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Anne.
Accaiemi 1978-1979
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Baruch_in_libris
LA DIFFICOL-
Leggere i due testi fondamentali, che terr presenti nella I parte del Corso, significa riuscire a isolarne un polo dinamico; Aristotele ed Hegel non mi interess1:10 nella loro struttura analitica e complessiva, mi interessano in alcuni momenti
da collegare a due momenti specifici; e non nel senso di imporre una scelta tematica, in sede storica, come risultato di una
mia scelta. Devo in anticipo dire che non si tratta di una scelta; i due momenti fondamentali non sono dovuti a una scelta estrinseca. Tutte le scelte, le opzioni, sono estrinseche, si rivolgono all'esterno; non ho dunque nemmeno bisogno di dire che
si tratta di una scelta intrinseca, e non c' nemmeno la quee
stione della scelta intrinseca G estrinseca, per modo mio di vedere. Se dico che non si trattato e non si tratta di una scelta, come se stessi dicendo che, leggendo due passi di Aristotele ed Hegel, dovremo riuscire a conoscere le ragioni per le
quali questi due passi meritano la nostra attenzione: cio le
ragioni per le quali cominceremo con il leggere due termini di
discorso e rimarremo fermi a due termini di discorso, per cui
non _che cominceremo a leggere e non che dobbiamo aspettarci
lo sgranamento di una litania, per cui, avendo posto come tema
un certo movimento di discorso, poi da questo movimento andremo
sciorinando e perseguendo tutto ci che il discorso stato e
tutto ci che il discorso sar. Dovremmo cercare di cominciare
da principio, dovremmo cercare di isolare un momento che come
momento iniziale ci d il modo di compiere un discorso che sta
in principio, e sembrerebbe una logica coerente rispetto all'eventuale concetto di metafisica, non tanto per sapere se viene
defin ta come scienza dell'ente in quanto ente, m!. __
piut.il
_ d.i
_
la metafisica
come scienza dell'ente in quanto ente. Allora sappiamo gi che
risulto necessitato a leggere in principio, e invece io sostengo, perch ho pensato, di conoscere una lettura che valga come
lettura in principio di un testo non gi dalla sua fine, dalla
sua conclusione, ma da ci che in un momento che poi stranamente conclusivo, sia in Aristotele, sia in Hegel, pur essendo
conclusivo
si presenta come una sorta di questione che va riportata a una lettura in principio
senza che sia letteralmente lettura in principio. Per la Metafisica di Aristotele teniamo presente il 1091a, 29-31, l'ultimo libro, e dunque siamo alla fine, ma in un modo per cui non siamo in realt alla fine,
perch non si tratter di cominciare il discorso in modo tale,
per cui cominciando poi dovremmo rifarlo, cercare di inseguirlo
nei suoi movimenti fino a un determinato punto conclusivo, oltre
tutto perch la questione che interesser il corso del tutto a- 1.
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3.
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Quindi: avere conosciuto, per cui avere conosciuto risulta fondamentale talmente per cui sono abilitato a pensare; io
s.
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_a meno di tu"!i_2;:!:____ ;_
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potremmo illuderci del contrario di cui si illude il pensare,
potremmo illuderci di stare pensando, non capire che abbiamo
pensato, per cui siamo fermi al problema di conoscere e perci )<
non ogni tazza di--caff- puo--fare-da conteiito--a1rapora, non
tutto ci che pu essere ridotto, consumato nel pregiudizio conoscitivo, per cui tutto ci fa da fondamento alla necessit del
pensare ora, domani e sempre, pu essere oggetto di aporia perquesto essere senza aporia. Per cui: dell'aporia in questi termini non degno nemmeno l'uomo e neppure il suo antagonista maggiore, Dio. E questo perch sto fermo al testo, non al
vezzo del greco, l'aporia parola greca, greca e greca deve
rimanere, sto fermo al vezzo della necessit di lasciare l'aporia secondo s stessa, per suo concetto, perch appunto aporia
ci per cui la sua difficolt interna all'aporia, per cui
la stessa aporia che costringe s stessa a tenere chiusa la
sua soluzione.
Dobbiamo fare una sorta di cernita degli oggetti che riescono a entrare nella aporia o no? Dobbiamo o non agire con discrezione, essere discreti o indiscreti, dobbiamo fare a Dio,
al mondo, alla societ, all'uomo la violenza di farli entrare
nell'aporia, Dio deve abitare l'aporia, se diciamo Dio, il mondo la societ l'uomo, costringere nell'aporia cos intesa l'uomo, non che lo hanno fatto i nostri filosofi di Francia o altro, lo ha fatto Socrate, in realt il
__
_f()rse
non
il primo che ha costretto l'uomo
nell'aporia stato Socrate. E costringere l'uomo nell'aporia
socraticamente voleva dire semplicemente fare entrare in una
cosa piccola una cosa pi grande, quando siamo stati grandi abbi'aiiio capito che una:-cosa grande non pu stare in una pi. piccola, e abbiamo conquistato il mondo, per cui le nostro macchine
sono pi grandi di noi, ma da bambini abbiamo fatto il contraia
rio, abbiamo sempre cercato di infilare quel che pi grande
in ci che pi piccolo, il gioco da bambini in questo senso
rompere la difficolt; il bambino ha anche bisogno K
delle difficolt che non ci sono, in maniera pesante, in maniera socratica vorrei dire: facciamo entrare l'uomo nell'aporia.
Se rileggiamo i dialoghi socratici, leggiamo questa operazione
per mezzo della quale l'uomo, entrando nell'aporia, la fa saltare, la rompe, rompendola la distrugge, per cui non c' difficolt a pensare che l'uomo quella natura razionale per mezzo della quale sto sicuro che conosco la santit e non inciampo nei
santi; non inciampo nei santi, conosco la santit e vivo la bella vita, non inciampare nei santi pu significare questa bella
operazione per cui la difesa della santit che pareva la bandiera di tutti gli spiritualismi contro i materialismi sofistici
proprio il suo contrario, e la storia piena di tanta bella
gente che con la scusa di pensare la santit ha svi colato attor6.
_}10_
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no ai santi e li ha lasciati nel loro deserto, tanto pi tragico quando un deserto popolatissimo (noi abbiamo chiss quanti
santi in mezzo a noi, santi anche non nel senso religioso, perch santo anche un uomo che riesce a rima.nere intatto, forte
di s, malgrado tutto attorno congiuri per indebolirlo). E' accaduto che stato pi facile infilare l'uomo nell'aporia, per
cui se facciamo entrare ci che pi grande in ci che pi
piccolo e ci che pi piccolo ci che pi piccolo a livello infinitesimale, perch l'aporia in questo senso,
nel suo tessuto interno veramente mikrn, piccolissimo, se :f
ra_c__iamo-entrare-tutto___Tc>- che --grandei.n -questo piccolo che
l'apora, noi facciamo saltare l'aporia, ma la facciamo saltare perch ci siamo illusi di avere conosciuto l'apora senza m
difficolt e senza difficolt vale per il soggetto conoscente
e per l'oggetto conosciuto, ci illudiamo di avere conosciuto 1'
aporia senza difficolt e senza difficolt sia per me che ho conosciuto sia per l'apora che stata conosciuta: allora il concetto di uomo tranquillo, pacifico.
Se leggiamo invece Aristotele cominciamo col dovere stare
attenti al fatto fondamentale che l'aporia tale per cui non
possiamo fare entrare nell'aporia, non ci che pi grande, ma
ci che appare pi grande, perch essendo l'aporia tale da riempire tutto il suo spazio in quanto l'aporia ci che riempie
s stessa della sua difficolt allora -:rac:i.-Tecii-quaiun-1e
----------- -----. --cosa appare pi grande in senso macroscopico materiale, per cui,
se ce la prendiamo tanto con Socrate assolviamo K. Marx, cerchiamo di capire che facile cadere in questo equivoco e pensare
che le cose sono pi grandi perch sono macroscopica.mente pi
grandi, la societ grandissima e pu stare dentro un concetto,
se grande l'uomo socraticamente; allora che bisogna cambiare
il mondo lo ha detto Socrate non l'ha detto Marx. Intendo dire
che quando Socrate ha detto quello che ha detto, Socrate ha pensato il principio per mezzo del quale Marx ha concluso perch
Marx ha pensato pi furbesca.mente di Socrate: grande per grande,
piglio la societ, grandezza per grandezza prendo ci che si vede facilmente che grande, e la societ si vede subito che
grande. Ma
___P:i.4___
___ __
vato un attimo per pensarci, e
quell'attimo che ha chiesto
,
come riserva per continuare a pensare malgrado s stesso in
t ha significato poi la sua eternit storica per un verso e poi l
istantanea per un altro verso, perch su questo Socrate morto
e qui potremmo dire che Socrate rimasto veramente grande, perch la grandezza contro s stessa, perch quando ha accettato
di morire contro la possibilit di fuggire e a favore della legge ingiusta secondo lui e ingiusta in realt profonda.mente, Socrate ha accettato di riservare per s un attimo per pensare,
anche se quell'attimo gli servito per un verso per morire e
per altro verso per dare modo agli altri di intendere che per
pensare basta fare _
il:_ concetto. Siamo dunque ad un di7.
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tr ,
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te significa, dal mio punto di vista, che leggere i filosofi si0 .ifica contestare la storia, ma contestare la storia non nel
senso di negarla, neanche nel senso di conservarla (Hegel non
\.c'entra), ma nel senso interno di ci che la storia in realt
/ nel suo intrinseco che bisogna portare fuori, che bisogna riua comprendere per s; per cui, certo, storicamente questo
discorso non vale, per stiamo attenti a un dato che incontestabile:
___ JH'Q( rro\!('' non mi d apora come soggetto; aporia
non soggetto' e-q.ind.i-ni.--pssl.amo--cert'ameri.t. leggere in quel
modo per cui leggiamo traducendo: "c' un problema "; ora, dovremmo chiederci, tralasciando per un attimo il dato filologico
ed andando al significato del testo: "C' un'aporia"; ma "C'
un'aporia " che vuol dire? Vuol dire 'Mi imbatto in un'aporia'?
Aristotele affronta questo discorso
nell'ultimo libro, il libro N, quando si occupa inizialmente,
pare in maniera molto indolente e un po' sonnolenta, si preoccupa di nuovo di combattere Platone e i Platonici, per su questioni un poco intricate, dispari, pari, pari s, pari no, generazione del dispari e del pari s o no, e cos via, e a un certo punto, dopo pochissimo dall'inizio leggiamo: "C' un'apora ";
questo 'c' un'aporia', che significato concettuale pu nascondere o pu tradire? "C' un'aporia" che vuol dire, che a un certo punto, dovendo discutere di questioni che sembrano molto specifiche e anche soltanto platoniche, tra l'uno, il dispari, il
pari, la generazione, il rapporto, che vedremo perch quello
che interesser, tra il bene, il bello e qualche altra cosa, come questione che possiamo chiarire per un attimo, rivelandola,
velatamente, come questione che interessa questo: possiamo
pensare che qualcosa che non Uno in s tale da nascere dal1' Uno? O ci che per esempio, il bene e il bello, sono consecutivi al principio o invece sono il principio? "C' un problema "; ora, se noi leggiamo cos, evidente che come se noi
dovessimo rassegnarci, pensando, a doverci occupare dei problemi che, mentre pensiamo, ci si presentano e nei quali inciampia, mo. Quindi in questo senso, dovremmo rassegnarci a pensare che
non siamo responsabili dei problemi che risolviamo. Se io dico
"C' un problema", lo posso dire alla stessa maniera in cui dico "c' un televisore", "c' una pietra"; ed chiaro che qualunque tipo di rapporto io abbia con le cose che ci sono a questa maniera un rapporto appunto opinabile, un rapporto non
problematico, un rapporto fatale sia per essere negato sia per
essere ammesso. Teniamo presente anche un altro discorso, anche
questo testuale, inoppugnabile: quasi sempre Aristotele usa questa locuzione: f:yH J'
; come se fosse un suo luogo
comune. Ma torniamo per un attimo alle apore fino all'aporia.
Le apore, cio le varie difficolt in realt fino a Socrate non
sono riuscite a trovare l'elemento per mezzo del quale chiarivano la loro dimensione, diremmo cos, istituzionale, perch sembrava che le varie difficolt, fino a Socrate, fossero quelle
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dei ph1siologi, dei filosofi come ph1siologi, coloro che leggono la psysis, ma la physis nel suo senso pi esterno, la natura
dell'esperienza, la natura esperibile; quando i
cercando di pensare allineavano apore, le apore che allineavano
erano ci che i physiologi trovavano a partire dai dati nei cui
confronti fare filosofia significava dovere ammettere che c'erano problemi la cui responsabilit in radice non apparteneva a
chi li vedeva come problemi: per cui la diaspora massiccia Socrate s, Socrate no o in altri termini il discorso sofistico
e il discorso socratico; il discorso sofistico come il discorso
di colui che vuole insegnare, che pone di insegnare, e il discorso socratico come il discorso di colui che insegna, non che
pone di insegnare, ma che insegna, perch il discorso di colui
che apre bocca e aprendo bocca, insegna, si fa vedere e basta
che vedano la faccia di Socrate, pensano,
Socrate pensa,
oppure perch la faccia di Socrate per definizione pensante;
e:co, questa diaspora per mezzo della quale noi comprendiamo E
che a un certo punto la crisi del pensiero non nemmeno ancora
nata quando pu darsi anche che sia stato ridotto alla sua sconfitta, e ridotto alla sua sconfitta significa che non questa
ancora la vera crisi del pensiero, non neanche questa la crisi; questa crisi in questa diaspora in realt che cosa significava un poco pi profondamente? Per la parte di ci che riguardava colui o coloro che pongono di insegnare il sapere, sapendo
che porre di insegnare il sapere comporta tutti i rischi di questo mondo, non ultimo quello di rassegnarsi a fare i commercianti di questo insegnare il sapere, per cui piuttosto di sapere,
ci si accontentava di far sapere, di insegnare il modo in cui
sapere significa accontentarsi del commercio mondano; allora,
coloro i quali pongono di insegnare il sapere con tutti questi
rischi fino a questo estremo, per cui i Sofisti sono stati sempre crocifissi a questa questua; coloro che pongono di insegnare il sapere in fondo che cosa intendevano dire? Intendevano dire che le apoDe non valgono per ci che esse raccolgono durante il tragitto per mezzo del quale arrivano a diventare problemi degni di essere esaminati dai filosofi invece che degni di
essere cantati dai poeti; perch dalla prefilosofia alla filosofia era accaduto questo scambio, questa consegna di oggetto: a
un certo punto le 4ifficolt nei cui confronti bastava Esiodo
o bastava un mito alla maniera di Orfeo, non erano pi difficolt degne di essere limitate a questo, erano difficolt invece
che richiedevano una loro esperienza, una loro verifica un poco
pi pesante, e nacquero i filosofi; ma su quale terreno di fonu.v? Sul terreno di fondo di
t dell' apora:
io penso, e potremmo dire a questo punto anticipando--:ri- buon -if
Cartesio, e non c'era bisogno allora di Cartesio in queste senso, perch non che io penso perch dubito, ma io penso perch
il mio pensare un prendere atto che in radice non sono responsabile delle difficolt di cui il pensare carica s stesso.
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Di fronte a questo tipo di questione le conclusioni possono essere mille, anche quella, la peggiore, quella sofistica,
che dice: allora io mi riduco a vendere quello che posso. Ma
nel fondo di questa questione la questione vera quale era? Per
cui dico: chi pone di insegnare e chi insegn.a; chi pone di insegnare a questo punto intende dire: ma io allora mi limito a riche non sono responsabile delle difficolt che per
!sono, non ho la responsabilit delle apore. Ecco perch l'acqua,
Lil fuoco, l'aria, i contrari, gli elementi. Quando poi si cominci pensare essere o non essere, essere e divenire sotto il
sottinteso del Ns come mito fondamentale, pu sembrare che il
discorso sia di verso. Ma non vero, perch quando
:P I
parla di essere, parla dell'essere nel senso in cui l'essere \./
l'lon, cio l'intero, il completo, per cui l'essere di cui si
pa.ria""'in realt cos' se non tutta la latitudine dell'essere B
che pu anche corrispondere al mondo nella suA stessa materia
costituita; quindi avremmo magnificato l'acqua, l'aria, il fuoco, gli elementi, i contrari e cos via; _r_mLnel_fon_<ip__
discorso, il discorso che l'apora non ha la responsabilit di
;-0-cco.
___ciiiest_o___senso'1n certo
senso giustificabile, perch come se Socrate dicesse che allora l'essere non vero che perch , l'essere perch
costretto ad essere; in altri termini l'essenza alla maniera
socratica rappresenta la necessit dell'essere; e dunque si potrebbe dire: allora l'essere non perch , l'essere in un
modo per cui si potrebbe anche dire: l'essere perch non ;
perch la necessit per l'essere di essere non ci che appartiene all'essere come tale, ma ci che appartiene all'essere
in rapporto alle apore. Classicamente ci hanno sempre insegnato e insegneranno sempre, che l'essere nella sua assolutezza
appunto necessario, l'essere in universale, in assoluto significa l'essere necessario. Ma perch ci insegnano questo e
da bravi scolari dobbiamo inghiottire la medecina con tutto il cucchiaio che ha rimescolato la medicina? Perch il guaio
purtroppo questo, che in questo ordine di questioni noi inghiottiamo medicine, ma non ci accorgiamo che inghiottiamo anche il cucchiaio che le ha mescolate; ora, il problema di E
riuscire ad isolare il cucchiaio che ha fatto quella medicina,
la quale per s va anche bene, per a me che penso o che cerco
di pensare interessa il cucchiaio non la medicina. Voglio dire:
nel concetto classico che da Parmenide in poi cominciato ed
finito, perch quando cominciato cos gi finito, il concetto di essere come essere necessario identificabile con la
sua stessa essenza interna, in realt la medicina che non mi
serve per s, mi serve per il cucchiaio che l'ha fatta diventare tale, e il cucchiaio l'aporia. La necessit dell'essere
di essere talmente per cui se dico essere ho detto questo stesso e non ho pi bisogno di dire necessit dell'essere, dovuta al fatto che soltanto cos l'essere espelle l'apora, e al14.
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perch se dico che l'essere non , non debbo capire. Sto cere
cnndo di dire che una necessit che l'essere si sia ridotto
a questo che non dipende dalla necessit di essere dell'essere,
ma dipende dalla necessit che.l'essere stato di risolvere
l'apora; tanto vero che se noi leggiamo Socrate in questo
senso, Socrate in questo senso significa la
dell'
aporla,--qualunque essa'
una risoluzione che si
manifestata nei confronti del massimo di cui si poteva pensare
qualcosa che l'essere. Se cos fosse, e dopo Platone, dopo
Platone vuol dire quello che vuol dire, vuol dire la coscienza
critica di Socrate, non avremmo pi potuto pronunziare la parola aporia, in questo senso forte, perch questo un senso forte; perch se socraticamente, platonicamente debbo porre in K
campo l'essere per negare l'aporia, vuol dire che l'aporia
una cosa importante, un discorso importante, non un discorso qualunque; ed anche per questo che noi non possiamo leggere tranquillamente leggendo Aristotele: 'C' un'aporia' " (XH
' & TrO {O( v " e si potrebbe dire, dunque senza soggetto. Cosa senza soggetto l' apora o senza soggetto il verbo fzw ,
verbo pesantissimo in greco; perch " '. _xi: t J' &1T"o \?[ ow 11 una
locuzione che stringe s stessa: noi non possiamo dire banalmente 11 i'XH d'
(cxv 11 ; e Aristotele usa quasi sempre questa
locuzione. Chi senza soggetto l'apora o il verbo? Quello che
interessa per ora capire questo come punto da tenere fermo:
" t;(H ci'cbroet<Xv "non pub essere letto a questo modo: 'C' un'
aporia'; dunque: non "c' un'aporia". Possiamo allora dire che
se dobbiamo leggere che "c' un'aporia", dobbiamo allora eone
Se CO-e H
7:/
- -.. dobbiar...., tradurlo a questa maniera, "c' un'aporia", dobbiamo in realt dire dal punto di vista di questo tipo di impostazione di
11 vale nel
lettura che non e' aporia. Se 11 .. /(!: L J' <X iTO'<;e<.v
senso nelcq_uale noi leggiamo, dovremmo appunto dire "c' un'aporia"; mi pare di avere puntualizzato il fatto che dal punto
di vista della questione che poi riguarda l'aporia che dovremo
ancora cominciare a discutere non dico nel suo contenuto, ma
nel suo tema, noi dovremmo concludere che non c' aporia. Non
c' aporia non solo rispetto a ci che stato ieri, o che potrebbe essere come filone di pensiero o di questione, il discorso generale o la linea tematica di un rapporto all'essere, di
un rapporto tra l'essere e il concetto che attorno a Socrate
in un certo modo ha compreso la difficolt del rapporto e l'ha
elusa, non solo in questi termini, ma anche in termini pi specifici pi otretti, pi aristotelici e anche pi testuali, per
cui la questione si presenta a questo punto maledettamente complicata da questo doppio ordine di temi: c' un motivo che possiamo chiamare generale per il quale noi non possiamo leggere
l'aporia come la capsula che viene fatta scoppiare da qualcosa
pi grande dell'apora stessa; e questo il discorso generale,
in qualche modo asocratico, non antisocratico, cio che priva
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"\'
mente storico, ma dal punto di vista critico-storico, uscircene a quella maniera: 'c' un problema'; ci sono diecimila problemi; e nella Metafisica ce ne sono molti, ma sono tutte apore a un certo punto e a un certo momento; e sono tutte aporie
in questo modo per cui l'aporia in genere quando si presenza,
presenta s stessa a questa maniera:
Allora
il motivo doppio; per un verso un motivo un po' pi astratto della necessit di comprendere l'aporia che ricollega l'apora a tutto il suo passato, al suo passato non tanto generale
::.. generico, cio tutto ci che ha costituito o tutto ci che
stato problema per il socratismo della filosofia fino ad Aristotele. Da questo punto di vista astratto (dove astratto sis
gnifica soltanto che prescinde dalla contestualit dell'aporia)
noi in fondo comprendiamo che quando si cercato di impiantare il problema in filosofia, l'impianto del problema in filosofia coincide con l'esplosionedel-problema. Ecco perch ho gi
dett.i "c"he-in roncioconc'ei>Tre-'i.1--conce.tt-ne11a sua difficolt
interna coincide, da questo punto di vista socratico, con la
possibilit di concepire qualcosa che pi grande del concetto, che pi grande di ci che lo contiene; per cui l'aporia,
la difficolt del concetto da questo punto di vista consiste
nel fatto che c' un vestito stretto che deve servire a qualcuno che pi grande del vestito che per lo deve vestire; e il
vestito' stretto in che cosa consiste? Cio la piccolezza del
vestito, quella che potremmo chiamare qui veramente la
fisica' del concetto, ci che costituisce l'essenza minima, la
natur"a --come essenza, l'essenza minima del concetto, questa microfisica del concetto che difficolt ha? Ha la difficolt del
La microfisica del concetto ha in realt come apora
la limitatezza interna del vuoto che in un modo fa da contenuto al concetto e in un altro modo fa da limite a ci che deve
essere contenuto in questo senso; per cui dico 'la microfisica
del concetto, in modo che per un verso la limitatezza di questa essenza minima del concetto fa da contenuto al concetto perch ci che riveste dall'interno il concetto; ma questo riveAtimento interno del concetto ci che attende di essere riempito da ci che il concetto. pensa, e questo fa da limite a ci
che il concetto pensa. Ma quando debbo fare l'operazione per
cui penso qualcosa, e penso qualcosa in quanto ho il concetto
di quello che sia, che cosa accade? Accade, che___poto-in questi termini il problema, il problema non esiste, il problema non esiste pi. Se c' aporia in questi termini, non c' aporia; se c' difficolt in questi termini, non c' difficolt.
Che vuol dire non c' difficolt? Vuol dire: io so il concetto i
nel suo principio per mezzo del quale posso concepire i concet-:'
ti di tutto ci che penso; quindi potremmo dire: io so il con- I
cetto nella sua essenza fondamentale per mezzo della quale sa- J
pere il concetto nella sua essenza fondamentale significa sapere tutto ci che posso pensare per mezzo del concetto che so
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..
sua essenz a fondam entale. A questo punto, se c' diffie
colt, non c' diffic olt.
Dovreb be ora risult are chiara questa dimens ione generi ca\
dell'a pora insuss istent e per cui possiam o sosten ere che se ce
un'apo ria, apora non c' invece , perch , per esempi o io so
il concet to di ragion e umana, il concet to di ragion e umana come essenz a, non so cos' la ragion e dell'uo mo, organo , cerve llo; io so cos' la ragion e come costit utivo della stessa natura dell'uo mo (Socra te); se io so, se io conosc o, la ragion e come costit utivo essenz iale della natura umana, io non ho pi apora, non ho pi diffic olt, ho i proble mi che mi servon o per .
contin uare a pensar e, ho solo questo , ho i proble mi che debbo :
accend ere perch sia giusti ficato contin uare a pensar e, perch ;
nel momento nel quale io ho raggiu nto, ho colpit o l'uomo in
'
questo suo punto cardin ale, io ho finito di pensar e perch non
ho pi cosa pensar e, ma debbo contin uare a pensar e; e allora
contin uare a pensar e signif ica in qualch e modo tradir e la difE', ancora , come se noi preten dessimo di-ins erire qualco sa che pi grande nell'a poria del conce tto che per pi piccol o di ci che viene concep ito come contenuto dall'a poria del concet to; per cui una grande zza per potere essere pensat a, deve essere misura ta, e allora qui scatta
la confla grazio ne dell'a poria, ma per essere misura ta, non pu
essere misura ta second o s stessa , misura ta second o la microf isica del concet to, cio misura ta second o l'apor ia che non
riguar da la grande zza ma riguar da la micro fisica, cio l'esse nminima , del concet to. Quando prima di Aristo tele si cerca
di far filoso fia nel senso che leggiam o anche testual mente nei
Presoc ratici, in Socrat e, nei Sofist i in parte, e si cerca di
conosc ere qualco sa in senso filoso fico, conosc ere qualco sa in
senso filoso fico signif ica sempre cercar e di ridurr e le grande z
ze ad una misura che non corrisp ondeva mai alla grande zza cometale, _llla_9QX:I'ispondeva a ci c_he
divent ava in quanto pensat a; e questo cominc iato con Talete- . Qu.ndo noi leggia mo che l'acqu a l'elem ento unico e necess ario attrav erso il
quale possiam o cominc iare ad impian tare un discor so filoso fico,
e si pu chiede re: l'acqu a, quale, quella dell'oc eano? Quale
acqua? Quella che conten uta in tutte le cose, per cui l'esse re in tutte le cose costitu isce, per l'acqu a, la possib ilit
di essere questa essenz a comune a tutte le cose; una grande zza
ridott a ad una misura , che non una misura intrins eca alla g
grande zza stessa , ma estrin seca, e propri o perch Talete non
intend eva dire nel senso materi ale questo discor so, ma nel senso formal e. E che vuol dire nel senso formal e? Quando la filosofia proble matizz a il suo corso di pensie ro, proble matizz a "
perch proble matizz are vuol dire cercar e di ridurr e una grana
dezza alla microf isica del concet to, cio ridurr e una grande zche
che , a ci che non ,
___al fatto
__
Questo fondam entalm ente sigriif i.ca che l'apoY
non ha_
Questa la conclu sione vera a questo " -
20.
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punto.
__
La difficolt
non ha s stessa, il problema non ha s stesso. Ovvero, la microfisica del concetto microf isica, cio minima, significa
l'essenza minima del concetto, perchi qui minimo vuol dire il
fatto che in qualche modo deve essere senza
stessa per potere essere quel vuoto che deve riempire ci che penso. E in questi termini si sfasa completamente il concetto di rapporto stret
tamente aritmetico e geometrico di queste questioni, perch al-lora non pi questione di grandezza e di piccolezze nel loro
senso anormale, cio fuori norma, cio fuori geometria; non
possiamo inventare una geometria del pensiero. E direi che l'
ipotesi materialistica in filosofia impensabile per questo
motivo, non perch la materia non pu fare da principio; ma per
questo motivo, perch materialismo, e allo stesso modo spiritualismo, in filosofia, quando vengono assunti come sistemi di pensiero per conoscere qualunque cosa, in realt partono da questa
sfasatura preistorica, ancestrale, per mezzo della quale io
pos- , .1
--
di
_le
...
_i_p._
113:
i.<. della riduzione non sta nelle grandezz'.", ma sta nel piccolis'se-itess'o
!'ques.to concetto o che
il concetto; il concetto che poi diventa granda tJer ci che
contieneJ per cui se concetto di uomo, dovremmo dire che
il concetto di qualche cosa o di qualcuno che essendo grande
per i fatti suoi, perci magnifica il con.cetto che me lo fa conoscere; e anche qui la grandezza di questo tipo di discorso
significa per esempio che abbiamo inventato che la filosofia
ha scoperto la dignit dell'uomo. E questa una dimostrazione
molto banale del fatto che non posso pensare l'uomo n materialisticamente n spiritualisticamente, perch quando lo penso
in questi termini sfaso subito il discorso perch per esempio
la sua grandezza la sua
e la sua dignit il suo
essere conosciuto, il suo potere essere conosciuto razionalmente. A questo punto questa una c..:mclu.sione che :eiguarda la dimensione astratta della difficolt., dove dimensione astratta
della difficolt vuol di1e tutto ci che attorno ad Aristotele
storicamente congiura per allegger.".r& le. difficolt, per renderla vile, per cui essendo alleggerit.:o. q_uesta difficolt noi possiamo continuare a pensare; e contimJr:u"e a pdnsare r.iui vuol dire: in fondo la difficolt deve
costretta a dimenticare
di essere senza s stessa. Ma allora in filosofia, non in filosofia pura, astratta, radicale, teoretic.:, ma in questo tipo
di approccio alla filosofia secondo ci c1.-: essa stata storicamente, il problema perch affligge i filc..--.')fi? Perch se noi
questa stessa questione ce la poniamo,
invece di avere
in filosofia, abbiamo problemi nella vita o nell'esidiciamo subito che i problemi
i problemi della vita, sono
seri; e sono prob. lmi seri perch
hanno una carica impositiva nei cui confronti n11 posso rispon- 1
dere di me stesso; ecco la seriet del problema , '.uando proble::J
ma cosiddetto esistenziale; il problema cosidde10 esistenzia21.
...
Baruch_in_libris
le sta nel fatto che la sua carica impositiva nei miei confronti in un certo modo mi scarica dalla responsabilit di colpirmi, di catturarmi nell'inizio di quell'imposizione; e io sono
uno sul quale piove il problema e sul quale, piovendo il pro.
blema, succede per anche che poi devo risolverlo io, perch
ne ho responsabilit quando mi piove, per l'ombrello che
debbo aprire per vedere che i goccioloni sono goccioloni da diluvio, non da ruscelletto di montagna, quell'ombrello lo devo
aprire io, e magari aprirlo io in un modo per cui poi pian piano i goccioloni non mi cascano pi sulla testa, mi cascano attorno, e io continuo a camminare con l'ombrello sempre aperto
e poi continuer a non piovere, e attorno a me andr piovendo
sempre. Quello che facciamo abbastanza normalmente tutti quando cerchiamo di vivere comodamente; teniamo l'ombrello aperto
in modo tale per cui i gocAioloni piano piano mi cascano attorno e non mi toccano, e abbiamo il paradosso della commedia esistenziale a tutti i livelli per cui continua a piovere, per
io non mi bagno, ma l'ombrello ce l'ho sempre aperto, non z
che lo chiudo. Ma quando i problemi sono questi, cosiddetti esistenziali, noi abbiamo una giustificazione per dire: io non
ho altro modo di risolverla la questione, perch non sono io
all'origine dei goccioloni, chiss chi c'. In filosofia
problema lo stesso? In filosofia possiamo
al fatto iniziale che i problemi dei quali ci occupiamo implicano
quella loro carica impositiva per mezzo della quale mi hanno
fatto consumare secoli di storia
ad oggi e
a domani,
a dopodomani, e chiss quanto ancora, ma con lo scarico iniziale che riguarda me che penso e che ho questi problemi, per modo che io all'inizio dei problemi che devo risolvere filosoficamente non ci sono, perch il problema mi si viene a creare
tra le mani, cio perch leggo 11
d' <.1rOQ("v "a questa
maniera 'c' un problema, trovo un problema, 'si trova un
.:..:>blema', 'viene fuori un problema'? Mi pare di aver dimostrato, per quanto riguarda la prima linea generica e astratta, che
noi non possiamo pensare l'apora in questi termini. Qui il gioco sottile.perch noi non possiamo pensare l'aporia in questi
termini, per mezzo di ci che l'aporia storicamente non attorno ad Aristotele. Quindi non sto smentendo la storia del pensiero nella sua storicit effettuale; infatti ho presente sempre
il socratismo come simbolo di queste questioni; per se noi concepiamo l'apora in quella maniera per cui la difficolt, i problemi che interessano la filosofia sono tali per cui servono
per quella microfisica del concetto per mezzo della quale io
conosco ci che capace di farsi contenere nel concetto, ma
in modo da far saltare il concetto, allora io debbo concludere:
non posso proprio per questo motivo, cio proprio perch storicamente ho esperito il contrario, cio che c' un'apora, proprio per questo debbo dire che non c' l'apora. Quindi quando
io dico: se noi sosteniamo che c' un'apora o che ci sono i
22.
Baruch_in_libris
problemi, dobbiamo, se pensiamo, concludere che non ci sono problemi, nel senso aporetico del problema, lo dico perch questo
punto di vista presuppone un discorso molto chiaro che il seguente: la microfisica del concetto concepisce il concetto co----\)
i
____
me vuoto di s stesso; cio la
I
difficolt,
quanto .....
in
essa,
per il fatto fondamentale- che
t
I
.
..... --
-
--------"-------------------------------
perch altrimenti noi dovremmo _ J
___
chiederci, ponendo socraticamente il discorso: in che cosa consiste la difficolt di conoscere la santit, secondo Socrate?
Qual la difficolt? La difficolt di conoscere non i santi
ma la santit, non le cose buone, ma il bene, in che consiste?
N si pu obiettare che noi non ci incontriamo con il bene cosi come ci incontriamo con gli uomini buoni, noi non incontriamo a spasso il bene cos come incontriamo a spasso gli uomini
buoni, perch Socrate ribatterebbe: ma voi come dite 'buoni'
gli uomini che incontrate a spasso? E il sofista malignerebbe:
e voi perch dite 'buoni' sempre gli uomini che vedete oggi e
che tornate a vedere domani e che avete visto ieri, come fate?
Dove sta la difficolt allora? Non possiamo neanche dire che
la difficolt consiste nella difficolt del vincolo empirico,
non possiamo neanche dire questo, cio non possiamo dire alla
maniera che poi fu la maniera kantiana: la difficolt sta nel
che io non ho esperienza del bene cos come ho esperienza dei fenomeni, io non posso costringere il bene ad una intuizione sensibile che poi impacchetto e conosco sotto una categoria; non posso perch io non posso avere esperienza sensibile
del bene, posso avere esperienza dei fenomeni del bene; ma i
fenomeni del bene sono le azioni buone, e neanche quelle incontro per strada; incontrerei per strada gli uomini buoni.
Perch c' difficolt? Quando abbiamo letto Socrate o abbiamo imparato a leggere Socrate socraticamente, la difficolt
della conoscenza razionale per noi, per noi lettori, non per
stata? Alla stessa maniera come
noi filosofi, che
quando leggiamo L'infinito di Leopardi, la difficolt di non
farci prendere dal naufragio finale, noi sappiamo bene che cos', quella una vera difficolt, un vero problema, perch
il problema in quel caso veramente calibrato in quel limite
sottilissimo nel quale i:) debbo stare tra il naufragare e tra
il non naufragare perch mi sto accorgendo che sto naufragando;
e allora perci leggo Le'Jpardi, e leggendo Leopardi, lo tengo
questo vicino a me. Allora qui sta
lontano, ma tanto pi
la difficolt, e questa una difficolt che possiamo capire
e veramente possiamo dire che in questa difficolt leggere poesia pu significare sul serio morire, morire sul serio, morire
bene, e allora non c' bisogno neanche di dire: muoio perch
naufrago nell'infinito leopardiano, no, muoio perch naufrago
in quel minimo spazio di niente che quel momento, quell'istante nel quale ho capito L'Infinito di Leopardi, e in quello muoio.
Ma lo stesso pu accadere leggendo l'Eutifrone o leggendo un
23.
Baruch_in_libris
dicendo:
bamboleggio
allora
tale;
me
perch non voglio pensare, non riesco a pensare che difficile il conoscere stesso come tale, ed molto pi facile invece pensare che il conoscere difficile non per s e come s,
ma per ci che conosce; qui si catapulta tutto il discorso, perch qualunque cosa viene conosciuta nella sua difficolt, cio
nella sua dimensione aporetica, problematica, qualunque cosa
uomo;
24.
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implichi quel suo essere tale per cui mi pone il problema del
rapporto concettuale a questo qualche cosa, in questi termini,
da conosciuto che , diventa esso, conosciuto, pensante, al posto del pensare. La vera tragedia sta qui; qualcosa conosciuto
in questi termini e secondo questa dinamica di rapporto, conosciuto per mezzo di questo svuotamento iniziale dell'aporia come tale, per cui non riusciamo a concepire che sia il conoscere difficile, ma che difficile ci che conosco e pur conosciuto, difficile proprio in quanto lo conosco, quando il conosciuto difficile cosi, in realt ci che conosciuto in questo
diventa o rima.ne esso pensante a questo punto; e a noi sta
benissimo; se noi potessimo stare fermi a questo punto di dia
scorso potrei scrivere tutta una filosofia su questo, perch
sto dimostrando che l'uomo pensante; noi potremmo geometrizzare questo discorso a questa maniera per cui a questo punto
noi possiamo dire: l'uomo non pensante per assunzione, per
fede, per atto di fede, socraticamente perch di natura raa
zionale; l'uomo pensante perch,
... .pensare rimane
il
conosciuto
come
tale
in
quanto
conosciuto
per
------ --------- .. ...... ------------' -...
.. . .. - - ....... ------ '
cui a questo punto ci che conosciuto in questi termini in
realt significa il modo per mezzo del quale elimino l'aporia
nel conoscere e la scarico tutta in ci che conosciuto ma in
questo modo per cui ci che conosciuto conosciuto, e a questo punto cosa rimane da pensare? Da pensare non rimane niente;
o pi fortemente, da pensare rimane soltanto l'atto di s, non
di s pensare, ma del s che il pensare diventa nel conosiuto,
in ci che il conosciuto in quanto oggetto-soggetto della difficolt che lo riguarda; e allora noi abbiamo sempre imparato
a questo punto tranquillamente a balbettare il concetto fondamentale secondo il quale, c' dubbio forse che l'uomo un ente pensante? C' dubbio su questo? E quando qualcuno ha posto
il dubbio su questo, lo ha posto, come sappiamo tutti, metodicamente, cio lo ha posto per finzione, per commedia, per arrivare dopo alla conclusione opposta: proprio perch dubito, sono.
Mentre invece noi da questo punto di vista potremmo dire: stiamo fermi a questo punto, e a questo punto noi potremmo scriver ... una biblioteca intera di filosofia, dimostrando geometricamente che l'uomo veramente pensante. Ma in che maniera, pensante? Il pensante qui che vuol dire? Vuol dire il pensare sen..:
za s stesso e il pensante il cui soggetto il conosciuto in
quanto difficile o in quanto, perch difficile, implicante in
s il conoscere come difficile. Per ora possiamo stare fermi
a questo punto fondamentale' fermi attorno all 1 Il rxf l. aI c11oet'D1.V Il
non nei confronti,. attorno, perch l "'
et 7/ d< 1t"o e: (o..v
" da
questo punto di vista come se stesse a fare da punto di riferimento di tutta la congiura storica, filosofica, che ha cercato di fare in modo da rendere l'apora facile; e potreJIUDo dire
che una sorta di dialettica minore, rendere facile la difficolt; ma in che modo? scaricando la difficolt su ci che il
25.
-
-.
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. .
26.
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II
APORIA E PLATONIZZAZIONE DEL PRINCIPIO
1. - La doppia versione del platonismo e la tautologicit del
pensare.Se c' un'aporia, non c' aporia. Questo tipo di ragionamento che ha come base sempre per ora in sottofondo il testo
esplicito di Aristotele t
X'ft. 0 (1'tD l rx.v , questo ragionamento un tentativo di lettura dell' f)ti:l 1.' &rro('.LO\v'; un tentativo di lettura che per un verso accetta la lettura corrente,
la traduzione normale ('c' un'aporia difficile a risolversi ,'),
per altro verso per, accettando questo tipo di lettura
.
o accettando la sua traduzione esterna, in realt cerca di determinare le ragioni per le quali questa traduzione va intesa
come traduzione esterna, estrinseca. Dobbiamo stare attenti a
questo tipo di rapporto al testo, che non un rapporto strettamente filologico, anche se evidentemente sottintende il rapporto filologico. La questione filologica non interessa per
s, ci interessa, attraverso la possibilit filologica di rimettere a posto qualche termine, un discorso molto pi profondo Che in fondo il Seguente:
I
oe{ i)('\/
pU essere
inteso come ci che noi possiamo dire l'
J o('TTOelo<:I/ aristotelico? Io dico: possiamo per dovere comprendere, leggendo
I
11 ,,
""S
I .,,
f%H
, pensare
o 1roeL0c'f?; per cui
EXH
non l'inizio di un certo passo di un certo libro
della Metafisica, ma rischia di essere l'inizio di una questione attraverso la quale possiamo porre in questione la stessa
Metafisica nei suoi momenti pi vitali? Attraverso la possibi1 <Xnoei0(\/
lit di determinare di EtH
questo suo modo di
essere letto per cui noi potremmo dover dire l' )'E i. ()'
aristotelico, cio potremmo cercare, leggendo questo passo inizi.ale che ci condurr ad un' apora specifica, vedere invece se
per caso, o non per caso, evidentemente, pensabile una sorta \
di luogo comune della difficolt che tipico di Aristotele.
1
Per cui siamo nel bilico estremo di un tentativo di lettura che
per un verso rispetta il testo, anzi per un verso essenzializza il testo e per altro verso per anche testualizza questa essenzializzazione del testo.
,
Essenzializza un testo, e cio: f L ()
non un
caso della Metafisica, perch
"''
in Metafisica
un
che addirittura noi dovremmo potere concepire come l' '' H
aristotelico; allo stesso modo come noi diciamo: il principio di non contraddizione di Aristotele; quasi per potere, molto presuntuosamente, perch non
so se questo tipo di fatica andr in porto, porre accanto al
principio di non contraddizione aristotelico il criterio non
so, per ora, se immanente a ci che il principio di non con1
1 ,
'>
27.
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traddizione aristotelico o se in qualche modo parallelo al principio. Allora siamo su questo piano di questioni per cui per
un verso se noi, per ora, ripensiamo (poi invece penseremo, ma
per ora stiamo fermi al ripensare), se noi ripensiamo la non
contraddittoriet tipica della Metafisica aristotelica nel suo
principio che s stessa come principio, se noi ripensiamo a
questo, sto dicendo, per dirla semplicisticamente: se noi ripensiamo il principio di non contraddizione aristotelico perch
lo sappiamo, se noi ripensiamo questo, e se noi ripensando questo in qualche misura platonizziamo, perch ripensando questo,
ripensare il principio di non contraddizione proprio di Aristotele, conoscerlo come idea, nel senso di ci che l'idea in
Platone fino a tal punto per cui noi potremmo aire: ci che
di non contraddizio:ri_
_
l' eidos
__ip_ensato; dove essere ririschia di diventare nel suo__
che esso , e conosciuto
ci
come
co-nos-ci--uto
penato---si--g?lific-a
come ci che esso secondo l'obbligazione del principio sottintesa a s, ma estesa a chi lo pensa.
Se io ripenso il principio di non contraddizione tipico
di Aristotele, in realt io sto platonizza11do, perch lo sto
conoscendo come idea; e conoscerlo come idea in fondo vuol dire senti:r_m_:i,,_g_ome_ __ teJ'IDJ1_Etr io cne lo ripenso, il ri_pen_earl_o__,_ _co_!iella obbligazione del principio a s
stesso. Allora dico: se noi per ora ripensiamo la non contraddittoriet tipica di Aristotele, nel senso secondo il quale questo per Aristotele vuol dire che la non contraddittoriet tale nel suo essere principio, e perci principio, e quindi
s stessa come principio, se noi ripensiamo questo, ripensando
questo, in parallelo possiamo pensare l'aporia? Ripensando questo, e ripensando questo vuol dire platonizzando, possiamo pensare l'aporia? Ovvero possiamo stare fermi ad un modo di leggee{ o\V 1 in questi termini per i quali Se io
d
re 1
ho una garanzia di assolutezza, la garanzia di assolutezza
la platonizzazione del principio di non contraddizione, cio
il ripensare la non contraddittoriet nel suo principio? Cio
se io ho una garanzia di assolutezza nel momento nel quale co','c' un'aporia', Se io
mincio leggendo 1
leggo o mentre mi avvimentre
ho una garanzia di assolutezza,
luppo nella apora o mentre accetto che l'apora avviluppi me,
se io ho una garanzia di assolutezza, la garanzia di assolutezza che ho, la platonizzazione del principio di non contraddiidea del principio di
zione, in altri termini: __
non contraddizione; nel senso nel quale- per- sto ---<ffcendo--che
questo vale nella misura in cui io non, penso il principio di
non contraddizione, la non r.ontraddittoriet, ma ripenso la non
contraddittoriet; ripenso vuol dire: io d per conosciuto il
vincolo che mi lega a ci c. n.e conosco; che il platonismo del1' idea, sempre; per cui noj dovremmo potere, sottilizzando un
dire che non vero che
pochino su questo campo di
28.
e_
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_!:_ispetto _
__@ __
trario che J?.U J!Sse_re l'
ecco perch dico 'ripensare',
perch ripensare significa: pensare il principio di non contraddizione, pensare la non contraddittoriet come principio, %
29.
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30.
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platonico non nella casistica che poteva essere ancora una sorta di misura, di verifica di febbre pi o meno filosofica quale il primo libro della Metafisica: tutti messi in fila a vedere perch e per come e
quanto e fino a che punto le caule non cause, le forme, le non forme, i principi, i non p
principi sono stati pensati fino ad Aristotele, come fa nel primo libro, per cui tutti messi in fila, a un certo punto, come se Aristotele in quell'inizio di discorso assoluto o assolutizzante stesse l buono buono col termometro in mano a misurare la febbre speculativa. Se leggiamo il libro N non c' pi
temperatura perch saltato il termometro, cio la febbre speculativa impazza a questo punto perch se debbo stare fermo a_
comprendere l' antiplatonici t di questo libro, la posso capire i
soltanto per mezzo della platonizzazione del principio, solo
per mezzo di questo; e allora chiaro che non ho pi la mi su- ;,
ra per misurare la febbre, cio per capire: ma la temperatura --speculativa in che cosa consiste a questo punto? Consiste nel
fatto che Aristotele riesce a negare sul serio Platone? O nel
fatto che Aristotele, per negare Platone, deve riuscire ad usare Platone, a pensare Platone, o deve riuscire ad avere talmente pensato Platone che addirittura l'avere pensato Platone significa per Aristotele questo ripensare per mezzo del quale riesco a leggere l'apora?
Posso stare fermo a questo tipo di ragionamento soltanto
se leggo '
'd'
' a questa maniera: 'c' un'aporia';
se noi stiamo fermi a questo tipo di lettura per cui diciamo:
c' un' apora; noi dovremmo cercare di capire che !_El._ __condJzJo_
la qua_le c', sussiste un'apora, in realt la platonizzazione del principio; soltanto se platonizziamo il principio,- potremo- dire veramente che c un' apora; non solo perch
h; bisogno della garanzia di assolutezza, non solo perch ho
bisogno di capire che se io ho dubbi sull'apora, i dubbi sull'apora sono in realt il tenere ferma l'apora con l'apora,
questo il dubbio dell'apora, cio se c' un'apora, quale
che sia, l'assolutezza dell'apora la sua aporeticit, ma non
in base alltaporfa, in-base'ad. altro, fii-bse_a_ ci ch_e__ sta attorno all'apora, che non l'apora, ma quella assolutezza
che mi garantisce ci che penso come apora.
Ma questa assolutezza che mi garantisce ci che penso come apora necessariamente la platonizzazione del principio;
e allora a questo punto potremmo sostenere:in realt Aristotele, chiudendo la Metafisica con la polemica contro Platone, ha
riconosciuto il peso platonico del discorso filosofico; in altri termini, se noi leggiamo c' un'aporia in questo senso, noi
possiamo
perch la storia del pensiero una storia che
I per larga capire
parte pi platonica di quanto non sia riuscita ad
essere aristotelica. Che la Metafisica concluda antiplatonicamente in realt, dal punto di vista di questa versione minore
dell'aporia in Aristotele, significa che Aristotele stesso ha
32.
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33.
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questo punto di vista stata L:.. conclusione del pensiero, perch la fine della Metafisica. decisa antiplatonicamente. Il
pensiero conclude la sua struttura di concetto interno a s
stesso, metafisica in questo senso, il pensiero conclude la
versione della sua capacit interna di sistema, antiplatonicain un modo tale per cui Platone rimane da questo punto
di vista la fine
che significa: l'unico vangelo --che in filosofia posso accettare la negazione. Vangelo e cio messaggio assoluto. L'unico
messaggio assoluto che in filosofia posso accettare come assoluto e come messaggio la negazione; ma aristotelicamente il
testo di questo vangelo Platone; e non sta neanche male come
testo, perch appunto non un testo non congeniale a questa
struttura, perch sono dialoghi attraverso figure, movimenti
storici, movimenti di figure, cio sembra davvero una sorta di
vangelo
In questo senso se potessimo fare un corso parallelo, potremmo mettere in sinossi alcuni dialoghi platonici e i Vangeli, i quattro Vangeli, potremmo fare una lettura in sinossi fra
alcuni dialoghi platonici e i quattro Vangeli, per verificare
la latenza oscura di legami attraverso i quali si pu capire
che 1 1 assolutezza del
___
bisogp,o
__
gi, cio sempre di figure; e allora Platone non a caso ha scritto il dialogo, e-non a caso stato poeta inizialmente, e non
a caso ha bruciato, si dice, le sue poesie, per darsi alla filosofia.
Ma allora in questo senso la negazione in Hegel a questo
punto diventa inutile; noi potremmo buttare tutto Hegel alle
ortiche e potremmo rimanere laici, cio gente del popolo, uomini di ogni genere, senza problemi di aristocrazia di nessun genere, potremmo rimanere laici perch buttiamo alle ortiche il
saio hegeliano; il saio hegeliano la magnificenza dialettica
negazione, la capacit di rendere grande la negazione;
che invece potrebbe essere lasciata a s stessa, piccola piccola come in quel suo piccolo vangelo che il Platone , il
piccolo Platone che Aristotele mi consegna alla fine del discorso filosofico a questa maniera per dire: hai un libriccino per
meditare per tutta la vita, nei secoli dei secoli, non arrovellarti mai pi, non pensare mai pi perch io ho pensato per te.
Come qualche altro ha detto: non c' bisogno che tu ti sacrifichi, perch io mi sono sacrificato per te. E l staremmo a giocare di tipo di croci, di crece di un certo genere, di croce
di un altro genere, perch io non so se non sia pi pesante la
croce di cui possiamo caricarci se accettiamo che qualcun altro
abbia pensato per noi, se pi pesante questa croce o se pi
pesante l'altra croce, quella a cui posso farmi appendere visibilinente in carne ed ossa, invece che nascondermi in spirito e
verit. Giochiamo di metafora, ma non tanto da questo punto di
vista; e tutto questo per mezzo di Aristotele. Ecco il paradosso; tutto questo per mezzo di ci che stato storicamente co-
34.
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35.
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aporetico sermnai tutto ci che riguarda quell'altra conoscenza platonicamente legittima, per cui non parlo dell'idea, ma
parlo della dxa; platonica.mente parlando. Per cui se dovessimo chiederci:-Ma da un punto di vista platonico letterale, platonico dovuto a Platone, potrema mai pensare l'apora? Potremmo rispondere: s, basterebbe non pensare l'idea. E qui dovremmo stare a giocare parecchio di contrabbando storico per dire:
facciamo scavalcare Aristotele rispetto a Platone, mettiamo Aristotele prima di Platone; perch per capire questo dovrei usare Aristotele, perch per potere pensare l'apora dovrei non
pensare l'idea platonicamente sta a significare lo stesso che:
ma io conosco l'apora, platonicamente, la dxa, la dxa non
solo conoscere l'apora, conoscenza aporetica in-as6oluto,
in assoluto anch'essa, la dxa nel senso platonico che conoscenza per s. La dxa non opinione nel senso banale del terper cui diciamo=-che qualche cosa che penso, di cui non
l"-i sono sicuro; la dxa qualcosa di cui sono sicuro nel suo limite assoluto che-"conoscenza piena, secondo l'oggetto che fa
t la dxa,
dxa, cio secondo l'oggetto che fa della dxa, una
i scienza, Uil"Certo tipo di scienza, che corrisponde al non-penche corrisponde
al non conoscere in senso proprio. E
se teniamo presente che per capire molta parte del pensiero filosofico occidentale soprattutto, dovremmo potere capire questo
tipo di ragionamento platonico che anima come filtro occulto
tutti i modi per i quali il pensiero ha cercato di pensare l'
-- .3oluto, quando qualcuno parla o ha parlato o parler sempre
di inconoscenza di Dio, per esempio, di inconoscenza dell'Assoluto, noi potremmo platonica.mente ribattere che: certo era opinione, opinione, non conoscere, quel conoscere che non
conoscere. Tutta la cosiddetta teologia negativa platonica
in questo senso, ed essendo platonica in questo senso, come
se mi abilitasse a fare il voltairriano senza Voltaire. Anche
qui i giochi storici sono semplicissimi: non ho bisogno di Voltaire, Voltaire poteva fare a meno di pensare (e questo non significa che io sia a.ntivolterriano, ma nemmeno volterriano, sono semplicemente avolterriano, non mi interessa Voltaire), perch la teorizzazione dell'opinione non ha bisogno del testo volterriano, gi nella dxa platonica, molto pi pesantemente
e certamente molto pi propriamente di quanto non sia poi nel
Dizionario o in quello che Voltaire ha pensato scrivendo o ha
tentato di pensare scrivendo come ha scritto e come ha pensato.
A questo tipo di questioni andiamo, se stiamo fermi al fatto dell'apora; ma stare fermi al fatto dell'apora significa:
noi stiamo dimenticando che fermi al fatto dell'apora significa usare Aristotele in questo modo per cui l'uso di Aristotele
la platonizzazione del principio. Per cui se platonizziamo.
il principio, non che abbiamo apora, ma c' l'apora, ma se
c' l'apora, l'apora tale attraverso una assolutezza che
la circoscrive in modo tale per cui in realt l'aporia non c'.
36.
I
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37.
Baruch_in_libris
no.n
38.
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questione
Ma la
1
'f Xtt 0 n'l'oe( D<v un discorso che dipende dalla esplicazione del concetto che riguarda l'aporia stessa e in questo senso
ma per necessit di testo,
potremmo dire, non per nostra scelta
-< \
(/
'
"non
che se possiamo ripetere o;r cx 7Tr:iv T t o f d t, .x flt n n ov
bisogna discutere con chiunque" dice Aristotele concluendo i
Topici) non casuale che la conclusione dei Topici sia affidat-:: a questo "d t ix At n /ov : non bisogna discutere; diciamo meglio:
non bisogna sprecare la dialettica, perch discutere inutilmente significa sprecare la dialettica. Mi serve tradurre a questa
maniera perch non mi interessano i Topici per s ma mi interessano come riferimento a questo punto di questioni: non bisogna
sprecare la dialettica con qualunque cosa,il che vuol dire non
che non bisogna discutere con chiunque, ma che non bisogna discutere con un ciascuno indifferentemente ; ma diciamo meglio:
esiste un non bisogna sprecare la dialettica rispetto alla
cessi t di dare in concetto l'aporia; e cos possiamo tornare
a dire con Aristotele: non sprechiamo la dialettica con qualungue cosa. La questione a questo punto di dare in concetto l'
apora non questa aporia, perch non questione di sapere questa aporia ma di sapere l'aporia, cio di sapere in che senso
diciamo qualcosa che sia questo
o' <
L
quando diciamo f.
"'<"
39.
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Baruch_in_libris
41
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perch non rigua rda l'apo ra l'unic a cosa di cui posso stare
certo perch l'unic a cosa che non ricad r mai sotto il giudi zio della ragio ne sia essa l'opin ione o la scien za. E' come se
la polem ica arist oteli ca che chiud e un luogo stori co-cr itico
di bilan ci con il platon ismo del pensa re che l'iniz io di questo passo , come se quest a concl usion e in realt fosse la memoria dell' altra concl usion e dei Topic i nella quale come se
i Topic i stess ero a fare da topos mitic o di una fonda zione in
fonda posit ivo propr io del princ ipio di non contr addiz ione
z ... one in posit ivo non pu a vere , o in modo tale per cui non
vero che aristo telica .ment e il princ ipio di non contr addiz ione
non si dimos tra: si dimos tra dalla parte della neces sit di non
porre diale ttica con qualun que cosa; o megli o la dimos trazio ne
sta in tutto ci che trasce nde questo limit e assol uto.
Arist otele diven ta cos il metaf isico di tutti i tempi perch quest o luogo aristo telico come se faces se da limit e assoluto a ci che veram ente limite in assol uto rispe tto a ci
che limit a il princ ipio, perch come se Arist otele con quest a
presc rizion e non avess e osato tocca re tutta la zona che sta al
di qua di quest a presc rizion e. C' un Arist otele inedi to rispe tto all'A risto tele stesso che l'Ari stote le che neces sitato
da ci che l'Ari stote le pubbl ico per cui quest o Arist otele
pubbl ico che conos ciamo tutti nei suoi capit oli esemp lari come se fosse il risul tato di un altro Arist otele che sta al di
qua da quest a zona di sicur ezza: dove stare al di qua di quest a
zona di sicur ezza signi fica che noi dobbia mo ridur re a scien za
qualu nque cosa e se c' qualc he cosa che per sua natur a non pu
esser e scien za in senso apodi ttico sar scien za in senso diale ttico. Siamo di front e a un disco rso satan ico, siamo al limit e
della tenta zione suprem a dell'e ssere perch quest a la tenta zione suprem a, per cui quand o Arist otele mi dice che mi mette
a parla re solo con chi capis ce quell o che dico, come se Aristote le con quest a concl usion e avess e tenta to di ridur re s
stess o al bravo maest ro di scuol a eleme ntare dove l'aul a o
piena di gente che ha impar ato a mette re a posto i sogge tti e
i predi cati o gente che non avend o impar ato quest o deve esseposta fuori dall'a ula; o invec e il maest ro nel suo senso
pi catas trofic o, cio colui che vede di qua e di l non vede
in s, non ha bisogn o di farsi veder e come il veder si in s che
la cosa pi facil e che possia mo fare filoso ficam ente parla nparlan do siamo costr etti a fare la prote si
do:
inizi ale dei topic i, i fini per, cui scrivo quest o tratta to che
mi rigua rda come le cose che metto a posto quest a prote si iniziale , signi fica e '.;e mi devo fare veder e mentr e vedo in me, ma
non in quest o senso , ma nel senso pi forte : di qua e di l da
s stess o e fa di s stesso quest a sorta di chiod o che tiene
fermo il veder e di qua e di l: p&r cui aristo telica ment e l'avverte nza contr o la diale ttica . Perch signi fica che la diale ttica in tanto pu esser e scien za in quant o bene o male discr i42.
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mina con chi parla; e destino di chi discrimina di essere discriminato, il discriminare che la dialettica , cio l'erigere un limite tra uno scorrere e un altro scorrere significa che
si condizionati in due tra chi fa da linea di displuvio e che
corre o scorre diviso da questa linea. Allora: l'uch dialekton
va inteso in questo senso per cui dialettizzare significa discriminare nell'Aristotele letterale, significa discriminare perch
a sua volta la stessa dialettica discriminata perch non
scienza nel suo senso pieno quale la scienza secondo Aristotele, (tutta la polemica aristotelica contro Platone, contro
il dialettico tipico del pensiero platonico, alla maniera certamente platonica e non propriamente dialettica). Ma io dico
e sostengo e di questo dovremmo potere discutere sbancando la
prescrizione e la proscrizione cio mandando all'aria la ricetta e abolendo l'abolizione, sto cercando di pensare a questa
maniera: "l' f';;tt (.. ' C1To\!{o<v ", in fondo pu avere concetto
nella misura in cui il suo essere aporia ha concetto nella abolizione della prescrizione della dialettica che in Aristotele
si pu leggere nella conclusione dei Topici proprio per la necessit di trovare un andare in traccia, non di trovare un metodo come pu sembrare che debba essere, di cercare, di trovare una ricerca, se vogliamo stare fermi a questa necessit di
trovare un andare in traccia e quindi di andare radicalmente
in ricerca per cui significherebbe cercare le radici. E qui lo
possiamo fare perch le radici ce le danno gli altri, nel senLv in cui le radici sono ci che stiamo leggendo o almeno di
ci che stiamo leggendo il non accontentarci dei frutti, ma andare a scavare fino alle radici che non si vedono, e non possiamo pretendere di vederle spiantate in quel modo per cui se fossero radici visibili dovrebbero essere i frutti che vediamo in
cielo vicino al sole o almeno un p'pi alti della nostra testa:
le radici non si vedono e perch non si vedono dobbiamo faticare per vederle lasciandole dove sono e anzi radicarle, farle
pi radici anche se il gioco finale che poi mi riguarda quello di trovarle alla fine per poterle spiantare, e spiantare significa poterle usare in modo per cui non sono solo le radici
di Aristotele dei Topici o di questo modo di leggere un'aporia
in rapporto ai Topici e non alla metafisica come tale, ma anche
in rapporto al pensiero o alla sua capacit come pensiero di
fare in qualche modo storia di s, perch diversamente dovremmo rassegnarci a dover pensare cos come andiamo a visitare nei
musei, cio in luoghi di conservazione senza senso per s se
non per il senso che siamo noi andando al museo. La storia della filosofia non pu essere ridotta a questo perch se ci rassegniamo a questo ci rassegniamo alle rivalse contemporanee:
l'acculturazione contemporanea che ha i suoi maestri nei lettori della follia, giustamente, e non nei lettori della sapienza,
la acculturazione contemporanea che si diletta di tutti i marchingegni per mezzo dei quali vuole dimostrare che fra pazzi e
43.
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non pazzi la differenza chi sa dove e chi sa dove non ; questa acculturazione una ragione storica l'ha avuta; per questo
tipo di questioni chiaro che fare filosofia significa museografia, scrivere roba degna di ritornare imbalsamata nei musei,
se noi stiamo fermi a ci che bene o male anche la acculturazione filosofica ha prodotto storicamente: per cui noi siamo abituati a non essere scomodati nei certificati di nascita che abbiamo trovato legati gli uni agli altri per cui sappiamo Socrate Platone Aristotele le Scuole e cos via fino a noi bene o
male in quel certo modo per cui viaggiamo tranquilli, e invece
non viaggia.mo pi tranquilli quando e se dobbiamo leggere l'chei d'aporian in questo modo per cui la traduzione non c'
cora visto che non possiamo tradurre: se c' unapora, apora
non c'. La traduzione a questo punto non tanto questione di
traduzione letterale, quanto direi esplosione della lettera della traduzione per cui a un certo punto come se dovessimo con..:-: ncerci che quando diciamo chei d' aporan leggiamo in un certo modo per cui sappiamo che diciamo non c' un'aporia, ma apora addirittura in questi termini radicali per i quali prima del suo essere quello che in questo modo. Sar dopo quello che sar dopo questo modo perch l'apora addirittura questa necessit tipica di Aristotele, che ho chiamato satanica,
per la quale tutto necessario che sia ridotto a scienza anche
ci che a scienza non pu essere ridotto: questo il luogo del1 'apora, questo il topos non a caso rubato ai Topici, ai luoghi elementari del discorso filosofico perch i Topici di Aristotele sono questo: cio come comincio a sillabare in filosofia. E'non vero, sembra che cominci a sillabare, sono gi nel
massimo del disa tro filosofico, sono coinvolto nell'apora, e
l'a ora uestq la necessit di ridurre tutto a scienza, qualunque cosa sia ci di cui debbo avere scienza, in tal limite
e in tal modo per cui tutto ci che non pu essere ridotto a
scienza non .
Siamo cos fermi al luogo parmenideo, siamo fermi ai luoghi parmenidei, o siamo fermi al luogo? Siamo fermi al luogo,
siamo al topos, al topos dell'apora, un topos per che dobbiamo chiamare comune, un luogo comune, non un luogo privilegiato, perch questa necessit per la quale necessario ridurre tutto a scienza in questa misura aristotelica per la quale
ridurre tutto a scienza significa tragicamente sapere che ci
sono scienze di un certo ordine e scienze di un altro ordine,
in rapporto a ci di cui possono essere scienza, questo sta a
significare che di qua da questo tutto ci che non , tutto
ci che non rientra nei Topici non essendo, non: non non
essendo, non essendo, per cui come se la difficolt aristotelica pi evidente proprio la difficolt del riconoscimento
di questo luogo dell'apora come luogo comune, e non come luogo privilegiato, non come luogo del logos, ma come luogo di x
tutti, come topos di tutti, perch aristotelicamente il logos
44.
an-
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comincia la sua battaglia proprio cominciando dalla scuola elementare, cio dai Topici, in quanto appunto il luogo nel quale
tutto ci che deve essere ridotto a scienza deve essere ridotto a scienza luogo governato dalla ragione sempre dal principio, dal logos, dal principio, dalla ragione nel senso in cui
questo tipo di ragionamento dobbiamo dire c_on Aristotele cos'
un discorso facile? Phulus: non dobbiamo fare discorsi facili
dice Aristotele nel punto finale dei Topici, non dobbiamo fare
discorsi scadenti, scadenti per dire che cadono dal livello nel
quale sono discorsi, non dobbiamo fare discorsi facili. A questo punto Aristotele o vuole imbrogliare s stesso o vuole imbrogliare noi, quando dice che pur dovendo rifiutarci di dialettizzare con chiu:qque, dice che non dobbiamo fare discorsi facili: non sarebbe meglio fare discorsi facili a questo punto? Il
problema non di andare a reperire altrove l'apora, anzi semmai il problema di reperire l'apora nel suo luogo proprio,
nel suo topos proprio. E allora: l'chei d'aporan ha un luogo
proprio che in realt un luogo comune: questo il sottofondo della questione, per cui ci che fa da topos all'apora fa
da luogo comune tutto ci che l'apora non suscita per s, ma
suscita per tutto ci che ha possibilit di confronto con l'apora stessa: quindi un luogo proprio che un luogo comune:
improprio.
l'apora forse il modo di pensare il luogo
In termini triadici, trinitaristi ci: un luogo proprio che un
luogo comune finisce per rimanere luogo improprio, in quanto
proprio come comune o come comune in quanto proprio: il proprio
in quanto comune in realt improprio. Ma allora questo luogo
dell'apora un luogo che l'apora trova per s e che il pensare l'apora costretto a trovare? Noi dobbiamo stare fermi
rigorosamen te in questo caso, istituzionalm ente al testo e quin' <rroe::i[iX'.v.
di il luogo nasce dalla battuta iniziale:
battuta iniziale nasconde una difficolt pi pesante di
quanto non sia la difficolt che viene espressa dopo, che costituita esattamente dal luogo dell'apora o da ci che il luogo dell'apora in quanto necessit di dare l'apora in concetto. Quindi dobbiamo avere chiaro questo tessuto di rapporti,
perch il discorso potrebbe sembrare semplice: "c' un'aporia, ,.
e poi sappiamo qual o meglio enunciamo il fatto dell'apora e poi enunciamo l'apora. Se il discorso sta in questi
termini in realt ci che l'apora dopo la sua enunciazione
non l'apora vera, ci che l'apora data nel concetto esplica di se stessa. E' come se dovessimo stare a giudicare se ci
che diciamo apora ci che realmente apora . Se c10 che diciamo, non se cio che pensiamc. apora; cio: se ci che enunciamo apora, apora . Ma: se c' un'apora, l'apora non c';
cio se l'ipotesi riguarda l'eoora l'ipotesi aperetica annulstessa. Allora non possiamo leggere che i d' aporlan
la
-come c' un'apora. Ma l'ipote:i da dove nasce? Si pu controbattere: nasce dall'apora. Da questo punto di vista l'ipotesi
11
45.
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sull'apora nasce dall'apora stessa, e allora in questi termini l'ipotesi sull'apora come apora in realt la non-ipotesi, non c' ipotesi da questo punto di vista e non c' nemmeno
tesi, perch la tesi dell'aporia non l'apora; tesi dell'apora non : c' un'apora;
l'apora. _ E dobbiamo stare attenti a distinguere.
Tesi dell'apora non l'apora stessa da questo punto di
vista letterale perch semmai l'apora ha tesi dopo s stessa,
e quindi in questo senso non c' l'apora come tesi, e per non
c' l'apora come tesi nei termini in cui dopo, o meglio consecutivamente, l'apora ha la sua tesi, l'apora ha la tesi che
X la pone come apora. E allora se diciamo che l'
: .in ...
modo qualunque concetto che si pensi per s abbia relazione con
un-a:1tro___conce-tt6" che--nri pos-sa "essere pensato - -per
s ' in che.
------- ___ _______ ____ __ -------------------------------- ------ modo ci _sia __
relazl:_<?p.e, se noi diciamo che aporia : in
che modo ci sia questa relazione. E' chiaro che dobbiamo stare
attenti a capire che in realt la vera aporia consiste in che
modo questa relazione ha relazione con l'apora, o meglio ha
relazione con quello che possiamo chiamare il fatto aporetico.
Allora possiamo continuare in qualche modo a sostenere che dunque non possiamo porre l'ipotesi aporetica, per il fatto che
questi termini finora esplicati a questo modo noi abbiamo
in qualche misura costretta 1 1 apora al suo luogo, che per
un luogo proprio dell'aporia e in quanto proprio dell'aporia
perci comune e in quanto comune perch proprio perci improp
prio, o in altri termini: apora, problema, difficolt il comprendere il luogo improprio come risultato del complesso del
luogo proprio e comune. Il vero problema a questo punto questo, il problema nel senso della difficolt, ma non di una difficolt che riguardi qualche cosa ma di
___q,_:U'fi.QQ.l_t;_,_ __be .. riguarda
la difficolt da comprendere proprio questa: che un luogo proprio che in quanto proprio diventa comune essendo comune perch proprio in realt univocamente luogo improprio. Un luogo che se proprio comune, realmente o identicamente o in verit luogo improprio o in altri termini dalla relazione tra comune e proprio nasce l'improprio o
in altri termini ci che proprio come comune fa nascere l'improprio. Banalmente se noi vogliamo, possiamo pensare l'aporia
nel massimo della sua espressione conoscendo l'uomo, nella misura in cui cio conosciamo l'uomo secondo la sua essenza, qualunque essa sia perch come se dicessimo che posso conoscere
l'uomo nella misura in cui c' una sorta di rapporto tra ci
che proprio in quanto comune in modo tale per cui il risultato l'improprio, o in altri termini ci che noi chiamiamo essenza di uomo a questo punto, l'uomo nella sua essenza, che cosa se non il luogo improprio dell'uomo come uomo? In questi
termini aporetici, l'uomo nella sua essenza il luogo improprio
dP.ll'uomo conosciuto, ma conosciuto in quanto esistente secondo la sua individualit o secondo ci che proprio dell'uomo
,,
,,
46.
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"
...........
comune. In questo modo noi non pensiamo l'uomo, perch pensiamo in realt l'apora, cio dell'uomo conoscendo l'essenza pensiamo l'apora, pensiamo il luogo improprio dove l'essenza
1=_eggiaci che posso conoscere. Allora
mo: chei d'aporan, non che non possiamo leggere: c' un'apora; non_ possiamo pE1:s-are- che -ci sia unaporia;--pr-ch -pensare uil1 aporia -sfgnificac;-aeve -;3':ignI:-:fi"care--in--re.1 t conoscere ci
che corrispondentemente al pensare l'apora pu farmi conosciuto come ci che in relazione col pensare: l'apora pu farmi
pensare il luogo improprio. Se il discorso sta in questo modo
noi dovremmo costringere lo stesso discorso a diventare sinottico a vari livelli, ovvero dovremmo gi dare per conosciute
Jn cose che ci servono in quel modo per cui l'essere conosciute di alcune cose discrimina rispetto al pensare l'apora in
modo tale per cui l'apora pu essere pensata in quanto pu essere pensata come luogo improprio. Per cui se torniamo a leggere Aristotele in Aristotele, nel luogo aporetico che ci interessa per ora, la consecuzione, la consecutivit aporetica consente di pensare l'apora come luogo improprio? Ci che Aristotele dice essere l'apora consente di pensare l'apora?
J.' essere con()B
____Q!_lsentJ,_!!9
sciuto; e dovremmo sostenere che l'essere in quanto conosciuto
pur sempre un modo di anticipare il pensare a quel livello
problematico assoluto nel quale il problema non il pensare,
ma l'apora, appunto perch anticipare il pensare in questo senso serve soltanto per potere comprendere se possiamo pensare
il luogo improprio nella misura in cui pensare il luogo improprio significa pensare l'apora come tale perch ho discriminato tra gli esseri conos.ciuti. E torneremmo pari pari alla necessit del discorso storicamente o normalmente classico perch
il discorso classico sostiene questo (evidentemente in questi
termini nei quali lo sto travolgendo o essenzializzando o comunque modificando). Ma quando il discorso classico punta o per
lo meno definisce il principio del pensare come iniziata dall'
essere chiaro che discorso classico significa che l'essere
che d inizio al principio del pensare l'essere in quanto conosciuto o pi pesantemente: la stessa enunciazione dell'essere implica il conoscere, l'essere come essere, cio io non posso classicamente, rispetto all'essere, pensare, pronunciando
di non darlo per conosciuto. Ma se il discorso classico in questi termini, il discorso classico in realt non
implica anch'esso l'apora? E siamo a questo punto in un circolo vizioso per cui il massimo di apodissi corrispondente alla
tesi dell'essere in assoluto come tale corrisponde al minimo
non al massimo di apora, perch corrisponde a questo momento
nel quale l'essere in g_lJ.anto c_o11_os9J.!cJ.:t<?_A!sI'tmina rispetto al
__ __p_ensare l'aporia. --Questo
__
__
un discorso grave perch se noi possiamo sostenere che il massimo del conoscere in quanto legato all'essere non si sottrae
47.
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all'apora nel suo minimo o include il minimo aporetico evidente che possiamo anche fare i conti in una certa maniera per
possiamo concludere che vale la pena affrontare l'aporia
nel suo massimo, leggere l'apora nel suo senso supremo, non
rassegnarsi all'aporia nel suo senso minimo che potrebbe essere dovuto al fatto che in ogni caso un qualunque conoscere,
qualunque esso sia, anche rispetto all'essere in assoluto implica pur sempre in qualche modo un pensare. Tutta la difficolt vera, a questo punto, tenendo sempre fermo il rapporto al
livello classico o al livello aristotelico di queste questioni
e in parte hegeliano, in fondo sta in questo tipo di problema:
non possiamo non riconoscere il pensare pur che sia nel massimo del conoscere, il che vuol dire non possiamo non riconoscere nel suo grado minimo il pensare pur nel massimo del conoscere; ancora: non possiamo non riconoscere il pensare in quel grado minimo di aporeticit dal cui punto di vista il massimo del
conoscere corrisponde in fondo alla necessit di definire l'apora, cio di limitare l'apora in s, non nell'apora ma nel
conoscere stesso; per cui l'apora, limitata nel massimo del
conoscere, dal punto di vista per del suo grado minimo che appartiene al pensare (ricordiamo che l'aporia non mai del conoscere sempre del pensare) in questi termini come se fosse ci che del pensare il conoscere pu catturare per diluirlo
nel conoscere stesso o per dare al conoscere la patina speculati va.
Allora ci che di speculativo c' in un discorso di normativa classica in realt questa patina che consiste nella diluizione del grado minimo del pensare o della aporeticit come
grado minimo del pensare nel massimo del conoscere. Il discorso si fa tragico perch il conoscere nel grado massimo del conoscere corrisponde alla sua coestensione all'essere conosciuto, il massimo del conoscere sta a significare sempre il grado
massimo dell'essere nel suo essere conosciuto; e quindi se diciamo il conoscere nel suo grado massimo, stiamo dicendo la coestensione del conoscere all'ente, all'essere, l'estendere il
conoscere con l'essere. Allora il pensare come se fosse cos
stituito a questo punto da una sua sottilissima capacit pellicolare, di fare da pellicola sottilissima, per estensibile al1 'infinito, perch il grado minimo del pensare o il grado minimo di aporeticit colto nel pensare relativo al conoscere in
questi termini questa sorta di fisarmonica che il conoscere
allarga fino a s per cui il conoscere speculativo nella misura in cui il suo essere speculativo la capacit di estendere nella sua superficie pzena il pensare evidentemente risolvendone l'aporetica interna. Cio: l'aporia sparisce nel suo essere dissolta nella copertura che essa fa al conoscere ed chiaro che quanto pi conosciamo tanto pi abbiamo bisogno di un
grado minimo del pensare. E qui il discorso ritorna malamente
aporetico: infatti in linea aritmetica ad una estensione di
48.
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50.
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re
re nella misura in cui questa lezione classica un testo di
lettura, un leggere l'essere e non un essere letto dell'essere
e dall'essere. Dunque la conclusione tragica: l'essere non pu
essere principio per mezzo di s stesso, non principio non
per mezzo di ci che gli oppongo, non principio per mezzo di
ci che pongo come principio in quanto essere, se leggo nella
maniera in cui stiamo leggendo e se leggendo in questa maniera
noi abbiamo bisogno, se abbiamo bisogno, di nobilitare il conoscere come speculativo, per cui se il conoscere va inteso in
speculativo e quindi se il conoscere in quanto speculativo significa: ci che il conoscere pu sopportare sulla sua
superficie di quella infinit del pi propria del minimo che
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3.
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dal solito, la dimensione classica del pensiero. La prima conclusione la seguente:Oil metodo impossibile. E dobbiamo dire che questa conclusione va
letta: il metodo
impossibile perch il metodo met hods; si potrebbe dire che
l'unica possibilit che il metodo ha, di essere diviso in s;
per cui noi non possiamo leggere la mthodos alla greca o, potremmo anche dire, alla Hegel; non possiamo leggerla nella misura in cui leggere la mthodos significa leggere ci per cui
si deve riconoscere che il metodo letteralmente, intrinsecamente tale da non essere se non il suo sparire in ci nei cui
il metodo metodo. Leggere il metodo nel senso unitario della questione, o nel senso anche trascendentale della
stessa questione, che il senso poi hegeliano, significa in
un certo senso leggere in quel modo per cui dobbiamo sostenere
che allora il metodo lo stesso sparire di s in ci nei cui
confronti il metodo metodo: la via che mi fa camminare non
se non il mio camminare; la strada che mi sostiene nell'andare non se non lo stesso andare; per cui ad un certo punto tra
l'andare e la strada che calpesto per andare non c' differenza, non c' distinzione. Quindi in questo senso mthodos starebbe a significare questa necessit di sparire; ma questa necessit di sparire in quei termini per cui per il suo sparire
un rimanere integro, cio un suo rimanere non spaccato o, potremmo ancora aggiungere: in fondo tutta la fatica di riuscire
a capire in che modo dobbiamo leggere l'aporia, non consiste
nella
di trovare un metodo, che non sia per un certo verso l'annullarsi del metodo nel suo dare modo di leggere
l'aporia, per un verso; per altro verso, (che non altro verso rispetto a questo, altro verso rispetto a s, invece) che
non debba essere invece il metodo spaccato: met hods.
Se la questione che ci interessa per adesso di leggere
chei d'aporan, se la difficolt che abbiamo questa di leggere l'aporia, il modo per cui dobbiamo risolvere questa difficolt non un modo topico, cio non un modo che possiamo imparare dalla topica in generale, o dai Topici aristotelici, per
cui si tratterebbe di trovare appunto un metodo: si tratta, invece, di trovare in che modo debbo leggere il modo per mezzo
quale posso fare scattare l'aporia. Dal punto di vista del
met hods, cio dal punto di vista della divisione (diciamo
cos, della divisione, ma aggiungiamo anche 'del metodo', per
_essere fermi al punto della questione), dal punto di vista della divisione del metodo., l'eventuale utilizzo del metodo, non
met hods, non diviso, del metodo uno, integro, non pregiudicato dalla divisione del metodo; infatti non sto sostenendo
che non possiamo leggere metodicamente l'aporia perch mi trovo a dovere ammettere o addirittura per strutturare invece la
divisione del metodo, la cesura del metodo. Non sto rifiutando
un eventuale accesso metodico alla lettura dell'chei d'poran;
in altri termini ancora: non sto rifiutando i Topici, perch
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i Topici sono il testo, sono il tpos della indicazione del me-todo, sistematicamente addirittura assunta. E per: se non si
rifiutano i Topici come mai non sono usati? Cio: se non questione di rifiuto del metodo integro, come mai il non rifiuto
del metodo integro non significa l'uso della integrit. del metodo_ per l'accesso all'chei d'poran? L'integrit del
corrisponde allo slittamento dell'apora generica nell'apora
specifica per cui lo slittamento della difficolt generica,
(accesso a, metodico), corrisponde all'annullamento nell'apoP
ra specifica dell'apora generica. Anche se noi ammettessimo
un metodo pregiudiziale all'apora, una via d'accesso per mezzo della quale noi possiamo trovare il modo di capire, di leggere, di pensare, di conoscere l'aporia, anche se quesi;,) fosse,
in realt questo sarebbe dovere continuare a leggere e}: e::.. d'
aporan senza capirne niente. Ecco perch: non
ci o non rifiuto il metodo nella sua integrit, pe1"cb non rifiutare il metodo nella sua integrit significa dovere stare
fermi, come stiamo fermi per ora a leggere l'chei d'poran,
in altri termini dovere stare fermi allo sbattere in questa
J .. ttura, per cui non stiamo leggendo in realt: noi stiamo shattendo; abbiamo un blocco costituito da due termini, che non "nm1no solo una difficolt grammaticale, filologica evidente, evidentissima (perch apran non soggetto del verbo cho); non
solo questo: abbiamo un blocco concettuale da questo punto di
vista. E il blocco concettuale consiste nel fatto che mi debbo
rendere conto che l'eventuale accesso metodico a questa difficolt, corrisponde alla stessa difficolt cos come
, n
pi e n meno. Allora non possiamo fare questione di metodo;
vorrei dire non tanto per paradosso: leggere questi due termini aristotelici a questo modo significa avere impedito, senza
averlo potuto fare realmente, a Cartesio di scrivere Il discorso sul metodo, o sarebbe significato potere avere impedito. Ma
possiamo porre rimedio perch, da questo punto di vista, noi
possiamo rileggere il discorso sul metodo cartesiano in modo
tale per cui, una volta che letto sul serio, non ne abbiamo
pi bisogno perch comprendiamo che in realt non possinmo fare questione '
del ruetodo come tale. E non
ch noi abbiamo in tasca iJ metodo, ma perch il metodo, se
integramente tale, in realt corrisponde al suo corrispondere
a ci nei cui confronti metodo, e quindi, da questo p1mto di
vista, l'altra conseguenza gravissima sul piano storico questa: a Cartesio, alla difficolt facile, cartesiana, secondo
la quale noi possiamo cominciare ad impiantare un discorso di
scienza nella misura in cui possiamo enucleare il metodo per
s, a questa difficolt facile corrisponde una difficolt pi
ancora che quella hegeliana, perch quando Hegel ha
scoperto che il metodo , diciamo cos, innervato a ci nei E
cui confronti metodo, per cui in termini immediati, Rommari,
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coincidenza con la parte interna dell'chei d'aporan. E allora, se noi dovessimo leggere a questa maniera l'chei d'aporan,
dovremmo percorrerne la superficie; e "dovremmo percorrerne la
superficie" significa per: dovremmo percorrerne la superficie
interna, quella che non si vede; perch, a questo punto, il metodo ci che fa da mastice tra ci che si vede dell'aporia e
ci che non si vede di questo stesso; e allora avremmo in un
modo, da questo punto di vista, una sorta di fenomenismo
paradossale: non il fenomenismo di ci che accade o di ci
che appare, ma il fenomenismo di ci che non appare. E saremmo
anche qui, da questo punto di vista, alla possibilit di battute aggressive nei confronti delle filosofie, in maniera anche
qui catastrofica, perch noi non possiamo filosoficamente pensare sul serio il fenomenismo, di qualunque autore, perch ogni
fenomenismo in realt implica questo paradosso del suo essere
interno; non vero che il fenomenismo ci che mi fa apparire di essere, il fenomenismo ci che non mi fa apparire di
essere per s; mentre fa apparire di essere tutto ci nei cui
confronti e per cui il fenomenismo tale. E allora in questo
senso dovremmo concludere: dunque non ci sono fenomeni in filosofia, perch l'unico fenomeno anzi, ci che non appare
questo apparire unico con s, che il metodo intrinsecato
internamente a ci nei cui confronti metodo. E allora in questo senso ogni filosofia che pretenda di essere letta o di leggere s per mezzo dell'accesso metodico a s, questo fenomenismo, o fenomenismo in questi termini: ovvero fenomenismo
antifenomenistico.
-Se fenomenismo antifenomenistico, allora l'apora una
sorta di veleno che avvelena qualunque cosa tocchi. E ancora:
se noi stiamo fermi, come per ora stiamo fermi, all'chei d'aporan del passo che teniamo presente, c' una ragione per la
quale dobbiamo continuare a leggere? E la domanda non una domanda retorica. Se noi stiamo fermi all'chei d'aporan, stare
all'chei d'aporan non significa stare fermi per vezzo
concettuale o storico, ad un approccio di questioni che riesce
a galleggiare in s stesso in modo tale per cui non continuiamo, perch siamo sempre fermi bene o male a pasticciare con questi due termini sbattuti un po' di qua un po 1 di l. O, viceversa, stiamo fermi a questa questione, perch, come possiamo intendere, per mezzo di questa questione, se vogliamo, possiamo
rifare tutta la storia della filosofia, non del pensiero; ma
in qualche modo tutta la storia della filosofia o la storia della filosofia nei suoi veritici addirittura la possiamo fare cercando di capire chei.d'aporan o stando fermi alla necessit
di stare fermi a
stesso.
La storia della filosofia, da questo punto di vista, stata un modo di non c011tinuare a leggere, o non? Peggio: ogni filosofia nella storia di s, necessitata a non dovere leggere
la ragione dell'apor.a? Cio a non dovere continuare; perch
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dovere continuar e non significa dovere continuar e a leggere dicendo il seguito, continuar e a leggere significa invece, diciamo cos, avere sciolto l'apora, averla risolta. Per cui sappiamo che l'apora , cio: nel testo testuale di Aristotel e
significh erebbe: sappiamo che l'apora quello che ; ma non
sappiamo in che cosa apora; perch? Perch appunto non sappiamo in che maniera l'apora legata all'chei , cio al suo,
non essere, perch ho detto che non possiamo leggere: c' un'apora; e se leggiamo c' un'apora , stiamo leggendo invece:
un'apora , se c', non c'. Allora: ogni filosofia nella sua
storia, possiamo a questo punto pensare che sia un rimanere fermo alla lettura iniziale bloccata sull'apor a? In realt ogni
filosofia nella sua storia non questo rimanere fermo alla apora che blocca s stessa, e che, proprio perch blocca s stessa, d modo alla filosofia di svolgersi ? Voglio dire: rimanere
fermi all'apor a in modo unico per cui questo modo unico sempre iniziale, non mai consecuti vo, n finale, sempre iniziale; si rimane fermi all'apor a sempre inizialme nte, cio sempre
a principio ; rimanere fermi all'apor a in questo modo che unico, per cui iniziale questo rimanere fermi all'apor a, non
significa rimanere fermi ad un blocco che riguarda l'apora,
per cui proprio perch il blocco riguarda l'apora, la filososvolge s; e quindi dobbiamo concluder e: ma allora la storia della filosofia la storia dello svolgimen to di ci che
permesso da un non svolgimen to iniziale. La storia della filosofia la storia dello svolgimen to che quello che perch
qualcosa all'inizi o non si svolge; e questo qualcosa che all'
inizio non si svolge, l'apora: l'apora in senso forte,
l'apora in senso tragico.
Il pensiero come se, a questo punto, avesse bisogno di
non sbl0ccare ci da cui iniziato, perch l'unico modo per
cui in un certo senso e in un certo modo ci che lo inizia non
si svolge col pensiero, non si svolge con la filosofia che posso fare se riesco in qualche modo a pensare; e, perch non si
svolge, perci si svolge qualche cosa, ma perci si svolge qualche cosa vuol dire: perci si svolge ci che ha principio da
qualche cosa che inizialme nte rimane sempre lo stesso. Potremmo anche concordar e sul fatto tragico che in ogni filosofia il
principio questo, il blocco dell'apor a a s; in ogni filosofia ci che possiamo pensare come principio ci che necessitato a rimanere bloccato per s, neanche in s, ma addirittu ra per s e quindi in questo senso il discorso diventa ancora
pi grave, molto pi grave. Ma allora ci che rende assoluto
questo principio questa sua necessit di rimanere bloccato
rimanere bloccato
per s, non in s. Perch poi invece
nel pensiero che lo pensa; e nel soggetto che lo penper s
sa, (maiusco la questa "s" iniziale o minuscola non ha importanza) 0 nella trascende ntalizzaz ione del rapporto che lega ques+.o blocco per s alla necessit di trovare qualcosa nel quale
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sia questo blocco per s, e cio questo rimanere fermo tragicamente per interesse solo al rimanere fermo come tale; cio questo essere che l'apora per essere soltanto l'apora che
in questi termini, per cui, ecco la tragedia: se noi continuiaa ragionare cos ma noi abbiamo ragionato cos, non che
si tratta di altro, noi abbiamo ragionato cos, o meglio: studiare filosofia anche essere educati a ragionare cos; se continuiamo a ragionare cos, dobbiamo allora ammettere che ]:g__tr_f!__ __quef:l_"to blocco che interessato a s, ques; q'.lesta la tragedia;
per s che !!_9_:g_)1a
sto
per cui spere il principio sembra che sia l'unico modo a un
certo punto di sciogliere questa tragedia, spere il_pJ:'_incipio \.
vuol dire assumere in quanto essere assunti dalla capacit che
J1_ qualcosa;
___
ii per s,_ c-he--ii ubio-cco p_e:I'.' s_ _ c.li __
e noi potremmo anche dire per cercar di capire questo imbroglio,
maledetto per il principio, benedetto per la filosofia, in termini assoluti, per cui potremmo fare una parafrasi teologica o
teistica sommaria, e si capisce forse meglio: il per s non
il Padre, nella prima Persona della Trinit? il Padre, ci che
chiamiamo Padre, ci che chiamiamo potenza del creare; e quello che dobbiamo chiamare l'in s non il Figlio; perch dovremmo dire quando diciamo che la seconda Persona il Verbo del
Padre (stiamo ragionando teologicamente non per motivi teologici, ma per motivi di grammatica, di linguaggio che usando questa parte di discorso teologico, si chiarisce), quando noi diciamo che la seconda Persona della Trinit, quando il teologo
dice che il Figlio la Sapienza del Padre, che cosa stiamo dicendo: che il Figlio che contiene il Padre, o il Padre che
contiene il Figlio? C' un viaggio che non di andata e ritorno indifferentemente, perch il Padre contiene il Figlio in
quel modo diverso nel quale anche il Figlio contiene il Padre
in quel modo diverso, perch il Padre contiene il Figlio, in
quanto contenere il Figlio da parte del Padre averlo generato. Non lo sto inventando io, n se lo inventa il teologo, glieinteressa solo per
lo ha rivelato qualcuno, ma 'fVettG ._;,
cercare di capire questo, lasciamo stare se la capacir; della potenza del pensiero che riesce ad escogitare questo prsopon, questa persona assoluta che chiamo Dio, o se Dio che per
sua paterna benevolenza si china su di noi e mi dice: - Eccomi
qua, mi sto rivelando - Non interessa, sar l'una o sar l'ali,ca; non mi interessa completamente, quella che chiamiamo Rivelazione a questo punto o per questo verso o per altro verso,
noi dobbiamo dire che come se, nel momento nel quale il Padre---;
quel momento nel quale la diffigenera il Figlio
colt, l'aporia bloccata per s, cerca di sbloccare questo per
s; per cui, se noi dovessimo dire: ma c' un'chei d'aporan
che riguarda in assoluto ogni principiJ della filosofia,
principio della filosofia, a quel livello nel quale se questo
riguarda ogni principio della filosofi1, questo lambisce ogni
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de ad un fare da principio di ci che questo blocco diventa come principio per; e non pi come principio di o non soltanto
come principio di, ma come principio per, perch a questo punto come se noi stessimo comprendendo che tutto ci che principio filosoficamente parlando, in qualunque maniera sia prin.. ;..pio, tale non rispetto a ci che determinato da ci che
principio di, ma rispetto a ci per cui il principio principio di
In altri termini non vero o non soltanto vero che il
principio di non contraddizione sia principio di non contraddizione; in realt il principio di non contraddizione principio
per qualche cosa da cui in realt deriva il suo essere principio di non contraddizione.
Che l'apora faccia blocco a questa maniera in cui stiamo
vedendo, tale per cui l'essere blocco dell'apora in questi
termini vuol dire l'chei d'aporan troncata a questa maniera,
non chei d'aporan, ma l'chei d'aporan, ci che
chei d'aporan; il fare blocco da parte dell'apora in questi
termini in realt sta a significare, per l' apora stessa, il
suo far diventare il principio che nasce da questo blocco principio per; per cui, in questi termini, il determinativo del
principio non mai un determinativo univoco, sempre un
minativo equivoco; sempre equivoco, non mai univoco da questo punto di vista; perch il principio di, qualunque cosa sia
questo di, questo determinato da parte del principio, in realt nasce-in quanto il principio di serve perch il principio
sia principio per. In termini pi inerenti a questo tipo di discorso, si potrebbe sostenere che il principio di non serve per
ci nei cui confronti riesce ad essere principio, e dal cui rapporto riesce ad essere principio determinante qualche cosa, ma
principio per lo svolgimento della filosofia a partire dal
di. E quindi come se stessimo dicendo, da un certo
punto di vista, che il Werden hegeliano, il divenire di Hegel
fa da principio surrettiziamente, perch il Werden hegeliano
a questo punto risulta essere il calcolo fraudolento della ragione che scarica alle sue spalle la sua aequivocatio, nel tentativo per di darla come una aequivocatio univoca; perch l'
aequivocatio sta a significare qui a questo punto l'aequivocatio dell'essere e del nulla, non l'aequivocit, ma la vacatio
che
che, egualizzando, tiene presente che i termini da egualizzare non siano eguali e dunque sa che i termini
non sono ci che sono nella aequivocatio. In questo senso il
Werden di Hegel, il divenire oppure la dialettica posta a principio in assoluto, nel momento nel quale nasce come principio
in assoluto, (perci il Werden, o il divenire hegeliano nel senso in cui per Hegel il principio dialettico il divenire) il
divenire in questo senso sta a significare, da parte di Hegel,
il tentativo di scaricare alle spalle del principio il blocco
dei due termini come pareggiati dal loro essere chiamati perch
62.
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non uguali perci uguali; ovvero Hegel a questo punto, rispetto all'chei d'aporan, risulta in qualche mtsura retrodatabile rispetto ad Aristotele, perch come se noi dovessimo a
questo punto leggere il Werden hegeliano con la necessit dei
riscontri pre-socratici. E co: Hegel ha avuto paura di fare
fare al Werden la parte dialettica del bilico tra, poniamo, l'
essere prima del Werden, e il nulla a partire dal Werden; ed
ha preferito invece pareggiare l'essere e il nulla prima del
Werden; prima del Werden in quella maniera in cui sappiamo che
l'essere prima del Werden dipende dall'essere la materia di cui
fatto il Werden, il divenire. Hegel non poi cosi carente
a questo livello di discorso speculativo da non capire che l'
essere prima rispetto al Werden significava per l'essere prima come la materia, come la causa (materia in questo senso),
come la materia (causale) dello stesso Werden. Per nei confronti della eventualit critica in qualche misura adombrabile per
mezzo di Aristotele per mezzo della quale, se noi teniamo l'aporia bloccata in s stessa, come stiamo facendo con Aristotele, per conoscerla nel suo blocco; se noi teniamo l'aporia bloccata, in s stessa, e se noi tenendo l'apora bloccata in s
L11essa, pensiamo (qui 'pensiamo', ar'istotelicamente parlando),
che l'apora possa rimanere bloccata in s stessa perch alle
sue spalle c' chi pu sbloccare sulla testa dell'apora,
ch c' l'essere; se noi pensiamo a questa maniera, noi il gioco dialettico tra essere e nulla l'abbiamo. Per poco che noi
riusciamo a sbloccare l'apora da s, possiamo scaraventare,
catapultare l'apora contro il fronteggiamento aristotelico E
classico dell'essere e del nulla e piantarla nel mezzo e mandare a monte il gioco aristotelico, senza per perdere l'apora;
non possiamo per fare lo stesso con Hegel, perch non possiamo scaraventare il Werden tra l'essere e il nulla, perch scaraventando il Werden tra l'essere e il nulla alla maniera di
Hegel, noi perdiamo anche il Werden, cio non abbiamo una riser come se
va possibile di apora, perch
conosciuta in
essere
suo
il
senza
ra fosse rimasta sbloccata
,---: ire i
-t
ci
cos, interessante, e fondamentale il riscontro sia aristotelico, sia hegeliano su un punto che pu sembrare cos estraneo
o cos lontano da Hegel, quando diciamo chei d'aporan.
Possiamo fare questo riscontro, perch se leggiamo l'chei
d'aporan alla maniera aristotelica, possiamo dunque comprendere che noi possiamo conoscere l'apora, perch la conosciamo
nel suo blocco, e vuol dire: perch, in qualche misura la riserva sul pensare la possiamo mantenere in quanto il pensare ha
pensato in qualche modo, in quanto ha pensato l'impensabilit
del metodo; ci per cui il metodo impensabile corrisponde al) 'impegno che il pensare bene o male ha fatto di s per potermi fare concludere in questi termini: il metodo impensabile;
cio a dire: conosco l'apora nel suo blocco; cio il metodo
63.
co..
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()rn-a
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trario; tutti i filosofi fanno falsamente gli asceti o i mistici o i maestri di educazione spirituale, tutti; perch tutti
hanno insegnato che ld corsa all'infinito davanti sta bene, anzi; bisogna farla, non solo, bisogna saperla fare, non solo,
andare a scuola per saperla fare sul serio, E vuoi che
la corsa all'infinito significhi salvezza dell'anima, perch
Dio mi sta davanti e debbo in qualche misura andare verso di
lui; vuoi invece che significhi la consapevolez za storica che
debbo avere di ci che accade davanti a me e nel futuro, tutto
quello che si vuole, non interessa; per prendo atto di una situazione, paradossale , assurda, veramente assurda per cui l'assurdo consiste proprio in questo per cui siamo tutti convinti
tranquillam ente che se la corsa all'infinito la facciamo davanti, la possiamo fare; all'indietro non la possiamo fare.
Allora il caso di chiedersi a questo punto: quando noi
neghiamo al principio questa corsa all'infinito alle sue spalle, da questo che dipende che il principio sia principio, non
per il fatto che il principio viene dato come tale, per cui,
dato il principio, accade che non si pu pensare niente che non
sia a partire da, in avanti. Perch? Perch appunto si pensato un principio, e, .meglio: perch appunto un principio si fa
pensare, obbliga a pensare. E' questo il nodo della questione:
e stiamo a scervellarc i nel comprendere i modi per mezzo dei
quali il principio mi impone di pensarlo; ed questa sua capacit di imposizione che ad un certo punto lo fa nascere come
principio. Ma, quando dico: lo fa nascere come principio, l'
essere principio del principio che mi impone di non pensare prima del principio o, viceversa, l'impossibi lit di pensare prima del principio che fa nascere--il--p r:rnipi.o? Se cos non ,
se -cosr non fosse, l'uniio non posso nea.lche -pnsare'
ca filosofia possibile sarebbe la scienza dell'evoluzi one natu1uie: l'unica filosofia che posso veramente pensare, per cui
filosofia non ha neanche problema di essere, la scienza della evoluzione naturale, nel suo senso pi catastrofico e direi
anche pi matematico, perch la scienza dell'evoluzi one naturale a questo punto corrisponde al continuo transitare del principio in ci di cui principio. O in altri termini: l'unica
filosofia possibile sarebbe la scienza del mio vedermi crescere, nascere, crescere e morire, perch col mio crescere il principio di questo crescere continua di pari passo; non ho problema, cio non ho il problema di comprendere lo spazio vuoto che
c' tra me che guardo questo crescere e il principio che distinguo da questo crescere, non c' lo spazio; perch il principio
connaturato al suo crescere, anzi il crescere stesso fa da
principio a s. E la scienza che di questo posso avere non
la scienza che scrivo nei libri, la scienza che semmai descrivo mettendo in trattato la mia vita naturale.
A questo punto c' una gravit estrema della questione:
ma allora la filosofia, da questo punto di vista, senza alter65.
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:.at
tra
66.
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to diventare ci che esso non . perch chiaro che il pensiero puro pensante s stesso n.; . :: Cristo. E non neanche il Padre Eterno; non n la seconda Persona della Trinit e neanche
l!1 prime.; e neanche la terza, non _ nessuna delle tre persone,
n messe assieme, n distinte. E per come se questo stesso
avesse obbligato il Padre Eterno, l' a.r5:;oluto, il Padre, la prima Persona, non solo a rivelarsi alla prima maniera, e non bast; quando qualcuno Gli chiese: "Ma tu, chi sei?", la risposta
fu tale per cui gli uomini dovremmo aver detto: ne abbiamo capito meno di prima. Perch, fino a quando Mos chiede: "Ma, chi
dir che tu sei?" la risposta fu tale per cui la verit qual
stata poi? Che ne abbiamo capito meno di prima, e meno degli
Ebrei (gli Ebrei, non sono solo gli Israelian i astutissim i
di questi giorni, astutissim i perch prima della rivelazio ne
gli Ebrei avevano statuito e continuan o a statuire che il loro
Dio o il Dio non solo l'invisib ile, non solo il trascende nte, non solo l'unico, contro tutte le religioni di quel tempo, ma anche colui che non si pu mettere in effigie, colui
di cui non si pu sapere chi eche cosa ). L'ebreo davvero
l'astuzia della coscienza religiosa , veramente , paurosame nte;
la coscienza religiosa che calcola i suoi rapporti con Dio,
ma li calcola nel senso vero, migliore della parola, cio conosce il peso del rapporto con l'Assolut o, e allora perci, conoscendo questo peso, come se avesse sempre detto: lasciamol o
a s l'Assolut o, e lasciamo che sia misterios o ci che assoluto nei miei confronti , per cui forse cos, bene o male, possiamo vivere religiosa mente.
Tanto questa astuzia efficace storicame nte che la controparte, lt!Assolut o cio, ha dovuto fare, diciamo ha dovuto, ha
dnyuto fare una seconda rivelazio ne perch non abbiamo capito
niente. Non solo perch non tradurrem o mai l'ebraico che riguarda la risposta di Dio a Mos, quando Gli dice: "Ma tu chi sei?",
anzi, piuttosto "Ma chi dir che tu sei? Quando mi chiederan no
ragiona sul serio, politicam ente),
chi ti-manda ,(l'ebreo
chi dir che tu sei?"; come a dire: "tu puoi essere chi vuoi
(ch, se noi volessimo leggere questa pagina, potremmo rovesciar la al contrario e metterci dentro tanto di quel veleno e di
quello zolfo infernale , da far saltare Mos e tutto il resto,
perch, diciamo il vero, avrebbe dovuto chiedere: "ma tu chi
sei, per dire e per fare, e per farmi fare questo?" E invece
dice: "Ma chi dir che tu sei?"), sia chi tu sia, mi interessa
dire che tu sei ci che pu convincer e gli altri a farsi liberare". "Chi dir che tu sei?" La risposta stata quella che
stata: non la possiamo tradurre; e l"'Ego sum, qui surn", non
significa niente in latino, anche se san Tonnnaso d'Aquino, ha
costruito il principio di legittimi t dell'esse re in filosofia ,
su questo testo.
Quando Dio ha risposto cos, abbiamo capito qualcosa? Completament e niente. Non solo perch non abbiamo capito il lin8
68.
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69.
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il pensare appropriato .
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che non corrisponde a nessuna questione che abbia come questione o non questione il metodo; importante precisare che dobbiamo riuscire a pensare che non avere questione di qualcosa il
pareggiamento della eventuale questione; quindi, quando noi diciamo: non abbiamo questione del metodo, intendiamo dire insieme: n il contrario ancora. Quindi, da questa svolta per cui
riusciamo a pensare che n c' questione del metodo n non c'
questione del metodo, siamo arrivati a un discorso che viene
a delle conclusioni, a delle puntualizzazioni, pi fortemente
ancora, a un discorso che viene a delle posizioni che riguardano delle sistemazioni sistematiche nelle quali il metodo stato incluso in un modo o in un altro. Allora, la questione pu
diventare a questo punto la seguente: dal punto di vista aristotelico ed hegeliano (diciamo cos, per ora, sinotticamente),
la via Thods) al pensare pu essere conosciuta indipendentemen-'
dal pensare? Ecco la questione. Quando dico indipendentemente dal pensare, dovremmo chiarire che in questo indipendentemen!! si annida il riflesso dell'chei d'aporan, in questi termini: nell'indipendentemente in quanto indipendentemente dal pensare; e allora noi per dire in maniera un poco pit icastica e
UilP'oco pi formulatoria, che in qualche misura sostituisca o
costituisca un riferimento che capiamo subito, per dire indipendentemente, potremm0 dire alla greca chors; e indipeildelltemente dal pensare, dicendo chors alla greca, noi ci troviamo
in un bisticcio grammaticale, perch in italiano 'indipendentemente non pu reggere un genitivo, un determinativo, e invece
in greco il chors vuole un certo caso. Ma lasciamo stare per
ora questo tipo di intrico che potr essere sviluppato forse
successivamente. Teniamo ferma per ora questa questione: dal
punto di vista aristotelico ed hegeliano (qui sto dicendo ed
hegeliano in maniera programmatica, non casuale), tenendo in
sinossi Aristotele ed Hegel, la via al pensare pu essere conosciuta indipendentemente dal pensare? Dove indipendentemente
significa ci che il greco vuole dire quando dice chors, che
non esattamente l'italiano senza, dal latino sine. Perch m
si potrebbe riproporre la questione in questi termini: la via
al pensare pu essere conosciuta senza il pensare? Non lo B
stesso; noi non possiamo chiederci: la via al pensare pu essere conosciuta senza il pensare allo stesso modo secondo il quale ci chiediamo: la via al pensare pu essere conosciuta indipendentemente dal pensare. Comunque per ora stiamo fermi a queprecisazione iniziale, tenendo in sinossi Aristotele ed Hegel; la questione che poniamo la seguente: se la via al pensare pu essere conosciuta indipendentemente dal pensare. Noi
dovremmo dire subito, dovremmo pensare subito che la stessa f
formulazione di questo tema esaurisce il tema: questo tema
senza svolgimento; perch per porre come tema questo tema, se
la via al pensare pu essere conosciuta indipendentemente dal
pensare, noi dobbiamo pensare che questo gi pensare; e allo71.
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riproporre queste questioni, ci che noi possiamo pensare aristotelicamente ed hegelianamente; questo, a partire dal fatto
che abbiamo la possibilit, se l'abbiamo, di porre come tema
il tema posto: se la via al pensare pu essere. conosciuta indipendentemente dal pensare. E allora a questo punto le conclusioni sono due: una elimina il tema, ma l'altra lo ripropone. La
prima conclusione elimina il tema perch l'eliminazione del tema sta nello svolgimento che questo tema ha aiJuto in termini
hegeliani e aristotelici; questa questione non pu essere posta
come svolgimento, non, non pu essere posta come tema, non pu
essere svolta o in altri termini
non possiamo dare una rir,osta, se la proponiamo in termini di domanda, a questa domanda, perch la risposta l'hanno data gi Hegel e Aristotele; e
allora se noi diciamo a questo modo: dunque la soluzione della
questione proposta in questi termini, se la via al pensare pu
essere conosciuta indipendentemente dal pensare, non pu essere data, perch stata gi data. Questo significa andare a leggere Aristotele ed Hegel dovendoli per ricapitolare nel discorso gi fatto.
Questa conclusione elimina il tema nel senso che ne d lo
svolgimento internamente al tema posto; io ho ,detto che questo
equivale a questa risposta, in quanto il pensare viene appropriato a qualcosa; noi cio stiamo gi pensando, c' un gi pensa!.!:,; ma un gi pensare appunto non vuol dire il pensare in quanto tale, ma il pensare appropriato a qualcosa; il pensare appropriato a qualcosa, dobbiamo lasciare la formula cos com',
non la possiamo discutere come formula, cio come legame dei
termini fra di loro, non possiamo dirlo diversamente; il gi
pensare il pensare appropriato a qualcosa. Potremmo anche aggiungere a questo punto che un risultato storiografico, forse
utile, pu essere il seguente: quando noi riusciamo a comprendere il pensare appropriato a qualcosa, noi abbiamo compreso
Aristotele ed Hegel, perch li abbiamo
nel nucleo
fondamentale del loro pensiero sistematico, secondo il quale
il pensare appropriato a qualcosa il sistema chiuso nel quale poi possiamo analizzare gli elementi che costituiscono il
compimento di questo sistema e quindi il discorso delle parti
che li reciprocano fra di loro, il soggetto e l'oggetto. E poanche continuare per una via tutta propria di discorso
per mezzo della quale potremmo riprendere i vecchi temi di tutto il pensiero filosofico secondo i quali il pensierm filosofico si struttura nel dilemma, nel dibattito, nella sintesi, nell'antitesi fra soggetto e oggetto e riusciremmo a dimostrare
molto semplicemente o molto facilmente che non affatto vero
che il pensiero filosofico si consumato nel dubbio fra il soggetto e l'oggetto, o nel dubbio del soggetto contro l'oggetto
o dell'oggetto contro il soggetto; perch appunto, proprio dal
punto di vista della sinossi aristotelico-hegeliana, possiamo
dimostrare che le parti si scambiano, evidentemente dal pensie-
73.
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appropriato a qualcosa. Ma questa una conclusione per mezzo della quale noi eliminiamo i l tema; per cui potremmo non E
continuare su questa falsar1ga di questioni per mezzo delle
quali dobbiamo continuare ad occuparci della questione per mezzo della quale il problema se la via al pensare pu essere
conosciuta indipend.entemente dal pensqre? Perch una prima conclusione tale pei cui posto il tema, il tema non , perch
appunto gi stato talmente che tutto ci che gi stato
tutto ci che possiamo pensare di Aristotele e di Hegel. Per
Aristotele ed Hegel sono i nomi impropri: propri in quanto di
persona, ma impropri in quanto, se come propri di concetto, non
possono essere, come propri di persona, nomi propri di concetto; non c' il nome, proprio del concetto che derivi al concetto dalla propriet determinata rispetto ad un soggetto diverso
dal concetto stesso. E sto dicendo che dobbiamo toglierci dalla testa l'abitudine elementare di porre come questioni sempre
e soltanto le questioni che noi possiamo intestare ad un nome
proprio; per cui appunto quando poniamo questioni in filosofia,
e occulta, per m
siamo sempre tentati in maniera
molto pesante, da quel rovello, da quel tarlo interno secondo
il quale, dato che noi come persona, ciascuno di noi come persona necessitata o abituata a trattare tutto in riferimento
al suo essere persona, ed bene che sia cos, noi compiamo poi
lo sbaglio enorme di pensare che quando pensiamo, se non c'
come corrispettivo Un altro come me, non che noi non pensiamo, ma il pensare non ; per cui, per esempio, stiamo proponenqueste questioni a questa maniera e queste questioni poste
a questa maniera per comodit didattica in senso maggiore che
vengono intestate al loro nome storicamente proprio, Aristotele ed Hegel. Quando noi pensiamo a queste questioni, dato che
partiamo sempre da noi, come la persona che in questo momento
siamo e come ci che siamo mentre stiamo facendo questa operazione molto sottile, molto impalpabile, che pensare e che
qualche cosa che non si vede, perch non stiamo sbattendo marfognature, non stiamo andando in
telli, non stiamo
banca, non stiamo commerciando niente, stiamo soltanto e appena pensando, questo ci fa paura talmente, che abbiamo la necessit tragica di agganciare questo che stiamo facendo cos come
lo vedo facilmente partire da me a qualcuno che possa fare da
polo di riflusso ma di quello che stiamo facendo; altrimenti
questo pensare che cos'? Come si chiede sempre: ma la filosofia che cos'? Il pensare che cos'? E siamo sempre fermi e m
bloccati su queste domande infantili, perch sono le domande
attraverso le quali in realt noi non parliamo, non diciamo n
niente, anche se continuiamo a pensare.
Se noi intestiamo ad Hegel e ad Aristotele questo discorso, non per avere il polo fisso davanti a noi, per mezzo del
quale qualcuno blocca la fuga del pensare in avanti e ce la fa
tornare a sbattere sulla nostra testa o a sbattere sulla nostra
74.
10
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persona, in modo che allora continuiamo dicendo: gi, il pensare perch io ; e poi da qualche tempo in qua si dice subito bellamente: e tu; perch non c' l'io senza tu, non c'
il tu senza l'io;-e-t'utti i baloccamenti di queste belle questioncine del dialogo, del non dialogo e delle cooperative pi
o meno all'ammasso di queste questioni. Non in questi termini la questione, perch la questione sta in questi altri termini per i quali noi stiamo intestando a qualcuno un pensare, in
quanto stiamo per riconoscendo che questo qualcuno in realt
ha un nome proprio come persona, ma improprio in quanto relativo al pensare; e quindi in questo senso possiamo dire veramente: _:iJ.___
___g_t___ngmi__
tanto che potremmo sostenere che non esiste una filosofia hegeliana da questo
punto di vista, non esiste una filosofia aristotelica da questo
punto di vista, non esiste un pensare hegeliano o aristotelico,
esiste un pensare speculativo; e allora tutta la fatica di cui
dobbiamo essere capaci la disappropriazione dei nomi come propri, come propri di s stessi in quanto appiccicati pur sempre
a una persona; cio la fatica consiste pur sempre nella possibilit e necessit di guadagnare il livello speculativo del pensare nei cui confronti indifferente che questo guadagno l'abbia fatto Hegel o Aristotele o chicchessia, nei termini per i
quali allora chicchessa pu stare a questo livello di pensiero per cui, non che chicchessa o chiunque pu ascoltare; t
(ricordiamo i Topici) chiunque pu ascoltare; 'chiunque pu ascoltare' vuol dire: pu ascoltare quel qualcuno che stato
talmente capace di nome proprio da non avere bisogno di nome
proprio per essere qualcuno.
Siamo cos pervenuti ad un livello di discorso comune al
pensare e a tutti i suoi soggetti infiniti, cio possibili, nel
quale il pensare senza bisogno di diventare una filosofia in
senso sistematico e;.speclulativo stretto e rigoroso, non ha bisogno del nome proprio in assoluto; e ci stiamo riagganciando
a quella conclusione secondo la quale dall'chei d'aporan e
dalle difficolt che sono ferme all'apora e alla sua purezza,
eravamo arrivati ad un certo momento per mezzo del quale rius
scivamo a capire quanto non potesse rimanere aristotelico il
blocco del principio alle sue spalle, il blocco del principio
verso quella impossibilit di un suo procedere proprio, di un
suo procedere in radice, per mezzo del quale noi per abbiamo
posto l'altra questione, per cui dovevamo chiederci, abbiamo
chiesto, abbiamo cercato di capire, abbiamo cercato di porre
in tema, ma in tema nel suo senso pi rovente, la questione che
nasce o che rimane ferma, non aristotelica, ma nemmeno per del
pensare, per cui abbiamo dovuto dire: ma allora se siamo aristotelicamente bloccati nel principio in modo tale che dal princinon possiamo andare alle spalle all'infinito, gli spazi infiniti, il rapporto agli spazi infiniti, dal principio in poi,
da che cosa possono essere dati mai, da che cosa potranno esse75.
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re dati mai? In questa evolu7.i e.ne del tema proposto siamo arrivati ad un momento attraverc; ..-, tl quale in realt potremmo convincerci del fatto che l'
d' aporan, ancora non tradotta,
ferma a s stessa, sta conducendo il discorso ad un senso di
svolte successive e consecutive per mezzo del quale potremmo
convincerci del fatto fondamentale che in realt in questo momento l'apora bloccata, l'aporia bloccata non gi alla sua difficolt, ma l'aporia bloccata nel suo stesso inizio, perch il
blocco fondamentale sta per ora qui, l'aporia bloccata nel suo
inizio mi ha condotto a comprendere che a livello comune, dal punto di vista del pensare, i nomi propri non esistono.
E a livello comune vuol dire: a quel livello nel quale io non
debbo scomodare gli dei o chi per loro, ma debbo scomodare gli
uomini e nessun altro; e quindi non chi per l'uomo, ma l'uomo
soltanto; quindi stiamo fermi a questo livello comune, per cui
dal punto di vista del pensare sto cercando di capire che non
ho bisogno di nomi propri, perch il pensare appropriato a
qualcosa e perch dal pensare appropriato a qualcosa, cio a
partire dal pensare in quanto appropriato a qualcosa, come
se noi stessimo a dire che dobbiamo continuare a capire qualcosa, se capire qualcosa a questo punto significa: il pensare appropriato a qualcosa in realt il principio della confisca
di ogni propriet, un principio che confisca in assoluto ogni
propriet. Per cui: non basta nascere per avere il proprio nome e cognome, perch in realt il proprio nome e cognome veramente il nome e cognome di qualcuno nel senso nel quale
re proprio di significa essere pensato, non l'essere proprio
di in quanto pensato, ma
proprio di significa, segno
letterale, , direi quasi, il sacramento laico del pensare;
alla stessa maniera per cui appunto se esistenti come siamo
quando siamo infanti, pare che sia necessario per diecimila motivi, contrari e non, il Battesimo o un battesimo come segno,
soltanto temporale e storico per (ognuno ha i suoi battesimi,
dall'inizio alla fine), come segno del proprio ingresso aell'esistenza, e basta; poi, per qualche altro potr essere anche
c!:,alche cosa che viene compiuta per mezzo di questo in un senso pi totalizzante; ma lasciamolo come segno del proprio ingresso nell'esistenza. E(non c', anche, un segno del proprio
ingresso nella storia, per mezzo di ci che la propriet che
mi riguarda in senso radicale e che significa appunto il mio
chiamarmi in un certo modo, non per anagrafe, per cronaca, ma
appunto, se possibile, per storia? Per storia in questo modo
per cui a livello comune, a questo livello comune, in realt
di nomi propri la filosofia non ha bisogno perch come se il
pensare facesse nello stesso tempo da principio di confisca di
ogni propriet che non sia quella propriet che viene riconoe
sciuta propria di qualcuno in quanto segnata dall'altro in assoluto che il pensare, questa sorta di sacramento laico, di
battesimo, della storia, non dell'esistenza, perch io ho biso76.
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77.
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svolta del discorso, noi stiamo concludendo in una maniern. per la quale paradossalmt"; i, .d siamo in contrasto con la prima conclusione: a li vello eu11une non abbiamo bisogno di nomi
propri; questo non significa disincarnare niente. A livello comune noi non abbiamo bisogno di nomi propri; ma una prima conclusione era al contrario: a un certe punto la polemica su un
certo groviglio di questioni era tale per cui concludevamo che
per dovere in qualche modo riparare al guasto aristotelico sul
principio, cio per potere in qualche modo comprendere come mai
i..a.. pensiero filosofico abbia avuto un suo svolgimento malgrado
il blocco aristotelico sul principio (il che significa: pensando aristotelica mente, pensiamo il principio bloccato nel suo
principio, il principio necessariame nte bloccato al principio)
allora in linea speculativa pura noi dobbiamo cercare di comprendere questo: se riusciamo a pensare il principio bloccato al
suo principio, dato che questo riguarda il principio, non riguarda qualche elemento del discorso, riguarda il discorso nel suo
essere posto in essere, come facciamo a comprendere lo svolgimento del principio? Scatta cos una questione molto banale e
mai posta: ma come faccio a pensare filosofia a questa maniera?
Da che cosa cavo il procedere speculativo del discorso? Sappiamo la risposta aristotelica , che non una risposta per, perch questo Aristotele non se l' posto come problema, nel momento nel quale un discorso di cos forte, di cos intenso livello speculativo , un discorso capace di ragionare il principio,
non il discorso che balbetta gli elementi, ma il discorso che
ragiona il principio, non comprende, ragionando il principio,
che il blocco del principio a quella maniera dovrebbe significare appunto quello che poi significato in qualche pagina di
autore contemporane o? Il silenzio, neanche come pagina bianca,
il silenzio come tutto ci che prende il posto di ci che non
pu essere discorso. Se noi pensiamo ad Aristotele come a questo punto discriminan te fra tutto ci che sta prima e tutto ci
che sta dopo, allora Aristotele a questa maniera in fondo un
modo per riabilitare i pre-taletian i, non i pre-socratic i; cioP.
,,_..._sto tele riabilita Orfeo o Esiodo; dal punto di vista strettamente aristotelico della questione che posso ragionare sul
principio, nel silenzio di cui la filosofia capace l'unico
spazio per l'ascolto l'ascolto che devo dedicare di nuovo alle favole esiodee o ai miti orfici, perch l'unico ascolto a
cui posso dare credito questo; o meglio, l'unica parola che
posso ascoltare in questo silenzio questa; e la filosofia x
torna ad essere misteriosof ia, torna ad essere ideogenesi, genealoe;ia.
Non che dopo Aristotele molti personaggi minori del discorso filosofico questo non hanno capito; l'empirismo in filosofia che cos' se non questo? Se non rivestire della struttura filosofica acquisita ci che era discorso orfico o esiodeo?
Se leggiamo Locke, assistiamo alla messa in processione degli
78.
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79.
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III
LA CONSECUTIVI'l1 A' DEL PR "iNCIPIO COME CONTRADDIZIONE AL PRINCIPIO.-
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velico
re la materia, non pu essere affetto da materia e l'unica modo che la ragione aristotelica ha di capire un assoluto questo assoluto: la paura della materia, nel senso aristotelico,
la paura della potenza, per cui l'atto in atto senza materia,
senza potenza in realt questo. Ecco perch dico che in questi termini il lapsus hegeliano come se avesse posto rimedio
a questo discorso aristotelico perch quando Hegel pensava di
potere pensare il principio in quanto di contraddizione, in x
realt abbiamo cercato di dire che stava pensando la conseguenza consecutiva al principio in quanto di non contraddizione in
modo tale e per modo tale per cui pensare il principio in quanto di non contraddizione mi d come risultato il qualcosa di
questo che la contraddizione al principio. Ed essendo la contraddizione al principio noi dobbiamo capire che la contraddizione al principio ha bisogno del qualcuno che tenga il principio buono nel limite nel quale non pu andare n oltre n di
qua; necessario il qualcuno ed in questo senso il lapsus hegeliano corrisponde ad una sorta di atto di fede rovesciato che
il filosofo ha dovuto compiere per dovere adorare l'incarnazione rimanendo fuori posto come adorante e come adorante l'incarnazione. E cio e ancora: la filosofia ha avuto bisogno di qualcuno che stesse a fare da limite in quell'orizzonte nei cui confronti si d lo svolgimento del pensiero filosofico impossibile o impensabile dal punto di vista del principio di non
traddizione in senso strettamente aristotelico. A questo punto
cerchio si chiude e per mezzo del lapsus hegeliano come
se dovessimo capire che allora il circolo dialettico cos caro
alla mentalit hegeliana, ha una sua spirale, ha un suo movimento a spirale che il movimento di risucchio, di tutti i termini estremi dell'orizzonte, nel principio per cui appunto con
la sfasatura fondamentale secondo la quale noi dobbiamo pensare che se qualcuno qualcuno, l'essere qualcuno da parte di
qualcuno e potrei dire chiunque sia, e dobbiamo aggiungere, potendo e dovendo dire chiunque sia, stiamo creando in filosofia
una croce diversa dalla cvoce che nella storia abbiamo creato
a Cristo - perch sto dicendo un qualcuno che sia quai.cune chiunque sia e quando aggiungo chiunque sia sto dicendo che noi come
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.L.tlosofi stiamo creando per Cri.sto una croce che gli stiamo E
creando come filosofi che n,;11 e la croce che come uomo gli ho
e quando lo rimetto in croce
creato quando l'ho messo i.11
tutte le volte che mi serve che stia appeso alla croce ben inchiodato perch non venga a scomodarmi con la sua croce sulle
spalle per dire se per caso non parte anche di me quella croce che porta forse anche per me -; se qualcuno, come qualcuno,
chiunque sia qualcuno in questa spirale che sta a fare da
principio assoluto al movimento circolare dialettico, questo
essere di qualcuno significa la cesura, la spaccatura del circolo e della spirale. E stiamo in fondo dicendo niente altro
che l'atto contemporaneo di tutte le nostre cosiddette filosofie perch questa spaccatura adoperata per mezzo di una persona, chiunque sia, purch persona, chiunque sia purch singolo,
e purch singolo significa come disse qualcuno perch unica e
solo la categoria che serve a questo punto, ed
abbiamo detto che basta qualcuno per mandare in crisi la potenza speculativa che storicamente stata la pi forte sino ad
ora e che quella di Hegel con Aristotele. Per cui tutto ci
che da Hegel a noi stata ed crisi o cos detta crisi del
pensiero in quanto speculativo in realt corrisponde a questa
spaccatura, a questa cesura che stata determinata dall'essere di qualcuno come qualcuno in quel modo per per cui poi
bastato essere, come questo qualcuno, singolo perch si riproducesse a livello di scimmiottatura molto banale tutta la fatica di cominciare di nuovo a pensare. Perch la caduta di Hegel
G la caduta di ci che stato lo spirito hegeliano del pensiero speculativo come la si pu comprendere se non come una caduta che in qualche modo rifa il paio alle cadute teologiche? Per
cui noi potremmo anche dire che, ragionando su un certo piano
di questioni, noi possiamo insegnare qualcosa ad Aristotele e
qualcosa ad Hegel ma poi riconosciamo che c'era pur sempre quel
fronteggiamP.nto del pensiero speculativo nei confronti dell'assoluto, di Dio, e non di Dio come Dio ma di Dio come persona
dell'assoluto, e poi per possiamo aggiungere che tutto questo
si polverizzato tra le nostre mani di noi uomini contemporanei al momento che stiamo vivendo che non contemporaneo a ci
che gli altri pensano chiunque essi siano in Francia o dove si
vuole (e diciamo in Francia per dire nella terra che riesce,
facendo pubblicit, a far pensare che l si pensi), contemporanei a questa caduta del pensiero che in quanto speculativo sta
a significare una caduta che in qualche misura deve riconoscere che una caduta tragica perch una caduta da Hegel: si
cade da Hegel, e ci vuol dire che tutto il pensiero contemporaneo, storicamente qualifica s stesso da questa caduta. C'
cos un secondo peccato originale per cui noi potremmo anche
imbastire una bella commedia teologico-filosofica per dire che
il peccato originale non stato uno e non nemmeno veramente
originale perch ne posso fa.ne un altro, perch c' un peccato
86.
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cos originale da darmi il connotato storico per mezzo del quale io mi riconosco nella storia e ci per mezzo del quale mi
riconosco nella storia oggi la necessit di peccare contro
Hegel e contro Aristotele perch tutta la potenza del cos detto pensiero contemporaneo contro il logos sta a significare che
dopo Hegel il pensiero speculativo stato capace soltanto di
pensare ci che ha pensato in quanto ci che ha pensato stata la fatica continua di dire di no a Hegel, da chiunque in poi.
Tutti hanno non dovuto fare i conti,
che hanno cercato
di riformare la sua dialettica ma tutti hanno assunto il piagnisteo kierkegaardiano come il trattato della dimostrazione del
l:i. vello speculativo del pensare; basta piangere alla Kierkegaard
-e si pensa. E dovremmo dire che allora si pecca in maniera assoLuta tante volte quante volte si pecca contro Hegel e contFo
Aristotele; ma il pianto kierkegaardiano nasconde una malizia
pi prof onda attraverso la quale dobbiamo ricondurre il discorso ad Hegel ed Aristotele,
2. - Soggettualit di una conoscenza.
Dunque il principio rimane senza principio perch attraverso il principio di non contraddizione, e attraverso ci che
siamo riusciti a pensare nel principio di non contraddizione,
potremmo stare fermi a una tesi riassuntiva in questi termini:
per mezzo di s stesso il_E!ncipio rimane senza principio, JI '.
principio in quanto di non contraddizione, non il principio di
non contraddizione. Possiamo aggiungere che dovremmo, da ora
in avanti, potere non dire pi il principio di non contraddizione o se vogliamo continuare a dire principio di non contraddizione sapendo che in realt stiamo pensando principio in quanto di non contraddizione. Ora dal punto di vista del principio
in quanto di non contraddizione,. avendo dimostrato su questa
linea di svolgimento di questo principio in quanto di non contraddizione per la quale il qualcosa del principio in quanto
di non contraddizione la contraddizione al principio avendo,
dico, la linea del principio in quanto di non contraddizione
conclusa s stessa in questi termini, noi dovremmo dire se._lg_in_cipio in quanto di non contraddizione qualcosa come contradg_ princiE.i9.=--rinane___
so ! il
rimane
Non possiamo dire il
principio ! senza principio, dobbiamo dire il principio rimane
senza principio, il principio in quanto di non
un modo attraverso il quale lo svolgimento del principio riLrda il principio in questi termini per cui si potrebbe so- ...,
stenere, radicalizzando la questione, che dunque il vero prin-1
cipio di non contraddizione il rimanere senza principio del :
principio stesso.
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stione in quanto riferita dall'0chei d'aporan, si potrebbe diha sostenuto questo, nel senso
re che, Aristotele
quando sostiene che il principio
che Aristotele,
di non contraddizione indimostrabile, incondizionato, cio
senza condizione, se scaviamo dentro che cosa possiamo leggere
letto? Nella incondizionameglio di quanto Aristotele non
tezza del principio leggiamo non gi soltanto quello che Aristotele letteralmente ci fa credere, e ci fa letteralmente pensare.
: ;tremmo anche dire che il vecchio Aristotele gioca fino perch
appunto capiva che letteralmente non pu farci pensare, e quindi
che cosa ci fa c-redere quando sostiene la tesi della incondizionatezza de] principio? Ci fa credere che il principio non pu x
non essere se non principio di qualche cosa che dipenda dal principio stesso, ma se noi, dovendo pensare e abbandonando dunque
qualunque letteralit di qualunque tipo sia sapienziale, sia storica, se noi appunto abbandonando qualunque letteralit, pensiamo la incondizionatezza del principio potremmo sostenere che il
principio incondizionato sta a significare il rimanere, da parte
del principio, senza l'unico qualcosa che pu essere il qualcosa
del principio stesso: il non essere condizionato da parte
, ma per es'/.... r-principio per essenza di ci che il principio
/ senza di ci che il principio riesce ad essere come pensato nel! l'unico modo in cui l'essere che il principio riguarda il pennon riguarda il principio. Allora: l'essere senza condizione da parte del principio esclude in partenza tutte le condizioni possibili ad eccezione dell'unica condizione che rimane l'unica condizione che necessariamente pu essere la condizione che
non pu condizionare il principio. Quando noi sosteniamo che il
qualcosa del principio in quanto di non contraddizione, la contraddizione a questo principio, l'unico qualcosa, e se l'unico
qualcosa la contraddizione al principio in quanto questo principio, la conclusione unica che dunque il principio rimane senza princ1p10, se il qualcosa del principio in quanto di non contraddizione la contraddizione a questo principio. Concludendo
P questa maniera stiamo di nuovo rileggendo Aristotele in quella
che pu essere una ridefinizione del principio da parte di Aristotele; e cio: se noi cerchiamo la formula del principio di x
non contraddizione sappiamo quale . Il dubbio sulla lettura
e sulla scrittura, sull'autore e sui lettori; il dubbio il seguente: ci che l'autore scrive dei principio e ci che il principio pensa di s; ci che l'autore ha scritto del principio
cio che definisce il principio o ci che definisce l'autore?
Ci che l'autore ha scritto del principio ci che forse definisce l'autore perch ne definisce il grado di conoscenza, ne limita la capacit di conoscenza da parte dell'autore rispetto al
principio, per cui ogni autore rispetto al principio una sorta
di creatura debole perch il suo scrivere del principio il suo
essere limitato al massimo, limitato nella massima estensione a
del limite che lo riguarda, limitato nel grado di conoscenza che,.
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naggi che trovatisi non trovano la ragione suprema del loro trovarsi, che come personaggi significa che l'autore me lo porto E
con me; il personaggio in cerca d'autore significa il personaggio
che non sa di viversi, perci cerca l'autore e perci il poeta
pu inventare la tragedia in questo caso perch non pu fare il
filosofo; perch se il poeta avesse colto, anche per poco queste
questioni, non avrebbe scritto sei personaggi o pi che siano in
cerca d'autore perch semmai avrebbe dovuto scrivere l'autore in
cerca di s stesso, l'autore in cerca dell'autore in ci che l'
autore nell'opera che scrive che proprio, quella, ci che lo
fa essere senza s stesso: ed una tragedia se questa fosse esercitabile senza sbocco, perch la sua fine, il suo termine il
suo stesso principio. Dico, in questo senso, non per accentuare
la solitudine dell'autore: non illudiamoci che quanti pi siamo
a leggere tanto pi consoliamo l'autore, o quanti meno siamo a
leggerlo tanto meno non lo consoliamo, anzi quanti meno siamo,
tanto pi l'autore capisce il peso del suo diventare quello che
diventa nell'essere definito che lo riguarda in proprio perch
appunto gli d per lo meno il modo di non dissolversi nei tanti
che ne fanno l'uso pi comodo di questo mondo fino al punto per
cui, a un certo momento, un autore letto da migliaia di persone
alla fine della migliaia non sappiamo pi chi sia stato. In questo senso questo vale per accentuare questo slittamento che riL- ...i.rda l'autore e l'autore, non l'autore e il lettore. Ma in questa maniera il gioco non si restringe in maniera egualitaria perch tutto il gioco riguarda l'autore? E invece: tanto riguarda
l'autore che il gioco che riguarda l'autore il gioco che riguarda l'autore questo gioco negativo, lo riguarda in questa negazione fondamentale.
Rimane ancora da vedere la questione dalla quale siamo parti ti, avendo appena per chiarito che l'autore che definisce nella sua formula il principio di non contraddizione in quanto principio e di non contraddizione, in verit definito, il che significa: ci non definisce il principio in quanto di non contraddizione, non coincide ci che definisce' il principio con ci
definito dal principio, e in ci che definito dal principio
dobbiamo mettere anche l'autore, con buona pace di tutti gli uomini d questo mondo compresi i lettori.
J. -
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stessa, questi problemi sul prj.11c1p10, non sono problemi che interessano il principio radicalmente, sono problemi aporetici del
principio; e proprio la fragilit del testo aporetico dell'apora
in Aristotele sta a significare che, la necessit di cui Aristotele parla nei confronti del principio, una necessit che pu
in qualche modo nascondere la necessit di riferimento pi radicale all'apora; come se, in senso strettamente aristotelico,
l'essere della necessit che riguarda il principio, cos come
Aristotele sostiene, un modo di garantire una fermezza del principio attraverso la quale in realt Aristotele nasconde la fragilit dell'apora, non solo nel suo senso pi generale, ma nel suo
senso pi specifico. Dal punto di vista strettamente aristotelico, a definire il principio nel suo essere quale esso noi possiamo dire che ha gi provveduto Aristotele e noi potremmo limitarci a ripetere la formula del principio di non contraddizione.
":;,appunto, la formulazione del principio in quanto principio
in quanto di non contraddizione corrisponde alla formula letterale del principio: questo stesso corrisponde a qualcosa del principio, quale il principio di non contraddizione secondo come
nel senso aristotelico, corrisponde al qualcosa del principio
di non contraddizione? Quale il principio di non contraddizione
secondo il testo aristotelico, corrisponde al qualcosa del principio in quanto di non contraddizione? Per cui noi possiamo, se
vogliamo parlare del principio di non contraddizione, direttamente sapere quale esso ; viceversa se il problema di parlare
del
in quanto di non contraddizione, il quale il principio , non interessa perch interessa il qualcosa del principio;
avremmo una sorta di parti del principio chiamate in causa in un
tribunale a discolparsi dello essere naturale, perch c' una s
sorta di essere naturale del principio che corrisponde alla letterali t del testo aristotelico che corrisponde al principio di
non contraddizione quale esso , ed la sua formula e c' il
qualcosa del principio in quanto di non contraddizione.
Dobbiamo stare attenti a precisare che se parliamo aristotelicamente diciamo il principio di non contraddizione quale ; se
pensiamo aristotelicamente pensiamo il principio in quanto di non
contraddizione come qualcosa del principio stesso, e allora se
ricordiamo che siamo partiti dalla necessit di leggere l'chei
d'aporan lasciando questa formulazione al suo dettato specifico
(chei d'aporan) nel momento nel quale stiamo discriminando tra
un dire aristotelico il principio e tra un pensare aristotelico
i, principio, se stiamo discriminando cos pesantemente in Aristotele un ire il principio e un pensare il principio, o meglio
il dire il principio e il pensare il principio a questo punto noi
potremmo anche riflettere sul fatto che questa discriminazione
ha un suo polo interno come possibile attrazione dei due termini
dell'attrazione stessa, costituiti dal fatto che l'chei
rian per il momento sia dettata, sia letteralmente quale essa
, sia lettralmente come qualcosa di s, comunque essa ; forse
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_J
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j3.
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ducono a questo tipo di difficolt originaria che riguarda l'aporia nel suo senso pi testuale, e testuale non perch testo aristotelico, testuale perch come se il pensare fosse riuscito ad essere l'autore di questo testo riuscendo a non conoscere
s come autore di questo testo; come se il pensare fosse riuscito a stendere il testo proprio dell'aporia riuscendo per a
non conoscere s come autore di questo testo; ed per questo che
allora possiamo fare questioni di principio, in questo modo per
cui aristotelicamente noi ancora, di nuovo fermi a questa che
la crisi fondamentale del principio, perch allora proprio per
questo se il pensare, avendo scritto il testo fondamentale dell'
aporia in questo modo per cui non ha conosciuto s come scrivente questo testo, se il pensare questo ha fatto, perci il pensar._ pu rivolgere la sua atti vi t ancora pi radicale verso le
questioni del principio in un senso per il quale non possiamo
prendere a pretesto l'aporia, qualunque essa sia, non possiamo
cucinare nessuna pietanza che si presenti una pietanza commestibile per le difficolt del pensare e del principio perch appunto come se il pensare avesse esaurito fin dal principio tutte
le difficolt che riguardano l'aporia nel senso pi interno e pi
proprio per modo che non: facile pensare il principio perch
non difficile pensare il principio nei termini in cui la difficolt o dalla difficolt sono stato educato da ci che l'aporia
mi ha fatto conoscere di s, perch se cos non fosse sarebbe m
molto facile, anche contro Hegel e contro Aristotele dire che il
problema del principio difficile perch cosi, cosi e cos
E non ci sarebbe bisogno di pensare niente a questo punto, se non
tutto ci che posso aggiungere a questo testo unico e solo che
sarebbe l'unico testo per mezzo del quale dovremmo riuscire a capire: finalmente allora se, cos, questo pensare, tanto vale
non pensare e stare a vivere beatamente senza problemi.
Siamo dunque al pensare come autore; si potrebbe dire: come
autore, appunto, senza continuare, per dovere specificare autore
di che; al pensare come autore del testo della aporia rimasta al
principio; come autore ipotetico, ipotetico da un certo punto di
vista. Perch dico: come autore ipotetico del testo dell'aporia
rimasta al principio? Perch qui potremmo fare il parallelo con
l'annke aristotelica che riguarda il principio,in questo senso:
cos come necessario che il principio sia, sia come (diciamo
per ora), altrettanto necessario che il testo dell'aporia
abbia un autore? E si potrebbe ancora aggiungere che forse sulla
annke che riguarda il principio, l'accordo pu sembrare immediato: necessario che il principio sia come sia; diciamo cos per
ora: necessario che il principio sia come sia, e su questa necessit, su questa annke pu essere che, proprio perch si tratta del principio, chiunque comprenda questa necessit, in realt
comprende di non poterne fare questione; mentre viceversa non si
sa se altrettanto necessario che l'aporia nel suo testo abbia
1m autore; anche se dobbiamo riconoscere che, a questo punto, la
100.
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'
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stione a ci che la fa esser,,; n non per .J.overe aggiungere, spiegare, chiarire che nessuna qL1estione vuol dire nessun tema, ma
nessuna questione di quelle che interessano al livello nel quale
il pensare pu fare questa parte fondamentaie di essere autore
di qualcosa.
Allora: se in qualche modo fiicr;k arri vati a questa conclusione abbastanza minima, per la quale l'apora, l'chei d'aporan,
un modo attraverso il quale l'apora viene espressa e quindi
viene trascritta nel suo testo, per in questo modo per cui questa trascrizione blocca l'aporla al principio, il blocco dell'apora al principio come se facesse scattare in qualche misura
la presenza del pensare; per cui non cbe noi non procediamo
che misteri di tranella lettura del testo per nascondere
duzione o di non so che altro, per cui appunto non si procede K
nella lettura del testo perch stiamo ancora i:nparando per dire
il greco vero, o il greco nascosto nel greco esplicito del testo
che ci interessa in questo punto della Metafisica,e perci siamo
ancora fermi a due parole iniziali che sono appunto: chei d'aporan, per di pi lasciate alla lettera della loro espressione,
e non significate in nessuna maniera. Perch non procediamo nel1...a lettura? O perch il discorso andato talmente internamente
in un suo procedere proprio per cui il procedere del discorso,
proprio perch ha fatto principio sull'apora nel suo essere avuta (evidentemente a questo punto posso dire senz'altro
proprio perch il discorso ha fatto principio sull'apora, nel
suo essere avuto, per ci il procedere del discorso un procedere che non pu, diciamo cos, andare, svolgersi secondo s stesso; il processo del discorso, il movimento del discorso non un
movimento che pu andare, che pu procedere, che pu esprimersi
secondo s stesso; ma si esprime secondo altro, il procedere del
discorso procede, ma il suo procedere un procedere non secondo
s stesso, ma secondo altro, come se noi potessimo pensare allora a questo punto che dunque fare principio sull'apora, e quindi fermare il punto di partenza nell'apora come essere avuta,
fa questa questioin realt significa, da parte del discorso
ne, che cio riesce a fare perno su questo saper far fare da principio nei confronti dell'apora, questo significa per il discorso un procedere che si pu a questo punto chiamare un procedere
inutilmente, o indifferentemente radicale; un procedere che inutilmente o indifferentemente radicale, perch un procedere,
che ha radici (diciamo cos per ora, un poco banaLnente, per dire radicale), un procedere che ha radici, ed ha radici nella
radici, da pnrte del procedere, quemisura in cui il suo
sta capacit di far fare da principio a qualcosa; questa sua capacit di far fare da principio a qualcosa, esattamente all'essere avuta da parte dell'apora.
Questo procedere, radicale in questo senso, per radicale
inutilmente, cio radicale inutilmente o indifferentemente;
radicale senza nessuna possibilit di differenza nei confronti
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della radicalit propria di ci che pu inerire al princ1p10 radicalmente; e allora in questo senso noi dovremmo riuscire a comprendere che l'aporticit del processo che interessa l'apora,
non sta in ci che l'apora fornisce al processo dell'apora stessa; l'aporeticit, ci per cui il procedere dell'apora, ci per
cui il cammino dell'apora difficile, non ci che risulta allo svolgimento dell'apora dall'apora, ma anzi addirittura dobbiamo dire: ci che risulta allo svolgimento dell'apora da ale qui da altro sta a significare esattamente dall'essere radicale di questo tipo di processo, addirittura dall'essere indiffenentemate e inutilmente radicale da parte di questo tipo di
processo. Per questo allora dobbiamo dire che questo procedere
non un procedere secondo s stesso; e possiamo capire perch
diciamo non un procedere secondo s stesso, n un procedere,
chiamiamolo cos, secondo principio, un procedere secondo altro;
un procedere secondo altro, perch qui l'alterazione a questo
punto consiste nel parallelo che si instaura tra il procedere del1' apora e il suo rimanere bloccata al principio.
Siamo al punto forse focale della questione;
ne possiamo dire che si genera, o viene generata, cio nasce in
questo punto estremo, dal cui punto di vista, in alternativa, parallela per, in alternativa parallela, abbiamo il procedere del1 'apora ed il rimanere dell'aporia bloccata; abbiamo in alternativa parallela, tenuta assieme da ci che fra, nella alternativa fra, l'alternativa in quanto parallela-;-tiene in alternativa questi due elementi fondamentali per cui possiamo dire che dunque il procedere dell'apora il suo rimanere bloccata al principio. Dove? Nella alterazione; nella alterazione che non n
tl procedere dell'apora, n il suo essere bloccata al principio,
ma tra l'uno e l'altra, tra il procedere dell'apora e l'essere dell'apora.
Ma allora la grossa, l'enorme questione classica dell'essere e del divenire non si doveva porre; non si doveva porre, perch la questione classica eraclitea, parmenidea, dell'essere s
e dell'essere no, del divenire s e del divenire no, perch? Perch indipendentemente da ci che l'essere come non essere, e
quindi come divenire; indipendentemente da ci che il divenire
come essere e quindi ancora il divenire, indipendentemente da
questo, cio indipendentemente da ci che noi conosciamo sia dell'essere sia del non essere, sia del divenire sia dell'essere,
indipendentemente da ci che noi riusciamo a conoscere quando pensiamo qualcosa, pensare qualcosa rispetto a ci che conosciamo
a questo punto vuol dire riuscire a comprendere in un certo modo
il principio che toglie, facendole nascere, le alternative; perch appunto il principio che toglie facendole nascere, le alternative, l'alterazione che interessa nel suo punto ancestrale,
originale, focale, nella sua culla di origine, sia il procedere
dell'apora, sia il suo essere bloccata al principio. Allora dovremmo dire: in questi tennini essere e divenire, l'essere e il
103.
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divenire non hanno difficolt di rapporto, cio non sono contrari in quanto al loro rapporto, sono contrari in quanto diventano
contrari per mezzo di ci che in origine non li fa essere come
contrari, anzi per mezzo di ci che in origine non li fa essere
nemmeno; perch in questo senso noi dovremmo dire pi propriamente che l'essere che interessa contro il divenire e, altrettanto,
il divenire che interessa contro l'essere, sono allo stesso modo
in quel punto nel quale l'uno interessa contro l'altro e viceversa; sono allo stesso modo in quel punto nel quale l'uno interessa l'altro e viceversa, e dunque sono allo stesso modo senza s
stessi; per cui allora l'essere come il divenire, o il divenire come l'essere perch sono senza s stessi allo stesso modo.
Ci che sono non di essere o non, s stessi, ma ci che sono
di essere allo stesso modo; e ci che sono come ci che allo
stesso modo sta a significa.re questa possibilit o questa capacit di cogliere il punto iniziale della questione in questo momento fondamentale per cui diciamo allora: l'alterazione ci che
tiene assieme in alternativa parallela l'apora sia in quanto
procede, sia in quanto ; e sia in quanto procede, vuol dire: sia
in quanto il suo divenire un divenire che fa principio dal rimanere dell'apora bloccata al principio; e in quanto l'essere
dell'apora in tanto , in quanto l'essere dell'apora l'essere al principio da cui pu essere allora che l'apora diventa;
l'essere dell'apora al principio da cui dipende che perci l'apora divgnga.
Ma allora la questione non rimane, diremmo cos, bloccata
in maniera ancora pi radicale? Pi radicale o meno radicale?
O non radicale? Perch, se la questione rimane bloccata ancora.
pi radicalmente noi dovremmo dire che la questione rimane bloccata per mezzo di radici, di elementi oscuri, ancora pi profondi; o viceversa rimane bloccata meno radicalmente, perch a questo punto la questione rimane senza radici; l'alterazione rimane
o, meglio, l'alterazione lascia senza radici; e possiamo dire in questo senso: ci che era radicale inutilmente e indifferentemente a questo punto si capisce nella sua indifferenza radicale perch a questo punto viene ricondotta a questo momento estremo nel quale la questione non radicale, perch appunto senza
radici, in quanto la stessa alterazione come il lasciare senza
radici; l'alterazione, questo principio che riesce a tenere in
alternativa parallela sia il procedere dell'apora, sia il suo
essere bloccata al principio, in modo tale per cui l'alterazione
senza radici; l'alterazione senza radici, l'alterazione non
radicale, e il suo non essere radicale il lasciare senza radici. Torniamo al punto in questi termini estremi per i quali
possiamo concludere a questo punto veramente radicalmente in questo senso: dunque l'apora senza radici; l'apora focalizzata
nella alterazione in realt significa l'essere lasciata dell'apora da parte della alterazione senza radici; ed come se noi dovessimo dire che dunqlte l'apora rimane come qualcosa di sospeso,
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banale ma forse pi pregnante: 1 .. msiamo talmente da dare come nadebto il principio; e non sto dir t:ndo come si pu pensare
ba dire o si dovrebbe dire: pensiamo talmente da fare nascere il
principio; pensiamo talmente da dare per nato il principio in
modo tale per cui questo dare per nato il principio dal p:into
mai pi
di vista dell'aporeticit dell'apora, che non
l'apora (e lo si era gi detto da sempre, dall'inizio di questo
tipo di questioni; adesso mi pare, se p9ssiamo dire cos, provato, che l'aporeticit non riguarda l'apora, l'aporeticit dell'
apora non riguarda l'apora) allora, dal punto di vista dell'aporeticit dell'apora, che non riguarda l'apora, ma riguarda
1. tensione dell'aporia all'estremo limite, sia di s, sia da s,
da questo punto di vista, pensare talmente come dare per nato il
principio, non pu significare mai far nascere, far generare, produrre il principio, perch in fondo da questo punto di vista, in
fondo l'apora mi insegna a fare cadere tutti i verbi e semmai
mi insegna ad usare i verbi doppiamente per pensare. L'apora da
questo punto di vista mi insegna a fare cadere tutti i verbi, e
in questo modo si potrebbe continuare a dire, o continuare a dire peggio e meglio, per altro verso: mi insegna a fare cadere tutti i verbi in quanto e se i verbi sono la singolarit di un'azione che riguarda l'uso del verbo, e mi insegna invece ad usare non
gi i verbi al singolare, ma ad usare doppiamente i verbi, perch
sto dicendo: pensare talmente come dare per nato il principio,
il che significa: pensare talmente per cui l'uso del verbo che
interessa il principio non mai un uso singolare o univoco, ma
sempre un uso doppio, per cui uso doppio significa che talmente penso da dare come nato, per nato il principio, da dovere allora aver pensato il principio solo come nato, da aver pensato
il principio soltanto come nato, e non dovendo specificare che
non ho pensato talmente allora quando pensavo il principio come
nato, non ho pensato talmente, perch penso talmente, cio penso
forzando il pensare quando, diciamo cos, la forzatura del pensare lo prova, prova il pensare nella capacit di arrivare al principio nato per mezzo di un altro verbo che non il nascere, e
quindi per mezzo di un verbo che, dal punto di vista del pensare,
prima o pi o appartiene come tale al pensare: penso talmente
d'. dare per nato, o come nato il principio per cui il principio
non interessa in quanto nato, mi interessa in quanto arriva ad
essere nato come che sia, come o come dicono o come dice esso
stesso, ma mi interessa in quanto nato, nato, in quanto, avendo
avuto questo incidente, o questo accidente dell'essere nato, questo non ci che lo fa essere, perch ci che lo fa essere,
il suo essere dato come nato, o ci che lo fa essere ci che
lo pu porre in rapporto col pensare per virt del pensare; nel
senso secondo il quale potremmo dire, da questo punto di vista,
che non basta l'essere nato perch qualcosa in quanto nato appartenga e, diciamo cos, appartenga, senza dovere necessariamente dire a chi, appartenga a s stesso o a chi lo fa nascere; non
106.
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l'essere nato perch qualcosa appartenga; non basta l'essere nato come tale perch qualcosa sia proprio, non basta l'essere nato perch qualcosa sia intrinseco, da questo punto di vista.
dell'apora, chiarita
Dal punto di vista
nel senso che stiamo chiarendo, il pensare prova la sua forza,
in quanto appunto pensa talmente da dare come nato il principio,
per cui appunto se, come nato, il principio ha bisogno del dare
di cui il pensare capace in quanto pensare talmente, noi non
possiamo dire, o aggiungere, o cercar di chiarire che allora questo principio in quanto nato (e stiamo parlando di questo principio, del principio che riguarda e che nasce dall'alterazione,
non del principio), questo principio come nato non possiamo dire
nato di tutti. Ma che senso ha
che sia appunto il pi o
questa questione? L'essere nato del principio, non solo di questo
principio, ma del principio che aristotelicamente possiamo tenere presente e che abbiamo tenuto presente finora, l'essere nato
del principio esaurisce tutto ci che il principio o no? Il suo
essere nato, il suo essere generato Questa questione, nei confronti del principio, fa differenza assoluta, perch solo con il
principio questa questione non si pu porre, solo per il principio; in che senso? soltanto per il principio, in quanto nato, generato o comunque si voglia, perch appunto se parliamo del principio, chiaro che stiamo sottintendendo che stato generato,
che nato, che ci che ; ma soltanto del principio non possiamo porre queste questioni, per cui se diciamo che il principio
dato come nato, non possiamo poi fare differenza rispetto a tutti gli altri principi, o i principi. Potremmo dire, dovremmo di1c meglio: l'essere nato del principio, qualunque esso sia,
risce il principio; e allora non ci pu essere un principio che
pi nato degli altri, pi generato degli altri, cio non ci pu
essere un principio che abbia una forza di appartenenza a chi lo
fa essere che sia maggiore della forza di appartenenza a chi lo
fa essere da parte di un altro principio, proprio perch in questo senso si potrebbe dire l'altro non pu nemmeno nascere, se
l'alterazione proprio il fondo di questo principio; e se l'alterazione il fondo di questo principio l'altro, rispetto all'
alterazione, proprio il principio; ci che_, in quanto da,
in questo caso come nato, l'altro dalla alterazione, ma allora
dalla alterazione arriviamo a quell'altro che , il principio, ma
che il principio in quanto nato; cio che il principio in
quanto generato. Se il principio in quanto generato o dato in
questi termini, noi dobbiamo concludere: dunque il principio in
quanto nato o generato, o determinato, esaurisce il principio,
e allora l'essere nato del principio ci che non fa essere il
principio. L'essere nato del principio esaurisce il principio in
modo tale per cui proprio il suo essere nato che non lo fa essere; l'essere generato del principio che non lo fa essere.
Potremo renderci conto,cos per questi elementi, un poco pi
profondamente di che cosa significhi, un poco pi realmente, a
107.
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teralmente letto Aristotele o, meglio, avendolo letto letteralmente, come se avesse lasciato Aristotele ad una sorta di lezioncina che la storia gli avrebbe propinato, perch se guardiamo bene la questione in questi termini, dalla tesi aristotelica: il
principio deve essere il pi noto, l'arch deve essere griorimotl'arch deve essere la pi conosciuta; chiaro che Aristotele non dice: la pi conosciuta di tutti gli elementi, di tutti
i principi, ma la pi conosciuta in assoluto (anche se nel testo
si. potrebbe continuare traducendo: "di queste cose", "di cose simili") ma qui il discorso vale in assoluto: la pi conosciuta in
assoluto, assoluto relativo. Quando Aristotele sostiene letteralmente questo: il principio deve essere il pi noto, e quindi deve essere universale, Aristotele intende dire molto banalmente
che se abbiamo un principio di conoscenza universale, le sue conuniversali; se il principio il pi
seguenze sono
noto, le conseguenze di scienza che io traggo dal principio debbono essere altrettanto le pi note, cio altrettanto universali.
E cosa ci vuole a comprendere che cos non ? Che cos non , voglio dire: cosa ci vuole a comprendere che appunto, dato il principio come il pi noto consegue che abbiamo le conoscenze come
le pi note; dato il principio come il pi noto, possiamo arguire che questo significhi che dunque le conoscenze che si deducono dal principio, debbono essere come il principio? Perch noi
potremmo anche dire: in fondo Aristotele intendeva dire che
questa conoscenza che deve essere essa la pi universale, cio
essa riguarda solo il principio; il principio, in quanto deve
sere il pi noto, sta a significare: ci che del principio conosco, deve essere secondo come il principio . D'altra parte
dire che il principio deve essere il pi noto, questa conoscenza, gi questa conoscenza. E allora dico: ha senso cartesianamente porre come questione fondamentale, a parte l'ermeneutica
iniziale, come questione discriminante di pensiero quella per la
quale noi, dopo tanti secoli di pensiero ci siamo accorti che la
filosofia non riesce a concludere con la stessa necessit secondo la quale conclude qualunque scienza esatta. Chi ha detto a Cartesio che, il fatto che per tutti due pi due fa quattro, possa
avere lontanamente proporzione al fatto che quando pensiamo, queproprio al contrario: proprio per questo,
sto non , anzi
dalla parte di Cartesio, cio dalla
ragionando
pensiamo,
semmai,
parte non filosofica, dalla parte del buon senso che capisce pi
del filosofare le questioni; proprio perch non facciamo, pensando, tutti: due pi due, uguale quattro, cio proprio perch non
facciamo coro, proprio per ci pensiamo; e proprio per ci pensiamo, vuol dire: e proprio per ci pensare un discorso un poco
diverso, o radicalmente diverso da qualunque altro discorso, il
pensare in quanto speculativo, il pensare in quanto filosofico,
certamente non il pensare in quanto pensare dei pensieri umani,
vuoi pascaliani, o vuoi non pascaliani, fa lo stesso; cio pensare pensieri pi o meno sublimi, o pensare pensieri meno o pi su109.
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santissima il nascere; per cui: ma allora pensare talmente da dare come nato il principio significa in un certo senso dare per
assoluta soltanto una questione, ed una questione soltanto significa: una questione senza principio; non una questione senza principio della questione, una questione senza principio, in quanto
il senza principio riguarda il principio stesso; nello stesso senso per cui per questo possiamo comprendere che il pensare talmente il pensare talmente in quanto il dare come nato il principio; e quindi per questo allora dare come-nito il principio corrisponde o sembra che corrisponda abbastanza facilmente a ci che
il pi noto, dunque non il pi noto fra tutte le cose che sono
come il principio, ma il pi noto in assoluto, non il pi noto
in quanto il pi noto implichi in qualche maniera una sorta di
correlazione a ci che pu essere, come il principio, noto, ma
il pi noto in assoluto; e dunque se noi dovessimo dire allora:
principio senza principio, ci il pi noto: allora perci
allora per questo comprendiamo aristotelicamente il
termine gnorimotten, il pi noto, il pi noto dunque in assoluto. Allora: il principio dopo il gnorimotten, il principio
dopo il pi noto; un essere dopo che in qualche modo un essere
consecutivo al gnorimotten, non all'essere gnorimotten, ma al
in s, in assoluto; e allora se il principio consecutivo al pi noto, il principio, da questo punto di vista
senza principio, perch a principio c' gnorimotten.
In questo senso Aristotele smentisce pesantemente s stesso,
perch c' un peiron che non peiron, c' un infinito alle s
spalle del principio che non un infinito, che finito, c' un
peiron limitato dalla conoscenza, e siamo al dunque della
stione: c' un peiron limitato dalla conoscenza, c' qualcosa
che non limitato in quanto non limitato da s e il non esselimitato da s significa la sua relazione a ci che lo limita,
dunque alla conoscenza; e alla conoscenza che in questo caso limita perch la relazione a ci che non limite da s per s.
Problema: gnorimotten in quanto arch pu essere in questo senso allora condizionata al blocco dell'peiron? Questo il problema: ci che l'arch in quanto gnorimotten in questo senso, pu essere, come sostiene Aristotele, che dunque il principio
non pu avere alle sue spalle l'peiron perch alle sue spalle
l'peiron significa che il principio non mai n prima n dopo?
Quando invece proprio aristotelicamente noi stiamo sostenendo e
in parte forse dimostrando che alle spalle del principio c' l'
infinito, c' l'peiron; e c' l'peiron o l'peiron significa:
c' l'essere gnorimotten da parte dell'arch, che non l'arch,
l'essere il pi noto da parte del principio che non il principio, ma l'infinit del principio, la sua infinit, il suo
essere senza limite per s in quanto il suo limite ci che la
fa essere essa arch come gnorimotten, cio in quanto il suo limi te ci che la conosce nella relazione che c' tra ci che non
limitato in quanto non limitato per s e ci che per questo dun112.
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rimanendo ancora fermi a questo essere del principio che riguarda questa sua qualit iniziale, c' un peiron che riguarda il
prjrwipio, abbiamo guadagnato aristotelicamente contro Aristotele
del principio; l'peiron del principio il suo essere gn.orimotten,
del principio il suo essere il pi
noto in assoluto, non il pi noto a tutti o a pochi o a moltissimi o a molti fra i moltissimi, il pi noto in assoluto, perci
diciamo gnorimotten, e dicendo gn.orimotten in modo tale per cui
crn.nsto peiron del principio fa da principio al conoscente che
io sono nei confronti del principio.
Questo, dunque, peiron mi fa essere come conoscere e in questo senso questo peiron non come s stesso; perch il pi noto, conosciuto non conosciuto come s, conosciuto come ci che
in quanto di non contraddizione; ci che il pi noto, in quanto il pi noto, in quanto
non conosciuto come s
stesso, ma conosciuto in quanto di non contraddizione. Voglio
dire: ci che conosco del pi noto il non contraddittorio in
assoluto che il principio in quanto il pi noto. In questo
senso allora dico l'peiron del principio, questo peiron per mezzo del quale posso capire che la infinit del principio in un certo modo significa il principio senza s stesso o il principio senza principio, in questo modo per cui quando dicevamo il pensare
talmente da dare come nato il principio, chiaro che non possiamo cercare di comprendere perch non dobbiamo dire: pi-nato, pi
nato nel senso direi quasi antico: c' una qualit maggiore di
genitura che riguarda il principio? C' una genitura che ha una
qualit maggiore o una qualit maggiore, una qualit di tipo diverso, una quantit di peso diverso, perch questo riguarda il
principio? Per cui se diciamo: il pi noto, gnorimotten, diciamo il pi noto per dire: il principio tale nel momento nel quale io ne capisco l'essere come il pi noto, l'essere stesso del
principio come l'essere il pi noto in assoluto, e questo essere
il pi noto corrisponderebbe all'essere nato del principio, a ci
che il principio in quanto nato, non in quanto , ma in quanto
essente, in quanto generato, in quanto, tradotto in linguaggio
in quanto conosciuto, in quanto saputo con la sua
geni tura, conosciuto in questo senso, saputo insieme alla sua
stessa genitura. E a questo punto la sua stessa genitura qual ?
La eenitura del principio, non la nascita del princi-pio, perch
la nascita del principio non pu essere neanche espressa per essere contraddetta, per essere negata, per non essere ammessa al
livello del discorso speculativo, perch il principio, dato come
nato, perci stesso abolisce ogni problema di nascita o di non
nascita, noi non possiamo pensare del principio che sia o non
qualcosa che possa dipendere da un suo nascere tanto per cui se
pensiamo talmente, pensiamo talmente proprio da darlo come nato;
il darlo come nato significa il pensare forzato, sottoposto alla
prova estrema di s stesso, che a sua volta forza i termini che
servono per le questioni pi originarie, e quindi forza anche il
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mezzo dell'altro, fanno viaggi attraverso i quali chi vive si perde, perch perde, non perde l'aria per respirare, ma perde il contorno reale delle cose, e quindi perde anche s stesso. E allora
se noi traduciamo in lingua a questo punto dobbiamo dire: quando
diciamo principio innato del pensare o quando diciamo del principio l'essere innato, in realt abbiamo cercato di parlare per
riuscire a non pensare, o meglio parliamo perch il parlare sia
un non pensare, perch lo stesso parlare sia addirittura un non
pensare.
Se diciamo che il principio innato, a questo punto, noi
dobbiamo riconoscere che dunque non pensiamo. In tanto possiamo
dire che il principio innato in quanto non pensiamo in assoluto. Il paradosso sta per in questa situazione: questa icasticit del pensare deriva da ci che noi riusciamo a comprendere del
pensare incatenato all'arch in quanto gnorimotten. Si arriva,
forzando un po' il discorso, ma abbastanza agevolmente, al termine icastico del pensare per cui possiamo renderci conto del fatto storico che storicamente il principio viene quasi sempre definito, se principio del pensare, principio innato, si arriva a questo dal fatto che aristotelicarnente noi non possiamo pensare il
principio se non in quanto gnorimotten, o meglio noi non possiamo conoscere il principio se non in quanto gnorimotten, se non
in quanto il pi noto in assoluto; per cui allora se diciamo il
pi noto, non potremo dire radicalmente nato, perch il pensare
forzato fino a questo punto per cui d come nato il principio,
d come nato il principio proprio perchP. attraverso l'essere nato del principio salti la questione del nascere O salti, si
trebbe anche dire, la questione del principio.
Non posso fare, in questo senso aristotelico, questione del
principio, ma non per l'peiron che il rischio; non posso fare
questione del principio aristotelicamente perch sul principio
non posso fare una certa questione. Dovremmo dire meglio: perch,
del principio che debbo dire gnorimotten posso anche dire nthe?
Sul principio non posso fare una certa questione per cui se del
principio dico gnorimotten, il pi noto, non posso usare per il
principio un aggettivo che in greco suona alla stessa maniera conthos, esattamente perch nthos
me diciamo in italiano
in greco vuol dire illegittimo, nato ma illegittimo, allora noto
ma perch nato male. E allora questione: del principio se dico
gnorimotten posso dire nthe? Cio posso dire del principio nthos, cio nato, ma nato male? Noto, cio so che esiste; nato in
'fO'ndo da questa punto di vista vale soltanto in quanto sta-a-sig .. Lficare: so che c', e quindi nato. Per chi non l'essere
stesso che nasce come s stesso, il suo essere nato interessa in
questi termini: so che ci sei. Per cui quando il pensare prova
s stesso fino a tal punto per cui talmente un pensare talmente da dare come nato il principio; dare come nato il principio
significa, da parte del pensare, , sapere che c'. Il pensare
il sapere che il principio c'. E, in questo senso, lo d come
116.
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nato perch lo d come noto, lo d come noto in assoluto, da questo punto di vista, e noto a lui, o noto alla prova estrema a cui
il pensare sottopone s stesso. Ma quando questo riguarda chi nasce, l'essere noto a questa maniera coincide con il suo essere
nato bene o coincide con il suo essere nato male? Per cui noi appunto possiamo dire del principio greco: dunque il pi noto in
in quanto non nthos? Dunque il pi noto, in quanto
non notho.
E allora la questione: sul principio possiamo fare questa
questione, a questo punto, dal punto di vista del principio come
gnorimotten? Dal punto di vista del principio come gnorimotten,
del principio come il pi noto in assoluto, possiamo fare per il
principio la questione del suo essere nato in un modo che pu essere diverso, che pu essere ambiguo, equivoco, per cui il priac1p10, in quanto il pi noto in assoluto non nthos, non nato male o non nato il1egittimamente? Non possiamo dire appunto
che sia o non sia nthos, cio che sia nato male, perch per dire che nato male il pensare dovrebbe spostare il suo pensare
talmente in quel momento nel quale non il principio ad essere
nato ma ad essere nato ci che fa nascere il principio; e cio:
non il principio che con il suo essere impedisce la questione
su ci che lo riguarda al principio, per cui se il pensare pu
spostare la questione che riguarda il principio su ci che riguarda il principio al principio stesso, allora il principio pu essere che sia nthos o non, il principio pu essere che sia nato
male o nato bene; oppure bisognerebbe dire a questo punto: nemmeno non nato; perch abbiamo anche detto finora che in un certo
modo questo essere dato come nato da parte del principio corris
sponde al suo essere innato, per cui il suo essere innato corrisponde in fondo poi al fatto che il principio in realt non come nato, in quanto diviso dal suo nascere, per cui l'essere nato
esaurisce talmente in s il nascere, per cui un nato stranissir.. ...,, paradossale.
Se noi possiamo fare questa questione, se noi possiamo problematizzare l'essere gnorimotten da parte dell'arch fino
questo punto per cui problematizzare il pi noto in assoluto significa non potere fare questione sul principio per quanto riguarda il suo essere nato male, come se noi fossimo costretti a sostenere che dunque l'essere nato male riguarda qualche cosa che
n.an riguarda il principio; ci che nthon, ci nei cui confronti si pu fare la questione del nascere male o bene non ci che
pu riguardare il principio; perch come se l'peiron del principio, l'infinit del principio conosciuto in un modo per cui
conoscere l'peiron significa sapere che l'peiron in fondo senza limite per quanto riguarda s stesso, e quindi limitato dalla
parte di altro che non sia l'peiron stesso e che il conoscere
questo stesso. E per, in questo ambito, cio nell'peiron, c'
una sorta di puntualit assoluta senza peiron e senza conoscenza in un certo senso, nei cui confronti posso fare la questione
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del nthos, cio nei cui confronti posso porre la questione del
nascere male o bene? Questione la quale nello stesso momento nel
quale viene posta, viene gi conclusa, perch se noi poniamo la
questione del nascere bene o del nascere male, gi questione
del malnascere; il dubbio sul nascere gi un aver saputo che
il nascere malnascere; e quindi in questo senso, l'essere nthon
da parte di qualcosa a questo punto, alle spalle del gnorimotten del principio, una sorta di necessit forse ancora pi chiaramente necessaria di ci che l'anankion riguardo al principio.
E siamo allora al punto: anankion, necessario che il principio sia il pi noto e anyptheton? Non pare che sia proprio cos: questo anankion, necessario che il principio sia, l'anankion che riguarda il principio ha in s una necessit che riguarda per prima la stessa nacessit, l'anankion ha un'annke interna a s stesso; e allora da questo che l'annke dell'anankion
si riflette sul principio, perci noi dobbiamo leggere, non leggendo come leggiamo testualmente cio il principio deve essere,
ma dobbiamo leggere: necessario che il principio sia comunque
sia e qualunque sia; perch di questo necessario c' un'annke
interna che riguarda proprio l'anankion. Allora nthon l'anankaion. Ci che nthon, il malnascere il malnascere che riguarda in proprio la necessit, cio l'annke, l'annke dell'anankion,
perch il malnascere questa annke dell'anankion. E badiamo
bene: il malnascere, per cui e da cui l'anankion verso il principio; una annke dell'anankion, cio il malnascere dell'anann
kion, che perci riguarda il principio; per cui l'annke dell'
anankion fa s che l'anankion riguardi il principio, la necessit interna all'anankion fa della necessit
che
non riguarda s stessa, ma riguarda il principio; o in altri termini: il malnascere che riguarda l'anankion fa nato il principio,
e quando uno nato non giusto che gli si appiccichi l'epiteto
se nato bene o nato male, nato e basta. Quando qualcuno
nato, non n bene n male, il bene e il male non giocano partite sul nascere, il bene e il male giocano le partite prima e continuano a giocarle dopo, ma in mezzo c' chi come nato.
Ma allora perci per, dal malnascere che riguarda l'anankion
nella sua annke interna, perci allora il principio, comunque
sia, nato e basta; e non potremo mai dirgli che nato male o
bene, perch non ha senso, perch appunto nato e basta. E si
potrebbe dire
e basta (ecco perch principio), comunque
sia. La questione riguarda l'anankion, l'annke dell'anankion,
questo malnascere che interno all'anankion e che, interno al1
perci si riflette sul principio; e allora perci
noi leggiamo giustamente: il principio deve essere I figli debbono essere, non i padri, sempre i figli debbono essere stati in
un modo, dovranno essere in un altro modo, sui figli si riflette
sempre l'annke nascosta che poi in fondo la genitura pi tragica dei genitori a questa maniera, e sarebbe come dire: il malnascere che riguarda i genitori che purtroppo storicamente si ri118.
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flette o vendica s stesso sui figli che fa nascere, per cui allora chi deve il nato, chi deve il figlio; alla stessa maniera del principio. Cos come Aristotele col buon senso dell'uomo
che viveva come tutti noi, a questo punto scivolando senza problemi su questo piano inclinato di questioni e forse senza saperlo,
ignoto ai genitori di cui stiamo parlando, giustamente dice, sulla base di ci che noi possiamo leggere traducendo facilmente:
il principio deve essere ; e non mi interessa pi che cosa sia,
a questo punto: pu essere qualunque cosa, il pi noto o il meno
noto, il pi brutto o il pi bello, deforme o non deforme; mi interessa solo il fatto che il principio a questo punto il punto
di arrivo di una annke che non riguarda il principio per s stesso, ma riguarda ci che fa nascere a questo modo il principio.
La necessit dell'anankion possiamo dire a questo punto che sia
ci che in qualche modo riguarda non direttamente il principio,
perch riguarda pi propriamente ci che del principio aristotelicamente stiamo dicendo: il suo essere gnorimotten, il pi noto; il pi noto in quel modo per cui stato problema possibile,
da parte del principio come gnorimotten, la questione che pu
interessare il principio, che non di essere il pi noto n di
essere il meno noto, anzi dovrermno dire che non di essere n
il noto n il non noto; da questo punto di vista il pi noto
come se, per quanto riguarda l'essere noto del principio, il pi
rispetto a ci che l'essere noto del principio come se raddoppiasse l'essere noto del principio; dal punto di vista di ci che
il principio, aristotelicamente parlando e pensando in rapporto
al principio, , se pensiamo al principio, n noto n non noto.
Se aristotelicamente siamo costretti a pensare il principio come
gnorimotten, questa costrizione ci che riguarda il conoscere
il principio perch il principio a questo punto scarica ci che
riceve su ci o su chi che lo conosce. Sto cercando di pensare
il leggere anankion; se noi aristotelicamente leggiamo che necessario che il principio sia, ci che sia, qualunque cosa, in
qualunque modo, qualunque e comunque esso sia, in verit ci che
necessario che il principio sia ci che noi del principio riceviamo come costrizione a questo stesso; in questo senso dovremmo dire che l'anankion davvero in certo modo stranamente, radicalmente neutro perch questa necessit ha soggetto nella anonimia dei soggetti, o questa necessit ha soggetto nella nonnotidei soggetti; i soggetti ai quali noto il principio in realt non sono noti a s stessi, nel momento nel quale sono costituiti dal ricevere l'anankion, dal ricevere dell'anankion l'annke
nel suo senso pi forte, pi necessitante perch la necessit
che a questo punto dell'anankYion che riguarda il principio per
mezzo del principio stesso arriva a ci che conosce o a chi conosce il principio in quanto conosce del principio questo essere
noto a questo modo che significa il non essere noto dei soggetti
che conoscono il principio. Dal punto di vista storico-critico
la conserenza che per fondamentale che per questione di prin119.
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cipio a principio, la coscienza, di qualunque cosa sia, non . possibile; dunque per questione che riguarda l'impianto speculativo
della filosofia, nella mim;ira in cui questo impianto pensabile
dRlla notizia del principio, non pensabile che a principio ci
la coscienza di s o di non - s, perch come se dovessimo
dire che in fondo per questioni di principio possiamo dimostrare
che a principio non esiste autocoscienza, perch a principio, per
questioni di principio esiste l'essere costituito del conoscere
come conoscente in quanto l'essere conoscente del conoscere non
il mio essere soggetto costituito anticamente fino ad essere
ontologicamente costituito e costituente la scienza che lo riguarda e che riguarda le essenze, ma significa il mio essere l'essere costituito da parte del conoscere come conoscente nella misura in cui conoscente, cum-sciens, ens conoscente
come se significasse che viene contratto in ci che poi sapremo, conosceremo,
e penseremo come soggetto, in questo viene contratto, ci che sta
al principio nella sua koin originaria, nella sua comunanza ogiginaria.
Per questo allora a principio sono condizionato al cu.m, allo stare assieme, ma allo stare assieme dell'annke e dell'anankion; allo stare assieme della necessit e della necessit; fino al punto per cui essendo al principio questa koin originaria,
questa necessit che comune solo a s stessa, per cui la necessit comune solo a s stessa, pone, fa essere a principio ci che
fa da principio ad ogni conoscenza come originaria dalla sua capacit di venire posta fuori dal cum, dalla koin originaria, da
questo deriva lo scire in quanto lo scire per s non avrebbe senso se non fosse in qualche modo reso entico, allora quando diciamo conoscente
diciamo tutto questo. Quando diciamo conoscente
in realt stiamo dicendo questo essere costituito del conoscente
principio di ci che poi il soggetto conoscente, l'essere
costituito conoscente, che deriva dal fatto fondamentale, originario che per mezzo del principio, l'annke dell'anankion slitta, per cui ci che il principio riceve in realt n serve al
principio, n fa essere il principio, ma serve al principio per
fare essere ci che dal principio. In questi termini aristotelicamente noi esistiamo dopo il nostro essere costituiti come conoscenti; aristotelicamente leggendo e pensando ci che leggiamo,
l'esistere consegue non al conoscere ma al conoscere costituito
nel suo soggetto profondo che il conoscente che ci che come conoscente dal principio, ma dal principio in quanto a questo
punto dal principio significa anche per mezzo del principio, identicamente per mezzo del principio.
A parte il tema dell'esistenza consecutivo al conoscente,
perseguibile in altri ambiti che, da questo punto di vista, non
ci interessano, l'altra conseguenza fondamentale che aristotelicamente il principio non esiste, non esiste nel senso proprio
dell'esistere; perch a questo punto il sistere, ci che dell'esistere espone la radice dell'esistere stesso, per cui contraen120.
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ma
12 1
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sto per chiarire il punto fondamen tale che l'annke dell'anan kion, quello che abbiamo definito nthos, l'ananki on come ntho,
per cui definendo l'ananki on come nthon abbiamo cercato di difondo il pi noto come se, nel suo essere possibile ,
re che
corrispon desse al nthon, il pi noto come nthon, cio il pi
noto come malnato ma il pi noto come malnato non in quanto il
pi noto come tale ad essere malnato ma del pi noto ci che
il pi noto subisce, che non il suo essere nato, cio che non
il suo essere noto n pi n meno, per cui se diciamo gnorimotten per l'arch, se diciamo per il principio il pi noto abbiamo capito che il pi noto significa il pi noto in assoluto, ma
questo che il pi noto in assoluto significa che non il pi nodi niente altro che non sia il pi noto stesso: allora gnorit
motten non qualit del principio ma rischia di essere esso x
stesso il principio : l'essere gnorimot ten dell'arch , l'essere
del principio il pi noto ma in quanto il pi noto di niente altro che non sia il pi noto stesso; non il principio -di, neanche
il principio , se non il principio come ci che gnorimot ten;
ci che gnorimot ten allora a questo punto rischia di essere
necessita to a non essere e a essere il pi noto: in realt
questa corrispon denza, non identit, il corrispon der dell'esse re al non essere, il corrispon dere dell'esse re a ci che in qualche misura dell'esse re fa essere il suo stesso non, per cui non-essere.
Il pi noto stesso come tale come se fosse necessita to a
contrarre in s il principio come principio e per ci stesso come non-princ ipio ma in quanto principio , non come non-princ ipio
in assoluto, ma in quanto principio , cio in quanto -principi o
in relazione al principio : tutto questo nel gnorimot ten in quello che conosciam o o che siamo costretti a conoscere come il pi
noto assolutam ente; allora se possiamo leggere a questo modo gnorimotten , questo significa non leggere il principio , il principio non esiste; e non esiste perch come se fosse dilapidat o,
corrotto (corrotto nel senso pi intellige nte del principio ) dal
suo stesso essere gnorimot ten, e il corrompim ento del principio
il rompere il principio , per mezzo di s stesso 1 il farlo a pezzi
per mezzo di s, il fare del principio le parti che fanno questo
intero che chiamo principio , questo hlon che chiamo principio ,
j 1 corrornpirn ento del principio sta a fare da essere unico al gnorirnotten , e non pi al gnorimot ten di qualche cosa, ma al gnorimotten dello stesso gnorimot ten; in questo senso allora il
principio quando scarica verso e fino al conoscent e ci che lo
riguarda a principio , l'an.J;i.ke dell'anan kion, in realt
verso questo scarico non transita non passa fino al conoscent e
e lascia il conoscent e senza principio perch come se il principio a questo punto rimanesse bloccato dal suo corrompim ento,
come se il principio restasse bloccato nel suo essere il pi
noto assolutam ente nel suo dovere essere il pi noto assolutam ente.
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principio, che questo, ha potuto fare scena soltanto per i Greci, a quella maniera per cui fare scena per i Greci, non era lo
stesso che il fare scena per noi delle tragedie contemporanee,
perch significava per i Greci sentirsi parte in causa della tragedia sulla scena; per stando fuori dalla scena, cio facendo
fare alla propria esistenza tutta completa la parte di spettatrice; quando il greco passava la giornata intera a contemplare uno
spettacolo teatrale, il greco in quel passare la giornata a vedere ci che accadeva sulla scena della tragedia, in realt stava
attento a guardare continuamente dentro s stesso; e se noi vos
gliamo seriamente capire la tragicit del rapporto tra la persoL- dell'atto, l'attore-persona, la maschera, e chi senza maschera guardava, comprendiamo il perch della persona, perch l'attore doveva fare l'attore facendo del suo viso un viso nascosto da
una maschera, perch era l'unico modo di nascondere che dietro
quella maschera, dietro quella recitazione, chi recitava era l'
esistenza, cio chi
era la vita, la vita per degli
spettatori; e allora la vera tragedia non era quella che si determinava sulla scena: era la tragedia immobile, moltiplicata per
quante facce erano ferme per una giornata intera a guardare quello che accadeva. Per pensare la tragicit dovremmo invertire le
parti: gli spettatori erano gli attori e i protagonisti gli esistenti seduti a guardare lo spettacolo.
Questa la storia, facilmente raccontabile, ma il principio
di questa storia, il principio di questo essere cos dei Greci,
dipende da questo tipo di pensiero greco alla maniera aristotelica, da questa grecit del pensiero, che Aristotele. Per battuta potrei dire che il dio creatore della grecit dei Greci, della grecit come esistenza Aristotele, un filosofo, il dio creatore degli esistenti cos un filosofo, il dio creatore per dire ci che possiamo in qualche modo catturare nel suo principio
tenendolo fermo al suo principio e si pu pensare che in questo
senso Aristotele un dio facile come dio, come filosofo difficile s, ma facile come dio, perch mi d modo di tenerlo stretto
nel suo principio, non sfugge, mentre il Dio difficile c', purtroppo per chi ce l'ha non so dove, ma per chi ce l'ha in qualche
modo, il Dio difficile, difficile perch non tanto facilmente
cnstringibile nel suo principio, perci mi perdo tra il Padre,
il Figlio, lo Spirito Santo, mi perdo tra l'amore, la croce, mi
perdo fra il dolore, il suo contrario, mi perdo in tutto ci
nQl quale l'essere difficile di Dio mi d questa difficolt di
esistenza che poi riguarda me per cui alla fine per vendicarmi
risulto necessariamente facile io, io come uomo; o chiedo di risultare facile, e lascio perdere il Dio difficile e mi fabbrico
gli dei facili, la terra, la societ ! Il principio della tragedia allora in questo che ha male come nascere, l'anankion
in quanto nato, proprio come anankion ha male nel suo stesso
nascere, e ha male in rapporto a quel bene che l'anankion, in
rapporto a ci che rispetto al male al principio il bene alla
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127.
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IV
IL COMINCIAMENTO DELL'APORIA E LA CONTRADDIZIONE COME DIFFICOLTA'
SPECULATIVA
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to di vista il principio non pu essere principio di niente; perch se diciamo, come diciamo aristotelicamente, principio di non
contraddizione il di non determinativo e neanche terminativo,
potremmo dire che il di surrettizio, falso, il di un improglio; fra principio e non contraddizione ci che permette di legare in un certo senso un imbroglio di carattere metafisico perch dovremmo dire non: principio di non contraddizione, ma piuttosto: principio-non-contraddizione; da questo tipo di struttura
del principio, aristotelcamente ripensato, non posso cavare ci
che mi fa pensare tra il principio e la non contraddizione perch
ci che mi fa pensare mi fa pensare in principio e in non contraddizione; dovrei dire molto pi radicalmente, dal punto di vista
aristotelico, piuttosto che principio di non contraddizione, principio-non-contraddizione e cos dicendo sveleremmo l'imbroglio,
perch dicendo principio-non-contraddizione i tre termini: princontraddizione, sono fra loro in modo tale che non
cipio,
possiamo neppure essere sicuri a quale il 1l21l si riferisca, tanto che potrebbe aristotelicamente essere indifferente questo stes:,0; cio a principio la non contraddizione oppure principio non,
non c'-contraddizione a principio; allora a questo punto ci che
costituisce la difficolt autentica, quella che non confiscabile in termini aporetici, ovvero la difficolt che posso riuscire
l'chei
in qualche modo a conoscere prima di ogni
d'aporan, la difficolt che pu essere anteriore all'chei d'aporan non per caso questo costitutivo del principio?
Ci che gnorimotten in quanto gnorimotten non noto,
cio ci che il pi noto assolutamente in quanto pi noto assolutamente non noto, in modo tale per cui possiamo comprendere
principio di non contraddizione in quanto comprendiamo l'essere
contraddittorio del principio dentro s stesso. In altri termini:
la difficolt vera, la apora senza apore, ci che dal principio
che confisca in s tutto l'essere contraddittorio deriva per confronto e in rapporto all'apora come confiscare in s tutte le
apore. L'apora senza apore cos come il principio in quanto
essente in s esaurimento di tutto l'essere contraddittorio E
senza contraddizione. Dal principio, che in quanto essere in s
contraddittorio per cui senza contraddizione, all'apora
quanto apora senza apore, l'apora vera o l'apora unica,l'apora senza apore l'apora che posso pensare in collegamento al
principio a questo punto rimane soltanto la contraddizione. Ci
che da questo punto di vista riesce veramente difficile non, pene nemmeno conoscere, ma ci che riesce difficile per s
la stessa contraddizione perch stiamo in fondo dicendo che l'essere contraddittorio in quanto ci che non pu essere dato extrafa del principio l'essere senza contraddizione; e se
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133.
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ciando il rimanere al princ1p10 dovuto al cominciare o viceversa, cominciando, stare fermi all'avere aporia uno stare fermi
all'avere apora che dipende dall'apora? Per cui nello stesso
momento nel quale, cominciando, stiamo fermi all'avere aporia x
nello stesso tempo, identicamente, siamo costretti a continuare;
ma siamo costretti a continuare significa che siamo costretti a
continuare in maniera da fare scorrere l'aporia; cominciare in
quanto si ha apora identicamente siamo fermi all'apora, ma siamo anche necessitati a continuare, ma non a continuare negando
l'aporia, a continuare costringendo l'aporia a passare. Se noi
stessimo fermi all'aporia in questi termini, noi staremmo fermi
alla stessa contraddizione in atto, noi saremmo bloccati dalla
contraddizione in atto, o dalla contraddizione che ha atto nell'
atto dell'aporia ferma a s stessa e necessitata a passare. Se
noi stessimo fermi all'apora in questi termini, noi starennno fermi alla contraddizione in atto talmente per cui la contraddizione non sarebbe contraddittoriet di qualcosa, ma sarebbe ci che
la stessa aporia come apora, per cui la stessa aporia come tale contraddizione perch la stessa aporia come tale necessit di stare fermo al principio, cio necessit di cominciare, ma
identicamente anche necessit di continuare, e dunque identicamente necessit di fare passare, di determinare il passaggio dell'aporia, necessit di determinare il passaggio di ci che letteralm_.1te sembra senza passaggio, l'aporia come internamente,.,s stessa per cui l'essere senza passaggio (a-poria).
E allora: stare fermi all'aporia significherebbe stare fermi alla contraddizione ma alla contraddizione talmente interna
all'aporia che la vera aporia a questo punto sarebbe il non sapere la contraddizione come interna all'aporia: la contraddizione
talmente propria dell'aporia come tale in quanto appunto cominciare continuare, per cui dovremmo dire che la contraddizione
talmente dentro, talmente intrinseca all'aporia che non pu essere posta fuori, talmente al principio di ci che deve fare da
passaggio da non potere essere principio, e da non potere essere
principio nemmeno come principio contrario alla contraddizione:
non pu essere principio neanche come la contraddizione che riesce ad essere costituita come principio in questo modo per cui
la contraddizione, costituita come principio, finisce necessariamente per essere costretta ad ammettere, internamente a s, il
non dall'aporia. Se stessimo fermi all'apora come tale noi staremmo fermi alla contraddizione interna l'aporia; la contraddizione interna all'aporia nell'atto in atto che l'apora in
questi termini per cui cominciare l'aporia continuare, cominciare da ci che senza passaggio essere costretti al passaggio,
il fatto stesso di cominciare,seda ci che il senza passaggio,
l'apora, mi d automaticamente il passaggio: cio il fatto stesso che il cominciare assume il senza-passaggio, per cui in tanto
posso dire e posso pensare il cominciare dal senza-passaggio in
quanto il cominciare dal senza-passaggio assumere il senza-pas-
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saggio in modo tale per cui il senza-passaggio, l'essere senza-passaggio, passa a s stesso, e:i.passa a s stesso in quanto oggetto proprio di un cominciare di questo genere. Se la questione
fosse in questi termini, noi saremmo fermi alla contraddizione
in assoluto talmente per cui la contraddizione in assoluto non
potrebbe esprimere nemmeno ci che essa perch sarebbe fagocitata dal passaggio; nel passaggio che l'apora subisce, in questo
passaggio, ci che passa veramente la contraddizione e ci che
rimane il passare della contraddizione nell'apora e come apora; in questi termini, se noi stessimo fermi all'apora cos pensta o cos pensabile, noi staremmi fermi a una contraddizione talmente in assoluto che non potrebbe diventare nemmeno come contraddizione principio di contraddizione, cio la contraddizione a questo punto talmente interna e talmente interna all'apora che
l'essere interna all'apora non costituisce la difficolt del
principio, ma costituisce la difficolt della contraddizione di
diventare principio, costituisce la difficolt della contraddizione di essere pensata indipendentemente dall'apora talmente
da potere pensare la contraddizione come principio di contraddizione.
Ma anche se potessimo pensare questa questione in questi termini (per cui noi dovremmo riuscire a pensare il principio di contraddizione) se pensiamo il principio di contraddizione rispetto
all'apora, pensiamo in realt il principio di non contraddizione perch apora a questo punto diventa, fa da principio del non
rispetto al principio di contraddizione, fa da ci che fa scattarispetto al principio di contradre per primo e per ltimo il
dizione, per cui allora in tanto possiamo pensare la contraddizione come principio in quanto la possiamo tirare fuori dall'apora,
nello stesso senso nel quale pensare la contraddizione come principio per farla diventare principio di contraddizione, cio per
poterla conseguire da un cominciare che non il cominciare del1' apora, ma cominciare di s (noi possiamo pensare la contraddizione come principio in quanto potremmo conseguire cio pensare consecutiva la contraddizione in quanto consecutiva al suo s
stesso cominciare, ma al cominciare di s non al cominciare dell'apora) per potere sostenere questo noi dovremmo riuscire a far
passare talmente l'apora .da negarla come apora, poterla pensare come ci che non senza-passaggio, ma come ci che il passare in assoluto.
Se si potesse pensare la contraddizione fino al principio,
pensare la contraddizione sino al principio in realt significa
ricadere nel principio di non contraddizione perch avremmo, come piano da cui parte un secondo principio, l'apora, e quindi
l'apora diventerebbe a sua volta principio di ci che si costirispetto al principio di contraddizione; e avremtuisce come
mo il princ.ipio di non contraddizione; in altri termini: per potere letteralmente pensare il principio di non contraddizione debbo leggere Hegel, in quanto letteralmente in Aristotele non posso
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letteralmente
pensare il principio di non contraddizione
in Aristotele io conosco i principi del sillogismo, e se da questo voglio pensare il principio posso conoscere il principio derli assiomi. Allora la questione tematica a questo punto chi
ci ha messo in testa il principio di non contraddizione? Quale
interpolatore nel testo della necessit apodittica che il dis
scorso aristotelico, ha introdotto la contraddizione come principio, per cui noi siamo abituati da secoli a parlare del principio
di non contraddizione potendo sfidare tutti gli aristotelisti di
questo mondo a leggere nella metafisica letteralmente il principio di non contraddizione, mentre letteralmente nella metafisica
leggiamo il principio degli assiomi o i principi dei sillogismi.
In realt la interpolazione c' in questo senso: tra il piano aporetico, tra il piano nel quale la contraddizione coincide assolutamente con l'apora talmente per cui la contraddizione non pu
essere pensata, e il piano nel quale posso parlare di principio
di non contraddizione, l'interpolazione costituita dal pensare
il principio: per potere parlare di principio di non contraddizione debbo pensare il principio nel senso per il quale pensare il
principio a questo punto come se stesse a significare pensare
il prinnipio indifferentemente da ci che il principio pu essere di non contraddizione o di contraddizione, per cui l'antinomia
Hegel-Aristotele non sussiste, falsa; ed falsa sul piano nel
quale il pensare pensare il principio, mentre l'antinomia sussiste dopo il principio, le antinomie sussistono dopo il principio in termini tali per cui la sussistenza delle antinomie dopo
il principio sta a significare che c' qualcosa a principio delle antinomie che non appartiene alle antinomie e che per ci
a principio delle antinomie. Non possiamo a questo punto, proprio
perch abbiamo cominciato e cominciando diciamo: ha apora, non
p0asiamo dall'avere apora cavare fuori il principio di contraddizione, non possiamo cavare fuori la contraddizione che
prio dell'apora, per cui cavate fuori per ci diventa principio,
e principio di che cosa? La contraddizione cavata fuori dall'apora, se principio diventa, diventa principio di s; ma allora la
contraddizione prima del suo essere principio di s, ma a questo punto se la contraddizione prima del suo essere principio
di s stessa, la contraddizione non pu essere principio di s
stessa. Alla stessa maniera non possiamo dire che la non contraddizione sia prima del suo essere principio di s stessa, perch
la contraddizione pu essere sia contraddizione sia non contraddizione, perch la differenza tra contraddizione e non contraddizione la differenza che esiste tra la contraddizione come tutta interna a qualche cosa e la contraddizione come tutta interna
a qualche oosa d'altro; la contraddizione come interna a qualche
cosa quale che sia, la non contraddizione come interna a qualche
cosa non pi quale che sia.
Se dovessimo riordinare le questioni con questi termini di
qualche cosa d'altra, continuando contraddiziodiscorso,
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ne, e questo sarebbe la non contraddizione, contraddizione interna a qualcosa d'altro, contraddizione in quanto contraddizione,
contraddiztone interna a qualunque cosa pur che sia, qualcosa d'
altro che continua in modo tale che scriviamo contraddizione e
sotto ripetiamo contraddizione per continuare dicendo qualcosa
quale che sia, e allora avremmo: qualche cosa d'altro, contraddizione, contraddizione qualunque cosa pur che sia; e se la questione sta in questi termini potremmo continuare dicendo che il prmblema del pensare si risolve nello scegliere il posto che il pensare pu avere rispetto a questi tre elementi, a questi due elementi che hanno nel mezzo un termine medio, e il principio? Perch per dire principio di contraddizione o di non contraddizione,
dobbiamo fare rientrare il qualcosa d'altro e il qualcosa quale
che sia nella contraddizione, tutto questo serve a chiarire questo fatto speculativo, ci che si aggiunge non riguarda veramente l'essere nel senso radicale, anche se stiamo tranquilli sul
fatto che l'essere aggiunto all'esistere, ma non perch l'epithetico significhi per l'essere un essere aggiunto per mezzo del
quale l'essere guadagna il principio anzi per mezzo del quale l'
essere guadagna il fatto che l'essere aggiunto lo riguarda indifferentemente rispetto all'essere; per cui non possiamo fare la
dell'altro ma bisogna dire che l'essere e basta, il
che vale a dire che l'essere e ci che dico quando aggiungo e
basta, significa il prolungamento dell'essere mai verso s stesso. L'essere non si esaurisce nell'essere tanto vero che il suo
essere aggiunto mi serve solo perch l'essere mi serva, ma allora l'essere aggiunto non se non come ci che posto sopra.
Ecco allora la questione che interessa l'apora: ci che
posto sopra l'apora, l'annke senza anankion, la necessit di
ci che necessario a questo punto riguarda l'apora, in quanto
la necessit senza il neutro che riflette s stessa necessit
verso altro, e questo altro il principio, per cui la necessit
senza neutro non ha pi bisogno di riflettere s stessa perch
senza l'anankion in realt l'annke annke rispetto all'apora.
E' come se l'annke avesse trovato il suo corrispettivo e
non ha bisogno di diventare neutra, cio non ha bisogno che la
necessit diventi qualcosa che
per, ma l'annke
che a questo punto non pu neanche esprimersi perch l'annke a
questo punto essa stessa apora, e non possiamo e non dobbiamo
dire annke se diciamo apora, per lo stesso fatto fondamentale
per cui l'annke senza a.nankion a questo punto, l'annke senza
principio, non l'annke cos, l'annke
proprio
perch senza il neutro per mezzo del quale si riflette verso ci
nei cui confronti l'annke viene pensata e quindi viene anche lasciata, coincide direttamente con l'apora per cui l'apora annke senza annke, l'apora necessit senza necessit in questo modo per cui l'essere an.nke senza annkaion in realt signif-:. a che dunque l 'apora ha qualcosa che posto sopra l' apora
per cui ha difficolt non bloccata al principio per la
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tJvimento , non la posso distrarre dal suo movimento stesso equesto movimento in un certo senso dovremmo dire ha movimento sempre
dentro s stesso, per cui l'apora come un girare a vuoto, per
cui ogni aporetic it pura sempre un girare a vuoto, ogni difficolt per la difficolt un girare a vuoto; ma questo accade anche, cio l'apora nel suo interno questo girare a vuoto dentro
di s, per cui si potrebbe dire in questi termini, che l'ente pi
vero, nella sua essenza ma non nella sua esistenza , stato il
motore immobile, ma al contrario : immobile sempre mosso, immobile sempre in moviment t,.per cui aristoteli camente la differenz a
tra creatore e creatura sta in questo: nel fatto che la creatura
rovescia il motore immobile, nel fatto che la creatura fa da contrario al motore immobile perch la contraddi zione interna al
motore immobile in quanto rende il motore contrario a s stesso,
e forse si potrebbe capire che Aristotel e il concetto di ente finito l'aveva o perlomeno l'aveva nella misura in cui possibile
pensare in questi termini il motore immobile. Ma motore immobile?
e non l'apora espressa? Come o come pensiamo che come motore sia immobile? Lo pensiamo perch dentro ci siamo noi, ci sono
io che non sono motore immobile, per cui rovesciam o il discorso
aristotel ico in tali termini per i quali il creatore del motore
immobile sono io perch senza di me, senza la mia potenza speculativa, il motore immobile non potrebbe essere, senza la mia potenza speculati va nascosta in ci nel quale il motore costretto a stare immobile perch solo io posso stare fermo, cio solo
nel movimento che il motore in quel modo per cui questo movimena un certo punto, in un suo punto, immobile: l in quell'immobile ci sono io, dio vero di questo motore, solo perch non sono espresso, solo perch non sono pensato, solo perch non sono
rivelato: aristoteli camente dunque l'unica rivelazion e che dovremmo potere concepire quella dell'ente finito, non la rivelazio ne dell'infi nito, dell'asso luto, ma la rivelazio ne dell'ente come ente finito, la rivelazio ne dell'ente come l'ente costretto
a venire fuori da ci nel quale nascosto.
La conseguen za catastrof ica perch l'ente che viene fuori
da quel punto in cui il motore immobile, venuto fuori, lascia
il motore mobile, e dio si perde da questo punto di vista, e dio
non c'; allora non che il motore immobile nel concetto aristotelico non dio perch non persona, per il fatto che in tanto lo posso pensare a questa maniera in quanto io debbo stare fermo e nascosto in quel punto in cui il mio stare in quel punto costituisce l'immobi lit del motore, e dunque costituisc e la sua
perfezion e, per cui tolto da quel punto ci che rende immobile
il motore, il motore che gira il motore che gira dentro s stesso, l'aporeti cit dell'apor a ridotta a s stessa in questo modo per cui vedo l'apora che gira continuand o dentro s stessa
e finalment e vedo anche me che mi distinguo da quel punto che teneva immobile questo motore, che faceva questo motore non pensabi.le diversame nte e distintam ente da s stesso: atto di pensiero
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un procedere in progresso e in processo, e quindi non pu non essere se non quel procedere che necessariamente va raccogliendo
per mezzo del suo stesso procedere condizionato dal collimare e
con le cose che sono correlative a questo procedere: l'apora
come se in qualche misura fosse una sorta di aratrice o di seminatrice che procede in un terreno e che in tanto pu arare e raccogliere in quanto il suo procedere tocca ci che poi raccoglie;
per cui il non continuare dell'apora il porre in nulla questo
procedere, ovvero, il porre in nulla questo procedere questo
procedere che senza s stesso senza la linea, lascia linearmente
attorno tutto ci che rimane allineato in parallelo, senza che
questo rimanere allineato in parallelo significhi, in qualche mouu, un avere relazione a qualche cosa se non al rimanere allineato in parallelo. E' come se ci fosse un campo di grano con le B
spighe tutte pronte per essere raccolte e queste spighe rimanessero tutte pronte per essere raccolte allineate le une dietro le
altre ma tenute assieme dal varco che separa le due linee di spighe, un varco non occupato, occupabile. Il varco sarebbe il continuare che non continua; come se l'apora, nel non continuare
che riguarda l'apora, in realt riuscisse a porre in nulla ci
che deve essere in qualche modo perch il parallelo abbia la sua
esistenza, la sua sussistenza; porre in nulla a questa maniera
significa non continuare che riguarda l'apora che per pone in
nulla ci che non ha niente a che vedere con l'apora stessa in
questo senso per il quale se cos , non continuare, a questo
punto, a questo punto l'apora come se fosse una sorta di motore in movimento, o come se fosse il principio del movimento per
mezzo del quale ci che rende possibile il porre in nulla in realt diventa la posizione del nulla messo in piedi, piantato, radicato sull'apora, come se noi potessimo letteralmente contemplare e vedere questo sollevarsi di questa linea che non esiste tra
le due parallele in quanto questa linea bloccata in un punto
e perci si pu sollevare appunto perch ferma in quel punto sul
quale la linea fa perno.
E allora in questo senso si pu dire: l'apora fa da fondamento a questo movimento per mezzo del quale il porre in nulla
che riguarda le parallele infinite di tutte le conoscenze possibili diventa questa posizione del nulla posto in piedi sull'apo1
questa posizione del nulla che fa perno sull'apora, per x
cui, da questo punto di vista, noi dobbiamo dire aristotelicamente che non possiamo definire il principio, perch aristotelicamente come se il principio rimanesse prigioniero non dell'apora come tale, ma dell'apora come questa capacit di possedere
il punto di inizio di una linea che fa perno sull'apora stessa
e che indubbiamente non adeguabile da ci che mi fa conoscere.
Per questo se aristotelicamente io sono costretto a definire il
principio in quanto ne do la formula, questo significa che la
formula del principio non adeguata al principio, proprio per3
ch deve risultare adeguabile a ci che il principio mi fa cono144.
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per questo, potere parlare di oggetto conosciuto solo nella misua farlo, se ci riusciremo, se sar importanra in cui
perch pu non interessare riuscire in
riuscirci
te e necessario
questo nel momento in cui riusciamo a isolare una conoscenza talmente per s stessa che in questo saremmo compresi anche noi che
isoliamo la conoscenza e torneremmo di nuovo ad essere non essendolo pi, qualcosa o qualcuno se non una parte di ci che oggetconosciuto o se non una parte dell'intero che ogni conoscenza e quella conoscenza. Avendo presente Aristotele si pu capire
che sta saltando tutto l'armamentario che Aristotele organizza
per il principio, ma sta saltando non perch il fine di questo
discorso di fare nascere il principio,o di determinarlo o di
capirlo ma per capire in vece l'apora nei suoi confronti col
principio, cio per capire il fatto che a questo punto ha aporia
cio ha transizione privata talmente da essere questo il perno
sul quale l'apora insiste, in questo modo per cui riesce a rizzare questa verticale per mezzo della quale il principio finito o diventa finito.
In questo senso l'apora come avere transizione privata a
questo punto ci che riesce in qualche misura a farmi capire
del principio finito ci che il principio da questo punto di
vista, perch da questo punto di vista ci che riesco finalmente
a capire del principio ci che possiamo chiamare la sua axa:
del principio l'essere xios, cio del principio l'essere la forza che capace di trascinare, di sollevare, allora il principio
pu rimanere finito, l'arch non l'arch perch semmai l'axa
o xion, cio come questa forza neutra direi quasi brutale assoluta senza giustificazioni, senza giudizio senza concetto e per
con l'apora e per con quel fondamento che l'apora per cui
dobbiamo dire che il non riuscire a non pensare pi l'arch come
arch, riuscire a non pensare pi il principio come principio
perch il principio ha fine nella sua stessa forza di sollevamento, nella forza che esso di sollevare fino a s il fondamento
cui , e allora il principio ha fine, o non perch tutto
questo. Non possiamo dire il principio cos' o dov', se a
sto punto il principio in quanto finito, ma il suo essere finito corrisponde all'axa del principio cio a questa forza, a
a questa potenza di sollevamento del fondamento,
questa
l'axa del principio riguarda il fondamento, allora il principio
finisce in quanto riesce a tirare fino a s il fondamento, ma il
l'aporia in questo tipo aristotelico di questioni,
e il fondamento l'aporia se dicendo aporia abbiamo pensato l'
peiron, allora possiamo dire che il fondamento la transizione
privata o dobbiamo dire che il fondamento l'apora? La fondatezza la transizione privata, lo stato del fondamento ci8 che
l'apora , ci che l'aporia , fondamento rispetto a ci che
il principio diventa in quanto finito e quindi in quanto axa
cio dell'aporia, ma in tanto il
non di s ma del
finito, in quanto il fondamento
quanto
in
principio pu essere
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citore delle conoscenze e in questo senso il sistema di conoscenza come sistema delle conoscenze non mai veramente sistema nel
senso speculativo perch lo speculativo in questo senso non possibile in quanto il soggetto, per dovere rimanere soggetto, ha
bisogno di fare sempre da tramite per le conoscenze, per cui lo
speculativo di questo discorso corrisponde all'esaurimento del
soggetto nell'oggetto, la coincidenza con l'oggetto conosciuto:
ma questo accade quando una sola conoscenza diventa sistema di
conoscenze. Lo speculativo, a questo punto, nell'ambito delle conoscenze e della conoscenza, possibile solo quando una conoscenza rimane o diventa unica per cui l'essere unica fa di una conoscenza il sistema di conoscenze, in questi termini nei quali quando vogliamo parlare di soggetto assoluto di conoscenza ce la caviamo sempre con il parallelo teologico, dicendo che infatti Dio
in quanto conosce solo s stesso ma non perch incapace di conoscere gli altri ma in quanto si adegua al suo essere
soggetto di una conoscenza che riguarda solo s stesso ma in quanto assolutamente tale. Il contrario di questo il pensare: riusciamo, da questo punto di vista, a rimanere in piedi in questa
verticale di cui parliamo perch il pensare non esaurito nella
sua capacit di principio perch il soggetto conoscente corrisponde a una capacit di stare a principio di , il pensare non
esaurito nella sua capacit di principio da ci che esso nella
traiettoria dall'apora al principio come termine dell'apora,
per cui appunto il pensare non ha bisogno di conoscere, non ha
bisogno delle conoscenze e diventa semmai il principio di giudizio della conoscenza come tale, perch solo in questo modo possibile che la verticale torni a distendersi perch il tornare a
distendersi il rendere speculativo il soggetto come uno stare
a principio o anche per mezzo del suo non essere il principio del
sistema di conoscenza. Allora posso conoscere il sistema di conoscenza anche quello assoluto senza essere esaurito da ci che
questo sistema di conoscenza assoluto , posso conoscere il sistema di conoscenza anche assoluto perch penso; posso conoscere anche quel sistema di conoscenza che l'esaurimento o l'esaustione assoluta di ogni soggetto e di ogni oggetto, che chiamo dio
perch penso, e allora dovremmo dire che Dio al principio ha un
dovere fondamentale che quello di essere capace di stare a fronteggiare questa capacit del pensare che riguarda proprio questo
stare a principio e in questi termini anche Dio ha i suoi doveri
-erso il pensare perch in un certo senso: Dio non ha bisogno di
pensare anche perch quando ha pensato ha soltanto generato, mentre invece quando noi pensiamo non generiamo.
). - Aporia, transizione privata e
potenza di apora.
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senza passaggio, avere il senza passaggio nel senso per cui avere il senza passaggio come transizione privata fa lU1 essere che
dell'avere apora, essere avuto, e l'essere avuto n dell'apora n della transizione, l'essere avuto puro, cio a principio,
a ridosso, nel momento nel quale ha apora sa da che cosa generata dopo li s perch sa s stessa nei termini in cui rende aporetico lU1 discorso solo perch rendere aporetico lU1 discorso (:
fare illl'apora, rendere difficile lU1 discorso lU1a capacit di
ma non una capacit di difficolt pura lU1a capacit di difficolt impura letteralmente parlando, ti.na difficolt
dovuta a chi piegabile a questo per cui, per esempio, nel caso
di questo tipo di questioni, come se Aristotele riuscisse a mettere su lU1 1 apora nel limite nel quale qualcilllo o qualche cosa
gli consente questo e dilllque nel senso nel quale Platone gli consente questo, nel senso nel quale il discorso platonico pu essere piegato fino a quel punto in cui diventando aporetico non interessa pi in quanto aporetico ma interessa in quanto, reso aporetico, rende non aporetica l'apora, ma rende visibile lU1 fare
che fare l'apora.
Non facile non perdere la bussola in questo doppio momento in qualche misura di generazione perch nello stesso momento
nel quale l'apora lavora all'altro in realt lavora a s stessa
senza essere ancora (l'apora in senso speculativo, non in senso
pratico), per cui sempre una necessit sempre commischiata con
mille elementi. Invece da questo punto di vista che potremmo chiamare speculativo, e speculativo, relativamente al piano aporetico di questi temi e di queste questione, speculativo vuol dire
la capacit di non perdere la propria identit comilllque sia tra
impurit e purit, cio il proprio essere, l'essere proprio di
s non confiscabile dai termini che contrariano il proprio essere, che contrastano tra di loro per mettere a morte chi sta in
mezzo a metterli assieme, allora in questo senso dico che non
facile colpire l'apora nel momento nel quale essa nel momento
generativo perch in questo momento per lU1 verso abbiamo una dir...nsione impura del discorso, speculativamente parlando, impura
perch una dimensione di discorso che presuppone l'altro e quindi presuppone la latenza di un rapporto mitico, occulto; in un
certo modo come se noi dicessimo che presuppone di nascondere
che in realt io sto parlando con Platone ma ignorando Platone
per parlando con Platone ed allora in questo senso dico rapporto ad un discorso platonico, soprattutto in questo caso, reso aporetico ma non perch l'essere aporetico sta a significare qualche cosa che interessa il discorso platonico ma sta a significare qualche altra cosa che interessa che cosa rende aporetico questo stesso discorso; e ci che rende aporetico questa capacit
pura, e non la sua impurit perch la sua impurit corrisponde
all'ignorare ci cbn il quale l'ignoranza non possibile, e non
dico ci del quale ma ci con il quale l'ignoranza non possibile percha trovarsi assieme con uno e, in questo trovarsi con,
153.
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!ito essere costretti a non pensare essere bloccati alla transizione privata, essere fermi alla transizione privata, essere
capaci di accrescere innwnerabilmente la transizione privata, s
senza armonia, senza numero, perch a questo punto come se la
transizione privata avesse bisogno di rimanere senza ordine in
questo status proprio, perch come se dovesse fare essa stessa
da chaos al cosmo che gli sta accanto, che gli sta attorno. Ovvero: il mondo i mondi, da questo punto di vista, cio: il mondo,
ci che pensiamo, ci che amiamo, ci che conosciamo, ci che
sentiamo, ci che temiamo, non mai il mondo, sempre i mondi,
questa necessit di cosmo rispetto a ci che lo fronteggia, che
fronteggia il cosmo come questo ohaos. Da quan4o si scoperto,
si inventato la parola chaos, si sempre aggiunto originario:
il chaos pare che non possa essere se non originario, non c' E
chaos che non sia originario; e in questo senso noi siamo tutti
scusati e consolati dal fatto che in realt storicamente di chaos
non siamo capaci, perch non possiamo essere capaci storicamente
di chaos originario in quanto chaos originario, .o al principio
o non , cio o questa transizione privata accresciuta, gonfiata dalla capacit dei mondi come cosmo necessario o non . Ma questo appunto dalla parte delle apore a partire dalla transizione
privata. Per tutta questa parte chiaro che la transizione privata non ha neanche bisogno di essere pensata come privazione della transizione, perch semplicemente il puro passare; qui puro
nel suo senso pi banale, il suo passare pi indolente, cio
il passare sul quale tutto pu passare senza lasciare traccia,
e quindi puro in questo senso assoluta.mente banale. Ma di qua da
questo, per quanto la transizione privata , cio per quanto la
transizione privata in quanto come l'avere apora, per questo
la transizione nel suo essere la struttura dentro la quale la privazione viene tutta resa secondo s stessa, tutta, potremmo dire,
nascosta, in questo senso la transizione fa da principio alla B
stessa privazione e dirige la privazione verso il principio. Per
cui: ma l'avere apora, l'essere avuto, senza principio, vecontro
ramente in questo senso senza principio, ma non
il principio, perch contro s stesso, cio: l'essere avuto
contro l'essere avuto;e allora senza principio per questo essere contro che riguarda proprio s stesso; essere avuto contro
stesso, in questo modo per cui essere avuto, se contro s stesso,
che significa? Il non aversi, il non avere s, cio: l'avere apora transizione privata, il non avere s. Potremmo dire: questo
essere avuto contro s stesso, perch senza principio; non contro
s perch contro s, ma questo diventare contro s stesso, perch
senza principio; perch senza principio, dalla transizione privata che, da questo punto di vista, non pu essere privazione della transizione, se non nel senso in cui la privazione a questo
punto usata dalla transizione perch viene fatta transire verLv il principio; per cui dalla transizione come si determinasse questo calcolo, non questo possesso, questo calcolo del priva157.
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re
_,
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re awto.
Perci noi poeeiamo capire che ci hanno insegnato a capire
che l'essere non contro l'avere, ci hanno insegnato, da un certo punto di vista direi anche classico, che non contro l'avere;
se contro, pu essere contro qualcosa che sia il suo corrispettivo immediato, perci non pu eseere contro qualcosa che non eia
il suo corrispettivo immediato, perch dovremmo dire cosi: classicamente parlando, l'avere toglie l'essere, nello stesso senso
per cui quando ci hanno detto o ci hanno insegnato ad accettare
di pensare ohe l'essere si divide nell'essere come essere e nell'essere oom.avere l'essere (e quindi la differenza fondamentale fra l'essere assoluto e l'essere relativo). Quando ci hanno
insegnato ad accettare di pensare a questa maniera, in realt
come se avessero voluto insegnarci a scavare nell'aporia non in
ci che essa in apora, ma in ci che essa diventa dopo che
stata toltar per modo ohe, tolta l'apora, pu essere facile mettere a posto 1 rapporti fra essere e avere; viceversa, i rapportt fra essere e avere non sono facili da questo punto di vista,
perch l'avere nell'essere tutto intrinsecato all'essere, cio
nell'essere l'avere l'unico rif%essivo ohe l'essere pu avere
anzi, addirittura, ohe l'essere pu assere; per cui noi non potremo mai pensare l'esserei. Possiamo pensare l'essersi? Possiamo
penee.re l'essersi di Dio? Possiamo pensare l'essere che riflette
l'essere? Possiamo pensare l'aversi di Dio come essere;
l'
essere pu riflettere di s oib ohe poi, fuori da questa riflessione di s, appare contrario all'essere stesso; ma questo non
in aporia, queeto quando l'aporialdeoaduta, perci gli enti siamo e peraib l'Ente 1 perci l'Ente vuol dire; perci l'ente
la ri!lesaione massima da11asaare; perci sli enti siam.o vuol
direi gli easeri minimi ritleaai.
Se questo stesso diaorao ai fa in aporia, in aporia l'essere l'e11ere avuto, oio' l'essere intrinseco al suo riflettere 14s per oui intrinseco al auo riflettere
non pu essere
ee non e111r1 avuto a questa maniera, per cui allora aporia, da
que1to punto di vista, ohe 001& ae non aversi, avere s, in
que1to 11n10 perb per'oui
un avere a
un avere
' r1tl111ivam1nte tale, per cui nell'avere a4 oib ohe lega non
l'avere ntl 11 ad, ma l'1a11r11 nell'avere a4 cib che lep
qu11ta oapaoit di ri!l11aion1 ohe rimane pur aempre l'essere,
1 ohe rimane l'1111r1 a qu11ta maniera.
B1 da
punto di viata noi poi&mo comprendere eh.e l'
a111r1 avuto, per una parte, nella 1teaaa parte di
a
qu11to punto radioal1,
laaoiato aenaa principio perch' il princ1 p1o 1t1110 la101ato a atl at1110, da
punto di -.tata
noi dovremmo dir ohe non po11iamo p1n1ar1 aporia, perch' non poaiamo u&r n111una srammatioa per cominciar una aporla; non poa-.
eiamo p1n1ar1 da qu11to punto di vi1ta l're avuto percb' non
po11iamo oominoiar1 una aporl.a. O in altri tv.inii non poeailllK>
p1n1ar1 in apor1ar 1 non po11iamo pensare in aporia,
non
160.
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possiamo cominciare una apora, non possiamo conoscere il principio talmente per cui conoscere il principio pu significare esso
stesso fare da principio a ci che giudica ci che pu essere legato al cominciare, al conoscere il principio, ci che fa da giudizio tra conoscere il principio, cio cominciare, e una aporla,
e apora come essere una soltanto perch determinata eventualmenLle dal giudizio come ci che nasce dal principio, determinato dal
principio, dal giudizio come ci che nasce a ridosso di ci che
diventa principio in quanto a questo punto il principio ci che
pu diventare tale soltanto perch conoscere il principio pu essere principio di eiudizio. Ma pu essere principio di giudizio,
giudizio nel doppio senso nel quale si pu intendere a questo modo: giudizio, ci che lega in quanto fa spazio tra, direi proprio
alla tedesca, in quanto profondamente estrae le radici per mezzo
delle quali l'estrazione della radice spacca ci che chiede di
essere unito e spaccando tiene unito; per cui fra cominciare e
apora noi possiamo dire: dalla profondit delle radici dalle
quali possibile giudicare, da questa profondit come se na&
scesse questa capacit di dividere che unisce, cio questo che
a questo punto principio di giudizio, che per
possiamo
non , da questo punto di vista. Non vuol dire: che per non
aporia non ; e per suanto una apora non vuol
per quanto
dire: per quanto una apora non legata al cominciare, non in
quanto non perch, e qui come se potessimo usare il giudizio
come questa estrema possibilit che rimane sempre possibile, per
cui un giudizio che a sua volta non giudica, cio non si esercita se non a questa maniera di eventualit assoluta, per cui appunto una apora che non e non in quanto legata al cominciare, per cui non proprio perch non da ci che la fa essere,
non in quanto legata a ci che la fa essere. Se noi diciamo che
cominciare una apora non pensabile e quindi da questo punto
di vista non e non perch il principio di giudizio non o
il giudizio non ha principio, se diciamo in questi termini, stiamo per dicendo che tutto questo in qualche modo, dall'
apora come essere avuto, che transizione privata, in un qualche modo viene reso privato di s.
Tutto questo: cio cominciare una apora, cio conoscere il
principio per modo che questo conoscere il principio verso una
apora non in quanto legata al cominciare
apora mi d che
cio al conoscere il principio, tutto questo privato di s stesso; e se tutto questo privato di s stesso, dovremmo dire o dovrer.lr.10 concludere: dunque una apora ; se tutto questo privato di s stesso, dunque una apora . Voglio dire: dunque una apora , senza il suo essere cominciato; o addirittura: dunque,
apora , e cio l'essere cominciato non riguarda l'apora, in
termini a questo punto radicali perch dovremmo dire: l'essere
cominciato riguarda il cominciare solo perch cominciare significa conoscere il principio, solo perch cominciare conoscere il
principio. Z da questo punto di vista quando noi usiamo il verbo
161.
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mio eguale Dio sopratguale che sia veramente eguale Dio, il -' .
tntto se mio in quanto io sono dal non o sono come non
terremosolo per capire l'inciden za di
to aporetico , da questo punto di vista; di questo terremoto aporetico per mezzo del quale noi riusciamo allora a comprende re o
dovremmo riuscire a comprende re che allora conoscere il principio ,
cio il cominciar e, tale in questi termini per cui noi non possiamo avere una apora, se non nel senso per cui avere una apora
significa apora in qualche modo in assoluto, soltanto perch il
principio lasciato a s stesso, non solo, ma perch da questo
eventualm ente lo stesso pensare lasciato al pensare. In fondo
il terremoto aporetico consiste nel fatto che dall'apor la l'essere senza principio si pu ribaltare fino al pensare, e fino al
pensare in modo tale per cui il pensare stesso che rimane senza principio . E a questo punto scatta un discorso grave, perch
a questo punto come se l'apora dovesse rimanere la comprensi one di ci che essa in quanto senza principio , il comprende rsi
come senza principio , in modo tale per cui l'apora che comprende s come senza principio in realt non pu essere senza principio, perch il senza principio se , per il pensare, dall'aporia il senza principio se , per il pensare. Questo discorso,
cominciar e, cio conoscere il principio e cio cominciar e una apora che non , per cui poi una apora , sta a signif_ica re in
parallelo il discorso per cui dalla transizio ne privata tutto
questo viene privato di s e dunque'un a apora ; allora, a queapora significa la tosto punto una apora , sapendo che
talizzazio ne del conoscere il principio come cominciar e una aporia, e come cominciar e fino ad una aporia; tutto questo totalizin s, se mi d una aporia (mi d una aporia in quanto privato di s, una apora in quanto appunto il cominciar e come conoscere il principio fino ad una apora dalla transizion e privata riceve la privazion e di s, per cui tutto questo privato di
s, come una aporia), se una apora a questo punto , una aporia soltanto se lo stesso pensare come senza principio , cio
pensare come senza principio fa a questo punto da equivalenz a del senza passaggio , puramente , semplicem ente, soltanto se pensare a questo punto equivalen za del senza principio
il
o apora come
e del senza passaggio ; per cui
senza principio come senza passaggio . Ci in cui o per cui apora
una non l'wio dell'apor a, ma l'uno del principio e del passare-in quanto senza e senza, cio del principio e del passare in
quanto mancanti di s stessi, mancanti il principio del principio ,
mancante il passare del passare, allora sospesi al pensare, per
cui come se a questo punto il pensare si trovasse a dovere fare da nutrice, da allevator e, da balia di questi due termini che
in qualche modo gli competono per inerenza che sono il principio
il principio per tutto ci che il principio
e il passare: che
non , che il passare per tutto ci che il passare ; ed come se a que;to punto il pensare fosse costretto a dovere rendere
una
164.
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ra: l'equival enza che il pensare , l'equivale nza nei confronti del principio , in quanto il principio a questo punto viene
spaccato in due o reso il principio sia verso sia contro, dal pensare; per cui questa equivalen za, in un certo senso, come se
mi inducesse a pensare non perch mi fa pensare il principio , ma
perch mi fa pensare che l'unico modo di avere rapporto al principio di avere il rapporto al principio in questo doppio modo
cui si verso il principio e contro il principio , verso e
identicam ente contro. Ma tutto questo, dal punto di vista non radicale del pensare.
Teniamo sempre presente il limite di questa questione che
, e potr sembrare strano, aristotel ico, pur sempre il limite
che nasce dall'che i d'aporan , il limite che nasce dall'aver e
apora, perch in realt il terremoto aporetico si esprime in
questo solo fatto fondamen tale per cui possiamo dire a un certo
del principio non , non possiamo avere apora
punto:
del principio ; e per addirittu ra possiamo lasciare il pensare
senza principio , cio possiamo ridurre il pensare alla stessa maniera alla quale stata ridotta l'apora; o, se vogliamo, l'essere avuto che l'apora , radicalme nte, a questo punto tale
per cui questo essere avuto in qualche senso e in qualche modo
riguarda anche il pensare; anche il pensare rischia il suo essere avutq, da questo punto di vista, appunto perch anche il pensare rischia di essere lasciato a s senza principio ; ed evidente allora che tutte le soluzioni dell'apor a significan o scioglimento dell'apor a. Mi pare logico, fatale a questo punto, necessario, perch scioglier e l'apora, da questo punto di vista, significa recuperar e lo spazio di unit fra principio e pensare,
cio significa in qualche modo non cominciar e per dire: cominciare una apora cio per lasciare l'apora incatenat a a questa impensabil it al principio , in quanto non posso pensare conoscere
il principio fino a questo punto per cui posso continuar e, per
mezzo del giudizio, verso una apora; non posso pensare fino a
questo punto per cui pensare fino a questo punto significa
scire a pensare in quanto conoscere il principio , cio il cominciare, ci che penso, perch se il cominciar e ci che penso,
ci che penso come cominciar e necessaria mente legato a ci che
continua e quindi ad una apora. in quanto una apora significa
la impossib ilit di bloccare il pensare sul cominciar e, di fissare il pensare al conoscere il principio .
In questi termini l'apora come se riuscisse ad avere questa potenza per mezzo della quale condizion a il pensare a ci al
quale essa stessa condizion ata, in termini tali per cui ci che
scioglie l'apora la riconquis ta da parte del pensare del principio, cio ci che scioglie la apora questa affermazi one: il
pensare ha un principio ; o, se vogliamo, il pensare ha principio ;
il pensare ha cominciar e, il pensare possiede cominciar e, il pensare possiede conoscere il principio . A questo punto diventa necessario il principio in quel modo per cui il principio deve es166.
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pria nascita, il varco del proprio princ1p10 proprio perch riesce a fissare il gnorimotten sull'arch lasciando per s, giudizio, l'altra fatica di fissare l'anyptheton per il pensare.
4. - Appropriazione dell'anankion, esclusione dell'anyptheton
ed inizio dell'apora.
Dunque: il gnorimotten proprio del principio, appartiene
al principio in quel modo per il quale l'anyptheton invece adsato al pensare. Direi che tutto questo che accaduto, perch
si pu dire che veramente accaduto dal punto di vista dell'chei
d'aporan, tutto questo che ha reso dirompente l'aporia al suo
principio, in realt accaduto in questo modo per cui non riguarda l'aporia, ma il principio. L'aporia non pretesto per parladi principio, anche perch si profilata una potenza dell'aporia come potenza di aporia, nei confronti del principio; quindi l'apora non occasione per dire il principio o qualcosa del
principio, ma come se l'aporia, inchiodata a questa sua inizialit difficile e facile, per ci stesso condizionasse in questo
modo determinato il discorso per cui il discorso condizionato m
sbatte fino al principio in modo tale per cui questo sbattere fino al principio sbattere verso e contro il principio. Ecco perchJ stiamo cercando di comprendere chei d'aporian, non l'aporia
o un'apora o le aporie nel loro testo; stiamo cercando di
prendere l'chei d'aporian, e cercare di comprendere questo ci
ha in un certo senso obbligati ad obbligare il principio ad esprimere s fuori da quell'essere detto del principio che reclamerebbe di essere detto attraverso un dire il principio per s. Cercare di comprendere chei d'aporan ha obbligato s stesso perch
il discorso, questo cercare di comprendere l'chei d'aporan, ha
obbligato se stesso a sbattere fino al principio in modo tale per
cui come se a sua volta avesse obbligato il principio ad essere detto indipendentemente da ci che il principio richiede o obbliga o implica come di!e s per s, come dire il principio per
il principio intrinsecamente al principio.
Allora va chiarito questo elemento essenziale del piano di
fondo del discorso: l'aristotelicit di questa questione che si
sta occupando del principio consiste proprio in questo, dunque
non consiste nella lettera aristotelica, nel testo aristotelico;
allora non che io sono o non sono infedele ad Aristotele; da
e_. .. .JSto punto di vista non problema di comprendere o di decidere se questo discorso interpreta Aristotele veramente per cui facciamo o non facciamo questioni aristoteliche, per cui questo tipo di questioni ci pu intrappolare nel vischio astratto di decidere di fedelt?{ o adulterio. D'altra parte se stiamo parlando di
Aristotele o stiamo cercando di pensare con Aristotele, cos come Aristotele h:'. pensato, come accade che non ci ritroviamo in
Aristotele quando leggiamo Aristotele o non ritroviamo Aristotele leggendolo? !{on per ragione di metodo che potrebbe essere ra-
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170.
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il princip io come se il nulla e il niente in un certo senso condiziona ssero a loro volta il princip io, fra il princip io e il suo
essere gnorimo tten, se il princip io qualcos a come s l'appro priazion e dell'ana nkion, l'appro priarsi dell'ana nkion, cio
l'essere come necessa rio: l'essere come necessa rio in quanto princ1p10, dunque il non essere necessa rio, dunque contratt ivamen te
il non essere necessa rio. L'essere come necessa rio in quanto principio , per inferen za assolut a dal princip io stesso che
il princip io, il non essere come necessa rio per questa necessi t
contraz. ione interna al princip io per cui il princip io sparisce
negli stessi termini per cui non sparisce se lo guardiam o dal JI
punto di vista iniziale (per cui l'essere come necessa rio in quanto princip io) e proprio per questo l'essere come necessa rio in
quanto princip io signific a in un certo modo il princip io di sparizione del princip io per cui rimane cos il non essere necessa rio che legato all'esse re come necessa rio in quanto princip io
necessa riament e. Ecco perch, da questo punto di vista, ci per
cui la necessi t gioca una parte cos apparen temente decisiv a x
nei confron ti del princip io, nell'am bito di ci che riguard a il
princip io, sta in questo punto fondame ntale che corrispo nde al
fatto che il princip io come se garanti sse al conosce re di non
fargli riuscir e a seguire il movimen to della necessi t; come
se il princip io si costitu isse garanzi a assolut a per mezzo della
quale il conosce re viene assicur ato alla sua consiste nza, quindi
al suo eserciz io, alla sua scienza fondame ntale che corrispo nde
alla sua capacit di non seguire il movimen to della necessi t,
cio alla sua capacit di rimaner e inchiod ato alla necessi t senza movimen to interno alla necessi t stessa: ma appunto per mezzo
del princip io o per mezzo di ci che in qualche modo noi stiamo
riuscend o ad addossa re al princip io come gnorimo tten. Tutto questo infatti , ha un senso soltanto se noi, dal punto di vista aristotelic o, risolvia mo il gnorimo tten nel princip io, cio soltanto se riusciam o a rischia re talment e la partita specula tiva su
questo punto-l imite per mezzo del quale rischio ,noi riusciam o a
risolve re il pi noto in assoluto nel princip io stesso a questo
.-. .;.do: dunque il princip io gnorimo tten, ovvero l'essere il pi
noto in assolut o signifi ca che il pi noto assoluta mente tale
del princip io e, perch assoluta mente tale del princip io, allora
inerent e in tutta la sua possibi le esisten za soltanto al principio e soltanto al princip io in modo tale per cui fuori da questo
il gnorimo tten non , il pi noto in assolut o non , non nel
senso banaliss imo per cui, fuori da questo, sono i noti in
la misura in cui i noti signific a i noti che sono incasel lati x
nelle ordinaz ioni computa tive della ragione (nel senso tommasi ano di ratio),r egola interna di questo movimen to che pu essere
seguito nel suo stesso divenir e. In realt cos l'aristo telicit
di queste questio ni consist e tutta nella possib ilit di ridimen sionare il rapport o tra gnorimo tten e anypth eton rispetto all'
arch; proprio perch l'arch gnorimo tten in questo modo che
171
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strutturarsi fra principio e gnorimotten, noi dovremmo concludere che c' un principio di ed un principio dell'anyptheton t
dello stesso principio gnorimotten; per cui la formula aristotelica del principio sarebbe la seguente: ..!.!....Erincipio in quanto
gn.orimotten principio di anyptheton, ma cos non , perch
aristotelicamente sappi8.Mo che la formula del principio un'altra, altro, non un'altra, perch non possiamo neanche dire che
formula, perch il
il principio di non contraddizione sia
principio di non contraddizione appena dire l'arch nel senso
in cui Aristotele vorrebbe convincerci che l'arch gnorimotten
eanyptheton.
Dobbiamo dunque concludere da questo punto di vista: l formula del principio di non contraddizione assolutamente, (assolutamente 0. ci che deriva dal gnorimotten) altro aristotelicamente e altrettanto aristotelicamente al contrario, coCTpletamente, assolutamente al contrario, perch sto dicendo che la formula del principio di non contraddizione altro, dunque altro cade fuori dal principio per mezzo del suo essere gnorimotten. E
allora rendiamo giustizia ad Aristotele: perch l'errore? Cio
perch questo
perch questo svincolamento
s? Perch coper
tale,
come
apparire
ad
l'anyptheton
me se Aristotele avesse anticipato in qualche modo di capire, s
senza averlo potuto pensare, di capire cio di possedere, ma senza riuscirlo a pensare, capire che altro ci che fa da corriQ
spettivo proprio al principio di non contraddizione; formulato
il principio di non contraddizione in realt ho formulato altro,
e allora l'unico modo, diciamo cos, di difendere questo evento
del principio di non contraddizione era di obbligare il gnorimotten ad essere corrispettivo all'anyptheton, cio questo svincolamento dell'anyptheton, dell'incondizionato, questo apparire
del senza condizione non come ci che ci che deriva dal principio del principio, ma come ci che appare del principio rispetto al gnorimotten, in, con il gnorimotten, questo svincole.mento necessit assoluta del principio per mezzo della quale il
principio nasconde che la sua formulazione implica, contro il
principio, altro, che la sua stessa formulazione implica, contro
lo stesso principio, altro. E allora dovremmo dire: anyptheton
questo l'errore felice, cio costringere l'anynasconde,
verit,
ptheton a stare assieme al gnorimotten questo
banalissimamente con Heidegger, questo non-nascondimento. Abbiascoperto che quando abbiamo detto anyptheton a questo punto
detto: dunque la verit a-ltheia, cio non nascondimento, cio non nascondere ci che stai nascondendo, altheia in
questo senso ma non solo in questo senso cos banalmente greco,
non greco perch heideggeriano, heideggeriano nel senso in cui
tutti sappiamo che Heidegger ha scoperto che aletheia significa
non nascondimento, non in questo senso banalmente greco, ma in
quello molto pi intrinsecamente greco che vuol dire aletheia,
all'errore, perch non nascondimento in rapporcio questo
175.
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to al fatto che a fare da l:; 1t.1rio del non nascondir:iento l'errore felice.
i'.1a allora verit,
qualcosa , non perch non nascondimento, ma
se stessa, bisognerebbe riconoscere che qualcosa perch felicit dell'errore; solo in questo, quando e se
un errore felice o quando e se l'errore pu avere come termine
di s,
finisce nella felicit di se stesso, questa la verit,
sia verit significa che tutti lo sappiamo e che
tutti lo sappiamo corrisponde al fatto che questo che sappiamo
t:::, lo sappiamo perch non pi nascosto. Allora di nuovo, altrettanto banal:nenlia, significa appena che il pil noto in assoluto
come ci c;1e qualcosa del principio finalmente vero, non
nascosto ed non naflcosto significa caduto fino anoi; edessendo caduto fiii()'a noi dovremmo concludere che dlmque non il
qualcosa in assoluto del principio perch quel qualcosa in assoluto del principio che tale in relazione alla verit, a questa verit o a questo essere vero della verit, per cui dal principio arch gnorimotten a ci che finisce il principio, cio:
dal principio, come ci che il principio questo qualcosa di s,
gnorimotten, a ci che lo finisce, andiamo dal principio alla
verit. La conclusione che, se il principio vero, il suo essere vero significa il suo essere finito dalla verit, finito n
nel suo senso pi banale, cio ci che non nasconde finisce per
nascondere il principio, il non nascondimento implica nella terminazione del principio il nascondimento dello stesso principio.
E allora purtroppo, non per necessit mia o di questo discorso, purtroppo il discorso ricomincia, e forse per questo che
la filosofia ha avuto storia, perch da questo strano viluppo
interno che la filosofia ha potuto continuare a fare qualcosa,
a lavorare, perch la verit non bastata nel suo senso pi forte, perch proprio per s stessa perch verit ha ricondotto il
discorso sempre al principio, cio a ci che la stessa verit in
quanto non nascondimento finisce per nascondere assolutamente.
A questo si perviene a partire dalla potenza di apora; la potenza dell'apora, come potenza di apora, conclude dunque in una
. _!Cessi t del principio che consegue che il principio non necessario. La potenza dell'apora chiarirebbe che necessario che
il principio sia gnorimotten in quel modo per cui la conclusione la seguente: il principio in quanto gnorimotten, cio nel
suo essere il
noto, dovrebbe essere principio di anyptheton.
Questa la conclusione alla quale possiamo costringere sia Aristotele sia il discorso e quindi non possiruno, dal punto di via
sta dell'chei d'aporan, pensare che il principio sia gnorimotten e anyptheton. Una conseguenza fondamentale dell'apora non
aporetica, perch questa conseguenza fondamentale impedisce che
e;nori:notten sia i.1 parallelo con anyptheton; e cio impedisce
che il principio in quanto sia nell'essere il pi noto sia per
ci stesso aJWP
ton. Invece: il principio, proprio in quanto
nell'essere in assoluto il pi noto, non pu essere anyptheton,
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177.
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cere spettatori di ci che si svolge dal principio, 8a allora anche essere svolti da ci che si svolge dal principio, conoscere
in questo senso-limite per mezzo del quale ci che il principio
svolge di s in realt appartiene all'essere conosciuto di chi
conosce, in questo senso e in questi termini. ir1a da questo punto
di vista questo lo stesso in questi termini: dunque l'essere
del principio questo essere che in, questo essere nell'essere gnorimotten; perci questo pu sembrare principio secondo s
stesso perch questo pu sembrare principio in quanto lo svolgimento dal principio di ci che nasce dal principio coincide con
ci che il principio svolto al principio, per s stesso in s
se faccia"'!o il parallelo con l' apora, se noi rimaniarno fermi all'chei d'aporan noi possia'.no rimanere inpediti dal
fatto che l'apora continua talmente, si svolta talmente che
il suo svolgersi svolge anche la conoscenzP. relati va a questo.
Basta cominciare a leggere chei d'aporan ed come se fossimo
costretti a slittare fino alla conclusione dell'apora, dove conclusione dell'apora non vuol dire scioglimento dell'apora, ma
apora espressa tutta secondo s stessa.
Questo speculativo nella misura nella quale, indipendentemente da questa conclusione aportica, non siamo a nostra volta
svolti del tutto da ci che ci svolge come apora, perch noi rimaniamo come conoscenza di questo essere fermi al principio che
significa o rimane questo non letto fino in fondo chei d'aporan;
e quindi come se noi avessimo, dal punto di vista dell'apora,
la capacit o possibilit di rimanere fermi al principio, in quanto per l'apora gi svolta, o meglio in quanto non si pu dare apora che non sia svolta (la conseguenza tragica del discorso), cio non possiamo armunziare apora pura in un concetto per
mezzo del quale l'apora pura fa da svolgimento a s stessa: absempre davanti l'apora in quanto svolta, e quindi non si
d apora se non in quanto svolta. Questo vuol dire che non si
d possibilit di stare al principio dell'apora se non per mezzo di ci che la stessa apora svolta non consente del suo svolgimento iri'imite assoluto, in un passaggio assoluto. Allora a
questo punto il non passaggio assoluto non pu non essere se non
al principio, ci per cui lo stesso enunciato della parola apora
significare per s stesso enunciato. Questa possibilit di
fJtare a principio sta a significare che noi per un verso siamo
legati o costretti dallo svolgimento dell'apora ad essere svolti, addirittura svolti da ci che l'apora svolge, posti in pr&cesso da ci che l'apora stessa svolge. Per possiamo bloccare
questo processo nella it!lisura in cui bloccare questo processo significa
o possibilit o capacit di stare fermi a quel
punto-limite che l'unico punto-limite che pu essere punto-limite per un'aporn. o per l'aporia: lo stare al principio. r.1a non
nel senso in cui pu Aeribrare semplice, lo stare al principio
ci
lo stare fermi all'inizio, come pu anche essere o apparire:
stia!10 fermi all'inizio di un' apora, all' chei d 'aporan, inizio
1 '/:i.
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179.
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principio malgrado questo avere inizio che non ; principio la costituisce a principio.
Allora e in questo senso: dm1que l'essere costituita a principio dell'apora significa l'essere costituita a principio di
ogni apora e quindi non c' l'apora fondamentale; a questo. punto l'apora non pu avere fondamento se non in quanto il suo fonda:nento quell'essere senza fondamento che stare a principio
ovvero che il suo essere costituito a principio e quindi proprio per mezzo del suo essere costituita a principio, per mezzo
di questo, l'apora senza fondamento. Dunque: l'apora come
senza fondamento, non potr mai essere fondamentale, ma perci
ogni apora necessariamente essenziale.
La proposizione che viene fuori,
grave
la seguente: per quanto l'apora non fondamentale ner
ogni apora necessariamente essenziale.
Questo sta a significare che dunque il
che
l'apora ha,
l'essere costituito dell'apora a principio,
obbliga ogni apora ad essere essenziale. Ogni
apora, a questo punto, vuol dire rimediare alla mancanza del
fondamento, ogni apora non l'individuazione determinata di
ci che possiamo pensare apora come l'apora nel suo essere
costituito al principio, non questo, ma lo stesso essere costituito al principio dell'apora che necessariamente ha bisogno
di essere questo essere costituito a principio dell'apora, di
essere determinato per cui l'essere determinato dell'essere costituito dell'apora al principio che diventa ogni apora.
apora, cio la indivisione dell'apora dalla necessit di avere
una essenza propria, il non essere divisa dell'apora nel suo essere costituita senza fondamento, cio al principio, e quindi,
in questo senso, nel suo essere questo non avere fondamento, questo necessariamente obbliga l'apora a non dividersi dalla necessit di essere essenziale e dalla necessit di essere essenziale
in questo nodo per cui il non avere fondamento come se costringesse l'apora ad essere senza fondamento talmente seria, cio
talmente apora da essere questo stesso per s essenziale. Ma allora se ognj apora, e sto dicendo che ogni apora essenziale
necessariamente, proprio perch in questo senso nasce da questo
essere senza fondamento dell'apora in quel momento in cui l'apora costituita a questo modo ed cos essere al principio,
se nascesse direttamente da questo essere costituito dell'apora, ogni apora deriva necessarirunente da questo la sua essenza o ci che fa di ogni apora un'essenzialit coincidente con
l'aporia stessa. Questo grave: il traslato speculativo a questo
impensabile; non posso pensare l'essenza fuori dall 'apo1) ....
ra, il che vuol dire che l'essenza non compete direttamente al1 'essere nP. indiretta.nente all'essere e non c' pi problema se
l'essenza sia o non dell'essere per inferenza, deduzione o intuizione, perch l'essenza come se in questo senso fosse
ad
suo essere costituito che deve pareggiare, sopra ogni apo1
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l 'eeoenza e ci?> che fa apora non per l 'apora na per ogni apora;
ci che fa apora per ogni apora vuol dire ci che ha ioeni apora, ci che fa apora ad ogni apora
dentificato a
perci ricostituisce il suo essere senza fondamento secondo ci
che cos essenza , da fare di questo fondamento per tutto ci
che filosofia pu essere a questo punto. Cos fare da fondamento
alla filosofia significa la risoluzione di ogni diRcorso filosofico in questa attestazione semplicissima fondamentale: niente
altro posso pensare se non l'essenza.
Questo discorso veramente grave perch come se l'aporia,
.. ...:rma o bloccata al principio, che siamo riusci ti a tenere ferma
al principio finora, da questo punto in poi non solo non posso
pi tenerla ferma al principio ma neanche posso legittimamente
punto
perseguirla nel suo svolgimento proprio, perch a
fondamento
questo
l'apora diV8!1.ta tutte le apore che attorno a
possono essere per la filosofia ci che la filosofia non . Le
apore attorno a questo fondamento della filosofia per mezzo del
quale mi rassegno o mi riduco a questa proposizione fondamentale:
niente altro posso pensare se non l'essenza e quindi in altri termini come se niente altro posso possedere se non tutta la ricchezza del mondo; allora niente altro posso pensare se non l'essenza (attorno a questa proposizione fondamentale gli altri sono
quelli per i quali ci che non hanno tutto: gli altri sono i
poveri, per me che niente altro posso possedere se non tutte le
ricchezze del mondo gli altri sono i poveri, coloro per i quali
il non avere tutto). Se per la filosofia niente altro posso pensare se non l'essenza, le apore, cio gli altri che sono se non
ci per il quale il non avere essenza tutto, si catapulta qui
il discorso, proprio su questo punto specifico, per cui in questo
senso l'apora diventa estremamente dinamica malgrado s stessa,
perch a questo punto l'apora, malgrado sia costretta a s stessa, malgrado costringa a s stessa, in realt come se potesse
diventare a questo punto il principio dinamico delle apore senza apora. E' a questo punto che la filosofia nel suo senso pi
intrinsecamente speculativo coltiva o subisce o vive la sua difficolt perch allora, per questo verso di questioni, filosofia
.t essere tutto ci che corrisponde ad una ricchezza,, ad una plenitudine di conoscenza che per nel suo principio il minimo
del principio stesso perch il niente altro, l'essenza come
niente altro, per l'essenza che come niente altro mi compie tutto, o compie tutto il conoscere e dunque filosofia in realt pu
rimanere questo sistema della pienezza delle conoscenze per mezzo della quale noi stia.mo fermi, convinti del fatto che possiamo
pensare l'essenza, ma solo in quanto il niente altro: questa
riduzione del conoscere a questo suo pensare di principio al principio per cui al principio penso questa proposizione fondamentale per mezzo della quale dunque filosofia nasce o nascerebbe copossiamo attribuire le filosofie a questa propos.
E:izione: niente altro posso pensare se non l'essenza, ogni filo183.
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...
pu fare da materia l'infimo di essere per ci che non pu esecco la tautologia terribile
sere niente altro se non
di queste questioni. Quando abbiamo faticato una vita per pensare l'essenza, ci troviamo legati in un circolo vizioso per cui
abbiamo scoperto che abbiamo girato in tondo perch appunto l'infimo di essere, quando diciamo l'infimo di essere, per ci stesso non possiamo dire se non per niente altro che perci allora
essenza, e perci non essenza al principio, e perci in qualche modo, a questo modo, cio aristotelicamente, perci non pu
l'essenza ma gnorimotten: il gioco veramente pesante
a questo punto aristotelicamente. Infatti dove sta la vera polemica aristotelica contro Platone? Sta in questo tipo di questioni interne all'essere nell'essere il pi noto da parte del principio che impedisce l'essenza malgrado costringa all'essenza, e
allora siamo legati ad una dialettica per la quale ci vorr Hegel
per scriverne il testo evangelico. Ma la dialettica sta qu, la
dialettica nell'interno di questa unica parola, tutta la dialettica possibile che possiamo in questo limite pensare tutta
spressa in questo legame tra il principio e gnorimotten, perch
a questo punto dialettica sta a significare questo impedimento
dell'essere, questo impedire l'essenza che per costringe all'essenza; a questo modo, per cui noi aristotelicamente ci possiamo
intendere benissimo per dovere comprendere che allora la polemica antiplatonica a questo punto polemica non gi contro Platone, ma polemica contro la sophia che in qualche misura non riesce veramente ad essere philo-sophia nel suo senso pi drammatico, perch la polemica contro la sapienza, contro il sapere,
contro il rapporto diretto all'essenza che nasconde o in qualche
modo ha bisogno della philia della sophia, cio dell'amicizia con
se stessa per nascondere il fatto che questa amicizia un'amicizia spontanea in questi termini: siamo talmente amici dell'essenza platonicamente per cui abbiamo bisogno di dirci amici per nascondere in realt che non riusciamo a vederci come amici distintamente da ci che siamo come inerenti all'essenza.
Ecco perch ogni platonismo in fondo costringe non a pensa- l'essenza, ma ad essere conosciuti, ad essere pensati dall'essenza; e le diversioni tra i platonismi sono le diversioni tra
i soggetti che mi conoscono nell'essenza, le diversioni stanno
nel soggetto che mi pensa, che mi pensa nell'essenza e quindi in
questo senso possiamo dire, da un punto di vista strettamente aristotelico, che polemizzare contro Platone significa polemizzare
in realt pi propriamente non gi contro la filosofia, ma contro
la sapienza: la polemica non polemica tra filosofia e filosofia,
ma polemica tra filosofia e sapienza; sapienza in una accezione molto limitata e limitante ma comunque sapienza, e sapienza
qui vuol dire molto umilmente la presunzione di vedere l'essenza,
la presunzione, nel suo doppio senso psicologico e speculativo,
nei sensi tematici, perch sono le presunzioni che fanno venir
fuori anche i santoni della vita pratica o i santerelli della vi188.
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ci che il principio non in quanto principio ma in quanto essere nell'essere il pi noto, essere in quel qualcosa per mezzo del
quale ha principio la dialettica, o per mezzo del quale ha un
principio dialettica, in questo senso per il quale se riusciamo
in qualche misura a fare essere un principio della dialettica,
l'arch in quanto gnorimotten in questo senso principio di che
cosa? E ci che fa da un principio a ci che dialettica in questi termini non legato a ci che arch in quanto gnorimotten?
Ed ecco la questione per la quale come se Aristotele avesse anticipato oscurrunente queste carte dialettiche e si pu capire,
da un punto di vista pi pesante, il vincolo all'avyptheton, al
quale non possiamo nemmeno incominciare a interessarci a questo
punto.
Leggere letteralmente come leggiamo che necessario che
il principio sia il pi noto e incondizionato (e abbiamo in qualche modo visto che cosa il principio in quanto gnorimotten non
in quanto principio, ma in quanto gnorimotten, abbiamo visto che
cosa principio dal punto di vista di ci che chei d'aporian
significa come stare al principio, in modo tale per cui non possiamo pensare l'aporia del principio, ecco perch possiamo leggere e leggere arch gnorimotten, avendo in qualche misura compreso ci che arch in quru1to gnorimotten) a questo punto in qualche modo risolutivo, potere capire perch Aristotele abbia dovuto pensare il vincolo tra gnorimotten e anyptheton, perch
se noi riusciamo a capire arch gnorirnotten in questo senso per
il quale significa questo essere nell'essere il pi noto, questo
come se fosse a sua volta costretto a definire diversamente da
ci che si pu definire a partire da questo s stesso; se arch
gnorimotten, se principio nell'essere il pi noto, come si
fa a non correre il rischio di perdere il principio? Il discorso
mi pare empirico; una sorta di avvertenza che non ha bisogno
(: essere pensata per essere sentita, una sorta di sensazione
che il principio ci d di s, come se istintivamente sentissimo la perdita del principio, cio come se istintivamente sentissiun!i la fuga del principio in tutto ci che pu essere definito
a partire da questo; per cui definire il principio come ci che
nell'essere il pi noto a questo punto dovrebbe significare
perdere il principio, per quanta forza il principio di ci che
per mezzo di questo posso definire e posso definire e conoscere,
se posso definire e conoscere per mezzo della chiusura in s di
ci che conosco. Per quanto forza principio , in questo senso,
per altrettanto debolezza il principio per s, tanto vero ChJ
dire che non possiamo dire che cosa il principio, e
per possiamo conoscere tutto ci che conosciamo per mezzo di questo: aristotelicamente parlando noi non possiamo pensare che cosa il principio, ma non vero nemmeno questo, non che non
possiamo pensare che cosa il principio, si che nemmeno questo
possiamo sapere, nemmeno questo possiamo conoscere perch sentiasesto senso, con un senso senza senso, col senso che
mo, con
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cipio ha bisogno per mezzo del quale il princ1p10 perde s stesso, fugge da s, fugge in realt dal suo essere senza quantit
propria per dare quantit agli altri, cio alla unit del conoscere nelle conoscenze; ha bisogno di ci che gli fa da canale per
mezzo del quale questo suo perdere s pu essere non per s ma
per chi questo subisce e quindi per chi in questo fa da essere
corrotto fino al conoscere. Per questo il principio non pu essere solo gnorimotten, perch se fosse soltanto gnorimotten, se
fosse in assoluto vincolato solo a questo, chiaro che il principio vincolato solo a questo in realt dovrebbe essere detto molto pi chiaramente principio s, ma principio di corrompimento del
soggetto pensante, e basta, nelle conoscenze del soggetto pensante, per mezzo del senso senza senso che il soggetto pensante rimane della perdita del principio; ma non della perdita del principio in quanto il soggetto che perde il principio, ma in quanto il principio che perde s stesso. Per questo motivo ci sarebbe questa equivalenza drammatica per cui al perdere s da parte
del principio corrisponde l'essere corretto da parte del sogget12..z. in quella risoluzione magnifica che il conoscere. E allora
potremmo anche consolarci con le filosofie o con le molte filosofie che nascono a questa maniera perch in realt poi se dimentichiamo quali morti sono alle spalle di questo vivere, potremmo
anche dire che questo vivere magnifico perch il vivere delle conoscenze, magnifiche perch sono ciascuna ogni mondo unito
nella quantit che gli propria e oltre la quale niente altro
se non quella quantit unita a questo principio fino a questo
termine: e chiaramente fino al principio per il quale bisogna avvertire ehe il discorso altro ancora.
Una conclusione pu essere questa: si pu pensare aristotelicamente la dialettica come ci che interno al
Questo discorso in un certo senso risolve una parte di "1ltte le
questioni che sono nate a partire dall'apora o meglio di tutte
le questioni che sono nate a partire da quell'chei d'aporan che
rimasto fermo a s stesso; per cui chei d'aporan una sorta
di principio polivalente di apore da questo punto di vista perch ha scatenato, d--L suo stesso punto di vista, tutto quanto ha
obbligato il discorso a occuparsi del principio. Quindi, come ridi questa parte del corso, come se noi potessimo raquesta maniera: occuparsi dell'chei d'aporan, cio
a
gionare
occuparsi di comprendere l'aporia non in ci che essa secondo
s stessa ma in ci che essa secondo il suo rimanere bloccata
al principio, significa essere necessitati ad occuparsi del principio. Evidentemente non del principio per s stesso ma del principio per quanto, dal principio, possiamo a nostra volta occuparci dell'apora; quindi in questo senso come se il discorso corresse in parallelo, continuamente, dall'aporla al principio e dal
principio all'apora. Se noi in questi termini siamo rimasti fermi all'chei d'aporan nella maniera nella quale abbiamo cercato
di comprendere questo stare fermi, in realt questo stare fermi
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f.
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mi pare tautologico; Hegel rimasto costretto perch la hegelianit del pensare il cammino tautologico dalla tautologia
dell'essenza alla tautologia del principio; ed avremmo veramente
da dichiarare bancarotta speculativa. In questi termini non c'
scampo: dall'essenza come tautologia al principio come tautologia,
se il cammino esso stesso tautologico, cio se la procedura di
partenza e di arrivo dall'una all'altra e dall'altra all'una
a sua volta tautologica, dovremmo concludere che il pensare speculativo non possibile perch se , in questi termini, ma se
in questi termini nei termini della sua massima non intrinseci tr perch questo il massimo non intrinseco: tautologie supreme fronteggian ti s stesse per mezzo di un essere necessariame nte tautologico dall'una all'altra e dall'altra all'una. E quindi
aristotelici in quanto hegeliani, hegeliani in quanto aristotelici: questo vuol dire che il pensare in quanto speculativo non
intrinsecame nte speculativo.
Che senso ha continuare a pensare dopo questo, come se questo non fosse? Perch tutti i kierkegaardi smi sono questo e non
altro, i kierkegaardi smi di tutti i tipi da Marcel ai pragmatisti
(dico Kierkegaard come patente unica per questo tipo di questione) dopo Hegel, diciamo dopo Hegel ed Aristotele, nati a questa
maniera piangono, piangono perch piangere vuol dire: come se
non fosse ci che mi ha contenuto e mi fa nascere; cio come
se non fosse questo implesso hegeliano-a ristotelico nel quale bene o male sono stato generato.
Non c' dubbio che storicamente siamo stati generati da questo implesso aristotelico -hegeliano nel quale si riconosce tutta
la storia del pensiero fino a un certo punto. Quando da questo
nasciamo come se questo non fosse chiaro che piangiamo perch
abbiamo paura o perch i kierkegaardi smi non che hanno paura,
sono paura, sono paura di ci che alle loro spalle; sono la
paura storica, assoluta di ci che alle loro spalle li ha fatti,
malgrado la loro paura, nascere e perci poi generati alla cronaca dei loro piagnistei; che non certo quello che pu interessare la storia del pensiero nella misura in cui il pensiero riuscise riuscir, ad avere una sua storia, cio se riuscir a fare
i conti con questo implesso aristotelico -hegeliano nei cui confronti non si pu fare la parte di chi crede di non farli essere
perch piange e perch ha paura, ma di chi invece sa
non solo che questo implesso , ma dobbiamo anche sapere, come
cerchiamo di sapere, che cosa nel suo interno intrinseco: poich da qui forse poi pu ricominciare , se pu cominciare ancora,
Wla storia del pensiero.
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