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Quaderno di Filosofia Politica

A cura di Brunella Casalini, Emanuela Ceva, Nico De Federicis, Corrado Del Bo, Francesca Di Donato, Angelo Marocco, Maria Chiara Pievatolo

Ultimo aggiornamento: Settembre 2004

SWIF Edizioni Digitali di Filosofia Registrazione ISSN 1126-4780

Political philosophy on the Net (an extensive index). Filosofia politica in rete

a cura di: Brunella Casalini , Emanuela Ceva , Nico De Federicis , Corrado Del Bo' , Francesca Di Donato , Angelo Marocco , Maria Chiara Pievatolo . Ultimo aggiornamento: 30 settembre 2004

Non e' ne' facile ne' teoricamente fruttuoso ritagliare una parte politica all'interno dei singoli sistemi di pensiero. Percio' il seguente indice ragionato ai problemi politici della filosofia si sforza di organizzare la materia in modo tale che le risposte politiche dei filosofi appaiano il piu' possibile connesse alla loro domande speculative. Gli studiosi interessati a suggerire links , aggiornamenti e notizie sono invitati a scrivere alla redazione .

Indice ragionato alla filosofia politica (parte prima) Indice ragionato alla filosofia politica (parte seconda) Riviste on-line Seminari e convegni Dottorati e siti filosofico-politici in Italia Siti dedicati alla filosofia politica (nel mondo) Organizzazioni e siti istituzionali (nel mondo) Pubblicazioni on-line Studiosi italiani di filosofia politica Studiosi di filosofia politica nel mondo Conferenze Spazio tesi La Repubblica di Platone (ipertesto)

Dipartimento di Scienze della politica Universita' di Pisa

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Filosofia politica: indice ragionato

a cura di Maria Chiara Pievatolo pievatolo@dsp.unipi.it . Ultimo aggiornamento: 23 novembre 2001

La filosofia politica: piccola guida al cyberspazio


La filosofia politica antica
I fattori da cui la nascita delle cose che sono, sono anche quelli in cui ha luogo la loro estinzione, secondo il dovuto, perch esse si pagano l'un l'altra il fio della loro ingiustizia (adika) secondo la disposizione (txis) del tempo" Anassimandro, DK 12 A 29 B 1 Essere e divenire, unita' e molteplicita', eterno e transitorio: disputando sul rapporto fra questi termini i primi filosofi greci cercano il senso unitario della totalita' del reale. In filosofia politica il problema si traduce nella questione del nesso fra natura e giustizia.
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I presocratici (fine VII secolo a. C.- VI sec): la giustizia e' attributo dell'ordine cosmico nella sua totalita' s la scuola ionica: Talete, Anassimandro, Anassimene s la scuola eleatica: Senofane, Parmenide, Zenone (di Elea) s Eraclito La sofistica(V secolo): la giustizia nella polis e' prodotto della convenzione - o dell'inganno umana. s Protagora s Gorgia Socrate: alla ricerca di un paradigma razionale ma non convenzionale. Platone (IV secolo): al di sopra della convenzione e della natura sensibile, si danno dei paradigmi, le idee, che hanno una realta' piu' forte, e un principio supremo, il Bene, che da' un senso unitario e dinamico a questa gerarchia. La giustizia, come idea, un paradigma di armonia per l'anima e per la citta'. Aristotele: la natura e' un substrato che reca in se' la potenza di svilupparsi secondo l'idea distribuita in essa. Secondo natura, la giustizia si distribuisce e si sviluppa differentemente in ciascuna citta' e in ciascuna creatura, secondo un ordine teleologico e gerarchico.

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Filosofia politica: indice ragionato


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Il tramonto della polis(III secolo): filosofie etiche, alla ricerca di una nuova collocazione dell'uomo nel mondo. s Epicureismo s Stoicismo: uguaglianza universale degli uomini e legge di natura. s Scetticismo

Cristianesimo e medioevo
Remota itaque iustitia, quid sunt regna nisi magna latrocinia? Agostino, Civitas Dei, IV, 4 La rivoluzione cristiana conduce a collocare anche i problemi politici in una prospettiva escatologica e soteriologica - prospettiva che si cerca di conciliare col naturalismo intellettualistico della filosofia greca.
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Agostino (IV-V secolo d.C.): la prima grande filosofia della storia che annuncia, alla fine del tempo, la realizzazione della giustizia della citta' di Dio - il quale soltanto puo' por rimedio al peccato originale che infetta l'uomo. Tommaso d'Aquino (XIII secolo): il conciliatore fra l'aristotelismo, riscoperto colla mediazione araba, e il cristianesimo: Nonostante il peccato originale, e' possibile realizzare una giustizia naturale, perche' l'intera creazione e' strutturata secondo il progetto razionale di Dio. Marsilio da Padova e William of Ockham (XIV secolo): dopo la conciliazione tomistica, un progressivo allontanamento fra ragione e fede prelude alla moderna autonomia della politica.

La modernit
...sendo l'intento mio scrivere cosa utile a chi la intende, mi parso pi conveniente andare drieto alla verit effettuale della cosa, che alla immaginazione di essa. Machiavelli, Il Principe, XV La rottura dell'unita' politica e religiosa della respublica Christiana medioevale induce ad affrontare la politica mettendo fra parentesi la teologia. La razionalita' della politica e' una razionalita' terrena e consensuale.
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Nicolo' Machiavelli (XVI secolo): la rottura della gerarchia medioevale a favore di una autonoma scienza della politica. Thomas More: il padre della moderna letteratura utopica, fra critica sociale ed ironia. Giusnaturalismo e contrattualismo (XVII secolo): si tenta di legittimare la comunita' politica, cheassume la forma dello Stato moderno, su basi razionali e consensuali: s Thomas Hobbes: il contrattualismo assolutistico

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Filosofia politica: indice ragionato


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John Locke: il contrattualismo liberale Ugo Grozio: il padre del giusnaturalismo

Giambattista Vico (XVIII secolo): verum et factum convertuntur. L'esistenza politica umana e' radicata nella storia.

Empiristi britannici
It is evident, that suppose Mankind, in some primitive unconnected State, should be some Means come to the Knowledge of the Nature of those Things which we call Contracts and Promises; that this Knowledge would have laid them under no such actual Obligation, if not placed in such Circumstances as give rise to these Contracts. Hume, A Letter From a Gentleman to his Friend in Edinburgh Contro il contrattualismo, una fondazione non stipulativa della societa' civile.
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David Hume (XVIII secolo) La scuola scozzese Adam Smith: il padre dell'economia politica.

Intorno alle rivoluzioni


L'illuminismo e' l'uscita dell'uomo dallo stato di minorita' che egli deve imputare a se stesso. Kant, Beantwortung der Frage: Was ist Aufklaerung?, A 481 Le grandi rivoluzioni del '700 hanno uno sfondo giusnaturalistico e illuministico. Il dibattito sulla legittimita' della rivoluzione francese e' anche un dibattito sulla legittimita' dell'Illuminismo.
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Jean-Jacques Rousseau: democrazia e contratto sociale non come uscita dallo stato di natura, bensi' come istituzione di una seconda natura che recuperi la libert della prima. Immanuel Kant: la legge come fondamento e garanzia della liberta', in una prospettiva cosmopolitica e tendenzialmente democratica. Paine, Jefferson, Madison: lo sfondo giusnaturalistico della rivoluzione americana. Benjamin Constant: fra democrazia e liberalismo. Edmund Burke: la sedimentazione storica e non la ragione astratta della rivoluzione e' il fondamento della legittimita' delle istituzioni. Il pensiero reazionario francese

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Filosofia politica: indice ragionato

Dopo le rivoluzioni
...la filosofia, poiche' e' lo scandaglio del razionale, appunto percio' e' l'apprendimento di cio' che e' presente e reale, non la costruzione di un al di la', che sa Dio dove dovrebbe essere. Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts
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G.W.F. Hegel (XIX secolo): lo stato come realta' dell'idea etica entro la prima grande filosofia della storia dell'Ottocento. Sren Kierkegaard: il singolo contro il sistema. La sinistra hegeliana: interpretazioni progressive della razionalita' del reale. Karl Marx: la dialettica rimessa sui piedi. Dalle contraddizioni delle condizioni materiali della societa' civile, regno dell'alienazione, alla societa' senza classi.

Utilitarismo e positivismo
Protection, therefore, against the tyranny of the magistrate is not enough; there needs protection also against the tyranny of the prevailing opinion and feeling. J.S. Mill, On Liberty, I Mentre la cultura britannica prosegue la tradizione empiristica, sul continente si assolutizza il metodo delle scienze naturali come via per raggiungere la perfezione della vita sociale.
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Jeremy Bentham: nella tradizione dell'empirismo, un riformismo radicale in base al principio della massima felicita' del maggior numero. John Stuart Mill: utilitarismo rimeditato in un liberalismo problematico. Auguste Comte: la fondazione della sociologia, nel quadro di un'utopia sociale basata sulla assolutizzazione del metodo induttivo, come culmine di una filosofia della storia sui generis.

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Links e testi (filosofia politica)

a cura di Maria Chiara Pievatolo pievatolo@dsp.unipi.it Ultimo aggiornamento: 23 novembre 2001

Filosofia politica: links e testi


I presocratici e la sofistica
Le origini della filosofia in Grecia (in italiano) I presocratici (in italiano, entro una ricca pagina generale) Presocratic Fragments and Testimonials: ricca pagina di testimonianze e frammenti, dalla scuola ionica alla sofistica. La sofistica (in italiano) Una pagina sulla sofistica (in inglese).

Back Socrate
Socrate (vedi anche questa pagina, e quest'altra, in italiano) non ha lasciato nulla di scritto: nel Fedro, Platone gli fa dire che il vero apprendimento ha luogo solo nel dialogo e nell'insegnamento faccia a faccia. Sono stati tramandati, percio', tre differenti Socrati virtuali: - quello di Senofonte (vedi anche qui e presso il Perseus Project); - quello dei dialoghi - soprattutto giovanili - di Platone: l' Apologia: riporta l'autodifesa di Socrate al processo conclusosi colla sua condanna a morte; Last Days of Socrates: estratti da Eutifrone, Apologia , Critone, Fedone (traduzione ipertestuale illustrata). - quello delle Nuvole di Aristofane.

Back Platone
Le opere complete in greco e in inglese (vedi anche qui). In alternativa,qui c'e' raccolta parziale con letteratura secondaria e biografia:. Di particolare interesse politico: il Gorgia, la Repubblica (vedi anche qui), il Politico, le Leggi, la settima Lettera. Illustrazione dell''allegoria della caverna Platone e la Sicilia (in italiano, da Liberliber) Una presentazione sintetica (in italiano) Un percorso ipertestuale fra le metafore platoniche. Un corso ipertestuale (in italiano) sulla Repubblica di Platone e sul suo sfondo storico e teorico, con una collezione di link platonici, molti dei quali italiani. Lista di opere platoniche reperibili sulla rete. La versione italiana, in formato rtf o txt zippato, del Critone; il Simposio (in italiano) Utopia: letteratura utopica da Platone (Repubblica, Timeo, Crizia) a William Morris, e links a siti connessi. La Citta' del Sole di Tommaso Campanella (in italiano). Per quanto concerne il genere utopico, si veda anche Feminist Science Fiction, Fantasy, & Utopia. Platone sullo SWIF

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Links e testi (filosofia politica)

Back Aristotele
Opere complete: di particolare interesse politico, l'Etica nicomachea, la Politica, la Costituzione degli Ateniesi. Aristotle Aristotle Aristotle's Political Philosophy Page: una pagina molto bella e molto ricca, con letteratura secondaria (inglese) aggiornata, dedicata al pensiero politico di Aristotele. Aristotele sullo SWIF

Back Filosofia ellenistica


Stoicismo: una guida enciclopedica, una breve presentazione; un buon quadro sinottico, una introduzione in italiano, entro una pagina pi ampia sulle scuole della filosofia antica. Stoicism on the web Epitteto: i Discorsi e l'Enchiridion, ovvero il Manuale (versione di Giacomo Leopardi, in formato txt zippato). M.Tullio Cicerone: un oratore eclettico, influenzato dall'etica stoica (presentazione in italiano) Classical Skepticism: un lungo saggio di Peter Suber. Epicuro: una versione italiana della Lettera sulla felicita' La filosofia ellenistica sullo SWIF

Back
Per il pensiero tardo antico e medioevale si consiglia di visitare in primo luogo: Internet Medioeval Sourcebook: una raccolta sterminata di letteratura primaria e secondaria dalla tarda antichita' alla Riforma. Ragguardevole, in particolare, la collezione di testi patristici. The Online Medioeval and Classical Library: meno ricco, ma provvisto di links ad altre collezioni di testi classici e medioevali. The Labyrinth presenta un'altra buona raccolta di strumenti per gli studi medioevali. In italiano, si puo' consultare la sezione Politica e teologia entro la guida di Supereva alla filosofia medioevale.

Agostino
De Civitate Dei: la principale opera filosofico-politica di Agostino e' un testo fondamentale per tutto il Medioevo e propone la prima grande filosofia della storia lineare del pensiero occidentale. Augustine: testi latini e traduzioni inglesi. Saint Augustine (Catholic Encyclopedia); Saint Augustine (Stanford Enc. of Philosophy) Index - St. Augustine of Hippo: sito ricco di links - alcuni dei quali meramente divulgativi. Indirizzi agostiniani sul sito della curia generalizia agostiniana. Con Internet attraverso le periferie del mondo antico www.augustinus.it: l'opera omnia di Agostino in latino e in italiano e molto altro materiale interessante, entro un sito che nasce da una iniziativa veramente lodevole e rara, nel nostro mondo editoriale. Agostino sullo SWIF

Back Tommaso d'Aquino


La Summa Theologiae in una versione ipertestuale inglese. Tommaso politico La pagina teologica del sito dei domenicani americani Thomas Aquinas - The Angelic Doctor: sito finalizzato ad attribuire a Tommaso posizioni panenteistiche.

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Links e testi (filosofia politica)

Tommaso d' Aquino: presentazione in italiano Thomas Instituutt Utrecht: sito curato da teologi, filosofi e storici olandesi. Frames e guide alla ricerca chiare e ben organizzate. Thomistic Philosophy Page: buona pagina introduttiva, orientata didatticamente. Tommaso sullo SWIF.

Back Marsilio da Padova


Conclusioni del Defensor Pacis Dante Alighieri

Back William of Ockham


Una breve presentazione - e un'altra, da parte della Catholic Encyclopedia Il rasoio di Ockham. Una raccolta di scritti "politici" e no. Dialogus: testo latino e traduzione inglese.

Back Thomas More


Utopia Sir Thomas More: pagina con biografia e letteratura. Virtual Seminar: Thomas More's Utopia as Political Literature, con una ampia bibliografia. Altra letteratura utopica.

Back Nicol Machiavelli


Principali opere politiche: Il Principe (testo in italiano), Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio. Progetto Machiavelli: tutte le opere on-line, con biografia e introduzioni in italiano. Modern Political Theory: Renaissance and Baroque: una buona guida a Machiavelli in rete, con links tematici sull'umanesimo civico. Machiavelli Online: ricca e ben organizzata pagina con letteratura primaria e secondaria. The Executive: il Principe riscritto ad uso degli amministratori delegati - per i motivi medesimi per i quali Machiavelli compose il suo testo. Machiavelli sullo SWIF Per un inquadramento storico e culturale: Francesco Guicciardini: i Ricordi e la Storia d'Italia, presso Liberliber. Galileo Galilei (XVII secolo) e la rivoluzione scientifica: il Dialogo dei massimi sistemi (in italiano, in formato txt zippato, presso Liberliber).

Back Giusnaturalismo
Diritto naturale Pufendorf Grozio: notizie essenziali, nonche' una pagina piu' ampia, con letteratura secondaria. Reception of the classical tradition in international law: Grotius' De Jure Belli ac Pacis The Way to Peace: sito di qualita' e contenuti eterogenei, che pero' contiene informazioni su una lunga serie di pensatori irenici. Un termine di confronto: il contrattualismo oggi

Back Thomas Hobbes


Le opere on line di principale interesse filosofico-politico sono: Elements of Law Natural and Politic, Leviathan, De Cive (Liberty, Dominion, Religion). Aubrey's Brief Life
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Links e testi (filosofia politica)

Hobbesiana: bel sito italiano con biografia, links, testi, segnalazioni bibliografiche. Thomas Hobbes: presentazione enciclopedica. Thomas Hobbes: links, testi, letteratura secondaria. Thomas Hobbes: brevissima presentazione e link al Leviathan. Una accurata collezione di tutta la letteratura primaria hobbesiana on line. Hobbes sullo SWIF

Back John Locke


Le principali opere di interesse filosofico-politico sono: Two treatises on Government (qui si puo' vedere il secondo) e A Letter Concernining Toleration, John Locke Una buona presentazione enciclopedica. Hobbes and Locke and the Seventeenth Century: buon punto di partenza sinottico. Liberalism Locke sullo SWIF

Back Empiristi britannici


La scuola scozzese: particolareggiato testo enciclopedico di J. McCosh - anche in versione txt. The Hume Archives: letteratura primaria e secondaria. Hume sullo SWIF History of Economics Internet References Biografia e testi on line di A.Smith e di altri filosofi e pensatori economici, in Akamac E-text Links.

Back Illuminismo, costituzionalismo, democrazia


Illuministi, presso la Fondation Voltaire. Enciclopedisti; Encyclopdie sul web (I volume) Cesare Beccaria: Dei delitti e delle pene. Montesquieu: libri XX-XXIII dell'Esprit des Lois; un'altra pagina tematica.con biografia e links ai testi; un saggio storico su determinismo geografico e liberta' politica in Montesquieu. Mary Wollstonecraft, Vindication of the Rights of Woman We the People: collezione ragionata di testi costituzionali, in versione Windows, formato zip. La Costituzione italiana del 1948. Liberty Library of Costitutional Classics: una collezione di classici costituzionali da Platone in poi. Opere di Thomas Paine Opere e citazioni di Thomas Jefferson Federalist Papers - scaricabili in formato zip da qui. La democrazia in America: Alexis de Tocqueville

Back Jean-Jacques Rousseau


Jean-Jacques Rousseau un buon punto di partenza La pagina di Roberto Gatti, con due saggi su Rouseau in italiano. Rousseau - The First Romantic: pagina finalizzata esclusivamente a trovare tracce di panteismo in Rousseu. Rousseau Association: biografia, opere e informazioni. Rousseau sullo SWIF: i links alle opere politiche sono quelli della voce sopra. E' pero' possibile leggere in francese: Du Contrat Social, Discours sur les Sciences et les Arts, Discours sur l'origine de l'ingalit; il Discours sur L'conomie Politique..Una buona collezione di testi filosofici,

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Links e testi (filosofia politica)

letterari e politici in francese si trova qui.

Back Immanuel Kant


Le opere di Kant si dividono in precritiche e critiche: fra queste, sono importanti per la filosofia politica la Fondazione della metafisica dei costumi, la Critica della ragion pratica, la Religione entro i limiti della sola ragione, Per la pace perpetua (di cui presente in rete una antologia in italiano), la Metafisica dei costumi (Dottrina del diritto e Dottrina della virtu') (links alle traduzioni inglesi). Inoltre, testi politici importanti sono almeno tre scritti d'accasione: Risposta alla domanda: che cos'e' l'Illuminismo?, Sul detto comune: questo puo' essere giusto in teoria ma non vale per la pratica, Se il genere umano sia in costante progresso verso il meglio (in Der Streit der Fakultaeten). Kant on the web Immanuel Kant: nella presentazione del progetto Gutenberg tedesco. Pagina bibliografica con links a letteratura secondaria. Kant Links: pagina con testi kantiani, letteratura secondaria e glossari. Kant and Kantian Ethics in Ethics Updates: bella pagina con bibliografie ragionate e notizie sui kantiani contemporanei nel mondo anglosassone. Per contestualizzare Zum ewigen Frieden: una raccolta di documenti sulla storia delle relazioni internazionali. Giuliano Marini, Kant e il diritto cosmopolitico Kant nella filosofia politica contemporanea (in italiano) North American Kant Society: notizie aggiornate su conferenze, riviste e studi kantiani. Das Marburger Kant-Archiv: sito tedesco, con una accurata bibliografia finalizzato a raccogliere la corrispondenza di Kant e gli appunti delle sue lezioni. In lingua originale, fra i testi editi di Kant: Kritik der reinen Vernunft edizione 1781 e 1787; Kritik der praktischen Vernuft; Kritik des Urteilskraft (sul sito, in continua crescita del Projekt Gutenberg tedesco); Idee zu einer allgemeinen Geschichte in weltbrgerlicher Absicht, Beantwortung der Frage: was ist Aufklaerung? e Zum ewigen Frieden. Una sintetica pagina tedesca con testi originali, traduzioni e link alla letteratura secondaria, in Kant und der Deutsche Idealismus; un sito tedesco molto piu' ampio. Kant sullo SWIF Siti kantiani

Back Benjamin Constant


Una biografia Opere on-line La libert degli antichi e la libert dei moderni

Back Edmund Burke


Opere politiche principali: On Moving His Resolutions for Conciliation With America; Reflections on the Revolution in France Edmund Burke: biografia e letteratura primaria e secondaria. Bibliografia e saggio bibliografico in italiano Il pensiero reazionario: Joseph de Maistre Les Soires de Saint-Ptersbourg; Lettres sur l'Inquisition; Considrations sur la France Per uno sguardo complessivo, si veda La philosophie franaise au XIXe sicle entro i percorsi raccomandati dalla Bibliothque nationale de France (non possibile un link diretto alla pagina a causa

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Links e testi (filosofia politica)

dei frames)

Back Georg Wilhelm Friedrich Hegel


Opera politica principale: Lineamenti di filosofia del diritto. Una presentazione enciclopedica. Una pagina tedesca con links a letteratura primaria e secondaria plurilingue. Hegel by HyperText: la Scienza della Logica, commentata - con molti materiali sulla dialettica, ipertestualizzati, fra i quali, per esempio, la lettura di Kojeve Hegel Society of America: con una serie di links hegeliani. Un Breviario hegeliano ragionato, in francese, con brani delle opere. Hegel- Philosophy and History as Theology: il panteismo in Hegel. Appunti sul pensiero di Hegel Phnomenologie des Geistes, sulla pagina hegeliana del Projekt Gutenberg tedesco. Hegel e gli hegeliani americani Hegel FAQ (in italiano) Hegel e la didattica della filosofia (in italiano) Hegel sullo SWIF

Back La sinistra hegeliana


Feuerbach: Principi di una filosofia dell'avvenire; una pagina sul suoAnthropologischer Atheismus Max Stirner; le sue opere in tedesco; e un'altra bella pagina "parafilosofica" in tedesco. Anarchy Archives: testi e storia del movimento anarchico. Kierkegaard: una presentazione enciclopedica. D.A. Storm's Web Site on Kierkegaard I manoscritti, presso la Biblioteca Reale di Copenaghen. International Kierkegaard Newsletter Una pagina sulla filosofia europea (continentale) del XIX secolo. La filosofia contemporanea: manuale italiano sulle filosofie degli ultimi due secoli.

Back Karl Marx


Una biografia (voce dell'Enciclopedia Britannica). La sua filosofia si divide in due fasi: il Marx "giovane", che si confronta con Hegel, e il Marx "maturo", che si confronta coll'economia classica. Alla prima fase appartengono le opere propriamente filosoficopolitiche; alla seconda le opere economiche. Lo spartiacque e' rappresentato dalle Tesi su Feuerbach. Opera fondamentale della seconda fase e' Il Capitale (qui in inglese, con un motore di ricerca), incompiuto. Nelle opere, edite e inedite, della prima fase si rintracciano le radici democratiche ed idealistiche del pensiero di Marx. Si rinvia a Marx and Engels Writings, che elenca le opere in ordine cronologico. In alternativa: Marx Internet Archive. con una biblioteca ancor piu' ricca, Karl Marx: texts and archives Karl-Marx. org: in italiano e inglese Living Marxism Online Marx, Engels, and 'Anti-Duhring' Marxism: in Australia, con materiali anche sul marxismo contemporaneo. Lemma Aesthetics: una suggestiva interpretazione ipertestuale dei Manoscritti del 1844. Marxist Space: risorse e mailing lists (al momento in corso di "trasloco"). Karl Marx on the W3: materiali marxiani e testi di Derrida. Geoff Pilling's- Concepts of Capital:: analisi ipertestuale dei concetti marxiani, entro un progetto piu' ampio. Das Kapital ,Bd. I (anche qui) e Theorien ber den Mehrwert in tedesco: posti on line grazie allo

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Links e testi (filosofia politica)

studioso giapponese Akama Michio. Altri testi in tedesco, di Marx e di altri autori socialisti, qui, e presso il Projekt Gutenberg tedesco. Il Manifesto del partto comunista, in italiano. Altro materiale marxista in italiano si trova presso Pagine Rosse. Marx sullo SWIF.

Back Auguste Comte e altri positivisti


Saint-Simon Il socialismo utopistico ( Babeuf, Saint-Simon, Fourier, Owen). Si veda la critica del Manifesto. Auguste Comte et le positivisme: sito della International Positivist Society, con un progetto finalizzato a rendere disponibili in rete le opere di Comte, e molta letteratura secondaria. L'Oeuvre d'Auguste Comte prsente par lui-mme Evoluzionismo. Herbert Spencer: le opere.

Back John Stuart Mill


Principali opere politiche: On Liberty, Representative Government, The Subjection of Women, Utilitarianism. Speech In Favor of Capital Punishment Per inquadrare storicamente il pensiero politico di Mill e dei suoi predecessori, si veda British and Irish Legal History. Per un punto di vista economico, si veda il ricco archivio History of Economic Thought. John Stuart Mill: biografia e opere; vedi anche qui. Mill, J.S. Mill: voci enciclopediche. James P. Brennan, Commentary on John Stuart Mill (1995) Leslie Stephen, The English Utilitarians, vol . III: J.S. Mill (1900) Back

Testi filosofici fondamentali: i "must read" della filosofia occidentale

Numerosi links sono stati segnalati da Nicola Caleffi

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Filosofia politica: indice ragionato

a cura di Nico De Federicis nikita@sssup.it. Ultimo aggiornamento: 8 novembre 2002

La filosofia politica: piccola guida al cyberspazio


L'hegelismo in Italia nell'Ottocento
Un popolo vive, quando ha intatte tutte le sue forze morali. Queste forze non producono, se non quando trovano al di fuori stimoli alla produzione (...). Gli stimoli ti creano il limite, cio a dire uno scopo, che le toglie dal vago della loro libert, e le determina (...). In quanto la loro libert limitata, queste forze sono produttive. F. De Sanctis, La scienza e la vita
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I precursori (1800-1850): s l' hegelismo napoletano: la filosofia di Hegel nel dibattito sul primato della nazione (Stefano Cusani, Giambattista Ajello, Stanislao Gatti, Antonio Tari, Angiolo Camillo De Meis). s I traduttori: Antonio Torchiarulo, Antonio Novelli, Giovanbattista Passerini. s Il rinnovamento della dialettica: Antonio Tari, Camillo De Meis e la nascita dell'hegelismo italiano. Le scuole hegeliane in Italia s Augusto Vera (1813-1885): la filosofia dell'assoluto e la storia come il luogo della rivelazione della libert.
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Bertrando Spaventa (1817-1883): il primato della soggettivit e la ricerca della novit della filosofia hegeliana. Francesco De Sanctis (1817-1883): al di sopra della natura del concetto astratto stanno le forme della vita. L'estetica come mezzo per la comprensione della libert e il primato del liberalismo.

Il tramonto dell'hegelismo (1870-1900): la nuova scienza positiva come strumento per comprendere l'uomo e la vita nella societ. s Gli hegeliani napoletani e la scienza s Niccola Marselli (1832-1899): la coesistenza di hegelismo e di filosofia positiva. s Ardig (1828-1920)

Il neoidealismo
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Filosofia politica: indice ragionato

Quando si parla di "senso politico", si pensa subito al senso della convenienza, dell'opportunit, della realt, di ci che adatto allo scopo (...). irragionevole dunque (...) ripugnare poi alla dottrina che l'azione politica non sia altro che azione guidata dal senso dell'utile (...) e che per s non possa qualificarsi n morale n immorale B. Croce, Politica "in nuce", I

Benedetto Croce (1866-1952): la filosofia come "storicismo assoluto" e la storia come storia della storiografia. Giovanni Gentile (1875-1944): la filosofia dello spirito come "attualismo" e lo stato etico.

Le scuole neokantiane
Nello sviluppo del pensiero politico il secolo decimottavo, ossia il periodo dell'illuminismo, venne ad essere una delle epoche pi feconde. Mai prima d'allora la filosofia della politica aveva avuto una parte cos importante e decisiva E. Cassirer, Il mito dello stato, cap. XIV La scuola di Marburgo
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Hermann Cohen (1842-1919): la conoscenza pura come conoscenza delle forme logiche, e il ritorno a Kant in conciliazione con la scienza moderna. Paul Natorp (1854-1924): la filosofia di Platone quale centro della riflessione etica e speculativa dell'occidente. Ernst Cassirer (1874-1945): la filosofia come espressione delle forme simboliche, e il rapporto tra ragione e mito nella storia.

La scuola del Baden


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Wilhelm Windelband (1848-1915): scienze della natura e scienze della cultura. Heinrich Rickert (1863-1936): la scienza e i valori.

Il marxismo
La filosofia della praxis (...) contiene in s tutti gli elementi fondamentali per costruire una totale ed integrale concezione del mondo, una totale filosofia e teoria delle scienze naturali (...) ma anche per (...) diventare una totale, integrale civilt A. Gramsci, Quaderni del carcere, II, XVIII
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Il marxismo revisionista

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Filosofia politica: indice ragionato

Il marxismo rivoluzionario Il marxismo francofortese Antonio Labriola (1843-1904). Antonio Gramsci (1891-1937). Il marxismo analitico

Il pragmatismo
Per quanti hanno appreso la filosofia di Kant (...), pratico e pragmatico sono distanti come due poli. Ora, il compito pi importante della nuova teoria andare alla ricerca di un legame inseparabile tra cognizione e moventi razionali; questa considerazione ha determinato la scelta del nome 'pragmatismo' Ch.S. Peirce, What Pragmatism is (1906)
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Charles Sanders Peirce (1839-1914). William James (1842-1910). John Dewey (1859-1952). Il pragmatismo tra ottocento e novecento: George Herbert Mead (1836-1931), Jane Addams (18601935), Horace M. Kallen (1882-1974), Alain Leroy Locke (1886-1954), Il pragmatismo contemporaneo: Williard van Orman Quine, Hilary Putnam, Richard Rorty.

La teoria politica normativa


La giustizia il primo requisito delle istituzioni sociali, cos come la verit lo dei sistemi di pensiero. Una teoria, per quanto semplice ed elegante, deve essere abbandonata o modificata se non vera. Allo stesso modo, leggi e istituzioni, non importa quanto efficienti e ben congegnate, devono essere riformate o abolite se sono ingiuste J. Rawls, Una teoria della giustizia. L'utilitarismo : Henry Sidgwick, Richard M. Hare, John Harsanyi, Peter Singer La teoria della giustizia di Rawls Il liberalismo: liberali classici (La scuola austriaca e Friedrich Hayek, Milton Friedman, James

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Filosofia politica: indice ragionato

Buchanan) e liberals (Ronald Dworkin, Charles Larmore, Amartya Sen) Il libertarismo: Ayn Rand, Murray N. Rothbard, Robert Nozick Il comunitarismo: Alasdair MacIntyre, Michael Sandel, Charles Taylor, Michael Walzer Il repubblicanesimo: Philip Petitt, Quentin Skinner Il femminismo La teoria critica: Jrgen Habermas Il multiculturalismo: Will Kymlicka La democrazia deliberativa: Joshua Cohen, Amy Gutmann Teoria della giustizia e pluralismo: Isaiah Berlin, Brian Barry, David Gauthier, Stuart Hampshire

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a cura di Nico De Federicis defed@despammed.com Ultimo aggiornamento: 8 novembre 2002

Filosofia politica: links e testi


L'hegelismo in Italia nell'Ottocento
Le origini dell'idealismo in Italia (in inglese) Gli hegeliani in Italia (in tedesco) L'hegelismo a Napoli I traduttori: Antonio Torchiarulo Antonio Novelli (un riferimento in spagnolo) Giovanbattista Passerini Una pagina sulle traduzioni (in italiano). Antonio Tari e la peculiarit di Hegel. Camillo De Meis maestro di Spaventa (un discorso di De Meis, pubblicato da G. Cacciatore). I rapporti con Francesco Fiorentino, e con Antonio Labriola (Carteggio: 1861-1880) Back Augusto Vera La vita e le opere di Vera, e una breve scheda biografica. La citt natale: Amelia Vera sullo SWIF. Una scheda sulla filosofia italiana nell'ottocento, con un riferimento a Vera. Vera su Hegel e Trendelenburg: un riferimento bibliografico (articolo pubblicato nel 1873 sul Journal of Speculative Philosophy. Un volume di Karl Rosenkranz su Augusto Vera. Gli hegeliani in Italia: citazione di Vera (vedi sopra). La traduzione dell'Enciclopedia di Hegel. Back Bertrando Spaventa Opere di Bertando Spaventa: Opere, a cura di G. Gentile, rist. a cura di I. Cubeddu e S. Giannantoni, 3 voll., Firenze, Sansoni, [1924], 1972. Epistolario (vedi anche questa pagina, e quest'altra, in italiano): Epistolario (1847-1860) Napoli, Bibliopolis, 1995. Scritti su Bruno: Bertrando Spaventa, Lettera sulla dottrina di Bruno. Scritti inediti 1853-1854, a cura di M. Rascaglia e A. Savorelli, Napoli, Bibliopolis, 2000. Letteratura: G. Gentile, Bertrando Spaventa, Firenze, Vallecchi, 1920: l'opera che segna la rivalutazione della

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figura di Spaventa nella filosofia idealistica italiana del novecento; Sergio Landucci, L'hegelismo in Italia nell'et del Risorgimento,in "Studi storici", VI, 1965, n. 4. Fulvio Tessitore, Bertrando Spaventa e il "Giornale Napoletano di Filosofia e Lettere", Memorie dell'Istituto Italiano per gli studi filosofici, Napoli, Bibliopolis 1978. Alessandro Savorelli, Le Carte Spaventa della Biblioteca Nazionale di Napoli, Napoli, Bibliopolis, 1980. Eugenio Garin, Filosofia e politica in Bertrando Spaventa, con un'Appendice a cura di G. Tognon, Napoli, Bibliopolis 1983. Raffaello Franchini (a cura di), Bertrando Spaventa. Dalla "Scienza della logica" alla logica della scienza, Napoli-Salerno, Pironti 1986. Guido Oldrini, Filosofia e coscienza nazionale in Bertrando Spaventa, Urbino, Quattroventi, 1988. Claudio Tuozzolo, Dialettica e norma razionale. Bertrando Spaventa interprete di Hegel, Milano, Giuffr, 1999. Back Francesco De Sanctis Opere complete: F. De Sanctis, Opere, a cura di Carlo Muscetta, 21 voll., Torino, Einaudi, 1951 ss. F. De Sanctis, Scritti varii, inediti o rari, raccolti e pubblicati da B. Croce, Mapoli, Morano, 1898. F. De Sanctis, Saggi critici : saggi, nuovi saggi, scritti critici e vari, raccolti in quattro volumi: 1. ed. milanese a cura e con note di Paolo Arcari, "Biblioteca Storica", Milano Fratelli Treves, 1924. F. De Sanctis, Scritti politici, raccolti da G. Ferrarelli, Napoli 1924 , ora in Opere cit. F. De Sanctis, Memorie, lezioni e scritti giovanili, I, La giovinezza e studii hegeliani, a cura di Franz Brunetti, "Scrittori d'Italia", Bari, Laterza, 1962. Opere in rete Storia della letteratura italiana Lettere a Virginia: Edite da B. Croce, con una nota di T. Iermano, Napoli 1997. La scienza e la vita: Prolusione presso l'Universit di Napoli (18 novembre 1872). Schopenhauer e Leopardi Letteratura Benedetto Croce, Gli scritti di Francesco de Sanctis e la loro varia fortuna, Laterza, Bari 1917 Edoardo Cione, L'estetica di Francesco De Sanctis, Firenze, Barbera Editore, 1935 Luigi Russo, Francesco De Sanctis e la cultura napoletana, Firenze, Sansoni, 1959 Mario Mirri, Francesco De Sanctis politico e storico della civilt moderna, Firenze-Messina, D'Anna, 1961 Sergio Landucci, Cultura e ideologia in Francesco De Sanctis, Milano, Feltrinelli, 1963, 1977 Carlo Muscetta (a cura di), Francesco De Sanctis nella storia della cultura, "Biblioteca di Cultura Moderna" (nn. 895-896), 2 voll., Roma-Bari, Laterza, 1984 P. De Marchi, Rassegna desanctisiana, in "Giornale storico della letteratura italiana", 162 (1985), pp. 598-612. Fulvio Tessitore, Da Cuoco a De Sanctis. Studi sulla filosofia napoletana del primo Ottocento, Napoli, E. S.I., 1988 Carlo Muscetta, Francesco de Sanctis , Roma-Bari, Laterza, 1990 P. Jachia, Intoduzione a de Sanctis, Roma-Bari, Laterza, 1996 P. De Marchi, Appunti sullo stile dialogico e le forme di drammatizzazione nei "Saggi critici" di Francesco De Sanctis, in AA.VV., Nel segno di BeNeFri: Dialogicit e dialogo, Neuchtel 1999 Studi sulla Storia della letteratura
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Giovanni Nencioni, Francesco De Sanctis e la questione della lingua, Napoli, Bibliopolis Gianfranco Contini (a cura di), Scelta di scritti critici, Torino, Utet, 1949 Carlo Muscetta, Francesco De Sanctis, in Storia della letteratura italiana, a cura di E. Cecchi e N. Sapegno, VIII, Milano, Garzanti M. Paladini Musitelli, Il punto su De Sanctis, Bari-Roma, Laterza D. Della Terza, Francesco De Sanctis: gli itinerari della "Storia", in Letteratura italiana, diretta da A. Asor Rosa, IV, L'interpretazione, Torino, Einaudi. Riferimenti in rete De Sanctis su Liberliber Un sito su geocities Pagine desactisiane Notizia bibliografica Appunti sulla Storia della letteratura italiana Rinascita dell'hegelismo (Vera, Spaventa, De Sanctis) De Sanctis sullo SWIF Back Idealismo e positivismo La filosofia del positivismo italiano: una nota in lingua inglese. La filosofia evoluzionista nel XIX secolo: una sintesi. Positivismo e naturalismo Niccola Marselli scheda biografica Le leggi storiche dell'incivilimento: un volume di Niccola Marselli. Hegel e la musica: l'applicazione dell'hegelismo alla musicologia. Due volumi di Marselli sul Risorgimento. Marselli nella collezione di Bolland. Roberto Ardig Vita e opere Scheda biografica Opere complete: edizione critica in corso di pubblicazione. Ardig, Darwin e Spencer: un testo di H. Hoffding. Da Mondolfo ad Ardig: uno scritto di Gramsci. Ardig e la pedagogia. Un ritratto di Ardig. Letteratura Giovanni Landucci, La formazione di Roberto Ardig: un testo negli Atti dell'Accademia la Colombaria (1972). Wilhelm Bttemeyer, Roberto Ardig e la psicologia moderna: volume nelle pubblicazioni dell'Universit di Milano. Un numero monografico della Rivista di Storia della Filosofia dedicato ad Ardig (1991, n. 1). La pagina di uno studioso italiano di Ardig: Gian Franco Frigo Back
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Il neoidealismo
Appunti sul neoidealismo Il neoidealismo italiano Il neoidealismo italiano: Croce e Gentile La filosofia italiana e il neoidealismo Il contributo di Ugo Spirito al neoidealismo Uno studioso del neoidealismo italiano, e un suo scritto: Quale filosofia? La filosofia italiana e il neoidealismo di Croce e Gentile La pagina di Giuseppe Cacciatore (con un'ampia letteretura sul tema) Benedetto Croce vita e opere Una scheda Una breve scheda biografica Unascheda (in spagnolo). biografia (in spagnolo). Una bio-bibliografia con un'ampia nota sulla letteratura crociana (in tedesco). Una scheda (in inglese). Biografia essenziale. Opere L'Edizione nazionale delle Opere di Benedetto Croce, in corso di pubblicazione presso l'editore Bibliopolis. Una seconda edizione degli Scritti crociani, in corso di pubblicazione presso la casa editrice Adelphi. Il corpus degli Scritti. La Fondazione Biblioteca "Benedetto Croce" presso l'Istituto Croce di Napoli (con alcuni link a bibliografie di e su Croce). Letteratura Historical Materialism and the Economics of Karl Marx, di Benedetto Croce (in traduzione inglese). Un articolo su Croce (in spagnolo): di Bogdan Radica ("Studia Croatica", Ao 1971, Nm. 42-43). Un'estratto da Omaggio a Croce di Cesare Angelini. Riferimenti in rete L'Istituto "Croce" (Istituto Italiano per gli Studi Storici). Uno speciale della RTSI (Radiotelevisione Svizzera di lingua italiana): interviste radiofoniche in occasione del 50.esimo della morte del filosofo a Giuseppe Galasso, Maria Corti, Fulvio Tessitore, Biagio De Giovanni, Giovanni Pozzi e Marta Herling. Benedetto Croce e la Biblioteca del Senato Una scheda di David H. Richter (Johns Hopkins University) Croce sullo SWIF Back

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Giovanni Gentile Biografia essenziale Una scheda biografia Una bio-bibliografia presso l'Istituto Treccani Una biografia (in inglese) Opere L'edizione delle opere in pubblicazione presso l'editore Le Lettere Una scheda bibliografica e collegamenti alle opere (in tedesco). le maggiori opere in un ipertesto su riflessioni.it Carteggio Gentile-Donati Gentile su Vico Letteratura Annali della fondazione Ugo Spirito Alessandro Campi, Giovanni Gentile e la RSI Giovanni Gentile: lideologo del fascismo? Giovanni Gentile e la filosofia della libert Riferimenti in rete La fondazione Giovanni Gentile (presso l'Universit "La Sapienza" di Roma). L'editore Le Lettere Gentile sullo Swif Gentile su geocities Il concetto di cultura in Gentile La riforma di Giovanni Gentile Vari scritti sull'et del fascismo Una scheda su Gentile Back

Le scuole neokantiane
Il neokantismo (i maggiori autori delle scuole kantiane) Un saggio sul neocriticismo, di Wolfdietrich Schmied-Kowarzik (Universitt Kassel). La recezione di Frege di Bruno Bauch, un saggio di Kurt Walter Zeidler. Alcune traduzioni in francese di scritti dei neokantiani La scuola di Marburgo Una shede sul neokantismo marburghese (in francese). Un volume sulla filosofia del neocriticismo di Marburgo, pubblicato presso l'Universit di Heidelberg Ursprung und System Hermann Cohen La vita (in inglese) Una scheda biografica (in tedesco) Vita e opere di Cohen presso la Bibliotheca Augustana Opere
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Opera completa: Hermann Cohen, Werke, Verlag Georg Olms, Hildesheim 1977 ss. L'edizione degli scritti presso il Cohen Archiv dell'Universit di Zurigo I volumi dell'opera completa Una Recensione a: Numeri e misure, considerate secondo la teoria della conoscenza di H. v. Helmholtz (1887) Lettere Riferimenti in rete Il Cohen Archiv Documenti su Cohen (ducomentazione sull'autore a cura del Cohen Archiv) Liturgia ed etica: un confronto tra Cohen e Rosenzweig, di Martin D. Yaffe. Letteratura sull'autore Back Paul Natorp una immagine vita e opere (una bio-bibliografia in tedesco) L'autore presso la Philosophische Bcherei Una breve scheda biografica. Una scheda (in polacco) Opere Zur Frage der logischen Methode (1901), "Kant-Studien", VI, 1901, pp. 270-283. Sistematica filosofica Una recensione di Giovanni Reale a: Logos-Psyche-Eros. Metacritica alla "Dottrina platonica delle Idee Natorp nell'edizione critica di Kant Riferimenti in rete Natorp nei ricordi di Gadamer: un volume (Hans-Georg Gadamer: Philosophische Lehrjahre) L'influenza di Natorp sulla pedagogia americana Natorp e i neokantiani contro il positivismo etica e socialismo (notizie su Natorp). Natorp su internet. Back Ernst Cassirer Vita e opere (in italiano) Cassirer in internet: un ipertesto con collegamenti e un'ampia bio-bibliografia (in tedesco). Ernst-Cassirer Arbeitstelle, con testi sul pensiero di Cassirer e sulla disputa con Heidegger a Davos. La home page della Warburg-Haus di Amburgo. Opere Opera completa: Gesammelte Werke - Hamburger Ausgabe Il saggio sull'uomo (in inglese) Der Begriff der symbolischen Formen im Aufbau der Geisteswissenschaften

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Riferimenti in rete Ernst Cassirer in Hamburg, un intervento di Birgit Recki. L'autore sulle Philosophie-Seiten (in tedesco). Una scheda presso l'Universit di Princeton. Die vergessene Tradition Eine Erinnerung an den Philosophen Ernst Cassirer di Patrick Conley Il pensiero mitopoietico: un inedito confronto con Buchanan. Una pagina su open directory project. Una recensione a Mito e linguaggio. Il volume The Philosophy of Ernst Cassirer L'autore su geocities Back La scuola del Baden Wilhelm Windelband Biografia Una breve scheda Il sitema delle categorie, di W. Windelband (in tedesco) La prolusione del Rettorato: Storia e scienze della natura (in tedesco). Nomotetico e idiografico (la prefazione di una traduzione inglese). Windelband e Hans Johannes Wilhelm Cornelius Back Heinrich Rickert biografia (con una buona nota bibliografica) Vita e opere Una breve scheda bio-bibliografica Opere Opera completa: Smtliche Schriften (a cura di Rainer A. Bast). Teoria della definizione, di H. Rickert (una traduzione francese). Carteggio Heidegger-Rickert (1912-1933) Opere in rete Letteratura La philosophie des valeurs de Heinrich Rickert (un testo in francese). Riferimenti in rete Heinrich Rickert Forschungsstelle Una nota in italiano Societ di studi neokantiani e un riferimento alla pagina del neokantismo in rete Back Testi filosofici fondamentali: i "must read" della filosofia occidentale

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a cura di Corrado Del Bo' delbo@unipv.it e Francesca Di Donato france@sssup.it Ultimo aggiornamento: 26 ottobre 2002

Filosofia politica: links e testi


Marxismo
Eduard Bernstein Biografia e risorse Karl Kautsky Testi dal Kautsky Internet Archive Lenin Presso il Vladimir Lenin internet archive (in inglese) una bibliografia ragionata, i testi e links biografici Alcuni testi in traduzione italiana Rosa Luxembourg Il Rosa Luxembourg Internet Archive. Testi in italiano Altri testi in italiano Otto Bauer Letteratura primaria e secondaria (in tedesco) Testi (in tedesco) La Scuola di Francoforte Qui e qui due siti sulla storia della Scuola di Francoforte. Un'intervista a Giuseppe Bedeschi. Theodor Adorno Una sintesi della Dialettica dell'Illuminismo e una selezione di testi Herbert Marcuse Il sito della Herbert Marcuse Association). Su questa pagina e su questa, letteratura primaria e secondaria. Gyorgy Lukcs
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Testi primari e secondari on-line in tedesco, e gli indici dello Jahrbuch der Internationalen Georg-LukcsGesellschaft (dal 1996) La biografia e i testi in inglese Karl Korsch La lettera di Amedeo Bordiga a Karl Korsch Marxism and Philosophy A Non-Dogmatic Approach to Marxism Un'ampia raccolta di testi in portoghese Una scheda sul marxismo di Korsch Ernst Bloch Una biografia di Ernst Bloch Il sito del Bloch Zentrum con l'utile bloch online Wrterbuch Il bloch-online-forum La Virtuelle Bloch Akademie Roger Garaudy Un sito bibliografico in francese The Founding Myths of Israeli Politics Louis Althusser Il Louis Althusser Archive Una bio-bibliografia in spagnolo Il marxismo in Italia Antonio Labriola In memoria del Manifesto dei comunisti (testo integrale) Dal discorso in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico 14 novembre 1896 (testo integrale) Del materialismo storico (testo integrale) Alcune traduzioni dei testi in inglese e in francese Antonio Gramsci La biografia e la bibliografia completa dei testi Fondazione Istituto Gramsci con il catalogo della biblioteca on-line International Gramsci Society Newsletters Sito brasiliano con bibliografia primaria e secondaria Il marxismo analitico Una bibliografia essenziale sul marxismo analitico (con alcuni abstract). La Jon Elster Homepage. Una pagina su Jon Elster. Un'altra pagina su Jon Elster. Una pagina su John Roemer. Una pagina su G.A. Cohen.

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a cura di Brunella Casalini casalini@unifi.it Ultimo aggiornamento: 12 settembre 2002

Filosofia politica: links e testi


Pragmatismo
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Risorse e bibliografia generali sul pragmatismo: La filosofia pragmatista ha origine negli Stati Uniti alla fine del XIX secolo. Suoi esponenti principali sono considerati: Pierce, James, Dewey, Mead e Thuft. Significativa, tuttavia, anche l'opera di autori, considerati minori, quali: Horace M. Kallen, W. E. B. DuBois, Alain Leroy Locke, Oliver Wendell Holmes (considerato il primo pragmatista giuridico) e Jane Addams
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Pragmatist Cibrary Pragmatism Archive

Autori:

Charles Sanders Peirce (1839-1914) Peirce svilupp una teoria post-kantiana delle categorie e una teoria dei segni. Sua l'invenzione del termine "pragmatismo". In un articolo del 1905, What Pragmatism is, spiegando perch avesse scelto "pragmatismo", piuttosto che "praticalismo" o "praticismo", Peirce scriveva: "For one who learned philosophy out of Kant ... praktisch and pragmatisch were as far apart as the two poles, the former belonging to a region of thought where no mind of the esperimentalist type can ever make sure of solid ground under is feet, the latter expressing relation to some definite human purpose. Now quite the most striking feature of the new theory was its recognition of an inseparable connection between rational cognition and rational purpose; and that consideration it was which determined the preference for the name pragmatism"
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What Pragmatism is, "The Monist", vol. 15, no. 2 (April 1905), pp. 161-181. Arisbe, the Peirce Gateway Peirce Edition Project. Molte delle opere di Peirce sono qui disponibili on line. Il sito offre anche una presentazione generale dell'opera e della vita dell'autore.

William James (1842-1910)


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William James Web Site. Molte opere di James sono qui disponibili on line. Il sito offre anche una presentazione generale dell'opera e della vita dell'autore. William James in Philosophy Pages.

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Links e testi 3 (filosofia politica)

John Dewey (1859-1952) Il suo pensiero si caratterizza per il tentativo di colmare la distanza tra pensiero e azione, tra teoria e prassi. Il liberalismo deweyano vicino per molti aspetti al liberalsocialismo di Hobhouse.
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The Internet Enciclopedia of Philosophy Breve presentazione enciclopedica del pensiero di Dewey. John Dewey Society Center for Dewey Studies

George Herbert Mead (1836-1931) A lui si deve quella teoria dell'emergenza della mente dal processo di comunicazione con altri significativi che divenuta uno dei presupposti fondamentali dell'interazionismo simbolico. L'influenza del suo pensiero stata fondamentale sulla filosofia, sulla sociologia e la psicologia sociale americana.
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The Internet Encyclopedia of Philosophy Breve presentazione enciclopedica del pensiero di Mead Mead Project Site, Dipartimento di sociologia della Brock University. Si possono trovare qui molte opere e articoli di Mead on line. George Herbert Mead Discussion List

Jane Addams (1860-1935) Fond nel 1889, a Chicago, il social settlement Hull House. Intorno a lei si riunirono altre figure femminili attive nel movimento riformista e pacifista: Florence Kelly, Julia Lathrop, Grace e Edith Abbott."
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Jane Addmas Hull House Museum Jane Addams Collection. Papers, 1838-date (bulk 1880-1935) Jane Addams, "Democracy or Militarism".Address before the Chicago Liberty Meeting, April 30, 1899 Jane Addams, "Why Women Should Vote," 1915

Horace M. Kallen (1882-1974)


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The Horace M. Kallen Papers at the American Jewish Archives

Alain Leroy Locke (1886-1954) Attivo nel movimento dei neri americani, Alain Locke valorizz la cultura e la letteratura afroamericana, convinto che solo l'acquisizione di una positiva coscienza di razza avrebbe potuto garantire una reale evoluzione dei neri americani. Contro le concezioni della razza fondate su concezioni essenzialiste, Locke propose una nozione di razza come costruzione sociale.
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A biographical sketch and annotated blbliography written by Talmadge C. Guy Alain Leroy Locke Society

Autori pragmatisti contemporanei:

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Links e testi 3 (filosofia politica)

Williard van Orman Quine (1908-2000)


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Interview between W. V. Quine and Yasuhiko Tomida Home Page for Quine, 1908-2000. The Writings of Quine.

Hilary Putnam
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Pagina su Putnam a c. di Alberto Gazzola Bibliografia putnamiana a c. di Carlo Nizzo

Richard Rorty
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Richard Rorty's Home Page A Talent for Bricolage. An Interview with Richard Rorty, di Joshua Knobe, "The Dualist", 2, 1995, pp. 5671. Richard Rorty: Internet Links

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Links e testi (filosofia politica)

a cura di Emanuela Ceva cevaem@tin.it e Corrado Del Bo' delbo@unipv.it Ultimo aggiornamento: 24 ottobre 2002

Filosofia politica: links e testi


La teoria politica normativa
Premessa

Utilitarismo
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Una definizione Risorse: Risorse e bibliografia sull'utilitarismo Risorse sull'utilitarismo Autori: Henry Sidgwick Profilo biografico, con link alle opere principali The Methods of Ethics The Elements of Politics Richard M. Hare Profilo biografico Sull'universalizzabilit John Harsanyi Autobiografia Peter Singer Risorse su Singer

Bernard Williams
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Articoli e recensioni Recensione de La moralit. Un'introduzione all'etica

John Rawls
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Una bibliografia delle maggiori opere di Rawls Utile raccolta di documenti scritti da e su Rawls (saggi, interventi critici, percorsi tematici) Breve introduzione enciclopedica al pensiero rawlsiano con link esplicativi dei termini fondamentali (utile come primo approccio) Dalla Stanford Encyclopedia of Philosophy una trattazione sintetica delle idee di posizione

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Links e testi (filosofia politica)

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originaria, equilibrio riflessivo, proceduralismo puro e velo di ignoranza. Presentazione del liberalismo politico Un ottimo intervento di Thomas McCarthy sul dibattito tra Rawls e Habermas Recensione a Il diritto dei popoli

Liberalismo

1. Liberalismo classico
Definizioni Introduzione al liberalismo Piccola antologia del pensiero liberale (a cura di M. Bassani e C. Lottieri, formato PDF) What is Classical Liberalism? r Risorse Risorse in rete Risorse del von Mises Institute r Autori Carl Menger Biografia, pensiero e opere Pagina su Carl Menger, con parte dei Principles of Economics Altri testi di Menger on line Ludwig von Mises Biografia e pensiero Bibliografia, con link ai testi Friedrich Hayek Biografia e pensiero Il pensiero di Hayek, con link alle risorse in rete Risorse su Hayek, con link ad alcune opere Milton Friedman Homepage Risorse James Buchanan Homepage Collected Works (testi on line) Risorse 2. Liberals Un'introduzione critica alle virt liberali r Ronald Dworkin Articolo tratto da Philosophy and Public Affairs sull'impossibilit dello scetticismo radicale; e Simposio sull'articolo di Dworkin con interventi di Simon Blackburn, Michael Otsuka, Nick Zangwill, e una risposta di Ronald Dworkin Saggio sulla teoria costituzionalistica del diritto di Ronald Dworkin r Charles Larmore Introduzione al pensiero liberale di Charles Larmore Un atricolo di critica al liberalismo neutralista Un articolo di Charles Larmore a critica del repubblicanesimo di Petitt r Amartya Sen Articolo autobiografico ospitato dal sito del Nobel Articolo di Sen su "Food and Freedom" Articolo essenzialmente basato sul libro di Sen "Libert e sviluppo"
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Links e testi (filosofia politica)

Articolo di Sen sui diritti umani ed il processo di occidentalizzazione Articolo di Sen su sviluppo e libert Recensione di Equality Reexamined Libertarismo

1. Libertarismo di destra
Ayn Rand Presso l'Ayn Rand Institute, biografia, con estratti delle opere e risorse sull'oggettivismo Risorse su Rand presso l'Ayn Rand Society The Journal of Ayn Rand Studies r Murray N. Rothbard Biografia e pensiero Bibliografia, con link ai testi Risorse su Rothbard r Robert Nozick Homepage, con informazioni sulle opere Pagina su Nozick Why Do Intellectuals Oppose to Capitalism? Breve articolo di Robert Nozick Saggio su Nozick Saggio su Nozick r Journal of Libertarian Studies r Link ai critici del libertarismo di destra 2. Libertarismo di sinistra
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Comunitarismo
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MacIntyre Sito di informazioni bibliografiche primarie e secondarie su MacIntyre Articolo su MacIntyre Estratti da After Virtue Michael Sandel Rassegna stampa dello SWIF su Michael Sandel Charles Taylor Bibliografia di fonti primarie e secondarie su Taylor Un articolo su democrazia e patriottismo Articolo di Taylor su Two Theories of Modernity Walzer Curriculum Vitae Intervista a Walzer su democrazia, multiculturalismo e tolleranza Un'intervista a Walzer su democrazia e societ civile Recensioni a Geografia della morale e Pluralism, Justice and Equality

Repubblicanesimo
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Portale italiano del repubblicanesimo Cosa il repubblicanesimo Philip Petitt

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Links e testi (filosofia politica)

Homepage Note di lettura su Repubblicanesimo Quentin Skinner Homepage Intervista a Skinner

Femminismo: una bibliografia a cura di Francesca di Donato La teoria critica di Jrgen Habermas
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Articolo di Maurizio Passerin d'Entrves su Habermas e democrazia discorsiva Lista di pubblicazioni di Habermas Articolo di Habermas sulla necessit di una costituzione europea Breve introduzione al dibattito tra Habermas e Gadamer Saggio di Joel Anderson sull'etica del discorso Pagina dello SWIF dedicata alle risorse web su Habermas (con una scheda biograficoconcettuale e lista delle pubblicazioni e della critica)

Multiculturalismo Due recensioni a contrasto per inquadrare il dibattito sul multiculturalismo: G. Sartori, Pluralismo, Multiculturalismo e Estranei e A. Semprini, Multiculturalismo
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Will Kymlicka Home Page di Kymlicka Pagina di presentazione a Politics in the Vernacular: Nationalism, Multiculturalism and Citizenship Pagina di presentazione a Multicultural Citizenship Pagina di presentazione a Liberalism, Community and Culture Dibattito tra Susan Moller Okin ( trad. it.) e Will Kymlicka su multiculturalismo e femminismo

Democrazia deliberativa Pagina introduttiva Articolo di James Fishkin sulla democrazia deliberativa Saggio sulla democrazia deliberativa di A. Gutmann and Thompson Saggio di Philip Pettit Contributo su democrazia deliberativa e globalizzazione Articolo sulla Social Choice Theory e democrazia deliberativa Articolo di Maurizio Passerin d'Entreves su democrazia deliberativa e multiculturalismo Articolo sul proceduralismo habermasiano e democrazia deliberativa
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Joshua Cohen Bibliografia Articolo di critca su Cohen e la politica delle differenze di Iris Marion Young Abstract di un intervento di Cohen su democrazia e pluralismo Amy Gutmann Home Page Presentazione di Democracy and Disagreement Articolo di Dennis Thompson sulla democrazia liberale

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Links e testi (filosofia politica)

Teorie della Giustizia e Pluralismo


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Isaiah Berlin The Isaiah Berlin Virtual Library Bibliografia generale su Berlin Contributo di Berlin sul pluralismo Contributi sul pluralismo pre-Berlin Articolo su Berlin (pluralismo e liberalismo) Brian Barry: Justice as Impartiality Articolo di Geoffrey Cupit sulla giustizia come imparzialit Introduzione al concetto di imparzialit David Gauthier: Justice as Mutual Advantage Introduzione alla teoria dei giochi Introduzione al dilemma del prigioniero Saggio introduttivo a Gauthier Recensione a Morals by Agreement Stuart Hampshire: Procedural Justice Estratto da Justice as Strife Tanner Lecture su Justice is Conflict Estratti da Innocence and Experience

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Premessa

a cura di Emanuela Ceva cevaem@tin.it e Corrado Del Bo' delbo@unipv.it Ultimo aggiornamento: 24 ottobre 2002

Filosofia politica: links e testi


Premessa alla Teoria Politica Normativa
Con l'espressione 'teoria politica normativa' si intende una tradizione di filosofia politica, sviluppatasi prevalentemente in area anglosassone, che si propone la valutazione morale di tutto ci che costituisce 'politica'. Da questo punto di vista, stata fondamentale la pubblicazione del testo di J. Rawls A Theory of Justice (1971), con cui veniva offerta un'alternativa coerente e plausibile al paradigma eticopolitico all'epoca dominante, l'utilitarismo, e venivano riabilitati gli impegni normativi della filosofia pratica. La teoria della giustizia di Rawls, che riformula a un pi elevato livello di astrazione la teoria del contratto sociale in un quadro teorico liberale e democratico, stata oggetto di un ampio dibattuto, nel corso del quale il riconoscimento del suo indubbio valore teorico si a volte accompagnato a critiche serrate. Tra queste ultime, le tesi libertarie di Robert Nozick e le riflessioni degli autori comunitari sono quelle che hanno ricevuto pi vasta eco. Nel frattempo, l'emergere del 'fatto' pluralismo suggeriva, a Rawls ma anche ad altri autori, l'elaborazione di teorie della giustizia meno esigenti per quel che riguarda i valori di fondo che informano, o dovrebbero informare, la societ liberale e democratica. I link presenti in questa pagina sono stati raccolti e organizzati allo scopo di offrire un resoconto di tutto questo.

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Pluralismo, identit e riconoscimento. Modelli teorici di convivenza. CAPITOLO IV

Spazio tesi . Ultimo aggiornamento: 7 luglio 2000

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CAPITOLO IV
La risposta di John Rawls: il liberalismo politico

Un'impostazione riconducibile all'area liberale neutralista, in modo del tutto peculiare e ricco di spunti problematici di riflessione, quella delineata da John Rawls, in particolare quella che possiamo ricostruire a partire dalle pagine di Liberalismo politico. Dopo avere proposto, in Una teoria della giustizia, l'idea della giustizia come equit, Rawls a pi di vent'anni di distanza articola nuovamente la sua riflessione, in modo tale da proporre una risposta ad una questione solamente tratteggiata nello scritto precedente. Tale questione s'iscrive a pieno titolo entro il dominio delle nuove sfide introdotte da quel fenomeno socio-politico e culturale che abbiamo definito nei termini di multiculturalismo: sfide, cio, di convivenza pacifica, nella durata, tra soggetti con dimensioni identitarie e dottrine comprensive differenti, una convivenza che si realizzi secondo modalit accettabili da tutte le parti in causa, all'interno dei loro propri orizzonti etici di appartenenza, molto distanti gli uni dagli altri, a volte anche opposti.

1. Le ragioni del Liberalismo politico


Rawls formula la sua riflessione chiedendosi: come possibile che esista e duri nel tempo una societ stabile e giusta di cittadini liberi e uguali profondamente divisi da dottrine religiose, filosofiche e morali incompatibili, bench ragionevoli? [Rawls, 1994, p.6] Gi in Una teoria della giustizia Rawls si era posto questioni di stabilit, individuando nell'adesione alla teoria della giustizia come equit - un'adesione condivisa da tutti i cittadini il fondamento motivazionale della fedelt all'assetto istituzionale, articolato a partire proprio da questa concezione filosofico-politica. Quella che Rawls proponeva come base della lealt ad un determinato assetto istituzionale che si fosse rivelato giusto sulla base dei requisiti richiesti dalla teoria della giustizia come equit era una dottrina comprensiva (ove per dottrina comprensiva intendiamo una dottrina, appunto, che racchiuda tutto ci che per noi vale, il nostro orientamento generale sul mondo e sull'idea di bene), condivisa da tutti i membri della societ, e intesa come una concezione inclusivamente estesa all'intero ambito di ci che per noi ha un qualche valore. Date queste premesse, non difficile comprendere su quali basi si articolassero le critiche mosse da varie
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parti alla prospettiva rawlsiana: l'accusa era quella di non avere preso sul serio il fatto del pluralismo delle concezioni del bene dei soggetti coinvolti, proponendo una teoria normativa fondata su di una dottrina comprensiva particolare (quella della giustizia come equit) e, in quanto tale, possibile oggetto di controversie. Non dimentichiamo, poi, come il pluralismo possa essere considerato come una conseguenza naturale del libero esercizio della ragione, una libert questa che va ascritta e tutelata ad ogni singolo individuo, come peraltro assicura il diritto a pari libert fondamentali, garantito dalla stessa teoria rawlsiana. E', dunque, di fronte a tali aporie che Rawls decide di rivedere la formulazione della sua proposta tenendo in considerazione le condizioni pluralistiche entro le cui coordinate ogni riflessione filosofico-politica postmoderna deve muoversi: ecco allora che se il pluralismo delle dottrine comprensive [] deve essere preso sul serio, una teoria politica normativa non pu basarsi su una dottrina comprensiva di tutto ci che ha o deve avere valore per i partner della comunit politica liberale. La teoria della giustizia deve allora includere un sottoinsieme di valori che specificato dai valori (solo) politici fondamentali che devono modellare il solo ambito del politico. In questo senso preciso il liberalismo che Rawls propone politico: esso non pu essere, ad esempio, etico [Veca, 1998, p.102]. Comprendiamo, allora, il perch Rawls dedichi una particolare attenzione, fin dalle prime pagine di Liberalismo politico, alla descrizione delle condizioni pluralistiche con le quali ogni teoria politica chiamata a misurarsi: una societ democratica moderna non caratterizzata soltanto da un pluralismo di dottrine religiose, filosofiche e morali comprensive, ma da un pluralismo di dottrine comprensive incompatibili e tuttavia ragionevoli. Nessuna di queste dottrine universalmente accettata dai cittadini; n c' da attendersi che in un futuro prevedibile una di esse, oppure qualche altra dottrina ragionevole, sia mai affermata da tutti i cittadini, o da quasi tutti. Il liberalismo politico assume che, ai fini della politica, una pluralit di dottrine comprensive ragionevoli ma incompatibili sia il risultato normale dell'esercizio della ragione umana entro le libere istituzioni di un regime democratico costituzionale [Rawls, 1994, pp.5,6].

2. La posizione originaria e il velo di ignoranza


Prima di esaminare da vicino la risposta che Rawls propone alle sfide per la convivenza pacifica entro contesti caratterizzati in termini pluralistici, vorrei prendere in considerazione gli aspetti della dottrina rawlsiana che ci permettono di collocarla a pieno titolo entro la famiglia delle teorie liberali neutraliste: in modo particolare vorrei concentrarmi sull'idea di posizione originaria e sui vincoli ad essa posti dal velo d'ignoranza. 2.1 Innanzitutto, mi sembra interessante riportare un'osservazione di Alessandro Ferrara, il quale ci permette di notare come Rawls, bench rifugga dall'uso di questo termine, intende la sua teoria della giustizia come neutrale non gi nel senso che essa non presupponga nulla riguardo al bene, bens nel senso che la sua accettazione non dipende dall'accettazione di teorie o concezioni del bene controverse, ossia controverse all'interno dello spazio del dibattito pubblico delle societ democratiche. Come ogni teoria liberale della giustizia, anche la giustizia come equit di Rawls aspira a collocarsi in uno spazio neutrale rispetto alle diverse concezioni morali che si contendono il campo della sfera pubblica delle democrazie moderne [Ferrara, 1992, p.XXI]. Da ci si pu vedere come Rawls - alla pari con l'impostazione liberale neutralista - individui nella neutralit (o meglio nella non-eticit - nel senso della non rilevanza delle dottrine comprensive e delle concezioni del bene ad esse associate) dell'arena politica il requisito fondamentale per la costruzione di una societ giusta ed equa nei confronti delle diverse anime che ne fanno parte: dato che la concezione politica condivisa da tutti mentre le politiche ragionevoli non lo sono, dobbiamo distinguere una base pubblica di giustificazione, universalmente accettabile dai cittadini e relativa alle questioni politiche fondamentali, e le numerose basi di giustificazione non pubbliche associate alle numerose dottrine
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comprensive e accettabili solo per coloro che affermano queste ultime [Rawls, 1994, p.8]. Il liberalismo politico, cio, non propone nessuna dottrina comprensiva che abbia pretese di verit, da affermare contro altri orizzonti di valori, n si propone di giudicare o attaccare alcuna posizione etica specifica. Il liberalismo politico si presenta, invece, come una teoria essenzialmente politica, e in quanto tale impegnata esclusivamente nell'individuazione di valori politici, neutrali rispetto alle diverse concezioni della vita buona in competizione tra loro: detto altrimenti, l'assunzione di base che tutti i cittadini affermino una dottrina comprensiva alla quale la concezione politica che accettano in qualche modo correlata; ma uno dei caratteri distintivi di una concezione politica proprio il suo essere presentata come concezione autonoma ed esposta a prescindere da un simile sfondo pi generale, ovvero senza esservi riferita. Possiamo dire, per usare un'espressione corrente, che la concezione politica un modulo, una parte costitutiva essenziale che si adatta a varie dottrine comprensive ragionevoli, le quali hanno un'esistenza duratura nella societ da essa regolata, e trova in queste un sostegno [Rawls, 1994, p.30]. E' riconoscibile in quest'idea la cesura tipicamente operata dalle teorie liberali tra una sfera pubblica, politicamente rilevante, ed una sfera privata (non necessariamente identificata con la dimensione individuale, ma anche riconducibile a realt di gruppo, comunque particolari) connotata in termini etici, e messa tra parentesi qualora si discutano questioni politiche di interesse collettivo. In special modo, tale separazione dev'essere netta in tutte quelle procedure mirate all'individuazione di principi politici condivisi, che regolamentino le interazioni tra soggetti - individuali e collettivi - in condizioni pluralistiche, e definiscano gli equi termini della cooperazione sociale. 2.2 Questi termini vengono introdotti da Rawls a partire dalla presentazione delle condizioni in cui essi vengono individuati: troviamo qui una riedizione dell'idea di contratto sociale, come procedura per la costruzione di uno schema di cooperazione sociale, equo nei confronti di tutti i soggetti; un'idea che ora prende la forma di un esperimento mentale mirato alla ricostruzione razionale del nostro senso di giustizia. La situazione iniziale di scelta viene, allora, presentata da Rawls nei termini di una posizione originaria in cui i cittadini, o meglio le parti in quanto rappresentanti di questi ultimi, sono chiamati a scegliere i principi di giustizia su cui fondare il modello di cooperazione sociale, essendo all'oscuro sulle loro identit particolari, sulle loro doti naturali, sulla collocazione sociale e sulle proprie concezioni del bene: tutte informazioni, queste, su cui viene steso un velo d'ignoranza, che le rende indisponibili ai fini di una scelta di portata collettiva. Quest'idea ci permette, dunque, di trovare un punto di vista che si distanzi dagli aspetti particolari del quadro di fondo onnicomprensivo, che non sia distorto da tali aspetti, e a partire dal quale si possa raggiungere un accordo equo fra persone considerate libere e uguali [Rawls, 1994, p.38]; entrare in posizione originaria significa, allora, fare astrazione dalle nostre preferenze personali e dalla nostra adesione a determinati orizzonti di valori, al fine di pervenire ad una scelta dei principi di giustizia, accettata da tutte le parti in causa. Le parti, in quanto rappresentanti degli interessi di cittadini liberi e uguali, si trovano in posizione simmetrica le une rispetto alle altre e sono impegnate nel raggiungimento di un accordo in condizioni eque e che si riveli equo nei confronti delle diverse prospettive proprie dei membri della comunit di riferimento. Tali condizioni eque sono date dai vincoli posti dal velo d'ignoranza, su quelle che possono essere proposte come buone ragioni per l'adesione al nucleo dei principi fondamentali: questo significa che il fatto di occupare una particolare posizione sociale non buona ragione per proporre, o per aspettarsi che altri accettino una concezione della giustizia che favorisca tale posizione. E, analogamente, il fatto di sostenere una particolare dottrina comprensiva, religiosa, morale o filosofica, e la concezione del bene a essa associata, non una buona ragione per proporre, o per aspettarsi che altri accettino, una concezione della giustizia che favorisca i seguaci di tale dottrina [Rawls, 1994, p.39]. Il velo di ignoranza permetterebbe, dunque, secondo Rawls, di valutare impersonalmente i principi di giustizia su cui si definiscono i termini equi per la cooperazione sociale e di scegliere questi ultimi razionalmente, in modo da tutelare gli interessi dei pi deboli: infatti, al buio sulla nostra sorte sociale e naturale, scegliamo
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quella distribuzione in cui migliore la condizione di chi sta peggio [Veca, 1998, p.67].

3. Il consenso per intersezione


3.1 Una volta definito il senso della neutralit della posizione rawlsiana ed individuate le procedure per la costruzione di una societ bene ordinata, in termini di equit, il problema che emerge quello di garantire la stabilit nel tempo della cooperazione sociale e motivare l'adesione e la lealt dei cittadini ai valori politici fondamentali, su cui si struttura l'assetto sociale stesso. Non dimenticando mai le premesse pluralistiche da cui eravamo partiti, tale adesione non potr che fondarsi su di un consenso prettamente politico, che permetta la realizzazione di un orizzonte di condivisione che non precluda ai soggetti la possibilit di mantenere vivi i legami con le proprie cerchie di lealt particolari. E' a questo proposito che Rawls introduce l'idea di un consenso per intersezione (overlapping consenus), come base per la realizzazione di una convivenza pacifica entro coordinate multiculturali. L'idea di fondo che i principi di giustizia per l'ambito del politico devono giacere, per cos dire, nel sottoinsieme di intersezione non vuoto fra gli insiemi delle dottrine comprensive [Veca, 1998, p.103]. L'adesione ai valori politici fondamentali, definiti dalla teoria della giustizia come equit, viene ricondotta cos alle ragioni che ogni cittadino pu trovare entro la propria dottrina comprensiva, ragioni che lo spingono a collaborare con i suoi partner sociali per la costruzione di un assetto sociale ed istituzionale, il pi possibile stabile, i cui principi di base siano circoscrivibili nell'area di condivisione generatasi dalla sovrapposizione delle diverse prospettive sul mondo coinvolte. Entro un simile consenso le dottrine ragionevoli fanno propria, ciascuna da suo punto di vista, la concezione politica. L'unit sociale si basa su un consenso intorno alla concezione politica; la stabilit possibile quando le dottrine che compongono questo consenso sono affermate dai cittadini politicamente attivi e il conflitto tra i requisiti della giustizia e di interessi essenziali dei cittadini, creati e incoraggiati dai loro assetti sociali, non troppo acuto [Rawls, 1994, p.123]. 3.2 L'adesione al nucleo di valori politici, circoscritto dal consenso per intersezione, avviene, secondo Rawls, per ragioni pubbliche definite in virt della ragionevolezza degli attori sociali, o meglio dalla priorit da essi accordata alla ragionevole sul razionale. Siamo cos giunti ad un punto cruciale della tesi rawlsiana che vorrei affrontare partendo dall'idea di persona come cittadino, proposta entro tale prospettiva. Rawls assume che le persone, proprio in quanto cittadini, dispongano tutte delle capacit necessarie per divenire a pieno titolo membri cooperativi di una societ, intesa proprio come equo sistema di cooperazione; tali capacit vengono individuate nei due poteri morali che sono a) la capacit di senso di giustizia e b) quella di concepire il bene. Il senso della giustizia la capacit di comprendere e applicare la concezione pubblica della giustizia che caratterizza gli equi termini della cooperazione sociale, nonch di agire in base a essa; e data la natura della concezione politica, che specifica una base pubblica di giustificazione, il senso di giustizia esprime anche una disponibilit ad agire verso gli altri [...] La capacit di concepire il bene capacit di formarsi, rivedere e perseguire razionalmente una concezione del proprio vantaggio razionale, o bene [Rawls, 1994, p.35]. Sulla base di questi due poteri morali ogni individuo risulta essere in grado di agire sia razionalmente che ragionevolmente: il nostro essere razionali ci spinge a realizzare un progetto di vita fedele alle nostre concezioni del bene particolari, dunque ci incoraggia a perseguire i nostri interessi in base ad un calcolo essenzialmente autoreferenziale. Si comprende, cos, come un agire di questo tipo si fondi proprio su quelle concezioni della vita buona - racchiuse in particolari dottrine comprensive - su cui si basano le divergenze proprie di un contesto pluralistico. Ecco, dunque, che al fine di rendere possibile la cooperazione sociale indispensabile ricorrere al ragionevole,
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che ci permette di perseguire i nostri fini tenendo in considerazione anche i punti di vista altrui, soppesando le nostre ragioni con quelle di altri; essere ragionevoli significa, quindi, avere senso di giustizia, nel senso minimale di rendere conto della presenza e dell'interazione con altri. Detto altrimenti, coloro che sono disposti a cooperare nel dominio del ragionevole si riconoscono cos mutuamente come partner della cerchia della comune lealt civile [Veca, 1997, p.192]. Comprendiamo cos come alla base della condivisione tra soggetti ragionevoli vi una preoccupazione, un impegno di reciprocit connessa ai benefici collettivi della cooperazione che , invece, estranea alla dimensione del razionale il cui interesse circoscritto ai benefici del singolo soggetto: questo non significa necessariamente che un agente razionale abbia esclusivamente interessi egoistici, ma che il suo interesse principe non sia quello di impegnarsi in un progetto di collaborazione, i cui termini possano essere accettati da tutti gli altri, bens quello di perseguire un qualsiasi progetto - anche d'interesse collettivo - fondando le proprie scelte su di un calcolo dei costi e benefici personali. 3.3 L'idea di ragionevolezza importante in quanto ci permette di comprendere anche il significato specifico del dissenso ragionevole, appunto, individuato da Rawls alla base dei conflitti pluralistici: le fonti di un dissenso ragionevole fra persone ragionevoli - gli oneri del giudizio - non sono altro che i numerosi rischi impliciti nell'esercizio corretto (e coscienzioso) dei nostri poteri di ragione e giudizio nel corso normale della vita politica [Rawls, 1994, p.63]. Il dissenso ragionevole si presenta, dunque, come connesso alla variet dei giudizi espressi dai soggetti ragionevoli; giudizi che ogni cittadino chiamato a formulare circa un bilanciamento tra i propri differenti interessi e fini personali, e tra questi e quelli di propri partner sociali. Nel formulare giudizi di questo tipo inevitabile che sorgano dissensi circa il modo d'intendere situazioni complesse, alla luce dei rispettivi sistemi di valore, anche tra agenti orientati all'intesa - come direbbe Habermas - che tengano in considerazione anche le prospettive altrui. Tale dissenso si distingue, comunque, dalle divergenze irragionevoli connesse all'agire egoistico di individui le cui azioni sono orientate al successo ed al beneficio personale. Queste considerazioni rendono chiaro il perch Rawls, presentando l'idea del consenso per intersezione, ricorra al concetto di dottrine comprensive ragionevoli, riconoscendo in esse i termini del consenso stesso: solo persone che aderiscono a dottrine comprensive ragionevoli, infatti, hanno la capacit di riconoscere il valore di prospettive altre, senza per questo dovere rinunciare alle pretese di validit della propria. Riconoscere una dottrina ragionevole, infatti, non significa farla propria o aderirvi necessariamente, ma comprenderne il senso e il valore per chi vi aderisce, riconoscendola almeno come potenziale alternativa alla propria posizione.

4. Conclusione
Queste caratteristiche del consenso per intersezione ci permettono di comprendere come questo venga posto alla base di un ordine politico che voglia essere stabile nel tempo; proprio in relazione a tale requisito della stabilit che Rawls opera un'importante distinzione tra consenso per intersezione, modus vivendi e consenso costituzionale. Il consenso come modus vivendi deriva da un calcolo prudenziale, per cui agenti razionali decidono che condividere un determinato nucleo di valori fondamentali conveniente da un punto di vista personale: si vede facilmente l'instabilit di un simile accordo, fondato su ragioni contingenti e preferenze razionali, che in ogni momento possono mutare o venire meno. Una maggiore stabilit connessa, invece, ad un consenso costituzionale, che pur non implicando un accordo sostanziale sui principi politici, controbilancia le divergenze quanto al modo di intenderli con un accordo formale sugli stessi: i principi, cio, sono accettati semplicemente in quanto principi, e non in quanto fondati sulle idee di societ e persona di una concezione politica, n - a maggior ragione - su una concezione pubblica condivisa [Rawls, 1994, p.142].
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Il consenso per intersezione, invece, collega tra loro tramite la teoria della giustizia come equit due nozioni sostanziali, alle quali rimane per altro profondamente legato: da un lato la nozione di individuo, in quanto cittadino, dall'altro un'idea di collettivit, come schema di cooperazione equa per il mutuo vantaggio. Come spiega lo stesso Rawls, infatti, il consenso si spinge fino alle idee fondamentali che fanno da cornice alla costruzione della giustizia come equit; presuppone un accordo abbastanza profondo da toccare idee come quella della societ come equo sistema di cooperazione, o dei cittadini come persone ragionevoli, razionali, libere e uguali [Rawls, 1994, p.135]. Alla luce di questo percorso vediamo chiaramente come le prospettive di cooperazione sociale e convivenza pacifica, entro contesti pluralistici, non possono pi essere fondate sulla condivisione di una sola dottrina comprensiva, religiosa, filosofica o morale. I membri delle societ complesse non per questo, per, sono condannati all'isolamento atomistico o alla perdita di una qualsiasi prospettiva di condivisione: se essi non affermano pi la stessa dottrina comprensiva, possono comunque affermare ragionevolmente la stessa concezione politica, e abbracciare un nucleo di valori politici sulla cui base strutturare i rapporti di riconoscimento reciproco. Ecco, dunque, che, in ultima analisi, il liberalismo politico propone un modo nuovo di concepire l'unit sociale: la fa discendere, cio, da un consenso per intersezione intorno a una concezione politica della giustizia adatta a un regime costituzionale [Rawls, 1994, p.174].

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CAPITOLO III
La risposta liberale neutralista: Charles Larmore

Il principio basilare del liberalismo asserisce che lo stato dovrebbe rimanere neutrale rispetto a ideali della vita buona che siano oggetto di disputa e di controversia [Larmore, 1990, p.10]. Queste parole di Charles Larmore esprimono, efficacemente e sinteticamente, quale sia lo spirito che anima e d vita alle riflessioni liberali che, di fronte al fatto del pluralismo dei valori e delle concezioni del bene, propongono una convivenza tra soggetti differenti fondata sul rispetto reciproco, dovuto ad ogni individuo in quanto tale, a prescindere dalle sue convinzioni etico-culturali, che non trovano visibilit all'interno della sfera politica, pubblica.

1. Neutralit dello stato liberale


1.1 Alla base della proposta liberale vi la distinzione, o meglio la spaccatura tra una sfera pubblica (entro cui realizzare la condivisione di norme politiche per la convivenza pacifica, neutrali rispetto alle diverse concezioni del bene proprie dei soggetti coinvolti), ed una sfera privata, invisibile a livello politico, in cui trovano spazio gli orientamenti etici personali su cui non vi , e non pu esservi, un accordo che accomuni tutta una collettivit connotata in termini pluralistici. Pi semplicemente possiamo affermare che mentre il pubblico riguarda tutto ci che rientra all'interno del sistema politico, il privato concerne tutto ci che ne escluso [Larmore, 1990, p.59]. Gi da queste poche parole si evidenzia chiaramente la profonda diversit che intercorre tra la prospettiva liberale e quella comunitaria: l avevamo uno Stato fortemente presente nella vita dei cittadini, nelle loro scelte etiche e culturali, i quali si riconoscevano pienamente, e sotto ogni aspetto, nelle istituzioni chiamate a rappresentarli; qui abbiamo uno stato per il quale non ha rilevanza alcuna l'orizzonte etico di appartenenza dei cittadini, il cui status dipende dai diritti negativi di cui essi godono nei confronti dello stato stesso e dei concittadini. Se, dunque, il problema cruciale introdotto dal pluralismo dei valori l'individuazione di una modalit di convivenza pacifica tra soggetti con identit e concezioni del bene differenti, il liberalismo vede come unica risposta possibile, a tali questioni, la neutralit del discorso politico i cui partecipanti, preso atto
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dell'inconciliabilit delle diverse nozioni di vita buona, cercano un accordo accettabile da tutte le parti in causa, a prescindere dalle loro convinzioni private. Ecco che l'accordo verr, in questo modo, raggiunto senza fare appello alla presunta superiorit intrinseca di qualche particolare concezione del bene [Larmore, 1990, p.61], garantendo, in qualche modo, ogni gruppo dall'instaurarsi di una politica discriminatoria. 1.2 Tale ricorso alla neutralit viene presentato da Larmore come un modo del tutto naturale di risolvere questioni controverse: quando vi disaccordo tra due persone, queste possono adottare una posizione neutrale accantonando, per il momento, le opinioni controverse e continuando a conversare sulla base di tutte le altre loro credenze. [...] La strategia sta nell'astrarre da ci che contestato [Larmore, 1990, p.67]. Mettere tra parentesi le proprie convinzioni, su cui i nostri interlocutori non concordano, permetterebbe, cos, di costruire argomenti circa la credenza contestata; argomenti che, essendo fondati su elementi condivisi, potrebbero convincerli della validit della credenza controversa stessa. Inoltre, si potrebbero, in questo modo, aprire nuove angolazioni da cui considerare il problema, nuovi spazi su cui costruire una possibilit d'intesa. Astrarre da una determinata credenza non implica, secondo Larmore, che essa perda validit per il soggetto, il quale pu comunque rimanere convinto della sua verit, pur mettendola da parte ai fini della discussione. Credo che tale precisazione sia importante, in quanto evidenzia come per il liberalismo la neutralit sia un valore prettamente politico. Per usare un'espressione dello stesso Larmore, se la politica e le decisioni dello stato si devono poter giustificare neutralmente, non per necessario, per il liberale, che altre istituzioni operino nella societ con lo stesso spirito. Per esempio le chiese e le aziende possono perseguire obiettivi (la salvezza, il profitto) che esse ritengono ideali intrinsecamente superiori agli altri [Larmore, 1990, p.62]. In modo particolare l'impegno neutrale non deve investire i nostri ideali personali che ci permettono di condurre una vita degna di essere vissuta, qualunque cosa ci voglia dire, all'esterno della sfera politica; in altre parole ci che Larmore propone una neutralit valida a livello interpersonale, ma estranea entro una prospettiva intrapersonale. In effetti all'interno di una dimensione sociale ove nessun principio tradizionale pu pi essere dato per scontato, ma viene messo in discussione dalla coesistenza di prospettive teoriche eterogenee, la neutralit si presenta come lo strumento per raggiungere un accordo su principi politici comuni, che non siano viziati dalla influenza predominante di una particolare concezione del bene. Si pu, a questo punto, comprendere pienamente cosa Larmore intenda quando sostiene che il modo migliore di intendere l'ideale della neutralit quello di considerarlo come una reazione alla variet delle concezioni della vita buona [Larmore, 1990, p.60].

2. Una giustificazione neutrale della neutralit politica


2.1 Seguendo tale linea argomentativa, Larmore cerca di dare una giustificazione neutrale della neutralit politica non agganciandola a nessun assunto teorico di matrice valoriale, particolare e controverso: la neutralit si proporrebbe cos come soluzione alle problematiche introdotte dal multiculturalismo, non in quanto fondata sulla superiorit presunta di un qualche valore controverso, ma in quanto efficace strategia procedurale, qualora ci si trovi a discutere in mancanza di un accordo sostanziale su di una determinata concezione del bene. Siamo giunti, cos, ad un'altra importante osservazione che pu aiutare a chiarire il senso della tesi liberale proposta da Larmore; molti interventi critici, soprattutto di matrice comunitaria, contro il liberalismo, ne evidenziano un'ambiguit di fondo: il liberalismo ha sempre esortato alla tolleranza verso ideali e forme di vita diversi dai propri, ma quasi altrettanto spesso ha cercato di giustificare questa posizione facendo appello a qualche particolare e controversa visione della prosperit dell'uomo [Larmore, 1990, p.67].
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Pluralismo, identit e riconoscimento. Modelli teorici di convivenza. CAPITOLO III

Un esempio utile per chiarire tale riflessione si pu rintracciare nel tradizionale ricorso al valore dell'autonomia individuale, come base su cui fondare l'attribuzione di eguale rispetto ad ogni individuo, a prescindere dalla sua concezione del bene. Secondo tale prospettiva, in ultima analisi, la capacit individuale di scelta autonoma ci che risulta essere degno di rispetto; rispetto che si tradurrebbe nella non interferenza (sia da parte dello stato, che tra individui) con le scelte altrui circa l'adesione a determinati orizzonti di valore e visioni del mondo, proprio in virt del rispetto dovuto all'autonomia del soggetto che opera tali scelte. 2.2 Per ricostruire il valore dell'autonomia, della scelta autonoma, come capacit pi propria di ogni essere umano, il riferimento pi significativo quello alla moralit kantiana. Un'idea, questa, dell'autonomia che possiamo efficacemente riassumere utilizzando queste parole di Larmore: un uomo diventa pienamente umano solo quando, invece di rimanere soggetto a determinati bisogni e desideri, conforma la sua condotta a una legge che egli stesso emana, e la moralit non soltanto una forma di questa autolegislazione, ma anche una legislazione necessaria per raggiungere la nostra piena umanit [Larmore, 1990, p.47]. Kant partiva dalla constatazione che l'esperienza non fornisce alcuna idea della felicit e della perfezione che sia condivisa e sufficientemente determinata [Larmore, 1990, p.95]; di qui l'impossibilit di fondare la moralit (di natura universale) su di una qualche concezione del bene particolare. Ci cui si deve dare priorit la nozione interpretativa del giusto che ci indichi il modo in cui agire, non come conseguenza di una contingenza empirica, ma in osservanza di una legge morale categorica, formale ed universalmente valida. Per comprendere da dove derivi l'adesione kantiana all'ideale dell'autonomia necessario focalizzare la nostra attenzione sull'individuazione della base motivazionale degli obblighi morali, ovvero la natura dei motivi che possiamo avere per tentare di ottemperare a quelli che sono i nostri obblighi [Larmore, 1990, pp.96-97]. Ogni essere umano dovrebbe essere interessato, a prescindere da condizionamenti empirici, ad adempiere i propri doveri (anche se potrebbe, naturalmente, decidere di percorrere strade differenti); detto altrimenti non possiamo attribuire a qualcuno un obbligo, che gli attiene a prescindere dai suoi interessi empiricamente condizionati, a meno di supporre che egli abbia un interesse empiricamente incondizionato nell'adempierlo [Larmore, 1990, p.97]. Tale interesse deve essere essenzialmente morale, un interesse che spinga a compiere il proprio dovere per il dovere stesso, in quanto ogni altro motivo o finalit sarebbero empiricamente condizionati. Agire in tal modo per Kant significa agire in modo razionale, ed proprio nel mettere in atto comportamenti fondati sulla razionalit, che viene realizzato l'ideale dell'autonomia, come fedelt ad una legge interiore da noi stessi emanata; una legge indubbiamente razionale, essendo proprio la ragione a qualificarci come esseri umani. L'ideale dell'autonomia si basa su questo interesse incondizionato, un interesse che Kant definisce Vernuftinteresse (ossia, interesse della ragione), poich ogni essere umano, in quanto essere razionale, a prescindere dalla sua esperienza passata, sufficientemente motivato a compiere ci che ha il dovere morale di compiere [Larmore, 1990, p.97]. E' sulla base di queste considerazioni che Kant definisce l'ideale di persona, come razionalmente motivata all'adempimento dei propri doveri, e disgiunta da ogni condizionamento empirico; ed proprio alla luce di questo ideale che Kant si esprime a favore della neutralit politica. Mettere tra parentesi concezioni controverse della vita buona allo scopo di raggiungere un accordo su principi politici comuni non , secondo Kant, solo un modo per risolvere i problemi introdotti dal pluralismo dei valori, ma esprime quello che dovrebbe essere il nostro stesso ideale personale. Non essendo la nostra volont condizionata empiricamente, nessuna concezione sostanziale del bene dovrebbe essere posta alla base dell'ordinamento politico: ecco che la neutralit politica andrebbe interpretata nel senso che essa riflette la diversit essenziale, di cui dovremmo tenere conto, tra la nostra libert trascendentale e le concezioni, empiricamente condizionate, della vita buona [Larmore, 1990, p.99]. Quindi all'interno del regno dei fini l'autonomia diviene il valore portante della neutralit politica dello stato e il fondamento del rispetto

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Pluralismo, identit e riconoscimento. Modelli teorici di convivenza. CAPITOLO III

reciproco tra gli esseri umani, in quanto in grado di compiere scelte razionali. 2.3 Larmore porta una serie di motivazioni a sostegno dell'impraticabilit della strada aperta dalla risposta kantiana; anche se non credo sia questa la sede per approfondire tale ordine di questioni, che ci allontanerebbero dalla strada maestra della nostra riflessione, pi di quanto non abbiamo gi fatto, ritengo sia interessante notare come tali motivazioni scaturiscano da tentativo di rispondere alla domanda sul perch dovremmo supporre che se un dovere universale, ovvero vincolante per tutti, a prescindere dagli interessi empiricamente condizionati di ciascuno, allora ognuno deve avere un motivo indipendente dalle condizioni empiriche per adempierlo [Larmore, 1990, p.100]. Peraltro tale spaccatura tra moralit e condizioni empiriche non tiene conto delle critiche comunitarie avanzate verso tale modello, ritenuto astratto ed impraticabile: a partire dalle considerazioni di Herder e Hegel, gli oppositori del liberalismo hanno sferrato i loro attacchi criticando proprio l'ideale dell'autonomia e sostenendo che, siccome per nessuno possibile costruire del tutto autonomamente il proprio modo di vedere il mondo ed i propri obiettivi, ma anzi si pu arrivare a capire se stessi soltanto prendendo parte a tradizioni comuni e a forme sociali, dato che in alcune aree non si dovrebbe nemmeno cercare di raggiungere l'autonomia, il ruolo primario dello stato non deve essere quello di mantenere una certa neutralit, ma piuttosto quello di rappresentare e di promuovere una particolare concezione della vita buona [Larmore, 1990, p.108]. Tenendo conto di questi elementi, sommariamente presentati, si comprende l'infelicit del tentativo di costruire un argomento a favore della neutralit, fondandolo su di un ideale controverso come quello dell'autonomia, cos come si chiarisce la portata e l'importanza dell'impegno di Larmore per trovare una giustificazione neutrale alla neutralit.

3. Conclusione
La neutralit politica risulta, quindi, fondata su di un dialogo razionale tra soggetti differenti, che cercano principi neutrali per la convivenza pacifica; a questo punto Larmore si chiede perch mai questi dovrebbero sentirsi obbligati a proseguire la conversazione e non dovrebbero invece ricorrere ad altri mezzi (la forza, l'inganno) per stabilire dei principi politici [Larmore, 1990, p.76]. La risposta che Larmore propone si fonda sull'idea di eguale rispetto da attribuire ad ogni essere umano, al di l delle sue nozioni di vita buona; per eguale rispetto qui s'intende il trattare gli altri come nostri pari, come fini, per usare una terminologia kantiana, riconoscendo la loro piena dignit di esseri umani. Per usare, ancora una volta, le parole di Larmore, eguale rispetto [...] vuol dire che per quanto profondo possa essere il nostro disaccordo con gli altri, e per quanto possiamo rifiutare ci che essi rappresentano, non possiamo trattarli soltanto come oggetti della nostra volont, ma siamo tenuti a fornire loro una spiegazione per le nostre azioni che si ripercuotono su di loro [Larmore, 1990, p.78]. Il rispetto, dunque, non risulta connesso alla condivisione o all'accordo di opinioni, ma alla comprensione della valenza alternativa di diversi sistemi di valori: cos possiamo intendere perch rispettare una persona significhi ritenerla capace di elaborare credenze che noi rispetteremmo [Larmore, 1990, p.80]. Ed proprio sulla base di tale convinzione che possibile intraprendere un dialogo razionale, che metta in evidenza la natura reciproca del rispetto, quale base per la convivenza entro un contesto sociale multiculturale. Ecco, quindi, come l'idea di neutralit politica si fonda sull'immagine di un dialogo razionale, tra soggetti con concezioni del bene differenti che, mettendo da parte le convinzioni controverse, retrocedono su di un terreno neutro al fine di definire, nel rispetto reciproco, un accordo politico di convivenza pacifica, che si fondi su principi accettabili da tutte le parti in causa.

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Riviste di filosofia politica on-line

a cura di Corrado Del Bo' . Ultimo aggiornamento: 8 luglio 2004

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A 1989. Rivista di diritto pubblico e scienze politiche Acta Philosophica Acta Sociologica Actuel Marx African Philosophy Agenda Aggiornamenti sociali Airesis Allgemeine Zeitschrift fr Philosophie American Journal of Bioethics American Journal of Political Science American Journal of Sociology American Philosophical Quarterly American Political Science Review American Sociological Review Anbasis Anais de Filosofia Analisi e diritto Analoga Filosfica Analyse & Kritik Angelicum

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Animus Annales de Philosophie Annali di Sociologia - Soziologisches Jahrbuch L'Anne sociologique Anthropos Anuario Filosfico Anuario Hispano Cubano de Filosfia Aquinas Archiv fr Geschichte der Philosophie Archiv fr Rechts- und Sozialphilosophie Archives de Philosophie Archivio della Ragion di Stato Archivio di Storia della Cultura Arcipelago Aret Arobase Ars Brevis Ars Interpretandi Asian Philosophy Australasian Journal of Philosophy Australian Feminist Studies Australian Humanities Review Aut aut B El Basilisco Behemoth Biblioteca della libert Bioethics Bioetica BMC Medical Ethics Body & Society Bolero di Ravel Bollettino della Societ Filosofica Italiana Borderlands Boston Review British Journal for the History of Philosophy British Journal of Political Science The British Journal of Sociology

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C Cahiers internationaux de sociologie The California Law Review Cambridge Law Journal Canadian Journal of Philosophy Canadian Journal of Political Science Il Cannocchiale Cardozo Electronic Law Review Cardozo Law Review Chakana La Ciudad de Dios. Revista Agustiniana Civilt delle Macchine Columbia Law Review Commentaire Comparative Political Studies Comprendre. Revista Catalana de Filosofia Constellations Contemporary Political Theory Contemporary Politics Contemporary Sociology Con-tratto Cornell Law Review Crtica. Revista Hispanoamericana de Filosofa Critica liberale Critica marxista Critical Review Critical Review of International Social and Political Philosophy Critique CTheory Cuadernos de filosfa latinoamericana Cuadernos salmantinos de filosofa Cuestiones Teolgicas y Filosficas Current Sociology Cyber Humanitatis Cyberspazio e diritto D Daimon. Revista de Filosofa Democracy & Nature
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Democrazia e diritto DeriveApprodi Deutsche Zeitschrift fr Philosophie Dialgesthai Dialettico Dialogue Dialogue and Universalism Dianoia - Annali di storia della filosofia Dinoia. Anuario de Filosofa Digressus Dilema Dilthey-Jahrbuch Diorama Il Diritto di famiglia e delle persone Diritto e Questioni Pubbliche Dissensi Dissent Doctor Seraphicus Dogma Doxa DWF - Donnawomanfemme The Dualist E Economia politica Economics and Philosophy Electronic Antiquity Enclave Erewhon Erkenntnis Erroneo Espiritu Esprit Esprit Critique Estudios Filosficos Estudios Trinitarios Estudos Humanidades Ethica. Wissenschaft und Verantwortung Ethical Theory and Moral Practice Philosophy

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Ethics Etica ed economia Etica e Politica Ethic@ Eubios. Journal of Asian and International Bioethics European Journal of Philosophy European Journal of Political Theory European Journal of Social Theory European Journal of Women Studies F Famiglia e diritto Federalismo & societ The Federalist Feminism & Psychology Feminista! Feminist Collections Feminist Studies Feminist Theory Fenomenologia e societ Fichte Studien Filosofia e questioni pubbliche Filosofia politica Filosoficky Casopis Filozofia First Monday Focus on line Foglio Spinoziano Foreign Affairs Forum Philosophicum Franciscanum G Galileo Gender Policy Review Genders Genesis Geschichte und Gesellschaft Giornale critico della filosofia italiana
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Giornale di metafisica The Global Review of Ethnopolitics The Good Society Guerre & Pace Gymnasium H Harvard Law Review Hegel-Studien Historical Journal History of Economic Ideas History of European Ideas History of Political Thought Hobbes Studies L'homme et la socit Homo sapiens Human Rights Journal Human Studies Humane Studies Review Humanitas (Chile) Humanitas (Morcelliana) Humanitas (NHI) Humanitas (PUC) Hume Studies Hypatia I Ideazione Ilustracin Immdiatement Imprints. A Journal of Analytical Socialism Index - Quaderni Camerti di Studi Romanistici The Indipendent Review Information Technology and Politics newsletter Injustice Studies Inquiry Intermarx International Feminist Journal of Politics International Journal of Applied Philosophy
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International Journal of Human Rights International Organization International Philosophical Quarterly The Internet Journal of the International Plato Society Interpretation Intersezioni Intus-Legere Iride Isegora Issues in Medical Ethics Italianieuropei Iustitia J Jahrbuch fr Recht und Ethik Journal des Economistes et des tudes Humaines Journal of Applied Philosophy Journal of Artificial Societies and Social Simulation Journal of Buddhist Ethics Journal of Democracy Journal of Ethics Journal of the History of Philosophy Journal of Human Development The Journal of Libertarian Studies Journal of Law and Economics The Journal of Medical Ethics The Journal of Philosophy The Journal of Philosophy, Science & Law The Journal of Political Ideologies The Journal of Political Philosophy Journal of Political Science Journal of Politics Journal of Social and Political Thought Journal of Social Philosophy The Journal of the History of Ideas Journal of Theoretical Politics The Journal of Value Inquiry Journal Phnomenologie K
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Kafkaiens magazine Kant-Studien Keiron Klner Zeitschrift fr Soziologie und Sozialpsychologie Krisis L Labyrinth Language, Society and Culture Law, Justice and Global Development Law and Philosophy Letras de Deusto Leviatn. Revista de hechos y ideas Leviathan Libertaria Limes M Materiali per una storia della cultura giuridica Medicina e morale Merkur Metanoia Micromega Millepiani Mind Minimo storico Mnemosyne Modern Age Le Monde Diplomatique Il Mondo 3 The Monist Moralia. Revista de ciencias morales Il Mulino N Nabuc National Identities Nations and Nationalism
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Die neue Gesellschaft Neue Hefte fr Philosophie The New Left Review New Genetics & Society New Political Science The New York Review of Books Notizie di Politeia Nos Nuova Corrente La Nuova Europa Nuovi Studi Politici O Oltrecorrente The On-Line Journal of Ethics Ordo sterreichische Zeitschrift fr Politikwissenschaft Oxford Journal of Legal Studies P Pace diritti delluomo diritti dei popoli Paradigmi Paradosso Parallax Pasos Peace Review La pense Il Pensiero Mazziniano Il pensiero politico Philosophers' Imprint Philosophia Africana Philosophical Quarterly Philosophical Review Philosophical Studies Philosophical Writings Philosophische Rundschau Philosophisches Jahrbuch Philosophy and Public Affairs Philosophy and Social Criticism
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Philosophy Now Philosophy of the Social Sciences Phronesis Plekos Polis (Politicheskije issledovanija) Polis. Ricerche e studi su societ e politica in Italia Polis: Journal of the Society for Greek Political Politica del diritto The Political Science Reviewer Political Studies Political Theory Il Politico Politics, Philosophy & Economics Politische Rundschau Politische Vierteljahresschrift Polylog Il Ponte Postmodern Culture Praxis International The Public Interest Publius Q Quaderni Quaderni Quaderni Quaderni Quaderni R Radical Philosophy Ragion pratica Rassegna italiana di sociologia Rassegna di Teologia Ratio Juris Reset Res Publica Review of Politics Revista Agustiniana
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costituzionali di diritto costituzionale di Scienza Politica di storia delleconomia politica fiorentini per una storia del pensiero giuridico moderno

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Revista Brasileira de Estudios Politicos Revista Brasileira de Cincias Sociais Revista de Estudios Polticos. Nuova Epoca Revista de Filosofa (Universidad de Costa Rica) Revista de Hispanismo Filosfico Revista de Occidente Revista Peruana de Filosfia Aplicada (RPFA) Revista Portuguesa de Filosofia Revista Telemtica de Filosofa del Derecho Revue de la pratique philosophique Revue de mtaphysique et de morale Revue des livres Revue des sciences morales et politiques Revue europenne de sciences sociales - Cahiers Vilfredo Pareto Revue franaise de science politique Revista Internacional de Filosofa Poltica Revue internationale de philosophie Revue internationale de politique compare Revue Philosophie politique Revue Philosophique de la France et de l'tranger Revue Philosophique de Louvain Revue Thomiste Rhema Rivista anarchica La Rivista dei Libri La Rivista del Manifesto Rivista di filosofia Rivista di Filosofia Neo-Scolastica Rivista di teologia morale Rivista internazionale di filosofia del diritto Rivista italiana di scienza politica Rivista Rosminiana di filosofia e cultura Rivista Trimestrale di Diritto e di Procedura Civile Roczniki Filozoficzne S Sapientia Sapienza Scientia Iuris

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Riviste di filosofia politica on-line

Scienza & politica Scienza e Societ Scuola e citt Servitium Sexualities Signs Sntese Social & Legal Studies Social Choice and Welfare Social Philosophy and Policy Social Philosophy and Society Social Research Social Science Information Social Theory and Practice La societ degli individui Societ e conflitto Societing Society for Philosophy & Technology Quarterly Sociologia del diritto Sociological Research Online The Southern Journal of Philosophy Soziale Welt Sozialwissenschaftliche Studien Der Staat The Stanford Electronic Humanities Review Stanford Law Review State Politics and Policy Quarterly Stato e mercato Studia Moralia Studi kantiani Studi perugini Studi sociali Studia patavina Studium. Filosofa y Teologa Swiss Political Science Review T Tabula Rasa Telma

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Riviste di filosofia politica on-line

Telepolis Tellus Telos Les temps modernes Teoria Teoria politica Teoria sociologica Thophilyon Theoria Theory and Decision Theory & Event Theory and Society Theory, Culture & Society Thesis Eleven Tidskrift fr politisk filosofi (Journal for Political Philosophy) Tpicos. Revista de filosofa de Santa Fe Topoi Totalitarian Movements and Political Religions Trasgressioni Trimestre U Utilitas Utopa y Praxis Latinoamericana V Verifiche Veritas Vita e pensiero Vita sociale Volont W Wiener Hefte West Africa Review Western Political Quarterly Women's History Review World Politics

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Riviste di filosofia politica on-line

Y Yachay The Yale Law Journal Z Zeitschrift fr philosophische Forschung Zeitschrift fr Politik

SWIF - Sito Web Italiano per la Filosofia

Bollettino telematico di filosofia politica

La pagina delle riviste unisce due elenchi originariamente distinti ed per questo in mirror anche qui , presso il Bollettino telematico di Filosofia Politica . L'unificazione dei due elenchi si spiega con l'idea, comune a SWIF e BFP, che l'integrazione delle risorse di rete sia un potente fattore di crescita culturale e scientifica. L'elenco delle riviste stata realizzato da Corrado Del B (delbo@unipv.it) e non pu essere riprodotto senza la sua autorizzazione.

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Scrivere e pubblicare

a cura di Corrado Del Bo' . Ultimo aggiornamento: 23 marzo 2001

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Scrivere e pubblicare

Guidebook for Publishing Philosophy: Journals


Presso la Smith University, una guida pratica per chi desidera sottoporre articoli alle piu' note riviste filosofiche del mondo anglofono.

Guidelines for writing research papers and essays


Presso il Department of Political Science della Simon Frazer University (Canada), un utile manuale di "scrittura scientifica".

Paper writing strategies for introductory philosophy courses


Guida con finalit didattiche, molto chiara, di Joseph Hernandez Cruz.

Tips on writing philosophy papers


Un'altra guida didattica, di D.W. Portmore.

Ipertesto
A cura di Gabriella Alu', una guida tecnico-retorica - progettata appositamente per lo SWIF - alla composizione di ipertesti, in forma di ipertesto essa stessa.

Mestierediscrivere
Interessante sito (in italiano) che insegna a scrivere per il web.

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Cataloghi e repertori on-line

a cura di Corrado Del Bo' . Ultimo aggiornamento: 10 luglio 2001

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Cataloghi e repertori on-line

PCI (Periodicals Contents Index)


Un database indicizzato di migliaia di riviste di scienze umane e sociali, in numerose lingue occidentali, il cui mirror italiano e' ospitato dall'universita' di Genova.

The International Directory of on-line Philosophy Papers


Database di testi filosofici sul web, indicizzato e aggiornabile dagli autori medesimi.

English Server
20.000 files di testi in stampa su varie discipline umanistiche, con un buon motore di ricerca.

Mneme
Si tratta di un progetto finalizzato alla realizzazione di una storia della filosofia occidentale ipertestuale di libera e facile consultazione per tutti.

Political Science Manuscripts


Un progetto per la distribuzione on-line di manoscritti e abstracts di political science.

SWIF - Sito Web Italiano per la Filosofia Copyright 1997-98

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/fpcat.htm06/12/2004 13:01:25

Political Philosophy Events

a cura di Corrado Del Bo' delbo@unipv.it . Ultimo aggiornamento: 16 settembre 2003

Seminari e convegni
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Calendario degli eventi (BFP)


Servizio costantemente aggiornato offerto dal Bollettino telematico di filosofia politica.

Seminario perugino per lo studio dei classici


Si tratta di una nuova importante iniziativa, finalizzata a sfociare in una istituzione permanente, della comunit italiana dei filosofi politici. Il primo classico che stato preso in esame Immanuel Kant.

InfoSWIF
La lista di informazione dello SWIF, i cui archivi sono visibili on-line, offre notizie su convegni, seminari e altri eventi minori

Call for Papers


Pagina di call for papers, costantemente aggiornata, presso lo SWIF.

SIFP - Seminario interuniversitario di filosofia politica


E' un seminario permanente, costituito nel 1989, che raccoglie i filosofi politici e giuridici delle universita' toscane. Le sue riunioni mensili, cui e' possibile partecipare su invito, sfociano in conferenze pubbliche e volumi collettanei.

Seminario di Teoria Critica


Un seminario permanente dedicato alla teoria critica francofortese, presso l'universit di Venezia.

Seminari di filosofia sociale


Seminari permanenti organizzati presso il Centro interdipartimentale di Filosofia Sociale dell'universita' di Pavia.

Calendario eventi
Si tratta della ampia pagina dedicata ai congressi dall'istituto fiorentino per la documentazione giuridica del CNR, che puo' essere interessante soprattutto per chi e' orientato verso la filosofia del diritto.

Seminari e convegni SFI


La pagina sul'attivita' convegnistica della Societa' filosofica italiana puo' interessare anche il

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Political Philosophy Events

filosofo politico.
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Istituto Italiano per gli studi filosofici


La pagina, dedicata ai convegni dell' Istituto Italiano per gli studi filosofici, puo' interessare anche i filosofi politici.

Incontri e seminari
I seminari dell'Istituto di Filosofia e Sociologia del Diritto dell'Universita' di Milano.

Forthcoming Ethical Events and Conferences


Il Centre for Computing and Social Responsibility presenta un calendario di conferenze su a questioni di etica e responsabilita' sociale connesse colle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, nonche' un utilissimo Call for papers site.

APnet Conference Information


Presso l'universita' di Sidney, un calendario locale e internazionale curato dall'Apnet, che elenca conferenze e richieste preliminari di contributi.

SWIF - Sito Web Italiano per la Filosofia Copyright 1997-98 CASPUR - LEI

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/fpcongre.htm (2 of 2)06/12/2004 13:01:25

Dottorati e siti filosofico-politici italiani

a cura di Emanuela Ceva, Francesca Di Donato, Angelo Marocco Ultimo aggiornamento: 2 maggio 2002

Dottorati e siti filosofico-politici in Italia

Dottorati e siti istituzionali Siti rilevanti per la filosofia politica Filosofia, diritti e mondi reali Multimedialit e mondi virtuali

La pagina stata inizialmente curata da Maria Chiara Pievatolo, cui vanno i nostri ringraziamenti per il prezioso lavoro fin qui svolto.

SWIF - Sito Web Italiano per la Filosofia Copyright 1997-98 CASPUR - LEI

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Institutions and Websites Related to Italian Political Philosophy

edited by Emanuela Ceva, Francesca Di Donato, Angelo Marocco Last updated: May 02, 2002

Institutions and Websites Related to Italian Political Philosophy

PhDs and Institutional Sites Websites Related to Political Philosophy Philosophy, Rights and Real Worlds Multimedia and Virtual Worlds

Thanks to the former editor of the page, Maria Chiara Pievatolo.

SWIF - Sito Web Italiano per la Filosofia Copyright 1997-98 CASPUR - LEI

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/filpole/fpdotte.htm06/12/2004 13:01:26

An extensive index to political philosophy on the Net

compiled by: Brunella Casalini , Emanuela Ceva , Nico De Federicis, Corrado Del Bo' , Francesca Di Donato , Angelo Marocco , Maria Chiara Pievatolo .
(English editing by Heather Lunergan )

Last updated: 16/09/2003

Political philosophy
Isolating a political part within each single system of thought is neither easy nor theoretically fruitful. Therefore, we will try to organize the following reasoned index for the political problems of philosophy in such a way that philosophers' political answers appear linked as closely as possible to their speculative questions. Scholars interested in proposing or updating links, or adding news are invited to contact the editorial board .

A Reasoned Index to Political Philosophy (first part) A Reasoned Index to Political Philosophy (second part; in Italian) On-line Journals Events (in Italian) Italian Institutions and Websites Other Worldwide Websites Institutions (worldwide) On-line Publications Italian Political Philosophers (in Italian) Political Philosophers in the World Lectures (in Italian)

Dipartimento di Scienze della politica Universita' di Pisa

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Istitutions of political philosophy in Italy

compiled by Emanuela Ceva ( cevaem@tin.it) Last updated: 10.03.2004

Institutions and Websites Related to Italian Political Philosophy


Institutions Sites Reality Virtuality

Institutions
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Department of Political and Social Sciences


At the European University Institute of Firenze. This web site contains information about Phd. programs, seminars and some on-line publications.

Dipartimento di Analisi dei processi politici, sociali e istituzionali (Universit degli Studi di Catania) nuovo
The Philosophical analysis and history of thought section offers a PhD programme focused on Political thought and institutions in mediterranean societies.

Dipartimento di Filosofia - Universit di Napoli


It contains, among other things, the bulletin of the Ragion di stato archive, as well as a good page about contemporary philosophy

Dipartimento di Politica, Istituzioni, Storia


At the Faculty of Political Science of the University of Bologna.

Dottorato in filosofia (Universit degli Studi di Pavia)


Among the different philosophical areas addressed, the Centre for Social Philosophy at the University of Pavia offers a PhD. program in Political Philosophy.

Dottorato di filosofia politica (XV Ciclo)


Sponsored by the associated universities of Catania, Napoli (Federico II), Padova, Pisa, Roma (La Sapienza). It has its administrative office in Pisa. General information about Italian Ph.D.s may be found here

Centre for Social Philosophy


At the University of Pavia. This web site contains seminars announcements, on-line papers

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Istitutions of political philosophy in Italy

and many other thematic resources.


q

Istituto Banfi - Centro Studi Filosofici Reggio Emilia


With a page on Philosophy on the web.

Pontificial University of the Holy Cross


At the School of Philosophy is running a doctoral program, which makes special reference to the ethical problems raised by the development of the experimental and social sciences.

International School for Higher Studies in Cultural Sciences


At the Fondazione San Carlo in Modena. This school confers a Diploma in Higher Studies, which is equivalent to a Ph.D.

Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento S. Anna


At the Classe di Scienze Sociali there is a "corso di perfezionamento" which is legally equivalent to a Ph.D.

Societ italiana di filosofia giuridica e politica


Italian section of theInternationale Vereinigung fr Rechts und Sozialphilosophie (IVR).

SWIF - Sito Web Italiano per la Filosofia Copyright 1997-98 CASPUR - LEI

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Istitutions of political philosophy in Italy

edited by Angelo Marocco (marocco@tanzilli.com) Last updated: May 02, 2002

Institutions and Websites Related to Italian Political Philosophy


Istitutions Sites Reality Virtuality

Websites Related to Political Philosophy


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Bollettino di filosofia politica (BFP)


On-line edition of the bulletin of Italian political philosophers. Its web pages are in Italian only. They offer, among other things, an index of political philosophy reviews and a collection of abstracts of the most interesting articles.

Associazione Nazionale Amici di Aldo Capitini


The main goals and objectives of the Associazione Nazionale Amici di Aldo Capitini are to encourage the studies on Capitini's work. The pages offer a complete information on association's activities: conferences and other meetings. Available also an English version.

ATF - Associazione Filosofica Trevigiana


Founded in 1980, the Associazione Filosofica Trevigiana is committed in all major areas of philosophy. It takes part to the project of EstOvest (an online review).

Augustinus Hipponensis
Well-organized web site dedicated to Saint Augustine. Its purpose is the publication on the Internet of the works of Saint Augustine. It presents all the works of Saint Augustine in the original and Italian language with so much other material of support.

Centre for Social Philosophy


The main aim of the Centre is to contribute to the development of research in social philosophy understood. The Centre organizes interdisciplinary seminars and conferences, and promotes research publications.

Centro Studi Augusto Del Noce


A web page devoted to the Italian political philosopher Augusto Del Noce.

Centro Studi sulle Categorie Politiche dell'Europa

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/filpole/fpdotte2.htm (1 of 4)06/12/2004 13:01:28

Istitutions of political philosophy in Italy

The main objectives of the Centro Studi are to encourage the studies on idea of Europe. Available also an English version.
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Fondazione Critica Liberale


It publishes Critica liberale.

Centro Culturale Online "Walter Tobagi"


The web page of the Centro Culturale Online "Walter Tobagi" contains information on the political philosophy general resources.

Enciclopedia Multimediale per le Scienze Filosofiche


The rich web page of the Italian Broadcasting Corporation (RAI) contains up-to-date information on the philosophy general resources.

Fondazione Luigi Einaudi


Located in the historic Palazzo d'Azeglio in Turin, Italy, the Foundation was created in 1964 with the donation of the unique library of Luigi Einaudi, the economist and statesman who served from 1948 to 1955 as the first President of Italy.

Fondazione di Studi Storici Filippo Turati


Fondazione di Studi Storici Filippo Turati was established in 1985 in Florence. Among other things, the foundation aims to promote an historical discussion about socialist and working movement.

FGP - Fondazione Giulio Pastore


Fondazione Giulio Pastore was established more than 25 years ago, to promote scientific resourches about labour and trade unionism. FGP pursues its aims by its own studies, meetings, as well as by its publications and variuos essays gathered in a proper collection, and above all, by its bibliografical data base activities.

Fondazione Luigi Stefanini


The Foundation is devoted exclusively to the study of Stefanini's thought. Among other things, Stefanini was interested in the problems regarding political philosophy. He also wrote Personalismo sociale.

FUS - Fondazione Ugo Spirito


Fondazione Ugo Spirito was established in 1981 in Rom. The pages present a complete information on foundation's activities: conferences, meetings and publications.

Gruppo di ricerca sui concetti politici


On the university of Padua web site, a project dedicated to the study of concepts related to political philosophy.

Istituto Luigi Sturzo


Istituto "Luigi Sturzo" was established in 1951, to promote scientific resourches in the problems regarding historical study, economics, sociology and political science. The pages offer a complete information on institute's activities.

Istituto Trentino di Cultura

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/filpole/fpdotte2.htm (2 of 4)06/12/2004 13:01:28

Istitutions of political philosophy in Italy

See in particular the pages from the Istituto Storico Italo-germanico.


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Istituto Gramsci toscano


This research association, which publishes the review Iride. Filosofia e discussione pubblica, was founded in Florence in 1973. Its web site presents abstracts of the institute publications and announcements of congresses and courses.

AIS - Associazione Italiana di Sociologia


A methodology section, from the university of Udine.

Istituto Internazionale Jacques Maritain


The web site of Jacques Maritain International Institute. The pages present complete information on institute's activities: conferences, seminars and other meetings. An English version is available.

MOAS - Movement for Social Adaptation


The Web SIte of the Movement for Social Adaptation. His purpose is to define and create a global, political and economic project, for an adequate constitution for new high technological societies.

Norberto Bobbio: le opere, gli studi, i libri


The Centro Studi Piero Gobetti promotes the publication on the web of Bobbio's bibliography.

Pagine Rosse
The web site intends to give an overall survey of the leftist movements and information regarding their activities. A list of leftist e-books is also available here.

Permanent seminar of political philosophy and law


The permanent seminar was set up with the aim of promoting interaction between researchers working in the field of political philosophy and those working in the field of legal studies. The seminar meets at the Legal and Social Studies Department (Law Faculty - University of Parma).

School Of Politics Hannah Arendt


The design of this school of politics is contained in the program of the "Orlando" Women's Association, which is at the basis of the agreement with the Municipality of Bologna. The project is called "School Of Politics Hannah Arendt: Women's presence in the public sphere".

SISP - Italian Political Science Association


Its aim is to develop and promote the study of politics in Italy.

SOIS - Societ Italiana di Sociologia


The web page of the Italian Society for Sociology.

Association of Researchers on "Symbols, Knowledge and Society"

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/filpole/fpdotte2.htm (3 of 4)06/12/2004 13:01:28

Istitutions of political philosophy in Italy

An Italian association, whose goal is the study of the meaning of symbols in politics and in every other field of human experience.
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Storia, Didattica & Comunicazione


Storia, Didattica & Comunicazione web site was established in 2000 with the aim of promoting the use of electronic networks by political philosophy and history scholars. It is an important resource and meeting place.

SWIF - Sito Web Italiano per la Filosofia Copyright 1997-98 CASPUR - LEI

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/filpole/fpdotte2.htm (4 of 4)06/12/2004 13:01:28

Istitutions of political philosophy in Italy

compiled by Francesca Di Donato france@sssup.it Last updated: 25/12/2001

Institutions and Websites Related to Italian Political Philosophy *


compiled by france@sssup.it Institutions Sites Reality Virtuality

3. Philosophy, Rights and Real Worlds


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L'altro diritto
A documentation center about prison, deviance and marginality, at the Dipartimento di Teoria e Storia del Diritto of the university of Firenze.

Unione Scienziati per il Disarmo (USPID)


The Italian Union of Scientists for Disarmament is an association of scientists established in 1982 with the purpose of providing information and analyses on various aspects of arms control and disarmament. Its web page presents, among other things, a thematic collection of documents and a good guide to disarmament in Internet.

Forum per i problemi della pace e della guerra


A non-governmental association, founded in 1984. It issues the Quaderni Forum.

Gopherdonna
From the Societa' Italiana delle Storiche, the university of Siena and the Unione Femminile Nazionale, a collection of historical and legal feminist resources about women's history.

Association of Researchers on "Symbols, Knowledge and Society"


An Italian association, whose goal is the study of the meaning of symbols in politics and in every other field of human experience.

Institutions
http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/filpole/realie.htm (1 of 2)06/12/2004 13:01:29

Sites

Reality

Virtuality

Istitutions of political philosophy in Italy

4. Multimedia and Virtual Worlds


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Cyborg
A cyber-feminist seminar from the university of Verona.

La Citta' Invisibile
An Italian association, whose goal is to foster a democratic utilization of the Net. Its web pages contain many interesting political resources and a wide collection of italian newspapers.

ALCEI
An Italian association, kindred with the EFF, devoted to the defence of computer and communications freedom . Its web site offers an index of links to similar worldwide associations.

Alleo
An Italian site "to the discovery of the contemporary cultures".

To see an extensive index to Italian institutions and web sites, visit the Italian version of this page! From now on, this list will be updated exclusively with Italian web sites which provide an English version too.

SWIF - Sito Web Italiano per la Filosofia Copyright 1997-98 CASPUR - LEI - CISECA

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/filpole/realie.htm (2 of 2)06/12/2004 13:01:29

Dottorati e siti istituzionali

a cura di Emanuela Ceva (cevaem@tin.it) Ultimo aggiornamento: 10 marzo 2004

Dottorati e siti filosofico-politici in Italia


Istituzioni Siti Realt Virtualit

Dottorati e siti istituzionali


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Centro di Metodologia delle Scienze Sociali


Presso la Libera Universit Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli (LUISS). In questo sito viene data notizia di pubblicazioni e seminari organizzati dalle due sezioni in cui si divide il Centro - quella di "metodologia delle scienze sociali" e quella di "storia e teoria della storiografia".

Department of Political and Social Sciences


Presso lo European University Institute di Firenze. In questo sito si possono trovare informazioni circa i programmi di dottorato, notizie di seminari e alcune pubblicazioni on-line.

Dipartimento di Analisi dei processi politici, sociali e istituzionali (Universit degli Studi di Catania)
La sezione di Analisi filosofica e storia del pensiero offre un dottorato su Pensiero politico e istituzioni nelle societ: mediterranee, al quale afferiscono discipline prevalentemente di tipo storico-politico e filosofico-politico.

Dipartimento di Filosofia - Universit di Napoli


Contiene, fra l'altro, il bollettino dell'archivio della Ragion di stato, ed una bella pagina sulla filosofia degli ultimi due secoli.

Dipartimento di Politica, Istituzioni, Storia


Presso la facolt di Scienze politiche dell'universit di Bologna.

Dipartimento di Scienze Filosofiche (Universit di Bari)


Si possono trovare, qui, i programmi dei corsi annuali di perfezionamento post-laurea. Di particolare interesse filosofico-politico sono i corsi in Etica sociale e Filosofia e societ nella cultura contemporanea.

Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali (Universit di Genova)

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/fpdott3.htm (1 of 3)06/12/2004 13:01:29

Dottorati e siti istituzionali

Questo sito, in fase di riorganizzazione, fornisce informazioni sulle attivit didattiche e di ricerca del dipartimento.
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Dottorato in filosofia (Universit degli Studi di Pavia)


Presso il Centro di Filosofia Sociale dell'Universit degli Studi di Pavia. Il corso di Dottorato offre differenti curricula di specializzazione, tra cui Filosofia Politica .

Dottorato in filosofia del diritto (Universit degli Studi di Milano)


Sito con informazioni relative al dottorato di XVI ciclo.

Dottorato di filosofia politica (XV Ciclo)


Dall'anno accademico 1999/2000 i dottorati di ricerca sono istituiti e banditi dalle universit e dagli istituti universitari nella loro piena autonomia organizzativa, didattica e scientifica. Il MURST sta preparando una banca dati dei bandi, sulla quale si suggerisce di fare un ricerca usando come parola chiave "filosofia politica" o il codice del settore disciplinare, "Q01A".

Dottorato in Filosofia e Teoria delle Scienze Umane


Presso il Dipartimento di Filosofia dell'Universit di Roma Tre. Tra i curricula in cui si articola il programma segnaliamo, in particolare, quello dedicato a "Temi e problemi della filosofia morale, della filosofia della religione, della filosofia della storia e della filosofia politica".

Centro di Filosofia Sociale


Presso l'Universit: di Pavia, un sito con links tematici, avvisi seminariali e testi on-line.

Istituto Banfi - Centro Studi Filosofici Reggio Emilia


Con una pagina di Filosofia in rete.

Pontificia Universit della Santa Croce


Presso la facolt di Filosofia attivo un programma di dottorato, dedicato principalmente allo studio dei problemi etici sollevati dai pi recenti sviluppi nel campo delle scienze umane e sperimentali.

Scuola Internazionale di Alti Studi in Scienze della Cultura


Attivata presso la Fondazione San Carlo di Modena, questa scuola offre un corso di Dipoma equipollente al Dottorato di ricerca.

Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento S. Anna


Presso la Classe di Scienze Sociali esiste un corso di perfezionamento equipollente al dottorato di ricerca.

Societ italiana di filosofia giuridica e politica


Sezione italiana dell'Internationale Vereinigung fr Rechts und Sozialphilosophie (IVR).

Universit di Roma "Tor Vergata"


Tra i curricula del dottorato in Filosofia si segnala "Paideia e Politeia", dedicato alla filosofia politica e alla filosofia dell'educazione.

Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani (ADI)


Notizie, leggi, risorse e links per coloro che, come dantescamente recita l'epigrafe "in quel limbo son sospesi".

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/fpdott3.htm (2 of 3)06/12/2004 13:01:29

Dottorati e siti filosofico-politici italiani

a cura di Angelo Marocco (marocco@tanzilli.com) Ultimo aggiornamento: 2 maggio 2002

Dottorati e siti filosofico-politici in Italia


Istituzioni Siti Realt Virtualit

Siti rilevanti per la filosofia politica


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Bollettino di filosofia politica


Si tratta dello strumento di informazione on-line della comunit dei filosofi politici italiani.

Associazione Nazionale Amici di Aldo Capitini


L'Associazione Nazionale Amici di Aldo Capitini, fondata a Perugia, in tutta Italia per diffondere la conoscenza degli scritti e della figura di Aldo Capitini, raccogliendo e coordinando tutti gli amici vecchi e nuovi disponibili a lavorare per questo scopo.

Associazione per lo studio del tema: Simbolo, Conoscenza, Societ


Associazione interdisciplinare per lo studio del simbolo nelle sue varie manifestazioni compresa la sua relazione col potere politico.

AIS - Associazione Italiana di Sociologia


Sezione di metodologia, presso il server dell'universit di Udine.

ATF - Associazione Filosofica Trevigiana


L' A.F.T., fondata a Treviso nel 1980, un'Associazione, che per Statuto ha un orientamento pluralistico. L'A.F.T. non un'associazione corporativa, o meramente specialistica e partecipa al progetto EstOvest (Rivista on-line di comparazione culturale).

Augustinus Hipponensis
Interessante e ben organizzato sito web, il cui scopo quello di pubblicare, via Internet, le opere di S. Agostino assieme ad altro materiale di supporto. Nel sito disponibile lOpera Omnia in latino e in italiano.

Centro di filosofia sociale


Lo scopo principale del Centro quello di sviluppare la ricerca nell'ambito della filosofia sociale. Il Centro promuove seminari e convegni interdisciplinari e la pubblicazione di ricerche.

Centro Internazionale di Studi Bruniani

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/fpdott2.htm (1 of 4)06/12/2004 13:01:30

Dottorati e siti filosofico-politici italiani

"Al vero filosofo ogni terreno patria". Il sito merita una visita anche per la sua notevole eleganza grafica.
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Centro Studi Augusto Del Noce


Pagina web del Centro Studi dedicato al filosofo Augusto Del Noce. Notizie sulle attivit del centro e sull'Annuario.

Centro Studi sulle Categorie Politiche dell'Europa


Il Centro Studi si propone di approfondire e promuovere l'idea di Europa, realizzando progetti di formazione culturale e politica

Centro di Studi specialistici "Miti, Simboli e Politica"


Centro di studi "specializzato nello studio delle valenze e delle metamorfosi simboliche del politico".

Centro Culturale Online "Walter Tobagi"


Pagina web nella quale possibile trovare numerosi riferimenti online: centri di ricerca in filosofia e scienza della politica, classici del pensiero politico in rete, giornali e riviste di filosofia e scienza della politica, recensioni e altri siti Web.

Enciclopedia Multimediale per le Scienze Filosofiche


Sito della Rai, che ospita molto materiale interessante e aggiornato.

Fondazione Critica Liberale


Pubblica la rivista Critica liberale.

Fondazione di Studi Storici Filippo Turati


Fondazione di Studi Storici Filippo Turati si costituita il 20 maggio 1985. Tra le sue finalit vi sono la promozione e l'organizzazione dell'attivit di ricerca e di studio nel campo degli studi di storia, con particolare riguardo al movimento operaio e socialista.

FGP - Fondazione Giulio Pastore


La Fondazione Giulio Pastore, nata oltre 25 anni fa, si propone la promozione di ricerche e studi aventi per oggetto i problemi del lavoro e dell'esperienza sindacale dei lavoratori sia dal punto di vista delle singole discipline interessate che quello interdisciplinare.

Fondazione Luigi Einaudi


Fondato nel 1964 con la donazione da parte della famiglia Einaudi della biblioteca di Luigi Einaudi, l'ente ha assunto, in oltre un trentennio di attivit, una posizione di preminenza fra i centri di ricerca nel campo delle scienze sociali.

Fondazione Luigi Stefanini


Scopo della Fondazione di onorare la memoria di Luigi Stefanini e diffonderne il pensiero, riprendendolo e attualizzandolo. Studioso di estetica e importante pedagogo, Stefanini si occup anche di filosofia della politica, campo in cui produsse un'opera ancora fondamentale, Personalismo sociale.

FUS - Fondazione Ugo Spirito


La Fondazione Ugo Spirito si costituita a Roma nel 1981 attorno alla Biblioteca e all'Archivio del filosofo. Oltre a mantenere il carattere unitario della Biblioteca e dell'Archivio, la Fondazione svolge e promuove attivit di ricerca sul pensiero del filosofo e, pi in generale,

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/fpdott2.htm (2 of 4)06/12/2004 13:01:30

Dottorati e siti filosofico-politici italiani

sulla cultura italiana del Novecento.


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Istituto Gramsci toscano


Associazione culturale e di ricerca, fondata a Firenze nel 1973, autonoma rispetto alla Fondazione Gramsci di Roma. Il suo sito web ospita i sommari delle pubblicazioni e le locandine dei convegni organizzati dall'istituto. Pubblica la rivista Iride. Filosofia e discussione pubblica.

Istituto Internazionale Jacques Maritain


Sito dell'Istituto Internazionale Jacques Maritain. Con una pregevole grafica, il sito offre una serie di utili informazioni sulle varie attivit dell'istituto. Disponibile anche una versione in inglese.

Istituto Luigi Sturzo


L'Istituto stato fondato il 25 novembre 1951. L'Istituto svolge attivit di ricerca e di didattica nel campo delle discipline morali, con particolare attenzione alla storia, alla sociologia, all'economia, al diritto e alla scienza della politica.

Gruppo di ricerca sui concetti politici


Presso il dipartimento di filosofia dell'universit di Padova, un gruppo che si ispira alla tradizione tedesca della Begriffsgeschichte.

Istituto Trentino di Cultura


Si vedano in particolare le pagine dell'Istituto Storico Italo-germanico.

MOAS - Movimento per l'Adeguamento Sociale


Sito Web del Movimento per l'Adeguamento Sociale, un progetto globale, politico ed economico, per una adeguata costituzione delle nuove societ ad alta tecnologia

Norberto Bobbio: le opere, gli studi, i libri


Il Centro Studi Piero Gobetti sta mettendo online la bibliografia di Norberto Bobbio.

Pagine Rosse
Le Pagine Rosse sono una rubrica, che si propone di dare un riferimento delle organizzazioni e del materiale culturale "storico" della sinistra. Nel sito possibile trovate un elenco di libri elettronici, testi "classici" della sinistra.

Quaderno di filosofia del diritto (SWIF)


Links, riviste ed eventi che possono interessare anche lo studioso di filosofia politica.

Scuola Politica "Hannah Arendt"


Il disegno di questa scuola di politica presente nel progetto-programma dellAssociazione Orlando che alla base della convenzione con il Comune di Bologna. Il progetto della scuola ha per titolo "Scuola di politica Hannah Arendt: presenza femminile nella sfera pubblica".

Seminario permanente di filosofia politica e diritto


Seminario permanente di filosofia politica e diritto ospitato nel sito del Dipartimento di Studi Giuridici e Sociali dell'Universit di Parma.

SISP - Societ Italiana di Scienza Politica

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/fpdott2.htm (3 of 4)06/12/2004 13:01:30

Dottorati e siti filosofico-politici italiani

La SISP una associazione che si propone di favorire lo sviluppo della scienza politica in Italia, l'incontro e la collaborazione degli studiosi della materia in Italia e all'estero.
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SOIS - Societ Italiana di Sociologia


Altra associazione di sociologi italiani.

Storia, Didattica e Comunicazione


Storia, Didattica & Comunicazione una proposta di tutela e sviluppo della memoria storica che nasce da un corso universitario di Storia delle dottrine politiche tenutosi nel 1999/2000 nella Facolt di Scienze Politiche dell'Universit degli studi di Milano. Suo scopo offrire un portale di accesso alla storia in rete.

SWIF - Sito Web Italiano per la Filosofia Copyright 1997-98 CASPUR - LEI

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/fpdott2.htm (4 of 4)06/12/2004 13:01:30

Dottorati e siti filosofico-politici italiani

a cura di Francesca Di Donato france@sssup.it Ultimo aggiornamento: 29 aprile 2003

Istituzioni

Siti

Realt

Virtualit

3. Filosofia, diritti e mondi reali


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Politeia Politeia un'associazione costituitasi nel 1983 per promuovere la riflessione sui rapporti tra etica e scelte pubbliche, impiegando gli strumenti delle teorie della scelta razionale. Pubblica la rivista Notizie di Politeia. Centro di studi e iniziative per la riforma dello Stato Associazione, vicina alle forze progressiste, per lo studio dei processi di trasformazione degli ordinamenti giuridici contemporanei. Pubblica la rivista Democrazia e diritto. Una nuovo sito web pi aggiornato si trova qui. L'altro diritto Centro di documentazione su carcere, devianza e marginalit, presso il Dipartimento di Teoria e Storia del Diritto dell'universit di Firenze. Unione Scienziati per il Disarmo (USPID) Associazione costituita nel 1982, in nome della responsabilit civile degli scienziati, per offrire informazioni e analisi sui problemi connessi al controllo degli armamenti. Il sito ospita, fra l'altro, una raccolta tematica di documenti e un buon indice ragionato sul disarmo in Internet. Forum per i problemi della pace e della guerra Organizzazione non governativa fondata nel 1984 e composta prevalentemente da studiosi dell'universit di Firenze. Pubblica i Quaderni Forum. Gopherdonna A cura di: Societ italiana delle storiche, Universit di Siena e Unione femminile nazionale, un archivio di risorse femministe, di carattere prevalentemente storico e giuridico. Una buona guida alle risorse in rete sulla storia delle donne. Femminismo: una bibliografia Presso il Bollettino di filosofia politica una web-bibliografia ragionata sulla teoria femminista.

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/reali.htm (1 of 4)06/12/2004 13:01:31

Dottorati e siti filosofico-politici italiani


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Filosofia politica Pagina personale con un ipertesto e numerose schede bibliografiche di libri recenti. ManiTese "Organismo contro la fame e per lo sviluppo dei popoli". Il suo sito ospita interessanti materiali sulla politica localizzata e sull'economia globalizzata, dall'inconsueto punto di vista dei loro effetti sulle persone nei loro rapporti col mondo. Amnesty International - Sezione italiana Si tratta di un sito dedicato principalmente a notizie ed attivit connesse alla difesa dei diritti umani. Tuttavia, vi si trova anche una raccolta di notizie, documenti e pubblicazioni sui diritti e sulle loro violazioni. CGIL - Ufficio nuovi diritti Si tratta di un sito istituzionale, che pero' contiene molti materiali e discussioni sul tema dei diritti di esclusi e non assimilati di ogni genere. Indymedia.it Network di media indipendenti. Internazionale Rivista cartacea ed elettronica con una sintesi delle notizie politiche dai giornali di tutto il mondo.

Etica Finanza Ambiente Il sito di un'associazione che si propone di di diffondere una maggiore conoscenza dei processi che regolano i rapporti fra gli individui, le istituzioni, leconomia, con particolare riferimento alla finanza e all'ambiente. Filosofia in Italia Uno spazio su Internet dedicato alla ricerca filosofica e alla discussione delle sue tematiche in lingua italiana. JEKILL: la macchina della comunicazione Sul numero sperimentale Giornale del Master in Comunicazione della Scienza - Sissa - Trieste un'ampia documentazione sugli effetti della comunicazione nella guerra in Jugoslavia Centro di Studi specialistici "Miti, Simboli e Politica" Centro di studi "specializzato nello studio delle valenze e delle metamorfosi simboliche del politico" Caff Europa Un sito filosofico politico che raccoglie interventi e interviste a filosofi italiani e stranieri L'agenzia di Carta un ampio indice di siti su temi che vanno dalla comunicazione e la democrazia, alla globalizzazione, ai diritti umani molto ben organizzato.

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/reali.htm (2 of 4)06/12/2004 13:01:31

Dottorati e siti filosofico-politici italiani

Istituzioni

Siti

Realt

Virtualit

4. Multimedialit e mondi virtuali


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La Citt Invisibile Associazione telematica per la promozione di una democrazia partecipativa. Il suo sito contiene molti materiali politici interessanti, ed e' un ottimo punto di partenza per la consultazione della stampa italiana in rete. ALCEI Associazione italiana apparentata colla EFF, per la difesa e la promozione della libert - in senso "positivo" e "negativo" - delle comunicazioni telematiche. Con una lista di links a pagine di associazioni analoghe nel mondo. Isole nella rete E' la filiazione web della rete dei centri sociali italiani, "per la produzione di un bene collettivo, condivisibile e mutuale". Senza essere un sito di filosofia politica, contiene materiali sugli aspetti tecnici e politici delle comunicazioni telematiche e ospita, fra le altre, le discussioni della mailing list cyber-rights. Forum Teorema Una raccolta di documenti scientifici e letterari, su temi di logica, matematica, cibernetica, intelligenza artificiale, che offre ospitalit a riviste e dibattiti. Senza essere disciplinarmente connesso alla filosofia politica, il sito merita una menzione per la sua formula interessante ed efficace. Centro studi Baskerville Centro studi sulla comunicazione. Di particolare interesse, per il filosofo politico, le pagine sulla democrazia elettronica. Iperstoria Un ipertesto dedicato alla didattica, alla ricerca, alla raccolta di strumenti, tra cui forum, e un'ampia collezione di links. Tactical Media Crew Sito che raccoglie links e riferimenti alle controculture in rete.

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/reali.htm (3 of 4)06/12/2004 13:01:31

Organizzazioni e siti istituzionali nel mondo

a cura di Maria Chiara Pievatolo e Francesca Di Donato (france@sssup.it) Ultimo aggiornamento: 29 aprile 2003

Altri siti dedicati alla filosofia politica nel mondo


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1. Risorse e testi

2. Temi di filosofia politica

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Filosofia politica e rete Diritti umani Teoria femminista Altri temi e siti

1. Risorse generali e testi


Philosophy Sites on the Internet Pagina del dipartimento di filosofia dell'universita' di Tel Aviv: contienerisorse generali per la filosofia, anche politica, nonche' una inconsueta collezione di links dedicati allafilosofia orientale. Ricca e ben organizzata. Akamac Home Page Raccolta di testi di filosofi politici con interesse economico - chiara e completa. Chi e' interessato alla storia del pensiero economico puo'collegarsi anche all'ampio database belga History of Economics Internet References. Political Philosophy/Political Theory on the Internet Bella collezione, canadese, di links tematici, politici e filosofici. The Keele Guide to Political Thought and Ideology on the Internet Una breve guida organizzata per argomenti, disposti in ordine alfabetico. Political Science Resources Risorse per la politica, la scienza e il pensiero politico, da un punto di vista britannico. Political Science Resources on the Web (University of Michigan) Risorse per la filosofia e la scienza politica. Political Science Resources Page Sito della Western Michigan University, ricco e ben organizzato. Social Sciences Information Gateway Con un motore di ricerca per le pagine web dei dipartimenti di scienzesociali. Political Theory and Political Philosophy Ampio indice di risorse tematiche, presso la Luisiana State University. Political Philosophy Topic Page Presso Episteme Links,un sintetico indice degli indici alle principali risorse di filosofia politica sul web, purtroppo in

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/sifpwo.htm (1 of 5)06/12/2004 13:01:32

Organizzazioni e siti istituzionali nel mondo

frames che rendono impossibile un link diretto funzionante. Politics, Human Rights & Economics Sezione filosofico-politica, con un indice aggiornato alle principali risorse tematiche, di Philosophy in Cyberspace, presso la Monash University (Australia). Philnet, Verzeichnis: Texte und Bilder Presso l'Universit di Hamburg, vi si trovano indirizzi di enciclopedie e glossari. Political Science in Australia Una guida tematica della Australian National University. Texte set magazines philosophiques Breve pagina di testi e riviste filosofiche in francese. Philosophy and Civil Society Un sito per inventare una cultura civica postmoderna. Political Science: A Net Station (University of British Columbia Library) Sito che raccoglie un'ampia collezione di links di Poltical Science. Political Philosophy Presso la Princeton University Press, un'ampia collezione di abstracts e recensioni. Political Theory and Philosophy Guida alle risorse di teoria e filosofia politica. Britannica.com Sito dell'Enciclopedia britannica che indica links tematici, politici e filosofici. Proyecto Filosofia en espanol Sito di Oviedo che raccoglie un'ampia gamma di testi e informazioni. Politische Philosophie & Oekonomie, Rechts- und Sozialphilosophie Una guida che offre links a pagine in tedesco e non, a testi e interviste.

2. Temi di filosofia politica


Filosofia politica e rete
GNU's Not Unix! Il sito del progetto GNU/Gpl per la diffusione del software libero (con una sezione sulla filosofia del progetto) Open Source Initiative (OSI) Organizzazione no-profit per la diffusione della Open Source Definition Economic Democracy Information Network Per la democrazia elettronica ed economica Principia Cybernetica Web Un progetto di olismo cibernetico, per lo sviluppo cooperativo, sostenuto dal computer, di una filosofia

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/sifpwo.htm (2 of 5)06/12/2004 13:01:32

Organizzazioni e siti istituzionali nel mondo

evoluzionistica e sistemica. Deutscher Philosophie- Knoten Un luogo di discussione in rete per i filosofi e le folosofe tedesche.

Diritti umani e non violenza


Human Rights Resources Entro lo Science and Human Rights Program dell'American Association for the Advancementof Science, un'ampia collezione di risorse sui diritti umani sul web. Engaged Buddhist ~Dharma: Human Rights Si tratta di una pagina orientata alla prassi, e ispirata dal principio di M.L. King "Whatever affects one directly, affects all indirectly. I can never be what I ought to be until you are what you ought to be. This is the interrelated structure of reality." Ospita una enorme raccolta di risorse sui diritti umani. Concise Guide to Human Rights on the Internet Una guida aggiornata e ragionata, presso Derechos Human Rights, che pu essere un buon punto di partenza per chi e' interessato al tema dei diritti umani. International Affairs Resources Un ampio e organizzato database di risorse internazionalistiche, dai diritti umani al peacekeeping, alla nonproliferazione e allo sviluppo- e ancora di pi. Human Rights Library Presso l'universit del Minnesota, un database di risorse con pi di 6000 documenti. Human Rights Server Un sito tedesco dedicato ai diritti umani. Human Rights Links Una raccolta dell'Institute for Global Communications che raccoglie documenti, una lista di database e un elenco di organizzazioni umanitarie. Human Rights Centre L'ampio sito dello Human Rights Centre dell'Universit di Essex. Human Rights La pagina dell'ONU dedicata agli Human Rights. The Global Found for Women Il sito del Global Fund for Women, molto ampio e ricco di risorse.

Teoria femminista
Noema The Collaborative Bibliography of Women in Philosophy, che raccoglie oltre 16.000 records. Voice of the Shuttle: Gender's Studies Page Una pagina che offre indirizzi di utilita' generale come altri dedicati agli women's studies e alle teorie femministe, ai gay, lesbian and queer studies, al cybergender e al techgender.

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/sifpwo.htm (3 of 5)06/12/2004 13:01:32

Organizzazioni e siti istituzionali nel mondo

Feminist Theory Website Un sito ampio e ben documentato, frutto di un lavoro cooperativo, sul pensiero femminista nel mondo e nei vari rami del sapere - da un punto di vista rigorosamente statunitense. Gender and Race in Media: Cyberspace Una ampia collezione di links sul tema. Feminist Theory Sito di teoria femminista di K. Tonella, University of Iowa. Diotima. Materials for the Study of Women and Gender in the Ancient World Sito che offre risorse interdisciplinari e che ospita un forum di discussione rivolto in modo particolare a docenti che si occupano di donne e genere nel mondo antico.

Altri temi e siti


Ethics Updates Ampia e chiara pagina finalizzata a fornire informazioni aggiornatedi etica teorica e applicata. Personal Self. Materiali per lo studio del concetto di persona, in un sito ampio e ben organizzato. Environmental Ethics Con un indice tematico. Institute of Business and Professional Ethics Presso la De Paul University (Chicago), un istituto la cui missione e' "to encourage ethical deliberation in decisionmakers by stirring themoral conscience and imagination." Das Grundrecht der Gewissensfreiheit Presso l'universita' di Francoforte, una sintetica ma esauriente banca dati ragionata sul tema della liberta' di coscienza e sulle varie formedi disubbidienza civile e di obiezione di coscienza ad essa connesse. Interamente in tedesco, comprende materiale sia filosofico, sia giuridico. Applied Ethics Resources on WWW Ampi indici di risorse su vari rami dell'etica applicata. The Observer Web Un enorme e complesso sistema svedese di pagine web dedicato all'autopoiesis. Per quanto gli interessi dell'autore spazino dall'epistemologia, alla biologia, all'informatica, i filosofi politici che abbiano avuto contatti con Luhmann possono trovare interessante smarrirsi in tanta complessita'. Die WWW-Seiten zu Polizei & berwachung Presso l'universita' di Amburgo, una pagina di Polizeiforschung,principalmente in tedesco, per lo studio sociologico e filosofico della polizia e del controllo sociale. Forum Social Mundial Sito che raccoglie i testi di conferenze, articoli,e relazioni raccolti in occasione del Social Forum di Porto Alegre. Africa resource center un ampio indice che raccoglie riviste e indicazioni bibliografiche utili a studiosi africanisti.

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Organizzazioni e siti istituzionali nel mondo

a cura di Emanuela Ceva (cevaem@tin.it) Ultimo aggiornamento: 13 Marzo 2002

Organizzazioni e siti istituzionali nel mondo


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Organizzazioni internazionali Siti americani Siti canadesi Siti inglesi Siti tedeschi Siti svizzeri Altri siti europei Altri siti extra-europei

Organizzazioni internazionali
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European Consortium for Political Research (ECPR)


Associazione fondata nel 1970 allo scopo di creare una rete di collaborazione fra gli scienziati politici europei.

International Association of Women Philosophers


Al momento contiene solo notizie finalizzate a congressi mondiali.

International Political Science Association (IPSA)


Sito di interesse istituzionale, con un'utile guida alle risorse politiche sul web.

International Society for Environmental Ethics


Con una piccola guida alle risorse filosofiche e ambientaliste sulla rete.

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Organizzazioni e siti istituzionali nel mondo

Internationale Vereinigung fr Rechts und Sozialphilosophie (IVR)


Associazione mondiale dei filosofi giuridici e politici. Sul sito web sono poste la newsletter e gli annunci dei congressi mondiali organizzati dall'IVR con cadenza biennale.

Unesco
Di particolare interesse, l'Unesco Philosophy Forum.

World Federation of Right to Die Societies


Un buon punto di partenza per chi interessato al tema.

Siti americani
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American Philosophical Association (APA)


Di interesse soprattutto istituzionale.

American Political Science Association (APSA)


Contiene, fra l'altro, un motore di ricerca tematico quasi globale per i dipartimenti di Political Science. I Proceedings dei suoi convegni annuali sono disponibili on line.

Association for Practical and Professional Ethics


Con informazioni sul tema e una sezione dedicata ai calls for papers.

Bioethics Network of Ohio


Con pagine dedicate alla bioetica nella letteratura accademica e giornalistica.

Bureau of Democracy, Human Rights and Labor (DRL)


Sito dell'istiuzione governativa statunitense per la promozione e il consolidamento dei processi di democratizzazione e di estensione dei diritti umani. Contiene informazioni sulle attivit dell'organizzazione e gli archivi dei documenti prodotti.

Center for Democracy Studies


Centro finalizzato allo studio dei fattori significativi che influenzano la democrazia americana contemporanea.

Center for the Study of Democracy (CSD)


Il CSD stato istituito, presso l'Universit della California (Irvine), per promuovere la ricerca accademica e la formazione sulla teoria democratica. Il sito dell'associazione contiene, tra le altre cose, una notevole serie di links a siti riguardanti tematiche connesse ai processi di democratizzazione.

Center for the Study of Race and Ethnicity


Presso la Brown University. Si tratta di un'organizzazione interdisciplinare finalizzata alla promozione della ricerca su questioni connesse alla razza e all'etnia. Il sito contiene, essenzialmente, notizie su conferenze e corsi accademici.

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Organizzazioni e siti istituzionali nel mondo


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Constitution Society Home Page


Societ per la promozione e lo studio del costituzionalismo. Notevole la Liberty Library of Costitutional Classics on line.

Electronic Frontier Foundation


la famosissima fondazione per la difesa della libert dell'informazione, intesa non come "libert della penna", bens come libert della tastiera. Non propriamente un ente filosofico-politico; vale, per, la pena visitare la collezione di materiali su Computer and academic freedom.

Envirolink
Con una amplissima collezione di risorse su tematiche ambientalistiche.

Foundations of Political Theory


parte dell'American Political Science Association. Il sito contiene i links a numerose riviste, associazioni e istituti di ricerca in political theory. Contiene anche una sezione con alcuni testi online.

Institute for Communitarian Policy Studies


Presso la George Washington University. il sito dei filosofi comunitaristi americani; l'Istituto pubblica la Newsletter elettronica 'The Communitarian Update'.

Institute for Human Studies


Presso la George Mason University. Questo sito propone tre differenti percorsi tematici attraverso i quali iniziare a navigare. Vi sono contenuti, inoltre, numerosi articoli on-line suddivisi per argomento.

Institute for International Studies


Presso la Stanford University: si occupa di studi sulla sicurezza internazionale (Center for International Security and Arms Control), l'ambiente globale e l'economia politica internazionale.

Institute for Philosophy and Public Policy


Presso l'universit del Maryland.

International Conference for the Study of Political Thought


Quest'associazione, di stampo internazionale ed interdisciplinare, ha come scopo primario la diffusione del pensiero politico, antico e contemporaneo.

MIT Department of Political Science


Con links tematici e working papers.

Nationalism Project
Questo sito contiene numerosi articoli, saggi, book abstracts, recensioni e una notevole bibliografia sull'argomento.

Social Philosophy and Policy Center


Pubblica, fra l'altro, la rivista Social Philosophy & Policy.

Society for Philosophy in the Contemporary World


Quest'associazione promuove gli studi nell'ambito della filosofia applicata, sulle differenze di razza

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Organizzazioni e siti istituzionali nel mondo

e genere e su varie istanze multiculturali. Pubblica la rivista Philosophy in the Contemporary World.
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Society for Social Studies of Science


Associazione internazionale per lo studio degli effetti sociali della tecnologia e la promozione di una prospettiva interdisciplinare. Newsletter on line.

Society for Women in Philosophy (SWIP)


Risorse e notizie utili - soprattutto da una prospettiva femminista. Pagina di Conferences and call for papers ampia e aggiornata.

The American Society for Political and Legal Philosophy


Questo sito, molto scarno, informa sulle attivit dell'associazione americana dei filosofi politici e giuridici. Essa pubblica, tra le altre cose, uno yearbook, NOMOS, in cui vengono raccolti i risultati delle conferenze organizzate annualmente dall'associazione stessa.

The Center for Libertarian Studies


Questo istituto si dedica allo studio della pratica e teoria libertaria. Ospita la rivista Journal of Libertarian Studies.

The Institution for Social and Policy Studies (ISPS)


Presso l'Universit di Yale. Il sito contiene informazioni, essenzialmente, sulle attivita' didattiche dell'Istituto.

The Kenan Institute for Ethics


Presso la Duke University. Questo istituto ha come intento principale la promozione dello studio e dell'inegnamento dell'etica. Il sito contiene una sezione con numerose offerte di borse di studio per progetti che contribuiscano alla missione del centro.

The Objectivist Center


Con molto materiale sul tema. L'istituto pubblica anche una Newsletter, Navigator.

The Society for Ethics


Quest'associazione ha come scopo principale la promozione della ricerca nell'ambito dell'etica sia teorica che applicata.

Siti canadesi
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Acton Institute
Lo scopo di questo istituto di promuovere una societ fondata sulla libert individuale e sul rispetto di principi religiosi. Il sito presente anche con una versione spagnola ed una in lingua cinese.

Canadian Institute of International Affairs (Toronto)


Il CIIA, finalizzato allo studio delle relazioni internazionali da un punto di vista canadese, si presenta in rete con un sito bilingue molto ricco e con una ragguardevole collezione di links.

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Organizzazioni e siti istituzionali nel mondo


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Canadian Political Science Association


Con informazioni sulle attivit dell'istituzione.

Centre d'tudes Ethiques (Universit de Montral)


Questo centro di ricerca, d'impostazione interdisciplinare, dedicato allo studio di istanze di natura etica. In questo sito si possono trovare programmi di conferenze, alcuni testi on-line e il link al Bollettino CONVERGENCES. Tutto questo materiale disponibile non solo in francese, ma anche in inglese.

Human Rights Reasearch and Education Centre


Sito bilingue, francese e inglese, con molto mareriale sull'argomento. Contiene anche una bibliografia sui diritti umani, l'accesso alla quale , per, riservato ai soli soci.

Humanities and Social Sciences Federation of Canada


Sito bilingue di interesse quasi esclusivamente istituzionale.

Institute of Practical Philosophy


Presso il Malaspina University College. Una piccola lista di links.

International Development Research Centre


Ente pubblico canadese finalizzato agli studi dello sviluppo internazionale. Il sito bello e ricco di materiale.

Society for Utopian Studies


Societ finalizzata allo studio del pensiero utopico.

Siti inglesi
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Centre for Research in Ethnic Relations


Questo sito, presso l'Universit di Warwick, contiene informazioni circa i corsi, le pubblicazioni e le attivit del centro.

Centre for the Study of Nationalism in Europe


Ospitato presso lo University College of London, questo centro mira a promuovere la ricerca sulle questioni di definizione identitaria a livello europeo.

International Society for Utilitarian Studies


Questo sito web rivolto essenzialmente a chi vuole abbonarsi a Utilitas e a chi interessato al pensiero di Bentham.

Libertarian Alliance
Quest'associazione si propone come strumento di diffusione del pensiero libertario, quanto alle idee di vita, libert e proporiet. Il sito contiene una ricca sezione di testi on-line.

Manchester Centre for Political Thought (MANCEPT)


Questo centro ha sede presso il Dipartimento di Government dell' Universit di Manchester. Il sito contiene informazioni sulle attivit (conferenze e seminari) e pubblicazioni del centro.

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Organizzazioni e siti istituzionali nel mondo

Political Studies Association (PSA)


Pubblica la rivista Political Studies e ospita, fra l'altro, un esauriente WWW gateway alla political science in rete

Social Science Information Gateway


Istituito presso l'Universit di Bristol, il Social Science Information Gateway mette a disposzione una ragguardevole lista di risorse on-line per gli studiosi di scienze sociali, economia e diritto.

The Association for the Study of Ethnicity and Nationalism (ASEN)


Ospitata dalla LSE. Quest'associazione - di carattere multisciplinare e internazionale - tra le altre cose pubblica The ASEN Buletin, che contiene informazioni su pubblicazioni, conferenze e corsi.

The London School of Economics


Notizie sulle attivit, le ricerche e i corsi della LSE; permette di accedere alla forntissima biblioteca della LSE, ai suoi cataloghi e ad altre biblioteche cliccando su British Library of Political and Economic Sciences.

Siti tedeschi
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Argos
Si tratta di un istituto interdisciplinare di scienze sociali, filosofia pratica e formazione, finalizzato alla riflessione scientifica sugli sviluppi complessivi della societ, della politica, della tecnologia e dell'ecologia.

Deutsche Vereinigung fr Politische Wissenschaft


Sito dei filosofi politici tedeschi. Pubblica la rivista Politische Vierteljahresschrift.

Deutschsprachiges Kommunitariernetz
Sito, esclusivamente in tedesco, dedicato al comunitarismo.

Institut fr Interkulturelle und Internationale Studien


Questo istituto svolge ricerche di teoria politica, sociologia e filosofia a largo raggio, incentrate sui temi del multiculturalismo e della globalizzazione. Molto materiale prodotto, in tedesco o in inglese, reperibile on line.

Wuppertal Institut fr Klima, Umwelt, Energie


Sito bilingue (in inglese e tedesco) del celebre istituto di Wuppertal, che si dedica a studi interdisciplinari per l'elaborazione di un modello di sviluppo sostenibile.

Siti svizzeri
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Institut d'Etudes Politiques et Internationales (IEPI)


Presso l'Universit di Losanna. Sito bilingue (inglese e francese) con notizie su seminari e progetti

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Organizzazioni e siti istituzionali nel mondo

di ricerca.
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Institut de Science Politique (Universit de Neuchtel)


Sito d'interesse prevalentemente didattico, con alcuni testi on-line.

Institut fr Politikwissenschaft
Presso l'Universit di Berna. Di interesse prettamente didattico.

Insititut Universitaire de Hautes Etudes Internationales


Con informazioni sull'attivit dell'Istituto. Collegamento alla Human Rights Library, sito ricco di materiale e documenti sull'argomento.

Institute of Federalism
Presso l'Universit di Friburgo. Mette a disposizione un utile International links browser per la ricerca di siti internazionali d'interesse politico nella rete.

Schweizerische Vereinigung fr Politische Wissenschaft (SVPW)


Sito ricco di materiale e informazioni. Contiene una notevole serie di links ad altre istituzioni internazionali che si occupano di scienze sociali.

Altri siti europei


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Centre for Research in International Migration and Ethnic Relations


Presso l'Universit di Stoccolma. Il suo programma di ricerca comprende le questioni connesse ai fenomeni migratori internazionali, alla xenofobia, razzismo e nazionalismo. Si occupa inoltre dello studio delle politiche di immigrazione e delle possibili modalit di accoglienza dei profughi.

Centre for Research on Ethnic Relations and Nationalism(CEREN)


Presso l'Universit di Helsinki . I principali interessi di questo Centro sono connessi a temi quali il razzismo, la xenofobia e le relazioni etniche. Una Newsletter informa sulle attivit e sui progetti di ricerca del Centro.

Equality Studies Centre (University College Dublin)


L'ESC ha quale scopo principale lo studio e lo sviluppo delle condizioni attraverso cui realizzare una realt sociale egualitaria. Questo sito contiene anche una interessante reading list sull'argomento.

European Thematic Network in Political Science


Sito dell'Organizzazione Europea per l'insegnamento della scienza politica: contiene informazioni sulle attivit promosse e alcune pubblicazioni on-line.

Osrodek Mysli Politycznej


Sito trilingue (polacco, inglese ed ucraino) del Centro di pensiero politico della Polonia. Contiene notizie su conferenze, progetti di ricerca e alcuni articoli on line.

sterreichische Gesellschaft fr Politikwissenschaft (GPW)


Sito dell'Associazione di Scienza Politica Austriaca. diviso in differenti sezioni dedicate a temi

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Organizzazioni e siti istituzionali nel mondo

rilevanti anche per il filosofo politico (quali il processo di globalizzazione, democratizzazione, o il progetto di integrazione europea). Contiene il link alla rivista on-line sterreichische Zeitschrift fr Politikwissenschaft.
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Russian Political Science Association


Questo sito russo, tradotto in inglese in alcune sezioni, contiene informazioni sulle attivit dell'associazione e alcuni scritti on-line.

Sitio Web en espanol de Psicologa Poltica


Buon sito, in spagnolo, introduttivo alla Psicologia Politica. Contiene il link alla rivista PSICOLOGA POLTICA.

The European Commission against Racism and Intolerance (ECRI)


Questo sito contiene numerose informazioni su iniziative contro il razzismo, su organizzazioni internazionali e un forum di discussione per gli utenti, in fase di realizzazione.

The European Research Centre on Migration and Ethnic Relations


Presso l' Universit di Utrecht . ERCOMER un centro di ricerca europeo, dedicato allo studio delle problematiche connesse ai movimenti migratori, alle relazioni etniche e alle differenti manifestazioni di razzismo e conflitto etnico, all'interno del contesto europeo. Questo sito contiene anche il link alla WWW Virtual Library on migration and ethnic relations.

Wiener Gesellschaft fr interkulturelle Philosophie


Per costruire un modo interculturale di filosofare. Per ora, il sito - esclusivamente in tedesco - in gran parte in allestimento.

Altri siti extra-europei


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Australian Association of Professional and Applied Ethics


Questo sito fornisce informazioni sugli scopi e attivit dell'Associazione.

Eubios Bioethics Institute


Istituto neozelandese e giapponese: numerosi links relativi al tema.

Michael Oakeshott Association


Associazione dedicata alla diffusione e alla discussione del lavoro di Michael Oakeshott. Il sito contiene informazioni biografiche e bibliografiche.

Alcuni indirizzi sono stati segnalati da Patricia Chiantera e Angelo Marocco

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Pubblicazioni (filosofia politica)

a cura di Maria Chiara Pievatolo pievatolo@dsp.unipi.it Ultimo aggiornamento: 16 settembre 2003

Pubblicazioni on-line
Questa pagina finalizzata ad ospitare, oltre che testi destinati alla esclusiva pubblicazione in forma elettronica, testi gi pubblicati o in corso di pubblicazione su media cartacei. Il suo scopo primario la promozione dell'informazione e della discussione in un ambito pi ampio di quello strettamente accademico, ed in tempi pi rapidi, perch indipendenti dalla stampa. Gli autori che vogliono mettere il loro lavoro a disposizione del pubblico e vogliono sottoporlo a Requests for Comments sono invitati a rivolgersi alla curatrice. I testi, prima di essere pubblicati, verranno valutati da referees scelti con il consiglio di un apposito comitato scientifico.

Giuliano Marini Kant e il diritto cosmopolitico Susan Moller Okin Multiculturalismo e femminismo Ermanno Bencivenga Oltre la tolleranza: per una proposta politica esigente Damien Keown Ci sono "diritti umani" nel buddhismo? Danilo Zolo - Ulrich Beck La societ globale del rischio Gianluigi Palombella Diritti fondamentali: argomenti per una teoria Maria Rosaria Marella Break On Through To The Other Side: appunti sull'influenza di Marx nel femminismo giuridico

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Pubblicazioni di filosofia politica: comitato scientifico

a cura di Maria Chiara Pievatolo pievatolo@dsp.unipi.it Ultimo aggiornamento: 6 aprile 2000

Pubblicazioni on-line: comitato scientifico


Roberto Gatti (universit di Perugia), Barbara Henry (SSSUPSA, Pisa), Giuliano Marini (universit di Pisa), Gianluigi Palombella (universit di Parma), Anna Pintore (universit di Cagliari)

SWIF - Sito Web Italiano per la Filosofia Copyright 1997-98 CASPUR - LEI - CISECA

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Susan Moller Okin, Scheda informativa

a cura di Maria Chiara Pievatolo pievatolo@dsp.unipi.it Ultimo aggiornamento: 7 giugno 1999

Susan Moller Okin: una scheda informativa


a cura di Maria Chiara Pievatolo Convinzione di molto pensiero femminista contemporaneo che la differenza sessuale sia un dato evidente e indiscutibile. E che trascurare questa differenza, nella cultura, nel diritto e nella politica, conduca ad una forzata assimilazione del femminile al maschile. E' sbagliato lottare per l'uguaglianza: bisogna, piuttosto, lottare per la differenza: sul piano giuridico, per i diritti speciali e le azioni positive; sul piano politico, per la rappresentanza differenziata e suddivisa in quote; sul piano culturale, per i cosiddetti Women's Studies. Non possiamo applicare alle donne la politica, il diritto e la cultura degli uomini: c' una storia, un'etica, una politica, una filosofia degli uomini, che per le donne deve essere affatto differente. Susan Moller Okin sfida questo comune sentire. Lo sfida, innanzitutto, colla sua biografia accademica. Ella ha una cattedra di Political Science alla Stanford University. Si occupa di filosofia politica e non di filosofia politica femminile - tanto da vedere, si legge nell'Afterword del 1992 a Women in Western Political Thought, i Women's Studies come una forma di marginalizzazione culturale. L'istituzione di una cattedra di filosofia politica o di storia delle donne, un alibi che permette che le cattedre di filosofia politica o di storia senza specificazioni continuino ad occuparsi solo di una met dell'umanit, mentre l'altra rimane emarginata in un ghetto al cui ingresso sta scritto, a scarico di coscienza, "valorizzazione". Enfatizzare la differenza sessuale, senza chiedersi se la sua rilevanza al di l degli ambiti biologici non sia dovuta a ingiustificate differenziazioni sociali e politiche, produce delle armi a doppio taglio - soprattutto se messe in mano a forze conservatrici. Women in Western Political Thought un libro di filosofia politica, con una solida impostazione storica, e uno stile chiaro e rigoroso. Un testo che, sebbene ispirato da una tesi "militante", potrebbe essere adottato senza imbarazzo, sia per la sua erudizione, sia per il suo rigore, come manuale in un corso istituzionale. E che potrebbe essere letto con interesse dalle numerose donne che, pur rifacendosi alla tradizione femminista, provano disagio rispetto al pensiero della differenza, egemonico in Italia. E' di efficacia retorica non trascurabile che questo paradigma sia criticato da una studiosa che donna e per di pi femminista. L'intento di Women in Western Political Thought capire in che modo il pensiero filosofico-politico occidentale ha visto le donne. Non una questione marginale. Si tratta di considerare le tesi fondamentali dei pensatori che formano la nostra tradizione (Platone, Aristotele, Hobbes, Locke, Rousseau, John Stuart Mill) nella loro applicazione a una met di ci che comunemente inteso come umanit. S.M. Okin usa un grimaldello critico che pu essere suddiviso in una parte filosofica e in una parte politica. Sul piano filosofico, ove per gli esseri umani di sesso maschile si sempre distinto fra natura e cultura e ci si interrogati sulle loro potenzialit, per gli esseri umani di sesso femminile si preferita una visione funzionalistica e naturalistica: "a che cosa servono le donne?". Questa domanda si fonda, a sua volta, sulla assunzione istituzionale della famiglia, colla sua disuguale divisione del lavoro fra i sessi, come qualcosa di naturale e di non soggetto alla giustizia in quanto costruzione filosofica e politica. Platone si era reso conto che lo sviluppo delle potenzialit di ciascuno dipende dall'educazione. Che dunque, perfino nel mondo funzionalistico della Repubblica, non c'era motivo di discriminare fra uomini e donne. E che la radice della discriminazione era la sfera privata della famiglia col suo finalismo naturalistico. Contro noti interpreti di Platone (Strauss, Grube, Bloom), la Okin sottolinea che, nella Repubblica, l'eliminazione della famiglia e gli accoppiamenti programmati eugeneticamente non possono essere visti come sintomi di totalitarismo. Nel mondo greco la famiglia era un'impresa economica e sociale e gli uomini trovavano amore e affetto nelle relazioni
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Susan Moller Okin, Scheda informativa

omosessuali. Gli obblighi imposti agli uomini nella Repubblica non sarebbero stati molto differenti dai loro normali doveri sociali e familiari; le donne, di contro, nell'ottima polis sarebbero state molto pi libere, avendo accesso alla vita pubblica e all'istruzione. Questa una osservazione banale. Eppure fini grecisti hanno criticato Platone assumendo il punto di vista del capo-famiglia maschio della tradizionale famiglia borghese occidentale, intesa come sede di una vita affettiva che i contemporanei di Platone trovavano altrove. E hanno compiuto questa assunzione perch non hanno trattato la questione delle potenzialit e del ruolo delle donne come una questione filosofica, ma come un elemento gi risolto, naturalisticamente, in una famiglia che la filosofia ha accettato, senza riflettere, come data. In questa prospettiva, stato pi comodo accogliere, nel pensiero politico occidentale, il funzionalismo conservatore e naturalistico di Aristotele, che una prospettiva coerente in una visione teleologica e gerarchica del mondo, ma che - se inserita entro un paradigma contrattualista o democratico - produce gravi contraddizioni. Tuttavia questa visione delle donne stata mantenuta sia dai contrattualisti, sia da Rousseau, sia da John Stuart Mill - che pure l'unico liberale femminista. I contrattualisti hanno assunto come naturale la famiglia comandata dal maschio, escludendola senza giustificazione dal contratto; Rousseau ha conservato, solo per le donne, la legittimit della servit e del diritto del pi forte, con la paradossale conseguenza che la famiglia nello stesso tempo la cellula fondamentale della societ e la sua principale fonte di corruzione: l'angelo del focolare una donna che stata educata non come una libera cittadina, bens come finalizzata e asservita al piacere del marito e alle vezzosit viziose e alle ipocrisie del costume. John Stuart Mill rivendica, da liberale, pari diritti civili e politici per le donne, ma, assumendo la famiglia nucleare borghese e l'istinto materno come naturali, non ha gli strumenti per affrontare il problema della divisione sessuale del lavoro entro la famiglia stessa, e della assunzione acritica di questa divisione entro la societ. Come si vede, la tesi filosofica e quella politica della Okin si richiamano a vicenda: invece di compiacersi di differenze la cui origine dubbia, occorre criticare, sul piano filosofico, il funzionalismo, e porre, sul piano politico, il problema della giustizia e dell'uguaglianza nella sede entro la quale questo funzionalismo stato gelosamente e acriticamente conservato: la famiglia, nel suo carattere di istituzione i cui confini non possono essere detti privati, perch sono ritagliati e riconosciuti dal "pubblico", socialmente, giuridicamente e politicamente.

1. S.M. Okin, Women in Western Political Thought, Princeton, Princeton University Press, 1979-1992. 2. S.M. Okin, Justice, Gender and the Family, New York, Basic Books, 1989, pp. 3-24 (trad. it. Le donne e la giustizia: la famiglia come problema politico, Bari, Dedalo, 1999; postfazione on-line): le teorie della giustizia devono applicarsi a tutti, e non si deve assumere tacitamente che la met di noi si cura di ambiti della vita che sono al di fuori della sfera della giustizia sociale. La famiglia deve offrire a tutti le stesse possibilit di sviluppare le proprie capacit. Purtroppo, molta energia intellettuale femminista negli anni '80 andata sprecata per la pretesa che giustizia e diritti siano modi maschilisti di pensare e che le donne debbano piuttosto basarsi su un'etica della cura. Ma la differenza fra giustizia e cura non molto chiara; n chiaro quale sia l'origine di questa differenza. In secondo luogo, non esiste una contrapposizione vera e propria fra giustizia e cura, perch la giustizia stessa implica la cura, come interesse per chi diverso da noi.

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Okin. Multiculturalismo e femminismo

a cura di Maria Chiara Pievatolo pievatolo@dsp.unipi.it . Ultimo aggiornamento: 7 giugno 1999

Multiculturalismo e femminismo.
Il multiculturalismo danneggia le donne?
di Susan Moller Okin traduzione italiana di Maria Chiara Pievatolo Originally published in Boston Review, October/November 1997. Used by permission. Copyright 1997 by Susan Okin, all rights reserved.

Fino a pochi decenni fa, ci si aspettava tipicamente dai gruppi minoritari che si assimilassero nelle culture di maggioranza. Ora questa attesa di assimilazione spesso considerata oppressiva e molti paesi occidentali cercano di escogitare nuove linee di condotta politica, pi sensibili alla persistenzadelle differenze culturali. Paesi che, come lInghilterra, hanno chiese nazionali o una educazione religiosa patrocinata dallo stato, trovano difficile resistere alla richiesta di estendere il sostegno statale alle scuole religiose minoritarie; paesi che, come la Francia, hanno una tradizione di istruzione pubblica laica, sono lacerati da dispute sul permesso di vestire, nelle scuole pubbliche, gli abiti richiesti da religioni minoritarie. Ma una questione ricorrente in tutti i contesti, sebbene non sia quasi stata notata nel dibattito attuale: che fare quando le pretese di culture o religioni minoritarie collidono col principio delluguaglianza di genere che per lo meno formalmente sottoscritta dagli stati liberal-democratici - per quanto continuino a violarla nella pratica? Ad esempio, nella seconda met degli anni 80, scoppi in Francia unaspra controversia sulla permesso, per le ragazze maghrebine, di frequentare la scuola portando il velo tradizionale delle giovani donne musulmane uscite dalla pubert. I difensori delleducazione laica si schierarono con alcune femministe e con i nazionalisti dellestrema destra, e gran parte della sinistra tradizionale sostenne le richieste multiculturaliste di flessibilit e rispetto per la diversit, accusando gli avversari di razzismo o imperialismo culturale. Nello stesso tempo, per, lopinione pubblica rimase praticamente in silenzio su un problema di gran lunga pi importante per molte immigrate francesi di origine araba o africana: la poligamia. Nel corso degli anni 80, il governo francese consent tacitamente agli immigranti di condurre pi di una moglie nel paese, tanto che, secondo le stime, 200.000 famiglie parigine sono ora poligame. Il sospetto che linteresse delle istituzioni sul velo fosse motivato da un desiderio di uguaglianza fra i generi messo fuori gioco da questa facile adozione di una linea di condotta permissiva sulla poligamia, nonostante loppressione che questa pratica impone alle donne e gli avvertimenti fatti dalle donne delle culture interessate (1). Su tale questione, non si lev una opposizione politica reale. Ma quando i cronisti

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Okin. Multiculturalismo e femminismo

finalmente riuscirono a intervistare le mogli, scoprirono qualcosa che il governo avrebbe potuto imparare qualche anno prima: che le donne che subivano la poligamia la consideravano una istituzione inevitabile e a malapena sopportabile nei loro paesi africani dorigine, e una insopportabile imposizione nel contesto francese. Gli appartamenti sovraffollati e la mancanza d spazio privato provocavano enorme ostilit, risentimento e addirittura violenza sia fra le mogli sia contro i figli delluna o dellaltra. Anche per la tensione sul welfare provocata da famiglie di venti o trenta membri, il governo francese ha recentemente deciso di riconoscere solo una moglie e considerare nulli tutti gli altri matrimoni. Ma che cosa succede a tutte le altre mogli e ai lori figli? Dopo aver trascurato per tanto tempo il punto di vista delle donne sulla poligamia, il governo sembra ora abdicare alle sue responsabilit per la vulnerabilit delle donne e dei bambini dovuta alla sua condotta politica sconsiderata. Laccomodamento francese della questione della poligamia illustra una tensione profonda e crescente fra il femminismo e lansia multiculturalista di proteggere la diversit culturale. Penso che noi - soprattutto quelle fra noi che si considerano politicamente progressiste e contrarie a tutte le forme di oppressione siamo state troppo veloci ad assumere che femminismo e multiculturalismo siano entrambi cose buone e facilmente conciliabili. Io sosterr, invece, che sono molto probabili delle tensioni - tensioni, per esseri pi precisi, fra il femminismo e un impegno multiculturalista per i diritti di gruppo delle minoranze culturali. Qualche parola per spiegare la prospettiva e i termini del mio argomento. Per femminismo intendo la convinzione che le donne non debbano essere svantaggiate dal loro sesso, che debba essere loro riconosciuta una pari dignit rispetto agli uomini, e la stessa possibilit degli uomini di vivere una vita soddisfacente e liberamente scelta. Il multiculturalismo pi difficile da definire, ma il suo aspetto che in questa sede mi interessa la pretesa, in contesti di democrazie fondamentalmente liberali, che le culture o gli stili di vita minoritari non sono protetti a sufficienza dalla garanzia di diritti individuali ai loro membri. Perci le culture devono essere protette per mezzo di speciali diritti di gruppo o privilegi. Nel caso francese, ad esempio, il diritto a concludere matrimoni poligamici chiaramente un diritto di gruppo, indisponibile al resto della popolazione. In altri casi, i gruppi richiedono diritti per autogovernarsi, per avere rappresentanze politiche garantite, o lesenzione da leggi generalmente applicabili. Le richieste di simili diritti di gruppo sono crescenti - dalle popolazioni indigene, ai gruppi minoritari etnici o religiosi, ai popoli ex- coloniali (almeno quando questi ultimi immigrano nello stato che li colonizzava). Questi gruppi, si sostiene, hanno le loro culture sociali che - come dice Will Kymlicka, il principale difensore contemporaneo dei diritti dei gruppi culturali - danno ai loro membri abitudini dotate di significato nellintero ambito delle attivit umane: nella vita sociale, educativa, religiosa, ricreativa ed economica, e nella sfera pubblica e privata. (2) Poich le culture sociali hanno un ruolo cos diffuso e fondamentale nelle vite dei loro membri, e poich queste cultore sono minacciate di estinzione, le culture minoritarie devono essere protette da diritti speciali. A questo si riduce, in sostanza, largomento a favore dei diritti di gruppo. Alcuni fautori dei diritti di gruppo affermano che anche le minoranze culturali le quali si fanno beffe dei diritti [dei loro singoli membri] in una societ liberale(3) dovrebbero ricevere diritti di gruppo o privilegi se la loro condizione minoritaria mette a repentaglio la continuit dellesistenza della cultura. Altri non pretendono che tutti i gruppo culturali minoritari abbiano diritti speciali, ma che tali gruppi - anche quelli illiberali, che violano i diritti dei loro singoli membri, chiedendo loro di conformarsi a norme o credenze di gruppo - abbiano i diritto ad essere lasciati soli in una societ liberale. (4) Entrambi le pretese appaiono in contraddizione con il valore liberale fondamentale della libert individuale, il quale comporta che i diritti di gruppo non debbano sopravanzare quelli individuali; perci, non considerer, qui, i problemi che essi presentano alle femministe. (5) Ma alcuni difensori del multiculturalismo limitano, per lo pi, la difesa dei

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diritti di gruppo a gruppi che sono internamente liberali. (6) Anche con queste restrizioni le femministe cio chiunque sostiene luguaglianza morale di uomini e donne - dovrebbero rimanere scettiche. Questa la tesi che cercher di mostrare.

Genere e cultura
La maggior parte delle culture sono imbevute di pratiche e ideologie che hanno a che fare col genere. Poniamo, allora, che una cultura approvi e faciliti il controllo sulle donne da parte degli uomini in vari modi (anche se informalmente, nella sfera privata della vita domestica). Immaginiamo anche che ci siano differenze di potere abbastanza chiare fra i sessi, tali che gli appartenenti al sesso pi forte, i maschi, siano in genere anche coloro che si trovano nella posizione di determinare e articolare le credenze, le pratiche e gli interessi del gruppo. In tali condizioni, i diritti di gruppo sono potenzialmente e in molti casi attualmente antifemministi. Essi limitano in maniera significativa la capacit delle donne e delle ragazze di quella cultura di vivere con una dignit umana pari a quella degli uomini e dei ragazzi e con una pari libert di scelta. I fautori dei diritti di gruppo per le minoranze entro gli stati liberali non hanno affrontato in modo adeguato questa critica elementare ai diritti di gruppo, per almeno due ragioni. In primo luogo, essi tendono a trattare i gruppi culturali come monolitici - a prestare pi attenzione alle differenze fra i gruppi che a quelle entro i gruppi. E in particolare, essi danno un riconoscimento scarso o nullo al fatto che i gruppi culturali minoritari, come le societ in cui essi esistono (sebbene in misura maggiore o minore), hanno al loro interno una struttura di genere, con significative differenze di potere e di favore fra uomini e donne. In secondo luogo, i difensori dei diritti di gruppo hanno una attenzione scarsa o nulla per la sfera privata. Alcune delle migliori difese liberali dei diritti di gruppo insistono che gli individui hanno bisogno di una cultura tutta per loro, e che solo entro una simile cultura possibile sviluppare autostima o rispetto per se stessi, o la capacita di decidere quale tipo di vita buono per loro. Ma tali argomentazioni trascurano tipicamente i ruoli differenti che i gruppi culturali impongono ai loro membri e il contesto nel quale si formano originariamente il senso del s e le capacit delle persone e ove ha luogo la prima trasmissione di cultura - lambito della vita familiare o domestica. Quando correggiamo queste manchevolezze prestando attenzione alle differenze interne ai gruppi e allambito privato, diventano nettamente evidenti due nessi particolarmente importanti fra cultura e genere, che sottolineano la forza della critica elementare ai diritti di gruppo. In primo luogo, la sfera della vita personale, sessuale e riproduttiva un punto di riferimento centrale nella maggioranza delle culture e un tema dominante nelle pratiche e nelle regole culturali. Spesso i gruppi religiosi o culturali si preoccupano particolarmente del diritto personale - delle leggi sul matrimonio, sul divorzio, sulla custodia dei figli, sulla divisione e il controllo della propriet familiare e sulleredit. (7) Di regola, perci, la difesa delle pratiche culturali pu avere un impatto di gran lunga maggiore sulle vite delle donne e delle ragazze che su quelle di uomini e ragazzi, perch una parte di gran lunga maggiore del tempo e dellenergia delle donne finisce nella difesa e nel mantenimento dellaspetto personale, familiare e riproduttivo della vita. Evidentemente, la cultura non riguarda solo le organizzazioni domestiche, ma esse offrono effettivamente uno dei punti di riferimento principali di molte culture contemporanee. La casa, dopo tutto, il luogo ove gran parte della cultura praticata, conservata e trasmessa ai giovani. A sua volta, la distribuzione delle responsabilit e del potere in casa ha un impatto importante su chi pu partecipare e influenzare le parti pi pubbliche della vita culturale, ove sono fatte leggi e regole sulla vita sia pubblica sia privata. In secondo luogo, uno degli scopi principali della maggior parte delle cultore il controllo delle donne da

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parte degli uomini. (8) Si considerino, ad esempio, i miti di fondazione dellantichit greca e romana, e del giudaismo, del cristianesimo e dellIslam: sono pieni di tentativi di giustificare il controllo e la subordinazione delle donne. In questi miti si trovano la negazione del ruolo femminile nella riproduzione, lappropriazione da parte degli uomini del potere di riprodursi da s, la caratterizzazione delle donne come eccessivamente emotive, infide, malvagie o sessualmente pericolose, nonch il rifiuto di riconoscere i diritti della madre sui suoi figli. (9) Si pensi ad Atena, scaturita dalla testa di Zeus, o a Romolo e Remo, allevati senza una madre umana. O ad Adamo, creato da un Dio maschio, che poi (almeno secondo una delle due versioni bibliche della storia), plasma Eva da una parte di Adamo. Si consideri Eva, la cui debolezza travi Adamo. Si pensi agli infiniti gener della Genesi, ove il ruolo primario delle donne nella riproduzione completamente ignorato, o alle giustificazioni testuali della poligamia, praticata in passato in seno al giudaismo, e ancora diffusa in molte parti del mondo islamico e in alcune zone degli USA (sebbene illegalmente) fra i Mormoni. Si consideri anche il racconto di Abramo, punto di svolta fondamentale nello sviluppo del monoteismo. (10) Dio comanda ad Abramo di sacrificare il di lui amatissimo figlio Isacco. Abramo si prepara a fare di lui esattamente ci che Dio gli domanda, senza dire, n tanto meno chiedere nulla alla madre di Isacco, Sara. Lubbidienza assoluta di Abramo a Dio lo rende il modello di fede centrale e fondamentale per i tre monoteismi. La tendenza a controllare le donne - e a biasimarle e punirle per le difficolt degli uomini a controllare i propri impulsi sessuali - si molto attenuata nelle versione pi progressive e riformate del giudaismo, del cristianesimo e dellIslam, ma rimane forte nelle loro versioni pi ortodosse o fondamentaliste. Per d pi, questa tendenza non si limita affatto alle culture occidentali o monoteistiche. Sono piuttosto chiaramente patriarcali molte delle tradizioni e culture del mondo, comprese quelle praticate negli stati in passato conquistati o colonizzati dagli europei - che comprendono sicuramente la maggior parte dei popoli dellAfrica, del Medio Oriente, dellAmerica Latina e dellAsia. Anchesse possiedono elaborati modelli di socializzazione, rituali, costumi matrimoniali e altre pratiche culturali (compresi i sistemi di propriet e di controllo dei beni) volti a mettere sotto il controllo degli uomini la sessualit e la capacit riproduttiva femminili. Molte di tali pratiche rendono alle donne virtualmente impossibile scegliere d vivere indipendentemente dai maschi, di essere nubili o lesbiche, o di non avere figli. Coloro che praticano alcune delle usanze pi discusse - la clitoridectomia, il matrimonio dei bambini o matrimoni altrimenti imposti, o la poligamia - talvolta le difendono esplicitamente come necessarie al controllo delle donne, e riconoscono apertamente che simili usanze perdurano per insistenza degli uomini. In una intervista colla giornalista del New York Times Celia Dugger, coloro che praticano la clitoridectomia in Costa dAvorio e in Togo spiegavano che questa usanza contribuisce ad assicurare la verginit delle ragazze prima del matrimonio e la loro fedelt dopo, riducendo il sesso ad un obbligo coniugale. Come diceva una levatrice, il ruolo di una donna nella vita curare i suoi bambini, amministrare la casa e cucinare. Se non venisse escissa, potrebbe pensare al suo piacere sessuale (11) In Egitto, ove una legge che proibiva la mutilazione genitale femminile stata di recente annullata da un tribunale, i fautori della pratica dicono che essa imbriglia lappetito sessuale delle ragazze, e le rende pi adatte per il matrimonio (12) Per di pi, in tali contesti, molte donne non hanno nessuna alternativa al matrimonio che sia economicamente accessibile. Anche gli uomini di culture poligame riconoscono prontamente che la poligamia si accorda col loro interesse personale ed un mezzo per controllare le donne. Come diceva un immigrato francese originario del Mali in una intervista recente: Se mia moglie malata e io non ne ho unaltra, chi si prender cura di me?... [U]na moglie da sola un guaio. Se ce ne sono molte, sono costrette ad essere educate e a comportarsi bene. Se si comportano male, si pu minacciarle di prendere unaltra moglie. Le donne, evidentemente, vedono la poligamia in modo molto diverso. Le africane immigrate in Francia negano di apprezzare la poligamia, e dicono che non solo non data loro nessuna scelta, ma che neppure le loro ave in Africa la amano. (13) Quanto ai matrimoni di bambine o comunque imposti: questa usanza chiaramente un modo per controllare non solo chi le

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ragazze o le giovani donne sposano, ma anche per assicurarsi che siano vergini al momento del matrimonio, e, spesso, per accrescere il potere del marito creando una differenza di et significativa fra mariti e mogli. Si consideri anche la pratica - comune in gran parte dellAmerica Latina, delle campagne dellIndocina e di parti dellAfrica occidentale - di incoraggiare o addirittura di pretendere che la vittima di uno stupro sposi lo stupratore. In molte di queste culture - compresi quattordici paesi dellAmerica Latina - gli stupratori sono liberati giuridicamente da ogni gravame se sposano, o,, in qualche caso, si offrono soltanto di sposare le loro vittime. In queste culture lo stupro non visto come una aggressione violenta alla ragazza o alla donna stessa, bens come una grave offesa alla sua famiglia e al suo onore. Sposando la sua vittima, lo stupratore pu contribuire e restaurare lonore della famiglia e a liberarla da una figlia che, come una merce danneggiata diventata inadatta al matrimonio. In Per, questa legge barbarica stata peggiorata nel 1991: coloro che sono accusati in solido di uno stupro di gruppo sono liberati dai carichi penali se uno di loro offre di sposare la vittima (le femministe stanno lottando per labrogazione di questa legge). Come spiegava un tassista peruviano: Il matrimonio la cosa giusta conveniente da fare dopo uno stupro. Una donna stuprata un articolo usato. Nessuno la vuole. Almeno con questa legge la donna avr un marito. (14) E difficile immaginare una sorte peggiore, per una donna, di quella di essere indotta a sposare luomo che lha stuprata. Ma in alcune culture esistono sorti peggiori - segnatamente in Pakistan e in parte del Medio Oriente arabo, ove le donne che presentano una denuncia di stupro sono di frequente accusate del grave delitto musulmano della zina, o sesso fuori dal matrimonio. Il diritto permette di frustare o imprigionare una simile donna, e la cultura perdona lomicidio o linduzione al suicidio di una donna stuprata da parte di parenti interessati a restaurare lonore della famiglia. (15) In conclusione, molte abitudini culturalmente fondate sono finalizzate a controllare le donne e ad asservirle, specialmente sul piano sessuale e riproduttivo, ai desideri e agli interessi degli uomini. Per di pi, talvolta, la cultura o la tradizione connessa cos strettamente col controllo delle donne da essergli virtualmente identica. Secondo un reportage recente su una piccola comunit di ebrei ortodossi delle montagne dello Yemen - ironicamente, da un punto di vista femminista, il titolo dellarticolo era Le piccole comunit ebraiche yemenite fioriscono in una mescolanza di tradizioni, lanziano capo di questa piccola setta poligamica afferma: Siamo ebrei ortodossi, molto attaccati alle nostre tradizioni. Se andassimo in Israele, ci lasceremmo sfuggire di mano le nostre figlie, mogli e sorelle. E un suo figlio aggiunge: Noi siamo come i musulmani, non permettiamo alle nostre donne di scoprirsi la faccia. (16) Dunque, lasservimento delle donne presentato come un sinonimo virtuale delle nostre tradizioni. Solo la cecit allasservimento sessuale pu spiegare il titolo dellarticolo: un titolo del genere sarebbe inimmaginabile per un articolo su una comunit praticante una schiavit diversa da quella sessuale. Mentre virtualmente tutte le culture del mondo hanno un passato chiaramente patriarcale, alcune - per lo pi, ma non esclusivamente, culture occidentali liberali - si sono distaccate da questo passato pi di altre. Le culture occidentali, certo, praticano ancora molte forme di discriminazione sessuale. Esse danno pi importanza alla bellezza, alla magrezza e alla giovent per le donne, e al successo intellettuale, alla capacit e alla forza per i maschi; si attendono che le donne facciano, senza remunerazione economica, ben pi della met del lavoro non pagato allinterno della famiglia, a prescindere dal fatto che abbiamo o no un lavoro stipendiato; sia per questo, sia per la discriminazione sessuale sul posto di lavoro, la povert un destino molto pi probabile per le donne che per gli uomini; e donne e ragazze sono esposte ad una grande quantit di violenza (illegale), anche sessuale. Ma, nello stesso tempo, in numerose culture liberali alle donne sono giuridicamente garantite molte delle libert e delle possibilit degli uomini. In pi, entro tali culture, molte famiglie, colleccezione di alcuni fondamentalisti religiosi, non trasmettono alle figlie lidea che esse siano di valore inferiore rispetto ai ragazzi, che la loro vita debba essere confinata alla sfera domestica e al servizio degli uomini e dei figli, e che il solo valore positivo
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della loro sessualit debba venire rigorosamente limitato al matrimonio, al servizio degli uomini e a scopi riproduttivi. Ci, come abbiamo visto, assai diverso dalla condizione femminile in altre culture del mondo, comprese quelle da cui provengono molti immigrati in Europa e nellAmerica del nord.

Diritti di gruppo?
La maggior parte delle culture sono patriarcali e molte delle comunit culturali - per quanto non tutte - che reclamano diritti di gruppo sono pi patriarcali delle cultore circostanti. Perci non sorprendente che limportanza culturale di conservare il controllo sulle donne emerga con stridente evidenza negli esempi forniti dalla letteratura sulla diversit culturale e i diritti di gruppo entro stati liberali. Tuttavia, sebbene levidenza sia stridente, questo tema viene di rado affrontato in modo esplicito. (17) Un saggio del 1986 sulle pretese di diritti giuridici culturalmente fondate di vari gruppi di immigrati e zingari in Gran Bretagna ricorda il ruolo e lo status delle donne come un esempio chiarissimo del contrasto fra culture (18). In questo testo, Sebastian Poulter discute le pretese di trattamenti giuridici speciali avanzate dai membri di tali gruppi sulla base delle loro differenze culturali. Alcune di queste pretese non sono connesse al genere: un insegnante musulmano chiede il permesso di restare assente dal lavoro per la preghiera una parte del venerd pomeriggio, e i bambini zingari di avere un obbligo scolastico meno rigoroso a causa della loro vita nomade. Ma grande maggioranza degli esempi riguardano disuguaglianze di genere: matrimoni precoci o imposti, regolamenti di divorzio pregiudicati contro le donne, poligamia e clitoridectomia. Quasi tutte le cause giuridiche trattate sono derivate da pretese di donne o ragazze secondo le quali le pratiche dei loro gruppi culturali hanno decurtato o violato i loro diritti individuali. In un articolo recente della filosofa politica Amy Gutmann, The Challenge of Multiculturalism in Political Ethics, una buona met degli esempi ha che vedere con questioni di genere - poligamia, aborto, molestie sessuali, clitoridectomia e purdah [segregazione sessuale; n.d.T.]. (19) Questo caratteristico nella letteratura su questioni multiculturali intrastatuali. E lo stesso fenomeno si verifica in ambito internazionale, ove i diritti umani delle donne sono spesso respinti come incompatibili colla propria cultura dai governanti di alcuni paesi o gruppi di paesi. (20) Analogamente, una schiacciante maggioranza delle difese culturali adottate con sempre maggior frequenza nei processi penali americani coinvolgenti membri di minoranze culturali sono connesse al genere, e in particolare al controllo maschile su donne e bambini. (21) Talvolta le difese culturali entrano in gioco per spiegare la violenza prevedibile fra uomini o il sacrificio rituale di animali. Tuttavia, molto pi comune largomento secondo cui, nel gruppo culturale dellimputato, le donne non sono esseri umani di uguale valore ma subordinati la cui funzione primaria (se non unica) servire i maschi sessualmente e domesticamente. Perci, i quattro tipi di casi in cui le difese culturali sono state impiegate con pi successo sono: rapimento e stupro commessi da uomini Hmong [un gruppo tribale del Laos; n.d.T.] che sostengono che queste azioni sono parte della pratica culturale del zij poj niam o matrimonio per ratto, uxoricidio commesso da immigrati asiatici e mediorientali le cui mogli hanno o commesso adulterio, o trattato il proprio marito in modo servile, madri che hanno ucciso i propri figli e tentato il suicidio, e affermano che la vergogna dellinfedelt dello sposo le ha spinte, a causa delle loro radici cinesi o giapponesi, alla pratica culturalmente perdonabile del suicidio della madre con i figli, e la clitoridectomia in Francia, sebbene non negli USA, anche perch la pratica divenuta reato penale solo nel 1996. In una serie di casi di questo genere, la testimonianza dellesperto sul retroscena culturale dellimputato o del querelato ha condotto alla riduzione o alla caduta di capi daccusa, alla valutazione della mens rea su base culturale, o a significative riduzioni delle pene. In una famosa causa recente, un immigrato dellIraq rurale fece sposare le sue due figlie, di tredici e quattordici anni, a due amici di ventotto e trentaquattro anni. In seguito, quando la figlia maggiore fugg col fidanzato ventenne, il padre chiese aiuto alla polizia per ritrovarla. E quando al polizia la trov, accus il padre di maltrattamento delle figlie, e i mariti e il
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fidanzato di stupro di minore.. La difesa degli iracheni si fonda, almeno in parte, sulle usanze matrimoniali della loro cultura. (22) Come mostrano questi esempi, gli imputati non sono sempre maschi, n le vittime sempre femmine. Sia un immigrato cinese a New York che aveva percosso a morte la moglie adultera, sia una immigrata giapponese in California che aveva annegato i figli e tentato ella stessa di annegarsi perch ladulterio del marito aveva disonorato la famiglia si sono affidati a difese culturali per ottenere una riduzione della gravit delle accuse (da omicidio volontario a omicidio colposo). Perci pu sembrare che la difesa culturale fosse pregiudicata a favore delluomo nel primo caso, e della donna nel secondo. Ma non esiste una tale asimmetria. In entrambi i casi, il messaggio culturale pregiudicato in modo analogo rispetto al genere: le donne (e i bambini, nel secondo caso) sono in una posizione ancillare rispetto alluomo, e devono sopportare la colpa e la vergogna di ogni allontanamento dalla monogamia. Chiunque sia linfedele, la moglie a soffrirne le conseguenze. Nel primo caso, venendo brutalmente uccisa per la furia del marito a causa della sua vergognosa infedelt, e nel secondo caso perch linfedelt dello sposo una vergogna e un marchio di fallimemto tale da spingerla ad uccidere se stessa e i propri figli. Di nuovo, lidea che le donne e le ragazze sono principalmente e innanzitutto schiave sessuali degli uomini, le cui virt fondamentali sono la verginit prima del matrimonio e la fedelt nel matrimonio emerge in molte affermazioni in difesa delle pratiche culturali. Le culture occidentali maggioritarie, principalmente per la pressione femminista, hanno di recente compiuto sforzi significativi allo scopo di eliminare o limitare i pretesti per trattare brutalmente le donne. Fino a non molto tempo fa, la responsabilit delluxoricidio, per gli uomini americani, veniva di norma attenuata se essi spiegavano la loro condotta come un delitto passionale, dettato dalla gelosia per linfedelt della moglie. E le donne che non avevano un passato completamente illibato, e che non avevano opposto resistenza fino a mettere in pericolo se stesse venivano sistematicamente incolpate se stuprate. Ora le cose sono in qualche misura cambiate, e i sospetti sulla svolta verso le difese culturali derivano parzialmente, senza dubbio, dalla preoccupazione di conservare i progressi recenti. Ma forse la preoccupazione principale che, astenendosi dal proteggere le donne e talvolta i bambini delle culture minoritarie dalla violenza maschile e talvolta materna, le difese culturali violano il loro diritto di uguale protezione da parte della legge. (23) Quando una donna appartenente ad una cultura pi patriarcale giunge negli USA o in qualche altro stato occidentale fondamentalmente liberale, perch ella dovrebbe essere meno protetta dalla violenza maschile rispetto ad altre donne? Molte donne di culture minoritarie hanno protestato perch viene applicata, a favore dei loro aggressori, una unit di misura differente meno severa rispetto che agli altri (24)

Difese liberali
Nonostante tutte le prove di pratiche culturali che controllano e subordinano le donne, nessuno dei pi importanti difensori dei diritti multiculturali di gruppo ha affrontato adeguatamente o semplicemente tematizzato in maniera diretta le imbarazzanti connessioni fra genere e cultura, o i conflitti che sorgono cos comunemente fra multiculturalismo e femminismo. La trattazione di Will Kymlicka , a questo proposito, rappresentativa. Le argomentazioni di Kymlicka a favore dei diritti di gruppo si basano sui diritti individuali, e limitano tali privilegi e protezioni a gruppi che sono liberali al loro interno. Seguendo John Rawls, Kymlicka mette laccento sullimportanza fondamentale del rispetto di s nella vita di una persona. Egli afferma che lappartenenza a una ricca e stabile struttura culturale (25) colla sua lingua e la sua storia, essenziale sia per lo sviluppo del rispetto di s, sia di un contesto entro il quale le persone possano coltivare la capacit di fare scelte sulla direzione della propria vita. Perci, le minoranze culturali hanno bisogno di
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diritti speciali, perch altrimenti le loro culture potrebbero essere minacciate di estinzione; lestinzione culturale probabilmente metterebbe a repentaglio il rispetto per se stessi e la libert dei membri del gruppo. In breve, i diritti speciali pongono le minoranze su un piede di parit colla maggioranza. Il valore della libert ha un ruolo importante nellargomentazione di Kymlicka. Perci, colleccezione di rari casi di vulnerabilit culturale, un gruppo che reclama diritti speciali deve autogovernarsi secondo principi chiaramente liberali, senza ledere le libert fondamentali dei suoi membri con restrizioni interne, n discriminarli sulla base del sesso, della razza o delle preferenze sessuali. (26) Questo requisito di grande importanza per una coerente giustificazione liberale dei diritti di gruppo, perch una cultura chiusa o discriminatoria non pu fornire il contesto dello sviluppo individuale voluto dal liberalismo e perch altrimenti i diritti collettivi potrebbero produrre una subcultura oppressiva allinteno delle societ liberali e col loro appoggio. Come dice Kymlicka: Impedire alle persone di mettere in discussione le loro norme sociali ereditarie pu condannarle a vite insoddisfacenti o addirittura oppressive. (27) Come riconosce Kymlicka, il requisito del liberalismo interno esclude la giustificazione dei diritti di gruppo per i molti fondamentalisti, di tutti i colori religiosi e politici, che pensano che la migliore comunit sia quella in cui sono messe fuori legge tutte le pratiche religiose, sessuali o estetiche, tranne quelle da loro preferite. Infatti la promozione e il sostegno di queste culture mette a repentaglio la ragione medesima per la quale ci preoccupiamo dellappartenenza a culture, - che essa rende possibili scelte individuali dotate di significato. (28) Ma gli esempi sopra citati suggeriscono che un numero assai inferiore di culture minoritarie di quanto Kymlicka pare pensare sar in grado di richiedere diritti di gruppo colla sua giustificazione liberale. Sebbene sia possibile che esse non impongano le loro credenze o abitudini agli altri e diano limpressione di rispettare le libert fondamentali, politiche e civili, di donne e ragazze, molte culture non le trattano, specialmente nella sfera privata, con qualcosa di analogo al medesimo interesse e rispetto goduto da uomini e ragazzi, n permettono loro di godere la stessa libert. La discriminazione e il controllo della libert femminile sono praticate, in grado maggiore o minore, da virtualmente tutte le culture, del passato e del presente, ma soprattutto da quelle religiose e da quelle che cercano nel passato - in testi antichi o in una tradizione venerabile - principi e norme su come vivere nel mondo contemporaneo. Talvolta culture minoritarie pi patriarcali esistono nel contesto di culture di maggioranza meno patriarcali, talvolta vale il contrario. In entrambi i casi, il grado in cui ciascuna cultura patriarcale e la sua disposizione a diminuirlo dovrebbero essere fattori cruciali per prendere in considerazione le giustificazioni dei diritti di gruppo - se prendiamo sul serio luguaglianza delle donne. Kymlicka, senza dubbio, ritiene che le culture che discriminano le donne in modo manifesto e formale negando loro listruzione, o lelettorato attivo e passivo - non meritino diritti speciali. (29) Ma la discriminazione sessuale spesso assai meno manifesta. In molte culture un severo controllo delle donne imposto, nella sfera privata, dallautorit di un padre effettivo o simbolico, che agisce spesso tramite le donne pi anziane o colla loro complicit. In altre cultore in cui i diritti e le libert femminili sono formalmente garantiti, la discriminazione contro le donne nella famiglia non solo limita gravemente le loro scelte, ma minaccia seriamente il loro benessere a anche la loro vita. (30) E una simile discriminazione sessuale - severa o mite che sia - spesso ha potentissime radici culturali. Sebbene Kymlicka si opponga giustamente alla concessione di diritti di gruppo alle culture minoritarie che praticano una discriminazione sessuale manifesta, le sue argomentazione a favore del multiculturalismo trascurano qualcosa che pur egli riconosce altrove: che la subordinazione delle donne spesso informale e privata, e che virtualmente nessuna cultura oggi esistente - minoritaria o maggioritaria - potrebbe risultare conforme al suo criterio dellassenza di discriminazione sessuali, se questo fosse applicato alla sfera privata. (31) Coloro che propugnano i diritti di gruppo valendosi di fondazioni liberali devono prendere in considerazione questa discriminazione privatissima e culturalmente rafforzata.
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Perch sicuramente il rispetto di s e lautostima hanno bisogno di qualcosa di pi della semplice appartenenza ad una cultura vitale. Sicuramente non basta che la sua cultura sia protetta, perch chiunque sia in grado di mettere in questione i propri ruoli sociali ereditari e possieda la capacit di fare scelte significative. Almeno altrettanto importante per lo sviluppo del rispetto di s e dellautostima il nostro posto nella cultura. E almeno altrettanto importante per la nostra capacit di mettere in discussione i ruoli sociali il fatto che la nostra cultura ci imponga oppure no ruoli sociali particolari. Nella misura in cui la loro cultura patriarcale, un sano sviluppo delle ragazze messo a repentaglio in entrambi i rispetti.

Parte della soluzione?


Non affatto chiaro, dunque, che i diritti delle minoranze siano parte della soluzione, da un punto di vista femminista. Essi possono addirittura aggravare il problema. Nel caso di una minoranza culturale pi patriarcale entro una cultura maggioritaria meno patriarcale, non si pu argomentare in base al rispetto di s o alla libert che le donne di quella cultura hanno un chiaro interesse alla sua conservazione. Anzi, la loro condizione potrebbe migliorare molto se la loro cultura di nascita dovesse estinguersi, lasciando integrare i suoi membri nella cultura circostante meno sessista, o, ancor meglio, venisse incoraggiata a cambiare in modo da rafforzare luguaglianza delle donne - almeno fino al grado della cultura maggioritaria. Naturalmente si dovrebbe tenere conto di altre considerazioni, come ad esempio la circostanza che la minoranza culturale parli unaltra lingua, che richiede protezione, o che il gruppo subisca pregiudizi come la discriminazione razziale. Ma occorrono fattori contrari molto significativi per bilanciare la circostanza che una cultura costringa severamente le scelte delle donne o metta altrimenti a repentaglio il loro benessere. Ci che mostrano alcuni degli esempi che ho trattato come delle pratiche culturalmente confermate oppressive per le donne possono spesso restare nascoste nella sfera privata o domestica. Nel caso del matrimonio delle bambine irachene, se il padre stesso non si fosse rivolto a funzionari statali, la situazione delle figlie probabilmente non sarebbe mai diventata pubblica. E quando, nel 1996, il Congresso approv una legge che trasformava la clitoridectomia in reato penale, alcuni dottori americani obiettarono che una simile legge era ingiustificata, perch riguardava una questione privata che, come disse qualcuno, dovrebbe essere decisa da un medico, dalla famiglia e dalla bambina. (32) Ci vogliono circostanze pi o meno straordinarie perch simili maltrattamenti delle ragazze diventino pubblici o perch lo stato riesca a intervenire in maniera protettiva. Perci chiaro che molti esempi di discriminazione delle donne per motivi culturali non riusciranno mai ad emergere in pubblico, ove i tribunali possono imporre i loro diritti e i teorici politici possono etichettare tali pratiche come violazioni illiberali e perci ingiustificate dellintegrit fisica e mentale delle donne. Istituire diritti di gruppo per mettere alcune minoranze culturali in grado di conservarsi pu non essere nel miglior interesse delle ragazze e delle donne di quella cultura, anche se ne avvantaggia gli uomini. Quando si producono argomentazioni liberali a favore dei diritti di gruppo, occorre una attenzione particolare per le disuguaglianze interne al gruppo. E particolarmente importante considerare le disuguaglianze fra i sessi, perch esse sono meno soggette ad essere rese pubbliche, e meno facilmente discernibili. Inoltre, le linee di condotta politiche che intendono rispondere ai bisogni e alle pretese delle minoranze culturali devono prendere sul serio la necessit di dare una rappresentanza adeguata ai membri meno potenti di tali gruppi. Poich lattenzione ai diritti delle minoranze culturali deve essere coerente con i principi fondamentali del liberalismo, deve avere come fine ultimo la promozione del benessere dei membri di questi gruppi, e perci ingiustificato assumere che i sedicenti capi di quei gruppi - invariabilmente, per lo pi, i membri anziani e maschi - rappresentino gli interessi di tutti i

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Okin. Multiculturalismo e femminismo

membri del gruppo. A meno che le donne - e pi precisamente le donne giovani, perch le anziane spesso vengono cooptate nel rafforzamento della disuguaglianza di genere - non siano pienamente rappresentate nei negoziati sui diritti del gruppo, i loro interessi possono essere lesi piuttosto che promossi dalla concessione di tali diritti.

Note
1 International Herald Tribune, 2 February 1996, News section. 2 Will Kymlicka, Multicultural Citizenship: A Liberal Theory of Minority Rights (Oxford: Oxford University Press, 1995), pp. 89, 76. V. anche Kymlicka, Liberalism, Community, and Culture (Oxford: The Clarendon Press, 1989). Va notato che Kymlicka stesso non argomenta a favore di diritti di gruppo esaustivi, o diritti di gruppo permanenti per gli immigrati volontari. 3 Avishai Margalit and Moshe Halbertal, "Liberalism and the Right to Culture," Social Research 61, 3 (Fall, 1994): 491. 4 Ad esempio, Chandran Kukathas, "Are There any Cultural Rights?" Political Theory 20, 1 (1992): 10539. 5 Okin, "Feminism and Multiculturalism: Some Tensions," Ethics (forthcoming 1998). 6 Cfr. ad esempio, Kymlicka, Liberalism, Community, and Culture and Multicultural Citizenship, specialmente al capitolo 8. Kymlicka non applica il suo requisito secondo cui il gruppo deve essere liberale al suo interno a quelle che egli chiama minoranze nazionali, ma qui non tratter questo aspetto della sua teoria. 7 Vedi ad esempio Krit Singh, "Obstacles to Women's Rights in India," in Human Rights of Women: National and International Perspectives, ed. Rebecca J. Cook (Philadephia: University of Pennsylvania Press, 1994), pp. 375-096, especially 378-89. 8 Non sono in grado di trattare qui delle radici di questa preoccupazione maschile, se non per dire (seguendo le teoriche femministe Dorothy Dinnerstein, Nancy Chodorow, Jessica Benjamin e, prima di loro, lantropologo gesuita Walter Ong) che sembra avere molto a che fare col ruolo genitoriale primario femminile. E anche chiaramente connesso allincertezza della paternit, che la tecnologia ha ora eliminato. Se simili questioni sono la sua radice, allora la preoccupazione culturale di controllare le donne non un fatto inevitabile della vita umana, ma un fattore contingente, che le femministe hanno un notevole interesse a cambiare. 10 Vedi Carol Delaney, Abraham on Trial: Paternal Power and the Sacrifice of Children (Princeton: Princeton University Press, 1997, di prossima uscita). Si noti che nella versione coranica Abramo non prepara per il sacrificio Isacco, bens Ismaele. 11 New York Times, 5 October 1996, A4. Il ruolo che le donne anziane assumono nel perpetuare tali culture, importante ma complesso e non pu essere trattato qui. 12 New York Times, 26 June 1997, A9. 13 International Herald Tribune, 2 February 1997, News section. 14 New York Times, 12 March 1997, A8. 15 Questa pratica trattata in Henry S. Richardson, Practical Reasoning About Final Ends (Cambridge: Cambridge University Press, 1994), soprattutto pp. 240-43, 262-63, 282-84. 16 Agence France Presse, 18 May 1997, International News section. 17 Vedi, tuttavia, Bhikhu Parekh's "Minority Practices and Principles of Toleration," International Migration Review (April 1996): 251-84, ove egli affronta direttamente e critica una serie di pratiche culturali che svalutano le donne.. 18 Sebastian Poulter, "Ethnic Minority Customs, English Law, and Human Rights," International and

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Okin. Multiculturalismo e femminismo

Comparative Law Quarterly 36, 3 (1987): 589-615. 19 Amy Gutmann, "The Challenge of Multiculturalism in Political Ethics," Philosophy and Public Affairs 22, 3 (Summer 1993): 171-204. 20 Mahnaz Afkhami, ed., Faith and Freedom: Women's Human Rights in the Muslim World (Syracuse: Syracuse University Press, 1995); Valentine M. Moghadam, ed., Identity Politics and Women: Cultural Reassertions and Feminisms in International Perspective (Boulder, Colo.: Westview Press, 1994); Susan Moller Okin, "Culture, Religion, and Female Identity Formation" (manoscritto inedito, 1997). 21 Vedi, fra le trattazioni migliori e pi recenti di questo, nonch per lenumerazione giuridica dei casi menzionati, Doriane Lambelet Coleman, "Individualizing Justice Through Multiculturalism: The Liberals' Dilemma," Columbia Law Review 96, 5 (1996): 1093-1167. 22 New York Times, 2 December 1996, A6. 23 Vedi Coleman, "Individualizing Justice Through Multiculturalism." 24 Vedi ad esempio Nilda Rimonte, "A Question of Culture: Cultural Approval of Violence Against Women in the Asian-Pacific Community and the Cultural Defense," Stanford Law Review 43 (1991): 1311-26. 25 Kymlicka, Liberalism, Community, and Culture, p. 165. 26 Kymlicka, Liberalism, Community, and Culture, pp. 168-72, 195-98. 27 Kymlicka, Multicultural Citizenship, p. 92. 28 Kymlicka, Liberalism, Community, and Culture, pp. 171-72. 29 Kymlicka, Multicultural Citizenship, pp. 153, 165. 30 Vedi, ad esempio, Amartya Sen, "More than One Hundred Million Women Are Missing," New York Review of Books, 20 December 1990. 31 Will Kymlicka, Contemporary Political Philosophy: An Introduction (Oxford: The Clarendon Press, 1990), pp. 239-62. 32 New York Times, 12 October 1996, A6. Idee simili sono state esposte alla radio pubblica.

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Ermanno Bencivenga. Oltre la tolleranza

a cura di Maria Chiara Pievatolo pievatolo@dsp.unipi.it . Ultimo aggiornamento: 7 giugno 1999

Oltre la tolleranza: per una proposta politica esigente


di Ermanno Bencivenga
Sembra oggi che una politica di sinistra non possa fare di meglio che promuovere la tolleranza dei "diversi" e garantire a tutti certi diritti fondamentali. Ma si tratta di una politica infantile: basata su una nozione cartesiana, puramente potenziale e in ultima analisi vuota dell'individuo. Dell'individuo inteso in senso letterale, ossia in quanto in-dividuo, atomo semplice e privo di storia. Ciascuno di questi in-dividui si trova casualmente a contatto con altri; nessuno di loro dipende per il suo essere dagli altri; il meglio che ciascuno possa fare dunque e' lasciare tutti gli altri in pace. Il libro propone di fondare una politica diversa su un'antropologia diversa, in cui il soggetto umano non sia pura potenzialita' (io sono tutto quel che posso essere, ma niente di quel che sono o sono stato, perche' tutto quel che sono o sono stato e' riduttivo del mio essere) ma invece attualita' e ricchezza (io sono il percorso multiforme e vario che ho effettivamente realizzato). E questa ricchezza e' soprattutto diversita': il soggetto si distingue dall'oggetto perche' non obbedisce a una rigorosa e unitaria coerenza, ma e' invece campo ("teatro") di un dialogo e confronto continuo, di un'incessante articolazione, di una sfida perpetuamente irrisolta tra molteplici punti di vista. Da dove vengono questi punti di vista? Che cosa dunque costituisce il soggetto? Vengono dall'esterno: sono le tracce di tutti coloro che abbiamo incontrato e amato (o odiato). Tracce in senso letterale: pratiche, atteggiamenti, mosse che abbiamo interiorizzato, estrapolato a situazioni diverse da quelle in cui le avevamo originariamente viste agire, amalgamato in quell'"unione" dialettica che e' il nostro io. Quindi non e' l'individuo a fondare la comunita': essa non e' un coacervo di creature fra loro indipendenti. E' invece la comunita', la compresenza dei diversi, a fondare quello che con linguaggio miope e tirannico viene chiamato un in-dividuo. E' possibile raccontare una storia che descriva la diversita' del soggetto come funzionale: in un universo caotico, la prevedibilita' puo' essere vantaggiosa solo nel breve periodo. Le funzioni che controllano questo universo sono altamente non lineari; dunque soltanto scommettendo sull'imprevedibile si puo' domarlo. Solo ammettendo il caos dentro di se' si puo' rispondere con successo al caos del mondo. Ma questa storia non fa che asservire il soggetto alla logica "funzionale" dell'oggetto: asservire l'incoerenza alla coerenza, l'imprevedibilita' alla prevedibilita'. E' legittimo usarla, purche' ci si renda conto che la si usa sempre e solo come un'arma, e che l'arma puo' ritorcersi contro chi la usa. Qual e', in definitiva, la vocazione del soggetto? Quale deve essere, su queste basi, la struttura di una comunita' veramente umana? Deve trattarsi di una comunita' in cui non ci si lasci in pace; al contrario, in cui ci si comunichi costantemente la propria diversita', ci si sfidi a una crescita continua, ci si inviti a un arricchimento senza limiti. Molte metafore hanno guidato nel corso dei secoli l'elaborazione di proposte

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Ermanno Bencivenga. Oltre la tolleranza

politiche: si e' pensato alla comunita' come a un corpo, a una famiglia, a una chiesa, a una fabbrica, a un mercato e talvolta come a un carcere. La metafora su cui si fonda la proposta accennata in questo libro e' quella di una scuola: di una convivenza politica che e' fondata, anzi e', educazione costante e reciproca. Ermanno Bencivenga, Oltre la tolleranza: per una proposta politica esigente, Milano: Feltrinelli, 1992

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Pubblicazioni (filosofia politica)

a cura di Maria Chiara Pievatolo pievatolo@dsp.unipi.it . Ultimo aggiornamento: 7 giugno 1999

Ci sono "diritti umani" nel buddhismo?


di Damien Keown traduzione italiana di Persio Tincani

Printed version in Journal of Buddhist Ethics, 2, 1995. Used by permission. Copyright 1995 by Damien Keown, all rights reserved. Abstract

difficile pensare ad una questione pi urgente per il buddismo, alla fine del ventesimo secolo, che quella dei diritti umani. Dove il buddismo direttamente coinvolto - specialmente nel caso del Tibet - i problemi dei diritti umani figurano regolarmente nell'agenda diplomatica delle superpotenze. Le questioni politiche, etiche e filosofiche riguardanti i diritti umani sono dibattute vigorosamente nei circoli intellettuali e politici di tutto il mondo. Eppure, a dispetto della sua attuale importanza, l'argomento ha meritato a malapena una nota nella ricerca accademica dominante e nelle pubblicazioni nel campo degli studi buddistici. Perch questo? Una ragione potrebbe essere la mancanza di un precedente, nel buddismo stesso, di discussione di problemi di questo tipo; gli studiosi, in gran parte, continuano a battere le tematiche tradizionali, che appaiono, all'ombra del ventunesimo secolo, sempre pi orientate verso il medioevo,. Se il buddismo desidera confrontarsi con le problematiche riguardanti l'odierna comunit globale, deve cominciare a rivolgersi nuove domande, oltre alle vecchie. Nel contesto dei diritti umani, che il tema di questo saggio, un'importante questione preliminare sembra essere se il buddismo tradizionale possiede una qualche comprensione di cosa si intenda per "diritti umani" in assoluto. Di certo, si pu pensare che dato che il concetto di "diritti" il prodotto di una tradizione culturale aliena, sarebbe inappropriato parlare di diritti di ogni tipo - "umani" o di altro genere - in un contesto buddista. Anche se si avverte che tali questioni sono esagerate, e che il problema dei diritti umani ha un posto legittimo nelle tematiche buddiste, rimane sempre la diversa e non minore difficolt di come i diritti umani possano essere fondati nella dottrina buddista, in particolare alla luce del fatto che la tradizione stessa fornisce pochi precedenti o indicazioni in quest'area. Questo saggio offre un'esplorazione preliminare delle questioni accennate. Le sue conclusioni sono che legittimo parlare sia di "diritti" sia di "diritti umani" nel buddismo, e propone un fondamento per i diritti umani nella dottrina buddista.
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Pubblicazioni (filosofia politica)

Testo

Nell'autunno del 1993 il Parliament of the World's Religions si riunito a Chicago per decidere se fosse possibile trovare un consenso su di un insegnamento morale di base tra le religioni del mondo. All'incontro parteciparono i rappresentanti delle principali religioni mondiali, nonch dei gruppi etnici e di altre minoranze. Erano presenti i rappresentanti di molte scuole buddiste, incluse Theravaada, Mahaayaana, Vajrayaana e Zen, e il principale indirizzo fu dato loro dal Dalai Lama a Grant Park il 4 settembre. Uno dei prodotti pi importanti di questa conferenza interconfessionale fu un documento noto come la Dichiarazione per un'Etica Globale (1). L'Etica globale fissa i principi morali fondamentali che ogni religione sottoscrive. Molti di questi principi riguardano i diritti umani, e l'Etica Globale vede il riconoscimento universale da parte delle religioni del mondo dei diritti e della dignit umani come la pietra angolare di un "nuovo ordine globale". Uno scopo connesso all'Etica globale "fornire le basi per un esteso processo di discussione e accettazione che speriamo possa essere innescato in tutte le religioni" (2). Il presente saggio un contributo a questo processo in una prospettiva buddista. I suoi scopi sono limitati ad una esplorazione di alcuni dei quesiti di base che devono essere posti per sviluppare una filosofia buddista dei diritti umani. Dico "sviluppo" perch il buddismo non sembra possedere una simile filosofia, per il momento. Il buddismo arriva in ritardo alla causa dei diritti umani, e per la maggior parte della sua storia si preoccupato di altro. Si potrebbe dire, in difesa del buddismo, che l'interesse per i diritti umani un fenomeno post-religioso che ha a che fare con le ideologie secolari e con la politica pi che con la religione: perci sarebbe irragionevole accusare il buddismo di aver trascurato quest'ambito (3). Mostrer che una simile interpretazione dei diritti umani sbagliata, ma, a prescindere dalla specifica discussione sui diritti umani, non c' dubbio che il buddismo si discosta molto da religioni come il cristianesimo e l'Islam nello sviluppo della struttura di un vangelo sociale entro il quale affrontare questioni di questo tipo. Per una tradizione cos dinamica intellettualmente, il buddismo un peso leggero nella filosofia politica e morale. Una foglia di fico, in un certo senso, pu essere che, fino a quando molta letteratura buddista rester non tradotta, in queste aree possono esserci tesori nascosti che attendono di essere scoperti. Simili appelli a ci che non si conosce, tuttavia, mancano di credibilit. Per fare solo un esempio, sarebbe strano che soltanto i testi su questi argomenti siano andati perduti mentre abbonda letteratura su tutti gli altri argomenti. N pu essere una coincidenza che questi argomenti siano assenti dai curricula monastici tradizionali. L'assenza di una disciplina dell'etica filosofica nel complesso della cultura indiana, rende molto pi probabile l'ipotesi che il buddismo, semplicemente, dedichi poco tempo a problemi di questo genere (4). Gli eventi politici nel corso di questo secolo, tuttavia, hanno messo rapidamente in primo piano la questione dei diritti umani (5). L'invasione cinese del Tibet, l'aspro conflitto etnico nello Sri Lanka, e l'esperienza della dittatura militare in regioni come la Birmania hanno fornito al buddismo contemporaneo una esperienza diretta dei problemi in discussione. Un altro sviluppo che molto contribuito a concentrare l'attenzione sui temi sociali e politici l'emergere del "buddismo socialmente impegnato", un movimento il cui stesso nome comporta una critica delle forme pi tradizionali (presumibilmente "non impegnate") di buddismo. Oggi, i principali esponenti del buddismo asiatico ed occidentale usano normalmente il vocabolario occidentale dei diritti umani per esprimere la loro preoccupazione nei confronti dellingiustizia sociale. Qui vorrei considerare in che modo questo linguaggio possa essere appropriato per il buddismo, e quali basi ci siano per supporre che il buddismo sia impegnato nella causa dei "diritti umani" o che abbia una chiara comprensione del significato del concetto. A causa dell'assenza di un secolare sforzo intellettuale nell'elaborazione, nella
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Pubblicazioni (filosofia politica)

promozione e nella difesa i diritti del tipo che il mondo (e specialmente loccidente) ora chiamato ad assicurare per gruppi oppressi come i tibetani, i pi cinici potrebbero suggerire che questa tardiva conversione alla causa sia nata pi per interesse, che per un impegno per la giustizia sociale profondo e radicato nel tempo. Invocando il rispetto per i diritti umani adesso, perci, il buddismo sta semplicemente cavalcando la tigre dellOccidente oppure esiste, dopo tutto, un interesse per i diritti umani nelle dottrine buddiste? Il mio argomento, in questo studio, verte, in sintesi, sulle basi dottrinali e concettuali dei diritti umani nel buddismo. Mi occupo del ponte intellettuale da costruire, affinch espressioni di preoccupazioni per i diritti umani possano venir connesse alla dottrina buddista. Questo problema ha molti aspetti, ma qui considerer tre questioni reciprocamente collegate: il concetto di diritti, il concetto di diritti umani, e il problema di come i diritti umani possano essere fondati, nella dottrina buddista. Per prima cosa, mi chiedo se il concetto di "diritti" sia intelligibile nel buddismo. Per rispondere a questa domanda sar necessario raggiungere una qualche comprensione dellorigine della nozione in Occidente. Quindi cercher di vedere se il concetto buddista di diritti umani (ammesso che esista qualcosa del genere) identico a quello occidentale. Infine, mi domander in quale ambito specifico degli insegnamenti buddisti possa essere fondata una dottrina dei diritti umani (6). Dal momento che la discussione essenzialmente teoretica, non saranno fatti riferimenti dettagliati a culture o scuole buddiste particolari, a specifici "abusi" dei diritti umani, o ai "realizzazioni", nel campo dei diritti umani, di regimi particolari (7). Prima di passare a queste questioni, si deve fare una precisazione preliminare sul buddismo stesso. Parlando di "buddismo" voglio chiarire mi riferisco a unastrazione che pu essere chiamata buddismo "classico". Questa astrazione non si identifica completamente con nessun buddismo culturale o storico particolare. Non intende rappresentare le vedute di qualsiasi setta, ma ampia abbastanza da includere sia la scuola Theravaada sia quella Mahaayana. La giustificazione di questa finzione sta nella convinzione che qualunque concetto di diritti umani riteniamo proprio del buddismo, esso deve essere universale nella forma. Carattere essenziale di qualunque dottrina dei diritti umani il suo ambito di applicazione illimitato, e chi ci fossero dottrine dei diritti umani "Theravaada", "Tibetana" e "Zen" distinte l'una dall'altra, sarebbe tanto bizzarro, quanto l'esistenza di dottrine dei diritti "cattoliche", "protestanti" e "ortodosse". Insistere sulla priorit delle circostanze culturali e storiche equivarrebbe a negare la validit del concetto dei diritti umani. DIRITTI

Il concetto di "diritto" ha una lunga storia intellettuale in Occidente, e la nozione attuale di un diritto come un potere esercitabile conferito o detenuto da un individuo ha i suoi antecedenti in una definizione pi impersonale di che cosa sia oggettivamente vero o giusto. Etimologicamente, la parola inglese "right" (diritto) deriva dal latino rectus, che significa dritto (straight). Rectus, a sua volta, pu essere derivata dal greco orektos, che significa teso o diritto, in senso verticale. Come nota Richard Dagger, "Il modello la nozione di rettilineit esteso dal campo fisico a quello morale da rectus a rettitudine, e cos via" (8). In altre parole, la propriet di un oggetto fisico, in particolare quella di essere retto, diritto o verticale, applicata metaforicamente in un contesto morale. Dagger suggerisce: Per analogia con quello fisico, il senso primario, morale, di "diritto" era un criterio o una misura per la condotta. Qualcosa diritto moralmente retto o vero se soddisfa il criterio di rettitudine, o giustezza Una volta trasferita lidea di "giustezza" all'ambito morale, lo sviluppo successivo fu vederla come denotante un qualche genere di titolo personale. Dagger continua:
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Pubblicazioni (filosofia politica)

Da qui, il passo successivo fu riconoscere che azioni intraprese "con diritto" o "di diritto" sono considerate oggetto di diritto. Il passaggio tra la convinzione che io posso fare qualcosa perch, in altre parole, giusto, alla convinzione che io posso fare qualcosa perch ho il diritto di farlo. Cos il concetto dei diritti si connette al concetto di giusto (9). Luso morale metaforico di termini come "diritto", "retto" e "integro" (in opposizione a "piegato", "flesso" e "curvo") si chiarisce da s. La ragione della transizione dalluso morale di "diritto" alla nozione di un diritto come un titolo di legittimit personale, tuttavia, meno evidente. Anzi, questo sviluppo che ebbe luogo in Occidente durante il tardo medioevo, e che stato descritto come lo "spartiacque" (10) nella storia del "diritto", pu essere un fenomeno culturalmente unico. Levoluzione del concetto in questa direzione si ebbe in qualche momento, tra Tommaso dAquino nel tredicesimo secolo e i giuristi Suarez e Grozio nel diciassettesimo. Luso moderno appare chiaramente in Hobbes, che scrive nella met del diciassettesimo secolo; da allora in poi lidea di un diritto come un potere personale occupa il centro della scena della teoria politica. Come parte di questa evoluzione nel concetto di diritto, la nozione di diritti naturali acquista importanza verso la fine del diciassettesimo secolo, particolarmente nelle opere di John Locke. La convinzione che ci siano diritti naturali deriva dal riconoscimento delleguaglianza umana, uno dei grandi ideali dellera della Rivoluzione. I diritti naturali sono inalienabili: non sono conferiti da nessun procedimento giuridico o politico, n possono essere rimossi con questi o altri mezzi. I diritti naturali dei secoli diciassettesimo e diciottesimo sono i precursori della nozione contemporanea di diritti umani. Sullevoluzione della dottrina dei diritti naturali in Occidente potrebbero porsi due domande. Primo, perch lemersione del concetto di diritti naturali richiese tanto tempo? La risposta sembra consistere nel fatto che per lunga parte della storia occidentale i "diritti" furono strettamente legati allo status sociale, e furono essenzialmente una funzione della posizione o del ruolo nella societ. Una struttura sociale gerarchica, come quella predominante nella societ romana e medievale, antitetica alla nozione di diritti naturali. In queste circostanze i doveri e le responsabilit di una persona sono determinati fondamentalmente dai suoi uffici (signore, cittadino, schiavo), in larga misura ereditari. Soltanto quando il modello gerarchico fu messo in discussione e sostituito da quello egualitario, lidea di diritti naturali cominci a guadagnare terreno. La seconda domanda, la pi importante per il nostro scopo, : la parte svolta dall'irripetibile matrice culturale degli sviluppi sociali, politici ed intellettuali nellIlluminismo comporta che i diritti umani sono essenzialmente una funzione del processo storico? Questa conclusione non inevitabile, perch, mentre si pu dire che nel diciassettesimo e diciottesimo secolo la nozione di diritti naturali fu "unidea il cui tempo era giunto", lidea in se stessa non era interamente nuova. Linfluenza della dottrina cristiana pu essere vista in numerosi aspetti (11), come la fede (in ultima analisi derivata dal giudaismo) in una "legge morale universale radicata nella giustizia di Dio" (12). Dal momento che gli esseri umani sono creati ad immagine di Dio e amati da lui come individui, ciascuno meritevole di dignit e rispetto. Inoltre, dal momento che ciascuno un membro della comunit umana governata da Dio, tutti gli altri gruppi (trib, Stato, nazione) sono secondari (13). Oltre che nel cristianesimo, idee sul trattamento giusto degli individui sulla base della loro comune umanit si trovano, in un contesto secolare, nello stoicismo e delle opere di Cicerone e di Seneca (14). La giustificazione filosofica di una dottrina dei diritti umani , perci, sempre stata disponibile, sebbene non lo fosse il terreno - una combinazione particolare di processi sociali, politici ed intellettuali - nel quale questo seme pu germogliare.

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Questo, dunque, si pu dire dello sfondo storico. Ma che dire delle teorie contemporanee dei diritti? Il concetto di diritto stato analizzato in molte maniere, come mostra la ricca letteratura interdisciplinare sull'argomento, che si estende in campi diversi, come la politica, il diritto, la filosofia e la storia. In questo discorso sui diritti non c una sola definizione dei diritti che imponga un consenso universale. Per i nostri scopi, tuttavia, una definizione elementare del concetto sar sufficiente. Abbiamo notato prima che un diritto qualcosa di personale per un individuo: si pu pensare che qualcosa che un individuo ha (15). Ci che il possessore di un diritto ha un vantaggio o una titolarit di qualche tipo, e, al livello pi generale, si tratta di una titolarit alla giustizia. Questa titolarit pu essere analizzata in due forme principali, per le quali ci sono diritti corrispondenti: i diritti che prendono la forma di una pretesa (claim-rights), e i diritti che prendono la forma di una libert (liberty-rights) (16). Un dirittopretesa il vantaggio, goduto da A, per il quale egli pu imporre a B una richiesta positiva o negativa. Un diritto-libert il vantaggio, goduto da A, di essere immune da ogni richiesta del genere, imposta da B (25). Questa definizione basilare di diritto pu essere riassunta nella seguente definizione: un diritto un vantaggio che conferisce al suo possessore o una pretesa o una libert. Unimportante componente di qualunque diritto che esso fornisce una prospettiva particolare sulla giustizia, nella quale il possessore del diritto resta sempre nella posizione del beneficiario. Questo aspetto soggettivo della titolo legittimo, il quale, come abbiamo visto, appare molto presto nella storia del concetto, resta cruciale per la moderna definizione di diritto. Ci messo in luce dalla seguente definizione di Finnis: In breve, il vocabolario e la grammatica moderni dei diritti sono sfaccettati strumenti per descrivere e affermare i requisiti o altre implicazioni di una relazione di giustizia dal punto di vista di chi trae beneficio da una tale relazione. Essi forniscono un modo di parlare di "ci che giusto" da una particolare angolazione: il punto di vista dell"altro" al quale qualcosa (libert di scelta compresa) concesso o dovuto, e che sarebbe danneggiato se questo qualcosa gli fosse negato (18). Questa breve revisione del concetto occidentale di diritto necessaria come preliminare per una valutazione della sua rilevanza per il buddismo. Siamo adesso in condizione di chiedere se il concetto di diritto pu trovarsi nel buddismo. Se s, allora parlare di diritti umani nel buddismo sembra legittimo (19). Se no, si rischia di inserire anacronisticamente in questa tradizione un concetto che il prodotto di una cultura aliena (20).

IL BUDDISMO E I DIRITTI

Per trattare dei diritti in Occidente, abbiamo preso spunto dalletimologia, e forse, da questa fonte, possiamo raccogliere ancora qualcosa. stato in precedenza osservata che la parola "diritto" deriva dal latino rectus che significa dritto (straight). Sia "diritto" che rectus, comunque, hanno un antenato pi remoto nel sanscrito rju (dritto o dritto). La forma equivalente in Pali uju (o ujju) che significa "Dritto, diretto, immediato, onesto, eretto" (21). Pu, perci, sembrare che sia il senso oggettivo (dritto) sia il senso metaforico e morale (rettitudine) della parola "diritto" prima menzionati esistano tanto nelle lingue buddiste quanto in quelle occidentali. A dispetto della comune etimologia indoeuropea, tuttavia, non esiste una parola in sanscrito o in Pali che renda lidea di "diritto" o di "diritti", intesi come titoli soggettivi (22). Questo significa che il concetto dei diritti alieno al pensiero buddista? Non necessariamente. Alan
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Gewirth ha sottolineato che le culture possono possedere il concetto dei diritti senza avere un vocabolario con il quale esprimerlo. Egli suggerisce che "importante distinguere tra l'avere, o usare, un concetto e il riconoscerlo e spiegarlo in modo chiaro o esplicito []. Cos, le persone possono avere ed impiegare il concetto di diritto senza possedere esplicitamente una determinata parola per esprimerlo" (23). Gewirth sostiene che il concetto dei diritti si pu trovare nel pensiero feudale, nel diritto romano, nella filosofia greca, nellAntico Testamento e nelle societ primitive. In accordo con lultimo Finnis, nota come gli studi antropologici dei regimi tribali africani abbiano mostrato che "le parole "diritto" e "obbligo" sono di solito comprese in una singola parola derivata da quella normalmente tradotta con "dovere"", Egli suggerisce che la miglior traduzione in questo caso sarebbe "dovuto", in quanto "dovuto" riguarda entrambi i lati di una relazione giuridica, sia ci che uno deve fare, sia ci che dovuto a qualcuno" (24). Sembra, allora, che il concetto di diritto possa esistere dove ne manca il vocabolo. Potrebbe essere cos nel buddismo? Nel buddismo ci che dovuto in una situazione determinato in riferimento al Dharma. Il Dharma determina che cosa retto e giusto in ogni contesto e sotto ogni prospettiva. Riguardo alla giustizia sociale, il rev. Vajiragnana spiega: Ognuno di noi ha un ruolo nel sostenere e promuovere la giustizia e lordine sociale. Il Buddha ha spiegato molto chiaramente tali ruoli, come doveri reciproci tra genitori e figli; maestri e allievi; marito e moglie; amici, parenti e vicini; datori di lavoro e lavoratori; chierici e laici Nessuno escluso. I doveri qui spiegati sono reciproci e considerati come sacri, perch se osservati possono creare una societ giusta, pacifica e armoniosa (25). Da qui potrebbe sembrare che il Dharma determini non soltanto "che cosa ciascuno tenuto a fare", ma anche "che cosa dovuto a ciascuno". Cos tramite ladempimento da parte di A del proprio dovere dharmico B riceve ci che gli "dovuto" o, potremmo dire, ci ha titolo legittimo entro (sotto, per) la legge del Dharma. Dal momento che il Dharma determina i doveri dei mariti e i doveri delle mogli (26), ne segue che i doveri delluno corrispondono ai titoli o ai "diritti" dellaltro. Se il marito ha il dovere di mantenere la propria moglie, la moglie ha il "diritto" di essere mantenuta dal proprio marito. Se la moglie ha il dovere di badare alla propriet del proprio marito, il marito ha il "diritto" alla cura della propria propriet da parte della moglie. Se per il Dharma dovere del re (o dellautorit politica) amministrare la giustizia imparzialmente, allora si pu dire che i sudditi (cittadini) hanno "diritto" ad un trattamento giusto ed imparziale di fronte alla legge. Si pu allora concludere che una nozione di diritto presente nel buddismo classico? La risposta dipende dal criterio adottato per stabilire se si "ha" un concetto. Dagger presenta queste opzioni: Se si intende cercare soprattutto lidea o la nozione, comunque espresso, allora si pu tranquillamente dire che il concetto dei diritti virtualmente antico quanto la civilt stessa. Daltro canto: Se si dichiara cruciale la forma dellespressione cos che un concetto non pu dirsi esistente a meno che vi sia una parola od una locuzione che lo distingua dagli altri concetti, allora si deve dire che il concetto dei diritti ha origine nel medioevo (27).

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Secondo me, si dovrebbe concludere che il concetto dei diritti implicito nel buddismo classico, nella interpretazione normativa di che cosa "dovuto" nelle relazioni interindividuali. Sotto la legge del Dharma, mariti e mogli, re e sudditi, maestri e allievi, hanno tutti obbligazioni reciproche che possono essere analizzate in termini di diritti e doveri. Dobbiamo correggere questa conclusione, tuttavia, notando che le esigenze del Dharma sono espresse sotto forma di doveri pi che di diritti. In altre parole, il Dharma stabilisce che cosa dovuto nella forma "Un marito deve mantenere la propria moglie" in luogo di "Le mogli hanno diritto ad essere mantenute dai loro mariti". Finch i diritti come titolarit personali non sono riconosciuti come una parte distinta, ma integrante di ci che dovuto per il Dharma, non pu dirsi presente il moderno concetto dei diritti. In questo aspetto, tuttavis, il buddismo non certo un caso unico: si potrebbe dire qualcosa di simile a proposito di molte altre culture e civilt. Finnis, rispetto al diritto romano, sottolinea: utile tener presente che l'enfasi moderna sui poteri del titolare dei diritti, e la conseguente scissione sistematica tra "diritto" e "dovere", qualcosa di cui seppero fare a meno sofisticati giuristi, per tutta la vita del diritto romano classico (28). Egli suggerisce anche, secondo me giustamente, che "non c motivo per prendere partito tra l'uso vecchio e quello nuovo, in quanto modi di esprimere le implicazioni della giustizia in un contesto dato" (29). Un diritto un concetto utile che fornisce una particolare prospettiva sulla giustizia. Il suo correlativo, il dovere, ne fornisce un altro. Questi possono essere pensati come finestre differenti aperte sul medesimo bene comune che la giustizia o, in un contesto buddista, il Dharma. Perci, sostenere che la nozione dei diritti "aliena" al buddismo o che il buddismo nega che gli individui abbiano "diritti", significherebbe andare troppo oltre. In sintesi si pu dire che nel buddismo classico la nozione di diritti presente in forma embrionale sebbene non ancora partorita nella storia. Per gli specialisti delle varie culture buddiste, la questione se qualcosa come il concetto occidentale di diritti sia apparso, o possa farlo, nel corso dellevoluzione storica del buddismo, un problema da meditare. In molti aspetti, i presagi di un simile sviluppo non sono mai stati favorevoli. Il buddismo nacque in una societ castale, e le societ asiatiche nelle quali fiorito, per la maggior parte, sono strutturate gerarchicamente. MacIntyre, citando Gewirt, ricorda che il concetto di diritto non pu essere espresso in giapponese "addirittura fino alla met del diciannovesimo secolo" (30). Le precondizioni per lemergere del concetto di diritti sembrano essere legualitarismo e la democrazia, nessuna delle quali stata una componente notevole della politica asiatica fino allepoca attuale. Daltro canto, non difficile trovare nel buddismo una giustificazione del rifiuto delle strutture sociali gerarchiche basta guardare solo alla critica del Buddha alle caste (31). Il buddismo ritiene anche, nella dottrina dell'anatmaka o anatta [carattere privo di essere in s di tutte le cose, uomo compreso; ovvero inesistenza dell'atman, come nucleo fondamentale della personalit umana], che tutti gli individui sono uguali, nel senso pi profondo (32). Come la dottrina cristiana secondo la quale gli uomini sono creati uguali di fronte a Dio, questo sembrerebbe un terreno fertile per una dottrina dei diritti naturali. Ci che sembra mancare in entrambe le fedi, ma forse pi nel buddismo, fu la volont di incarnare questa visione teorica delluomo nel corpo delle istituzioni storiche.

DIRITTI UMANI

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Nella sezione precedente lattenzione si concentrata sul concetto di diritto. Qui consideriamo che cosa significhi caratterizzare certi diritti come diritti umani (33), e proseguiamo la discussione, iniziata nella precedente sezione, del problema della compatibilit delle nozioni occidentali di diritti umani con il buddismo (34). Si gi sostenuto che quelli che oggi sono chiamati diritti umani erano originariamente detti diritti "naturali", ossia diritti che derivano dalla natura umana. Nel diciassettesimo secolo i filosofi e gli statisti cominciarono a definire questi diritti e ad includerli nelle prime costituzioni, come i Fundamental Orders of Connecticut, gi nel 1639. Documenti di questo tipo ispirarono la pubblicazione di altre dichiarazioni, carte e manifesti in una tradizione che continuata fino ad oggi.. Come esempio di una moderna carta dei diritti umani possiamo prendere la Dichiarazione Universale dei Diritti dellUomo proclamata dallAssemblea generale delle Nazioni Unite nel dicembre 1948. Dalla sua promulgazione, questo codice di trenta articoli servito da modello per molte successive carte di diritti umani. Qual la posizione buddista rispetto a dichiarazioni di questo tipo? Pu essere utile cominciare a chiedersi se il buddismo approverebbe la Dichiarazione Universale dei Diritti delluomo. I ripetuti richiami del Dalai Lama al rispetto dei diritti umani forniscono qualche ragione per ritenere di s. Anche la stessa sottoscrizione del Global Ethic da parte di molti buddisti suggerisce che il buddismo non ha riserve circa ladesione a carte o a manifesti che cercano di garantire diritti umani universali. Inoltre, sembra che in nessuno dei trenta articoli ci sia qualcosa verso cui il buddismo potrebbe sollevare eccezioni. Il commento di Perera alla Dichiarazione Universale mostra come i suoi articoli siano in armonia con i pi antichi insegnamenti buddisti sia nella lettera sia nello spirito. Nella sua Introduzione al commentario, Ananda Gurug scrive: Il professor Perera dimostra che ciascun articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti dellUomo perfino i diritti del lavoratore al giusto compenso, al tempo libero e alla salute stato adombrato, sostenuto persuasivamente e significativamente incorporato dal Buddha in una visione complessiva della vita e della societ (35). Ma come possono essere giustificati questi diritti in riferimento agli insegnamenti buddisti? Ponendo questa domanda, non sto cercando giustificazione in brani testuali che sembrino sostenere i diritti rivendicati. Ci sono molti passi nel canone Pali, come Perera ha dimostrato con competenza, che confortano la tesi secondo la quale i primi insegnamenti buddisti erano in armonia con lo spirito della Dichiarazione. La giustificazione richiesta a questo punto ha pi a che fare con i presupposti filosofici impliciti in questi brani e con la complessiva visione buddista del bene individuale e sociale. Le varie dichiarazioni del diritti umani, in se stesse, offrono raramente una giustificazione dei diritti che proclamano. MacIntyre osserva seccamente come "nella dichiarazione dei diritti umani delle Nazioni unite del 1949 [sic] si segue con grande rigore la prassi, che da allora usanza normale dellONU, di fare asserzioni senza giustificarle" (36). Talvolta c' un accenno di giustificazione nelle clausole introduttive, con il richiamo alla "intrinseca dignit di tutti i membri della famiglia umana" o con altre simili formule verbali. La Global Ethic, che offre una formulazione pi ampia, riecheggia la Dichiarazione Universale nel suo richiamo alla "piena realizzazione dellintrinseca dignit della persona umana" (37). Essa dichiara: "Noi ci impegniamo a rispettare la vita e la dignit, lindividualit e la diversit, in modo che ogni persona sia trattata umanamente". Questa tesi poi approfondita cos: Ci significa che ogni essere umano, senza distinzione di et, sesso, razza, pelle, colore,
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capacit mentale o fisica, lingua, religione, idea politica, origine nazionale o sociale, possiede una inalienabile ed intangibile dignit. E ciascuno, lindividuo come lo Stato, perci obbligato ad onorare e proteggere tale dignit (38). Altrove, come parte del suo dialogo con le religioni del mondo, Kung offre un suggerimento costruttivo su questo punto, cui gli studiosi del buddismo farebbero bene a prestare attenzione: I pensatori buddisti, quando valutano criticamente le tradizioni proprie e altrui, non dovrebbero sforzarsi pi direttamente di fondare una antropologia incentrata sulla dignit umana (che il Budda stesso rispettava profondamente)? I buddisti sono pienamente consapevoli che luomo pu essere adeguatamente compreso solo come condizionato in tutti i modi, come un essere in relazione con la totalit della vita e del cosmo. Ma non riflettono altrettanto seriamente, specie sul terreno delletica, sui problemi dellunico, inviolabile, non intercambiabile io umano, con le sue radici nel passato e il suo destino futuro? (39) Tuttavia, non affatto evidente in quale modo, nella dottrina buddista, possa essere fondata la dignit umana. Ad un contesto buddista, suona estranea tanto la stessa espressione "dignit umana", quanto il parlare di diritti. Nelle Quattro Nobili Verit non si trova nessun riferimento esplicito alla dignit umana, e si potrebbe pensare che dottrine come l'an-atmaka e limpermanenza la indeboliscano. Se la dignit umana la base dei diritti umani, il buddismo sembra essere in difficolt quando cerca di giustificarli. Le religioni teiste, daltra parte, sembrano meglio attrezzate a render conto della dignit umana. Cristiani, musulmani ed ebrei mettono tipicamente in relazione la fonte ultima della dignit umana al divino. Larticolo 1 (paragrafo 2500) del pi recente Catechismo della Chiesa Cattolica, per esempio, dichiara: "la dignit della persona umana radicata nella sua creazione ad immagine e somiglianza di Dio". Il buddismo, chiaramente, non pu essere disposto a fare una affermazione simile. Kung nota come i buddisti pi importanti, al Parlamento delle religioni del mondo, si sentirono in dovere di protestare contro gli appelli a "ununit delle religioni sotto Dio" e ai riferimenti a "Dio onnipotente" e a "Dio creatore" nelle invocazioni durante le sedute. Egli suggerisce, tuttavia, che queste differenze sono conciliabili, dal momento che i concetti buddisti di "Nirvana, Shunyata e Dharmakaya svolgono funzioni analoghe al concetto di Dio" e possono essere visti dai cristiani come "termini paralleli per designare lAssoluto" (40). Pu essere vero, o pu non esserlo, che le scuole Mahaayaana riconoscano una realt trascendente che assomiglia al concetto cristiano di Dio come lAssoluto; ma ci sono persone pi qualificate di me per rispondere a tale questione. Qui voglio affermare brevemente solo tre tesi, sui problemi che sorgono se consideriamo queste cose come la fonte della dignit umana. In primo luogo, dal momento che questi concetti sono intesi dalle principali scuole Mahaayaana in modo diverso, improbabile che offrano un terreno comune per la fondazione dei diritti umani. In secondo luogo, difficile vedere in che modo una di queste cose possa essere la fonte della dignit umana nel modo in cui pu esserlo Dio, dato che nessuna scuola buddista crede che gli esseri umani siano creati da esse. In terzo luogo, anche se un qualche terreno metafisico di questo tipo potesse essere identificato nel buddismo Mahaayaana, resterebbe il problema di come fondare la dignit umana quando si ha a che fare con il buddismo Theravaada. Per il Theravaada, il Nirvana non un Assoluto trascendente, n i concetti di "Shunyata e Duarmakaya" hanno qualcosa di simile al significato attribuito loro in seguito. Nessun fondamento per i diritti umani pu essere veramente soddisfacente, secondo me, a meno che esso non costituisca in modo non ambiguo una parte del nucleo delle dottrine complessive del buddismo classico. Un suggerimento su come i diritti umani possano essere fondati nella dottrina buddista stato dato da
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Kenneth Inada. In una discussione su La prospettiva buddista sui diritti umani, Inada afferma che "esiste una relazione intima e vitale della norma buddista del Dharma con quella dei diritti umani" (41). Egli spiega questa relazione cos: I diritti umani sono certamente una questione importante, ma la posizione buddista che si tratti di una questione ancillare rispetto alla pi vasta e fondamentale questione della natura umana. Si pu asserire che il buddista vede il concetto di diritti umani come unestensione giuridica della natura umana. Si tratta di una cristallizzazione, anzi di una formalizzazione, del mutuo rispetto e della reciproco interesse di tutte le persone, che deriva dalla natura umana. Cos, la natura umana la fonte ultima, il fondamento in base al quale tutti gli altri attributi e caratteristiche vanno delineati. Essi vi trovano tutti la loro ragion d'essere. Tutti sono suoi riflessi e addirittura sottoprodotti. Il motivo per assegnare alla natura umana la posizione fondamentale molto semplice. E' dare alle relazioni umane un solido fondamento nella vera natura delle cose: la concreta e dinamica natura relazionale delle persone in reciproco contatto, che evita di attardarsi in grovigli retorici o legalistici (42). Pochi dissentiranno con la tesi secondo la quale i diritti umani si fondano nella natura umana. Verso la fine del suo saggio, tuttavia, Inada sembra allontanarsi dalla sua affermazione iniziale che la natura umana sia la "fonte ultima" dei diritti umani per avvicinarsi alla visione secondo la quale il fondamento ultimo sarebbe la "natura relazionale dinamica delle persone in contatto le une con le altre". In altre parole, nelle interrelazioni delle persone, e non nelle persone stesse, che pu essere trovata una giustificazione per i diritti umani. Ci confermato poco pi avanti: Pertanto, linteresse del buddismo si concentra sul processo di esperienza di ogni individuo, un processo noto tecnicamente come pa.ticca-samuppaada [origine relazionale: l'insieme dei dodici nessi causali che determina il samsara, cio la trasmigrazione attraverso ripetute e differenti esistenze]. Questa la grande dottrina del buddismo, forse la pi grande dottrina esposta dal Buddha. Essa significa che, in ogni processo vitale, il sorgere di un evento empirico un processo totalmente relazionale (43). Come trovare un nesso tra il carattere relativo dell'origine e i diritti umani? Largomentazione raggiunge una conclusione nel seguente brano: Come una tempesta, i cui effetti distruggono tutto, un'esperienza in termini di origine relazionale coinvolge ogni cosa entro il suo orizzonte. Perci, il coinvolgimento degli elementi e, nel nostro caso, degli esseri umani come entit non pu essere in termini di una mera relazione, ma piuttosto in quelli di una relazione creativa, che ha origine sulla scena esistenziale dellindividuo. In altre parole, ogni individuo responsabile per lattualizzazione di un "interesse estensivo" per ogni cosa che si trova sul suo sentiero di esperienza. Cos, possiamo dire che la aggregazione degli "interessi estensivi" pu essere riferita ad un regno esistenziale costituito nella reciprocit, e perci diventa un fatto che deve esserci mutuo rispetto tra i membri della societ. su queste basi che possiamo parlare di diritti degli individui. Questi diritti sono effettivamente estensioni di qualit umane come la sicurezza, la libert e la vita (44). In parole povere, largomento sembra essere il seguente. Gli esseri umani, come ogni altra cosa, sono parte di un processo relazionale descritto nella dottrina del carattere relativo dell'origine; dal momento che nessuno esiste in modo indipendente, dobbiamo sempre essere attenti agli altri; essere attenti agli

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altri significa rispettare i diritti di ogni altro; esempi dei diritti che dobbiamo rispettare sono la sicurezza, la libert e la vita (45). Sebbene io abbia descritto ci come un "argomento", poco pi di una serie di asserzioni. Andando a ritroso, difficile sapere quale senso dare alla frase conclusiva: "Questi diritti sono effettivamente estensioni di qualit umane come la sicurezza, la libert e la vita". Non chiaro che cosa si intenda qui per "qualit umane". In che senso la sicurezza una "qualit umana" (forse un "bisogno")? Perch la vita descritta come una "qualit" dellessere umano? E anche una volta concesso che queste siano "qualit umane", cosa significa dire che questi diritti sono estensioni delle "qualit umane"? Nel primo passo citato, Inada sostiene che "il buddista vede il concetto di diritti umani come unestensione giuridica della natura umana". Ci che non resta non spiegato, tuttavia, in che modo la natura umana (o le "qualit umane") si trasforma in diritti giuridici. Tutte le "qualit umane" si estendono in diritti o solo alcune? Se cos, quali e perch? Infine, se le "qualit umane" danno origine ai diritti, perch invocare la dottrina del carattere relativo dell'origine? La derivazione dei diritti umani dalla dottrina della del carattere relativo dell'origine un gioco di prestigio. Dalla premessa che noi viviamo in "un regno esistenziale reciprocamente costituito" (noi tutti viviamo insieme) "perci divenuto un fatto" che ci debba essere "un reciproco rispetto degli esseri che ci sono compagni". In un batter docchio, i valori sono apparsi dai fatti come un coniglio dal cappello. In ogni modo, il fatto che gli esseri umani vivono in relazione gli uni con gli altri non un argomento morale circa il modo in cui essi devono comportarsi. Di per s, esso non offre ragioni perch una persona non debba abusare abitualmente dei diritti degli altri. La tesi di Inada che i diritti umani possano essere fondati nella dottrina del carattere relativo dell'origine risulta essere poco pi che una raccomandazione che si debba essere gentili gli uni con gli altri sulla base del fatto che siamo "qui tutti insieme" (46). Limpostazione di Perera piuttosto diversa. Linteresse principale di Perera dimostrare che gli articoli della Dichiarazione Universale sono adombrati nei primi insegnamenti buddisti, pi che esplorare le loro fondazioni filosofiche. Egli riconosce che "il buddismo attribuisce alla personalit umana una dignit e una responsabilit morale" (47) ma non spiega pienamente da dove deriva o come fornisce una fondazione per i diritti umani. In qualche luogo, egli suggerisce alcune possibili origini della dignit umana, che non sembrano essere tutte compatibile. Ad un certo punto egli definisce "lassunto etico sul quale il concetto buddista di diritti umani fondato" come l'"idea fondamentale che tutta la vita sia un desiderio di salvaguardare se stessi e di rendersi benestanti e felici" (48). Tuttavia, problematico fondare i diritti sui desideri. Un motivo che certe persone, per esempio quelli che cercano di porre fine alla propria vita suicidandosi, sembrano abbandonare i desideri in questione. Non certo difficile concepire una giustificazione per le violazioni dei diritti umani che segua la procedura argomentativa che le vittime "non si preoccupano molto di cosa accada loro". Se essi stessi non hanno interesse per il loro futuro, quali diritti possono essere violati? Un problema pi profondo che la mera esistenza dei desideri non significa nulla da un punto di vista morale. I desideri sono molti, vari e si possono soddisfare in molteplici modi. Le questioni morali si presentano sia al livello del se un desiderio deve essere soddisfatto, sia a quello di come debba esserlo. Lidentificazione di un desiderio pu essere un punto di partenza per la riflessione morale, ma di certo non il suo termine (49). Alla pagina precedente Perera suggerisce un fondamento alternativo per i diritti umani, connesso alla dignit umana. Egli scrive: "il buddismo ha postulato, come Jean Jaques Rousseau fece molto pi tardi, che lessenza della dignit umana riposa nellassunto della responsabilit delluomo per il proprio governo" (50). Non viene citata nessuna fonte buddista a sostegno di questa affermazione, e io credo che sia improprio ritenere che il buddismo voglia collegare cos strettamente la dignit umana alla
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politica. Forse se questo suggerimento fosse sviluppato un po di pi, potrebbe essere riferito a capacit che stanno alla base della politica, come la ragione e lautonomia, le quali mettono gli uomin in grado di costituirsi in societ ordinate, e poi indicare queste ultime come la fonte della dignit umana. Mentre le istituzioni politiche possono essere prodotte attraverso lesercizio delle capacit tipicamente umane, tuttavia, improbabile che il buddismo voglia collocare "lessenza della dignit umana" nella loro creazione. Secondo lAggaasutta, levoluzione delle societ politiche la conseguenza di depravazione e decadenza, cosa che le rende dubbie come testimonianze della dignit umana. Dove cercare, allora, il fondamento per una dottrina buddista dei diritti umani? Il terreno appropriato per una dottrina dei diritti umani, suggerisco, sta sia al di fuori della dottrina del carattere relativo dell'origine come sostenuto invece da Inada , sia dal desiderio dellautoconservazione o dallaccettazione della responsabilit per lautogoverno, come proposto da Perera. Perera, infatti, si avvicina a ci che secondo me la vera fonte dei diritti umani nel buddismo nel suo commento allarticolo 1 (51). Discutendo la prima frase dellarticolo ("Tutti gli esseri umani sono nati liberi e uguali in dignit e diritti") egli commenta che "la buddhit stessa alla portata di tutti gli esseri umani e se tutti possono ottenere la buddhit, quale pi grande uguaglianza in dignit e diritti pu esserci?" Focalizzare lattenzione sullobiettivo, credo, pi promettente di ogni altra impostazione considerata fino ad ora. Sembra che Perera afferri il significato in un passaggio verso la fine del suo commento allarticolo 1. Egli scrive: dal punto di vista del suo fine che il buddismo valuta tutte le azioni. Perci, il pensiero buddista in accordo con questo ed altri articoli della Dichiarazione universale dei diritti umani nella misura in cui essi facilitano lapprossimazione degli esseri umani alla meta buddista (52). Credo che questultima citazione offra la chiave per comprendere i diritti umani in una prospettiva buddista. Ci che manca nel commentario di Perera, tuttavia, un collegamento esplicito tra lo scopo e la dignit umana, ed questo che cercher adesso di istituire. Ci che sostengo in generale che la fonte della dignit umana non pu essere vista in unanalisi della condizione umana fornita dalla prima nobile verit o dalla seconda (area nella quale gli studi buddista hanno focalizzato l'attenzione, in maniera miope) ma nella valutazione del bene umano fornita dalla terza e dalla quarta. I diritti umani non possono essere fatti derivare da nessuna analisi fattuale non valutativa della natura umana, nei termini della sua costituzione psico-fisica (i cinque "aggregati" che mancano di un s), della sua natura biologica (bisogni, stimoli, movimenti) e della struttura profonda dellinterdipendenza (paticcasamupaada). Invece, limpostazione pi promettente sar quello che colloca i diritti e la dignit umana entro una giustificazione complessiva della virt umana, e che veda i diritti e le libert fondamentali come integralmente connesse alla prosperit e allautorealizzazione umana (53). Questo perch la fonte della dignit umana nel buddismo non sta da nessunaltra parte se non nella capacit, letteralmente infinita, della natura umana di partecipare alla virt (54). Le connessioni tra diritti umani e bene umano possono essere illustrate chiedendosi che cosa provvedono ad assicurare le varie dichiarazioni dei diritti umani. I documenti che parlano di diritti umani di solito enunciano una lista di diritti e libert specifici e li proclamano inviolabili. I diritti proclamati dalla Dichiarazione Universale includono i diritti alla vita, alla libert, al matrimonio e alla protezione della vita famigliare, alla sicurezza sociale, alla partecipazione nel governo, al lavoro, alla protezione contro la disoccupazione, al riposo e al benessere, ad un livello minimo di vita e alla fruizione delle arti. Lesercizio di questi diritti soggetto soltanto a quelle limitazioni generali che sono necessarie per garantire il dovuto riconoscimento e rispetto per i diritti e per le libert degli altri, oltre che dalle esigenze della morale, dellordine pubblico e del benessere generale (articolo 29.2). Per il resto, i diritti sono espressi in forme categoriche come "Ciascuno ha " o "Nessuno deve ". Per
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esempio, larticolo 3: "Ciascuno ha il diritto alla vita, alla libert e alla sicurezza della persona". O larticolo 4: "Nessuno deve essere tenuto in schiavit o servit; la schiavit e il commercio degli schiavi sono proibiti in tutte le loro forme". Il documento, cos, mostra che i diritti che proclama sono sia "universali", sia privi di eccezioni. Utilizzando la terminologia introdotta in precedenza si pu vedere che alcuni di questi diritti sono diritti-pretesa (claim rights) mentre altri sono diritti di libert. Larticolo 2 lo conferma, quando parla di una titolo sia ei diritti, sia alle libert, esposte in questa Dichiarazione" (55). A che cosa equivalgono questi diritti e queste libert? Si potrebbe dire che essi segnano i parametri del "bene umano nella comunit". In altre parole, questi diritti e libert sono ci che richiesto perch gli esseri umani possano condurre vite soddisfacenti in societ. Larticolo 29. 1 riconosce ci quando osserva "tutti hanno doveri verso la comunit nella quale soltanto possibile il libero e pieno sviluppo della propria personalit" (56). In assenza di diritti umani, lo spazio dello sviluppo e della realizzazione umana attraverso linterazione sociale drasticamente ridotto. I diritti specificati definiscono e facilitano degli aspetti della realizzazione umana. Il diritto alla vita chiaramente fondamentale, dal momento che la condizione per il godimento di tutti gli altri diritti e libert. Il diritto alla "libert e sicurezza della persona" (articolo 3) anchesso basilare per ogni concezione del bene umano. Senza queste condizioni minime lo spazio e lopportunit di realizzazione umana sarebbero ristretti in maniera intollerabile. Lo stesso si pu dire per il caso della schiavit (articolo 4), della tortura (articolo 5) e della negazione dei diritti di fronte alla legge (articolo 6). Si pu anche notare che molti dei diritti pi particolari riconosciuti sono in realt derivati da quelli pi fondamentali. Larticolo 3, per esempio, "Nessuno sar ridotto in schiavit" chiaramente implicito nellarticolo 2, "Tutti hanno il diritto alla libert". Si potrebbe cos dire che molti dei trenta articoli definiscono le implicazioni pratiche di un numero relativamente piccolo di diritti e libert fondamentali che costituiscono la base del bene comune. Si pu notare che la Dichiarazione Universale in s stessa e i documenti moderni ad essa simili non offrono una visione complessiva del bene umano. Questa non deve essere intesa come una critica, perch lo scopo di simili documenti di assicurare soltanto quelle che possono essere chiamate le "condizioni minime" per lo sviluppo umano in un ambiente pluralistico. Il compito di elaborare una visione complessiva di quali siano i valori ultimi nella vita umana e del modo di realizzarli spetta alle teorie del bene umano che si trovano nelle religioni, nelle filosofie e nelle ideologie. Il buddismo fornisce una visione della natura umana e della sua realizzazione, il cristianesimo unaltra, le filosofie secolari una terza. Seguire ciascuno di questi differenti sentieri, tuttavia, richiede la base conosciuta come "diritti umani", un complesso di diritti fondamentali e di libert che sono le precondizioni per la realizzazione delle particolari opportunit, rese disponibili dalle ideologie concorrenti. Se lo scopo delle dichiarazioni dei diritti umani si comprende nella maniera delineata in precedenza, allora i diritti umani sono fondamentalmente un risultato morale. Dove non c diritto alla vita, alla libert e alla sicurezza della persona, e dove la tortura di routine, le opportunit di realizzazione del bene umano sono fortemente ridotte. La libert di religione (articolo 18), per esempio, vitale per la visione buddista del bene individuale e sociale, e le conseguenze della perdita di questi diritti sono fin troppo evidenti in Tibet. I diritti umani sono cos unarea nella quale le religioni hanno una posta in gioco legittima e vitale, e ci sono tutte le ragioni perch il buddismo approvi la Dichiarazione Universale e si appelli ad altri per il suo rispetto ed il suo adempimento (57). Se le religioni hanno un interesse legittimo ai diritti umani, potremmo aspettarci di trovare molti dei diritti e delle libert che figurano nelle carte dei diritti umani presenti nei loro insegnamenti morali, esplicitamente o implicitamente. Questi comprendono tipicamente i comandamenti o i precetti che proibiscono lomicidio, il furto, ladulterio e la menzogna, come fanno i primi quattro dei Cinque
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precetti. Questi mali sono proibiti perch immediatamente evidente che essi sono antitetici allo sviluppo umano in comunit. Il fondamento logico di queste proibizioni, secondo me, coincide in larga misura con quello dei vari manifesti dei diritti umani (58). Questi manifesti, anzi, possono essere visti come delle traduzioni di precetti religiosi nel linguaggio del diritto. Il procedimento casistico si pu osservare in entrambi. Soltanto un numero limitato di precetti morali pu essere esteso per soddisfare le esigenze delle differenti situazioni sociali (molte delle vaste regole Vinaya, per esempio, hanno origine da una manciata di precetti morali) (59), cos i molto articoli delle carte dei diritti umani sono estrapolati da un numero proporzionalmente piccolo di diritti e libert di base. Si deve ammettere che ci sono motivi di scetticismo sul parallelo appena suggerito, dal momento che i precetti buddisti appaiono e suonano innegabilmente molto differenti dalle dichiarazioni dei diritti umani contemporanee. I precetti buddisti non fanno affatto riferimento ai "diritti", ma sono espressi invece nella forma di compiti (60). Esaminiamo che cosa comportano questi compiti. Sulla base della nostra prima analisi sembrerebbe che "seguire i precetti" nel buddismo sia realmente il riconoscimento formale di un dovere fondamentale, un dovere che deriva dal Dharma. La persona che segue i precetti dice in effetti: "cos riconosco il mio dovere Dharmico non fare x, y e z". Dal momento che i doveri hanno il loro corrispondente nei diritti, tuttavia, questi ultimi devono anche essere impliciti nel bene che i precetti cercano di promuovere. Abbiamo visto, in precedenza, che i diritti forniscono un modo di parlare di che cosa giusto e ingiusto da una speciale angolazione. Abbiamo inoltre notato che una persona che ha un diritto ha un beneficio, un vantaggio che pu essere descritto sia come una pretesa, sia come una libert. Nel contesto dei precetti, allora, il titolare del diritto colui che soffre della violazione del dovere Dharmico quando i precetti sono violati. Nel caso del primo precetto, costui sar la persona che stata ingiustamente uccisa. Il diritto della vittima pu dunque essere definito come un diritto-pretesa negativo verso laggressore, cio il diritto di non essere ucciso. In parole semplici potremmo dire che la vittima ha un diritto alla vita che laggressore ha il dovere di rispettare. Che la traduzione da precetti a diritti sia corretta, e che la concordanza tra le due formulazioni non sia accidentale o superficiale, sostenuto dallautenticit con cui il Dalai Lama seppe affermare la Global Ethic. Kuschel commenta cos:

Qualcosaltro mi sembra decisivo: lautenticit e lumanit. La ragione per cui il discorso del Dalai Lama fu cos convincente, e senzaltro conquist i cuori della gente, al punto che fu spesso interrotto da applausi spontanei, fu che questuomo semplicemente voleva essere un buddista autentico. Il suo appello al rispetto reciproco, al dialogo e alla collaborazione, alla comprensione tra i popoli e al rispetto per la creazione, non era un adattamento ai valori cristiani od occidentali, ma derivava dal profondo della sua stessa spiritualit buddista (61). Una prova ulteriore del collegamento tra i precetti buddisti e la giustizia sociale si trova nella tradizione Theravaada. Scrivendo sulla "Giustizia nel buddismo", Vajiragnana afferma:

Luomo responsabile per la societ. lui stesso che fa il bene o il male attraverso le sue azioni. Il buddismo, quindi, sostiene un quintuplice codice disciplinare per leducazione delluomo, allo scopo di mantenere la giustizia nella societ Questi cinque precetti sono princpi fondamentali estremamente importanti per promuovere e conservare il benessere umano, la pace e la giustizia (62).

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Suggerisco, allora, che le evidenti differenze tra le dottrine morali del buddismo e le carte dei diritti umani siano di forma e non di sostanza. I diritti umani possono essere estrapolati dagli insegnamenti morali buddisti nel modo descritto, con l'uso la logica delle relazioni morali per illuminarci su cosa sia dovuto sotto la regola del Dharma. Una traduzione diretta dei primi quattro precetti produce un diritto alla vita, un diritto a non essere derubati della propriet, un diritto alla fedelt nel matrimonio, un diritto a non ricevere menzogne. Molti altri diritti umani, come i diritti alla libert e alla sicurezza possono essere dedotti da questi, oppure esistono allinterno del corpo generale degli insegnamenti morali buddisti. Il diritto a non essere ridotti in schiavit, per esempio, implicito nella proibizione canonica di commerciare in esseri viventi (63). Questi diritti sono lestrapolazione di ci che dovuto sotto il Dharma; essi non sono stati "importati" nel buddismo, ma vi erano implicitamente presenti. Se le moderne concezioni dei diritti umani e degli insegnamenti morali buddisti sono collegate nel modo che ho suggerito, per la nostra interpretazione dei precetti buddisti ci sono conclusioni certe. Se ci sono diritti universali e privi di eccezioni, come affermano le carte dei diritti umani, ci devono essere doveri universali e privi di eccezioni. Se i diritti umani come il "diritto alla vita" (per il quale intendo il diritto a non essere privati ingiustamente della vita) sono senza eccezioni, ci deve essere anche un dovere senza eccezioni ad astenersi dal privare ingiustamente un essere umano della vita. Il Primo Precetto del buddismo, quindi, pu essere inteso come un dovere senza eccezioni o un dovere morale assoluto. Questa traduzione a ritroso, dai diritti umani assoluti ai doveri morali assoluti, sostenuta da fonti testuali? Ci sono tutte le ragioni per pensare che lo sia. Una simile interpretazione del precetto chiaramente evidente nel buddismo classico, che instancabilmente reitera il principio della santit della vita trovato nelle dottrine pan-indiane della non-violenza (ahimsaa: letteralmente in-nocenza), e che non offre ragioni per supporre che i suoi precetti morali debbano essere compresi come qualcosa daltro che norme prive di eccezioni. Se, daltro canto, si pensa che i precetti non debbano essere compresi come imperativi morali assoluti, allora sar difficile vedere quale motivo ci possa essere perch i buddisti considerino universali e privi di eccezioni i diritti umani. Sarebbe incoerente affermare i secondi, ma negare i primi. Questa descrizione dei diritti umani nel buddismo stata compiuta interamente nel contesto di una concezione del bene umano che ha il suo apice nel nirvana-in-questa-vita. Per varie ragioni, sono stati evitati riferimenti alla dimensione trascendente del bene umano. In primo luogo, non si ha bisogno di far riferimento a realt trascendenti per fondare i diritti umani. Che sia cos pu essere notato dallassenza di ogni riferimento a simili realt nelle carte dei diritti umani contemporanee, e nel fatto che molti atei sono difensori vigorosi dei diritti umani. Dove il buddismo coinvolto, la visione del bene umano fissata nella terza e quarta nobile verit offre le basi necessarie per una dottrina dei diritti umani. La seconda ragione per evitare riferimenti alle realt trascendenti che il mio scopo era proporre una fondazione per i diritti umani accettabile da tutto il buddismo classico. Dal momento che tutte la scuole del buddismo affermano la terza e la quarta nobile verit e la visione del bene umano che esse proclamano, presente il terreno comune necessario ad una visione pan-buddista della dottrina dei diritti umani. Quanto detto non deve essere letto come una negazione del fatto che ci possa essere una base trascendente per i diritti umani nel buddismo. Tuttavia, poich la dimensione trascendente del bene umano rimane oscura, negli insegnamenti buddisti, anche il fondamento trascendente dei diritti umani oscuro. Per l'impostazione qui data, il terreno trascendente per i diritti umani potrebbe essere il nirvana post mortem, non nel senso di una realt assoluta (come proposto da Kung) ma come
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ununiversalizzazione del bene umano su un piano trascendente. Gli assi gemelli del bene umano sono la conoscenza (prajaa) e l'interesse morale (karun.naa) e sul grafico definito da questi assi si possono tracciare le coordinate soteriologiche di ogni individuo. Tramite la partecipazione in queste categorie gemelle del bene, la natura umana trascende progressivamente i propri limiti e si satura di bont nirvanica. Finalmente, nel nirvana post mortem, questa bont raggiunge una grandezza che non pu pi essere rappresentata graficamente. Se quello che si desidera un fondamento trascendente dei diritti umani, qui che deve essere cercato. In sintesi: nel buddismo legittimo parlare sia di diritti sia di diritti umani. Le moderne dottrine dei diritti umani sono in armonia con i valori morali del buddismo classico, in quanto sono delle spiegazioni di ci che "dovuto" sotto la regola del Dharma. Lidea moderna dei diritti umani ha un'origine culturale peculiare, ma la preoccupazione per il bene umano che sta alla sua base la rende in realt una questione morale cui il buddismo e le altre religioni hanno una legittima quota di partecipazione. La Global Ethic conferma la visione secondo la quale i principi che essa introduce per i diritti umani non siano n nuovi n "occidentali" quando dichiara: "Noi affermiamo che un complesso comune di valori fondamentali si trova nelle dottrine religiose, e che essi formano la base di unetica globale2 (64). Una riflessione conclusiva: prima ho parlato soltanto di diritti umani, e nel contesto del buddismo questa prospettiva pu essere indebitamente limitata, in quanto sembra precludere luniverso degli esseri senzienti non-umani dalla titolarit dei diritto. I buddisti possono rendersi conto, tuttavia, che essa meno pregiudiziale, in discussioni di questo tipo, rivolgersi alla vecchia terminologia di diritti "naturali". Se gli animali abbiano o no dei diritti, e se questi siano gli stessi diritti degli esseri umani, un problema che richiede un esame separato. Se i diritti umani discendono dalla natura umana, come si sostenuto, forse diritti di tipo differente discendono da nature di tipo differente. E questa sembra essere l'interpretazione del buddismo classico.

Note 1. Il testo della Dichiarazione, con commentari e informazioni aggiuntive, ora in Kung - Kuschel (eds.),
1993. Kung - Kuschel (eds.), 1993, 8. Per una rassegna sulle prospettive culturali ed ideologiche sui diritti umani, vedi Pollis e Schwab, (1979). Sull'assenza di un'etica dell'Induismo, vedi Creel (1997, 20 sgg.). Nonostante la sua importanza contemporanea, tuttavia, poco sembra essere stato scritto sul tema da una prospettiva specificamente buddista. La sola monografia sull'argomento sembra essere Perera (1991), e io sono grato al Ven. Mahinda Deegalle per avermela segnalata. Panikkar (1982, 76 n.) riferisce di un simposio dell'UNESCO tenuto a Bangkok nel 1979 intitolato "Incontro di esperti sul ruolo dei diritti umani nelle tradizioni culturali e religiose" che evidentemente comprenede discussioni sul buddismo. Al momento non sono stato in grado di ottenere una copia della relazione finale SS-79/ CONF. 607/10 del 6 febbraio 1980. 6. Sulla questione analoga se ci sia una dottrina "africana" dei diritti umani, vedi Howard (1986). 7. Per informazioni su queste questioni empiriche vedi Humana(1992), Hsiung (1985), Rupesinghe et al (1993), de Silva (1988), o anche Human Rights in Developing Countries, Yearbook 1993 (Copenhagen, 1993, Nordic Human Rights Publications). 8. Dagger (1989, 293). Sono in debito nei confronti delleccellente studio di Dagger per tutta questa sezione.

2. 3. 4. 5.

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9. Dagger (1989, 294), corsivi nelloriginale. 10. Finnis (1980, 206). 11. Stackhouse ne elenca cinque (1984, 35 sgg.). Little (1988) mostra la dipendenza dalla teologia cristiana
dellideologia moderna secolare e liberale rintracciando le connessioni storiche tra il concetto cristiano di coscienza e l'impalcatura intellettuale entro la quale le dottrine americane della libert e della libert religiosa emersero nel diciottesimo secolo, nelle opere di Thomas Jefferson e James Madison. Egli suggerisce che questa struttura occidentale si applica in modo relativamente semplice al buddismo e allIslam, e nota in generale: "Cos, la corrente formulazione dei diritti umani, assieme alle importanti nozioni che le stanno alla base, non sono necessariamente irrilevanti per le culture esterne a quella occidentale" (1988, 31). Per prospettive sui diritti umani dalle religioni del mondo, v. Rouner (1988) e Swidler (1982). Questioni riguardanti religione e diritti sono discusse da Bradney (1993). Un commentario sulla Dichiarazione Universale dalla prospettiva del buddismo, induismo, cristianit ed Islam pu essere trovato in Human Rights and Religions in Sri Lanka, pubblicato dalla Sri Lanka Foundation (Colombo, 1988), Il commentario buddista di Perera stato ripubblicato separatamente nel 1991.

12. 13. 14. 15. 16. 17. 18.

Stackhuose (1984, 35). Stackhouse (1984, 36). Per un quadro generale, v. Carlyle (1950). Finnis (1980, 208). La pi influente moderna analisi sui diritti quella di Hohfeld (1964). Finnis (1980, 199-205). Finnis (1980, 205), corsivo nelloriginale.

19. La discussione di Perera su buddismo e diritti umani non affronta queste domande, e sembra assumere
che il concetto di diritto e di diritti umani come recepito nella Dichiarazione Universale siano direttamente applicabili al buddismo canonico.

20. Per la tesi secondo la quale i valori morali sono determinati dalla cultura, sostenuta da molti antropologi,
v. Ladd (ed.) (1983). La difesa di uno specifico costume culturale (la circoncisione femminile) dalla prospettiva dei diritti umani discussa da James (1994).

21. Pali text Society Pali-English Dictionary, uju e ujju. 22. Sul concetto dei diritti nellinduismo e il significato di adhikaara, v. Bilimoria (1993) o anche Creel (1977,
19). Nel linguaggio buddista la nozione dei diritti pu essere distribuita lungo una variet di termini e, probabilmente, in latino tra le parole auctoritas, potestas, dominium, iurisdictio, proprietas, libertas e ius (Dagger, 1989, 291).

23. 24. 25. 26. 27. 28. 29.

Citato da Dagger (1989, 286). Finnis (1980, 209). Vajiragnana (1992). Cfr., per es., il Sigaalovaadasutta. Dagger (1989, 297). Finnis (1980, 209). Finnis (1980, 210).

30. MacIntyre (1981, 69). Cfr. de Bary sul neologismo cinese che stato coniato per esprimere questi
concetti (1988, 183).

31. Listituzione delle caste criticata in molti dei primi discorsi, particolarmente nel Sonadandasutta.

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32. Carrithers (1985) suggerisce che il concetto buddista di "s" (che collega al concetto di "moi" in Mauss)
pu essere facilmente trasportato attraverso le frontiere culturali. Ci accresce le prospettive di una dottrina buddista dei diritti umani.

33. Un'utile discussione sulle basi filosofiche dei diritti umani pu essere trovata in Donnelly (1985) e Nickel
(1987).

34. Su quanto il concetto occidentale di diritti umani sia rilevante o applicabile alle altre culture, cfr. Panikkar
(1982), Teson (1985), Welch et al. (1990).

35. 36. 37. 38. 39. 40. 41. 42. 43. 44.

Perera (1991, xi). MacIntyre (1981, 69). A Global Ethic, p. 14. A Global Ethic, p. 23, corsivo nelloriginale. Kung (1986, 383 sgg.) corsivo nelloriginale. A Global Ethic, p. 62 sgg. Inada (1982, 71). Inada (1982, 70). Inada (1982, 70). Inada (1982, 70 sgg.).

45. Un primo tentativo di fondare letica buddista nel carattere relativo dell'orgine pu essere trovato in Macy
(1979). Macy presenta il Sarvoyada Shramadana, un movimento dello Sri Lanka, come "un notevole esempio delletica del "paticca-samuppaada", ma, come Inada, tralascia di spiegare come un imperativo morale derivi da questa dottrina. Prende spunto dalla attraente dottrina del non-s e dal carattere relativo dell'origine anche Taitetsu Unno, il cui articolo del 1988 sui diritti quasi interamente volto a fornire una mera prospettiva territoriale su queste due dottrine. Sebbene esse offrano uno sfondo metafisico adatto alletica buddista, non possono per fornire un terreno morale ai diritti. Harris (1994) dubbioso sul fatto che il carattere relativo dell'origine possa offrire una base soddisfacente per lecologia buddista.

46. In un secondo saggio sullargomento (1990), Inada d molta meno enfasi al carattere relativo dell'origine
e sembra voglia fondare i diritti umani sulla compassione. Comunque, la natura dellargomento, e in particolare il paragrafo conclusivo, sono ben lontani dallessere chiari.

47. Perera (1991, 28, cfr. 88). 48. Perera (1991, 29). 49. Un ulteriore problema, sebbene credo sia in fondo uno pseudo-problema, che il buddismo vede il
desiderio come la causa della sofferenza. Il desiderio sembrerebbe cos un fondamento improbabile per i diritti umani.

50. Perera (1991, 28). 51. Articolo 1: "Tutti gli esseri umani sono nati liberi e uguali in dignit e diritti. Essi sono dotati di ragione e
coscienza e possono agire verso gli altri con spirito di fratellanza".

52. Perera (1991, 24) 53. Una discussione della natura e del bene umani nel buddismo pu essere trovata nel mio Buddhism &
Bioethics (Macmillan, 1995).

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54. Un modo pi familiare al buddismo per esprimere lo stesso concetto potrebbe essere dire che tutti gli
esseri sono Buddha potenziali, o posseggono la "natura del Buddha".

55. Corsivo mio. 56. Corsivo mio. 57. Nella visione di Perera: "dalla prospettiva religiosa, possibile affermare che in questa Dichiarazione
sono racchiusi valori e norme propugnate dalle principali religioni del mondo. Sebbene non sia espresso direttamente, i principi di base della Dichiarazione sono sostenuti e rinforzati da queste tradizioni religiose, e tra di esse il contributo della tradizione buddista , per lo meno, notevole" (1991, xiii). Sebbene non desideri negare che i primi insegnamenti sostengono i principi della Dichiarazione, non concordo sul fatto che il contributo della tradizione buddista alla causa dei diritti umani sia in qualche modo "notevole".

58. In certi campi (come la proibizione dellalcol e le materie di moralit sessuale) i precetti vanno oltre gli
scopi pi limitati delle dichiarazioni dei diritti umani. Ci dipende dal fatto che il buddismo fornisce una particolare visione del bene umano e definisce anche le pratiche necessarie per il suo raggiungimento.

59. Keown (1992, 33). 60. A volte tracciato un contrasto tra la natura "volontaria" dei precetti buddisti e i "comandamenti" del
cristianesimo. Mentre la forma dei precetti buddisti certamente pi attraente per i gusti liberali, la distinzione ha veramente poco significato. I precetti si applicano, che siano o meno formalmente "accettati come compiti", e sono comandamenti in tutto fuorch nel nome.

61. 62. 63. 64.

Kung e Kuschel (eds.) (1993, 14). Vajiragnana (1992). A.iii.208. Kung e Kuschel (eds) (1993, 14).

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a cura di Maria Chiara Pievatolo pievatolo@dsp.unipi.it . Ultimo aggiornamento: 18 giugno 1999

La societ globale del rischio


Una discussione fra Ulrich Beck e Danilo Zolo
1. Verso una nuova modernit D.Z. C' a mio parere una profonda continuit teorica fra i tuoi libri precedenti in particolare Risikogesellschaft e Gegengifte e l'ultimo tuo libro, Was ist Globalisierung?, che uscito in edizione italiana presso l'editore romano Carocci. U.B. E' vero. Nel mio libro Societ del rischio, che apparso in Germania nel 1986, avevo proposto la distinzione fra una prima e una seconda modernit. Avevo caratterizzato la prima modernit nei seguenti termini: una societ statale e nazionale, strutture collettive, pieno impiego, rapida industrializzazione, uno sfruttamento della natura non 'visibile'. Il modello della prima modernit che potremmo anche chiamare semplice o industriale ha profonde radici storiche. Si affermato nella societ europea, attraverso varie rivoluzioni politiche ed industriali, a partire dal Settecento. Oggi, alla fine del millennio, ci troviamo di fronte a ci che io chiamo 'modernizzazione della modernizzazione' o 'seconda modernit' od anche 'modernit riflessiva'. Si tratta di un processo nel quale vengono poste in questione e divengono oggetto di 'riflessione' le fondamentali assunzioni, le insufficienze e le antinomie della prima modernit. E a tutto ci sono collegati problemi cruciali della politica moderna. La modernit illuministica deve affrontare la sfida di cinque processi: la globalizzazione, l'individualizzazione, la disoccupazione, la sottoccupazione, la rivoluzione dei generi e, last but not least, i rischi globali della crisi ecologica e della turbolenza dei mercati finanziari. Penso che si stiano affermando un nuovo tipo di capitalismo e un nuovo stile di vita, molto diversi dalle fasi precedenti dello sviluppo sociale. Ed per queste ragioni che abbiamo urgente bisogno di nuovi quadri di riferimento sia sul piano sociologico che su quello politico. D.Z. Nelle tue pagine l'analisi dei dilemmi e dei rischi della globalizzazione mi sembra condotta con molta lucidit e vigore critico. E' questo secondo me l'aspetto pi stimolante del tuo libro, che del resto , in generale, tematicamente molto ricco, brillante e tutt'altro che apologetico nei confronti della presente situazione internazionale e dei potentati politici ed economici che la governano. Nello stesso tempo, per, tu continui a suggerire un atteggiamento sostanzialmente ottimistico, anche se si tratta, per cos dire, di un 'ottimismo drammatico'. U.B. No, non parlerei di ottimismo... Come si pu essere ottimisti di fronte all'attuale situazione del mondo? Ma d'altra parte, come si fa ad essere soltanto pessimisti? Il mondo che ci sta di fronte carico di paradossi che non possono non renderci perplessi. Dobbiamo liberarci da alcune certezze antropologiche del passato e nello stesso tempo tentare di costruire, in mezzo ad una quantit di contraddizioni e di rotture, linee di coerenza e di continuit. Speranza e disperazione non possono non intrecciarsi nella nostra esperienza. Guardiamo ad esempio all'Europa. Un secolo buio, nel quale abbiamo avuto due sanguinose guerre mondiali, l'Olocausto, il fascismo e l'imperialismo comunista finalmente al tramonto e sta lasciando il posto alla prospettiva di un'Europa democratica da costruire nei prossimi anni. Non sono queste ragioni sufficienti per essere ottimisti e pessimisti nello stesso tempo? D.Z. E tuttavia l'intento ultimo del tuo libro, attraverso un'interpretazione che tu stesso chiami 'dialettica',

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di presentare la globalizzazione come foriera di una nuova modernit. La 'societ del rischio' a livello nazionale come a livello globale non comporta, tu sostieni, un congedo dalla tradizione illuministica, come vogliono invece le tendenze irrazionalistiche del 'post-moderno'. Al contrario, tu ti sforzi di delineare una teoria sociale che nella scia di Weber rintracci nel presente il profilo di una nuova modernit. Come nel secolo diciannovesimo la modernizzazione industriale ha dissolto e superato il sistema corporativo della societ rurale, cos la modernit globale destinata, secondo te, a superare le attuali forme della politica 'nazional-statale' e dell'economia tardocapitalistica. E' cos? U.B. Si, vero, ma nello stesso tempo cambiano, come ho detto, le assunzioni fondamentali, l'antropologia e il paradigma stesso della modernit. Certo, il termine 'modernit' ha sempre significato anche crisi in atto, discontinuit e incertezze. Ma ci che distingue la 'modernit riflessiva' e la rende problematica il fatto che dobbiamo trovare risposte radicali alle sfide e ai rischi globali prodotti dalla modernit stessa. Le sfide potranno essere vinte se riusciremo a produrre pi e migliore tecnologia, pi e migliore sviluppo economico, pi e migliore differenziazione funzionale. E queste sono le condizioni per battere la disoccupazione, la distruzione dell'ambiente naturale, l'egoismo sociale e cos via. 2. Un dialogo globale fra le culture D.Z. Permettimi una obiezione: che cosa pu significare esattamente 'nuova modernit' se, come tu fai, ci si riferisce non soltanto al mondo europeo ed occidentale, ma a tutte le culture del globo? Non c' qui il rischio di adottare una prospettiva eurocentrica, di finire involontariamente in forme di 'imperialismo' antropologico e culturale, come fanno secondo me i pi noti Western globalists, a cominciare da David Held, Richard Falk e, in qualche misura, anche Jrgen Habermas? Le riflessioni di Samuel Huntington sul conflitto fra le civilt non contengono, nonostante la loro evidente debolezza teorico-politica, almeno un'avvertenza cautelativa da accogliere? E cio che i valori occidentali, per quanto preziosi, non sono affatto universali e non possono essere 'esportati' con la forza, la pressione economica o la propaganda. U.B. Personalmente non condivido l'immagine del mondo contemporaneo che Samuel Huntington ha dipinto. La mia impressione che quando Huntington parla di 'scontro fra civilt' in realt ha presente l'esperienza di un maschio bianco e protestante minacciato dalla rapida emergenza di un'America del Nord ormai divenuta multiculturale e sempre pi influenzata da tradizioni culturali di origine non europea. La mia teoria della 'seconda modernit' un serio tentativo di superare ogni tipo di 'imperialismo occidentale' ed ogni concezione unidirezionale della modernit. Io mi propongo di superare il pregiudizio evoluzionistico che affligge larga parte della scienza sociale occidentale. E' un pregiudizio che relega le societ non occidentali contemporanee nella categoria del 'tradizionale' e del 'premoderno' e in questo modo, anzich definirle dal loro proprio punto di vista, le concepisce in termini di opposizione alla modernit o di non modernizzazione. Molti pensano persino che lo studio delle societ occidentali premoderne possa aiutarci a capire le caratteristiche che i paesi non occidentali presentano oggi. 'Seconda modernit' significa al contrario che dobbiamo collocare con fermezza il mondo non occidentale nell'ambito della 'modernizzazione della modernizzazione' e cio entro un pluralismo di modernit. In questa prospettiva c' spazio per concettualizzare la possibilit di traiettorie divergenti della modernit. D.Z. Condivido il senso di questo tuo tentativo, anche se conservo qualche dubbio sulla possibilit di universalizzare la categoria di 'modernit'. Ma, a questo proposito, che cosa pensi di autori giapponesi, malesi e cinesi, come Shintaro Ishihara, Mahathir Mohammed, Son Qiang e Zhang Xiaobo, che rifiutano i valori politici e culturali della modernit occidentale pur accettando l'industrialismo e l'economia di mercato? Il rifiuto, come noto, riguarda in particolare la tradizione liberaldemocratica e la dottrina dei diritti dell'uomo. C' fra di loro chi rivendica contro l'occidente l'universalit dei 'valori asiatici'. Lee Kuan Yew, il celebre re-filosofo di Singapore, ha sostenuto ad esempio che la tradizione confuciana, con la sua concezione paternalistica del potere e la sua idea organica della societ e della famiglia, offre il quadro ideologico pi adatto per contenere gli effetti 'anarchici' dell'economia di mercato e per attenuare le spinte disgregatrici dell'individualismo e del liberalismo occidentale.
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U.B. Si tratta di un dibattito molto importante e stimolante. Anzitutto noi occidentali dobbiamo prendere atto del fatto che sono in corso ampie discussioni in Asia, in Africa, in Cina, nell'America del Sud che hanno per oggetto il tema delle 'modernit divergenti'. Nel mio libro Was ist Globalisierung? ho tentato di contribuire a questo dialogo globale distinguendo il 'contestualismo universale o relativismo', che un atteggiamento post-moderno, dall''universalismo contestuale', che supera l'alternativa rigida fra l'affermazione di un (unico) universalismo e la negazione di ogni possibile universalismo. In questa prospettiva possono convivere sia il mio che il tuo universalismo e cio una pluralit di universalismi diversi. Su questo punto dobbiamo essere molto precisi. Nella societ globale del rischio le societ non occidentali hanno in comune con le societ occidentali non solo lo stesso spazio e lo stesso tempo ma anche alcune delle sfide fondamentali della seconda modernit, anche se percepite entro ambiti culturali diversi e secondo prospettive divergenti. Questi aspetti di analogia fra situazioni diverse sono stati illustrati da un recente dibattito, 'Korea: A Risk Society', che apparso sul Korea Journal (30, 1998, 1). I saggi presentati in questo volume sono un ottimo esempio di come l'identica situazione di rischio prodotta da una modernizzazione troppo rapida pu dar vita a prospettive culturali divergenti e proprio per questo molto interessanti sia dal punto di vista teorico che da quello politico. 3. Globalismo economico e fondamentalismo mercantile D.Z. Apprezzo il tuo accenno alla necessit di un 'dialogo globale' fra le culture e tuttavia questo dialogo mi sembra, per quanto riguarda l'occidente, ancora molto lontano dall'essere non dico avviato, ma neppure concepito. Ma ritorno ad un tema centrale della tua elaborazione teorica. La societ del rischio avevi sostenuto in Risikogesellschaft una societ che, nonostante tutto, ha a disposizione nuove possibilit di trasformazione e di sviluppo razionale della condizione umana: maggiore uguaglianza, maggiore libert individuale e capacit di autoformazione. L'imperativo che allora formulavi era la necessit che la prospettiva di una nuova 'ecologia politica' riuscisse a prevalere sugli schemi della logica puramente economica della produzione, del consumo e del profitto. Analogamente oggi sostieni che i rischi che minacciano la societ globalizzata possono mobilitare soprattutto nel mondo occidentale nuove energie sociali e politiche. Ti domando: che cosa ti induce a pensare che una politica transnazionale possa riuscire a prevalere sugli schemi del 'globalismo economico' e che un senso collettivo di responsabilit per le sorti del mondo possa contrastare l'apatia e il disincanto politico si recentemente parlato di neo-edonismo e di neo-cinismo delle nuove generazioni che oggi dilagano in occidente? U.B. Quando ho scritto il mio libro sulla globalizzazione, e cio un anno e mezzo fa, la critica del globalismo neoliberale sembrava assolutamente 'idealistica', nella vecchia accezione tedesca del termine. Ma noi viviamo davvero in un mondo ove tutto fortemente accelerato e difficilmente controllabile. In questo breve periodo di tempo l'attenzione pubblica mondiale si concentrata sulla questione di come controllare il mercato finanziario globale e i suoi rischi globali. Ci si chiede come dovrebbe o potrebbe essere una globalizzazione responsabile e come possa diventare una realt concreta. Il fondamentalismo mercantile, naturalmente, assume che i mercati finanziari siano dei sistemi capaci di autoregolazione e che tendano costantemente all'equilibrio. Nel suo ultimo libro George Soros usa la nozione di 'riflessivit' (anche Anthony Giddens la usa e la uso anch'io) per proporre un punto di vista pi realistico. Egli sostiene che a causa del carattere riflessivo dei mezzi di informazione i mercati finanziari tendono all'instabilit. Possono divenire caotici, essere influenzati da effetti di bandwagon, da comportamenti di massa irrazionali e da fenomeni di panico. Per queste ragioni i mercati finanziari globali appartengono alla categoria della societ mondiale del rischio. La principale conseguenza di tutto questo che l'era dell'ideologia del libero mercato ormai una vaga reminiscenza. Si sta verificando esattamente il contrario: la politicizzazione del mercato globale. In Asia sta accadendo qualcosa che si potrebbe chiamare una Chernobil economica: il carattere 'socialmente esplosivo' del rischio finanziario globale sta diventando una realt. E ci d vita ad una dinamica di trasformazione culturale e politica che indebolisce le burocrazie, contesta l'egemonia dell'economia classica, sfida il neoliberismo e ridisegna i
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confini e le arene della politica contemporanea. Si affacciano nuove opzioni politiche: il protezionismo nazionale e regionale, il ricorso a meccanismi di regolazione e a istituzioni sovranazionali e, infine, la questione della loro democratizzazione. D.Z. E dunque, secondo te, tutto questo pu aprire nuove prospettive e far emergere forze politiche transnazionali. E' una possibilit, lo ammetto, anche se in questo momento non mi sembra di scorgere molti indizi in questo senso. Riconosco comunque che in questo libro ti sei sforzato di analizzare i vari aspetti del processo di globalizzazione al di fuori degli schemi tradizionali che contrappongono i fautori della globalizzazione come sviluppo coerente della modernit occidentale ai suoi detrattori. Questi ultimi vedono nella globalizzazione essenzialmente un fattore di turbolenza e, nello stesso tempo, un'inarrestabile deriva verso la concentrazione del potere internazionale, l'aumento del divario fra paesi ricchi e paesi poveri e l'appiattimento delle diversit culturali. Ti chiedo: quali argomenti opponi a chi sostiene che i processi di globalizzazione tendono a gerarchizzare ulteriormente i rapporti internazionali ponendo al vertice del potere e della ricchezza un direttorio di potenze industriali, anzitutto gli Stati Uniti, l'Unione Europea e il Giappone. U.B. C' una forte tendenza a porre il segno di equazione fra globalizzazione e americanizzazione o persino fra globalizzazione e nuovo imperialismo. Ma questa non tutta la verit. Ci sono prove evidenti che la globalizzazione diviene sempre pi un fenomeno decentrato, non controllato e non controllabile da un singolo paese o da un gruppo di paesi. In realt le conseguenze della globalizzazione colpiscono o possono colpire gli Stati Uniti come la Francia, l'Italia, la Germania o i paesi asiatici. Questo vero per lo meno per i rischi finanziari, per i mezzi di comunicazione e per gli squilibri ecologici (il riscaldamento dell'atmosfera, ad esempio). Lo Stato nazionale sottoposto a sfide in modo eguale nell'America del Sud come in Asia, in Europa o nell'Anerica settentrionale. Ci sono persino fenomeni di 'colonizzazione inversa'. Accade cio che dei paesi non occidentali modellino forme di sviluppo in occidente. Si pensi alla 'latinizzazione' di alcune grandi citt statunitensi, all'emergenza in India e in Malesia di un settore di alta tecnologia senza radici territoriali e orientato al mercato globale, oppure all'acquisto da parte del Portogallo di una grande quantit di prodotti musicali e televisivi del Brasile. Ma, naturalmente, ci sono dei vincitori e dei perdenti nel gioco della globalizzazione. Una minoranza diventa sempre pi ricca e una maggioranza crescente diviene sempre pi povera. La quota della ricchezza globale che andata al 5% pi povero della popolazione mondiale passata negli ultimi dieci anni dal 2,3% all'1,4%. Nello stesso periodo la quota accaparrata dal 5% pi ricco della popolazione mondiale cresciuta dal 70% all'85%. Come ha scritto recentemente un autore inglese, piuttosto che di 'villaggio globale' (global village) il caso di parlare di 'saccheggio globale' (global pillage). D.Z. E non ti sembra dunque che la concentrazione del potere internazionale abbia come conseguenza una crescente inclinazione delle grandi potenze a violare o aggirare il diritto internazionale? Come giudichi, a questo proposito, la tendenza degli Stati Uniti ad erigersi a gendarme del mondo attraverso un uso strumentale anche del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite? Non ti pare che questo sia recentemente avvenuto in quella che stata chiamata la 'terza guerra' del Golfo Persico? Non c' il rischio che questo alimenti e agli occhi di molti finisca per giustificare il terrorismo internazionale? U.B. Si, come ho detto, viviamo in una societ mondiale del rischio. Il mondo sta diventando caotico. Non mi difficile immaginare la possibilit di un gran numero di disastri. 'Seconda modernit' non significa che ogni cosa debba andare per il suo verso. Sarebbe una profonda incomprensione del mio punto di vista. Ci sono dietro l'angolo nuove minacce che nessuno preparato ad affrontare. Io stesso sto lavorando da qualche anno ad un nuovo libro sul 'cattivo cittadino': il cittadino che usa le sue libert per contrastare le incertezze sociali che si trova dinanzi e nelle quali immerso. Ma questo atteggiamento non sufficiente. Sarebbe intellettualmente troppo facile. Molto pi difficile tentare di ricostruire e di sviluppare le nuove opzioni, i nuovi orizzonti sociali e politici che stanno emergendo. Insomma troppo facile essere oggi unilateralmente pessimisti. Io sono simultaneamente ottimista e pessimista. Il mio interesse scoprire ci che nuovo. Le idee fondamentali della mia teoria della societ del rischio vanno oltre l'ottimismo e il pessimismo. D.Z. Sono d'accordo con te, anche se con la mia domanda non intendevo sollecitarti ad una

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dichiarazione di pessimismo ma a un giudizio specifico sul processo di gerarchizzazione del potere internazionale a mio parere oggi in atto e sulla funzione che in questo quadro svolgono le istituzioni internazionali e gli Stati Uniti. Condivido comunque il tuo rifiuto del fatalismo. 4. Verso una 'McDonaldizzazione' della societ globale? D.Z. Nel tuo ultimo libro hai scritto alcune pagine, che io trovo molto interessanti, per criticare il fatalismo di chi giura nella inevitabile omologazione culturale del pianeta. La tesi di George Ritzer della McDonaldization of society, sostieni, sbagliata. Ed esagerato pensare che la globalizzazione culturale sia un rullo compressore che produce l''occidentalizzazione del mondo'. Questa tesi sostenuta, come noto, da Serge Latouche. Ma anche altri sociologi della globalizzazione Mike Featherstone e Bryan Turner, ad esempio pensano che siamo in presenza di fenomeni di 'creolizzazione' delle culture indigene. Si tratterebbe di una estesa contaminazione di culture deboli da parte dei modelli di consumo e degli stili di vita che i grandi mezzi di comunicazione di massa quasi sempre radicati in occidente diffondono nel mondo, in particolare attraverso la comunicazione pubblicitaria. E' un fenomeno, essi sostengono, di distruzione della diversit, della complessit e della bellezza del mondo. U.B. Per me questo uno degli aspetti pi affascinanti del dibattito sulla globalizzazione culturale che impegna in particolare scrittori anglosassoni antropologi e teorici della cultura come Appadurai, Robertson, Featherstone, Lash, Urry, Albrow, Eade e molti altri. C' un nuovo significato della dimensione locale che emerge nell'era della globalizzazione. L'intera letteratura che se ne occupa offre una pittoresca e convincente controprova del semplicistico stereotipo della 'McDonaldizzazione del mondo'. Ci che chiaro che in questo orizzonte transnazionale si formano, spesso illegalmente, degli amalgami sociali che minacciano seriamente l'aspirazione degli Stati nazionali ad esercitare un controllo territoriale e a garantire l'ordine. Gli spazi della vita privata e del lavoro che ne derivano sono 'impuri'. Per analizzare questi fenomeni la sociologia deve abbandonare schemi di interpretazione troppo rigidi ed ammettere la possibilit di coesistenza di forme di vita diverse. D.Z. Ma pensi davvero che ci siano culture e civilt capaci di resistere all'imponente deriva che diffonde nel mondo la scienza, la tecnologia, la burocrazia, l'industrialismo e l'individualismo occidentale? E che cosa pu ridurre, non dico arrestare, il fenomeno della migrazione di massa dai paesi poveri ai paesi industrializzati, con tutte le conseguenze che questo comporta in termini di diseguaglianza sociale, di sfruttamento del lavoro e di distruzione delle identit culturali? I processi di globalizzazione possono favorire o invece al contrario soffocare le spinte verso l'autonomia etnica o l'indipendenza nazionale? Penso ad esempio, fra i moltissimi altri, ai tamil, ai palestinesi, ai curdi, ai baschi, ai corsi. U.B. Ci sono secondo me due modi di concepire e di concettualizzare la globalizzazione: due modi che devono essere tenuti nettamente distinti. Uno corrisponde all'idea di una globalizzazione semplice e lineare, l'altro corrisponde al concetto di 'globalizzazione riflessiva'. La versione semplice rinvia alla teoria che potremmo definire del 'contenitore sociale': il contenitore la societ statale e nazionale, fondata su un'identit collettiva pi o meno omogenea. La globalizzazione da questo punto di vista qualcosa che si aggiunge, che proviene dall'esterno e che perci ci minaccia e persino ci aggredisce nella nostra comune identit. Nella prospettiva della concezione riflessiva della globalizzazione la stessa definizione di societ e di comunit cambia radicalmente. Vivere assieme non ha pi il significato di risiedere in luoghi geograficamente contigui. Pu anche significare vivere assieme scavalcando i confini statali e anche quelli continentali. E questo vale non soltanto per gli 'attori globali' e per i managers del capitalismo globale, ma anche, ad esempio, per il tassista indiano che lavori a Londra o per dei messicani che vivano a New York o nel Messico e che decidano a cavallo delle frontiere su affari comuni da realizzarsi in citt messicane. Questi sono solo alcuni esempi, ma la letteratura vastissima. Ne deriva che l'insediamento territoriale non pi, com'era al tempo dello Stato nazionale, un imperativo per la vita sociale e per il realizzarsi di una comunit. Bisogna aggiungere che le relazioni e i legami sociali e politici di natura non territoriale che si sviluppano nella societ cosmopolitica non sono stati ancora scoperti, affermati e incoraggiati. Insomma, io rispondo alla tua domanda dicendo: si, io credo che lo
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sviluppo della modernit non sia lineare e che possa spezzarsi in qualsiasi momento per ragioni endogene. La 'gabbia d'acciaio' della modernit di cui parlava Weber si sta aprendo, sollecitata da una pluralit di modernizzazioni divergenti. D.Z. La globalizzazione, sostieni nel tuo libro, una realt irreversibile a livello economico, ecologico, tecnico-comunicatico, civile, dell'organizzazione del lavoro, etc. che nessun protezionismo, vecchio o nuovo, pu arrestare o condizionare: n il protezionismo 'nero' dei nazionalisti, ormai obsoleto; n il protezionismo 'verde' degli ecologisti radicali che oggi riscoprono lo Stato nazionale come un 'biotipo' in estinzione e si affannano a proteggerlo; n, infine, il protezionismo 'rosso' che rilancia anacronisticamente a livello mondiale la parola d'ordine della lotta di classe. U.B. Si, cos. C' un 'riflesso protezionistico' presente in tutti i paesi e che sostenuto da tutti i partiti politici. Naturalmente se ne possono capire le ragioni. Nessuno preparato per le grandi trasformazioni in corso. Tutti sperano che la globalizzazione distrugga i presupposti in base ai quali i propri vicini hanno costruito la loro casa e organizzato la loro vita. Accade cos che la globalizzazione produca qualcosa che si potrebbe chiamare 'effetto chiocciola'. Ma ritirarsi nella propria tana non sar molto utile. Rifiutarsi di prendere atto di ci che sta accadendo oltre l'uscio di casa e non accettare di esporsi al rischio del nuovo non pu essere un modo efficace di prepararsi al futuro. 5. La funzione degli Stati nazionali D.Z. Ma non pensi che ci siano aspetti della globalizzazione che i paesi della 'periferia' del mondo dovrebbero tentare di contrastare, anche con mezzi politici, per resistere alla forza omologatrice del mercato e dei suoi correlati ideologici? L'idea di nazione e di Stato nazionale pu essere davvero considerata come un oscurantistico relitto del passato? Non forse vero che l'intera tradizione della democrazia rappresentativa, del rule of law e della stessa dottrina dei diritti dell'uomo sono indissociabili dalla vicenda storica dello Stato nazionale sovrano? U.B. Lo Stato nazionale si sta trasformando, certo, non si pu dire che sia avviato all'estinzione. Pu persino rinforzarsi, come ho sostenuto nel mio libro, divenendo uno Stato cooperativo, uno Stato transnazionale o cosmopolitico. Ma non sar pi, comunque, uno Stato nazionale nel vecchio senso. Per realizzare il suo 'interesse nazionale' lo Stato della seconda modernit deve attivarsi simultaneamente a vari livelli locali e transnazionali ed entro istituzioni molto lontane dai suoi confini. Uno Stato, ad esempio, pu persino usare l'Europa come un pretesto per non prendere decisioni locali o per dare attuazione a livello europeo a decisioni per le quali il governo nazionale non disporrebbe del sostegno della maggioranza interna. Attori globali come le imprese multinazionali dispongono di un grande potere nell'ambito degli affari di uno Stato nazionale poich possono aumentare o ridurre l'offerta di posti di lavoro. Ma un nuovo protezionismo regionale potrebbe ciononostante rivelarsi efficace. Nel mio libro ho proposto un esperimento mentale: proviamo ad immaginare un mondo nel quale i costi dell'informazione e del trasporto oltre le frontiere nazionali aumentino in misura significativa. Le economie regionali ed i mercati regionali quelli dell'Unione europea, ad esempio ne avrebbero certamente dei vantaggi. D.Z. Sono d'accordo con te. Aggiungerei soltanto che l'enfasi globalista sottovaluta il fatto che lo Stato nazionale sembra destinato non solo a conservare a lungo molte delle sue funzioni tradizionali, ma anche ad assumere funzioni nuove che non potranno essere assorbite da strutture di aggregazione regionale o globale. Solo uno Stato nazionale democratico sembra in grado di garantire un buon rapporto fra estensione geopolitica e lealt dei cittadini e gi per questo svolge secondo me una funzione non facilmente surrogabile, anche nei confronti degli eccessi delle rivendicazioni etniche. E forse non andrebbe dimenticato, come ha sottolineato Paul Hirst, che le persone sono molto meno mobili del denaro, delle merci e delle idee, per non dire dei contenuti della comunicazione elettronica: le persone sono molto pi 'nazionalizzate' e sar comunque al loro radicamento nazionale e territoriale che si dovr fare appello anche in futuro per dare legittimit alle istituzioni sovranazionali. U.B. Attorno a questo punto si sviluppata la pi importante controversia nell'ambito della teoria politica contemporanea: possibile una democrazia oltre l'ambito dello Stato nazionale? Oppure lo Stato nazionale va considerato come il solo ambito istituzionale entro il quale pu realizzarsi lo Stato di diritto e
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quindi la tutela dei diritti dell'uomo? Ci pu essere una legittimazione democratica ottenuta attraverso procedure transnazionali? Secondo me, almeno per quanto riguarda l'ambito europeo, questa discussione ha un valore puramente teorico. E' una pura illusione pensare che sia possibile riportare indietro l'orologio della storia e tornare in Europa ai tempi della democrazia nazionale. Non ci sar democrazia in Europa se non sar una democrazia rafforzata sul piano transnazionale. La democrazia stata inventata oltre mille anni fa in ambito locale. Poi, nel corso della prima modernit, ha assunto una dimensione nazionale. Ora e nel prossimo futuro la democrazia deve essere reinventata a livello transnazionale. E' questo il senso del progetto democratico per l'Europa. D.Z. D'accordo, ma il problema si pone soprattutto fuori dall'Europa, dove la dimensione transnazionale ben pi problematica. Tu scrivi nel tuo libro che ormai viviamo in una societ mondiale ove qualsiasi rappresentazione di 'spazi chiusi' non pu che essere fittizia. E lo Stato stesso ormai pensabile soltanto come uno 'Stato transnazionale', la cui 'societ civile' attraversata da una moltitudine di agenzie e istituzioni transnazionali come le grandi imprese economiche, i mercati finanziari, le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, l'industria culturale e cos via. Detto in poche parole, tu pensi che la specificit della globalizzazione stia nell'estensione, nella densit e nella stabilit della rete di interdipendenze fra globale e locale (la cosiddetta 'glocalizzazione') di cui l'umanit intera sta prendendo coscienza attraverso la comunicazione massmediale. La globalit, sostieni, ormai l'orizzonte cognitivo al quale nessuno pu sottrarsi. Ma forse ti si potrebbe obiettare che ci sono interi continenti penso ad esempio all'Africa e ampie fasce di nuovi poveri e di nuovi analfabeti all'interno persino dei paesi pi ricchi che restano esclusi dall'orizzonte cognitivo della globalit (e dall'uso dei mezzi elettronici che ne diffondono la consapevolezza riflessiva). U.B. Ti rispondo raccontando una storia. Alcuni anni fa un'antropologa, specializzata nello studio della Cambogia rurale, arriv in un piccolo villaggio cambogiano, dove intendeva svolgere la sua ricerca sul campo. La sera venne invitata in una casa privata per un intrattenimento. L'antropologa si aspettava di scoprire qualcosa sui passatempi tradizionali sopravvissuti in quello sperduto villaggio asiatico. Invece la serata fu dedicata ad assistere alla trasmissione televisiva del film Basic Instinct. In quel momento il film non era stato ancora proiettato nei cinema di Londra. Dunque, la globalizzazione in questo senso non pu in alcun modo essere arrestata. Gli antropologi non fanno che ripetere la sostanza di questa storia: le culture locali del globo oggi non possono essere studiate e capite senza tener conto dei 'flussi globali', come ha sostenuto fra gli altri Appadurai. Ma, certo, questo non esclude che le diseguaglianze sociali siano in aumento. 6. Verso un capitalismo senza lavoro e senza vincoli fiscali? D.Z. Zygmunt Bauman ha parlato di una nuova stratificazione della popolazione mondiale in ricchi globalizzati e poveri localizzati. E tu stesso ricordi che i paesi dell'Unione Europea, negli ultimi vent'anni, sono diventati pi ricchi in una proporzione che si aggira fra il cinquanta e il settanta per cento. Nonostante ci in Europa abbiamo oggi venti milioni di disoccupati, cinquanta milioni di poveri e cinque milioni di senza tetto. Non questo l'indice di nuove, pi profonde diversit in potere e ricchezza fra gli abitanti del pianeta? Non potrebbe essere questo l'inizio della 'brasilizzazione' del mondo? U.B. Ho appena finito di scrivere un libro Die schne neue Arbeitswelt (Il bel nuovo mondo del lavoro) nel quale respingo la tesi della 'brasilizzazione' dell'occidente. Rovesciando un giudizio di Marx, si potrebbe infatti sostenere che molte aree del 'Terzo mondo' mostrano all'Europa l'immagine del suo futuro. Per un verso ed l'aspetto positivo si potrebbero indicare elementi come lo sviluppo di societ multireligiose, multietniche e multiculturali, stili di vita intraculturali e una moltiplicazione delle sovranit. Per un altro verso e questo l'aspetto negativo dovremmo segnalare il diffondersi di aree di informalit, la flessibilit del lavoro, la deregulation di ampi settori dell'economia e delle relazioni di lavoro, l'aumento della disoccupazione e della sotto-occupazione (lavoro a part-time, lavori a termine e a cottimo, lavoratori domestici ed altre categorie che non facile designare con le terminologie tradizionali). A tutto ci bisogna aggiungere, come tu hai detto, la radicalizzazione delle diseguaglianze e un alto tasso di violenza e di criminalit.
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D.Z. Il 'globalismo economico' , nel tuo lessico teorico, cosa ben diversa dalla globalizzazione. E' l'ideologia ultra-libertaria tu parli addirittura di 'metafisica del mercato globale' che cerca di nascondere i rischi che in particolare i processi di globalizzazione economico-finanziaria comportano. Il pericolo di gran lunga pi grave, tu sostieni, viene dai settori pi forti dell'economia globalizzata: viene cio dalla capacit che le grandi imprese industriali e finanziarie hanno di sottrarsi ai vincoli della solidariet nazionale, in particolare all'imposizione fiscale. La struttura delle grandi corporations tale che esse possono scegliere a piacere e cambiare velocemente le sedi geografiche o funzionali dei propri fattori di produzione, ottenendone grandi vantaggi e sottraendosi alle regole poste dagli organi statali. Quali contromisure sono secondo te possibili, al di fuori dell'idea del 'governo mondiale' e dello 'Stato mondiale' che anche tu mi pare consideri come una prospettiva non realizzabile? U.B. Non dobbiamo illuderci: un capitalismo che fosse concentrato esclusivamente sulla propriet e sul profitto, che voltasse le spalle ai lavoratori, al Welfare State e alla democrazia finirebbe alla lunga per autodistruggersi. Perci oggi non c' soltanto il rischio che milioni di persone restino senza lavoro. E non a repentaglio soltanto il Welfare State. La libert politica e la democrazia sono a rischio! Dobbiamo domandarci: qual il contributo che l'economia globale e le corporations multinazionali offrono per sostenere la democrazia a livello nazionale o cosmopolitico? Noi dobbiamo fare in modo che l'economia si faccia responsabile del futuro della democrazia rinforzando, ad esempio, la politica transnazionale in Europa. Ma dobbiamo anche tentare di rinforzare le organizzazioni transnazionali dei consumatori e, in generale, la cosiddetta global civil society. D.Z. Lo sviluppo delle tecnologie elettroniche automazione, informatica, telematica aumenta la produttivit delle imprese multinazionali che tendono a disfarsi sempre pi della forza-lavoro che non sia altamente qualificata. Sta affermandosi un capitalismo globale che in grado di sottrarsi in larga parte ai costi del lavoro e in prospettiva al lavoro stesso. E' questa la tenaglia che anche nei paesi industriali sta stritolando le nuove generazioni, sempre pi colpite dalla inoccupazione e dalla disoccupazione. Ma ad essere minacciati pi in generale sono tutti i cittadini che non appartengano alla minoranza di coloro che sono in grado di svolgere mansioni tecnologicamente sofisticate. La maggioranza dei cittadini, anche quando trovano lavoro, sono costretti dalla logica della 'flessibilit' ad accettare occupazioni precarie e poco retribuite e che spesso da sole non bastano a garantire loro una sussistenza dignitosa. U.B. Questo assolutamente vero. Dobbiamo riconoscere che persino nei cosiddetti paesi del pieno impiego come gli Stati Uniti e l'Inghilterra fra un terzo e la met delle persone che lavorano sono oggi 'lavoratori flessibili', secondo i molti e molto ambigui significati del termine. Accade qualcosa di simile a ci che accaduto a proposito del cosiddetto 'modello familiare normale'. Ci che un tempo era tipico sta diventando un fenomeno minoritario. Ed per questo che dobbiamo ripensare e riformare il Welfare State sulla base di questa mutazione morfologica del lavoro e della vita privata. D.Z. Ma davvero possibile riformare il Welfare State? Siamo ancora in tempo per farlo? Nel tuo libro sottolinei il fatto che mentre crescono i profitti delle grandi imprese stanno esaurendosi nei paesi occidentali le risorse finanziarie tradizionalmente destinate alle pensioni, ai servizi sociali e all'assistenza degli anziani. Si esauriscono perch le grandi imprese sono in grado di sottrarsi non soltanto ai costi del lavoro ma anche ai vincoli dell'imposizione fiscale. Ci provoca naturalmente una crisi dei bilanci statali che possono far conto sempre meno delle entrate fiscali legate alle attivit produttive. Non dunque soltanto il lavoro che viene a mancare: vengono a mancare le risorse pubbliche. Non c' allora il rischio che ogni forma di Welfare State sia ormai destinata all'estinzione e che i difensori dei diritti sociali nei paesi occidentali si stiano battendo per una causa ormai persa per sempre? U.B. No, io non lo penso. In Europa oggi abbiamo, in modo inaspettato, una larga maggioranza di governi orientati a sinistra, incluse l'Italia, la Germania, la Gran Bretagna e la Francia. Il dibattito attorno alla 'Terza via' riguarda sostanzialmente la riforma del Welfare State nell'era della globalizzazione. Nel suo libro, The Third Way, Anthony Giddens traccia le linee di una societ di positive welfare e di strategie di investimento. Questo l'inizio della discussione sulle strutture di un'Europa sociale e democratica che si continuer sicuramente nei prossimi anni. D.Z. Tu ritieni dunque, assieme a Giddens e ai socialdemocratici europei, che ci siano delle risposte
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politiche capaci di neutralizzare i rischi pi gravi della globalizzazione economica e di rilanciare il progetto di una nuova modernit. E' questo, secondo me, l'aspetto pi suggestivo, ma forse anche il pi problematico, del tuo libro. Tu enfatizzi le possibilit correttive di una serie di interventi che sottopongano a regole politiche e a logiche cooperative le forze anarchiche dei mercati globali. Fra questi interventi tu segnali in particolare l'incremento della cooperazione internazionale, l'affermazione di una concezione 'inclusiva' della sovranit degli Stati, il ricorso a meccanismi di partecipazione dei lavoratori ai profitti delle imprese, policies di grande impegno nel settore della formazione, il sostegno delle attivit professionali autonome (nei settori delle nuove tecnologie, delle culture sperimentali, dei mercati di nicchia e delle imprese pubbliche). U.B. Si, cos. Ma sono consapevole delle resistenze politiche e delle critiche avanzate da parte di ambienti intellettuali. Il Zeitgeist postmoderno induce a credere fortemente nella fine della politica e della razionalit sociale. Io intravedo al contrario l'emergere di una grande stagione politica. Ma, lo ammetto, nel quadro di una 'modernit riflessiva' l'autodefinizione soggettiva di una situazione si identifica con la situazione stessa. Questa una delle ragioni che mi portano ad essere cos nettamente contrario al pensiero postmoderno: potrebbe rivelarsi una profezia autoadempientesi. E sarebbe per di pi una profezia molto noiosa e pericolosa. D.Z. Mettiamo pure da parte il pessimismo intellettuale dei postmoderni ed ipotizziamo che la tua profezia politica sia capace di autoadempiersi virtuosamente. Resta il problema dei nuovi spazi e dei nuovi soggetti di una politica transnazionale. Le tue indicazioni vanno nel senso di un recupero della politica a livello globale, dopo che la politica degli Stati nazionali ed entro gli Stati nazionali sembra sempre meno efficace e sempre pi lontana dal modello rappresentativo. Ma quali sono, secondo te, le arene transnazionali ove si possono realizzare gli obbiettivi che tu indichi? E dove sono le forze politiche ed economiche potenzialmente interessate a questo tipo di interventi correttivi? O pensi ad una rivoluzione negli stili di vita dei cittadini occidentali che li allontani dai valori del mercato e li renda immuni dalla sua potente e intrusiva ideologia acquisitiva? U.B. Si certo, hai ragione, sono necessari dei nuovi soggetti politici: dei partiti cosmopolitici capaci di operare in termini di rappresentanza transnazionale degli interessi, ma che lo facciano entro le arene politiche degli Stati nazionali. Questi soggetti possono perci affermarsi, sul piano programmatico ed organizzativo, soltanto in forme plurali: e cio come movimenti nazionali e globali nello stesso tempo, come partiti locali in rappresentanza di 'cittadini globali'. I partiti cosmopolitici dovrebbero porsi in competizione con i partiti nazionali entro competizioni politiche (apparentemente) nazionali. Essi sarebbero i primi attori in grado di sperimentare sul piano politico le strategie gi da tempo adottate delle corporazioni industriali e di liberarsi dalla gabbia territoriale dello Stato nazionale. E dovrebbero essere attivi a vari livelli e porre gli interessi degli Stati nazionali in concorrenza fra loro. Ma, ci si pu chiedere, dove sono gli elettori disposti a farsi rappresentare da questo tipo di partiti cosmopolitici? Secondo me nelle grandi metropoli, nelle 'citt globali' che possono emergere una comprensione postnazionale della politica e una corrispondente concezione postnazionale dello Stato, della giustizia, dell'arte, della scienza e delle relazioni pubbliche. Ma non voglio dire certo con questo che sia sufficiente essere collegati con la rete di Internet per divenire cittadini globali. 7. Quale ordine politico mondiale? D.Z. Resta tuttavia aperto, secondo me, il tema delle forme e delle istituzioni della politica transnazionale: un tema che nel tuo libro non affronti in modo esplicito, salvo l'assunzione del processo di integrazione europea come un importante punto di riferimento pratico e teorico. Ma i fenomeni di integrazione regionale oggi in atto in alcune delle aree pi ricche del pianeta sembrano difficilmente esportabili a livello globale. Possono anzi essere visti come un rafforzamento della logica particolaristica della sovranit statale, anzich come un passo innanzi verso l'auspicato traguardo di una governance democratica del mondo. La formazione di un 'super-Stato europeo', e cio di una entit politicoeconomico-militare dotata di poteri eccezionalmente elevati, una prospettiva rassicurante ai fini di una
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attenuazione dei rischi della globalizzazione economica? U.B. Non credo in un superstato europeo. Anche questo sarebbe un modello di modernizzazione di carattere lineare, anzich riflessivo. L'Europa un eldorado di differenze e personalmente penso che dovrebbe restare tale anche nell'era della globalizzazione. Ma nello stesso tempo l'Europa il laboratorio dove sperimentare una societ ed una politica cosmopolitica. L'adozione della moneta unica ci spinge in questa direzione. Quanto pi l'Euro avr successo tanto pi urgentemente l'Europa avr bisogno di un'anima democratica. Una volta realizzata l'unione monetaria l'Europa deve irrobustirsi grazie a nuove idee politiche e a dibattiti, istituzioni e associazioni civili che travalichino le frontiere degli Stati membri. Soltanto un'Europa intellettualmente vitale in grado di rielaborare la vecchia idea europea di democrazia per la nuova era globale. D.Z. Consentimi in conclusione qualche domanda relativa alle funzioni che secondo te il diritto internazionale pu svolgere per contenere le spinte eversive della globalizzazione economica e per garantire un nuovo ordine mondiale. Nel tuo libro citi Zum ewigen Frieden di Kant e a tratti sembri simpatizzare con l'ideale di un 'diritto cosmopolitico' e di un 'pacifismo giuridico'. Ti chiedo: pensi, assieme a Kelsen e ai suoi epigoni, che il diritto e le istituzioni internazionali siano lo strumento principale per garantire l'ordine mondiale e in particolare una pace stabile ed universale? Condividi, in altre parole, le tesi kelseniane di Peace trough Law? U.B. Le condivido senz'altro. All'alba della seconda modernit dobbiamo chiederci: chi sono, sul piano intellettuale, i padri fondatori della societ globale cosmopolitica? Per me, fra gli altri, sono di grande attualit Kant e Kelsen ma anche, per esempio, Nietzsche, Hannah Arendt e Montaigne. D.Z. E qual secondo te il probabile destino delle Nazioni Unite? La globalizzazione ne favorisce, o ne richiede, un rafforzamento o destinata a travolgerle? Sono in grado non solo di garantire la pace fra gli Stati, ma di contrastare la diffusione della produzione delle armi da guerra e di vincere la sfida delle grandi organizzazioni criminali commercio delle armi, delle droghe, delle donne e degli emigranti che ormai hanno assunto dimensioni globali? U.B. La democrazia transnazionale dovr tenere conto di alcuni fondamentali cambiamenti intervenuti nell'organizzazione transnazionale del crimine e della violenza. Le distinzioni classiche fra 'guerra' e 'pace', 'interno' ed 'esterno', 'societ civile' e 'barbarie' distinzioni associate all'autonomia dello Stato nazionale sono ormai superate. Nello stesso tempo possibile identificare nuove tendenze civili che potrebbero fornire le basi per una pace stabile. Le Nazioni Unite devono sicuramente essere rafforzate. Ma il fenomeno della globalizzazione del crimine e della violenza richiede anche una risposta da parte di una struttura di cooperazione di tipo statale. D.Z. C' chi ha parlato recentemente di una global expansion of judicial power. Che cosa pensi in particolare a proposito dei nuovi Tribunali penali internazionali: quelli gi operanti per la ex-Jugoslavia e per il Ruanda e quello, permanente e universale, il cui statuto stato approvato a Roma nel giugno scorso? Ritieni che possano offrire un contributo significativo al mantenimento della pace e alla tutela dei diritti dell'uomo? Pensi anche tu, come Jrgen Habermas, che l'obbiettivo ultimo debba essere una giurisdizione penale universale e, al suo servizio, una forza di polizia sovranazionale? U.B. Naturalmente, una corte internazionale sarebbe, nel lungo periodo, una grande conquista a favore di un ordine cosmopolitico. Si tratta di un progetto totalmente irrealizzabile? Io penso di no. E' un progetto altrettanto irrealistico quanto lo fu la richiesta di democrazia 150 anni fa nella chiesa di San Paolo a Francoforte (durante la rivoluzione tedesca). Ma io spero che in questo caso si faccia pi in fretta.

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Diritti fondamentali

a cura di Maria Chiara Pievatolo pievatolo@dsp.unipi.it . Ultimo aggiornamento: 1 marzo 2000


Testo in rete dal 1 agosto 1999

Diritti fondamentali: argomenti per una teoria


di Gianluigi Palombella Request for Comments
A mano a mano che si sale col pallone, si getta gi un numero sempre maggiore di oggetti concreti e quando si raggiunta la cima con qualche frase come Diritti dellUmanit o il Mondo salvato dalla Democrazia, si vede in lungo e in largo, ma si vede pochissimo W. Lippmann, Lopinione pubblica

Sommario I. Per una teoria dei diritti fondamentali II. Il teatro delle definizioni III. Diritti, garanzie, lacune IV. Esistenza dei diritti e delle norme V. Libert e prestazioni VI. Diritti sociali e propriet VII. Diritti programmatici VIII. Diritti fondamentali, universalit e diritto di propriet IX. A proposito di "fondamentale" X. Diritti senza democrazia "sostanziale"

1. Per una teoria dei diritti fondamentali Il tema dei diritti fondamentali ricostruito da un punto di vista teorico, appare un crocevia tra questioni di grande rilevanza, questioni capitali, come la definizione di diritto soggettivo,il concetto di<>costituzione, il senso della democrazia. E' inevitabile pertanto che una teoria dei diritti fondamentali finisca per connettersi ad una generale concezione e ad un'interpretazione complessiva dello Stato e del diritto. L'espressione "diritti fondamentali" generalmente usata nel senso di diritti umani, o sostituita da questa. La Costituzione italiana tra i "Principi fondamentali" include il riconoscimento e la garanzia dei "diritti inviolabili dell'uomo"[1] Tra le due espressioni esistono per differenze profonde. E' necessario almeno sottolineare che "diritti umani" assoluta, riguarda l'uomo, anche indipendentemente da ogni contesto e da ogni altra specificazione. "Diritti fondamentali" invece plausibilmente aperta e relativa, pu dunque essere riferita all' "uomo" oppure ad altro: ad ambiti, casi, circostanze, oppure societ, ordinamenti giuridici, o morali; dunque rispetto a questi che, di un insieme di "diritti", si pu (o si deve) dire se (o che ) siano fondamentali. Se dei diritti umani si assume l'inviolabilit, assoluta, in qualsiasi stato o in qualsiasi cultura, in qualsiasi ordinamento giuridico o comunit morale, anche dei diritti fondamentali si pu pretendere l'inviolabilit, ma solo nell'ambito in cui essi sono fondamentali. In virt di queste
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Diritti fondamentali

considerazioni, "diritti fondamentali" si presta ad essere una nozione "giuridica" o comunque del tutto adatta ad una teoria del diritto, mentre "diritti umani" appare lata e pi difficilmente utilizzabile. Quando si tratta, come molto spesso accade, dei diritti fondamentali dell'uomo, le due espressioni tendono, ovviamente, a coincidere. In questo senso allora divengono diritti fondamentali tutti i diritti "umani" enumerati, per esempio, nella Dichiarazione del 1948; l'uso del termine fondamentale perde la sua peculiarit, e non aggiunge nulla al significato normalmente attribuito agli inviolabili diritti "umani". Quali siano i diritti umani e quali siano i diritti fondamentali deve essere definito attraverso una scelta etica e politica; quanto ai diritti umani, di fatto, il diritto (in vari ordinamenti occidentali) in genere recepisce i giudizi di valore che sono andati consolidandosi negli ultimi due secoli. Si sono formati e si vanno formando cataloghi pi o meno condivisi e pi o meno estesi, di diritti umani. Non si pu parlare, per, coerentemente, di diritti umani "propri di un determinato ordinamento giuridico": bens solo di diritti dell'uomo, secondo una tensione etico-assiologica che supera ogni limitazione giuridica contingente. I diritti dell'uomo sono quelli che non un ordinamento giuridico, ma una concezione dell'uomo definisce tali. Ci non vale per i diritti fondamentali. Si pu certamente parlare, infatti, di diritti (soggettivi) fondamentali per il diritto obiettivo, ossia per (in) un ordinamento giuridico (appartenente ad una qualsiasi societ organizzata). E' vero che in tali casi si tende a fondere due profili, quello in cui "fondamentale" corrisponde semplicemente ai diritti umani ritenuti universali, universalmente inviolabili, e quello in cui "fondamentale" corrisponde ai diritti soggettivi in concreto "posti" e giuridicamente "validi", in un determinato ordinamento. In linea teorica, ma anche in pratica, pu darsi che quanto vale come "fondamentale" nell'uno non valga nell'altro. Dal punto di vista giuridico, potrebbero definirsi fondamentali anche "cataloghi" diversi e distanti da quelli elaborati nella cultura delle organizzazioni internazionali negli ultimi cinquant'anni [2]. Il diritto certo criticabile e valutabile dal punto di vista politico e morale, e dunque delle scelte che in esso sono contenute. La concezione che in questo lavoro viene proposta usa il termine "fondamentale" come relazionale e lo riserva ai diritti che possano essere tali all'interno di un definito ambito, e in particolare all'interno di un ordinamento giuridico, ossia per il (nel) diritto positivo. Pertanto, se qualcosa "fondamentale" dal punto di vista giuridico,ci dipende, e non pu che dipendere, da criteri giuridici. Una teoria generale deve tenere conto di tutto ci; e come tale deve riconoscere i propri diversi confini, rispetto alle filosofie o alle etiche dei diritti umani. Non pu conseguentemente utilizzare criteri etici come criteri giuridici, e in ogni caso deve chiarire una questione essenziale che si presenta in limine: da un lato i diritti "umani" aspirano all'universalizzazione, ad essere definiti e applicati a livello universale e protetti anche da regolazioni internazionali; dall'altro diritti fondamentali risultano da decisioni (locali) che potrebbero non soddisfare criteri morali "universalistici". La ragione per la quale essi possono apparire come diritti fondamentali, in un'ottica giuridica, non pu consistere nel loro coincidere con l'area dei diritti umani; sebbene questa coincidenza sia ci che, quanto ai valori e ai contenuti, in tanti auspichiamo. Ci che pu rendere "fondamentale" dal punto di vista di un ordinamento giuridico, un diritto soggettivo, la sua funzione, come sosterr nelle pagine che seguono. Al di l di questo punto, raccomandare che i diritti fondamentali corrispondano alla tutela dei diritti umani, il compito di una teoria politica, una filosofia del diritto, che espongano le proprie premesse di merito e la propria portata prescrittiva. Una volta esplicitate queste premesse, esse possono anche essere incorporate in una teoria (generale) normativa del diritto. In questo lavoro, prender spunto dal tema della definizione di diritto soggettivo. La diversit e il numero delle proposte, a questo riguardo, sono stati prova della natura controversa, dell'essenzialit e anche della vitalit del concetto nella cultura giuridica. Nella prima parte, insister sulla questione delle definizioni poich essa, anche quando versa in astrattezze ed apparenti formalismi, resta determinante le concezioni dei diritti. Spesso l'adozione di una definizione di diritto soggettivo pu rivelarsi un'inutile camicia di Nesso, o al contrario uno strumento indispensabile, all'interno di una data elaborazione etico-politica dei diritti soggettivi. Proceder poi mettendo a fuoco alcune conseguenti ed essenziali questioni:

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Diritti fondamentali

In primo luogo, le definizioni dei diritti soggettivi e l'individuazione tra essi di diritti fondamentali. Com' noto, due elementi centrali nella definizione che il giuspositivismo (da Bentham e Austin sino a Kelsen) ha dato del diritto soggettivo sono il corrispondere ad un obbligo altrui e il potersi tradurre in una pretesa in giudizio. Questi elementi sono evidentemente indifferenti al contenuto del diritto, e astraggono da esso. Questa tradizione appare per inadatta, comunque parziale e insufficiente, rispetto all'esigenza di una definizione teorica adeguata alle trasformazioni delle societ contemporanee. Una volta affrontata la questione di come siano definiti i diritti soggettivi e come ne vengano distinte diverse tipologie, si pone la domanda circa l'ascrivibilit della denominazione "fondamentale" a definite classi di diritti. Tale domanda (relativa ad esempio all'inclusione di tipi di diritti soggettivi, come i diritti patrimoniali o i diritti sociali, tra quelli fondamentali), presuppone sia chiaro cosa significhi che un diritto soggettivo sia "fondamentale". Certi schemi definitori dei diritti soggettivi appaiono inadatti almeno a quei diritti soggettivi che divengano diritti fondamentali. Ad esempio, una delle convinzioni diffuse che se un diritto soggettivo richiede obblighi di astensione allora esso deve essere protetto garantendo l'astensione; se invece richiede prestazioni (ad es. i diritti sociali) allora deve essere protetto garantendo l'intervento pubblico. Questa distinzione, ammesso che valga in generale, non sembra potersi estendere al caso di diritti soggettivi che siano anche fondamentali. Specie quando si tratta di diritti fondamentali, infatti, sembra piuttosto che il "bene" in essi considerato, rilevato, debba essere protetto comunque, e che il diritto stesso consista appunto in un "bene" da salvaguardare, attraverso qualsiasi rimedio si riveli necessario: cos, un diritto soggettivo fondamentale alla libert di espressione, non consiste affatto nell'obbligo di astensione da parte di qualcuno, bens nel bene che ricollega e che "promette" agli individui (anche se poi quel bene viene identificato non univocamente) e che la libert di espressione (non importa qui se nel segno dell'autonomia individuale o in quello ben diverso dello sviluppo della partecipazione democratica): un bene la cui garanzia certo non pu esaurirsi nella previsione una volta per tutte- di una determinata prestazione, o di un obbligo di astensione, e che implica certamente di pi. In realt, quando sono in gioco diritti fondamentali, il valore da ciascuno di essi tutelato in concreto domina l'ordinamento e l'attivit dei poteri costituiti. E' per questa ragione che sostengo una concezione "funzionale" dei diritti fondamentali (che non vincola alla coincidenza con un qualche catalogo dei diritti "umani"). Per ogni diritto fondamentale infatti, una definizione "strutturale", che consistesse nell'identificarlo con un rimedio a priori (o in un obbligo o in una pretesa in giudizio, ecc.), significherebbe solo che gli strumenti diventano fini, e che i rimedi formalisticamente prendono il posto dei beni da tutelare. 2. Un secondo essenziale passaggio della tesi che intendo sviluppare, muove appunto dalla convinzione che i diritti fondamentali (non sono semplicemente diritti soggettivi, ma diritti soggettivi che) svolgono un ruolo "funzionale" specifico nell'ordinamento di uno Stato di diritto costituzionale. Essi appaiono norme giuridiche su cui ruota il sistema giuridico. La loro forza morale sta probabilmente nel fatto che essi sono "diritti" soggettivi, sostenuti da dottrine morali diverse e da molteplici prospettive. Ma non di questo che consiste, in un ordinamento, il carattere "fondamentale", una qualificazione che concerne essenzialmente le gerarchie tra norme. I diritti fondamentali sono tali perch, e se, fanno parte delle norme (funzionalmente) fondamentali (o di riconoscimento) di un ordinamento. I diritti soggettivi che acquisiscano questo status, dispongono di una forza giuridica non altrimenti acquisibile. 3. Su queste basi (e si giunge cos ad un terzo passaggio), tenendo conto di recenti tesi nel dibattito italiano sui diritti fondamentali [3], discuter quanto vi si sostiene sia circa l'esistenza dei diritti soggettivi, sia circa la loro protezione e tutela effettive. A mio parere, la questione dell'effettivit e della protezione dei diritti fondamentali dovrebbe considerarsi proprio alla luce della concezione qui delineata del carattere fondamentale dei diritti. Essa impedisce di considerare astratti i diritti qualora manchino di idonee protezioni, o di accettare la tesi secondo cui l'assenza di garanzie giuridiche costituisce (solamente) una lacuna in senso tecnico dell'ordinamento. La necessit di 1.
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Diritti fondamentali

separare concettualmente, di non far dipendere meccanicamente la normativit dei diritti dall'esistenza delle loro garanzie, sottolineata dalle recenti proposte di Ferrajoli [4], deve dunque essere accolta. Tuttavia, queste pagine scelgono termini diversi: esse muovono dalla considerazione che se i diritti fondamentali sono, a differenza di altri diritti soggettivi, norme fondamentali, per essi ed attraverso essi in gioco l'intero ordinamento giuridico; se i diritti fondamentali non "funzionano" in un ordinamento giuridico, la questione appare dal punto di vista del sistema giuridico pi grave di quella che si risolve nella mancanza di garanzie giuridiche idonee, non si esaurisce in una lacuna che il principio di completezza obblighi a colmare. Ritengo si debba considerare l'ipotesi che l'assenza di garanzie- spesso avvertita anche per diritti unanimemente valorizzati, o al vertice di dichiarazioni "universali"-, dipenda (invece che da una lacuna normativa degli ordinamenti) dalla mancata adozione delle norme giuridiche che prevedono quei diritti, come "norme di riconoscimento". Questa conclusione si lega alla specifica concezione del carattere fondamentale dei diritti, qui proposta (concezione che tra l'altro, non concerne il "merito", non ha cio natura sostanziale) [5]. 4. Infine, nell'ultima parte di questo lavoro, giungo a mettere in luce in quale relazione i diritti che definiamo fondamentali siano con la democrazia. E' generale auspicio che i diritti fondamentali, soprattutto intesi come coincidenti con i diritti umani, siano il nucleo su cui basare una democrazia effettiva. L'attuazione dei diritti di libert, dei diritti civili, dei diritti politici, e degli stessi diritti economici e sociali, e come ormai si richiede, dei c.d. diritti culturali, costituisce certamente un vantaggio e un progresso per la democrazia, poich pone i singoli membri del demos, le sue parti, le minoranze e i gruppi, nelle condizioni di esercitare le prerogative che una democrazia deve accordare ai suoi appartenenti. Tuttavia, una teoria giuridica dei diritti fondamentali (che si ponecome tale- su altro piano) non ne pu riconoscere il carattere fondamentale grazie al (eventuale) contributo che essi apportano alla "democrazia", bens al posto che essi occupano in uno Stato di diritto. Fondamentali i diritti sono per il ruolo che svolgono- e sinch effettivamente lo svolgonocome norme in un ordinamento giuridico. Certamente, esiste uno stretto rapporto tra tutela dei diritti (almeno di alcuni tra essi), e la democrazia effettiva: ma questo di per s non significa che essi siano diritti universali n che siano diritti fondamentali. Alcuni diritti che appaiono in stretta relazione con la democrazia, possono non essere considerati fondamentali in un dato ordinamento giuridico, o addirittura non essere previsti. Ci dipende dall'affidamento politico alla democrazia che contenuto nelle scelte normative di un ordinamento dato. La chiave di comprensione dei diritti fondamentali non infatti la democrazia, ma la struttura dello Stato di diritto.

D'altro canto, se i diritti venissero definiti fondamentali grazie al loro rapporto con la democrazia, come non raramente accade, ci potrebbe implicarne la natura strumentale rispetto ai fini della comunit democratica: l'accento cadrebbe sull'ordine democratico quale sfondo interpretativo dei diritti, e non viceversa. In una tale concezione, la tutela dei diritti individuali come tale potrebbe dover cedere il passo innanzi alla priorit del "processo democratico" o di un bene comune che magari raccolga in unum morale e giustizia politica. Questa conclusione non certo insostenibile, ma il frutto di una scelta[6], e dunque di una teoria etico-politica: secondo la quale i diritti sono fondamentali quando e se pongano le condizioni necessarie alla pratica della democrazia[7]. La questione dei diritti fondamentali dovrebbe potersi sottrarre a queste ultime ambiguit. La previsione di diritti fondamentali da parte dello Stato costituzionale si rivela senza dubbio un vantaggio inestimabile, un necessario presupposto per l'affermarsi di una societ democratica; questo non deve tuttavia indurre ad una concezione riduttivistica, o ancillare, della democrazia, che la ritiene possibile e "migliore" grazie alla priorit accordata ai diritti individuali. Deve essere chiarita e probabilmente abbandonata l'idea che assicurare l'inviolabilit dei diritti fondamentali da parte del sovrano consenta, di per s, di passare da una dimensione solo formale, ad una sostanziale di democrazia.

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Diritti fondamentali

2. Il teatro delle definizioni Le nozioni pi diffuse di diritto soggettivo sono ben rappresentabili, nella teoria generale del diritto europea, come varianti dell'influente insegnamento e della teoria di Hans Kelsen, che era intervenuta su un tessuto gi particolarmente sofisticato: il pandettista Windscheid aveva puntato sulla "signoria della volont", e di contro Jhering sulla tesi che il diritto soggettivo fosse invece un "interesse protetto" [8] per mezzo di un'azione in giudizio. Da Kelsen il diritto soggettivo definito in modo da incorporare (nella definizione) quelle che in genere si chiamano "garanzie". Il diritto dell'uno, scrive Kelsen, "presuppone l'obbligo dell'altro": in questo, totale l'accordo con l'inglese Austin, tra i padri del giuspositivismo, secondo il quale il "diritto soggettivo e il termine obbligo relativo esprimono la stessa nozione considerata da aspetti differenti" [9]. Tuttavia, Kelsen distingue la propria tesi da quella di Austin, sotto un altro, ma non meno essenziale profilo. Egli si preoccupa di conferire al concetto di diritto soggettivo una qualche autonomia di senso, rispetto al mero obbligo correlativo, e sostiene che il diritto soggettivo esiste grazie a una norma che conceda, in aggiunta, un diritto d'agire in giudizio al suo titolare, e con ci renda effettivo "l'obbligo di un altro". Se il diritto di A non si riduce semplicemente all'obbligo di B, ci dipenderebbe proprio dal connesso diritto d'azione: "solo qui vi un diritto soggettivo che esiste separatamente, nello stretto senso della parola" [10] Si deve ritenere che l'obbligo e l'azione sono dunque la struttura di un diritto soggettivo che dunque in ci si risolve. Del resto, il normativismo kelseniano muove dalla riducibilit dei concetti giuridici a norme, all'ordinamento "oggettivo", e conclude per la riduzione dello stesso diritto soggettivo alle norme, le quali, innanzitutto, istituiscono obblighi [11]. E' peraltro noto che la nozione kelseniana tendeva a sottrarre terreno ad ogni sostanzialismo, e intendeva superare i limiti della teoria dell'interesse protetto, cui Rudolf von Jehring aveva dato il massimo contributo, affiancandola alla titolarit dell'azione processuale. In verit, si sono contrapposte nella dottrina europea, tradizionali alternative, note ai giuristi, tra l'idea di un diritto soggettivo come concetto assoluto, universale, ante positas leges, e all'opposto come concetto interamente risolto nel diritto obiettivo, dipendente da esso e ridotto alla priorit della volont statale. Nello scontro tra due concezioni, su cui in Italia scrisse Riccardo Orestano [12], contro un diritto costruito attorno alla volont (e alla propriet), e comunque in funzione dell'individuo, si sono alternativamente proposte concezioni diversamente ispirate rispetto a quelle soggettivistiche; si tratta di concezioni volte a creare una saldatura tra un'ispirazione soggettivistica e "l'ordine delle cose" ( la Savigny), intese a controbilanciare proprio tramite la nozione di ordine oggettivo sia l'insistenza sulla libert, sia quella sulla potest di volere del soggetto del diritto. Le definizioni di diritto soggettivo appartengono all'uno o all'altro di questi versanti, o seguono l'intento di superarne le unilateralit: un po' in parallelo con la sia pur diversa storia che oppone giusnaturalisti e giuspositivisti. Se qualcosa si pu certamente desumere dai tentativi infiniti, che le definizioni hanno un ruolo preliminare per la ricostruzione del diritto, mentre nessuna di esse appare l'ultima risorsa. Di fronte alla definizione di George Jellinek, che pur rappresenta uno sforzo verso la mediazione tra interesse protetto e potere della volont [13], le reazioni del costituzionalista francese Leon Duguit [14], e poi di Kelsen ispirano il contrario orientamento oggettivista. Nella dottrina dei teorici del diritto a noi pi vicini, di area anglosassone, sarebbe altrettanto arduo individuare una via d'uscita univoca. Tuttavia, si trovano certo considerazioni illuminanti, tra cui quella secondo cui la tradizione che rende indissolubile diritto e obbligo (Bentham e Austin), in realt insostenibile, e non pu cogliere il proprium di ogni tipologia di diritto soggettivo [15] . Nonostante la molteplicit delle teorie, i diritti soggettivi campeggiano nella storia giuridica almeno dall'epoca moderna [16], e divengono, specie quando sono concepiti come diritti fondamentali, un elemento fondativo ed essenziale alla costruzione degli ordinamenti, anche grazie alla loro recezione
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Diritti fondamentali

nelle carte costituzionali. 3. Diritti, garanzie, lacune L'esistenza di Costituzioni e di carte internazionali che pongono al proprio centro diritti spettanti agli individui, in quanto uomini (o persone, cittadini, soggetti capaci d'agire), ha spesso sollevato il problema della loro attuazione, o della loro efficacia materiale [17]. Ma sono sorte domande, ancor pi essenziali, circa la correttezza o l'opportunit di conservare la denominazione di diritti in senso giuridico, e non solo in senso morale o "naturale", per quelle previsioni che sembrano sfornite di ogni conseguenza, e permangono astratte dichiarazioni: il che accade, secondo la comune opinione, quando all'enunciazione di un diritto non si accompagnano norme che introducano una correlativa azione in giudizio e un individuato e corrispondente dovere o divieto per altri soggetti privati o pubblici. Innanzi a un diritto soggettivo, ci si aspetta che siano presenti garanzie primarie, ossia correlativi doveri, e garanzie secondarie (ossia rimedi giurisdizionali alla violazione dei primi) [18]. Pertanto in mancanza di tali "garanzie" plausibile che si abbia a che fare semplicemente con "diritti di carta" [19]. La stessa cosa pu dirsi, in modo particolare, anche per una specie dei diritti soggettivi, i cosiddetti diritti sociali, ai quali sembra si debba negare ogni realt, compresa quella giuridica, quando gli obblighi pubblici che ne sarebbero la sostanza non siano nemmeno identificati. Credo che restando in quest'ottica non vi sia pi molto da aggiungere: a meno di non mettere in discussione alcune categorie, ormai asfittiche. E si tratta di capire se le definizioni, e dunque le concezioni dei diritti soggettivi, pi usate, non siano per qualche verso responsabili del nostro modo di concepire anche l'esistenza giuridica dei diritti soggettivi, o la garanzia di essi. E' determinante conoscere quale definizione del diritto soggettivo animi, ad esempio, il dibattito sull'esistenza di quei diritti che gi attraverso la Carta dell'ONU e molte delle Costituzioni contemporanee hanno assunto la veste di diritti universali, di diritti fondamentali, capaci di sopravvivere in qualche modo finanche alle limitazioni o alle carenze di tutela che li accompagnano in ambito internazionale e spesso anche statale. Come s'intenda il diritto soggettivo insomma determinante per poter parlare della sua esistenza o inesistenza. Chiedersi se possibile fare appello a un diritto che appare solo proclamato ma non anche "protetto", chiedersi se un diritto "esiste", anche nel caso che l'ordinamento non abbia predisposto per esso "garanzie" idonee o specifiche. Questo rapporto tra "esistenza" e "garanzie" dipende da quale sia la definizione assunta di diritto soggettivo, ossia se le garanzie sono intese (o meno) come elemento costitutivo, necessario, della struttura del diritto; e dipende anche da cosa s'intenda per "garanzie". Nonostante il mobilissimo quadro, ben pi ricco in realt di quanto sia possibile richiamare, sembrano prevalere definizioni "sincretiche" [20] che riconoscono il confluire necessario di elementi prima ritenuti alternativi (potere, volont, interesse, pretesa all'osservanza di un dovere altrui). Tuttavia, l'idea di correlativit, diritti/doveri, non affatto al tramonto per il diritto soggettivo, e in dogmatica prevale lo schematismo per il quale esso la pretesa "ad esigere da un altro l'osservanza di un dovere che la norma impone al secondo nell'interesse del primo" [21]. Anche la teoria generale acquisisce cos la definizione del diritto soggettivo nei termini di un vantaggio "conferito ad un soggetto (o ad una classe di soggetti) nei confronti di un altro soggetto (o di un'altra classe di soggetti) cui imposto un dovere corrispondente"[22]. Non mi pare che in queste definizioni rientrino le "garanzie": esse potrebbero essere intese come strumenti, anche indiretti, di protezione del diritto, "meccanismi idonei a garantire l'osservanza", una volta che i diritti siano accordati. Se il diritto di qualcuno nel poter pretendere un certo comportamento corrispondente al dovere di altri, questo dovere non una garanzia del diritto, ma ci di cui il diritto stesso consiste. Non a caso, potremmo dire che garantire quel dovere identico a garantire quel diritto. A rigore, da un lato la questione dell'esistenza giuridica di un diritto soggettivo pu essere correttamente fatta dipendere dalla previsione delle garanzie solo qualora le garanzie (giuridiche) siano un elemento indicato come necessario, un elemento costitutivo, del diritto stesso; d'altro lato, se diventano un elemento costitutivo del diritto, certamente quelle "garanzie" non possono pi presentarsi come tali. Ne' sostenibile che esse tali restino ma in senso "funzionale".
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Insomma, la discussione tutt'altro che una mera disputa astratta e formalistica: un ordinamento costituzionale che poggia su diritti "fondamentali" intende con essi qualcosa di sostanziale ( irriducibile alle sue garanzie), cui attribuisce un ruolo funzionale specifico. A differenza dello Stato di diritto di stampo ottocentesco, quello attuale richiede definizioni (sia pure formali, strutturali) dei diritti che ne evindenzino la natura di figure soggettive, connesse ad un bene: non dunque definizioni del diritto che pongano in luce piuttosto che il suo "contenuto",semplicemente la dinamica dei correlativi doveri e delle corrispettive "sanzioni". Ci invece proprio quanto accade con le concezioni kelseniane, che identificano sia l'obbligo correlativo sia l'azionabilit della pretesa in giudizio, come la struttura di cui consiste il diritto soggettivo. In questo caso, il problema stesso della protezione giuridica dei diritti accordati dall'ordinamento difficilmente formulabile. I diritti infatti sono intesi come se consistessero, in quelle che decliniamo come loro garanzie. Quindi, non vi sono diritti perch, e se, non vi sono garanzie. Questa tesi costituisce uno scacco teorico la cui evidenza cresce soprattutto quando i diritti soggettivi in questione siano quelli "fondamentali" . La teoria kelseniana pensa al diritto come un sistema di regolazione della forza, alla norma giuridica come una determinazione delle condizioni per l'esercizio di un potere sanzionatorio: la sanzione non assiste pi una prescrizione, ma il contenuto della prescrizione stessa [23]. Di conseguenza, in Kelsen programmaticamente escluso che la sanzionabilit, la coercibilit, siano le garanzie che assistono le norme: la sanzione infatti proprio il contenuto delle norme. Ne segue la difficolt di attribuire a Kelsen la tesi secondo cui ove manchino delle garanzie (che sono state definite primarie o secondarie) il diritto soggettivo cessi di avere efficacia. Forse, pi semplicemente, si potrebbe sostenere che mancando gli elementi che lo costituiscono (non essendo previsti cio n il dovere n l'azione) il diritto non esiste. Questo dovrebbe indurci a considerare con una certa accortezza le definizioni. Giuridicamente, il diritto esiste indipendentemente dalla sua "protezione". Ma dobbiamo assumere che tale "protezione" sia altro da ci che essa protegge. Quale pu essere dunque la garanzia di un diritto la cui struttura consti dell'obbligo correlativo e dell'azione in giudizio (Kelsen)? Evidentemente, ogni garanzia "spostata" oltre (quelle che abbiamo chiamato garanzie primarie e secondarie); sta direttamente in un quadro istituzionale, organizzativo, giudiziario, capace di operare, o nella stessa separazione dei poteri. Chiamare questo insieme "garanzia" come dire che un certo ordinamento giuridico nel suo complesso una garanzia di ci che disciplina. Se cos stanno le cose, allora non esistono lacune: non vi sono cio garanzie mancanti, lacune che possano nascere da una previsione attesa e non ancora prodotta, da un difetto della regolazione definita dalle norme vigenti. Non certamente un caso, anche se la cosa dipende da differenti argomentazioni dirette, che per Kelsen le lacune non si danno: esse non sono altro che "la differenza tra il diritto positivo e un ordinamento ritenuto migliore, pi giusto, pi esatto" [24]. Ancora, prosegue Kelsen, se avanzata una pretesa (un preteso diritto) ad un comportamento di un altro, cui questi non obbligato (dall'ordinamento), ci vuol dire che non sussiste il diritto e non sussiste l'obbligo. Non vi sono lacune (nemmeno lacune tecniche) [25], ma solo, in alcuni casi, la legge ha voluto ci che ha voluto, anche contraddizioni, o previsioni prive di senso. In conclusione, nell'orizzonte della dottrina kelseniana,non possibile n sostenere che vi sia un diritto ma ne manchino le garanzie (sempre che si intendano per tali quelle sin qui denominate primarie e secondarie), n che vi sia un diritto ma che si diano lacune. In tutti e due i casi, per motivi diversi, semplicemente, ci si dovr convincere che non si d un diritto (soggettivo). Non si possono separare diritto e garanzie (perch, oltretutto, non sarebbe possibile attribuire al primo un contenuto che non consista nelle seconde). In questa luce, possono essere affrontati con perspicuit, alcuni temi propri del dibattito sui "diritti". Intervenendo in esso, Luigi Ferrajoli sostiene che i diritti sono separabili dalle loro garanzie, le quali sorgono da ulteriori previsioni normative, che possono esserci o mancare. Ma nel caso manchino, si tratterebbe di lacune, che per il principio di completezza obbligatorio colmare [26]. Pur nel condivisibile intento di dare sostegno all'esistenza giuridica di un diritto soggettivo anche in
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mancanza di "garanzie", questa tesi non si distacca a sufficienza dalle strettoie definitorie kelseniane. Ferrajoli impiega anch'egli il concetto di obbligo corrispondente come parte della definizione di diritto soggettivo. Proprio in forza di questa definizione, non si spiega come sia possibile che un diritto si dia esistente senza quell'obbligo (nel senso che altri ha sottolineato, per cui se il diritto esistente, l'obbligo deve ritenersi almeno implicito) [27]. Soprattutto, al di l di questa difficolt, deve esserne portata alla luce un'altra: se l'obbligo parte integrante della definizione (di diritto soggettivo), allora esso non pu costituirne una garanzia. E dunque non possiamo separare diritti e garanzie (primarie). Pertanto non potr esservi, paradossalmente, un diritto soggettivo privo delle sue garanzie primarie (obblighi correlativi su altri soggetti); oppure le garanzie primarie, coincidendo con l'obbligo correlativo, non esistono. In ogni caso, non sono separabili dal diritto soggettivo. Ci non riguarda l'azione in giudizio, poich quest'ultima pu certamente essere considerata una garanzia, visto che, a differenza da quanto ha fatto Kelsen, non introdotta nella definizione del diritto. In questo caso sorge per il problema che, se solo una garanzia, allora, la sua eventuale mancanza non sembra possa costituire, giuridicamente, una "lacuna" (nel senso che si produca tecnicamente un obbligo di colmarla) [28]. Assunta una prospettiva giuspositivistica, non vi infatti alcuna ragione sul piano formale per considerare l'ordinamento lacunoso, se esso non contiene norme la cui esistenza non sia implicata dalla definizione normativa di diritto soggettivo. In questo caso, vale semmai l'osservazione kelseniana, secondo cui si trae questa sensazione di carenza solo confrontando l'ordinamento esistente con quello che semplicemente vorremmo. Se il diritto soggettivo definito in modo da non implicare logicamente il diritto d'azione, allora le garanzie, in specie quella processuale, sono lo scarto tra l'ordinamento vigente e quello desiderato, sono lacune solo da un punto di vista politico, o morale, o giusnaturalistico, o dell'effettivit del diritto (in senso sociologico). Come tali esse devono essere colmate solo in base ad una doverosit politica, morale, ma non anche in base ad una qualche doverosit giuridica. Tuttavia, la strada della separazione tra diritti e garanzie, particolarmente apprezzabile, ed percorsa nell'intento di attribuire un senso al diritto soggettivo anche in mancanza di quelle che sempre Ferrajoli chiama "garanzie secondarie"; questo percorso consentirebbe di non dover trarre dall'inesistenza di Tribunali internazionali, o di previsioni efficacemente regolative della forza, la conseguenza che, ad esempio, diritti fondamentali o diritti umani non si diano, nemmeno ove giuridicamente stabiliti. Credo allora che la questione delle garanzie sia posta correttamente solo a. se diritti e garanzie vengano effettivamente separati; b. se, tuttavia, per garanzie si intenda qualcosa che non contenuto nella definizione di diritto soggettivo; c. se garanzie siano intese non come lacune del diritto positivo ma come una misura dello scarto tra l'esistenza e l'operativit giuridica di volta in volta verificata, della previsione normativa di un diritto soggettivo [29] .

4. Esistenza dei diritti e delle norme Dal punto di vista giuridico, che si dia una garanzia deve significare innanzitutto che l'ordinamento "funziona", e funziona in modo che la previsione che istituisce un diritto sia una norma per qualcuno. Da questa prima questione, che riprender tra breve, deve preliminarmente essere distinta, per quanto possa apparire scontato, la questione dell'effettivit del diritto, che invece di natura sociologica. L'effettivit certo assicurata in larga misura anche dall'esistenza di norme che istituiscano obblighi o divieti, nonch dalla giustiziabilit dei diritti, ma dal punto di vista sociologico ed empirico, non si tratta di condizioni sufficienti. Le ragioni dell'effettivit dei diritti non sono puramente giuridiche, ma affondano
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nella fonte di legittimazione, nell'effettivit dell'ordinamento, nelle condizioni extra-giuridiche di funzionamento del sistema sociale. Norme giuridiche poste e vigenti, valide, possono non ottenere l'effettivit anche nonostante la protezione che astrattamente l'ordinamento accordi loro. E' dunque necessario distinguere, a proposito dell'attualit e dell'attuazione dei diritti umani, come dei diritti soggettivi in generale: le critiche che si appuntano all'ineffettivit delle proclamazioni [30] dei diritti non potrebbero appagarsi (perch non ne riceverebbero alcuna risolutiva risposta) di una pi accurata previsione normativa di formali obblighi correlativi o dell'istituzione di pronti rimedi giurisdizionali. Se si facesse dipendere l'effettivit sociale dalla "completezza" giuridica, si dovrebbe negare esistenza giuridica ad ogni previsione normativa che fatichi a trovare un'applicazione e un'esecuzione nei comportamenti privati e pubblici. Questo farebbe torto, tra l'altro, alla natura appunto "normativa" del diritto, e alla tensione prescrittiva, che ad esso riconosciamo nelle nostre democrazie. Non possibile accettare dunque, che siano considerati diritti giuridicamente inesistenti, quelli cui non si riesce (come spesso accade ai diritti umani sottoscritti nell'ordine internazionale, e non solo ad essi) a dare una reale attuazione; in tali casi, peraltro, non sembra realistico attribuire tale inattuazione alla mancanza di condizioni giuridiche, ossia a lacune normative. Il carattere normativo delle regole giuridiche non pu di per s essere misurato dalla loro effettivit sociale. Si corre il rischio di non poter distinguere tra le norme che puniscono l'estorsione, che sono garanzie giuridiche, giuridicamente esistenti, e la loro inefficacia innanzi al tessuto sociale dominato dai codici ben pi implacabili delle organizzazioni criminali. Da ci, ossia dall'inefficacia materiale, delle garanzie poste dalla legge, potrebbe forse desumersi l'inesistenza del diritto al libero commercio, all'iniziativa privata, alla propriet, alla libert di opinione? Ritornando invece alla questione dell'esistenza giuridica di un diritto soggettivo: essa dovrebbe discendere dal fatto che quel diritto valga, o possa valere, come una norma (dell'ordinamento) per qualcuno. La misura della protezione giuridica pu essere di valore variabile; e ancor pi mutevole in ragione delle circostanze materiali, pu essere la misura necessaria per la protezione socialmente effettiva di esso. Tra i presupposti dell'esistenza di un diritto sta il fatto che la norma che lo prevede sia in grado di sostenere una prestazione funzionale entro l'ordinamento. E per questo, innanzitutto, essa non pu mancare di senso, e deve essere possibile "obbedirvi" [31]. Una ragione per ribadire questo punto, che muovendo da esso si percorre una strada alternativa a quella che passa per la nozione di "lacuna": in base a quest'ultima, dato un diritto definito da una norma giuridica, l'obbligo di colmare lacune (dovute alla mancanza delle relative garanzie), sorgerebbe, secondo Ferrajoli, dal solo principio di completezza [32] . Si tratta di un sequitur, logico formale, che opererebbe come una prescrizione per il legislatore: materialmente in un sistema nomodinamico, come quello giuridico, le norme non si deducono da altre norme, ma sono poste da organi competenti, ossia richiedono il fatto empirico della loro produzione .[33] Il principio di completezza vuole che le lacune nel diritto siano colmate, e che dunque nuove norme siano poste: ma, come ho cercato di mostrare, arduo assimilare l'assenza di una garanzia primaria o secondaria ad una "lacuna". Il principio normativo della completezza non necessariamente implica, dunque, un obbligo giuridico di creare garanzie primarie e secondarie. Ed anche ci ammesso, l'efficienza normativa del diritto soggettivo o l'importanza di averne salvato l'esistenza giuridica dall'inesistenza delle relative garanzie, pare risolversi solamente nel richiamo alla forza normativa del principio di completezza: il quale, per, non gode di alcuna qualit self-executing. La riduzione della normativit del diritto soggettivo fondamentale, in s, alla normativit del principio di completezza non necessariamente un vantaggio. Credo che questa costruzione sia pertanto in parte da emendare e integrare. Nella prospettiva che suggerisco, i diritti fondamentali anche l dove non sono assistiti da specifiche garanzie, mantengono nel contempo un valore funzionale e giuridico. Se alcuni diritti pur contenuti in norme sovraordinate (costituzionali), non sono effettivi, ci non si deve tanto (o soltanto) a lacune primarie o secondarie che siano, ma alla loro mancata accettazione come norme dell'ordinamento [34]. In realt, esse potrebbero avere un effetto giuridico, poich dato il loro rango possono ben valere come norme di riconoscimento: sono cio criteri di decisione sulla validit di altre norme e come tali possono funzionare [35]. Questo aspetto statico degli ordinamenti costituzionali contemporanei , come si sa, del
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tutto integrato con quello dinamico [36], e la capacit di alcune norme di porsi come metanorme sostanziali coincide con la forza che esse hanno di falsificare deduzioni (norme inferiori) con esse logicamente incompatibili. Il punto che, tuttavia, in quanto norme di riconoscimento esse devono essere effettive ossia accettate almeno dai giudici, devono essere usate come tali.. E qui non esiste uno strumento coattivo. Le norme di riconoscimento in generale fungono da un lato come mezzo di identificazione di norme (giuridicamente valide), e dall'altro, rilevano Atienza e Manero <<come guida del comportamento e criterio di valutazione per il pubblico in generale quanto per gli organi della produzione e dell'applicazione del diritto>> [37]. Se accettiamo che siano tutte queste cose insieme, comunque tali norme emergono come criterio di giustificazione o di "critica del comportamento". E' ben possibile che un diritto apprezzato come fondamentale rappresenti un criterio di riconoscimento e di valutazione, oltre che di comportamento, e che esso divenga anche una norma sostanziale, cui non faccia riscontro la previsione di obblighi conseguenti e di adeguate garanzie giurisdizionali: ma appare difficile negare sia che la norma abbia un contenuto, non identificabile con i mezzi della tutela del diritto, sia che possieda una propria forza prescrittiva. Una norma funziona come norma di riconoscimento, se e quando mantiene un significato selettivo dei comportamenti sia degli organi della produzione legislativa sia delle corti (in questo caso con peso diverso e pi o meno diretto a seconda dei sistemi di raccordo tra legislazione e giurisdizione). Se un diritto fondamentale opera come un limite sostanziale, come un limite al contenuto della legislazione ad esempio, allora la sua previsione gi operativa anche nel caso che manchino "garanzie" in senso specifico. Il meccanismo che agisce in questo caso consiste sia nella direttiva sostanziale circa i successivi atti normativi, sia nell'istituire una ragione dell'invalidit delle disposizioni che non prevedano una "adeguata" tutela di quel bene; infine, e in dipendenza del modo di funzionare del sindacato di costituzionalit, anche l'ordine giudiziario deve ritenersi vincolato al rispetto e alla tutela del diritto costituzionalmente accordato. E' dunque evidente che un ordinamento costituzionale, che poggi assiologicamente su diritti che indica come inviolabili, non solo li rende operanti attraverso forme di protezione "specifiche", ma soprattutto assumendoli come metanorme sostanziali che governano l'attivit dei poteri costituiti. In un certo senso, i diritti fondamentali, grazie alla loro sovraordinazione, dovrebbero essere visti intanto come norme giuridiche, anzich come semplici pretese soggettive, il che alle volte si dimentica; norme giuridiche che effettivamente prevedono come obbligatoria la tutela di un bene, il quale ha valore per la comunit e colloca in una posizione di vantaggio i soggetti cui quel bene deve riferirsi (la libert personale, il diritto di riunione, ecc.). Una norma di riconoscimento, quando ha natura sostanziale come il caso dei diritti fondamentali, svolge la prioritaria ed essenziale funzione di determinare l'illegittimit degli atti legislativi o del potere esecutivo, ma anche degli organi giudiziari: a titolo di (contingente) esempio, nel nostro ordinamento potrebbe indurre a sollevare questioni nei confronti delle decisioni giurisdizionali che ancora operassero sotto la riduttiva convinzione della propria soggezione "soltanto alla legge". Concepire i diritti soggettivi fondamentali come norme di riconoscimento significa non solo che possibile ritenere invalidi gli atti del legislatore, ma anche ritenere illegittime le sentenze dei giudici che non associassero alla ricognizione del valore (fondamentale, costituzionale) del bene tutelato la protezione specifica, loro richiesta, della situazione soggettiva di vantaggio che vi si ricollega [38]. Non c'- infine- alcuna necessit di ignorare che i diritti concernono innanzitutto dei beni per gli individui; anzi, si deve ribadire, trattandosi di diritti soggettivi, che essi sono "sempre diritti di qualcuno", e che noi non poniamo mai "questioni di diritti" se non c' un "individuo o un gruppo di individui i cui diritti riteniamo in discussione" [39] . Da tutto ci, mi pare che emerga l'opportunit di separare due profili che restano in genere erroneamente sovrapposti: da un lato il profilo della scarsa protezione di un bene (le garanzie), dall'altro l'autonomo valore normativo del diritto fondamentale (che si mostri criterio di legittimit delle norme e delle attivit poste in essere dai poteri costituiti). L'esistenza giuridica del diritto alla libert personale compiuta nel momento che essa venga definita e magari qualificata (in qualche senso, poniamo, inviolabile);
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l'esistenza delle garanzie giuridiche della libert personale dipende invece da una catena di selezioni che nascono a seguito dell'uso della disposizione circa il diritto soggettivo come norma di riconoscimento. Da ci, peraltro, se i diritti fondamentali non sono presi sul serio come norme di riconoscimento impossibile che essi vengano poi anche protetti (in sostanza istituendo misure che rendano attuabile la coercibilit giuridica del diritto). In conclusione, tra un diritto e le sue garanzie non si d un rapporto di implicazione, il che ne consente la separabilit: ma la ragione per la quale in un ordinamento costituzionale i diritti possono esistere al di l delle loro garanzie, fino a determinare un processo che conduce anche alla loro emanazione, sta nel fatto che tutti i comportamenti dovrebbero considerarsi illegittimi, qualora non siano conformi alla norma che appresta la tutela del bene (sempre che si tratti di una norma di riconoscimento, e che imponga alcuni "contenuti" sostanziali come fondamentali)[40]. E' evidente che la doverosit non nasce in questo caso dal principio dinamico della completezza, ma dal principio statico dell'incompatibilit tra contenuti normativi [41] . Pertanto, la ragione per la quale i diritti fondamentali esercitano un'efficacia che conduce alla loro attuazione garantita, dipende solo dal loro funzionare appunto come norme di riconoscimento (grazie al fatto che la loro ritenuta superiorit assiologica, normalmente viene fatta coincidere con la loro sovraordinazione normativa). Il che- si deve aggiungere - vale solo quando quelle previsioni siano usate come tali [42] (come norme di riconoscimento, anche nei confronti dell'inerzia dei pubblici poteri oltre che delle loro attivit difformi). Quando fossero effettivamente usate, esse porterebbero eventualmente alla luce il contrasto "ordinario" tra i poteri costituiti o parte di essi e norme sostanziali della costituzione o di livello equiparato. Qualora questo contrasto sia accettato, e percepito, dalle corti innanzitutto, quei diritti sarebbero gi criteri attivi. Il problema diverso quando le inattuazioni (si pensi alle inattuazioni costituzionali italiane) siano croniche; per i diritti fondamentali, si tratta di un deficit ben pi radicale di quanto forse non si possa descrivere sostenendo che si danno lacune nell'ordinamento; significa che tali norme non fanno parte di quelle che circoscrivono i limiti di contenuto del sistema, e pertanto non vivono come norme nella coscienza giuridica diffusa (in primis, in quella dei c.d. funzionari, nel senso lato, anglosassone, di "officials"). Saremmo di fronte a un problema che resta extragiuridico. Cos, se i diritti posti nelle carta dell'Onu non sono usati come norme di riconoscimento di un singolo ordinamento statale, essi non vi appartengono: e istituire organi coercitivi internazionali non significa colmare delle lacune nel diritto, significa cercare di produrre il consenso oppure di sostituire il consenso, o la hartiana accettazione, con la volont del pi forte. Se esiste un ordinamento internazionale che usi i diritti fondamentali, esso avrebbe ogni ragione... di imporsi agli Stati-individui inadempienti, qualora disponesse della forza e del consenso necessari.

5. Libert e prestazioni. Si dice che tra i diritti fondamentali quelli il cui contenuto consiste in un obbligo di fare dello Stato sono diritti sociali; mentre sono diritti di libert quelli che per contenuto hanno l'obbligo dello Stato di astenersi da ogni interferenza [43]. Accettando provvisoriamente questa bipartizione, classica, se tutti i diritti di libert, ossia il diritto alla vita, all'espressione, al pensiero, all'inviolabilit del domicilio, all'iniziativa economica, ed ogni altro sono definibili come l'obbligo di astensione dello Stato, la loro garanzia sarebbe alquanto semplice. Nei confronti dei diritti di libert, cos intesi, costituiscono una protezione la stessa separazione dei poteri e le singole definizioni organizzative che le costituzioni dispongono verso il legislativo, verso l'esecutivo e verso il giudiziario. I diritti fondamentali, se si tratta di diritti pubblici di libert, trovano nello Stato il destinatario dell'obbligo "corrispondente" (risolto in un non facere). Naturalmente, i diritti sociali, al lavoro, alla salute o all'istruzione, non godono delle stesse condizioni: hanno per contenuto un facete dello Stato, ma di solito non determinato ci di cui quel facere consista.

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[44]. Il che attribuisce ai diritti sociali una sorta di insopprimibile sapore (puramente) "programmatico", li colloca in un limbo, pregiuridico, sin quando non siano dettagliatamente definiti dalla legge (con la corrispondente copertura amministrativa ed economica) [45] . Nel caso dei diritti sociali [46], ben pi che in quelli di libert, la lotta contro il carattere "programmatico" dei diritti costituzionali veramente una sorta di lotta per il diritto o per i diritti. A mio modo di vedere, per, il carattere programmatico dei diritti fondamentali o non sussiste o non riguarda, tra essi, esclusivamente i diritti sociali. I diritti di libert, verso lo Stato, non sono veramente identificabili anche quali diritti "contro" lo Stato, come invece altrettanto tradizionalmente e quasi universalmente si dice. Ci per la ragione che essi non sempre comportano solo o essenzialmente obblighi generali di astensione, e che dal punto di vista teleologico non sempre lo Stato il vero o l'unico antagonista [47]. Anzi, la ragione per istituire poteri pubblici non certamente quella di imporre loro il rispetto dei nostri diritti di libert, ma caso mai di proteggere e sostenere questi diritti: il che implica una serie di attivit positive [48]. La garanzia dei diritti politici ad esempio appare collegata a prestazioni statali. Si vuole invece utilizzare una stilizzazione, che spesso risulta fuorviante: l'obbligo di astensione a ben guardare non solo non sempre una norma esplicita, ma in ogni caso non appare sempre garanzia esaustiva della consistenza e del significato del diritto. Si pu sostenere, certo, che alla libert di culto corrisponde "logicamente" un'astensione dello Stato dal vietare o impedire materialmente le attivit corrispondenti. Ma questa tesi deve essere giustificata (perch non nella struttura "formale" dei diritti), e pu esserlo solo se si condivide la convinzione che il bene, la posizione di vantaggio accordata, siano pienamente tutelati dal non intervento pubblico. Il che questione contingente, per un verso, e per un altro questione di scelte di valore. Con buona approssimazione, l'inviolabilit del domicilio o della corrispondenza non possono essere considerate solo un diritto soggettivo "pubblico", ossia nei soli confronti dello Stato, bens in ogni direzione, anche nei confronti di un qualsiasi potere privato [49]. Molte delle cosiddette "libert" non possono ridursi al loro status settecentesco. Sul piano giuridico pertanto sembra pi appropriato concepirle per come esse poi in realt appaiono, l'elezione di un bene, cui sempre parziale e alquanto riduttivo preordinare, in modo formalmente precostituito, un'unica stretta ed esclusiva correlativit (diritto verso lo Stato ma non verso i privati, a una prestazione ma non ad un'astensione, ecc.). Queste classificazioni continuano a sovrapporre il diritto (che concerne un bene della vita) e quanto poi serve per tutelarlo, scambiando cos l'obbligo di astensione con il contenuto del diritto, anzich intendere l'uno come una misura conseguente e variabile, sostituibile, della protezione dell'altro (che quanto sostanzia il diritto). In molti casi, i diritti di libert andrebbero riletti tenendo conto della maggiore complessit di cui consistono [50]. Inoltre, le situazioni di vantaggio che si legano al conferimento di diritti di libert, hanno bisogno oggi di essere pensate come dipendenti da prestazioni dello Stato: la libert di espressione nella civilt della comunicazione di massa, ne un esempio importante. Non possibile nemmeno concepire tale libert come un diritto che si esaurisce nell'astensione della mano pubblica (magari innanzi alla totale monopolizzazione privata). E' credibile che i diritti soggettivi pubblici- di libert - contengano il bene libert civile e/o politica, ma sarebbe un'ingenuit insistere che vi corrispondano sole omissioni (doveri di semplice omissione). Dipender piuttosto da quello che si vuole e si pu intendere, in una societ data, per libert di espressione [51] ; in secondo luogo, da ci che in una societ data deve o pu ritenersi necessario per garantirla (che siano astensioni o prestazioni strumentali). Un compito di chiarificazione potrebbe dunque aver lo scopo di mostrare come il diritto non abbia ad oggetto una prestazione dello Stato, bens un bene specifico, diverso da quella, un bene come tale meritevole di tutela. In tale prospettiva, le prestazioni o i comportamenti omissivi dello Stato non sono dunque quel bene ma solo strumenti primari; il diritto non consiste di quelle garanzie, bens sono le garanzie a dipendere dalla definizione attuale del bene [52]. La differenza tra diritti di libert e diritti sociali [53] dipende anche dall'aver configurato il diritto sociale come un diritto a una prestazione. Ancora una volta, una tale configurazione se resa un carattere strutturale, pu essere per forviante: poich ingenera la convinzione che il contenuto del diritto sia la

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Diritti fondamentali

pretesa ad una prestazione dello Stato, o l'obbligo di una prestazione pubblica, anzich il bene rilevato, la salute, l'istruzione, il sostegno economico per s e la propria famiglia, il lavoro, l'abitazione. E' del tutto pacifico che nel caso dei diritti sociali la tutela necessaria consista in una prestazione statale molto pi spesso che per i diritti cosiddetti di libert [54]. Ma il diritto alla salute (e altri dello stesso genere) andrebbe costruito pi realisticamente: come la tutela di un bene sia attraverso divieti, sia attraverso obblighi, dello Stato quanto dei privati; la preservazione o il sostegno si producono sia attraverso la regolazione statale sia sviluppando l'autonomia degli individui, non molto diversamente da quanto accade nel caso dei diritti di libert. Lo Stato pu doversi astenere da ogni attivit che metta in pericolo la salute dei cittadini, o da ogni regolazione che limiti l'autonoma ricerca della cura: questo non pre-iscritto nello statuto giuridico del diritto alla salute. La distanza che separa diritti di libert e diritti sociali si riduce notevolmente se possibile porre la questione nei seguenti termini: nel diritto soggettivo deve essere accertato sostanzialmente e non pu essere definito aprioristicamente il tipo di rapporto che il diritto "strutturalmente" integra o implica (omissioni, prestazioni) [55].

6. Diritti sociali e propriet Tesi recenti (Peces Barba, Ferrajoli) sostengono che "fondamentale" significa "universale". Diritti che tendono ad "escludere", come la propriet, non sono fondamentali perch non implicano alcuna universalit (uguale estensione a tutti), a differenza dei diritti di libert. Al contrario, i diritti sociali sono sullo stesso piano di questi ultimi, perch sono universalizzabili, dunque spettanti ugualmente a ciascuno. Decentrare la propriet come diritto reale in senso stretto, rispetto ai diritti fondamentali, non cosa in linea di principio inaccettabile: sullo sfondo prevale in genere la considerazione della propriet pi come un mezzo per la protezione della sicurezza, della libert, dell'autonomia, che un ideale in se stesso. Secondo qualcuno, potrebbe forse essere questa la direzione da prendere se l'obiettivo finale fosse veramente quello di garantire "sicurezza, diversit, solidariet" [56]. Del resto, pur vero che per definizione, sul piano dell'oggetto del diritto di propriet, l'esclusivit un carattere dirimente: "Tutti siamo parimenti liberi di manifestare il nostro pensiero, parimenti immuni da arresti arbitrari, parimenti autonomi nel disporre dei beni di nostra propriet e parimenti titolari dei diritti alla salute e all'istruzione. Ma ciascuno di noi proprietario o creditore di cose diverse e in misura diversa: io sono proprietario di questo mio vestito o della casa in cui abito, ossia di oggetti diversi da quelli di cui altri e non io sono proprietari" [57]. I diritti sociali sarebbero, invece, diversi da quelli patrimoniali, perch a differenza di questi ultimi sarebbero universali (omnium), e indisponibili, inalienabili, inviolabili, intransigibili, personalissimi [58]. Non bisognerebbe, infine, confondere il diritto di matrice liberale, a divenire proprietari, che universale, con la propriet di beni determinati[59]. Con riferimento a questa distinzione netta tra i diritti sociali, che sono definiti come diritti a prestazioni statali, e i diritti patrimoniali, sorgono almeno alcune perplessit. Se vero infatti che questi ultimi appartengono a ciascuno in maniera diversa sia per quantit che per qualit, in fondo anche i diritti sociali possono spettare in maniera diversa, sia per quantit che per qualit, nel senso che possono essere diverse le prestazioni cui in concreto si ha diritto, fermo restando il bene che deve essere garantito. Le condizioni selettive per il diritto alla prestazione (nel caso della salute) non si esauriscono nello stato di salute (la malattia), ma spesso prendono in considerazione, come criterio di ammissibilit o di eleggibilit, le risorse degli individui, e dunque il loro reddito. Inoltre, poich dovunque da escludere l'abbondanza assoluta delle risorse, ogni diritto a una prestazione pubblica deve essere distributivamente dosato, ogni prestazione sociale cui si abbia titolo acquisisce il profilo di una sorta di diritto patrimoniale, a cose specifiche dunque, che non a caso non possono come tali essere contemporaneamente anche d'altri.

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Concepito come un diritto a una specifica prestazione di welfare, il diritto sociale si avvicina (pi che allontanarsi) al diritto di propriet. In concreto, il diritto patrimoniale su cose determinate, o il diritto (sociale) a prestazioni specifiche variano entrambi in quantit e qualit: sono probabilmente entrambi negoziabili o derogabili, a differenza dei diritti di libert[60]. E' vero che l'oggetto della propriet un quid facti, che ci divide e ci distingue, non uguale per tutti: dipende dalle risorse disponibili, dalle decisioni e dalle preferenze, dalla lotteria della vita, e da molti inesauribili fattori; ma, ancora, e in concreto, se il contenuto del diritto sociale si fa consistere nella prestazione dello stato, si deve ammettere che anch'essa un quid facti, non uguale per tutti, che dipende dalle risorse, dalle decisioni politiche, dalle preferenze, dalle concezioni correnti di salute, di solidariet, dalla politica economico-sociale adottata nell'erogazione delle prestazioni pubbliche (se universalistica, oppure diversificata a seconda dei bisogni, o dei redditi, e via seguendo) [61]. La diversificazione- solo che si adotti un modello di welfare "occupazionale", anzich universalistico [62], solo che si individui in una cerchia pi o meno ampia i destinatari di diversi gradi di prestazioni, gi presente nella logica dei diritti sociali, che dipendendo strettamente da risorse patrimoniali, ne devono seguire il destino [63]. Come ho spiegato, i diritti sociali (anzich come diritto a una prestazione statale), dovrebbero intendersi come norme che proteggono un bene ( l'abitazione, l'istruzione, il lavoro) in relazione agli individui: le attivit a questo scopo di volta in volta necessarie (una prestazione statale, o semplicemente pubblica, o privata, o nessuna prestazione, il non intervento, o il non impedimento, e via seguendo) e persino i soggetti su cui esse gravano come un obbligo, non possono essere fissate una volta per tutte, n possono essere (fra-)intese addirittura come il contenuto di quei diritti, o come ci che di "fondamentale" noi riconosciamo in essi. Possiamo considerare ora pi da vicino cosa accade se si accetta, invece, un'ottica (ben rappresentata nelle recenti tesi di Luigi Ferrajoli) secondo la quale i diritti fondamentali comprendono anche i diritti sociali, e i diritti sociali sono intesi ad un tempo come: 1. diritti antimaggioritari (sottratti alla decisione politica ordinaria); 2. qualitativamente differenti dalla propriet; 3. consistenti in un obbligo di prestazioni dello Stato.

Ciascuno di questi caratteri pu entrare in aperto conflitto con l'altro: a. se plausibile che un diritto "fondamentale" costituzionalmente garantito goda di un privilegio di grado che lo sottrae alle contingenze politiche, non appare plausibile che ci riguardi un diritto sociale, quando e se questo venga inteso come un obbligo di una specifica prestazione statale: quest'ultima deve variare con il mutare delle condizioni concrete del "patto sociale" tra propriet e lavoro, tra produzione e consumo, tra poteri e elettori, tra welfare e fasce dei suoi clienti, tra forze sociali (sindacati) e partiti politici, tra maggioranze e minoranze. In altri termini, la negoziazione ordinaria che regola le prestazioni o che eventualmente ricolloca l'erogazione su agenzie diverse dallo stato (per esempio assicurazioni, fondi di categoria, associazioni professionali, ecc.), non pu credibilmente essere intesa come "antimaggioritaria" o sottratta alla decisione "politica". Non lo . Solo l'an di questa tutela pu essere sottratto alla contingenza politica, ma non la fonte finale (chi materialmente eroga la prestazione), o il quantum o il quomodo. Il che non esclude che brflo stesso potere giurisdizionale abbia in un qualche modo voce, ossia concorra attraverso il giudizio sulle leggi o altrimenti (anche questo dipende dai sistemi) a un giudizio di legittimit, ossia di coerenza e sufficienza delle regolazioni di volta in volta determinate; b. inoltre, se i diritti sociali sono definiti strutturalmente come consistenti nell'obbligo di una prestazione, allora la prestazione deve essere almeno tipologicamente chiara, e determinata, come invece di solito non accade. Sinch il diritto viene definito come una prestazione dello Stato (il che si dovrebbe, a mio parere, respingere), questa prestazione un elemento essenziale:
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dunque, alla stregua di tale dominante concezione, deve desumersi che se il diritto (fondamentale) intransigibile lo diviene anche, paradossalmente, la prestazione specifica di cui vien fatto consistere. Ammettendo, infatti, che si dia una lacuna ogni volta che questa prestazione non sia determinata, allora ogni volta che sia determinata (poniamo, per legge) tale prestazione verrebbe fissata come indisponibile e non ri-negoziabile, al pari del "diritto" stesso. Al contrario, intransigibile potrebbe essere semmai solo l'an del diritto. Si crea dunque un corto circuito tra i requisiti attribuiti alla nozione di diritti sociali come diritti fondamentali (un corto circuito che non implicato in ogni possibile definizione del diritto sociale come diritto fondamentale). c. i diritti sociali sarebbero "fondamentali" (e dunque indisponibili e non negoziabili) perch universali e indipendenti dalla relazione a "cose"; essi non sono cio diritti "patrimoniali". In realt, tra le due figure corrono numerose affinit, e a ben guardare, sia l'an dei diritti di propriet (l'esistenza di qualcosa come i diritti di propriet) sia l'an dei diritti sociali non appaiono disponibili. Entrambi sono sottratti alle decisioni delle maggioranze, e dunque "fissati", ma solo in una dimensione diversa da quella che identifica cose, vantaggi, prestazioni, di cui il diritto permetta di godere; una dimensione in cui non si transige, perch contiene il limite, o meglio ci che negli ordinamenti costituzionali "fonda" le politiche pubbliche, il mercato, e lo scambio politico. Diversamente, si correrebbe il rischio, paradossale, di dover sostenere che le prestazioni sociali siano in concreto non negoziabili (cfr. sub b), mentre dell'istituto stesso della propriet si possa fare strame. Questo apparirebbe ingiustificato, e svelerebbe un'ispirazione favorevole finanche all'intangibilit delle quote di redistribuzione pubblica della ricchezza, ma non alla salvaguardia delle "quote" proprietarie. Se fossimo su questo piano, sarebbe opportuno scenderne: altrimenti diventerebbero inoppugnabili anche pretese di tono diametralmente opposto, caratterizzate dalla priorit della propriet e in varia misura contrarie o scettiche circa l'esistenza o l'uso di risorse pubbliche [64].

La questione della propriet proprio legata a quella dei diritti sociali: tutto sta a decidere attraverso quale legame. Si tratta di scegliere, come stato osservato, se impostare il rapporto nel senso che proclamare "diritti di welfare significhi supplicare i proprietari di essere un po' pi generosi" oppure, e al contrario, significhi chiedersi "in base a quale diritto essi pretendono di tenere qualcosa esclusivamente per s innanzi al disperato bisogno di altri (...) la propriet deve rispondere al tribunale del bisogno, non viceversa" [65]. Tralascio quanto incerto possa essere il concetto di bisogno; ma valida l'idea che attribuire rango fondamentale ai diritti sociali implica uscire dalla logica della carit e passare semmai a quella del bilanciamento, tra valori come tali non disponibili, ugualmente presenti nella tradizione liberaldemocratica, e tra attuazioni di essi che inevitabilmente si confrontano e si riferiscono l'un l'altra [66]. La ragione moderna della propriet infatti la sussistenza e la dignit degli individui: in altri termini salvare i diritti sociali dal punto di vista della loro fondazione teorica equivale a riportarli alla stessa radice della propriet, il generale diritto degli uomini a vivere decentemente[67] . Al punto, che diverrebbe problematico provare ad abbattere l'una per salvare gli altri.

7. Diritti programmatici Nel tirare le somme, se qualcosa sembra effettivamente toccare in sorte particolare ai diritti sociali, piuttosto che ad ogni altra categoria o generazione di diritti, ilcostante pericolo di essere ridotti a norme di carattere programmatico [68]: il che accade- si ripete- quando non determinato l' obbligo (la prestazione) assunto dallo Stato, e se non si dispone di tutela giurisdizionale [69]. La traduzione dei diritti in astratti "programmi" mi pare tuttavia prodursi specialmente quando i diritti sociali siano intesi proprio come obbligo di una prestazione statale. E si verifica non certo uniformemente, in dipendenza del modo d'essere e di funzionare degli ordinamenti: vale diversamente in Italia, nell'Unione Europea o in un

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sistema giudiziario come quello statunitense. Credo che la costituzionalizzazione dei diritti sociali, anche in termini di "obiettivi" programmatici, funzioni comunque come un parametro di controllo dell'intervento del legislatore; certo, nell'ordinamento italiano la "configurazione oggettiva" del giudizio di costituzionalit (solo sulle leggi) rende un servigio esclusivamente indiretto al cittadino, a differenza di quanto avrebbe potuto essere se a tale giudizio fosse stata riconosciuta la funzione di tutela diretta dei diritti fondamentali[70] . L'ordinamento comunitario europeo permette significativi spunti d'analisi. Qui la previsione in termini di obiettivi o di diritticonsente o la disapplicazione dell'atto legislativo statale "che disattenda l'obiettivo" da parte del giudice nazionale in quanto giudice comunitario, o di avanzare la pretesa connessa al diritto soggettivo comunitario innanzi al giudice nazionale (in veste di giudice comunitario) [71]: e in quest'ambito, anche la questione dei diritti sociali potrebbe ricevere un nuovo inquadramento, visto come negli ultimi anni la Comunit- Unione europea ha preso a porsi impegni tipici di uno stato sociale (specie nelle direzioni della protezione del consumatore, della tutela sanitaria, in genere con una sensibilit al principio di solidariet e di uguaglianza, ecc.). Anzi, se nell'ambito dei diritti sociali campeggia lo spettro della mancanza di rimedi per il cittadino nei confronti dell'inerzia del legislatore, pure si deve tenere conto di come il nuovo ordinamento europeo implichi vantaggi tutto sommato sorprendenti: "Per reagire all'inerzia del legislatore nazionale, nel caso sia questi ad essere chiamato all'attuazione degli obiettivi fissati dal Trattato, pi efficace dello strumento del ricorso per inadempimento che l'art. 169 Tr. affida alla Commissione, potrebbe rivelarsi la recente imposizione agli Stati dell'obbligo di risarcire ai singoli i danni derivanti dall'inadempimento all'obbligo di attuare una direttiva. Tale rimedio, pur non limitato ai diritti sociali, indubbiamente nei confronti di tali diritti pu rivelarsi strumento particolarmente prezioso per costringere il legislatore nazionale all'attuazione degli stessi, in mancanza fornendo comunque il rimedio del risarcimento al singolo che ne riceva un danno", e potendo eventualmente la forte limitazione della legittimazione dei singoli ad agire (visto che titolari dei diritti sociali sono considerati gruppi pi che individui) essere superabile in futuro con l'introduzione dell'azione collettiva o con ampliamenti della legittimazione innanzi a interessi diffusi (quale il diritto ad un ambiente salubre o i diritti dei consumatori) [72]. E' stato osservato, che non c' alcuna "stretta correlazione tra la forza del linguaggio costituzionale di welfare da un lato e la generosit degli Stati di welfare misurata sulla base della quota di ricchezza destinata a salute, sicurezza sociale, edilizia pubblica", ecc. [73]. Questo chiarisce in cosa consista il carattere programmatico o quasi-retorico di alcune enunciazioni. Ma ad esempio la resistenza dell'ordinamento statunitense a recepire in costituzione diritti sociali cos come sono enunciati nella costituzione italiana, o nel bill of rights che avrebbe voluto Roosevelt, pu essere spiegata proprio con la tendenza a prendere i diritti sul serio, e con la consapevolezza che finanche i diritti sociali qualora posti espressamente nel testo costituzionale finirebbero per trovare termini di immediata applicazione, cio una via che progressivamente ne consentirebbe l'operativit. Se i diritti sociali sono diritti fondamentali esattamente come i diritti di libert, indisponibili, allora devono funzionare anch'essi innanzitutto da norme di riconoscimento: devono in altri termini rappresentare i criteri di compatibilit dei comportamenti dei poteri costituiti, con la costituzione. Le promesse che i diritti fondamentali (costituzionali) contengono sono giuridiche e vincolanti: purch siano usate come tali. Questo un ostacolo certamente, ma non c' modo di superarlo attraverso l'istituzione di un altro, pi elevato, obbligo giuridico, non aggirabile attraverso la forza obbligante di alcuna norma presupposta. Naturalmente, l'attuazione dei diritti fondamentali dipende anche da una misura di civilt e risorse economiche che data solo nei paesi sviluppati e ricchi; persino in essi non pu pi essere concepito nei termini di un Welfare interamente statale, bens in modo pi articolato, che compendia sia il concetto del welfare mix, sia quello in cui la nozione di "pubblico" cessa di identificarsi e di esaurirsi in quella di Stato. Nei paesi avanzati, effettivamente tutti i diritti negativi e molti positivi aspirano ad essere fondamentali, e possono ricevere un'attuazione sia pure lungo un'estesissima banda di oscillazione, nel pi o nel meno, senza che le variazioni quantitative annullino il concetto. Il che equivale per in parte a quanto accade per i diritti di libert: di cui non bisogna certo dimenticare che sono fondati su risorse
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Diritti fondamentali

sociali, pubbliche. Queste risorse non sono necessarie solo ad alimentare il potere coercitivo dello Stato [74] , ma servono a porre gli individui nelle condizioni materiali e spirituali di vita necessarie affinch essi siano disposti all'accettazione e al rispetto dei diritti altrui.

8.Diritti fondamentali, universalit, e diritto di propriet 1. Nella sua Teoria dei diritti fondamentali Peces-Barba attribu all'espressione "diritti fondamentali" un senso che intendeva superare due limiti: il riduzionismo giusnaturalistico e quello giuspositivistico [75] . Il primo poggia sull'idea che vi siano diritti naturali e che come tali essi siano fondamentali (o debbano esserlo): ma deve ammettere la necessit che ogni diritto "naturale" riceva una convalidazione, una "mediazione" giuridica; il secondo poggia sulla (contraria) separazione delle decisioni giuridicamente valide da pretese e criteri di natura morale; ma deve riconoscere la necessit che lo iussum corrisponda ad un radicato o condiviso principio morale. Si tratterebbe dunque di integrare la filosofia del diritto e il diritto positivo: da un lato, il "perch dei diritti dell'uomo" che contiene la "pretesa morale giustificata" e dall'altro la traduzione concreta, lo "scopo" dei diritti dell'uomo, come incorporazione di questa "pretesa morale nel diritto positivo"[76]. Fatte queste premesse, "fondamentale" significa, qui, dotato di una ragione morale profonda (non ulteriormente chiarita) [77] ; ma non puramente contro-fattuale: "non ha senso parlare di fondamento di un diritto che non sia in seguito suscettibile in alcun caso di integrarsi nel diritto positivo. Tanto meno ha senso parlare del concetto di un diritto che non possiede una radice etica legata alle dimensioni centrali della dignit umana". Non pu essere mai ritenuto fondamentale un diritto "morale" che per ragioni di fatto appaia "impossibile" (diritto ostacolato da ragioni di scarsit insuperabili)[78]. Secondo Peces Barba diritti puramente "morali", tecnicamente intraducibili in termini giuridici (come il diritto alla disobbedienza civile che gli appare in contraddizione con l'ordinamento in se stesso) non sarebbero diritti fondamentali perch non sono giuridicizzabili; inoltre, diritti positivizzati non sarebbero "fondamentali" se la pretesa in essi contenuta non generalizzabile, ad esempio per ragioni di scarsit relativa (e questo accade per il diritto di propriet). Come si pu notare, la generalizzabilit attiene alla giustificazione morale del diritto soggettivo: una pretesa giustificata moralmente se "suscettibile di essere elevata a legge generale; vale a dire, che presenti un contenuto egualitario, attribuibile a tutti i possibili destinatari, siano essi i generici 'uomini' o 'cittadini' o i concreti 'lavoratori', 'donne', 'amministrati', 'utenti o consumatori', invalidi', minori', etc." [79] . Che cosa significa dunque fondamentale? In un'altra versione: "la vita, la libert personale o il diritto di voto sono fondamentali non tanto perch corrispondono a valori o interessi vitali, ma perch universali e indisponibili". La forma universale, inalienabile, indisponibile e costituzionale garantisce in genere ci che si ritiene fondamentale in un paese ("ossia quei bisogni sostanziali la cui soddisfazione condizione della convivenza civile e insieme causa o ragione sociale di quell'artificio che lo Stato")[80]. Si tratta di saggiare se sul piano teorico, quel vincolo cos indiscusso tra fondamentale ed universale, sia certo. Un diritto fondamentale pu non essere "universale" ? Quel vincolo spesso raccomandato perch consente di concepire i diritti fondamentali come necessariamente estesi a tutti (a tutti gli uomini, o a tutti i cittadini), e dunque di collocare il carattere fondamentale dei diritti nel cuore stesso dell'idea di uguaglianza. Ma si tratta di una proposta normativa. Perch non possono essere considerati fondamentali anche diritti che nella loro stessa "struttura", e dunque per definizione, vengano posti tra i diritti non universali (i diritti patrimoniali)? E' rilevante come il requisito dell'estensione alla generalit degli appartenenti a una classe, che ha una radice morale secondo Peces Barba, ritorni all'interno di una teoria formale, nelle tesi di Ferrajoli. L'impossibilit di estenderla universalmente renderebbe la propriet un "privilegio", piuttosto che un diritto "uguale per tutti gli esseri umani". E tale argomento troverebbe conferma secondo Peces Barba sia nella Costituzione spagnola, sia nel Patto delle Nazioni Unite sui diritti economici sociali e culturali [81]. Si
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sostiene dunque che non pu nascere un diritto fondamentale relativo a beni, i quali non sono generalizzabili; in questi casi infatti, il diritto soggettivo non suscettibile di tradursi in una reale possibilit per "tutti". E' dunque la scarsit relativa quel che impedisce alla propriet di divenire un "diritto fondamentale"? Si dovrebbe ritenere di s: non a caso, Peces Barba sostiene che anche se fosse "pensata" come fondamentale, non sarebbe poi possibile garantirne l'efficacia (appunto per la scarsit delle risorse)[82]. 2. Se la qualit di diritto fondamentale possa spettare anche a diritti non "universali" questione che pu ben essere affrontata proprio attraverso l'experimentum crucis del diritto di propriet: se la propriet, che ritenuta un diritto soggettivo non universale, pu divenire in qualche ordinamento un diritto fondamentale, allora non plausibile una definizione teorica che la escluda. Se la propriet pu essere un diritto fondamentale allora possono essere fondamentali anche i diritti soggettivi che non siano universali. Dal punto di vista che qui propongo, insostenibile che il diritto di propriet non possa essere tra i diritti fondamentali. Non intendo dire che il diritto di propriet debba necessariamente essere tra i diritti fondamentali, ma semplicemente respingere tesi secondo cui la propriet in s, comunque insuscettibile di esservi ammessa: per un impedimento logico-formale (carattere non universale del diritto reale) e/o per un impedimento fattuale, seppure non contingente (la circostanza oggettiva della scarsit relativa dei beni)[83] . Credo che la questione di cosa sia fondamentale non possa essere risolta in base al "semplice" criterio della generalizzabilit.La scarsit e l'universalit possono certo concorrere nella definizione di "fondamentale", ma non sempre possono svolgere un ruolo dirimente. Invece, secondo le definizioni ora ricordate, un diritto che non possa spettare a tutti (nello stesso tempo) non pu essere fondamentale. Sostenere che un diritto non fondamentale (in questo caso, per il fatto che non pu valere per "tutti" ) equivale a ritenere che esso pu non esserci affatto, che non necessario sia accordato da un qualche ordinamento, oppure che non necessario entro un ordinamento determinato. Grazie a quanto sopra, un diritto non fondamentale tale che la sua mancata previsione o la sua abrogazione non produce alcuna essenziale carenza n nella struttura, n nei principi normativi, portanti, dell'ordinamento. Cos, quanto alla propriet: se vero che la propriet non un diritto fondamentale, allora non si darebbe alcun mutamento sostanziale, nei nostri ordinamenti, se la propriet non fosse contemplata. Eppure, tutto ci appare controintuitivo: cosa accadrebbe, per esempio, se non ci fosse nessun proprietario, in concreto? L'assenza della propriet intesa come diritto patrimoniale sarebbe espressione di un radicale mutamento sociale e innoverebbe in modo sostanziale proprio nell'ordinamento giuridico. Quali conseguenze inoltre potrebbero essere tratte dall'assenza della propriet? Innanzitutto, si dovrebbeconsiderare insostenibile una distinzione concettuale, quella tra il diritto o la libert astratta di divenire proprietari, ammessa tra le libert fondamentali, e il diritto di propriet come diritto "reale". La distinzione tende a separare l'universalit della libert di appropriazione dalla singolarit dei possessi, la libert di appropriazione, che sarebbe un diritto fondamentale, dal diritto reale su beni, che non potrebbe essere un diritto fondamentale. Ma, credo, questi due concetti sono inseparabili, seguono lo stesso destino:ne una conferma il fatto che qualora non si desse alcun diritto patrimoniale, in concreto, cirenderebbe inconcepibile persino la libert di appropriazione, la sua universalit e finanche il suo carattere "fondamentale". Se non ci fosse alcun diritto di propriet, sarebbe cambiato il modo di produzione della ricchezza. Saremmo in una situazione puramente amministrata. In tal caso, non sarebbe accordato nemmeno il diritto di divenire proprietario, che invece ritenuto fondamentale (perch coincide con una universale libert, e non un diritto reale su beni determinati). Se nessuno fosse ammesso alla propriet di alcunch, l'astratta libert-di-divenire-proprietario (sarebbe una tale minaccia e) costituirebbe una tale contraddizione con la logica dell'intero sistema politicoeconomico, da doversi ritenere assolutamente pericolosa, e dunque tutt'altro che fondamentale. Il che, in conclusione, rende impossibile sostenere il carattere fondamentale del diritto-a-divenire proprietari ed insieme il carattere non fondamentale del diritto di propriet (come diritto reale, in concreto).

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Se si vuole una conferma sul piano teorico, la si pu trovare nelle tesi di Rousseau, tesi non sospette dal momento che non appaiono conniventi n con il paradigma lockeano, n con quello francese della sacert della propriet (art. 2 della Dichiarazione dell'89). Per Rousseau il diritto di propriet si determina grazie a un atto sostanzialmente arbitrario: il che significa che la propriet nasce senza alcuna giustificazione "oggettiva". La tesi di Rousseau contrasta l'opinione che quella di-divenire-proprietari rappresenti una fondamentale "libert". In definitiva, negare il carattere fondamentale della propriet, porta fatalmente con s anche la negazione del carattere fondamentale del diritto (di libert) di divenire proprietari. 3. Si deve tornare al tema dell'universalit dei diritti fondamentali e al concetto, connesso, della scarsit delle risorse (la relazione tra universalit e scarsit richiamata soprattutto da Peces Barba). La scarsit delle risorse rende impossibile che la propriet acquisti carattere universale: la propriet non pertanto fondamentale perch stante la scarsit delle risorse non pu de facto nemmeno essere universale. E' il tema delle circostanze del diritto di propriet. La propriet non pu essere un diritto fondamentale in ragione di circostanze fattuali oggettive (di scarsit) non contingenti. Vorrei mostrare, tuttavia, che un sistema in cui si riconosce a) la scarsit relativa delle risorse; b) il valore fondamentale della libert di appropriazione (una delle intangibili "libert"), non pu evitare poi di ricorrere al diritto di propriet come principale strumento di regolazione. Sotto questo aspetto, giova ricordare una teoria moderna della propriet, come quella di Hume, la quale ricollega anch'essa il "terribile diritto" al tema della scarsit: ma sostiene che la propriet non produce il problema della scarsit, bens sorge da una situazione (opposta a quella rousseauiana) di scarsit relativa: qui diviene necessaria una giustizia "artificiale", che comprende tra le sue regole auree, di giustizia, il diritto di propriet ( la titolarit dei possessi e l'opponibilit a terzi)[84] . Indipendentemente dalle questioni relative alla genesi della propriet, Rousseau e Hume indicano un rapporto comunque inestricabile tra la scarsit e la propriet. Credo che tale rapporto si debba ancora ribadire: almeno nel senso che la propriet pu essere fondamentale solo in situazioni di scarsit relativa; e in queste, una volta che si accordi status fondamentale (e universale) alla libert di appropriazione, nessun'altra forma di regolazione della scarsit diviene plausibile, se non il "diritto" di propriet. A voler seguire i "classici" del pensiero filosofico-giuridico moderno, che con noi consacrano la libert astratta di divenire proprietari, il diritto (reale) di propriet cesserebbe di essere fondamentale solo qualora l'umanit versasse in circostanze di abbondanza assoluta (piuttosto che di scarsit relativa). E ancora, in termini complementari, il diritto di propriet potrebbe intendersi come universale, solo in circostanze di abbondanza assoluta, nelle quali certo non appare "fondamentale." Devo concludere che la propriet sembra dissolvere il presunto pacifico e indissolubile binomio universale-fondamentale, poich essa piuttosto un diritto fondamentale grazie alle condizioni di scarsit relativa: le stesse condizioni in virt delle quali non pu godere, ceteris paribus, di alcuna "universalit" [85].

9. A proposito di "fondamentale" Concepire i diritti fondamentali come una categoria (almeno sotto alcuni profili) tendenzialmente unitaria possibile e, credo, legittimo. Sul piano giuridico, si deve mostrare il ruolo che in quanto norme i diritti fondamentali possono assumere:il che non deve essere intesocome il tentativo di annullare il senso del "vantaggio" soggettivo inerente alla natura dei diritti in quanto tali. Non si tratta cio di sottovalutare il carattere relativo-al-soggetto che i diritti posseggono, la priorit della tutela dell'individuo [86]; quelle norme che pongono diritti non esauriscono la loro ratio nella regolazione del sistema giuridico, non rappresentano mere esigenze "oggettive" dell'ordinamento, o dell'ordine sociale nel suo complesso; esse sono costituite in modo da indicare la tutela degli individui (o dei gruppi), pi che lo scopo della protezione del "sistema". Peraltro, nel sottolineare che i diritti sono "norme", ho rigettato l'identificazione
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Diritti fondamentali

meccanica dei doveri con il contenuto del diritto soggettivo (distinguendo la sua esistenza "giuridica" da "correlativit" un po' troppo schematiche). In fondo, l'interesse dell'individuo (riconosciuto come valore da tutelare), ci che giustifica un'eventuale imposizione di doveri su altri [87]. Tuttavia, come mostra il paragrafo che precede, ora in questione il significato stesso del termine fondamentale, riferito ai diritti. Se, come ho sin qui proposto, i diritti fondamentali sono metanorme sostanziali (norme di riconoscimento) ci significa che il loro status "fondamentale" una questione di merito, che incide sul merito (delle attivit dei poteri). Quelle metanorme contengono in realt le scelte etiche, politiche, economiche, di una societ organizzata giuridicamente: non qualsiasi scelta fondamentale, ma solo quella che sia posta, sul piano giuridico, come criterio della validit di altre decisioni giuridicamente vincolanti: in genere, ci accade con l'inserimento nelle carte costituzionali, ma non escluso che fonti di grado inferiore assumano, anche grazie al possibile collegamento con disposizioni costituzionali, un riconosciuto carattere di principio edi indirizzo. Pertanto la mia definizione di "fondamentale" concerne la capacit che le norme posseggono- se e quando ci accada- di funzionare come metanorme: esse tengono in piedi l'intero ordinamento. Certo, in un ordinamento giuridico sono essenziali anche tutte le metanorme di produzione, che regolano l'insieme delle fonti e delle forme autorizzate di produzione di nome: ma quando le norme che prevedono diritti sono usate come metanorme, allora si tratta di metanorme "sostanziali", e la previsione di diritti di questo rango, diviene essa stessa una previsione "fondamentale". Per converso, credo inevitabile che non possa riconoscersi come fondamentale un diritto soggettivo che non venga usato come criterio di legittimit (validit) di altre norme; non solo come criterio di legittimit di altri comportamenti privati, dunque, ma anche dell'esercizio del potere legislativo (o di altri poteri che dispongano di analoga o delegata capacit normativa). Propongo "fondamentale" in questa accezione, che chiamerei "funzionale", perch mi appare sufficientemente compatibile con un giuspositivismo critico, e adeguatamente realista. Quanto al realismo, si deve ammettere infatti che in atto una tendenza, di recente sottolineata [88], a non tradurre pi "il contenuto dei diritti umani dalla 'soft law' dei dibattiti e delle convenzioni internazionali nella 'hard law' della legislazione statale positiva come diritto vigente e direttamente vincolante"[89]. Spesso questo rimette i diritti alla "buona volont" dei legislatori, anche una volta che nelle carte costituzionali fossero poste analitiche enumerazioni dei diritti, e in specie dei diritti sociali. Di fronte a questo stato di cose, si sostenuto che trasformare quegli obiettivi di principio in impegni operativi pu essere solo un prodotto "politico (e quindi legislativo)" dei "diritti umani"[90]. Se si guarda con un po' di disincanto, al modo in cui viene descritta questa situazione, si noter che il problema politico di dare attuazione ai "diritti umani" ( o ai diritti fondamentali), effettivamente tale perch, a quanto pare, non c' un vincolo giuridico [91]. Ma in questo modo di porre la questione c' un'ambiguit di fondo dalla quale bisogna uscire: se i diritti umani ci sono, sia pure sulla carta (costituzionale, comunque) e sono fondamentali, in che senso non sono un vincolo giuridico? Questo pu accadere, certamente, per varie norme giuridiche, per esempio, prescrittive di obblighi "impossibili", e comunque in casi per nulla eccezionali, nei nostri ordinamenti. Ma come pu accadere nei confronti di norme che siano indicate come "fondamentali"? [92] Se quei diritti non sono un vincolo giuridico, in che senso dell'espressione rimangono diritti (umani) fondamentali? In senso giusnaturalistico? A queste domande, per quanto cruciali, se ne aggiungono necessariamente altre. Possono dirsi esistenti nell'ordinamento se non sono giuridicamente capaci di operare? E infine, chiudendo il cerchio delle ambiguit: se non sono giuridicamente vincolanti, perch dovrebbero essere politicamente vincolanti? E' ben difficile desumere dall'assenza di un vincolo giuridico, la sussistenza di un obbligo politico, come un po' ellitticamente si tende a fare: in genere, infatti, si trae dall'astrattezza degli impegni-obiettivo assunti verso i diritti umani nei documenti giuridici, la considerazione che essi, pur incapaci di forza giuridicamente obbligante, conservano per un evidente valore di vincolo politico, per essere stati, in quei documenti, trascritti. Descrittivamente, questa conclusione- di fatto vera in alcuni casi-, arbitraria: se da un documento giuridico prescrittivo non nasce (per qualche ragione) alcun vincolo giuridico, pu non sorgere affatto nemmeno un vincolo politico. E comunque, ciascuno appare indipendente dall'altro, e funzionalmente non surrogabile dall'altro.
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Diritti fondamentali

La mia convinzione che si possa e si debba -al contrario- prendere sul serio i diritti fondamentali, assumendo che essi sono giuridicamente vincolanti, piuttosto che specificando la loro totale remissione (realistica) alla disponibilit della sfera politica; questa remissione deve essere evitata poich esiste gi una decisione (politica) che ha reso positivi quei diritti, a livello internazionale e/o statale. Rispettare quella volont significa comunque attribuirvi un senso giuridico; e secondo la mia argomentazione, il modo in cui opera il vincolo giuridico istituito da quelle decisioni di valorizzazione dei diritti fondamentali, coincide con il loro "funzionamento" come norme di riconoscimento. Come tali esse sono un vincolo attivo. Ci detto, si deve tuttavia ribadire che, a differenza di altre norme, quelle metanorme che ho (estendendo l'espressione ben nota, risalente a Herbert Hart) chiamato norme di riconoscimento possono avere un effetto giuridico e comunque sono valide solo se sono usate come tali: questa una circostanza di fatto, ed incontrollabile giuridicamente, perch non dipende da un ulteriore e sovraordinato obbligo giuridico. Tutto ci che "fondamentale" sul piano giuridico, non pu essere giustificato dal diritto, visto che lo giustifica, non pu essere fondato sul diritto visto che il diritto in vari sensi vi ruota attorno. Qui sorge semmai, la questione politica, ma a questa non si pu dare una risposta giuridica, ancora una volta: diritti che non sono sentiti come fondamentali non saranno usati come norme di riconoscimento dai "funzionari" (dai giudici, dai legislatori) e neanche dai cittadini, che fanno riferimento a un dato ordinamento [93]. Anche alla luce di queste considerazioni, possiamo confrontare una definizione "funzionale" con quella "estensionale", secondo cui, come sappiamo, un diritto fondamentale innanzitutto se possibile riferirlo a "tutti" (i cittadini, i lavoratori, gli uomini, o membri di altre "classi" considerate negli ordinamenti): entrambe le accezioni non insistono sulla meritevolezza intrinseca, di tipo assiologico, di quanto si definisce fondamentale. In un certo senso, esse condividono l'intento di non pregiudicare irreversibilmente il contenuto dei diritti attraverso scelte particolari. Nella definizione "estensionale", che vuol essere (ed ) "teorica" e non dogmatica (in quanto prescinda dalle norme di uno specifico ordinamento giuridico positivo), sono dunque diritti fondamentali quelli che un ordinamento ascrive a tutti, a tutti coloro che siano presi in considerazione di volta in volta come persone fisiche, oppure come cittadini, oppure in quanto capaci d'agire [94]. Fondamentale significa pertanto esteso a tutti coloro (ma potrebbero esser ben pochi) che siano gi inclusi in una certa classe (purch denominata delle persone, dei cittadini, o dei capaci d'agire). E ben potrebbe trattarsi di un diritto "futile". Comunque, diritti sono qui presentati come fondamentali non solo se universali ma anche in quanto indisponibili, inalienabili e irrinunciabili. Non sono tutti i diritti soggettivi, ne restano esclusi almeno quelli patrimoniali (come ho rilevato nella discussione che precede) perch sono singolari e non universali, disponibili ed esclusivi (non inclusivi). Pertanto, quanto all'accezione "estensionale" del termine diritto fondamentale, si deve riconoscere che proprio l'estensione ha il difetto di poter esser ridotta ad una classe infima, anche numericamente, di titolari e pertanto appare francamente controintuitivo che quel diritto possa anche in tale evenienza denominarsi fondamentale. Inoltre, il fatto che possa, in astratto, essere un diritto di contenuto decisamente futile, appesantisce le remore all'uso del termine "fondamentale", piuttosto che di qualsiasi altro, meno impegnativo. Certo, se un sistema ruotasse proprio attorno a quel "futile" contenuto normativo, questo diverrebbe "fondamentale": la nozione di futilit sarebbe utilizzata a sproposito. Il perno di un sistema morale o giuridico che sia, potrebbe apparire futile solo dal punto di vista interno ad un altro sistema morale, che stimi marginale ci che altrove fondamentale. Ma la definizione estensionale prescinde dal fatto che il diritto sia "fondamentale" per qualche altra ragione sostanziale (diversa dall'imputazione a una classe), e a rigore non implica nemmeno che assuma un qualche ruolo nella dinamica del sistema giuridico. Se invece adottiamo, in ambito giuridico, il termine fondamentale in senso funzionale, come propongo, possibile evitare questa serie di perplessit: poich non potrebbe essere comunque riconosciuta come futile, grazie al suo contenuto, alcuna norma che pone diritti, la quale venga usata come norma di riconoscimento (ossia criterio di merito per la validit di altre norme) in un dato ordinamento; se fosse "futile" entro quell'ordinamento, non sarebbe usata come metanorma sostanziale, e dunque non sarebbe
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fondamentale. Non sarebbe (necessariamente) fondamentale anche un diritto che spettasse "strutturalmente" a tutti gli inclusi in una certa classe (ossia anche quando secondo la definizione estensionale di fondamentale, fosse imputabile solo tramite un quantificatore universale, del tipo tutti i cittadini). La definizione "estensionale" coltiva il condivisibile proposito di rendere possibile l'universalizzazione dei diritti umani fondamentali, diritti di libert e diritti sociali (l'estensione a tutti gli uomini). Si tratta di un'aspirazione che parte dal presupposto che i meritevoli di tutela siano gli uomini (a prescindere da ogni sottoclasse) [95], e dal fatto che allo stato attuale le classi di esclusione/inclusione ancora da superare, da parte dei paesi occidentali, sono ormai solo quelle di cittadinanza, e con riferimento a poche residue prerogative. Naturalmente, la teoria che definisce fondamentale come universale, nel senso ricordato, sul piano giuridico non pu obbligare all'estensione a tutti, in quanto uomini ( dell'imputazione soggettiva dei diritti). Infatti, non c' alcuna lacuna, nemmeno in questo caso, nessun principio di completezza (dell'ordinamento) cui appellarsi, per evitare che alcuni diritti siano estesi solo entro certe classi di soggetti, o solo in base ad una definizione di "uomo" che escluda altre etnie, o altre religioni, o pi semplicemente i cittadini di un altro Stato. La decisione di allargare al massimo grado la classe degli eletti (ossia di rinunciare al potere stesso di elezione), un fatto al cui verificarsi di per s la teoria non pu contribuire: essa non pu istituire un obbligo giuridico di prendere quella decisione. Questa impossibilit di rendere giuridicamente obbligatorio qualcosa che non viene scelto come tale all'interno di un certo ordinamento, non superabile. Non superabile nemmeno utilizzando la definizione "funzionale" di fondamentale: ma quest'ultima pone subito in chiaro che la teoria non pu quadrare il cerchio. Il diritto non pu surrettiziamente sostituire compiti politici, e forse tutto sommato, nemmeno dovrebbe.

10. I diritti: al di l di Dworkin e della democrazia "sostanziale" 1. Costruire un ordinamento sui diritti fondamentali (mostrando poi che dal loro nucleo di contenuto derivano o devono derivare[96] norme-garanzia poste dal legislatore[97]), equivale a sostenere che il nucleo di ogni ordinamento giuridico sta essenzialmente nella tutela dei diritti individuali. Questo inverte la prospettiva che classicamente il giuspositivismo da Austin a Kelsen ha adottato: in tale prospettiva il diritto regola (primariamente o secondariamente) l'esercizio della forza, consiste in un insieme di imperativi che sono assistiti da una sanzione (o che impongono una sanzione), e provengono (Austin) da chi sia titolare della sovranit su un territorio determinato. L'affermarsi dello Stato di diritto (liberale) in Europa fu accompagnato dalla concezione del diritto come regolazione (della forza), limitazione e separazione del potere. La teoria sottolineava l'aspetto sanzionatorio, che risulta centrale in gran parte del giuspositivismo contemporaneo. Diventa oggi pi consueto costruire il diritto, nello Stato (di diritto) costituzionale, attorno alla priorit dei "diritti" degli uomini. Un ordinamento dei diritti dunque, non un ordinamento delle sanzioni, degli obblighi. Il diritto appare come un sistema di irradiazione dei diritti individuali e solo conseguentemente un sistema di riduzione e regolazione dei pubblici poteri. Questa trasformazione concettuale corrisponde anche a una certa visione "ricevuta" del costituzionalismo liberale. Chi raccomanda un'estensione universale, cosmpolitica, della nostra civilt giuridica, costruendo il sistema sui diritti e non sulle sanzioni, pu anche disfarsi del fardello della sovranit: tecnicamente, il sovrano territoriale infatti un elemento essenziale per il diritto solo se si rimane nel confine teorico austiniano, ossia solo se per norma giuridica si continua ad intendere essenzialmente un "ordine sostenuto da minacce". Il diritto che ruotava sulla sanzione e sugli obblighi, ora ha la sua base, la sua essenza, nei diritti soggettivi. Se la norma intesa come minaccia di una sanzione, doveva riposare allora sul possesso della forza (detenuta dal legittimo sovrano di un circoscritto territorio), la norma intesa come ascrizione di diritti soggettivi, sembra voler poggiare su una sorta di autosufficienza del diritto stesso[98]. In generale, i diritti fondamentali funzionano in due direzioni; da un lato, essi danno validit alle singole
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norme, dall'altro si elevano (un po' curiosamente) a fondamento dell'ordine giuridico in cui sono ricompresi, o in altre parole a criterio di validit dell'intero ordinamento che pur li prevede [99] . Essi sembrano disporre dell'autoevidenza e dell'autofondazione necessaria per sottrarsi sia all'insidioso sostegno del potere sia alla legittimazione attraverso il consenso. Il fatto che siano positivizzati nelle carte internazionali, e in quelle costituzionali, sembra esonerare dalla ricerca del consenso persino l dove quei diritti non siano attuati. Essi devono essere attuati: ma non chiaro se in base a carte internazionali non sottoscritte (dal "sovrano" cui pur si rimproverano "inadempimenti") o in base all'autoevidenza della loro verit, che ovviamente prescinde dal diritto positivo di questa o quella comunit. Ho sin qui proposto di evitare queste ambiguit ricostruendo i diritti soggettivi di maggiore importanza in un ordinamento come norme fondamentali, la cui funzionalit giuridica dipende, senza equivoci, dal riconoscimento. Ci che resta da affrontare quale nesso effettivamente colleghi diverse concezioni dei diritti con la democrazia. 2. In qualche caso, chi voglia porre al centro l'idea dei diritti fondamentali, tende a richiamarsi alla pi nota apologia degli ultimi decenni, quella di Ronald Dworkin. Ma il richiamo pu essere frainteso, ed comunque equivoco. Se vero infatti che si tratta di prendere i diritti sul serio [100], il modo in cui Dworkin lo fa, consiste nella separazione tra pretese fondate sulla logica individuale delle libert e pretese fondate sulla logica"politica" delle prestazioni sociali. Egli considera, certamente, i diritti come un contraltare al potere delle maggioranze: ma li teorizza, in aggiunta, quale limite alle politiche pubbliche (in quanto politiche sociali), come tali; egli sposa certamente la logica dell'uguaglianza, ma non in direzione dell'uguaglianza sostanziale (welfarist, goal-based). Infine, i diritti valgono come ragioni sufficienti capaci di superare ogni altra considerazione di merito, ogni limite, ogni egoismo pubblico (rights as trumps l'espressione usata da Dworkin); ma la forza "giuridica" dei diritti soggettivi consiste propriamente, in Dworkin, nella capacit dell'ordinamento costituzionale di fare corpo contro le ragioni di "policy" delle maggioranze legislative (e nell'insieme, del Government). I teorici dei diritti formatisi nella cultura delle sinistre europee, e specie in Italia, dotati di un'acuta sensibilit "sociale", potrebbero condividere quegli obiettivi solo nel loro insieme, e non li concepirebbero l'uno in alternativa all'altro (o separato da quello). I diritti sono invece in Dworkin un modo di sostenere le ragioni dell'autonomia individuale contro quelle dell'autonomia pubblica; un modo di prevenire l'appiattimento egalitario delle possibilit di vita, che si produrrebbe grazie alle decisioni legislative: queste ultime sono indirizzate a "tutti" secondo una logica universalizzante, della redistribuzione delle risorse, delle prestazioni statali, della regolazione pubblica della vita privata. Contro tutto questo, Dworkin si schiera, anche rifiutando il paternalismo che le decisioni collettive come tali comportano: esse riducono gli spazi di libert dei singoli pur con l'obiettivo di difendere i loro reali interessi, e comunque esprimono inaccettabili preferenze "esterne", ossia su ci che gli altri dovrebbero fare o avere [101]. Se cos stanno le cose, chiunque voglia portare i diritti sociali entro i diritti fondamentali, dovrebbe diffidare. Del resto, Dworkin si appella alla tradizione statunitense e l'idea stessa dei diritti morali degli individui vale giuridicamente perch va intesa come interna alla cultura costituzionale americana: e questa, diversamente da quella europea, non ispirata ai diritti del welfare, ossia a quei diritti della "seconda generazione" che chiamiamo diritti sociali. Non tutte le difese dei diritti sono dunque identiche. In un quadro "dworkiniano" i diritti sono difesi in s (ossia secondo argomenti non- consequenzialisti), sono pretese imperative, le quali impongono ogni impegno (pubblico o privato) necessario alla loro soddisfazione, indipendentemente da un qualche calcolo delle conseguenze o dalla limitazione delle risorse. Ma divengono problematici i diritti sociali e la conseguente rete di interventi pubblici che dovrebbe affiancarli. L'atteggiamento anti-consequenzialista di Dworkin circa i diritti, e la sua rinuncia ad un'uguaglianza (materiale) fondata sulla redistribuzione pubblica vanno dunque insieme: ma vengono spesso separati dagli interpreti europei. Il giurista europeo vuole semmai tutt'e due le cose: rights as trumps, e diritti redistributivi,inaugurando un'ottica del tutto diversa da quella dworkiniana. A Dworkin interessano le autonomie individuali, ed esse sono il perno
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della sua idea di uguaglianza come equal concern and respect; ogni altra concezione dell'uguaglianza vista come produttrice di gravami sui singoli, attraverso politiche riallocative e paternalistiche, fortemente implicate, peraltro, dallo stesso progetto di estendere universalmente i diritti sociali. Infine, deve aggiungersi che se i diritti fondamentali fossero intesi come un presupposto della democrazia, questa loro collocazione di sostegno all'ideale democratico contrasterebbe con le premesse di ogni teoria che giustifica (come anche quella di Dworkin) i diritti in termini right-based: ossia sulla base del valore ultimo dei diritti stessi (e non d'altro) [102]. Tali ultime considerazioni ci conducono ad un ulteriore e per nulla trascurabile profilo dei diritti fondamentali, che concerne proprio il legame tra questi e la democrazia. 3. Come si notato, chi insiste sul carattere universale dei diritti fondamentali istituisce un legame manifesto tra universalit, diritti fondamentali e democrazia secondo cui l'eguaglianza, in quanto eguaglianza nei diritti, e l'estensione a tutti (possibilmente a tutti gli uomini, e non solo a tutti i cittadini), di un certo numero di diritti (civili politici e sociali, soprattutto) rappresentino la base per l'affermazione e il consolidamento di una democrazia "sostanziale" [103]. Pertanto, in quest'ottica, chiedersi quali diritti siano fondamentali corrisponde anche a domandarsi che cosa sia fondamentale per una democrazia. Questo finirebbe tuttavia per essere fuorviante[104]. La domanda circa quali siano i diritti fondamentali non si riferisce all'esercizio del potere, non riguarda i presupposti di un sistema politico democratico. Essa posta invece indipendentemente dalla professione di fede in una qualche concezione della democrazia; posta con riferimento al dominio pi "neutro" di un ordinamento giuridico: essa attiene a ci che pu valere come giuridicamente fondamentale tra i diritti accordati in un ordinamento. Pertanto, ci che fondamentale tra i diritti soggettivi deve esserlo per ragioni che non possono essere tratte dall'affidamento che facciamo in una teoria della democrazia: ragioni interne al modo di essere del diritto, e non al modo d'essere di un sistema politico[105]. Questo contrasta con l'aspirazione di varie teorie dei diritti fondamentali a divenire, appunto, un ancoraggio certo alla democrazia "sostanziale": i diritti vi sono pensati come un modo di sottrarre definitivamente alcuni temi "fondamentali", alla politica ordinaria e al mercato economico. I diritti posti nelle costituzioni vigenti, appartengono a ci che inalterabile anche dalla sovranit popolare, appartengono alla"sfera dell'indecidibile"(e per questo introdurrebbero la "democrazia sostanziale" [106], vincolata sui contenuti deliberativi fondamentali); le norme giuridiche che disciplinano le regole del gioco, ossia le procedure decisionali, servono invece ad assicurare la "democrazia formale", la quale riguarda il chi (popolo sovrano) e il come (regola della maggioranza) della decisione, ma non giunge a vincolarne i contenuti. La definizione (estensionale, formale) dei diritti fondamentali come "universali" viene usata dunque per contrastare la derogabilit dei diritti stessi ad opera della legge ordinaria: in quanto i diritti che spettano a tutti, non possono essere disponibili da pochi o dai pi, e dunque nemmeno da una semplice maggioranza (legislativa) [107]. Com' evidente, puramente fattuale che le costituzioni individuino alcuni diritti come fondamentali e che questi siano proprio i diritti civili, i diritti politici, e alle volte, non sempre, i diritti sociali. Non si tratta cio di una conseguenza della teoria o della definizione formale dei diritti fondamentali (secondo cui essi sono da imputarsi a tutti gli appartenenti a una certa classe). Poich si tratta di una circostanza fattuale, una fortuna per la teoria che la sovranit sia limitata (e che la democrazia "sostanziale" si costituisca) sulla base di diritti fondamentali che hanno il contenuto che hanno: in base a questo argomento, potremmo avere infatti "democrazie sostanziali" alquanto "futili", che impediscano decisioni maggioritarie sul salutare in strada, ma lascino la questione della vita o della libert di culto nella "sfera del decidibile". Il significato "sostanziale" di "sostanziale" sarebbe pertanto lasciato al caso, sia pure a quel particolare caso che la diversit delle tradizioni storica, cos come parallelamente al caso lasciato il significato sostanziale di "fondamentale". Comune a molti giuristi europei di ispirazione "democratica" in effetti la convizione di fondo che il costituzionalismo consista nel produrre una democrazia sostanziale, attraverso la limitazione del potere delle maggioranze (ossia della sovranit) [108] ed un'idea forte, e diffusa.
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Tuttavia, stando cosi le cose, non facile vedere in che cosa consista una democrazia sostanziale, se non nella limitazione del potere delle maggioranze. Il lato visibile solo questa sottrazione di potestas decidendi alla sovranit popolare, e non mi pare sufficiente n ad istituire un versante "sostanziale" della democrazia, n tout court una democrazia sostanziale. Sarebbe errato lasciarsi fuorviare dall'impressione superficiale che una teoria dei diritti fondamentali, non sostantiva (ossia che non fonda n prescrive come fondamentali alcuni diritti piuttosto che altri), sia riuscita o possa riuscire a "produrre" una democrazia sostanziale. A mio parere la gran parte delle aporie deriva dall'aver messo troppo disinvoltamente in secondo piano il fatto che la sostanza della democrazia solo il principio di autolegislazione, e non la costituzione, n, in s, l'idea dei diritti individuali. Dal punto di vista della democrazia, dell'attuazione della democrazia e dello svolgimento di essa, l'unico interesse sostanziale concerne il rispetto dell'autonomia deliberativa, risiedendo il principio democratico nell'ideale regolativo dell'autolegislazione, e l'obiettivo di un regime democratico nella creazione di un sistema di condizioni adeguato a quel principio. Su queste (peraltro, poco controverse) basi, la forma sostanza, e le norme che hanno per contenuto la garanzia dei processi deliberativi, o che si possono risolvere in una garanzia per il carattere democratico dei processi deliberativi, di fatto sostengono dal punto di vista giuridico l'architettura democratica della forma politica esistente. Inoltre, non si d alcuna coincidenza necessaria tra la c.d. democrazia formale, che sarebbe identificata da norme relative alle procedure per le decisioni pubbliche, e la pura e semplice regola di maggioranza, anzi il puro e semplice maggioritarismo. Che le "forme" della democrazia, le procedure, consistano nel semplice garantire il crudo alternarsi della forza dei pi, scarsamente perspicuo, e non rispecchia la complessit delle cose: le procedure democratiche contengono una serie di garanzie dei singoli, delle minoranze e delle maggioranze, che toccano molteplici aspetti, dalla tutela della libert di espressione sino a quella del pluralismo, e della democrazia deliberativa.Ma anche volendo ridurre questo concetto "formale" di democrazia al maggioritarismo, altro evitare di santificare, su temi cruciali, la regola di maggioranza, altro porli fuori dalla portata di ogni scelta, come accadrebbe se si concepisse la sfera dei "diritti" in assoluto come "indecidibile". Questa una pretesa eccessiva, una sorta di onnipotenza normativa, che finisce per voler sottrarre qualcosa in radice, al principio di autolegislazione: ossia alle forme di decisione, non puramente e biecamente maggioritarie, che sulle grandi e fondamentali questioni, spettano ad ogni democrazia deliberativa, che coltivi ad un tempo il rispetto per se stessa e per la propria civilt giuridica[109]. Infine, il modo in cui funziona uno Stato di diritto viene scambiato per la sostanza del sistema democratico, quando sisostiene che le metanorme (i principi e i valori costituzionali, innanzitutto) che limitano il contenuto legittimo della deliberazione pubblica (parlamentare), le norme costituzionali che funzionano da principi informatori (e obbligatori) della legislazione, sono quel che conferirebbe alla democrazia costituzionale la sua dimensione "sostanziale". A me non pare che democrazia sia in s un regime politico giuridicamente caratterizzato dalla sottoposizione del potere a regole giuridiche (a prescindere dal loro inerire al chi, al quomodo, o al merito della decisione). Inoltre, non mi pare che la democrazia sostanziale si ottenga perch norme costituzionali disciplinano l'area dell'indecidibile (cio sottratta al potere politico, e dunque alla democrazia, e infine, de facto, alle maggioranze politiche). Intanto, questo sembra introdurre una contradictio in adjecto: non credo si possa sostenere infatti che se qualcosa viene sottratto alla democrazia politica (e viene vincolato, sino a divenire indecidibile), ci "aumenti" la dose "sostanziale" di democrazia. Qualunque cosa venga sottratta definitivamente all'autonomia pubblica e dunque all'autolegislazione (fatta eccezione ovviamente solo per ci che serve a permettere l'autolegislazione stessa) non si produce cos un incremento n una versione sostanziale, del principio di autolegislazione. Al contrario, se noi accettiamo, dal punto di vista del nostro orientamento democratico (ossia a prescindere da ogni altra possibile ragione), l'idea che costituzioni (diritti fondamentali) vincolino la deliberazione pubblica, ci perch attribuiamo alle costituzioni il valore di una pi forte, pi consapevole, pi condivisa, pi ragionevole ed anche meno transeunte espressione del principio

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deliberativo democratico: assunta in condizioni rare, al di sopra dell'ondeggiare delle contingenze e delle maggioranze[110]. Questo elemento politico-democratico, genetico, delle costituzioni, il modo (assieme alle regole organizzative circa il chi e il come delle decisioni) in cui le costituzioni contribuiscono al lato "sostanziale" delle democrazie, ossia a render possibile e concreta la realizzazione del principio di autolegislazione. Sotto questo profilo, la legittimazione che la costituzione possiede, dipesa dalla sua forza democratica, e non certo da quella "giuridica": per la sostanza della democrazia, le costituzioni hanno valore, ossia contano, dal punto di vista politico, e non dal punto di vista giuridico. Poich sono spiegabili come il pi alto prodotto della democrazia, le costituzioni acquisiscono la forza di un documento giuridico (come pure da Marbury vs. Madison, a Kelsen, sino a oggi, esse sono meritoriamente divenute) e le norme fondamentali che esse contengono sono usate come "norme di riconoscimento". Il punto di vista giuridico quello che consente loro di apparire come una limitazione al contenuto della deliberazione pubblica (la qual cosa invece indicata come "democrazia sostanziale"). Il punto di vista politico spiega come quella democrazia sia tale in base al presupposto contrario, ossia grazie al fatto che le norme fondamentali sono intese come imputabili al "popolo sovrano". Naturalmente, attraverso decisioni epocali, e processi deliberativi lunghi e complessi, quando non attraverso la maturazione di importanti esperienze storiche. E pertanto i diritti fondamentali ricevono sul piano politico, ossia dalla democrazia, il loro sostegno; mentre non facile condividere una costruzione teorica in cui i diritti fondamentali siano un dato del tutto indipendente dal riconoscimento democratico. Del resto, sostenere che i diritti fondamentali non ancora azionabili o protetti, siano una lacuna giuridica, che regole tecnico-giuridiche, logiche interne al diritto "obbligano" a colmare, un modo nobile di "inventare" norme di riconoscimento la dove non ci sono ancora, o di indicarne di effettive tra quelle che tuttavia materialmente, sostanzialmente, non funzionano come tali. E di sopperire con la circolarit dell'ordinamento, al fatto inevitabile che le norme sono norme fondamentali, e nascono come norme di riconoscimento, solo quando come tali sono "usate". In quanto documento giuridico infine, la costituzioneistituisce un particolare Stato di diritto, quello costituzionale, che introduce garanzie e/o valori precedentemente assenti nello Stato di diritto caro alla giuspubblicistica tedesca del secondo '800,e a quella italiana della prima parte del '900. Ma il venir ad essere di uno Stato di diritto costituzionale non coincide "strutturalmente" con il sorgere di una democrazia (o con il sorgere di una democrazia "sostanziale"). Se vero che alla domanda su quali siano i beni fondamentali si pu rispondere solo a posteriori [111], non c' nessun rapporto (tranne quello fattuale) necessario tra l'affermarsi di uno Stato di diritto costituzionale e il passaggio a una democrazia "sostanziale", perch non c' alcuna garanzia che l'area dei diritti fondamentali comprenda anche quelli che sono essenziale sostegno al processo democratico. In definitiva, gli Stati costituzionali di diritto segnano un passo avanti per la democrazia perch sono rafforzate, giuridicamente, le condizioni della vita democratica; queste condizioni, anche procedurali, possono essere poste al di l della disponibilit delle contingenti maggioranze semplicemente perch tutelano sia le maggioranze, sia le minoranze, sia il popolo sovrano: quel che viene reso indecidibile la democrazia stessa; ma la sottrazione di alcuni contenuti alla deliberazione ordinaria non un passaggio alla democrazia sostanziale, semplicemente una fusione, per dirla con la teoria generale kelseniana, tra sistema statico e sistema dinamico, o pi semplicemente tra morale e diritto. Il mutamento che si verifica un mutamento nello Stato di diritto, dunque, non un passaggio da una democrazia all'altra.

Note

[1]Si tratta di un'assimilazione presente anche nella sterminata letteratura in argomento. Ad ogni modo, si deve render conto del fatto ( che evidenzia per anche le incertezze con cui usata l'espressione "diritti fondamentali") che la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 contiene all'art. 8

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Diritti fondamentali

l'espressione diritti "fondamentali" conferiti all'individuo "dalla Costituzione o dalla legge". Comunque, del "quadro" fanno parte anche:l'art. 16, co. 3 , che definisce la famiglia nucleo naturale e "fondamentale", l'art. 21, co. 3, che indica la volont popolare come il "fondamento" dell'autorit; l'art. 26, co. 2 secondo cui l'istruzione deve mirare al "rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libert fondamentali" come peraltro si afferma anche nel Preambolo (diritti umani e libert fondamentali). Tendenzialmente, stato sottolineato, l'espressione "metagiuridica",rara nei documenti normativi giuridici, e scarsamente adottata dalla dottrina e nella filosofia politica (Cfr. D. Zolo, Libert, propriet ed uguaglianza. Nella teoria dei "diritti fondamentali". A proposito di un saggio di Luigi Ferrajoli, in "Teoria politica", XV, 1, 1999, pp. 3 ss.). Che si tratti di un'espressione "metagiuridica", non mi pare per affatto vero. In fondo, perch ignorare che la nostra Costituzione si apre intitolando "principi fondamentali" e che tra questi ricorrono esplicitamente "diritti inviolabili dell'uomo" (art. 2) ? Cos, a puro titolo d'esempio, gli stessi artt. 13 e sgg. poich definiscono diritti inviolabili (le libert) sono evidentemente "fondamentali". Anzi, come noto divengono fondamentali anche diritti che sono previsti in diversi ambiti della carta costituzionale (per esempio, l'art. 32 Cost. ossia il diritto alla salute, che definito come "fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettivit"). Il diritto al lavoro invece previsto in una norma, l'art. 4 Cost., inserita tra i "principi fondamentali", e dunque tale, fondamentale, anche per esplicita collocazione sistematica. Ma non qui il caso di introdurre una distesa esposizione dogmatica. [2] Quali siano i diritti fondamentali, dal punto di vista del loro contenuto, ovviamente un problema di scelte etiche. Necessari almeno i rinvii a Th. Marshall, Cittadinanza e classe sociale, a cura di P. Maranini, Torino 1976; G. Peces Barba, Teoria dei diritti fondamentali, trad. di L. Mancini, a cura di V. Ferrari, Milano 1993 : degno di nota che questo autore collochi il diritto al lavoro fuori dai diritti fondamentali, a differenza di quel che fa l'ordinamento costituzionale italiano; la teoria ritiene in questo caso il diritto al lavoro incompatibile con il carattere universale dei diritti fondamentali (anzi in particolare si tratterebbe di un diritto inesigibile perch gravante sui datori di lavoro in modo da comprimerne eccessivamente la libert) . Sulla questione dell'affermazione internazionale dei diritti, D. Archibugi, D. Beetham, Diritti umani e democrazia cosmopolitica, trad. di P. Ferretti, Milano 1998. Una rapida individuazione delle principali proposte teoriche si pu trovare in V. Ferrari, Lineamenti di sociologia del diritto, Bari 1997, sp. pp. 315 sgg.. [3] A seguito della pubblicazione del saggio di Luigi Ferrajoli, Diritti fondamentali, in "Teoria politica", 1998/2. Si veda il fascicolo successivo della stessa rivista (1999/1), con ulteriori interventi di D. Zolo, M. Jori, e L. Ferrajoli.

[4] Con il fine, ovviamente, di istituire un qualche vincolo giuridico all'implementazione e alla protezione dei diritti. [5] Una definizione "estensionale" di diritti "fondamentali", anch'essa estranea al "merito", formale, stata avanzata da Ferrajoli (op. cit.), ed basata sullanozione di universalizzabilit. Sulla stessa nozione era basata la teoria di Peces Barba, Teoria dei diritti fondamentali, cit. Tra le due proposte esistono molte affinit, alcune delle quali dipendenti da tesi omologhe (ad esempio con riguardo all'esclusione del diritto di propriet dai diritti fondamentali). Da parte mia,assumer"fondamentale" in un'accezione, adeguata all'ordinamento giuridico in uno Stato di diritto, che definisco "funzionale" (legata al concetto di norme di riconoscimento, appena richiamato). [6] A questo riguardo, recentemente, R. Dworkin, The Moral Reading and the Majoritarian Premise, in AA.VV. , Deliberative Democracy and Human Rights, New Haven and London 1999, pp. 81-115; in posizione alternativa per es. A. Calsamiglia, Constitutionalism and Democracy, ivi, pp.136-142. [7] Certamente in molti ordinamenti alcuni diritti fondamentali hanno stretta connessione con la possibilit stessa della democrazia, ma la ragione per la quale sono denominabili "fondamentali" deve dipendere dalla funzione che hanno negli ordinamenti giuridici: e non ha rapporto con la ragione per la quale tale funzione viene loro riconosciuta (da cittadini partecipi e dagli organi pubblici). [8] B. Windscheid, Diritto delle Pandette, trad. di C. Fadda e P.E. Bensa, Torino 1926 ; R. V. Jhering,

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Lo spirito del diritto romano nei diversi gradi del suo sviluppo, trad. di Luigi Bellavite, Milano 1885. [9] H. Kelsen, La dottrina pura del diritto e la giurisprudenza analitica, in Lineamenti di dottrina pura del diritto, trad. di R. Treves, Torino 1967, p. 194 (cfr. J. Austin, The Province of Jurisprudence Determined, a cura di W.E. Rumble, Cambridge 1995,p. 236). [10] Kelsen, La dottrina pura, cit., pp. 194-5. [11] A dire il vero, nella sua riduzione del diritto soggettivo a diritto oggettivo, Kelsen concepisce la norma giuridica non solo come obbligo bens anche come autorizzazione, ma conclude che se "si considera il diritto soggettivo (nel senso di autorizzazione) come una particolare struttura della funzione creatrice del diritto" (ossia come autonomia negoziale e come autonomia deliberativa pubblica), "scompare completamente ogni antitesi tra diritto oggettivo e soggettivo; e si mostra allora con particolare chiarezza il carattere primario dell'obbligo giuridico di fronte al carattere secondario dell'autorizzazione". Infatti, l'uno "appare come la funzione propria e senza eccezione di ogni norma giuridica, questa invece, come autorizzazione di diritto privato appare soltanto come un'istituzione d'un ordinamento giuridico capitalista, oppure come autorizzazione politica, appare come una istituzione di un ordinamento giuridico democratico" (Kelsen, Lineamenti, cit., pp. 86-7). [12] R. Orestano, Diritti soggettivi e diritti senza soggetto, in "Jus", XI, 1960, fasc. II. [13] "Il diritto subbiettivo pertanto la potest di volere che ha l'uomo, riconosciuto e protetto dall'ordinamento giuridico, in quanto sia rivolto ad un bene o ad un interesse" (Sistema dei diritti pubblici subbiettivi, trad. Di G. Vitagliano, Milano 1912, p. 49). [14] L. Duguit, Il diritto sociale, il diritto individuale e la trasformazione dello Stato, trad. di L. Bagolini, Firenze 1950. [15] Molti condividono l'osservazione di Olivecrona a proposito di diritti assoluti, come la propriet: "Il diritto di propriet (...) non significa che milioni di persone subiscono l'ordine di astenersi dall'interferire con un oggetto" (K.Olivecrona, Law as Fact, II edition, London 1971, p. 155).. [16] Sono obbligatori i rinvii alle opere di Hobbes (il Leviatano in particolare), di Locke (Due Trattati sul governo), Paine (I diritti dell'uomo). Per una generale discussione si pu richiamare, in una letteratura infinita, R. Tuck, Natural Rights Theories: their Origin and Development, Cambridge 1979. [17] Per tutti, cfr. N. Bobbio, L'et dei diritti, Torino 1990. [18] Garanzie primarie e garanzie secondarie espressione suggerita da L. Ferrajoli, nel suo Diritti fondamentali, in "Teoria politica", 2, 1998. [19] R. Guastini, Diritti, in Analisi e diritto, 1994, Torino 1994, p. 168 [20] Cfr. P. Monateri, Diritto soggettivo, in "Digesto" IV ed., p. 416 [21] F. Galgano, Diritto privato, Padova 1983, p. 20. [22] R. Guastini, Le garanzie dei diritti costituzionali e la teoria dell'interpretazione, in Analisi e diritto, 1990, Torino 1990, p. 100. [23] Bobbio, Teoria dell'ordinamento giuridico, in La teoria generale del diritto, Torino 1993, p. 199. [24] Kelsen, Lineamenti cit., p. 126. [25] Ivi, p. 127. [26] Scrive Ferrajoli che esistono "lacune primarie, per la mancata stipulazione degli obblighi e dei divieti che del diritto soggettivo costituiscono le garanzie primarie, e lacune secondarie, per la mancata istituzione degli organi obbligati a sanzionarne o ad invalidarne le violazioni, ossia ad applicare le garanzie secondarie. Ma anche in tali casi non possiamo negare l'esistenza del diritto soggettivo stipulato da una norma giuridica: si potr solo lamentare la lacuna che fa di esso un 'diritto di carta' " (Ferrajoli, Diritti fondamentali, cit. p.. 23). [27] Questa circostanza stata sottolineata gi da R Guastini, ma ad altri fini, in "Teoria politica", 1998\2, pp. 35 ss.. Comunque, vi stata una replica di Ferrajoli: Risposte, "Teoria politica", 1999/1. [28] Con motivazioni diverse, ha espresso analoga riserva A. Pintore, Democrazia senza diritti, in "Sociologia del diritto", 1999/4. [29] In questa logica, resta possibile salvare l'intento a)di non subordinare l'esistenza del diritto soggettivo, e quindi il suo valore normativo, a nessun'altra condizione rispetto a quelle rapprese nella sua

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definizione; b) di non vanificare tale normativit in base al mero fatto dell'inesistenza di garanzie, qualsivoglia siano; c) di non rendere eccessivamente ambiguo e labile il confine tra discorso descrittivo e normativo sul diritto, nonch il confine tra il carattere fattuale dell'operativit di un diritto e delle "protezioni" ad esso necessarie e il valore anche controfattuale e deontologico che l'ordinamento comunque attribuisce alle previsioni che accordano diritti. [30] Non faccio riferimento qui, all'astrattezza della formulazione linguistica dei diritti, ma proprio al fatto che nella realt sociale essi non acquisiscano concretezza. Questa circostanza pu certamente essere un prodotto dell'astrattezza e/o della genericit della formulazione, la quale va certamente contemplata tra le pi importanti concause. Sul rilievo della formulazione astratta, cfr. M. Jori, Ferrajoli sui diritti, in "Teoria politica", 1/1999, p. 43, nota 4. [31] Quest'ipotesi, ossia che la norma manchi di senso, secondo Kelsen "non da escludere, perch le leggi sono opera umana" (Lineamenti, cit., p. 128), ma in questo caso, Kelsen conviene che non ci sia nulla da applicare, e dunque non ci sia la norma, visto che nemmeno l'interpretazione pu "cavare dalla norma nulla di ci che non sia in essa gi prima contenuto" (ibid.). [32] Ferrajoli, Diritti fondamentali, p..23. [33] Ivi, p.22 [34] Questa mancata accettazione non una concausa, ma proprio la ragione di sintesi in cui possono riassumersi tutte le altre: per esempio il deficit semantico , l'astrattezza della formulazione linguistica sono una possibile ed evidente concausa del fatto che un diritto pur proclamato non sia accettato come una norma da seguire. Ben al di l di questo, la utilizzazione di un diritto fondamentale come "norma di riconoscimento" pu essere esemplificata (in vari modi, tra essi anche) nella vicenda che condusse alla pronuncia della Corte Costituzionale italiana (14 luglio 1986, n. 184) a proposito di danno "biologico". L'ammissibilit della tutela risarcitoria per il danno alla persona, in questa sentenza denominato danno biologico, viene desunta da un collegamento fondativo tra la tutela risarcitoria prevista per il danno ingiusto dall'art. 2043 c.c. e il diritto costituzionale alla salute ex art. 32 Cost.. Il danno alla persona deve essere sempre risarcito in quanto lesivo di una situazione soggettiva costituzionalmente garantita (come si sintetizzato, "l'art. 2043, che norma in bianco, viene integrato dall'art. 32, che ne completa il carattere di precetto primario"). L'apertura "interpretativa" promossa dalla Corte fondata sul ricorso al diritto alla salute come norma da cui discendono inevitabili conseguenze, anche re-interpretative dell'estensione di strumenti operativi, non ancora utilizzati nella direzione di proteggere e garantire quel diritto (quanto al cosiddetto danno biologico, inteso come menomazione dell'integrit psicofisica, e ben distinto dal danno non patrimoniale, e dal danno patrimoniale in senso stretto). La sentenza produsse reazioni specie dei giuristi civilisti, ma prova che sebbene nella sua formulazione il diritto alla salute non disponga specifici mezzi di tutela, se inteso come fondamentale finisce per trovare la strada di produrli, o inducendo alla produzione di nuove norme o attraverso l'interpretazione di quelle esistenti. Si legga la sentenza, e la Nota di G. Ponzanelli, in Foro it., 1986, I, 2053. Sottolinea la grande apertura di spazi interpretativi, attraverso il ricorso alla definizione costituzionale dei diritti "fondamentali", proprio nel caso della predetta sentenza, P. Monateri, La Costituzione ed il diritto privato: il caso dell'art. 32 Cost.e del danno biologico ("Staatsrecht vergeht, Privatrecht besteht"), in Foro it., 1986, I, 2976. [35] Sulla norma di riconoscimento, cfr. H.L.A. Hart, Il concetto di diritto, a cura di M. A. Cattaneo, Torino 1961, in specie pp. 118 ss., pp. 130 ss., pp. 137 ss. Quanto all'uso di metanorme sostanziali e alla loro rilevanza cfr. L. Ferrajoli, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Bari 1989, p. 353. [36] Una norma appartiene ad un sistema statico (come quello morale) in base alla conformit o deducibilit del suo contenuto rispetto a una norma fondamentale, sotto cui deve essere sussunta come il particolare si sussume all'universale. Al contrario in un sistema dinamico, indipendentemente dalla conformit del suo contenuto, la norma appartiene al sistema se l'organo che l'ha prodotta era munito della delega della relativa competenza (Cfr. Kelsen, Lineamenti cit, p. 95; N. Bobbio, Teoria dell'ordinamento giuridico, in La teoria generale del diritto, cit., pp. 201 sgg.). [37] M. Atienza eJ. R. Manero, A Theory of Legal Sentences, Dordrecht 1998, p. 152. [38] E' ben vero che un ordinamento non deve necessariamente attribuire questo ruolo decisivo a

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norme sul contenuto (di altre norme); un ordinamento potrebbe scegliere infatti esclusivamente la stabilit e la certezza delle decisioni, tendendo dunque a proteggere la validit di norme purch prodotte in conformit a norme "procedurali", sulla competenza. Ma questo non minimamente un problema, per una discussione teorica generale: il punto infatti che se si danno diritti fondamentali, in quanto tali essi agiscono come norme fondamentali del tipo "sostanziale" e non procedurale. Peraltro, come ripeter nel testo, anche metanorme di produzione (norme "procedurali") possono ben essere norme fondamentali: ma mi sembra chiaro, non sono per questo "diritti fondamentali". [39] J. Waldron, Can Communal Goods be Human Rights ?, in Id., Liberal Rights, Cambridge 1997, p. 345. [40] E non sta dunque nel fatto che l'assenza di garanzie costituisca una lacuna. D'altro canto, non mi sfugge che di per s il legislatore non pu essere costretto ad un facere, ma pu essere solo corretto in un facere. In altri termini. capisco l'importanza dell'obiezione che al legislatore che non provveda non c'apparentemente- rimedio. Tra le varie possibili repliche, credo non si debba ignorare almeno quella che sottolinea il ruolo delle corti: la disapplicazione di norme dove consentita, la sospensione dei giudizi per una questione di illegittimit costituzionale, l'applicazione di norme-principio tradotta in tutela inderogabile di un diritto in condizioni di vuoto legislativo , sono nei paesi di civil law ormai frequenti, mentre sono stati un tratto saliente di un paese di common law come gli Stati Uniti. [41] Si pu certamente obiettare che una norma in vigore non illegittima sino ad una pronuncia, che ne renda non pi controversa l'invalidit ( nel linguaggio proposto da Ferrajoli, in Diritto e ragione, cit. p. 353, cui qui aderisco). Insomma si tratta di un giudizio che pu esser dato a posteriori e non a priori (un po' come nel caso della colpevolezza dell'imputato, la quale certo sino a sentenza definitiva non pu essere pretesa, mentre deve pretendersi la non colpevolezza presuntiva). Tuttavia, la forza normativa dei diritti soggettivi e delle norme che conferiscono (o riconoscono) valore ad un bene della vita, sta appunto nel rendere possibile o piuttosto nel dare costantemente per operante (e dunque potenzialmente sempre rinnovabile) lo scrutinio di merito sui comportamenti specie legislativi o giurisdizionali che devono essere conformi al criterio assiologico precostituito. Se vero dunque che come limite di contenuto, sostanziale, verso le norme dell'ordinamento, i diritti soggettivi non possono funzionare come funzionano le norme morali principali di un sistema statico, morale, ci non toglie che il fatto empirico dell'emanazione della norma, della decisione costituzionale, della decisione giurisdizionale, della decisione legislativa, sono atti... dovuti: evidentemente perch tutti gli altri, comprese le omissioni sono, o sono assimilabili a, comportamenti illegittimi. Quanto all'illegittimit costituzionale di omissioni, assimilabili a comportamenti normativi contrastanti con la tutela di beni legati a diritti fondamentali, pu essere utile richiamare le osservazioni kelseniane a proposito dell'ipotesi (esemplificativa) che la disciplina della compravendita non stabilisca nulla circa chi debba sopportare il rischio che la cosa venduta perisca prima della consegna senza colpa delle parti: secondo Kelsen la mancanza di una regolazione qui, non una lacuna, solo, al contrario, l'aver di fatto stabilito che il venditore sopporti il rischio, attraverso la scelta di non prevedere "che il venditore venga liberato dall'obbligo di fornire la merce o di prestare il risarcimento". ( Kelsen, Lineamenti cit , p.127.). Sarebbe da dimostrare che si tratti dunque di una lacuna pi che di una scelta regolativa (attraverso l'omissione): fosse una scelta regolativa, intesa come una mera lacuna, si finirebbe per sovrascrivere una decisione politica gi presa (l'omissione come regolazione) facendo appello ad un presunto obbligo di completezza, giustificato su basi puramente formali. Utilizzare il percorso formale delle lacune, pu servire a sottrarsi ad un giudizio di merito. Tanto pi che, colmare una lacuna pu introdurre a sua volta ad un anche ampio ventaglio di possibili preferenze e scelte politiche (tutte compatibili come completamento del sistema: ad esempio, nel caso indicato da Kelsen, si pu intervenire decidendo che il rischio sia accollato effettivamente al venditore, oppure che gravi ugualmente su entrambe le parti, ecc.). [42] Credo che in questo punto possano superarsi le varie possibili obiezioni realiste circa l' (in-) esistenza di diritti, e divenga altres chiaro che il senso dell'argomentazione non che alla "law in books" debba essere attribuita una qualche ingiustificata e metafisica realt. [43] Si tratta di una tesi tradizionale e in gran parte sino ad ora fondata: la si pu trovare confermata e

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accettata nella nostra attuale teoria generale del diritto che si pronunciata sul punto (cfr. ad es. R. Guastini, Diritti, cit., p.170; sia lo stesso lavoro di Ferrajoli, Diritti fondamentali, cit.) [44] L. Ferrajoli, op.cit., riporta i diritti sociali entro la linea dei diritti fondamentali, al pari dei diritti di libert, e ad entrambe le categorie accorda carattteri comuni a tutti i diritti fondamentali, tra cui spiccano l'universalit (il dover spettare a tutti) e l'indisponibilit, caratteri questi che invece non si estendono al diritto di propriet (che infatti non appartiene a quelli fondamentali). Tuttavia, anche Ferrajoli conferma che i diritti sociali consistono in una prestazione dello Stato. Non ne ricava per la conseguenza che mancando le garanzie quei diritti siano fittizi, ma che al contrario essi come nel caso dei diritti di libert implichino un obbligo normativo a colmare le lacune, primarie e secondarie. La tesi di Ferrajoli dunque gi una risposta a quella di chi disconosce ai diritti sociali costituzionalmente previsti una natura normativa, diversa da quella"programmatica". [45] M.S. Giannini posecostantemente i diritti sociali innanzi all'obiezione realistica secondo cui essi non solo dipendono dal legislatore, ma ancor di pi dalla disponibilit delle risorse, cfr. M.S. Giannini, Stato sociale: una nozione inutile, in Aspetti e tendenze del diritto costituzionale. Scritti in onore di C. Mortati, Milano 1977, I, pp. 141 ss. [46] Per un quadro generale dei diritti sociali riconosciuti nella costituzione italiana, G. Corso, I diritti sociali nella Costituzione italiana, in "Riv. trim. dir. pub." , 1981, pp. 755 ss.. [47] C.B.Macpherson, The Rise and Fall of Economic Justice, Oxford-New Yok 1987, pp. 24 ss. < 48> [48] In questa direzione conduce anche J. Waldron, Two Faces of the Coin, in Id., Liberal rights, cit., pp. 1 e ss. [49] Barile e Cheli, Domicilio, libert di, in "Enciclopedia del diritto", ad vocem. [50] A. Pace, Problematica delle libert costituzionali, Padova 19902, sp. pp. 32 ss. [51] Cfr. O. Fiss, Liberalism Divided. Freedom of Speech and the many Uses of State Power, BoulderOxford 1996 (sp. ch. 3). [52] Si pu aggiungere quel che- in altro contesto e ad altri fini- stato osservato da P. Zatti, Verso un diritto per la bioetica, in C M. Mazzoni, a cura di, Una norma giuridica per la bioetica, Bologna 1998, pp. 72 ss. A proposito della norma italiana sull'interruzione di gravidanza, che limita la liceit dell'aborto nei primi 90 giorni in base al serio pericolo per la salute della madre, si notato come essa, "priva di complemento pratico (...) come quello della certificazione medica", appaia di fatto "platonica o ipocrita: la legge italiana farebbe una proclamazione inutile, una simulazione normativa che nasconde la sostanza della libera decisione della madre". Zatti osserva invece, che l'utilit di una norma non pu essere affatto negata, nemmeno in questo caso, se permane un valore sistematico per l'ordinamento: non n futile, n inutile la norma, visto che finisce per valere comunque come "attribuzione di rango al 'bene' della vita del nascituro, ottenuta attraverso una pietra di paragone: quel valore cede soltanto alla salute della madre, per opzione della madre stessa" (ivi, p. 73). [53] E' nota, e non c' bisogno di rigettarla, l'utilit euristica di questa grande divisione. Per il costituzionalismo dei diritti nato alla fine del settecento questa divisione un fatto storico, pi che un fatto teorico. Il c.d. Second Bill of Rights enunciato da F.D. Roosevelt nel suo famoso messaggio del 1944 sullo stato dell'unione, comprendeva diritti che non erano dati per posti nella costituzione statunitense, diritti al lavoro (utile e remunerativo), ad un salario adeguato per le necessit proprie e della propria famiglia (food clothing and recreation), ad un'abitazione dignitosa, alla salute, alla protezione e all'assistenza sociale, all'istruzione: si veda il Second Bill of Rights riportato in C. R. Sunstein, Constitutionalism. After the New Deal, 101 Harv L Rev (1987), pp. 421 ss. Tramite la distinzione suddetta, sostanzialmente si delinea il passaggio da una costituzionalismo a un altro: cfr. G. Casper, Changing Concepts of Constitutionalism: 18th to 20th Century, 1989 S Ct Rev , pp. 311 ss. [54] In fondo, la resistenza del costituzionalismo statunitense ad accettare lo sviluppo delle previsioni legislative dei welfare rights, non faceva che condurre ad una conflitto tra un'interpretazione della Costituzione delle libert (custodita dalla Corte Suprema), e una concezione di uno Stato del Welfare sostenuto da diritti "welfarist" : questa concezione si esprimeva anche attraverso lo sforzo del New Deal. Il modello europeo dei diritti sociali si andava instaurando attraverso le costituzioni, quello americano

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nonostante la costituzione, o comunque attraverso un necessario ripensamento del senso dei diritti costituzionali. In generale su questi temi si pu guardareM. A. Glendon, Rights in Twentieth-Century Constitution, in G. Stones, R. Epstein, Cass Sunstein (ed.),The Bill of Rights in the Modern State, Chicago 1992, pp. 519 ss. Per l'area europea, cfr. G. Gozzi, Democrazia e diritti. Germania: dallo Stato di diritto alla democrazia costituzionale, Bari 1999. Sulla stretta distinzione tra diritti negativi e diritti positivi, tra libert e pretese a prestazioni sociali si basa la parte pi rilevante della storia costituzionale statunitense. Sono utili per quest' ultima, M.P. Zuckert, Natural Rights and the New Republicanism, Princeton 1994; B. Ackerman, We the People. Foundations, Cambridge Mass. 1991. [55] Ci non esclude totalmente la validit delle tesi secondo cui si danno due categorie di diritti fondamentali: "diritti immutabili ed assoluti che esistono in qualsiasi epoca o qualunque sia l'ideologia dominante; e altri diritti, noti come diritti economici e sociali, che 'portano con s un certo coefficiente di contingenza e relativit' e il cui riconoscimento una funzione dello stato della societ e della sua evoluzione" (L. Favoreu, La Protection des Droits Economiques et Sociaux dans les Constitutions, in Conflict and Integration: Comparative Law in the Wolrd Today, Chuo 1989, pp. 32-3). [56] Questi sono gli ideali contemporanei che secondo E. Denninger, State Tasks and Human Rights, in "Ratio Iuris", vol.12, n. 1, 1999, pp. 1-10, sostituiscono quelli rivoluzionari. [57] Ferrajoli, op. cit. pp. 10-11 [58] Sul significato di "indisponibile" nonch sull'irrinunciabilit, dei diritti fondamentali, anche in relazione al rapporto tra diritti fondamentali e propriet, meritano un'attenta riflessione le considerazioni di Jori, Ferrajoli sui diritti, cit. pp. 31-9. [59] Ferrajoli, op. cit. pp. 10-11. Discuto questi argomenti infra nel VIII. Rammento che nel lavoro di Ferrajoli si sostiene tra l'altro: contro Locke, e il pensiero rivoluzionario francese (art. 2 dichiaraz. 1789), che l'elevazione della propriet a fondamentale sia dipesa da un equivoco: ossia la confusione tra il diritto civile dipendente dal possesso della capacit d'agire, ad acquisire la propriet e il diritto di propriet in senso stretto ossia di godere e disporre di un certo determinato bene. L'uno un diritto fondamentale, l'altro no, perch ius excludendi alios: se A proprietario di qualcosa, non pu esserlo B. Invece, sono fondamentali i diritti sociali, la cui universalit non esclusa dal diverso contenuto che essi potrebbero avere in relazione alle condizioni delle singole persone. [60] Si noti che ci non dovrebbe valere con riferimento al diritto in senso astratto, ossia come diritto di libert(secondo la distinzione di cui supra, nota 59). Al di sotto del diritto di propriet come diritto reale, diritto patrimoniale, starebbe un astratto diritto (ammesso che la distinzione concettuale abbia senso) di diventare proprietario (ma anche anche al di sotto dei diritti sociali sta un diritto di libert, in senso lato, a divenire lavoratore, ad essere sano, a disporre di un'abitazione, a istruirsi e via seguendo). [61] Nel rapporto con i diritti patrimoniali, i diritti sociali mostrano legami difficilmente dissolubili: la copertura delle risorse necessarie per la difesa del bene "salute degli individui" comporta profonde incisioni sulle "propriet" dei singoli, e cresce o diminuisce proporzionalmente ad esse; per di pi, del tutto plausibile un'inversione della proporzione tra misura della prestazione e misura della propriet privata, nel senso che la prestazione statale pu non essere dovuta o diminuire sensibilmente (per legge) in dipendenza delle risorse private possedute [62] Per la spiegazione dei due modelli, vd. M. Ferrera, Modelli di solidariet. Politica e riforme sociali nelle democrazie, Bologna 1993. [63] In un certo senso, se vero che tutti abbiamo diritto alla salute (come, in astratto, a divenire proprietari), se vero che pur avendo il diritto a divenire proprietari non per questo abbiamo il diritto ad esserlo tutti ugualmente delle stesse cose, allora anche nel caso dei diritti sociali pu non essere vero che abbiamo diritto alle stesse prestazioni da parte dello Stato: a ben guardare, questo non sarebbe fondamentale se non per una concezione, statica, non distributiva dell'uguaglianza sostanziale; inoltre sarebbe una illogica conseguenza che il diritto alla salute fosse inteso come un diritto di uguaglianza, ad essere uguali nel senso di ricevere prestazioni uguali, laddove la questione ben diversa, ossia che deve essere tutelato il raggiungimento di un bene reputato fondamentale; la solidariet sociale in realt qui richiede una diversificazione delle prestazioni a seconda dei bisogni, il che vale sia in relazione alla

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Diritti fondamentali

salute o malattia, che costringono lo stato ad attivit diverse (nel primo caso solo preventive, nel secondo curative), sia eventualmente in relazione alle risorse o alla volont dei singoli (in quest'ultimo caso, la rinuncia alla prestazione statale, con il ricorso a strutture sanitarie private si configura come una rinuncia ad un diritto irrinunciabile, se veramente il diritto consistesse nel ricevere una prestazione statale). Pertanto, il diritto sociale non dovrebbe essere definito come un diritto a una prestazione statale, per quanto questo schema giuridico sia per altri versi dominante e abbia (per la teoria di Ferrajoli) il vantaggio di poter preludere alla nozione di obbligo (statale) e a quella di lacuna (nell'eventualit che l'ordinamento non preveda garanzie effettive). [64] Oltre le moderatissime tesi di Hayek, quelle conservatrici la Nozik, preferisco qui esemplificare le pi radicali e ingovernabili pretese di Murray Rothbard, For a New Liberty, Chicago 1973, per esempio, pp. 220-1: "Abolizione del settore pubblico significa (...) che tutti i pezzi di terra, tutte le aree territoriali, incluse strade e vie di comunicazione, siano possedute privatamente, da individui, imprese, cooperative, o qualsiasi altro raggruppamento volontario di individui e capitali (...) Tutto ci di cui abbiamo bisogno riorientare il nostro pensiero sino a prendere in considerazione un mondo in cui tutto il territorio sia posseduto privatamente". [65] Waldron, Two Sides of the Coin, cit., p. 20 [66] Rimando per tesi che poggiano su questa referenzialit, tra gli altri a P. Haeberle, Le libert fondamentali nello stato costituzionale, a cura di P. Ridola, Firenze 1993 ; e U. K. Preuss, The concepts of Rights and the Welfare State, in G. Teubner (ed.), Dilemmas of Law in the Welfare State, Berlin-New York 1986 (pp. 151 ss.). [67] E' possibile mutuare se non altro il riferimento al termine "decente", nella teoria socio-politica contemporanea, dallavoro di Avishai Margalit, La societ decente, a cura di Andrea Villani, Milano 1998. [68] Richiama bene questo punto, Jori, Ferrajoli sui diritti, cit., p. 27. [69] M.S. Giannini non solo sottoline il forte vincolo economico che i diritti sociali comportano (e quindi, come ricordato supra, la loro astrattezza e il loro restare lettera morta in mancanza di risorse), ma rilev altres l'insussistenza di rimedi giurisdizionali nei confronti delle omissioni del potere legislativo (Cfr. Id., Stato sociale una nozione inutile, cit. p. 160). [70] Sul carattere del giudizio cfr. G. Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, Bologna 1988. [71] Per queste ed altre importanti chiarificazioni in ordine al ruolo e al funzionamento dei diritti in ambito comunitario, si rinvia all'ottimo lavoro di L. Azzena, L'integrazione attraverso i diritti. Dal cittadino italiano al cittadino europeo, Torino 1998, pp. 225 ss. [72] Cfr. L. Azzena, L'integrazione attraverso i diritti, cit., pp. 226-7. [73] Glendon, op. cit., p. 533. [74] Mi sembra prevalentemente questa la logica del discorso di S. Holmes, C. Sunstein, The Cost of Rights, New York 1999. Inoltre, si noti che Holmes e Sunstein ricostruiscono anche il diritto di propriet come basato sul prelievo fiscale, ossia su costi pubblici, senza i quali non sarebbe possibile godere di alcuna propriet. E persino i diritti di welfare possono presentarsi tra i costi necessari per sostenere e difendere la propriet, sino ad apparire come uno scambio tra la tutela delle propriet private e le esigenze dei meno abbienti (ivi, pp. 30-1; pp. 204 ss.), [75] Peces-Barba, Teoria dei diritti fondamentali, cit., p. 85 [76] Ivi, p. 84. Sarebbero dunque fondamentali diritti che storicamente appaiono sia dotati di radice morale sia presenti nell'ordinamento. [77] Sono moralmente giustificati i diritti che tendono alla realizzazione della persona umana nella vita sociale (ivi, pp.186-7). E dunque identificare ci che conta a questi fini, dipende dall'analisi diacronica (ivi, p. 188) da cui Peces Barba evince che dove non c' uguaglianza la libert non si compie; la libert sempre egualitaria: essa ci richiede di "cercare di rendere (la libert) possibile per tutti" (ibid.). [78] Si tratta di una definizione sin qui eccessivamente debitrice della mano autorevole della "pubblica autorit" che sola pu mediare tra giustizia e forza, tra valori morali e diritto positivo. [79] Ivi, p. 90. Comunque cosa debba definirsi fondamentale Peces-Barba lo dice analiticamente (pp. 90 e ss.).

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Diritti fondamentali

[80] Ferrajoli, Diritti cit., p.14. Naturalmente, questo significherebbe che, a posteriori, possiamo individuare i diritti fondamentali grazie alla forma universale, indisponibile, costituzionale. Non credo che questa "forma" sia condicio sine qua non, n credo sia sufficiente ad identificare lo status di diritti fondamentali in un ordinamento. [81] Peces Barba, op. cit., p. 152 (la propriet nel Patto esclusa dal testo principale e relegata al protocollo addizionale; e nella Cost. Spagnola del 1978 esclusa dal ricorso de amparo e resa limitabile per legge). [82] Ivi, p. 86 e passim. [83] Credo che queste tesi siano deboli. La versione "sociologica" offerta da Peces Barba si riferisce ad un'impossibilit de facto dipendente da circostanze esterne e oggettive; pi rarefatta e meno esposta la concezione di Ferrajoli che sembra farne una questione di irripetibilit e di individualizzazione dei beni concretamente oggetto del diritto reale, ossia una questione logica (piuttosto che una questione economica, materialmente connessa alla disponibilit delle risorse). Tuttavia, si noti che anche in questa diversa versione, il concetto di scarsit a riemergere, perch relativamente a classi di beni, un'ipotetica abbondanza assoluta probabilmente priverebbe di interesse- se non di fondamento- l'irripetibilit e l'individualit del bene posseduto. [84] Per questi temi, e per i rinvii bibliografici, mi permetto di rimandare a G. Palombella, Diritto e artificio in David Hume, Milano 1984. [85] Al contrario di quel che sostengono tra gli altri, con argomenti diversi, Peces Barba e Ferrajoli. Naturalmente, se si trattasse di un equivoco, ci sarebbe un modo di uscirne: rinunciare senza scrupoli alla liberale libert di appropriazione: il che arduo, a quanto pare, anche per le teorie normative democratiche. [86] Cfr. anche supra, al paragrafo IV, nota 39, e testo corrispondente. [87] Nel contempo, diviene possibile riconoscere che difficilmente qualcuno dei fondamentali diritti umani pu essere ridotto ad uno dei c.d. elementi semplici hohfeldiani: un diritto soggettivo potrebbe contenerli tendenzialmente tutti, sia pretese, che poteri, privilegi, immunit (e certo anche senza esclusione di volta in volta delle corrispondenti posizioni "opposte" o "correlative". (Cfr. W. Hohfeld,, Concetti giuridici fondamentali, a cura di M. G. Losano, Torino 1969 (Fundamental Legal Conceptions as Applied in Judicial Reasoning and Other Legal Essays, New Haven 1923). E' da notare ci che scrive a questo riguardo. J. Waldron (ed.), Theories of Rights, Introduction, Oxford 19957 p. 10; e ancora, Sunstein e Holmes, op. cit., p. 239, nota 4 (che considerano da parte loro insoddisfacente la quadripartizione hohfeldiana poich poteri immunit e persino i permessi tutti implicitamente contengono pretese "alle prestazioni statali e alle risorse pubbliche"). [88] E. Denninger, State Tasks and Human Rights, cit., p. 8 [89] Ibid.. [90] Cos conclude anche Deninger, ivi, p. 9. [91] A me sembra che sia proprio questa circostanza ad aver stimolato una proposta come quella, cui spesso ho qui accennato, avanzata da Luigi Ferrajoli: la sua tesi , alla fine, trasformare in obbligatoria giuridicamente, in nome del principio di completezza dell'ordinamento, la costruzione delle garanzie dei diritti, ponendo la loro assenza sul piano di un'indebita lacuna. Ma ne ho gi discusso supra. [92] Rifiuto di distinguere, a questo riguardo, tra norme fondamentali e diritti fondamentali, poich non credo accettabile che un qualche grado "fondamentale" sia ascrivibile giuridicamente a un certo insieme di diritti, e che questo non avvenga tramite norme anch'esse "fondamentali". [93] Si tratta di un effetto decisamente perverso, del rango cui quei diritti vengono elevati e "giuridificati". In realt, si deve riconoscere che il problema della validit giuridica di un ordinamento, ovvero di una costituzione, non tale, trattandosi piuttosto di un problema sociologico, politico. [94] Naturalmente la indicazione di queste tre categorie, anzi classi, non teorica ma fattuale: ossia si tratta delle classi normalmente usate negli stati costituzionali occidentali contemporanei. La tesi teorica si intende come ben adeguata alla situazione di fatto esistente nei paesi occidentali: poich di fatto i paesi occidentali attribuiscono i diritti fondamentali a tutte le persone, una volta che la cittadinanza, ultimo

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Diritti fondamentali

baluardo dell'esclusione, fosse annullata, allora diritti fondamentali finiranno per coincidere con i diritti di tutti gli uomini. Insomma, il significato della teoria si comprende se applicata alla situazione storica corrente e ai paesi occidentali [95] La scala della meritevolezza e dunque dell'estensione della classe un dato, e comunque risulta da una scelta: che a meritare la tutela siano gli uomini, piuttosto che una serie di altri soggetti gi di per s un problema E' noto che si pu passare da concezioni che estendono i diritti agli agenti morali sino a quelle che pongono il problema di altri esseri, o degli esseri umani privi di attuali facolt, e cos via (Cfr. Per esempio, A. Gewirth, Human Rights. Essay on Justifications and Applications , Chicago 1982; T. Regan (ed.), Matters of Life and Death, New York 1980.) [96] Secondo il funzionamento di un sistema che Kelsen chiamerebbe statico. [97] Questa volta secondo le regole di funzionamento di un sistema dinamico. [98] E' oggettivamente una manifestazione di questa tendenza, l'idea che la mancanza di misure materiali di protezione del diritto rappresenti una carenza nel diritto (lacune), pi che una carenza nell'attuazione di esso. [99] Ovviamente, Kelsen non apprezzerebbe questo uso libero delle nozioni di fondante e di fondato. [100] Mostrando un comune sentire con Dworkin e richiamandosi allo studioso americano, questo per esempio quanto sostiene Ferrajoli, Diritti fondamentali, cit., p. 29. [101] Cfr. R. Dworkin, Taking Rights Seriously, Cambridge 1978, pp. 232 ss., pp. 270 ss, pp. 355 ss. [102] In realt, la priorit dei diritti pone molti pi problemi di quanti ne aiuti a risolvere; perch la stessa trasformazione degli interessi in "diritti" soggettivi richiede un criterio condiviso; perch la stessa attribuzione di un diritto soggettivo seleziona e privilegia alcuni interessi piuttosto che altri; la legislazione sociale introduce elementi e logiche "distributive"; mentre i diritti soggettivi tendono ad essere garantiti senza condizionamenti ossia senza specifiche e connesse responsabilit nei confronti della societ in generale (Su questo cfr. Preuss, The Concept of Rights, cit., sp. pp. 158 ss). La dottrina e l'analisi sociologica hanno ormai ben presenti gli effetti. inflattivi , quelli paralizzanti e quelli conflittuali del contrapporsi di pretese tutte egualmente autofondate (cfr. tra gli altri V. Ferrari, Giustizia e diritti umani, Milano 1995). [103] Concezioni del genere, per quanto qui non condivise, sono piuttosto consuete: le si trova per esempio in G. Gozzi,op.cit. [104] Cfr. a questo riguardo le osservazioni contenute supra, I. [105] Questo non significa che un sistema politico e in particolare la forma democratica, manchi a sua volta di ragioni sostanziali, e si esaurisca in procedure prive di scopo, di valori propri ( cfr. per esempio R. Dahl, La democrazia e i suoi critici, trad. Scriptorium snc., Roma 1990, per la democrazia come perseguimento del bene comune ). [106] Cfr. Ferrajoli, Diritti fondamentali, cit., pp. 15-6 [107] Naturalmente, ancora una volta questione di fatto a chi si estenda la classe dei titolari di un determinato diritto: cos potrebbe venir sottratto alla decisione della maggioranza (di coloro che hanno diritto al voto) un diritto che non appartiene affatto a tutti, ma a pochi (tutti i fumatori, tutti i proprietari di immobili) o che non riguarda nemmeno tutti coloro che hanno il diritto di voto (in questo caso, avrebbe forse maggiore efficacia il gi ricordato argomento dworkiniano circa la scorrettezza delle c.d. preferenze esterne). [108] Ivi, p. 17. Teorie formali e non normative dei diritti fondamentali che dunque non assumano la responsabilit etico-politica della propria scelta di merito, e non contengano un'esplicita opzione "materiale" circa il novero dei diritti fondamentali, non possono aspirare a porre i presupposti di una specifica teoria della giustizia o della stessa democrazia "sostanziale". [109] Che una democrazia non si esaurisca nell'esercizio della potest decisiva delle maggioranze, e che essa consista innanzitutto nelle vie percorribili per la formazione delle maggioranze, per il confronto tra gli interessi in conflitto, per la protezione della comunicazione pubblica, per la tutela della libert e della correttezza dell'informazione, tesi pacifica su cui qui non occorre ritornare. [110] Ho affrontato questo tema nel mio libro Costituzione e sovranit. Il senso della democrazia

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Diritti fondamentali

costituzionale, Bari 1997, al quale mi permetto di rimandare. [111] Ferrajoli, Diritti fondamentali, cit., p. 14.

RFC L'autore sar grato a chi gli invier commenti e critiche all'indirizzo glpalomb@ec.unipi.it. Il testo di questo articolo, in formato rtf zippato, pu essere prelevato qui.

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Maria Rosaria Marella, Appunti sull'influenza di Marx nel femminismo giuridico

a cura di Maria Chiara Pievatolo pievatolo@dsp.unipi.it Ultimo aggiornamento: 27 aprile 2001

Break On Through To The Other Side Appunti sull'influenza di Marx nel femminismo giuridico *
di Maria Rosaria Marella

1. 2. 3. 4. 5.

Il sodalizio fra marxismo e femminismo Le accuse reciproche Toward a Feminist Theory of the State Potere maschile e diritto Sex Equality under Law

6. 7. 8. 9. 10.

Cosa morto di una teoria femminista dello stato Cosa vivo di Marx nel femminismo giuridico Il sesso del diritto Il rapporto dialettico fra famiglia e mercato Sul femminismo pragmatico, a mo' di conclusione

In questo lavoro affronto la complessa questione dei rapporti fra marxismo e femminismo con esclusivo riguardo al femminismo giuridico1, facendo particolare riferimento al dibattito nordamericano che offre l'esperienza pi compiuta in questo senso 2. Che cosa si intende per femminismo giuridico? Pur nella variet delle impostazioni metodologiche e delle opzioni politiche che si raccolgono sotto questa etichetta, possibile ravvisarne il carattere identificativo nell'idea di usare lo strumentario giuridico per mettere in discussione, contrastare, sovvertire il dominio maschile nella societ. Muovendo dall'idea che la societ gerarchicamente ordinata secondo la logica del genere, cio patriarcale e caratterizzata dalla subordinazione delle donne agli uomini, si intraprende un'analisi del diritto che tende a mettere in evidenza come anche il diritto sia partecipe nella fondazione di una societ patriarcale, come anzi siano il diritto e la cultura, non la natura, ad aver relegato le donne nella sfera del domestico, rendendole dipendenti economicamente dagli uomini. L'idea comune a tutte le giuriste femministe americane dunque quella di mettere in discussione l'ideologia che dietro un sistema giuridico che ha costruito e legittimato la disparit di opportunit fra individui appartenenti ai due generi.

Il sodalizio fra marxismo e femminismo

*Il testo, ampliato e corredato di note, riproduce la relazione tenuta nel corso del seminario di studi "Cosa vivo, cosa morto di Marx", svoltosi a Roma, presso la Fondazione Basso, il 10 ottobre scorso. Ringrazio Duncan Kennedy per i preziosi commenti al primo draft del lavoro. Una versione cartacea in corso di pubblicazione presso la Rivista critica del diritto privato. 1 L'influenza di Marx sul femminismo come movimento politico e fenomeno culturale, da Simone de Beauvoir in poi, non pu essere oggetto di analisi in questa sede. Per una sintesi cfr. Restaino e Cavarero, Le filosofie femministe, Torino, Paravia. 1999. 2 Sarebbe stato certamente difficile riferirmi al panorama culturale italiano, nel quale l'interesse dei giuristi per le questioni di genere e il pluralismo della cultura accademica, per quanto lodevoli, non hanno mai prodotto nulla di lontanamente paragonabile a ci che oltreoceano, col nome di Feminist Jurisprudence o Feminist Legal Theory, oggetto di riviste giuridiche specializzate e materia di insegnamento nelle law schools.

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Maria Rosaria Marella, Appunti sull'influenza di Marx nel femminismo giuridico

a cura di Maria Chiara Pievatolo pievatolo@dsp.unipi.it Ultimo aggiornamento: 27 aprile 2001

1. Il sodalizio fra marxismo e femminismo


Il femminismo, negli anni '60 e '70 in particolare, appare spesso strettamente legato al marxismo, fino talvolta a rischiare di veder sacrificata l'originalit dei propri motivi ispiratori. Come ebbe a dire una femminista americana, Heidi Hartmann, a met degli anni '70: "il tradizionale sodalizio fra marxismo e femminismo assomiglia al rapporto fra marito e moglie nel vecchio matrimonio del common law inglese: marxismo e femminismo sono una sola cosa e quella cosa il marxismo 1. ora di cercare un rapporto pi equo fra i due partner, altrimenti meglio il divorzio!". Come sia andata a finire quanto cercheremo di capire nelle prossime pagine. Per certo, andata emergendo sempre pi chiaramente, soprattutto di recente, l'insoddisfazione per ricostruzioni del rapporto fra i sessi e delle strutture sociali fondate sull'ineguaglianza di genere che muovano da una critica sociale con pretese universaliste, per approcci troppo generali e astratti che non riescono a spiegare una condizione, quella femminile, la cui subordinazione non collegata alle realt capitalistiche e risulta trasversale rispetto a divisioni di classe e a differenze culturali 2. Tuttavia direi sin da ora che se resta valido il motivo di fondo comune a tutti i femminismi ed alle analisi giuridiche femministe, cio la critica al patriarcato, quindi alla struttura della famiglia, alla sfera del domestico, del privato come realm separato e contrapposto alla sfera del pubblico, questa risulta indissolubilmente legata ad un'analisi marxista delle strutture sociali e giuridiche. Ad esempio, l'idea che la fisionomia della famiglia nel diritto liberale rappresenti il "residuo tollerato" della societ patriarcale gi chiaramente delineata in Marx. Ne L'ideologia tedesca Marx sostiene che il capitalismo non ha mutato in teoria le relazioni familiari, perch sulla famiglia che la borghesia ha eretto il suo dominio e la famiglia borghese ci che consente al borghese di essere tale. In quest'osservazione altres presente l'idea del rapporto dialettico (quell'idea di unit dei contrari) che il 'residuo tollerato' intrattiene col contesto e con la struttura economica. Nota infatti Marx che, nonostante questa sua apparenza, la famiglia borghese ha nella pratica un forte contenuto patrimoniale, essendo fondata sul capitale e sul profitto, cosicch in questa forma estranea all'esperienza del proletariato e trova invece il suo complemento nella prostituzione 3. Si tratta di spunti che troveranno un'ampio sviluppo in certa critica femminista ai dualismi propri del diritto liberale (del patriarcato liberale), come quello, classico, fra famiglia e mercato (v. 7). poi ovvia l'influenza che sul femminismo hanno avuto le analisi dell'Engels de "Le Origini della famiglia": la struttura della famiglia nella societ classista come origine dell'oppressione delle donne come gruppo, la subordinazione femminile come prodotto della sua esclusione dai rapporti produttivi e la sua relegazione nell'universo 'privato' della famiglia nucleare. E importanti analogie emergono sul piano della critica e dell'uso del diritto. Sotto questo aspetto fondamentale l'analogia di percorso con alcune applicazioni degli schemi marxiani del Capitale all'analisi del diritto liberale: come nel rapporto fra scambio e produzione la struttura egalitaria dello scambio nelle

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Maria Rosaria Marella, Appunti sull'influenza di Marx nel femminismo giuridico

relazioni negoziali fra privati cela e presuppone il diritto ineguale delle relazioni produttive, fondato sullo sfruttamento dei lavoratori ad opera del capitalismo borghese (lo ricorda un teorico del diritto sovietico come Stucka), cos nella scissione fra pubblico e domestico, fra sfera del mercato e privatezza della famiglia, il diritto degli uguali proprio del mercato, cio dello scambio contrattuale, cela e presuppone un sistema di relazioni giuridiche gerarchicamente ordinate, fondate sulla disuguaglianza di genere, quale il regime della famiglia nel diritto liberale. Per questa via viene in evidenza l'ideologia che dietro il diritto, il diritto come sistema di ineguaglianza che si afferma attraverso l'uguaglianza stessa 4.

Le accuse reciproche Torna all'indice

1 "By marriage, the husband and wife are one person in law; that is the very being of legal existence of the woman is suspended during the marriage" cos resa la finzione giuridica della conversione di moglie e marito in un'unica persona, il marito, nelle parole di Blackstone, su cui cfr. A. De Vita, Note per una comparazione, in Brunetta d'Usseaux, D'Angelo (curr.), Matrimonio, matrimonii, Milano, 2000, 159. 2 Deborah Rhode, Justice and Gender, 1989, 316. 3 K. Marx, L'ideologia tedesca, trad.it., Roma, Editori Riuniti, 1967. 4 Umberto Cerroni, Introduzione a Petr I. Stucka, La funzione rivoluzionaria del diritto e dello stato, trad. it., Einaudi, Torino, 1967, XXXIII.

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Maria Rosaria Marella, Appunti sull'influenza di Marx nel femminismo giuridico

a cura di Maria Chiara Pievatolo pievatolo@dsp.unipi.it Ultimo aggiornamento: 27 aprile 2001

2. Le accuse reciproche
Nella fase in cui i tentativi di costruire una teoria femminista sono stati maggiormente tributari del marxismo, molte sono le critiche e le accuse che i due partner di questo matrimonio old style si sono scambiate. Il marxismo ha accusato il femminismo di essere un movimento borghese nella teoria e nella prassi, assumendo che un'analisi dei rapporti sociali basata sul genere oscura la centralit del concetto di classe; di pi: con la sua trasversalit crea divisioni all'interno del proletariato a vantaggio della classe dominante. Gli obiettivi perseguiti dal femminismo possono essere raggiunti anche all'interno del capitalismo. L'eliminazione degli ostacoli che inibiscono lo sviluppo della personalit femminile una finalit propria di un movimento individualista e liberale. I prodromi di questo atteggiamento sono gi nel modo in cui Rosa Luxemburg giudica le suffragette, donne pronte, acquistato il diritto al voto, a servire l'interesse del capitale e dei clericali, parassite dei parassiti dei lavoratori. Similmente John Stuart Mill, motivato da tutt'altre intenzioni, predica l'estensione del suffragio alle donne, assumendo che in fondo non vi fosse motivo di credere che al voto si sarebbero comportate diversamente dagli uomini della classe cui appartenevano 1. Ecco quindi le critiche che il femminismo muove al marxismo, fondamentalmente proprio il fatto di credere, non diversamente dal pensiero liberale, che la differenza di sesso sia un fatto pre-sociale, ci che caratterizza e accomuna le donne sia un fatto di natura, non di costruzione sociale. Di non vedere, diversamente da quanto accade per la classe, che sul terreno del genere il confine fra sociale e presociale una linea che la societ stessa traccia. Marx stesso non considera la famiglia un luogo di subordinazione della donna quando critica il capitalismo per aver portato le donne nelle fabbriche alterando gli equilibri della vita familiare. Il marxismo sarebbe perci maschilista nella teoria e nella prassi, l'analisi della societ in termini esclusivi di classe trascurando la centralit della differenza sessuale e minando l'unit delle donne come soggetto collettivo. Il sesso, come la razza, la nazionalit, in quanto momenti di differenza e contrapposizione fra gruppi, sarebbero mal tollerati perch visti come ostacoli alla primazia della classe come categoria fondamentale di analisi. Gli obiettivi di rinnovamento sociale propri del marxismo sono tali da potersi realizzare lasciando inalterate le condizioni sociali delle donne, cio la diseguaglianza fra i sessi 2. Ciascuna delle due teorie ha accusato l'altra di riformismo, cio di perseguire soltanto una legal reform tale da lasciare inalterato, dal proprio punto di vista, un equilibrio sociale fondato su profonde diseguaglianze, per realizzare solo quelle minime alterazioni dello status quo capaci di renderlo pi accettabile senza modificarlo nei rapporti di forza che ne costituiscono il fondamento.

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Toward a Feminist Theory of the State Torna all'indice

1 C. MacKinnon, Toward a Feminist Theory of the State, Harvard University Press, 1989, 37 ss. 2 MacKinnon, Toward, cit., 13 ss.

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3. Toward a Feminist Theory of the State


Un tentativo di sintesi si deve a quell'ala del movimento femminista conosciuto come femminismo radicale. Sul piano giuridico l'elaborazione teorica pi compiuta e nota si deve a Catharine McKinnon, giurista dalla personalit carismatica e complessa, la cui produzione si presenta del pari controversa ma, ad un tempo, dotata di rara capacit divulgativa. 1 Il femminismo radicale inaugura un movimento nuovo e originale che nel panorama politico e culturale americano si pone accanto a due altre principali forme di femminismo, il femminismo liberal e quello culturale. Il femminismo liberal si batte innanzitutto per l'uguaglianza formale e predica la simmetria fra i sessi, quindi anche la garanzia di diritti simmetrici. Il suo obiettivo quello di abolire la diversit di trattamento e con essa lo stereotipo culturale dell'inferiorit della donna 2. Il femminismo culturale quello che in America si ispira al lavoro di Carol Gilligan In A Different Voice 3; muove dalle peculiarit morali delle donne e afferma la differenza femminile come valore. denominato culturale perch sostiene la necessit di affermare la liberazione delle donne attraverso l'affermazione di una controcultura femminile. la corrente femminista che in Italia ha avuto maggiore successo fra le intellettuali, soprattutto fra le filosofe, per influsso dell'opera della francese Luce Irigaray 4. Nel diritto americano adotta questa impostazione ad es. Leslie Bender 5, che trasferisce l'ottica del caring, love & affection nell'analisi del tort law. Nel femminismo radicale di Catharine MacKinnon la teoria marxista presa a modello perch rappresenta quella tradizione teorica contemporanea che si confronta con il dominio sociale organizzato, lo analizza in prospettiva dinamica, individua le forze sociali sistematicamente costitutive degli imperativi sociali 6. Si occupa della nozione di classe e offre tanto una critica dell'inevitabilit e dell'interna coerenza dell'ingiustizia sociale, quanto una teoria delle possibilit e della necessit di un cambiamento. Il marxismo come il femminismo una teoria del potere nella societ e delle sue sperequazioni, entrambe forniscono un'analisi delle diseguaglianze sociali. L'oggetto dell'indagine di MacKinnon per la subordinazione della donna nelle sue radici non economiche ma sessuali. Dal femminismo liberal, fondato sulla denuncia delle discriminazioni e finalizzato alla rivendicazione di pari dignit e pari diritti, il femmismo radicale si differenzia appunto per quanto prende a modello dal marxismo. Sul piano dell'analisi all'individualismo liberale si contrappone una visione collettiva delle donne come gruppo, la costruzione sociale del sesso contro la naturalit della differernza sessuale. Per il femminismo liberal il genere fonte di discriminazioni irrazionali, inutilmente limitative delle potenzialit delle persone di sesso femminile, che sono in origine uguali agli uomini. Per il femminismo radicale, invece, il genere l'indice di un sistema di potere basato sulla sessualit: il sessismo che produce un
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Maria Rosaria Marella, Appunti sull'influenza di Marx nel femminismo giuridico

fatto del tutto indipendente dalla biologia, un fatto unicamente sociale. La posizione del femminismo culturale d'altro canto giudicata da MacKinnon una strategia perdente e come tale rigettata: l'esaltazione delle qualit morali e psicologiche che determinano la differenza femminile costituisce un boomerang che rinforza la subordinazione delle donne, cui quelle pretese peculiarit sono imposte da un sistema di potere sessista che le utilizza a beneficio degli uomini, o, nella migliore delle ipotesi, costituiscono le uniche possibili modalit di partecipazione al sociale consentite alle donne. "La differenza [sessuale] il guanto di velluto posto sul pugno di ferro del dominio". nell'interesse degli uomini che le donne accolgano una visione essenzialista di se stesse fondata sull'idealizzazione di quelle doti femminili, quali la solidariet, l'altruismo, la cura dell'altro, che le rendono sostanzialmente passive. Una tale visione paga solo all'interno del patriarcato liberale, e intralcia qualsiasi tentativo di mutamento del regime. Dice MacKinnon :"La genialit del sistema quella di richiedere per sopravvivere al suo interno strategie esattamente opposte a quanto richiesto per mutarlo" 7; "Quando la differenza equivale a subordinazione, affermare la differenza affermare le caratteristiche dei diseredati" 8. Secondo la sintesi che MacKinnon stessa suggerisce: la sessualit sta al femminismo radicale come il lavoro sta al marxismo. Se nella teoria marxista la societ costruita dalle relazioni che le persone intrecciano intorno alla produzione dei beni necessari alla sopravvivenza, nel femminismo radicale la sessualit organizza la societ nei due sessi e questa divisione perrmea di s ogni relazione sociale. Nel marxismo il lavoro quel processo sociale che, trasformando la realt materiale, fa degli individui degli esseri sociali connotati dalla loro capacit di produrre valore: la classe la sua struttura, la produzione la sua conseguenza, il capitale la sua forma congeniale, il controllo il suo oggetto. Parallelamente in MacKinnon, la sessualit non 'natura' ma quel processo sociale che crea e organizza le relazioni di genere, dando vita agli uomini e alle donne, alle loro relazioni che costruiscono la societ. Come il lavoro in Marx, la sessualit socialmente costruita e insieme costitutiva della societ, universale perch riguarda tutti, ma storicamente determinata. Come l'espropriazione sistematica del lavoro di alcuni a beneficio di altri definisce una classe, i lavoratori, cos l'espropriazione sistematica della sessualit di alcuni in favore di altri definisce un sesso, quello femminile. Di questo sistema sociale, l'eterosessualit costituisce la struttura, il desiderio erotico la dinamica interna, il genere e la famiglia le sue forme congeniali, i ruoli sessuali le qualit che definiscono socialmente la persona, la riproduzione la sua conseguenza, il controllo il suo oggetto 9. Il marxismo ha considerato la 'questione femminile', ma ha totalmente mancato di analizzare la sessualit come fonte di oppressione femminile. Ha giocato la sua analisi della condizione delle donne solo in termini di classe, valutando la distinzione fra lavoro e vita domestica propria del sistema capitalistico in una prospettiva naturalistica, associandola alla distinzione fra mercato e sfera domestica, fra pubblico e privato, in ultima analisi: fra maschile e femminile, senza metterne in luce la valenza politica, senza, cio, mettere in discussione una tale ricostruzione dicotomica della realt come frutto di un sistema di potere. Per contro, guardando alle donne come classe sociale, come fa MacKinnon, l'analisi porta a definire il capitalismo come una forma di societ patriarcale, prima che come una societ classista in senso economico, e la famiglia patriarcale la sua forma congeniale di famiglia (il patriarcato 'liberale' cos definito da Duncan Kennedy: cfr. infra, 7.2). Mentre invece, pur in una analisi attenta agli intrecci di potere che si compongono intorno all'istituzione-famiglia, come quella di Engels, i rapporti con il lavoro e con l'altro sesso sono classificati in modo diverso per le donne proletarie e per le donne borghesi: le prime sono oppresse solo come proletarie. Quindi non hanno nessuna specificit come gruppo in rapporto all'altro sesso. Solo le seconde, le borghesi, sono oppresse come donne all'interno della famiglia. Non ammessa, dunque, una subordinazione raddoppiata, trasversale rispetto all'ordine sociale. Il problema del rapporto fra genere e classe si pone diversamente in MacKinnon: la classe condiziona anche la vita delle donne, ma soprattutto mediata attraverso la relazione col sesso maschile. La classe sociale della donna determinata da quella del padre, del marito, dal sopraggiungere di un eventuale

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divorzio, ecc. cio mediata da quella che il marxismo considera il privato e che invece gerarchicamente ordinato tanto quanto il luogo di lavoro e prima di questo fonte di oppressione. Il fatto di disinteressarsi delle relazioni private comporta la 'privatizzazione' dell'oppressione femminile, che diviene un fatto secondario, naturale, contrapposto al carattere 'storico' delle relazioni di lavoro, laddove invece il riportare la famiglia al centro dell'analisi mette in luce come tanto privato che pubblico siano in primo luogo costruiti sulla divisione di potere fra i sessi 10. Per contro l'approccio marxista di MacKinnon al femminismo le consente di uscire dal pantano della diatriba su uguaglianza/differenza cara alle altre correnti femministe, di sostituire ad essa una visione unitaria delle donne che, partendo dalla considerazione della loro posizione e interesse nella societ, le definisce politicamente: nessuna donna sfugge infatti al significato che un sistema fondato sulla definizione del genere attribuisce all'essere donna. L'oggetto dell'analisi in definitiva la sessualit come dinamica sociale nella sua portata materiale, totalizzante, ma anche storicamente data; gli interessi cui le espressioni della sessualit femminile sono asserviti, o per meglio dire, in vista dei quali sono costruiti nel loro significato socialmente condiviso. La sua aspirazione quella di combinare, come l'analisi marxista del lavoro, l'analisi della costruzione sociale del sesso femminile con le possibilit e le capacit delle donne di scrollarsi di dosso questa subordinazione sistematica.

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1 Cfr. soprattutto MacKinnon, Toward, cit., e precedentemente Id., Feminism Unmodified, Harvard University Press, 1987. 2 Gary Minda, Postmodern Legal Movements, 1995, 134. 3 C. Gilligan, In A Different Voice, Harvard University Press, 1982. 4 Cfr. ad es. Adriana Cavarero, Nonostante Platone, Roma, Editori Riuniti, 1991; Luisa Muraro, L'ordine simbolico della madre, ibidem, 1992. 5 A Lawyer's Primer on Feminist Theory and Tort, 38 Legal educ. 2 (1988). 6 C. MacKinnon, Feminism, Marxism, Method, and the State: An Agenda for Theory, 7 Signs 515 (1982). 7 Catharine MacKinnon, Feminism Unmodified, cit., 16. 8 MacKinnon, Toward a Feminist Theory of the State, cit., 51. 9 Toward, cit., 3 s. 10 Toward, cit., 48.

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4. Potere maschile e diritto


Nonostante l'analisi di MacKinnon porti a concludere che il potere del patriarcato unexcapable, pervasivo e totalizzante, il diritto, che pure ne espressione, non rifiutato a priori, ma anzi si ritiene che gli strumenti giuridici possano essere utilizzati dalle donne per giungere all'affermazione di una concreta sex equality 1. Tanto, d'altra parte, non solo il frutto di una teorizzazione, ma rappresenta proprio quanto MacKinnon ha tentato con qualche successo nella pratica, ingaggiando celebri battaglie legali contro le molestie sessuali sul luogo di lavoro e la pornografia. La critica allo stato liberale e al diritto che ne espressione, fatalmente ritagliata sulla teoria marxista. Lo stato , in senso femminista, maschile: il suo diritto vede e tratta le donne come gli uomini le vedono e le trattano. Adotta il punto di partenza del potere maschile nel tracciare la relazione fra societ e diritto. Il diritto dello stato maschile si legittima attraverso le sue caratteristiche di neutralit, obiettivit, razionalit che perci stesso escludono la relativit di possibili prospettive diverse e perci riflette i rapporti di potere cos come sono, adottando la prospettiva dominante, anzi l'unica visibile, quella maschile 2. Nell'intraprendere la sua analisi delle strutture giuridiche dello stato, MacKinnon assume che diritto e societ interagiscono di continuo, ma ritiene che lo stato liberale adotti una strategia che va in senso opposto rispetto al riconoscimento dell'efficacia performativa del diritto sul sociale: quella di dare un ordine, una Costituzione, ad una societ che si assume invece preesistente al diritto e che si accoglie quindi con le sue profonde diseguaglianze, segnate da status personali corrispondenti, nella fisionomia, ad una logica di genere rimasta intatta dal diritto medievale. Cos una costituzione che afferma l'uguaglianza fra i sessi si innesta - senza la pretesa di modificarlo - su un sociale del quale solo alcuni equilibri e valori sono registrati; per il resto garantendo, dietro lo schermo del soggetto di diritto, neutro e universale, il non intervento dello stato, la non interferenza con lo status quo. Per questo sarebbe vano cercare norme giuridiche che dettino regole esplicitamente discriminatorie per imporre il potere maschile, per fondare giuridicamente la diseguaglianza fra i sessi. sufficiente che il diritto non veda, non consideri ci che esiste in quel che assunto come pregiuridico, l'ineguaglianza e l'oppressione del sesso femminile. In questa prospettiva da inquadrare il ricorso ai valori fondanti del diritto liberale: la tutela della privacy a fronte di un privato fatto di violenza e di oppressione per le donne 3, il richiamo al free speech opposto alla richiesta di proibire la stampa pornografica, un esempio di norma costituzionale, quest'ultima, sistematicamente interpretata, con un evidente partadosso, per ridurre le donne al silenzio 4. La neutralit ostentata dai giudici nell'adjudication si traduce sempre in una scelta in favore dello status quo, contro la prospettiva di un intervento dello stato che incida sui rapporti di potere. Poich non si d una prospettiva che possa dirsi neutrale, ma esistono solo prospettive maschili o femminili, neutralit nella definizione dei rapporti di genere significa assunzione della prospettiva dominante, quella che rispecchia l'attuale sistema di potere. Cos il diritto protegge e corrobora l'esistente potere maschile sulle donne. Come gi indica Marx a proposito dei diritti liberali, le libert e i diritti che la costituzione americana riconosce sono garantiti a chi gi ne gode, all'interno di un'analisi che continuamente distingue fra giuridico e pregiuridico. I diritti costituzionali della privacy, del free speech, le libert, terreno
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di scontro fra le donne in lotta per la propria liberazione, MacKinnon in testa, e la Corte Suprema, sono esempi di garanzie costituzionali di cui le donne non possono godere essendone in partenza, nel sociale o, meglio, nella costruzione giuridica del pregiuridico, prive. Perci i rapporti giuridici per MacKinnon stabilizzano e rinforzano relazioni di fatto assunte come date: non sono necessarie delle norme che istituiscano il potere degli uomini sulle donne perch il diritto non ha mai seriamente interferito con quel potere. In conclusione, il diritto funziona, in positivo e in negativo, come mezzo di controllo del potere maschile sulle donne. Un esempio per tutti dato dall'accesso all'aborto. Nell'ambito di condizioni che comunque consentono all'uomo di controllare la capacit riproduttiva femminile, un tale diritto secondo MacKinnon parzialmente concesso alle donne perch favorisce anche gli uomini, consentendo rapporti sessuali privi di ulteriori conseguenze. Al termine di quest'analisi del ruolo del diritto nello stato e del sistema di potere maschile che in entrambi si riflette, MacKinnon conclude che il sistema giuridico attuale costituisce un vero e proprio regime, un regime maschile. Trasponendo l'analisi marxiana alle relazioni di genere, si riconosce quindi che il sistema dei diritti borghesi nasconde la realt della subordinazione femminile. Sebbene per il sistema dei diritti subisca inevitabilmente questa critica di fondo, non per MacKinnon uno strumentario che le donne, gli oppressi, gli emarginati in genere, possano permettersi di rifiutare: questo un privilegio di chi, maschio, bianco, upper class, dei diritti gi gode e per questo pu permettersi, continuando a goderne, di negarne l'opportunit politica - dove il riferimento critico alle posizioni dei Critical Legal Studies 5 evidente. Per le donne il diritto invece uno strumento da utilizzare, da volgere a proprio favore, e la coscienza femminista rappresenta il presupposto per una battaglia che tenda a mutare la prospettiva maschile che attualmente il diritto accoglie e realizza.

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1 Reflections on Sex Equality Under Law, 100 Yale L.J. 1281 (1991), infatti il titolo di un noto saggio di MacKinnon che affronta i temi della violenza domestica e dell'aborto. 2 Toward, cit., 162. 3 L'argomento ricorrente nella letteratura femminista: per una analisi diacronica del ricorso da parte delle corti americane alla privacy coniugale cfr. Reva Siegel, The Rule of Love, 105 Yale L.J., 2117 (1996). 4 Toward, cit., 195 ss. 5 Cfr. G. Marini, Il destino americano di Marx. (L'analisi critica presa sul serio), in corso di pubblicazione in questa Rivista.

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5. Sex Equality under Law


Sul piano del metodo, in vista del cambiamento, si invoca, come gi Marx per il proletariato, l'acquisizione di una coscienza collettiva, in questo caso di genere e non di classe. Il consciousness raising per il metodo principale che MacKinnon indica per promuovere il cambiamento giuridico e sociale, sostituendolo, a quanto nel marxismo affidato invece al materialismo dialettico. Ed il punto pi oscuro, ma anche, nelle pieghe, il pi promettente dell'analisi di MacKinnon 1. Come emerge chiaramente da quanto detto sin qui, la forza di MacKinnon essenzialmente quella di usare un complesso di asserzioni retoricamente molto forti riuscendo ad acquisire un'efficacia divulgativa notevole e superiore ad ogni altro esempio nel femminismo giuridico. L'utilizzazione, anche volgarizzata, della teoria marxista le fornisce uno schema chiaro, immediato, di forte impatto, nell'analisi dei rapporti di potere fra i generi. Ma a questo MacKinnon non manca di mescolare altri elementi, propri della tradizione femminista. L'argomento della coscienza femminista uno di questi. L'idea che l'esperienza delle donne divulgata attraverso le narratives, cio l'esperienza delle donne raccontata dalle donne, secondo un modo di argomentare caro ad altri femminismi giuridici, quello ad es. di Martha Minow 2, ci che fa emergere e consolida la coscienza femminile, preparando al cambiamento. Il richiamo all'esperienza femminista dei gruppi c.d. di autocoscienza, caratteristica del movimento negi anni '70, dunque evidente. Ma l'acquisizione di una tale coscienza non di immediata evidenza, dovendo maturare in un regime costruito su di una prospettiva interamente maschile. La problematicit dell'argomento presente a MacKinnon, che ne avverte la possibile 'circolarit': per conoscere come e perch necessario acquisire una coscienza femminista, le donne dovrebbero aver accesso a quella verit che solo la coscienza femminista permette di mettere a fuoco 3. Da una parte, infatti, il sistema di significati di genere in cui le donne sono calate ne determina l'identit e l'agire in senso conforme alla logica del potere maschile. Al punto che molte donne non sono consapevoli della loro condizione di subordinazione, altre l'accolgono di buon grado, per sfruttarne i vantaggi (e sono in questo definite 'collaborazioniste' 4). Dall'altra il cambiamento comunque ritenuto possibile attraverso l'acquisizione di una coscienza che maturi all'interno di quel sistema di significati. Un primo problema quindi chiarire come questo circolo vizioso possa essere spezzato. L'ulteriore questione come possa essere accolto dal potere istituzionalizzato il punto di vista femminista se le donne non hanno voce nel regime di dominio maschile 5. La risposta centrale a questi quesiti largamente tributaria di quanto scrive Marx a proposito del maturare di una coscienza di classe nel proletariato. Nella teoria di Marx, la formazione della coscienza di classe si presentata in modo problematico poich la coscienza vista come un prodotto 'storicizzato' e in quel dato momento storico l'ideologia dominante tale da reificare i rapporti fra le classi. Il dilemma che affronta Marx, non diversamente da quello affrontato successivamente dal femminismo radicale, il seguente: come pu la coscienza del proletariato essere ad un tempo alienata, come risultato delle relazioni interne al capitalismo, ed essere consapevole della necessit di rovesciare quel sistema? Le relazioni all'interno del sistema capitalistico distorcono la cognizione del reale, ma precisamente la posizione del proletariato dentro i modi di produzione a consentire il formarsi della sua prospettiva, del
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suo potenziale rivoluzionario e a fare della vecchia societ l'avamposto della nuova. Marx dice che nel corso della storia la conoscenza sar davanti agli occhi del proletariato, che non dovr far altro che guardare ci che accade e darle voce. La conoscenza non sar allora dottrinaria, ma, in quanto prodotta dalla storia, sar associata a questo movimento e diverr rivoluzionaria. Similmente MacKinnon avverte che l'acquisizione di una coscienza femminista resa possibile dal fatto che le donne sono capaci di vedere la loro oppressione in quanto la realt degli uomini ad essere self-enclosed, ma essa non totalmente comprensiva del reale: le donne possono allora acquisire una coscienza collettiva e produrre un differente paradigma. In questo senso allora possibile formulare una seconda risposta, che convince di pi, sebbene resti marginale nell'economia della ricostruzione di MacKinnon: il dominio maschile in realt incompleto e ci sono crepe attraverso cui le donne vedono la loro condizione, e valori ulteriori rispetto alla gerarchia di genere, valori presenti nel sociale, ma fuori dal dominio maschile, di cui le donne possono farsi portatrici. Lo stesso stato liberale segna delle aperture in tal senso, attraverso le sue garanzie di uguaglianza (non tutte le discriminazioni sono infatti consentite). Lo stesso universalismo dei diritti pu essere giocato dalle donne a proprio favore: quanto MacKinnon stessa ha tentato di fare in alcune sue celebri battaglie legali. D'altra parte, il richiamo 'militante' di MacKinnon al diritto nasce dalla consapevolezza che le donne non possono porsi al di fuori della societ, che quest'ultima non evidentemente solo un dominio maschile 6. Si per osservato: perch dovrebbe essere accolto nel diritto dello stato un diverso punto di vista, altrettanto soggettivo quanto quello maschile? L'obiettivo politico che ci si prefigge attraverso l'uso del diritto non quello di vincere una guerra di potere contro l'altro sesso, non di fondare una societ dominata dalle donne, ma una societ in cui anche il benessere delle donne sia tenuto in considerazione. Ed ovviamente essendo il punto di partenza l'idea della costruzione sociale del sesso, MacKinnon si sottrae a quello che Irigaray ha definito la vecchia illusione della simmetria fra i sessi. Il primo e centrale obiettivo quello di far s che attraverso la penetrazione nel diritto di una prospettiva femminista, la sessualit delle donne cessi di essere uno strumento del potere maschile. La violenza sessuale, la molestia, l'abuso, la pornografia, non possono essere considerate solo materia di diritto penale, ma vere e proprie barriere all'uguaglianza delle donne e ove il diritto non le legga come tali rinsalda e produce la svalutazione del sesso femminile. In una prospettiva non esclusivamente maschile, uno stupro, ad es., tale quando viola il benessere della donna ed l'argomento del consenso all'atto sessuale non pi utilizzato in modo strumentale, come accade in una condizione in cui la donna comunque oppressa, subordinata. Non un semplice riformismo, dunque, ma un vero social change, l'abbattimento di un 'regime', viene ravvisato nel raggiungimento dell'eguaglianza per le donne che, diversamente da quanto postula il liberal feminism, non intesa come abolizione delle varie forme di discriminazione che aggravano la posizione della donna nel sociale, ma libert dalla subordinazione al potere maschile perpetrata attraverso la sessualit. Ora, la teoria di MacKinnon ha profondamente influenzato la letteratura giuridica americana che ha successivamente affrontato i temi dell'abuso sessuale, delle molestie, della pornografia, in particolare. Ma anche stata sottoposta, forse pi nell'impostazione generale che nei singoli esiti dell'analisi, ad una serrata critica soprattutto da parte delle giuriste femministe vicine ai CLS e influenzate dal legal postmodernism. In linea generale rifiutata, come meglio vedremo in seguito, una lettura del rapporto fra i sessi in cui le donne figurino solo come delle vittime. Sebbene MacKinnon accolga l'idea foucaultiana dell'identit sessuale come costruzione sociale, rimane una convinta essenzialista nel ritenere che nel regime patriarcale il sesso imposto, l'abuso, sia il solo modo di essere, l'essenza di tutte le donne 7, un'esperienza che riguarda tutte, trasversale a tutte le condizioni sociali (Feminism Unmodified). A questo proposito le si rimprovera di rendere un cattivo servigio proprio alla filosofia di Marx, la cui analisi viene trasposta al genere senza conservare l'importanza che nella teoria originaria rivestono la classe, la
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nazionalit, la razza, ma soprattutto, direi, la dimensione storica (Feminism always Modified) 8. Questo essenzialismo sar poi messo in scacco dall'emergere nel panorama della cultura giuridica americana di forme variegate di femminismo: quello delle giuriste che fanno capo alla Critical Race Theory, che alla prospettiva femminista coniugano quella dell'appartenenza alle minoranze razziali, mettendo in esponente il profilo dell'intersectionality 9, quello della Lesbian Jurisprudence, che critica un'analisi della condizione femminile condotta soltanto nel contesto eterosessuale; pi di recente, la teoria queer che esalta, ponendolo al centro dell'analisi, anche giuridica, il ruolo del desiderio femminile. La storia che racconta MacKinnon, si osserva in sostanza, profondamente vera, ma non l'unica storia femminile che pu essere narrata. In generale, la sua teoria dell'abuso, come costitutivo dell'intero regime fondato sulla differenza di genere, appare come l'immagine speculare e, a suo modo, ugualmente distorta, della visione convenzionale che, all'opposto, legge l'abuso sessuale come patologico ed eccezionale. Ma individua una verit profonda del patriarcato liberale, come Marx ha individuato una verit profonda nel suo Capitale 10. peraltro indubbio che alcune acquisizioni rimangono assai efficaci, cio capaci di incidere sulla realt come poche altre teorizzazioni femministe hanno saputo fare:

1. Diritto all'aborto come sex equality issue. Notevole la sua critica al diritto all'aborto riconosciuto
dalla Corte Suprema degli Stati Uniti in Roe v. Wade 11 sulla base del diritto di privacy 12. MacKinnon ironizza sul fatto che, sebbene l'aborto sia diffusamente percepito come l'esito di un capriccio o di una disattenzione femminile, le donne che vogliono abortire lo fanno per lo pi in conseguenza di un rapporto sessuale con un uomo! Il presupposto di una decisione fondata sulla privacy che il rapporto sessuale sia stato voluto e che le donne abbiano un significativo controllo sulla propria sessualit, cose che MacKinnon, come noto, contesta. L'utilizzazione della privacy dunque criticata come esempio ennesimo del non intervento dello stato quale strategia di conservazione dello status quo. La privacy intesa come l'intende la Corte Suprema in Roe, come autodeterminazione della donna, presuppone una sfera di autonomia astratta e il controllo sul proprio corpo, in un contesto neutro e non segnato dal potere maschile, come se la sfera privata fosse un ambito sottratto all'ordine gerarchico fondato sul genere invece che esserne l'avamposto. Tutto ci che la privacy garantisce, la libert nella propria intimit, l'integrit fisica, la libert morale nelle scelte, non condizione giuridica e sociale delle donne, anzi l'intimit d esattamente la misura della loro oppressione. Per questo il non intervento dello stato nella sfera privata penalizza le donne. Il diritto di privacy infatti utilizza proprio ci che il femminismo critica massimamente, cio la dicotomia pubblico/privato. Il femminismo, e il femminismo radicale in particolare, assume che il privato pubblico, il personale politico, perch nella sfera privata le donne sono subordinate all'uomo secondo un sistema di rapporti sociali che politico. Lo stato dovrebbe quindi non abdicare attraverso il riconoscimento del diritto di privacy, ci che serve solo a mantenere l'attuale distribuzione di potere e di risorse, ma intervenire per rendere possibile l'aborto in quanto materia di uguaglianza fra i sessi. Infatti un uomo non pu restare incinto senza averlo voluto, non pu essere costretto a portare avanti una gravidanza indesiderata. Sul piano tecnico-giuridico, la debolezza della privacy sta nel fatto che il riconoscimento del diritto il risultato di un bilanciamento di interessi (fra diritto all'autodeterminazione e interesse dello stato alla vita) che condiziona la posizione della donna. Anche la legge italiana n. 194 del 1978 si basa su un bilanciamento di interessi, fra interesse alla vita e tutela della salute della donna: anche questo statement pu essere capovolto in una riconsiderazione degli interessi in conflitto. Nella sua dissenting opinion in Webster v. Reproductive Health Services 13, il giudice Blackmun costruisce l'interruzione volontaria della gravidanza come materia di libert delle donne. MacKinnon fa di pi, usando uno strumento fondante del diritto liberale: ne fa materia di uguaglianza.

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1. Lotta contro la pornografia nell'interesse di tutte le donne, un'altra sex equality issue. MacKinnon
ha redatto e sostenuto un'ordinanza per la citt di Indianapolis, secondo cui la divulgazione della pornografia azionabile da tutte le donne come materia di ineguaglianza sessuale e d luogo ad un'azione civile che sfocia nel riconoscimento di un risarcimento del danno a chi dalla pornografia si sente personalmente offesa 14. La Corte Suprema degli Stati Uniti ha per respinto quest'ordinanza come incostituzionale perch lesiva della libert d'espressione (Hudnut v. American Booksellers Ass'n - 1986). Su questo terreno MacKinnon ha raccolto molti consensi: la pornografia un'offesa che le donne non possono fuggire perch pubblica, le immagini pornografiche sono esposte ovunque. Invece il bilanciamento di interessi effettuato dalla Corte Suprema nel censurare l'ordinanza stato aspramente criticato, perch la limitazione che il lettore di stampa pornografica soffre col divieto non effettivamente commensurabile alla violenza per immagini sulle donne che si legittima attraverso la clausola del free speech 15. Soprattutto perch, come dice MacKinnon, offrendo la sua lettura marxista delle forme del diritto liberale, non si pu arrivare ad un corretto bilanciamento di interessi se non si vede la svalutazione del sesso femminile e la costruzione gerarchica che la pornografia sottende 16.

2. Con il suo libro Sexual Harassment of Working Women: A Case of Sex Discrimination (1979),
MacKinnon ha condizionato la giurisprudenza sulle molestie sessuali, in un primo tempo escluse dal Title VII, cio dalla legislazione antidiscriminatoria statunitense. Persino J. Rehnquist ha accolto la sua impostazione in Meritor Saving Bank v. Vinson 17

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1 Infatti sebbene questa metodologia sia variamente criticata dalle sue commentatrici, essa appare
straordinariamente prossima ad alcune delle pi sofisticate teorie di recente formulate nel campo della filosofia della scienza. Cfr. J. Schroeder, Abduction from the Seraglio: Feminist Methodologies and the Logic of Imagination, 70 Texas L. Rev. 109 (1991). 2 Cfr. ad es. Foreword: Justice Engendered, 101 Harv. L.Rev. 10 (1987). 3 Ruth Colker, Feminist Consciousness and the State: a Basis for Cautious Optimism (Book Review), 90 Columbia L. Rev. 1146 (1990). 4 Ad un primo livello gli uomini rendono le donne deboli e passive. Ad un secondo livello le donne accettano questa dominazione come parte di una scambio impari. Al terzo livello uomini e donne erotoicizzano la relazione attraverso il desiderio socialmente costruito. Per questo il patriarcato liberale un sistema molto pi stabile che se fosse basato solo sulla forza: come un capitalismo che crea i lavoratori per i propri fini come individualisti alienati e votati alla loro stessa consunzione. Cos come i lavoratori nel capitalismo consnetono al proprio sfruttamento prestando il loro 'libero' consneso nel contratto di lavoro, cos le donne prestano un consenso 'socialmente costruito' al rapporto eterosessuale. 5 D. Cornell, Sexual Difference, the Feminine, and Equivalency: A Critique of MacKinnon's "Toward a Feminist Theory of the State", 100 Yale L.J. 2247, 2256 (1991). 6 In questo argomentare si scorge un diverso stile, meno assertivo-propagandistico, pi convincente: Ruth Colker , cit., 1160.

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7 Cfr. ad es. Mary Joe Frug, A Postmodern Feminist Legal Manifesto (an unfinished draft), 105 Harv. L.Rev. 1045 (1992). 8 D. Cornell, cit., 2263. 9 Cfr. Kimberle Crenshaw, Demarginalizing the Intersections of Race and Gender in Antidiscrimination Law, Feminist Theory, and Antiracist Politics, 1989 U. Chi. Legal F., 139. 10 Duncan Kennedy, Sexual Abuse, Sexy Dressing and the Eroticization of Domination, in Sexy Dressing etc. Essays on the Power and Politics of Cultural Identity, Harvard University Press, 1993, 150. 11 410 U.S. 113 n. 37 (1973). 12 Feminism Unmodified, cit., 93 ss. 13 492 U.S. (1989). 14 Su cui cfr. Catharine MacKinnon, Nei tribunali statunitensi una legge delle donne oer le donne, in Democrazia e Diritto, 1993, 203; L.Parisoli, La pornografia come lesione della dignit sessuale, in Materiali per un storia della cultura giuridica, 1997, 149. 15 D. Cornell, cit. , 2259 ss. 16 Toward a Feminist Theory, cit. 17 477 U.S. 57 (1986)

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6. Cosa morto di una teoria femminista dello stato


Un primo set di critiche, quelle che il femminismo della terza generazione, della fase del postmoderno, rivolge alle teorie che l'hanno preceduto, non indirizzato esclusivamente alla complessa teorizzazione di MacKinnon, sebbene i suoi due caratteri principali, cio l'intento di edificare una grand theorie femminista, una teoria femminista dello stato, come recita il titolo del suo libro, e il fatto di utilizzare a tal fine un sistema filosofico complesso ed esaustivo come quello marxista, individuano proprio il genere di costruzione teorica che si ritiene superata dal postmoderno. Da un lato anche il femminismo radicale, allo stesso modo del femminismo liberal e di quello culturale, si presenta dunque modernista nell'affermare una visione femminista del sociale e del giuridico che si pretende valida universalmente. In ci non sfugge alle critiche cui stata sottoposta la cultura giuridica moderna nel suo complesso e alla quale inevitabilmente si associano modalit maschili del discorso: affermare 'questa la vera voce femminile', o l'autentica voce della differenza, o la vera voce lesbica, o la vera voce delle donne nere, significa infatti ripercorrere lo stesso itinerario che porta il giurista moderno (e maschio) ad affermare 'questa la (vera) regola posta dal nostro diritto'. Vi si intravede, cio, lo stesso spirito illuminista che conduce i giuristi tradizionali a nutrire fiducia illimitata nella ragione e nello schema cognitivo razionalmente teorizzato. D'altro canto pur vero che tutte e tre le scuole femministe avversano alcune pretese universalizzanti del diritto liberale, come la costruzione concettuale del Soggetto di diritto unico ed eguale a se stesso e a queste forme argomentative contrappongono uno stile maggiormente narrativo, che prende spunto direttamente dalle condizioni materiali delle donne, dalle loro storie 1. E gi si notato come alcune acquisizioni care al postmoderno, prima fra tutte l'idea che la sessualit corrisponda ad una costruzione sociale, sono gi radicate nel pensiero di MacKinnon. Ma vi sono alcune delle critiche specificamente rivolte a MacKinnon che rispecchiano le critiche comunemente rivolte al marxismo, rivelando anche quanto oggi si ritiene morto di Marx. In primo luogo, come gi si accennato, il tentativo di fondare una teoria materialistica della condizione delle donne con pretese scientifiche, cio libera dalla mediazione della narrazione. Infatti MacKinnon concepisce la sua analisi come una concettualizzazione in termini materialistici della diseguaglianza di genere, non come una storia, cio come una narrazione che d un significato ad una realt. L'essenzialismo dell'impostazione segna la sua visione totalizzante del dominio maschile che secondo la visione postmoderna comunque costruito attraverso il linguaggio, pertanto, sebbene portatore di un significato istituzionalizzato, comunque soggetto di continuo a reinterpretazioni. In tal senso il materialismo di MacKinnon, proprio perch tale, va incontro alle critiche cui il decostruzionismo ha sottoposto la stessa teoria marxista. Le relazioni di potere attraverso cui il genere si produce, come tutte le esperienze empiriche, non
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possono essere separate dal significato che le si attribuisce e soffrono i limiti che quel significato, ancorch istituzionalizzato, soffre. La teoria di MacKinnon ha legato inesorabilmente la sessualit femminile allo stupro, all'abuso, alla violenza domestica, cancellando la possibilit del desiderio e del piacere femminili, interpretando il sesso eterosessuale come un luogo di pericolo, anzi come il luogo dell'alienazione feminile. Il suo progetto attribuisce alla sessualit femminile un unico possibile significato, quello di strumento del sistema di potere che subordina le donne attraverso il genere. Tuttavia, pur all'interno di un ordine gerarchico eretto sulla costruzione del genere, la sessualit femminile pu essere reinterpretata come differenza sessuale 2, rivelando, al di l del significato istituzionalizzato impostole, la possibilit di un desiderio femminile - anche eterosessuale - capace di esprimersi in quel contesto e nonostante esso 3. Il suo significato istituzionalizzato si pu dunque rovesciare: il desiderio femminile si mostra allora irriducibile alla sola lettura concessa da MacKinnon, la sessualit femminile ridotta inesorabilmente a 'being fucked', a sadomasochismo. Per contro, tutto il progetto cui MacKinnon affida il social change, cio la liberazione delle donne dalla subordinazione maschile, si fonda sulla teorizzazione della libert e della stessa affermazione di una soggettivit femminile, come sganciate, disconnesse dalla sessualit. Inevitabilmente la scissione fra libert e sessualit femminili ritenuta fittizia, tanto quanto lo la scissione mente/corpo. N si comprende come la negazione e la svalutazione della sessualit femminile che MacKinnon porta avanti (le donne nell'incontro eterosessuale sono solo fuckees) possa condurre ad una valutazione equivalente fra i due sessi, alla sex equality under law. Sostenitrici della differenza sessuale femminile contestano anzi a MacKinnon di aver indirizzato il femminismo verso un progetto che per definizione elide la possibilit di pensare i diritti e le libert delle donne anche in termini 'positivi', oltre che meramente negativi 4. Letto in una prospettiva decostruzionista, il carattere adamantino della teoria di MacKinnon mostra di non saper tollerare la complessit e la variet delle risposte che al potere maschile viene dal gruppo delle oppresse. E in effetti la stessa MacKinnon costretta a difendere la validit della sua teoria dalla molteplicit degli atteggiamenti che le donne assumono all'interno delle relazioni di genere. Capita cos di veder etichettate come collaborazioniste quelle donne che sembrano trarre benefici dall'unequal bargain loro imposto dalla logica del regime maschile. Ed ugualmente la teoria manca di comprendere la variet della risposta degli uomini alla subordinazione femminile, identificando in senso unidirezionale e monocorde l'interesse maschile. Con ci non si mette in dubbio l'acquisizione fondamentale della teoria di MacKinnon, cio che esiste un sistema di potere caratterizzato dall'eroticizzazione della gerarchia, ma le si contesta di non saper cogliere la complessit dei meccanismi che la determinano, n comprendere come sia possibile che molte donne traggano piacere dalla relazione eterosessuale. MacKinnon non spiega invero perch il compromesso, l'opportunismo siano strumenti continuamente usati per negoziare il regime, mentre se questo fosse davvero cos come configurato nella sua teoria, basterebbe agli uomini approfittare a piene mani del loro dominio senza accedere ad alcun 'negoziato'. In realt l'idea di un regime cos totalizzante e totalmente razionalizzato paranoica. Per contro, il femminismo critico ammette che il regime esiste, ma un regime senza una sua coerenza interna, che non controlla e manovra ogni singolo individuo al suo interno secondo questa logica perfetta. D'altra parte, la lezione di Foucault impedisce di accogliere come valida una teoria che pretenda di ricostruire ogni espressione della sessualit come a priori gi determinata, o contaminata, dal sessismo, precostituita quale strumento del potere maschile, dunque letale per le donne 5. Lo schema della costruzione sociale della sessualit che MacKinnon utilizza deve, per poter funzionare e spiegare la realt della condizione femminile, attagliarsi pure agli uomini, altrimenti perde di senso, lasciando intendere che una sessualit, quella femminile, socialmente costruita, un'altra, quella maschile, preesiste ai meccanismi del potere. Ma piuttosto vero il contrario, come insegna Foucault: gli uomini crescono in una situazione in cui il residuo tollerato di abuso gi dato e percepiscono i propri interessi

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attraverso un sistema gi connotato dall'abuso. Ma questo non impedisce anche agli uomini di percepire il proprio rapporto con l'altro sesso in modi diversi. Vi sono allora uomini che sicuramente vogliono la prostituzione e traggono beneficio dalla pratica dell'abuso che la produce, come i primi capitalisti hanno tratto vantaggio da condizioni economico-sociali che hanno prodotto il lavoro minorile. Ma molti altri non gradiscono un'alternativa secca moglie/prostituta e non traggono beneficio dall'abuso 6. E le donne si muovono strategicamente attraverso un sistema di segni e strutture sociali che, nonostante la presenza pervasiva del patriarcato liberale, consente di essere attive al di fuori di dinamiche disegnate in modo troppo meccanicistico. In conclusione, se tutto ci che si pone al di fuori dello schema del rapporto fra i sessi come disegnato da MacKinnon visto come eccezione alla teoria, le eccezioni finiscono con l'essere troppe ed allora la teoria stessa nel suo complesso non convince pi. Il meccanicismo di MacKinnon segue le orme di quella tradizione marxista in cui la classe capitalistica fronteggia il proletariato imponendogli unilateralmente ogni cosa, dalle condizioni materiali di vita alla coscienza stessa 7.

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1 la narrazione in contrapposizione alla discusiione accademica dei casi e delle regole un punto di forza del femminismo giuridico anche sul piano della didattica. MacKinnon ad es. invita in classe le vittime della pornografia perch narrino agli studenti la loro esperienza, anzich limitarsi a discutere delle possibili interpretazioni del Primo Emendamento: cfr. sul punto C. Menkel-Meadow, Feminist Legal Theory, Critical Legal Studies, and Legal Education or "The Fem-Crits Go to Law School", 38 J. Legal Ed. 61, 80 (1988). 2 D. Cornell, op. cit. 3 K.M. Franke, Theorizing Yes: An Essay On Feminism, Law and Desire, 101 Columbia L.Rev., 181 (2001). 4 Drucilla Cornell, cit., 2251; K.M. Franke, op. cit., 208. 5 Catharine MacKinnon, Pleasure under Patriarchy, in Theories of Human Sexuality (Geer & O'Donohue eds.), 1987, 67. 6 D. Kennedy, op. cit. 7 Duncan Kennedy, cit., 161.

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7. Cosa vivo di Marx nel femminismo giuridico


La critica dell'ideologia patriarcale che dietro il sistema giuridico e che in esso variamente si manifesta ora esplicita in taluni profili del regime giuridico della famiglia, ma pure presente nel non intervento dello stato, nel ricorso alle libert negative, come sottolinea MacKinnon ispirandosi all'analisi marxista dello stato liberale - resta la pi solida eredit del marxismo nel femminismo giuridico. Ma mentre questa critica condotta al prezzo di assunzioni essenzialiste e forzature in MacKinnon, in ultima analisi convinta di realizzare il social change attraverso il sorgere di una coscienza femminista in grado di inaugurare una societ nuova, molto pi promettenti appaiono i tentativi di smascherare l'ideologia patriarcale mettendo in luce attraverso lo strumento della dialettica le incoerenze, le discontinuit, le fratture che sono nel sistema giuridico, celate dalla costruzione di false opposizioni fra concetti e categorie, che dovrebbero esemplificare una relazione dicotomica fra diversi settori della realt. Questa pratica, che propria dei CLS 1, utilizzata dalle fem-crits per 'smascherare' l'incoerenza e la falsit della contrapposizione privato/pubblico, famiglia/mercato, topoi del diritto liberale. una critica interna al sistema giuridico: andando oltre la denuncia 'dall'esterno' del privato come pubblico, del personale come politico, si mette in luce come la dicotomia costruita dal diritto non regga alla luce di un utilizzo rigoroso dello strumentario tecnico concettuale stesso. facile scorgere in questo modo di procedere critico quel nocciolo della dialettica hegeliana che Marx pone al centro della sua analisi dialettica e che si esemplifica nella unit (se non identit) dei contrari 2, quell'idea per cui esiste una soluzione interna alla contraddizione presente nella struttura stessa, soluzione resa possibile dal fatto che gli elementi che si contraddicono contengono ciascuno al suo interno il proprio opposto. Se l'idea centrale del femminismo giuridico che il diritto maschile o si presenta come tale nelle sue strutture concettuali, il femminismo critico assume che esistono nel sistema giuridico dei controprincipi, delle controregole capaci di far entrare in contraddizione i suoi postulati, sino a cortocircuitare la logica, la coerenza, la necessit dei dispositivi che realizzano la subordinazione delle donne. In realt l'incontro che le fem-crits realizzano su questo punto con la teoria marxista in un certo senso iscritto nel DNA del femminismo anni '80. Se infatti l'idea della relazionalit, intesa non solo e non tanto come carattere strutturale della psicologia femminile, ma come approccio conoscitivo opposto alla creazione dei dualismi, diffusamente avvertita come un topos della teorizzazione femminista, essa prima ancora un carattere proprio della dialettica di Hegel e Marx 3. La valorizzazione della relazione che all'interno di ciascuna dicotomia si istaura fra i due termini contrapposti, fornisce infatti quel modello autorevole e collaudato che consente alla prospettiva relazionale di diventare un metodo promettente di analisi, superando lo psicologismo essenzialista proprio del femminismo culturale.

Il sesso del diritto

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1 Cfr. G. Marini, Il destino americano di Marx, cit. 2 La questione dei modi e del senso della recezione in Marx della dialettica hegeliana ovviamente argomento assai discusso fra i filosofi: cfr. ad es. K. Loewith, Da Hegel a Nietzsche, Torino, Einaudi, rist. 1964, 156 ss.; M. Rossi, Marx e la dialettica hegeliana, Roma Editori Riuniti, 1960; Godelier & Sve, Marxismo e strutturalismo, Torino, Einaudi, 4a ed., 1974. 3 Cfr. J. Schroeder, The Logic of imagination, cit., 130 n. 47.

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7.1. Il sesso del diritto


Punto di partenza condiviso da tutte le correnti del femminismo giuridico l'osservazione che il pensiero occidentale della tradizione liberale (e la cultura giuridica che esso ha prodotto) si costruisce sulla persistenza al suo interno di coppie oppositive che designano porzioni del reale fra loro contrapposte e irriducibili: il razionale che si oppone all'irrazionale, l'attivo al passivo, la ragione all'emotivit, l'oggettivit alla soggettivit, l'astrazione alla contestualizzazione. Queste opposizioni sono marcate dalla logica del genere e gerarchicamente ordinate al loro interno, cosicch il primo termine della dicotomia corrisponde ad un carattere maschile ed posto in posizione sovraordinata rispetto al secondo, identificato con il femminile: ci che razionale maschile, ci che irrazionale femminile, l'obiettivit maschile, la soggettivit femminile, il procedimento logico di astrazione maschile, la contestualizzazione della regola femminile, ecc. E' comune trarne che il diritto maschile, come concorda MacKinnon, perch razionale, obiettivo, astratto, dunque interamente costruito su un sistema di senso che non appartiene alle donne. Ora, diversamente dal femminismo radicale, tutto costruito sulla contrapposizione fra maschile e femminile, il femminismo critico non punta al ribaltamento della gerarchia di valori che segna la subordinazione della donna all'uomo, ma invece a far collassare dall'interno i dualismi che di tale subordinazione costituiscono la struttura epistemologica. Sul piano giuridico, la sfida fem-crit sta proprio nel dimostrare che il diritto non n maschile n femminile, poich non ha un'essenza immutabile, non mai interamente razionale, n obiettivo, n astratto; poich, in una prospettiva dialettica, razionale e irrazionale, oggettivo e soggettivo, maschile e femminile, non sono mai entit reciprocamente escludentesi, attraverso cui sia possibile ordinare il reale in sfere contrapposte. Tanto che le caratteristiche comunemente associate al femminile sono presenti pure all'interno del diritto, oscurate, ma non eliminate dalla cultura dominante 1. Che il diritto non sia essenzialmente razionale ad esempio messo bene in evidenza dal discorso sui diritti, da sempre al centro dell'attenzione nel femminismo giuridico. La perenne tensione fra diritti visti come garanzia di libert, da una parte, e diritti letti come garanzia di uguaglianza sostanziale, dall'altra, rende il riconoscimento stesso dei diritti sostanzialmente inidoneo a risolvere qualsiasi conflitto in modo persuasivo, definitivo e, appunto, razionale. Infatti la protezione assicurata dall'attribuzione di un diritto in capo all'attore negher giocoforza il diritto di libert del convenuto e viceversa; le particolari misure di tutela finalizzate al raggiungimento di una situazione di pari opportunit per le donne necessariamente portano a negare la stessa uguaglianza formale fra i sessi predicata dal diritto stesso, e cos via. N il diritto pu giudicarsi obiettivo quando sono evidenti le linee di politica del diritto che muovono il legislatore in una direzione piuttosto che in un'altra, l'interprete ad attribuire ad una data norma quel tale significato piuttosto che un significato diverso, il giudice a giudicare rilevanti taluni fatti e non altri ai fini della qualificazione della fattispecie 2.

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Talora gli elementi 'femminili' normalmente oscurati nel discorso giuridico sono lasciati affiorare da una strategia che tende comunque a marginalizzarli, relegandoli in settori periferici del diritto. Nell'ambito del diritto privato, questa ad esempio la sorte del diritto di famiglia, cui si riconoscono caratteristiche di contestualizzazione, di personalizzazione delle relazioni giuridicamente rilevanti, di emozionalit, che sono invece assolutamente bandite dal diritto commerciale o dal diritto dei contratti, baluardi di un diritto integralmente maschile. La scommessa del femminismo critico qui quella di far emergere i caratteri 'femminili' dell'irrazionalit, della soggettivit, ecc. attraverso l'intero panorama del diritto, smantellando l'idea di una contrapposizione fra sfere maschili e sfere femminili, dove solo dovrebbe contare l'interdipendenza e l'altruismo, non l'autonomia soggettiva e l'interesse individuale; un'idea che nella cultura giuridica continentale, soprattutto, tende spesso ad assumere la fisionomia di una summa divisio fra area del patrimoniale e area del non patrimoniale, fra mercato (maschile) e non-mercato (femminile). Un'altra strategia quella di marginalizzare il femminile del diritto attraverso il gioco fra regola e eccezione 3. L'emergere di controprincipi non calibrati sui caratteri della razionalit, oggettivit e astrattezza all'interno di settori del diritto tradizionalmente ritenuti maschili, come il diritto dei contratti, risolto dalla cultura dominante etichettando il controprincipio come eccezione: ad esempio la tutela dell'affidamento come eccezione alla regola della non vincolativit del consenso sprovvisto di causa, dove l'assunzione di un principio come regola piuttosto che come eccezione interamente affidato all'arbitrio dell'interprete e evidente il peso dell'ideologia nella conduzione del discorso giuridico. Il femminismo critico sottolinea l'arbitrariet di tali operazioni interpretative mostrando come la tensione fra 'regole' astratte, obiettive e individualiste e 'eccezioni' contestualizzate e altruistiche, sia niente affatto marginale o episodico, ma ricorrente in tutto il diritto dei contratti. Cos come arbitrario, oltre che illusorio, marginalizzare e contrapporre un settore del diritto, come il diritto di famiglia, al nucleo del diritto patrimoniale privato, al mercato, quando evidente che le due aree tendono a definirsi reciprocamente.

Il rapporto dialettico fra famiglia e mercato Torna all'indice

1 F. Olsen, The Sex of Law, in The Politics of Law: A Progressive Critique, (D. Kairysed ed.), New York, 1991. 2 Questa consapevolezza sfocia talora nel o conduce all'accusa di nichilismo: su ci nella nostra letteratura PG Monateri, All This and So Much More, intento originario, antagonismo e non interpretivismo, in questa Rivista, 2000, 207. peraltro stato chiarito come l'analisi critica non necessariamente conduce al nichilismo giuridico: cfr. Du. Kennedy, A Critique of Adjudication (fin de sicle), Harvard University Press, 1997 e da noi ora PG Monateri, Jumping Someone else's Train. Il diritto e la fine della modernit, In questa Rivista, 1/01. 3 Olsen F., The Sex of Law, cit. Sul punto v. gi Du Kennedy, Form and Substance in Private Law Adjudication, 89 Harv. Law Rev., 1685 (1976); Roberto Unger, The Critical Legal Studies Movement, ivi, 96, 578 (1983).

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7.2. Il rapporto dialettico fra famiglia e mercato


La tecnica ora illustrata dell'opposition dissolving proficuamente utilizzata da Fran Olsen nella decostruzione della dicotomia famiglia/mercato 1, che tanto peso ha nella definizione dello statuto giuridico dell'identit femminile. Molte delle riforme che in passato hanno avuto lo scopo di migliorare la condizione della donna sia sul luogo di lavoro sia all'interno della comunit familiare si ispirano ad una concezione della vita sociale come nettamente separata in due sfere, il mercato e la famiglia, cosa che sostanzialmente finisce per accorciare il fiato alle finalit delle riforme medesime. Su questa opposizione il femminismo stesso si diviso, come si accennato, fra posizioni che individuavano nella sfera domestica l'origine delle peculiarit morali, positive delle donne (femminismo culturale), e analisi che della famiglia hanno fatto l'avamposto della subordinazione all'uomo (soprattutto il femminismo radicale). All'interno della cultura dominante, poi, un intenso dibattito ideologico, da noi spesso terreno di scontro fra cattolici e laici, si interrogato sulla necessit di proteggere la famiglia come casa dei valori fondanti l'intera comunit sociale, ovvero sull'opportunit di farne un'istituzione meno reazionaria ed oppressiva. Olsen ci mostra quale sia il terreno su cui queste discussioni avvengono, dimostrando che l'opposizione con il mercato declamata, ma non precisamente strutturata nel diritto. Che paradigmi equivalenti, a dispetto dell'ostentata opposizione, sono di volta in volta adottati all'interno del mercato e all'interno della famiglia. Nel muovere dallo status del periodo feudale, tanto il mercato quanto la famiglia seguono le stesse tappe; la famiglia evolve pi lentamente, ma nel modificarsi segue fatalmente il modello del mercato: nel XIX sec. l'uguaglianza formale fra i soggetti propria delle relazioni del mercato e la politica di laissez faire dello stato nei confronti degli scambi sono visti come modello verso cui la famiglia deve tendere superando le disuguaglianze e l'ordine gerarchico vigenti al suo interno. Nel secolo successivo, in epoca di welfare state, gli interventi pubblici correttivi del mercato e l'affermazione dell'uguaglianza sostanziale sono il paradigma moderno cui conformare una famiglia posta al riparo dalle interferenze statuali e quindi in balia delle disparit di potere fra i sessi. In questo evolvere sfalzato, mercato e famiglia vengono continuamente contrapposti: competitivo l'uno, cooperativa l'altra; l'uno fondato su un'etica individualistica, l'altra costruita sull'altruismo. La privatizzazione che progressivamente riguarda mercato e famiglia comporta un ruolo diverso dello stato, contrapponendo i due termini ancora una volta: rispetto al mercato lo stato deve intervenire facendo rispettare gli accordi fra i privati in quanto strumento di massimizzazione del benessere, di realizzazione delle opportunit liberamente colte dall'individuo; rispetto alla famiglia deve vigere un'idea di altruismo che comporta il disinteresse per gli accordi assunti fra i membri al suo interno. In realt il quadro di un mercato basato sull'egoismo e di una famiglia fondata sull'altruismo non credibile. Mercato e famiglia sono sempre state istituzioni interdipendenti nella costruzione dei ruoli sociali attribuiti ai sessi. In questa pi recente fase di rilancio del liberismo, il mercato appare maggiormente libero dall'intervento statale della famiglia: il richiamo all'autonomia contrattuale all'interno della famiglia rappresenta il passo successivo, l'ennesimo tentativo della famiglia di seguire l'evoluzione giuridica del mercato.

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Poich il suo progredire pi lento, il mercato preso a modello per criticare di volta in volta un regime giuridico giudicato pi arretrato. E in un quadro sincronico, infatti, le due istituzioni esibiscono paradigmi diversi. In realt il diritto dei contratti conosce dei principi di solidariet, buona fede, ecc., che non sono ascrivibili al paradigma dell'egoismo individualista; per contro la famiglia non un'oasi che si sottrae alla logica dello scambio e della commercializzazione dei valori ma una delle sue fonti 2. Le strutture della famiglia tradizionale favoriscono il consumismo egocentrico, sostengono, anzich contrastare, la ricerca del benessere per una cerchia assai ristretta di individui a scapito degli interessi della comunit allargata. Talora il paradigma altruistico della famiglia a sua volta utilizzato come argomento critico nei confronti del mercato, per fare emergere quei principi secondari, 'altruistici', gi presenti nel diritto dei contratti ma marginalizzati dall'interpretazione dominante. Cos famiglia e mercato si mostrano come realt non opposte ma interdipendenti, parti di una pi complessa struttura sociale in cui ciascuna influenza e definisce l'altra. Ma di questo aveva gi parlato Marx, con riferimento alla famiglia borghese e al suo rapporto col modo di produzione capitalistico. Questa analisi pu infine servire a demistificare alcuni luoghi comuni molto saldi in certa nostra letteratura sul diritto di famiglia. Ad esempio il timore che la concessione di un maggiore spazio all'autonomia contrattuale nella famiglia mercifichi e 'inquini' le relazioni familiari, con la conseguenza di ritenere opportuno che la Cassazione italiana continui a giudicare nulli gli accordi fra i coniugi in vista del divorzio 3. Oppure la veemenza con cui si demonizzano gli accordi di maternit surrogata e gli spiragli aperti in tal senso dalla recente decisione della giudice Schettini 4, nella convinzione che persino un accordo a titolo gratuito, animato da spirito di solidariet, finisca col ridurre la filiazione alla logica del mercatosenza avvedersi che la famiglia segue, a debita distanza ma inesorabilmente, la logica del mercato, che non si danno nel diritto privato sfere di non mercato, realmente contrapposte e separate dal diritto patrimoniale. Per converso, il favore, sempre pi diffuso in letteratura, per l'applicazione di una logica contrattuale maschile - nel senso chiarito da Olsen - alle relazioni familiari non fondate sul matrimonio, fino a teorizzare la necessit della forma scritta per la validit degli accordi fra conviventi, appiattisce la soluzione del problema su un modello contrattuale interamente informato alla logica degli uguali, al paradigma individualista, escludendo quanto di solidaristico e altruistico presente, sebbene talora occultato, nella logica contrattuale 5. L'analisi decostruttiva delle strutture del diritto patriarcale ovviamente finalizzata ad un uso consapevole del diritto come strumento di riallocazione del potere. Le dinamiche interne al regime della famiglia, la riconfigurazione dei rapporti fra relazioni familiari e mercato sono allora da considerare sotto questo profilo, nella prospettiva di una redistribuzione del potere in favore dei soggetti tradizionalmente pi deboli, le donne, e del superamento dell'ordine gerarchico proprio dell'istituzione famiglia. L'uso del contratto nella regolamentazione dei rapporti familiari pu dunque essere opportuno o meno a seconda del paradigma, 'maschile' o 'femminile', egoistico o altruistico, che in esso voglia farsi prevalere. In funzione degli assetti di potere che esso pu concretamente produrre.

Sul femminismo pragmatico, a mo' di conclusione Torna all'indice

1 Olsen F., The Family and the Market: A Study of Ideology and Legal Reform, 96 Harv. L. Rev. 1497 (1983). 2 D.Rhode, Justice and Gender, Harvard University Press, 1989, 133 ss.

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3 v. ancora di recente Cass., 11 giugno 1997, n. 5244, GI, 1998, I, 218. 4 T. Roma, 17 febbraio 2000, in Corr. Giur. 2000, 483 ss. n. Sesta. 5 Si consenta il rinvio a M.R. Marella, Per amore o per denaro. Gli accordi della vita familiare, in corso di pubblicazione nel n. 2/2001 di questa Rivista.

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8. Sul femminismo pragmatico, a mo' di conclusione


L'influenza di Marx sul femminismo giuridico ha condotto da una parte, nel femminismo radicale, all'utilizzazione 'scientista' dell'analisi marxiana, ad una vera e propria trasposizione dello schema della lotta di classe nella contrapposizione fra i sessi. Dall'altra soprattutto lo strumento della dialettica che servito a condurre una serrata critica all'ideologia patriarcale immanente nel diritto liberale, uno strumento che tende a dissolvere, andando oltre Marx, i termini stessi dello scontro politico, il maschile e il femminile, mettendone in discussione la consistenza ontologica, e riportando al centro della scena il potere e le forme in cui esso si distribuisce attraverso il diritto, questione rispetto alla quale la differenza di genere illustra una possibile dinamica. Comune a entrambe le posizioni l'idea forte della militanza politica e la convinzione che l'analisi critica delle strutture giuridiche su cui si edifica lo status quo sia parte integrante di essa. Inevitabilmente Marx passato di moda e dunque anche la sua influenza sul femminismo fatalmente sfumata. E con essi anche la forte tensione politica percepibile nella letteratura riconducibile alla Feminist Legal Theory. Il panorama recente vede fiorire fra le varie posizioni ascrivibili al postmoderno, di cui non qui possibile dar conto 1, un nuovo femminismo pragmatico. Come tutti i neopragmatisti, la giurista femminista neopragmatica la Radin 2 non presta attenzione a prospettive di teoria generale, non fa legal theory, appunto, rifiuta ogni approccio generale ai problemi che sia in odore di essenzialismo e ritiene che qualsiasi approccio metodologico fruibile dal femminismo vada bene per affrontare le questioni legate alla discriminazione delle donne attraverso il diritto. L'idea che sembra emergere e che pone le basi di una vera e propria antiteoria, da contrapporre alle grandi teorie critiche della societ, come la teoria marxista, che non vi sia, o che non importi smascherare, un'ideologia che dietro il diritto e produce la subordinazione femminile, ma vi siano solo problemi pratici, singoli profili di discriminazione delle donne che bene affrontare e superare. Non poi dato comprendere come possano in tal modo raggiungersi soluzioni fondate, se la pragmatista assume non esistere risposte giuste a priori; n cosa ispiri e dia contenuto all'intuizione, all'intelligenza pratica dei problemi - unici strumenti che consentono di operare correttamente nel singolo contesto - una volta che la giurista pretenda di porsi in una sorta di vuoto pneumatico per sfuggire al foundationalism modernista. "The pragmatist subject, understood in pragmatic terms, is the shopper at the universal mall (c.n.) making meaning with the commodified signs of our traditions and culture while the social aesthetics of technobureaucratic strategies are making him think he means something. Everything else is just nostalgia" 3.

Torna all'indice 1 Per una panoramica v. G. Minda, Postmodern Legal Movements, cit., 141 ss. 2 Margaret Jane Radin, The Pragmatist and the Feminist, 63 S. Cal. L. Rev., 1699 (1990).
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Maria Rosaria Marella, Appunti sull'influenza di Marx nel femminismo giuridico

3 Pierre Schlag, The Problem of the Subject, 69 Tex.L.Rev. 1627, 1721 (1991).

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a cura di Nico De Federicis defed@despammed.com Ultimo aggiornamento: 9 gennaio 2004

Studiosi di filosofia politica in Italia


Professori ordinari
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BFP
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Universit in Italia

Alfieri prof. Luigi Universita' degli Studi di Urbino, Facolta' di Sociologia, Via Saffi, 15, 61029 URBINO Bazzicalupo prof.ssa Laura Universita' degli Studi di Salerno, Facolt di Scienze Politiche, Via Ponte Melillo, 84084 FISCIANO (SALERNO) Besussi prof.ssa Antonella Universita' degli Studi di Milano, Facolta' di Scienze Politiche, Via Conservatorio, 7, 20100 MILANO Bonvecchio prof. Claudio Universita' degli Studi dell'Insubria, Facolta' di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, Via Ravasi, 2, 21100 VARESE Bovero prof. Michelangelo Universita' degli Studi di Torino, Facolta' di Scienze Politiche, Via Verdi, 25, 16124 TORINO Caruso prof. Sergio Universita' degli Studi di Firenze, Facolta' di Scienze Politiche, Via Laura ,48 50139 FIRENZE Castellano prof. Danilo Universita' degli Studi di Udine, Facolta' di Lingue e Letterature Straniere, Palazzo Antonini-Cernazai, Via Antonini, 8, 33100 UDINE Cavarero prof.ssa Adriana @ Universita' degli Studi di Verona, Facolt di Lettere e Filosofia, Via San Francesco, 22, 37129 VERONA Cerutti prof. Furio @ Universita' degli Studi di Firenze, Facolta' di Lettere e Filosofia (Dipartimento di Filosofia), Via Bolognese, 52, 50139 FIRENZE Chiodi prof. Giulio Maria @ Universita' "Federico II" di Napoli, Facolta' di Giurisprudenza, Corso Umberto I, 80134 NAPOLI Cubeddu prof. Raimondo Universita' degli Studi di Pisa, Facolta' di Scienze Politiche, Via Serafini, 3, 56126 PISA Duso prof. Giuseppe Universita' degli Studi di Padova, Facolta' di Lettere e Filosofia, Piazza Capitaniato, 7, 35139 PADOVA Ferrara prof. Alessandro Universita' degli Studi di Parma, Facolta' di Lettere e Filosofia, Borgo Carissimi, 10 43100 PARMA

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Fiaschi prof. Giovanni Universita' degli Studi di Padova, Facolta' di Scienze Politiche, Via del Santo, 28, 35123 PADOVA Fiorillo prof.ssa Vanda Universita' "Federico II" di Napoli, Facolta' di Scienze Politiche, Via Rodin, 22, 80100 NAPOLI Galeotti prof.ssa Anna Elisabetta Universit degli Studi del Piemonte Orientale, Facolt di Lettere e Filosofia II, Palazzo Tartara, Corso Galileo Ferraris, 109, VERCELLI Gatti prof. Roberto @ Universita' degli Studi di Perugia, Facolta' di Lettere e Filosofia, Via dell'Aquilone, 8, 06123 PERUGIA Henry prof.ssa Barbara Scuola Superiore Sant'Anna di Studi Universitari e di Perfezionamento, Via Carducci, 40, 56100 PISA Limone prof. Giuseppe Seconda Universita' degli Studi di Napoli, Facolta' di Giurisprudenza, Piazza Matteotti, Palazzo Melzi, 81055 SANTA MARIA CAPUA VETERE (CASERTA) Lippolis prof.ssa Laura Universita' degli Studi di Lecce, Facolta' di Lettere e Filosofia, Palazzo Parlangeli, Via V.M. Stampacchia, 1, 73100 LECCE Maffettone prof. Sebastiano Libera Universita' Internazionale degli Studi Sociali "G. Carli", Facolta' di Scienze Politiche, Viale Pola, 12, 00157 ROMA Marini prof. Giuliano Universita' degli Studi di Pisa, Facolta' di Scienze Politiche, Via Serafini, 3, 56100 PISA Marramao prof. Giacomo Universita' di Roma III, Facolta' di Lettere e Filosofia, Piazza della Repubblica, 10, 00185 ROMA Mazzu' prof.ssa Domenica Sobbrio Universita' degli Studi di Messina, Facolta' di Scienze Politiche, Via T. Cannizzaro, 9, 98100 MESSINA Mura prof. Virgilio Universita' degli Studi di Sassari, Facolta' di Scienze Politiche, Viale Regina Margherita, 15, 07100 SASSARI Nicoletti prof. Michele Universita' degli Studi di Trento, Facolta' di Lettere e Filosofia, Via Santa Croce, 65 38100 TRENTO Pincin prof. Carlo Universita' degli Studi di Siena, Facolta' di Giurisprudenza, Piazza San Francesco, 53100 SIENA Possenti prof. Vittorio Universita' "Ca Foscari" di Venezia, Facolta' di Lettere e Filosofia (Dip. di Filosofia), Palazzo Nani Mocenigo, Dorsoduro 960 - 30123 VENEZIA Sbarberi prof. Franco Universita' degli Studi di Sassari, Facolta' di Scienze Politiche, Corso Regina Margherita, 15, 07100 Sassari Signorini prof. Alberto Universita' degli Studi di Camerino, Facolta' di Giurisprudenza, Palazzo ducale, CAMERINO Sorgi prof. Giuseppe

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Universita' degli Studi di Teramo, Facolta' di Scienze Politiche, Viale Crucioli, 122, 64100 TERAMO Veca prof. Salvatore @ Universita' degli Studi di Pavia, Facolta' di Scienze Politiche, Strada Nuova, 65, PAVIA Zanfarino prof. Antonio Universita' degli Studi di Firenze, Facolta' di Scienze Politiche, Via Laura, 48, 50139 FIRENZE

Professori associati
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Amadio prof.ssa Carla Universita' degli Studi di Macerata, Facolta' di Scienze Politiche, Piazza Strambi, 1, 62100 MACERATA Andreatta prof.ssa Daniela Universita' degli Studi di Padova, Facolta' di Scienze Politiche, Via del Santo, 28, 35123 PADOVA Anteghini prof. Alessandra Universita' degli Studi di Genova, Facolta' di Scienze Politiche, Largo Zecca, 8/18, 16123 GENOVA Azzaro prof. Salvatore Universita' di Cassino, Facolt di Lettere e Filosofia, Via Zamosch, 43, 03043 CASSINO (FR) Baglioni dr.ssa Emma Universita' degli Studi di Teramo, Facolta' di Scienze Politiche, Viale Crucioli, 122, 64100 TERAMO Baldi prof.ssa Rita Universita' degli Studi di Genova, Facolta' di Scienze Politiche, Largo Zecca, 8/18, 16123 GENOVA Barbaccia prof. Giuseppe Universita' degli Studi di Palermo, Facolta' di Scienze Politiche, Largo Siviglia, 29, 90138 PALERMO Bracco prof. Fabrizio Universita' degli Studi di Perugia, Facolta' di Scienze Politiche, Via A. Pascoli, 33, 06123 PERUGIA Cangiotti prof. Marco Universita' degli Studi di Urbino, Facolta' di Scienze Politiche, Via Saffi, 15, 61029 URBINO Conigliaro dr. Francesco Universita' degli Studi di Palermo, Facolta' di Scienze Politiche, Via Maqueda, 324, 90100 PALERMO De Gennaro prof. Antonio Universita' degli Studi di Bologna, Facolta' di Scienze Politiche, Strada Maggiore, 45, 40125 BOLOGNA Escobar prof. Roberto Universita' degli Studi di Milano, Facolta' di Scienze Politiche, Via Conservatorio, 7, 20100 MILANO Goisis prof. Giuseppe Universita' degli Studi di Venezia, Facolta' di Lettere e Filosofia, Dorsoduro 1678, 30123 VENEZIA Mancarella prof. Angelo Universita' degli Studi di Lecce, Facolta' di Lettere e Filosofia, Palazzo Parlangeli,

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Via V.M. Stampacchia, 1, 73100 LECCE Marzocchi prof. Virginio Universita' "La Sapienza" di Roma, Facolta' di Lettere e Filosofia, Via Carlo Fea, 2, 00185 ROMA Pacchiani prof. Claudio Universita' degli Studi di Padova, Facolta' di Lettere e Filosofia, Piazza Capitaniato, 7, 35139 PADOVA Papa prof.ssa Franca Maria Universita' degli Studi di Bari, Facolta' di Scienze Politiche, 70100 BARI Petrucciani prof. Stefano Universita' "La Sapienza" di Roma, Facolta' di Lettere e Filosofia, Piazzale A. Moro, 00185 ROMA Pievatolo prof.ssa Maria Chiara Universit degli Studi di Pisa, Facolt di Scienze Politiche, Dipartimento di Scienze della politica, Via Serafini, 3, 56126 PISA Pulcini prof.ssa Elena Universita' degli Studi di Firenze, Facolt di Lettere e Filosofia, Via Bolognese, 52, 50139 FIRENZE Revedin prof. Antonio Marino Universita' degli Studi di Trieste, Facolta' di Scienze Politiche, Piazza Europa, 1, 34127 TRIESTE Sciacca prof. Fabrizio Universit di Catania, Facolt di Scienze Politiche, Via Vittorio Emanuele, 49, 95131 CATANIA

Ricercatori
q

Barberi dr.ssa Maria Stella Universita' degli Studi di Messina, Facolta' di Scienze Politiche, Via T. Cannizzaro, 9, 98100 MESSINA Barbieri dr. Michele Antonio Universita' degli Studi di Siena, Facolta' di Scienze Politiche, Piazza San Francesco, 7, 53100 SIENA Boccia dr.ssa Maria Luisa Universita' degli Studi di Siena, Facolta' di Lettere e Filosofia, Via Roma, 47, 53100 SIENA Bolaffi dr. Angelo Universita' "La Sapienza" di Roma, Facolta' di Lettere e Filosofia, Via Carlo Fea, 2, 00185 ROMA Carter, dr. Ian Universita' degli Studi di Pavia, Facolta' di Scienze Politiche, Strada Nuova, 65, PAVIA Casalini dr.ssa Brunella Universita' degli Studi di Firenze, Facolta' di Scienze Politiche, Via Laura, 48, 50139 FIRENZE Cella dr.ssa Paola Universita' degli Studi di Genova, Facolta' di Scienze Politiche, Largo Zecca, 8/18, 16123 GENOVA Corselli dr. Manlio Universita' degli Studi di Palermo, Facolta' di Lettere e Filosofia, Viale delle Scienze, 1, 90143 PALERMO Cotta prof.ssa Gabriella

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Universita' "La Sapienza" di Roma, Facolt di Scienze Politiche, Piazzale A. Moro, 00185 ROMA Cuomo dr.ssa Elena Universita' "Federico II", Facolt di Scienze Politiche, Via Mezzocannone, 15, 80100 NAPOLI D'andrea dr. Dimitri Universita' degli Studi di Firenze, Facolta' di Lettere e Filosofia, Via Bolognese, 52, 50139 FIRENZE De Caro dr. Mario Universita' di Roma III, Facolta' di Lettere e Filosofia, Piazza della Repubblica, 10, 00185 ROMA Fusillo dr. Francesco Istituto Universitario "Orientale" di Napoli, Facolt di Scienze Politiche, Piazza S. Giovanni Maggiore, 30, 80134 NAPOLI Lami dr. Gianfranco Universita' "La Sapienza" di Roma, Facolta' di Scienze Politiche, Piazzale A. Moro, 00185 ROMA Ottonelli dr. Valeria Universita' degli Studi di Genova, Facolta' di Lettere e Filosofia, Via Balbi, 6 , 16123 GENOVA Palumbo dr. Antonino Universit degli Studi di Palermo, Facolt di Scienze della formazione, Piazza Ignazio Florio, 24, 95100, PALERMO Parotto dr.ssa Giuliana Universita' degli Studi di Pavia, Facolta' di Scienze Politiche, Strada Nuova, 65, 27100 PAVIA Ramaccioni dr. Paolo Universita' degli Studi di Camerino, Facolta' di Giurisprudenza, Palazzo ducale, CAMERINO Sorrentino dr. Vincenzo Universita' degli Studi di Perugia, Facolta' di Lettere e Filosofia, Via dell'Aquilone, 8, 06123 PERUGIA Tarantino dr.ssa Maria Lucia Pantalea Universita' degli Studi di Lecce, Facolta' di Lettere e Filosofia, Palazzo Parlangeli, Via V.M. Stampacchia, 1, 73100 LECCE Toraldo di Francia dr.ssa Monica Universita' degli Studi di Firenze, Facolta' di Lettere e Filosofia, Via Bolognese, 52, 50139 FIRENZE Tonchia dr.ssa Teresa Universita' degli Studi di Trieste, Facolta' di Scienze Politiche, Piazzale Europa, 1, 34127 TRIESTE Vaccaro dr. Salvatore Universit degli Studi di Palermo, Facolt di Scienze della formazione, Piazza Ignazio Florio, 24, 95100, PALERMO Vannucci dr. Alberto Universita' di Pisa, Facolta' di Scienze Politiche, Dipartimento di Scienze della politica, Via Serafini, 3, 56123 PISA Villani dr.ssa Natascia Istituto Universitario "Suor Orsola Benincasa", Via Suor Orsola, 10, 80135 NAPOLI

Studiosi di discipline affini e cultori della materia

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Areddu prof. Antonio Universita' degli Studi "La Sapienza", Facolta' di Lettere e Filosofia, Via Carlo Fea, 4, 00185 ROMA Baccelli prof. Luca Universita' di Pisa, Facolta' di Giurisprudenza (Dipartimento di diritto pubblico), Piazza dei Cavalieri, 2, 56100 PISA. Tel. (39) 50 28415/20166, fax. (39) 50 502428 Del Bo' dr. Corrado Universita' degli Studi di Pavia, Facolta' di Scienze Politiche, Strada Nuova, 65, PAVIA Fundaro' dr. Antonio Facolt di Scienze della formazione, Piazza Florio, 24 - 90139 PALERMO Iacono prof. Alfonso M. Dipartimento di Filosofia, Piazza Torricelli, 3/a 56126 PISA tel. 050911471/519 fax 050911532 Maimone dr. Vincenzo Universita' di Messina, Facolta' di Lettere e Filosofia, Via dei Verdi, 60, 98100 MESSINA Meliad dr. Attilio Universita' di Messina, Facolta' di Scienze Politiche, Via Cannizzaro, 9, 98110 MESSINA Monceri dr.ssa Flavia Universita' di Pisa, Facolta' di Scienze Politiche, Dipartimento di Scienze della politica, Via Serafini, 3, 56100 PISA Ricciardi dr. Mario Dipartimento di filosofia e Sociologia del diritto, Via Festa del Perdono, 7, 20122 MILANO Sbail prof. Ciro Link University of Malta, Via Nomentana, 32, 00100 ROMA Tincani dr. Persio Universita' di Milano, Facolta' di Scienze Politiche, Via Conservatorio, 7, 20100 MILANO

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Studiosi di filosofia politica nel mondo

a cura di Angelo Marocco marocco@tanzilli.com Ultimo aggiornamento: 4 gennaio 2002

Studiosi di filosofia politica nel mondo


Questa pagina , che raccoglie home pages di professori e studiosi, vuole mettere a contatto diretto con le realt di ricerca internazionali in materia di filosofia politica.

Pagine in inglese

Pagine in tedesco Pagine in portoghese Pagine in polacco Pagine in svedese Pagine in danese Pagine in rumeno Pagine in croato

Pagine in francese

Pagine in spagnolo Pagine in coreano Pagine in olandese Pagine in ceco Pagine in ungherese

Chi fosse interessato a suggerire links , aggiornamenti e notizie invitato a scrivere al curatore

I nuovi siti della settimana

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Studiosi di filosofia politica nel mondo

Gbor Trk (ungherese)


La pagina web presenta dati personali e lista di pubblicazioni (senza etexts). L'autore interessato allo studio del sistema politico in Ungheria e delle "grandi teorie" della democratizzazione.

In inglese
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Rosemary Allen Little's Home Page


Pagina molto utile, ricca di informazioni sulla Princeton University. Con links dettagliati per le varie discipline.

The American Nihilism Association Home Page


Home Page, di stile propagandistico, della American Nihilism Association .

Associations Web Site (Alius Aarnio)


Home Page della rivista Associations. Journal for Social and Legal Theory , con la mailing list del comitato di redazione.

J. Ball's Home Page


Home Page con testi e notizie su corsi e ricerche.

Lawrence C. Becker
Professore del College of William & Mary. Nel sito possibile trovare una breve biografia, una bibiografia con abstracts e diversi links.

Isaiah Berlin's Page


Una pagina di tributo del Wolfson College di Oxford. Con vari links interessanti e alcuni testi in linea.

Chris Bertram's Home Page


University of Bristol. Con bibliografie dei corsi di filosofia politica (interessante corso sulla Theory of Justice ).

Murray Bookchin Web Site


Sito dedicato a Bookchin. Con indicazioni bibliografiche, testi e foto.

Jorn Bramann
Professore presso la Frostburg State University si occupa, tra l'altro, di filosofia politica con particolare attenzione al marxismo. Home page essenziale.

Samantha Brennan
Professoressa presso la University of Western Ontario. I suoi interessi sono rivolti in modo particolare all'etica del femminismo. Diversi links sull'argomento.

Cory J. Briggs
Dall'universit del Maryland, pagina con breve biografia, informazioni sui corsi e bibliografia.

Joan C. Callahan
Professoressa presso la University of Kentucky e direttrice del Women's Studies Program. Pagina con dati biografici, materiale per le lezioni e numerosi links relativi al femminismo.

Bryan Caplan's Home Page


Home Page anarco-capitalista di Caplan (George Mason University). Con numerosi links ad altre home pages e a testi in linea interessanti.

Rod Cameron
Dalla Nuova Zelanda pagine web dedicate alla filosofia con attenzione anche al

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Studiosi di filosofia politica nel mondo

pensiero politico. Nel sito vi sono libri online (Logos logic. The end of the philosophic quest) e altre interessanti informazioni.
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Alan Carter
Professore presso l'universit del Colorado di Boulder. Pagine web bene organizzate con biografia e pubblicazioni online.

Selina Chen's Home Page


Home Page di Selina Chen, Ph.D., research assistant al Nuffield College di Oxford.

Noam Chomsky's Home Page


Home Page di Chomsky con una bibliografia delle sue pubblicazioni pi recenti e un link all'immenso, ancorch non autorizzato, Noam Chomsky Archive , che raccoglie le sue opere politiche.

Joshua Cohen's Home Page


Home Page di Cohen (MIT) con bibliografia.

Joseph Cropsey's Web Site


Sito dedicato a Cropsey. Celebrativo.

Amanda Dickins' WWW Links


La curatrice una studentessa (Ph.D) di Princeton. Links a testi in linea di Falk e Doig.

Brian Domino
Professore all'Eastern Michigan University. Pagina con il testo della dissertazione online (Nietzsche's Republicanism).

Andrea Dworkin's Web Site


Da questo sito si pu accedere a diversi elenchi bibliografici e ad estratti da testi cartacei . Pubblicitario.

Ronald Dworkin's Page


Pagina della NYU School of Law dedicata a Dworkin. Con alcuni testi in linea.

Jon Elster's Page


Pagina dedicata a Jon Elster ricca di informazioni. possibile iscriversi ad una mailing list per ricevere notizia degli aggiornamenti.

Diana Evans Home Page


Professore al Political Science Department del Trinity College.

David Fishers's Home Page


Home Page molto ricca di links e news.

David D. Friedman's Home Page


Home page dell'"anarco-anacronista-economista David Friedman".

Doug Friedman's Home Page


Presso la CUNY, un seguace entusiasta del marxismo in versione castrista.

Renny Fulco Home Page


Senior lecturer presso il Women Studies & Political Science Department del Trinity College.

Henrik Gahmberg's Home Page


Una Home Page di stile galattico.

Deirdre Golash
Home page con biografia, links e un elenco parziale delle pubblicazioni. L'autrice si occupa di questioni filosofiche relative alla giustizia.

Andrew Greeley's Web Site


Home page di Andrew Greeley, prete cattolico americano specialista in questioni sociologiche riguardanti il cattolicesimo. Molti testi in linea.

James Harrington
La homepage contiene una breve biografia e diversi testi online.

John C. Harsanyi's Web Site

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Studiosi di filosofia politica nel mondo

Sito molto povero di informazioni. Link alla Home Page della National Accademy of Sciences .
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Andrew Heard's Home Page


Home Page di Heard (Simon Fraser University). Links interessanti.

Lester H. Hunt
La home page riporta alcuni saggi on-line e l'indicazione di numerosi links.

Simon Hug's Web Site


Sito dell'Universit di Ginevra dedicato a Hug, con informazioni bibliografiche.

David Kahane's Webpage


Home page del canadese David Kahane, con numerose pubblicazioni on-line e links a risorse filosofico-politiche di vario genere.

Torleif Kahrs' Home Page


Kahrs un economista norvegese che si occupa di politica dell'educazione.

Frances Myrna Kamm


Autrice interessata nelle questioni di etica normativa e nei problemi etici connessi alla medicina e al diritto. Homepage con biografia e testi online.

Clyde McKee Home Page


Professore al Political Science Department del Trinity College.

Richard D. McKelvey Home Page


Home Page di McKelvey (California Institute of Technology), con informazioni bibliografiche e sui corsi. Testi in linea.

Gary King's Home Page


Professore ad Harvard (Department of Government) . La pagina ricca di informazioni e fornisce la possibilit di scaricare alcuni testi.

Kaplan Memorial Library


Testi in linea dalla Manuscript Collection di Kaplan. Aggiornato abbastanza frequentemente.

Toshihiko Ise's Home Page


Home Page con links e alcuni testi in linea.

Dieter Janssen's Home Page


Studente della WWU Mnster. Il sito, parzialmente in corso di allestimento, contiene un testo sulla teoria della guerra giusta.

Hugh LaFollette
Numerosi saggi in rete.

Pierre Lemieux Home Page


Home Page con links e testi in linea. Anche in francese.

Willem Maas' Home Page


Home Page di Maas (Yale University).

Evan Mc Kenzie's Home Page


Insegna Political Science presso la University of Illinois (Chicago). Si occupa della c. d. "Privatopia".

Stanley W. Moore' Memorial Page


Pagina celebrativa con notizie biografihe e scarna bibliografia.

Adam Morton's Home Page


Dipartimento di Filosofia dell'Universit di Bristol. Si occupa, tra le altre cose, di decision-making .

Ben Mulvey
Homepage con informazioni sui corsi e interessanti links.

Thomas Nagel's Home Page


Home Page con testi in linea (un'interessante critica a Rawls).

Ramendra Nath

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Studiosi di filosofia politica nel mondo

Home page del professore di filosofia presso universit di Patna (Bihar, India). Nel sito vi sono alcuni testi on-line, una breve biografia e diversi links.
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Andrew Norton's Home Page


Con numerosi links dedicati alla politica australiana. L'autore propone una scelta da numerose riviste internazionali degli articoli pi interessanti.

Robert Nozick
I campi di interesse dell'autore spaziano dalla filosofia politica all'etica. Homepage con biografia e diversi testi online.

Greg Ransom
Pagina web con saggi online dell'autore e interessanti links relativi a Friedrich Hayek, tra i quali si veda la Fr. Hayek Scholars' Page.

Eric Reinhardt
Con alcuni links interessanti e una foto sorridente.

Jeffrey M. Ritter's Home Page


Home Page di Ritter (Harvard). Con testi in linea e links.

Winfield H. Rose's Home Page


Home Page di Rose (Murray State University). Testi in linea, links e programmi. L'autore si puo' effettivamente contattare al suo indirizzo e-mail.

Thomas M. Scanlon
Studioso statunitense autore di alcuni saggi sulla libert di espressione, sul welfare e sulle diverse dottrine sulla giustizia. Homepage essenziale.

Amartya Sen's Home Page


Home Page del premio Nobel 1998 (Harvard University).

David S. Stern
Gli interessi dell'autore sono indirizzati prevalentemente su due ambiti teoretici: la cultura filosofica europea e la filosofia politica. Nella pagina web si possono trovare, tra l'altro, un elenco parziale delle pubblicazioni.

Lynette Sweidel
Sito web con una interessante pagina dedicata a John Rawls. Qui si trovano anche diversi testi online e links sull'opera di Rawls.

Charles Taylor's Web Site


Sito dedicato a Taylor (McGill University). Informazioni bibliografiche.

Jeremy Waldron's Home Page


Nuova Zelanda. Filosofia morale, giuridica e politica.

Michael Walzer's Home Page


La Home Page di Walzer, con il suo curriculum in formato pdf.

Jason Werbics
Dal Canada homepage del "Peasant Philosopher". Sito con una biografia e alcuni testi online.

Antje Wiener
Sito ben organizzato che presenta un curriculum vitae, una lista di pubblicazioni dell'autrice e interessanti links.

Thad Williamson
Sito web con curriculum vitae, numerosi scritti online e interessanti links.

Martin David Yaffe's Web Site


Home Page di Yaffe (University of North Texas) Bibliografia e informazioni sui corsi.

Takeshi Yamashita's Home Page


Studioso di Carl Schmitt. Testi e bibliografia. Torna all'inizio

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Studiosi di filosofia politica nel mondo

In tedesco
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Arno Baruzzi
Nel sito si possono trovare il curriculum vitae, la bibliografia e gli indirizzi di alcuni interessanti links.

Peter Brokmeier
Professore presso l'universit di Hannover e membro del comitato di redazione della rivista Hannah Arendt Newsletter. Pagina web con biografia e bibliografia (un testo online su H. Arendt).

Andreas Busch
Sito web con dati personali e bibliografia.

Roland Czada
Homepage con dati biografici e diversi testi online dell'autore.

Otfried Hffe's Web Site


Sito dedicato ad Hffe (Universit di Tubinga). Alcuni links interessanti.

Andreas Ladner
Homepage con una breve biografia, links e una bibliografia con diversi testi online.

Niklas Luhmann's Links


Elenco di links relativi a Luhmann.

Susanne Ltz
L'autrice si interessa di economia politica internazionale, sociologia politica e analisi politica. Homepage con biografia, lista di pubblicazioni e interessanti links.

Helmut Quaritsch Web Site


Una breve pagina.

Martin Rhonheimer
Professore di Etica e Filosofia Politica presso la Pontificia Universit della Santa Croce. Dati personali e bibliografia con molti testi e progetti on-line. Anche in inglese e in italiano.

Eric Voegelin Archiv - Mnchen


Il sito Web dell'Archivio Voegelin. Torna all'inizio

In francese
q

Roberto Baranzini
Membro del Centre d'Etudes Interdisciplinaires Walras-Pareto. Biografia e bibliografia con un abstract on-line.

Pascal Bridel
Direttore del Centre d'Etudes Interdisciplinaires Walras-Pareto. Home Page con biografia, bibliografia con testi e abstract on-line.

Laurent Jaffro
Dall'universit di Parigi interessante home page che presenta una lista di pubblicazioni dell'autore e diversi links. Disponibile anche una bibliografia su Shaftesbury.

Pierre Lemieux Home


Home Page con links e testi in linea. Anche in inglese.

Pierre Lvy
Pagina web di uno dei pi importanti "media philosopher". Homepage essenziale con dati biografici e una lista di pubblicazioni senza testi online.

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/studiowofp.htm (6 of 10)06/12/2004 13:02:03

Studiosi di filosofia politica nel mondo


q

Fiorenzo Mornati
Membro del Centre d'Etudes Interdisciplinaires Walras-Pareto. Biografia e bibliografia con un abstract on-line.

Elena Tatti
Membro del Centre d'Etudes Interdisciplinaires Walras-Pareto. Biografia e bibliografia con testi on-line.

Philippe Van Parijs


Nella pagina web disponibile un elenco delle pubblicazioni dello studioso con alcuni testi online. Disponibile anche una versione in inglese. Torna all'inizio

In portoghese
q

Srgio Biagi Gregrio


Sito con numerosi saggi e articoli on-line dell'autore.

Jose Adelino Maltez Home Page


Home Page di Maltez (Universit di Lisbona). Torna all'inizio

In spagnolo
q

Rubn Capdeville
Dal Messico, homepage con curriculum vitae, bibliografia e riferimenti in rete.

Giulio Girardi
Filosofo e teologo della liberazione. Presente nel sito una biografia, una bibliografia e due testi on-line ( Para una refundacin de la esperanza e Globalizacin, deuda externa, jubileo 2000 ).

Octavio Obando Morn


Sito che presenta l'itinerario di idee sviluppate dall'autore, docente presso la Universidad Nacional Mayor de San Marcos (Peru). Bibliografia e numerosi testi in linea. Torna all'inizio

In polacco
q

Agnieszka Kalbarczyk
La studiosa polacca si interessa di filosofia politica e psicologia politica. Pagina con dati personali e progetti di ricerca.

Milowit Kuninski
Pagina web con una breve biografia e lista delle pubblicazioni. L'autore si occupa di storia della filosofia e di filosofia politica (in modo particolare di von Hayek). Disponibile una versione in inglese.

Justyna Miklaszewska
Homepage con biografia e bibliografia. L'autrice lavora intorno alle questioni di storia delle idee e filosofia politica, con particolare interesse per il liberalismo

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/studiowofp.htm (7 of 10)06/12/2004 13:02:03

Studiosi di filosofia politica nel mondo

americano e la teoria della scelta pubblica. Disponibile anche una versione in inglese.
q

Mariusz Turowski
Home page articolata con numerosi testi e materiale on-line (in inglese e polacco). Diversi links.

Rafal Wierzchoslawski
L'autore si occupa di filosofia politica e filosofia della scienza. Nel sito si trovano una biografia, un elenco delle pubblicazioni e altre interessanti informazioni. disponibile anche una versione in inglese. Torna all'inizio

In coreano
q

Sang-Heon Ahn
Professore presso la Chnugbuk National University. Sito con molti testi on-line e interessanti links. In fase di allestimento una versione in inglese. Torna all'inizio

In svedese
q

Tom Borvanders
Homepage didicata alla filosofia politica. Qui si trovano diversi testi online e alcuni interessanti links.

Ragnar Ohlsson
Autore svedese interessato alla filosofia politica e morale. La sua homepage presenta una sintetica biografia e bibliografia (nessun testo online).

Martin Peterson
Pagina web essenziale con dati personali, lista di pubblicazioni e indicazioni di links.

Kjell Svensson
L'autore svedese impegnato nell'ambito della filosofia morale, politica e femminista. La homepage presenta una breve biografia e una lista di pubblicazioni (nessun testo online).

Folke Tersman
Membro della redazione della rivista "Tidskrift fr politisk filosofi". Pagina web essenziale con informazioni biografiche e una lista delle pubblicazioni (nessun testo online). Torna all'inizio

In olandese
q

Ger Groot
Homepage con una breve biografia e bibliografia (nessun testo online).

Marin J. Terpstra
Pagina dall'universit cattolica di Nimega. L'autore si interessa dei rapporti tra politica e religione con particolare riferimento a pensatori come Schmitt, Voegelin, Strauss e Taubes.

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/studiowofp.htm (8 of 10)06/12/2004 13:02:03

Studiosi di filosofia politica nel mondo


q

Willem J.F. van der Kuijlen


Dall'universit cattolica di Nimega homepage di van der Kuijlen, che si interessa principalmente di filosofia kantiana.

Evert van der Zweerde


Pagina web dall'universit cattolica di Nimega. L'autore uno studioso della cultura filosofica russa e sovietica. Torna all'inizio

In danese
q

Morten Christensen
La sua homepage presenta un curriculum vitae e una bibliografia con diversi testi online. L'autore si occupa principalmente del pensiero di Luhmann, Grundbegreber e Rawls. Disponibile anche una versione in inglese. Torna all'inizio

In ceco
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Petr Fiala
Homepage che presenta un breve curriculum accademico dell'autore con una lista delle recenti pubblicazioni. Disponibile anche una vesione in inglese.

Jan Jirk
Una homepage essenziale con dati personali e accademici dell'autore.

Petr Mach
Sito web con dati personali dell'autore e bibliografia. Disponibili diversi testi online e riferimenti in rete.

Jn Pavlk
Homepage offre una sintetica biografia e una lista delle pubblicazioni. L'autore ceco si interessa di fenomenologia, filosofia politica e morale (Brentano, von Hayek, Masaryk). Torna all'inizio

In rumeno
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Dan-Catalin Barbulescu
L'autore si occupa principalmente di filosofia politica e morale. La sua homepage presenta brevi indicazioni biografiche e una lista di pubblicazioni con diversi testi online. Disponibile una versione in inglese.

Adrian-Paul Iliescu
L'autore si interessa soprattutto di romanticismo e conservatorismo. Nella pagina web si trovano una biografia e bibliografia con alcuni testo online. Disponibile una versione in inglese.

Adrian Miroiu
Pagina web con concisa biografia e lista di pubblicazioni con testo online. Disponibile una versione in inglese.

Emanuel-Mihail Socaciu

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/studiowofp.htm (9 of 10)06/12/2004 13:02:03

Studiosi di filosofia politica nel mondo

Pagina web con dati personali e bibliografia (nessun testo online). Disponibile versione in inglese.
q

Mihail Radu Solcan


Tra i suoi lavori vi sono saggi su Popper, Berlin, Oakeshott, Locke, David Friedman. Nella homepage si trovano una biografia e una lista di pubblicazioni senza testi online. Disponibile anche una versione in inglese. Torna all'inizio

In ungherese
q

va Hajba
I suoi interessi scientifici sono rivolti principalmente all'analisi politica comparata e allo studio dei movimenti sociali e gruppi ambientalisti.

Gabriella Ilonszki
La studiosa ungherese si occupa, tra l'altro, di politica comparta, di istituzioni parlamentari nell'Europa centrale. Nella pagina web si trova anche una lista delle sue pubblicazioni.

Monika Pl
La studiosa si occupa principalmente di sistemi politici britannici e di temi legati al nazionalismo.

Lszl Szarvas
Homepage con breve curriculum vitae e lista delle pubblicazioni. L'autore si occupa di sistemi politici e di partiti parlamentari in Ungheria.

Gbor Trk
La pagina web presenta dati personali e lista di pubblicazioni (senza e-texts). L'autore interessato allo studio del sistema politico in Ungheria e delle "grandi teorie" della democratizzazione. Torna all'inizio

In croato
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Ivan Grdeic
Pagina web con dati personali, informazioni sulle attivit di ricerca e bibliografia dell'autore. Torna all'inizio

SWIF - Sito Web Italiano per la Filosofia Copyright 1997-98 CASPUR - LEI

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/studiowofp.htm (10 of 10)06/12/2004 13:02:03

Political Philosophers in the World

edited by Angelo Marocco marocco@tanzilli.com Last updated: January 04, 2002

Political Philosophers in the World

English pages French pages Spanish pages Polish pages Dutch pages Czech pages Hungarian pages

German pages Portuguese pages Korean pages Swedish pages Danish pages Romanian pages Croatian pages

If you are interested in proposing or updating or adding information, you are invited to contact the editor

New Web Sites

Gbor Trk (Hungarian)


The homepage presents a succinct curriculum vitae and a list of selected studies. His fields of interest are hungarian political system, transition, regime change and the Grand Theories of democratisation.

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/filpole/studiowofpe.htm (1 of 10)06/12/2004 13:02:06

Political Philosophers in the World

English pages
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Rosemary Allen Little's Home Page


From Princeton University, a home page containing some useful links for political philosophers.

The American Nihilism Association Home Page


Web site of the American Nihilism Association.

Associations Web Site (Alius Aarnio)


Home page of the review Associations. Journal for Social and Legal Theory, with a mailing list.

William J. Ball's Home Page


Home page with writings and news about courses and research projects.

Lawrence C. Becker
Professor at William & Mary College. His site contains a biography, bibliography with abstracts and links.

Isaiah Berlin's Page


From Wolfson College of Oxford, a site devoted to I. Berlin's thought. It offers some useful links and on-line texts.

Chris Bertram's Home Page


From University of Bristol, page with political philosophy courses syllabi.

Jorn Bramann
Professor at the Frostburg State University. His research interests are devoted to political philosophy, especially Marxism.

Samantha Brennan
Associate Professor at the University of Western Ontario. Her research interests concerns moral and political philosophy, specifically on theories of moral rights and on feminist ethics. Several related links.

Cory J. Briggs
From the University of Maryland, biographical information, course and publications.

Joan C. Callahan
Professor at University of Kentucky and director of the Women's Studies Program. Page with curriculum vita, related course materials and many links to sites devoted to feminist philosophy.

Rod Cameron
From New Zealand: his website offers online as well as downloadable ebooks (Logos logic. The end of the philosophic quest) and other useful information.

Alan Carter
Professor at University of Colorado. Well-organized web pages with a brief biographical sketch and publications (e-texts).

Joseph Cropsey's Web Site Site dedicated to Cropsey. Amanda Dickins' WWW Links
Student (Ph.D.) of Princeton. Links to on-line texts of Falk and Doig.

Brian Domino
Assistant Professor at Eastern Michigan University. Page with online dissertation text (Nietzsche's Republicanism).

Andrea Dworkin's Web Site


A wide collection of bibliographical resources and writings.

Ronald Dworkin's Page


From the NYU School of Law, a web page dedicated to Dworkin, with some on-line writings.

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/filpole/studiowofpe.htm (2 of 10)06/12/2004 13:02:06

Political Philosophers in the World

Jon Elster's Page


A rich page dedicated to Jon Elster. By subscribing to a mailing list, you can receive updated news.

Diana Evans Home Page


Professor at the Political Science Dept. of the Trinity College.

David Fishers's Home Page


Home page with many links and news.

David D. Friedman's Home Page


Home page of the economist David Friedman.

Doug Friedman's Home Page


From the CUNY, an enthusiastic follower of Marxism (particularly Castrism).

Renny Fulco Home Page


Senior lecturer at Trinity College Women Studies Political Science Dept.

Henrik Gahmberg's Home Page


Galactic style home page.

Deirdre Golash
Her site contains biographical sketch, links and selected publications. She is currently interested in philosophical questions such as "What is justice?" and "Why should we obey the law?".

Andrew Greeley's Web Site


Home page of Andrew Greeley, catholic priest especially concerned with sociological issues about American Catholicism. Several on-line texts.

James Harrington
His web page contains a brief biography and many e-texts.

John C. Harsanyi's Web Site


Here you find link to home page of the National Accademy of Sciences.

Andrew Heard's Home Page


Home page of Heard (Simon Fraser University) with helpful links.

Simon Hug's Web Site


From University of Geneva, web page devoted to Hug, with bibliographical information.

Lester H. Hunt
He works in the areas of moral, political, and legal philosophy. His home page presents links to related sites and several on-line texts.

David Kahane's Webpage


On-line writings and links to philosophical-political resources.

Torleif Kahrs' Home Page


Kahrs is a Norwegian economist interested in politics of education.

Clyde McKee Home Page


Professor at Trinity College Political Science Dept.

Richard D. McKelvey Home Page


Home page of McKelvey (Institute California of Technology) with bibliography, courses and on-line texts.

Gary King's Home Page


Professor at Harvard Dept. of Government. With useful information and some texts to download.

Kaplan Memorial Library


On-line writings from the Manuscript Collection of Kaplan. Frequently updated.

Frances Myrna Kamm


She specializes in normative ethical theory and problems in practical ethics related

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/filpole/studiowofpe.htm (3 of 10)06/12/2004 13:02:06

Political Philosophers in the World

to medicine and law. Her homepage presents a biography and online texts.
q

Toshihiko Ise's Home Page


Home page with links and some on-line texts.

Dieter Janssen's Home Page


Student of the WWU Mnster. The site presents a text about theory of the Right War.

Hugh LaFollette
A large number of e-texts.

Pierre Lemieux Home Page


Home page with links and on-line texts. In French too.

Willem Maas' Home Page


From Yale University Maas' home page.

Evan Mc Kenzie's Home Page


McKenzie teaches Political Science at the University of Illinois (Chicago). His main interest is the so-called "Privatopia".

Stanley W. Moore' Memorial Page


Memorial page with biographical information and bibliography.

Adam Morton's Home Page


Dept. of Philosophy of the University of Bristol. Morton is interested, among other things, in decision-making .

Ben Mulvey
His homepage contains course information and related resources.

Thomas Nagel's Home Page


Home page with on-line writings.

Ramendra Nath
He has been teaching Philosophy in Patna University (Bihar, India) and specialized in ethics and social-political philosophy. His home page contains online publications, a brief biography and his favourite links.

Andrew Norton's Home Page


The home page presents useful links about Australian politics. The web site containing a collection of the most interesting articles selected by the author.

Robert Nozick
His work spans through many areas, including: political philosophy, personal identity and free will theory, and foundations of ethics. His homepage contains a biography and several etexts.

Greg Ransom
The web page presents online selected working papers and contains a series of helpful links to Friedrich Hayek websites. Outstanding among them is the Fr. Hayek Scholars' Page.

Eric Reinhardt
With useful links.

Jeffrey M. Ritter
Home page of Ritter (Harvard). With on-line texts and links.

Winfield H. Rose's Home Page


Home page of Roses (Murray Been University). With on-line texts, courses and useful links.

Thomas M. Scanlon
His publications are about freedom of expression, nature of rights, welfare and theories of justice. His homepage presents personal data.

Amartya Sen's Home Page


Home page of the Nobel Prize 1998 (Harvard University).

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/filpole/studiowofpe.htm (4 of 10)06/12/2004 13:02:06

Political Philosophers in the World


q

David S. Stern
His interests in teaching as well as in research focus on two areas: European philosophy and political philosophy. His page presents a partial list of publications.

Lynette Sweidel
Her web site includes an interesting page dedicated to John Rawls. Here you find links to primary and secondary sources and to helpful links.

Charles Taylor's Web Site


Web site dedicated to Taylor (McGill University). Bibliographical information is also provided.

Jeremy Waldron's Home Page


From New Zealand. Philosophy of Law, Ethics and Political Philosophy.

Michael Walzer's Home Page


With curriculum vitae in pdf format.

Jason Werbics
His "Peasant Philosopher" web site, from Canada, offers a biography as well as online and downloadable texts.

Antje Wiener
Her well-organized web sites contains a curriculum vitae, a list of selected publications and an useful page with related links.

Thad Williamson
His web site presents a curriculum vitae, a large number of on-line writings and helpful links.

Martin David Yaffe's Web Site


Home page of Yaffe (University of North Texas) Bibliography and announcements of courses are also included.

Takeshi Yamashita's Home Page


Student of Carl Schmitt. Text and bibliography. Back to the top

German pages
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Arno Baruzzi
His web site presents a curriculum vitae, bibliography and some useful links.

Peter Brokmeier
Professor at the University of Hannover and editor of the Hannah Arendt Newsletter. His page includes a biography and bibliography with an e-text on H. Arendt.

Andreas Busch
His web site contains personal data and a bibliography.

Roland Czada
His homepage presents a brief biography and a lot of online texts.

Otfried Hffe
From University of Tbingen, a web site devoted to Hffe. It presents some helpful links.

Andreas Ladner
His homepage presents a brief biography, related links and a list of publications with several e-texts.

Niklas Luhmann's Links


Index of links about Luhmann.

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/filpole/studiowofpe.htm (5 of 10)06/12/2004 13:02:06

Political Philosophers in the World


q

Susanne Ltz
Her fields of interest in teaching and research are international political economy, political sociology and policy analysis. Her homepage contains biographical data, publications and related links.

Helmut Quaritsch Web Site


An essential page.

Martin Rhonheimer
Professor of Ethics and Political Philosophy at the Pontifical University of the Holy Cross in Rome. The web page presents personal data, publications and several online texts.

Eric Voegelin Archiv - Mnchen


Web site of the Voegelin Archive. Back to the top

French pages
q

Roberto Baranzini
From Centre d'Etudes Interdisciplinaires Walras-Pareto, page with biography and bibliography (on-line abstract).

Pascal Bridel
From Centre d'Etudes Interdisciplinaires Walras-Pareto, page with biography and bibliography (on-line abstract).

Laurent Jaffro
Director of the UFR de Philosophie de l'Universit Paris. His site contains a list of publications and links. The Third Earl of Shaftesbury Bibliography is available.

Pierre Lemieux
Home page with links and on-line texts. In English too.

Pierre Lvy
He is primarily a theorist of cyberculture. His concise homepage presents a brief bibliographic sketch and a bibliography (no etexts).

Fiorenzo Mornati
From Centre d'Etudes Interdisciplinaires Walras-Pareto, page with biography and bibliography (on-line abstract).

Elena Tatti
From Centre d'Etudes Interdisciplinaires Walras-Pareto, page with biography, bibliography and on-line writings.

Philippe Van Parijs


His homepage presents a list of selected publications with several e-texts. An English version is available. Back to the top

Portoguese pages
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Srgio Biagi Gregrio


A large number of on-line texts.

Jose Adelino Maltez Home Page


From Lisbon University, home page of prof. Maltez.

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/filpole/studiowofpe.htm (6 of 10)06/12/2004 13:02:06

Political Philosophers in the World

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Spanish pages
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Rubn Capdeville
From Mexico: his homepage presents a curriculum vitae, a list of publications and related links.

Giulio Girardi
Philosopher and theologian. The web site contains personal data, a biography and two on-line texts (Para una refundacin de la esperanza and Globalizacin, deuda externa, jubileo 2000).

Octavio Obando Morn


It contains bibliography with some on-line writings of Prof. Obando Morn, who teaches at the Universidad Nacional Mayor de San Marcos in Peru. Back to the top

Polish pages
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Agnieszka Kalbarczyk
The author is interested in political philosophy as well as in political psychology. A concise page with personal data and research projects.

Milowit Kuniski
His homepage presents a brief biography and a list of publications. He is interested in the history of philosophy of the 17th and the 18th century and political philosophy (especially von Hayek). An English version is available.

Justyna Miklaszewska
Her homepage presents a biography and a list of publications. In her works she researches the problems of the history of ideas and political philosophy, with particular interest in recent American libertarianism and public choice theory. An English version is available.

Mariusz Turowski
Home page with texts, translations and useful online materials and links to related resources.

Rafa Wierzchosawski
The author is interested in political philosophy and philosophy of sciences. His web site includes a brief biographical sketch, a list of works and other useful information. An English version is available. Back to the top

Korean pages
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Sang-Heon Ahn
Professor at the Chnugbuk National University. A large number of on-line writings and helpful links. Its English version is under construction.

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/filpole/studiowofpe.htm (7 of 10)06/12/2004 13:02:06

Political Philosophers in the World

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Swedish pages
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Tom Borvanders
Homepage dedicated to political philosophy. His page presents online texts and useful links.

Ragnar Ohlsson
The author is interested in political philosophy and ethics. His homepage contains a brief biography and a list of publications (no etexts).

Martin Peterson
His homepage contains personal data, a list of publications and related links.

Kjell Svensson
He works in the areas of moral, political, and feminist philosophy. His homepage contains a brief curriculum vitae and a list of publications (no etexts).

Folke Tersman
He is a member of the editorial board of "Tidskrift fr politisk filosofi". His homepage contains some biographical information and a bibliography (no etexts). Back to the top

Dutch pages
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Ger Groot
His homepage includes a brief biography and a list of publications (no etexts).

Marin J. Terpstra
From Katholieke Universiteit Nijmegen: Tepstra's particular field of research interest concerns the relation between religion and politics, especially 20th century authors (Schmitt, Voegelin, Strauss, Taubes).

Willem J.F. van der Kuijlen


From Katholieke Universiteit Nijmegen: his research interests concern Kant philosophy and in particular the meaning and role of the concept of 'repugnance'.

Evert van der Zweerde


From Katholieke Universiteit Nijmegen: he is interested in Russian and Soviet philosophical culture. Back to the top

Danish pages
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Morten Christensen
His homepage presents a curriculum vitae and a bibliography with etexts. He is interested in authors as Luhmann, Grundbegreber and Rawls. An English version is available. Back to the top

Czech pages
http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/filpole/studiowofpe.htm (8 of 10)06/12/2004 13:02:06

Political Philosophers in the World

Petr Fiala
A concise homepage with a brief curriculum vitae and a list of selected publications (no e-texts). An English version is available.

Jan Jirk
A succinct web page with personal data.

Petr Mach
His web site presents some biographical information, a list of publications with online texts and related links.

Jn Pavlk
His homepage presents a brief biography and a list of publications. He is interested in phenomenology, moral and political philosophy (especially Brentano, von Hayek, Masaryk). Back to the top

Romanian pages
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Dan-Ctlin Brbulescu
His special topic of interest is the problem of justification in moral and political philosophy. His homepage presents a biographical sketch and a bibliography with several etexts. An English version is available.

Adrian-Paul Iliescu
His themes of interest is romanticism and conservatism. The homepage presents a biographical sketch and a list of publications with several etexts. An English version is available.

Adrian Miroiu
His special topic of interest is public policy and logic. His web page includes a brief biography and a list of publications with several etexts. An English version is available.

Emanuel-Mihail Socaciu
His homepage presents a biographical sketch and a list of publications (no etexts). An English version is available.

Mihail Radu Solcan


Among his works there are papers on Popper, Berlin, Oakeshott, Locke, David Friedman. His homepage presents a biographical sketch and a bibliography (no etexts). An English version is available. Back to the top

Hungarian pages
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va Hajba
Her field of interest are political system under transition, comparative political analysis and social movements, environmental groups.

Gabriella Ilonszki
Her field of interest are comparative politics, parliamentary institutions, parliamentary and party elites in Central Europe. The homepage includes a list of selected publications.

Monika Pl
She is devoted especially to the Political system of Britain and nationalism.

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/filpole/studiowofpe.htm (9 of 10)06/12/2004 13:02:06

Political Philosophers in the World


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Lszl Szarvas
The web page includes a short bibliographical data and a list of selected publications. He is interested in comparative political systems and hungarian parliamentary parties in comparative perspectives.

Gbor Trk
The homepage presents a succinct curriculum vitae and a list of selected studies. His fields of interest are hungarian political system, transition, regime change and the Grand Theories of democratisation. Back to the top

Croatian pages
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Ivan Grdei
The homepage contains a biographical sketch, information about his professional activities, research and other projects, and list of publications. Back to the top

SWIF - Sito Web Italiano per la Filosofia Copyright 1997-98 CASPUR - LEI

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/filpole/studiowofpe.htm (10 of 10)06/12/2004 13:02:06

Conferenze / Lectures (political philosophy)

a cura di Maria Chiara Pievatolo pievatolo@dsp.unipi.it Nico De Federicis defed@despammed.com . Ultimo aggiornamento: 30 settembre 2004

Conferenze / Lectures
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Ronald J. Allen Death, Reason, And Judgment: The American Experience (English Version) Morte, ragione e giudizio: l'esperienza americana (versione italiana) Dino Costantini Il demone mortale: unanalisi del politico in Weber Gianluigi Palombella Istituzioni e trascendenza in H. Marcuse Sidi Mohammed Barkat Il corpo d'eccezione e la cittadinanza intrasmissibile nell'Algeria coloniale

SWIF - Sito Web Italiano per la Filosofia Copyright 1997-98 CASPUR - LEI

http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/conferfp.htm06/12/2004 13:02:07

Death, Reason and Judgement

a cura di Maria Chiara Pievatolo pievatolo@dsp.unipi.it . Ultimo aggiornamento: 7 giugno 1999

Death, Reason, and Judgment: the American Experience


by Ronald J. Allen

Thank you for inviting me here to discuss the American experience with the death penalty. I will focus today on the meaning and nature of errors in the imposition of capital punishment. Before turning to my main topic, though, I want to situate it in the larger debate over capital punishment. That debate has both utilitarian and normative components. The utilitarian arguments for the death penalty are that it deters and that it responds to the understandable desire for retribution of those affected by homicides (capital punishment in the U. S. today is in fact only imposed for murder, although other capital crimes are on the books). The significance of deterrence is unclear. Statistical studies of capital punishment provide at most only weak support for deterrence as a consequence of executions, but the studies and underlying data are themselves quite problematic. (2) The consequences of capital punishment cannot be studied in anything remotely resembling controlled conditions; double-blind studies, for example, are a practical if not literal impossibility. Moreover, the most that could come from carefully controlled studies would be the conclusion that the death penalty as administered does not (or does) deter. But, the death penalty in the United States is limited to a very small set of all homicides. Since the mid-seventies, less than 300 people have been executed in the United States. Capital punishment remains a freakishly rare punishment. Even if, as administered, capital punishment has minimal deterrence effects, that may just as well be an argument for its increased rather than its decreased use. It is, accordingly, difficult to know what to make of the arguments from deterrence. A second utilitarian consideration is the significance of capital punishment for the sense of justice of the secondary victims of homicides, such as the family and friends of the deceased. For example, an important, though perhaps neglected, aspect of punishment is the legitimation and vindication of personal feelings of vengeance. Officially sanctioned punishment channels the understandable emotions of the victims away from personal acts of retribution, and thus may help to preserve the peace. Even if the victims would not act on their impulses, punishment of wrongdoers may assist victims to cope with their feelings and to reestablish personal equilibria, just as it may on a larger scale respond to a community's sense of justice. Again, though, the extent to which capital punishment has these effects is difficult to say; more difficult still to appraise is their significance. Arrayed against these possible benefits of capital punishment are significant costs, including the
http://www.swif.uniba.it/lei/filpol/allen.htm (1 of 9)06/12/2004 13:02:08

Death, Reason and Judgement

cost of errors, which is the main focus of this paper. Before turning to it, however, other costs of capital punishment should be noted: 1. The first cost to consider is the direct financial implications of capital punishment. Capital cases are costly to try, involve protracted appellate and post-conviction relief processes, and generally do not result in executions. The North Carolina Administrative Office of the Courts commissioned a study of the North Carolina experience with the death penalty: One conclusion is that the extra costs to the North Carolina public of adjudicating a cse capitally through to execution, as compared with a noncapital adjudication that results in conviction for first degree murder and a 20-year prison term is about $329,000, substantially more than the savings in prison costs, which we estimate to be $166,000. We note that a complete account must also include the extra costs of cases that were adjudicated capitally but did not result in the execution of the defendant. All told, the extra cost per death penalty imposed is over a quarter million dollars, and per execution exceeds $2 million. (3)

2. There is good reason to believe that the existence of capital punishment has distorting effects on both substantive and procedural law. Many judges are hostile to the death penalty and harbor justifiable concerns about the possibility of error. For both reasons, legal rules may be subtly modified to decrease the incidence of executions, but in many instances those now modified rules cannot be limited to capital cases. 3. Efforts to limit capital punishment has generated rather explicit lawless behavior in the lower courts. Perhaps the best example is the effort by the United States Court of Appeals for the Ninth Circuit in the Robert Alton Harris case to undermine the legitimate authority of the Supreme Court of the United States. (4) 4. Many believe that the death penalty is discriminatorily applied, although there is not good evidence that this is so. Blacks are overrepresented on death row, but poverty may be the real explanation. This most sophisticated examination of discrimination and the death penalty to date found only that the color of the victim, not the color of the perpetrator, had a significant effect on the outcome. Still, the belief of discrimination exists, which is a cost in its own right. How these possible costs and benefits compare is very difficult to say. Consequently, the debate in the United States over the death penalty tends to be normative, and I quite frankly do not have a view on the moral issue. I spent a fair amount of my time over a decade assisting in the defense of capital cases, primarily through work on appeals at all levels of courts in the United States, from local intermediate appellate courts to the Supreme Court of the United States. I did so because of the intuition that each human being is the end product of the infinite development of the universe and in a small way brings light into the darkness through the development of consciousness and cognition. The thought of deliberately cutting short the glow of any individual light, no matter how small, no matter how distorted, was, and is, repulsive to me. But as I assisted on cases, my initial revulsion at the thought of an intentional and deliberate execution was met with a revulsion emanating from the records of the trials I had to study. The records of some capital trials in the United States are documentaries of astonishing mayhem, complete indifference to the lives and welfare of other human beings, no matter how helpless or
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vulnerable, and torture of such cruelty that one feels that whoever committed these acts is not a human, and thus not deserving of being so treated. In a case in just tried in Chicago, a woman with three children was pregnant with a child fathered by a man who was the cousin of the defendant. The defendant, Jacqueline Annette Williams, wanted the child. The defendant, the father of the child (her cousin), and another man invaded the home of the pregnant woman. They murdered her, and either before or after her death removed the fetus from her womb with a dull knife. The deceased's ten year old daughter was stabbed to death. Her seven year old son was taken from the home, later made to drink iodine, was strangled with a cord and ultimately stabbed in the throat and killed. The third child, a one year old, was left unharmed at the scene. The defendant was recently sentenced to death, and it is difficult for me to say that she does not deserve to die. Chicago Tribune, Saturday, March 28, 1998, p. 1. But the records of these cases always contain more than just the evidence of unthinkable cruelty. Few people, maybe none, are thoroughly and unwaveringly evil. And often, maybe always, their backgrounds are explanatory to some extent of their behavior. Thus, always for me, after this initial revulsion at the acts committed, invariably the metaphor of the light returned, and I was, and am, left with these incompatible thoughts in my mind. I thus concluded that, without regard to the morality of capital punishment, the State should execute no one without the most stringent processes, without, in other and somewhat crude but nonetheless expressive words, doing it right. There are many components to doing it right, but I will only address one of them today-eliminating the risk of error. The risk of error looms over the capital punishment process in the United States with remarkable force, a force just barely insufficient to put a stop to the entire process, notwithstanding the obvious approval of capital punishment in our Federal Constitution. However, it is not obvious why this is so. Life and death decisions are made in every society everyday, and these decisions usually affect innocent, and often helpless, individuals. We know that somewhere around 30,000 people a year will die on our nation's highways, yet we keep building roads. Many of these will die as a consequence of the consumption of alcohol, yet we do not forbid it. Medical delivery decisions determine who will live and who will die. Allocations of scarce research dollars determine what diseases science will tame, and which will be put aside for now, again with real effects on innocent people. The idea that lives of truly innocent people cannot be sacrificed for a political conception of the greater good, at least in some meanings of those terms, is disproved beyond dispute by the lives that we actually live. Nonetheless, ask yourself the question posed by Williams James, in The Will to Believe and other Essays in Popular Philosophy (1979, Harvard University Press, at 144). Imagine a world in which all human aspirations could be realized, "and then . . . imagine that this world is offered to us at the price of one lost soul at the farthest edge of the universe suffering eternal, intense, lonely pain." R.A Putnam, Perceiving Facts and Values, 73 Philosophy 5 (1998). Would we accept the bargain? James thinks not, that we would recognize "how hideous a thing would be its enjoyment when deliberately accepted as the fruit of such a bargain." I think he is right, but I think our answer to his question stands in stark relief to our actual practices. What distinguishes the two, if anything does, is the personal identity of the sacrificed victim. In most of our social practices (but note, not all, such as medical triage), the victims are unidentified and not singled out personally for "hideous" treatment. The innocent convicted of a capital crimes looks to many to be more like James' victim, although it does depend on whether you look at the matter ex post or ex ante. Still, to many, the possibility of error, the possibility of executing an innocent person strikes many as being an example of James' Faustian bargain, of balancing the account books of the world on the back on an innocent person condemned to
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suffer and die for the benefit of the rest of us. But, how does one reduce the probability of an innocent person being executed? This is the central problem. I will discuss here the answers given to this question by the Supreme Court of the United States to demonstrate just one proposition--that the Court, and all of its individual members--has had great difficulty in providing cogent answers to that question. I then provide an explanation of why that is so. In brief, the answer is because the Court is attempting to apply the normal approach of appellate decision making, which involves rules and deduction, to a situation that is not amenable to such an approach and calls instead for judgment. The awkwardness in the Court's numerous opinions all stem from the incompatibility between its methodology and the problem it is addressing. I will now explain. To many, the U.S. Supreme Court's death penalty jurisprudence contains an apparently inconsistent set of decisions concerning the role of discretion in sentencing murderers to death. In the standard version of this story, the Supreme Court called a halt to executions because unguided discretion was resulting in capricious applications of the death sentence (5), subsequently reinstituted capital sentencing based on statutes guiding the exercise of discretion through the use of aggravating factors (6), and most recently has, in the view of one of its members, Justice Scalia, come full circle to only approving death sentences if the decision maker has virtually unfettered discretion to grant mercy, thus constitutionalizing the very problem of capriciousness that led to constitutional rulings in opposition to capital punishment. The case prompting Scalia's rather scathing assessment is Walton v. Arizona (7). Walton claimed that the Arizona statute under which he was convicted was unconstitutional in its requirement that the defendant establish mitigating circumstances by a preponderance of the evidence. The Court rejected the claim, with a plurality of the Court concluding that the Constitution forbids excluding from consideration "any particular type of mitigating evidence," but does not forbid a state "from specifying how mitigating circumstances are to be proved." (8) The Constitution requires that all mitigating evidence be admitted, but does not control how juries are instructed to process it. The central argument of the majority has many difficulties. The most salient problem with the plurality's opinion stems from a misguided faith in the conventional preponderance of the evidence rule. Presumably the goal in capital cases is to have the sentencer engage with whatever mitigating factors are present. A preponderance of the evidence rule is an extremely crude tool to accomplish that purpose. Suppose that a defendant advances three grounds for mitigation, each of which is established to a .25 probability, and thus not to be considered under Arizona's rule. The probability that at least one of these factors is true, assuming they are 3 independent, is 1-.75 =.58. (9) As more mitigating factors are advanced, or as they are proved to a higher probability, this point is exacerbated. For example, if three independent mitigating factors are each proved to a probability of .4, the probability that at least one of them is true is .78, yet the sentencer must decide as though there were no ground for mitigation. The plurality does not explain, and indeed it could not rationally defend, how a .78 probability that at least one of three mitigating factors is present differs from a .78 probability that a particular mitigating factor is present. This is not the objection raised by the dissenters. Brennan (10) and Blackmun (11) argue that death must be imposed "fairly and with reasonable consistency or not at all," but rather obviously consistency will not be advanced by increasing discretionary sentencing, except for the tautology that all such sentences will be discretionary. (12) Discretionary sentencing forces
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the decision away from objective standards that permit judgments of similarity, and thus judgments of consistency and reliability, to be made and directs it toward the unique matrix of background and experience possessed by the individual decision maker. This does not mean that individuated decision making is inconsistent or unreliable; it means that those concepts are not applicable just to the extent that the concern is to judge the uniqueness of some person or event by reference to the unique background of a decision maker. The tension between individuated decision making and categorical reasoning is also at the heart of Justice Stevens' separate opinion. His argument in essence is that by restricting the scope of capital punishment through the requirement that aggravating factors be found, the risk of arbitrariness is sufficiently reduced to permit individuated decisions within the remaining class. (13) According to Stevens the Supreme Court's earlier decisions limiting discretion were "a function of the size of the class of convicted persons who are eligible for the death penalty. . . However, the size of the class may be narrowed to reduce arbitrariness, even if a jury is then given complete discretion to show mercy when evaluating the individual characteristics of the few individuals who have been found death eligible." (14) Justice Steven's argument is quite curious. To be sure, it is true that as the size of the death eligible group is reduced, the risk of the absolute number of cases involving jury arbitrariness in imposing death is decreased, where "arbitrariness" means an inappropriate death sentence imposed. However, this does not equate with either reduced arbitrariness in the system as a whole or with a reduced proportion of arbitrary decisions by juries. Reducing the size of the death eligible class will almost surely reduce the number of arbitrary death sentences imposed, but it will just as surely increase the number of arbitrary life sentences imposed (again, whatever "arbitrary" might mean). Similarly, the effect on proportions will be determined by the proportions in the excluded and included classes, and by how the jury decides the cases. Accordingly, Stevens' opinion reduces to defending the present practices for the reason that the absolute number of arbitrary death sentences will be reduced, but it is not obvious why that matters so much. Suppose, for example, that pre-Furman, there were 1,000 death penalties, 100 of which "deserved" a life sentence instead, and post-Furman there were 100 death sentences, 10 of which deserved a life sentence instead. Shifting from pre- to post-Furman does not change the proportion of arbitrary death sentences to nonarbitrary ones, and results in 90 "correct" life sentences at the expense of 810 "incorrect" life sentences. In a system in which errors cannot be eliminated, distinguishing between these two scenarios is not simple, a task Stevens did not even attempt. Scalia concurs in the result, but announces that the Court's death penalty jurisprudence is so unjustifiable that he no longer will be bound by selected parts of it. His opening assertion of the illogic of his colleagues not only sets the tone for the remainder of his opinion but also demonstrates clearly the nature and limits of his methodology: "The ultimate choice in capital sentencing . . . is a unitary one--the choice between death and imprisonment. One cannot have discretion whether to select the one yet lack discretion to select the other." (15) The obvious explanation of this remarkable passage is that it rests upon the proposition that the only manner in which an issue may be analyzed is syllogistically with binary choices. A person is to live or die; a decision maker either has or lacks discretion. Every decision making process, maybe every process in Scalia's view, must be governed by a single principle entailing binary choices, no matter how complex or segmented that process may be. In essence, Scalia has conflated the effect of a decision with the process leading to it. However, there is no principle, logical or legal, forbidding the use of differing intellectual tools depending upon the task. The real question is how could it be otherwise. Different parts of a
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process can be, and in some instances must be, structured in different ways. It is perfectly sensible to say that certain facts condition eligibility to some benefit or disability and that, after the minimum requirements are met, discretion is to be exercised, a point instantiated constantly in everyday life. Scalia's opinion suggests that he is blinded by the seductive power of deduction. Several passages in his opinion confirm this hypothesis. He says, for example, that "This second doctrine [of mercy]--counterdoctrine would be a better word--has completely exploded whatever coherence the notion of 'guided discretion' once had." (16) This overlooks that the two doctrines may be designed to do different things. He asserts as proof of the illogic of his colleagues that "Our cases proudly announce that the Constitution effectively prohibits the States from excluding from the sentencing decision any aspect of a defendant's character or record or any circumstance surrounding the crime: [for example] that the defendant had a poor and deprived childhood, or that he had a rich and spoiled childhood," (17) his point being that these both cannot be mitigating. But situated in real human beings, they could be, not in and of themselves, of course, but connected to other aspects of defendants' lives. Only if categories have to be carved out in advance would Scalia be right, but he has not explained why that is required. Scalia's superficially appealing call for rationality and standards is a call for decision by rule. Fact X either is or is not mitigating, just like a decision maker must or must not have discretion. There is, in Scalia's cosmology, no judgment to exercise, only facts to be found and rules to be applied. If, however, mitigation is not designed to achieve rationality and predictability, if instead it is designed to implement judgment, then Scalia's argument is in error, and the Court's scheme may be rescued. We thus get to the heart of the matter: Judgment cannot be captured in rules; if it could be, judgment would not be required. Thus, the real question that cases like Walton pose is whether a justification other than one resting primarily on "predictability," "reliability," or "accuracy" can be constructed for the Court's bifurcated approach to capital sentencing, and I think it can. Doing so requires approaching the issue of capital sentencing free from the assumption that all legal questions require decision making by a priori rules, and examining instead the conditions under which a priori rules further a desirable goal at an acceptable cost. Rough judgments of the relative culpability of acts have long been integral to the criminal law. If it is not illogical to use deliberation or premeditation to distinguish first degree murder from second degree murder, and the fact that most legislatures have done so indicates that the distinction captures a widespread intuition, why is it illogical to use specific aggravating factors to distinguish capital murder from first degree murder and why would we not think that this distinction most likely captures another intuition? The answer is obvious: it is not illogical at all to make the distinction, and it probably does capture a widely held intuition. Aggravating circumstances do not serve simply to reduce the size of the death eligible class, as Stevens suggests, nor do they serve simply as an undifferentiated brake on discretion, as Scalia suggests. (18) Rather, they eliminate from the death eligible group the cases for which death would be inappropriate. Thus, the proper vocabulary to criticize them with is precisely the vocabulary of rationality. Do the aggravating circumstances capture reasonably well understandable moral judgments? Are they seriously overinclusive, so that the risk of an inappropriate death sentence is not reduced? These are the questions to ask. Thus, attention must turn to how the mitigation function differs, for if it does not, Scalia's complaint of illogic is correct. The difference emerges with the realization that the set of death eligible defendants is

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relatively homogeneous and that differentiation within a fairly homogeneous set requires the exercise of judgment. If the group of death eligible defendants deserve to die in some constitutionally acceptable sense, then that set is fairly homogeneous, which means that distinctions between them cannot be made by categorical rule. But if distinctions cannot be made by rule, they can only be made through the exercise of judgment. They can only be made, in other words, if the decision maker is free from rules and allowed to consider whatever is advanced. The role of mitigation is best understood as implementing just such a scheme. It is designed to permit fine, not gross, distinctions among death eligible individuals to be made. The counterintuitive nature of this point stems, I think, from the fact that the fine distinction yields a gross difference--literally the difference between life and death. But merely because the consequences are great does not entail that the justifications for the distinction are obvious or rough. This answers Scalia's complaint. Mitigation is not designed to implement reliability or predictability, and the defenders of mitigation should forgo that vocabulary. It is designed to permit judgment to be exercised. Judge or juror is to consider whatever is advanced by the defendant to see if in the context of the defendant's life story, as seen through the lens of the decision maker's life story, there is an understandable and suitably powerful, even though subtle, reason to extend mercy. Neither the defendant's life story nor the intellectual resources brought to its evaluation by the decision maker will be capable of capture in rules, however. That is not the nature of this task. Clarifying the nature of mitigation has a number of subsidiary benefits. It demonstrates further why Scalia's ridiculing of the apparently inconsistent mitigating factors is at best beside the point. Any particular fact is of very little consequence standing alone. The web of facts is what matters. A person from a poor and educationally deprived background who has transcended it and begun to make a success of life, but who kills to advance economic opportunities, may have no claim on our sympathies. A person from a rich and spoiled background may also be from one of little parental involvement in child rearing, and may suffer from recurring bouts of depression and drug use, and thus whose acts may be thought less reprehensible than that of our upwardly mobile killer. Clarifying the nature of mitigation also clarifies one of the wooden aspects of the debate occurring in the Court. That debate proceeds as though the relevant "facts" were just what Scalia ridicules--such matters as a deprived or spoiled background--but this misses a crucial point. Those are not themselves "facts" in the sense of legally significant conclusions; rather, those "facts" are evidence of the legally significant conclusion, which is whether to grant mercy or not. If they were the legally operative "facts," Scalia's scathing attack on his colleagues would have some merit. For then these "facts" would begin to look very much like other operative legal facts, such as intent in the definition of homicide. Here Scalia would be right if he said "intent either is or is not an element of homicide." But he would be wrong if he said, "X's testimony about Y's behavior either does or does not establish intent." The legally operative fact in death hearings is whether to mitigate--whether the defendant's life history provides an adequate excuse to escape execution. Such a matter as the deprived nature of the defendant's background is evidence from which that conclusion may be inferred, but it will be inferred in light of all the evidence presented on the issue. (19) If evidence of intent is analogous to evidence that mercy is in order, and an inference of intent is analogous to a conclusion that mercy should be extended, then it makes little sense to talk of burdens of proof with respect to the evidence of mitigation. This again is
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an analytical error of all the participants to this debate on the Court. By contrast, it makes perfect sense to ask whether the sentencer has been convinced of the justification for mercy by some standard of proof, and precisely that amount of "consistency" can be imported into the process. The justification for mercy, though, will emerge from all the evidence adduced and will not be a function of any discrete "fact" like a deprived or spoiled background. And of course different sentencers will see the issue in different ways, which I suspect is the lurking unspoken problem. The evidence presented at a sentencing hearing will not bear its implications on its face; it will have to be intepreted by the sentencer. (20) Because of differing life experiences, one juror may find a defendant's background mitigating whereas another may find it aggravating. This is not proof of "randomness" in decision making, as Scalia would have it. (21) Again, it is simply the consequence of judgment, of human decision making encompassing too many variables to be reduced to rules. There are, then, two related issues. The first is the nature of the problem. Mercy involves a judgment that runs over the entire range of a person's life. As I have tried to show, it is not possible to reduce such a judgment to rules. That means, and this is the second problem, that authority to decide must be allocated to some institution. It is the allocation of this power to juries, but one informed by some mistrust of them, that fuels the current debate about the procedures of the death penalty in the United States today. The cases of the Court taken as a whole are to be commended for intuiting that some things must be left to judgment. They are to be criticized for not seeing that same point clearly enough. The real issue that is lost in the misapplication of the Court's standard deductive, rule-bound approach is whether mercy should play a role in sentencing decisions. The arguments between the various members of the Court over this or that rule or its coherence are not only misguided but virtually beside the point. The real question is whether to accept a discretionary regime that merely allocates authority to decide to some person or institution and more or less live with the results, or to eliminate mercy through mandatory sentencing schemes. This is a deep and difficult question, but one I do not now have the time to address.

Notes
Parma, May 28, 1998 1. John Henry Wigmore Professor of Law, Northwestern University. This lecture is based on a lecture given at the Sorbonne, April 28, 1998, which in turn was drawn from Allen, Evidence, Inference, Rules, and Judgment in Constitutional Adjudication: The Intriguing Case of Walton v. Arizona, 81 J. Crim. L. & Crim. 727 (1991). 2. For a discussion, see James Fox 7 Michael Radelet, Persistent Flaws in Econometric Studies of the Deterrent Effect of the Death Penalty, Loyola L.A. L. Rev. 45 (1989). 3. Philip Cook & Donna Slawson, The Costs of Processing Murder Cases in North Carolina 1 (1993). For other, less quantified, discussions, see Robert Spangenberg & Elizabeth Walsh, Capital Punishment or Life Imprisonment? Some Cost Considerations, 23 Loyola L.A. L. Rev. 45 (1989); Margot Garey, The Cost of Taking a Life: Dollars and Sense of the Death Penalty, 18 U. C. Davis L. Rev. 1221 (1985). 4. Gomez v. United States District Court for the Northern District of California 503 U.S. 653

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(1992); Vasquez v. Harris, 503 U.S. 1713 (1992). 5. Furman v. Georgia, 408 U.S. 238 (1972). 6. Greg v. Georgia, 428 U.S. 153 (1976). 7. 110 S.Ct. 3047 (1990). 8. 110 S.Ct. at 3055. 9. The probability that each single factor is not present is 1-.25=.75. Under the assumption that the three factors are independent, the probability that none are present is .75 x .75 x .75=.42. Thus, the probability that at least one is present is 1-.42=.58 If the factors are not independent, the effect is lessened but still present. For more on this general problem, see Allen, A Reconceptualization of Civil Trials, 66 B.U.L. REV. 401 (1986). 10. 110 S.Ct. at 3068-3070. 11. Id. at 3071. See also id. at 3076: "In noncapital cases, of course, the States are given broad latitude to sacrifice precision for predictability by imposing determinate sentences and restricting the ability to present evidence in mitigation or excuse. . . . This Court, however, repeatedly has recognized that the 'qualitative difference between death and other penalties calls for a greater degree of reliability when the death sentence is imposed.'" The quote is from Lockett v. Ohio, 438 U.S. at 604. 12. Cf. Gillers, Deciding Who Dies, 129 U. PA. L. REV. 1 (1980); Gillers, The Quality of Mercy: Constitutional Accuracy at the Selection Stage of Capital Sentencing, 18 U.C. DAVIS L. REV. 1037 (1985). 13. 110 S.Ct. at 3090. 14. Id. 15. 110 S.Ct. at 3058-3059. 16. 110 S.Ct. at 3061. 17. Id. at 3062. 18. 110 S.Ct. at 3063, n. 4. 19. Perhaps this is what Blackmun was getting at when he said: "Application of the preponderance standard in this context is especially problematic in light of the fact that the 'existence' of a mitigating factor frequently is not a factual issue to which a 'yes' or 'no' answer can be given." 110 S.Ct. 3072. 20. See Allen, On the Significance of Batting Averages and Strikeout Totals: A Clarification of the "Naked Statistical Evidence" Debate, the Meaning of "Evidence," and the Requirement of Proof Beyond Reasonable Doubt, TUL. L. REV. (1991). 21. 110 S. Ct. at 3064.

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Pubblicazioni (filosofia politica)

a cura di Maria Chiara Pievatolo pievatolo@dsp.unipi.it . Ultimo aggiornamento: 7 giugno 1999

Morte, ragione e giudizio: l'esperienza americana


by Ronald J. Allen * Versione italiana a cura di Gianluigi Palombella, Fabrizio Sciacca e Persio Tincani

Grazie per avermi invitato a discutere l'esperienza americana della pena di morte. Esporr oggi il significato e la natura degli errori nell'imposizione della pena capitale. Prima di affrontare il mio tema principale, tuttavia, intendo collocarlo nell'ambito del pi ampio dibattito sulla pena capitale. Questo dibattito ha componenti tanto utilitaristiche quanto normative. Gli argomenti utilitaristici a sostegno della pena di morte sostengono che essa funge da deterrente e risponde al comprensibile desiderio di retribuzione delle persone indirettamente colpite dall'omicidio (negli Stati Uniti, sebbene la pena capitale sia prevista anche per altri delitti, essa oggi comminata infatti soltanto per gli omicidi). Non chiaro il significato della deterrenza. Studi statistici sulla pena capitale assegnano al massimo un supporto molto debole alla deterrenza come conseguenza delle esecuzioni, sebbene gli studi e i dati a sostegno siano essi stessi piuttosto problematici (1). Le conseguenze delle pene capitali non possono essere studiate sulla base di qualcosa che almeno approssimativamente corrisponda a rigorosi criteri di controllo; gli studi a "doppio cieco", per esempio, sono, praticamente se non letteralmente, impossibili. Inoltre, tutto ci che si potrebbe concludere da studi attentamente controllati sarebbe la conclusione che la pena di morte, in quanto applicata, sia o non sia un deterrente: tuttavia, la pena di morte negli Stati Uniti limitata a un gruppo molto ristretto di omicidi. Dalla met degli anni Settanta, meno di 300 persone sono state messe a morte. La pena capitale rimane una pena curiosamente rara. Anche se, in quanto applicata, la pena capitale ha un minimo effetto deterrente, proprio questo pu ben essere un argomento per incrementarne l'uso piuttosto che per scoraggiarlo. In tal senso, difficile sapere come utilizzare gli argomenti riguardanti la deterrenza. Una seconda considerazione utilitaristica la rilevanza della pena capitale per il senso di giustizia delle vittime secondarie di omicidi, come la famiglia o gli amici del defunto. Per esempio, un aspetto importante - sebbene forse trascurato - della pena la legittimazione e la rivendicazione di sentimenti di vendetta personali. Una pena ufficialmente sanzionata incanala le comprensibili emozioni della vittima in direzione diversa da personali azioni retributive, e ci giova a salvaguardare la pace. Anche se le vittime non volessero agire sulla base dei propri impulsi, la punizione del colpevole pu aiutarle a far fronte ai loro sentimenti e a ristabilire l'equilibrio personale, proprio come, su una scala pi ampia, ci consente di soddisfare il senso di giustizia della comunit. Tuttavia, ancora difficile dire sino a che punto la pena capitale abbia questi effetti; e ancora pi difficile valutare il loro significato. Contro questi possibili
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Pubblicazioni (filosofia politica)

benefici della pena di morte stanno costi notevoli, incluso quello degli errori che il nodo centrale di questo lavoro. Prima di affrontarlo, comunque, devono essere sottolineati altri costi della pena capitale: 1. Il primo costo da considerare dato dalle dirette implicazioni finanziarie della pena capitale. I casi capitali sono costosi da trattare, comportano il protrarsi di processi di appello e di processi sussidiari successivi alla sentenza di condanna, e in genere non si concludono con esecuzioni. L'Ufficio Amministrativo delle Corti del North Carolina ha commissionato uno studio sull'esperienza del North Carolina in materia di pena di morte: Una conclusione che i costi extra per lo Stato del North Carolina di chiudere un caso con l'esecuzione capitale, in raffronto ad una pena non capitale, in casi di colpevolezza per omicidio di primo grado con venti anni di reclusione, di circa $329.000: notevolmente pi del risparmio sui costi di detenzione, che stimiamo essere $166.000. Osserviamo che un quadro completo dovrebbe includere anche i costi extra di casi che sono stati decisi con la pena capitale ma non hanno dato luogo all'esecuzione dell'imputato. Considerato tutto ci, i costi extra per ciascuna pena di morte comminata ammontano a oltre un quarto di milioni di dollari, e superano i due milioni per ogni esecuzione(2).

2. C' una buona ragione per credere che l'esistenza della pena capitale abbia effetti distorti sia sul diritto sostanziale che su quello processuale. Molti giudici sono ostili alla pena di morte e nutrono giustificabili preoccupazioni sulla possibilit di errore. Per entrambe le ragioni, le regole giuridiche possono essere sottilmente modificate per diminuire l'incidenza di esecuzioni, ma molto spesso le regole cos modificate non possono essere limitate ai casi capitali. 3. Lo sforzo di limitare la pena capitale ha piuttosto generato un esplicito comportamento non giuridico nelle corti di grado inferiore. Forse, l'esempio migliore lo sforzo compiuto dal IX Distretto di Corte d'Appello degli Stati Uniti nel caso Robert Alton Harris, per indebolire la legittima autorit della Corte Suprema degli Stati Uniti (3). 4. Molti credono che la pena di morte sia applicata in maniera discriminatoria, sebbene non esista nessuna prova convincente che sia cos. Ne braccio della morte, i neri sono la grande maggioranza, ma la vera spiegazione pu essere la povert. Tale sofisticatissimo esame della discriminazione e della pena di morte a tutt'oggi ha provato solo che il colore della vittima, non il colore dell'autore del crimine, ha avuto un effetto significativo sulle conseguenze penali. Permane, tuttavia, la convinzione che vi sia discriminazione, il che un costo di per s. molto difficile dire come possano essere confrontati di questi possibili costi e benefici. Di conseguenza, il dibattito statunitense sulla pena di morte tende ad essere normativo, e ammetto francamente di non avere una precisa opinione sull'aspetto morale. Per un decennio, ho dedicato gran parte del mio tempo all'assistenza di casi per cui prevista la pena capitale, principalmente lavorando ad appelli a tutti i livelli delle corti degli Stati Uniti, dalle locali corti d'appello intermedie alla Corte Suprema. Ho fatto ci in base alla convinzione che ogni essere umano sia il prodotto finale dell'infinita evoluzione dell'universo, cos da portare in piccola misura luce nell'oscurit attraverso l'evoluzione della coscienza e della conoscenza. Il pensiero di un deliberato taglio che smorzi la fiamma di ogni luce individuale, non importa quanto piccola, non importa quanto distorta, mi era e mi ripugnante.

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Ma non appena ho cominciato a seguire i casi, la mia iniziale repulsione al pensiero di una intenzionale e deliberata esecuzione si associata a una repulsione promanante dai verbali dei processi che ho dovuto studiare. I fascicoli di alcuni processi capitali negli Stati Uniti sono documenti di sorprendente efferatezza, di assoluta indifferenza per la vita e il bene di altri esseri umani, non importa quanto indifesi e vulnerabili, di torture di una tale crudelt da far pensare che chi le ha commesse non sia un essere umano, e quindi non degno di essere cos considerato. In un processo appena celebrato a Chicago, una donna con tre figli era incinta di un bambino il cui padre era il cugino dell'imputata. L'imputata, Jacqueline Annette Williams, voleva tenere il bambino. L'imputata, il padre del bambino (suo cugino) e un altro uomo fecero irruzione nella casa della donna incinta. La uccisero, e prima o dopo la sua morte asportarono il feto dal suo ventre con un coltellaccio. La figlia pi grande della vittima, di dieci anni, venne pugnalata a morte. Il figlio di sette venne portato fuori di casa, in seguito costretto a bere tintura di iodio, quindi strangolato con una corda, pugnalato alla gola e ucciso. Il terzo bambino, di un anno, venne lasciato incolume sul luogo. L'imputata stata recentemente condannata a morte, e mi difficile dire che non meritasse di morire (4). Ma nei fascicoli di casi di questo tipo emerge sempre in maniera pi che evidente un'impensabile crudelt. Certo, poche persone (forse nessuna) sono interamente e irremovibilmente malvagie. E spesso (forse sempre) le loro storie di vita contengono in qualche misura una spiegazione del loro comportamento. Cos, dopo una iniziale ripugnanza verso i fatti commessi, mi ritornava sempre e invariabilmente la metafora della luce, ed ero e sono rimasto con questi pensieri incompatibili nella mia mente. Ne concludevo quindi che, senza riguardo al problema morale, lo Stato non dovrebbe mandare a morte nessuno senza procedere nel modo pi rigoroso possibile: in altre parole, piuttosto crude ma non meno espressive, senza farlo giustamente. Ci sono varie condizioni per farlo giustamente, ma in questa sede voglio indicarne solo una: l'eliminazione del rischio dell'errore. A dispetto dell'ovvia approvazione della pena capitale nella nostra Costituzione federale, il rischio dell'errore incombe con gran forza sul processo capitale Statunitense, una forza per insufficiente a bloccarlo. Comunque, perch ci accada non cos ovvio. Decisioni di vita e di morte vengono prese in ogni societ quotidianamente, e queste riguardano abitualmente individui innocenti, spesso indifesi. Sappiamo che pi di 30.000 persone all'anno muoiono sulle nostre autostrade, e ci nonostante continuiamo a costruire strade. Molte di queste muoiono in conseguenza dell'assunzione di alcolici, ma noi non la vietiamo. Le decisioni mediche sui parti determinano chi deve vivere e chi deve morire. L'allocazione di limitati fondi di ricerca determina quali malattie la scienza riuscir a tenere sotto controllo, e quali verranno accantonate per il momento, e ci comporta ancora effetti reali su gente innocente. L'idea che vite di persone veramente innocenti non possano essere sacrificate per una concezione politica del sommo bene, almeno in alcune accezioni di questi termini, senza dubbio disapprovata nella vita che viviamo. Ci nonostante, ponetevi la domanda di William James (5). Immaginate un mondo in cui tutte le aspirazioni umane siano realizzate, "e quindi [...] immaginate che questo mondo ci sia offerto al prezzo della sofferenza eterna, intensa, solitaria, di una sola anima perduta nel punto pi remoto dell'universo" (6). Accetteremmo questo patto? James pensa di no, pensa che noi riconosceremmo "quanto orribile ne sarebbe il godimento quando consapevolmente accettato come il frutto di un simile patto". Ritengo che James abbia ragione, ma penso che la nostra risposta alla sua domanda sia in forte contrasto col nostro effettivo agire pratico. Ci che distingue gli effetti secondari di molte decisioni pubbliche da norme che prevedono la pena di morte, se qualcosa c', la visibilit
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della vittima sacrificata. In gran parte delle nostre pratiche sociali (ma non in tutte: non in campo medico) le vittime non sono identificate e non vengono scelte personalmente per un trattamento "orribile". L'innocente condannato per crimini capitali a molti apparir proprio come la vittima di James, sebbene ci dipenda da come si guarda al problema, ex post o ex ante. Ancora, la possibilit di errore, la possibilit di giustiziare una persona innocente, colpisce molti come un esempio del patto faustiano di James, quello di pareggiare i libri contabili del mondo sulle spalle di una persona innocente condannata a soffrire e a morire a beneficio del resto di noi. Ma come si pu ridurre la possibilit che un innocente venga giustiziato? Questo il problema centrale. Discuter qui le risposte a tale questione fornite dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, per dimostrare solo un punto: che la Corte, e tutti gli individui che ne sono membri ha incontrato grandi difficolt nel fornire risposte cogenti a questa domanda. Offrir poi una spiegazione del perch sia cos. In breve, la risposta che la Corte ha tentato di applicare l'approccio normalmente seguito in sede di decisione d'appello, che comporta l'uso di regole e deduzioni, a una situazione che non pare idonea a un simile approccio, richiedendo invece un apprezzamento. Le difficolt presenti in numerose opinions della Corte derivano tutte dall'incompatibilit tra la sua metodologia e il problema a cui si rivolge. Chiarisco ora questo punto. Secondo molti, la giurisprudenza sulla pena di morte della Corte Suprema degli Stati Uniti contiene un insieme apparentemente incoerente di decisioni sul ruolo della discrezionalit nelle decisioni di condanna a morte degli omicidi. Nella versione standard di questa vicenda, la Corte Suprema ha bloccato le esecuzioni perch una discrezionalit disordinata stava provocando applicazioni arbitrarie delle norme capitali (7); successivamente ha di nuovo autorizzato decisioni capitali basate su regole di legge che circoscrivono l'esercizio della discrezionalit attraverso l'uso di circostanze aggravanti (8); e pi di recente, sotto la spinta di uno dei suoi membri, il giudice Scalia, ha chiuso il circolo, semplicemente approvando le sentenze di morte solo nel caso in cui l'autore della decisione abbia usato la sua discrezionalit per concedere la grazia, cos sancendo a livello costituzionale il vero problema dell'arbitrariet che ha portato a decisioni costituzionali contrarie alla pena capitale. Il caso che ha prodotto il duro intervento di Scalia Walton vs. Arizona (9). Walton eccepiva che la legge dello Stato dell'Arizona in base alla quale era stato condannato fosse incostituzionale in quella parte in cui stabiliva che l'imputato potesse far valere circostanze attenuanti solo se sostenute da una preponderanza delle prove. La Corte rigett la domanda, sostenendo numerosi giudici della Corte che la Costituzione vieta di escludere dalla considerazione "ogni tipo particolare di prova attenuante", ma non vieta ad uno Stato di specificare "come le circostanze attenuanti debbano esser provate" (10). La Costituzione richiede che tutte le prove attenuanti siano ammesse, ma non prevede alcun controllo su come le giurie debbano essere istruite per trattarle. L'argomento centrale della maggioranza dei giudici della Corte presenta parecchie difficolt. Il problema pi saliente relativo all'opinione della maggioranza deriva da una sorta di fede fuorviante nell'idea di preponderanza all'interno della regola probatoria. Presumibilmente, nei casi di pena capitale l'obiettivo fare in modo che chi emette una sentenza sia impegnato a considerare ogni circostanza attenuante disponibile. Qui l'idea di inconfutabile evidenza mal si adatta al proposito. Supponiamo che un imputato presenti tre motivi attenuanti, ognuno dei quali stabilito a un grado di probabilit di 0.25, cos da non essere considerato dalle leggi dello Stato dell'Arizona. La probabilit che almeno una di queste circostanze sia vera, assumendo che siano circostanze indipendenti, di 1-0.753 = 0.24 (11).
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Pi circostanze attenuanti vengono presentate, o non appena esse vengono provate a un livello pi alto di probabilit, pi questo punto viene ad aggravarsi. Per esempio: se tre circostanze attenuanti indipendenti sono singolarmente provate a un grado di probabilit di 0.4, la probabilit che almeno una di esse sia vera di 0.78, per cui chi redige la sentenza deve decidere come se non ci fossero pi motivi attenuanti. I giudici non spiegano, n invero potrebbero razionalmente farlo, come una probabilit di 0.78 che almeno una delle tre circostanze attenuanti sia presente differisca da una probabilit di 0.78 che una particolare circostanza attenuante sia presente. Non questa per l'obiezione sollevata dai dissenzienti. Brennan (12) e Blackmun (13) sostengono che si debba mandare a morte "con giustizia e ragionevole coerenza, oppure no", ma piuttosto ovvio che la coerenza non potr mai essere fatta valere con l'incremento di sentenze discrezionali, a parte la tautologia secondo cui ogni tipo di sentenza di per s discrezionale (14). Il giudizio discrezionale allontana la decisione da quegli standard obiettivi che permettono giudizi di somiglianza, e cos giudizi di coerenza e attendibilit, e la dirige verso la sola matrice di background ed esperienza posseduta dalla persona che decide. Ci non significa che ogni singola decisione sia incoerente o inattendibile; significa che questi concetti non sono applicabili solo per quanto il problema sia il giudicare l'unicit di alcune persone o di alcuni eventi riferendosi all'unicit del background di una persona che decide. La tensione tra la decisione su base individuale e il ragionamento per categorie centrale anche nella distinta opinion del giudice Stevens. La sua tesi, essenzialmente, che restringendo l'ambito della pena capitale attraverso il requisito che debbano esser trovate circostanze aggravanti il rischio dell'arbitrariet venga sufficientemente ridotto in modo da permettere decisioni ad hoc all'interno della classe di riferimento (15). Secondo Stevens, le prime decisioni della Corte Suprema a limitazione della discrezionalit erano "una funzione dell'ampiezza della classe delle persone giudicate colpevoli e passibili della pena capitale [...]. Comunque, l'ampiezza della classe pu esser ristretta per ridurre la possibilit d'arbitrio, anche se si desse ad una giuria una completa discrezionalit nel mostrare piet, nel momento in cui valuta le caratteristiche individuali di quelle poche persone ritenute candidabili alla pena capitale" (16). La tesi del giudice Stevens piuttosto curiosa. Certo, vero che se la dimensione della classe di individui passibili di pena capitale viene ridotta, il rischio del numero assoluto di casi comportanti arbitrariet di giudizio nel condannare a morte diminuisce, laddove per "arbitrariet" si intende appunto un'inappropriata irrogazione della sentenza di morte. Comunque, questo non equivale n a una riduzione dell'arbitrariet nell'intero sistema n a una proporzione ridotta delle decisioni arbitrarie delle giurie. Riducendo la dimensione della classe di persone punibili con la morte si ridurr quasi sicuramente il numero di sentenze arbitrarie, ma ci varr semplicemente ad aumentare il numero degli ergastoli arbitrari (anche qui, qualsiasi cosa si intenda per "arbitrario"). Similmente, l'effetto sulle proporzioni sar determinato dalle proporzioni tra classi incluse e classi escluse, e da come le giurie decidono sul caso. In questo senso, l'opinione di Stevens si riduce a una difesa della prassi attuale per la ragione che il numero assoluto di sentenze arbitrarie di morte viene ridotto, ma non ovvio perch ci sia cos importante. Supponiamo per esempio che prima di Furman fossero state emesse 1000 sentenze di morte, 100 delle quali "meritavano" invece una sentenza di pena a vita, e che dopo Furman ci fossero 100 sentenze di morte, 10 delle quali meritavano invece una sentenza di pena a vita. Passando dal pre- al post-Furman la proporzione tra sentenze di morte arbitrarie e non arbitrarie non cambia, risultando di 90 "corrette" sentenze a vita a scapito di 810 "scorrette" sentenze a vita. In un sistema in cui gli errori non possono essere eliminati, distinguere tra questi due scenari non semplice, ed un'impresa che Stevens non ha neanche tentato.

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Scalia concorre alla decisione della Corte, ma annuncia che la giurisprudenza della Corte sulla pena di morte cos ingiustificabile che egli non sar pi a lungo legato ad alcuna parte di essa. La sua affermazione iniziale sull'illogicit dei suoi colleghi non preannuncia solo il tono del resto della sua opinione, ma dimostra chiaramente anche la natura e i limiti della sua metodologia: "La scelta ultima nelle sentenze capitali [...] solo una la scelta tra morte e prigione. Non si pu avere alcuna discrezionalit quanto alla scelta dell'una, quando non si dispone di alcuna discrezionalit nello scegliere l'altra" (17). L'ovvia spiegazione di questo importante passaggio che esso si basa sulla proposizione secondo cui l'unico modo in cui un problema pu essere analizzato , sillogisticamente, attraverso scelte binarie. Una persona deve vivere o morire; chi emette una sentenza ha, o non ha, discrezionalit. Ogni processo decisionale forse ogni processo, secondo Scalia deve essere governato da un solo principio che implichi scelte binarie, non importa quanto quel processo possa essere complesso o segmentato. Essenzialmente, Scalia ha fuso insieme l'effetto di una decisione col processo che ad essa conduce. In ogni caso, non c' alcun principio, logico o giuridico, che vieti l'uso di strumenti intellettuali diversi a seconda del compito. La vera questione come potrebbe essere diversamente. Parti differenti di un processo possono essere, e in alcuni casi devono essere, strutturate in maniera diversa. E' perfettamente sensato dire che certi fatti condizionino l'idoneit o l'inidoneit a un beneficio e che, osservati i requisiti minimi, la discrezionalit debba essere esercitata, una considerazione costantemente presente nella vita quotidiana. L'opinione di Scalia rivela che egli accecato dal potere seduttivo della deduzione. Parecchi passaggi nella sua opinion confermano questa ipotesi. Egli dice, per esempio, che "Questa seconda dottrina [della piet] controdottrina sarebbe la parola migliore ha completamente distrutto qualsiasi coerenza potesse avere avuto la nozione di "discrezionalit guidata" (18). Con ci, Scalia non considera che le due dottrine abbiano a che fare con due cose diverse. Egli assume a prova dell'illogicit dei suoi colleghi che "I nostri casi annunciano fieramente che la Costituzione proibisce effettivamente agli Stati di escludere della decisione ogni aspetto del carattere dell'imputato, o documento o qualsiasi circostanza riguardante il caso: [per esempio] che l'imputato abbia avuto un'infanzia povera o di privazioni, oppure ricca e viziata"(19), a suo modo di vedere non possono costituire nessuno dei due circostanze attenuanti. Ma collocate in reali esseri umani, esse possono esserlo non in se stesse n da sole, naturalmente, ma connesse ad altri aspetti della vita degli imputati. Solo se le categorie dovessero essere ritagliate in anticipo Scalia avrebbe ragione, ma egli non ha spiegato perch ci sia richiesto. Il superficiale richiamo alla razionalit e agli standard cui fa appello Scalia un richiamo a decidere secondo regole. Il fatto X oppure non attenuante, allo stesso modo di come l'autore di una decisione deve oppure non deve usare discrezionalit. Nella cosmologia di Scalia non c' nessun giudizio da esercitare, solo fatti da trovare e regole da applicare. Comunque, se l'attenuante non concepita per ottenere razionalit e predittivit, ma piuttosto per implementare il giudizio, allora la tesi di Scalia errata, e lo schema della Corte pu essere ancora valido. Si va dunque al cuore del problema: il giudizio non pu essere imbrigliato entro regole; se cos fosse, esso non sarebbe necessario. Cos, la vera questione posta da casi come Walton vs. Arizona se una giustificazione diversa rispetto a quella fondata primariamente su "predittivit", "attendibilit", o "precisione", possa essere costruita sulla base dell'approccio bifronte della Corte verso le sentenze di morte; e io credo sia possibile. Facendo questo, occorre affrontare il problema delle sentenze capitali abbandonando l'assunto che tutte le questioni giuridiche necessitano di attivit decisionali fondate su regole a priori, ed esaminando invece quelle condizioni per cui regole a priori soddisfino un obiettivo desiderato a un costo accettabile.

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Giudizi imprecisi sulla relativa colpevolezza di azioni sono stati a lungo parte integrale del diritto penale. Se non illogico avvalersi dei concetti di dolo o premeditazione per distinguere un omicidio di primo grado da uno di secondo grado (e il fatto che anche a livello legislativo, nella maggior parte dei casi, si sia fatto cos, indica che la distinzione coglie una diffusa intuizione) perch illogico dunque adoperare aggravanti specifiche per distinguere omicidio capitale da omicidio di primo grado, e perch non dovremmo pensare che questa distinzione a maggior ragione poggi su un'intuizione altrettanto diffusa? La risposta ovvia: non affatto illogico fare questa distinzione, e probabilmente rispecchia anche un'opinione molto sentita. Circostanze aggravanti non servono semplicemente a ridurre la dimensione della classe dei punibili con la morte, come propone Stevens, e nemmeno a far da freno indifferenziato alla discrezionalit, come propone Scalia (20). Piuttosto, le circostanze aggravanti eliminano dalla classe dei punibili con la morte i casi per i quali tale pena sarebbe inappropriata. In tal senso, il linguaggio pi idoneo a criticare tali circostanze il linguaggio della razionalit. Possono le circostanze aggravanti far parte di giudizi morali ragionevolmente ben comprensibili? Sono esse talmente sovrainclusive da non ridurre il rischio di inappropriate sentenze di morte? Sono queste le domande da porsi. Cos l'attenzione deve nuovamente rivolgersi a come sia differente la funzione dell'attenuante, poich in caso contrario l'accusa d'illogicit di Scalia corretta. La differenza emerge assumendo che la classe degli imputati punibili con la morte sia relativamente omogenea e che una differenziazione in una classe piuttosto omogenea richieda l'esercizio del giudizio. Se il gruppo degli imputati punibili con la morte merita di morire in qualche senso costituzionalmente accettabile, allora questa classe piuttosto omogenea, il che significa che non si pu distinguere tra i suoi componenti applicando regole. In altre parole, le distinzioni possono esser fatte solo se l'autore della decisione sganciato dalle regole e incline a considerare tutto ci che resta. Il ruolo dell'attenuante si comprende al meglio con una sorta di schema, concepito per permettere distinzioni sottili - non grosse - all'interno della classe degli individui punibili con la morte. La natura controintuitiva di questo punto deriva, credo, dal fatto che una sottile distinzione produce una grossa differenza letteralmente, la differenza tra la vita e la morte. Ma il semplice il fatto che le conseguenze sono grandi non comporta che le giustificazioni per la distinzione siano ovvie o banali. Questo risponde alle critiche di Scalia. L'attenuante non concepita per determinare l'attendibilit o la predittivit, e coloro che la difendono dovrebbero fare a meno di questo vocabolario. E' invece concepita per permettere che l'apprezzamento venga esercitato. Il giudice o il giurato deve poter considerare tutto ci che rimane ancora da considerare sull'imputato, per vedere se nel contesto storico-vitale dell'imputato, letto attraverso il filtro della storia vitale di chi effettua la decisione, ci sia una ragione comprensibile e adeguatamente forte, ancorch sottile, per esprimere piet. N il contesto di vita dell'imputato n le risorse intellettuali adoperate dal giudice nella sua valutazione possono essere filtrati da regole, comunque. Non questa la natura di un tale lavoro. Chiarire la natura dell'attenuante presenta un numero di vantaggi ulteriori. Dimostra perch la messa in ridicolo da parte di Scalia delle circostanze attenuanti in quanto apparentemente illogiche sia nell'ipotesi migliore fuori luogo. Ogni fatto particolare preso in s non molto rilevante. La rete dei fatti ci che conta. Una persona che non ha ricevuto alcuna educazione e che ha vissuto in un contesto di povert, e che sia ciononostante riuscita a migliorarsi sino ad avere successo, ma che tuttavia uccide per conseguire opportunit economiche, pu non riscuotere la nostra simpatia. Una persona con una vita ricca e viziata alle spalle pu anche risentire di un piccolo problema familiare vissuto durante la sua infanzia, e cos soffrirne da incorrere in crisi depressive e in uso di droghe: e perci le sue azioni possono essere considerate meno riprovevoli di quelle del killer rampante di cui sopra.
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Chiarire la natura dell'attenuante scioglie anche uno dei nodi del dibattito interno alla Corte. Questo dibattito va avanti come se i "fatti" rilevanti fossero quelli che Scalia ridicolizza come un passato di privazioni o di vizi ma cos si perde di vista un punto cruciale. Quelli non sono in s "fatti" giuridicamente determinanti del tipo che conduce a conclusioni significative; piuttosto quei fatti sono prova delle conclusioni giuridicamente significative, cio se avere piet o meno. Se essi fossero i "fatti" giuridicamente decisivi, il feroce attacco di Scalia ai suoi colleghi avrebbe qualche merito. Se cos fosse, tali "fatti" prima o poi apparirebbero molto pi decisivi di altri fatti giuridici, come per esempio il dolo in omicidio. Qui Scalia avrebbe ragione se dicesse "il dolo , oppure non , un elemento dell'omicidio". Ma avrebbe torto se dicesse "la deposizione di X circa il comportamento di Y determina, oppure non determina, il dolo". Il fatto giuridicamente decisivo nelle udienze capitali se attenuare la pena qualora la storia di vita dell'imputato fornisca un adeguato motivo per evitare l'esecuzione. Una cosa come l'indigenza del background di un imputato una prova da cui la conclusione pu essere inferita, ma la conclusione potr essere tratta solo alla luce di tutte le prove presentate all'esame (21). Se la prova del dolo analoga alla prova che si deve concedere piet, e un'inferenza del dolo analoga a una conclusione che la piet dovrebbe essere concessa, ha poco senso parlare di onere probatorio rispetto alla prova dell'attenuante. Questo ancora un errore analitico di tutti i partecipanti al dibattito interno alla Corte. Di contro, ha perfettamente senso chiedersi se l'autore della sentenza abbia raggiunto un convincimento circa la giustificazione della piet in base ad alcuni standard probatori, e precisamente in base a quel grado di "coerenza" che pu essere presente in un processo. La giustificazione della piet, tuttavia, emerger da tutte le prove addotte e non sar mai in funzione di qualsivoglia singolo "fatto" come un background di vizi o privazioni. E certamente, differenti autori di sentenze concluderanno in maniere differenti, cosa che temo sia l'aleggiante problema non detto. La prova presentata a un'udienza non mostra immediatamente le sue implicazioni; essa dovr essere interpretata da chi emette la sentenza (22). A causa delle diverse esperienze di vita, un membro della giuria potr considerare attenuante il background di un imputato, laddove un altro invece potr considerarlo aggravante. Questo non un segno di "casualit" della decisione giudiziale, come direbbe Scalia (23). Ancora, si tratta semplicemente di conseguenze del giudizio, di decisioni umane implicanti variabili troppo numerose per essere ridotte entro regole. Concludendo, ci sono due punti interconnessi. Il primo la natura del problema. La piet implica un giudizio che si estende lungo l'intera vita di una persona. Come ho cercato di mostrare, non possibile ridurre entro regole. Questo significa ed ecco il secondo problema che per decidere, l'autorit deve essere attribuita da qualche istituzione. E' questo il potere attribuito ai giurati, tuttavia caratterizzato da una sorta di sfiducia nei loro confronti, ci che alimenta il corrente dibattito circa le procedure penali capitali negli Stati Uniti oggi. I casi della Corte presi in considerazione servono da esempio per comprendere che alcune cose devono essere lasciate al giudizio. Essi sono criticati per non aver tenuto sufficientemente presente questo punto. Il vero obiettivo che si perso di vista nell'applicazione approssimativa degli standard deduttivi della Corte, ovvero l'approccio applicativo fondato su regole, se la piet debba o meno giocare un ruolo decisivo nelle sentenze. Le tesi addotte da svariati membri della Corte a proposito di una o di un'altra regola, e sulla loro coerenza, non sono solo male orientate, ma anche completamente fuori luogo. La vera questione se accettare un sistema discrezionale che attribuisca mero potere decisionale a persone o istituzioni, e andare avanti pi o meno coi risultati che ne derivano, oppure eliminare la piet attraverso schemi decisionali vincolanti. Si tratta di una questione profonda e difficile, ma non abbiamo adesso il tempo di affrontarla.
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Note
(*) John Henry Wigmore Professor of Law, Northwestern University. Il presente lavoro si basa su due lezioni, tenute alla Sorbona il 28.04.1998 e all'Universit di Parma presso l'Istituto di Filosofia del diritto il 28.05.1998, ed tratto in parte da R. Allen, Evidence, Inference, Rules, and Judgement in Constitutional Adjuducation: The Intriguing Case of Walton v. Arizona, 81 J. Crim. L. & Crim. 727 (1991). (1) Per una discussione, cfr. James Fox-Michael Radelet, Persistent Flaws in Econometric Studies for the Deterrent Effect of the Death Penalty, Loyola L.A. L. Rev. 45 (1989). (2) Philip Cook-Donna Slawson, "The Costs of Processing Murder Cases in North Carolina" 1 (1993). Per altre discussioni, pi in generale, cfr. Robert Spangenberg-Elizabeth Walsh, Capital Punishment or Life Imprisonment? Some Cost Considerations, 23 Loyola L.A. L. Rev. 45 (1989); Margot Garey, The Cost of Taking a Life: Dollars and Sens of the Death Penalty, 18 U. C. Davis L. Rev. 1221 (1985). (3) Gomez vs. United States District Court for the Northern District of California, 428 U.S. 153 (1976); Vasquez vs. Harris, 503 U.S. 1713 (1992). (4) cfr. "Chicago Tribune", sabato 29.03.1998, p. 1. (5) William James, The Will to Believe and Other Essays in Popular Philosophy, Harvard University Press, 1989, p. 144. (6) Cfr. R.A. Putnam, Perceiving Facts and Values, 73 Philosophy 5 (1998). (7) Furman vs. Georgia, 408 U.S. 238 (1972). (8) Greg vs. Georgia, 428 U.S. 153 (1976). (9) 110 S. Ct., p. 3047 (1990). (10) 110 S. Ct., p. 3055. (11) La probabilit che ogni singola circostanza non sia presente di 1-.025=0.75. Assumendo che le tre circostanze siano indipendenti, la probabilit che nessuna di esse sia presente di 0.75 x 0.75 x 0.75=0.42. Cos, la probabilit che almeno una sia presente di 1-0.42=0.58. Se le circostanze non sono indipendenti, l'effetto minore ma ancora presente. Per maggiori approfondimenti su questo problema in generale, vedi Allen, A Reconceptualization of Civil Trials, 66 B.U.L. REV. 401 (1986). (12) 110 S. Ct., pp. 3068-3070. (13) Ivi, p. 3071. Vedi anche p. 3076: "In casi non capitali, sicuramente, gli Stati hanno pi margine nel sacrificare la precisione della predittivit emanando determinate sentenze e riducendo la possibilit di addurre prove di attenuanti o scusanti... Questa Corte, comunque, ha riconosciuto pi volte che la "qualitativa differenza tra morte e altri tipi di pena richiede un grado pi alto di attendibilit quando la sentenza viene emessa". Cito da Lockett vs. Ohio, 438 U.S., p. 604. (14) Cfr. Gillers, Deciding Who Dies, 129 U. Pa. L. Rev. 1 (1980); Gillers, The Quality of Mercy: Constitutional Accuracy at the Selection Stage of Capital Sentencing, 18 U.C. Davis L. Rev. 1037 (1985). (15) 110 S. Ct., p. 3090. (16) Ibidem. (17) 110 S. Ct., pp. 3058-3059. (18) S. Ct., p. 3061. (19) Ivi, p. 3062. (20) 110 S. Ct., p. 3063, n. 4. (21) Forse questo ci che intende dire Blackmun quando scrive: "L'applicazione dello standard della prevalenza in questo contesto specialmente problematica alla luce del fatto che
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l' "esistenza" di una circostanza attenuante di solito non una questione alla quale si possa rispondere con un "s" o con un"no". 110 S. Ct., p. 3072. (22) Cfr. Allen, On the Significance of Batting Averages and Strikeout Totals: A Clarification on the "Naked Statistical Evidence" Debate, The Meaning of "Evidence", and the Requirement of Proof Beyond Reasonable Doubt, Tul. L. Rev. (1991). (23) S. Ct., p. 3064.

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Dino Costantini, Il demone mortale: unanalisi del politico in Weber

a cura di Maria Chiara Pievatolo pievatolo@dsp.unipi.it Ultimo aggiornamento: 29 novembre 2000

Il demone mortale: unanalisi del politico in Weber


di Dino Costantini

ma per disgrazia cera l un piccolo animaletto in berretto quadrato, il quale tolse la parola a tutti gli animaletti filosofanti: disse di sapere tutto il segreto, che ci si trovava nella Somma di S. Tommaso; guard dallalto in basso i due abitatori del cielo; sostenne in faccia a loro che le loro persone, i loro mondi, i loro soli, le loro stelle, tutto era fatto unicamente per luomo. A tal discorso i nostri viaggiatori si lasciarono cadere un sullaltro soffocando di quel riso inestinguibile che secondo Omero la parte toccata agli dei; spalle e pancia andavano e venivano e in quelle convulsioni il vascello, che stava sullunghia del siriano, cadde in una tasca delle brache del saturnino. Quelle due brave persone lo cercarono a lungo; finalmente ritrovarono lequipaggio, e lo riassettarono molto pulitamente. Il siriano riprese i vermiciattoli, parl ancora e con molta bont, per quanto in fondo al cuore gli sapesse un po male di vedere che gli infinitamente piccoli avessero un orgoglio quasi infinitamente grande. Promise loro di fare un bel libro di filosofia, scritto minutissimamente per uso loro, e che in tal libro avrebbero visto in fondo alle cose. E infatti diede loro tal volume, prima di partire; fu portato a Parigi allAccademia delle scienze, ma quando il segretario lebbe aperto, vide nientaltro che un libro bianco da capo a fondo: Ah, disse, me laspettavo! Voltaire, Micromegas

I
Scrive David Beetham, in quella che pu ancora oggi essere considerata la pi completa trattazione della teoria politica di Weber: Unopinione diffusa, anche se superficiale, riguardo agli scritti politici di Weber, che essi, in contrasto con loggettivit scientifica della sua opera sociologica, non contengano altro che giudizi soggettivi di valore. Hans Maier, per esempio contrappone loggettivit del lavoro scientifico di Weber allirrazionalit delle sue valutazioni politiche. () Questo giudizio sugli scritti politici di Weber non solo inadeguato, ma fraintende le relazioni che Weber stesso stabiliva tra analisi empirica e prassi politica. Sebbene egli si sforzasse di conservare una chiara distinzione tra lattivit scientifica e quella di propaganda, era solito ripetere che una corretta comprensione della realt era una condizione preliminare necessaria per una efficace azione politica[1]. Beetham, sulla scorta di un noto passaggio della Politica come professione, individua nella Sachlichkeit la prima virt del politico in Weber. Sachlichkeit nella lettura di Beetham il realismo, loggettivit, lattenzione alla cosa ovvero la capacit di riconoscere i limiti del possibile[2] o ancora la capacit di
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riconoscere lobiettiva necessit del capitalismo, almeno per il presente[3]. Al politico cui sia preclusa questa oggettiva comprensione della realt, sar altres preclusa la possibilit di una responsabile ed efficace azione politica a partire dal proprio riferimento al valore. Ogni frettolosa accusa di irrazionalit lanciata nei confronti del Weber politico deve venire qui a cadere. Ma se interpretazioni di questa fatta devono essere certamente percepite nella loro inadeguatezza, anche la posizione di Beetham dovr apparire, ad una pi attenta analisi, inadeguata a rendere ragione della complessit del pensiero weberiano. Per giustificare questa asserzione sar qui necessario addentrarsi nelle intricate profondit dellopera weberiana, procedendo ad una lettura analitica del passo in questione. Tre qualit possono dirsi sommamente decisive per luomo politico, ovvero per colui al quale consentito di metter le mani negli ingranaggi della storia. Tali qualit sono: passione, senso di responsabilit, lungimiranza. Passione, Weber si affretta a precisare, nel senso di Sachlichkeit: dedizione appassionata a una Sache, al dio o al diavolo che la dirige. Non dunque passione come fermento interiore, non come romanticismo di ci che intellettualmente interessante, campato sul vuoto, senza alcun concreto senso di responsabilit. La passione, per quanto sincera, non basta a fare il politico. Oltre ad essa, necessaria e anzi decisiva la lungimiranza, ossia la capacit di lasciare che la realt operi su di noi con calma e raccoglimento interiore: come dire, cio, la distanza tra le cose e gli uomini. In questo senso, nel senso per cui la Distanzlosigkeit, la mancanza di distacco uno dei peccati mortali di qualsiasi uomo politico [4] linterpretazione di Beetham coglie nel segno: Sachlichkeit qui da intendere come attenzione alla cosa o realismo, ovvero come quella considerazione oggettiva del mondo a partire dal distacco da esso che sola apre la via ad un agire responsabile per le proprie conseguenze, e con ci lungimirante. Il politico che non riesce ad attingere a questo livello di oggettivit, il politico privo di Sachlichkeit in questo senso, cade qui vittima del proprio carattere ben troppo umano, ossia della propria natura passionale, che si esplica in quella vanit comune a tutti, nemica mortale di ogni effettiva dedizione e di ogni distanza. Una conseguenza della vanit per il politico, ma non la sola come vedremo, il credere troppo nellefficacia delle proprie qualit demagogiche, credenza che spinge il politico a rinchiudersi nella propria maschera istrionesca e a preoccuparsi soltanto dellimpressione che egli riesce a fare ovvero a godere del potere semplicemente per amor della potenza[5], sganciandosi cos dalla responsabilit nei confronti delle conseguenze delle proprie azioni. Questa responsabilit pu essere esercitata solo a partire dal guadagno di una considerazione distaccata (o oggettiva o realistica) del proprio ambito dazione, ossia solo a partire dal possesso della fondamentale virt della Sachlichkeit-Realismo, capace di neutralizzare la troppa umanit del politico, ovvero linopinato emergere della sua natura passionale. E tuttavia prosegue Weber la dedizione alla politica, se questa non devessere un frivolo gioco intellettuale ma azione schiettamente umana, pu nascere ed essere alimentata soltanto dalla passione. Passione e abitudine alla distanza[6], che sembrano contrapporsi come mortali nemici, dovranno dunque essere tenuti assieme perch la politica non decada a frivolo gioco intellettuale.Giacch, per luomo nella sua umanit, nulla ha valore di ci che non pu fare con passione[7]. E il problema appunto questo: come possono coabitare in un medesimo animo lardente passione e la fredda lungimiranza?. In politica, per Weber, i peccati mortali sono in definitiva di sole due specie. La prima, lo si visto, la mancanza di distacco che rende lazione irresponsabile. La seconda propriamente Unsachlickeit. I due peccati spesso, ma non sempre tendono a coincidere. Per questo Weber si premura di tentare questa difficile distinzione. In entrambi i casi gioca un ruolo essenziale la vanit, ossia la natura passionale delluomo che pure, in qualche modo, dovr essere fatta rientrare in gioco. La Unsachlicheit rischio mortale per il politico, in quanto lo spinge a scambiare nelle sue aspirazioni la prestigiosa apparenza del potere per il potere reale. Il potere o laspirazione ad esso daltronde, per Weber,strumento indispensabile del lavoro del politico. Non il fatto dunque di aspirare al potere in quanto tale a porre il politico in odore di peccato mortale. Nessun politico, neppure il pi responsabile, potrebbe usare della propria lungimiranza se non possedesse il potere di tradurla in azioni. Il peccato si
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compie precisamente quando la aspirazione al potere smarrisce le causeper cui esiste (unsachlich wird) [8] e diviene oggetto di un esaltazione puramente personale[9]. Si compie cio quando il politico smarrisce la sua Sachlichkeit, spingendosi alla ricerca del potere semplicemente per amor della potenza, senza dargli uno scopo per contenuto[10]. Eppure un politico che eserciti il potere in funzione dellaccrescimento della potenza ed ottenga consapevolmente il proprio scopo, potrebbe, anzi, dovrebbe essere considerato come possessore di uno spiccato realismo. Ma per Weber non cos. La natura passionale delluomo, la sua vanit, induce in tentazione il politico che, per non cadere nella pi deleteria delle aberrazioni, si pu difendere solo attraverso la propria Sachlichkeit. Tale aberrazione consiste nello sfoggio pacchiano del potere e del vanaglorioso compiacersi nel sentimento della potenza, o, in generale, di ogni culto del potere semplicemente come tale. Se con Sachlichkeit vogliamo intendere quella specifica virt che fa delluomo politico un vero uomo politico, essa a questo punto non potr pi essere intesa solamente come attenzione alla cosa, come realismo o oggettivit di giudizio. Il mero politico della potenza pu avere infatti ben sviluppato il proprio realismo, questa virt oggettivante e lungimirante, direi anzi che ne necessita per imporsi come tale, eppure mancare della ben pi decisiva virt della Sachlichkeit, intesa come riferimento ad una causa giustficatrice. E questo il secondo e fondamentale significato del termine che stiamo indagando, significato attraverso il quale la tesi di partenza di Beetham dovr essere ricalibrata. Chi non possiede questo riferimento, ed in particolare il Machtpolitiker, opera di fatto nel vuoto e nellassurdo ed appare come il prodotto di uno scetticismo meschino e superficiale riguardo al significato dellazione umana, non avente nulla in comune con la coscienza del tragico di cui in realt intessuta ogni attivit, e soprattutto quella politica [11]. Allagire politico non deve mancare questo suo significato di servire ad una causa, pena la sua caduta nel vuoto e nellassurdo. Quale poi - debba essere la causa per i cui fini luomo politico aspira al potere e si serve del potere, una questione di fede[12]. Dipende cio dalla passione dominante del politico stesso, dal dio o dal demone che egli decide di seguire.

II
Ogni riflessione pensante sugli elementi ultimi dellagire umano fornito di senso vincolata anzitutto alle categorie di scopo e di mezzo[13]. Per ci che riguarda lagire politico, dovremo dunque affermare che la potenza non potr essere considerata mai come uno scopo, pena la caduta in un narcisistico vuoto di senso. La potenza dovr altres essere considerata come il mezzo o lo strumento specifico dellazione politica. In questottica la Sachlichkeit in quanto attenzione alla cosa, ossia loggettivit considerata nei limiti delle sue possibilit dapplicazione, consiste nella considerazione delladeguatezza dei mezzi al fine o, secondo le parole dello stesso Weber, nella questione dellopportunit dei mezzi in relazione ad un dato scopo, e mai in nessun modo in una posizione dei fini da parte di una necessit implicita nella cosa stessa. Unattenzione alla cosa di questo tipo ci che Weber ritiene debba essere il peculiare punto di vista della scienza sociale. Essa potr certo criticare la stessa determinazione dello scopo, ma questo solo indirettamente ossia nel caso in cui una precisa considerazione delle condizioni presenti faccia ritenere inconseguibili i fini che ci si posti. Potr inoltre stabilire, nel caso in cui gli scopi appaiano raggiungibili, le conseguenze che avrebbe limpiego dei mezzi richiesti accanto alleventuale attuazione dello scopo proposto, in modo da poterne valutare i costi. Ogni scopo, infatti, costa oppure pu costare qualcosa. Ma il tradurre quella misurazione in una decisione non certo pi un compito possibile della scienza, bens delluomo che agisce volontariamente [14]. La scienza dunque non d fini e pu tuttalpi servire a discernere ladeguatezza dei mezzi, la loro possibilit e le conseguenze che si accompagnerebbero al loro eventuale utilizzo. La scienza sociale, in altri termini, non pu mai insegnare ad alcuno ci che egli deve ma soltanto ci che egli pu e in determinate circostanze ci che egli vuole[15] (ovvero i costi dellutilizzo dei mezzi atti a conseguire uno scopo o ancora la conoscenza del significato di ci che voluto[16]).

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La scienza dunque un mezzo del quale il politico si deve impadronire, se vuole agire virtuosamente, ossia responsabilmente nei confronti della cosa. La scienza, il suo carattere oggettivo, ci che rende possibile il distacco indispensabile ad una azione pienamente responsabile, in quanto solo per suo tramite il politico pu venire a conoscenza di ci che pu e vuole. Ma ci che deve fare, il politico non lo pu apprendere dalla scienza. Loggettivit appare come un mezzo cieco, incapace di orientarsi da s verso lagire mondano, di porre a s i propri fini. Mezzo peraltro necessario, poich solo attraverso di esso il politico pu impadronirsi della cosa rendendosi responsabile e lungimirante. Solo la scienza pu cio condurlo alla coscienza che ogni agire, e naturalmente anche, secondo le circostanze, il non-agire, significa nelle sue conseguenze una presa di posizione in favore di determinati valori, ossia di un determinato scopo assunto in maniera inevitabilmente soggettiva, attraverso il quale il politico misura e sceglie tra i valori in questione secondo la propria coscienza e secondo la sua personale visione del mondo. Tale presa di posizione, essendo in favore di valori inevitabilmente parziali poich soggettivi, perci stesso di regola contro altri[17]. Con ci appare chiaro che loggettivit scientifica auspicata da Weber non in alcun modo affine allindifferenza[18]. Non si pu, in altri termini, ricorrere impunemente ai soli mezzi meccanici, se si voglia conseguire qualche risultato e, se cos si agisce, quel che in definitiva si ricava spesso irrisorio[19]. Anzi, un problema politico-sociale riconosciuto come tale proprio nel momento in cui non pu essere sbrigato indifferentemente, ovvero sulla base di considerazioni meramente tecniche. Un problema politico-sociale tale nella misura in cui esso sa costringere alla disputa, che si svolge non soltanto, come oggi cos volentieri si crede, tra interessi di classe[20], constatabili oggettivamente, ma anche tra intuizioni del mondo[21]. Dovremo dunque domandarci che cos per Weber unintuizione del mondo, giacch solo a partire dalla chiarificazione di questa questione che potremo precisare quale sia il senso della oggettivit conoscitiva della scienza sociale auspicato da Weber. Le intuizioni del mondo sono punti di vista specifici e unilaterali attraverso i quali i fenomeni sociali sono scelti come oggetti di ricerca, analizzati e organizzati nellesposizione. La vita, nella visione di Weber, ci offre una molteplicit senzaltro infinita, di processi che sorgono e scompaiono in un rapporto reciproco di successione e contemporaneit, in noi e al di fuori di noi. La vita una assoluta infinit che non diminuisce anche quando noi prendiamo in considerazione un singolo oggetto isolatamente [22], uninfinit che non pu essere esaurita da nessuno di quei sistemi concettuali, di cui tuttavia non possiamo fare meno[23] . Essa una realt irrazionale, unimmensa e caotica corrente che fluisce nel tempo[24], inesauribile fonte di significati possibili. Ogni conoscenza concettuale della infinita realt viene cos a discendere dal tacito presupposto che soltanto una parte finita di essa debba formare loggetto della considerazione scientifica[25], ossia che solo una parte dellinfinito fluire della vita sia degno di essere conosciuto (wissenwert). Isolare nel magma inarrestabile della vita tali significati compito dello sguardo distante della scienza, la quale per non possiede, in se stessa, alcun criterio di selezione per linfinit di significati possibili che la realt promette di saper accogliere. Il riconoscere un fatto come significativo gi, per Weber, applicare alla infinit del reale un criterio selettivo di valore [26]. Detto in altri termini, nel caos della realt pu recare ordine soltanto la circostanza che in ogni caso ha per noi interesse e significato esclusivamente una parte della realt individuale, e questa parte viene determinata in relazione a quelle idee di valori culturali con le quali noi ci accostiamo[27] ad essa. Queste idee sono necessariamente individuali e coincidono con il significato che individualmente ha per noi la realt della vita. La parte che ciascun individuo, in base alle proprie idee di valore, sottrae al caos dellinfinit fluente del reale, costituisce la sua cultura. Cultura dunque quella sezione finita dellinfinit priva di senso del divenire del mondo, alla quale attribuito senso e significato dal punto di vista delluomo[28]. La cultura dunque la produzione di senso a partire dalla sua assenza e dalla sua infinita possibilit. La cultura attribuzione di senso che anche immediatamente attribuzione di valore. Essa unintuizione del mondo che, in quanto tale, sta gi da sempre in lotta contro lideale altrui sulla

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base del proprio ideale[29]. E questa lotta, (se consideriamo il fatto che il presupposto trascendentale, cio a dire la condizione di possibilit di ogni scienza della cultura, non gi che noi riteniamo fornita di valore una determinata, o anche in generale una qualsiasi cultura, ma che noi siamo esseri culturali, dotati della capacit e della volont di assumere consapevolmente posizione nei confronti del mondo e di attribuirgli un senso[30]), non pu che riguardare tutti gli esseri umani. Detto in altri termini, (quelli impiegati da Weber nella conferenza su La scienza come professione) partendo dalla pura esperienza si giunge al politeismo, ossia a quella dottrina per la quale il conflitto tra gli dei o tra i demoni che presiedono agli individuali ordinamenti di valore non pu mai terminare. Su questi dei e sulle loro lotte, domina il destino, non certo la scienza[31]. La scienza pu tuttalpi chiarirci le implicazioni della nostra devozione (Voi servite questo dio e offendete quellaltro, se vi risolvete per questo atteggiamento[32]) e pu indicarci i mezzi devozionali pi efficaci. Pu cio costringere il singolo o almeno aiutarlo a rendersi conto del significato ultimo del suo operare[33], ma non pu rispondere alla domanda su quale degli dei in lotta il singolo debba servire. Tale risposta, rileva Weber, competerebbe al profeta. Il fatto decisivo, la cui enorme importanza e il cui significato non sono stati ancora adeguatamente compresi che il profeta, che pure tanti invocano, non esiste[34]. E con ci luomo conosce la tragicit del suo destino, per la quale Weber fa valere il motto agostiniano: Credo non quod, sed quia absurdum est. Poich il mondo in s stesso realisticamente o oggettivamente assurdo, la possibilit di agire in esso dipende dalla originaria decisione di senso, decisione resa necessaria e possibile a partire dalla sua assenza: quia absurdum est.

III
La necessit della compresenza di attenzione alla cosa e attenzione alla causa gi messa in rilievo dalle analisi precedenti viene guadagnata da Weber anche affrontando il problema politico da un versante di tipo etico. Qual il rapporto tra etica e politica? Sono esse estranee, contraddittorie o coincidenti?[35]. Per la risposta il punto decisivo che ogni agire orientato in senso etico pu oscillare tra due massime radicalmente diverse e inconciliabilmente opposte: pu essere cio orientato secondo letica della convinzione oppure secondo letica della responsabilit. Le massime attorno alle quali le due posizioni si costruiscono appaiono anche qui opporsi mortalmente. Chi segue letica della convinzione non sopporta lirrazionalismo etico del mondo. Egli un razionalista cosmico-etico che persegue i propri scopi senza alcun riguardo per considerazioni di tipo realistico. Se le conseguenze di unazione determinata da una convinzione pura sono cattive, ne sar responsabile non lagente, il portatore di questetica della convinzione, bens il mondo o la stupidit altrui o la volont divina che li ha creati tali[36]. Egli non si fermer neppure di fronte ad azioni assolutamente irrazionali a giudicarle dal loro possibile risultato, le quali per contengano tanto valore quanto alletico della convinzione pare necessario e sufficiente perch siano compiute nella loro qualit di esempio[37]. Letica della convinzione si basa cio su di una Sachlichkeit, intesa come attenzione alla causa, che viene rigidamente separata da ogni riferimento alla cosa e portata cos alle sue estreme conseguenze. Chi invece ragiona secondo letica della responsabilit ritiene si debba rispondere delle conseguenze (prevedibili) delle proprie azioni. Egli terr conto di quei difetti presenti nella media degli uomini [38], non presupponendo in loro bont o perfezione, per giungere attraverso una considerazione realistica del carattere condizionato del proprio agire alla possibilit di prevedere le implicazioni delle proprie azioni e al calcolo dei mezzi necessari a portarle a compimento. In tal modo egli realizzer la
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purezza del proprio agire responsabile nel momento in cui sar in grado di calcolare tutto questo con precisione, ma non trover in questa mera chiarezza di visione gli scopi ai quali indirizzare le proprie azioni. Sar in possesso, in altre parole, di un realismo separato da ogni riferimento alla causa, e con ci sullorlo del vuoto e dellassurdo. Queste posizioni assolute corrispondono anche alla tipizzazione ideale delle forme dellagire sociale esposte da Weber in Economia e societ, ed in particolare alle forme dellagire razionale rispetto al valore e dellagire razionale rispetto allo scopo. Leggiamone la definizione:
Come ogni agire, anche lagire sociale pu essere determinato: 1) in modo razionale rispetto allo scopo da aspettative dellatteggiamento di oggetti del mondo esterno e di altri uomini, impiegando tali aspettative come condizioni o come mezzi per scopi voluti e considerati razionalmente, in qualit di conseguenza 2) in modo razionale rispetto al valore dalla credenza consapevole nellincondizionato valore in s- etico, estetico, religioso, o altrimenti interpretabile di un determinato comportamento in quanto tale, prescindendo dalla sua conseguenza[39]

Letica della convinzione si comprende, in questo senso, come lassolutizzazione della razionalit rivolta al valore, letica della responsabilit corrispondendo allassolutizzazione della razionalit rivolta allo scopo. Weber completa la tipizzazione con le due forme dellazione orientate rispettivamente in senso affettivo e tradizionale. Esse non interessano qui se non in questo: lazione orientata affettivamente si distingue da quella orientata razionalmente al valore per la consapevole elaborazione dei punti di riferimento ultimi dellagire e per lorientamento progettato in maniera conseguente rispetto ai propri presupposti da parte di questultima. Esse hanno in comune il fatto che il senso dellagire riposto non in un risultato che stia al di l di questo, ma nellagire in quanto tale. Ma, mentre il comportamento affettivamente determinato agisce in vista del soddisfacimento di un bisogno attualmente sentito e in quanto tale costituisce una specie di reazione, lagire razionalmente orientato ai valori opera incondizionatamente, modellando lagire nel suo complesso secondo imperativi[40]. Lagire razionale rispetto al valore , dunque, attenzione alla causa nella sua purezza, ossia ancora il modello di ogni etica della convinzione. Lagire orientato razionalmente rispetto allo scopo un agire misurante o calcolante, proprio di colui che orienta il suo agire in base allo scopo, ai mezzi e alle conseguenze concomitanti, misurando razionalmente i mezzi rispetto agli scopi, gli scopi in rapporto alle conseguenze, ed infine anche i diversi scopi possibili in rapporto reciproco. E, in altri termini, attenzione alla cosa nella sua purezza, ovvero il modello di ogni etica della responsabilit. Ma il problema dellinevitabilit della convivenza delle due tipologie etiche risorge subito. N luna n laltra delle forme pure dellagire, si affretta a precisare Weber, si ritrovano nella realt. Lazione orientata al valore lo fa abitualmente in misura modesta, e lassoluta razionalit rispetto allo scopo anche soltanto un caso limite. La razionalit rispetto allo scopo risulta infatti, come dovrebbe essere a questo punto prevedibile, incapace di porsi da s un criterio selettivo tra i diversi scopi possibili verso i quali indirizzare il proprio agire, di scegliere cio il proprio dio o il proprio demone, cos come la razionalit rispetto al valore, incapace di calcolare le conseguenze del proprio agire o forse semplicemente disinteressata ad esse, risulta irresponsabile. Accade cos che nellagire concreto queste due modalit dellagire teoricamente incompatibili si confondano tra di loro. Un modello di possibile con-fusione indicato da Weber nei seguenti termini: in un'azione razionale rispetto allo scopo, la decisione tra gli scopi in concorrenza e in collisione, e tra le relative conseguenze, pu essere orientata razionalmente rispetto al valore. Questo modello di con-fusione non elimina la conflittualit dei tipi evocati, in quanto dal punto di vista della razionalit rispetto allo scopo la razionalit rispetto al valore sempre irrazionale[41], ma indica la possibilit della composizione del conflitto[42].

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Per sciogliere il problema sar necessario approfondire la natura del politico, comprendendone pi a fondo la specificit. Decisivo, a parere di Weber, al fine di determinare la particolarit di ogni problema etico della politica, sar considerare quale sia il mezzo specifico che alla politica viene messo a disposizione dalle associazioni umane in vista della sua azione ed esistenza[43]. Tale mezzo, si sa, quello della forza o violenza legittima. La potenza dello strumento impone la pi attenta considerazione delle conseguenze della sua applicazione cos come delle sue finalit ultime, rendendo vana, sulla base delle medesime argomentazioni sviluppate in precedenza, ogni interpretazione separante che pensi di tenere univocamente uno dei due estremi. Unetica della convinzione che non sappia essere responsabile dovr scontrarsi contro tutte le conseguenze indesiderate del proprio agire, cos come unetica della responsabilit sar costretta a chiarire gli scopi e preliminarmente a porsene - cui essa tende, pena la propria completa perdita di senso. Con ci si capisce perch letica della convinzione e quella della responsabilit non sono assolutamente antitetiche ma si completano a vicenda e solo congiunte formano il vero uomo, quello che pu avere la vocazione alla politica (Beruf zur Politik)[44]. Solo un simile uomo potr possedere, secondo Weber, la fondamentale virt politica della Sachlichkeit [45].

IV
La maledizione della nullit delle creature incombe effettivamente anche sui successi politici esteriormente pi solidi[46], in quanto essi si siano realizzati in assenza di una causa giustificatrice, ossia in quanto i loro artefici non abbiano preliminarmente riconosciuto tale nullit. Il politico di potenza, privo di attenzione alla causa, cade in un meccanismo di accumulo della potenza assolutamente insensato, dal quale pu uscire solo facendosi consapevole servitore di dio o del diavolo, ovvero facendosi creatore del proprio dio o del proprio diavolo attraverso la propria devozione.
Il destino di unepoca di cultura che ha mangiato dallalbero della conoscenza quello di sapere che noi non possiamo cogliere il senso del divenire cosmico in base al risultato della sua investigazione, per quanto perfettamente accertato esso sia, ma che dobbiamo essere in grado di crearlo, e che di conseguenza le intuizioni del mondo non possono mai essere prodotto del sapere empirico nel suo progredire, mentre gli ideali supremi, che ci muovono nella maniera pi potente, si sono formati in tutte le et solo nella lotta con altri ideali, che ad altri sono sacri come i nostri.[47]

Ma la lotta non esperienza comune solo agli dei. Anche per gli uomini la condizione originaria la medesima[48]. Ad essa conduce necessariamente loriginariet del politeismo, qualunque sia lambito al quale si applichi la nostra indagine. Della lotta Weber presenta nei suoi scritti una complessa fenomenologia distinguendone varie figure, dalla lotta sanguinosa, che mira ad annientare la vita dellavversario e che rifiuta ogni legame di regole di lotta, fino alla lotta cavalleresca regolata convenzionalmente e al gioco agonistico conforme a certe regole (lo sport)[49], dalla lotta degli individui per le possibilit di vita e di sopravvivenza alla lotta delle relazioni sociali ossia alla lotta per imporre condizioni di lotta ordinamenti, in primo luogo - pi favorevoli al proprio tipo sociale di appartenenza[50]. La lotta figura che avvolge la vita in tutte le sue manifestazioni. Alla lotta di classe, al realistico riconoscimento weberiano della sua necessit, al suo fare parte del destino capitalistico della societ, alla opportunit di porne lesistenza come punto di partenza di ogni politica realistica non potremo qui che accennare. C poi il teatro internazionale che accoglie al suo interno leterna lotta tra gli stati nazionali, sulla quale torneremo successivamente. Particolare importanza assume infine, nella fenomenologia weberiana della lotta, la figura di quelli che debbono venir chiamati mezzi di lotta pacifici, ossia di quei mezzi di lotta che non consistono nellesercizio attuale della violenza fisica[51]. Ci che ha in mente Weber con questa definizione , evidentemente, la lotta economica per lesistenza, cos come viene a strutturarsi allinterno di uneconomia di tipo capitalistico[52]. Nelle condizioni di una

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societ capitalisticamente avanzata chi possiede un qualsiasi bene duso o utilizza un bene di consumo che ancora trasuda del lavoro altrui e non del proprio, nutre la sua esistenza a partire dal meccanismo di quella spietata e cinica lotta per lesistenza che la fraseologia borghese designa come pacifico lavoro civile e che in realt deve essere riconosciuta come una tra le tante forme della lotta delluomo contro luomo, nella quale non milioni, ma centinaia di milioni di uomini anno dopo anno sintristiscono nellanima e nel corpo[53]. Weber riconosce qui apertamente il carattere spietato del pacifico lavoro civile, eppure quando deve sistemare teoricamente la questione, in quella sorta di Organon, di cassetta degli attrezzi del pensiero weberiano che Economia e societ, lo fa definendo tale cinico tipo di lotta con il termine occultante di concorrenza, in quanto ricerca, formalmente pacifica, di un proprio potere di disporre di possibilit a cui anche gli altri individui aspirano[54]. Si ritrova qui un esempio di ci che Beetham indica come il carattere ideologico della scienza sociale weberiana[55]. Ad una ricerca, nella stessa considerazione di Weber, formalmente pacifica, fa cio riscontro un potere troppo efficacemente reale per non pensare che il demone weberiano abbia giocato nella categorizzazione una parte troppo importante[56]. Ma non questo il livello fenomenologico nel quale dobbiamo qui addentrarci. Le anime e i corpi di quelle centinaia di milioni di uomini occupate nella pacifica attivit della concorrenza, infatti, cadono oppure conducono comunque unesistenza dalla quale un qualunque senso infinitamente lontano, se ci limitiamo a giudicarle a partire dalla loro partecipazione ad un agire economico razionale. Lagire economico razionale , nella sua purezza, un agire razionale rispetto allo scopo.[57] In quanto tale, esso manca di una causa giustificatric, e dunque si posiziona sul limite dellassurdo, a meno che non trovi dei fini, a s superiori, da servire. Lagire economico, sosterr Weber nel 1916 dalle pagine del mensile Die Frau, con lEuropa sconvolta dalla guerra e in polemica con una prospettiva pacifista-cristiana., infinitamente pi lontano da una possibilit di senso che il rispondere di tutti noi allappello dellonore. Lappello dellonore ovviamente lappello alla guerra e la guerra, in quanto difesa dei doveri storici di un popolo organizzato in Stato di potenza[58] appare qui a Weber, rispetto allinsensato affannarsi dellhomo oeconomicus, come una estrema possibilit di riconduzione al senso. Se quanto stato finora messo in luce risponde in qualche modo a realt, sar chiaro che abbiamo qui a che fare con una esplicita dichiarazione di devozione da parte di Weber. Ogni pretesa di senso, infatti, pu avere luogo solo a partire dalla messa in gioco dei propri valori ossia dallaccadere di una professione di fede. Che tale professione avvenga allinterno della tragica circostanza della guerra deve essere considerato come ancor pi rivelativo.[59]. Tentare di chiarire quale fosse il demone cui luomo politico Weber tributava la propria devozione, sar il compito della restante parte di questo lavoro.

V
La pi esplicita professione di fede delluomo politico Weber, in quanto distinto dal Weber teorico della politica (che poteva al limite indicare la necessit di una scelta tra gli dei in lotta, ma non poteva in alcun modo fondare la necessit di una decisione in favore di uno o dellaltro)[60], la possiamo trovare nella giovanile Prolusione Accademica di Friburgo. Fin dalla Premessa Weber ci mette cos in guardia:
Dalla occasione stessa che le ha poste in essere risulta poi il senso particolare in cui queste argomentazioni possono rivendicare lattributo della scientificit. Una prolusione, infatti, offre lopportunit per lesposizione franca e per la giustificazione del punto di vista personale, e in quanto tale soggettivo, riguardo alla valutazione dei fenomeni delleconomia politica.[61]

La Prolusione, se diamo credito alle parole dello stesso Weber, rappresenta dunque lesposizione franca del punto di vista personale[62] di Weber, esposizione valutativa che a ragione Mommsen pu definire il suo programma politico o quantomeno il documento pi significativo delluomo politico Max
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Weber fino agli anni della guerra[63]. La valutazione privilegio delluomo politico concreto e, nello stesso tempo, sua ineludibile condizione di possibilit. Luomo politico concreto, o meglio il vero uomo politico, luomo dotato di vera politische Beruf deve possedere, come abbiamo visto, un fondamentale criterio di valore a partire dal quale, applicando nel contempo la propria attenzione alla cosa, esercitare la propria azione. Deve cio essere posseduto da un demone che ispiri la sua azione, e nello stesso essere lungimirante ovvero realista. Due sono le questioni che lanalisi di questo testo dovr aiutarci a sciogliere. La prima riguarda lidentit del demone cui il politico Weber si rese devoto. La seconda riguarda il particolare realismo ossia il senso particolare secondo cui Weber pot attribuire alle proprie analisi il crisma della oggettivit e della responsabilit - che tale demone dovette imporre al proprio devoto. La prima parte del testo, nella quale Weber si propone di illustrare tramite un esempio il ruolo giocato dalle differenze razziali fisiche e psichiche tra le nazionalit nella lotta economica per lesistenza[64], proprio a questa particolarissima oggettivit aspira. Lesempio scelto, di particolare attualit storica, riguarda la Prussia occidentale e i contendenti della lotta sono i tedeschi e i polacchi che quelle zone abitano. Le due nazionalit competono da secoli sullo stesso terreno, facendo forza essenzialmente su uguali possibilit, eppure i polacchi hanno la tendenza a raccogliersi nello strato economicamente e socialmente pi basso della popolazione. La tentazione quella di credere ad una differenza determinata da qualit razziali sia fisiche che psichiche della capacit di adattamento delle due nazionalit alle diverse condizioni di vita economiche e sociali. La prova di ci Weber la ritrova nello spostamento della popolazione e delle nazionalit[65]. Lanalisi di tali spostamenti indica a Weber che la zona si sta lentamente ma inesorabilmente polonizzando, in virt da un lato delle inferiori pretese per quanto riguarda il tenore di vita[66] delle popolazioni polacche, e dallaltro a causa dellincapacit della popolazione tedesca di rassegnarsi alla proletarizzazione che, abbattendo i tradizionali rapporti di dipendenza feudale, accompagna linesorabile agonia economica dei vecchi Junker prussiani[67] spingendo allemigrazione i contadini tedeschi. Lidea di Weber che vi sia qui in gioco un processo di selezione. Ogni forma di lotta e di concorrenza, scriver in Economia e societ, conduce a lungo andare al risultato di una selezione di coloro che, in misura maggiore, posseggono le qualit personali rilevanti per ottenere la vittoria nel corso della lotta[68]. Tale lotta deve essere considerata come di fatto inevitabile, nella misura in cui anche unordinamento pacifistico della pi rigorosa osservanza pu regolare soltanto i mezzi, gli oggetti e la direzione della lotta, ma mai eliminarla completamente[69]. Ma non dobbiamo pensare di poter riconoscere in Weber un social-darwinista[70]. La storia ci insegna anzi a considerare comuni la vittoria di alcuni tipi meno evoluti di umanit e lestinguersi di altissime fioriture dello spirito [71] e la selezione dunque, al contrario di quanto pensano i nostri ottimisti [72], non sempre si sposta a favore della nazionalit pi sviluppata o dotata dal punto di vista economico. Questa iniziale considerazione oggettiva della condizione delle campagne della Prussia Occidentale, che Weber ci chiedeva di considerare solo come un esempio, si conclude con lindicazione delle strategie che dal punto di vista del germanesimo Weber ritiene opportuno attuare per contrastare questo fenomeno. Esse si riducono a due: chiusura del confine orientale (con accettazione dei soli lavoratori migranti in virt della necessit economica) e acquisto sistematico di terreno da parte dello Stato al fine di una altrettanto sistematica colonizzazione da parte di contadini tedeschi[73]. Le conclusioni riflettono le premesse, permettendoci di esplicitarle. Si cerca di indagare una situazione storico-concreta come esempio della eterna lotta tra le nazionalit la quale viene dunque isolata come lelemento significativo allinterno della pluriforme molteplicit del reale. Si isolano, nellinarrestabile fluire della realt, gli elementi oggettivi che possono fornire validit alla tesi delleffettiva esistenza di questa lotta, restringendo opportunamente il proprio campo visivo. Rintracciata lesistenza della lotta, ci si schiera per una delle parti, a partire da una decisione di valore arbitraria ma dichiarata. Si traggono realisticamente le conseguenze. La decisione di valore quella in favore del germanesimo. Il punto di vista del
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germanesimo, una volta assolutizzato, non pu che entrare in conflitto con ogni principio concorrente, essendo il concetto di lotta il presupposto essenziale dellintera analisi. Dal punto di vista dellagire sociale Weber definisce la lotta come lagire orientato in base al proposito di affermare il proprio volere contro la resistenza di un altro o di altri individui[74]. La lotta , anzitutto, una questione di volontossia una questione di decisione e di dedizione. In quanto devoto al germanesimo, Weber denuncia il suo regresso nelle regioni della Prussia occidentale e chiede a gran voce un intervento dello Stato. Detto in altri termini, la convinzione di Weber in favore del germanesimo determina in lui un particolare realismo attraverso il quale lavanzare della colonizzazione polacca viene sentito come pericoloso. Se ne rintracciano i motivi oggettivi nella struttura economica delle campagne. Si chiede, su queste condizioni economiche, unazione di politica economica da parte dello Stato, in quanto strumento della germanica attenzione alla causa. In altri termini ancora, non la condizione economica delle campagne che possa di per s determinare la necessit di un intervento statale, n tantomeno la sua direzione. Ci equivarrebbe a intendere i sentimenti politici come se fossero soltanto un riflesso dellinfrastruttura economica[75]. Ed proprio questo pericolo che Weber intende qui scongiurare.

VI
La Prolusione un grido dallarme. Lallarme che Weber lancia riguarda il fatto che in tutti i settori il punto di vista economico sta guadagnando terreno[76]. La prospettiva o il punto di vista economico si sta aprendo la strada in una maniera cos sicura di s da rischiare di cadere in certe illusioni o di sopravvalutare la portata dei propri punti vista. Leconomia politica diventata di moda e cos si formata la persuasione che, grazie al lavoro della scienza economica nazionale, non solo la conoscenza dellessenza delle comunit umane si sia grandemente estesa, ma che anche il criterio, in base al quale noi in ultima istanza valutiamo i fenomeni, si sia trasformato completamente, come se leconomia fosse nella condizione di trarre dal proprio ambito ideali propri[77]. Ci conduce ad una illusione ottica, una deformazione prospettica alla moda, che inganna lo sguardo portandolo a credere nellesistenza di ideali economici o sociali e politici indipendenti. Ma si tratta appunto di unillusione. Ch se cos non fosse, ossia se leconomia potesse realmente pretendere di procedere nelle proprie decisioni in assoluta autonomia di giudizio, lo farebbe in realt attraverso una indebita appropriazione di attributi non propri. Lo farebbe in virt di una mancanza di controllo cosciente di s [78] procedente dallillusione di potersi in generale astenere dal pronunciare un cosciente giudizio di valore. In realt tale astensione impossibile e, nella misura in cui il giudizio non assunto coscientemente su di s e riportato alla propria personale professione di fede, si apre la via allinflusso di istinti incontrollati, a simpatie ed antipatie che perturbano il giudizio. In altri termini: senza consapevole riferimento al valore, nessuna oggettivit possibile. Se tale riferimento manca, il punto dal quale noi abbiamo iniziato nellanalisi e nella spiegazione dei fatti politico-economici, inconsapevolmente diventa determinante anche per il nostro giudizio a riguardo[79]. La mancata esplicazione dei propri presupposti, lascia l'oggetto, per cos dire, troppo vicino a s perch esso possa essere colto realisticamente: si ha qui ci che in precedenza stato definito come Distanzlosigkeit, il peccato politico della mancanza di distacco. Ogni azione che da una tale mancanza di distacco possa derivare sar dunque irresponsabile oltre ad essere priva di una causa giustificatrice consapevole. Leconomia politica, se tenuta separata o pensata come indipendente, dunque per Weber priva di Sachlickheit nel suo doppio e complesso significato precedentemente messo in luce. Essa , in altri termini, una teoria che
si basa su un soggetto economico costruito, riguardo al quale, al contrario di quanto accade con luomo empirico, essa

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a) considera non esistenti, ignora tutti i motivi non specificamente economici (derivanti cio dalla necessit di provvedere ai bisogni materiali) che esercitano un influenza sulluomo empirico; b) finge lesistenza di determinate qualit non attinenti o non completamente attinenti alluomo empirico, il che significa: piena cognizione della situazione che di volta in volta si presenta quindi onniscienza economica; adozione senza eccezione del mezzo pi adatto per lo scopo di volta in volta previsto quindi assoluta economicit; impiego pieno delle forze al servizio dellapprovvigionamento di beni economici quindi incessante impulso al guadagno. Essa dunque argomenta su un uomo irreale, analogo ad una figura ideale matematica.[80]

La teoria economica una finzione, una costruzione astratta che argomenta su di un uomo irreale. Tale finzione innanzitutto una finzione di senso. Cogliere il senso del divenire sulla base di una sua investigazione, per quanto attenta essa sia, compito impossibile. E questo, lo abbiamo visto, il destino di unepoca di cultura che abbia mangiato dallalbero della conoscenza. Il senso non esiste. Esso va creato, poich il mondo non ne possiede, quia absurdum est. E, per essere in grado di crearlo, luomo si deve separare dal sapere empirico, che in questa operazione non pu essere di alcun aiuto. Per accedere ad un senso luomo abbisogna di unintuizione del mondo, di un dio o di un demone al quale far riferimento per interpretare lesistente, per costruirvi quel senso di cui privo. Leconomia, in s stessa, non riesce a produrre senso. Essa non sa scegliere da s il proprio orientamento nel mondo, dallo sguardo del quale esclude consapevolmente tutto ci che economico non pu essere considerato. Il grande timore di Weber qui quello che leconomia, disciplina cos alla moda, cominci a pretendere di porre a s stessa i propri fini, a partire da una falsamente oggettiva considerazione del problema economico. Se ci accadesse, dovrebbe essere chiaro, nessuno scampo vi sarebbe dal vuoto e dallassurdo. Sono gli ultimi uomini di nietzscheana memoria[81], quegli uomini che hanno a cuore di migliorare il bilancio del piacere dellesistenza umana come unica meta comprensibile del nostro lavoro, gli unici che possono fidarsi completamente di una scienza siffatta. Essi dimenticano che la lotta tra gli ideali ultimi non potr mai avere fine e che, dunque, al di fuori della dura lotta delluomo contro luomo che la pluralit degli ideali in concorrenza impone come una necessit, non sar possibile nel corso dellesistenza su questa terra conquistare la libert. Essi prefigurano un mondo abitato da uomini e popoli sazi, appagati nella mera ri-produzione del proprio commodius living. Rispetto alle ottimistiche speranze di felicit di questo sogno piccolo-borghese, Weber tuona la sua profezia: Contro il sogno della pace e della felicit umana sulla porta del futuro sconosciuto della storia sta scritto: lasciate ogni speranza. E la speranza deve, nella prospettiva di Weber, essere abbandonata se luomo non vuole vedersi ridotto al proprio concetto economico scarnificato. Perch ci non accada, perch leconomia non sia spinta dal proprio essere alla moda ad esercitare una insopportabile tirannia ai danni delluomo nel suo complesso, ad essa dovr essere affidata tuttaltra funzione[82]. I problemi tecnico-economici della produzione e della distribuzione non contengono in s alcun senso possibile per lagire delluomo, fino a che la scienza che se ne occupa non divenga una scienza delluomo, fino a che cio essa non si interroghi soprattutto sulla qualit degli uomini che vengono cresciuti attraverso quelle determinate condizioni di esistenza economiche e sociali. E infatti non come si troveranno gli uomini del futuro, bens come saranno la questione che in verit sta alla base di ogni lavoro di politica economica[83]. Leconomia politica, in quanto scienza avalutativa (ovvero in quanto scienza incapace di porre valori, non certo libera da ogni riferimento ad essi), attende dallesterno un valore al quale indirizzare il proprio agire e tale valore dato a Weber dalla professione di fede nei confronti della nazione tedesca. Tale decisione di senso indubbiamente arbitraria, ma rimane allo stesso tempo necessaria se si voglia scongiurare lassurdo. Allatto della sua realizzazione pratica, essa impone una realismo che contiene gi in s un riferimento al valore. Con ci ritorniamo al nostro punto di partenza: non v azione politica in senso proprio che non sia inscrivibile in una Sachlichkeit, ossia che non sia insieme riferimento ad un valore e attraverso di questo particolare punto di vista oggettivo - ossia conseguito con realistica
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coerenza rispetto al valore di partenza - sul mondo.

VII
Il tentativo weberiano di fornire un senso al mondo lo porta ad interpretare i processi di sviluppo economico come una forma delle lotte per la potenza tra le nazioni. Il criterio interpretativo applicato quello per cui gli interessi di potenza della nazione, dove essi sono posti in questione, sono gli interessi ultimi e decisivi, al servizio dei quali deve porsi la politica economica della nazione[84] stessa. Lo Stato nazionale, in quanto organizzazione terrena di potenza della nazione[85] lo strumento necessario di questa lotta. Il concetto di nazione rimanda sempre dunque - alla relazione con la potenza politica[86]. Ci che si deve intendere con nazione non pu, per Weber, essere facilmente identificato con la comunit etnica n con quella linguistica, piuttosto che con la comunanza dei costumi o il possesso di una comune religione. Ci che forma una nazione , infatti, la facolt di esprimere una agire di comunit volto al conseguimento di fini specifici[87], ovvero la capacit di costituirsi come gruppo politico separato[88]. Comunit politica si ha laddove esiste una comunit il cui agire rivolto a riservare un territorio e lagire delle persone che lo occupano stabilmente al dominio ordinato dei partecipanti[89]. Quella particolare comunit umana separata[90] che nei limiti di un determinato territorio questo elemento del territorio caratteristico esige per s (con successo) il monopolio della forza fisica legittima[91] e che sulla base di tal monopolio ottiene obbedienza, prende il nome di Stato. Attraverso lo Stato, al quale gli individui sotto la sanzione della possibilit della coercizione fisica consegnano la propria obbedienza sino al limite estremo della morte se gli interessi della comunit lo richiedono, la nazione pu attingere a quellunit che ne indispensabile condizione di esistenza.
Comuni destini politici cio in prima linea le comuni lotte politiche per la vita e per la morte fondano comunit di memorie che spesso agiscono pi fortemente dei vincoli della comunit culturale, linguistica e di stirpe. Sono questi comuni destini che costituiscono lelemento decisivo, in ultima analisi, della coscienza di nazionalit.[92]

Se nazionale deve significare qualcosa di unitario allora nazionale sar anche uno speciale pathos che, in un gruppo di uomini uniti dalla comunit di lingua, dalla confessione, dai costumi o dai destini, si ricollega allidea di una propria organizzazione politica[93]. Lo stato appare qui come il solo strumento capace di realizzare una unificazione nazionale, la quale non procede spontaneamente da alcuna altra possibile unit di tipo etnico, linguistico, culturale, religioso, ecc.. Ogni comunit nazionale resa una dalla struttura statale persegue poi delle particolari pretese di prestigio che non si identificano semplicemente con lorgoglio nazionale, ma si riferiscono allonore della potenza, ossia alla potenza in quanto manifestata nei confronti di altre formazioni. Le comunit politiche quantitativamente grandi, tra le quali deve essere inclusa la Germania, sono le portatrici naturali di questo tipo di esigenze. La Germania (cos come ogni altra comunit politica quantitativamente grande), in quanto pretendente potenziale di prestigio, costituisce inoltre una minaccia potenziale costante per i suoi vicini dai quali a sua volta costantemente minacciata per il semplice fatto di essere una potenza grande e forte[94]. Questa inevitabile concorrenza per il prestigio tra le organizzazioni di potenza ci che Weber definisce la dinamica della potenza[95] . Ma se vero che la nazione dipende dallo stato, altrettanto vero che lo stato dipende dalla nazione. Lo stato, al pari della nazione, non concetto acquisibile senza difficolt.
Si deve soltanto osservare che, chiedendoci che cosa corrisponda nella realt empirica allo stato, noi troviamo uninfinit di comportamenti umani attivi e passivi, in forma diffusa e discreta, di relazioni regolate di fatto e
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giuridicamente che presentano un carattere in parte singolare e in parte regolarmente ricorrente, tenute insieme da unidea, cio dalla fede in norme valide di fatto, o che debbono valere, e in rapporti di potere di uomini su uomini.[96]

La molteplicit empirica che usiamo definire stato dipende in ultima istanza da unidea, ovvero dalla fede nella legittimit di un ordinamento di potere. Tale fede non pu esercitarsi nei confronti dello stato in quanto tale. Per quanto infatti solo allo stato venga oggi attribuita tra tutte le comunit sociali, una forza legittima sulla vita, la morte e la libert, per quanto esso sia in pace il maggiore imprenditore economico e il pi potente esattore di tributi dei cittadini e in guerra disponga nella maniera pi illimitata di tutti i beni economici che gli siano accessibili, per quanto la sua moderna forma razionale di organizzazione abbia reso possibile lo svolgimento di compiti che senza dubbio nessun agire associato di altra specie avrebbe potuto eseguire, da ci non si deve ricavare la conclusione del tutto indebita che esso rappresenti il valore ultimo, e che ogni agire sociale debba, in ultima analisi, venire commisurato ai suoi interessi di esistenza. Chi sostenesse questo lo farebbe trasponendo fatti della sfera dellessere in norme della valutazione[97]. Lo stato , nella sfera dellessere, lo strumento pi potente di cui gli uomini si siano mai potuti dotare. Ma, come la guerra ha messo in evidenza in tutta la sua realt, esso non pu imporre (come nel caso degli eserciti di stati nazionalmente eterogenei) una assoluta dedizione, per quanto possa imporre una assoluta obbedienza. Lo stato un mero strumento tecnico che pu essere piegato alla realizzazione di valori del tutto diversi; nella sfera della valutazione sar dunque possibile sostenere il punto di vista che vorrebbe vedere rafforzata il pi possibile la potenza dello stato come mezzo costrittivo contro ogni resistenza qualunque sia il valore che la potenza ordinata dello stato si prefigga di perseguire [98]. Esso pu indifferentemente servire i fini pi eterogenei: sicurezza della posizione dominante di una dinastia o di determinate classi allinterno piuttosto che trasformazione del carattere sociale dello stato nel senso di determinati ideali culturali che tra di loro possono essere i pi diversi, oppure ancora (ed il caso che pi ci interessa) interesse alla conservazione e allestensione dellunit statale della nazione, per se stessa o in funzione della conservazione di determinati beni culturali oggettivi[99]. Ma non pu porre a s i propri fini.

VIII
La concezione politica di Weber indubbiamente una concezione tragica. Essa procede a partire dallassenza di senso, alla ricerca di una via per la sua possibile costruzione. Lo stato nazionale di questa costruzione il fondamentale strumento. Lo stato appare destinato, fino dalla sua definizione, alla potenza. Di essa lo stato abbisogna per fare fronte alle spinte disgregatrici costituite allesterno dalla concorrenza delle altre potenze lanciate nellinarrestabile corsa scatenata dalla dinamica della potenza e allinterno dalla divisione della societ in classi corrispondente al destino capitalistico della societ. Weber, sostenuto dal proprio demone, vide nello Stato nazionale, nel perseguimento dei suoi interessi di potenza, il mezzo di ogni possibile agire politico realistico; di un agire cio che tenga conto della originariet della lotta cui ogni formazione politica destinata sul doppio fronte interno ed esterno [100]. La potenza appare a Weber come il mezzo necessario, quale che sia il dio o il demone che si voglia servire. La Machtpolitik la politica di potenza per la potenza, non politica, ma idolatria del mezzo e con ci scomparsa di ogni possibilit di agire politico e di ogni possibilit di senso, anche e soprattutto nel caso di un Machtstaat come quello tedesco, di uno stato cio che non pu fare a meno della potenza in quanto strumento. Che il pathos nazionale sia, dunque, gi da sempre rivolto verso la potenza non significa che gli interessi di potenza siano lideale unico e supremo della politica weberiana. Il perseguimento dellefficienza dello strumento, non

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deve essere scambiato per il fine, per quanto, qualsiasi sia il fine che la politica possa porre e, nota Weber, nella storia non v fine che un gruppo politico non si sia posto come prioritario il possesso di uno strumento potente aiuti ad ottenerlo. Lo stato un mero mezzo che, sebbene rappresenti il pi efficace strumento di dominio delluomo sulluomo, rimarrebbe cieco se pensasse di potersi isolare e di poter vivere per se stesso. Ma nella misura in cui ogni oggettivit possibile solo a partire dalla creazione di un sistema di valori, anche la determinazione dello strumento che pure Weber ci vuole presentare come destino - dipende, in ultima istanza, dal particolare riferimento al valore che Weber fece proprio e per il quale la politica economica di unorganizzazione statale tedesca, proprio come il criterio di valore del teorico tedesco di economia politica, possono essere solo tedeschi[101]. La Kultur tedesca rappresent per Weber il valore fondamentale cui riferire le proprie analisi, alla ricerca di una significativit del fatto sociale. Il significato della configurazione di un fenomeno culturale, infatti, presuppone la relazione dei fenomeni culturali con idee di valore. La significativit, in altri termini, non dipende da alcuna indagine del dato empirico, che sia condotta senza presupposti; al contrario la determinazione di quale sia il dio o il demone che guida il giudizio il presupposto per stabilire che qualcosa diviene oggetto dellindagine.
La realt empirica per noi cultura in quanto la poniamo in relazione con idee di valori; essa abbraccia quegli elementi della realt che diventano per noi significativi in base a quella relazione, e soltanto questi elementi.

[102] Solo quella ristretta parte della realt che il nostro dio o il nostro demone ci permette e ci impone di vedere ha significato per noi. La stessa Kultur, che per altra via rappresenta il fondamentale valore cui tende la politica weberiana, appare in ultima istanza come il prodotto di una decisione. Quella stessa idea di nazione nella quale Weber rintraccia il necessario collante sul quale fare confluire il senso dellagire sociale e per la quale invoca la responsabilit storica del popolo tedesco non genitrice, ma figlia del destino. Essa non preesiste n provoca la decisione di senso; piuttosto provocata dalla sua domanda. Essa deve essere pensata, permanendo nel paradosso e nellassurdo che questo pensiero genera, insieme come causa (finale) e come conseguenza della decisione stessa. Il paradosso e lassurdo devono essere tenuti poich proprio nel paradosso e nellassurdo che la decisione per il senso si innesca. Credo quia absurdum dunque insieme la prima e lultima parola di Weber. Con ci le posizioni delluomo politico Weber si comprendono come tutte contenute nella primitiva e tragica assunzione della assenza del senso allinterno di un mondo disincantato, ossia nella sua Weltanschauung tragica. La decisione di senso di Weber e la sua conseguente dedizione furono arbitrarie. Se Weber, (che volle lo Stato-nazionale come garante della unificazione sociale della nazione in vista delle dure lotte dellavvenire), avesse assunto un altro valore come fondante, avrebbe potuto essere ugualmente coerente nei confronti della propria posizione teorica, la quale pone innanzitutto la necessit di un complicato compito di educazione politica, che sia in grado di contrastare leconomicismo dilagante senza rinunciare ad una pretesa di comprensione oggettiva della realt. Non fu arbitraria invece, ma tragicamente responsabile, la decisione di decidere (se mi si pu passare questa orrenda formula). Anzi, nel porre questa necessit, nel portare cio i propri interlocutori per lo meno coloro che abbiano mangiato dallalbero della conoscenza - a riconoscere la necessit di esplicitare le motivazioni ultime del proprio agire, si pu riconoscere il fondamentale compito educativo dellopera weberiana. Fine ultimo della scienza e, nel medesimo tempo, della politica weberiana fu quello di educare alla politica, negando ogni possibile riduzione dellagire umano a vuoto compito amministrativo. Per fare ci Weber doveva preliminarmente sgombrare il campo dalle false illusioni e costringere i propri interlocutori a ricercare innanzitutto in s stessi coerenza nei confronti delle proprie posizioni ultime. Educare politicamente per Weber, dunque, educare a riconoscere i moventi ultimi delle nostre azioni
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assieme alle conseguenze della loro attuazione. E educare alla Sachlichkeit, educare ad affinare la propria dedizione ovvero educare a seguire il proprio demone consapevolmente[103]. E in questo fine che va individuato il nucleo centrale della teoria e della prassi politica weberiana. Per quanto ci si possa opporre allo specifico demone evocato da Weber nei suoi scritti, lesigenza per ciascuno di chiarire a se stesso loggetto della propria dedizione rimane una lezione sulla quale meditare. E questo laugurio di Weber quando ci incita a seguire il nostro demone consapevolmente.

Bibliografia R.Aron, Main Currents in Sociological Thought, Basic Books Inc. Publishers, 1965 ; trad. it. Le tappe del pensiero sociologico, Milano, 1989. P. Basso, Le caractre valuatif de la science sociale wbrienne. Une provocation, AGONE, 1998, 1819. D. Beetham, Max Weber and the Theory of Modern Politics, Cambridge e Oxford, 1985; trad. it. La teoria politica di Max Weber, Bologna 1989. A. Biral, Storia e critica della filosofia politica moderna, Milano, 1999. N. M. De Feo, Introduzione a Weber, Roma-Bari, 1995. L. Ferrari Bravo, Sovranit, contenuto in Posse, anno 1, n.1, Aprile 2000; pp.148-167. F. Ferrarotti, Max Weber. Fra nazionalismo e democrazia, Napoli, 1998. W. Hennis, Max Webers Fragestellung. Studien zur Biographie des Werks, Tbingen, 1987; trad. it. Il problema Max Weber, Roma-Bari, 1991. F. Jonas, Storia della sociologia II. Let contemporanea, Roma-Bari, 1989. W. J. Mommsen, Max Weber und die deutsche Politik, Tbingen, 1974, seconda edizione riveduta e ampliata; trad. it. Max Weber e la politica tedesca, Bologna,1993. O. Stammer (a cura di), Max Weber und die Soziologie heute, Tbingen, 1965; trad. it. Max Weber e la sociologia oggi, Milano, 1972. L. Strauss, Natural Right and History, Chicago, 1953; trad.it. Diritto naturale e storia, Genova, 1990. M. Weber, Il metodo delle scienze storico-sociali, Torino, 1997 Idem, Scritti politici, Roma, 1998. Idem, Il lavoro intellettuale come professione, Torino, 1991. Idem, Letica protestante e lo spirito del capitalismo, Milano, 1991.
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Idem, Economia e societ, Milano, 1980.

[1] D. Beetham, La teoria politica di Max Weber, Bologna, 1989, pag.41. [2] D. Beetham, op.cit., pag 336. [3] Ibidem, pag. 337. [4] La politica come professione, contenuto in: Il lavoro intellettuale come professione, pag. 101. [5] Ibidem, pag. 103. [6] Ibidem, pag.102. [7] La scienza come professione, contenuto in: Il lavoro intellettuale come professione, pag. 13. [8] Cos la traduzione di Antonio Giolitti per ledizione Einaudi. Alfonso Variolato ed Enrico Fongaro, nella raccolta degli Scritti politici edita da Donzelli, leggono qui ... quando la aspirazione al potere perde di concretezza ...(pag 216). Preferisco la traduzione di Giolitti che mantiene la caratteristica ambiguit del testo weberiano. [9] La politica come professione, pag. 102. [10] Ibidem, pag. 103. [11] Ibidem, pag. 103. [12] La politica come professione, pag. 104. [13] Loggettivit conoscitiva, pag. 58. [14] Ibidem, pag. 59. [15] Ibidem, pag. 61. [16] Ibidem, pag. 60. [17] Ibidem, pagg. 59-60. [18] Cfr. Ibidem, pag. 68. [19] La scienza come professione, pag. 18. Si innesta qui il fondamentale problema del significato (Sinnproblem) della scienza. Perch mai la scienza dovrebbe affannarsi alla ricerca di una comprensione che non pu, in definitiva, essere mai raggiunta? Perch mai ci si adopera intorno a quello che nella realt, non giunge mai e non
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pu mai giungere al termine?(pag. 18). Anzitutto, risponde Weber, per fini essenzialmente pratici. Anzitutto scienza come tecnica dunque. Ma la tecnica, lo si visto analizzando il destino del politico, non capace di dare a se stessa i propri fini, e risulterebbe inutilizzabile anche ai fini pratici, a chi non trovasse altrove la possibilit di dare ad essa un indirizzo. Il progresso delle scienze non ha fatto che approfondire questa originaria aporeticit della scienza stessa per mezzo del fallimento di tutte le pretese di cogliere un vero attraverso di essa. Di fronte poi allingenuo ottimismo di quegli ultimi uomini che hanno visto in essa ossia nella tecnica per il dominio della vita su di essa fondata- il mezzo per giungere alla felicit Weber sfodera tutto il suo nietzscheano disprezzo. Perch la scienza non cada nel vuoto e nellassurdo, perch la risposta di Tolstoj non debba essere considerata quella definitiva (E assurda, perch non risponde alla sola domanda importante per noi: che dobbiamo fare? Come dobbiamo vivere?, pag. 25), essa dovr farsi ancella di qualcosa che sia in grado di rispondere preliminarmente alla domanda di Tolstoj. Con ci cade definitivamente, per Weber, la possibilit di una scienza senza presupposti. [20] Questa considerazione potrebbe servire come punto di partenza per lanalisi del controverso rapporto tra Weber e Marx sul quale, e a ragione, tanta parte della critica si affannata. Rispetto ad esso mi limito qui a richiamare le conclusioni dello stesso Weber. Il metodo marxiano, riconosciuto da Weber in tutta la sua validit al fine della produzione di realismo, contiene in s una pericolosa tendenza a pensare che leconomia, oltre che essere utile a spiegare lesistente, ponga oggettivamente dei fini alla politica. In quanto tale la cosiddetta concezione materialistica della storia come intuizione del mondo o come denominatore comune di spiegazione causale della realt storica deve essere rifiutata nel modo pi deciso ma laccurato impiego dellinterpretazione economica della storia uno degli scopi essenziali(Loggettivit conoscitiva, pag. 79) che Weber si pone. A Marx, cui pure Weber concede il privilegio desser considerato di gran lunga il pi importante caso di costruzioni tipico ideali, il demone weberiano oppone un deciso rifiuto. Che solo di natura demonica questo rifiuto possa essere, lo si capisce perch esso non si spiegherebbe una volta considerato il diritto dellanalisi unilaterale della realt culturale(pag. 83). [21] Loggettivit conoscitiva, pag. 63. [22] Ibidem, pag. 84. [23] Ibidem, pag. 127. [24] Ibidem, pag. 135. [25] Ibidem, pag. 85. [26] J. Habermas, nella Discussione su avalutativit e obiettivit (tenutasi ad Heidelberg nel 1964 in occasione del 15 Congresso di sociologia tedesca, dedicato a Max Weber und die soziologie heute, i cui atti sono stati pubblicati in Italia con il titolo Max Weber e la sociologia oggi), nota bene a proposito del weberiano rapporto al valore: Rickert aveva cercato con laiuto di questo concetto di sottrarre la cultura, oggetto delle scienze storico interpretative, al concetto di natura. Con tale oggetto lo storico non entra in contatto assolutamente, direttamente, egli lo inserisce inevitabilmente nei rapporti di valore, in cui la sua posizione culturale inserita. Anche Max Weber tiene presente il significato trascendentale di questa categoria; essa non si riferisce innanzitutto alla scelta di problemi scientifici, ma alla costituzione di oggetti possibili della conoscenza scientifica; altrimenti non si potrebbe stabilire una differenza tra scienze culturali e naturali(pag.101). [27] Ibidem, pag. 93. [28] Ibidem, pag. 96. [29] Cfr. ibidem, pag. 67.

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[30] Ibidem, pag. 96. [31] La scienza come professione, pagg. 31-32. [32] Ibidem, pag. 36. [33] Ibidem, pag. 37. Giacch perverrete a queste ed a questaltre estreme ed importanti conseguenze intrinseche, se rimarrete fedeli a voi stessi(pag. 36). [34] Ibidem, pag. 38. [35] Cfr. La politica come professione, pag. 106. [36] Ibidem, pag. 109. [37] Ibidem, pag. 110. [38] Ibidem, pag. 109. [39] Economia e societ I. Teoria delle categorie sociologiche, pag. 21-22. [40] Ibidem, pag. 22-23. [41] Ibidem, pag. 23 [42] R. Aron, nella conferenza Max Weber e la politica di potenza, contenuta nel citato Max Weber e la sociologia oggi, sostiene, riferendosi al testo della Politica come professione, che Max Weber abbia scambiato due antinomie, cio da una parte quella dellazione politica, con la necessit di ricorrere sempre a mezzi pericolosi e qualche volta malvagicontrapposta allazione cristiana, indicata nel Discorso della montagna; dallaltra parte lantinomia della decisione pensata che tiene conto dei possibili effetti e della scelta immediata e irrevocabile senza alcun riguardo ai possibili effetti. Le due antinomie, secondo Aron non coincidono completamente(e infatti lindicazione delletica cristiana vuole costituire solo una possibile esemplificazione di una rigorosa etica della convinzione). E cos prosegue: Nessuno ha il diritto di restare indifferente alle conseguenze delle proprie azioni, tuttavia nessuno pu sottrarsi in certi casi ad unesigenza interiore indicatagli da un imperativo categorico, per quanto grande sia il rischio di una decisione(Max Weber e la politica di potenza, contenuto in Max Weber e la sociologia oggi, pag.149). Questa affermazione non differisce in nulla dal pensiero weberiano che si pretenderebbe qui criticare. In realt la confusione di Aron e avviene gi in apertura quando propone due definizioni di politica di potenza, la seconda delle quali, la pi generale delle due (che Aron esclude dal dibattito, ma che ne stende per cos dire i binari), suona cos: si definisce politica di potenza qualsiasi politica, anche allinterno degli stati, il cui scopo e/o mezzo principale la potenza(pag. 133). In realt che la potenza sia fine o mezzo, non affatto indifferente per una sua definizione, per lo meno se vogliamo stare allottica weberiana. Una politica realistica non pu infatti secondo Weber, per quanto miti possano essere i suoi fini, prescindere dallutilizzo della potenza come mezzo per la loro attuazione, e non per questo deve configurarsi come quella caduta nel vuoto e nellassurdo che ogni rigorosa politica di potenza finisce per essere. Aron affermando che luso della potenza anche in quanto mezzo d luogo ad una politica della potenza non pu che concludere definendo Weber come un tipico assertore della politica di potenza(pag. 133), se non addirittura come teorico della potenza(pag. 152). Altrettanto unilaterale, anche se inevitabile a partire dalle premesse citate, la definizione di Weber come etico della responsabilit (pag.149). Fissando Weber unilateralmente sulla cosa, Aron vuole negare che ogni con-fusione sia possibile ossia che il conflitto tra le due figure sia in alcun modo componibile. Weber la pensava diversamente.
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[43] Cfr. La politica come professione, pag. 115. [44] Ibidem, pag. 119. [45] W.Hennis, nel suo ottimo Max Webers Fragestellung. Studien zur Biographie des Werks, (trad. it. Il problema Max Weber) presenta una lettura attenta ed originale dellopera weberiana nella quale si pone alla ricerca dellunit di ispirazione che tutta la percorre attraverso la sua vastit e molteplicit (tema che ha appassionato generazioni di studiosi) rintracciandola nelle figure della condotta della vita e dello sviluppo dellumanit. Hennis rintraccia nel rapporto con Nietzsche un momento essenziale della comprensione genetica dellopera di Weber, ma va oltre tentando di inserirlo a pieno titolo nel filone della filosofia politica classica: che altro la lungimiranza se non quella facolt di giudizio che anche gli antichi definivano non in termini di ragione calcolante ma collegandola alla passione, alla capacit di valutazione (fronesis, prudentia) (pag. 261). Secondo Hennis lo sforzo di Weber di salvare i problemi delle antiche scienze morali ossia dellantica filosofia pratica addirittura eroicoe costituisce il nocciolo della cosiddetta Dottrina della scienza weberiana(pag. 65). La battaglia spesso donchisciottesca di Weber riguardava la libert di valutazione pratica, una valutazione che Weber desiderava mantenere libera dalla tutela delle arroganti pretese della scienza(pag. 55). A partire dallipotesi dellesistenza di una sostanziale unit di intento e dalla sua individuazione nel politico si muove il presente lavoro, che debitore ad Hennis per molte intuizioni . [46] La politica come professione, pag. 104. [47] Loggettivit conoscitiva, pagg. 64-65. [48] Lidea weberiana secondo cui in ambito scientifico si debba per forza partire teoricamente da un conflitto di valori fondamentale, di cui in fin dei conti non possibile venire a capo sulla base di strumenti scientifici, trova la sua corrispondenza nella sfera politica nella concezione della lotta continua fra partiti, schieramenti politici, nazioni, ecc. Il compito fondamentale del politico consiste dunque nel porre obiettivi alla societ e nel perseguirli con la disponibilit a far ricorso della violenza fisica con cui Weber identifica la politicit (meglio sarebbe dire: che Weber ritiene lo strumento politico per eccellenza; W.J. Mommsen, Max Weber e la politica tedesca, pag. 650). Tali obiettivi, nella concezione qui richiamata di W.J.Mommsen, sarebbero di natura strettamente individuale. Ci si deve intendere in riferimento alle proposte costituzionali di Weber in favore di una plebiszitren Fhrerdemokratie nella quale il politico non un mandatario dei suoi elettori, bens una figura responsabile esclusivamente verso se stessa (pag. 295). [49] Ibidem, pag. 36. [50] Ibidem, pagg. 36-37. [51] Ibidem, pag. 35. [52] Il rapporto di Weber con il capitalismo assolutamente centrale per ogni corretta interpretazione della sua opera. Esso non potr essere qui tematizzato adeguatamente anche se sar necessario accennarvi ripetutamente. Una buona introduzione si pu trovare in Marcuse, Industrializzazione e capitalismo contenuto nel citato Max Weber e la sociologia oggi. [53] Tra due leggi, contenuto in Scritti politici, pag.41. [54] Economia e societ I, pag. 36. [55] Cfr. D. Beetham, op. cit., pagg. 355-360. Una teoria o un lavoro o una conclusione verranno definiti
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ideologici qualora il loro argomento abbia attinenze dirette con il dibattito riguardante la struttura del potere politico e sociale, e sia falsa o fuorviante (o sia falsa empiricamente, o pretenda di possedere una oggettivit o una universalit non dimostrate)(pag. 356). Secondo Hennis, una sottile presa di distanza c gi nel fatto di relativizzare il problema riferendolo alla moderna economia acquisitiva con i suoi criteri di efficienza razionale (redditivit). Per Weber non si trattava pi di decidere se non fosse molto pi razionale la forma tradizionale di economia domestica- giacch leconomia acquisitiva capitalistica era un destino ineluttabile. Pur tuttavia Weber ebbe sempre in mente la forma pi originaria, pi naturale di attivit economica(op. cit., nota 39, pag. 239). Rispetto alla puntualizzazione di Hennis ci che rimane da indagare se, in definitiva, la definizione di ideologica non debba essere riservata proprio alla categoria weberiana di destino. Su questa linea cfr. Marcuse, op. cit., per il quale il concetto di destino di Weber nasconde una indebita equazione tra ragione tecnica e ragione capitalistico-borghese. [56] Che, cio, il destino di cui alla nota precedente, non coincida infine con il particolare realismo che a Weber era ispirato e non poteva essere altrimenti - dal proprio demone. [57] Cfr. Economia e societ I, pag. 57 e segg.. [58] Tra due leggi, pag.41. [59] Non un caso, secondo Mommsen, che, nei momenti delle grandi decisioni, in Weber il politico della convinzione abbia sempre vinto sul politico realistico( W.J. Mommsen, op. cit., pag. 104). Questo nonostante per il pensiero weberiano, caratterizzato dallidea politica della potenza e teso continuamente a guardare in modo oggettivo alle realt, letica della responsabilit che sceglie le sue prese di posizione ultime anche in base al punto di vista della possibilit di successo rappresentava la vera etica del politico(pag. 101). Secondo Mommsen, che si oppone qui totalmente alla gi citata posizione di Aron a partire dalla necessit di tenere assieme nel politico i due significati di Sachlichkeit, completamente sbagliato vedere in Max Weber un politico realistico in quel senso negativo dellespressione che rimanda esclusivamente allassolutizzazione dei punti di vista della ragion di Stato e del successo, escludendo invece dal suo ambito valori di carattere etico e culturale (pag. 99). [60] Sulluomo politico Weber, sulla sua azione politica posta nel contesto della Germania guglielmina, rimane essenziale il documentatissimo testo di W.J. Mommsen, Max Weber e la politica tedesca. Sullopportunit di distinguere un Weber politico attivo da un Weber teorico della politica cfr. Beetham, op.cit., pagg. 25-54. [61] Lo Stato nazionale e la politica economica tedesca, contenuto in Scritti politici, pag. 5. [62] La brillante esposizione di Mommsen mette in luce, tra le altre cose, come tale programma non sia venuto a cambiare nei suoi orientamenti di fondo, per quanti mutamenti possano essere intervenuti nelle sue particolari formulazioni. Nei termini qui utilizzati, Weber fu costretto dallevolversi della contingenza storica a mutare le posizioni tattiche in relazione a svariati problemi (in particolar modo interessante levoluzione della sua posizione in materia costituzionale), per non abbandonare il proprio immodificato valore ultimo ossia per non tradire il proprio demone. [63] W.J. Mommsen, op.cit., pag. 93. [64] Lo Stato nazionale e la politica economica tedesca, pag. 6. [65] Ibidem, pag. 8. [66] Ibidem, pag. 10.

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[67] Ibidem, pag. 12. [68] Economia e societ I, pag. 36. [69] Ibidem, pag. 37. [70] Bench egli faccia un uso piuttosto indiscriminato del concetto negli scritti politici, sarebbe un errore definire la sua posizione una sorta di Darwinismo sociale, come stato spesso fatto. Innanzitutto, anche nella Prolusione di Friburgo Weber rifiutava esplicitamente, in quanto metafisica, la fiducia nella sopravvivenza dei tipi superiori nel processo di evoluzione storica. Al contrario, proprio i tipi dotati di una cultura pi elevata potevano essere i meno adatti alle nuove circostanze ambientali e alle nuove configurazioni sociali. Il concetto di selezione non era per Weber un dogma, ma una ipotesi e uno strumento di ricerca. In secondo luogo, la sua fede nel valore della lotta non era mai connessa ad una teoria della trasmissione ereditaria dei caratteri positivi; D. Beetham, op.cit., pag. 66. [71] Lo Stato nazionale e la politica economica tedesca, pag. 13. [72] Metafisico, anche se affatto ottimista, era Gobineau, la cui posizione rigidamente deterministica in senso razziale risulta comunque assai distante da quella di Weber (per il quale la realt sempre individuale e in nessun modo deducibile da leggi). Gobineau fece della vittoria del progressivo declino e imbastardimento delle razze superiori una necessit inesorabile, vera e propria legge di sviluppo universale della Storia nel suo allucinato Essai sur lingalit des races humaines, 1853-55. Cfr. G.L. Mosse, Il razzismo in Europa, dalle origini allolocausto, pagg. 58-65. [73] Lo Stato nazionale e la politica economica tedesca, pag. 14. [74] Economia e societ I, pag. 35. [75] Ibidem, pag. 21. [76] Ibidem, pag. 18. [77] Ibidem, pag. 19. Lultimo corsivo mio. [78] Ibidem, pag. 19. [79] Ibidem, pag. 20. [80] Grundriss zu den Vorlessungen ber Allgemeine (theoretische) Nationalkonomie, pag. 2; stampato come manoscritto per il corso tenuto ad Heidelberg nel semestre estivo 1898. Citato da W. Hennis, op.cit., pag.157. [81] Che infine per un ingenuo ottimismo si sia celebrato nella scienza, ossia nella tecnica per il dominio della vita su di essa fondata, il mezzo per giungere alla felicit, posso passarlo sotto silenzio dopo la critica demolitrice rivolta da Nietzsche a quegli ultimi uomini i quali han trovato la felicit. Chi ci crede pi, tranne alcuni grandi fanciulli sulle cattedre o nei comitati di redazione?: La scienza come professione, pag. 25. [82] Nellinterpretazione di Habermas, le scienze sperimentali devono essere quindi limitate a funzioni tecniche ausiliarie. Nella misura in cui il postulato dellavalutativit ha come scopo di fissare restrittivamente le scienze sociali alla produzione di conoscenza tecnicamente valutabile, analogo allesigenza politica di proteggere

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lautorit delle decisioni dal controllo di competenza degli specialisti. In altri termini: la possibilit di mantenere uno spazio di azione libera (la politica) a fronte dellinarrestabile incedere della razionalizzazione e della burocratizzazione (il destino) demandata da Weber filosoficamente alla autoaffermazione decisionistica e politicamente al capo con la macchina(Discussione su avalutativit e obiettivit pagg.104-105). [83] Lo Stato nazionale e la politica economica tedesca, pag. 16. Su queste considerazioni Hennis pone le basi della sua interpretazione nel citato Il problema Max Weber per la quale nucleo centrale delle analisi di Weber fu il problema della possibilit di una interpretazione etica del mondo.(pag. 51). Di fatto egli formula qui il problema antichissimo di ogni scienza politica -: quali sono le conseguenze delle condizioni di esistenza delluomo sulla qualit degli uomini, o, per usare un termine dellantichit classica, sulla loro virt(pag. 58). [84] Ibidem, pagg. 17-18. [85] Ibidempag.18. [86] Economia e societ II. pag. 102. [87] Di agire in comunit parliamo quando lagire umano riferito, in modo soggettivamente dotato di senso, allatteggiamento di altri uomini; Alcune categorie della sociologia comprendente, contenuto in Il metodo delle scienze storico-sociali, pag. 259. [88] Economia e societ II., pag. 99. [89] Economia e societ IV., pag. 1. [90] La comunit politica in quanto comunit separata non sempre esistita. Essa ha conosciuto storicamente un processo di istituzionalizzazione, e, oggi, si configura come unassociazione istituzionale a carattere continuativo nella quale ormai il carattere drastico ed efficace dei suoi mezzi coercitivi si congiunge con la possibilit di un razionale ordinamento casistico della loro applicazione; ibidem pag.3. [91] La Politica come professione, pag. 48. [92] Ibidem, pag.3. [93] Economia e societ II. pag. 102. [94] Economia e societ IV., pag. 11. [95] Cfr. ibidem, pag.12. [96] Loggettivit conoscitiva, pag. 119. [97] Il significato della avalutativit, contenuto in Il metodo delle scienze storico-sociali, pag. 370. [98] Ibidem, pag. 371. [99] Loggettivit conoscitiva, pagg. 132-133. [100] Sul carattere bifronte del politico nella modernit cfr. larticolo di L. Ferrari Bravo, Sovranit contenuto in
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Posse 1(1) 2000. [101] Lo Stato nazionale e la politica economica tedesca, pag. 17. [102] Loggettivit conoscitiva, pag. 90. [103] Cfr. la conclusione de La politica come professione.

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Istituzioni e trascendenza in H. Marcuse

a cura di Maria Chiara Pievatolo pievatolo@dsp.unipi.it . Ultimo aggiornamento: 7 giugno 1999

Istituzioni e trascendenza in H. Marcuse


di Gianluigi Palombella La produzione di Herbert Marcuse mostra un filo rosso che emerge dalla costante preoccupazione di tradurre la metafisica tedesca nei termini di quella filosofia concreta di cui egli parl innanzitutto nel secondo dei suoi saggi importanti (1). Una concretezza che oggi riassumerei nella consapevolezza della storicit istituzionale della conoscenza. La storia e le istituzioni della societ civile, e infine lo Stato, sono nel loro insieme l'orizzonte in cui egli consapevolmente si muove, anche quando i suoi riferimenti teorici sembrano particolarmente astratti e speculativi. Tuttavia a un hegeliano come Marcuse non sarebbe stato possibile fermarsi a questo punto. Il carattere concreto della filosofia, la determinatezza istituzionale e storica della prassi e della conoscenza, erano tutt'altro che il dato da cui partire, tutt'altro che il semplice e scontato emergere della consistenza fattuale: erano proprio la meta, l'obiettivo della ricerca, il confine da raggiungere. In fondo, la realt per Marcuse una dimensione hegeliana, ossia un momento ulteriore e superiore rispetto alla mera positivit del dato, la realt l'Aufhebung della possibilit (2). In un certo senso, la concretezza della filosofia, come egli scriveva allora, era assicurata dal suo orientamento alla verit, era direttamente un'appropriazione della verit: e alla verit si risale solo affrontando la contingenza, l'accidentalit, la storicit. I presupposti della verit sono gli stessi di Marx ed Engels dell'Ideologia tedesca, non sono arbitrari, non sono dogmi, sono gli individui reali con le loro condizioni materiali di vita (3). Questi stessi presupposti sono nello stesso tempo l'oggetto di un diverso e insidioso stile filosofico, quello esistenzialista di Martin Heidegger, che finisce per mutarne il senso e il valore: essi diventano ad un tempo il segno inevitabile dell'esser-ci dell'uomo, e il luogo dell'inautenticit (4). Ora, se per Heidegger la concretezza un dato, per Marcuse un obiettivo. L'esser nel mondo s una condizione ontologica, ma non una condizione ontologica nessuna delle sue modalit storiche, nessuna delle sue forme istituzionali. La deiezione solo il presupposto della storicit dell'uomo, e nel contempo, non appaia un banale gioco di contrasti, l'essere nel mondo il presupposto della conquista della verit e dell'autenticit (5). Il "giudizio comune", che il tipico sostituire alla verit il semplice ritenere-per-vero, per Heidegger necessariamente altro, luogo inospitale della verit; mentre per Marcuse il "giudizio comune", le cui vesti sono spesso assunte dall'ideologia, non corrisponde necessariamente a falso, a occultante, a falsificante. Anche l'ideologia pu ospitare la trascendenza della verit, e ci in quanto per la verit non esiste evidentemente altro terreno dove allignare. Questo dunque separa, a tale riguardo, Heidegger da Marcuse: originariet e concretezza storica della verit non devono n possono dividersi. Il vero non il frutto di una sorta di esperienza interna, non un'intima contemplazione (6). Questo il contesto genetico di gran parte dell'atteggiamento teorico del Marcuse pi maturo, successivo, ed a questo contesto dunque avrebbe potuto attribuirsi un pi decisivo rilievo nell'interpretazione complessiva del pensiero marcusiano.
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Istituzioni e trascendenza in H. Marcuse

La discussione degli anni dai venti alla fine dei trenta infatti soprattutto una discussione sulla verit: e Marcuse credeva di disporre della chiave di volta: il potenziale rapporto tra l' "estraneazione" concreta del proletariato e la filosofia della concretezza (ossia, si potrebbe ben dire, la filosofia della trascendenza). Quella chiave stava nell'ontologica vicinanza alla verit di una classe sociale. Una classe capace astrattamente di indicare con la sua sola esistenza l'"insufficienza" e l'inadeguatezza, o marxianamente l'"intollerabilit" del presente (7), rende possibile alla ragione orientata alla verit, di percepire le istituzioni storiche dell'economia e della societ classista come intimamente destinate al riscatto dell'azione (naturalmente, l'azione rivoluzionaria). Questo radicamento dell'azione (8) nella verit un elemento di grande continuit, l'orizzonte intero della ricerca marcusiana: si tratta di una relazione che Marcuse stesso sposta nel tempo man mano che il problema diventa - poi - riconoscere l'allontanamento storico del proletariato dalle condizioni "oggettive" della conoscenza. L'omologazione della societ "ad una dimensione" (9), al di l dei suoi pi evidenti caratteri di superficie, crea infatti un radicale problema politico per la trascendenza, perch produce un deficit di conoscenza della verit. Il deficit deriva essenzialmente dal deteriorarsi del rapporto di classe, e in particolare dal perdersi di quel legame tra la parte (una classe) e la totalit, il tutto. Il proletariato, cessando di indicare la via d'accesso alla trascendenza e alla conoscenza del reale nelle sue intime contraddizioni, non pu pi aspirare a riflettere il mondo da un punto di osservazione globale, onnicomprensivo. Cos, finisce per essere tutt'altro, o molto meno, che il fenomeno e l'angolo visuale di quella totalit, assurta a categoria essenziale della sinistra hegeliana contemporanea, da Lukacs a Korsch (10), a Marcuse. E' per questa ragione che Marcuse giunge infine al Gran Rifiuto, a porre la questione negli ultimi due decenni del suo lavoro, nei termini che oppongono questa volta il Tutto e (come si usava dire) l'affatto diverso, il sistema e il suo assoluto trascendimento. Sinch stato possibile muoversi entro le coordinate del marxismo tradizionale, una parte ha potuto incarnare la trascendenza rispetto al tutto; dopo, la parte appare riassorbita nel tutto. Non si d un punto del "sistema" che sia qualitativamente altro e diverso dall'insieme; il tutto pervade l'essenza di ogni suo elemento interno. In un certo senso, l'incapacit della parte di trascendere il tutto, pu valere anche come definizione aurea dello stato di cose che coincide con la logica totalitaria, passata in altre vesti dall'esperienza nazifascista a quella della societ tecnologica unidimensionale. Il totalitarismo nazista aveva reso possibile elevare una parte della societ, le forze, gli ideali e gli interessi particolari di un ceto politicamente dominante a rappresentazione esaustiva, conclusiva, della totalit (11). Il nazismo aveva occupato infatti con le sue rappresentazioni lo spazio- cos scriveva Marcuse - lasciato libero dall'individualismo naturalistico delle concezioni liberali, ossia appunto, il tutto, l'insieme (12). Nel totalitarismo si era creata l'identit tra la parte e il tutto: ma era una creazione artificiale, forzosa e forzata. Nella societ unidimensionale, parte e tutto coincidono nuovamente, ma una coincidenza pi insidiosa, profonda, interiore, che nasce dall'assorbimento dell'io, dal sovvertimento dei bisogni primari, dall'omologazione della coscienza e della ragione. Tutto ci non annulla per la questione, poich sopravvivono le assunzioni fondamentali del pensiero marcusiano: a) al di l del problema del suo portatore storico, la trascendenza resta comunque per Marcuse il senso della filosofia. b) la conoscenza, riferita all'essenza concreta delle cose, per Marcuse sempre opera di una parte. E questo ad esempio faceva apparire anodina e implausibile l'idea mannheimiana di un'Intellighentsia liberamente sospesa, super partes, una sorta di illusorio conoscitore disincarnato (13); c) sebbene ad una parte - allora al proletariato - si riservasse un angolo visuale privilegiato, ci non signific mai per Marcuse - nemmeno negli anni '20 - che il proletariato, per questo, fosse la verit, e che cio dovesse darsi identit tra una parte e il tutto. d) infine, e conseguentemente, l'obsolescenza del c.d. punto di vista estraniato (alla Lukacs) del proletariato, non poteva essere, sotto alcun profilo, n implicare, l'obsolescenza della verit. In Marcuse non c' una filosofia della storia capace di trattenere sotto una potente astrazione la fissit dei

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Istituzioni e trascendenza in H. Marcuse

destini del mondo; non necessario che il metodo storico e la storia, o come per Hegel la logica e l'ontologia, coincidano. Sebbene culturalmente inscritta nelle vocazioni di hegeliani e marxisti, l'idea della storia a disegno, della storia che tocca in qualche punto il suo definitivo apice, in Marcuse sostituita dalla contraria, operante convinzione che la storia aperta, sebbene vi sia, senza alcun precostituito disegno, un metodo in grado di seguirla. E' soprattutto per questa ragione di fondo, che Marcuse in verit non d corpo a costrutti destinati a crollare alla prima svolta, e le posizioni raggiunte dalla conoscenza possono dunque cambiare. In questo senso, se anche un certo marxismo avesse perso la sua scommessa d'infallibilit analitica, l'impianto "critico", marcusiano, non ne per ci stesso travolto. Anche per questa via ci possibile scoprire il significato che Marcuse attribuisce alla verit. E nello stesso tempo, alla trascendenza. Cercher di approfondire questo tema, cui Marcuse rimasto sempre fedele, sebbene alle volte solo tra le righe. Egli rimproverava alla sociologia, anche a quella di Mannheim, di avere conseguenze quietistiche, perch in grado di rispecchiare il carattere della realt, senza esercitare su di essa alcuna leva critica. Al contrario: con il linguaggio di allora, la condizionatezza (storica) contiene un'incondizionata verit, l'incondizionatezza del valore, che pu scardinare i limiti in cui tende ad essere relativizzata. In primo luogo, la scienza della totalit pu fornire questo vantaggio critico, quello che in linea di principio fu il vantaggio di implicare verit utili per l'azione. In secondo luogo, la verit ha un importante contenuto etico: una societ libera dal dominio, libera dall'angoscia prometeica del principio di prestazione (14), ed ha un valore superiore e pi alto rispetto alla societ presente; questa una questione di principi, un problema etico che travalica la conoscenza ideologica da cui pure esso sorge. Emerge cos quello che chiamerei uno schema metodologico generale, rispetto al quale marxismo, dimensione estetica, psicoanalisi, hegelismo, appaiono solo dei mezzi o meglio dei contenuti operativi, ed espressivi. Dietro questo resoconto c' un pensiero progettuale, un pensiero "forte", che non teme i termini di un programma "massimo", e vede i limiti di un moderatismo ambiguo. Ne deriva che il concetto di verit e di trascendenza mettono in primo piano un evidente nucleo quasi escatologico, o palingenetico. Si tratta di un atteggiamento della filosofia che oggi a molti non appare lecito, e che suscita diffusa diffidenza. La condizione a noi contemporanea - che ci sembra cos infinitamente lontana dai dibattiti degli anni '20'40, ma anche degli anni '60- '70 - ci ha posto innanzi ad un universo in cui le verit appaiono plurali, e le prospettive conoscitive tutte ugualmente legittime, proprio perch tutte ugualmente condizionate dalla propria storia, dalle proprie ragioni, e da queste, da storia e ragioni, sostenute (15). Il pensiero quasi escatologico di Marcuse rischia di sembrare dunque altrettanto monodimensionale rispetto all'universo che avrebbe voluto superare: esso ci appare come diretto oltre la mite coesistenza delle verit parziali di cui il nostro pluralismo si alimenta. Ma proprio nel confronto con questa fase della riflessione filosofica che il pensiero marcusiano pu essere pi internamente spiegato. Anticipando il senso delle mie conclusioni, si potrebbe dire che in Marcuse la verit quel tanto di universale che si esprime concretamente nella critica determinata delle condizioni di uno stadio storico circoscritto e specifico. Essa si propone con un quantum di determinazione suscettibile di modificarsi nella direzione che, all'interno di mutate circostanze storiche, appare nuova proiezione dell'universalit. Il carattere storico e trascendente della conoscenza della verit forse il legato pi stimolante per le nostre societ democratiche, le quali sono invece affette da una incontenibile crisi conoscitiva, e dalla relativizzazione della maggior parte dei loro credo. Noi sperimentiamo l'impossibilit - destinata a crescere - di ancorare a un qualche permanente, condiviso set di principio, le nostre decisioni. Viviamo il razionale imbarazzo di confrontare ci che inconfrontabile, valori con valori, verit con verit. Lo stesso pluralismo morale tende strutturalmente a una crisi comunicativa dove non sembra essere superabile la vecchia Seinsverbundenheit del pensiero, e questa si traduce ipso facto in titolo di legittimazione delle interpretazioni del mondo. Ed un titolo che in linea di principio non si pu negare. In questa condizione, nell'agenda di vita dell'uomo contemporaneo non pu che mancare ogni traccia di

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programma massimo: le istituzioni sociali si reggono altrimenti, si reggono sul tacito accordo di evitare lo scontro, o presumere l'incontro (16), tra le grandi linee di principio, visto che possibile negoziare, su ogni altro piano, accettabili mediazioni pratiche. E' una societ retta dal programma di non problematizzare il livello profondo delle decisioni, e di favorire interazioni e condivisioni pragmatiche. Se si volesse raggiungere un completo consenso teorico, dietro ogni accettabile soluzione pratica, il cosiddetto pluralismo si rivelerebbe distruttivo o ne sarebbe esso stesso distrutto. Ad esempio, si potrebbe dire che, dal punto di vista giuridico, l'autorit di cui le decisioni normative oggi godono inversamente proporzionale all'ampiezza o, se si vuole, all'astrattezza della giustificazione che viene fornita per esse (17). Ma - dovremmo aggiungere- le societ contemporanee hanno bisogno di un medium di comunicazione interno, perch la pluralit delle posizioni etico-politiche le tradurrebbe in un universo di monadi, pericoloso e autodistruttivo. Il concetto di trascendenza di Marcuse a questo riguardo estremamente produttivo, e va ben al di l del suo connotarsi di qualche decennio fa. Naturalmente, solo leggendo Marcuse come si legge un classico, e non come si legge un contemporaneo, che noi scopriamo come quel medium possa essere identificato nel concetto di trascendenza. A differenza che per Mannheim, per Marcuse la "corrispondenza" del pensiero ideologico, la sua adeguatezza, non va riferita allo stato di cose di cui esso espressione, in quanto idoneo o meno a servire gli interessi di un particolare gruppo sociale: in Marcuse, in termini un po' inconsueti, l'adeguatezza del pensiero riferita non a questo stato di cose, bens alla capacit in astratto di promuovere l'ingiustizia o la giustizia, la verit o il suo occultamento, e ancora la felicit o la repressione. Il ruolo del pensiero ricostruire l'insieme di quei versanti della realt che rimangono celati dietro il pensiero affermativo, positivo, corrente. Il pensiero pu conquistare angoli visuali eticamente produttivi, riconoscere condizioni date di libert e di dominio. Per questo, la relativizzazione storica (diacronica) del pensiero non appare affatto un male in s. Coerentemente, in Marcuse, ben pi difficile trovare invece una relativizzazione comparativa (sincronica), ossia riferita alle diverse scelte di principio sostenute contestualmente da prospettive culturali e politiche differenti, e rassegnata alla loro equivalenza. La consapevolezza del carattere determinato e condizionato, o prospettico, della conoscenza non ci assolve, infatti, quando non siamo in grado di discriminare e perdiamo la misura critica da cui scaturiscono il controllo di giustizia e il controllo di felicit. C' un legame tra l'adozione di una posizione imperialistica e intollerante, da un lato, e la cecit teorica dall'altro. Il medium di comunicazione che pu porre in relazione interlocutori differenti la conoscenza della realt, e la condivisione di una ricerca costante della giustizia. Non c' spazio qui per nessun integralismo etico, per nessuna fissit metafisica. C'era un paradosso nella scoperta della sociologia della conoscenza, ossia il carattere ricorsivo e autoreferenziale dell'analisi dell'ideologia: noi impieghiamo mezzi propri della conoscenza sociale per comprendere la conoscenza sociale stessa. Questa ambivalenza e questo carattere riflessivo escono dal proprio avvitamento nella logica marcusiana della ricerca della trascendenza, di quello che ho chiamato il controllo di giustizia, il controllo della felicit. Certo, il nostro sguardo critico resta affetto da unilateralit (pi che da falsit), grazie al suo essere storicamente relativo. Ma poich misura gradi di giustizia e /o di felicit esso aspira a parametri indipendenti dalla condizionatezza da cui muove, aspira cio a superare la vischiosit di ci che solo parzialmente vero. In Marcuse si trovano un metodo e una concezione della trascendenza della giustizia e della felicit che superano questa impasse della incomparabilit e unilateralit delle concezioni plurali del mondo (18). Ciascun discorso morale presuppone un qualche valore che deve darsi all'infinito come perennemente non realizzato, o una qualche verit i cui contenuti storici sono solo un'approssimazione necessaria verso di essa, che resta un ideale regolativo. E' estranea a Marcuse la visione platonica, della Repubblica, dove idee fisse e di contenuto sovrastorico, trascendenti in questo senso, possano essere elevate a metro di giudizio della realt. A Marcuse interessano la verit e la giustizia, ma si deve escludere sia che con queste egli identifichi un contenuto trascendente specifico, una quantit, un corpus fermo, sia che al

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contrario intenda solo un valore relativo e condizionato in modo storicamente contingente. In realt, egli non fa che riferirsi costantemente a un ideale indeterminato, ma di volta in volta determinabile, che ontologicamente presupposto nella natura dei processi di conoscenza umana: ossia il fatto stesso che ogni discorso conoscitivo presupponga una verit, i cui tratti non sono immediatamente materializzati; che ogni discorso morale presupponga una giustizia, un'idea di bene i cui contenuti non sono fissabili o dati una volta per tutte; il fatto che in ogni percorso storico l'umanit non possa fare a meno di assumere, in qualche senso, una nozione di vero, di giusto, di bene. Ma questa nozione una sorta di facolt trascendentale, pi che un concetto determinato, una capacit di verit, che il pensiero incorpora se tale. Il pensiero ragiona storicamente, ma si appella a valori trascendenti il cui status logico e metodologico costantemente quello dell'indeterminatezza. Il valore trascendente sempre realizzabile ma costitutivamente inesauribile in una specifica articolazione data. Questa idea di valore, nella sua trascendenza, ci che ogni cultura presuppone, ogni discorso storico implica come un riferimento logico, e costituisce nello stesso tempo il medium della comunicazione tra visioni diverse della sua concretizzazione. Questa idea metodologica ha possibili applicazioni e conseguenze pratiche. Ad esempio, siamo consapevoli che un errore imporre la nostra concezione della giustizia ad altre culture, o come stato scritto, "applicare lo standard di giustizia dell'aggressore alle vittime"; da ci discende tuttavia che "applicare agli aggressori i principi normativi propri delle vittime egualmente un errore" (19). Di fronte a questo esito disarmante, la riflessione critica pu essere ripresa solo se si apprezza adeguatamente il fatto che ciascuna prospettiva circa la giustizia, la verit, il bene, argomenta la propria validit facendo riferimento a giustizia e verit, che essa sostiene di realizzare meglio d'altri, nozioni ideali usate come un presupposto comune, sebbene indeterminato. E' questo status trascendentale (20) dei valori di verit e di giustizia, che si dispiega costantemente nelle scelte teoriche di Marcuse. E' in virt dello stesso atteggiamento mentale che acquistano valore filosofico la metapsicologia di Freud, o il discorso sulla felicit di Eros e civilt, o i Manoscritti economico-filosofici del 1844: in quest'ottica, essi appaiono infatti come un meta-discorso rispetto alla psicanalisi, alla narrazione storica, all'analisi dell'economia politica. Marcuse ha coniugato il pensiero critico da Hegel a Marx a Freud con una continuit che dipende dalle peculiarit di un metodo; tale metodo consiste nel carattere trascendentale dell'idea di trascendenza dei valori. Il nodo del metodo e del discorso marcusiano precisamente nella capacit di esercitare una critica dei presupposti culturali e materiali interni alle nostre stesse forme di vita. Certo, noi non possiamo trascendere la nostra forma di vita, alla Wittgenstein, ma in Marcuse noi possiamo modificarla dall'interno, sfruttando il senso della sua inadeguatezza all'idea - questa s trascendente - di felicit, di verit, di giustizia. Modificare dall'interno non significa affatto, come nel lessico usato venti e trent'anni fa, riferirsi all'azione intra-sistemica piuttosto che extra-sistemica, o rinunciare a trasformazioni qualitative; in questo caso, interno significa invece che solo come partecipanti, privilegiati o meno, di una forma di vita, noi esistiamo, e che non ci sono posizioni disincarnate, immuni da una specifica deiezione (alla Heidegger) storica. Ora, la tensione che si instaura tra le istituzioni del presente e la "liberazione", tra il principio di prestazione e il principio di piacere, tra la cultura affermativa e la funzione dell'arte, tra la tecnologia, l'autorit e la libert, una tensione chiaramente metastorica, nel senso che essa non sta nella terapia freudiana, ma nella metapsicologia freudiana, non sta direttamente nella storiografia ma nella critica della storiografia, non sta nello Stato hegeliano ma nella dialettica e nella logica, infine non sta nell'economia capitalistica ma nella critica dell'economia politica. Si potrebbe sostenere, di contro, che dunque con Marcuse nihil novi sub coelo. La dialettica era in Hegel, la critica dell'economia politica in Marx, la metapsicologia in Freud. Dov' dunque il passo che porta Marcuse oltre? Potremmo dire che il quid novi sta nello svuotamento dei valori di giustizia, di libert, di felicit, di verit, del loro contenuto imperialistico, nella capacit del metodo di trascendere i prodotti critici da esso stesso articolati storicamente. Marx come Marcuse muove da presupposti storici, si avvale di un' "astrazione determinata". Tuttavia, il discorso marxiano stringe in unit metodo critico e mezzi materiali,

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contingenti, di conoscenza e di azione: esso per esempio vale sinch e se vale la posizione salvifica del proletariato. La dialettica hegeliana si rifiuta di diventare oggetto di se stessa, perde di vista il proprio lato formale, ossia la propria trascendenza istituzionale, si traduce in un contenuto storico determinato, trasforma il bene nell'eticit, come definitiva, finale concretezza hic et nunc. Freud investe l'idea di felicit di un'aura di impotenza, piegando alla terapia il fine dell'analisi. E' in Marcuse che noi ritroviamo, come egli scriverebbe, il lato borghese della teoria rilanciato contro i suoi stessi limiti. Marcuse tiene ferma la trascendenza. L'idea di trascendenza esiste solo grazie alla imperfezione derivante dalla nostra posizione storica, all'impossibilit di collocarci in una postazione puramente ideale grazie alla quale far cadere ogni scarto tra l'ideale normativo e la sua realizzata olimpica pienezza. In fondo, la complessit di queste tesi era apparsa allo stesso Marcuse, di fronte all'ambiguit della grande cultura "borghese", alla quale il nostro secolo deve la promesse de bonheur, e dunque di giustizia e di felicit. La cultura affermativa - egli scriveva - "ha portato (...) a fare del mondo dell'anima e dello spirito un regno autonomo di valori, a staccarlo dalla civilt materiale per innalzarlo al di sopra di questa. Il suo tratto pi caratteristico l'affermazione che c' un mondo di valore superiore ed eternamente migliore, il quale impegnativo per tutti e va approvato incondizionatamente" (21). Se Marcuse si fermasse a questo punto, egli si arresterebbe sull'orizzonte della critica dell'ideologia, che era, in fondo, visibile gi da Marx. Ma per Marcuse la questione non affatto conclusa qui. L'immagine di felicit e di liberazione che la cultura astrattamente riproduce esprime comunque un ideale di giustizia, nei termini di una parit ancora senza concretezza, di una libert ancora senza storia, che misura per l'inadeguatezza del presente della civilt materiale. E verso quest'ultima, esso si pone, alla fine, come una minaccia (22). E' pur vero infatti che "c' un frammento di beatitudine terrena nelle opere della grande arte borghese, anche quando esse dipingono il cielo" (23). Ma non si pu capire la via filosofica di Marcuse se non si coglie come la trascendenza dell'arte e della sua immagine di felicit non rappresentino affatto per lui la presentazione di un modello di armonia, di una verit contenutisticamente piena, di un progetto platonico da rivoltare come tale sulle ingiustizie del presente. Di nuovo, Marcuse non eleva affatto la "perfezione" di quelle rappresentazioni della verit a obiettivo di una liberazione attuale. Persino nella rappresentazione artistica nel bello, del vero e del giusto, i valori mostrano un intimo e interno contrasto tra forma e contenuto. L'arte borghese la rappresentazione dissonante in contraddizione con la sua stessa realt; essa come per Nietzsche l'arte greca, il trionfo del principium individuationis, un instabile e temporaneo trionfo della forma. Ancora: quell'arte svela e maschera, ed il limite di ogni rappresentazione concreta, compresa quella artistica, di non essere ancora alcunch di storico, di reale, di essere pertanto anche parzialmente ingannevole e illusoria. Il vero e il giusto, la libert e la felicit non hanno senso nell'arte come tale, perch sono un problema degli uomini reali, un problema che trascende la mera dimensione estetica. La bellezza invereconda perch "mette in mostra ci che non permesso promettere apertamente ed negato ai pi" (24). La questione della trascendenza istituzionale del valore non si comprenderebbe dunque se non si tenesse conto dell'interno conflitto tra la promessa di felicit dell'arte o della cultura affermativa e il loro mero carattere consolatorio. Il bello rappresentazione del vero e del giusto, ma non mai se non un momento di storica articolazione di essi; vero e giusto trascendono il bello borghese, che tuttavia funge da espressione concreta e storica di un'ispirazione universale. Questa universalit semplicemente l'impossibilit di dare al concetto di verit e a quello di giustizia un contenuto definitivo. La fissit dell'arte nella cultura affermativa dovuta al fatto che l'opera d'arte gi una rappresentazione determinata, sebbene essa sia una rappresentazione determinata dell'universale. Quel che pu essere raccolto e che va promosso non affatto l'opera in s, n la sua articolazione materiale del vero e del giusto, bens il fatto che tramite l'arte si esprima una tesi metaestetica: la tesi secondo cui vero e giusto sono s presupposti del bello, ma soprattutto sono i presupposti della liberazione materiale e della felicit. La trascendenza del valore e il suo carattere indeterminato sono dunque la chiave di ogni processo conoscitivo, la ragione del suo dinamismo: ogni modello compiuto. determinato, di una societ perfetta,

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sarebbe destinato a subire le ingiurie del tempo, a trascinare nella propria caducit anche il giusto e il vero di cui era sembrato definitivamente appropriarsi. Ogni modello sovrastorico, d'altro canto, avrebbe il difetto di non potersi collocare nei limiti della nostra condizionatezza storica. E' invece proprio il carattere indeterminato dei valori la ragione profonda per cui vale la pena provare la trasformazione della realt, non rinunciare ad essa, progettarla in modi antidogmatici, perseguire un pervicace rapporto con la nostra storia. Le nostre rappresentazioni della verit e della giustizia sono un contingente padroneggiare attraverso la teoria elementi di intrinseca universalit. La distanza che separa i contenuti peculiari delle nostre teorie morali, ad esempio, non che la proiezione sincronica di una diversit storica, gnoseologica, etica: ma l'ambizione della filosofia la capacit trascendentale del metodo, di dominare il carattere relativo delle nostre rappresentazioni attribuendo ad esse il valore che hanno quale rappresentazione dell'universale. Cos, chi ricolleghi in un solo testo l'intero percorso culturale marcusiano trova quasi stilizzata la sua tendenza nel tempo a spostare il centro di osservazione dell'universalit, man mano che la teoria si mostra non pi adeguata come strumento critico. E' per questo che Marcuse pu trasferire il testimone della conoscenza dal proletariato urbano alle fasce minoritarie e marginali, che percepiscono ratione propria l'ottusit del mondo di cui sono paradossalmente parte esclusa; come per questo che assegna al pensiero desiderante, all'arte, alla letteratura, alla psicoanalisi i compiti che aveva attribuito al solo pensiero razionale, decenni prima (25). Quel testimone un problema che naturalmente supera ogni biografia, anche quella di Marcuse.

Note
Relazione al congresso internazionale su Herbert Marcuse nel centenario della nascita, tenutosi presso il Goethe Institut (Roma), nell'ottobre del 1998. 1 Ueber konkrete Philosophie, in "Archiv fuer Sozialwissenschaft und SozialPolitik", vol. LXII, 1929, pp. 111-23; ed. it: Sulla filosofia concreta, in Marxismo e rivoluzione. Studi 1929-32, trad. di A. Solmi, Torino 1975, pp. 3-29. C' un destino di attualit, e nel contempo nietscheanamente di inattualit nel lungo lavoro filosofico svolto da Marcuse nell'arco del '900. La sua capacit di farsi carico del travaglio culturale di un intero secolo, si traduce in un costante confronto critico con coloro che pi hanno contribuito a costituirne le categorie filosofiche principali, Freud e Heidegger, Weber, ma anche Marx, Hegel, Kant; nel secolo dei totalitarismi e poi del progresso tecnologico dispiegato, Marcuse resta il filosofo della ragione e della immaginazione. Probabilmente, un gigante sulle cui spalle poter salire, e la cui reale statura si misura in verit solo scostando il velo delle interpretazioni estemporanee che hanno dominato sino a qualche lustro fa. 2 Per questi concetti, estremamente importante H. Marcuse, Hegels Ontologie und die Grundlegung einer Theorie der Geschichtlichkeit, V. Klosterman, Frankfurt am Main 1932; ed. it. L'ontologia di Hegel, trad. di E. Arnaud, Firenze 1969. Marcuse intreccia un fitto dialogo con Hegel, soprattutto attraverso G.W. F., Scienza della logica, trad. di A. Moni, riv. Da C. Cesa, Bari 1978. Cfr. ivi, pp. 214 e sgg, quanto ai concetti di realt e di possibilit. Infine, si tenga conto del fatto che la nozione di possibilit era gi stata un elemento chiave nella filosofia di Ernst Bloch, tra i cui lavori erano usciti gli importanti Geist der Utopie, Muenchen 1918; e Thomas Muenzer als Theologe der Revolution, Muenchen 1921. Per un'analisi dettagliata dell'intero problema e della stesso confronto con la Scienza della Logica di Hegel, devo rimandare al mio Ragione e immaginazione. Herbert Marcuse 1928-1955, Bari 1982, pp. 118-57. 3 K. Marx, F. Engels, L'ideologia tedesca, in Idd., Opere , vol. V, trad. di F. Codino, Roma 1972, p. 16. 4 Com' noto queste categorie sono contenute in M. Heidegger, Essere e tempo (1927), trad. di P. Chiodi, Milano 19762. Quel che di consueto si sottolinea a riguardo del rapporto tra Marcuse e Heidegger,

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l'influenza esistenziale e fenomenologica esercitata dal secondo sul primo. In effetti, tale influenza ben evidente nei termini del rilievo che Marcuse attribuisce a storicit, temporalit, al tema dell'unit e differenza di Sein e Da-sein. Lo mostra l'intero Heidegger-Marxismus espresso a partire dal saggio marcusiano Beitraege zu einer Phaenomenologie des Historiuschen Materialismus, in "Pholosophische Hefte", n. 1, Berlin, luglio 1928, pp. 45-68. Infine, certamente importante che Marcuse trovasse in Heidegger quanto non era riuscito a trovare in Husserl, al quale rimproverava piuttosto la riduzione della filosofia ad un'analisi della coscienza nella sua intenzionalit: l'epoch husserliana certo non poteva condurre dove Marcuse intendeva giungere (per E. Husserl, si vedano naturalmente, Ricerche logiche, trad. di G. Piana, Milano 1968; e Id., Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica, a cura di E. Filippini, Torino 1976). Su Husserl Marcuse scrisse poi nel 1936 un saggio interessante: Zum Begriff des Wesens, in "Zeitschrift fuer Sozialforschung", vol V, 1936, pp. 1-39. Qui, non a caso, Marcuse sottolinea il carattere astratto e consolatorio che implicito nell'uso della soggettivit trascendentale, come quella che rimane dopo la riduzione fenomenologica husserliana, e che tuttavia pur distraendo dall'essere qui ed ora, costituisce comunque, cartesianamente l'unico Sprungbrett sull'esistente. Ci detto, Marcuse coglie sin dall'inizio i limiti dell'heideggerismo ed assolutamente consapevole che Heidegger ignora il problema della "costituzione materiale della storicit": un problema che rappresenta una ragione di pi per l'integrazione di Heidegger con Marx. 5 Chi studi attentamente l'opera di Marcuse, trover come lo sforzo compiuto di ricostruzione dell'ontologia di Hegel, nel 1932, nascesse in fondo dalla consapevolezza dell'insufficienza della filosofia di Heidegger: il cui sguardo alla possibilit sembrava risolversi in un progetto rivolto al passato, rivolto a quell'idea di tempo originario che di fatto scavalca la storia e ne appiattisce il senso in una uniforme indifferenza rispetto all'essere. 6 Qui, oltre ai limiti dell'ek-sistere heideggeriano, devono esse ricordati quelli husserliani: "Rivolgendomi puramente verso l'interno, aderendo esclusivamente alla cosiddetta 'esperienza interna' (o meglio all'autoesperienza o all' 'entropatia'), (...) attingo una conoscenza originaria" (E. Husserl, Postilla, in Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica, cit., vol. III, p. 918). 7 Nell'Ideologia tedesca Marx e Engels fanno testualmente riferimento all'unertraegliche Macht dell'esistenza estraniata (cit., pp. 33-4). 8 La questione dell'azione nasceva anch'essa nel giovane Marcuse. Le sue origini sono note e sono varie: nella storia del marxismo si legano alla critica dello storicismo positivista della Seconda Internazionale; pi in generale; l'azione rivoluzionaria era investita di una potente enfasi etica. L'ansia di sovvertire lo status quo prendeva corpo in intellettuali come Lukacs in una dimensione di radicalit e di sacrificio (G. Lukacs, Tattica e etica, in Id., Scritti politici giovanili 1919-28, trad. di P. Manganaro e N. Merker, Bari 1972), che traduceva l'ispirazione letteraria e "tragica" su cui era andata sovrapponendosi (si legga G. Lukacs, L'anima e le forme, trad. di S. Bologna, Milano 1963, sp. il saggio: Quando la forma si frange sugli scogli dell'esistenza (Soeren Kierkegaard e Regina Olsen). In Marcuse era integrata in una visione, sin dall'inizio piuttosto solida, dell'ontologia. 9 H. Marcuse, One-Dimensional Man. Studies in the Ideology of Advanced Industrial Society, Boston 1964; ed. it: L'uomo a una dimensione. L'ideologia della societ industriale avanzata, trad. di L. Gallino e T. Giani Gallino, Torino 1967. 10 Cfr. G. Lukacs, Storia e coscienza di classe, trad. di G. Piana, Milano 1974 (5), sp. p. 35 e passim; K. Korsch, Marxismo e filosofia, trad. di G. Backaus, Milano 1978 (4) 11 Il rovesciamento del senso della totalit nel totalitarismo, che ne annulla il significato "dialettico", particolarmente affrontato da Marcuse in Der Kampf gegen den Liberalismus in der totalitaeren Staatsauffassung, in "Zeitschrift fuer Sozialforschung", vol. III, n. 2, 1934, pp. 161-94; ed. it. La lotta contro il liberalismo nella concezione totalitaria dello Stato, in H. Marcuse, Cultura e societ. Saggi di teoria critica 1933-65, trad. di C. Ascheri, H. Ascheri Osterlow, F. Cerutti, Torino 19693, pp. 3-41. 12 Sebbene la liberale "privatizzazione della ratio" sia il presupposto dell'irrazionalit del tutto, e dunque il totalitarismo abbia attecchito sui limiti del liberalismo, tuttavia esso non semplicemente un naturale svolgimento del liberalismo, bens il suo capovolgimento: Marcuse sostiene che le condizioni ideali della

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concorrenza del libero mercato tra soggetti privati in campo economico, corrispondono nel campo gnoseologico alla libert della ricerca della verit , e conclude che "tutte le tendenze da cui i postulati politici del liberalismo (...) traggono la loro validit teorica, sono elementi di un vero razionalismo" (Marcuse, La lotta contro il liberalismo, cit., p. 17). Si noti che per Marcuse in una collettivit liberale, la ricerca della verit si basa sul "libero gioco della domanda e della risposta, sul convincere e lasciarsi convincere in forza di argomenti, quindi proprio sulle obiezioni e sulla critica provenienti dall'avversario" (Ibid.) 13 Si veda K. Mannheim, Ideologia e utopia (1929), trad. di A. Santucci, Bologna 1974. La discussione sull'ideologia, e attorno a Mannheim, coinvolge Marcuse, Horkeimer, Lukacs, e molti altri. Non posso riproporre qui una ricostruzione dettagliata del dibattito, particolarmente ricco e notevolmente complesso, che ho gi a suo tempo compiuto, nel mio Ragione e immaginazione. Herbert Marcuse 1928-55, cit., sp. pp. 46-70, e alla quale devo qui rimandare. . 14 Questo contrasto tra principio di piacere e principio di prestazione, si trova interamente dispiegato nell'opera forse pi accattivante e incisiva di Marcuse, Eros e civilt, trad. di L Bassi, Torino 1972 (rist. della VI ed.) (ed. orig. Eros and Civilisation. A Philosophical Inquiry into Freud, Boston 1955, e 1966 con una nuova prefazione dell'autore). 15 La filosofia politica contemporanea ruota attorno a questo tema in modo permanente. Mi limito a suggerire solo qualche lavoro, in una letteratura ormai amplissima, tra i pi rappresentativi e recenti, J. Rawls, Liberalismo politico, trad. di G. Rigamonti, Milano 1994, Ch. Taylor, Multiculturalismo. La politica del riconoscimento, trad. di Gianni Rigamonti, Milano 1993; M. Walzer, Sulla tolleranza, trad. di Rodolfo Rini, Bari 1998 (ma anche Id., Sfere di giustizia, trad. di Gianni Rigamonti, Milano 1987).. 16 Come, in fondo, fa lo stesso Rawls, Liberalismo politico, cit. 17 Questo tema articolatamente studiato in C. Sunstein, Legal Reasoning and Political Conflict, New York-Oxford 1996.. 18 Non escluderei che alla luce del metodo e della concezione marcusiana della trascendenza possano essere affrontati e forse ridimensionati i problemi teorici irrisolti che contrappongono ormai stabilmente nella filosofia contemporanea, nel dibattito anglosassone, liberals e communitarians. Per questo dibattito, cfr. la raccolta di saggi da Dworkin a Larmore, da MacIntyre a Taylor, Sandel, Waldron, ed altri, che appare in Comunitarismo e liberalismo, a cura di Alessandro Ferrara, Roma 1992. Non , del resto, un caso che si debba a uno studioso formatosi sotto l'influenza della Scuola di Francoforte, come J. Habermas (da ultimo con Fatti e norme, trad. di L. Ceppa, Milano 1996, ma anche nelle numerose precedenti opere), il tentativo pi imponente di coniugare, per usare l'espressione che ho qui adottato, trascendenza e istituzioni, senza subire lo scacco e i limiti sia del neoaristotelismo sia di un astratto o atomistico neocontrattualismo (quest'ultimo giudizio risale alla critica che Michael Sandel, I limiti della giustizia, trad. di Savino D'Amico, Milano 1994, rivolge a John Rawls, Una teoria della giustizia, trad. di Ugo Santini, Milano 1984). 19 J. Balkin, Cultural Software. A Theory of Ideology, New Haven 1998, p.153. 20 "Trascendentale" non ha qui il senso solipsistico che aveva in Husserl o in Kant, e non riguarda pertanto n il semplice "foro interno" n la singolarit della coscienza; semmai converte l'aspetto deontologico kantiano in un rapporto nuovo con storia ed esperienza: trascendentale deve qui essere inteso, a mio modo di vedere, come una relazione specifica e una facolt che lega le qualit etiche e conoscitive della mente agli aspetti strutturali delle relazioni sociali. Il senso dell'universalit si mantiene nel discorso marcusiano proprio attraverso questo carattere trascendentale della riflessione critica, ed questo senso di universalit, questo status trascendentale dei valori a scongiurare un ripiegamento su concezioni puramente neoaristoteliche. 21 H. Marcuse, Sul carattere affermativo della cultura, in Cultura e societ, cit., p 49 (Si tratta del saggio Ueber den Affirmativen Charackter der Kultur, in "Zeitschrift fuer Sozialforschung, VI, 1937, pp. 54-94). 22 Ivi, p. 51. 23 Ivi, p. 73. 24 Ivi, p. 71.

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25 Se c' un progetto "massimo", dunque, che scaturisce dalla lezione marcusiana, questo non era e non semplicemente un caduco programma politico, ma innanzitutto, un programma meta-filosofico.

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Barkat, Il corpo d'eccezione e la cittadinanza intrasmissibile nell'Algeria coloniale

a cura di Maria Chiara Pievatolo pievatolo@dsp.unipi.it Nico De Federicis pievatolo@dsp.unipi.it . Ultimo aggiornamento: 15 settembre 2004

Il corpo d'eccezione e la cittadinanza intrasmissibile nell'Algeria coloniale


di Sidi Mohammed Barkat

Traduzione di Dino Costantini. Printed version in Tumultes, n. 21-22, 2003, pp. 181-192.

I Elise Sabatier 1, difensore inflessibile della colonizzazione, pubblica il primo marzo 1938 sulla Revue des deux mondes un articolo scritto allo scopo di contrastare il progetto di legge depositato dal governo Blum. Il progetto, che riprendeva una iniziativa del senatore repubblicano-socialista Maurice Viollette, gi governatore generale dell'Algeria e sensibile alle rivendicazioni dei colonizzati, proponeva di ammettere alla cittadinanza, a titolo individuale e senza rinunciare allo statuto personale di "diritto musulmano", i membri di alcune specifiche e poco numerose categorie di indigeni (indignes), categorie definite secondo dei criteri selettivi basati sul titolo, la funzione o lo statuto sociale. Sabatier e i numerosi contestatori di questa timida iniziativa l'avranno facilmente vinta poich il progetto sar abbandonato senza neppure essere discusso all'interno di una seduta plenaria del parlamento. L'obiettivo della critica di Sabatier consiste per l'essenziale nel ricordare al pubblico i risultati positivi ottenuti dalla politica coloniale su due piani fondamentali: in primo luogo su quello della salvaguardia delle propriet morali della nazione 2; in secondo luogo su quello della preservazione della integrit della sovranit nazionale 3- essendo il secondo punto concepito come il risultato o la conseguenza del primo. L'obiettivo fondamentale di Sabatier quello di convincere dell'efficacia dell'uso politico di metodi giuridici e amministrativi, in difesa della specificit della nazione e della sua potenza sovrana. Sostanzialmente, all'interno di questa critica viene messo in exergo il ruolo fondamentale che lo Stato e la legge devono continuare a giocare al fine di garantire la vita morale della nazione, ovvero al fine di proteggere le condizioni simboliche della sua riproduzione dalla presenza di elementi non adatti ad essa, e capaci di introdurvi una corruzione dei valori 4 con prevedibili effetti sulla salute del corpo politico. Attraverso le parole di questo eminente rappresentante della colonizzazione, viene dunque messo l'accento su di una dimensione costante della colonizzazione di cui si ribadisce l'attualit. La subordinazione della legittimit dell'acquisizione della cittadinanza alla consistenza morale del gruppo
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al quale si appartiene, pu essere detta fondamentale, nel senso in cui essa costituisce il fondamento o la base dell'intero edificio istituzionale che determina lo statuto dei colonizzati nel seno della nazione e giustifica il regime di eccezione nel quale essi saranno costantemente rinchiusi. Il ruolo decisivo attribuito alla morale del gruppo introduce una nuova misura della capacit politica. Il giudizio sulla capacit politica passa attraverso il giudizio sul valore morale. Capacit politica e valore morale fanno tutt'uno, poich la forza morale si confonde con la potenza politica. Ci troviamo qui di fronte ad un'esigenza capitale, quella di perpetuare lo sconvolgimento introdotto dal senato-consulto del 14 luglio 1865 nella concezione stessa della politica 5. Attraverso di esso la politica risulta per la massa dei colonizzati, sbarrata, bloccata o immobilizzata. Non pi in rapporto alla questione dell'eguaglianza che si definisce la politica. La questione dell'uguaglianza appare preliminarmente sottomessa ad un giudizio di valore, quello riguardante la valutazione della qualit morale, una questione che si rapporta quindi al vero o al bene, una questione in definitiva chiusa su se stessa 6. II Il decreto del 4 marzo 1848 , che dichiara l'Algeria parte integrante del territorio francese trasforma la conquista in una colonizzazione di popolamento 7, facendone nel contempo mutare gli obiettivi; l'interrogazione che si impone naturalmente allo Stato conquistatore non pi solamente quella dello sfruttamento - che cosa fare di questo paese e delle sue ricchezze? - essa concerne ugualmente lo statuto da attribuire alla sua popolazione - che fare degli uomini e delle donne che vi vivevano prima della conquista? La nuova interrogazione presa in considerazione non solamente da un punto di vista economico, ma ancora una volta da quello della politica, una politica altra sia rispetto alla dominazione che rispetto all'assimilazione pura e semplice. L'introduzione in Francia del suffragio universale maschile nel 1848, rende urgente la determinazione della posizione che devono occupare queste popolazioni divenute francesi in relazione al corpo politico. Con la sconfessione dell'esercito ed il passaggio di potere ai civili verso il 1870, si impone la necessit di determinare la posizione del colonizzato in relazione al corpo politico. Lo spirito del legislatore del 1865 comincia da questo momento a prevalere; esso si fonda sulla valutazione della capacit morale dei colonizzati di vivere in societ, cio a dire sulla valutazione del loro grado (degr) di umanit. Il valore dei colonizzati, cos stimato, diviene la chiave della rappresentazione coloniale che divide la nazione in due sottoinsiemi politicamente diseguali: una forza viva, sovrana e naturalmente tutelare, e una popolazione socialmente sregolata, messa per conseguenza e altrettanto naturalmente sotto tutela. Per i promotori della concezione colonialista, come Sabatier, il grande merito della politica coloniale di distinguere questi due sottoinsiemi e di privilegiare quello la cui qualit morale attestata. Allo stesso tempo essa promuove l'idea che sia necessario proteggere il sottoinsieme privilegiato, facendone l'oggetto di una attenzione particolare. Il sottoinsieme in questione coincide con la nazione autentica e diviene il punto di riferimento ultimo di una politica statale inedita. All'interno di questo quadro moralit e sovranit si mescolano intimamente, al punto che la politica dello Stato pu definirsi in definitiva come la capacit di realizzare questa associazione o combinazione e di rappresentarne l'unit come una verit evidente, una verit presentata come indiscutibile. Tanto la legislazione che l'amministrazione e la polizia devono dunque mettersi al servizio di questa nuova politica al fine di garantire l'integrit morale della nazione. Il governo dello Stato viene a confondersi con l'arte di salvaguardare il vero valore della nazione, ovvero la vita simbolica del sottoinsieme della nazione che lo rappresenta. Questa trasformazione fa dello Stato il responsabile di questo valore: uno dei suoi compiti principali consiste nel proteggere e nel rinforzare la parte della nazione la cui vita appare conforme alla morale. Per fare ci necessario che lo Stato veda nella condizione morale di questa parte della nazione assieme la causa della propria appartenenza all'universo della ragione e la condizione del vigore e del rinforzarsi della sovranit che egli incarna. A partire da questo momento i
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cambiamenti che influenzano la salute del corpo sovrano dipendono direttamente dalle variazioni che toccano l'ordine morale o la qualit morale della nazione. III L'insieme di questa politica procede cos da una certa logica o razionalit. Lo Stato fonda la sua azione su di un edificio concettuale che privilegia l'idea secondo la quale la nazione si deve opporre fermamente all'elevazione alla qualit di cittadini di coloro che sarebbero inadatti alla politica, cio a dire di quegli individui che si ritengono incapaci di vivere normalmente la condizione umana: della massa dei colonizzati. Questo quadro intellettuale impone di concepire l'inattitudine a godere o a esercitare il diritto di essere cittadino come l'effetto di una alterazione delle facolt soggettive. Questa alterazione non concerne unicamente degli individui presi singolarmente, ma un intero gruppo, una massa percepita dal punto di vista della propria riproduzione. L'alterazione in questione, iscrivendosi in una logica di trasmissione ereditaria, si trasmetterebbe cos di generazione in generazione. La questione della sovranit cos inserita nel quadro di una politica complessiva di preservazione della qualit morale della nazione, cui sottesa una specifica concezione della trasmissione ereditaria delle caratteristiche proprie alla massa indigena 9. Mai nominata in quanto tale, la trasmissione ereditaria diviene tuttavia, a partire dall'identificazione della nazione autentica attraverso la morale, il riferimento essenziale della politica di difesa della sovranit. La politica di conservazione della forza sovrana fondata sulla preservazione della morale costruisce cos, conferendole l'autorit di ci che deve essere tenuto per vero, l'idea che lo statuto personale di "diritto musulmano"al quale restano inscindibilmente attaccati i colonizzati sia portatore di fattori culturali responsabili di un comportamento ereditario non conforme alla morale e alla ragione. L'inscindibile legame degli indigeni al loro statuto personale equivale, nello spirito dei promotori della nuova politica coloniale, a una sorta di trasferimento perpetuo di un patrimonio culturale all'interno di un processo di trasmissione esatta alle generazioni successive dei caratteri specifici del sottoinsieme indigeno. I comportamenti giudicati immorali o asociali non si spiegano attraverso considerazioni oggettive (spiegazioni di tipo economico, sociologico, etc.), ma a partire dall'idea secondo la quale essi sarebbero la conseguenza dell'inclinazione ereditaria degli indigeni ad allontanarsi dalle regole sociali di base fondate sulla ragione e indispensabili alla riproduzione dell'intera societ. Questa inclinazione facilmente identificabile, poich essa costituisce una semplice conseguenza all'interno di uno schema deduttivo che finisce per divenire canonico e che, da una parte dichiara patologico il comportamento degli indigeni a partire dalla loro sottomissione ad un corpus normativo giudicato improprio e d'altra parte imputa a questa patologia un carattere duraturo, a partire dalla logica della trasmissione perpetua di questo corpus. Nello stesso tempo la nazione autentica viene a definirsi come un insieme umano la cui caratteristica principale risiede nel fatto che i meccanismi che determinano la sua riproduzione sfuggono all'influenza delle istituzioni indigene, ritenute corrotte. Il discorso che articola in un legame intimo i comportamenti sociali e la trasmissione di un patrimonio istituzionale determinato, svolge allora una funzione eminentemente politica, poich i sotto-insiemi che costituiscono la nazione trovano in esso le condizioni intellettuali e normative della loro identificazione. L'azione politica dello Stato pu avere ora come obiettivo di impedire che la trasmissione ereditaria di parte indigena venga a corrompere la riproduzione sociale. La politica cos specificata, non consiste in effetti nel dare battaglia a dei nemici esterni od interni, a condurre una guerra offensiva, ma a tracciare delle linee di demarcazione, a consolidare delle frontiere, a costruire delle fortificazioni al fine di assicurarsi della perennit dell'ordine simbolico della nazione. La difesa della salute del corpo sovrano attraverso la salvaguardia della sua integrit morale passa per una vasta operazione di costruzione di sbarramenti, che inscrive in profondit nelle istituzioni il principio di una inclusione/esclusione, il principio secondo il quale la linea di divisione ormai interna tra un "noi" sicurizzante e un "loro" poco affidabile non presuppone alcun
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conflitto aperto, ma solamente la protezione giuridica, amministrativa e poliziesca di questa separazione. Il ricorso a un diritto speciale, alle tecniche della repressione e del controllo, all'azione poliziesca o militare violenta (alle volte perpetrata da civili) tutto questo partecipa di una medesima politica coloniale di conservazione del cordone sanitario indispensabile a mantenere a distanza la discendenza (filiation) indigena e il suo patrimonio ereditario. L'insieme della storia dell'emancipazione degli indigeni per mano dello Stato coloniale, notevole per il suo carattere singolarmente velleitario, marcata dall'incapacit dello Stato di trascendere questa concezione della politica, divenuta irreversibilmente strutturale. IV Senza dubbio non abbiamo ancora preso le misure di ci che implica questo nuovo dispositivo politico. In effetti, se pure le forze mobilizzate dallo Stato coloniale hanno per obiettivo di tenere a distanza la massa indigena al fine di salvaguardare la nazione dalla sua determinazione negativa, rimane che questa messa a distanza non si confonde affatto con un semplice rapporto di esclusione. La discendenza indigena non si presenta qui come una realt oggettiva che si tratterebbe semplicemente di mantenere al di l della linea di faglia. Tenere a distanza questa discendenza vuol dire altres fabbricare i dispositivi giuridici, gli aggiustamenti amministrativi e le azioni di polizia o militari necessarie alla sua costruzione sociale in quanto discendenza inautentica, inadeguata o non conforme alle norme in vigore all'interno della nazione. A partire da ci appare chiaramente che la posizione occupata dagli indigeni all'interno della nazione non tanto un effetto del loro essere legati allo statuto personale di "diritto musulmano" quanto piuttosto la conseguenza del giudizio portato dallo Stato sulla discendenza alla quale essi appartengono e della politica di eccezione che lo stato esercita contro di essa. La singolarit della politica coloniale a partire dagli anni '70 del XIX secolo risiede nel fatto che i colonizzati sono concepiti dall'organizzazione statale come corpi cui ampiamente sottratta la dimensione simbolica, corpi che rinviano necessariamente ad un dispositivo peculiare di controllo amministrativo e poliziesco. L'immagine dei corpi indigeni sottomessi al regime d'eccezione - cio a dire l'immagine del corpo d'eccezione - dipende inizialmente e principalmente dal dispositivo politico coloniale prima di avere un qualunque rapporto con l'esistenza stessa dei colonizzati. E' proprio perch lo Stato ha promosso una concezione della discendenza indigena secondo la quale essa si riproduce sulla base della sua inscrizione in una trasmissione ereditaria incapace di umanizzare correttamente, che ha potuto fare della salvaguardia del corpo politico costituito dalla nazione autentica l'essenza stessa della sua politica. La forza del dispositivo coloniale deriva dal fatto che esso instaura una ambiguit, che d'altronde da allora non stata mai superata, attorno al valore delle istituzioni dei colonizzati: la rappresentazione di un patrimonio ereditario propriamente indigeno costruita dalla politica statale presentata come l'immagine fedele di un fatto oggettivo, come la realt in se stessa. E' questa prolungata confusione tra la realt e la sua immagine statale (tatique) che permette di rappresentarsi un oggetto costruito - la finzione di una discendenza ribelle a ogni vita in societ e a ci determinata dalla trasmissione di un patrimonio ereditario patogeno - come una realt oggettiva che necessario isolare e di cui bisogna ridurre gli effetti nocivi sul processo di riproduzione della societ autentica. La garanzia dell'integrit o della pienezza della riproduzione della discendenza autentica passa attraverso il controllo di quella che autentica non . Il controllo delle condizioni politiche che presiedono alla riproduzione sociale della continuit della nazione presuppone che si domini e si contenga la discendenza inautentica. Questo doppio movimento di salvaguardia e di dominazione non potrebbe attuarsi senza una deformazione del senso stesso della politica la cui posta in gioco diviene la trasmissione di un patrimonio ereditario. Se vogliamo avere un'idea chiara di ci che lo Stato di diritto coloniale, bisogna tenere in considerazione il fatto che questo legame tra trasmissione di un patrimonio ereditario e politica costituisce la base da cui proviene essenzialmente la legittimit della sua azione.
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V Se vogliamo evitare l'ostacolo sul quale il pensiero viene qui necessariamente ad inciampare appare dunque necessario superare i pregiudizi abituali sulla politica storicamente promossa dallo stato di diritto per prendere in considerazione la sua struttura contraddittoria, assieme democratica ed antidemocratica. Si potrebbe in questo modo comprendere perch, nello stesso momento in cui si impegner in direzione di un'azione in favore dell'estensione egualitaria dei diritti politici e civili 10, lo Stato non sfuggir alle necessit insite nella concezione della politica che ha continuamente riproposto nel corso di tutta la storia della colonizzazione algerina. E' in particolare una disposizione messa in opera in questo periodo riguardante lo statuto delle persone, ad essere presentata come una misura di progresso. La misura mira in effetti a realizzare l'antico progetto di Viollette, attribuendo ad una parte degli indigeni (che da questo momento saranno dei "Francesi musulmani") la totalit dei diritti politici, senza rinuncia allo statuto personale. La cittadinanza viene concessa senza rinuncia allo statuto, come era gi stato fatto nei comuni di "pieno esercizio" del Sngal 11. Ciononostante, l'osservatore che non si lasci abbagliare dai discorsi propagandistici che accompagnano abitualmente simili testi, noter che la misura in questione resta in realt senza ambiguit all'interno del quadro generale della salvaguardia della autenticit della nazione. L'ordinanza adottata il 7 marzo 1944 dal Comit franais de libration nationale, futuro Gouvernement provisoire de la Rpublique franaise, prevede all'articolo 3 la creazione di una nuova categoria di persone: i "cittadini francesi a titolo personale" (citoyens franais titre personnel). L'articolo dispone che questi nuovi cittadini "siano iscritti sulle stesse liste elettorali dei cittadini non musulmani e che partecipino agli stessi scrutini". Questo testo non concerne evidentemente l'insieme dei colonizzati, ma qualche categoria di "Francesi musulmani", di cui ci si sar assicurati che abbiano testimoniato la loro adesione alle istituzioni del paese colonizzatore e alla sua politica. Su 7 milioni di indigeni, solo 65.000 sono presi di mira da questo dispositivo. Questa prima limitazione di carattere quantitativo appartiene naturalmente alla logica generale dell'esclusione degli indigeni in un ambiente coloniale. Ben pi espressiva e rivelatrice della specificit dei meccanismi messi in opera in Algeria la seconda restrizione, interamente contenuta nell'espressione " titre personnel". La nuova cittadinanza si specifica come legata ad una certa qualit appartenente singolarmente alla persona. Il carattere personale di questa cittadinanza implica la decisiva conseguenza della sua non trasmissibilit. Lungi dall'apparire come una semplice mostruosit giuridica, l'esistenza di questa categoria non shocka n la ragione n la morale correnti. Al contrario essa si inserisce naturalmente all'interno della concezione della trasmissione ereditaria di un patrimonio indigeno, concezione di cui rivela allo stesso tempo l'efficacia politica. La concessione della cittadinanza a certe categorie di indigeni selezionate in maniera esplicita ed esclusiva, implica la rigorosa negazione della sua trasmissione alla loro progenie. In tale modo i discendenti dei membri di queste categorie si trovano privati del beneficio dello ius sanguinis, peraltro ufficialmente riconosciuto. Abbiamo qui a che fare con una misura di profilassi politica: l'obiettivo consiste nel proteggere la nazione autentica contro i pericoli di denaturazione suscitati dai discendenti di questi nuovi cittadini ancora retti dallo statuto personale, istituzione responsabile della produzione di caratteri ereditari presupposti come incompatibili con la vita in societ. I figli di questi nuovi cittadini, nei quali si sospetta una alterazione ereditaria grave del comportamento e della soggettivit, sono dunque puramente e semplicemente piazzati al di fuori del circuito che conduce alla cittadinanza, attraverso un intervento mirato delle istanze giuridiche dello Stato. Vi in questo movimento un autentico ribaltamento dei criteri abituali di differenziazione umana che separano i bambini dagli adulti. Il bambino non rappresentato come un essere indeterminato, un essere potenziale. E' innanzitutto considerato come un corpo sottomesso ad una predestinazione
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storica, una sorta di indigeno adulto sotto la forma di un modello ridotto. Non un essere in potenza. La negazione della sua potenzialit equivale esattamente alla negazione di ogni possibile evento emancipatore. In quanto indigeno, proibito al bambino colonizzato di aprirsi al possibile. Senza dubbio questa determinazione inflessibile del bambino l'espressione pi radicale e pi insopportabile della chiusura implacabile, senza remissione, del colonizzato e della sua discendenza nella sua condizione di paria. Questa immagine dell'indigeno consuma le possibilit di un'esistenza che si cancella davanti all'egemonia di una metafisica stupefacente. In questa immagine l'essere indigeno non differenziato, ed rappresentato come sottomesso ad un corpo indisciplinato per effetto di una istituzione corrotta. E' in questo senso che si pu parlare di una essenza dell'indigeno. L'immagine istituita del colonizzato in quanto membro di una discendenza chiusa su se stessa, incapace di aprirsi umanamente agli altri, la rappresentazione stessa dell'essenza dell'indigeno. VI Non sar facile comprendere il vero senso dell'ordinanza del 7 marzo 1944, cos come non sar possibile comprendere la ragione per la quale essa fu promulgata senza grande difficolt nonostante la pretesa "rivoluzione" che essa sembrava introdurre nello statuto delle persone, fino a che la si legher ai soli domini della politica dell'esclusione o dell'ineguaglianza giuridica. E' chiaro che con la costruzione della categoria di citoyens franais titre personnel, non ci troviamo di fronte ad una operazione marginale o periferica, come si potrebbe pensare, n ad una necessit alla quale ci si trova costretti a sottomettersi controvoglia. La protezione della discendenza autentica attraverso la messa a distanza radicale della discendenza indigena costituisce al contrario una riaffermazione della politica complessiva di fortificazione della nazione autentica e della sua potenza sovrana. All'interno di questo specifico contesto, l'indigeno che viene "elevato" al rango di cittadino "all'interno dello statuto" deve rispondere alla stima manifestata nei suoi confronti attraverso questa misura, rinunciando al diritto fondamentale di trasmettere la cittadinanza alla sua discendenza. Detto in altri termini, ogni apertura del campo della cittadinanza, per quanto limitata possa essere, non pu farsi in realt che nella prospettiva di una conferma della struttura antidemocratica propria dello Stato di diritto, e della sua accettazione da parte dello stesso indigeno emancipato. E' proprio in quanto partecipa di questa riaffermazione della politica di salvaguardia della nazione che l'ordinanza del 7 marzo 1944 deve essere annoverata all'interno della genealogia dei testi giuridici inaugurata dal senato consulto del 14 luglio 1865 che non solamente ha prodotto i colonizzati in quanto indigeni, ovvero in quanto francesi di seconda classe, ma inoltre li ha fabbricati in quanto corpi d'eccezione. La costruzione del corpo d'eccezione - che presuppone la discriminazione fondamentale ratificata dal senato consulto del 14 luglio 1865, cos come il regime d'eccezione che culmina nella politica di terrore organizzata dallo Stato (in particolare nella regione di Constantine nel 1945 e gli eccessi commessi tra il 1954 e il 1962) - si fonda sull'ammissione della necessit di una nuova politica statale, capace di rendere possibile la vita della nazione in un ambiente che si suppone ostile. E' questa la ragione per la quale non possibile comprendere la funzione di asservimento e di morte esercitata dallo Stato di diritto coloniale fino a che la si mantiene al di fuori di ci che la legittima: la volont politica manifesta di garantire i diritti fondamentali di una discendenza giudicata autenticamente umana - ed in particolare il diritto alla libert ed alla vita morale - di contro all'ostilit immaginata di una discendenza dichiarata tirannica nella sua essenza. Parigi, Collge international de philosophie, settembre - ottobre 2002.

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Barkat, Il corpo d'eccezione e la cittadinanza intrasmissibile nell'Algeria coloniale

Note
1. " Les problmes algriens. Les droits lectoraux des indignes musulmans ", in Algrie 1830-1862, Jeanne Causs et Bruno de Cessole (sous la dir.), Paris, Maisonneuve et Larose/Valmonde, coll. " Les Trsors retrouvs de la Revue des Deux Mondes ", 1999, pp. 457-466. 2 " [Le statut personnel] qui rsulte pour les uns du Coran, pour les autres de la coutume, embrasse le droit civil comme le droit pnal, comme le droit religieux qui en est l'essence, et il rgle plus particulirement l'tat et la capacit des personnes. C'est en cette dernire matire que l'indigne y est le plus attach. Elle est prcisment en complte opposition avec notre droit franais, nos conceptions sociales et mme notre morale. " (Ibid., p. 461.) 3 " Accorder le droit de citoyen certaines catgories d'indignes sans qu'ils renoncent leur statut personnel : (...) Ce serait dmembrer la souverainet, au dtriment du 'conqurant' en faveur du 'conquis'. " (Ibid., p. 464.) 4 " Dans de nombreuses communes de l'intrieur de l'Algrie, les lecteurs d'origine indigne seraient plus nombreux que les lecteurs d'origine franaise (c'est un fait mathmatiquement constat) et l'on verrait de nombreuses municipalits composes en majorit d'indignes, des maires indignes unir des poux franais, les soumettre des lois civiles auxquelles ils chappaient eux-mmes, reprsenter le pouvoir central, ce qui leur confrerait des attributions politiques et une dlgation de l'autorit publique ! On voit d'ici quelle serait cette administration communale confie des mains inexpertes, ayant une conception compltement oppose la ntre, nos murs, nos penses, nos besoins, notre civilisation. " (Ibid., p. 465.) 5 Questo testo rimarr alla base del regime politico e amministrativo algerino fino al 1946 (C. Collot, Les Institutions de l'Algrie durant la priode coloniale (1830-1962), Editions du CNRS, Paris et Office des publications universitaires, Alger, 1987). Esso introduce formalmente la distinzione tra citoyen e indigne. L'articolo 1 dispone che: " L'indigne musulman est franais ; nanmoins il continuera tre rgi par la loi musulmane. Il peut tre appel servir dans les armes, il peut tre appel des fonctions et emplois civils en Algrie. Il peut sur sa demande tre admis jouir des droits de citoyen franais ; dans ce cas, il est rgi par les lois civiles et politiques de la France ". 6 A proposito dei dibattiti che precedono la promulgazione del senato consulto del 1865, citando l'Expos delle motivazioni del Consigliere di Stato Flandrin letto il 22 juin 1865, C.-R. Ageron scrive nel suo Les Algriens musulmans et la France (1871-1919) : " [...] la majorit des conseillers d'Etat et des snateurs jugrent que 'le plein exercice des droits de citoyen franais' est incompatible avec la conservation du statut musulman et de ses dispositions, contraires nos lois et nos moeurs sur le mariage, la rpudiation, le divorce et l'tat civil des enfants'. " Aggiunge poi : " Le rapport Delangle met en avant les mmes impossibilits tenant 'aux droits et usages incompatibles avec la pudeur, la morale, le bon ordre des familles'. " (Paris, PUF, 1968, t. 1, p. 344.) 7 Ciononostante l'Algeria non equiparata giuridicamente ad una colonia. La sua amministrazione dipesa da svariati ministeri (della Guerra, dell'Interno, etc.), ma mai dal ministero della Marina n da quello delle Colonie come gli altri possedimenti francesi. 8 25 000 personne nel 1840, 109 000 nel 1847, 160 000 nel 1856, 630 000 nel 1901 e 900 000 nel 1954. 9 Questa concezione si allontana tuttavia dalla concezione biologista della trasmissione. Le caratteristiche in questione sono concepite come un'eredit trasmessa attraverso la tradizione. 10 Discorso del generale de Gaulle, pronunciato a Constantine il 12 dicembre 1943. 11 Durante la III Repubblica, l'assimilazione completa degli indigeni praticata anche nei comptoirs dell'India, a Sainte-Marie in Madagascar e nei territori che in seguito diverranno i dipartimenti d'oltre mare (DOM).
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Tesi di laurea in filosofia politica

a cura di Maria Chiara Pievatolo pievatolo@dsp.unipi.it e Nico De Federicis nikita@sssup.it. Ultimo aggiornamento: 16 settembre 2003

Spazio tesi
Questa pagina destinata alla pubblicazione di tesi di laurea di filosofia politica e discipline affini, perch i giovani studiosi meritevoli possano mettere il loro lavoro a disposizione di tutti in maniera immediata e gratuita. Chi fosse interessato a pubblicare in questa rubrica una versione ipertestuale della propria tesi pu chiedere informazioni a Maria Chiara Pievatolo

Katia Bonchi, Potere, discipina e controllo sociale nel pensiero di Michel Foucault Emanuela Ceva, Pluralismo, identit e riconoscimento. Modelli teorici di convivenza Jacopo Della Porta, La rivoluzione tra storia, politica e riflessione filosofica Francesca Di Donato, Ruoli femminili e societ 'attuale'

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Potere, disciplina e controllo sociale nel pensiero di Michel Foucault


di Katia Bonchi Universit degli Studi di Genova Facolt di Scienze politiche

Relatore: prof. Alessandra Anteghini (discussa il 18/12/2000)

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In uno dei suoi ultimi scritti Foucault precisava che il tema generale della sua ricerca era il soggetto e non il potere o, meglio, il modo in cui i soggetti sono collocati entro rapporti di potere molto complessi. Ogni relazione intersoggettiva , secondo Foucault, una relazione di potere. E ogni relazione di potere, dal rapporto tra due individui ai grandi apparati istituzionali, presuppone le proprie strategie, i propri meccanismi e un sapere specifico che ne la condizione di esercizio. Seguendo questo filo conduttore, ho abbracciato per intero il percorso foucaultiano, almeno nelle sue opere principali: - Il primo capitolo tratta degli scritti di Foucault degli anni sessanta: la monumentale Histoire de la Folie, la Nascita della clinica o "archeologia dello sguardo medico", la storia delle epistemi di Le Parole e le Cose e, infine, l'Archelogia del Sapere (1969), dove l'autore si prefigge di chiarire il metodo di analisi fino ad allora utilizzato l'archeologia appunto - che, paradossalmente, dopo quest'opera, assumer una funzione molto pi marginale. - Il secondo si apre con un'introduzione che descrive lo spostamento metodologico dall'archeologia alla genealogia di matrice nietzscheana. Vengono poi analizzati i due principali scritti degli anni settanta, Sorvegliare e punire e La volont di sapere, dove emergono pi chiaramente i concetti di potere, disciplina e controllo che ho scelto come chiave di lettura per questa tesi. - Il terzo capitolo continua ad occuparsi del potere, cos come Foucault ne ha trattato nelle numerose interviste e conferenze tenute nel corso degli anni '70, del ruolo degli intellettuali rispetto al potere e del rapporto tra Foucault e i movimenti di contestazione nati alla fine degli anni sessanta. - Il quarto parla dell'ultimo Foucault e del suo volgere lo sguardo all'antichit greca e romana alla ricerca di un'etica possibile per il presente. Vengono presi in esame il secondo e il terzo volume della Storia della sessualit: L'uso dei piaceri e La cura di s. - Il quinto e ultimo capitolo pu essere considerato una sorta di appendice che valica, in un certo senso, i confini di questa tesi. Il mio tentativo stato quello di applicare le analisi di Foucault sul potere panottico e sul rapporto tra sapere e potere alla societ postfordista, cercando di individuare alcune delle principali forme di controllo politico e sociale contemporanee e di delineare il ruolo svolto dalle nuove tecnologie. Si tratta di un tema, qui solo abbozzato, molto complesso e dibattuto anche perch in continua evoluzione. Per questo, una volta di pi, la lezione di Foucault risultata fondamentale: non possibile suggerire una soluzione definitiva vincente per rapporti cos numerosi, instabili e mutevoli nel tempo quali sono i rapporti di potere. Nessuna rivoluzione, nessuna liberazione ci render davvero estranei ad essi. Ma ci sono tanti possibili modi diversi per affrontarli su nuove basi, e magari per rovesciarli, con la consapevolezza che nessuna vittoria mai definitiva e che ogni lotta quotidiana implica sempre un ripensamento del rapporto con se stessi e con gli altri.

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Introduzione 1. MICHEL FOUCAULT, ARCHEOLOGO DEI POTERI E DEI SAPERI

1.1 Lo studio delle pratiche discorsive e della loro dipendenza dalle istituzioni sociali nella Storia della follia 1.2 le "strutture profonde del discorso": la Nascita della clinica 1.3 Un'archeologia delle scienze umane: Le Parole e Le Cose 1.4 La giustificazione teorica del metodo archeologico: l'Archeologia del Sapere

2. I LIMITI DEL METODO ARCHEOLOGICO E IL PASSAGGIO ALLA GENEALOGIA

2.1 Sorvegliare e punire: la nascita del potere disciplinare 2.2 Dall'ipotesi repressiva al dispositivo della sessualit: La volont di sapere 2.3 Le tecnologie del potere moderno: l'anatomo-politica e la biopolitica

3. PER UN'ANALITICA DELLE RELAZIONI DI POTERE

3.1 La microfisica del potere: genealogia e strategie 3.2 La filosofia analitica della politica e il ruolo degli intellettuali 3.3 La questione dell'"impegno": Foucault e il '68

4. IL PROBLEMA DELL'ETICA NELL'ULTIMO FOUCAULT

4.1 Genealogia del s come soggetto morale 4.2 La cura di s come pratica di libert

5. DOPO E OLTRE FOUCAULT


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5.1 Dalle societ disciplinari alle societ di controllo 5.2 Panopticon elettronico e sorveglianza globale: il ruolo delle tecnologie dell'informazione

Bibliografia

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biblio

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home |abstract | indice | bibliografia | Bibliografia Opere di Michel Foucault

Le parole e le cose. Un'archeologia del scienze umane, Milano, Rizzoli, 1967. Nascita della clinica, Torino, Einaudi, 1969. L'archeologia del sapere, Milano, Rizzoli, 1971. Scritti letterari, Milano, Feltrinelli, 1971. L'ordine del discorso, Torino, Einaudi, 1972. Storia della follia nell'et classica, Milano, Rizzoli, 1976. Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Torino, Einaudi, 1976. Microfisica del potere. Interventi politici, Torino, Einaudi, 1977. Raymond Russel, Bologna, Cappelli, 1978. La volont del sapere, Milano, Feltrinelli, 1978. Il potere e la parola, Bologna, Zanichelli, 1978. . L'uso dei piaceri, Milano, Feltrinelli, 1984. . La cura di s, Milano, Feltrinelli, 1984. Resums des Cours 1970-82, Livorno, Csoa Godzilla, 1994. . ARCHIVIO FOUCAULT I, Follia, scrittura, discorso, Milano, Feltrinelli, 1996*. . ARCHIVIO FOUCAULT II, Poteri, saperi, strategie, Milano, Feltrinelli, 1997*. . ARCHIVIO FOUCAULT III. Estetica dell'esistenza, etica, politica, Milano, Feltrinelli,1997*. (*Questi tre volumi contengono la maggior parte dei saggi, interventi e conferenze di M. Foucault usciti dal 1954 al 1984).

Principale bibliografia critica

. STEFANO BERNI, Soggetti al potere, Milano, Mimesis, 1998. . MAURICE BLANCHOT, Michel Foucault come io l'immagino, Genova, Costa&Nolan, 1988. . STEFANO CATUCCI, Introduzione a Foucault, Bari, Laterza, 2000. . PIERRE DALLA VIGNA (CUR), Michel Foucault: poteri e strategie, Milano, Mimesis, 1994. . CHIARA DI MARCO, Critica e cura di s: l'etica di Michel Foucault, Milano, FrancoAngeli ,1999. . CLAUDIA DOVOLIC, Singolare e Molteplice. Michel Foucault e la questione del soggetto, Milano, FrancoAngeli, 1999. . HUBERT DREYFUS- PAUL RABINOW, La ricerca di Michel Foucault, Roma, Ponte alle Grazie, 1989. . GILLES DELEUZE, Foucault, Milano, Feltrinelli, 1987. . GILLES DELEUZE, Divenire molteplice, Verona, Ombre corte, 1996. . DIDIER ERIBON, Michel Foucault, Milano, Leonardo, 1991. . PIER ALDO ROVATTI (CUR), Effetto Foucault, Milano, Feltrinelli, 1988. . DUCCIO TROMBADORI, Colloqui con Foucault, Bologna, Castelvecchi, 1999. . AAVV, Biopolitica e territorio, Milano, Mimesis (coll. Millepiani), 1996.

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biblio

. AAVV, Eterotopie, Milano, Mimesis (coll. Millepiani), 1997. Altre fonti: . ALDO BONOMI, Il trionfo della moltitudine, Milano, Bollati Boringhieri, 1999. . STANLEY COHEN, Visions of social control, Cambridge, Polity Press, 1985. . ALESSANDRO DE GIORGI, Zero Tolleranza. Strategie e pratiche della societ di controllo, Roma, Ed. DeriveApprodi, 2000. . DAVID LYON, L'occhio elettronico. Privacy e filosofia della sorveglianza, Milano, Feltrinelli, 1997. . SALVATORE PALIDDA, Polizia postmoderna. Etnografia del nuovo controllo sociale, Milano, Feltrinelli, 2000. . AAVV., La societ del controllo, numero speciale di "DeriveApprodi", n17, 1999. .Il forum sul controllo della rivista romana INFOXOA: http://www.tmcrew.org/infoxoa/controllo/index.html . La pagina web del professor Gary Marx: http://web.mit.edu/gtmarx/www/garyhome.html . Un ricco sito italiano sugli strumenti di sorveglianza (e controsorveglianza) elettronica: http://members.xoom.it/IctrlU

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Spazio tesi . Ultimo aggiornamento: 7 luglio 2000

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Pluralismo, identit e riconoscimento. Modelli teorici di convivenza


Tesi di laurea di Emanuela Ceva (cevaem@tin.it) Relatore: Prof. Salvatore Veca Luogo e data di discussione: Universit degli Studi di Pavia, 30 marzo 2000 votazione conseguita: 110/110 e lode

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Pluralismo, identit e riconoscimento. Modelli teorici di convivenza. ABSTRACT

Spazio tesi . Ultimo aggiornamento: 12 agosto 2000

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ABSTRACT
Questa riflessione prende vita da un interesse per un'indagine teorica sulle diverse situazioni d'incertezza identitaria, generanti questioni problematiche fondate su di una connessione non-banale tra identit e richieste di riconoscimento. Per meglio delineare le coordinate di un simile argomento si pensato di prendere in considerazione, come prima e particolarmente significativa circostanza di incertezza, la prospettiva multiculturale, ossia la connotazione in termini di pluralismo etico ed identitario, che caratterizza la maggior parte delle realt sociali contemporanee. La tendenza alla globalizzazione, da un lato, e il crescente bisogno di radicamento, dall'altro, sembrano mettere a dura prova la validit ed il significato delle tradizionali cerchie di riconoscimento, per lo pi definite in termini di omogeneit etnica e culturale; gli stessi modelli teorico-normativi, costruiti al fine di delineare prospettive di risoluzione per tali problematiche di convivenza e di ricostruzione di dimensioni identitarie entrate in crisi, vengono messi a dura prova di fronte ad un simile ordine di questioni, connesse ad una svolta in senso pluralistico, subita dalle strutture fondamentali dell'universo politico, sociale e culturale. Su di un terreno sociale caratterizzato da simili circostanze, avviene l'incontro tra culture differenti, un incontro che assume i connotati di un confronto e di uno scontro tra diverse dimensioni che lottano per il riconoscimento pubblico del proprio valore; un incontro che porta con s nuove e complesse sfide di inclusione, di tolleranza e di convivenza pacifica. Entro un simile contesto possiamo comprendere una caratteristica fondamentale dell'identit moderna: la sua intrinseca instabilit che si traduce in una costante ricerca di conferme a livello interpersonale. L'identit moderna non si presenta allora come uno status da raggiungere e fissare una volta per tutte, ma come un progetto che ognuno di noi chiamato a portare avanti e a modificare nel tempo. Tutto ci si traduce in una tensione verso la certezza: data l'instabilit della nostra condizione, il mutare delle sfide che siamo chiamati a fronteggiare e i sempre differenti soggetti con cui ci dobbiamo confrontare, le lotte per l'affermazione della nostra peculiarit prendono le sembianze di un tentativo di raggiungere la stabilit, di superare l'incertezza, il dubbio. Se, dunque, l'incertezza chiede teoria quello che ho cercato di fare delineare alcuni modelli teoriconormativi di convivenza, che permettano di giungere ad una sorta di modello ottimale, entro i cui confini vengano prese sul serio le richieste di riconoscimento identitario, connesse al fatto del pluralismo, e si delineino istituzioni in grado di costruire una nuova realt politica che colmi il vuoto normativo lasciato
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Pluralismo, identit e riconoscimento. Modelli teorici di convivenza. ABSTRACT

dall'entrata in crisi del tradizionale modello di stato-nazione. Per fare questo ho preso in esame alcuni fra i modelli teorici principali che hanno animato, e animano tuttora, il dibattito filosofico-politico contemporaneo. La prima impostazione ad essere considerata quella comunitaria, in particolare quella che possibile ricostruire a partire dalle riflessioni di C. Taylor, la quale si rivela essere strettamente legata a modelli di omogeneit e di corrispondenza etico-politica, che non sembrano prendere sul serio la realt pluralistica, entro i cui confini siamo chiamati a riflettere. In secondo luogo mi sono soffermata sulle proposte provenienti dall'area liberale neutralista rappresentata dalla riflessione di C. Larmore, e quella espressa dal liberalismo politico di J. Rawls. In questo caso il problema pi rilevante , a mio avviso, connesso all'idea di neutralit dello stato; un'idea, questa, che non sembra tenere nella dovuta considerazione le richieste di visibilit sociale avanzate dai gruppi minoritari, condannandoli all'invisibilit politica. Di qui la necessit di individuare un approccio alternativo che pu, a mio avviso, trovare espressione nella riflessione di J. Habermas la quale, proponendosi come sintesi tra comunitarismo e neutralismo, presenta un modello teorico democratico sensibile alle differenze ed alle problematiche identitarie e, nello stesso tempo attento alle esigenze di neutralit politica come risposta al pluralismo etico. All'interno del modello habermasiano, infatti, il dialogo politico risulta essere eticamente connotato grazie all'apertura di spazi per il confronto democratico, cui ogni cittadino ha accesso in virt di un sistema rappresentativo fondato su di un flusso costante di comunicazioni tra il centro e la periferia. L'imparzialit delle istituzioni e la legittimit delle decisioni prese vengono cos garantite dall'eguale possibilit di partecipazione all'arena del dialogo politico concessa ad ogni cittadino, il quale potr considerarsi, in questo modo, non solo come destinatario, ma anche e soprattutto come autore delle norme, su cui si vanno a strutturare le interazioni sociali stesse. Nonostante la pregnanza etica del discorso politico non dobbiamo credere che l'accordo tra i cittadini coinvolga tutti gli aspetti della loro vita, dalle concezioni del bene alle convinzioni in materia di giustizia distributiva. L'accordo su cui si struttura il vivere comune stesso un accordo prettamente politico, che verte in particolare sulle procedure di produzione giuridica e di legittimo esercizio del potere. Un accordo politico, dunque, che lascia vivere al suo esterno il pluralismo etico: a partire da un simile equilibrio tra l'etico ed il politico ho avvertito, in conclusione, l'esigenza di mettere alla prova il modello pluralistico delineato, applicandolo ad un caso concreto particolarmente problematico: il progetto di unione europea. In modo particolare ho cercato di delineare prospettive possibili per l'integrazione europea, all'interno di un orizzonte di accordo politico e rispetto delle differenze, seguendo il suggerimento habermasiano per un'unione nella pluralit delle nazioni.

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Pluralismo, identit e riconoscimento. Modelli teorici di convivenza. INDICE

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PREMESSA

INTRODUZIONE 1.Identit e riconoscimento 2.Genesi discorsiva dell'identit collettiva 3.Problematizzazione della connessione tra identit e riconoscimento 4.Le risposte normative al pluralismo

CAPITOLO I La risposta comunitaria: Charles Taylor 1.Introduzione all'impostazione comunitaria 2.Contestualizzazione del processso di formazione identitaria 3.La critica di M. Sandel al liberalimo 4.L'idea di autorealizzazione personale 5.Comunitarismo e sfide pluralistiche

CAPITOLO II Riflessioni sulla tesi comunitaria

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Pluralismo, identit e riconoscimento. Modelli teorici di convivenza. INDICE

1.Limiti della proposta comunitaria 2.Conclusione

CAPITOLO III La risposta liberale neutralista: Charles Larmore 1.Neutralit dello stato liberale 2.Una giustificazione neutrale della neutralit politica 3.Conclusione

CAPITOLO IV La risposta di John Rawls: il liberalismo politico 1.Le ragioni del liberalismo politico 2.La posizione originaria e il velo d'ignoranza 3.Il consenso per intersezione 4.Conclusione

CAPITOLO V Riflessioni sulla tesi liberale 1.La critica comunitaria al neutralismo 2.Sfera pubblica e sfera privata 3.Riflessioni sulla tolleranza 4.Conclusione

CAPITOLO VI La risposta di Jrgen Habermas 1.Introduzione al proceduralismo habermasiano 2.La costituzione come progetto

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Pluralismo, identit e riconoscimento. Modelli teorici di convivenza. INDICE

3.Costruzione di uno spazio di condivisione 4.Funzione socio-integrativa del diritto 5.La natura democratica del concetto di diritto 6.Strutture democratiche di comunicazione

CAPITOLO VII Riflessioni sulla tesi habermasiana: tra comunitarismo e neutralismo 1.I concetti di eguaglianza e libert 2.La reazione habermasiana alle proposte comunitarie 3.La reazione habermasiana alle proposte liberali neutraliste 4.La proposta habermasiana come sintesi tra la tesi comunitaria e quella neutralista 5.Analisi degli elementi strutturali della tesi habermasiana 6.Prospettive per l'integrazione 7.Conclusione

CAPITOLO VIII La discussione in famiglia tra Habermas e Rawls 1.La societ chiusa di fronte alle sfide del pluralismo 2.I limiti dell'idea di posizione originaria 3.Ragioni dell'efficacia della proposta habermasiana 4.Richieste di riconoscimento e riabilitazione sociale 5.Condizioni per la realizzazione di una convivenza pacifica 6.Critica al costituzionalismo rawlsiano 7.Conclusione

CONCLUSIONE

APPENDICE L'identit europea tra pluralismo etico e unit politica 1.Globalizzazione economica e allargamento dei confini nazionali

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Pluralismo, identit e riconoscimento. Modelli teorici di convivenza. INDICE

2.Regolamentazione politica e dialogo democratico 3.Prospettive per un'unione politica europea 4.Conclusione

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Pluralismo, identit e riconoscimento. Modelli teorici di convivenza. BIBLIOGRAFIA

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Abstract

BIBLIOGRAFIA
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H. Arendt, Sulla violenza, in Eadem, Politica e menzogna, tr. di S. D'Amico, SugarCo Edizioni, Milano, 1985 -The Human Condition, Garden City, 1959 M. Canovan, Friendship, truth, and politics: Hannah Arendt and toleration, in S. Mendus (ed), Justifying toleration, Cambribge University Press, Cambridge, 1988 J. Cohen, Deliberation and Democratic Legitimation, in A. Hamlin - B. Petit (a cura di), The Good Polity, Oxford, 1989 S. Dellavalle, Chi ha paura dell'unione europea, in Teoria Politica, XIV, n1, 1998 R. Dworkin, I diritti presi sul serio, tr. di F. Oriana, cura di G. Rebuffa, il Mulino, Bologna, 1982 -I fondamenti dell'eguaglianza liberale, in R. Dworkin - S. Maffettone, I fondamenti del liberalismo, tr. di M. Mangini, Laterza, Roma-Bari, 1996 D. J. Elazar, Idee e forme del federalismo, tr. e cura di L. M. Bassani, Edizioni di Comunit, Milano, 1995 A. Ferrara (a cura di ), Comunitarismo e liberalismo, Editori Riuniti, Roma, 1992 A. E. Galeotti, La tolleranza. Una proposta pluralista, Liguori, Napoli, 1994 C. Geertz, Interpretazione di culture, tr. di E. Bona, intr. di F. Remotti, il Mulino, Bologna, 1987 J. Habermas, Fatti e norme, tr. e cura di L. Ceppa, Guerini e Associati, Milano, 1996 -L'inclusione dell'altro, tr. e cura di L. Ceppa, Feltrinelli, Milano, 1998 -Solidariet tra estranei, tr. e cura di L. Ceppa, Guerini e Associati, Milano, 1997 -La costellazione postnazionale, tr. e cura di L. Ceppa, Feltrinelli, Milano, 1999 -L'insostenibile contingenza della giustizia, in MicroMega, n 5, 1996 -Reconciliation through the public use of reason: remarks on John Rawls's political liberalism, in The Journal of Philosophy, XCII, n3,1995 J. Habermas, C. Taylor, Multiculturalismo. Lotte per il riconoscimento,tr. di L. Ceppa e G. Rigamonti, Feltrinelli, Milano, 1999

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Pluralismo, identit e riconoscimento. Modelli teorici di convivenza. BIBLIOGRAFIA


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Pluralismo, identit e riconoscimento. Modelli teorici di convivenza. BIBLIOGRAFIA

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jacopoXX

Spazio tesi . Ultimo aggiornamento: 7 luglio 1999

Universit degli Studi di Parma Facolt di Lettere e Filosofia

JACOPO DELLA PORTA *

LA RIVOLUZIONE TRA STORIA, POLITICA E RIFLESSIONE FILOSOFICA


Tesi di laurea Relatore: Prof. Ferruccio Focher

Parte prima.

Il concetto di rivoluzione e la sua origine


Capitolo I. Il concetto di rivoluzione prima del '700

1. Definizione generica di rivoluzione 2. La rivoluzione non possibile nella visione storica degli antichi 3. L'alto medioevo: La legittimazione del potere e la necessit dell'obbedienza

4. Stabilit e diritto di resistenza nel medioevo 5. La rivoluzione non concepibile nella visione medioevale cristiana della storia e del potere 6. Gioacchino da Fiore. Un precursore ante - litteram delle teorie rivoluzionarie?

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7. Differenza tra le riforme religiose e le rivoluzioni 8. Povert e rivoluzioni 9. Differenza tra rivolta e rivoluzione 10. Machiavelli e la rivoluzione Capitolo II. Le rivoluzioni storiche 1. La rivoluzione inglese 1.1 1.2 1.3 Locke e la Gloriosa Rivoluzione Locke ed il giusnaturalismo Locke e il diritto di resistenza

2. La rivoluzione americana 2.1 2.2 2.3 Emancipazione dalla madrepatria e fondazione della libert Fortuna e sfortuna della rivoluzione americana Rivoluzione Americana ed illuminismo

3. La rivoluzione francese 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6 L'influenza della rivoluzione francese sui contemporanei e sui posteri Irresistibilit della rivoluzione francese Rivoluzione come processo Rivoluzione come risposta alle crisi politiche e sociali Il Terrore: questione sociale e potere illimitato Il Terrore l'esito dell'utopia?

Parte seconda

La Rivoluzione nella riflessione filosofica


1. Burke ed Hayek

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1.1 1.2 1.3

Visione della storia in Burke Concezioni attuali e superate in Burke Burke ed Hayek: provvidenzialismo ed evoluzionismo

1.4 Burke ed Hayek: la critica alle "pretese" della ragione e l'esaltazione del riformismo 1.5 2. Burke ed Hayek : alcuni rilievi critici Hegel e la rivoluzione

2.1 La filosofia della storia di Hegel rivoluzionaria ? 3. Marx : Il rifiuto della realt esistente 3.1 Necessit e rivoluzione

4. Kant 5. 5.1 Arendt : "Sulla rivoluzione". Arendt: rivoluzione e politica

5.2 Arendt e Burke: due diverse critiche alla rivoluzione francese 5.3 5.4 5.5 5.6 Arendt: rivoluzione e filosofia della storia Arendt: il problema dell'assoluto e la rivoluzione Arendt: Rousseau ed il Terrore Arendt: il terrore e la virt

NOTE BIBLIOGRAFIA Note biografiche

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NOTE
1 G. Petrillo, Rivoluzione, in: "Dizionario di Storia", Il Saggiatore, Milano 1993, p. 1078; 2G. Petrillo, ibid., p. 1078; 3H. Arendt, Sulla rivoluzione, Edizioni di Comunit 1996, p. 24;4 H. Arendt, Ibid., p. 24; 5 K. Lwit, Significato e fine della storia, il Saggiatore, Milano 1991, p. 24; 6 H. Arendt, Sulla rivoluzione, p. 22, e P. Miccoli, Filosofia della Storia, Citt Nuova, Roma , pp. 17-23; 7 P. Miccoli, Filosofia della storia. Antologia di testi, op. cit., p. 12; 8 P. Miccoli, ibid., p. 13; 9 Platone. La Repubblica, R.C.S libri Milano 1994, Libro VIII p. 282; 10 P. Miccoli, ibid., p. 13; 11 P. Miccoli, ibid., pag.14; 12 H. Arendt, Sulla rivoluzione, op cit. , pp 15-24; 13 P. Miccoli, ibid., pag 15; 14 P. Miccoli, ibid., pag 16; 15 Queste considerazioni sulla visione degli antichi sono tratte da H. Arendt, op. cit., 1 capitolo; K. Lowith, op. cit. , introduzione; P. Miccoli, op. cit., p. 16; 16 P. Miccoli, ibi., p. 101; 17H. Arendt, Sulla Rivoluzione, op. cit., p. 23; 18 P. Miccoli, ibid, p. 15; 19 P. Miccoli, op. ci., p.16; 20 P. Miccoli, ibid, p. 107- 109; 21 K. Griewank, Il concetto di rivoluzione nell'et moderna, La nuova Italia Scientifica, Firenze1979, p. 31; 22 J. M .Kelly, Storia del pensiero giuridico occidentale, Il Mulino, Bologna, 1996, III Cap.; 23 J. M .Kelly. op. cit., p. 131; 24 .Gilson, La filosofia del medioevo, La Nuova Italia, Firenze, 1985, pp. 184- 206; 25 J.M.Kelly, Storia del pensiero giuridico occidentale, op. cit., p. 144; 26 J.M.Kelly, Storia del pensiero giuridico occidentale, op. cit., p. 132-33; 27 .Gilson, La filosofia del Medioevo, op. cit., pp. 184-206; 28 J. M. Kelly, Storia del pensiero giuridico occidentale, op. cit., p. 128; 29 J. M. Kelly, ibid., p. 130; 30 J.M.Kelly, Storia del pensiero giuridico occidentale, op. cit., p. 130; 31 J.M.Kelly, Storia del pensiero giuridico occidentale, op. cit., p.169; 32Sofocle, Antigone, Mondadori, Milano 1982; 33 K.Lwith, Significato e fine della storia , Il Saggiatore, Milano1991, passim; 34K.Lwith, ibid., pp. 169-183; 35 Gioacchino racconta di come ebbe
una rivelazione e vide il significato del libro di Giovanni. Cap che le figure, gli animali e i personaggi dei testi sacri indicavano eventi della storia che erano accaduti e che dovevano accadere. Le Scritture illuminavano la realt storica e viceversa. Dalla sua illuminazione deriv la convinzione di aver capito le fasi dello svolgimento provvidenziale della storia. La prima epoca quella degli ebrei che furono schiavi sotto la legge. La seconda quella dei cristiani che si liberarono della moralit legalitaria e si aprirono allo spirito. La terza epoca sar, e per lui cominciava allora, quella in cui lo spirito avrebbe trionfato completamente. La terza fase comincia a realizzarsi con San Benedetto e quando sar compiuta sostituir la chiesa dei sacerdoti con quella dei puri seguaci di Cristo ovvero i monaci.; 36 H. Arendt, Sulla rivoluzione, op. cit., p. 22; 37 K. Griewank, Il concetto di rivoluzione nell'et moderna, op. cit., p. 40; 38 Hus conobbe gli scritti dell'inglese Wyclif che si era battuto contro il potere papale e contro la corrotta chiesa "visibile" e li trasform nell'oggetto della propria predicazione. La riforma della Chiesa
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da lui invocata si basava sul ritorno alla purezza primordiale dei primi cristiani. La sua opposizione alle gerarchie ecclesiastiche ne comportarono prima la scomunica e poi la messa a morte. Dopo la sua esecuzione alcune sue idee come la lotta ai peccati dei potenti e l'opposizione ai tedeschi fece si che il suo messaggio fosse interpretato dai suoi seguaci in un ottica di riscatto sociale e nazionale. I seguaci di Hus diedero vita ad una dura opposizione alla Chiesa Romana e all'imperatore Sigismondo. In questa rivolta si unirono in maniera singolare le rivendicazioni economico sociali dei contadini e degli artigiani a quelle millenaristiche e religiose. La parte pi radicale del movimento, i Taboriti. proclamavano che la nuova epoca di salvezza cominciava in quel preciso momento storico.; 39K.Griewank, Il concetto di rivoluzione nell'et moderna, op. cit., p. 51; 40 La rivolta dei contadini era scoppiata a seguito della predicazione infiammata di Thomas Mntzer il quale oltre ad invocare una trasformazione della corrotta Chiesa di Roma, prospettava anche un cambiamento degli assetti sociali esistenti per superare le ingiustizie. La rivolta dei contadini un perci rivendicazioni religiose quali la lotta alla corruzione del clero, la rivendicazione dell'autonomia della Chiesa tedesca e il desiderio di conformarsi al messaggio evangelico, a rivendicazioni di carattere sociale quali la difesa "degli antichi diritti dei contadini" e l'affermazione dell'uguaglianza tra gli uomini cos come era professata dal vangelo. Nella teologia di Mntzer aveva un' importanza centrale il ruolo dell'illuminazione attraverso cui Dio sceglie i suoi eletti. Questa lite di convertiti entra ben presto in conflitto con il mondo poich non riconosce pi il sistema politico e sociale anzi vi si oppone. Il pensiero di Mntzer richiama alla mente l'idea degli Hussiti di voler instaurare un ordine apostolico di potere e possesso e l'attesa di Gioacchino per una nuova et dello spirito. Il pensiero di Mntzer non mancava di idee originali destinate e sopravvivergli come ad esempio l'enfasi della funzione guida di un idea fissa e il ruolo centrale dell'illuminato nel processo di trasformazione.; 41 H. Arendt, Sulla rivoluzione, op. cit., p.16; 42 H. Arendt, ibid, pp. 16-17; 43 H. Arendt, ibid, pag 17 44 P. Melograni, La modernit e i suoi nemici, Mondadori, Milano 1996, pp. 103-105; 45 H. Arendt, Sulla rivoluzione, op. cit., p. 47; 46 H. Arendt, ibid., p. 33; 47 H. Arendt, ibid., op. cit., pp. 32-39; 48 N. Machiavelli, Il Principe, Edizione CDE su licenza della Mondadori, 1989, cap XXV; 49L. De Vendittis, Machiavelli in: La Letteratura Italiana, Zanichelli, Bologna 1992, p. 313; 50 L. De Vendittis, La letteratura Italiana, op.cit., Il Cinquecento, pp. 228-34; 51H. Arendt, Sulla rivoluzione, op. cit., p. 34; 52H. Arendt, ibid., p. 35; 53 H. Arendt,ibid., op. cit., p. 40; 54 E.S.De Beer, La rivoluzione Inglese, in: Storia del mondo moderno, volume VI, Garzanti su licenza della Cambridge University Press, Milano 1971; 55 I conflitti si erano acuiti a partire dall'incoronazione di Giacomo Stuart I nel 1603, in ordine a questioni religiose e finanziarie. La dinastia Stuart cerc nel corso di un secolo di dotarsi degli strumenti economici per dar vita ad una monarchia assoluta e cerc di imporre uniformit al culto religioso in opposizione alle tendenze predominanti nel paese. La dura opposizione dei parlamentari al sovrano giunse fino alle conseguenze della guerra civile. Carlo I nel 1649 era decapitato mentre Cromwell dichiarava la nascita della Repubblica d'Inghilterra, di Scozia e d'Irlanda.; 56 E.D. Beer, La rivoluzione Inglese, in: Storia del mondo moderno, op. cit., p. 248; 57 I parlamentari dichiararono che il sovrano aveva abdicato alla corona a causa del suo comportamento. Questa finzione dell'abdicazione serviva a tacitare gli scrupoli dei Tories, in quanto questi erano ancora legati al concetto del legittimismo e della monarchia di diritto divino.; 58 Infatti, molti puritani appartenenti a sette in dissenso con la Chiesa Anglicana abbandonarono la madrepatria per colonizzare i territori dell'America e realizzare nuovi
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modelli di convivenza, basati sulle loro convinzioni religiose. D'altronde Calvino stesso non riconosceva la separazione tra il potere politico e quello religioso e anzi subordinava il primo al servizio del secondo come dimostra la sua " Repubblica dei Santi " che instaur a Ginevra. Il fatto che gli Stuart continuassero ad appoggiarsi ad un episcopato in cui restavano le tracce dell'odiato papismo urtava contro la concezione di molti dell'organizzazione ecclesiastica come generata dal basso.; 59H. Arendt, Sulla rivoluzione, op. cit., p. 45; 60 S. Skalweit, Il pensiero politico, in: Storia del mondo moderno, volume V, Garzanti su licenza della Cambridge University Press, Milano 1971 , p. 14; 61 J. Locke, Trattato sul governo, Editori Riuniti, Roma 1997, p. 99; 62 J. M.Kelly, Storia del pensiero giuridico occidentale, op. cit., p. 293; 63 J. Locke, Trattato sul governo, op. cit., p. 71; 64 J. Locke, Trattato sul governo, op. cit., p. 160; 65 Pu sembrare strano che Locke sia tenuto in considerazione da autori tra loro molto diversi. Rousseau e Burke per esempio considerano entrambi Locke come una predecessore delle proprie teorie. Per Rousseau, Locke quello che ha messo in luce l'aspetto contrattuale e volontaristico della societ. Mentre per il parlamentare anglo - irlandese, Burke, Locke il difensore della costituzione britannica. In effetti, Locke non riconosce al popolo il diritto di costituire il governo e di deciderne le composizione. Il "potere supremo" del popolo consiste nella possibilit di " appellarsi al cielo ", cio ai principi naturali della libert, per opporsi al governo, qualora esso tradisca la sua fiducia.; 66 Il sovrano e i suoi ministri intendevano estendere un maggior controllo sulle colonie. L'atteggiamento del re che aveva provocato una ferrea opposizione in patria, dai radicali di Whilkes ai Whigs di Burke, fin per esasperare anche gli animi dei coloni. La politica monetaria restrittiva che l'Inghilterra imponeva alle colonie, i dazi e gli impedimenti che erano posti al commercio e alla produzione americana non contribuivano certo al rasserenarsi della situazione. Il re intendeva imporre alcune tasse ai coloni per sottolineare il suo potere mentre questi cominciarono a rifiutare la tassazione senza una adeguata rappresentanza ovvero: " No taxation without rapresentation " .; 67 Max Weber ha sottolineato come il numero elevato di sette protestanti negli Stati Uniti abbia prodotto una certa impostazione mentale, come l'individualismo o il mettersi alla prova, destinata a perdurare ( Max Weber, Le sette protestanti e lo spirito del capitalismo in: Max Weber. Antologia di scritti sociologici. A cura di P.P. Giglioli. Il Mulino, Bologna 1977).; 68 La guerra d'indipendenza fu preceduta dall'intensificarsi dello scontro tra i due contendenti. Particolare importanza ebbe il famoso " Boston tea party" quando i coloni buttarono merci inglesi in acqua. La reazione della madrepatria fu molto dura e a quel punto la guerra era soloquestione di tempo. La parola passo alle armi nel 1776. Grazie anche all'appoggio della Francia e della Spagna il conflitto si chiuse nel 1783 con la vittoria dei coloni.; 69 H. Arendt, Sulla Rivoluzione, op. cit. p. 25; 70 Le colonie, le quali avevano ognuna una propria legislazione, si trovarono davanti alla necessit di dover collaborare tra di loro per meglio opporsi alla madrepatria. Perch si creasse una struttura di governo capace di coordinare in maniera efficiente gli sforzi delle colonie, il Congresso Continentale stese delle bozze dette " Articles of Confederation" che dopo essere state votate nel 1777 entrarono in vigore solo nel 1781 dopo l'approvazione di ogni singola colonia. Questa prima stesura dimostr subito notevoli debolezze, prima fra tutte i limitatissimi poteri del Congresso, capace solo di occuparsi della politica estera e della difesa. Si and perci facendo largo presso alcuni l'idea che alla confederazione si sarebbe dovuta sostituire una federazione con maggiori poteri centrali. In particolare furono gli stati pi ricchi e potenti come il New York, la Virginia o la Pennsylvania, a premere perch il governo centrale assumesse maggiori prerogative al fine di mediare

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tra le diverse esigenze degli stati membri, regolare il commercio e difendere all'estero gli interessi comuni.; 71 J. M. Kelly, Storia del pensiero giuridico occidentale, op. cit., p. 348; 72 L'estensione del territorio e l'esigenza di colonizzare nuovi territori avevano, di fatto, gi contribuito al sorgere di comunit autogovernantesi. Il governatore e i giudici di nomina regia, per, stentavano spesso ad imporre la loro autorit sulle assemblee legislative dei coloni.; 73Abbiamo in precedenza detto che la nascita di un nuovo tipo di potere comporta il problema dell'assoluto. Quando Machiavelli o Hobbes smisero di attribuire l'origine del potere alla volont di Dio sentirono l'esigenza di garantire comunque una base altrettanto solida allo stato. Per Hobbes lo stato diventava uno sorta di Dio mortale onnipotente mentre per Machiavelli all'autorit divina si doveva sostituire le capacit, per la Arendt quasi sovrannaturali, del principe e del legislatore. Anche in America un nuovo inizio, un nuovo potere richiedeva una fondazione solida capace di sostituire l'autorit del potere monarchico. Secondo la Arendt i rivoluzionari trovarono questo nuovo assoluto nell'atto stesso della fondazione reso sacro e quasi mitizzato. Aver posto la costituzione sopra gli uomini e averla resa permanente ha permesso di affidare ad essa l'autorit necessaria per proteggere il nuovo ordine politico. Chi si accorse di questa mitizzazione della Costituzione fu anche Jefferson che ebbe modo di deprecare il carattere quasi religioso con cui la si considerava. Successivamente vedremo come si pose anche in Francia questo problema dell'assoluto senza che si riuscisse a risolverlo.; 74Queste considerazioni sull'influsso della Rivoluzione Americana sono contenute nel capitolo " Presupposti sociali e culturali dell'et rivoluzionaria" di R.R. Palmer in Storia del mondo moderno, volume VIII , Garzanti 1969, pp. 566-570; 75 Le considerazioni successive sul peso dell'Illuminismo in America sono tratte da: P. Higonnet, Stati Uniti d'America, in: lluminismo. Dizionario storico , Laterza, Bari 1997, pp. 498-508 .; 76 Gli americani conobbero e filtrarono l'illuminismo europeo con le coordinate del Lockianismo. Il celeberrimo "Dei delitti e delle pene" di Cesare Beccaria, una delle opere pi significative dell'illuminismo, fu letta dagli americani come una difesa dei diritti individuali minacciati dall'arbitrariet del potere. L'opera di Montesquieu " L'esprit des lois" fu letta come enunciazione chiara dei principi gi contenuti nei trattati sul governo di Locke: la divisione dei poteri come garanzia di libert.; 77 Quest'opera consiste in una serie di articoli destinati agli abitanti dello stato del New York per convincerli della bont della nuova Costituzione Federale che doveva essere ratificata. Questi articoli sono editi per la maggior parte da Madison, Hamilton e Jay esponenti del partito detto " federalista". Quest'opera rappresenta una delle pi chiare e coerenti enunciazioni di cosa voglia dire una moderna repubblica in un grande paese, e definisce come deve essere intesa la sovranit popolare in uno spazio pi esteso delle tradizionali citt- stato. Nel " Federalist" oltre ad essere spiegati i vantaggi della struttura federale, che non una invenzione americana perch esisteva gi in Svizzera e Olanda, erano avanzate altre importanti teorie politiche come quella della revisione giudiziaria delle leggi da parte di un alta corte. Un pensiero dunque ineguagliato per le vette di modernit che seppe raggiungere.; 78 Le considerazioni successive sull'impatto dei fatti francesi sui contemporanei sono tratte da: H.G.Schenk, Tendenze rivoluzionarie e conservatrici nella cultura, in: Storia del mondo moderno, Garzanti, Milano 1969, pp. 110-115.; 79 La Arendt svolge le sue considerazioni sul concetto di necessit nell'opera citata (Sulla rivoluzione) da p. 48 a p. 56; 80Una delle constatazioni pi immediate che si possono fare sulle cause della Rivoluzione Francese lo stato di impasse in cui si trovava la politica francese da ormai mezzo secolo. Le riforma necessarie per ammodernare l'amministrazione e fare si che il fisco non gravasse solo sulla parte produttiva del paese non videro mai la luce. Dal 1754 al 1789 si alternarono nel ruolo di controllori delle
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finanze ben 19 persone. Ogni qual volta un ministro del re cercava di apportare qualche cambiamento significativo finiva per scontrarsi con la forza e con l'ottusit dei beneficiari dell'ordine costituito. Da questo punto di vista i fatti francesi ci spingono alla considerazione che chi come il monarca e la classe dirigente francese, non capace di porre rimedio a situazioni gravi e opta per una non scelta finisce per esporsi alla scelta degli eventi stessi.; 81 H. Arendt, La questione sociale, in: Sulla rivoluzione, op. cit., pp. 61- 123; 82 Queste cose furono purtroppo destinate a ripetersi nel Novecento, con una violenza ed una assurdit fino ad ora sconosciute all'uomo.; 83 H. Arendt, Sulla rivoluzione, op. cit., p. 95; 84L.C. Reeder, The liberalism/conservatism of Edmund Burke and F. A. Hayek: A critical comparison. Humanitas, volume X , Washington DC 1997.; 85 Alcune ambiguit presenti nel pensiero dell'autore dei " Trattati sul governo" hanno consentito a due pensatori radicalmente diversi, come Rousseau e l'anglo - irlandese di rifarsi a lui. Rousseau ammir e riprese il fondamento giusnaturalistico e contrattualistico di Locke, anche se ne cambi di molto i termini. L'idea secondo cui il consorzio civile nasce a seguito della volont razionale degli uomini era destinata ad essere ripresa dal ginevrino. Ma a differenza di Rousseau, Locke come tutti i Whigs, non era un democratico. L'origine contrattuale della societ non metteva in discussione la monarchia o l'assetto tradizionale del Paese. Il popolo ha diritto ad intervenire nei casi in cui venga a mancare un autorit legittima. Al di l di questo caso eccezionale il potere supremo del popolo passivo ed esercitato dal potere legale che il parlamento. Da questo punto di vista non stupisce allora che Burke veda in Locke il difensore dell'ordine politico e sociale scaturito dalla rivoluzione. Burke non si allontana dal pensiero di Locke quando afferma che il popolo non ha diritto a scegliersi i governanti e la forma di governo. Si allontana invece dal predecessore quando afferma che il popolo non ha diritto di opporsi al re anche nel caso in cui questi abbia una cattiva condotta (S. Skalweit, Il pensiero politico, in " Storia del mondo moderno" volume V, Garzanti su licenza della Cambridge University Press, Milano 1971, pp. 47-150.; 86 E. Burke, Riflessioni sulla rivoluzione in Francia, Ideazione, Roma 1998, p. 40; 87 E.Burke, Riflessioni sulla rivoluzione in Francia, op. cit., p. 41; 88 E. Burke, ibid, p. 45; 89 Nel 1215 Giovanni Senzaterra concesse ai Baroni Inglesi alcune franchigie ed alcune libert che furono in parte estese anche a tutti gli uomini liberi come ad esempio il principio dell'Habeas Corpus. Secondo Burke la libert qualcosa che scaturisce dall'evolversi dei tempi e non pu essere il frutto di una deliberazione "astratta" e raziocinante (E.Burke, op. cit., p. 56).; 90F.A.Hayek, Gli errori del costruttivismo, in: "Nuovi studi di filosofia, politica, economia e storia delle idee", Armando Editore, Roma 1998, pp. 11-31.; 91 Questi concetti si ritrovano espressi in molti pensatori anglosassoni .Volle dire qualcosa di simile l'olandese Mendeville, di adozione Inglese, quando ai primi del Settecento nella sua "Favola delle api" elogi la perfezione che scaturiva dall'azione inconsapevole ed egoista degli uomini. Espresse gli stessi concetti Adam Smith quando volle sottolineare che il mercato delle merci non era il frutto di nessuna programmazione prestabilita.;92 Burke chiarisce questa idea a pag. 57 delle sue Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia; 93 Secondo il pensatore statunitense, Kirk, la destra americana non avrebbe fatto altro che elaborare i concetti espressi dall'anglo-irlandese (Marco Respinti, prefazione all'opera citata di Burke).; 94 L. Reeder, The liberalism/ conservatorism of E. Burke and F.A. Hayek, op.cit.; 95Questa visione che concorda perfettamente con quella di Hayek risulta chiaramente influenzata dai pensatori scozzesi Smith, Ferguson , Hume e dalle loro concezioni sullo sviluppo della societ.; 96 L. Reeder, op cit. 97 E.Burke, Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia, op. cit., p.122; 98 E.Burke, Riflessioni sulla
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Rivoluzione in Francia, op. cit., p. 98; 99E.Burke, ibid., p. 98; 100 Come lo storico Huizinga ne La crisi della civilt o come il protagonista del romanzo di J.Roth La cripta dei cappuccin. Anche oggi, a fronte di processi di radicale trasformazione, in primis quello conosciuto come globalizzazione, l'atteggiamento non diverso. Spesso i cambiamenti sono accompagnati dalle inquietudini e dai presagi negativi di alcuni .; 101 E.Burke, Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia, op. cit., p.115; 102 L. Reeder, The liberalism/conservatorism of E.Burke and F.A.Hayek, op. cit.; 103 Come ad esempio Dante nella "Divina Commedia"; 104 H.Arendt, op. cit., passim. Rousseau era convinto che tutti i mali della societ derivassero dalla impostazione egoistica iniziale quando qualcuno aveva cominciato ad appropriarsi di ci che di tutti. Cos il ginevrino e con lui molti altri rifiutavano completamente l'ordine sociale che nato dall'ingiustizia si perpetuava attraverso di essa. Secondo la Arendt l'America fu per molti la dimostrazione che la miseria non era un elemento naturale e scontato nelle nazioni (Arendt, op. cit., p. 17).; 105 P. Melograni, La modernit e i suoi nemici, op. cit., pp. 103-05; 106 E. Severino, La scienza moderna in: La filosofia moderna, Rizzoli, Milano 1984, pp. 21- 38; 107 La metodologia e lo spirito della scienza sono da mettere in relazione con il sorgere di nuove prospettive filosofiche e politiche. Ad esempio il metodo di Hobbes e prima ancora di Machiavelli di isolare l'oggetto della propria indagine , cio la politica, dalle altre realt, morali o religiose che siano, e la visione meccanicistica della realt vanno di pari passo con lo sviluppo delle scienze moderne (Emanuele Severino, ibid.).; 108 M. Respinti, Introduzione all'op. cit. di Burke; 109 M.Respinti, ibid.; 110 M.C. Pievatolo, Poteri informali: la libert individuale tra spontaneit ed artificio, Ragion pratica 1997; 10: pp. 227-32. L'opposizione al "costruttivismo" ha per esempio come naturale risvolto il rifiuto del positivismo giuridico in Burke come in Hayek. I totalitarismi hanno poi messo davanti agli occhi degli uomini i rischi di abuso e di arbitrio a cui si va incontro qualora il diritto non riconosca nulla di precedente a lui. Secondo Burke nella storia si d una verit che in virt di una lunga prescrizione crea il diritto. E' cos rovesciato l'assunto di Hobbes " Auctoritas, non veritas facit legem" in "Veritas non auctoritas facit legem". Questa concezione del diritto come qualcosa di prodotto dalla sedimentazione storica trova una sua attualit presso coloro che lo ritengono un antidoto al dispotismo. Si pu comunque osservare incidentalmente che questa posizione si presta ad una strumentale difesa dello stato di fatto. Infatti l'artificialit del diritto lo rende esposto non solo all'abuso ma anche alla responsabilit di chi lo produce (Pievatolo, op cit). Il problema allora sarebbe non nel legiferare ma nel legiferare bene. Come per la Arendt nel caso delle Rivoluzioni di cui abbiamo parlato, il problema non era la volont di disegnare le istituzioni ma piuttosto quella di scegliere i modelli giusti.; 111F.A.Hayek, Gli errori del costruttivismo, op. cit., p. 20; 112 J.J Rousseau, Il contratto sociale, Laterza, Bari 1996, pp.197-208.; 113 Lo stesso Pontefice Giovanni Paolo II ha sottolineato nella enciclica Centesimus Annus che la religione politica che tende ad instaurare il Paradiso in terra finisce per accettare ogni mezzo per il proprio fine. Il filosofo Lwith, avendo ben presente le devastazioni del Nazifascismo, attribuiva una carica eversiva e totalitaria alla immanentizzazione del elemento escatologico religioso. Se la salvezza dell'uomo rimane confinata in un ottica trascendente non riesce ad avere la stessa forza rivoluzionaria e radicale della convinzione che una nuova era sia ormai alle porte e basti allungare la mano per raggiungerla. Se la modernit non fa altro che laicizzare concetti cristiani quali la salvezza e il senso della storia allora l'esito, dice Lwith , non necessariamente migliore( K.Lowith, op. cit., passim).; 114Abbiamo gi ricordato come il problema dell'assoluto sia connesso con la rivoluzione. Secondo la

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Arendt la necessit di fondare un nuovo potere comporta negli uomini l'assillo di come renderlo autorevole. Cos il rivoluzionario de "I Demoni" afferma che " partito dalla libert illimitata sono giunto al dispotismo illimitato". Secondo il teologo De Lubac una volta che l'uomo si sia liberato di Dio si chiede con cosa pu sostituirlo. La felicit assoluta come obbiettivo conduce allora per il teologo al "dispotismo della libert", espressione di Condorcet, perch bisogna obbligare gli uomini ad essere liberi (H.de Lubac, Il dramma dell'umanesimo ateo, Club della famiglia Editore, Milano 1988, p. 262).; 115L. Reeder, The liberalism/conservatism of Edmund Burke and F. A Hayek, op. cit.; 116 Per Smith la "mano invisibile" non la provvidenza ma l'interazione di molte condizioni tra cui l'azione inconsapevole dell'uomo. Nemmeno Mendeville accenna ad una qualche "ragione" che governi la storia: L'uomo infatti per l'olandese partecipa attivamente alla soluzione di singoli problemi con singole risposte senza poter pretendere di plasmare la societ nel suo complesso secondo le proprie intenzioni.; 117 Mendeville anticipa la " astuzia della ragione" di Hegel con il suo concetto che nonostante i vizi di cui gli uomini sono singolarmente portatori le forze impersonali della societ li trasformano in pubblici benefici. Nello stesso tempo si percepisce in Smith la convinzione che se la storia ha prodotto un sistema cos efficiente come il mercato allora essa governata da forze che tendono verso il meglio.; 118 R. Descartes, Discorso sul metodo, La Nuova Italia Editrice, Firenze 1996; 119 F.A. Hayek, Gli errori del costruttivismo, op. cit., pp. 24-27.; 120 A. De Tocqueville, citato da M. Kelly (op. cit., p. 352).; 121 E. Burke, Riflessioni sulla rivoluzione in Francia, op. cit., p. 59; 122 Hayek fornisce una sua risposta a questo problema. Per il filosofo austriaco i politici e gli uomini di legge devono considerare l'ordine sociale come un "cosmos", ovvero un sistema autoregolantesi, e non una "taxis", ovvero un sistema artificiale. Mentre sul primo si agisce attraverso dei "nomoi", ovvero norme astratte e generali , nel secondo si agisce attraverso "theseis", cio istruzioni specifiche e particolari (F. Hayek, La confusione del linguaggio nel pensiero politico, da: Nuovi studi di filosofia, politica, economia e storia delle idee, op. cit., pp. 83-107); 123 K. Lwith, Da Hegel a Nietzsche, op. cit., p. 76; 124 K. Lwith, ibid., p.75; 125Citazione tratta da: K. Lowith, Da Hegel a Nietzche, Einaudi, Milano 1994, p. 363; 126 K. Lwith, ibid., p. 364. 127 Secondo Hegel, filosofo ufficiale dello stato prussiano, lo stato qualcosa di diverso dalla societ civile. Il limite di Rousseau e della Rivoluzione sarebbe stato quello di identificare lo stato con l'accordo arbitrario degli individui. Lo stato invece per Hegel un entit razionale in s e per s autonoma. Questa nuova realt che lui vedeva realizzata nel suo tempo si venuta formandosi attraverso un processo dialettico. Il termine primo di questo processo lo stato cos come fu inteso da Platone. Stato universale ma incapace di concedere libert alle singole persone. Questa concezione fu superata dal cristianesimo che afferm la completa uguaglianza di ogni uomo. Questo principio irresistibile avrebbe poi trionfato nella storia con i fatti francesi. Lo stato moderno dovrebbe conciliare l'universalit con la singolarit soggettiva (K. Lowith ibidem.); 128 L. Geymonat, Hegel, in: Storia del pensiero filosofico e scientifico, Garzanti, Milano 1971, IV vol., p. 350.; 129 L. Geymonat, Hegel, op. cit., p. 350-51; 130 Hegel per Lwith il filosofo della mediazione, ma questo equilibrio tra i termini opposti delle diverse dicotomie sar rotto dai suoi discepoli a favore di uno di essi .; 131 Joachim Ritter, Hegel e la rivoluzione francese, Guida Editore, 1959; 132 F.Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Bari 1994, p.14.; 133 K.Lwith, Significato e fine della storia, op cit p. 75; 134 K.Lwith, Da Hegel a Nietzsche, op. cit., pp. 61- 88.; 135G.Calabr, prefazione a " Hegel e la rivoluzione francese" di J.
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Ritter, op cit, p. 15.; 136 L'idea di Hegel della razionalit del reale fu oggetto di grandi critiche da parte di alcuni suoi discepoli in quanto vi scorsero una mera giustificazione dell'esistente. La filosofia di Hegel si concilia con la realt in quanto razionale. La sua filosofia politica si risolve nello stato prussiano mentre la sua filosofia religiosa si riconosce nel cristianesimo .; 137 F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, op. cit. , p. 212; 138 K.Lwith, Da Hegel a Nietsche, op. cit., pp. 212- 214.; 139 K. Lwith, Significato e fine della storia, op. cit., p. 71.; 140 Secondo Marx con Aristotele e con Hegel il principio astratto si realizzato nella sua totalit. Non possibile dopo questo compimento , una continuazione rettilinea poich tutto il cerchio si chiuso in se stesso. Marx si pone il problema di superare la filosofia Hegeliana. Secondo Marx non bisogna voler riformare le teorie di Hegel ma compiere un salto di qualit pi marcato. " Gli animi mediocri sono in simili epoche di opinione contraria ai grandi generali. Essi credono di porre rimedio ai danni, diminuendo le forze militari, disperdendosi, stringendo un trattato di pace con i bisogni reali, mentre Temistocle quando Atene era minacciata di devastazione, spinse gli ateniesi ad abbandonarla completamente e a fondare sul mare, su di un altro elemento una nuova Atene" (K. Lwith, Da Hegel a Nietzsche, op. cit.); 141Mentre in Hegel la filosofia si conciliata attraverso il mondo nel concetto.; 142 K.Lwith, Significato e fine della storia, op. cit.,p. 55; 143 Per la Arendt il fatto che la libert derivi da un processo necessario costituisce il pi grande paradosso del pensiero moderno.; 144 Marx -Engels, Manifesto del partito comunista, Newton Compton, Roma 1994, p. 37.; 145 F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, op. cit., p. 17; 146Secondo Marx il materialismo storico non ha nulla a che vedere con le letture "ideologiche " o utopistiche della realt. Secondo Lwith invece la sua teoria sarebbe "una storia della salvezza espressa nel linguaggio dell'economia politica". Il Manifesto sarebbe allora non una previsione ma una profezia, che spinge gli uomini a realizzarla.; 147 F. Hegel , Lineamenti di filosofia del diritto, Introduzione, op. cit., p. 17; 148 Si consideri ad esempio l'opera di Kant Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico in : Scritti di filosofia politica, la Nuova Italia, Firenze 1995.; 149Si pensi ad esempio al concetto kantiano della " Insocievole socievolezza".; 150 Si vedano al proposito le opere di Kant Per la pace perpetua e Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in op. cit.; 151 Faucci, Dario, Introduzione all'opera citata di Kant, p. VIII.; 152 Kant, Se il genere umano sia in costante progresso verso il meglio, in : Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, Utet, Torino 1977, pp. 218-221.; 153 Si veda: Risposta alla domanda : Che cos' l'Illuminismo, in: Scritti di filosofia politica, op. cit.; 154L.Geymonat, Kant, in: Storia del pensiero filosofico e scientifico, op. cit. , p. 578; 155 Kant, citato da L. Geymonat ,ibid. , p. 578.; 156 Kant elabora la famosa distinzione tra uso "privato" e "pubblico" della ragione nell'opera Che cos' l'Illuminismo.; 157 Il rapporto tra Illuminismo e rivoluzione francese costituisce uno dei problemi interpretativi su cui maggiormente si sono interrogati gli studiosi dei fatti francesi. Un nesso tra la rivoluzione francese e l'Illuminismo fu visto subito sia dai detrattori che dagli estimatori degli avvenimenti francesi. I rivoluzionari vollero trasferire nel Pantheon la salma di Voltaire e poi quella di Rousseau. I nemici della rivoluzione sottolineavano come questa fosse il frutto di una cospirazione di massoni ed illuministi.In realt il rapporto tra Illuminismo e rivoluzione risulta molto pi complesso di una semplice identificazione. Non mancher di sottolinearlo Madame de Stal, affermando che l'Illuminismo aveva caratteri propri non riconducibili alla rivoluzione. Questo movimento aveva prima di tutto come scopo una "rvolution d'esprit" e non la sovversione dei
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governi. Perci le responsabilit dei Lumi e dei philosophes, riguardo agli esiti terroristici della rivoluzione, venivano, da Madame de Stal, attenuate di molto. Abbiamo gi detto invece come Burke o Taine, percepivano diversamente il nesso tra i Lumi e le degenerazioni della rivoluzione. (Vincenzo Ferrone e Daniel Roche, L'Illuminsmo e la Rivoluzione Francese, postfazione a L'Illuminsmo. Dizionario storico, op cit., pp. 521-531.) ; 158H.Arendt, Sulla rivoluzione, op. cit., p. 56.; 159 Non mancher di sottolinearlo Tocqueville nel suo libro Democrazia in America, cos come non avevano mancato di farlo precedentemente altri europei in visita alle colonie.; 160 A. Dal Lago, introduzione a: H. Arendt, Vita activa, Bompiani, Milano 1997, p. XXI .; 161 H. Arendt, Sulla rivoluzione, Edizioni di Comunit, Milano 1996, p. 26; 162 Il discepolo Hayek chiam "costruttivismo" la presunzione degli ingegneri sociali, di voler modellare a piacere istituzioni e sistemi complessi, attraverso la ragione. Padre del costruttivismo, secondo il pensatore austriaco, sarebbero Cartesio e il suo discepolo Rousseau ( Hayek, op. cit., p. 13).; 163 Hayek o Burke non negano l'importanza dell'azione politica o della riforma. Ci che negata la possibilit di stravolgere un intero sistema sociale in base a principi politici aprioristici.; 164 D'altronde lo stesso Hayek accusa non la ragione ma il suo abuso anche se non sempre agevole capire quale dovrebbe essere il limite tra questi due concetti.; 165 H. Arendt, Sulla rivoluzione, op. cit., pp. 52-56.; 166 Secondo la Arendt anche alla base della filosofia della storia hegeliana vi sarebbe l'influenza della rivoluzione francese.; 167H.Arendt, Sulla Rivoluzione, op. cit., p. 59.; 168 La filosofia della storia con il suo mito del progresso verso approdi inevitabili produce una ambiguit nella mentalit politica e rivoluzionaria. L'idea che la storia si orienti necessariamente verso certi esiti sembra escludere una partecipazione attiva degli uomini all'azione politica. Il pensiero marxista sembra rispecchiare, come abbiamo gi detto, questa aporia con il suo richiamo all'azione rivoluzionaria ma con la considerazione che l'avvento del socialismo sarebbe stato possibile solo ove ci sarebbero state le condizioni (chi si rese conto di questo problema fu sicuramente Lenin, affermando che il rivoluzionario deve uscire dal guscio della teoria per operare attivamente per la rivoluzione).; 169H. Arendt, Sulla rivoluzione, op. cit., pp. 32-38.; 170 H. Arendt, ibid., p. 76-93.; 171 Una democrazia per intesa in senso non moderno poich l'ideale del nostro era quello di una piccola citt stato dove i cittadini potessero partecipare direttamente alla vita politica e non tramite rappresentanti.; 172 H. Arendt, Sulla rivoluzione, op. cit., p. 83.; 173 I problemi generati da questa concezione risiedono nel fatto che non si accettano i processi di confronto e dialogo che dovrebbero essere il cuore della politica.; 174 Constant, Benjamin, "La sovranit del popolo ed i suoi limiti", in: Principi di politica, Editori Riuniti, Roma, 1970.; 175Queste idee richiamano alla mente il Leviatano di Hobbes. Per il teorico Inglese dell'assolutismo non ci si pu appellare contro le ingiustizie dello Stato perch e questo stesso che determina ci che giusto e cosa non lo .; 176 Come Tocqueville cap perfettamente, l'esperienza precedente dell'assolutismo gioc una parte importante nella concezione del governo dei rivoluzionari.; 177 B. Constant, "La sovranit del popolo ed i suoi limiti" , in. Principi di politica, op. cit.; 178 H. Arendt, op cit, p. 108; 179 H. Arendt, op. cit., p.96; 180 Robespierre, come Rousseau, credeva nella limpidezza dell'uomo allo stato naturale contrapposta all'ipocrisia della societ in cui vivevano.

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Note biografiche:L'autore nato a Latisana (UD) il 14.06.1974. Dal 1980 vive a Guastalla (RE). Ha conseguito la laurea in Filosofia, con la votazione di 110 e lode, presso l'Universit di Parma, il 22.03.1999.

Jacopo Della Porta. E.mail: dellaporta@netsis.it

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Parte prima.
Il concetto di rivoluzione e la sua origine Capitolo I. Il concetto di rivoluzione prima del '700
1. Definizione generica di rivoluzione
La parola "rivoluzione" sta ad indicare un mutamento completo e spesso rapido di una data realt. Il termine si estende anche a fenomeni che non riguardano l'ambito specificamente politico - statuale. Si usa, infatti, la parola "rivoluzione" per indicare trasformazioni nei pi svariati campi d'indagine dall'economia alla scienza, dalla cultura ai costumi sociali 1. Noi ci occuperemo del significato politico sociale del termine in questione intendendo la rivoluzione come rottura netta con il passato e nuovo inizio, come radicale mutamento degli assetti politici e di quelli sociali. Se il termine pone l'accento sullo stravolgimento totale e sulla sua repentinit perch queste caratteristiche sono le pi evidenti. In realt una rapida disamina di alcuni fatti rivoluzionari dimostrer che i cambiamenti profondi che avvengono nella storia sono da interpretare all'interno di fasi processuali di medio o lungo periodo 2 La categoria interpretativa "rivoluzione" coglie dunque solo un aspetto del processo di trasformazione che si realizza in una data realt e in un dato momento.

2. La rivoluzione non pensabile nella visione storica degli antichi


Il termine "rivoluzione" essenzialmente moderno. Non esistono fenomeni politici prima del '700 cui possibile attribuire il significato di rivoluzione cos come lo abbiamo definito e come lo definiremo successivamente 3. Dobbiamo guardarci perci dall'errore di leggere eventi del passato attraverso l'uso di categorie storiche emerse in seguito. L'antichit conobbe cambiamenti politici, anche molto drastici ed elabor diverse teorie per descrivere le dinamiche dei mutamenti. Ma il mutamento non la rivoluzione. Il termine di cui ci occupiamo rimanda, infatti, non solo al sovvertimento radicale ma anche all'inizio di qualcosa di mai visto e destinato a durare4. Tale concezione legata all'idea che la storia possa interrompere il proprio corso per ricominciare da capo. Gli antichi greci intendevano invece la storia come un susseguirsi di fasi all'interno del medesimo immutabile ciclo5. Il mutamento non comportava perci nulla di veramente nuovo. Perch sia pensabile un nuovo cominciamento necessaria una visione lineare della storia come quella giudaico- cristiana che finir per affermarsi solo successivamente 6. Da quanto abbiamo detto emerge gi un primo spartiacque importante per individuare la nascita del
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termine in questione ed costituito dalla visione della storia. La parola "rivoluzione" pensabile in tutte le sue accezioni solo all'interno di una concezione lineare degli accadimenti umani. Secondo la visione giudaico - cristiana della storia esiste un inizio del mondo ed una fine e certi avvenimenti che accadono non sono mera ripetizione di qualcosa di passato ma sono al contrario portatori di gran novit. I singoli momenti della storia d'Israele o l'avvento del Redentore sono eventi unici attraverso cui si svolge la storia del mondo. Il passato costituisce la premessa dei fatti futuri in una linea di svolgimento rettilinea. L'avvento di Ges spezza definitivamente i "cerchi della fatalit" come dice Agostino. Alla concezione degli antichi secondo cui nulla di veramente nuovo poteva avvenire nelle vicende umane fa da contraltare l'evento del tutto straordinario del Verbo che si fa carne. La storia non mutamento senza senso, ricorso ciclico d'eventi gi accaduti o altro ma dotata di senso, un senso escatologico che per i Cristiani indicato da Ges. Il Regno di Dio si realizzer alla fine dei tempi, fine che per Agostino non da collocare nell'ordine temporale ma fuori di esso. La concezione degli antichi greci a proposito delle vicende storiche pu essere esemplificata da Tucidide (460-404 a. C) che il primo autore a proporci uno schema ciclico applicato agli accadimenti della Grecia. Le vicende della sua patria sono viste in un ottica che sconfessa ogni idea di progresso ma che rimanda piuttosto alla ripetizione naturale. Tucidide descrive quattro fasi: l'et primitiva, l'et degli eroi, quella delle migrazioni e dei tiranni e l'et delle lotte civili. Tutti momenti destinati a manifestarsi circolarmente 7. Un altro autore che ci d'aiuto per la comprensione della mentalit degli antichi greci Platone. Il discepolo di Socrate chiama il tempo "immagine mobile dell'eternit". Per Platone il ciclo di tutte le cose legato al fatto che tutto sottomesso a leggi immutabili 8. Nel libro VIII de "La Repubblica" il nostro autore esplicita la teoria ciclica del succedersi delle diverse forme di governo. Lo stato perfetto degenera a causa dell'imperfezione dell'uomo, dalla timocrazia alla oligarchia, dalla democrazia alla tirannia. Tutto ci destinato a ripetersi immutabilmente. Questo pessimismo di Platone deriva dalla consapevolezza che tutto nel mondo soggetto a corruzione. Lo stato perfetto finisce per essere stravolto dalle discordie " giacch ogni cosa che nasce muore, neanche una tale formazione potr durare in eterno, ma si dissolver". Poi esplicita la sua teoria ciclica: " E la dissoluzione questa : non soltanto per le piante nella terra ma anche per gli animali sulla terra ha luogo una fertilit e sterilit dell'anima e del corpo, allorch per ognuno certi dati cicli compiano e riattacchino il loro giro...." 9. Non solo nel futuro non si d progresso ma emerge dai miti che Platone richiama l'idea di un et dell'oro precedente in cui viveva la " generazione bella e buona" scomparsa poi per lasciare spazio agli uomini dominati dall'appetito vorace per l'oro e l'argento 10. Un altro autore che si occupato delle vicende politiche e delle trasformazioni delle forme di governo lo storico greco Polibio (210 127a.C.) che visse a Roma e fu in contatto con la famiglia degli Scipioni. Secondo questo autore i regimi politici si succedono in ordine irreversibile dalla monarchia alla aristocrazia alla democrazia. Fortuna e avversit imperversano incontrastate sugli uomini 11. Appare chiaro da quanto abbiamo affermato che il termine "rivoluzione" non ha corrispettivi nel linguaggio greco e nemmeno in quello romano 12. Appare difficile per gli antichi che l'uomo possa realizzare qualcosa di veramente nuovo e definitivo. Questo non vuol significare che i pensatori dell'antichit si siano abbandonati solo ad un dimesso fatalismo. Platone per esempio propone il suo ideale di stato ed esorta a realizzarlo nonostante la difficolt del compito. Esiodo nel suo poema " Le

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opere e i giorni" rintraccia un senso nel divenire storico che costituito dalla lotta dell'uomo per una vita migliore e l'opposizione ai soprusi dei potenti 13. Il mito stesso di Prometeo che ruba il fuoco agli dei per donarlo agli uomini un esempio di come non manchi nell'antichit un desiderio d'emancipazione. Virgilio nelle "Georgiche" constata come l'uomo si sia allontanato da un epoca felice precedente ma grazie alla sua volont e al suo lavoro pu superare le difficolt che gli si presentano " ..Labor omnia vicit improbus et duris urgens in rebus egestas" 14. Nonostante queste aperture al concetto di miglioramento la visione degli antichi a proposito degli accadimenti umani rimane comunque lontana dall'idea di progresso irreversibile. Lo spettacolo del mondo suggerisce loro che le vicende umane percorrano un ciclo o una parabola oppure che siano addirittura senza senso 15. Se la felicit pu essere esistita nel mondo, essa da rintracciare in un passato precedente. Platone ne " Le leggi" racconta il mito di una generazione vissuta ai tempi di Crono: " Agli stati di cui abbiamo passato prima in rassegna l'ordinamento si dice essere preceduto di molto ....un potere felice con un felice governo, ed anche il governo migliore fra quelli del tempo presente non ne che l'imitazione", e poi esorta ".. dobbiamo con ogni mezzo imitare la vita che si racconta dei tempi di Crono" 16. L'ideale di una societ migliore dunque o ancorata al passato oppure deve fare i conti con la mutevolezza delle cose umane. A proposito di quanto abbiamo detto da notare una differenza tra i greci e i romani. Questi ultimi, infatti, ebbero molto pi dei primi il senso della continuit 17. L'Eneide di Virgilio con il suo mito dell'origine e della fondazione di Roma dimostra come i romani fossero capaci di vedere le cose in una prospettiva di crescita. Anche lo storico Tito Livio nella sua opera sottolinea come la grandezza di Roma poggi sulle sue origini e sui suoi costumi antichi 18. Nonostante per l'accento sull'idea di sviluppo o la maggiore fiducia nell'azione dell'uomo, ritorna anche presso i romani l'idea del destino che sovrasta i mortali. Inoltre molti autori romani interpretano i fatti umani in analogia agli schemi biologici. Le et della vita umana, dalla infantia alla senectus, sono proiettate sulla storia della civilt. Lo stato, le arti, i costumi conoscono in verit una fase di crescita ma anche di decadenza. Sallustio scrisse " Omnia orta occidunt et aucta senescunt " 19. Un altro autore che si sofferma sul progresso civile Lucrezio. Nel "De rerum natura" egli sottolinea come l'uomo dalle epoche primitive ad oggi abbia compiuto grandi miglioramenti e scrive :".. in loro cuore vedevano una cosa trar luce dall'altra, finch con le arti giunsero al vertice estremo". Per a questo progresso materiale non corrisponde sempre uno morale e infatti dice: "...cos il genere umano si travaglia senza alcun frutto e invano e sempre e tra inutili affanni consuma la vita, certo perch non conosce limite al possesso e nemmeno fin dove s'accresca il vero piacere " 20 La distinzione che abbiamo sottolineato esistere tra greci e romani deriva dalla loro diversa esperienza politica. I greci furono assillati dalle discordie civili e dalle lotte tra le citt stato mentre i romani, pur conoscendo anche loro le lotte intestine, crearono ad un organismo politico pi stabile e duraturo. Detto questo va riconosciuto come la diversit degli accenti non produca per una frattura sostanziale nella concezione della storia.

3. L'alto medioevo. La legittimazione del potere e la necessit dell'ubbidienza


Il termine "rivoluzione" appare per la prima volta nella tarda antichit cristiana con un significato
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diverso da quello che noi gli attribuiamo. Revolutio significava rivolgere, arrotolare, ritorno circolare al punto di partenza. Il primo ad usarlo in senso traslato fu Agostino in " De Civitate Dei" per indicare la reincarnazione e il ritorno dei tempi 21. Non si d per in quel periodo nessuna applicazione alla politica del termine da noi considerato. Del resto il pensiero medioevale essendo legato all'idea di stabilit e diritto permanente, interpretava il mutamento politico come qualcosa di negativo Pi in generale il concetto stesso di cambiamento radicale doveva fare i conti con una mentalit che interpretava i grandi sconvolgimenti come causati da eventi peccaminosi 22. Le Sacre Scritture insegnavano che il passaggio dal paradiso alla terra, la nascita delle diverse lingue o il diluvio universale erano causate da azioni malvagie dell'uomo. Il pi antico pensiero politico medioevale era restio a riconoscere al popolo il diritto di ribellarsi al potere anche se questo fosse stato tirannico 23. Dunque non era nemmeno concepibile una teoria politica rivoluzionaria. Gregorio Magno, Papa dal 590 al 605, scrisse che era peccaminoso criticare un governo anche se corrotto. Mormorare contro il re voleva dire opporsi a Dio stesso. Secondo i Padri della Chiesa, lo stato era una necessit causata dalla corruzione introdotta nella storia dal peccato originale. Agostino ricordava come la Civitas Terrena avesse un origine malvagia ma nonostante la sua origine Dio stesso legittimava la sua funzione protettrice24. Perch i buoni fossero protetti e i cattivi puniti era necessario qualcuno che avesse pi potere degli altri. La subordinazione si rendeva perci utile ed era per Gregorio Magno il frutto di " un'arcana dispensa" che rendeva gli uomini soggetti ad altri essendo venuta meno con la "caduta" l'uguaglianza naturale delle creature di Dio 25. Un contemporaneo di Papa Gregorio, Isidoro di Siviglia ricordava appellandosi al profeta Osea, che i sovrani erano scelti da Dio perch trattenessero gli uomini al rispetto delle leggi con il timore. Il re buono dato al popolo per misericordia, quello cattivo per punizione, entrambi vanno dunque rispettati. Opporsi al sovrano o al potere costituito era in quei tempi qualcosa che difficilmente poteva considerarsi legittimo. Ambrogio (340- 397), vescovo di Milano, scrisse per che l'imperatore doveva rispettare le leggi che emanava. Isidoro di Siviglia ricordava al re che per tenere tutti vincolati alle leggi doveva anche lui mostrare ad esse rispetto. Il precettore di Carlo Magno, Alcuino, consigli all'imperatore di rispettare le disposizioni dei suoi ultimi predecessori. Queste considerazioni non sostituivano per l'idea che il sovrano fosse di fatto "legibus solutus" 26. Se per i primi cristiani il potere temporale era qualcosa di malvagio, visto d'altronde le persecuzioni che avevano subito nell'impero romano, successivamente si fece spazio una concezione che legittimava il potere statale anche perch questo aveva finito per riconoscere il cristianesimo. Agostino rappresenta il punto di mediazione tra questa prima teoria e quella successiva che finir per enfatizzare il ruolo del sovrano e la sottomissione a lui dovuta. Agostino infatti riconosce la legittimit del potere temporale ma ne ricorda anche le origini peccaminose 27. Queste dottrine sul potere e sulla legittimazione che esso riceveva da Dio non costituivano certo il terreno adatto al nascere del concetto di rivoluzione. San Paolo aveva detto nella "Lettera ai Romani": " .. non c' autorit se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio..." Perci necessario essere sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza.

4. Stabilit e diritto di resistenza nel medioevo


La teoria politica dell'alto medioevo conobbe per anche importanti novit riguardo ai concetti che
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stiamo indagando. Pur in un ottica che privilegiava la stabilit e legittimava gli assetti politici esistenti si fece largo la possibilit di opporsi al potere qualora questo fosse marcatamente dispotico e apparve anche l'idea che i sovrani derivassero la loro posizione oltre che dalla volont di Dio anche da un patto con i sottomessi 28. Isidoro di Siviglia aveva gi affermato che le leggi del Re dovevano servire il bene comune e che il re era colui che ben governava. Con il tempo si and sviluppando, a partire da questa idea che chi governa lo fa per il bene dei sottomessi, la concezione che il re dovesse il suo potere ad un accordo stipulato con il popolo. Questo primo contrattualismo pu essere stato influenzato dal fatto che i Re medioevali al momento dell'incoronazione giuravano di rispettare le leggi mentre i sudditi pi importanti assicuravano la loro lealt. Questa mutualit tra governanti e governati suggerita dagli atti dell'incoronazione si accrebbe poi con lo svilupparsi a partire dal IX secolo dell'assetto feudale della societ. Il feudalesimo rese infatti familiare l'idea che le obbligazioni degli uomini verso il potere comportassero una certa bilateralit: il vassallo doveva fedelt al signore ma questo doveva assicurare protezione al vassallo 29. Uno degli esempi pi chiari del sorgere di una concezione contrattualistica del potere pu essere considerato uno scritto di un monaco tedesco di nome Manegold di Lautembach. Nel corso dell'XI secolo scoppi un duro conflitto tra i papi e gli imperatori germanici a proposito del diritto d'investitura dei vescovi. Nel 1076 Papa Gregorio VII depose l'imperatore Enrico IV proprio per le pretese che quest'ultimo aveva in merito alla designazione dei vescovi. In quel momento apparve lo scritto di Manegold che ribadiva che pur essendo il ruolo del sovrano voluto da Dio stesso, si aveva il diritto di ribellarsi ad un governante corrotto. Scrisse il monaco : ".. poich nessuno pu rendersi re o imperatore, il popolo eleva un uomo al di sopra degli altri ad un solo scopo, che questi li regga e li governi secondo i principi del governo giusto.....Ma se egli infrange il patto col quale stato eletto ...la conclusione ragionevole che egli scioglie il popolo dal suo dovere d'obbedienza visto che egli stato il primo a disertare il patto che vincolava in termini di fedelt una parte all'altra."30 . Questo brano di Manegold veramente sorprendente perch racchiude i principi di ci che Locke dir secoli pi tardi a proposito dei doveri del sovrano. L'idea di un patto con il popolo che se infranto d diritto a ribellarsi avr, come vedremo , conseguenze rivoluzionarie nell'Inghilterra del '600. La concezione del diritto di resistenza nel pensiero medioevale non per da intendere come qualcosa di destabilizzante rispetto al potere ma al contrario era finalizzata al mantenimento dello status quo. Ci si ribella infatti contro di chi infrange i comandamenti divini o viola le consuetudini e i diritti acquisiti. Tommaso nel XIII secolo scriver : ".. se a qualche comunit spetta di scegliersi il re , secondo il diritto il re pu essere destituito....se adopera tirannicamente il suo potere". Ma lo stesso Tommaso sottolineava che il re era sciolto dal dovere di rispettare le leggi da lui imposte anche se era consigliabile che vi si attenesse 31

5. La rivoluzione non concepibile nella visione medioevale cristiana della storia e del potere
Queste osservazioni servono a farci capire che molti degli elementi del concetto di rivoluzione sono stati elaborati nel corso dei secoli. Ma Il concetto di rivoluzione non semplicemente una somma di significati accumulatisi nel tempo. La prospettiva contrattualistica, il diritto di resistenza concorreranno al nascere di una teoria rivoluzionaria solo per all'interno di una diversa concezione del potere e del ruolo dell'uomo all'interno del divenire storico. La modernit della rivoluzione deriva dal fatto che essa
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si svolge in un orizzonte politico del tutto secolarizzato dove il potere ha perso quell'aura di sacralit che invece gli era attribuita nel passato e l'uomo smette di pensare che la legittimit dell'agire politico risieda solo in principi espressi precedentemente. L'idea che la stabilit fosse un valore assoluto, da cui ci si poteva distaccare solo eccezionalmente e momentaneamente, risiedeva anche nella sfiducia sull'azione miglioratrice dell'uomo. Perch gli uomini potessero concepire la loro azione come portatrice di novit radicali, dovevano essere in grado di rivolgere lo sguardo al futuro con ottimismo nelle proprie capacit. Nel Rinascimento e poi nel pensiero Illuminista si and facendo largo l'idea che l'uomo pu e deve essere padrone del proprio destino e la sua "salvezza" lungi dall'essere collocata in un ordine trascendente poteva essere realizzata in terra. Il pensiero rivoluzionario necessitava dunque di uomini capaci di guardare avanti con la convinzione che la loro azione e non solo quella di forze trascendenti potesse trasformare il mondo. La teologia della storia come governo della provvidenza, cos come stata elaborata da Agostino, impedisce che l'uomo pensi o voglia progettare qualcosa di completamente nuovo anche perch la vera unica novit della storia Cristo. Secondo Agostino ci che di veramente significativo avverr in futuro la salvezza che per si realizzer fuori dell'ordine temporale e non per opera degli uomini. Al sostanziale disinteresse delle vicende storiche in Agostino risulta complementare la sfiducia del Pascal dei "Pensieri", vista la drammatica constatazione dell'imperfezione umana, nel fatto che la politica possa essere capace di realizzare qualcosa di veramente giusto. La citt terrena non pu realizzare n la giustizia n la salvezza ma deve comunque porre un minimo di ordine nelle vicende umane. Lo sguardo della politica era dunque rivolto al mantenimento dell'esistente e il diritto di resistenza al potere era finalizzato a restaurare l'ordine qualora fosse stato sconvolto da atti iniqui. Questa sar sostanzialmente la percezione che i puritani ebbero della loro opposizione agli Stuart nel corso del seicento Inglese. Per questi motivi le enunciazioni del diritto di resistenza elaborate nel medioevo pur possedendo una potenzialit rivoluzionaria, di fatto, non si prefiguravano come una minaccia all'ordine costituito. Se il tema della resistenza civile ad un potere dispotico non aveva esiti rivoluzionari all'interno della visione della storia cristiana tanto meno poteva averli nel pensiero greco. Anche i greci, infatti, rifletterono sul tema della resistenza al tiranno. Un esempio di ci pu essere considerata la tragedia di Sofocle " Antigone" 32. I fatti di questa tragedia si svolgono a Tebe, dove il tiranno Creonte ha dato ordine di non dare sepoltura a Polinice che era morto combattendo contro la citt. A questa disposizione si opporr Antigone che dar sepoltura al fratello in ottemperanza alle leggi divine della piet. Antigone pagher con la morte la sua opposizione al tiranno. Il suo coraggio, il suo "appellarsi al cielo", come dir Locke in seguito, non conducono ad esiti politici poich le vicende umane sono interpretate pessimisticamente all'interno di una visione storica priva di senso e di una qualche finalit. Antigone muore per essersi opposta alle leggi degli uomini, mentre anche il tiranno cadr vittima di sventure per aver fatto adirare gli dei con la sua azione malvagia. Non c' speranza in questa tragedia, non c' possibilit di emancipazione ma solo la percezione dolorosa e profonda della solitudine dell'uomo davanti al suo destino e ammirazione per la dignit con cui Antigone vi va incontro.

6. Gioacchino da Fiore. Un precursore ante - litteram delle teorie rivoluzionarie?


Nel suo libro " Significato e fine della storia " il filosofo Lwith ha sostenuto che la filosofia della storia moderna non altro che una laicizzazione della visione teologica che il cristianesimo ha della storia. La

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modernit non avrebbe fatto che ereditare la nozione di provvidenza laicizzandola con quella di progresso e immanentizzare la dimensione escatologica del messaggio religioso con la fede in un futuro di benessere e felicit 33. Quest'autore dunque interpreta il senso che Voltaire o Hegel danno alla storia come originato dalla visione cristiana. Per tanto anche un fenomeno moderno come la rivoluzione trova per questo pensatore dei precursori nel passato. Per Lwith il predicatore italiano Gioacchino da Fiore (1131- 1202) espresse delle teorie in un certo senso riconducibili a quelle rivoluzionarie 34. L'originalit del predicatore italiano consiste nella sua escatologia storico- immanente. La salvezza non era vista da Gioacchino come momento fuori della storia ma all'interno di essa. Lo schema attraverso cui leggeva la storia era trinitario: epoca del padre, epoca del figlio, epoca dello spirito santo. La sua visione si basava sull'interpretazione dell'Apocalisse di Giovanni 35. Mentre Agostino nega che si possa fare storia delle cose ultime, Gioacchino invece pensa di poter prevedere con precisione l'avvento di una nuova era. La salvezza diviene perci storica e non pi trascendente. Il predicatore italiano raccoglieva nella sua teoria, le critiche mosse anche dai catari o i valdesi alla mondanizzazione della Chiesa. Secondo Lwith, Gioacchino voleva desecolarizzare la chiesa per impedire che s'identificasse con il mondo e per spingerla a cercare di cambiarlo. Il fondamento rivoluzionario di tale pensiero sarebbe provato dall'uso di queste teorie da parte dei francescani "spirituali" nel XIII e nel XIV secolo. Questi seguaci di Francesco tentarono di realizzare nella povert la "nuova chiesa nello spirito" e si scontrarono duramente con l'apparato della chiesa sacerdotale che consideravano ormai alla fine. Per Lwith, Gioacchino il padre spirituale di Hegel e di Marx. Le loro filosofie della storia si ricollegherebbero, infatti, sia alla visione unitaria del divenire umano propria del predicatore sia alla profezia della realizzazione di un regno di Dio in terra. La posizione sostenuta da Lwith non ha trovato certo unanime accettazione soprattutto per il fatto che alla modernit non attribuita quella peculiarit e quell'autonomia che secondo molti gli competerebbe. In particolare il filosofo tedesco Blumenberg ha ribadito nel suo libro " Legittimit della modernit" la sostanziale autonomia del pensiero moderno affermatosi come emancipazione dalla teologia e come affermazione del modello rinascimentale dell'Homo faber. Anche la pensatrice tedesca Hannah Arendt nel suo libro " Sulla rivoluzione" ha espresso dei dubbi sul fatto che le vicende moderne possano essere lette in maniera schematica come realizzazione di fenomeni passati. Secondo la Arendt pu anche darsi che vi siano dei germi rivoluzionari nel pensiero dei primi cristiani o in quello dei grandi riformatori medioevali. Rimane per il fatto, ed l'unico certo, che le rivoluzioni sono accadute nell'epoca moderna e non prima 36.

7. Differenza tra le riforme religiose e le rivoluzioni


Non dobbiamo dunque dimenticare che l'ottica in cui si mossero i gioachimiti e gli "spirituali" rimase in gran parte medioevale poich il loro intento era pur sempre quello di liberare la Chiesa dalle sue storture e tornare alla Chiesa di Pietro. Il loro sguardo era rivolto pi al permanentemente valido che non al cambiamento in se stesso 37. La figura di Gioacchino si aggiunge a quella di molti altri riformatori che con la loro predicazione religiosa finirono per produrre anche effetti politico - sociali. Bisogna distinguere per le Rivoluzioni politiche moderne dai movimenti religiosi aventi conseguenze politiche. Un esempio illuminante di riforma religiosa con conseguenze socio - politiche pu essere l'esperienza del riformatore boemo Jan Hus 38 vissuto a cavallo del XV secolo 39. Per sottolineare ulteriormente la

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differenza tra riforma e rivoluzione utile considerare la vicenda di Lutero. La predicazione del tedesco produsse, di fatto, qualcosa di veramente nuovo e radicale cio una profonda scissione all'interno della cristianit. Alcune teorie di Lutero ebbero effetti notevoli come ad esempio l'idea che l'autorit si fonda sulla parola divina e non sulla tradizione, cosa che secondo la Arendt avrebbe contribuito al declino dell'autorit nell'epoca moderna. L'orizzonte all'interno del quale si muove Lutero per ancora quello medioevale. Egli voleva semplicemente ripulire il credo e la struttura della Chiesa da quelle che lui considerava storture ed immoralit. La sua radicalit nel criticare l'apparato dogmatico non dipendono dal fatto che lui voglia creare qualcosa di nuovo ma al contrario dal desiderio di tornare alla limpidezza del messaggio evangelico. Particolarmente significativo pu essere considerato il suo atteggiamento davanti alla rivolta dei contadini 40. Con Lutero o con la rivolta dei contadini siamo per ancora nell'ordine delle rivolte religiose capaci di venature politiche. Non esiste nessuna teoria politica articolata che possa delineare questi movimenti come rivoluzionari anche perch l'accento di Lutero o di Mntzer era ancora una volta posto sul ritorno al passato e ad un ordine migliore interrotto nel presente.

8. Povert e rivoluzioni
Ci che potrebbe accomunare quest'esperienza di Mntzer a quelle rivoluzionarie il ruolo dei diseredati nella trasformazione dell'ordine sociale. Il termine "rivoluzione" dopo gli avvenimenti francesi del 1789 risulta inestricabilmente connesso con problemi di tipo sociale. Marx era convinto che l'ordine capitalista borghese sarebbe stato abbattuto dai proletari perch erano coloro che pi di tutti avevano da guadagnarci da un radicale cambiamento. Fin dall'antica Grecia i pensatori avevano colto il ruolo centrale dei poveri nei processi di mutamento politico, soprattutto quando un tiranno s'impadroniva del potere con l'aiuto dei ceti pi poveri 41 . Perch la povert diventasse rivoluzionaria era per necessaria un convinzione moderna sconosciuta nell'antichit e cio che la miseria non era intrinseca alla natura umana ma poteva essere superata 42. Secondo la Arendt in questa convinzione gioc un ruolo decisivo l'esperienza coloniale americana che insegn ai contemporanei che si poteva essere liberi dal bisogno anche senza far parte della lite sociale 43. Era necessario che fosse superata l'idea che la subordinazione e le differenti condizioni materiali degli uomini fosse un fatto naturale. Abbiamo gi visto come alcuni Padri della Chiesa considerassero la subordinazione politica e sociale come il frutto del peccato originale. La corruzione del mondo avrebbe spezzato l'uguaglianza delle creature e reso necessario che alcuni uomini s'innalzassero sugli altri per assicurare l'ordine e la tutela dei deboli. Un esempio di come invece l'epoca moderna sia stata propensa a criticare gli assetti sociali e politici ereditati dal passato pu essere considerata l'opera di Rousseau " Discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini ". In quest'opera il ginevrino esprime la convinzione che l'ordine sociale non sarebbe altro che il frutto di un ingiustizia perpetrata all'alba dei tempi. Scrive, infatti,: " Il primo che, recintato un terreno ebbe l'idea di dire: questo mio, e trov persone cos ingenue da credergli, fu il vero fondatore della societ civile." Per Rousseau lo stato e le leggi non sarebbero che la difesa dei proprietari. Affinch la fame e la miseria diventassero rivoluzionarie era necessario che cessasse la rassegnazione davanti alle privazioni e alle sofferenze. Cosa ha contribuito a questo cambiamento nell'epoca moderna? La rassegnazione riconducibile alla specifica condizione del mondo contadino dove la maggioranza degli uomini vivevano in balia di forze incontrollabili: dalla natura al volere di Dio o del principe. La
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consapevolezza di vivere in un mondo perfettibile e dominabile nasce invece con la rivoluzione scientifica. Nel mondo artificiale della tecnica e della scienza non vi pi posto per l'accettazione passiva della realt ma al contrario si fa largo l'idea che essa pu essere cambiata 44 .

9. Differenza tra rivolta e rivoluzione


Emerge dunque chiaramente la differenza tra rivoluzione e fenomeni che possono essergli affini come le rivolte, le insurrezioni o i movimenti riformatori. Per "rivolta" s'intende il pi delle volte, una sollevazione, pi spontanea che organizzata, generata dall'insofferenza verso il potere. Il termine indica fenomeni che, per quanto violenti possano essere, non sono in grado di rovesciare e sostituire il potere costituito. Rivolta dunque rimanda pi che ad articolate teorie politiche ad un atto emotivo di ribellione. Per insurrezione s'intende invece un movimento armato per la presa del potere. La peculiarit delle rivoluzioni moderne consiste nel fatto che esse mirano non solo all'abbattimento del potere o alla sostituzione delle persone che lo reggono, cosa tra l'altro accaduta pi volte nella storia ma ad affermare un potere sostanzialmente diverso da quello precedente. La rivoluzione moderna dopo la liberazione da una data realt percepita come oppressiva si accinge a delineare un nuovo ordine. La creazione di un nuovo sistema politico e sociale si presenta come un atto complesso nella misura in cui richiede una riflessione articolata sul fine dello stato, della societ e dei mezzi per raggiungere gli scopi. Esiste un celebre aneddoto in cui marcata la differenza tra rivolta e rivoluzione. La notte del 14 luglio del 1789 il duca de La Rochefocauld - Liancurt rifer a Luigi XVI dei disordini che erano accaduti a Parigi quel giorno. Il re si dice che esclam " C'st un revolte" mentre il duca lo corresse" Non sire c'st un rvolution!" Secondo quest'aneddoto il Duca avrebbe capito che i fatti della Bastiglia erano qualcosa di pi irresistibile e pericoloso di una semplice rivolta 45 . Avremo modo di sottolineare meglio nel prossimo capitolo, occupandoci delle rivoluzioni del '700, la differenza tra liberazione e instaurazione della libert. Potremo anche capire che quando questi fenomeni si verificarono ebbero in un primissimo tempo le caratteristiche pi di rivolte e solo successivamente di rivoluzioni.

10. Machiavelli e la rivoluzione


Abbiamo ripetuto spesso che il termine "rivoluzione" nell'accezione in cui lo intendiamo oggi nato nell'epoca moderna. Le grandi rivoluzioni del '700, quella francese e quella americana, sono i primi fenomeni rivoluzionari in senso completo. La modernit di questi accadimenti non consiste chiaramente nel semplice fatto che essi si siano verificati in un dato momento anzich in uno precedente. La modernit della rivoluzione consiste nel fatto che per essere concepibile e perch potesse essere pensata dai suoi protagonisti necessitava di una certa forma mentis emersa solamente dal Rinascimento in poi. In poche parole la rivoluzione necessitava di un modo diverso di intendere la storia, il ruolo dell'uomo all'interno di essa, la natura del potere, i fondamenti e le finalit della societ civile. Perch nascesse il concetto di rivoluzione come lo intendiamo noi era necessario prima di tutto che emergesse un ordine secolare capace di far assumere al termine quel significato interamente politico che noi gli attribuiamo 46. Sebbene il termine "rivoluzione" non nasca nel '500 con Machiavelli che alla politica comincia a dischiudersi un mondo secolarizzato dove leggi e principi d'azione sono slegati
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dall'ordine morale cristiano 47. Il fiorentino vive nel clima agitato delle citt stato e dei comuni italiani del primo '500. Dall'incapacit dei principi italiani di creare organismi politici stabili e forti e dalla debolezza di questi verso gli eserciti stranieri, nasce la riflessione di Machiavelli su come possa nascere uno stato nuovo e su come possa conservarsi. Nella visione della realt del fiorentino non vi spazio per la trascendenza e per la religione se non in un ottica strumentale all'ordine politico. Ci a cui deve fare appello un principe per fondare un nuovo principato e per governare bene solo la sua virt che pu permettergli di opporsi alla fortuna. La modernit di Machiavelli consiste nel aver guardato alle vicende umane in un ottica completamente laica. Quella terrena l'unica dimensione accettata dal nostro autore. Nonostante il fiorentino non usi mai la parola "rivoluzione" per descrivere i cambiamenti e i rivolgimenti delle citt stato italiane, secondo la Arendt con lui che il concetto che stiamo indagando fa un deciso passo in avanti. Ci che rende Machiavelli importante per il concetto di rivoluzione il suo desiderio di capire come possa nascere uno stato nuovo e cosa si debba fare per conservarlo. Esiste nel pensiero del fiorentino un interesse sul problema della fondazione che troveremo nei rivoluzionari successivi. Sempre secondo la Arendt il richiamo che il fiorentino fa spesso alla violenza deriva dal fatto che egli si trov davanti al problema di come sostituire il fondamento divino dell'autorit con qualcosa di altrettanto assoluto. Per Machiavelli il principe deve avere capacit d'azione enormi. Deve essere capace con la sua virt di rallentare il corso della fortuna o di opporsi ad essa. Deve in pratica avere qualit umane elevatissime come per compensare la perdita del consenso divino al potere temporale. La violenza che il principe deve saper usare rimanda perci alla necessit di fondare qualcosa di nuovo e dunque di stravolgere qualcosa di esistente. Il principe non deve porsi nessuna remora di ordine morale ma farsi al contrario guidare solo da ci che utile per lo stato. L'aver perso la compartecipazione di Dio nella gestione delle cose umane, richiede uno sforzo notevole ai regnati e ai condottieri per compensare questa mancanza. La visione storica di Machiavelli non per propriamente moderna. Infatti, egli aderisce alla concezione classica della ciclicit e della mutevolezza delle forme di governo e delle cose umane. Esiste per in lui un accento tipicamente rinascimentale sulle possibilit dell'uomo che ritroveremo anche in seguito. La fortuna gioca un ruolo importante nella nostra vita ma spetta a noi opporci ad essa o cercare di sfruttare le possibilit che essa ci offre. Alla ciclicit degli eventi Machiavelli contrappone la virt e per questo motivo non si stanca di individuare i principi che rendano possibile la fondazione e la conservazione di uno stato. Il pensiero del fiorentino risulta importante per la nostra tesi perch ritaglia uno spazio ed una libert all'agire politico che sono necessari a chi voglia dare inizio a qualcosa di veramente nuovo e dunque anche alle rivoluzioni. L'esaltazione della virt intesa come energia, capacit di fronteggiare o approfittare della fortuna costituiscono uno dei tratti del pensiero di Machiavelli e del Rinascimento in generale che sono molto importanti per la comprensione della mentalit rivoluzionaria. Abbiamo, infatti, detto che la rivoluzione possibile solo quando l'uomo pone se stesso al centro della storia e cerca in se stesso le regole dell'agire politico. Nell'ottica di Machiavelli non pi Dio a determinare il corso degli eventi ma nemmeno l'uomo soltanto. La nostra razionalit deve, infatti, fare i conti con il potere della fortuna che pu limitarci e a volte anche sovrastarci 48. Il pensiero di Machiavelli oscilla tra la constatazione che noi possiamo dominare la fortuna e quella opposta di essere spazzati via dalla sua forza distruttrice 49 . Ci che distingue il fiorentino dalla mentalit dei rivoluzionari per il pessimismo sulla natura umana che si contrappone all'elogio delle virt. La natura dell'uomo definita come immutabile all'interno di
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vicende storiche cicliche. Non vi perci spazio per una qualche forma di progresso nella politica e nella morale. Non cio possibile che uno stato si regga senza fare ricorso a quelle dure regole che egli aveva tracciato ne "Il Principe". Possiamo allora dire che il pensiero di alcuni autori rinascimentali, alla centralit all'uomo e delle sue possibilit non aggiunge per una visione storica moderna. Guicciardini per esempio nei suoi "Ricordi" dice che " le cose passate fanno luce alle future, perch quello che e sar stato in altro tempo e le cose medesime ritornano 50. Per questo motivo in uno scrittore come Machiavelli non pu esserci posto per il totalmente nuovo delle rivoluzioni 51. Machiavelli si rivolge al passato ed invita ad imitare le gesta degli antichi. Non per un imitazione passiva e meccanica perch imitare vuol dire far rivivere le cose e per far questo necessario saper rapportare i propri tempi a quelli antichi. Imitare perci rinnovare ma il rinnovamento con la sua inevitabile carica di novit non pero la rivoluzione 52.

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Capitolo II. Le rivoluzioni storiche


Nel capitolo precedente abbiamo sottolineato come prima dell'evo moderno non siano esistiti eventi riconducibili al concetto di rivoluzione cos come lo intendiamo oggi n tanto meno l'idea stessa di rivoluzione. In questo capitolo metteremo in luce la nascita del concetto di rivoluzione attraverso alcuni brevi cenni alle prime rivoluzioni: quella Inglese del 1688- 89, quella Francese e quella Americana. Solamente le ultime due possono essere considerate rivoluzioni in senso moderno mentre quella Inglese qui ricordata perch consente di mettere meglio in luce la differenza tra le rivoluzioni moderne e quelle che moderne non sono e anche per altri motivi che vedremo in seguito. Nella rivoluzione francese e in quella americana troviamo invece l'origine del concetto di rivoluzione. Questi due eventi molto diversi tra di loro permettono di cogliere molti aspetti significativi del termine in questione. In un certo senso possiamo intendere queste due rivoluzioni come i due principali modelli a cui ancora oggi possibile fare riferimento quando si voglia definire il concetto di rivoluzione.

1. La rivoluzione inglese
Il termine "rivoluzione" divenne molto noto in campo astronomico grazie all'opera "De revolutionibus orbium caelestium" di Copernico 53. Traslata alla politica questa parola non poteva che significare il ricorso ciclico degli avvenimenti ed in questo senso fu usata per indicare la " Gloriosa Rivoluzione" inglese del 1689. I puritani percepirono la loro opposizione all'assolutismo degli Stuart e al loro tentativo di reintrodurre il cattolicesimo come un semplice desiderio di tornare ad una fase precedente di legalit violata dal re. La rivoluzione del 1689 una rivoluzione ancora essenzialmente premoderna. Infatti, non si trova in essa nessun accenno alla volont di costituire qualcosa di radicalmente nuovo. Ci a cui si appellarono i parlamentari per opporsi al sovrano erano le antiche consuetudini e gli antichi diritti risalenti al tempo dell'invasione normanna. Il desiderio di riaffermare diritti e consuetudini antiche sottolinea come per molti di questi uomini il futuro non fosse lo spazio per la realizzazione di qualcosa di differente dall'esistente. La mentalit degli inglesi durante questo scontro tra la monarchia e vasti settori del Paese, rimase ancorata al fatto che la legittimit dell'agire politico e delle istituzioni risiedeva in ci che si era sviluppato storicamente nel passato. Per comprendere quanto detto, basta considerare ci che accadde dopo l'interregno di Cromwell, ovvero la restaurazione della monarchia. Questo avvenimento fa capire come fosse difficile operare in
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Inghilterra cambiamenti cos radicali come l'instaurazione di una repubblica, in un paese profondamente monarchico. Agli occhi di molti inglesi il ritorno di Carlo II, apparve come una sanzione da parte di Dio del disordine e dell'anarchia che erano seguiti alla morte di Carlo I. Il ritorno della monarchia, avvenuto nel 1661, ci d la misura della mancanza nell'Inghilterra del seicento di una mentalit veramente rivoluzionaria intesa come volont di stravolgere l'esistente 54. La lotta tra la monarchia e il parlamento dur quasi un secolo prima di trovare una soluzione con la Gloriosa Rivoluzione. Questa si realizz sotto Giacomo II quando il paese si rese conto del suo tentativo di radicare una dinastia cattolica in Inghilterra e quando il suo assolutismo divenne inaccettabile 55. La rivoluzione del 1689 non produsse n una costituzione nuova n un testo ma solo una " Dichiarazione dei diritti" che per non sanciva in maniera minuziosa ogni aspetto del rapporto tra Corona e Parlamento. Pur non essendo mai stata redatta, gli Inglesi credevano di ravvisare una costituzione in quell'insieme di istituzioni statiche legate ai costumi e al carattere della loro nazione. Particolare importanza in questa costituzione non scritta, occupava la famosa Magna Charta concessa nel 1215 da Giovanni "senza terra" ai baroni inglesi. Queste franchigie e libert si applicavano in certi casi non solo ai baroni ma anche a tutti gli uomini liberi, come ad esempio il principio dell'Habeas Corpus 56. Subito dopo la fuga del Re il parlamento dichiar che il sovrano aveva abdicato al trono e incoronarono come nuovi regnanti Guglielmo III d'Orange e sua moglie 57. Quest'atteggiamento dei parlamentari dimostra chiaramente quello che abbiamo asserito prima e cio che secondo il loro modo di vedere le cose, una novit cos importante come l'interruzione del legittimismo dinastico, comportava seri problemi sulla validit del loro operato. L'affermazione degli "antichi diritti" degli Inglesi non poteva ledere quelli altrettanto antichi della monarchia e per questo motivo la cacciata del Re fu spacciata come una sua "abdicazione". Ci che rende pre-moderna questa rivoluzione allora la prospettiva all'interno della quale si mossero i parlamentari. Essi guardavano indietro nel senso che per loro era inconcepibile che un cambiamento fosse positivo e accettabile semplicemente perch l'avevano desiderato. Pertanto cercavano nella continuit della tradizione la legittimazione del loro operato.. Inoltre, in questa rivoluzione, detta Gloriosa perch non comport spargimenti di sangue, c' una connotazione religiosa che la differenzia da quelle del '700. Ci che comport la definitiva sconfitta degli Stuart fu non solo la questione finanziaria ma soprattutto il fatto che la corona si mise contro il sentimento religioso predominante. In Inghilterra il puritanesimo, cio il calvinismo inglese, si era diffuso gi dalla met del '500. Quest'impostazione religiosa era portatrice di una notevole carica eversiva perch il puritanesimo non solo si caratterizzava come uno stile di vita ma tendeva a riconoscere solo i governi e le istituzioni che si conformavano al suo spirito 58.
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1.1 Locke e la Gloriosa Rivoluzione Abbiamo voluto parlare della Gloriosa Rivoluzione non solo perch ci permette di marcare la differenza tra le rivoluzioni moderne e quelle che moderne non sono ma anche perch in essa emersero significative novit nel campo della prassi e della teoria politica. Non , infatti, possibile collocare rigorosi steccati tra ci che moderno e ci che premoderno. Anche perch il '600 un epoca cruciale per l'elaborazione di principi scientifici e culturali che troveranno successivamente il loro svolgimento. Infatti, se la politica dovette aspettare il '700 perch conoscesse l'enfasi dell'assolutamente nuovo non altrettanto possiamo dire per la scienza e la filosofia. Basti pensare a Galileo e Cartesio, al loro desiderio di rifondare le rispettive discipline e alla consapevolezza che ebbero della novit del loro pensiero 59 . Anche la Gloriosa Rivoluzione comport di fatto notevoli novit nei rapporti tra Parlamento e Corona e diede vita con Locke e i suoi " Due trattati sul governo" ad una riflessione consapevole su quei fatti, capace di esercitare grande influenza sui posteri. La rivoluzione del 1689 sancisce, di fatto, la nascita di una monarchia costituzionale e riafferma il principio che chi governa lo fa per il bene dei governati e in ottemperanza alle leggi. Il sovrano era stato rovesciato o meglio aveva "abdicato" perch aveva infranto le leggi e le consuetudini del suo popolo. La rivoluzione comport l'avvio di una monarchia parlamentare e, anche se questa non fu sancita in nessun documento, da quel momento in poi cominci a delinearsi come tale. Chi comprese le novit insite negli avvenimenti e fu capace di darvi una interpretazione coerente sicuramente Jonh Locke. Qualcuno ha detto che raramente un fatto ha avuto una lettura cos puntuale da parte di un contemporaneo 60. Locke si rese subito conto che la rivoluzione aveva sancito il principio del governo limitato dalla legge. Inoltre precis che la legge di riferimento per chi governa deve essere sempre "certa e promulgata" e non deve esse confusa con gli atti estemporanei ed arbitrari 61 . L'opera di Locke non esprime concetti nuovissimi ma riesce a sistematizzare tutti quei principi che erano emersi nella lotta decennale tra corona e parlamento. Gi nel 1612 il giudice capo Coke aveva espresso l'idea del governo limitato dalla legge quando aveva ricordato a Giacomo I che sebbene non fosse soggetto agli uomini lo era a Dio e alle leggi 62. Gli scritti di Locke divennero cos un manifesto della Gloriosa Rivoluzione perch di essa davano una giustificazione morale e politica. Locke coglieva il significato degli avvenimenti in profondit pi di quanto avessero fatto gli stessi protagonisti. Locke abbozza anche una teoria della divisione dei poteri in esecutivo, legislativo e giudiziario che avr una grande fortuna dopo di lui. Anche questo principio per rintracciabile nelle lotte del Parlamento. Infatti, si pu dire che pi o meno consapevolmente i parlamentari combattendo per le proprie prerogative di controllo sull'operato del monarca, andavano affermando il principio della divisione dei poteri.

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1.2 Locke ed il giusnaturalismo Abbiamo detto precedentemente che il diritto di resistenza e il contrattualismo per avere esiti rivoluzionari dovevano calarsi in una specifica mentalit dove il potere avesse perso la caratteristica della sacralit e dove l'agire politico avesse smesso di cercare solo nel passato i propri principi guida. La rivoluzione, infatti, non immaginabile come desiderio di cambiamento radicale da parte dell'azione consapevole dell'uomo all'interno di una concezione secondo cui il potere costituito e l'ordine della societ trovano la loro origine nella volont divina. La rivoluzione inglese, vista la mentalit dei suoi protagonisti, non si configura ancora come moderna. Eppure dal seno della rivoluzione inglese che nasceranno concetti fondamentali per comprendere le rivoluzioni del '700. Infatti, quell'opera di laicizzazione della politica iniziato da Machiavelli nel '500 trova nuova linfa nelle teorie giusnaturaliste che si sviluppano in Inghilterra nel '600. Non certamente un caso se il dibattito sull'assolutismo e sul diritto di resistenza trova spazio pi in Inghilterra che nella Francia di Luigi XIV. Le lotte tra la corona e il parlamento produssero, infatti, un gran numero di scritti a sostegno delle diverse posizioni. Ci che a noi preme sottolineare che anche un assertore radicale dell'assolutismo come Hobbes ha dei punti in comune con Locke. Entrambi, infatti, non ricorrono pi a spiegazioni di tipo religioso per descrivere la nascita della societ e per giustificare il potere. Per Hobbes il fondamento della societ utilitaristico, per Locke volontaristico e razionale. Ne "Il Leviatano" scritto nel 1651 sotto Cromwell, Hobbes esprime il desiderio di utilizzare la ragione ed il metodo matematico per spiegare la nascita della societ trascurando le interpretazioni filosofiche e dogmatiche. Secondo Hobbes all'origine della societ vi il desiderio dell'uomo di autoconservazione. La paura dunque spinge l'uomo a entrare in societ. Il patto di soggezione che sta alla base della societ implica anche la rinuncia a qualsiasi diritto da parte del suddito. Non esiste d'altronde legge o diritto che non derivi dallo stato e non pu perci esserci diritto che si possa impugnare contro lo stato. Lo stato di natura per Hobbes un bellum omnia contra omnes e la sua teoria si svolge a partire da questa considerazione. Per Locke invece nello stato di natura l'uomo non vive in quello stato di guerra immaginato da Hobbes e al contrario gode di alcuni diritti naturali quali la propriet e il diritto all'integrit. Se l'uomo decide di formare un consorzio civile per rendere ancora pi sicuro l'esercizio di queste libert. La societ e le forme di governo sono il frutto di questo atto deliberato e razionale grazie al quale i nostri diritti naturali trovano un riconoscimento e una difesa anche nel diritto positivo 63. Se per Locke la dinamica che porta all'origine della societ tale da giustificare la resistenza al potere tirannico, al contrario l'assenza in Hobbes di un qualsiasi diritto precedente la formazione dello stato impedisce che tale opposizione sia legittima. L'utilitarismo di Hobbes non fu per gradito nemmeno ai sostenitori dell'assolutismo monarchico perch toglieva al sovrano la sacralit che derivava dal credere che Dio stesso avesse fondato la monarchia. Il sostenitore pi famoso del diritto divino dei re sicuramente Robert Filmer autore del " Patriarcha". Questo scritto
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pubblicato nel 1680 affermava non solo che la monarchia era accettata da Dio ma che lui stesso l'aveva fondata. A dimostrazione di ci invocava oltre alla figura di Adamo, primo monarca della storia, la struttura naturale della famiglia. Come nella famiglia l'uomo naturalmente colui che comanda cos nello stato il re rappresenta la figura del padre. Per Filmer l'origine di ogni potere politico patriarcale. La sua opera rimasta probabilmente famosa pi per che per i suoi contenuti per il fatto che fu oggetto della critica di Locke nel primo dei suoi due trattati sul governo. 1.3 Locke e il diritto di resistenza La rivoluzione inglese riprese ed ampli il concetto, precedentemente espresso, del diritto di resistenza al tiranno. Secondo Locke non bisogna temere che il popolo abusi di questo diritto perch l'uomo attaccato alla consuetudine. Perch ci si rivolga contro il sovrano bisogna che questi abbia compiuto non una violazione ma una serie continuata di ingiustizie 64. Se il sovrano elever l'arbitrio a sistema di governo allora lui stesso dissolver il proprio potere. Locke ha fiducia che il popolo ricorra a questa estrema ratio solo in casi di reale necessit, davanti al persistere di prolungate iniquit. Queste teorie rispecchiano chiaramente le vicende storiche che ne hanno sollecitato la nascita. L'idea che il governo si dissolva da s nel caso compia iniquit rispecchia la situazione della "abdicazione" di Giacomo II. La fiducia nella prudenza con cui si sarebbe esercitata la resistenza al re risiede nella constatazione di quanto lungo fosse stato il conflitto che aveva portato alla Gloriosa Rivoluzione. L'opera di Locke nasce in definitiva con l'intento di giustificare l'assetto politico nato dalla rivoluzione ma le sue teorie sull'origine della societ e sul diritto di resistenza o sulla divisione dei poteri continueranno ad essere fonte di ispirazione per gli uomini del '700 da Montesquieu ai coloni americani, da Rousseau a Burke 65. Ci che fa di lui un pensatore importante per le rivoluzioni l'idea che la societ nasce per difendere i diritti naturali degli uomini e che ci si possa ribellare contro che li infrange. Il principio della resistenza non ha pi a che fare con un ordine morale o religioso che stato profanato. La resistenza invece giustificata laicamente e razionalmente. .

2. La rivoluzione americana
Con la rivoluzione americana il concetto di cui stiamo indagando l'origine trova una importante definizione. Infatti, non v' dubbio che la rivoluzione americana produsse qualcosa di veramente nuovo e che coloro che vi parteciparono ne ebbero, anche se non subito, la consapevolezza. Questo evento da collocarsi tra la fine della guerra dei Sette anni (1756-63) e la guerra d'indipendenza (1776-1783), giungendo a conclusione con la Costituzione degli Stati Uniti (1788). Precedentemente abbiamo detto che nelle due grandi rivoluzioni del '700, quella Americana e quella Francese, non vi fu subito coscienza che si stava producendo qualcosa di nuovo. Solo quando il conflitto con la madrepatria o con il sovrano fu innescato, apparvero chiare agli attori delle rivoluzioni le novit insite in quegli
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avvenimenti. I coloni americani non pensavano fino agli anni 70 del '700 di volersi staccare dall'Inghilterra. Se si arriv allo scontro aperto fu anche perch la madrepatria non riusc a disinnescare il conflitto ma anzi lo acu ulteriormente. La maggior parte dei coloni si sentiva ancora molto legato alla madrepatria. Soprattutto l'aristocrazia terriera del sud ricalcava gli stili di vita della gentry inglese. La rottura fu provocata da un escalation di dissidi tra il governo marcatamente personalistico di Giorgio III e le colonie 66 . Bisogna comunque dire che presso i coloni, per quanto fossero tutti di origine europea, si andavano evidenziando quelle caratteristiche, quali il pragmatismo, l'individualismo, il dinamismo, la mobilit sociale, la cultura antiaristocratica del lavoro, tipiche della societ americana. L'espressione di queste caratteristiche fu stimolata dal fatto che l'America era terra di frontiera e meta di emigranti, dove le differenti comunit religiose potevano realizzare nuovi modelli di convivenza 67. 2.1 Emancipazione dalla madrepatria e fondazione della libert Ci che a noi interessa della rivoluzione americana e che questa va oltre la fase della liberazione dalla madrepatria 68. La Arendt sottolinea come spesso nelle rivoluzioni il momento che cattura di pi l'attenzione sia la liberazione 69. L'atto attraverso cui un popolo rompe i legami con l'oppressione sicuramente esaltante e ricco di pathos, ma il fine delle rivoluzioni, come ebbe a dire Condorcet, l'instaurazione della libert. E perch vi sia vera libert, non basta essere liberati da ci che si configura come un potere oppressivo, ma necessario che nasca un ordine politico capace di renderci liberi. La rivoluzione americana riusc a fare questo e, infatti, la Costituzione, l'esito pi alto che sia stato prodotto da quei fatti, sancisce, a partire dal 1789, un nuovo ordine politico. La Costituzione, naturale conclusione della rivoluzione americana, segna a sua volta l'inizio degli Stati Uniti d'America, come stato e come organismo politico. La parola "rivoluzione" allora usata qui a proposito perch segna la nascita di qualcosa di veramente originale: la fondazione di un nuovo stato e la creazione della prima costituzione moderna della storia . Il Bill of Right inglese del 1689 aveva alcune caratteristiche in parte coincidenti con quelle delle moderne costituzioni ma in America che apparve per la prima volta un documento nel quale non solo erano definite precisamente le funzioni degli organi dello stato e i rapporti fra essi ma addirittura procedeva a fondare lo stato stesso. Questa novit di portata veramente rivoluzionaria non nacque a seguito di una precisa teoria politica ma emerse dallo sviluppo stesso degli avvenimenti 70. La Costituzione del 1788 sar il frutto di lunghe discussioni, compromessi ed aggiustamenti, necessari per accordare posizioni tra loro differenti. In questa situazione di compromesso si riassume il senso della Costituzione come documento scritto e permanentemente valido come una sorta di patto ed alleanza sottoscritta tra diversi

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soggetti 71 . Il fatto che i coloni si batterono contro una monarchia costituzionale, influenz chiaramente la costituzione del nuovo tipo di potere. Ci che comunque veramente nuovo in questa Costituzione la figura del presidente eletto dal popolo e in carica per un periodo limitato. Se si vuole cercare dei precedenti a questa Costituzione oltre al modello inglese bisogna guardare alla lunga esperienza di autogoverno ed autonomia che i coloni avevano gi conosciuto nella loro storia 72. Per la Arendt i coloni avevano conosciuto gi da tempo il piacere che deriva dal partecipare alla vita pubblica e alle deliberazioni importanti. Quando scoppi la guerra d'indipendenza dalla Madrepatria quasi ovunque fiorirono assemblee costituenti che diedero vita a diverse Costituzioni. Gli americani in pratica conobbero prima della Costituzione del 1788 la libert politica, quella cio che nasce dal far parte di un corpo civile e politico. Un altro precedente importante a questo fatto pu essere considerata la bozza redatta dai Padri Pellegrini a bordo del Mayflower nel 1620. Se per i pensatori europei lo stato di natura sar o una supposizione o una astrazione logica su cui fondare delle teorie, i coloni si trovarono veramente in quello stato. Prima di sbarcare sulle coste Americane decisero allora di sottoscrivere un patto, visto che alcuni davano segno di " faziosit". Si impegnarono alla presenza di Dio e di tutti loro a unirsi in un corpo civile e politico al fine di meglio preservarsi e darsi un ordine. Si impegnarono dunque a obbedire per il bene della colonia alle leggi, al governo, e agli ordinamenti che di volta in volta sarebbero stati creati. Questo vero proprio "contratto sociale" tuttora considerato come il germe del governo popolare negli Stati Uniti. 2.2 Fortuna e sfortuna della rivoluzione americana Con la rivoluzione americana il concetto di cui stiamo studiando l'origine si definisce in maniera piuttosto precisa. Abbiamo visto come questi avvenimenti portarono alla nascita di un ordine politico del tutto nuovo 73. I suoi protagonisti, superate le incertezze iniziali, si resero subito conto della novit insita nella loro azione. Eppure secondo la Arendt questa rivoluzione, pienamente riuscita, dal momento che ha sancito con la Costituzione la nascita di un ordine politico capace di garantire i diritti civili dei cittadini e l'esercizio della libert, non esercit una grande influenza sul pensiero rivoluzionario successivo. Per capire le ragioni di questo mancato influsso pu essere utile un confronto con l'altra grande rivoluzione del '700: quella francese. Ci che emerge da questo confronto l'assenza nella rivoluzione americana di quel forte connotato sociale che molti ritengono debba accompagnare le rivoluzioni. La convinzione che le rivoluzioni siano connesse con problemi di origine sociale e in particolare con la povert proprio un'eredit della rivoluzione francese, impostasi con il fascino che essa ha sempre esercitato nell'immaginario collettivo.
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La rivoluzione americana molto diversa da quella francese e per alcuni non nemmeno una vera rivoluzione. Ma sebbene essa non abbia avuto influenza sulla teoria politica dei rivoluzionari francesi questo non vuole dire che non abbia comunque avuto un grande impatto sull'opinione pubblica francese ed europea. " Non parlavamo che dell'America" disse Talleyrandt, alcuni anni dopo la rivoluzione francese. Dalla Finlandia alla Russia, fino all'illuminato granducato di Toscana, si facevano i nomi di Washington e di Franklin, o si citava la Costituzione della Virginia. Per i francesi gli americani vivevano in uno stato di natura dove non esisteva n la miseria n l'oppressione. L'America era secondo Brissot cento volte felice per essere priva di passato. Le colonie apparivano una societ idilliaca per il fatto che non esistevano ordini o stati, privilegi o diritti speciali. In effetti, a parte alcuni aspetti delle colonie del Sud, l'America non conosceva l'organizzazione sociale feudale che invece opprimeva l'Europa e nemmeno la tirannia dei sovrani 74. Queste considerazioni che all'epoca circolavano in Francia dimostrano come stesse emergendo una mentalit rivoluzionaria. Infatti, si faceva largo l'idea che le riforme pi durature dovevano poggiare su di una tabula rasa e non su un sistema politico e sociale ritenuto ormai da tempo completamente sbagliato. I francesi guardavo con ammirazione il fatto che i coloni erano riusciti a creare intenzionalmente e razionalmente le loro istituzioni e la nuova forma di governo. 2.3 Rivoluzione Americana ed illuminismo La Costituzione del 1788 non immaginabile senza quell'esperienza di libert di cui i coloni avevano gi da tempo fatta esperienza. Oltre all'esperienza politica esisteva anche una cultura politica maggiore di quanto spesso si possa pensare. La Costituzione del 1788 dimostra una chiara influenza dei principi elaborati dall'illuminismo 75. Recenti studi hanno dimostrato anche che la corrente radicale di Whilkes era conosciuta negli Stati Uniti. Il polemista inglese Tomas Paine rappresenta il tratto d'unione tra il radicalismo inglese e le colonie. Paine con il suo libretto " Common sense" aveva contribuito, con il modo semplice e diretto con cui spiegava la causa degli insorti, ad infiammare non poco gli animi dei coloni alla vigilia della guerra d'indipendenza. Leggendo Paine o la "Dichiarazione d'indipendenza" redatta dal Secondo Congresso Continentale di Boston facile rintracciare gli echi del pensiero di Locke 76. Affermazioni come " gli uomini sono naturalmente uguali" o " la propriet e la libert sono suoi inalienabili diritti" ricorrono di continuo in questi scritti. Era convinzione ormai comune degli insorti che i governi sono istituiti dagli uomini con il loro consenso per assicurare l'esercizio ed il possesso delle proprie libert. La Dichiarazione affermava pertanto che il popolo ha diritto pur con la cautela che il caso richiede a modificare i governi qualora infrangano lo scopo per cui sono stati istituiti. Appare allora chiara l'importanza del pensiero giusnaturalista nell'origine del fenomeno rivoluzionario. Il contrattualismo di Locke, l'idea del fondamento razionale della societ e del potere, il diritto di
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resistenza, calati all'interno di una mentalit nuova finivano per avere esiti rivoluzionati. Perch potesse nascere il desiderio da parte dell'uomo di impadronirsi del futuro, di cambiare l'assetto politico oppure quello sociale ed istituzionale del mondo o delle nazioni era necessaria una nuova mentalit, non per forza irreligiosa ma pi incentrata sulle possibilit di azione e trasformazione dell'uomo. I rivoluzionari americani non pensavano di creare qualcosa di radicalmente nuovo mentre si opponevano agli Inglesi e non erano certo atei, anzi il testo pi citato da loro, prima ancora di Locke, era la Bibbia. Eppure gli esiti della lotta verso l'Inghilterra furono del tutto rivoluzionari e portarono alla nascita di un nuovo stato con un nuovo sistema politico. I fatti americani sono spiegabili solo rendendosi conto che la mentalit di chi vi prese parte non era pi quella che aveva animato gli Inglesi nella loro "Gloriosa Rivoluzione". Gli Americani non avevano avuto timore una volta staccatosi dalla Madrepatria di progettare qualcosa di nuovo. La loro religiosit non consisteva nell'accettazione di ci che era emerso nel passato. La legittimit dell'agire politico che per gli Inglesi risiedeva nelle consuetudini per i coloni era invece prima di tutto nella ragione. Queste considerazioni ci spingono a leggere la rivoluzione americana nell'ottica dei principi cari all'illuminismo: la partecipazione politica, la libert, l'uguaglianza. Parlando dell'illuminismo e della sua influenza in America possiamo chiederci se si possa parlare di illuminismo Americano. Se consideriamo l'illuminismo come elaborazione culturale, dobbiamo respingere l'idea di un illuminismo Americano, nonostante la presenza nella societ americana di significative figure di pensatori. Possiamo per accettare il termine per indicare che la societ americana era di fatto permeata dei principi cari a quel movimento: la tolleranza religiosa, l'ostilit verso il potere dispotico, il buon livello generale di benessere ed istruzione. Gli Stati Uniti non sono per solo debitori rispetto al pensiero europeo ma riuscirono ad elaborare importanti contributi al pensiero politico mondiale. L'opera di maggior valore di questo illuminismo americano sicuramente " The Federalist" 77.

3. La rivoluzione francese
La rivoluzione francese rappresenta nell'immaginario collettivo l'idea stessa di rivoluzione. Gli avvenimenti del 1789 sconvolsero il mondo ed ebbero una eco immensa e tanto prolungata da costituire ancora oggi oggetto di serrato dibattito. Come abbiamo avuto modo di dire con questa rivoluzione che il termine si definito nella sua accezione pi comune. Da allora la parola "rivoluzione" evoca grandi sconvolgimenti politici e sociali, scontri tra avverse fazioni, ribellione di affamati e copioso spargimento di sangue. Per rivoluzione francese si intende quella vicenda o quelle vicende, a seconda che gli si voglia dare una interpretazione unitaria oppure no, intercorsa tra il 1789 e il 1799. Voler dare conto anche in minima parte delle cause e degli antecedenti che precedettero la rivoluzione non risulta cosa di poco conto. Vastissima e ancora prolifica
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, infatti, la storiografia in materia. Soprattutto in Francia i fatti del 1789 sono al centro di sempre rinnovati studi, in quanto sono percepiti come momento cruciale della storia nazionale francese. Noi non possiamo accennare, nemmeno in breve, alle molteplici interpretazioni della rivoluzione che a partire da allora fino ad oggi hanno continuato ad accumularsi. Fin dal primo momento la rivoluzione provoc grande stupore e impressione per la sua forza e per la radicalit del suo attacco all'ordine costituito. Burke fin dall'inizio ne percep i caratteri di rottura traumatica con il passato mentre Tocqueville a qualche hanno di distanza sottoline la continuit tra l'apparato statale nato da quei fatti e l'opera accentratrice e livellatrice della monarchia assoluta. Per alcuni come Michelet la rivoluzione era il frutto della ribellione alla miseria del popolo francese mentre altri hanno messo in luce il ruolo della borghesia capace di affermarsi come classe dominante con l'appoggio inconsapevole delle masse: rivoluzione della miseria dunque o della prosperit? L'interpretazione marxista esemplificata da Lefebvre ha visto nei fatti del 1789 una parte del processo attraverso cui il capitalismo si affermato travolgendo le barriere sociali ed economiche dell'Antico Regime nobiliare. Qualcun altro si posto il problema se la rivoluzione sia un fatto unitario, come Burke o gli stessi rivoluzionari sembravano credere, o se al contrario contenga diverse fasi non riconducibili una all'altra. Un altro aspetto importante di questi eventi che fin da subito si colto il nesso tra azione politica e quell'insieme di idee che sono conosciute come Illuminismo. Uno storico che si molto soffermato sull'influsso del pensiero sulla rivoluzione sicuramente Taine. Questo autore nella sua opera "Le origini della Francia contemporanea" ha messo in luce il nesso tra "lo spirito scientifico" e quello "classico" del '700 e la concezione politica dei giacobini. I giacobini in particolare, la loro esperienza democratica e i loro tristi eccessi terroristici risultano ancora oggi oggetto di acceso dibattito. Destra e sinistra si sono spesso divise nell'interpretazione di questi fatti in quanto in questa lontana rivoluzione si colgono spesso i germi di vicende a noi assai pi vicine. Per questo motivo non bisogna dimenticare che molte letture sulla rivoluzione francese sono influenzate, come normale che sia, da presupposti politici.

3.1 L'influenza della rivoluzione francese sui contemporanei e sui posteri Al fine della nostra ricerca importante capire quale significato assumono il concetto e il termine di rivoluzione dopo questi avvenimenti e per quale motivo essi si siano precisati proprio in Francia. Ci siamo chiesti molte volte perch la rivoluzione francese rappresenti lo stereotipo stesso di rivoluzione. La Arendt in particolare si chiesta perch quella Americana sia stata spesso trascurata e sia risultata incapace di esercitare un influenza sui rivoluzionari successivi pari a quella francese. La pensatrice tedesca, immigrata negli Stati Uniti negli anni bui del totalitarismo nazista, attribuisce in parte l'oblio in cui sarebbe caduta la rivoluzione americana al disinteresse dimostrato dagli statunitensi stessi al ricordo di quei fatti. Oltre a questa prima spiegazione la Arendt ne suggerisce un'altra ben pi profonda. La
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rivoluzione americana e quella francese rispecchierebbero due concezioni differenti della politica. La sensibilit contemporanea, quella marxista in particolare, intenderebbe la politica in maniera simile a come la intendevano i rivoluzionari francesi. La "questione sociale" fu, infatti, uno dei punti pi importanti dell'intera vicenda francese Un'altro motivo per cui possiamo spiegare la grande influenza della rivoluzione francese consiste nel fatto che essa ebbe un impatto sui cuori e sulle menti dei contemporanei e delle generazioni successive del tutto straordinario 78. Burke afferm nel 1790 che ci a cui assisteva era la prima "rivoluzione integrale" della storia. Kant predisse che un tale avvenimento non sarebbe mai stato cancellato dalla storia del genere umano. In un primo momento prevalse l'eccitazione per la novit di quei fatti. In seguito molti per di coloro che erano rimasti colpiti favorevolmente cambiarono idea a seguito del Terrore. E' questo il caso di Vittorio Alfieri passato dall'elogio della rivoluzione alla riprovazione nel giro di poco tempo. Non tutti per si lasciarono influenzare dagli eccessi del Terrore. Hegel a quaranta anni di distanza continuava a considerare la rivoluzione una "felice aurora", e con lui Kant, Herder, Shiller, Hlderlin e molti altri. La rivoluzione francese non rimase circoscritta alla Francia ma a livello di pratica e pensiero politico era destinata ad avere un influenza duratura sull'Europa. Una delle ragioni per cui la rivoluzione fu ben accettata da rintracciarsi nell'ottimismo politico e nella fede nel progresso tipici dell'illuminismo. Kant afferm che " ogni rivoluzione sviluppa sempre di pi il seme dell'illuminismo". Non stupisce nemmeno il fatto che Hegel esalti la rivoluzione visto che colse in essa quel carattere di necessit che una specificit della sua filosofia della storia. Se la rivoluzione francese fu vista favorevolmente da chi vi scorgeva gli esordi di un epoca della ragione, paradossalmente fu interpretata anche da alcuni spiriti romantici come un evento che poneva le basi di una concezione sentimentale ed irrazionale della vita 3.2 Irresistibilit della rivoluzione francese La rivoluzione francese fu agli occhi di chi la visse un fatto di portata eccezionale, capace di imprimersi nella coscienza dei contemporanei e delle generazioni successive con una forza quasi sconosciuta fino ad allora. Lo spettacolo della rivoluzione fu qualcosa di veramente grandioso, capace di infiammare gli animi di ammirazione o di sdegno. Fu allora, secondo la Arendt, che molti si convinsero che la storia che stavano vivendo li vedeva solo come spettatori e non come protagonisti 79. Quella vicenda assumeva esiti imprevisti, come se fosse mossa da una propria forza interiore capace di trascinare tutto e tutti. Desmoulins espresse questo concetto con la parola " torrente rivoluzionario". La rivoluzione procedeva con una propria logica capace di conciliare momenti esaltanti come la presa della Bastiglia o la "Dichiarazione dei diritti dell'uomo" e momenti terribili come il Terrore e la violenza. Anche per questi motivi la rivoluzione francese si adegua meglio di quella americana al concetto di

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rivoluzione. Infatti, gli avvenimenti che presero inizio il 1789 possiedono quell'immagine di evento governato da una forza trascinatrice a cui spesso si associa il concetto di rivoluzione. La rivoluzione francese ha contribuito a creare alcune categorie storiche con le quali essa stessa ancora vista. La nozione di irresistibilit si complet con quello hegeliano di necessit finendo per divenire concetti compresi nella nozione di rivoluzione. Il porre l'accento sull'aspetto di necessit, irresistibilit delle rivoluzioni il frutto di una filosofia della storia che nata in Hegel, con una forte influenza dei fatti francesi, si poi protratta nella concezione dialettica della storia del marxismo. La parola "rivoluzione" rimanda al concetto di irresistibilit che l'unica accezione rimasta del vecchio significato astronomico del termine. Come, infatti, la rivoluzione dei pianeti intorno ai loro assi qualcosa di inevitabile rispetto a cui non la nostra volont impotente cos la rivoluzione nelle vicende umane pur non comportando un ritorno al punto d'inizio mantiene per quel carattere di forza che trascende le menti e le volont degli uomini. 3.3 Rivoluzione come processo Precedentemente abbiamo detto che le rivoluzioni sono da interpretare nell'ottica di processi di trasformazione di medio o lungo termine Chi colse subito l'aspetto processuale della rivoluzione Tocqueville nel suo libro " L'ancien regime e la rivoluzione". Affermare la processualit della rivoluzione vuole dire mettere gli esiti in relazione alle fasi precedenti. La natura di questa relazione non per vista da tutti nello stesso modo. Infatti, per alcuni esiste una certa necessit nello svolgimento degli accadimenti che per altri non esiste. La Arendt per esempio mette in relazione la rivoluzione con certe circostanze ma non vuole dire che gli esiti derivino necessariamente dalle premesse. Affermare il carattere processuale della rivoluzione vuol dire che non si pu spiegare nessun evento che cambi radicalmente una realt, senza in un qualche modo porlo in relazione con una serie di fatti precedenti. Se poi questi fatti siano cause nel senso forte della parola oggetto di analisi storiografica. 3.4 Rivoluzione come risposta alle crisi politiche e sociali La rivoluzione francese l'esito di un regime incapace di rinnovarsi e di apportare al sistema anche minime riforme 80. Tocqueville scorgeva nella rivoluzione una scossa ad un sistema gi morto e vedeva in essa l'esito di un processo di accentramento dei poteri cominciato dalla monarchia e continuato ora dallo stato. Burke invece, scrivendo nel 1790 sembra non vedere il legame esistente tra la stasi del sistema politico istituzionale francese e la rivoluzione. Nelle sue parole leggiamo lo sgomento per un avvenimento incomprensibile ed irrazionale come se la rivoluzione fosse un fatto fortuito o un escrescenza tumorale generatasi su di un tessuto sano. Se possiamo capire la perentoriet del nostro autore visto che scrisse la sua opera mentre quei fatti si svolgevano pi difficile risulta capire la posizione di Taine. Questo storico che visse ai tempi di Napoleone III ha prodotto una analisi ammirevole
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dell'Ancien Regime ma quando tratta la rivoluzione si concentra soprattutto su cause di ordine psicologico e sull'influsso nefasto di certi atteggiamenti culturali che troveranno la loro personificazione nel giacobino. Se comunque si pu osservare che Taine ha dato maggior peso a certi fatti anzich ad altri la sua analisi del giacobino rimane affascinante e ricca di spunti. Infatti, per capire la rivoluzione utile cogliere il peso di quelle idee che come dice lui stesso furono come cerini gettati dai palazzi dei philosophes a quella polveriera che era in strada, cio il popolo. Molte delle idee illuministe che in primo periodo furono appannaggio dei salotti e della ristretta opinione pubblica finirono per influenzare anche gli strati meno colti della popolazione. Perci alla crisi del sistema politico e alle sfavorevoli congiunture economiche si aggiunse il diffondersi di idee radicali e protestatarie, una mentalit maggiormente reattiva verso le ingiustizie, un processo di declino dell'autorit che si manifesta anche in quella che stata chiamata la scristianizzazione delle masse. 3.5 Il Terrore: questione sociale e potere illimitato Ci che colpiva molti osservatori esterni era il carattere iconoclasta che la rivoluzione assunse. Ad un certo punto, soprattutto nella fase "democratica", si fece largo una mentalit secondo cui non vi era pi spazio per le riforme ma solo per i cambiamenti completi. A testimonianza di questo desiderio di innovazione possiamo citare il fatto che l'Assemblea fu denominata alla maniera anglosassone Convenzione e che il calendario fu cambiato nei mesi e nei giorni. Un desiderio di rinascita, di nuovo inizio in cui la fondazione della Repubblica rappresentava l'anno primo mentre la precedente storia di oppressione e di miseria era ridotta ad uno zero. Vi sicuramente una mentalit rivoluzionaria nell'atto di cambiare i nomi stessi delle cose e di voler cambiare totalmente le istituzioni e le consuetudini assai radicate di una nazione. Si cerc anche di assoggettare il clero e poi addirittura di abolire il culto cristiano. Possiamo immaginare l'ebbrezza di quegli uomini sentitisi chiamati a rinominare le cose e a ridefinire in toto le fondamenta stesse della societ Uomini finalmente liberi desiderosi di creare, secondo i propri elevati principi, nuovi modelli di convivenza sociale nel quale la libert e il benessere trovassero finalmente posto. La fase che per si apr con la presa del potere da parte dei giacobini non fu quella della pace e della giustizia ma al contrario fu quella del Terrore. Come Dostoevskij scrisse nel suo libro " I demoni" da premesse di libert si pu giungere ad esiti di tirannia. Un concetto simile lo aveva affermato Hlderlin quando disse che ci che ha contribuito a fare dello stato un inferno il desiderio di trasformarlo in un paradiso. Abbiamo in precedenza sottolineato il ruolo centrale che ebbe nella rivoluzione francese la povert delle masse. L'indigenza del popolo parigino imped a coloro che si appoggiavano ad esso di dare un esito politico alla rivoluzione. Rispetto alla fame e alla miseria il problema dell'instaurazione della libert divenne secondario. Robespierre, infatti, disse " La monarchie? La republique? Je ne connais pas que la question sociale". Quando una rivoluzione come quella francese si pone come obbiettivo il miglioramento della
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condizione materiale e sociale degli uomini pu non ritenere la libert politica o i problemi di governo come la cosa pi importante 81. Quanto abbiamo finora detto spiega perch in certe situazioni si portati a trascurare le libert degli uomini ma non spiega ancora perch il terrore qualcosa di apparentemente fisiologico alle rivoluzioni. Riflettere su questo aspetto di grande utilit perch abbastanza comune l'idea che le rivoluzioni finiscano quasi per forza di cose per "mangiare i propri figli". Il terrore, infatti, non qualcosa che inerisce solo alla rivoluzione francese, perch allora sarebbe trascurabile per la nostra ricerca, ma qualcosa che si presenta con una certa puntualit nei rivolgimenti che sono scaturiti dalle questioni sociali. Il terrore pu apparire un semplice meccanismo del potere che qualora percepisca la propria autoconservazione come scopo principale, al pari di una mostruosa divinit, ha bisogno di sacrifici ed epurazioni per alimentarsi. Non vi dubbio, infatti, che la lotta ai nemici esterni ed interni sia un collante per chi detiene un potere dispotico. La lotta continua conduce ad abolire le discussioni o il confronto. Chi si oppone in stato di necessit considerato un traditore capace solo di "mettere il bastone in mezzo alle ruote". La guerra favorisce le unioni sacre e la trasformazione del potere in volont unica ed indivisibile 82. Emblematico pu essere considerato il libro dello scrittore Orwell che in " 1984" descrive la dittatura di un fantomatico Grande Fratello che governa la societ grazie ad uno stato di terrore e di paura giustificato dalla guerra continua contro i nemici esterni e quelli interni. In realt la guerra in questo romanzo una finzione escogitata dal potere per perpetuare se stesso. Queste dinamiche del potere si spiegano per solo in presenza di alcune condizioni di emergenza, come la povert o la guerra, e con l'incapacit delle rivoluzioni di istituire un nuovo ordine politico forte e stabile. Il terrore risulta allora come la conseguenza di un potere che in nome di obbiettivi elevati non riconosce limite legittimo al proprio operato. Perch si possano giustificare atti di grande violenza sono necessarie condizioni gravissime. Torniamo allora al paradosso che da buoni propositi si possa giungere ad azioni delittuose. Del resto Saint - Just ebbe ad esortare di essere inumani per amore dell'umanit 83. L'apice del terrore nella rivoluzione francese esemplificato dalla legge a cui abbiamo accennato, secondo la quale i sospetti potevano essere messi a morte. Coloro che con il loro comportamento o con le loro azioni mettevano a repentaglio la rivoluzione erano dei nemici. Questa legge insieme a quella che espropriava i sospetti dei loro beni esprime non solo il desiderio di allargare i poteri del Comitato di Salute Pubblica ma che vi era in molti il desiderio di fare ci che solo Dio potrebbe: guardare nel profondo del cuore degli uomini. Secondo Constant il fanatismo di uomini come Mably era tale che avrebbero voluto regolamentare anche i pensieri e i desideri del popolo. 3.6 Il Terrore l'esito dell'utopia?

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Le considerazioni precedenti danno una spiegazione del perch la carica utopica presente nelle rivoluzioni possa diventare pericolosa. Questo non ci autorizza a ritenere pericolosa l'utopia in quanto tale o ad affermare che chi cerca il bene degli uomini comunque pericoloso. Certe letture della storia affermano questo per difendere strumentalmente certe realt che altri vorrebbero perfezionare. Il problema non la spinta ideale che si ha nella propria azione politica ma i mezzi e i limiti che si riconoscono al raggiungimento dei fini. Erano capaci i rivoluzionari francesi di porsi alcuni limiti? La risposta sembra di no, e il motivo va ricercato nel fatto che la concezione del potere e della legge che avevano era quella di Rousseau. Da questo punto di vista allora il problema non sarebbe tanto quello individuato da molti secondo cui i francesi erano animati da un pericoloso spirito razionalizzante. Il loro peccato consisterebbe pi in una teoria politica errata che non nel loro " astratto razionalismo" e nella loro sacrilega volont di mutare l'ordine della societ. Lo storico israeliano Talmon ha invece ravvisato nella ideologia giacobina la matrice del moderno totalitarismo. Secondo questo storico la ricerca di un bene assoluto e la carica utopistica di questo movimento sarebbero essi stessi elementi pericolosi. La ricerca della perfezione porta all'intolleranza verso gli avversari e alla chiusura dello spazio politico. Chi ha espresso concetti simili anche Popper che ha affermato che la concezione politica di Platone cos come emerge da "La Repubblica" portatrice di tirannia. Per questo filosofo l'accento che Platone pone sul desiderio di uno stato ben ordinato e il ruolo regolatrice della lite virtuosa e capace, conducono ad una societ non libera. Dobbiamo comunque ricordarci che molte di queste critiche all'utopia, all'ideologia e alle loro componenti escatologiche nascono dopo le esperienze traumatizzanti del totalitarismo nazista e comunista. Il sogno di una nuova societ e di un uomo nuovo ha condotto l'Europa nell' incubo dei gulag e delle camere a gas. Era inevitabile che in questa situazione si generasse il sospetto verso gli ingegneri sociali e verso le religioni civili. Possiamo concordare con queste critiche sul fatto che la ricerca della perfezione pu condurre all'intolleranza politica ma non possiamo comunque dire che la ricerca di assetti sociali e politici migliori sia essa stessa pericolosa.

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Parte seconda
La Rivoluzione nella riflessione filosofica

1. Burke ed Hayek
Il primo autore di cui ci occuperemo in questa parte l'inglese Edmund Burke (1729-1797). Sebbene non possa essere definito un filosofo, le sue riflessioni sulla rivoluzione francese fanno di lui un pensatore importantissimo per chiunque voglia analizzare il concetto di rivoluzione. Contestualmente ho ritenuto opportuno analizzare il pensiero del filosofo - economista austriaco Friederich von.Hayek.,(1889-1992)), che si pu ritenere a buon diritto il continuatore delle idee di Burke nel Novecento 84. Edmund Burke sicuramente uno dei pi famosi critici della rivoluzione francese in quanto svilupp la sua critica a quell'evento storico gi al suo esordio, paragonando quanto stava accadendo in Francia alla Gloriosa Rivoluzione del suo Paese. L'intento dell'autore quello di dimostrare la differenza tra una rivoluzione, a suo parere insensata e distruttiva come quella francese e quella pi saggia e benefica avvenuta in Inghilterra un secolo prima. Uno dei primi problemi che deve essersi presentato al nostro autore deve essere stato quello di giustificare la cacciata del Re Giacomo II e la teoria del diritto di resistenza enunciata da Locke, pensatore a lui caro 85. L'anglo - irlandese si sforza in ogni modo di presentare la Gloriosa Rivoluzione come un atto eccezionale, anzi unico, tale da non poter essere preso a modello di una normale prassi politica. Burke sottolinea il fatto che nella "Dichiarazione dei diritti" non vi un solo cenno alla possibilit di sostituire il re e che nello stesso documento sancita la successione dinastica del sovrano 86. Per Burke la Costituzione inglese definitivamente fissata. Nella sua concezione sono possibili solo miglioramenti e precisazioni che comunque non stravolgano mai il senso complessivo di quanto si elaborato nel corso di una lenta e prudente accumulazione. Burke per meglio spiegare il suo punto di vista cos si esprime nel suo celeberrimo libro Riflessioni sulla rivoluzione in Francia a proposito della deposizione di Giacomo II: "Senza dubbio, in occasione della rivoluzione, si ebbe, nella persona del re Guglielmo, una piccola e temporanea deviazione dal rigoroso ordine di una regolare successione ereditaria, ma contrario a tutti i genuini principi della giurisprudenza dedurre una massima
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generale da un caso speciale e riguardante una persona singola. Privilegium non transit in exemplum....." 87. Il nostro intento cercare di capire il fondamento della critica di Burke alla rivoluzione francese e in ultima analisi al concetto stesso di rivoluzione. In precedenza abbiamo sottolineato le novit prodotte dalla Gloriosa Rivoluzione: la monarchia costituzionale, la fine di ogni tentativo di assolutismo, i germi di una monarchia parlamentare. Questi risultati sono scaturiti da decenni di lotte e contrapposizioni di cui la rivoluzione solo l'epilogo. Gli inglesi produssero qualcosa di nuovo pur non essendo animati da nessuna bramosia di grandi cambiamenti. La critica alla rivoluzione in Francia da parte del parlamentare Burke muove, ad un secolo di distanza, proprio da questi avvenimenti. Alla "tabula rasa" operata dai francesi, Burke contrappone il rispetto della tradizione e la conservazione del passato, a cui nulla vieta che si apportino miglioramenti e cambiamenti. Secondo Burke il nuovo deve essere sempre continuazione della tradizione e dello spirito di una nazione 88. La Gloriosa Rivoluzione nata per difendere la struttura costituzionale britannica che sola pu garantire l'esercizio delle libert inglesi. Ci che rende liberi gli uomini, secondo il nostro autore, non sono gli "astratti" diritti dell'uomo ma le libert concrete che nel caso dell'Inghilterra affondavano le proprie radici fin nella Magna Charta 89 . Vi un'altra convinzione di Burke che si pu pensare sia scaturita dalle vicende inglesi del Seicento: l'idea che nessun politico o filosofo pu pensare di elaborare costituzioni o istituzioni a piacimento secondo speculazioni puramente razionali. Sarebbe prima di tutto un atto di presunzione, una presunzione "fatale" come dir Von Hayek quasi due secoli dopo. Nessun uomo pu credersi pi saggio di quel lento ed organico sviluppo progressivo che si manifesta nella storia. Noi non possiamo alterare a piacimento le istituzioni perch queste non sono solamente artificiali, cio frutto dell'agire intenzionale e consapevole dell'uomo. Sar von Hayek a spiegare questi concetti in maniera esauriente. Secondo il filosofo ed economista austriaco, se l'uomo convinto che la storia sia il frutto solamente dell'agire intenzionale dell'uomo, finisce per sentirsi autorizzato a modificare a piacimento ogni parte della societ che non si conforma ad un qualche criterio o parametro razionale, "astrattamente" precostituito. Una tale operazione risulta essere rischiosa poich l'uomo presume di possedere le informazioni necessarie per poter far funzionare un sistema complesso, quale la societ. In realt si pu cadere nell'errore di manipolare in modo improprio meccanismi di cui non si vede l'utilit ma che, figli di una selezione avvenuta in tempi lunghi , ed emersi grazie alla loro efficacia, sono capaci di regolare la societ meglio di quanto si creda 90. La rivoluzione inglese termin con il raggiungimento di grandi obiettivi eppure nemmeno gli stessi che li conseguirono li compresero immediatamente. Tutti coloro che nel corso dei decenni lottarono per la difesa delle proprie antiche franchigie ed immunit non miravano certo consapevolmente alla monarchia costituzionale o parlamentare eppure fu grazie all'opera involontaria di molte persone che si giunse al raggiungimento di
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certi risultati. Per Burke era la conferma di ci che Seneca aveva asserito e cio che esiste nel tempo una saggezza superiore a quella di ogni singolo uomo 91. Da quanto detto in precedenza risulta chiaro che la rivoluzione inglese fu una particolarissima unione tra conservazione e raggiungimento del nuovo. I suoi protagonisti furono mossi da insofferenza nei confronti del re e allo stesso tempo da riverenza nei confronti delle leggi e dell'idea di monarchia tanto da simulare l'abdicazione di Giacomo II, per tacitare i propri scrupoli, porgere la corona ad un 'altro re e sancire la successione dinastica in maniera duratura. Per gli uomini di quel tempo la legittimit dell'agire politico risiedeva innanzi tutto nei costumi e nelle leggi del passato. Il concetto di cambiamento radicale inviso a chi abbia una concezione evoluzionistica della storia e della societ. L'idea che la ragione sia capace di creare ex novo ordinamenti, istituzioni o leggi vista con diffidenza da chi come Burke o il suo discepolo Hayek, non considera gli uomini capaci di riformare nella sua totalit un sistema complesso come la societ 92 . 1.1 Visione della storia in Burke E' mia convinzione che la critica di Burke alla rivoluzione francese, ed in ultima analisi al concetto stesso di rivoluzione, si basi in ultima analisi su concezioni religiose ovvero su di una visione della storia che rimanda a quella teologica del cristianesimo. Come abbiamo gi detto Burke considerato da molti come uno dei padri del conservatorismo politico in quanto sar proprio la sua critica alla "tabula rasa" della rivoluzione e la difesa del "Common wealth " cristiano a sancire un primo spartiacque tra le concezioni politiche progressiste e quelle di segno opposto 93.Capire Burke allora vuol dire comprendere le radici del pensiero anti rivoluzionario. Possiamo trovare nell'opera Riflessioni sulla rivoluzione in Francia alcuni elementi che sottolineano la visione sacra del divenire storico dell'anglo - irlandese. Il parlamentare Whig, nonostante si consideri un erede di Locke, di quest'ultimo non condivide l'idea secondo cui la volont sovrana nell'ordine politico. La volont per Burke non pu pretendere di rendersi autonoma dalle determinazioni storico - sociali. La societ e le sue istituzioni sono il frutto di un lento processo storico di crescita e di accumulazione. La societ una creatura delicata nata dall'interazione tra molteplici fattori quali leggi, istituzioni, consuetudini 94. Da ci il rispetto per il "dato ", per ci che si plasmato storicamente 95. L' "evoluzionismo " di Burke, tenendo presente che il termine nascer solo nell'Ottocento, non risulta pero essere laico come quello del suo discepolo austriaco. La concezione storica dell'anglo - irlandese risulta in ultima analisi poggiare su idee religiose 96 . Infatti, convinzione di Burke che il fondamento della societ sia di natura trascendente e che le gerarchie, le consuetudini, le leggi rispecchino in fondo un ordine sacro voluto da Dio. La fede in una provvidenza ordinatrice che opera nella storia sottolineata da lui stesso. Infatti dice ".. Siamo cos tenacemente attaccati alle nostre istituzioni da avervi

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apportato pochissimi cambiamenti dal XIV o XV secolo. Nell'insieme, queste istituzioni ci sembrano capaci di ricevere e di migliorare, ma soprattutto di conservare, i contributi ...che nel corso dei secoli ..sono stati prodotti dalla Provvidenza" 97 . Ai suoi occhi allora i rivoluzionari sono visti prima di tutto come superbi, in quanto desiderosi di sostituire la loro volont a quella divina. Del resto i toni da lui usati nella sua Riflessione ricordano la veemenza di chi scandalizzato da un qualche atto di estrema empiet. Si coglie nelle sue parole lo sdegno verso chi compie atti sacrileghi. La societ per l'autore un legame sacro trai vivi e i morti. E' presuntuoso, pericoloso ed in ultima analisi peccaminoso, voler interrompere il rapporto di continuit tra le generazioni. Burke l'espressione di un mondo che ha coscienza della sua prossima fine. Dopo l'epoca dei valori cavallereschi e della dignit dei regnanti si apre per lui una nuova era "...dei sofisti, degli economisti e dei calcolatori.." 98 . Ci che fa di Burke un osservatore attento dei cambiamenti in atto in Francia, il fatto che ne colse subito la portata epocale 99. Davanti a questi avvenimenti, la sua presa di posizione simile a quella di altri uomini che in altri tempi hanno percepito i mutamenti di un sistema, cogliendone solo gli aspetti negativi 100. Per il nostro autore esiste un piano voluto da Dio che si esplica nella storia. Il creatore colloca gli uomini in determinate posizioni ed solo realizzando le funzioni che ci spettano che la societ pu essere retta ed ordinata. Dice Burke: "Quella volont", che quella del genere umano come si trasmessa nel sistema religioso," non ha solo costruito, come un architetto saggio, la veneranda fabbrica degli Stati, ma ha pure, come un proprietario lungimirante, consacrato lo Stato e quanti vi operano in modo solenne ed eterno, cos da preservarne la struttura dalle profanazioni e dalle corruzioni, quasi si trattasse di un tempio sacro purgato da tutte le impurit". E ancora: " Questa consacrazione ha avuto luogo per dare consapevolezza della dignit della propria funzione e del proprio ruolo a quanti prendono parte del governo degli uomini, un'attivit in cui rappresentano Dio stesso, in modo che le loro speranze siano vivificate dal soffio dell'immortalit...."101. Dobbiamo assecondare i progetti di Dio non sostituirli con i nostri perch " Coloro che partecipano al potere anche solo minimamente dovrebbero essere richiamati in modo costante ed energico a constatare come le loro azioni siano su delega e come essi debbano renderne conto .. a un unico grande padrone , autore e fondatore della societ". Ci che di buono l'uomo ha prodotto opera sua ma stato possibile solo rispettando le istituzioni che " mettono in relazione gli affetti umani con la dimensione divina". Emerge in Burke l'idea che il processo storico sia guidato da Dio tramite gli uomini che ne assecondano il volere con la loro condotta rispettosa di ci che emerso storicamente . Secondo Burke l'ordine temporale e quello spirituale coincidono cos come quello morale ed interiore si identificano con la realt socio - politica 102. Emerge da queste considerazioni esposte nella sua opera una concezione della storia che rimanda a

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quella teologica e provvidenziale del Cristianesimo. Il compito dell'uomo quello di impegnarsi nel ruolo che ci stato affidato poich Burke 103 esalta la forza ordinatrice della provvidenza capace di assegnare ad ogni uomo una certa posizione. I pubblici ufficiali devono perci sapere di amministrare il potere per conto di Dio e devono pertanto considerare "sacra" la loro funzione. La critica del Parlamentare ai diritti " astratti" dell'uomo e l'esaltazione delle libert "concrete" cos come si sono affermate storicamente assume in questa prospettiva un significato preciso. L'egualitarismo perci respinto in quanto non accetta la "naturale" diseguaglianza tra gli uomini. Da questo punto di vista il pensiero dell'anglo - irlandese veramente anti - rivoluzionario e in parte anti- moderno poich una delle costanti del pensiero rivoluzionario che le diseguaglianze lungi dall'essere qualcosa di staticamente eterno sono in realt superabili. La convinzione che la vita possa essere benedetta dall'abbondanza e possa mirare alla felicit rompendo i vincoli della rassegnazione una delle costanti del pensiero del '700 104. Burke non dice che bisogna accettare la realt cos com'. La sua carriera politica smentisce questa riduzione. La sua convinzione che per i miglioramenti debbano essere attuati attraverso riforme e in tempi lunghi. Vi per nella sua mentalit un rispetto, che in parte retaggio di una cultura pre-moderna, per ci che si prodotto storicamente, dunque anche per le gerarchie sociali e ci che ad esse connesso,. Lo sviluppo delle scienze e della tecnica cominciate con la rivoluzione scientifica del '600 ha portato con il tempo alla nascita dell'idea che l'uomo vive in un mondo artificiale da lui controllato. Mentre la rassegnazione il tratto distintivo del mondo contadino dove l'uomo vive soggetto alle forze della natura e di Dio, la ribellione e l'ansia di vedere realizzati i propri desideri regnano nell'epoca moderna 105. Per questo motivo abbiamo pi volte sottolineato l'orizzonte moderno all'interno del quale si realizza la rivoluzione. Un orizzonte dove non appare trascurabile l'impatto dello sviluppo della scienza moderna. Bacone affermava che la scienza potenza mentre Galileo diceva che attraverso di essa si poteva nobilitare e perfezionare la terra 106. Esiste al fondo della scienza una volont di conoscenza della realt , orientata in ultima analisi verso il dominio 107. 1.2 Concezioni attuali e superate in Burke Ho voluto ricondurre la posizione conservatrice di Burke nei confronti della rivoluzione ad una visione religiosa che informa il suo pensiero. Bisogna per dire che il pensiero dell'anglo- irlandese non certo un mero recupero di concezioni che risalgono ad Agostino. Vi un sostrato a mio avviso provvidenzialistico nel suo pensiero ma non certo un disinteresse per la realt politica o l'impegno sociale. Anzi, l'attivit del parlamentare si rivolse instancabilmente ad una serie di obbiettivi. Come la conservazione della struttura tradizionale dello stato britannico, la definizione dei limiti e delle prerogative reali, l'estensione dell'autorit della Camera dei Comuni e l'accettazione dei partiti politici come parte integrante del sistema politico. A tutte queste
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iniziative si aggiunse un impegno per la difesa dei diritti civili, affinch fossero estesi a tutti i sudditi e alle colonie. Dunque un conservatore ma anche un accanito difensore delle "libert inglesi" e un sostenitore dei coloni e delle loro rivendicazioni 108 . Il fatto che il paladino dei Whigs sia passato dalla difesa della rivoluzione americana a la repulsione per quella francese fu considerato da alcuni come un tradimento dei suoi principi. In effetti lui stesso non spiega nelle sue Riflessioni il perch di questa sua posizione. Per marcare la differenza con la rivoluzione francese il nostro autore si riferisce alla Gloriosa Rivoluzione e non a quella dei coloni. In realt facile capire che per Burke la rivoluzione americana non era alimentata da quell'impulso iconoclasta e sovversivo che lui vedeva in Francia. Mentre in Francia si assisteva ad uno sconvolgimento radicale, cosa che a dire di Tocqueville era pi apparente che reale, in America i coloni non chiedevano che le libert di cui godevano gi gli inglesi, cio la rappresentanza politica e la salvaguardia dagli abusi del potere. Gli Americani volevano cambiare alcuni aspetti della realt politica, anche se finirono per cambiarne molti di pi, ma non erano certo ostili all'organizzazione sociale nel suo complesso visto che questa gli garantiva un diffuso benessere. La posizione del Parlamentare whig non certo filosoficamente " moderna" nel senso che si oppone a molti concetti emersi nel '600 e nel '700 quali l'uguaglianza naturale tra gli uomini o il potere dell'uomo sul suo destino. Per il suo rifiuto dell'illuminismo nelle suo aspetto razionalistico, che per lui si esprime nel dirigismo e nelle pretese degli ingegneri sociali di disegnare in maniera "astratta" nuovi assetti sociali, lo rendono moderno e capace di influenzare i contemporanei. Il pensiero anglosassone ha gi da tempo recuperato la figura di Burke perch in essa ha visto il modo di salvare e recuperare i valori della tradizione occidentale 109. Non vi dubbio che tale recupero nasca dalla crisi delle ideologie politiche e dalle tormentate vicende del Novecento. Il sogno di Prometeo sembra essersi trasformato in un incubo o meglio in quel "complesso di Prometeo" di cui ha parlato Norbert Elias . Il desiderio di alcuni di creare un mondo pi giusto tagliando i ponti con ogni retaggio del passato sembra, agli occhi di molti, essere miseramente fallito. Ci che per alcuni, come Hayek, moderno in Burke la sua critica alla volont di dominio dell'intelletto. Il peccato della modernit sembra essere a molti proprio questa tendenza della ragione a voler "costruire" ogni cosa 110. Hayek in particolare ha voluto sottolineare come l'idea di alcuni di considerare la societ un sistema artificiale dove i fini e i mezzi possono essere prestabiliti, derivi da ignoranza sulla reale natura della societ e della conoscenza 111 . Ci che rende un pensatore come Burke per molti aspetti superato sicuramente l'avere questi considerato l'ordine religioso e quello politico come un tutto unico. Infatti abbiamo sottolineato che il discepolo Hayek non segue il maestro su questa strada. Bisogna per dire che se l'identificazione rigida tra ordine politico e religioso vista spesso con sospetto, nel nostro secolo si fatta largo una preoccupazione maggiore per le cosiddette religioni civili, di cui Rousseau un illustre precursore poich proponeva di
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sostituire alle religioni tradizionali i dogmi della socievolezza 112. La vera fonte di inquietudine per molti deriva non tanto dal riconoscimento di una dimensione trascendente ma dal desiderio delle ideologie di realizzare il paradiso in terra 113. In definitiva pu sembrare molto pi rassicurante il richiamo di Burke al legame esistente tra l'uomo ed una dimensione superiore piuttosto che il tentativo di sostituire l'assoluto trascendente della religione con qualcosa d'altro 114 . 1.3 Burke ed Hayek: provvidenzialismo ed evoluzionismo Nella storia si manifesta per l'anglo-irlandese una saggezza superiore a quella di ogni singolo uomo. Come diceva Vico " Homo non intelligendo fit omnia". L'uomo dunque produce ogni cosa senza per che ci sia completamente il frutto del suo volere. Bisogna dunque guardare con rispetto alla lenta accumulazione del divenire storico, capace di far emergere le istituzioni pi atte al funzionamento della societ. Questa visione della storia di Burke pu essere accostata al concetto di evoluzione, che per nascer solo in seguito. L' "evoluzionismo" di Burke si fonda comunque, come ho gi detto, su di un sostrato chiaramente provvidenzialistico. In Hayek, invece, il lungo processo di accumulazione storica governato non da Dio ma dall'evoluzione stessa. Secondo Hayek attraverso prove ed errori, quel complesso sistema di istituzioni, leggi e costumi che si chiama societ si conserva e progredisce 115. Ci possiamo per chiedere se l'impostazione provvidenzialistica presente in Burke si manifesti anche in Hayek o in altri autori, sotto forma di evoluzione . Chi ci assicura infatti che i sistemi auto- regolantisi evolvano per forza verso il meglio? Forse una ragione superiore? La risposta non pu che essere no. Non esiste, infatti, nulla che ci autorizzi a pensare che il pensiero di Hayek si fondi su di un qualche presupposto trascendente. Per lui, come per Mendeville o Smith, autori molto cari ad Hayek, esistono forze impersonali che governano i sistemi complessi 116. La societ non qualcosa di artificiale dove " uomini di sistema " possono pretendere di governarla con le limitate informazioni che possiedono. Secondo la teoria che identifichiamo come evoluzionista, la validit delle azioni che l'uomo compie testimoniata dalla loro "sopravvivenza" cio dalla capacit di dimostrarsi utili. In Hayek questo pensiero diventer elogio dell' ordine spontaneo autoregolantesi. Se alcuni aspetti del pensiero di Mendeville o Smith fanno pensare a reminiscenze provvidenzialiste 117 non per in fin dei conti legittimo credere che l'evoluzionismo di un pensatore come Hayek sia sostenuto da una fede in una qualche ragione trascendente la storia. Ci che convince invece il pensatore austriaco della bont dell'ordine sociale spontaneo la sua capacit di coordinare i piani d'azione di pi individui contemporaneamente. Concezione questa che deriva al nostro autore dai suoi studi economici e dall'analisi del ruolo regolatore dei prezzi, segnali spontanei capaci di trasmettere ai singoli individui le informazioni

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che necessitano alle loro attivit. Ho sostenuto dunque che l'opposizione di Burke al concetto di rivoluzione abbia un origine nella teologia della storia Cristiana, senza per voler dire che si risolve solo in essa.. La critica del parlamentare alla rivoluzione francese non certo una mera condanna verso chi vuole infrangere i piani divini. Le sue argomentazioni sono lunghe e puntuali ma al fondo di esse vi a mio avviso una impostazione pre - moderna che si allaccia all'antica concezione che solo Dio padrone della storia. Mi sono anche domandato se gli "evoluzionisti" di impostazione agnostica con la loro fiducia nell'azione selettiva del tempo e dell'esperienza non siano eredi in un qualche modo della posizione provvidenzialistica. La risposta no perch Hayek recupera di Burke molti concetti , come il ruolo della ragione negli affari umani , la difesa delle libert individuali, l'idea di societ o di legge, ma non assimila la sua concezione sacra della storia. D'altronde l'evoluzione come principio scientifico non certo di natura religiosa perch scorge la ratio delle trasformazioni non in un elemento trascendente ma nella contingenza dell'esperienza. Affermare che l'evoluzionismo non ha bisogno per giustificare le proprie affermazioni del ricorso ad una ragione trascendente, consente di poter laicizzare la posizione di Burke senza snaturarla completamente. Cio si possono ricavare dal suo pensiero alcuni principi, quelli appunto evoluzionisti, senza accettare gli altri, quelli religiosi. Questo vuol dire anche che la posizione del parlamentare Whig non solo riconducibile alla sua fede religiosa. Si pu infatti essere credenti e apertamente reazionari oppure come Burke conservatori e riformatori. Per questo motivo dobbiamo ricordare che Burke ha ritagliato alla sua concezione politica un spazio abbastanza autonomo dalle precedenti visioni religiose. Ci nonostante, ripeto per che in ultima analisi l'"evoluzione" di Burke garantita e protetta dal volere di Dio. 1.4 Burke ed Hayek: la critica alle "pretese" della ragione e l'esaltazione del riformismo Ci che hanno in comune di sicuro due pensatori come Burke ed Hayek, il sospetto e la sfiducia verso le "pretese" della ragione. Pretese che Hayek vede esemplificate in Cartesio quando questi si accinge alla rifondazione dell'epistem o quando afferma di volersi disfare delle proprie precedenti convinzioni e di volerle sostituire con delle nuove, fondate razionalmente 118. Hayek critica la posizione " costruttivista " di Cartesio e di Rousseau ma non si esprime direttamente sul concetto di rivoluzione. I suoi argomenti sono per utili per comprendere la critica che Burke muove ai fatti francesi e in definitiva al concetto di rivoluzione. Burke contrappone alla rivoluzione francese quella inglese ma ci non dimostra che sia favorevole a certe rivoluzioni perch quella Inglese come abbiamo gi largamente sottolineato non una rivoluzione moderna. Burke ed Hayek sono contrari agli stravolgimenti radicali ma favorevoli alle riforme che nascono dal desiderio di cambiare singoli aspetti della realt. In questo senso le riforme sono le risposte che l'uomo elabora per ovviare ai problemi e alle necessit che di volta in volta bisogna superare per il corretto funzionamento della societ. Non per possibile rifiutare in toto
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la nostra societ e la nostra cultura perch per Burke un empiet ed un salto nel vuoto, mentre per Hayek il problema prima di tutto teoretico. Secondo il filosofo austriaco noi possiamo criticare singoli valori alla luce degli altri valori della nostra cultura. Voler invece porsi al di sopra della nostra societ oltre che pericoloso impossibile perch dovremmo prima di tutto rifiutare quelle categorie mentali attraverso cui vediamo la realt. Per Hayek rifiutare radicalmente la realt in cui siamo immersi una finzione, come se noi volessimo descrivere i nostri occhiali mentre li portiamo. Noi non possiamo perci metterci al di sopra della nostra civilt 119. Alla luce di quanto appena accennato si capisce quanto sia profonda la convergenza tra i due autori menzionati. Burke si oppone allo stravolgimento radicale della societ in nome di "astratte" fantasticherie. Hayek completa questa posizione, con argomentazioni puntuali ed esaurienti che al nostro autore derivano dai suoi svariati studi, da quelli economici a quelli di psicologia cognitiva. Burke si oppone alla rivoluzione come possibilit generica di cambiamento rapido e completo ed Hayek fornisce la giustificazione teoretica di tale opposizione. Entrambi concordando nel rifiutare le pretese della ragione di voler modellare l'ordine sociale a proprio piacimento, colpiscono al cuore la possibilit stessa della rivoluzione. 1.5 Burke ed Hayek : alcuni rilievi critici Pur avendo trattato in maniera abbastanza ampia Burke, abbiamo gi ricordato come il parlamentare Whig non sia propriamente un filosofo. La sua influenza sul pensiero politico stata sicuramente grandissima. Ma sarebbe una forzatura attribuire a Burke una precisa filosofia della storia. Nelle sue Riflessioni abbiamo rintracciato un idea della storia come governata da Dio. Gli uomini esercitano il potere per conto dell'unico "padrone della societ". Non per chiaro in quale modo si realizzi questo rapporto tra opera dell'uomo e volont di Dio. La storia prodotta dall'azione degli uomini. Il nostro agire deve per essere rispettoso di quanto elaborato nel corso dei secoli. Si percepisce in Burke la convinzione che questo processo di accumulazione umana sia in ultima analisi voluto e consacrato da Dio. Se l'uomo agisce bene, guardando e facendosi guidare dalla saggezza dei secoli e non dalle proprie superbe "fantasticherie", si fa strumento di Dio. Volont di Dio e azione degli uomini finiscono per sovrapporsi se l'uomo si attiene a certe regole nel suo comportamento. Nella sua visione per l'uomo e il suo agire hanno una centralit rilevantissima e per questo basti pensare all'esperienza politica del parlamentare. Se per Agostino l'azione della provvidenza era finalizzata a scopi ultra mondani, l'interesse di Burke essenzialmente terreno. Alla critica di Burke noi possiamo a nostra volta muoverne un'altra. Possiamo infatti chiederci perch noi dovremmo guardare con rispetto alla saggezza che si esprime nell'accumulazione storica e dovremmo poi per rifiutare alcune cose che sono accadute. Se per Burke i fatti a lui contemporanei potevano sembrare come del tutto avulsi dallo sviluppo della civilt cristiana e occidentale, per noi osservatori successivi, abituati
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a considerare la rivoluzione francese come un fatto importantissimo della nostra storia, non possiamo condividere la sue posizioni nemmeno accettando la sua stessa visione degli accadimenti umani. Se infatti ci convinciamo che una certa ragione, quale che sia, guidi la storia, dovremo guardare alle rivoluzioni come a qualcosa di positivamente compreso in questo processo. Burke convinto che non ogni azione dell'uomo sia legittima ma solo quelle che rispettano quei parametri gi ricordati. Ci che non sicuramente legittimo per lui lo stravolgimento radicale operato dalla rivoluzione francese. A dire il vero anche questo fatto per alcuni storici discutibile. Per primo Tocqueville neg che la rivoluzione fosse stata cos radicale come sembrava. O meglio, dopo una fase iniziale distruttiva e iconoclasta i meccanismi che continuarono a regolare la vita quotidiana furono per molti aspetti quelli passati. Dice infatti Tocqueville ne L'ancien regime e la rivoluzione che in Francia si videro " parecchie rivoluzioni tali da mutare radicalmente la struttura del governo. Esse furono, per la maggior parte, improvvise, violente e condotte in modo da violare le leggi vigenti. Tuttavia i disordini da esse provocati non furono mai generali n di lunga durata; a mala pena si ripercossero sulla popolazione, e talora furono appena avvertite" 120. L'anglo - irlandese critica la rivoluzione francese anche perch , a suo modo di vedere, non stata capace di riformare il sistema 121. Sembra perci accusare pi i rivoluzionari che non l'antico regime, incapace di apportare il pur minimo cambiamento ad un sistema ormai decadente. Inoltre secondo Burke per operare dei cambiamenti in Francia, si sarebbe dovuto partire dalle "concrete" libert e non dagli "astratti" diritti. Questa affermazione mostra per che il nostro autore aveva in vista pi la situazione inglese che non quella francese. Infatti, non esisteva in Francia nulla di simile alla Magna Charta o alle altre libert inglesi . La posizione di Burke, come quella di Hayek, convergono significativamente nel criticare chi vuole cambiare tutto e subito di una data realt. Se per si considera che questo "grande rifiuto" pi un desiderio che una realt, allora la critica diviene pi problematica. Perch si possa dare un rifiuto totale della realt in cui si vive bisognerebbe rifiutare anche la propria cultura con la quale si esprime la protesta. Ha ragione Hayek quando dice che illusorio porsi al di sopra della propria civilt. Allora si potrebbe dire che ogni posizione di critica radicale comunque il frutto di una data cultura. Infatti lo spirito giacobino, tanto deprecato da Taine come da Burke, il frutto anch'esso dello sviluppo della cultura europea ed ha dei padri illustri nel '700 francese. Se si considera allora che il rivoluzionario non rifiuta, poich non pu farlo, tutta la realt esistente diventa difficile spiegare qual il limite tra riformismo e rivoluzione. Cio se prescindiamo dalle critiche " radicali" all'ordine sociale ne consegue che anche la differenza tra il rivoluzionario e il riformista una differenza di grado. Quale esso sia non per facile saperlo. Qual' il limite tra una dose di riforme ritenute accettabili e una sovvertitrice dell'ordine sociale non infatti cosa semplice da definire. Consideriamo anche la critica che Burke e Hayek rivolgono alle posizioni dei propri avversari politici. Spesso sia Burke che Hayek qualificano le teorie dei
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"costruttivisti" o dei rivoluzionari francesi , come "astratte" o " astrattamente razionali". Ci possiamo per chiedere come debba essere una teoria per non essere "astratta" e per essere invece "concreta". Visto che una teoria sempre il frutto di un elaborazione culturale quale il parametro per giudicare il grado di convergenza di una teoria con la realt?. Pensiamo ad esempio ad Hayek ed alle sue ricette di riforma in " Legge legislazione e libert" che possono essere considerate come piuttosto "radicali". Per noi che osserviamo le sue considerazioni sulle modalit di elezione del parlamento potremmo essere tentati di definirle come piuttosto " astratte" in quanto del tutto inusuali. Precedentemente ho accostato tra di loro le posizioni evoluzionista e provvidenzialista. Ci che a mio avviso hanno in comune il problema che entrambe lasciano irrisolto ovvero quale sia il criterio in base al quale certi fatti e certe idee debbono essere accettati o respinti. La fiducia in una provvidenza ordinatrice o nell'evoluzione potrebbe avere come conseguenza la giustificazione delle trasformazioni e dunque anche delle rivoluzioni accadute. Infatti gli eventi che Burke poteva considerare come irrazionali oggi possiamo vederli come razionali in virt del fatto che sono accaduti e che fanno parte della storia. Dobbiamo anche dire che se la storia il frutto di un ordine che si autoevolve allora i "costruttivisti" non dovrebbero essere in grado di alterarla e non si dovrebbe deprecare il loro agire. Se lo facciamo allora vuol dire che l'ordine un costrutto artificiale nel quale la responsabilit e l'intenzionalit di chi agisce hanno un ruolo centrale. In conclusione possiamo dire che il costrutto teorico dell'ordine spontaneo ha una sua utilit per spiegare e descrivere la realt cos come essa . In teoria questo concetto si concilia con qualsiasi azione umana che accaduta. Quando per vogliamo passare dal piano descrittivo a quello prescrittivo non sempre chiaro cosa dovremmo fare per assecondare questo ordine spontaneo 122. Ne consegue che queste filosofie ci possono essere utili per capire il passato ma non possono esserci altrettanto utili per orientarci nel presente o per guardare al futuro.

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2. Hegel e la rivoluzione
In precedenza ho detto che partendo dalla visione di Burke della storia potremmo giungere a giustificare la rivoluzione francese. Consideriamo infatti il pensiero di Hegel. Secondo Lwith la sua filosofia della storia sarebbe una mondanizzazione della provvidenza. Il filosofo tedesco avrebbe trasformato la storia cristiana della salvezza in una teodicea mondana nella quale lo spirito divino immanente al mondo 123. Nella visione di Hegel la provvidenza non qualcosa che opera per conto dell'assoluto ma il processo stesso attraverso cui questo assoluto si realizza nel mondo. Anche se la realt esistente razionale in quanto frutto di un processo guidato dalla ragione, la filosofia hegeliana non si limita solo a difendere il "dato". Se Burke pone l'accento sull'esistente, Hegel non trascura invece i processi di trasformazione. Anzi la sua filosofia della storia , a detta di Lwith, fondata sulla trasformazione continua, sul perire e sul rinascere 124 . Detto questo , non stupisce che Hegel consideri la rivoluzione francese come un momento storico importantissimo. Nella Filosofia della Storia, si esprime cos a proposito di questa rivoluzione: " Da quanto il sole sta nel firmamento e i pianeti si muovono attorno a lui, non si era mai visto che l'uomo si basasse sul cervello, cio sul pensiero e costruisse secondo questo la realt....Questa fu quindi una magnifica aurora..." 125. Quello che Hegel vede di positivo nella rivoluzione francese la libert del volere razionale, che costruisce il mondo come proprio. La rivoluzione francese ebbe il merito di abbattere uno stato che non rispondeva pi alla coscienza della libert. La Rivoluzione non seppe per dare un nuovo fondamento allo stato 126, 127. Quello che pu apparire paradossale che in Hegel rivoluzione e conservazione sono due termini che non si escludono a vicenda ma che anzi si compenetrano in una mediazione dialettica. Fin dall'inizio della rivoluzione francese il giovane Hegel accolse questa con simpatia ed entusiasmo anche se da escludere che sia stato simpatizzante dei giacobini 128 . Il fatto che a noi interessa rilevare che Hegel fin da giovane non fu avversario di ogni forma di "positivit", cio anche quando si infiammava per la rivoluzione era presente il lui l'idea che la realt storica cos come non pu essere rifiutata completamente per cadere in un mero soggettivismo. La realt esistente va vivificata con lo spirito ma non rifiutata. Questo atteggiamento iniziale del filosofo tedesco contiene in nuce i germi della futura dialettica. Il tentativo di mediare razionalmente tra i due termini opposti della soggettivit individuale e della oggettivit istituzionale, caratterizzano il pensiero di Hegel fin dagli esordi 129. Anche Hegel come molti fu scosso dagli esiti terroristici della rivoluzione francese. Ma anche a distanza di anni il suo giudizio rimase sostanzialmente positivo. Il vecchio Hegel, filosofo ufficiale dello stato prussiano, festeggiava ogni anno l'anniversario della Rivoluzione. Quello che a distanza di anni Hegel continuava a vedere in quei fatti, al di l degli effimeri entusiasmi o delle condanne che il terrore aveva comportato, era l'affermazione della borghesia e la fine del privilegio. Se la fede in una provvidenza che guida il mondo, attraverso gli uomini, porta Burke a scagliarsi contro gli irresponsabili rivoluzionari francesi, l'immanentizzazione di questa provvidenza all'interno del processo storico stesso comporta in Hegel una giustificazione delle trasformazioni e della rivoluzione.

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Che lo spirito assoluto di Hegel abbia caratteri provvidenziali difficile negarlo soprattutto se si pensa a "l'astuzia della ragione", cio all'idea che questo spirito operi attraverso l'azione inconsapevole ed individuale dell'uomo in maniera tale che il particolare finisce per realizzare l'universale. 2.1 La filosofia della storia di Hegel rivoluzionaria ? Abbiamo ricordato il pensiero di Hegel a proposito della rivoluzione francese. Ora ci chiediamo per se la sua filosofia della storia sia essa stessa rivoluzionaria. La posizione di Hegel si presta infatti a diverse interpretazioni a seconda che si ponga l'accento sull'esistente o sulle trasformazioni, momenti dotati entrambi di razionalit 130. Secondo Ritter, la filosofia di Hegel intensamente e fin nelle sue riposte radici, filosofia della rivoluzione. Ritter, come la Arendt, sottolinea l'importanza della rivoluzione francese per comprendere il pensiero di Hegel. Per Ritter la filosofia della storia di Hegel si presenta come ermeneutica della rivoluzione francese e la Arendt sostiene anche che la filosofia, a partire da Hegel , stata spinta ad occuparsi di storia proprio per effetto della grande influenza che i fatti francesi ebbero sulla coscienza europea 131. Nonostante questo credo sia pi corretta la definizione data da Lwith della filosofia hegeliana come filosofia della trasformazione. Abbiamo, infatti, definito la rivoluzione come quell'evento che realizza o desidera farlo un cambiamento radicale di una data realt, e perci abbiamo detto pi facile vedere all'opera una rivoluzione in Francia anzich in America. La rivoluzione segna un nuovo inizio nelle vicende umane ed pensabile solo in una visione lineare e progressiva delle cose umane. La mentalit rivoluzionaria assume le sue caratteristiche da un atteggiamento di netto rifiuto di una certa realt, anche se poi abbiamo sottolineato che nessun pensiero e nessuna azione umana pu prescindere completamente dal proprio contesto politico, culturale o sociale. Appare allora chiaro da quanto detto, che il pensiero di Hegel non si configura come interamente rivoluzionario. Hegel non rifiuta per nulla la realt esistente che anzi celebra come razionale. Riconosce tuttavia che non tutto l'esistente razionale in quanto alcune cose hanno un esistenza solo apparente e artificiale 132. Le trasformazioni sono allora il processo che porta al superamento necessario di queste realt non pi vitali. In lui non vi per un rifiuto della realt, come ad esempio in Rousseau, che possa configurare il suo pensiero come interamente rivoluzionario. A ben vedere nemmeno l'idea del "nuovo inizio" concepibile da parte di Hegel cos come l'abbiamo definito noi. Non che per Hegel la storia sia semplice mutamento dove vita e morte si susseguono incessantemente, anzi, lo spirito se perisce non si ripresenta mai nella stessa forma precedente ma al contrario riappare accresciuto e trasfigurato 133. Queste novit che sono insite nelle diverse fasi del processo storico non sono per novit assolute, tali da costituire qualcosa di interamente nuovo. La storia realizzazione dello spirito, il quale nel momento in cui raggiunger la propria autocoscienza completa, sar terminata. Ci che si realizza in maniera nuova per qualcosa di precedente cio lo spirito. Le fasi della storia sono diversi momenti attraverso cui si compie un processo circolare dove la fine si congiunge con il principio 134. L'importanza della rivoluzione francese allora da intendersi come un momento attraverso cui lo spirito del mondo si realizza e giunge a compimento. Nella rivoluzione si presenta la pura volont libera che vuole se stessa e sa cosa vuole. La rivoluzione francese

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esprime per Hegel il moto progressivo della storia che ha per meta la libert di tutti 135. La filosofia di Hegel non dunque intimamente rivoluzionaria. Giustifica la rivoluzione francese, in quanto fatto accaduto, ma non pu, n vuole, prevedere i fenomeni rivoluzionari. La sua filosofia, lungi dal rifiutare il mondo si concilia con esso poich convinto che la ragione si realizzi progressivamente nella storia.

3. Marx : Il rifiuto della realt esistente


Il concetto di rivoluzione, come lo abbiamo definito noi , presuppone il concetto di progresso ovvero di miglioramento irreversibile. In Hegel tale concetto indubbiamente esistente anche se per lui lo sviluppo della storia circolare nel senso che la fine sar compimento dell'inizio. Ci che si realizza nel divenire non per mera ripetizione perch ogni momento possiede una sua specificit in relazione al tutto. Quello che per manca al pensiero di Hegel perch si possa configurare come rivoluzionario, oltre all'enfasi sul totalmente nuovo, il rifiuto della realt esistente. La famosa espressione che la realt razionale e il razionale reale indicano la posizione dell'Hegel maturo 136 . Non tutto ci che esiste per reale nel vero senso della parola. Alcune realt sono semplicemente casuali, passeggere poich il razionale circonda il proprio nucleo "di una scorza variopinta" in cui in un primo momento risiede. Dunque la razionalit del reale comprende non tutta la realt 137. Consideriamo ora uno dei grandi discepoli di Hegel: Marx. Questo pensatore per noi di grande interesse in quanto la sua teoria politica rappresenta una delle pi profonde riflessioni sulla rivoluzione nonch uno stimolo per la sua realizzazione. A noi interessa sottolineare come il suo pensiero derivando da Hegel si configuri come rivoluzionario. Il punto focale di tale passaggio indubbiamente l'atto attraverso cui Marx separa ci che Hegel aveva unificato: la ragione e la realt 138. Non perch per Marx questa identit sia da rigettare ma perch non la vede ancora realizzata. Hegel scaduto nel " pi crasso materialismo " perch ha finito per giustificare la realt esistente 139. Mentre Hegel ha accettato la realt esistente come razionale Marx si promette di criticarla teoreticamente e trasformarla praticamente. Il pensiero rivoluzionario di Marx si sviluppa prima ancora che nel rifiuto della realt esistente, nella critica della filosofia hegeliana. Il problema del "nuovo inizio" si presenta a lui prima di tutto come un problema filosofico. Infatti in una delle opere giovanili ovvero la Dissertazione su Epicuro e Democrito, Marx si pone il problema di cosa deve essere la filosofia dopo che sembra essere giunta a compimento. Epicuro e Democrito sono per lui gli atei e materialisti che danno vita a qualcosa di nuovo dopo che la filosofia aveva conosciuto i sistemi " che si estendono alla totalit" di Platone e Aristotele 140. Dopo Hegel la filosofia deve perci mutare radicalmente e venire a contatto con il mondo 141. Il mondo era per Hegel filosofia mentre Marx vuole ridurre la filosofia a mondo cio a economia politica 142. La volont di Marx di trasformare la realt politico - sociale non pu per esprimersi solo in una critica alla filosofia. Marx vuole contribuire a trasformare la realt esistente e la critica filosofica rappresenta solo il momento propedeutico di tale trasformazione . Il compimento che Hegel scorgeva nel presente auspicato da Marx nel futuro. Non sembra esserci dubbio sul fatto che il futuro per Marx riservi qualcosa di veramente nuovo per la storia dell'umanit
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ovvero l'uscita dallo stato di necessit per entrare in quello della libert: libert dal lavoro alienato, libert dallo stato, libert dal bisogno e dall'oppressione143. Possiamo dire che il pensiero di Marx si configura come rivoluzionario nella misura in cui la societ senza classi l'inizio di qualcosa di veramente nuovo. La storia per lui un processo come per Hegel. Soltanto che quella futura sar sostanzialmente diversa da quella precedente. La nuova societ a cui il proletariato condurr l'umanit, metter fine alla preistoria dello sfruttamento per dar vita ad una societ di uomini liberi in cui " il libero sviluppo di ognuno sar la condizione dello sviluppo di tutti" 144. Tutte le epoche hanno visto significative novit. La borghesia stata a suo tempo forza rivoluzionaria. Ma il proletariato che realizzer il nuovo ordine sociale, in quanto estraneo ed oppresso in quello esistente, produrr qualcosa di significativamente nuovo. Ci che rende rivoluzionario Marx e la sua teoria l'aver spostato nel futuro il compimento che Hegel vede nel presente, e nel aver assegnato alla filosofia un ruolo non solo teoretico ma pratico. La filosofia di Hegel come la "nottola di Minerva" spicca il volo sul far della sera" 145. Se una rivoluzione riuscita essa pu, o meglio, deve essere spiegata. Le rivoluzioni sono per Hegel spiegabili solo nel momento in cui non sono pi tali. Quando hanno cio perso la loro carica sovvertitrice e sono diventate storia. La filosofia di Hegel si concilia con il mondo perch cristiana ed accetta la creazione anche nelle sue contraddizioni apparenti. La posizione di Marx invece quella della rivolta prometeica contro l'ordine esistente. L'uomo senza Dio deve prendersi cura lui stesso della creazione del mondo. Ecco allora che la fede in un progresso futuro, perdendo ogni connotazione escatologico- trascendente, chiama l'uomo all'azione rivoluzionaria. 3.1 Necessit e rivoluzione Un aspetto che a noi interessa sottolineare del pensiero di Marx la forza rivoluzionaria della previsione, o dell'utopia, della societ senza classi e la necessit che tale realt futura sembra avere 146. Marx acquisisce dal maestro la visione dialettica e necessaria del divenire storico. Come in Hegel lo spirito si realizza anche quando sembra distrutto poich si trasfigura e si accresce di fase in fase, cos in Marx " la organizzazione del proletariato in classe ... di continuo spezzata...Ma insorge sempre di nuovo, pi poderosa e pi compatta". Il succedersi degli avvenimenti non semplicemente ripetizione o alternanza di vita e di morte. Mentre la mitica fenice moriva per risorgere uguale a se stessa ogni volta , ci che rinasce in Hegel come in Marx, dopo ogni fase qualcosa di parzialmente nuovo. La differenza tra i due pensatori che la categoria della necessit applicata da Hegel a ci che gi accaduto mentre Marx vuole prevedere i necessari sviluppi futuri. La filosofia hegeliana comprende il reale per com' ma non pu prevedere ci che dovrebbe essere. La filosofia arriva sempre tardi. La filosofia "...In quanto pensiero del mondo ....appare soltanto dopo che la realt ha compiuto il suo processo di trasformazione e s' bella che assestata" 147. Volgendoci indietro vediamo quale forza e quale razionalit hanno avuto le diverse fasi della storia come ad esempio la rivoluzione francese. Per lo spirito per Hegel libert e non si pu sapere in anticipo dove spirer.. Se per Hegel la realt cos com' razionale, per Marx tale razionalit sar realizzata nel futuro, dove a seguito delle contraddizioni insite nell'attuale sistema si giunger ad un suo necessario superamento. Uno degli aspetti che ha maggiormente coinvolto la critica marxista il problema di quale rapporto debba esserci tra l'azione dei rivoluzionari e le condizioni materiali che dovrebbero di fatto realizzare la rivoluzione. Per Lwith il motivo di tale apparente dicotomia da rintracciare nel fatto che dietro le
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spoglie della previsione, nel Manifesto si cela la "profezia" di una palingenesi mondiale. Come Hobbes aveva affermato che il motivo per cui le profezie si avverano perch sono state profetizzate, cos Lwith sostiene che la societ senza classi presentandosi come ineluttabile spinge gli uomini a realizzarla Ci che a noi in definitiva interessa rilevare in Marx, come il concetto di derivazione astronomica di rivoluzione, come forza irresistibile, trovi in lui una definizione duratura. L'irresistibilit che i fatti francesi hanno suggerito ad alcuni, diventa in Marx, attraverso il superamento della filosofia della storia di Hegel, la previsione della necessit di un cambiamento futuro.

4. Kant
Per la nostra ricerca di sicuro interesse accennare alla posizione di un pensatore come Kant, contemporaneo della rivoluzione francese ed illustre esponente dell'Illuminismo. E' noto che Kant accolse la notizia della rivoluzione francese con grande entusiasmo, come del resto buona parte del mondo accademico - filosofico tedesco. Sebbene gli eccessi del terrore avessero provocato in lui e in molti altri un ripensamento riguardo a quegli avvenimenti, Kant non divenne mai un detrattore della rivoluzione ma al contrario continu a guardare ad essa come ad un fatto sostanzialmente positivo. La rivoluzione rimase per Kant una fase all'interno di un processo storico che nel complesso tende verso il miglioramento 148. La fiducia in un progresso futuro, ritenuto da Kant come certo, porta il nostro autore a leggere le vicende storiche con sostanziale ottimismo 149. Precedentemente ci siamo chiesti quale ruolo avesse, in effetti, la rivoluzione nel pensiero hegeliano. Allo stesso modo ci chiediamo quale la reale natura dell'elogio della rivoluzione francese da parte di Kant. Il pensatore tedesco convinto che la storia del genere umano tenda verso il raggiungimento di forme di convivenza civile pi evolute, basate sulla ragione e non pi sulla forza 150. La rivoluzione e gli entusiasmi che ha suscitato, sono per Kant la conferma di una predisposizione morale dell'uomo al miglioramento. Secondo Kant la storia tende verso il progresso ma questo fine non dimostrabile; se per ognuno agisce come se questo fine esistesse allora questo si realizzer pi facilmente. Il progresso del genere umano reale ma al tempo stesso diviene qualcosa in cui bisogna credere 151. La capacit che la rivoluzione ha dimostrato di mobilitare gli animi ed accendere le passioni sono la conferma di una universale tendenza degli uomini ad assecondare il processo di perfezionamento dell'umanit 152. La fiducia, tipica dell'illuminismo, nelle sorti dell'umanit la chiave di volta per comprendere l'atteggiamento di Kant verso la rivoluzione francese. Il giudizio del filosofo tedesco nei riguardi della rivoluzione francese per di carattere principalmente morale e non basta a delineare il suo pensiero come rivoluzionario. Kant non pu essere definito politicamente un rivoluzionario ma piuttosto un riformista. Il suo riformismo, l'idea cio che l'et dei lumi pu svilupparsi anche all'interno di uno stato accentrato e paternalistico, derivano da una sua precisa impostazione mentale 153. Per Kant la libert politica non la premessa da cui partire per l'emancipazione dell'umanit.. La libert da cui bisogna partire quella di pensiero che premessa di ogni vero progresso. Le libert politiche saranno una conseguenza del processo generato dalla ragione 154. Kant distingue, tra libert d'azione e libert di pensiero e subordina la prima alla realizzazione della seconda. Kant, e come vedremo anche la Arendt, crede che non basti liberarsi semplicemente da un potere
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dispotico senza che alla liberazione faccia seguito l'instaurazione della libert. Dice, infatti, " Una rivoluzione potr produrre la fine di un dispotismo personale e d'una oppressione cupida e dispotica " ma se a questa fase non si aggiunge quella del progresso intellettuale " nuovi pregiudizi serviranno, come gli antichi, a dirigere ciecamente la gran moltitudine che non pensa" 155. Se la Arendt accetta la distinzione tra libert e liberazione cos come delineata da Kant, non vuol dire che accetti anche di subordinare le libert politiche. Infatti, la libert d'azione in ogni caso un dato di fatto imprescindibile di ogni teoria politica democratica. Secondo Kant, invece, perch si realizzi l'Illuminismo, basta che il potere costituito lasci agli studiosi la possibilit di discutere di ogni cosa, fermo restando che ogni cittadino nell'esercizio delle proprie particolari funzioni tenuto ad ubbidire senza discutere 156. Kant, infatti, fa proprio, non certo per sole ragioni d'opportunit, il motto di Federico II "ragionate ma obbedite". Kant ci permette di rilevare come la fiducia nel progresso e nelle capacit razionali dell'uomo, elementi centrali per la comprensione delle rivoluzioni in genere, non significano automaticamente un pensiero intimamente rivoluzionario. L'Illuminismo, cui bisogna ricondurre le concezioni politiche di Kant, ha sicuramente contribuito a rendere pensabile la rivoluzione. Questo non vuol per dire che rivoluzione francese e Illuminismo siano l'una sinonimo dell'altro 157.

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5. Arendt : "Sulla rivoluzione".


Precedentemente, trattando l'origine del concetto di rivoluzione, ho affermato che quest'origine si pu ritrovare nelle due grandi rivoluzioni del '700: quella francese e quella americana. L'aver indicato queste due rivoluzioni come sufficienti a delineare il concetto di rivoluzione, una scelta derivata dalla lettura dell'opera della Arendt, (1906-1975), " Sulla Rivoluzione", libro complesso e ricco di spunti di riflessione. In questa opera la Arendt, attraverso il confronto tra le due suddette rivoluzioni, mette in luce come esse rappresentino due diversi modelli di fenomeni rivoluzionari, manifestando al contempo la sua concezione della politica, con la chiara adesione ai principi che hanno ispirato la rivoluzione americana. La rivoluzione francese, nonostante il suo fallimento, diventata il modello di riferimento per giudicare le rivoluzioni. Non altrettanto accaduto per quella americana, che invece riusc perfettamente 158. La Arendt si chiede perch la prima sia diventata la rivoluzione per eccellenza mentre quella americana sia stata trascurata, se non addirittura misconosciuta come "vera" rivoluzione. La risposta pi convincente che un tipo di cultura che considera la politica essenzialmente come economica ed esclusivamente rivolta alla risoluzione di problemi materiali non poteva che rispecchiarsi maggiormente nei fatti francesi. Per la Arendt dopo la rivoluzione francese, il fenomeno rivoluzionario e pi in generale la politica stessa, sarebbero stati identificati rigidamente con quella che lei chiama "la questione sociale". Si pu allora capire perch la rivoluzione americana, dove fu del tutto assente una rilevante questione sociale, non rappresenti agli occhi di molti una rivoluzione in senso completo. Al contrario, per la Arendt, la fortuna della rivoluzione americana risiede proprio nell'assenza di una questione sociale. La rivoluzione fu essenzialmente politica ed ebbe esiti politici poich non ebbe preoccupazioni sociali. Infatti, la condizione di vita degli uomini delle colonie, soprattutto nel centro - nord, era mediamente lontana sia dalla grande ricchezza sia dall'indigenza pi nera, fatta eccezione per la condizione degli schiavi. La mancanza di un gran numero di poveri stupiva gli osservatori stranieri 159. Se per un abitante di Parigi e Londra non era possibile distogliere lo sguardo dalla miseria, nelle colonie invece lo spettacolo quotidiano della povert non era cos diffuso. 5.1 Arendt: rivoluzione e politica Secondo la pensatrice tedesca, le finalit della politica non si esauriscono esclusivamente nella necessit di trovare soluzioni a problemi materiali e contingenti ma al contrario si esprimono nella partecipazione e nella libera manifestazione delle capacit progettuali dell'uomo. Non a caso, infatti, la politica nasce nella polis greca, per merito di uomini liberi dalle necessit della vita quotidiana. Il riferimento alla polis non serve certo alla Arendt per rievocare nostalgicamente una mitica et dell'oro ormai tramontata ma solo per sottolineare la natura della politica e dell'agire libero che in essa si deve esplicare 160 . Per la Arendt la libert politica richiama il concetto di libert proprio dei greci. Per essi l'uomo non nasceva n libero n uguale ma acquistava la propria libert solo nel consesso dei pari. La polis dunque per la nostra autrice un'istituzione artificiale capace di rendere uguali uomini che per natura non lo sono 161. La libert politica non si deve confondere con quella naturale, che si configura come semplice libert
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dagli impedimenti, ma presuppone l'esistenza di istituzioni artificiali capaci di renderci liberi. La Costituzione americana ha creato lo spazio politico, come la polis in Grecia, all'interno del quale i cittadini possono essere liberi. La rivoluzione americana perci riuscita nell'intento di liberare le colonie dall'oppressione della madrepatria, e al tempo stesso ha creato un nuovo ordine politico all'interno del quale fosse possibile essere liberi. Precedentemente trattando la rivoluzione francese abbiamo sottolineato come la miseria enorme delle masse fece si che i problemi costituzionali e politici divenissero secondari. La rivoluzione francese non conobbe perci un esito di libert poich la politica fu scavalcata dai problemi sociali. D'altronde anche esperienze a noi pi vicine, hanno dimostrato come il persistere di gravi condizioni di miseria costituisca la premessa per esperienze politiche autoritarie. 5.2 Arendt e Burke: due diverse critiche alla rivoluzione francese La critica della Arendt alla rivoluzione francese non va confusa con quella di Burke. L'anglo - irlandese ha criticato la rivoluzione francese poich questa aveva voluto stravolgere tutto ed aveva preteso di ricominciare ogni cosa da capo. Questa presunzione secondo Burke sarebbe contraria alla natura stessa delle cose, la quale impone che i cambiamenti di strutture complesse avvengano gradualmente 162.Per la Arendt, invece, l'aspetto negativo della rivoluzione francese il mancato esito politico e costituzionale della stessa, legato, come si gi detto, alla situazione sociale della Francia. Il problema, per la Arendt, non sarebbe tanto l'astratto" razionalismo dei rivoluzionari, perch anche la Costituzione americana pur sempre qualcosa di completamente nuovo e di deliberato razionalmente. Burke condanna la rivoluzione per aver voluto mettere le mani su ci che il prodotto della storia e in ultima analisi di Dio. Hayek convinto che concepire la societ come un sistema artificiale comporti rischi gravissimi in quanto si pu alterare il frutto di un'evoluzione secolare 163. Il problema per la Arendt non invece voler disegnare le istituzioni ma farlo in maniera sbagliata 164. La critica di Burke e quella della Arendt alla rivoluzione francese muovono perci da posizioni diverse. Il primo nega di fatto il concetto stesso di rivoluzione, poich questa con la sua volont di cambiamento totale spezzerebbe i vincoli sacri esistenti tra le generazioni, tra i vivi e i morti mentre per la Arendt il problema che il cambiamento avvenga in maniera corretta 165. Alla luce di quanto detto appare allora chiara la peculiarit della Arendt. Critica la rivoluzione francese ma non ostile al concetto di rivoluzione e alla possibilit del cambiamento radicale. Mentre spesso si ritiene che opporsi alla rivoluzione francese voglia dire essere schierati su posizioni conservatrici, la Arendt rifiuta non la rivoluzione ma la sua identificazione con quelle esclusivamente "sociali" come quella francese o quella russa. Per la Arendt la rivoluzione legittima e appartiene alla politica , nella misura in cui non devia mai dal suo scopo principale ovvero la creazione di spazi di partecipazione politica e di libert. La polemica della Arendt con il marxismo evidente nella sua stessa concezione idealistica della politica. Ma non solo verso il marxismo che si rivolge la sua critica. Non dobbiamo, infatti, dimenticare che nella Germania degli anni Trenta da cui questa autrice scapp, il partito nazista si era imposto sfruttando la disastrosa situazione economica e sociale. Dunque quello della Arendt un rifiuto di un modo generalmente moderno di intendere il fondamento e lo scopo della politica.

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5.3 Arendt: rivoluzione e filosofia della storia In precedenza abbiamo affermato come il concetto di necessit sia di importanza centrale nella nozione di rivoluzione. Gli stessi rivoluzionari francesi, espressero pi volte l'idea che la rivoluzione fosse mossa da un moto proprio irresistibile 166. La Arendt non crede invece nella necessit dell'accadere umano perch questa convinzione sarebbe limitativa della libert e della responsabilit umana. La Arendt si rende conto che nella storia la libert, come possibilit illimitata di scelta, qualcosa di impossibile. Infatti, sottolinea che la specifica condizione sociale francese ha influenzato i rivoluzionari in un senso anzich in un altro. Rimane per il fatto che la responsabilit degli esiti della rivoluzione dipende dalle concezioni e dai modelli politici di riferimento dei rivoluzionari e non da una qualche necessit storica. La Arendt crede alla politica come espressione della libert umana e come primato del pensiero. Perci convinta che il successo della rivoluzione americana risieda nella saggezza politica dei suoi protagonisti e non solo nelle favorevoli condizioni sociali ed economiche in cui si svolse. Dopo la rivoluzione francese e dopo Marx in particolare, prevalsa invece la tendenza a considerare la rivoluzione come qualcosa di necessario e il rivoluzionario solo il profeta di una nuova era che comunque sta per realizzarsi 167. La Arendt depreca il fatto che la necessit e non pi la libert sia diventata la categoria principale del pensiero politico rivoluzionario 168. 5.4 Arendt: il problema dell'assoluto e la rivoluzione Precedentemente abbiamo parlato dell'importanza di Machiavelli per il pensiero rivoluzionario. Secondo la Arendt il fiorentino si pose il problema, comune ai rivoluzionari, di come fondare un nuovo potere e di come renderlo autorevole 169. Il potere per secoli si era legittimato facendo ricorso all'assoluto, cio al volere divino. Aver sostituito questa fonte di autorit ha comportato presso Machiavelli e i rivoluzionari, il problema di ricercare un assoluto altrettanto autorevole su cui fondare il potere. In Francia come in America questo problema dell'assoluto si present quando i rivoluzionari dovettero sostituire la volont del monarca, che per secoli era stata capace di assicurare al potere quella forza e quell'autorevolezza che si ritenevano necessari, con qualcosa d'altro. Per la Arendt, gli Stati Uniti risolsero il problema con l'assolutizzazione della Costituzione e con il "mito della fondazione". Resero cio quasi sacra la Costituzione, come ebbe a lamentarsi Jefferson, e trovarono nella fondazione della repubblica l'autorit di cui necessitava il nuovo organismo politico. Fondarono un nuovo stato e trovarono l'assoluto nella fondazione stessa. In Francia invece nessuna Costituzione era durata a lungo, la volont delle Assemblee non era sufficientemente autorevole ed il monarca era stato decapitato. Secondo la Arendt il problema di Robespierre e di molti rivoluzionari era di come assicurare che le conquiste della rivoluzione non andassero perse. La proclamazione della festa dell'Ente Assoluto, espressione di un certo deismo illuminista, sarebbe come la prova di questa necessit di un assoluto a cui ancorare la rivoluzione. 5.5 Arendt: Rousseau ed il Terrore Un altro aspetto importante di cui si occupata la Arendt sicuramente quello del terrore rivoluzionario 170.

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L'analisi della Arendt fa appello a ragioni tra loro molto diverse per cercare di cogliere la natura del terrore nei suoi aspetti pi sottili. In primo luogo mette in luce la connessione tra le teorie politiche di Rousseau, la questione sociale e la deriva terroristica della rivoluzione francese. Oltre questa prima spiegazione ne fornisce un'altra di ordine psicologico di cui dar conto nel prossimo paragrafo. Non un mistero che le teorie politiche che avevano ispirato maggiormente gli uomini della rivoluzione, come Robespierre, erano quelle di Rousseau. L'influenza maggiore il ginevrino la eserciter con il suo capolavoro Il contratto sociale. In questa opera Rousseau sviluppa le concezioni contrattualistiche del '600 fino ad esiti democratici 171. Il contratto sociale, secondo Rousseau, fa nascere una volont generale. Quando gli uomini si spogliano dei propri interessi individuali e accettano che le deliberazioni avvengano solo a maggioranza, allora si pu essere sicuri che la volont generale sar sempre buona. Questa enfasi sulla nocivit degli interessi individuali propria del giacobinismo e di altre correnti politiche a noi pi vicine 172. Se l'interesse personale il nemico della democrazia allora la spirale del sospetto e del terrore pu facilmente innescarsi. Il terrore giacobino era rivolto in definitiva verso l'uomo in quanto tale, poich ogni uomo portatore di un'individualit non riconducibile ad una "astratta" generalit. Per capire le dinamiche del terrore utile dire qualcosa di pi sulle caratteristiche della volont generale di Rousseau. La volont generale doveva essere unica ed indivisibile poich non ha senso che la volont deleghi ad altri i propri compiti e nemmeno, se vuole agire, che sia divisa. Robespierre diceva, infatti " Il faut una volont UNE". Per combattere la lotta rivoluzionaria non bastava il consenso ma era necessaria una volont unica e capace, in quanto fermissima, di agire. La somma degli interessi dei singoli porta per Rousseau al consenso ma la volont generale qualcosa di molto di pi. Si affermava nella rivoluzione, visti i problemi che si dovevano risolvere, il concetto che il potere dovesse essere una volont capace di volere e non di discutere 173. Constant, successivamente vide il limite di questa concezione politica nel fatto che non erano posti limiti a ci che per sua natura tende a degenerare: il potere. Per Constant i rivoluzionari erano convinti che il potere fosse stato per secoli cattivo e loro non dovevano far altro che renderlo buono 174. Per Rousseau un potere senza limiti non era per forza negativo. Un potere illimitato che nasce ed sorretto da buoni principi e da un corretta procedura di fondazione non pu che esser buono. Perci non sentiva di dover porre alcun limite al potere. Anzi ogni limitazione della volont generale contraria al buon senso. Infatti, la legge non esiste prima che gli uomini diano vita al contratto sociale, perci porre un limite legale al fondamento stesso della legge sembrava al ginevrino un controsenso 175. Per Rousseau non ha senso appellarsi contro la volont generale perch non solo non vi sono leggi che non scaturiscano da essa ma le decisioni di questa volont non potranno che essere buone e rivolte al bene della collettivit. Il potere che Rousseau immagina qualcosa di molto simile a quello assoluto dei monarchi francesi: indivisibile, assoluto, concentrato in una solo organo 176. Per Rousseau il potere appartiene alla collettivit, ma, di fatto, non appartiene a nessuno poich questa realt astratta e impersonale che la volont generale si costituisce spogliandosi di ogni residuo di individualit e dunque di umanit. Il potere di tutti ma nessuno, dir Constant, pu esercitarlo, visto che al governo non assicurata nessuna stabilit, e cos finisce per cadere nelle mani delle "balie" 177. Le leggi liberticide e oppressive che videro la luce nel periodo della rivoluzione, basti pensare alla legge
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sui sospetti, sono il frutto del fatto che la legge fosse identificata con il volere della volont generale e in definitiva, visto quanto abbiamo detto, con il volere arbitrario di alcuni. Rifiutando la teoria della divisione dei poteri, e non riuscendo a dare nessuna autorit alle Costituzioni che furono promulgate, la rivoluzione francese si condann ad una lunga navigazione senza riuscire a scorgere un qualche approdo sicuro. 5.6 Arendt: il terrore e la virt Coerentemente alla sua impostazione la Arendt non vede il terrore o le epurazioni come frutto della necessit o come fisiologiche alla lotta politica ma come l'esito di una precisa inclinazione di coloro che lo generano. L'inclinazione in questione la piet. La nostra autrice non vuole certo affermare che un tale sentimento sia negativo ma vuole dire che il prevalere di una concezione sentimentale della politica pu avere effetti disastrosi. La miseria del popolo francese era senza dubbio immensa ed immensa era la piet di molti uomini verso di essa. Una piet sconfinata, incapace di limitarsi pu rendere per gli uomini inumani e la storia ci ha dimostrato che a volte davanti al desiderio di realizzare un grande bene alcuni abbiano visto come necessaria la durezza e il sacrificio di altri uomini. Il male necessario per raggiungere le splendide mete che gli uomini intravedono una costante in molti rivoluzionari successivi 178. Per Robespierre la fedelt alla rivoluzione non si esprimeva con la semplice adesione ad un programma o ad alcune scelte. La fedelt era prima di tutto una qualit del cuore, un inclinazione alla virt che doveva permeare il rivoluzionario fin nei suoi pi intimi pensieri. Questo amore per la virt il motivo per cui in Robespierre sar forte l'ossessione per l'ipocrisia 179,180 Il concetto che la persona significhi sostanzialmente una maschera era del tutto rifiutato da Robespierre. Socrate invitava i suoi amici ad essere come volevano apparire agli altri, ma i virtuosi della spontaneit pretendono che l'uomo sia e non appaia. La conseguenza di questa volont, di scrutare fin in fondo al cuore di ogni uomo, il sospetto. Ogni uomo sospettabile perch imperscrutabile la sua coscienza. Il sospetto dunque la conseguenza di un assolutizzazione della virt. L'epurazione come rimedio dell'ipocrisia diviene cos una costante della rivoluzione francese.

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Ruoli femminili e societ attuale

Spazio tesi . Ultimo aggiornamento: 3 ottobre 2000

Ruoli femminili e 'societ attuale'


Un'esperienza di ricerca condotta in Italia e in Germania

Abstract

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Bibliografia

Consigli di lettura

di Francesca Di Donato france@sssup.it

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(abstract)

Spazio tesi . Ultimo aggiornamento: 11 gennaio 2000

Ruoli femminili e 'societ attuale' Un'esperienza di ricerca condotta in Italia e in Germania

L'obiettivo di questo lavoro quello di offrire un contributo e una chiave di lettura allo studio del ruolo della donna nella 'societ attuale' europea. Ci siamo dunque proposte di individuare alcune categorie di analisi che servissero a delineare le aspettative connesse al ruolo della donna, in modo particolare quella europea, che poi abbiamo applicato in una ricerca sul campo effettuata in Italia, a Roma, e in Germania, a Berlino. Nel primo capitolo abbiamo svolto un'analisi della letteratura esistente, partendo dalle basi del pensiero sociologico per proporre poi un confronto delle teorie femministe contemporanee sull'argomento, in modo da offrire un quadro abbastanza ampio ed esaustivo degli studi in materia. L'analisi effettuata ci mostra come il dibattito sociologico e culturale degli ultimi decenni si sia interrogato largamente su quanto ci sia di naturale e quanto di appreso nella suddivisione sessuale dei ruoli che vede assegnare alle donne il campo della famiglia e agli uomini quello del pubblico. Su questo aspetto si dividono, nelle loro articolazioni, le due principali scuole del pensiero femminista attuale che trovano, in ragione delle differenti impostazioni, altrettante soluzioni pratiche per agire in favore di una reale parit di opportunit. Successivamente, come illustrato nei capitoli secondo e terzo, abbiamo svolto la nostra ricerca sul campo presso due associazioni che, in Europa, sono accomunate dall'intento di allargare la partecipazione delle donne nelle istituzioni politiche del loro paese, e che sono espressione di una parte della realt che lo studio della letteratura ci ha offerto come quadro di riferimento. La politica, infatti, ci sembrato essere un campo di indagine adatto all'applicazione dei nostri indicatori in quanto espressione della sfera pubblica e punto di riferimento costante negli studi delle donne da noi esaminati. Gli strumenti di cui a Roma e a Berlino ci siamo servite sono stati il materiale raccolto presso le sedi delle associazioni, la nostra osservazione partecipante e un questionario che abbiamo costruito sulla base di indicatori relativi alle categorie di analisi individuate nella prima parte. Infine nel quarto capitolo abbiamo messo a confronto i ruoli femminili che sono emersi, nelle differenze e nei tratti comuni, in relazione alle soluzioni pratiche offerte dalle due associazioni a cui ci siamo rivolte, e alla tradizione occidentale del pensiero sul genere, con particolare riguardo all'interpretazione italiana e a quella tedesca.

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Ruoli femminili: indice

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Introduzione

PARTE PRIMA. La questione del genere nell'analisi sociologica 1.I modelli di riferimento del passato 1.1.Il genere nelle principali tradizioni sociologiche 1.1.1 Lo struttural-funzionalismo 1.1.2 La teoria del conflitto 1.1.3 Altri contributi 2. Le nuove scuole di pensiero 2.1 Il gender nelle elaborazioni anglosassoni 2.1.1 Il femminismo 'umanista' di S. M. Okin 2.2 La teoria della differenza 2.2.1 Le pensatrici francesi 2.2.2 Le teoriche tedesche 2.2.3 L'interpretazione italiana 2.3 I corpi che contano di Judith Butler 2.4 Differenze locali, differenze multiple: la sintesi post-moderna 2.5 Differenza contro Monocoltura: il pensiero di Vandana Shiva 2.6 La differenza sessuale nelle culture africane: un approccio antropologico 3. Alcune considerazioni

PARTE SECONDA. L'associazione Emily in Italia 1. Quadro introduttivo


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Ruoli femminili: indice

2. La nascita di Emily sulla stampa italiana 3. L'esperienza diretta con le donne di Emily 4. I questionari 4.1. I dati anagrafici 4.2. Un indicatore relativo al rapporto con la politica 4.3. La 'doppia presenza' 4.4. Gli strumenti per la realizzazione delle pari opportunit 4.5. La 'cultura femminile' PARTE TERZA. L'associazione Bndnis 90. Die Grnen 1. Le reti associative in Germania e a Berlino 2. Il programma politico 3. L'esperienza a Berlino e presso le donne dei Bndnis 90/ Die Grnen 4. I questionari 4.1. I dati anagrafici 4.2. Un indicatore relativo al rapporto con la politica 4.3. La 'doppia presenza' 4.4. Gli strumenti per la realizzazione delle pari opportunit 4.5. La 'cultura femminile' PARTE QUARTA. La comparazione 1. Due gruppi di donne a confronto 2. Due pratiche d'azione a confronto 3. Alcune considerazioni Considerazioni finali Bibliografia

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Bibliografia generale

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Bibliografia

Consigli di lettura

A.A.V.V., Meduse Cyborg. Antologia di donne arrabbiate, Shake Edizioni Underground, Milano 1997. T.W.Adorno, M. Horkheimer, Dialektik der Aufklrung. Philosophische Fragmente, Social Studies Ass. Inc., New York 1944; (trad. it. Dialettica dell'Illuminismo, Einaudi, Torino 1974.) S. Agacinsky, Politique des sexes, Editions de Seuil, Paris 1998; (trad. it. La politica dei sessi, Ponte alle Grazie, Milano 1998.) Aristotele, La riproduzione degli animali, Laterza, Roma-Bari 1973. J. J. Bachofen, Il potere femminile. Storia e teoria (a cura di E. Cantarella), Il Saggiatore, Milano, 1977. K. D Bailey, Methods of social research, The Free Press, New York 1982; (trad. it. Metodi della ricerca sociale, Il Mulino, Bologna 1985-1995). L. Balbo, Crazy Quilts, la riproduzione sociale ed il lavoro di servizio, in G. Statera (a cura di), in Consenso e conflitto nella societ contemporanea, F.Angeli, Milano 1982. Stato di famiglia. Bisogni, privato, collettivo, FrancoAngeli, Milano 1976. - The servicing work of women and the capitalist state in Political power and social theory, vol.3, JaI Press 1982. M. Barbagli, C. Saraceno, Lo stato della famiglia in Italia, Il Mulino, Bologna 1997. F. Barret-Bucrocq, E. Pisier, Femmes en tte, Flammarion, Paris 1997. S. de Beauvoir, Le deuxime sexe, Librerie Gallimard, Paris 1949; (trad. it. Il secondo sesso, Il Saggiatore, Milano 1984) J. Benjamin, The bonds of love, Pantheon Books, New York 1988; (trad. it. Legami d'amore, Rosenberg & Sellier, Torino 1991.) R. Best, We've all got scars: what boys and girls learn in elementary school, University of Indiana Press, 1983.

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Ruoli femminili: BIBLIOGRAFIA

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Ruoli femminili: BIBLIOGRAFIA

Adnkronos, Ulivo: Nasce 'Emily', soldi e know how per donne in politica. Promotrici parlamentari DS, Sara Simeoni, Dandini, Chiara Boni, 1/4/98. Adnkronos, Ulivo: Turco, positiva la nascita di 'Emily', 1/4/98. AGI, "Emily in Italia": Turco, "a disposizione mia esperienza di governo", 1/4/98. AGI, Ulivo: Emily in Italia, Finocchiaro "sono disponibile", 1/4/98. AGI, Ulivo: Nasce 'Emily in Italia', lancer le donne in politica, 1/4/98. ANSA, Donne: Nasce 'Emily', sostegno alle aspiranti 'politiche', 1/4/98. DIRE, Donne. "Impariamo a vincere", ecco la Emily's list italiana. Tra le tante adesioni all'associazione, quella di Flavia Prodi, 1/4/98. DIRE, Donne. Izzo (Ds): Emily in Italia, utile a superare ostacoli, 1/4/98.

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Indice

Introduzione Terza parte

Prima parte Comparazione

Seconda parte

Considerazioni finali

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Ruoli femminili: CONSIGLI DI LETTURA

Spazio tesi . Ultimo aggiornamento: 11 gennaio 2000

Consigli di lettura

Ho pensato, in queste righe, di spiegare quali criteri ho utilizzato nella trasformazione del mio testo lineare in ipertesto, in modo di dare la possibilit al lettore di sfruttare tutte le possibilit che offre la nuova forma che ho dato a queste pagine. I collegamenti ipertestuali sono (per il momento) di due tipi:
q

Quelli visualizzati in fucsia sono collegamenti tra parti di testo. Ad esempio, si accenna alle pensatrici postmoderne, e si permette al lettore di accedere direttamente al paragrafo dedicato a queste studiose. Quelli visualizzati in blu rimandano a quelle che in origine erano le note, ovvero spiegazioni mie o citazioni di testi che arricchiscono quanto viene espresso.

La struttura del testo articolata in sei "capitoli", cui si aggiungono l'abstract, la bibliografia e questa pagina. Come possibile vedere dall'indice, questi capitoli sono
q

l'introduzione, in cui si inquadra l'argomento e si illustra il percorso di lavoro seguito. la prima parte, a sua volta divisa in tre paragrafi: nel primo ho preso in esame come viene trattata la questione del genere nella cultura occidentale con particolare attenzione ai classici della sociologia. Questo mi ha permesso poi di inquadrare le principali tematiche affrontate dal femminismo del secondo dopoguerra ad oggi e infine di individuare alcune categorie di analisi del ruolo della donna. la seconda parte, resoconto della ricerca sul campo svolta presso l'associazione Emily in Italia, la terza parte in cui invece si tratta della ricerca svolta presso i Bndnis 90/die Grnen di Berlino. la quarta parte che la comparazione dei risultati ottenuti presso le due associazioni. e le considerazioni finali.

Ognuno pu scegliere un percorso di lettura proprio. In particolare la seconda e la terza parte possono risultare di
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Ruoli femminili: CONSIGLI DI LETTURA

scarso interesse a chi non si occupa di sociologia. L'ordine in cui il lavoro stato svolto comunque lo stesso in cui viene qui presentato. Chi volesse cogliere il senso di questa ricerca senza perdersi in dati e tabelle, pu scegliere una modalit di lettura rapida, ovvero partire dall'introduzione, passare al terzo paragrafo della prima parte, poi alla quarta parte e da ultimo alle considerazioni finali. Un aspetto importante cui ho intenzione di dedicarmi, quello di inserire attivamente questo lavoro nella realt di cui fa parte. Perci sto lavorando alla creazione di un terzo tipo di collegamenti, soprattutto nella prima parte, in cui offrire al lettore direttamente i testi delle e sulle autrici di cui si tratta. Per ogni tipo di suggerimenti, critiche, chiarimenti contattare Francesca Di Donato france@sssup.it

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La "Repubblica" di Platone

a cura di Maria Chiara Pievatolo pievatolo@dsp.unipi.it Ultimo aggiornamento: 15 maggio 2001

Un corso on-line sulla Repubblica di Platone


L'ipertesto sulla Repubblica di Platone, visibile presso http://lgxserver.uniba.it/lei/personali/pievatolo/platone/intro.htm nato come strumento per il corso di storia del pensiero politico antico da me tenuto presso la facolt di Scienze politiche dell'universit di Pisa. E' stato poi usato per un corso on-line presso lo SWIF, che mi ha offerto ospitalit sul suo server. Chi vuole ricevere notizie sugli aggiornamenti pi rilevanti pu usare il servizio automatico che trova in fondo alla pagina di ingresso, oppure pu iscriversi alla mailing list di informazione generale dello SWIF.

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