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l. La materia, causa prima?

Nonostante l'evoluzionismo ci appaia gi poco attendibi-


le, ne prenderemo comunque in esame gli argomenti scien-
tifici ed il meccanismo. Ma trattandosi di un tentativo di
spiegazione globale della vita e delle sue forme, bisogna in-
nanzitutto determinarne la causa potenziale.
Il nostro mondo materiale, dall'atomo alla galassia, in
costante movimento. Non potrebbe esistere senza movi-
mento. Il tempo la 1nisura degli eventi che realizzano il
movimento e la materia.
Ma ogni evento, come ogni modifica o conseguenza che ne
derivino, effetto di una causa o, pi esattamente, di una com-
binazione di cause. Ora, ogni causa essa stessa effetto di al-
tre. In questo modo, risalendo da effetti in cause, dovremmo
ripercorrere la storia dell'universo fino a scoprirne l'origine,
che non pu che essere una causa senza causa, la causa prima.
Respingere l'origine dell'universo in un passato inconce-
pibile per la mente umana, non risolve il problema della
causa prima. Far dunque risalire l'universo ad un big-bang
iniziale, significa trascurare il fatto che lo stesso non pu
che conseguire da cause precedenti.
N o n si pu eludere il problema della causa prima
35
O es-
sa esterna al mondo materiale e la chiamiamo Dio, oppu-
35
Sulla causa prima ed il caso, cfr. RAFFARD DE BRIENNE, op. ci t.
41
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
PER FINIRLA
CON
L'EVOLUZIONISMO
Delucidazioni su
un mito inconsistente
Presentazione di
Giuseppe Sermonti
Nella stessa collana:
GENNARO MALGIERI, Ideario Italiano. n pensiero del Novecento visto da destra
MAURIZio BLONDET, Complotti vecchi e nuovi
Traduzione dal francese di
CRISTINA BARDELLA
ISBN 88-8073-077-0
2003 Il Minotauro s.r.l.
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l' Editore.
Grafica di copertina: Angelo Ciula
Stampa: Edigraf s.r.l . - Via degli Olmetti, 38 - 00060 Formello (Rl\1)
Finito di stampare nel mese di Agosto 2003
Indice
Presentazione
p. 7
Introduzione
15
Capitolo primo
L 'ipotesi evoluzionista
21
Capitolo secondo
Il motore del!' evoluzione
39
Capitolo terzo
L 'origine della vita
55
Capitolo quarto
L'origine delle specie
69
Capitolo quinto
La comparsa delle specie
83
Capitolo sesto
Alla ricerca degli anelli mancanti
101
Capitolo settimo
Il meccanismo del! 'evoluzione
115
Capitolo ottavo
La linea evolutiva umana 137
Conclusioni 167
Pro menzoria 169
5
Presentazione
La principale difficolt che si incontra opponendosi alle
teorie evoluzioniste, ed in particolare al neo-darwinismo,
la loro scoraggiante banalit. Qualunque teoria che propon-
ga il Caso come generatore di tutti i viventi (la Selezione
Naturale non aggiunge nulla al caso) semplicemente ridi-
cola e, in termini statistici, assolutamente "impossibile".
C' solo da chiedersi come una tale teoria abbia potuto so-
stenersi per un secolo e mezzo, ritrovando vigore dopo ogni
guerra vinta dai conterranei di Darwin. Si attaglia alla si-
tuazione un pensiero di J ohn Stuart Mill: Appare spesso
che un convincimento, universale durante un'epoca ... in
un'epoca successiva diventi un'assurdit cos palpabile che
l 'unica difficolt quella di cercare di capire come mai una
simile idea possa essere apparsa credibile.
Un'altra difficolt nel discutere di evoluzione sta nel ca-
pire di che cosa si sta parlando. ben noto che nelle prime
edizioni dell'Origine delle Specie, Darwin non us mai il
termine "evoluzione", mentre us quello di "creazione" o di
"origine". La semplice ragione era che per "evoluzione" si
intendeva, alla met dell'Ottocento, lo svolgimento di un
programma, e il centro del pensiero di Darwin, e dei suoi
epigoni, era che la Natura non avesse programmi o proget-
ti, e le specie si trasformassero senza alcuna predetermina-
7
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
zione o prospettiva: per l'appunto, a caso. Se vogliamo tro-
vare una definizione di Evoluzione, dobbiamo ricorrere ai
vocabolari letterari, dove si leggono frasi come questa: Un
processo di cambiamento continuo da una condizione infe-
riore, pi semplice o peggiore ad uno stato superiore, pi
complesso o migliore (Webster). Se cerchiamo una defini-
zione di Evoluzione in un testo scientifico, si parla di tut-
t' altro. H elena Curtis, nel glossario della sua rinomata "Bio-
logia", definisce cos l'evoluzione: Processo che da una
popolazione, in conseguenza di produzione di variazione
genetica e dell'emergenza delle varianti per opera della se-
lezione naturale, ne fa discendere un'altra con caratteristi-
che diverse. Che quest'altra popolazione sia superiore, pi
complessa o migliore, non importa; sufficiente che sia va-
riata, fosse anche inferiore, pi semplice o peggiore. giu-
sto che il pubblico sappia che quando gli scienziati, e se-
gnatamente i biologi molecolari, parlano di evoluzione,
stanno discorrendo d'altro. Di qualcosa che non ha nulla a
che fare con il concetto comune di evoluzione e poco per-
sino con Darwin.
L'affermarsi della evoluzione molecolare ha segnato
l"'eclissi" degli organismi. Abbandonate le forme viventi, i
biologi sono rimasti affascinati da codici e testi genetici,
perdendo di vista gli organismi e dandosi questa regola:
Solo nel DNA, tutto nel DNA, nient'altro che nel DNA.
Si sono presi cura delle vicende molecolari delle specie,
preferendo ignorare che queste poco o nulla avessero a che
fare con la storia della loro morfologia. Aveva scritto - con
rispettabile franchezza - il grande biologo molecolare R.E.
8
PRESENTAZIONE
Dickerson nel 1972: Quanto pi ci si avvicina al livello
molecolare negli organismi viventi, pi simili questi ap-
paiono e meno importanti divengono le differenze tra, per
esempio, una mosca e un cavallo. E Franois Jacob, nel
1977: N o n sono le novit biochimiche che hanno generato
la diversificazione degli organismi ... . Precisa poi che non
la differenza nei costituenti chimici ci che distingue una
farfalla da un leone, una gallina da una mosca o un verme
da una balena. Ci non toglie che gli evoluzionisti sono
oggi quasi esclusivamente bio-molecolari, si occupano di
organismi astratti e volentieri lavorano su organismi virtua-
li residenti nei personal computer (come il famoso Richard
Dawkins).
Raffard de Brienne, in quest'opera sulla fine dell' Evolu-
zione, si occupa dell'evoluzione come la intende il pubbli-
co e come la si intendeva anche negli ambienti scientifici,
fino all'inizio del novecento. Ci risparmia le molecole, la
cui "evoluzione" non pu, nella definizione della Curtis, es-
sere contraddetta, ed affronta i problemi mai risolti dell'ori-
gine della vita, delle specie, dell'uomo. L'origine della vita
dalla non-vita per un accidente occorso miliardi di anni fa
cos improbabile da essere assolutamente impossibile. l
matematici - conclude R. de Brienne - ci obbligano a de-
durre l'impossibilit dell'evoluzionismo. L'origine della
cellula da un assemblaggio di molecole ancora pi impro-
babile, se esiste qualcosa di pi improbabile dell'impossibi-
le. Gli ipotetici protobionti, immaginati da alcuni protobio-
logi sono simili alla cellula quanto le bolle d'acqua possa-
no essere simili all'occhio umano. Altrettanto impossibile
9
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
l'origine delle specie e il loro graduale e progressivo svi-
lupparsi l'una dall'altra. Il fenomeno comporterebbe il ri-
trovamento tra i fossili di un gran numero di forme inter-
medie ma queste non si trovano! Sono i famosi anelli man-
canti, che seguitano imperterriti a mancare. L' esempio pi
classico, cui l'Autore fa riferimento, quello degli equidi.
Nel 1874 il paleontologo russo V. O. Kovalevsky abbozza
una successione evolutiva che prevede quattro generi in
successione cronologica: Paleotherium > Anchitherium >
Hipparion > Equus. N el 1918 R. Lull traccia un tronco che
va dall' Eohippos (in luogo del Paleotherium) all'Equus, da
cui Anchitherium e Hipparion si distaccano come rami late-
rali. L'indagine geologica, scrive Ch. Dperet negli stessi
anni, ha definitivamente accertato che non esistono passag-
gi graduali tra queste specie. Nel 1951, G. G. Simpson
traccia un albero che ha l'aspetto di un cespuglio, che or-
mai composto di linee parallele nella genealogia di J. H.
Quinn. La famosa successione graduale dei cavalli- con-
clude R. Fondi (1980)- consiste, in realt, di un insieme di
elementi spazio-temporali staccati gli uni dagli altri.
Il passaggio dalla scimmia all'uomo incontra due ostaco-
li: il primo la difficolt di spiegare la modifica contempo-
ranea della stazione, del cervello, della faringe, del sistema
nervoso centrale. Il secondo l'esistenza insormontabile di
una barriera fra le facolt intellettuali della scimmia e del-
l'uomo. E poi, dove sono gli anelli intermedi? Qui incon-
triamo un.esempio classico della frode scientifica, il cranio
di Piltdown. Scoperto all'inizio del secolo, questo cranio
presentava una volta spaziosa combinata con una mascella
10
PRESENTAZIONE
scimmiesca. Bench, secondo le teorie in voga, l'anello
mancante doveva avere un cervello ancora piccolo associa-
to a una mascella umanoide, esso fu acclamato come la di-
mostrazione inequivocabile della discendenza dell'uomo
dallo scimmione e tenuto per quasi cinquant'anni in mostra
in una vetrina del Museo delle Scienze di Londra. Quando
si cominci ad impiegare il carbonio 14 per la datazione dei
fossili, esso fu subito applicato all'uomo di Piltdown. Ri-
sult un falso palese: una mascella di gorilla contempora-
neo era stata incastrata nel cranio di un uomo medievale. Il
falso era rimasto l per mezzo secolo, davanti agli occhi di
scolari e professori, e nessuno se ne era accorto. A questo
punto che fanno i sostenitori di una teoria che ha perso nel
ridicolo il suo monumento storico? Chiedono scusa, e con
la testa chinata cambiano mestiere, o, per lo meno teoria?
Nulla del genere. Pildown, (la prova essenziale dell'evolu-
zionismo, secondo Teilhard de Chardin) resta a dimostra-
zione della capacit di autocritica della scienza , che va in
cerca, invano, di altri anelli mancanti. Sui libri di testo sco-
lastici rimane intatta la vignetta dello scimmione che via via
si solleva fino a diventare un gentleman.
A mio giudizio (cfr. Giuseppe Sermonti, La luna nel bo-
sco, Rusconi, Milano, 1985), la discendenza dell'uomo da
uno scimmione un antico mito (altri miti e favole parlano
della discendenza della scimmia dall'uomo), che ha l'unica
base nella somiglianza morfologica e molecolare tra l 'uomo
e gli scimmioni senza coda (pongidi), e nel pregiudizio gno-
stico che il bestiale preceda l'umano. In realt i paleoan-
tropologi hanno smesso di parlare dell'antenato scimmie-
11
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
sco, da quando risultato che nella morfologia, nell'em-
briologia, nell'andatura, nella biologia molecolare, l'uomo
molto pi "originario" e lo scimmione "derivato", per ta-
cer del fatto che fossili di scimmioni non si trovano oltre
qualche centinaio di migliaia di anni fa, e ominidi fossili da-
tano da quattro, cinque o pi milioni di anni. Scrive Alan R.
Templeton: Il camminare sulle nocche - non il bipedismo
- la novit evolutiva nella locomozione dei primati e ...
molti caratteri ominidi sono primitivi mentre le contro-
parti nelle scimmie africane sono derivate. Ma non di-
ciamolo ai bambini delle elementari, cui seguitiamo a
mostrare una scimmia china appoggiata sulle nocche che
gradualmente si erige a formare l'uomo. Potrebbero ac-
corgersi che il Re nudo.
L'evoluzionismo, particolarmente quello neo-darwinia-
no, nonostante troppe volte smentito (e questo libro ne offre
una ponderosa casistica) seguita a sedere tranquillo sugli
scranni del sapere e a far mostra di s sulle targhe di molti
illustri istituti in tutto il mondo. Con esso invalso negli
ambienti scientifici uno stile accademico elusivo e mani-
cheo, che andato a detrimento di tutta la scienza. Mi pia-
ce citare, in conclusione, una frase di W. H. Thompson,
studioso d'evoluzione, che fu incaricato a stilare l'intro-
duzione a una edizione centennale dell'Origine delle Spe-
cie di Darwin:
Questa situazione, dove uomini si riuniscono alla dife-
sa di una dottrina che non sono capaci di definire scientifi-
camente, e ancor meno di dimostrare con rigore scientifico,
tentando di mantenere il suo credito col pubblico attraverso
12
PRESENTAZIONE
la soppressione della critica e l'eliminazione delle difficot,
anormale e indesiderabile nella scienza.
Il libro di Raffard de Brenne merita una speciale consi-
derazione, perch en1erge da questa situazione.
GIUSEPPE SERMONTI
(Professore Ordinario di Genetica)
13
Introduzione
In una sua opera, il professor Hamburger riferiva di aver
consultato il celebre neurologo Lhermitte a proposito di un
suo paziente il quale, bench assistito da tutto un marchin-
gegno, continuava a vegetare senza segni di miglioramento.
Il professor Lhermitte concluse il suo esame con queste pa-
role: "Ma caro amico, il vostro malato morto da parec-
chio". Cos, i macchinari scientifici erano riusciti a ripro-
porre il famoso tema dei morti viventi caro alla letteratura
dell'horror.
L'evoluzionismo o trasformismo biologico, una teoria in
base alla quale le specie viventi discendono, perfezionan-
dosi, da progenitori comuni e, per il loro tramite, dalla ma-
teria bruta, oggi un cadavere conservato a stento in uno
stato di vita apparente.
gi molto tempo, tuttavia, che il morto vivente presen-
ta quei segni di putrefazione che, dicono voci autorevoli,
vengono tenuti nascosti per ragioni strettamente ideologiche.
Gi nel 1903, il famoso professor Yves Delage scriveva:
Sono assolutamente convinto che essere o non essere evo-
luzionisti non dipenda da ragioni desunte dalla storia natu-
rale, ma dalle nostre opinioni filosofiche
1
Un ex-direttore
del Musum National d'Histoire Naturelle di Parigi, Le-
1
Y. DELAGE, L 'Hrdit et la grand problme de la biologie gnrale, 1903.
15
DANIEL R.AFFARD DE BRIENNE
moine, qualche tempo dopo annotava: L'evoluzione una
sorta di dogma al quale i suoi sacerdoti non credono pi, ma
che tengono in piedi per il popolo
2
E persino l'illustre
J e an Rostand, che comunque al dogma non intendeva ri-
nunciare, lo definiva "una favola per adulti"
3

Il professor Louis Bounoure, da parte sua, precisava: Il
pi bell'esempio di sistema pseudoscientifico a priori da-
to dalla teoria evoluzionista. L'evoluzione biologica un
1nito del tutto illusorio
4

l. Evoluzionismo e ideologia
Di fronte alla disgregazione e al crollo delle prove del
darvinismo, gli autorevoli difensori del dogma rispondono
con il principio d'autorit. Al punto che, senza scomporsi,
Richard Dawkins scrive: La teoria (darviniana) indiscu-
tibile come il fatto che Terra giri intorno al Sole
5
E Marsh,
gi alla fine del XIX secolo, registrava: Dubitare dell'evo-
luzione significa dubitare della scienza, e la scienza un al-
tro nome della verit. Patrick Tort, direttore del Dizionario
del darvinismo
6
, mette in guardia: Ogni attacco a Darwin
2
P. LEMOINE, in L'Encyclopdie Franaise, 1938.
3
J. RosTAND, L 'volution, Delphine, 1960.
4 L. BoUNOURE, Recherche d'une doctrine de la vie chez les savants contempo-
rains , Laffont, 1964.
5
R. DAWKINS, Le Gne goi"ste, Menges 1978 Biologo britannico, Dawkins rico-
nosce nel gene il cieco attore dell'evoluzione delle specie.
6
PUF, Paris 1996.
16
INTRODUZIONE
pu essere o ripreso. Una tale strategia, apparen-
temente potrebbe essere ideologica o religiosa?.
. Ecco. Introdotto, ben lontano dalla scienza, il concetto di
Ideologia. Come abbiamo visto, Delage vi faceva gi riferi-
mento nel 1903. E Bounoure, intorno alla met del secolo
affermava: Il fatto grave che, confondendosi col mito de
progresso, il pensiero evoluzionista ha invaso tutti i campi
della conoscenza umana
8

oltretutto significativo come la parola "evoluzionismo"
che. una dottrina filosofica di applicazione generale:
abbia praticamente soppiantato quella di "trasformismo" che
il termine specifico per l'evoluzione biologica
2. Il mito del progresso
Il trasformismo fa parte, in realt, di un vasto movimen-
to ideologico che godeva di ampio consenso gi nel Secolo
dei Lumi, e in base al quale tutto deve non solo modificarsi
o adattarsi, ma evolvere verso il meglio, dunque progredire.
C?uesto movimento di idee trova il suo campo di applica-
nella filosofia, la religione, la storia, i costumi, la po-
htlca, le scienze ed anche nella natura.
In due secoli di approfondimento delle conoscen;e scien-
tifiche e di sviluppo tecnologico, il mito del progresso ha
7
"Science et A venir", settembre 1997.
8
BOUNOURE, op. ci t.
17
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
trovato nuovo vigore e apparenti conferme, che si basano
per su un malinteso.
Le conoscenze scientifiche e la tecnologia hanno com-
piuto e compiono senz'altro progressi straordinari, che non
implicano affatto, per, il Progresso di uomini e cose. Si
tratta di un progresso per accumulo. Grazie alla memoria e
all'intelligenza, gli uomini si giovano dell'opera dei loro
predecessori e ogni generazione porta la sua pietra all'edifi-
cio scientifico costruito nel corso dei millenni
9
L'umanit si
regge, cos facendo, sulle leggi della natura, leggi immuta-
bili e pertanto non suscettibili di progresso.
Prendendo atto del progresso, non della natura, ma del-
l'uso ragionato delle sue leggi, non possiamo non ricono-
scere che in altri campi non se ne registra nessuno. Alla fi-
ne del secondo millennio, bisogna convenire che, se da ol-
tre due secoli c' stata nelle idee, nei costumi e nella politi-
ca evoluzione, essa non si compiuta in direzione del pro-
gresso, ma in molti casi, in quella della regressione.
3. Le ideologie materialistiche
Se il darvinismo ed i suoi epigoni hanno ancora, non-
ostante tutto, fedeli difensori, perch costoro si fanno ga-
ranti del tono scientifico di certe ideologie. Per questo l'e-
voluzionismo viene presentato come il principio necessario
9
Sui problemi della conoscenza, della verit, dell'intelligenza, D. RAFFARD DE
BRIENNE, Il n y a qu 'un seul Dieu, Chir, 1991.
18
INTRODUZIONE
di ogni materialismo, di ogni dottrina volta a negare Dio e
la sua creazione. Un principio necessario ma non sufficien-
te, perch il materialismo, pur spostando l'origine delle co-
se tanto indietro da perderla di vista, non risolve il proble-
ma della causa prima
10

quindi logico che la teoria evoluzionista sia stata una
delle basi essenziali del materialismo dialettico. Darwin ha
fortemente influenzato Marx ed Engelsu. Dal 1906
12
, Stalin
appogger piuttosto la forma neolamarckista del trasformi-
smo che lo spinger ad assecondare l'inattendibile Lyssen-
ko13, del quale avremo occasione parlare.
nella propagazione del marxismo-leninismo che rin-
tracciamo uno dei pi potenti meccanismi in grado di man-
tenere in vita apparente il morto vivente rappresentato dal-
l'evoluzionismo. Uno degli insegnamenti fondamentali del
comunismo verteva proprio su questa dottrina
14
.
Altre ideologie hanno aderito alla propaganda trasformi-
sta: il razzismo hitleriano e l'eugenetica di Teilhard de
Chardin sono cresciuti sul terreno di cultura darvinista
15
.
Il nostro proposito non quello di occuparci di ideolo
10
Sulla causa prima, Dio etc., cfr. ibidem.
11
L. JUGNET, Problmes et grands courants de la philosophie, Ordre franais, 1974;
ID., Doctrines philosophiques et systmes politiques, Ulysse, 1980.
12
STALIN Anarchisme ou socialisme, 1906.
13
D. BurCAN, Lyssenko et lyssenldsme, PUF, Paris 1988.
14
Mons. O'GARA, L 'volutionnisme, MJC du Valais, s.d .. Vescovo di Yuanking in
Cina, Mons. O'Gara riferisce che, dall'arrivo dell'Esercito di Liberazione, l'inte-
ra popolazione doveva seguire delle lezioni, la prima delle quali aveva per argo-
mento l'evoluzionismo.
15
M. THRKAUF, Cosmos et cration, Tqui, 1984.
19
DANIEL R.AFFARD DE BRIENNE
gie. Con la riflessione e l'analisi delle conoscenze acqui-
site, ci limiteremo a valutare la credibilit dell'evoluzioni-
smo biologico o trasformismo in base a criteri razionali e
scientifici.
20
T
Capitolo Primo
L'IPOTESI EVOLUZIONISTA
l. L 'ipotesi evoluzionista: scienza o metafisica?
L'evoluzionismo un'ipotesi secondo la quale tutte le
specie viventi, compresa quella umana, discendono, per
successive trasformazioni, da specie precedenti sempre pi
semplici man mano che si risale verso la loro origine, fino
agli organismi unicellulari generati dalla materia inanimata.
Accolta in un sistema di pensiero che mette insieme filo-
sofia e politica, l'ipotesi trasformista oggi una teoria defi-
nitivamente acquisita ed insegnata come un dogma.
tuttavia lecito chiedersi se l'ipotesi in questione possa
dirsi veramente scientifica
16
Perch un'ipotesi possa dirsi
scientifica, i fatti che presenta devono essere osservabili,
verificabili e, in linea di principio, riproducibili in laborato-
rio secondo criteri rigorosi. Ora, la maggior parte dei fatti
addotti a favore dell'evoluzionismo risale al passato e sfug-
ge pertanto alle indagini scientifiche. Al pi, possono esse-
re dedotti dai loro effetti presunti.
Pochi fatti accertati e alcune fortunate esperienze, di cui
parleremo, depongono a favore di una certa evoluzione, ma
si tratta di un'evoluzione estremamente limitata: la microe-
voluzione, che produce solo variazioni morfologiche al-
l'interno delle specie. Nessuna osservazione, nessuna veri-
fica mai riuscita a superare un ambito tanto ristretto. N eri-
16
R. SERVILLE, L 'volution est-elle une hypothse scientifique?, La Pense uni-
verselle, 197 5.
23
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
sulta un silenzio tanto inquietante da poter negare alla macroe-
voluzione, o evoluzionismo, lo status di ipotesi scientifica.
Oltrepassando abbondantemente i limiti delle conoscen-
ze e delle possibilit scientifiche, l'evoluzionismo, come
ogni sistema che si prefigga di fornire una spiegazione glo-
bale del mondo, si dimostra una dottrina metafisica. Non
per questo rimane estraneo alla scienza, nel senso che, co-
me ogni dottrina metafisica, cerca in essa motivi di credibi-
lit. Per un bizzarro equivoco, per, data la sua attinenza
con la filosofia, viene inserito nell'insegnamento delle di-
scipline scientifiche.
2. L'evoluzionismo nel! 'Antichit
Precedendo di molto le ricerche scientifiche, la teoria
evoluzionista ha fatto la sua comparsa nell' Antichit
17
nel
pensiero di filosofi materialisti ansiosi gi allora di e limi-
nare Dio dalla sua creazione.
Nel VI secolo a.C., Anassimandro di Mileto afferma
che i primi animali nacquero dall'umido (il mare); risali-
rono la riva ... e cambiarono vita. Un pensiero abbastan-
za simile condividono Talete e Anassimene di Mileto, co-
s come Eraclito di Efeso che scrive: Nulla , tutto divie-
17
Cfr. D. BUICAN, L 'volution et !es volutionnistes, PUF, Paris 1989 ; B. FAR-
RINGTON, La Science dans l'Antiquit, Payot, Paris 1967; E. BoiNET, Les Doctri-
nes mdicales, leur volution, Flammarion, 1920 ; V. BROCHARD, Les Sceptiques
grecs, Vrin, 1923.
24
L'IPOTESI EVOLUZIONISTA
ne. Per Eraclito, tutto scorre secondo la necessit, dando
origine al tutto.
Nel V secolo, Empedocle d'Agrigento pensa che il tut-
to provenga dalla terra riscaldata dal fuoco e che il caso
crei combinazioni fortuite di esseri viventi dei quali solo i
migliori sopravvivono. Per Anassagora di Clazomene il
tutto si forma sotto la spinta che un principio, il Nous, im-
prime ad una "massa primi genia". Leucippo e Democrito
di Abdera vanno oltre. Per Democrito, il tutto scaturito
per caso dal limo terrestre, a cominciare da atomi che si
combinano secondo necessit. Gli animali pi idonei, cos
formati, sopravvivono. Anche Epicuro, nel IV secolo, so-
sterr la formazione delle cose da atomi.
Il solo pensatore latino della serie, Lucrezio, che visse nel
I secolo a.C., si riconosce discepolo di Epicuro e si dichiara
apertamente ateo. A suo parere, la religione frutto della
mancata conoscenza di una vera filosofia della natura. Il
mondo opera della natura. Gli atomi si combinano a caso
per formare il tutto sotto il vaglio della selezione naturale.
Come si vede, tutti gli elementi dell'evoluzionismo era-
no gi presenti nell'Antichit. La cristianit si terr lonta-
na da queste speculazioni, anche se nel Medioevo si ama-
va credere che mosche e topi potessero nascere dalla ma-
teria inerte. La credenza nella generazione spontanea so-
pravviver fino al XIX secolo. L'evoluzionismo fa la sua
ricomparsa con l'irreligiosit del Secolo dei Lumi. Gi
Buffon, discretamente ateo, credeva nella generazione
spontanea: a suo parere, moscerini, onischi e altre piccole
creature nascono dalla materia in decomposizione. In-
25
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
fluenzate dell'ambiente, le specie cos comparse possono
originame altre: l'asino un cavallo degenerato. Hume ri-
prende le tesi di Lucrezio, come pure Diderot, che per di
pi convinto dell'ereditariet dei caratteri acquisiti. Co-
me Buffon, Erasmo Darwin pensava che, picchiando un
animale, i suoi discendenti sarebbero nati con un carapace
18

Marchant e il botanico Duchesne pubblicano osservazio-
ni sulle mutazioni dei vegetali. Duchesne rileva che indivi-
dui modificati originano nuove razze, come allevatori e
giardinieri, che da sempre selezionano razze animali e va-
riet vegetali, gi sapevano. Da questi assunti Maupertuis
sviluppa una teoria generale dell'evoluzione, per cui il tutto
nasce da fortuite generazioni iniziali. Anche Maillet e Robi-
net sostengono l'evoluzionismo: il primo individua nel tri-
tone il progenitore dell'uomo e il secondo crede che la sire-
na sia una forma intermedia tra il pesce e l'uomo.
3. Storia moderna del!' evoluzionismo
Con i Geoffroy Saint-Hilaire, padre e figlio, ma soprat-
tutto con Lamarck, approdiamo alla storia moderna dell'e-
voluzionismo. In realt, Lamarck considerato un "moder-
no" principalmente perch le sue teorie, che pi avanti esa-
mineremo, sono sopravvissute fino in pieno XX secolo. E
18
L 'Homme est-il le produit de l'volution ou de la cration?, Watchower Bible
an d Trae t Society of N e w Y ork, 1969.
26
L'IPOTESI EVOLUZIONISTA
non da escludere che qualcosa ne sopravviva ancora.
Convinto che "la funzione crea l'organo" e che i caratteri
acquisiti diventano ereditari, Lamarck sosteneva che nel
corso delle generazioni il collo delle giraffe si fosse pian
piano allungato per raggiungere le foglie degli alberi di cui
si nutrono.
L'evoluzionismo moden1o dovuto soprattutto a Charles
Darwin, nipote di Erasmo, e alla sua celebre opera Sul! 'ori-
gine delle specie
19
Darwin aveva osservato che le specie
animali delle isole Gahipagos differivano morfologicamen-
te da quelle affini del continente. Giustamente, ne dedusse
l'esistenza della microevoluzione o evoluzione locale. In-
vece di fermarsi qui, ne estrapol l'ipotesi della macroevo-
luzione o evoluzione generale. Secondo Darwin, all'interno
delle specie appaiono costantemente piccole differenze che,
accumulandosi, finiscono per dare origine a nuove specie.
Attraverso la selezione naturale, la competizione, o "lotta
per la vita", consente alle specie pi idonee a riprodursi di
eliminare i concorrenti meno dotati.
Non solo il darvinismo non scoprir mai nella paleonto-
logia le prove fossili che avrebbe dovuto trovarvi, ma il pro-
gresso scientifico, ed in particolare le scoperte nel campo
della biologia molecolare, avranno modo di confutarlo in
tempi piuttosto brevi.
Gi all'inizio del XX secolo, il mutazionismo di Hugo
De Vries, desunto dall'osservazione dei fiori in Olanda,
19
D. BUICAN, Darwin et le darwinisme, PUF, II ed., Paris 1994.
27
DANIEL R.AFFARD DE BRIENNE
contraddice la tesi dei piccoli cambiamenti continui, affer-
mando che l'evoluzione si compie per variazioni brusche
che diventano immediatamente ereditarie
20

Una correzione al darvinismo si resa necessaria gi negli
am1i Trenta, con la nascita del neo-darvinismo o teoria sinte-
tica dell'evoluzione. Secondo questa teoria, l'insieme delle
mutazioni deriva da minuscole variazioni genetiche aleatorie
e la selezione naturale elimina i soggetti meno dotati.
Il darvinismo, neo o meno, oggi duramente attaccato.
Per i seguaci della teoria neutralista, le mutazioni aleatorie
dei geni interessano geni neutri e non comportano vantaggi:
in conclusione, la sopravvivenza delle specie dovuta al ca-
so, non alla selezione.
Essendo peraltro evidente che nessuno riuscito a scopri-
re le forme intermedie volute dal darvinismo, i famosi "anel-
li mancanti", alcuni ricercatori hanno avanzato una teoria
'
detta degli equilibri puntuati. Secondo gli stessi, l'evoluzione
si compirebbe per salti bruschi che introducono nuove specie,
intervallate da "stasi", ovvero lunghi periodi di equilibrio
21

Secondo la teoria della contingenza dell'evoluzione, si
verificano regolarmente sulla Terra grandi catastrofi; le spe-
cie che sopravvivono non sono le pi dotate, ma le pi for-
tunate. Inoltre non esiste progresso, al contrario: dal perio-
do Cambriano, periodo in cui comparvero le prime specie,
c' un generale impoverimento della biodiversit.
20
BUICAN, L 'volution et !es volutionnistes, cit.
21
P. MICHAUT, volutionnisme et crationnisme, Crie, s.d.
28
L'IPOTESI EVOLUZIONISTA
Ecco che ci avviciniamo alla tesi dell'evoluzione regres-
siva, una tesi sostenuta, non senza un briciolo di provoca-
zione, a dimostrazione che gli argomenti a favore dell'evo-
luzione progressiva si adattano meglio ad un'ipotesi secon-
do la quale tutte le specie esistevano in origine. Ogni specie
sarebbe scon1parsa consentendo ad altre di svilupparsi (e
dunque di fare apparentemente la loro comparsa, tenuto
conto della rarit dei fossili)2
2
Ma concepibile un uomo
precambriano?
4. Gli argomenti del!' evoluzionismo
L'ideologia non pu bastare a spiegare l'idea evoluzioni-
sta. Se da pi di venticinque secoli la tesi trasformista siri-
presenta, pi o meno chiara, pi o meno completa, ad inter-
valli regolari, perch si basa sullo studio della natura. Gi
nell'Antichit venne suggerita da varie osservazioni, osser-
vazioni che si sono moltiplicate in epoca moderna. Prima di
esaminare le "prove" dell'evoluzionismo, bene dame un
resoconto
23

l. Molto prima che Leonardo da Vinci avviasse lo studio
dell'anatomia comparata e Carlo Linneo la riducesse a si-
stema, la semplice osservazione del mondo animale rivela-
22
G. SALET- L. LAFONT, L 'volution rgressive, d. franciscaines, 1943. Inoltre:
J.F. PROTEAU, Le Singe descend de l'homme, Ulysse, 1995.
23
P.M. PRIER, Le Transformisme, Beauchesne, 1938; M. VERNET, L 'volution du
monde vivant, Plon, 1950.
29
DANIEL R.AFFARD DE BRIENNE
va sconcertanti somiglianze anatomiche e fisiologiche tra
alcune specie, ad esempio tra i mammiferi. L'uomo e la
scimmia non presentano forse molti caratteri comuni? Le
somiglianze suggeriscono la parentela e la parentela pre-
suppone una comune discendenza, dunque un'evoluzione
originata da un medesimo ceppo.
Le differenze, per trasformazioni progressive, portano al-
le stesse conclusioni. Cosa c' di pi diverso di una zampa di
leone e di un'ala di pipistrello? Eppure, i loro scheletri hanno
una struttura simile. Quando paragoniamo il collo della gi-
raffa dalle lunghe vertebre a quello dalle dimensioni pi ri-
dotte degli altri ruminanti, come non pensare all'evoluzione?
2. Lo studio dei fossili, cominciato oltre due secoli fa,
conforta la tesi dell'evoluzione con una cronologia ricca di
strane forme che ricollegano al presente altre somiglianze
ed altre differenze. Non possiamo non chiederci se quegli
animali scomparsi, di cui i fossili rappresentano le forme re-
sidue, non siano i progenitori delle specie attuali.
3. Anatomia comparata e fossili ci parlano di convergen-
ze di forme e conformit di organi, cose queste su cui tor-
neremo. Ma c' di pi. Alcune specie presentano organi ru-
dimentali che potrebbero rappresentare le tappe di un'evo-
luzione. il caso, ad esempio, delle dita laterali rudimenta-
li del cavallo. Si cita anche l'osso pelvico della balena che,
pur non aderendo a muscoli, corrisponde al femore dei qua-
drupedi. Non c', per, niente di sicuro. Se le zampe poste-
riori della balena sono in via di sparizione, un processo in-
terrottosi all'epoca di un suo vecchissimo cugino, il basilo-
saurus, il quale, al posto dell'osso pelvico, presentava una
30
L'IPOTESI EVOLUZIONISTA
sorta di appendice inadatta sia al nuoto che alla locomozio-
ne, ma che poteva servire a facilitarne l' accoppiamento
24

Gli organi rudimentali, il cui numero diminuisce man
mano che ne vengono comprese le funzioni, sono in realt
atrofizzati e non in fase nascente: rappresentano pertanto
indizi di evoluzione regressiva. Non si trovano mai organi in
via di formazione, come vorrebbe il trasformismo biologico.
4. La paleontologia non si limita a studiare i fossili presi
singolarmente. Essa ci spalanca ampi panora1ni che mostra-
no come la fauna e la flora si siano modificate ad ogni ra
geologica. Ogni ra vede la comparsa di nuovi gruppi di
animali e di piante. N o n si pu affermare che esistano evo-
luzioni in seno a questi gruppi, al contrario, essi spesso re-
grediscono e scompaiono. In compenso, all'interno di ogni
gruppo, le forme attuali differiscono da quelle remote e le
differenze spesso aumentano (ma non sempre, come vedre-
mo) con l'anzianit del gruppo.
La tesi che la comparsa di nuovi gruppi dalla complessi-
t crescente comporti uno sviluppo progressivo delle specie
viventi generalmente bene accolta. Ma molto recentemen-
te alcuni autori l'hanno contestata: Fauna e flora sono in-
negabilmente cambiate da . .. un'ra all'altra, ma le muta-
zioni non hanno comportato tutto sommato una complessi-
t crescente. Piuttosto si trattato di variazioni su grandi te-
mi rimasti inalterati da pi di mezzo miliardo di anni
25

5. In seguito ai lavori di Serres e di Haeckel, l'embrio lo-
24
P. E. J OHNSON, Le Darwinisme e n question, Pierre d' Angle, 1996.
25
R. FONDI, La Rvolution organiciste, Labyrinthe, 1986.
31
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
gia ha fornito per qualche tempo argomenti forti all' evolu-
zionismo. Haeckel scriveva: l'ontogenesi ricapitola la filo-
genesi. Intendeva con ci che l'embrione ricapitola, nel
suo sviluppo, le forme ancestrali. Inizialmente unicellulare,
somiglia poi ad un invertebrato, quindi ad un pesce, e cos
via ... cos che il cuore del feto umano, inizialmente un sem-
plice tubo, sviluppa successivamente due cavit come i rettili,
poi tre come gli anfibi, infine quattro come i mammiferi.
Lo sviluppo della biologia molecolare non permette pi
di sostenere un tale argomento, perch il feto umano pos-
siede, fin dal suo concepimento, tutto il capitale genetico
della specie. Le somiglianze superficiali rilevate da Haeckel
si spiegano con lo sviluppo fisico degli organi. Prendiamo
l'esempio di un seme vegetale: cosa pu mai produrre, se
non un germoglio simile a tutti gli altri germogli? Regi-
striamo di passaggio che Ernst Haeckel, professore a Iena,
fu condannato dalle autorit universitarie per aver "ritocca-
to" i suoi studi di embrioni.
6. Si possono trovare argomenti pi seri, anche se meno
suggestivi. Ad esempio quello che possiamo dedurre dal
parassitismo. Ogni specie vivente nutre involontariamente
una o pi specie parassite. Dobbiamo concluderne che alla
creazione di ogni specie sia corrisposta la creazione di
parassiti? L'evoluzione, in realt mai contestata, di specie
libere in specie parassite non sarebbe pi plausibile?
7. La biogeografia fornisce argomenti molto pi validi,
gli stessi che hanno permesso a Darwin di elaborare la sua
teoria. Esiste infatti disparit di forme nell'ambito di specie
geograficamente isolate.
32
L'IPOTESI EVOLUZIONISTA
Al momento della separazione tra Australia e America
del Sud, che secondo Wegener si verific intorno a 160 mi-
lioni di anni fa, i marsupiali o mammiferi aplacentati (che
portano il feto in un marsupio, come il canguro) che vi si
erano rifugiati sotto la spinta dei mammiferi placentati, si
divisero in due gruppi che si sono evoluti separatamente. I
marsupiali americani, dopo la saldatura delle due Americhe,
hanno per di pi molto sofferto della concorrenza di altri
mammiferi. Inoltre, le faune del Pacifico e dell'Atlantico
comprendono specie geminate, ossia forme diverse di ani-
mali che appartengono allo stesso tipo; ci dimostra che dal
sollevamento dell'Istmo di Panama avvenuto intorno a 50
milioni di anni fa, c' stata un'evoluzione separata. Infine,
sappiamo che particolari specie vivono su isole di origine
vulcanica o corallina che, da sempre isolate, hanno potuto
popolarsi soltanto per immigrazione. Queste specie si sa-
rebbero dunque evolute separatamente.
bene notare che gli argomenti che si evincono dalla
biogeografia sono tutti a favore di un'evoluzione locale. Le
forme si modificano all'interno degli stessi tipi e non c'
comparsa di nuovi organi. La microevoluzione non giustifi-
ca nel modo pi assoluto le estrapolazioni di Darwin.
5. L'albero genealogico del!' evoluzione
La comparazione tra esseri viventi permette di classifi-
carli in suddivisioni sempre pi capillari, a cominciare dal-
la distinzione tra fauna e flora. Si dividono gli animali in
33
DANIEL R.AfFARD DE BRIENNE
grandi gruppi organizzati: i sottotipi (Insetti, Vertebrati ... ),
le cui differenze sono tanto nette da far ritenere impossibile
l'esistenza tra loro di forme intermedie o disposizioni fonda-
mentali comuni
26
Al di sotto dei sottotipi, le classi (esempi per
i Vertebrati: Pesci, Rettili o Mammiferi), in seguito gli ordini,
che raggruppano i diversi sistemi di combinazioni di organi.
All'interno dei gruppi sistematici cos classificati, si di-
stingue l'organizzazione formale che suddivide gli esseri
viventi a seconda della disposizione e delle proporzioni dei
loro organi, in famiglie, generi, specie, oltre che in variet o
razze. I limiti tra suddivisioni inferiori possono sembrare
troppo lievi per poter pensare a passaggi intermedi o a pro-
genitori comuni. Ma gli ordini si trovano gi nettamente se-
parati da certe discontinuit nell' organizzazione
27

da tale classificazione che si pensato di ricostruire un
albero genealogico degli esseri viventi. Ogni specie vi si tro-
va disposta all'estremit di un ramo principale o secondario
che parte da un punto di congiunzione dove si crede di poter
posizionare l'ipotetico progenitore di varie specie. Al di sotto
del punto di congiunzione, un nuovo ramo prosegue fmo ad
un altro punto di congiunzione, l dove dovrebbe trovarsi l'i-
potetico progenitore di molti generi ancora. In questo modo,
risalendo di congiunzione in congiunzione agli ordini, classi e
sottotipi, si riesce a ricollegare il tutto ad un unico tronco che
affonda le radici nell' humus degli organismi unicellulari.
26
J. LEFVRE, Manuel critique de biologie, 1938.
27
M. CAULLERY, Les tapes de la biologie, PUF, Paris 1941.
34
L'IPOTESI EVOLUZIONISTA
N e risulta, in definitiva, un bell'albero con tanti rami se-
condari, ma dal tronco e dai rami principali quasi spogli, ca-
rico soprattutto di punti interrogativi e con pochi punti di ri-
ferimento - dal momento che la maggior parte dei fossili si
trova anch'essa relegata tra le foglie - fomiti dai rari docu-
menti fossili.
Il nostro albero enuncia a chiare lettere l'ipotesi evolu-
zionista. Non resta che trovare le prove a suo sostegno. Ora,
per uno strano equivoco, l'albero stato trasformato nella
sua prova stessa, e questo grazie ad un vizio di ragiona-
mento conosciuto come "petizione di principio", ossia la
domanda per la risposta. Se in una somiglianza di forme si
vuol ravvisare la prova di una parentela possiamo benissi-
mo - dice divertito J ean Servier - ricostruire catene evolu-
tive partendo dagli oggetti che ci circondano e provare che
il bastone, passando per il trespolo, la sdraio, lo sgabello, la
poltrona e il divano, il progenitore delletto
28

Ideologi e volgarizzatori seguitano a ritoccare la loro
prova ad usum populi. Non c' enciclopedia o manuale
scientifico per ragazzi che non presenti il famoso albero
dell'evoluzione. E dal momento che la prova si rafforza da
s, al posto dei puntini di sospensione che esprimono il dub-
bio degli scienziati troviamo le pi assertive sottolineature.
28
J. SERVIER, L 'Homme et l'Invisible, Laffont 1964; ID., L 'Homme est rassur de
descendre du singe, in "Totalit", no 15, 1982.
35
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
6. I guai del!' albero genealogico
L'albero, gi tanto fragile alla nascita, non gode di buona
salute. Si sperava che lo sviluppo delle ricerche potesse in-
foltime il tronco ed i rami principali di nuovi fossili. In real-
t, si verificato il contrario: si tende sempre pi a sposta-
re verso l'estremit dei rami secondari forme che si ritene-
vano intermedie, e che l' approfondimento delle conoscen-
ze non consente pi di mantenere nella stessa posizione. Il
risultato finale una curiosa genealogia, fatta solo di cugi-
ni, qualche zio forse, ma neanche un nonno.
La biologia molecolare aggrava ulteriormente la situa-
zione29. Ogni tipo di proteina, l'emoglobina ad esempio, ha
una sequenza di amminoacidi che cambia leggermente da
una specie animale all'altra. Se teniamo conto di queste va-
riazioni, vediamo che le grandi classi dei vertebrati, come le
organizza l'anatomia comparata, si ritrovano anche a livel-
lo molecolare. E le separazioni restano altrettanto nette per-
ch, a livello proteico, non esistono classi intermedie.
Peggio ancora, il confronto delle proteine del tipo cito-
cromo C mostra che la distanza tra quella del batterio e
quelle del cavallo, del piccione, del tonno e del bombice
quasi la stessa: tutti i tipi sono isolati, senza forme di pas-
saggio. Lo stesso per l'RNA e l'emoglobina: l'emoglobina
della lumaca alla stessa distanza da quella della carpa, del-
la rana, del pollo o del canguro.
29
Cfr. M. DENTON, volution, une thorie en crise, Flammarion, 1992; S. ORTOLI,
L 'volution conteste, in "Science et Vie", no 834, 1987.
36
L'IPOTESI EVOLUZIONISTA
Davanti alla povert e alla debolezza dell'albero genea-
logico, si tende oggi ad adottare il sistema dei cladi. Un cla-
do un ramo biforcato che congiunge ad un unico tronco
due specie che, per la loro somiglianza, si presume abbiano
un progenitore comune. I cladi s'incastrano in altri cladi pi
ampi, nella speranza di inserire nel sistema tutto il vivente.
Da notare che il fattore tempo, fondamentale nell' evoluzio-
nismo, non viene tenuto in nessuna considerazione e che un
clado pu collegare un fossile ad una specie attuale. Il pro-
genitore comune non viene mai nominato e pare addirittura
che si rinunci a cercarlo.
La cladistica somiglia molto a una posizione di ripiego.
Come scrive Andr Neuvy
30
: la filosofia del cladogramma
caratterizza l'imbarazzo di chi sostiene incondizionatamente
il trasformismo di fronte all'assenza di elementi probanti.
7. Alberi meno ambiziosi
A conforto parziale, ma inconfutabile, del trasformismo,
sono stati spesso ricostruiti alberi genealogici limitati all'e-
voluzione di determinate specie.
Cos per le tavole che rappresentano l'evoluzione della
specie umana a partire dalla scimmia. N o n c' enciclopedia
per l'infanzia che non presenti un disegno con sei o sette fi-
gure che camminano l 'una dietro l'altra a passo uguale. Il
30
1n uno studio effettuato nel 1997 di cui Neuvy ci ha dato notizia.
37
DANIEL RAFFARD DE BRJENNE
primo della fila un uomo di oggi e l 'ultimo uno scimpan-
z, ma tutti vengono rappresentati con la stessa villosit,
carnagione e la stessa gestualit. Vedremo nell'ultimo capito-
lo quanto una simile schematizzazione sia insidiosa. Eppure
siamo ben lontani dalle ricostruzioni che mostrano la discen-
denza dall'ameba del granchio, dell'elefante, dello squalo.
Per quanto modesto, l'albero genealogico del cavallo
viene spesso presentato come prova sostanziale di trasfor-
mismo. L'ambizione si limita a stabilire in che modo un pic-
colo mammifero erbivoro dell'Eocene abbia dato origine,
nell'arco di 50 o 60 milioni di anni, ad un grande mammi-
fero erbivoro
31
Ora, l'albero in questione tanto poco at-
tendibile da subire continue modifiche. Nel 1874, Kowa-
lewsky traccia un tronco diritto con quattro livelli, l 'ultimo
dei quali il nostro cavallo. Diversi ricercatori, tra cui il de-
cano Dupret, hanno presto trasformato i primi tre in rami
collaterali
32
Nel 1918, Lull disegna un albero a forma di
palma con cinque rami su un tronco a nove livelli. Nel1955,
la palma diventata, con Quinn, un cespuglio: non c' pi
un tronco, quindi niente progenitori, ma quindici rami che
altri porteranno a ventitr
33
Oggi ci si chiede se il cavallo
non provenga da varie razze fossili: l'albero rischia di pren-
dere la forma di una mangrovia
34

31
R. SERMONTI, Perseverare autem diabolicum, in "Totalit", n 15, 1982. Inoltre:
R. SERMONTI-R. FONDI, Dopo Darwin, critica del! 'evoluzionismo, Rusconi, Milano 1979.
32
P. CORDIER-GONI, Ce dontje doute, "Rivire scientifique", 1957.
33
I.M. VAN DER VLERK-P.H. KUENEN, L 'Histoire de la Terre, Marabout, 1961.
34
P. CHALMEL, L 'volution, mythe ou ralit, Tqui, 1989.
38
Capitolo secondo
IL MOTORE DELL'EVOLUZIONE
l. La materia, causa prima?
Nonostante l'evoluzionismo ci appaia gi poco attendibi-
le, ne prenderemo comunque in esame gli argomenti scien-
tifici ed il meccanismo. Ma trattandosi di un tentativo di
spiegazione globale della vita e delle sue forme, bisogna in-
nanzitutto determinarne la causa potenziale.
Il nostro mondo materiale, dall'atomo alla galassia, in
costante movimento. Non potrebbe esistere senza movi-
mento. Il tempo la 1nisura degli eventi che realizzano il
movimento e la materia.
Ma ogni evento, come ogni modifica o conseguenza che ne
derivino, effetto di una causa o, pi esattamente, di una com-
binazione di cause. Ora, ogni causa essa stessa effetto di al-
tre. In questo modo, risalendo da effetti in cause, dovremmo
ripercorrere la storia dell'universo fino a scoprirne l'origine,
che non pu che essere una causa senza causa, la causa prima.
Respingere l'origine dell'universo in un passato inconce-
pibile per la mente umana, non risolve il problema della
causa prima. Far dunque risalire l'universo ad un big-bang
iniziale, significa trascurare il fatto che lo stesso non pu
che conseguire da cause precedenti.
N o n si pu eludere il problema della causa prima
35
O es-
sa esterna al mondo materiale e la chiamiamo Dio, oppu-
35
Sulla causa prima ed il caso, cfr. RAFFARD DE BRIENNE, op. ci t.
41
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
re si trova nella materia. Dunque la materia si genera dal
nulla. N o n ha inizio e dispone, non gi dell'eternit che
assenza di tempo, ma di una durata infinita. ci che .
Possiede, in definitiva, attributi divini. Il materialismo, che
si vuole ateo, in realt un panteismo.
Inoltre, accettando la tesi evoluzionista, dovremmo am-
mettere che una materia auto-creatrice, una materia-Dio, si
sia dotata di una forza evolutiva regolata da un'intelligenza
ordinatrice. Non si pu infatti non riconoscere che l'evolu-
zione, con la comparsa successiva della cornice ambientale,
dei primi esseri viventi, delle specie sempre pi evolute e
infine dell'uomo, realizza un disegno coerente. evidente
che l 'universo costituisce un insieme perfettamente ordinato
i cui elementi, per quanto dissimili e perch complementari
nelle loro dissomiglianze, concorrono tutti ad armonizzare.
Tutto ci pu essere solo frutto di un'intelligenza
36
.
2. Il caso, motore del!' evoluzione?
In realt, gli assertori dell'evoluzionismo non paiono
porsi il problema dell'origine e della causa prima, come non
sembrano disposti a concedere alla materia un'intelligenza
organizzatrice di cui, a dire il vero, non si ha notizia.
Essi ritengono che il motore dell'evoluzione sia il caso.
A loro parere, le piccole o grandi variazioni che realizzano,
36
E. COUVERT, Lettre ouverte un biologiste, in "La pense Catholique", n 168, 1987.
42
IL MOTORE DELL'EVOLUZIONE
per accumulo, l'evoluzione progressiva compaiono a caso.
Il caso il nome che la nostra ignoranza d ad una concate-
nazione di cause ed effetti di cui non riusciamo a sciogliere
l'intreccio. Ora, o la concatenazione prevista e determina-
ta da una intelligenza organizzatrice, oppure il caso si ridu-
ce, per la complessit naturale delle cose, ad un seguito di
eventi assolutamente aleatori.
N ella seconda ipotesi, che cosa pu produrre il caso, se
non il caos? E come potrebbe il caso dimostrarsi creatore,
organizzatore, armonizzatore?
Indubbiamente, atomi in contatto fra loro possono com-
binarsi in molecole complesse. Ma, per accettare che da
queste nasca un giorno un essere vivente e ipotizzare che la
vita sia il risultato di una loro semplice aggregazione, do-
vremmo immaginare che il caso recuperi e completi di con-
tinuo le stesse molecole. E questo in maniera del tutto alea-
toria, poich la conservazione e la riproduzione di un mi-
glioramento non esistono fino a quando non vengono rese
possibili dall'essere vivente. Ora, in assenza di vita, il caso
pu benissimo determinare combinazioni felici, ma le di-
strugge nell'istante successivo. Come scriveva Jean Ro-
stand37: "Ammettere che variazioni fortuite abbiano dato
forma ad esseri viventi, sembrava a Le D an tec [un evolu-
zionista] ... tanto insensato quanto sperare che una massa di
ferro fuso produca, raffreddandosi, una locomotiva".
A queste osservazioni si risponder che, essendo la ma-
37
J. RosTAND, La Nouvelle Biologie, 1937.
43
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
teria quasi eterna, tutte le combinazioni, anche le pi im-
probabili, hanno avuto modo di verificarsi. Ma una tale opi-
nione si scontra a sua volta con irriducibili obiezioni.
3. Impossibilit del caso come principio motore
I tentativi necessari alla formazione casuale di una prima
cellula vivente comportano una tale quantit di atomi che il
numero delle loro possibili combinazioni raggiunge cifre
astronomiche. Sono cifre che superano di gran lunga la so-
glia di impossibilit calcolata dal matematico Borel, secon-
do cui quale un evento; non avendo che una probabilit di
verificarsi su l O o , non si verificher mai in nessun luogo
dell'universo. Ricordiamo che gli atomi dei miliardi e mi-
liardi di stelle dell'universo contano soltanto l 0
70
particelle!
Lecomte du N oiiy ha calcolato che, perch il caso possa
formare una sola macromolecola asimmetrica (elemento ba-
se della materia organica), dovrebbe disporre di 10
243
mi-
liardi di annP
8
Ossia, in anni, l seguito da 252 zeri, quando
l'et della Terra ne comporta soltanto 9!
Georges Salet, da parte sua, scrive: Anche mobilitando
tutta la materia di centinaia di miliardi di galassie che po-
polano l 'universo per trasformarla in geni e distruggerli poi
alla cadenza favolosa di l 0
14
volte al secondo, accorrereb-
bero circa l 0
500
anni per realizzare tutti gli stati possibili di
38
P. LECOMTE DU NoDY, L 'Homme devant la science, Flammarion, 1939.
44
IL MOTORE DELL'EVOLUZIONE
un gene di media importanza, cio di l 000 coppie di nu-
cleotidi39. Ora, un semplice batterio annovera nel suo DNA
3000 geni della stessa importanza.
Poco importano le cifre, si dir, dal momento che il caso,
per compiere i necessari tentativi, ha potuto disporre dell'e-
ternit. Ma se cos fosse, perch non resta traccia degli in-
calcolabili tentativi andati a vuoto? Si potrebbe rispondere
che le loro tracce hanno avuto tutto il tempo di scomparire.
Allora perch non si vedono tracce di nuovi tentativi? Dob-
biamo credere che il caso abbia smesso di operare? Ma chi
dunque avrebbe cambiato le leggi della materia?
E innanzi tutto, il caso dispone davvero dell'eternit (o
pi esattamente di un tempo infinito)?
4. Impossibilit del/' evoluzione per caso
Si deve in primo luogo osservare che l'evoluzione non
pu essere eterna. Un'evoluzione, per quanto numerosi pos-
sano esserne i tentativi, meandri e tappe immaginabili, se-
gue un percorso che la porta da un punto all'altro. Possiede
quindi una durata limitata. Supponendo che abbia avuto ini-
zio, se cos si pu dire, da sempre, potrebbe solo essere fi-
nita da sempre. Evoluzione ed eternit (di fatto, tempo infi-
nito) sono termini antiteci.
Si potrebbe rispondere che la materia eterna, ma che
39
G. SALET, Hasard et certitude, d. St-Edme, 1972.
45
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
l'evoluzione ha avuto inizio in un tempo definito. Si pre-
suppone allora che la materia immutabile abbia subto una
modificazione. Ma, o la modificazione deriva da un impul-
so esterno, e con questo reintroduciamo la nozione di Dio,
oppure proviene da un movimento interno, e ricadiamo nel
panteismo.
Alcuni hanno espresso l'idea di una evoluzione ciclica,
dunque eterna, poich la fine di un ciclo la riporterebbe al
punto di partenza per una nuovo inizio. Per Engels, la ma-
teria stessa si muove in un continuo vortice
40
Secondo
Hoyle, man mano che la materia muore, se ne crea una
quantit pari
41
; siamo in piena metafisica panteista. Per
Pierre Rousseau, un processo che deriva dalla trasforma-
zione eterna e reciproca della materia in energia e dell'e-
nergia in materia
42

Romana fa tuttavia notare che, se la legge della conser-
vazione dell'energia stabilisce che la somma di energia rac-
chiusa nel mondo resta sempre la stessa, una parte di essa si
trasforma poco a poco in energia termica, la quale non pu
pi trasformarsi in energia "utile"
43
Se il primo principio
della termodinamica afferma che la quantit di materia e di
energia nell'universo rimane costante, il noto secondo prin-
cipio stabilisce che la materia e l'energia tendono sempre a
40
A. ROMANA, in J. DE BIVORT DE LA SAUDE, Essai sur Dieu, l'homme et l'uni-
vers, La Colombe, 1957.
41
T. PAGE, toiles et galaxies, Marabut, (Ville) 1962.
42
P. RoussEAU, De l'atome l'toile, PUF, Paris 1966.
43
Cfr. ROMANA, op. cit.
46
IL MOTORE DELL'EVOLUZIONE
decadere da stati complessi e ordinati in stati disordinati;
l'entropia misura tale decadimento
44

Gamow, basandosi sulla fisica relativistica, afferma che
l'universo esaurisce le sue riserve
45
: dunque la materia non
eterna. La scienza prova inoltre che la materia ha un'et
calcolabile, il che basta a stabilire che ha avuto un inizio. Se
ne pu dedurre l'inizio anche dalla constatazione che, in se-
guito o meno ad un big-bang, l'universo in espansione,
espansione di cui gli astrofisici misurano la durata. Metodi
che si basano sulla radioattivit attribuiscono alla Terra, co-
me ai meteoriti provenienti dallo spazio, un'et massima di
alcuni miliardi di anni. infine accertato che le stelle in-
vecchiano e si spengono. Quanto detto prova che la materia
non eterna, al contrario ha avuto un inizio e avr una fine.
Anche ammettendo l'eternit ciclica della materia, non si
risolverebbero tuttavia i problemi di una evoluzione che do-
vrebbe verificarsi nel corso di un solo ciclo di durata limitata,
poich alla fine di ogni ciclo tutto tornerebbe al punto zero.
5. Ricorso ad un agente esterno o sconosciuto
Il caso non pu essere l'unico principio motore plausibi-
44
Prigonini ha elaborato uno studio sulla strutturazione spontanea dei sistemi in
non-equilibrio, ma ne ha studiati solamente casi particolari che non contraddico-
no in nulla la II legge della termodinamica. Vedi A.J. MoNTY-WHITE, volution,
un mythe roulant, Centre biblioteque europen, 1983.
45
PAGE, op. cit.
47
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
le dell'evoluzione. Da una parte, come stabiliscono i calco-
li di Lecomte du Noiiy e di Salet, e come vedremo in altri
capitoli, il tempo concesso al caso di gran lunga troppo
breve. Dall'altra, l'evoluzionismo esige un'evoluzione pro-
gressiva, dunque ordinata, che mal si concilia con un caso
per definizione imprevedibile.
Si potr obiettare che la selezione naturale basta a spie-
gare la conservazione di un vantaggio acquisito per caso.
evidente per che spesso, a voler credere agli evoluzionisti,
un vantaggio compare solo gradualmente ed preceduto da
tappe nelle quali, prima di diventare effettivo in un tempo a
venire, causa soltanto inconvenienti. La selezione dovrebbe
eliminare sia gli inconvenienti che il potenziale vantaggio.
I pi eminenti esperti rifiutano la spiegazione dell'evo-
luzione ad opera del caso. Per Marcel-Paul Schiitzenberger,
l'evoluzione non pu essere frutto del caso, perch l'ordi-
ne non pu uscire dal caos. Secondo Jean Dorst, il caso non
pu essere responsabile della macroevoluzione che, a suo
parere, chiaramente programmata. Anche Roberto Fondi
sostiene che le specie compaiono secondo un programma
inscritto nella materia organica. tienne Wolff, che condi-
vide l'opinione di Fon di, ritiene che l'evoluzione si orienti
secondo precise direttrici
46

gi da tempo che gli studiosi introducono nelle loro di-
mostrazioni un elemento di tipo metafisica sinceramente
estraneo agli assunti scientifici: una misteriosa finalit, una
46
Interviste di questi quattro professori in "Figaro-Magazine", 24 novembre 1991.
48
IL MOTORE DELL'EVOLUZIONE
forza evolutiva, un capitale evolutivo il cui esaurimento
giustificherebbe il fissismo ostinato di specie antichissime.
Incapaci di definire una simile forza misteriosa, i teorici
dell'evoluzione l 'hanno chiamata con i nomi pi diversi.
C' lo "slancio vitale" di Bergson
47
, la "telefinalit" di Le-
com te du Noiiy
48
, il "determinismo teleologico" di Cu-
not49. Serville
50
ha registrato inoltre: !'"entelechia" (Naege-
li), la "forza evolutiva interna" (Abel), la "causa non mec-
canica" (Driesch), l"'anticaso" (Cunot) e l'"anticaos" (Pi-
veteau). A questi bisogna aggiungere !"'evoluzione esplo-
siva" (Schindewolf) e l "'aromorphosis" (Senentzoff e
Zenner) che attribuiscono facolt creatrici alla materia 5
1

Infine, il premio Nobel Monod, paladino del caso nell'e-
voluzionismo,- nonostante riconosca allo stesso tempo
l'improbabilit dell'evoluzione ad opera del caso, consi-
dera i viventi dotati di un "progetto" che li dirige; parla di
"teleonomia"
52

Se molti pensatori o ricercatori si limitano a coniare ter-
mini che, senza avere un significato preciso, rasentano la
metafisica nel tentativo di evitarla, altri si spingono oltre e
riconoscono in Dio il principio motore dell'evoluzione. Per
Teilhard de Chardin, che aveva la pretesa di adattare il mar-
47
H. BERGSON, L'volution cratrice, 1907.
48
P. LECOMTE DU NoDY, L'homme et sa destine, 1948.
49
L. CUNOT, L'Jnquitude mtaphysique, tudes, 1928.
_
50
SERVILLE, op. cit.
51
D. DEWAR, The Transformist Illusion, Dehoff, 1959.
52
J. MONOD, Le Hasard et la Ncessit.
49
DANIEL R.AFFARD DE BRIENNE
xismo al cristianesimo
53
, e per Chauchard
54
, Boigelot
55
e
Grass
56
, l'evoluzionismo il modo in cui si realizza la
creazione per un impulso impresso da Dio.
Torneremo a parlarne, ma segnaliamo intanto, al limite
della metafisica, l'opinione di Le Roy, per il quale l'evolu-
zione umana obbedisce a fattori di origine psichica
57
L'au-
tore non dice nulla dell'evoluzione antecedente l 'umanit o
dell'origine di detti fattori psichici. In compenso, Teilhard
de Chardin attribuisce fattori psichici a tutto l'universo: a
suo parere, anche la materia bruta, anche le particelle ele-
mentari possiedono coscienze con le quali possono preve-
dere il futuro e fare in modo che l'evoluzione tenda ad un
universo dallo psichismo assoluto
58
Con questo esempio di
teilhardismo delirante, ricadiamo in un panteismo integrale,
appena velato da una verniciata di cristianesimo.
6. Obiezioni al! 'idea di creazione evolutiva
Abbiamo visto come la teoria evoluzionista possa reg-
53
P. CHAUCHARD, La Cration volutive, SPES, 1959. J. JOUBLIN, L'volutionni-
sme soi-disant chrtien de Teilhard de Chardin, in "La Pense Catholique", n 78-
79, 1962.
54
Ibidem.
55
R. BOIGELOT, L 'Homme et l 'Univers, Renouveau-Soleil, 1946.
56
P.P. GRASS, L'volution du vivant, Albin Michel, 1973; ID., Essai sur l'histoi-
re nature ile de l 'homme, Albin Miche l, 1971.
57
. LE RoY, Les Origines humaines et l'volution de l'intelligence, Boivin, 1927;
ID., L'Existence idaliste et lefait de l'volution, Boivin, 1927.
58
J.E. CHARON, La Connaissance de l'univers, Seuil, 1965.
50
IL MOTORE DELL'EVOLUZIONE
gersi solamente con l'ausilio della metafisica o addirittura
del soprannaturale. Ma bisognerebbe che la metafisica non
finisse per contraddire la scienza sul suo stesso terreno. Ora,
proprio su quel terreno che sorgono gravi obiezioni.
Se ammettiamo che la creazione si compie sotto forma di
un'evoluzione scatenata da un evento iniziale, tutto il suo
programma dovrebbe trovarsi iscritto nella materia in modo
da avviare automaticamente e progressivamente i processi
evolutivi. Di un tale programma iscritto nella materia bruta
non si ha notizia, a meno che i nostri evoluzionisti deisti ac-
cettino di prendere in considerazione un secondo evento
creatore che faccia nascere la vita da elementi inanimati.
Nel DNA dei loro cromosomi, gli esseri viventi possie-
dono tutte le informazioni che, tramandate dai progenitori,
determinano il loro completo sviluppo
59
A loro volta, tra-
smettono lo stesso codice genetico ai loro discendenti. Se
esistesse perci un messaggio evolutivo trasmissibile attra-
verso i secoli, esso si troverebbe contenuto nel codice gene-
tico. In altre parole, il DNA degli organismi unicellulari pri-
mordiali doveva contenere il codice delle milioni di specie,
pi o meno complesse, a venire.
Il professar Schiitzenberger, oltre a considerare le infor-
mazioni contenute nel genoma del tutto insufficienti nume-
ricamente a spiegare il vivente, se non a tal fine predispo-
sto, fa notare che i pesci dell'era primaria avrebbero dovu-
59
Per non appesantire il nostro testo, si suppone che il lettore conosca alcuni ele-
menti di genetica cui dovremo richiamarci a pi riprese. Ne forniamo tuttavia un
compendio nel Pro Memoria.
51
DANIEL R.AFFARD DE BRIENNE
to avere, in potenza, i germi di organi di cui erano privi, ma
di cui i loro successori sarebbero stati provvisti
60

Gli organismi unicellulari attualmente esistenti hanno al
massimo nel loro DNA mille volte meno nucleotidi, quindi
informazioni, di quanti ne abbia l'uomo. evidente che, per
evoluzione, non potrebbero generare milioni di specie,
compresa quella umana. Si potrebbe allora pensare che gli
esseri che non evolvono, o che non evolvono pi, si disfino
delle informazioni inutili. Se i pesci Crossopterigi hanno
dato origine a tutti i vertebrati terrestri perch, sempre nel-
la stessa ipotesi, il loro DNA conteneva tutti i codici dei ver-
tebrati. Se uno di essi, il celacanto, rimasto immutato do-
po decine di milioni di anni, si deve pensare che abbia an-
che abbandonato tutti i codici inutilizzati.
Allo stesso modo dovremmo immaginare che i caposti-
piti di un sottotipo, di una classe, di un genere, si siano dis- .
fatti dei codici degli altri sottotipi, classi, generi. Se non ac-
cettiamo queste cancellazioni, il DNA degli organismi uni-
cellulari attuali non dovrebbe essere mille volte pi povero
di quello umano, ma migliaia di volte pi complesso.
Se
5
al contrario, ammettiamo che il DNA rifiuti, o perlo-
meno non trasmetta le informazioni inutilizzate, come spie-
gare che non rifiuti allo stesso modo le informazioni che ri-
guardano eventuali specie future, quando neppure queste
sono immediatamente utilizza bili?
60
M.-P. SCHTZENBERGER, Les Failles du darwinisme, in "La Recherche", n 283,
gennaio 1996.
52
IL MOTORE DELL'EVOLUZIONE
Perch, nella prima come nella seconda ipotesi, dovrem-
mo accettare che il DNA contenga una massa di informa-
zioni che verrebbero utilizzate solo da una discendenza pi
o meno lontana. Che esista o meno una selezione tra queste
informazioni, quale processo potrebbe bloccare, nell'eve-
nienza per milioni di anni, una quantit di nucleotidi du-
rante la duplicazione del DNA e gli spostamenti del RNA?
Quale processo permetterebbe poi di sbloccare gradual-
mente alcuni di questi nucleotidi e non altri, secondo una
cronologia e direzioni predeterminate almeno dall'origine
della vita? E come potrebbe tutto ci sopravvivere agli in-
cidenti genetici che nessuna selezione, a livello delle infor-
mazioni bloccate, riconoscerebbe?
Per ricapitolare, dietro un artificio di tipo positivista, la
tesi evoluzionista, punta di lancia dell'ateismo, si trova co-
stretta a far intervenire fattori soprannaturali che si ispirano
o ad un panteismo certo, o ad un certo creazionismo. Senza
per questo riuscire a trovare la via d'uscita da un dedalo di
contraddizioni ed impossibilit che bastano a dimostrare la
sua stessa inattendibilit.
53
Capitolo terzo
L'ORIGINE DELLA VITA
Se i fautori di una poco probabile creazione evolutiva
possono accettare che Dio abbia fatto apparire sulla Terra le
prime cellule viventi, gli assertori invece di un ancor pi
improbabile evoluzionismo materialista devono presumere
che la vita si sia generata da s dalla materia inanimata.
Che cosa la vita? Pare che una sua chiara definizione
non esista. Gli scienziati condannano il vitalismo, una dot-
trina biologica che afferma l'esistenza di un principio vita-
le, distinto sia dall'anima che dal corpo, da cui dipendereb-
bero le attivit organiche. Ma la vita non si spiega con una
semplice costruzione della materia, dichiara Maurice Fer-
net, il quale aggiunge, contro Teilhard de Chardin, che l'e-
nergia della vita non la stessa della materia bruta
61
.
Cos' dunque la vita? Un dizionario largamente diffuso
risponde: Risultato del funzionamento regolare degli orga-
ni che concorrono allo sviluppo e alla conservazione del-
l'individuo62. La vita procederebbe dunque dal funziona-
mento regolare degli organi, ma come possono funzionare
gli organi se non sono prima dotati di vita? La vita non pu es-
sere insieme la causa e la conseguenza del loro funzionamento.
Non riuscendo in definitiva a spiegare la vita, ci si limi-
61
M. FERNET, La Grande Illusion de Teilhard de Chardin, Gedalge, 1964. ID., nu-
merosi articoli, in "Le Monde et la vie", nn. 133-134-135-138-144-146-184-191,
1964-1969.
62
Petit Larousse illustr, 1972.
57
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
ta a definirla superficialmente come l'esercizio delle fun-
zioni dell'essere vivente.
Che cosa un essere vivente? un complesso fisico or-
ganizzato all'esercizio autonomo di un certo numero di fun-
zioni che concorrono, tramite scambi energetici e chimici
con l'ambiente, a realizzare tre scopi:
- L' autorigenerazione, che garantisce lo sviluppo e il so-
stentamento dell'essere vivente. Tale funzione assicura la
continuit della struttura mediante la rigenerazione della
sostanza.
- L'autoregolazione, che consente all'essere vivente di
adattarsi entro certi lin1iti alle variazioni dell'ambiente.
- L' autoreplicazione, mediante la quale l'essere vivente d
forma ad esseri simili a se stesso.
A ci concorrono organi pi o meno specializzati, or di-
nati tra loro in un complesso armonico secondo il program-
ma stabilito dal DNA
63
Ogni essere vivente possiede un'in-
dividualit ed limitato nello spazio e nel tempo; in parti-
colare, nasce e muore.
I materiali di base dell'essere vivente sono rappresentati
da molecole complesse, dette organiche, che non sono pre-
senti nella materia inerte.
Gli unici elementi in comune tra materia organica e ma-
teria inerte sono gli atomi, ovvero gli elementi chimici che
compongono le molecole. Sappiamo che questi elementi in
comune si trovano allo stadio pi elementare della materia.
63
Vedi Pro Memoria.
58
L'ORIGINE DELLA VITA
E un tale incontro si spiega naturalmente con il fatto che gli
esseri viventi non possono attingere, direttamente o meno,
la loro sostanza se non nella materia inanimata.
Per il resto tutto separa la materia organica, complessa e
mutevole, dalla materia inerte priva di movimento, come in-
dica il termine. La maggior parte delle molecole della ma-
teria inanimata stabile e se a volte, nel tempo, si esercita
su di esse un'azione, questa va solo nel senso della decom-
posizione, della disintegrazione in elementi ancora pi sem-
plici e stabili. N o n solo la materia non offre nessun segno di
evoluzione progressiva, ma dimostra l'esatto contrario.
l. La vita nasce dalla materia inanimata?
Mondo minerale e mondo vivente appaiono tanto estra-
nei l 'uno all'altro, che si fatica a credere che il primo abbia
potuto generare il secondo.
Esistono in realt organismi che fanno da cerniera tra
mondo vivente e minerale. Sono i virus. I virus, formati da
proteine, ma proteine cristallizzabili, possiedono, con un fi-
lamento di acido nucleico codificato (DNA o RNA), alcune
propriet dell'essere vivente. Potrebbero costituire un ec-
cellente stadio intermedio tra minerale e cellula vivente se,
per riprodursi, non dovessero sfruttare cellule ospiti. Non
potendo infatti costruire le loro proteine, i virus le fanno as-
semblare da cellule invase dal loro DNA. Il primo virus non
pu aver preceduto la prima cellula e dunque non pu esse-
re un suo ascendente.
59
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
Una teoria, denominata "pansperma", avanzata al prin-
cipio del secolo da Lord Kelvin e da Arrhenius, ipotizza che
le prime cellule viventi siano giunte sulla Terra dagli spazi in-
terplanetari o anche interstellari, trasportate da meteoriti. Siri-
tiene inoltre che alcuni meteoriti presentino tracce di materia
organica, anche se molto probabilmente si tratta di tracce pro-
dotte da una contaminazione terrestre. Comunque sia, ben po-
che cellule viventi sarebbero state in grado di sopravvivere ai
rigori estremi delle radiazioni e delle temperature dello spazio.
La torna attualmente in auge grazie all'astro-
fisica. E stato annunciato il ritrovamento di materia organi-
ca sul pianeta Marte, ma la notizia pare quanto meno pre-
matura e troppo ottimista. Ad ogni modo, come vedremo,
tra molecole organiche e cellule viventi ce ne corre. Poich
Marte, nell'opinione generale, l 'unico pianeta del sistema
solare, oltre alla Terra, che potrebbe ospitare la vita, le spe-
ranze si orientano ormai verso l'immensit della nostra ga-
lassia. Nell'orbita della stella Pictoris (Costellazione del
Pittore), stato scoperto quel che sembra essere un pianeta,
ma una tale evenienza non ci farebbe avanzare di un passo
nella soluzione del problema della vita.
L'esistenza di un gran numero di pianeti nella nostra ga-
lassia non infatti probabile?
Come si vede l'ipotesi della pansperma non spiega nul-
la. Serve solo a ricacciare il problema della vita nelle lonta-
nanze dello spazio ed evitare cos di trovargli una soluzio-
ne, complicandolo anzi con una questione di trasporto. Per-
ch la vita sarebbe scaturita dal mondo minerale di lontani
. . . . . '
1potet1c1 p1anet1 e non sul nostro, dove si trova?
60
L'ORIGINE DELLA VITA
2. Atmosfera ipotetica e brodo primordiale
Per i materialisti, la vita deve essersi generata spontanea-
mente dalla materia inorganica, ma la scienza non fornisce
nessuna prova in questo senso. Gli esseri viventi sono for-
mati da complessi organici a loro volta prodotti da esseri vi-
venti che selezionano ed assimilano materiali inorganici
64

Per sbloccare la situazione gli evoluzionisti hanno con-
cepito una storia piena di colpi di scena, nei quali l'incontro
fortuito di alcune sostanze, casualmente dotate delle neces-
sarie proporzioni, avrebbe prodotto, per combinazioni chi-
miche accidentali, i primi organismi semplicissimi, ma vi-
venti. Un simile concorso di possibilit, scrive Joel de Ro-
snay, tanto poco verosimile da essersi potuta verificare una
sola volta e grazie all'immensit del tempo lasciato al caso
65

In realt, come abbiamo visto e vedremo ancora, un tempo
calcolato anche in miliardi di am ridicolmente troppo breve
per concedere alla nostra storia anche la pi esigua delle possi-
bilit. Rosnay avrebbe dovuto parlare di assoluta impossibilit.
Il primo autore di tale storia evoluzionista, il biologo rus-
so Oparin, non si lasci trarre in inganno. Ispirandosi adEn-
gels, fece ricorso a misteriosi principi superiori, a necessit
inerenti alla natura, tutte cose che esulano dal campo delle
leggi naturali come da quello della casualit
66
Ricadiamo
ancora una volta nella metafisica.
64
M. FERNET, L'volution du monde vivant, Plon, 1950.
65
J. DE ROSNAY, Les Origines de la vie: de l'atome la cellule, Seuil, 1967.
66
A.l. OPARIN, L'Origine de la vie sur la Terre, Masson, 1965; commento del pro-
61
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
Al principio dunque della storia c' l'atmosfera primor-
diale della Terra, composta, secondo Oparin, da metano,
ammoniaca, idrogeno e vapore acqueo. Viene subito da
pensare all'atmosfera di Giove, pianeta semi-gassoso
67
, an-
che se la sua atmosfera composta principalmente da idro-
geno ed elio. Ad ogni modo, ci viene detto, intorno alla Ter-
ra non c'era ossigeno, che altrimenti avrebbe impedito ai
raggi ultravioletti di realizzare le prime sintesi volute dalla
storia evoluzionista. L'ossigeno presente in enormi quantit
nella nostra aria e nella nostra acqua, si sarebbe trovato al-
lora immagazzinato in ossidi ferrici. Una sua piccola quan-
tit contenuta nel vapore acqueo avrebbe formato dal meta-
no il gas carbonico (diossido di carbonio), da cui proviene
l'atlnosfera attuale e che, secondo alcuni, sarebbe stato ad-
dirittura l'unico componente della vera atmosfera primor-
diale, come su Venere e Marte
68
Sulla Terra, per l'azione dei
vegetali, l'ossigeno avrebbe cominciato a sostituire il gas
carbonico un 1niliardo di anni fa.
Nell'atmosfera di Oparin, la sintesi di molecole organi-
che sarebbe stata provocata da radiazioni e scariche elettri-
che. Miller, Calvin, Fox e altri hanno ricostituito in labora-
torio la stessa atmosfera, sottoponendola poi a vari tratta-
menti: scariche elettriche, bombardamenti di un ciclotrone,
riscaldamento a l 000 gradi. Cos facendo hanno ottenuto la
fessore Gavaudan, traduttore. Le prime opere di Oparin sono state pubblicate nel
1924.
67
F.H.T. RODHES, La Vie et son volution, Voici, 1964.
68
E.J. OPIK, Initiation l'astronomie, Payot, Paris 1964.
62
L'ORIGINE DELLA VITA
sintesi di quegli amminoacidi che sono il materiale da co-
struzione delle proteine, oltre alla sintesi di altre molecole
organiche; ma hanno anche ottenuto la sintesi di una massa
considerevole di molecole diverse ed in particolare di quel-
le dell'acido cianidrico, il terribile acido prussico dei ro-
manzi polizieschi. pur vero che si possono ottenere mole-
cole organiche anche sottoponendo l'acido cianidrico ai
raggi ultravioletti.
Se ciascuno di quei diversi trattamenti violenti produce
sintesi promettenti, anche in grado di distruggerle. Inoltre,
allo stesso modo in cui in assenza di vita non pu esistere
selezione naturale, non c' nulla che consenta alle moleco-
le "buone" di liberarsi dalla massa di quelle cattive.
Comunque sia, i nostri evoluzionisti ritengono che le mo-
lecole "buone" si siano opportunamente raggruppate o sul
fondo degli oceani, o meglio ancora sul fondo delle lagune
riscaldate dal sole e miracolosamente risparmiate dall'oro-
genesi tumultuosa dei primordi. Sar il "brodo primordiale"
(alcuni preferiscono parlare di "fango primordiale") in cui
le molecole si combineranno in macromolecole per l' azio-
ne necessaria di presunti ma oscuri catalizzatori. N o n basta,
bisogna anche immaginare un processo sconosciuto che
consenta agli amminoacidi tenuti in soluzione di costruire
delle proteine.
vero che in laboratorio si riusciti a formare catene di
amminoacidi, ma con procedimenti a secco e riscaldandoli
a 170 (un po' caldo per un brodo, anche primordiale). Si
tratta di catene che, non somigliando a proteine biologiche,
vengono chiamate proteinoidi.
63
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
In condizioni che si vogliono analoghe a quelle attribui-
te alla Terra ancora giovane, ma in realt assai diverse da un
esperimento all'altro, sono anche riusciti a costruire speri-
mentalmente altre molecole, in particolare nucleotidi uniti
in sequenze nientemeno che da 30 a 200 elementi, ma in
modo del tutto casuale. Restiamo lontanissimi dalla catena
perfettamente ordinata di 5 milioni di coppie di nucleotidi
che costituiscono il DNA di un semplice batterio.
3. Una pre-vita?
Osserveremo ancora che le macromolecole del brodo pri-
mordiale debbono distruggersi anche pi facilmente di
quanto non si formino. Ma anche conservandosi, non posso-
no costituire degli esseri viventi: basta infatti assemblare
qualche pezzo a caso in una scocca per avere un motore?
Gli evoluzionisti, ipotizzando che le macromolecole ab-
biano acquisito (dove? come?) la capacit di crescere, pro-
liferare, farsi complesse, interagire tra loro, superano anco-
ra una volta i confini della metafisica .. . Comunque, a sen-
tir loro, le propriet della vita sono comparse gradualmente.
In una soluzione acquosa, stata provocata sperimental-
mente l'agglomerazione di macromolecole in minuscole
goccioline isolate da molecole d'acqua attratte elettrica-
mente: i "coacervati". Se ne dedotto che, sempre grazie ad
oscuri catalizzatori, si sarebbero formate spontaneamente
goccioline prebiotiche, i "protobionti", che nutrendosi del
brodo primordiale avrebbero dato origine a cellule viventi.
64
L'ORIGINE DELLA VITA
E tutto ci in virt di una selezione naturale, quando non
pu esserci selezione naturale fintanto che non esiste ripro-
duzione. Si parla anche di "geni nudi" o di RNA primordia-
le: una prima molecola di RNA si sarebbe sintetizzata for-
tuitamente nel brodo primordiale.
In breve, sono stati ipotizzati pre-organismi provvisti di
pre-vita. Ora la vita, e anche la "pre-vita", non pu esistere
senza una vera organizzazione: possiamo davvero credere
che basti mettere insieme qualche pezzo di un motore per-
ch questo cominci a girare? E ancora una volta, come pu
la pre-organizzazione, senza uno schema di montaggio e un
montatore qualificato, evolversi in organizzazione e la pre-
vita in vita? Possiamo anche chiederci se basti montare tut-
to il motore perch questo si avvii da solo. In altre parole, la
vita semplicemente il risultato di una combinazione di
molecole, oppure la combinazione di molecole semplice-
mente la base necessaria alla vita? Ma allora c' un altro
problema.
Ecco per concludere la storia dei nostri evoluzionisti.
N o n una buona storia: con tutte le sue inverosimiglianze,
ci lascia ancora lontani dalla mta.
Tra i "protobionti" e la pi modesta delle cellule viventi,
esiste una grande, grandissima distanza. I "protobionti" so-
migliano alla cellula quanto gli occhi del brodo possono so-
migliare all'occhio umano! La cellula vivente si presenta
come un organismo complesso che funziona secondo mo-
dalit precise che escludono la possibilit di evoluzione da
stadi inferiori: la legge del tutto o niente. Tenuto conto
della complessit della cellula e dell' interdipendenza dei
65
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
suoi organuli, dovremmo supporre che si sia generata al-
l'improvviso dai "protobionti". Non possono esserci analo-
ghi stadi intermedi, ad esempio quello attuale dei virus: quel
che i virus non hanno, lo prendono da cellule perfettamen-
te costituite.
Avvolto da una membrana a permeabilit selettiva, il pi
semplice degli organismi unicellulari comporta, oltre al nu-
cleo, un gran numero di organuli delicati: mitocondri, ribo-
somi ... , in grado di garantire tutte le funzioni vitali e di sin-
tetizzare l 0.000 prodotti diversi. Il nucleo, nella sua mem-
brana69, contiene con i cromosomi tutto il centro di coman-
do sotto forma di lunghi filamenti di DNA. Le lunghe cate-
ne di DNA contano milioni di anelli disposti secondo un or-
dine rigoroso; la minima inversione romperebbe il mecca-
nismo. Anche ipotizzando che il caso sia riuscito ad infilare
tanti anelli, come avrebbe potuto trovare il giusto ordine?
4. L 'impossibile passaggio al!' essere vivente
Il problema si complica con l'asimmetria delle molecole
organiche. A causa di tale asimmetria, molecole della stessa
formula deviano la luce polarizzata a sinistra (levogire) o a
destra (destrogire). Le molecole organiche ottenute per sin-
tesi non deviano la luce da alcun lato (sono racemiche) per-
69
Soltanto alcuni organismi uni cellulari, i procarioti, non hanno un nucleo vero e
proprio.
66
L'ORIGINE DELLA VITA
ch statisticamente sono per met levogire e per met de-
strogire. quanto stato osservato durante gli esperimenti
gi citati sulle sintesi dell'atmosfera ipotetica e del brodo
primordiale.
Ora, negli esseri viventi, tutti gli amminoacidi e quindi
tutte le proteine sono leyogiri. Ad eccezione di alcuni pro-
dotti di batteri o di funghi che sono sempre destrogiri. . . e
questo non migliora le cose. Il fatto dipende, chiaramente,
dallo stesso DNA, di per s asimmetrico. Ma come potreb-
bero i milioni di gradini del DNA essere tutti, senza ecce-
zione, asimmetrici dallo stesso lato, se la loro scelta stata
effettuata a caso tra materiali met levogiri e met destro-
giri? Crederemmo al caso se una roulette facesse uscire per
secoli solo il rosso e mai il nero?
L'improbabilit di ottenere una serie ininterrotta di rossi
o di levogiri cresce secondo una progressione geometrica
con ragione 2. Il famoso problema della scacchiera ci d
un'idea di tale progressione. Poniamo un chicco di grano
sulla prima casa della scacchiera, 2 sulla seconda, 4 sulla
terza, 8 sulla quarta e via raddoppiando fino alla 64a ed ul-
tima casa. Le cifre, inizialmente modeste, sfuggono pro-
gressivamente al controllo finch, giunti all'ultima casa,
avremo sulla scacchiera la raccolta mondiale di grano del
secolo! E siamo solo alla 64a casa. Che accadrebbe se do-
vessimo continuare l'operazione sui milioni e miliardi di ca-
se che rappresenterebbero le molecole dell'essere vivente?
Supereremmo presto la soglia d'impossibilit fissata da Borel.
Ricordiamo che il matematico Borel ha dimostrato che
superata una certa soglia, di cui riparleremo a proposito di
67
DANIEL R.AFFARD DE BRIENNE
Salet, l'improbabilit equivale ad assoluta impossibilit.
Come esempio di improbabilit di questo tipo, ha citato
quello di un milione di scimmie che per dieci ore al giorno
picchiano sui tasti di un milione di macchine per scrivere;
in capo ad un anno, i fogli cos stampati, verrebbero raccol-
ti a caso in volumi, i quali volumi si rivelerebbero la copia
esatta dei libri di una biblioteca. Ecco un esempio matema-
tico pi semplice che non risponde neppure ad un' impossi-
bilit: esistono pi di 2 miliardi di modi di disporre 20 per-
sone intorno ad un tavolo. Anche in questo caso i matema-
tici ci impongono una sola conclusione: l'impossibilit del-
l' evoluzionismo.
68
Capitolo quarto
L'ORIGINE DELLA SPECIE
l. Prima cellula e poligenismo
Consideriamo come avvenuta la formazione del primo
organismo unicellulare, della prima cellula vivente da cui,
per gli evoluzionisti, discenderanno i regni animale e vege-
tale. Se vogliamo mantenere, per proseguire la nostra dis-
cussione, la finzione del suo emergere graduale dalla mate-
ria inorganica o quella della sua improvvisa comparsa, l 'u-
na e l'altra impossibili, dobbiamo accettare che questa cel-
lula sia unica.
Da un lato, infatti, l 'unicit del sistema cellulare in tutto
ci che vive obbliga gli evoluzionisti a sostenere la tesi di
una discendenza da un'origine comune: se fossero esistite
varie origini, infatti, non vi sarebbero diversi sistemi?
Dall'altro, se riteniamo che la vita possa essere compar-
sa soltanto nell'unico sistema cellulare attualmente esisten-
te, e che tutte le possibili alternative siano rimaste inerti o
sterili, oppure, ancora pi difficile, se siamo convinti che l ~
tri sistemi avrebbero potuto funzionare, ma che per coinci-
denza uno solo si sia realizzato in pi esemplari al punto da
eliminare tutti gli altri, allora dobbiamo ammettere che un
evento, giudicato altamente improbabile da Joel de Ro-
snay70 e assolutamente impossibile dai matematici, si sia ve-
70
DE RosNAY, op. cit.
71
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
rificato un certo numero di volte, moltiplicando considere-
volmente il tasso di improbabilit o aggravando, se possibi-
le, l 'impossibilit.
Tenuto conto del carattere fortuito delle mutazioni e del-
le innumerevoli direzioni che esse possono imprimere ca-
sualmente, il trasformismo, per ogni tappa dell'evoluzione,
pu solo ammettere un'origine unica, un "monogenismo".
Alcuni autori avvalorano spesso, invece, l'ipotesi del
"poligenismo", ipotesi secondo la quale o per una coinci-
denza davvero straordinaria, o per l'intervento di un miste-
rioso fattore vagamente metafisica, soggetti diversi sub-
iscono le stesse modificazioni. Osservando come la teoria
poligenica venga pi facilmente applicata alla pretesa di-
scendenza dell'uomo dal mondo animale, ci si rende conto
di quanto l'evoluzionismo debba pi alle ideologie che alla
scienza. E con l 'unico apparente risultato di seminare dub-
bi sull'esistenza dell'anima ed eliminare il peccato origina-
le. Senza contare la giustificazione del razzismo.
2. I protisti
Torniamo al nostro organismo unicellulare e alla sua esi-
genza di riprodursi rapidamente. I suoi discendenti, i "pro-
tisti", si sarebbero differenziati in due linee evolutive: i
"protofiti", da cui discenderebbe il regno vegetale, ed i
"protozoi", antenati ipotetici del regno animale.
A questo punto si incontra una prima difficolt. Difatti,
come gli animali dipendono per il loro sostentamento (oltre
72
L'ORIGINE DELLA SPECIE
che per l'aria che respirano) dai vegetali, cos i protozoi,
che possono assimilare soltanto sostanze organiche, si nu-
trono attraverso i protofiti i quali, grazie ad alcuni pigmen-
ti come la clorofilla, trasformano i minerali in molecole or-
ganiche. Con tali pigmenti i protofiti possiedono dunque,
nel senso darviniano del termine, un vantaggio sui protozoi.
Ma la loro comparsa sarebbe anteriore o posteriore a quella
dei protozoi? Se fosse anteriore, dovremmo parlare di re-
gressione, non di evoluzione progressiva. Se fosse posterio-
re, di cosa si sarebbero nutriti nel frattempo i protozoi? De-
gli avanzi del brodo primordiale che, per un'ulteriore felice
combinazione, si sarebbero trovati in quantit sufficiente?
In entrambi i casi, non c' stata selezione naturale, per-
ch il vantaggio dei protofiti non ha comportato la scom-
parsa per competizione dei protozoi. Sappiamo, ma ne par-
leremo ancora, che secondo il darvinismo ed i suoi discepo-
li, il progresso evolutivo deriva dall'eliminazione per sele-
zione naturale degli individui e delle specie rimaste immu-
tate a favore di quelli o quelle che, per una mutazione for-
tuita, hanno acquisito un vantaggio. Su questi s s u n t i ~
avremmo tutte le ragioni di stupirei che ai giorni nostri si
possano ancora contare milioni di specie viventi, di cui mol-
te svantaggiate se confrontate con le loro vicine o cugine,
mentre la selezione naturale avrebbe dovuto ridurne il nu-
mero, se non all'unit, almeno alla modesta quantit con-
sentita dalle differenze di ambiente fisico.
Inoltre, poich il trasformismo somiglia a una corsa ad
impossibili ostacoli, ci si para di fronte un'ulteriore diffi-
colt. I protisti avrebbero, attraverso una favolosa serie di
73
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
mutazioni, generato sia la farfalla che l'elefante, la quercia
e il fungo. Ora la Terra ospita ancora una nutrita popolazione
di protisti immutati. Dovremmo allora pensare che alla lotte-
ria dell'evoluzione gli uni vincano ogni settimana il primo
premio da milioni di secoli e gli altri niente? Mai niente?
Altri esempi di questa strana lotteria sono quelle specie,
un po' ingenuamente chiamate "fossili viventi" che, come
avremo modo di vedere, sono immutate da milioni di seco-
li mentre le loro famiglie avrebbero subito varie mutazioni.
I nostri studiosi parlano allora di specie bloccate in vicoli
ciechi, o in attesa di esaurire la loro forza evolutiva. In real-
t sono solo parole che non corrispondono ad alcun feno-
meno comprovabile e che non spiegano come mutazioni ac-
cidentali cessino di essere possibili.
3. Protozoi e metazoi
Torniamo ancora una volta ai nostri organismi unicellu-
lari, e segnatamente ai protozoi da cui discenderanno, come
dicono, gli animali pluricellulari o "metazoi". Si tratta di or-
ganismi composti da pi di una cellula e anche da un gran-
dissimo numero di cellule. Riproducendosi, i protozoi dan-
no sicuramente origine a nuove cellule, ma ciascuna di esse
costituisce un nuovo individuo indipendente dal genitore.
Si conoscono casi intermedi in cui nuove cellule verreb-
bero a completare il protozoo p.er fame un sia pur mode-
stissimo metazoo? Potremmo pensarlo osservando certi Fla-
gellati, le Volvocali e i Cnidosporidi, che si riuniscono in
74
L'ORIGINE DELLA SPECIE
comunit nelle quali osservabile la specializzazione fun-
zionale di alcune cellule. Potremmo distinguervi degli ab-
bozzi di meduse. Ma solamente apparenza: un insieme di
protozoi non forma un metazoo. Un metazoo comporta un
certo numero di cellule che costituiscono organi distinti de-
stinati alle diverse funzioni, ma si tratta di un solo individuo.
Inoltre, fa osservare. Max de Ceccatty
71
, perch un proto-
zoo possa essere considerato l'antenato di un metazoo, do-
vrebbe possedere cromosomi omologhi a coppie. E questo
non accade n nelle Volvocali n nei Cnidosporidi, n in
nessun altro protozoo.
Per concludere, il nostro esempio attesta soprattutto l'e-
norme distanza che separa organismi unicellulari e pluricel-
lulari. Soltanto un profondo rimaneggiamento del DNA in
seguito ad una mutazione tanto grande da diventare invero-
simile, potrebbe colmare una simile distanza. Per rendere
l'idea, i metazoi pi semplici, i pi "primitivi", gli Spon-
giari (spugne) ed i Celenterati (meduse, coralli), con i loro
gameti e tessuti specializzati, sono molto pi vicini all'uo-
mo che ai protozoi
72

71
M. DE CECCATTY, La Vie de la cellule l ' homme, Seuil, 1967.
72
Ibidem. Inoltre, J. -F. PROTEAU, De la sduction la supercherie trasformiste,
FDLF, 1978.
75
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
4. La comparsa della sessualit
La comparsa della sessualit crea un 'ulteriore e non pic-
cola difficolt. Gli esseri pi semplici, come le amebe, pri-
vi di cromosomi omologhi a coppie, si riproducono molto
semplicemente per scissione della loro unica cellula.
Le specie pi complesse, come gli Spongiari e i Celente-
rati gi citati, hanno una riproduzione sessuata. La riprodu-
zione sessuata, che esige la fusione di met capitale geneti-
co maschile con met di quello femminile, consente la com-
binazione dei geni e l'eliminazione delle mutazioni aleato-
rie che metterebbero la specie in pericolo. In definitiva, la
riproduzione sessuata, essenzialmente conservatrice, costi-
tuisce un serio ostacolo all'evoluzione.
Se una mutazione avesse provvisto un organismo qual-
siasi di organi genitali, anche rudimentali, e della capacit
di formare gameti con la met dei cromosomi, dovremmo
necessariamente supporre che nello stesso momento e nello
stesso luogo un'altra mutazione abbia fornito ad un altro in-
dividuo gli organi e i gameti complementari dell'altro ses-
so. Potremmo anche ipotizzare, in modo altrettanto invero-
simile, che un'unica mutazione abbia consentit ad un or-
ganismo asessuato di generare un discendente maschio e
uno femmina.
In alcuni protozoi come i parameci, tuttavia, si osserva-
no scambi di parti di capitale genetico tra due individui, n1a
un fatto che non riguarda la riproduzione. In tema di com-
parsa della sessualit, stadi intermedi non sono concepibili.
Si tratta, ancora una volta, della la legge del tutto o niente:
76
L'ORIGINE DELLA SPECIE
occorrono subito i gameti, la loro fusione, gli organi che li
formano e il modo dimetterli in contatto.
N si pu immaginare, per rendere la comparsa casuale
della sessualit pi verosimile, che essa si sia verificata
un'unica volta, dal momento che comparsa non solo negli
animali che sarebbero discesi dai protozoi, ma anche nei ve-
getali, presunti discendenti dei protofiti.
inoltre il caso di osservare, per !imitarci ai caratteri
fondamentali, che il sistema di determinazione dei sessi tra-
mite la coppia di cromosomi maschili XY presente sia nei
mammiferi che nelle piante dioiche. Ma allora, come ha po-
tuto il sistema invertirsi a favore delle femmine degli anfibi
e degli uccelliT
3
73
H. FIRKET, La Cellule vivante, PUF, Paris 1982.
77
ERA
Quaternaria
Pleistocene
Terziaria
Pliocene
Miocene
Oligocene
Eco cene
Paleogene
Secondaria
Cretaceo
Giurassico
Triassico
Primaria
Permiano
Carbonifero
Devoniano
Siluriano
Ordoviciano
Cambriano
Pre-Cambriano
L'ORIGINE DELLA SPECIE
FOSSILI DATE
Homo Sapiens -l milione di anni
Grandi camovori
Balene Grandi Scimmie
Grandi Mammiferi ruminanti
Piante
Mammiferi placentari
-65 milione di anni
Estinzione dei dinosauri
Apogeo dei dinosauri, uccelli,
piccole mammiferi
-200 milione di anni
Primi dinosauri
Rettili abbandonati, conifere
Primi Rettili
Primi anfibi, pesci abbandonati
Prime piante e animali terrestri
Primi pesci
Invertebrati marini
-5 00 milione di anni
Rarissimi fossili
La classificazione degli strati geologici si basa su quella dei fossili a
sua volta dettata dal dogma evoluzionista
79
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
L 1ttiostega, uno dei primi anfibi, ed uno dei suoi presunti antenati:
l 'Eustenottero
80
L'ORIGINE DELLA SPECIE
A sinistra, ala di archeopteryx
A destra, ala di piccione
L 'archeopteryx, in alto, e particolare del! 'ala in basso
81



u

o
=
=

o
"""""" <
o rJJ
:,:::


u o
u
PROPLIOPITECO- 30 milioni di anni
<

DRIOPITECO - 20 milioni di anni
RAMAPITECO - l O milioni di anni
AUSTRALOPITECO - 3/-6 milioni di anni
Scimmia del sud
N eandertaloidi
U orno di P etra bona
-44.000/-700.000 anni
PITECANTRAOPO
Uomo scimmia
U orno di Tautavel
-39.000/-400.000 anni
UOMO DI NEANDERTHAL
-38.000 anni
"scherzo" di Piltdown
HOMO SAPIENS
Cronologia dei fossili di scimmie antropomorfe e di ominidi (cap. VIII)
C"-1
00
l. Fossilizzazione e "fossili viventi"
Giunti a questo punto della nostra indagine, possiamo di-
re di non avere finora incontrato che elementi di un raccon-
to fantastico i cui incredibili intrecci si sciolgono solo a col-
pi di bacchetta magica.
Con la paleontologia o scienza dei fossili, affronteremo
dati pi concreti. Lo studio dei fossili ci insegna infatti che
la fauna e la flora variano a seconda delle re geologiche,
che le specie dell'una e dell'altra ra si avvicendano e che,
in generale, la loro complessit cresce con il tempo, a te-
stimonianza di un loro complessivo progresso.
A prima vista potremmo dunque pensare che le specie
primitive abbiano generato, perfezionandole, le specie pi
recenti e che, di conseguenza, le prime si debbano rintrac-
ciare negli strati geologici pi remoti. In realt, lo schema
non cos semplice.
Bisogna innanzitutto osservare che la fossilizzazione si
verifica soltanto per un raro concorso di condizioni e che
pertanto conserva solo una quantit trascurabile delle popo-
lazioni animali e vegetali di un tempo. L'enorme massa di
quelle popolazioni scomparsa senza lasciare traccia. Se ne
pu allora desumere che i fossili scoperti riguardino soprat-
tutto le specie pi diffuse e che specie meno comuni possa-
no restarci sconosciute per mancanza di fossili.
Ci premesso, ne consegue che i pi antichi e i pi re-
85
DANIEL RAFFARD DE BRlENNE
centi fossili di una specie non ne rivelano mai l'epoca della
comparsa, n della scomparsa. Molte specie hanno potuto
vivere a lungo in maniera oscura prima che condizioni fa-
vorevoli, un cambiamento di clima o la scomparsa di con-
correnti o predatori, ne favorissero un'esplosione demogra-
fica testimoniata da fossili. cos che l'espansione dei
mammiferi ha beneficiato dell'estinzione dei dinosauri,
mentre stata dimostrata, per puro caso, la loro modesta
presenza in tempi precedenti.
Alcune specie, al contrario, sono riuscite a sopravvivere
per molto tempo ai loro ultimi fossili. il caso sconcertan-
te dei cosiddetti "fossili viventi". Con questo termine un po'
paradossale si designano specie in vita che, secondo la logi-
ca evoluzionista, non dovrebbero pi esistere se non in for-
ma di fossili. Si tratta, in definitiva, di presunti progenitori
che sopravvivono, senza il minimo segno di evoluzione ap-
parente, in concorrenza con i loro presunti discendenti.
Il numero dei fossili viventi continua a crescere. N el
1989, gli scienziati della nave Cyana hanno scoperto nel-
l' Oceano Pacifico dei nautilus, crinoidi, stelle di mare, echi-
ni, spugne silicee, gigli di mare, del tutto simili ai loro pro-
genitori fossili
74

Ben presenti in pieno XX secolo, sono state ritrovate
creature che si credevano estinte da molto tempo. Come un
crostaceo, la neoglyphea, o un pesce, il famoso celacanto,
74
R. PLus-F. KovAcs, Et Dieu vi t que cela tait bon et meme trs bo n, Encore Fa-
tima, 1990.
86
--............--
LA COMPARSA DELLE SPECIE
entrambi ritenuti scomparsi da 60 o 70 milioni di anni. O
come un rettile, lo sfenodonte, ufficialmente estinto nell'e-
ra secondaria. Il record di sopravvivenza paradossale sen-
za dubbio detenuto da un modesto mollusco, la neopilina, il
cui fossile pi recente risale a 350 milioni di anni fa.
Anche a non voler rimettere in causa le modificazioni
nell'aspetto generale della fauna (e della flora) nel corso
delle re geologiche, sono esempi che non vanno in dire-
zione dell'evoluzionismo. Soprattutto se si tiene conto che
esistono molte altre forme rimaste immutate da decine o
centinaia di milioni di anni.
2. La comparsa delle prime specie
Prima di affrontare i problemi cronologici, doveroso
osservare che per datare le curve del terreno, la stratigrafia
si basa sui fossili e, per ricostruire l'albero genealogico del-
le specie, la paleontologia si basa sugli strati geologici
75
In
altre parole, la classificazione degli strati geologici si fonda
su quella dei fossili, stabilita a sua volta dallo schema evo-
luzionista.
Esiste una grande quantit di fossili, tutti appartenenti a
specie marine, che risalgono all'inizio dell'ra primaria, al
Cambriano, come vedremo. Se ne dedotto che la vita, ge-
75
A. BouLET, Cration et Rdemption, CLD, 1995. A. DE LASSUS, volution, une
thorie sans preuve, in "AFS", n 129, 1997.
87
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
neratasi dagli oceani, sia comparsa sulla terraferma molto
pi tardi. Una conclusione molto affrettata, se si tiene con-
to che i fossili si formano pi facilmente sui fondali mari-
ni76, e soprattutto che la terraferma subisce l'azione distrut-
trice dell'erosione, mentre i fondali marini beneficiano del-
l'azione conservatrice della sedimentazione. Pi si risale in-
dietro nel tempo, pi queste due azioni hanno avuto il tem-
po di produrre i loro effetti. il caso poi di osservare che
del Cambriano rimangono soltanto sedimenti marini, men-
tre la terra doveva pur esistere, dal momento che ha fornito
i materiali per la sedimentazione.
Inoltre, pi ci si allontana nei secoli, pi numerosi sono i
fossili scomparsi a seguito di erosioni, aggressioni chimi-
che, rivolgimenti tettonici. Questo non basta tuttavia a spie-
gare perch non si trovino quasi tracce di vita prima del
Cambriano
77
La descrizione della vita precambriana pre-
sto fatta: organismi microscopici, batteri o alghe azzurre, in
ogni caso procarioti o cellule prive di nucleo racchiusi in
rocce di 3 miliardi di anni e pi, in Groenlandia e in Au-
stralia78; infine, poco prima del Cambriano, la fauna diEdi-
caria, o invertebrati a corpo molle, che non possono essere
gli antenati degli organismi del Cambriano
79
.
Per spiegare la quasi totale assenza di fossili nel precam-
76
VAN DER VLERK-KUENEN, op. cit.
77
DENTON, op. cit.
78
FONDI, op. cit.; J.B. CORNELUIS, La Gense et la Prhistoire, Femand Lanore,
1986.
79
JOHNSON, op. cit.
88
LA COMPARSA DELLE SPECIE
briano, si pensato che i fossili di quel periodo fossero
scomparsi nel metamorfismo e corrugamento delle rocce. Ora,
in Nord America e in Scandnavia ci sono spessi strati precam-
briani n metamorfici n corrugati, e tuttavia privi di fossili.
Il silenzio degli strati precambriani assesta un duro colpo
al dogma evoluzionista. Gi dall'inizio del Cambriano, cir-
ca 500 milioni di anni fa, si incontrano fossili di 500 specie
animali appartenenti a sette sottotipi diversi
80
Vi sono sia
crostacei che spugne, oltre a vermi, echini e meduse. Le dif-
ferenze tra sottotipi erano gi tanto nette da restare ancora
tali ai nostri giorni. Se dunque tutti questi organismi anima-
li e le piante loro contemporanee fossero risaliti ad un ca-
postipite comune, dovremmo trovare una gran quantit di
stadi intermedi e un'abbondanza di progenitori, i quali
avrebbero dovuto lasciare parecchie tracce di s nei sedi-
menti precambriani. Dove non c' nulla.
Molti altri sottotipi, o pi esattamente i loro primi fossili
conosciuti, fanno la loro comparsa nel corso del Cambria-
no. Quando, nell'Ordoviciano, pi di 400 milioni di anni fa,
si manifestano i primi vertebrati, dei pesci, tutti i sottotipi
sono gi rappresentati.
I cedimenti della crosta terrestre che 250 milioni di anni
fa hanno inghiottito le immense foreste del Carbonifero, ci
consentono di conoscere molti elementi della flora e della
fauna dell' ra primaria. Si tratta specialmente di artropodi
che esistono ancora oggi: scorpioni, ragni, zecche, blatte, li-
80
RHO D ES, op. cit.
89
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
bellule. . . Si incontrano anche anfibi (o batraci) e rettili. I
primi fossili conosciuti di uccelli e mammiferi risalgono al-
l' ra secondaria, a circa 160 milioni di anni fa.
La nostra rapida panoramica basta a dimostrare come tut-
te le grandi categorie animali e vegetali siano presenti sulla
Terra da tempi antichissimi. Dimostra inoltre che queste,
per quanto se ne sa, fecero la loro comparsa per gradi, co-
sicch le pi perfezionate, ovvero le pi complesse, sareb-
bero anche le pi recenti.
3. Perfezionamento delle specie
Tale prima impressione sarebbe ampiamente confortata
se entrassimo nei particolari della cronistoria. Assisterem-
mo infatti, nell'insieme, allo stesso fenomeno di complessi-
t crescente all'interno di ogni grande categoria.
Prendiamo un esempio particolarmente sorprendente: i
pesci. I primi pesci conosciuti, nell' Ordoviciano, sono gli
Agnati che, come indica il nome, erano privi di vera ma-
scella; mancavano anche di pinne pari (laterali). Alcune de-
cine di milioni di anni dopo, fanno la loro comparsa i Pla-
codermi, che presentano mascelle rudimentali e pinne pari.
Trascorso un uguale periodo di tempo, incontriamo nuovi
pesci: hanno mascelle pi perfezionate, due paia di pinne
pari e uno scheletro cartilagineo; daranno vita agli squali,
alle razze e alle chimere. Gli altri, a scheletro osseo, sono
anche provvisti di vescica natatoria e di un cervello pi
complesso. Questi ultimi si suddividono in due tipi. Il pri-
90
LA COMPARSA DELLE SPECIE
mo, a pinne raggiate; comprende la maggior parte delle spe-
cie antiche e attuali; il secondo caratterizzato da narici
analoghe a quelle dei vertebrati terrestri, e soprattutto da ro-
buste pinne che ricordano zampe rudimentali, tanto da ve-
nire considerato il progenitore dei vertebrati terrestri.
Si pu anche citare l'esempio dei vegetali, rappresentati
in un primo momento dalle Tallofite (alghe, batteri). Appe-
na disporremo dei fossili terrestri del Siluriano, avremo Psi-
lofite, che dopo una grande diffusione scompariranno rapi-
damente, licopodi ed equiseti. Verranno poi le Felci e le Co-
nifere, e quindi le Briofite (muschi), alquanto in ritardo appa-
rentemente, bench di morfologia molto pi "primitiva". Le
paludi calde del Carbonifero favoriranno le forme arborescen-
ti di queste specie. Le piante e gli alberi da fiore fanno la loro
comparsa, o perlomeno si diffondono, nell'ra secondaria.
A quanto pare, con i nostri esempi, abbiamo portato ar-
gomenti seri a favore dell'evoluzionismo. Ma se teniamo
conto che tale teoria esige che da specie pi semplici di-
scendano specie pi complesse, con l'eliminazione, per
concorrenza, delle prime ad opera delle seconde, non ne sia-
mo pi tanto certi.
Riprendiamo l'esempio dei vegetali. Indubbiamente siri-
scontra la comparsa graduale di fossili di specie sempre pi
perfezionate. Beninteso, non bisogna confondere la datazio-
ne. del primo fossile con quella della nascita della pianta:
l'attuale isoete sembra proprio figlia della sigillaria, ma i lo-
ro fossili reciprocamente pi vicini distano l 00 milioni di
anni. Inoltre, molte piante dette primitive sopravvivono a
fianco dei loro presunti discendenti. Tra di esse si cita spes-
91
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
so l'equiseto, il licopodio ed il ginko bilo ba; che dire per
dei batteri, alghe, licheni, muschi, o anche delle felci e del-
le conifere? Perch non sono stati eliminati dai loro concor-
renti pi agguerriti? Perch non si sono evoluti come loro?
Infine, l'argomento pi inquietante: non si trova nessuna
forma intermedia che possa testimoniare del passaggio per
evoluzione dalle pi antiche alle pi recenti.
L'esempio dei pesci presenta le stesse difficolt. Neanche
qui si trovano forme di passaggio. La loro assenza, oltre a
rendere impossibile l'accertamento di una presunta discen-
denza, crea problemi di selezione e di cronologia. I Placo-
dermi scomparvero sicuramente alla fine dell' ra primaria
per la di pesci pi dotati. Ci non toglie che gli
Agnati, ancora pi primitivi, sopravvivano, modestamente
vero, nelle nostre lamprede e nei nostri Missinoidi. A volte
gli squali vengono considerati "fossili viventi" perch i pe-
sci paiono decisamente pi primitivi dei pesci
osse1. Ma, stando ai fossili, i pesci ossei sarebbero pi an ti-
chi dei loro concorrenti cartilaginei.
Uno dei due tipi di pesci ossei, come abbiamo detto,
avrebbe, evolvendosi, originato tutti i vertebrati terrestri:
anfibi, rettili, uccelli e mammiferi. Questo tipo si divide in
Torneremo su uno dei due, quello dei Crossop-
tengt, scomparso 70 milioni di anni fa e ricomparso immu-
tato ai nostri giorni col celacanto. L'altro gruppo, quello dei
Dipnoi, continua a trascinarsi ancora oggi sulle grosse pin-
ne quando occorre, a respirare aria. Neanche in questo ca-
so SI nota evoluzione. Oltretutto i Dipnoi fossili del Devo-
niano, ancora prima del Carbonifero, sono quasi identici ai
92
LA COMPARSA DELLE SPECIE
Dipnoi africani contemporanei
81
bene aggiungere che i
Dipnoi non vengono considerati progenitori dei vertebrati
terrestri perch respirano aria senza essere sufficientemente
evoluti e non rientrano dunque nel ristretto schema della
dottrina evoluzionista.
4. Esplosioni demografiche e forme mostruose
Se, lasciando i nostri esempi, tentassimo di considerare
le cose da un punto di vista pi generale, osserveremmo che
molto spesso, nel corso delle re geologiche, l'aspetto della
fauna e della flora viene bruscamente trasformato da auten-
tiche esplosioni demografiche. Categorie di piante ed ani-
mali compaiono all'improvviso, gi costituite e senza alcu-
na traccia di forme preparatorie. Esse si sviluppano, si mol-
tiplicano, diventano dominanti, per poi, in modo altrettanto
brusco, scomparire, lasciandosi a volte dietro un discreto
numero di rappresentanti.
Tali massicce e repentine scomparse fanno intravedere la
possibilit di grandi catastrofi naturali. Sembra che si siano
verificati almeno due fenomeni di questo tipo
82
La prima
catastrofe sarebbe avvenuta durante l'ra primaria, nel Per-
miane che succede al Carbonifero, e avrebbe provocato l'e-
stinzione della met delle famiglie di Invertebrati, e senza
81
DENTON, op. cit.
82
JOHNSON, op. cit.
93
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
dubbio del 90% delle specie. Una seconda catastrofe, alla fme
del Cretaceo, nell' ra secondaria, sarebbe responsabile della
scomparsa dei dinosauri e di altre specie come le ammoniti.
Un'autentica esplosione demografia si verific nei mari
dell' ra primaria con la grande espansione di un crostaceo,
il Trilobite, di cui si contano fino a 1.200 specie ripartite in
200 generi. Ne sono i tardivi rappresentanti i limuli, o gran-
chi delle Molucche, il cui sangue curiosamente azzurro con-
tiene rame e non ferro. Contemporanea alla diffusione dei
Trilobiti, c' quella dei Brachiopodi, vicini ai molluschi, di
cui restano le lingule, immutate da milioni di secoli. Si os-
servano, pi tardi, le forti espansioni temporanee di altri
animali marini: i crinoidi, oppure dei cefalopodi come i
N autiloidi che sopravvivono nei nautilus, e le ammoniti.
Anche la terraferma ha le sue esplosioni demografiche.
La pi spettacolare riguarda i rettili dell' ra secondaria. I lo-
ro primi fossili conosciuti risalgono a circa 220 milioni di
anni. Un po'pi tardi, nel Triassico, numerose specie di ret-
tili, dalle forme spesso gigantesche se non mostruose, co-
minciano a dominare acqua, aria e terraferma. Dopo circa
un milione di secoli, l'egemonia dei rettili decade e le spe-
cie pi imponenti scompaiono, lasciandosi dietro solo gli
esemplari dalle dimensioni pi modeste: le tartarughe, i
coccodrilli, i serpenti e qualche altro. La decadenza dei ret-
tili provoca nuove esplosioni demografiche: quella degli uc-
celli e soprattutto dei mammiferi, i cui primi fossili hanno
all'epoca l 00 milioni di anni, e che al principio dell' ra ter-
ziaria contano gi diciassette ordini.
L'ultimo esempio dimostra che le esplosioni demografi-
94
T
LA COMPARSA DELLE SPECIE
che di alcune specie sono probabilmente provocate da cam-
biamenti climatici e geografici (a volte catastrofici) e, in
concomitanza, dalla regressione o dalla scomparsa, dovute
a quegli stessi cambiamenti, di altre specie concorrenti o
predatrici. Osserviamo che tali incrementi non coincidono
con la comparsa delle specie, che potrebbe essere di gran
lunga antecedente: cos che i rettili ed i mammiferi sono
vissuti per un lungo periodo nell'ombra prima della loro
grande diffusione. Per di pi, per una corretta valutazio-
ne, non disponiamo che di rari fossili presumibilmente as-
sai tardivi.
Nel corso di queste espansioni, si riscontra un'abbondan-
za di tipi, di specie, di variet, che la microevoluzione po-
trebbe, almeno in parte, spiegare. Fanno la loro comparsa
anche forme gigantesche, spesso mostruose. Gli strati geo-
logici conservano ad esempio memoria di scorpioni lunghi
3 metri, di cefalopodi dalla conchiglia lunga 4,50 metri o di
l metro e 80 centimetri di diametro, protozoi di 7 centime-
tri, libellule con un'apertura alare di 75 centimetri. Sono
particolarmente noti i formidabili rettili dell' ra secondaria,
quei Dinosauri che potevano superare i 20 metri di lun-
ghezza, quando il volume del loro cervello non raggiunge-
va le dimensioni di un uovo di gallina.
C' da notare che tutte le forme mostruose sono scom-
parse nel momento della regressione del loro gruppo, men-
tre le forme pi modeste sono sopravvissute. un fenome-
no che potrebbe dare consistenza alla teoria di Decugis, se-
condo la quale la comparsa delle forme mostruose sarebbe
risultata da una degenerazione di tipo acromegalico, dege-
95
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
nerazione che, indebolendole, ha favorito la loro scompar-
sa. Decugis scrive: La paleontologia dimostra che le spe-
cie fossili estinte sono pi spesso specie giganti o a volte
nane, ma che comunque presentano tratti di degenerazione
acromegalica molto evidenti
83
. Arambourg e Cunot hanno
obiettato a Decugis che la pretesa degenerazione non ha im-
pedito alle specie che ne erano affette di sopravvivere per
milioni di anni
84
. L'obiezione non regge di fronte alla consi-
derazione che l'acromegalia, che di per s non comporta la
morte, ha semplicemente reso i suoi portatori incapaci di
adattarsi alle modificazioni del biotopo (cambiamenti cli-
matici, cataclismi geologici) o alla concorrenza di specie
pi agguerrite. I Dinosauri, ad esempio, potrebbero essere
stati vittime di un raffreddamento dell'atmosfera dovuto ad
un velo di polvere che, in seguito alla caduta di un enorme
meteorite, secondo l 'Istituto di Geologia di Denver in Co-
lorado85, ricopr per un lungo periodo la terra.
5. Serie evolutive e microevoluzione
Moltiplicazione dei tipi o delle forme, gigantismo, dege-
nerazione, ecco delle prove di evoluzione, si dir. Bench
non si possa parlare di prove nel vero senso della parola,
83
H. DECUGIS, Le Vieillissement du m onde vivant, Plon, 1941.
84
AA.-Vv., Palontologie et transformisme, Albin Michel, 1950.
85
"Le Figaro", 9 maggio 1987.
96
LA COMPARSA DELLE SPECIE
rappresentano sicuramente degli indizi. N e esistono anche
di pi convincenti, come certe serie evolutive.
Metteremo al primo posto la famosa serie evolutiva del-
le paludine di Slavonia. Disposte su vari livelli in ordine di
continuit, conchiglie di questo mollusco d'acqua dolce so-
no state rinvenute in uno strato geologico del Pliocene ( ra
terziaria) ed stato osservato che, mentre le pi antiche ap-
parivano lisce, nel succedersi delle generazioni si copriva-
no di frastagli e rilievi. Per quanto modesta, questa traccia
di evoluzione stata tuttavia contestata: nei laghi attuali si
trovano difatti paludine che presentano sia conchiglie lisce
che conchiglie assai elaborate
86
.
C' stato un tentativo di individuare una serie analoga
nella grifea, una sorta di ostrica del Liassico (ra seconda-
ria), ma qui l'evoluzione si rivelata priva di fondamento
87
.
Forse meno dimostrative, ma in compenso abbastanza con-
vincenti, sono state ricostruite altre serie, che interessano in
particolar modo le ammoniti, gli echini, i foraminiferi. La lista
non esaustiva. Alcune serie presentano discontinuit impor-
tanti, come quella dei trilobiti, tuttavia l'abbondanza delle lo-
ro variet potrebbe esser dovuta ad un fenomeno evolutivo.
Ma tra evoluzione, cos come possiamo osservarla, ed
evoluzionismo, il passo lungo. Certo, l'evoluzionismo
presuppone l'evoluzione, ma un'evoluzione sempre pro-
86
L. BoUNOURE, volutionnisme et progrs humain, in "Le M onde et la Vie", nn.
125-126, 1963.
87
VAN DER VLERK-KUENEN, op. cit.
97
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
gressiva, almeno complessivamente, e creatrice, in grado di
formare nuovi organi, di inventare nuovi sistemi, al punto
da far risalire la fauna e la flora passate e presenti ad un'
unica origine costituita da organismi unicellulari.
Ora, le evoluzioni osservate non si rivelano sempre pro-
gressive, n in grado di far scattare l'intervento della sele-
zione naturale; molte volte si potrebbero definire neutre: le
p al udine traggono forse qualche vantaggio da una con chi-
glia frastagliata piuttosto che liscia?
Si tratta di evoluzioni che comportano semplicemente
alcune variazioni morfologiche. Variazioni importanti
avrebbero dovuto logicamente lasciare pi tracce. Ora,
quando si tenta di ricostruire serie evolutive appena pi
ambiziose di quella delle paludine, non si trova nulla, in
ogni caso nulla di coerente.
Torniamo un istante alla pretesa serie evolutiva degli
Equidi, quella che viene presentata come una prova signifi-
cativa di trasformismo biologico. In tutta modestia, si vuo-
le dimostrare che il nostro cavallo proviene da una serie di
progenitori che, con l'aumentare delle loro dimensioni e la
riduzione del numero delle dita, avrebbero progressivamen-
te cessato di nutrirsi dei germogli delle foreste originarie
per adattarsi ai pascoli delle praterie. Siamo lontani dalla
pretesa evoluzione del protozoo in farfalla o in rinoceronte.
Ora, come abbiamo visto, tale pretesa serie oggetto di
continue e complete rielaborazioni: vi sono infatti impor-
tanti discontinuit cronologiche e geografiche, oltre che
"evoluzioni" contraddittorie e aberranti.
Se un giorno si riuscir a ricostruire una linea evolutiva
98
T
LA COMPARSA DELLE SPECIE
del cavallo meno artificiale e pi verosimile, si potr sol-
tanto dimostrare che un piccolo mammifero erbivoro si
trasformato, in 50 milioni di anni, in un grande mammifero
erbivoro. L'evoluzionismo non ne trarrebbe un gran guada-
gno, al contrario. In realt, pi si portano prove di evolu-
zione di elementi secondari, pi si mette in risalto l'assenza
di prove di presunte grandi evoluzioni. Va da s che le in-
numerevoli forme intermedie che avrebbero segnato il pas-
saggio dal protozoo ai vertebrati passando per gli inverte-
brati, avrebbero dovuto lasciare molte pi tracce fossili dei
poveri Equidi. Per usare un paradosso, le prove della mi-
croevoluzione contraddicono il dogma evoluzionista.
A parte i pochi casi molto discutibili che analizzeremo, i
fossili delle necessarie forme intermedie sono del tutto as-
senti. Parliamo dei famosi "anelli mancanti" che, proprio
perch mancanti, alcuni esperti tentano di ridurre di nume-
ro accreditando l'ipotesi di un' evoluzione per grandi salti.
N e parleremo ancora.
99
Capitolo sesto
ALLA RICERCA DEGLI ANELLI MANCANTI
l. Gli anelli mancanti
I paleontologi, soprattutto dopo il saggio di Darwin,
compiono sforzi notevoli per scoprire i fossili degli "anelli
mancanti" che, trovati, dovrebbero confortare pi o meno
compiutamente l'ipotesi evoluzionista.
Come vedremo, sono sforzi poco fruttuosi. Alcuni autori
arrivano ad interrogarsi sulla possibilit che esistano real-
mente, tenuto conto che uno dei fenomeni pi sorprenden-
ti della documentazione geologica la repentinit con cui
le nuove classi di animali fanno la loro prima comparsa nel-
le rocce che conosciamo
88

Altri, senza per questo rinunziare al dogma del trasfor-
mismo, si spingono oltre, avanzando l'idea che molti dei fa-
mosi anelli non esistano. Schindewolff sostiene che in
molti casi inutile cercare i presunti anelli mancanti, perch
non sono mai esistiti. Il primo uccello uscito da un uovo
di rettile
89
Viene cos incidentalmente risolto il noto pro-
blema dell'uovo e della gallina! Rimane da decidere chi, tra
il rettile e il suo uovo, sia nato prima.
Queste posizioni, che tanto somigliano ad una fuga in avan-
ti, creano pi problemi di quanti ne risolvono. Come spiegare
infatti con l'evoluzione le improvvise comparse di cui sopra?
88
DEWAR, op. ci t.
89
Ibidem.
103
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
N o n si pu dunque procedere senza prima stilare un re-
soconto della caccia agli anelli mancanti.
2. Dagli invertebrati ai vertebrati
La ricerca degli anelli mancanti comincia gi male quando,
dopo il silenzio quasi totale del Precambriano, tutti i sottotipi
animali fanno la loro improvvisa comparsa nell' ra primaria.
Le straordinarie differenze che separano oggi i sottotipi,
non erano allora meno grandi. Che in quelle et essi fosse-
ro rappresentati da specie dette primitive non cambia nulla.
Il trilobite, un crostaceo ritenuto arcaico, presentava gi tut-
ti gli organi e le caratteristiche essenziali dei crostacei at-
tuali: un torace, un addome, delle appendici, piedi mascel-
lari, antenne e occhi
90

Quando i primi rappresentanti dei sottotipi fanno la loro
comparsa, il corso dell'evoluzione, se esiste, si in gran
parte compiuto. Cerchiamo infatti di immaginare quante
trasformazioni si sarebbero dovute verificare per passare,
attraverso un'infinit di rami collaterali, dal protozoo ad
animali tanto diversi quali la stella marina, il verme, l'echi-
no, il granchio o il pesce. Ora, di una tale favolosa quantit
di indispensabili progenitori non stato ritrovato nulla, as-
solutamente nulla; e nulla si trover, dal momento che i gia-
cimenti precambriani sono privi, o quasi, di fossili.
90
L 'volution progressive des etres vivants, s.a., s.d., Musum de Rouen.
104
ALLA RICERCA DEGLI ANELLI MANCANTI
Di conseguenza, di quei primi pesci simili alla nostra
lampreda, non troviamo nessuna avvisaglia. Si tentato di
colmare parzialmente il vuoto con i Protocordati, i cui pri-
mi fossili conosciuti precedono cronologicamente i pi an-
tichi pesci ritrovati. I Protocordati, di cui rimangono alcune
specie, sono generalmente considerati stadi intermedi tra gli
Invertebrati ed i Vertebrati, i quali improvvisamente vengo-
no definiti Cordati. Sono animali minuscoli, pi o meno ge-
latinosi, nei quali si distingue un midollo spi-
nale lungo una struttura di sostegno rigido, o corda dorsale.
N o n si conosce nessuna forma di passaggio tra gli Inverte-
brati e i nostri Protocordati, n tra questi ed i Vertebrati.
Il tentativo di connessione appare assai artificioso. Ba-
sandoci su una semplice rassomiglianza anatomica, non po-
tremmo considerare la piovra, se non il padre, il cugino del-
l'uomo, tenuto conto della corrispondenza dei loro occhi?
Per non dire che l'abbozzo di midollo spinale presente nei
Protocordati risponde male alla domanda: Come ha potuto
il sistema dei gangli dei Gasteropodi e degli Artropodi tra-
sformarsi in tubo neurale differenziato in cervello nella sua
parte anteriore?
91

3. Dai pesci agli anfibi e ai rettili
Gli evoluzionisti, pur adattandosi all'idea che tutti gli al-
91
J. PINET, in "L'Homme Nouveau", 5 gennaio 1997.
105
DANIEL R.AFFARD DE BRIENNE
tri sottotipi abbiano fatto la loro brava strada fino ai nostri
giorni senza importanti innovazioni, sono convinti che i pe-
sci, con il loro sottotipo, siano i progenitori di tutti i verte-
brati che popolano le acque, la terra e l'aria. A sostegno del-
la loro tesi, stato osservato che alcuni pesci del Devonia-
no ( ra primaria), i Crossopterigi, presentavano quattro pin-
ne ad architettura scheletrica che paiono preannunciare gli
arti dei futuri Tetrapodi. Quelle pinne robuste avrebbero
consentito ai loro discendenti di trascinarsi fuori dall'acqua
per adattarsi poi alla vita terrestre. Di fronte alla concorren-
za dei pesci a pinne raggiate, le mediocri qualit natatorie
dei loro possessori li avrebbero comunque condannati all'e-
stinzione.
Uno schema tanto lineare viene ancora una volta a coz-
zare contro difficolt che lo rendono inaccettabile. Innanzi-
tutto, se quelle grosse pinne preordinavano un vantaggio
per i futuri anfibi, intralciavano nell'immediato i pesci che
ne erano afflitti. N o n si capisce come la selezione naturale
abbia potuto favorire un handicap nell'interesse di un van-
taggio a venire. Al contrario, lo avrebbe eliminato nel mo-
mento della sua apparizione. O altrimenti bisogna ancora
fare appello ad un agente metafisico, per non dire sopran-
naturale: una forza evolutiva, un piano, un progetto o un
senso evolutivo ...
Seconda difficolt. I Crossopterigi, in fondo una sempli-
ce forma di passaggio, si sono estinti molto probabilmente
circa 700.000 secoli fa. Perlomeno quanto si credeva fmo a
quando, nel XX secolo, ne stata scoperta una specie ancora
vivente muoversi, col suo nuoto pesante, tra i pesci pi agili
106
.....
ALLA RICERCA DEGLI ANELLI MANCANTI
che avrebbero dovuto eliminarla. Ci riferiamo al gi menzio-
nato celacanto. Ne sono state filmate intere colonie nuotare,
perfettamente a loro agio, sui fondali dell'Oceano Indiano.
Ci sembra difficile accettare che, mentre altri non muta-
vano una sola squama, da certi Crossopterigi, per una
straordinaria serie di mutazioni, siano discesi l'uomo, il ser-
pente o il colibr. L'evoluzionismo una ben strana lotteria:
inspiegabilmente, vi si vince sempre, o mai.
Dai pesci sarebbero discesi gli anfibi (o batraci). Bench
ne esista un unico fossile incompleto del Devoniano, sta-
ta riscontrata qualche somiglianza tra la testa e la coda del-
l'anfibio pi antico, l'Ichthyostega, con quelle dei Crossop-
terigi contemporanei. troppo poco per desumerne una di-
scendenza, tanto pi che gli anfibi che avranno un'ampia
diffusione, gli Stegocefali, non sembrano poter discendere
dall 'Ichthyostega, la cui forma, dicono gli evoluzionisti,
troppo recente, troppo specializzata
92
Inoltre i batraci attua-
li, conosciuti dal Giurassico e praticamente immutati da 200
milioni di anni, hanno caratteri pi primitivi.
Nonostante manchiamo completamente di specie inter-
medie a fronte dell'abbondanza di fossili degli uni come
'
degli altri, ci viene detto che i rettili discenderebbero dagli
anfibi. Il solo candidato al ruolo di forma di passaggio
avrebbe potuto essere, risalente alla fine dell'ra primaria,
la Seymouria, il cui scheletro ricorda sia quello dei rettili
che quello degli anfibi. Ma anche in questo caso si parla di
92
RODHES, op. cit.
107
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
un animale gi troppo recente per poter essere il progenito-
re dei rettili
93
Inoltre, la Seymouria aveva un sistema ripro-
duttivo da anfibio, senza nessun organo che facesse da
transizione con quello dei rettili: tra il suo uovo e l'indivi-
duo completo esisteva uno stadio larvale. L'uovo amniotico
dei rettili fondamentalmente diverso da quello degli anfi-
bi e forme intermedie sono inconcepibili
94

4. Dai rettili agli uccelli
Evolvendosi, i rettili avrebbero originato gli uccelli ed i
mammiferi. A proposito degli uccelli, si spesso citato un
testimone interessante, uno dei migliori argomenti dell'evo-
luzionismo. Parliamo dell' Archeopterix, del quale sono sta-
ti rinvenuti vari scheletri fossili in giacimenti del Giurassi-
co, nell' ra secondaria.
uno strano animale che presenta caratteri sia di rettile
che di uccello. In realt, ci sembra che i caratteri del rettile
vengano definiti tali perch insoliti in un uccello e soprat-
tutto per l'et dei fossili, considerati nella prospettiva evolu-
zionista. Ma non si tratta di caratteri veramente tipici dei ret-
tili. Ad esempio l'assenza di saldatura dei metacarpi si riscon-
tra anche negli struzzi. L' Archeopterix ha una coda e dei den-
ti. Ma i rettili volanti, come gli Pterodattili, sono privi di coda,
93
Ibidem.
94
DENTON, op. cit.
108
ALLA RICERCA DEGLI ANELLI MANCANTI
e altri rettili come le tartarughe non hanno mai avuto denti.
Tutto sommato, l' Archeopterix senz'altro uno strano
uccello, ma un uccello a pieno titolo, con il becco, le ali,
il bacino di un uccello. E soprattutto le piume, organizza-
zione ingegnosa e complessa di cui non si conosce nessun
abbozzo nei rettili e che non certo pensabile si sia forma-
ta a caso. Inoltre, gli evoluzionisti non sanno pi esatta-
mente come collegare l' Archeopterix ai rettili.
In Cina sono state scoperte le impronte di sette uccelli che
risalgono a 135 milioni di anni fa, ossia circa 15 meno del-
l' Archeopterix. L'unico carattere "tipico dei rettili" che pre-
sentano sarebbe l'aver conservato tutte le costole addominali
97

5. Dai rettili ai mammiferi
Le cose non vanno meglio quando si tenta di collegare i
mammiferi ai rettili. vero che esiste un ordine di mammi-
feri particolarmente "arcaici", i Monotremi, che depongono
uova, sono provvisti di becco e, alcuni, di zampe palmate.
Ma non facile ravvisame dei progenitori in corso di evo-
luzione, perch si tratta di animali attuali i cui fossili pi re-
. moti risalgono all' ra quatemaria, ossia a meno di un mi-
lione di anni fa
98
Ricordiamo inoltre che se l' omitorinco, un
Monotremo dal becco d'anatra e zampe palmate, oviparo,
97
"Science", 14 febbraio 1992.
98
Ci nondimeno il QUID 86 attribuisce gratuitamente all'omitormco un'et di
109
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
resta pur sempre a tutti gli effetti un mammifero. Allo stes-
so modo, i gi menzionati Dipnoi, che possiedono i polmo-
ni, il cuore e lo stadio !arvale degli anfibi, rimangono ine-
quivocabilmente dei pesci. In questi due esempi, gli organi
tipici del rettile, del pesce o del mammifero, lo sono com-
pletamente; non si tratta affatto di organi intermedi. Questi
animali non rappresentano forme di passaggio, ma sono,
piuttosto, dei mosaici. Allo stesso modo, tra gli invertebra-
ti, troviamo gli Onicofori che presentano caratteri sia degli
Anellidi che degli Artropodi
99

Gli evoluzionisti si vedono costretti a cercare tra i rettili
estinti le specie dallo scheletro pi simile a quello dei mam-
miferi. Ma non bisogna dimenticare che un'impresa simile,
la sola consentita dai fossili, trascura fattori importantissimi
che distinguono i mammiferi dai rettili. Citiamo: l'omeoter-
mia, o sistema regolatore della temperatura interna (il "san-
gue caldo"), la vivi parit con lo sviluppo interno dell' em-
brione, la lattazione con la produzione del latte in funzione
del parto, le fanere (peli, zoccoli, unghie).
Se ci attenessimo ali' analogia degli scheletri, saremmo
tentati di accostare i mammiferi dei Terapsidi ai rettili pri-
miti vi comparsi alla fine dell' ra primaria. Alcuni ritengo-
no che gli Ittiosauri del Sudafrica siano gli antenati dei
mammiferi, al punto da definirli "rettili mammiferi"
100

Comunque si vogliano interpretare tali attribuzioni, esi-
150 milioni di anni che, pur insufficiente, si adatta meglio ali' evoluzionismo.
99
DENTON, op. cit.
10
Cos R. BROOM, secondo DEWAR, op. cit.
110
ALLA RICERCA DEGLI ANELLI MANCANTI
ste una difficolt. L'orecchio interno dei mammiferi com-
porta difatti tre ossicini, mentre quello dei rettili ne presen-
ta uno solo. All'opposto, la mascella dei rettili si articola
grazie a due ossa di cui priva quella dei mammiferi. N es-
sun problema per i nostri evoluzionisti: il conto delle ossa
torna, quindi le ossa della mascella degli uni sono passate
n eli' orecchio degli altri.
Si fa fatica a prestar fede a questa strana migrazione: os-
sa articolari che cambiano di funzione per trasformarsi in
ossicini atti a trasmettere vibrazioni, con tutte le modifica-
zioni anatomiche e fisiologiche che comporta l'adattamen-
to concomitante dei sistemi nervoso e muscolare. Inoltre,
legittimo chiedersi come abbiano potuto vivere, durante il
trasferimento di quelle ossa, gli animali ormai privi di ma-
scella o di orecchi completi.
A questa obiezione, gli evoluzionisti rispondono in modo
parziale presentando la testimonianza del Diarthrognatus,
una creatura di cui sono stati ritrovati resti fossili e nella
quale stato ravvisato un rettile discendente dai Terapsidi.
Il Diarthrognatus presentava in effetti una doppia articola-
zione della mascella, del tipo dei rettili all'interno, del tipo
dei mammiferi ali' estemo
101
La continuit dell' articolazio-
ne in tal modo assicurata, le ossa di giuntura del rettile po-
tevano essere libere di raggiungere l'orecchio.
La doppia articolazione crea per pi problemi di quanti
ne risolva: se fosse stata un vantaggio, perch la selezione
101
J. PrVETEAU, Des premiers vertbr l'homme, Albin Michel, 1963.
111
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
naturale non l'avrebbe conservata? Perch poi le ossa cos
svincolate sarebbero andate a completare un orecchio che
non ne aveva alcun bisogno? Se la doppia articolazione, co-
s come il trasferimento di sede delle ossa non rappresenta-
vano dei vantaggi, dovremmo di nuovo concludere che l'e-
voluzione avrebbe imposto modificazioni prive di interesse,
o addirittura sfavorevoli, in vista di un vantaggio a venire.
Ricadiamo sempre nella metafisica dell'evoluzione pro-
grammata.
6. La diffusione dei mammiferi
La comparsa dei mammiferi nel Giurassico, ali' epoca dei
Dinosauri, solleva alcune questioni. I mammiferi aplacenta-
ti (i Marsupiali, che tengono gli embrioni in una tasca inter-
na) non paiono pi antichi dei placentati e non si trova nes-
suna forma di passaggio dagli uni agli altri, anche se qual-
cuno ha pensato di individuarla nei Pantoteri. Infatti, i pri-
mi Marsupiali come i primi placentati sono identificati co-
me tali solo a partire dalla fine del Cretaceo.
Tutto quel che sappiamo che un'esplosione demografi-
ca di placentati, durante l 'Eocene, nell' ra terziaria, indus-
se i Marsupiali a popolare zone isolate: Sudamerica, Au-
stralia, Nuova Guinea e Molucche. Altro problema: certi
Marsupiali contemporanei ricordano, a volte molto da vici-
no, dei placentati, ma una loro eventuale parentela potreb-
be essere solo lontanissima. .
Aggiungiamo che i mammiferi sono divisi da profonde
112
T
ALLA RICERCA DEGLI ANELLI MANCANTI
differenze. Gi dalle origini, si contano tra loro insettivori,
erbivori, carnivori ed altri ancora, e tipi intermedi non sono
mai stati scoperti. oltretutto difficile credere che un tipo
di mammifero abbia potuto, sia pure in molte decine di mi-
lioni di anni, originare specie tanto diverse come il pipi-
strello e la balena.
Il bacino di Bighorn, nel Wyoming, contiene un deposito
di fossili che si estende su 5 milioni di anni e che risale al-
l' inizio della comparsa dei mammiferi. Ora, in giacimenti
della stessa epoca, si trovano specie che si riteneva discen-
dessero le une dalle altre. N o n c' segno di transizione tra
loro, e ciascuna, prima di scomparire, resta immutata
102

Per riassumere le pagine precedenti, diremo che tutti i
sottotipi animali sono presenti, differenziati come lo sono
oggi, gi all'inizio dell'ra primaria. In seguito, ogni perio-
do vede la brusca esplosione di uno o dell'altro, la sua molti-
plicazione, la sua divisione in variet diverse, con forme spes-
so gigantesche, quindi l'altrettanto repentina regressione, infi-
ne la stabilizzazione ed il perpetuarsi in limitate condizioni.
A partire dali' ra secondaria, le esplosioni demografiche
si verificano principalmente all'interno del sottotipo dei
Vertebrati, con specie sempre pi complesse e perfeziona-
te. Osservando fenomeni comparabili tra i vegetali, si rag-
giunge la conclusione che nel corso delle varie epoche la
flora e la fauna, complessivamente, si diversificano e mi-
gliorano.
102
JOHNSON, op. cit.
113
DANIEL RAFFARD DE BRJENNE
Nulla di tutto ci corrisponde all'esigenza di un progres-
so generale delle specie della teoria evoluzionista. Al con-
trario, molte specie non si evolvono pi, oppure non hanno
mai avuto un'evoluzione, eppure sopravvivono alla selezio-
ne naturale. Secondo la nota teoria, i progressi derivano da
un'evoluzione che gradualmente realizza, una dopo l'altra,
specie sempre pi perfezionate. Ma le specie pi perfezio-
nate compaiono all'improvviso e senza congiunzioni con le
specie precedenti. Come abbiamo visto, la paleontologia
non ha scoperto nessuna delle forme intermedie delle quali,
invece, dovrebbe esserci abbondanza.
114
Capitolo settimo
IL MECCANISMO DELL'EVOLUZIONE
l. Lamarckismo e neolamarckismo
L'assenza di prove paleontologiche non scuote le con-
vinzioni dei nostri studiosi. Uno di essi, lo stimato Von
Frisch, premio Nobel per la medicina, vede addirittura l'e-
voluzione compiersi sotto i suoi stessi occhi. Avendo de-
scritto la straordinaria organizzazione sociale delle api, e
pur confessando di non riuscire a rintracciame un progeni-
tore meno organizzato (quindi meno evoluto), non esita ad
affermare: "La scienza ha acquisito la profonda convinzio-
ne che, nella storia della Terra, gli animali altamente orga-
nizzati si siano sviluppati a partire da forme inferiori. Pure
in modo poco percettibile, il fenomeno della mutazione del-
le specie osservabile anche nel breve periodo rappresenta-
to da una vita umana"
103

Di fronte ad una simile professione di fede, non pare su-
perfluo chiedersi attraverso quale meccanismo si realizze-
rebbe quell'evoluzionismo che i precedenti capitoli ci han-
no dimostrato non provato e soprattutto impossibile e che
tuttavia si manifesterebbe sotto i nostri occhi.
Non si pu non spendere innanzitutto qualche parola sul-
la tesi di Lamarck. Il cavaliere di Lamarck, figlio spirituale
degli evoluzionisti del Secolo dei Lumi, credeva nella ge-
103
K. VON FRISCH, Ve et mreurs des abeilles, Albin Michel, 1955.
117
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
nerazione spontanea degli esseri inferiori come gli infusori,
considerandoli l'origine delle specie per adattamento eredi-
tario all'ambiente
104
Illamarckismo si fonda sull'idea che le
variazioni ambientali provochino nelle specie viventi, per
necessit di adattamento, modificazioni strutturali le quali,
progressivamente acquisite, diventano ereditarie. Il trasfor-
mismo pretende che tali modificazioni provochino niente-
meno che la formazione di nuovi organi, secondo il famoso
adagio "la funzione crea l'organo".
La teoria lamarckista potrebbe spiegare certe convergen-
ze che l'ipotesi delle mutazioni casuali non chiarisce in mo-
do plausibile. Ad esempio, un organo complesso come l'oc-
chio identico sia nei molluschi cefalopodi che nei verte-
brati, quando una discendenza degli uni dagli altri im-
possibile. Inoltre, per quanto diverso sia l'organo della vi-
sta negli insetti, funziona secondo gli stessi principi. Allo
stesso modo, pur collocato sulla tibia, l'orecchio della ca-
valletta presenta elementi in comune con l'orecchio degli
animali superiori
105

E che dire della pinna dorsale identica in un pesce, lo
squalo, in un rettile, l'ittiosauro e in un mammifero, il del-
fino? Per non citare gli insetti parassiti che vivono tra le
piume degli uccelli o nel mantello dei mammiferi: pur ap-
partenendo ad almeno cinque ordini diversi e apparente-
mente privi di rapporti di discendenza tra loro, presenta-
104
BUICAN, L 'volution et les volutionnistes, ci t.; LAMARCK, Philosophie zoolo-
gique, (1809).
105
GRASS, op. cit.
118
IL MECCANISMO DELL'EVOLUZIONE
no tutti file di aculei piantati come i denti di un pettine
106

Si noti che illamarckismo potrebbe anche adattarsi alle
differenze, a volte profonde, che distinguono in animali di-
versi gli organi preposti ad una stessa funzione, come la
percezione delle vibrazioni, della temperatura o del magne-
tismo, oppure della direzione negli animali migra tori
107

Purtroppo, come tutti sappiamo, la funzione non pu
creare l'organo. Non fosse altro perch la funzione esiste se
c' un organo che la esercita: senza occhio non c' vista,
non c' udito senza orecchio.
Un lamarckismo moderato, secondo il quale un organo si
sviluppa con l'esercizio della sua funzione, in assenza del
quale si atrofizza, potrebbe essere considerato accettabile?
La conseguenza di un tale principio non sarebbe pi un'im-
possibile creazione di organi, ma semplici adattamenti se-
condari. Cambiamenti di ambiente comportano sicuramen-
te modificazioni: ad esempio, alberi dalle foglie caduche le
conservano nei paesi caldi. Ma sappiamo che modificazio-
ni di questo tipo permangono e si perpetuano anche per ge-
nerazioni per il tempo in cui si protrae il cambiamento di
ambiente, ma scompaiono non appena si ripresentano le
precedenti condizioni : dunque non sono ereditarie.
Quanto detto basterebbe a respingere la possibilit di tra-
smissione ereditaria dei caratteri acquisiti? In caso afferma-
tivo, come interpretare lo strano caso del facocero? Grufo-
106
Ibidem.
107
V.B. DR6SCHER, Le Merveilleux dans le monde animai, Marabout, 1971.
119
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
lando, questo cinghiale africano si appoggia sulle articola-
zioni del carpo: le callosit che presenta ai ginocchi non de-
stano dunque sorpresa. Molta di pi ne desta trovare le stes-
se callosit su quelli dei suoi feti
108

Malgrado gli esperimenti di alcuni studiosi che, dopo
avere amputato la coda a varie generazioni di topi, non
erano riusciti ad ottenere un solo esemplare che ne fosse
privo alla nascita, intorno al 1883 il lamarckismo trov in
Francia nuovo vigore con Delage, Le D an tec e altri
109
Da
parte sua, il professore sovietico Lyssenko, usando esperi-
menti truccati, si prest a sostenere un lamarckismo perfet-
tamente armonizzato alla dottrina marxista. Lyssenko, fede-
le servitore di Stalin, nel 1948 sostenne dinanzi all'Accade-
mia Lenin l'ereditariet dei caratteri acquisiti dali' ambiente
esterno, negando l'esistenza dei geni ed il ruolo dei cromo-
somi nell'ereditariet. Dopo la scomparsa di Stalin, il lis-
senkismo conserv l'appoggio di Kruscev e del partito co-
munista francese
110

La genetica, condannando il lamarckismo e le varie for-
me di neolamarckismo, dimostra che un carattere pu tra-
smettersi ereditariamente soltanto se iscritto nel capitale ge-
netico. Ora, come potrebbero le callosit acquisite dal faco-
cero nel corso delle sue attivit modificare il suo DNA?
pur vero che si pu cambiare la domanda: come pu
108
0.A. RABUT, Le Problme de Dieu inscrit dans lvolution, Cerf, 1962.
109
BUICAN, L 'volution et les volutionnistes, cit.
110
BUICAN, Lyssenko et lyssenkisme, cit.
120
lL MECCANISMO DELL'EVOLUZIONE
una mutazione genetica che ha casualmente dotato il faco-
cero di callosit disposte in parti del corpo utili, essere sta-
ta sufficiente a che la selezione naturale la mantenesse, eli-
minando i facoceri che non l'avevano acquisita?
2. La selezione naturale
Avendo abbandonato le conclusioni di Lamarck, i tra-
sformisti contemporanei sostengono che l'evoluzione di-
pende dalla combinazione di mutazioni che producono mi-
glioramenti e da una selezione naturale che favorisce gli in-
dividui che li acquisiscono. I miglioramenti rappresentano
un vantaggio che comporta la superiorit di tali individui, i
quali per concorrenza eliminano coloro che ne sono privi.
assodato che la selezione naturale pu svolgere un cer-
to ruolo. Se una fortunata mutazione procura, ad esempio,
maggiore spessore al mantello contro il freddo o un colore
che le dissimuli meglio alla vista dei predatori, certe specie
animali possono ottenere un vantaggio decisivo nei con-
fronti dei loro congeneri.
Con il melanismo della falena, conosciamo dagli anni
Cinquanta un esempio di selezione naturale molto circo-
scritto. La falena una farfalla notturna che, per sottrarsi ai
predatori, si mimetizza posandosi sugli alberi, riuscendo a
confondersi con l'ambiente. N elle zone rurali ha colori
chiari e si posa su alberi dalla corteccia chiara, ma nelle zo-
ne inquinate, dove lo smog li annerisce, prende una tinta
scura. Le ali delle falene schiariscono con la diminuzione
121
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
dell'inquinamento. Qualcuno ha voluto interpretare il feno-
meno come un adattamento di tipo lamarckista. In realt si
tratta di una selezione naturale di modesta portata, perch le
due variet di falene esistevano prima dell'osservazione e
continuano ad esistere in competizione. La variet domi-
nante in un dato momento quella che con il suo colore si
sottrae meglio ai predatori
111

D'altra parte, sembra che la selezione naturale non pro-
duca risultati tanto straordinari come vorrebbe il neodarvi-
nismo, la teoria che combina la selezione di Darwin con le
mutazioni di De Vries. Come giustificare altrimenti, e lo ab-
biamo gi fatto osservare, l'abbondanza e la sopravvivenza
di tante specie animali, di cui molte assai "primitive"? Un
gorilla pi adatto alla sopravvivenza di un coccodrillo, di
una tinca o di un'ameba?
112
In caso affermativo, perch le
altre specie non sono scomparse?
Allo stesso modo, se la maggior parte degli uccelli ac-
quatici presenta il vantaggio delle zampe palmate, secondo
la teoria di Lamarck, le gallinelle ed i francolini d'acqua ne
sono privi senza per questo venire eliminati secondo quella
di Darwin
113
Se la giraffa non ha sviluppato da s la lun-
ghezza del collo, come credeva Lamarck, ma ha beneficia-
to, grazie ad un incidente genetico, di un allungamento del-
le vertebre cervicali che le consente di raggiungere le foglie
111
JOHNSON, op. cit.
112
SERMONTI, op. cit.
113
J. ARTHAUD, volution et transformisme, in "Sirius", nn. 34-35, s.d.
122
IL MECCANISMO DELL'EVOLUZIONE
degli alberi per non morire di fame, non si spiega come al
suo fianco continuino a pascolare ruminanti conii collo cor-
to che di fame non muoiono.
Quanto detto ci porta ad un'ulteriore riflessione: alcune
mutazioni conservate ed apparentemente favorite dalla sele-
zione naturale non rappresentano soltanto vantaggi. La no-
stra giraffa ad esempio, pur riuscendo a nutrirsi di foglie
d'albero invece che d'erba, sfavorita dai faticosi movi-
menti cui costretta per abbeverarsi.
Inoltre, molte specie sembrano vessate, pi che favorite,
da un gran numero di assurde appendici, come coma o pal-
chi monumentali. Gli svantaggi che ha procurato l'ipertelia,
o eccessivo sviluppo di certi organi, ai grandi dinosauri per
decine di milioni di anni, avvalorerebbero piuttosto l'idea
di una selezione a ritroso. A quei giganti estinti e ai tanti
vertebrati ed invertebrati viventi, possiamo aggiungere il
caso di alcuni Ditteri contemporanei, i Tipulidi, che hanno
zampe tanto lunghe da averne i movimenti ostacolati se non
opportunamente accorciate
114
A riesaminare quanto detto,
verrebbe pi da pensare ad una degenerazione o addirittura
all'evoluzione regressiva, che non alla selezione e all'evo-
luzione progressiva.
Infine, va da s che una mutazione pu portare un van-
taggio ed essere favorita dalla selezione naturale solo nella
misura in cui essa immediatamente sufficiente. Perci, la
nostra povera giraffa ha potuto trarre beneficio dalla lun-
ghezza del collo solo se questo ha raggiunto in una sola vol-
ta il livello delle foglie. Allo stesso modo, un organo tanto
complesso come l'occhio rappresenta un vantaggio solo a
123
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
condizione di essere immediatamente funzionale. Se pren-
dessimo alla lettera il neodarvinismo, dovremmo pensare
che la selezione naturale avrebbe eliminato, o eliminerebbe,
ogni miglioramento in corso, ogni organo in via di forma-
zione, perch i futuri vantaggi non rappresenterebbero nel
presente che altrettanti svantaggi o, nella migliore delle ipo-
tesi, modificazioni prive di importanza. A meno di fare nuo-
vamente appello alla lungimiranza di una forza evolutiva
soprannaturale ...
3. Le mutazioni casuali
Che cosa una mutazione? una modificazione del ca-
pitale genetico. Essa pu verificarsi a vari livelli. A livello
del genoma, si osserva la comparsa di cromosomi supple-
mentari identici ai cromosomi normali. Incidenti simili, ra-
ri negli animali ma che comportano anomalie nell'uomo
(come il mongolismo ), sono pi diffusi tra le piante, alle
quali non provocano per che modificazioni secondarie. A
livello dei cromosomi, diversi sono gli incidenti che pos-
sono comportare la fusione, l'inversione, la scomparsa o lo
scambio di alcuni loro frammenti. In generale portano alla
morte della cellula, ma possono anche provocare mutazio-
ni. A livello dei geni, si osservano incidenti altrettanto dis-
parati, a volte responsabili di mutazioni.
Le mutazioni sono il risultato di una anomalia che si ve-
rifica in modo assolutamente casuale durante i processi ri-
produttivi. Alcuni studiosi, prendendo atto dell'impossibili-
124
IL MECCANISMO DELL'EVOLUZIONE
t di far dipendere l'evoluzionismo da una infinita serie di
mutazioni sopraggiunte a caso, ipotizzano, come Grass,
che esse obbediscano ad un determinismo dalla causa sco-
nosciuta116. Da parte sua, Buican parla di "probabilit stati-
stiche" in funzione di cause altrettanto sconosciute
117
N il
determinismo n le probabilit appena citate si basano su
qualcosa di verificabile: ecco un nuovo inconfessato appel-
lo alla metafisica, senza nessuna base scientifica.
Mentre la riproduzione del codice genetico organizzata
in modo da impedire qualunque evoluzione, a volte si veri-
ficano, come abbiano visto, mutazioni accidentali. Pare che
molti di questi incidenti siano privi di conseguenze, essen-
do la maggior parte delle mutazioni neutra
118
Ad esempio,
nel caso delle sostituzioni di amminoacidi nel citocromo C,
le mutazioni avvengono solo nella parte neutra del citocro-
mo119. Solo una parte dei nucleotidi dei geni conterrebbe in-
formazioni, gli altri si limiterebbero a ripeterle
120
. Ma que-
sto ha per noi un'importanza relativa.
Le mutazioni accidentali valide si traducono in modifi-
cazioni anatomiche, la maggior parte delle quali, specie se
importanti, provoca la morte dei portatori. Altre sono neutre
o negative, alcune infine possono recare un vantaggio.
114
CHALMEL, op. cit.
116
GRASS, Essai sur l'histoire naturelle de l'homme, Albin Michel, 1971.
117
BUICAN, La Gntique et l'volution, PUF, Paris, 1986
11 8
M. KIMURA, La Thorie neutraliste de l'volution, Flammarion, 1990.
119
CHALMEL, op. ci t.
120
Ibidem.
125
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
Mutazioni simili sono state provocate artificialmente. Si
riusciti a produrne, per irradiazione, nelle drosofile o mo-
scerini della frutta, ma non hanno mai dato origine ad una
nuova specie. Le modificazioni dovute a mutazioni acci-
dentali o artificiali riguardano, in fin dei conti, solo caratte-
ri secondari. Appena fossero pi apprezzabili, sarebbero o
letali o intrasmissibili.
Le modificazioni possono trasmettersi solo all'interno
della specie in cui compaiono, perch le specie non posso-
no per definizione incrociarsi fertilmente tra loro. Difatti,
gli incroci tra specie vicine sono o impossibili, o sterili, op-
pure ancora, tranne che in rari casi, generano esemplari ste-
rili come il mulo o il bardotto, ibridi dell'asino e del caval-
lo, o il tigone, ibrido del leone e della tigre. Perch ci sia
modificazione necessario l'incrocio tra individui della
stessa specie portatori della stessa mutazione. Per rendere
la riproduzione possibile, oltretutto, certi cambiamenti do-
vrebbero avvenire non in un unico esemplare, ma in due di
sesso opposto, ammesso e non concesso che i due si incon-
trino121.
Soddisfatte queste condizioni, pu nascere una nuova
razza o una nuova sottospecie. Addizionandosi, le modifi-
cazioni sono in grado di creare una barriera genetica capa-
ce di rendere sterile l'incrocio con gli esemplari non modi-
ficati. Si ottiene allora una nuova specie che non pu pi in-
crociarsi con la sua specie di origine, ma che non per que-
121
L. DANDRIEU, in "Spectacle du Monde", gennaio 1997.
126
IL MECCANISMO DELL'EVOLUZIONE
sto cambia tipo di organizzazione. Ecco cos spiegata la mi-
croevoluzione gi da noi osservata.
Citiamo ad esempio il caso del mugnaiaccio e del gab-
biano reale, due specie molto vicine che non si incrociano
tra loro, mentre in vari paesi esistono specie intermedie che
possono tutte incrociarsi
122
. L'isolamento geografico favori-
sce gli incroci all'interno delle specie modificate, impeden-
doli invece tra queste e i loro gruppi di origine. Il che pu
provocare la comparsa di molte variet e specie. Una simi-
le microevoluzione, frequente ma di portata limitatissima,
osservabile ad esempio alle Hawaii, dove un'unica specie di
uccelli rampicanti si diversificata in 22 specie e 45 sotto-
specie; nelle stesse isole, 250 specie di insetti ne hanno ge-
nerate altre 4.300 particolari, tra cui 6 o 700 di drosofile o
moscerini della frutta
123
.
Tali microevoluzioni non sono affatto diverse da quelle che
orticultori ed allevatori provocano per selezione. Si possono
ad esempio creare molte variet di rose o razze di cani, ma non
trasformare una rosa in un tulipano, n un cane in un gatto.
4. Mutazioni ed evoluzionismo
Grande per la tentazione, e gli evoluzionisti si perdo-
no nel sogno che lo stesso processo abbia potuto portare,
122
CHALMEL, op. cit.
123
DENTON, op. cit.
127
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
per piccole variazioni graduali, da specie semplici a specie
complesse, dal protozoo all'uomo. Una prima obiezione a
questa idea, come abbiamo visto, data dal fatto che non
esistono tracce degli innumerevoli stadi intermedi necessa-
ri. Una simile assenza di tracce si fa crudelmente sentire,
per contrasto, con le prove della limitata microevoluzione.
Paradossalmente, potremmo affermare che la microevolu-
zione rappresenta una prova contro l'evoluzionismo.
Come ultima risorsa, certi trasformisti, i "saltazionisti", il
cui araldo Stephen Jay Gould, arrivano a formulare una
teoria per serie di salti secondo la quale nuove specie emer-
gerebbero d'un colpo solo, per caso, a partire da individui
appartenenti a_ specie antiche
124
Eccoci tornati al nostro uc-
cello nato da un uovo di rettile! Questa teoria consente di ri-
sparmiare parecchi stadi intermedi, quantunque sarebbe ne-
cessario reperime almeno qualcuno. In realt, oltre a man-
care di ogni fondamento e a sollecitare esageratamente un
caso ritenuto capace di modificare profondamente un capi-
tale genetico, il "saltazionismo" si scontra con il problema
della riproduzione tra le specie.
Per finire, molti evoluzionisti detti "gradualisti", come
Richard Dawkins, restano ancorati alla teoria dei piccoli
passi. Ma ci imbattiamo in un gravame di obiezioni. Per co-
minciare con quella, fortissima, gi esposta: perch la sele-
124
Congresso di Chicago 1980 ("Newsweek", 3 nov. 1980). Con la sua teoria de-
gli equilibri puntuati, Stephen Jay Gould ha soprattutto aperto gli occhi della co-
munit scientifica sull'incapacit della paleontologia nell'individuare forme in-
termedie.
128
IL MECCANISMO DELL'EVOLUZIONE
zione naturale dovrebbe favorire la conservazione di insigni-
ficanti o fastidiose modificazioni come sarebbero ad esem-
'
pio degli abbozzi di organi? Ora, non pu esserci evoluzione
se le modificazioni non si conservano per poi sommarsi.
Si noti che la maggior parte delle mutazioni non solo li-
mitata ma anche recessiva. Sarebbe a dire che rimane allo
'
stato latente. Oltretutto molte mutazioni sono negative, per
non dire regressive. Basta poco per bloccare una funzione
ed ottenere, ad esempio, capri senza coma o topolini bian-
chi (senza pigmenti). ,
Una mutazione progressiva richiede molto di pi. E per
questo, ci comunica Georges Salet
125
, che se basta modifica-
re un nucleotide perch un topolino grigio diventi bianco,
bisogna crearne 27.000, ossia 27 geni, per l'operazione in-
versa. La mutazione progressiva esige che la cellula formi
nuove sostanze, ciascuna prodotta mediante decine di enzi-
mi, ciascuno dei quali richiede diverse centinaia di coppie
di basi azotate. A conti fatti, dovrebbero comparire sponta-
neamente nel DNA molte migliaia di coppie, disposte nel
giusto ordine
126
Una richiesta impegnativa per il caso. E pen-
sare che il suo intervento verr richiesto ad ogni operazione!
125
SALET, op. cit.
126
E. TAILHADES, Gntique et volution, in "La Pense Catholique", 1964.
129
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
5. Gli organi omologhi
Si possono ancora opporre parecchie obiezioni alla cop-
pia mutazione-selezione. Analizziamone una: le "specie re-
liquia", i famosi "fossili viventi", sono quanto le altre espo-
ste alle mutazioni casuali. Perch dunque non evolvono?
Altra obiezione: gli animali cavernicoli presentano tre ca-
ratteri particolari, ossia la cecit, la depigmentazione (rela-
tiva nel caso dei pro te i che si pigmentano alla luce) e l'ab-
bassamento del metabolismo. Se non si ammette un'acqui-
sizione di tipo lamarckiano dovuta all'ambiente, non nep-
pure facile accettare l'ipotesi di mutazioni aleatorie e sele-
zione naturale che predispongano a vivere in caveme
127

A sostegno delle tesi evoluzioniste, in compenso, si no-
mina il caso degli organi omologhi. Sono organi che eserci-
tano funzioni diverse in animali diversi, ma presentano so-
miglianze anatomiche che possono sembrare tracce di un'
evoluzione o, quantomeno, ridurre il numero delle necessa-
rie tappe dell'evoluzione. Particolarmente citati come orga-
ni omologhi nei mammiferi, sono le pinne, le zampe e le ali,
che hanno un'ossatura dalla struttura confrontabile. Passan-
do per gli anfibi ed i rettili in cui si riscontra la stessa omo-
logia, sarebbero tutte derivate, secondo un'ipotesi, dalle ro-
buste pinne dei pesci Crossopterigi.
Le cose in realt non sono tanto semplici: un' omologia
anatomica non spiega il passaggio da una funzione all'altra.
127
CHALMEL, op. cit.
130
IL MECCANISMO DELL'EVOLUZIONE
N o n si pu ragionevolmente credere che una zampa possa
trasformarsi in ala attraversando stadi intermedi in cui non
sarebbe n l'una n l'altra, acquisendo per di pi ad ogni
passaggio inconcepibili vantaggi
128
Questo parto della fan-
tasia trascura il fatto che gli arti precedenti, evolvendo per
trasformarsi in ali, sarebbero divenuti insufficienti e inadat-
ti alla corsa, alla scalata o alla presa molto prima di poter
servire a librarsi in aria
129
Un motore a scoppio e un mo-
tore a vapore sono in fondo composti dagli stessi pezzi, ma
impossibile costruire tra loro motori intermedi
130
La pa-
leontologia non fornisce ad ogni modo indizi di stadi inter-
medi, e neppure di organi in via di formazione.
Che dire poi del caso della balena? Discesa da antenati
provvisti di pinne e branchie, sarebbe passata per forme in-
termedie fomite di zampe e polmoni, prima di ritrasforma-
re le zampe in pinne, ma non i polmoni in branchie, che pu-
re le tornerebbero tanto utili. Lo Zeuglodonte, che viveva al
principio dell' ra terziaria, nell'Eocene, stato identificato,
soprattutto per la dentatura, come un progenitore dei cetacei
e dunque della balena. Ma si trattava di un vero cetaceo: an-
che i capodogli hanno i denti
131

128
S. LOVTRUP, La Crise du darwinisme, in "La Recherche", n. 80, 1977.
129
JOHNSON, op. cit.
130
L. VIALLETON, L 'Origine des etres vivants- L 'Illusion transformiste, Plon, 1929.
131
PRIER, op. cit.
131
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
6. Correlazioni, convergenze, coattazioni, comportamenti istintivi
Restano da valutare molte altre difficolt.
Innanzitutto i problemi di correlazione. Ammettendo che
l'evoluzione abbia potuto creare nuovi organi, non li ha
impiantati ovunque e comunque. Un caso davvero inecce-
pibile deve averli integrati in modo coerente, perch, come
diceva Cuvier: "Ogni essere organizzato forma un insieme,
un sistema unico e chiuso, le cui parti si corrispondono vi-
cendevolmente e concorrono, per un'azione reciproca, alla
stessa azione definitiva. Nessuna parte pu mutare se non
mutano anche le altre".
La comparsa di un nuovo organo pu essere possibile so-
lo nel corso di una riorganizzazione simultanea dell'intero
organismo. L'occhio ad esempio, non solo non comparso
nello stomaco dove non avrebbe nessuna utilit, ma siste-
mato fortunatamente nella sede pi opportuna. Il suo adatta-
mento per evoluzione avrebbe potuto realizzarsi solo grazie
a modificazioni dello scheletro, del sistema muscolare, della
circolazione sanguigna e soprattutto del cervello e del siste-
ma nervoso. Bisogna aggiungere che l'occhio fa parte di un
sistema a coppia i cui componenti si completano sotto il con-
trollo e con l'interpretazione del centro ottico cerebrale. un
sistema estremamente complesso che il caso avrebbe dovu-
to, si fa fatica a crederlo, organizzare in maniera assoluta-
mente sincrona. Deve esserci stato un progetto preliminare e
non una serie di tappe casuali con, prima della realizzazione
di un organo funzionale, la conservazione altrettanto casua-
le di elementi che non offrivano nessun vantaggio.
132
IL MECCANISMO DELL'EVOLUZIONE
Dobbiamo anche tornare ai problemi di convergenza sol-
levati dalla presenza di organi simili in animali senza origi-
ne comune. Si possono inserire in questa categoria, perlo-
meno in parte, gli organi omologhi, ma a maggior ragione
le pinne gi citate dell'ittiosauro, dello squalo e del delfino
oltre alla forma generale di questi abitanti del mare tanto di-
versi. Abbiamo gi riferito degli aculei a pettine dei paras-
siti, ma come trascurare l'affinit delle zampe anteriori del-
la talpa e di un insetto scavatore, il grillotalpa? Abbiamo gi
osservato l'analogia tra l'occhio dei vertebra ti e quello dei
cefalopodi, ma che dire della corrispondenza della coclea nel-
l'orecchio interno degli uccelli e in quello dei mammiferi?
Tra certi marsupiali e certi mammiferi placentati esiste,
come abbiamo visto, molto pi che la convergenza di alcu-
ni organi: c' una sorprendente somiglianza, quando la loro
parentela, se esiste, pu solo essere lontanissima. Cos, il lu-
po di Tasmania quasi identico al nostro lupo ed il tilacino
al nostro cane
132

Se l'evoluzionismo non riesce a risolvere i problemi di cor-
relazione e di convergenza, non riesce a farlo neppure con i
problemi di coartazione. Alcuni individui presentano comple-
mentarit tra organi. Organi di diverse origini embriologiche
sono coordinati in modo da esercitare una funzione comune.
Abbiamo appena visto che le diverse parti dell'occhio e
dei suoi annessi dipendono da vari sistemi
133
Potremmo ci-
132
DENTON, op. cit.
133
BOIGELOT, op. cit.
133
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
tare, tra altri esempi, quella sorta di "bottone automatico"
che chiude le elitre degli Emitteri acquatici o la curvatura
femorale delle falene che permette di ripiegare le zampe ai
lati della testa. Esistono anche coattazioni tra soggetti di-
versi: il caso della complementarit dei sessi tra maschi e
femmine
134
La coattazione richiede, per concludere, che
mutazioni complementari si siano verificate contempora-
neamente in pi organi o anche in due soggetti diversi. Vi
pare verosimile?
Anche i comportamenti istintivi portano seri problemi.
possibile che la straordinaria organizzazione delle api nasca
da una lunga serie di mutazioni casuali, di cui lo stesso von
Frisch confessa di non aver trovato traccia
135
? Prendiamo
un esempio pi semplice, quello degli Imenotteri cacciato-
ri, che per nutrire i loro piccoli li depongono su larve che
paralizzano con una puntura del pungiglione nei gangli
nervosi. Se avessero acquisito questa tecnica per un caso
fortunato a livello dei geni, come nutrivano in precedenza
la loro prole?
7. Impossibilit matematica
Dobbiamo necessariamente tornare alle scienze matema-
tiche perch, come abbiamo appena visto, la spiegazione
134
RABuT, op. ci t.
135
VON FRISCH, op. ci t.
134
IL MECCANISMO DELL'EVOLUZIONE
del trasformismo con la coppia mutazione-selezione cozza
contro un cumulo di obiezioni da cui si esce solo immagi-
nando una favolosa concatenazione di eventi casuali, tutti
improbabili. Per certi pensatori, una tale concatenazione
non pu essere avvenuta a caso e, senza mettere in dubbio
l'evoluzionismo, lo considerano guidato da una forza pi o
meno soprannaturale che si sottrae alle indagini scientifiche
Per altri, i milioni di secoli trascorsi hanno fornito al caso l
tempo di sperimentare tutte le combinazioni e giungere alla
concatenazione in causa.
Ora, i milioni di secoli, per quanto impressionante possa
sembrare la loro durata, sono stati di gran lunga troppo brevi
per realizzare un simile programma. quanto ha concluso con
i suoi calcoli Georges Salet basandosi sulla nozione di soglia
d'impossibilit stabilita da Borel, da noi gi menzionato
136

Il caso obbedisce a leggi che ne determinano i limiti.
grazie a queste leggi e con il calcolo delle probabilit che,
non potendo prevedere i futuri sinistri, le compagnie di as-
sicurazione fissano i loro premi; o che, senza conoscere le
intenzioni individuali dei viaggiatori, le ferrovie calcolano
il numero dei treni necessari alle partenze per le vacanze.
Per le leggi del caso possiamo affermare, ad esempio, che la
possibilit di vedere la stessa persona vincere dieci volte di
seguito il primo premio di una lotteria acquistando un solo
biglietto a settimana, supera la soglia di impossibilit.
Immaginiamo che un uomo entri in una biblioteca con
136
SALET, op. cit.
135
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
10.000 volumi e prenda un libro a caso, lo apra, e metta il
dito, senza guardare, su una sola lettera. Ci sarebbe una pro-
babilit di 10-10 che un'altra persona, agendo allo stesso mo-
do, scelga la stessa lettera della stessa pagina dello stesso testo.
Ora, le probabilit che compaia un nuovo singolo orga-
no, con tutto quel che comporta come correlazione, regola-
zione e possibilit funzionale, sono ancora pi esigue. Sem-
pre secondo Salet, non esiste una sola possibilit su cento
miliardi di miliardi che serie di mutazioni siano riuscite a
formare, dai protozoi, un solo metazoo. I miliardi di anni
trascorsi dall'ipotetico big-bang ed i miliardi di galassie non
offrono neppure da lontano n un tempo n uno spazio suf-
ficienti a che il caso sperimenti le combinazioni necessarie
alla realizzazione dell'evoluzione pretesa dal trasformismo.
In conclusione, alla mancanza di argomenti e alle impos-
sibilit che gi confutavano la teoria evoluzionista si ag-
giunge un assurdo matematico.
136
Capitolo ottavo
LA LINEA EVOLUTIVA UMANA
l. Microevoluzione? Poligenismo?
Affrontare in un ultimo capitolo il problema della linea
umana nella prospettiva evoluzionista pu sembrare una stra-
na decisione, quando gli antenati della nostra specie occupano
tanta parte, se non la principale, delle ricerche specialistiche.
Ma prima di parlare dell'uomo, abbiamo preferito ana-
lizzare subito le questioni di ordine generale. Per due mo-
tivi. Innanzitutto l'importanza del problema, sia reale che
ideologica, poich evidente che le ragioni per cui una teo-
ria in stato di decomposizione viene mantenuta artificial-
mente in vita hanno implicazioni filosofiche o religiose.
Il secondo motivo rappresentato da un interrogativo: pur
tenendo presente che per gli stadi pi antichi una spiegazio-
ne che metta in campo la macroevoluzione da scartare, la
comparsa dell'uomo nella famiglia degli ominidi potrebbe
dipendere da una semplice microevoluzione perfettamente
accettabile? Le somiglianze anatomiche tra l'uomo e i pri-
mati, e soprattutto gli ominidi, sono effettivamente notevoli.
Anne Dambricourt, convinta assertrice di una tale orni-
nazione per microevoluzione, ritiene che alle microevolu-
zioni darviniane se ne siano aggiunte altre soggette ad una
concatenazione logica. A suo parere, tra le scimmie e l 'uo-
mo si sono verificati cinque salti evolutivi
137

137
"Science et A venir", settembre 1997.
139
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
Esistono inoltre due diverse teorie sull'origine delle va-
rie razze umane, da ceppi distinti (poligenismo) o da un uni-
co ceppo (monogenismo).
Brown e Wilson dell'Universit di Berkeley hanno esa-
minato il DNAmitocondriale di 21 uomini e 147 donne pro-
venienti da ogni parte del mondo. Le differenze dovute a
mutazioni sono tanto trascurabili che i due scienziati ne
hanno dedotto un'origine unica ed un'et della specie uma-
na compresa tra i 140.000 e i 3 00.000 anni
138

Dorit, professore a Yale, ha esaminato uno specifico
frammento del cromosoma Y di 3 8 uomini appartenenti al-
le principali etnie e ne ha ugualmente desunto un'origine
comune. A suo avviso il capostipite di tutte le etnie viveva
circa 270.000 anni fa
139

Altri ricercatori, mettendo a confronto le proteine delle
diverse specie, il ritmo delle loro mutazioni e la rilevanza
delle loro divergenze, hanno calcolato che la separazione tra
scimmie ed ominidi risalirebbe a circa 7 milioni di anni fa.
Gli uomini attuali discenderebbero da una donna vissuta in
Africa meno di 200.000 anni fa
140
Tutte le ricerche tendono
a dimostrare il monogenismo dell'uomo.
138
"La Recherche", aprile 1998.
139
"Science", 26 maggio 1995.
140
JOHNSON, op. cit.
140
LA LINEA EVOLUTIVA UMANA
2. Problemi di cronologia
Per quanto le valutazioni dei microbiologi possano es-
sere interessanti, restano da risolvere numerosi problemi
di cronologia. Bisogna pur datare i fossili degli ipotetici
progenitori dell'uomo.
Per stabilire la datazione di epoche lontane disponiamo
di metodi che si basano sul decadimento degli isotopi ra-
dioattivi. Il metodo pi noto utilizza la propriet del po-
tassio di trasformarsi in argon ad una velocit costante.
Per conoscere l'et di una roccia vulcanica o metamorfi-
ca basta stabilire la sua tenuta nei due suddetti elementi.
'
Tale metodo purtroppo, come altri basati sullo stesso prin-
cipio, non consente di calcolare date inferiori al milione di
anni. Il tempo di dimezzamento del potassio infatti di l ,3
milioni di anni.
Per la datazione di epoche pi recenti si fa ricorso alle
propriet del radiocarbonio o C14, prodotto nell'atmo-
sfera terrestre da raggi cosmici ad alta energia che urta-
no atomi di azoto, il cui tempo di dimezzamento di so-
li 5.730 anni. Il C14, mescolandosi in proporzioni preci-
se con il normale carbonio, viene con questo assorbito da
un organismo in vita; quando l'organismo muore, e sen-
za compensazione possibile di nuovi apporti, il C 14 de-
cade in azoto ad un ritmo esponenziale. Per conoscere la
data dalla morte dell'essere vivente, basta quindi stabili-
re la proporzione dei due carbonii. Il metodo ha un'affi-
dabilit relativa, perch la quantit di C 14 che giunge al
suolo nel corso del tempo varia in funzione di diversi fat-
141
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
tori
141
Da controlli effettuati con oggetti dalla datazione
conosciuta tuttavia, risulta esatto fino a 2.000 anni prima
della nostra ra. Sembra per che attribuisca 1.000 anni di
troppo intorno ai -5000
142
Lo scarto aumenterebbe poi al
punto che l'anno -20.000 del carbonio 14 corrisponderebbe
all'anno -7.000 reale
143
Poco importa comunque ai nostri
fini, per cui ci atterremo alle date ufficiali riportate sulla ri-
vista Radio-Carbon dell'Universit di Yale
144

Le difficolt tecniche della datazione al C14 non consen-
tono di applicarne il metodo a date che superino i 50.000
anni. In altre parole, nessun metodo, tra il potassio-argon e
il C 14, copre il milione di anni che avrebbe visto la com-
parsa dei pi vicini progenitori dell'uomo.
Tentativi di datare le rocce di quel periodo con un calco-
lo basato sulla precessione degli equinozi e la rotazione dei
poli terrestri per cicli di 26.000 anni, non sono risultati va-
lidi perch attribuivano all' ra quaternaria una durata di so-
li 130.000 anni, giudicata troppo breve. Invece la teoria di
Milankowich, basata sullo stesso ordine di ipotesi (l'insola-
141
Variazioni dei campi magnetici terrestri e solari, quantit di raggi cosmici in
funzione della comparsa di novre e supemovre, filtro atmosferico specialmente
durante i periodi glaciali.
142
Y. VIAL, La Datation par le carbone corrige grace des arbres millnaires, in
"Science et Vie", ottobre 1975. Altri saggi forniscono il risultato inverso, secon-
do J. LABEYRIE, La Datation par le carbone 14, in "La Recherche", dicembre
1976.
143
G. VAN EsBROECK, Illusion des Hypothses scientifzques, in "La Pense Catho-
lique", n. l 09.
144
H. DE NANTEUIL, Sur !es traces d'Adam, SPES, 1968.
142
LA LINEA EVOLUTIVA UMANA
zio ne in funzione delle variazioni dell'asse di rotazione),
bench oggetto di gravi obiezioni
145
, stata correntemente
adottata perch attribuisce alle glaciazioni date sufficiente-
mente lontane da concordare con le teorie evoluzioniste.
La fin troppo facile accettazione dei calcoli di Milanko-
wich ha portato gli studiosi della preistoria ad allungare di
parecchio, e senza prove, la durata in precedenza assegnata
all'ra quaternaria. Nello stesso spirito, vediamo un manua-
le di preistoria triplicare, da un'edizione all'altra, i 500.000
anni prima attribuiti all' ra quaternaria al solo scopo di
concedere tempo all'evoluzione!
146
La datazione e la lunghezza dei periodi di questa ra,
che conta, a seconda degli autori, tra le quattro e le sei gla-
ciazioni interrotte da regressioni e separate da periodi inter-
glaciali, sono aumentate proporzionalmente. Secondo Mi-
lankowich, dopo una glaciazione detta di Donau, iniziata
nel -750.000, la prima glaciazione detta di Grunz risalireb-
be a -600.000
147
Se per gli autori che ignorano la glaciazio-
ne di Donau, quella di Grunz si sarebbe conclusa molto pri-
ma di -600.000
148
, la stessa non avrebbe avuto inizio per al-
tri che nel -600.000
149
o anche pi tardi
150
Si osserver poi
145
Tra altri : R. LANTIER, La Vie prhistorique, PUF, Paris 1952. Per le obiezioni,
cfr. nota 144.
146
R. FURON, Manuel de prhistoire gnrale, Payot, Paris ed. 1939 e 1966.
147
P. TOFINI, La Plante Terre, Marabout, 1966.
148
A. MONTAGU, Les Premiers Ages de l'homme, Marabout, 1964.
149
N. ALBESSARD, D 'o vient l 'humanit, Plante, 1969.
15
C. ARAMBOURG, La Gense de l'humanit, PUF, Paris 1965.
143
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
che, se Milankowich attribuisce alla fine della glaciazione
pi recente la data di -30.000, che altri portano a -50.000
151
,
il carbonio 14 resta fisso intorno ai -15.000
152
, quando altri
ancora scendono a -10. 000 e -8.500
153

La successione dei periodi glaciali e interglaciali consen-
te perlomeno di stabilire una cronologia relativa. Non dis-
giunta tuttavia da una certa confusione, a quanto pare, per-
ch a volte vediamo i fossili avanzare o arretrare da un in-
terglaciale all'altro. Si anche tentato di stabilire cronolo-
gie relative basandosi sulla formazione o erosione dei ter-
razzi fluviali e marittimi, e sulla comparsa o scomparsa di
specie animali o vegetali. Ma ci si imbatte qui in tante di
quelle aberrazioni ed incongruenze da rendere ogni inter-
pretazione estremamente incerta
154

Riassumendo, se per i periodi recenti disponiamo di dati
utili ancorch imperfetti fomiti dal C14, le datazioni pi re-
mote sono solo frutto di congetture, n presentano riferi-
menti validi alla cronologia della discendenza umana.
3. Barriere fisiche
Quale che sia la scala temporale presa in considerazione,
151
- 30.000 per TOFINI, op. cit., (p.); -50.000 per ARAMBOURG, ibidem.
152
G.V., Les Mammouths rajeunissent, in "Le Figaro", 19-20 dicembre 1997, (d'a-
prs la revue "Nature").
153
-10.000 per ALBESSARD, op.cit.; -8.500 per MONTAGU, op.cit ..
154
DE NANTEUIL, Op. ci t.
144
LA LINEA EVOLUTIVA UMANA
ogni linea evolutiva della nostra specie richiede il passaggio
dall'animale all'uomo. Ora, il passaggio dalla scimmia al-
l 'uomo presuppone sia l'acquisizione della bipedia, con re-
lativa modificazione del bacino e del cervelletto, sia l' ac-
quisizione di una maggior abilit manuale, sia una modifi-
cazione della faringe per la fonazione, che un mutamento
del sistema nervoso centrale. Tutte manifestazioni diverse
dal punto di vista dell'embriologia.
Oltre a queste, si presentano altre due gravi difficolt.
La prima rientra nel campo della genetica. N o n cono-
sciamo chiaramente il cariotipo delle specie fossili, ma sap-
piamo che, se le scimmie antropoidi possiedono 48 cromo-
somi, i loro cugini umani ne hanno solamente 46. Dal mo-
mento che non si capisce come, n perch le prime avreb-
bero dovuto acquisire dei cromosomi in pi, dobbiamo
concludere che l'uomo ne abbia persa una coppia.
Perch una specie con 48 cromosomi ne origini una che
ne ha 46, bisogna presupporre una fusione tra due coppie di
cromosomi, e qui non ci sarebbe nulla di strano. Bisogna
ugualmente presupporre che una simile fusione non provo-
chi anomalie svantaggiose, e questo pi difficile. Infine
bisogna presupporre una curiosa serie di coincidenze: ossia
l'incrocio fecondo di due portatori dello stesso incidente ge-
netico ed il fatto che i loro discendenti si incrocino in se-
guito soltanto tra di loro, il che diventa incredibile.
Jean de Grouchy e Jerme Lejeune si sono ingegnati ad
immaginare scenari a base di ovuli con due nuclei doppia-
mente fecondati o di omozigoti di cui una delle met venga
colpita a livello dei cromosomi XY da un ulteriore inciden-
145
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
te che, eccezionalmente, non ne provochi la sterilit
155
Se
non altro, questi due autori respingono il poligenismo rico-
noscendo che la loro "adamizzazione" tanto poco proba-
bile da non essersi potuta verificare pi di una volta.
4. La barriera intellettuale
La seconda difficolt, di ordine intellettuale, tanto seria
da erigere tra l'animale e l 'uomo una barriera invalicabile.
Che tra le facolt delle popolazioni pi primitive e quel-
le degli animali pi dotati esista un baratro, risaputo.
Basta osservare le possibilit di sviluppo e di invenzione
delle prime a fronte del totale ristagno degli animali che, nel
migliore dei casi, mostrano una modesta capacit di adatta-
mento. Tutto sommato, negli animali, le tecniche pi affi-
nate e le organizzazioni meglio strutturate appartengono a
specie, le api ad esempio, cui nessuno potrebbe attribuire un
rudimento di facolt intellettive.
Il problema non sfuggito agli evoluzionisti: il loro pun-
to di vista che le facolt intellettive umane prodotte dal
cervello si siano sviluppate in funzione dell'aumento della
capacit cranica. Hanno quindi tracciato delle curve di evo-
luzione del volume cerebrale che vanno dalla modesta noce
155
J. DE G ROUCHY, L 'volution des chromosomes, in "La Recherche", n. 44, 1974;
J. LEJEUNE, Adam et ve ou le Monognisme, in "Nouvelle Revue de Thologie",
1968; BUICAN, La Gntique et l 'volution, cit.
146
T
LA LINEA EVOLUTIVA UMANA
dei lemuri ai tre mezzi litri dell'uomo attuale, passando per
gli encefali del gorilla, dell'australopiteco o del pitecantro-
po. Indubbiamente, le dimensioni del suo cervello, unite al-
la qualit delle sue circonvoluzioni e allo sviluppo della va-
scolarizzazione, danno all'uomo uno strumento dalle gran-
di capacit. Ma se, come si crede, l 'uomo adopera soltanto
il l 0% delle sue reali possibilit cerebrali, il confronto dei
volumi diventa allora ininfluente e, soprattutto, l' evoluzio-
ne dimostra di avere il dono della profezia selezionando
vantaggi inutilizzati.
qui interessante registrare che il volume del cervello di
Anatole France non superava quello del sinantropo e non mi-
surava neppure la met di quello di Byron. Notiamo poi che
il cervello dell'elefante pi voluminoso di quello umano e
che, volendo fare il rapporto tra massa cerebrale e massa cor-
porea, certe scimmie sono meglio attrezzate dell'uomo.
In realt, gli studiosi fanno di una mosca un elefante. Tra
animali anche antropoidi e l 'uomo non c' una differenza
quantitativa, ma qualitativa. Solamente l'uomo possiede in-
fatti una libera volont che gli consente di operare delle
scelte, finanche negative. il solo a possedere un'intelli-
genza creatrice, capace di astrazione, di concepire idee, co-
struire giudizi e articolare ragionamenti
156
Sono facolt che
non possono comparire gradualmente: esistono o non esi-
stono. Ad un livello superiore, ci troviamo di nuovo di fron-
te all'eterno scoglio dell'evoluzionismo: non ci sono stadi
156
RAFFARD DE B RIENNE, op. cit.
147
DANIEL R.AFFARD DE BRIENNE
intermedi possibili (e selezionabili in quanto vantaggiosi)
tra un'assenza di organi e un nuovo organo, tra un organo
che non pensa ed un organo che pensa. Bisogna accettare
1' improvvisa comparsa di nuovi organi, se non perfetti, al-
meno funzionali.
Il problema si complica nel caso delle facolt intellettive.
Sappiamo che l 'uomo le possiede gi alla nascita, ma che
impara ad esercitarle solo dopo averle sviluppate ed allena-
te nell'infanzia a contatto e sull'esempio degli adulti. Una
cinquantina di studi effettuati su bambini cresciuti isolati
dal consorzio umano dimostrano che questi "bambini-lu-
po", accolti troppo tardi nella societ degli uomini, non ri-
escono mai a servirsi delle loro facolt intellettive. Per cui,
anche immaginando che una felice mutazione abbia dotato
un qualunque ominide di facolt intellettive, il loro posses-
sore non sarebbe mai stato in grado di svilupparle, n di ser-
virsene in un ambiente rimasto animale. La selezione natu-
rale avrebbe difatti eliminato una mutazione inutile, o ad-
dirittura svantaggiosa.
5. I primi ipotetici pro genitori
Senza dare per risolti i problemi appena esaminati, ci ac-
cingiamo ora a discendere rapidamente i gradini della pre-
sunta linea evolutiva umana. Avremo modo di notare, cos
facendo, che come tutte le altre linee evolutive, composta
quasi esclusivamente da parentele collaterali e, in pratica,
manca di ascendenti.
148
LA LINEA EVOLUTIVA UMANA
Un catechismo "di tendenza" della dottrina evoluzionista
afferma curiosamente: non discendiamo dalla scimmia,
ma dalla talpa e dal riccio
157
In verit, l'origine dell'uma-
nit sarebbe da ascrivere ad un piccolo insettivoro arborico-
lo, del genere del toporagno o della tupaia, che viveva 70
milioni di anni fa. straordinario vedere di continuo l'evo-
luzionismo ammettere che in una stessa specie alcuni indi-
vidui subiscano una lunga serie di mutazioni mentre altri re-
stano immutati: vedi i nostri attuali toporagni e tupaie, che
non manifestano nessuna tendenza all' ominazione. Ricordia-
mo di passaggio che nell'arco di tempo in cui alcuni topora-
gni si sarebbero evoluti in uomini, il celacanto, una forma
"intermedia", non mutato da parte sua di una sola scaglia!
Dai nostri insettivori sarebbero discesi i primati a comin-
ciare, 20 milioni di anni dopo, dai lemuri. una tesi che ha
dato luogo ad un certo numero di ipotesi divergenti sul gra-
do di parentela tra scimmie, ed in particolare tra gli antro-
poidi e gli ominidi. La cosa non desta meraviglia, dal mo-
mento che disponiamo solo di rari frammenti fossili di dif-
ficile interpretazione. Per attenerci alla stretta linea evoluti-
va umana, il primo ad essere nominato generalmente il
propliopiteco, che viveva circa 30 milioni di anni fa. In se-
guito, dopo un salto di l O o 12 milioni di anni, fanno la lo-
ro comparsa i driopitechi, tra cui il famoso proconsul. Dai
driopitechi discenderebbe il ramapiteco scomparso da 8 mi-
lioni di anni, considerato tuttavia il capostipite degli ominidi.
157
Parcours Squences, libro pedagogico.
149
I l
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
Un nuovo anello di congiunzione sarebbe rappresentato
dal victoriapiteco, del quale stato scoperto un cranio com-
pleto che risalirebbe a 15 milioni di anni fa. Avrebbe avuto
una piccola testa bassa e prognata e non la testa allungata
dallo scheletro facciale piatto delle altre scimmie arcaiche e
del gibbone
158
In Kenya sono stati rinvenuti reperti ossei
databili tra i 5 ed i 7 milioni di anni, ma probabilmente si
tratta gi di australopitechi
159

Registriamo che se gli antropoidi (gorilla, scimpanz,
orangutango) discendono insieme al ramapiteco dai drio-
pitechi, come si vuole credere nonostante un periodo pri-
vo di fossili di 20 milioni di anni, si sarebbero separati dai
progenitori dell'uomo 7 o 8 milioni di anni fa
160
Gli orni-
nidi che vivevano in zone scoperte avrebbero sviluppato la
bipedia. Le mani, affrancate dalla posizione verticale,
avrebbero favorito lo sviluppo delle membra anteriori e la
conseguente modificazione della dentatura e del cranio,
infine la crescita del cervello
161
Il tutto ovviamente senza
ombra di lamarckismol
158
B. BENEFITE-M. Mc CROSSING, in DEWAR, op. cit.
159
F. VALLOIRE, in "Valeurs Actuelles", 25 ottobre 1994.
160
BUICAN, La Gntique et l' volution, ci t.; G. V ANDEBROEK, in BIVORT DE LA
SAUDE, op. cit.
161
G. CLARK, La Prhistoire de l 'humanit, Payot, Paris 1962.
150
LA LINEA EVOLUTIVA UMANA
6. L'australopiteco e l 'homo habilis
La tendenza alla posizione eretta, o almeno semivertica-
le, con le sue presunte conseguenze, ossia uno scheletro fac-
ciale scarsamente prominente e piccoli canini
162
: sono le ca-
ratteristiche che hanno richiamato tanto interesse sull' au-
stralopiteco, di cui sono stati ritrovati in Africa australe ed
orientale molti crani e altri reperti ossei.
Agli australopitechi si attribuisce un certo numero di re-
sti molto arcaici. Il decano della "linea evolutiva" al mo-
'
mento, l' Australopithecus Ramidus, detto Aramis, scoperto
in Etiopia nel 1993
163
Risalirebbe a pi di 4 milioni di anni
fa, ma si pensa che non avesse posizione eretta e che nel-
l'insieme non differisse troppo dallo scimpanz. Appena
pi giovane, l' Australopithecus Aramensis, scoperto in
Kenya nel 1995, sarebbe stato bipede. Basandosi poi su
un'unica mandibola rinvenuta nel Ciad nel 1996, stato
annunciato. un nuovo australopiteco, Abele, che sarebbe
vissuto alquanto discosto dai suoi congeneri intorno ai 3 o
3,5 milioni di anni fa
164

Quest'ultimo, ed ipotetico, australopiteco sarebbe perci
il contemporaneo della celebre Lucy, una piccola scimmia
di cui sono state ritrovate 52 ossa ed altri frammenti. Non-
ostante l'abbondanza eccezionale dei reperti, non si pi
162
A. LEROI-GOURHAN, Les Hommes de la prhistoire, Bourrelier, 1955.
163
V ALLOIRE, op. ci t.
164
"Science etAvenir", gennaio 1996.
151
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
tanto sicuri del suo sesso, ed Yves Coppens giunto alla
conclusione che Lucy appartenga ad un ramo particolare di
australopitechi estranei alla linea evolutiva umana
165
.
Per quanto riguarda gli australopitechi debitamente iden-
tificati, essi sono stati dapprima, con una certa anarchia, di-
stinti in sei o sette tipi diversi chiamati con nomi particola-
ri166. Il loro numero stato in seguito ridotto a quattro
167
e
addirittura a due, uno robusto e uno gracile, che potrebbero
benissimo rappresentare la forma maschile e femminile di
una sola specie
168
. Comunque sia, si tratta di esemplari di
piccola statura, le cui caratteristiche principali sono scim-
miesche, compresa la capacit cranica che non supera quel-
la del gorilla o dello scimpanz. Nettamente pi umani, ol-
tre la dentatura, appaiono gli arti inferiori che suggeriscono
una tendenza alla posizione eretta.
Per un momento si ritenuto di poter attribuire all'au-
stralopiteco l'invenzione del fuoco, tanto che per l'occasio-
ne era stato coniato un Australopithecus Prometeus dal no-
me del mitico ladro del fuoco, ma le tracce rinvenute erano
quelle di un incendio di boscaglia. Quando, nelle vicinanze
di due giacimenti di suoi fossili, sono state scoperte delle
pietre scheggiate in modo sommario, testimonianza di una
pebble-culture [cultura del ciottolo lavorato, NdTJ, sorto il
165
VALLOIRE, op. cit.
166
ALBESSARD, op. cit.
167
CORNELIUS, op. cit.
168
J. CHALINE, L 'volution biologique humaine, PUF, Paris 1982.
152
LA LINEA EVOLUTIVA UMANA
dubbio che l'australopiteco potesse essere stato in grado di
costruire utensili, ma si pensa che quelli ritrovati apparte-
nessero piuttosto a uomini veri e propri. Inoltre, secondo le
tesi evoluzioniste, gli australopitechi avevano un cervello
troppo piccolo per inventare la lavorazione della pietra
169
.
Resta da determinare l'et di questa specie. Al riguardo
le opinioni sono le pi disparate, tutte in funzione della tesi
che si vuole dimostrare. I fossili pi arcaici sono stati fatti
risalire addirittura a 8 milioni di anni fa
170
O ancora, gli au-
stralopitechi risalirebbero a 6 milioni di anni fa ed i loro
fossili pi arcaici a 3 milioni, senza tener conto dei ritrova-
menti del 1993-'96 menzionati sopra
171
Secondo alcuni so-
no vissuti tra -3,8 a -1 milione di anni fa
172
. Vero che per
gli stessi avremmo dovuto datare certe orme di ominidi tra
i -3,6 ed i -3,8 milioni di anni. Per altri autori, infine, la lo-
ro presenza si sarebbe protratta solamente da -1 milione di
anni a -500.000, o anche -250.000
173
.
Che l'australopiteco, troppo specializzato e troppo recen-
te, non possa rivendicare il ruolo di progenitore dell'uomo,
opinione generalmente condivisa. Lo si ritiene semplice-
mente un collaterale pi prossimo dello scimpanz. A meno
che l'homo habilis possa rappresentare un anello di con-
169
CLARK, op. ci t.
17
CORNELIUS, op. ci t.
171
B. LUGAN, Histoire de l'Afrique du sud, Paris 1986.
172
CHALINE, op. cit.
173
Per MONTAGU op. cit.: da -1 milione a -250.000; per .ALBESSARD op. cit., da -1
milione a -500.000; per RHODES, op. cit: inizio a -!milione.
153
DANIEL R.AFFARD DE BRIENNE
giunzione. Dell' ipotetico "uomo abile", i cui resti appaiono
relativamente umanoidi, non si sa quasi nulla. Ne sono sta-
ti infatti ritrovati pochi frammenti confusi con quelli di au-
stralopitechi soprattutto ad Odulvai, per cui gli esperti si
trovano in contrasto nell'attribuirli all'uno o agli altri, se
non addirittura a qualche pitecantropo. Il metodo del potas-
sio-argon ha datato i manufatti molto primitivi ritrovati ad
Odulvai a circa l ,5 milioni di anni; ma in realt il metodo
fornisce la data della formazione della roccia vulcanica
'
non quella della sua lavorazione.
Con gli australopitechi (letteralmente: scimmie meridio-
nali), nelle quali difficile ravvisare altro che scimmie del-
la sa vana estinte si molto tempo fa senza progenie, e con l'e-
stremamente incerto homo habilis, molto poco homo e dub-
biosamente habilis, ecco superate le prime tappe dell' ipo-
tetica linea evolutiva umana.
Per completezza, e a rischio di complicare uno schema
gi confuso, il caso di segnalare, sicuramente della stessa
epoca, qualche dente e frammento di mascella appartenenti
ad una specie gigante ritrovati in Africa e Cina.
7. L 'Homo erectus
Vedremo se con la prossima tappa approderemo ad un
terreno pi solido, quello dell'homo erectus, ovvero
dell"'uomo in piedi". il nome che viene dato a due cele-
brit: il pitecantropo ed il sinantropo che, come avremo
modo di osservare, sarebbero vissuti molto lontano dall'A-
154
LA LINEA EVOLUTIVA UMANA
frica e dai suoi australopitechi. Di questi personaggi cono-
sciamo essenzialmente il cranio dalla forma scimmiesca,
ma dalla capacit doppia rispetto a quella del gorilla e del-
l'australopiteco e di due terzi in media rispetto a quella del-
l'uomo moderno. Il sinantropo generalmente considerato
pi recente perch presenta un cranio leggermente pi grande.
Entrambi risalirebbero alla met dell' ra quatemaria (Pleisto-
cene medio) e, tenuto conto dell'incerta cronologia di quell'-
ra, viene loro assegnata un'et di molte migliaia di secoli.
Nel 1890, un olandese di nome Dubois si rec a Giava
col proposito dichiarato di scoprirvi l'uomo-scimmia, il pi-
tecantropo immaginato da Haeckel. Meno di due anni dopo
lo aveva trovato. Per dirla pi esattamente, aveva portato al-
la luce, in terreni alluvionali molto rimaneggiati, dunque
impossibili da datare, un cranio scimmiesco che lui stesso
avrebbe un giorno attribuito ad un gibbone gigante
174
, e a 15
metri di distanza, un femore umano. I due reperti vennero,
senza esitazione, ritenuti appartenenti allo stesso individuo
e su queste basi ne venne fatta una ricostituzione completa,
peli compresi Cos nato il pitecantropo, nel quale l' evolu-
zionista Baule ha rifiutato di riconoscere pi che un sem-
plice collaterale, un altro, dell 'uomo
175

Le cose si misero male quando Dubois confess, quasi
cinquanta anni dopo, di aver trovato nella stessa zona non
I74PRIER, op. cit., L. SAFFORES, Du singe l'homme, in "Le Monde et la Vie", n.
190, 1969.
175
FURON, op .. cit.
155
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
uno, ma cinque femori, il che parve eccessivo anche per un
pitecantropo. Nella stessa regione, Dubois aveva scoperto
anche dei crani umani apparentemente della stessa epoca.
Nonostante quel che abbiamo riferito, il pitecantropo conti-
nua imperturbabile la sua carriera. Di lui si conoscono varie
calotte craniche, due mandibole, ma, a parte i famosi femo-
ri, nessun altro tipo di ossa. Gli vengono attribuite, insieme
al cugino sinantropo, l'industria acheuleana e gli utensili di
tipo clactoniano del Paleolitico inferiore
176

Quel che sappiamo del sinantropo proviene dal sito di
Zhou-Kou-Tien, vicino Pechino. Vi sono stati ritrovati, dis-
seminati tra ossa di origine animale del Pleistocene medio e
superiore, i crani di una quarantina di individui. I crani, si-
mili a quelli del pitecantropo, erano accompagnati da fram-
menti di altre ossa, tra cui molti di femori che non somi-
gliavano affatto a quelli di cui Dubois aveva dotato il suo
pitecantropo. Verso gli strati superiori del giacimento c'era-
no tracce di fuoco e pietre lavorate che vennero frettolosa-
mente attribuiti ai proprietari dei crani, i sinantropi.
Osservando il modo in cui erano spezzati, si comprese
che i crani e le ossa dei sinantropi, come le ossa cui si tro-
vavano mescolati, dovevano costituire degli avanzi di pasto.
Qualcuno ipotizz che il sinantropo servisse da selvaggina
agli uomini che avevano acceso il fuoco e fabbricato gli
utensili. Ma la maggioranza degli studiosi preferisce parla-
176
ALBESSARD, op. cit.
156
LA LINEA EVOLUTIVA UMANA
re di cannibalismo, e persino di cannibalismo rituale
177
Una
spiegazione che soddisfa la teoria evoluzionistica e che con-
corda, a loro parere, con il fatto che tra quelli dei sinantro-
pi non si trovano resti umani.
Perch non pensare allora che gli uomini di quell'epoca
lontana non avessero piacere di gettare via i loro morti in-
sieme con i rifiuti domestici; tanto pi che i riti funebri esi-
stono da quando esistono gli uomini
178
Accade dunque che
in quello stesso sito di Zhou-Kou-Tien, e proprio accanto al
giacimento dei sinantropi, siano stati rinvenuti numerosi
scheletri umani (homo sapiens) sempre riconducibili al Pa-
leolitico e inumati intenzionalmente. Nonostante questa
scoperta sia avvenuta pi di sessanta anni fa, viene rara-
mente menzionata
179

Tirate le somme, l'homo erectus si riduce ad una colle-
zione di crani di tipo scimmiesco, quantunque relativamen-
te voluminosi. Molti evoluzionisti concordano nel ricono-
scervi, nella migliore delle ipotesi, un semplice cugino del-
l'uomo che, come si visto, ha dovuto essere suo contem-
poraneo e suo cacciatore.
Accanto ai celebri uomo-scimmia di Giava e ali 'uomo di
Pechino, esistono qua e l frammenti di crani che a volte
vengono attribuiti al pitecantropo, ma sui quali gli esperti
non concordano. Si parla allora di neandertaloidi, di homo
177
E.O. JAMES, La Religion prhistorique, Payot, Paris 1959
178
Ibidem.
179
ALBESSARD, op. cit.; SAFFORES, op. ci t., SERMONTI, op. ci t.
157
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
sapiens primitivo, di anelli di congiunzione tra gli uni e gli
altri, e anche con l'australopiteco.
Citiamo per primo il famoso uomo di Tautavel, una sor-
ta di homo erectus antenato dell'uomo di N eandertal. Alto
m. 1,65 e dall' apparente et di venti anni, ci ha lasciato
qualche raro frammento: una mandibola ritrovata nel1969,
una parte del cranio nel1971 ed un osso iliaco nel1978. Lo
si considera generalmente vecchio di 450.000 anni, ma ad
un convegno del1981 si parlato di datazioni che vanno da
-39.000 a -400.000 anni
180
. pur vero che un suo "concor-
rente", l'uomo di Petrabona, beneficia di un ventaglio di da-
te che vanno dai -44. 000 ai -700. 000 anni.
A Giava, patria dei pitecantropi, ci sono l'uomo di Solo,
con alcuni reperti di crani, ed il megantropo dalle grandi
mascelle. In Europa troviamo l 'uomo di Heidelberg, di cui
resta una sola mascella, detta di Mauer, e forse altri. Dall'
Africa, oltre ad un cranio di Olduvai, viene citato l'uomo di
Rhodesia, di cui resta un cranio a Broken Hill. Con alcune
mandibole ritrovate in Algeria ed in Marocco sono state co-
stituite due specie di atlanthropus, a volte classificate come
homo erectus. Tutto ci sembra troppo superficiale, troppo
discusso e soggetto a revisione. Nel 1922 si addirittura
parlato di un hesperopithecus la ((scimmia occidentale" ba-
sandosi su un unico dente fossile ... di maiale selvatico!
181
180
PLUS-KOVACS, op. cit.
181
LE GRos CLARK, The Fossi! Evidence.
158
LA LINEA EVOLUTIVA UMANA
8. Grandi assenti
Quell'uomo che ci dicono provenire da collaterali scono-
sciuti dell'australopiteco e del pitecantropo fa fmalmente la sua
comparsa nella tappa successiva. Una tappa contrassegnata in-
nanzitutto dalla presenza, si fa per dire, di due grandi assenti.
Primo assente: l'uomo di Piltdown. Ritrovati in Inghil-
terra all'inizio del XX secolo, i suoi resti si limitavano ad un
cranio umano molto antico, ad una mascella e ad un canino,
gli ultimi due di tipo scimmiesco. La datazione del cranio
passata dal Pleistocene inferiore al Pleistocene superiore, il
che, secondo la cronologia usuale, comporta un ringiovani-
mento di parecchie migliaia di secoli e rivela l'incertezza
delle date assegnate ai fossili della linea evolutiva umana.
Comunque sia, questa strana associazione di un cranio
umano e di una mascella scimmiesca, contraria alle abitua-
li supposizioni, suscit le riserve di molti esperti. Altri si en-
tusiasmarono. Come Vallois, che ravvisava nell'uomo di
Piltdown la miglior riprova della discendenza, passando per
l 'uomo di N eandertal, dell'uomo moderno dal pitecantro-
po182. O come Arambourg, il quale per di pi affermava che
gli ominidi o pitecantropi provenivano dagli australopite-
chi, e questi ultimi dagli antropoidi attraverso illimnopithe-
cus, che aveva i molari dei gibboni e il primo dente da latte
degli australopitechi
183
. E ancora Teilhard de Chardin, sco-
182
AA.-Vv., Palontologie et transforrnisrne, cit.
183
Ibidem.
159
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
pritore del canino di Piltdown e insieme principale invento-
re del sinantropo. A suo parere, l'uomo di Piltdown ed il si-
nantropo, anelli di congiunzione tra uomo ed antropoide,
costituivano le prove essenziali dell'evoluzionismo
184

Il ruolo di Teilhard nell' affaire dell'uomo di Piltdown,
come in quello del sinantropo, i cui reperti originali scom-
parvero rapidamente, parso sospetto
185
A dire il vero,
sembra che a Piltdown Teilhard sia stato piuttosto vittima
della sua stessa ingenuit
186
Nel 1953, perizie minuziose
hanno finalmente smascherato un' impostura durata mezzo
secolo e gli insegnamenti che la tesi evoluzionista ne avreb-
be tratto, dimostrando che la mascella ed il canino del prete-
so uomo di Piltdown, accuratamente limati e artificialmente
invecchiati, provenivano da una scimmia contemporanea.
187

Secondo assente: l'uomo di La Denise. Nessun trucco in
questo caso: i crani di La Denise riposano sempre nel mu-
seo del Puy incastonati in una ganga che permette la loro
datazione al Pleistocene inferiore, ossia ad un'epoca decisa-
mente pi remota rispetto all'uomo di Neandertal. Eppure
fu proprio ai neandertaliani che il celebre Boule ascrisse in
primo tempo quei crani. Un nuovo esame permise di chiari-
re che in realt appartenevano all'homo sapiens, il tipo at-
184
R. PLUS, Einstein, prophte de la religion cosmique, in Gense! Apocalypse ?,
Encore Fatima, 1979.
185
BOUNOURE, op. ci t.
186
G. VAN EsBROECK, Pleine lumire sur l'imposture de Piltdown, ed. du Cdre,
1972.
187
Ibidem; VANDEBROEK.
160
LA LINEA EVOLUTIVA UMANA
tuale, senza per questo riuscire a ringiovanirli. Una pesante
coltre di silenzio si abbatt allora sui crani di La Denise, e
nessuno ne parl pi. interessante ricordare che nel 193 9
l'evoluzionista Furon, avendo registrato che "alcuni autori
collegano a questo ramo (l'uomo di Piltdown!) gli uomini
di La Denise", aggiungeva: i resti ossei ... erano stati cer-
tamente ritrovati in un livello del Pleistocene inferiore, ma
proprio per questa ragione i loro evidenti caratteri di homo
sapiens li aveva resi sospetti
188

Allo stesso modo, certi fossili umani reperiti in Inghilter-
ra, Italia ed America sono stati respinti come troppo remoti
per il loro aspetto troppo modemo
189
Gli evoluzionisti si
trovano in realt incastrati tra i pregiudizi della loro stessa
teoria ed una cronologia ovviamente troppo lunga. per
questa ragione che attribuiscono la paternit delle industrie
litiche ai pitecantropi e comparse per il Paleolitico inferiore
( abbevilliano, acheuleano ... ), ai neandertaliani per il medio
(musteriano ), all'homo sapiens per il superiore.
9. L'uomo di N eandertal e l'uomo attuale
Una volta eliminati gli assenti, non restano degli uomini
pi antichi che pochi poveri resti di datazione ed identifica-
zione incerte. Ne enumeriamo i principali. Fuori d'Europa,
188
FURON, op. cit.
189
ARTHAUD, op. cit.; SERVILLE, op. cit.
161
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
i pi conosciuti sono l 'uomo di Galilea, via di mezzo tra il
pitecantropo e l'uomo di Neandertal; l'uomo di Kanam in
Kenya, che sarebbe invece un antichissimo homo sapiens
che potrebbe risalire, come l 'uomo di La Denis e, al Pleisto-
cene inferiore; l'uomo di Wadjak a Giava, vicino agliabo-
rigeni australiani e riconducibile, a seconda degli autori, a
200.000, 40.000, o solamente l 0.000 anni fa.
In Europa troviamo crani egualmente poco diversi da.
quelli degli aborigeni: quello di Steinheim in Germania con
un occipite moderno, fronte neandertaliana e uno scheletro
facciale che riassume entrambi; il cranio di Gibilterra ed i
due crani di Saccopastore in Italia
190
Comprendiamo nell'e-
lenco la mezza mascella di Arcy-sur-cure. Altre mandibole
europee potrebbero essere attribuite a uomini di N eandertal
o ai loro presunti antenati: la mascella di Mauer provenien-
te dall'uomo di Heidelberg, gi citato perch, risalendo al
Pleistocene inferiore, viene a volte collegato al pitecantro-
po; le due mascelle incomplete dell'uomo di Ehringdsorf, la
mascella di Montmaurin, alcune mandibole spagnole, prive
di crani come le precedenti.
Tra i pre-neandertaliani vengono talvolta classificati gli
uomini di Steinheim e di Tautavel che abbiamo gi citato.
L'uomo di Biache-Saint-Vaast, che si riduce ad un fram-
mento di cranio, sarebbe invece da situare tra N eandertal e
l'homo sapiens. In compenso, l 'uomo di Swanscombe e
190
LEROI-GOURHAN, op. cit.
162
. l
LA LINEA EVOLUTIVA UMANA
quello di F ontechvade, ambedue rappresentati da reperti
cranici, sono considerati homo sapiens, l 'uomo attuale, pur
venendo associati a utensili del Paleolitico inferiore: come
l'uomo di La Denise, sarebbero dunque "anteriori" all'uo-
mo di N eandertal.
L'uomo di N eandertal ci noto attraverso un gran nume-
ro di scheletri, oltre che per gli utensili ed i riti funerari. Per
i nostri evoluzionisti, che in primo tempo avevano ricono-
sciuto in lui il progenitore dell'homo sapiens, il suo aspetto
primitivo ne faceva un perfetto testimone. Ma secondo lo
schema abituale, oggi si tende a relegarlo al ruolo di cugi-
no. Un cugino che stato inizialmente considerato una spe-
cie particolare, che rafforzava tutto sommato la trama evo-
lutiva della progenie umana. Oggi stato ammesso nella
specie homo sapiens con il nome di homo sapiens neander-
thalis per distinguerlo dall'uomo attuale, l'homo sapiens
sapiens (che noi continueremo a chiamare pi brevemente
homo sapiens ).
Del suo carattere bestiale sono apparse descrizioni com-
piaciute: arcata sopraccigliare prominente, fronte sfuggente,
prognatismo, estremit pesanti. Ma hanno dovuto correg-
gerne il ritratto, ridurre la prominenza del muso, constatare
che i neandertaliani si mantenevano perfettamente eretti e
non curvi, e che la loro capacit cranica era superiore a
quella dell'uomo moderno. In seguito gli studiosi si sono re-
si conto che i neandertaliani orientali, in particolare quelli di
Palestina, si avvicinavano molto di pi all'homo sapiens dei
loro congeneri europei.
Cosa pensare di questi neandertaliani "temperati" del Vi-
163
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
cino Oriente? Possiamo proporre tre spiegazioni. O sono un
ramo in evoluzione verso l'homo sapiens, il che conforte-
rebbe i fautori della discendenza diretta, oppure tra nean-
dertaliani e rappresentanti dell'homo sapiens, di cui tuttavia
non esiste traccia sul posto, si sono verificati degli incroci.
Oppure ancora ci troviamo in presenza di individui discesi
dall'homo sapiens e in via di regressione.
Secondo Piveteau, nato dallo stesso ceppo dell'homo
sapiens sapiens, il neandertaliano ha subito nel corpo una
vera regressione, ma nella sua attivit psichica troviamo
l'impronta di origine
191
Che l'uomo di Neandertal possa
rappresentare un ramo degenerato. dell'homo sapiens ef-
fettivamente plausibile, poich, come abbiamo visto, ci so-
no buone ragioni per considerare il secondo antecedente al
primo. Una simile degenerazione si potrebbe spiegare con
un eccesso di consanguineit. Si ritiene infatti che i nean-
dertaliani fossero poco numerosi, forse 20.000 in tutta la
Gallia, che vivessero in piccolissimi gruppi e praticassero
dunque abitualmente una stretta endogamia
192
Inoltre la lo-
ro et media si aggirava intorno ai 20 anni, il che non in-
dice di forte costituzione
193

Il Carbonio 14 ha consentito di datare reperti di questo ti-
podi neandertaliani. Non ci soffermeremo qui ad analizza-
191
J. PIVETEAU, L 'Apparition de l 'homme: le point de vue scientifque, <Eil, 1986.
192
ALBESSARD, op. cit.
193
Ibidem.
164
T
LA LINEA EVOLUTIVA UMANA
re il valore assoluto di tali dati, sospettati a buona ragione di
peccare per eccesso. Ma i loro valori relativi sono degni di
interesse. Essi situano dunque i neandertaliani "temperati"
intorno ai -38.000 o- 40.000 ed i soli neandertaliani "clas-
sici" studiati intorno ai -33.000. I pi "bestiali" sarebbero
dunque i pi recenti, il che rafforzerebbe la tesi della dege-
nerazione di una popolazione che per di pi scompare sen-
za lasciare discendenti. A sostegno della stessa tesi, osser-
viamo che il neandertaliano di Saint-Csaire, vicino a Sain-
tes, recente dal momento che risale al Paleolitico superio-
re, chiaramente pi superficiale rispetto allo strato muste-
riano del sito
194

Mentre l 'uomo di N eandertal si estingue in modo oscuro,
l'homo sapiens si moltiplica, estende i suoi si ti di occupa-
zione, crea nuovi strumenti e opere d'arte. Le sue sepolture
rivelano la presenza di tutti i tipi delle razze attuali
195
In
mancanza di trasformazioni da forse 30.000 anni, il seguito
non appartiene al campo di ricerca dell'evoluzionismo.
A conti fatti, non si pu ragionevolmente attribuire alla
linea umana che l'homo sapiens e la sua diramazione tron-
ca costituita dall'uomo di N eandertal. Tutto il resto sono
soltanto, nel migliore dei casi, fragili ipotesi, nel peggio-
re, gradevoli fiabe.
194
Fr. LVEQUE-B. VANDERMEERSCH, in "La Recherche", febbraio 1981.
195
LANTIER, op. ci t.
165
'
Conclusione
Preso dall'angoscia di un avvenire incerto definito solo
dalla certezza di una morte senza data n volto, l'uomo son-
da disperatamente il passato nel tentativo di scoprire nel se-
greto delle proprie origini la chiave del suo presente. Ma i
frutti delle sue ricerche non sono per ora che pochi fram-
menti disparati di un puzzle di cui ignora il disegno.
Il suo desiderio di ricostruire tutto il puzzle dalle poche
tessere ritrovate del tutto legittimo. Gli evoluzionisti vi si
sono provati, ed hanno fallito. Come abbiamo mostrato, la
loro ricostruzione cozza contro una serie di impossibilit,
una sola delle quali basterebbe a farla crollare.
Gli evoluzionisti hanno fatto bene a tentare, fanno male
a perseverare. capitato che un' ipotesi errata abbia fatto
avanzare la scienza. Questo non pu pi verificarsi quando
ci si ostina nell'errore al punto da inserire nel puzzle ele-
menti inventati, sopprimerne di autentici che disturbano,
modificarne altri rifilandoli perch si incastrino ad ogni costo.
La natura ha orrore del vuoto. Anche gli scienziati.
Avranno bisogno di molto coraggio per rifiutare una teoria
che ha il vantaggio di occupare il terreno delle loro indagi-
ni, quando non ne esiste un'altra che la rimpiazzi. Eppure
bisogna rifiutare totalmente e definitivamente l'evoluzioni-
smo. Perch costituisce un ostacolo alla ricerca scientifica.
167
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
E anche, molto semplicemente, perch falso. Si molto
pi vicini alla verit riconoscendo la propria ignoranza, che
perseverando nell'errore.
Ora noi ignoriamo come le specie viventi facciano la lo-
ro comparsa, come si sviluppino e come si estinguano. Cer-
to che la microevoluzione, conosciuta da sempre, perlome-
no in modo empirico, pu modificare le specie, ma non si
deve estrapolarne un'impossibile macroevoluzione che le
avrebbe generate da una materia bruta immaginata eterna.
Certo che le tracce lasciate nel passato dagli esseri viventi
possono a volte sembrare strane testimonianze di una storia
misteriosa, ma non si pu al momento, a meno di sollevare
contraddizioni insolubili, tentare di congiungerli con rap-
porti di discendenza.
Le singolarit, le contraddizioni dovrebbero ottenere una
spiegazione armoniosa nella quale ogni elemento trovi il
suo posto. Poich la verit, riflesso della sola realt, ne-
cessariamente unica.
In attesa del momento forse lontano in cui l'intelligenza
umana, se ne ha le capacit, potr accedere da s all'unica ve-
rit, giunto oggi quello di interrompere lo stato di vita appa-
rente in cui viene mantenuto il cadavere dell'evoluzionismo.
Stacchiamo la spina.
168
Pro memoria
Tutto il divenire biologico dell'essere vivente - sviluppo,
funzioni, riproduzione - determinato da un codice conte-
nuto nella sua prima cellula, ereditato dunque dai genitori e
riprodotto nelle altre sue cellule.
La cellula, circondata da una membrana che regola gli
scambi con l'esterno, costituisce un laboratorio chimico in
grado di sintetizzare decine di migliaia di composti diversi:
le proteine, o macromolecole composte da amminoacidi, e
gli enzimi, o proteine codificate che provocano tutti i pro-
cessi biologici. I macchinari del laboratorio sono rappre-
sentati da organuli racchiusi nel citoplasma: mitocondri, ri-
bosomi, lisosomi ecc. . . . Il nucleo costituisce la direzione.
N el nucleo sono infatti contenuti i cromosomi, ognuno
dei quali costituito da una lunghissima molecola di DNA
(acido desossiribonucleico). Ogni molecola di DNA com-
posta da due catene avvolte a doppia elica, ciascuna costi-
tuita da una serie di nucleotidi. Ogni nucleotide comporta
uno zucchero (desossiribosio), un acido ortofo"sforico (P0
4
)
ed una base scelta tra quattro: due basi puriniche ( adenina e
guanina) e due basi pirimidiniche (timina e citosina). I due
filamenti di DNA sono uniti dalle basi, una purinica in cop-
pia con una pirimidinica.
Determinante l'ordine preciso in cui sono disposti i nu-
169
DANIEL RAFFARD DE BRIENNE
cleotidi, ossia le basi. Tale ordine fornisce un codice forma-
to da quattro segni. Sappiamo che il linguaggio calcolatore
elettronico comporta solo due segni la cui ripetizione in or-
dine rigoroso consente di esprimere ogni cosa: cos 215 si
scriver in codice binario: 11 O l O 111. Allo stesso modo in
definitiva con cui le 26 lettere del nostro alfabeto formano
delle frasi se, e soltanto se, le disponiamo in un certo ordine.
Le quattro "lettere" del DNA consentono di accumulare
un gran numero di informazioni: i 46 cromosomi dell'uomo
contengono l'equivalente di una biblioteca di migliaia e mi-
gliaia di volumi. Le "lettere" sono raggruppate in parole di
tre lettere, sequenze denominate codoni, ciascuno dei quali
corrisponde ad un amminoacido; riunite in frasi, i geni, che
corrispondono generalmente a delle proteine; e in paragra-
fi, gli operoni, che raggruppano i geni che concorrono ad
una stessa funzione.
Il DNA dirige tutto. Per essere approssimativi, il DNA
fabbrica quasi una copia di s stesso, l' RNA, che nel cito-
plasma metter in funzione tutti i processi Questi
si svolgono sotto il controllo di sistemi di regolazione in
grado di attivarli o bloccarli.
La cellula si riproduce da s e consente lo sviluppo del-
l'essere vivente quando i due filamenti del DNA si divido-
no ed ogni met viene completata da nucleotidi fabbricati
per azione di certi enzimi. Quando i cromosomi vengono
duplicati dalle loro copie esatte, avviene la mitosi che ter-
mina con la creazione di una seconda cellula. E cos di se-
guito, con le modificazioni che la produzione di cellule e di
organi specializzati previsti dal codice comporta.
170
PRO MEMORIA
Le cellule sessuali prevedono soltanto la met dei cro-
mosomi di ogni genitore, in modo da consentire la mesco-
lanza delle eredit genetiche e la scomparsa di eventuali
piccoli incidenti capitati ai codici.
Tutto ci chiaramente molto complesso e ancora non
perfettamente conosciuto. Ma per quanto ci dato osserva-
re, ogni evoluzione si trova, in linea di principio, ostacolata
da un sistema sostanzialmente conservatore. Ereditariamen-
te, solo una modificazione inscritta nel codice genetico pu
venire trasmessa. E questa pu trovarvisi inscritta solo per
un incidente di riproduzione occorso al momento della du-
plicazione (o sdoppiamento) del DNA. Possiamo facilmen-
te capire come la maggior parte degli incidenti genetici ri-
esca solo a danneggiare la "macchina", se non a provocare
la morte del soggetto. Gli unici incidenti che possono por-
tare ad un' evoluzione sono quelli che, coinvolgendo ele-
menti secondari, non alterano una funzione importante.
171

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