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Pubblicazione del Dipartimento di Musicologia
Liceo “Candida Lena Perpenti” – Sondrio
Il curatore ringrazia il Dirigente Scolastico del Liceo “C. Lena Perpenti” di Son-
drio, Dott.ssa Maria Grazia Carnazzola, per l’appoggio dato al progetto, avendo-
ne compreso tutti i presupporti didattici e metodologici che lo caratterizzano.
In copertina: Carlo Saraceni, Santa Cecilia, particolare, inizio secolo XVII, Roma,
Galleria Nazionale d’Arte Antica
Storia della musica
dal Medioevo al Novecento
a cura di
Gennaro Tallini
Copyright © MMVII
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
info@aracneeditrice.it
ISBN 978–88–548–1149–2
p. 49 1. Introduzione
55 2. Vincenzo Giustiniani, Discorso sopra la musica de’ suoi tempi
5
6
9
10 Introduzione
G. T.
1.
L’ITALIA TRA VIII E XI SECOLO: DUE CASI
13
14 Gennaro Tallini
na, Pontecorvo), appartenenti a zone geografiche o subalterne all’area Aurunca o non compre-
se in quella eppure fortemente legate alle forme, alle strutture ed ai contenuti espressi in essa.
La funzione attrattiva, rende soprattutto Gaeta, ma anche l’area Aurunca, autentici poli irra-
dianti cultura nel complesso delle zone limitrofe circostanti, determinando una zona autoctona
- stilisticamente unitaria a diversi livelli e modelli - ed una realtà interdisciplinare autentica,
elaborata grazie alle caratteristiche progettuali dai singoli autori messe in atto al momento di
creare lo stesso oggetto artistico.
2
RONCAGLIA A., Le origini, in Storia della letteratura italiana, diretta da E. CECCHI e N.
SAPEGNO, vol. I, Garzanti, Milano, 1965, pp. 3-224. Al riguardo della prima pubblicazione del
Diverse espressioni letterarie in Italia tra VIII e XI secolo 15
Placito capuano del 960, essa si deve alla cura dell’abate cassinese Erasmo Gattola, nobile
gaetano, che la inserì nella Ad historiam abbatiae Casinensis, t. I, Venezia, 1734, pp. 68-69
(in sèguito ripubblicato integralmente in RONCAGLIA A., idem, vol. I, Garzanti, Milano, 1965
pp. 152-164). Segnaliamo qui l’opera di Erasmo Gattola perché, studi siffatti, coincidono con
quella corrente erudita che negli stessi anni sta facendo nascere la moderna storiografia lette-
raria; non sia un caso che, luogo e anno di stampa dello scritto dell’autore Gaetano, coincida-
no con l’anno ed il luogo di stampa dell’opera, in nuce, del valtellinese Francesco Saverio
Quadrio (Della ragione della volgar poesia, Venezia, 1734), in cui si avanzano ipotesi di va-
lidità estetica e letteraria della poesia italiana nella stessa maniera in cui, Gattola, riscontra nel
campo storico-documentale, la medesima necessità.
16 Gennaro Tallini
3
Biblioteca Nazionale Marciana, lat. XIV 232. Per le testimonianze udinesi invece, cfr.
SCALON C., La biblioteca arcivescovile di Udine, Medioevo ed Umanesimo, vol. 37, Anteno-
re, Padova, 1979, pp. 109-110; TURRI G., Breviaro monastico corale pomposiano del sec. XI
(Udine, biblioteca arcivescovile, codice 79): prime ricerche, in «Analecta pomposiana», V,
1980; Le polifonie primitive in Friuli e in Europa, atti del congresso internazionale di Civida-
le del Friuli, 22-24 agosto 1980, a cura di G. CORSI e P. PETROBELLI, Roma, Torre d’Orfeo,
1989.
4
HESBERT R. J., Corpus antiphonarium officii, voll. I/VI, in Rerum ecclesiasticarum do-
cumenta, series maior, fontes 7-12, Herder, Roma, 1963-1979.
Diverse espressioni letterarie in Italia tra VIII e XI secolo 17
8
ROPA G., La tradizione marciana e l’area emiliano-romagnola, in Da Bisanzio a S.
Marco. Musica e Liturgia, a cura di G. CATTIN, Fondazione Levi-il Mulino, 1997, p. 268. Lo
stesso fatto, pur avendo soltanto testimonianze manoscritte, possiamo registrarlo anche in quel
di Lucca, con il Messale 606 conservato alla biblioteca capitolare - di notevole pregio non
solo musicale, ma anche artistico e sicuramente meritevole di attenzioni critiche maggiori - in
cui, le desinenze culturali beneventane sono evidentissime e non certo dovute soltanto alla
comune appartenenza al popolo longobardo e/o agli scambi che le due città, proprio in virtù di
quella comunanza, hanno potuto condividere. Le differenze quindi, sono dovute essenzial-
mente a variazioni esecutive, di liturgia, di calendario e di diverso uso dei rispettivi santorali e
messali.
Diverse espressioni letterarie in Italia tra VIII e XI secolo 19
9
Una commissione cinquecentesca di altri libri corali, dimostra sia la presenza, ancora in
quel periodo, nel territorio, di abili miniatori, sia la vitalità delle sue cappelle musicali («Ad
officium dicti sacristae spectat, missis, et alijs divinis officijs bene, et diligenter gubernare
dicta ecclesiam omnibus temporibus [...] et singulis diebus cantetur matutinum in aurora,
seu ante, inde missa: et postea dicatur prima, tertia, sexta et nonam: et postea horis congruis
cantetus vesperae, et completorium: et secundum oportunitatem celebrari debeant missae
planae, ordinate una posta aliam [...]», Statuta, I, CCLXXXX). Il sacrista, «pro maiori so-
lemnitate et devotionem», organizzava, nell’anniversario della dedicazione della chiesa della
Annunziata, una sacra rappresentazione ad argomento mariano che prevedeva, in fine, la ese-
cuzione di un canto gregoriano «altam vocem ut bene audiatur ob multitudinem gentium».
Diverse espressioni letterarie in Italia tra VIII e XI secolo 23
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28 Eugenio Tirelli
G A B C D E F G a b+ c d e f g aa bb cc dd.
zione, infatti, sono del primo modo; la terza e la quarta del secondo, la
quinta e la sesta del terzo, la settima e l’ottava del quarto. Per questo,
dunque, si dicono otto toni, perché hanno otto intonazioni. Per cui i
Greci, molto meglio, al posto di “primo e secondo tono” dicono “pri-
mo principale” e “di primo colpo”, al posto di “terzo e quarto tono”
“secondo principale” e “di secondo colpo”, al posto di “quinto e sesto
tono”, “terzo principale” e “di terzo colpo”, al posto di “settimo e ot-
tavo tono”, “quarto principale” e “di quarto colpo”. Quello che i Greci
indicano come “protum, deuterum, tritum, tetrardum” noi definiamo
primo, secondo, terzo, quarto, e quello che essi definiscono “principa-
le” noi lo chiamiamo maggiore e alto o acuto. In latino possiamo defi-
nire il “colpo” come soggiogato o minore o grave.
Deve, certamente, conoscere queste otto intonazioni dei modi so-
prattutto chiunque voglia acquisire competenza nel canto, perché pos-
sa cogliere in quale modo nei singoli canti dei modi qualsiasi neuma o
voce risuoni. Inoltre, sebbene io abbia detto che la prima, la seconda e
la terza nota concordano con la quarta, la quinta e la sesta, in questo,
però, differiscono e non esprimono in modo simile tutti i neumi, come
a, b+, c hanno, dopo di sé, nell’abbassamento tre toni, davanti a sé,
nella elevazione, due toni; ma, in verità, D, E, F hanno soltanto un to-
no nell’abbassamento, tre toni, invece, nell’elevazione. Dunque molti
canti sono dello stesso modo, ma non dello stesso suono.
Alcuni, però, che colgono meno questa differenza, aggiungono una
nota negli acuti fra la prima e la seconda, perché ci siano due seconde,
e risultino due toni e un solo semitono dopo D, E, F, così come dopo
a, b+, c in elevazione e, di nuovo, d, e, f acute possono essere abbassa-
te con due toni, così come a, b, c fino al punto in cui sia nulla la diffe-
renza fra D, E, F e a, b+, c in quanto ciò che può essere cantato in a,
b+, c lo può essere anche in D, E, F.
Affinché, comunque, alle singole note permanga la loro proprietà, è
meglio che si osservi bene la natura dei canti e, là dove sembri che i
canti comprendano tre toni, questo avvenga in c, d, e, f, soprattutto
perché, per l’aggiunta di questa nota, può nascere nei semplici una
grandissima confusione. Infatti, se ci sono due seconde dopo la prima,
ove l’una si congiunga con la prima stessa con un semitono, l’altra
con un tono è facile notare come questa stessa prima, e perciò anche le
altre note contigue abbiano due toni, come la prima, se la segue un
Lettera di Guido d’Arezzo 35
1
Testo di F. Petrarca (1304-1374). Canzone CXXVI in 5 stanze, miste di endecasillabi e
settenari. Lo schema è: abC, abC; c, dee, DfF (GhH nel commiato alla fine della quinta stan-
za). La fronte del componimento è divisa in due piedi di due settenari e di un endecasillabo
ciascuno: la sirma, dopo il verso a chiave, sboccia in settenari, interrotti al quinto verso da un
endecasillabo e poi, dopo un altro settenario, è conclusa da un endecasillabo a rima baciata
con il settenario che lo precede. La presunta data di stesura è il 1345. Composizione polifoni-
ca a quattro parti tratta dal II libro delle Muse, a 4 voci. Madrigali ariosi di diversi autori con
due canzoni di Giannetto da Palestrina, appresso Antonio Barre, Roma, 1558. Ogni riferi-
mento testuale rimanda all’edizione curata da SCHINELLI A., Collana di composizioni sacre e
profane, vol. III, nº 20, Curci, Milano.
37
38 Gennaro Tallini
non altri; a questo si potrebbe rispondere che forse solo questo tipo di
poetica era più consono ad autori non solo cronologicamente così di-
versi.
Abbiamo visto precedentemente (1.2.2., b. 20-23) come Palestrina
risolva alcuni non facili problemi tecnici attraverso la consumata co-
noscenza della tecnica musicale riuscendo, con questo, a rendere to-
talmente permeabile il tessuto poetico del Petrarca. Anche nel caso
delle composizioni pianistiche di Liszt (Sonetti del Petrarca nº 47-
104-123) la poesia petrarchesca risalta comunque, pur non essendo
declamata o cantata, come nel caso palestriniano.
Questo eguale manifestarsi dei contenuti anche in condizioni stori-
co-artistiche completamente differenti, risiede certamente nel contenu-
to universale che la poesia petrarchesca incarna; contenuti validi, sia
per il Contro-riformistico XVI secolo di Palestrina che per l'hegeliano
XIX secolo di Liszt. Parafrasando Heidegger, la sua poesia continua a
rendersi interessante, anche a distanza di secoli, perchè il suo contenu-
to di verità è assoluto e quindi indistruttibile.
In questa maniera le realtà estetiche in essa contenute sono diventa-
te verità nel senso pieno della parola, fondamento di ogni reale e reali-
stica comprensione; perciò quando andiamo ad interpretare questo
linguaggio non possiamo far altro che «stupirci-di-stupirci», com-
prendere ciò che ci si è manifestato, o meglio dis-velato come verità, e
quindi finalmente contemplare (alla maniera di Goethe e Stendhal).
Per quel che riguarda le indicazioni cronologiche, abbiamo già det-
to che il brano risale - come definitiva stesura - al 1345, ma certamen-
te esso era nelle idee del Petrarca già intorno al 1343. Il contenuto
verte sempre sui fatali avvenimenti dell'aprile del 1327, ed è proprio
questa condizione, già di per sè importantissima, che determina la
suddivisione in due diversi piani del testo poetico.
Da un lato infatti, abbiamo un piano prettamente onirico, che è an-
che il livello certamente più importante e ricco, determinante tutto
l'ambiente estetico del testo. Dall’altro, il piano mnemonico; esso de-
riva dal precedente ed è tale soprattutto ai fini della costruttiva rappre-
sentazione di tutta quella serie di slanci e periodi di stasi onnipresenti
nel componimento e sempre rappresentati degnamente dallo schema
metrico adottato. Già soltanto da questi due punti di vista la Canzone
42 Gennaro Tallini
2
Ritmo in endecasillabi a rima alternata con gli ultimi due versi a rima baciata (ab, ab,
ab, cc). Da sottolineare nell'ultimo verso una particolarissima tensione linguistica, l'elimina-
zione dell'ultima vocale di ogni parola componente il verso stesso, costruita al fine di conser-
vare la scansione ritmica endecasillabica che, se così non fosse stato, non avrebbe potuto
essere mantenuta. Musica di Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-1594). Composizione
polifonica a quattro parti (SATB) tratta dal «Secondo Libro dei Madrigali a 4 voci ristampato
appresso l'erede di Gerolamo Scotto», Venezia, 1586.
Due madrigali di Giovanni Pierluigi da Palestrina 43
Tutti gli 8 versi del testo sono stati divisi in base al numero di bat-
tute che Palestrina usa per ogni sezione. Pertanto i numeri tra parente-
si ed i numeri posti prima dei singoli versi riportano ai numeri di bat-
tuta sulla partitura corale.
Nella Prima sezione (battute 01-10) la struttura risulta essere con-
trappuntistico-imitativa. Tecnicamente molto importante risulta essere
l'uso delle varianti ritmiche usate nelle entrate tematiche; infatti, alle
entrate in stile canonico di tutte e quattro le voci, corrispondono poi,
nell'arco di tutte e dieci le battute della sezione, diverse variazioni
ritmiche (b. 05-06) ricavate dall'inciso tematico originario.
Queste due varianti usate, sono poi rette armonicamente dal tema
originale citato dal basso. Altresì, è interessante notare il procedimen-
to tecnico operato da Palestrina nel costruire ben sei delle dieci battu-
te. Egli infatti non fa altro che riproporre in blocco il tema e la sua
relativa risposta, così come quest'ultime sono state enunciate dal so-
prano e dal contralto, e poi agendo sulle varianti ritmiche (che quindi
assolvono anche alla funzione di parti libere), giunge alla fine della
sezione.
Anche nella seconda sezione (battute 10-14) notiamo come l'im-
pronta contrappuntistica ed imitativa che contraddistingue la quasi
totalità del brano, venga sostanzialmente conservata ricorrendo sia ad
accorgimenti ritmico-compositivi come l'uso di intervalli di 6ª, di 4ª o
di 8ª (ci riferiamo in particolar modo agli intervalli usati per l'esecu-
zione delle parole «l'erba e l'aria» alle b. 10-11), sia ad imitazioni -
fondamentalmente ritmiche - come quelle delle b. 11-15.
Nella terza sezione - 1º semi-verso (battute 15-17) invece, le figu-
razioni imitative usate nella sezione precedente trovano qui la naturale
appendice. Infatti la situazione imitativa relativa ai versi «altrui diletto
danno...» viene qui interamente riproposta per l'enunciazione di questa
prima parte del 3º verso.
Da segnalare l'intervallo di 3ª discendente («Porgon») che viene
usato poco più avanti per citare «e piacer», ricorrendo, nello stesso
tempo, sia alla diminutio temporis che a figurazioni ritmiche veloci
che sono citazioni onomatopeiche dell'«onde».
Due madrigali di Giovanni Pierluigi da Palestrina 45
restaura». Nella prima come nella seconda ritornano quasi tutti gli
elementi usati nell'arco della composizione; si va quindi dal ritorno al
piccolo disegno imitativo (b. 47), alla riproposizione di di crome (b.
48), alla struttura canonico-imitativa delle parole «lasso me!» (b. 43-
47).
É questa certamente la sezione più interessante (ottava, battute 50-
61), non solo per le difficoltà tecnico-costruttive, ma soprattutto per la
difficilissima resa vocale del testo, dovuta all'abolizione delle vocali e
quindi, di converso, alla inutilizzazione di eventuali melismi. Palestri-
na risolve il problema ricorrendo ad una struttura che, apparentemente
contrappuntistica, risulta invece essere fondamentalmente accordale.
I temi usati, a mò di ripresa, sono gli stessi della sezione d'apertura
nelle tre voci superiori, mentre il basso mantiene una struttura quasi
da basso continuo; se infatti noi analizziamo più da vicino la parte del
basso, ci rendiamo conto di essere in presenza di un perfetto sostegno
armonico basato sulle tre tonalità che portano al Mi bemolle (tonalità
di partenza e che stavolta è contemporaneamente tonica e dominante,
in virtù del reb presente al contralto ed al basso nella battuta 60), e
cioè: Lab(IV), Sib(V-II) e Mib(I-V). Naturalmente siamo coscienti
che tutto ciò in Palestrina ancora è allo stato embrionale, e che quindi
non possiamo parlarne come fosse un dato di fatto, però neanche pos-
siamo negare la manifesta evidenza delle battute in questione (56-61).
Sulla composizione del testo poetico, essendo l'autore anonimo,
non possono essere fatte che considerazioni in generale. Certamente la
sua origine è da farsi risalire al periodo successivo al 1550, in età di
Controriforma ed a ridosso del prossimo Barocco; molte indicazioni
(il ritmo del verso, l'uso dell'ottava, la stessa rima usata) fanno pensare
allo stile del Tasso, ed in questo senso si sono orientate le nostre ricer-
che. Possiamo anzi affermare con un certo margine di certezza che la
stanza in questione è da ascriversi ad uno dei tanti poeti mestieranti
che circolavano in Roma e non possiamo escludere neanche che il
testo possa essere stato prodotto proprio nell’ambiente romano e che
Palestrina ne sia venuto a conoscenza attraverso uno dei tanti intellet-
tuali che in quel tempo affollavano la capitale papale.
Del resto, ad avvalorare la tesi della provenienza romana, altri indi-
zi, come l'elisione dell'ultima vocale di ogni parola appartenente all'ul-
Due madrigali di Giovanni Pierluigi da Palestrina 47
1. Introduzione
1
Christian Amyden, cantore di origine brabantina, fu a servizio in Cappella Sistina dal
1563, per lungo tempo l’unico cantore di origine fiamminga presente in essa. Nel coro della
Cappella rimase fino al 1588, quando, giubilato dalla riforma operata da Sisto V, fu costretto
a lasciare ogni incarico. Tenore dotato di non eccelse capacità vocali, morì a Roma il 20 no-
vembre 1605. Della sua produzione rimangono una Missa Fontes et omnia quae moventur in
aquis a 5 voci (VatS 30) ed un Magnificat primi toni (VatS 29). Cfr. SHERR R., Competence
and Incompetence in the Papal Choir in the Age of Palestrina, in «Early Music», Vol. 22, No.
4, Palestrina Quatercentenary (Nov., 1994), pp. 606-629; BASTIAANSE, A., Teodoro Ameyden
(1586-1656), un neerlandese alla corte di Roma, ‘sGravenhage, Staatsdrukkerij, 1967.
2
GIUSTINIANI V., Discorso sopra la musica de’ suoi tempi, pubblicato in occasione delle
49
50 Gennaro Tallini
musicale e dell’argomento in genere come tutti i sodali di Giustiniani, altrimenti, non sarebbe
neppure giustificabile la chiusa del Discorso sulla musica al riguardo della pratica musicale
per diletto compiuta nel giardini di Bassano dalla comitiva del marchese stesso, cfr. Ivi, 35, 4.
11
Ivi, 1,1.
12
Le Istruzioni sono contenute nella b. 48, ASLU, fondo Orsucci, cit. anche in DANESI-
SQUARZINA, La collezione Giustiniani. Inventari I, cit., p. LXXIV.
54 Gennaro Tallini
13
«Ma solo con l'intenzione che ho di dar gusto e sodisfazione a V. S. nella richiesta che
mi fece» (ivi, 3,1).
14
«[…] Tanto più che questo discorso non è teorico politico, composto o per dir meglio
rubbato da' buoni autori antichi e moderni, come oggi dì si usa da molti, ma è una vera narra-
zione e similitudine di relazione e d'istoria, fondata sopra una poca prattica da me acquistata
[…]» (Ivi, 35, 4).
56 Gennaro Tallini
la che per arrivare alla sua vera perfezione, conviene che s'accosti, an-
zi che partecipi del grado nel quale si considerano le scienze. [2] Per-
ché, acciò un’azzione musicale riesca di stima sarà necessario che sia
composta con le proprie e vere regole di questa professione, anzi di
più con nuove osservazioni e difficili, che non siano a notizia di tutti i
musici in generale e non solo li Madrigali e composizioni da cantarsi a
più voci ma anche le altre di contraponto e li Canoni, e quel che pare
più di meraviglia ristesse arie da cantarsi con facilità ad una sola voce.
[5] (La musica come studio e applicazione quotidiana) [1] E per ar-
rivare a questo segno non basterà l'inumazione data a molti dalla natu-
ra, ma vi si ricerca anche uno studio et applicazion d'animo e di perso-
na, che possedendo le resole e le giuste proporzioni de’ numeri, unite
con quelle della voce sia del suono, e la pratica de gli effetti che da
queste derivino negli animi de gl'uomini, non solo generalmente ma
particolarmente corrispondenti all'inclinazioni individuali di ciascuno,
et a i gusti che in generale prevagliono per distinti tempi di tanto in
tanto, sappia applicare l'artificio et esperienza ai tempi, alle inclina-
zioni in generale et alii gusti particolari di ciascuno. [6] [1] E per arri-
vare a questo segno si ricerca molta applicazione dell'intelletto e molto
discorso per venire alla conclusione compita dell'opera, con aver fatti
molti sillogismi et entimemi per avanti, senza aver studiato la Dialetti-
ca d'Aristotele, e senza aver imparato quei versi Barbara celarent etc.
ma con unire tutte le condizioni e circostanze suddette.
[7] (Le composizioni e gli autori della sua fanciullezza) [1] E per
confirmazione di tutte queste cose dirò primieramente. [2] 1. Che nella
mia fanciullezza mio padre b. m. mi mandò alla scola di musica, et os-
servai ch'erano in uso le composizioni dell’Archadelt, di Orlando Las-
sus, dello Strigio, Cipriano de Rore e di Philippe de Monte15, stimate
15
Orlando Lasso nacque a Mons in Belgio, presumibilmente nel 1532. Nel 1553 era già
maestro di cappella a S. Giovanni in Laterano a Roma. Nello stesso periodo si recò ad Anver-
sa per pubblicare le sue prime composizioni. Nel 1556 Alberto V, Duca di Baviera, lo chiamò
presso la Cappella Ducale. Data la profonda religiosità del Duca, in questo periodo di Lasso
compose una gran quantità di musica sacra. Alla morte del Duca nel 1579 il suo successore
Guglielmo, seguace della Controriforma, apportò grossi tagli a ciò che riteneva la «frivolezza
della musica». Di Lasso fu rimosso dalla carica di maestro di cappella e cadde in una profon-
da depressione conseguente all'allontanamento dalla corte. Dopo alcuni anni, meno prolifici
rispetto ai precedenti, morì a Monaco il 14 giugno del 1594. Alessandro Striggio Senior fu
liutista e compositore di vaglia. Lavorò come compositore alla corte di Cosimo I de’Medici,
58 Gennaro Tallini
per le migliori di quei tempi, come in effetto erano e per cantare con
una voce sola sopra alcuno stromento prevalesse il gusto delle Villa-
nelle Napoletane, ad imitazione delle quali se ne componevano anche
in Roma, e particolarmente da un tal Pizio musico bravo e buffone
nobile.
[8] (Le trasformazioni apportate alla composizione musicale dallo
stile di Marenzio e Giovannelli e di Palestrina, Soriano e Nanino) 2.
[1] In poco progresso di tempo s’alterò il gusto della musica e com-
parver le composizioni di Luca Marenzio16 e di Ruggero Giovannel-
li17, con invenzione di nuovo diletto, tanto quelle da cantarsi a più vo-
duca di Firenze dal 1560 al 1574; la sua occupazione principale era quella di scrivere le musi-
che degli intermedi per le feste di corte, incluso il matrimonio di Giovannea d’Austria e Fran-
cesco de’ Medici (1565) e per la visita dell’arciduca Carlo d’Austria quattro anni più tardi.
Nel 1584, su invito di Alfonso d’Este, si trasferì a Ferrara e l’anno dopo a Mantova dove, no-
nostante fosse impiegato alla corte dei Gonzaga come musicista soprannumerario, continuò a
scrivere intermedi per i Medici. Figlio di Alessadnro Senior, Alessandro Striggio iuniore fu
anch’egli valente violista, cantore e soprattutto librettista e poeta, scrisse infatti per Monte-
verdi, sia i testi della Favola di Orfeo (1607), che di Tirsi e Clori (1615). Cipriano de Rore
(1515 o 1516–1565) fu il compositore fiammingo più importante dopo Josquin Des Prez. Si
trasferì in Italia e partecipò molto attivamente allo sviluppo della musica del tardo
rinascimento. Nel 1542 fu a Brescia, dove probabilmente rimase fino al 1546; durante questo
periodo egli iniziò ad acquisire fama come compositore pubblicando un libro di madrigali e
due di mottetti. Nel 1547 passò al servizio del duca Ercole II d'Este a Ferrara. Qui ebbe come
allievi Giaches de Wert e Luzzasco Luzzaschi. Alla morte del duca nel 1559, Rore offrì i suoi
servigi al successore Alfonso, ma il nuovo duca rifiutò i suoi servigi ed assunse al suo posto
Francesco dalla Viola. Dal 1560 al 1563, Rore fu al servizio di Margherita d'Austria a
Bruxelles e del marito Ottavio Farnese Duca di Parma nella città emiliana. Nel 1562 fu nomi-
nato direttore del coro della Basilica di San Marco a Venezia, ma dopo due anni lasciò
l’incarico per ritornare a Parma, dove rimase fino alla morte (cfr. JOHNSON A. H., Cipriano de
Rore, in The New Grove Dictionary of Music and Musicians, ed. STANLEY SADIE, 20 vol.
London, Macmillan Publishers Ltd., 1980). Per de Monte, cfr. HINDRICHS T., Philipp de Mon-
te (1521-1603). Komponist, kappelmeister, korrespondent, Gottingen, Hainholz, 2002; LUZZI
C., Poesia e musica nei Madrigali a cinque voci di Filippo di Monte, Olschki, Firenze 2004.
16
Nato nel 1553 o 1534, studiò a Brescia con Giovanni Contino. Dal 1578 fu a servizio
del Cardinale d’Este, a Roma, prima come musico e poi come direttore di coro. Grazie al car-
dinale strinse anche ottimi rapporti con Ferrara ed il suo ambiente artistico. Tra il 1588 ed il
1589 visse a Firenze dove contribuì alla musica per gli intermedi del famosissimo matrimonio
del 1589. Nel 1594 passato al servizio del Cardinale Aldobrandini frequentò poeti come Tasso
e Guarini e due anni più tardi dimorò a Varsavia dove quello era stato nominato nunzio apo-
stolico. L’anno dopo rientrò a Roma come musicista alla corte papale restandovi sino alla
morte. Delle sue composizioni ci rimangono circa cinquecento pezzi diversi, un’ottantina di
villanelle ed una quantità impressionate di pezzi sacri, per la gran parte a cinque voci.
17
«Musico eccellentissimo e forse il primo del suo tempo» (per citare il titolo del conve-
gno internazionale di studi tenutosi a Palestrina e Velletri dal 12 al 14 giugno 1992, a cura di
Il Dialogo sopra la musica de’ suoi tempi 59
ci, quanto ad una sola sopra alcuno stromento, l'eccellenza delle quali
consisteva in una nuova aria e grata all'orecchie, con alcune fughe fa-
cili e senza straordinario arteficio. [2] E nell’istesso tempo il Pellestri-
na18, il Soriano19 e Gio. Maria Nanino20 composero cose da cantarsi in
Roma riportavano sempre anche pezzi di Nanino, spesso nelle prime pagine e prima di quelli
di Palestrina.
21
Giulio Cesare Brancaccio, nato a Napoli tra il 1515 ed il 1520, fu poeta, attore, scrittore
e cantore in diverse corti italiane e soprattutto a Ferrara. Fu legatissimo a Torquato Tasso, che
gli dedicò diversi poemi ed a Giovan Battista Guarini cui chiese anche di intercedere, nel
1585, per riconquistare il favore del duca Alfonso II d’Este che lo aveva accusato di insubor-
dinazione. Come cantore partecipò nel 1577 al primo periodo del Concerto delle donne, can-
tando con Lucrezia Bentivoglio, Leonora Sancitale e Vittoria Bentivoglio. Fu anche autore di
un fortunatissimo commento al De Bello Gallico (Venezia, 1580), più volte ristampato tra il
1585 ed il 1595 (cfr. NEWCOMB A., The madrigal at Ferrara 1579-1597, Princeton University
Press, Princeton N. J., 1980).
22
Fratello di Giovanni Antonio Merlo, sin da giovane cantò nella Cappella Giulia a Ro-
ma, prima come soprano puer, poi come basso. Dotato di un registro piuttosto ampio (tre ot-
tave, ben 22 voci appunto), fu cantore piuttosto richiesto e rinomato. Morì il 22 aprile 1601 e
la messa funebre si tenne in S. Maria della Vallicella otto giorni dopo (cfr. SHERR R., The Di-
ary of the Papal Singer Giovanni Antonio Merlo, in «Analecta Musicologica», 23, 1985, pp.
75-128 e ID., From the Diary of a 16th-Century Papal Singer, in «Current Musicology», 25,
1978, pp. 83-98).
23
Eufemia «Fumia» Jozola, a sua volta legatissima ad altre due cantanti molto famose alla
metà del Cinquecento e cioè Vittoria Moschella e la sua presunta figlia o sorella, è una della
cantanti più importanti dell’area napoletana (si vedano per questo, PIRROTTA N., Li due Orfei:
da Poliziano a Monteverdi, Einaudi, Torino, 1975, p. 14 , n. 71 e BORZELLI A., Nel 500 napo-
litano: Sannazaro, Luna, Caracciolo, Fumia, Artigianelli, Napoli, 1941, pp. 39-47.
Il Dialogo sopra la musica de’ suoi tempi 61
24
Allievo di G. B. Nanino e contemporaneo di Vincenzo Giustiniani, fu dal 1592 al 1594
in servizio nella chiesa romana di San Luigi dei Francesi. Fu quindi maestro di cappella a
Santa Maria Maggiore e poi nella cattedrale di Benevento (1610). Quattro anni più tardi torna
a Roma a servizio del Cardinale Arrigoni e poi, ancora, maestro di cappella a San Luigi dei
Francesi fino al 1620. da quell’anno e fino al 1626 fu invece a servizio in Cappella Giulia a
San Pietro e poi, di nuovo, fino dal 1631 fino alla morte, a San Luigi dei Francesi
25
Già giovane cantore in casa di Maria di Cardona (cfr, supra, n. 15) intorno alla metà del
Cinquecento, il fiammingo Giachet de Wert è, insieme con Luzzasco Luzzaschi, l’ideatore di
una polifonia più avanzata, progettata per complessi corali soprattutto a cinque parti (L’ottavo
libro di madrigali a cinque voci nuovamente ristampato e posto in luce, Venezia, appresso
Angelo Gardano, 1586).
26
Luzzasco Luzzaschi (1545-1607), fu organista, compositore e maestro di cappella nella
cattedrale di Ferrara sotto Alfonso II d'Este. Claudio Merulo lo considerava il più grande or-
ganista italiano del suo tempo, Vincenzo Galilei lo inserì nel novero dei musicisti più distinti
di ogni epoca e Pietro Pontio lo cita nella seconda parte del suo Dialogo ove si tratta della
teoria e pratica di musica, come autore di Ricercari per organo, due di essi, sul primo e sul
secondo tono, sono stati pubblicati da Girolamo Diruta nella seconda parte del suo Transilva-
no, mentre nella prima parte fu inserita una Toccata sul quarto tono. L'abate Requeno, erro-
neamente, lo cita tra i musicisti del XVI secolo che tentarono di rimettere in voga il genere
enarmonico dei greci e assicura che aveva costruito un clavicembalo la cui tastiera era dispo-
sta in maniera da poter eseguire qualsiasi brano di musica nei tre generi diatonico, cromatico
ed enarmonico (Saggi sul ristabilimento dell'arte armonica, tomo II). Purtroppo per l'abate
però, lo strumento di cui scrive era stato costruito da Niccolò Vicentino e si trovava presso il
duca di Ferrara, secondo quanto ci dice E. Bottrigari nel suo Il desiderio, overo de' concerti
de' varii strumenti musicali (1559), che ricorda anche come, proprio Luzzasco, lo suonasse
con disinvoltura, traendone effetti pensati esclusivamente per quello strumento. Sulla musica
a Ferrara è decisivo l’intervento di FABBRI P., Gli Este e la musica, in Un rinascimento singo-
lare. La corte degli Este a Ferrara, catalogo della mostra, Bruxelles, Palais des Beux-Arts, 3
ottobre 2003 – 1 gennaio 2004, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2003, pp. 58-67.
62 Gennaro Tallini
non soverchi, (nel che soleva peccare Gio. Luca falsetto di Roma27,
che servì anche in Ferrara), e di più col moderare e crescere la voce
forte o piano, assottigliandola o ingrossandola, che secondo che veni-
va a’ tagli, ora smezzarla, con l'accompagnamento d'un soave interrot-
to sospiro, ora tirando passaggi lunghi, seguiti bene, spiccati, ora
gruppi, ora a salti, ora con trilli lunghi, ora con brevi et or con passag-
gi soavi e cantati piano, dalli quali tal volta all'improvviso si sentiva
echi rispondere, e principalmente con azzione del viso, e de’ sguardi e
de’ gesti che accompagnavano appropriatamente la musica e li concet-
ti, e sopra tutto senza moto della persona e della bocca e delle mani
sconcioso, che non fusse indirizzato al fine per il quale si cantava, e
con far spiccar bene le parole in guisa tale che si sentisse anche l'ulti-
ma sillaba di ciascuna parola, la quale dalli passaggi et altri ornamenti
non fusse interrotta o soppressa, e con molti altri particolari artifici et
osservazioni che saranno a notizia di persone più esperimentate di me.
[6] E con queste sì nobili congiunture i suddetti musici eccellenti fa-
cevano ogni sforzo d'acquistar fama e la grazia de' Principi loro pa-
droni, dalla quale derivava anche il loro utile.
[10] (Gesualdo da Venosa) 4. [1] Coll’esempio di queste Corti e
delli due napolitani che cantavano di basso nel modo suddetto, si co-
minciò in Roma a variar modo di componere a più voci sopra il libro e
canto figurato, et anche ad una o due al più voci sopra alcuno stromen-
to, e cominciò il Prencipe Gesualdo di Venosa, che sonava anche per
eccellenza di Leuto e di Chitarra napoletana, a componere Madrigali
pieni di molto artificio e di contraponto esquisito, con fughe difficili e
vaghe in ciascuna parte, intrecciate fra loro, prese in tale proporzioni
che non vi fussero note superflue e fuori della fuga incominciata, la
quale sempre anche restava poi messa alla rovescia della prima. [2] E
perché questa esquisitezza di regole soleva talvolta render la composi-
zione dura e scabrosa, procurava con ogni sforzo et industria fare e-
27
Giovanni Luca Conforti (1560-1608), fu celebre falsettista, conosciuto per le sue capa-
cità di virtuoso e per i suoi diversi libri di ornamenti. Fu ammesso in Sistina il 9 settembre
1581 e vi rimase sino al 1585 quando fu allontanato da Sisto V. Dopo aver svolto servizio sot-
to diversi padroni, nel 1591 fu riammesso nel coro della Cappella Sistina, probabilmente dopo
la morte di Sisto V, rimanendovi sino alla morte (cfr. SHERR R., Guglielmo Gonzaga and the
castrati, in «Reinassance Quaterly», 33 (1980), pp . 42-44, BRADSHAW M., giovanni Luca
Conforti «Salmi passaggiati» (1601-1603), vol. 1, misc. 5, Early Sacred Monody, America
Insitute of Musicology, Neuhausen-Stuttgart, 1985).
Il Dialogo sopra la musica de’ suoi tempi 63
28
Nato a Napoli probabilmente nel 1559, Scipione Stella fu organista nell’Annunziata, ivi
introdotto da Giovan Domenico del Giovane in sostituzione di Pietro Fiamengo (van Haar-
lem), fino al 1593, quando passò alle dirette dipendenze Carlo Gesualdo da Venosa. L’anno
dopo in occasione del matrimonio di Gesualdo con Eleonora d’Este, a Ferrara, conosce Luz-
zaschi e Nicolò Vicentino e forse rimane nella città anche dopo la partenza di Gesualdo. Nel
1597 prende gli ordini ed entra nell’Ordine dei Teatini servendo fino alla fine nella chiesa di
S. Paolo Maggiore a Napoli (1622). Pomponio Nenna servì con Gesualdo, di cui fu probabil-
mente anche primo insegnante, tra il 1594 ed il 1599, quindi fu a Roma dal 1608. Cinque anni
prima fu insignito dello Speron d’Oro dal Papa. Scrisse due libri di responsori e nove di ma-
drigali.
29
Carlo Gesualdo da Venosa, (1566-1613) studiò con Pomponio Nenna, Giovanni Mac-
que, Stefano Felis, Scipione Stella ed altri eccellenti musici del tempo. Nacque a Venosa (lo
testimoniano due lettere custodite presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano) da Fabrizio II e
Geronima Borromeo sorella di San Carlo. A 19 anni pubblicò il primo mottetto “Ne remini-
scaris, Domine, delicta nostra” dimostrando fin da giovane una passione enorme per la musi-
ca tale da farlo divenire uno dei più illustri madrigalisti di ogni tempo, raffinatissimo innova-
tore e precursore della musica moderna (per ogni riferimento a Carlo Gesualdo si veda soprat-
tutto La musica del Principe. Studi e prospettive per Carlo Gesualdo, atti del convegno inter-
nazionale di studi, Venosa – Potenza 17-20 settembre 2003, a cura di I. BATTISTA e L. CURIN-
GA). Alfonso Fontanelli, al servizio degli Este, almeno dal 1586 al 1620, con piccole interru-
zioni e molti viaggi, fu anch’egli sodale di Carlo Gesualdo e forte fu l’influenza del musicista
venosino sulla sua composizione. Le sue musiche furono raccolte in due collezioni, una del
1595 e l’altra del 1604, spesso ristampate.
30
Vittoria Concarini, detta “la Romanina”, moglie di Antonio Archilei di Santa Fiore, è
una delle più famose cantanti del tempo. Allieva dello stesso Archilei, è citata tra i musicisti
che rappresentarono a Palazzo Pitti il 2 maggio 1589 la commedia di Girolamo Bargagli La
pellegrina. Antonio Archilei fu liutista, cantante e compositore alla corte medicea dal 1584 e
fino alla morte avvenuta nel 1610, anno in cui la moglie Vittoria fece definitivamente ritorno
a Roma (su Vittoria Archilei cfr. TREADWELL N., She descended on a cloud “from the highest
spheres”: Fiorentine monody “alla Romanina”, papers presented to the international mee-
64 Gennaro Tallini
gnominato perché era stato fin da fanciullo musico per eccellenza del
Cardinal di Santa Fiore. [2] E con questo esempio molt’altri
s’esercitarono in questo modo di cantare in Roma, in guisa tale che
prevalsero a tutti gli altri musici dei luoghi e Prencipi suddetti, e ven-
nero in luce Giulio Romano, Giuseppino, Gio. Domenico et il Rasi,
che apparò in Firenze da Giulio Romano; e tutti cantavano di basso e
tenore con larghezza di molto numero di voci, e con modi e passaggi
esquisiti e con affetto straordinario e talento particolare di far sentire
bene le parole. [3] Et oltre a questi moti altri soprani, Gio. Luca [fal-
setto], Ottavio Durante, Simoncino, Ludovico che cantavano in voce
da falsetto, e molti altri eunuchi di Cappella, eta altri come un Onofrio
Pistoiese, un Mathias spagnolo, Gio. Gironimo perugino e molti altri
che per brevità tralascio. [4] Successe poi al Cardinal Ferdinando de’
Medici, che niente meno di lui si dilettò della musica, perché di più
sonava di cimbalo egli per eccellenza, e cantava con maniera soave et
affettuosa e teneva in sua casa molti della professione che eccedevano
la mediocrità, e tra gli altri il Cavaliere del Leuto31, e Scipione Dentici
tings of the Society for Seventeenth-Century music, Princeton april 2002 and the International
Musicological Society, Leuven, August 2002).
31
Su Giulio Caccini detto “Giulio Romano”, cfr. MAYER BROWN H., The Geography of
Florentine Monody: Caccini at Home and Abroad, «Early Music», Vol. 9, No. 2 (Apr., 1981),
pp. 147-168, WILEY HITCHCOCK H., A New Biographical Source for Caccini, in «Journal of
the American Musicological Society», Vol. 26, No. 1 (Spring, 1973), pp. 145-147. Giuseppino
Cenci è da Tim Carter (Rediscovering “il Rapimento di Cefalo”, in «Journal of Seventeenth-
Century Music», v. 9, n.1, 2003, par. 2.5), sulla base proprio delle affermazioni contenute nel
Discorso di Vincenzo Giustiniani, considerato l’inventore, insieme con Caccini, del recitativo;
fu cantante di ottime qualità e di buona resa vocale. Giovanni Domenico Puliaschi fu compo-
sitore e cantore sia presso la cappella pontificia che al servizio del cardinale Borghese. Dotato
di una voce che affascinò i suoi contemporanei fu uno dei primi autori ad offrire, nelle Musi-
che Varie, preziose informazioni sul modo di eseguire i canti. Giovanni Francesco Anerio
comporrà diversi suoi mottetti pensando alla particolare intonazione di Puliaschi (SCOZZI S.,
Giovanni Domenico Puliaschi, cantante e compositore nella Roma di primo Seicento, inter-
vento al IX convegno annuale della Società Italiana di Musicologia, Padova, Conservatorio
“C. Pollini”, 25-26 ott. 2002). Allievo di Giulio Caccini secondo Giustiniani, anche il tenore
Francesco Rasi fece parte del cast de Il rapimento di Cefalo, in cui impersonò sia il ruolo di
Febo che quello di Giove in alternanza con Jacopo Peri (CARTER T., Rediscovering “il Rapi-
mento di Cefalo”, in «Journal of Seventeenth-Century Music», v. 9, n.1, 2003). Sul Cavaliere
del Liuto, cfr. CARLONE M., Lorenzino and the Knight of the Lute: a mystery unveiled, paper
read at September 19, 2003, Central Renaissance Conference, Lawrence (Kansas); April 1,
2004, Renaissance Society of America, New York; June 29, 2004, Lute Society of America,
Cleveland (Ohio) e Lorenzino e il “Cavaliere del leuto”, intervento al XI convegno annuale
della Società Italiana di Musicologia, Lecce, università degli studi, 22-24 ott. 2004.
Il Dialogo sopra la musica de’ suoi tempi 65
32
Sopranista (ma castrato secondo Giustiniani), è attestato in Sistina tra il 1575 ed il 1577
e poi fino al 1587 quando si trasferì a Firenze. Tre anni dopo torna a Roma, al servizio del
Cardinal Montalto. Vi rimase fino al 1600 quando fece ritorno nella natia Pistoia dove rimase
fino alla morte (cfr. HARNESS K., HILL, J. W., recensione a KIRKENDALE W., The Court musi-
cians in Florence during the principate of the Medici with a reconstruction of the artistic es-
tablishment, in «Journal of American Musicology Society», vol. 48, 1 (1995), pp. 106-115).
33
CAMETTI A., Chi era l’”Hippolita” cantatrice del Cardinal di Montalto, in «Sammel-
bände der Internationalen Musikgesellschaft», 15. jahrg., H. 1 (oct. – Dec. 1913), pp. 111-
123.
34
Melchiorre Palantrotti, altrimenti conosciuto anche come Melchiorre Basso è tra i can-
tanti più famosi dell’epoca. Fu al servizio dei Medici e partecipò a diverse prime esecuzioni di
intermedi di Marco da Gagliano, Jacopo Peri e Girolamo Bargagli. Fu Plutone nell’Euridice
di Peri (cfr. sempre CARTER T., Rediscovering “il Rapimento di Cefalo”, in «Journal of Sev-
enteenth-Century Music», v. 9, n.1, 2003 e PALISCA V., The first performance of “Euridice”,
in ID., Studies in the history of italian music and music theory, Oxford, Clarendon Press,
1994, pp.432-451).
35
Giovanni Bernardino Nanino, fratello di Giovanni Maria, fu maestro di cappella a S.
Luigi dei Francesi dal 1591 al 1608 e più tardi a S. Lorenzo in Damaso. Fu tra i primi ad usare
il basso continuo nelle proprie composizioni.
36
Claudio Monteverdi (Cremona, battezzato il 15 maggio 1567 - Venezia, 29 novembre
1643) fu un compositore, violista e cantante. Il suo lavoro di compositore segna il passaggio
dalla musica rinascimentale alla musica barocca. Nel corso della sua lunga vita ha prodotto
opere che possono essere classificate in entrambe le categorie, e fu uno dei principali innova-
tori che portarono al cambio di stile. Monteverdi scrisse la prima opera teatrale in cui fosse
sviluppabile una trama drammatica, L'Orfeo, e fu abbastanza fortunato da godere del suo suc-
cesso mentre era in vita. Nel 1589 Monteverdi fu assunto alla corte di Mantova in qualità di
corista e violista e nel 1603 fu nomimato dal duca Vincenzo Gonzaga maestro di cappella.
Fino al suo quarantesimo compleanno lavorò principalmente su madrigali, componendone in
tutto otto libri. Nel 1607 Monteverdi compose L'Orfeo, su libretto di Alessandro Striggio ju-
66 Gennaro Tallini
Nanino, Felice Anerio et altri; li quali, senza uscire dal modo di com-
porre del Prencipe di Venosa Gesualdo, hanno atteso a raddolcire et
affacilitare lo stile e modo di componere, e particolarmente hanno fat-
to molt’opere da cantarsi nelle chiese, con diverse maniere e varie in-
venzioni a più cori, anche fino al numero di 12; et in questo stile si usa
continuamente di cantare al giorno d'oggi e di componere con molto
numero di buoni cantori e cantatrici. [2] Anzi dirò che ne i tempi no-
stri la musica viene nobilitata et illustrata più che mai, mentre il Re Fi-
lippo IV di Spagna et ambidue li suoi fratelli se ne dilettano, e soglio-
no spesso cantare al libro, e sonar di Viole concertate insieme, con al-
cuni pochi altri musici per supplire al numero competente, tra’ quali
con Filippo Piccinino Bolognese37, sonatore di Liuto e di Pandòra ec-
cellentissimo. [3] Anzi di più lo stesso Re et i fratelli fanno le compo-
sizioni, non solo per loro diletto ma anche perché si cantino nella
Cappella Regia e nel l'altre chiese mentre si celebrano i divini offizii;
e quest'inclinazione e gusto di S. Maestà sarà cagione che molti signo-
ri se ne diletteranno ancora, e molti altri s'applicaranno alla musica,
come dice quel verso; Regis ad exemplum totus componitur orbis. [13]
nior. All'epoca era normale per i compositori creare lavori su richiesta per occasioni speciali e
quest'opera era intesa ad aggiungere lustro al carnevale annuale di Mantova. In effetti fu un
grande successo, che aderiva perfettamente allo spirito dei tempi. L'Orfeo è segnato dalla sua
potenza drammatica e dall'orchestrazione vivace. Infatti, si può sostenere che il lavoro sia il
primo esempio in cui un compositore assegna specifici strumenti a singole parti, ed è anche
una delle prime grandi opere delle quali ci è pervenuta l'esatta composizione della strumenta-
zione per la prima. La trama è descritta in vivide immagini musicali e le melodie sono lineari
e chiare. Con quest'opera Monteverdi creò uno stile musicale completamente nuovo, il dram-
ma per musica. Il capolavoro di Monteverdi rimane il Vespro della Beata Vergine del 1610.
La portata del lavoro nel suo insieme è importantissima poiché, ogni parte (sono 25 in totale)
è pienamente sviluppata sia in senso musicale che drammatico e la struttura strumentale viene
usata per precisi effetti drammatici ed emotivi. Nel 1613 Monteverdi fu nominato direttore a
San Marco, Venezia, dove ben presto fece rinascere il coro, che era in declino sotto il suo
predecessore. Qui egli completò il sesto, settimo ed ottavo libro di madrigali. Durante gli ul-
timi anni Monteverdi compose Il ritorno di Ulisse in patria (1641) e L'incoronazione di Pop-
pea (1642). Questa in particolare, è considerata il punto culminante del lavoro di Monteverdi.
Essa contiene scene tragiche e comiche (un nuovo sviluppo dell'opera), un ritratto più realisti-
co dei personaggi, e melodie più calde, che non si erano sentite prima. Richiedeva un'orche-
stra più piccola, ed un ruolo meno prominente del coro.
37
Felice Anerio fu cantore in S. Luigi dei Francesi sotto la direzione di Francesco Soriano
e poi, con lo stesso, collaborò alla riorganizzazione del Graduale Romano per ordine di Cle-
mente VIII. Filippo Piccinini, appartenente con Alessandro ad una importante famiglia di liu-
tisti, fu uno dei più importanti esecutori di questo strumento, di cui perfezionò la tecnica e la
ricerca sonora.
Il Dialogo sopra la musica de’ suoi tempi 67
che per muovere la gente bassa et idiota, si servono più del canto che
de i concetti; massime nelle prediche del Venerdì Santo. [2] In modo
che si può dir veramente, che ne gl'effetti che procedono dalla musica,
la natura vi abbia gran parte, accompagnata anche dall'arteficio, come
ha ne gl'animali irrazionali ancora e particolarmente ne gl'uccelli, a'
quali ha concesso varie sorti di voci e di canto; che pare quasi che tra
loro faccino a gara d'arrivare alla maggior perfezzione, e d'insegnare
agli figli tal esercizio, come per più conti necessario al mantenimento
et esser loro; come si vede per continua esperienza principalmente ne i
rosignoli e pappagalli; onde si vede che la musica fa grande effetto,
non solo ne gl'uomini, come ho detto, ma anco ne gl'animali irraziona-
li. [3] E se pure alcuna persona non ne ha compiacimento, come io
n'ho conosciuto taluno, e particolarmente il Cardinal Francesco Sforza
ultimo, ciò avviene o per la grande applicazione dell'animo loro ad al-
tri affetti che hanno veementi, o da troppo vivacità loro; che non a-
vendo pazienza in una sola azzione volentieri mutano l'applicazione
secondo la varietà de gl'oggetti che s'offeriscono, e quasi si può dire
che nesciunt stare loco.
[26] (La musica della Controriforma) [1] Nel presente corso del-
l'età nostra, la musica non è molto in uso, in Roma, non essendo eser-
citata da gentil uomini, né si suole cantare a più voci al libro, come per
gl'anni a dietro, non ostante che sia grandissime occasioni d'unire e di
trattenere le conversazioni. [2] È ben la musica ridotta in un'insolita e
quasi nuova perfezzione, venendo esercitata da gran numero de' buoni
musici, che disciplinati dalli suddetti buoni maestri porgono col canto
loro artificioso e soave molto diletto a chi li sente. [3] Perché avendo
lasciato lo stile passato, che era assai rozzo, et anche li soverchi pas-
saggi con li quali si ornava, attendono ora per lo più ad uno stile reci-
tativo ornato di grazia et ornamenti appropriati al concetto, con qual-
che passaggio di tanto in tanto tirato con giudizio e spiccato, e con ap-
propriate e variate consonanze, dando segno del fine di ciascun perio-
do, nel che li compositori d'oggi dì con le soverchie e frequentate ca-
denze sogliono arrecar noia; e sopra tutto con far bene intendere le pa-
role, applicando ad ogni sillaba una nota or piano or forte, or adagio,
or presto, mostrando nel viso e nei gesti segno del concetto che si can-
ta, ma con moderazione e non soverchi. [4] E si canta ad una o al più 3
voci concertate con istrumenti propri di Tiorba o Chitarra o Cimbalo o
72 Gennaro Tallini
40
Alunno di Giovanni Battista Nanino fu a servizio prima in S. Luigi dei Francesi e poi
maestro di cappella a S. Maria Maggiore. Fu anche maestro di cappella nel duomo di Bene-
vento. Nel 1614 tornò a Roma al servizio del Cardinale Arrigoni e poi di nuovo a S. Luigi dei
Francesi fino alla morte avvenuta nel 1638 (cfr. FORTUNE N., Giustiniani on Instruments, in
«The Galpin Society Journal», Vol. 5, Mar., 1952 (Mar., 1952), pp. 48-54).
74 Gennaro Tallini
41
Compositore, liutista e discendente di liutisti, fu al servizio degli Este e poi del cardina-
le Aldobrandini. È universalmente noto per aver inventato l’archiliuto, una sorta di liuto basso
e per aver perfezionato la tecnica del chitarrone. È anche autore de Gli avvertimenti (Bologna
1623), una raccolta di brani per il chitarrone ed il liuto. Giovan Battista del Violino, tenore di
origini bresciane, si trasferì a Roma nel 1571. Tre anni dopo è nominato maestro di cappella
della Congregazione di San Rocco e successivamente organista in San Giovanni in Laterano.
Nel 1586 si trasferì prima a Mantova e poi a Firenze dove morì nel 1608. Eccellente violinista
(da cui il soprannome), fu anche ottimo organista, arpista e liutista. Cfr., FABBRI M., La vicen-
da umana e artistica di Giovanni Battista Jacomelli "del Violino" deuteragonista della Came-
rata fiorentina in Firenze e la Toscana dei Medici, a cura di N. PIRROTTA, Firenze, Olschki,
1983, pp. 397-438; GIAZZOTTO R., Quattro Secoli di Storia dell'Accademia Nazionale di San-
ta Cecilia, Rome, Accademia di Santa Cecilia, 1970; KIRKENDALE W., The Court Musicians
in Florence during the Principate of the Medici with a Reconstruction of the Artistic Establi-
shment, Florence, Olschki, 1993, pp. 256-261.
42
Orazio Mihi fu virtuoso dell’arpa doppia e tripla e primo esecutore a trasferire, sul pia-
no della tecnica dello strumento e nell’ambiente romano, le cosiddette stravaganze, variazioni
con effetti bizzarri e drammatici nello stile della fantasia, originariamente in voga a Napoli.
La strada tracciata da Mihi fu seguita anche da Frescobaldi per il cembalo introducendo nella
toccata in stile romano e nelle sue formule polifoniche, consonanze, dissonanze e passaggio
tecnici arditi e virtuosistici. M. Mersenne, nell’Harmonie Universelle (1636) scrive che l’arpa
tripla fu inventata in Napoli da L. A. Eustache, migliorata da Orazio Mihi e suonata in modo
eccellente da J. le Flelle, arpista della regina di Inghilterra. Grazie alla tecnica compositiva ed
esecutiva di Mihi, ben presto l’arpa divenne strumento associato al virtuosismo ed alla im-
provvisazione stravagante, ciò creò addirittura delle scuole strumentali in Roma (lo stesso
Mihi) e Napoli (Magone e Trabaci) ben delineate in base alla tecnica espressa.
Il Dialogo sopra la musica de’ suoi tempi 75
44
Cugino di Carlo Gesualdo, fu anch’egli musico eccellente e forse suo primo maestro.
Fabrizio Fillomarino fu anch’egli sodale di Gesualdo e buon esecutore.
Il Dialogo sopra la musica de’ suoi tempi 77
45
La sanfornia altro non è che la zampogna, considerato strumento tipico delle campagne,
non degno di essere suonato da nobili e gentiluomini. Eppure Giustiniani cita esempi musicali
di prim’ordine (Vestiva i colli di Luca Marenzio) eseguiti su tale strumento degni di essere
considerati validi musicalmente. E non solo cita dei brani, ma specifica anche che esistevano
gentiluomini che non disdegnavano di suonarla in pubblico con buona intonazione e padro-
nanza tecnica. Uno di questi era Ottaviano Vestri Barbiani (1577-1626), coetaneo di Vincenzo
Giustiniani, nipote dell’omonimo giureconsulto attivo a Roma fino al 1572 e cugino di Mar-
cello Vestri Barbiani, altro valentissimo giureconsulto. Nella sua casa probabilmente, esisteva
un cenacolo molto simile a quello di casa Giustiniani, visto l’interesse del padrone di casa per
la musica e l’esecuzione musicale.
78 Gennaro Tallini
«La musica è una forma d'arte di livello superiore. Forse è la più univer-
sale tra tutte le forme d'arte in quanto il codice dei suoni è universalmente ri-
conosciuto da ogni razza e persona umana, mentre la poesia è sempre vinco-
lata alla cultura e alla lingua territoriale in cui nasce».
Nulla di più vero, solo che questa espressione proverbiale deve es-
sere aggiornata con quanto se ne sa di più oggi intorno all’effetto, so-
prattutto psicologico, che la musica esercita su di noi, su ciascuno di
1
ARISTOTELE, Met., I, parla della meraviglia come prima molla che spinge l’uomo a pen-
sare, a vivere aggiungiamo noi, dato che differenzia la vita cosciente degli uomini dalla vita
assai meno consapevole degli animali.
79
80 Alessandro Pizzo
2
Il nostro discorso è molto generale. Infatti, bisogna fare attenzione perché nella teoria
musicale si parla di armonia nei termini di sovrapposizione simultanea di suoni, la loro conca-
tenazione (accordi) e funzione all’interno della tonalità.
3
Ovviamente, ciò avveniva sulla base di una similitudine tra il cosmo e l’uomo. Infatti,
secondo i pitagorici l’anima umana, esattamente come il resto dell’universo, veniva intesa
quale harmonìa, “accordo”, “giusta mescolanza”, quindi, una composizione armonica dei vari
elementi che compongono ciascuno di noi. Esattamente come avviene in musica, ove si rea-
lizza una armonia musicale che proviene dagli elementi che compongono lo strumento musi-
cale. Il concetto filosofico di armonia è però più complesso. Infatti, tale nozione non annulla-
va le contraddizioni o gli opposti, ma riteneva che l’armonia provenisse da una loro “superio-
re” mediazione o conciliazione. Come si legge nei frammenti: «poiché inoltre vedevano e-
spresse dai numeri le proprietà e i rapporti degli accordi armonici, poiché insomma ogni cosa
nella natura appariva loro simile ai numeri, e i numeri apparivano primi tra tutto ciò ch’è nella
natura, pensarono [i pitagorici] che gli elementi fossero elementi di tutte le cose che sono, e
che l’intero mondo fosse armonia e numero» (DK 58 B 4).
Armonia, musica, ricezione 81
4
Kant, nella Critica della Ragion Pura (1781), parla di estetica nei termini della discipli-
na che studia le forme del percepire (a livello sensibile).
82 Alessandro Pizzo
3. Espressione e ricezione
7
M. HEIDEGGER, Cos’è la filosofia, Melangolo, Genova, 1995, p. 37.
84 Alessandro Pizzo
sizione (da ciò deriva anche l’idea delle poetiche dell’immagine, della
veggenza, della profezia). Idee che, in tempi più recenti, hanno ispira-
to la poetica romantica del poeta profeta (colui che vede di più e più
lontano dei suoi simili e che istituisce un collegamento tra il mondo
naturale e il mondo sovrannaturale) e la poetica heideggeriana secon-
do la quale il poeta è più dicente rispetto allo scienziato in quanto di
più e meglio attinge all’infinito, meglio ascoltando nelle radure del
mondo e potendo meglio corrispondere all’appello dell’essere. Il co-
me-è l’essenza della musica: l’armonia.
6.
ESTETICA E ARMONIA IN J. S. BACH
87
88 Gennaro Tallini
1
«Offerta / Musicale / A Sua Maestà il Re di Prussia etc. / molto umilmente dedicata / da
/ Johann Sebastian Bach / Graziosissimo Sovrano, con la più profonda sottomissione dedico a
Vostra Maestà un'Offerta Musicale la cui parte più nobile proviene dalle Sue auguste mani.
Con reverenziale piacere mi sovvengo ancora della sovrana grazia tutta particolare con la
quale tempo fa Vostra Maestà medesima, nel corso di una mia permanenza a Potsdam, si è
degnata di eseguire al cembalo un thema per una fuga, in pari tempo graziosamente ingiun-
gendomi di tosto svilupparlo alla Sua augusta presenza. Fu mio deferente dovere ubbidire al
comando di Vostra Maestà. Ma assai presto mi accorsi che in mancanza della necessaria pre-
parazione, l'elaborazione non era potuta essere quella che un thema così eccellente richiede-
va. Pertanto, giunsi alla conclusione, e subito me ne assunsi l'impegno, che occorreva rielabo-
rare in modo più compiuto questo thema veramente reale e farlo conoscere quindi al mondo.
Questo proposito è stato ormai realizzato secondo le mie capacità e altra intenzione non ha se
non quella irreprensibile di celebrare, quantunque soltanto in un piccolo punto, la gloria di un
monarca la cui grandezza e forza tanto nelle scienze della guerra e della pace quanto special-
mente nella musica, tutti devono ammirare e venerare. Oso aggiungere questa preghiera umi-
lissima: che Vostra Maestà si degni di onorare il presente modesto mio lavoro con una grazio-
sa accoglienza e conceda ancora per l'avvenire la Sua altissima grazia sovrana all'autore Di
Vostra Maestà servitore umilissimo ed obbedientissimo / Lipsia, 7 luglio 1747».
Csrtesianizzazione, geometrizzazione, gerachizzazione 91
Per quanto appena detto, e per i molteplici e vari motivi che analiz-
zeremo in seguito, è necessario che la lettura estetica dell’opera ba-
chiana sia operata non più secondo i canoni della ricerca musicologica
solita, risalenti in parte ai primi del secolo, bensì tenendo separate la
fase analitico-comparativa che agisce sulla parte biografica da quella
prettamente compositiva. Deve essere cioè adottato un sistema analiti-
co di indagine di tipo fenomenologico che analizzi la sua produzione a
partire dal suo nucleo centrale, come se cioè fosse cresciuta dal suo
interno, e non soltanto in riferimento alla personalità ed all’ambiente
in cui egli opera.
fuga, dove il tema (la monade appunto) informa di sé, attraverso le di-
verse fasi formali e strutturali, tutta la partitura. La razionalità dunque,
passa ancora una volta attraverso la struttura logico-matematica della
quadratura.
Affermare quindi che la bellezza artistica nel Seicento e nel Sette-
cento sia essenzialmente un principio poetico-critico, significa anche
rifiutarsi di trovare le ragioni dell’arte arenandosi al suo primo mani-
festarsi. L’invenzione allora diviene qualcosa di continuamente varia-
to che sempre porta in sé quello che Bouhours nel 1687 chiamava
esprit3. I principi quindi di razionale e di verosimile espressi a suo
tempo dal Boileau (Art poetique), ancor di più nel periodo 1714-1722
hanno una loro validità intrinseca: si guardi alla razionalità del canone
perfettamente innestato con la sua struttura sulla forma della fuga nel-
le sue articolazioni di sviluppo e cioè divertimenti e stretti.
Nella loro risultante il prodotto è volto ad ottenere effetti ed emo-
zioni comunque combinati al bisogno espressivo e quindi non perfet-
tamente veri, ma almeno verisimili. Del resto, l’obiettivo è rimanere
ancorati a quella nozione cartesiana di senso e gusto l’uno all’altro in-
timamente legati che già aveva determinato con il tempo una prima
corruptio, trasformando quella unione in un continuo uso del senso
dell’orrido e del terrifico, questi ultimi già ampiamente giustificati
dalla Poetica di Aristotele, ma invece interpretati in senso pienamente
seicentesco.
Soprattutto in questo campo lo stesso Bach recepisce la lezione: si
guardi alla costruzione strumentale di diversi drammi per musica: è il
caso di Der streit zwischen Phoebus und Pan BWV 201 e Der zufrie-
dengestellte Äolus BWV 205, la cui introduzione per soli fiati, non solo
è chiara imitazione strumentale della tempesta e della potenza della
natura, bensì, e questo è ben più importante, è anche rifacimento, se-
condo canoni estetici differenti, di quelle stesse idee sulla rappresen-
tazione programmatico-descrittiva del testo poetico in musica e che il
gusto dell’epoca definiva appunto Geschmack di indirizzo francese,
italiano o misto, a seconda dei casi e delle situazioni.
Un processo creativo che obbedisca quindi alle regole programma-
tiche appena enunciate non poteva che applicarsi soprattutto alle arti
3
BOUHOURS D., De la maniere de bien penser dans le ouvrage d’esprit¸1687.
Csrtesianizzazione, geometrizzazione, gerachizzazione 99
figurative e con ottimi risultati anche in altri campi, non ultimo quello
musicale. Si legga Bellori4 a proposito del sensualismo effettivo; egli
infatti, pur riferendosi ecletticamente alla idea, alla ragione, alla veri-
tà, all’eleganza, mira in realtà a cogliere sùbito gli effetti, al fine di
tramutarli in risultati poetico-critici necessari a trasformare il prodotto
artistico (musicale) in agire enfatico, eccitato attraverso sforzi furiosi
e veementi che devono dare il senso della impetuosità anziché della
patetica tranquillità.
Wit, aguzedas, esprit, diventano categorie non estetiche, ma psico-
logiche in cui l’atteggiamento si rende come risultante pienamente
fruibile. Il valore artistico allora, non risponde solo ad una fisiologica
capacità di creare, proprio dell’essere umano, ma ad una serie di capa-
cità che si collocano autonomamente rispetto all’autore stesso e quindi
fantasia, giudizio estetico, immaginazione, senso specifico non hanno
più ragion d’essere se non fortificati in una struttura di immediata
comprensione che per forza di cose non può che risultare precaria. In
questo senso, l’aria belcantistica, con le sue continue riprese ed arzi-
gogolature vocali - cui nemmeno Bach sfugge - sono esempi compiuti
di questa diffusa frammentarietà mal ricomposta. Ne consegue, pur-
troppo o per fortuna, a seconda dei gusti e dei casi, che le maggiori
innovazioni decreteranno anche, sicuramente, la fine del Barocco.
L’immediatezza infatti, fatta estetica, ridotta a semplice giudizio di
valore, rapporterà tutto ad un sistema di proporzioni invalicabile che
minerà alla base il principio stesso del bello e della bellezza su cui si
fondava l’idea stessa di arte. Non a caso poi, da questo magma teore-
tico si elaboreranno teorie (già neoclassiche), in cui proportio e sim-
metria, gaiezza e genialità saranno il nuovo metro di valutazione, non
bastando più il gusto, fatto senso.
Tornando a Bach quindi, l’ideale cui egli fa riferimento, è fatto di
proporzionalità matematica e di decoratività. Solo in due opere - la
Musikalische Opfer BWV 1079 e Die kunst der fugue BWV 1080, en-
trambe risalenti al terzo periodo - questa sua dimensione intuitiva sarà
totalmente soppiantata dalle altre due anime bachiane, quella ascetica
e meditativa - già presente in tutte le sue opere religiose - e quella teo-
4
BELLORI G. P., Idea della pittura, scultura e architettura, in Vita de’ pittori e scultori
moderni, (1672).
100 Gennaro Tallini
5
Si tratta di un canone che oggi viene catalogato come BWV 1076 e che fu pubblicato
dapprima a Lipsia nel 1747 e poi da Mizler nell'ultimo numero della Musikalische Bibliothek
del 1754.
6
BD, III, 803.
7
BD, I, 53. In questo caso il soggetto del discorso è G. Biedermann, che in una satira in
lingua latina, De vita musica (1749), tratta dalla Mostellaria di Plauto, criticò aspramente i
programmi e l’attività musicale nelle scuole sostenendo che soprattutto quest’ultima influenzi
Csrtesianizzazione, geometrizzazione, gerachizzazione 101
negativamente gli allievi. La polemica non coinvolse solo Bach che partecipò con due lettere
infuocate, ma tutto il mondo musicale del tempo, a partire dal Mattheson che pubblicò, in di-
fesa dello steso Bach, il Mithridat, contro il veleno di una satira italiana intitolata La musi-
ca,. Proprio questa diversa visione della composizione musicale e degli effetti che essa dove-
va suscitare nel fruitore, sono alla base della polemica, ben più importante della precedente,
che Bach dovette ingaggiare anche con Johann Adolf Scheibe - forse un suo ex allievo - ed il
suo Der critische musicus. Sechs studien, 1737. Stimato anche da Lessing e da Ebeling (Sag-
gio di una scelta biblioteca musicale, 1770), fu molto influenzato dal pensiero estetico di J.
C. Gottsched, il quale, proprio nel 1730 aveva pubblicato il suo Versuch einer critischen di-
chtkunst vor die Deutschen. Come quest’ultimo aveva trasferito la ricerca estetica nel campo
esclusivo della letteratura e dell’arte poetica, così Scheibe applicò le medesime teorie razio-
nali ed illuministiche al solo campo musicale. In questo, scagliandosi in particolare modo sia
contro la degenerazione dell’opera italiana che contro il contrappunto e più o meno esplicita-
mente contro Johann Sebastian Bach.
102 Gennaro Tallini
dentale.
La concezione mistico-matematica della musica è ad esempio evi-
dente nella Harmonie Universelle (1636-1637) di Mersenne, dove, in-
tesa come una sorta di calcolo inconscio, è ancora una volta legata a
una componente razionale e matematica. Ma il discorso sarebbe più
complesso, perché la filosofia del Sei-Settecento cerca di combinare il
sapere scientifico acquisito attraverso calculum e experimentum con le
teorie neoplatoniche, che contemplano la presenza nella natura di for-
ze occulte, magiche o divine. Il neoplatonismo diviene infatti nel Set-
tecento una sorta di alchimia di tipo puramente spirituale, finalizzata a
un'affannosa ricerca dei significati simbolici delle azioni e dei pensie-
ri, come se la realtà trovasse concretezza non nei fatti, ma nei simboli
e nelle allegorie.
9
HUTCHESON F., Enquiry into the original of our ideas of beuty and virtue, 1725.
Csrtesianizzazione, geometrizzazione, gerachizzazione 105
12
GRAVINA V., Della ragion poetica, 1708.
13
MURATORI L. A., Della perfetta poesia italiana, 1706 e Riflessioni sopra il buon gusto
nelle scienze e nelle arti, 1708.
14
VICO G. B., De antiquissima Italorum sapientia, 1710; Scienza nuova prima, 1725;
Scienza nuova seconda (1744).
15
BURKE E., A philosophical inquiry into the origins of our ideas of the sublime and the
beautiful, 1756.
Csrtesianizzazione, geometrizzazione, gerachizzazione 109
16
È il caso degli svizzeri J. .J. Bodmer e J. J. Breitinger con i loro Discuorse des mahlern,
1721-1722), ispirato dallo Spectator di Addison e Von dem einflusse und dem Gebrauch der
Einbildungkraft (1727). La ricerca dei due filosofi continuerà per vie del tutto diverse e sepa-
rate, si guardi al Critische abhandlung von der Wunderbaren in der Poesie pubblicato dallo
stesso Bodmer nel 1740.
17
GOTTSCHED J. C., Versuch einer kritischen Dichtkunst vor die Deutschen, 1730; per la
polemica con Bach, cfr. BUSCAROLI P., Bach, Milano, Mondadori, 1985.
110 Gennaro Tallini
moderni della estetica, sia alle speculazioni teoriche espresse nel cam-
po musicale e che da questo raggiungono e si applicano a ben altri
campi e determinazioni poietiche. Quindi, proprio perché dalle struttu-
re musicali del Barocco è possibile - in maggior misura che in altre
epoche - derivare le sue fondamenta estetiche, ancor di più preferiamo
indagare a fondo quel substrato critico che da teoria si fa applicazione
pratica nella ricomposizione - in chiave non solo strutturale, ma anche
formale: penso alla pratica comune del basso continuo - della nozione
e della prassi esecutiva che nel contesto stesso dell’armonia.
Di per sé, quest’ultima - intesa come perfetta disposizione degli ac-
cordi secondo equilibri formali e contenutistici suggeriti dallo stesso
contesto eidetico - si poggia su nozioni ben precise e determinate non
soltanto all’inizio della pratica armonica, quando la tecnica della com-
posizione musicale secondo il Sistema Armonico Tonale (SAT) sostituì
quella modale in uso nel Quattrocento e nel Cinquecento (SAM), ma
anche elaborate nel corso dell’evoluzione della cultura musicale occi-
dentale. La prima di esse consiste nell’obbedienza ad un climax degli
accordi che noi definiamo gerarchicizzazione e che si esprime attra-
verso i rapporti di forza intercorrenti tra i vari gradi della scala tonale
trasportata sulla linea del basso. La seconda invece è la cosiddetta re-
gionalizzazione cui una sistemazione teorica coerente e davvero com-
pleta ci è stata lasciata soltanto ai primi di questo secolo da A.
Schömberg, anche se, in effetti, essa già esisteva nel contesto musicale
proprio del barocco, pur se in condizioni e motivazioni teoriche del
tutto diverse ed estranee a quella lettura.
Tra Seicento e Settecento, una struttura come quella chiasmica del-
la crux, obbediente a relazioni armoniche che non si discostavano dal
rapporto principale instaurato tra tonica e dominante, proprio nel giro
armonico intorno a questa dualità impostava il personale discorso a
proposito della regionalizzazione. In effetti, pur nel continuo e stabile
movimento modulare tra le armonie diverse, sempre rimaneva in evi-
denza quello principale instauratosi tra tonica e dominante e vicever-
sa, in modo che mai si poteva effettivamente registrare una vera novità
armonica. Mentre Schömberg pone il concetto di regione armonica
soltanto in vista della discussione sulla apparente mobilità della armo-
nia stessa - in modo da dimostrare, invece che la avvenuta modulazio-
112 Gennaro Tallini
come l’accordo di settima diminuita. Anche dalle altre due leggi rima-
nenti possiamo ricavare norme di comportamento armonico: è il caso
dei rapporti tra accordi con una o più note in comune che rispecchia la
parità e l’equilibrio dei rapporti di compensazione che caratterizzano
la seconda legge, ed è anche il caso del movimento indipendente delle
parti secondo i principi del moto contrario delle parti che si identifica
completamente in quel movimento rettilineo dei corpi che è argomen-
to indiscutibile della terza legge.
È bene però, a questo punto del discorso, per non incorrere in af-
frettate conclusioni, affermare che il SAT di cui stiamo parlando esi-
steva già prima dell’elaborazione cartesiana. Certo, né era dotato di
una soggettività propria, né i compositori del tardo Cinquecento ri-
spettavano molto i rapporti accordali esistenti. Eppure, le loro compo-
sizioni rispondevano ad un sistema di relazioni tra tonalità contigue
che già alla metà del secolo XVI comprendeva, oltre l’intavolatura,
anche alcuni arricchimenti della parte del basso attraverso indicazioni
ben precise il cui sviluppo avrebbe in séguito dato origine al basso ci-
frato, primo nucleo del futuro basso continuo. Per questo dunque, le
teorie cartesiane in proposito, pur se non hanno invento nulla in ter-
mini strettamente musicali, pure, si vedono perfettamente adeguate
soprattutto a quel panorama. Anzi, possiamo affermare tranquillamen-
te che il sistema analitico cartesiano, una volta assimilato dalle struttu-
re proprie del mondo musicale coevo, chiude definitivamente anche la
stagione delle tecniche di contiguità armonica espresse dal SAM.
Con Bach l’usus barocco confluisce nell’avanguardia dello stylus
anticus comune ai suoi contemporanei. Per lui valgono le certezze di
Picasso in materia di produzione artistica: «io non cerco, io trovo». Ed
infatti il nostro trova senza alcuno sforzo, vivisezionando gli accordi,
frammentando gli intervalli sonori con l’imprimatur della forma ed il
supporto di un linguaggio, per i suoi tempi, davvero sperimentale.
Barocco ed avanguardia possono sembrare posizioni distanti, oltre
che alternative, ma non è così. La prima esalta i contenuti propri della
simmetria, dell’armonia e della proportio; la seconda invece mostra
comportamenti destrutturanti che trovano il loro specifico ruolo nella
variabilità dei campi di sperimentazione e nel riposare nelle forme i-
nedite. La classicità del Barocco dunque, opera nello spirito della con-
Csrtesianizzazione, geometrizzazione, gerachizzazione 115
1
KUNZE S., Il Teatro di Mozart, Marsilio, Venezia, p. 280.
2
CARLI BALLOLA G., PARENTI R., Mozart, Rusconi, Milano, pp. 113-114.
125
126 Paola di Toma
anni della miglior campagna pubblicitaria di tutti i tempi: il veto delle au-
torità.
Non vi era alcuna commissione, nessun contratto formale, Le Nozze di
Figaro era una impresa coraggiosa. Fu Da Ponte ad avviare la coopera-
zione incoraggiando Mozart, il quale aveva non poche riserve nel lavorare
senza scrittura ma il librettista gli garantì di poter avere la autorizzazione
all’allestimento dell’Opera.
La commedia di Beaumarchais fu, senza ombra di dubbio, una grande
e coraggiosa testimonianza a favore della rivolta del popolo contro una a-
ristocrazia moralmente corrotta. I diversi divieti diedero alla commedia
una grande popolarità e nello stesso tempo non ne impedirono la sua rap-
presentazione.
Probabilmente, come sostiene S. Kunze, ciò che spinse Mozart a inte-
ressarsi all’opera di Beaumarchais non fu la sua attualità sociale, ossia il
messaggio politico che emerge chiaramente nel terzo, quarto e quinto atto
e del quale nel libretto di Da Ponte quasi non rimane traccia, bensì il vir-
tuosismo e la vivacità con cui il commediografo francese aveva saputo
sviluppare in disinvoltura un intreccio tanto complicato3.
Riguardo alla rappresentazione, ci furono risvolti diversi rispetto a ciò
che avvenne in Francia. L’imperatore Giuseppe II riteneva che la pièce
contenesse “molte cose indecenti”, e ne vietò la rappresentazione in pub-
blico. Al tempo stesso acconsentì a far stampare il Figaro, «dando per
scontato che i camerieri e le cameriere di Vienna andassero volentieri a
teatro ma non leggessero testi teatrali»4.
Comporre un’opera su una commedia vietata dall’imperatore sembrava
una pazzia; oltretutto, era necessario ottenere la revoca del divieto di rap-
presentazione da Giuseppe II. Da Ponte informò l’imperatore di aver scrit-
to un dramma per musica, non una commedia e di aver tagliato tutte le
scene che avrebbero potuto offendere la decenza. Certamente efficace fu
l’arte diplomatica di Da Ponte, ma né le insistenze del poeta né il talento
del compositore avrebbero potuto persuadere l’imperatore a ritirare il di-
vieto di rappresentazione del Figaro. L’opera, probabilmente, fu rappre-
sentata soltanto perché l’impertore intendeva trasmettere un messaggio
politico forte e recepibile5.
3
KUNZE S., Il Teatro di Mozart, cit., p. 283.
4
BATTA A., Opera, Könemann, p. 371.
5
«Stupidità stampate diventano pericolose solo nei luoghi in cui vengono proibite» (BATTA A.,
Da Meaumarchais a Da Ponte. Per una genesi del «Figaro» 127
2. Beaumarchais
8
Ivi, p. 297.
Da Meaumarchais a Da Ponte. Per una genesi del «Figaro» 129
3. Da Ponte-Mozart
9
BEAUMARCHAIS, La trilogia di Figaro, a cura di A. CALZOLAI, Mondadori, Milano, p.
300.
130 Paola di Toma
4. La metamorfosi di Figaro
12
CARLI BALLOLA G., PARENTI R., Mozart, Rusconi, Milano, pp. 115-117.
132 Paola di Toma
13
KUNZE S., Il Teatro di Mozart, cit., pp. 285-286.
Da Meaumarchais a Da Ponte. Per una genesi del «Figaro» 133
17
KUNZE S., Il Teatro di Mozart, cit., p. 305.
Da Meaumarchais a Da Ponte. Per una genesi del «Figaro» 135
18
Ivi, p. 307.
19
GROUT D. J., Breve Storia dell’Opera, Rusconi, Milano, p. 321.
136 Paola di Toma
21
Diamo, di seguito, alcuni riferimenti bibliografici utili alla maggior comprensione della bio-
grafia e dell’opera del musicista salisburghese: BRATTA A., Opera, Köneman, 1999; STEPTOE A.,
The Mozart – Da Ponte Operas, Clarendon Press, Oxford, 1973; PAUMGARTNER B., Mozart, Einaui-
di, Torino, 1945; BEAUMARCHAIS, La trilogia di Figaro, Mondatori, Milano, 1991; OSBORNE C., Tut-
te le opere di Mozart, Sansoni Editori, Firenze, 1991; Dizionario Enciclopedico universale della Mu-
sica e dei Musicisti, coordinato da A. BASSO, UTET, Torino, 1999; FARAVELLI D., W. A. Mo-
zart,1795-1791, Un musicista fra un antico regime e mondo nuovo, Editori Riuniti, Roma, 1989;
HEARTS D., Le Nozze di Figaro in cantiere, a cura di S. DURANTE, Il Mulino, Bologna, 1991; GROUT
D. J., Breve Storia dell’opera, Rusconi, Milano, 1985; DENT E. J., Il teatro di Mozart, Rusconi, Mi-
lano, 1994; LESURE F., A propos de Beaumarchais, «Revue de Musicologie», 1967 ; CARLI BALLO-
LA G., PARENTI R., Mozart, Rusconi, Milano, 1990; MARCHESI G:, L’opera Lirica: Guida storica –
Critica dalle Origini al Novecento, Giunti, Firenze, 1999; ABERT H., Mozart, la Maturità 1783-1791,
Saggiatore, Milano, 1985; DA PONTE L., Le Nozze di Figaro, a cura di E. RESCIGNO, Ricordi, Milano,
2002; MILA M., Lettura delle Nozze di Figaro, Einaudi, Torino, 1979; DURANTE S., Mozart, Il Muli-
no, Bologna; KUNZE S., Il Teatro di Mozart: dalla Finta Semplice al Flauto Magico, Marsilio Edito-
ri, Venezia, 1990; SADIE S., Mozart, in The New Grove, Ricordi/Giunti, Roma, 1987; GEORGIADES
T., Del linguaggio musicale nel teatro di Mozart, a cura di S. DURANTE, Il Mulino, Bologna, 1991;
The New Grove Dictionary Of Music and Musicians, Edited by S. SADIE, Macmillan Reference,
2000.
8.
ALCUNI APPUNTI SU DON GIOVANNI
139
140 Gennaro Tallini
2
MACCHIA G., op. cit., 1989 p. 15.
3
MACCHIA G., op. cit., 1989, pp. 15-16 e pp. 165-176; altresì, molto interessante è anche
il saggio di STOPPELLI P., Manzoni ed il tema di Don Giovanni, in «Belfagor», settembre
1984, pp. 501-516.
4
Nella fattispecie anche per Ulisse, come per i personaggi di Sue, vale il contrasto mi-
to/eroe, per le stesse ragioni che qui abbiamo citato. non a caso, anche per S. Zecchi, L'eroe
Don Giovanni diviene mito quando si libera di ogni «ostacolo e convenzione morale e reli-
giosa» (cfr. ZECCHI S., Prefazione, a Sei porte per la scienza d'amore, Mondadori, Milano,
1994, p. VI).
Alcuni appunti su Don Giovanni 145
147
148 Gennaro Tallini
1
BARBARISI G., Vincenzo Monti e la cultura neoclassica, in La letteratura italiana, a cura
di N. SAPEGNO e E. CECCHI, vol. 12, L’Ottocento. Dal Neoclassicismo al Romanticismo: Mon-
ti e Foscolo, Garzanti, Milano, 2005, pp. 62-131. Per la conoscenza del clima letterario mila-
nese nel periodo 1750-1850, cfr. BERENGO M. Intellettuali e librai nella Milano della Restau-
razione, Einaudi, Torino, 1980, BIZZOCHI R., La «Biblioteca italiana» e la cultura della Re-
staurazione. 1816-1825, Milano, Franco Angeli, 1979, CERRUTI M. La cultura letteraria a
Milano tra la fine dell’Età Napoleonica e la prima Restaurazione, in Atti del Convegno «Pie-
tro Custodi tra rivoluzione e restaurazione», a cura di D. ROTA, Lecco, Cattaneo Editore,
1989; VENTURI F., Settecento riformatore. 1. Da Muratori a Beccaria, Einaudi, Torino, pp.
675-747. Sulla realtà culturale torinese, cfr. in particolare BOTTASSO E., Le edizioni Pomba:
1792-1842, Torino, Biblioteca Civica, Ages, 1969 e Catalogo storico delle edizioni Pomba e
Utet 1791-1900, a cura di BOTTASO E., prefazione di G. SPADOLINI, Torino, Utet, 1991. Sui
problemi relativi alle periodizzazioni e sui contenuti generali dell’epoca preromantica, cfr.
VAN TIEGHEM P., Le préromantisme, voll. 3, Paris, Spelt, 1947-1948, HAZARD P., La crisi del-
la coscienza europea, presentazione di SERINI P., Milano, Il Saggiatore, 1968, FORMIGARI L.,
Teorie e pratiche linguistiche nell’Italia del Settecento, Bologna, Il Mulino, 1984, TIMPANARO
S. Classicismo e Illuminismo nell’Ottocento italiano, Pisa, Nistri-Lischi, 1965, PUPPO M., Le
poetiche del classicismo e del romanticismo in Italia, in AA.VV., Momenti e problemi di sto-
ria dell’estetica. III. Dal romanticismo al Novecento, t. IV, Marzorati, Milano, pp. 982-993.
Per uno sguardo d’insieme è utilissimo anche MUTTERLE, A. M., Narrativa e memorialistica
nell’età romantica, in L’Ottocento, vol. II, a cura di A. BALDUINO, Padova, Piccin Nuova Li-
braria, 1990; GARRISON J. D., Pietoso stile. Italian translators of Gray’s elegy to 1900, MLN,
vol. 121, 1, January 2006, pp. 167-186.
2
LUZZI J., Italy without Italians: literary origins of a romantic mith, in «MLN», CXVII,
1, January 2002, pp. 48-83.
L’universale facoltà creatrice 149
3
Di Voltaire, Cesarotti tradusse, come primo esercizio in tal campo, intorno al 1760-
1762, le tragedie La morte di Cesare e il Maometto. La traduzione, corredata di postille criti-
che e di due Ragionamenti (il primo Sopra il diletto della tragedia, il secondo Sopra l’origine
e i progressi dell’arte poetica) furono inviate al filosofo francese attraverso Goldoni che in
quello stesso periodo, stava trasferendosi in Francia (BIGI E., Dal Muratori al Cesarotti, in
Critici e storici della poesia e delle arti nel secondo Settecento, vol. IV, Ricciardi, Milano,
1960, pp. 4-5).
4
«[…]Un inglese di passaggio a Venezia gli fece conoscere l’Ossian, che era a quel tem-
po la gioia o almeno la meraviglia dei critici d’oltralpe; e il Cesarotti non tardò un momento a
tradurre in versi sciolti quel poema accompagnando la versione con note per la maggior parte
indirizzate contro Omero» (U. FOSCOLO, Storia della letteratura italiana, a cura di M. A. Ma-
nacorda, Einaudi, Torino, 1979 p. 373). La citazione foscoliana è interessante perché illustra
la vera dimensione della fortuna dei canti ossianici in Italia e le conseguenze che, per un certo
periodo, subì la cultura tradizione classica perfino nella scelta ed impostazione dei modelli
soliti di riferimento. Su Cesarotti, sul suo pensiero estetico e sulla sua produzione, cfr. PATRI-
ZI G., alla v., in Dizionario biografico degli italiani, 24, 1980 e PUPPO M., alla v., in Diziona-
rio Critico della Letteratura Italiana. Altre ricerche, sono invece riconducibili a MARZOT G.,
Il grande Cesarotti, La Nuova Italia, Firenze, 1949 e ID., Melchiorre Cesarotti, in Letteratura
Italiana, Marzorati, Milano, 1974, pp. 2127-2161. Ancora a PUPPO M., Discussioni linguisti-
che del Settecento, Torino, UTET, 1966, le introduzioni al Saggio sopra la filosofia delle lin-
gue, Marzorati, Milano, 1969 e alle Poesie di Ossian, Torino, Einaudi, 1976, Poetica e poesia
neoclassica da Winkelmann a Foscolo, Sansoni, Firenze, 1975 sempre a firma dello stesso;
BIGI E., Le idee estetiche di Cesarotti, in «Giornale Storico della Letteratura Italiana»,
CXXXV, 1959, CERRUTI M., Appunti per un riesame dell’ellenismo italiano nel secondo Set-
tecento: elchiorre Cesarotti, in AA.VV, Da Dante al Novecento, Milano, Mursia, 1970; MARI
M., Le tre Iliadi di Melchiorre Cesarotti, in Momenti della traduzione fra Settecento e Otto-
cento, Milano, Istituto di Propaganda Libraria, 1994, pp. 161-234 (già apparso, con lo stesso
titolo, in «Giornale Storico della Letteratura Italiana», 1990); MATTIOLI E., Studi di poetica e
retorica, Modena, Mucchi, 1983, pp. 183-204; SOLE A., Foscolo e Leopardi fra rimpianto
dell’antico e coscienza del moderno, Napoli, Federico & Ardia, pp. 1990.
150 Gennaro Tallini
5
DE MATTEIS G., Sondaggi foscoliani, Leone, Foggia, 2001. Sulla traduzione dei testi os-
sianici – e più genericamente sulla traduzione dei testi inglesi – è interessante riproporre il
caso della traduzione al femminile ed in particolare di Teresa Carniani Malvezzi, traduttrice di
The rape of the Lock di Alexander Pope (Il riccio rapito, Bologna, 1822) che dimostra, da un
lato l’anglofilia italiana e dall’altro smentisce la convinzione che questo particolare campo di
attività fosse integralmente maschile (cfr. COSTA-ZALESSOW N., Teresa Carniani Malvezzi as
a translator from English and Latin, in «Italica», LXXVI, 4, 1999, pp. 497-511). Sulla lettera-
tura femminile del tempo, si vedano anche AA.VV., Il genio muliebre. Percorsi di donne intel-
lettuali nel Piemonte fra Settecento e Ottocento, Alessandria, Edizioni dell’orso, 1990 e SA-
LUZZO ROERO D., Novelle, a cura di L. NAY, Firenze, Olschki, 1989, GIORCETTI C., Ritratto di
Isabella Studi e documenti su Isabella teotochi Albrizzi, Firenze, Le Lettere, 1992. Sulla tra-
duzione e ricezione dei Canti si vedano MATTIODA E. (A CURA DI), Le poesie di Ossian, Saler-
no Editrice, Roma, 2000, CERRUTI M., Il piacere di pensare. Solitudini, rare amicizie, corri-
spondenze intorno al 1800, Mucchi, Modena, 2000.
6
BIGI E., Dal Muratori al Cesarotti, in Critici e storici della poesia e delle arti nel secon-
do Settecento, cit.
7
CARAMELLA S., L’estetica italiana dall’Arcadia all’Illuminismo, in Momenti e problemi
di storia dell’estetica, Marzorati, Milano, p. 957. Sulla questione del gusto neoclassico e delle
sue valenze estetiche, oltre il solito WELLEK R., Storia della critica moderna (1750-1950),
vol. I, Dall’Illuminismo al Romanticismo, Il Mulino, Bologna, 1974, importanti sono anche i
saggi di PRAZ M. (Gusto neoclassico, Rizzoli, Milano, 1974) e ASSUNTO R. (L’antichità come
futuro. Studio sull’estetica del neoclassicismo europeo, Mursia, Milano, 1973) nei quali sono
delineati sia i principi estetici su cui l’epoca elabora il proprio giudizio, sia i modelli costrutti-
vi che meglio si impongono a questo stesso fine. Sui testi del neoclassicismo e del preroman-
ticismo rimane fondamentale il già citato BIGI E., Dal Muratori al Cesarotti, in Critici e stori-
ci della poesia e delle arti nel secondo Settecento, cit.
8
CESAROTTI M., Saggio sulla filosofia del gusto, in Opere scelte, vol. I, a cura di G. Orto-
lani, Le Monnier, Firenze, 1946. In proposito, cfr. anche PUPPO M., Storicità della lingua e
libertà dello scrittore nel “Saggio sulla filosofia delle lingue” del Cesarotti, in «Giornale Sto-
rico della Letteratura Italiana», CXXXIII (1953), pp. 510-543.
L’universale facoltà creatrice 151
13
TALLINI G., Dalla musica alla Musica nello “Zibaldone” leopardiano, cit.
L’universale facoltà creatrice 153
14
Sull’idea di musica in Hegel sono interessanti, oltre che il fondamentale saggio di
HEIMSOETH (Hegels Philosophie der Musik, in «Hegel-Studien», 2, 1963), soprattutto per il
panorama bilbiografico italiano sull’argomento, le analisi condotte da SCARAMUZZA G. (Hegel
e la musica, in users.unimi.it/˜gpiana/dm6/dm6hglgs.htm) e VIZZARDELLI S. (L'esitazione del
senso. La musica nel pensiero di Hegel, Roma, Bulzoni, 2000).
154 Gennaro Tallini
15
«Io m’era prefisso di toglier la lingua al dispotismo dell’autorità e ai capricci della mo-
da e dell’uso, per metterla sotto governo legittimo della ragione e del gusto; di fissare i princi-
pi filosofici per giudicar con fondamento della bellezza non arbitraria dei termini, e per diriger
il maneggio della lingua in ogni sua parte […] di fare ugualmente la guerra alla superstizione
ed alla licenza, per sostituirci una temperata e giudiziosa libertà; di combattere gli eccessi, gli
abusi, le prevenzioni d’ogni specie; di temperare le vane gare, le cieche parzialità; di applicar
alfine le teorie della filosofia alla nostra lingua, d’indicar i mezzi di renderla più ricca, più
disinvolta, più vegeta, più atta a reggere in ogni maniera di soggetto e di stile al paragone del-
le più celebri, come lo può senza dubbio, quando saggiamente libera sappia prevalersi della
sua naturale pieghevolezza e fecondità».FERRONI G., PANTANI I., CORTELLESSA A., TATTI S.,
Storia della letteratura italiana. Una nuova sensibilità letteraria. Da Alfieri a Foscolo, Ei-
naudi, Torino, pp. 3-11 e pp. 32-51. Sulla condizione del linguaggio poetico romantico, inteso
come derivazione di scelte teoretiche anche neoclassiche, si vedano anche ULIVI F., Settecento
neoclassico, Pisa, Nistri-Lischi, 1957, NEGRI R., Gusto e poesia delle rovine in Italia fra il
Sette e l’ottocento, Meschina, Milano, 1965, BINNI W., Preromanticismo italiano, Laterza,
Bari, 1974 - datati ma sempre utili - e i più recenti CERRUTI M., MATTIODA E., La letteratura
del classicismo. Vincenzo Monti, in Storia della letteratura italiana, vol. VII, Il primo Otto-
cento, a cura di E. MALATO, Salerno Editrice, Roma, 2000.
L’universale facoltà creatrice 155
16
FERRONI G., PANTANI I., CORTELLESSA A., TATTI S., Storia della letteratura italiana.
Una nuova sensibilità…, cit., pp. 31. La presenza dei canti ossianici nella cultura italiana del
tempo è ben testimoniata anche dalle versioni lirico-teatrali che si rappresentano a Venezia
(Fingallo e Comala, musica di S. Pavesi e libretto di L. Fidanza, Teatro “La Fenice”, carneva-
le del 1805), Milano (Evellina, musica di C. Coccia e libretto di G. Rossi, Teatro “Re”, carne-
vale 1815) e Napoli (Gaulo e Oitona, musica di P. Generali e libretto di L. Fidanza, Teatro
“San Carlo”, carnevale 1812 ed Agadaneca, musica di C. Saccenti e W. R. Gallenberg, libret-
to di V. de Ritis, Teatro “San Carlo”, marzo 1816), si veda in proposito ELVIDIO SURIAN, Or-
ganizzazione, gestione, politica teatrale e repertori operistici a Napoli e in Italia, 1800-1820,
in Musica e cultura a Napoli dal XV al XIX secolo, a cura di L. BIANCONI e R. BOSSA, Ol-
schki, Firenze, 1985, pp. 317-369. Sulla musica tra Settecento ed Ottocento invece, cfr. A-
AVV., L’eredità dell’Ottantanove e l’Italia, atti del convegno internazionale, Venenzia, Fon-
dazione Cini, 2-16 settembre 1989, a cura di R. ZORZI, Firenze, Olschki, 1992.
156 Gennaro Tallini
17
PUPPO M., Le poetiche del classicismo e del romanticismo in Italia, cit., p. 984-987.
18
Su Angelo Mazza, cfr. DI BENEDETTO R., Il bello armonico ideale e i poteri della musi-
ca nella poesia di Angelo Mazza, in Musica e Spettacolo a Parma nel Settecento, Università
di Parma, Parma, 1984, pp. 195-206. Per i rapporti tra Angelo Mazza e i suoi contemporanei
invece, si guardi ARIANO F., Il carteggio di Angelo Pezzana, in «Malacoda», XIII (1997), 73,
pp. 3-26. Per la fortuna del poeta parmense presso i contemporanei interessante la posizione
espressa da U. FOSCOLO, Storia della letteratura italiana, cit., pp. 378-379. Diamo di seguito
anche il catalogo delle opere pubblicate da Angelo Mazza, così da avere un quadro abbastanza
ampio della produzione dell’autore parmense e dei modelli estetici cui egli stesso fa riferi-
mento, cominciando dalle odi Impero universale della musica (1767) e Gli effetti della musica
158 Gennaro Tallini
solennizzandosi il giorno di Santa Cecilia da’ Sigg. Filarmonici (Parma, 1776), ed arrivando
ai Sonetti sull’Armonia (Fratelli Amoretti, Parma, 1801) ed al poemetto All’aura armonica:
versi estemporanei rappresentandosi nel teatro del sig. Fabio Scotti l’Agnese di Ferdinando
Paer, (Stamperia Imperiale, Parma, 1809).
19
GARIN E., Storia della filosofia italiana, cit., p. 979. Il soggiorno di Condillac a Parma
(dal 1758 al 1767) è importantissimo per la cultura parmense ed italiana perché la presenza
del filosofo determinò anche le scelte di autori come Frugoni e Rezzonico, oltre che Mazza,
soprattutto in merito all’idea di poesia e permise alla cultura cittadina di svecchiarsi e rivolge-
re la propria attenzione critica anche alle scelte filosofiche e culturali in genere che, nel frat-
tempo, si andavano delineando soprattutto nella Milano della Accademia dei Pugni e delle
discussioni de «Il Caffè» dei fratelli Verri e Beccaria.
L’universale facoltà creatrice 159
20
SCHLEGEL FR., Frammenti critici e poetici, Einaudi, Torino, 1998. La valenza monado-
logia del frammento accordale è stata individuata, proprio come noi la abbiamo proposta più
volte, anche applicandola a diversi contesti artistici (L’estetica al tempo di J. S. Bach (1685-
1750), cit. e in Di un dipinto quasi sconosciuto di Sebastiano Conca (1680-1764), in «Civiltà
Aurunca», 36 (1997), pp. 5-16), e proprio riferendosi alla musica barocca, anche da G. DE-
LEUZE in La piega. Leibnis e il Barocco, Einaudi, Torino, 1990, pp. 199-218.
21
CARAMELLA S., L’estetica italiana dall’Arcadia all’Illuminismo, cit., p. 910-911.
160 Gennaro Tallini
22
MAZZA A., L’armonia, vv. 105-192, cit. in CARAMELLA S., Idem, p. 911.
23
AA.VV., Il Foscolo critico: struttura e motivi degli “Essays on Petrarch”, in «Italica»,
LXXV, 1, 1998, pp. 62-77. Il problema è affrontato anche da FERRONI G., PANTANI I., COR-
TELLESSA A., TATTI S., Storia della letteratura italiana. Una nuova sensibilità letteraria. Da
Alfieri a Foscolo, cit. pp. 3-11 e pp. 32-51.
24
Sulla tassellazione, principio applicativo di procedimenti analitici interdisciplinari mu-
tati da altra/e disciplina/e o derivato da altri modelli di indagine metodologica (applicabili so-
prattutto alla costruzione di una analisi critica che si muova tra gli ambiti musicale, estetico-
strutturale ed estetico-formale e letterario) e costruito secondo un metodo comparativo di in-
L’universale facoltà creatrice 161
dagine estetica, cfr. il nostro Le metodologie della critica, Garigliano, Cassino, 2002 che, a
monte, trova origine e riflessione didattica su di un blocco di lezioni compendiate in Studi sul-
le metodologie della critica nel Novecento, corso di Metodologie della Critica, Cattedra di
Storia della Critica, Dipartimento di Studi Comparati, Università di Chieti, II semestre, a.a.
2001-2002. per una esauriente bibliografia sull’argomento e per verificare lo stato della ricer-
ca nel campo della musica e dell’estetica comparata, consigliamo BROWN C., Music and Lite-
rature; a comparison af the arts, Athens, University of Georgia Press, 1948, MUNRO TH., The
arts and their interrelations. A survey of the arts and an Outline of Comparative Aesthetics,
New York, the Liberal Art Press, 1949, HAGSTRUM J. H., The sister arts. The tradition of
Literry Pictorialism and English poetry from Dryden to Gray, Chicago, University of Chicago
Press, 1958; PRAZ M., Mnemosine. Parallelo tra letteratura e le arti visive, Milano, Monda-
dori, 1971 (I edizione: Princeton University Press, 1970); HONOUR H., Neoclassicismo, Tori-
no, Einaudi, 1993.
25
PORTER J., Bring me the head of J. Mcpherson. The execution of Ossian and the Well-
springs of folkloristic discourse, in «The Journal of American Folklore», vol. CXIV, n. 454,
2001, pp. 396-435. Sul versante, invece, del pensiero di Herder è utile sottolineare la vicinan-
za tra la sua riflessione filosofico-musicale e le idee cesarottiane, in particolare per quanto
riguarda la costruzione di una linea di diretta discendenza del discorso retorico da Du Bos (per
cui la retorica è imprescindibile dal discorso musicale) a Rousseau (nell’Essai sur l’origine
des langues, 1760) e, quindi allo stesso Herder secondo cui, musica (la “melodia”) e linguag-
gio, hanno una origine comune e per questo l’uso di un modello retorico è giusto e necessario,
soprattutto a fini imitativi ed espressivi. In altri termini, Cesarotti e Mazza, al pari dei filosofi
citati, considerano la musica totalmente narrativa e perciò perfettamente in grado, non solo di
far parlare il compositore attraverso di essa (proprietà retorica), ma, nello stesso tempo, per-
mettendo alla partitura di funzionare come un’opera che racconta, che impone cioè un model-
lo linguistico totalmente narrativo (proprietà narrativa). Questa lettura impone anche una let-
tura continuativa dei caratteri poietici che vanno dal Classicismo al Romanticismo, il che giu-
stifica, oltretutto, anche la continuità contenutistica e stilistica che si ritrova nelle opere pro-
dotte.
162 Gennaro Tallini
26
U. FOSCOLO, Storia della letteratura italiana, cit., p. VII.
164 Gennaro Tallini
27
«Intanto il mio dramma, letto più volte a diversi, ha qui fatto una grandissima sensazio-
ne. per la continua allusione ai lacrimevoli fatti qui accaduti nel ’99. Ho preso per argomento
un soggetto di venticinque secoli addietro, ma nazionale, perché accaduto in Calabria, vale a
dire nella Magna Grecia; e, sotto l’immagine di antiche e gloriose avventure, ho dipinto quelle
di otto anni addietro, e vi ho interessato l’onore della nazione, senza mai nominare nessuno,
lasciando all’uditore il farne applicazione» (MONTI V., Epistolario di Vincenzo Monti, raccol-
to, annotato e ordinato da A.BERTOLDI, III, Firenze, 1928-1931, p. 203, sul soggiorno di Mon-
ti a Napoli si vedano invece, infra, le pp. 121-203). Il dramma di Monti è stato studiato da
LIPPMAN F., Un’opera per onorare le vittime della repressione borbonica del 1799 e per glo-
166 Gennaro Tallini
28
Epistolario, cit. p. 198.
168 Gennaro Tallini
29
DRABKIN W., La musica da camera da Haydn alla fine dell’Ottocento, in enciclopedia
della musica, IV. Storia della Musica Europea, a cura di J. J. NATTIEZ, Einaudi, Torino, pp.
698. Sullo stile classico sono fondamentali i saggi di ROSEN CH., Lo stile classico: Haydn,
Mozart, Beethoven, Feltrinelli, Milano, 1979 e WEBSTER J., Towards a history of Viennese
music in the early classical period, in «Journal of American Musicological Society», XXVII,
n. 2, pp. 212-247.
170 Gennaro Tallini
30
«Perciò, come si divide un edificio in tre parti, la cupola e le ali, e un discorso in tre
punti; così un grande Brano musicale si divide in tre arti, le parti si suddividono in periodi, i
periodo in frasi, le frasi in proporzioni e le proporzioni e le proporzioni in cadenze o membri»
(MOMIGNY, J.-J. DE, Cours complet d’harmonie et de composition d’après une théorie neuve
et générale de la musique […], vol. 3, Paris, 1806, p. 397.
31
REICHA A., Traité de haute composition musicale, 2 voll., Zetter, Paris, 1824-1826.
10.
I QUARTETTI DI BEETHOVEN
1
PESTELLI G., L’età di Mozart e di Beethoven, EDT, Torino, p. 240.
175
176 Paola di Toma
2
Ivi, p. 235.
3
Ivi, pp. 237-238.
I quartetti di Beethoven 177
sonate per pianoforte. Infine compose gli ultimi quartetti: op. 127,
130, 132 e 135 tra gli anni 1824 e 1826. I tre differenti momenti, sepa-
rati da ampi intervalli di tempo, non consentono di individuare una ve-
ra e propria linea di sviluppo, come invece è possibile nei confronti
delle sonate; ma è interessante notare come si è evoluta parte della
produzione beethoveniana in relazione ai quartetti e come questi siano
stati influenzati o abbiano influenzato lo sviluppo delle sue opere.
2. I quartetti op. 18
3. I quartetti «Rasumowski»
Molti sono gli anni che separano l’op. 59 dai primi quartetti; nel
frattempo tre delle Sinfonie erano state composte, insieme a molte o-
pere minori che determinarono l’immortalità di Beethoven.
Questi quartetti furono ritenuti da alcuni composizioni altrettanto
grandi quanto quella delle sinfonie. Il quartetto, come scrive Valletta,
essendo più ribelle alle innovazioni di quello che lo siano la sonata e
la sinfonia, l’adozione di uno stile così nuovo di concetti, di dialogo
strumentale, di sviluppo, segnò una singolare audacia da parte di Bee-
thoven in quel tempo di quadratura così fissa che neppure Haydn e
Mozart avevano creduto possibili di cambiamento7.
Beethoven fu incaricato di comporre questi tre quartetti dal conte
Rasumowski verso la fine del 1805. Alla fine del 1806 o al principio
del 1807, essi erano completati, poichè il critico Allgemeine Zeitung
potè ascoltarli in concerto il 27 febbraio. Furono pubblicati nel 1808.
Caratteristica di questi quartetti è, nel Finale del primo e nel Trio
dello Scherzo del secondo quartetto la presenza di due temi russi. Ciò
che ci si chiede da sempre è se fu Beethoven a voler fare un omaggio
al nobile committente, o fu questo a richiedere l’utilizzo dei temi sud-
detti. G. Biamonti si pone la questione se i quartetti op. 59 siano stati
indirettamente anche in altre parti ispirati alla musica russa. Egli scri-
ve che il Bücken, autore tedesco, dopo aver notato come caratteristica
dell’opera il contrasto di alcune forme ritmiche alquanto complicate
7
VALLETTA I., I quartetti di Beethoven, Bocca, Milano, 1948, p. 40.
I quartetti di Beethoven 181
11
COOPER M., Beethoven …, cit., pp. 468-469.
I quartetti di Beethoven 185
12
COOPER M., Beethoven…, cit., pp. 469-487.
186 Paola di Toma
16
ROSEN C., Il pensiero della musica, cit., p. 54.
188 Paola di Toma
17
Ivi, p. 55.
18
ROSEN C., Il pensiero della musica, Garzanti , Milano, pp. 55-56.
19
Ivi, p. 56. Diamo di seguito alcune indicazioni bibliografiche: AA. VV.,Dizionario Enci-
clopedico della Musica e dei Musicisti, coordinato da A. BASSO, Torino, UTET, 1999. CARLI
BALLOLA G., Beethoven, Milano, Bompiani, 2001; VALLETTA I., I quartetti di Beethoven, Mi-
I quartetti di Beethoven 189
lano, Bocca, 1948; KERMAN J., TYSON A., Beethoven, The New Grove, Roma, Ricordi/Giunti,
1986; KERMAN J., The Beethoven Quartets, New York, Alfred A. Knopf, 1967; COSSO L., FA-
VA E., PESTELLI G., RIZZATI A., Beethoven, La musica da camera, Torino, Unione Musicale,
1995; COOPER M., Beethoven. L’ultimo decennio 1817-1827, Torino, ERI, 1979; MILA M.,
Beethoven: I Quartetti Galitzine e la Grande Fuga, Torino, Giappichelli,1969; MILA M., I
quartetti di Beethoven, Torino, Giappichelli, 1969; PRINCIPE Q., I quartetti per archi di Bee-
thoven, Milano, Anabasi, 1993; WINTER R., MARTIN R., The Beethoven Quartets Companion,
Los Angeles, University of California Press, 1996; The New Grove Dictionary Of Music and
Musicians, Edited by S. SADIE, Macmillan, 2000; RIEZLER W., Beethoven, Milano, Rusconi,
1979.
11.
DALLA SCAPIGLIATURA AL FUTURISMO
191
192 Gennaro Tallini
sione che producono risultati del tutto contraddittori, dai giudizi re-
strittivi o negativi alla polemica sul gusto e sul senso stesso della e-
spressione poetica nel suo complesso. Si accettano, per finire, solo
quelle forme del gusto che possono essere riconducibili alla nostra
tradizione letteraria (il nitore dei parnassiani, la musicalità di Verlaine,
in neostilnovismo del preraffaelliti), ma per il resto, la riserva su piano
del giudizio critico è costante ed è riassunta nelle accuse d’immoralità
ed oscurità.
Nella prima, un marchio per i poeti decadenti, il moralismo che a-
veva viziato tanta parte della critica romantica nostrana, emerge sotto
le forme di una pruderie borghese che già aveva avuto modo di eserci-
tarsi sulle avanguardie postromantiche1.
Oltre l’immoralità, l’accusa più ricorrente, abbiamo detto, era di
oscurità e mirata soprattutto all’attività simbolista. Persino Vittorio
Pica, mente tra le più lucide del tempo e tra i meno abbagliati dal falso
scandalo borghese, richiama la poetica simbolista alla chiarezza di
stimoli, intenti ed espressione, sia per aderenza all’estetica nazionale
(impregnata di classicismo e razionalismo) che per asservimento alla
morale, intesa come funzione educatrice e formativa dell’arte e condi-
zione necessaria per la sua comprensione. E Panzacchi – acceso wa-
gneriano e propugnatore della musica del tedesco in Italia – per quan-
to possibile rincara la dose, parlando addirittura di «rosolia lettera-
ria», reazione strema al carattere d’esclusività oggettività imposta dai
canoni naturalistici. Per il nostro, le idee letterarie proposte forse sono
giuste all’origine, ma non nella loro collocazione finale, anzi: si sono
corrotte e «rese informi e deformi dalla demenza nell’applicarle».
Richiamandosi alla definizione d’arte aristocratica che proprio Pica
propugnava ed ad una fedeltà indiscutibile alle «note fondamentali di
verità e di bellezza», aggiunge: «qui non è questione né di aristocrazia
né di democrazia; è questione di umanesimo schietto, naturale, univer-
1
Ne sanno qualcosa i poeti veristi come Stecchetti (Postuma) e Carducci (Intermezzo);
anzi, proprio quest’ultimo, fu al centro di una vivace polemica con De Zerbi sul presunto pa-
ganesimo dei carducciani che sfociò sulle pagine del Fanfulla della domenica. Per tacere della
querelle sul «poeta porco» che investì D’Annunzio e che fu un memorabile scontro tra critica
postromantica e nuove istanze produttive. Si arrivò addirittura ad invocare l’intervento del
Procuratore Reale, facendone una questione di moralità pubblica poiché si danneggiava irri-
mediabilmente lo spirito e l’avvenire della patria.
Dalla Scapigliatura al Futurismo 193
2
PANZACCHI A., I decadenti, in «Lettere e arti», 9 febbraio 1889. Ciò che i critici sottoli-
neano, in un unisono fuori tempo, è la degenerazione, nel senso di Entartung (1892–93) di M.
S. SÜDFELD (Max Nordau), testo in cui, in un intrecciarsi di teorie lombrosiane nietzscheane,
alle forme ed alle manifestazioni patologiche dell’arte e della cultura, il filosofo contrappone-
va l’uomo sano, sordo ai richiami di quelle forme degenerate ed attratto esclusivamente dal
bello e dall’esteticamente accettabile. L’idea, totalmente sconfessata da Lombroso, rimase
però nell’immaginario dei critici italiani e fissò lo scandalistico interesse borghese più sulla
vita sregolata di quei poeti che non sul rigore, novità e coerenza della loro ricerca linguistica e
poetica.
3
D’ANTUONO N., Vittorio Pica. Un visionario tra Napoli e l’Europa, Carocci, Roma,
2002.
194 Gennaro Tallini
della arte nuova che si vanno sviluppando proprio in Italia nel primo
decennio del secolo XX – foriero di nuove tendenze e linguaggi4.
Per Vittorio Pica il problema dell’arte e della sua necessità estetica
risiede soltanto nella capacità di determinare l’attendibilità valoriale
dell’opera, nell’ottica del suo rapporto/confronto con il fruitore (even-
tuale) e non anche (o solo) con il suo produttore. L’attenzione per il
Sibaritismo o per il Giapponismo sottolineano questa particolare vi-
sione per cui l’atteggiamento formale è più vero ed attuale dell’aspetto
costruttivo. In questo modo vale molto di più la concentrazione dei
molteplici aspetti eidetici che non quella significante del messaggio e
della struttura. Il medesimo «bello stile» è considerato primario rispet-
to alla necessità della produzione, con questo dimostrando che a Na-
poli il senso estetico derivante da un bello inteso come monade auto-
mostrantesi soltanto al momento dello svelamento/fruizione non era
ancora stato cancellato dai paludamenti della sintesi neoidealista cro-
ciana.
Pica in questa sua concezione estetica non è solo: ammantati di una
tardo romanticismo bohèmienne, altri autori guardano all’Europa per
comprenderne senso della modernità, linguaggio, stile ed assolutizza-
zione delle forme nelle medesime strutture che il nostro usa per la
propria ricerca. Parliamo di De Matteo (musicista/poeta, originario di
Capitanata e napoletano di adozione e studi e dei musicisti/letterati
della scuola strumentale napoletana (Martucci, Pick–Mangiagalli,
Giordano, Cilea) intenti a guardare a Brahms, Debussy e soprattutto
Wagner, piuttosto che Verdi, Puccini o Mascagni5.
4
FANTASIA R., Alle origini del Novecento. Poetiche e idee della poesia in Pascoli e
D’Annunzio, Garigliano, Cassino, 2002.
5
Tutti questi autori – che vanno anch’essi ad occupare quella posizione mediana che li
colloca, come formazione, nell’Ottocento e come scelte poietiche nel Novecento – grazie ai
loro interessi dimostrano un sentire europeo, obiettivamente in contrasto con la cultura
dell’Italia coeva, manzoniana per formazione, risorgimentale e sciovinista per ideali, borghese
«dalle sieste lunghe», culturalmente incapace di pensarsi e pensare la Cultura e lo Stato come
moderni ed in continuo progresso. Questi autori sono non completamente ottocenteschi – se
non per formazione culturale, poiché rifiutano ogni compromesso con la propria epoca che
non porti al nuovo – e nemmeno sono completamente Novecenteschi, per la difficoltà a di-
scernere il vero nuovo dalle imitazioni del vecchio, per l’inconsapevolezza di dominare mate-
ria nuova con modalità diverse e per l’incapacità di essere davvero Avanguardia agguerrita e
determinata nel portare avanti le proprie convinzioni poietiche.
Dalla Scapigliatura al Futurismo 195
6
PICA V., Sibaritismo, naturalismo, giapponismo, a cura di N. D’ANTUONO, Napoli, ESI,
1995.
7
PATARINI S., Dal frammento alla prosa d’arte, Bologna, Il Mulino, 1989.
196 Gennaro Tallini
8
PICA V., Letteratura d’eccezione, a cura di E. CITRO, Genova, Costa & Nolan, 1987.
9
MONTALE E., Intenzioni (intervista immaginaria), in «La Rassegna d’Italia», I, 1, gen-
naio 1946, pp. 84–89.
Dalla Scapigliatura al Futurismo 197
10
Preludio di Frate Angelico ed il ben più importante Marco, vero e proprio dramma liri-
co scritto dal Falzone. Su quest’ultima composizione, è bene sottolineare che, se la morte non
avesse colto così prematuramente De Matteo, quest’opera sarebbe stata rappresentata al teatro
Imperia di Vienna.
11
Ammalatosi di tubercolosi, morendo in un sanatorio svizzero, non ha fatto altro che
santificare artisticamente la propria vita, trasformandola in prototipo dell’ideale tardo roman-
tico dell’auctor che trova linfa vitale solo nella propria geniale produzione e che per quella si
macera, si consuma nel tempo alla ricerca di un’ostinata quanto inarrivabile perfezione che
renderà la sua produzione immortale, con ciò dimenticando che soltanto questa lo sarà in sae-
cula e non chi l’ha prodotta.
Dalla Scapigliatura al Futurismo 199
12
Dualismo, in Libro di versi, 1877.
204 Gennaro Tallini
13
BARATONO A., Arte e poesia, a cura di D. FORMAGGIO, Bompiani, Milano, 1966.
14
«Il perfetto non sarebbe divenuto. Noi siamo abituati, in ogni cosa perfetta, a trascurare
la questione del divenire e ad allietarci di ciò che ci sta davanti, come se esso fosse sorto dalla
terra per un colpo di bacchetta magica. Probabilmente ci troviamo qui ancora sotto l’influsso
di un antichissimo sentimento mitologico. Per noi è quasi (per esempio in un tempio greco
come quello di Paestum) come se un mattino un dio avesse costruito giocando, con tali enor-
mi blocchi, la sua casa; altre volte, come se, per magia, un’anima fosse stata improvvisamente
trasformata in un masso e ora volesse parlare attraverso di esso. L’artista sa che la sua opera
ottiene pieno effetto solo quando suscita la fede in una improvvisazione, in una miracolosa
istantaneità della nascita» (NIETZSCHE F., Umano troppo umano, I, 145).
Dalla Scapigliatura al Futurismo 205
15
NIETZSCHE F., Il viandante e la sua ombra, in umano troppo umano, II, 170.
16
«Se per mantenersi, l’arte deve ricorrere agli allettamenti delle forti emozioni, significa
che essa […] tende ad appiattirsi sulle esigenze sensibili immediate; sia perché corrisponde ad
esigenze più rozze […], sia soprattutto perché tende a diventare funzione immediata della vita
pratica, pura e semplice ricreazione […]» (VATTIMO G., Il soggetto e la maschera. Nietzsche e
il problema della liberazione, Bompiani, Milano, 1974, pp. 131–140).
17
NIETZSCHE F., Il viandante…, cit., II, 170.
18
TALLINI G., Estetica e poesia in Adelchi Baratono, in Brevi scritti critici, Centro Stam-
pa, Gaeta, 1994, p. 19.
206 Gennaro Tallini
23
Pensiamo all’arte cosiddetta primitiva: finché è stata soltanto mezzo d’uso, essa ha rap-
presentato solo il suo usus quotidiano e questo per secoli: quindi, un vero fruitore – nel senso
artistico intendo – non c’è stato. Nel momento in cui invece costui è cambiato (negli atteg-
giamenti, nei gusti e nelle scelte) – cioè: si è passati dal semplice e sistematico uso quotidiano
alla valutazione come altro dell’oggetto creato – allora, quella stessa quotidianità rappresenta-
ta dai graffiti, dalle ciotole, dalle steli votive è diventata Arte: è il caso degli ex voto, dei to-
tem, dell’oggettistica artigianale ed antiquaria, la quale – nata come mezzo d’uso comune –
ora viene valutata in primis proprio come prodotto artistico e non come oggetto quotidiano. I
famosi zoccoli di Van Gogh, grazie anche alla lettura heideggeriana degli Holzwege, hanno
compiuto il percorso inverso, ma nonostante ciò, hanno comunque evidenziato la differente
origine sociale ed artistica: per il contadino che li usa, essi rimarranno sempre tali ed il vederli
dipinti – e quindi il comprenderne l’intima verità artistica che passa anche attraverso il trava-
glio umano e spirituale del suo autore – non lo ripagherà mai, né della fatica per averli scolpiti
nel legno, né dell’averli usati. Il fruitore quindi, per quanto possa essere casuale, è comunque
importante, perché è soltanto lui che determina – con il proprio giudizio – il valore
dell’oggetto che noi ora consideriamo manufatto artistico ed in base a ciò ne decreta implici-
tamente anche la durata (e la morte come oggetto artistico, perché la morte fisica la danno
soltanto il tempo e l’incuria degli uomini).
210 Gennaro Tallini
concezioni, ormai sentite come lontane e non più attuali esiste, ma ciò
non viene attuato operando un netto distacco, bensì tenendo sempre
d’occhio la tradizione. La rottura, così come noi intendiamo comune-
mente questo termine, non c’è mai stata, anzi.
Come già scritto altrove, nell’ambito dell’estetica musicale, da
Monteverdi a Schönberg, il nuovo – inteso come rottura determinante
e completa con il passato – in effetti non esiste25.
L’opporsi, lo schierarsi o il ricercare nuove soluzioni che fossero
ad un tempo indipendenti ed equidistanti dalle posizioni dominanti, ha
determinato una vera e propria implosione dell’estetica, trasformando-
lo, da fattore culturale unitario, in una miriade di frammenti che – nel-
la più totale anarchia – hanno costituito non solo un nuovo insieme
metodologico, ma anche – e ciò è ben più importante – un modello so-
ciale cui adeguarsi per sempre.
L’artista stesso, volutamente subendo questo nuovo adeguarsi alla
arte, trasforma la propria vita in un’opera da ammirare e contemplare.
Work in progress quindi è non solo la opera – che come vedremo più
avanti diventa addirittura un fenomeno “non–mai–compiuto” – ma an-
25
«Monteverdi, e non solo lui, ma anche Gluck e Calzabigi nel melodramma, e più tardi
Beethoven, Haydn e Mozart, hanno contribuito alla ricostruzione di un nuovo linguaggio (an-
che opposto ad uno scientificizzato quale quello delle fughe di Joh. Seb. Bach) che troverà la
sua frantumazione e ricostruzione secondo i nuovi dettami del Romanticismo, dove, alla for-
ma rigidamente strutturata della sonata haydniana e mozartiana per esempio, si opporranno le
piccole forme espressive ed intimistiche di Schumann, Schubert o Chopin, o le grandi archi-
tetture sonore (apparentemente informali, ma dotate invece di strutture dilatate al massimo)
care a Liszt (sonata in Si min.) o allo stesso Chopin (sonate op. 35, op. 58). Tutto ciò avverrà
secondo dettami armonici apparentemente non più legati allo schema tonale classico;
quest’ultimo infatti si svilupperà sempre più fino ad assumere, da Wagner in poi, tutti i carat-
teri tipici del nuovo sul vecchio, consistenti nella violenza armonica e nella distruzione tona-
le» (TALLINI G., Sull’estetica della musica contemporanea, in Brevi Scritti Critici, Centro
Stampa, Gaeta, 1994, pp. 41–59, nota 5). Aggiungiamo che, nella musica occidentale, quelle
che sembrano essere caratteristiche nuove, trovano invece giustificazione esistenziale e strut-
turale in quel vecchio così abbondantemente denigrato. Nella musica di Schönberg, la serie
dodecafonica è in ogni caso costituita, sostenuta ed eseguita in base ad una struttura contrap-
puntistica che fa da interprete al linguaggio stesso. Il linguaggio dodecafonico d’altra parte,
non sarebbe comprensibile per nessuno – e di questo lo stesso Schönberg doveva esserne co-
sciente, tenendo conto del suo ritorno, nella seconda parte della sua vita, all’espressività tipica
della musica atonale – se esso non avesse al suo interno una struttura forte e soprattutto com-
prensibile che permettesse all’ascoltatore di ritrovarsi e rintracciare eventuali punti di appog-
gio all’interno dello stesso flusso sonoro, senza i quali, qualsiasi tentativo di comprensione
dell’opera stessa verrebbe meno.
212 Gennaro Tallini
che la stessa vita dell’artista, quasi che quest’ultimo sia parte integran-
te dell’arte e dell’oggetto stesso, e non solo supremo artifex.
Particolarmente nella musica e nella pittura, la frattura intercorsa
con il XIX secolo sembra aver portato le coscienze artistiche del tem-
po ad elaborare un nuovo linguaggio, più consono alle difficoltà del
tempo, e nello stesso tempo più adeguato ai ritmi ed alle difficoltà del
vivere suggerite dalla nascente età della tecnica: è in questa maniera
che, alla musica tonale ed al cromatismo di stampo wagneriano, si so-
stituisce ad esempio, la più completa atonalità e la dodecafonia.
Anche la letteratura, eccellente campo d’azione per la ricerca lin-
guistica, sensibilissima ai mutamenti estetici cui l’arte in genere è
soggetta, molto presto, conosciute le ragioni della nuova arte, si ap-
propria di quelle tendenze, riorganizzandole e dando vita, nel contem-
po, a nuovi campi d’indagine. All’avanguardia, più che il romanzo, è
soprattutto la poesia che – ricercando una linea operativa diversa da
quella scelta ad esempio dal linguaggio musicale, ma che al tempo
stesso fosse, per quanto possibile, più vera ed espressiva – rivendica
un’individualità del linguaggio che si evidenzia particolarmente nelle
scelte futuriste ed ermetiche.
L’adesione a determinate tipologie estetiche, ad un tempo diverse e
nuove dalla precedente, caratterizzate dalla morfologica diversità
strutturale26 – mirante non più alla dimostrazione dell’Assoluto hege-
liano, tanto evidente quanto più l’arte stessa rimaneva ancorata al gu-
sto romantico, bensì all’analisi ed alla ricerca di una ben più salda
26
Si vuole intendere qui la diversa estrazione culturale delle varie estetiche novecente-
sche. Infatti, di fianco a sistemi puramente filosofici, rigidamente inquadrati dalle leggi della
dialettica e della logica, quale potevano essere quelli elaborati da M. Heidegger o da B. Croce,
si sono sviluppati anche sistemi più semplici, miranti all’esclusiva analisi estetica e svuotati –
almeno apparentemente – d’ogni forma veramente filosofica e sistematica. Soprattutto in Pa-
scoli si riscontra questa tendenza (ANCESCHI L., Le poetiche del novecento in Italia, Marsilio,
Venezia, 1990, p. 78 e soprattutto Autonomia ed eteronomia dell’arte, Garzanti, Milano,
1992). Altresì, diviene importante sottolineare come, il passaggio dal Romanticismo ottocen-
tesco al decadentismo novecentesco, sia avvenuto, non con una frattura immediata, bensì at-
traverso un progressivo distacco di determinate poetiche dal Romanticismo stesso. Le poeti-
che della scapigliatura o quelle del Verismo segnano indelebilmente questa prima fase, i cui
contenuti sono ancora a metà tra il passato romantico ed un ipotetico diverso futuro letterario.
La seconda fase, definitiva, è quella attraversata dal Fanciullino pascoliano, che di romantico
conserva solo la pacatezza dei toni ed il riallacciarsi alla classicità, rappresentata sia da Omero
– il vecchio cieco, che non sa più vedere, ma sa dire (inteso come ur–sage) – che dal Fedone
platonico e dal Futurismo marinettiano, quest’ultimo vero e proprio fattore deflagrante.
Dalla Scapigliatura al Futurismo 213
27
La frammentarietà e la quantità delle nuove estetiche, rispetto all’unitarietà di quella
romantica, è una costante lungo tutto l’arco del Novecento artistico. Questa situazione però,
se ha creato problemi di linguaggio interpretativo nel campo esclusivamente critico, ha anche
avuto evidenti vantaggi: si pensi alla riscoperta, nella scultura, dell’arte primitiva, o
all’interesse, particolarmente francese, per la filosofia medioevale. Il gusto per tutto ciò che è
arcaico, antico, trova nel Novecento artistico un efficace protettore e propugnatore, ma tutto
questo, si badi, affonda le proprie radici proprio nel tentativo di porsi antiteticamente al ro-
manticismo hegeliano, il quale, con la pretesa di idealizzare tutto ciò che – non esprimendo
compiutamente adeguato sentire – appariva barbaro, finì per comportarsi come i contempora-
nei di Erodoto che rifiutavano tutto ciò che fosse estraneo o incomprensibile per i comuni ca-
nones interpretativi: così facendo l’idealizzazione della Grecia antica con loro aveva raggiun-
to veramente il culmine.
28
ROSSI G., Estetica e cristianesimo, Pro Civitate Christiana, Assisi, 1953, p. 8.
29
PAREYSON L., Arte e Vita, in Estetica e Cristianesimo, cit., p. 9.
214 Gennaro Tallini
30
BONFIGLIOLI P., in Officina letteraria, a cura di M. MATERAZZI, Thema ed., Bologna –
Torino, 1993, pp. 603–605.
216 Gennaro Tallini
31
«Se l’uomo [...] prevale troppo sul bambino [...] il poeta (in quanto poeta) ci lascia fred-
di. Se quasi solo il bambino esiste, [...] abbiamo il poeta puer; ne proviamo insoddisfazione e
un po’ di vergogna» (SABA U., Prime scorciatoie: nº 14, in Prose, a cura di L. Saba, Monda-
dori, Milano, 1966, pp. 266–267). Altrove, in Scorciatoie rifiutate (1934–1935), ribadisce:
“Se manca il bambino il poeta è impossibile. Se manca l’adulto è il poeta puer, una vergogna,
uno scandalo: Pascoli e sua sorella”.
Dalla Scapigliatura al Futurismo 217
32
HEIDEGGER M., Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze, 1974, pp. 3–102, 247–298,
e In cammino verso il linguaggio, Mursia, Milano, 1973.
33
PETRONIO G., cit., p. 747.
218 Gennaro Tallini
34
Prezzolini, in PETRONIO G., cit., p. 747
35
A proposito dell’aura, proprio la condizione d’imperfettibilità dell’oggetto artistico,
nell’epoca in cui diviene più facile produrre arte attraverso gli innumerevoli accidenti della
tecnica, determina la perdita, per quest’ultimo, di quella condizione di perfettibilità – detta
appunto aura – che ne determinava la valenza estetica, diventando soltanto qualcosa da con-
sumare nell’immediato. La dimensione temporale dell’opera d’arte non è più dilatata
all’infinito, votata all’immortalità, anzi: adesso ci si rivolge verso il suo esatto contrario (BEN-
JAMIN W., L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica [1936]; BRECHT B., Ar-
te vecchia e nuova [1920–1932], in Scritti sulla letteratura e sull’arte, Einaudi, Torino, 1975,
particolarmente le pp. 13, 31; ADORNO T. W., Aestetische theorie, Einaudi, Torino, 1975).
Dalla Scapigliatura al Futurismo 219
36
La presunta superiorità culturale tedesca nel XIX e XX secolo, attraverso le sue pecu-
liari caratteristiche, intrise di un forte nazionalismo, è stata positivamente studiata da SAMSON
L. in L’ethetique Wagnerienne est–elle une esthetique nationaliste ou un nationalisme esthe-
tique?, Universite Laval (Canada), 1990. Le stesse problematiche, sia pure con motivazioni
diverse, sono state oggetto di un interessante dibattito tra DAHRENDORF R., SEITZ K., DINER D.,
HONNETH A. e DIECKMANN F. sulle pagine di Micromega (nº 5/1994, pp. 61–127).
220 Gennaro Tallini
37
Si vedano per esempio: POULENC F., Gloria, e MILHAUD D., Trilogia dell’Orestiade (A-
gamennone, Le coefore, Le Eumenidi) su testo di Eschilo rivisto da Claudel.
38
Atonalità, politonalità, accordi elaborati, forme minime; per quest’ultime si ricordino le
sei milhaudiane Sinfonie–minuto (1917–1923).
39
Questa volta non più intese come stravagances settecentesche, bensì come vere e pro-
prie fonti di ispirazione tecnica e poetica. In proposito, ancora Milhaud, Homme et son désir
(1918) su testo di Claudel, e i due libri Saudades do Brasil (1920) su ritmi derivati dalla mu-
sica popolare brasiliana.
40
BRAGA A., cit., pp. 137–138.
Dalla Scapigliatura al Futurismo 221
41
La risultante di quest’innovazione, che pure rispettava i canoni tradizionali, accoppiata
alla poliritmìa ed alla politonalità degli strumenti dell’orchestra e delle voci del coro, da una
parte risultava altamente tragica (Vociferazione funebre, trenodia dalle Coefore) e dall’altra,
pienamente moderna: certamente la lezione del Pelléas et Melisande di Debussy in Milhaud
non rimase inascoltata. D’altro canto, la stessa poliritmia usata dall’autore diventa molto pre-
sto un esempio per altri compositori: Paul Hindemith, in molte sue composizioni, introduce
questa particolare nozione compositiva alla stessa maniera di Milhaud, cioè inserendo – ogni
tante battute poliritmiche – una battuta comune per tutti gli strumenti usati, tale da dare il sen-
so apparente dell’unità nella confusione dei singoli ritmi usati da essi durante l’esecuzione. È
altresì importante sottolineare come lo stesso fece Stravinskij sia in The Rake’s progress che
nel Sacre ed in altre composizioni.
222 Gennaro Tallini
42
STRAVINSKIJ I., Poetics of music in the form of six lessons, Harvard University Press,
Cambridge – Massachussets, 1970.
43
“I shall non forget that I occupy a chair of poetics. And it is no secret to any of you that
the exact meaning of poetics is the study of work to be done. The verb poiein from wich the
word is derived means nothing else but to do or make. The poetics of the classical philoso-
phers did not consist of lyrical dissertations about natural talent and about the essence of
beauty. For them the single word technè embraced both the fine arts and the useful arts and
was applied to the knowledge and study of the certain and inevitable tules of the craft”
(STRAVINSKIJ I., Poetics of music in form of six lessons, I, cit., 1970, p. 3).
Dalla Scapigliatura al Futurismo 223
44
In un testo curato da VINAY G. (Stravinskij, Il Mulino, Bologna, 1992), ZIMMERMANN
H. W. (Di chi è la «Poetica della Musica» di I. S.? Sulla genesi dei suoi scritti, pp. 63–79)
risale ai momenti principali della nascita dell’opera, giungendo ad affermare, a conclusione
delle sue ricerche, che la sua redazione – nella sua veste critica definitiva – non appartiene al
nostro autore ma ad un alunno di Maurice Ravel: Roland–Alexis Manuel Lèvy, compositore,
critico musicale e saggista d’una certa fama nella Parigi di quegl’anni. A questi, a detta di
Robert Craft – collaboratore di Stravinskij durante gli anni americani, deveno essere aggiunti
anche: (nel 1939) il padre del Simbolismo poetico Paul Valery – cui lo stesso Stravinskij fece
leggere ampi brani del testo in questione, ricevendone consigli e frasi di apprezzamento, ed il
russo Pierre Suvcinskij, anch’egli critico musicale, storico e filosofo della musica.
45
Una prova ne sono i due balletti Renard e Les noces per esempio, in cui, i soggetti di
lavoro (o termini: musica, balletto, testo) sono costruiti in modo che tra loro nulla sottolinei
l’identificazione tra la voce dei cantanti ed i personaggi rappresentati: la voce dello sposo – ne
224 Gennaro Tallini
46
Sulla radio, sull’EIAR e sul consenso che il fascismo ha potuto costruire proprio in vir-
tù dell’uso delle nuove tecnologie radiofoniche, cfr. MONTICONE A., Il fascismo al microfono.
Radio e politica in Italia (1924-1945), Roma, Studium, 1978 e ISOLA G., Abbassa la tua radio
per favor… Storia dell’ascolto radiofonico nell’Italia fascista, Firenze, La Nuova Italia, 1990.
47
Si vedano NICOLODI E., Aspetti di politica culturale nel ventennio fascista, COMUZIO E.,
La musica del cinema italiano del periodo fascista. Dalla primavera di Giovinezza
all’autunno delle rose appassite, e SALA M., Dal muto al sonoro: le musiche di Pizzetti per
Cabiria e Scipione l’Africano. Tutti i saggi citati sono compresi nel volume miscellaneo La
musica italiana durante il fascismo, a cura di R. ILLIANO, Thurnhout, Brepols, 2004, pp. 97-
189. SCIANNAMEO F., In black and withe: Pizzetti, Mussolini and Scipio Africanus, in «Musi-
cal Times», Summer 2004. Sulla storia del cinema italiano, ai fini di un soddisfacente quadro
di insieme, cfr. BRUNETTA G. P., Storia del cinema italiano, vol. 2, Il cinema di regime 1929-
1945, Pagine, Roma, 2003, SAVIO F., Ma l’amore no. Realismo, Formalismo, propaganda e
telefoni bianchi nel cinema italiano di regime (1930-1943), Milano, Sonzogno, 1975.
Dalla Scapigliatura al Futurismo 227
48
WALTER M., Italienische Musik im nationalsozialistischen Deutschland, in La musica
italiana durante il fascismo, cit., pp. 41-64.
228 Gennaro Tallini
per la loro ricerca di unità come stato, solo così il PNF si sostituisce
alle istituzioni diventando famiglia, chiesa, partito e stato; l’individuo,
prima di essere tale è fascista e solo in tale veste è parte della vita so-
ciale e politica del paese.
In un panorama del genere, non è solo l’essere ebrei o comunisti o
dissidenti a determinare l’autoanullamento esistenziale, ma prima di
tutto la propria caratterizzazione d’identità altra rispetto al fascista; ciò
che fa paura al regime è l’autonomia e poi la diversità razziale e reli-
giosa. Non dimentichiamo, infatti, che moltissime adesioni della pri-
ma ora al movimento mussoliniano (e ben prima della Marcia su Ro-
ma) vennero dalle alte gerarchie militari in cui ampia era la presenza
di alti ufficiali di religione ebraica.
Anche in campo culturale, perfino un personaggio non sospetto di
adesioni di facciata come Casella, proprio perché musicista di voca-
zione internazionale (per gusti, tecnica e modelli compositivi), è guar-
dato con sospetto e considerato, lo stesso, una specie di pericolo da
controllare a vista. Così, nell’Italia del tempo, al di là del consenso,
convivono situazioni opposte, si guardi per questo al caso di Aldo
Finzi e poi alla condizione di autori di un certo calibro ed importanza
come Respighi, lo stesso Casella, Dallapiccola e Malipiero49 e si avrà
49
CARAPELLA M., Musicisti ebrei nell’Italia delle persecuzioni: il caso Aldo Finzi, in La
musica italiana durante il fascismo, cit., pp. 301-330. FLAMM CH., «Tu Ottorino scandisci il
passo delle nostre legioni». Respighis “Römische trilogie” als musikaisches Symbol des Ita-
lienischen Faschismus?, in La musica italiana …, cit., pp . 331-370. DE SANTIS M., Casella
nel ventennio fascista, in La musica…, cit., pp. 371-400. Noti sono i rapporti tra Alfredo Ca-
sella e Gabriele D’Annunzio. Testimonianza ne sia questa lettera che il poeta D’Annunzio
invia al compositore dopo un concerto del Trio Italiano al Vittoriale: « Mio caro Alfredo, è
lontano il tempo quando ci adunavamo nella camerata di Gasparo ansiosi nel soffio delle
«Nuove Musiche» e tu sembravi reggere le nostre aspirazioni verso la novità non rivelata ep-
pur vivente, con spirito di legislatore ricordandoti «come ogni legislatore primitivo sapesse di
musica». Sempre mi ricordo. E tu ti ricordi. Io credevo allora essere al limitare della terza
giovinezza, capace di tener fede in pensieri e in atti a quella carta del Carnaro ove la musica è
considerata come il fermento della più vasta e più profonda vita. Fui deluso. Fummo delusi.
Ma la nostra tristezza non si mostrò inerme. Da quel tempo tu non hai cessato di rinnovellare
le tue forme, le tue invenzioni, i tuoi accenti e di esplorare quel «mare sinfonico» che è forse
il più difficile di tutti i mari, al quale mi piace di attribuire un raro epiteto dei latini: composi-
tum mare. Anch’io da quel tempo non ho cessato di studiare l’arte mia e di patire senza tregua
il tormento della perfezione. Oggi io sono un vero maestro, e invecchio iniquamente, e mi
preparo al trapasso. Un vero maestro sei oggi anche tu; e il tuo giovine vigore sale di opera in
opera. Tu hai il tuo premio. Il secondo nome del mio spirito, il secondo nome del tuo spirito, è
il coraggio. Nella nostra affinità si fonda la nostra fedeltà. Ecco che tu mi torni, ecco che tu mi
Dalla Scapigliatura al Futurismo 229
porti un novello suono. Dietro le mie dure porte il mio cuore batte così che io credo, la musica
e la amicizia gli segnino l’altezza dell’ultimo destino. Ben venuto Alfredo Casella, ben venuti
i tuoi compagni, i miei compagni. L’aspettazione è una specie d’inaudito preludio: votivum
melos. Gabriele D’Annunzio. Santa Barbara 1932». MAIER CH. S., PAINTER K., “Songs of a
prisoner”. Luigi Dallapiccola and the politics of Voice under Fascism, in La musica…, cit.,
pp. 567-588. ILLIANO R., SALA L., “Sed libera nos a malo”: dai Canti di prigionia ai Canti di
liberazione, in La musica…, cit., pp. 589-606. PESTALOZZA L., Malipiero: oltre la forma. Gli
anni della Favola del figlio cambiato, in La musica…, cit., pp. 401-426.
50
ASOR ROSA A., La cultura, in ROMANO R. e VIVANTI C. (a cura di), Storia di Italia, IV/2
Dall’Unità ad oggi, Einaudi, Torino, 1975. Nel saggio in questione, l’unico settore non inda-
gato è proprio la musica, né altresì sono indagati i rapporti tra musicisti e Mussolini. Sulle
riviste, cfr. VITTORIA A., Le riviste del duce. Politica e cultura del regime, Guanda, Parma,
1983 e Le riviste di “Strapaese” e “Stracittà”. «Il Selvaggio», «L’italiano», «’900», a cura di
L. TROISO, Treviso, Canova, 1975.
230 Gennaro Tallini
51
ASOR ROSA A., ivi, pp. 1503-1527.
52
ASOR ROSA A., ivi, pp. 1500-1501.
Dalla Scapigliatura al Futurismo 231
53
FANTASIA R., Alle origini della poesia del Novecento. Pascoli e D’Annunzio, Gariglia-
no, Cassino, 2002 e FANTASIA R., TALLINI G., Poesia e Rivoluzione, cit., pp. 49-75.
54
La definizione è di A. ASOR ROSA in La cultura, cit., p. 1503.
232 Gennaro Tallini
6. Il manganello e la poltrona
delle diverse teorizzazioni e delle diverse visioni e concezioni anche della figura dell’autore.
Per Bontempelli gli scrittori sono professionisti e quindi, se è complicato dare una definizione
puramente artistica dei suoi compiti e delle sue funzioni, nel campo dell’attività pratica, la
cosa è molto differente: «in materia d’ardine pratico non c’è dubbio: la professionalità co-
mincia dove comincia un rapporto di natura giuridica. È scrittore colui che mediante un suo
scritto stabilisce rapporti economici» (BONTEMPELLI M., L’avventura novecentista, a cura e
con introduzione di R. JACOBBI, Firenze, 1974, pp. 51-52). Di diverso avviso è Ardengo Sof-
fici, il quale invece, teorizza la creazione di un collegio sindacale, messo in piedi d’autorità,
che sulla base di una graduatoria degli artisti, affidi committenze e lavori, anche gerarchiz-
zando, non solo gli autori, ma anche le forme artistiche (SOFFICI A., Per un ordinamento arti-
stico corporativo. Schema, in «Il Selvaggio», V (1938), 21-22, pp. 77-78). Per un quadro di
insieme, si guardi anche Antologia della rivista «’900», a cura di A. FALQUI, Lucugnano, Edi-
zioni dell’Albero, 1958, MANDICH A. M., Una rivista italiana in lingua francese. Il «900» di
Bontempelli, prefazione di C. BIONDI, Pisa, Libreria Goliardica, 1983, ALVARO C., BONTEM-
PELLI M., FRANK N., Lettere a «’900», a cura di M. Mascia Galateria, Roma, Bulzoni, 1985.
58
LANZA A., Dagli anni Trenta alla ricostruzione del dopoguerra, in Storia della musica,
vol. 10/II, Il Novecento, a cura di A. BASSO, EDT, Torino, pp. 86-101 e SABLICH S., Il Nove-
cento. Dalla “Generazione dell’80”a oggi, in Storia della Letteratura Italiana, VI, Teatro,
musica e tradizione dei classici, Einaudi, Torino, 1986, pp. 413-432.
Dalla Scapigliatura al Futurismo 237
cessaria anche il ripensamento della figura del letterato e della sua di-
retta derivazione ideologia e cioè l’intellettuale, prima liberale ed ora
fascista. Anzi, a ben guardare, proprio il passaggio dalle poetiche alle
ideologie, trasforma il letterato (identificato solitamente con il poeta,
D’Annunzio docet, come se il narratore fosse personaggio di “Serie
B” nel campo della letteratura e dunque altro rispetto alla stessa pro-
duzione letteraria) in una figura che ora impone le proprie scelte in
nome, non più dell’arte, ma di una rivendicazione della produzione
letteraria anche (e non solo) politica.
La letteratura diventa ideologia e la stessa produzione si trasforma
in un’arma di pressione e denuncia che deve essere il grimaldello per
aprire dall’interno la società e porla di fronte ai suoi problemi. Soltan-
to così si comprende anche la distanza che separa l’idea di intellettuale
in Gramsci, fondamentalmente ancora liberale, e la dimensione artisti-
co-letteraria degli autori che, invece, agiscono sotto il Fascismo. Il
primo, infatti, mira alla rivoluzione marxianamente intesa, come sov-
vertimento anche artistico delle regole e delle risposte che si danno ad
essa, gli altri, invece, considerano la letteratura e l’arte in genere o
come un momento ancora verista di denuncia e/o narrazione pura, op-
pure come fenomeno che non deve essere inficiato dalla realtà e che,
nella prosa d’arte (cioè, nello scrivere al di là di ogni trasformazione
formale e strutturale della parola e della narrativa), deve trovare la
massima espressione di una qualità narrativa che prescinde dal clima e
dalla temperie culturale cui essa si riferisce, oppure, ancora e non ul-
timo, come momento di totale fedeltà al sé, identificato come parte del
mondo esterno e compreso come specchio naturale dell’esistere. Co-
me si vede, dunque, posizioni abbastanza lontane tra loro che non toc-
cano minimamente il problema, né di una cultura di regime (pretesa
del fascismo), né tanto meno, ne sottolineano la distanza ideologica,
impegnati come sono a discutere di teoremi letterari e quant’altro, ma
non disposti a verificare davvero la loro organicità o distanza dal re-
gime. Saranno soprattutto questi i motivi per cui, caduto il fascismo, le
nuove correnti letterarie non accetteranno, né la lezione ermetica, né
quella di altri, salvando solo Vittorini e considerando come valido (per
meri calcoli politici compiuti da Togliatti), ai fini della nova cultura, il
solo pensiero gramsciano e solo quello espresso da I quaderni dal car-
cere.
238 Gennaro Tallini
59
Su Mascagni rimane ancora degno punto di riferimento, almeno per la comprensione
del personaggio, Pietro Mascagni, a cura di MORINI M., Sonzogno, Milano, 1964. Ai fini, in-
vece, della discussione generale sull’epoca, sulla importanza e sul complesso della opera veri-
sta, cfr. SANTI P., Passato prossimo e remoto nel rinnovamento musicale italiano del Nove-
cento, in «Studi Musicali», 1972. Sulla biografia, il pensiero, l’opera musicale e l’attività poli-
tica di Arturo Toscanini (repubblicana per eredità paterna ed anarchica per zona di nascita e
mutuo soccorso tra emigranti) la bibliografia (ed anche la discografia) è sterminata. Segna-
liamo qui soltanto alcuni tra i testi che consideriamo utili alla comprensione del rapporto tra il
grande direttore d’orchestra ed il fascismo, a cominciare dalla pubblicazione dell’epistolario
del maestro a cura di H. SACHS, Garzanti, Milano, 2003. Altrettanto degni di nota - partico-
larmente per disegnare al meglio il personaggio, sempre fiero e sicuro della propria rettitudine
morale (tanto da opporre secchissimi e orgogliosissimi no persino a Mussolini) - sono SACHS
H., Toscanini, Saggiatore, Milano, 1988, BERGONZINI L., Lo schiaffo a Toscanini, Bologna, Il
Mulino, 1991, MELOGRANI P., Toscanini, Mondadori, Milano, 2007, BALESTRAZZI M., Tosca-
nini secondo me. Il più celebre direttore d’orchestra in un secolo di testimonianze, L’Epos
Editore, 2005, e ID., La lezione continua, in «Amadeus», 1 (206), 2007, pp. 39-44. Sulle idee
repubblicane di Toscanini ed il ruolo svolto negli USA, prima e durante la seconda guerra
mondiale, come protettore di anarchici e fuoriusciti antifascisti, cfr. EMILIANI V., La politica:
per la repubblica e la libertà, in «Amadeus», 1 (206), pp. 43-44. Sui rapporti con la Scala ri-
mane utile invece BARBLAN G., Toscanini e la Scala. Testimonianze e confessioni, a cura di E.
GARA, Milano, Edizioni della Scala,1972.
Dalla Scapigliatura al Futurismo 241
60
La riscoperta degli autori italiani, soprattutto del Cinquecento e Seicento, ma anche del
Settecento (particolarmente veneziano), è compiuta sia sul piano dell’utilizzo delle formule e
delle tecniche compositive da quegli autori utilizzate, sia sulla riscoperta anche delle correnti
di appartenenza e quindi su di un più generale piano storico-musicale; soprattutto la «Asso-
ciazione dei Musicologi Italiani», cui appartiene il giovane Torrefranca, si muove in questo
senso. Si veda GASPERINI G., L’Associazione dei musicologi italiani, in «Rivista musicale ita-
liana», XVIII (1911), particolarmente alle pp. 637-639, in cui si reclama, a gran voce, la ne-
cessità di «procedere alla ricerca, alla ricognizione e alla catalogazione di tutta la musica anti-
ca, teorica e pratica, manoscritta e stampata, esistente nelle biblioteche e negli archivi pubblici
e privati d’Italia, per servire di base ad una grande edizione critica delle opere complete dei
nostri migliori autori» (p. 638). La rivendicazione cade a proposito per comprendere al meglio
la necessità dei compositori della cosiddetta Generazione dell’Ottanta di trovare stimoli, se
non nell’antico, almeno nella percezione che la cultura del tempo aveva della musica del pas-
sato, soprattutto italiano. Nel riscoprire quei musicisti e quelle partiture, non c’è dunque una
rivendicazione nazionalistica, ai limiti dello sciovinismo musicale (che pure il Fascismo tente-
rà, senza alcun successo, di imporre come lettura culturale), ma soltanto un interesse linguisti-
co e storico-musicale (nel senso della ricerca delle fonti della musica italiana moderna) che
mira a ricostruire un rapporto filologico diretto tra le pratiche musicali (esecuzione ed inter-
pretazione) e la composizione stessa.
242 Gennaro Tallini
61
ROMAIN J., Le poéme métropolitain, in «Revue littéraire de Paris et de Champagne»,
250 Gennaro Tallini
1905.
62
G. P. LUCINI, Filosofi ultimi, Libreria Politica Moderna, 1913, p. 48.
63
F. T. MARINETTI, Revolverate, nuove revolverate, a cura di E. SANGUINETI, Einaudi, To-
rino, 1975, p. 5.
Dalla Scapigliatura al Futurismo 251
che di Futurismo, inteso solo nel senso della pratica letteraria e poeti-
ca, di Futurismi poiché, oltre l’intendere il semplice movimento, dob-
biamo considerare con l’uso del suo neologismo plurale i diversi rivoli
in cui, nelle diverse arti, il Futurismo stesso ha trovato espressione,
dalla pittura alla musica, dal design al teatro ed alla moda, non dimen-
ticando anche un altro fattore centrale quale la diversa ricezione del
movimento in Italia ed all’estero, dove anzi, particolarmente negli
USA, ha avuto sviluppi nuovi e completamente diversi da quanto pro-
spettatosi successivamente alla Seconda Guerra Mondiale in Europa e
nel nostro paese.
Occorre tener conto, per comprendere al meglio la tecnica futurista,
soprattutto degli aspetti contingenti che favoriscono il clima ideologi-
co e letterario in cui il movimento cresce, nasce ed attecchisce. Si va-
dano a riprendere gli articoli scritti da Papini e Prezzolini a più riprese
su «Leonardo» tra il 1903 ed il 1907 e già si noterà una sorta di prefu-
turismo, almeno nelle idee di fondo, come la convinzione che il socia-
lismo sia un «panborghesismo moderato» da combattere; la necessità
di agire; la «audacia di esser pazzi»; la guerra «genitrice di tutte le co-
se». Soprattutto sulla guerra, Papini e Prezzolini non sono soli, si pen-
si a Corradini («Il Regno») o al culto della violenza vagheggiato da
Sorel, per tacere dell’ossessione per l’azione che infervorava finanche
i capi del sindacalismo italiano64.
Un misticismo del fare che permette ai futuristi di inserire proble-
matiche avanzatissime della letteratura in un contesto ideologico in-
candescente, irrazionalistico, di chiara derivazione simbolista e legato
alla situazione sociale, politica ed economica del paese in quegli anni.
Un contesto ideologico quindi, che lo stesso Marinetti interpretava e
delimitava (orientandolo) dall’ambiente circostante utilizzando un lin-
guaggio aggressivo, volutamente lirico in cui impianto raziocinante,
affabulazione scarna e schematica, quasi regolativa e simbologia ri-
cercata si sommano alla logica espressiva in un testo, questo si davve-
ro regolativo, che per agilità, leggerezza e maneggevolezza diviene
ben presto opera d’arte esso stesso.
Fare manifesti diviene arte al pari dei contenuti artistici in essi e-
64
Cfr. BOBBIO N., Profilo ideologico del Novecento, in Storia della Letteratura Italiana.
Il Novecento, I, Milano, Garzanti, 1987, p. 60
Dalla Scapigliatura al Futurismo 253
65
Si noti la totale attinenza del Futurismo, almeno in relazione alla guerra ed alla sua po-
tenza estetico-macabra, alle visioni interventiste più accese e laceranti. È noto come, tra i so-
stenitori del futurismo, o meglio, delle istanze guerrafondaie che essi avanzavano, soprattutto
personaggi come Giovanni Papini avevano aderito, non solo in nome di quelle stesse sensa-
zioni eversive/visive che sul fonte letterario erano accidenti lessicali e sul fronte comunicati-
vo, invece, messaggi dirompenti e distruttivi, ma soprattutto in noma di una necessità vera di
incitazione alla violenza ed alla guerra proprio come unica «igiene del mondo». Si legga per
questo l’intervento di Papini (in «Lacerba», I ottobre 1914): «Ci voleva alla fine un caldo ba-
gno di sangue nero, dopo tanti umidicci e tiepidumi di lacrime materne… Siamo troppi. La
perdita di migliaia di carogne abbracciate nella morte e non più diverse che nel colore dei
panni, se non fosse che anche un guadagno per la memoria, sarebbe a mille doppi compensata
dalle tante centinaia di migliaia di antipatici, ciglioni, farabutti, idioti oziosi, sfruttatori disinu-
tili, bestioni e disgraziati che si sono levati dal mondo in maniera spiccia, nobile,eroica, e for-
se, per chi resta, vantaggiosa. Non ci rinfaccino, a uso di perorazione, le lacrime delle mam-
254 Gennaro Tallini
me. A che cosa possono servire le madri, dopo una certa età, se non a piangere? E quando fu-
rono ingravidate, non piansero […]».
66
«Volontarismo, estremismo, consapevole paradossalità delle affermazioni più recise e
iconoclastiche caratterizzano il Futurismo nel periodo eroico: un’operazione che Marinetti
portò avanti con l’abnegazione e il coraggio disinteressati di un vero “missionario dell’arte”»
(L. DE MARIA, una panoramica del Futurismo Italiano, in DE MARIA L., DONDI L. (a cura di),
Marinetti e i Futuristi, Garzanti, Milano, 1994, pp. VII-XLII).
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67
SOFFICI A., Memento, in «Il Frontespizio», II (1930), n. 10. GARRONE D., Lettera a Lui-
gi Volpicelli, datata 08 ottobre 1930, in Lettere, a cura di B. RICCI e R. BILENCHI, Vallecchi,
Firenze, 1938, p. 277.
68
SPERANZA I., Cose dell’Ottocento, in «Il Frontespizio», V (1933), 3, p. 16.
69
Inchiesta sulla nuova generazione, in «Il Saggiatore», III 1932, 6-7, pp. 263-267.
70
ISNENGHI M., Intellettuali militanti e intellettuali funzionari. Appunti sulla cultura fa-
scista, Einaudi, Torino, 1979, MANGONI L., L’interventismo nella cultura. Intellettuali e rivi-
ste del fascismo, Laterza, Bari, 1974, BORDONI C., Cultura e propaganda nell’Italia fascista,
Messina-.Firenze, D’Anna, 1974, PAPA E. R., Fascismo e cultura, Marsilio, Padova, 1978.
AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI
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