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* Prolusione al XVI Congresso AISLLI, «La lotta con Proteo. Metamorfosi del
testo e testualità della critica» (Los Angeles 6-9 ottobre 1997).
Non voglio fare una difesa del sensus litteralis. Voglio però ri
cordare un principio linguistico fondamentale di cui molti si di
menticano. E cioè che significante e significato sono indissolubili.
Qualunque opera è, in primissima istanza, la successione di signi
ficati che la costituisce. Ogni benché minimo mutamento dei signi
ficanti la muterebbe del tutto. Se l'Ariosto avesse lasciato il suo te
sto come pubblicato nel 1516 ο nel 1521, i critici parlerebbero di
un Orlando furioso ben diverso da quello che ora studiano; se Leo
pardi avesse lasciato scritto «Dal celeste confine» invece che «De
l'ultimo orizzonte», oppure «fra questa / Immensitade il mio pen
sier s'annega» invece che «tra questa / Immensità s'annega il pen
sier mio», l'Infinito andrebbe interpretato in tutt'altro modo da co
me si fa oggi. I significati, è vero, proliferano incessantemente; ma
proliferano a partire da un dato testo, e solo da questo.
Scusatemi se, come studioso di critica testuale, userò metafori
camente i miei strumenti di ricerca per ribadire, concludendo, ciò
che ho detto sinora. Noi possiamo vedere la proliferazione dei si
gnificati come un'arborescenza che si va estendendo sempre più a
partire dal testo letterario: un albero che continua ad allargarsi. Ci
sono certo degli sterpi, ο rami interi che costituiscono sviluppi ma
ligni e magari mortali. Questo grande albero andrebbe ripercorso
all'indietro, verso il testo base, verso la sua realtà significante, così
come fa la critica testuale ο ecdotica. L'ecdotica infatti, ricostruita
la genealogia dei manoscritti, risale progressivamente ai nodi prin
cipali della tradizione, sino ad avvicinarsi all'archetipo, espungendo
Cesare Segre