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PICCOLA BIBLIOTECA FILOSOFICA

EDIZIONE: 1913

Il EDIZIONE: 1923

III EDIZIONE: 1924

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v EDIZIONE: 1934

VI EDIZIONE: 1943

VII EDIZIONE: 1950

VIII EDIZIONE: 1955

IX EDIZIONE: 1963
ARISTOTELE

L'ETICA NICOMACHEA

A CURA DI ARMANDO CARLINI

EDITORI LATERZA - BARI 1963


Proprietà letteraria riservata
Casa editrice Gius. Laterza & Figli, Bari, Via A. Gimma, 73
INTRODUZIONE

l. L' Etica di Aristotele ci è pervenuta in tre reda­


�ioni : i' Etica Nicomachea (libri l 0), l'Etica EudemitJ
( libri 8), la Grande Etica (libri 2). Intorno alla relazione
e autenticità di esse si è scritto molto, e la disputa non
pare ancora definita. La questione è questa : se l'Eu­
demia sia precedente o posteriore alla Nicomachea, e
se Eudemo ( o altro scolaro di Aristotele ) abbia messo
insieme appunti di un corso di lezioni tenuto dal mae­
stro e quasi per incarico di lui, ovvero li abbia rima­
neggiati per conto suo, permettendosi qua e là di ac­
cennare a sue vedute personali, improntate. a sensi
di maggiore religiosità. La Grande Etica, sino a poco
fa, si pensava non esser opera di Aristotele, ma degli
scolari, che, dopo la morte del Maestro, avrebber fatto
una compilazione scolastica, attingendo alle due pre­
cedenti redazioni e forse anche a qualche altra fonte
perduta. Ora è comune opinione che per lo meno l ' En­
demia sia autentica, e appartenga a un periodo prece­
dente del pensiero aristotelico. Comunque sia, de1-
1)Etica Nicomachea niun dubita che non sia di Aristo­
tele, anche perché in tutto conforme alla dottrina del
periodo più maturo. Non è, invece, facile dire se sia
stata redatta o riveduta, almeno in parte, da lui, ov­
vero sia stata redatta e pubblicata dal figlio Nicomaco
(o da altri ) su i manoscritti originali. Certo, la Nico-
'
6 L ETICA N I COMACHEA

machea vince di gran lunga le altre per ordine, per


compiutezza, per valore letterario, sl che divenne, pt!r
antonomasia, l'Etica di Aristotele. La quale, intro­
dotta a Parigi sin dal 1215, fu la più popolare delle
opere aristoteliche, riassunta, tradotta, comentata in
ogni tempo e in ogni nazione ; in I t alia specialmente,
nell 'ultimo medioevo e nell 'età della Rinascenza. Da
san Tommaso a Dante si operò rapidamente la csua
compenetrazione con la morale civile del tempo, pre­
parandone la più rigogliosa fioritura, avvenuta quando
negli ozi intellettuali ed eleganti delle Signorie cin­
:quecentesche parve rinnovarsi lo splendore dell 'età
di Pericle.

2. Il titolo di Etica (f){hx6.), dato certamente dal­


l' autore che con quel nome designa in altri scritti
l'opera sua, tanto vale quanto s c i e n z a d e l c o s t u­
m e (Tj{}oç). In Senocrate, successore di Speusippo nel
governo dell 'Accademia, si trova la partizione ( ripre­
sa, poi, dagli Stoici ) della filosofia· in fisica, logica,
etica, la quale trova riscontro anche in un passo dei
Topici aristotelici . La partizione, sebbene abbia incon­
trato in sèguito, sino quasi alt' età moderna, special­
mente nelle scuole, grandissimo favore, riproduce un
lato secondario della dottrina di Aristotele. Per con­
vincersene basta osservare che in quelle tre parti man­
ca appunto, almeno apparentemente, la filosofia: dico
la filosofia propriamente detta, quella che Aristotele
chiamò filosofia prima e pose a capo delle scienze
tutte quante. Ma è anche vero che, mentre quel so­
·vrano ingegno creò, si può dire, gran parte delle
scienze che formarono poi il quadro enciclopedico del
sapere umano, lasciò in retaggio alla filosofia poste­
riore il tormentoso problema del rapporto tra quella
filosofia prima e le singole scienze, considerate talora
INTRODUZIONE 7

come filosofiche anch' esse, talora come fuori della


filosofia. Ne abbiamo un esempio ora nel concetto,
anche questo da lui per la prima volta fondato, di
scienza pratica, con cui egli distinse l ' Etica dalle
scienze teoretiche.

3. N el trattare d eli' attività· pratica, che è l ' ogget­


to proprio dell' Etica, Aristotele tiene abbastanza eli­
stinti due punti di vista molto diversi, che è meglio su­
bito dichiarare : l'uno è propriamente dialettico ( nel
senso aristotelico della parola ) e fa capo al concetto
della dianoia, l'altro è piuttosto metafisica e fa capo
al concetto del nous. C ' è tra loro la stessa relazione
che è tra gli Analitici e la Metafisica: in quelli si c·on­
sidera la scienza come bell'e costruita, e si esamina il
meccanismo del ragionare passando da un concetto
ali ' altro ; in questa, si studia il principio del reale; og­
getto del conoscere, nella sua attività e nel suo svi­
luppo interno. Nello stesso modo, vedremo la virtù
etica fissarsi entro una serie di concetti rappresenta­
tivi, in cui si raccolgono le note caratteristiche della
vita greca ; e come negli Analitici il sillogismo costi­
tuisce lo schema primitivo del ragionamento di cui il
centro di equilibrio è il termine medio, che pone il
rapporto tra gli estremi, così della virtù vedremo sta­
bilita la famosa nozione di medietà come giusta pro­
porzione tra gli estremi viziosi .
Di questa corrente dialettica che pervade l'opera
non è possibile fare a meno. Essa formò la delizia
dei trattatisti di morale per molti secoli, a cominciare
dai latini e sino al secolo XVI I I : · sl che, accresciuta
e accomodata . a lle nuove usanze, diventò un'esposi­

zione di norme o regole a servigio degl 'individui per


ben condursi nelle azioni private e pubbliche, fami­
liari e sociali. In breve : accadde all'Etic.a qualcosa
8 '
L ETICA NI COMACHEA

di simile che alla Logica, in cui la vita reale del pen­


siero fu isterilita in vuote formule : così la vita delta
coscienza morale fu mortificata in una scienza di aridi
precetti.
Ma a noi interessa più di gran lunga cogliere l'al­
tro punto di vista: il concetto, cioè, dell 'attività pra­
tica nel vivo formarsi a costituire il v a l o r e m o r a l e
delle nostre azioni, di qualunque specie esse siano :
ché non la classificazione delle azioni sempre contin­
genti e mutevoli nel tempo e nello spazio, ma il prin­
cipio eterno a noi preme che dà loro un significato
u n i v e r s a l m e n t e umano. Ma per cogliere questo
secondo punto di vista è pur necessario rifarsi al
primo, e al momento storico del pensiero, in cui uscl
l 'opera aristotelica.

4. Essa è, infatti, un quadro ideale della società


greca, còlto in un momento prima del tramonto di
quell ' Ellade classica che va dalle guerre persiane alla
guerra del Peloponneso ed ebbe il suo faro più lumi­
noso in Atene. Aristotele è ancora addirittu �a figlio di
quell ' Ellade ; ma il suo regale scolaro Alessandro era
destinato a fondare un ellenismo molto diverso dal
precedente, di carattere cosmopolita. Distrutta la :rtoÀt;,
ruinò il mondo della grecità classica, e con esso Ja
concezione etica antica. Prima, invece, nella poli­
tica sboccavano tutte le attività del cittadino ateriiese
o spartano, a cui la città era più cara dei figli mede­
simi e di se stesso, perché essa era la madre e l ' edu­
catrice degli uomini liberi. Questi per il decoro di
lei e per la comune utilità, non per lucro personale,
esercitavano le arti e le scienze liberali. I giudizi di
approvazione e di disapprovazione, di bontà e di mal­
vagità, con cui noi indichiamo la sfera etica della
nostra att�vità interna, coincidevano con l'esser degni
INTRODUZIONE 9

di pubblico onore o disprezzo , sì che l ' azione virtuosa


si distingueva dalla viziosa per il carattere costante
di lode o di biasimo che l ' accompagnava. Era ufficio
delle leggi determinare i criteri della moralità pub­
blica, e chi a essa si sottraeva era un uomo ingiusto
c un cittadino malvagio.

Ma non tutta l 'energia dell ' individuo si esauriva


nella pratica politica. Agli uomini più illuminati era
concesso di salvare un angolo della vita interiore, sce­
vro da preoccupazioni politiche , nel culto di una scien­
za non legata a esigenze pratiche, svolgendo la pura
attività dell'intelligenza . A questa vita era necessario
quell ' otium, riposo dagli affari e agio anche esteriore,
in cui si raccolgono i piaceri più nobili e le funzioni
più elevate dell'uomo. Felice quello Stato che per la
sua perfetta costituzione, per la sua floridezza interna
ed esterna, godendo di una sicura pace e di fide al­
leanze, poteva procurare, ai cittadini che la volessero,
la tranquillità della cultura e della meditazione!

5. Un altro lato, più noto, dell' etica greca è l ' in­


dissolubile vincolo tra i concetti di bellezza e di bontà,
riuniti talora esplicitamente nel termine xa.A.oxà:ya.{Ha, a
tradur il quale nessuna lingua moderna è sufficiente.
L'unione di quei due concetti, che a noi costa uno
sforzo grande, laddove al greco era ovvio passare dal­
l 'uno alt ' altro, dipende dal fatto che entrambi erano
molto diversi dai corrispondenti termini moderni . I..,o
spirito greco era dominato dali 'idea della m i s u r a e
della s i m m e t r i a , e la dottrina pitagorica ne fu
un 'espressione vivace .. L'eccesso e il difetto lo disgu­
stavano ugualmente . Amava la vita, ma senza foga,
ritenendola dol �e finché fosse bella : se no, meglio
morire . L'esuberanza di energie era in lui mitigata
da un 'istintiva eleganza e mitezza di sentire. Aveva
IO '
L ETICA N I COMACHEA

bisogno di azione, ma d'azione armoniosa, in cui si fa­


cesse parte all' anima e al corpo insieme, a questo come
a specchio di quella : sì che la bellezza corporea lo eli­

Iettava e riempiva di ammirazione quanto la bellezza


spirituale, ritenendole entrambe manifestazione divina.
Quella bellezza era v e r i t à , se sentita come ritmo del
discorso ; v i r t ù , se azione armonica in se stessa. An­
che l'educazione giovanile era così informata : la mo­
dulazione e il canto dovevano generare nell 'anima il
senso intimo deli ' armonia ; la ginnastica , sviluppando
il corpo con la regolarità dei movimenti, lo rendeva
concorde con l ' anima.
Questa innata disposizione spirituale colorò anche
la filosofia greca, di cui il merito principale resta pur
sempre quello di avere con finezza d ' intuito meravi­
gliosa còlte le antitesi, che sono nel fondo della realtà,
tentandone la concordia. Ma quella concordia fu · piut­
tosto connessione esteriore o astratta contemperanza
di opposti che loro risoluzione in un principio primo,
piuttosto u n i o n e che u n i t à . Platone è il pensatore
più rappresentativo d eli ' ellenismo classico : filosofo e
poeta, riassunse in sé i motivi dello spirito greco,
componendoli in una serie armonica di Idee . Arista­
te le lo supera, perché tentò, sforzando i ferrei cancelli
della dialettica, di ra-ggiungere quel principio. Se non
riuscì in definitiva, ciò non si deve tanto al fatto che
era un discepolo di Platone, quanto che egli rimase
un greco.

6. Per intender l'opera di questi due grandi-pen­


satori, noi dobbiamo rifarci, come a fonte immediata
o prima ispirazione del loro filosofare, a Socrate .
Socrate, come taluno ha scritto, fu Ù germe che
in Platone fiorl in tutto il suo rigoglio, e in Aristotele
maturò i frutti della speculazione greca. Ed è vero,
INTRODUZIONE II

pur che la similitudine sia intesa con discrezione . Quel


germe è ancora talmente immerso nelle condizioni sto­
riche e psicologiche del momento e della personalità,
che trarnelo fuori e svilupparlo sino a un sistema rigo­
rosamente filosofico era opera non di seguitatori sol­
tanto, ma di creatori . Il pensiero di Socrate, infatti,
non s ' intende fuori di quel rivolgimento di coscienze
e di idee, che fu n eli ' età dei Sofisti .
Dei Sofisti si è dett � , a volta a volta, molto bene
o molto male, secondo che furono considerati come
promotori della nuova filosofia socratica, ovvero con1e
corruttori della morale pubblica . Su questa accusa,
tutti sono ormai concordi nel respinger la : vizi e pas­
sioni non avevano davvero aspettato la venuta dei So­
fisti! Questi furono, se mai, non la causa, ma l 'effetto
dei mutati costumi, quando, con l ' avvento della demo­
crazia al governo di Atene e con il prevalere deli ' abi­
lità individuale, parvero le antiche credenze tramontare
in un ruinoso scetticismo. I ,Sofisti glorificavano il pia­
cere, l ' audacia, la forza (come Calli cl e nel Gorgia
platonico) ; ma, poi, non andavano oltre ali' esercita­
zione dialettica, né si ha notizia d' immoralità o vio­
lenze da essi compiute o promosse . Anzi, negli Stati
dove la Sofistica ebbe maggior vigore è una dolcezza
di governo e una civiltà che, in parte almeno, è me­
rito della cultura intellettuale diffusa dai Sofisti . Valga
per tutti, lo Stato ateniese al tempo di Pericle . Bisogna,
invece, dire che quel movimento di idee fu l' indice di
una crisi di coscienze da cui nacque una nuova Gre­
cia, la quale dalla m o r a l e d o g m a t i c a passò all'ela­
borazione di una m o r a l e r a z i o n a i e : dalle regole
del costume consacrate nei versi dei poeti gnomici o
nelle tradizioni religiose, alla ricerca di una norma di
condotta interiore all 'uomo. Questa nuova esigenza
Protagora la esprimerà col celebre detto : l'uomo è t.a
12 L 'ETICA NICOMACHEA

misura di tutte le cose ; Socrate, col non meno celebre


motto : conosci te stesso, dove si dà per la prima volta
la formula della coscienza morale. Quanto cammino
nel giro di poche generazioni, da Erodoto, che vede
la storia come una serie di eventi fatali , a Tucidide,
che cerca la spiegazione degli avvenimenti nelle loro
cause immediate, nelle istituzioni degli Stati, negli­
intrighi dei partiti, nelle virtù e nei vizi degli uomini!
Quale mutamento nelle idee religiose e morali del po­
polo, di cui l ' eco fedele era la poesia drammatica,
passata rapidamente attraverso Sofocle da Eschilo a
Euripide, dalla tragedia leggendaria alla commedia
aristofanea!
Platone, al quale soprattutto risalgono i lamenti
per la corruzione dei costumi al suo tempo, è, per que­
sto Iato, ancora un uomo del vecchio stampo, e la sua
Etica è ricca di elementi orfici e mitici , che dànno
un 'intonazione intensamente religiosa : si ricordino la
ferma fede neli ' immortalità d eli' anima e le descrizioni
dei regni d'oltretomba, dei luoghi bui e dei gaudi cele­
stiali, nel Fedone, nel Timeo, nel Gorgia, nel Fedro,
nella Repubblica, nelle Leggi. Niente di tutto questo
in Aristotele, il quale è un homo novus, non inferiore
di certo al suo Maestro per nobiltà e dignità di sen­
timento morale, di cui fa ampia testimonianza la sua
Etica Nicomachea, ma con carattere decisamente uma­
no e sociale. Raffaello nella Scuola di Atene rappre­
sentò la disputa dei due Scolarchi, l'uno col dito dritto
verso il cielo, l ' altro con il libro d eU' Etica in una ma­
no, mentre con l ' altra accenna alla terra in atto di pro­
testa. Anche in Aristotele è un profondo senso del
divino, e per lui, come per il greco in generale, divino
è tutto ciò che è bello, grande, amabile, perfetto. Dio
è principio e fine di tutti gli esseri . Ma il sentimento
INTRODUZIONE 13

religioso vuoi passare, in lui, attraverso il vaglio del


pensiero speculativo e deli ' azione morale 1•

7. Tornando ai Sofisti, se è falso presentarli con1e


corruttori dei costumi, non è meno erroneo attribuir
loro il merito del nuovo principio filosofico, in cui si
compendia la grandezza della scuola socratica. I Sofi­
sti misero in chiaro, ma inconsapevolmente, la neces­
sità di una dottrina morale, che, rispondendo al nuovo
concetto dell' uomo, a cui era pervenuta la coscienza
greca, non fosse, poi , tributaria delle mutevoli opinioni
popolari . L 'uomo di Protagora, misura di tutte le cose,
<� l'uomo empirico e contingente, l'uomo di Socrate è
autocosciente, consapevole del suo valore universale .
Il vero fondatore della scienza morale fu Socrate,
perché egli per il primo diede ad essa un principio
spirituale attinto dal concetto dell'autocoscienza . l a ..

scoperta di quel principio fu possibile a Socrate, per­


ché egli sentl il divino in sé, nella sua viva coscienza,
con una intimità maggiore degli altri : onde fu in gra­
do, da una parte, di salvare quello che nelle credenze
popolari e nelle vecchie tradizioni era di santo e di
eterno : dali ' altra, di opporre al relativismo e alla este­
riorità delle dottrine sofistiche la necessità di un cri­
terio di valutazione che appagasse l 'esigenza morale
che è in ogni uomo. Su questa via i Sofisti si mostra­
rono impotenti a s eguirlo : essi addestravano i giovani
nell' arte retorica e non curavano il contenuto. Parla­
vano di giusto e d'ingiusto, e ignoravano c h e c osa
f o s s e la giustizia .
Intorno a questo · problema s 'aggirò l' attività scien­
tifica di Socrate, creando il primo nucleo di un ' Etica
come sistema di concetti, di cui il . concetto centrale

1 V. in questa collezione, A., Il problema religioso.


14 '
L ETICA NICOMACHEA

fu l ' i d e n t i t à di s c i e n z a e di v i r t ù . Il procedi­
mento adoperato fu quello della d e f i n i z i o n e e del­
l ' i n d u z i o n e : dalla disputa e dal confronto delle
opinioni divergenti doveva venir fuori la n o z i o n e
u n i v e r s a l m e n t e v a l i d a . Ma, detto questo, occorre
aggiungere che, se Socrate ha concepito nettamente
quello che doveva esser la scienza , cioè un sistema
di concetti, il risultato positivo delle sue indagini è
tanto poca cosa, che non permette di ricostruire una
filosofia vera e propria. Di ·· q uesta sua impotenza a
realizzare il concetto della scienza da lui scoperto forse
ebbe egli stesso sentore, confessando l 'ufficio su o esser
quello di metter gli altri di fronte al proprio pensiero,
svelandone le deficienze e le oscurità, ma lui poi so­
migliare a una levatrice steril�, incapace di generare
conoscenza . Ben l 'oracolo di Delfo l ' aveva appellato
il più sapiente tra gli uomini, ma la superiorità sua
consistere nella consapevolezza della propria ignoran­
za. Il ·d Èa'tt famoso, col quale metteva in imbarazzo
gli avvers ari, si · risolveva generalmente nella ricerca
della definizione, dove si radunassero tutte le note ap­
parse come indispensabili a costituire il concetto, il
quale,-per tal modo, non sorpassava mai il formalismo
astratto che è proprio della dialettica. Platone potrà
agevolmente di quei concetti fare Idee, e relegarle
in un mondo iperuranio.

8. La vera scuola socratica ( la scuola Cirenaica e


la Cinica hanno importanza piuttosto per lo sviluppo
posteriore nell' Epicureismo e nello Stoicismo) fu quel­
la fondata da Platone, il quale solo fra i molti uditori
comprese la grandezza di quella intuizione che in So­
crate si presentava come un'esigenza spontanea della
sua personalità, e la elevò a concetto e a sistema,
creando la prima filosofia che si presenti nella storia
INTRODUZIONE IS

con un principio capace d ' illuminare tutti i problemi


dello ..spirito . Non è possibile, infatti, neppur cominciar
a porre un problema del mondo e della vita· se si pre­
scinde dal pensiero ; e Platone, movendo dali 'Idea,
ch 'è la realtà veduta alla luce del pensiero, fu il primo
assertore di quell ' Idealismo che coincide, nella sua più
ampia significazione, con la stessa filosofia.
Lo sforzo immane consumato, durante mezzo se­
colo di meditazione, in quest'opera di costruzione è
abilmente celato in lui dallo splendore della forma let­
teraria e dalla sottile arte dialogica . Sì che molte volte
il suo pensiero, . avvolto in una luce mezzana, si lascia
indovinare più che vedere, cagion ando una certa �o­
.
spensione d ' animo dal principio alla fine del dialogo,
che, offrendo molta varietà di vedute e in molte varie
direzioni, ti lascia profondamente pensoso . Onde la
difficoltà quasi insuperabile di ricostruire con certezza
la sua dottrina e di esporla adeguatamente, anche
perché la nostra educazione mentale pare, per tradi­
zione millenaria, conformata piuttosto su lo stampo
aristotelico, amante dei procedimenti diritti e nudi,
di conseguenza in conseguenza, frettolosi di arrivare
alla conchiusione.
L' Etica platonica non è, come in Aristotele, con­
sacrata in una trattazione particolare, ma diffusa in
tutti gli scritti e incorporata con la intera speculazio­
ne. Per questo lato, si potrebbe ripetere quel che co­
munemente si dice per_ la Logica : essere stato Aristo­
tele il fondatore della scienza etica; come parte distin­
ta della filosofia ; ma la lode va data con discrezione,
perché, dali ' altro lato, uno potrebbe opporre che Ari­
stotele ha, anzi, diminuita l 'importanza dell ' Etica
escludendola dalle scienze speculative . In verità, la
filosofia non ha parti nel senso comune della parola :
essa ha problemi che si possono, sì distinguere tra
I6 '
L ETICA NICOMACHEA

loro, ma a patto di vedere in ciascuno di essi tutto


intero il problema della filosofia. N ella trattazione del
problema morale si ripresenta, infatti, il pensiero ari­
stotelico tutt 'intero.
Maestro e' Scolaro procedono per la via medesima
disputando tra loro, se cosi piace, ma in nessun modo
discordi su quello che è il compito fondamentale di
ogni filosofia : chiarire, con la riflessione del pensiero
su se stesso, quel problema che contiene in sé la ra­
gione . di tutti i problemi. Questo dimenticano spesso
coloro che si dilettano di veder l'uno in contrasto con
l ' altro. Il contrasto, si sa, versa su ciò : se il principio
del reale sia trascendente o immanente : l 'uno, tutto
inteso ad affermare il valore ideale di ogni realtà , si
serve di una recisa distinzione tra il mondo fenome­
nico e il mondo del vero essere ; l ' altro, intento a di­
mostrare la realtà di quel mondo ideale, s' industria a
negare, per quanto può, la crudezza di quella distin­
zione. L'uno non poté evitare i pericoli dell' a s t r a t ­
t i s m o , l ' altro dell' e m p i r i s m o ; sì che, propostisi
il problema negli stessi termini, caddero nello stesso
errore, convertendosi agevolmente l 'empirico con
l 'astratto . Realtà pareva loro che fosse in primo
_
luogo quella che ci sta di contro ed è oggetto della
nostra conoscenza, non quella dello spirito a se stesso.
Quando, dopo lungo volger di tempi, si sarà maturata
una nuova coscienza, onde la filosofia ripiglierà il
problema con una concezione spirituale della realtà
ai Greci sconosciuta, verrà in chiaro che la questione
della trascendenza e della immanenza non poteva es­
sere risoluta tra Platone e Aristotele in modo defini­
tivo, e che Aristotele toccò il punto più eccelso che al
pensiero antico fosse concesso .
Neppure è giusta l ' accusa per troppo tempo ripe­
tuta che lo Scolaro, quasi invidioso del Maestro, men-
INTRODUZIONE 17

tre lo combatte apertamente, di nascosto poi si serva


dei suoi medesimi argomenti. L'errore di questa accu­
sa consiste,· da una parte, nel non aver veduto che Ari­
.
stotele ha di mira nella lotta molto più i Platonici
dell' a n t i c a A c c a d e mia che Platone ; e, dall'altra,
che egli non· voleva e non poteva rinunciare alle con­
quiste della speculazione platonica, di cui era il legit­
timo successore ed erede .
Quanto ai Platonici, sebbene intorno a loro si pos­
seggano scarse notizie, fornite in gran parte dallo
stesso Aristotele, è fuori di dubbio che la loro com­
prensione del problema filosofico fu senza confronto
inferiore non solo a quella aristotelica, ma anche a
quella del comune Maestro.
Infine, che dell 'opera dello Stagirita (e valga · ad
esempio l'Etica), anche nei punti dove pare più eccel­
lere la sua originalità, si trovino i germi nelle opere eli
Platone, è una constatazione che nulla toglie al merito
di lui,- o, se mai, torna ad onore di entrambi, potendosi
dire che come Platone ha creata l 'immortalità di So­
crate, così Aristotele quella di Platone . Solo un uomo
di genio poteva trar fuori e sviluppare dai Dialoghi
-
le linee fondamentali di quel magnifico monume nto di
scienza morale che è la Nicomachea, · dove si può dire
raccolto in breve volume la visione più alta della vita
greca e realizzata quella dottrina della virtù a cui in­
tendeva la scuola di Socrate .

9. In verità,. Aristotele dà con questa opera una


genialissima rielaborazione sistematica alle precedenti
ricerche ; ma se ne stacca, anche, e crea un' intuizione
morale del tutto nuova . Esponiamo i punti salienti
della sua concezione.
Già il metodo a cui l'Etica è informata, mostra la
derivazione dalla scuola di Socrate : esposte le opinioni
18 '
L ETICA NI COMACHEA

correnti, si cerca il loro accordo in un concetto gene­


rale. Siamo nella sfera della 86�a., grado molto infe­
rior� a quello della filosofia o scienza assoluta che ha
per . oggetto l 'eterno ; l'azione, invece, è soggetta ai
mutevoli criteri e costumi degli uomini, onde una
certezza assoluta in questa sfera non esiste .
Dunque, Platone ha detto bene distinguendo il
mondo della 86;a da quello della vera e propria Ènta-&�tJ.11?
Ha detto bene quando ha distinto, ma ha errato quan­
do ha separato i due mondi dell 'opinione e della filoso­
fia : nell 'uomo essi ci sono tutti e due, e l ' Etica ha da
essere una scienza umana. Finché l'Idea del Bene
è esteriore ali 'uomo, diviene impossibile realizzarla.
L' Etica ha da fare con le cose che sono in nostro
potere e dipendono da noi : è una sci �nza · pratica.
Con ciò Aristotele, mentre ritorna a un motivo più
schiettamente socratico, dà vita a un pensiero che,
non ancora espresso, pure era in gestazione nel Fùebo
e nelle Leggi.

L'Idea del Bene discende dal mondo iperuranio c


diviene nell 'uomo il vouç, il quale nel suo esterioriz­
zarsi si fa dialettico : 8uJ.vota o i...6yoç. Il vouç è la vita
del divino in noi, la 8uJ.vota è la l e g g e di quello che
in noi è propriamente umano : questa, in quanto si ap­
plica alle cose esteriori ali 'uomo, unendo o dividendo
le nozioni, crea il discorso o ragionamento ; applic a n­
dosi alle cose di cui il principio è in noi, crea la
"
norma del costume.
Al problema, dunque, che cosa è la virtù, si può
risponder quando si sappia che cosa è l ' uomo. L'uomo
(Platone e l 'Accademia già l'han detto) è composto
di una parte ragionevole e di una affettiva. Ma, poi
Platone ha dato alla parte affettiva tanto poco peso
da ridurla a nulla o quasi, ripetendo il socratico où8etç
sxcòv cit-ta.Q-&6.vet, dove non si vede come, se la virtù
INTRODUZIONE

è volontaria, non lo sia anche il vizio. Platone divide


ancora con Socrate il concetto intellettualistico del
bene, sì che basta conoscere l ' idea del bene per ope­
rar lo. Invece, l 'esperienza smentisce ogni giorno que­
sta dottrina, mostrandoci come non basta sapere il
bene per farlo.
Manca, dunque, un elemento costitutivo al concetto
di virtù come fatto pratico . E qui Aristotele nelle bel­
lissime pagine del libro terzo espone un nuovo con­
cetto della volontarietà come forza originaria insita
nella nostra natura sensitiva che ci fa in ogni caso
padroni delle nostre azioni, sl che il vizio non è meno
volontario della virtù ; e segue con un'analisi dell 'atto
pratico di tanta precisione e originalità, che si può
dire non abbia precedenti, tanto sono tenui i germi
nelle opere platoniche : non a torto essa è rimasta
sino ai nostri giorni come modello insuperato del ge­
nere . Ne è risultato un concetto di virtù composto di
due parti sostanziali : una etica e una diano etica,
l 'una fondata su la natura affettiva, l' altra su la na­
tura razionale dell 'uomo.
La nostra natura affettiva è il principio dell 'azione,
�ome abbiam detto ; ma con questo non si va più in
là della virtù fisica_, che è in noi naturalmente : invece,
noi vogliamo una virtù etica, che abbia, cioè, carattere
morale. Perché l' àQe'tf) cpuaun1 divenga Ò.Qe-rf) XUQt,a,
virtù propriamente detta, è necessario che l'abito etico
sostituisca alla nostra costituzione naturale una co­
stituzione morale : questa è opera d eli ' educazione c
delle leggi, le quali, formando in noi con l 'esercizio e
con l 'abitudine i buoni costumi, generano in noi una
seconda natura, incline al bene . Ma chi dà le norme
c le leggi per l 'educazione? N ella città, il legislatore ;

nell'uomo, la 8uivota: n on la 8uivota scientifica, ma


quella pratica che, proposto un fine, stabilisce i mezzi
20 L ' ETICA N I COMACHEA

per realizzarlo. Si badi, però, che anche questa · fun­


zione della parte razionale, se n <:?n è indirizzata al
bene, resta una semplice virtù naturale, un 'abilità
pratica, sì, . ma non morale. È ·morale quando è im­
piegata in servigio del bene, e si chiama prudenza o
saggezza, che è la virtù dianoetica propriam·ente detta .
In conclusione, virtù etica e virtù dianoe'tica si
condizionano reciprocamente : la- virtù etica ci dà
l 'abito al bene, i buoni costumi ; la virtù dianoetica
c'insegna come le azioni han da essere fatte, perché
sian buone : l'una dà alla ragione pratica il desiderio
del bene ; l 'altra addita la giusta misura (òQitòc; Àoyoç)
da osservare nella ricerca dei beni . Nell 'una e nell'al­
tra, come si vede chiaramente, la bontà dell' azione è
presupposta .
Questo ci riconduce al platonismo più schietto, in
cui il bene è un' Idea già data, fissa, immobile, esem­
plare eterno di tutte le virtù terrene. · Ma Aristotele ha
rifiutato l' Idea del Bene. Sl, perché è fuori di noi, al di
là della nostra portata, e però ha posto in noi il vouç
xroQtat'oç, il divino, che è in noi , sebbene distinto dalla
nostra natura umana. E come nella logica dell' Orga­
non il vovç costituisce in ultima analisi la verità della

�u1vota {la quale, per se stessa, può essere vera o


falsa), cosl nell 'Etica il vovç ci assicura la giustezza
della norma o legge razionale, che presiede alla edu­
cazione, e dà alla nostra natura istintiva la tendenza
al bene, per cui si rende possibile l 'educazione della
parte irrazionale nell 'uomo. La legge non attinge la
potenza di farsi obbedire all 'infuori dell'abit !ldine ;
questa non diviene abito etico senza l 'educazione so­
ciale. Ma, poi, entrambe, la legge e la possibilità del­
l' educazione, trovano la fonte prima della loro verità
e del loro valore morale in un principio più alto e più

interiore .
INTRODUZIONE 21

I n questo punto Etica e Politica non coincidono


più, esattamente� Platone riponendo la felicità perfet­
tissima nella contemplazione dell 'Idea del Bene, e re­
putando questa del tutto inconoscibile in questa vita, o
conoscibile per ·quel tanto che la Dialettica ce ne può
scoprire,. aveva dato alla filosofia per propria stanza il
mondo di là, e questo mondo solo in via provvisoria.
Aristotele, ponendo in noi il vouç, dà alla filosofia que­
sto mondo per sua sede ; ma, poi, posto l ' uomo nello
Stato, fa a esso superiore la pura verità del vouç.
Entrambi distinguono, così , la Politica dalla Filo­
sofia : Platone, la giustizia dalla Idea assoluta; Aristo­
tele, la ragion pratica dal nous. Ma non per questo
vogliono separato il f i l o s o f o dalla vita politica : né
l 'uno né l'altro smentiscono la loro mentalità umani­
stica, anche se nello svolgimento della trattazione mo­
strino tendenze spesso opposte . Per Platone, la filoso­
fia, che con il filosofo è costretta a discendere dall'al­
tro mondo, fa ciò quasi a malincuore, per quel senti­
mento morale che legava indissolubilmente l'individuo
alla noÀ.tç, tenendo fermo Socra te nella prigione pur di
non disubbidire alle leggi, anche se ingiustamente ap­
plicate, della Patria. Il filosofo sarà o b b l i g a t o a go­
vernare lo Stato : a ridiscendere nella buia caverna,
dopo che avrà rimirata la luce eterna del sole ideale.
In Aristotele lo Stato è ordinato alla filosofia, ma a
capo del governo non si pone il filosofo, bensì l'uomo
pratico, e la politica non è preparazione a una vita di
là, ma è una scienza pratica intesa ai bisogni del
presente : per procurare ai cittadini l ' agio di svolgere
la loro attività tranquillamente. Nello stesso tempo,
il filosofo è pur un uomo, cioè un essere politico, e
come tale non può rinunciare all 'attività pratica che
si esplica nel viver comune.
Di qui, anche, il carattere diverso della loro con-
22 '
L ETICA NI COMACHEA

cezione dello Stato. Platone è dominato dal concetto


dell'unità, e cerca · ogni via per i m p o r l a al molte­
p � ice : c V1ha egli peggior male per uno Stato di
quello che lo spezza, e, d1uno che era, ne fa molti?
ovvero bene maggiore di quello che insieme l1accoglie
e gli dà unità?» (Rep. , 422 A ) . Non è utopia la sua

Repubblica , perché non è utopia l ' Idea : se buono ha


da essere lo Stato, egli dice, ha da essere così . l,o
Stato organizzato nelle tre classi e la comunione delle
donne e della proprietà provano, per 1 'appunto, lo
sforzo platonico di unificare il molteplice della vita
sociale in un principio unico.
Aristotele, invece, vuole che l 'unità scaturisca dal
molteplice, come legge in esso immanente . « Co1ne
cagione della aberrazione socratica deve reputarsi il
falso supposto da c�i mosse. È ben v-ero che la fami­
glia e lo Stato debbono avere una certa unità. Ma non
in ogni senso. Così come se si pretendesse di· com­
porre una sinfonia tutta nel medesimo tono, e misu­
rare un ritmo sempre con lo stesso piede >> (Pol., 11,
11, 9). La famiglia basta meglio che l 'individuo a se

stessa, lo Stato meglio ancora che la famiglia. Essi


potenziano, dunque , non sopprimono l' individualità.
In Platone l 'unità ( uniformità) è matematica,
as t r a t t a , da ottenersi con la soppressione delle dif­
ferenze : in Aristotele è un ' unità e m p i r i c a, che met­
te in vista le differenze, cercando, nel tempo stesso,
di armonizzare il bene dell 'individuo, la felicità, con
quello generale nella vita comune. Si rivela il nuovo
orientamento pol itico avvenuto : la -Grecia cadeva, la
forzata protezione Macedone aveva rallentata 1 'unità
politica, l'uomo si slegava dalla :rt6ltç. Aristotele con­
sacra una trattazione diversa alla Politica e ali ' Etica,
e in questa fa un posto a parte alle virtù sociali, la
giustizia e l'amicizia.
INTRODUZIONE 23

Per le ragioni dette, al problema proposto nel pri..


mo libro della Nicomachea: che cosa è la felicità, si
risponde nell 'ultimo libro ricavandola dal concetto del­
l'uomo. C'è la felicità del contemplare, che è la più
alta, perché è la funzione propria del vouç. Vien dopo
la felicità pratica e politica, che è della parte in noi
più propriamente umana. Questa comprende tutti i
beni che appartengono al composto, all 'anima e al
corpo, nell'ordine corrispondente al loro grado, sino
ai beni esteriori in quanto siano necessari, o utili o
d'ornamento a far la vita bella e perfetta. - Molto si
è disputato per ricostruire l ' unità di questa concezione.
N oi non crediamo valga la pena di insistere su questo
punto, una volta messo in chiaro che quell 'unità. è
esteriore, ricavata da uno schema empirico dell 'umana
natura, onde riesce impossibile unire intimamente una
serie di beni che vanno dai doni della fortuna alla virtù
morale e dali ' attività politica alla meditazione filosofica.

10. Chi si tenga stretto a questa sola concezione,


urterà contro tutte le difficoltà, che invano_ Socrate e
Platone tentarono di evitare. Avranno infine ragione
anche i sofisti di dire che la morale è fattura delle leg­
gi politiche, e che una norma assoluta dei costumi non
esiste . Aristotele si mostra tenace quanto Socrate in
opporre alle tesi sofistiche, misura di tutte le cose,
l'uomo buono; ma quell 'uomo buono è tale per d e f i­
n i z i o n e , e l' intima ragione della sua bontà non si

vede : è un tipo astratto, il più astratto, che deve ser­


vire per norme nella valutazione delle azioni, divise in
azioni buone e azioni cattive, quasi che la bontà o
malvagità dell 'azione non dipenda dall'in tenzione o
coscienza morale del soggetto. L'abito o virtù etica è
imposizione di una norma a noi esteriore, che, abi­
tuandoci quando ancora non abbiamo coscienza a certi
24 '
L ETICA N I COMACHEA

atti meccanicamente, ci conforma alle norme della


vita comune ; sl che in conçhiusione si rinnova l'intel­
tellettualismo di Socrate e di Platone : l 'azione buon�,
in ultima analisi, consiste in una formula astratta data
dalla dritta opinione . Il vouç, a sua volta, è, sl , dentro
all 'uomo, ma, in quanto principio meramente teore­
tico e s e p a r a b i l e dal resto dell 'anima umana, per
poco che dal resto si allontani, riduce questa alla vana
fa �oltà dell'opinare e alla nuda tendenza appetitiva.
Bisognava, invece, tener fermo e approfondire H
principio, scoperto nell 'interiorità della coscienza uma­
na, fonte di ogni verità per il pensiero e di ogni valore
morale per l'azione. Quel principio, esso solo, dà uni­
tà concreta al mondo dell 'esperienza, perché nella
molteplicità dei problemi di questa rivela quell 'unico
ed eterno problema vivente ch 'è l'uomo a se stesso.
Ma a tanto la filosofia di Aristotele, priva ancora del
concetto della spiritualità e personalità, tutta ancora
protesa alla considerazione del mondo naturale e del­
l 'uomo solo in quanto costituisce un regno a parte in
quello più ampio della natura, a tanto non poteva
arrivare .
Ch e cosa è, infatti, per Aristotele, l 'uomo nel regno
universale dei fini ? Una nobil cosa, certamente, ma
non la più eccellente. Socrate (par che egli dica in un
punto della Metafisica) fece male a occuparsi dell' Eti­
ca soltanto, e a trascurare l 'universo. Noi, oggi , po­
tremmo invece di Socrate rispondere che nell 'uomo
c'è l 'universo, e più ancora : per lo meno, l 'aspirazione
a trascenderlo, anche se alla sua realtà non si ricono­

sca altro limite che l 'infinito. Non nell'uomo, dunque,


in quanto . individuo empiricamente considerato, che in
tal senso appartiene al mondo esteriore come ogni al­
tra cosa, ma nell'uomo in quanto universalità di valore
e pura interiorità : quello che So c . rate cercava nel fon-
INTRODUZIONE 25

do, che a lui rimaneva oscuro, della sua coscienza.


E non era questo, in fine, il compito a cui inten­
deva la scuola socratica, che Aristotele medesimo pro­
seguiva? Ed ecco che Aristotele lascia traccia, in ogni
punto della sua Metafisica, di quella che fu la sua
visione più profonda della vita. La realtà del mondo
naturale, per quanto gravata dal peso della materia,
è sviluppo dell 'unico e medesimo principio d 'intelli­
gibilità, che dagli infimi gradi deU' essere la porta sino
a quelle sostanze celesti, in cui il peso della materia

è così lieve che paiono quasi pure forme . Al di là è


la forma pura, il principio assoluto di ogni intellig i­
bilità del mondo.
Ma la realtà dèl mondo, posto come oggetto este­
tiare al pensiero dell 'uomo, s'interiorizza all'uomo ap­
pena essa venga considerata, in quan to processo cono­
scitivo, dentro al suo pensiero . Il quale dalla sensazio­
ne al concetto, dalla formazione dei giudizi via via
sino all 'esercizio logico della n1ente e alla costituzione
del sapere scientifico, sempre va in cerca e sempre ri­
flette la luce di quella verità eh ' è la verità prima del
pensiero consapevole· di sé ; atto puro del vouç, pen­
siero di pensiero, autocoscienza assoluta, centro e
cerchio, principio e fine al tempo stesso .
Il vouç è, dunque, il principio conoscitivo primo
anche nell 'uomo, nella cui interiorità s' incentra l'uni­
verso tutto, quale fuori di noi siam soliti distinguere
in gradi di realtà dell 'essere, dalle forme elementari di
vita a Dio, considerato anch'esso come mero oggetto
del pensiero.
Ma può esser considerato cosl, Dio come mero og­
getto di pensiero teoretico? Già per Aristotele, come
per Platone, Dio non è soltanto la Verità, ma anche
il Bene. Le categorie del bene sono le stesse di quelle
dell'essere ; sl che la vera categoria è quella del prin-
'
L ETICA NICOMACHEA
/

ciplo primo di tutto ciò ch 'esiste, nell'uomo e fuori


dell 'uomo, vouç o e-e6ç che dir si voglia. Le altre, so n
categorie dialettiche. E sso è, dunque, il fine assoluto
che è fine a se stesso: è bene assoluto perché bene in
se stesso: tutti gli altri beni li chiamiamo tali solo in
grazia di quello. Esso è la norma concreta, reale, del
bene e del male, della virtù e del vizio, la legge mo­
rale di tutte le nostre azioni, le quali debbono tendere
a un perfezionamento continuo di quello ch 'è in noi

1 'atto di vita spirituale, fonte di tutti i valori umani.


Di questi la fonte prima trascende l 'uomo : trascende
l'uomo proprio perché a lui immanente come valore
eterno della spiritualità assoluta alla quale aspira. E
da questa aspirazione l'uomo trae il motivo primo per
aver fede che la sua vita nel mondo non è invano, e
che. non invano è in lui una legge che gli vieta di ab­
bandonarsi alle passioni e di agire come se il fine della
sua vita si esaurisse nel mondo dell'esteriorità.

11. Ma qui fermia1noci : questa è la via maestra


percorsa dal pensiero dopo Aristotele, il quale, se an­
che la intravide o n 'ebbe qualche sentore, certamente
non la percorse, perché, come si è accennato, egli ri­
mase greco e scolaro di Platone : l ' intuizione naturali­
stica dell 'essere e la trascendenza meramente ogget­
tiva non era dato superarle prima della filosofia cri­
stian a .
Pure, quanto sforzo per la conquista della nuova
intuizione, della nuova via dischiusa agli altri! La
N icomachea è un documento di prim 'ordine per stu­
diare il lento . superamento del platonismo, il primo in­
certo affacciarsi del mondo antico al mondo del sog­
getto, eh ' è quello della libertà. Senza la libertà (che
non è semplice spontaneità) non esiste il valore mo­
rale dell 'azione.
INTRODUZIONE

La virtù del platonismo era una virtù fatale, fatal­


mente pr«ìscritta e fatalmente eseguita : acquistato
l'abito, dice Aristotele, noi non ne siamo più padroni,
cioè il nostro carattere è già determinato . E tuttavia,
aggiunge, noi siamo padroni delle nostre azioni dal
principio alla fine : la virtù è tutt'altro che facile a
conquistarsi, esigendo non un'esteriore conformità
della nostra natura affettiva a una norma astratta,
ma uri lavoro interno e assiduo della nostra attività
che da e s s e r i m e r a m e n t e n a t u r a l i ci trasformi
in esseri m o r a l i , m o r a l m e n t e c o s t i t u i t i. Né ba­
sta fare azioni oneste, quali dalle leggi sono stabilite,
ma quel che conta è di farle onestamente. Noi siamo,
dunque, figli delle nostre azioni solo perché ne siamo
padri nello stesso tempo ; n o i o p e r i a m o c o s l c o m e
s i a m o , e s i a m o q u a l i n o i v o g l i a m o e s s e re.
Per natura non siamo né buoni né cattivi . Il sa p e re
è necessario al fare, come dice Socrate, perché la
virtù non è data agli esseri irrazionali. Ma è vero
anche il contrario, che il fare è necessario al sapere,
perché noi diventiamo suonatori, non con la teoria
del suono, ma sonando . Sarà, dunque, la virtù un
atto della nostra attività, la quale è, insieme, sapere
<' volere : volontà consapevole.

E, divenuti esseri morali, cioè soggetti di abiti


-
etici, non per questo si è pervenuti al bene . Quegli
abiti possono essere anche in uno che dorma o stia
ozioso. È necessario agire. L'abito ha il còmpito sol'>
di non disperdere le conquiste della nostra attività
morale : ma la vita è attività.
Né la virtù può respingere, quindi, il piacere : non
il piacere considerato nella natura cieca che ci acco­
muna ai bruti, il quale non ha per sé nessun valore
morale, essendo meramente corporeo e dovendo, anzi,
essere, come tale, sottomesso al dominio della nostra
'
L ETICA NICOMACHEA

natura razionale, affinché · non ci faccia schiavi delle


passioni e non· ottenebri o impedisca lo svolgimento
della nostra attività pura ; ma i l pi a c e r e c h e è i n s i­
to a l l a a t t i v i t à s t e ssa, la quale nello sforzo della
sua energia sente a ogni istante il piacere del possesso
del fine·. Il piacere erroneamente è considerato da Pla­
'
tone e dagli Accademici come appartenente al mondo ·
del divenire e del movimento. Esso è atto dell'anima:
<' l'atto divino o atto del vouç è piacevole per se stesso .

Il piacere non è il bene, perché il bene è l 'attività,


ma è buono nella misura d eli' attività stessa : i n D i o
i l p i a c e r e e i l b e n e f a n tu t t ' u n o . E anche nel­
l 'uomo la felicità suprema, riflesso della beatitudine
divina, è nella gioia di possedere, operando il bene,
il suo vero c se stesso ».
Questo è il punto più alto a cui giunga l'Etica dello
Stagirita . Ho soltanto accennato ai punti più luminosi
che qua e là rompono l 'orizzonte scuro in cui Aristo­
tele ha collocato la sua trattazione, che, tenuta n, non
avrebbe per noi, oggi, quasi più nessun interesse, tan­
to son mutati i costumi e le coscienze. Ma, chi a quei
punti luminosi volgerà l 'attenzione, vedrà eh' essi con­
vergono tutti a quello ch'è ancor oggi il problema
centrale della filosofia : intendere l 'atto nella sua pura,
vivente, interiorità. Lo sforzo meraviglioso, compiuto
qui da Aristotele, di chiarire a se stesso un tale atto,
dà luce e valore permanente a tutta la trattazione .
PARTE PRIMA

L'O.GGETTO DELL' ETICA E LE ·O P


· INIONI
DEL TEMP O

[LI BRO PRIMO]

l. Il bene è il fine. Subordinazione dei fini al fine ultimo o


sommo bene .

Ogni ar�e e investigazione, e similmente ogni azione 1


e ogni proposito, paiono aver di mira un qualche bene :
per ciò non a torto è stato detto che il bene è quello

Lib. I, cap. l. - I capitoli I-III fanno da /n'oemio, nel quale si pone


l'oggetto della trattazione etica e il suo rapporto con la Politica, poi si
discorre del metodo da seguire e dell'uditore più appropriato a queste
lezioni. Il resto del primo libro è quasi tutto occupato dall'esame delle
opinioni principali che prima di A. e al tempo suo correvano intorno alla
felicità., che è il bene sommo e il fine supremo della vita umana. Questo
primo libro, dunque, è in gran parte introduttivo, e solo con la teoria
deila virtù comincia la trattazione propriamente dottrinaria. Questo è uno
dc' pregi migliori del metodo aristotelico, per il quale ogni dottrina sorge
sulla base concreta della storia. Cfr., per es., i primi libri del De A.nimtJ,
della Metafisica, della PolitictJ. Il cominciamento dell'Etica ha molta.
scmiglianza con quello della Politica : il motivo di ogni azione è il bene :
ogni comunanza fu stretta in vista di qualche bene : per raggiungere il
bene sommo esiste lo Stato, che è la comunanza più perfetta e maggiore.
La. Metafisica, invece, prende le mosse da un altro punto, ma in dire­
zione parallela : tutti gli uomini tendono naturalmente al sapere: poi el
-distinguono i vari generi di conoscenze e la conoscenza pura o suprema,
eh� è l'oggetto proprio della filosofia Prima . Nella Metafisica si studia
l'attività. umana in quanto, conoscendo, realizza in sé le forme dell'essere :
nell'Etica, in quanto, operando, realizza in sé il bene. Là., siamo nel
regno della scienza e delle forme; qui, in quello dell'azione e dei fi ni .
E come là. si cerca un principio che spieghi la molteplicità del reale;
cos) qui, un fine a cui tutti i fini siano subordinati.
l. Arte è, per A . , abilità di produrre o fare qualcosa: per es., queJia
d{·l falegname, del pilota che guida la nave, del medico che procura la
'
30 L ETICA NICOMACHEA

2 a cui tutte le .cose mirano. Ma tra i fini è da fare una


distin zione : in alcuni casi gli atti stessi son fini ; in
altri, certe opere oltre gli atti. Dove sono certi fini
oltre le azioni, quivi le opere sono per natura più ec­
cellenti degli atti .
s Ed essendo molte le azioni e le arti e le scienze, ven-
gono ad esser molti anche i fini : per es . , della medi­
cine il fine è la sanità ; dell 'arte di fabbricar le navi, la
nave ; dell 'arte militare, la vittoria ; dell 'economia, la
4 ricchezza. In quanto esse sono tali che sotto un'unica

guang10ne, ecc. Essi, prima, debbono investigare il modo di produrr� :


anche l'arte, dunque, è cosa propria dell'uomo, perché presuppone l in­
tc;;lligenza (non è arte quella del ragno che fa l=t tela, dell'uccello che
vola, ecc.) .
� stato detto . . da Eudosso, come vedremo (Parte terza, sez. I, 6.>.
.

2. « In alcune cose il fine ultimo � l'atto: Per es ., la vis:"one è il ftne


ultimo della vista, non essendoci oltre di essa nessun'altra opera dP.l:a
t·ista; in altri casi c'è qualcos' altro: per es., nell'arte di costruir case,
Ùl casa è qualche altra cosa oltre il costruire» (Metaph., 1050 a, 23). E
roco dopo : « Di queste cose, dunque, non c'è altra opera oltre all'a_tto,
in esse l'atto è ins "to: per es., la visione, in chi vede,· la coxtemplazion�.
in chi contempla,· nell'anima, la vita, e però anche la felicità che è tma
v ·ta di una certa specie» (ivi, 34). Dunque, negli esseri che hanno in sé
l'attività, questa può coincidere con l'opera, anzi consiste, per l'appunto,
nell'operare ; sl che l'atto 'di vedere è l'oPera prorria della vista ed ha
la rerfezione in se stesso. Negli esseri materiali, i�vece, nei quali l'atto Dl'U
è insito, fa d'uopo di un motore esterno in atto che faccia passare la m�ra
potenza della materia nella fonna (dia alle pietre la forma della casal :
in questi il fine (la casa) è perfetto solo quando l'atto (del costruire) ha
realizzata la fonna interamente.
4. Facoltà è qui usata nel significato che ebbe in séguito nelle frasi:
facoltà di medicina, di giurisprudenza, ecc. Ma, più in generale, il· ter­
mine « facoltà>> equivale a quello di potenza (capacità) : « Tutte le arti e
1t, scienze che mirano al fare sono p o t e n z e, perché sono princlp; di
n-.utamento di u na cosa in un'altra diversa >> (Metaph., 1046 b, 3). Qui,
rerò, si tratta di « potenze razionali » : che è un significato particolare di
quello che la « potenza>> ha nel sistema metafisica.
Altrove, l'arte soltanto è una facoltà poietica, cioè Produttiva di q:.,al­
cosa che da sé non si produce; il termine opposto è « natura » : di qui ]a
distinzione tra cose naturali (per es., una quercia) e cose artificiali (per es ..
una statua) . La scienza. propriamente, ha per fine la conoscenza dell'essere.
non la produzione. Ma, da un altro lato, l'arte, in quanto teoria dell'a1te,
PARTE PRIMA

facoltà si riducono (ad esempio : dalla cavallerizza di­


pende l ' arte del fare i freni , e quante altre ce ne sono
degli strumenti cavallereschi ; la cavallerizza, poi, e ogni
azione guerresca dipendono dall ' arte militare, e nello
stesso modo altre, da altre) : in tutte, dico, i fini delle
arti fondamentali sono di maggior pregio che quelli delle
dipendenti : perché in grazia di quelli si cercano questi.
A tal riguardo non fa differenza che i fini delle azioni o

siano gli atti stessi, ovvero un'altra cosa oltre di questi. 1

Se, dunque, nelle cose pratiche si dà qualche fine che


si desidera per se stesso, e per esso si desidera tutto
il resto ; e, se è vero che non ogni cosa noi vogliamo
per un'altra (se no, s'andrebbe all'infinito : onde inutile
e vano sarebbe il nostro desiderare) : è chiaro che tal
fine sarà il bene, anzi il sommo bene.

2. Lo studio del bene spetta alla Politica, che è la prima delle


scienze pratiche .

Or, dunque, la conoscenza di esso non sarà di gran 2

momento per la nostra vita, e, similmente agli arcieri


sicuri dello scopo, non raggiungeremo più facilmente
quel che si deve? Se cosl è, ingegnamoci di delineare s

in abbozzo quel che esso sia, e di quale tra le scienzè


o facoltà sia oggetto. Niuno dubiterà che lo studio di 4

esso non appartenga alla scienza principalissima e

è anch'essa scienza. E, viceversa, le scienze che mirano alla /»'atica sono


anche arti : il medico, ad es., Produce la sanità del malato. Ma pratico,
poi, in senso proprio, è quel che riguarda l'azione moralmente conside­
rata, in sé e per sé (in quanto atto della nostra volontà) . Cfr. Parte se··
ccnda, sez. III, 5-6.
Fon,dumentali : lett. « architettoniche >>, termine che qui designa la
gerarchia delle scienze (come l'architetto che dirige i lavori di una fab­
brica) . Tra le scienze pratiche è architettonica la Politica, fra le teoretiche,
la Metafisica.
ii,- · 2 . Quel che si deve : non il doverre, che è concetto moderno, ma
quel che è richiesto o sta bene in date circostanze (cioè che conferisce, giova) .
'
32 L ETICA NICOMACHEA

& maestra di tutte le altre . Tale è, si vede chiaramente,


6 la scienza politica. Poiché questa dispone nella città le
scienze che vi bisognano, e quali ciascuno ha da im­
parare e fino a qual punto. Noi vediamo che anche
le facoltà tenute in maggior pregio, come 1 'arte mili­
tare, l'economia, l'oratoria, sono a quella soggette.
'l E valendosi essa di tutte le rimanenti scienze pratiche,
e inoltre stabilendo per legge che cosa si deve fare e
da quali cose astenere, si può dire che il suo fine ab­
braccia i fini di tutte le altre . Onde il suo fine sarà il
s bene umano. E pur essendo medesim<;> il bene d ell'in­
dividuo e quello della città, tuttavia ottenere e- conser­
vare il bene della città, è cosa più grande e più perfetta.
È vero : il bene è degno di essere amato anche per un
solo individuo ; ma è più bello e più divino quando
9 riguarda popoli e città. A questo dunque mira la pre­
sente investigaziòne, la quale è di natura politica.

S-9 . A. chiama spesso Politica la sua trattazione de11a prassi. L'Etica


considera I ' i n d i v i d u o ; la Politica, lo S t a t o (che per il greco, come è
noto, consiste nella polis, città) : la differenza, dunque, è qualitativa, oltre
che quantitativa; Il vero bene dell'individuo coincide con quello .della Polis :
« fine ultimo di ogni arte e scienza � il bene, e massimamente di quell-a

che sta in cima di tutte, la scienza .Politica >> (Pol., III, VII, I). Per A.
l'uomo è capace di moralità perché è carace di educazione. Ma l'ednca­
zione è possibile soltanto nel vivere comune. Quindi l'uomo è un essere
morale appunto perché è un essere politico. Ed è un essere politico pf"r
la sua stessa natura umana : « � chiaro che lo Stato � prodotto di natura
e superiore all'individuo: poiché l'individuo separato non bastando · a sé,

tende, come ogni altra specie di parti, per abito, al s;o tutto. Chi nlm
tosse capace di civile comunanza o non ne avesse bisogno per bastare a
st. stesso, niuna parte dello Stato diverrebbe, si che sarebbe da reputarsi
o bestia o dio >> (Pol., I, I, I2; cfr. anche, ivi, quel che precede, rlove,

secondo H generale principio aristotelico, che ciò che è ultimo in ordine


al divenire, è primo in riguardo all'essenza, si conferma che lo Stato è
per natura prima dell'individuo e superiore a esso, cosi come il tutto è
necessariamente superiore alla parte). Per il concetto politico deii'ednca­
zione morale, abbondano i passi deiia Politica. Ad es. : « Le azioni �i·
dJstinguono per rispetto all'onesto e al non onesto non per se stesse, nza
a seconda del loro fine. E Poiché � nostra opinione che la virtù del cit-
PARTE PRIMA J3

3 . ·Del grado di esattezza che si può esigere in questa scienza .

Intorno -al soggetto si dirà a sufficienza, se sarà III

chiarito per quanto la materia comporta : la precisione,


infatti, non · ugualmente in tutti i ragionari è da ricer­
care, a quel modo che neppure. nei lavori manuali.
Ora, a parlar di ciò ch 'è onesto e giusto, che son · gli 1

oggetti di studio della scienza politica, si trova tant�


differenza di opinioni da sembrar eh' essi non siano tali

tadino e del governante sia la stes�a che. quella dell'ottimo uomo; con�­
nendo i•oltre che la stessa Persona prima obbed:sca e poi comandi: questo
!a1'à il compito del legislatore, che gli uomini divengano· buoni, considt!­
f'ando quali siano le istituzioni che a ciò conducono e quale s.'a il fit�e
della vita migliore » (Pol., VII, III, 5). - Economia : ha ancora, qui, il
significato antico di « amministrazione della casa >> .
III. Circa il metodo, come oggi si dice, o meglio, circa il valore della
scienza etica, si è detto tutto quando si è notatd che A. la distingue daJie
scienze teoretic he. Essa è sc .-'enza P,atica : il suo oggetto nor.. è _ l'eterno,
universale e necessario ; ma è contingente e particolare. I costumi degli
nomini, infatti, sono molto diversi, e il modo di condursi nelle a7joni
varia a secondo delle circostanze. Non si vuoi dire con ciò c}:le i prin­
cipi o concetti supremi (fine, atto, sommo bene, ecc.) non appartengano
alla filosofia. Si dice solamente che, abbandonando il campo della pura
scienza, e proponendosi non più la conoscenza per se stessa, nta la co­
noscenza in quanto ha per scopo l'azione, la trattazione deve assumere
come premesse . le opinioni vere, accordate dal consensus gentium o da.Ue
J ersone colte. S'intende che, trattandosi di opinioni, 'le · dimostràzioni
dell'Etica non possono essere esatte come quelle della Matematica. Ma
neppure si confonde con la Retorica, perché questa non dimostra, ma
cerca quel che più è adatto a persuadere (Rhet ., I355 b, xo).
·

l . Nelle arti, diciamo cosl, materiali la finezza del prodotto è diversa


a seconda della ma.teria. Dall'argilla tu non puoi fare una statua fina
come dal marmo o dal bronzo.
2 . Ciò c h'è onesto : nel senso antico della t:" arola : ciò che merita onot:e,
perché bello, conveniente, commendevole a farsi. . Ognuno sa quanto Im­
barazzo - per noi moderni - presentano i giudizi di valutazione dei greci :
il Iato estetico e il lato utilitario (bello e utile) non sono .generalmente
distinti dal lato che è più proçriamente morale nell'azione (buono). Non
solo : ma anche le cose sono investite di valore estetico, di bo�tà, ecc.
Sarebbe, però, un grave errore di credere che quei concet�i siano iden­
tificati, e che max,chi la coscienza dei valori spirituali. No : _quei concetti
essi li trovano a r m o n i c i , anche se non identici ; . né tra i . valori del
34 L ' ETICA NICOMACHEA

:s per natura, ma solamente per legge . Intorno alle cose


da ritener buone s'incontra anche una certa instabilità
di giudizi, e la cagione è che a molti accadde di ricever
danno da esse, essendo già periti alcuni a causa della
· ricchezza, così come altri per la loro forza d'animo.
4 Parlando dunque di tali cose e da tali giudizi movendo,
bisogna contentarsi di additare la verità in grosso e in
abbozzo, e, discorrendo intorno a cose che avvengono
per lo più, trarre conchiusioni di uguale natura. ·E nella
stessa maniera anche convien che accolga ognuno quel
che qui si dice, poiché è proprio di persona colta ri­
chiedere in ciascun genere tanto di precisione, quanto
comporta la natura della cosa : lodare un matematico
perché parla persuasivamente par che sia come do­
mandar dimostrazioni a un oratore .

4. De il 'uditore.

6 . Ciascuno poi giudica rettamente �iò che conosce, e


.
·d.i questo è buon giudice . Onde nei particolari è buon
giudice chi in essi è ammaestrato, ma quegli assolu­
tamente giudicherà bene che si à ammaestrato in tutto.
Per ciò della politica non è acconcio uditore il giovane,
p � rché inesperto dei fatti della vita : ora, da questi

soggetto e le cose sentivano discordia, . sl che era loro naturale riferire a


queste gli attributi di quello. Di qui l'uso frequentissimo del neutro.
Per legge : è il famoso adagio sofistico : VIZIO e virtù son tali pt•r
convenzione sociale, arbitrari. Qui l'opinione sofistica è citata solamente
per esempio della varietl dei giudizi umani.
3. Non sempre quei che per se stessi sono beni, son tali per ciascuno.
5-7. Cfr. VI, VIII, 5-6 : i giovani diventano facilmente valenti neHe
matematiche, perché scienze astratte; ma non nella filosofia e nella fisica,
perché scienze concrete, per le quali è necessaria lunga esperienza. A. (è
chiaro) fa questione dello svolgimento intellettuale e morale di chi l'ascolta,
perché sia capace · d' intendere, e perché tragga profitto. La scienza mfl­
rale non può rivolgersi a esseri che non siano già spiritualmente maturi.
PARTE PRIMA 35

muove e intorno a questi si aggira il nostro ragtonare.


Aggiungi che, lasciandosi egli guidare dalle passioni, 6

ascolterà con leggerezza e senza van �aggio, essendo il


nostro fine non la conoscenza, ma l'azione. Né qui fa 7

nessuna differenza se uno è giovane per età ovvero per


giovanili costumi, ché il difetto non nasce dali. ' età, ma
dal vivere secondo passione e andar dietro a ogni cosa.
A gente siffatta la cognizione riesce infruttuosa, non
altrimenti che agli incontinenti. A coloro, invece, che
conforme a ragione compongono i propri appetiti e le
loro azioni, potrà essere molto utile l'avere conoscenza
di queste cose.
Quanto all 'uditore, e come debba essere accolta 1a 8

trattazione, e quanto a quel che ci proponiamo - val­


gano le cose dette qui a mo' di proemio.

5. Tutti son d'accordo che il fine ultimo è la felicità ; ma son


discordi intorno alla sua essenza.

Ripigliando ora da capo la nostra ricerca, giacché IV

ogni conoscenza e ogni nostro proposito tende a .un


qualche bene, diciamo quale è quello a cui mira la
politica, e quale sia di tutti i beni pratici il più alto.
Nel nome si è quasi tutti d' accordo : sia il volgo, sia 1

Questa maturità e quasi costituzione morale, secondo A., non si ha da na­


tura, ma dall'educazione ; i giovani non educati sono ancora allo stato
·
naturale, in balia delle passioni.
IV. 2 . Felicità. Non è possibile rendere in lingua moderna, con �rc­
cisione, la greca eudaimonia (lett. : un bene-essere, uno stato di perfezJOne
che ha del divino), perché con la parola è mutata l'idea. Conserviamo,
per rispetto alla tradizione, il termine felicità, sebbene abbia per noi un
senso s o g g e t t i v o molto maggiore che in greco. Né, del resto. val le
pena d'insistere sul termine, una volta che A. stesso ci avverte che vuoi
mettere in questione nop la parola, ma il concetto d i s o m m o b e n e
c h e n o i p o s s i a m o m e t t e r e i n a t t o . Essa è, si, qualcosa d'inte­
riore e spirituale, in quanto vien d�finita come pienezza di vita e perfe-
L ' ETICA N I COMACHEA

la gente fina, dicono che è la felicità, e stimano che


una vita bella e fortunata sia il medesimo che l'esser
felice . Ma, poi, intorno a che cosa sia la felicità sono
in discordia, né dànno la medesima spiegazione la
s gente volgare e i sapienti ·: alcuni pensano che sia una
delle cose manifeste e chiare, come il piacere o la
ricchezza o l'onore ; altri, un'altra cosa. E molte volte
lo stesso uomo la ripone · in. cose diverse (quando è
malato, nella sanità ; quando è povero, nella · ricchezza) ;
e quei che sono consapevoli della propr.ia ignoranza
·

ammirano coloro che sanno di re qualche gran cosa,


superiore alla loro intelligenza. Certi, poi, reputarono
� che al di là di questi beni molteplici ce ne sia un
altro che è · bene per se stesso, il quale sia anche a
4 tutti questi cagione dell 'esser beni. Ma forse non va-l
p roprio la pena di prendere in esame tutte quante le
opinioni, e basta considerare quelle che sono più 1n
favore ovvero paiono avere qualche ragione . .

6. Se debba seguirsi il metodo induttivo o il deduttivo.

5 Ma non perdiamo di vista che· passa differenza tra


i ragionari ·che si fanno dai princìpi e quelli che
vanno ai princìpi . Anche Platone, in vero, ben dubi-

zione dell'atto dell'anim a ; ma si richiede per essa anche una certa fortunata
condizione di natura. Chi avesse un corpo deforme o malato, non po­
trebbe esser felice appieno. Neppure lo schiavo, non avendo la pienezza
dt· vita, J:: U Ò, secondo A., essere felice. Quindi, neppure i bambini (tanto
meno gli animali inferiori all'uomo) sono partecipi di felicità. .
5. Seconda digressione sul metodo dell'Etica. A. conchiude in favore
del metodo induttivo, che è proprio della dialettica (nel senso antico, sr_·
cratico : che -muove dalle opinioni) . . L'apodissi, invece, è più propria delle
scienze esatte, come la matematica.
Platone : Cfr. Repubblica� VI, 510 B . ·
Giud."ci : propriamente quei che presiedevano a i giuochi, nelle Paru-
·

ttnee, e alla distribuzione . dei premi..


PARTE PRIMA 37

tava in q uesta materia ricercando se dai princìpi o


verso i princìpi fosse la via da seguire : cosl cotne
nello stadio si può andare dai giudici al termine, e
viceversa. Certo è che si deve principiare dalle cose
note. Ma queste son di due specie : le une sono note
a noi ; le altre, assolutamente . Probabilmente, dunque,

a noi convien principiare per l'appunto dalle cose note

a noi . Ed ecco perché bisogna che sia stato . educato 6

a oneste abitudini colui che dovrà essere in grado di­


udir parlare di onestà, di giustizia e in ge.n·e rale di
cose politiche (poiché il punto di partenza è che la 1

cosa è cosl : e quando questo venga concesso, non ci


sarà bisogno di aggiungere il perché è cosl ) . Un sì
fatto uditore · o già possiede i princìpi, ovvero faciJ.�.
mente potrà acquistarli. Ma colui il quale né li ha, né
si cura di acquistarli, ascolti i versi di Esiodo :

Ottimo è quei che· da sé tutto intenda ;


saggio è. pur quei .eh 'obediente ascolti
chi be.n parli : ma chi da sé non pensi
né a�coltando altrui nel �or sia scqsso,
è questi veramente un uom da nulla.

La d istinzione tra ciò che è prima e più. noto pe� natura (assoluta­
mente, logicamente) e ciò che è prima e più noto a noi (nel divenire della
.
nostra conoscenza, empiricamente) è in Analyt. post l, 2, 71 b, ,53.
.•

7. Questo passo, molto controverso, può intendersi cosi : - l'Etica non


è una scienza pura (Metafisica), ma pratica : essa muove dal fatto morale,
che deve essere già . concesso, e intorno ad esso ragiona. Se uno riconosce
che cosi è il fatto morale, non c'è bisogno, per convincerlo, di argomen­
tazioni, tanto più in quanto lo scopo dell'Etica non è il conoscere, ma il
fare; e se, poi, chi già è educato ai principi mprali, vorrà· arprendere
anche la scienza della morale (l'Etica), non gli sarà impresa ardua.
,
Esiodo: Opere e giorni �I.
L ' ETICA NICOMACHEA

7. Molti ripongono la felicità o nel piacere o nell'onore o nel la


virtù.

v Ma ritorniamo col discorso donde ci siamo partiti .


Non senza ragioni pare che gli uomini giudichino
del bene e della felicità dal loro genere di vita. I più
e i più grossolani stimano che sia il piacere, e però

1 altra vita non amano che la gaudente. Ché tre vite

hanno la preferenza su tutte le altre : quella detta ora ;


l'altra è la vita politica ; e la terza è la vita contern­
plativa.
s I più, dunque, si mostrano in tutto simili a schiavi,
proponendosi una vita bestiale ; ma trovano un·a ragio­
ne in questo : che molti di coloro che sono al potere
han le stesse passioni di Sardanapalo.
' Invece, le persone fini e attive ripongono il bene
e la felicità neli ' onore, perché l'onore è quasi il fine
della vita politica. Ma tal fine si mostra troppo super­
ficiale in paragone di quello che si cerca :. poiché l'ono­
re è più in potere di chi lo dà, che di chi lo riceve . Il
bene, invece, che noi andiamo congetturando, è cosa
6 tutta propria e malagevole a esser tolta. Aggiungi che

gli uomini par che perseguano l'onore per dar a cre­


dere a se stessi di essere buoni : e cercano perciò di
essere onorati dalle person e sagge, e presso chi li co­
nosce, e in nome della virtù. È chiaro, dunque, che
anche per loro la virtù è più eccellente.
6 Qualcuno preferirà, quindi, di porre per fine della

v. l . Qui comincia l'esame delle opinioni prevalenti : la distinzione di


esse nei tre gruppi era già, presso a �poco, in Platone e in altri scrittori
del tempo.
4 . L'onore è riconoscimento della virtà. Nota però che il termine
corrisponde più a onori che a onore.
6 . La virtù, come dirà tra poco, è un abito, un possesso ; ma A. vuoi
PARTE PRIMA 39

vita politica la virtù . Ma neanche questa apparisce del


tutto perfetta, perché può darsi il caso che la virtù sia
ancora in uno che dorma, o passi inoperoso tutta la
vita, e, oltre a questi, in uno che sia oppresso dai
mali e dalle sventure più grandi. Ora, tranne chi vo­
glia sostenere ad ogni costo l 'assunto, nessuno chia­
merebbe mai felice un uomo che viva in tal maniera . E
di ciò basta ( ché ne abbiam detto a sufficienza anche
nei libri enciclici).
La terza vita è la contemplativa, ch e esamineremo 1

in séguito.
Quanto alla vita intenta ai guadagni, essa è una s

vita forzata ; poi, è chiaro che la ricchezza non è il


bene che si cerca : non è altro che una cosa utile, e si
cerca per fine di altro . Per la qual cosa nel numero
dei fini si debbono mettere piuttosto quelli detti innan­
zi, poiché sono amati per se stessi. Ma neanche quelli
par che siano il bene che si cerca : eppure molti argo­
menti sono stati addotti in loro favore. Queste opi­
nioni, dunque , lasciamole da parte.

8. Critica della dottrina platonica del bene.

Forse è meglio prendere in esame il bene in uni- v

versate, in che modo si dica : sebbene tale questione

che sia attiva. L'esser virtuoso, riguardato come una mera qualità, non
basta : l'importante è agi�e virtuosamente. - Libri enciclici sono forse
gli stessi di quelli che A. cita altrove col nome di essoterici, probabil­
mente . perché trattavano argomenti filosofici in forma più popolare (eso­
tef'ici, invece, erano quelli destinati soltanto alla scuola).
7. Esamineremo in seguito : v. Parte terza, sez. II. 2.
8. Forzata : fatta a forza, non spontanea, non naturale. Sul dispregio
della vita dedita ai commerci, cfr. Po litica VI, VI : A., seguendo 11n
,

ideale del tutto greco, non la considera come una vita degna dell'uomo
virtuoso e libero. Quindi, neppure il lavoro rivolto a procurare le cose
necessarie alla vita matenale, e affidato, J:er ciò, agli schiavi.
VI : Vedute sommariamente le opinioni del volgo e delle persone còlte,
'
40 L ETICA NICOMACHEA

debba riuscirei incresciosa per l 'amicizia che abbiamo


con coloro che hanno introdotto le idee. Ma . ben parrà
ad ognuno questo il meglio : ·che per la salute della
verità convenga far tacere ogni privato riguardo, spe­
cialmente poi chi fa professione di filosofo : ché, di
quelli e di questa insieme essendo amici, è sacro do­
vere · onorare di preferenza la verità.
l Quei che introdussero tale dottrina, non ponevano
idee per le cose in cui dicevano esser un prima e un
poi (per ciò appunto neppure per i numeri costruivano
un'idea) . Ma del bene si parla e nella categoria del­
l ' essenza e in quella della qualità e in quella della
relazione . Quello poi che è per se stesso, e che è · la
sostanza, è, per natura, prima di quello della relazione
(questo, infatti, è cÒ me una derivazione e un accidente
dell 'ente) : sl che non ci potrà essere una idea comune
per essi .
zs Inoltre, parlandosi del bene in altrettanti modi che

viene ora a quelle dei filosofi. Tra questi primo, se non unico, Platone.
La polemica consacrata in questo capitolo va illustrata con il primo libro
della Metafisica (capp. VI e IX), o, per meglio dire, con tutta intera l�
posizione di Aristotele in rispetto a Platone e all'antica Accademia.
I . ·Non gil che A. voglia porre in dubbio l'universale, ma la concezione
che di esso aveva Platone. Ammette . l'universale in due sensi : o rome
nozione astratta, predicato comune, del quale tratta pro"'riamente l'Or5a­
non ; ovvero come concetto reale, concreto, fondamento dell'essere in tutte
·
le forme particolari, non mai fuori di esse, di cui tratta la Metafisica.
2 . Se ci fosse un'idea-numero, essa sarebbe prima del primo numero
della serie : ciò parè assurdo. Similmente : se non c'è Idea delle C(��e
subordinate le une alle altre, dacché i beni son subordinati tra loro fil
bene come sostanza è superiore al bene come relazione), non può esser:i
un'Idea-bene. - Nota che nel « prima » c'è tanto il concetto di prio1·ità
nel tempo, · quanto di superiorità logica. L'essenza è un prius della �o­
stanza, e questa è un f>rius · delle categorie secondarie (qualità, quantità,
rEllazione, ecc.).
3. In breve : l'idea o è una generalità, un nome astratto, vuoto di
rtaltà ; o è un reale, un esistente; · ma non J=UÒ essere l'una e l'altra coc;o:t
insieme.
PARTE PRIM1\ 41

d eli' essere (poiché si dice nella essenza determinata :


per es . , Dio e la ·m ente ; e nella qualità : per es . , le
virtù ; e nella quantità : per es. , l 'esser misurato ; e nel­
la relazione : per es. , l'utile ; e nel tempo : per es . ,
l 'opportunità ; e nel luogo : per es . , la residenza, e altre
simili cose ) , è chiaro che non ci può essere un bene
comune che sia anche unico, perché non se ne par­
lerebbe in tutte le categorie, ma in un'unica soltanto.
Ancora : poiché delle cose che riguardano un ' unica 4

idea, unica è anche ·la scienza di esse, anche di tutti


quanti i beni ci sarebbe un'unica scienza. Invece ce ne
sono molte, persino di quelli che cadono sotto un'unica
categoria : per es . , dell 'opportunità : in guerra, c'è l a
scienza strategica, nella malattia, la scienza medica : e
d eli ' esser misurato nel cibo ·c 'è la scienza medica, nelle
fatiche, la ginnastica .
Qualcuno potrebbe pure dubitare che cosa mai vo- r.

glion dire con quel « in sé » di ogni cosa, una volta


che · e per l ' « uomo in sé » e per l ' « uomo » il discorso
è uno e medesimo, quello dell'uomo. Perché, in quanto
l 'uno e l'altro è uomo, in nulla so n differenti. E se
così è, neanche il bene e il bene « in sé » saranno dif-

4. Anche qui, come per l'universale, -tieni presenti i due valori dtl
concetto aristotelico di categoria : in una stessa categoria logico-astratta
possono trovarsi generi di cose tra loro molto diversi. A ogni genere
reale, invece, corrisponde una scienza.
5 . F:n qui, dell'Idea come universale. Ora la questione è fra trascen­
de:nza e . immanenza. cc Colo1'o che pongono le Idee esse1' cause delle cose,
:n />1'imo luogo# ment1'e ce1'cano le cause delle cose esistenti in questo mondo,
n-.. int1'oducono alt1'ettante di nume1'o e dive1'se da esse# come uno che,

vclendo conta1'e un certo numero di cose# C1'edesse di non poterlo farP


finché son poche, ma che, l'addoppiandole# gli riusciss� agevole. Infatti,
le . idee son d� numero uguale, j>e1' lo meno non infe,-io1'e� alle cose e/elle
quali colo1'o ce1'cano le cause j>1'ocedendo da esse alle Idee. Cost pe,. ogni
gcnef'e di cose c'è un quid che porta lo stesso nome, non solo per 'e so­
stanze, ma pe,- tutte le alt1'e cose in cui ha luogo l#uno nel molteplice,
tanto pe1' le cose sensibili quanto pe,. le ete1'ne >, (.Vetaph., I, IX, 1).
'
42 L ETICA NICOMACHEA

6 ferenti, in quanto l ' uno e l'altro è bene. Né già per


essere eterno quel bene sarà tale a maggiore diritto, se
neppure una cosa bianca che duri molto tempo, è per­
ciò più bianca di una che duri un sol giorno.
7 Più persuasivamente sembran di ciò parlare i Pita-
gorici, ponendo l 'unità nella serie dei beni : l'opinione
dei quali par che anche Speusippo abbia seguito. Ma
di ciò se ne parli un'altra volta.
8 Ma nelle cose dette innanzi s 'intravede un dubbio :
che, cioè, i discorsi loro non sian fatti per ogni bene,
ma secondo un 'unica specie si dicano soltanto i beni
che per se stessi vengon perseguiti ed amati ; quelli,
poi, che han facoltà di produrre tali beni, ovvero di
conservarli in certo modo, ovvero d'impedire le co3e
a loro contrarie, si chiamino beni per cagione dei pri-

9 mi e in un altro modo. È chiaro, invero, che dei beni


si può parlare in due sensi : in uno, dei beni che son
tali per se stessi ; in altro dei beni ch e son tali in
grazia dei primi . Separiamo dunque i beni , per se stessi,
dai beni, che sono soltanto utili ; e vediamo se di quelli
10 se ne parla secondo un 'unica idea. Ma quali beni si l

7 . Cfr., per le dottrine pitagoriche, Metaph., l, v : ponevano dirci


coppie di princlpi (finito, infinito,· Pari, dispari,· quiete, moto,· buono,
cattivo,· maschio, femmina,· unittl, Pluralittl ; ecc . ) . Qui non si vuoi dire
altro che a primo aspetto pare più ragionevole la teoria pitagorica, per­
ché, almeno, non considera l'unità (e quindi, il bene) come trascendente
o separata dalle cose (e quindi, dagli altri beni).

Speusippo, nipote di Platone, primo dei capiscuola dell'antica Acca­


demia, con tendenze pitagoriche, come qui e altrove si dice.
8. Nota il passaggio da idea a specie (in greco, idea e eidos), che dà
luce a tutta la questione. A. ammette, come abbiamo visto, una distin­
zione tra beni per se stessi, e beni secondari che han valore soltanto di
mezzi. Ma l'idea platonica, essendo trascendente, non può mai divenire
una. sPecie del bene, neppure de i beni che sono tali per se stessi. La specie,
infatti, è forma immanente nelle cose, principio della loro determinatezza.
I O. O l'idea è uno dei beni per se stessi, e allora è reale, ma non pib
una nozione comune (una generalità.) ; ovvero essa sola è il bene per se
stesso, e allora diventa inutile la specie dei beni che sono tali per se ste�i
(r.on ci sarebbe altro bene fuori di essa).
PARTE PRIMA 43

può porre che siano per se stessi? non forse quanti an­
che senz' altra compagnia si ricercano, per es. , la sag­
gezza, il vedere, alcuni piaceri, gli onori ? Questi, se
noi li cerchiamo anche per qualche altro bene, tuttavia
si possono porre tra i beni che son tali per se stessi.
Ovvero non si deve porre tra questi niente altro che
l ' idea? Ma se cosl è, la specie verrà ad esser cosa
superflua. Che se anche questi son beni per se stessi, 11

farà mestieri che l a nozione del bene comparisca la


medesima in essi tutti, cosl come la nozione della
bianchezza è la medesima nella neve e nella biacca .
Ma dell 'onore e della saggezza e del piacere, in quanto
sono beni, le nozioni son tra loro diverse e differenti .
N o n esiste, dunque, il bene inteso co me qualcosa di
comune secondo un 'unica idea .
Ma, allora, in qual senso si chiamano tutti ugual- 11

mente beni? Che si tratti di una casuale omonimia,


non pare� Sarà dunque perché da un unico bene di­
pendono? ovvero perché a un unico bene conchiudono
tutti? o piuttosto si chiaman tali per analogia? Come
quando si dice che la mente è n eli ' anima quel che la
vista è nel corpo, e cosl altra simil cosa in altra .
Ma queste cose è forse meglio per ora ]asciarle da JS

I l . E neanche come nozione o concetto generale si può accettare


l'Idea. Si prenda, ad es., la nozione della bianchezza : in questa la neve
e la biacca, pur essendo cose diverse per altri lati, in quanto sono bian­

cht coincidono. Ma il piacere, l'onore, la saggezza (i tre generi di Vlta


ricordati innanzi) non hanno una stessa nozione di be�e in comune, es ­
sendo, in quanto beni, del tutto diversi. In breve : A. tratta l'idea di
Platone, come un vuoto e indeterminato principio, similmente all'Uno o
Ente della scuola eleatica, e nega che possa valere, né come r rincipio
per la scienza delle azioni umane, né come principio reale per le cose
che contribuiscono alla felicità. dell'uomo. Questa �. per A., il vero e
concreto « bene in sé », che si attua, in primo luogo, in quei beni che
son tali « per se stessi ,. .
1 2 - 1 3 . A. rimanda, naturalmente, alla Metafisica la ulteriore tratta­
zione della teoria. Qu i quel che più importa ed è decisivo, è che l'idea
platonica, essendo « separata », non può spiegare le cose che l' uomo ri
'
44 L ETICA N I COMACHEA

parte : ché la diligente investigazione di tali cose ap­


partiene, se mai, più propriamente, a un'altra parte
della filosofia ; e ·parimenti la considerazione dell 'Idea ..
Che se anche esiste un certo bene che sia unico e si
predichi in comune, tale cioè che separato dagli altri
per se stesso · sia bene, è chiaro che non potrà giam­
mai esser praticato né posseduto dagli uomini : e noi
qui, invece, non cerchiamo altro bene che· di questa
sorta.
14 Ma forse a qualcuno parrà ch e la cògnizione di tal
bene sia vantaggiosa per conoscere quei beni che si
possono conseguire con l'azione : perché, avendolo
per modello, noi conosceremo meglio anche quelli che
a noi . son beni ; e, conosciutili, li potremo meglio

conseguire.
lb . Il ragionamento ha, invero, qualche·verisimiglianza,
ma non pare andar d 'accordo con le scienze : . te quali
tutte, ad alcun .bene mirando e quello che a loro manca
per raggiungerlo ricercando, la conoscenza di quel tal
bene non curan per nulla. Eppure non è ragionevole
che un sì fatto- aiuto da tutti gli . artefici sia ignorato
t6 e negletto . Ed è ben dubbio in che sarà avvantaggiato

per la sua arte un tessitore o un fabbro che conosca


<< il bene in sé » , ovvero come sarà miglior medico o mi­

glior capitano colui che ha contemplato l' « Idea stessa» .

guarda come beni; ed essendo, in quanto idea, mero oggetto di pensiero


speculativo, non può es·sere messo in pratica : non è attività, principio di
az:one : invece, · l'oggetto dell'Etica è appunto questo.
Omonime chiama A. quelle cose che · hanno· il solo nome in comune,
c natura diversa.

1 4- 1 6-. Alcuni han notato che qui A. rivolge a Platone un'abbiezione


che può valere altrettanto bene contro la sua Etica, della quale né il
fabbro né il medico trarranno vantaggio. Ma n·on si perda di vista che
per A. ogni nostra conoscenza trae origine dall'esperienza, e che l'arte
a sua volta si acquista con la esperienza mediante la generalizzazione dèl

dato; sl che, in verità, nessun'arte, o scienZa. pratica, può avvantaggiarsi


di nn rrincipio posto al di là del mondo della nostra esperienza.
PARTE PRIMA

È evidente che il medico non considera la sanità a

questo modo, ma considera la sanità dell'uomo, anzi,


meglio, quella di quest 'uomo, - p erché quel ch 'egli ha
in cura è l 'individuo.
E di questo basti quel che si è detto fin qui.

9. La fel icità ha da essere un bene perfetto e da sé bastante.

Ritorniamo nuovamente a cercare che cosa è il bene. VII

Poiché esso· non appare il medesimo in questa azione e ·


in q�ell 'altra, né in questa o· in quell'arte : ·altro è nella
medicina e altro nella strategia., e via via similmente.
Che cosa è, dunque, in ciascuna il bene? Non forse
quello per la cui cagione si fanno tutte le altre cose?
nella medicina, ciò, è la sanità ; nella strategia, la vitto-
·
ria ; n eli ' edificatoria, la casa ; in altro, altro : quello,
dunque, che in ogni azione è in ogni proposito è il fine :
ché in vista di questo gli uomini operano il resto.
Laonde, se , per le . azioni tu_tte quante c'è un certo
fine, esso sarà il bene pratico ; e se dei fini ce ne, sono
parecchi, il bene sarà questi fini . Cosl di discorso in 2

discorso siam pervenuti allo stesso punto. Questo dob­


biamo ora sforzarci di chiarire maggiormente.
I . fini pare che siano parecchi, , ma poiché alcuni ti s

vogliamo a cagione di altri (per es. le ricchezze, i flauti


e, in generale, gli strumenti), è chiaro che non tutti
sono perfetti : il bene sommo, invece, par che debba
essere cosa perfetta. Sicché, se c'è un fine solamente
che sia perfetto, questo sarà il bene che. si cerca ; se
Cf' ne sono par e cchi, sarà il più perfetto tra essi . Quello·· 4

che per se stesso è perseguito chiamo io più perfetto

VII. 3. Perfetto : in greco, téleion, di una natura identica al tèlcs


(fine), compiuta e sufficiente in se stessa.
'
L ETICA N I COMACHEA

di quello che si persegue per c.agion d'altro ; e quello


che non è mai voluto per cagion d'altro chiamo più
perfetto di quelli che possono esser voluti sia per se
stessi sia per cagion di quello : in breve, assolutamente
perfetto è quel fine ch 'è voluto sempre per se stesso
6 e non mai per altro. Tale par che sia più di ogni altra
cosa la felicità : questa, infatti, noi vogliamo sempre
per se stessa e non mai per altra . L'onore, il piacer e ,
la mente e tutte le virtù si vogliono, sl, anche per
loro stessi : ché noi vorremmo ciascuna di queste cose,
se anche niente ce ne venisse ; ma le vogliamo anche
in grazia della felicità, pe nsando di poter essere felici
per mezzo loro. Ma la felicità niuno la vuole in grazia
di queste, né in generale per altra cosa.
& Alla stessa conchiusione par che si giunga movendo
dal concetto di « bastar d a sé » ; poiché il bene perfetto
rep�tiamo che sia da sé bastante . E chiamo c da sé
bastante » non il bastare a colui solo che vive una
vita solitaria, ma anche ai genitori e ai figli e alla
moglie e, in generale , agli amici e cittadini, giacché
'l l 'uomo è naturalmente un essere politico. Pure, in tal
cosa va posto un certo termine : perché chi la esten­
desse ai genitori , discendenti e amici degli amici, an­
drebbe all 'infinito . Ma questo è da considerarsi in ·
séguito ; per ora stabiliamo che basta da sé quel bene
che senz' altro fa la vita preferibile e di nulla man-
8 cante : e tale si stima che sia la felicità ; ed è inoltre
di tutti i beni il più degno di esser voluto, senza che
tra essi sia annoverato. Se tu, infatti, fra questi l 'anno­
verassi, è chiaro che, unito a un altro bene, sia pure
il più tenue, diverrebbe più desiderabile : perché quel

6 . Il sommo bene deve essere tal cosa che sia sufficiente per sé sola
a far felice.- Politico (fatto per la polis) : sta fra il « sociale » e il « po­
litico » in senso moderno, senza 1a precisa determinazione né dell'uno
nl> dell'altro.
PARTE PRIMA 47

che si aggiunge lo farebbe un bene maggiore, e dei


beni quello che è maggiore è più desiderabi le sempre .
Onde la felicità apparisce un bene perfetto e da sé
bastante, essendo il fine di tutte le azioni.

10. Il concetto della felicità ha da esser ricavato dal concetto


dell'attività umana nella sua perfezione.

Ma forse dir che la felicità è il più grande dei beni 9


par cosa in cui tutti siam d 'accordo, e si aspetta an­
cora che venga detto più chiaramente quel che sia.
Questo ci verrà fatto facilmente se si potrà cogliere 10
l'opera che è propria dell 'uomo. Poiché, come per il
suonatore di flauto e per lo statuario e per ogni arte­
fice e, in · generale, per tutti quelli di . cui è propria
qualche operazione, n eli ' opera consiste la bontà e per­
fezione loro ; così avverrà · anche per l 'uomo, se pure
c'è opera alcuna propria di lui. Forse che, mentre ei tt

sono certe opere e azioni proprie del fabbro e del cal­


zolaio, dell'uomo poi non ce n ' è nessuna, ma fu gene­
rato inoperoso? Ovvero, come dell 'occhio e della mano
c del piede e, insomma, di ciascuna delle membra si

vede esserci una qualche opera, cosl non reputeremo


noi esserci, oltre tutte queste, anche una qualche opera
che sia propria d eli' uomo?
E quale dunque sarà essa mai? Il vivere, no : ché 12

è comune anche alle piante, e noi cerchiamo quella


che è propria all 'uomo. Si metta dunque da parte la
vita accrescitiva e nutritiva. Seguirà una vita sensitiva ;
ma anch 'essa è comune al bue e al cavallo e ad ogni

1 0- 1 1 . Opera (ergon) indica insieme la cosa e l'operazione, l'ideale


da.' realizzare e il compito di realizzarlo. L'uomo, in quanto uomo, h.1.
quest'opera: da compiere : realizzare il concetto stesso di uomo. Questo
sarà per lui. il bene perfetto (la sua « bontà. e perfezione »). Nota il rroce­
dimento induttivo all'usanza socratica, per cui ai procede dialetticamente
a una determinazione sempre maggiore del concetto di felicità..
L ' ETICA NI COMACHEA

ts animale. Resta dunque che sia una ·vita attiva di quella


parte che è ragionevole . Ma, di questa, una parte è
ragionevole in quanto è obbediente alla ragione ; e
l ' altra perché la possiede, e pensa. Ma anche la yita
di questa dicendosi in due maniere, si prenda quella
che è in atto, la quale con maggior diritto merita
tal nome.
14 Dunque, l 'opera dell 'uomo è l'attività dell'anima
secorido .ragione o, almeno, non priva di ragione . Affcr-
miamo poi che è dello stesso genere l'opera dell 'uomo
,,
e dell'uomo eccellente : non altrimenti che del citaredo
e del .bravo citaredo ·; e cosl in tutti i casi senza ecce­
zione quando nell'operare si raggiunge la perfezione
(l 'opera del citaredo . è suonar la cetra, del bravo ci­
taredo suonarla bene). Se cosl stanno te cose dette, e
poniamo che opera dell 'uomo è una certa vita, e questa
non sia altro che attività dell 'anima e azione congiunte
con la ragione, diremo che proprio dell 'uomo eccellen­
te è operare bene e bellamente. Se, poi, ciascuna cosa

1 3 . Ragionevole : sia nel senso che « è » la ragione stessa, e sia nél


senso che può seguire la ragione (e può, quindi, anche contrastarla) .
Cfr. Parte I I ,- Bada che l a « ragione » nel senso della « facoltà d i ra­
gionare , non corrisponde alla f'agione intesa mode�mente, alla quale
si avvicina di più il nous, la mente, l'intelligenza o facoltà d'intuire i
principi eterni del reale e le prime verità.
Qui si vuol e dar rilievo, inoltre, alla differenza tra abito e attività.
L'abito (v. Parte Il) sta, per cosi dire, tra la Potenza e l'atto : ad es . . se
io ignoro la matematica, -ho la mera potenza; quandC\ io l'abbia appresa
ma dormo, ho l'abito di quella scienza non · l'attualità di essa : questa
c'è soltanto nell'atto in cui io studio e penso la matematica .
1 4 . Anima è l'intero principio della vita : a quella vegetativa si ag­
giunge la vita sens:t�va nell'animale, e quella razionale nell'uomo. « �­
condo ragione » è l'attività sia della parte raZionale, e sia di quella cne
si sottopone al suo governo. L'espressione << non priva di ragione ,, e
quella che vien dopo « congiunte con la ragione », vogliono, invece, ac­
cent1,1are l'elemento extrarazionale ch'è pur presente nell'azione.
Un runto capitale è quello, qui dato, di v:rlù intesa come eccellen7a
e perfezione di ogni cosa. Si tenga presente nella parola moderna il
concetto antico.
PARTE PRIMA 49

è condotta a perfezione dalla virtù che le è propria,


anche la perfezione del bene umano sarà da riporre
n eli ' attività dell 'anima secondo virtù, e se più sono ) e t r.

virtù, in quella che è secondo la virtù ottima e per­


fettissima .
Aggiungi : in una vita perfetta. Perché, come una 1 .,

sola rondine o un sol giorno non fa primavera, così


neppure un sol giorno né un picciol tempo fa l 'uomo
beato e felice.
Resti , dunque, delineato il bene in questo modo 11

(ché forse è opportuno farne primieramente un abboz­


zo, poi condurlo a termine in séguito) : quando le cose
sono ben delineate, tutti son capaci di continuarle e
svilupparle. In ciò è un grande cooperatore e inventore
i! tempo da cui anche derivano i progressi delle arti,
potendo ognuno aggiungere qu�l che manca. Si mett:1
ogni studio a definir bene i princìpi, avendo ciò una
grandissima importanza per quel che vien dopo : poiché
si può dire che il principio è più della metà del tutto,
e per esso divien chiaro gran parte di quel che si cerca .

11. Si confronta e conferma questo concetto con le opinioni filo­


sofiche e volgari più in voga.

Si deve considerare la questione non solo per quel VIII

che si è conchiuso e per l e ragioni dalle quali è mosso


il nostro discorso, ma anche per le opinioni più in voga.
Poiché con la verità concordano tutte le cose che a lei
convengono ; dal falso, invece, la verità presto discorda .
Pertanto, essendo stati divisi i beni in tre specie, 2

quelli detti esterni, quelli dell'anima e quelli del corpo,


1 6 . In una vita perfetta. Cfr. n. a VII, 3 : qui è aggiunta l'idea del
tempo, volendosi che la felicità sia una condizione durevole.
VIII . l . Ricorda il principio di identità. e contraddizione come norm.1
suprema della coerenza dialettica.
2 . La ripartizione era già in Platone, Leggi, 743 E.
Anche il concetto di anima (psyché) non corrisponde esattamente a
'
L ETICA N I COMACHEA

qiciamo che quei dell 'anima sono beni ptu propria­


mente degli altri e in sommo grado. E le· azioni e gli
atti che dall'anima derivano, all 'anima attribuiamo. Sì
cpe : bene parleremo seguendo questa opinione che è
3 antica, e su la quale i filosofi son concordi . E retta­
mente ancora si è detto eh� certe azioni e certi atti
sono il fine ; sì che vengono a trovarsi tra i beni del­
l. 'anima, e non tra gli esterni .
' Concorda con questo anche quel che abitualmente
s �intende chiamando uomo felice chi ben . vive e bene
operi : poiché la felicità è, press 'a poco, proprio que­
&to : viver bene e agir bene.
6
E anche le condizioni che si soglion richiedere
per la felicità par che si trovino tutte quante in quel
.
6 che è stato detto . Poiché alcuni la ripongono nella virtù,

altri nella saggezza, altri in una certa sapienza : certi,


a queste condizioni, o ad alcune di esse, vogliono unito

il piacere, o almeno che non sia escluso ; cert'altri ci


7 comprendono anche la prosperità esteriore. Di queste
opinioni parte han fautori assai ed · antichi ; parte, po­
chi, ma celebrati : l 'una e 1 'altra parte dei quali è da
credere che non erri interamente, ma che in qualcosa
almeno, o anche in moltissimo , dica dirittamente.
8
Concorda, dunque, il nostro discorso con chi dice
che la felicità è la virtù stessa o una certa virtù : poi-

moderno, perché, se ne eccettui l'intelligenza (che è d'origine divina), e::.sa


non è pel greco un tennine di op�osizione al CMPo. In A., anzi. corpo e a ùi­
ma si corrispondono come materia e forma, potenza e atto. Quindi la divi­

sione si può ridurre da tre a due : beni dell'anima e beni esteriori, contando
quelli del corpo (per es., la salute, la vigoria, la bellezza) o fra i primi,
in quanto giovino alla virtù ebca, o fra i secondi, in quanto estranei al
v�lore propriamente morale qelle azioni (cfr. infatti Etica Eud., 1218 b, 32) .
8. Si rammenti che qui siamo in un saggio preliminare di idee che
sa!anno in séguito elaborate più nettamente. Delle opinioni correnti A.
accetta l a parte che rar giusta : cioè, che l a felicità è u n bene spirituale (I) ;
eh� tuttavia anche il favore delle circostanze è necessario (2) ; che essa è
data dalla virtù (3) ; non scampagnata dal piacere (4) ; e che a compierla
PARTE. PRIMA 51

ché alla virtù appartiene l 'attività ad essa conforme .


La differenza forse è, e non piccola, nello stabilire se 9

il più gran bene sia nel suo possesso e nell 'uso, nel­
l ' abito o nell ' atto. Poiché l ' abito può darsi che ci sia
senza che compia niente di buono, per es . , in chi
dorme o in altro simil modo giaccia inoperoso ; n1a
dell'attività virtuosa non può esser cosl : essa deve, di
necessità, agire e agir bene. E come nelle gare Olim­
piache non i più belli e i più robusti sono coronati, ma
quelli che hanno lottato (ché tra questi sono i vinci­
tori ) ; così anche alle bellezze e ai beni della vita per­
vengono soltanto coloro che .agiscono rettamente.
Ed è la vita loro per se stessa piacevole. lovero, 1o
il pigliar piacere è cosa dell'anima, e però a ciascuno
è piacevole la cosa di cui dicesi amatore : il cavallo,
alt ' amatore di cavalli ; lo spettacolo, alt ' amatore degli
spettacoli, e nello stesso modo anche la giustizia a
chi di essa è amatore, e in generale le cose conformi
a virtù a chi della virtù è amante. Le cose, tuttavia, 11

che piacciono al volgo son tra loro in contrasto, perché


tali cose non son per natura piacevoli ; agli amatori ·
d eli ' onesto, invece, piacciono le cose che son piace­
voli per natura . Di tal fatto sono le azioni conformi a
virtù, e però son piacevoli a questi tali ; e son piacevoli
per loro stesse . Né ha bisogno del piacere la vita di 12

concorrono anche i beni esteriori (5) . Dal confronto singolo vengono in


vista alcune discrepanze che sarà compito della trattazione ulteriore chia­
rire (i concetti di virtù e di piacere) . Ma l'accordo sommario è per A .
buona prova di aver trovato i l punto giusto per la soluzione del problema .
9 . Che A. abbia in vista scuole e dottrine allora molto note, si ved�
facilmente. Ma, scarseggiando i documenti, forse è meglio non indugiarsi
troppo. Qui, ad es. , si riferisce a Speusippo, che aveva definito la felicità
come un « abito perfetto », e a Senocrate (secondo caposcuola dell'antica
Accademia) che l'aveva definita come « possesso della virtù appropriata >'
Non abito.. dice A., ma la felicità ha da esser attività : uso, quindi, non
semplicemente possesso.
l 0-1 2 . Il piacere vero è per l'uomo quello che corrisponde alla Stla
' 52 '
L ETICA N I COMACHEA

costoro come di una frangia, ma ha il piacere in se


stessa. Poiché, oltre le cose dette, neppure è un uomo
buono chi non gode delle belle azioni ; e neppure si
può chiamare giusto chi non gode a praticar la giu­
stizia, né liberale chi delle azioni liberali non god� .
E degli altri, similmente .
18
Se così è, per loro stesse saranno piacevoli le azio­
n; conformi a virtù. Inoltre, saranno anche e buone e
belle, e ciascuna di queste qualità in sommo grado, se
è vero che di esse giudica bene l'uomo eccellente ; ma
14 ch 'egli giudichi bene, si è detto . Ottima cosa, dunque,
e bellissima e piacevolissima è la felicità, né tali qua­

lità stanno in essa separate, secondo che dice l' epi­


gramma di Delo :
� quella delle cose la più bella
eh 'è la più giusta, come la più buona
è l 'esser sano ; la più dolce, poi ,
è, per natura, il conseguir quel che ami ;

ché queste qualità si trovan tutte quante nelle più ec­


cellenti attività : queste, poi, ovvero quell 'una di esse
che è la più eccellente, dico essere la felicità.
15 Ciò non astante, è evidente ch 'essa ha bisogno per
di più anche dei beni esterni : essendo impossibile, o
almeno non agevole, che operi egregie cose chi è privo
di mezzi. Ci son molte cose che non si possono ope­
rare se non si hanno, a guisa di strumenti, amici, ric-
16 chezza e potenza politica : di alcune, poi, chi ne manca,
la sua felicità è turbata, ad es . , nobiltà di natali, bella
figliolanza, bellezza. Poiché chi è interamente deforme
d 'aspetto non può per niun modo divenire felice, né
chi è di vile nascita, o solo e senza figli ; e forse è
natura ragionevole (nel significato detto dianzi). Quindi, anche il piacere
dei sensi, quando non è in contrasto con la ragione o scomragnato da
essa (come nei bruti).
PARTE PRIMA 53

ancor peggio se alcuno abbia figli o amtct pessimi ;


ovvero se, avendoli buoni, gli sian morti. Pare, dunque, 11
come s ' è detto, che l'uomo felice abbia bisogno anche
di una prosperità di tal sorta. Onde alcuni mettono
alla pari la buona fortuna con la felicità.

[Ridurre la felicità , alla fortuna non è giusto : è vero


che essa è tanto gran bene che par quasi dono divino, 1na
appunto perciò non si deve affidare la felicità al caso. Poi,
consistendo la felicità nell'attività dell' anima virtuosa, quasi
tutti sono in grado di acquis t arla. Non , dunque , dal caso, n1a
dall 'attività nostra dipende. Ne è prova anche il carattere pc·
litico dell'uomo, che soltanto con l 'educazione, vivendo nello
Stato, può attingere alla propria perfezione. E, quindi , alla
propria felicità. Tuttavia, c'è qualcosa di giusto nell'opinione
combattuta. Chi , vissuto per certo tempo felice, cada poi in
sventure, come si favoleggia di Priamo, sarà chiamato felice?
Non pare. Per questo, dianzi, si pose come condizione della
felicità una vita perfetta e compiuta per ogni lato. - E, al­
lora, nessuno si dovrà, finché vive, chiamar felice, secondo il
detto attribuito a Solone ? - Ma, in tal caso, si potrebbe du­
bitare che sin dopo morte la vicenda degli onori e disonori,
della buona o cattiva fort una dei nostri figli , tenessero sempre
la nostra felicità in pericolo. - � dunque , il caso di pigliar in
tanta considerazione un elemento tanto instabile, che farebbe
della felicità qualcosa di continuamente variabile?]

I2. La felicrtà de li 'uomo veramente virtuoso .

Ovvero andar dietro alle fortune non è in niun x

modo cosa sensata? Ché non consiste in quelle il viver �

bene o male, ma di quelle ha bisogno l'umana vita


come per aggiunta, l addove della felicità veramente
padrone sono le attività conformi a virtù, e dello stato
contrario le contrarie. Anzi, la nostra sentenza riceve 10

x. I O. A. vuole la felicità sottratta alla fluttuazione della fortuna. Tale


condizione durevole egli trova nel concetto della felicità riposta nella atti-
'
54 L ETICA N I COMACHEA

una conferma anche dalla presente questione. Poiché


per nessuna delle umane opere si trova tanta fermezza
quanto per le attività che sian conformi a virtù ; esse
sembran essere anche più stabili delle scienze. E tra
esse stesse le più degne di onore sono anche le più
stabili, perché in queste passano la loro vita i beati
più che in tutte le altre e senza nessuna interruzione.
f.: qui si vede la cagione che di esse non avviene mai
dimenticanza .
1t Si troverà, dunque, n eli 'uomo felice quello che si
cerca, ed egli sarà tale durante la vita : poiché sempre,
ovvero a preferenza di ogni altra cosa, svolgerà l'ope­
ra e la mente alle azioni virtuose ; e i casi della fortuna
sopporterà bellissimamente, in tutto e per tutto come
si conviene, colui, appunto, che è veramente buono,
12 tetragono e senza biasimo . E molti casi apportandogli
la fortuna, differenti per grandezza o piccolezza, è
manifesto che la piccola prosperità, e cosl anche la
piccola avversità di fortuna non gli s arà di gran mo­
mento alla vita ; la grande, poi, ·e assai buona fortuna
gli potrà ben fare più beata la vita (essendo tal cosa
atta per natura ad accrescerle ornamento, e il suo uso
diviene allora onesto e bello) ; all'incontro, l'avversa
ridurrà la beata vita in angustie e in rovina, appor-

vità. dell'anima. Ma poiché la vera attività. egli ha riposto nell'attualità.,


come può la felicità. esser continua nell'uomo? Continua sarà. ne�li Psseri
superiori (i beati) . � vero, ma, d'altra parte, col concetto di virtù come
abito che tende continuamente all'atto, noi daremo alla virtù quel carat­
terE' stabile per cui neppure si potrà. dire che l'uomo perda, quasi scor­
dandosi, i frutti del suo operare e la permanente possibilità di esser felice .
Le scienze, qui ricordate son quelle che si fondano su le sempre m t�­
tcvoli sensazioni. Cfr. VI, v, in fine.
11. Colui appunto, l'« uomo veramente buono » , e « tetragono senza
biasimo >> son parole di Simonide cit. in Protagcwa, 339 B. Di qui si �ede
bene che il tono polemico è contro Platone, il quale aveva sostenuto che
l ' uomo giusto sarebbe rimasto felice pur in mezzo alle più atroci sventure
e persecuzioni (Repubblica, 361 C).
PARTE PRIMA 55

tando dolori e impedendo molte attività. Nondimeno


anche in tali infortuni risplende l 'onestà, quando al­
cuno li sopporti, pur grandi e molti, con l ' animo sereno :
non per insensibilità, ma perché generoso e d'animo
grande . E se le attività son padrone della vita, come t s .
si disse, nessuno dei beati può diventar misero, perché
non opererà mai cose odiose o vili. Essendo veramente
buono e saggi � , noi stimiamo che egli debba soppor­
tare ogni caso della fortuna dignitosamente, e op.e rare
sempre nel miglior modo che le circostanze gli consen­
tano, non altrimenti che un buon capitano deve usare
deli ' esercito, di cui dispone, nella maniera pi.ù utile
alla guerra, e il calzolaio, dalle pelli dategli, fare i
calzari più belli che può, e cosl discorrendo per tutti
gli altri artefici .
Se così è, giammai diventerà misero l'uomo felice ; "'
neppure, tuttavia, sarà egli beato, se incorrerà nelle
calamità di Priamo. Ma neppure sarà vario e facilmen-
te muta bile : perché non facilmente sarà smosso dalla
felicità da qualsivoglia infortunio, ma da quelli sol­
tanto che sian grandi e molti. Dai quali non ritornerà
felice in breve tempo, ma, se mai, in un tempo lungo
e compiuto, durante il quale sarà divenuto capace di

cose grandi e belle .

[Si conchiude che la felicità può esser conseguita dal­


l ' uomo, pur che s'intenda di una felicità umana. Intorno poi
alle fortune e alle sventure dei posteri non pare ben detto che
all 'uomo felice nulla importino, ma è dubbio se Io stesso ac­
cada all 'uomo felice dopo la morte. ]

1 3 . Beato� ripetuto qui e altrove,- è un termine più forte di « felice '' ·


La beatitudine è di Dio, degli esseri celestiali e, sino a un certo punto,
degli uomini che vivono la vita filosoficà e morale.
1 4 . La felicità, essendo lo stato più alto e durevole dell'anima, non è
agevole acquistarla, ma neppure, acquistata, perderla (e, perduta, riacqui­
starla).
PARTE SECONDA

L A VIRTù

S KZIONB l. - La virtù etica.

l. Quanto importi al politico la conoscenza dell'anima.

Poiché la felicità è attività dell'anima conforme XIII

a perfetta virtù, si deve prendere in esame la virtù :


forse in tal modo potremo intender meglio anche quel
che sia la felicità. Alla virtù si vede anche l 'uomo ve- 2

ramente politico dar tutte le sue cure, perché egli vuoi


fare i cittadini buoni e ubbidienti alle leggi : esempio

XIII. Avendo definita la felicità come atto dell'anima conforme a virtù,


anzi alla perfetta virtù, intraprende ora l'analisi della definizione. La virtù
umana si presenta con uno svolgimento corrispondente allo sviluppo d�l­
l'anima. Virtù fisica sarà quella che a noi proviene dalla natura (fysis)
che abbiamo in comune con tutti gli esseri viventi. L'infimo grado di
virtù sarà, dunque, quella che si esercita nella sfera sensitiva, la qng.le,
ttndendo all'azione, si chiama aM>etito. Ma, come nel processo conoscitivo
la sensazione, per sé, non potrebbe fondare la conoscenza se l'intellige.tza
(nous) non illuminasse la sua opacità, cosi qui l'anima appetitiva deve
(�sser guidata dalla ragione, affinché si generi il primo grado di virtù Pif\­
priamente umana. Questo primo grado prende nome di virtù etica. AHa
conoscenza scientifica, poi, corrisponde, nell'attività. pratica, il grado supe-
. riore della virtù dianoetica, nella quale si esercita immediatamente la ra­
zionalità dell'anima.
2. Abbiamo visto che l'uomo (tranne l'attività. puramente teoretica)
presuppone, per la vita pratica, lo Stato. Qui sorgono e han valore i giu­
dizi di approvazione e di riprovazione che so n l'oggetto della conside­
razione etica. La moralità si realizza. nello Stato, perché in esso si acquista
con l'educazione l'ethos o costume. L'educazione è stabilita dalle leggi,
le quali additano lo scopo della civil comunanza. L'uomo di Stato deve
rappresentare il governo della ragione, moderatrice suprema dell'umana
condotta che, altrimenti, sarebbe in balia dei ciechi e disordinati impulsi
dell'animalità..
'
ss L ETICA NICOMACHEA

3 di ciò abbiamo i legislatori di Creta e di Sparta, e se

di tali ce ne sono stati altri altrove ; e se proprio questo


4 è lo studio del politico, è chiaro che la ricerca dovrà
esser fatta secondo che da principio ci proponemmo . E
5 dovendosi prendere in esame la virtù , s ' intende della
virtù umana : poiché il bene che andavam cercando è
l ' umano, e umana la felicità che si ricercava. Virtù
6 umana chiamo non quella del corpo, ma quella del­
l ' anima, e per felicità intendo un' attività dell 'anima .
• Cosl stando le cose, è chiaro che il politico deve sa­
pere in qualche modo quel che riguarda l ' anima : non
altrimenti che gli occhi o altra parte del corpo, chi
dovrà curarli : anzi , tanto più, quanto la politica è più
onorevole e più eccellente della medicina. Tra i medici
i più bravi si danno allo studio di molte cose che ri-
s guardano la conoscenza del corpo. Deve, dunque, a n­

che il politico speculare intorno all ' anima : specularne


per il fine detto dianzi e quanto basti per quello che si
cerca, ché un ' investigazione più diligente e ampia è
forse impresa troppo più grave di quel che la presente
materia richiegga.

2. Le parti de li' anima. Distinzione delle virtù in etiche e dia­


noetiche.

9 Anche nei ragionamenti essoterici son dette del-


l ' anima a sufficienza alcune cose, delle quali dobbiamo

3. Licurgo a Sparta, Minosse diede le leggi a Creta. L'esame delle


loro costituzioni è nel lib. II della Politica. Di essi fa elogi anche Platone
nelle Leggi.
9. Essoterici : v. nota a I, v, 6. Altri intendono : nei discorsi estranei,
cioi- estranei alla scuola aristotelica : negli scritti dell'Accademia. In ogni
modo, non .si pensi ai libri del De Anima, dove la su menzionata divi­
sione dell'anima in parti è combattuta e superata definitivamente col
nuovo concetto dello sviluppo (onde non di parti si deve parlare, ma di
gradi del suo svolgimento) . Quella divisione, platonica nel fondo, sarebbe
stata formulata cosi per la prima volta da Senocrate. A . , pur accennando
chiaramente che per lui non si tratta di divisione, ma di distinzione,
PARTE SE CONDA 59

ora far uso. Ad es . , che di essa c'è una parte priva


_
di ragione e una parte ragionevole. Se queste, poi, 10

siano distinte come le parti del cor),!>o, e come ogni


cosa che si può fare in parti, ovvero sian due ideal­
mente, ma non atte per natura ad esser divise, così
come è nella circonferenza il convesso e il còncavo,
al presente non fa nessuna differenza.
E della parte priva di ragione, l'una è simile alla 11

comune o vegetati va : dico quella che è cagione del


nutrirsi e del crescere . La qual facoltà dell'anima si può
mettere in tutti gli esseri che si nutrono, anche negli
embrioni, e che sia la medesima anche negli esseri
perfetti, essendo più ragionevole che sia la medesima
12
piu ttosto che una diversa. La virtù, dunque, di questa
facoltà si mostra comune e non propria dell 'uomo.
Tal parte e tale facoltà par che sia attiva specialmente
nel sonno. Ma l ' uomo buono e l ' uomo malvagio nel
sonno non si discernono minimamente ; onde si suoi
dire che per metà della vita i felici non son differenti
dagl 'infelici . E ciò accade, verisimilmente, perché il 13

sonno è inerzia dell 'anima in quanto dicesi buona o


malvagia : a meno che certi moti della veglia in qual­
che maniera per poco non vi pervengano, e per questa
via sian migliori i sogni degli uomini dabbene che
quelli di qualsivoglia altro . Ma di questo basta, e si 14

lasci da parte la facoltà nutritiva, dacché per natura


non è partecipe dell'umana virtù.

accetta la partizione perché praticamente sufficiente allo scopo, ma poi


con un piccolo trattamento dialettico l'accomoda fino a darle una forma

nuova.
1 0 . Idealmente, astrattamente.
1 1 . Esst?Jri perfetti : la vita (naturale) si mostra, cosi, come uno svi­
luppo, dalle forme elementari alle supreme, di uno stesso principio che
si svolge per propria legge.
1 2- 1 3 . Intorno a ciò ha scritto A. in De somno et vigilia, De insot'1-­
niis, De divinatione per somnum, che figurano tra i Parva Naturalia.
'
6o L ETICA NICOMACHEA

t5 Un 'altra facoltà del l ' anima sembra esserci ancora,


che, priva di ragione , pure in qualche maniera ne è
partecipe. Noi lodiamo, infatti, il rag i onare nell' uomo,
sia egli continente o incontinente, e quella parte del­
l'anima che ha la ragion e . Ella dirittamente e a one­
stissime cose lo invita ; ma appare in lui anche un' altra
parte fuori della ragione ingenerata, la quale con la ra­
gione combatte e contrasta. E p roprio come .per le mem­
bra paralizzate, se uno si propone di muover le a destra,
è trascinato , all ' incontro, a sinistra, medesimamente
avviene per l ' anima , ché le voglie degli incontinenti la
16 trascinano verso le cose contrarie . È ben vero che nei
corpi si scorge la parte che devia, e per l ' anima, no. Ma
rion perciò è forse meno da stimarsi che anche nell ' a­
nima sia una parte fuori della ragione, che a lei contrad­
dice e s ' oppone . Né qui importa dire in che modo sia tal
11 parte diversa . Che poi anch 'essa partecipi di ragione ,
come si disse, è palese : ubbidisce, di certo, alla ragione
quelta dell 'uomo continente. E le obbedisce forse ancora
di più quella dell 'uomo temperante e forte, perché in
1s ogni cosa è all ' unisono con la ragione . Onde apparisce

15. Contrarie, alla ragione. Ricorda nel Fedro la figurazione del­


l'anima come un auriga che guida un cocchio tirato da due cavalli, uno
buono, l'altro cattivo.
17. Il contine11te segue la ragione, ma con sforzo, perch� la parte ap­
petitiva resiste quanto può alla sottomissione. In questo egli è inferiore
all'uomo temPerante e forte, di cui i desideri sono già stati composti in
completa armonia con l� ragione.
Il partecipare alla ragione significa, dunque, ubbidire a essa, o meglio,
essere in armonia con essa.
1 8. A ppetito è il nome generale di tutta la parte irrazionale per �é.
n�é: razionale per partecipazione. In essa, poi, A. distingue, più determi­
natamente, il bramtll'e (o desiderio ardente), per lo più in contrasto c0n

la ragione; l'impeto o ardire, che ubbidisce difficilmente alla ragione


(per es. , nell' ira) ; il volere, propriamente detto, ch'è l'appetito desideroso
d1 seguire la ragione.
Le ragioni del padre, le seguono i figli buoni, non perché le int :m­
dano, ma perché son persuasi che quello è il loro vero bene. Nella ma­
tematica non ha luogo la persuasione, ma la dimostrazione, nc..n l'obbe­
dienza, ma l'intendere.
PARTE SE CONDA 61

di due m aniere anche la parte priva di ragione : l ' una


vegetativa, che in nessun modo comunica con la ra­
gione , l ' altra, che ha facoltà di bramare e, in gene­
rale, di appetire, ne pa rtecipa in certo modo, in quanto
le dà ascolto e la segue . E in questo modo appunto noi
affermiamo di accogliere le ragioni del padre e degli
amici, e non come quelle della matematica . Che in
certo modo ubbidisca alla ragione la parte che ne è
priva, lo indicano anche gli ammonimenti e ogni rim­
p rovero ed esortazione. E se anche questa parte con- 19

venisse chiamar ragionevole , sarà allora l a parte ra­


gionevole di due maniere : l ' una, sovranamente e in
se stessa ; l ' altra, che le dà volentieri ascolto, come si
deve dare alla voce del padre .
Anche la virtù si distingue secondo questa diffe - 20

renza : delle virtù alcune chiamo dianoetiche e le altre


etiche ; dianoetiche, la sapienza e la intelligenza e la
saggezza ; etiche, la liberalità e la temperanza. Quan­
do, infatti, parliamo del costume di alcuno, non di­
ciamo che è sapiente o intelligente, ma che è mite
d ' animo o temperante ; e lodiamo anche il sapiente,
riferendoci all ' abito : ché noi chiamiamo virtù quegli
abiti che meritano d ' esser lodati .

I 9. Dunque l'analisi ci ha portato a questo spostamento dello schema


psicologico dell'Accademia : che la parte irrazionale non può esser riguar­
data come tutta irrazionale alla stessa maniera ; né la parte razionale è
tutta tale a ugual diritto. Di qui la facoltà dell'appetire (del desiderare.
in generale), che, mentre salva la rotta unità dell'anima concatenand•Jsi,
in sù, con l'anima propriamente razionale, in giù, c.on l'anima propriamente
irrazionale, offrirà ad A. il fondamento per il suo concetto di virtù. Che
poi non si porti luce maggiore al platonico concetto di « partecipazione >•
e all'ambi�o concetto di « ragionevolezza » (cfr. essere ragionevole ed
essere razionale), ciò dipende, in parte. anche dalla natura della tratta­
zione popolare.
20- La sapienza. o filosofia, per se stessa - in quanto speculazione -

è fuori della considerazione morale (i suoi attributi sono il vero o il falso,


non il buono o il cattivo) ; ma può esservi inclusa riguardandola come
uno stato dell'anima, un abito che perfeziona chi lo possiede (conside­
l<i n do non la filosofia, ma il filosofo).
'
L ETICA N I COMACHEA

[LIBRO SECONPO]

3. La virtù non è da natura, né contro natura.

I Essendo la virtù di due specie : l 'una dianoetica,


l 'altra etica ; la dianoetica per lo più si genera e accre­
sce per via d 'insegnamento, ed ha perciò bisogno
d 'esperienza e di tempo ; invece, la virtù etica provie­
ne da abitudine (ethos: di qui, anche, il suo nome ) .
Ma di qui anche è palese che nessuna delle virtù
etiche si genera in noi per natura : nessuno, infatti,
qegli esseri naturali piglia abitudine diversa : per es . •
l a pietra, portata da natura all 'ingiù, non mai si abi­
tuerebbe a portarsi all 'insù, neanche se uno, per abi­
tuarla, in sù la gettasse diecimila volte ; né il fuoco si
porterà mai all 'ingiù, né nessun altro degli esseri na-
3 turati potrebbe mai esser abituato in altro modo. Dun­
que, le virtù non s' ingenerano né per natura né contro
natura, ma nascono in noi che, atti per natura a rice­
verle, vi diventiamo perfetti mediante l'abitudine.

4. Nelle cose naturali la potenza precede l ' atto, nella pratica


l 'atto precede la virtù.

' Inoltre, di quante cose in noi sopravvengono na-


turalmente, prima portiamo in noi la potenza, poi
diam fuori gli atti . La qual cosa è evidente nei sensi :

Lib. Il, I. I . Per la virtù dianoetica è necessaria la maturità. mentale


(cfr. I, III, 7, nota). - Cicerone, primo o tra i primi, tradusse « etico » con
moralis: « Quia perlinet ad mores, quod e t h o s illi vocant, nos eam Partem
philosophiae de moribus appellare solemus, sed decet augentem linguam
latinam nominare moralem » (De fato, l, I) .
2-3 . La virtù è, in certo modo, una nostra creazione (non è un dato) ;
non ci vien i m p o s t a da fuori, perché la capacità. di essa è in noi .
PARTE S ECONDA

invero, non acquistammo il senso della vista o dell'udi­


to per avere molte volte veduto/ e molte volte sentito ;
al contrario, avendolo, ne usammo, e non già con l ' uso
l'avemmo. Ma · le virtù acquistiamo noi essendo stati
prima attivi, siccome avviene anche nelle arti. Poiché
le cose che bisogna prima imparare per farle, queste
noi impariamo facendole : così, edificando, si diviene
edificatori, suonando la cetra citaredi . E così anche
diventiamo giusti operando cose giuste, tempera!lti
operando cose temperanti, forti operando cose forti .
Fa fede di ciò anche quel che avviene nelle città, 5

dove i legislatori fanno buoni i cittadini abituandoti al


bene : questo, infatti, è l ' officio di ogni legislatore, e
quanti non lo portano bene ad effetto, errano : di qui
anche la differenza tra una città e l'altra, l 'una ordi­
nata bene, l ' altra disordinata.

S . La virtù noi conquistiamo con l 'esercitarci in atti virtuosi .

Ancora : ogni virtù (e così ogni arte ) si genera e s

perisce dai medesimi atti e mediante i medesimi atti :


dal suonar la cetra vengon fuori i buoni e i cattivi
citaredi . Analogamente, per gli edificatori e per tutti
gli altri : ché, edificando bene, si diviene in ségÙ ito
buoni edificatori ; edificando male, cattivi . Se cosl non 7

fosse, non ci sarebbe nessun bisogno del maestro, ma


tutti nascerebbero buoni o cattivi . Lo stesso vale, ap­
punto, anche per le virtù : poiché nel modo di agire
nelle relazioni con gli uomini ci facciamo gli uni giusti ,
gli altri ingiusti ; e nel modo di agire nei pericoli,
abituandoci a temere o ad osare, diventiamo gli uni
forti e gli altri vili. E similmente per quel che riguarda
le brame e le ire : gli uni diventano saggi e miti, gli
altri in temperanti e irascibili : secondo che si compor­
tano, in quelle, gli uni in un modo, gli altri in un altro .
'
L ETICA N I COMACHEA

In una parola : gli abiti derivano dagli atti di


s ugual natura. Bisogna, dunque, badare alla qualità
degli atti che compiamo, perché dalla loro differenza
deriva la differenza degli abiti. E non è di piccolo mo­
mento che uno sia abituato sin da giovine cosl o cosl ,
ma di grandissimo, anzi è il tutto.

[Un trattato di morale non ha da essere una pura teoria,


ma aver di mira la pratica. Né si possono dare regole stabili ,
perché ognuno deve trarre dall 'esame delle circostanze par­
ticolari la regola per l'azione. Tuttavia gioveranno alcune con­
siderazioni. E, cioè, che bisogna guardarsi dagli eccessi ed
essere moderati in ogni cosa, specialmente nei piaceri. Mentre
poi la virtù risulta da una giusta misura in ogni azione , essa ,
a sua volta, rende agevole il serbare la giusta misura : aste­
nendoci dai piaceri sensuali, diveniamo temperanti : diven-.�ti
temperanti, possiamo più degli altri astenercene. E però, se­
gno di avere acquistato una virtù , è il piacere che da essa pro­
viamo. Di qui la necessità, riconosciuta già da Platone, di
essere educati dalla prima giovinezza a rallegrarsi e a dolersi
di ciò che conviene : poiché l 'uomo dabbene prova piacere dal
ben fare, il malvagio dal fare il male . Non si deve, dunque ,
combattere il piacere da cui è come colorata la nostra vita,
tanto che ogni nostra azione ha per norma, più o meno, i)
piacere o il dolore. Del piacere, piuttosto, si deve fare mol­
tissimo conto e determinarne il giusto uso. Si che si può dire
che ogni trattazione etica e politica versa intorno al piacere c
al dolore.]

6 . L'atto è virtuoso se compiuto con disposizione virtuosa . Qu�­


sto distingue la virtù dalle arti e dalle scienze .

IV Ma uno potrebbe dubitare in qual senso noi dicia-


mo che a divenir giusto bisogna operar cose giuste, e a

IV. l. Esser giusto è già aver l'abito virtuoso; far cose giuste, può
avvenire anche a chi non ha tale abito virtuoso.
Musica : più in generale le « beile arti •. a cui presiedono le M115e .
PARTE SE CONDA

divenir saggio, cose sagge . Chi, infatti, opera cos.e


giuste e sagge, di già è giusto e saggio, così come chi
esercita la grammatica e la musica è già grammatico
e musica .

Ovvero, neppur nelle arti avviene così ? In effetto, 2


può darsi che uno faccia, qualcosa di grammatiço o a
caso o per suggerimento di un altro . Ma egli sarà un
grammatico solo allora quando .e farà qualcosa �i
grammatico e lo farà da grammatico : cioè, secondo .
l'arte grammatica che abbia in se stesso.
Aggiungi che neppu·r e è la stessa cosa per le arti, s
come per le virtù : le cose prodotte dali ' arte hanno i l
loro pregio in se stesse, sì che basta farle pregevoli i n
un certo modo. Invece, le azioni virtuose non basta
çhe. abbiano certe qualità perché si an fatte con giustizia
e con temperanza ; ma bisogna ancora che, chi opera,
operi comportandosi in certo modo : primieramente, sa­
pendo bene quel che fa ; dipoi, con proposito, anzi col
proposito di fan � quel che fa ; in terzo luogo, che, ope­
rando, la sua volontà sia salda e non si muti . Queste
condizioni, tranne quella del sapere, non si annoverano
per l 'acquisto dell e arti ; invece, per l ' acquisto delle vir­
_
tù il sapere val poco o niente, laddove le altre disposi­
zioni non vi possono poco, anzi so n tutto" : le quali, pe �
l'appunto, ci provengono dal compiere spesso azioni
giuste e temperate . Si dicono poi giuste e. temperate ,

2-4 . In se stesso : cioè, realizzando la forma che ha nell'anima �ua ;


altrimenti realizzerà la forma che è nell'anima di un altro, poniamo, del
suo maestro. - A fortiori, dunque, vale, l'argomento per la virtù, per la.
quale, a differenza dell'arte, si esige la disposizione morale dell'agente
(.'a maniera �·n cui operano gli uomini giustt) . Questo è uno dei passi
più caratteristici dell'Etica aristotelica : ch i v'introducesse i concetti d�"!la
coscienza morale moderna si metterebbe in un circolo senza uscita.
3-6 . Il sapere val poco, ecc., non è per opposizione al concetto di
virtù quale scienza in genere, ma di virtù quale arte o abilità; perciò h
derisione dei filosofanti, che con ragionamenti retorici credevano d'ins�
gnar la virtù. Sono i Sofisti : cfr. X, IX, 20.
66 '
L ETICA N I COMACHEA

quelle azioni, quando siano tali, quali l ' uomo che è


giusto o temperante compirebbe ; e giusto e temperante
non è chi tali cose opera soltanto, ma chi le opera an­
che nella maniera in cui operano gli uomini giusti e
6 temperanti . Bene, dunque, si dice che con l'operare
cose giuste l 'uomo diventa giusto, e con l'operare cose
temperate l'uomo diventa temperante ; e nessuno, che
queste non operi, potrà mai avvenire che diventi buono.
fi Ma i più, senza operare, si rifugiano nei ragiona-
menti, e credono di filosofare e diventar, così , bravi
uomini ; imitando in ciò quei malati, i quali ascoltano
attentamente i medici, ma non fanno ' nessuna delle
cose ordinate .
Come, pertanto, questi, in tal modo curandosi,
non avranno nessun vantaggio pel corpo ; così quelli,
in tal modo filosofando, non ne avranno per l'anima.

7. La virtù non è un affe Ùo né una potenza, ma un abito.

v Segue ora ·che si consideri che cosa è ·la ·v irtù. P�i-


ché, dunque, tre son le ·cose · che han · generazione nel ...

v-VI. Qui cambia un r o ' bruscamente il tono della ricerca, o, per dir
'
meglio, si ripiglia da capo la ricerca, ma: da un altro rispetto. Che rofa
·
sh la virtù si è mostrato risolvendola nel concetto di atto : l'abito inter­
venne per formare la nostta c o s t i t u z i o n e m o r a I e , per non disper­
dere il frutto della nostra attività. Ma l'abito non è mera abilità di far
cose giuste : giusto è cbi · o p e r a e opera g i u s t a m e .n t e.
- Ora. in­
vece, la virtù è guardata non più nella sua attività, ma nella sua immu­
tabilità, e l'abito è la disposizione p c; i c o l o g i"ca che ognf individuo
acquista di fronte ai fatti della sua sensibilità. Quella disposizione lo
varia da individuo a individuo, come le sensazioni. Ma come nel discorso
logico noi raccogliamo . e condensiamo le nostre sensazioni in un concettò
generale, cosi qui si elabora la varietà individuale in schemi o tipi di di­
s ··osiziorii lodevoli · (le virtù) che fan capo a una medesima legge : quella
del giusto · mezzo. Si risolve in questo modo (dialetticamente) la questione,
ntolto discussa in Platone, dell'unità o molteplicità della virtù, le qu21i
per il contenuto sono un molteplice, per la forma fanno un'unità.
1 -2 . Per la distinzione, cfr. Categorie, 8 h: 25 e sgg, I.:e virtù, come
PARTE SE CONDA

l'anima : affetti, potenze e abiti, la virtù sarà una di


queste . Chiamo affetti il desiderio, l' ira, il timore, l 'ar- 2

dire, l'invidia, la gioia, l ' amore, l 'odio, il rincresci­


mento, lo zelo, la pietà : in genere, ciò a cui segue
piacere o dolore. Chiamo potenze quelle, per le quali
siam capaci di provare questi affetti : ad es . , in quanto
possiamo essere adirati o addolorati o impietositi .
Abiti, infine, chiamo quelli secondo i quali ci compor­
tiamo bene o male rispetto a gli affetti : per es . , se
violentemente o debolmente rispetto all ' ira, ci com­
portiamo male ; se misuratamente, bene ; e cosl per
gli altri affetti.
Né le virtù, d'unque, né i ·vizi sono affetti, perché s

dagli affetti non · siam chiamati né bravi né dappoco,


sì bene· dalle virtù o dai vizi . E poi, gli affetti non ci
dànno né lode né biasimo (poiché non si loda né chi
teme, né chi s'adira, e neanche si biasima chi sempli­
cemente s ' adira, ma chi s ' adira in un certo modo) ;
invece, secondo le virtù o i vizi siam lodati o biasimati.
Inoltre, noi ci adiriamo o c'impauriamo senza delibera- 4

to proposito, laddove la virtù è un certo deliberato pro­


posito,· o, almeno, non è senza di esso . Oltre di questo ,
degli affetti noi diciamo che ci muovono ; per le virtù e
per i vizi non diciamo di esser mossi, ma di trovarci in
una certa disposizione . Per le medesime ragioni non c;

sono neppure potenze, perché non diciamo di essere né


buoni né cattivi per il semplice poter p �ovare affetti ;
né perciò siam lodati, né biasimati. Di più, le potenze

si accennò già nella polemica contro Platone {1, VI, 3), sono qualità del­
l'uomo che le acquista e possiede · con gli abiti. Questi son considerati
come disposizioni stabili, o, per lo meno, non facili a mutare (anche noj
parliamo cosi del carattere, e distinguiamo questo dal tet_n fJe<ramento, il
quale corrisponde a quel che A. qui chiama potenza, o disposizione na­
turale) . - Affetti : termine molto usato per significare gli stati mutevoli di
ogni essere (gli Scolastici tradussero. anche con pass iones, che in italiano
suole avere altro significato) .
68 '
L ETICA N I COMACHEA

ci son date dalla natura ; ora, dalla natura noi non


siam fatti né buoni né cattivi . Ma di questo s'è· parl ato
6 prima. · In conchiusione, se le virtù non sono né affetti
né potenze, resta che siano abiti .
IV Quel che è la virtù in genere, si è detto . Ma non
basta dire che· è un abito : bisogna dire anche quale
abito s ia·.

8. La virtù è la perfezione dell' atto propriamente umano .

2 Si dica, dunque, che ogni virtù perfeziona ·il ben


condursi di quell 'essere di cui è virtù, e rende prege­
vole· la sua operazione. Per es . , la virtù · dell 'occhio fa
l'occhio valente, e valente l ' operazione sua : ché per la
virtù dell 'occhio vediamo bene. Parimenti la virtù d�l
cavallo fa · il cavallo valente e buono al corso e a
partare il cavaliere e a sostenere l ' impeto dei nemici .
s E se così sta per tutte le cose, anche la virtù dell'uomo
sarà un abito dal quale l'uomo è fatto buono, e buona
vien fat"ta l 'opera che gli è propria: Come questa do­
·vrà essere, già abbiamo detto .

9·. In qual senso si dice che la virtù è un mezzo tra due estrentL
4 Ma ci sarà palese anche in questa maniera : se, cioè,
osserveremo quella qualità che alla virtù è peculiare.
In ogni cosa, continua o divisibile, si può prendere
il più, il meno, l 'uguale ; e questi, o per rispetto alle
cose stesse o verso noi . L'uguale è un certo mezzo

VI. Dato il g e n e r e (abito), rimane ora la d i f f e r e n z a s p e c i f i c a .


2-3 . Tutte le virtù sono ordinate teleologicamente alla perfezione
.
umana : alla realizzazione, cioè, di quella che si disse (I, VII, Io) (( l'opera ,,
ptopria dell'uomo. La loro gerarchia corrisponde a quella delle parti J,:si­
cologiche, dianzi descritte.
· PARTE SE CONDA

tra l'eccesso e il difetto. Chiamo mezzo delle cose 6


l 'ugualmente distante dall 'uno e dall 'altro degli estre­
mi, il quale è uno solo e il medesimo in tutte · ; chi�mo
mezzo rispetto a noi quello che né eccede né fa difetto,
c questo non è unico né medesimo per tutti. Per es. , 6

se dieci è molto e due è poco, si prende il sei come


mezzo in rispetto alla cosa : in ugual misura, infatti, è
superiore ed è superato : . questo mezzo è secondo l a
proporzione aritmetica.
Ma il mezzo verso noi non si deve pigliar in questo 7

modo, perché, se a qualcuno mangiarsi dieci mine è


molto e due mine è poco, il maestro di ginnastica non
gli ordinerà sei mine, potendo darsi · che anche questo
sia o molto o poco per chi l 'ha da ricevere : per Milan e
è poco, per un principiante di ginnastica è molto ·. Si­
milmente per il giuoco della corsa e della palestra. In
questo modo, appunto, chi ne ha scienza, fugge l ' ec- 8

cesso· e il difetto, e cerca il mezzo e questo preferisce :


il mezzo, dico, non della cosa ma rispetto a noi . E se 9

ogni scienza compie bene per tal modo - l'opera sua,


mirando al mezzo e a questo le opere indirizzando
(onde del_l e opere perfette si suo l dire che non c ' è nulla

S-6 . Il divenire naturale è il rriondo del movimento e delle · quantità.


il mondo· delia) materia : quivi il genere di ogni cosa è fissat0 da una prCI-­
porzione degli elementi che la .compongono, si che né eccedano né di­
fettino. Questo è il mezzo della cosa, in sé, al quale le singole cose c:.i
avvicinano più o meno, a seconda della loro perfezione naturale. · In questo
senso anche si dice che l'arte imita la natura. Il mondo deiie azioni è
considerato qui nello stesso modo (nota la vicina�za dei termini in greco :
j>rax:·s è l'azione ; pragma, la cosa) : l ' az i o n e t i p i c a costituisce la virtù
perfetta. Ma in r i s p e t t o a noi quel tipo va adattato a seconda delfa
imperfezione individuale. Questo è il còmpito delle scienze pratic11e
(per es., della medicina). --JProporzione : oggi si chiama serie in progres­
sione aritmetica.
7 . Milone : grande atleta, di Crotone.
9- 1 0 . La virtù etica è il tipo rerletto della nostra natura sensibile, ed
è come un'altra natura che noi acquistiamo con l'educazione. Di · qui la
sua superiorità sull'arte, che nonj va più in là dell'imitazione.
'
L ETICA N I COMACHEA

né da togliere né da aggiungere, reputando che l'ec­


cesso e il dife..tto guastino la · perfezione e la medi età la
conservi ) : se, come dico, i buoni artefici, a quello mi­
rando, fan l'opera loro ; la virtù, che. è, al pari della
natura, d'ogni arte più diligente e migliore, ben dovrà
1 0 tendere al mezzo. Intendo, della virtù etica ; ché essa

versa intorno agli affetti e alle azioni, dove ha luogo


l 'eccesso e il difetto e il mezzo. Per es. : del timore,
· dell'ardire, del desiderio, dell 'ira, della pietà e, in ge­
nerale, del piacere e del dolore c'è un più e un meno,
• • entrambi imperfetti ; ma nel provar quegli affetti quan­
do conviene, e in quello che conviene e verso di chi
conviene, e per il fine e il modo convenienti, consiste il
mezzo e l 'eccellenza che son propri della virtù.
12 Anche per le azioni si dà parimenti eccesso, difetto,
mezzo. La virtù, dunque, versa intorno agli affetti e
a lle azioni, in cui l 'eccesso è un errore e · il difetto è
biasimato, ma il mezzo vi sta rettamente ed è lodato :
le quali due condizioni son proprie della virtù.
18 Conchiudendo, la virtù è una certa medietà, con1e
!=JUella. che al mezzo dirige la sua mira.
Si aggiunga che errare si può in molti modi (per­
ché il male è deli ' infinito, per usare un' immagine dei
Pitagorici , e il bene è del finito ) , ma la rettitudine è
di una sola specie : e però l 'una cosa è facile, l ' altra è
difficile, facile sbagliar la mira, difficile cogliere nel
segno. Anche per questa ragione riescono al vizio l ' ec-
cesso e il difetto ; alla virtù, la medietà .
16 . È, dunque, la virtù un abito di proporsi quel che
consiste nella medietà verso noi , determinata con ra-

1 4 . Nella serie pitagorica dei princìpi l'uno sta dalla parte del be"c� ;
il male, dalla parte del molteplice (cfr. nota. a I, VI, 7).
1 5 . Questa, la nota definizione dialettica della virtù. La saggezza
( v . sezione III) è l'abito di determinare, caso per caso, le azioni che
dobbiamo compiere.
PARTE SECONDA 71

gione e come l'uomo saggio determinerebbe . Ed è


una medi età fra due vizi, l 'uno per. eccesso e l ' altro
per difetto : anche perché, mentre dei vizi alcuni di- 16

fettano e altri eccedono nella misura conveniente, '5ia


degli affetti sia delle azioni, la virtù, invece, trova ed
elegge il mezzo.

l O. In qual senso la virtù non è mezzo, ma estremo.

Perciò, secondo la sostanza e quel ragionamento n


che dichiara l 'essenza, la virtù è una medietà ; ma, in
rispetto al sommo bene e alla perfezione, essa è il più
alto punto. N on ogni azione, né ogt;1i affetto am- 1 8
-

mette la medi età, perché di alcuni il nome stesso .g ià


comprende la pravità, come la ·malevolenza, l 'impu­
denza, I' invidia ; e, tra le azioni, l 'adulterio, il furto,
I' omicidio. Tutte queste cose, e le simiglianti, son bia­
si m ate perché prave per se stesse, non per�hé siano
eccessi o difetti. In queste non ha· luogo giammai la
rettitudine, ma sempre l 'errore . E _per queste il bene o
il non bene non cç>nsiste nel quando e come e con chi
uno debba fare adulterjo, ma assolutamente fare qual­
sivoglia di · queste cose è errore .· Similmente dicasi per t !f
chi credesse che d eli ' ingì ustizia, della viltà, della in­
temperanza si dia medietà, eccesso e difetto ; perché,
in tal caso ci sarebbe una medietà di un eccesso e di
un . difetto, e un eccesso di un eccesso, e un difetto di
un difetto. Ma come della temperanza e della fortezza 20
non esiste eccesso né difetto, perché il mezzo è in

1 7-20. Essenza : astratta, prescindendo dalla materia (affetti e pC'­


tenz_e ), in cui vive la sostanza, la vita concreta di . ogni singola azione.
Il sommo bene e la perfezione. Nella sfera empirica la virtù è medietà,
equilibrio perfetto tra le opposte passioni. Invece, guardando la virtù non
come stato, ma come atto, come vita, è il bene. Il bene non è una rnt'­
dietà tra i vizi, ma recisa opposizione (estremità) al male, e continlta
'
L ETICA N I COMACHEA

certo modo estremo ; così di quelle non esiste mezzo,


né eccesso o difetto, ma, comunque si operi, si erra.
Insomma, d eli ' eccesso e del difetto non c'è medietà ;
né della medietà, eccesso o difetto.

[Questo, del la virtù in universale ; ma per la pratica gio\·a


passare alt 'esame delle virtù singole , mostrando come e'ise
siano una medi età· di due estremi viziosi . Per es. , la fortezza
è in mezzo tra l'audacia e la viltà ; la temperanza, tra l 'in­
t� mperanza e l 'insensibilità ; la liberalità, tra la prodigalità P
l 'avarizia, ecc . I due estremi son contrari al mezzo e ancor
più tra loro : per es. , il coraggioso s'oppone da una parte al
· .
vile , dall 'altra al temerario, sl · che il vile gli dà il nome di
temerario , e il temerario di vile ; ma la distanza t ra gli estremi
è massima, quindi massima è la contrarietà. Invece , talora il
mezzo è più vicino a un estremo che a un altro, come il cn­
raggio, che è più vicino alt 'audaci � che alla viltà : la causa di
ciò è dup lice, l 'una dipende dalla natura delle cose stesse ,
.
l'altra da noi che siam portati naturalmente più verso un
estremo che verso l 'altro. - Ma co�liere il giusto mezzo P
cosa difficile, come trovare il cen t ro del cerchio non è di tutti ,
ma solo di chi sa. La virtù , dunque , è difficile . L' adirarsi, i�
donare , lo spendere, ecc. è·: agevole a ognuno, ma non è più di
ognuno, né facile , stabilire a chi · si debba donare , e quanrio,
e come, e per qual fine . I l bene è raro, e perciò �o si loda .
Il miglior consiglio che si può dare è quello di studiare l�·
inclinazioni che ci trascinano più fortemente verso un estremo,
e gettarci poi verso un estremo opposto . : non essendo noi por­

tati a questo, più facilmente raggiungeremo il mezzo. Co�ì


fanno quelli che vogliono raddrizzare la nave. Del resto, i
consigli sono sempre insufficienti, perché, versando le azioni
intorno alle cose singolari , non possono essere mai esatti . ]

vittoria s n esso. Ma A . in questo passo non va tant'oltre : egli si limita.


alla concezione teleologica, per cui la virtù, essendo p e r fe z i o n e· s o m m a
dell'agire, è, non medietl, ma « sommitl » .
PARTE SE CONDA 73

SEZ IONE II . - Analisi dell'atto pratico.

[LIBRO TERZO]'

l. Il principio dell' azione è sempre in noi .

Essendo la virtù intorno agli affetti e alle azioni, e 1

avendo luogo la lode e il biasimo nelle cose fatte vo­


lontariamente, laddove alle involontarie s' accorda il

Lib. III, I. Nella prima sezione si è considerata la virtù etica ; la virtù


dianoetica si vedrà nella terza sezione. In questa · si esamina l'azione, in
quanto unione della facoltà appetitiva con l'intellettiva : il punto, doè,
dove la ragione s'innesta all'appetito. Questo dualismo di principi del
tutto eterogenei (l'uno teoretico, l'altro pratico ; l'uno cosciente, l'altro
incosciente) è la fonte prima di tutte le difficoltà dell'Etica aristotelica,
e anche di quella posteriQre (come ora si vedrà, A. ne tentò già la soln­
zione). Si tenga presente, a og�i modo, il criterio psicologico posto con
Id. partizione dell'anima; e si eviterannò i fraintendimenti a cui può da r
luogo questa sezione. Il problema del libero arbitrio o della libertà del
volere non troverebbe qui il suo posto. Esso si affacciò più tardi, con la
scuola stoica. Ciò non toglie che non ci siano in A. molti punti che ser­
virono in séguito a quel problema. In generale, quel che noi chiamiamo
volontà, in A. non figura. Essa è limitata alla sfera dell'apretire (sl che
il -volere per A., equiyale al nostro , desiderare'). Ma in questa, come si
disse, è una parte che contrasta alla ragione, ovvero solo con sforzo le
ubbidisce (il bramare e l'ardire); un'altra, invece, tende assolutamente al
bene, e quindi alla razionalità. Questa è la volontà : che è la f a c o l t à d e l
f i n e . Il fine è già dato (su questo, che è il punto più importante, ma
anche più oscuro, di tutta la trattazione, v. Intf'od., pp. 19 ss ., 23 ss . ) .
Coerente alla sua posizione immanentistica e unitaria (seconde, i l concetto
suo, s'intende), A. pone nell'a gente medesimo il fine, cieco e opaco nel­
l'appetito, luce e coscienza di sé nel nous. Quando il nous illumina il mondo
della contingenza si chiama dianoia, facoltà di :r-ensare o ragionare (o
logos, se in veste di ragionamento discorsivo), la quale, quando è ri­
volto alla . pratica, prende nome di « ragion pratica », la cui virtù è la
saggezza o prudenza. La ragion pratica esercita il suo o:ffi cio con la deli­
berazione e con la elezione dei mezzi che conducono al fine che l'appe­
tito, da sé, non saprebbe conseguire.
l . . Ho tradotto con volontario e involontario, ma s'intenda della vn­
lontarietà che caratterizza l'appetito : la questione è, dunque, di sponta-
'
74 L ETICA N I COMACHEA

perdono, e talvolta anche la pietà ; è forse necessario,


a chi indaga intorno alla. virtù, definire il volontario e

2 l 'involontario. Anche ai legislatori sarà ciò utile per

quel che riguarda gli onori e i castighi.


s Sembra, dunque, che involontarie siano le cose che
si fanno a forza o per ignoranza . Forzato è ciò il cui
principio è di fuori e tale che, chi opera e chi sopporta,
in nulla vi conferisca : come, se H vento porti uno in
" qualche luogo, o . uomini . che se ne siano - impadroniti.
Ma è · dubbio se siano volontari e o involontarie quante
cose si fanno per paura di mali peggiori, o per una
causa onesta, come se un tiranno comandasse di fare
qualcosa brutta, il quale fosse padrone d_e ' · tuoi geni­
tori e de' tuoi figli : se tu la fai, essi .son salvi ; se no,
I> morranno . Un dubbio simile ha luogo anche quando,

in caso di tem pesta, si gettano le proprie cose in ma­


re : niuno è che, assolutamente parlando, le getti per
sua voglia ; ma per salvare se stesso e gli altri lo fanno
6 tutti, quanti hanno senno. Tali azioni sono miste, pur

somigliano di più alle volontarie : per la ragione che


sono scelte nel momento che si fanno, e il fine del­
l ' azione è sempre a seconda delle circostanze . Del vo­
lontario e dell 'involontario, dunque, si deve parlare
nel momento dell'azione : questa si fa spontaneamen­
te, perché il principio del muovere gli organi � n tali
azioni è in noi stessi . Ma quelle cose di cui il principio
� in noi, in noi è anche l'operar le o n0n operar le. Tali
azioni son dunque volontarie, sebbene, assolutamente ,
ne.�tà o n.on spontaneità (lat. spante, invitus) dell a ppet izio n e. Spontaneo
'

è l'atto appetitivo (a questo tende il rag�onamento presente) perché il


principio di esso è in noi, o r i g1i n a ria m e n t e .
3 . Cfr. DANTE, Par IV, 73-74.
.•

· 5 . Assolutamente � astrattame nte.


6. Il fine delrazione : dell'azione · in concreto. Noi oggi diciamo ch<­
l'atto volitivo sorge su una base storican:tente determinata.
Il corpo, nella vita pratica, è un semplice strumento (organon) del­
l 'anima.
PARTE SE CONDA 75

sian forse involontarie, perché non c'è nessuno che


sceglierebbe di farle per se stesse .
Per azioni di questa specie talvolta sono anche lo- 7

dati coloro che sopportino qualcosa di turpe o dolo­


roso, . per conseguir qualche gran bene ; e quei che
operano al contrario, son biasimati. Poiché è proprio
del vile sopportare le più turpi cose senza speranza di
conseguire niente di bello o, almeno, di mediocre. 1!1
certi casi, poi� non ha luogo la lode, ma ben il per­
dono, quando uno abbia operato cose che non si deb­
bono per motivi tali che sorpassino l'umana natura e
che nessuno sopporterebbe. Anzi, a certe cose nep- s

pure è forse lecito d'esser costretti, ma piuttosto si


deve morire soffrendo i più terribili mali : ché, invero,
appariscono ridicole quelle necessità che indussero
l ' A lcm eone di Euripide al matricidio. Certe volte è 9

difficile discernere quale cosa si debba ad altra preft�­


rire, e quale in cambio di altra sopportare, ma più
difficile ancora è star fermi nelle risoluzioni prese, per­
ché, il più delle volte, non c'è da aspettarsi che do­
lori, e, dall'altra parte, quello a cui si è costretti è cosa
turpe : di qui si fanno, o no, meritevoli di lode o di
biasimo. coloro che sono costretti ad agire.
Quali azioni, dunque, si debbono chi�mar forzate? 10

N o n forse, assolutamente, quando la causa sia di fuori


e l 'agente niente vi conferisca? Or quelle azioni che,
pur involontarie per se stesse, sono preferite ad altre,
in questo momento , e di cui il principio è nell 'agente,
sono sì involontarie per se stesse, ma in questo mo­
mento e in confronto alle altre sono volontarie. E alle
volontarie somigliano maggiormente : poiché le azioni
avvengono nei casi singoli, e in questi son fatte volon-

8. Alcmeone : cfr. Dante, Pu1'., XII, 49-51 e Par., IV, 103-105.


IO. Questo è un punto fondamentale per la concezione della concre­
t<�zza e :çarticolarità dell'azione.
'
L ETICA N I COMACHEA

tariamente. Ma quali di esse e a quali si debbano pre­


feri_re, non è facile dichiarare, · troppo essendo la dif­
ferenza !lei singoli casi.
11 Che se uno affermasse che le cose belle e piacevoli
forzano (perché ci costringono dal di fuori), tutto sa­
rebbe in tal maniera forzato, perché in grazia di quelle
operano tutti ogni cosa.· Poi, . chi opera a forza e con­
tro voglia, opera con dolore ; chi per un motivo dolce
e bello, con piacere . È dunque ridicolo l'accusare quel

che è di fuori, e non se stesso facile a cadere preda di


cose tali, e delle' opere oneste far cagione se �tesso,
delle turpi, le cose piacevoli .
12 Par dùnque approvabile che forzato� è ciò d i cui il
principio ·è di fuori, niente conferendovi · chi è forzato.
[Un'altra condizione, perché l'atto sia volontario, è c-he
l'age nte abbia conoscenza dei particolari , ai quali si rife-

1 1 . Il termine greco ha significato tanto attivo, quanto passivo : fcr­


zato e forzante. E tien i pre �ente anche che << bello >> ha senso estetico e
ms1eme morale; cosi come <c· piacevole >> può essere un piacere sensuale,
oppure morale. Con queste consid�razion i si , troverà più chiaro q�el
che A. dice, mirando, in somma, a questo : che l'appetito è il principio
_
delle nostre azioni, sl che noi siamd la causa delle azioni buone e ugual­
mente delle cattive : delle buone, quando .l'appetito obbedisce alla ra­
gione, delle cattive, quando contrasta e disubbidisce. Ma chi .volesse
andar più in fondo, si troverebbe in un labirinto più intricato di quello
d' Arianna,· perché, mentre si sta quasi per · toccare il mondo del soggetto,
nP.l quale $Oltanto ha significa:t� il concetto di r e s p o n s a b i l i t à. , . A.
ricade nella concezione oggettiva, che dà alle cose particolari gli stessi
·

va lo ri del soggetto.
1 2 . Dunque, la· volontarietà. è intesa soltanto come indipendenza da
c<mse esteriori. La vo�ontarietà nel senso moderno è, invece, u� libero
determinarsi del soggetto interiormente.
Un'altra condizione,· ecc. - L'appetire nell'uomo è un desiderare, e
il desiderio implica la conoscenza (ignoti nulla cupiditas) . Di qui il pro­
blema del rapporto tra conoscere e vo,Iere. Questo problema si presenta,
prima, in termini negativi (se l'ignoranza sia causa · d'involontarietà) ;
poi, r iù ampiamente, in termini positivi nell'analisi, che ora segue, del
processo deliberativo. La discussione si svolge, naturalmente, nei tennini
propri ad A . , e conchiuderà a questo : che il conoscere (la conoscenza
delle cose) è necessario, ma non sufficiente a spiegar l'atto volitivo.
PARTE S E CONDA 77

risce l'azione. L'ignoranza dell'universale, o d i ciò che s i deve


operare , può esser causa di malvagità, e non d'involontarietà :
perché l'azione sia inyolontaria, deve apportare dolore e rin­
crescimento in chi l 'ha commessa. - Volontario è anche l ' agire
4egli altri animali e de� fanciulli, mossi da passioni o des�deri.
.
Ma questi affetti hanno parte anche nelle azioni dell 'uomo, si
che, per ·quanto irrazionali, non sono; per questo rispetto, meno
umani degli altri . ]

2. I l proponimento e suo rapporto con l 'appetito e con l 'opinione .

Definito il volontario e · l 'involontario, segue che II

trattiamo del proponimento : poiché esso ·p ar cosa


tutta pròpria alla virtù e miglior criterio a giudicare
dei costumi che non le azioni.
Che il proponimento sia volontario,- apparisce chia- 2

ro ; pure, non è la stessa cosa, ché il volonta:-io


s ' este n'de di più : il volontario è comune anche ai fan­
ciulli e agli altri animali, ma il proponimento, no ; e
quello che si fa improvvisamente, lo chiamiamo vo­
lontario, rria non diciamo che è fatto con proponimento.
·Né è probabile che parlin dritto quei che dicono s
·
che è cupidigia o impeto o vol o ntà · o una certa opi�
nione. - Poiché il proponimento non è ·c omune anche
agli esseri irragionevoli , come la cupidigia e l' impeto. 4

E� l 'intemperante agisce , sì, per � upidigia, ma non


con proponimento : al contrario, il temperante agisce
con proposito, e non per cupidigia. ·La cupidigia si 6

11. I . I l prop·onimento è opera della ragion pratica, che, dopo di


aver consultato sul da fare, indica la via che l'appetito ha da· seguire.
Miglior criterio : cfr. II, IV, 3. L'azione qui è quella veduta in II, IV, 12.
2 . La spontaneità (l'esser originario, non derivato in noi dal di fu<?ri)
a- partiene all'atto del proponimento non meno che all'appetito.
3-6 . Per la cupidigia (o brama) e l'impeto (impulso, o come altri ­
menti si vogliano · tradurre questo e gli altri termini riguardanti l'appe­
tire), ricorda quanto si notò a l, 111, 18.
'
L ETICA N I COMACHEA

contrappone al proponimento, non una cupidigia a


un'altra . Ancora : la cupidigia è del piacevole e dello
spiacevole ; il proponimento, né d eli 'uno né deli ' al-
6 tro . - Tanto m � no, poi, è impeto : poiché quel che si
fa per impeto non pare minimamente conforme a un
1 p roponimento. - Ma non è neanche volontà, sebbene
le apparisca molto vicino. Poiché deli ' impossibile non
esiste proponimento, e se uno dicesse di proporselo,
farebbe la figura d'un pazzo. Invece, dell 'impossibile
s c'è volontà, per es . , dell 'immortalità. Poi, la volontà
è anche di quelle cose che, da colui che . vuole, non
possono in nessun modo ess e re operate, per es . , che
riporti vittoria un qualche istrione o atleta ; nessuno,
invece, si propone cose simili, ma quelle sole che
9 stima di poter fare lui stesso. Aggiungi che la volontà
è, piuttosto, del fine ; il proponimento, invece, è delle
cose che riguardano il fine. Ad es. , noi vogliamo esser
sani, ma ci proponiamo i mezzi per esser sani ; di­
ciamo di volere e vogliamo esser felici, ma dire che
ne facciamo proponimento, è una stonatura : poiché
si ritiene che il proponimento sia in generale del le
cose che dipendono da noi .
10 Neppure, poi, può essere un'opinione . Poiché l'opi-
nione par che sia intorno a ogni cosa, intorno alle
eterne e alle impossibili non meno che alle pertinenti
a noi ; poi , essa si distingue in vera e falsa, non in
buona e cattiva, come piuttosto il proponimento si
distingue . Che esso sia, dunque, la stessa cosa che
l 'opinione in generale, forse nes_suno lo dice ; ma nep-
u pure è una particolare opinione . - Poiché noi acqui­
stiamo certe qualità con proporci il bene o il male, non
12 con l'averne un'opinione . E ci proponiamo di conse-

7 . Volontà : qui in italiano tornerebbe meglio desiderio.


Immortalità : in questo luogo vale semplicemente esenzione dalla morte.
1 1 . Qualità, virtù e vizi.
PARTE S E CONDA 79

guire o di evitare, o altra cosa simile ; ma optntamo


quel che una cosa è o a che giova o in qual modo, e del
conseguire o dell 'evitare non opiniamo affatto. - Inol- t s
tre, il proponimento si loda piuttosto quando è di ciò
che si deve, o per ,esser retto ; l ' opinione, invece, in
quanto è vera. E ci proponiamo quelle cose che sap­
-

piamo sopra tutte esser buone ; invece, abbiamo opi­


nion e di ciò che non sappiamo del tutto. - Né pare t 4
che sia n gli stessi quelli · che fanno i migliori proponi­
menti e quelli che hanno le migliori . opinioni, anzi cer­
tuni son più bravi a opinare, mentre· poi preferiscono,
a causa del vizio, di far ciò clìe non debbono. - Se poi 16

l� opinione . preceda il proponimento ovvero lo segua, a


noi non fa differenza, perché non di questo stiamo in­
dagando, ma se il proponimento s ia: la stessa cosa che
una certa opinione.
Che cosa è,- dunque, e di che sorta, dacché · non 1 6
� nessuna delle cose dette? Cosa volontaria, è evi­
dente . Ma non tutto ciò che è volontario è un atto di
proponimento. Non sarà, allora, quel volontario .c he 11
sia stato prima . deliberato? Il proponimento, infatti,
l

s 'accompagna col discorso e con la ragione .


E questo par che sottintenda il nome stesso di
proponimento, quasi cosa che è · posta da noi innanzi
ad altre .

3. La deliberazione è intorno alle cose che dipendono da noi .

Ma si delibera intorno a ogni cosa e ogni cosa può III

essere · deliberata, ovvero intorno ad alcune non è


luogo a deliberare?
Inutile dire che non è oggetto di deliberazione 2

1 4 . A causa del vizio : lé\ ragione non basta : ci vuole l'abito al bene.
Ricorda quanto si disse, a proposito della necessità' dell'educazione gi(\­
vanile e della preparazione dell'uditore, in principio (1, III, 5 e IV, 6) .
Bo '
L ETICA N I COMACHEA

quello su cui forse uno stolto o un pazzo delibererebb�,


ma quello su cui può deliberare un uomo assennato .
a Intorno alle cose eterne nessuno delibera : per es . ,
intorno all 'ordinamento del mondo, oppure sul fatto
4 che il diametro e il lato sono incommensurabili . - E
neppure intorno a quelle cose che sono in movimento,
ma avvengono sempre in un medesimo modo ·, sia per
necessità, sia anche per natura o per qualche altra
& causa : ad es . , il solstizio e l ' alzata del sole . - Né delle
cose che sono ora in un modo, ora in un altro, come la
siccità e la pioggia. - Né di quelle che dipendono dal
e caso, come di trovare un tesoro . - E neanche di tutti
gli affari umani : nessuno degli Spartani, ad es. , de­
libera come ·g li Sciti potrebbero governarsi nel modo
migliore . Ché nessuna di tali cose può esser fatta
da noi .
1 Altro non resta se non che deliberiamo intorno alle
cose le quali dipendono da noi e sono attuabili. In
vero, cause si chiamano la natura, la necessità, il
caso, e poi la mente e tutto quel che è opera del­
l ' uomo . Ma ciascun uomo delibera intorno alle cose
che può egli stesso mettere in atto.
8 E , delle scienze, circa quelle che sono esatte e a 5,é
bastanti, non esiste deliberazione, per es . , intorno ai
segni grafici (ché non c ' è questione come si debban
scrivere ) . Ma si delibera di tutto quel che, pur avve­
nendo per nostro mezzo, non è sempre a un modo :
per es . , circa le cose della medicina e del commercio ;
c d eli' arte del pilota più che della ginnastica, tanto ,

quanto quella è ancora più lontana dall'essere esatta .


9 E per le altre arti e scienze , similmente : però, nelle
arti anche più che nelle scienze, perché per quelle ci
sono maggiori ince �tezze .

8. Esatte, qui, gi� fissate.


PARTE SECONDA 81

Si delibera, inoltre, nelle cose che avvengono per 10


lo più, e non si vede come .Potranno riuscire, e dove
questo è indeterminato. E per le cose di grande im­
portanza ci prendiamo dei consiglieri, diffidando di
esser capaci da noi stessi a giudicarne.

4. Analisi del procedimento deliberativo.

Né deliberiamo intorno ai fini, ma intorno a quel 11


che riguarda i fini . Il medico non delibera se dovrà
sanare, né ·1 'oratore se dovrà persuadere, né il politico
se dovrà fare buone leggi, né nessuno degli altri deli­
bera intorno al fine ; ma, posto il fine, considera come
e per quali mezzi .sarà conseguito. Se i mezzi sono
molti, cerca con quale può raggiungere il fine più
agevolmente e meglio ; se il mezzo è uno solo, cerca
come potrà conseguirlo con esso, e questo per mezzo
di quale altro, finché nç>n giunga alla cagione prima,
la quale è l 'ultima che si ritrova : cosl colui che deli­
bera, nel modo descritto, par proprio che indaghi e

1 1 . In questo luogo si vede chiaro il passaggio dal nous alla ragione


pratica. Il fine assoluto non è oggetto di deliberazione, perché non appar­
tiene alla sfera della dianoia# o ragione discorsiva, ma a quella del nous.
La dianoia (la deliberazione è un ragionamento che versa intorno a11.t
pratica) dialettizza il fine facendone un dato fine (o una serie di fini dati
che fan capo a quello), e se lo pone innanzi come un problema da risolv,!re.
Come fa il geometra? Scompone il poligono in triangoli (analiss1 per pci ·
derivare da questi le proprietà di quello, procedendo cosi a una ricostru·
zione o ricomposizione di quello che aveva sciolto (sintesr) . Tale è anche
il procedimento dell'Organon e della logica discorsiva. Qui la dianoia
analizza il fine e lo scom{:one in una serie di elementi (i mezzz), di cui
il primo è riguardato come la c a g i o n p r i m a o prima azione da c.om­
piere, alla quale succedono per ordine le altre azioni, finché queste tutte
quante si riassumono e compiono nel fine particolare proposto. (Il nous
nel passaggio dall'interiorità all'esteriorità, dalla considerazione metafisica
a quella dialettica, si fa empirico e astratto : diventa l'« opera dell'uomo >>
in generale, che ha sotto di sé l'u opera » ; del medico, dell'oratore, del
politico, ecc.).
82 L ' ETICA NICOMACHEA

12 risolva come un problema geometrico . Tuttavia, non


ogni ricerca è una deliberazione : non lo sono, ad es.,
le ricerche matematiche ; ma ogni deliberazione è una
t.icerca, e quel che è l 'ultimo. nella . risoluzione · è il
primo nell 'attuazione .
13 E quando uno s' imbatte nell 'impossibile, ci rinun­
cia : poniamo, se gli bisogna danaro e non sia possi­
bile procurarselo ; ma se appaia possibile, mette mano
all 'azione. Possibile è ciò che può esser fatto da noi :
� quel che si fa per mezzo degli amici, è fatto in certo

modo da noi, perché in noi è il principio.


14
Talora quel che si cerca son gli strumenti ; talora,
invece, l'uso di essi ; e cosl p er tutte le altre cose :
alle volte si cerca il come ; alle volte, per mezzo di chi
o di che cosa.
16 Par dunque giusto quel che s'è detto, che il prin­
cipio delle azioni è l 'uomo ; che la deliberazione è in­
torno alle cose che egli stesso può operare ; e che le
azioni sono mezzi al fine : poiché il fine non può mai
venir deliberato, ma quel che riguarda il fine.
16 Neppure, quindi, le cose singolari : per es . , se
questo è pane, o se è stato cotto come si deve : poiché
questo è affar di sensazione .
Che se uno volesse sempre deliberare, andrebbe
ali 'infinito.

1 6 . La deliberazione ha, come la dimostrazione, due specie di principi


dati immediatamente : l'universale dell'assioma e il particolare della sen­
sazione (pei quali, nell'Organon, si rimanda all'anapodittica o Metafisica) .
Dunque : dati i mezzi (i particolari) e dato iJ · fine (l'universale) - quelli
e· questi son considerati dialetticamente, come nella logica sillogistica,
l'uno fuori dell'altro, quali elementi dell'azione - la deliberazione compie
t.na specie di sillogismo f»'atico, che consiste in ciò : dal fine (premessa
maggiore) discendere ai mezzi (sussunzione dei particolari nell'universale).
per poi da questi risalire a: quello con l'azione.
PARTE SECONDA

S. Genesi dell'atto pratico.

La stessa cosa è quella su cui si delibera e che ci 11

si propone, salvo che quel che ci si propone è già


determinato ; poiché ci si propone quel che è stato
giudicato con deliberazione. Ognuno, infatti, si queta 18

dal cercar più oltre come debba fare, quando abbia


in se stesso ridotto il principio dell'azione, e in quella
parte di lui che comanda : ché essa è quella che pro­
pone . Ciò si può vedere anche dalle antiche costitu­
zioni, imitate da Omero, dove i re annunziavano al
popolo quel che proponevan di fare.
Se, dunque, oggetto di proponimento è quel che, 19

dipendendo da noi , appetiamo detiberataménte, il pro­


ponimento sarà un appetito deliberativo delle cose a
noi pertinenti : poiché, quando noi , col giudizio intorno
a esse, abbiamo deliberato, appetiamo in conformità
della deliberazione.
E basti · quel che in abbozzo si è detto del propo- 20

nimento ; intorno a quali cose sia, e che è delle cose


che riguardano il fine.

1 7- 1 9. Ora il passaggio è dalla ra g i o n e p r a t i c a p u r a (non si


annetta nessun significato kantiano a questa frase) all' a t t o pratico,
mediante l'intervento di una facoltà pratica, l'appetito, che, irrazionale
per se stesso, è ora stato illuminato dalla deliberazione, e produce pe1
tal modo il proponimento, che è il proprio corrispondente aristotelico
della moderna volontà.
La parte che comanda è la ragione. Ma, poi, a seconda che tu ''lUOi
accentuare più o meno l'autorità della parte razionale in confronto con
1::.. irrazionale o appetitiva, puoi tradurre quel che segue con c quella cbe
propone » o con « quella che fa il proponimento », e poco dopo, per : re,
con « proponevano » o con « si proponevano ».
'
L ETICA N I COMACHEA

6. Bontà e n1 alvagità del nostro atto pratico .

IV La volontà , invece, si è detto che è del fine. Ma,


qui, alcuni stimano eh ' essa sia del bene ; altri, di ciò
che apparisce buono.
2 Or, dal ragionamento di coloro che dièono che il
bene è quel che si vuole, seguirebbe che non si voglia
quello che non è con retto proposito voluto (poiché,
s e fosse voluto, sarebbe anche buono ; e pur sarebbe,

a in questo caso, cattivo ) . D 'altra parte, chi dice che si


vuole quello che apparisce buono, intende che esso
non sia tale per natura, ma secondo che a ciascuno
pare : a uno una cosa, a un altro un'altra, sl che, in
certi casi, è insieme cose contrarie.
4 Se questo non piace, non si deve, dunque, dire che
assolutamente e secondo verità quel che si vuole è il
bene, ma, poi, per ciascuno quello che a lui par buono?
E, cioè, all 'uomo dabbene, quel che è bene veramente :
a] dappoco, quel che càpita? Proprio come per i corpi :
ai ben disposti son sane le cose che veramente son
tali, e ai malati, diversamente. E cosl per l'amaro,
per il dolce, per il caldo, per il pesante, e via via .
o L'uomo dabbene giudica di ciascuna cosa retta-
mente, e in ciascuna a lui apparisce il vero. Poiché

IV. Alla veduta socratico-platonica, che noi vogliamo sempre e ne­


cessariamente il bene, si oppone che l'appetito, per raggiungere il hcnt!,
si deve conformare al deliberato della ragione. D'altra parte, alla veduta
sofistica, che bene è ciò che tale a p p a re ai singoli, si oppone che il
bene è t a l e p e r n a t u r a (l'appetito, per sé, non guasto dalle cattive·
abitudini, tende a quello che è veramente il bene assoluto), ma non tutti
g!udicano dirittamente intorno al fine, donde la varietà delle opinioni.
L' uomo virtuoso giudica . secondo la opinione vera.
5 . Regola e misura : l'allusione a Protagora è chiara. Quel che è nella
logica la verità (nonna oggettiva del vero e del falso, delle opinioni nel!a
<fs'puta dialettica), è nell'Etica « l'uomo probo » (vir bonus), ch'è tale
I:l'r definizione.
PARTE SE CONDA ss

belle e dolci son le cose proprie a ciascun abito. E


forse la maggiore differenza tra l ' uomo dabbene e gli
altri è in questo, che egli vede la verità nelle singole
cose, come colui che è la regola e la misura di esse ; 6

nel volgo, invece, si genera l' inganno a causa del


piacere che par buono e non è, sl che persegue come
bene il piacere e fugge come male il dolore .

7. N o i siamo padri delle nostre azioni, come lo siamo dci no­


stri figli.

Or, dacché la volontà è del fine, e la delibera- v


zione e il proponimento son delle cose che spettano al
fine, - le azioni che versano intorno ad esse saranno
conformi a proponimento e volontarie. Ma intorno a
esse sono gli atti virtuosi : dunque, la virtù è in poter
nostro . Ma così è anche per il vizio . Poiché dove è 2
in nostro potere il fare, ivi è in nostro potere anche
il non fare ; e dove dipende da noi il no, ivi dipende
da noi anche il sl . Onde, se fare il bene sta in noi,
starà in noi anche il non fare il male ; ovvero, se in
noi sta il non fare il bene, starà in noi anche fare il 8
male. Se, dunque, da noi dipende ugualmente fare il
bene e il male, o non farlo (e in questo si disse con­
sistere la bontà e la malvagità) , da noi dipende l 'esser
probi o perversi.
Il dire, poi. « Nessuno è volontariamente malvagio 4
n é involontariamente beato >> , in parte si avvicina al
vero, in parte al falso. - Nessuno è beato involonta­
riamente, ma la malvagità è volontaria.
Se no, si deve mettere in contestazione quello che 5

v. La discussione seguente è intonata contro i Platonici che sostene­


vano l'involontarietà. del vizio, consistendo esso nell'ignoranza.
2 . Ogni ragionamento implica vero o falso (nella disputa, sl o no ;
·
r.ella pratica, fare o non fare).
'
86 L ETICA NICOMACHEA

qui s'è discorso, e negare che l'uomo sia principio e


6 genitore delle azioni, così come è dei figli. - Se quel­
lo, invece, par detto giusto, e non abbiamo modo di
ricondurre le azioni ad altri princìpi fuori di quelli che
sono in noi, allora, le cose di cui in noi è il principio,
dipendono anch 'esse da noi e sono volontarie.
'1 Di ciò son validi testimoni sia i singoli in privato,
sia gli stessi legislatori . I quali castigano e puniscono
quei che commettono azioni perverse, quando non 1c
abbian fatte per forza o per ignoranza di cui sian essi
la causa ; e onorano, invece, chi compie belle imprese :
come per incitar questi e tener quelli a freno. Né cer­
tamente incitano nessuno a operare quante cose né da
noi dipendono né sono volontarie : per la ragione che
nel fatto a nulla gioverebbe, per es . , il farci persuasi
di non sentire caldo o freddo o fame, o qualsivoglia
altra simile affezione, - quando non la proveremmo
s già meno per questo . E puniscono anche chi ignora
quel che 'fa, quando appaia causa della propria igno­
ranza, onde per chi è ubriaco la pena è doppia : poiché
i1 principio è in lui : egli era padrone di non ubriacarsi,
e questo fu la causa della sua ignoranza.

9 Puniscono anche quelli che ignorano qualcuna delle


cose che sono nelle leggi, quando il saperlo è ne­
cessario ed anche facile. E cosl fanno in tutti gli altri
casi, quando appaia che causa dell'ignorare è negli­
genza, intendendo che da coloro dipendeva il non igno­
rare, i quali erano padroni di esser in ciò diligenti.

6 . Altri .prind/Ji sarebbero la necessità, la natura, o il caso .


8. Ubri�co : per questa legge di Pittaco, cfr. Pol., II, XII, 13, e
Rethor., II, xxv, 7. La pena per il delinquente ubriaco era doppia :
1. perché s'era ubriacato ; 2. perché l'ubriachezza da lui voluta, toglien­
dogli la conoscenza, lo aveva fatto delinquere. Questo, dice A., fece
Pittaco riguardando più all'utilità universale che non all'indulgenza che
si deve a chi è avvinazzato .J
PARTE S ECONDA

8. Ma noi siamo , anche, figli delle nostre azioni .

Non nego : taluno forse è cosi fatto che non può 10

esser diligente ; ma d'esser divenuto tale la causa è lui


stesso, col menar vita fiacca. E dell 'esser ingiusti o
intemperanti la causa è in quelli stessi che fanno male
azioni, ovvero passano la vita nella crapula e in si m ili
cose . Poiché noi siam tali, quali i singoli atti ci fanno.
E questo si vede chiaro anche da coloro che vogliono 11

riuscire in qualsivoglia esercitazione ginnastica o altra


azione : essi perseverano in compiere atti.
L'ignorare che intorno a ogni cosa gli abiti si 12

aèquistano con il compiere gli atti, è da uomo addi­


rittura insensato. Ed è, quindi, incomprensibile che as

chi opera ingiustamente non voglia essere ingiusto, e


chi s 'abbandona all' intemperanza non voglia essere
intemperante : se egli agisce, con cognizione, cose per
·
le quali diviene ingiusto, sarà ingiusto per suo volere. 14

Certo, una volta che è un ingiusto, neppure se lo vo­


glia, cesserà di esser tale, né diverrà giusto. Neanche
il malato, infatti, può divenir sano per tale maniera,
eppure, se così gl 'incolse, egli è malato per suo vole­
re, per godersi la vita immoderatamente e non dare
ascolto ai medici : allora era lecito a lui di non am­
malare, ma una volta che egli ci si lasciò cadere, non
più : così come a chi ha lanciato un sasso non è più
possibile ripigliarlo , ma ben fu in lui di gettarlo e di
scagliarlo, essendo in lui il principio. Cosl anche per
l 'ingiusto e per l'intemperante : da principio era pos-

1 4 . Non si scordi che volere non vale, qui, più di un desiderare. Sl


che, fissato il carattere (come oggi si dice), non basta certo un desiderio
per mutarlo, come un malato non può più voler essere, di fatto, sano,
anche se lo desideri. Si dovranno compiere atti contrari all'abito acqai­
stato per altrettanto tempo e più, sino ad acquistare l'abito oppoc;to.
(Questo, A. non dice).
88 ,
L ETICA NICOMACHEA

sibile a essi di non diventar tali, e però lo sono per pro­


prio volere ; ma, fattisi tali, non è più concesso a loro
di non esserlo.
lo E non soltanto i vizi dell ' anima sono volontari, ma

son volontari anche quei del corpo in certi uomini, ai


quali si aggiunge biasimo. Nessuno, infatti, biasima
coloro che sono brutti per natu ra, ma quei che son tali
per negligenz a e per mancanza di ginnastica . E simil­
mente per l ' indebol ime nto o la mancanza di un orga­
no : ché niuno· biasimerebbe un cieco qualora fosse tale
dalla nascita o per una malattia o per un colpo rice­
vuto, anzi se ne avrebbe pietà ; ma a chi sia divenuto
tale per abuso del vino, o per altra smoderatezza ,
, ., ognuno può dar biasimo. Anche dei vizi corporali,
dunque, quelli ricevono biasimo che dipendono da
noi, e non -già quelli che da noi non dipendono . E se
è così , anche degli altri vizi quelli che son biasimati,
dipenderanno da noi.

:! t
Se, dunque , come s i è detto, l e virtù sono volon-
tarie (poiché, mentre in certo modo siamo concause
noi stessi degli abiti, d'altra parte dalle nostre pro­
prie qualità dipende la qualità del fine che noi ci po­
niamo ) , volontari saranno anche i vizi, perché la cosa
sta per loro nello stesso modo .
�� Si avverta che non però nello stesso senso degli
abiti sono volontarie le nostre azioni : del le azioni noi
siam padroni dal principio sino alla fine, avendo cono­
scenza dei particolari in cui versano ; degli abiti, inve­
ce, siam padroni da p rincipio, ma poi ci sfugge il loro

2 1 -2 2 . Dunque : I. delle azioni, quando non sia per incolpevole igno­


ranza, noi siamo responsabili interamente, perché il ptincipio loro è tutto
in noi, dall'inizio alla fine ; 2. degli abiti siamo responsabili (noi, o chi per
noi, se ci educò male) all'inizio : dopo, finiscono con l'essere necessari;
3. l'appetito tende al fine per sua natura, ma, non conoscendolo, secondo
che noi siamo virtuosi o viziosi, quel fine diventa buono o cattivo.
PARTE SECONDA

accrescimento per i singoli atti, siccome avviene per


le infermità. Ma poiché stava in noi di seguire o quella
via o un 'altra, perciò anche gli abiti sono volontari .

( Avendo detto che cosa è la virtù etica e dimostratone


il carattere volontario, segue ora la descrizione delle virtù
particolari . - E prima della fortezza, la quale non è dispre­
gio di tutte le cose : il disonore, ad es. , si deve temere . Con­
vien temere tutto ciò che deriva dal vizio. La vera fortezza
si mostra nei grandi pericoli e nei mali terribili. Anche i J

forte li temerà ne Ha misura conveniente : l 'eccesso o il difetto


nella misura genera la temerarietà o la viltà. Il più grande e
il più bello dei pericoli è la: morte in battaglia, che fa glorioso
il forte. Invece , il darsi la morte per fuggire povertà o altre
sventure della vita è piuttosto una viltà. - Vien poi l a tem­
peranza, che versa intorno ai piaceri corporei, e non a tutti ;
ché nei piaceri della vita e dell 'udito nessuno si dice tempe­
rante o intemperante, anche se eccede nel prender gioia dt>i
colori e dei suoni ; ma intorno a quelli che specialmente son
comuni agli altri animali, il gusto e il tatto, sl che l'intempe­
ranza è de ' vizi il più esecrabile , perché ci accomuna con le
bestie. Neppure , tuttavia, s'ha da essere insensibile. Ma tra
insensibilità e sregolatezza, il temperante tiene il giusto mezzo :
egli di certi piaceri non ha desiderio, anzi vi ripugna ; di altri
non s'affligge , se privo. Egli ricerca moderatamente, e quando
.
e come conviene , i piaceri che contribuiscono alla salute e al
benessere . - La liberalità è un giusto mezzo di contenersi ri­
spetto alle ricchezze, intendendo per ricchezza tutto ciò, il cui
valore può rappresentarsi con danaro . Il buon uso delle r�c­
chezze consiste nello spendere convenientemente, non nel cu­
stodirle : onde i vizi opposti sono la prodigalità e l 'avarizia.
Il liberale curerà le sue , sostanze non per se stesse, ma pt-r
avere di che beneficare : quindi , la liberalità non consiste nel
dare molto , perché può essere più liberale chi dà meno, se attin­
ge da patrimonio minore : la liberalità si giudica in proporzione
alle sostanze . L'avarizia è peggiore della prodigalità , anche per­
ché quasi incurabile e più sordida e più frequente. L 'età e il venir
meno delle sostanze trarranno il prodigo verso · il mezzo. - Af-
'
90 L ETICA NICOMACHEA ·

fine alla liberalità è la magnificenza, che è uno spendere deco­


roso con grandezza proporzionata allo spenditore e allo scopo,
in cose nobili. Il magnifico bada più che l 'opera sia degna,
che non quanto costi. La magnificenza conviene a coloro r.he
uniscono ricchezza e dignità, ai quali s 'addice far spese per
statue, pompe, sacrifizi agli dèi , per allestimenti di cori e di
triremi, per convitar la città. - E in grandi cose s'aggira an­
che la magnanimità. Magnanimo è colui che si stima degno
di grandi cose, essendolo davvero ; chi , senza essere, si sti­
masse tale, è uno stolto ; chi è degno di piccole cose, se tale
si reputa, è saggio, ma non magnanimo . Il magnanimo d'una
sola cosa va in cerca : dell'onore ; e degli onori preferisce
quelli ,che gli tributano i buoni, ma se ne compiace con mod�­
razione, perché sa che non si dà onore sufficiente alla virtù
perfetta. Non tiene conto degli onori delle persone dappoco, e
nemmeno dei disonori : i quali egli non merita. Onde il ma­
gnanimo sembra essere altero e sprezzante. Ma, amico o ne­
mico, si dichiara scopertamente, franco nell 'amicizia o nel
disprezzo. Non è facile alla meraviglia, né all'ammirazion�,
né agli odi i. Parla poco di sé e degli altri. Ha lento l 'incesso,
grave la voce, meditato il discorso. - Seguono altre virtù
etiche , quali la mitezza, l'amabilità, la sincerità e l 'urbanità
nel conversare , e il pudore.
Ma di gran lunga più importante è la giustizia, della ·
quale i l primo e più generale significato è d i obbedienza alle
leggi ; e poiché le leggi comandano il bene della civil comu­
nanza e le vir tù che tal bene promuovono, e proibiscono le
azioni cattive, cosl nel suo più largo senso, si può dire che
la giustizia abbracci ogni virtù, e eh 'ella sia la virtù ottima e
perfetta : perfetta, perché, chi la possiede , può usare della
virtù non solo per le cose proprie , ma anche in rispetto agli
altri tutti. Onde sa via par la sentenza di Bi ante che l 'uomo
si prova nelle magistrature.
In senso più ristretto, la giustizia è di due specie : l 'una
riguarda la distribuzione degli onori , delle ricchezze e di tutte
le altre cose divisibili tra la cittadinanza ; l'altra, commuta­
tiva, regola gli acquisti e i contratti. - La giustizia dis tri­
butiva è nell 'eguaglianza dei rapporti. Gli onori debbono e<;­
sere dati in ragione del merito : la ripartizione mal fatta gener3
PARTE SECONDA 91

l 'ingiustizia, perché chi h a di più è u n 'offesa a chi h a di


meno. - La giustizia correttiva � invece , è nell'uguaglianza
aritmetica, sl che le parti abbiano uguale il vantaggio o il
danno : per lei non fa differenza se un uomo dabbene fu ÙE'­
rubato da un dappoco, ovvero se è avvenuto il contrario. I
colpevoli son trattati come uguali. E quando un uomo ha
subito un 'ingiustizia, il giudice , infliggendo la pena, annull:t
il vantaggio che l 'offensore ha su l 'offeso .. Il giudice è in certa
guisa la giustizia fatta persona. - L 'operare giustamente è,
dunque, una medietà di due vizi , di cui l 'uno è il fare in­
giustizia, e l'altro il ricéverla : di questi è peggiore il f:1re
ingiustizia, perché accompagnato da malvagità. - Affine a1ta
giustizia è l'equità, la quale nasce quando la giustizia riguarda
un caso che esce dali 'ordinario e dalla generalità che è pro­
pria della legge, sl che l 'equità è come una correzione, di ct.•i
la legge � per la sua astrattezza, ha continuamente bisogno. ]
92 '
L ETICA NICOMACHEA

SEZIONE I I I. - Le virtù dianoetiche.

[LIBRO SESTO]

l . Essendo la virtù una medietà determinata dalla retta ragione,


è necessario definir questa.

I Dacché ci è occorso di dire innanzi che si deve


preferire il mezzo, e non l'eccesso né il difetto ; ed es­
sendo il mezzo nel modo che la retta ragione deter­
mina, questo più dist �ntamente si dichiari.
In tutti gli abiti di cui abbiam parlato, cosl come
anche per gli altri, trovasi un certo scopo al quale ri­
mirando, colui che di ragione è fornito, accresce o di­
minuisce le forze sue ; e c'è anche una certa deter­
minazione delle medietà, le quali, essendo conformi
alla dritta ragione, noi affermiamo che stanno tra
2 l 'eccesso e il difetto. Ma, detta cosl la cosa, pur es­
sendo vera, non è per nulla evidente. Poiché anche
nelle altre faccende, in quelle di cui si dà scienza, è

Lib . VI, I. Si è parlato fin qui della virtù etica includendovi il con­
cetto del giusto mezzo. Dall'analisi dell'atto pratico è risultato che esso
si compone di appetito e di ragione : questa dà il giusto mezzo delle
� zioni. Considerata a sé, la perfezione della parte razionale costituisce la
·drtù dianoetica, che è una virtù d'altra specie, e rappresenta nell'indi­
viduo quel· che è la legge nello Stato : la norma o massima dell'ot"e­
:arc. - Comprendendo poi la parte razionale oltre la dianoia anche il
n ous, si annovera in questa sezione anche la virtù propria del nous,

<'hP. meglio si chiamerebbe virtù noetica. La relazione tra queste classi


dl virtù è la stessa di quella posta tra le parti dell'anima : onde, se pf'r
t l ll lato sono distinte, dall'altro debbono costituire l'unità della virtf'ì
·1 � mana.
l . Determinazione : cfr. la definizione della virtù etica in lib. Il, VI, 15.
PARTE SE CONDA 93

pur vero il dire che non ci si deve né troppo né poco


o affaticare o riposare, ma una via di mezzo e come
la dritta ragione prescrive . Ma chi conoscerà sola-·
.mente questo, non saprà niente di più ; cosl come se
uno, richiesto quali cose si debbono apprestare al cor-
po, rispondesse : tutte quelle che la medicina comanda
c nel modo che il medico prescrive. Quindi anche in- 3

torno agli abiti dell'anima bisogna che non soltanto


sia vero quel che si è detto, ma che venga definito
qual' è la dritta ragione e quale la sua determinazione.

2. Distinzione dell'anima razionale in scientifica c discorsiva .

Quando distinguemmo le virtù dell 'anima, abbian1 4

chiamate le une virtù del costume ; le altre, della r�­


gione. Delle virtù etiche abbiamo già discorso ; par­
liamo ora delle rimanenti, dopo avere premesse alcune
cose intorno all 'anima.
Che dell 'anima ci sian due parti, l ' una che ha la ra- 6

gione, l ' altra irragionevole, è stato detto innanzi . Ora


dobbiamo quella che ha la ragione parimenti suddistin­
guere. Si stabilisca, dunque, esser due le parti che han
la ragione : l 'una, con la quale noi contempliamo quelli
tra gli esseri i cui princìpi non si dà che stiano altri­
menti ; l'altra, con cui conosciamo le cose che possono
esser diversamente ; poiché è necessario che sian di­
Yerse di genere quelle parti d eli' anima che son atte per
natura a considerare o l 'uno o 1' altro genere diverso
d i cose, se è vero che in quelle la conoscenza avviene

5 . Così, le parti sono, ora, di nuovo tre : nous, dianoia, aPPetito t non
tenendo conto, in questo, della precedente suddistinzione : cfr I. XIII, 18;
I� parte meramente vegetativa in niun caso entra nel conto) S'è detto
già che A. non ammette Parti dell'anima, ma si serve delle nozioni popo­
lari o Accademiche per il carattere proprio della trattazione. Altrettai.lto
s'intenda della teoria che il simile si conosce col simile.
'
94 L ETICA NICOMACHEA

e per una specie di somiglianza e di affinità. E di quelle


parti si chiami l 'una scientifica, l ' altra discorsiva :
perché deliberare e discorrere è il medesimo, e nes­
suno delibera intorno alle cose che non possono star
altrimenti. Onde la discorsiva è solo una parte del-
l ' anima che ha la ragione.
7 Si deve, dunque, cogliere qual è l ' abito più eccel­
lente di entrambe queste parti, poiché quello sarà la
virtù loro : la virtù, cioè, che alla operazione di cia­
scuna è più appropriata.

3 . I principi dell'attività pratica e suo rapporto con la teoreti-:a.

II Tre sono le facoltà d eli ' anima padrone delle azioni


2 e della verità : il s'entire, l'intendere, l'appetire. Di
queste, il sentire non è principio di nessuna azione ;
ciò è evidente per il fatto che i bruti hanno il senso,
ma non partecipano dell 'azione. E quello che nel ra-

6 . La scienza si fonda su principi necessari e universali, non rica­


vati da un ragionamento, ma intuiti, direttamente · e immediatamente, dal
n�us. Il ragionare comune, invece, è un discorrere, o discutere, di cose
contingenti e particolari : riguarda il mondo delle opinioni, che possono
essere o vere o false, e qui�di anche quello dei costumi che possono es­
sere buoni o cattivi.
Che la facoltà. disc01'sivtJ e la raziocinativa siano, in questo senso,
spesso considerate , equivalenti, ne è prova, oltre numerosi passi dell'Or­
gtlnon, Pol., l, I, Io, dove A. dice che gli uomini soli costituiscono Jo
Stato, perché, a differenza dei bruti, essi soli hanno il linguaggio.
II. l . Verità, teoretica.
2 . Gli animali inferiori hanno il movimento locale, ma questo si spiega
con n senso e l'appetito, senza nessun bisogno dell'intelligenza . Quando
invece all'appetito si accompagna il ragionamento (il quale implica il nou.ç),
allora il movimento prende nome di azione. Il nous, o inteiiigenza, dunq'te,
è il vero e unico principio del teoretiço e del pratico. Ma quando dal prm­
cipio metafisica discendiamo nella sfera dialettica, l'azione risulta di dt:e
principi, diciamo cosi, simmetrici : l'appetito e il giudizio, l'uno chre· perse­
gue o fugge, l'altro che afferma o nega . Il nous è sempre retto, anzi E'SSO
fa la rettitudine dell'azione; ma questa ammette il duplice valore d:
buona o cattiva. L'appetito è retto quando è volontà. di ciò ch'è bene;
e a farlo tale consiste l'opera dell'educazione che trasforma tutta la ma-
PARTE SECONDA 95

gionare è l'affermazione e la negazione, questo stesso


è nell'appetito il perseguire o il fuggire. Onde, es­
sendo la · virtù etica un abito con proponimento, e il
.
proponimento un appetito con deliberazione , deve per
ciò it · ragionamento esser vero e l 'appetito retto, af­
finché il proponimento sia a modo, ed essere il mede­
simo quello che l 'uno afferma e l'altro persegue . Que­
sta, dunque, è la ragione o verità pratica.
Invece, pregio o difetto della ragion teoretica, e s

non pratica né poietica, è il vero o il falso : ché que­


sta è l'opera propria a tutta la parte razionale, ma
della pratica e razionale insieme è la verità che con il
retto appetito concorda.
Dell'azione· , dunque, il principio è il proponimento : 4

teria irrazionale della nostra natura, che abbiamo in comune con gli altri
animali, in abito etico. L'abito etico, poi. come si disse, diventa azione
virtu�sa solo quando è illuminato e guidato dalla ragion pratica. Questa,
mirando al fine (che è lo stesso nous, al quale tende il retto appetito), co­
stituisce la norma di condotta nelle azioni : la « retta norma » che diviene
il principio della deliberazione, la premessa maggiore del sillogismo pratico.
4 . Non si scordino i grandi principi aristotelici. Dio o Nous, in sé
considerato, è pura contemplazione e sufficienza di sé. Ma. considerato
nell'universo, esso è il primo . motore, immobile. I cieli son mossi e muo­
vono. La natura terrestre è_ mossa semplicemente. - Similmente, l'uomo.
Il nous in sé è pura teoria, conoscenza, non è pratico : pratico diviene
considerato come bene, anzi come « il bene >> al quale tende l'uomo. Questa
tendenza è l'ap�etito, il quale è il motore mosso : mosso dal nous in quanto
bene, o causa finale, che si fa per ciò << intelligenza pratica », il cui offi.cio
si esplica nella deliberazione. Il proponimento (che è il principio del moto,
come qui si dice, intendendo il moto della persona agente) risulta cosi
da due principi, l'uno appetitivo, l'altro razionale. - Come può, dunque,
l'azione non esser « a modo », giusta, buona? Evidentemente, quando
viene a mancare la rettitudine di una o di entrambe le fonti dell'azione,
dell'abito etico o- della orinione dritta (la virtù del costume o quella della
dianoia) . E questo avviene in coloro che, come gl'incontinenti, si dànno
in balia delle tendenze comuni ai bruti, anche se conoscono la regola
giusta che dovrebbero seguire; ovvero, guasti dal vizio, erigono a pre­
messa maggiore non una norma razionale, ma una norma data òalla
'Sensualità, cercando, per tal modo, non il vero bene, ma un bene falso.
Come si vede, l'elemento decisivo resta sempre il principio pratico (l'ap­
petito, la volontà, l'abito), che, per esser retto, deve conformarsi alla ra­
gione.
g6 '
L ETICA N I COMACHEA

princ1p1o, s 'intende, del moto, non causa finale. Del


proponimento, a sua volta, il principio è l'appetito �
il ragionamento fatto per qualche scopo. Per cui, né
senza intelligenza e ragionamento, né senza abito etico
esiste proponimento : poiché senza ragionamento e co­
stume non è possibile la perfezione, e quel che è il
6 suo contrario nell 'azione. Non già che la ragione mu,J­
va per se stessa, ma in quanto ha uno scopo ed è
p ratica. E anche la poietica dipende da questa, perché,
ognuno che fa, fa per uno scopo ; pure il suo fare
non è il fine assolutamente, ma in relazione ad altro e
per cagion d'altro. Ma non è cosl dell 'agire, perché la
perfezione pratica è il fine, e a questo tende l'appetito.
Per ciò il proponimento puoi dirlo o intelligenza ap­
petitiva o appetito razionale, e tal principio è l 'uomo .
6 L'oggetto, poi, di proponimento non può esser
mai il passato : ad es . , nessuno si propone che Troia

5 . La perfezione dell'azione in se stessa è realizzazione del fine e,


insieme, della sua razionalità (del suo valore pratico e teoretico insiem�·) :
i due aspetti sono qui indicati, l'uno con « intelligenza appetitiva », l'altro
con « appetito razionale » . La loro unità concreta, dice A., è l'uomo. I n
questo punto A. h a divinato l a vera soluzione del problema : nella con­
cordanza e armonia della ragione con l'appetito (§ 3) trova il modo di
superare l'eterogeneità (ch'è una distinzione naturalistica) dei due prin­
cipi (v. la nota a III, I, I), e indica la via per intenderli entrambi dentro
uno stesso principio. In questo (ch'è un principio spirituale, cioè di pura
interiorità : la volontà consa�evole, come noi oggi diciamo) l'unità. sarà,
poi, da intendere altrimenti che come una vuota identità., e anche il orc­
blema della trascendenza acquisterà un altro significato. Cfr. Int�od., pa­
gina 25.
6. Nota l'acuta osservazione : la conoscenza si esaurisce nella storia
di ciò che è già. accaduto, nel passato; l'azione, invece, ha per oggetto il
fcturo, ciò che ancora non è e dipende dalla volontà dell'uomo far essere.
L'anima intellettiva comprende il nous e la dianoia, la facoltà inbl­
lettiva propriamente detta e quella discorsiva : è la parte dell'anima for­
nita di ragione, che è stata scissa al principio del capitolo per cercar�e
c. l'oçerazione >> e la virtù più appropriata. La quale è, dunque, la « verità »
teoretica per l'intellettiva pura, teoretico-pratica (si può dir anche c:em­
plicemente jwatica, se vi s'include l'elemento teoretico della dilln oia) per
l'attività morale. Già si delineano le virtù dianoetiche come divise in tre
PARTE S E CONDA 97

sia stata sacclteggiata ; non s i delibera intorno al pas­


sato, ma intorno al futuro e a quel che può accadere :
ché il passato non è possibile che non sia accaduto.
Per cui giustamente Agatone :

Di questo solamente è pur Dio privo,


di far n on avvenute quante cose
si e n state oprate.

In conchi � sione : l'opera di entrambe le parti del­


l' anima intellettiva è la verità ; sì che virtù d'entrambe
saran · quegli abiti secondo i quali in sommo grado
ciascuna di esse sarà nel vero.

4. Le cinque virtù dianoetiche.

Rifacendoci ora da capo, diremo nuovamente d i III

loro . E siano cinque di numero le cose onde l'anima,


o affermando o negando, è nel vero ; e cioè : arte,
scienza, saggezza, sapienza, intelletto. Invece, con l a
congettura e con l ' opinione può essere anche nel falso.

S. La scienza.

Che cosa è la scienza - se si deve parlare esatta- 2

mente e non andar dietro a similitudini - s' intende


bene da questo, che tutti riteniamo non poter essere
altrimenti quello che veramente sappiamo ; invece,

gruppi : alcune più strettamente teoretiche, che fan capo an� « sapienza ,
(cfr. la fine del li b. I : il sapiente si loda per l ' a b i t o ) ; altre più stret­
tamente pratiche, che fan capo alla « saggezza » ; altre, che tramezzano
fra il teoretico e il pratico, fan capo al concetto di « arte ,,.
A gatone : poeta tragico, ricordato nel Convito di Platone, e in A.,
Poet., IX.
In. Segue ora la descrizione delle virtù dianoetiche.
2 . Intuizione : l'osservazione attuale.
g8 '
L ETICA NICOMACHEA

quel che può essere altrimenti è oscuro se esista o no,


quando si trovi fuori della nostra intuizione. L'og­
getto della scienza è, dunque, di necessità. E però,
eterno : perché tutto quel che è di assoluta necessità,
è eterno ; quel che è eterno, è ingenerabile e incor­
ruttibile.
.
s Pare, inoltre, che ogni scienza si pos sa insegnare,
e che tutto si possa apprendere quel che cade sotto la
scienza. Ogni dottrina, poi, viene da cognizioni prece­
denti, come anche negli Analitici abbiam detto : o per
induzione o per . s illogismo. L'induzione è punto di
p·artenia ed è d eU 'universale ; il sillogismò , invece,
muove dagli universali . Sono, cioè, princìpi da cui
il sillogismo deriva quelli, dei quali non si dà sillo­
gismo : di essi, dunque, si dà induzione.
4 In breve : la scienza è un abito dimostrativo, con
tutte le altre determinazioni, che negli Analitici ab­
biamo aggiunte . Uno allora sa ver � mente quando ha
una certa determinata convinzione e conoscenza dei
princìpi, perché, se questi non gli sian più noti e
credibili della conchiusione, egli non avrà la scienza
se non accidentalmente.
Della scienza non si determini più di così .

6. L'arte .

IV Ma di quello che può essere diversamente, altro è


t oggetto dell'arte, e altro dell'azione. Arte e azione son
diverse (teniam fermo intorno a esse quanto anche nei
discorsi essoterici dicemmo) ; cosl che anche l'abito
3 . Il concetto di scienza qui esposto è un breve sommario dei !Jric­
dpi degli A nalitici : l'oggetto della scienza in confronto con quello d�lla
opinione, il procedimento sillogistico, l'induzione sillogistica e l'induzione
reale, l'apodittica e l'anapodittica, ecc.
4 . A bito : la scienza, per se stessa, è teoretica, ma nello �cienziato
diventa un abito, una virtù.
PARTE SE CONDA 99

poi etico con ragione è diverso dall 'abito pratico con


ragione, e però si escludono reciprocamente : né l ' arte
è azione, né l'azione è arte.
E poiché l ' abilità di edificare è una cert 'arte, e s

propriamente un certo abito produttivo con ragione ;


né c'è nessun'arte che non sia un tale abito, né niun
abito produttivo con ragione che non sia arte, - sa­
ran la stessa cosa arte e abito produttivo con ragio­
namento verace .
Ogni arte riguarda la produzione, e la sua abilità e 4

intelligenza è allo scopo di produrre qualcuna delle


cose che posson essere e non essere, e di cui il prin­
cipio è in chi produce, non in ciò ch'è prodotto. Poi­
ché l'arte non è delle cose che sono o divengono per
necessità, né delle cose che accadono naturalmente :
queste cose, infatti, hanno il principio in loro stesse .
Il produrre e l'agire essendo diversi, non c'è dubbio
che l'arte riguarda il produrre, non l ' agire. In certo 6

modo, poi, intorno alle stesse cose versano il caso e


l ' arte, seg>ndo quel che anche Agatone dice :

Ama ognor l'arte il caso ; e il caso, l'arte .

Come dunque s'è detto, l ' arte è un cert'abito pro- 6

duttivo con ragione vera ; e, invece, la mancanza di


arte è un abito produttivo con falsa ragione : intorno
a quelle cose che possono essere altrimenti .

IV. 5 . A:te e caso hanno in comune i caratteri seguenti : 1) le cose


da loro prodotte hanno la causa esteriore a esse; 2) hanno entrambi
per oggetto ciò che non è necessario (solo questo è comune con l'attività
pratica ) . Per il rapporto fra il concetto dell'arte e quello di azione da
un lato, di scienza dall'altro, v. in principio : I, I, 1-5, e .note. Tra i
ccncetti moderni il più vicino al concetto aristotelico di arte è quello di
c o n o s c e n z a e a b i l i t à. t e c n i c a .
100 '
L ETICA N I COMACHEA

7 . La saggezza.

v
Di quel che sia la saggezza, · noi possiamo render­
cene conto così : guardando quali uomini chiamiamo
saggi.
Par certo che · sia proprio del saggio di poter ret­
tamente deliberare di quelle cose che a. lui son buone
e giovevoli : non in particolare, come sarebbe in rap­

porto alla sanità e alla forza ; ma, in generate,. di


quelle che conducono a viver bene.
2 Segno di ciò è il fatto stesso che noi diciamo saggi
anche quelli che son tali in qualche particolare cosa,
quando ragionino bene in riguardo a un particolare
fine onesto e in cose delle quali non esiste arte alcuna.
Si può, dunque, anche in generale chiamar saggio chi
è atto a ben deliberare.
3
N.e ssuno delibera intorno alle cose che non pos­
sono essere altrimenti, né di quelle che a lui non è
dato di operare . Per la qualcosa, se è vero che la
scienza è per via di dimostrazione, e che dove inve�e
i princìpi posson esser diversamente quivi non esiste
dimostrazione (perché ivi ogni cosa può anche star
altrimenti ) , e se è vero che non c'è deliberazione in­
torno alle cose necessarie, - la saggezza non sarà né

v. A tradur la greca fronesi con fwudenza (più . conforme alia tn.di­


zione) si dà maggior peso alia sua differenza daiia sofia accentuandone
l' ufficio pratico; saggezza, invece, ne mostra più il carattere dianoetico.
èella dian.oia fwatica : di queiia, cioè, che trova la cc giusta nonna », e l'ap­
plica alle particolari azioni. La sua rappresentazione più in grande è il
legislatore politico. Pericle è un saggio� Talete è un sapiente. In Platone,
invece, fronesi è equivalente a sofia. Ma pare che Senocrate avesse gi?!
distinto una fronesi teoretica o sofia e una fronesi pratica.
l . Cfr. Rhet., I366 b, 20 : « La fronesi è la virtù della dianoia, per
la quale noi siam fatti abili a deliberare intorno alle cose buone e catti!Je
p e 1' l a f e l.i c i t à >> . Per i fini particolari, c'è la medicina, la ginnastica,
ecc. La fronesi è la ragione etica al servigio del fine sommo .
PARTE SE CONDA· IOI

sci-e nza né arte : · non scienza, perché l 'oggetto del­


l 'azione può essere ·altrimenti, non arte, perché di­
verso è l'agire dal produrre.
Rimane, dunque, che essa sia un abito pratico con 4

vera ragione · intorno a quei che per l'uomo ·sono i ·beni


e i mali . Poiché il fine nel produrre è diverso dal pro­
durre stesso ; ma nell 'agire, no : qui il fine è la stessa
perfezione· dell 'agire. Per questo noi · stimiamo saggi 5

Pericle e gli uomini simili, perché san vedere· quali


cose sono buone a. loro e agli altri ; e · tali , reputiamo
debban essere quei che sono al governo della fami­
glia e della città.
Di qui anche alla temperanza venne questo nome, 6

quasi di conse.rvatrice .. deUa s3:ggezza. E certo ·è che


la temperanza conserva il giudizio che alla saggezza si
richiede : la ragione è che il piacere e il do.l ore non
corrompono né pervertono qualunque sia giudizio, per
es . , quello che cerca se il triangolo abbia o non abbia
gli angoli uguali a due retti, ma i giudizi che riguar­
dano le azioni . E questo avviene ·perché i princlpi
delle azioni sono nel loro stesso fine : ma a chi è stato
corrotto dal piacere o dal dolore subito si oscura il
principio, ed egli scorda che a quello mirando, e a
cagion di quello, deve proporsi e operare ogni altra
cosa. Poiché il vizio è co·r ruttore del principio.
Onde è di necessità che la saggezza sia un abit:>
pratico intorno agli umani beni con vera ragione. An- 7

zi, mentre c'è una virtù dell 'arte, della saggezza non

6 . Temperanza : in greco, sofrosine, quasi un s o z �i n (salvare) la


f r o n e s i . Cfr. Cratilo, 4II E. C'erano, un tempo, in Grecia i Sofronisti :
funzionari che aveva no il còmpito di m o d e r a t o r i dei costumi.
7. AtJzi, ecc. L'arte, come ogni altra abilità può esser volta al te·ne
o al male. La saggezza, no : essa tutta l'attività pra:tica indirizza al 'btnc.
Della saggezza non c'è virtù, perché è, essa stessa, la virtù : la legge e
il fondamento comune a tutte le virtù. In quanto virtù della « ragion prd.-
102 '
L ETICA N I COMACHEA

c ' è.
E mentre nell'arte è da preferire chi erra volon­
tariamente, nella saggezza, cosl come nelle virtù
tutte, è il contrario. È, dunque, chiaro che la sag­
gezza è una virtù e non un'arte.
s Ed essendo due le parti dell 'anima che hanno la
ragione, sarà virtù d 'una di esse : della opinante, per­
ché e l 'opinione e la saggezza versano intorno a ciò
che può esser diversamente. Ma che, poi, la saggezza
non sia solo un abito razionale, si vede da questo che
di un abito tale si dà dimenticanza, e della saggezza
non si dà.

8. L 'i ntelligenza .
VI
Giacché la s·cienza è un giudizio delle cose che sono
universali e necessarie ; e ogni dimostrazione e ogni
scienza abbisogna di princlpi (perché alla scienza s'ac-
tica », che costituisce la bontl dell'azione, il suo corrispondente kantiano
sarebbe la v o l o n t l b u o n a .
Nell'arte può essere un merito l'infrangere le regole abituali. A.,
intento alla differenza tra arte e fronesi, rovescia il noto paradosso so­
cratico; (( Nessuno erra volontariamemte , (Senofonte, Memorab., IV, u,
20), usato in varie forme da Platone (cfr. lppia Maggiore). Per es., il fare
ingiustizia volontariamente sembra meglio che farla involontariamente -
per questo che, nel primo caso, è accompagnata dalla cono�cenza, mentre
l' ignoranza fa più grave il secondo caso. Questo vale rer l'arte, dice A . :
per la fronesi, invece, avviene il contrario, perché la fronesi non è una
scienza, ma è un operare consapevole. Dei due momenti, il conoscitivo (. il
volitivo, quest'ultimo dà il carattere specifico. L'errare nel primo momento
r male, ma l'errare nel secondo è peggiore : conoscere il bene e volere il
male è la colpa più grave che possa aver luogo nell'àmbito morale.
8 . Opinante : s'intende dell' o p i n a n t e s e c o n d o v e r i t à .
A bito razionale è anche quello dello scienziato (qui, invece, si tratta
della « ragion pratica ,,) . A. termina con un'acuta osservazione : il dotto
r·uò scordarsi della sua dottrina, l' uomo veramente virtuoso non perde
mai il suo abito, perché la virtù è divenuta in lui una seconda natura.
VI. Intorno al nous s'accentra tutta la dottrina aristotelica. Il nous
dà l'intuizione dei principi sommi della realtà : è l'organo della crmo­
scenza metafisica, è il divino. Esso può tradursi ugualmente bene con
w�ente, con intelligenza e con intelletto : il primo termine accentua l'at­
teggiamento contemplativo ; il secondo, la funzione intuitiva ; il terzo, l'uso
dialettico (come organo del pensiero logico).
PARTE SECONDA 1 03

compagna sempre il ragionamento), - del princtpto


dello scibile non ci può essere né scienza né arte né
saggezza : non scienza, perché dovrebbe potersi di­
mostrare ; né arte o saggezza, perché queste occor­
rono nelle cose che possono essere diversamente. E
neppure c ' è sapienza : perché è proprio di chi è sa­
piente in alcuna cosa darne la dimostrazione .
Se, dunque, gli abiti per i quali noi siamo nel 2

vero e non mai nel falso, sia circa quel che non può
e sia circa quel che può essere altrimenti, sono l a
scienza, la saggezza, la sapienza e l 'intelligenza ; e se
.
ness una di quelle tre (voglio dire ·l a saggezza, la
scienza e la sapienza) versa su i princìpi, resta che
di essi si abbia l 'intelligenz a .

NoTA . -· C'è anche una virtù, la perspicacia, chia­


mata pure intell igenza o buona intellige nza, onde di­
c famo « intelligente >> u ri uomo in questo senso . Que­
sta virtù non è ta stes s a cosa èhe la scienza o l'opi­
nione (se no, tutti sarebbero intelligenti), né è qual­
cuna delle particolari scienze, com'è la medicina per
le cose che giovano · alla sal':lte , o la geometria per le
grandezze : poiché essa non s i esercita nelle cose eter­
ne e immobili , né in qualunque sia di quelle che diven­
gono ; ma in quelle di cui è possibile dubitare e de­
liberare . Versa, dunque, nelle stesse cose della sag­
gezza, senza che per q�esto sia la stessa cosa : poiché
la. · saggezza ha l 'ufficio di comandare (il fine suo è
determinare ciò che si deve mettere in atto, o no) :
questa intelligenza, invece, ha soltanto officio discre­
tivo, critico. Non consiste, dunque, né �el possesso
della saggezza , né nell 'acquistarla ; ma, a quel modo
che nell 'imparare si dice che uno ha << inteso )) quando
sa fa � uso della scienza appresa, così questa intelli­
genza consiste nel saper usare dell'opinione per il di-
1 04 '
L ETICA N I COMACHEA

scernimento di quelle cose di cui altri parlano, e che


appartengono alla saggezza, e in discernerle bella­
m:ente (bellamente, qui, vale lo stesso che bene ) . Di
qui venne il nome di c intelligenza » che noi ·attribuia­
mo agli uomini ben dotati di questa facoltà : è vè­
nuta, cioè, dall' intelligenza che si osserva nell 'im­
parare . Infatti, noi spesso diciamo che l'imparare è
intendere (*) .

9. La sapienza.

VII La sapienza nelle arti s ' attribuisce a coloro che le


esercitano a _perfezione : cosl di Fidia diciamo che è
un sapiente operatore in pietra, e di Policleto che è un
sapiente facitore di statue : niente altro qui signifi­
cando col nome di sapienza, che la perfezione di quel-
2 l ' arte . Alcuni, invece, reputiamo che sian sapienti non
in una cosa particolare, ma in generale, anche se in
certe altre cose non siano sapienti, proprio come dice
Omero nel Margite :

Non vignaiuol costui, non .aratore


fecer gli dèi , né d'altro sapiente.

(•) Ho anticipato e intercalato qui il cap. X (o Xl, secondo le edizioni),


ch'è, in realtà, una breve annotazione (quante sono le note e riflessioni,
in quest'Etica, di gusto vivo, moderno, pur in mezzo alle forme di men­
talità tramontata ! ) , - per dare maggior rilievo e chiarezza alla differe��
frc..�. il nous, che noi abbiamo tradotto con « intelligenza >> , e questa v;rtù
o facoltà che in greco è synesis (petspicacia, comprensione, giudizio ri­

flessivo, e simili).
vn. l. Sapienza : sofia. Si tenga presente il procedimento empirico
0 popolare di questi capitoli che descrivono le virtù dianoetiche. Si chia­

mava sofo nel linguaggio corrente chi avesse raggiunta la perfezione o


nell'arte o nella scienza.
2. Anche dei sa.pie11ti, come prima dei saggi, si distinguono quelli
che son tali in generale da quelli che son tali in cose particolari, a cui
l' uso applica il nome medesimo.
PARTE SECONDA 1 05

Onde è manifesto che la sapienza ha da essere di s

tutte le scienze la più perfetta. Il sapiente deve non


solo saper quello che dai principi deriva, ma anche
intorno ai princìpi conoscere il vero. La sapienza,
quindi, sarà intelletto e scienza ; e stando, per così
dire, a capo delle altre, sarà la scienza delle più ono­
revoli. cose.

lO. Differenza tra la sapienza e la saggezza.

Infatti, è fuor di strada chi opina che la politica


o la saggezza sia la scienza più eccellente : a meno
che l'uomo non sia ciò che v'ha di più eccellente
nel cosmo . Che se altra cosa è salutare e buona per 4

gli uomini e altra per i pesci, laddove il bianco e il


diritto è sempre il medesimo ; parimenti, interrogati,
tutti risponderebbero che la sapienza è sempre a un
modo, laddove la saggezza è sempre diversa : essi di­
ranno che colui è saggio, il quale nelle singole cir­
costanze, in cui si trova, ha una veduta perfetta, e al
giudizio di lui si affideranno in simili casi . Perciò si
chiamano sagge anche talune bestie, che mostrano di
sapere aver cura della lor propria vita. Ed è anche
evidente che la sapienza e la politica non posson esser
la stessa cosa : perché se volessimo chiamar sapienza
quella che versi intorno . a cose giovevoli a noi, di

3 . � la « scienza delle cose divine », o filosofia prima o, più sempli­


cemente, la filosofia.
4. Il quale nelle singole circostanze, ecc. (passo molto tormentato di
varianti) : in sostanza, la saggezza ha per oggetto l'uomo; la sapienza,
il nous e la scienza ; la saggezza, quel che muta ; la sapienza, quel c.he
non muta ; l'una mira al particolare; l'altra, aii'universale ; l'una è pra­
tica, l'altra, teoretica. La politica è una saggezza in g e n e r a l e ; non è
unica, sempre, perché il bene a cui mira non è unico :çer tutti. Invece,
la sapienza è unica sempre (scienza del reale in se stesso e del divino) .
Luci : i Cieli incorruttibili e le pure intelligenze motrici (cfr. De co do,
I, 2).
J 06 '
L ETICA NICOMACHEA

sapienze ce ne sarebbero molte, non una sola per il


bene di tutti quanti gli esseri viventi, ma una diversa
per ciascuno ; se no, ci sarebbe anche un 'unica me­
dicina per tutti gli esseri. Che poi l ' uomo sia il più
eccellente fra tutti gli esseri viventi, non monta : im­
perocché ci sono altre cose molto più divine dell'uomo
per loro natura : ad es. , quelle manifestissime luci
delle quali l 'universo fu costituito.
6 Da quanto s ' è detto risulta chiaramente che la sa-
pienza è insieme scienza e intelligenza di quelle cose
che per loro natura sono le più degne di onore.
Per questo un Anassagora, un Talete, e altrettali,
�i chiaman sapienti, ma non saggi, vedendoli igno­
rare le ·c ose a loro stessi giovevoli, sebbene · poi si
dica che essi sanno le cose straordinarie e meravi­
gliose e difficili e sovrumane, ma inutili, perché essi
non van cercando i beni umani.
6 La saggezza, invece, è intorno alle cose umane e
di cui è possibile deliberare : ché questo noi diciamo
essere precisamente opera dell 'uomo saggio, il delibe­
rare bene. Or niuno delibera intorno a quelle cose
che non possono star altrimenti, né di quante non
esiste un fine determinato e tale che sia un bene pos­
sibile ad attuare. Sl che assolutamente delibera bene
colui che, seguendo il ragionamento, è abile a cogliere
tra i beni attuabili datl 'uomo il migliore .
7 Né la saggezza riguarda gli universali soltanto, ma
deve conoscere anche i particolari, perché essa è pra-

7. Qui la saggezza è illustrata col concetto di arte o scienza fwatica .


Cfr. Metaph., I, I, 5-6 : cc Nasce l'll1'te quando da molte nozioni sperimentali
si fa un unico gz"udizio universale intorno alle cose simili. SaPere che a
Callia sofferente di questa malattia, e a Socrate e cosl ad altri molti in
particolare, fece bene la tal cosa, è questione 4i esPerienza,· ma 4ell'arte
� proprio sapere che essa fa bene a tutti coloro che sono sofferenti di quella
determinata malattia. Per l'agire l'esperienza . non Pare in niente differire
PARTE SECONDA 1 07

ti ca, e l ' azione versa intorno ai particolari. Perciò ci


sono alcuni, gli empirici, che, qui come in altre cose,
sebbene ignoranti, riescon meglio in pratica di altri
che son dotti . Difatti, chi sapesse che le carni leggiere
sono facili a digerire e salubri, ma poi ignorasse quali
carni sian leggiere, non produrrebbe mai la salute,
ma colui la potrà maggiormente produrre che sappia
che le carni degli uccelli son leggiere. La saggezza è
una virtù pratica : onde le fa di mestieri saper l 'una
,
e l'altra cosa, ma più la particolare.

[La saggezza non si acquista , dunque , se non con lunga


esperienza : non è cosa da giovani , i quali divengono facil­
mente geometri e matematici, ma non saggi : per la stessa
ragione imparano più facilmente le matematiche che la fisica
c la filosofia, perché in quelle , essendo astratte, non c'è niente

di oscuro ; i principi, invece, di queste, cosl come quelli delta


saggezza, son fondati sull 'esperienza, sl che i giovani li ripi!­
tono verbalmente , ma non ne restan persuasi . ]

daJl'arte. Vediamo, anzi, che gli empirici colPiscono nel segno anche meglio
di quelli che posseggono nozioni senza l'esperienza. La ra.gione � c he
t esperienza è conoscenza dei particolari e rarte degli universali: ora,
tutte le �ioni versa.no int01'no al p.articolare » . La saggezza deve sapere
di più il particolare, :(:erché l'azione versa sempre nei particolari. Bisogna,
perciò, distinguere la saggezza come virtù meramente razionale, da quella
che mostrasi nell'azione concreta. La prima, identica all'Etica (inte:;a
nel sign�ficato scolastico), è una scienza pratica nel senso che dà norme
o leggi generali per condurre l'uomo alla felicità. Queste sono astratte e
non giovano per l'azione, che, come spesso A. ripete, è sempre particolare
e determinata ; o, per meglio dire, giovano soltanto in quanto rappresen­
tano r:er l'agente come un tesoro di esperienze personali. Infatti, ai gio­
vani (si è detto in principio e si ripete qui) l'Etica non è adatta, finr.:hé
con l'esperienza della vita non han formato il proprio carattere morale.
Non si tratta, dunque, di scienza, ma di formazione della coscienza (di
abiti, direbbe A.) ; non d'insegnamento, ma di sviluppo autonomo c1ello
spirito. La mancanza di una chiara visione di questo concetto fa oscuro e
arduo il libro sesto, che pure è forse il più importante della Nicomacl�a.
1 08 '
L ETICA N I COMACHEA

Il. Difficoltà sul valore pratico e morale delle virtù dianoetiche .

Si · è dunque detto che cosa è la saggezza e la sa�


pienza, e intorno a quali cose l 'una e l 'altra consista,
e che l'una e l'altra è la virtù di una facoltà diversa

dell'anima :
XII Ma uno potrebbe domand a re a che esse servano,
dacché la sapienza non considera.- nessuna di quelle
cose onde l ' uomo può essere · felice (poiché non ri­
guarda le cose che si generano) ; e d'altro canto, · la
saggezza tratta, sl, di questo, ma che c'è bisogno di
essa·, una volta che, pur riguardando quelle cose che
son giuste e oneste e buone all 'uomo (le quali cose,
appunto , 1 'uomo buono deve m ettere in atto) , noi col
saperle non siamo, perciò, più abili a operarle, dato
che le virtù son o abiti.? Così, non siamo né più sani
né più vigorosi per saper quelle cose che producono
sanità e vigoria, sl bene per averne l'abito : poiché
non siamo affatto più abili a operare possedendo la
2 scienza medica e ginnastica. Se, poi, si volesse dir che
la saggezza non serve a essere più valenti, ma a far
diventar valenti gli uomini in alcuna cosa : a quei che
già son tali sarà del tutto inutile, e sarà essa inutile
anche a chi non la possiede, per il fatto che poco
importa se uno l 'ha lui stesso, oppure presta · ubbi­
dienza a chi l 'ha : questo potrebbe a noi bastare,
così come basta per la salute, la quale desiderando

XII. Le � ifficoltà del concetto di scienza pratica, con cui si è distinta


!a fronesi dalla sofia, si assommano in questi capitoli di grande interesse,
ma non si possono risolvere definitivamente con i dati qui offerti.
I . Se la virtù è un abito che si acquista con l'educazione, che c'è
b!sogno della fronesi? se uno non ha ancora l'abito virtuoso, si rivolga
a un saggio, cosi come, quando è malato, si rivolge al medico. Studiar

l'Etica per divenir buoni è come studiar medicina per guarire. Se l'Etica
Producesse la bontà, sarebbe la prima delle scienze.
PARTE SE CONDA 1 09

noi di possedere, non perciò studiamo · medicina. Ag- s

giungi che potrebbe sembrar strano che, mentre la


saggezza è inferiore alla sapienza, le sarebbe poi su­
periore per questo che la virtù di produrre ha signo­
ria e governo in ciascuna cosa.
Bisogna dunque di ciò parlare, ché fin qui non
abbiam fatto altro che esporne le difficoltà.

1 2. La natura razionale dell'atto morale .

Prima di tutto noi dici a mo che, dato anche che né 4

l 'una virtù né l ' �l tra producano nulla, esse debbo no


essere desiderate pe r se stesse, appunto in quanto vir­
tù l'una di una parte dell 'anima e l'altra dell 'altra.
In secondo luogo, non è vero che non producano : o

non già come la scienz� medica, ma come la san ità


produce la sa�ità ; così la sapienza produce la felicità,
perché, essendo parte dell 'intera virtù, con l 'essere
posseduta e messa in atto rende l'uomo felice .
Inoltre, ogni azione è perfetta quando è conforme G

alla saggezza e alla virtù etica : questa fa che sia retto


lo scopo ; quella, i mezzi ad esso . Non c'è che la
quarta parte dell 'anima, la nutritiva, di cui non esista
una tale virtù, perché a lei non sta né l 'operare né
il non operar nulla. Quanto poi a non essere gli uo­
mini mediante la saggezza più abili a operare cose
belle e giuste, dobbiam rifarci un poco dall'alto, di
qui esordendo.
Come, infatti, noi diciamo che certuni operano cose 1

giuste, eppure non sono giusti : poniamo, quelli che fan


4 . Prima soluzione : la virtù è desiderabile per se stessa, anche se
non produce nulla (p r o d u r r e , qui, è un produrre fnori di noi) .
·
5 . Seconda soluzione : P r o d u r re , qui, è produr dentro, ma con ri­
guardo speciale alla filosofia. La difficoltà rimane più grave per la froncsi.
7- 1 O. Terza soluzione : la virtù etica e quella dianoetica si condizio­
nano reciprocamente, perché l'una fa buono il fine, e con esso la scelta
dei . mezzi e il r roponimento (ch'è ope ra della dianoia) ; l'altra, derivando
I lO '
L ETICA NICOMACHEA

le cose comandate dalle leggi, ma le fanno o contro


voglia o per ignoranza o per qualche altra cagione che
non sia per loro stesse (benché operino quello che si
deye, e che a un uomo probo s ' addice ) ; similmente,
par che conseguiti, ci ha da essere una certa dispo­
sizione nell 'operare ogni singola cosa, tale che lo fa
esser buono : e buono io chiamo l'operare per propo­
nimento e per fine di quello stesso che si opera. Dun­
que, quel che rende retto il proponimento è la
s virtù. Ma quali cose siano atte per natura ad essere
operate per il fine proposto, . non le apprendiamo dalla
virtù, ma da un'altra facoltà. Fermiamoci a parlar di
ciò più chiaramente.
s C'è una certa facoltà che si suoi chiamare accor-
tezza, la quale consiste in ciò, che ha il potere di
attuare e conseguire quelle cose che conducono al fine
proposto. Quando _il fine sia onesto, essa è degna di
lode ; quando è vile, si chiama scaltrezza : per ciò
tanto i saggi quanto gli scaltri si dice che son accorti.
10 L a saggezza non è questa facoltà, ma neppure è senza
di essa ; ed il suo abito non s ' imprime in quest'occhio
dell ' anima senza virtù, come abbiamo detto e come è

dal nous il criterio di giudizio e; la nonna delle azioni (il « giusto mezzo ,),
dà valore razionale all'atto morale.
Su questa che è la soluzione finale (la bontà è presupposta nell'a­
gente sia per il fine sia per la scelta de� mezzi), v. Introduzione. Ma non
si scordi quanto osservammo, prima, in nota a III, I, I (p. 73) , e poi a
VI. II, 5 (p. 96) . A. ha pur veduto che nella concordanza e armonia, in
cui egli ripone la perfezione dell'azione morale, i due aspetti, il pratico
e il teoretico, l'eticità e la razionalità dell'atto, si comrletano e raffor­

zano a vicenda.
Occhio de1lran!ma è la dianoia, che, come nell'uso dialettico per il
vero e il falso (si ricordi la Sofistica), cosi nell'uso pratico può ridursi a
mera abilità naturale, capace di bontà o malvagità (potenza o facoltà, per
quanto razionale, dei contrari) .
I sillogismi, ecc. � un passo un po' aspro. Chiaro è questo : l'uomo
buono, in qualunque cosa faccia, parte nel sillogismo pratico dal vero
fine, e ne fa massima o premessa. maggiore del suo operare.
PARTE SECONDA I II

manifesto. E la ragione è questa, che i sillogismi del­


t' agire han principio così : « Giacché cotesto è il
-

fine e il sommo bene, ecc. » - (non importa ora quel


che sia, perché si fa per ragionare ) . Ma questo non
avviene se l ' uomo non sia buono, poiché la malva­
gità perverte e induce in errore circa i princlpi pratici.
Onde è chiaro che non è possibile che sia saggio
chi non è buono.
Anche per la virtù dobbiamo, a sua volta, far que- XIII

ste considerazioni : poiché la virtù sta presso a poco


come la saggezza rispetto all 'accortezza ( non è la stes-
sa cosa, ma simile) ; così sta anche la virtù naturale
rispetto alla virtù propriamente detta. Pare, infatti,
che in ognuno siano insiti in certo modo per natura
quei costumi che ha (ché a esser giusti, temperanti,
forti, ecc. noi siam disposti sin dalla nascita ) ; ma, ciò
non astante, noi andiamo cercando un altro bene, che
propriamente sia tale, e che quei costumi siano in noi
in un altro modo. Anche nei fanciulli e nei bruti si
trovano gli abiti naturali, ma, essendo privi d'intel­
ligenza, si vedono talora cagionar danni . Anzi si può
vedere che accade a essi quel che a un corpo robusto,
a. cui manchi la vista : quando si muove, cade e va

a urtare violentemente, perché non ha il vedere . Ma 2

quando uno è dotato d'intelligenza, l'azione è diffe­


rente ; e l ' abito, che ne deriva, diventa allora virtù

xru . I termini dell'analogia non sono in ordine. Come la facoltl.


dell'accortezza (destrezza, abilità naturale) non si fa abito di saggezza
senza la virtù etica, - cosl la potenza della virtù naturale non diventa
l'abito della virtù etica senza la saggezza . Le virtù del costume, prive
di razionalità, si abbassano ad abiti naturali in confronto con la virtù
propriamente detta. Il valore morale non viene più dall'appetito, né dalJa
dianoia, ma deriva dal principio e vertice della nostra natura spiritaale,
dal nous.
2-3 . Se il valore morale dell'attività umana fosse già dimostrato, po­
tremmo dire che A. risolve il problema socratico in questo modo : fronesi
e virtù etica formano come una s i n t e s i a p r i o r i : la fronesi senza la
112 '
L ETICA N I COl\fACHEA

in proprio senso. Onde, come della facoltà opinativa


ci son due specie di virtù, l ' accortezza e la saggezza,
cosi anche di due specie è la virtù della facoltà etic3,
l'una naturale e l'altra in proprio senso ; e, di queste,
quella in proprio senso non esiste senza la saggezza.
a Di qui alcuni tutte le virtù riducono alla saggezza,
· e Socrate, che questo cercava di dimostrare, aveva in

parte ragione, in parte torto : torto, in quanto repu­


tava che tutte le virtù siano saggezze ; ragione, in
4 quanto non sono senza la saggezza. Di ciò un segno
è che oggi tutti, quando definiscono la virtù, dopo òi
aver detto che è un abito e intorno a quali cose sia,
aggiungono che è secondo la retta ragione : ma retta
ragione è quella che è secondo la saggezza. Si direbbe
che tutti quanti indovinino in certo modo che virtù è
tale abito che sia conforme alla saggezza.
6 Ma passiamo un po ' più innanzi . La virtù è un
abito non solo conforme alla retta ragione, ma con
la retta ragione congiunto. E la retta ragione in cose
tali non è altro che la saggezza. Socrate, dunque,
dicendole scienze, . stimava che tutte le virtù si ridu­
cessero alla ragione ; noi, invece, diciam.o che sono
unite con la ragione.

vif'tù etica è vuota, questa senza quella è cieca ; quella costituisce la fonna
universale, questa la materia sensibile del nostro volere. Socrate, c<>r­
cando nella virtù la fonna universale, vide il solo momento razionale, e
gli sfuggi il contenuto offerto dalla nostra natura appetitiva . Negò la
molteplicità naturale, e fece della virtù una scienza astratta . La fronesi,
invece, è l ' u n i t à c o n c r et a di tutte le virtù. Cfr. la nota gener.t le
(p. 66) a II, v-VI.
4 . Tutti : gli Accademici specialmente, i quali, proseguendo nella
speculazione platonica, ponevano la « giusta misura » come carattere ct:'­
mune delle virtù.
5. In cose taU, cioè nelle azioni virtuose. In quel che noi facciamo,
ad es., per la salute, l'azione basta che sia confonne alla nonna del ml·­
dico. La virtù vuole non solo la c o n f o r m i t à, ma anche la natura
i n t r i n s e c a m e n t e razionale dell'atto.
PARTE. SECONDA 113

Conchiudendo, è chiaro che non è possibile esser s

buono, propriamente, senza saggezza, né saggio


senza virtù etica.
In questa maniera si potrebbe sciogliere anche
l' obbiezione di coloro che sostenessero le virtù esser
separate tra loro, perché un medesimo uomo non è
per natura in ugual grado felicemente inclinato verso
tutte quante le virtù , per cui alcune le avrà già acqui­
state, altre non ancora. Questo può ben darsi per le
virtù naturali, ma non per quelle per le quali uno è
assolutamente chiamato buono : perché queste si ac­
cordano tutte con la saggezza, che è una sola.
Ma se anche la saggezza non fosse pratica, evi- 1

dentemente si avrebbe bisogno di lei in quanto è vir tli


di una parte dell'anima razionale ; e non ci sarà retti�
tudine di proponimento né senza saggezza né senza
virtù, perché questa ci dà il fine, quella ci fa agire in
vi sta del fine .
Ma non per questo essa è superiore alla sapienza s

né alla parte superiore d eli' anima : così come neppure


la medicina è superiore alla sanità, perché non si serve
di essa, ma guarda come si produca. Sl che non fa
prescrizioni a lei, ma per conseguir lei. Sarebbe come
se uno dicesse che la politica comanda su gli dèi per­
ché governa su tutto quello che è nella città.
[Avendo, dunque , dichiarato la natura razionale de11 'atto
morale , si presenta spontanea una questione : - Come , allora,

7. Ripete cose dette in 4 e Io del cap. precedente . Questo passo è


forse fuori di posto o aggiunto.
8. Non scordiamo che la f'agione aristotelica, sebbene considerata ta­
lora come una manifestazione del nous, per se stessa è semplicemente
d i a � e t t i c a : al di sopra di essa c'è la vera vita del bene, il fine sommo,
al cui servigio si è creata la fronesi. La divina attività della mente è
nell'uomo, come gli dèi sono nella città. La vita etica o politica deve
servire, non comandare alla filosofia .
'
1 14 L ETICA NICOMACHEA

avviene che un uomo, pur giudièando dirittamente, si lasci


poi trasportare dall'in temperanza? Alcuni han risposto, con
Socrate, negando il fatto ; perché, dove c'è la scienza, non è
credibile , dicono, che qualche altra cosa signoreggi a lei In­
feriore e contraria, e la faccia sua schiava. E affermano, . in­
vece , che il saggio è necessariamente virtuoso, e che il vizio
presuppone sempre l 'ignoranza. Ma i fatti parlano essi stessi
in contrario a questa sentenza. Val quindi meglio tentare u�a
spiegazione.
Alcuni han pensato di risolvere la questione distinguendo
tra scienza e opinione, sl che l 'intemperante non ha vera­
mente scienza, ma opinione. In verità, l 'incontinente non pare
che riflette prima di cedere alla brama, e questo proverebbe
in lui una specie d 'ignoranza. . E non è men vero che uu
1:JOmo saggio non può operare di sua volontà cose vili, se non
pe� altro, per questo, che il vero saggio possiede anche le altre
virtù. - Ma il punto è di scoprire di quale specie sia l 'igno­
ranza da cui è offuscata l'anima dell'incontinente. La distin­
zione tra scienza e opinione non serve : alcuni, quando ope­
rano, han ferma convinzione delle loro opinioni come fossero
esatte, anzi , talora, convinzione più ferma di coloro che hanno
la s.cienza. Si distingua, piuttosto, il possesso della scienza dal
Sl:JO uso : per cui può darsi il caso di chi abbia scienza, ma
non rifletta su quel che deve fare. Per essere più chiari , �i
tenga presente che a ogni azione presiede un si�logismo pra ...

tico, nel quale la premessa maggiore è quella che propriamente


costituisce la scienza, e la minore o particolare soltanto ri­
guarda propriamente l'azione. Non è niente assurdo che err i
chi ha la maggiore , ma non la minore . La meraviglia sarebbe
per chi le avesse entrambe ! In questo caso convien dire < he
egli le ha, ma non ne usa. Come chi dorme ·o è ubriaco : ché
tali sembrano essere coloro che si dànno in braccio alle pas­
sioni , le quali mutano persino il corpo e arrecano pazzia. Che
costoro profferiscano ragionamenti tolti dalla scienza, non deve
indurre a credere che abbiano la scienza. Quei ragionamenti
li hanno imparati a memoria, ma non li sanno, perché non
ne hanno la convinzione. Essi recitano come gl 'istrioni ! E �e
alcuna scienza essi hanno , non è scienza vera e propria, la
quale non è possibile che dalla passione si lasci offuscare, ma
PARTE SECONDA I 15

è semplicemente l 'espressione _ dei loro desideri e degl 'imputsi .

sensuali, i quali soli possono essere contrari alla retta ragione,


e , movendo le loro membra, spingerli all'azione malvagia. � •.
dunque, una scienza per accidente, e la loro azione è brutale.
E solo perché anche di questa sono sforniti , noi non chiamiamo
incon tinenti i bruti.]

[Alla trattazione della virtù appartiene anche l 'esan1e


di quella forma di relazione tra gli uomini che si chiama, con
termine generale, amicizia, comprendendo in essa tutti i sen­
timenti di affetto che uniscono un uomo a un altro.
Tre essendo gli oggetti degni d'essere amati : il bene. il
piacevole e l 'utile ; tre sono le specie di amicizia : l'amicizia di
virtù, di piacere , di utilità. Ma queste tre amicizie non val­
gono ugualmente : colui che è amato per interesse o per pia-­
cere , non è amabile in sé o per sé, ma è amabile per acci-:
dente, non è cercato per altro che per l'utile o per il piacer� ­
che si può trarne. L' amicizia di piacere è propria dei giovani,
che non possono ancora comprenderne altre ; quella d 'interesse
è frequente nei vecchi, che non sanno più comprenderne al- .
tre. - L'amicizia di virtù è la vera amicizia, l'amicizia per
eccellenza, per la quale l'amico virtuoso è amabile in sé e per
sé : egli non è amato per i\ piacere della sua compagnia o per
l 'utilità che ce ne può derivare, ma per la virtù stessa che noi:
amiamo in lui. Questa amicizia , del resto, contiene in sé an-:
che le altre due : poiché l'amico buono e onesto è, nello stesso
tempo, un amico utile e piacevole. Anzi, l 'amicizia di piacere'
e quella d 'interesse si chiamano amicizie impropriamente, solo·
perché rassomigliano alla vera amicizia, ritraendone imperfet­
tamente un solo aspetto secondario, quello del piacere o del­
l 'interesse.
Fondamento necessario ali' amicizia è la comunità. Della
quale si possono distinguere tre specie : .quelli! che ha per fine �
.

un comune interesse, come tra compagni di viaggio o tra i


membri di una tribù o tra i cittadini di uno Stato ; quella
domestica, che ha il doppio scopo di stabilire una famiglia E- .
procacciare il bene generale della vita ; e la terza, tra compa-·
gni , che non ha altro fine fuori di essa. Di qui tre specie di ·
amicizia : la politica, che comprende tutte le altre ; la famì-
1 16 '
L ETICA NICOMACHEA

lia1'e, che comprende l'amore paterno e materno, l'amore co­


niugale , filiale, fraterno ; l'amicizia propriamente detta fra due
persone.
Intimamente legata con l 'amicizia è la giustizia. Entrambe
·
han luogo dove c'è comunità di persone, sì che di giustizia son
tante specie quante di amicizia. Entrambe varian secondo 1 "1
relazione delle persone, non essendo uguali tra padre e figlio,
tra fratelli, tra concittadini . La comunità familiare è simile a
quella politica : l 'autorità paterna somiglia al potere regifl ;
l'autorità maritale, al governo aristocratico ; la società dei fra­
telli e degli amici , alle forme democratiche . Sl che cercar quale
sia la relazione d'amicizia tra padre e figlio, tra marito t­
moglie, tra fratello e fratello, e , in generale, tra un amico c
l'altro, tanto vale quanto cercare come s'abbia a osservar 1 3
giustizia nelle diverse forme di governo, in ogni sorta di c o­
munanza. - Ma ci sono anche le differenze. Nella giustb!ia
quel che è fondamentale è l 'uguaglianza del rapporto, sl che
anche tra persone molto diverse per intelligenza o per fortuna
è . possibile un rapporto di giustizia. Nell 'amicizia, invece, quel
che è fondamentale è l'uguaglianza degl 'individui , tra i quali ,
se c 'è troppa distanza per intelligenza o per fortuna o per al­

tro, non è possibile l'amicizia. - Non si vuoi dire con ciò che,
.
oltre ali 'amicizia tra uguali, non possa esserci tra disuguali,
tra un superiore ed un inferiore. L'uno sarà più ricco, ma l ' al­
tro più riconoscente ; l 'uno più intelligente, ma l 'altro più de ­
voto, e via via : per tal modo si ristabilisce l 'equilibrio e
l 'uguaglianza. La vera uguaglianza è quella della virtù , quando
l'amico vuole ugualmente il bene dell'altro.
La virtù sola rende possibile e durevole l'amicizia, perché
solo l'uomo virtuoso è capace di amare gli altri. Ed è capace
di amare gli altri, perc�é lui solo è capace di amare se stesso.
Amare se stesso non vuoi dire andare in cerca di grossolani
godimenti , di ricchezze , ecc. ; ma amare e coltivare in se mede­
simo ciò che v'ha di migliore e più perfetto. L'uomo che ama
se stesso darà agli amici e alla patria, quando occorra, i s;Joi

beni e anche la vita. L'amore di sé dispone , per tal modo,


l'uomo virtuoso ad amare gli altri . Due amici quando sono
virtupsi, s'amano reciprocamente perché entrambi amano la
medesima cosa : il bene e la bellezza della virtù . Il malvagio,
PARTE SECONDA I 17

al contrario, non amando veramente se stesso, neppure è ca­


pace di amare gli altri.
Resta, infine, la seguente questione : - L'uomo felice ha
bisogno, lui pure , di amici? Certamente, non si può pensare
un uomo felice nella solitudine , perché l 'uomo è nato a vivere
in comunità. Meglio, dunque , eh 'ei conviva con amici e con
uomini virtuosi che con gente estranea. Coloro che credono
l 'uomo felice poter fare senza di amici , chiamano forse Ca">n
questo nome i soli amici d'interesse o di piacere : dei quali il
felice non ha davvero bisogno. Ma non è cosl per le amicizie
dei buoni : ché l 'operare di questi gli è cagione di continue com­
piacenze, ugualmente e più ancora che le proprie azioni vir­
tuose, poiché meglio negli altri può ammirare il bene e il
bello. E come la vita è dolce per natura, tanto più è dolce al
virtuoso, il quale nel bene oprare trova la sua felicità ; cosl ,
accomunando discorsi e pensieri , l'uomo felice trova nell 'amico
un altro se stesso.]
PARTE TERZA

IL FINE DELL' UOMO

SEZIONE I. - Il piacere.

[ LIBRO DECIMO]

l . Importanza del piacere. Meglio dire di es �o la verità.

Segue che si tratti del piacere, ché forse questo è 1

l 'ordine da seguire dopo le cose dette. Niente, infatti,


pare più strettamente connaturato al genere umano, sl
che si educano i giovani dirigendoli col piacere e col
dolore ; e nulla più importare alla virtù del costume,
quanto il provar diletto o fastidio di quel che conviene
amare o fuggire. Piacere e dolore si estendono per la
vita intera, dando forza e momento alla virtù e alla
vita felice : poiché tutti cercano le cose piacevoli e
fuggono le dolorose . Su cose tali a nessuno parrà che 2

si possa sorvolare, se non per altro, per le grandi


controversie che sollevano. In fatto, alcuni dicono che
il piacere è il bene stesso, altri, all'incontro, che è
addirittura una cosa vile ; e di questi, parte è persuasa
forse che così sia veramente, parte stima che sia molto
/
meglio per la vita nostra il mostrare come cosa vile
il piacere, ancorché non lo sia : perché a esso son
proclivi la maggior parte degli uomini e dei piaceri

Lib. X, 1, 2. Alcuni. . . altri : le due opposte opinioni erano rappre­


s entate l'una da Eudosso, l'altra da Speusippo .
1 20 '
L ETICA NICOMACHEA

si fanno schiavi ; per cui conviene spingerli all'opposta


banda, affinché per tal modo pervengano al mezzo .
3
.
Ma è da temere che non sia sempre opportuno ra ..
gionare cosl, perché, trattandosi di affetti e di azioni,
i discorsi sono meno convincenti delle opere, sl che,
quando sono discordi nelle cose che si vedono, cadono
in discredito e traggono seco in rovina anche la ve­
rità : poicpé chi biasima i piaceri, se una volta lo ve­
dono desiderarne qualcuno, ecco pare che s' inchini ad
essi, come se fossero tutti della stessa specie. La
moltitudine non fa distinzioni.
4 A noi, dunque, pare che la verità dei ragionamenti
non soltanto sia utilissima alla scienza, ma anche alla
vita, perché, concordando essi con le opere, son cre­
duti e son però di stimolo, a chi li intende, a vivere
secondo essi . Ma di ciò basta. Veniamo alle cose che
si dicono in torno a piacere.

2. Le argomentazioni di Eu dosso.
II
Eudosso, dunque, reputava che il piacere fosse il
bene medesimo, per il fatto che tutti gli esseri, e ra­
gionevoli e irragionevoli, vanno in cerca di esso ; e
siccome in ogni cosa quel che si cerca è il bene, cosl
il più grande esser quello che più di tutti è desiderato ;
e se tutti gli esseri si portano a uno stesso oggetto,
esser ciò indizio che esso è l'ottim o per tutti (poiché

n. l . Eudosso, di Gnido, matematico e astronomo, appartenente all' Ac­


cademia, ma par che sviluppasse le teorie platoniche con certa origina­
lità. e indirendenza . Visse intorno al 366. Del suo pensiero etico aitro
·

r..on conosciamo che quel che qui ne è detto, in qualche punto forse ccn
l t" stesse sue parole. I suoi argomenti si riducono a questi : I) Ogni essere
cerca il . piacere ; 2) il dolore è essenzialmente oggetto di avversione,
quindi il suo contrario è essenzialmente oggetto del desiderio; 3) il pia­
cere è desiderato per fine di se stesso e non come mezzo ad altro; 4) il
piacere unito ad un altro bene lo fa più desiderabile.
Vanno in cerca di esso : cfr. I, I, I.
PARTE TERZA 121

ciascuno si procaccia quello che a lui è buono, nello


stesso modo che fa per il nutrimento) : onde quello,
che per. tutti è buono e a cui tutti mirano, è il bene
stesso .
'
I suoi ragionamenti avean acqu istato fede più per
la virtù dei suoi costumi che per se stessi : poiché
appariva di un' insolita temperanza ; onde sembrava
che in tal modo ragionasse, non perché amante del
piacere, ma perché così la cosa stesse veramente.
E che stesse cosl, egli stimava non esser meno 2
evidente dalla considerazione del contrario : il dolore
par a tutti cosa da fuggire per se stessa, e quindi da
ricercarsi il suo contrario ..
Soprattutto, poi, esser da pre ferire quel che noi
non cerchiamo a cagione o in vista di altro : ora, tale,
per unanime consenso, è il piacere : ché a niuno si
domanda mai per quale scopo provi piacere , come se
il piacere per se stesso sia cosa desiderabile.
E aggiunto a qualsivoglia bene, lo rende più desi­
derabile : per esempio, all 'agir giustamente e al viv•.!r
temperante. Ora il bene non si accresce con altro che
con se stesso.

3. L'opinione di Platone.

Veramente, questa ragione parrebbe dimostrare s

che il piacere è nel numero dei beni, non che lo sia più
d'un altro : poiché ogni bene è più desiderabile unito
con altro, che da sé solo. Anzi con somigliante ragio-

3 . L'ultima argomentazione, oppone A., prova che il piacere è un


bene, non il bene. Contro di essa si accetta un argomento di PlatoTJe :
s e saggezza e piacere, uniti, si fanno migliori, né l'uno, né l'altro è il
bene (cfr. Filebo, 6o) . Ma poi A. si vale della stessa argomentazione di
Platone, per riaffennare, contro di lui, il suo concetto di bene immanente
nei beni. Il piacere e la saggezza sono beni per se stessi. Il bene non
consiste al di là di quelli che sono beni per se stessi.
122 '
L ETICA NICOMACHEA

namento Platone oppone che il piacere non può essere


il bene, dicendo che la vita piacevole è più deside­
rabile quando è accompagnata con la saggezza, che
quando ne è senza : ma, se per tale unione è fatta mi­
gliore, il piacere dunque non è il bene, perché il bene
non può farsi più desiderabile per cosa alcuna che gli
sia aggiunta.
D ' altra parte, ognuno vede che neppure alcun altro
di quelli che son beni per se stessi , divenendo, unito
ad altro, più desiderabile, sarebbe il bene per eccel­
lenza .
" Che è, dunque , questo bene, e tale che di esso noi
siamo partecipi? Poiché di un bene che sia tale noi
andiam ricercando .

4. Le obbiezioni di Speusippo e de ' seguaci , e loro confutazione .

Coloro che insistono a negare che sia buono ciò a


cui tutti gli esseri son portati , è da temere che non
parlino sul serio . Per conto nostro affermiamo che le
cose stanno come tutti credono, e colui che vuoi to­
gliere questa convinzione non dirà cose che sian per
n ulla più convincent i . lovero, se quello cercassero sol­
tanto gl i esseri irrazionali, i loro discorsi varrebbero
qualcosa ; ma, dacché lo desiderano . anche gli esseri
forniti di saggezza, qual valore potranno avere ? Ché,
anzi , fin nei più vili esseri si trova forse una certa

4. Tale : sia, cioè, sommo bene, ma, insieme, possibile ad essere attuato
dall'uomo, e non bisognoso di aggiunta esteriore. Cfr. l. m, 8; alla felicità.,
come vedremo fra poco, non si aggiunge il piacere come altro da es!;a.

perché è insito in essa, come perfezione dell'atto umano (sl che l'atto
della felicità sarà, insieme, atto di piacere sommo) .
Una certa naturale tendenza : cfr. VII, VIII, 6: cc Non tutti gli esç�ri
cercano il medesimo piacere, sebbene tutti perseguano il piacere: cM, anzi,
}erse Perseguono non quello che essi cr.edono e che non saprebbero nef>pu,­
dif'e, sebbene sia in tutti il medesimo: perché nella natura di ogni essere c-',:
qualcosa di divino ». � il divino a cui tende l'appetito naturalmente.
Cfr. DANTE, Par., I, I<>9-120.
PARTE TERZA 1 23

naturale tendenza al bene più eccellente di quelli che


pure son beni per se stessi, il quale indirizza ciascuno
al bene che gli è proprio.
Neppure par che discorrano a modo circa l' argo- 6

mentazione del contrario. Dicono : se il dolore è un


male, non segue che il piacere sia un bene, perché a
un male s'oppone un altro male, ed entrambi si op­
pongono a un terzo che non è né l 'uno né l ' altro.
Il ragionamento non è fatto male, se non che non
è nel vero, su la questione proposta. E la ragione è
che, posto che entrambi sian mali , entrambi si do­
vrebbero fuggire ; e se né l'uno né l'altro son mali,
né l 'uno né l ' altro si dovran fuggire, o, insomma,
dovrem comportarci con essi ugualmente . Ma, evi­
dentemente, tutti fuggono l'uno çome un male, e de­
siderano l'altro come un bene. Dunque, si oppongono
per questo rispetto.
Inoltre : se anche il piacere non è tra le qualità, II I

non segue perciò che esso non sia tra i beni. Neanche
gli atti virtuosi sono qualità, e neppure la felicità.
Dicono : il bene è determinato ; il piacere, invece, 2

è indeterminato, perché suscettibile di più e di meno.


- Se, dunque, giudicano cosl dalla considerazione che
si può provare piacere più o meno, lo stesso varrà

5 . S oppone un altro male : quindi il piacere è un male anch'esso.


· -

Per questo rispetto, che è appunto la questione proposta.


UI. l . Questa è una nuova obbiezione di Speusippo : il bene attrib,tito
alle cose è una qualità loro (intendi : « qualità essenziale », che ne riveia
la natura ) ; il piacere non è una qualità; dunque, non è un bene. A . ri­
sponde che il bene si predica in tutte le categorie. Il bene è anche attt',
oltre che qualità. (Questi seguaci di Platone riguardavano il bene come
qualità costitutiva di ciò ch'è buono : ossia, di ciò che partecipa del Bene
in sé, il quale era, per loro, la platonica Idea) .
2 . Il bene 6 determinato. Ogni cosa; risulta, per Platone, di due prin­
cipi : l'uno, che ne costituisce l'essenza immutabile; l'altro, che appar­
tiene al divenire : l'uno, principio di determinazione del suo essere; l'al
tro, d' indetenninazione : l'uno, principio ideale, eterno; l'altro materiale,
che ammette il più e il meno. In A. diventeranno i due principi della
124 '
L ETICA NICOMACHEA

anche per la giustizia e per le altre virtù, rispetto alle


quali si afferma esplicitamente che gli uomini sono più
o meno di qualità virtuosa, e operano più o meno
conforme a virtù : ce ne sono, infatti, di più giusti e
di · più forti, e c'è chi opera più o meno di un altro
giustamente e temperantemente . Ma se cosi giudicano
dei piaceri, forse non allegano la causa di tal fatto, il
quale dipende da ciò : che dei piaceri alcuni son mi 5ti
:� e altri puri . Che impedisce che, come la sanità, pur
essendo determinata, è suscettibile di più e di meno,
ugualmente non . sia del piacere? Poiché non tutti han­
no la medesima proporzione, né questa è sempre la
medesima nello stesso individuo ; tuttavia, allentan­
dosi , sino a un certo punto, si mantiene, pur diffe­
rendo in più o in meno. Ora, il somigliante può acca­
dere anche per il piacere.
4 Inoltre, pongono che il bene è perfetto, i movi-
menti, invece, e le generazioni im perfetti : e si sfor­
zano di mostrare che il piacere è un movimento e una
generazione . Ma non pare che dican bene : esso non
è un movimento . Infatti, di ogni movimento son
proprie rapidità e lentezza : o per · se stesso, come è
del moto del mondo, o in· rapporto ad altro. Ma nel
piacere non si trova né l'uno né l'altro. Ben è pos­
sibile esser mossi rapidamente al piacere, cosi come
all 'ira, ma non è possibile sentire rapidamente il pia­
cere, neppure in rapporto ad un altro, come avviene

forma e della materia, ma come aspetti dell'unica sostanza in ogni cosa.


L� forma è poi, anche il concetto. Cosl, qui, la forma o concetto della
salute è in una certa proporzione (o equilibrio) degli elementi corporei;
la proporzione può, sino a un certo punto, variare senza che per ciò venga
meno la determinazione del corpo quale sano. Ma cosl è, dice A., anche
del piacere, il quale può essere più o meno puro (spirituale, o misto crn
elementi corporei), senza però cessare di essere tale.
3 . Nota il concetto di sanità come p r o p o r z i o n e , che ha riscontro
con quello di virtù come medietà (medietà assoluta se determinata razb­
nalmente, ma relativa empiricamente) .
PARTE TERZA 1 25

per il camminare, per il crescere e per le altre cose


simili. Ben è possibile · rivolgersi rapidamente o lenta­
mente al piacere, ma non è possibile che sia rapido
l' atto del piacere : voglio dire, del sentir piacere. E o

come potrebbe essere una generazione (una cosa non


si genera da un 'altra qualsiasi , ma si genera da quella
in cui si risolve), e di che sarebbe generazione il pia­
cere, di cui poi la corruzione sarebbe il dolore?
Dicono, anche, che il dolore sia la mancanza di 6

ciò che è secondo natura, e il piacere ne sia l ' appa­


gamento. Ma queste sot;to affezioni corporee. Se il
piacere è un appagamento di ciò che è conforme a
natura, quello proverà il piacere, in cui avviene l ' ap­
pagamento, cioè il corpo . Ma non pare. Dunque, il
piacere non è un appagamento, ma, producendosi un
appagamento, potrà uno sentir piacere, cosl come sen�
tirà dolore chi si è tagliato. Questa opinione proba­
bilmente è derivata dalla considerazione dei piaceri e
dei dolori che riguardano il nutrimento : quei che ne
son privi, e per questo provan dolore, sentono poi pia­
cere dell 'appagamento. Ma non per tutti i piaceri ac- 7

cade così : sono privi di dolori ! piaceri dello studio, e ,


tra i sensibili , quelli dell'odorato ·e molti di quelli del­
l 'udito e della vista, e le memorie e le speranze . Di che
cosa questi sarebbero generazione? Non c'è stato man­
canza di niente, di cui possa prodursi l'appagamento.

5 . Ogni generazione è passaggio di un sostrato da materia a forma, cla


potenza ad atto, si che diviene in atto ciò che prima era in potenza, e,
corrompendosi, diventa potenza di un nuovo atto. Ritorna il motivo anti­
platonico della necessità di un sostrato o sostanza, che spieghi il divenire
e costituisca il fondamento dei contrari (essere e non-ess�re, bianco-J.l'.�ro,
caldo-freddo, ecc. ; qui, piacere e dolore) .
6 . Gran parte di questi argomenti derivano dal Filebo. Quest'ultimo
si connette al precedente. Il sostrato da A. richiesto sarebbe per loro il
corpo. A. risponde che iL piacere (l'atto del sentire) è invece un fatto df"l­
l'anima, del quale il fatto corporeo è un semplice presupposto fisico.
Appagamento, quasi riempimento di un vuoto.
1 26 '
L ETICA NICOMACHEA

s A quelli, poi, che ci mettono innanzi i più turpi


piaceri , si può rispondere che questi non sono piace­
voli. Che se a coloro che son malamente disposti
riescon piacevoli, non si debbon · giudicare piacevoli
anche ad altri fuori di essi : a quel modo che neppure
si debbono giudicare sane o dolci o amare le cose
che tali sembrano agli infermi, o bianche quelle che
9 tali appaiono ai malati d'occhi. Ovvero si può rispon­

dere così : che i piaceri sono desiderabili, ma non quelli


desiderati da costoro : ad es. , la ricchezza è desidera­
bile, ma non quella di un traditore ; la sanità è desi­
derabile, ma non quella di un mangiatore disordinato.
•o Ovvero, che i piaceri sono di specie differente, perché

quelli che provengono da cose oneste son diversi da


quelli che provengono da cose turpi : e non è possi­
bile che provi il piacere della giustizia colui che non
è giusto ; né il piacere della musica, chi non è musico ;
1 1 e per gli altri similmente. - Anche l 'amicizia, in quel
che è diversa dali ' adulazione, par dimostrare che il
piacere può non e�sere buono, ovvero ce ne sono di
specie differenti : l'amico, infatti, ci tratta mirando al
nostro bene ; l'adulatore, mirando al piacere ; e questi
è vituperato ; quegli lodato, perché ci tratta con SCO?O
1 2 diverso. - Nessuno sceglierebbe di vivere conservan­

do sempre pensieri da fanciullo e compiacendosi di


quelle cose che ai fanciulli si stimano sopra tutte con­
venienti ; né di dover rallegrarsi in fare cose turpis­
sime, ancorché non debba mai venirgliene dolore.
Anzi, metteremmo ogni studio in molte cose, ancorché
non ci apportassero nessun piacere : come, nel vedere,
nel ricordare, nel sapere, nel posseder la virtù. Che a
esse segua necessariamente un piacere, non importa :

8. I piaceri turpi non sono piaceri « per natura », realmente, per se

stessi.
PARTE TERZA

noi le sceglieremmo anche se nessun piacere ne pro­


venisse .
Ci sembra, dunque, evidente che né il piacere è 1s
il bene per eccellen za, né ogni piacere è da deside­
rarsi, e che certi piaceri sono desiderabili per se
stessi, i quali differiscono dagli altri per la specie
ovvero per le cose onde derivano.
Delle opi n ioni circa il piacere e il dolore basti
quello che si è detto.

5. Il piacere non è né movimento, né generazione , ma la sua

forma è sempre in sé perfetta.

Che cosa esso sia e di che qualità, sarà più palese IV

se ci rifacciamo da principio.
L'atto del vedere è in ogni suo momento perfetto
(poiché non ha bisogno di �essuna cosa che gli s'ag­
giunga per dare alla sua forma l ' ultima perfezione) :
di cotal natura è similmente il piacere. lmperocch é
esso è tutt'intero, e in nessun tempo potrai sorpren­
dere un piacere, del quale, durando per un tempo
maggiore, possa venir perfezionata la forma.
Per questo appunto non è neppure un movimento. 2

Poiché ogni movimento è nel tempo e mira a un fine :


per es . , il costruire una casa ; ed è perfetto quando
abbia prodotto ciò a cui mira, o nel tempo tutt'in­
·sieme o in questo momento che è compiuto : i movi-

1 3 . In conclusione : dei piaceri · noi dobbiamo giudicare movendo JaJle


attività a cui s'accompagnano (il bene è l'attività, l'atto spirituale in se
stesso). Premessa, come al solito, la parte storico-critica, s'accinge al11.
trattazione sistematica.
rv. Per tutta la seguente discussione si tenga presente il concetto d;
.atto che ha la p e r fe z i o n e i m m a n e n t e n e I l a s u a s t e s sa a t t u a l i t à,
essendo un perpetuo presente, indivisibile nel punto della sua vera realtà,
iradipendente dalla considerazione temporale. (Per es., il processo di com­
posizione di una poesia o di un tempio puoi empiricamente dividerlo in
parti e in tempi diversi, ma non cosl l'atto di quel pensiero poetico C'
:.architettonico).
1 28 '
L ETICA NICOMACHEA

menti nelle singole parti di tempo sono tutti imper­


fetti, e di diversa specie tra loro e dall 'intero. La com­
posizione delle pietre è diversa dalla scanalatura della
colonna, ed entrambe dalla produzione del tempio :
qbesta è perfetta, perché non manca di nulla per a
fine proposto ; invece, la produzione del piedistallo e
quella del triglifo sono imperfette, perché l 'una e
l ' altra è di una parte soltanto. Sono dunque di specie
differenti, e non si può in qual si voglia tempo co­
gliere un movimento come perfetto per la forma, ma,
se mai, nel tempo tutt 'insieme.
s Similmente, del camminare e degli altri movi-
menti. Se, infatti, la traslazione è un movimento da
un luogo a un altro, di essa sono specie differenti il
volare, il camminare, il saltare e simili . E questo vale
non solo per il movimento in generale, ma anche nello
stesso camminare. Poiché il percorso da un luogo a
un altro non è il medesimo per lo stadio e per una
parte di esso, e neppure in questa o in quell 'altra
parte ; e parimenti non è medesimo il traversare que­
sta linea qui o quella, perché non soltanto si passa
una linea, ma una linea che è in un luogo, e che è in
un luogo diverso da quello di un'altra .
Ma del movimento s'è parlato altrove diligente­
mente ; qui teniam per provato che esso non è perfetto
in nessun tempo, ma che ce n ' è molti, imperfetti e
differenti per la specie, una volta che l'andar da un
luogo a un altro costituisce una differenza specifica.
4 Invece, la forma del piacere è perfetta in qualun-
que tempo tu lo colga . È dunque chiarito che movi­
mento e piacere son diversi tra loro, e che il piacere è

3 . Altrove : nella Fisica, V-VIII.


Ricorda, per queste considerazioni sul movimento. i famosi argom��nti
di Zenone : i quali hanno avuto qui la prima, ma ancor oggi perentoria.
confutazione.
PARTE TERZA 1 29

nel numero delle cose intere e perfette. Si potrebbe


questo vedere anche considerando che non c'è moto
che non sia in un tempo, ma non così del sentir pia­
cere, che, nell 'istante, è già un tutt'intero.
Conchiudiamo che non ragionano bene quei che
dicono il piacere essere un movimento o una genera­
zione : perché moto e generazione non si attribuiscono
a tutte le cose, ma a quelle che son divisibili in parti
e non intere . Non c'è generazione dell 'atto del vedere,
né del punto, né dell'unità ; né nessuna di queste cose
è movimento o generazione. Neppure del piacere,
dunque . Poiché è un tutt 'intero.

6. I l pi acere è la perfezione dell ' atto.

Attuandosi ogni sensazione in relazione al sen·5i- 6

bile, si attuerà perfettamente quella che perfettamente


è disposta in relazione al più eccellente dei sensibili
che cadon sotto di essa : ché tale soprattutto par che
sia la natura dell 'atto perfetto (non faccia differenza il
dire che la sensazione è in atto, ovvero ciò in cui essa
è) . In ciascun genere, dunque , l 'atto più eccellente è
quello dell 'ente ottimamente disposto in rapporto alla
migliore delle cose che cadon sotto di esso : e sarà
questo l'atto più perfetto e più piacevole. lmperocché
il piacere è in corrispondenza a ogni sensazione, e pa�
rimenti a ogni pensiero e contemplazione ; onde pia­
cevole più di tutti sarà l'atto più di tutti perfetto,
quale è quello di colui che si trova perfettamente di­
sposto verso il più degno degli oggetti della sua at­
tività.

5 . Ciò in eu:· essa è , è l'anim a .


Colui che, ecc. : Dio, puro atto, identità perfetta d i soggf"tto e oggetto.
Cfr. Metafisica, XII, VII, 6 e 9 : << Ed è la sua vita quale anche perr noi
è l.� più eccellente, salvo che a noi soltanto Per breve tempo è concessa.
Egli ne gode sempre (a noi sarebbe imPossibile), po:"ché per Lui l'attività
1 30 '
L ETICA NICOMACHEA

6 Il piacere perfeziona l ' atto, non nel modo in cui lo


perfezionano il sensibile ed il senso, quando 1 'uno e
l ':altro sori o come si conviene : così come neppure la
sanità e il medico sono ugualmente cagione del tro-
., varsi sano. Che in corrispondenza a ogni sensazione
si produca un piacere, è chiaro : noi diciamo che le
sensazioni della vista e dell'udito sono piacevoli. Ma
sarà chiaro anche che il piacere è in sommo grado
quando il senso sia ottimo e agisca in relazione a un
oggetto ottimo : e tale essendo, sia il sentito, sia il sen­
ziente, sempre ci sarà piacere, perché son presenti tan­
to chi lo deve produrre, quanto chi lo deve provare .

è anche piacere. E dà. pe,.ciò anche a noi g,.an -jnacere il vegliare� il s�•

fl,.e, il pensa,.e., e per cagione tC essi lo spera,.e e il ,.ico1da,.e. Se, dunque�


Dio � ete,.namente in quella felice condizione in cui noi ci t,.oviamo tal­
volta, ben � cosa meravigliosa; m a, se � in una condizione anche suj>e­
riOf'e, sa,.à più meravigliosa anco,.a. Orbene, cosi Egli �. Ed �� anche�
v:vente: poiché ratto d'intendere � vita, ed Egli � quell�atto: quell'atto
che, essendo per se stesso, � in Lui vita ottima ed eterna » .
6- 8 . In questo passo famoso non mancano difficoltà, accresciute dal
probabile disordine del testo (ci sono forse anche lacune). Chiaro è questo :
che c'è, per A., una perfezione intrinseca all'atto, quando in questo la
forma del soggetto si adegua apJ:ieno a quella dell'oggetto, e c'è una
perfezione ulteriore deli:atto, anch'essa intrinseca, ma come « un perle.:.
zionamento >> che si aggiunge al primo. A. non si è curato di chiarir me­
glio questa ulteriore perfezione. Dice, si, che è di altra specie della prima :
e intende, forse, che in quella prima il valore dell'atto viene dal sue"
adeguarsi all'oggetto, non dall'atto in sé e per sé. Y:nfatti, aggiunge che
<< neppure la sanità e il medico sono ugualmente cagione del trovarsi

sano >> : la sanità è una forma reale, interna all'uomo sano ; è, invece,
astratta ed esterna al malato, finché è in cura del medico. Questa ulte­
riore perfezione sorge, dunque, dal di dentro dell'atto come la . sanità
dell'uomo sano, e dà (diciam cosi) un fascino all'atto che somiglia alla
bellezza di chi è nel « fiore dell'età » (che ha una salute perfetta). Piace­
rt;bbe intenderla, allora, come << pienezza di vita morale » dell'atto : come
quell'armonia della sensibilità con la ragione, che notammo in nota a
VI, 11, 5 (p. 96) . Qui il piacere sarebbe veramente un « piacere morale »
(la gioia della vita virtuosamente vissuta). Ma si potrebbe anche pensare,
in generale, ad un a u m e n t o di attività, che il piacere, inteso nella sua
purezza spirituale, dia all'atto, spingendolo, cosi, sempre più, verso il
grado supremo della sua perfezione (v; passo cit. dianzi d3.11a Metafisica).
PARTE TERZA 131

Il piacere perfeziona quest'atto non come forma s

abituale, ma come un perfezionamento che vi si ag­


giunge, non altrimenti che la bellezza a quei che sono
nel fiore d eli ' età. E fino a tanto che la cosa intelligibile
o sensibile sia quale deve essere, e cosi l 'essere giu­
dicante o contemplante, il piacere sarà presente nel­
l'atto : poiché, rimanendo uguali , e tra loro nel modo
medesimo comportandosi ciò che produce e quei che
prova, segue naturalmente lo stesso effetto.

7. Rapporto tra la vita e il piacere .

N o i dicemmo in principio che la felicità è un' at­


tività d'una certa specie ; ora, evidentemente, l'attività
è un prodursi, e non già un possesso che uno abbia.
Se, dunque, la felicità consiste nel vivere e nell 'agire,
l ' attività dell 'uomo buono sarà buona e piacevole pe�
se stessa, come si disse . E però la sua attività, essen­
do piacevole per se stessa, sarà più continuativa : cotne
si addice a chi è beato. Il virtuoso, infatti, proprio per­
ché è tale, gode delle azioni virtuose, e ha in uggia
quelle cattive , al rriodo stesso che un musica si delizia
delle belle melodie e s' irrita di quelle brutte : poiché,
ciò eh ' è per la sua stessa natura buono e bello, è
buono e piacevole per se stesso all'uomo di valore.
Tutti siam d' accordo nell 'attribuire all ' animale la
facoltà di sentire, all 'uo r:n o quella di sentire e pensare.
Ma ogni potenza deve venire all 'atto, poiché quel che
importa è l'atto : onde diremo che vivere è principal­
mente l ' atto del sentire e pensare . Il vivere è fra le
cose buone e piacevoli per se stesse, perché è per
sua n��ura ben determinato, ed ha, quindi, il carattere
del bene ; e ciò eh ' è per sua natura un bene, è tale
anche per chi è buono : per questo il vivere si pre­
senta a tutti come piacevole. Né si deve prendere ad
132 '
L ETICA NICOMACHEA

esempio, una vita malvagia e corrotta, oppure una


· vita passata nei dolori, poiché questa non ha nulla
di determinato, e indeterminate sono le circostanze
in cui versa.
Il vivere, dunque, è un bene e un piacere per se
stesso, come si vede dal fatto che tutti desiderano la
vita, ma specialmente gli uomini di valore e beati,
.p er i qua i i essa è ciò che vi ha di più desiderabile. Ed
è, infatti, beatissima la loro vita. E invero, chi vede
sa di vedere, chi ode sa di udire , chi cammina sa di
camminare, e così per tutti gli altri casi similmente
è in noi un quid per cui sentiamo di agire, e però
�entiamo di sentire e pensiamo di pensare. Ma questo
sentire di sentire o di pen sare è sentire che noi esi­
stiamo (poiché, come s'è detto, esistere è sentire o
pensare). Sentir di vivere è, dunque, fra le cose per
se stesse buone e dolci , per cui la vita è per se stessa
un bene, e dolce è sentire il bene presente in se stesso.
Per questo la vita è desiderata da tutti, ma soprattutto
dall 'uomo buono, perché l 'esistere è per lui insieme
un bene e un piacere :; egli gioisce della coscienza del
bene eh ' è tale per se stesso (*) .
9 Come mai, allora, nessuno prova il piacere senza
interruzione? forse se ne stanca? Nessuna delle umane
energie può durare continuamente. Quindi, neanche il
piacere, perché esso segue alt' attività. Certe cose ci
rallegrano, perché ci son nuove, e appunto per ciò,
non ugualmente più tardi : poiché dapprima il pensiero
è richiamato e � gisce intorno a esse intensamente,
come, per la vista, quei che guardan fiso, ma in se-

( *) Questo passo non numerato è preso dal libro X, ca p 9, §§ 4, 7-9.


Oltre all'interesse che presenta per l'argomento a questo punto, esso
�onferma quanto notammo nella nota a III, II, 5 (pag. g6) per il senso
d'interiorità spirituale che già affiora in questa trattazione.
PARTE TERZA 1 33

guito l 'energia non è più tale, bensì negligente : onde


anche il piacere dilegua.
Si può anche pensare che tutti tendono al piacer�, 10

perché tutti quanti son portati al vivere : la vita è


attività ; e ciascuno è attivo con quelle facoltà e circa
quelle cose che ama anche sopra le altre : in tal guisa
fa il musico, con l'udito, intorno all'armonia ; e �hi
ama di apprendere, con la ragione, intorno alle verità
teoretiche : e così dicasi per ogni altro. Le quali ener­
gie, e però quel genere di vita al quale ognuno tende,
il piacere rende perfetti . È, dunque, giusto anche che
ognuno sia portato al piacere : poiché esso gli perfe­
ziona il vivere, che è cosa da tutti desiderata.
Lasciam da parte in questo momento la questione 11

s e noi desideriamo i l vivere per i l piacere, ovvero il


piacere per il vivere. Certo è che essi mostransi in­
sieme congiunti e non permettono separazione : poiché
senza attività non si genera piacere, e ogni attività è
fatta perfetta dal piacere.

8 . Distinzione dei piaceri in rapporto alle facoltà .

Di qui anche paiono i piaceri differire per la specie . v

Infatti, noi pensiamo che le cose di specie diversa si


perfezionino da cose di specie diversa. Lo si vede,
questo, sia per le cose naturali, sia per le artificiali :
come animali, alberi, pitture, statue, case, masserizie .
Similmente, anche gli atti che son differenti per la

l O. S i con chiude dando ragione ad E udosso : ogni essere tende al


piacere, come alla vita. Ma Eudosso non ha riconosciuta la differenza
che è tra i piaceri, e tanto meno ha visto il rapporto che ha il piacere
con l'atto dello spirito.
v. l . La perfezione degli esseri naturali (animali, piante) dipende dal
loro sviluppo; quella delle cose artificiali, dall'uso a cui son destina.t�:
quella dell'attività pratica, dalla natura delle facoltà umane.
1 34 '
L ETICA NICOMACHEA

specie si perfezionano da cose differenti per la specie .


t Gli .atti del pensiero differiscono da quelli che fan capo
ai sensi, e i medesimi tra loro differiscono specifica­
mente : e però cosl dev'essere anche per i piaceri che
da n loro perfezione .
Ciò si può vedere anche dall 'essere ogni piacere
connaturato all 'atto che esso perfeziona. Poiché il
piacere accresce insieme l ' attività di cui è proprio.
Coloro che agiscono con piacere giudicano meglio e
più esattamente conducono a termine ogni cosa : av­
viene così che diventano buoni geometri coloro che
della geometria piglian o diletto, i quali, se càpita il
caso, se ne intendono di più ; similmente quei che
aman la musica o l'arte di edificare o altro genere di
opere, in quella che è lor propria progrediscono in
grazia del diletto che ne pigliano. I piaceri crescono
insieme ron l'attività : ma le cose che crescono in­
sieme sono connaturate. Dunque, quelle connaturate
alle cose differenti di specie sono anch 'esse differenti
di specie.
s Questo sarà ancor più palese dall 'essere i piaceri,
che da specie diversa derivano, d' impedimento agli
atti . Quei che amano il flauto, se capiterà di udir
suonare il flauto, son ridotti a non poter più prestar
attenzione ai ragionamenti , perché provano maggior
diletto dali' abili � à a suonar il flauto, che dall 'attività
che al presente li occ�pava . Sì che il piacere del
flauto distrugge l 'attività che al ragionamento è in-
4 tenta. Questo similmente accade in ogni altro caso,
quando sia in atto, per due oggetti insieme : quello
che più è piacevole scaccia l'altro, e tanto maggior­
mente, quanto maggiore è la . differenza in riguardo

2-3 . Il piacere che è proprio a una facoltà, ne promuove l'esercizio;


ur: piacere alieno, la impedisce.
PARTE TERZA 13 5

al piacere, finché l ' altro neppure agisce p tu. Perciò,


quando ci dilettiamo fortemente di qualsiasi cosa, non
facciamo nient 'altro, e quando debolmente ci appaga,
ne facciamo altre ; a guisa di coloro che a teatro so­
gliono mangiar dolciumi ; ché allora specialmente fan­
no ciò quando gli attori non valgon niente. E giacché 5

il piacere fa più diligente l ' atto a cui è proprio e più


duraturo · e migliore, e i piaceri estranei lo distrug­
gono, ognuno vede quanto sono diversi. I piaceri
estranei fanno quasi il medesimo effetto dei dolori che
all ' attività son p ropri : questi corrompono gli atti :
per es . , se a uno è spiacevole e fastidioso lo scrivere o
far di conto, non scrive, non fa di conto, essendogli
quell' atto in cresci oso .. Fanno, dunque, un contrario
effetto su l'atto i piaceri e i dolori, che gli son pro­
pri : propri sono quelli che sopravvengono ali' attività
per se stessa . Or abbiam detto che i piaceri estranei
fanno press ' a poco l 'effetto del dolore : distruggono
l 'attività, sebbene non nella stessa maniera.

9. La bontà o malvagità del piacere dipende dalla bontà o mal­


vagità dell 'atto.

Essendo differenti gli atti per bontà o per malva- s

gità, ed essendo gli uni da cercare, gli altri da fug­


gire, e altri niuna delle due cose ; lo stesso vale anche
per i piaceri, poiché c'è per ogni atto un suo proprio
piacere. Onde all 'atto virtuoso è proprio un piacere

6 . Il :riacere, empiricamente considerato, è uno stato della psiche del


tutto relativo alle condizioni individuali, e il trattarne appartiene alla
psicologia descrittiva. Ma, identificato con l'attività, il suo concetto è nel
dominio della Metafisica, o si dica meglio della filosofia.
Determinati temf>oralmente e naturalmente : l'appetito è prima del­
l'atto, ed è cosa naturale; l'atto è al di là deL tempo (cfr. IV, 4), e pura­
mente spirituale.
'
L ETICA NICOMACHEA

buono ; all' atto malvagio, un piacere cattivo. Invero,


anche i desideri son lodevoli se son di cose oneste :
biasimevoli, se di turpi. Ma i piaceri insiti agli atti
son loro più connaturati che non gli appetiti : questi,
infatti, sono · già determinati temporalmente e natural­
mente ; quelli, invece, son tanto vicini agli atti e così
da essi indistinguibili, che uno si può chiedere se non
1 sia la stessa cosa l ' atto e il piacere. Non si vuol già
dire con questo che il piacere sia o ragione o sensa­
zione ( ché sarebbe assurdo ) ; ma che, non potendo si
separare l'atto dal piacere, appaiono in certi casi es­
ser la stessa cosa. Per conseguenza, come son diversi
gli atti, così anche i piaceri . La vista differisce dal
tatto per purezza, e così l'udito e l 'olfatto dal gusto :
nella stessa guisa anche i piaceri loro .; e da questi
son · differenti quelli della ragione ; e gli uni e gli altri,
infine, tra loro .

IO. I piaceri degni del l ' uomo.

s . Si può anche dire che per ciascun animale, come


c'è un'opera che gli è propria, così c'è un proprio
piacere : cioè, quello corrispondente alla sua attività.
Questo apparirà chiaro a chi guarda a ciascuno in
particolare : ché diverso è il piacere del cavallo, del
cane, dell 'uomo ; a quel modo che Eraclito dice che
un asino preferirebbe la paglia ali ' oro, essendo agli
asini il nutrimento più piacevole d eli' oro. Se sono,
dunque, differenti di specie i piaceri degli esseri che
son di specie differente, è da credere che. non sian diffe­
renti i piaceri degli esseri che son della stessa specie.
9 Ma per gli uomini, appunto, c'è non poca varietà :
le medesime cose rallegrano gli uni, disgustano altri,
f' ad alcuni- son dolorose e odiose quelle che per altri

son piacevoli e amabili. Proprio come per le cose


' 1 37
L ETICA NICOMACHEA

dolci, che non paiono le stesse a chi ha la febbre e


a chi è sano ; né il caldo, a chi è debole e a chi è
robusto . E così per le altre cose. Ma in tutti i casi 10

di tal fatta s ' ha da credere che la cosa stia come al-


l 'uomo virtuoso apparisce . Se questo è detto bene,
come sembra, ed è misura di ogni cosa la virtù e
l 'uomo buono in quanto tale, anche veri piaceri sa­
ranno quelli che a lui tali appariscono, e piacevoli
quelle cose che a lui dan diletto . E se cose a lui ri­
pugnanti sembrano ad altri gradite , non se ne faccia
meraviglia, poiché negli uomini si trovano molte cor­
ruzioni e impurità, le quali non sono di natura pia­
cevoli se non a quei tali e in quel modo disposti. Non
si debbono, dunque, chiamare piaceri quelli che per
consenso di ogni uomo sono turpi, se non da chi è
corrotto . Ma, poi, tra i piaceri che mostransi onesti,
quali e di che specie affermeremo che siano queili
propri dell 'uomo? Non forse ci sarà tal cosa maai­
festa derivandoli dagli atti? poiché ad essi conségui­
tano i piaceri.
Sia, dunque, uno solo o siano molti gli atti che
dell'uomo perfetto e beato so n propri, quelli si do·
vranno propriamente chiamare piaceri dell 'uomo, i
quali ne perfezionano gli atti ; e gli altri non si chia­
mino così se non in via secondaria e a grande distan­
za, alla stessa guisa degli atti corrispondenti.
1 38 L ' ETICA NICOMACHEA

S ti: Z IONK II. - La felicità.

l. La felicità è attività virtuosa.

VI Delle virtù, dell'amicizia e del piacere si è già


trattato : ci rimane a dire in abbozzo della felicità, l a
quale noi poniamo per fine delle umane azioni . Il ra­
gionamento sarà più breve, se ci rifacciamo alle cose
dette innanzi .
t Si è detto che non è un abito, perché in tal modo
sarebbe anche in chi passasse la vita dormendo, che
vivrebbe la vita delle piante, e in chi fosse in miserie
grandissime . E se questo non piace, ma piuttosto l�
dobbiamo riporre, come nei libri precedenti abbiam
de.t to, in una certa attività ; e se degli atti alcuni sono
necessari e desiderati a cagion di altri, e altri per loro
stessi, è chiaro che la felicità si dovrà porre tra quelli
desiderati per se stessi e non tra quelli desiderati per
altro : poiché alla felicità non manca nulla, ma basta da
s sé. Desiderati per se stessi sono gli atti, dai quali non
si richiede niente oltre �11' attività stessa. Tali paiono
essere le azioni conformi a virtù, perché l'operare cose
belle e probe è degli atti desiderabili per se stessi .

VI. Il problema morale è già stato da A. implicitamente risolto col


rapporto posto dianzi tra i concetti di virtù e di piacere con quello di
attività. Di questo risultato si dà ora una trattazione popolare corrispon­
dente al tono dato al problema nel libro primo (tranne la discussione su
l'Idea del Bene, da cui ha origine la trattazione dialettico-metafisica della
virtù) . Le opinioni colà annoverate trovano il loro assetto definitivo in
questa sezione. Nella sez. precedente, invece, si è tentato il superamento
dell'ultimo periodo del pensiero r la tonico, dal quale più direttamente une
origine ciò che in A. è di più originale.
2 . Non è un abito, come aveva professato Speusippo. Cfr. I, vm, g.
Pel resto cfr. v e VII del primo libro.
PARTE TERZA 1 39

Tra questi �i sono anche i divertimenti che pro­


curan piacere, perché non sono desiderati a cagione
di altro : tanto è vero che da essi si trae piuttosto
danno che utilità, dovendosi per essi trascurare la
cura del corpo e degli averi . A tali trattenimenti · ri­
corrono la maggior parte degli uomini tenuti in conto
di felici ; e perciò godono gran favore presso i tiranni
coloro che son destri in preparar simili sollazzi, per­
ché san rendersi loro piacevoli nelle cose a cui son
portati :' ché queste son le cose di cui i tiranni sentono
bisogno . E che queste cose possano far felici, lo si .a

argomenta dal vedere i potenti pass �re in esse il loro


tempo. Ma non pare che sia un buon argomento,
perché non consiste nell 'esser potenti la virtù e l ' in­
telligenza, da cui tutti gli atti pregevoli derivano. E
se costoro, non avendo il gusto del piacere puro e _
nobile, ricorrono ai piaceri corporei, non per ciò è da
reputarsi che , questi meritino la preferenza : anche i
fanciulli stimano � tutte superiori le cose da loro te­
nute in pregio . È anzi ben ragionevole che, come dai
fanciulli e dagli adulti son pregiate cose diverse, così
anche avvenga per gli uomini vili e per i probi . Come &

molte volte abbiamo detto, onorande e insieme piace­


voli sono quelle cose che son tali per un uomo dab­
bene : a ciascuno è desideratissimo l 'atto che è con­
forme al proprio abito, e però, ali 'uomo dabbene,
quello che è conforme a virtù .
Non consiste dunque la felicità nei divertimenti, s

ché sarebbe davvero assurdo far di questi il fine, e


travagliarsi e sopportar mali per la vita intera allo
scopo di divertirsi . Quasi tutte quante le cose noi de­
sideriamo in vista di altro, tranne la felicità, la quale
è, essa, il fine . Brigare e affaticarsi allo scopo di di-

4. l potenti; cfr. I , v. 3.
140 '
L ETICA NICOMACHEA

vertirsi par cosa sciocca e troppo puerile ; giusto, in­


vece, è, come dice Anacarsi, divertirsi per essere ] a­
borioso. Poiché il divertimento è simile a un riposo,
del quale hanno bisogno coloro che non possono af­
faticarsi -continuamente . Ma il riposo non è fine, per­
ché è fatto per il fine dell 'attività. Felice è piuttosto Ja
vita conforme a virtù : essa è una vita seriamente la-
7 boriosa e non consiste nel divertimento . La quale se­
rietà noi tutti stimiamo di più che non le èose ridicole
o divertenti, e più seria chiamiamo l ' attività propria
d eli 'uomo e della sua parte migliore : or, l 'attività di
ciò che abbiam di meglio è già superiore alle altre e
più atta a darci la felicità. Dei piaceri corporali potrà
godere il primo che capita, lo schiavo non meno del­
l 'uomo più eccellente ; ma della felicità nessuno. è che
faccia partecipe lo schiavo, tranne il caso che lo faccia
partecipe della vita. Poiché la felicità non risiede in
simile maniera di vivere, ma negli atti conformi a
virtù, come s ' è detto innanzi .

2 . La fe licità perfetta consis te nell ' attivi tà del pensiero.

VII Se la felicità è attività conforme a virtù, è ben


ragionevole che essa sia conforme alla virtù più C'C­
cellente, e questa sarà la virtù di ciò che in noi è di
migliore. O sia dunque questo il pensiero, o altra cosa
che paia per natura comandare e guidare, e abbia in­
telligenza delle cose belle e divin� - vuoi perché di­
vina essa stessa, vuoi perché · delle cose che sono in
noi è la più divina - : l ' attività sua, confor m e alla
virtù che le è propria, sarà la felicità perfetta. Che
tale sia la contemplativa , si disse .
7. Lo schiavo non era padrone della sua vita, ma serviva come stru­
mento an!"mato alla vita di altri.
VIII. l . Pensiero : cosi va tradotto qui · il nous, che ora comprende e
risolve in sé anche la dianoia.
PARTE TERZA 14 l

È fàcile vedere che ciò c oncorda con quanto s ' è 2

innanzi discorso e con la verità. Poiché essa è l ' atti­


vità più eccellente : infatti, il pensiero è quel che in
noi è di più eccellente, e tra le cose conoscibili le più
eccellenti sono quelle intorno alle quali è il pensiero.
Inoltre, è la più ininterrotta : noi possiamo contem­
plare senza interruzione molto più che operare qualsi­
voglia cosa.
Reputiamo anche alla felicità dover esser con- s

giunto il piacere . Ora, è convenuto che la più dolce


delle attività conformi a virtù è quella che è secondo
sapienza : e, in vero, noi vediamo la filosofia possedere
piaceri meravigliosi per purezza e per costanza : il
qual esercizio, s' intende bene, è più dolce a chi già
sa, che non a chi sta ancora riçercando .
E quello che abbiam chiamato << bastar da sé >> , si 4

ritrova soprattutto nella contemplativa . Poiché le cose


necessarie al vivere abbisognano, sì, ugualmente al
sapiente e al giusto e agli altri tutti ; ma, una volta
che ne siano provveduti a bastanza, il giusto ha bi­
sogno anche degli uomini verso i quali dovrà esercitar
la giustizia, e il temperante, similmente, e il forte e
ciascuno degli atti virtuosi. Il sapiente, invece, anche
per se stesso è in grado· di poter contemplare, e tant'.>
maggiormente, quanto più è sapiente : forse meglio
ancora se ha cooperatori, ma per altro egli è suffi­
cientissimo da sé.
Si può dire che essa, sola, è amata per se stessa : 6

da lei altro non deriva che t ' aver contemplato ; l ad-

5 . Metaj>h., I, II, 17 : c< � ch:'aro che da: essa noi non cerchiamo nrs­
sun' altra util,'tà: ma, come chiamiamo uomo libero colui che esiste per se
stesso e non Pf!f' un altro, così anch'essa tra le scienze è tunica che sia
libera, Perché essa sola è il fine di se stessa. Per la qual cosa è ben
giusto che il possesso di essa lo si reputi p:·ù che umano, dacché la na­
tura di gran Parte degli uomini è di schtavi » .
142 '
L ETICA NICOMACHEA

dove dalla pratica caviam sempre, o più o meno,


qualche vantaggio oltre l'azione.
s Di più, par che la felicità consista nell' aver agio,
perché noi affrontiamo il disagio per l'agio, e facciamo
la guerra per procurarci la pace . L'attività delle virtù
pratiche si esercita nelle cose politiche o nelle guer­
resche . Ma le azioni che versano in queste cose, sono
piene di disagi, e specialmente le guerresche : ché
nessuno desidera la guerra, né alla guerra si prepara,
per la guerra : sembrerebbe addirittura un sanguinario
colui che si rendesse nemici gli amici per far · nascere
battaglie e uccisioni. Ma anche l 'attività del politico
è disagiata, e, oltre alle cure proprie della politica, è
intenta a procacciare potenze e onori, o, per l 'appunto,
quella felicità a sé e ai cittadini, la quale è diversa

6 . Agio : nel senso del latino otium. Cfr. Pol., Il, V I , 2: « Ora, che
al buon governo della civil comunanza sommamente importi che i cittadini
sian prosciolti da ogni cura delle cose necessuie alla vita, è tal fwincif>io
in cui tutti consentono ,. E altrove (VII, XIII, 16 sgg.) dice che le virtù
etiche m�rn.no a quell'« ozio » in cui l'uomo, libero da cure materiali,
possa esercitare le sue più nobili attività : ciò non è possibile quando egli
sio affaccendato. << Perciò, quanti sono in grado di togliersi dalle brighe,
ne. lascino il car;'co al loro intendente, ed essi si diano alla politica o

alla filosofia >> (1, n, 23). Naturalmente quest'ideale di vita era possibile
quando l'attività dell'uomo si esplicava quasi tutta nella vita sociale, e
questa, rer l'istituzione della schiavitù, permetteva soltanto a pochi di C'C­
cuparsi di politica. Quindi la celebrazione aristotelica dell'ozio filosofico
acquista un senso d'intimità spirituale che preludia a un concetto nuovo
dell'uomo e della fonte prima del problema morale. L'ozio o agio di A.,
tuttavia, è ancora troppo un appagamento delle facoltà meramente razio­
nali . - S. Tommaso comenta a questo luogo : (< A d felicitatem speculat:vam
tota vita politica vidctur ordinata: dum f>er pacem quae f>er ordinationem
vitae politicae statuitur et conservatur, datur hominibus facultas contem­
Plandi. ven"tatem » . Vegga da sé il lettore come, cangiati i tempi, sorta
'
la Chiesa sopra lo Stato, fatta monastica la vita contemplativa, le pa­
role di A. rivestissero problemi molto lontani dalla concezione greca. F
come al tramontare della concezione medievale dell'uomo, si sia ritor­
nati sempre più a quella greca, ma approfondita, anzi radicalmente tras­
formata da tutta l'es : erienza morale che il Cristianesimo ha portato
nel senso d'interiorità e personalità umana, e di qui . anche nella vita so­
ciale e politica.
PARTE TERZA 143

dalla politica, e che anche noi cerchiamo, evidente­


mente, come diversa da quella.
Ora, se tra le azioni conformi a virtù le politiche 7

( le guerresche stanno innanzi a tutte per bellezza e


'

per grandezza, ma son prive di agio e mirano a un


altro fine e non sono desiderate per se stesse ; laddove
l 'attività del pensiero, essendo contemplativa, sembra
eccellere per dignità, e non mirare a nessun fine fuori
di se stessa, e possedere un suo proprio piacere per­
fetto (il quale accresce insieme l' attività), ed essere
sufficiente a sé e agevole e continua per quanto è
possibile ali 'uomo (e quanto altro riferendoci a quella
attività noi attribuiamo ali 'uomo beato) : sarà questa
la perfetta felicità degna dell ' uomo, quando raggiunga
diuturnità perfetta di vi ta. Poiché niente d'imperfetto
è in ciò che alla felicità · appartiene.

3 . La beatitudine u m a n a e l a beatitudine divi n a .

Ma una vita di tal sorta supera la natura dell 'uo- .s

mo, perché l ' uomo non vive di quella vita come uomo,
ma in quanto un certo che di divino è insito in lui ;
e di quanto questo è più eccellente del composto, di
tanto anche l'attività sua è più eccellente di quella
conforme alle altre virtù . Se poi il pensiero in con­
fronto con l'uomo è una cosa divina, anche la vita
che è secondo il pensiero in confronto con la umana
è vita divina.
Non conviene, dunque, dar ascolto a quei che ci
vanno ammonendo di attendere, essendo uomini, alte
cose umane ed, essendo mortali, alle cose mo �tali.
Anzi, si deve più che si può farsi immortali, e fare
di tutto per vivere secondo quella parte che in noi è
più eccellente, la quale, sebbene piccola per ampiezza,
per potenza e per dignità sopravanza tutte le altre di
1 44 '
!.. ETICA NICOMACHEA

D assai . E, se è vero che essa è la principale c p tu


degna, si può dire che ciascuno non è altro che questa
parte. Onde sarebbe assurdo che l ' uomo preferisse
un'altra vita alla sua propria. E quel che abbiam
detto prima, concorderà con quel che si è aggiunto
ora. A ciascuno è cosa ottima e dolcissima quella che
a lui è naturalmente propria. All'uomo, dunque, la

·vita che è secondo il pensiero, dato che l ' uomo è so­


prattutto pensiero.
Questa, in effetto, è anche la vita più felice .
VIII Viene in secondo luogo la vita conforme alle altre
virtù, perché gli atti a esse conformi sono di natura
umana. Giustizia, fortezza e le altre virtù noi eserci­
tiamo reciprocamente nelle comuni relazioni, nelle
usanze, nelle azioni di ogni sorta e negli affetti, con­
servando a ognuno quanto gli compete : le quali cose
2 manifestamente son tutte umane . Sembra, poi, che
per alcune cose le virtù etiche derivino anche dal
corpo , e che per molti rispetti si trovino connaturate
s con gli affetti. E la saggezza si accoppia con la virtù
etica, e questa con la saggezza : una volta che i prin-

VIII. 3 . Composto : l' uomo, secondo la dottrina scolastica e volgare,


è un cc composto ,, di anima e corpo : l'anima, per sé, è cc soprattutto pen­
siero ,, ; essa deve alla sua unione col corpo la parte irrazionale, l'appetito
sensibile, gli affetti e le passioni, che danno il contenuto alle virtù etiche,
le quali (ad es., la fortezza, la continenza, ccc .) traggono vantag�o an­
che: dalla buona disposizione della natura cori- orea dell'individuo.
Separata : in Dio, assolutamente ; nell'uomo, tanto, quanto riesce a
vivere in sé la vita divina. - Su questa separabilità o inseparabilità df l
pensiero, e su la necessità dell'elemento sensibile, umano, per l'indivi�
dualità dell'anima (il pensiero, per sé, nella sua universalità, è imperso­
nale), s'imperniò, poi, com'è noto, la questione dell'immortalità dell'anima
umana (celebre, su questo punto, la polemica d i san Tommaso contro
Averroè) . Oggi la questione non si potrebbe riù discutere in questi ter­
mini ; il concetto di cc separazione ,, (come di una parte divisibile da un'al­
tra) suona troppo materiale ; e similmente, l'individualità della persona
non può esser riposta nella peculiarità di una cc composizione ,, dell' ele­
mento cc corpo » con l'elemento cc anima ».
PARTE TERZA 1 45

cìpi della saggezza so n conformi alle virtù etiche, e


la rettitudine delle virtù etiche è nella col)formità alla
saggezza. Ed essendo esse intrecciate anche con gli
affetti, verseranno circa il composto : or, le virtù del
composto sono virtù umane. E però umana è la vita
a loro conforme, e la felicità sua. Quella, poi, che è
del pensiero, è separata. Di essa altro non si discorra.
Ché più diligente esame supera il soggetto presente .
Inoltre, si può dire che la virtù del pensiero ha '
poco bisogno dei sussidi esteriori o, se mai, meno
della virtù etica. E sia pure anche uguale ad entrambe
il bisogno delle cose necessarie - sebbene il politico
debba industriarsi di più per il corpo e per tutte le
altre cose simili (ma questo può avere poca impor­
tanza) - : la differenza, tuttavia, è grande pel rispetto
delle loro attività. All'uomo liberale, infatti, farà bi­
sogno di denaro per operare liberamente, e al giusto
servirà per ricambiare quanto ha ricevuto (poiché le
intenzioni non si vedono, e anche coloro che non
son giusti si clan l 'aria di avere l'intenzione di ope­
rare con giustizia) ; ali ' uomo forte abbisogna la po­
tenza, se egli vuoi condurre qualcosa ad effetto per
via di quella virtù, e al temperante l' abbondanza. Se
no, come sarebbe manifesto se egli ha, o no, questa
o qualunque altra virtù? Si fa questione se, con4ii- o

�tendo la virtù nel proponimento e, insieme, nell ' azio­


ne, sia da tenere in maggior conto l'uno o l'altra.
Niun dubbio, che la perfezione risiede in ambedue.
Ma è anche vero che l'azione ha bisogno di molte

4 . Qui i� << politico )> è colui che vive la vita pubblica, non l'uomo di
Stato. L'altro termine di confronto è il « filosofo » .
5 . Proponimento e azione corrisrondono i n q �esto luogo a volontà f"
fatto : cioè, l'uno al momento dell'interiorità; l'altra, dell'esteriorità.
Quindi : nell'agire esteriore la nostra volontà può trovare ostacoli mate­
riali che nella speculazione non ci sono.
'
L ETICA NICOMACHEA

cose, e di tante più quanto son più belle e grandi le


6 azioni . Invece, a colui che contempla non fa bisogno
nessuna di tali cose per la sua attività ; anzi, quasi
direi, gli sono d'impedimento per la sua speculazione ;
ma in quanto è un uomo t; convive con gli altri,
vorrà anche lui operare virtuosamente, e avrà, quindi,
bisogno di tali cose per umanarsi .
7
Che la felicità perfetta sia un 'attività speculativ=I,
si può vedere anche di qui. N o i gli dèi sopra tutti
giudichiamo beati e felici . Or, quali azioni attribui­
remo loro? forse le azioni giuste ? Ma non apparireb­
bero ridicoli a commerciar e a restituir depositi e a far
di simili cose? Ovvero, azioni forti, con le quali sosten­
gano cose terribili e si mettano nei pericoli, perché
operar cosl è bello? Ovvero, azioni liberali? Ma a chi
doneranno essi ? Già sarebbe anche assurdo che rlo-
vessero posseder danari o altra simile cosa. E i loro
atti di temperanza in che sarebbero? o non sarebbe
stupido lodarli perché non hanno desideri vili? Se noi,
dunque, percorriamo tutte le cose che riguardano le
azioni, esse ci parranno piccole e indegne degli dèi.
Eppure tutti ritengono che essi vivano, e, quindi,
che siano attivi, poiché nessuno pensa che essi dor­
mano, come Endimione. Ora, togliendo via, a chi
vive, l 'azione e, a maggior ragione, l'arte : che ri­
mane, se non la contemplazione? Per conseguenza,
l'attività del dio, la quale per beatitudine tutte sor-

6. Il cc filosofo » è anche lui un « politico » : è come un dio che ha bi­


sogno di farsi uomo (di << umanarsi ». come dice A. con parola forse d�
lui coniata). Per il rapporto con la concezione platonica, v. Introd p. 21.
.•

7 . Ho tradotto indifferentemente con speculativa o contemplativa l'at­


tività del nous : l'un termine è più vicino all'idea della ricerca metafisica,
l'altro a quella della beatificante visione del vero.
Gli dèi, di cui parla A., o sono quelli della comune credenza, ovvero
le intelligenze motrici dei cieli. Dio, il primo motore, come è noto, è puro
atto del nous, pensiero di pensiero (pensiero pensante se stesso).
PARTE TERZA 1 47

passa, sarà speculativa. E però tra le attività umane


quella che a essa è la più congenere, sarà la più atta
a render felici .

Indizio di ciò è anche che gli altri esseri viventi 8

non partecipano alla felicità, essendo completamente


privi di tale attività. La vita degli dèi è tutta quanta
beata ; quella degli uomini, in quanto è in loro una
somiglianza di tale attività ; ma degli altri esseri vi­
venti nessuno è felice, giacché in nessun modo parte­
cipa dell'attività speculatìva. Quanto, dunque, s 'esten­
de la speculazione , tan to s 'estende la felicità ; e dove è
più· di speculazione, quivi è più di felicità. Né ciò av­
viene per accidente, ma per la natura medesima delta
speculazione, poiché essa ha il suo valore in se stessa.
Così che la felicità è una sorta di speculazione .

[La natura dell'uomo non concede di speculare se non


curando anche il corpo e provvedendosi di beni esteriori in
misura sufficiente. L 'uomo veramente felice non sarà né ricco,
né povero, perché a far il bene basta poco. E se, come pare

8. Gli dèi vivono : la loro vita è, dunque, insieme, pensiero e azione


( « Voi che intendendo il terzo ciel movete » ) . La felicità perfetta è una
sorta di speculazione, la quale è anche una sorta di azione, intesa non
nella esteriorità, ma nell'intimità della vita del nous. Cfr. Politica, VII,
ITI, 5-6 : << Se vere sono le cose dette e la felicità è da ripo"e nella per­
,
fe.z:one dell agire, anche la vita pratica sarà la più eccellente, sì per i
singoli individui, come pe:r gli Stati. Ma la vita attiva non è necessario
che riguardi gli altri - come da alcuni si Pensa -, né sono pratici quei
soli Pensieri che si fanno in vista di quelle cose che dall'agire derivano,·
ma molto di più son tali le speculazioni e meditazioni che hanno il fine
,
e la Perfezione in se stesse. Poiché il fine è la perfezione dell agire, e

Però una sorta di azione. Sopra tutti, poi, e in modo sovrano diciamo
noi che agiscono coloro che per il pe.nsiero sono gli architetti anche deUe
esteriori azioni. Questo vale come per gli Stati, così anche PM l'indivi­
duo. s, il fatto fosse altrimenti, verrebbe meno la perfezione di Dio e
dell'universo, i quali non hanno azioni esteriori oltre di quelle che a lot o
son Proprie » . Dunque, la vita del divino in noi è l'attività pitì alta nel
significato più pieno, come fonte anche di tutti i valori spirituali che noi
realizziamo fuori di noi, nella vita sociale e politica.
'
L ETICA NICOMACHEA

giusto credere, gli dèi si prendono alcuna cura delle umane


cose , essi ameranno gli uomini virtuosi e principalmente i
sapienti .]

[Arrivati al termine della nostra trattazione , noi ci do­


mandiamo : abbiamo noi raggiunto il fine propostoci ? O non
piuttosto nelle scienze pratiche il fine consiste nell'operare più
che nel conoscere? Non basta sapere che cosa è la virtù :
bisogna diventar buoni. Se i ragionamenti bastassero, ben
dovremmo far di tutto per procacciarcene molti. Ma, purtroppo,
essi , ptir giovando a rafforzare nel culto del bello e del buono
i . più nobili e ben nati tra i giovani , sono impotenti a spingere
al bene e alla bellezza la grande maggioranza. I più, infatti,
non ubbidiscono alla voce dell'onore, ma cedono soltanto alla
paura del castigo. Vivendo in balia delle passioni, non si dànno
nessun pensiero della virtù , che neppure hanno gustata mai.
Qual ragionamento potrebbe smuovere ·costoro? Ha la parola
tanta forza da modificar le consuetudini inveterate ? �. dun­
que, opportuno indagare gli altri mezzi per cui l'uomo può
diventare buono.
Alcuni credono che faccia buoni la natura ; altri , l'abito ;
altri l 'ammaestramento. Ma quel che vien dalla natura non
dipende da noi, bensl è dato ai veramente felici da certe divine
cause. L'insegnamento, poi , non fa presa su tutti , ma su ro...
loro soltanto che vi sono già preparati dali 'abitudine , come t�r­
reno già disposto ad accogliere il seme : dove domina la pas­
sione , non si cede alla parola, ma alla forza.
� necessario che ali 'insegnamento preceda il buon costume,
affinché quello sia frut t uoso. Ma avere in sorte sin da giovane
una retta educazione è difficile per chi non sia stato nutrito
sotto buone leggi . Il vivere con temperanza, costantemente, non
è cosa piacevole per i più, specialmente per i giovani. Per ciò
è necessario che l 'educazione sia ordinata dalle leggi, affinché
si formino nei giovani le buone abitudini. E non i giovani soli
han bisogno di educazione , ma anche gli adulti , perché la mag­
gioranza ubbidisce piuttosto alla necessità e alle pene , che nnn
ai ragionamenti e alla bontà. Le leggi accompagnino dunque
l 'uom � per tutta la vi t a, ed eccitino alla virtù i ben disposti
con l'amore del bello, chi è schiavo del piacere con la ripren-
PARTE TERZA 1 49

sione e con le pene, segregando dalla convivenza degli altri


chi sia del tutto incorreggibile.
Il comando paterno non ha tale gagliardia sufficiente a
costringere, né l'ha, in generale, il comando di un sol uomo :
l 'ha, invece , la legge, come espressione della ragione e delta
saggezza. Inol tre, le prescrizioni d'un individuo cadono facil­
mente in odio a coloro cui son rivolte : la legge, prescrivendo
l 'onesto, non è esposta all'odio di nessuno.
In poche città, a dir vero, i legislatori si preser cura,
come a Sparta, dell 'educazione pubblica ; ma importerebbe asc;ai
che tutte si prendessero dell'educazione dei cittadini grandi
cure . Intanto, ogni cittadino s'industri a render virtuosi i suoi
figli e i suoi amici , facendosi egli stesso legislatore. Che le
leggi siano o no scritte , poco importa. Come nelle città hanno
forza le leggi pubbliche , cosl nelle famiglie le parole e i co­
stumi paterni : ché i figliuoli sono da natura predisposti ad
amare il padre e ad essergli obbedienti . Per qualche aspetto,
anzi , la educazione privata offre dei vantaggi, come quella che
è rivolta a un individuo particolare , nella conoscenza del quale
può darsi che acquisti più esperienza un educatore privato
anche se non fornito di scienza. Ma riman pur sempre vero
che , come in ogni altra cosa, colui è competente che possiede
la scienza, la quale è dell'universale. Quindi , chi vuoi .render
migliori gli uomini, si tratti di una famiglia o di una comu­
nità, deve farsi prima atto a stabilir le leggi. Avendo dunque
gli antichi tralasciato di investigare ciò che riguarda lo sta­
bilire le leggi, sarà bene che noi stessi ne facciamo un'attenta
considerazione, affinché, per quanto è possibile , riceva perfe­
zione quella filosofia che versa intorno alle cose umane. ]
NOTA BIBLIOGRAFICA

Per il testo greco ho seguito l 'edizione di F. SusEMIH�,


curata da O. APEL T (3• ediz., Lipsia, 1 912) ; tna per la divi­
sione in capitoli e paragrafi ho mantenuto l 'ordine · adottato CCl­
munemente (per es., nell 'ediz. del D ux>T). ·

Le traduzioni della Nicomachea sono molte, e, come tutte


1€- traduzioni, utili o inutili, secondo quel che in esse si cerca.
Essendomi proposto di cogliere Aristotele nel suo preciso pen­
siero e nello stesso tempo di conservare la bontà letteraria,
mi son giovato, per il primo . scopo, del RoLFES · (E.) : A .,istoteles1
Nikomachische Ethik (zweite Auft. , Lelpzig, 191 1 : ediz. più
recente, 192 1 ) , che è eccellente ; per il secondo, del SEGNI (B.)' :
L1Ethica d' A rist·otele tradotta in lingua vulgare fio.,entina (lt"1-
renze, ISSO), che è testo di lingua.
Per H comento, sono di grande aiuto gli editori inglesi,
e specialmente i� GRANT (A.) :· The Ethics of A.,istotle (4 • ediz..,
London, 1 884) , e il , BURNET (J . ) : The Ethics of Aristotle (Lon­
don, 1900) , forniti di note , di introduzioni generali e parti­
colari a ogni . libro. Un dotto comento è anche quelto <fi

G. RAMSAUER (Teubner, Lipsia, 1 878) . Più recente,. l'ampio


commento di · H. H. joACHIM, A . : the Nicomach�an Ethics,
.

Oxford, Clarendon ·Press,· 1 9S 1 (lezioni raccolte da D. A Rees).. .

Ma intorno all'Etica di Aristotele sono tali e tante le com­


pilazioni, che non è facile decidersi alla scelta. Chi ne abbia
vaghezza, vegga la No tizia letteraria premessa all 'ediz. cit.
dell'APELT.
Per una veduta generale della Nicomachea può servire
il FERRARI (S.) : L'Etica di A .,istotele riassunta, discussa ·. ;e
'
L ETICA NICOMACHEA

illustf'ata (Torino, Paravia, 1 888) ; e soprattutto il buonissimo


vol . dello ZuccANTE, A f'istotele e la Morale (Vallecchi, Fi­
renze, 1926) . Il FIORENTINO (F.) : Elementi di filosofia (parte 1 l
a cura di G. GENTILE, Paravia, 1902) , ha illustrato bene alcuni
punti anali tici dell'atto pratico.
Un'esposizione animata da profondo interesse spirituale è
quella dell 'OLLÉ-LAPRUNE (L.) : Essai suf' la Mof'ale d' Aristote
(Paris, 1881).
Per la morale platonica è buonissimo lo scritto c!el
BROCHARD (V.) : La mof'ale de Platon, in gtudes de philo­
sophie ancienne et de philosophie moderne (Paris, Alcan , 1912),
dove è anche un istruttivo confronto tra La mof'ale ancienne
èt la mof'ale · modef'ne , che diede occasione a varie discussioni.
Per un'esposizione ben documentata, v. · P. LACHIÈZE-RBY, l-es
idées morales, sociales et politiques de Platon (Boivin, Pa•"l�,
s . d.). Su Platone, in generale, abbiamo l 'ampia trattazione di

·L. STEFANINI (2 & ediz . , Cedam , Padova, 1949) . Ottimo,


J. STENZEL, Platone educatore (Laterza, Bari, 1936) .
Per la dottrina di Socrate da tener presenti il LABRIOLA (A.) :
Socrate (Bari , Laterza, 1909) ; il BROCHARD : L'oeuvf'e · de So­
Cf'ate (in vol. ci t.) ; e la nota opera dello ZuccANTB, Socrate
(Bocca, 1909). Fondamen tale, ora, l 'ampia monografia · di
H. MAYER, Socrate, la sua opera e il suo posto nella sto1ia
(trad. it . ....;_: La Nuova Italia, Firenze, 1944, in 2 voli.).
La guida principale per trovare il posto e l'ordine de!l�
.Idee aristoteliche è pur sempre lo ZELLER (E.) : Die Philosophie
def' Griechen (zweiter Theil, zweite Abtheilung, Leipzig,- 1879).
Da lui deriva lo ZI:SGLER (T.) : Die Ethik de.,. Griechen u.
Romer (Bonn, 1881) : buono. Una esposizione complessiva del
pensiero aristoteliéo è nel vol. di W. D. Ross, A . (trad. it. -
Laterza, 1946) .
Ma oggi è in corso un vasto rinnovamento degli studi
aristotelici in seguito alla pubblicazione del vol. di W. J AE­
GER, A rist o teles : Gf'undlegung einef' Geschichte seinef' Ent­
wicklung . (Berlino, 1923) , ora tradotto in italiano, presso la
Casa Editrice La Nuova Italia, Firenze (in Appendice, dello
stesso Autore, uno scritto : Genesi e 1'icof'so dell'ideale filosofico
·della vita, che interessa strettamente la conchiusione di questa
· Etica aristotelica).
NOTA BmLIOGRAFICA 1 53

Per il rapporto della Nicomachea con le due Etiche pre­


cedenti , una prima informazione si può attingere dallo scritto
di A. MANSION, Autouf' des éthiques attf'ibuées à Af'istote, in
« Revue néoscolastique de philosophie » , 193 1 ; e da quello di

M. PIRROJ)lB, Due nuovi af'gomenti pef' l'autenticità della Gf'ande


Etica, nell '« Annuario del R. Liceo- Ginnasio Galluppi », di
Catanzaro, 193 1 . Per la teoria del piacere , v. A.-F. FxsTu­
GIÈ:RE, A . , Le plaisif' (testi con comento -· Vrin, Paris, 1946).
Per il rapporto al problema religioso, v. il volumetto da me
curato : A . : il problema f'eligioso (2• ediz. , 1 949, in questa col­
lezione) .
Per la Metafisica di Aristotele, v. la mia traduzione con
comento, presso Laterza.
INDICE

INTRODUZIONE . P· 5

PARTE PRIMA : L'oggetto dell'Etica e le opinioni del


tempo 29

PARTE S ECONDA : La. virtù • 57


Sezione I : La virtù etica 57
» I I : Analisi dell 'atto pratico . 73
» I I I : Le virtù dianoetiche . 92

PARTE TERZA : Il fine dell'uomo . l 19


Sezione I : Il piacere 1 19
» II : La felicità 138

NOTA BIBLIOGRAFICA • . 151


Finito di sta m pare il 1 1 gennaio 1963
uel1o stabiJi tnento d'arti grafiche Gius. Laterza & Figli - Bal"i
702

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