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SSSUB 11/12 Scuola di Dottorato in Scienze Umanistiche 10/05/12

Seminario di Scrittura

COME SCRIVERE UN PAPER ARGOMENTATIVO1


Carlotta Capuccino

È domenica notte e ho un saggio da consegnare lunedì mattina. «Hai già promesso a Dio che se ti tirerà fuori da
questo pasticcio non aspetterai mai più fino alla notte prima della consegna per scrivere il tuo saggio.
Che cosa fare adesso?»

Così si conclude quello che è forse il più diffuso manuale di scrittura filosofica nelle Università di lingua
inglese, soprattutto americane. Si tratta di Philosophical Writing di A. P. Martinich, pubblicato per la prima
volta nel 1989 [lo trovate nella bibliografia di lavoro dell’handout, al numero 13 di p. 4]. Il manuale si ri-
volge principalmente allo studente universitario che durante il suo corso di studi è chiamato a più ripre-
se a scrivere papers d’esame di vario tema e lunghezza. Nell’appendice al volume così intitolata: È domeni-
ca notte e ho un saggio da consegnare lunedì mattina, Martinich riassume per il lettore dell’ultima ora, quello
cioè che non ha ancora letto il libro e ormai non ne ha più il tempo perché la data della consegna è im-
minente, le principali regole pratiche da seguire per scrivere un saggio. Così facendo, sembrerebbe offri-
re al lettore una scorciatoia, una veloce ricetta alternativa per ottenere il miglior risultato possibile nel
minor tempo a disposizione; ma le cose non stanno esattamente in questo modo. In realtà, per poter
distillare le sue istruzioni per l’uso e approntare una strategia che si riveli efficace anche in tempi brevi,
Martinich deve porsi la seguente domanda: che cos’è un saggio? Quali sono i caratteri essenziali che lo
definiscono distinguendolo dalle altre forme di scrittura? Nei prossimi 45 minuti vorrei cercare di ri-
spondere a questa domanda dandovi, come Martinich, quelli che ritengo i consigli essenziali per scrivere
un buon saggio.
Due osservazioni preliminari. (i) Innanzitutto il titolo della presentazione, Scrivere un paper argo-
mentativo, sembra presupporre che vi siano saggi non argomentativi, se consideriamo paper un sinonimo
di saggio. Bene, non è così: quando scriviamo un saggio, anziché per esempio raccontare qualcosa, ciò
che intendiamo fare è sempre saggiare la bontà di una tesi, sia nel senso di dimostrare agli altri la verità di
una tesi che ci persuade (questo è lo scopo del saggio), sia nel senso di mettere alla prova la nostra tesi
sottoponendola all’esame della scrittura come forma di pensiero più rigoroso, come «addomesticamen-
to del pensiero selvaggio», citando il titolo di un bel saggio dell’antropologo di Cambridge Jack Goody
[sull’handout al numero 9]. Quindi paper va inteso nel significato più generico di «scritto», mentre
l’equivalente inglese di saggio è essay. (ii) In secondo luogo – e di conseguenza – la scrittura argomenta-

1 Questo saggio è un esempio di Oral Style, vale a dire è un testo scritto per essere letto davanti a un pubblico. Nello specifico si
tratta del testo – rivisto e aggiornato – di una lezione tenuta per la Scuola di Dottorato in Scienze Umanistiche di Bologna
nel maggio 2012. Il saggio è stato inserito anche nella dispensa del Seminario di Scrittura Filosofica afferente al corso di Sto-
ria della Filosofia Antica dell’Università di Bologna perché racchiude lo spirito del seminario di cui la dispensa è il distillato
(15/11/14).
tiva non è esclusiva della filosofia. Il manuale di Martinich si intitola Philosophical Writing così come la
mia esperienza personale, di cui sono qui a darvi una testimonianza, riguarda la scrittura filosofica, ma
noi scriviamo ugualmente saggi di critica letteraria, filologia, storia, antropologia, ecc.: ogni qualvolta,
cioè, scriviamo per sostenere una tesi, qualunque essa sia, il nostro scritto ha – o dovrebbe ave-
re – carattere argomentativo.
Il primo consiglio che vorrei darvi è in realtà un richiamo all’attenzione. Quello che i manuali
di scrittura argomentativa oggi raramente fanno, pur essendo un genere di pubblicazione piuttosto dif-
fuso, è richiamare l’attenzione sul legame tra scrittura e lettura di un testo argomentativo: le stesse rego-
le che ci permettono di scrivere personalmente un buon saggio ci permettono anche di leggere bene un
saggio scritto da qualcun altro. Ciò significa che se padroneggiamo la scrittura argomentativa abbiamo
al tempo stesso uno strumento efficace per comprendere e valutare il pensiero scritto altrui. Nel caso
della filosofia, questo è particolarmente rilevante perché le fonti con cui abbiamo a che fare, le opere
dei filosofi del passato e del presente, hanno tutte forma argomentativa implicita o esplicita; ma ha valo-
re per qualsiasi genere di saggio nella misura in cui l’autore dovrà perlomeno confrontarsi con la lettera-
tura secondaria sull’argomento, cioè leggere e valutare altri saggi sul medesimo tema o testo.
Il secondo consiglio è di ordine metodologico e consiste nel mantenere separate le due fasi di
lavoro di analisi e sintesi. In altre parole, anche se è senz’altro vero che scrivendo raffiniamo il nostro
pensiero e che quindi a un certo punto del nostro lavoro sarà necessario continuare la ricerca servendo-
ci della scrittura, è altrettanto necessario che prima di iniziare a scrivere il saggio abbiamo svolto almeno
una parte di quel lavoro. Così facendo attenueremo un difetto della scrittura tipico soprattutto delle tesi
di laurea e di dottorato, e spesso anche delle pubblicazioni da esse ricavate: riproporre al lettore tal quale,
cioè senza riorganizzarlo alla luce dei risultati raggiunti, il proprio percorso di analisi, che si tratti
dell’analisi di un testo o di un tema. Questo principio metodologico presuppone insieme un piano di
lavoro efficace che possa orientare la ricerca e una struttura ben articolata dello scritto.
Bene, vediamo allora in successione le due fasi del lavoro cominciando con la fase di analisi.

FASE DI ANALISI
(1) La prima cosa da fare – scrive Martinich all’inizio della sua appendice – è pensare al tema,
all’argomento – nel caso in cui non sia già assegnato: la scelta del tema, dunque, quella che per la reto-
rica classica è l’electio. Parallela alla scelta del tema è la scelta del tipo di saggio che intendiamo scrivere,
per esempio un saggio di lettura di un’opera filosofica o letteraria. Lettura che a sua volta potrà essere
tematica o mirata, cioè volta ad analizzare il tema attraverso l’esame delle occorrenze dei termini chiave
pertinenti nel testo scelto, soffermandosi con attenzione su tutti i passi in cui si tratta di quel tema pre-
ciso. Oppure, in alternativa, una lettura lenta, cioè l’esame filologico di un passo del testo particolarmente
denso o di difficile comprensione. O ancora una lettura di tipo aporetico o strettamente argomentativo, nel
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caso di un’opera filosofica in cui si voglia analizzare la struttura o la forma logica di una certa argomen-
tazione proposta dall’autore. In tutti questi casi, scopo del saggio di lettura è sostenere, cioè dimostrare
o argomentare, la verità di una tesi esegetica. Il saggio di lettura, in altre parole, risponde alle seguenti
domande: ‘Qual è la tesi dell’autore sul tema in questione?’, oppure ‘Qual è la tesi e quali gli argomenti a
sostegno forniti dall’autore in questo passo?’. Ovviamente il saggio di lettura non è l’unico possibile: un
altro tipo di saggio è per esempio il saggio tematico, cioè l’analisi diretta di un tema o un problema fi-
losofico, antropologico, di critica letteraria, ecc., il cui scopo è sostenere una tesi personale, rispon-
dendo a una domanda diversa: non ‘Che cos’è la giustizia secondo Platone nella Repubblica?’, ma ‘Che
cos’è la giustizia tout court?’. Ovviamente anche il saggio tematico presuppone delle letture, in quanto
presuppone che si conoscano almeno le tesi principali già sostenute in merito al tema o al problema af-
frontato.
(2) La seconda fase del lavoro di analisi consiste esattamente in queste letture, cioè nella lettura
delle proprie fonti. Due esercizi che suggerisco agli studenti di filosofia per rendere efficace la lettura di
un testo filosofico, ma che credo possano avere validità più generale, sono i seguenti: (i) in primo luo-
go, come alternativa alla tradizionale schedatura, il diagramma di partizione. Se la fonte principale ha
carattere argomentativo, un buon metodo per fissarne i contenuti già durante la prima lettura è dare una
mappa del testo che lo suddivida nelle sue parti costitutive. Ne avete un esempio a p. 2 dell’handout, do-
ve trovate il diagramma dell’Apologia di Socrate di Platone. Di che cosa si tratta esattamente? Il diagram-
ma di partizione è una mappa che mostra i rapporti tra le parti che costituiscono un testo con il doppio
scopo di catturarne la struttura costitutiva per farci orientare al suo interno, come la piantina di una città
aiuta a orientarsi tra le sue vie, e insieme di fissarne sinteticamente il contenuto. Il principale vantaggio
offerto da questo tipo di sintesi è la visione sinottica del testo che, a prescindere dalla sua lunghezza, si dà
in un’unica immagine che ne rappresenta allo stesso tempo struttura e contenuti. I contenuti stessi ven-
gono in tal modo fissati nel rispetto dei nessi argomentativi e sono rintracciabili all’interno dell’opera
grazie ai riferimenti testuali dati secondo la regola di citazione ufficiale dell’autore: nel caso di Platone,
la paginatura Stephanus. Consultando un diagramma di partizione siamo in grado, per esempio, di rin-
tracciare all’istante tutti i passi del testo in cui ricorre il nostro tema e insieme di vederli nel loro cotesto
proprio, sia adiacente, cioè quanto immediatamente precede e segue ogni passo, sia remoto, cioè l’intera
opera. Esiste inoltre un programma, Inspiration, che con tre semplici mosse permette di realizzare grafi-
camente questi diagrammi ad albero, particolarmente indicati per i testi filosofici o di tipo argomenta-
tivo perché ne ricalcano la struttura, ma anche altri tipi di mappe concettuali in base all’opera di cui si
vuole dare una partizione.
(ii) Il secondo esercizio che suggerisco è il confonto delle traduzioni. Davanti a un’opera anti-
ca, greca o latina, molto spesso ci comportiamo come se non ci fosse alcuna distanza linguistica tra noi
e il testo che stiamo leggendo, nonostante le edizioni economiche ci offrano ormai quasi di regola il te-
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sto originale a fronte della traduzione italiana. È però sufficiente rileggere la “stessa” opera in una di-
versa traduzione per renderci conto che le cose non stanno così, che questa distanza c’è e il più delle
volte è abissale. Come fare se due traduzioni italiane contemporanee della Fisica di Aristotele divergono
al punto da presentarci tesi diverse e talvolta addirittura contraddittorie? La nostra illusione di avere let-
to Aristotele si infrange irrimediabilmente e questo è già un risultato importante perché ci rende consa-
pevoli del problema. Il passo successivo, quello che può compiere anche lo studente che non conosce il
greco antico, per esempio, è confrontare più traduzioni italiane, e magari anche in altre lingue moderne,
per quei passi del testo che risultano più oscuri – perché spesso l’oscurità non è dell’originale ma è pro-
dotta da una cattiva traduzione. Ovviamente questo non basta, pur essendo un buon inizio: scopo re-
moto dell’esercizio di confronto delle traduzioni è capire la necessità di leggere l’originale. E questo,
contrariamente a quanto si può pensare, non vale soltanto per le opere antiche ma anche per quelle
moderne: vale per la Critica della Ragion Pura di Kant, per il tedesco di Ludwig Wittgenstein, per il russo
di Tolstoj, così come vale per le opere in inglese e in francese. Un lavoro scientifico di qualunque ti-
po che miri a stabilire la verità non può prescindere da un confronto diretto con l’originale.
Bene. Al termine di questa seconda fase, cioè la fase di lettura delle fonti, saremo pronti per la se-
conda regola pratica suggerita da Martinich: rendere il tema scelto più specifico, trasformandolo in una tesi.
E il modo più semplice per farlo – scrive Martinich – è trasformare, per es., la frase nominale ‘La natura
degli universali’ – che fissa il tema – in una frase che esprima la propria posizione in merito: ‘Non ci
sono universali (solo i particolari esistono)’. In altre parole, a questo punto dell’analisi il nostro interesse
iniziale per un determinato tema è pronto a tradursi in una posizione da difendere, in una tesi da argo-
mentare dimostrandone la verità.
(3) La terza fase ci allontana momentaneamente dal lavoro testuale o tematico e consiste in
un’indagine esplorativa, in una ricerca bibliografica che ci informi sul panorama degli studi relativi al
tema o al testo di cui ci stiamo occupando per poterci collocare al suo interno. In altre parole, si rende
necessario a questo punto del lavoro un confronto con la comunità degli studi. So che di bibliografia
avete già parlato, quindi mi limiterò a sottolineare due aspetti di questa ricerca: (i) in primo luogo, per
svolgere una ricerca bibliografica efficace è necessario conoscere e consultare i principali repertori che
recensiscono le pubblicazioni relative alla propria disciplina. Questo ci consentirà di compiere una ri-
cerca esaustiva, se l’ampiezza del tema lo consente, o perlomeno di operare una selezione ragionevole (e
non arbitraria) dei titoli disponibili. (ii) In secondo luogo, se ricaviamo da questa ricerca un saggio bi-
bliografico, cioè una bibliografia ragionata suddivisa in paragrafi su base tematica, in sostituzione della
semplice bibliografia di lavoro, diamo un valore aggiunto al nostro contributo, offrendo al lettore un
importante strumento orientativo.
Vediamo ora la fase di sintesi, cioè come rendere conto dei risultati della propria ricerca in forma
scritta. [Da questo momento seguirò lo schema che trovate a p. 1 dell’handout]
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FASE DI SINTESI
Quali sono le parti che compongono un testo scritto? Innanzitutto dobbiamo isolare ciò che fa parte di
quello che propriamente è il testo distinguendolo dal paratesto, secondo la terminologia usata da Gérard
Genette [faccio riferimento al testo n. 8 dell’handout]. Genette dà una definizione mininale di testo co-
me «una successione più o meno lunga di enunciati verbali più o meno provvisti di significato». Mentre
il paratesto, dal greco pará («presso», «vicino», ma anche «oltre», «al di là»), è l’insieme di quegli elemen-
ti che accompagnano e presentano il testo, la zona di passaggio – Genette la chiama «soglia» – che met-
te in relazione il testo con gli elementi che lo circondano a partire da quelli più vicini, che formano la
prima categoria di paratesto: il peritesto (dal greco perí, «intorno a»). Trovate i principali elementi che
formano il peritesto elencati nello schema di p. 1 dell’handout: precedono il testo (1) per i saggi brevi [in rosso
nello schema di p. 1] la copertina, la dedica e il motto eventuali e il sommario e/o abstract; (2) per le mo-
nografie (siano esse tesi o libri a stampa) la copertina e il frontespizio, la dedica e il motto eventuali, l’indice
e la prefazione; seguono il testo le eventuali appendici e la bibliografia; lo accompagnano, posizionandosi in
quelli che Genette chiama «interstizi», i titoli dei capitoli e dei paragrafi e le note a fondo pagina. Il te-
sto, spogliato di questi elementi di contorno, è dunque il saggio vero e proprio, dall’introduzione alla
conclusione.
Il testo argomentativo è per sua natura fortemente strutturato. La struttura portante del saggio è
tripartita, cioè un testo argomentativo compiuto dovrà presentare un’introduzione, una trattazione
centrale e una conclusione ben distinguibili. Già per Platone questa doveva essere la struttura del logos
ben formato, orale o scritto che fosse. Leggiamo infatti in un celebre passo del Fedro:

[…] ogni logos deve essere composto come un essere vivente, dotato di un suo corpo, così da non
risultare privo né di testa né di piedi, ma anzi da avere le parti intermedie e quelle estreme scritte in
modo conveniente l’una all’altra e all’insieme.
Phdr. 264c2-5

Vediamo dunque come si compone ognuna di queste tre parti costitutive del saggio, partendo da intro-
duzione e conclusione, che presentano una struttura speculare. Una buona introduzione consta di al-
meno tre parti: un esordio, cioè un’introduzione generale che ha lo scopo di rendere il lettore attento e
benevolo; la propositio o enunciazione del tema, con lo scopo di rendere il lettore docile, cioè paziente
(deve seguire); la partitio o sintesi della struttura, che invece riguarda lo svolgimento, è una mappa per
il lettore di quanto andrà a leggere. A queste tre parti principali si può aggiungere la prolessi o anticipa-
zione della tesi, significativa soprattutto se la tesi sostenuta nel saggio è originale o paradossale. In caso
contrario si rischia infatti di annullare la suspence; e infine lo status quaestionis, che non riguarda il sag-
gio breve ma è indispensabile nei saggi medio-lunghi come per esempio le tesi di laurea, dove siamo
chiamati a fare il punto della situazione, cioè a rendere conto dei principali orientamenti interpretativi e

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dei risultati raggiunti dalla comunità degli studi in merito al tema trattato. La presenza della partitio, che
ritrae in breve la struttura del lavoro, è una spia di come l’introduzione, benché costituisca di fatto la
prima parte del nostro saggio, e la prima che sarà letta, sia in realtà l’ultima che scriveremo: non pos-
siamo infatti conoscere, e dunque anticipare al lettore, l’esatta articolazione del testo prima di averlo
completato.
Specularmente, la conclusione sarà composta da una ricapitolazione, cioè una sintesi per punti o
mappa delle conclusioni di ogni paragrafo, parallela alla mappa tematica dell’introduzione (la partitio); dalla
prospettiva o agenda, uno spunto per approfondimenti futuri (per sé e per il lettore), che può partire
da una difficoltà non risolta o da un tema accennato e non approfondito nel saggio; e infine dal conge-
do, parallelo all’esordio, che consiste in un commiato dal lettore che non sia affrettato o brutale e de-
termina la sua ultima impressione. È quindi della massima importanza che questa impressione sia posi-
tiva e non negativa; in altre parole, è l’occasione di rendere il lavoro memorabile… Un buon congedo può
avere per esempio la forma di una massima, di un aneddoto, di una citazione o di una domanda (il co-
siddetto congedo aporetico). Prima di congedarsi è inoltre possibile, parallelamente alla prolessi
dell’introduzione, dedicare uno spazio all’enfasi, che sottolinea l’aspetto più importante del lavoro, una
tesi originale o una difficoltà non risolta, richiamandolo all’attenzione del lettore.
Per costruire una buona introduzione, infine, è necessario saperla distinguere dalla prefazione,
che non fa parte del testo ma del paratesto, come abbiamo visto. La prefazione può essere autografa,
quando è scritta dall’autore del saggio, oppure allografa, quando è scritta da altri, come avviene per
esempio nel caso della prefazione di un numero speciale di una rivista o di un volume collettaneo. In
termini generali, le informazioni contenute nell’introduzione riguardano il testo in senso stretto, mentre
quelle contenute nella prefazione autografa, che è quella che ci interessa, riguardano prevalentemente
l’autore. In particolare sono: (i) l’occasione e la ragione teorica che hanno portato l’autore a scrivere quel
saggio piuttosto che un altro – la giustificazione della scelta del tema fa dunque parte della prefazione;
(ii) gli scopi del saggio, cioè a quale pubblico è rivolto e cosa si propone di ottenere; (iii) le indicazioni di
metodo (quale metodo l’autore ha seguito nel suo lavoro) ed eventuali avvertenze al lettore (per esempio un
indice delle abbreviazioni adottate) o note di consultazione; (iv) i ringraziamenti. La prefazione ovviamente
non compare nel saggio breve, che assume come modello l’articolo di una rivista, ma soltanto nel sag-
gio medio-lungo, strutturato come un libro. Se l’introduzione ha il compito di rendere il lettore attento,
benevolo e docile, secondo i dettami della retorica classica, un altro principio retorico per rendere equi-
librato il lavoro è alleggerirlo con una battuta a metà della trattazione. [Per esempio potete leggere
cosa dicono della battuta gli autori del Ricettario di Scrittura Creativa, a p. 415 e seguente – lo trovate al n.
4 della bibliografia sull’handout]

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Veniamo dunque alla parte centrale, al corpo del saggio. Gli ingredienti fondamentali che con-
traddistinguono il saggio o testo argomentativo sono due: la narratio o documentazione e
l’argumentatio, l’argomentazione appunto.
(1) La documentazione consiste nel presentare al lettore i risultati della propria analisi testuale o
tematica. Un buon modo per farlo, che insieme suggerisce anche un modo efficace di condurre l’analisi,
è lavorare sui campi semantici e sulle loro intersezioni e contrapposizioni. Cosa significa questo?
Ogni parola genera un campo semantico, cioè l’insieme dei termini a essa affini per radice e significato,
contrapponendosi ad altri campi e intersecandosi con altri ancora. Prendiamo come esempio il tema del
sogno in Platone. La parola ‘sogno’ (enýpnion in greco) è associata alla parola ‘sonno’ e contrapposta a
‘veglia’ e ‘percezione’: noi sogniamo in senso proprio soltanto durante il sonno, mentre da svegli pos-
siamo fare al massimo dei “sogni a occhi aperti” in senso metaforico. Le parole ‘sogno’, ‘sognare’, ‘son-
no’ fanno dunque parte di uno stesso campo semantico; o meglio ‘sonno’ appartiene a un campo se-
mantico affine perché se il sogno presuppone il sonno, viceversa il sonno non presuppone il sogno,
cioè non ogni volta che dormiamo facciamo un sogno o ricordiamo di averlo fatto. Procedendo
nell’analisi scopriamo poi che per Platone alcuni sogni sono divinatori e dunque il campo semantico del
sogno si interseca con quello della divinazione o mantica: non tutti i sogni sono divinatori così come
non tutta la mantica per Platone è onirica, cioè riguarda il sogno, ma esiste una zona intermedia in cui i
due temi si intersecano, zona che va senz’altro esplorata e resa nota al lettore se vogliamo che la nostra
indagine non risulti parziale. La documentazione, così concepita, prepara il terreno all’argomentazione,
cioè predispone gli elementi che metteranno il lettore in grado di accogliere la tesi del saggio e di capire
gli argomenti che la sostengono.
Veniamo dunque al cuore argomentativo del saggio. La terza regola pratica suggerita da Martinich
è pensare alle ragioni per cui una persona razionale potrebbe ritenere vera la nostra tesi; non solo pen-
sarle – dice Martinich – ma scriverle in un elenco ordinato chiarendo prima di tutto a se stessi quali so-
no le ragioni principali e quali dipendono da quali altre (e questo riguarda ancora la fase di analisi in
preparazione della scrittura), per poi presentarle al lettore. Questo è senza dubbio il massimo che pos-
siamo fare domenica notte se abbiamo un paper da consegnare lunedì mattina… Tuttavia, se il tempo a
disposizione è invece quello standard, se abbiamo fatto le cose per bene, vale la pena di compiere una
riflessione in più. Pensare alle ragioni per ritenere vera la nostra tesi è un buon punto di partenza, ma
potrebbe non essere sufficiente perché di per sé non ci preserva dal rischio di cadere in errori o fallacie
del ragionamento, oppure, nella migliore delle ipotesi, dall’eventualità che i nostri ragionamenti logica-
mente impeccabili risultino poco incisivi e in definitiva non convincano il lettore. Per evitare che ciò ac-
cada è necessario conoscere le basi della teoria dell’argomentazione, cioè sapere almeno a un livello
minimale che cos’è un buon argomento ed essere quindi in grado sia di riconoscerne uno sia di pro-
durlo. [Seguiamo il diagramma di p. 3]
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Martinich definisce l’argomento una sequenza di due o più proposizioni dichiarative, cioè afferma-
zioni e negazioni (enunciati che hanno un valore di verità, cioè che sono veri o falsi), delle quali l’ultima
è la conclusione o la tesi del saggio, cioè la proposizione da dimostrare, tutte le altre sono le premesse,
cioè le buone ragioni per sostenerla. [Trovate questa definizione schematizzata all’inizio di p. 3] Un argo-
mento, banalmente, può essere buono o cattivo. A noi interessa capire come si definisce un buon argo-
mento [ed è quanto trovate riassunto nel diagramma sempre a p. 3 e che ora vi illustrerò]. Un argomen-
to per essere considerato buono deve godere sia di una bontà oggettiva – ed essere quindi stringente – sia
di una bontà soggettiva che, volendola distinguere dalla prima, possiamo chiamare efficacia. Un argomen-
to è buono sul piano oggettivo quando è insieme corretto e cogente. Vediamo dunque nell’ordine i re-
quisiti per la correttezza e la cogenza. La correttezza ha sia un aspetto formale sia uno materiale. La cor-
rettezza formale o validità [ramo sinistro del diagramma] è data dal cosiddetto nesso di conseguenza logica,
per cui è necessario che se tutte le premesse sono vere allora anche la conclusione che ne deriva è vera.
Altrimenti detto: la validità preserva la verità. I principali schemi inferenziali validi li potete trovare con-
sultando il primo capitolo di un manuale di logica elementare [per es. i due consigliati nell’handout, ai nn.
12 e 16]. La validità mi garantisce soltanto che nel caso in cui tutte le premesse siano vere lo sarà anche la
conclusione; dunque per avere un argomento corretto devo accertarmi anche della verità delle premesse
o correttezza materiale [ramo destro del diagramma]. Perché questo sia possibile, innanzitutto la pre-
messa non deve contenere termini ambigui, oscuri o ambivalenti, ma il significato di ognuno deve esse-
re determinato in modo univoco.
Stabilito questo, quando una premessa è vera? Come fare a capirlo? Dipende dalla sua forma. Se,
per esempio, la premessa ha la forma di una congiunzione tra due enunciati, sarà vera a condizione che
entrambi gli enunciati che la compongono siano veri. Un caso frequente è dato dalla premessa di forma
condizionale, se P allora Q, dove P e Q stanno per due enunciati dichiarativi qualsiasi. Come fare a sta-
bilire la verità di un condizionale? Prendiamo il condizionale ‘Se cammino, mi muovo’: questo condi-
zionale è vero perché il suo antecedente (camminare) è condizione sufficiente del conseguente (muo-
versi); in altre parole, è sufficiente che, basta che cammini per muovermi. E insieme il suo conseguente
(muoversi) è condizione necessaria dell’antecedente (camminare), cioè non posso camminare senza
muovermi, è necessario che io mi muova per camminare. Al contrario, il condizionale ‘Se mi muovo,
cammino’ è falso, perché muoversi (l’antecedente) non è condizione sufficiente per camminare e cam-
minare (il conseguente) non è condizione necessaria per muoversi. In altre parole, posso benissimo
muovermi senza camminare, per esempio alzando un braccio.
Affinché il nostro argomento sia oggettivamente buono, oltre al requisito della correttezza (for-
male e materiale) deve rispettare anche quello della cogenza. Rendono riconoscibile
un’argomentazione cogente la pertinenza e l’informatività delle sue premesse. Le premesse, cioè, devo-
no essere pertinenti alla conclusione (devono avere a che fare con quanto detto nella conclusione) e in-
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sieme informative, cioè dire qualcosa di nuovo (qualcosa di originale, che il lettore impara per la prima
volta, o di insolito), o qualcosa che produce una nuova prova a sostegno della tesi, cioè rende interessante
una tesi di per sé banale. Basti pensare all’esempio illustre del cogito cartesiano: ‘Cogito ergo sum’, o ‘Cogi-
to, sum’ nella sua versione originale. ‘Sum’ è la tesi, di per sé banale, ‘Cogito’ l’argomento che produce una
prova non banale a sostegno della tesi, rendendola interessante.
Infine, l’efficacia o bontà soggettiva. Un argomento impeccabile sul piano oggettivo, cioè insieme
corretto e cogente, può non bastare se non tiene conto del suo destinatario. Un argomento, cioè, per
essere un buon argomento anche sul piano soggettivo, deve rendersi persuasivo o convincente. Nor-
malmente si parla di persuadere un uditorio particolare, per esempio un’assemblea o il pubblico di una
performance teatrale, servendosi non solo di strumenti razionali ma anche facendo leva sulle emozioni;
mentre si parla di convincere un uditorio universale come i lettori di un saggio, facendo appello esclu-
sivamente all’uso universale della ragione. Per convincere i nostri lettori abbiamo almeno due carte da
giocare, e da giocare insieme: (i) in primo luogo produrre il maggior numero di prove o argomenti a fa-
vore della tesi che proponiamo, fornendo una ricca documentazione posta al servizio di
un’argomentazione stringente. Per rendere ancora più efficace la nostra argomentazione possiamo inol-
tre concluderla con una refutatio. In altre parole, se dopo aver presentato le buone ragioni, gli argomenti
a favore della tesi, siamo noi stessi ad anticipare le possibili obiezioni muovendole contro gli argomenti
più forti che siamo capaci di pensare, rispondendo poi a queste obiezioni renderemo più forte la tesi
stessa.
(ii) La seconda carta da giocare, ma non meno importante, è fare tutto questo in un modo che
risulti chiaro, preciso, ordinato e semplice. Queste sono le qualità che secondo Martinich dobbiamo
assegnare alla nostra scrittura argomentativa. Ciò significa che il saggio, il testo argomentativo, ha un
suo stile preciso, uno stile che occorre rispettare se vogliamo ottenere il miglior risultato possibile. Un
ottimo esempio di queste qualità stilistiche è il saggio di Andrea Iacona intitolato L’argomentazione [lo
trovate sull’handout al n. 11], una lettura che vi consiglio perché credo vinca la sfida di riuscire a scrivere
un’introduzione alla teoria argomentativa in semplice prosa italiana, cioè senza avvalersi dell’ausilio di
simboli e altre notazioni logiche, compresi gli esercizi. Un’introduzione, quindi, alla portata di qualun-
que lettore che possa far uso della ragione.
Per concludere, due considerazioni: (1) La prima riguarda la forma. Se è vero che la scrittura ar-
gomentativa vuole un suo stile preciso – quello che abbiamo appena descritto – vale anche il principio
più generale per cui la forma è almeno in certa misura specchio del contenuto: come una scrittura con-
fusa nasconde probabilmente pensieri confusi, così una scrittura trascurata dal punto di vista formale
spesso rivela una trascuratezza anche nel modo di condurre il lavoro di analisi. È necessario quindi che
a una buona articolazione del saggio corrisponda una cura per i dettagli formali. Si tratta cioè di ap-

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plicare alla propria scrittura un sistema coerente di norme redazionali, dall’impostazione della pagina ai
riferimenti in nota, dalle citazioni all’uso di corsivi e virgolette.
(2) La seconda considerazione riguarda invece il contenuto. Ho letto anche di recente, su un ma-
nuale introduttivo alla scrittura delle tesi di laurea in scienze umane, che in una tesi teorica, cioè non
sperimentale, lo studente non è ancora in grado di sostenere alcuna tesi (e non si capirebbe allora perché
la chiamiamo così), e deve quindi limitarsi [cito] ad «allestire un’onesta rassegna di opinioni qualificate»,
perché «non [ha] nulla da dimostrare se non la [sua] capacità di maneggiare le fonti». Assolutamente no.
La natura stessa del saggio, e cioè del genere di scrittura cui le tesi di laurea e di dottorato appartengo-
no, così come le esercitazioni d’esame, è argomentativa; dunque se scrivete un saggio è bene sosteniate una
tesi, qualunque essa sia, con i migliori argomenti che avete a disposizione.
Bene: è giovedì mattina, ho consegnato il mio paper, vi ringrazio per l’attenzione.

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SSSUB 11/12 Scuola di Dottorato in Scienze Umanistiche 10/05/12
Seminario di Scrittura

COME SCRIVERE UN PAPER ARGOMENTATIVO


Carlotta Capuccino

1. LA STRUTTURA DEL SAGGIO

Saggio

P eritesto P eritesto

Sommario e/o
Copertina/
[Dedica] [Motto] Abstract/ P refazione
Frontes pizio Note [Appendici] Bibliografia
Indice

Titolo/ Occas ione/ Metodo/


Intestazione Dati pers onali Scopi Ringraziamenti Testo A fondo A fine Bibliografia di Saggio
Sottotitolo Giustificazione Avvertenze
pagina documento Lavoro Bibliografico

Introduzione Trattazione Conclus ione

Status Narratio/ P rospettiva/


Esordio Propos itio Partitio [P roless i] Argumentatio Ricapitolazione [Enfasi] Congedo
Quaestionis Documentazione Agenda

Campi
tematici/ Intersezioni Tesi Conferma Mass ima Aneddoto Citazione Domanda
semantici

P ers onale/ Argomenti a Argomenti


Esegetica favore contro
Filos ofica
(Probatio) (Refutatio
)

Saggio Saggio
di Lettura Tematico
2. IL DIAGRAMMA DI PARTIZIONE

Pl . Ap.
17a-42a = 25 pp. S t.

Dife s a +220 C ontro-Pe na +140 C onge do


17a1-35d8 –280 35e 1-38b9 –360 38c1-42a5

P roemio P ritaneo Trenta Mine –Giudici +Giudici


17a1-18a6 35e1-37a1 37a2-38b9 38c1-39d9 39e1-42a5

Il Servizio al P erorazione
Accuse/A ccusatori una vita senza esame...
Dio Finale Vaticinio Morte
18a7-28b2 38a5-6
28b3-34b5 34b6-35d8

Antichi Recenti Ricapitolazione Temere la Morte Sonno


Trasmigrazione
18a7-24b2 24b3-28a1 28a2-b2 28b3-30c1 senza Sogni

Naturalista/Sofis ta Corruzione/Empietà Un Dono del D io


18a7-20c3 24b3-c3 30c2-31c3

L'Oracolo Delfico Corruzione P rivato Cittadino


20c4-22e5 24c4-26a7 31c4-33a5

Inimicizie Empietà Maes tro di N ess uno


22e6-24b2 26a8-28a1 33a5-34b5

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3. IL BUON ARGOMENTO

A D, infatti (o perché) A, B e C P → Q (se P, allora Q)


B C → M (se Cammino, allora mi Muovo): Vero
C (premesse/buone ragioni) M → C (se mi Muovo, allora Cammino): Falso
_________ quindi
D (conclusione/tesi)

BUO N
ARG OMENTO

STRIN GENTE E EFFICA CE


(Bontà O ggettiva) (Bontà Soggettiva)

CORRETTO E COG ENTE CON VINCENTE O P ERSUASIVO

VALID O A P REMESSE VERE Uditorio Uditorio


E P ertinente E Informativo
(Correttezza Formale) (Correttezza Materiale) Universale P articolare

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4. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

[1] G. L. Beccaria (a cura di), Dizionario di linguistica e di filologia, metrica, retorica (1994), nuova edizione, Torino: Einaudi, 2004.
[2] M. Beltramo / M. T. Nesci, Dizionario di stile e scrittura, Bologna: Zanichelli, 2011.
[3] G. Boniolo / P. Vidali, Strumenti per ragionare, Milano: Bruno Mondadori, 2002.
[4] S. Brugnolo / G. Mozzi, Ricettario di scrittura creativa, Bologna: Zanichelli, 2000.
[5] C. Demaria / R. Fedriga, Il paratesto, Milano: Sylvestre Bonnard, 2001.
[6] U. Eco, Come si fa una tesi di laurea, Milano: Bompiani, 2001.
[7] D. Feroldi / E. Dal Pra, Dizionario Analogico della Lingua Italiana, Bologna: Zanichelli, 2011.
[8] G. Genette, Soglie: I dintorni del testo (1987), traduzione di C. M. Cederna, Torino: Einaudi, 1989.
[9] J. Goody, The Domestication of the Savage Mind, Cambridge: C.U.P., 1977 (trad. it. di V. Messana, L’addomesticamento del pensiero selvaggio, Milano: Franco Angeli,
1990).
[10] A. Grafton, La nota a piè di pagina: Una storia curiosa, Milano: Sylvestre Bonnard, 2000.
[11] A. Iacona, L’argomentazione, Torino: Einaudi, 2005.
[12] E. J. Lemmon, Elementi di logica con esercizi risolti (1965), traduzione di M. Prampolini, Roma-Bari: Laterza, 1986.
[13] A. P. Martinich, Philosophical Writing: An Introduction (1989), Second Edition, Englewood Cliffs, NJ: Prentice Hall, 1996.
[14] B. Mortara Garavelli, Prontuario di punteggiatura, Roma-Bari: Laterza, 2003.
[15] A. Nocentini / A. Parenti, L’Etimologico: Vocabolario della lingua italiana, Firenze: Le Monnier, 2010.
[16] D. Palladino, Corso di logica: Introduzione elementare al calcolo dei predicati, Roma: Carocci, 2002.
[17] Platone, Fedro, a cura di Roberto Velardi, Milano: BUR, 2006.
[18] M. Santambrogio, Manuale di scrittura (non creativa) (2006), Roma-Bari: Laterza, 20082.
[19] Treccani.it: L’Enciclopedia Italiana, Vocabolario (http://www.treccani.it/vocabolario/).
[20] L. Truss, Virgole, per caso, Casale Monferrato: Piemme, 2005.

© Carlotta Capuccino
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