. Durante, note di G.
Gentile rivedute e ampliate da G. Radetti , Etica d i m os t ra ta secondo
l 'ordine geometrico , Sansoni , Firenze 1 963.
82
mentale , il prezzo pagato sembra essere spesso quel
lo di una rimozione mal riuscita.
Perché, allora , tale concetto risulta , simultanea
mente , così problematico e così poco eliminabile?
Da cosa dipende la tenacia con cui i paradigmi te
leologici si conservano , malgrado l 'apparente irrefu
tabilità di tutte le loro confutazioni? Si tratta soltanto
di pigrizia mentale o del desiderio di incondizionatez
za, condannato da Kant? A ben guardare , è stato , del
resto, proprio Kant - posto dinanzi allo sviluppo del
le scienze della vita e al loro relativo autonomizzarsi
dal riduzionismo meccanicistico - a riconoscere che
gli organismi viventi son pur regolati da leggi che
non sembrano esclusivamente meccanico-efficienti.
Ed è stato Kant a ricorrere a una soluzione di ' com
promesso ' , che - per quanto geniale - dimostra an
che l'imbarazzo soggettivo di chi , date le premesse ,
si è quasi costretto a formularla . Affermare infatti che
la finalità è solo un ' idea regolativa e non un concetto
scientifico, che nella natura tutto appare «come se» vi
fosse un ordinamento teleologico , significa esprime
re un doppio disagio , nei confronti tanto dell' accet
tazione quanto del rifiuto della finalità .
5 . Anamnesi di un problema
22
Per l'occultamento della caducità dell' azione mediante l'im
mobilizzazione dell9 scopo, cfr. N. Luhmann, Zwec kbegriff un d Sy
s tem ratio n a l i téit. Ube r die Fu n k tion der Zwecken i n soz ialen Sy
stemen , Suhrkamp , Frankfurt a . M . 1 9 7 3 , pp. 8 sgg.
86
Bisogna mutare schema percettivo: non guardare
cioè esclusivamente al proiettarsi dell' intenzione o
della tendenza da A a B , per poi trasformare fetici
sticamente la possibilità in necessità, il favoreggia
mento delle condizioni presenti in leggi rigorose . È
indispensabile guardare anche a quegli aspetti che in
genere restano nascosti a causa d eli ' enfasi posta sulla
realizzazione delle cose a venire . L'idea di <<fine» do
vrebbe cioè perdere il momento fatalistico per cui in
esso si manifesta solo quanto è latente , dimodoché i
mezzi vengono pensati unicamente in funzione del fi
ne, come pre-condizioni che ne favoriscono o ne dan
neggiano la riuscita . Ponendo l' accento sui meccani
smi a feed b a c k che retro-agiscono sul terreno di par
tenza della costruzione del nesso mezzi-fine, tale mo
vimento si può considerare anche come una distru
zione delle premesse , del suo fondamento che spro
fonda, rendendosi irriconoscibile (con il linguaggio he
geliano della <<logica del!' essenza» come un «fondamen
to» , Grund, che diventa «abisso», A bgru nd) .
Pur essendo persino difficile , per l a conformazio
ne storicamente determinata della nostra mentalità ,
fare a meno di questo schema temporalmente orien
tato, nulla impedisce di pensare il fine in quanto feed
back rettificante e selettivo sui mezzi . Per quanto ri
guarda l'azione umana , esso è infatti inerente in ogni
momento non soltanto all 'attività rivolta al futuro , ma
anche nel presente e addirittura nel passato , in quan
to 'ara' al suo interno, rivolta e rimescola le zolle , ri
porta alla superficie quel che si considerava impor
tante , le possibilità remote , le attese dimenticate ,
mentre affossa talvolta quel che si riteneva attuale,
87
rilevante . Trasforma il futuro non in un punto imma
ginario verso cui ci dirigiamo e a cui 'appendiamo' i
nostri progetti - affidandoli al messo sicuro della te
leologia o delle «leggi oggettiven o al nostro interven
to artificiale teso a piegare gli eventi -, ma in qual
cosa che sgorga continuamente dal ribaltamento del
passato e del presente , che è racchiuso in essi, che
non si srotola soltanto , ma ad-viene con irruenza e
densità discontinue , con vuoti , cadenze diverse e di
storsioni.
Tale schema in cui la 'deformazione' di A passa
in secondo piano rispetto al conseguimento di B (in
cui non solo l'impastare la creta risulta meno rilevan
te del vaso che si ottiene , ma il conseguimento di un
' fine' ha mutato à rebou rs il quadro delle nuove si�
tuazioni), è l'origine e il risultato di quella tradizione
filosofica che più di altre (anche attraverso la media
zione della Chiesa cattolica dal Medioevo in poi) ha
modellato il senso comune dominante .
Mi riferisco ad Aristotele , secondo il quale nella
natura giocano molteplici fattori . Non dominano, in
fatti , solo il caso e la necessità , né prevalgono cause
materiali come sosterranno o avevano sostenuto
pensatori successivi o precedenti . Prevalgono la fina
lità (te/os), l ' ordine (taxis) , che si affermano malgra
do le eccezioni23 . Nel cosmo delle sfere celesti rego
larità e finalità sono assolute e il movimento circolare
88
è lassù «perfetto» (te telesmenos) , ossia raggiunge
sempre il suo telos , il ritorno su se stesso . Nel nostro
mondo sub-lunare invece (il mondo della generazione
e della corruzione , il mondo del ((pressappoco» o del
((per lo più») , la regolarità, la finalità e l ' ordine natu
rali non prevalgono sempre, ma, appunto, la mag
gior parte delle volte . La natura , paragonata a un
medico che talvolta sbaglia la dose dei farmaci, ge
nera mostri, ossia numerose eccezioni alla norma , fi
nalità non riuscite e inadeguatezze24 . La progettua
lità finalistica della natura e dell 'uomo si serve di una
serie di strumenti che comanda senza muoversi . La
causa finale , rappresentata eminentemente da Dio , è
il motore immobile che attira l' azione degli strumenti.
Il progetto razionale, pur vertendo dunque sulla scel
ta dei mezzi , degli strumenti animati e inanimati, si
àncora a fini immobili . In tal modo la causa finale
non solo non è in conflitto con la causa efficiente ,
ma ne è la realizzazione . Il che vuoi dire che la fina
lità non è estrinseca alle leggi naturali (ne è la ten
denza anche quando la natura sbaglia) e che , persino
nel proponimento umano razionale , il fine non pe
netra dall'esterno, di prepotenza, ma si fa strada at
traverso i mezzi , di cui appare il prolungamento in
tenzionato , esplicitato . La coerenza ottimale tra
mezzi e fini è così assicurata sia ai progetti spontanei
della natura interna o esterna all' uomo , sia a quelli
che sono frutto di ponderazione e di coscienza.
Il caso o fortuna (tyche) e la spontaneità (a u to-
89
m a ton) non hanno tuttavia il primato . Proprio per
ché vi è un di più di regolarità finalistica e di ordine,
noi siamo in condizione di cogliere la casualità, che
non confligge del resto con il fine: vado al mercato e
incontro uno che mi deve del danaro : non pensavo
affatto di riscuoterlo, eppure ho raggiunto una mèta,
certo insperata in quel momento , ma non per questo
in contraddizione con il mio fine di avere indietro la
somma prestata25 . Allo stesso modo, neppure la ne
cessità (a nan ke) è in contrasto con la finalità: parlia
mo di essa quando non siamo ancora capaci di rico
noscere il te/os . Aristotele non nega dunque il gioco
del caso e della necessità ad esclusivo vantaggio di una
visione comodamente finalistica . Lascia loro un largo
margine , sebbene non in alternativa alla finalità .
Nel campo dell 'agire umano la causa finale si pre
senta o come intenzione «volontaria» , appetizione di
ciò che appare un bene (e che è comune anche agli
animali e ai bambini) , o come proponimento delibe
rante (p roa ires is) , accompagnato da ragione e da ri
flessione . La prima ha per oggetto soprattutto il fine,
verso il quale oscuramente si dirige , mentre il secon
do ha per oggetto i mezzi . L'agire razionale rispetto
allo scopo si presenta già in Aristotele come sapere
dei mezzi che sono a nostra disposizione , ma questo
solo perché i fini sono considerati evidenti e non in
conflitto politeistico (la salute per il medico , la per
suasione per l 'oratore , ecc . ) .
zs
Cfr. ivi , Il, 5, 1 96 b 34 - 197 a 14.
90
6 . Metafisica dell'autoregolamentazione della società
92
prende posizione né in favore della rinuncia, né del
l'evasione. Se si volesse, in maniera stilizzata, indica
re le linee di demarcazione tra il loro pensiero , si po
trebbe dire che Weber - consapevole del peso dei
sacrifici richiesti ai singoli - mira a rendere parallele
la razionalità sociale e quella razionalità individuale ,
chiedendo poi al singolo di adeguarsi alla prima;
Simmel , invece , le considera di fatto divergenti e in
timamente in componibili e procede alla mappatura e
alla dettagliata fenomenologia delle tensioni esistenti
e d e l loro continuo riproporsi . La «tragedia della cul
94
allo scopo e razionalità rispetto al valore non appare
tuttavia a Luhmann molto felice , in quanto non illu
mina a sufficienza la natura dell' orientamento del
l'agire razionale : «Questa consiste semplicemente nel
fatto che colui che agisce dà del proprio comporta
m ento una spiegazione causale , cioè lo considera co
m e causa di un determinato effetto , e sceglie o la
causa {l 'agire stesso) o l 'effetto (lo scopo prefissato)
secondo punti di vista valutativi . Interpretazione cau
sale e orizzonte valutativo si condizionano reciproca
mente; e, congiuntamente , come fattori opposti , co
stituiscono la struttura razionale dell 'agire . Il concetto
di scopo indica soltanto degli effetti speciali dell ' agi
re, che vengono ritenuti tanto dotati di valore da far
sì che per essi vengano ignorate o prese in conside
razione le altre conseguenze dell 'agire)) 2 9.
Anche la trasposizione dello schema scopo-mez
zo al livello di «potere>> nei grandi aggregati sociali
non risulta per Luhmann convincente . È certo vero ,
per lui, che chi produce potere - comando seguìto
da obbedienza - è capace di imporre ai suoi subor
dinati i propri scopi {il che equivale a dire che è in
grado di ' piegare' la loro volontà). Ma il potere è an
che uno strumento di comunicazione non coscienzia
le, che mette in rapporto gli uomini tra loro al pari
del danaro , dell'amore o di altri media .
std eutscher Verlag , Opladen 1 97 1 , pp. 1 29-58, trad. it. Scopo, Po
tere, S iste ma. Concetti fondamentali e premesse dell 'opera di
Max Weber, in Stato di diri t to e sistema sociale , Guida, Napoli
1 990, pp. 1 57-92 (la citazione è a p. 1 59) .
95
Per questo Luhmann insiste n eli ' espungere la
coppia mezzi-fine dall 'ambito dei sistemi sociali e nel
!asciarle una validità limitata anche in quello dell'agi
re individuale , in cui è servita a dare un carattere so
stanziale ali ' azione, ancorandone il movimento ad
una mèta e facendo del telos il culmine del! ' azione
stessa . Sebbene non sia stata ancora adeguatamen te
sostituita, la sua struttura è problematica anche nel
l' esperienza quotidiana30• In effetti , i meccanismi so
ciali più che da azioni attualmente intenzionate sono
retti dalla fiducia e dalla routine, dall 'abbandonarsi a
comportamenti accettati e collaudati3 1 .
È certo probabile che parte degli equivoci relativi
al teleologismo dipenda dal permanere tacito di un
modello coscienzialistico , mutuato dall 'agire indivi
duale , che si fonda sulla rappresentazione mentale
del concetto di fine , proiettato in seguito sulla natura,
sulla storia e sulla società .
Nelle moderne teorie sistemiche (come già nelle
sociologie acoscienziali degli equilibri collettivi, in Du
rkheim o, in forme diverse in Parsons) si cerca così di
aggirare la difficoltà dichiarando che quel che conta
non è l'agire individuale con le sue intenzioni , ma il
sistema stesso dell 'interazione sociale , che è indipen
dente dalla logica psicologica degli individui . La so
cietà come un tutto ha infatti le sue proprie leggi, che
non coincidono affatto con quelle dei singoli: il va-
96
riare del numero dei suicidi in determinati periodi
non ha nulla a che vedere con le differenti motiva
zioni individuali, nel complesso però la curva statisti
ca - con una sorta di ((magia nera» dei numeri - man
tiene una logica propria . Peraltro, come osservava in
altro contesto Georg Simmel, quanto più la raziona
lità emigra dalla coscienza soggettiva e si insedia in
automatismi o supporti materiali (come la carta o il
metallo nel danaro) , tanto più il singolo appare ten
denzialmente svuotato delle sue precedenti preroga
tive e vede le proprie facoltà inesorabilmente sussun
te da meccanismi sprowisti di coscienza che hanno
però incorporato finalità umane . Così, ((l 'operaia del
la macchina ricamatrice , per esempio, esercita un 'at
tività assai meno spirituale della ricamatrice a mano ,
mentre lo spirito di questa attività è per così dire tra
passato nella macchina, si è oggettivato in essa,,32.
Per ciascun componente delle società moderne di
venta, per inciso , importante - quasi in forma di
compensazio n e per un' esistenza dominata da una fi
nalità spesso awertita come esterna - l'accresciuto
pathos per ciò che si presenta privo di scopo, gra
tuito (dono, sacrificio , spesa improduttiva o, comun
que, tutto quanto spezzi il legame funzionale mezzo
fine) .
Il soggetto singolo viene in questo quadro trasfor
mato in un ruolo, ossia in una funzione dell 'insieme,
97
ed anche le istituzioni - ad esempio in Parsons - ven
gono rappresentate come un fascio di ruoli . Malgra
do le enormi differenze rispetto alla sociologia fran
cese di Comte e di Durkheim e malgrado lo sforzo
per interpretare la totalità sociale attraverso catego
rie di origine leibniziana , husserliana o weberiana
(possibilità, senso, agire razionale rispetto allo sco
po) , anche Luhmann è indotto ad attestarsi sul piano
dell 'equilibrio . E cioè : mentre le filosofie della storia e
certi marxismi , riconoscendo l' esistenza di tendenze
o cause finali negli eventi , di effetti perversi e di con
trofinalità , concepiscono l ' agire dei singoli e il pro
getto preterintenzionale che ne deriva come una di
namica , come «sviluppo,, , questa sociologia, avendo
reciso il legame che ancora in Weber la teneva unita
all ' energia motrice dell'atione dei singoli, è costretta
a trovare l 'unica possibile dinamica all 'interno delle
tensioni della società come tutto o del sistema com
posto di sotto-sistemi , a fare cioè dell 'interazione,
d eli ' omeostasi , d eli ' equilibrio turbato che tende a ri
produrre il suo stato precedente il loro principale
strumento di interpretazione della realtà sociale . Così
la negazione di ogni causa finale, di ogni teleologi
smo a favore di sistemi autoregolantesi si rivela esse
re soltanto un teleologismo che si morde la coda , che
non ha altro fine che quello di una soprawivenza del
l' insieme , che non progetta di andare oltre se stesso
quanto piuttosto di procedere a continui assestamen
ti . Riproduce, così, a suo modo un 'ennesima struttu
ra metafisica .
Umberto Eco
BREVI CENNI SULL' ESSERE
l . Introduzione
Paris 1 962.
1 00
complessa a cui noi possiamo pensare , è anche la
·
più semplice.
La seconda ragione emergerà solo in conclusio
ne, dove vedremo che è l 'essere stesso, ammesso
che esso sia, che ci parla per cenni brevissimi.
È stato detto 2 che il problema dell' essere (la ri
sposta cioè alla domanda <<che cosa è l 'essere?,,) è il
meno naturale di tutti i problemi, quello che il senso
comune non si pone mai . Al punto tale che la tradi
zione posteriore ad Aristotele non se lo è posto , lo
ha per così dire rimosso, e forse a questo si deve il
fatto ormai leggendario che il testo della Metafis ica
sia scomparso per riemergere solo nel primo secolo
avanti Cristo . D'altra parte lo stesso Aristotele , e con
lui tutta la tradizione filosofica greca, non si è mai
posto il problema che a noi pare così attuale e in
quietante , nella forma in cui lo ha posto Heidegger a
conclusione del suo Che cos 'è la metafisica ?: ((Per
ché c'è dell 'ente piuttosto che niente?" .
Qui però occorre sottrarsi a una insidia, che na
sce dal fatto che comunemente con ((essere" si tradu
ce ciò che Aristotele chiama tò òn . In questo senso
la metafisica , come scienza del tò òn é òn , è scienza
dell'essere . Ma con Heidegger ci si trova di fronte
non a una ma a due parole (e vedremo se corrispon
dono dawero a due ((cose" diverse) : l ' ente (das
Seiende) e l'essere (das Se in). Tutto quello che leg
gendo Aristotele noi attribuiamo all 'essere , per Hei
degger va attribuito all 'ente che, nella misura in cui
101
traduce il tò òn di Aristotele , è ciò che noi riteniamo
che sia , vorrei dire , in termini non heideggeriani, la
totalità dell' esperibile (non dell 'esperito , perché lo òn
aristotelico comprende non solo ciò che è in atto ma
anche ciò che è in potenza , e che quindi di fatto non
è ma potrebbe essere) . Per Heidegger il male della
metafisica è che essa si è sempre occupata dell' ente,
ma non del suo fondamento , e cioè dell' essere , e del
la verità dell 'essere3.
Cercherò di dire più avanti perché si può evitare
la diade heideggeriana, e che essa nasce proprio dal
le aporie d eli ' essere aristotelico . Per il momento con
sentitemi di usare la parola essere nel senso aristote
lico . Pertanto la domanda di Heidegger («Perché c'è
dell 'ente piuttosto che niente?,,) può essere formulata
come <<Perché c'è dell'essere piuttosto che nulla?)).
Possiamo farlo se ricorriamo a qualcuno che ha for
mulato questa domanda prima di Heidegger (e Hei
degger gliene dà atto) in modo più accessibile al buon
senso. Questo qualcuno è Leibniz che - nei suoi
Principes de la nature et de la grace - si chiedeva:
«Pourquoi il y a plutot quelque chose que rien?'' (ag
giungendo che in fondo il niente sarebbe più sempli
ce e meno complicato di qualche cosa). Questa do
manda mi pare ugualmente metafisica (anche se non
aristotelica) e ha inoltre il vantaggio di rappresentare
anche le angosce del non filosofo che talora potreb-
1 02
be domandarsi : «ma perché deve esistere Dio, così
difficile a pensarsi nella sua inconcepibile eternità , o
peggio ancora un universo materiale senza Dio, al
trettanto eterno (perché doveva pur esistere qualcosa
prima del big bang, che il big bang abbia fatto esplo
dere)? Questo va oltre la nostra immaginazione. Co
me sarebbe più semplice se non vi fosse mai stato
nulla. Non ci sarebbero problemi e neppure - ciò che
non sarebbe guadagno da poco - neppure il proble
ma metafisico))4. Che è poi l 'angoscia che prendeva
Valéry in Ébauche d 'u n serpen t :
1 03
Ma anche se l'essere fosse un difetto nella purez
za del non essere , in questo difetto noi saremmo in
vischiati . Ci saremo dentro, nel senso del Dase in hei
deggeriano . E dunque tanto vale pensare l 'essere (o
l' ente) .
Torniamo quindi alla questione fondamentale del
la metafisica , almeno di quella moderna : perché c'è
qualcosa (sia esso ente , essere o la pluralità dell ' espe
ribile e del pensabile , e la totalità dell ' immenso difet
to che ci ha sottratto alla tranquillità divina del non
essere) piuttosto che nulla? Ripeto, in Aristotele (e
nella tradizione dell 'aristotelismo scolastico) questa
domanda non c ' è . E non c'è, come vedremo , per gli
stessi motivi di cui ora , in termini miei, sto per dire .
può asserire solo chi già crede in un Dio talmente perfetto da essere
persino esistente . Ma se la vera perfezione fosse il non-essere , la
massima perfezione di Dio consisterebbe nel non esistere, e dunque
l'argomento antologico proverebbe l'inesistenza di Dio, dato che è
possibile pensare a qualcosa di talmente perfetto da avere la ventura
di non esistere .
6 Pareyson , Fi losofia della libertà , cit . , p. 1 2 : «Della realtà co
104
Voglio dire che il fatto stesso che possiamo porci
la domanda (che non potremmo porci se non ci fos
se nulla , neppure noi che la poniamo) significa che la
condizione di ogni domanda è che ci sia dell 'essere .
L'essere non è un problema di senso comune (owe
ro il senso comune non se Io pone come problema)
perché è la condizione stessa del senso comune . Al
l'inizio della Quaes tio 1 . 5 del De Veri ta te , san Tom
maso dice : «lllud autem quod primum intellectus con
cipit quasi notissimum , et in quo omnes conceptio
nes resolvit, est ens•• .
Esaminiamo bene questa affermazione , che tra
l'altro non è ortodossamente aristotelica. L' essere è
la prima cosa che il nostro intelletto concepisce, co
me la più nota ed evidente, e tutto il resto viene do
po . Owero, non potremmo pensare se non parten
do dal principio (implicito) che stiamo pensando
qualcosa. L' essere è il modo in cui il nostro intelletto
si rivolge alle cose , e ne è l'orizzonte . In termini che
certo Tommaso non avrebbe usato, ma che uso io,
noi siamo animali che iniziamo ad agire mentalmen
te solo se e perché siamo capaci di pensare in ter
mini di essere .
Alcuni di voi conosceranno un complesso e argu
to saggio di Hilary Putnam, dove egli si chiede che
cosa potremmo pensare se noi fossimo solo cervelli
in una vasca , vale a dire puri organi pensanti tenuti
in sosp ensione in una soluzione liquida , senza che i
nostri terminali nervosi abbiano altra uscita ed entra
ta che con degli impulsi elettrici trasmessici da qual
cun altro, da una macchina suprema, da un puro as
sestamento casuale dell 'universo , da esseri di altri
1 05
pianeti , da un Dio benigno o maligno . Vi sarete ac
corti che l' immagine quasi fantascientifica di Putnam
ne traduce un 'altra , più antica , ed è quella di Berke
ley : noi non siamo altro (modernizzo) che uno scher
mo su cui Dio proietta un mondo che di fatto non
esiste . Non mi spingerò qui ad analizzare la proposta
di Putnam , per cui se noi fossimo cervelli in una va
sca non potremmo neppure affermare veritieramen
te di esserlo, e quindi non lo siamo . Mi basta la ri
sposta di Berkeley, che in qualche misura dà per
certo che lo siamo: esse est percip i . Se anche non ci
fosse nulla di quello che noi crediamo che sia, ci sa
rebbe il nostro atto , sia pure fallace , di percepirlo ; ci
saremmo noi come soggetti percipienti e , nell'ipotesi
berkeleyana, un Dio che ci comunica ciò che non è .
C i sarebbe quindi abbastanza essere d a soddisfare il
più ansioso dei metafisici . C'è sempre qualcosa , dal
momento che c'è qualcuno capace di chiedersi per
ché c ' è essere piuttosto che nulla. Il che deve mettere
subito in chiaro che il problema d eli ' essere non ha
nulla , almeno immediatamente , a che vedere , col
problema della realtà del mondo (anche se Aristotele
risolveva il primo facendo appello al secondo) . Che
quello che chiamiamo il Mondo esterno , o l'Univer
so, ci sia o non ci sia, o che sia effetto di un genio
f!laligno , questa possibilità non tocca affatto l' evide n
za primaria che ci sia dell 'essere da qualche parte
(che è poi anche la risposta cartesiana) .
Quindi c'è dell 'essere perché possiamo porci la
domanda sull 'essere , e questo essere viene a tal pun
to prima di ogni domanda , e quindi di ogni risposta e
di ogni definizione, che Pasca! poteva affermare
1 06
(Frammen to 1 655}: «Non ci si può accingere a de
finire l' essere senza cadere in questo assurdo : perché
non si può definire una parola senza cominciare dal
termine è, sia espresso o sottinteso . Dunque per de
finire l'essere , bisogna dire è, e così usare il termine
definito nella definizione>' . Pasca! usava questa argo
mentazione per dire che ci sono termini primitivi che
non possiamo definire , e lo diceva nel momento in
cui la cultura occidentale stava scoprendo il concetto ,
poi newtoniano, di spazio assoluto {che giustificava la
persuasione pascaliana della realtà del Vuoto} . Lo
spazio sta prima di ogni altra nostra conoscenza fisi
ca, la permette , la fonda e non ne viene fondato .
Si noti che Pasca!, acutamente , dice che noi ini
ziamo sempre da un è sia che esso sia esplicito sia
che sia sottinteso . È nota l' obiezione moderna che la
metafisica occidentale - con la sua ossessione per
l' essere - nasca solo all 'interno di un discorso fonda
to su lle strutture sintattiche dell 'indo-europeo, e cioè
su un linguaggio che prevede , per ogni giudizio , la
struttura soggetto-copula-predicato (in quanto , come
si erano affannati a proporre anche i costruttori di
lingue perfette del XVII secolo - anche enunciati co
me « il cavallo galoppa'' o «pioven possono sempre es
sere risolti in «il cavallo è galoppante'' e «il tempo è
piovente,,) .
Ma il giudizio implicito di esistenza è implicito nel
primo grido che il neonato emette appena uscito dal
ventre materno , appunto per salutare o render conto
dell'essere che gli si presenta come orizzonte ; è im
plicito ne l sorriso del bambino che riconosce la ma
dre , nel gesto delle labbra che si protendono verso la
107
mammella ; è implicito nel puro segno indicale con
cui mostriamo qualcosa che desideriamo o temiamo .
Il fatto stesso che possiamo usare segni indicali, pri
ma di ogni struttura semiotica, vuole dire che siamo
esseri protesi nell'essere e verso l'essere . L'essere è
id q uod pri m u m in tellectum concipit q uasi notissi
m u m , come se in quell 'orizzonte fossimo sempre �ta
ti , e forse il feto awerte dell 'essere mentrè nuota an
cora nel liquido amniotico. Oscuramente , sente l'essere
<!quasi notissimo» (anzi , come l'unica cosa nota} .
Se dovessimo considerare il Se ie nde heideggeria
no come la stessa cosa del Se i n , ci troveremmo d'ac
cordo col filosofo tedesco. In Che cos 'è la me tafisi
ca ? Heidegger ci ricorda che è diverso ·cogliere la
totalità dell 'ente in sé e il sentirsi in mezzo ali ' ente
nella sua totalità . La prima cosa è impossibile , la se
conda ci accade costantemente . E come prova di
questo accadere cita gli stati di noia (che si applicano
all 'ente nella sua totalità} , ma anche la gioia che si
prova in presenza dell'essere amato.
E questo spiega il breve cenno con cui ho rispo
sto alla domanda centrale della metafisica. L'essere,
il fatto che esso sia , e che cosa e perché sia , non lo
si spiega . Siamo animali che spieghiamo tutto il resto
partendo da questa evidenza insopprimibile. La falsa
domanda perché ci sia dell 'essere piuttosto di nulla
cela caso mai un'altra inquietudine , che riguarda l'e
sistenza di Dio . Nasce da una confusione tra filosofia
prima e metafisica . Ma prima viene l 'evidenza dell'es
sere , poi la domanda su Dio. Credo che l 'evidenza del
l' essere l' abbiano anche gli animali, i quali non san
no affatto porsi la domanda, che ne consegue , u tru m
1 08
Deus sit. A questa Tommaso risponderà in una sum
ma che appunto si chiama «Theologica)) . Ma prima
viene la discussione sul De en te et essen tia .
nel sinolo, che cosa è questa facoltà? Facile cadere nell'eresia araba
e dire che è unico per tutti; anche in tal caso dire che sia unico non
vuoi dire che sia immutabile e universale; potrebbe essere un intel
letto attivo culturale , potrebbe essere la facoltà di individuare e rita
gliare le forme del contenuto. Nel qual caso il codice , fornito dalla
segmentazione operata dall'intelletto attivo, determinerebbe la natu
ra e l'esattezza del riferimento! In Poetica 1 456b 7 (nota Aubenque)
si dice: «Cosa avrebbe da fare il discorso se le cose apparissero gi à
112
Noi abbiamo pochi nomi e poche definizioni per
una infinità di cose singole. Dunque il ricorso all 'uni
versale non è una forzà ma una infermità del discor
so. Il dramma è che l'uomo parla sempre in generale
mentre le cose sono singolari. Il linguaggio nomina
appannando l' insopprimibile evidenza dell' individua
le esistente.
E quindi l'ancoraggio delle sostanze , che dovreb
be sopperire alla polivocità dell 'essere , dovuta al lin
guaggio che lo dice , ci riporta al linguaggio come
condizione di ciò che sappiamo dell'essere, e delle
sostanze stesse . Non è questa la sede in cui svolgere
una analisi critica delle debolezze della nozione ari
stotelica di definizione (lo ho già fatto nella mia di
scussione dell 'Albero di Porfirio)8: ma insomma, per
definire, bisogna costruire un albero dei predicabili,
dei generi , delle specie e delle differenze ; e Aristote
le, che pur suggerirà a Porfirio tale albero , non riesce
mai (nelle opere naturali in cui intende dawero defi
nire le essenze) ad applicarlo in modo omogeneo e
rigoroso .
1 13
4 . L'aporia dell'essere aristotelico
1 23
simboli ABC rappresenterebbe specularmente la
struttura del Mondo .
I problemi nascono se l 'assegnazione dei simboli
agli atomi è arbitraria: la Mente potrebbe anche as
segnare , per esempio , A a 3, B a l e C a 2, e per
calcolo combinatorio avrebbe sei possibilità di rap
presentare fedelmente la stessa struttura 1 23 . Sareb
be come se la Mente disponesse di sei lingue divers e
per descrivere sempre lo stesso Mondo , in modo che
diverse triplette di simboli enunciassero sempre la
stessa proposizione . Sarebbe come se l ' oggetto si
spostasse ogni volta , fornendo sei angolature diver
se . A questo punto sarebbe meglio tornare a parlare
di sei interpretazioni .
Seconda ipotesi. I simboli usati dalla Mente sono
sempre tre ma gli atomi del Mondo sono dieci ( 1 , 2,
3, . . . 1 0) . Se il Mondo si strutturasse sempre per tri
plette di atomi , per calcolo fattoriale esso potrebbe
raggruppare i suoi dieci atomi in 720 strutture ter
narie diverse. La Mente avrebbe allora sei triplette di
simboli (ABC, BCA, CAB, ACB, BAC , CBA) per
rendere ragione di 720 triplette di atomi . Eventi
mondani diversi , da diverse prospettive , potrebbero
essere interpretati dagli stessi simboli . Vale a dire
che, per esempio , sarem mo obbligati a usare sempre
la tripletta di simboli ABC per rappresentare vuoi
1 23 , vuoi 345 , vuoi 54 7 . Avremmo una imbaraz
zante sovrabbondanza di omonimie , e ci troveremmo
esattamente nella situazione descritta da Aristotele:
da un lato un solo concetto astratto come ((uomo}}
servirebbe a nominare la molteplicità degli individui,
dall' altro l' essere si direbbe in molti modi perché lo
1 24
stesso simbolo starebbe sia per lo è di «un uomo è un
animale» (essere secondo la sostanza) che per quello
di ((quell 'uomo è seduto,, (essere secondo l'accidente) .
II problema non cambierebbe - salvo complicarsi
ulteriormente - se il Mondo non fosse ordinato in
modo stabile , ma caotico (e fosse capriccioso , evolu
tivo, inteso a ristrutturarsi nel tempo) . Mutando con
tinuamente le strutture delle triplette , il linguaggio
della Mente dovrebbe continuamente adeguarsi ,
sempre per eccesso di omonimie , alle diverse situa
zioni. Il che parimenti awerrebbe se il mondo fosse
un continuum infinitamente segmentabile , una epifa
nia del Frattale . La Mente , più che adeguarsi ai cam
biamenti del mondo , ne cambierebbe continuamente
l'immagine, via via irrigidendolo in sistemi di stoi
cheia diversi , a seconda di come vi proietti (quale cal
co o schema) le sue triplette .
Ma peggio sarebbe se il Mondo fosse iperstruttu
rato , se cioè esso fosse organizzato secondo una
struttura unica data da una particolare sequenza di
dieci atomi . Per calcolo combinatorio, il Mondo po
trebbe organizzarsi in 3 . 628 . 80 0 combinazioni o de
cuple diverse (non pensiamo neppure a un mondo
che si riassesta per iperstrutturazioni successive, che
cioè mutasse l' arrangiamento delle sequenze a ogni
attimo, o ogni .d iecimila anni) . Anche nel caso che il
Mondo avesse struttura fissa (e cioè fosse organizzato
in un'unica decupla) la Mente avrebbe pur sempre
solo sei triplette di simboli per descriverlo . Potrebbe
tentare di descriverlo solo a un pezzo alla volta, come
se lo guardasse dal buco della serratura , e non avreb
be mai la possibilità di descriverlo nella sua comple-
1 25
tezza . Il che sembra molto simile a quello che ci ac
cade e che ci è accaduto nel corso dei millenni .
Te rza ipo tesi . La Mente ha più elementi del
Mondo . La Mente dispone di dieci simboli (A , B, C,
D, E, F, G, H, I, L) e il Mondo di soli tre atomi ( 1 , 2 ,
3) . Non solo , ma la Mente può combinare questi die
ci simboli in duple , triplette , quadruple, e così via.
Come a dire che la struttura cerebrale avrebbe più
neuroni e più possibilità di combinazione tra neuroni
di quanto sia il numero degli atomi e delle loro com
binazioni identificabili nel Mondo . È evidente che
questa ipotesi dovrebbe essere subito abbandonata,
perché contrasta con l 'assunzione iniziale che anche
la Mente sia parte del Mondo . Una Mente così com
plessa , che fosse parte del Mondo , dovrebbe consi
derare anche i propri dieci simboli come s toicheia
mondani. Per permettere l ' ipotesi , la Mente dovreb
be uscire dal Mondo : sarebbe una sorta di divinità
molto pensante che deve rendere ragione di un mon
do poverissimo , che oltretutto non conosce, perché
è stato rabberciato da un Demiurgo privo di fantasia.
Però potremmo anche pensare a un Mondo che in
qualche modo secerne più res cogi tans che res ex
tensa , che cioè abbia prodotto un numero assai · ri
dotto di strutture materiali , usando pochi atomi, e ne
tenga in riserva altri per usarli solo quali simboli della
Mente . In ogni caso, vale la pena di intrattenere que
sta terza ipotesi perché serve a gettare una certa luce
sulla quarta .
Ne conseguirebbe che la Mente avrebbe un nu
mero astronomico di combinazioni di simboli per
rappresentare una struttura mondana 1 2 3 (o al mas-
1 26
simo le sue sei possibili combinazioni) , sempre da un
punto di vista diverso . La Mente potrebbe per esem
pio rappresentare 1 23 mediante 3 . 628.800 di decu
ple , ciascuna delle quali non intendesse solo rendere
conto di 1 23 ma anche del! ' ora e del giorno in cui
viene rappresentato , dello stato interno della Mente
stessa in quel momento , delle intenzioni e dei fini se
condo cui la Mente lo rappresenta (ammesso che
questa Mente così ricca avesse anche intenzioni e fi
ni) . Ci sarebbe un eccesso di pensiero rispetto alla
semplicità del mondo , avremmo una abbondanza di
sinonimi , oppure la riserva di rappresentazioni pos
sibili eccederebbe il numero delle possibili strutture
e s iste nti
. E forse awiene così, visto che possiamo
mentire e costruire mondi fantastici , immaginare e
prevedere stati di cose alternativi . In tal caso la Men
te potrebbe benissimo rappresentare anche i vari
modi in cui essa è nel Mondo. Tale Mente potrebbe
scrivere la Divina Commedia anche se non esistesse
al M o n d o la struttura infundibolare del! 'Inferno, o co
struire geometrie che non trovano riscontro nell'or
dine materiale del Mondo . Potrebbe persino porsi il
problema della definizione dell ' essere , duplicare enti
ed essere , formulare la domanda perché ci sia qual
cosa piuttosto che nulla - visto che di questo qualco
sa potrebbe parlare in molti modi - senza mai essere
sicura di dirlo nel modo giusto .
Qua rta ipo tesi . La Mente ha dieci simboli, quanti
sono gli atomi del mondo, e sia Mente che Mondo
possono combinare i loro elementi , come nella terza
i potesi , in duple , triplette , quadruple . . . decuple. La
Me nte avrebbe allora un numero astronomic o di
127
enunciati a disposizione per descrivere un numero
astronomico di strutture mondane, con tutte le pos
sibilità sinonimiche che ne derivano . Non solo , ma
alla Mente potrebbe anche (data la abbondanza di
combinazioni mondane non ancora realizzate) pro
gettare modificazioni del Mondo , così come potrebbe
essere presa continuamente di sorpresa da combina
zioni mondane che non aveva ancora previsto ; inol
tre avrebbe molto da fare per spiegare in modi diver
si come essa funziona.
Ci sarebbe non un eccesso di pensiero rispetto al
la semplicità del mondo , come nella terza ipotesi,
bensì una sorta di sfida continua tra contendenti che
si combattono ad armi potenzialmente pari , ma di
fatto cambiando d'arma a ogni attacco , mettendo in
imbarazzo l'awersario . La Mente affronterebbe il
Mondo con un eccesso di prospettive , il Mondo e
luderebbe le trappole della Mente cambiando di con
tinuo le carte in tavola (tra cui quelle della Mente
stessa).
Ancora una volta, tutto questo sembra molto si
mile a qualcosa che ci è accaduto e che ci accade .
1 33
testa)) contro qualche evidenza che ci ha convinto
che non si poteva più dire quello che si era detto pri
ma . Naturalmente ci sono dei gradi di costrizione . Si
prendano due esempi, la confutazione del sistema to
lemaico e quella d eli ' esistenza della Terra Australis
Incognita come una immensa calotta che avrebbe av
volto l 'emisfero sud del pianeta . Quando vigevano le
due ipotesi , ora refutate , il mondo noto permetteva
di essere spiegato in modo verosimile e ragionevole :
la teoria tolemaica per secoli ha dato ragione · di in
numerevoli fenomeni , e la persuasione dell' esistenza
di uha terra australe ha incoraggiato innumerevoli
viaggi di scoperta , che di quella terra avevano persi
no toccato le presunte propaggini. Poi si è scoperto
che il sistema copernicano (con le varie correzioni
apportatevi sino a Keplero) spiegava meglio i feno
meni celesti , e che la terra australe in quanto calotta
globale non esiste . Potremmo persino pensare che
un giorno - anche se per ora la teoria eliocentrica
risponde a più quesiti e ci permette più previsioni di
quanto non potesse la teoria geocentrica - emerga
un sistema più esplicativo che mette in crisi entram
be le teorie . Ma per ora noi dobbiamo scommettere
sul sistema di Keplero, c o m e se fosse vero , e non
possiamo usare più la teoria geocentrica. Quanto alla
terra australe , nella misura in cui dobbiamo prestar
fede ai dati di una esperienza provata da migliaia di
testimoni e da misurazioni scientifiche , pare assolu
tamente impossibile affermare che esiste un conti
nente che copre a calotta l 'emisfero sud del pianeta ,
a meno che non decidiamo di definire come T erra
1 34
Australis l'Antartide (ma si tratterebbe di un puro gio
co sui nomi) .
Questo significa che , anche se è un effetto di lin
guaggio , l 'essere non lo è nel senso che il linguaggio
liberamente lo costruisce . Ci son o delle cose che
n o n si possono dire . Anche chi affermasse che l ' es
7 . Brevi cenni
1 38
Molte sono state le interpretazioni di questo fram
mento . È persino dubbio se il légh ein voglia dire «di
re» , e parlare , e cosa voglia dire «nasconderen ; certa
1 42
Gesù Cristo, la Pentecoste>�2 . La seconda tradizione è
tutt'altro che costruita storicamente : non c'è posto
per la crea z ione del mondo , la rivelazione divina o
l 'attesa della Parusia . La storia ha il torto, secondo
Aristotele, di occuparsi solo dell' accidentale e mo
mentaneo e non è quindi in grado di comprendere
ciò che è permanente e necessario , oggetto invece
della poesia e soprattutto delle scienze teoretiche ,
nell 'ambito delle quali rientra la filosofia prima (che
sarà poi chiamata metafisica). Siamo in presenza di
due discorsi , di due generi letterari diversi e contrap
posti . Se la filosofia greca cerca di cogliere razional
mente il principio , la struttura interna e le interne
connessioni del reale ed è animata da una tensione
«metafisica>� solo nel senso che nutre un' ambizione
più alta di quella propria degli <<empirici>� , i quali «san
no il che ma non il perché>� (Met. , 98 1 a)3 , nell' am
bito della tradizione ebraico-cristiana, «la conoscenza
di Dio (la "scienza di Jahvè ") non è rivolta affatto
all 'essenza di Dio , ma alla sua volontà, e conoscere
questa significa riconoscere Dio>� . Si comprende allo
ra l' andamento del Vecchio Testamento : <<Così parlò
Jahvè» ; «così ha parlato il Signore>� ; «Ti è stato detto
[ ] che cosa Jahvè esige da te>A. Com 'è noto, ri-
. . .
143
spendendo a Napoleone che gli chiede cosa ne pen
sa di Dio , Laplace dichiara di non aver bisogno nel
146
duzione dei Settanta del Vecchio Testamento con
l'espressione «Io sono colui che è)) , aprendo quindi la
strada «alla successiva identificazione , prima ad ope
ra di Filone e poi della teologia cristiana del II secolo ,
di Dio con I ' essere)) della filosofia-metafisica greca 6 .
Gesù che irrompe nella storia con la sua azione sal
vifica diviene allora il Figlio; d' altro canto, in seguito
al dileguare de Il ' attesa nella Parusia, I' escatologia
tende ad acquistare un significato sempre più accen
tuatamente intramondano (la salvezza si realizza già
nella Chiesa , assistita dallo Spirito Santo) .
Il passaggio dalla storia-profezia alla metafisica è
particolarmente evidente nelle successive, diverse o
contrapposte , configurazioni del tema della soprawi
venza individuale . Essa è garantita in Paolo a partire
da una concreta vicenda storica: la caduta di Adamo
e il peccato originale hanno introdotto peccato e
14 7
molto da quella esposta nel Fedone platonico . Ma,
«se l'anima non è un corpo , essa non è un nulla)),
tuona ancora Tertulliano , fermo alla tesi della resur
rezione della carne , insofferente nei confronti del
le dimostrazioni razionali della soprawivenza indivi
duale e fiero awersario della ragione greca in quanto
tale . La sua polemica ha di mira in primo luogo Ori
gene , non a caso accusato dal neoplatonico e paga
no Porfirio «di essere più greco che cristiano, e di
aver fatto servire il pensiero ellenico a fondamento di
favole barbariche)) 7 .
1 48
fenomeni esterni; Dio , infine, è l 'idea dell'unità com
plessiva e sistematica del sapere cui tende la ragione.
Nella misura in cui continua a sussistere, la metafisica
svolge una funzione epistemologica, stimola ad avan
zare verso una totalità che , se pure può essere solo
pensata ma non conosciuta, aiuta a sviluppare ed or
ganizzare in modo sempre più sistematico le cono
scenze concrete. È una funzione epistemologica non
priva di rilevanza politica. Alla ((metafisica>> , alla co
struzione di idee e teorie generali , viene rivolta ((l' ac
cusa inaudita>> di essere la ((causa delle rivoluzioni po
litiche)); in effetti - ·sottolinea Kant - nella loro «spe
ranza sanguigna di migliorare il mondo)) , i «metafisici))
sono pronti a fare «l'impossibile)) , ed è per questo
che sono derisi e odiati dai praticoni attaccati all'esi
stente e all'empiria immediata9.
149
rica : è «l ' eterna storia dello spirito» , <(l 'eterno mito
dell'uomo)) 1 1 ; non si tratta di una HStoria accidentale»,
come apparirebbe dalla «nota rappresentazione bibli
ca» , bensì della <(storia eterna , necessaria dell'uomo» ,
qui espressa ((in forma esteriore , mitica» e <(priva di
incongruenze>> 1 2 . L'elemento mitico qui denunciato
consiste nella formulazione in termini di evento di
quella che è una dimensione ((eterna>> e ((necessaria»
dello spirito e della storia umana. In modo analogo,
procede Hegel con gli altri eventi centrali della storia
sacra . Ciò vale per la creazione : <(senza mondo , Dio
non è Dio>> ; <(l ' incarnazione>> è «mom e n to esse nziale
della reli g ione>> in quanto tale e , in realtà , della stes
sa ((speculazione>> 1 3 ; la crocifissione e la morte di
Gesù rivelano l 'immanenza della ((negatività>> in Dio
e , ancora una volta , nella stessa speculazione 14. Gli
eventi sacri si trasformano in strutture della totalità e
della realtà e in strutture altresì del pensiero specula
tivo capace di rispecchiarle . In questo senso , Dio è
colto da una metafisica speculativa che s ' identifica
con una logica intesa <(come il sistema della ragion
pura , come il regno del puro pensiero . Questo re
gn o è la verità, co me essa è in sé e per sé senza
velo>> . A voler usare il linguaggio della rappresenta-
1 1 G.
W . F. H e g e l Ph i losophie der Gesc h i c h t e , in Werke in
,
1 50
zione e, in qualche modo , del mito , «ci si può quindi
esprimere così , che questo contenuto è la esposizio
ne di Dio, com 'egli è nella sua eterna essenza pri
m a della creazione de lla n a t u ra e d i u n o spirito
fin i to>) 1 5 .
La logica-metafisica h a soppiantato i l discorso
storico-profetico . L' ((esposizione di Dio» non è la nar
razione o la custodia di eventi sacri , ma è la descri
zione di una realtà , di una totalità che solo ora può
essere pienamente pensata e abbracciata in quanto
libera ormai dalle dicotomie e lacerazioni che ancora
la contrassegnano nell 'ambito del criticismo kantia
no . La logica-metafisica fornisce la grammatica e la
sintassi del reale , e di un reale che non presenta più
zone d' ombra impenetrabili e inaccessibili alla ragio
ne . D'altro canto , questa presenza di Dio alla ragione
e alla logica-metafisica rende superfluo quello spazio
della fede garantito dal criticismo di Kant, il quale
non a caso viene accusato dal giovane Hegel di aver
reso di nuovo la ragione ((ancella di una fede» 16.
A prima vista , sembrerebbe che Atene abbia con
seguito la vittoria totale su Gerusalemme . Epperò co
m'è diversa questa logica-metafisica dalla metafisica
tradizionale ! L'essere in quanto essere da cui que
st'ultima ama prendere le mosse è identico al nulla :
così si apre la Logica hegeliana , nell ' ambito della
151
quale la prima categoria concreta è l'unità di essere e
nulla , il divenire: «Ex nihilo nihil fit - è una delle pro
posizioni a cui in metafisica venne attribuita una
grande importanza. Ma in questa proposizione non
v'è da veder altro che la vana tautologia che nulla è
nulla [ ] In nessun luogo, né in cielo né in terra v'è
. . .
1 52
7 . Dunque , la metafisica è divenuta la logica e la
lo gi ca è divenuta la dialettica. Ma, se per metafisica
inte ndiamo quella tradizionale, ferma all ' «astratta i
de ntità)) e che isola le diverse determinazioni, invece
di coglierle nella loro unità e «totalità», allora il termi
ne in questione assume in Hegel una connotazione
negativa19. È tale connotazione a prendere decisa
mente il soprawento in Marx ed Engels . Neli'A n ti
diih ring possiamo leggere: (<Per il metafisica le cose
e le loro immagini riflesse nel pensiero , i concetti ,
sono oggetti isolati di indagine , da considerarsi suc
cessivamente e indipendentemente l'uno dall 'altro ,
fissi , rigidi, dati una volta per sempre . Egli pensa per
antitesi assolutamente immediate ; il suo discorso è sì,
sì, no, no. Tutto ciò che oltrepassa questo appartie
ne al maligno. Per lui una cosa esiste o non esiste;
ugualmente è impossibile che una cosa nello stesso
tempo sia se stessa ed un' altra . Positivo e negativo si
escludono reciprocamente in modo assoluto; causa
ed effetto stanno del pari in rigida opposizione reci
proca)) 2o .
Il pathos della totalità, dinamica , ricca di contrad
dizioni e risolta nella storia, trova ora la sua espres-
1 53
sione non più nella logica-metafisica bensì nella dia
lettica , definita da Engels , in contrapposizione alla
metafisica , come la ccscienza della connessione uni
versale» . Possiamo ora riesaminare il cammino per
corso . In Kant alla metafisica subentra la dialettica
trascendentale , che , pure con le sue contraddizioni e
aporie , conferisce alla categoria di totalità una fun
zione epistemologica . La dialettica acquista in Heg e l
un significato positivo , in quanto sinonimo di quella
logica-metafisica che supera la metafisica tradiziona
le . In Engels si scioglie questa ambivalenza semanti
ca . Alla dialettica come scienza del movimento e del
la connessione universale si contrappone in modo
univoco la metafisica , denunciata ora come il model
lo dell' ideologia. In quanto negazione del movimento
e delle contraddizioni del reale , la metafisica è la con
sacrazione e trasfigurazione dell ' esistente . Ma essa è
ideologia anche da un altro punto di vista. Nella mi
sura in cui perde di vista la connessione dell 'intero e
non è consapevole dei suoi presupposti materiali,
una proposizione è al tempo stesso metafisica e
ideologica .
La totalità sembra stimolare il progetto rivoluzio
nario per la cancellazione che essa implica di zone
d'ombra inaccessibili al pensiero e all 'azione dell'uo
mo e per il fatto altresì che essa è caratterizzata da
contraddizioni e tensioni interne le quali , incrinando
l' esistente , sembrano implicare il futuro già nel pre
sente . C ' è un ' ulteriore ragione . È solo la categoria di
totalità a rendere possibile un 'adeguata fenomenolo
gia del potere e del dominio . Separando sfera della
circolazione e sfera della produzione owero metro-
154
poli e colonie , separando Inghilterra e Irlanda per
quanto riguarda la Gran Bretagna owero comunità
bianca e neri e pellerossa per quanto riguarda gli
USA, separando infine normalità e stato d' eccezio
ne, attraverso tutte queste lacerazioni (e rimozioni) il
dominio della borghesia si volatilizza; per questo essa
ricorre, secondo le parole di Marx, ad un 'economia
p olitica , nell'ambito della quale ((si sconnettono le
membra del sistema sociale; si mutano le differenti
membra della società in altrettante società a parte» 2 1 .
Quella ((critica dell 'economia politica•• che , già nel
suo sottotitolo, vuole essere Il capitale, è la critica
della ((metafisica dell'economia politica» (come suona
un capitolo di Miseria della filosofia) , una metafisica
caratterizzata per l'appunto dalla mutilazione della
realtà in entità separate e tra loro senza rapporto .
Leggendo la Logica hegeliana, Lenin sottolinea
che ((geniale è l'idea fondamentale : della connessione
universale , onnilaterale, viven te , di tutto con tutto e
del rispecchiamento di questa connessione» . Il rivolu
zionario russo trascrive e sottoscrive anche il brano
in cui il filosofo tedesco osserva che ((riguardo alla
connessione reciprocamente determinata dell'intiero
la metafisca poté fare l 'affermazione - in fondo tau
tologica - che se un granello di polvere andasse di
strutto, l' intero universo crollerebbe,22 . Se la logica
21
Su ciò cfr. D . Losurdo, Fenomeno logia del potere. Marx,
Engels e la tradizione libera le, in A. Burgio-D . Losurdo (a cura di),
Au tore, a ttore, a u torità, Q uattro Venti-Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici , Urbino 1 99 6 , p p . 83- 1 0 7 .
22
V.!. Lenin, Quadern i filosofici , a cura di L Colletti , Feltri
nelli, Milano 1 9692, p p . 136 e 94.
1 55
hegeliana è l' erede , critico e radicalmente innovato
re, della metafisica aristotelica , Lenin è un lettore at
tento e talvolta entusiasta della logica-metafisica he
geliana. Ma è appena il caso di aggiungere che il
soggetto politico-sociale della nuova metafisica-alge
bra della rivoluzione è ben diverso da quello a fonda
mento della filosofia prima-metafisica aristotelica.
157
delle sue contraddizioni oggettive . Il profeta non è in
grado di spiegare se stesso . lnterpretandosi come ri
sultato e momento della totalità storica, il socialismo
scientifico (e il materialismo storico) si sforza di com
prendere la dialettica che l ' ha reso possibile , il pro
cesso storico che è alle sue spalle .
1 58
e la motivazione di tale condanna ! Se in Engels la
metafisica è la dottrina dell 'immobilità e quindi della
con servazione , in Comte «filosofia metafisica» è sino
nimo di «filosofia negativa>> . Ciò che della dialettica
(owero della logica-metafisica) hegeliana apprezza la
tradizione marxista è l'affermazione dell 'immanenza
della negatività al reale . Se i teorici della Restaura
zione e lo stesso Metternich denunciano nelle rivolu
zioni una malattia , la logica-metafisica hegeliana , nel
respingere la visione che assimila la contraddizione
ad ((un ' anomalia e un transitorio parossismo morbo
so» , individua in essa «il principio di ogni muoversi,
muoversi che non consiste se non in un esplicarsi e
mostrarsi delle contraddizioni» . In Comte , invece, lo
stadio metafisica-negativo-rivoluzionario torna ad es
sere «come una specie di malattia cronica natural
mente inerente alla nostra evoluzione mentale, indi
viduale o collettiva , tra l'infanzia e la virilità»26 .
Con l' innalzarsi della sociologia allo stadio positi
vo già raggiunto dalle altre scienze , si porrà fine una
volta per sempre agli sconvolgimenti rivoluzionari :
avranno termine la «sterile agitazione metafisica» e la
<<sterile agitazione politica» , compresa quella che cer
ca di mettere in moto le classi popolari <(con l' esca di
1 59
con la fine della politica e , in ultima analisi, con la
fine della storia . Per affermarsi a livello generale, la
<�filosofia finale)) che è il positivismo non può non fare
appello allo «spirito d' insieme» e respingere un «em
pirismo)) che , caratterizzato com'è da «insuperabile
awersione contro ogni idea generale)) , finisce con
l' ostacolare la diffusione delle nuove idee nei diversi
campi del sapere e dell' organizzazione sociale ; per
un altro verso, costante è la polemica contro l' «istru
zione metafisica e letteraria)) , contro l ' «assurdo siste
ma di educazione generale" e, soprattutto , contro la
«viziosa educazione storica)) . Il positivismo è chiama
to a diffondersi tra i «proletari)), solo nella misura in
cui essi rinunciano ad ogni ambizione di totalità, ese
guendo , «in una specie di intenzione astratta, ciascy
no degli atti elementari , senza preoccuparsi partico
larmente del loro finale confluire insieme,, . Se Comte
considera una gran fortuna il fatto che «la metafisica
non ha potuto che scivolare,, sui proletari , ben di
stanti dagli intellettuali «pronti ad accogliere avida
mente tutte le aberrazioni che quotidianamente sor
gono dalla nostra anarchia mentale,,27 , per Engels e
la tradizione marxista , il proletariato sviluppa la sua
coscienza di classe nella misura in cui assume l 'ere
dità della «filosofia classica tedesca,, e fa proprio il
suo «senso teoretico,,zs, e quindi grazie anche all'in
contro , non privo di conflitti ma comunque fecondo,
1 60
con gli intellettuali inguaribilmente «metafisici>> agli
·
occhi di Comte .
1 62
cora lo Heidegger del 1 944-45 , rivolgendosi ai sol
dati tedeschi impegnati sul fronte orientale, li chiama
a perseverare in uno sforzo pur ormai senza speran
za in nome della (<verità dell'essere» : essa esige la «di
sponibilità alla morte» e fonda la necessità di un «sa
crificio !che] non tollera alcun calcolo}) ed è dunque
sordo alle meschine seduzioni della ragione strumen
tale. Pur teorizzata in polemica con la «metafisica» in
tesa come volontà di potenza e con la «modernità)) , la
«verità dell 'essere)) può assurgere a sua volta ad ideo
logia della guerra30 .
1 63
ger cui , sia pur liberamente , si richiamano i teorici
del postmoderno, chiarisce che a potersi configurare
come ideologia della guerra e della violenza possono
essere anche l' antimetafisica e l'antimodernità . So
prattutto , sul piano più propriamente teorico, è leci
to chiedersi se è possibile fondare la difesa dell' indi
viduale e del diverso senza far riferimento ad
un 'interpretazione del mondo nella sua globalità e, in
questo senso , ad una «metafisica»32.
Lo schema caro ai postmoderni non è privo di
analogie con quello già visto in Comte . Certo, il po
sitivismo stesso viene da essi sussunto sotto la cate
goria di metafisica, ma la filosofia comtiana della sto
ria non configura in modo sostanzialmente diverso il
periodo metafisica , cui fa seguito la guarigione , ca
ratterizzata dal «positivo» abbandono dei grandi pro
getti di trasformazione sociale . A tale conclusione fi
nisce col giungere anche una tradizione di pensiero
assai diversa da quella postmoderna. Nella sua critica
della <<visione olistica e metafisica della società», Mi
ses accosta o assimila «Universalismo, realismo dei
concetti , olismo, collettivismo)) e, per l'appunto , me
tafisica33 . Se in Heidegger è sinonimo di manipola
bilità totale , ora metafisica sta a significare spregiu
dicata o spietata ingegneria sociale, «razionalismo
costruttivista» , «costruttivismo» tou t cou rt34. A fon-
sisches Den ken . Ph ilosop h ische A ufs a tze trad. it. a cura di M. Cal
,
1 64
damento di tale atteggiamento è qualcosa di simile
alla ratio o pensiero calcolante di cui parla Heideg
ger, e cioè , per usare il linguaggio di Hayek, ! ' ��abuso
della ragione» , owero la ��moderna hybris», o ��hybris
intellettuale», che è poi la malattia del <<razionalismo o
meglio intellettualismo))35. In un caso e nell 'altro , si
tratta di prendere congedo dalla malattia metafisica
già denunciata dal positivismo, il quale ultimo viene
ora però considerato , dall 'uno e dall 'altro , come
espressione esso stesso di quella. malattia . La guari
gione o convalescenza è resa possibile dalla <<nuova
situazione di relativa sicurezza che l'esistenza indivi
duale e sociale ha acquisito in virtù dell' organizzazio
ne sociale e dello sviluppo tecnico»3 6 . Il discorso sulla
fine della metafisica sembra convergere con quello
che proclama la fine della storia . C'è da chiedersi se
non si tratti di due espressioni diverse della vecchia
illusione denunciata da Marx (dalla quale, peraltro ,
neppure lui ed Engels risultano sempre immuni) , l ' il
lusione per cui <<la storia c'è stata ma ormai non c'è
pi ù»3 7 _
2. La sua importanza
1 69
vare che siffatto superamento si configura come un
radicale attraversamento dei momenti fondativi della
tradizione metafisica , dunque come un confronto
serrato con ciò che in essi vi è di essenziale e che è
rimasto fondamentale anche per il nostro mondo .
Non v'è dubbio , dunque , che l 'effetto della diagnosi
heideggeriana è stato quello di richiamare prepoten
temente I ' attenzione sul problema della metafisica e
sulla sua importanza per il mondo della tecnica , il
quale sembra invece averla rimossa e dimenticata.
Non è un caso che Heidegger abbia ispirato impor
tanti ricerche volte a studiare la struttura della meta
fisica e alcune sue fasi storiche salienti2 .
1 70
3 . Morte della metafisica?
171
e aspiri a occupare il tradizionale posto della filosofia
prima, e ciò sul fondamento del soggetto , concepito
come coscienza , capace di assicurare stabilità e in
controvertibilità al suo sapere;
3) il fatto che esso dia della filosofia una determi
nazione a profilo alto , forte , concependola come
theoria , come attività contemplativa4.
Si tratta di tre caratteri che forniscono , come
chiunque ben vede, una immagine piuttosto somma
ria della metafisica , ma che , a giudizio di Habermas,
sono sufficienti per concludere che essa è ormai de
stinata ad entrare nel museo degli errori del passato.
T ali caratteri sono infatti in contraddizione con la
tendenza fondamentale del nostro tempo . Oggi, so
stiene Habermas:
l) è definitivamente svanita l'illusione di poter co
noscere la totalità e ci si è di conseguenza rassegnati
a praticare una razionalità a profilo basso, di tipo
procedurale e non sostanziale, fallibilista e non fon
dazionista ; si è rinunciato a credere che il sapere fi
losofico possa elevarsi all 'altezza dell 'Assoluto e si è
adottato ovunque un atteggiamento finitistico e pro
babilistico;
2) si è poi passati da una prospettiva coscienzia
listica, in cui il soggetto rappresenta il fondamento
capace di costituire un sapere epistemico universale,
a una prospettiva in cui è determinante la dimensione
intersoggettiva del linguaggio e della comunicazione;
3) infine , la tradizionale dicotomia tra teoria e
1 72
prassi e l'assegnazione del primato all 'attività con
templativa sono state soppiantaté dall 'entrata in sce
na del moderno concetto di lavoro5 .
Quanto basta , agli occhi di Habermas , per dichia
rare antiquata la metafisica e reclamare l 'esigenza di
un pensiero post-metafisico.
Il bersaglio a cui mirano tali critiche non è tanto ,
sebbene anche, il pensiero metafisica del passato. In
fondo le vecchie metafisiche non sono più operanti e
sarebbe uno zelo superfluo volere affossarle . Il bersa
glio polemico va identificato piuttosto nei tentativi
contemporanei di riabilitare la metafisica . Per Haber
mas si tratta di tentativi disperati e vani, che vanno
contro lo spirito del nostro tempo , ma che periodi
camente fanno ritorno ed esercitano una loro sugge
stione , specialmente nella filosofia tedesca del nostro
secolo . Le opere citate ad esempio di questa tenden
za sono La rinasci ta del la filosofia (Die Wiederge
bu rt der Ph i losophie, 1 907) di Cari Stumpf, La ri
su rrezione della metafisica (Die A ufersteh u ng der
Me taphysik, 1 9 25) di Peter Wust, la Fon dazione
de l l 'an tologia (Gru ndlegu ng der On tologie , 1 935)
di Nicolai Hartmann. Nella stessa direzione, cioè
contro-corrente rispetto allo spirito dei tempi , e ver
so lo stesso inevitabile scacco vanno per Habermas i
tentativi compiuti oggi da Robert Spaemann e so
prattutto da Dieter Henrich6 .
1 73
Dicendo questo Habermas ha dato voce a una
constatazione largamente condivisa e quasi scontata,
ossia che la metafisica oggi è un cammino difficile da
praticare. Curiosamente , però , anziché trovare tutti
d'accordo , la sua diagnosi ha suscitato reazioni vivaci
e diversi autori sono intervenuti a difendere le sorti e
le ragioni della metafisica 7 .
Questa controversia , orientata prevalentemente
sull 'attualità, cioè sul ruolo della metafisica nella filo
sofia contemporanea, è rimasta - in relazione alla
storia della metafisica - una agitazione di superficie ,
e non è mai scesa troppo a fondo nella storia del
problema . Per una fortunata coincidenza , però , qua
si contemporaneamente allo svolgersi del dibattito
1 74
menzionato , questo approfondimento è stato pro
dotto da una serie di studi che hanno esplorato e ri
costruito passaggi storici nodali della metafisica. Mi
riferisco alle indagini di Rolf Schonberger e Ludger
Honnefelder sull 'antologia medievale 8 , integrate da
quelle di Theo Kobusch sul rapporto tra antologia e
linguaggio9 e da quelle di Panajotis Kondylis sulla cri
tica della metafisica in età moderna 10. Non che tra
queste indagini storiche e il dibattito sopra menzio
nato vi sia stato un legame intenzionale . Ma la con
temporaneità e la complementarità dei due eventi ,
per quanto accidentale , segnala la presenza del pro
blema e consente di apprezzare meglio la portata
teorica del lavoro di microanalisi compiuto dagli sto
rici della filosofia citati .
Non è comunque il caso di entrare ulteriormente
nel merito della controversia suscitata dal libro di Ha
bermas . Basti qui osservare che il dibattito che ne è
nato , pur consumandosi in uno spazio di tempo re
lativamente breve , ha avuto un suo impatto sulla di
scussione filosofica interagendo con la presenza di
un'attenzione per la metafisica che va registrata an-
175
che altrove , in altre aree linguistiche . Sia pure senza
tradursi in un dibattito pubblico come in Germania,
anche qui si sono avute importanti ricerche 1 1 .
11
Si veda la bibliografia in appendice al volume collettaneo Me
tafisica, oggi, Morcelliana, Brescia 1 983 , pp. 209- 1 0 .
1 76
Dio, l'anima immortale , il mondo - ma come descri
zione filosofica della realtà, come una antologia degli
oggetti o degli eventi 12.
12
Tale «svolta" della filosofia analitica ha trovato risonanza spe
cialmente in Germania. Oltre alla posizione del tutto originale di
Emst Tugendhat, del quale si vedano in particolare le Vorlesu ngen
zur Einfiihru ng in die sprachanalytische Phi losoph ie, Suhrkamp ,
Frankfurt a . M . 1976, cfr. Wolfgang KOnne, A bstrakte Gegenstéin
de. Onto/ogie und Seman tik, Suhrkamp, Frankfurt a . M . 1983, e
Ursula Wolf (a cura di), Eigen namen , Suhrkamp, Frankfurt a.M.
1985. Una particolare attenzione per la metafisica, interpretata nel
senso di una antologia del reale, è nata in seno a una corrente del
pensiero analitico che si ispira all 'ultimo Brentano e nel cui ambito è
stato concepito lo Handbook of Metaphysics and On tology, a cura
di Hans Burkhardt e Barry Smith, 2 voli. , Philosophia, MOnchen
199 1 .
1 3 Cfr. Herméneu tique e t an tologie. Mélanges e n hommage à
177
dell' essere in quanto essere e cercando di capire, in
una prospettiva teorica più generale, che cosa siano
state per la filosofia occidentale l ' antologia , la teolo
gia e la metafisica nella loro demarcazione e nel loro
rapporto reciproco 14 .
È abbastanza facile cogliere, dietro il lavoro sto
riografico svolto da Aubenque soprattutto in riferi
mento alla tradizione dell'aristotelismo e della filoso
fia classica tedesca , lo spiccato interesse speculativo
che lo motiva . Esso consiste nell 'esigenza di capire
che cosa sia quella che Aubenque chiama, con Hei
degger, la costituzione «onta-teo-logica>> della metafi
sica. Come è noto , Heidegger ha spiegato la genesi
del termine «metafisica)> come il risultato di un «fon
damentale imbarazzo filosofico» : cioè l 'imbarazzo fi
losofico di Andronico di Rodi, che , nell ' orizzonte del
la concezione ellenistica del sapere da lui presuppo
sta , la quale prevedeva la tripartizione della filosofia
in logica , fisica ed etica , non poteva trovare in tale
tripartizione uno spazio specifico in cui collocare la
scienza aristotelica deli ' ente in quanto ente , di cui
trattano i libri da lui messi quindi dopo quelli di fisica
(tà metà tà physica) . Dalla fine degli anni Venti in
poi 15 Heidegger ha sostenuto che la metafisica si co-
Paris 1 9 62.
1 5 Una prima volta , con ampiezza, nel corso marburghes e del
semestre estivo del 1 9 28, quindi nel libro su Kant del 1 929 e, di
nuovo, nel corso friburghese del semestre invernale del 1 929/30 . Il
termine «ontoteologia" fu in realtà coniato per la prima volta da Kant
(Kri tik der re inen Vern unft A, 631 -32/B , 659-60), e precisamente
per designare la forma di teologia trascendentale che vuole conosce-
1 78
stituisce essenzialmente come ((onto-teo-logia>> : infatti
l' indagine intorno all 'ente in quanto ente , che essa
mette in campo , si configura sia come ricerca di ciò
che è comune a ogni ente , vale a dire come antolo
gia (òn kath61ou koin6n), sia come ricerca dell ' en
=
179
6 . La riabilitazione della metafisica platonica
e aristotelica in Italia
1 80
ta sui dialoghi scritti, la nuova interpretazione - fa
cendo propri i risultati della Scuola di Tubinga di
Konrad Gaiser, Hans Kramer e Thomas A . Szlezak
ha rivalutato l ' insegnamento orale di Platone , cioè le
sue dottrine non scritte, di cui noi abbiamo notizia
grazie alle testimonianze dei suoi allievi diretti, cioè
Speusippo , Senocrate e Aristotele. Come è noto, il
nucleo dell 'insegnamento esoterico di Platone è co
stituito dalla dottrina dei princìpi , che stanno oltre
l'essere (epékeina tès ousfas) e lo costituiscono, e
che sono l' Uno e la Diade, da cui derivano rispetti
vamente l 'unità e la molteplicità . La metafisica pla
tonica strutturata secondo la dottrina dei princìpi è
diventata quindi il termine di riferimento per una du
plice operazione : per una proposta teoretica e per
una ricostruzione di quella «serie di note in margine a
Platone» a cui - secondo il detto di Whitehead - può
essere ridotta la storia della filosofia occidentale.
Dal punto di vista storico, in riferimento alla me
tafisica platonica viene riletta tutta la tradizione di
pensiero che Hans Kramer ha chiamato la «metafisi
ca dello spirito>>2 1 . Il primo filosofo a essere messo in
una nuova luce è Aristotele, che non appare più co
me il pensatore dell'immanenza in contrapposizione
181
a Platone pensatore della trascendenza - tale era
l 'opposizione classica raffigurata da Raffaello nella
Scuola di A tene, in cui Platone , tenendo in mano il
Timeo , punta il dito al cielo, mentre Aristotele , che
ha sottobraccio l 'Etica Nicomachea, volge la mano
verso terra . Nell 'interpretazione che fa riferimento
alla dottrina platonica dei principi, quello di Aristote
le è uno dei sistemi nati dalla scuola di Platone e che
pensa insieme trascendenza e immanenza, intelligen
za e sensibilità, spirito e natura.
Dal punto di vista teoretico la metafisica di Plato
ne , con la sua netta separazione tra sensibile e intel
ligibile, offre a Reale un solido punto di appoggio per
mostrare la conciliabilità della filosofia greca con il
cristianesimo22 . Non è qui possibile entrare nel me
rito delle annose controversie intorno alla «ellenizza
zione del cristianesimo)) e in generale alla possibilità
di una «filosofia cristiana,, . È noto che quest'ultima
per molti un «ferro ligneo» - è stata interpretata se
condo due tradizioni opposte: una si rifà a san Tom
maso e, attraverso la sua mediazione , ad Aristotele;
l' altra a sant'Agostino e al platonismo . Il razionali
smo aristotelico-tomistico ha sottolineato l 'argomen
tabilità dei praea m bu /a fidei , mentre lo spiritualismo
platonico-agostiniano l 'affermazione fideistica , esi
genziale , della trascendenza divina. Mediante la nuo
va lettura del platonismo Reale intende superare que-
22 N
aturalmente lo studio del Platone esoterico suggerisce anche
un altro scenario, al quale si può solo accennare rimandando per
ulteriori approfondimenti agli scritti di Réné Guénon : la congruenza
della metafisica di Platone e di Aristotele con tradizioni sapienziali
più antiche del cristianesimo.
182
sta opposizione per sviluppare una moderna metafi
sica non dogmatica, orientata verso il coglimento di
un principio trascendente che, senza pretese di asso
lutezza , renda ragione del mondo sensibile. Egli pre
senta al tempo stesso tale metafisica come una for
ma di saggezza che aiuta ad affrontare i mali del
mondo contemporaneo23 .
In funzione di ciò Reale ha approfondito anche
l'esame della metafisica aristotelica, fornendo pure
su questo versante una dovizie di lavori scientifici tra
i quali spicca la traduzione con testo greco a fronte e
commento della Metafisica di Aristotele24 - il tratta
to in quattordici libri che, da Andronico di Rodi in
poi , fu così intitolato sia perché nella catalogazione
delle opere di Aristotele stava «dopo» gli scritti di fi
sica , sia perché l 'argomento che trattava , cioè le
realtà celesti incorruttibili, era «oltre» la fisica : la for
tunata circostanza che la preposizione greca meta
avesse entrambi i significati , quello di «dopo» e di «ol
tre)) , tenne così a battesimo la parola «metafisica))
che, da semplice designazione editoriale , divenne il
termine filosofico fondamentale che noi conosciamo.
L'edizione di Reale non ha soltanto il valore di stru
mento filologico e storiografico, ma offre , con il suo
commento, numerosi spunti teoretici per penetrare a
fondo la struttura del discorso metafisica che con
quest'opera di Aristotele riceve la sua fondazione .
1 83
Tale prospettiva di lettura , che vede nella Metafisica
di Aristotele un repertorio inesauribile di riflessione
filosofica, è corroborata dalla pubblicazione a cura
dello stesso Reale , insieme ad Adriano Bausola, di un
volume dal titolo A ristotele. Perché la metafisica2s,
in cui vari autori intervengono sul problema.
Ma è stato soprattutto Enrico Berti a rivendicare
l'attualità del paradigma aristotelico in vista dell ' ela
borazione di una metafisica valida anche per un'età,
come la nostra , che si ritiene post-metafisica. In una
serie di lavori di cui si possono qui ricordare Le vie
de lla ragio ne26 , Co n tradd izione e dia lettica negli
a n tich i e nei modern i27 , Le ragion i di Aristote/eZB
e In troduzione a l la me tafisica29 egli ha cercato di
mostrare la possibilità di sviluppare su basi argomen
tative , cioè dialettiche , una metafisica intesa in senso
classico come discorso intorno all 'essere e ai suoi
princìpi. Azzerando la valutazione critica che Heideg
ger ha dato della struttura onto-teo-logica della me
tafisica , potremmo dire con Berti che l'on ta-teo-lo-
184
gia aristotelica , se adeguatamente interpretata , può
fornire un quadro concettuale adeguato per pensare
alcune opzioni filosofiche fondamentali ancor oggi
condivisibili.
In quanto an tologia, sostenendo l'irriducibile po
lisemia dell'essere , la metafisica aristotelica riconosce
la molteplicità del reale , quindi accetta come fattore
positivo l ' irriducibilità del molteplice a un principio
unico e si propone dunque come riconoscimento del
le differenze , delle diversità, della pluralità. Nel qua
dro dell'ontologia aristotelica l'essere non è mai pen
sato come uno , ma sempre nell'articolazione dei suoi
significati e delle sue regioni. In relazione a ciò è teo
rizzata l'imprescindibilità di scienze e saperi diversi
che studiano la realtà nei suoi molteplici aspetti, da
diverse prospettive e secon9o finalità differenziate.
In quanto teologia essa ritiene possibile uno stu
dio scientifico, cioè razionale , argomentato , delle
realtà supreme, divine. In questo modo Dio fa il suo
ingresso in filosofia, in quanto non è più soltanto
<<raccontato•> dal mito o «rivelato>� dalla religione e dal
la teologia sacra, ma viene considerato e studiato co
me ente sommo passibile di indagine razionale. In ra
gione di questa impostazione la metafisica aristoteli
ca sostiene l'idea che la filosofia debba occuparsi a
proprio tito lo del divino, dunque non in quanto
prende a prestito le rappresentazioni della mitologia
o della religione, ma in quanto ricava mediante ar
gomentazioni un proprio concetto di Dio . Si può na
turalmente obiettare che così Dio fa il suo ingresso in
filosofia come s u m m u m ens, ma smette in quanto
tale di parlare in prima persona: quanto egli ha da
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dire viene tradotto nel linguaggio della metafisica ,
cioè nel linguaggio della filosofia . Nasce il dubbio che
con la metafisica Dio faccia il suo ingresso in filosofia
per uscirne subito fuori. Comunque stiano le cose al
riguardo, è chiaro che la metafisica aristotelica dà i
natali alla teologia speculativa , cioè concettuale, filo
sofica .
Infine , in quanto logica la metafisica non è un sa
pere intuitivo o ispirato , ma si sviluppa e si articola
secondo i modi e le forme dell 'argomentazione ra
zionale , in particolare in quella sua forma eccelsa che
è la dialettica (intesa , anch' essa , nel senso aristotelico
di a rs bene disse rendi e non in quello moderno , spe
cialmente hegeliano, di logica e sistema della con
traddizione) .
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s'è il mito? che cos'è la religione? che cos' è il sacro?
che cos 'è la morale? che cos'è l' arte?) , il problema
delle risorse simboliche dell 'uomo e molti altri inter
rogativi che esigono di essere affrontati .
Insomma : le grandi questioni a cui un tempo la
metafisica dava risposta non sono semplicemente
scomparse per il fatto che è stata sancita l'impossi
bilità di dirimerle in termini razionali mediante la me
tafisica , ma continuano a sussistere , latenti e inevase ,
magari in forme e sembianze mutate . La domanda
che si pone è: chi può subentrare al posto dalla me
tafisica nell 'affrontare , oggi, tale ordine di questioni?
Forse ciò che , · con un termine indefinito e certamen
te provvisorio ma meno compromesso , possiamo
chiamare il «pensiero''?
Il problema da cui eravamo partiti , cioè la collo
cazione della metafisica nel contesto deli ' attuale di
battito filosofico contemporaneo, appare ora più
chiaro . In esordio rilevavamo che l' atteggiamento
epistemofilo assunto dalla filosofia contemporanea
ha portato quest'ultima ad assumere una posizione
ancillare nei confronti della scienza e a negare ogni
spazio e legittimità alla metafisica. Dopo il giro di
orizzonte proposto e dopo le considerazioni fatte,
appare evidente che , con la cancellazione del nome
«metafisica'' , non scompaiono eo ipso le questioni
che tradizionalmente essa aveva affrontato .
Ci si chiede: data l' esigenza di una istanza che si
faccia carico dei problemi tradizionali della metafisi
ca , ma riconosciuta al tempo stesso l'impraticabilità
di una semplice ripetizione delle metafisiche passate ,
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a che cosa deve procedere quello che si è chiamato
«il pensieron?
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ria dell'essere aristotelico, p. 1 14 5. Un modello di
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