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▪ «E’ questo d’altronde il primo postulato “scientifico” per un corretto rapporto con un testo
scritto: sapere cosa è, per cosa è stato composto, e poi rispettare la natura e l’intenzionalità
attraverso un metodo investigativo ad esso adeguato. In realtà, questo è il modo normale e
addirittura spontaneo con cui di solito ci si situa davanti ad uno scritto. A nessuno verrebbe in
mente di leggere una favola di Fedro o di La Fontaine come se fosse un trattato di etiologia sul
comportamento degli animali. Allo stesso modo, non si può leggere un testo di fede come se
fosse solo un brano di letteratura antica, uguale a quelli di tante altre culture similari. Né,
all’inverso, si potrà assumerlo solo nella sua rivelazione divina senza tener conto del fatto che
essa è mediata da una composizione letteraria».
Cf. B. CO S TA C U RTA , «Esegesi e lettura credente», Gregorianum 73 (1992) 740-741
▪ Nella sacra Scrittura dunque, restando sempre intatta la verità e la santità di Dio, si manifesta
l’ammirabile condiscendenza della eterna Sapienza, «affinché possiamo apprendere
l’ineffabile benignità di Dio e a qual punto egli, sollecito e provvido nei riguardi della nostra
natura, abbia adattato il suo parlare». Le parole di Dio infatti, espresse con lingue umane, si
son fatte simili al parlare dell’uomo, come già il Verbo dell’eterno Padre, avendo assunto le
debolezze dell’umana natura, si fece simile all’uomo.
Cf. Dei Verbum, 13
▪ Teniamo in debito conto la triplice dimensione di un adeguata investigazione esegetica:
1) l’intenzione dell’autore
2) l’intenzionalità del testo COMUNICAZIONE TESTUALE
3) l’incontro con il/i lettore/i
Formazione… …Ermeneutica
TE S T O
Autore/i Lettore/i
Forma
Cf. J.J. OW E N S , Analytical Key to the Old Testament, IV. Isaiah – Malachi, Grand Rapids (MI)
1989.
▪ La domanda in questo ambito invece è: Qual è il significato delle parole e delle espressioni?
▪ Prima di intraprendere una ricerca per risolvere i problemi, il vero problema è…identificare i problemi! Infatti,
generalmente ci sono tante parole ed espressioni che non vanno studiate, perché non fanno nessuna difficoltà
per la comprensione del testo
▪ I passi che si possono compiere sono almeno tre:
1. Porre a se stessi delle domande: «Questo testo l’ho letto molte volte, ma se ci penso attentamente, cioè
quando lo voglio “leggere col dito” che cosa significa esattamente questa espressione?
2. Consultare varie traduzioni del testo per rendersi conto se alcune parole sono tradotte in differente modo
(talvolta questo indica un problema)
3. Consultare i commentari e i dizionari (linguistici, biblici, le concordanze) che studiano e discutono
solitamente le diverse soluzioni proposte
Cf. F. BR O W N ̵ S.R. DR IV E R ̵ C.A. BR IG G S , A Hebrew and English Lexicon of the Old Testament, Oxford
1906 (The New Brown-Driver-Briggs-Gesenius Hebrew and English Lexicon with an Appendix Containig the
Biblical Aramaic, Peabody 1979); L. AL O N S O SC H Ö K E L , Dizionario dell’ebraico biblico, Cinisello Balsamo
(MI) 2013; J. BO T T E RW E C K ̵ H. RIN G G R E N ̵ H.-J. FA B R Y, ed., Grande lessico dell’Antico Testamento,
Brescia 1988-2010; E. JE N N I ̵ C. WE S T E R M A N N , ed., Dizionario teologico dell’Antico Testamento, Torino
1978, 1982.
▪ Il punto di arrivo delle operazioni precedenti: la traduzione deve cercare di essere molto fedele
all’originale, rispettando soprattutto le ripetizioni lessicali e l’ordine della parole nel testo.
▪ La funzione di questa traduzione è quella della ricerca esegetica.
Cf. J. KOHLENBERGER III, The Interlinear NIV Hebrew- English Old Testament, Michigan 1987;
R. REGGI, ed., Isaia. Traduzione interlineare in italiano, Bologna 2005.
▪ Riprendendo in un certo senso la scuola della Literarkritik si cerca di individuare il processo
storico-genetico che, a partire da tradizioni e fonti differenti, ha portato attraverso differenti
tappe redazionali al testo così come è nel suo stato finale.
▪ La critica letteraria ritiene che il testo finale, se non sempre corrotto, è almeno poco coerente in
alcuni suoi punti, o quanto meno conserva alcuni indizi o tracce delle diverse fonti e delle
successive modifiche redazionali (ricerca delle incoerenze, delle contraddizioni, delle rotture
logiche, dei doppioni…)*.
▪ Si potrà accennare alla posizione e ai risultati di alcuni commentari in proposito…
Cf. H. SIM IA N -YO F R E , ed., Metodologia dell’Antico Testamento, CSB, Bologna 1994.
▪ Il testo finale è portatore della Parola di Dio. Alcune metodologie di stampo sincronico, come
l’ARB (o RBS), sebbene non neghino che il testo abbia avuto una sua storia redazionale
(anche se spesso mettono in questione alcuni principi operativi assolutizzati della critica
letteraria), tuttavia pensano che il testo finale abbia una sua coerenza e sia pienamente
portatore di senso.
▪ Proprio lo studio della composizione del testo, nel suo stato finale, ha come scopo quello di
ricavarne la logica, e dunque il senso!
▪ La retorica biblica (intesa come modo di esprimersi proprio di una cultura antica per veicolare
un messaggio) ha riconosciuto che il campo della Scrittura biblica, sia quando narra, quando
espone, sia nella lirica poetica come nella preghiera, è intessuto secondo caratteristiche
proprie.
▪ La struttura essenziale di questa retorica è basata sulla binarietà o deuterosi e sulla paratassi o
giustapposizione degli elementi: più che ricercare la dimensione appropriativa del pensiero, la
retorica dei testi biblici ha carattere enigmatico e invita il lettore alla riflessione.
▪ Il fondamento essenziale della deuterosi, determina strutture compositive tipiche, fondate sul
parallelismo e sul concentrismo (+ struttura speculare).
▪ Tale retorica, scoperta secoli prima nel mondo anglosassone, e studiata per mezzo di molti
esempi, ha la sua trattazione metodologica fondamentale nel Trattato di retorica biblica del
P. Roland Meynet (2008).
Cf. R. MEYNET, «Un nuovo metodo per comprendere la Bibbia: l’analisi retorica», CivCatt
(1994) III, 121-134 [aggiornato a 17.11.2006], in 8 lingue:
http://www.retoricabiblicaesemitica.org/arb_articolo_it.html; J. ONISZCZUK, «L’analisi retorica
biblica e semitica», Gregorianum 94 (2013) 479-501.
Dobbiamo parlare in realtà di almeno due tipi di «contesto»:
1. Contesto culturale: si cercheranno in questo tipo di approfondimento tutte le informazioni
necessarie riguardanti la geografia, la storia e le istituzioni (nell’esegesi tradizionale sono
dette i realia).
2. Contesto testuale: questa operazione consiste – nella misura in cui il testo lo richiede – nel
notare i rapporti tra il testo ed altri testi della Bibbia.
▪ Per esempio: se un testo cita un altro testo, o allude a un altro testo o avvenimento dell’AT, o
se è possibile riconoscere un certo riferimento a un testo, personaggio o evento. In tutti questi
casi, è necessario studiare questi luoghi scritturistici, perché senz’altro saranno importanti (se
non necessari) per capire meglio il testo studiato.
▪ E’ utile chiedersi anche a quale «genere letterario» o «forma» il testo appartenga e
probabilmente confrontarlo con quelli simili. In questo senso, sarà utile domandarsi quali sono
le caratteristiche comuni, ma anche cosa lo differenzia da tutti gli altri.
▪ Ogni vero e serio lavoro esegetico deve portare qui: all’interpretazione del testo.
▪ L’interpretazione permette di entrare nel campo della teologia per poter dire qualcosa su Dio,
ma anche lasciare dire a Dio qualcosa.
▪ Bisogna oltrepassare così, «la porta della forma» ed entrare nel senso del testo, azzardare cioè
una ermeneutica. Occorre domandarsi se il lavoro esegetico e l’applicazione metodologica
siano fatti solo per ripiegarsi su se stessi, o non piuttosto per riconoscere che nei testi c’è
qualcosa che invita a oltrepassarne i limiti, per renderli attuali ad ogni epoca, ad ogni
situazione.
▪ Nel caso del Servo, l’approdo all’interpretazione per mezzo dell’analisi della loro
composizione e del loro contesto, dovrebbe aiutarci a rispondere a una domanda…o quanto
meno a comprendere le risposte date dalla storia dell’interpretazione ebraica e cristiana:
Chi è questo Servo? Qual è la sua missione?
▪ Bisogna distinguere tra retorica classica, greco-latina, e retorica biblico-semitica.
▪ La retorica classica nacque in Grecia nel IV sec. a.C., con Aristotele: si è sviluppata a partire
dagli oratori che parlavano sull’agorà (questioni politiche, tribunale…), e suo intento iniziale
fu quello di convincere gli ascoltatori e di piacere per convincere meglio.
▪ La dispositio per la retorica classica è di tipo lineare-dialogica: a partire da premesse, il
ragionamento deve poter progredire secondo argomentazioni e prove, fino a una conclusione in
cui l’ascoltatore/lettore si trova guidato per aderire alle idee di colui che parla/scrive.
▪ La retorica classica, sebbene dominante, non è stata, né è l’unica modalità espressiva: ci sono
altre retoriche!
▪ Esiste una retorica biblica, o più ampiamente detta semitica, perché riguarda l’intera area
geografica e culturale del VOA. Lasciando da parte i testi babilonesi, ugaritici, ma anche
egiziani, la retorica biblica è definita in questo modo giacché è stata principalmente «scoperta»
a partire dai testi biblici.
▪ La «scoperta» della retorica biblica in realtà è molto recente: perché non esisteva una vera e propria
«codificazione scritta» delle sue regole:
«Gli israeliti seppero apprezzare i loro testi e libri non solamente come testi sacri, ma anche come testi letterari e poetici […]
Ciò che mancò loro, fu piuttosto il supporto di una riflessione teorica e sistematica, attività che fu introdotta da Aristotele e
dominò incontrastata nella nostra cultura occidentale. E’ possibile l’esistenza in Israele di scuole di poesia che, come accadde
per altre scuole d’arte, custodivano e tramandavano regole pratiche della professione. Queste regole pratiche avrebbero
costituito in embrione una poetica ebraica formulata dagli stessi ebrei. Se questa collezione di regole con le proprie definizioni
è esistita, non ha lasciato tuttavia tracce identificabili. Man mano che si rafforzò la coscienza del carattere sacro dei testi,
sbiadì la percezione del loro valore letterario e poetico. Accadde così che, mentre gli ebrei continuarono a comporre testi
letterari (che chiamiamo apocrifi) e studiarono con meticolosa passione i loro testi canonici, trascurarono quasi completamente
la loro dimensione letteraria. Contemporaneamente, la tradizione viva del ritmo poetico cadde nell’oblio e si andò avanti
soltanto con servili imitazioni di contenuti. A contatto con la cultura greca, gli ebrei non furono in grado di creare una retorica
e una poetica propria».
Cf. L. AL O N S O SC H Ö K E L , Manuale di poetica ebraica, BiBi(B) 1, Brescia 1989, 11.
▪ Scoperta del «parallelismus membrorum»: La scoperta della struttura del verso ebraico è
attribuita a un professore di poesia, Robert Lowth, che insegnò all'Università di Oxford nel
diciottesimo secolo. Nel 1753 pubblicò le sue Lezioni sulla sacra poesia degli Ebrei.
Ciò che i posteri hanno universalmente apprezzato è la sua diciannovesima lezione su quello
che egli chiama "il parallelismo delle membra". Ecco il primo esempio che fornisce:
1
beṣē’t yiśrā’ēl mimmiṣrāyim,
bêt ya‘ăqōb mē‘am lō‘ēz
1
Quando-uscì Israele dall’Egitto,
la casa di Giacobbe da un popolo barbaro (Ps 114,1)
3
hayyām rā’āh wayyānōs,
hayyardēn yissōb le’āḥôr :
4
hehārîm rāqdû ke’êlîm,
gebā‘ôt kibnê– ṣō’n : 1. La binarietà o deuterosi
5
mah–lekā hayyām kî tānûs,
hayyardēn tissōb le’āḥôr :
6
hehārîm tirqedû ke’êlîm, 2. La paratassi
g bā‘ôt
e
kibnê– ṣō’n :
3
Il mare vide e fuggì,
Il Giordano si volse indietro.
4
Le montagne saltellarono come arieti,
Le colline, come figli del gregge.
5
Cosa-a-te, mare, che fuggi,
Giordano, che ti volgi indietro ?
6
Montagne, che saltellate come arieti,
colline, come figli del gregge ?
▪ Tutti questi segmenti, Lowth li chiama «sinonimici», ma esiste una seconda categoria di
parallelismo, «il parallelismo antitetico», in cui i due membri si oppongono: