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Dopo decenni di pensiero debole, ossia di nega-

CL 20-5146-X
zione della metafisica e dell'assoluto, si può par-
lare ancora di metafisica, oggi?

In copertina: Giorgio Morandi, «Natura morta», 1918. San Pietroburgo, Ermitage, © by SIAE, 1977.
U
NIV
ERS
ALE
L
ATE
RZAUL
Francesco Barone, «Metafisica»: fascino di un'am-
biguità semantica - Carlo Bernardini, Il non fisico
della fisica - Enrico Berti, Una metafisica proble-
matica e dialettica - Remo Bodei, Il mondo na-
scosto - Umberto Eco, Brevi cenni sull'essere -
Domenico Losurdo, Metafisica, antimetafisica e
storia - Franco Volpi, La metafisica rimossa.

lire 15000 (i.i.)


© 1997, Gius. Laterza & Figli

Prima edizione gennaio 1997


Seconda edizione novembre 1997

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata,


compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.
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Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare,
chi comunque favorisce qu esta pratica commette un furto e opera ai dan­
ni della cultura.

Proprietà letteraria riservata


Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari
Francesco Barone Carlo Bernardini
Enrico Berti Remo Bodei Umberto Eco
Domenico Losurdo Franco Volpi

Metafisica
Il mondo nascosto

Editori Laterza 1997


Finito di stampare nel novembre 1997
Poligrafico Dehoniano - Stabilimento di Bari
per conto della Gius. Laterza & Figli Spa
CL 20-5146-X
ISBN 88-420-5146-2
AWERTENZA

Dal 1 980 la Biblioteca Comunale di Cattolica or­


ganizza tutti gli anni , in primavera , un ciclo di incon­
tri che reca la sigla «Cosa fanno oggi i filosofi?)) (la cui
formulazione , non priva di ironia , si deve a Umberto
Eco).
Ogni edizione rappresenta un ambito tematico , o
un' area disciplinare attraverso il contributo di studiosi
che accettano il compito di offrire una sintesi origi­
nale del loro punto di vista sulla materia in esame .
Nel 1994 il tema/titolo di «Cosa fanno oggi i fi­
losofi?)) è stato Metafisica e qui si raccolgono i con­
tributi di quella edizione che si poté realizzare con il
concorso dell ' Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
(che da un decennio sostiene le attività ' filosofiche '
della Biblioteca di Cattolica) e della rivista «Nuova Ci­
viltà delle Macchine)).
METAFISICA
IL MONDO NASCOSTO
Francesco Barone
«METAFISICA»:
FASCINO DI UN'AMBIGUITÀ SEMANTICA

Si è spesso parlato di una ((tirannia delle parole»:


e c'è qualcosa di vero in questa affermazione, perché
le parole costringono ciò che vogliamo esprimere nei
rigidi schemi dei significati , che si sono venuti via via
appiccicando ad esse attraverso l'uso che noi ed i no­
stri predecessori ne abbiamo fatto. Le parole, dun­
que , in qualche modo ((illudono•• chi le adopera ma,
soprattutto , chi le ascolta.
D 'altra parte , tuttavia, è una tirannia a cui non
possiamo rinunciare , perché altrimenti ci pregiudi­
cheremmo irrimediabilmente la possibilità di parlare ,
ossia di esistere nella nostra specifica maniera di es­
sere quali ((animali culturali» . Se , dunque, le parole
spesso ((illudono» - con il bagaglio molteplice dei loro
significati tradizionali - esse tuttavia, sempre , anche
((alludono", perché indicano i percorsi interpretativi
con cui viviamo , fissandolo , il mondo delle nostre
esperienze e prendiamo posizione di fronte ad esso :
è appunto in questo fissare ed atteggiarci che si e­
sprime il nostro modo d'essere animali culturali .
È questo duplice aspetto nell'uso delle parole -la
3
possibile deformazione di ciò che pensiamo e l'im­
possibilità di pensare senza correre il rischio di de­
formazione nel loro uso - ciò che ho indicato nel ti­
tolo di queste considerazioni come ((ambiguità se­
mantica>> . In tale ambiguità, infatti , si radica tanto la
condizione della comunicabilità linguistica tra gli es­
seri umani , quanto il pericolo del fallimento di tale
comunicazione allorché , tra i parlanti, l'uso delle pa­
role non è univoco . Magari i suoni ch 'essi emettono
sono gli stessi o molto simili, ma differiscono tuttavia
i significati di quei suoni.
E non mi riferisco qui esclusivamente ai parlanti
due lingue diverse , per cui i significati sono talvolta
identificabili come identici anche quando i suoni sono
diversi; ma proprio ai parlanti la stessa lingua, allor­
ché essi usano parole il cui significato non è facil­
mente denotabile , magari ostensivamente con un ge­
sto (come awiene , ad esempio, per la parola (<gat­
to>>), ma è invece costituito da una molteplicità di ac­
cezioni , che si sono stratificate concettualmente nel
corso della storia: come , per esempio, con la parola
(<libertà)). È più facile che si intendano , dopo un breve
lasso di tempo , un italiano ed un tedesco, parlanti
ciascuno solo la propria lingua , che di fronte ad un
cucciolo di gatto esclamino l 'uno <<gattino>> e l ' altro
«Katzchen)) , di quanto non lo sia l ' intendersi di due
intellettuali, specie di marcata coloritura politica , co­
me capita tra noi , che esclamano entrambi <Niva la
libertà!)), e poi magari arrivano a vie di fatto , perché
interpretano in maniera diversa, se non addirittura
opposta , il medesimo suono di quella parola «libertà>>,
L'ambiguità semantica è tipica di molte parole
4
astratte e, in particolare , dei termini filosofici . E, tra
questi , nella tradizione occidentale, spicca il termine
cc metafisica)). C'è qualcosa di paradossale nell 'ambi­
guità di tale parola , la cui pluralità di significati cor­
risponde , più che alla molteplicità delle filosofie, alla
serie ccinnumerevole)) dei filosofi; specie se si confron­
ta tale pluralità con l' originario significato etimologi­
co della parola stessa: tà metà tà phys ika , ccle cose
che vengono dopo quelle fisiche)) . Ossia , i libri delle
opere di Aristotele , che seguono , nella raccolta degli
scritti aristotelici curata da Andronico da Rodi nel pri­
mo secolo avanti Cristo , i libri dedicati alla ricerca fi­
sica , cioè quelli in cui Aristotele studia il movimento .
Si passa quindi da una inequivocabile indicazione
di luogo in un insieme di scritti ad una equivoca mol­
teplicità di significati che pare addirittura esprimibile
con il noto detto : tot capi ta tot sen ten t iae.
Eppure il paradosso si attenua non appena si ri­
fletta che l'indicazione topografica ed editoriale di
Andronico individua proprio quei libri in cui Aristo­
tele affronta un certo tipo di problemi: quelli propri
di una scienza che indaghi tutti i principi, tutte le cau­
se , ogni sostanza ed i suoi aspetti . Ossia, una scienza
che dia a tutte le altre il fondamento comune, l' ccog­
getto•• a cui tutte si riferiscono ed i principi da cui
tutte dipendono.
l libri della Metafisica aristotelica concernono
quindi quei temi che pertengono alla sophia, alla sa­
pienza . È infatti a questa che mira, per Aristotele , la
<<filosofia prima)): la conoscenza delle cose divine e
dei principi di ogni scienza , ossia i fondamenti di
ogni conoscenza delle cose necessarie . Ecco perché
5
nella prospettiva aristotelica - ed in quelle che nel­
l 'età medievale e nell 'età moderna ne sentirono in
qualche modo l ' influsso - la ((metafisica» è tanto an­
tologia, dottrina dell 'essere , quanto teologia .
Si comprende quindi come la plurisignificanza di
queste parole («antologia» , «teologia») si proietti an­
che sul termine ((metafisica» e nell 'uso che ne fanno
le concezioni filosofiche che l'intendono come deno­
tante il sapere primo e fondante . Poiché oggetto di
tale sapere può essere di volta in volta, e per ricor­
dare solo alcuni esempi tipici , o la realtà soprasensi­
bile , sottratta al divenire ed eterna ; o la realtà auten­
tica delle cose sensibili, contrapposta alle loro appa­
renze ; oppure i valori e gli ideali, come sfera antolo­
gica di ciò che ((merita d'essere��. diversa e superiore
ai fatti , a «ciò che è1.
L'ambiguità semantica della parola ((metafisica)) è
tuttavia assai più ampia di là dalle accezioni di HOn­
tologia>l e «teologia» . E ciò anche se non si prendono
in considerazione le variazioni soggettive elaborate
dai singoli filosofi che si sono mossi nell ' ambito di
quelle due accezioni . Basta guardare sia pur soltanto
alle tipizzazioni più note nelle vicende del pensiero
filosofico occidentale : si pensi , per esempio , alla
svolta caratteristica dell' età moderna, che sposta l'at­
tenzione dei filosofi dall' oggetto al soggetto e che po­
ne in primo piano, al posto dell' antologia , la gnoseo­
logia .
Il caso paradigmatico di tale svolta è quello di Im­
manuel Kant . È noto che Kant ha respinto la possi­
bilità della metafisica tradizionale (ch ' egli chiamava
«dogmatica��) per la pretesa ch ' essa aveva di essere
6
scienza; e come nella ((Dialettica trascendentale» della
Cri tica della Ragion pura egli critichi tale metafisica
nella triplice partizione wolffiana di essa in psicolo­
gia , cosmologia e teologia. Ed è da questo punto di
vista che si è affermata , come luogo comume domi­
nante nella storiografia filosofica , la tesi che Kant è
stato il distruttore delle pretese metafisiche (risalenti
sino alle radici aristoteliche) di una conoscenza sia
della realtà soprasensibile, sia della natura noumeni­
ca delle cose, sia della sfera ontologico-assiologica
non attingibile dalle scienze particolari .
Tuttavia , questo luogo comune che pur ha una
qualche fondatezza, trascura il fatto che Kant, ripe­
tutamente , presenta la sua prima Critica come un
programma di ((riforma della metafisica>> . Respinta la
possibilità di una metafisica dogmatica come scienza ,
egli propone nondimeno una ((metafisica scientifica>>
o ((critica»: ossia il sistema delle forme della ragion
pura che giudica a priori. Quella che nella tradizione
era stata l ' ((ontologian - la dottrina dell'essere e delle
sue forme - si trasforma per Kant in <<gnoseologia>> ,
una scienza del tutto nuova e sino ad allora non ten­
tata: la critica di una ragione che giudica a prio ri. Si
tratta , per lui , di una scienza ((rigorosa e necessaria»,
che può derivare dalla determinazione dei principi a
priori del giudizio tutti gli oggetti a cui si estendono e
mostrarne la completezza .
Ecco dunque , paradossalmente , che colui che
passa per il ((distruttore» della «metafisica» è in effetti
l' introduttore di una nuova accezione di questo ter­
mine, sicché la metafisica diventa la scienza dei prin­
cipi e delle forme a priori dell 'intelletto e della ragio-
7
ne . Basta pensare alla frequenza con cui il termine
«metafisica>� compare nei titoli di tante opere kantia­
ne: dai Prolegomen i ad ogn i fu tura metafisica che
voglia presen tarsi come scienza {1 783) ai Pri m i
prin cìpi metafisici della scienza della natura
(1786) , dalla Fondazione della metafisica dei co­
stum i ( 1 785) alla Me tafisica dei cost u m i ( 1 797).
L'accezione kantiana di «metafisica>�, tuttavia, no­
nostante la diversità polemica nei confronti delle ac­
cezioni tradizionali, conserva con queste almeno
un ' analogia . Per ciascuno dei significati tradizionali la
metafisica è scienza prima e fondante ; allo s tesso
modo, anche la concezione kantiana, che pur tra­
sforma in gnoseologia l'antica dimensione ontologica
e teologica, ci presenta una (<metafisica critica>> come
scienza necessaria, completa, prima e fondante ogni
possibilità di conoscenza .
Del resto, è proprio il ripresentarsi di una identi­
ficazione della «metafisica>� con la «scienza in senso
forte>> nel corso di gran parte della tradizione filoso­
fica occidentale ciò che ha costituito e costituisce
motivo di critica, direttamente o indirettamente , da
parte di quelle posizioni di pensiero, soprattutto con­
temporanee, che condannano la <(metafisica» tout­
cou rt e non soltanto in una delle varie accezioni cui
ho accennato .
Tra tali posizioni mi pare assai significativa quella
del (<secondon Heidegger, per cui la storia della me­
tafisica è caratterizzata dall' «oblio dell' essere>� e dal­
l' attenzione esclusiva per gli «enti» , con il progetto di
dominarli conoscitivamente e praticamente . Sicché è
la metafisica stessa, nella sua pretesa alla scientificità,
8
che si riduce ad una specie di Hfisica>> . Così I' HOntolo­
gia fondamentale>> di Essere e tempo - che poneva
in primo piano il problema del senso dell'essere -,
nel (Csecondo» Heidegger si trasforma in una Hdistru­
zione della storia dell'antologia>>.
Ciò non vuoi dire che per Heidegger non abbiano
importanza molte questioni sollevate nel corso delle
cosiddette indagini «metafisiche». Basti ricordare che
nel suo studio Che cos'è la metafisica ? (1929) egli
affronta il problema metafisica del nulla e dell 'ango­
scia in rapporto alla questione dell 'essere. Ciò che
Heidegger respinge , nella seconda fase del suo pen­
siero , è piuttosto il linguaggio tradizionale della me­
tafisica , il quale si è ridotto - per la pretesa di scien­
tificità della metafisica stessa - ad essere un lirtguag­
gio oggettivante ed informativo. E quello che egli au­
spica e propone è invece il linguaggio della poesia,
rammemorante l 'essere.
Ancora più radicalmente polemico contro la me­
tafisica quale scienza è tuttavia stato il tentativo di eli­
minazione d'ogni metafisica attuato dal neopositivi­
smo logico . Si tratta di una critica così radicale da
investire anche la surricordata rielaborazione heideg­
geriana . In un noto saggio del 1932 , Superamen to
della metafisica attra verso l'analisi logica del lin­
guaggio, Rudolf Carnap incentra il suo esame pro­
prio sull'uso heideggeriano del termine «nulla>> come
sostantivo - «Noi conosciamo il Nulla» [ ] «L'ango­
. . .

scia rivela il Nulla» - per mostrare l' insensatezza di


tale uso sulla base dei criteri di significanza sia del
linguaggio comune sia d eli ' affinamento eh ' esso trova
nel linguaggio scientifico .
9
Anche Carnap , come Heidegger, respinge la
scien tifici tà della «metafisica ; ma , mentre per Hei­
degger la problematicità da questa affrontata rimane
seria ed importante , ed è solo il linguaggio tradizio­
nale , con cui si è creduto di poter rispondere a tale
problematica , che è viziato dall' oblio dell 'essere e
dall'attenzione esclusiva per gli enti , soffrendo in tal
modo dello stesso vizio della scienza , per Carnap, in­
vece , la possibilità stessa di un linguaggio significati­
vamente serio ed importante è limitata al linguaggio
scientifico.
Egli ammette che i «non-sensi)) della metafisica so­
no espressioni del nostro sentimento vitale , del no­
stro atteggiarci esistenziale di fronte al mondo. Tut­
tavia non ritiene che il linguaggio della poesia sia lo
strumento efficace per un nuovo discorso di tipo fi­
losofico, fuori dalle secche delle insensatezze seman­
tiche della metafisica tradizionale. Per Carnap , ad
esempio , il sentimento armonioso della vita si espri­
me nella musica di un Mozart, come quello dramma­
tico nella musica di un Beethoven, in un modo assai
più efficace ed autentico di quanto lo si possa fare
con un linguaggio di parole: «i metafisici non sono
che dei musicisti senza capacità musicale)) . Con la
versione carnapiana del neopositivismo, l' antimetafi­
sica sfocia addirittura nell'antifilosofia , poiché ogni
espressione linguistico-concettuale , di là dal linguag­
gio della scienza o dali' analisi logica di tale linguag­
gio , è imputata di mancanza di senso .
t: certo facile scorgere i limiti della posizione di
Carnap e di altri neopositivisti allorché essa porta ad
escludere la possibilità di esprimere nel linguaggio di
lO
parole l 'atteggiarsi dell'uomo di fronte al mondo . Gli
stessi linguaggi delle arti figurative e della musica
hanno per noi una specifica rilevanza proprio perché
anch 'essi si radicano in quel «pensare parlando>• , che
è l'espressione tipica della nostra umanità . Ma, no­
nostante tali limiti, la critica neopositivistica alla me­
tafisica conse!Va una sua importanza, anche quando
si riconosca che il criterio di significanza su cui pog­
gia è unilaterale e, addirittura , contraddittorio . Tale
critica , infatti , mette in luce il rischio di fondo nella
pretesa della metafisica di essere scienza. È proprio
in nome della scienza , infatti , che i neopositivisti re­
spingono il discorso metafisica, travolgendo nell 'ac­
cusa di insensatezza ogni discorso filosofico che non
sia analisi logica del discorso scientifico .
Dalla morte della metafisica, dunque , alla morte
della filosofia. Ma il punto di partenza di questo cam­
mino apparentemente necessario è il presupposto
che la metafisica (e , con essa, la filosofia) o è «scien­
za» o «non è)). È proprio l'esame dell 'origine della
consistenza di tale presupposto, nonché del fascino
che esso ha esercitato e continua ad esercitare nella
tradizione occidentale di pensiero, il tema su cui vor­
rei soffermarmi nell'ultima parte di queste considera­
zioni .

II

C'è una radice esistenziale comune per le due


espressioni culturali che, nella tradizione occidentale,
siamo soliti indicare con i nomi di «filosofia» e di
11
«scienza» . La radice è comune perché tali espressioni
sono la risposta , linguisticamente mediata, alla dupli­
ce esigenza dell 'animale «uomo>> (di Homo sapiens
sapiens) di orientarsi nel mondo per soprawivere e
di trovare un senso a questo suo arrabattarsi , nono­
stante la consapevolezza sempre impedente dell ' ine­
vitabilità della morte.
Come ogni altro animale, anche Homo si trova a
vivere in un ambiente spesso indifferente se non ad­
dirittura «ostile» : e per adattarsi all'ambiente , e riusci­
re quindi a sopravvivere , Homo deve in qualche mo­
do farsene un 'immagine che gli indichi al meglio
come le cose stanno. Homo condivide questa esigen­
za biologico-esistenziale con gli altri animali, che si
formano anch' essi - sebbene in gradi diversi - una
qualche immagine del mondo, un Weltbild . La spe­
cificità del We ltbild di Homo consiste tuttavia nel
fatto che questi è in grado di esprimere linguistica­
mente la propria immagine del mondo , così oggetti­
vandola e staccandola dalla propria esperienza vissu­
ta . Nasce in tal modo la distinzione consapevole che
noi facciamo tra «io>> e «mondo» , tra <<soggetto» ed
<<oggetto•• già nel linguaggio con cui esprimiamo nella
vita quotidiana la nostra immagine del mondo , la
quale si viene poi sviluppando e raffinando in quella
che nella tradizione occidentale abbiamo chiamato
<<scienza» , una conoscenza controllata, intersoggetti­
va e sempre rivedibile, per raffigurare al meglio co­
me stanno le cose.
D'altro canto, analogamente almeno agli animali
«superiori" della cui vita siamo spettatori diretti, an­
che Ho mo risente in modo emotivo della «durezza>>
12
del mondo in cui vive e con cui si incontra e scontra .
Tuttavia l'umano «risentire)) il mondo , in modo emo­
tivo e passionale, acquista poi una specificità irridu­
cibile ed inconfondibile, come già s'è visto per l'uma­
no formarsi del Weltbild, proprio attraverso la sua
espressione linguistica . È questa, infatti, che in qual­
che modo oggettiva , facendoli spiccare sull 'immedia­
tezza dell 'esperienza vissuta, i sentimenti di gioia e
fiducia o di dolore e timore, dando ad essi la consi­
stenza di «valori)) o «disvalori)). E questi diventano una
chiave di interpretazione assiologica del mondo e di
quella nostra vita in esso , vita che già il Weltbild più
ingenuo e meno raffinato ci mostra segnata dalla ine­
vitabilità della fine.
Il senso della morte è tipico di Homo: e questa
tipicità è una conseguenza della capacità di Hom o di
esprimere linguisticamente il suo «sentire,, e <<risenti­
re,, il mondo e la propria vita in esso, staccandosi
così dall 'immediato esperire vissuto. Nel momento
stesso in cui si oggettiva l 'immagine del mondo sorge
anche la domanda sul senso del mondo e sul senso
del nostro fugace esistervi. L'immagine del mondo
coimplica l'atteggiarsi assiologico di Homo rispetto
al mondo , il suo prendere posizione. La formazione
di un Weltbild porta con sé la costituzione di una
Weltanscha u u ng.
Si può e si deve distinguere sul piano concettuale
tra una «immagine del mondo,, ed una «Visione del
mondo)), tra Weltbild e Welta nscha u u ng, ma non le
si può separare nella prospettiva esistenziale . Quali
che siano i tratti caratteristici di una «immagine del
mondo,, , in ciascuna di esse ci sarà sempre quel trat-
13
to che è costituito dall 'impendere della morte sulla
nostra vita . Ed è proprio tale tratto che accomuna le
«visioni del mondon , perché nella varietà di risposte
alla domanda sul senso del mondo corre con conti­
nuità il filo rosso dell' interrogativo, reso angoscioso
dal senso della morte , sul perché c'è il mondo e ci
sono io .
Alla base di ogni espressione culturale della spe­
cie Homo vi è dunque un implesso originario di Welt­
bild e Weltanscha u u ng, ossia di quelle forme prima­
rie della specificità umana che , nel corso dell 'e­
voluzione culturale propria della tradizione occiden­
tale saranno poi indicate con i nomi di «scienza)) e di
«filosofian . Ma quella occidentale non è l'unica tradi­
zione culturale della specie Homo; e vi sono tradizio­
ni in cui non vi sono corrispondenze precise tra le
loro forme culturali e quelle che noi abbiamo chia­
mato «scienza)) e «filosofian . Tuttavia , anche in tali ca­
si resta costante l' implesso di Weltbild e We ltan­
schauung, poiché è tipico per Homo, in ogni tempo
ed in ogni luogo , il bisogno biologico di orientarsi nel
mondo e l'esigenza di dare un senso al mondo ed a
se stesso , esigenza che nasce dalla stessa linguisticità
del suo orientarsi . Il sapere umano si muove tra que­
sti due poli : è significativa , ad esempio, l ' ambivalenza
del verbo latino sàpere, che significa tanto «conosce­
re)) quanto (<dar guston .
Nella tradizione occidentale vi è tuttavia una com­
plicazione ulteriore , perché dal tema della Weltan­
scha u u ng è geminata la coppia della l<metafisican e
della <<filosofia,, . Questi termini sono talvolta usati co­
me sinonimi , mentre altre volte appaiono irriducibil-
14
mente distinti : ma molto spesso , tanto nell' un caso
come nell'altro, entrambe le attività culturali ch 'essi
denotano avanzano , nella nostra tradizione, la prete­
sa di essere <<scienza>> , conoscenza rigorosa : anzi, la
«scienza fondante>> , la regin a scien tiarum, di quell 'in­
sieme di conoscenze rigorose e controllate (le singole
«scienzen) , in cui nel corso dell 'evoluzione culturale si
è andato via via articolando il We ltbild.
È evidente che non basta la comune radice esi­
stenziale di We l tbild e We ltansch au ung per rendere
conto di questa complicazione . La radice comune è,
infatti, in tutte le tradizioni culturali , anche in quelle
in cui non è presente la complicazione eh ' è propria
della nostra, perché nella loro evoluzione il We ltbild
non si è spontaneamente sviluppato in quelle strut­
ture concettuali che in Occidente , nonostante le va­
riazioni storiche dall' antichità classica al presente , ab­
biamo continuato a chiamare <<scienza>> . Né, per con­
seguenza , in quelle tradizioni , gli sviluppi culturali del
tema della We/tansch a u u ng hanno potuto vestire le
vesti della <<scientificitàn così spesso e volentieri indos­
sate , in Occidente , da quegli analoghi sviluppi che
abbiamo chiamato «metafisica» e/o <<filosofia» .
Un esempio significativo di questa diversa situa­
zione è rappresentato dalla raffinatissima ed antica
tradizione culturale cinese , in cui troviamo autoctone
espressioni tanto del We l tbild quanto della We ltan­
schau ung, modi di orientamento e adattamento nel
mondo (si pensi a tutte le anticipazioni cinesi nel
campo della tecnica rispetto alla cultura occidentale)
e modi di valutare e di atteggiarsi di fronte al mondo
ed alla nostra esistenza in esso , senza tuttavia che in
15
tale tradizione nasca spontaneamente una prospetti­
va scientifica nel senso in cui noi l 'intendiamo, e che
troverà accoglienza in Cina solo dopo gli apporti oc­
cidentali , soprattutto dei missionari nei secoli XVI e
XVII . Alla base di tutto ciò vi sono ragioni sociali,
economiche ed anche linguistiche. Così , analoga­
mente , anche le visioni del mondo, pur tanto ricche
e suggestive , non hanno alcuna veste scientifica, non
mirano a determinare «leggi» della natura e dell ' esse­
re , ma insistono piuttosto su comportamenti e regole
della vita sociale e morale.
Presupposto della particolare situazione per cui,
in Occidente , la tradizione culturale ha messo in una
posizione di spicco il rapporto di «scienza» e «filo­
sofia/metafisica» è dunque piuttosto la particolare
contingenza storica che , nel pensiero della Grecia
classica, ha visto un parallelo sviluppo della ricerca
matematica , considerata come modello dell episte­ '

me, della «scienza» - per la sua caratteristica razio­


nalità dimostrativa , che la distingue dalla credenza
vaga ed opinativa (la doxa) e, al contempo , di una
-

serrata elaborazione concettuale della Weltan­


scha u u ng.
Si consideri, per esempio, il rapporto che Plato­
ne, nella Repu bblica , stabilisce tra la matematica e la
''dialettica», eh' è il nome con cui egli preferibilmente
designa la ,,filosofia» . Se la ragione , la dianoia , costi­
tuisce nella matematica il paradigma della conoscen­
za garantita ben oltre la semplice «opinione» , è la ma­
tematica stessa che abbisogna della certezza degli
assiomi , da cui dianoeticamen te essa deriva le
- -

conseguenze necessarie. E tale certezza è assicurata


16
dalla «dialettica11, che mediante l'intelletto, il nous ,
coglie intuitivamente l a verità degli assiomi. Questo
schizzo epistemologico è del resto delineato da Pla­
tone sullo sfondo della convinzione antologica che
((solo ciò che è pienamente è pienamente conoscibi­
le)) (Rep. , 4 77a) .
In questa prospettiva, anche la filosofia non può
non essere essa stessa ((scienza)) , in quanto il suo og­
getto è il kosmos noet6s, il <(mondo intelligibile)) , il
«mondo delle ldee11, del tutto sottratto al divenire sen­
sibile ed alla morte (il non essere). Anzi, la dialettica
(la filosofia) è la scienza più alta e piena, poiché il suo
oggetto ha non solo la pienezza antica, bensì anche
quella assiologica , poiché il mondo delle Idee - dei
principi che danno un po' di essere anche alle cose
di questo mondo - è tutto gerarchicamente ordinato,
per Platone , in funzione dell 'Idea del Bene . Le
espressioni che così si hanno del momento del We lt­
bild e di quello della Wel ta nscha u u ng non sono sol­
tanto, come sempre, connesse , ma vengono addirit­
tura identificate . Anche l 'istanza del senso e del va­
lore appare come una questione ((scientifica)):
addirittura la più alta e fondamentale di tali questioni.
La filosofia è il fondamento di ogni conoscenza rigo­
rosa ed il culmine di essa, rispetto alla quale le scien­
ze particolari già costituitesi ai tempi di Platone (arit­
metica, geometria piana e solida, astronomia ed
armonia o ((musica,,) sono soltanto momenti prope­
deutici e subordinati .
Per Platone , è ovvio, non si parla ancora di «me­
tafisica,, : ma ciò che questo termine verrà a significa­
re attraverso l' ordinamento degli scritti aristotelici
17
concerne proprio le questioni che , in ultima analisi ,
erano state affrontate anche dalla «dialettica» platoni­
ca , nonostante le differenze circa la «visione del mon­
do)) che lo stesso Aristotele tenne ad accentuare nei
confronti del maestro. Sono le differenze icastica­
mente rappresentate da Raffaello nella Scuola d'A te·
ne, ove il personaggio raffigurante Platone indica
con la mano il cielo , mentre quello raffigurante Ari­
stotele indica la terra. Tali differenze , tuttavia, riguar­
dano soprattutto la concezione che i due filosofi greci
ebbero della morale e della politica . Sotto l 'aspetto
teorico esse non incidono radicalmente sul fatto che
la «filosofia prima>> aristotelica è, come la «dialettica>>
platonica , la scienza più alta , poiché verte sul <<gene­
re più alto)), in quanto teologia; ed è fondante , in
quanto antologia , tutte le altre scienze , perché coglie
le determinazioni necessarie di tutto l 'essere .
È da questa caratteristica prospettiva, che con­
trassegna il pensiero classico greco , che sorge il pre­
supposto della «scientificità» della filosofia nella sua
accezione di «metafisica>> . E da tale presupposto de­
riva non solo l ' identificazione , bensì anche la gerar­
chizzazione dei due momenti sempre compresenti
nella maniera d' essere di Homo: l ' istanza del Wel t­
bild e quella della Weltanscha u u ng. L' attribuzione
della scientificità alle espressioni della Weltan­
scha u u ng, fa sì che alla filosofia in quanto metafisica
vengano subordinate , come a «scienza regina» , tutte
le scienze particolari in cui si viene via via articolando
concettualmente il Weltbi ld.
Poiché tale prospettiva influenza decisamente , sia
pure in una molteplicità di modi , l ' elaborazione delle
18
<<scienze» nell'età antica ed in quella medievale , ed al
tempo stesso l'elaborazione delle Wel tanscha u u ng­
en addirittura ben addentro all'età moderna,· si va co­
stituendo e radicando, nelle vicende della tradizione
culturale in Occidente , un rapporto di 11rivalità» tra
scienza e filosofia , di rivendicazione contrapposta di
priorità ed importanza. Il fascino dell 'ambiguità se­
mantica della parola 11metafisica» è intimamente lega­
to anche a questo presunto e pervasivo rapporto di
<<rivalità» .
Se nell'età antica e medievale la subordinazione
delle scienze particolari alla metafisica è un modo di
pensare generalmente accettato e che non dà luogo
a particolari scontri, le cose cambiano con l'età mo­
derna e con l'affermarsi di una nuova concezione del
valore della conoscenza scientifica. Né ci può illudere
il fatto che la persistenza dei modi tradizionali di pen­
sare e parlare conservi il termine <<filosofia>> in uno dei
testi più rivoluzionari della scienza moderna : i newto­
niani Ph ilosoph iae naturalis principia m a thema ti­
ca. Infatti, con l' awento della scienza moderna si ha
un effettivo ribaltamento della concezione classica
della conoscenza e dei suoi presupposti antologici: la
nuova scienza non commisura più il valore delle pro­
prie conoscenze alla pienezza ontica degli oggetti di
queste , bensì al rispetto dei criteri metodici con cui
vengono ottenute , ossia , per dirla con Galileo, delle
«sensate esperienze» e delle ��necessarie dimostrazio­
ni>>, l'appello ai «dati» dell 'esperienza e degli esperi­
menti ed alla loro interpretazione matematizzante .
In questa nuova prospettiva , non solo le scienze
particolari sono indotte a scuotere la loro tradizionale
19
subordinazione alla metafisica come <<scienza regina»;
ma, per i successi gnoseologici garantiti dai nuovi cri­
teri metodologici, sono addirittura spinte a rivendica­
re per se stesse la pretesa di costituire un sapere «di­
vino» o «quasi-divino,, . È significativo che Galileo ab­
bia affermato che la sua scienza sperimentale mate­
matizzante sia un sapere pari in tensive (ossia , come
qualità) a quello di Dio , sebbene si differenzi da que­
sto extensi ve, perché il sapere divino è tutto pun­
tualmente presente nella sapienza di Dio, mentre il
conoscere umano è progrediente e cumulativo . Si va
così via via affermando la convinzione che sia la nuo­
va scienza a meritare quel primato e quella assolutez­
za ch'erano stati un tempo rivendicati dalla «filo­
sofia/metafisica,, .
Del resto , già abbiamo visto che nemmeno con la
svolta radicale kantiana - che nega il carattere di
scienza alla metafisica «dogmatica» , ma rivendica tut­
tavia il carattere di scienza per l'analisi critico-tra­
scendentale delle strutture a priori del giudizio - si
rinuncia al presupposto della «scientificità,, della filo­
sofia. E ciò nonostante che Kant, con la sua critica,
mettesse in evidenza oltre all' accezione di «filosofia,,
come «metafisica,,, in ·quanto essenziale donazione di
senso al mondo, anche un 'altra tipica accezione di
questo termine : quello di «analisi,, delle strutture lin­
guistico-concettuali che innetVano le espressioni cul­
turali di Homo, espressioni tra cui la «scienza», con la
«morale» e l' «arte)), hanno una posizione di spicco .
Anche la filosofia come analisi consetVa tuttavia
in Kant la pretesa di costituirsi come scienza neces­
saria, che perviene a risultati definitivi ed assoluti (si
20
pensi alla esaustività attribuita da Kant alla celebre
«Tavola d elle categorien). Pure nella nuova veste,
quindi, la filosofia esercita in tal modo ancora una
specie di tutela su quelle che sono le scienze partico­
lari .
Ed è proprio tale pretesa che ha portato poi, nel
nostro secolo, alla condanna per insensatezza della
filosofia in nome della scienza positiva, coinvolgendo
nella condanna tanto la «metafisican (quale versione
pseudo-scientifica della Weltanschau ung), quanto la
((filosofia» come analisi concettuale, per le sue prete­
se di fondazione ultima e definitiva . Si assistette così,

con le inevitabili reazioni dei filosofi spinti a conte­


stare il valore della scienza, ad un nuovo atto del
dramma (o , forse , commedia) della rivalità tra scienza
e filosofia, destinate a convivere dalle loro radici esi­
stenziali e tuttavia in lite continua per l'incompatibi­
lità della pretesa di ((scientificità>> ed <<assolutezza»
avanzata da entrambe in seguito alla storia del loro
contingente costituirsi nella tradizione culturale del­
l' Occidente .
Oggi, alla soglia del nuovo millennio, ci paiono
quasi remote sia le proclamazioni neopositivistiche di
morte della filosofia e della metafisica , sia le contra­
stanti imputazioni di barbarie intellettuale lanciate
contro gli <<scientisti» dai filosofi che non si adattava­
no al ruolo di salme o di agonizzanti . Il fascino del­
l'ambiguità semantica delle parole <<filosofia>> e <<me­
tafisica>> torna a far sentire la sua attrazione . Ne è
testimonianza il ciclo di incontri organizzato nel
1994 dalla Biblioteca Comunale di Cattolica e di cui
questo volume pubblica gli atti . Ma come accogliere
21
la positività di tale fascino, senza cadere ancora una
volta nel monotono alternarsi di rivendicazioni di su­
periorità o da parte degli scienziati o da parte dei fi­
losofi , nella duplice veste di metafisici ed analisti?
Affinché ciò awenga, credo che occorra rispetta­
re alcune condizioni che si sono venute a realizzare
nel corso dell 'evoluzione della vita culturale dell'Oc­
cidente , nonostante la persistenza di alcuni presup­
posti tramandati dalla tradizione .
Una delle condizioni è il riconoscimento della plu­
ralità delle Weltansch auungen e delle loro espressio­
ni linguistiche , che costituiscono la filosofia come
metafisica . Le risposte all ' interrogativo sul senso del
mondo e le conseguenti donazioni di senso eh ' esse
contengono sono sempre segnate dall' ineliminabile
prospettiva indivuale e soggettiva, sebbene si possa­
no raccogliere tali risposte , tipizzandole , nei due
orientamenti generali (soprannaturalistico e naturali­
stico) , che già Platone aveva plasticamente raffigura­
to, nel Sofista , come una battaglia di giganti tra gli
«Amici delle Forme>> ed i «Figli della Terra)). Tale ri­
conoscimento , tuttavia , comporta la rinuncia alla di­
mostrabilità scientifica di una <<metafisica)), alla fonda­
zione di una di esse come l ' unica autentica e
garantita . Il bisogno della «metafisica)) è assoluto in
quanto connaturato al nostro modo di esistere; ma
non sono assolute le risposte . Ne è indicazione signi­
ficativa la pluralità di voci raccolte in questo volume .
Una seconda condizione è il riconoscimento che
il postulato della «scientificità)) di metafisica e filosofia
è nulla più che l'ipostatizzazione di una contigenza
storica . Come mostrano le vicende delle altre tradì-
22
zioni culturali , non c ' è alcuna necessità nel modo in
cui, in Occidente, si è avuta storicamente la genesi
concettuale della «scienza)) e della �<filosofia)) a partire
dall 'implesso di Weltbi ld e We ltanscha u u ng. L' ine­
liminabilità e l 'urgenza, per H omo, di tale implesso
esistenziale persiste anche quando la filosofia , intesa
sia come «visione del mondo>> (metafisica) sia come
«analisi concettuale'', non sia una «scienza''.
Oggi questa rinuncia pare assai meno ardua
quando si tenga conto che la scienza contemporanea
(quella all 'incirca dell' ultimo secolo e mezzo) si pre­
senta essa stessa senza quell'aureola di assolutezza
che tanto aveva affascinato nella scienza classica e in
quella moderna . La scienza contemporanea non ha
certo abbandonato l' appello dei «moderni)) ai dati del­
l' esperienza ed alla matematizzazione delle teorie ,
ma non ha più I'inconcussa fiducia dei moderni che
l'uso di tali strumenti garantisca al tentativo sempre
fallibile e rivedibile di H omo, per capire come le cose
stanno , lo statuto di un sapere divino o quasi-divino.
Ecco perché , oggi, anche da noi il secolare rap­
porto di rivalità tra «scienza,, e <<filosofia'> può trasfor­
marsi in un più fecondo rapporto di collaborazione ,
dato che anche i filosofi devono tener conto del Wel t­
bi Id suggerito dalla scienza, così come gli scienziati non
possono né ricercare né vivere senza accettare o ela­
borare una Weltanscha u u ng.
Carlo Bernardini
IL NON FISICO DELIA FISICA

I fisici hanno un pessimo rapporto con la metafi­


sica. Il loro atteggiamento al riguardo non è, in ge­
nere , fortemente motivato: forse non sanno cos 'è,
forse non lo vogliono sapere, forse pensano che sia
un'ambigua congerie di discorsi gratuiti, forse sono
scottati da antichi esempi di nefaste ingerenze . Ciò
non toglie che anche nel campo della fisica ci siano
proposizioni 'indimostrabili ' , princìpi; almeno, pro­
posizioni non dimostrabili con i procedimenti propri
della fisica stessa. Per molti anni, e ancora nei paesi
anglosassoni , la fisica è stata una 'filosofia naturale ' ,
quasi a sottolineare una certa incompletezza della fi­
sica separata dalle concezioni filosofiche che permet­
tono di ragionare 'su' di essa . Naturalmente , non
prendo nemmeno in considerazione l'accezione ri­
duttiva di <!teologia)) che , a volte , è assegnata impro­
priamente alla metafisica.
Intanto, come scienza la fisica è assai recente : pri­
ma di Galilei - e nonostante un certo sviluppo del
pensiero razionale - si trattava di una scienza assai
strana , probabilmente perché la classificazione dei
fenomeni è assai più complessa della classificazione
degli oggetti . Non è un caso che l'astronomia fosse
25
un banco di prova delle idee , con la semplicità sia dei
suoi oggetti (gli astri) sia dei suoi fenomeni (moti degli
astri) . Tuttavia , già una congettura importante come
quella dell 'esistenza di leggi naturali utilizzabili per la
comprensione dell' universo intero era awersata co­
me eresia: penso al caso dei cosiddetti cosmologisti
del XII secolo (Adelardo di Bath , Guglielmo di Con­
ches, Thierry di Chartres e poi Giovanni di Salisbu­
ry). La congettura era in conflitto con la visione an­
tropocentrica dominante , secondo la quale l'uomo ,
scopo del Creato , non poteva che stare al centro di
una struttura cosmica concentrica, via via più perfet­
ta man mano che ci si allontanava dal luogo in cui
era stato consumato il peccato originale. In ogni ca­
so , l'idea stessa di legge naturale, sino a Keplero in­
cluso, aveva un carattere meramente descrittivo : ri­
guardava, per esempio , la forma delle orbite , assai
più che la meccanica soggiacente . Keplero aveva in­
taccato i presupposti degli enunciati descrittivi, ma
non il carattere descrittivo delle formulazioni (le sue
tre celebri leggi sono - diremmo oggi - descrizioni
fenomenologiche); al contrario, che le orbite del Sole
e dei pianeti dovessero essere circolari appariva ov­
vio in un sistema basato sull ' idea di 'perfezione' , e
per Aristotele il cerchio era perfetto, ancor più della
retta , dunque adatto ai moti astrali .
Che le «spiegazioni'' correnti, come quella fondata
sulla perfezione delle figure , fossero meri espedienti
retorici , lo capivano bene in molti, con un po' di
buon senso . Molière faceva il verso ai medici: «Mihi a
docto doctore domandatur causam et rationem quare
opium facit dormire . Quia est in eo virtus dormitiva
26
cuius est natura sensus assopire». Vi rtus, q u iddi tas ,
essenza , umore: tutte parole che si sperava si sareb­
bero prima o poi materializzate come archetipi degli
insiemi classificatori: l'asin i tas degli asini, la v u lpei­
tas delle volpi ; ma, anche , le essenze dei morbi o del­
le qualità umane : la ricerca era così indirizzata . Fino
a tempi recenti, la fisica è stata piena di fluidi ipote­
tici, magari imponderabili o indistruttibili (sul modello
dell'anima) , come il calorico o l'elettricità.
Si insegna ancora oggi, ai bambini, che non si
possono sommare le mele con le pere , finché non
arriva un bambino superdotato che dice che tre mele
più quattro pere fa sette frutti , allargando gli insiemi
originali delle mele e delle pere , caratterizzati dall 'es­
sere mela o dall 'essere pera , all'insieme di ciò che è
frutto . Curiosamente, il gioco delle essenze prende
però un 'altra piega nella fisica di oggi . La caratteriz­
zazione dimensionale delle grandezze che i fisici mi­
surano e mettono in relazione tra loro è il cuore del
linguaggio della fisica . Sommare o confrontare lun­
ghezze e pesi è un non senso, in mancanza della me­
diazione di una relazione che esplitici il carattere di
modello - della relazione stessa - di una classe di si­
stemi reali , in cui variabili del tipo delle lunghezze e
del tipo dei pesi siano messe in rapporto da una pro­
cedura sperimentale: insomma, il fatto che l' allunga­
mento di una molla sia dovuto al peso che essa sop­
porta non vuoi dire che l' allungamento sia il peso,
meno che mai che lo sia per ogni molla; vuoi dire
soltanto che si possono misurare pesi mediante l'al­
lungamento di molle ma che , per fare questo ripro­
ducibilmente , è necessario introdurre procedure con-
27
venzionali opportune ; ma il procedimento , benché
costringa a stabilire convenzioni (come, per esempio ,
per le unità di misura) è tuttavia unico, privo di am­
biguità, come se ((esistesse in sé>l.
All 'inizio del secolo , Einstein scoprì la cosiddetta
<<equivalenza massa-energia)), una delle scoperte più
sconvolgenti e sfruttate (a proposito e a sproposito) di
tutta la storia della fisica. Scoprì che massa ed energia
sono grandezze della stessa natura, dimensionalmen­
te omogenee (fatto salvo un fattore universale di con­
versione delle unità di misura tradizionali) . Anche Jou­
le aveva scoperto qualcosa di simile , nel secolo scorso ,
per grandezze come lavoro e calore ; ma erano gran­
dezze di cui ci si attendeva di venire a capo in questo
senso , sebbene vagamente. La scoperta di Einstein fu
invece fonte di stupore , era inattesa; per giunta , an­
dava contro un principio incauto, quello di conserva­
zione della massa in quanto tale , della sostanza di tutti
i corpi. L' insieme delle grandezze con le dimensioni
di un'energia non si era affatto allargato , aveva sem­
plicemente incluso le masse.
Aristotele non deve essere vilipeso per i suoi ec­
cessi di impiego di considerazioni non fisiche nella
fisica. Jean Piaget e Rolando Garda hanno spiegato
molto bene quale fosse la vera intenzione di Aristo­
tele: era quella di trovare argomenti dimostrativi for­
malizzabili , purtroppo (per lui) nell 'ambito dei proce­
dimenti sillogistici. L'idea era quella di costruire una
teoria degli oggetti e dei fenomeni facendo a meno
delle osservazioni - il che può ben dirsi metafisica -
come se il solo pensiero umano contenesse già in sé
le premesse dei fatti naturali . Aristotele stava però
28
solo cercando di far vedere che questo era possibile
in linea di principio, con una opportuna struttura dei
discorsi. La struttura doveva essere quella del proce­
dimento logico-deduttivo che, dopotutto , sembrava
funzionare per la geometria, come Euclide aveva mo­
strato (ma oggi sappiamo che la geometria di Euclide
è solo una delle possibili geometrie, non necessaria­
mente quella dello spazio reale: sta agli esperimenti
decidere se lo spazio reale è euclideo oppure no) .
Piaget e Garcia discutono uno dei casi su cui Aristo­
tele si era esercitato : la dimostrazione dell'esistenza
del ((quinto elemento)), la quintessenza. Usando sette
postulati che oggi apparirebbero incredibili per la lo­
ro natura estranea a ogni caratterizzazione del mon­
do reale . Aristotele deduce che, se i postulati sono
veri, allora oltre agli elementi della tradizione {terra,
aria, acqua e fuoco) deve esisterne uno di carattere
più sublime , che ha a che fare con la composizione
dei cieli . Le ((perfezioni» abbondano nei suoi argo­
menti ; ma non dobbiamo dimenticare che , se Aristo­
tele si dava tanto da fare per salvare nobili quanto
gratuite convinzioni della sua epoca (come quella del­
la inaccettabilità del vuoto - rimpiazzato da una per­
vasiva quintessenza), anche in tempi assai più recenti
c'è stato chi ha rifiutato nuovamente il vuoto riem­
piendolo di un etere cosmico che serviva soltanto a
salvare una tenace descrizione meccanica. Di nuovo ,
è solo con Einstein che l ' etere scompare (a fatica , co­
me ha scritto McCormmach) e il vuoto riprende il
suo ruolo fondamentale, per difficile che sia immagi­
narselo con puri pensieri .
Con Galilei, e poi con Newton , la svolta è netta e
29
decisa. Si abbandona tutto il bagaglio delle perfezioni
e si guarda ciò che veramente accade e come si co­
struiscono buoni modelli formalizzati sfruttando le
matematiche disponibili o, addirittura , inventandone
di opportune . È Galilei che appare veramente libero
dai pregiudizi; perché Newton sente indubbiamente il
fascino della geometria euclidea in quanto teoria de­
duttiva . Galilei, se vogliamo , è un campione del pen­
siero induttivo, quanto di più lontano ci sia dal pen­
siero deduttivo che Newton ancora ccpreferisce» ,
organizzando la sua meccanica , appunto , per prin­
cipi . La natura fenomenologica della costruzione
newtoniana oggi sembra abbastanza chiara . Partia­
mo dalla tradizione meramente descrittiva che soddi­
sfaceva gli antichi : per descrivere un moto, bisogna
considerare che cosa accade in un certo intervallo di
tempo. In quell' intervallo , il corpo che si muove (ri­
dotto idealmente a un punto) cambia di posizione . Di
quanto la cambia? Ce lo dirà un parametro , che è la
velocità media in quell 'intervallo di tempo. Ma anche
la velocità può cambiare tra l ' istante iniziale e quello
finale . Di quanto? Ce lo dirà un altro parametro, l'ac­
celerazione . Ma anche l' accelerazione può cambiare.
Di quanto? Un nome non c'è, per il parametro che
misura la variazione dell ' accelerazione ; né ci sono
nomi per caratterizzare l' infinita catena di variazioni
successive. Il fatto è che Newton ha interrotto questa
catena infinita , postulando che l'accelerazione fosse
cc calcolabile» in funzione di sole posizioni e velocità ; e
così tutte le variazioni dei parametri successivi all'ac­
celerazione. Il postulato di Newton , noto come ((se­
condo principio della dinamica)) , arresta dunque la
30
catena infinita delle informazioni necessarie a una
formulazione meramente descrittiva dei moti ; realiz­
za, quindi, quella che si chiama una «compressione
algoritmica» ; è uno dei primissimi risultati che vanno
al di là della stessa fenomenologia. Si propone come
un «assoluto», una legge «vera•• e non semplicemente

molto plausibile per un certa classe di fenomeni . Im­


plica nozioni assolute di spazio e di tempo. Fa di­
menticare che la sua vera origine - dopo che Galilei
aveva mostrato (nel Dia logo sop ra i Mass imi Siste­
m i de l Mondo} l'impossibilità di percepire una velo­
cità uniforme e quindi l ' inesistenza di un riferimento
assoluto - sta nel fatto che è molto plausibile che
l'accelerazione , in quanto percepibile dall'osservato­
re senza ricorso a riferimenti esterni , abbia una «cau­

sa•• oggettiva (la forza che agisce sul corpo accelera­


to), che «esiste in sé» .
Questo cambiamento di impostazione della ricer­
ca fu così radicale da indurre Bertrand Russe) a scri­
vere:

È solo con Bacone e con Galilei che il metodo indut­


tivo fu debitamente riconosciuto: con Bacone come pro­
gramma che era largamente difettoso, ma con Galilei co­
me qualcosa che realmente condusse a brillanti risultati,
cioè alla fondazione della moderna fisica matematica.
Sfortunatamente, quando i pedanti si impadronirono del­
l'induzione, si diedero da fare per renderla addomesticata
e scolastica come lo era stata la deduzione. Cercarono di
fare sì che essa conducesse sempre a risultati veri , e così
facendo la spogliarono del suo carattere awenturoso. Hu­
me si oppose loro con argomenti scettici, provando con­
clusivamente che, se vale la pena di fare un ' induzione, c'è

31
sempre la possibilità che sia sbagliata . Subito dopo Kant
inondò il mondo filosofico di confusione e di mistero [ . . . 1
Kant ha la reputazione di essere il più grande filosofo mo­
derno, ma a mio giudizio egli fu una semplice calamità .

A ben guardare, il vizio deduttivo non risparmia


nemmeno Newton , il quale dà al suo trattato (i Pri n­
cipia) forma di un grande sistema assiomatico, sul
modello di Euclide . Il prezzo che egli paga sono al­
cuni «assoluti>> di troppo, che impiegheranno un paio
di secoli a cadere . La tendenza a ricorrere a elementi
che vanno al di là delle considerazioni di tipo metrico
che presiedono alle misure delle grandezze fisiche, e
a costruire teorie che incorporano questi elementi
come fondanti , non abbandona mai lo sviluppo della
fisica. Dopo il recupero della qu idditas , con la no­
zione di dimensione, anche la perfezione sembra og­
gi recuperata nell 'uso delle simmetrie: si direbbe che
la fisica, dalla quale parte il massimo dileggio verso i
presupposti gratuiti del pensiero antico, si preoccupi
poi di fatto di completare ciò che la filosofia non ave­
va saputo dire ; e si direbbe che lo fa con successo.
Né saprebbe farne a meno : sia il livello microscopico
che quello cosmico , inaccessibili all 'esperienza indivi­
duale diretta e, perciò , al linguaggio che quell' espe­
rienza ha generato , sono comprensibili soltanto at­
traverso la prova del confronto tra congetture e
risultati , assai lontana dalla sperimentazione sistema­
tica .

Non è facile parlare del pensiero induttivo. Per­


ché è incompatibile con la nozione elementare di ve-
32
rità, che piace moltissimo alla gente, per motivi psi­
cologici : è rassicurante. Non è un caso che la verità
sia l'oggetto principale delle professioni di fede. Ma
affermazioni come: «Tutti i corvi sono neri)) non sono
mai vere , per il mero sospetto che qualcuno possa
trovare un giorno un essere che ha la qu iddi tas del
corvo ma è bianco o rosso . Sappiamo bene che è
assai poco plausibile , ma non dobbiamo gridare al
miracolo alla vista di un corvo giallo . Hempel si chie­
se se una affermazione come quella sul colore dei
corvi è «dimostrabile)), in qualche senso accettabile .
Concluse che non è dimostrabile , ma lo fece soprat­
tutto per mettere in guardia contro procedure dimo­
strative basate sulla doppia negazione: «La tal cosa è
non-nera, dunque è un non-corvo)); persino : «Tutto
ciò che è non-nero è non-corvo)) ; altrettanto indimo­
strabile di quanto non lo sia l' afferm�zione originaria.
L'uso sistematico del pensiero induttivo non ga­
rantisce , dunque, alcuna forma di verità (la parola ,
quasi, non ha senso al di là di quello banale , della
tautologia). Tuttavia, una concezione del mondo ba­
sata su presunte verità crolla miseramente se una so­
la di quelle verità si dimostra fallace; con essa , infatti ,
cadono tutte le deduzioni che ad essa si rifanno. In­
vece, il pensiero induttivo garantisce, se bene impie­
gato , notevole stabilità ai risultati che consegue. In
più, quei risultati appaiono spesso generalizzabili:
dalla caduta dei sassi alla non-caduta della Luna, dalla
non-caduta della Luna al moto dei pianeti, dal moto
dei pianeti a quello delle stelle , e poi delle galassie .. .
La meccanica newtoniana non è mai morta , finché la
si usa per quella classe di fenomeni da cui è nata.
33
Progettare un viaggio spaziale con la meccanica di
Newton ha ancora perfettamente senso: sarebbe
tempo perso applicare la meccanica quantistica alle
sonde interplanetarie , e persino la meccanica relati­
vistica (entro certi limiti di precisione) . La meccanica
quantistica relativistica non ha mostrato che la mec­
canica newtoniana è <cfalsa)), ma solo che essa è via
via più inadeguata man mano che si passa dalle di­
mensioni e velocità della fenomenologia quotidiana a
quelle del mondo microscopico o a quelle cosmi c he.
L' organizzazione dei fatti in una teoria , con un
occhio costantemente rivolto ai suoi limiti di validità ,
secondo il più scrupoloso pensiero induttivo , produ­
ce effetti che, a prima vista , possono anche essere
inaspettati . Una rilettura dei comportamenti dei siste­
mi newtoniani dal punto di vista della loro «sensibilità
alle condizioni iniziali)) ha portato di recente a una
riconsiderazione dei limiti della predicibilità delle teo­
rie rette da equazioni deterministiche: per classificare
gli esiti impredicibili di quelle teorie dovuti ali ' ampli­
ficazione intrinseca di minute differenze degli stati
iniziali è stata coniata la felice espressione «caos de­
terministico)) , che sottolinea il carattere non realistico
di un determinismo perfetto . Questi sviluppi sono, a
mio parere , più tecnici che concettuali (ma s'è chi
non è d'accordo su questo punto) .
Un altro esempio di improwiso balzo in avanti
viene, più significativamente , da un caso - più antico
- di vero crollo di una concezione basata su presup­
posti non fisici (come dire, gratuiti , fantasiosi) . Fino
al 1775 circa , la chimica aveva fondamenti assai po­
veri ; gli alchimisti accumulavano dati senza una buo-
34
na organizzazione teorica delle attività di laboratorio .
Abbondavano le sostanze ; ma gli elementi , come tali ,
erano generalmente sconosciuti , salvo l'idea che le
sostanze fossero riconducibili a opportune misture di
aria , acqua, terra e fuoco . Il celebre Lavoisier - a cui
i rivoluzionari francesi tagliarono la testa, come tutti i
rivoluzionari sperano di fare con gli esattori delle tas­
se per conto del governo - un bel giorno scoprì che
l'acqua non era affatto un elemento; era scomponi­
bile in idrogeno e ossigeno, questi sì non più ulterior­
mente scomponibili . Gli elementi della tradizione ari­
stotelica-scolastica caddero all 'istante . Iniziò una feb­
brile ricerca degli elementi «veri,>: alla fine della Ri­
voluzione francese se ne erano già trovati 2 1 . Nel
1 850, erano ben 6 1 . Tanti ne trovò , nella letteratu­
ra, il professar Mendeleev: ben catalogati , per pro­
prietà chimiche e fisiche (reattività , pesi atomici , ec­
cetera). Le regolarità delle proprietà chimiche in
funzione del peso atomico incominciarono ad appa­
rire, al punto che Mendeleev poteva costruire una ta­
bella con buchi corrispondenti a «verin elementi an­
cora ignoti , un aiuto formidabile per indirizzare la
ricerca : difficile pensare che una tale costruzione po­
tesse un giorno dimostrarsi non più <<Vera)) come lo
era stata quella degli antichi filosofi. Ma trattò con
prudenza la parola <<vera'' , perché anche in queste
congetture , ipotesi di lavoro, ci sono cose da provare
con fatti . Provare con fatti : questa è la -differenza tra
pensiero induttivo e pensiero deduttivo . Certo, una
ipotesi atomica aiuta molto a capire tutta la chimica,
ma nessun fatto la sosterrà fino all' inizio del Nove­
cento. Lo scrupolo dei grandi scienziati diventa quel-
35
lo di non esagerare con la «verità» delle congetture :
Fourier, Mach e Ostwald rifiutano conservativamente
la realtà degli atomi. Forse sono trascinati un po'
troppo dal timore di riprodurre pregiudizi passati.
L'intreccio di pensiero si fa complicato . I fatti spin­
gono verso un modello , quel modello lascia intrawe­
dere leggi naturali plausibili . . . Le leggi sono un obiet­
tivo, siamo convinti che ci siano, altrimenti non
sapremmo nemmeno che cosa è la scienza. Ma la
convinzione che esistano leggi naturali non è, per ca­
so , metafisica?
Il fatto che le leggi naturali si trovino, mi induce a
dire che esistono. Che poi rapprese·n tino un qualche
tipo di «verità» è un altro paio di maniche. Molti
scienziati , particolarmente i fisici , pensano che non
abbia senso occuparsi del ((principio di esistenza delle
leggi)> e della ((verità>> delle leggi trovate . Forse , hanno
ragione . Questa mescolanza di «verità» e <<assoluti»
con le teorie dei fatti appare infatti come un ' eredità
di modi di pensare antichissimi ma ancora vivi e vi­
rulenti . Il biologo François Jacob dice che , ancora
oggi , convivono due sistemi interpretativi del mondo:
quello mitologico e quello scientifico . Il pensiero mi­
tologico, a modo suo , ha una spiegazione per tutto,
infallibile se si crede a certe premesse ; le premesse
devono essere, naturalmente , quanto più indimostra­
bili è possibile, come le famose perfezioni dei sillogi­
smi aristotelici. L'effetto delle spiegazioni mitologi­
che è un po' ridicolo, per lo meno imbarazzante , in
quanto richiede professioni di fede : somiglia un po' a
quel modo che usano gli anziani più candidi (forse del
tutto estinti) quando dicono ai bambini che ((piove
36
perché Gesù piange'' · Naturalmente, il pensiero mi­
tologico ancora in uso presso gli adulti è più sottile,
più misterioso : serve ad ancorare saldamente la «ve­
rità)) a un atto di fede inquietante e misterioso . Indub­
biamente: così concepito è intrinsecamente infallibi­
le; e così si giustifica da sé: la metafisica ha, tra i suoi
scopi più o meno espliciti , quello di rassicurare sul­
l ' esistenza d eli ' essere.
Il pensiero scientifico, al contrario, non si pone il
problema di dare spiegazioni «vere'' , ma solo plausi­
bili, dunque perennemente provvisorie . Una doman­
da che si faceva Newton, per esempio, era quella sul­
l' eventuale analogia tra la caduta dei gravi vicino alla
superficie della Terra e il moto della Luna. Un bril­
lante e celebre schizzo , molto schematico (vedi figura
alla pagina seguente) , lo convinse del fatto che si trat­
tasse della stessa classe di moti . Lo schizzo , mi pare ,
si spiega da sé : la Luna segue una traiettoria che non
arriva mai al suolo, perché ha una sufficiente velocità
parallela alla superficie terrestre per mantenersi in
orbita . Da qui a trovare una legge di forza, la legge di
gravitazione, che producesse un buon modello pre­
dittivo , il passo è relativamente breve . Ma perché
quella legge dovrebbe valere per i soli sassi e la sola
Luna? E non per i pianeti, i satelliti di Giove , le stelle,
le galassie? Si produce così una esplosione di risulta­
ti , la generalizzazione a partire dal particolare , come
per la scoperta di Lavoisier di cui ho già parlato; la
plausibilità della legge è verificabile , semplicemente
verificandola su nuovi sistemi. Si può arrivare a dire,
come accade oggi, che lì dove la legge sembra fallire
può essere che sia una massa «oscura)) a produrre le
37
irregolarità , fornendo una guida alla ricerca: cercate
altri segni della presenza di una massa oscura (la sco­
perta di Nettuno e Plutone, nel sistema solare , è sta­
ta fatta «credendo» nella legge: dobbiamo chiamare
anche questo un atto di fede?) . Quelle che nascono,
attraverso l ' induzione e il gioco delle congetture e ve­
rifiche, sono forme di ricerca gvidate da convinzioni
forti perché basate su insiemi sia pure incompleti di
fatti . Il caso della scoperta del mesone zc fatta da
38
Carlo Rubbia è un buon esempio di questo procedi­
mento . C'è veramente bisogno di sprecare una pa­
rolona come «verità'' per aumentare il credito di que­
sto modo di usare i fatti e di generalizzare? A me
sembra di no. Ma se accantoniamo, come impropria,
la parola verità , è un po ' come se accantonassimo la
metafisica , almeno entro l'orizzonte della filosofia
della natura . Che se, poi , quell 'orizzonte c ' è dawero
oppure no, è una questione metafisica , direi, di fron­
tiera . Su cui non sono in grado di dire alcunché.

Ho evitato con cura di imbarcarmi nella discussio­


ne di possibilità esoteriche , come certe conseguenze
della non-località della meccanica quantistica o il co­
siddetto principio antropico , perché colpiscono mol­
to l'immaginazione a causa delle loro indebite impli­
cazioni ma non si prestano a una discussione
divulgativa . Per darne una illustrazione opportuna­
mente dimensionata accorrerebbero conoscenze più
tecniche , che qui sono fuori luogo : i libri di John Bar­
row possono essere molto utili a chi volesse appro­
fondire quel tipo di idee .

Bibliografia

Barrow John D . : Il mondo den t ro i l mondo , Adelphi, Mi­


lano 1 99 1 ; Teo rie del t u tto, Adelphi, Milano 1 9 9 2 ; La
luna nel pozzo cosm ico , Adelphi, Milano 1 9 94.
Bernardini Carlo , Che cos 'è u n a legge fis ica , Ed . Riuniti ,
Roma 1 98 1 .
Galilei Galileo, Dialogo sop ra i mass i m i sis tem i del m o n ­
do , Giornata seconda .

39
McCormmach Russell, Pen s ieri n o t t u rn i di u n fisico clas-
sico , Ed . Riuniti, Roma 1 99 0 .
Molière Jean-Baptiste (Poquelin) , Il mala to i m m aginario .
Newton lsaac , Pri ncipia .
Piaget Jean e Garda Rolando, Ps icogenesi e sto ria delle
scienze, trad . it. , Garzanti , Milano 1 97 9 .
Russell Bertrand, Sin tesi fi losofica , La Nuova Italia , Fi­
renze 1 9 6 6 .
Enrico Berti
UNA METAFISICA
PROBLEMATICA E DIALETTICA

l . Il pregiudizio antimetafisico

Nello scusarmi per il fatto di ri p roporre un titolo


da me già adoperato 1 , mi permetto di insistere sulla
sua appropriatezza a ciò che intendo dire , cioè ad
una presa di posizione in favore non della metafisica
in generale , ma di una particolare metafisica , quella
definita ap p unto dai due aggettivi ((problematica e
dialettica)) . Ritengo infatti che una delle cause princi­
pali del pregiudizio antimetafisico, oggi ancora diffu­
so , sia la tendenza a ridurre la metafisica, ogni me­
tafisica , ad una certa forma di essa, la quale proba­
bilmente merita molte delle critiche che storicamente
le sono state rivolte .
Il fatto che la metafisica ve_nga scelta come tema
di uno di questi corsi di conferenze, ormai conosciuti
non solo in Italia, dal titolo generale «Che cosa fanno
oggi i filosofi?» , potrebbe far pensare che il pregiudi­
zio antimetafisico esistente nella cultura moderna da
un paio di secoli sia stato finalmente superato. Temo

1 C fr . E. Berti , Per una metafisica problematico e dialettica,


"Acta philosophica», I, 1 992, pp. 1 7 6-90.

41
che non sia così . Apparentemente , infatti, la metafi­
sica viene scelta come tema allo stesso modo in cui ,
in altri anni , sono state scelte l'etica , la politica, la
retorica, vale a dire le tradizionali discipline filosofi­
che . Ma in realtà , mentre per le altre discipline ci si
attende semplicemente che ciascuno dei relatori
esponga il suo pensiero su problemi particolari inter­
ni ad esse , nel caso della metafisica ciò che fa pro­
blema è la stessa disciplina , la sua esistenza , il suo
diritto ad essere presa in considerazione, oggi , come
disciplina filosofica. Oppure essa viene trattata come
un oggetto di curiosità , o di ricerca storica , allo stes­
so modo in cui potrebbero esserlo l'astrologia, l'al­
chimia o la magia.
Oggi , quando qualcuno si dichiara per la metafi­
sica, viene contestato prima ancora che si chiarisca
qual è la sua concezione della metafisica , cioè per
quale metafisica egli si schiera, come sarebbe giusto
fare nei confronti di chi si schierasse. per l'astrologia
o per la magia. Questo accade almeno in Occidente,
mentre pare che in Oriente le cose stiano diversa­
mente, cioè che la metafisica goda di maggior credi­
to. Qui bisognerebbe forse precisare a quale Oriente
ci si riferisce, se a quello antico o a quello odierno, la
cui somiglianza a quello antico è molto discutibile.
Ma tutti sappiamo che, nella storia del mondo , cioè
della cultura e della civiltà , quello che conta di più è
l ' Occidente, perché questo impone i suoi modelli an­
che all 'Oriente , come accade ad esempio nel campo
della scienza e della tecnologia.
Io credo che il pregiudizio antimetafisico sia stato
alimentato, negli ultimi decenni , soprattutto da tre
42
correnti filosofiche, che hanno dato vita , almeno in
Italia , a delle vere e proprie mode . Innanzitutto esso
è stato alimentato dal neopositivismo, che ha domi­
nato la cultura italiana negli anni Sessanta, a causa
del ritardo culturale rispetto ad altri paesi in cui l 'Italia
era caduta per colpa della guerra e dell 'isolamento
prodotto dal regime fascista. Solo negli anni Cin­
quanta e Sessanta si è scoperta , in Italia , l'imp ortan­
za della filosofia analitica , ma questa è stata per lo
più ridotta alla sua versione neopositivistica , cioè alla
più primitiva, quella che concepiva la filosofia come
analisi del linguaggio esclusivamente scientifico , l 'uni­
co ritenuto da essa sensato. Perciò ha avuto grande
successo il famoso articolo del neopositivista Rudolf
Carnap, Uberwindung der Me taphysik du rch die
logische Analyse der Sprache, uscito in «Erkennt­
nis>> ancora nel 1 93 2 , in cui i metafisici venivano bol­
lati come musicisti senza talento , cioè come gente
che, quando parla, emette suoni del tutto privi di sen­
so e privi anche della bellezza che hanno i suoni ve­
ramente musicali2.
Negli anni Settanta , poi , c'è stata la moda del
marxismo , il quale imperava sull 'intera cultura italia­
na (quante tesi di laurea in filosofia su Marx giovane ,
Marx vecchio, Marx ed Engels, Marx e Lenin , Marx
e Gramsci ! ) . Nell ' ambito del marxismo si era imposta
una certa concezione della metafisica , la quale non
risaliva nemmeno a Marx, ma era propriamente di

2 R. Carnap, Superamento della metafisica attra verso l 'anali­


si logica del linguaggio, trad . it. in A. Pasquinelli (a cura di), Il
neoe mpirismo, Utet, Torino 1 969, pp. 504-3 2 .

43
Engels , il riduttore e volgarizzatore del pensiero di
Marx . Engels , nel suo Anti-Dil h ring, aveva diviso
tutti i filosofi in due grandi categorie: i «dialettici>>, i
quali comprendono la dinamicità del reale, cioè ca­
piscono che tutto cambia , si trasforma, e i «metafisi­
ci>> , i quali sono invece per una visione statica, rigida,
della realtà , in cui ci sono solo essenze eterne e im­
mutabilP . Questo giudizio stroncatorio della metafisi­
ca , in base al quale i metafisici vengono ad essere
quasi degli imbecilli che non si accorgono dell 'esi­
stenza del mutamento , è stato accolto come dogma
ed usato innumerevoli volte .
Se però si fosse andati a vedere quali filosofi En­
gels collocava nell 'una e nell 'altra categoria, si sareb­
be scoperto con qualche sorpresa che egli metteva
Aristotele - il quale deve essere considerato uno dei
grandi padri della metafisica , se non altro per avere
dato col titolo di una sua opera il nome a questa di­
sciplina - non tra i «metafisici)) , ma tra i «dialettici)) .
Ciò significa da un lato che Engels conosceva abba­
stanza bene Aristotele , e dall 'altro che la concezione
della metafisica da lui proposta, e fatta propria dai
seguaci del marxismo , era talmente angusta da non
essere nemmeno in grado di contenere uno dei suoi
fondatori .
Negli anni Ottanta, infine, c'è stato il cosiddetto
riflusso , che ha riportato di moda Heidegger. Dico
«riportato>> perché , avendo ormai una certa età, ri­
cordo benissimo che Heidegger era già stato di moda

3 F. Engels , An ti-Diih ring, in K. Marx-F. Engels, Opere, XXV,


Editori Riuniti , Roma 1 974, pp. 1 9-27.

44
negli anni Cinquanta, al tempo dell'esistenzialismo, e
poi era stato messo da parte a causa dell 'egemonia
del neopositivismo e del marxismo. Quando questi
passarono, Heidegger tornò, grazie anche alla sua
morte , awenuta nel 1 976, ed alla preveggenza da lui
avuta nel disporre la pubblicazione dei suoi corsi uni­
versitari con studiata lentezza , in modo che durasse
alcuni decenni. Ci siamo così ridotti , da vent 'anni a
questa parte, ad attendere continuamente la pubbli­
cazione di un nuovo volume di Heidegger, come se
egli fosse ancora in vita e continuasse a scrivere .
Heidegger dichiarò semplicemente che l ' epoca
della metafisica è finita e siamo entrati in un'epoca
nuova , quella «post-metafisica)) , perché a questa ci ha
portato la stessa «storia dell'essere>> . Anch 'egli scris­
se, come Carnap ed anzi in polemica con questo ,
una Uberwindung der Metaphysik {1 954), dando
tuttavia alla parola Ube rwindu ng - grazie all 'ambi­
guità del tedesco u ber, che significa tanto «sopra>>
quanto ((attraverso>' - il significato non più di ((supe­
ramento)), che aveva in Carnap , ma di <<oltrepassa­
mento», implicante un «attraversamento>'4 . E poiché
per Heidegger il vero progresso consiste non nell' an­
dare avanti , bensì nel tornare indietro (der Sch ritt
zu ruck) , cioè nel «rimemorare'' (anden ken ) , dobbia­
mo riattraversare la metafisica all' indietro, ritornando
a prima della metafisica, per ritrovare l' «evento»
(Ereign is), cioè la manifestazione dell' essere , occul­
tata dalla metafisica. Sarà forse per questo motivo,

4 M . Heidegger, 0/trepassa mento della metafis ica, in Id . , Sag­


gi e d iscorsi , a cura di G . Vattimo, Mursia, Milano 1 980, pp. 45-65 .

45
cioè perché stiamo tornando indietro , che qui a Cat­
tolica facciamo un corso sulla metafisica: il prossimo ,
per seguire Heidegger , dovrà essere sul mito , o sulla
poesia .
Ma in realtà quelle che sembrano aver concluso la
loro epoca sono proprio le tre citate negazioni della
metafisica . Il neopositivismo, infatti , è stato soppian­
tato da un lato da P o p per, che ha sostituito al prin­
cipio di verificazione quello di falsificazione , e dali ' al­
tro dalla filosofia analitica di Oxford e di Cambridge ,
erede dell'ultimo Wittgenstein, la quale analizza il lin­
guaggio ordinario , cioè il linguaggio del!' etica , della
politica , della religione, della stessa metafisica , rico­
noscendo che esso può avere un senso. Non a caso ,
gli esponenti della filosofia analitica hanno ripreso a
scrivere libri di metafisica : per esempio P . F . Straw­
son ha scritto, sotto il titolo di Indi vidua fs ( 1 959) , un
«saggio di metafisica descrittiva)) , come recita il sot­
totitolo, e D . W. Hamlyn ha scritto una vera e propria
Metaphysics ( 1 98 1)5 .
Quanto al marxismo, anzitutto si deve rilevare
che oggi quasi nessuno parla più di Marx, il che è
grave , perché Marx resta un filosofo che ha detto co­
se importanti e col quale, in filosofia, bisogna per­
tanto fare i conti. Nella tradizione risalente al marxi­
smo , tuttavia , è rimasta viva una critica alla metafisi­
ca , sviluppata da uno degli esponenti più intelligenti
della Scuola di Francoforte , Jurgen Habermas, il qua-

5 P.F. Strawson , In diuid u i , trad . it. di E. Bencivenga, Feltrinelli­


Bocca, Milano 1 978; W.D. Hamlyn, Metaphysics , Cambridge Uni­
versity Press, Cambridge 1 984.

46
le ha scritto qualche anno fa Il pensiero post-m eta­
fisico (1 988) . Il titolo del libro è più heideggeriano
che marxista, ma Habermas critica la metafisica per­
ché riconduce tutte le cose all 'Uno , perché riduce
l'essere al pensiero ed infine perché privilegia la teo­
ria rispetto alla prassi. Si tratta , dunque , di critiche di
origine più marxistica che heideggeriana6.
Però Habermas subito aggiunge che la metafisica
di cui parla è quella iniziata da Platone , sviluppata
nell'antichità da Plotino e da Agostino, ripresa in età
moderna da Descartes , Schelling e Hegel , e culmi­
nante infine in Heidegger. Come si può vedere , que­
sto è un filone ben preciso e molto particolare di me­
tafisica , cioè è la metafisica, potremmo dire , di tipo
neoplatonizzante o idealistico, sulla quale tra poco ri­
torneremo . Dunque tutta la critica del marxismo alla
metafisica si è concretizzata, e molto onestamente
circoscritta, nella critica ad una particolare forma di
metafisica , non più alla metafisica in generale , mal­
grado il titolo del libro di Habermas .
Lo stesso heideggerismo, che ha dichiarato la fi­
ne della metafisica, si è trasformato nell 'ermeneutica .
Vattimo , che è sicuramente uno dei maggiori espo­
nenti di questo indirizzo, dice che l 'ermeneutica è di­
ventata oggi la koinè, cioè il linguaggio comune della
filosofia contemporanea, il che è vero , perché se fa­
cessimo un' inchiesta , più di metà dei filosofi contem­
poranei si dichiarerebbero sicuramente per l' erme­
neutica . Ma di che cosa parlano oggi i filosofi erme-

6 J. Habermas, II pensiero post-metafisico, trad. di M. Calloni ,


Laterza , Roma-Bari 1 99 1 .

47
neutici , cioè Vattimo in Italia , Gadamer in Germania ,
Rorty in America? Essi hanno preso alla lettera l ' in­
dicazione di Heidegger, secondo cui per uscire dalla
metafisica bisogna ripassare attraverso di essa, quindi
continuano a parlare di metafisica. Essi continuano
infatti ad evocare , se non l'essere, l 'evento (Erei­
gn is), la differenza antologica fra essere ed ente , cioè
tutto ciò che interessa la metafisica. Ecco perché ,
malgrado tutte queste critiche e malgrado il pregiu­
dizio antimetafisico di cui esse sono espressione , è
abbastanza normale che oggi qui si faccia un corso di
conferenze sulla metafisica, il che dimostra che essa
è ancora oggetto di attenzione . Questo però non
vuoi · dire che ci siano idee chiare sulla metafisica,
perché tutta una serie di equivoci continua a rimane­
re.

2 . Tipologia della metafisica

Per molti la metafisica è una specie di sguardo di­


vino sul mondo, cioè il punto di vista di Dio sul mon­
do, il mondo come potrebbe essere visto da Dio .
Questo può essere certamente una metafisica, ma
non è la metafisica tou t cou rt . Per altri la metafisica
si occupa del mondo nascosto, cioè di qualcosa che
sta dietro , che sta sotto , il che fa pensare ad una spe­
cie di sapere occulto , come era appunto la magia.
Infine qualcuno sembra pensare che la metafisica sia
un sapere equivoco , il quale usa parole con significati
diversi, senza chiarire quali siano le loro differenze .
Un pensatore come, ad esempio , Massimo Cac-
48
dari , parla sicuramente di metafisica , perché scrive
libri sull '«Inizio>>, come facevano i presocratici , che
scrivevano Pe rì physeos , intendendo per physis l'ar­
chè, tema squisitamente metafisica . Ebbene , tutti
quelli che parlano di metafisica lo fanno come se ci
fosse una sola metafisica, un solo modello, un solo
tipo di metafisica, senza preoccuparsi di distinguere
tra le varie metafisiche , che invece sono diversissime
tra loro , per cui la maggior parte delle critiche che si
fanno all 'una non valgono per l' altra. Bisognerebbe
invece vedere , caso per caso , le differenze, le parti­
colarità, i caratteri di ciascuna metafisica , cioè biso­
gnerebbe fare una tipologia delle metafisiche, indivi­
duare i tipi fondamentali di metafisica.
Poiché ho fatto altrove questo discorso7 , mi limi­
terò a pochissimi cenni. Intanto bisognerebbe fare
una distinzione fondamentale tra metafisiche dell ' im­
manenza e metafisiche della trascendenza, perché ,
se per metafisica intendiamo qualunque filosofia e­
sponga una concezione complessiva della realtà , cioè
una concezione della totalità, allora dobbiamo chia­
mare metafisica anche la filosofia di Spinoza, quella
di Hegel , e persino quella di Marx, di Engels o di Le­
nin , che sono tutte visioni totalizzanti della realtà , ma
non sono metafisiche nel senso proprio, tant'è vero
che questi ultimi pensatori rifiutavano la metafisica.
Altrettanto dicasi per le filosofie chiamate metafisica
perché pretendono di dire una parola definitiva sulla

.
Cfr. E. Berti , Introduzione alla metafisica, Utet-Libreria, To-
7
nno 1 993, ristampato col titolo Metafisica in Paolo Rossi (direttore),
La filo sofia, Utet, Torino 1 995, vol. li!.

49
realtà, cioè di dire una volta per tutte come stanno le
cose . Esse sono metafisiche solo in un senso molto
improprio .
Le vere metafisiche sono le metafisiche della tra­
scendenza, perché la parola «meta-fisica" indica una
concezione della realtà secondo la quale il principio
ultimo , il fondamento di tutto, è metà , cioè al di là ,
della fisica, vale a dire del mondo dell 'esperienza , os­
sia è trascendente . Ma anche a questo proposito ci
sono molti modi di intendere la trascendenza. Rinun­
cio ad esporne una classificazione completa, limitan­
domi a qualche cenno sui due modi fondamentali.
C'è un tipo di metafisica che parte dal principio tra­
scendente e pretende di dedurre tutto da esso, o di
spiegare tutto in base ad esso , per esempio parte da
Dio e pretende di mostrare come Dio ha creato il
mondo, perché lo ha creato in un certo modo , in
quale modo il mondo deriva da Dio.
In genere le metafisiche di questo tipo usano ar­
gomentazioni di carattere dimostrativo , cioè dedutti­
vo , e si configurano come veri e propri sistemi, cioè
insiemi rigorosamente concatenati di verità ed ab­
braccianti l 'intera realtà, per cui si potrebbe parlare
anche di «metafisica sistematica>> . Esse presentano la
realtà come una specie di grande piramide, al cui
vertice naturalmente c'è Dio (chiamato con vari no­
mi , l ' Uno , l ' Essere , il Bene , il Principio) e al di sotto
di Dio , da cui tutto discende , ci sono vari piani di
realtà , digradanti secondo una gerarchia di valore,
come in una specie di scala, finché si arriva al piano­
terra , dove c'è la materia , il mondo sensibile , l 'espe­
rienza. È questa una visione di tipo fondamentalmen-
50
te platonico , anzi neoplatonico. Si potrebbero fare
molti nomi di filosofi che, naturalmente in modi di­
versi , l'hanno rappresentata: Platino , Scoto Eriuge­
na, Nicola Cusano, Marsilio Ficino , e in età moderna
Schelling , specialmente l 'ultimo Schelling, e Gioberti.
Ad essa si riconduce però, a mio awiso, anche
una certa neoscolastica, quella che insiste sulla con­
cezione di Dio come Esse ipsum e del mondo come
((essere per partecipazione>> . A questo tipo di metafi­
sica si può ricondurre anche un filosofo come Dieter
Henrich, professore di filosofia a Monaco , che meri­
ta di essere ricordato perché è riuscito a convertire
alla metafisca persino un teologo protestante come
Pannenberg, il che è tutto dire 8 . In questa concezio­
ne la metafisica diventa un sapere che è quasi equi­
valente alla religione , cioè un sapere che riesce a da­
re un senso a tutte le cose e quindi ad assicurare una

specie di salvezza.
Senza mettere in discussione la buona fede dei
suoi sostenitori , ritengo che questa metafisica pre­
senti qualche affinità con lo gnosticismo . «Gnosi)) in
greco significa conoscenza e lo gnosticismo è nato
come movimento filosofico alternativo alla religione,
prima ebraica e poi cristiana , il quale pretendeva di
offrire come contenuti di un sapere razionale, cioè
filosofico, quelli che invece erano i contenuti della fe­
de, rispettivamente ebraica e cristiana. Si tratta di
una razionalizzazione , e quindi di una laicizzazione,
della teologia ebraica e cristiana . In questo senso lo

8 Cfr . W. Pannenberg, L 'idea di Dio e il rin novamento de lla


met afisica ( 1 988), trad. it. Bibliopolis, Napoli 1 99 1 , pp. 1 1 - 1 2 .

51
gnosticismo (non certo i pensatori sopra citati) è un
pericoloso awersario della fede religiosa , perché es­
sendo un sapere di salvezza, rende la fede del tutto
superflua .
Questo tipo di metafisica è il più importante dal
punto di vista storico, perché ha percorso l'intera
storia della filosofia occidentale (provenendo forse
dall ' Oriente), a cominciare da Platone (e forse da
Parmenide) , ed è arrivato , praticamente senza solu­
zione di continuità , sino ai giorni nostri. Non bisogna
però dimenticare che esiste un'altra concezione della
metafisica, meno continua e meno forte, che rove­
scia il processo, cioè non pretende di partire da Dio,
ma prende le mosse dall'unico punto di partenza in
cui tutti ci troviamo e ci possiamo collocare in tutta
modestia e semplicità, vale a dire dal mondo del­
l' esperienza , della vita quotidiana, del vissuto .
È questa la metafisica che io difendo , una meta­
fisica cioè dell'esperienza , che non pretende di de­
durre il mondo da Dio , ma guarda a come è fatto il
mondo , in particolare il mondo dell 'esperienza quo­
tidiana (quello che l'ultimo Husserl chiamava «il mon­
do della vita))) , per vedere se, per caso, esso non ab­
bia bisogno di Dio per essere spiegato, per essere
reso completamente intelligibile, o comunque per
avere un senso . La maggior parte delle critiche che
sono state rivolte alla metafisica , in genere , colpisco­
no il primo tipo, cioè sono appropriate al primo tipo
di metafisica, ma vengono arbitrariamente estese a
qualsiasi tipo, perciò chi ne fa le spese è il secondo,
che non ha nessuna colpa, perché è un discorso
completamente diverso. Vediamo allora in che con-
52
siste quest'ultimo discorso e chiariamo che cos'è, al­
meno nella mia proposta, una metafisica problema­
tica e dialettica.

3. Una metafisica problematica

Quando si parla di metafisica problematica biso­


gna dissipare , anzitutto , un possibile equivoco , cioè
quello di credere che si tratti di una metafisica pre­
caria, della cui possibilità non sono sicuri nemmeno i
suoi stessi sostenitori, oppure di una metafisica fon­
damentalmente scettica, incapace di risolvere i pro­
blemi , dubbiosa circa l' esistenza della verità, o infine
di una metafisica «debole» , che non si impegna nella
difesa di tesi ben definite. Nulla di tutto questo . La
metafisica problematica è semplicemente l'opposto
della metafisica sistematica, cioè è una metafisica che
concepisce la realtà di cui noi abbiamo esperienza
non come un grande sistema di verità rigorosamente
concatenate, o come contenente in sé la soluzione di
tutti i problemi , ma al contrario come un unico im­
menso problema. Per chiarire questo concetto devo
illustrare anzitutto qual è il tema della metafisica , anzi
della filosofia in generale .
Preferisco parlare di «tema)) , piuttosto che di «og­
getto)) della metafisica, perché il termine «oggetto)) in­
dica qualcosa che ci sta di fronte , da cui noi siamo
fuori, ed evoca immediatamente quello di «soggetto)) ,
che saremmo appunto noi, contrapposti al mondo, o
alla natura, o alla storia, intesa appunto come ogget­
to. In realtà noi non siamo fuori da nulla, non siamo
53
di fronte a nulla , ma facciamo parte di qualche cosa
che ci circonda e ci comprende , che si muove con
noi come l 'orizzonte fisico accompagna sempre chi
cammina . Questo insieme , che comprende noi e tut­
to il resto, cioè il soggetto e l'oggetto , è il «tema» del­
la filosofia, ossia ciò che viene tematizzato , fatto og­
getto di attenzione , preso in considerazione .
Ebbene, il tema della metafisica , del tipo di me­
tafisica che intendo proporre , è l'esperienza, un'e­
sperienza intesa in senso ampio, comprendente non
solo ciò che si vede e si tocca, vale a dire il mondo
sensibile, ma anche ciò che si pensa , si intuisce , si
argomenta , cioè quello che potremmo chiamare il
mondo intelligibile (Popper parla a questo proposito
del «mondo 3,,) . Essa inoltre comprende anche l 'atto
del vedere e del toccare , cioè la conoscenza sensibile,
così come quello del pensare e del ragionare, nonché
- come abbiamo detto - il soggetto di questo atto,
cioè l 'essere senziente e pensante . Tale esperienza,
pertanto , comprende ogni forma di conoscenza,
quindi tutte le scienze , sia della natura che dell 'uomo,
ed ogni altra attività umana , quale il desiderare , il vo­
lere , l'agire , il produrre . Essa coincide dunque con la
storia , non solo quella del singolo , ma anche quella
della società, anzi dell 'umanità .
I Tedeschi usano, per indicare tutto questo , una
parola che noi non abbiamo , Erlebn is, cioè il sostan­
tivo ricavato dal verbo erleben , che significa «vivere)),
ma in senso transitivo, come quando diciamo «vivere
la vita>> o «vivere un 'awentura» . L'Er/ebn is è ciò che
si vive , il vissuto , l 'esperienza intesa nel senso ampio
che abbiamo visto . Questo, io credo , è il tema della
54
metafisica. Esso si può indicare con tanti nomi, ad
esempio con quello di «realtà», a condizione che con
questo termine non si voglia alludere ad una filosofia
di tipo realistico , la quale affermi l 'esistenza di una
realtà indipendente dal pensiero . Si può indicare col
termine «vita••, a condizione che non si alluda a filo­
sofie di tipo vitalistico , per le quali la vita è solo emo­
tività e passione ; o col termine «storia•• , che allude
non solo al presente , ma anche al passato e al futu­
ro , purché non si pensi a filosofie di tipo storicistico ,
per le quali non esiste alcuna verità metastorica.
Qualcuno potrebbe preferire il termine «società)),
qualcun altro il termine «essere•>. Io non ho preferen­
ze , mi basta fare riferimento a tutto questo come al
tema della metafisica.
Ebbene, tutto questo, tutto ciò di cui abbiamo
esperienza , tutto ciò che forma il nostro vissuto , il
nostro quotidiano , è problematico . Che significa
«problematico»? Che l 'esperienza è un problema.
Problema è ciò che non si spiega da sé, ciò che ha
bisogno di essere spiegato , che domanda una spie­
gazione e quindi non basta a se stesso . Perché dicia­
mo che l' esperienza è problematica, anzi - come di­
ceva il mio maestro , Marino Gentile - che essa è
«pura problematicità•> , cioè «un domandare tutto che
è tutto domandare•>?9. Prima di chiarirlo desidero ri­
chiamare l' attenzione su questa espressione : «do­
mandare tutto» significa un problema che investe tut-

9 M. Gentile, Filosofia e umanesimo, La Scuola, Brescia 1 948;


Com e si pone i l problema m etafisico , Liviana, Padova 1 955; Trat·
tato di fi losofia , Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1 987 .

55
ta la realtà ; «tutto domandare" significa un problema
che è solo problema, che non contiene in sé nessuna
soluzione precostituita , quindi è pura domanda .
L'esperienza è problematica anzitutto perché non
è statica, non è immutabile , ma è in divenire. Se essa
fosse immutabile , non sarebbe un problema. Quan­
do, infatti, si guarda uno spettacolo in cui nulla cam­
bia, in cui non succede mai nulla , è difficile avere dei
problemi , o dei dubbi. Nella nostra esperienza , inve­
ce , accade tutto il contrario, cioè succedono conti­
nuamente cose nuove . È questo ciò che suscita me­
raviglia , ciò che rende perplessi . Infatti , di fronte ad
un fatto nuovo , a qualcosa che prima non c'era , vie­
ne spontaneo chiedersi perché esso è accaduto , da
dove proviene questa novità .
In genere noi ci meravigliamo delle novità, non di
ciò che rimane sempre uguale , perché le novità , ap­
punto in quanto tali , sono realtà a noi non ancora
note , che dunque desideriamo conoscere , e la mera­
viglia non è altro che desiderio di conoscere , di ca­
pire, di spiegare . Il fatto che nell'esperienza emerga­
no continuamente situazioni impreviste , di cui non
sapevamo nulla, fa nascere in noi la domanda del
perché , cioè il problema. Quindi il mutamento , il di­
venire , è già un motivo di problematicità , è già qual­
cosa che fa dell' esperienza un problema. E poiché il
divenire attraversa l' intera nostra esperienza, senza
!asciarne fuori nessuna parte , esso fa dell'intera espe­
rienza un problema .
Forse questo discorso a qualcuno può sembrare
troppo oggettivistico, naturalistico, implicante l'atteg­
giamento di uno spettatore curioso e distaccato , qua-
56
le era proprio , ad esempio , dei filosofi greci , i primi
che parlarono di meraviglia. Ricordiamo allora che
l'esperienza va intesa nel senso ampio sopra illustra­
to, e quindi coincide con la nostra stessa vita, con la
cosiddetta condizione umana. Ebbene , chi di noi può
dire di essere totalmente soddisfatto della sua condi­
zione? Chi non ha motivo di lamentarsi perché qual­
cosa non va come dovrebbe andare , perché la situa­
zione in cui viviamo è precaria, incerta, insoddisfa­
cente , motivo di ansia, di sofferenza, a volte addirit­
tura di angoscia? Tutto questo non crea forse dei
problemi? Chi mai è senza problemi? Naturalmente
mi riferisco alle persone che pensano , che riflettono.
Se uno fa lo spensierato , beato lui ! Ma purtroppo
viene anche per lui il momento dei problemi, perché
poi ci sono i problemi di tutti , cioè i conflitti , le sof­
ferenze , le malattie, la morte, il male in genere.
Mentre sull'esistenza dei problemi nessuno , sup­
pongo, può avere dei dubbi, si potrebbe obiettare
che essa non significa che l' esperienza stessa , consi­
derata nella sua totalità , sia un unico immenso pro­
blema. A ciò vorrei rispondere che un insieme di
problemi , cioè di insufficienze , non può mai costitui­
re una soluzione, cioè qualcosa di autosufficiente, co­
me una somma di mancanze , o di debiti , non può
mai costituire un possesso , o un patrimonio . È que­
sta , in fondo , la verità dell' argomento classico - per
la precisione aristotelico - secondo cui nella ricerca
delle condizioni di qualcosa, di qualunque tipo esse
siano, non si può procedere all' infinito , ma ad un
certo punto bisogna fermarsi, altrimenti non si riesce
a spiegare mai nulla.

57
Qui naturalmente parliamo tra filosofi - la meta­
fisica è una parte della filosofia, o almeno vorrebbe
esserlo -: non è forse compito del filosofo doman­
darsi il perché di tutto , mettere in discussione tutto,
anche ciò che per gli altri è owio, scontato , ciò che
sembra spiegarsi da sé? Il filosofo in genere non si
accontenta delle spiegazioni normali, vuole saperne
di più , vuole andare a fondo dei problemi , essere ri­
gorosamente critico , cioè non presupporre nulla . Per
questo il filosofo mette in discussione la sua esperien­
za , la sua condizione , la realtà in cui vive , cioè ne fa,
appunto , un problema . In questo senso non solo
l'esperienza è problematica , ma lo è anche la filoso­
fia , anzi la filosofia è essa stessa pura problematicità,
ed in questo senso viene a coincidere con l' esperien·
za, è l ' esperienza divenuta cosciente di sé, della sua
problematicità .
Qualcuno potrebbe obiettare che egli non mette
in discussione nulla, che non si meraviglia di niente,
che non ha domande da porsi . Naturalmente ognuno
è padrone di fare quello che vuole , e quindi è anche
libero di non porsi nessun problema. Ma nessuno
può pretendere che questo atteggiamento sia ricono·
sciuto come filosofia . Da che il mondo è mondo , in­
fatti, la filosofia è domanda, argomentazione, discus­
sione . Del resto , nessuno è obbligato ad essere
filosofo . La maggior parte degli uomini vive , forse,
senza porsi troppi problemi . Ma i filosofi no , i filoso fi
sono proprio coloro che si pongono problemi , si me·
ravigliano , discutono e , se anche vogliono sostenere
che la realtà non è problematica , sono tenuti a giu-
58
stific are questa affermazione, a portare degli argo­
menti , a discutere , e dunque a problematizzare .
Un mio caro amico recentemente scomparso,
Giovanni Romano Bacchin, che sosteneva anch 'egli
una metafisica problematica e dialettica , soleva dire
che la problematicità è improblematizzabile , perché il
metterla in questione significa già esercitarla l 0. È
questo un argomento simile a quello del migliore De­
scartes , secondo cui di tutto si può dubitare , fuorché
del dubbio , perché dubitarne significa riprodurlo . Ma
è a nche l'argomento del Protrept ico di Aristotele ,
secondo cui , o si deve filosofare , o non si deve filo­
sofare , ma anche per mostrare che non si deve filo­
sofare, si deve pur sempre filosofare .
Ebbene , non siamo noi che , per una specie di de­
lirio di ricerca, vogliamo mettere in questione anche
ciò che di per sé è chiaro : è la realtà stessa che è
continua domanda . Quello che mi preme chiarire ,
superando ogni contrapposizione tra soggetto e og­
getto , cioè tra noi e le cose , è che questa unità , for­
mata da noi e dalle cose , è essa stessa domanda, cioè
che i l nostro domandare è il domandare stesso delle
cose , alle quali , per così dire , noi diamo voce . La no­
stra meraviglia di fronte alle cose , insomma, non è
altro che la problematicità intrinseca alle cose stesse ,
che si manifesta attraverso di noi , in quanto noi sia­
mo parte , la parte cosciente , riflessiva , di questa
realtà e di questa esperienza .
Ora, se l ' esperienza è problematica , ciò vuoi dire

10
G. R. Bacchin, Originarietà e m ediazione nel discorso me­
tafis ica , Jandi Sapi, Roma 1 9 6 3 .

59
che essa non è la soluzione , non è la spiegazione di
tutto, ma richiede una spiegazione diversa. Se la
spiegazione fosse la stessa esperienza , essa non sa­
rebbe problema , non avrebbe tutte le caratteristic he
che abbiamo detto . Per me _la metafisica è tutta qui,
non ha bisogno di tanti altri discorsi . Una metafisica
problematica, infatti , consiste nel rendersi conto che
l 'esperienza , cioè la situazione in cui ci troviamo, la
realtà , la storia , la società , eccetera , non è essa la
soluzione di tutti i problemi , non è quello che nella
tradizione della metafisica si chiama l' ��assoluto>> , il
((principio» , ciò che non ha bisogno di altro , ciò che
non domanda spiegazioni 1 1 .
Dire questo significa riconoscere la trascendenza
dell'assoluto senza fare discorsi sull'assoluto: l'unico
discorso che si fa , verte sull'esperienza , cioè sulla no­
stra situazione . Questa non è da noi conosciuta at­
traverso qualche rivelazione per iniziati o attraverso
una particolare forma di intelligenza , né tanto meno
attraverso uno sguardo divino, cioè un vedere le cose
dal punto di vista di Dio . Per vedere che viviamo in

11 Q
uesto tipo di metafisica è sembrato a qualcuno «una curiosa
e dilettantesca , quasi casalinga , branca della teologia razionale» (R.
Casati , «L' indice dei libri del mesen, ottobre 1 99 5 , n . 9, p. 44} . Mi
dispiace di non saper offrire discorsi più complicati od oscuri , ma la
cosiddetta teologia razionale ha fatto parte da sempre della metafi­
sica , anche se non mi sembra che nel mio discorso essa riduca que­
st'ultima a una propria branca. Mi consola il fatto che questo disc or·
so «dilettantesco" è piaciuto a filosofi non certo teologizzanti come
G . Vattimo («La stampan, 18 ottobre 1 995) e G . Giorello («Lo scaf­
fale", Rai 3, 1 7 settembre 1 995) , oltre che , naturalmente , a un «me·
tafisic o come A. Marchesi («L osse rva to re romanon, 2 1 -22 agosto
n '

1 995}.

60
mezzo ai problemi non c ' è bisogno di nessuna parti­
colare intelligenza, ma tutti sono capaci di farlo. Ve­
dere , anzi argomentare , la trascendenza dell'assolu­
to, owero del principio, significa semplicemente
vedere questo .
Il riconoscimento della trascendenza dell'assoluto
non estingue la problematicità d eli ' esperienza , pro­
prio perché l' assoluto di cui tale riconoscimento im­
plica l'esistenza , è trascendente rispetto all ' esperien­
za, cioè è esterno ad essa, totalmente altro rispetto
ad essa . Un tale assoluto lascia che l 'esperienza sia
quello che è, cioè problematicità pura . Certo, l 'asso­
luto spiega l' esperienza, la spiega totalmente, anzi
viene riconosciuto come necessario proprio perché
l'esperienza esige di esser totalmente spiegata e non
contiene in se stessa la sua spiegazione . Ma , per il
fatto di essere trascendente , esso è una spiegazione ,
per così dire , esterna , che lascia intatta l 'esperienza
nella sua problematicità.
"Se l 'assoluto fosse immanente ali ' esperienza, di
esso si potrebbe fare esperienza , perciò, una volta
trovato , esso farebbe cessare la problematicità di
questa , come qualsiasi soluzione implicita nei termini
di un problema, una volta trovata , estingue il proble­
ma stesso . Invece, se l' assoluto è trascendente rispet­
to all'esperienza, di esso non si dà mai esperienza,
perciò l 'esperienza non finisce mai di suscitare me­
raviglia , cioè rimane precaria, insufficiente , insoddi­
sfacente . Questo è un dato di fatto che può essere
attestato da qualsiasi metafisica disposto ad accettare
'l espe rien z a così come essa è: il fatto di avere rico­
nosciuto la trascendenza dell' assoluto , infatti, non
61
estingue minimamente la sua meraviglia, il suo senso
di precarietà , il suo non trovare nell 'esperienza una
spiegazione sufficiente di essa .
Perciò è meglio non awenturarsi nel tentativo di
dire come l 'assoluto è, o quale sia la sua essenza, la
sua natura , o chi egli sia . C ' è , infatti , chi dice che egli
è l' Essere , chi invece preferisce dire che è l'Uno , chi
dice poi che è l'Amore , e questa sembra a tutti la
definizione più suggestiva . Io preferirei dire che l' as­
soluto è Intelligenza, cioè spirito , perché un ' intelli­
genza veramente assoluta, cioè totale , perfetta, non
può non essere anche amore . Ma questo è sempre
un parlare per metafore , o per analogie, per cui for­
se è meglio non dire nulla , cioè connotare l 'assoluto
con termini esclusivamente negativi , i soli che si ad­
dicono ad un principio trascendente , quali appunto
«assoluto)) , «incondizionato)) , «in fini ton , ecc.

4 . Una metafisica dialettica

Una metafisica problematica, come quella che ho


cercato di descrivere, sia pure sommariamente , deve
necessariamente essere anche dialettica , non nel
senso in cui parlano di dialettica Hegel o Marx, ma
nel senso antico del termine , quello che esso aveva
per i Greci , che del resto l'hanno inventato, per i
quali la dialettica era l 'arte del dialogo (dia lègesthai),
anzi della discussione . Il confronto dialettico, infatti,
non era una semplice conversazione , in cui ciascuno
esprime le sue opinioni , ma era un confronto tra o pi­
nioni opposte , istituito allo scopo di stabilire quale di
62
esse può essere mantenuta e quale invece deve es­
sere abbandonata, che è come dire quale è quella ve­
ra, almeno relativamente al contesto in cui ci si muo­
ve, e quale è quella falsa. Esso si sviluppava, quindi ,
attraverso argomentazioni, in particolare attraverso
l'argomentazione dialettica per eccellenza , che era la
confutazione {élenchos) , cioè la riduzione alla con­
t raddizione.
Quando un 'opinione era ridotta alla contraddizio­
ne, cioè quando da essa venivano dedotte conse­
guenze contraddittorie con altre opinioni professate
dal suo sostenitore o dall'uditorio , essa era conside­
rata confutata, cioè doveva essere abbandonata ,
mentre per converso era ritenuta vera l'opinione ad
essa opposta - opposta, naturalmente, per contrad­
dizione -, almeno fino a quando non venisse an­
ch 'essa confutata . Un esempio di tale procedura si
ha nei dialoghi di Platone, specialmente nei primi,
quelli cosiddetti socratici , perché il protagonista è So­
crate , il quale appunto confuta i suoi interlocutori ,
che in genere sono i sofisti , cioè persone che pre­
tendono di sapere mentre in realtà non sanno. In tali
dialoghi Socrate pone un problema, cioè formula
una domanda, prende in considerazione la risposta
che gli è stata data e deduce da essa, combinandola
con altre risposte che il suo interlocutore dà ad altre
sue domande, una conclusione che contraddice la ri­
sposta stessa o qualcuna di queste altre risposte .
Per il tipo di metafisica sul quale ho richiamato
l'attenzione , l' unica forma di argomentazione prati­
cabile è appunto questa . In esso, infatti, non è pos­
sibile fare delle vere e proprie dimostrazioni , perché
63
si è messo in discussione tutto e quindi non si dispo­
ne più di principi certi da cui partire . L'assoluto, inol­
tre , non può essere dimostrato nel senso proprio del
termine , perché , se lo fosse , la sua esistenza sarebbe
condizionata da ciò a partire da cui essa fosse stata
dimostrata , e dunque egli non sarebbe più assoluto .
L' unica argomentazione possibile , in una situazione
di pura problematicità, è la confutazione delle opi­
nioni correnti intorno all'assoluto , in particolare delle
opinioni secondo le quali esso sarebbe immanente al­
l'esperienza , cioè sarebbe una parte , o un aspetto , di
questa , o l 'esperienza stessa nella sua totalità. Si trat­
ta, insomma, di confutare ogni pretesa assolutizza­
zione dell ' esperienza , o di un suo aspetto particolare.
Del resto , Socrate faceva qualche cosa di analo­
go. Quando domandava : «che cos'è la bellezza?>> , e
qualcuno gli rispondeva : ((una bella ragazza>>, egli mo­
strava che una ragazza può certamente essere bella,
ma non può essere la bellezza , perché è sempre un
caso particolare di bellezza, non è la bellezza in uni­
versale, cioè la totalità della bellezza. Il limite della
sua posizione, anzi della dottrina delle idee di Plato­
ne, era dì cercare la forma universale di caratteri ap­
partenenti ali ' esperienza , per cui giustamente Aristo­
tele la criticò, osservando che tali forme possono
benissimo essere immanenti. Ma se, in luogo di cer­
care tali forme universali di aspetti particolari del­
l' esperienza, si cerca la spiegazione universale del­
l' esperienza stessa, presa nella sua totalità , allora il
principio a cui si approda è veramente trascendente,
e possiede caratteri opposti a quelli deli ' esperienza ,
cioè è immutabile , semplice, perfetto .
64
In ogni caso l'unico modo per dimostrare - se si
consente l'uso improprio del termine - la trascenden­
za dell 'assoluto, e quindi la validità della metafisica, è
quello di confutare tutti i tentativi di assolutizzare sin­
goli aspetti dell' esperienza o l 'esperienza nella sua to­
talità. In questa operazione c'è qualcosa di analogo
alla critica dell' idolatria, compiuta dagli spiriti auten­
ticamente religiosi. L'assolutizzazione di aspetti par­
ticolari dell'esperienza, quali la natura (il determini­
smo scientifico) , la società, la storia, è infatti una
forma di idolatria, così come è idolatria assolutizzare
valori di cui abbiamo esperienza, e che pure sono im­
portanti , come il potere , il danaro , il piacere , quasi
che essi fossero la cosa più importante di tutte, ciò
che può dare un senso all' intera vita.
Naturalmente , sul piano filosofico, queste forme
di assolutizzazione sono condotte attraverso argo­
mentazioni complesse , a volte sofisticate , quali sono
tutte le filosofie immanentistiche o comunque anti­
metafisiche, che non sempre è facile confutare. Per­
ciò il compito del metafisica, l'unica forma di argo­
mentazione che egli può sviluppare a sostegno della
sua posizione , è l 'esame e la confutazione di tutte
queste altre filosofie, e quindi una discussione conti­
nua, difficile, complessa . Il metafisica deve infatti ci­
mentarsi contro una varietà pressoché illimitata di
negazioni della metafisica, che assumono le forme
più diverse, sul piano logico, antologico , etico, poli­
tico, scientifico . Egli insomma deve impegnarsi nella
discussione dell'intera problematica filosofica passata
e presente.
Ciò comporta , come conseguenza, che il discorso
65
metafisica non finisce mai , perché se esso deve con­
futare ogni possibile assolutizzazione dell 'esperienza ,
cioè ogni possibile obiezione alla metafisica, siccome
di obiezioni alla metafisica ce ne sono sempre state e
presumibilmente sempre ce ne saranno, la critica di
esse non finirà mai . Nessuno può pretendere di ave­
re confutato , una volta per tutte , tutte le possibili
obiezioni alla metafisica . Queste sono , infatti , impre­
vedibili . Dopo Kant c'è stato l' idealismo, poi il posi­
tivismo , tutte filosofie tra loro molto diverse e tutte
accomunate dalla negazione della metafisica . Poi c'è
stato il neopositivismo , che era impossibile prevede­
re attraverso la discussione del positivismo, , e quindi
richiedeva una confutazione di tipo nuovo . Poi ci so­
no stati il marxismo , lo storicismo , l 'attualismo, il ni­
chilismo , l' heideggerismo, ciascuno dei quali richiede
una diversa confutazione . Chi può prevedere quante
altre negazioni della metafisica verranno in futuro?
Certamente nessuno . Perciò c'è poco da stare tran­
quilli , bisogna continuare a confrontarsi, a misurarsi
con queste posizioni .
Inoltre non si può escludere l'eventualità che la
confutazione fallisca , cioè che , invece di riuscire a
confutare , si finisca con l ' essere veramente confutati,
nel qual caso bisognerà avere il coraggio , e l ' onestà,
di abbandonare la metafisica . In questo senso il di­
scorso metafisica è un discorso sempre aperto, in­
conclusivo , ed anche rischioso , specialmente per chi
fa dipendere dalla metafisica le proprie scelte di vita,
per esempio la propria fede religiosa (non nel senso
che la metafisica sia sufficiente a provare la fede , che
altrimenti non sarebbe autentica fede , ma nel senso
66
che la metafisica può essere necessaria a impedire
che la fede diventi assurda, e quindi disumana) .
Del resto , questa non è altro che la storicità del
discorso metafisico, il quale è un discorso storico co­
me lo sono tutti gli altri discorsi umani (altro che
sguardo divino !) e come lo è la condizione umana in
generale , compresa quindi la stessa filosofia . Io insi­
sto molto su questo carattere storico, e quindi incon­
clusivo , della metafisica, d'accordo col mio maestro e
in dissenso , invece , con altri metafisici di cui pure ho
molta stima (in genere i neoscolastici) , e con i quali
ho awto a questo proposito varie discussioni 1 2 . Ma
esso è inevitabilmente connesso al carattere dialetti­
co della razionalità di cui è espressione la metafisica,
una razionalità diversa da quella scientifica , anche
dopo la presa di coscienza da parte della stessa scien­
za del proprio carattere di storicità .

Del resto , questo è anche il bello della metafisica ,


la quale non è mai un discorso già fatto , e quindi ri­
petitivo, noioso, ma è sempre una sfida, un' awentu­
ra del pensiero , e soprattutto un'awentura della co­

municazione tra gli uomini . Ma mi accorgo che


anch' io sto parlando della metafisica come se ce ne
fosse una sola , mentre in realtà quella di cui parlo è
solo una metafisica problematica e dialettica . Credo
che, proprio per questo suo carattere di problemati­
cità e di dialetticità , questa metafisica abbia il diritto

1 2 Cfr. C. Vigna , Sul/ 'incontrovertibi lità del sapere filosofico ,


«Verifiche", 1 8 , 1 989, p p . 305-28, ultimo intervento di una serie , a
cui ho cercato di ris pondere con l 'articolo Logo e dialogo , «Studia
Patavina" , 42, 1 995, pp. 3 1 -42 .

67
di essere ascoltata e presa in considerazione nella si­
tuazione estremamente pluralistica, ma anche disin­
cantata , della filosofia contemporanea , di cui questi
incontri su «Che cosa fanno oggi i filosofi?)) sono
l 'espressione .
Remo Bodei
IL MONDO NASCOSTO

l . L' ultravioletto della ragione

«Il vero superficiale - sosteneva Oscar Wilde in


una delle sue memorabili boutades è colui che non
-

guarda alle apparenze)) . Superficiali sarebbero dun­


que , in questo senso, i metafisici, che nelle cose e
negli esseri mirano alla «sostanza)) o ali ' «essenza)) ,
sfuggendo , nella loro ricerca di una dimensione ca­
ratterizzata dall 'eterno e dall'immutabile, all'imme­
diatezza dell'apparire .
In una tradizione che ha finito per assumere tratti
popolari, la metafisica si mostra pertanto , in maniera
iper-semplificata, quale volontà di trovare un mondo
nascosto dietro il mondo che si offre spontaneamen­
te, una realtà più vera di quella colta immediatamen­
te dai sensi , una sorta di impossibile 'ultravioletto '
della ragione , intuìto nelle forme pure che strutture­
rebbero l' «essere>> .
Un elemento di ulteriorità e di trascendenza desi­
gna quindi , in quest'ambito , il significato usuale del
termine 11metafisica)) , almeno nella sua storia recente ,
da Hume e Kant sin quasi ai nostri giorni. È stata da
loro seminata l ' idea, diffusasi poi ampiamente, che la
- 69
metafisica costituisca una specie di diserzione men­
tale , l 'abbandono del solido, fruttuoso, pianeggiante
terreno d eli ' esperienza a favore delle aspre vette del­
le rarefatte astrazioni e degli oceani sconfinati di ipo­
tesi e teorie inverificabili .
Paragonati ai sobri e tenaci agricoltori del campo
delle scienze esatte o sperimentali, i metafisici sareb­
bero pertanto degli awenturieri o dei sognatori. Kant
riconosce tuttavia , con onestà, che la tentazione del­
l 'awentura è inestirpabilmente presente in ciascuno
di noi . Non volendo accettare i limiti del sapere,
avanzando anzi la pretesa di giungere aii "Assoluto ' ,
ogni uomo è costitutivamente un animale metafisica,
propenso a rischiare la propria razionalità e interes­
sato a conoscere l ' inconoscibile , ossia l'ignoto , il na­
scosto al di là della barriera dei sensi e del presente.
Il discredito di cui viene circondata la metafisica pre­
suppone, di conseguenza , l ' attivazione di un potente
meccanismo di difesa , la mobilitazione in vista di una
lunga e incerta lotta, il fare i conti con una ambiguità
non risolta , la messa in guardia - reiterata e , in par­
te , inutile - contro le lusinghe e le seduzioni di chi
promette quanto non · può mantenere .
Viene il sospetto, che qui metterò alla prova , che
la persistenza della metafisica dipenda anche dai
physika oltre o dopo i quali {meta) essa intenderebbe
situarsi . Ritengo, in altre parole , che la metafisica -
più che in un faustiano e moderno spirito di awen­
tura - affondi le sue antiche radici in millenarie , mo­
deste e persino banali esperienze quotidiane, che -
strati fica te e rapprese - costituiscono a tutt' oggi la
base inconcussa che continua a sostenerla, anche
70
quando è stata in parte dimenticata (a causa, soprat­
tutto , del prevalere dell' artificiale sul naturale , e cioè ,
in linguaggio dotto , dell 'offuscamento della physis
p er effetto della tech ne).
Intrecciando la considerazione di questi aspetti
con alcune specifiche teorie che hanno fondato il
pensiero filosofico antico e sviluppato quello sociolo­
gico contemporaneo , intendo sondare , per campio­
natura, alcune delle ragioni dell 'emergere e del ren­
dersi plausibile della ' metafisica ' . In particolare , vor­
rei analizzare le forme elementari (e le grandi meta­
fore) dell 'invisibilità, in relazione al contrasto spaziale
tra la luce e il buio e a quello temporale tra le forze
latenti che agiscono nel presente e quelle stesse co­
me si rivelano nel futuro, allorché - raggiunto il loro
sco po - quidqu id la tet apparebi t .

2 . Dal buio alla luce

Tra le esperienze umane più antiche e persistenti


(sino a quando, almeno , non venne inventata la luce
elettrica che attenua le distinzioni tra la notte e il
giorno e tra il naturale e l 'artificiale) vi è quella della
ripetuta meraviglia per il sorgere del Sole , per il gra­
duale passaggio dal buio al fulgore della luce che ri­
torna . Quando le ultime stelle impallidiscono, le fan­
tasmagorie del sogno si spengono e il turbinio delle
immagini di desiderio si immobilizza , subentra la de­
terminatezza del giorno . Ci si riallaccia alle sue pre­
gresse , ' reali ' preoccupazioni e sequenze di idee e il
lavoro di tessitura del senso riprende lena da dove
71
era stato interrotto . Ma, intanto , si è vissuti in un' al­
tra dimensione , in cui il mondo fisico e il mondo
umano 'normale ' si sono disarticolati , permettendo
una via di fuga dalle dure leggi della necessità : in so­
gno si sfida la legge di gravità volando, si parla con i
morti o gli assenti , si ritorna indietro nel passato.
Una seconda realtà è stata assaporata .
Ora, alla luce lattiginosa dell' alba , le cose abban­
donate durante il sonno emergono nuovamente dal­
l' oblio e dalla precedente indistinzione . Gli eventi
notturni sfumano e sembrano, comparativamente ,
parti deformi del caos. Tutto riprende per gradi il suo
posto abituale , riassume il suo ordine , si articola e si
fissa in immagini , suoni, odori , aiutato dalla parola
della veglia , che ricombina nei costrutti noti quanto il
sogno aveva aggregato o disperso . Le abitudini riaf­
fermano i loro diritti ; desideri e paure ritrovano i loro
concreti obiettivi ; gli oggetti perdono il loro alone di
alterità .
Un poemetto del I secolo d . C . , a lungo attribuito
a Virgilio , può agevolare il nostro ritorno alla perce­
zione perspicua di forme di vita e di sensazioni che
tendono ormai a scomparire . Si tratta del Moretum
(o La focaccia} , dove viene descritta , con pochi tratti
magistrali , l'esistenza di Simulo , un contadino pove­
ro . Si inizia nel momento in cui egli si sveglia al buio,
«solleva il corpo, lasciato scivolare pian piano giù dal
misero lettuccio)) e «con la mano esperta esplora le
tenebre inerti [tenebras explora t ine rtes] e cerca il
focolare)) , per ravvivare così l'unico tizzone ardente

72
rimasto coperto dalla cenere 1 . Col trascorrere del
tempo, la casa e il podere assumono una configura­
zione precisa . Nell ' orto si distinguono chiaramente le
diverse colture , ciascuna nel suo specifico settore:
HQui il cavolo, qui prosperavano rigogliose le bietole
che stendono in largo le loro braccia, il romice rigo­
glioso, le malve e gli elenii , qui la pastinaca e i porri
che devono il loro nome al capo, la lattuga pausa
gradita a nobili cibi [ ] e cresce il ravanello a punte
. . .

e la zucca che scende pesante nel largo ventre))2 . Si


coglie poi Simulo mentre prepara poi il pasto (una
focaccia appunto), aiutato dalla serva africana, cari­
caturalmente raffigurata con i piedi grossi e i seni ca­
denti .
La vita pratica, ricominciata dopo la sospensione
e l' inerzia del sonno, soddisfa , alla fine , i quotidiani
bisogni di sopravvivenza . Ormai, anche per quel
giorno, si è <<fugato il timore della fame))3. E il ciclo si
riapre .

3 . Il raccolto di Eraclito

Agli albori della filosofia occidentale è Eraclito


che mostra come la conoscenza non rappresenti
semplicemente un passaggio dal nascosto al manife­
sto , dai sensi alla ragione o dal caos all 'ordine , ma la
transizione da un ordine più semplice a uno più com-

1 [P. Vergili Maronis), Mo retu m , a cura di A. Perutelli , Giardini,


Pisa 1983, w. 5 sgg . (trad . it. , p . 6 1 ) .
2 lvi , w . 7 1 -76 (trad. it. , p. 65).

3 lvi, w . 1 1 8- 1 1 9 (trad . it . , p. 67).

73
plesso , dapprima meno evidente e che tuttavia non
giunge mai ad essere definitivamente chiaro, univoco
e privo di ombre . Si produce ciò che, secondo l ' im­
magine popolare della metafisica , potrebbe somiglia­
re a un paradosso : il mondo nascosto e accessibile
solo all'anima è in realtà proprio quello che consente
di conoscere meglio anche le cose fisiche percepite
dalla vista e dall'udito , di modo che quanto si situa
più vicino a noi è proprio quanto ci permette di in­
serirei nella trama più ampia delle cose (e viceversa,
perché - si sa - la via all' in su e la via all 'in giù coin­
cidono) . Mentre sembra , dunque , che il pensiero ci
allontani da questo mondo , in verità esso lo sta pe­
netrando e dipanando meglio, senza per questo ab­
bandonare la superficie sensibile . Ne consegue che la
profondità non è altro che un'apparenza articolata
capace di istituire e di rendere più fitta la rete di re­
lazioni .
Certo , «la reale costituzione di ciascuna cosa ha
l 'abitudine di nascondersi))4 e «l' armonia)) (o trama di
rapporti) celata , inappariscente o invisibile , è «più
forte•• di quella manifesta o visibile5 . Non esistono
dunque - come era , in precedenza , per Pitagora e
come sarà , più tardi e in modo differente , per Car­
tesio o Husserl - evidenze intuitive , immediate , sem­
plici e irrefutabili, né concatenazioni di discorsi a sen-

4 Heracl . , fr. 123 D . -K. : physis kryp tes thai ph i le i : fr . 1 23 D.­


K. = 8 M . La sigla «M.» rinvia alla numerazione dei frammenti e alla
traduzione italiana , tratta dall 'edizione curata da M. Marcovich :
Eraclito, Fram men ti, La Nuova Italia, Firenze 1 9 78.
5 Heracl . , fr. 54 D .-K. = 9 M.: armonie aphanes phaneres
kreitton .

74
so unico , che non prevedano cioè una compresenza
irriducibile di opposti . La realtà è complessa , in con­
tinua tensione verso l 'unità, ma attraverso molteplici
contrasti . La ricerca del sapere non segue infatti una
strada tracciata una volta per tutte, predeterminabile ,
in quanto «se non ti aspetti l ' inatteso, non lo troverai
l perché è duro da ricercarsi e difficile da ottenere))6 .
Di fronte a queste isolate affermazioni e in base a
una stilizzazione frequente della figura di alcuni filo­
sofi , Eraclito è stato rappresentato - sin dall 'antichità
- come «l 'Oscuro)) , un incomprensibile e scostante
misantropo, un essere altero e solitario , custode di
verità troppo alte perché le persone volgari potesse­
ro accostarvisi . Egli perciò avrebbe intenzionalmente
cifrato il suo pensiero per renderlo di difficile intelle­
gibilità . Le cose non stanno tuttavia in questi termini .
Eraclito sostiene piuttosto che il /ogos è comune a
tutti gli uomini, che partecipano notoriamente da
svegli , in quanto pensanti e discorrenti , a un mondo
comune . La ' ragione' , ossia la facoltà di articolare i
pensieri attraverso il linguaggio, non ha in linea di
principio niente di insondabilmente misterioso . Pos­
siede, al contrario, nel suo nome stesso di /ogos , la
medesima umile radice di «legume)) , di quel che an­
che Simulo potrebbe coltivare nel suo orto . Implica
infatti la capacità di raccogliere o raccogliersi , di or­
dinare o di articolare , di dividere e mettere insieme
quanto si ap-prende in modo sparso.
La ragione o il discorso sono , in linea di princi-

6 Heracl . , fr. 18 D . -K. = 1 1 M.

75
pio , luoghi aperti a tutti, anche perché vi si giunge
passando attraverso la testimonianza , anch 'essa co­
mune , dei sensi : «Le cose di cui c'è vista, udito e per­
cezione l queste in verità io preferisco» 7 . Chi si nega
alla ragione che sperimenta e alle percezioni com­
prese , si autoesclude dal fecondo rapportarsi agli al­
tri , si imbozzolisce all 'interno della sua dimensione
privata . Coerentemente , Eraclito non prende sul se­
rio neppure se stesso in quanto individuo, non fa ap­
pello alla propria autorità o al 'culto della personali­
tà ' , all ' ipse dixit vigente nelle scuole pitagoriche : 16e
hai udito [e compreso] non me , ma il /ogos l è sag­
gio concordare che tutte le cose sono uno))8 . Per
questo motivo il logos viene paragonato al nomos,
alla legge comune della città, che stabilisce i criteri di
convivenza9.
Diversamente da Pitagora (in cui si può dire che
prevalga l 'armonia visibile o, in determinate circo­
stanze , udibile , quella degli accordi, della musica con­
sonante dell � sfere dell 'universo) , in Eraclito è appun­
to il contrasto a produrre l'unità in una ��armonia
invisibile» . Gli uomini , dice , «non comprendono in
che modo ciò che l diverge non di meno converge
con se stesso ; c'è un rapporto di tensione retrogra­
da, come quello l dell'arco e della lira» w . Non si tro­
va pertanto in lui l 'esaltazione d eli ' armonia, della
simmetria e della proporzione nelle loro forme espii-

7 Heracl . , fr. 55 D.-K. = 5 M.


8Heracl . , fr. 50 D . -K. = 26 M .
9 Cfr . Heracl . , fr. 1 1 4 + 2 D . -K = 23 M .
10 Heracl . , fr. 5 1 0.-K. = 27 M .

76
cite , ' pitagoriche ' . Eraclito è consapevole del fatto
che ciò che si presenta quale kosmos (mondo in
quanto sinonimo di ordine , di regolarità e di bellezza)
è anche caos, accidentalità e bruttezza : «Il più bell 'or­
dinamento del mondo l non è altro che un cumulo di
rifiuti ammucchiati a caso,, 1 1 . Una volta però che il
/ogos e i sensi , adeguatamente addestrati ed eserci­
tati , ne penetrino la dura scorza , vi scopriranno , in
un percorso infinito , un ordine particolare e contrad­
dittorio . Lo si può rinvenire cbme barlume (pallido
riflesso del fuoco universale «che non tramonta
mai,, 12) persino nell'universo privato del sognatore ,
allorché , ad occhi chiusi, si vedono le immagini illu­
minate , i ��fantasmi,> dei nostri sogni : «l'uomo nella
notte si accende una luce, anche se la sua vista è
spenta» 13 .
Il sapere eracliteo sembrerebbe inoltre oscuro ,
anche perché esplicitamente accostato a quello ora­
colare , secondo il celebre frammento per cui «il Si­
gnore il cui oracolo è in Delfi , non dice e non na­
sconde, ma dà segno>,14. Occorre però intendersi sul
senso dell 'espressione «dà un segno,> (in greco il ver­
bo è semainein), che indica tanto il «mostrare COIJ un
dito)) , quanto il significare allusivo e che può quindi
rivestire tanto un valore gestuale che vocale di rinvio
a qualcos 'altro . Ora, a cosa rimandano tali allusioni?
Al ��Conosci te stesso !,> . L'elemento comune ai re-

11 Heracl . , fr. 1 24 D.-K. 1 0 7 M.


=

12
Heracl . , fr. 1 6 D .-K.
= 8 1 M.
13 Heracl . , fr. 26 D . -K.
= 48 M.
14 Heracl . , fr. 9 3 D .-K.
= 14 M.

77
sponsi dell' oracolo di Apollo a Delfi e alla filosofia di
Eraclito consiste infatti nella necessità per l 'anima di
conoscere se stessa , di interrogarsi seriamente sulle
proprie ambiguità e dirimerle , e con ciò di affacciarsi
sul mondo e nutrirsi di esso . Non si deve tuttavia ri­
tenere che esista una simmetria perfetta tra il lin­
guaggio oracolare e quello filosofico . Eraclito vuoi si­
gnificare che né il visibile o il superficiale in quanto
tale, né il nascosto o il profondo in quanto tali pos­
seggono valore intrinseco . Quel che conta è l ' ardua
attività di ricerca che consente di tesaurizzare pochi
ma significativi risultati : «Quelli che cercano l 'oro sca­
vano tanto e trovano poco» Is.
Poiché non tutto si mostra immediatamente , ab­
biamo il dovere di metterei sempre in viaggio , di
scendere nel buio dei problemi per poi risalire alla
luce . Tale profondità non coincide però con l 'abisso
o il caos . È vero che «mettendoti a viaggiare non sco­
prirai mai i termini d eli ' anima , anche se tu dovessi
percorrere ogni sentiero : tanto è profonda la sua mi­
sura» 1 6 . Per quanto noi non perveniamo a conoscer­
la a pieno , una «misura•• viene tuttavia presupposta . Il
percorso accrescerà l'anima , le farà fare valanga su
se stessa , le permetterà di comprendersi sempre di
più, ma non la spingerà in caduta libera senza termi­
ne e senza meta . La ricerca della verità segue un lun­
go e ininterrotto cammino, che richiede sforzo e sa­
gacia e che la maggior parte degli uomini non ha
voglia , interesse e lungimiranza per percorrere .

1s
Heracl . , fr. 22 0 . -K. = 10 M.
16 Heracl . , fr. 45 0.-K. = 6 7 M.

78
Secondo Eraclito non si dà , quindi , un fondamen­
to persistente del mondo , nel senso di quel che si
chiamerà in seguito «sostanza» (ousia , altro termine il
cui significato originario è legato alla vita quotidiana
e alla sfera economica, poiché indica, in origine , ciò
da cui si traggono i mezzi di sostentamento , il cam­
po, la proprietà agricola) o «sostrato» (ypokeimenon
su b-ject u m ' ossia qualcosa ere sorregge il mutamen­
to restando esso stesso immobile, in analogia con le
fondamenta di un edificio) . La natura del fuoco e del
danaro implica proprio che qualcosa resti se stessa
solo ed esclusivamente perché muta . Il fuoco , infatti,
al pari dell' oro o dell 'anima , è un 'entità che permane
non malgrado , ma grazie, al cambiamento . L' oro ,
poi , come è detto in un frammento (che riflette, fra
l'altro , l'esistenza all 'epoca di una società già forte­
mente segnata , in Asia Minore, dal commercio e dal­
la navigazione , favoriti dalla recente invenzione , in
quella stessa area, della moneta , che sostituisce gli
enormi ' pani ' di metallo) è ciò che si scambia con
tutte le merci, così come tutte le merci si scambiano
con l'oro : «Tutte le cose sono scambio equivalente
per il fuoco l e il fuoco per tutte le cose , l come i
beni lo sono per l' oro l e l'oro per i beni» 1 7 . Il fuoco
e l'oro rappresentano pertanto il simbolo di tutte le
reciproche conversioni del mondo , delle incessanti
vicissitudini che lo conservano nel suo divenire tra­
passando : «Come [una] cosa e la medesima esiste in
noi l il vivo e il morto, l lo sveglio e il dormiente , l

17 Heracl . , fr. 90 D . -K. = 54 M .

79
il giovane e il vecchio : l queste cose infatti, scambia­
tesi , sono quelle , l e quelle , scambiatesi , sono que­
ste)) 18. Se dunque il fuoco e l ' oro consentono uno
scambio continuo di equivalenti , una metamorfosi
ininterrotta di ogni cosa nell 'altra , ne discende che la
·
precedente idea di un «principio>> o are h è, in quanto
origine e fondamento stabile del mondo, perde i suoi
caratteri distintivi . Viene già da ora sfatata la leggen­
da secondo cui la metafisica occidentale {che per
Heidegger inizia comunque con Platone) avrebbe
spaccato il mondo in due , separando nettamente ciò
che è manifesto da ciò che è nascosto, la superficie
dal fondo , l 'apparenza dalla verità.
Occorre però aggiungere che la filosofia di Eracli­
to non implica affatto l'idea di confusione, di un di­
venire scomposto , torrentizio o fluviale , come po­
trebbe suggerire il famoso (o famigerato) pan ta rei e
come , per certi versi , pensava anche Parmenide,
quando parlava degli uomini «a due teste», i quali,
con _una, pensano che l'Essere è, mentre con l 'altra,
che l'Essere non è , ossia che il mondo è dominato
dal divenire . O come sembra credere Teodoro nel
Tee teto quando - assimilando implicitamente gli ar­
gomenti dei sofisti al rovesciarsi degli o p posti nelle
teorizzazioni dei seguaci di Eraclito - paragona, fre­
nato però nella sua irruenza di giudizio da Socrate , i
loro frettolosi e assillanti ragionamenti, le loro «fra­
sette enigmatiche)) , a <drecce estratte da faretre)) 19 e
lanciate in corsa . Tipico del filosofo dovrebbe invece

1s H eracl . , fr. 88 D .-K.


= 4 1 M.
19 Cfr. Plato , Theet. , 1 8 0 A sgg.

80
essere, secondo Socrate, il prendere tempo , il fer­
marsi a riflettere20.

4. Eccesso di legittima difesa

Passando dall' invisibilità delle cose e degli esseri


nello spazio al loro nascosto agire nel tempo , è il ca­
so di osservare come da secoli la cultura europea dif­
fidi della teleologia in tutte le sue varianti, conside­
randola una delle peggiori eredità del pensiero
metafisica .
Ha così cominciato a lottare contro l'idea che esi­
sta una finalità nella natura come tutto, per attaccare
poi il finalismo all' interno delle filosofie della storia e
giungere infine , più recentemente , al suo rifiuto nel­
l'ambito delle strutture biologiche e sociali . Grava sul­
la teleologia il sospetto dell 'inganno o dell 'inutilità . Si
ritiene , infatti , che bari, in quanto introduce in ma­
niera indebita ipotesi che celano l'ignoranza sui fe­
nomeni che intende affrontare , che scambi, di con­
seguenza, surrettiziamente una tautologia con una
spiegazione o che, comunque, non contribuisca af­
fatto a una comprensione adeguata dei problemi .
È largamente noto come la scienza moderna sia
sorta, in polemica contro determinate posizioni attri­
buite all 'aristotelismo, anche sulla base dell'elimina­
zione delle cause finali dal suo ambito , giudicate quali
pregiudizi di origine teologica e antropocentrica , da
cui lo scienziato e il filosofo serio devono attenta-

2° Cfr. ivi, 1 7 2 D sgg.

81
mente guardarsi . Quando il finalismo diventa un tabù
culturale , la concezione meccanicistica può trionfare
ed erigersi a modello di ogni sapere , in quanto rinun­
cia solennemente all 'idea di qualsiasi condiscendenza
oggettiva della realtà verso un fine . Come ha osser­
vato Spinoza , riducendo ogni causa finale a causa ef­
ficiente : ((La causa cosiddetta finale , infatti, non è se
non lo stesso appetito umano , in quanto è conside­
rato come il principio o la causa primaria d 'una cosa.
Per esempio, quando diciamo che l' abitazione è stata
la causa finale di questa o di quella casa , allora cer­
tamente non intendiamo altro se non che l'uomo,
avendo immaginato i vantaggi della vita domestica,
ha avuto l 'appetito di costruire una casa. Quindi
l'abitazione, in quanto è considerata come causa fi­
nale , non è altro che questo appetito singolare, il
quale , in realtà, è causa efficiente; la quale è consi­
derata come causa prima perché gli uomini ignorano
comunemente la causa dei loro appetith>2 1 .
Non è tuttavia facile , in nessun campo del sapere,
sbarazzarsi del concetto di teleologia . Malgrado ogni
assalto sferrato contro il finalismo , è come se il com­
pito di bandirlo non fosse mai compiuto ; come se ciò
che è stato cacciato dalla porta rientrasse camuffato
dalla finestra; come se esso venisse effettivamente
utilizzato senza che si abbia però il coraggio di pro­
nunciarne il nome . Posto che la lotta nei confront i
del teleologismo abbia costituito una forma di igiene

21
Spinoza , Eth ica , IV, p raef. , trad . i t. di G. Durante, note di G.
Gentile rivedute e ampliate da G. Radetti , Etica d i m os t ra ta secondo
l 'ordine geometrico , Sansoni , Firenze 1 963.

82
mentale , il prezzo pagato sembra essere spesso quel­
lo di una rimozione mal riuscita.
Perché, allora , tale concetto risulta , simultanea­
mente , così problematico e così poco eliminabile?
Da cosa dipende la tenacia con cui i paradigmi te­
leologici si conservano , malgrado l 'apparente irrefu­
tabilità di tutte le loro confutazioni? Si tratta soltanto
di pigrizia mentale o del desiderio di incondizionatez­
za, condannato da Kant? A ben guardare , è stato , del
resto, proprio Kant - posto dinanzi allo sviluppo del­
le scienze della vita e al loro relativo autonomizzarsi
dal riduzionismo meccanicistico - a riconoscere che
gli organismi viventi son pur regolati da leggi che
non sembrano esclusivamente meccanico-efficienti.
Ed è stato Kant a ricorrere a una soluzione di ' com­
promesso ' , che - per quanto geniale - dimostra an­
che l'imbarazzo soggettivo di chi , date le premesse ,
si è quasi costretto a formularla . Affermare infatti che
la finalità è solo un ' idea regolativa e non un concetto
scientifico, che nella natura tutto appare «come se» vi
fosse un ordinamento teleologico , significa esprime­
re un doppio disagio , nei confronti tanto dell' accet­
tazione quanto del rifiuto della finalità .

5 . Anamnesi di un problema

Quali strategie vengono messe in atto allorché


trova legittimazione nel nostro secolo la separazione
tra mezzi e fini , quando i fini vengono considerati in­
conos cibili e affidati alla scelta immotivata e dramma­
tica deg li individui? Quali effetti produce il tramonto
83
delle idee plurimillenarie di Fine Ultimo e di Sommo
Bene , con le loro complesse gerarchie piramidali di
scopi degni di essere raggiunti? Per impostare possi­
bili ventagli di risposta a queste enormi e straripanti
questioni , esaminerò dapprima brevemente (in una
sorta di rammemorazione che toccherà posizioni
esemplari) l'idea di «fine'' come si presenta ancora
oggi - a livello per lo più immagih ativo - nel senso
comune diffuso, a sua volta erede di lunghe tradizioni
filosofiche. Vedrò poi come e a quali condizioni essa
sia giudicata recuperabile o da rifiutare . In questo
farò riferimento a Weber, Simmel e Luhmann , ma
avrò anche costantemente sullo sfondo, pur senza
parlarne , l ' odierna diffusione dei paradigmi «teleono­
mici'' in biologia o i modelli di 'finalità rappresa' e
materializzata nelle macchine o nei programmi di
computer. Il nucleo argomentativo sarà costituito , al­
la fine , dall' analisi delle conseguenze di uno fra i tanti
processi teorici che - a partire dalla fine del secolo
scorso - hanno portato all ' eliminazione dello schema
finalistico ' oggettivo ' dai sistemi sociali e alla sua so­
stituzione con dispositivi di autoregolazione capaci di
incorporare fini artificiali negli automatismi e di de­
gradare il nesso mezzo-fine ad un ristretto e inin­
fluente ambito di validità psicologica .
Bisogna , per cominciare , procedere allo smon­
taggio dell' idea che comunemente si ha di teleologia,
mostrando come essa contenga componenti imma­
ginative e metaforiche arcaiche (legate cioè a forme
mentali e sociali del passato) , che continuano certo a
sopravvivere anche oggi , ma di cui si sono spesso
84
p erdute le tracce delle 'scene primitive ' e il senso del­
le implicazioni.
Il <dine» è stato infatti spesso pensato in analogia
con il bersaglio che una freccia scagliata in una de­
terminata direzione dovrebbe cogliere ; oppure con la
pi anta che un certo seme tende a produrre (quasi fos­
se sua intenzione) o con la casa che l 'architetto ha in
mente . Le attività umane più antiche {guerra-caccia,
agricoltura, artigianato, costruzioni) hanno talmente
modellato e curvato la nozione di teleologia, che var­
rebbe persino la pena domandarsi se il suo orizzonte
di intelleggibilità non sia delimitato dall 'ambito di at­
tività caratteristico delle società premoderne , dove la
catena teleologica risulta generalmente più corta , più
visibile e più solida. Essa non è inoltre ancora saltata
per effetto di una sorta di cortocircuito intellettuale
provocato dalla riscoperta dell' ((eterogenesi dei fini»
da parte delle moderne filosofie della storia .
A tutte queste attività è familiare la divisione in
più fasi o componenti : mezzi (arco, terra , strumenti,
materiali) e fini (nemico-preda, pianta, casa) ; relati­
vizzazione dei mezzi e dei fini, per cui quel che è fine
può diventare mezzo per ulteriori fini e viceversa;
scansione temporale (preparazione , decisione, ese­
cuzione , conclusione) ; le eventualità di fallimento o_di
riuscita settoriale ; resistenza specifica di volta in volta
incontrata ; possibilità di delegare a esecutori inter­
medi la realizzazione dello scopo . A tutte è familiare
la concezione che è necessaria la convergenza favo­
revole di condizioni oggettive e di abilità e conoscen­
ze soggettive perché il progetto abbia successo . È ve­
ro che nell 'artigianato e nelle costruzioni , una volta
85
che si sia appreso bene il mestiere, gli insuccessi so­
no meno frequenti , perché si dominano abbastanza
bene la tecnica e i materiali . In guerra e in agricoltu­
ra , al contrario , la casualità ha peso senz' altro mag­
giore : la freccia di un altro , il seme che è beccato
dagli uccelli , o, la pianticella che viene soffocata dai
rovi , distrutta da una grandinata o dalla siccità impe­
disce il conseguimento del risultato atteso .
Ciò che generalmente sfugge (malgrado la radice
te/, che implica in telos il girare attorno, e anche se
l ' idea si ritrova in altri gruppi di metafore , come quel­
la del grano che ((muore» per poter rinascere o della
terra che deve essere squassata e dissodata per ge­
nerare) è che il fine non implica · sempre e necessa­
riamente un procedere lineare in una sola direzione,
da A a B , un procedere , per giunta , che lascia intatto
A e che sarebbe già del tutto implicito in A . Non si
può , in altri termini , concepire lo scopo - senza es­
sere consapevoli dei costi teorici da pagare - come
un' immobile stella polare o come una calamita che
orienta e attira l' azione e i mezzi dal futuro , guidando­
li attraverso le peripezie del tragitto e nascondendone
la ((caducità>> , in modo che quel che è deciso e fissato
dall 'inizio verrebbe semplicemente proiettato alla fine
e quel che è soltanto implicito in partenza diventereb­
be esplicito , rendendo reale ciò che è possibile nel suo
essere 'innervato ' di desiderio d'essere22 .

22
Per l'occultamento della caducità dell' azione mediante l'im­
mobilizzazione dell9 scopo, cfr. N. Luhmann, Zwec kbegriff un d Sy­
s tem ratio n a l i téit. Ube r die Fu n k tion der Zwecken i n soz ialen Sy­
stemen , Suhrkamp , Frankfurt a . M . 1 9 7 3 , pp. 8 sgg.

86
Bisogna mutare schema percettivo: non guardare
cioè esclusivamente al proiettarsi dell' intenzione o
della tendenza da A a B , per poi trasformare fetici­
sticamente la possibilità in necessità, il favoreggia­
mento delle condizioni presenti in leggi rigorose . È
indispensabile guardare anche a quegli aspetti che in
genere restano nascosti a causa d eli ' enfasi posta sulla
realizzazione delle cose a venire . L'idea di <<fine» do­
vrebbe cioè perdere il momento fatalistico per cui in
esso si manifesta solo quanto è latente , dimodoché i
mezzi vengono pensati unicamente in funzione del fi­
ne, come pre-condizioni che ne favoriscono o ne dan­
neggiano la riuscita . Ponendo l' accento sui meccani­
smi a feed b a c k che retro-agiscono sul terreno di par­
tenza della costruzione del nesso mezzi-fine, tale mo­
vimento si può considerare anche come una distru­
zione delle premesse , del suo fondamento che spro­
fonda, rendendosi irriconoscibile (con il linguaggio he­
geliano della <<logica del!' essenza» come un «fondamen­
to» , Grund, che diventa «abisso», A bgru nd) .
Pur essendo persino difficile , per l a conformazio­
ne storicamente determinata della nostra mentalità ,
fare a meno di questo schema temporalmente orien­
tato, nulla impedisce di pensare il fine in quanto feed
back rettificante e selettivo sui mezzi . Per quanto ri­
guarda l'azione umana , esso è infatti inerente in ogni
momento non soltanto all 'attività rivolta al futuro , ma
anche nel presente e addirittura nel passato , in quan­
to 'ara' al suo interno, rivolta e rimescola le zolle , ri­
porta alla superficie quel che si considerava impor­
tante , le possibilità remote , le attese dimenticate ,
mentre affossa talvolta quel che si riteneva attuale,
87
rilevante . Trasforma il futuro non in un punto imma­
ginario verso cui ci dirigiamo e a cui 'appendiamo' i
nostri progetti - affidandoli al messo sicuro della te­
leologia o delle «leggi oggettiven o al nostro interven­
to artificiale teso a piegare gli eventi -, ma in qual­
cosa che sgorga continuamente dal ribaltamento del
passato e del presente , che è racchiuso in essi, che
non si srotola soltanto , ma ad-viene con irruenza e
densità discontinue , con vuoti , cadenze diverse e di­
storsioni.
Tale schema in cui la 'deformazione' di A passa
in secondo piano rispetto al conseguimento di B (in
cui non solo l'impastare la creta risulta meno rilevan­
te del vaso che si ottiene , ma il conseguimento di un
' fine' ha mutato à rebou rs il quadro delle nuove si�
tuazioni), è l'origine e il risultato di quella tradizione
filosofica che più di altre (anche attraverso la media­
zione della Chiesa cattolica dal Medioevo in poi) ha
modellato il senso comune dominante .
Mi riferisco ad Aristotele , secondo il quale nella
natura giocano molteplici fattori . Non dominano, in­
fatti , solo il caso e la necessità , né prevalgono cause
materiali come sosterranno o avevano sostenuto
pensatori successivi o precedenti . Prevalgono la fina­
lità (te/os), l ' ordine (taxis) , che si affermano malgra­
do le eccezioni23 . Nel cosmo delle sfere celesti rego­
larità e finalità sono assolute e il movimento circolare

23 Cfr. Arist . , Phys. , Il, 5, 1 9 6 b 10 sgg . ; De part. a n . , I, 645


a; Poi. , l, 5, 1 254 a 3 1 ; De gen . an . , V, l , 7 7 8 b 3. Per l 'acciden­
talità cfr. A n . Pr. , l, 1 3 ; Phys. , Il, 5-6 ; De gen. a n . , l, 20, 727 b
29-30 .

88
è lassù «perfetto» (te telesmenos) , ossia raggiunge
sempre il suo telos , il ritorno su se stesso . Nel nostro
mondo sub-lunare invece (il mondo della generazione
e della corruzione , il mondo del ((pressappoco» o del
((per lo più») , la regolarità, la finalità e l ' ordine natu­
rali non prevalgono sempre, ma, appunto, la mag­
gior parte delle volte . La natura , paragonata a un
medico che talvolta sbaglia la dose dei farmaci, ge­
nera mostri, ossia numerose eccezioni alla norma , fi­
nalità non riuscite e inadeguatezze24 . La progettua­
lità finalistica della natura e dell 'uomo si serve di una
serie di strumenti che comanda senza muoversi . La
causa finale , rappresentata eminentemente da Dio , è
il motore immobile che attira l' azione degli strumenti.
Il progetto razionale, pur vertendo dunque sulla scel­
ta dei mezzi , degli strumenti animati e inanimati, si
àncora a fini immobili . In tal modo la causa finale
non solo non è in conflitto con la causa efficiente ,
ma ne è la realizzazione . Il che vuoi dire che la fina­
lità non è estrinseca alle leggi naturali (ne è la ten­
denza anche quando la natura sbaglia) e che , persino
nel proponimento umano razionale , il fine non pe­
netra dall'esterno, di prepotenza, ma si fa strada at­
traverso i mezzi , di cui appare il prolungamento in­
tenzionato , esplicitato . La coerenza ottimale tra
mezzi e fini è così assicurata sia ai progetti spontanei
della natura interna o esterna all' uomo , sia a quelli
che sono frutto di ponderazione e di coscienza.
Il caso o fortuna (tyche) e la spontaneità (a u to-

24 Cfr. Arist. , Phys. , Il, 8, 199 a 32 sgg.

89
m a ton) non hanno tuttavia il primato . Proprio per­
ché vi è un di più di regolarità finalistica e di ordine,
noi siamo in condizione di cogliere la casualità, che
non confligge del resto con il fine: vado al mercato e
incontro uno che mi deve del danaro : non pensavo
affatto di riscuoterlo, eppure ho raggiunto una mèta,
certo insperata in quel momento , ma non per questo
in contraddizione con il mio fine di avere indietro la
somma prestata25 . Allo stesso modo, neppure la ne­
cessità (a nan ke) è in contrasto con la finalità: parlia­
mo di essa quando non siamo ancora capaci di rico­
noscere il te/os . Aristotele non nega dunque il gioco
del caso e della necessità ad esclusivo vantaggio di una
visione comodamente finalistica . Lascia loro un largo
margine , sebbene non in alternativa alla finalità .
Nel campo dell 'agire umano la causa finale si pre­
senta o come intenzione «volontaria» , appetizione di
ciò che appare un bene (e che è comune anche agli
animali e ai bambini) , o come proponimento delibe­
rante (p roa ires is) , accompagnato da ragione e da ri­
flessione . La prima ha per oggetto soprattutto il fine,
verso il quale oscuramente si dirige , mentre il secon­
do ha per oggetto i mezzi . L'agire razionale rispetto
allo scopo si presenta già in Aristotele come sapere
dei mezzi che sono a nostra disposizione , ma questo
solo perché i fini sono considerati evidenti e non in
conflitto politeistico (la salute per il medico , la per­
suasione per l 'oratore , ecc . ) .

zs
Cfr. ivi , Il, 5, 1 96 b 34 - 197 a 14.

90
6 . Metafisica dell'autoregolamentazione della società

Nella cultura moderna, al contrario - in Max We­


ber o in Talcott Parsons - la razionalità formale è
scienza dei mezzi proprio in quanto i fini non sono
per niente chiari , in quanto non si attribuisce loro al­
cuna loro gerarchia che culmini nel Sommo Bene ,
ciò che li rende , di conseguenza, indecidibili. Resta
tuttavia costante , da Aristotele a Weber, l ' idea che si
può avere una scienza solo dei mezzi e non dei fini
(per quanto , in Aristotele, sia compito del /ogos sa­
per individuare l' evidente finalità e subordinare ad es­
sa l 'insieme dei mezzi per conseguirla , così che la fi­
losofia acquista quale funzione precipua di stabilire
l'ordine gerarchico dei beni da raggiungere) .
La visibilità dei fini è , del resto , oggi molto più
problematica che nel passato . La trafila dei passaggi
mentali , delle azioni nell ' abito della prassi o delle at­
tività nella sfera lavorativa che si devono compiere
per conseguire uno scopo è infatti oggi , per lo più,
molto più lunga , accidentata e invisibile . Le società
premoderne (o comunque quelle a più lento sviluppo)
possedevano infatti nella tradizione un meccanismo
elementare ed efficace di autoregolamentazione dei
comportamenti collettivi e individuali . Orizzonti di vi­
ta alquanto limitati permettevano inoltre, general­
mente , di meglio visualizzare gli oggetti intenzionati
dalla mente o dalla volontà e di raggiungerli attraver­
so brevi catene di riflessioni o di atti finalizzati . Que­
sto è l'esatto contrario di quanto accade nelle società
mod erne , dove le «serie teleologiche)) , di regola mol­
to più lunghe, esigono un maggior contributo dell' in-
91
telletto e un conseguente maggior controllo e raffred­
damento dell' emotività : «L'impulsività e l'abbando­
narsi agli affetti di cui si parla tanto spesso a propo­
sito dei popoli primitivi , dipendono dalla brevità delle
loro serie teleologiche))26 .
Un tale impoverimento emotivo, accompagnato
da un surplus di senso non immediatamente ritradu­
cibile in termini oggettivi, racchiude due esiti comple­
mentari ma opposti . Può spingere verso un ulteriore
adeguamento dei soggetti alla razionalità incorporata
nello «spirito oggettivo», verso la meccanizzazione
dell'esistenza, o verso la ricerca di universi di senso
che sfuggono ad ogni aggettivazione e razionalizza­
zione comunicabile e si dissolvono in una regione po­
sta ai confini dell 'ineffabilità. In termini weberiani le
soluzioni possono essere presentate in questo modo:
rinuncia alla totalità del senso e alla ricerca di una
giustificazione non solo del fine ultimo, ma di tutti i
fini in quanto valori, accettazione della «gabbia d' ac­
ciaio» oppure evasione da essa, magari in direzione
di un estetismo aristocratico come quello di Stephan
George. Diversamente da Weber, Simmel però non

26 G. Simmel, Ph i losophie des Ge ldes, Leipzig 1 9 00, trad . it.


Fi losofia del da naro , Utet, Torino 1 984, p. 609. Anche Weber esi­
ge, per compensazione nell'uomo moderno, il sacrificio della pre·
sunta totalità soggettiva armonicamente integrata nell'oggettività, il
virile abbandono della «bella universalità faustiana», ossia l'abbassa­
mento delle pretese , «con l'addio ad un tempo di bella e piena urna·
nità, che non si rinnoverà più nel corso della nostra civiltà , come non
si rinnovò il fiorire di Atene» (M . Weber, Die protesta n t ische Ethik
und der Ge ist des Kap i ta l ism us, in Gesammelte A ufsiitze zur Re·
ligionssoziologie, Mohr, Tubingen 1 9 2 2 , trad. i t. L 'etica protestan·
te e lo sp irito del cap ita lismo , Sansoni, Firenze 1 965, p. 304) .

92
prende posizione né in favore della rinuncia, né del­
l'evasione. Se si volesse, in maniera stilizzata, indica­
re le linee di demarcazione tra il loro pensiero , si po­
trebbe dire che Weber - consapevole del peso dei
sacrifici richiesti ai singoli - mira a rendere parallele
la razionalità sociale e quella razionalità individuale ,
chiedendo poi al singolo di adeguarsi alla prima;
Simmel , invece , le considera di fatto divergenti e in­
timamente in componibili e procede alla mappatura e
alla dettagliata fenomenologia delle tensioni esistenti
e d e l loro continuo riproporsi . La «tragedia della cul­

tura>> consiste proprio nel conflitto che oppone la fi­


nalità oggettiva e acoscienziale delle istituzioni sociali
- alla quale l'individualità è semplicemente costretta
a piegarsi sognando altrove un ' esistenza più piena -
alla congerie di scopi e di mezzi , continuamente ag­
giornabili, a cui il singolo , nella sua miopia , affida i
propri piani di vita.
Se consideriamo ora in prospettiva gli effetti della
crisi del teleologismo in campo sociale , vedremo co­
me a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso
-

- essa produca la separazione conclamata e codifica­


ta di forme complementari ma non congruenti di ra­
zionalità : quella dei mezzi e quella dei fini.
Si ha ora l' impressione che non sia ulteriormente
possibile lasciarsi trascinare dalla fiducia nella sostan­
ziale bontà del corso delle cose e dal suo presunto
tendere verso il meglio, ma che occorra piuttosto
prevedere , progettare lo sviluppo possibile, sosti­
tuendo la spontaneità dei singoli (frutto , peraltro, di
una precedente coazione, divenuta inconsapevole)
con nuovi vincoli accuratamente progettati . In termi-
93
ni politici i meccanismi automatici quali il potere , il
danaro o la burocrazia vengono considerati come
spina dorsale che sostiene e dirige la società in luogo
delle tendenze teleologiche prima attribuitele.
Il finalismo diventa artificiale : viene consapevol­
mente introdotto dall'attività umana e dalla sua capa­
cità di progettare in un mondo che è ((in sé privo di
senso»27 . L'efficacia si sostituisce alla verità . La ga­
ranzia preliminare della coerenza del pensare e del­
l' agire con le strutture del mondo in sé è scaduta . Si
deve prima agire e poi attendere il risultato : solo il
successo decide della giustezza di un' azione .
Per questo , delle quattro forme dell' agire che We­
ber prende in esame (razionale rispetto allo scopo,
razionale rispetto al valore , passionale-emotiva, tra­
dizionale)ZB , solo la prima è considerata pienamente
funzionale ad una società che voglia perseguire fini
razionali . Non che le altre dotate di senso scompaia­
no o debbano scomparire dinanzi all 'ipertrofia della
ragione strumentale , ma è certo che esse vengono
spinte ai margini , espulse dalla sfera di ciò ch e ha
valore sociale e confinate nella sfera della coscienza
singola .
La distinzione weberiana tra razionalità rispetto

27 M . Weber, Ober ein ige Katego rien der verstehenden Sozio­


logie ( 1 9 1 3) , in Gesammelte A ufsatze zur Wissenschaftslehre ,
M oh r Ti.ibingen 1 95 1 , trad. it. A lcune ca tegorie de lla sociologia
,

comprendente, in Il metodo delle scienze storico sociali, Einaudi,


Torino 1 958, p. 245.
28 M . Weber, Wirtschaft und Gese llschaft ( 1 922) , Mohr, Tii­
b i ng e n 1 9 56, trad. it. Econom ia e società, Comunità , Milano
1 96 1 , vol . I, pp. 2 1 -2 2 .

94
allo scopo e razionalità rispetto al valore non appare
tuttavia a Luhmann molto felice , in quanto non illu­
mina a sufficienza la natura dell' orientamento del­
l'agire razionale : «Questa consiste semplicemente nel
fatto che colui che agisce dà del proprio comporta­
m ento una spiegazione causale , cioè lo considera co­
m e causa di un determinato effetto , e sceglie o la
causa {l 'agire stesso) o l 'effetto (lo scopo prefissato)
secondo punti di vista valutativi . Interpretazione cau­
sale e orizzonte valutativo si condizionano reciproca­
mente; e, congiuntamente , come fattori opposti , co­
stituiscono la struttura razionale dell 'agire . Il concetto
di scopo indica soltanto degli effetti speciali dell ' agi­
re, che vengono ritenuti tanto dotati di valore da far
sì che per essi vengano ignorate o prese in conside­
razione le altre conseguenze dell 'agire)) 2 9.
Anche la trasposizione dello schema scopo-mez­
zo al livello di «potere>> nei grandi aggregati sociali
non risulta per Luhmann convincente . È certo vero ,
per lui, che chi produce potere - comando seguìto
da obbedienza - è capace di imporre ai suoi subor­
dinati i propri scopi {il che equivale a dire che è in
grado di ' piegare' la loro volontà). Ma il potere è an­
che uno strumento di comunicazione non coscienzia­
le, che mette in rapporto gli uomini tra loro al pari
del danaro , dell'amore o di altri media .

29 N . Luhmann, Zweck, Herrschaft, Sys tem . Grundbegriffe


und Prèim issen Max Webers ( 1 964), in Politische Pla n u n g We­
,

std eutscher Verlag , Opladen 1 97 1 , pp. 1 29-58, trad. it. Scopo, Po­
tere, S iste ma. Concetti fondamentali e premesse dell 'opera di
Max Weber, in Stato di diri t to e sistema sociale , Guida, Napoli
1 990, pp. 1 57-92 (la citazione è a p. 1 59) .

95
Per questo Luhmann insiste n eli ' espungere la
coppia mezzi-fine dall 'ambito dei sistemi sociali e nel
!asciarle una validità limitata anche in quello dell'agi­
re individuale , in cui è servita a dare un carattere so­
stanziale ali ' azione, ancorandone il movimento ad
una mèta e facendo del telos il culmine del! ' azione
stessa . Sebbene non sia stata ancora adeguatamen te
sostituita, la sua struttura è problematica anche nel­
l' esperienza quotidiana30• In effetti , i meccanismi so­
ciali più che da azioni attualmente intenzionate sono
retti dalla fiducia e dalla routine, dall 'abbandonarsi a
comportamenti accettati e collaudati3 1 .
È certo probabile che parte degli equivoci relativi
al teleologismo dipenda dal permanere tacito di un
modello coscienzialistico , mutuato dall 'agire indivi­
duale , che si fonda sulla rappresentazione mentale
del concetto di fine , proiettato in seguito sulla natura,
sulla storia e sulla società .
Nelle moderne teorie sistemiche (come già nelle
sociologie acoscienziali degli equilibri collettivi, in Du­
rkheim o, in forme diverse in Parsons) si cerca così di
aggirare la difficoltà dichiarando che quel che conta
non è l'agire individuale con le sue intenzioni , ma il
sistema stesso dell 'interazione sociale , che è indipen­
dente dalla logica psicologica degli individui . La so­
cietà come un tutto ha infatti le sue proprie leggi, che
non coincidono affatto con quelle dei singoli: il va-

3° Cfr. Luhmann, Zweckbegriff und System rationa litiit. Uber

die Fu n k tion der Zwecken in sozialen Systemen , cit. , pp. 1 0 sgg.


3 1 Cfr . Luhmann , Lob der Ro utine, «Verwaltungsarchiv>•, LV,

1 964, pp. 1-33.

96
riare del numero dei suicidi in determinati periodi
non ha nulla a che vedere con le differenti motiva­
zioni individuali, nel complesso però la curva statisti­
ca - con una sorta di ((magia nera» dei numeri - man­
tiene una logica propria . Peraltro, come osservava in
altro contesto Georg Simmel, quanto più la raziona­
lità emigra dalla coscienza soggettiva e si insedia in
automatismi o supporti materiali (come la carta o il
metallo nel danaro) , tanto più il singolo appare ten­
denzialmente svuotato delle sue precedenti preroga­
tive e vede le proprie facoltà inesorabilmente sussun­
te da meccanismi sprowisti di coscienza che hanno
però incorporato finalità umane . Così, ((l 'operaia del­
la macchina ricamatrice , per esempio, esercita un 'at­
tività assai meno spirituale della ricamatrice a mano ,
mentre lo spirito di questa attività è per così dire tra­
passato nella macchina, si è oggettivato in essa,,32.
Per ciascun componente delle società moderne di­
venta, per inciso , importante - quasi in forma di
compensazio n e per un' esistenza dominata da una fi­
nalità spesso awertita come esterna - l'accresciuto
pathos per ciò che si presenta privo di scopo, gra­
tuito (dono, sacrificio , spesa improduttiva o, comun­
que, tutto quanto spezzi il legame funzionale mezzo­
fine) .
Il soggetto singolo viene in questo quadro trasfor­
mato in un ruolo, ossia in una funzione dell 'insieme,

32 G . Simmel, Uber sazia/e Differenzierung. Sozio/ogische


und psychologische Un tersuchu ngen , Verlag Duncker & Humblot,
Leipzig 1890, trad . it. La differenziazione sociale, Laterza, Roma­
Bari 1982, p. 1 36 .

97
ed anche le istituzioni - ad esempio in Parsons - ven­
gono rappresentate come un fascio di ruoli . Malgra­
do le enormi differenze rispetto alla sociologia fran­
cese di Comte e di Durkheim e malgrado lo sforzo
per interpretare la totalità sociale attraverso catego­
rie di origine leibniziana , husserliana o weberiana
(possibilità, senso, agire razionale rispetto allo sco­
po) , anche Luhmann è indotto ad attestarsi sul piano
dell 'equilibrio . E cioè : mentre le filosofie della storia e
certi marxismi , riconoscendo l' esistenza di tendenze
o cause finali negli eventi , di effetti perversi e di con­
trofinalità , concepiscono l ' agire dei singoli e il pro­
getto preterintenzionale che ne deriva come una di­
namica , come «sviluppo,, , questa sociologia, avendo
reciso il legame che ancora in Weber la teneva unita
all ' energia motrice dell'atione dei singoli, è costretta
a trovare l 'unica possibile dinamica all 'interno delle
tensioni della società come tutto o del sistema com­
posto di sotto-sistemi , a fare cioè dell 'interazione,
d eli ' omeostasi , d eli ' equilibrio turbato che tende a ri­
produrre il suo stato precedente il loro principale
strumento di interpretazione della realtà sociale . Così
la negazione di ogni causa finale, di ogni teleologi­
smo a favore di sistemi autoregolantesi si rivela esse­
re soltanto un teleologismo che si morde la coda , che
non ha altro fine che quello di una soprawivenza del­
l' insieme , che non progetta di andare oltre se stesso
quanto piuttosto di procedere a continui assestamen­
ti . Riproduce, così, a suo modo un 'ennesima struttu­
ra metafisica .
Umberto Eco
BREVI CENNI SULL' ESSERE

l . Introduzione

In una serie di conferenze dedicate alla metafisica


non potevo che scegliere , come unico argomento
possibile, che la questione dell'essere . Aristotelica­
mente rimango convinto che la metafisica sia la
scienza che studia l 'essere in quanto tale, prima e in­
dipendentemente da ogni altra determinazione .
C'è una annosa polemica tra gli interpreti di Ari­
stotele , se questa scienza che studia I' essere debba o
meno essere identificata con quella Filosofia Prima di
cui si parla a tratti nella Metafisica . E questo perché
altrimenti Aristotele non avrebbe dato nome a questa
scienza d eli ' essere , in quanto «metafisica)) sarebbe
stato un nome assegnato a una delle sue opere per
pure ragioni di ordinamento , come libro che viene
dop o i libri sulla fisica. Ma ci sono fieri sospetti che
questo non sia puro accidente catalogatorio, e Kant
nelle sue Lezion i sulla metafisica osservava che , se
di incid ente si tratta, ha l 'aria pochissimo casuale: ciò
di cui parla la Me tafisica , come libro , se viene dopo
la fisica e altre scienze nell' ordine delle nostre cono­
scenze, viene prima in termini di diritto, o per natu-
99
ra . D 'altra parte mostrerò che il problema dell'essere
non ci si pone affatto dopo che abb1amo affrontato
gli altri problemi , ma prima - anche se non in forma
di problema. È stato osservato che la Filosofia Prima,
così come Aristotele ne parla , non pare presentarsi
come scienza dell' essere in quanto tale , ma come
scienza del divino o Teologia 1 . Quindi o la scienza
dell'essere non ha nome (e neppure questo sarebbe
un accidente) oppure l'unico nome che ora noi pos­
siamo darle - come se le fosse dovuto cratilescamen­
te per natura - è quello che ha ricevuto per caso e
per convenzione . Dunque , la metafisica è quel di­
scorso che concerne l'essere in quanto tale.
Debbo ora giustificare il titolo apparentemente
ironico della mia conferenza. Che sia ironico è vero ,
ed era stato ispirato da una boutade di Gramsci che,
a proposito di non so più quale autore , aveva definito
un suo libro o una sua teoria come «brevi cenni sul­
l' universo'' · E potrebbe bastare che il titolo fosse iro­
nico, a consentirmi di mettere le mani avanti e di av­
vertire che , se ho deciso di toccare il problema più
tremendo di tutta la storia della filosofia, e di affron­
tarlo nello spazio di una conversazione , è chiaro che
dovrò limitarmi a brevi, cauti ed umili cenni .
Ma il titolo ha anche due altre ragioni, per nulla
ironiche o scherzose . La prima, a cui dedicherò il nu­
cleo centrale del mio discorso, è che la questione del­
l' essere può essere risolta in brevi cenni : owero, il
paradosso dell' essere è che , essendo la cosa più

1 Pierre Aubenque, Le problème de l 'etre chez A rista te , PUF,

Paris 1 962.

1 00
complessa a cui noi possiamo pensare , è anche la
·

più semplice.
La seconda ragione emergerà solo in conclusio­
ne, dove vedremo che è l 'essere stesso, ammesso
che esso sia, che ci parla per cenni brevissimi.
È stato detto 2 che il problema dell' essere (la ri­
sposta cioè alla domanda <<che cosa è l 'essere?,,) è il
meno naturale di tutti i problemi, quello che il senso
comune non si pone mai . Al punto tale che la tradi­
zione posteriore ad Aristotele non se lo è posto , lo
ha per così dire rimosso, e forse a questo si deve il
fatto ormai leggendario che il testo della Metafis ica
sia scomparso per riemergere solo nel primo secolo
avanti Cristo . D'altra parte lo stesso Aristotele , e con
lui tutta la tradizione filosofica greca, non si è mai
posto il problema che a noi pare così attuale e in­
quietante , nella forma in cui lo ha posto Heidegger a
conclusione del suo Che cos 'è la metafisica ?: ((Per­
ché c'è dell 'ente piuttosto che niente?" .
Qui però occorre sottrarsi a una insidia, che na­
sce dal fatto che comunemente con ((essere" si tradu­
ce ciò che Aristotele chiama tò òn . In questo senso
la metafisica , come scienza del tò òn é òn , è scienza
dell'essere . Ma con Heidegger ci si trova di fronte
non a una ma a due parole (e vedremo se corrispon­
dono dawero a due ((cose" diverse) : l ' ente (das
Seiende) e l'essere (das Se in). Tutto quello che leg­
gendo Aristotele noi attribuiamo all 'essere , per Hei­
degger va attribuito all 'ente che, nella misura in cui

2 lvi, pp. 13-14.

101
traduce il tò òn di Aristotele , è ciò che noi riteniamo
che sia , vorrei dire , in termini non heideggeriani, la
totalità dell' esperibile (non dell 'esperito , perché lo òn
aristotelico comprende non solo ciò che è in atto ma
anche ciò che è in potenza , e che quindi di fatto non
è ma potrebbe essere) . Per Heidegger il male della
metafisica è che essa si è sempre occupata dell' ente,
ma non del suo fondamento , e cioè dell' essere , e del­
la verità dell 'essere3.
Cercherò di dire più avanti perché si può evitare
la diade heideggeriana, e che essa nasce proprio dal­
le aporie d eli ' essere aristotelico . Per il momento con­
sentitemi di usare la parola essere nel senso aristote­
lico . Pertanto la domanda di Heidegger («Perché c'è
dell 'ente piuttosto che niente?,,) può essere formulata
come <<Perché c'è dell'essere piuttosto che nulla?)).
Possiamo farlo se ricorriamo a qualcuno che ha for­
mulato questa domanda prima di Heidegger (e Hei­
degger gliene dà atto) in modo più accessibile al buon
senso. Questo qualcuno è Leibniz che - nei suoi
Principes de la nature et de la grace - si chiedeva:
«Pourquoi il y a plutot quelque chose que rien?'' (ag­
giungendo che in fondo il niente sarebbe più sempli­
ce e meno complicato di qualche cosa). Questa do­
manda mi pare ugualmente metafisica (anche se non
aristotelica) e ha inoltre il vantaggio di rappresentare
anche le angosce del non filosofo che talora potreb-

3 Dalla Introduzione a Che cos 'è la metafisica?, in Segnavia,

Adelphi , Milano 1 98 7 . La metafisica pensa l' ente in quanto ente (p.


3 1 7) . Ovunque la metafisica rappresenta l 'ente già traluce l 'essere
(p . 3 1 8) .

1 02
be domandarsi : «ma perché deve esistere Dio, così
difficile a pensarsi nella sua inconcepibile eternità , o
peggio ancora un universo materiale senza Dio, al­
trettanto eterno (perché doveva pur esistere qualcosa
prima del big bang, che il big bang abbia fatto esplo­
dere)? Questo va oltre la nostra immaginazione. Co­
me sarebbe più semplice se non vi fosse mai stato
nulla. Non ci sarebbero problemi e neppure - ciò che
non sarebbe guadagno da poco - neppure il proble­
ma metafisico))4. Che è poi l 'angoscia che prendeva
Valéry in Ébauche d 'u n serpen t :

Soleil, soleil! . . . Faute éclatante !


To i qui masques la mort, Soleil . . .
Par d ' impénétrables délices ,
To i le plus fier de mes complices ,
Et de mes pièges le plus haut,
Tu gardes !es coeurs de connaitre
Que l ' univers n'est qu'un défaut
Dans la pureté du Non-étre5.

4 Va detto che già Kant e poi Schelling avevano messo in bocca

a Dio stesso la domanda: «Tutto deriva da me, ma io donde proven­


go?, (cfr. Luigi Pareyson , Filosofia della libertà , Il Melangolo, Ge­
nova 1989, p. 1 0) .
5 Detto per inciso, s e l a condizione normale fosse i l nulla, e noi

ne fossimo soltanto una escrescenza transitoria, Dio compreso, ca­


drebbe anche l'argomento antologico, secondo il quale Dio deve esi­
stere perché è possibile pensare id c ujus n ih i l majus cogi tari possit,
e cioè dotato di tutte le perfezioni . E siccome a un essere pensabile
come dotato di tutte le perfezioni compete anche l'esistenza, il fatto
stesso che Dio sia pensab ile dimostra che esiste , altrimenti non po­
tremmo pensarlo come perfetto - ciò che invece è dimostrato dal
fatto stesso che, dicendone, lo pensiamo. Ma di tutte le confutazioni
dell'argomento antologico, la più energica pare espressa dalla do­
manda: «chi ha mai detto che l'esistenza sia una perfezione?». Lo

1 03
Ma anche se l'essere fosse un difetto nella purez­
za del non essere , in questo difetto noi saremmo in­
vischiati . Ci saremo dentro, nel senso del Dase in hei­
deggeriano . E dunque tanto vale pensare l 'essere (o
l' ente) .
Torniamo quindi alla questione fondamentale del­
la metafisica , almeno di quella moderna : perché c'è
qualcosa (sia esso ente , essere o la pluralità dell ' espe­
ribile e del pensabile , e la totalità dell ' immenso difet­
to che ci ha sottratto alla tranquillità divina del non­
essere) piuttosto che nulla? Ripeto, in Aristotele (e
nella tradizione dell 'aristotelismo scolastico) questa
domanda non c ' è . E non c'è, come vedremo , per gli
stessi motivi di cui ora , in termini miei, sto per dire .

2 . Perché c'è dell'essere?

Perché c'è dell'essere piuttosto che nulla? Vi pre­


go di prendere molto sul serio la risposta che sto per
dare , anche se a prima vista può parere paradossale.
La risposta è: ccPerché SÌ>I6.

può asserire solo chi già crede in un Dio talmente perfetto da essere
persino esistente . Ma se la vera perfezione fosse il non-essere , la
massima perfezione di Dio consisterebbe nel non esistere, e dunque
l'argomento antologico proverebbe l'inesistenza di Dio, dato che è
possibile pensare a qualcosa di talmente perfetto da avere la ventura
di non esistere .
6 Pareyson , Fi losofia della libertà , cit . , p. 1 2 : «Della realtà co­

me pura realtà non si può dire né che è perché poteva essere, né


che è perché non poteva non essere : ma unicamente che è perché
è. Essa è del tutto gratuita e infondata: interamente appesa alla li­
bertà , che non è un fondamento, ma un abisso, ossia un fondamento
che si nega sempre come fondamento».

104
Voglio dire che il fatto stesso che possiamo porci
la domanda (che non potremmo porci se non ci fos­
se nulla , neppure noi che la poniamo) significa che la
condizione di ogni domanda è che ci sia dell 'essere .
L'essere non è un problema di senso comune (owe­
ro il senso comune non se Io pone come problema)
perché è la condizione stessa del senso comune . Al­
l'inizio della Quaes tio 1 . 5 del De Veri ta te , san Tom­
maso dice : «lllud autem quod primum intellectus con­
cipit quasi notissimum , et in quo omnes conceptio­
nes resolvit, est ens•• .
Esaminiamo bene questa affermazione , che tra
l'altro non è ortodossamente aristotelica. L' essere è
la prima cosa che il nostro intelletto concepisce, co­
me la più nota ed evidente, e tutto il resto viene do­
po . Owero, non potremmo pensare se non parten­
do dal principio (implicito) che stiamo pensando
qualcosa. L' essere è il modo in cui il nostro intelletto
si rivolge alle cose , e ne è l'orizzonte . In termini che
certo Tommaso non avrebbe usato, ma che uso io,
noi siamo animali che iniziamo ad agire mentalmen­
te solo se e perché siamo capaci di pensare in ter­
mini di essere .
Alcuni di voi conosceranno un complesso e argu­
to saggio di Hilary Putnam, dove egli si chiede che
cosa potremmo pensare se noi fossimo solo cervelli
in una vasca , vale a dire puri organi pensanti tenuti
in sosp ensione in una soluzione liquida , senza che i
nostri terminali nervosi abbiano altra uscita ed entra­
ta che con degli impulsi elettrici trasmessici da qual­
cun altro, da una macchina suprema, da un puro as­
sestamento casuale dell 'universo , da esseri di altri
1 05
pianeti , da un Dio benigno o maligno . Vi sarete ac­
corti che l' immagine quasi fantascientifica di Putnam
ne traduce un 'altra , più antica , ed è quella di Berke­
ley : noi non siamo altro (modernizzo) che uno scher­
mo su cui Dio proietta un mondo che di fatto non
esiste . Non mi spingerò qui ad analizzare la proposta
di Putnam , per cui se noi fossimo cervelli in una va­
sca non potremmo neppure affermare veritieramen­
te di esserlo, e quindi non lo siamo . Mi basta la ri­
sposta di Berkeley, che in qualche misura dà per
certo che lo siamo: esse est percip i . Se anche non ci
fosse nulla di quello che noi crediamo che sia, ci sa­
rebbe il nostro atto , sia pure fallace , di percepirlo ; ci
saremmo noi come soggetti percipienti e , nell'ipotesi
berkeleyana, un Dio che ci comunica ciò che non è .
C i sarebbe quindi abbastanza essere d a soddisfare il
più ansioso dei metafisici . C'è sempre qualcosa , dal
momento che c'è qualcuno capace di chiedersi per­
ché c ' è essere piuttosto che nulla. Il che deve mettere
subito in chiaro che il problema d eli ' essere non ha
nulla , almeno immediatamente , a che vedere , col
problema della realtà del mondo (anche se Aristotele
risolveva il primo facendo appello al secondo) . Che
quello che chiamiamo il Mondo esterno , o l'Univer­
so, ci sia o non ci sia, o che sia effetto di un genio
f!laligno , questa possibilità non tocca affatto l' evide n­
za primaria che ci sia dell 'essere da qualche parte
(che è poi anche la risposta cartesiana) .
Quindi c'è dell 'essere perché possiamo porci la
domanda sull 'essere , e questo essere viene a tal pun­
to prima di ogni domanda , e quindi di ogni risposta e
di ogni definizione, che Pasca! poteva affermare
1 06
(Frammen to 1 655}: «Non ci si può accingere a de­
finire l' essere senza cadere in questo assurdo : perché
non si può definire una parola senza cominciare dal
termine è, sia espresso o sottinteso . Dunque per de­
finire l'essere , bisogna dire è, e così usare il termine
definito nella definizione>' . Pasca! usava questa argo­
mentazione per dire che ci sono termini primitivi che
non possiamo definire , e lo diceva nel momento in
cui la cultura occidentale stava scoprendo il concetto ,
poi newtoniano, di spazio assoluto {che giustificava la
persuasione pascaliana della realtà del Vuoto} . Lo
spazio sta prima di ogni altra nostra conoscenza fisi­
ca, la permette , la fonda e non ne viene fondato .
Si noti che Pasca!, acutamente , dice che noi ini­
ziamo sempre da un è sia che esso sia esplicito sia
che sia sottinteso . È nota l' obiezione moderna che la
metafisica occidentale - con la sua ossessione per
l' essere - nasca solo all 'interno di un discorso fonda­
to su lle strutture sintattiche dell 'indo-europeo, e cioè
su un linguaggio che prevede , per ogni giudizio , la
struttura soggetto-copula-predicato (in quanto , come
si erano affannati a proporre anche i costruttori di
lingue perfette del XVII secolo - anche enunciati co­
me « il cavallo galoppa'' o «pioven possono sempre es­
sere risolti in «il cavallo è galoppante'' e «il tempo è
piovente,,) .
Ma il giudizio implicito di esistenza è implicito nel
primo grido che il neonato emette appena uscito dal
ventre materno , appunto per salutare o render conto
dell'essere che gli si presenta come orizzonte ; è im­
plicito ne l sorriso del bambino che riconosce la ma­
dre , nel gesto delle labbra che si protendono verso la

107
mammella ; è implicito nel puro segno indicale con
cui mostriamo qualcosa che desideriamo o temiamo .
Il fatto stesso che possiamo usare segni indicali, pri­
ma di ogni struttura semiotica, vuole dire che siamo
esseri protesi nell'essere e verso l'essere . L'essere è
id q uod pri m u m in tellectum concipit q uasi notissi­
m u m , come se in quell 'orizzonte fossimo sempre �ta­
ti , e forse il feto awerte dell 'essere mentrè nuota an­
cora nel liquido amniotico. Oscuramente , sente l'essere
<!quasi notissimo» (anzi , come l'unica cosa nota} .
Se dovessimo considerare il Se ie nde heideggeria­
no come la stessa cosa del Se i n , ci troveremmo d'ac­
cordo col filosofo tedesco. In Che cos 'è la me tafisi­
ca ? Heidegger ci ricorda che è diverso ·cogliere la
totalità dell 'ente in sé e il sentirsi in mezzo ali ' ente
nella sua totalità . La prima cosa è impossibile , la se­
conda ci accade costantemente . E come prova di
questo accadere cita gli stati di noia (che si applicano
all 'ente nella sua totalità} , ma anche la gioia che si
prova in presenza dell'essere amato.
E questo spiega il breve cenno con cui ho rispo­
sto alla domanda centrale della metafisica. L'essere,
il fatto che esso sia , e che cosa e perché sia , non lo
si spiega . Siamo animali che spieghiamo tutto il resto
partendo da questa evidenza insopprimibile. La falsa
domanda perché ci sia dell 'essere piuttosto di nulla
cela caso mai un'altra inquietudine , che riguarda l'e­
sistenza di Dio . Nasce da una confusione tra filosofia
prima e metafisica . Ma prima viene l 'evidenza dell'es­
sere , poi la domanda su Dio. Credo che l 'evidenza del­
l' essere l' abbiano anche gli animali, i quali non san­
no affatto porsi la domanda, che ne consegue , u tru m
1 08
Deus sit. A questa Tommaso risponderà in una sum­
ma che appunto si chiama «Theologica)) . Ma prima
viene la discussione sul De en te et essen tia .

3 . Come si parla dell 'essere

L'essere è anche prima che se ne parli. Ma pos­


siamo trasformarlo da evidenza insopprimibile in un
problema (che attende risposta) solo in quanto ne
parliamo. E veniamo allora alla questione centrale
della Metafisica aristotelica.
Tale questione si pone sotto forma di una consta­
tazione da cui Aristotele non inizia , ma quasi vi arriva
per passi successivi - trovandosela , per così dire, tra
i piedi a mano a mano che passa dal primo al quarto
libro (Gamma) dove , dopo aver detto che c'è una
scienza che considera I ' essere in quanto tale (tò òn é
òn), là dove ci si attenderebbe la prima e tentativa
definizione dell'oggetto di questa scienza , Aristotele
ripete come unica definizione possibile ciò che nel
primo libro (992b 18) era apparso solo come osser­
vazione parentetica : I' essere si dice in molti modi (/é­
ghetai mèn pollachos) - o , se volete, secondo signi­
ficati molteplici .
Ciò che per san Tommaso l ' intelletto percipi t
quasi notissim u m , l' orizzonte del nostro pensare e
parlare, per Aristotele è per natura (se avesse una
natura) ambiguo , polisemico.
Per alcuni autori questa affermazione consegna il
p roblema dell' essere a un'aporia fondamentale, che
la tradizione post-aristotelica ha solo cercato di ridur-
109
re , senza distruggerne il potenziale drammatico. In
effetti Aristotele è il primo a tentare di ridurla a di­
mensioni accettabili, e lo fa giocando sull 'awerbio «in
molti modi» .
I molti modi si ridurrebbero a quattro, e sarebbe
possibile controllarli . L' essere si clic� (l) come essere
accidentale (è l' essere predicato dalla copula, per c:�i
si dice che l ' uomo è bianco o in piedi) ; (2) come vero,
per cui può essere vero o falso che quell' uomo sia
bianco , o che l' uomo sia animale ; (3) come potenza
e atto, per cui se non è vero che quest'uomo sano sia
attualmente malato , potrebbe ammalarsi, e diremmo
oggi che si può pensare a un mondo possibile in cui
sia vero che quest'uomo sia malato; {4) infine , l'es­
sere si dice come ens per se , owero come sosta nza.
Per Aristotele la polisemia dell 'essere si acqueta nella
misura in cui , comunque si parli di essere , lo si dice
«in riferimento a un unico principio» (1 003b 5-6) , e
cioè alle sostanze . Le sostanze sono esseri individui
ed esistenti , e di esse abbiamo evidenza percettiva.
Aristotele non ha mai dubitato che esistessero delle
sostanze individue (Aristotele non ha mai dubitato
della realtà del mondo quale ci appare nell' esperien­
za quotidiana) , delle sostanze in cui e soltanto in cui
le stesse forme platoniche si attualizzano, senza che
possano esistere prima o dopo in qualche pallido
lperuranio , e questa sicurezza gli consente di domi­
nare la polivocità dell'essere . «Il primo dei significati
dell 'essere è l'essenza la quale significa (sém a ìnei) la
sostanza (o usìa)» (Zeta 1 028a 4-6).
Ma il dramma d eli 'essere aristotelico non sta nel
pollachos , sta nel légheta i . Che lo si dica in uno o in
1 10
molti modi , l 'essere è qualcosa che si dice . Sarà pure
l'orizzonte di ogni altra evidenza , ma diventa proble­
ma filosofico solo nel momento che se ne parla. Anzi
è proprio il fatto che se ne parli che lo rende ambi­
guo e polivoco . Il fatto che la polivocità possa essere
ridotta non toglie che nasca da un dire.
Per riassumere con una forma che Aristotele non
ha mai usato ma che mi pare derivare da tutto quello
che lui dice : / 'essere, in quanto pensabile ci si pre­
sen ta sin da ll 'in izio co me un effe t to di linguaggio .
Forse anche i cani vivono n eli ' orizzonte dell 'evi­
denza dell'essere , ma solo esseri che parlano posso­
no porsi il problema metafisica dell 'essere . Senza pa­
rola l' essere né è, né non è: sta lì, ma nessuno se ne
accorge , tanto che Brunschvicg (Les ages de l 'in tel­
l ige n ce , p. 65) aveva rimproverato ad Aristotele ((il
carattere interamente verbale della sua antologia)) .
Vi invito a rileggervi la Me tafis ica . Ogni menzio­
ne dell'essere , ogni domanda e risposta sull' essere
sta nel contesto di un ve rbum dicendi (sia esso lé­
ghein , sem a ìnein o altro) . Quando in Gamma
(1 005b 25-26) si legge che ((è impossibile a chicches­
sia di credere che la stessa cosa sia e non sia)) il verbo
è ypolambànein , che è, sì, ((credere)) , ((afferrare con
la mente)) ' ma - visto che la mente è logos come il
dis corso - significa anche ((prendere la parola)) .
Si potrebbe obiettare che si dice senza contraddi­
zione ciò che pertiene alla sostanza , e la sostanza è
indipendente dal nostro dirne . Ma sino a qual punto?
Come parliamo della sostanza? Come possiamo dire
senza contraddizione che uomo è animale razionale ,
111
mentre dire che è bianco o che corre ne indica solo
un accidente transeunte, che quindi non può esse­
re oggetto di scienza? Nell' atto percettivo l' intelletto
attivo astrae dal sinolo (materia + forma) l 'essenza,
e quindi sembra che nel momento conoscitivo noi
cogliamo immediatamente e senza sforzo il tò t !' év
efnai (Gamma 1 028b 3 3 . 36) , ciò che l 'essere era, e
dunque è stabilmente . Ma che cosa possiamo dire
dell'essenza? Possiamo soltanto darne la definizione :
«La definizione (o rismòs) nasce perché si deve signi­
ficare qualcosa . La definizione è la nozione {lògos) di
cui il nome (ò noma) è segno (sémefon))) (Gamma
1 0 1 2a 2 2 . 24) .
Noi abbiamo l ' insopprimibile evidenza dell 'esi­
stenza degli individui , ma di essi non possiamo dir
nulla, se non nominandoli per la loro essenza, che
non è individuale , ma per genere e differenza speci­
fica (non dunque «questo uomo)) , ma «uomo>>) . Non
appena si entra nell 'universo delle essenze si entra
nell 'universo delle definizioni , e cioè nell 'universo del
linguaggio che definisce 7 .

7 Ora il grande problema è : traggo l a definizione dall'evidenza


che mi dà la sensazione (e la susseguente astrazione dal fantasma) o
è la preconoscenza della definizione che mi permette di astrarre l'es­
senza? Se l'intelletto attivo non è un repositorio di forme precedenti
ma il puro meccanismo che mi permette di individuare forme in atto

nel sinolo, che cosa è questa facoltà? Facile cadere nell'eresia araba
e dire che è unico per tutti; anche in tal caso dire che sia unico non
vuoi dire che sia immutabile e universale; potrebbe essere un intel­
letto attivo culturale , potrebbe essere la facoltà di individuare e rita­
gliare le forme del contenuto. Nel qual caso il codice , fornito dalla
segmentazione operata dall'intelletto attivo, determinerebbe la natu­
ra e l'esattezza del riferimento! In Poetica 1 456b 7 (nota Aubenque)
si dice: «Cosa avrebbe da fare il discorso se le cose apparissero gi à

112
Noi abbiamo pochi nomi e poche definizioni per
una infinità di cose singole. Dunque il ricorso all 'uni­
versale non è una forzà ma una infermità del discor­
so. Il dramma è che l'uomo parla sempre in generale
mentre le cose sono singolari. Il linguaggio nomina
appannando l' insopprimibile evidenza dell' individua­
le esistente.
E quindi l'ancoraggio delle sostanze , che dovreb­
be sopperire alla polivocità dell 'essere , dovuta al lin­
guaggio che lo dice , ci riporta al linguaggio come
condizione di ciò che sappiamo dell'essere, e delle
sostanze stesse . Non è questa la sede in cui svolgere
una analisi critica delle debolezze della nozione ari­
stotelica di definizione (lo ho già fatto nella mia di­
scussione dell 'Albero di Porfirio)8: ma insomma, per
definire, bisogna costruire un albero dei predicabili,
dei generi , delle specie e delle differenze ; e Aristote­
le, che pur suggerirà a Porfirio tale albero , non riesce
mai (nelle opere naturali in cui intende dawero defi­
nire le essenze) ad applicarlo in modo omogeneo e
rigoroso .

da sol e e non avessero bisogno del discorso?». Aubenque {op. ci t. , p.


1 1 6) cita una pagina degli Elench i . Poiché non si possono portare
nella discussione le cose stesse, ma dobbiamo servirei dei loro nomi
come di simboli, noi supponiamo che ciò che awiene nei nomi av­
venga anche nelle cose , come nel caso dei sassolini che si usano per
contare . Ma tra nomi e cose non vi è completa rassomiglianza, i
nomi sono in numero limitato, e così la pluralità delle definizioni,
mentre le cose sono infinite in numero (e infinito sono i loro acci­
denti).
8 Semiotica e filosofia del linguaggio, Einaudi, Torino 1 994.

1 13
4 . L'aporia dell'essere aristotelico

Così , sin dall'inizio della metafisica occidentale , si


profila il dramma dell 'essere . Non c'è definizione del­
l' essere . L' essere non è un genere , neppure il più ge­
nerale di tutti, e quindi sfugge a ogni definizione , se
per definire bisogna usare il genere , e la differenza
specifica . L'essere è ciò che permette ogni definizio­
ne successiva . Ma ogni defin izione è effetto di orga­
nizzazione logica e quindi linguistica del mondo .
Ogni qual volta cercassimo di garantire questa orga­
nizzazione ricorrendo a quel parametro sicuro che è
l'essere, ricadremmo nel dire , e cioè in quel linguag­
gio di cui cercheremmo la garanzia. Come dice Au­
benque {op. ci t. , p . 232) «non soltanto non si può
dire nulla del! ' essere , ma l 'essere non ci dice niente
su ciò a cui lo attribuiamo : segno non di sovrabbon­
danza , ma di povertà essenziale [ . . . ] L' essere non ag­
giunge nulla a ciò a cui lo si attribuisce» . Ed è natu­
rale: se l'essere è l 'orizzonte di partenza , dice di
qualcosa «che èn non aggiunge nulla a ciò che si è già
dato per evidente per il fatto stesso di nominare quel
qualcosa come oggetto di discorso . Aristotele lo dice :
è la stessa cosa dire <<un uomo» , «un uomo essente)) e
«uomo» (Gamma , 1 003b 26-3 1). L'essere non forni­
sce supporto al discorso che teniamo su di esso. E
questo discorso non ne dice nulla che già non sapes­
simo nel momento stesso in cui iniziavamo a parlare.
La tradizione successiva cercherà di uscire da
questa aporia in due modi . Una è quella scolastica: la
sede dell ' essere diventa Dio, un Dio che per rivela­
zione è colui che è, l 'essere nella sua pienezza e nella
114
totalità delle sue determinazioni . Con una garanzia
del genere non c'è più bisogno di interrogarsi sull'es­
sere : è tutto ciò a cui Dio conferisce partecipazione
del proprio essere . Tutto è, in gradi diversi, ed è buo­
no . Quanto a Dio come pienezza dell'essere , basta
saperlo cercare , e attenderne la visione beatifica, in
cui si avranno tutte le risposte . La filosofia prima co­
me teologia colma il vuoto della metafisica come
scienza dell 'essere. Le cose che sono , il mondo , ri­
cevono un fondamento sicuro, dato che sono soste­
nute all'essere da Dio , essere per eccellenza. Ma fi­
losoficamente questo è un escamotage : per il creden­
te, dovuto al fatto che la fede supplisce là dove la
ragione non può dire nulla; per il non credente , do­
vuto al fatto che la teologia costruisce il fantasma di
Dio per reagire all'incapacità della filosofia a control­
lare ciò che, pur essendo più evidente di ogni altra
cosa, per la filosofia diventa mero fantasma.
La seccmda soluzione è quella neoplatonica . Tut­
to ciò che deiì ' essere non si può dire , diventa segno
della sua insondabilità e della sua identità con l ' Uno
divino. Dio si allontana infinitamente da ciò che è, e
solo pochi eletti potranno tornarvi, per avere come
unica rivelazione che il resto dell'universo delle cose
che sono è parvenza e fantasma, e deiezione esa­
cranda , perché l' unica cosa che è, ha la caratteristica
sublime di sfuggire a ogni determinazione , e quindi di
non essere , almeno nel senso in cui noi pensiamo
che qualcosa sia.
Ma cercare di ammaestrare l' aporia aristotelica si­
gnifica pensare che il non risolverla sia male . Per
questo il pensiero successivo , sino all'ermeneutica fi-
1 15
losofica contemporanea si trova di fronte a una scel­
ta radicale: o si pone l ' idea di Dio come ips u m esse,
nel quale si compongono tutte le aporie dell 'essere , e
il fatto di non poterne parlare univocamente è nostra
debolezza umana, che non ne affetta la pienezza ; op­
pure emerge il pensiero del Nulla . L' idea del nulla
nasce dello shock di non riuscire a parlare del! ' essere
in modo univoco (o almeno per analogia , come sa­
rebbe possibile se l'essere fosse Dio) . Se non si può
parlarne , quale sarà allora la differenza tra l ' Essere e
il Nulla?
Per Heidegger l'idea del Nulla o del niente «viene
insieme)) all 'idea dell' ente . Nasce nel sentimento del­
l'angoscia . L' angoscia ci fa sentire spaesati nell'ente
e «ci toglie la parola» . Senza parola non c'è più ente:
nel dileguare dell 'ente sorge il non-ente , e cioè il
niente . L'angoscia ci rivela il niente . Ma questo nien­
te si identifica con l'essere (Sein), come essere del­
l' ente , suo fondamento e verità , e in tal senso Hei­
degger può accogliere il detto hegeliano (Logik III , I)
per cui «il puro essere e il puro niente è dunque lo
stesso)) . Da questa esperienza del niente sorge il bi­
sogno di occuparsi del!' essere come essenza del fon­
damento dell'ente (Introduzione a Che cos 'è la me­
tafis ica ?) .
Ma interrogando l'ente i n quanto ente , l a metafi­
sica evita di rivolgersi all 'essere in quanto essere (p .
3 1 8) . Essa non si raccoglie mai sul suo fondamento .
Pensare l' essere in quanto essere (pensare alla verità
dell 'essere come fondamento della metafisica) signi­
fica abbandonare la metafisica (p . 3 1 9) . Fa purtrop­
po parte del destino della metafisica che le sfugga
1 16
l'essere (p . 320). La metafisica si riferisce all 'ente
nella sua totalità e crede di parlare dell 'essere, nomi­
na l'ente e si riferisce all 'essere in quanto essere .
Credere che la metafisica si ponga la domanda del­
l'essere è il massimo della confusione (p . 322). E
questo perché? Perché la metafisica studia l 'ente in
quanto ente mentre «il riferimento d eli ' essere ali' es­
senza dell 'uomo apparterrebbe all 'essere stesso» (p .
324). L'essere si manifesta nell 'essenza del Dasein ,
o dell 'Esserci (p . 325) . Per cui non si può parlare del­
l' essere se non in riferimento a noi in quanto siamo
gettati nel mondo. Il problema dell 'essere e del suo
disvelamento non è un problema della metafisica co­
me scienze dell 'ente , ma il problema centrale dell' esi­
stenza. L'essere mette in gioco noi , non la scienza.
Eppure ritengo che non s u n t m u ltiplica nda en­
tia sine necessi ta te, specie entità così primitive co­
me l'ente , l 'essere e il nulla . Il raddoppiamento tra
Seiende e Sein , in Heidegger, nasce dal fatto che
non si è accettata sino alla fine l'aporia dell'essere
quale si disegna in Aristotele . Lo abbiamo detto: l'es­
sere si presenta , in quanto pensabile , come effetto di
linguaggio . In questo senso dipende dal nostro sguar­
do sugli enti . Se l'ente heideggeriano sono le sostan­
ze, di cui Aristotele non dubitava , certo vi è qualcosa
di più vago e ambiguo che resiste al di sotto della
nostra illusione di nominare le sostanze nell 'unico
modo possibile . Ma se l'essere si dice dawero in mol­
ti modi , il Sein è esattamente la totalità di tutto ciò
che è nel suo rapporto viscoso col linguaggio che lo
dice . Il problema della verità dell' essere è il problema
di come l'ente sorge e si organizza a causa dei modi
117
in cui lo diciamo . Il problema è tutto qui . C'è l 'essere
in quanto lo abbiamo organizzato nel linguaggio
(l ' ente heideggeriano, le sostanze aristoteliche e l'in­
finità degli accidenti) e l'essere in quanto si sottrae
sempre alla nostra organizzazione , al nostro modo di
dirlo . Ma se si sottrae , dobbiamo venerarne il miste­
ro , interrogarlo come fonte occulta di illuminazioni
folgoranti , o tentare a ogni costo un supplemento di
discorso?
Se Heidegger riconoscesse pienamente la natura
semiotica del nostro rapporto con gli enti , non
avrebbe bisogno di duplicare Seiende e Se i n . Ma
Heidegger continua a pensare ali ' essere come a qual­
cosa che ci si sottrae e che deve in qualche modo
svelarsi, senza rendersi conto che, se c'è un'aporia
centrale nella dottrina aristotelica del! ' essere , il pro­
blema dello svelamento cade e rimane il problema di
come noi parliamo dell'essere , e delle modalità se­
miotiche con cui ne parliamo.
Ma siccome questo sospetto , che solo il Nulla ve­
ramente sia , nasce dal fatto che l ' essere è effetto di
linguaggio , esistono altre due possibilità di sfuggire a
questa trappola: o asserire che il linguaggio è illusio­
ne e prigione , che ci impedisce di cogliere invece
quello che l 'essere è nella inattingibile perfezione di
uno Sfero composto e ordinato - ed è la soluzione da
Parmenide a Severino ; oppure dare un potere im­
menso al linguaggio , e affidargli il compito di svelare
l' essere . Allora interrogare l' essere altro non significa
che interrogare quello che il linguaggio ha detto , an­
dando a cercare il già detto degno di nota là dove il
linguaggio ha cercato di emulare la sostanziale ambi-
118
guità dell'essere , e cioè nel linguaggio poetico. Come
dice Heidegger con Holderlin, ((Ma ciò che resta lo
intuiscono i poeti)) .
Questa scelta non mi attrae e non mi convince . I
po eti non dicono l'essere , cercano di emularlo: ars
imitatur n a t u ra m in sua opera tione. I poeti assu­
mono come proprio compito la sostanziale ambi­
guità del linguaggio , e cercano di sfruttarla per farne
uscire , più che un sovrappiù di essere , un sovrappiù
di interpretazione. La sostanziale polivocità de Il ' esse­
re ci impone di solito uno sforzo per dar forma al­
l'informe . Il poeta cerca invece di ricostituire l ' infor­
me originario, quasi per abituarci a fare i conti con
l'essere . Ma non ci dice sull ' essere , proponendocene
l'Erstatz , più di quanto l 'essere ci dica o noi gli fac­
ciamo dire , e cioè pochissimo . In tal senso aveva ra­
gione Platone, l 'arte è imitazione di una imitazione.
L'essere è più importante dell ' arte . Io credo che il
problema dell'essere trascenda quello dell 'arte . Viene
prima , l' arte è un prodotto maturo della cultura , e
Vico mi perdoni (anzi credo che, se lo leggiamo in
senso non crociano , mi abbia già perdonato e rico­
nosciuto dei suoi) .
In ogni caso questi sono vaghi accenni. Spiegarli,
richiederebbe un altro discorso, non più di antologia
ma di estetica . Quindi vi prego di accettare questa
mia riserva solo come giustificazione del fatto che io
mi accinga a prendere ora un ' altra strada . Se dell ' es­
sere non si può che parlare , tanto vale che ne parli
nel modo che mi è più congeniale, e cioè seguendo
le linee di quella disciplina che indaga sul nostro
esprimerci per segni , e cioè la semiotica . D' altra par-
1 19
te , se l'essere è un effetto di linguaggio , la semiotica
è la forma superiore della filosofia , e l 'unico possibile
introito alla metafisica.

5 . Un modello di conoscenza del mondo

Si riparta dunque dall'assunzione forte che l 'esse­


re si dice in molti modi . Non in quattro, riconducibili
al parametro della sostanza , non per analogia, ma in
modi radicalmente diversi . L'essere è tale che di esso
si possono dare diverse interpretazioni .
Ma chi parla dell'essere? Noi, e spesso come se
l' essere fosse al di fuori di noi. Ma evidentemente , se
c ' è Qualcosa , noi ne facciamo parte . Tanto è vero
che aprendoci all 'essere ci apriamo anche a noi stes­
si . Categorizziamo l'ente , e nel contempo ci realiz­
ziamo nell 'Io penso. Nel dire come noi possiamo
pensare l 'essere si è già vittima , per ragioni linguisti­
che - almeno nelle lingue indoeuropee - di un dua­
lismo pericoloso: un soggetto pensa un oggetto (co­
me se il soggetto non fosse parte dell 'oggetto di cui
pensa). Ma se il rischio è implicito nella lingua , cor­
riamolo . Poi attueremo le dovute correziOni.
Facciamo dunque un esperimento mentale . Co­
struiamo un modello elementare che contenga un
Mondo e una Mente che lo conosce e nomina . II
Mondo · è un insieme composto di elementi (per co­
modità chiamiamoli atomi, senza alcun riferimento al
senso scientifico del termine , ma piuttosto nel senso
di stoich eia) strutturati secondo relazioni reciproche.
Quanto alla Mente , non è necessario concepirla co-
1 20
me umana, come cervello , come una qualsiasi res co­
gita ns: essa è semplicemente un dispositivo atto a
organizzare proposizioni che valgono come descri­
zioni del mondo. Questo dispositivo è dotato di ele­
menti (potremmo chiamarli neuroni o bytes , o stoi­
cheia anch 'essi , ma per comodità chiamiamoli sim­
bo li). Il fine dell 'esperimento è mostrare che, se esi­
stono delle difficoltà nel descrivere il rapporto tra una
mente e l ' insieme degli enti che riconosce, le stesse
difficoltà - e a maggior ragione - varranno per ogni
discorso che questa mente vorrà fare non sugli enti
ma su un essere che li fondi, li superi , li preceda , o li
vani fichi .
Per Mondo intendiamo l'universo, nella sua ver­
sione «massimale11 : esso comprende sia quello che ri­
teniamo essere l ' universo attuale che l' infinità degli
universi possibili - non sappiamo se non realizzati , o
realizzati oltre l ' estremo confine delle galassie a noi
note , nello spazio bruniano di una infinità dei mondi,
magari tutti compresenti in dimensioni diverse - l ' in­
sieme che comprende sia enti fisici che entità o leggi
ideali , dal teorema di Pitagora a Odino e a Pollicino .
Per quanto detto sulla precedenza dell 'esperienza
dell' essere sulla domanda circa la sua origine , il no­
stro universo può pertanto comprendere anche Dio ,
o qualsiasi altro principio originale .
In una versione ridotta dell 'esperimento, si po­
trebbe anche pensare al semplice universo materiale ,
quale lo conoscono i fisici , gli storici , gli archeologi, i
p ale ontologi: le cose che ci sono ora , più la loro sto­
ria. Se preferiamo intendere il modello come massi­
mal e è per sfuggire all 'impressione dualistica che es-
121
so può dare . Nell 'esperimento , sia gli atomi che i
simboli possono essere concepiti come entità onto­
logicamente omologhe , stoicheia fatti della stessa
pasta , come se per rappresentare tre sfere , atomi del
mondo, una mente fosse atta a disporre una sequen­
za di tre cubi , che altro non sono a loro volta che
atomi dello stesso Mondo .
Vorrei chiarire subito che il modello è molto roz­
zo . Accenno subito a qualche possibile obiezione sul­
la sua inadeguatezza .
l) Se il Mondo fosse un continuum e non una se­
rie di stati discreti (e dunque segmentabile e non seg­
mentato) non si potrebbe parlare di . Caso mai sareb­
be la Mente che , per limitazione propria , non può
pensare il continuum che segmentandolo in stoi­
cheia - per renderlo omologo alla natura discreta del
suo sistema di simboli.
2) Nel nostro esperimento si opponga una Mente
a un Mondo, come se una Mente , qualsiasi cosa essa
sia , non appartenesse anch 'essa al Mondo . Diciamo
allora che la Mente è solo un dispositivo che assegna
un simbolo a ogni atomo , così che ogni' sua sequenza
di simboli possa valere come un procedimento dì in­
terpretazione del Mondo , ma attraverso di essa è il
Mondo che interpreta se stesso , che delega una par­
te di sé a questo scopo, così che tra i suoi infiniti o
indefiniti atomi alcuni valgano come simboli che rap ­
presentano tutti gli altri atomi , esattamente nel senso
in cui noi , esseri umani , quando parliamo di fonolo­
gia o di fonetica , deleghiamo alcuni suoni (che emet­
tiamo come fonazioni attuate) per parlare di tutte le
fonazioni attuabili. Per rendere più visibile la situazio-
122
ne , ed eliminare l 'immagine fuorviante di una Mente
che dispone di simboli che non sono atomi del mon­
do, possiamo pensare a una Mente che, di fronte a
una serie di dieci lampadine , voglia spiegarci quali
sono tutte le possibili combinazioni tra loro . Questa
Mente non ha che da accendere in serie delle se­
quenze di lampadine , le attivazioni delle lampadine
valendo come simboli di quelle combinazioni reali o
possibili che le lampadine come atomi potrebbero
realizzare .
3) In un modello più complesso la Mente dovreb­
be parlare anche di se stessa come parte del mondo.
Però a questo punto non avremmo più un modello,
ma proprio quello che il modello cerca inabilmente di
de scrivere E se avessimo questo sapere , saremmo
.

Dio , o l ' avremmo fichtianamente costruito . In ogni


caso , anche se riuscissimo a elaborare tale modello ,
sarebbe didatticamente meno efficace di quello (an­
cora dualistico) che si sta proponendo. Accettiamo
dunque tutte le limitazioni, e l 'apparente natura dua­
listica del modello , e procediamo.
Pri ma ipo tesi . Immaginiamo che il Mondo sia
composto di tre atomi ( l , 2, 3). Essi potrebbero com­
porsi in sei modi diversi, ma se ci limitassimo a con­
siderare il Mondo nel suo stato attuale (compresa la
sua storia) , potremmo supporre che esso sia · dotato
di una struttura stabile data dalla sequenza 1 2 3 .
Se l a conoscenza fosse speculare , e l a verità
adaequatio re i et in tellectus, non ci sarebbe proble­
ma. La Mente assegna (non arbitrariamente) all 'ato­

mo l il simbolo A, all ' atomo 2 il simbolo B, all'ato­

mo 3 il simbolo C, e con la tripletta ordinata di

1 23
simboli ABC rappresenterebbe specularmente la
struttura del Mondo .
I problemi nascono se l 'assegnazione dei simboli
agli atomi è arbitraria: la Mente potrebbe anche as­
segnare , per esempio , A a 3, B a l e C a 2, e per
calcolo combinatorio avrebbe sei possibilità di rap­
presentare fedelmente la stessa struttura 1 23 . Sareb­
be come se la Mente disponesse di sei lingue divers e
per descrivere sempre lo stesso Mondo , in modo che
diverse triplette di simboli enunciassero sempre la
stessa proposizione . Sarebbe come se l ' oggetto si
spostasse ogni volta , fornendo sei angolature diver­
se . A questo punto sarebbe meglio tornare a parlare
di sei interpretazioni .
Seconda ipotesi. I simboli usati dalla Mente sono
sempre tre ma gli atomi del Mondo sono dieci ( 1 , 2,
3, . . . 1 0) . Se il Mondo si strutturasse sempre per tri­
plette di atomi , per calcolo fattoriale esso potrebbe
raggruppare i suoi dieci atomi in 720 strutture ter­
narie diverse. La Mente avrebbe allora sei triplette di
simboli (ABC, BCA, CAB, ACB, BAC , CBA) per
rendere ragione di 720 triplette di atomi . Eventi
mondani diversi , da diverse prospettive , potrebbero
essere interpretati dagli stessi simboli . Vale a dire
che, per esempio , sarem mo obbligati a usare sempre
la tripletta di simboli ABC per rappresentare vuoi
1 23 , vuoi 345 , vuoi 54 7 . Avremmo una imbaraz­
zante sovrabbondanza di omonimie , e ci troveremmo
esattamente nella situazione descritta da Aristotele:
da un lato un solo concetto astratto come ((uomo}}
servirebbe a nominare la molteplicità degli individui,
dall' altro l' essere si direbbe in molti modi perché lo
1 24
stesso simbolo starebbe sia per lo è di «un uomo è un
animale» (essere secondo la sostanza) che per quello
di ((quell 'uomo è seduto,, (essere secondo l'accidente) .
II problema non cambierebbe - salvo complicarsi
ulteriormente - se il Mondo non fosse ordinato in
modo stabile , ma caotico (e fosse capriccioso , evolu­
tivo, inteso a ristrutturarsi nel tempo) . Mutando con­
tinuamente le strutture delle triplette , il linguaggio
della Mente dovrebbe continuamente adeguarsi ,
sempre per eccesso di omonimie , alle diverse situa­
zioni. Il che parimenti awerrebbe se il mondo fosse
un continuum infinitamente segmentabile , una epifa­
nia del Frattale . La Mente , più che adeguarsi ai cam­
biamenti del mondo , ne cambierebbe continuamente
l'immagine, via via irrigidendolo in sistemi di stoi­
cheia diversi , a seconda di come vi proietti (quale cal­
co o schema) le sue triplette .
Ma peggio sarebbe se il Mondo fosse iperstruttu­
rato , se cioè esso fosse organizzato secondo una
struttura unica data da una particolare sequenza di
dieci atomi . Per calcolo combinatorio, il Mondo po­
trebbe organizzarsi in 3 . 628 . 80 0 combinazioni o de­
cuple diverse (non pensiamo neppure a un mondo
che si riassesta per iperstrutturazioni successive, che
cioè mutasse l' arrangiamento delle sequenze a ogni
attimo, o ogni .d iecimila anni) . Anche nel caso che il
Mondo avesse struttura fissa (e cioè fosse organizzato
in un'unica decupla) la Mente avrebbe pur sempre
solo sei triplette di simboli per descriverlo . Potrebbe
tentare di descriverlo solo a un pezzo alla volta, come
se lo guardasse dal buco della serratura , e non avreb­
be mai la possibilità di descriverlo nella sua comple-
1 25
tezza . Il che sembra molto simile a quello che ci ac­
cade e che ci è accaduto nel corso dei millenni .
Te rza ipo tesi . La Mente ha più elementi del
Mondo . La Mente dispone di dieci simboli (A , B, C,
D, E, F, G, H, I, L) e il Mondo di soli tre atomi ( 1 , 2 ,
3) . Non solo , ma la Mente può combinare questi die­
ci simboli in duple , triplette , quadruple, e così via.
Come a dire che la struttura cerebrale avrebbe più
neuroni e più possibilità di combinazione tra neuroni
di quanto sia il numero degli atomi e delle loro com­
binazioni identificabili nel Mondo . È evidente che
questa ipotesi dovrebbe essere subito abbandonata,
perché contrasta con l 'assunzione iniziale che anche
la Mente sia parte del Mondo . Una Mente così com­
plessa , che fosse parte del Mondo , dovrebbe consi­
derare anche i propri dieci simboli come s toicheia
mondani. Per permettere l ' ipotesi , la Mente dovreb­
be uscire dal Mondo : sarebbe una sorta di divinità
molto pensante che deve rendere ragione di un mon­
do poverissimo , che oltretutto non conosce, perché
è stato rabberciato da un Demiurgo privo di fantasia.
Però potremmo anche pensare a un Mondo che in
qualche modo secerne più res cogi tans che res ex­
tensa , che cioè abbia prodotto un numero assai · ri­
dotto di strutture materiali , usando pochi atomi, e ne
tenga in riserva altri per usarli solo quali simboli della
Mente . In ogni caso, vale la pena di intrattenere que­
sta terza ipotesi perché serve a gettare una certa luce
sulla quarta .
Ne conseguirebbe che la Mente avrebbe un nu­
mero astronomico di combinazioni di simboli per
rappresentare una struttura mondana 1 2 3 (o al mas-
1 26
simo le sue sei possibili combinazioni) , sempre da un
punto di vista diverso . La Mente potrebbe per esem­
pio rappresentare 1 23 mediante 3 . 628.800 di decu­
ple , ciascuna delle quali non intendesse solo rendere
conto di 1 23 ma anche del! ' ora e del giorno in cui
viene rappresentato , dello stato interno della Mente
stessa in quel momento , delle intenzioni e dei fini se­
condo cui la Mente lo rappresenta (ammesso che
questa Mente così ricca avesse anche intenzioni e fi­
ni) . Ci sarebbe un eccesso di pensiero rispetto alla
semplicità del mondo , avremmo una abbondanza di
sinonimi , oppure la riserva di rappresentazioni pos­
sibili eccederebbe il numero delle possibili strutture
e s iste nti
. E forse awiene così, visto che possiamo
mentire e costruire mondi fantastici , immaginare e
prevedere stati di cose alternativi . In tal caso la Men­
te potrebbe benissimo rappresentare anche i vari
modi in cui essa è nel Mondo. Tale Mente potrebbe
scrivere la Divina Commedia anche se non esistesse
al M o n d o la struttura infundibolare del! 'Inferno, o co­
struire geometrie che non trovano riscontro nell'or­
dine materiale del Mondo . Potrebbe persino porsi il
problema della definizione dell ' essere , duplicare enti
ed essere , formulare la domanda perché ci sia qual­
cosa piuttosto che nulla - visto che di questo qualco­
sa potrebbe parlare in molti modi - senza mai essere
sicura di dirlo nel modo giusto .
Qua rta ipo tesi . La Mente ha dieci simboli, quanti
sono gli atomi del mondo, e sia Mente che Mondo
possono combinare i loro elementi , come nella terza
i potesi , in duple , triplette , quadruple . . . decuple. La
Me nte avrebbe allora un numero astronomic o di
127
enunciati a disposizione per descrivere un numero
astronomico di strutture mondane, con tutte le pos­
sibilità sinonimiche che ne derivano . Non solo , ma
alla Mente potrebbe anche (data la abbondanza di
combinazioni mondane non ancora realizzate) pro­
gettare modificazioni del Mondo , così come potrebbe
essere presa continuamente di sorpresa da combina­
zioni mondane che non aveva ancora previsto ; inol­
tre avrebbe molto da fare per spiegare in modi diver­
si come essa funziona.
Ci sarebbe non un eccesso di pensiero rispetto al­
la semplicità del mondo , come nella terza ipotesi,
bensì una sorta di sfida continua tra contendenti che
si combattono ad armi potenzialmente pari , ma di
fatto cambiando d'arma a ogni attacco , mettendo in
imbarazzo l'awersario . La Mente affronterebbe il
Mondo con un eccesso di prospettive , il Mondo e­
luderebbe le trappole della Mente cambiando di con­
tinuo le carte in tavola (tra cui quelle della Mente
stessa).
Ancora una volta, tutto questo sembra molto si­
mile a qualcosa che ci è accaduto e che ci accade .

6. Lo Zoccolo Duro dell'essere

Abbandoniamo ora il nostro modello , che poteva


funzionare come modello , appunto per descrivere il
rapporto tra mente e mondo , ma non tra noi e l 'es­
sere , che ci si presenta più sfuggevole , ambiguo ,
inafferabile del mondo. Del mondo si tenta pur sem­
pre di dare delle definizioni, dell'essere si è detto che
è indefinibile . Ma il nostro modello si può trasforma-
1 28
re almeno in metafora e suggerirei perché l 'essere
sfugge a una definizione ultima che lo imprigioni.
In questa situazione l 'essere si direbbe necessaria­
m ente in molti modi ed ogni enunciato su ciò che è,
e su ciò che possa essere l 'essere , implicherebbe una
scelta , una prospettiva, un 'angolatura . Ogni mio ten­
tativo di dire qualcosa su ciò che è sarebbe soggetto
a revisione , a nuove congetture sulla convenienza di

usare l'una o l'altra immagine. Molte delle mie rap­


presentazioni sarebbero forse incompatibili tra loro ,
ma potrebbero tutte dire una loro verità .
Questa non è una affermazione di scetticismo :
non sto dicendo che non possiamo avere alcuna co­
noscenza vera, caso mai sto dicendo che ne abbiamo
in eccesso. Ma se non ci fosse questo eccesso , non ci
sarebbe la domanda sulla verità . Può darsi che in sé
di essere ce ne sia poco e che , come una volta ha
detto Gianni Vattimo con efficace espressione pie­
montese , esso sia ((camolato», e cioè tarlato e friabile.
Può darsi che , nel nostro linguaggio, di essere ve ne
sia in sovrabbondanza . Forse quando lo scienziato di­
ce che le ipotesi vanno non verificate ma anzitutto
falsificate , vuoi dire che per conoscere bisogna pota­
re l'eccesso di essere che il linguaggio può affermare .
La nostra rappresentazione del mondo è prospet­
tica, legata al modo in cui siamo biologicamente , et­
nicamente, psicologicamente e culturalmente radicati
nell'orizzonte dell 'essere . Queste sue caratteristiche
non le impediscono di adeguare il mondo, almeno da
una certa prospettiva ; e tuttavia ci spingono a non
rite nere mai che le nostre risposte , anche quando
129
appaiono tutto sommato «buone», debbano essere ri­
tenute definitive .
Tutto questo non elude tuttavia la domanda cru­
ciale : se infinite, o almeno astronomicamente indefi­
nite , sono le prospettive sull 'essere , significa questo
che una vale l 'altra , che tutte sono egualmente buo­
ne , che ogni affermazione su ciò che è dice qualcosa
di vero , o che - come ha detto Fayerabend per le
teorie scientifiche everyth in g goes?
-

In altre parole : esiste uno zoccolo d u ro del l 'esse­


re, tale che alcune cose che diciamo su di esso e per
esso non possano e non debbano essere prese per
buone?
Ebbene , io credo che esista lo zoccolo duro del­
l' essere , anche se non sappiamo dove sia. Natural­
mente su un problema così cruciale non basta dire
«io credo)) . O , anche a dire «credon , occorre pur dire
quali fatti , o esperienze , o rivelazioni mi inducano a
questa credenza . Chi mi dice cioè che l'essere mi po­
ne dei Limiti?
Questo potrebbe essere un semplice postulato
dell ' interpretazione , perché se assumessi che dell 'es­
sere si può dire tutto non avrebbe più senso l' awen­
tura della sua interrogazione continua . Ma sarebbe
un circolo vizioso : l ' interrogazione continua appare
ragionevole e umana proprio perché si assume che
ci sia un Limite . Altrimenti perché interrogare l 'esse­
re? Basta parlarne , e qualsiasi cosa se ne dica sarà
quella buona .
Qui, una volta tanto , sto con Heidegger: il pro­
blema del! ' essere si pone solo a chi è stato gettato
nell 'Esserci , nel Dasei n - di cui fa parte la nostra di-
1 30
spo sizione ad awertire che qualcosa c'è, e a parlar­
ne . E nel nostro Esserci noi abbiamo la fondamentale
esperienza di un Limite che il linguaggio può dire in
un solo modo, e oltre il quale sfuma nel silenzio: è
l'esperienza della Morte . Postulo che l 'essere , alme­
n o per me , ponga dei limiti perché vivo , oltre che
nell'orizzonte dell'essere , anche nell'orizzonte di quel
limite che è l 'essere-per-la-morte . Siccome mi awici­
no al! ' essere sapendo che almeno un limite c'è, non
posso che proseguire la mia interrogazione per ve­
dere se , per caso , di limiti ce ne siano altri ancora.
Naturalmente l 'essere mi si presenta per regioni .
Una di queste regioni , la più evidente e immediata è
quella dello stato attuale del mondo (gli enti) . E in
questa regione so per esperienza che esistono altri
limiti , owero che , sino a prova contraria, come di­
ceva Peirce , alcune leggi universali �ono operative in
natura . Non penso tanto a leggi oscure da afferrare
intuitivamente , come la gravitazione universale, ma a
esperienze ancora più semplici e immediate , come
l'esistenza oggettiva delle specie . Se uniamo un cane
con un cane ne nasce un cane , ma se uniamo un
cane con un gatto non ne nasce nulla ; se uniamo un
essere umano con un altro essere umano abbiamo
un altro essere umano , ma se uniamo un essere uma­
no con un gorilla o non abbiamo niente , o qualcosa
che non vorremo avere vicino a tavola . Questo signi­
fica che si è data in atto una certa realtà (vorrei dire
«darwiniana») dei generi e delle specie . Non vale
l' obiezione che la biotecnologia potrebbe un giorno
rendere obsolete queste regole : il fatto che per vio­
lar!e occorra una tecnologia (che per definizione al-
1 31
tera i limiti naturali) , significa che i limiti naturali ci
sono .
Di un 'altra regione deli ' essere fanno parte i Mon­
di Possibili . N eli ' orizzonte ambiguo dell'essere le cose
potrebbero essere andate diversamente , e nulla
esclude che vi possa essere un mondo dove non vi
siano q uest i confini tra le specie, dove i confini siano
altri o addirittura non ci siano - un mondo dove cioè
non esistano n a t u ra/ k i n ds , e dove dall ' incrocio di
un cammello con una locomotiva possa nascere una
radice quadrata . Posso pensare un mondo possibile
in cui valgano solo geometrie non-euclidee, ma l 'uni­
co modo che ho di pensare a una geometria non­
euclidea è di fissarne le regole, e quindi i limiti .
È possibile che esistano anche regioni dell 'essere
di cui non siamo in grado di parlare . Mi pare strano,
visto che l' essere è effetto di linguaggio, ma diamolo
per concesso - visto che nulla vieta che un giorno
l ' umanità possa elaborare linguaggi diversi da quelli
noti . Atteniamoci però a quelle regioni di cui di solito
parliamo . Ciò che voglio dire ora si ispira a una teo­
ria non metafisica ma semiotico-linguistica , quella di
Hjelmslev. Noi usiamo segni come espressioni per
esprimere un contenuto , e questo contenuto viene ri­
tagliato e organizzato in forme diverse da culture (e
lingue) diverse . Su e da che cosa viene ritagliato? Da
una pasta amorfa , amorfa prima che il linguaggio vi
abbia operato le sue vivisezioni, che chiameremo il
con t i n u u m del contenuto, tutto l'esperibile , il dicibi­
le , il pensa bile - se volete, l'orizzonte infinito di ciò
che è , è stato e sarà, sia per necessità che per con­
tingenza . Parrebbe che , prima che una cultura non
1 32
l'abbia linguisticamente organizzato in forma del con­
tenuto , questo con t i n u u m sia tutto e nulla , e sfugga
quindi a ogni determinazione . Tuttavia ha sempre
imbarazzato studiosi e traduttori il fatto che Hjelm­
slev lo chiamasse in danese mening, che è inevitabile
tradurre con «senso)) (non necessariamente nel senso
di «significato)) ma nel senso di «direzione)), nello stes­
so senso in cui in una città esistono sensi permessi e
sensi vietati) .
Che cosa significa che ci sia del senso , prima di
ogni articolazione sensata operata dalla conoscenza
umana? Hjelmslev lascia a un certo momento capire
che sta nel <<senso>> il fatto che espressioni diverse co­
me piove, i l pleu t , i t ra i n s , si riferiscano tutte allo
stesso fenomeno . Come a dire che nel magma del
continyo ci sono delle linee di resistenza e delle pos­
sibilità ai flusso , come delle nervature del legno o del
marmo che rendano più agevole tagliare in una dire­
zione piuttosto che nell'altra . È come per il bue o il
vitello : in civiltà diverse viene tagliato in modi diversi ,
per cui la si rloin s tea k americana non corrisponde a
nessuna bistecca nostrana . Eppure sarebbe molto
difficile concepire un taglio che offrisse nello stesso
momento l ' estremità del muso e la coda .
Se il con tin u u m ha delle linee di tendenza , per
impreviste e misteriose che siano , non si può dire
tutto quello che si vuole . L' essere può non avere un
senso, ma ha dei sensi ; forse non dei sensi obbligati ,
ma certo dei sensi vietati . Ci sono delle cose che
n o n si possono dire .

Non importa che queste cose siano state dette un


tem po. In seguito abbiamo per così dire «sbattuto la

1 33
testa)) contro qualche evidenza che ci ha convinto
che non si poteva più dire quello che si era detto pri­
ma . Naturalmente ci sono dei gradi di costrizione . Si
prendano due esempi, la confutazione del sistema to­
lemaico e quella d eli ' esistenza della Terra Australis
Incognita come una immensa calotta che avrebbe av­
volto l 'emisfero sud del pianeta . Quando vigevano le
due ipotesi , ora refutate , il mondo noto permetteva
di essere spiegato in modo verosimile e ragionevole :
la teoria tolemaica per secoli ha dato ragione · di in­
numerevoli fenomeni , e la persuasione dell' esistenza
di uha terra australe ha incoraggiato innumerevoli
viaggi di scoperta , che di quella terra avevano persi­
no toccato le presunte propaggini. Poi si è scoperto
che il sistema copernicano (con le varie correzioni
apportatevi sino a Keplero) spiegava meglio i feno­
meni celesti , e che la terra australe in quanto calotta
globale non esiste . Potremmo persino pensare che
un giorno - anche se per ora la teoria eliocentrica
risponde a più quesiti e ci permette più previsioni di
quanto non potesse la teoria geocentrica - emerga
un sistema più esplicativo che mette in crisi entram­
be le teorie . Ma per ora noi dobbiamo scommettere
sul sistema di Keplero, c o m e se fosse vero , e non
possiamo usare più la teoria geocentrica. Quanto alla
terra australe , nella misura in cui dobbiamo prestar
fede ai dati di una esperienza provata da migliaia di
testimoni e da misurazioni scientifiche , pare assolu­
tamente impossibile affermare che esiste un conti­
nente che copre a calotta l 'emisfero sud del pianeta ,
a meno che non decidiamo di definire come T erra
1 34
Australis l'Antartide (ma si tratterebbe di un puro gio­
co sui nomi) .
Questo significa che , anche se è un effetto di lin­
guaggio , l 'essere non lo è nel senso che il linguaggio
liberamente lo costruisce . Ci son o delle cose che
n o n si possono dire . Anche chi affermasse che l ' es­

sere è puro Caos, e quindi suscettibile di ogni discor­


so , dovrebbe per lo meno escludere che esso sia Or­
dine duro . Il linguaggio non costruisce l 'essere ex
nova : lo interroga, trovando sempre e in qualche
modo qualcosa di già da to (anche se essere già dato
non significa essere già finito e completo) . Anche se
l'essere fosse tarlato , ci sarebbe pur sempre un tes­
suto la cui trama e l ' ordito, confuse dagli infiniti bu­
chi che lo hanno smangiato , in qualche modo osti­
nati sussistono .
Questo già da to è lo Zoccolo Duro dell 'essere . Ed
è la cosa più vicina che si possa trovare , prima di
ogni Filosofia Prima o Teologia , alla idea di Dio o di
Legge. Certamente è un Dio che si presenta (se e
quando si presenta) come pura Negatività , puro Li­
mite , puro ((NO'' , ciò di cui il linguaggio non deve o
non può parlare .
E qui debbo fare una precisazione , perché mi ren­
do conto che la metafora dello Zoccolo Duro può fa­
re pensare che esista un nocciolo definitivo che un
giorno o l 'altro la scienza o la filosofia metteranno a
nudo ; e nello stesso tempo la metafora può fare pen­
sare che questo zoccolo, questi limiti di cui ho parla­

to, siano quelli che corrispondono alle leggi naturali .


Vorrei chiarire (anche a costo di ripiombare nello
sconforto gli ascoltatori che per un attimo av�vano
1 35
creduto di ritrovare una idea consolatoria della Real­
tà) che la mia metafora allude a qualcosa che sta an­
cora al di qua di ciò che identifichiamo con le leggi
naturali , che persisterebbe anche se le leggi newto­
niane si rivelassero un giorno sbagliate - ed anzi sa­
rebbe proprio quel qualcosa che obbligherebbe la
scienza a rivedere persino l ' idea di leggi che pareva­
no definitivamente adeguare la natura dell' universo .
Quello che voglio dire è che noi elaboriamo leggi
proprio come risposta a questa scoperta di limiti , che
cosa siano questi limiti non sappiamo dire con cer­
tezza , se non appunto che sono dei «gesti di rifiuto»,
delle negazioni che ogni tanto incontriamo . Potrem­
mo persino pensare che l ' essere sia capriccioso, e
cambi queste sue linee di tendenza - ogni giorno o
ogni milione di anni. Ciò non eliminerebbe il fatto
che noi le incontriamo.
Si noti che esiste uno Zoccolo Duro persino nel
Dio delle religioni rivelate . Voglio dire che Dio pre­
scrive dei limiti persino a se stesso . C ' è una bella
Quaes t io Quodlibeta lis di San Tommaso in cui il fi­
losofo chiede u t ru m Deus possi t repa ra re v i rgin is
ru i n a m e cioè se Dio possa riparare al fatto che una
vergine abbia perso la propria verginità . La risposta
di San Tommaso è chiara : se la domanda riguarda
questioni spirituali , Dio può certamente riparare al
peccato commesso e restituire alla peccatrice lo stato
di grazia; se riguarda questioni fisiche , Dio può con
un miracolo ricostituire l ' integrità fisica della fanciul­
la ; ma se la questione è logica e cosmologica, ebbe­
ne , neppure Dio può fare che ciò che è stato non sia
stato. Lascio da decidere se questa necessità sia stata
1 36
posta liberamente da Dio o faccia parte della stessa
natura divina. In ogni caso, dal momento che c ' è , an­
che Dio ne è limitato .
Si racconta che una volta fu chiesto a Rubinstein
se credeva in Dio, ed egli avrebbe risposto: «No , io
credo in qualcosa, come dire , di molto più grande)) .
L'aneddoto , vero o falso che sia, esprime molto bene
il desiderio che ci sia qualcosa che va oltre ogni limi­
te. Sarebbe la promessa che esiste da qualche parte
una zona di libertà assoluta . Ma è proprio la libertà
che pone il Limite .
Il mio maestro Luigi Pareyson, negli ultimi anni
della sua vita, parlava di una Ontologia della Libertà .
Spostando l' accento sull 'atto libero con cui ci si av­
vicina all' essere per parlame, riconosceva che la vera
lotta si stabilisce tra la libertà e il nulla . Pareyson ri­
cuciva - almeno secondo la mia lettura - quella diva­
ricazione che Heidegger aveva posto tra l 'ente e l'es­
sere . L'essere è ancora quello di Aristotele , di cui si
parla in molti modi, e parlandone disegniamo di con­
ti nuo i confini di ciò che è. Ma la lotta col nulla , e la
vittoria sul nulla - il cui trionfo muto consisterebbe
nella fine della parola - consiste nell'atto di coraggio
attraverso il quale interroghiamo l ' orizzonte in cui vi­
viamo . Se vi è angoscia, è perché di fronte alla po­
livocità dell 'essere awertiamo l 'angoscia della nostra
libertà . Parlando, rischiamo di affermare come verità
quello che altri domani chiameranno errore , di im­
porre o suggerire come il meglio quello che poi si
rivelerà essere il male. Il limite nasce proprio da una
condizione di assoluta libertà , e questo limite finisce
137
per imporsi persino al più libero degli esseri , e cioè
Dio.
Nella prospettiva di Pareyson (che era credente e
cristiano) neppure la fede nel Dio delle religioni rive­
late sottrae da questo rischio dell 'errore e del male , e
dalla vertigine che la libertà prova di fronte all' essere :
perché Dio vi appare come il primo e supremo atto di
libertà , ma in questo suo rischio originario Dio avreb­
be accettato di contenere in sé l ' ombra del male .
Mi sia consentito di spogliare questa affermazione
dalle sue connotazioni gnostiche . Il problema è che
non è vero - come è stato detto - che se Dio non ci
fosse allora tutto sarebbe possibile. Nello Zoccolo
Duro dell 'essere c'è il «No)) profondo e nascosto che
espone a rischio continuo (compreso il rischio del
male) ogni nostra ricerca di una qualsiasi verità9.

7 . Brevi cenni

Tocca a noi assumerci il rischio del dire perché


l 'essere (ed ecco che qui giustifico la terza lettura del
mio titolo) non ci parla che per brevi cenni .
Lascio la parola a Eraclito : «Il signore, il cui ora­
colo è a Delfi , non dice {léghei) né nasconde (krùp­
te i), ma fa cenni (semaìn ei))) (Diels e Kranz 22 A 93) .

9 Potremmo chiederci chi ci garantisce che certe cose si possa­

no dire e altre n o . Ma qui passeremmo dal problema dell'essere al


problema della verità , che ne dipende, ma non vi si identifica . Non a
caso poniamo differenze tra metafisica o ontologia , logica e gnoseo­
logia . Potrei al massimo azzardare con Peirce che la garanzia è data
dalla risposta dell'esperienza attiva e dall 'accordo (fallibile e rìvedibi­
le) della comunità.

1 38
Molte sono state le interpretazioni di questo fram­
mento . È persino dubbio se il légh ein voglia dire «di­
re» , e parlare , e cosa voglia dire «nasconderen ; certa­

mente Eraclito ci awerte che il segreto dell ' Oracolo


(e che altro può esso essere se non il segreto dell 'es­
sere?) non viene mai esplicitato in parole definitive e
univoche ; né che l' Oracolo tenta di occultarci qual­
cosa . Esso se maìne i . Ma siccome questo verbo, pri­
ma ancora che ((significare» nel senso attuale del ter­
mine, significa parlare per sintomi, indizi , tracce
aperte all 'interpretazione , ecco che l ' essere ci fa bre­
vi cenni , come amichevoli ed enigmatiche strizzate
d' occhio; esso ci seduce, ci lascia capire che c ' è una
promessa da capire (e lascia a noi d 'indovinare dove
si possa incontrare il limite) . E ci consegna così al­
l'awentura infinita della congettura .
Domenicò Losurdo
METAFISICA, ANTIMETAFISICA E STORIA

l . Se per metafisica si intende un discorso filoso­


fico relativo ad una regione meta-empirica del reale ,
l'epoca della metafisica si può considerare definitiva­
mente conclusa con Kant, il quale dimostra una volta
p er sempre l 'impossibilità di un tale discorso . La tra­
dizionale metafisica diviene l'illusoria dialettica tra­
scendentale , con le contraddizioni e le aporie che la
caratterizzano . Priva di valore teoretico , l ' affermazio­
ne dell'esistenza di Dio e dell ' immortalità dell' anima
può solo essere un postulato della ragion pratica . A
lungo l' apologetica cristiana ha combattuto contro
tale risultato della filosofia critica , ma invano . Per
rendersene conto , basta sfogliare il recente Ca techi­
smo della Ch iesa Ca ttolica . Di « " prove " dell'esi­
stenza di Dio» si parla ormai solo tra virgolette : al
più, esse «possono disporre alla fede» , ma «l 'uomo ha
bisogno di essere illuminato dalla Rivelazione di Dio»
anche su verità che «di per sé non sono inaccessibili
alla ragione)) . Alla dimostrazione razionale subentra
la non inaccessibilità alla ragione (è significativa la
formulazione in negativo) di proposizioni , la cui ge­
nesi è extrateoretica, il «desiderio di Dio» di cui parla
141
il Ca tech is m o 1 owero il postulato della ragion pra­
tica caro a Kant. Chiaramente, non c'è più posto pe r
la presunta <<teologia razionale)) (con le sue brave e
molteplici dimostrazioni) contro cui la Crit ica del la
ragion pura è costretta a misurarsi e impegnarsi . E
ancor meno c'è posto per la ((cosmologia razionale))
e la <<psicologia razionale)) : creazione del mondo da
parte di Dio e vita ultraterrena dell'uomo vengono af­
fermate , in primo luogo se non esclusivamente , a
partire dalla fede nella sacra scrittura e nella rivela­
zione divina . A parte battaglie , o scaramucce , di re­
troguardia , il discorso religioso si stacca ormai dalla
metafisica, cui subentra la soteriologia : quel che pro­
mette la rivendicata trascendenza rispetto all'empiria
non è più la conoscenza suprema bensì la salvezza.

2 . Un ciclo storico si è dunque concluso. Ma


quando è iniziato? Allorché si parla di metafisica , si
fa spesso riferimento a Tommaso d'Aquino , cui rin­
viano non poche delle «dimostrazioni» confutate da
Kant. Ma proprio questo rinvio al grande interprete
cristiano di Aristotele getta luce su un fatto fonda­
mentale : la metafisica che per secoli ha dominato in
Occidente è il risultato di un sincretismo tra due tra­
dizioni religiose e culturali radicalmente diverse , quel­
la ebraico-cristiana e quella greca . La prima ha al suo
centro un discorso storico . «La Bibbia è una testimo­
nianza resa a eventi , a opere di Dio nella storia: l'al­
leanza con Abramo, la nascita e la resurrezione di

1 Ca tech ismo della Chiesa Ca t tolica , Libreria Editrice Vatica­

na, Roma 1 9 9 2 , pp. 29-30 e 2 7 .

1 42
Gesù Cristo, la Pentecoste>�2 . La seconda tradizione è
tutt'altro che costruita storicamente : non c'è posto
per la crea z ione del mondo , la rivelazione divina o
l 'attesa della Parusia . La storia ha il torto, secondo
Aristotele, di occuparsi solo dell' accidentale e mo­
mentaneo e non è quindi in grado di comprendere
ciò che è permanente e necessario , oggetto invece
della poesia e soprattutto delle scienze teoretiche ,
nell 'ambito delle quali rientra la filosofia prima (che
sarà poi chiamata metafisica). Siamo in presenza di
due discorsi , di due generi letterari diversi e contrap­
posti . Se la filosofia greca cerca di cogliere razional­
mente il principio , la struttura interna e le interne
connessioni del reale ed è animata da una tensione
«metafisica>� solo nel senso che nutre un' ambizione
più alta di quella propria degli <<empirici>� , i quali «san­
no il che ma non il perché>� (Met. , 98 1 a)3 , nell' am­
bito della tradizione ebraico-cristiana, «la conoscenza
di Dio (la "scienza di Jahvè ") non è rivolta affatto
all 'essenza di Dio , ma alla sua volontà, e conoscere
questa significa riconoscere Dio>� . Si comprende allo­
ra l' andamento del Vecchio Testamento : <<Così parlò
Jahvè» ; «così ha parlato il Signore>� ; «Ti è stato detto
[ ] che cosa Jahvè esige da te>A. Com 'è noto, ri-
. . .

2 J. Daniélou, Saggio s u l m istero della s toria , Morcelliana,


Brescia 1 9 5 7 , p . 1 1 .
3 Per questa e le successive citazioni della Metafisica , utilizziamo
la tra d . it. di A. Russo contenuta in Aristotele, Opere , Laterza , Ro­
ma-Bari 1 9 73, vol . III.
4 Cfr. R. Bultmann, Das Urch risten tum i m Rahmen der an­
tiken Religionen , trad . it. Il cris tianesimo pri m i ti vo , Garzanti , Mi­
lano 1 964, pp. 8, 1 7 e 2 8 .

143
spendendo a Napoleone che gli chiede cosa ne pen­
sa di Dio , Laplace dichiara di non aver bisogno nel

suo sistema di una tale ipotesi . Aristotele ha invece


bisogno di presupporre il motore immobile, anzi una
molteplicità di motori immobili , ma ciò non toglie
che il discorso del filosofo greco e quello di Laplace
rientrino in un medesimo genere letterario e scien­
tifico che nulla ha a che fare col genere storico-pro­
fetico .

3 . Disçorso storico-profetico ebraico-cristiano e


discorso filosofico-metafisica greco risultano contrap­
posti anche sul piano politico-sociale . Il primo non
solo è costruito storicamente , ma contiene una pro­
messa escatologica, che sembra rivolgersi soprattutto
ai diseredati. Sviluppando organicamente le intuizio­
ni di Nietzsche , Weber ha osservato che l 'ebraismo è
la religione di un popolo-paria , di un popolo costret­
to alla cattività babilonese, all'esilio e all 'oppressione.
La dimensione sociale del radicale mutamento pro­
messo da Vecchio e Nuovo Testamento diviene
esplicita nel profetismo ebraico e nella versione che
Luca fornisce del discorso delle beatitudini : «Beati voi
che siete poveri perché vostro è il regno di Dio. Bea­
ti voi che ora avete fame, perché sarete saziati . Beati
voi , che ora piangete , perché riderete [ . . . ] Ma guai a
voi ricchi. . . » (Le, 6, 20-2 1 e 6 , 24-25).
Ben diverso è i l quadro che s i presenta i n Grecia.
Secondo Platone , «alla natura degli dèi non è lecito
che giunga chi non abbia esercitato filosofia e non si
diparta dal corpo)) (Fedone , 82 b) . La filosofia-meta-
1 44
fisica è fatta - sottolinea Aristotele - solo per coloro
che sono liberi dal bisogno: 11i manovali , comportan­
dosi in un modo simile a quello di certi esseri inani­
mati , agiscono pure , ma agiscono senza sapere quel­
lo che stanno facendo» (Met. , 98 1 b); adi conse­
guenza, solo quando tutte le arti di tal genere si fu­
rono sviluppate , vennero alla luce quelle scienze che
non hanno attinenza né col piacere né con i bisogni,
e ciò si riscontrò in primo luogo in quei paesi dove gli
uomini godevano gli agi della libertà» (Met . , 98 1 b) .
A volersi servire della coppia di concetti utopia/
ideologia cara a Mannheim, potremmo dire che la
profezia ebraico-cristiana è il prototipo dell'utopia,
mentre la filosofia-metafisica greca è il prototipo del­
l'ideologia: il metafisica che , libero dagli assilli delle
necessità della vita , sa penetrare , al contrario del
(<manovale•• , nel perché delle cose , è in qualche mo­
do il proprietario che per secoli , godendo dell'oti u m ,
rivendica e detiene , i n nome della sua saggezza , il
monopolio dei diritti politici ; e l 'aristotelico primo
motore immobile , pensiero del pensiero , sembra es­
sere la metafisicizzazione di questa figura sociale. Per
far ricorso invece ad una coppia di concetti cara a
Weber, possiamo dire che nella tradizione religiosa e
culturale ebraico-cristiana si esprime la ateodicea del­
la sofferenza•>, propria delle religioni della redenzione
e che trova «di preferenza un durevole insediamento
negli strati sociali meno privilegiati•> o negli individui
comunque sfortunati , mentre la filosofia-metafisica
greca fa pensare piuttosto alla ateodicea della felicità••
che legittima per l ' appunto la afelicità» (intesa in sen-
1 45
so lato) delle classi dominanti o comunque soddisfatte
della loro condizione sociale e della vita in generes.

4 . Nel panorama delle grandi religioni mondiali,


la tradizione ebraico-cristiana si caratterizza per il
ruolo decisivo conferito alla storia . Man mano che il
cristianesimo acquista una posizione dominante , il
suo contenuto tende a de-storicizzarsi : le sue feste
vengono a coincidere con quelle pagane costruite sul
ritmo delle stagioni e quindi facenti riferimento alla
natura (e alla sua circolarità) più che alla storia. D 'al­
tro canto , col dileguare delle speranze nella Parusia,
e col diffondersi nel mondo greco del cristianesimo,
anche nell 'ambito di quest'ultimo il discorso filosofi­
co-metafisico comincia ad affiancarsi o a subentrare
a quello storico-profetico . Nel Quarto Vangelo, attri­
buito a Giovanni , Gesù s 'identifica col Logos esisten­
te ab ae tern o (che in qualche modo ci rinvia al pen­
siero del pensiero di Aristotele) e che irrompe nella
storia facendosi carne . La genesi del dogma trinitario
e le lotte accanite e prolungate per la sua definizione
vanno comprese a partire anche dalla difficoltà di
conciliare metafisica, storia e le diverse dimensioni
della storia stessa . Rivelandosi a Mosè nel roveto ar­
dente , Jahvè dichiara: «io sono colui che sono» (Es.
3, 1 4). Tale espressione (che sottolinea il carattere
vivente e dinamico del dio ebraico che interviene e
agisce nella storia) era stata resa in greco dalla tra-

5 Su ciò cfr. D. Losurdo, Économisme h istoriq ue ou m a té ria ·

/isme h istoriq ue? Po u r une relec t u re de Marx et Enge/s , «Archives


de Philosophie», gennaio-marzo 1994 , 57, p p . 143-47 .

146
duzione dei Settanta del Vecchio Testamento con
l'espressione «Io sono colui che è)) , aprendo quindi la
strada «alla successiva identificazione , prima ad ope­
ra di Filone e poi della teologia cristiana del II secolo ,
di Dio con I ' essere)) della filosofia-metafisica greca 6 .
Gesù che irrompe nella storia con la sua azione sal­
vifica diviene allora il Figlio; d' altro canto, in seguito
al dileguare de Il ' attesa nella Parusia, I' escatologia
tende ad acquistare un significato sempre più accen­
tuatamente intramondano (la salvezza si realizza già
nella Chiesa , assistita dallo Spirito Santo) .
Il passaggio dalla storia-profezia alla metafisica è
particolarmente evidente nelle successive, diverse o
contrapposte , configurazioni del tema della soprawi­
venza individuale . Essa è garantita in Paolo a partire
da una concreta vicenda storica: la caduta di Adamo
e il peccato originale hanno introdotto peccato e

morte nel mondo, una situazione successivamente


modificata dal sacrificio di Gesù (il secondo Adamo) ,
che produce il riscatto e la resurrezione (Rom . 5 , 1 2
sgg.). E questo è l ' elemento centrale e decisivo della
nuova religione : «Se non v'è resurrezione dei morti ,
nemmeno Cristo è risorto ! Ma se Cristo non è risorto
allora vana è la nostra predicazione ed è vana anche
la vostra fede)) (Cor. 1 5 , 1 3- 1 4) . Nei secoli successi­
vi, l' attesa della resurrezione della carne , promessa ai
giusti, viene sostituita dalla dimostrazione dell' immor­
talità deli ' anima , dimostrazione che non differisce

6 G . Filoramo, Religioni del libro e teo logie fi losofiche in P.


Rossi-C.A . Viano (a cura di) , Storia della filosofia. L 'An tich ità, La­
terza, vol . l, Roma-Ba ri 1 993 , pp. 394-9 5 .

14 7
molto da quella esposta nel Fedone platonico . Ma,
«se l'anima non è un corpo , essa non è un nulla)),
tuona ancora Tertulliano , fermo alla tesi della resur­
rezione della carne , insofferente nei confronti del­
le dimostrazioni razionali della soprawivenza indivi­
duale e fiero awersario della ragione greca in quanto
tale . La sua polemica ha di mira in primo luogo Ori­
gene , non a caso accusato dal neoplatonico e paga­
no Porfirio «di essere più greco che cristiano, e di
aver fatto servire il pensiero ellenico a fondamento di
favole barbariche)) 7 .

5 . È la vittoria , su questo punto, di Origene su


Tertulliano , di Atene su Gerusalemme , a fondare la
tradizione di pensiero che poi sfocia nella «psicologia
razionale)) , parte costitutiva della metafisica confutata
da Kant . Tale confutazione per un verso scioglie la
fede dai vincoli di «dimostrazioni>> ormai rivelatesi as­
sai fragili : «Ho dovuto sopprimere il sapere per la­
sciar posto alla fede>>8 . Per un altro verso, il discorso
scientifico può svilupparsi senza più gli impacci della
tradizione religiosa : l' anima di cui la psicologia tra­
scendentale intendeva dimostrare l'immortalità è ora
solo l'unità dei fenomeni interni al soggetto ; il mon­
do di cui la cosmologia trascendentale si affannava a
dimostrare la creazione nel tempo è solo l'unità dei

7 P. Martinetti, Gesù Cristo e il Crist ianesimo, Il Saggiatore,


Milano 1 964, pp. 250 e 2 3 9 .
8 Si veda la prefazione alla Il ed. della Critica della ragion pura
(1 787), in I. Kant, Gesam melte Sch riften , ed. dell'Accademia delle
Scienze , Berlin, vol . IV, p. 1 9 , trad . it . , modificata, di G. Gentile e
G . Lombardo-Radice, Laterza , Bari 1 95 9 , p . 29 .

1 48
fenomeni esterni; Dio , infine, è l 'idea dell'unità com­
plessiva e sistematica del sapere cui tende la ragione.
Nella misura in cui continua a sussistere, la metafisica
svolge una funzione epistemologica, stimola ad avan­
zare verso una totalità che , se pure può essere solo
pensata ma non conosciuta, aiuta a sviluppare ed or­
ganizzare in modo sempre più sistematico le cono­
scenze concrete. È una funzione epistemologica non
priva di rilevanza politica. Alla ((metafisica>> , alla co­
struzione di idee e teorie generali , viene rivolta ((l' ac­
cusa inaudita>> di essere la ((causa delle rivoluzioni po­
litiche)); in effetti - ·sottolinea Kant - nella loro «spe­
ranza sanguigna di migliorare il mondo)) , i «metafisici))
sono pronti a fare «l'impossibile)) , ed è per questo
che sono derisi e odiati dai praticoni attaccati all'esi­
stente e all'empiria immediata9.

6. Un ulteriore passo compie Hegel, per il quale


Dio è per l'appunto «la totalità>> cosmica e storica, ed
una totalità non indifferenziata bensì internamente
articolata 10. Nonostante l 'omaggio reso alla tradizio­
ne ebraico-cristiana, questa viene ora radicalmente
epurata della sua dimensione storico-profetica. Non
c'è più spazio per eventi divini, esterni rispetto alla
natura e alla storia, risp�tto alla totalità . Il peccato
originale non ha una dimensione propriamente sto-

9 1 . Kant, Han dsch riftlicher Nach /a/1, in Gesam melte Schrif­


ten , cit . ,
vol . XXIII, pp. 1 27 e 155.
10 G.
W.F. Hegel, Vorlesu ngen iiber die Phi losoph ie der Re/i·
gion , voli. XVI-XVII dei Werke in zwanzig Banden , a cura di E.
Moldenhauer e K . M . Miche) , Suhrkamp, Frankfurt a . M . 1 969- 1 979,
p. 223.
vol. XVII ,

149
rica : è «l ' eterna storia dello spirito» , <(l 'eterno mito
dell'uomo)) 1 1 ; non si tratta di una HStoria accidentale»,
come apparirebbe dalla «nota rappresentazione bibli­
ca» , bensì della <(storia eterna , necessaria dell'uomo» ,
qui espressa ((in forma esteriore , mitica» e <(priva di
incongruenze>> 1 2 . L'elemento mitico qui denunciato
consiste nella formulazione in termini di evento di
quella che è una dimensione ((eterna>> e ((necessaria»
dello spirito e della storia umana. In modo analogo,
procede Hegel con gli altri eventi centrali della storia
sacra . Ciò vale per la creazione : <(senza mondo , Dio
non è Dio>> ; <(l ' incarnazione>> è «mom e n to esse nziale
della reli g ione>> in quanto tale e , in realtà , della stes­
sa ((speculazione>> 1 3 ; la crocifissione e la morte di
Gesù rivelano l 'immanenza della ((negatività>> in Dio
e , ancora una volta , nella stessa speculazione 14. Gli
eventi sacri si trasformano in strutture della totalità e
della realtà e in strutture altresì del pensiero specula­
tivo capace di rispecchiarle . In questo senso , Dio è
colto da una metafisica speculativa che s ' identifica
con una logica intesa <(come il sistema della ragion
pura , come il regno del puro pensiero . Questo re­
gn o è la verità, co me essa è in sé e per sé senza
velo>> . A voler usare il linguaggio della rappresenta-

1 1 G.
W . F. H e g e l Ph i losophie der Gesc h i c h t e , in Werke in
,

zwanzig Ba nden , cit. , vo l . XII, p. 389.


1 2 G.
W. F . Hegel , Vo rles ungen uber die Ph i losop h i e der Re/i·
gia n , cit . , vol . XVI , p . 2 6 5 .
1 3 lvi, pp. 1 9 2 , 75 e 1 4 7 .
1 4 l vi , vol . XVI I , p . 2 9 1 ; G . W . F. Hegel, Vorles u ngen ilber d i e

Gesch ich te de r Ph i losop h i e , in We rke in z wanzig Béinde n , cit. ,


vol . XIX. p. 3 9 7 .

1 50
zione e, in qualche modo , del mito , «ci si può quindi
esprimere così , che questo contenuto è la esposizio­
ne di Dio, com 'egli è nella sua eterna essenza pri­
m a della creazione de lla n a t u ra e d i u n o spirito
fin i to>) 1 5 .
La logica-metafisica h a soppiantato i l discorso
storico-profetico . L' ((esposizione di Dio» non è la nar­
razione o la custodia di eventi sacri , ma è la descri­
zione di una realtà , di una totalità che solo ora può
essere pienamente pensata e abbracciata in quanto
libera ormai dalle dicotomie e lacerazioni che ancora
la contrassegnano nell 'ambito del criticismo kantia­
no . La logica-metafisica fornisce la grammatica e la
sintassi del reale , e di un reale che non presenta più
zone d' ombra impenetrabili e inaccessibili alla ragio­
ne . D'altro canto , questa presenza di Dio alla ragione
e alla logica-metafisica rende superfluo quello spazio
della fede garantito dal criticismo di Kant, il quale
non a caso viene accusato dal giovane Hegel di aver
reso di nuovo la ragione ((ancella di una fede» 16.
A prima vista , sembrerebbe che Atene abbia con­
seguito la vittoria totale su Gerusalemme . Epperò co­
m'è diversa questa logica-metafisica dalla metafisica
tradizionale ! L'essere in quanto essere da cui que­
st'ultima ama prendere le mosse è identico al nulla :
così si apre la Logica hegeliana , nell ' ambito della

15 G . W . F . Hege l , Wissenschaft der Logik, voli. V-VI dei We r ke

in zwanzig Banden , cit . , vol . V, p. 44; t rad it. La scienza della


.

logica , trad . it. a cura di A. Moni riv. da C. Cesa, Laterza , Roma­


,

Bari 1 9 74, vol . l, p. 4 1 .


16
G. W.F. Hegel, G/a uben und Wissen , in Werke i n zwanzig
Ba nden , ci t. , vol . II, p . 288.

151
quale la prima categoria concreta è l'unità di essere e
nulla , il divenire: «Ex nihilo nihil fit - è una delle pro­
posizioni a cui in metafisica venne attribuita una
grande importanza. Ma in questa proposizione non
v'è da veder altro che la vana tautologia che nulla è
nulla [ ] In nessun luogo, né in cielo né in terra v'è
. . .

qualcosa che non contenga in sé tanto l 'essere quan­


to il nulla>> 1 7 . Né in cielo né in terra: come la filoso­
fia prima aristotelica, la logica-metafisica hegeliana
non ha nulla a che fare con la contrapposizione
mondano/oltremondano. Oggetto dell ' indagine è la
realtà nel suo divenire , un divenire che si sviluppa at­
traverso contraddizioni oggettive, salti qualitativi ecc.
In questo senso , Hegel può ben richiamarsi, e anche
a ragione , ad Aristotele . Resta però il fatto , fonda­
mentale , che la logica-metafisica del filosofo tedesco
non è passata invano attraverso l'incontro con la tra­
dizione ebraico-cristiana. Non più connessa ad una
storia sacra e ad una catena di eventi divini , la ten­
sione verso il nuovo non è tuttavia dileguata ; anzi,
essa viene ad essere collocata nel cuore stesso del
reale , delle sue contraddizioni, del suo sviluppo. Que­
sto sviluppo è al tempo stesso la dialettica. Si com­
prende allora come la logica-metafisica hegeliana,
«esposizione di Dio>> , appaia a Herzen come l' «alge ­
bra della rivoluzione)) 18.

1 7 G . W . F . Hegel , Wissenschaft der Logi k , cit , vaL V, pp . 85-

86; trad . it cit . , p p . 87 e 89.


18
Cfr. A. Herzen, Mémoires et Pensées ( 1 855-62) , in Textes
philosophiq ues choisis , Editions en langues étrangères, Mosca
1 950. p. 5 7 9 .

1 52
7 . Dunque , la metafisica è divenuta la logica e la
lo gi ca è divenuta la dialettica. Ma, se per metafisica
inte ndiamo quella tradizionale, ferma all ' «astratta i­
de ntità)) e che isola le diverse determinazioni, invece
di coglierle nella loro unità e «totalità», allora il termi­
ne in questione assume in Hegel una connotazione
negativa19. È tale connotazione a prendere decisa­
mente il soprawento in Marx ed Engels . Neli'A n ti­
diih ring possiamo leggere: (<Per il metafisica le cose
e le loro immagini riflesse nel pensiero , i concetti ,
sono oggetti isolati di indagine , da considerarsi suc­
cessivamente e indipendentemente l'uno dall 'altro ,
fissi , rigidi, dati una volta per sempre . Egli pensa per
antitesi assolutamente immediate ; il suo discorso è sì,
sì, no, no. Tutto ciò che oltrepassa questo appartie­
ne al maligno. Per lui una cosa esiste o non esiste;
ugualmente è impossibile che una cosa nello stesso
tempo sia se stessa ed un' altra . Positivo e negativo si
escludono reciprocamente in modo assoluto; causa
ed effetto stanno del pari in rigida opposizione reci­
proca)) 2o .
Il pathos della totalità, dinamica , ricca di contrad­
dizioni e risolta nella storia, trova ora la sua espres-

19 G.W.F. Hegel, Enzyclopiidie der phi/osoph ischen Wissen­


schaften ( 1 830), §§ 36 Z e 32 Z , in Werke i n zwanzig Biinden , cit . ,
vol . VIII , p p . 1 06 e 9 9 .
2° F . Engels, Herrn Eugen Diihring 's Um wiilzung der Wissen­
schaft ( 1 8 9 4) , in K. Marx-F. Engels , Werke, Dietz, Berlin 1 955
sgg . , vol . XX, pp. 20-2 1 ; sul cammino da Kant a Engels, si vedano
di H . H . Holz, Dia lektik und Widerspiegelung, Pahl-Rugenstein,
Koln 1983, p p . 9- 1 0 e le voci Dialektik, Metaphysik e Spekula­
tion in H.J. Sandki.ihler (a cura di), Europiiische Enzyc /opiidie zu
Ph ilosophie und Wissenschaften , Meiner, Hamburg 1 9 9 0 .

1 53
sione non più nella logica-metafisica bensì nella dia­
lettica , definita da Engels , in contrapposizione alla
metafisica , come la ccscienza della connessione uni ­
versale» . Possiamo ora riesaminare il cammino per­
corso . In Kant alla metafisica subentra la dialettica
trascendentale , che , pure con le sue contraddizioni e
aporie , conferisce alla categoria di totalità una fun­
zione epistemologica . La dialettica acquista in Heg e l
un significato positivo , in quanto sinonimo di quella
logica-metafisica che supera la metafisica tradiziona­
le . In Engels si scioglie questa ambivalenza semanti­
ca . Alla dialettica come scienza del movimento e del­
la connessione universale si contrappone in modo
univoco la metafisica , denunciata ora come il model­
lo dell' ideologia. In quanto negazione del movimento
e delle contraddizioni del reale , la metafisica è la con­
sacrazione e trasfigurazione dell ' esistente . Ma essa è
ideologia anche da un altro punto di vista. Nella mi­
sura in cui perde di vista la connessione dell 'intero e
non è consapevole dei suoi presupposti materiali,
una proposizione è al tempo stesso metafisica e
ideologica .
La totalità sembra stimolare il progetto rivoluzio­
nario per la cancellazione che essa implica di zone
d'ombra inaccessibili al pensiero e all 'azione dell'uo­
mo e per il fatto altresì che essa è caratterizzata da
contraddizioni e tensioni interne le quali , incrinando
l' esistente , sembrano implicare il futuro già nel pre­
sente . C ' è un ' ulteriore ragione . È solo la categoria di
totalità a rendere possibile un 'adeguata fenomenolo­
gia del potere e del dominio . Separando sfera della
circolazione e sfera della produzione owero metro-
154
poli e colonie , separando Inghilterra e Irlanda per
quanto riguarda la Gran Bretagna owero comunità
bianca e neri e pellerossa per quanto riguarda gli
USA, separando infine normalità e stato d' eccezio­
ne, attraverso tutte queste lacerazioni (e rimozioni) il
dominio della borghesia si volatilizza; per questo essa
ricorre, secondo le parole di Marx, ad un 'economia
p olitica , nell'ambito della quale ((si sconnettono le
membra del sistema sociale; si mutano le differenti
membra della società in altrettante società a parte» 2 1 .
Quella ((critica dell 'economia politica•• che , già nel
suo sottotitolo, vuole essere Il capitale, è la critica
della ((metafisica dell'economia politica» (come suona
un capitolo di Miseria della filosofia) , una metafisica
caratterizzata per l'appunto dalla mutilazione della
realtà in entità separate e tra loro senza rapporto .
Leggendo la Logica hegeliana, Lenin sottolinea
che ((geniale è l'idea fondamentale : della connessione
universale , onnilaterale, viven te , di tutto con tutto e
del rispecchiamento di questa connessione» . Il rivolu­
zionario russo trascrive e sottoscrive anche il brano
in cui il filosofo tedesco osserva che ((riguardo alla
connessione reciprocamente determinata dell'intiero
la metafisca poté fare l 'affermazione - in fondo tau­
tologica - che se un granello di polvere andasse di­
strutto, l' intero universo crollerebbe,22 . Se la logica

21
Su ciò cfr. D . Losurdo, Fenomeno logia del potere. Marx,
Engels e la tradizione libera le, in A. Burgio-D . Losurdo (a cura di),
Au tore, a ttore, a u torità, Q uattro Venti-Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici , Urbino 1 99 6 , p p . 83- 1 0 7 .
22
V.!. Lenin, Quadern i filosofici , a cura di L Colletti , Feltri­
nelli, Milano 1 9692, p p . 136 e 94.

1 55
hegeliana è l' erede , critico e radicalmente innovato­
re, della metafisica aristotelica , Lenin è un lettore at­
tento e talvolta entusiasta della logica-metafisica he­
geliana. Ma è appena il caso di aggiungere che il
soggetto politico-sociale della nuova metafisica-alge­
bra della rivoluzione è ben diverso da quello a fonda­
mento della filosofia prima-metafisica aristotelica.

8. Abbiamo visto il progressivo stemperarsi o di­


leguare del discorso storico-profetico che però di tan­
to in tanto riemerge: si pensi ai gioachimiti , a certi
movimenti ereticali del Medioevo, alla Guerra dei
contadini . Taie tipo di discorso continua ad essere
presente nel movimento proto-socialista , spesso ca­
rico di motivi anche esplicitamente religiosi e cristia­
ni. Si comprende allora il fatto che Nietzsche tracci
una linea di continuità dalla tradizione ebraico-cristia­
na al movimento rivoluzionario nelle sue diverse tap­
pe e configurazioni e liquidi l' una e l' altro in quanto
espressione sia di escatologismo sia di metafisica.
Nella sua polemica contro ogni atteggiamento che
pretenda di contrapporre all'innocenza del divenire e
ali ' eterno ritorno d eli ' identico un orizzonte normati­
va e l' attesa di un Nov u m comunque configurati,
Nietzsche non si preoccupa di distinguere i due di­
versi tipi di discorso . Ai suoi occhi, non solo il discor­
so storico-profetico della tradizione ebraico-cristiana,
anche quello metafisica (nel frattempo sfociato in
un' algebra della rivoluzione) si configura come una
teodicea della sofferenza .
Non c'è dubbio che residui del discorso storico­
profetico continuino ad agire nel movimento rivolu-
1 56
zionario fino ai giorni nostri . Si pensi ad un autore
come Bloch : con un 'antologia del non-essere-anco­
ra, alle cui spalle agisce chiaramente la logica-meta­
fisica hegeliana , s' intreccia ed entra in contraddizio­
ne una carica messianica che non riesce a ricono­
scersi nella tesi della razionalità del reale, nella de­
nuncia dell'anima bella e in altre fondamentali tesi
della filosofia di Hegel . Non è difficile sorprendere
residui del discorso storico-profetico negli stessi Marx
e Engels. I quali, però , almeno nei loro momenti mi­

gliori , hanno ben presente la distinzione tra i due tipi


di discorso. È il socialismo utopistico ad essere incen­
trato sulla figura del profeta che enuncia e anzi pre­
dica verità fuori del tempo, in base alle quali preten­
de di redimere la comune umanità dagli errori, le
contraddizioni, le lotte , i dolori in cui essa è immersa.
In tale prospettiva , lo sviluppo storico reale appare
come il frutto di un equivoco , dell'ignoranza della ve­
rità salvifica proclamata per l 'appunto dal profeta ;
sicché, se quest'ultimo fosse apparso alcuni secoli
prima , l 'umanità - conclude ironicamente Engels - si
sarebbe con ciò stesso risparmiata secoli di errori e di
sofferenze23• II passaggio dal socialismo utopistico al
socialismo scientifico è il passaggio dal discorso apo­
calittico al discorso logico-metafisica (nel senso hege­
liano del termine) . II progetto rivoluzionario non fa
più riferimento al profeta che annuncia la salvezza o
ad una nuova verità , bensì allo sviluppo del reale e

23 F. Engels, Die En twicklung des Sozialismus uon der Utopie


zur Wisse nschaft ( 1 880), in Marx-Engels, Werke, cit . , vol . XIX, p p .
19 1 -92 .

157
delle sue contraddizioni oggettive . Il profeta non è in
grado di spiegare se stesso . lnterpretandosi come ri­
sultato e momento della totalità storica, il socialismo
scientifico (e il materialismo storico) si sforza di com­
prendere la dialettica che l ' ha reso possibile , il pro­
cesso storico che è alle sue spalle .

9 . Univoca è in Engels la condanna della metafi­


sica , ma c'è almeno un momento in cui questa uni­
vocità sembra incrinarsi . Il monito di Newton, tanto
caro agli empiristi («Fisica, guardati dalla metafisica!>•)
viene letto come espressione in realtà di «paura del
pensieron: è un giudizio che coincide sostanzialmente
con quello di Hegel24 . D' altro canto, quando, pur ri­
ducendo l' ambito della filosofia a vantaggio delle
scienze particolari , Engels definisce la filosofia stessa
come «teoria delle leggi del pensiero•> , come «logica e
dialettica•>25 , ha alle spalle ancora una volta la logica­
metafisica hegeliana ; ed è tale eredità , e la perma­
nente consapevolezza della funzione critica della ca­
tegoria di totalità, ad impedire l'appiattimento sul
tema positivistico della fine della filosofia-metafisica.
Di una univocità senza incrinature è invece nel
positivismo la condanna della metafisica . Ma non è
solo in ciò la differenza rispetto alla tradizione marxi­
sta : diversi e persino contrapposti sono il significato

24 F. Engels, Dia lektik der Nat u r ( 1 87 3- 1 886), in Marx-Engels,


We rke, cit. , vo l . XX, p. 3 1 6 ; G . W . F. Hegel , Enzyclopéidie der phi·
losoph ischen Wissenschaften , § 98 Z, in We rke in zwanzig Ba n·
den , cit . , vol. Vlll, p. 2 0 7 .
25 F . Engels, Herrn Eugen Duh ring 's Um wéi lzung der Wissen·
schaft , cit. , p . 24.

1 58
e la motivazione di tale condanna ! Se in Engels la
metafisica è la dottrina dell 'immobilità e quindi della
con servazione , in Comte «filosofia metafisica» è sino­
nimo di «filosofia negativa>> . Ciò che della dialettica
(owero della logica-metafisica) hegeliana apprezza la
tradizione marxista è l'affermazione dell 'immanenza
della negatività al reale . Se i teorici della Restaura­
zione e lo stesso Metternich denunciano nelle rivolu­
zioni una malattia , la logica-metafisica hegeliana , nel
respingere la visione che assimila la contraddizione
ad ((un ' anomalia e un transitorio parossismo morbo­
so» , individua in essa «il principio di ogni muoversi,
muoversi che non consiste se non in un esplicarsi e
mostrarsi delle contraddizioni» . In Comte , invece, lo
stadio metafisica-negativo-rivoluzionario torna ad es­
sere «come una specie di malattia cronica natural­
mente inerente alla nostra evoluzione mentale, indi­
viduale o collettiva , tra l'infanzia e la virilità»26 .
Con l' innalzarsi della sociologia allo stadio positi­
vo già raggiunto dalle altre scienze , si porrà fine una
volta per sempre agli sconvolgimenti rivoluzionari :
avranno termine la «sterile agitazione metafisica» e la
<<sterile agitazione politica» , compresa quella che cer­
ca di mettere in moto le classi popolari <(con l' esca di

quelli che si chiamano diritti politici» e con altre «fri­


vole discussioni» . La fine della metafisica coincide

26 A. Comte, Discours sur l 'esprit positif ( 1 844) ; trad. it . , Di­


scorso s ullo spi ri to positivo, a cura di A. Negri , Laterza, Roma-Bari
1985, p. 1 4 ; si veda anche la lettera a J. Stuart Mill del 5 novembre
1 842 riportata nell'In troduzione del curatore all 'opera citata (p. vm) ;
per qu anto riguarda Hegel, cfr. Wissenschaft der Log i k cit. , vol .
,

VI, pp . 75-76 ; trad . it. cit. , vol . II, p . 7 1 .

1 59
con la fine della politica e , in ultima analisi, con la
fine della storia . Per affermarsi a livello generale, la
<�filosofia finale)) che è il positivismo non può non fare
appello allo «spirito d' insieme» e respingere un «em­
pirismo)) che , caratterizzato com'è da «insuperabile
awersione contro ogni idea generale)) , finisce con
l' ostacolare la diffusione delle nuove idee nei diversi
campi del sapere e dell' organizzazione sociale ; per
un altro verso, costante è la polemica contro l' «istru­
zione metafisica e letteraria)) , contro l ' «assurdo siste­
ma di educazione generale" e, soprattutto , contro la
«viziosa educazione storica)) . Il positivismo è chiama­
to a diffondersi tra i «proletari)), solo nella misura in
cui essi rinunciano ad ogni ambizione di totalità, ese­
guendo , «in una specie di intenzione astratta, ciascy­
no degli atti elementari , senza preoccuparsi partico­
larmente del loro finale confluire insieme,, . Se Comte
considera una gran fortuna il fatto che «la metafisica
non ha potuto che scivolare,, sui proletari , ben di­
stanti dagli intellettuali «pronti ad accogliere avida­
mente tutte le aberrazioni che quotidianamente sor­
gono dalla nostra anarchia mentale,,27 , per Engels e
la tradizione marxista , il proletariato sviluppa la sua
coscienza di classe nella misura in cui assume l 'ere­
dità della «filosofia classica tedesca,, e fa proprio il
suo «senso teoretico,,zs, e quindi grazie anche all'in­
contro , non privo di conflitti ma comunque fecondo,

27 A. Comte, Discours sur / 'esprit positif, trad. it. cit, pp . 9 1-


1 0 2 , pass i m .
28 F. En gels , Ludwig Feuerbach und der A usgang der klassi­
schen deu tschen Ph ilosophie ( 1 888) , in Marx-Engels, Werke , cit. ,
vol . XXI , p. 307.

1 60
con gli intellettuali inguaribilmente «metafisici>> agli
·

occhi di Comte .

10 . Sull'onda soprattutto delle emozioni suscitate


dalla guerra mondiale, la cultura tedesca del primo
Novecento denuncia la cultura e la morale <<utilitari­
stica)), l 'illuminismo <<antimetafisico» , la <<ra tio>> (e cioè
il pensiero meramente calcolante}, in una parola la
Zivilisation propria dei nemici della Germania. A
pronunciare tale requisitoria è il Thomas Mann delle
Considerazio n i di u n impoli tico , che a tale piattez­
za e banalità positivistica contrappone la Germania
come <<il popolo più interiore , il popolo della metafi­
sica» . Questa è anche l'opinione di Sombart, il quale
dichiara che <<lo spirito tedesco è metafisico>> e dun­
que estraneo, secondo Jaspers , al <<liberalismo)) in­
trinsecamente «ametafisico>> che ha trionfato in altri
paesi . Metafisica è qui il contrario di quella Zi vilisa­
tion illuministica che, solo bandendo dali' esistenza il
suo lato oscuro e pericoloso, può coltivare l 'ideale
della pace perpetua e di un' organizzazione e pianifi­
cazione della società fondata sul perseguimento ba­
nausico e filisteo della <<sicurezza>> . In contrasto radi­
cale con la logica-metafisica hegeliana , che celebra
l'unità e la trasparenza del reale e che pertanto as­
surge ad <<algebra della rivoluzione>> agli occhi di Her­
zen, la metafisica rivendicata in Germania a cavallo
del primo conflitto mondiale rinvia ad una dimensio­
ne del reale , quella più profonda, impenetrabile al­

l'azione conoscitiva e trasformatrice della ragione . La


metafisica è ora un' ideologia della guerra (Scheler
parla esplicitamente di <<metafisica della guerra») e ta-
1 61
le continua ad essere nello Heidegger del 1 935 che
all' «estensione» , al (<numero» , al «quantitativo» privo di
«ogni profondità» , propri di USA e URSS, contrap­
pone il «popolo metafisica» per eccellenza , quello te­
desco29.

1 1 . Nell 'ultimo Heidegger metafisica assume un


significato univocamente e nettamente negativo . Ma
in essa continua a svolgere un ruolo centrale l 'idea di
totalità . Solo che la totalità non è più, come nella tra­
dizione marxista , sinonimo di disvelamento dell'altra
faccia , generalmente occultata e rimossa, della li­
bertà e «ricchezza delle nazioni'' , di demistificazione e
superamento del dominio e quindi di universalizzazio­
ne dei diritti ; al contrario, totalità è ora sinonimo di
totale manipolabilità , di pensiero calcolante e di do­
minio , dispiegato da un Soggetto caduto in preda al­
l ' oblio dell 'essere . Prima contrapposta al positivismo,
all 'utilitarismo e ad ogni forma di pensiero calcolan­
te , la metafisica viene ora essa stessa sussunta sotto
tale categoria . Come dileguato è il ricordo che , alme­
no in terra tedesca , la metafisica-ideologia della gue r­
ra ha avuto a suo fondamento tutt'altro che l 'affer­
mazione della piena permeabilità del reale alla ragio­
ne e all ' azione dell 'uomo ; e dileguato è altresì il ri­
cordo del ruolo svolto dalla critica della Zi uilisation e
della ragione strumentale nella mobilitazione ideolo­
gica della Germania guglielmina . D 'altro canto , an-

29 Cfr. D. Losurdo, La comun ità, la morte, l 'Occiden te. He i·


degger e / '«ideologia della guerra" , Bollati Boringhieri , Torino
1 9 9 1 , pp . 9 1 -92, p. 1 3 .

1 62
cora lo Heidegger del 1 944-45 , rivolgendosi ai sol­
dati tedeschi impegnati sul fronte orientale, li chiama
a perseverare in uno sforzo pur ormai senza speran­
za in nome della (<verità dell'essere» : essa esige la «di­
sponibilità alla morte» e fonda la necessità di un «sa­
crificio !che] non tollera alcun calcolo}) ed è dunque
sordo alle meschine seduzioni della ragione strumen­
tale. Pur teorizzata in polemica con la «metafisica» in­
tesa come volontà di potenza e con la «modernità)) , la
«verità dell 'essere)) può assurgere a sua volta ad ideo­
logia della guerra30 .

1 2 . Variegato è il panorama dell' odierno dibattito


filosofico . Da un moderno dipinto coi colori più fo­
schi si cerca scampo mediante il ritorno ad una me­
tafisica intesa in senso sostanzialmente pre-kantiano
e quindi come garante della stabilità dell 'esistente ,

oppure mediante il superamento della metafisica , si­


nonimo di violenza in autori come Derrida e Vatti­
mo. È quest'ultima tendenza quella oggi dominante .
La condanna della metafisica e dell 'idea di totalità è
anche la presa di congedo dalle «grandi narrazioni» ,
alle quali viene ora contrapposta la <<condizione post­
moderna>>31 , definita dal ripudio radicale dei miti del­
la Ragione , della Storia, del Progresso che caratte­
rizzerebbero lo sviluppo del Moderno e che attraver­
serebbero in profondità l'elaborazione teorica di H e­
gel e Marx. Eppure , proprio l ' evoluzione di Heideg-

30 lvi, pp. 1 59-60.


31 J.F. Lyotard , La condizione pos t-moderna. Rappo rto sul
sapere (1 979), trad . it . , Feltrinelli , Milano 1 985 2 .

1 63
ger cui , sia pur liberamente , si richiamano i teorici
del postmoderno, chiarisce che a potersi configurare
come ideologia della guerra e della violenza possono
essere anche l' antimetafisica e l'antimodernità . So­
prattutto , sul piano più propriamente teorico, è leci­
to chiedersi se è possibile fondare la difesa dell' indi­
viduale e del diverso senza far riferimento ad
un 'interpretazione del mondo nella sua globalità e, in
questo senso , ad una «metafisica»32.
Lo schema caro ai postmoderni non è privo di
analogie con quello già visto in Comte . Certo, il po­
sitivismo stesso viene da essi sussunto sotto la cate­
goria di metafisica, ma la filosofia comtiana della sto­
ria non configura in modo sostanzialmente diverso il
periodo metafisica , cui fa seguito la guarigione , ca­
ratterizzata dal «positivo» abbandono dei grandi pro­
getti di trasformazione sociale . A tale conclusione fi­
nisce col giungere anche una tradizione di pensiero
assai diversa da quella postmoderna. Nella sua critica
della <<visione olistica e metafisica della società», Mi­
ses accosta o assimila «Universalismo, realismo dei
concetti , olismo, collettivismo)) e, per l'appunto , me­
tafisica33 . Se in Heidegger è sinonimo di manipola­
bilità totale , ora metafisica sta a significare spregiu­
dicata o spietata ingegneria sociale, «razionalismo
costruttivista» , «costruttivismo» tou t cou rt34. A fon-

32 Un percorso diverso suggerisce J . Habermas, Nachme tap hy ·

sisches Den ken . Ph ilosop h ische A ufs a tze trad. it. a cura di M. Cal­
,

loni , Il p ensiero p ost-me tafisico, Laterza, Roma-Bari 1 9 9 1 .


33 L. v. Mìses, Human Action. A Trea tise on Econom ics
( 1 949), Contemporary Books , Chicago 1 966 (III ed .), pp. 145 sgg.
34 F.A. von Hayek, La w, Legisla tion and Liberty, Bd . l , Ru/es

1 64
damento di tale atteggiamento è qualcosa di simile
alla ratio o pensiero calcolante di cui parla Heideg­
ger, e cioè , per usare il linguaggio di Hayek, ! ' ��abuso
della ragione» , owero la ��moderna hybris», o ��hybris
intellettuale», che è poi la malattia del <<razionalismo o
meglio intellettualismo))35. In un caso e nell 'altro , si
tratta di prendere congedo dalla malattia metafisica
già denunciata dal positivismo, il quale ultimo viene
ora però considerato , dall 'uno e dall 'altro , come
espressione esso stesso di quella. malattia . La guari­
gione o convalescenza è resa possibile dalla <<nuova
situazione di relativa sicurezza che l'esistenza indivi­
duale e sociale ha acquisito in virtù dell' organizzazio­
ne sociale e dello sviluppo tecnico»3 6 . Il discorso sulla
fine della metafisica sembra convergere con quello
che proclama la fine della storia . C'è da chiedersi se
non si tratti di due espressioni diverse della vecchia
illusione denunciata da Marx (dalla quale, peraltro ,
neppure lui ed Engels risultano sempre immuni) , l ' il­
lusione per cui <<la storia c'è stata ma ormai non c'è
pi ù»3 7 _

and Order, London 1973, p. 2 1 ; trad . it. in Legge, legislazione e


libertà, Il Saggiatore, Milano 1 986, pp. 1 0 e 3 1 .
3 5 F.A. von Hàyek, The Coun ter·revolu tion of Science: Stu­
dies on the Abuse of Reason ( 1 9 5 2 ), Indianapolis 1 9 79, pp. 347 ,
392 e 378; trad . it. , L 'abuso della ragione, Vallecchi, Firenze
19 67 , pp. 22 1 , 250 e 242.
3 6 G . Vattimo, La fin e della modern ità, Garzanti, Milano

1985, pp. 1 87-88.


37 K. M arx, Misère de la philosoph ie (1 847), trad . ted. in Marx­
Engels, Werke , cit. , vol. IV, p. 139.
Franco Volpi
LA METAFISICA RIMOSSA

l . L'inattualità della metafisica

Lo spazio dello scibile appare oggi pervicacemen­


te occupato dall 'idea che l 'unico sapere degno di
questo nome sia il sapere della scienza. Questa con­
vinzione sembra essersi radicata non soltanto nelle
scienze e nella loro autocomprensione , ma anche in
seno alla filosofia stessa , che , in verità , avrebbe do­
vuto contrastarla o metterla in questione .
Ciò ha condizionato , come era inevitabile , la va­
lutazione della metafisica . Al riguardo il pensiero fi­
losofico odierno sembra avere raggiunto risultati non
troppo distanti da quelli a cui da tempo la saggezza
popolare era arrivata . Che cos'è infatti la metafisica
nell'opinione pubblica? Alcune battute oggi in circo­
lazione esprimono in termini più che efficaci la ge­
nerale sfiducia del volgo : la metafisica è «un menu di
mille pagine senza nulla da mangiare»; è «il sapere in
virtù del quale il mondo resta tale e quale)) ; è «il ten­
tativo di catturare un gatto nero in una stanza buia
senza mai riuscirei , ma gridando di tanto in tanto
"l'abbiamo preso, l 'abbiamo p reso ' \>. Buona parte
1 67
della filosofia contemporanea sembra avere fatto
proprio il contenuto di queste sentenze .
In effetti, il cammino che la· filosofia ha compiuto
dalla morte di Hegel in poi sembra essere stato una
lunga fuga dalla metafisica . Dalla seconda metà del­
l 'Ottocento in p oi il p ensiero filosofico si è accomia­
tato dalla metafisica , considerandola come un cime­
lio da annoverare nel «museo degli errori del passato>>
e negando in linea di principio ogni possibilità di ri­
costruirla . Insomma , nei suoi svilupp i predominanti
la filosofia contemporanea ha guardato alla metafisi­
ca come a uno pseudo-sapere o come a qualcosa di
sospetto . E anche quando ha toccato problemi ten­
denzialmente metafisici, si è ben guardata dal dichia­
rarli tali .

2. La sua importanza

Questa constatazione non deve far dimenticare


gli sforzi anche apprezzabili che alcuni pensatori han­
no compiuto per richiamare l 'attenzione sulla inelu­
dibilità del problema metafisica .
Non va ignorato anzitutto il fatto che p rop rio nel­
l 'ambito dell'e pistemologia, da Popper in poi, si è di
nuovo assegnata una funzione positiva alla metafisica
al fine di spiegare la nascita dei paradigmi scientifici:
la metafisica anticiperebbe, anche se in maniera in­
tuitiva e non falsificabile , concezioni e visioni che la
scienza porterebbe successivamente a una formula­
zione argomentata e rigorosa.
Ma colui che più di ogni altro ha mantenuto viva
1 68
nel nostro secolo la consapevolezza per la latente
presenza del problema, pur condividendo la tesi della
fine della metafisica, è stato Heidegger.
Egli ha radicalizzato, portandola alle sue estreme
conseguenze, la convinzione che la metafisica sia giun­
ta oggi alla sua fine. La metafisica ha raggiunto per lui
il proprio compimento nell 'essenza della tecnica mo­
derna, cioè nella costellazione epocale che determina
il mondo contemporaneo . Con questa ipotesi Heideg­
ger si è contrapposto radicalmente a Husserl, per il qua­
le la configurazione filosofico-scientifica del mondo mo­
derno, con le sue patologie , prima fra tutte la crisi delle
scienze europee , non è la risultante dell'inveramento
della metafisica greca , bensì il tradimento dell ' idea ori­
ginaria della filosofia concepita come sapere univer­
sale e necessario di tutto l' essere .
Comunque si valuti l'ipotesi heideggeriana , va
sottolineato che essa , stabilendo una connessione
profonda tra la metafisica greca e la tecnica moder­
na, attribuisce una enorme importanza alla metafisi­
ca stessa. Asserendo che la metafisica è l'atteggia­
mento di fondo che determina il cammino dell' Occi­
dente fino a condurlo alla tecnica moderna, essa fa
della metafisica il fondamento epocale del nostro
mondo: come la metafisica è la preistoria della tec­
nica, così la tecnica è l 'ultima forma di metafisica .
Naturalmente si può replicare che Heidegger ha
pure rivendicato l' esigenza di un superamento della
metafisica 1 . Ma , anche in questo caso, è facile osser-

1 �!Jlla problematica del superamento della metafisica cfr. Enrico


Berti, Uberwindung della m etafisica?, in AA.W. , La metafis ica e

1 69
vare che siffatto superamento si configura come un
radicale attraversamento dei momenti fondativi della
tradizione metafisica , dunque come un confronto
serrato con ciò che in essi vi è di essenziale e che è
rimasto fondamentale anche per il nostro mondo .
Non v'è dubbio , dunque , che l 'effetto della diagnosi
heideggeriana è stato quello di richiamare prepoten­
temente I ' attenzione sul problema della metafisica e
sulla sua importanza per il mondo della tecnica , il
quale sembra invece averla rimossa e dimenticata.
Non è un caso che Heidegger abbia ispirato impor­
tanti ricerche volte a studiare la struttura della meta­
fisica e alcune sue fasi storiche salienti2 .

i l problema del suo superamento, Gregoriana, Padova 1 9 8 5 , pp.


9-4 3 ; Walter Schweidler, Die Uberwindung der Metaphysik. Zu ei­
nem Ende der neuzeitlichen Ph ilosoph ie, Klett-Cotta, Stuttgart
1 987; inoltre Ernst Topitsch, Vom Ursprung und En de der Me­
taphys ik. Eine Studie zur We/tanschauungskritik, Springer, Wien
1 958, che affronta però il problema da una prospettiva storico-so­
ciologica più che filosofica.
2 Tra gli allievi diretti di Heidegger si possono ricordare : Gustav
Siewerth (che studiò con Heidegger negli anni Trenta) per l'impor­
tante monografia Das Sch icksa l der Me taphysik von Thomas zu
Heidegger, ora in Gesammelte Werke, vol. 4, Patmos, Dlisseldorf
1 9 8 7 ; Heinrich Rombach , Substanz, System, Struktur, 2 voli . , Al­
ber, Freiburg/Mi.inchen 1 965- 1 966, che si ispira a Heidegger, svi­
luppando l'idea di una «storia fondamentale» (corrispondente alla hei­
deggeriana «storia dell'essere») , entro la quale «sostanza», «Sistema» e
«struttura» rappresenterebbero le tre figure fondamentali rispettiva­
mente della metafisica antico-medievale, moderna e contempora­
nea; Heribert Boeder, Topo/ogie der Metaphysik, Alber, Freiburg/
Mi.inchen 1 98 0 . Importante è anche lo studio di Karl-Heinz Volk­
mann-Schluck, Die Metaphysik des Aristate/es , Klostermann,
Frankfurt a . M . 1 9 79, meno invece il corso universitario di Fridolin
Wiplinger, edito postumo a cura di Peter Kampits: Metaphysik.
Gru ndfragen ihres Ursprungs und ihrer Vollendung, Alber, Frei­
burg-Mi.inchen 1 9 7 6 .

1 70
3 . Morte della metafisica?

Ad attirare l' attenzione sulla metafisica hanno


contribuito , sia pure indirettamente e a volte del tutto
involontariamente , anche altri esponenti del pensie­
ro contemporaneo . Per esempio un autore tanto lon­
tano dalla metafisica come Jtirgen Habermas. Con il
libro Nachmetaphysisches Den ken3, precipitandosi
a sentenziare la morte della metafisica, Habermas ha
in realtà ottenuto l' effetto contrario , cioè ha risolle­
vato m a lgré lui il problema di capire che cosa sia
questa forma di pensiero della trascendenza che ha
segnato la filosofia occidentale .
La metafisica - da lui identificata con le sue
espressioni moderne, soprattutto con quelle raziona­
listiche (Descartes, Spinoza , Leibniz , Wolff} e ideali­
stiche (Fichte , Schelling e Hegel) - porterebbe scritta
in fronte la sua impraticabilità per il pensiero con­
temporaneo . Lo mostrano in maniera inequivocabile
secondo Habermas i tratti che la contraddistinguono
e che la fanno apparire agli occhi dell' uomo d' oggi
come una forma di sapere obsoleta e non più ali' al­
tezza dei tempi .
Ma quali sono i caratteri del pensiero metafisica
secondo Habermas? Sono sostanzialmente tre :
l ) il fatto che esso miri al coglimento della totalità
e quindi a stabilire una identità di essere e pensiero ;
2) il fatto che esso vagheggi pretese di assolutezza

3 JU.rgen Habermas, Nachmetaphysisches Den ken. Ph i lo­


soph ische A ufsatze, Suhrkamp, Frankfurt a . M . 1 988, trad . it. Il
pensiero post-metafisico, Laterza, Roma-Bari 1 9 9 1 .

171
e aspiri a occupare il tradizionale posto della filosofia
prima, e ciò sul fondamento del soggetto , concepito
come coscienza , capace di assicurare stabilità e in­
controvertibilità al suo sapere;
3) il fatto che esso dia della filosofia una determi­
nazione a profilo alto , forte , concependola come
theoria , come attività contemplativa4.
Si tratta di tre caratteri che forniscono , come
chiunque ben vede, una immagine piuttosto somma­
ria della metafisica , ma che , a giudizio di Habermas,
sono sufficienti per concludere che essa è ormai de­
stinata ad entrare nel museo degli errori del passato.
T ali caratteri sono infatti in contraddizione con la
tendenza fondamentale del nostro tempo . Oggi, so­
stiene Habermas:
l) è definitivamente svanita l'illusione di poter co­
noscere la totalità e ci si è di conseguenza rassegnati
a praticare una razionalità a profilo basso, di tipo
procedurale e non sostanziale, fallibilista e non fon­
dazionista ; si è rinunciato a credere che il sapere fi­
losofico possa elevarsi all 'altezza dell 'Assoluto e si è
adottato ovunque un atteggiamento finitistico e pro­
babilistico;
2) si è poi passati da una prospettiva coscienzia­
listica, in cui il soggetto rappresenta il fondamento
capace di costituire un sapere epistemico universale,
a una prospettiva in cui è determinante la dimensione
intersoggettiva del linguaggio e della comunicazione;
3) infine , la tradizionale dicotomia tra teoria e

4 Cfr. Habermas, Nachmetaphysisches Den ken , cit. , pp. 36-40 .

1 72
prassi e l'assegnazione del primato all 'attività con­
templativa sono state soppiantaté dall 'entrata in sce­
na del moderno concetto di lavoro5 .
Quanto basta , agli occhi di Habermas , per dichia­
rare antiquata la metafisica e reclamare l 'esigenza di
un pensiero post-metafisico.
Il bersaglio a cui mirano tali critiche non è tanto ,
sebbene anche, il pensiero metafisica del passato. In
fondo le vecchie metafisiche non sono più operanti e
sarebbe uno zelo superfluo volere affossarle . Il bersa­
glio polemico va identificato piuttosto nei tentativi
contemporanei di riabilitare la metafisica . Per Haber­
mas si tratta di tentativi disperati e vani, che vanno
contro lo spirito del nostro tempo , ma che periodi­
camente fanno ritorno ed esercitano una loro sugge­
stione , specialmente nella filosofia tedesca del nostro
secolo . Le opere citate ad esempio di questa tenden­
za sono La rinasci ta del la filosofia (Die Wiederge­
bu rt der Ph i losophie, 1 907) di Cari Stumpf, La ri­
su rrezione della metafisica (Die A ufersteh u ng der
Me taphysik, 1 9 25) di Peter Wust, la Fon dazione
de l l 'an tologia (Gru ndlegu ng der On tologie , 1 935)
di Nicolai Hartmann. Nella stessa direzione, cioè
contro-corrente rispetto allo spirito dei tempi , e ver­
so lo stesso inevitabile scacco vanno per Habermas i
tentativi compiuti oggi da Robert Spaemann e so­
prattutto da Dieter Henrich6 .

sCfr. ivi, pp. 4 1 -42.


6Cfr. Jurgen Habermas, Riickkehr zur Metaphysik? Eine Ten­
denz in der deu tschen Ph ilosoph ie?, «Merkur», 39, 1985, pp. 898-
905. I lavori cui Habermas fa riferimento sono : Robert Spaemann-

1 73
Dicendo questo Habermas ha dato voce a una
constatazione largamente condivisa e quasi scontata,
ossia che la metafisica oggi è un cammino difficile da
praticare. Curiosamente , però , anziché trovare tutti
d'accordo , la sua diagnosi ha suscitato reazioni vivaci
e diversi autori sono intervenuti a difendere le sorti e
le ragioni della metafisica 7 .
Questa controversia , orientata prevalentemente
sull 'attualità, cioè sul ruolo della metafisica nella filo­
sofia contemporanea, è rimasta - in relazione alla
storia della metafisica - una agitazione di superficie ,
e non è mai scesa troppo a fondo nella storia del
problema . Per una fortunata coincidenza , però , qua­
si contemporaneamente allo svolgersi del dibattito

Reinhard Low, Die Froge Wozu? Geschichte und Wiederen tdek­


kung des te/eologischen Den kens, Piper, Munchen 19 8 1 ; Dieter
Henrich, Fluch t l i n ien , Suhrkamp , Frankfurt a . M . 1 98 2 ; Id . , Selbst­
verhaltn isse, Reclam, Stuttgart 1 9 82.
7 Cfr. Dieter Henrich, Was ist Metaphysik - was Moderne?
Zwolf Th esen gegen Ju rgen Haberm as , in Id. , Konzepte. Essays
z u r Ph ilosophie in der Zeit, Suhrkamp, Frankfurt a . M . 1 987, pp.
1 1 -43. Si veda anche l 'ultima sezione della miscellanea Theorie der
Subjektivita t , a cura di Conrad Cramer, Hans-Friedrich Fulda, Rolf­
Peter Horstmann e Ulrich Pothast, Suhrkamp, Frankfurt a . M . 1987.
Cfr. inoltre: il volume collettaneo Metaphysik heu te?, a cura di Willi
Oelmuller, Schoningh, Paderborn 1 98 7 , con interventi di Hans-Mi­
chael Baumgartner, Ruth Dolle-Oelmuller, Carl-Friedrich Geyer, Pe­
ter Koslowski, Wolfgang Kraus, Hermann Krings, Herrnann Lubbe,
Odo Marquard, Reinhart Maurer, Rainer Piepmeier, Hans Poser,
Thomas Rentsch , Manfred Sommer, Alexander Schwan, Rainer
Specht, Hansjurgen Staudinger, Franz Josef Wetz, Walther Ch. Zim·
merli, Raimar Stefan Zons. La presa di posizione più autorevole è
stata quella di Manfred Riedel , Grenzlagen . Zu r Ortsbestimmung
der de u tschen Ph ilosophie, «Neue Deutsche Hefte••, 1 988, Heft l .
Cfr. anche Volker Gerhardt, Metaphysik u n d ihre Kritik. Zur Me­
taphysikdeba tte zwischen Jurgen Habermas u n d Dieter Hen rich,
«Zeitschrift fur philosophische Forschung" , 42, 1 988, pp. 45-7 0.

1 74
menzionato , questo approfondimento è stato pro­
dotto da una serie di studi che hanno esplorato e ri­
costruito passaggi storici nodali della metafisica. Mi
riferisco alle indagini di Rolf Schonberger e Ludger
Honnefelder sull 'antologia medievale 8 , integrate da
quelle di Theo Kobusch sul rapporto tra antologia e
linguaggio9 e da quelle di Panajotis Kondylis sulla cri­
tica della metafisica in età moderna 10. Non che tra
queste indagini storiche e il dibattito sopra menzio­
nato vi sia stato un legame intenzionale . Ma la con­
temporaneità e la complementarità dei due eventi ,
per quanto accidentale , segnala la presenza del pro­
blema e consente di apprezzare meglio la portata
teorica del lavoro di microanalisi compiuto dagli sto­
rici della filosofia citati .
Non è comunque il caso di entrare ulteriormente
nel merito della controversia suscitata dal libro di Ha­
bermas . Basti qui osservare che il dibattito che ne è
nato , pur consumandosi in uno spazio di tempo re­
lativamente breve , ha avuto un suo impatto sulla di­
scussione filosofica interagendo con la presenza di
un'attenzione per la metafisica che va registrata an-

8 Rolf Schonberger, Die Tra nsforma tion des klassischen Seins­


verstiindn isses. Studien zur Vorgesch ichte des neuzeitlichen
Seinsbegriffs im Mittela lter, de Gruyter, Berlin 1 986; Ludger Hon­
nefelder, Scien tia transcendens. Di e formale Bestimm ung der Seien­
dheit und Realitiit in der Metaphysik des Mittela lters und der Neu­
zeit (Duns Sco t us -Suarez - Wolff-Ka n t -Peirce), Meiner, Hamburg
1990.
9 Theo Kobusch, Sei n und Sprache. Historische Grun d/egung
einer Ontologie der Sprache , Brii! , Leiden 1 987 .
10 Panajotis Kondylis, Die neuzeitliche Metaphysikkritik, Klett­

Cotta, Stuttgart 1 9 90.

175
che altrove , in altre aree linguistiche . Sia pure senza
tradursi in un dibattito pubblico come in Germania,
anche qui si sono avute importanti ricerche 1 1 .

4 . Metafisica e filosofia analitica

Anzitutto in quella anglosassone , dove l'interesse


per la metafisica fa di nuovo capolino tra le file dei
filosofi analitici e post-analitici. Sappiamo con quan­
to sospetto e quanta ostilità la filosofia neopositivisti­
ca e poi quella analitica abbiano guardato a tutto ciò
che sapeva , anche vagamente , di metafisica. Il cele­
bre saggio di Rudolf Carnap Il superamen to de lla
metafisica m edian te l 'ana lisi logica del linguaggio
(Die Oberwindung der Me taphysik durch logische
Ana lyse der Sprache, 1 9 3 1 ) ha ispirato a lungo l'at­
teggiamento di quegli importanti indirizzi di pensiero .
Vale la pena ricordare un aneddoto significativo che
viene riportato al riguardo: quando nelle discussioni
del Circolo di Vienna qualcuno presentava una argo­
mentazione inconsistente , la si ribatteva dicendo
semplicemente : «Questa è metafisica ! >�.
Oggi assistiamo a un significativo ritorno della fi­
losofia analitica sui propri passi , con l 'elaborazione di
nuovi modelli di metafisica, nei quali tuttavia il con­
cetto viene inteso in un senso diverso , minimale , ri­
spetto al suo significato (<continentale)) forte , cioè non
più come discorso intorno ai massimi problemi -

11
Si veda la bibliografia in appendice al volume collettaneo Me­
tafisica, oggi, Morcelliana, Brescia 1 983 , pp. 209- 1 0 .

1 76
Dio, l'anima immortale , il mondo - ma come descri­
zione filosofica della realtà, come una antologia degli
oggetti o degli eventi 12.

5 . La metafisica come onto-teo-logia secondo


Aubenque e la sua scuola

Anche in Francia il problema della metafisica è


stato oggetto di attenzione. Mi riferisco in particolare
agli studi di Pierre Aubenque e della sua scuola, per
la profondità e la fruttuosità della linea di ricerca da
lui aperta e poi continuata dai suoi allievi13. Dagli ini­
zi degli anni Sessanta, riesaminando in una prospet­
tiva originale la questione d eli ' essere in Aristotele,
Aubenque ha richiamato l 'attenzione sulla problema­
ticità della metafisica, specialmente nella sua com­
prensione aristotelica, mettendo a fuoco il senso in
cui va intesa quella che Aristotele chiama la scienza

12
Tale «svolta" della filosofia analitica ha trovato risonanza spe­
cialmente in Germania. Oltre alla posizione del tutto originale di
Emst Tugendhat, del quale si vedano in particolare le Vorlesu ngen
zur Einfiihru ng in die sprachanalytische Phi losoph ie, Suhrkamp ,
Frankfurt a . M . 1976, cfr. Wolfgang KOnne, A bstrakte Gegenstéin­
de. Onto/ogie und Seman tik, Suhrkamp, Frankfurt a . M . 1983, e
Ursula Wolf (a cura di), Eigen namen , Suhrkamp, Frankfurt a.M.
1985. Una particolare attenzione per la metafisica, interpretata nel
senso di una antologia del reale, è nata in seno a una corrente del
pensiero analitico che si ispira all 'ultimo Brentano e nel cui ambito è
stato concepito lo Handbook of Metaphysics and On tology, a cura
di Hans Burkhardt e Barry Smith, 2 voli. , Philosophia, MOnchen
199 1 .
1 3 Cfr. Herméneu tique e t an tologie. Mélanges e n hommage à

Pierre Aubenque, a cura di Rémi Bragues e Jean-François Courtine,


PUF, Paris 1990.

177
dell' essere in quanto essere e cercando di capire, in
una prospettiva teorica più generale, che cosa siano
state per la filosofia occidentale l ' antologia , la teolo­
gia e la metafisica nella loro demarcazione e nel loro
rapporto reciproco 14 .
È abbastanza facile cogliere, dietro il lavoro sto­
riografico svolto da Aubenque soprattutto in riferi­
mento alla tradizione dell'aristotelismo e della filoso­
fia classica tedesca , lo spiccato interesse speculativo
che lo motiva . Esso consiste nell 'esigenza di capire
che cosa sia quella che Aubenque chiama, con Hei­
degger, la costituzione «onta-teo-logica>> della metafi­
sica. Come è noto , Heidegger ha spiegato la genesi
del termine «metafisica)> come il risultato di un «fon­
damentale imbarazzo filosofico» : cioè l 'imbarazzo fi­
losofico di Andronico di Rodi, che , nell ' orizzonte del­
la concezione ellenistica del sapere da lui presuppo­
sta , la quale prevedeva la tripartizione della filosofia
in logica , fisica ed etica , non poteva trovare in tale
tripartizione uno spazio specifico in cui collocare la
scienza aristotelica deli ' ente in quanto ente , di cui
trattano i libri da lui messi quindi dopo quelli di fisica
(tà metà tà physica) . Dalla fine degli anni Venti in
poi 15 Heidegger ha sostenuto che la metafisica si co-

1 4 Pierre Aubenque , Le problème de l 'etre chez Aris tate, PUF,

Paris 1 9 62.
1 5 Una prima volta , con ampiezza, nel corso marburghes e del

semestre estivo del 1 9 28, quindi nel libro su Kant del 1 929 e, di
nuovo, nel corso friburghese del semestre invernale del 1 929/30 . Il
termine «ontoteologia" fu in realtà coniato per la prima volta da Kant
(Kri tik der re inen Vern unft A, 631 -32/B , 659-60), e precisamente
per designare la forma di teologia trascendentale che vuole conosce-

1 78
stituisce essenzialmente come ((onto-teo-logia>> : infatti
l' indagine intorno all 'ente in quanto ente , che essa
mette in campo , si configura sia come ricerca di ciò
che è comune a ogni ente , vale a dire come antolo­
gia (òn kath61ou koin6n), sia come ricerca dell ' en­
=

te sommo , vale a dire come teologia (òn kath6lou =


a kr6taton 6n).
Dalla scuola di Aubenque vengono importanti
studi che gettano nuova luce su momenti essenziali
dell' ontoteologia, cioè sulle sue origini , in Aristotele ,
e sul punto di svolta rappresentato agli inizi dell 'età
moderna dalla metafisica di Suarez. Si tratta della
monografia su Aristotele di Rémi Brague 16 e di quel­
la su Suarez di Jean-François Courtine1 7 . Vanno
inoltre ricordati anche i lavori di Jean-Luc Marion
che esaminano il modo in cui il problema dell 'onta­
teologia è operante nel pensiero di Descartes1B.

r e l'esistenza d i Dio per mezzo d i soli concetti, senza ricorso all'espe­


rienza, e che come tale è distinta dalla variante «cosmoteologica» del­
la teologia trascendentale . (La teologia trascendentale, come deismo ,
è a sua volta contrapposta alla teologia naturale , o teismo .) Il termine
fu impiegato successivamente anch� da Schopenhauer nella secon­
da edizione ampliata dello scritto Uber die uierfache Wu rzel des
Satzes uom z u reichenden Gru nde, e precisamente in riferimento a
Descartes (cfr. Sam tliche Werke, a cura di Arthur Hubscher,
Brockhaus, Wiesbaden 1972 3 , vol . 1: Sch riften zur Erkenntn is­
leh re, p. 14).
16 A
ris tate et la question du monde, PUF, Paris 1 988.
1 7 Sua rez et le système de la métaphysique, PUF, Paris 1990.
18
Sur le prisme métaphysique de Descartes. Constitu tion et
lim ites de l 'on to-théo-logie dans la pensée cartésien ne, PUF, Paris
1986; inoltre : Sur l 'on tologie grise de Descartes, Vrin, Paris 1 9 7 5 ;
S u r l a théologie bianche d e Descartes. Analogie, création des ué­
ri tés éternelles et fondemen t, PUF, Paris 1 98 1 .

179
6 . La riabilitazione della metafisica platonica
e aristotelica in Italia

E in Italia? Da noi lo spunto più vivace per una


riconsiderazione del problema metafisica è venuto
dal profondo rinnovamento dell'immagine delle due
metafisiche per eccellenza , quella platonica e qu'?lla
aristotelica , ad opera rispettivamente di Giovanni
Reale e di Enrico Berti. L' importanza di tale rinno­
vamento sta soprattutto nel fatto che esso ha enu­
cleato la struttura filosofica del platonismo e dell'ari­
stotelismo, cioè delle due forme principali di metafi­
sica che l ' Occidente ha conosciuto . Anzi , come ha
scritto Borges riprendendo Coleridge, si tratta di due
veri e propri archetipi : «Tutti gli uomini nascono ari­
stotelici o platonici . Ciò equivale ad affermare che
non c'è discussione di carattere astratto che non sia
un momento della polemica di Aristotele e Platone;
attraverso i secoli e le latitudini , cambiano i nomi , le
lingue e i volti , ma non gli eterni antagonisti» I9.
Ebbene, a rilanciare in grande stile l'interesse per
l' archetipo platonico è stata la nuova immagine di
Platone e l'ampia ricostruzione del platonismo pro­
posta da Giovanni Reale con la sua équipe di colla­
boratori dell ' Università Cattolica di Milano mediante
una impressionante serie di edizioni , traduzioni, studi
e commenti20 . Rispetto alla lettura tradizionale basa-

1 9 Jorge L. Borges , Tu tte le opere , a cura di D. Porzio, Mon­

dadori , Milano 1 984- 1 985, vol . l, p. 836 .


20
Si veda in particolare Giovanni Reale , Per una n uoua in ter­
pretazione di Pla tone, Vita e Pensiero , Milano 1 9 9 1 10 (edizion e
definitiva ; la prima edizione è del 1 984) . Gli altri studi sono ricordati

1 80
ta sui dialoghi scritti, la nuova interpretazione - fa­
cendo propri i risultati della Scuola di Tubinga di
Konrad Gaiser, Hans Kramer e Thomas A . Szlezak ­
ha rivalutato l ' insegnamento orale di Platone , cioè le
sue dottrine non scritte, di cui noi abbiamo notizia
grazie alle testimonianze dei suoi allievi diretti, cioè
Speusippo , Senocrate e Aristotele. Come è noto, il
nucleo dell 'insegnamento esoterico di Platone è co­
stituito dalla dottrina dei princìpi , che stanno oltre
l'essere (epékeina tès ousfas) e lo costituiscono, e
che sono l' Uno e la Diade, da cui derivano rispetti­
vamente l 'unità e la molteplicità . La metafisica pla­
tonica strutturata secondo la dottrina dei princìpi è
diventata quindi il termine di riferimento per una du­
plice operazione : per una proposta teoretica e per
una ricostruzione di quella «serie di note in margine a
Platone» a cui - secondo il detto di Whitehead - può
essere ridotta la storia della filosofia occidentale.
Dal punto di vista storico, in riferimento alla me­
tafisica platonica viene riletta tutta la tradizione di
pensiero che Hans Kramer ha chiamato la «metafisi­
ca dello spirito>>2 1 . Il primo filosofo a essere messo in
una nuova luce è Aristotele, che non appare più co­
me il pensatore dell'immanenza in contrapposizione

da Enrico Berti, Stra tegie di in terpretaz ione dei filosofi antichi:


Pla tone e A ristotele, «Eienchos" , 10, 1 989, pp. 289-3 1 5 .
2 1 Cfr. Hans Kramer, Der Ursprung der Geistmetaphysik. Un­
tersuch u ngen zur Gesch ichte des Platon ismus zwischen Platon
und Plotin , Schippers , Amsterdam 1 964; poi Gri.iner, Amsterdam
19672• Di Kramer si vedano anche Pla tone e i fo n damenti della
metafis ica , a cura di Giovanni Reale, Vita e Pensiero , Milano 1 982,
e La nuova im magine di Pla tone, Bibliopolis , Napoli 1 9 86.

181
a Platone pensatore della trascendenza - tale era
l 'opposizione classica raffigurata da Raffaello nella
Scuola di A tene, in cui Platone , tenendo in mano il
Timeo , punta il dito al cielo, mentre Aristotele , che
ha sottobraccio l 'Etica Nicomachea, volge la mano
verso terra . Nell 'interpretazione che fa riferimento
alla dottrina platonica dei principi, quello di Aristote­
le è uno dei sistemi nati dalla scuola di Platone e che
pensa insieme trascendenza e immanenza, intelligen­
za e sensibilità, spirito e natura.
Dal punto di vista teoretico la metafisica di Plato­
ne , con la sua netta separazione tra sensibile e intel­
ligibile, offre a Reale un solido punto di appoggio per
mostrare la conciliabilità della filosofia greca con il
cristianesimo22 . Non è qui possibile entrare nel me­
rito delle annose controversie intorno alla «ellenizza­
zione del cristianesimo)) e in generale alla possibilità
di una «filosofia cristiana,, . È noto che quest'ultima ­
per molti un «ferro ligneo» - è stata interpretata se­
condo due tradizioni opposte: una si rifà a san Tom­
maso e, attraverso la sua mediazione , ad Aristotele;
l' altra a sant'Agostino e al platonismo . Il razionali­
smo aristotelico-tomistico ha sottolineato l 'argomen­
tabilità dei praea m bu /a fidei , mentre lo spiritualismo
platonico-agostiniano l 'affermazione fideistica , esi­
genziale , della trascendenza divina. Mediante la nuo­
va lettura del platonismo Reale intende superare que-

22 N
aturalmente lo studio del Platone esoterico suggerisce anche
un altro scenario, al quale si può solo accennare rimandando per
ulteriori approfondimenti agli scritti di Réné Guénon : la congruenza
della metafisica di Platone e di Aristotele con tradizioni sapienziali
più antiche del cristianesimo.

182
sta opposizione per sviluppare una moderna metafi­
sica non dogmatica, orientata verso il coglimento di
un principio trascendente che, senza pretese di asso­
lutezza , renda ragione del mondo sensibile. Egli pre­
senta al tempo stesso tale metafisica come una for­
ma di saggezza che aiuta ad affrontare i mali del
mondo contemporaneo23 .
In funzione di ciò Reale ha approfondito anche
l'esame della metafisica aristotelica, fornendo pure
su questo versante una dovizie di lavori scientifici tra
i quali spicca la traduzione con testo greco a fronte e
commento della Metafisica di Aristotele24 - il tratta­
to in quattordici libri che, da Andronico di Rodi in
poi , fu così intitolato sia perché nella catalogazione
delle opere di Aristotele stava «dopo» gli scritti di fi­
sica , sia perché l 'argomento che trattava , cioè le
realtà celesti incorruttibili, era «oltre» la fisica : la for­
tunata circostanza che la preposizione greca meta
avesse entrambi i significati , quello di «dopo» e di «ol­
tre)) , tenne così a battesimo la parola «metafisica))
che, da semplice designazione editoriale , divenne il
termine filosofico fondamentale che noi conosciamo.
L'edizione di Reale non ha soltanto il valore di stru­
mento filologico e storiografico, ma offre , con il suo
commento, numerosi spunti teoretici per penetrare a
fondo la struttura del discorso metafisica che con
quest'opera di Aristotele riceve la sua fondazione .

23 Cfr. Giovanni Reale , Saggezza an tica. Te rap ia per i mali


dell 'uomo d 'oggi, Cortina, Milano 1 9 95.
2 4 Aristotele, Metafisica, Saggio introduttivo, testo greco con
traduzione a fronte e commentario a cura di Giovanni Reale, 3 voll . ,
Vita e Pensiero, Milano 1 993.

1 83
Tale prospettiva di lettura , che vede nella Metafisica
di Aristotele un repertorio inesauribile di riflessione
filosofica, è corroborata dalla pubblicazione a cura
dello stesso Reale , insieme ad Adriano Bausola, di un
volume dal titolo A ristotele. Perché la metafisica2s,
in cui vari autori intervengono sul problema.
Ma è stato soprattutto Enrico Berti a rivendicare
l'attualità del paradigma aristotelico in vista dell ' ela­
borazione di una metafisica valida anche per un'età,
come la nostra , che si ritiene post-metafisica. In una
serie di lavori di cui si possono qui ricordare Le vie
de lla ragio ne26 , Co n tradd izione e dia lettica negli
a n tich i e nei modern i27 , Le ragion i di Aristote/eZB
e In troduzione a l la me tafisica29 egli ha cercato di
mostrare la possibilità di sviluppare su basi argomen­
tative , cioè dialettiche , una metafisica intesa in senso
classico come discorso intorno all 'essere e ai suoi
princìpi. Azzerando la valutazione critica che Heideg­
ger ha dato della struttura onto-teo-logica della me­
tafisica , potremmo dire con Berti che l'on ta-teo-lo-

25 Adriano Bausola-Giovanni Reale (a cura di), Aristotele. Per­


ché la metafisica , Vita e Pensiero , Milano 1 994. Tra i vari inter­
venti, oltre a quelli dei curatori, segnalo per il loro interesse filosofico
quelli di Carmelo Vigna, Virgilio Melchiorre , Enrico Berti , Mario Mi­
gnucci, Hans Kramer, Carlo Natali, Cristina Rossitto, Luigi Ruggiu,
Gabriele Giannantoni e Valerio Verra. Si veda anche l'utilissimo stru­
mento di Roberto Radice, La metafisica di Aristotele nel XX se­
colo . Bibliografia sistematica e ragionata, Vita e Pensiero, Milano
1 996.
2 6 Il Mulino , Bologna 1 98 7 .
27 L Epo s Palermo 1 9 8 7 .
' ,

2 8 Laterza, Roma-Bari 1 989. Inoltre Id. , Aristote le nel Nove­


cen to , Laterza, Roma-Bari 1992.
29 Utet, Torino 1993.

184
gia aristotelica , se adeguatamente interpretata , può
fornire un quadro concettuale adeguato per pensare
alcune opzioni filosofiche fondamentali ancor oggi
condivisibili.
In quanto an tologia, sostenendo l'irriducibile po­
lisemia dell'essere , la metafisica aristotelica riconosce
la molteplicità del reale , quindi accetta come fattore
positivo l ' irriducibilità del molteplice a un principio
unico e si propone dunque come riconoscimento del­
le differenze , delle diversità, della pluralità. Nel qua­
dro dell'ontologia aristotelica l'essere non è mai pen­
sato come uno , ma sempre nell'articolazione dei suoi
significati e delle sue regioni. In relazione a ciò è teo­
rizzata l'imprescindibilità di scienze e saperi diversi
che studiano la realtà nei suoi molteplici aspetti, da
diverse prospettive e secon9o finalità differenziate.
In quanto teologia essa ritiene possibile uno stu­
dio scientifico, cioè razionale , argomentato , delle
realtà supreme, divine. In questo modo Dio fa il suo
ingresso in filosofia, in quanto non è più soltanto
<<raccontato•> dal mito o «rivelato>� dalla religione e dal­
la teologia sacra, ma viene considerato e studiato co­
me ente sommo passibile di indagine razionale. In ra­
gione di questa impostazione la metafisica aristoteli­
ca sostiene l'idea che la filosofia debba occuparsi a
proprio tito lo del divino, dunque non in quanto
prende a prestito le rappresentazioni della mitologia
o della religione, ma in quanto ricava mediante ar­
gomentazioni un proprio concetto di Dio . Si può na­
turalmente obiettare che così Dio fa il suo ingresso in
filosofia come s u m m u m ens, ma smette in quanto
tale di parlare in prima persona: quanto egli ha da
185
dire viene tradotto nel linguaggio della metafisica ,
cioè nel linguaggio della filosofia . Nasce il dubbio che
con la metafisica Dio faccia il suo ingresso in filosofia
per uscirne subito fuori. Comunque stiano le cose al
riguardo, è chiaro che la metafisica aristotelica dà i
natali alla teologia speculativa , cioè concettuale, filo­
sofica .
Infine , in quanto logica la metafisica non è un sa­
pere intuitivo o ispirato , ma si sviluppa e si articola
secondo i modi e le forme dell 'argomentazione ra­
zionale , in particolare in quella sua forma eccelsa che
è la dialettica (intesa , anch' essa , nel senso aristotelico
di a rs bene disse rendi e non in quello moderno , spe­
cialmente hegeliano, di logica e sistema della con­
traddizione) .

7 . Il pensiero erede della metafisica

Questo sia pur rapido giro d' orizzonte consente


di vedere che nella discussione filosofica contempo­
ranea , a dispetto delle apparenze immediate , il pro­
blema della metafisica è awertito . Certo, la metafisi­
ca appare come un tipo di discorso la cui legittimità
non è più né ovvia né indiscussa, ma è stata profon­
damente erosa dalla colonizzazione scientifica del sa­
pere . Buona parte della filosofia contemporanea non
sembra essersi allontanata molto dalla religione della
scienza di Auguste Comte e dalla sua teoria dei tre
stadi , secondo la quale l' umanità progredisce da una
prima fase del suo sviluppo , in cui si orienta sulla stel­
la polare del mito e della religione , a un secondo sta-
1 86
dio, in cui concepisce in forma metafisica le verità
intuite dal mito e dalla religione , fino a un terzo e
ultimo stadio in cui essa perviene all 'unico vero sa­
pere , quello della scienza, la quale sarà la sola guida
futura dell' umanità. Possiamo dawero dire che la cul­
tura contemporanea si sia sbarazzata completamen­
te dell' ingenuità di questa filosofia positivistica della
storia?
Vediamo d 'altra parte che la cultura filosofica
contemporanea è tormentata da una alternativa o p ­
posta, altrettanto pericolosa, quella a cui Heidegger
ha dato la formulazione più efficace con la sentenza :
«La scienza non pensa))3o. È una affermazione che
intende p rovocare , ma che proprio per questo non
deve essere fraintesa , come è awenuto, nel senso di
un impro p onibile rifiuto della scienza , neo-romantico
e oscurantista . Si tratta piuttosto del tentativo di ca­
pire la natura del sa pere scientifico : la scienza è la
forma di sapere che consente il più efficace padro­
neggiamento teorico e operativo della realtà e che
permette quindi la soluzione di una serie infinita di
problemi ; ma nel definirsi come tale essa deve esclu­
dere dalla propria considerazione tutto ciò che non è
passibile di conoscenza scientifica: la sua stessa de­
marcazione rispetto ad altri tipi di discorso (che cos'è
scienza?) , quindi l'articolazione delle «regioni11 dell'es­
sere (Che cos'è la natura? che cos'è lo spirito? che
cos'è la storia?) , le grandi a perture di senso (che co-

30 Martin Heidegger, Was hei8t Den ken ?, Niemeyer, Tubingen


19 7 1 , p. 4, trad. it. di Ugo Ugazio e Gianni Vattimo, Che cosa s i­
gn ifica p ensare?, 2 voli . , Sugarco, Milano 1978- 1 9 7 9 , vol . I, p . 4 1 .

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s'è il mito? che cos'è la religione? che cos' è il sacro?
che cos 'è la morale? che cos'è l' arte?) , il problema
delle risorse simboliche dell 'uomo e molti altri inter­
rogativi che esigono di essere affrontati .
Insomma : le grandi questioni a cui un tempo la
metafisica dava risposta non sono semplicemente
scomparse per il fatto che è stata sancita l'impossi­
bilità di dirimerle in termini razionali mediante la me­
tafisica , ma continuano a sussistere , latenti e inevase ,
magari in forme e sembianze mutate . La domanda
che si pone è: chi può subentrare al posto dalla me­
tafisica nell 'affrontare , oggi, tale ordine di questioni?
Forse ciò che , · con un termine indefinito e certamen­
te provvisorio ma meno compromesso , possiamo
chiamare il «pensiero''?
Il problema da cui eravamo partiti , cioè la collo­
cazione della metafisica nel contesto deli ' attuale di­
battito filosofico contemporaneo, appare ora più
chiaro . In esordio rilevavamo che l' atteggiamento
epistemofilo assunto dalla filosofia contemporanea
ha portato quest'ultima ad assumere una posizione
ancillare nei confronti della scienza e a negare ogni
spazio e legittimità alla metafisica. Dopo il giro di
orizzonte proposto e dopo le considerazioni fatte,
appare evidente che , con la cancellazione del nome
«metafisica'' , non scompaiono eo ipso le questioni
che tradizionalmente essa aveva affrontato .
Ci si chiede: data l' esigenza di una istanza che si
faccia carico dei problemi tradizionali della metafisi­
ca , ma riconosciuta al tempo stesso l'impraticabilità
di una semplice ripetizione delle metafisiche passate ,
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a che cosa deve procedere quello che si è chiamato
«il pensieron?

8. Il compito del pensiero nell'età del disincanto

Ciò che il pensiero produce quasi ovunque - co­


me chiunque ben vede - è la rivisitazione delle grandi
argomentazioni filosofiche del passato. Tale esercizio
affina sempre più l'interrogazione critica di cui il pen­
siero è capace. Nasce però da questo un rischio op­
posto ma complementare a quello dell 'epistemofilia:
esso sta in un atteggiamento arcadico o storicistico
del pensiero, in ragione del quale esso girovaga sen­
za mèta nei giardini della storia e produce un sapere ,
quello delle scienze dello spirito , che a dispetto del
suo riconoscimento istituzionale è un sapere esan­
gue , incapace di far presa sulla realtà , che assolve a
mere funzioni di compensazione rispetto all 'aridità
simbolica della cultura tecnico-scientifica.
È, questo, un rischio che ha trovato impreparata
la riflessione filosofica del nostro tempo, dal momen­
to che finora essa non sembra essersi troppo preoc­
cupata di interpretare il fenomeno della scienza e
della tecnica nel suo significato epocale . Si può dire,
anzi, che per lungo tempo essa abbia ingenuamente
posto la razionalità scientifico-tecnologica sotto il se­
gno positivo di un umanesimo progressista, concilia­
bile in fondo con i valori della metafisica tradizionale
e in primo luogo con l'idea dell'uomo come centro
dell'universo .
Ciò si basava sulla netta distinzione tra la scienza ,
189
da un lato, e la tecnica, dall ' altro . Si pensava : la pri­
ma, che è comunque un bene , consiste nello sviluppo
del sapere e nella sua accumulazione ; la seconda , in­
vece , nell 'applicazione pratica dei risultati della pri­
ma , con l' unico problema del suo uso corretto . La scien­
za , dunque , sarebbe qualcosa di buono in sé e la tecnica,
a sua volta , non nasconderebbe alcuna pericolosità o
perversità proprie , ma è qualcosa di neutro e il suo va­
lore dipende unicamente dall 'uso che se ne fa .
In questo modo , dunque , scienza e tecnica sono sta­
te intese come una componente essenziale della cul­
tura umana . In quanto tali esse stanno senz'altro dalla
partedel progresso ed eli' emanci pazionedell ' uomocon­
tro l 'oscurantismo e l 'alienazione. Esse assicurano al­
l'uomo il vivere bene o, quanto meno , un vivere me­
glio . Queste convinzioni , si capisce , non hanno favorito
una particolare vigilanza nei confronti dello sviluppo
della scienza e della tecnica.
Ma poco a poco, specialmente nel corso degli ul­
timi decenni , la posizione della scienza e della tecnica
nel nostro mondo e nella sua autorappresentazione
culturale è profondamente mutata. Anzitutto per im­
portanza. Divenute planetarie , la scienza e la tecnica
si presentano sempre meno come una semplice
componente tra le altre del nostro mondo e della no­
stra cultura. Al contrario, esse sono diventate la forza
predominante , che si accompagna a una straordina­
ria crescita del potere di intervento sulla natura e alla
capacità di perseguire questa crescita senza limiti -
anche in ragione del fatto che vincoli tradizionali di
tipo mitologico , religioso o metafisica sono ormai ve­
nuti meno.
190
Bisogna naturalmente riconoscere che questo svi­
luppo ha prodotto una crescente capacità di rimedia­
re al carattere difettoso e incompleto dell 'uomo . Co­
me già Herder osservava , l'uomo è un essere
incompleto , difettoso (Ma nge lwesen), sprowisto di
un istinto sicuro che lo orienti. Egli è quindi esposto
nel suo agire a due pericoli estremi : alla terribile na­
turalezza delle sue passioni e alla sconfinatezza del
suo ragionare. La scienza e la tecnica sopperiscono a
questa debolezza naturale dell'uomo e conquistano il
loro diritto ad essere protette per il fatto che aumen­
tano in misura un tempo impensabile la nostra libertà
individuale e collettiva.
Ma appare altrettanto chiaro che una minaccia ac­
compagna la loro colonizzazione del nostro mondo vi­
tale : lo spazio di libertà conquistato per loro mezzo ri­
schia di trasformarsi in un vuoto , in quanto la loro crescita
awiene al prezzo di una consunzione delle trascenden­
ze metafisiche e delle risorse simboliche tradizionali .
Esse incrementano la mobilitazione della realtà e con
essa la crisi delle immagini e dei valori finora validi . Ac­
celerano , insomma , il nichilismo .
A questo punto la scienza e la tecnica , divenute
una tentazione del possibile senza alcun altro limite
all' infuori del fattibile , entrano in conflitto con l' oriz­
zonte metafisico dell'umanesimo progressista sotto la
cui egida si erano sviluppate. Da allora tutto cambia :
l 'equazione di scienza e progresso rivela i suoi risvolti
fatali; l'avanzata della scienza, divenuta sempre più
tecnica e manipolatrice persino sul piano della ricer­
ca di base , entra in collisione con l' immagine meta­
fisica dell'uomo della tradizione umanistica. Anche le
191
formule nelle quali fino a qualche tempo fa ci si era
cullati , come quella di un'alleanza tra le due culture,
di una felice armonia tra il pensiero umanistico e il
sapere scientifico e tecnico , si rivelano proclami vuo­
ti . La purezza e la neutralità della scienza non sono
affatto owie. Il pericolo è awertito non solo sul pia­
no delle applicazioni , ma persino a livello della ricer­
ca scientifica pura, tanto che viene sollevata la que­
stione se sia il caso di vietare determinate ricerche .
Insomma : se nel secolo scorso e all'inizio del no­
stro la razionalità scientifica e tecnica era considerata
come il principale fattore del progresso dell 'umanità,
oggi sorgono dubbi circa l'esistenza di una tale al­
leanza tra l ' avanzata della scienza e della tecnica e il
progresso umano.
Rispetto al bisogno culturale di istituire una fina­
lità , un senso, un quadro simbolico, la scienza e la
tecnica si rivelano come saperi fondamentalmente
«an-etici'' e «a-simbolici>' . Con le loro perenni innova­
zioni scardinano ogni baricentro, ogni stabilità , ogni
ordine ed equilibrio di tipo tradizionale , aprendo un
vuoto di cui un tempo era la metafisica a farsi carico ,
ma che oggi nessuno è in grado di compensare né
tanto meno di colmare .
Ci troviamo dunque nel mondo contemporaneo
in una situazione paradossale.
Il processo planetario della razionalizzazione
scientifico-tecnica ha portato alla soluzione di intere
serie di problemi . Eppure , a fronte dei loro successi ,
la scienza e la tecnica sono incapaci di produrre
esperienze simboliche di senso in cui inscrivere il no­
stro essere nel mondo e nella storia. Anzi , le trasfor-
1 92
mazioni che esse mettono in moto accelerano la crisi
dei fondamenti e il disincanto del mondo , cioè l' ero­
sione e la dissoluzione dei quadri di riferimento tra­
dizionali .
Si è così aperta una frattura sempre più profonda
fra l'homo fa ber e l' homo sapiens , tra ciò che l'uo­
mo sa e può fare e la sua capacità di valutare ciò che
è ragionevole fare . In una situazione in cui la nostra
potenza di agire , in forza della scienza e della tecni­
ca, cre sce tanto nella macrodimensione quanto nella
microdimensione, cioè di fronte a una situazione che
richiede in linea di principio un orientamento mag­
giormente vincolante di quello passato , noi oggi non
disponiamo nemmeno più dei punti di riferimento sui
quali poteva orientarsi l'umanità precedente.
La tendenza che oggi si vede affermarsi un po'
ovunque per fronteggiare tale situazione è quella di
fare ricorso a compensazioni che in genere vengono
ricercate in forme di sapere alternative a quelle della
scienza e che sono prevalentemente l'arte, il mito, il
religioso e p ure l 'esoterico e l ' occulto.
Quanto al pensiero filosofico, esso è lacerato tra
le due alternative summenzionate: da un lato l' episte­
mofilia e la tecnofilia, con la conseguente sottomis­
sione ancillare alla scienza e alla tecnica , dall'altro un
sapere di tipo arcadico ma esangue , con funzioni
compensatorie di cui approfittare come di uno svago
e di un 'evasione .
L'orizzonte dell'autorappresentazione culturale e
filosofica dell' età contemporanea - che la si etichetti
come «dopo Nietzsche1> , «dopo Weber)) o «dopo Hei­
degger» - è un orizzonte post-metafisico , entro il
1 93
quale è venuta meno ogni capacità di sintesi ed è sva­
nita la speranza di dare un nome all 'intero. La me­
tafisica come pensiero dell'Assoluto è ormai relegata
nelle gallerie del passato .
Nel cristallizzarsi di questa condizione di rinuncia,
nella quale è sintomatico il diffuso impiego della ter­
minologia negativa - crisi dei valori , crisi di senso,
perdita del centro , pensiero negativo - non sono
mancate naturalmente neofondazioni e riabilitazioni.
Ma anch'esse possono ben poco contro l' invalicabile
orizzonte storico-culturale del politeismo dei valori ,
anzi , nemmeno più dei valori , ma delle opzioni e del­
le decisioni di fondo. Oggi la tirannia dei valori d 'un
tempo si è trasformata nell' isostenia e quindi nel­
l'anarchia dei valori , nella stessa inutilità delle prescri­
zioni e nella stessa stupidità delle proibizioni . Il for­
male ha prevaricato sul materiale , il convenzionale
ha attaccato l'essenziale , Max Weber ha avuto la me­
glio su Max Scheler.
Anche a chi non si rassegni a questa condizione
appare chiaro che è ormai difficile, per non dire im­
possibile , la costituzione di senso capace di catalizza­
re una identità comune e di trovare disponibilità al­
l' ascolto . Insomma , al vuoto lasciato dalla scomparsa
della metafisica nessuno sembra oggi in grado di por­
re rimedio .
Alla luce di queste considerazioni, dovrebbe esse­
re chiaro che cosa si intende dire quando si asserisce
che l' orizzonte che abbraccia da un capo all ' altro
l' odierno dibattito filosofico e culturale è un orizzonte
post-metafisico e che esso condiziona il pensiero in
un 'epoca in cui la dottrina del sospetto e il disincanto
1 94
del mondo, la fine insomma della ragione ingenua e
sentimentale, hanno radicalmente eroso la possibilità
di credere in quadri fondativi di tipo teologico, me- ·

tafisica e perfino antropologico .


In questa situazione di spaesamento post-metafi­
sico , caratterizzata dalla forzata astinenza da orienta­
menti ultimi, in un momento in cui Io spirito , solle­
citato da accelerazioni tecnico-scientifiche sempre
più intense , sembra arrancare , impelle più che mai la
domanda che Kant ha formulato con sovrana lucidi­
tà: come orientarsi nel pensiero? E con essa , a ca­
scata, gli altri interrogativi che inquietano l'uomo
contemporaneo: v'è ancora una bussola alla quale af­
fidarsi nella navigazione a vista cui la crisi della me­
tafisica ci ha costretti? A che cosa può attenersi lo
spirito oggi in affanno? Sussistono risorse simboliche
o energie ancora intatte per mantenere I' equilibrio
nel vortice del nichilismo?
Quanto alla possibilità di una risposta , ritengo
d 'obbligo il massimo riserbo. Nessuno può dire oggi
di avere la risposta a questi interrogativi . Una strate­
gia per contenere la situazione? Forse. Un rimedio
per riparare la crisi? Anche. Ma più si contiene e più
si ripara , più si fa acuto il senso dello spaesamento
post-metafisico . E prima di poterlo fugare , il pensie­
ro contemporaneo dovrà riflettere ancora sulla me­
tafisica e sul condizionamento inawertito e latente
che il vuoto da essa lasciato esercita sulla cultura e
sulla filosofia odierne .
Se mai una raccomandazione è possibile , essa sta
nell ' indicazione minimale di attenersi al rigore del
pensiero , di aspirare alla massima radicalità nell' in-
1 95
terrogare ogni orizzonte predato e nel combattere la
resistenza rocciosa del presupposto . Sta in quel do­
mandare tutto che è un tutto domandare, e che è co­
me un guardare attraverso il vetro cercando di vede­
re il vetro .
INDICE
Avvertenza VII

({Metafisica» : fascino di un 'ambiguità semantica


di Fra ncesco Ba rone 3

Il non fisico della fisica di Ca rlo Bernardin i 25


Bibliografia, p . 3 9

Una metafisica problematica e dialettica di


En rico Berti 41
l . Il pregiudizio antimetafisico, p . 4 1 2 . Tipologia
-

della metafisica, p. 48 - 3. Una metafisica problema-


tica, p. 53 4. Una metafisica dialettica, p. 62
-

Il mondo nascosto di Remo Bodei 69


l . L' ultravioletto della ragione, p. 69 - 2. Dal buio alla
luce , p. 7 1 - 3. Il raccolto di Eraclito , p. 73 - 4. Ec­
cesso di legittima difesa, p. 8 1 -5 . Anamnesi di un
problema, p . 83 - 6 . Metafisica dell' autoregolamenta­
zione della società, p. 9 1

Brevi cenni sull'essere di Um berto Eco 99


l . Introduzione , p. 99 - 2. Perché c ' è dell' essere? , p .
1 04 - 3 . Come s i parla dell'essere, p . 1 0 9 - 4. L'apo-

1 99
ria dell'essere aristotelico, p. 1 14 5. Un modello di
-

conoscenza del mondo, p . 1 20 - 6 . Lo Zoccolo Duro


dell ' essere , p. 1 2 8 - 7 . Brevi cenni, p. 138

Metafisica, antimetafisica e storia di Do meni-


co Los u rdo 141

La metafisica rimossa di Fra nco Volp i 1 67


l . L'inattualità della metafisica , p. 1 6 7 - 2 . La sua im­
portanza , p. 1 68 - 3. Morte della metafisica? , p.
1 7 1 - 4. Metafisica e filosofia analitica, p. 1 7 6 - 5. La
metafisica come onto-teo-logia secondo Aubenque e
la sua scuola, p. 1 7 7 6. La riabilitazione della meta-
-

fisica platonica e aristotelica in Italia , p. 180 - 7 . Il


pensiero erede della metafisica, p . 1 86 - 8 . Il compito
del pensiero nell' età del disincanto , p. 1 89

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