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A cura di Fabio Cannavò

Testo greco a fronte

Aristotele
Retorica

BOMPIANI
TESTI A FRONTE
BOMPIANI
TESTI A FRONTE
Direttore
GIOVANNI REALE
ARISTOTELE
RETORICA

Testo greco a fronte

Introduzione, traduzione,
note e apparati di Fabio Cannavò

BOMPIANI
TESTI A FRONTE
Direttore editoriale Bompiani
Elisabetta Sgarbi

Direttore letterario
Mario Andreose

Editor Bompiani
Eugenio Lio

ISBN 978-88-58-76851-8

© 2014 Bompiani/RCS Libri S.p.A.


Via Angelo Rizzoli 8 - 20132 Milano

Realizzazione editoriale: Vincenzo Cicero

I edizione digitale settembre 2014


SOMMARIO

Fabio Cannavò, Aristotele e la retorica che convince VII

Notizia biografica XXIX

Elenco delle abbreviazioni XXXI

Nota editoriale XXXII

RETORICA

Libro I 3
Libro II 151
Libro III 309

Note al testo 415


Bibliografia e indici 443
FABIO CANNAVÒ

ARISTOTELE
E LA RETORICA CHE CONVINCE
I. Le origini della retorica e i tre generi di discorso

Agoretys: la «parola eloquente», un dio di bellezza incorona il di-


scorso, perché «chi parla sicuro e con garbo soave, brilla nelle
adunanze», affascinante e ammirato come immortale (Odissea 8,
166-173).
Agoréon: tra «i consigli», persino Achille deve mostrare il pro-
prio valore, essere mython rhetér, «buon parlatore» (Iliade 9, 438-
443).
Agorà: l’immagine pubblica di una sentenza che il dio Efesto
imprime sul grande scudo dell’eroe (Iliade 18, 497-508)1.
Da questi brevi scorci si ha l’impressione di poter intravedere
situazioni paradigmatiche dell’oratoria: il discorso in pubblico e
il potere seducente dell’ornamento, le assemblee e i tribunali e
il potere del ragionevole. «Intravedere» perché non abbiamo che
una visione approssimativa e lacunosa sull’origine della retorica.
D’altra parte, a parlarne sono fonti ben più tarde.
Cicerone, nel De invenzione rethorica (I, 1, 2), ritiene che l’o-
ratoria sia sorta con la costituzione delle città; nel Brutus (46) che
abbia avuto origine dalla dura necessità dei siciliani di vedersi ri-
sarciti, in democrazia, i danni subiti in tirannìa; nell’Institutio ora-
toria Quintiliano pensa semplicemente a talento naturale affinato
nel tempo (Institutio oratoria, III, 2, 24).
Comunque sia, Cicerone dipende da Aristotele (Brutus 12,
46). Dallo Stagirita ha avuto notizia dei primi passi mossi dalla
retorica a seguito della caduta dei tiranni in Sicilia (per l’esattezza

1
I versi sono ripresi, e più o meno liberamente adattati, dalle versioni di
Rosa Calzecchi Onesti, tanto per l’Iliade che per l’Odissea. Cfr., pp. XIV-XV
dell’Introduzione di F. Montanari in: Aristotele, Retorica (trad. M. Dorati). Per
le citazioni delle traduzioni dei testi usati per il saggio (nel caso della Retorica,
la traduzione è la nostra) si adotta il criterio di riportare soltanto il nome dell’o-
pera e del traduttore, dandone notizia per esteso nella Bibliografia.
X FABIO CANNAVÒ

di Trasideo nel 472, tiranno di Agrigento e Imera, e di Trasibulo


di Siracusa nel 466 a. C. circa) e, soprattutto, che i primi a dettare
le regole dell’arte retorica fossero stati i siciliani Tisia e Corace.
Cicerone confida inoltre di essere stato un lettore della Technon
Synagoge (De oratore II, 38, 160)2, dove compaiono ancora una
volta i nomi di Tisia e Corace e poi Gorgia, in una successione
legittimata dal rapporto maestro-allievo.
Di Diogene Laerzio è invece l’informazione contenuta nel
perduto dialogo aristotelico, Sofista, secondo la quale Aristotele
avrebbe attribuito ad Empedocle l’invenzione della retorica. Se
proviamo a mettere insieme i tasselli di questa sommaria ricostru-
zione, ne segue che Empedocle di Agrigento, schierandosi atti-
vamente sul versante democratico, possa verosimilmente conside-
rarsi un antesignano dell’oratoria deliberativa o politica, lo stesso
dicasi per Corace (almeno stando ad alcune testimonianze che
contraddicono la versione ciceroniana del Brutus), mentre l’attivi-
tà di Tisia, messa in diretta connessione con la ripresa dell’attività
forense, avrebbe dato l’avvio alla techne retorica per il versante
giudiziario3.
Se lasciamo la parola allo stesso Aristotele vengono fuori ulte-
riori dettagli:
I nostri contemporanei famosi (hoi de nun eudokimoúntes),
dopo aver raccolto quasi ereditariamente le loro conoscenze
da molti altri che avevano fatto avanzare gradualmente queste
arti, le hanno elaborate nella forma attuale. Così, nel campo

2
Un’opera aristotelica perduta nella quale erano raccolti i manuali di reto-
rica allora in circolazione (cfr. infra, n. 9).
3
Cfr. per queste informazioni F. Montanari, Introduzione, cit., pp. VII-IX.
Sulla copiosa letteratura in merito alla retorica classica, cfr. W. Kroll, Rhetorik
in Pauli - Wissowa, Realencyclopädie des classichen Altertum, Supplement, vol.
VII, Stuttgart 1940, coll. 1039-1130; H. Lausberg, Elemente der literarischen
Rhetorik, 2 voll., München Hueber 19672; G.A. Kennedy, The Art of Persua-
sion in Greece, Princeton University Press, Princeton 1963, rist. 1974; G. T.
Carol and E. Kent Webb, From orality to rhetoric: an intellectual transforma-
tion, in Worthington Jan (edited by), Persuasion: Greek rhetoric in action, Lon-
don and New York, Routledge 1994, pp. 3-25; E. Schiappa, The Beginnings
of Rhetorical Theory in Classical Greece, New Haven, 1999; G. A Kennedy,
Classical rhetoric in Encyclopedia of Rhetoric, Ed. Thomas O. Sloane, Oxford
2006, University Press. Encyclopedia of Rhetoric: (e-reference edition). Ox-
ford University Press. The Midnight University. 16 February 2007 http://www.
oxford-rhetoric.com/entry?entry=t223.e42.
ARISTOTELE E LA RETORICA CHE CONVINCE XI

dei discorsi retorici, Tisia è venuto dopo i primi, Trasimaco


dopo Tisia, Teodoro dopo Trasimaco, e molti altri hanno ag-
giunto numerosi sviluppi parziali. Per tale ragione, non vi è
da meravigliarsi se la suddetta arte ha raggiunto una notevole
estensione» (Elenchi Sofistici 34, 183b 29-34)4.
L’importanza e la diffusione della retorica è ormai un dato
acquisito, a parte gli imprecisati predecessori di Tisia (metà toùs
protoús, Empedocle?) l’elenco dei contributi si arricchisce con i
nomi del sofista Trasimaco e del retore Teodoro, ai quali si devono
gli apporti per l’elocuzione e la partizione dei discorsi (rispettiva-
mente ricordati in Retorica, 1404a 14-15 e 1400b 15 e, con intenti
scopertamente ironici, in Platone Fedro 267 C e 266 E).
Ancora, negli Elenchi Sofistici (183b 36-38) leggiamo: «In ef-
fetti l’insegnamento impartito dai professionisti, che si dedicavano
alle discussioni eristiche, era in certo modo simile a quanto aveva
stabilito nella sua arte Gorgia. Tra costoro, invero alcuni facevano
imparare a memoria dei discorsi retorici altri dei discorsi destinati
alle interrogazioni».
Con buona approssimazione, «i professionisti» cui qui si fa
riferimento sono dei logografi, autori di una sorta di scritti d’oc-
casione, forniti dietro compenso. «Professionisti» ma, aggiunge
subito dopo Aristotele, atechnoi, «privi di tecnica retorica», non
essendo in grado di trasmettere l’arte «bensì i prodotti dell’arte»
(ibid. 184a 1-2 e 6-7, trad. Colli). Sembra così che Aristotele ponga
delle distinzioni tra Tisia, Trasimaco e Teodoro da un lato e Gor-
gia e logografi dall’altro5.
L’opera di Gorgia segna l’avvento di una prosa che mutua dal-
la poesia il gusto per l’ornamento (Retorica, III, 1, 1404a 24-28).
Aristotele lo presenta come il campione dell’epidissi (1414b 30-2,
1416a 1-2, 1414a 33-38 ecc.), sicché è allo stesso Gorgia e a certo
movimento sofistico che si può ragionevolmente ascrivere la na-
scita del terzo genere: «l’epidittico»6. Come scrive la Cassin7, in

4
Aristotele. Organon, Traduzione G. Colli, pp. 723-4.
5
F. Montanari, Introduzione, cit., p. XII.
6
Cfr. V. Buchheit, Untersuchungen zur Theorie des Genos Epideiktikon
von Gorgias bis Aristoteles, München, Max Hüber Verlag 1960.
7
B. Cassin, L’effetto sofistico. Per un’altra storia della filosofia, trad. it. a
cura di C. Rognoni, Editoriale Jaca Book, Milano 2002, p. 85; sulla filosofia
di Gorgia come «logologia» cfr Id., Come la sofistica fa veramente cose con le
parole, in E. Guglielminetti, L. Regina (a cura di), Sofisti, «Spazio Filosofico»,
XII FABIO CANNAVÒ

contrasto con il ‘botta e risposta’ di matrice socratica, l’epideixis


« designa regolarmente in Platone il discorso seguito da Prodico,
da Ippia o da Gorgia in tournée ad Atene. La migliore traduzione
di epideixis sarebbe allora “prestazione”, “conferenza”… il sofista
venuto spesso dalla Sicilia o dalla Magna Grecia, in effetti com-
pie giri di conferenze all’estero, ovvero nelle grandi città greche,
Atene, Sparta ecc… come sottolineerà del resto Aristotele, lo sti-
le epidittico è graphikôtátê, quello più adatto alla scrittura: il suo
compito, infatti, è la lettura (1414a 19-18)».
Quando Aristotele mette mano al suo lavoro di ridefinizione
e sistemazione di questi materiali, gli elementi essenziali dei tre
generi di discorso sono pressoché già tutti presenti:
Si contano tre specie di retorica, poiché altrettanti sono pure
i tipi di uditorio. E poiché l’orazione si compone di tre ele-
menti – di chi parla, di ciò intorno a cui si parla e di colui
al quale si parla, e il fine del discorso è a lui diretto (intendo
l’uditore), necessariamente l’ascoltatore o è uno spettatore o
uno che giudica, ed è giudice o di avvenimenti passati o futu-
ri. Di avvenimenti futuri è giudice il membro dell’assemblea,
di quelli passati il giudice del tribunale, delle capacità dell’o-
ratore lo spettatore. Di conseguenza vi saranno tre generi di
discorsi retorici: deliberativo, giudiziario, epidittico (1358a
36 - 1358b 8).

II. La Retorica di Aristotele

1. Cenni generali

Scritta dopo la Poetica, la Retorica appartiene all’ultimo periodo


della vita di Aristotele. Ci è stata tramandata in tre libri. In propo-
sito, Diogene Laerzio (Vite dei filosofi V, 24) ricorda separatamen-
te un’Arte retorica e un’opera Sullo stile. Nei primi due libri non vi
è alcun riferimento agli argomenti trattati nel terzo: hanno per og-
getto generale l’argomentazione, mentre il terzo riguarda la forma
del discorso, lo “stile” per l’appunto, e quest’ultimo prende forma
come composizione di due trattatelli – perì léxeos e perì táxeos,

n° 4, 1/2012, (www.spaziofilosofico.it), 17-24; per una breve sintesi sul rap-


porto Gorgia- Platone, cfr. E. Berti, Le ragioni di Aristotele, Laterza, Roma-
Bari 1989, pp. 162-4.
ARISTOTELE E LA RETORICA CHE CONVINCE XIII

rispettivamente “stile” (elocutio) e “ordine” (dispositio) delle parti


del discorso. Tutto questo conforta l’ipotesi che si tratti di opere
separate e successivamente riunite in un unico trattato. Riassu-
mendo in termini “barthesiani”: dei tre libri della retorica il pri-
mo si potrebbe considerare «il libro dell’emittente del messaggio»
ovvero «il libro dell’oratore», il secondo «il libro del ricevente del
messaggio» ovvero «il libro del pubblico»; il terzo, infine, quello
più vicino alle tematiche della retorica tradizionale, costituisce «il
libro del messaggio» medesimo8.
Per certi versi, forse è stato proprio quest’ultimo ad avere avu-
to più fortuna. In effetti, nella sua accezione ordinaria, la retorica
di norma viene identificata con i problemi di composizione e di
stile, con il bello scrivere o il ben parlare. Ma non era in tal senso
che gli apporti di Aristotele avrebbero voluto dare un contributo.
I «trucchi del mestiere», per così dire, erano già compresi nella
pratica oratoria ormai consolidata, nella tradizione ‘manualistica’
e nella produzione dei logografi9. E allora, se Aristotele ricorda
polemicamente entrambe le cose, pressoché all’esordio del trat-
tato, è per via della scarsa importanza che in queste si annetteva
agli aspetti logici dell’argomentazione, essendo ben più interessate
ad affinare quegli elementi dell’orazione che garantivano più facili
consensi: ossia quelli patetici e ornamentali (Retorica I, 1, 1354a
11 - 1355a 18).
Pur senza trascurare ‘la retorica dei retori’ (per questo, forse,
non mancano nel corso della trattazione dei consigli pratici rivolti

8
R. Barthes, La retorica antica, trad. it. a cura di Paolo Fabbri, Bompiani,
Milano 1993, pp. 20-1.
9
Si pensava, tra gli interpreti, che la produzione di discorsi-modello fosse
la fase meno evoluta della retorica i cui progressi erano invece segnalati dagli
apporti teorici, che ci fosse insomma una sorta di linea evolutiva che andava
dal discorso scritto al manuale teorico. In realtà le due attività potevano be-
nissimo coesistere nell’opera di un unico autore, tale è il caso, ad esempio, di
Trasimaco, senza che questo pregiudicasse il fatto che le Technai fossero qual-
cosa di essenzialmente diverso dalla produzione di discorsi (cfr. F. Montanari,
Introd. cit., p. XIII); pare poi che Aristotele abbia fatto una raccolta di trattati
circolanti a suo tempo, la Raccolta delle arti, la Technon Synangoge, cui si è già
accennato nel testo, contenente in particolare il trattato del retore Teodette, il
che implicitamente conferma che all’arte retorica era connessa una didattica,
una teoria, che poi Aristotele avrebbe ripreso rafforzandone l’apparato logico
(cfr. Aristotele. Frammenti dei dialoghi, trad. e comm. a cura di R. Laurenti,
Loffredo, Napoli, 1987).
XIV FABIO CANNAVÒ

all’oratore), Aristotele si avvia così a dare una veste razionale alle


Arti dei discorsi (1354a 12), a inaugurare una ‘retorica del ragiona-
mento’, a dare, infine, uno statuto teorico.

2. Retorica e dialettica

2.1. Platone: la ‘cattiva’ e la ‘buona’ retorica


Nel Gorgia, Platone nega alla retorica lo statuto di techne: non
è altro che empiria e routine (463 B), assimilabile ad altre pratiche
volte unicamente a procurare piacere, come la culinaria. Entram-
be contraffazioni di autentici saperi tecnici – rispettivamente di
medicina (464 D) e di giustizia (465 C) – gastronomia e retorica
non rappresentano però lo stesso potenziale di rischi: la retorica,
che è una mera capacità di allettare l’uditorio, insinuandosi al po-
sto della giustizia può interessare anche l’anima della città e del
cittadino (Gorgia 464 C - 466 E).
Sin dal titolo del dialogo siamo sollecitati a pensare che il j’ac-
cuse platonico fosse rivolto alla ‘retorica-performance’ di Gorgia e
di altri sofisti10, alla retorica cioè volta esclusivamente ad allettare il
pubblico. Tuttavia nel Fedro, pur senza mutare il giudizio su que-
ste pratiche oratorie (260 DE), Platone aveva anche ammesso la
possibilità di una teorizzazione del discorso, in grado di mostrare
la consequenzialità dell’argomentazione, facendo del discorso me-
desimo una sorta di organismo, compiuto e armonioso in ogni sua
parte (264 C). Questa ‘buona’ retorica – in opposizione a quella
‘cattiva’ del Gorgia – doveva fondarsi su una conoscenza scientifica
dell’anima umana che rendesse capaci di adeguare i vari tipi di ani-
ma ai diversi tipi di discorso (271 B - 272 B): dimostrare la natura
dell’anima, stabilire le connessioni tra generi di anime e genere di
discorsi, vedere in quali anime certi discorsi producessero persua-
sione oppure no (271 D). Tutta questa complessa operazione defi-
nitoria e classificatoria, a sua volta, implicava i procedimenti della
dialettica – «riunificazioni» e «divisioni» (synagogé e diairesis; 273
E) – attraverso le quali, questa la conclusione, doveva passare ogni
discorso ben fatto, chiaro e coerente (266 B e 265 DE)11. Platone

10
Forse Eutidemo e Dionisodoro, che Platone riteneva seguaci dello stesso
Gorgia (E. Berti, op. cit., p. 163).
11
Sul rapporto Platone Aristotele cfr. le osservazioni di P. Donini pp. 350-
ARISTOTELE E LA RETORICA CHE CONVINCE XV

ha cercato così di mostrare che per legittimarsi come techne la


retorica dovesse essere filosofica, avere un impianto teorico essen-
zialmente identico alla filosofia: la dialettica12.

2.2. Aristotele: la retorica oltre il Fedro


Nel suo trattato, Aristotele sembra guardare essenzialmente
alla ‘buona retorica’.
Come nel Fedro, la retorica aristotelica può espletare un com-
pito nobile e altrettanto laborioso: persuadere alla verità e alla
giustizia (Retorica 1355a 21-23), attraverso lo studio dei generi di
discorso, dei tipi di uditorio, di anime, di azioni e di passioni (1358
a 36 - 1358 b8). Da questa prospettiva Aristotele sembra voler sta-
bilire una sorta di continuità programmatica con la rotta indicata
dal Maestro13. Ciononostante l’esordio della Retorica tradisce un
diverso posizionamento.
Il filosofo definisce subito la retorica «antistrofe» della dialet-
tica (1354 a1).
Ora, il vocabolo potrebbe essere una reminiscenza platonica.
Nel Gorgia (464 B -465E), si afferma che la retorica è antistrophos
della culinaria. Il termine, che deriva dal linguaggio poetico (stro-
phé e antistrophé del coro) e che secondariamente ha valore di
analogia14, da Platone era stato usato, come si è visto, per connota-

2, (cfr. Id., Poetica e Retorica, pp. 327-363, in: Berti E. (a cura di), Guida ad
Aristotele. Logica, Fisica, Cosmologia, Psicologia, Biologia, Metafisica, Etica, Po-
litica, Poetica, Retorica, Roma-Bari 1997).
12
Ascendendo via via per idee più generali (dai casi particolari al concetto
più generale che lo implica) e, poi, dividendo quest’ultime nelle loro specie ‘na-
turali’ (dai concetti più generali ai casi particolari che vi rientrano), le cose ven-
gono infatti colte così come sono ‘realmente’, ossia nella loro realtà intellegibile,
e si rendono perciò accessibili a un’opera di definizione (Fedro, 265C-266B).
13
Cfr. L. Spengel, Über die Rhetorik des Aristoteles, G. Franz, München
1852; Th. Gomperz, Pensatori Greci. Storia della filosofia antica, vol. IV, Ari-
stotele e i suoi successori, trad. della 4a ed. (Berlin 1931) a cura di D. Faucci,
La Nuova Italia, Firenze 1962, p. 617, G. Reale, Storia della filosofia greca e
romana, vol. IV: Aristotele e il primo peripato, Bompiani Milano, 2004, pp.
247-8.
14
Cfr. Gastaldi S., Lo statuto concettuale della retorica aristotelica, «Rivista
critica di storia della filosofia» XXXI, fasc. I, (Gennaio Marzo 1976), pp. 41-
72 (in particolare, p. 43, n. 9); B. Cassin, L’effetto sofistico cit., pp. 188 e ss.;
Green L. D., Aristotelian rhetoric, dialectic and the tradition of «antistrophos»,
«Rhetorica» 8 (1990), pp. 5-27.
XVI FABIO CANNAVÒ

re negativamente la retorica. Ma qui Aristotele ne fa un’antistrofe


della dialettica per evidenziare l’affinità strutturale tra le due disci-
pline: la retorica è «una specie di parte» o «sezione» (morión ti),
«qualcosa di simile» (homóioma) (1356a 30-31) o «simile» (homóia)
(1359b 11) alla dialettica; entrambe vertono su ciò che tutti possono
conoscere e su ciò che non appartiene a nessuna scienza determi-
nata (1354 a 3-4); non è indispensabile una conoscenza specialisti-
ca, entrambe si occupano di procedure praticabili da tutti: perché
tutti o esaminano, vogliono ragione, di una tesi o la sostengono, ne
danno ragione, o accusano o difendono (1354a 5-6)15. La retorica,
infine, è «la facoltà di contemplare tutto ciò che può essere persua-
sivo a proposito di qualsiasi argomento» (1355b 25-27); la dialettica
è «un metodo (méthodos) grazie al quale è possibile ragionare (syl-
logízesthai) su qualsiasi problema proposto (Topici, I, 1, 100a 18-
21). «Qualsiasi argomento» o «qualsiasi problema», l’universalità
d’applicazione qui ribadita si arricchisce di un ulteriore elemento
significativo: entrambe sono metodi, in entrambe cioè si può agire
con metodo, con arte, in una parola in entrambe le materie sono
disciplinate dalla techne (Retorica 1354a 3-11)16.
In certo qual modo tutti partecipano di entrambe. Infatti tut-
ti, fino a un certo punto, mettono mano a saggiare e a sostene-
re un discorso, a difendere e a accusare. Tra i più, dunque, vi
è chi, su cose del genere, procede per tentativi e chi per dime-
stichezza dovuta a una disposizione acquisita. E poiché vi è
possibilità che si agisca in entrambi i modi, è chiaro che si può
procedere anche con metodo. È possibile, in effetti, indagare
il motivo per cui si ottengono risultati sia per consuetudine
con la materia, sia per spontanea inclinazione, il che – ormai
tutti ammetteranno – è la funzione di un’arte (1354a 4-11).

2.3. Esperienza e techne


I manuali attualmente in circolazione, scrive Aristotele,
non contengono «nessuna parte di rilevo della materia, dal mo-
mento che solo le persuasioni (pisteis)17 sono materia tecnica
15
Cfr. Berti, Le ragioni di Aristotele cit., p. 166.
16
La parola methódos in greco «indica innanzitutto la via che di fatto si
percorre, cioè la procedura effettiva che si segue, ma poi anche la trattazione
teorica, cioè scientifica, che di essa si compie» (Ibid., p. 19).
17
Sulle «persuasioni», cfr. s.v. SLYVWL/SLYVWHL André Wartelle, Lexique de
la «Rhétorique» d’Aristote, ed. Les Belles Lettres, Paris 1982.
ARISTOTELE E LA RETORICA CHE CONVINCE XVII

(éntechnon), mentre le restanti sono elementi accessori» (Reto-


rica, 1354 a 6-14).
Questi elementi accessori sono quei mezzi che la tradizione
retorica ha reso accessibili agli oratori, soprattutto per suscitare la
‘mozione degli affetti’. Un tale risultato è però raggiungibile anche
con la semplice pratica (1354a 16 ss.). Ma la pratica, la semplice
empeiria, e in questo Aristotele è d’accordo col Maestro, non è
condizione sufficiente perché si possa parlare di «arte», di techne.
Gli empirici si fermano al «che», all’hoti, il technites possiede an-
che il «dioti», il perché, la causa. Egli conosce le linee-guida del
suo ambito di competenza e può insegnarle:
In generale il carattere che distingue chi sa rispetto a chi non
sa, è l'essere capace di insegnare: per questo noi riteniamo
che l'arte sia soprattutto la scienza e non l'esperienza; infatti
coloro che posseggono l’arte sono capaci di insegnare, mentre
coloro che posseggono l’esperienza non ne sono capaci (Me-
tafisica, 981b 7-10, trad. Reale)18.
Il risultato si raggiunge metá logou alethoús, si «accompagna
a discorso vero» (Etica Nicomachea VI, 4, 1140 a10)19. La techne
include quindi principi generali che possono essere appresi e in-
segnati.
Nel nostro caso, la retorica può essere insegnata in virtù di un
impianto teorico e formale che è quello dell’«antistrofe» dialettica.
Da qui ricavare le pisteis, le «persuasioni». Si tratta di quelle argo-
mentazioni probatorie in forza delle quali il discorso deve prima
«convincere» e poi – almeno nelle intenzioni di Aristotele – «com-
muovere».

18
I passi che interessano la differenza tra empeiria e techne sono pure in
Metafisica I 1, 981a 3-5; 981a 12 -30, v. pure Aristotele, Retorica 1355b 25-8.
Sull’argomento cfr. G. Cambiano, La preistoria del concetto di empeiria tra me-
dicina e filosofia, «Humana.Mente Journal of philosophical studies» , 9 (Aprile
2009), pp. 87-103 (cfr. in particolare, § 3 Aristotele e la continuità tra Empeiria
e Techne, pp. 95 -97).
19
Nell’arte la fase teorica è separabile da quella operativa e implica delle
conoscenze di tipo universale, tant’è che viene a coincidere con un certo tipo
di scienza (scienze poetiche e produttive); cfr. E. Berti, Le ragioni di Aristotele,
cit., pp. 155-159.
XVIII FABIO CANNAVÒ

2.4. Pisteis átechnoi e éntechnoi: il campo delle prove


Il programma della Retorica è, dunque, il seguente: pensare
prima alla forza delle ragioni e poi all’efficacia con la quale comuni-
carle, alla «presa» – diremmo oggi – che si può avere sul pubblico.
Tra le pisteis, le «ragioni probatorie», ve ne sono alcune che
non possono essere trasformate da un’operazione dell’oratore20.
Dal momento che l’azione dell’arte ha il proprio principio nel sog-
getto «poietico», in colui che è atto a produrre21, vi saranno allo-
ra delle «persuasioni» átechnoi, degli argomenti probatori, che si
ottengono indipendentemente dal soggetto della techne oratoria,
indipendentemente dalla possibilità che l’oratore ha di produrle.
Átechnoi sono, dunque, tutti quegli elementi che: «non ci siamo
procurati con il nostro operato, ma che sono già presenti: come
testimonianze, confessioni fatte sotto tortura, documenti scritti e
cose del genere» (Retorica, I, 2, 1355b 35-37).
Gli argomenti che invece sono interamente in mano all’orato-
re, che dipendono dal suo potere d’intervento nel discorso, sono
le pisteis éntechnoi: «persuasioni tecniche che è possibile procu-
rarsi con il metodo e con il nostro operato» (I, 2, 1355b 37-38).
Di conseguenza, aggiunge subito dopo Aristotele, «si deve far uso
(chrésasthai) delle prime e trovare (heuréin) le seconde» (b 39).
Le argomentazioni extra-tecniche, infatti, si possono solo «usare»
perché non sono soggette a ulteriori trattamenti: vanno prese così
come sono e all’oratore rimane solo la scelta di dove disporle lungo
il suo discorso22. Le pisteis che invece fanno parte della tecnica si

20
R. Barthes, La retorica antica cit., p. 62.
21
«Ogni arte, poi, riguarda il far venire all’essere e il progettare, cioè il
considerare (theoréin) in che modo può venire all’essere qualche oggetto di
quelli che possono essere e non essere, e di quelli il cui principio è in chi pro-
duce e non in ciò che è prodotto. L’arte, infatti, non ha per oggetto le cose che
sono o vengono all’essere per necessità, né le cose che sono o vengono all’esse-
re per natura, giacché queste hanno in sé il loro principio» (Etica Nicomachea,
VI, 4, 1140a 10-16, trad. C. Mazzarelli). Aristotele ci sta dicendo, in sostanza,
che l’arte: «non è scientifica» (in senso stretto) per via della mancanza di neces-
sità nel conseguimento dei risultati/prodotti ottenuti, «non è naturale» poiché
il principio della generazione è «esterno», è in colui che produce (Metafisica
VI 1, 1025b 22-23;), mentre in natura è «interno» alle cose stesse (Fisica II,
192b 20-35).
22
Si pensi alle «testimonianze», ovvero ai proverbi, alle citazioni di con-
temporanei importanti, oppure di poeti antichi, che ovviamente devono rima-
ARISTOTELE E LA RETORICA CHE CONVINCE XIX

devono «trovare» (heuréin), «escogitare», in modo da conferire


loro quella forza persuasiva che altrimenti non avrebbero. E non si
tratta soltanto di fare buona impressione all’uditorio (1356a 4-8)23,
di metterlo nello stato d’animo voluto (1356a 14-17), cioe di com-
muovere24, ma di immettere una forza persuasiva che va trovata
nel logos stesso, nel discorso-ragionamento, «in quanto dimostra
o sembra dimostrare qualcosa» (1355 b37- 1356 a4). È a questo
punto che entra veramente in gioco la dialettica.

2.5. L’esempio e l’entimema


Tra gli argomenti con i quali si dimostra, o si dà l’apparenza
di dimostrare, così come in quelli dialettici vi sono da un lato
induzione (epagoghé), dall’altro sillogismo (sylloghismós), da
un altro ancora sillogismo apparente, lo stesso succede anche
in questa sede: infatti l’esempio (parádeigma) è un’induzione,
l’entimema (enthýmema) un sillogismo, l’entimema apparente
un sillogismo apparente (1356 a35-b4).
Il tema della retorica «antistrofe» non poteva essere richiama-
to in modo più chiaro: al sillogismo dialettico corrisponde quello
retorico, all’induzione l’esempio e tutti – dice Aristotele – «costru-

nere inalterate, anche perché devono la loro forza alla fedeltà con cui ci si attie-
ne all’originale. Ad esempio, gli Ateniesi giustificarono con i Megaresi le loro
pretese per il possesso dell’isola di Salamina, attraverso una citazione omerica
(Iliade II, 557-8) nella quale si diceva che Aiace disponesse le sue navi nell’isola
dove erano già disposte le falangi ateniesi (Retorica I, 15, 1375b 29- 30).
23
Ci si riferisce all’ethos dell’oratore, a una moralità, vera o presunta, da
comunicare al pubblico. È un po’ quello che dovrebbe succedere all’esordio,
o al prooímion, del discorso, con la cosiddetta captatio benevolentiae, una sorta
di seduzione dell’uditorio (Retorica III, 14).
24
Si accenna qui al «dipartimento della retorica psicologica» dove sono
contenute le prove psicologiche degli éthe, dei tratti caratteriali che l’oratore
intende mostrare all’uditorio, e dei páthe, degli affetti degli ascoltatori sui qua-
li far leva per ottenerne l’adesione. A quest’ultimo aspetto Aristotele dedica
numerosi capitoli del II libro della Retorica (2-17). In questa sede le passioni
sono trattate alla stregua di una raccolta di opinioni: «pezzi di linguaggio già
fatti che l’oratore deve semplicemente conoscere bene» dove, ad esempio, la
collera non è altro che ciò «che tutti pensano della collera, la passione non
mai altro che ciò che se ne dice» (R. Barthes, La retorica antica cit., pp. 86-88).
Coerentemente con lo scopo di una trattazione di retorica, non c’è in sostanza
una vera e propria analisi filosofica, come quella presente, ad esempio, nei libri
II e IV dell’Etica Nicomachea.
XX FABIO CANNAVÒ

iscono persuasioni mostrando o esempi o entimemi, non essendo-


ci altro che questi» (1356b 6-8).
L’originale greco, parádeigma, richiama la forza «paradig-
matica» dell’esempio. Il ‘caso-modello’ comunica analogie e so-
miglianze25. L’induzione retorica procede analogamente a quella
dialettica: inanellando dei particolari simili attraverso la trama
implicita del generale. Non è un caso che Aristotele sostenga che
vi siano oratori più portati agli esempi, altri agli entimemi (1356b
22-23). Occorre, in effetti, una buona dose d’inventiva a trovare
esempi adeguati, per i quali non basta un discreto dossier di fatti
significativi. I fatti, spesso, sono difficili da ‘far calzare’ al caso in
questione, più facile citare parabole e favole (1393a 25ss.).
Riportiamo, ad esempio, un caso di parabola: la procedura di
estrarre a sorte dei magistrati ha la stessa ragionevolezza di asse-
gnare a sorte il comando di una nave o gli atleti per una gara (attri-
buita a Socrate, 1393b 4-8); un caso di favola: la storia del cavallo
che si allea con l’uomo per potersi vendicare della volpe, finendo
per essere imbrigliato e sottomesso, somiglia alla situazione degli
Imeri che, per proteggersi dai nemici, concedono a Falaride delle
guardie personali (attribuita a Stesicoro; 1393b 10-22).
Nel campo della persuasione, gli exempla non sono da meno
dell’entimema stesso, non hanno minor forza persuasiva (1356b
23-24). È quest’ultimo però ad essere «maggiormente applaudito»
(1356b 24-25). Tra le pisteis è infatti l’entimema ad essere l’opera-
tore per antonomasia (1394a 9-10), quello che ha ereditato la forza
costrittiva del sillogismo, applicata però alla logica del consenso.

* * *
Nessuna tecnica esamina il particolare – la medicina, ad esem-
pio, non esamina cos’è salutare per Socrate o Callia, ma cosa
lo è per un tipo o per certi tipi di individui (tale è infatti il con-
tenuto di un’arte, mentre il particolare è indeterminato e non
è oggetto di scienza), neppure la retorica analizzerà ciò che è
opinione autorevole per il singolo individuo, ad esempio per
Socrate o per Ippia, ma ciò che è tale per uomini di questo
tipo, e così anche la dialettica (1356b 30-35).
Tanto l’«opinione autorevole», l’éndoxon del sillogismo dia-
lettico26, quanto il «persuasivo», il pithanón del sillogismo retori-
25
Cfr. R. Barthes, op. cit., pp. 63-4.
26
Éndoxa sono le opinioni accettate da tutti «o dei più, o dei sapienti, e,
ARISTOTELE E LA RETORICA CHE CONVINCE XXI

co, non funzionano su base universale, ma generale27.È su questa


premessa che si apre la possibilità di dare ‘tecnicamente’ corpo ai
discorsi, organizzandoli e finalizzandoli. Per entrambe – dialettica
e retorica – quest’opera di strutturazione prende la via del sillo-
gismo.
Più breve, più essenziale del sillogismo dialettico, l’entimema
non richiede una dedizione puntigliosa ai vari passaggi. Il pub-
blico, quasi sempre, non è sufficientemente attrezzato per segui-
re una lunga sequenza di premesse (1357a 3-4). Ma c’è di più.
In un entimema «ben fatto», asteion «brillante», non si devono
dare premesse scontate, il senso non va subito «messo in bella vi-
sta» (epipólaion, à la lettre «in superficie»; 1410b 20-23). Sarebbe
come spiegare una battuta: un atto di sfiducia nell’intelligenza di
chi ascolta.
Se una premessa è nota, – dice Aristotele – non occorre dirla,
l’aggiunge lo stesso ascoltatore; ad esempio non si deve affer-
mare che Dorieo ha vinto la competizione che premia con una
corona, quando è sufficiente dire che ha vinto le Olimpiadi,
non c’è infatti bisogno di aggiungere che alle Olimpiadi il
premio è una corona, dal momento che lo sanno tutti (1357a
17-21).
Il sillogismo retorico, insomma, non prende una scorciato-
ia compiacente. Al netto dell’ovvio, ma ugualmente distante da
espressioni inutilmente complicate, l’entimema ammicca all’intel-
ligenza e apre un canale d’intesa fra pubblico e oratore:
è necessario che siano eleganti (asteia) sia l’elocuzione sia
tutti quegli entimemi che ci procurano un veloce appren-
dimento: perciò, tra questi, non hanno successo né quelli
scontati (epipólaia) (in effetti chiamiamo scontati quelli evi-
denti a tutti, e che non necessitano di alcuna ricerca), né tutti
quelli che, una volta pronunciati, risultano incomprensibili
(agnooûmen), ma tutti quelli dai quali proviene conoscenza

se di questi, o di tutti, o dei più, o dei più noti e stimati fra tutti» (Topici I, 1,
100b 21-23; trad. A. Zadro).
27
Diciamo «generale» per indicare il carattere di quelle premesse che ca-
dono nel genere degli accadimenti hos epí to polý, in ciò che «per lo più» si
verifica, per distinguerlo dall’«universale» strictu sensu, da quell’universale che
concerne rapporti necessari («In realtà noi diciamo essere universale ciò che
sussiste sempre e in ogni luogo»; Analitici posteriori I, 31, 87b 30-32; trad.
Colli).
XXII FABIO CANNAVÒ

nel momento stesso in cui si dicono, anche se prima non c’era,


oppure da quelli che si capiscono subito dopo: infatti suben-
tra come un apprendimento, mentre questo non succede in
nessuno di quegli altri due casi» (1410b 20-27)28.

* * *
Il tragitto abbreviato dell’entimema verte su elementi concreti,
riconoscibili da tutti, e che si possono classificare, in sostanza, se-
condo due tipologie di rapporti: «necessari» (anankaîa) o «per lo
più» (hos epí to polý; 1357a 30).
I primi, esigui nel numero, sono del tipo: «se un uomo ha feb-
bre è segno che è ammalato, se una donna ha latte è segno che ha
partorito» (1357b 14-16). Sono «indizi certi» tekméria, «prove»,
e sono le sole premesse per entimemi ályta, «inconfutabili» (b 15).
Dai tekméria giunge quindi un possibile ‘concorrente’ (un’altra
antistrofe) del sillogismo scientifico tout court (b 5).
Poi vengono i sémeia, i «segni» veri e propri. Al contrario delle
prove, hanno semplice valore indiziario: possono esercitare una
qualche pressione sull’uditorio, ma non possono effettivamente
stringere delle conclusioni.
Vi sono due tipi di segni, alcuni procedono dall’universale
al particolare – l’avere febbre è «segno» di respiro affannoso, il
primo può implicare e rinviare così al secondo, ma non «neces-
sariamente» (non è vero che ogni volta che si respira con affanno
si ha la febbre; 1357b 17-21) – stesso discorso vale per i segni
che procedono dal particolare all’universale – il fatto che Socrate
sia sapiente e giusto è «segno» che i sapienti sono giusti, ma non
si può concludere che tutti lo siano (1357b 10-14)29. Entrambi i
segni sono dunque confutabili (lytá).
Altro discorso, infine, va fatto per gli eikóta, per «i verosimili».
Nel campo delle contingenze umane cui appartengono30, gli eikóta

28
Per una più approfondita analisi dei passi succitati, cfr. F. Piazza, Il corpo
della persuasione. L’entimema nella retorica greca, Palermo, Novecento, 2000,
pp. 162-3
29
Addirittura, dice Aristotele, abbiamo qui un asyllóghiston (Retorica,
1357b 14), un qualcosa che non è neppure un sillogismo, probabilmente per-
ché da una sola premessa particolare non si può inferire una conclusione ge-
nerale.
30
Più fedelmente: «il genere del non-necessario, ma possibile» (cfr. Anali-
tici priori I, 13, 32a 18-20, 28-29 e 32b 4-13).
ARISTOTELE E LA RETORICA CHE CONVINCE XXIII

indicano la plausibilità che un dato fatto si verifichi (1357 a34- b1)


o perché i più ne hanno fatto esperienza, o perché ne ha fatto espe-
rienza chi gode di sufficiente credibilità. L’eikós, il verosimile/proba-
bile, è cioè qualcosa di più e di diverso rispetto al seméion, al segno:
ciò che è eikós e il seméion non sono la stessa cosa, bensì
l’eikós è una premessa che si fonda sull’éndoxon: infatti esso è
conosciuto come ciò che per lo più (hos epí to polý) accade o
non accade o che è o che non è in una certa maniera; sicché è
eikós che gli invidiosi odino e che gli amanti amino (Analitici
priori I, 27, 70a 2-9; trad. Colli).
In conclusione, sappiamo che la condizione limite a parti-
re dalla quale è possibile trarre inferenze è quella dell’hos epí to
polý31; al suo interno, i verosimili, riposando su opinioni pressoché
unanimemente condivise, possono produrre sull’uditorio un supe-
riore grado di cogenza e di persuasione rispetto ai «segni».

* * *
Una volta distinti i tre tipi di premesse entimematiche, si tratta
ora di trovare i contenuti. Anche in questo caso si ricorre a una
methodos che si sviluppa in parallelo alla dialettica: la Topica, ov-
vero l’insieme dei «luoghi» (topoi) da cui trarre le premesse.
Si parla di «luoghi» sia a proposito dei sillogismi dialettici sia
a proposito di quelli retorici (Retorica, 1358a 10-12). Dei luoghi
Aristotele dà una definizione piuttosto vaga limitandosi a dire che
con «elemento» (stoicheîon) e «luogo» (topos) s’intende «la stessa
cosa» (1396b 20-21). Questa definizione viene in seguito ripresa
e precisata come «ciò sotto cui ricadono molti entimemi» (1403a
17-18)32. La topica, nell’insieme, dovrebbe dunque essere una serie
31
«Quando si dimostra invece che, date talune premesse, a causa loro
segue qualcosa di diverso e di ulteriore per il fatto che quelle stesse premes-
se sono o universali o per lo più, lì [scil. dialettica] si chiama sillogismo, qui
entimema». (Retorica 1356b 16-18). In sostanza, l’universale è proprio della
scienza o al limite può essere l’attributo dei tekméria come universalità neces-
sitante, comprendente tutti i casi in cui si istituiscono delle prove certe. Ma
nella maggior parte dei casi, l’universalità entimematica è il «verosimile», dove,
a differenza di premesse di tipo scientifico, la contrarietà è sempre possibile;
riprendendo l’esempio aristotelico citato nel testo: è appunto verosimile che gli
amanti amino, ma non «sempre» e «necessariamente»; vedi pure R. Barthes, La
retorica antica cit., p. 72.
32
Su questo punto cfr. Zanatta, p. 88 dell’Introduzione in: Aristotele, Re-
torica e Poetica (trad. Zanatta).
XXIV FABIO CANNAVÒ

di compartimenti, «celle» o «etichette» per classificare delle tipo-


logie di entimemi, insomma, «luoghi» o «posti» dove individuare
argomenti su qualunque soggetto proposto (Topici, I, 1, 100a 18-
21 e Retorica 1355b 25-27)33.
Lo ‘schedario’, per così dire, comprende due sezioni al suo in-
terno: quella dei koinói, dei «luoghi comuni», e gli ídia, che riguar-
dano contenuti specifici34. I primi sono quelli, appunto, «comuni»
a più scienze (fisica, etica, politica) come ad esempio, il luogo «del
più e del meno» (1358a 12-17): «se una cosa non è pertinente a
quella cui potrebbe esserlo di più, è evidente che non lo è neppure
a quella cui potrebbe esserlo di meno» (1397b 13-14)35. I secondi,
gli ídia, raccolgono contenuti che appartengono a un solo genere
di oggetti, perciò, all’opposto dei koinói, non è possibile trarre da
un luogo che contiene materiale per la fisica, premesse che valgano
per l’etica (1358a 17-20). I luoghi perciò non vanno intesi sem-
plicemente come una riserva da cui reperire dei contenuti. Come
dice Barthes: «l’oratore accompagna il suo soggetto lungo una gri-
glia di forme vuote; dal contatto tra il soggetto e ogni riquadro
(ogni ‘luogo’) della griglia (della Topica) sorge un’idea possibile,
una premessa d’entimema»36. Con questo si riconosce alla topica
una funzione euristica: non si tratta soltanto di estrarre dei conte-
nuti, ma anche di invenire quelli più opportuni37.

III. I limiti della retorica

I «luoghi comuni» sono essenzialmente schemi di ragionamen-


to, utilizzabili per qualsiasi tipo di discorso. Oltre a quello «del
più e del meno» o «della grandezza» cui si è già accennato38, vi è il

33
Cfr. inoltre R. Barthes, La retorica antica, cit., pp. 74-5.
34
Come dice Berti (Le ragioni di Aristotele, cit., p. 178, n. 5): «non è pos-
sibile interpretare i “propri” come “luoghi” […] perché il testo dice ídia al
neutro».
35
Seguendo un esempio di Aristotele: se neppure gli dei sanno tutto, a
maggior ragione non sapranno tutto gli uomini (Retorica, 1397b 12-13).
36
R. Barthes, La retorica antica cit., p. 76.
37
Ibid., p. 77; cfr. inoltre S. Gastaldi, Lo statuto concettuale della retorica
aristotelica, cit., p. 65.
38
Attraverso il quale si producono l’«amplificare» o lo «sminuire», utiliz-
zati soprattutto nel genere epidittico; cfr. Retorica II, 19.
ARISTOTELE E LA RETORICA CHE CONVINCE XXV

luogo «del possibile e dell’impossibile» concernente la possibilità


che alcuni fatti siano accaduti (genere giudiziario) o che potrebbe-
ro accadere (genere deliberativo)39.
Gli ídia riguardano materiali destinati a discipline più speci-
fiche.
Sappiamo che le «persuasioni tecniche» (pisteis éntechnoi)
comprendono argomentazioni di tipo dialettico (entimemi ed
esempi) e altre che riguardano l’ethos, il carattere dell’oratore e i
pathe, le emozioni del pubblico. È plausibile dunque che il mate-
riale degli ídia riguardi soprattutto queste ultime due.
Poiché vi sono persuasioni grazie a questi mezzi [argomen-
tazioni, carattere ed emozioni], è evidente che il coglierle è
proprio di chi è capace di sviluppare ragionamenti sillogistici
e di riflettere sui caratteri, sulle virtù e, in terzo luogo, sulle
passioni, in cosa consista ciascuna delle passioni, cosa le qua-
lifica, e da quali cose si genera e come. Di qui risulta che la
retorica è una sorta di ramificazione (paraphyés ti) di dialettica
e di trattazione etica che è giusto chiamare politica (1356a 20-
27). Per questo la retorica si presenta pure sotto la figura della
politica (hypodýetai hypó to schema to tes politikés), e coloro
che di essa contraffanno alcuni aspetti lo fanno per incultura
(di’ apaideusían), per ciarlataneria o anche per altre ragioni
umane (1356a 27-30). Essa è in effetti una sorta di sezione
della dialettica o una cosa simile (mórion ti tes dialektikés kai
homóioma), come si è detto all’inizio, tanto è vero che nello
stato in cui si trovano nessuna delle due è scienza di qualcosa
di determinato, ma sono, dialettica e retorica, certe facoltà di
approntare discorsi (dynámeis tinés tou porísai logous) (1356a
30-33).
La retorica presenta come delle «ramificazioni» attraverso le
quali si sporge, in parte, su questioni di carattere etico-politico, in
parte, sulla dialettica. Se con la dialettica condivide l’impianto te-
orico e formale (entimemi ed esempi sono procedure), con i mate-
riali dell’etica e della politica condivide i contenuti; più esattamen-
te: dovrebbero essere proprio questi i «contenuti propri» (ídia)
della retorica (1356a 20-27). Tale condivisione fa sì che la retorica
possa assumere la sembianza (schema) della politica, e coloro che
rifilano la techne del retore per politica, lo fanno o per incultura
(di’ apaideusían), o «per ciarlataneria» (1356a 27-30).
39
Ibid. II, 18, 1391b 27-1392a 7.
XXVI FABIO CANNAVÒ

E poiché l’entimema è un tipo di sillogismo, e indagare su


ogni genere di sillogismo è compito della dialettica (intera o
di una sua qualche sezione), è chiaro soprattutto che chi è ca-
pace di esaminare da quali elementi e in che modo abbia ori-
gine un sillogismo potrebbe anche essere il più abile nell’uso
degli entimemi (enthymematikós an éie málista), se sa, inoltre,
su quali cose verte l’entimema e in che cosa quest’ultimo dif-
ferisce rispetto ai discorsi sillogistici (1355a 9-12).
Riappare il consueto tema del rapporto dialettica-retorica, al
quale si aggiunge la subordinazione della competenza nella for-
mulazione degli entimemi alla conoscenza della dialettica: chi
possiede quest’ultima sarà «il più abile nell’uso degli entimemi»
(enthymematikós an éie málista).
Tornando agli ídia. L’occhio esperto – nella, per così dire, topi-
ca delle emozioni – ha dunque un armamentario non indifferente.
Altrove Aristotele sostiene che la selezione delle premesse specifi-
che non deve essere troppo accurata.
I «luoghi comuni» non renderanno esperti in nessun genere:
infatti, non riguardano nessun soggetto specifico. Invece, per
quanto riguarda quelli «propri», nella misura in cui migliore
sarà la scelta delle premesse, si renderà, senza accorgersene,
una competenza di tipo scientifico (állen epistémen) diversa
della dialettica e della retorica, perché, se ci si imbatte nei
principi, non sarà più né dialettica né retorica, ma quella di-
sciplina di cui si posseggono i principi (archás) (1358a 21-26).
Dal punto di vista epistemologico, «i luoghi comuni» non pre-
sentano controindicazioni per lo statuto della dialettica e della reto-
rica, dal momento che «nessuna delle due è scienza di qualcosa di
determinato, ma sono, dialettica e retorica, certe facoltà di appron-
tare discorsi (dynámeis tinés tou porísai logous)» (1356a 30-33). Ma
se si fa una ricerca rigorosa con gli ídia si rischia di imbattersi nei
principi (archai), si rischia cioè di andare oltre ‘il mandato’ retori-
co e avere a che fare con le scienze vere e proprie. Forse è questo
che Aristotele intende quando alcuni retori si credono politici di’
apaideusían , «per incultura» o, più fedelmente alla lettera del testo,
«per mancanza di formazione» (1356a 27-30). Confondendo la loro
capacità di formulare entimemi, l’esperta manipolazione di ídia, con
sillogismi veri e propri, costoro ritengono di essere in possesso dei
principi e quindi della scienza politica. Ma, in realtà il vero punto di
convergenza tra ‘buona retorica’ e ídia sono gli éndoxa:
ARISTOTELE E LA RETORICA CHE CONVINCE XXVII

Di fatto è la stessa facoltà a scorgere il vero e ciò che è simile


al vero, nello stesso tempo gli uomini sono sufficientemente
predisposti al vero e nella maggior parte dei casi colgono la
verità. Pertanto chi ha occhio per le opinioni tratte dalle opi-
nioni autorevoli (éndoxa) altrettanto ne ha per la verità (1355a
14-18).
Dunque, Aristotele pone due forme di garanzie nei riguardi
di eventuali ‘derive’ morali ed epistemologiche da parte della re-
torica. Da un lato, abbiamo gli endoxa: chi come il dialettico e,
in subordine, il retore ha a che fare con le «opinioni autorevoli»
ha perciò stesso a che fare con la verità40; dall’altro la scienza o la
filosofia politica: solo se si padroneggiano i principi si fa scienza
e non retorica, come dovrebbero sapere quelli che in buona o in
mala fede fanno passare la propria arte per politica.

40
Gli endoxa sono opinioni generalmente accettate perché per un verso,
riposano su una tradizione di saperi condivisa, per un altro sull’autorevolezza
di chi li proferisce (filosofi, saggi ecc.).
NOTIZIA BIOGRAFICA

384 Aristotele nasce a Stagira. Il padre Nicomaco era me-


dico. Anche la madre Festide proveniva da una fami-
glia di medici. È probabile che, essendo Nicomaco
diventato medico alla corte dei Macedoni, Aristotele
abbia vissuto, almeno per un certo periodo, a Pella,
dove aveva sede la corte.
367 Platone si reca in Italia Meridionale e a Siracusa presso
Dionigi; l’Accademia fu, nel frattempo, forse diretta da
Eudosso.
367/366 Aristotele giunge ad Atene ed entra nell’Accademia,
proprio nel momento in cui Platone era assente.
347 Muore Platone, e alla direzione dell’Accademia gli suc-
cede il nipote Speusippo. Aristotele lascia Atene e si
reca, probabilmente, prima ad Atarneo, invitato dal
tiranno Ermia, e subito dopo ad Asso, città che il ti-
ranno aveva donato ai platonici Erasto e Corisco, per
le buone leggi che gli avevano preparato, e che avevano
ottenuto grande successo.
347/345 Aristotele dirige una scuola ad Asso, insieme a Seno-
crate, Erasto e Corisco.
345/344 Aristotele dirige una scuola a Mitilene in Lesbo, dove
conosce Teofrasto e inizia una stabile collaborazione
con lui.
343-342 Filippo il Macedone sceglie Aristotele come educatore
del figlio Alessandro, per intercessione di Ermia.
341/340 Ermia è fatto prigioniero e ucciso dai Persiani.
340/339 Alessandro assume la reggenza, e di conseguenza inter-
rompe i suoi studi. L’educazione impartita da Aristo-
tele ad Alessandro dura quindi circa un triennio.
339/338 Muore Speusippo, che era succeduto a Platone nella
direzione dell’Accademia. A Speusippo succede Seno-
crate. Con lui Aristotele aveva già interrotto i rapporti,
che diventeranno sempre piu polemici.
336 Alessandro succede al padre Filippo.
XXX NOTIZIA BIOGRAFICA

335 Alessandro distrugge Tebe e consolida la propria in-


fluenza su Atene.
335/334 Aristotele, avvalendosi della situazione politica a lui fa-
vorevole, ritorna in Atene e fonda la sua nuova Scuola,
il Liceo, in antitesi con l’Accademia. Dal punto di vista
giuridico solo con il successore Teofrasto il Liceo verrà
formalmente riconosciuto, ma di fatto già con Aristote-
le la Scuola funziona regolarmente.
323 Muore Alessandro Magno e in Atene ha luogo una du-
ra reazione antimacedone.
322 A motivo dei suoi legami con Alessandro, Aristotele,
per sicurezza, deve fuggire da Atene, e recarsi a Calci-
de, dove aveva una casa materna. Pare che gli avversari
minacciassero di intentargli (nascondendo i motivi po-
litici sotto la maschera di motivi religiosi) un processo
per “empietà” (analogo a quello che avevano intentato
contro Socrate).
322 (ott.) Aristotele muore a Calcide, dopo pochi mesi dal suo
arrivo, all’età di sessantadue anni.

Per quanto concerne la cronologia delle opere di Aristotele


non si può dire nulla con sicurezza. È possibile che alcune parti
delle opere esoteriche (di Scuola) siano state composte anche già
a partire dal periodo di Asso. Ma le ipotesi fatte non solo si sono
rivelate mere congetture, ma anche in larga misura decettive.
Le stesse opere essoteriche pubblicate da Aristotele, che si ri-
teneva risalissero al periodo accademico, dal punto di vista crono-
logico risultano in realtà problematiche. È certo in ogni caso che
Aristotele le ha sempre citate e si è riconosciuto sempre in esse,
senza eccezioni, il che mette in forse la tesi che le vorrebbe tutte
quante opere giovanili.
ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI

[BERGK] Th. Bergk, Poetae Lyrici Graeci, voll. 3, Leipzig 18824,


rist. 1914-15
[BLASS] F. Blass, Die Attische Beredsamkeit (Att. Ber.), ed. G.
Nenci e G. Vallet, Bibliografia topografica della colo-
nizzazione greca in Italia e nelle isole tirreniche, 2nd ed.
(1887-98)
[CPG] E. L. von Luetsch - F.G. Schneidewin, Corpus Paro-
emiographorum Graecorum, Voll. 2, Göttingen 1839-51
[DIEHL] E. Diehl, Anthologia lyrica Graeca, voll. 2, Leipzig 1936-
19502
[DK] H. Diels - W. Kranz, I presocratici, trad. integrale con
testi originali a fronte, a cura di G. Reale, R.C.S. Libri
S.p.A., ed. Bompiani Il Pensiero Occidentale, Milano
2006
[KAIBEL] G. Kaibel, Comicorum Graecorum Fragmenta, vol. I, Be-
rolini 1899 (2a ed. 1958)
[KINKEL] G. Kinkel, Epicorum Graecorum Fragmenta, [T], Leip-
zig 1877
[KOCH] T. Koch, Comicorum Atticorum Fragmenta, Leipzig
1880-8
[NAUCK] A. Nauck, Tragicorum Graecorum Fragmenta, Leipzig
18882, rist. anast., Hildesheim 1964 (nella ristampa
figura in appendice il Supplementum continens nova
fragmenta Euripidea et adespota apud scriptores veteres
reperta, a cura di B. Snell)
[OLIVIERI] A. Olivieri, Frammenti della commedia greca e del mimo
nella Sicilia e nella Magna Grecia, (Seconda edizione ri-
vista ed ampliata), Libreria scientifica edizioni, Napoli
1947
[PAGE] D. Page, Poetae Melici Graeci, Ed. by D. Page, Oxford
Clarendon Press, 1962
[PERRY] Aesopica: A Series of Texts Relating to Aesop or Ascribed
to Him or Closely Connected with the Literary Tradition
that Bears his Name. Vol. 1, Urbana: The University of
Illinois Press, 1952
XXXII ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI

[RADT] S. Radt, Tragicorum Graecorum fragmenta 3: Aeschylus,


Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1983; 4: Sopho-
cles. Editio correctior et addendis aucta, Vandenhoeck &
Ruprecht, Göttingen 1999
[SAUPPE] J.G. Baiter , H. Sauppe, Oratores Attici: Scholia, Frag-
menta, Indices, voll. 2, Zurich 1839-50
[SNELL] B. Snell - H. Mahler, Pindarus, Pars I. Epinicia, Lipsiae
1987, Pindarus, Pars II. Fragmenta. Indices, Lipsiae
1989
[SPENGEL] L. Spengel, Rhetores Graeci, 3 voll., Leipzig 1853-6

NOTA AL TESTO

La traduzione è stata condotta sul testo stabilito da W. D. Ross (Ari-


stotelis Ars rhetorica, recognovit brevique adnotatione critica instru-
xit, Oxonii e typographeo Clarendoniano, 1959).
Costantemente presenti sono le traduzioni: ARISTOTELE. Retorica,
a cura di A. Plebe in: Aristotele, Opere, vol. 10, Bari Laterza 1961;
ARISTOTELE, Retorica, (testo critico, traduzione e note a cura di M.
Dorati, con un’introd. di F. Montanari), Milano 1996; ARISTOTELE, Re-
torica e Poetica, (trad., introd., note e apparati di M. Zanatta), Torino,
Utet, 2004.
Per i rinvii alle opere suddette, si procederà citando il nome del
curatore/traduttore, seguito dal numero di pagina e dal numero di
nota.
Per la presente versione, le integrazioni esplicative della traduzio-
ne sono state poste tra parentesi quadre, quelle dello stesso Aristotele
tra parentesi tonde.
TECNH RHTORIKH
RETORICA
RHTORIKH A

1354a 1. ÔH rJhtorikhv ejstin ajntivstrofo" th'/ dialektikh'/: ajmfovterai


ga;r peri; toiouvtwn tinw'n eijs in a} koina; trovpon tina; aJpavntwn
ejsti; gnwrivzein kai; oujdemia'" ejpisthvmh" ajfwrismevnh": dio; kai;
pavnte" trovpon tina; metevcousin ajmfoi'n: pavnte" ga;r mevcri
5 tino;" kai; ejxetavzein kai; uJpevcein lovgon kai; ajpologei'sqai
kai; kathgorei'n ejgceirou's in. tw'n me;n ou\n pollw'n oiJ me;n eijkh'/
tau'ta drw's in, oiJ de; dia; sunhvqeian ajpo; e{xew": ejpei; dΔ ajm-
fotevrw" ejndevcetai, dh'lon o{ti ei[h a]n aujta; kai; oJdw'/ poiei'n:
diΔ o} ga;r ejpitugcavnousin oi{ te dia; sunhvqeian kai; oiJ ajpo;
10 tou' aujtomavtou th;n aijtivan qewrei'n ejndevcetai, to; de; toiou'ton
h[dh pavnte" a]n oJmologhvsaien tevcnh" e[rgon ei\nai. nu'n me;n
ou\n oiJ ta;" tevcna" tw'n lovgwn suntiqevnte" oujde;n wJ" eijpei'n pepo-
rivkasin aujth'" movrion (aiJ ga;r pivstei" e[ntecnovn eijs i movnon, ta; dΔ
a[lla prosqh'kai), oiJ de; peri; me;n ejnqumhmavtwn oujde;n levgou-
15 sin, o{per ejsti; sw'ma th'" pivstew", peri; de; tw'n e[xw tou' prav-
gmato" ta; plei'sta pragmateuvontai: diabolh; ga;r kai;
e[leo" kai; ojrgh; kai; ta; toiau'ta pavqh th'" yuch'" ouj peri; tou'
pravgmatov" ejstin, ajlla; pro;" to;n dikasthvn: w{stΔ eij peri; pav-
sa" h\n ta;" krivsei" kaqavper ejn ejnivai" ge nu'n ejsti tw'n pov-
20 lewn kai; mavlista tai'" eujnomoumevnai", oujde;n a]n ei\con o{ ti
LIBRO I

1. La retorica è una techne

La retorica è antistrofe della dialettica1. Entrambe, infat- 1354a


ti, riguardano alcune nozioni come quelle comuni che in
qualche modo tutti possono conoscere e che non appar-
tengono a nessuna scienza determinata. Perciò in certo
qual modo tutti partecipano di entrambe. Infatti tutti,
fino a un certo punto, mettono mano a saggiare e a so- 5

stenere un discorso, a difendere e a accusare. Tra i più,


dunque, vi è chi, su cose del genere, procede per tentativi
e chi per dimestichezza dovuta a una pratica consolidata.
E poiché vi è possibilita che si agisca in entrambi i modi,
è chiaro che si può procedere anche con metodo. È pos-
sibile, in effetti, indagare il motivo per cui si ottengono
risultati sia per consuetudine con la materia, sia per spon- 10

tanea inclinazione, il che – ormai tutti ammetteranno – è


la funzione di un’arte. Allo stato attuale, tuttavia, quelli
che hanno composto Arti dei discorsi 2 – come dire – non
ci hanno consegnato nessuna parte di rilevo della materia
(dal momento che solo le persuasioni3 sono materia tec-
nica, mentre le restanti sono elementi accessori), inoltre
non hanno detto niente sugli entimemi, che sono il corpo 15

della persuasione4, mentre si dedicano a cose il più delle


volte estranee all’argomento. Infatti la calunnia, la pietà,
l’ira e passioni dell’anima di questo tipo non riguarda-
no il fatto, ma si rivolgono al giudice. E allora se in ogni
processo le cose stessero come ora di fatto stanno in al-
cune città – e soprattutto in quelle dotate di buone leggi 20
4 RETORICA I, 1354a 21 - 1355b 13

levgwsin: a{pante" ga;r oiJ me;n oi[ontai dei'n ou{tw tou;" novmou"
ajgoreuvein, oiJ de; kai; crw'ntai kai; kwluvousin e[xw tou' prav-
gmato" levgein, kaqavper kai; ejn ΔAreivw/ pavgw/, ojrqw'" tou'to
nomivzonte": ouj ga;r dei' to;n dikasth;n diastrevfein eij" ojrgh;n
25 proavgonta" h] fqovnon h] e[leon: o{moion ga;r ka]n ei[ ti" w|/
mevllei crh'sqai kanovni, tou'ton poihvseie streblovn. e[ti de;
fanero;n o{ti tou' me;n ajmILsbhtou'nto" oujdevn ejstin e[xw tou' dei'xai
to; pra'gma o{ti e[stin h] oujk e[stin, h] gevgonen h] ouj gevgonen: eij de;
mevga h] mikrovn, h] divkaion h] a[dikon, o{sa mh; oJ nomoqevth"
30 diwvriken, aujto;n dhv pou to;n dikasth;n dei' gignwvskein kai; ouj
manqavnein para; tw'n ajmILsbhtouvntwn. mavlista me;n ou\n
proshvkei tou;" ojrqw'" keimevnou" novmou", o{sa ejndevcetai, pavnta
diorivzein aujtouv", kai; o{ti ejlavcista kataleivpein ejpi; toi'" kriv-
nousi, prw'ton me;n o{ti e{na labei'n kai; ojlivgou" rJa'/on h] pollou;"
1354b eu\ fronou'nta" kai; dunamevnou" nomoqetei'n kai; dikavzein: e[peiqΔ
aiJ me;n nomoqesivai ejk pollou' crovnou skeyamevnwn givnontai,
aiJ de; krivsei" ejx uJpoguivou, w{ste calepo;n ajpodidovnai to; div-
kaion kai; to; sumfevron kalw'" tou;" krivnonta". to; de; pavntwn
5 mevgiston, o{ti hJ me;n tou' nomoqevtou krivs i" ouj kata; mev-
ro", ajlla; peri; mellovntwn te kai; kaqovlou ejstivn, oJ dΔ
ejkklhsiasth;" kai; dikasth;" h[dh peri; parovntwn kai;
ajfwrismevnwn krivnousin: pro;" ou}" kai; to; ILlei'n h[dh kai;
to; misei'n kai; to; i[dion sumfevron sunhvrthtai pollavki",
10 w{ste mhkevti duvnasqai qewrei'n iJkanw'" to; ajlhqev", ajllΔ
ejpiskotei'n th'/ krivsei to; i[dion hJdu; h] luphrovn. peri; me;n ou\n
tw'n a[llwn, w{sper levgomen, dei' wJ" ejlacivstwn poiei'n kuv-
rion to;n krithvn, peri; de; tou' gegonevnai h] mh; gegonevnai,
1. LA RETORICA È UNA TECHNE 5

– non si avrebbe niente da dire: infatti tutti, ragionando


in modo corretto, ritengono che spetti alle leggi regolarci
in certo modo e che chi le applica impedisce inoltre di
parlare di cose estranee ai fatti, come succede nell’Areo-
pago. Non si deve infatti fuorviare il giudice portandolo
all’ira, all’invidia o alla pietà: poiché sarebbe simile a chi 25

avesse intenzione di usare un regolo per realizzare questa


stortura. Inoltre è invece evidente, da parte di chi dibatte,
che non vi è nulla di estraneo nel mostrare che il fatto
è o non è, è avvenuto o non è avvenuto. Se il fatto sia
grave o di piccola entità, giusto o ingiusto – tutto ciò che
il legislatore non specifica – deve infine riconoscerlo in 30

qualche modo il giudice stesso e non apprenderlo dalle


parti in causa.
Soprattutto, dunque, è opportuno che le leggi formu-
late correttamente, per quanto è possibile, definiscano
tutti i casi, il che significa rinviare il meno possibile ai
giudici, innanzitutto perché è più probabile trovarne uno
o pochi che ragionino correttamente e siano capaci di le- 1354b
giferare e giudicare che molti; poi perché la costituzione
delle leggi avviene dopo lunga e scrupolosa riflessione,
mentre i giudizi nascono sul momento, di conseguenza
per chi giudica è difficile stabilire correttamente il giusto
e ciò che conviene. Ma più importante di tutti è il fatto 5

che il giudizio del legislatore non si rivolge al particolare,


ma a cose che possono accadere e all’universale, mentre
il membro di un’assemblea e un giudice si esprimono sul
momento, su casi correnti e specifici; inoltre ad essi spes-
so si combinano subito l’amare e l’odiare e l’utile priva-
to; di conseguenza non è più possibile cogliere il vero in 10

modo adeguato, ma piacere o dolore personale oscurano


il giudizio. Quanto al resto, dunque, come si diceva, si
deve fare del giudice arbitro del minor numero possibile
di questioni; riguardo invece a ciò che è accaduto o non
6 RETORICA I, 1354b 14 - 1355a 3

h] e[sesqai h] mh; e[sesqai, h] ei\nai h] mh; ei\nai, ajnavgkh ejpi;


15 toi'" kritai'" kataleivpein: ouj ga;r dunato;n tau'ta to;n no-
moqevthn proi>dei'n. eij de; tau'qΔ ou{tw" e[cei, fanero;n o{ti ta;
e[xw tou' pravgmato" tecnologou's in o{soi ta\lla diorivzou-
sin, oi|on tiv dei' to; prooivmion h] th;n dihvghsin e[cein, kai; tw'n
a[llwn e{kaston morivwn: oujde;n ga;r ejn aujtoi'" a[llo pra-
20 gmateuvontai plh;n o{pw" to;n krith;n poiovn tina poihvswsin,
peri; de; tw'n ejntevcnwn pivstewn oujde;n deiknuvousin, tou'to dΔ ejsti;n
o{qen a[n ti" gevnoito ejnqumhmatikov". dia; ga;r tou'to th'" aujth'"
ou[sh" meqovdou peri; ta; dhmhgorika; kai; dikanikav, kai; kal-
livono" kai; politikwtevra" th'" dhmhgorikh'" pragmateiva"
25 ou[sh" h] th'" peri; ta; sunallavgmata, peri; me;n ejkeivnh" oujde;n
levgousi, peri; de; tou' dikavzesqai pavnte" peirw'ntai tecnolo-
gei'n, o{ti h|ttovn ejsti pro; e[rgou ta; e[xw tou' pravgmato" levgein
ejn toi'" dhmhgorikoi'" kai; h|ttovn ejsti kakou'rgon hJ dhmhgoriva
dikologiva", o{ti koinovteron. ejntau'qa me;n ga;r oJ krith;"
30 peri; oijkeivwn krivnei, w{stΔ oujde;n a[llo dei' plh;n ajpodei'xai o{ti
ou{tw" e[cei w{" fhsin oJ sumbouleuvwn: ejn de; toi'" dikanikoi'"
oujc iJkano;n tou'to, ajlla; pro; e[rgou ejsti;n ajnalabei'n to;n ajkroa-
thvn: peri; ajllotrivwn ga;r hJ krivs i", w{ste pro;" to; auJtw'n sko-
pouvmenoi kai; pro;" cavrin ajkrowvmenoi didovasi toi'" ajmILsbh-
1355a tou's in, ajllΔ ouj krivnousin. dio; kai; pollacou', w{sper prov-
teron ei\pon, oJ novmo" kwluvei levgein e[xw tou' pravgmato": ejkei'
dΔ aujtoi; oiJ kritai; tou'to throu's in iJkanw'". ejpei; de; fanerovn
1. LA RETORICA È UNA TECHNE 7

accaduto, a ciò che sarà o non sarà, che è o che non è, è


necessario rimettere ai giudici, non è infatti possibile che 15

il legislatore preveda queste cose. Se le cose stanno in


questo modo, è evidente che chi si occupa di definire altri
elementi – ad esempio, cosa debbano contenere il proe-
mio e la narrazione e ciascuna delle altre parti del discor-
so – disserta con tecnica di cose estranee ai fatti, in esse,
infatti, non si tratta d’altro che di come si possa mettere 20

il giudice in una certa disposizione d’animo, mentre non


mostrano nulla riguardo alle persuasioni tecnicamente
disciplinate, che è poi il motivo per cui qualcuno può
diventare capace d’entimemi. Perciò benché il metodo
sia il medesimo, sia riguardo l’oratoria deliberativa5 che
quella giudiziaria, e nonostante l’argomento atto alle de-
liberazioni sia più degno e più rilevante per un cittadino
di quello relativo agli accordi fra privati, sulla prima non 25

dicono niente, mentre si mettono tutti quanti alla prova


col dissertare tecnicamente su come discutere in tribuna-
le, perché serve a poco parlare di cose estranee ai fatti nei
discorsi deliberativi, e perché l’orazione al popolo, che è
di maggior interesse comune, si presta meno alle astuzie
di quello pronunciato in tribunale. In tal caso, infatti, il
giudice emette un giudizio su cose che lo riguardano, di 30

conseguenza chi partecipa in consiglio non deve far altro


che dimostrare che le cose stanno come dice lui; ma nei
discorsi giudiziari questo non è sufficiente, è invece utile
portare l’ascoltatore dalla propria parte: infatti la deci-
sione verte su cose altrui, di conseguenza i giudici che
stanno attenti solo a ciò che li riguarda e ascoltano per
accondiscendenza, si rimettono alle parti in causa, ma 1355a
non giudicano. Anche per questo motivo in diversi luo-
ghi, come ho detto prima, la legge impedisce di parlare di
cose estranee ai fatti, mentre là6 gli stessi giudici si atten-
gono sufficientemente all’osservanza della norma. Poiché
8 RETORICA I, 1355a 4-30

ejstin o{ti hJ me;n e[ntecno" mevqodo" peri; ta;" pivstei" ejstivn, hJ de;
5 pivsti" ajpovdeixiv" ti" (tovte ga;r pisteuvomen mavlista o{tan
ajpodedei'cqai uJpolavbwmen), e[sti dΔ ajpovdeixi" rJhtorikh; ejn-
quvmhma, kai; e[sti tou'to wJ" eijpei'n aJplw'" kuriwvtaton tw'n piv-
stewn, to; dΔ ejnquvmhma sullogismov" ti", peri; de; sullogismou'
oJmoivw" a{panto" th'" dialektikh'" ejstin ijdei'n, h] aujth'" o{lh" h]
10 mevrou" tinov", dh'lon o{ti oJ mavlista tou'to dunavmeno" qew-
rei'n, ejk tivnwn kai; pw'" givnetai sullogismov", ou|to" kai; ejn-
qumhmatiko;" a]n ei[h mavlista, proslabw;n peri; poi'av tev ejsti
to; ejnquvmhma kai; tivna" e[cei diafora;" pro;" tou;" logikou;"
sullogismouv". tov te ga;r ajlhqe;" kai; to; o{moion tw'/ ajlhqei'
15 th'" aujth'" ejsti dunavmew" ijdei'n, a{ma de; kai; oiJ a[nqrwpoi
pro;" to; ajlhqe;" pefuvkasin iJkanw'" kai; ta; pleivw tugcav-
nousi th'" ajlhqeiva": dio; pro;" ta; e[ndoxa stocastikw'" e[cein
tou' oJmoivw" e[conto" kai; pro;" th;n ajlhvqeiavn ejstin.
o{ti me;n ou\n ta; e[xw tou' pravgmato" oiJ a[lloi tecnologou's i,
20 kai; diovti ma'llon ajponeneuvkasi pro;" to; dikologei'n, fanerovn:
crhvs imo" dev ejstin hJ rJhtorikh; diav te to; fuvsei ei\nai kreivttw
tajlhqh' kai; ta; divkaia tw'n ejnantivwn, w{ste eja;n mh; kata; to;
prosh'kon aiJ krivsei" givgnwntai, ajnavgkh diΔ auJtw'n hJtta'sqai,
tou'to dΔ ejsti;n a[xion ejpitimhvsew", e[ti de; pro;" ejnivou" oujdΔ eij th;n
25 ajkribestavthn e[coimen ejpisthvmhn, rJav/dion ajpΔ ejkeivnh" pei'sai
levgonta": didaskaliva" gavr ejstin oJ kata; th;n ejpisthvmhn lovgo",
tou'to de; ajduvnaton, ajllΔ ajnavgkh dia; tw'n koinw'n poiei'sqai ta;"
pivstei" kai; tou;" lovgou", w{sper kai; ejn toi'" Topikoi'" ejlev-
gomen peri; th'" pro;" tou;" pollou;" ejnteuvxew". e[ti de; tajnantiva
30 dei' duvnasqai peivqein, kaqavper kai; ejn toi'" sullogismoi'", oujc
1. LA RETORICA È UNA TECHNE 9

è chiaro che vi è un metodo specifico concernente le per-


suasioni, e che la persuasione è una sorta di dimostrazio- 5

ne (non a caso si è persuasi soprattutto quando si suppo-


ne che si sia dimostrato), e che la dimostrazione retorica
è un entimema (e questa è, in breve, la più importante
delle persuasioni), e poiché l’entimema è un tipo di sillo-
gismo, e indagare su ogni genere di sillogismo è compito
della dialettica (intera o di una sua qualche sezione), è 10

chiaro soprattutto che chi è capace di esaminare da quali


elementi e in che modo abbia origine un sillogismo po-
trebbe anche essere il più abile nell’uso degli entimemi,
se sa, inoltre, su quali cose verte l’entimema e in che cosa
quest’ultimo differisce rispetto ai discorsi sillogistici. Di
fatto è la stessa facoltà a scorgere il vero e ciò che è simile
al vero; nello stesso tempo gli uomini sono sufficiente- 15

mente predisposti al vero e nella maggior parte dei casi


colgono la verità. Pertanto chi ha occhio per le opinioni
più autorevoli altrettanto ne ha per la verità.
È dunque evidente che gli altri considerano come
materia tecnica elementi estranei all’argomento, anche 20

perché si rivolgono soprattutto all’oratoria giudiziaria.


La retorica è utile perché verità e giustizia sono per na-
tura superiori ai loro contrari, perciò se le sentenze non
risulteranno appropriate, la causa della sconfitta sarà ne-
cessariamente da imputare a noi stessi: il che è degno di
biasimo. Inoltre, neanche se possedessimo la scienza più 25

accurata, né parlando a partire dalla scienza, risultereb-


be più facile persuadere. Il discorso scientifico, infatti,
è proprio dell’insegnamento, e proprio questo non deve
avere luogo, ma è necessario che persuasioni e discorsi
si producano per mezzo di nozioni comuni, come pure
abbiamo detto nei Topici 7 a proposito del discutere din-
nanzi a una moltitudine. Inoltre si deve essere in grado 30

di sostenere in modo convincente tesi opposte – lo stesso


10 RETORICA I, 1355a 31 - b 15

o{pw" ajmfovtera pravttwmen (ouj ga;r dei' ta; fau'la peivqein), ajllΔ
i{na mh; lanqavnh/ pw'" e[cei, kai; o{pw" a[llou crwmevnou toi'" lovgoi"
mh; dikaivw" aujtoi; luvein e[cwmen. tw'n me;n ou\n a[llwn
tecnw'n oujdemiva tajnantiva sullogivzetai, hJ de; dialektikh;
35 kai; hJ rJhtorikh; movnai tou'to poiou's in: oJmoivw" gavr eijs in ajm-
fovterai tw'n ejnantivwn. ta; mevntoi uJpokeivmena pravgmata
oujc oJmoivw" e[cei, ajllΔ ajei; tajlhqh' kai; ta; beltivw th'/ fuvsei
eujsullogistovtera kai; piqanwvtera wJ" aJplw'" eijpei'n. pro;"
de; touvtoi" a[topon eij tw'/ swvmati me;n aijscro;n mh; duvnasqai
1355b bohqei'n eJautw'/, lovgw/ dΔ oujk aijscrovn: o} ma'llon i[diovn ejstin
ajnqrwvpou th'" tou' swvmato" creiva". eij dΔ o{ti megavla blav-
yeien a]n oJ crwvmeno" ajdivkw" th'/ toiauvth/ dunavmei tw'n lov-
gwn, tou'tov ge koinovn ejsti kata; pavntwn tw'n ajgaqw'n plh;n
5 ajreth'", kai; mavlista kata; tw'n crhsimwtavtwn, oi|on ijscuvo"
uJgieiva" plouvtou strathgiva": touvtoi" ga;r a[n ti" wjfelhvseien ta;
mevgista crwvmeno" dikaivw" kai; blavyeien ajdivkw".
o{ti me;n ou\n oujk e[stin oujqenov" tino" gevnou" ajfwrismevnou
hJ rJhtorikhv, ajlla; kaqavper hJ dialektikhv, kai; o{ti crhvs imo", fa-
10 nerovn, kai; o{ti ouj to; pei'sai e[rgon aujth'", ajlla; to; ijdei'n ta; uJpavr-
conta piqana; peri; e{kaston, kaqavper kai; ejn tai'" a[llai"
tevcnai" pavsai" (oujde; ga;r ijatrikh'" to; uJgia' poih'sai, ajlla;
mevcri ou| ejndevcetai, mevcri touvtou proagagei'n: e[stin ga;r kai;
tou;" ajdunavtou" metalabei'n uJgieiva" o{mw" qerapeu'sai kalw'~):
15 pro;" de; touvtoi" o{ti th'" aujth'" tov te piqano;n kai; to; fainov-
1. LA RETORICA È UNA TECHNE 11

vale per i sillogismi – ma non nel senso di fare indiffe-


rentemente entrambe le cose (non si deve infatti persua-
dere a ciò che è immorale), ma per non nascondere la
cosa come sta e perché, e, qualora un altro abbia fatto un
uso scorretto degli argomenti, si sia noi stessi in grado di
confutare. Ebbene nessuna delle altre tecniche sviluppa
sillogismi su tesi opposte, solo la dialettica e la retorica lo 35

fanno: entrambe, infatti, si occupano allo stesso modo di


opposizioni. I contenuti ad esse soggetti, però, non sono
trattati allo stesso modo ma, in breve, quelli veri e miglio-
ri per loro natura sono sempre quelli più adatti ai ragio-
namenti sillogistici e più persuasivi. Oltre a ciò, sarebbe
assurdo, qualora vi sia vergogna nel non essere in grado
di difendersi fisicamente, che non vi sia vergogna nel non 1355b
essere in grado di difendersi con la parola, il cui uso è per
l’uomo più appropriato di quello del corpo. Se si dicesse
che chi fa un uso distorto del potere delle parole potrebbe
danneggiare gravemente, si direbbe, in verità, proprio ciò
che accomuna tutti i beni tranne la virtù, soprattutto quelli 5

più utili come la forza, la salute, la ricchezza, il guidare un


esercito. Infatti se qualcuno, servendosi correttamente di
questi beni, portasse grandi benefici, servendosene scor-
rettamente, nuocerebbe in maniera altrettanto grave.
Che la retorica, pertanto, non sia di nessun genere de-
terminato, ma sia come la dialettica e sia utile, è evidente,
e che il suo compito non sia il persuadere, ma individua- 10

re mezzi di persuasione per ciascun argomento, come in


tutte le altre tecniche, è altrettanto evidente (infatti non
è compito della medicina il rendere sani, ma arrivarvi fin
dove è possibile, tanto è vero che si possono curare in
maniera appropriata anche coloro che non possono riac-
quistare la salute).
Oltre a ciò, è chiaro che è parte della medesima tec- 15

nica distinguere ciò che è persuasivo e ciò che è appa-


12 RETORICA I, 1355b 16-38

menon ijdei'n piqanovn, w{sper kai; ejpi; th'" dialektikh'" sullo-


gismovn te kai; fainovmenon sullogismovn: hJ ga;r soILstikh;
oujk ejn th'/ dunavmei ajllΔ ejn th'/ proairevsei: plh;n ejntau'qa me;n
e[stai oJ me;n kata; th;n ejpisthvmhn oJ de; kata; th;n proaivresin
20 rJhvtwr, ejkei' de; soILsth;" me;n kata; th;n proaivresin, dialekti-
ko;" de; ouj kata; th;n proaivresin ajlla; kata; th;n duvnamin.
peri; de; aujth'" h[dh th'" meqovdou peirwvmeqa levgein, pw'" te kai;
ejk tivnwn dunhsovmeqa tugcavnein tw'n prokeimevnwn. pavlin ou\n
oi|on ejx uJparch'" oJrisavmenoi aujth;n tiv" ejsti, levgwmen ta; loipav.

25 2. “Estw dh; hJ rJhtorikh; duvnami" peri; e{kaston tou' qewrh'sai


to; ejndecovmenon piqanovn. tou'to ga;r oujdemia'" eJtevra" ejsti;
tevcnh" e[rgon: tw'n ga;r a[llwn eJkavsth peri; to; auJth'/ uJpo-
keivmenovn ejstin didaskalikh; kai; peistikhv, oi|on ijatrikh; peri;
uJgieinw'n kai; noserw'n, kai; gewmetriva peri; ta; sumbebhkovta
30 pavqh toi'" megevqesi, kai; ajriqmhtikh; peri; ajriqmw'n, oJmoivw" de;
kai; aiJ loipai; tw'n tecnw'n kai; ejpisthmw'n: hJ de; rJhtorikh;
peri; tou' doqevnto" wJ" eijpei'n dokei' duvnasqai qewrei'n to; piqa-
novn, dio; kaiv famen aujth;n ouj periv ti gevno" i[dion ajfwrismev-
non e[cein to; tecnikovn.
35 tw'n de; pivstewn aiJ me;n a[tecnoiv eijs in aiJ dΔ e[ntecnoi. a[tecna
de; levgw o{sa mh; diΔ hJmw'n pepovristai ajlla; prou>ph'rcen, oi|on
mavrture" bavsanoi suggrafai; kai; o{sa toiau'ta, e[ntecna de;
o{sa dia; th'" meqovdou kai; diΔ hJmw'n kataskeuasqh'nai dunatovn,
2. LE ARGOMENTAZIONI RETORICHE 13

rentemente persuasivo, come lo è anche per la dialettica


distinguere il sillogismo vero e il sillogismo apparente:
infatti la sofistica non sta nella facoltà, ma nell’intenzio-
ne, la differenza è che, in ambito retorico, sarà retore chi
per conoscenza chi per proponimento, mentre, in ambito 20

dialettico, il sofista sarà tale per l’intenzione e il dialettico


non per il proposito, ma per la facoltà8.
Proviamo adesso a parlare del metodo in se stesso,
in che modo e da che cosa potremo ottenere ciò che ci
siamo prefissi. Dopo aver definito nuovamente – come
dall’inizio – che cosa esso sia, trattiamo le cose rimanenti.

2. Tipi di persuasione e argomentazioni retoriche (loro luo-


ghi e proposizioni)

Si definisca allora la retorica come la facoltà di contem- 25

plare cosa può essere persuasivo a proposito di qualsiasi


argomento. Nessun’altra tecnica ha appunto un compito
siffatto dal momento che ciascuna è in grado di insegnare
e di persuadere intorno all’oggetto che le è proprio: ad
esempio la medicina su ciò che è salutare o nocivo, la
geometria sulle proprietà delle grandezze, l’aritmetica sui 30

numeri e così pure le altre tecniche e le altre scienze. La


retorica, invece, per così dire, appare in grado di cogliere
ciò che persuade intorno a qualsiasi argomento proposto.
Per questo affermiamo pure che essa non ha il materiale
tecnico su un genere determinato e particolare.
Delle persuasioni alcune sono «non tecniche», altre 35

«tecniche». Chiamo persuasioni «non tecniche» quelle


che non ci siamo procurati con il nostro operato, ma che
sono già presenti come testimonianze, confessioni fatte
sotto tortura, documenti scritti e cose del genere; «tec-
niche» quelle che è possibile procurarsi con il metodo
14 RETORICA I, 1355b 39 - 1356a 24

w{ste dei' touvtwn toi'" me;n crhvsasqai, ta; de; euJrei'n.


1356a tw'n de; dia; tou' lovgou porizomevnwn pivstewn triva ei[dh
e[stin: aiJ me;n gavr eijs in ejn tw'/ h[qei tou' levgonto", aiJ de;
ejn tw'/ to;n ajkroath;n diaqei'naiv pw", aiJ de; ejn aujtw'/ tw'/
lovgw/ dia; tou' deiknuvnai h] faivnesqai deiknuvnai. dia; me;n
5 ou\n tou' h[qou", o{tan ou{tw lecqh'/ oJ lovgo" w{ste ajxiov-
piston poih'sai to;n levgonta: toi'" ga;r ejpieikevs i pisteuvomen
ma'llon kai; qa'tton, peri; pavntwn me;n aJplw'", ejn oi|" de; to;
ajkribe;" mh; e[stin ajlla; to; ajmILdoxei'n, kai; pantelw'". dei'
de; kai; tou'to sumbaivnein dia; tou' lovgou, ajlla; mh; dia; tou'
10 prodedoxavsqai poiovn tina ei\nai to;n levgonta: ouj gavr, w{sper
e[nioi tw'n tecnologouvntwn, ãoujà tivqemen ejn th'/ tevcnh/ kai; th;n ejpi-
eivkeian tou' levgonto", wJ" oujde;n sumballomevnhn pro;" to; piqa-
novn, ajlla; scedo;n wJ" eijpei'n kuriwtavthn e[cei pivstin to; h\qo".
dia; de; tw'n ajkroatw'n, o{tan eij" pavqo" uJpo; tou' lovgou pro-
15 acqw's in: ouj ga;r oJmoivw" ajpodivdomen ta;" krivsei" lupouvmenoi
kai; caivronte", h] ILlou'nte" kai; misou'nte": pro;" o} kai; movnon
peira'sqaiv famen pragmateuvesqai tou;" nu'n tecnologou'nta".
peri; me;n ou\n touvtwn dhlwqhvsetai kaqΔ e{kaston, o{tan peri; tw'n
paqw'n levgwmen, dia; de; tou' lovgou pisteuvousin, o{tan ajlhqe;"
20 h] fainovmenon deivxwmen ejk tw'n peri; e{kasta piqanw'n. ejpei;
dΔ aiJ pivstei" dia; touvtwn eijs iv, fanero;n o{ti tauvta" ejsti; labei'n
tou' sullogivsasqai dunamevnou kai; tou' qewrh'sai peri; ta;
h[qh kai; peri; ta;" ajreta;" kai; trivton ªtou'º peri; ta; pavqh, tiv te
e{kastovn ejstin tw'n paqw'n kai; poi'ovn ti, kai; ejk tivnwn ejggivnetai
2. LE ARGOMENTAZIONI RETORICHE 15

e con il nostro operato. Di conseguenza si deve far uso


delle prime e trovare le seconde.
Ci sono tre tipi di persuasione che si porgono col di- 1356a
scorso: quelle che consistono nel carattere di chi parla,
quelle che mettono l’ascoltatore in una certa disposizione
e quelle che sono nel discorso stesso in quanto dimostra
o sembra dimostrare qualcosa. Allora, per mezzo del ca- 5

rattere si è persuasivi, quando il discorso sia stato detto


in modo tale da rendere degno di fede chi parla: infatti
crediamo di più e più rapidamente alle persone per bene
su ogni cosa in genere, e là dove non vi è certezza, ma
dubbio, vi crediamo anzi completamente. Deve però an-
che questo risultare dal discorso, e non dall’aver ormai
giudicato l’oratore in un certo modo. Non dobbiamo 10

pensare infatti, come certi autori di tecniche retoriche,


che il non porre nell’arte anche l’onestà di chi parla non
contribuisca in nulla alla persuasione, anzi forse, per così
dire, il carattere possiede la persuasione più efficace.
Invece si hanno persuasioni per mezzo degli ascol-
tatori quando questi siano condotti dal discorso verso
un’emozione: infatti quelli che sono addolorati o con- 15

tenti, oppure in amicizia o in odio, non giudicano allo


stesso modo. Ed è soltanto su questo aspetto che, come
abbiamo detto, gli odierni trattatisti si mettono alla prova
e approfondiscono. Ma per ciascuna di tali cose si farà
chiarezza quando parleremo delle passioni.
Si convince col discorso quando mostriamo il vero o
ciò che appare tale a partire da ciò che persuade in modo 20

appropriato a ciascuna circostanza.


Poiché vi sono persuasioni grazie a questi mezzi, è evi-
dente che il coglierle è proprio di chi è capace di svilup-
pare ragionamenti sillogistici e di riflettere sui caratteri,
sulle virtù e, in terzo luogo, sulle passioni, vale a dire in
cosa consista ciascuna delle passioni, cosa le qualifica, da
16 RETORICA I, 1356a 25 - b 16

25 kai; pw'", w{ste sumbaivnei th;n rJhtorikh;n oi|on parafuev" ti


th'" dialektikh'" ei\nai kai; th'" peri; ta; h[qh pragmateiva", h}n
divkaiovn ejsti prosagoreuvein politikhvn. dio; kai; uJpoduvetai
uJpo; to; sch'ma to; th'" politikh'" hJ rJhtorikh; kai; oiJ ajnti-
poiouvmenoi tauvth" ta; me;n diΔ ajpaideusivan, ta; de; diΔ ajlazo-
30 neivan, ta; de; kai; diΔ a[lla" aijtiva" ajnqrwpikav": e[sti ga;r movriovn
ti th'" dialektikh'" kai; oJmoivwma, kaqavper kai; ajrcovmenoi ei[pomen:
peri; oujdeno;" ga;r wJrismevnou oujdetevra aujtw'n ejstin ejpisthvmh
pw'" e[cei, ajlla; dunavmei" tine;" tou' porivsai lovgou".
peri; me;n ou\n th'" dunavmew" aujtw'n, kai; pw'" e[cousi
35 pro;" ajllhvla", ei[rhtai scedo;n iJkanw'": tw'n de; dia; tou' dei-
knuvnai h] faivnesqai deiknuvnai, kaqavper kai; ejn toi'" dia-
1356b lektikoi'" to; me;n ejpagwghv ejstin, to; de; sullogismov", to; de;
fainovmeno" sullogismov", kai; ejntau'qa oJmoivw": e[stin ga;r to; me;n
paravdeigma ejpagwghv, to; dΔ ejnquvmhma sullogismov", to; de; fai-
novmenon ejnquvmhma fainovmeno" sullogismov". kalw' dΔ ejnquv-
5 mhma me;n rJhtoriko;n sullogismovn, paravdeigma de; ejpagwgh;n
rJhtorikhvn. pavnte" de; ta;" pivstei" poiou'ntai dia; tou' deiknuvnai
h] paradeivgmata levgonte" h] ejnqumhvmata, kai; para; tau'ta
oujdevn: w{stΔ ei[per kai; o{lw" ajnavgkh h] sullogizovmenon h]
ejpavgonta deiknuvnai oJtiou'n ªh] oJntinou'nº (dh'lon dΔ hJmi'n tou'to
10 ejk tw'n ΔAnalutikw'n), ajnagkai'on eJkavteron aujtw'n eJkatevrw/
touvtwn to; aujto; ei\nai.
tiv" dΔ ejsti;n diafora; paradeivgmato" kai; ejnqumhvmato", fane-
ro;n ejk tw'n Topikw'n (ejkei' ga;r peri; sullogismou' kai; ejpagwgh'"
ei[rhtai provteron), o{ti to; me;n ejpi; pollw'n kai; oJmoivwn deivknu-
15 sqai o{ti ou{tw" e[cei ejkei' me;n ejpagwghv ejstin ejntau'qa de; parav-
deigma, to; de; tinw'n o[ntwn e{terovn ti dia; tau'ta sumbaivnein
2. LE ARGOMENTAZIONI RETORICHE 17

quali cose si generano e come. Di qui risulta che la reto- 25

rica è una sorta di ramificazione di dialettica e di tratta-


zione etica che è giusto chiamare politica. Per questo la
retorica si presenta pure sotto la figura della politica, e
lo stesso fanno coloro che della politica compiono una
contraffazione talvolta per incultura, talaltra per ciarla-
taneria e talaltra ancora per altre ragioni umane. Essa è 30

in effetti una sorta di sezione della dialettica o una cosa


simile, come si è detto all’inizio, tanto è vero che nello
stato in cui si trovano nessuna delle due è scienza di qual-
cosa di determinato, ma sono, dialettica e retorica, delle
facoltà di approntare discorsi.
Riguardo alle loro potenzialità e su come si pongono
reciprocamente si è, tutto sommato, parlato a sufficienza. 35

Tra gli argomenti con i quali si dimostra, o si dà l’appa-


renza di dimostrare, così come in quelli dialettici vi sono 1356b
da un lato induzione, dall’altro sillogismo, da un altro
ancora sillogismo apparente, lo stesso succede anche in
questa sede: infatti l’esempio è un’induzione, l’entimema
un sillogismo, l’entimema apparente un sillogismo appa-
rente. Chiamo entimema il sillogismo retorico, esempio 5

l’induzione retorica. Tutti gli oratori costruiscono per-


suasioni mostrando o esempi o entimemi, non essendoci
altro che questi; di conseguenza se è vero che anche in
senso generale è necessario dimostrare qualunque cosa
o per sillogismo o per induzione (questo per noi è chiaro
dagli Analitici)9, è necessario far corrispondere ciascuno 10

dei primi due a ciascuno degli altri due.


Quale sia la differenza tra esempio ed entimema risul-
ta evidente dai Topici 10 (appunto in questa sede si è già
parlato di sillogismo e di induzione): vale a dire che quan-
do sulla base di casi numerosi e simili si dimostra che le
cose stanno in certo modo, nella dialettica è induzione, 15

nella retorica è esempio; quando si dimostra invece che,


18 RETORICA I, 1356b 17 - 1357a 3

para; tau'ta tw'/ tau'ta ei\nai h] kaqovlou h] wJ" ejpi; to; polu;
ejkei' me;n sullogismo;" ejntau'qa de; ejnquvmhma kalei'tai. fa-
nero;n de; kai; o{ti eJkavteron e[cei ajgaqo;n to; ei\do" th'"
20 rJhtoreiva": kaqavper ga;r kai; ejn toi'" meqodikoi'" ei[rhtai, kai; ejn
touvtoi" oJmoivw" e[cei: eijs i;n ga;r aiJ me;n paradeigmatwvdei" rJh-
torei'ai aiJ de; ejnqumhmatikaiv, kai; rJhvtore" oJmoivw" oiJ me;n
paradeigmatwvdei" oiJ de; ejnqumhmatikoiv. piqanoi; me;n ou\n oujc
h|tton oiJ lovgoi oiJ dia; tw'n paradeigmavtwn, qorubou'ntai de;
25 ma'llon oiJ ejnqumhmatikoiv: th;n dΔ aijtivan ªaujtw'nº, kai; pw'"
eJkatevrw/ crhstevon, ejrou'men u{steron: nu'n de; peri; aujtw'n touvtwn
ma'llon diorivswmen kaqarw'".
ejpei; ga;r to; piqano;n tini; piqanovn ejsti, kai; to; me;n eujqu;"
uJpavrcei diΔ auJto; piqano;n kai; pisto;n to; de; tw'/ deivknusqai dokei'n
30 dia; toiouvtwn, oujdemiva de; tevcnh skopei' to; kaqΔ e{kaston, oi|on hJ
ijatrikh; tiv Swkravtei to; uJgieinovn ejstin h] Kalliva/, ajlla; tiv tw'/
toiw'/de h] toi'" toioi'sde (tou'to ga;r e[ntecnon, to; de; kaqΔ e{kaston
a[peiron kai; oujk ejpisthtovn), oujde; hJ rJhtorikh; to; kaqΔ e{kaston
e[ndoxon qewrhvsei, oi|on Swkravtei h] ÔIppiva/, ajlla; to; toioisdiv,
35 kaqavper kai; hJ dialektikhv. kai; ga;r ejkeivnh sullogivzetai oujk
ejx w|n e[tucen (faivnetai ga;r a[tta kai; toi'" paralhrou's in),
ajllΔ ejkeivnh me;n ejk tw'n lovgou deomevnwn, hJ de; rJhtorikh; ejk
1357a tw'n h[dh bouleuvesqai eijwqovtwn. e[stin de; to; e[rgon aujth'" periv
te toiouvtwn peri; w|n bouleuovmeqa kai; tevcna" mh; e[comen,
kai; ejn toi'" toiouvtoi" ajkroatai'" oi} ouj duvnantai dia; pollw'n
2. LE ARGOMENTAZIONI RETORICHE 19

date talune premesse, a causa loro segue qualcosa di di-


verso e di ulteriore per il fatto che quelle stesse premesse
sono o universali o per lo più11, lì si chiama sillogismo,
qui entimema. Inoltre è chiaro ciò che di buono ha l’una
e l’altra specie di retorica. Infatti anche qui le cose stanno 20

alla stessa maniera di come si era detto nei Metodici 12,


poiché per un verso vi sono discorsi retorici modellati su
esempi, per un altro su entimemi, parimenti alcuni retori
sono inclini agli esempi altri agli entimemi. Ora non sono
meno persuasivi i discorsi di chi si basa sugli esempi, sta
di fatto però che sono maggiormente applauditi quel-
li portati a fare entimemi. In seguito diremo il perché e 25

come ci si deve servire di ciascuno di essi13, mentre, a par-


tire da questo momento, faremo in proposito distinzioni
con maggiore chiarezza.
Proprio perché ciò che è persuasivo è persuasivo per
qualcuno, e una cosa è immediatamente persuasiva e at-
tendibile di per sé, un’altra appare dimostrata servendosi 30

di questo genere di mezzi, e poiché nessuna tecnica esa-


mina il particolare – la medicina, ad esempio, non esami-
na cos’è salutare per Socrate o Callia, ma cosa lo è per un
tipo o per certi tipi di individui (tale è infatti il contenuto
di un’arte, mentre il particolare è indeterminato e non è
oggetto di scienza), neppure la retorica analizzerà ciò che
è opinione autorevole per il singolo individuo, ad esem-
pio per Socrate o per Ippia, ma ciò che è tale per uomini
di questo tipo, e così anche la dialettica. Pure quest’ulti- 35

ma, infatti, non sviluppa sillogismi partendo da elementi


a caso (certe cose sono manifeste anche per chi sragiona),
ma a partire da ciò di cui si deve dare ragione. La re-
torica, invece, forma entimemi a partire da cose su cui, 1357a
nell’immediato, si è soliti deliberare. La sua opera verte
su ambiti intorno ai quali decidiamo, su cui non posse-
diamo competenze e con uditori che non sono capaci di
20 RETORICA I, 1357a 4-26

sunora'n oujde; logivzesqai povrrwqen. bouleuovmeqa de; peri; tw'n


5 fainomevnwn ejndevcesqai ajmfotevrw" e[cein: peri; ga;r tw'n
ajdunavtwn a[llw" h] genevsqai h] e[sesqai h] e[cein oujdei;" bou-
leuvetai ou{tw" uJpolambavnwn: oujde;n ga;r plevon. ejndevcetai
de; sullogivzesqai kai; sunavgein ta; me;n ejk sullelogismev-
nwn provteron, ta; dΔ ejx ajsullogivstwn mevn, deomevnwn de; sul-
10 logismou' dia; to; mh; ei\nai e[ndoxa, ajnavgkh de; touvtwn to; me;n
mh; ei\nai eujepakolouvqhton dia; to; mh'ko" (oJ ga;r krith;" uJpov-
keitai ei\nai aJplou'~), ta; de; mh; piqana; dia; to; mh; ejx oJmo-
logoumevnwn ei\nai mhdΔ ejndovxwn, w{stΔ ajnagkai'on tov te ejnquv-
mhma ei\nai kai; to; paravdeigma periv te tw'n ejndecomevnwn
15 wJ" ta; polla; e[cein a[llw", to; me;n paravdeigma ejpagw-
gh;n to; dΔ ejnquvmhma sullogismovn, kai; ejx ojlivgwn te kai;
pollavki" ejlattovnwn h] ejx w|n oJ prw'to" sullogismov": eja;n ga;r
h\/ ti touvtwn gnwvrimon, oujde; dei' levgein: aujto;" ga;r tou'to pro"-
tivqhsin oJ ajkroathv", oi|on o{ti Dwrieu;" stefanivthn ajgw'na nenivkh-
20 ken: iJkano;n ga;r eijpei'n o{ti ΔOluvmpia nenivkhken, to; dΔ o{ti stefaniv-
th" ta; ΔOluvmpia oujde; dei' prosqei'nai: gignwvskousi ga;r pavnte".
ejpei; dΔ ejsti;n ojlivga me;n tw'n ajnagkaivwn ejx w|n oiJ rJhtorikoi;
sullogismoiv eijs i (ta; ga;r polla; peri; w|n aiJ krivsei" kai; aiJ
skevyei" ejndevcetai kai; a[llw" e[cein: peri; w|n me;n ga;r pravt-
25 tousi bouleuvontai kai; skopou's i, ta; de; prattovmena pavnta
toiouvtou gevnou" ejstiv, kai; oujde;n wJ" e[po" eijpei'n ejx ajnavgkh"
2. LE ARGOMENTAZIONI RETORICHE 21

vedere nell’insieme numerosi passaggi né di ragionare


partendo da lontano.
Deliberiamo, inoltre, su ciò che mostra di poter essere 5

in un modo o in un altro; infatti, in merito a ciò che è


impossibile che stia diversamente nel passato, nel futuro
o da com’è, nessuno – tra coloro che fanno una tale rifles-
sione – delibera, poiché non servirebbe a niente14.
È possibile formare sillogismi e trarre conclusioni in
parte da premesse dedotte in precedenza per via di sillo-
gismo, in parte da premesse che non lo sono state, ma che
necessitano di sillogismo, per il fatto di non essere confor- 10

mi all’opinione comune. Necessariamente tra questi argo-


menti alcuni non sono facili da seguire a causa della loro
lunghezza (supponiamo che il giudice sia una persona
semplice), altri non sono persuasivi non risultando né da
premesse su cui sussiste accordo né da opinioni comuni.
Di conseguenza è necessario che entimema ed esempio ri-
guardino oggetti che nella maggior parte dei casi possano 15

essere diversi da come sono (l’esempio come induzione


e l’entimema come sillogismo), che siano tratti da poche
premesse e che siano, il più delle volte, anche meno nume-
rose di quelle dalle quali si trae il primo sillogismo. Se in-
fatti una di queste è nota, non occorre dirla, l’aggiunge lo
stesso ascoltatore; ad esempio non si deve affermare che
Dorieo15 ha vinto la competizione che premia con una co- 20

rona, quando è sufficiente dire che ha vinto le Olimpiadi,


non c’è infatti bisogno di aggiungere che alle Olimpiadi
il premio è una corona, dal momento che lo sanno tutti.
Poiché tra le premesse necessarie sono poche quelle
dalle quali derivano i sillogismi retorici (infatti la maggior
parte riguardano ciò che è oggetto di giudizi e valutazioni
e che può anche essere in modo diverso da come è; si de-
libera e si esamina, appunto, ciò per cui si agisce, e i fatti 25

d’azione sono tutti di questo genere, e nessuno di essi,


22 RETORICA I, 1357a 27 - b 14

touvtwn, ta; dΔ wJ" ejpi; to; polu; sumbaivnonta kai; ejndecovmena


ejk toiouvtwn ajnavgkh eJtevrwn sullogivzesqai, ta; dΔ ajnagkai'a
ejx ajnagkaivwn: dh'lon dΔ hJmi'n kai; tou'to ejk tw'n ΔAnaluti-
30 kw'n), fanero;n o{ti ejx w|n ta; ejnqumhvmata levgetai, ta; me;n
ajnagkai'a e[stai, ta; de; plei'sta wJ" ejpi; to; poluv, ta; dΔ
ejnqumhvmata ejx eijkovtwn kai; ejk shmeivwn, w{ste ajnavgkh touvtwn
eJkavteron eJkatevrw/ taujto; ei\nai.
to; me;n ga;r eijkov" ejsti to; wJ" ejpi; to; polu; ginovmenon, oujc
35 aJplw'" de; kaqavper oJrivzontaiv tine", ajlla; to; peri; ta; ejn-
decovmena a[llw" e[cein, ou{tw" e[con pro;" ejkei'no pro;" o} eijko;"
1357b wJ" to; kaqovlou pro;" to; kata; mevro": tw'n de; shmeivwn to;
me;n ou{tw" e[cei wJ" tw'n kaqΔ e{kastovn ti pro;" to; kaqovlou,
to; de; wJ" tw'n kaqovlou ti pro;" to; kata; mevro". touvtwn de;
to; me;n ajnagkai'on tekmhvrion, to; de; mh; ajnagkai'on ajnwvnu-
5 movn ejsti kata; th;n diaforavn. ajnagkai'a me;n ou\n levgw ejx
w|n givnetai sullogismov": dio; kai; tekmhvrion to; toiou'ton tw'n
shmeivwn ejstivn: o{tan ga;r mh; ejndevcesqai oi[wntai lu'sai to;
lecqevn, tovte fevrein oi[ontai tekmhvrion wJ" dedeigmevnon kai;
peperasmevnon: to; ga;r tevkmar kai; pevra" taujtovn ejsti kata;
10 th;n ajrcaivan glw'ttan. e[stin de; tw'n shmeivwn to; me;n wJ"
to; kaqΔ e{kaston pro;" to; kaqovlou w|de, oi|on ei[ ti" ei[peien
shmei'on ei\nai o{ti oiJ sofoi; divkaioi, Swkravth" ga;r sofo;"
h\n kai; divkaio". tou'to me;n ou\n shmei'on, luto;n dev, ka]n
ajlhqe;" h\/ to; eijrhmevnon (ajsullovgiston ga;r), to; dev, oi|on ei[
2. LE ARGOMENTAZIONI RETORICHE 23

per così dire, è necessario, dal momento, inoltre, che ciò


che si verifica e che è possibile per lo più va necessaria-
mente dedotto da altri fatti di questo tipo, mentre quel-
le necessarie da quelle necessarie, e questo risulta a noi
evidente dagli Analitici 16), è chiaro che, a partire dalle 30

premesse dalle quali si definiscono gli entimemi, alcune


di queste saranno necessarie, ma per la massima parte sa-
ranno «per lo più»17; gli entimemi, inoltre, si ricavano dai
verosimili e dai segni18, di conseguenza è necessario che
tali elementi rispecchino quei due tipi di proposizioni19.
Il verosimile è quanto si verifica per lo più, ma non 35

in senso assoluto – come alcuni lo definiscono –, bensì,


nell’ambito delle cose che possono essere diversamente,
esso sta a ciò di cui è verosimile come l’universale sta al 1357b
particolare. Tra i segni, invece, l’uno ha lo stesso tipo di
rapporto che vi è tra particolare e universale, l’altro come
quello che vi è tra universale e particolare. Di questi, se-
gno necessario è la «prova», mentre quello non necessario
non ha nome corrispondente a tale distinzione. Dunque, 5

chiamo «necessari» gli elementi da cui deriva un sillogi-


smo. Per questo motivo segni di questo tipo sono anche
detti «prova»: infatti, quando si pensa che non sia pos-
sibile confutare quanto è stato detto, allora si ritiene di
addurre una prova come qualcosa di dimostrato e giunto
a compimento; infatti, «prova» (tevkmar) e «compimen-
to» (pevra") hanno lo stesso significato nella lingua anti-
ca. Tra i segni, alcuni stanno come il particolare rispetto 10

all’universale – come se si dicesse che segno che i sapienti


sono giusti è il fatto che Socrate fosse sapiente e giusto, il
che, dunque, è un segno, ma confutabile per quanto l’af-
fermazione possa essere vera (infatti è asillogistica) – altri
invece mostrano un nesso necessario – come se si dicesse
che segno dell’essere ammalato è il fatto di avere la feb-
bre, o segno che la donna ha partorito è il fatto che ha
24 RETORICA I, 1357b 15 - 1358a 5

15 ti" ei[peien shmei'on o{ti nosei', purevttei gavr, h] tevtoken, o{ti


gavla e[cei, ajnagkai'on. o{per tw'n shmeivwn tekmhvrion movnon
ejstivn: movnon gavr, a]n ajlhqe;" h\/, a[lutovn ejstin. to; de; wJ" to;
kaqovlou pro;" to; kata; mevro" e[con, oi|on ei[ ti" ei[peien o{ti
purevttei shmei'on ei\nai, pukno;n ga;r ajnapnei'. luto;n de; kai;
20 tou'to, ka]n ajlhqe;" h\/: ejndevcetai ga;r kai; mh; purevttonta
pneustia'n. tiv me;n ou\n eijkov" ejsti kai; tiv shmei'on kai;
tekmhvrion, kai; tiv diafevrousin, ei[rhtai me;n kai; nu'n, ma'l-
lon de; fanerw'" kai; peri; touvtwn, kai; dia; tivnΔ aijtivan ta;
me;n ajsullovgistav ejsti ta; de; sullelogismevna, ejn toi'" ΔAna-
25 lutikoi'" diwvristai peri; aujtw'n.
paravdeigma de; o{ti mevn ejstin ejpagwgh; kai; peri; poi'a ejpagwghv,
ei[rhtai: e[sti de; ou[te wJ" mevro" pro;" o{lon ou[qΔ wJ" o{lon pro;"
mevro" ou[qΔ wJ" o{lon pro;" o{lon, ajllΔ wJ" mevro" pro;" mevro", o{moion
pro;" o{moion < o{tan a[mfw me;n h\/ uJpo; to; aujto; gevno", gnwrimwvte-
30 ron de; qavteron h\/ qatevrou, paravdeigmav ejstin: oi|on o{ti ejp-
ebouvleue turannivdi Dionuvsio" aijtw'n th;n fulakhvn: kai; ga;r Peisiv-
strato" provteron ejpibouleuvwn h[t/ ei fulakh;n kai; labw;n ejturavn-
nhse, kai; Qeagevnh" ejn Megavroi": kai; a[lloi o{sou" i[sasi,
paravdeigma pavnte" givgnontai tou' Dionusivou, o}n oujk i[sasivn
35 pw eij dia; tou'to aijtei'. pavnta de; tau'ta uJpo; to; aujto; kaqovlou,
o{ti oJ ejpibouleuvwn turannivdi fulakh;n aijtei'.
1358a ejx w|n me;n ou\n levgontai aiJ dokou'sai ei\nai pivstei" ajpodeikti-
kaiv, ei[rhtai. tw'n de; ejnqumhmavtwn megivsth diafora; kai;
mavlista lelhqui'a scedo;n para; pa's ivn ejstin h{per kai; peri; th;n
dialektikh;n mevqodon tw'n sullogismw'n: ta; me;n ga;r aujtw'n
5 ejsti kata; th;n rJhtorikh;n w{sper kai; kata; th;n dialektikh;n
2. LE ARGOMENTAZIONI RETORICHE 25

il latte; tra i segni, questo nesso è il solo a costituire una 15

prova: difatti è l’unico, nel caso in cui sia vero, a essere in-
confutabile. Quest’altro segno ancora si comporta come
l’universale di fronte al particolare – come se uno dicesse
che l’avere febbre è segno, poiché respira rapidamente –
ma può essere confutato anche questo, per quanto possa 20

essere vero: infatti, è possibile che si respiri con affanno


anche se non si ha la febbre.
Che cos’è un verosimile, che cosa un segno e una pro-
va, e in che cosa differiscano, si è appena detto, ma su
tali questioni e con maggior chiarezza e per quale motivo
alcuni siano asillogistici altri invece si possano ricondurre
a sillogismi, è stato più chiaramente definito negli Anali- 25

tici 20.
Sull’esempio come induzione e su quali elementi vi sia
induzione si è detto: non si comporta né come parte ri-
spetto al tutto, né come tutto rispetto alla parte, né come
totalità rispetto a una totalità, ma come parte rispetto alla
parte, come simile rispetto al simile. Quando entrambi i
termini siano sotto lo stesso genere, ma l’uno è più noto
dell’altro, si ha appunto un esempio; come il caso di Dio- 30

nisio che aspirava alla tirannide avendo chiesto una scor-


ta: in precedenza, infatti, anche Pisistrato, cospirando,
aveva domandato una scorta, e, dopo averla ottenuta, di-
venne tiranno, e lo stesso fece Teagene a Megara. E tutti
quei casi che altri conoscono diventano un esempio per il
caso di Dionisio, del quale ancora non si sa se è per tale 35

motivo che fa la sua richiesta. Tutti questi esempi rientra-


no sotto la medesima nozione generale: «chi aspira alla
tirannide domanda una scorta».
Da dove, dunque, si enunciano quelle che sembrano 1358a
essere persuasioni dimostrative, si è detto. Tra gli entime-
mi la differenza più grande – e che, soprattutto, è passata
inosservata quasi a tutti – è quella, sussistente pure nel 5
26 RETORICA I, 1358a 6-30

mevqodon tw'n sullogismw'n, ta; de; katΔ a[lla" tevcna" kai;


dunavmei", ta;" me;n ou[sa" ta;" dΔ ou[pw kateilhmmevna": dio;
kai; lanqavnousivn te tou;" ajkroata;" kai; ªma'llonº aJptovmenoi
kata; trovpon metabaivnousin ejx aujtw'n. ma'llon de; safe;"
10 e[stai to; legovmenon dia; pleiovnwn rJhqevn. levgw ga;r dia-
lektikouv" te kai; rJhtorikou;" sullogismou;" ei\nai peri; w|n tou;"
tovpou" levgomen: ou|toi dΔ eijs i;n oiJ koinoi; peri; dikaivwn kai;
fusikw'n kai; peri; politikw'n kai; peri; pollw'n diaferovn-
twn ei[dei, oi|on oJ tou' ma'llon kai; h|tton tovpo": oujde;n ga;r
15 ma'llon e[stai ejk touvtou sullogivsasqai h] ejnquvmhma eijpei'n
peri; dikaivwn h] peri; fusikw'n h] peri; oJtouou'n: kaivtoi tau'ta ei[dei
diafevrei. i[dia de; o{sa ejk tw'n peri; e{kaston ei\do" kai; gev-
no" protavsewvn ejstin, oi|on peri; fusikw'n eijs i protavsei" ejx
w|n ou[te ejnquvmhma ou[te sullogismo;" e[sti peri; tw'n hjqikw'n,
20 kai; peri; touvtwn a[llai ejx w|n oujk e[stai peri; tw'n fusikw'n:
oJmoivw" de; tou'tΔ e[cei ejpi; pavntwn. kajkei'na me;n ouj poihvsei
peri; oujde;n gevno" e[mfrona: peri; oujde;n ga;r uJpokeivmenovn ejstin:
tau'ta de; o{sw/ ti" a]n bevltion ejklevghtai ªta;" protavsei~º,
lhvsei poihvsa" a[llhn ejpisthvmhn th'" dialektikh'" kai; rJhto-
25 rikh'": a]n ga;r ejntuvch/ ajrcai'", oujkevti dialektikh; oujde; rJh-
torikh; ajllΔ ejkeivnh e[stai h|" e[cei ta;" ajrcav". e[sti de; ta;
plei'sta tw'n ejnqumhmavtwn ejk touvtwn tw'n eijdw'n legovmena,
tw'n kata; mevro" kai; ijdivwn, ejk de; tw'n koinw'n ejlavttw.
kaqavper ou\n kai; ejn toi'" Topikoi'", kai; ejntau'qa diairetevon
30 tw'n ejnqumhmavtwn tav te ei[dh kai; tou;" tovpou" ejx w|n lhptevon.
2. LE ARGOMENTAZIONI RETORICHE 27

metodo dialettico, tra i sillogismi. Di questi, infatti, parte


sono di competenza al metodo retorico così come par-
te lo sono del metodo dialettico, parte di altre tecniche
e altre facoltà, alcune delle quali già esistenti, altre non
ancora possedute. Anche per questo sfuggono agli ascol-
tatori, e più sono attinenti alla disciplina, più si va oltre i
limiti di retorica e dialettica. Più chiaro risulterà quanto 10

si è detto, se esposto con maggiori dettagli. Affermo che


sono sillogismi dialettici e retorici quelli riguardo ai qua-
li parliamo di «luoghi» che sono «comuni» a questioni
riguardanti la giustizia, la fisica, la politica e molte altre
discipline di specie differente, tale, ad esempio, è il luo-
go «del più o del meno», infatti da questo luogo si potrà 15

sviluppare un sillogismo e pure formulare un entimema


su argomenti di giustizia, o di fisica o su qualunque al-
tro tema, sebbene questi differiscano per specie. «Luo-
ghi propri»sono quelli a partire dai quali si sviluppano
sillogismi ripartiti però per ciascuna specie e per ciascun
genere: ad esempio, in fisica ci sono premesse dalle quali
non è possibile trarre un sillogismo o un entimema per l’e-
tica, e in quest’ultima non ve ne sono altre per la fisica. Lo 20

stesso si ottiene per tutti gli altri ambiti. I «luoghi comu-


ni» non renderanno esperti in nessun genere: infatti, non
riguardano nessun soggetto specifico. Invece, per quanto
riguarda quelli «propri», nella misura in cui migliore sarà
la scelta delle premesse, si renderà, senza accorgersene,
una competenza di tipo scientifico diversa dalla dialetti-
ca e dalla retorica, perché, se ci si imbatte nei principi, 25

non sarà più né dialettica né retorica, ma quella discipli-


na di cui si posseggono i principi. La maggior parte di
enunciati di entimemi è tratta da questi luoghi specifici,
particolari e propri, in misura minore da quelli comuni.
Dunque, come nei Topici 21, anche qui si deve distinguere,
fra entimemi, «specie» e «luoghi» dai quali vengono tratti. 30
28 RETORICA I, 1358a 31 - b 16

levgw dΔ ei[dh me;n ta;" kaqΔ e{kaston gevno" ijdiva" protavsei",


tovpou" de; tou;" koinou;" oJmoivw" pavntwn. provteron ou\n ei[pwmen
peri; tw'n eijdw'n: prw'ton de; lavbwmen ta; gevnh th'" rJhtori-
kh'", o{pw" dielovmenoi povsa ejstivn, peri; touvtwn cwri;" lam-
35 bavnwmen ta; stoicei'a kai; ta;" protavsei".

3. “Estin de; th'" rJhtorikh'" ei[dh triva to;n ajriqmovn: tosou'toi


ga;r kai; oiJ ajkroatai; tw'n lovgwn uJpavrcousin o[nte". suvg-
keitai me;n ga;r ejk triw'n oJ lovgo", e[k te tou' levgonto" kai;
1358b peri; ou| levgei kai; pro;" o{n, kai; to; tevlo" pro;" tou'tovn ejstin,
levgw de; to;n ajkroathvn. ajnavgkh de; to;n ajkroath;n h] qewro;n
ei\nai h] krithvn, krith;n de; h] tw'n gegenhmevnwn h] tw'n mel-
lovntwn. e[stin dΔ oJ me;n peri; tw'n mellovntwn krivnwn oJ ejk-
5 klhsiasthv", oJ de; peri; tw'n gegenhmevnwn ªoi|onº oJ dikasthv", oJ
de; peri; th'" dunavmew" oJ qewrov", w{stΔ ejx ajnavgkh" a]n ei[h
triva gevnh tw'n lovgwn tw'n rJhtorikw'n, sumbouleutikovn, dika-
nikovn, ejpideiktikovn. sumboulh'" de; to; me;n protrophv, to;
de; ajpotrophv: ajei; ga;r kai; oiJ ijdiva/ sumbouleuvonte" kai; oiJ
10 koinh'/ dhmhgorou'nte" touvtwn qavteron poiou's in. divkh" de; to; me;n
kathgoriva, to; dΔ ajpologiva: touvtwn ga;r oJpoteronou'n poiei'n
ajnavgkh tou;" ajmILsbhtou'nta". ejpideiktikou' de; to; me;n e[p-
aino" to; de; yovgo". crovnoi de; eJkavstou touvtwn eijs i; tw'/ me;n
sumbouleuvonti oJ mevllwn (peri; ga;r tw'n ejsomevnwn sumbou-
15 leuvei h] protrevpwn h] ajpotrevpwn), tw'/ de; dikazomevnw/ oJ ge-
novmeno" (peri; ga;r tw'n pepragmevnwn ajei; oJ me;n kathgorei',
3. I TRE GENERI DELLA RETORICA 29

Chiamo «specie» le premesse relative a ciascun genere


particolare, «luoghi» quelle «comuni» in ugual modo a
tutti i generi.
Per cominciare discutiamo delle «specie», in primo
luogo, esaminando i generi della retorica, perché, dopo
aver risolto quanti sono, se ne possa distintamente consi- 35

derare gli elementi e le premesse.

3. I tre generi della retorica

Si contano tre specie di retorica, poiché altrettanti sono


pure i tipi di uditorio. E poiché l’orazione si compone
di tre elementi – di chi parla, di ciò intorno a cui si parla 1358b
e di colui al quale si parla, e il fine del discorso è a lui
diretto (intendo l’uditore), necessariamente l’ascoltatore
o è uno spettatore o uno che giudica, ed è giudice o di
avvenimenti passati o futuri. Di avvenimenti futuri è giu-
dice il membro dell’assemblea, di quelli passati il giudice 5

del tribunale, delle capacità dell’oratore lo spettatore.


Di conseguenza vi saranno tre generi di discorsi retorici:
«deliberativo», «giudiziario», «epidittico».
Di un’assemblea è parte tanto l’esortazione quanto la
dissuasione: infatti, sia chi dà consiglio in privato sia chi
parla pubblicamente nelle assemblee realizza sempre una 10

di queste due cose. È invece prerogativa del processo da


un lato l’accusa dall’altro la difesa: di fatto, le parti in
causa svolgono necessariamente o l’uno o l’altro compi-
to. Del «genere epidittico» fanno parte per un verso la
lode per un altro il biasimo.
Vi sono tempi per ciascuno di questi generi: il futu-
ro per chi consiglia (infatti, riguardo avvenimenti futu-
ri, consiglia o esortando o dissuadendo); il passato per 15

chi è chiamato a parlare in tribunale (infatti uno accusa


30 RETORICA I, 1358b 17 - 1359a 4

oJ de; ajpologei'tai), tw'/ dΔ ejpideiktikw'/ kuriwvtato" me;n oJ


parwvn (kata; ga;r ta; uJpavrconta ejpainou's in h] yevgousin
pavnte~), proscrw'ntai de; pollavki" kai; ta; genovmena ajna-
20 mimnhvskonte" kai; ta; mevllonta proeikavzonte". tevlo" de;
eJkavstoi" touvtwn e{terovn ejsti, kai; trisi;n ou\s i triva, tw'/ me;n
sumbouleuvonti to; sumfevron kai; blaberovn: oJ me;n ga;r
protrevpwn wJ" bevltion sumbouleuvei, oJ de; ajpotrevpwn wJ"
ceivrono" ajpotrevpei, ta; dΔ a[lla pro;" tou'to sumparalam-
25 bavnei, h] divkaion h] a[dikon, h] kalo;n h] aijscrovn: toi'" de;
dikazomevnoi" to; divkaion kai; to; a[dikon, ta; dΔ a[lla kai; ou|toi
sumparalambavnousi pro;" tau'ta: toi'" dΔ ejpainou's in kai;
yevgousin to; kalo;n kai; to; aijscrovn, ta; dΔ a[lla kai; ou|toi
pro;" tau'ta ejpanafevrousin. shmei'on dΔ o{ti to; eijrhmevnon
30 eJkavstoi" tevlo": peri; me;n ga;r tw'n a[llwn ejnivote oujk a]n
ajmILsbhthvsaien, oi|on oJ dikazovmeno" wJ" ouj gevgonen h]
oujk e[blayen: o{ti dΔ ajdikei' oujdevpotΔ a]n oJmologhvseien:
oujde;n ga;r a]n e[dei divkh". oJmoivw" de; kai; oiJ sumbouleuvonte"
ta; me;n a[lla pollavki" proiv>entai, wJ" de; ajsuvmfora sum-
35 bouleuvousin h] ajpΔ wjfelivmwn ajpotrevpousin oujk a]n oJmologhv-
saien: wJ" dΔ ªoujkº a[dikon tou;" ajstugeivtona" katadoulou'sqai
kai; tou;" mhde;n ajdikou'nta", pollavki" oujde;n frontivzousin.
oJmoivw" de; kai; oiJ ejpainou'nte" kai; oiJ yevgonte" ouj skopou's in
1359a eij sumfevronta e[praxen h] blaberav, ajlla; kai; ejn ejpaivnw/
pollavki" tiqevasin o{ti ojligwrhvsa" tou' auJtw'/ lusitelou'nto"
e[praxen o{ ti kalovn, oi|on ΔAcilleva ejpainou's in o{ti ejbohvqhse
tw'/ eJtaivrw/ Patrovklw/ eijdw;" o{ti dei' aujto;n ajpoqanei'n ejxo;n zh'n.
3. I TRE GENERI DELLA RETORICA 31

e l’altro difende sempre in relazione a fatti accaduti); il


presente, invece, è quello più appropriato per il genere
epidittico (infatti, tutti lodano o biasimano a seconda di
ciò che accade), spesso però si usa dell’altro sia quando
si rievocano cose trascorse sia quando si prefigurano av- 20

venimenti futuri.
Diverso, inoltre, è il fine per ciascuno di questi generi,
e poiché questi sono tre, tre sono i fini: per chi consiglia,
fini sono l’utile e il dannoso (per un verso, infatti, chi
esorta consiglia per il meglio, chi sconsiglia lo fa come se
dissuadesse dal peggio, inoltre, insieme a questi possono
aggiungersene altri come il giusto o l’ingiusto, il bello o 25

il brutto); per chi viene chiamato a parlare in tribunale,


fini sono il giusto o l’ingiusto (e pure lui, insieme a giusto
e ingiusto, può aggiungerne altri); per chi loda o biasima
il bello e il brutto (ma, in relazione a questi, anch’essi
possono fare riferimento a fini di altri generi).
Vi è un indizio infatti che ciò che s’è detto costituisce 30

il fine per ciascuno dei tre: su altre cose a volte si può


anche non dibattere, come chi parla in tribunale può an-
che non discutere che un fatto non sia accaduto o non
abbia procurato un danno, ma che esso sia ingiusto non
lo ammetterà mai: infatti non ci sarebbe bisogno di un
processo. Allo stesso modo anche coloro che delibera-
no spesso trascurano altro, ma non riconoscerebbero di
esortare a cose svantaggiose o di dissuadere da cose utili, 35

mentre spesso non si preoccupa per niente del fatto che è


ingiusto rendere schiavi i vicini, e quelli che non sono per
niente colpevoli. Così pure, chi loda o biasima non guar- 1359a
da se siano state fatte cose utili o dannose; spesso, tutta-
via, nella lode teniamo in conto che chi ha avuto poco
vantaggio per sé ha fatto qualcosa di bello, ad esempio,
si loda Achille perché venne in soccorso all’amico Patro-
clo pur sapendo di dover morire, mentre avrebbe potuto
32 RETORICA I, 1359a 5-29

5 touvtw/ de; oJ me;n toiou'to" qavnato" kavllion, to; de; zh'n sumfevron.
fanero;n de; ejk tw'n eijrhmevnwn o{ti ajnavgkh peri; touv-
twn e[cein prw'ton ta;" protavsei": ta; ga;r tekmhvria kai;
ta; eijkovta kai; ta; shmei'a protavsei" eijs i;n rJhtorikaiv: o{lw"
me;n ga;r sullogismo;" ejk protavsewvn ejstin, to; dΔ ejnquvmhma
10 sullogismov" ejsti sunesthkw;" ejk tw'n eijrhmevnwn protavsewn.
ejpei; de; ou[te pracqh'nai oi|ovn te ou[te pepra'cqai ta; ajduv-
nata ajlla; ta; dunatav, oujde; ta; mh; genovmena h] mh; ejsov-
mena ªoujcº oi|ovn te ta; me;n pepra'cqai, ta; de; pracqhvsesqai,
ajnagkai'on kai; tw'/ sumbouleuvonti kai; tw'/ dikazomevnw/ kai;
15 tw'/ ejpideiktikw'/ e[cein protavsei" peri; dunatou' kai; ajdunavtou,
kai; eij gevgonen h] mhv, kai; eij e[stai h] mhv. e[ti de; ejpei; a{pan-
te", kai; ejpainou'nte" kai; yevgonte", kai; protrevponte" kai;
ajpotrevponte", kai; kathgorou'nte" kai; ajpologouvmenoi, ouj movnon
ta; eijrhmevna deiknuvnai peirw'ntai, ajlla; kai; o{ti mevga h]
20 mikro;n to; ajgaqo;n h] to; kakovn, h] to; kalo;n h] to; aijscrovn,
h] to; divkaion h] to; a[dikon, h] kaqΔ auJta; levgonte" h] pro;"
a[llhla ajntiparabavllonte", dh'lon o{ti devoi a]n kai; peri;
megevqou" kai; mikrovthto" kai; tou' meivzono" kai; tou' ejlavttono"
protavsei" e[cein, kai; kaqovlou kai; peri; eJkavstou, oi|on tiv mei'-
25 zon ajgaqo;n h] e[latton h] ajdivkhma h] dikaivwma: oJmoivw" de;
kai; peri; tw'n a[llwn. peri; w|n me;n ou\n ejx ajnavgkh" dei'
labei'n ta;" protavsei", ei[rhtai: meta; de; tau'ta diairetevon
ijdiva/ peri; eJkavstou touvtwn, oi|on peri; w|n sumboulh; kai; peri;
w|n oiJ ejpideiktikoi; lovgoi, trivton de; peri; w|n aiJ divkai.
3. I TRE GENERI DELLA RETORICA 33

continuare a vivere. Per lui una morte siffatta era più bel- 5

la, vivere, invece, era vantaggioso22.


È evidente, da quanto si è detto, che è necessario
avere innanzitutto le premesse su queste cose, dato che
prove, verosimili e segni sono premesse retoriche e dal
momento che, in generale, vi è sillogismo a partire dal-
le premesse e l’entimema è sillogismo che si compone a 10

partire dalle premesse suddette. Poiché, al contrario di


quelle possibili, le cose impossibili né si realizzeranno né
sono state realizzate, né accadranno né sono mai acca-
dute, né sono state fatte o si faranno, è necessario a chi
consiglia, a chi parla in tribunale e in ambito epidittico 15

avere premesse su ciò che è possibile e su ciò che non lo


è, e se qualcosa è accaduto o no e se si verificherà o no.
Inoltre, poiché tutti quanti – quelli che lodano e biasi-
mano, quelli che esortano e quelli che dissuadono, quelli
che accusano e quelli che difendono – non solo tentano
di mostrare le cose che si sono dette, ma anche se grande
o piccolo sia il bene o il male, il bello o il brutto, il giusto 20

o l’ingiusto, considerandoli per sé stessi o confrontandoli


tra loro, è chiaro che bisogna possedere premesse anche
di grandezza o piccolezza, di maggiore o di minore e in
generale e in particolare: per esempio, che cosa è un bene 25

maggiore o minore, un atto ingiusto o giusto e così anche


per le altre cose.
Dunque, intorno a cosa si devono necessariamente
assumere le premesse s’è detto; dopo di che occorrono
distinzioni particolareggiate per ciascuna di queste, ad
esempio sulle premesse che riguardano la deliberazione,
i discorsi epidittici e, terzo, quelli concernenti le azioni
giudiziarie.
34 RETORICA I, 1359a 30 - b 14

30 4. Prw'ton me;n ou\n lhptevon peri; poi'a ajgaqa; h] kaka;


oJ sumbouleuvwn sumbouleuvei, ejpeidh; ouj peri; a{panta ajllΔ
o{sa ejndevcetai kai; genevsqai kai; mhv, o{sa de; ejx ajnavgkh" h]
e[stin h] e[stai, h] ajduvnaton h] ei\nai h] genevsqai, peri; de; touvtwn
oujk e[sti sumboulhv. oujde; dh; peri; tw'n ejndecomevnwn aJpavntwn:
35 e[stin ga;r kai; fuvsei e[nia kai; ajpo; tuvch" ginovmena ajgaqa;
tw'n ejndecomevnwn kai; givgnesqai kai; mhv, peri; w|n oujde;n pro;
e[rgou to; sumbouleuvein: ajlla; dh'lon o{ti peri; o{swn ejsti;n to;
bouleuvesqai. toiau'ta dΔ ejsti;n o{sa pevfuken ajnavgesqai eij"
hJma'", kai; w|n hJ ajrch; th'" genevsew" ejfΔ hJmi'n ejstin: mevcri ga;r touv-
1359b tou skopou'men, e{w" a]n eu{rwmen eij hJmi'n dunata; h] ajduvnata pra'xai.
kaqΔ e{kaston me;n ou\n ajkribw'" diariqmhvsasqai kai;
dialabei'n eij" ei[dh peri; w|n eijwvqasi crhmativzein, e[ti
dΔ o{son ejndevcetai peri; aujtw'n diorivsai kata; th;n ajlhv-
5 qeian, ouj dei' kata; to;n parovnta kairo;n zhtei'n dia; to;
mhvte th'" rJhtorikh'" ei\nai tevcnh", ajllΔ ejmfronestevra" kai;
ma'llon ajlhqinh'", pollw'/ te pleivw dedovsqai kai; nu'n aujth'/
tw'n oijkeivwn qewrhmavtwn: o{per ga;r kai; provteron eijrhkovte"
tugcavnomen ajlhqev" ejstin, o{ti hJ rJhtorikh; suvgkeitai me;n
10 e[k te th'" ajnalutikh'" ejpisthvmh" kai; th'" peri; ta; h[qh po-
litikh'", oJmoiva dΔ ejsti;n ta; me;n th'/ dialektikh'/ ta; de; toi'"
soILstikoi'" lovgoi". o{sw/ dΔ a[n ti" h] th;n dialektikh;n h]
tauvthn mh; kaqavper a]n dunavmei" ajllΔ ejpisthvma" peira'tai
kataskeuavzein, lhvsetai th;n fuvs in aujtw'n ajfanivsa" tw'/ meta-
4. IL GENERE DELIBERATIVO. CARATTERI GENERALI 35

4. Il genere deliberativo. Caratteri generali

In primo luogo, quindi, occorre capire su quali cose, 30

buone o cattive, chi dà pareri consiglia, dato che non ci


si pronuncia su tutto quanto ma solo su cose possibili, sia
che si siano verificate sia che non si siano verificate, men-
tre su quelle che per necessità sussistono o saranno, o che
non è possibile che siano o che siano accadute, ebbene
intorno a queste non può esservi parere. In fondo neppu-
re su tutti quanti i beni possibili può esservi consiglio: vi
sono, infatti, alcune cose buone tra quelle possibili, acca- 35

dute per natura o per caso, sulle quali, che si verifichino


o meno, il consigliare non ha alcuna funzione; al contra-
rio, è ovvio su quali cose si eserciti il deliberare: tali sono
quelle che, per natura, sono riconducibili a noi, quelle,
cioè, il cui principio d’origine dipende da noi. Indaghia-
mo, infatti, fino a questo punto, finché scopriamo se per 1359b
noi i beni sono possibili o impossibili da realizzare. Per-
tanto, in questo momento non è necessario chiedere che
si enumeri, caso per caso, con rigore e si suddividano in
specie argomenti su cui di solito si producono delibera-
zioni, e ancora che, per quanto possibile, si facciano de-
finizioni conformi al vero, in ragione del fatto che queste 5

non sono di competenza dell’arte retorica, bensì di un’ar-


te più sapiente e veritiera, eppure ancora adesso assegna-
te in numero di gran lunga superiore rispetto agli oggetti
d’indagine appropriati alla retorica. Infatti, ciò che anche
prima ci siamo trovati a dire è vero23, vale a dire che la re- 10

torica si compone della scienza analitica24 e di quella po-


litica riguardo i costumi, e che per un verso vi sono cose
simili alla dialettica per un altro ai discorsi sofistici. Nella
misura in cui si tenti di organizzare la dialettica o la stessa
retorica non come facoltà ma come scienza25, non si farà
caso al fatto che la loro reale natura è stata oscurata con
36 RETORICA I, 1359b 15 - 1360a 2

15 baivnein ejpiskeuavzwn eij" ejpisthvma" uJpokeimevnwn tinw'n pra-


gmavtwn, ajlla; mh; movnon lovgwn. o{mw" de; o{sa pro; e[rgou mevn
ejsti dielei'n, e[ti dΔ uJpoleivpei skevy in th'/ politikh'/ ejpisthvmh/,
ei[pwmen kai; nu'n.
scedo;n gavr, peri; w|n bouleuvontai pavnte" kai; peri; w|n ajgo-
20 reuvousin oiJ sumbouleuvonte", ta; mevgista tugcavnei pevnte to;n
ajriqmo;n o[nta: tau'ta dΔ ejsti;n periv te povrwn, kai; polevmou kai;
eijrhvnh", e[ti de; peri; fulakh'" th'" cwvra", kai; tw'n eijsagomevnwn
kai; ejxagomevnwn, kai; nomoqesiva": w{ste peri; me;n povrwn to;n
mevllonta sumbouleuvein devoi a]n ta;" prosovdou" th'" povlew" eijdevnai
25 tivne" kai; povsai, o{pw" ei[te ti" paraleivpetai prosteqh'/ kai;
ei[ ti" ejlavttwn aujxhqh'/, e[ti de; ta;" dapavna" th'" povlew"
aJpavsa", o{pw" ei[ ti" perivergo" ajfaireqh'/ kai; ei[ ti" meivzwn
ejlavttwn gevnhtai: ouj ga;r movnon pro;" ta; uJpavrconta pros-
tiqevnte" plousiwvteroi givgnontai, ajlla; kai; ajfairou'nte" tw'n
30 dapanhmavtwn. tau'ta dΔ ouj movnon ejk th'" peri; ta; i[dia ejm-
peiriva" ejndevcetai sunora'n, ajllΔ ajnagkai'on kai; tw'n para; toi'" a[l-
loi" euJrhmevnwn iJstoriko;n ei\nai pro;" th;n peri; touvtwn sumboulhvn.
peri; de; polevmou kai; eijrhvnh" th;n duvnamin eijdevnai
th'" povlew", oJpovsh te uJpavrcei h[dh kai; povshn ejndevce-
35 tai uJpavrxai, kai; poiva ti" h{ te uJpavrcousav ejstin kai;
h{ti" ejndevcetai prosgenevsqai, e[ti de; polevmou" pw'" kai; tivna"
pepolevmhken. ouj movnon de; th'" oijkeiva" povlew" ajlla;
kai; tw'n oJmovrwn tau'ta ajnagkai'on eijdevnai, kai; pro;" ou}"
ejpivdoxon polemei'n, o{pw" pro;" me;n tou;" kreivttou" eijrhneuvhtai,
1360a pro;" de; tou;" h{ttou" ejfΔ auJtoi'" h\/ to; polemei'n, kai; ta;" du-
navmei", povteron o{moiai h] ajnovmoiai: e[stin ga;r kai; tauvth/ pleon-
4. IL GENERE DELIBERATIVO. CARATTERI GENERALI 37

tale cambiamento, essendo state rifondate come scienze 15

di certi specifici argomenti anziché soltanto di discorsi.


Nel mentre, è comunque possibile esporre tutto ciò che è
utile analizzare, riservando, poi, l’indagine vera e propria
alla scienza politica. Infatti, le cose più importanti, sulle
quali tutti deliberano e sulle quali chi consiglia parla in 20

una pubblica assemblea, risultano pressappoco cinque di


numero. Queste riguardano risorse, guerra e pace, inoltre
difesa del territorio, importazioni e esportazioni, promul-
gazione delle leggi.
Di conseguenza, chi si accinge a consigliare sulle ri-
sorse dovrebbe conoscere le entrate della città, quali e 25

quante siano, affinché se qualcosa manchi si aggiunga e


se qualcosa scarseggi si aumenti; e ancora conosca tutte
quante le spese della città, affinché, se una è superflua
sia eliminata e se una è maggiore del dovuto venga ri-
dimensionata. In effetti, diventano più ricchi non solo
quelli che aggiungono a ciò che hanno, ma anche quelli
che diminuiscono l’ammontare delle spese. Non è però 30

possibile avere una visione d’insieme su tali cose soltanto


sulla base dell’esperienza di faccende locali, ma, per una
consulta su tali questioni, è altresì necessario che si sia
capaci d’indagare ciò che è stato scoperto da altri.
Riguardo la guerra e la pace, occorre conoscere la po-
tenza della città, quanta ce n’è già e quanta è possibile
che ce ne sia, e quale sia quella presente e quale quel- 35

la che potrebbe esserci, e ancora in che modo e quali


guerre essa ha combattuto. Occorre sapere le stesse cose
non solo della propria città, ma anche di quelle vicine
e contro chi è possibile combattere, affinché si rimanga
in pace con i più forti, spetti a noi il modo di muovere 1360a
guerra contro i più deboli e si abbia modo di sapere se
siano di pari entità o non lo siano le forze disponibili:
infatti anche a tale riguardo si può essere in condizioni
38 RETORICA I, 1360a 3-27

ektei'n h] ejlattou'sqai. ajnagkai'on de; kai; pro;" tau'ta mh; movnon tou;"
oijkeivou" polevmou" teqewrhkevnai ajlla; kai; tou;" tw'n a[llwn, pw'"
5 ajpobaivnousin: ajpo; ga;r tw'n oJmoivwn ta; o{moia givgnesqai pevfuken.
e[ti de; peri; fulakh'" th'" cwvra" mh; lanqavnein pw'"
fulavttetai, ajlla; kai; to; plh'qo" eijdevnai th'" fulakh'" kai;
to; ei\do" kai; tou;" tovpou" tw'n fulakthrivwn (tou'to dΔ ajduv-
naton mh; e[mpeiron o[nta th'" cwvra~), i{nΔ ei[ tΔ ejlavttwn hJ fu-
10 lakh; prosteqh'/ kai; ei[ ti" perivergo" ajfaireqh'/ kai; tou;" ejpi-
thdeivou" tovpou" thrw's i ma'llon.
e[ti de; peri; trofh'", povsh ªdapavnhº iJkanh; th'/ povlei kai; poiva,
hJ aujtou' te gignomevnh kai; ãhJÃ eijsagwvgimo", kai; tivnwn tΔ ejx-
agwgh'" devontai kai; tivnwn ãkai; para; tivnwnà eijsagwgh'", i{na
15 pro;" touvtou" kai; sunqh'kai kai; sumbolai; givgnwntai: pro;" duvo
ga;r diafulavttein ajnagkai'on ajnegklhvtou" tou;" polivta", prov"
te tou;" kreivttou" kai; pro;" tou;" eij" tau'ta crhsivmou".
eij" dΔ ajsfavleian a{panta me;n tau'ta ajnagkai'on duvnasqai qe-
wrei'n, oujk ejlavciston de; peri; nomoqesiva" ejpaive> in: ejn ga;r toi'" nov-
20 moi" ejsti;n hJ swthriva th'" povlew", w{stΔ ajnagkai'on eijdevnai povsa
tev ejsti politeiw'n ei[dh, kai; poi'a sumfevrei eJkavsth/, kai; uJpo;
tivnwn fqeivresqai pevfuken kai; oijkeivwn th'" politeiva" kai;
ejnantivwn. levgw de; to; uJpo; oijkeivwn fqeivresqai, o{ti e[xw th'"
beltivsth" politeiva" aiJ a[llai pa'sai kai; ajnievmenai kai;
25 ejpiteinovmenai fqeivrontai, oi|on dhmokrativa ouj movnon ajniemevnh
ajsqenestevra givgnetai w{ste tevlo" h{xei eij" ojligarcivan, ajlla;
kai; ejpiteinomevnh sfovdra: w{sper kai; hJ grupovth" kai; hJ simov-
4. IL GENERE DELIBERATIVO. CARATTERI GENERALI 39

di superiorità o di inferiorità. Invero, ancora su queste


cose, occorre avere bene osservato non soltanto le pro-
prie guerre, ma anche quelle degli altri, in che condizioni
ci si arriva, dal momento che, per natura, da cose simili si 5

giunge a effetti simili.


Ancora, riguardo la difesa del territorio bisogna che
non si trascuri come proteggerlo, bensì conoscere quan-
tità, genere e luoghi delle postazioni di difesa (il che è
impossibile se non si è pratici della zona), affinché, qua-
lora la protezione sia carente, si rinforzi e se superflua si 10

riduca, e si sorveglino di più i luoghi strategici.


Inoltre, riguardo l’approvvigionamento, per la città
occorre conoscere quantità e tipo di spesa sostenibile, ciò
che è stato prodotto a livello locale e ciò che ci si può pro-
curare dall’esterno, e cosa occorra importare e cosa e a
chi esportare, in modo che con queste popolazioni si dia 15

luogo a patti e convenzioni; infatti occorre preoccuparsi


che i cittadini siano corretti su due fronti: nei riguardi dei
popoli più forti e nei riguardi di quelli con cui conviene
avere scambi commerciali.
Ai fini della sicurezza dello stato, è necessario essere
in grado di osservare tutti questi elementi, non è da meno
però intendersi di legislazione: infatti la salvezza della cit-
tà consiste nelle leggi, di conseguenza è necessario cono- 20

scere quante specie di costituzioni esistano e quali sono


le condizioni proficue per ciascuna, e da quali fattori
– congeneri alla costituzione o estranei – siano natural-
mente corrotte. Intendo con «essere corrotte da fattori
congeneri» il fatto che, a parte la costituzione migliore26,
tutte le altre, vuoi per allentamento vuoi per rigidità, si 25

corrompono, come la democrazia che diventa più debole


non solo rilassandosi, per cui alla fine porterà all’oligar-
chia, ma anche irrigidendosi troppo, così come un naso
aquilino e un naso camuso non giungono al giusto mezzo
40 RETORICA I, 1360a 28 - b 13

th" ouj movnon ajnievmena e[rcetai eij" to; mevson, ajlla; kai;
sfovdra grupa; ginovmena h] sima; ou{tw" diativqetai w{ste mhde;
30 mukth'ra dokei'n ei\nai. crhvs imon de; pro;" ta;" nomoqesiva"
to; mh; movnon ejpaiv>ein tiv" politeiva sumfevrei, ejk tw'n par-
elhluqovtwn qewrou'nta, ajlla; kai; ta;" para; toi'" a[lloi"
eijdevnai, aiJ poi'ai toi'" poivoi" aJrmovttousin: w{ste dh'lon o{ti
pro;" me;n th;n nomoqesivan aiJ th'" gh'" perivodoi crhvs imoi (ejn-
35 teu'qen ga;r labei'n e[stin tou;" tw'n ejqnw'n novmou~), pro;" de; ta;"
politika;" sumboula;" aiJ tw'n peri; ta;" pravxei" grafovntwn iJsto-
rivai: a{panta de; tau'ta politikh'" ajllΔ ouj rJhtorikh'" e[rgon ejstivn.
peri; w|n me;n ou\n e[cein dei' ãta;" protavsei~Ã to;n mevllon-
1360b ta sumbouleuvein, ta; mevgista tosau'tav ejstin: ejx w|n de; dei' kai;
peri; touvtwn kai; peri; tw'n a[llwn protrevpein h] ajpotrevpein
levgwmen pavlin.

5. Scedo;n de; kai; ijdiva/ eJkavstw/ kai; koinh'/ pa's i skopov"


5 ti" e[stin ou| stocazovmenoi kai; aiJrou'ntai kai; feuvgousin: kai;
tou'tΔ ejsti;n ejn kefalaivw/ eijpei'n h{ tΔ eujdaimoniva kai; ta; movria
aujth'": w{ste paradeivgmato" cavrin lavbwmen tiv ejstin wJ"
aJplw'" eijpei'n hJ eujdaimoniva, kai; ejk tivnwn ta; movria tauv-
th": peri; ga;r tauvth" kai; tw'n eij" tauvthn sunteinovntwn
10 kai; tw'n ejnantivwn tauvth/ ai{ te protropai; kai; aiJ ajpotropai;
pa'saiv eijs in: ta; me;n ga;r paraskeuavzonta tauvthn h] tw'n morivwn
ti, h] mei'zon ajntΔ ejlavttono" poiou'nta, dei' pravttein, ta; de;
fqeivronta h] ejmpodivzonta h] ta; ejnantiva poiou'nta mh; pravttein.
5. LA FELICITÀ 41

soltanto con il ridurre, ma anche con l’accentuare curva-


tura o l’essere camuso tendendosi in modo tale da non
sembrare più neppure un naso. Utile poi alle legislazioni 30

è non solo capire quale costituzione sia vantaggiosa guar-


dando al passato, ma anche conoscere quelle che sono in
vigore presso gli altri, quali costituzioni sono adeguate
a quali popolazioni. Di conseguenza è ovvio che per le
promulgazioni delle leggi sono proficui i resoconti dei
viaggi (infatti è da qui che si apprendono le usanze dei 35

popoli), mentre per i consigli in ambito politico lo sono


le indagini di chi scrive di azioni umane27; ma tutti questi
argomenti sono affare della politica e non della retorica.
Chi si accinge, dunque, a consigliare occorre che posseg-
ga le premesse su tali questioni, e tali sono le tematiche 1360b
di maggior rilievo.
Torniamo a parlare da quali fonti occorre esortare o
dissuadere, sia riguardo le cose suddette sia riguardo al-
tre questioni.

5. La felicità

Più o meno, sia per il singolo nella sua individualità sia


per tutti in generale, vi è un qualche motivo in virtù del 5

quale chi mira a qualcosa opera scelte e rinunce. E questo


motivo, per farla breve, consiste nella felicità e nelle sue
parti. Perciò, al fine di agevolare la discussione, si prenda
come guida cos’è la felicità e da cosa derivino le sue parti.
In effetti, su di essa, e su ciò che ad essa conduce e che le 10

è contraria, gravitano tutte le esortazioni e le dissuasioni:


infatti si devono fare quelle che provvedono alla felicità o
a qualcuna delle sue parti, accrescendola anziché diminu-
irla, mentre non vanno compiute quelle che la corrompo-
no o la impediscono o sortiscono effetti contrari.
42 RETORICA I, 1360b 14 - 1361a 1

e[stw dh; eujdaimoniva eujpraxiva metΔ ajreth'", h] aujtavrkeia


15 zwh'", h] oJ bivo" oJ meta; ajsfaleiva" h{disto", h] eujqeniva kthmavtwn
kai; swmavtwn meta; dunavmew" fulaktikh'" te kai; praktikh'"
touvtwn: scedo;n ga;r touvtwn e}n h] pleivw th;n eujdaimonivan
oJmologou's in ei\nai a{pante".
eij dhv ejstin hJ eujdaimoniva toiou'ton, ajnavgkh aujth'" ei\nai mevrh
20 eujgevneian, poluILlivan, crhstoILlivan, plou'ton, eujteknivan, polu-
teknivan, eujghrivan: e[ti ta;" tou' swvmato" ajretav" (oi|on uJgiveian,
kavllo", ijscuvn, mevgeqo", duvnamin ajgwnistikhvn), dovxan, timhvn,
eujtucivan, ajrethvn ªh] kai; ta; mevrh aujth'" frovnhsin, ajndreivan,
dikaiosuvnhn, swfrosuvnhnº: ou{tw ga;r a]n aujtarkevstatov" ãti~Ã
25 ei[h, eij uJpavrcoi aujtw'/ tav tΔ ejn aujtw'/ kai; ta; ejkto;" ajgaqav:
ouj ga;r e[stin a[lla para; tau'ta. e[sti dΔ ejn aujtw'/ me;n ta;
peri; yuch;n kai; ta; ejn swvmati, e[xw de; eujgevneia kai; ILvloi
kai; crhvmata kai; timhv, e[ti de; proshvkein oijovmeqa dunavmei"
uJpavrcein kai; tuvchn: ou{tw ga;r ajsfalevstato" oJ bivo". lavbwmen
30 toivnun oJmoivw" kai; touvtwn e{kaston tiv ejstin.
eujgevneia me;n ou\n ejstin e[qnei me;n kai; povlei to; aujtov-
cqona" h] ajrcaivou" ei\nai, kai; hJgemovna" tou;" prwvtou" ejpi-
fanei'", kai; pollou;" ejpifanei'" gegonevnai ejx aujtw'n ejpi;
toi'" zhloumevnoi": ijdiva/ de; eujgevneia h] ajpΔ ajndrw'n h] ajpo;
35 gunaikw'n, kai; gnhsiovth" ajpΔ ajmfoi'n, kaiv, w{sper ejpi; povlew",
ãto;Ã touv" te prwvtou" gnwrivmou" h] ejpΔ ajreth'/ h] plouvtw/ h]
a[llw/ tw/ tw'n timwmevnwn ei\nai, kai; pollou;" ejpifanei'" ejk tou'
gevnou" kai; a[ndra" kai; gunai'ka" kai; nevou" kai; presbutevrou".
eujtekniva de; kai; polutekniva oujk a[dhla. e[stin de; tw'/ koinw'/
1361a me;n ªeujteknivaº, neovth" a]n h\/ pollh; kai; ajgaqhv, ajgaqh; de;
5. LA FELICITÀ 43

Sia allora la felicità una condotta di successo unita alla


virtù, o sia autosufficienza nella vita, o la vita più piace- 15

vole unita alla sicurezza, o abbondanza di beni e schiavi


insieme alla capacità di conservarli e di servirsene. Gros-
somodo tutti quanti sono d’accordo che la felicità consi-
sta in una o più di queste cose.
Se questa è la felicità, è necessario che parti di essa sia- 20

no l’essere di nobili natali, le numerose amicizie, i legami


con persone dabbene, la ricchezza, i bravi figli, la prole
numerosa, la buona vecchiaia; inoltre le qualità fisiche
(come salute, bellezza, forza, grandezza, capacità agoni-
stiche), fama, onore, buona sorte, virtù: infatti in questo
modo si può essere autosufficienti al massimo grado se
uno ha i beni tanto in sé stesso quanto quelli esteriori. Di 25

fatto, oltre questi non ve ne sono altri. Sono «interni» i


beni riguardanti l’anima e quelli che si trovano nel corpo,
mentre «esterni» sono buona nascita, amici, ricchezze,
onore. Inoltre, riteniamo che sia opportuno avere capa-
cità e fortuna: così, infatti, la vita è sicura al massimo.
Consideriamo, quindi, in modo analogo anche cosa siano 30

ciascuno di questi elementi.


Dunque, per un popolo e per una città «la nobiltà di
nascita» consiste nell’essere autoctoni28 o di antica origine,
vale a dire nell’avere capostipiti che furono condottieri il-
lustri e molti dei loro discendenti che si sono distinti per
azioni degne d’emulazione. Nel caso singolo, invece, i no-
bili natali vengono o da parte di padre o da parte di madre; 35

consistono nella legittimità di nascita da entrambe le parti,


nel fatto che, nel contesto cittadino, gli avi sono noti per
virtù, o per ricchezza, o per un’altra delle cose che si ten-
gono in pregio, nel fatto che da un casato provengono in
gran numero uomini, donne, giovani e anziani illustri.
L’avere tanti e buoni figli è cosa che non richiede chia-
rimento. Per la comunità, una buona generazione consi- 1361a
44 RETORICA I, 1361a 2-27

katΔ ajreth;n swvmato", oi|on mevgeqo", kavllo", ijscuvn, duvna-


min ajgwnistikhvn: yuch'" de; swfrosuvnh kai; ajndreiva nevou
ajretaiv: ijdiva/ de; eujtekniva kai; polutekniva to; ta; i[dia tevkna
5 polla; kai; toiau'ta ei\nai, kai; qhvlea kai; a[rrena: qhleiw'n
de; ajreth; swvmato" me;n kavllo" kai; mevgeqo", yuch'" de;
swfrosuvnh kai; ILlergiva a[neu ajneleuqeriva". oJmoivw" de;
kai; ijdiva/ kai; koinh'/, kai; katΔ a[ndra" kai; kata; gunai'ka", dei'
zhtei'n e{kaston uJpavrcein tw'n toiouvtwn: o{soi" ga;r ta; kata;
10 gunai'ka" fau'la w{sper Lakedaimonivoi", scedo;n kata; to;
h{misu oujk eujdaimonou's in.
plouvtou de; mevrh nomivsmato" plh'qo" ãkai;Ã gh'", cwrivwn
kth's i" plhvqei kai; megevqei kai; kavllei diaferovntwn, e[ti de;
ejpivplwn kth's i" kai; ajndrapovdwn kai; boskhmavtwn plhvqei kai;
15 kavllei diaferovntwn, tau'ta de; pavnta ãoijkei'aà kai; ajsfalh'
kai; ejleuqevria kai; crhvs ima. e[stin de; crhvs ima me;n ma'llon ta;
kavrpima, ejleuqevria de; ta; pro;" ajpovlausin (kavrpima de;
levgw ajfΔ w|n aiJ provsodoi, ajpolaustika; de; ajfΔ w|n mhde;n
para; th;n crh's in givgnetai o{ ti kai; a[xion). o{ro" de; ajsfa-
20 leiva" me;n to; ejntau'qa kai; ou{tw kekth'sqai w{stΔ ejfΔ auJtw'/
ei\nai th;n crh's in aujtw'n, tou' de; oijkei'a ei\nai h] mh; o{tan ejfΔ auJtw'/
h\/ ajpallotriw'sai: levgw de; ajpallotrivwsin dovs in kai; pra's in.
o{lw" de; to; ploutei'n ejstin ejn tw'/ crh'sqai ma'llon h] ejn tw'/ kekth'-
sqai: kai; ga;r hJ ejnevrgeiav ejsti tw'n toiouvtwn kai; hJ crh's i" plou'to".
25 eujdoxiva dΔ ejsti;n to; uJpo; pavntwn spoudai'on uJpolambavne-
sqai h] toiou'tovn ti e[cein ou| pavnte" ejILventai h] oiJ polloi; h]
oiJ ajgaqoi; h] oiJ frovnimoi.
5. LA FELICITÀ 45

ste in una gioventù numerosa e capace, buona per virtù


del corpo, vale a dire per grandezza, bellezza, forza, capa-
cità agonistica, e buona per virtù dell’anima quali mode-
razione e coraggio. Per il privato, invece, una prole ricca
e capace significa che i propri figli sono numerosi e con 5

qualità come quelle descritte, sia femmine che maschi.


Virtù del corpo delle donne sono bellezza e dimensione,
dell’anima moderazione e amore del lavoro senza essere
servili. Sia per il privato che per la comunità si deve cer-
care in egual misura di sostenere ciascuna di tali caratteri-
stiche tanto negli uomini quanto nelle donne. Infatti tutti
quelli che, come gli Spartani, danno poca importanza alle 10

qualità femminili sono per metà infelici.


Parti della ricchezza sono abbondanza di danaro e di
terre, possesso di appezzamenti che si distinguono per
numero, estensione e bellezza; inoltre il possesso di sup-
pellettili, schiavi e armenti che risaltano per numero e bel- 15

lezza. E tutti questi beni sono di proprietà, sicuri, degni


di un uomo libero e utili. «Utili» sono soprattutto beni
che fruttano, «degni di un uomo libero» quelli finalizzati
al godimento (intendo con «cose che fruttano», quelle
dalle quali derivano delle entrate, con «cose atte a dare
godimento», quelle da cui non si ricava nulla di vantag-
gioso durante il loro utilizzo). Definizione di «sicurezza» 20

è l’essere in possesso di beni sul posto e in modo da po-


terne usufruire autonomamente; definizione dell’«essere
beni di proprietà oppure no» quando l’alienarli dipende
dal possessore. Intendo per «alienazione» la donazione e
la vendita. In senso generale, l’essere ricchi consiste più
nell’uso che nel possesso; ricchezza, infatti, è sia l’attività
che l’uso di tali cose.
«Godere di buona fama» significa l’essere ritenuto 25

persona dabbene da tutti o possedere un tipo di bene che


tutti, o la maggior parte o i buoni o i sapienti, desiderano.
46 RETORICA I, 1361a 28 - b 12

timh; dΔ ejsti;n me;n shmei'on eujergetikh'" eujdoxiva", timw'ntai de;


dikaivw" me;n kai; mavlista oiJ eujergethkovte", ouj mh;n ajlla; tima'tai
30 kai; oJ dunavmeno" eujergetei'n: eujergesiva de; h] eij" swthrivan kai; o{sa
ai[tia tou' ei\nai, h] eij" plou'ton, h] ei[" ti tw'n a[llwn ajgaqw'n,
w|n mh; rJa/diva hJ kth's i" h] o{lw" h] ejntau'qa h] tovte: polloi;
ga;r dia; mikra; dokou'nta timh'" tugcavnousin, ajllΔ oiJ tovpoi
kai; oiJ kairoi; ai[tioi. mevrh de; timh'" qusivai, mnh'mai ejn
35 mevtroi" kai; a[neu mevtrwn, gevra, temevnh, proedrivai, tavfoi,
eijkovne", trofai; dhmovs iai, ta; barbarikav, oi|on proskunhvsei"
kai; ejkstavsei", dw'ra ta; parΔ eJkavstoi" tivmia. kai; ga;r to;
dw'rovn ejsti kthvmato" dovs i" kai; timh'" shmei'on, dio; kai; oiJ
ILlocrhvmatoi kai; oiJ ILlovtimoi ejILventai aujtw'n: ajmf-
1361b otevroi" ga;r e[cei w|n devontai: kai; ga;r kth'mav ejstin ou| ejILven-
tai oiJ ILlocrhvmatoi, kai; timh;n e[cei ou| oiJ ILlovtimoi.
swvmato" de; ajreth; uJgiveia, au{th de; ou{tw" w{ste ajnovsou"
ei\nai crwmevnou" toi'" swvmasin: polloi; ga;r uJgiaivnousin, w{sper
5 ÔHrovdiko" levgetai, ou}" oujdei;" a]n eujdaimonivseie th'" uJgieiva"
dia; to; pavntwn ajpevcesqai tw'n ajnqrwpivnwn h] tw'n pleivstwn.
kavllo" de; e{teron kaqΔ eJkavsthn hJlikivan ejstivn. nevou me;n ou\n
kavllo" to; pro;" tou;" povnou" crhvs imon e[cein to; sw'ma touv"
te pro;" drovmon kai; pro;" bivan, hJdu;n o[nta ijdei'n pro;" ajpov-
10 lausin: dio; oiJ pevntaqloi kavllistoi, o{ti pro;" bivan kai;
pro;" tavco" a{ma pefuvkasin: ajkmavzonto" de; pro;" me;n
povnou" tou;" polemikouv", hJdu;n dΔ ei\nai dokei'n meta; foberov-
5. LA FELICITÀ 47

L’«onore» è il segno della buona fama del benefatto-


re, si onorano giustamente e soprattutto coloro che hanno
fatto del bene, ma viene onorato anche colui che può fare 30

del bene. L’opera buona ha a che fare con la salvezza, e


tutto ciò che è causa dell’esistere, o con la ricchezza, o con
qualcuno degli altri beni di non facile acquisizione o in
genere, o in una data situazione, oppure in quel momento.
Molti, infatti, ottengono onore in virtù di cose che sembra-
no di poco conto, ma ne sono cause luoghi e circostanze.
Parti dell’onore sono sacrifici, commemorazioni in versi e 35

senza, privilegi, donazioni di terre, posti in prima fila, riti


funebri, effigi, banchetti a spese dello stato, pratiche bar-
bariche come la genuflessione e il farsi da parte, donazioni
che sono onorificenze presso ciascun popolo. In effetti, il
dono è tanto assegnazione di un possesso quanto segno
tangibile dell’onorificenza: per questo, sia gli avidi che gli
ambiziosi puntano ai doni, perché per entrambi possiedo- 1361b
no quelle caratteristiche di cui hanno bisogno: sono infatti
un possesso, il che è ciò a cui tendono gli avidi, e danno
prestigio, che è ciò a cui sono inclini gli ambiziosi.
Virtù del fisico è la salute, ed essa lo è in questo modo:
tale da far sì che le assenze delle malattie siano utili ai
corpi. Molti in effetti sono in salute nel senso in cui lo si
dice di Erodico: nessuno li considererebbe felici di essere 5

sani, dal momento che si astengono da tutte o dalla mag-


gior parte delle normali attività umane29.
La bellezza è diversa a seconda dell’età. La bellezza
di un giovane, dunque, è l’avere un corpo valido per gli
esercizi fisici, per la corsa e per la forza, ed è un piacere
per gli occhi per chi ne gode. Per questo quelli del pen- 10

tatlon sono bellissimi, dal momento che sono per natura


dotati sia per la corsa che per la velocità. In un uomo al
culmine della sua maturazione, la bellezza consiste nell’a-
vere il corpo utile per le fatiche della guerra, nell’essere
48 RETORICA I, 1361b 13-36

thto": gevronto" de; pro;" me;n povnou" tou;" ajnagkaivou" iJkanovn,


a[lupon de; dia; to; mhde;n e[cein w|n to; gh'ra" lwba'tai.
15 ijscu;" dΔ ejsti; me;n duvnami" tou' kinei'n e{teron wJ" bouvletai,
ajnavgkh de; kinei'n e{teron h] e{lkonta h] wjqou'nta h] ai[ronta
h] pievzonta h] sunqlivbonta, w{ste oJ ijscuro;" h] pa's in h] touv-
twn tisivn ejstin ijscurov". megevqou" de; ajreth; to; uJpavrcein
kata; mh'ko" kai; bavqo" kai; plavto" tw'n pollw'n tosouvtw/
20 meivzonΔ w{ste mh; bradutevra" poiei'n ta;" kinhvsei" dia; th;n
uJperbolhvn. ajgwnistikh; de; swvmato" ajreth; suvgkeitai ejk
megevqou" kai; ijscuvo" kai; tavcou" (kai; ga;r oJ tacu;" ijscurov"
ejstin): oJ ga;r dunavmeno" ta; skevlh rJiptei'n pw" kai; kinei'n
tacu; kai; povrrw dromikov", oJ de; qlivbein kai; katevcein pa-
25 laistikov", oJ de; w\sai th'/ plhgh'/ puktikov", oJ dΔ ajmfotevroi"
touvtoi" pagkratiastikov", oJ de; pa's i pevntaqlo".
eujghriva dΔ ejsti; braduth;" ghvrw" metΔ ajlupiva": ou[te ga;r
eij tacu; ghravskei, eu[ghrw", ou[tΔ eij movgi" me;n luphrw'" dev. e[stin
de; kai; ejk tw'n tou' swvmato" ajretw'n kai; ãejkà tuvch": mh; a[noso"
30 ga;r w]n mhde; ijscuro;" oujk e[stai ajpaqh;" oujdΔ a[lupo", kai; polu-
crovnio" oujk a[neu tuvch" diameivneien a[n. e[stin dev ti" kai;
cwri;" ijscuvo" kai; uJgieiva" a[llh duvnami" makrobiovthto":
polloi; ga;r a[neu tw'n tou' swvmato" ajretw'n makrovbioiv eijs in:
ajllΔ oujde;n hJ ajkribologiva crhvs imo" hJ peri; touvtwn eij" ta; nu'n.
35 poluILliva de; kai; crhstoILliva oujk a[dhla, tou' ILvlou
wJrismevnou, o{ti e[stin oJ toiou'to" ILvlo" o{sti" a} oi[etai ajgaqa;
5. LA FELICITÀ 49

di aspetto gradevole insieme alla capacità di incutere sog-


gezione. In un vecchio consiste in un corpo adatto alle
fatiche necessarie, privo di dolori per non avere nessuno
degli acciacchi che la vecchiaia arreca.
La forza è la capacità di muovere come si vuole un 15

altro corpo; è necessario muoverlo o trascinando, o spin-


gendo, o sollevando, o schiacciando; di conseguenza si
è forti se lo si è o in tutte o in qualche azione tra queste.
Virtù della grandezza è superare per lunghezza, altezza e
ampiezza la maggior parte delle persone in misura tale da 20

non rendere i movimenti più lenti a causa dell’eccesso.


Virtù agonistica di un corpo è possedere ad un tempo
grandezza, forza e velocità (e in effetti chi è veloce è for-
te). Chi è capace di dare slancio alle gambe in un certo
modo e di muoverle velocemente e in avanti è atto alla
corsa. Chi è valido nello stringere e nel trattenere è atto
alla lotta, chi è capace di respingere con un colpo è atto 25

al pugilato, chi in ambedue al pancrazio. Chi, invece, è


valido in tutte le discipline al pentatlon.
Buona vecchiaia è invecchiare lentamente e senza
acciacchi: in effetti, non si è di buona vecchiaia né se si
invecchia velocemente, né in maniera penosa e doloro-
sa. E questo dipende anche dalle virtù del corpo e dalla
fortuna: infatti chi non è sano né forte non sarà immune 30

da sofferenza e dolore, e chi vive a lungo non potrebbe


resistere senza fortuna. E dal momento che molti sono
longevi senza le virtù del corpo, vi è un’altra possibilità
di vivere a lungo e prescinde da prestanza e salute. Ma,
al riguardo, una minuziosa discussione non è di alcuna
utilità alla presente questione.
L’avere molti amici e l’utilità degli amici non sono 35

temi difficili da trattare una volta che sia stata data la de-
finizione di amico, vale a dire che è amico di tale genere:
1) chiunque pensa a cose buone per l’altro, 2) è capace
50 RETORICA I, 1361b 37 - 1362a 19

ei\nai ejkeivnw/, praktikov" ejstin aujtw'n diΔ ejkei'non. w|/ dh; pol-
loi; toiou'toi, poluvILlo", w|/ de; kai; ejpieikei'" a[ndre", crhstovILlo".
eujtuciva dev ejstin, w|n hJ tuvch ajgaqw'n aijtiva, tau'ta
1362a givgnesqai kai; uJpavrcein h] pavnta h] ta; plei'sta h] ta;
mevgista. aijtiva dΔ ejsti;n hJ tuvch ejnivwn me;n kai; w|n aiJ tevcnai,
pollw'n de; kai; ajtevcnwn, oi|on o{swn hJ fuvs i" (ejndevcetai de;
kai; para; fuvs in ei\nai): uJgieiva" me;n ga;r tevcnh aijtiva, kavl-
5 lou" de; kai; megevqou" fuvs i". o{lw" de; ta; toiau'ta tw'n ajga-
qw'n ejstin ajpo; tuvch" ejfΔ oi|" ejstin oJ fqovno". e[stin de; kai;
tw'n para; lovgon ajgaqw'n aijtiva tuvch, oi|on eij oiJ a[lloi
ajdelfoi; aijscroiv, oJ de; kalov", h] oiJ a[lloi mh; ei\don to;n
qhsaurovn, oJ dΔ eu|ren, h] eij tou' plhsivon e[tucen to; bevlo",
10 touvtou de; mhv, h] eij mh; h\lqe movno", ajei; foitw'n, oiJ de; a{pax
ejlqovnte" diefqavrhsan: pavnta ga;r ta; toiau'ta eujtuchvmata
dokei' ei\nai.
peri; de; ajreth'" ejpeivper oijkeiovtato" oJ peri; tou;" ejpaivnou" tov-
po", o{tan peri; ejpaivnou poiwvmeqa to;n lovgon, tovte dioristevon.

15 6. »Wn me;n ou\n dei' stocavzesqai protrevponta wJ" ejsomev-


nwn h] uJparcovntwn, kai; w|n ajpotrevponta, fanerovn: ta; ga;r
ejnantiva touvtwn ejstivn. ejpei; de; provkeitai tw'/ sumbouleuvonti
skopo;" to; sumfevron (bouleuvontai ga;r ouj peri; tou' tevlou", ajlla;
peri; tw'n pro;" to; tevlo", tau'ta dΔ ejsti; ta; sumfevronta kata;
6. IL BENE E L’UTILE IN GENERALE 51

di compierle per lui. L’avere molti amici vale per chi di-
spone di tante persone siffatte, mentre l’utilità degli amici
vale per chi dispone di persone di valore.
È buona fortuna se il caso è la ragione di quei beni –
di tutti o della maggior parte o di quelli più importanti 1362a
– che si sono prodotti o che si hanno. La fatalità è causa
di alcune cose che sono prodotte anche dalle tecniche,
mentre lo è di molte prodotte anche senza tecniche, ad
esempio di tutte quelle di cui è causa anche la natura (è
possibile che le cose si verifichino anche contro natura):
infatti è causa della salute l’arte medica, della bellezza e 5

della grandezza la natura. In generale, derivano dal caso


quel certo tipo di beni per i quali si è invidiosi. Ma la
fortuna è causa anche dei beni che sono contro ogni lo-
gica: per esempio, se gli altri fratelli sono brutti e uno è
bello, oppure, se gli altri non si accorgono di un tesoro
e uno lo trova, oppure se la freccia tocca al vicino, ma
non a quello che gli sta accanto, oppure se uno, di quelli 10

che frequentano sempre un certo luogo, non vi è andato,


mentre quelli che vi sono andati per una volta sola sono
stati uccisi. Tutte le cose di questo genere, in effetti, sem-
brano essere casi di buona sorte.
Per quanto riguarda la virtù, poiché è il luogo più ap-
propriato in materia di lodi, ne daremo definizione nel
momento in cui faremo il discorso sulla lode30.

6. Sul bene e sull’utile in generale

È dunque evidente a quali cose – future o presenti – deve 15

mirare chi esorta e a quali chi dissuade: infatti le une


sono opposte alle altre. Poiché lo scopo che ha davanti
chi consiglia è l’utile (infatti non si danno disposizioni
sul fine, ma sui mezzi in vista di tale fine, e questi sono
52 RETORICA I, 1362a 20 - b 6

20 ta;" pravxei", to; de; sumfevron ajgaqovn), lhptevon a]n ei[h ta; stoi-
cei'a peri; ajgaqou' kai; sumfevronto" aJplw'". e[stw dh; ajga-
qo;n o} a]n aujto; eJautou' e{neka h\/ aiJretovn, kai; ou| e{neka a[llo
aiJrouvmeqa, kai; ou| ejILvetai pavnta, h] pavnta ta; ai[sqhsin
e[conta h] nou'n h] eij lavboi nou'n, kai; o{sa oJ nou'" a]n eJkavstw/
25 ajpodoivh, kai; o{sa oJ peri; e{kaston nou'" ajpodivdwsin eJkavstw/:
tou'tov ãgavrà ejstin eJkavstw/ ajgaqovn, kai; ou| parovnto" eu\ diavkei-
tai kai; aujtavrkw" e[cei, kai; to; au[tarke", kai; to; poihtiko;n h]
fulaktiko;n tw'n toiouvtwn, kai; w|/ ajkolouqei' ta; toiau'ta, kai;
ta; kwlutika; tw'n ejnantivwn kai; ta; fqartikav. ajkolouqei' de;
30 dicw'" (h] ga;r a{ma h] u{steron, oi|on tw'/ me;n manqavnein to;
ejpivstasqai u{steron, tw'/ de; uJgiaivnein to; zh'n a{ma), kai; ta;
poihtika; tricw'", ta; me;n wJ" to; uJgiaivnein uJgieiva", ta; de;
wJ" sitiva uJgieiva", ta; de; wJ" to; gumnavzesqai, o{ti wJ" ejpi;
to; polu; poiei' uJgiveian. touvtwn de; keimevnwn ajnavgkh tav" te
35 lhvyei" tw'n ajgaqw'n ajgaqa;" ei\nai kai; ta;" tw'n kakw'n
ajpobolav": ajkolouqei' ga;r tw'/ me;n to; mh; e[cein to; kako;n
a{ma, tw'/ de; to; e[cein to; ajgaqo;n u{steron. kai; hJ ajntΔ ejlavt-
tono" ajgaqou' meivzono" lh'y i" kai; ajnti; meivzono" kakou' ejlavt-
1362b tono": w|/ ga;r uJperevcei to; mei'zon tou' ejlavttono", touvtw/ givne-
tai tou' me;n lh'yi" tou' dΔ ajpobolhv. kai; ta;" ajreta;" de;
ajnavgkh ajgaqo;n ei\nai (kata; ga;r tauvta" eu\ te diavkeintai
oiJ e[conte", kai; poihtikai; tw'n ajgaqw'n eijs i kai; praktikaiv:
5 peri; eJkavsth" de; kai; tiv" kai; poiva cwri;" rJhtevon), kai; th;n
hJdonh;n ajgaqo;n ei\nai: pavnta ga;r ejILvetai ta; zw'/a aujth'" th'/
6. IL BENE E L’UTILE IN GENERALE 53

quelli vantaggiosi nell’azione pratica, e l’utile è un bene 20

pratico), si dovranno cogliere gli elementi fondamentali


riguardo al bene e all’utile in generale. Allora, si conside-
ri bene sia ciò che è preferibile da solo quale fine in sé,
sia quello che scegliamo in vista di altro, sia quello a cui
tendono tutti quanti gli esseri, o tutti quelli che possiedo-
no sensazione o intelletto o vi tenderebbero se avessero
intelletto, sia quelli quali l’intelletto può concedere a cia- 25

scuno, sia quelli quali l’intelletto del singolo concede al


singolo. Tale è infatti il bene, sia quello in presenza del
quale si è in uno stato di benessere e di autosufficienza,
sia ciò che è autosufficiente, sia ciò che produce o pre-
serva tali cose, sia ciò da cui esse conseguono, sia ciò che
impedisce e distrugge le cose a loro contrarie. Inoltre,
«consegue» s’intende in due modi (infatti, o allo stesso 30

tempo o in successione, come il sapere viene dopo l’ap-


prendere, mentre il vivere viene insieme all’essere in sa-
lute) e le cose atte a produrre si verificano in tre modi: a
volte come l’essere in salute produce la salute, altre come
i cibi sono salutari, altre come il fare ginnastica, la quale
per lo più produce la salute. Detto ciò, è necessario che le
acquisizioni delle cose buone e la perdita di quelle cattive 35

siano dei beni; da quest’ultima si ricava contemporanea-


mente il non avere il male, invece dalla prima consegue
successivamente il possesso del bene. Ancora, sono beni
l’acquisizione di un bene maggiore invece di uno minore,
e quella di un male minore anzi che di uno maggiore; 1362b
infatti dal momento che il bene maggiore supera quello
minore, si ha acquisizione del primo e perdita del secon-
do. Anche le virtù devono di necessità essere un bene
(chi è in condizione virtuosa sta bene, produce beni e
agisce moralmente; in separata sede, si dovrà comunque 5

dire cosa esse siano e quale sia la loro natura), inoltre il


piacere è un bene, infatti tutti gli esseri viventi per natura
54 RETORICA I, 1362b 7-28

fuvsei: w{ste kai; ta; hJdeva kai; ta; kala; ajnavgkh ajgaqa;
ei\nai: ta; me;n ga;r hJdonh'" poihtikav, tw'n de; kalw'n ta; me;n
hJdeva ta; de; aujta; kaqΔ eJauta; aiJretav ejstin.
10 wJ" de; kaqΔ e}n eijpei'n, ajnavgkh ajgaqa; ei\nai tavde. eujdaimoniva:
kai; ga;r kaqΔ auJto; aiJreto;n kai; au[tarke", kai; e{neka aujth'"
ta\lla aiJrouvmeqa. dikaiosuvnh, ajndreiva, swfrosuvnh, megalo-
yuciva, megaloprevpeia, kai; aiJ a[llai aiJ toiau'tai e{xei": ajretai;
ga;r yuch'". kai; uJgiveia kai; kavllo" kai; ta; toiau'ta:
15 ajretai; ga;r swvmato" kai; poihtika; pollw'n, oi|on uJgiveia
kai; hJdonh'" kai; tou' zh'n, dio; kai; a[riston dokei' ei\nai, o{ti
duvo tw'n toi'" polloi'" timiwtavtwn ai[tiovn ejstin, hJdonh'" kai;
tou' zh'n. plou'to": ajreth; ga;r kthvsew" kai; poihtiko;n pol-
lw'n. ILvlo" kai; ILliva: kai; ga;r kaqΔ auJto;n aiJreto;" oJ
20 ILvlo" kai; poihtiko;" pollw'n. timhv, dovxa: kai; ga;r hJdeva
kai; poihtika; pollw'n, kai; ajkolouqei' aujtai'" wJ" ejpi; to;
polu; to; uJpavrcein ejfΔ oi|" timw'ntai. duvnami" tou' levgein,
tou' pravttein: poihtika; ga;r pavnta ta; toiau'ta ajgaqw'n. e[ti
eujfuiv>a, mnhvmh, eujmavqeia, ajgcivnoia, pavnta ta; toiau'ta:
25 poihtikai; ga;r au|tai ajgaqw'n aiJ dunavmei" eijs ivn. oJmoivw" de;
kai; aiJ ejpisth'mai pa'sai kai; aiJ tevcnai. kai; to; zh'n: eij ga;r
mhde;n a[llo e{poito ajgaqovn, kaqΔ auJto; aiJretovn ejstin. kai;
to; divkaion: sumfevron gavr ti koinh'/ ejstin.
6. IL BENE E L’UTILE IN GENERALE 55

tendono ad esso; di conseguenza sono necessariamente


beni tanto le cose piacevoli quanto le cose belle; infatti
alcune producono piacere, mentre delle cose belle alcune
sono piacevoli altre si scelgono in sé e per sé.
Volendoli elencare uno ad uno, i beni sono necessaria- 10

mente i seguenti: la felicità, dal momento che la si sceglie


sia per se stessa sia per l’autosufficienza, sia perché è al
fine di giungere a essa che scegliamo altre cose; la giusti-
zia, il coraggio, la temperanza, la magnanimità, la magni-
ficenza e altri abiti di questo genere, in quanto sono virtù
dell’anima. Inoltre, ricordiamo salute e bellezza e altre di
questo tipo, in quanto virtù del corpo e in grado di rea- 15

lizzare molti beni, come la salute che produce il piacere e


la vita, e perciò appare come il bene più prezioso, poiché
è causa di due beni tra quelli tenuti in maggior conside-
razione dai più: del piacere e della vita. Ricordiamo poi:
la ricchezza, in quanto virtù del possedere e in grado di
procurare molti altri beni;
l’amico e l’amicizia, sia in quanto l’amico si sceglie
come bene in se stesso sia perché procura molti altri beni; 20

l’onore, la fama, in quanto piacevoli e in grado di pro-


curare diversi vantaggi, vale a dire che a queste fanno per
lo più seguito quelle cose il cui possesso è considerato
degno di stima;
il potere della parola, dell’azione, in quanto tutte
quante queste qualità producono beni;
ancora talento, memoria, capacità di apprendimento,
prontezza e tutte le cose di questo tipo: infatti sono facol- 25

tà in grado di procurare beni.


Lo stesso dicasi anche per tutte le scienze e le tecni-
che. Anche la vita lo è, perché se non derivasse nessun
altro bene, andrebbe comunque preferita per sé stessa;
anche la giustizia lo è, in quanto è un qualcosa di utile
alla comunità.
56 RETORICA I, 1362b 29 - 1363a 14

tau'ta me;n ou\n scedo;n ta; oJmologouvmena ajgaqav ejstin: ejn de;
30 toi'" ajmILsbhthsivmoi" ejk tw'nde oiJ sullogismoiv. w|/ to; ejnantivon
kakovn, tou'tΔ ajgaqovn. kai; ou| to; ejnantivon toi'" ejcqroi'" sum-
fevrei: oi|on eij to; deilou;" ei\nai mavlista sumfevrei toi'" ejcqroi'",
dh'lon o{ti ajndreiva mavlista wjfevlimon toi'" polivtai". kai;
o{lw" o} oiJ ejcqroi; bouvlontai h] ejfΔ w|/ caivrousi, toujnantivon
35 touvtou wjfevlimon faivnetai: dio; ei[rhtai “h\ ken ghqhvsai Privamo"/”.
e[sti dΔ oujk ajei; tou'to, ajllΔ wJ" ejpi; to; poluv: oujde;n ga;r kwluvei
ejnivote taujto; sumfevrein toi'" ejnantivoi": o{qen levgetai wJ" ta;
1363a kaka; sunavgei tou;" ajnqrwvpou", o{tan h\/ taujto; blabero;n ajmfoi'n.
kai; ou| mh; e[stin uJperbolhv, tou'to ajgaqovn, o} dΔ a]n h\/ mei'zon h]
dei', kakovn. kai; ou| e{neka polla; pepovnhtai h] dedapavnhtai:
fainovmenon ga;r ajgaqo;n h[dh, kai; wJ" tevlo" to; toiou'ton uJpolam-
5 bavnetai, kai; tevlo" pollw'n, to; de; tevlo" ajgaqovn. o{qen tau'tΔ ei[rhtai
“ka;d dev ken eujcwlh;n Priavmw/” kai; “aijscrovn toi dhrovn te
mevnein”. kai; hJ paroimiva de; to; ejpi; quvrai" th;n uJdrivan. kai; ou| ãoiJÃ
polloi; ejILventai, kai; to; perimavchton fainovmenon: ou| ga;r pavnte"
ejILventai, tou'to ajgaqo;n h\n, oiJ de; polloi; w{sper pavnte" faivnon-
10 tai. kai; to; ejpainetovn: oujdei;" ga;r to; mh; ajgaqo;n ejpainei'.
kai; o} oiJ ejcqroi; kai; oiJ fau'loi ejpainou's in: w{sper ga;r
pavnte" h[dh oJmologou's in, eij kai; oiJ kakw'" peponqovte": dia; ga;r
to; fanero;n oJmologoi'en a[n, w{sper kai; fau'loi ou}" oiJ ILv-
loi yevgousi kai; ªajgaqoi;º ou}" oiJ ejcqroi; mh; yevgousin (dio; leloi-
6. IL BENE E L’UTILE IN GENERALE 57

Questi, dunque, più o meno i beni su cui tutti sono 30

d’accordo; invece, tra quelli oggetto di discussione, i sil-


logismi si traggono da premesse di questo tipo: la cosa a
cui si contrappone il male, questo è bene; e il contrario
del bene è vantaggioso per i nemici (ad esempio se la viltà
è estremamente utile ai nemici, è evidente che il coraggio
sarà di massima utilità per i concittadini); inoltre, si ritiene
in genere vantaggioso il contrario di ciò che vogliono i ne-
mici o il contrario del motivo per cui i nemici si rallegrano; 35

perciò si è detto: «Davvero avrebbe gioito Priamo...»31.


Non sempre le cose stanno così, ma lo sono nella mag-
gior parte dei casi: infatti niente impedisce che talvolta
la stessa cosa non sia utile ad entrambi i contendenti; di
qui il fatto che si dica che i mali avvicinino gli uomini, 1363a
qualora il danno sia comune a entrambi. Inoltre, questo
è bene: ciò di cui non vi è eccesso; invece ciò che è più di
quanto si deve, è male. Ancora è bene il motivo per cui
sono state affrontate molte fatiche o sostenute tante spe-
se; infatti ci appare subito come un bene, vale a dire che
lo si recepisce come un fine, anzi un fine di molte cose, e 5

il fine è un bene. Perciò si è detto: «Per Priamo sarebbe


motivo di vanto…»32 e «turpe rimanere più a lungo»33.
Anche il proverbio dice «rompere la brocca alla porta»34.
È un bene anche ciò che desiderano i più e ciò che appare
motivo di contesa: ciò che tutti desiderano si era infatti
detto un bene e «i più» appaiono come «tutti».
Anche ciò che è degno di lode è bene, giacché nessu- 10

no loda ciò che non è buono. Anche quello che i nemici o


le persone da poco lodano è un bene, dal momento che è
lodato come ciò su cui sono ormai tutti d’accordo, se an-
che coloro che ne hanno ricevuto danno ne convengono;
grazie all’evidenza, appunto, si potrebbe avere un con-
senso unanime, come il dire che le persone da poco sono
quelle che amici biasimano e i nemici no. Per questo i
58 RETORICA I, 1363a 15-35

15 dorh'sqai uJpevlabon Korivnqioi uJpo; Simwnivdou poihvsanto"


Korinqivoi" dΔ ouj mevmfetai to; “Ilion).
kai; o} tw'n fronivmwn ti" h] tw'n ajgaqw'n ajndrw'n h] gunai-
kw'n proevkrinen, oi|on ΔOdusseva ΔAqhna' kai; ÔElevnhn Qhseu;" kai;
ΔAlevxandron aiJ qeai; kai; ΔAcilleva ”Omhro". kai; o{lw" ta; pro-
20 airetav: proairou'ntai de; pravttein tav te eijrhmevna kai; ta; toi'"
ejcqroi'" kaka; kai; ta; toi'" ILvloi" ajgaqa; kai; ta; dunatav: tau'ta
de; dicw'" ejstin, tav te genovmena a]n kai; ta; rJa/divw" gignov-
mena: rJav/dia de; o{sa h] a[neu luvph" h] ejn ojlivgw/ crovnw/: to;
ga;r calepo;n oJrivzetai h] luvph/ h] plhvqei crovnou. kai;
25 eja;n wJ" bouvlontai: bouvlontai de; h] mhde;n kako;n h] e[latton
tou' ajgaqou' (tou'to de; e[stai, eja;n h] lanqavnh/ h] hJ timwriva mi-
kra; h\/). kai; ta; i[dia, kai; a} mhdeiv", kai; ta; perittav: timh;
ga;r ou{tw ma'llon. kai; ta; aJrmovttonta aujtoi'": toiau'ta de;
tav te proshvkonta kata; gevno" kai; duvnamin, kai; w|n ejlleivpein
30 oi[ontai kai; a]n mikra; h\/: oujde;n ga;r h|tton proairou'ntai tau'ta
pravttein. kai; ta; eujkatevrgasta. dunata; ga;r kai; rJav/dia:
eujkatevrgasta de; a} pavnte" h] oiJ polloi; h] oiJ o{moioi h] oiJ
h{ttou" katwvrqwsan. kai; a} cariou'ntai toi'" ILvloi", h]
a} ajpecqhvsontai toi'" ejcqroi'". kai; o{sa ou}" qaumavzousi
35 proairou'ntai pravttein. kai; pro;" a} eujfuei'" eijs in kai; e[mpei-
6. IL BENE E L’UTILE IN GENERALE 59

Corinzi pensarono di essere stati insultati da Simonide 15

quando aveva composto «ai Corinzi che Ilio non biasi-


ma»35. Inoltre è bene ciò che un saggio o un uomo o una
donna valente preferisce, come Atena che sceglie Odis-
seo e Teseo Elena, le dee Alessandro e Omero Achille.
Inoltre, in genere, è un bene tutto ciò che è motivo di 20

azione; precisamente, si sceglie di fare quanto si è detto,


vale a dire mali per i nemici, beni per gli amici e cose pos-
sibili. Queste ultime sono di due tipi: quelle che potreb-
bero accadere e quelle accadono facilmente. Per cose che
accadono facilmente s’intendono quelle senza dolore o
in poco tempo: il difficile consiste infatti o nel dolore o
nella lunghezza del tempo. Inoltre se queste cose facili 25

sono come si desiderano: si sceglie appunto o una cosa


che non presenta alcun male o un male minore (così sarà,
in caso di punizione, se passi inosservata oppure sia di
lieve entità).
Sono pure beni quelli personali, quelli che non sono
di nessuno, e quelli voluttuari: così infatti si ha maggior
prestigio.
Inoltre, le persone considerano beni quelli adeguati
a loro: tali sono quelli che si addicono per nascita e sta-
to, e quelli che ritengono mancare loro, anche se fossero 30

cosa da poco, dal momento che non è affatto di minore


importanza il voler giungere ad essi. Sono buone le cose
facili da realizzarsi. E sono possibili in quanto facili. Sono
facili da realizzarsi quelle cose che tutti o i più o le per-
sone di pari livello o quelle che lo sono ad uno inferiore
hanno portato a termine con successo. Beni sono quelle
cose che faranno piacere agli amici, o che risulteranno
odiose ai nemici; quelle cose che scelgono di fare chi si 35

ammira. E beni sono quelle cose per le quali si è portati


per natura ed esperti: si ritiene infatti che sia più faci-
le ottenere successo. Sono pure beni quelli che nessuna
60 RETORICA I, 1363a 36 - b 18

roi: rJa'/on ga;r katorqwvsein oi[ontai. kai; a} mhdei;" fau'lo":


ejpaineta; ga;r ma'llon. kai; w|n ejpiqumou'nte" tugcavnousin,
ouj ga;r movnon hJdu; ajlla; kai; bevltion faivnetai. kai; mavlista
1363b e{kastoi pro;" a} ILlotoivoutoi, oi|on oiJ ILlovnikoi eij nivkh
e[stai, oiJ ILlovtimoi eij timhv, oiJ ILlocrhvmatoi eij crhvmata, kai;
oiJ a[lloi wJsauvtw". peri; me;n ou\n ajgaqou' kai; tou' sumfevron-
to" ejk touvtwn lhptevon ta;" pivstei".

5 7. ΔEpei; de; pollavki" oJmologou'nte" a[mfw sumfevrein


peri; tou' ma'llon ajmILsbhtou's in, ejfexh'" a]n ei[h lektevon
peri; tou' meivzono" ajgaqou' kai; tou' ma'llon sumfevronto". e[stw
dh; uJperevcon me;n to; tosou'ton kai; e[ti, uJperecovmenon de; to;
ejnupavrcon, kai; mei'zon me;n ajei; kai; plei'on pro;" e[latton,
10 mevga de; kai; mikro;n kai; polu; kai; ojlivgon pro;" to; tw'n
pollw'n mevgeqo", kai; uJperevcon me;n to; mevga, to; de; mi-
kro;n ejllei'pon, kai; polu; kai; ojlivgon wJsauvtw". ejpei; ou\n
ajgaqo;n levgomen tov te aujto; auJtou' e{neka kai; mh; a[llou
aiJretovn, kai; ou| pavntΔ ejILvetai, kai; o} nou'n a]n kai; frovnhsin
15 labovnta e{loito, kai; to; poihtiko;n kai; to; fulaktikovn, h]
w|/ e{petai ta; toiau'ta, ªto; dΔ ou| e{neka to; tevlo" ejstivn,º tevlo"
dev ejstin ou| e{neka ta; a[lla, aujtw'/ de; ajgaqo;n to; pro;" aujto;n
tau'ta peponqov", ajnavgkh tav ge pleivw tou' eJno;" kai; tw'n
7. LA MAGGIORE O MINORE UTILITÀ 61

persona da poco riesce a fare: sono infatti degni di lode


in maggior grado.
Inoltre, a chi si trova in condizione di desiderare, i
beni appaiono non soltanto piacevoli ma anche migliori.
E soprattutto sono beni quelli verso i quali ciascuno si 1363b
sente particolarmente attratto, ad esempio per chi ama
vincere è bene se vi sarà vittoria, per chi ama l’ambizione
se vi sarà prestigio, per chi ama il denaro se vi sarà ric-
chezza e così via. Per quanto riguarda il bene e l’utile è
dunque da tali cose che si devono trarre le persuasioni.

7. Sulla maggiore o minore utilità

Poiché spesso chi si trova d’accordo sul fatto che due 5

cose sono vantaggiose dibatte su quale lo sia in misu-


ra maggiore, si dovrà parlare, in quest’ordine, del bene
più grande e di ciò che è maggiormente utile. Si dica,
dunque, «cosa che supera un’altra» quella che è grande
quanto e con qualcosa in più rispetto a un’altra, e si dica
«cosa che è superata da un’altra» quella la cui grandezza
è già sussistente in un’altra; ancora «il più grande» e «il
più numeroso» siano sempre in rapporto a «ciò che è mi-
nore», e «grande» e «piccolo» e «molto» e «poco» siano 10

sempre in rapporto alla media della maggior parte delle


cose grandi, vale a dire che il grande sarà ciò che eccede
e il piccolo sarà ciò che difetta e così il molto e il poco.
Dal momento che diciamo «bene» ciò che è fine per se
stesso e che non si sceglie in vista di altro36, e ciò a cui
ogni essere tende, e che sceglierebbe se avesse senno e
saggezza, e ciò che produce e custodisce, oppure ciò a cui 15

tendono queste cose, fine è il bene in vista di cui le altre


cose tendono; e poiché bene è per lui ciò che gli presenta
queste condizioni, necessariamente il maggior numero di
62 RETORICA I, 1363b 19-36

ejlattovnwn, sunariqmoumevnou tou' eJno;" h] tw'n ejlattovnwn, mei'-


20 zon ajgaqo;n ei\nai: uJperevcei gavr, to; de; ejnupavrcon uJper-
evcetai. kai; eja;n to; mevgiston tou' megivstou uJperevch/, kai; aujta;
aujtw'n: kai; o{sa aujta; aujtw'n, kai; to; mevgiston tou' megivstou:
oi|on eij oJ mevgisto" ajnh;r gunaiko;" th'" megivsth" meivzwn, kai;
o{lw" oiJ a[ndre" tw'n gunaikw'n meivzou", kai; eij oiJ a[ndre"
25 o{lw" tw'n gunaikw'n meivzou", kai; ajnh;r oJ mevgisto" th'" me-
givsth" gunaiko;" meivzwn: ajnavlogon ga;r e[cousin aiJ uJper-
ocai; tw'n genw'n kai; tw'n megivstwn ejn aujtoi'". kai; o{tan tovde
me;n tw'/de e{phtai, ejkei'no de; touvtw/ mhv, e{phtai de; h] tw'/
a{ma h] tw'/ ejfexh'" h] th'/ dunavmei: ejnupavrcei ga;r hJ crh'-
30 si" hJ tou' eJpomevnou ejn th'/ qatevrou. e{petai de; a{ma me;n tw'/
uJgiaivnein to; zh'n, touvtw/ de; ejkei'no ou[, u{steron de; tw'/ manqav-
nein to; ejpivstasqai, dunavmei de; tw'/ iJerosulei'n to; ajposterei'n:
oJ ga;r iJerosulhvsa" ka]n ajposterhvseien. kai; ta; uJperevconta
tou' aujtou' meivzoni meivzw: ajnavgkh ga;r uJperevcein kai; tou'
35 meivoni. kai; ta; meivzono" ajgaqou' poihtika; meivzw: tou'to
ga;r h\n to; meivzono" poihtikw'/ ei\nai. kai; ou| to; poihtiko;n
7. LA MAGGIORE O MINORE UTILITÀ 63

beni rispetto a uno solo e a un numero inferiore, posto


che quell’unico bene o quelli di numero inferiore siano
stati compresi nel conteggio, è un bene più grande: infatti 20

li supera, e ciò che è compreso dal numero più grande


viene superato. Inoltre, se l’elemento più grande di una
serie supera l’elemento più grande di un’altra, anche la
prima supera la seconda; e se tutti quanti gli elementi di
una serie superano quelli dell’altra, anche il più grande
degli elementi della prima supererà il più grande degli
elementi della seconda: ad esempio, se l’uomo più grande
è più grande della donna più grande, in genere anche gli
uomini saranno più grandi delle donne, e se gli uomi-
ni in genere sono più grandi delle donne, anche l’uomo 25

più grande sarà più grande della donna più grande; si ha


infatti un rapporto di proporzione tra due generi, di cui
uno superiore all’altro, e gli elementi più grandi contenu-
ti in essi. Poi, quando una data cosa consegue a un’altra,
ma non quest’ultima alla prima, consegue o come a ciò
che si verifica «simultaneamente», o come a ciò che è in
«successione», o come a ciò che è «potenziale»: infatti 30

l’utilità di ciò che consegue è implicita nell’antecedente.


È «conseguenza simultanea» il vivere all’essere in salute,
ma non lo è quest’ultimo rispetto al primo, è «conseguen-
za in successione» il sapere all’apprendere, mentre è po-
tenziale il rubare al commettere un sacrilegio: infatti chi
commette atti sacrileghi potrebbe anche rubare. Ancora,
delle cose che sono superiori a una medesima grandezza,
la più grande è quella che supera la maggiore: è necessa-
rio infatti che la più grande sia superiore anche di quella 35

che è maggiore rispetto alla minore.


Le cose che producono un bene maggiore sono quel-
le più importanti; per ciò che è atto a produrre è infatti
questa l’essenza del bene maggiore. Inoltre, è maggiore
quella cosa la cui causa produttrice è più importante: se
64 RETORICA I, 1363b 37 - 1364a 20

mei'zon, wJsauvtw": eij ga;r to; uJgieino;n aiJretwvteron tou' hJdevo"


kai; mei'zon ajgaqovn, kai; hJ uJgiveia th'" hJdonh'" meivzwn. kai;
1364a aiJretwvteron to; kaqΔ auJto; tou' mh; kaqΔ auJtov, oi|on ijscu;" uJgiei-
nou': to; me;n ga;r oujc auJtou' e{neka, to; de; auJtou', o{per h\n
to; ajgaqovn. ka]n h\/ to; me;n tevlo", to; de; mh; tevlo": to; me;n
ga;r a[llou e{neka, to; de; auJtou', oi|on to; gumnavzesqai tou' eu\
5 e[cein to; sw'ma. kai; to; h|tton prosdeovmenon qatevrou ªh]º eJ-
tevrwn: aujtarkevsteron gavr: h|tton de; prosdei'tai to; ejlattovnwn
h] rJa/ovnwn prosdeovmenon. kai; o{tan tovde me;n a[neu tou'de mh;
h\/, h] mh; dunato;n h\/ genevsqai, qavteron de; a[neu touvtou, aujtar-
kevsteron ªde;º to; mh; deovmenon, w{ste faivnetai mei'zon ajgaqovn.
10 ka]n h\/ ajrchv, to; de; mh; ajrchv, ka]n h\/ ai[tion, to; dΔ oujk
ai[tion, dia; to; aujtov: a[neu ga;r aijtivou kai; ajrch'" ajduvnaton
ei\nai h] genevsqai. kai; duoi'n ajrcai'n to; ajpo; th'" meivzono" ajrch'"
mei'zon, kai; duoi'n aijtivoin to; ajpo; tou' meivzono" aijtivou mei'-
zon. kai; ajnavpalin de; duoi'n ajrcai'n hJ tou' meivzono" ajrch;
15 meivzwn, kai; duoi'n aijtivoin to; tou' meivzono" ai[tion mei'zon. dh'-
lon ou\n ejk tw'n eijrhmevnwn o{ti ajmfotevrw" mei'zon e[stin faivnesqai:
kai; ga;r eij ajrchv, to; de; mh; ajrchv, dovxei mei'zon ei\nai, kai; eij
mh; ajrchv, to; de; ajrchv: to; ga;r tevlo" mei'zon kai; oujc ãhJÃ ajrchv,
w{sper oJ Lewdavma" kathgorw'n e[fh Kallistravtou to;n bou-
20 leuvsanta tou' pravxanto" ma'llon ajdikei'n: ouj ga;r a]n pra-
7. LA MAGGIORE O MINORE UTILITÀ 65

l’essere in salute è preferibile al piacere anche il bene cor-


rispondente è più importante, vale a dire che anche la
salute è più importante del piacere. Inoltre, il preferibile 1364a
per sé è più importante di quello che non è preferibile
per se stesso, come il vigore lo è della salute: infatti il
primo non è un fine di per se, l’altra sì, il che, s’era detto,
è il bene. Inoltre una cosa che è fine è maggiore di ciò
che non lo è: la prima è fine a se stessa, la seconda ad al-
tro, come il fare ginnastica è finalizzato allo star bene del 5

corpo. Ancora è bene maggiore ciò che ha meno bisogno


di altro o di altri: infatti è più autosufficiente; si ha meno
necessità se le cose di cui si ha bisogno sono poche o più
facili. Inoltre quando una cosa non è senza un’altra, o
non è possibile che sia senza un’altra, mentre la seconda
è possibile che sia senza di quella, quest’ultima invero è
quella più autosufficiente, quella che non ha bisogno, e di
conseguenza appare come un bene maggiore.
Ancora una cosa è bene maggiore di un’altra se è prin- 10

cipio, mentre la seconda non lo è, e se è causa, mentre


l’altra non lo è, per lo stesso motivo: infatti senza causa
e senza principio è impossibile che una cosa sia o si veri-
fichi. E se vi sono due principi, ciò che viene da princi-
pio maggiore è maggiore, e se vi sono due cause, ciò che
viene da causa maggiore è maggiore. E viceversa di due
principi, il principio di ciò che è maggiore è maggiore, e 15

di due cause, la causa di ciò che è maggiore è maggiore.


È chiaro dunque, da quanto s’è detto, che una cosa si
manifesta come maggiore in due maniere, e cioè appa-
re come bene maggiore, se una cosa è principio mentre
l’altra non lo è, e se non è principio, mentre l’altra lo è,
si manifesta come bene maggiore se costituisce l’esito fi-
nale, poiché l’esito e non il principio è la cosa superiore.
Così Leodamante37 accusando Callistrato disse che chi 20

aveva consigliato era stato più ingiusto di chi aveva ese-


66 RETORICA I, 1364a 21 - b 3

cqh'nai mh; bouleuvsanto": pavlin de; kai; Cabrivou, to;n prav-


xanta tou' bouleuvsanto": ouj ga;r a]n genevsqai, eij mh; h\n oJ
pravxwn: touvtou ga;r e{neka ejpibouleuvein, o{pw" pravxwsin. kai;
to; spaniwvteron tou' ajfqovnou, oi|on cruso;" sidhvrou, ajcrh-
25 stovtero" w[n: mei'zon ga;r hJ kth's i" dia; to; calepwtevra
ei\nai. (a[llon de; trovpon to; a[fqonon tou' spanivou, o{ti hJ crh's i"
uJperevcei: to; ga;r pollavki" tou' ojligavki" uJperevcei, o{qen levgetai
a[riston me;n u{dwr.)
kai; o{lw" to; calepwvteron tou' rJao/v no": spaniwvteron gavr. a[llon
30 de; trovpon to; rJa'/on tou' calepwtevrou: e[cei ga;r wJ" boulovmeqa.
kai; w|/ to; ejnantivon mei'zon, kai; ou| hJ stevrhsi" meivzwn. kai;
ajreth; mh; kakiva" kai; kakiva mh; ajreth'" meivzwn: ta; me;n ga;r
tevlh, ta; dΔ ouj tevlh. kai; w|n ta; e[rga kallivw h] aijscivw, meivzw
aujtav, kai; w|n aiJ kakivai kai; aiJ ajretai; meivzou", kai; ta; e[rga
35 meivzw, ejpeivper wJ" ta; ai[tia kai; aiJ ajrcaiv, kai; ta; ajpo-
baivnonta, kai; wJ" ta; ajpobaivnonta, kai; ta; ai[tia kai; aiJ
ajrcaiv. kai; w|n hJ uJperoch; aiJretwtevra h] kallivwn, oi|on to;
ajkribw'" oJra'n aiJretwvteron tou' ojsfraivnesqai (kai; ga;r o[y i"
1364b ojsfrhvsew~), kai; to; ILletairwvteron ei\nai tou' ILlocrhmatwv-
teron ªma'llonº kavllion, w{ste kai; ILletairiva ILlocrhmativa".
kai; ajntikeimevnw" de; tw'n beltiovnwn aiJ uJperbolai; beltivou"
7. LA MAGGIORE O MINORE UTILITÀ 67

guito, dal momento che senza chi consiglia, la cosa non


si sarebbe realizzata. Al contrario, nell’accusare pure Ca-
bria, disse che chi esegue è più ingiusto di chi consiglia,
giacché il fatto non si sarebbe verificato se non vi fosse
stato l’esecutore: infatti è per questo che si consiglia, in
modo che ci sia chi metta in pratica. Inoltre il più raro è
maggiore di ciò che abbonda, ad esempio l’oro del fer- 25

ro, anche se è inutile: il possesso è infatti più importante


perché più difficile. D’altro canto, ciò che abbonda è più
importante perché è superiore l’utilizzo; infatti «spesso»
è più importante del «raramente», di qui il detto: «Otti-
ma cosa è l’acqua»38.
E in genere il «più difficile» è maggiore del «più faci-
le»: infatti è più raro. Per un altro verso, il «più facile» è 30

maggiore del «più difficile», perché risponde al modo in


cui desideriamo. Maggiore è anche ciò a cui il contrario
è maggiore, e ciò di cui risulta più grave la privazione. E
la virtù è più importante della mancanza di vizio e il vizio
è più grave della mancanza di virtù: i primi sono infatti
un fine, le seconde non lo sono. Inoltre, quelle cose le cui
opere sono più belle o più brutte sono esse stesse più im-
portanti, e di quelle cose i cui vizi e virtù sono più grandi,
anche le loro opere sono più grandi, perché così come 35

sono le cause e i principi, così pure è quanto da questi


deriva, e così come è ciò che da questi deriva, così pure
sono e le cause e i principi. Ancora, sono più importanti
quelle cose il cui eccesso è maggiormente preferibile o
più bello: ad esempio il vedere con precisione è maggior-
mente preferibile a un fine odorato (e infatti la vista è più
importante dell’odorato), e l’essere troppo attaccato agli 1364b
amici è più bello dell’essere troppo attaccato al denaro,
di conseguenza anche l’amore per l’amicizia è più impor-
tante dell’amore per il denaro. E, in corrispondenza, gli
eccessi delle cose migliori sono migliori e delle cose più
68 RETORICA I, 1364b 4-26

kai; ãaiJÃ kalliovnwn kallivou". kai; w|n aiJ ejpiqumivai kallivou" h]


5 beltivou": aiJ ga;r meivzou" ojrevxei" meizovnwn eijs ivn. kai; tw'n
kalliovnwn de; h] beltiovnwn aiJ ejpiqumivai beltivou" kai;
kallivou" dia; to; aujtov. kai; w|n aiJ ejpisth'mai kallivou" h]
spoudaiovterai, kai; ta; pravgmata kallivw kai; spoudaiovtera:
wJ" ga;r e[cei hJ ejpisthvmh, kai; to; ajlhqev": keleuvei de; to;
10 auJth'" eJkavsth. kai; tw'n spoudaiotevrwn de; kai; kalliovnwn aiJ
ejpisth'mai ajnavlogon dia; to; aujtov. kai; o} krivneian a]n h] ke-
krivkasin oiJ frovnimoi h] pavnte" h] oiJ polloi; h] oiJ pleivou" h]
oiJ kravtistoi ajgaqo;n mei'zon, ajnavgkh ou{tw" e[cein, h] aJplw'"
h] h|/ kata; th;n frovnhsin e[krinan. e[sti de; tou'to koino;n kai;
15 kata; tw'n a[llwn: kai; ga;r ti; kai; poso;n kai; poio;n ou{tw"
e[cei wJ" a]n hJ ejpisthvmh kai; hJ frovnhsi" ei[poi. ajllΔ ejpΔ
ajgaqw'n eijrhvkamen: w{ristai ga;r ajgaqo;n ei\nai o} labo;n
ªta; pravgmataº frovnhsin e{loitΔ a]n e{kaston: dh'lon ou\n o{ti
kai; mei'zon o} ma'llon hJ frovnhsi" levgei. kai; to; toi'" bel-
20 tivosin uJpavrcon, h] aJplw'" h] h|/ beltivou", oi|on hJ ajndreiva ijscuvo".
kai; o} e{loitΔ a]n oJ beltivwn, h] aJplw'" h] h|/ beltivwn, oi|on to;
ajdikei'sqai ma'llon h] ajdikei'n: tou'to ga;r oJ dikaiovtero" a]n
e{loito. kai; to; h{dion tou' h|tton hJdevo": th;n ga;r hJdonh;n
pavnta diwvkei, kai; auJtou' e{neka tou' h{desqai ojrevgontai, w{ri-
25 stai de; touvtoi" to; ajgaqo;n kai; to; tevlo": h{dion de; tov te
ajlupovteron kai; to; polucroniwvteron hJduv. kai; to; kavllion
7. LA MAGGIORE O MINORE UTILITÀ 69

belle sono più belli. E sono migliori anche quelle cose


i cui desideri sono belli o migliori: infatti le appetizioni 5

delle cose più importanti sono più importanti. E per que-


sto stesso motivo i desideri delle cose più belle e miglio-
ri sono anch’esse belle e migliori. Inoltre, di quelle cose
le cui scienze sono più belle e dignitose anche l’oggetto
sarà più bello e più dignitoso: infatti a seconda di come
è la scienza, così è pure la verità, e ogni scienza domina
il proprio ambito. E per questo motivo vi è proporzione 10

tra tipo di scienza e ambiti di competenza più belli e di-


gnitosi.
Ancora, ciò che i saggi – tutti o molti o la maggior
parte o i più autorevoli – valuterebbero, o avrebbero va-
lutato, bene maggiore è necessariamente tale o in asso-
luto o nella misura in cui lo abbiano giudicato secondo
saggezza. E questo principio generale vale anche per le 15

altre cose: infatti sostanza, quantità e qualità si compor-


tano così come giudicherebbero scienza e saggezza. Ma
dei beni abbiamo parlato. Si definisca infatti bene ciò che
ciascun essere vorrebbe per sé se avesse saggezza39: è dun-
que evidente che è «maggiore» anche ciò che il pensiero
indica come migliore. Inoltre anche ciò che appartiene 20

agli uomini migliori è «maggiore», o in senso assoluto o


nella misura in cui sono migliori, come il coraggio è più
importante della forza. E anche ciò che l’uomo miglio-
re sceglierebbe è «maggiore», o in senso assoluto o nella
misura in cui è migliore, ad esempio il subire ingiustizia
è meglio che farla, poiché questo è quanto preferirebbe
l’uomo più giusto. Anche il più piacevole è migliore del
meno piacevole: perché tutti gli esseri perseguono il pia-
cere, e desiderano goderselo per sé stesso, e con queste 25

caratteristiche è stato definito il bene e il fine40. Più pia-


cevole è poi quel piacere maggiormente privo di dolori e
che dura di più. Anche il più bello è migliore del meno
70 RETORICA I, 1364b 27 - 1365a 11

tou' h|tton kalou': to; ga;r kalovn ejstin h[toi to; hJdu; h] to;
kaqΔ auJto; aiJretovn. kai; o{swn aujtoi; auJtoi'" h] ILvloi" bouv-
lontai ai[tioi ei\nai ma'llon, tau'ta meivzw ajgaqav, o{swn
30 de; h|tton, meivzw kakav. kai; ta; polucroniwvtera tw'n ojligo-
croniwtevrwn kai; ta; bebaiovtera tw'n ajbebaiotevrwn:
uJperevcei ga;r hJ crh's i" tw'n me;n tw'/ crovnw/ tw'n de; th'/
boulhvsei: o{tan ga;r bouvlwntai, uJpavrcei ma'llon hJ tou' be-
baivou. kai; wJ" a]n e}n tw'n sustoivcwn kai; tw'n oJmoivwn ptwv-
35 sewn, kai; ta\llΔ ajkolouqei', oi|on eij to; ajndreivw" kavllion kai;
aiJretwvteron tou' swfrovnw", kai; ajndreiva swfrosuvnh" aiJretw-
tevra kai; to; ajndrei'on ei\nai tou' swfronei'n. kai; o} pavnte"
aiJrou'ntai tou' mh; o} pavnte". kai; o} oiJ pleivou" h] o} oiJ ejlavttou":
1365a ajgaqo;n ga;r h\n ou| pavnte" ejILventai, w{ste kai; mei'zon ou|
ma'llon. kai; o} oiJ ajmILsbhtou'nte" h] oiJ ejcqroiv, h] oiJ krivnon-
te" h] ou}" ou|toi krivnousin: to; me;n ga;r wJ" a]n eij pavnte" fai'evn
ejsti, to; de; oiJ kuvrioi kai; oiJ eijdovte". kai; oJte; me;n ou| pavnte"
5 metevcousi mei'zon: ajtimiva ga;r to; mh; metevcein: oJte; de; ou|
mhdei;" h] ou| ojlivgoi: spaniwvteron gavr. kai; ta; ejpainetwvtera:
kallivw gavr. kai; w|n aiJ timai; meivzou", wJsauvtw": hJ ga;r
timh; w{sper ajxiva tiv" ejstin. kai; w|n aiJ zhmivai meivzou". kai;
ta; tw'n oJmologoumevnwn h] fainomevnwn megavlwn meivzw.
10 kai; diairouvmena de; eij" ta; mevrh ta; aujta; meivzw faivnetai.
plei'on ga;r uJperevcein faivnetai, o{qen kai; oJ poihthv" fhsi
7. LA MAGGIORE O MINORE UTILITÀ 71

bello; infatti bello è o ciò che è piacevole o ciò che è pre-


feribile di per sé. Di tutte le cose di cui gli uomini vo-
gliono essere in più grande misura causa o per loro stessi
o per i loro amici ebbene queste sono i beni maggiori,
mentre mali maggiori sono quelle che vogliono di meno. 30

E le cose più durature sono più importanti di quelle di


poca durata e le cose più certe di quelle meno certe: l’u-
tilizzo delle prime è un bene superiore per il tempo, delle
seconde per il desiderio: infatti l’uso di cose certe, quando
si desidera, è il bene più importante. Inoltre, il modo in
cui un significato di bene maggiore può stare tra i termini
di uno stesso genere e le corrispondenti derivazioni conse- 35

gue pure in altre cose: ad esempio, se «valorosamente» è


più bello e preferibile di «moderatamente», anche il valore
sarà maggiormente preferibile della moderazione e l’essere
valoroso più dell’essere moderato. Inoltre è preferibile ciò
che preferiscono tutti rispetto a ciò che nessuno sceglie, e
quello che preferiscono la maggior parte rispetto a quel-
lo che scelgono in pochi: infatti, s’era detto, è bene ciò a 1365a
cui tutti tendono41, e di conseguenza bene maggiore ciò
a cui, in misura maggiore, si aspira. Bene è anche ciò di
cui parlano le parti avverse o nemiche o i giudici o chi da
questi è indicato: perché in un caso è come se lo dicessero
tutti, nell’altro le persone autorevoli e i competenti. Inoltre
a volte è maggiore un bene di cui tutti prendono parte – 5

è infatti disonorevole non parteciparvi – a volte, invece,


quello a cui nessuno partecipa o pochi, poiché è più raro.
Maggiori sono anche le cose più degne di lode perché sono
più belle e, per lo stesso motivo, quelle di cui vi sono gli
onori più grandi: infatti l’onore è una sorta di valore; mag-
giore è inoltre ciò per cui esistono le punizioni più grandi,
quello su cui sono tutti d’accordo o ciò che appare grande.
E, suddivise in parti, queste stesse cose appaiono più 10

grandi, poiché il maggior numero sembra soverchiante,


72 RETORICA I, 1365a 12 - b 1

pei'sai to;n Melevagron ajnasth'nai


o{ssa kavkΔ ajnqrwvpoisi pevlei tw'n a[stu aJlwvh/:
laoi; me;n fqinuvqousi, povlin dev te pu'r ajmaquvnei,
15 tevkna dev tΔ a[lloi a[gousin.
kai; to; suntiqevnai de; kai; ejpoikodomei'n, w{sper ΔEpivcarmo",
diav te to; aujto; th'/ diairevsei (hJ ga;r suvnqesi" uJperoch;n
deivknusi pollhvn) kai; o{ti ajrch; faivnetai megavlwn kai; ai[-
tion. ejpei; de; to; calepwvteron kai; spaniwvteron mei'zon,
20 kai; oiJ kairoi; kai; aiJ hJlikivai kai; oiJ tovpoi kai; oiJ crovnoi kai;
aiJ dunavmei" poiou's i megavla: eij ga;r para; duvnamin kai;
para; hJlikivan kai; para; tou;" oJmoivou", kai; eij ou{tw" h]
ejntau'qa h] tovte, e{xei mevgeqo" kai; kalw'n kai; ajgaqw'n kai;
dikaivwn kai; tw'n ejnantivwn, o{qen kai; to; ejpivgramma tw'/
25 ojlumpionivkh/:
provsqe me;n ajmfΔ w[moisin e[cwn tracei'an a[s illan
ijcqu'" ejx “Argou" eij" Tegevan e[feron,
kai; oJ ΔIILkravth" auJto;n ejnekwmivaze levgwn ejx w|n uJph'rxen
tau'ta. kai; to; aujtofue;" tou' ejpikthvtou: calepwvteron gavr.
30 o{qen kai; oJ poihthv" fhsin “aujtodivdakto" dΔ eijmiv.” kai; to;
megavlou mevgiston mevro", oi|on Periklh'" to;n ejpitavILon
levgwn, th;n neovthta ejk th'" povlew" ajnh/rh'sqai w{sper to; e[ar
ejk tou' ejniautou' eij ejxaireqeivh. kai; ta; ejn creiva/ meivzoni
crhvs ima, oi|on ta; ejn ghvra/ kai; novsoi". kai; duoi'n to; ejgguv-
35 teron tou' tevlou". kai; to; aujtw'/ tou' aJplw'". kai; to; duna-
to;n tou' ajdunavtou: to; me;n ga;r aujtw'/, to; dΔ ou[. kai; ta; ejn
tevlei tou' bivou: tevlh ga;r ma'llon ta; pro;" tw'/ tevlei. kai;
1365b ta; pro;" ajlhvqeian tw'n pro;" dovxan: o{ro" de; tou' pro;" dovxan,
7. LA MAGGIORE O MINORE UTILITÀ 73

di qui anche il poeta dice che a convincere Meleagro a


combattere furono «tutti i mali che agli uomini toccano
quando la rocca è presa: muoiono le genti, il fuoco brucia
la città, altri si portano via i figli»42. 15

E il «combinare» e il «graduare»43, come fa Epicarmo,


fa apparire le cose più grandi per lo stesso motivo del di-
videre (il riunire, infatti, mostra una superiorità gonfiata),
anche perché sembra principio e causa di cose grandi.
Dal momento che ciò che è più difficile e più raro è mag-
giore, anche i momenti opportuni e le età e i luoghi e i 20

tempi e le possibilità rendono grandi le cose: infatti se si


va al di là delle proprie possibilità, dell’età e dei propri
simili, e se lo si fa in un certo modo o luogo o momento,
si avrà la grandezza delle cose belle e buone e giuste e dei
loro contrari. Di qui l’epigramma per chi vince nei giochi 25

olimpici: «prima sulle spalle tenendo ruvido giogo, pesci


portavo da Argo a Tegea»44.
E Ificrate lodava se stesso raccontando da quali cose
ebbero inizio i suoi risultati. E l’innato è maggiore di ciò
che si è acquisito in seguito, e difatti è più raro.
Perciò anche il poeta dice «Io sono autodidatta»45. 30

Inoltre ha maggior valore la parte più importante di una


cosa importante, come l’epitaffio di Pericle quando dice:
«venne tolta la gioventù dalla città come se fosse strappata
la primavera dall’anno». E le cose utili nel maggior biso-
gno, come nella vecchiaia e nelle malattie; e di due cose
quella più vicina al fine; e ciò che è utile per sé stessi è 35

migliore di ciò che lo è in generale; e il possibile è meglio


dell’impossibile, poiché il primo è utile il secondo no. E
ciò che si trova alla fine della vita: infatti, costituiscono un
fine più importante le cose che si trovano in prossimità
della fine. Inoltre le cose che hanno a che fare con la verità 1365b
sono migliori di quelle che hanno a che fare con l’opinio-
ne. È definizione di «in rapporto all’opinione» ciò che un
74 RETORICA I, 1365b 2-20

o} lanqavnein mevllwn oujk a]n e{loito: dio; kai; to; eu\ pavscein
tou' eu\ poiei'n dovxeien a]n aiJretwvteron ei\nai: to; me;n ga;r ka]n
lanqavnh/ aiJrhvsetai, poiei'n dΔ eu\ lanqavnwn ouj dokei' a]n eJlev-
5 sqai. kai; o{sa ei\nai ma'llon h] dokei'n bouvlontai: pro;"
ajlhvqeian ga;r ma'llon: dio; kai; th;n dikaiosuvnhn fasi; mi-
kro;n ei\nai, o{ti dokei'n h] ei\nai aiJretwvteron: to; de; uJgiaivnein
ou[. kai; to; pro;" polla; crhsimwvteron, oi|on to; pro;" to;
zh'n kai; eu\ zh'n kai; th;n hJdonh;n kai; to; pravttein ta; kalav:
10 dio; oJ plou'to" kai; hJ uJgiveia mevgista dokei' ei\nai:
a{panta ga;r e[cei tau'ta. kai; to; ajlupovteron kai; meqΔ
hJdonh'": pleivw ga;r eJnov", o{ti uJpavrcei kai; hJ hJdonh; ªajga-
qo;nº kai; hJ ajlupiva. kai; duoi'n o} tw'/ aujtw'/ prostiqevmenon
mei'zon to; o{lon poiei'. kai; a} mh; lanqavnei parovnta h] a} lan-
15 qavnei: pro;" ajlhvqeian ga;r teivnei tau'ta: dio; to; ploutei'n
faneivh a]n mei'zon ajgaqo;n tou' dokei'n. kai; to; ajgaphtovn,
kai; toi'" me;n movnon ão]nà toi'" de; metΔ a[llwn: dio; kai; oujk i[sh
zhmiva, a[n ti" to;n eJterovfqalmon tuflwvsh/ kai; to;n duvΔ e[con-
ta: ajgaphto;n ga;r ajfhv/rhtai. ejk tivnwn me;n ou\n dei' ta;" pivstei"
20 fevrein ejn tw'/ protrevpein kai; ajpotrevpein, scedo;n ei[rhtai.
7. LA MAGGIORE O MINORE UTILITÀ 75

uomo potrebbe non scegliere se poi passasse inosserva-


to; anche per questo ricevere del bene potrebbe apparire
maggiormente preferibile al fare del bene: il primo lo si
potrebbe infatti apprezzare pure se passasse inosservato,
il fare del bene, invece, non appare tale da essere scelto
qualora rimanesse ignorato. Sono migliori inoltre tutte 5

le cose che richiedono l’essere piuttosto che l’apparire,


perché hanno maggiormente a che fare con la verità: per
questo si dice che la giustizia sia un bene minimo, dal mo-
mento che si preferisce di più il sembrare anziché l’essere
giusti, mentre non lo si dice per l’essere in salute. E ciò
che è più utile in relazione a molte cose, ad esempio ciò
che è più utile in relazione alla vita, al vivere bene, al pia-
cere e al compiere belle azioni.
Per questo la ricchezza e la salute sembra che siano 10

i beni più grandi: hanno infatti tutte queste caratteristi-


che. Inoltre è meglio ciò che è maggiormente privo di
dolore ed è accompagnato dal piacere, poiché è più di
un singolo bene, dal momento che ne fanno parte sia il
piacere che l’assenza di dolore. E di due grandezze quella
che aggiunta alla medesima rende più grande l’intero. E
sono un bene maggiore quelle cose che, se presenti, non
restano nascoste rispetto a quelle che lo sono: infatti le 15

prime sono dirette verso la verità. Per questo l’essere ric-


co apparirebbe un bene più grande del sembrarlo. Ed è
superiore ciò di cui ci si deve accontentare in quanto, per
taluni, è quell’unico bene che invece, per altri, si accom-
pagna ad altre cose; perciò non è uguale pena se è privato
di un occhio colui che è privo pure dell’altro e chi invece
ne possiede due: è stato infatti tolto ciò di cui ci si doveva
contentare. Da quali cose si devono trarre le persuasioni
nell’esortare e nel dissuadere, pressappoco si è detto. 20
76 RETORICA I, 1365b 21 - 1366a 9

8. Mevgiston de; kai; kuriwvtaton aJpavntwn pro;" to; duvna-


sqai peivqein kai; kalw'" sumbouleuvein ãto;Ã ta;" politeiva" aJ-
pavsa" labei'n kai; ta; eJkavsth" h[qh kai; novmima kai; sum-
fevronta dielei'n. peivqontai ga;r a{pante" tw'/ sumfevronti,
25 sumfevrei de; to; sw'zon th;n politeivan. e[ti de; kuriva mevn
ejstin hJ tou' kurivou ajpovfansi", ta; de; kuvria dihv/rhtai kata;
ta;" politeiva": o{sai ga;r aiJ politei'ai, tosau'ta kai; ta;
kuvriav ejstin. eijs i;n de; politei'ai tevttare", dhmokrativa, ojli-
garciva, ajristokrativa, monarciva, w{ste to; me;n kuvrion kai; to;
30 kri'non touvtwn ti a]n ei[h movrion h] o{lon touvtwn. e[stin de; dhmo-
krativa me;n politeiva ejn h|/ klhvrw/ dianevmontai ta;" ajrcav",
ojligarciva de; ejn h|/ oiJ ajpo; timhmavtwn, ajristokrativa de; ejn
h|/ kata; th;n paideivan: paideivan de; levgw th;n uJpo; tou' novmou
keimevnhn. oiJ ga;r ejmmemenhkovte" ejn toi'" nomivmoi" ejn th'/
35 ajristokrativa/ a[rcousin. ajnavgkh de; touvtou" faivnesqai ajrivstou",
o{qen kai; tou[noma ei[lhfen tou'to. monarciva dΔ ejsti;n kata;
1366a tou[noma ejn h|/ ei|" aJpavntwn kuvriov" ejstin: touvtwn de; hJ me;n
kata; tavxin tina; basileiva, hJ dΔ ajovristo" turanniv". to; dh;
tevlo" eJkavsth" politeiva" ouj dei' lanqavnein: aiJrou'ntai ga;r ta;
pro;" to; tevlo". e[sti de; dhmokrativa" me;n tevlo" ejleuqeriva,
5 ojligarciva" de; plou'to", ajristokrativa" de; ta; peri; paideivan
kai; ta; novmima, turannivdo" de; fulakhv. dh'lon ou\n o{ti ta;
pro;" to; tevlo" eJkavsth" h[qh kai; novmima kai; sumfevronta
diairetevon, ei[per aiJrou'ntai pro;" tou'to ejpanafevronte". ejpei;
de; ouj movnon aiJ pivstei" givnontai diΔ ajpodeiktikou' lovgou, ajlla;
8. LA SALVEZZA DEI GOVERNI 77

8. La salvezza dei governi

La cosa più importante e decisiva fra tutte, perché sia


possibile persuadere e consigliare adeguatamente, è
prendere tutte le forme di governo e distinguere costumi,
leggi e vantaggi di ciascuna. Tutti quanti infatti si con-
vincono in base a ciò che è vantaggioso, ed è vantaggioso 25

ciò che salva l’istituzione. Inoltre la dichiarazione della


sovranità è l’autorità, e le autorità si distinguono a secon-
da della forma di governo: infatti tanti sono i governi,
tante anche le forme di autorità. Vi sono quattro tipi di
governi: democrazia, oligarchia, aristocrazia, monarchia,
di conseguenza sovranità e potere decisionale di queste 30

forme di governo potranno risiedere o in una loro parte


o nell’insieme di esse.
La democrazia è il governo dove gli incarichi si as-
segnano per sorteggio, l’oligarchia quella in cui si as-
segnano in base al censo, l’aristocrazia, invece, in base
all’educazione. Chiamo «educazione» ciò che è stato sta-
bilito dalla tradizione. Coloro che rimangono saldi nelle 35

tradizioni comandano nell’aristocrazia. Necessariamente


costoro appaiono i migliori, e di qui ha anche preso il
nome. La monarchia, come dice il nome, è quel governo 1366a
in cui uno solo comanda su tutti; in questo quello che se-
gue un ordinamento è un regno, quello che invece è privo
di limitazioni è una tirannide. Ebbene, non deve sfuggire
lo scopo di ciascuna costituzione: sono infatti scelte in
relazione a un fine. Lo scopo della democrazia è la li-
bertà, dell’oligarchia la ricchezza, dell’aristocrazia riguar- 5

da l’educazione e le tradizioni, della tirannide la tutela


personale. È chiaro dunque che vanno distinti costumi,
tradizioni e vantaggi in relazione al fine di ciascuna, dal
momento che le scelte si fanno riferendosi a questo. Poi-
ché le persuasioni si ottengono non solo con il discorso
78 RETORICA I, 1366a 10-32

10 kai; diΔ hjqikou' (tw'/ ga;r poiovn tina faivnesqai to;n levgonta
pisteuvomen, tou'to dΔ ejsti;n a]n ajgaqo;" faivnhtai h] eu[nou" h]
a[mfw), devoi a]n ta; h[qh tw'n politeiw'n eJkavsth" e[cein hJma'":
to; me;n ga;r eJkavsth" h\qo" piqanwvtaton ajnavgkh pro;" eJkavsthn
ei\nai. tau'ta de; lhfqhvsetai dia; tw'n aujtw'n: ta; me;n ga;r
15 h[qh fanera; kata; th;n proaivresin, hJ de; proaivresi" ajna-
fevretai pro;" to; tevlo".
w|n me;n ou\n dei' ojrevgesqai protrevponta" wJ" ejsomevnwn
h] o[ntwn, kai; ejk tivnwn dei' ta;" peri; tou' sumfevronto" pivstei"
lambavnein, e[ti de; tw'n peri; ta;" politeiva" hjqw'n kai; nomivmwn
20 dia; tivnwn te kai; pw'" eujporhvsomen, ejfΔ o{son h\n tw'/ parovnti
kairw'/ suvmmetron, ei[rhtai: dihkrivbwtai ga;r ejn toi'" Politi-
koi'" peri; touvtwn.

9. meta; de; tau'ta levgwmen peri; ajreth'" kai; kakiva" kai;


kalou' kai; aijscrou': ou|toi ga;r skopoi; tw'/ ejpainou'nti kai; yev-
25 gonti: sumbhvsetai ga;r a{ma peri; touvtwn levgonta" kajkei'na
dhlou'n ejx w|n poioiv tine" uJpolhfqhsovmeqa kata; to; h\qo",
h{per h\n deutevra pivsti": ejk tw'n aujtw'n ga;r hJma'" te kai; a[llon
ajxiovpiston dunhsovmeqa poiei'n pro;" ajrethvn. ejpei; de; sumbaivnei
kai; cwri;" spoudh'" kai; meta; spoudh'" ejpainei'n pollavki" ouj movnon
30 a[nqrwpon h] qeo;n ajlla; kai; a[yuca kai; tw'n a[llwn zwv/wn to; tucovn,
to;n aujto;n trovpon kai; peri; touvtwn lhptevon ta;" protavsei",
w{ste o{son paradeivgmato" cavrin ei[pwmen kai; peri; touvtwn.
9. IL GENERE EPIDITTICO 79

dimostrativo, ma anche con un discorso etico (prestiamo 10

fede perché chi parla appare in un certo modo, e questo


avviene se appare buono o di buon carattere o entram-
bi), dovremmo possedere i caratteri di ciascuna forma
di governo: poiché per ognuna il proprio carattere è ne-
cessariamente il più persuasivo. Questi caratteri saranno
colti attraverso le istituzioni medesime: poiché i caratteri 15

risaltano in conformità alla deliberazione dei governi, e la


deliberazione si rivolge al fine.
A quali cose, tra quelle future o presenti, debba dun-
que tendere chi esorta, e da quali si debbano trarre per-
suasioni riguardo a ciò che è vantaggioso, e inoltre da quali
fonti e in che modo avremo una buona scorta di caratteri 20

e tradizioni dei governi, nella misura in cui era adeguato


alla presente occasione, è stato detto: di queste cose è sta-
to infatti discusso minuziosamente nella Politica 46.

9. Il genere epidittico

Dopo di che parliamo di virtù e di vizi, di bello e di turpe;


sono infatti questi gli obiettivi per chi loda e per chi bia-
sima. E nello stesso tempo accadrà pure che, nel parlare 25

di queste cose, si rivelino le ragioni per cui assumeremo


certe qualità in rapporto al carattere (ciò che preceden-
temente si era indicato come una seconda forma di per-
suasione47). Da questi stessi mezzi potremo rendere noi
stessi e gli altri più credibili quanto alla virtù. E siccome
accade, anche a prescindere dalla serietà o dalla non se-
rietà, di lodare spesso non solo un uomo o una divinità 30

ma anche elementi inanimati e un qualsiasi animale, nello


stesso modo si devono assumere le premesse su queste
cose, perciò, a titolo di esempio, parliamo anche di questi
argomenti.
80 RETORICA I, 1366a 33 - b 24

kalo;n me;n ou\n ejstin o} a]n diΔ auJto; aiJreto;n o]n ejp-
aineto;n h\/, h] o} a]n ajgaqo;n o]n hJdu; h\/, o{ti ajgaqovn: eij de;
35 tou'tov ejsti to; kalovn, ajnavgkh th;n ajreth;n kalo;n ei\nai:
ajgaqo;n ga;r o]n ejpainetovn ejstin. ajreth; dΔ ejsti; me;n duv-
nami" wJ" dokei' poristikh; ajgaqw'n kai; fulaktikhv, kai;
duvnami" eujergetikh; pollw'n kai; megavlwn, kai; pavntwn
1366b peri; pavnta: mevrh de; ajreth'" dikaiosuvnh, ajndreiva, swfro-
suvnh, megaloprevpeia, megaloyuciva, ejleuqeriovth", frovnhsi",
soILva. ajnavgkh de; megivsta" ei\nai ajreta;" ta;" toi'" a[lloi"
crhsimwtavta", ei[per ejsti;n hJ ajreth; duvnami" eujergetikhv,
5 ãkai;Ã dia; tou'to tou;" dikaivou" kai; ajndreivou" mavlista timw'-
sin: hJ me;n ga;r ejn polevmw/, hJ de; kai; ejn polevmw/ kai; ejn eij-
rhvnh/ crhvs imo" a[lloi". ei\ta ejleuqeriovth": proiv>entai ga;r
kai; oujk ajntagwnivzontai peri; tw'n crhmavtwn, w|n mavlista
ejILventai a[lloi. e[sti de; dikaiosuvnh me;n ajreth; diΔ h}n ta; auJtw'n
10 e{kastoi e[cousi, kai; wJ" oJ novmo": ajdikiva de; diΔ h}n ta; ajllov-
tria, oujc wJ" oJ novmo". ajndreiva de; diΔ h}n praktikoiv eijs i tw'n
kalw'n e[rgwn ejn toi'" kinduvnoi", kai; wJ" oJ novmo" keleuvei, kai;
uJphretikoi; tw'/ novmw/: deiliva de; toujnantivon. swfrosuvnh de;
ajreth; diΔ h}n pro;" ta;" hJdona;" ta;" tou' swvmato" ou{tw" e[cousin
15 wJ" oJ novmo" keleuvei: ajkolasiva de; toujnantivon. ejleuqeriovth"
de; peri; crhvmata eujpoihtikhv, ajneleuqeriva de; toujnantivon.
megaloyuciva de; ajreth; megavlwn poihtikh; eujergethmavtwn
ªmikroyuciva de; toujnantivonº, megaloprevpeia de; ajreth; ejn dapa-
nhvmasi megevqou" poihtikhv, mikroyuciva de; kai; mikro-
20 prevpeia tajnantiva. frovnhsi" dΔ ejsti;n ajreth; dianoiva" kaqΔ
h}n eu\ bouleuvesqai duvnantai peri; ajgaqw'n kai; kakw'n tw'n
eijrhmevnwn eij" eujdaimonivan.
peri; me;n ou\n ajreth'" kai; kakiva" kaqovlou kai; peri; tw'n mo-
rivwn ei[rhtai kata; to;n ejnestw'ta kairo;n iJkanw'", peri; de; tw'n
9. IL GENERE EPIDITTICO 81

Allora, bello è ciò che, essendo preferibile per sé stesso,


è lodevole in quanto tale, oppure ciò che, essendo buono,
è piacevole in quanto tale. Se questo è il bello, è necessaria 35

che la virtù sia bella: infatti è buona per il fatto di essere


degna di lode. La virtù, a quanto pare, è la facoltà di procu-
rarsi beni e di preservarli, inoltre è la facoltà di realizzarne
molti e grandi, di ogni tipo e su ogni cosa. Parti della virtù 1366b
sono giustizia, valore, temperanza, magnificenza, magna-
nimità, liberalità, saggezza, sapienza. Necessariamente le
più grandi virtù sono quelle più utili per gli altri, siccome
è virtù la facoltà di operare bene, anche per questo motivo
si onorano soprattutto i giusti e i valorosi, poiché il valore 5

è utile in guerra, la giustizia è utile agli altri in guerra e in


pace. Poi la liberalità: infatti gli uomini di costumi liberali
donano spontaneamente e non si mettono a fare questioni
sulle ricchezze cui gli altri aspirano al di sopra di tutto. La
giustizia è la virtù per la quale ciascuno possiede le proprie 10

cose, cioè come indica la legge; l’ingiustizia è ciò per cui si


possiedono le cose degli altri in maniera illegale. Il valore è
virtù per la quale si è capaci di imprese coraggiose nei pe-
ricoli, cioè come prescrive la norma e ci rende ubbidienti
ad essa; la viltà è il contrario. La temperanza è virtù per la
quale ci si dispone verso i piaceri del corpo nel modo in
cui prescrive la norma; l’intemperanza è il contrario. La 15

liberalità è la capacità di far bene per quanto riguarda le


ricchezze, la mancanza di liberalità il contrario.
La magnanimità è virtù che rende capaci di far compie-
re grandi benefici [la meschinità il contrario]. La magnifi-
cenza è virtù che produce grandezza nelle spese, ad essa si
oppongono meschinità e miserabilità. La saggezza è virtù 20

del pensiero grazie alla quale è possibile ben consigliare,


riguardo i suddetti beni e mali, in vista della felicità.
Su virtù e vizio in generale e sulle loro parti si è det-
to in maniera adeguata in questa circostanza, per quanto
82 RETORICA I, 1366b 25 - 1367a 13

25 a[llwn ouj calepo;n ijdei'n: fanero;n ga;r o{ti ajnavgkh tav te poih-
tika; th'" ajreth'" ei\nai kalav (pro;" ajreth;n gavr) kai; ta; ajpΔ ajre-
th'" ginovmena, toiau'ta de; tav te shmei'a th'" ajreth'" kai; ta;
e[rga: ejpei; de; ta; shmei'a kai; ta; toiau'ta a{ ejstin ajgaqou' e[rga
h] pavqh kalav, ajnavgkh o{sa te ajndreiva" e[rga h] shmei'a ajn-
30 dreiva" h] ajndreivw" pevpraktai kala; ei\nai, kai; ta; divkaia
kai; ta; dikaivw" e[rga (pavqh de; ou[: ejn movnh/ ga;r tauvth/ tw'n
ajretw'n oujk ajei; to; dikaivw" kalovn, ajllΔ ejpi; tou' zhmiou'-
sqai aijscro;n to; dikaivw" ma'llon h] to; ajdivkw~), kai; kata;
ta;" a[lla" de; ajreta;" wJsauvtw". kai; ejfΔ o{soi" ta; a\qla
35 timhv, kalav. kai; ejfΔ o{soi" timh; ma'llon h] crhvmata.
kai; o{sa mh; auJtou' e{neka pravttei ti" tw'n aiJretw'n, kai; ta;
aJplw'" ajgaqav, o{sa te uJpe;r patrivdo" ti" ejpoivhsen par-
idw;n to; auJtou', kai; ta; th'/ fuvsei ajgaqav, kai; a} mh; aujtw'/
1367a ajgaqav: auJtou' ga;r e{neka ta; toiau'ta. kai; o{sa teqnew'ti
ejndevcetai uJpavrcein ma'llon h] zw'nti: to; ga;r auJtou' e{neka
ma'llon e[cei ta; zw'nti. kai; o{sa e[rga tw'n a[llwn e{neka:
h|tton ga;r auJtou'. kai; o{sai eujpragivai peri; a[llou" ajlla;
5 mh; peri; auJtovn, kai; ãaiJÃ peri; tou;" eu\ poihvsanta": divkaion gavr.
kai; ta; eujergethvmata: ouj ga;r eij" auJtovn. kai; ta; ejnantiva
h] ejfΔ oi|" aijscuvnontai: ta; ga;r aijscra; aijscuvnontai kai;
levgonte" kai; poiou'nte" kai; mevllonte", w{sper kai; Sapfw;
pepoivhken, eijpovnto" tou' ΔAlkaivou
10 qevlw ti eijph'n, ajllav me kwluvei
aijdwv",
aiJ dΔ h\ce" ejsqlw'n i{meron h] kalw'n
kai; mhv ti eijph'n glw'ssΔ ejkuvka kakovn
9. IL GENERE EPIDITTICO 83

riguarda le altre cose non ci sono difficoltà da rilevare: 25

infatti è evidente che ciò che produce virtù è necessaria-


mente bello (poiché tende alla virtù) così anche quanto
da essa si genera e tali sono i segni della virtù e le sue
opere.
Poiché segni e cose di questo tipo sono opere del bene
o di ciò che di bello si prova, necessariamente tutto ciò
che è opera o segno del valore o è compiuto valorosamen- 30

te è bello, tali sono pure le cose giuste e le opere compiute


giustamente (non le cose subite: infatti in questa sola vir-
tù non sempre «il giustamente» è bello, ma, per quanto
concerne l’essere puniti, è più brutto l’esserlo giustamen-
te piuttosto che l’esserlo ingiustamente), e così per le altre
virtù. Ancora, sono belli i premi a patto che essi siano
un pubblico riconoscimento, e quelli che comportano 35

più onore che denaro. Inoltre, di ciò che è preferibile è


bello quello che non si fa per un fine personale, vale a
dire ciò che è bene in se stesso (ad esempio, le cose che
si fanno per la patria trascurando il proprio interesse), e
i beni per natura, e non i beni che sono per noi stessi: in- 1367a
fatti quest’ultimi sono per interesse personale. Sono bel-
le quelle cose che si possono avere più da morto che da
vivo: ciò che infatti si riceve da vivo è più come in vista di
uno scopo; e sono belle tutte le cose che si realizzano per
gli altri, poiché sono meno interessate. Inoltre sono belle
le buone azioni compiute per gli altri e non per sé stessi 5

(come le cose buone fatte per i benefattori, perché così è


giusto), e le beneficenze perché non sono finalizzate a noi
stessi, e le cose contrarie a ciò di cui ci si vergogna, si ha
infatti vergogna di cose turpi, quando si dicono, quando
si fanno e quando se ne ha l’intenzione, così anche Saffo,
ad Alceo che affermava «Voglio dire qualcosa, ma me lo
vieta / il pudore», scrisse «Se tu avessi desiderio di ciò che
è nobile o bello / E la lingua non girasse a dire qualcosa
84 RETORICA I, 1367a 14-36

aijdwv" kevn se oujk ei\cen o[mmatΔ,


15 ajllΔ e[lege" peri; tw' dikaivw.
kai; peri; w|n ajgwniw's i mh; fobouvmenoi: peri; ga;r tw'n pro;"
dovxan ferovntwn ajgaqw'n tou'to pavscousin. kai; aiJ tw'n fuvsei
spoudaiotevrwn ajretai; kallivou" kai; ta; e[rga, oi|on ajndro;" h]
gunaikov". kai; aiJ ajpolaustikai; a[lloi" ma'llon h] aujtoi'":
20 dio; to; divkaion kai; hJ dikaiosuvnh kalovn. kai; to; tou;"
ejcqrou;" timwrei'sqai kai; mh; katallavttesqai: tov te ga;r
ajntapodidovnai divkaion, to; de; divkaion kalovn, kai; ajndreivou to; mh;
hJtta'sqai. kai; nivkh kai; timh; tw'n kalw'n: aiJretav
te ga;r a[karpa o[nta, kai; uJperoch;n ajreth'" dhloi'. kai; ta;
25 mnhmoneutav, kai; ta; ma'llon ma'llon. kai; a} mh; zw'nti
e{petai, kai; oi|" timh; ajkolouqei', kai; ta; perittav, kai; ta;
movnw/ uJpavrconta, kallivw: eujmnhmoneutovtera gavr. kai;
kthvmata a[karpa: ejleuqeriwvtera gavr. kai; ta; parΔ eJkav-
stoi" de; i[dia kalav, kai; o{sa shmei'av ejstin tw'n parΔ eJkavstoi"
30 ejpainoumevnwn, oi|on ejn Lakedaivmoni koma'n kalovn: ejleuqevrou
ga;r shmei'on: ouj gavr ejstin komw'nta rJav/dion oujde;n poiei'n e[rgon
qhtikovn. kai; to; mhdemivan ejrgavzesqai bavnauson tevcnhn:
ejleuqevrou ga;r to; mh; pro;" a[llon zh'n. lhptevon de; kai; ta;
suvneggu" toi'" uJpavrcousin wJ" taujta; o[nta kai; pro;" e[p-
35 ainon kai; pro;" yovgon, oi|on to;n eujlabh' yucro;n kai; ejpivbou-
lon kai; to;n hjlivqion crhsto;n h] to;n ajnavlghton pra'on, kai;
9. IL GENERE EPIDITTICO 85

di brutto / La vergogna non starebbe negli occhi / Ma del


giusto diresti»48. 15

Sono belle poi le cose per cui si prova ansia, ma non


paura: questo è ciò che si prova per i beni che conducono
alla fama.
Anche le virtù di ciò che è più nobile per natura sono
belle e così le loro opere, ad esempio quelle dell’uomo lo
sono di più di quelle della donna. E le virtù che danno
piacere agli altri sono più belle di quelle che lo danno a
noi stessi: per questo il giusto e la giustizia sono una cosa 20

bella. E il vendicarsi dei nemici è bello e non il riconci-


liarsi, poiché il giusto è contraccambiare, e il giusto è bel-
lo, ed è dell’uomo valoroso il non essere da meno. E tra le
cose belle vi sono la vittoria e l’onore: infatti sono degne
di scelta, seppure infruttuose, e mostrano la superiorità
della virtù. E sono belle le cose memorabili, e più sono 25

memorabili più sono belle. E sono più belle, in quanto


più degne di essere ricordate, pure quelle che seguono a
chi non è in vita, quelle da cui consegue l’onore, e le cose
straordinarie, cioè quelle che appartengono a uno solo.
Ed è bello ciò che si possiede senza profitto, in quanto è
più degno di un uomo libero. E belli sono gli usi propri
presso ciascun popolo e tutte quelle cose che sono segni
di ciò che presso costoro si loda, ad esempio a Sparta 30

è bello portare i capelli lunghi, perché questo è segno


dell’essere un uomo libero: non è infatti facile per chi ha
una lunga chioma fare alcuna opera servile. Ed è bello il
non avere niente a che fare con una professione manua-
le: è infatti da uomo libero vivere senza dipendere dagli
altri. Bisogna considerare inoltre le qualità affini alla lode
e al biasimo come se fossero corrispondenti alle cose pre- 35

senti, ad esempio considerare freddo e intrigante l’uomo


cauto e il semplice come affidabile o l’insensibile come
mite e, ancora, ciascuna qualità considerata a partire da
86 RETORICA I, 1367a 37 - b 23

e{kaston dΔ ejk tw'n parakolouqouvntwn ajei; kata; to; bevltiston,


oi|on to;n ojrgivlon kai; to;n maniko;n aJplou'n kai; to;n aujqavdh
1367b megalopreph' kai; semnovn, kai; tou;" ejn tai'" uJperbolai'" wJ"
ejn tai'" ajretai'" o[nta", oi|on to;n qrasu;n ajndrei'on kai; to;n
a[swton ejleuqevrion: dovxei te ga;r toi'" polloi'", kai; a{ma
paralogistiko;n ªejkº th'" aijtiva". eij ga;r ou| mh; ajnavgkh kin-
5 duneutikov", pollw'/ ma'llon a]n dovxeien o{pou kalovn, kai; eij
proetiko;" toi'" tucou's i, kai; toi'" ILvloi": uJperbolh; ga;r
ajreth'" to; pavnta" eu\ poiei'n. skopei'n de; kai; parΔ oi|" oJ
e[paino": w{sper ga;r oJ Swkravth" e[legen, ouj calepo;n ΔAqh-
naivou" ejn ΔAqhnaivoi" ejpainei'n. dei' de; to; parΔ eJkavstoi" tivmion
10 o]n levgein wJ" uJpavrcei, oi|on ejn Skuvqai" h] Lavkwsin h] ILlosov-
foi". kai; o{lw" de; to; tivmion a[gein eij" to; kalovn, ejpeivper
ge dokei' geitnia'n. kai; o{sa kata; to; prosh'kon, oi|on eij a[xia
tw'n progovnwn kai; tw'n prou>phrgmevnwn: eujdaimoniko;n ga;r
kai; kalo;n kai; to; prosepikta'sqai timhvn. kai; eij para; to; pro"-
15 h'kon ejpi; de; to; bevltion kai; to; kavllion, oi|on eij eujtucw'n
me;n mevtrio", ajtucw'n de; megalovyuco", h] meivzwn gignov-
meno" beltivwn kai; katallaktikwvtero". toiou'ton de; to; tou'
ΔIILkravtou", “ejx oi{wn eij" oi|a”, kai; to; tou' ojlumpionivkou
provsqe me;n ajmfΔ w[moisin e[cwn tracei'an,
20 kai; to; tou' Simwnivdou
h} patrov" te kai; ajndro;" ajdelfw'n tΔ ou\sa turavnnwn.
ejpei; dΔ ejk tw'n pravxewn oJ e[paino", i[dion de; tou' spoudaivou
to; kata; proaivresin, peiratevon deiknuvnai pravttonta kata;
9. IL GENERE EPIDITTICO 87

nozioni reciprocamente collegate sempre in rapporto a


ciò che è meglio, ad esempio l’iracondo e l’invasato in
rapporto all’istintivo e l’arrogante al munifico e dignito- 1367b
so, e quelli che sono negli eccessi vanno considerati come
se fossero in stato di virtù, ad esempio il temerario come
valoroso e il dissoluto come uno spirito libero: perché
così apparirà ai più e, allo stesso tempo, dalla causa si
potrà trarre una conclusione paralogistica. Se infatti uno 5

è spericolato senza che ve ne sia necessità, a maggior ra-


gione lo potrebbe essere quando sarà bello, e se sarà ca-
pace di dare con leggerezza ai primi che capitano, lo sarà
anche con gli amici: beneficare tutti è in effetti un ecces-
so di virtù. È da vedere anche davanti a chi si rivolge la
lode; come infatti diceva Socrate: «non è difficile lodare
gli Ateniesi tra gli Ateniesi»49.
Si deve parlare di come si considera, in ogni uditorio, 10

ciò che è oggetto d’onore, ad esempio presso gli Sciti o


gli Spartani o i filosofi.
E, in generale, si deve condurre l’onore al bello, poi-
ché in ogni caso sembrano affini. E devono portare al
bello tutte le cose che sono conformi a ciò che è conve-
niente, ad esempio, se degne degli antenati e dei benefici
già ricevuti: infatti anche l’acquisire un ulteriore onore
è atto a rendere felice ed è bello. E si deve condurre al 15

meglio e a ciò che è più bello nel modo opportuno, ad


esempio l’essere misurati se si è nella buona sorte, ma-
gnanimo in quella cattiva, o migliori e più concilianti se si
è diventati più importanti. Una cosa di questo genere è il
detto di Ificrate: «da quali inizi a quali risultati»50, e quel-
lo dell’olimpionico: «prima sulle spalle tenendo ruvido
giogo…»51, e quello di Simonide: «lei che è di padre, di 20

marito e di fratelli tiranni»52.


Poiché la lode ci giunge dalle azioni, ed è proprio del-
la persona seria agire secondo un proponimento morale,
88 RETORICA I, 1367b 24 - 1368a 7

proaivresin, crhvs imon de; to; pollavki" faivnesqai pepra-


25 covta: dio; kai; ta; sumptwvmata kai; ta; ajpo; tuvch" wJ"
ejn proairevsei lhptevon: a]n ga;r polla; kai; o{moia pro-
fevrhtai, shmei'on ajreth'" ei\nai dovxei kai; proairevsew".
e[stin dΔ e[paino" lovgo" ejmfanivzwn mevgeqo" ajreth'". dei' ou\n
ta;" pravxei" ejpideiknuvnai wJ" toiau'tai. to; dΔ ejgkwvmion tw'n e[r-
30 gwn ejstivn (ta; de; kuvklw/ eij" pivstin, oi|on eujgevneia kai; pai-
deiva: eijko;" ga;r ejx ajgaqw'n ajgaqou;" kai; to;n ou{tw trafevnta
toiou'ton ei\nai), dio; kai; ejgkwmiavzomen pravxanta". ta; dΔ
e[rga shmei'a th'" e{xewv" ejstin, ejpei; ejpainoi'men a]n kai; mh; pe-
pragovta, eij pisteuvoimen ei\nai toiou'ton. makarismo;" de; kai;
35 eujdaimonismo;" auJtoi'" me;n taujtav, touvtoi" dΔ ouj taujtav, ajllΔ w{sper
hJ eujdaimoniva th;n ajrethvn, kai; oJ eujdaimonismo;" perievcei tau'ta.
e[cei de; koino;n ei\do" oJ e[paino" kai; aiJ sumboulaiv.
a} ga;r ejn tw'/ sumbouleuvein uJpovqoio a[n, tau'ta metateqevnta
1368a th'/ levxei ejgkwvmia givgnetai. ejpei; ou\n e[comen a} dei' pravt-
tein kai; poi'ovn tina ei\nai dei', tau'ta wJ" uJpoqhvka" levgonta"
th'/ levxei metatiqevnai dei' kai; strevfein, oi|on o{ti ouj dei'
mevga fronei'n ejpi; toi'" dia; tuvchn ajlla; toi'" diΔ auJtovn.
5 ou{tw me;n ou\n lecqe;n uJpoqhvkhn duvnatai, wJdi; dΔ e[painon “mevga
fronw'n oujk ãejpi;Ã toi'" dia; tuvchn uJpavrcousin ajlla; toi'" diΔ
auJtovn”. w{ste o{tan ejpainei'n bouvlh/, o{ra tiv a]n uJpovqoio: kai; o{tan
9. IL GENERE EPIDITTICO 89

occorre mostrare che le cose che si fanno seguono tale


proponimento, ed è utile che spesso si mostri che si è 25

agito così. Per questo si devono assumere circostanze e


ciò che proviene dal caso come frutto di scelta delibera-
ta: infatti se si offrono molti esempi simili sembreranno
segno di virtù e di scelta deliberata.
E la lode è discorso che rende manifesta la grandez-
za della virtù. Occorre dunque mettere in mostra azioni
come quelle. L’encomio riguarda le opere (quelle cose, 30

ad esempio i buoni natali e l’educazione, che per le cir-


costanze contribuiscono alla persuasione: è verosimile
infatti che da buoni nascano buoni e che chi è stato cre-
sciuto in un certo modo sia tale), per questo facciamo
l’encomio anche di chi le ha compiute. Le opere sono se-
gni di disposizione acquisita, perciò facciamo l’encomio
anche se non se ne siano realizzate, se possiamo persua-
dere di essere tali da compierle. Ritenere beato e ritenere 35

felice sono in sé la stessa cosa, ma non sono espressioni


identiche al lodare, bensì come la felicità comprende la
virtù, anche il ritenere felice comprende l’elogio.
La lode e i consigli hanno un aspetto in comune. Infat-
ti, gli argomenti che si potrebbero accettare nel consiglia-
re, trasformati nell’elocuzione, diventano encomi. Dun- 1368a
que, dal momento che conosciamo le cose che si devono
fare e di che qualità deve essere uno che le realizza, chi le
espone come consigli deve mutarle e volgerle con l’elocu-
zione, ad esempio che non ci si deve ritenere grandi per
ciò che si ha per caso, ma per quello che si ha in virtù di
sé stessi. Detto, dunque, così, può essere un consiglio, ma 5

pronunciato in quest’altro modo diventa una lode: «gran-


de di pensieri non per ciò che si possiede per fortuna ma
per ciò che si ha in virtù di sé stessi». Di conseguenza
una volta che vuoi lodare, vedi cosa potresti consigliare,
e quando tu vuoi consigliare, guarda cosa potresti lodare.
90 RETORICA I, 1368a 8-31

uJpoqevsqai, o{ra tiv a]n ejpainevseia". hJ de; levxi" e[stai ajntikeimevnh


ejx ajnavgkh" o{tan to; me;n kwlu'on to; de; mh; kwlu'on metateqh'/.
10 crhstevon de; kai; tw'n aujxhtikw'n polloi'", oi|on eij mov-
no" h] prw'to" h] metΔ ojlivgwn h] kai; ªo}º mavlista pepoivhken:
a{panta ga;r tau'ta kalav. kai; tw'/ ejk tw'n crovnwn kai;
tw'n kairw'n: touvtw/ dΔ eij para; to; prosh'kon. kai; eij pol-
lavki" to; aujto; katwvrqwken: mevga ga;r kai; oujk ajpo;
15 tuvch" ajlla; diΔ auJtou' a]n dovxeien. kai; eij ta; protrevponta
kai; timw'nta dia; tou'ton eu{rhtai kai; kateskeuavsqh, kai; eij"
tou'ton prw'ton ejgkwvmion ejpoihvqh, oi|on eij" ÔIppovlocon, kai; ãeij~Ã
ÔArmovdion kai; ΔAristogeivtona to; ejn ajgora'/ staqh'nai: oJmoivw" de;
kai; ejpi; tw'n ejnantivwn. ka]n mh; kaqΔ auJto;n eujporh'/", pro;"
20 a[llou" ajntiparabavllein, o{per ΔIsokravth" ejpoivei dia; th;n
ajsunhvqeian tou' dikologei'n. dei' de; pro;" ejndovxou" sugkrivnein:
aujxhtiko;n ga;r kai; kalovn, eij spoudaivwn beltivwn. pivptei dΔ
eujlovgw" hJ au[xhsi" eij" tou;" ejpaivnou": ejn uJperoch'/ gavr ejstin,
hJ dΔ uJperoch; tw'n kalw'n: dio; ka]n mh; pro;" tou;" ejndovxou",
25 ajlla; pro;" tou;" a[llou" dei' parabavllein, ejpeivper hJ uJperoch;
dokei' mhnuvein ajrethvn. o{lw" de; tw'n koinw'n eijdw'n a{pasi toi'"
lovgoi" hJ me;n au[xhsi" ejpithdeiotavth toi'" ejpideiktikoi'" (ta;"
ga;r pravxei" oJmologoumevna" lambavnousin, w{ste loipo;n mev-
geqo" periqei'nai kai; kavllo~): ta; de; paradeivgmata toi'"
30 sumbouleutikoi'" (ejk ga;r tw'n progegonovtwn ta; mevllonta
katamanteuovmenoi krivnomen): ta; dΔ ejnqumhvmata toi'" dika-
9. IL GENERE EPIDITTICO 91

La forma dell’elocuzione sarà di necessità opposta


qualora ciò che contiene un divieto si trasformi in ciò che
non lo contiene.
Occorre fare ricorso anche a molti effetti delle am- 10

plificazioni, ad esempio se un uomo ha agito da solo o


per primo, o con pochi o al massimo delle sue possibi-
lità : infatti tutte queste azioni sono belle. E si fa ricorso
all’amplificazione per ciò che dipende dai tempi e dalle
circostanze: e a questo si ricorre se l’azione va al di là
delle aspettative. E si ha amplificazione se spesse volte
lo stesso atto ha avuto successo: poiché renderebbe ma-
nifesta la grandezza e non per fortuna, ma in virtù della 15

persona stessa. E se è per lei che sono state trovate e isti-


tuite cose che siano da incitamento e degne di onore, e
ancora se per tale persona sia stato composto per prima
un encomio, come ad esempio a Ippoloco53, e se è stata
eretta nell’agorà una statua come ad Armodio e a Aristo-
gitone54. Lo stesso vale per i casi opposti. E se a causa del
soggetto non si ha abbondanza di argomenti, lo si metta 20

a confronto con gli altri, come faceva Isocrate perché non


aveva dimestichezza di discorsi giudiziari. E il paragone
va fatto con persone famose: è infatti un modo di ampli-
ficare ed è bello se fa risultare migliore di uomini illustri.
Va applicata a giusta ragione l’amplificazione alle lodi,
poiché consiste in una forma di superiorità, la superiori-
tà delle cose belle: per questo, se non con quelli famosi,
si faccia confronto con gli altri, se la superiorità appare 25

rivelare la virtù. In generale, delle specie comuni a tutti


quanti i discorsi l’amplificazione è la più adatta a quelli
epidittici (infatti considerano azioni su cui si è tutti d’ac-
cordo, di conseguenza resta da porre intorno a loro gran-
dezza e bellezza), gli esempi a quelli deliberativi (infatti 30

da eventi passati, sui quali si fanno congetture, giudichia-


mo quelli futuri), mentre gli entimemi sono adatti a quelli
92 RETORICA I, 1368 a 32 - b 12

nikoi'" (aijtivan ga;r kai; ajpovdeixin mavlista devcetai to; ge-


gono;" dia; to; ajsafev~). ejk tivnwn me;n ou\n oiJ e[painoi kai; oiJ
yovgoi levgontai scedo;n pavnte", kai; pro;" poi'a dei' blev-
35 ponta" ejpainei'n kai; yevgein, kai; ejk tivnwn ta; ejgkwvmia giv-
gnetai kai; ta; ojneivdh, tau'tΔ ejstivn: ejcomevnwn ga;r touvtwn ta;
ejnantiva touvtoi" fanerav: oJ ga;r yovgo" ejk tw'n ejnantivwn ejstivn.

1368b 10. Peri; de; kathgoriva" kai; ajpologiva", ejk povswn kai;
poivwn poiei'sqai dei' tou;" sullogismouv", ejcovmenon a]n ei[h lev-
gein. dei' dh; labei'n triva, e}n me;n tivnwn kai; povswn e{neka ajdi-
kou's i, deuvteron de; pw'" aujtoi; diakeivmenoi, trivton de; tou;" poivou"
5 kai; pw'" e[conta". diorisavmenoi ou\n to; ajdikei'n levgwmen eJxh'".
e[stw dh; to; ajdikei'n to; blavptein eJkovnta para; to;n
novmon. novmo" dΔ ejsti;n oJ me;n i[dio" oJ de; koinov": levgw
de; i[dion me;n kaqΔ o}n gegrammevnon politeuvontai, koino;n de;
o{sa a[grafa para; pa's in oJmologei'sqai dokei'. eJkovnte" de;
10 poiou's in o{sa eijdovte" kai; mh; ajnagkazovmenoi. o{sa me;n ou\n
eijdovte", ouj pavnta proairouvmenoi, o{sa de; proairouvmenoi, eijdov-
te" a{panta: oujdei;" ga;r o} proairei'tai ajgnoei'. diΔ a} de;
10. IL GENERE GIUDIZIARIO 93

giudiziari (infatti quanto è avvenuto, dal momento che è


oscuro, richiede soprattutto causa e dimostrazione). Gli
elementi dai quali trarre quasi tutti i discorsi di lode e
di biasimo, e in relazione ai quali si deve, osservandoli, 35

lodare e biasimare, e dai quali trovano origine encomi e


critiche sono dunque questi, poiché quando li si possiede
risultano evidenti i loro contrari: infatti, il biasimo deriva
dai contrari.

10. Il genere giudiziario

Di seguito ci sarebbe da parlare dell’accusa e della difesa, 1368b


da quante e da quali cose devono essere prodotti i sillo-
gismi.
Occorre dunque cogliere tre cose:
la prima: in vista di quali e di quante cose gli uomini
commettono ingiustizia,
la seconda: in che modo questi, essendo in un certo
stato d’animo, commettono ingiustizia,
la terza: verso quali persone e in che stato d’animo 5

sono tali persone.


Procediamo dunque con ordine dopo aver definito «il
commettere ingiustizia». Allora, sia il commettere ingiusti-
zia il danneggiare volutamente contro la legge. La legge è
da un lato particolare dall’altro comune. Chiamo «partico-
lare» la legge scritta in conformità alla quale si amministra
uno stato, «comune», tutto quanto vi è di non scritto su
cui sembra esservi accordo da parte di tutti55. Si realizza-
no volontariamente tutte quelle cose che si fanno quando 10

se ne è consapevoli e senza esservi costretti. Ebbene, non


tutto, quando se ne è consapevoli, si fa di proposito, ma
tutto ciò che si fa di proposito, lo si fa quando se ne è con-
sapevoli: nessuno infatti ignora ciò che si fa di proposito.
94 RETORICA I, 1368b 13-36

proairou'ntai blavptein kai; fau'la poiei'n para; to;n novmon


kakiva ejsti;n kai; ajkrasiva: eja;n gavr tine" e[cwsin mocqhrivan
15 h] mivan h] pleivou", peri; tou'to o} mocqhroi; tugcavnousin
o[nte" kai; a[dikoiv eijs in: oi|on oJ me;n ajneleuvqero" peri; crhv-
mata, oJ dΔ ajkovlasto" peri; ta;" tou' swvmato" hJdonav", oJ de;
malako;" peri; ta; rJavquma, oJ de; deilo;" peri; tou;" kinduvnou"
(tou;" ga;r sugkinduneuvonta" ejgkatalimpavnousi dia; to;n fov-
20 bon), oJ de; ILlovtimo" dia; timhvn, oJ dΔ ojxuvqumo" diΔ ojrghvn,
oJ de; ILlovniko" dia; nivkhn, oJ de; pikro;" dia; timwrivan, oJ dΔ
a[frwn dia; to; ajpata'sqai peri; to; divkaion kai; a[dikon, oJ
dΔ ajnaivscunto" diΔ ojligwrivan dovxh": oJmoivw" de; kai; tw'n a[llwn
e{kasto" peri; e{kaston tw'n uJpokeimevnwn.
25 ajlla; peri; me;n touvtwn dh'lon, ta; me;n ejk tw'n peri; ta;" ajreta;"
eijrhmevnwn, ta; dΔ ejk tw'n peri; ta; pavqh rJhqhsomevnwn: loipo;n
dΔ eijpei'n tivno" e{neka kai; pw'" e[conte" ajdikou's i kai; tivna".
prw'ton me;n ou\n dielwvmeqa tivnwn ojregovmenoi kai; poi'a feuv-
gonte" ejgceirou's in ajdikei'n: dh'lon ga;r wJ" tw'/ me;n kathgo-
30 rou'nti povsa kai; poi'a touvtwn uJpavrcei tw'/ ajntidivkw/ skeptevon,
w|n ejILevmenoi pavnte" tou;" plhsivon ajdikou's i, tw'/ de; ajpo-
logoumevnw/ poi'a kai; povsa touvtwn oujc uJpavrcei. pavnte" dh;
pavnta pravttousi ta; me;n ouj diΔ auJtou;" ta; de; diΔ auJtouv". tw'n
me;n ou\n mh; diΔ auJtou;" ta; me;n dia; tuvchn pravttousi ta; dΔ
35 ejx ajnavgkh", tw'n dΔ ejx ajnavgkh" ta; me;n biva/ ta; de; fuv-
sei, w{ste pavnta o{sa mh; diΔ auJtou;" pravttousi, ta; me;n ajpo;
10. IL GENERE GIUDIZIARIO 95

Il motivo per cui si sceglie di danneggiare e di fare azio-


ni malvagie contro la legge sono il vizio e l’intemperanza.
Infatti se alcuni hanno un qualcosa di cattivo, sia esso in 15

una cosa sola o in più di una, in ciò in cui gli capita di


essere in difetto sono anche ingiusti: ad esempio l’avaro è
ingiusto per quanto concerne le ricchezze, l’intemperante
per quanto concerne i piaceri del corpo, l’animo svenevole
riguardo le frivolezze, il vile riguardo ai pericoli (perché
coloro che sono in pericolo vengono piantati in asso per
via della paura), l’ambizioso per via dell’onore, il collerico 20

per via dell’ira, il bramoso di successo per la vittoria, il ven-


dicativo per via della vendetta, l’ottuso per via dello sba-
gliarsi sul giusto e sull’ingiusto, lo spudorato per la scarsa
stima dell’opinione altrui, lo stesso si dica anche degli altri
soggetti, ciascuno ingiusto per ciò che concerne il proprio
lato cattivo.
Ma ciò che riguarda tali argomenti risulta chiaro, per un 25

verso, da quanto si è detto sulle virtù, per un altro, da quan-


to si dirà sulle passioni. Rimane invece da dire per quale
motivo e con quale disposizione si è ingiusti e verso chi.
Innanzitutto, dunque, distinguiamo in base a quali
appetizioni e cosa evita chi si presta a commettere in-
giustizia. È infatti evidente che chi accusa deve indagare 30

quante e quali sono le cose di questo tipo presenti nella


parte avversa, dal momento che tutti quelli che vi aspira-
no commettono ingiustizia verso il prossimo; mentre chi
difende quali e quante di queste cose non siano presenti.
Ebbene, tutti compiono ogni cosa, da un lato, non a
causa propria, dall’altro, per causa propria. E di quelle
che si compiono non per causa propria, alcune si verifi-
cano per caso, altre per necessità; di ciò che si verifica per 35

necessità, bisogna distinguere da un lato ciò che avviene


per costrizione dall’altro ciò che avviene per natura, di
conseguenza tutte quante le cose che non si compiono a
96 RETORICA I, 1368 b 37 - 1369a 24

tuvch" ta; de; fuvsei ta; de; biva/. o{sa de; diΔ auJtouv", kai; w|n
1369a aujtoi; ai[tioi, ta; me;n diΔ e[qo" ta; de; diΔ o[rexin, ta; me;n
dia; logistikh;n o[rexin ta; de; diΔ a[logon: e[stin dΔ hJ me;n
bouvlhsi" ajgaqou' o[rexi" (oujdei;" ga;r bouvletai ajllΔ h] o{tan
oijhqh'/ ei\nai ajgaqovn), a[logoi dΔ ojrevxei" ojrgh; kai; ejpiqumiva:
5 w{ste pavnta o{sa pravttousin ajnavgkh pravttein diΔ aijtiva"
eJptav, dia; tuvchn, dia; fuvs in, dia; bivan, diΔ e[qo", dia; lo-
gismovn, dia; qumovn, diΔ ejpiqumivan. to; de; prosdiairei'sqai
kaqΔ hJlikivan h] e{xei" h] ajllΔ a[tta ta; prattovmena periv-
ergon: eij ga;r sumbevbhken toi'" nevoi" ojrgivloi" ei\nai h] ejpi-
10 qumhtikoi'", ouj dia; th;n neovthta pravttousi ta; toiau'ta ajlla; diΔ
ojrgh;n kai; ejpiqumivan. oujde; dia; plou'ton kai; penivan, ajlla;
sumbevbhke toi'" me;n pevnhsi dia; th;n e[ndeian ejpiqumei'n crh-
mavtwn, toi'" de; plousivoi" dia; th;n ejxousivan ejpiqumei'n tw'n
mh; ajnagkaivwn hJdonw'n: ajlla; pravxousi kai; ou|toi ouj dia;
15 plou'ton kai; penivan ajlla; dia; th;n ejpiqumivan. oJmoivw" de;
kai; oiJ divkaioi kai; oiJ a[dikoi, kai; oiJ a[lloi oiJ legovmenoi kata;
ta;" e{xei" pravttein, dia; tau'ta pravxousin: h] ga;r dia;
logismo;n h] dia; pavqo": ajllΔ oiJ me;n dia; h[qh kai; pavqh
crhstav, oiJ de; dia; tajnantiva. sumbaivnei mevntoi tai'" me;n
20 toiauvtai" e{xesi ta; toiau'ta ajkolouqei'n, tai'" de; toiai'sde
ta; toiavde: eujqu;" ga;r i[sw" tw'/ me;n swvfroni dia; to; swv-
frona ei\nai dovxai te kai; ejpiqumivai crhstai; ejpakolouqou's i
peri; tw'n hJdevwn, tw'/ dΔ ajkolavstw/ aiJ ejnantivai peri; tw'n
aujtw'n touvtwn: dio; ta;" me;n toiauvta" diairevsei" ejatevon, ske-
10. IL GENERE GIUDIZIARIO 97

causa del soggetto, da un lato si verificano per fortuna,


dall’altro per natura, dall’altro ancora per costrizione.
Tutte quante le azioni che invece si compiono a causa del
soggetto, e delle quali è responsabile, alcune si compiono 1369a
per abitudine, altre per appetizione, altre per un appetito
razionale, altre per la parte irrazionale. La volontà è ap-
petizione del bene (nessuno infatti vuole qualcosa, se non
quando ritiene che vi sia un bene), mentre le appetizioni
irrazionali sono ira e desiderio.
Di conseguenza, tutto ciò che è oggetto d’azione, ne- 5

cessariamente si realizza per sette motivi: per caso, per


natura, per costrizione, per consuetudine, per calcolo,
per impulso, per desiderio. Il distinguere ulteriormente
in rapporto all’età o alla disposizione acquisita o ad altre
questioni è superfluo; se infatti è accaduto ai giovani di
essere collerici o inclini ai desideri, non lo sono per colpa 10

della giovinezza, ma a causa dell’ira e il desiderio. Né si


agisce a causa della ricchezza e della povertà, ma ai po-
veri capita di desiderare delle ricchezze per indigenza, ai
ricchi, a causa dell’abbondanza, di desiderare piaceri su-
perflui; tuttavia anche loro agiscono non per colpa della
ricchezza o della povertà, ma per il desiderio. Similmente 15

anche i giusti e gli ingiusti, e altri di cui si è detto che agi-


scano in conformità ai loro abiti morali, operano a causa
di tali motivi: infatti agiranno per calcolo o per passione,
ma gli uni in virtù di caratteri e passioni positive, gli altri
per caratteri e passioni negative. Anzi accade che a di- 20

sposizioni morali di un determinato genere seguano cose


di questo stesso genere, a quelle di altro genere cose di
quest’altro genere. Infatti, allo stesso modo, al temperan-
te, per il fatto stesso di essere temperante, in relazione
ai piaceri, fanno subito seguito opinioni e desideri po-
sitivi, all’intemperante, in relazione a pulsioni di questo
genere, quelli opposti. Pertanto le distinzioni di questo
98 RETORICA I, 1369a 25 - b 13

25 ptevon de; poi'a poivoi" ei[wqen e{pesqai: eij me;n ga;r leuko;"
h] mevla", h] mevga" h] mikrov", oujde;n tevtaktai tw'n toiouvtwn
ajkolouqei'n, eij de; nevo" h] presbuvth", h] divkaio" h] a[diko", h[dh
diafevrei: kai; o{lw" o{sa tw'n sumbainovntwn poiei' diafevrein
ta; h[qh tw'n ajnqrwvpwn, oi|on ploutei'n dokw'n eJautw'/ h] pevnesqai
30 dioivsei ti, kai; eujtucei'n h] ajtucei'n. tau'ta me;n ou\n u{steron
ejrou'men, nu'n de; peri; tw'n loipw'n ei[pwmen prw'ton.
e[sti dΔ ajpo; tuvch" me;n ta; toiau'ta gignovmena, o{swn h{ te
aijtiva ajovristo" kai; mh; e{nekav tou givgnetai kai; mhvte ajei;
mhvte wJ" ejpi; to; polu; mhvte tetagmevnw" (dh'lon dΔ ejk tou'
35 oJrismou' th'" tuvch" peri; touvtwn), fuvsei de; o{swn h{ tΔ aijtiva
1369b ejn aujtoi'" kai; tetagmevnh: h] ga;r ajei; h] wJ" ejpi; to; polu;
wJsauvtw" ajpobaivnei. ta; ga;r para; fuvs in oujde;n dei' ajkribo-
logei'sqai povtera kata; fuvs in h[ tina a[llhn aijtivan
givgnetai: dovxeie dΔ a]n kai; hJ tuvch aijtiva ei\nai tw'n toiouv-
5 twn. biva/ de; o{sa parΔ ejpiqumivan h] tou;" logismou;" givgne-
tai ªdiΔº aujtw'n tw'n prattovntwn. e[qei de; o{sa dia; to; pol-
lavki" pepoihkevnai poiou's in. dia; logismo;n de; ta; dokou'nta
sumfevrein ejk tw'n eijrhmevnwn ajgaqw'n h] wJ" tevlo" h] wJ"
pro;" to; tevlo", o{tan dia; to; sumfevrein pravtthtai: e[nia
10 ga;r kai; oiJ ajkovlastoi sumfevronta pravttousin, ajllΔ ouj dia;
to; sumfevrein ajlla; diΔ hJdonhvn. dia; qumo;n de; kai; ojrgh;n
ta; timwrhtikav. diafevrei de; timwriva kai; kovlasi": hJ me;n ga;r
kovlasi" tou' pavsconto" e{nekav ejstin, hJ de; timwriva tou' poiou'n-
10. IL GENERE GIUDIZIARIO 99

tipo si devono lasciare perdere, mentre bisogna indagare 25

quali conseguenze fanno solitamente seguito a determi-


nate condizioni: se infatti un uomo è bianco o nero, o
grande o piccolo, non è affatto stabilito che ne consegua
qualcosa del genere, mentre è già differente se si tratti di
un giovane o di un vecchio, di un uomo giusto o di uno
ingiusto. E in genere occorre indagare tutte quante quelle
circostanze che fanno distinguere i caratteri degli uomini,
ad esempio, il fatto che qualcuno pensi di essere ricco o
di essere povero è una cosa differente, e lo stesso dicasi 30

per l’essere fortunato o sfortunato. Pertanto parleremo


in un secondo momento di tali questioni, adesso, invece,
esponiamo come prima cosa ciò che rimane da trattare.
Le cose che sono generate «dal caso» sono tutte quelle
la cui causa è indeterminata, non sono concepite in vista
di uno scopo e non si verificano né sempre, né per lo
più, né regolarmente (e quanto a tutto questo è chiaro
dalla definizione di fortuna), invece «per natura» si dice 35

di tutte quelle cose che hanno causa in loro stesse e che 1369b
è regolare, poiché si verifica o sempre o per lo più allo
stesso modo. Infatti non c’è per niente bisogno di preci-
sione se ciò che è contro natura si genera secondo natu-
ra o per qualche altro motivo: si sa che potrebbe essere
anche il caso il motivo di questo genere di avvenimenti. 5

«Per costrizione» è invece tutto ciò che si genera contro


il desiderio o i ragionamenti di chi li compie. «Per carat-
tere» tutto ciò che si fa per averlo spesso compiuto. «Per
calcolo» sono quei beni, tratti da quelli sopraelencati, che
sembrano utili o come fine o come relativi al fine, quando
siano compiuti perché risultano vantaggiosi. infatti an-
che gli intemperanti compiono con profitto alcune cose, 10

ma non per via della loro utilità ma per il piacere. «Per


impulso e ira» si realizzano cose atte a fare vendetta. È
differente la vendetta dalla punizione: infatti la punizione
100 RETORICA I, 1369b 14 - 1370a 1

to", i{na plhrwqh'/. tiv me;n ou\n ejstin hJ ojrghv, dh'lon e[stai
15 ejn toi'" peri; tw'n paqw'n. diΔ ejpiqumivan de; pravttetai
o{sa faivnetai hJdeva. e[stin de; kai; to; suvnhqe" kai; to; ejqisto;n
ejn toi'" hJdevs in: polla; ga;r kai; tw'n fuvsei mh; hJdevwn, o{tan
suneqisqw's in, hJdevw" poiou's in: w{ste sullabovnti eijpei'n, o{sa diΔ
auJtou;" pravttousin a{pantΔ ejsti;n h] ajgaqa; h] fainovmena
20 ajgaqav, h] hJdeva h] fainovmena hJdeva. ejpei; dΔ o{sa diΔ auJtou;"
eJkovnte" pravttousin, oujc eJkovnte" de; o{sa mh; diΔ auJtouv", pavntΔ
a]n ei[h o{sa eJkovnte" pravttousin h] ajgaqa; h] fainovmena
ajgaqav, h] hJdeva h] fainovmena hJdeva: tivqhmi ga;r kai; th;n
tw'n kakw'n h] fainomevnwn kakw'n h] ajpallagh;n h] ajnti;
25 meivzono" ejlavttono" metavlhyin ejn toi'" ajgaqoi'" (aiJreta; gavr
pw~), kai; th;n tw'n luphrw'n h] fainomevnwn ãluphrw'nà h] ajpal-
lagh;n h] metavlhyin ajnti; meizovnwn ejlattovnwn ejn toi'" hJdev-
sin wJsauvtw". lhptevon a[ra ta; sumfevronta kai; ta; hJdeva,
povsa kai; poi'a. peri; me;n ou\n tou' sumfevronto" ejn toi'"
30 sumbouleutikoi'" ei[rhtai provteron, peri; de; tou' hJdevo"
ei[pwmen nu'n. dei' de; nomivzein iJkanou;" ei\nai tou;" o{rou" eja;n
w\s i peri; eJkavstou mhvte ajsafei'" mhvte ajkribei'".

11. ÔUpokeivsqw dh; hJmi'n ei\nai th;n hJdonh;n kivnhsivn tina th'"
yuch'" kai; katavstasin ajqrovan kai; aijsqhth;n eij" th;n uJpavr-
35 cousan fuvs in, luvphn de; toujnantivon. eij dΔ ejsti;n hJdonh; to;
1370a toiou'ton, dh'lon o{ti kai; hJduv ejsti to; poihtiko;n th'" eijrhmevnh"
11. IL PIACERE 101

è in vista di chi la subisce, la vendetta di chi la compie


perché abbia piena soddisfazione. Cos’è dunque l’ira,
sarà chiaro nei discorsi sulle passioni. «Per desiderio» si 15

compiono tutte quelle cose che appaiono piacevoli. An-


che ciò con cui si ha consuetudine e che si è acquisito per
abitudine sono tra le cose piacevoli: molte cose, infatti,
allorché ci si sia abituati, producono cose piacevoli anche
se per natura non risultano tali. Di conseguenza, per rias-
sumere, tutte quelle cose che si realizzano a causa nostra
sono o buone o appaiono buone, o piacevoli o appaiono 20

piacevoli. Poiché tutto ciò che si fa a causa nostra si com-


pie volontariamente, mentre involontario è ciò che non si
verifica a causa nostra, tutte le cose che si realizzano vo-
lontariamente saranno o beni o beni apparenti, o piace-
voli o apparentemente piacevoli. Pongo infatti tra i beni
sia la liberazione dai mali o dai mali apparenti, o lo scam-
bio di un male maggiore con uno minore, (poiché sono in 25

certo modo cose da scegliersi), e pongo allo stesso modo


tra le cose piacevoli o la liberazione dalle cose dolorose o
dolorose apparenti o lo scambio di una cosa dolorosa più
grande con una più piccola. Si devono allora comprende-
re quante e quali siano le cose utili e le piacevoli. Su ciò
che è utile se ne è parlato prima nei discorsi deliberativi, 30

sul piacevole ne parliamo adesso. Si deve però riconosce-


re che sono adeguate le definizioni che intorno a ciascun
argomento non siano né oscure né rigorose.

11. Il piacere

Sia da noi stabilito che il piacere è un certo movimento


dell’anima e un riportare, repentino e sensibile, alla con- 35

dizione naturale, il dolore invece è il contrario. E se il


piacere è la tal cosa, è chiaro che è piacevole pure il pro- 1370a
102 RETORICA I, 1370a 2-26

diaqevsew", to; de; fqartiko;n h] th'" ejnantiva" katastavsew"


poihtiko;n luphrovn. ajnavgkh ou\n hJdu; ei\nai tov te eij" to; kata;
fuvs in ijevnai wJ" ejpi; to; poluv, kai; mavlista o{tan ajpeilh-
5 fovta h\/ th;n eJautw'n fuvs in ta; katΔ aujth;n gignovmena, kai; ta;
e[qh (kai; ga;r to; eijqismevnon w{sper pefuko;" h[dh givgnetai:
o{moion gavr ti to; e[qo" th'/ fuvsei: ejggu;" ga;r kai; to; pollavki"
tw'/ ajeiv, e[stin dΔ hJ me;n fuvs i" tou' ajeiv, to; de; e[qo" tou' pol-
lavki~), kai; to; mh; bivaion (para; fuvs in ga;r hJ biva, dio; to;
10 ajnagkai'on luphrovn, kai; ojrqw'" ei[rhtai
pa'n ga;r ajnagkai'on pra'gmΔ ajniaro;n e[fu),
ta;" dΔ ejpimeleiva" kai; ta;" spouda;" kai; ta;" suntoniva" luphrav":
ajnagkai'a ga;r kai; bivaia tau'ta, eja;n mh; ejqisqw's in: ou{tw de; to;
e[qo" poiei' hJduv. ta; dΔ ejnantiva hJdeva: dio; aiJ rJaqumivai kai; aiJ
15 ajponivai kai; aiJ ajmevleiai kai; aiJ paidiai; kai; aiJ ajnapauvsei" kai;
oJ u{pno" tw'n hJdevwn: oujde;n ga;r pro;" ajnavgkhn touvtwn. kai; ou|
a]n hJ ejpiqumiva ejnh'/, a{pan hJduv: hJ ga;r ejpiqumiva tou' hJdevo"
ejsti;n o[rexi". tw'n de; ejpiqumiw'n aiJ me;n a[logoiv eijs in aiJ de;
meta; lovgou. levgw de; ajlovgou" o{sa" mh; ejk tou' uJpo-
20 lambavnein ejpiqumou's in (eijs i;n de; toiau'tai o{sai ei\nai lev-
gontai fuvsei, w{sper aiJ dia; tou' swvmato" uJpavrcousai, oi|on
hJ trofh'" divya kai; pei'na, kai; kaqΔ e{kaston ei\do" trofh'"
ei\do" ejpiqumiva", kai; aiJ peri; ta; geusta; kai; ajfrodivs ia kai;
o{lw" ta; aJptav, kai; peri; ojsmh;n ªeujwdiva~º kai; ajkoh;n kai;
25 o[yin), meta; lovgou de; o{sa" ejk tou' peisqh'nai ejpiqumou's in:
polla; ga;r kai; qeavsasqai kai; kthvsasqai ejpiqumou's in
11. IL PIACERE 103

dotto della suddetta disposizione, mentre ciò che tende


a corrompere o a produrre il ripristino della condizione
contraria è doloroso. Pertanto è necessariamente piace-
vole tendere per lo più verso una condizione naturale –
ed è piacevole al massimo quando le cose che si generano 5

in conformità a tale condizione abbiano recuperato con


questa la loro natura – e le abitudini (e infatti l’abituale
appunto si verifica come fosse naturale, poiché il «per na-
tura» è un qualcosa di simile all’abitudine: infatti anche
il «sovente» è vicino al «sempre», ma la «natura» è del
«sempre», mentre l’«abitudine» è del «sovente»), e non
la «costrizione» (infatti la costrizione è «contro natura»,
per questo il necessario è doloroso, e giustamente si dice: 10

«tutto ciò che è necessario è cosa penosa per sua natu-


ra»56). Gli affanni, le fatiche e le tensioni sono dolorose
perché sono inevitabili e violente se non si è abituati: è
in tal senso che l’abitudine dà piacere. I contrari, invece,
sono piacevoli: infatti comodità e cose prive di fatica e di 15

affanni e scherzi e momenti di riposo e sonno sono tra le


cose piacevoli. Nessuna di queste è in rapporto con la ne-
cessità. È piacevole tutto ciò di cui vi sia desiderio: infatti
il desiderio è appetizione del piacevole. Dei desideri al-
cuni sono privi di ragione altri accompagnati da ragione.
Dico «privi di ragione» tutti quelli che non si desidera- 20

no a partire da un atto di discernimento (sono di questo


tipo tutti quelli che si dicono «esistere per natura», come
quelli sussistenti per via del corpo, ad esempio la sete e la
mancanza di nutrimento, vale a dire che vi è uno specifi-
co desiderio in conformità a ciascun tipo di nutrimento,
e quelli relativi al gusto e ai piaceri sessuali e in genere a
quelli del tatto, e quelli relativi all’olfatto e all’udito e alla
vista); dico invece «accompagnate da ragione» tutte quel- 25

le che si desiderano a partire dalla persuasione: infatti si


desiderano molte cose dopo averne sentito parlare ed es-
104 RETORICA I, 1370a 27 - b 16

ajkouvsante" kai; peisqevnte". ejpei; dΔ ejsti;n to; h{desqai ejn tw'/


aijsqavnesqaiv tino" pavqou", hJ de; fantasiva ejsti;n ai[sqhsiv" ti"
ajsqenhv", ajei; ejn tw'/ memnhmevnw/ kai; tw'/ ejlpivzonti ajkolouqoi'
30 a]n fantasiva ti" ou| mevmnhtai h] ejlpivzei: eij de; tou'to, dh'lon
o{ti kai; hJdonai; a{ma memnhmevnoi" kai; ejlpivzousin, ejpeivper
kai; ai[sqhsi": w{stΔ ajnavgkh pavnta ta; hJdeva h] ejn tw'/ aijsqav-
nesqai ei\nai parovnta h] ejn tw'/ memnh'sqai gegenhmevna h] ejn
tw'/ ejlpivzein mevllonta: aijsqavnontai me;n ga;r ta; parovnta,
35 mevmnhntai de; ta; gegenhmevna, ejlpivzousi de; ta; mevllonta. ta;
1370b me;n ou\n mnhmoneuta; hJdeva ejsti;n ouj movnon o{sa ejn tw'/ par-
ovnti, o{te parh'n, hJdeva h\n, ajllΔ e[nia kai; oujc hJdeva, a]n h\/
u{steron kalo;n kai; ajgaqo;n to; meta; tou'to: o{qen kai; tou'tΔ ei[rhtai,
ajllΔ hJduv toi swqevnta memnh'sqai povnwn,
5 kai; meta; gavr te kai; a[lgesi tevrpetai ajnh;r
mnhmevno" o{sti" polla; pavqh/ kai; polla; ejovrgh/:
touvtou dΔ ai[tion o{ti hJdu; kai; to; mh; e[cein kakovn: ta; dΔ ejn
ejlpivdi o{sa parovnta h] eujfraivnein h] wjfelei'n faivnetai megavla,
kai; a[neu luvph" wjfelei'n. o{lw" de; o{sa parovnta eujfraivnei, kai;
10 ejlpivzonta" kai; memnhmevnou" wJ" ejpi; to; poluv: dio; kai; to; ojrgiv-
zesqai hJduv, w{sper kai; ”Omhro" ejpoivhse peri; tou' qumou'
o{" te polu; glukivwn mevlito" kataleibomevnoio
(oujqei;" ga;r ojrgivzetai tw'/ ajdunavtw/ fainomevnw/ timwriva" tucei'n,
toi'" de; polu; uJpe;r auJtou;" th'/ dunavmei h] oujk ojrgivzontai h]
15 h|tton): kai; ejn tai'" pleivstai" ejpiqumivai" ajkolouqei' ti"
hJdonhv: h] ga;r memnhmevnoi wJ" e[tucon h] ejlpivzonte" wJ" teuvxontai
11. IL PIACERE 105

serne stati persuasi. Poiché il provare piacere consiste nel


sentire una qualche affezione, e l’immaginazione è una
certa debole sensazione57, in chi ricorda e in chi spera
potrebbe sempre seguire una qualche forma d’immagina- 30

zione di ciò che ricorda o spera. Se è così, è evidente che


anche per chi ha ricordato o sperato vi saranno contem-
poraneamente piaceri, dal momento che anch’essi sono
sensazione. Di conseguenza è necessario che tutte le cose
piacevoli consistano o nell’essere avvertite quando sono
presenti o nell’essere ricordate quando sono trascorse o
nello sperare quando le cose saranno a venire; infatti si
avvertono le cose presenti, si ricordano le cose passate, si 35

spera nelle cose future. Dunque delle cose che si posso- 1370b
no ricordare sono piacevoli non solo tutte quelle che lo
erano nel momento in cui erano presenti, quando erano
presenti, ma anche alcune che non lo erano, qualora a
queste avesse fatto seguito qualcosa di bello e di buono.
Perciò è stato anche detto: «ma ricordarsi dei pericoli,
una volta tratti in salvo, è piacevole»58, e: «infatti anche 5

del male gode un uomo / ricordando le molte cose che


patì e le molte che ha compiuto»59.
La ragione di ciò è che è piacevole anche il non avere
un male. E sono piacevoli tutte quelle cose che, presenti
nella speranza, sembrano o rallegrare o giovare grande-
mente, vale a dire giovare senza dolore. In genere sono
piacevoli tutte quelle cose che con la loro presenza ralle-
grano, e per lo più rallegrano quelli che vi sperano e che 10

se le sono ricordate: perciò anche l’adirarsi è piacevole,


come ha anche scritto Omero su questa pulsione «molto
più dolce del miele stillante»60 (nessuno infatti si adira
con chi, in maniera manifesta, non può incorrere nella
vendetta, e con chi per potere ci supera di gran lunga
o non ci si adira o ci si adira di meno). E alla maggior 15

parte dei desideri segue un certo piacere: infatti, si gode


106 RETORICA I, 1370b 17 - 1371a 8

caivrousivn tina hJdonhvn, oi|on oi{ tΔ ejn toi'" puretoi'" ejcovmenoi


tai'" divyai" kai; memnhmevnoi wJ" e[pion kai; ejlpivzonte" piei'sqai
caivrousin, kai; oiJ ejrw'nte" kai; dialegovmenoi kai; gravfonte"
20 kai; poiou'ntev" ti ajei; peri; tou' ejrwmevnou caivrousin: ejn a{pasi
ga;r toi'" toiouvtoi" memnhmevnoi oi|on aijsqavnesqai oi[ontai tou'
ejrwmevnou. kai; ajrch; de; tou' e[rwto" au{th givgnetai pa's in,
o{tan mh; movnon parovnto" caivrwsin ajlla; kai; ajpovnto"
memnhmevnoi" ªejrw's inº luvph prosgevnhtai tw'/ mh; par-
25 ei'nai, kai; ejn pevnqesi kai; qrhvnoi" wJsauvtw" ejpigivgnetaiv ti"
hJdonhv: hJ me;n ga;r luvph ejpi; tw'/ mh; uJpavrcein, hJdonh; dΔ ejn
tw'/ memnh'sqai kai; oJra'n pw" ejkei'non kai; a} e[pratten kai;
oi|o" h\n: dio; kai; tou'tΔ eijkovtw" ei[rhtai
w|" favto, toi's i de; pa's in uJfΔ i{meron w\rse govoio.
30 kai; to; timwrei'sqai hJduv. ou| ga;r to; mh; tugcavnein luphrovn, to;
tugcavnein hJduv: oiJ dΔ ojrgizovmenoi lupou'ntai ajnuperblhvtw" mh;
timwrouvmenoi, ejlpivzonte" de; caivrousin. kai; to; nika'n hJduv, ouj
movnon toi'" ILlonivkoi" ajlla; pa's in: fantasiva ga;r uJperoch'"
givgnetai, ou| pavnte" e[cousin ejpiqumivan h] hjrevma h] mavla. ejpei;
35 de; to; nika'n hJduv, ajnavgkh kai; ta;" paidia;" hJdeiva" ei\nai ta;"
1371a machtika;" kai; ta;" ejristikav" (pollavki" ga;r ejn tauvtai"
givgnetai to; nika'n), kai; ajstragalivsei" kai; sfairivsei" kai;
kubeiva" kai; petteiva". kai; peri; ta;" ejspoudasmevna" de;
paidia;" oJmoivw": aiJ me;n ga;r hJdei'ai givgnontai a[n ti" h\/
5 sunhvqh", aiJ dΔ eujqu;" hJdei'ai, oi|on kunhgiva kai; pa'sa qhreu-
tikhv: o{pou ga;r a{milla, ejntau'qa kai; nivkh e[stin: dio;
kai; hJ dikanikh; kai; hJ ejristikh; hJdeva toi'" eijqismevnoi" kai;
dunamevnoi". kai; timh; kai; eujdoxiva tw'n hJdivstwn dia; to; giv-
11. IL PIACERE 107

di un certo piacere o ricordandosi come è successo o


sperando come potrebbe succedere, ad esempio quel-
li che nelle febbri sono assetati provano piacere sia con
l’essersi ricordati di come bevevano sia con lo sperare di
essere dissetati, e gli amanti provano sempre piacere sia
che discutano sia che scrivano sia che realizzino qualcosa 20

che riguardi l’amato: infatti, ricordandolo in tutte queste


azioni, quasi credono di percepire l’amato. E per tutti è
questo il principio dell’amore, quando non solo si prova
piacere di chi è presente, ma si gode pure di chi è lonta-
no, anche se si aggiunge il dolore per la sua assenza. Pure 25

nelle pene e nei lamenti si genera un certo piacere: infatti


il dolore si prova per l’assenza, mentre il piacere nel’ri-
cordarsi e in qualche modo nel vederlo, e le cose che fa-
ceva e come era. Per questo si dice pure: «Così disse, e a
tutti venne desiderio di pianto»61.
E il vendicarsi è piacevole. Infatti ciò che non si ottiene 30

è doloroso, ciò che si ottiene è piacevole. Quelli che sono


in collera provano un dolore smisurato per non essersi
vendicati, sperandolo invece godono. Anche il vincere è
piacevole, non solo per quelli bramosi di vittorie ma per
tutti: poiché ne viene fuori un’immagine di superiorità, di
cui, o poco o molto, hanno tutti desiderio. Poiché il vin-
cere è piacevole, è necessario che anche i giochi da com- 35

battimento e da disputa siano piacevoli (infatti il vincere 1371a


si realizza spesso con giochi del genere), inoltre con gli
astragali62, le palle, i dadi e gli scacchi. E lo stesso vale per
i giochi impegnativi: infatti alcuni diventano piacevoli se
si acquisisce una certa consuetudine, altri sono subito 5

piacevoli, come la caccia e ogni cosa della caccia: infatti


dove vi è gara, vi è anche vittoria, per questo il dibattito
giudiziario e l’eristica sono piacevoli per chi ne ha con-
suetudine e capacità. E l’onore e la buona reputazione
sono tra le cose più piacevoli dal momento che ciascuno
108 RETORICA I, 1371a 9-31

gnesqai fantasivan eJkavstw/ o{ti toiou'to" oi|o" oJ spoudai'o",


10 kai; ma'llon o{tan fw's in ou}" oi[etai ajlhqeuvein. toiou'toi dΔ
oiJ ejggu;" ma'llon tw'n povrrw, kai; oiJ sunhvqei" kai; oiJ poli'-
tai tw'n a[pwqen, kai; oiJ o[nte" tw'n mellovntwn, kai; oiJ frov-
nimoi ajfrovnwn, kai; polloi; ojlivgwn: ma'llon ga;r eijko;"
ajlhqeuvein tou;" eijrhmevnou" tw'n ejnantivwn: ejpei; w|n ti" polu;
15 katafronei', w{sper paidivwn h] qhrivwn, oujde;n mevlei th'" touv-
twn timh'" h] th'" dovxh" aujth'" ge th'" dovxh" cavrin, ajllΔ
ei[per, diΔ a[llo ti. kai; oJ ILvlo" tw'n hJdevwn: tov te ga;r
ILlei'n hJduv (oujdei;" ga;r ILvloino" mh; caivrwn oi[nw/) kai; to;
ILlei'sqai hJduv: fantasiva ga;r kai; ejntau'qa tou' uJpavrcein
20 aujtw'/ to; ajgaqo;n ei\nai, ou| pavnte" ejpiqumou's in oiJ aijsqanovmenoi:
to; de; ILlei'sqai ajgapa'sqaiv ejstin aujto;n diΔ auJtovn. kai; to;
qaumavzesqai hJdu; dia; ãto;Ã aujto; tw'/ tima'sqai. kai; to; kolakeuve-
sqai kai; oJ kovlax hJdeva: fainovmeno" ga;r qaumasth;" kai;
fainovmeno" ILvlo" oJ kovlax ejstivn. kai; to; taujta; pravttein
25 pollavki" hJduv: to; ga;r suvnhqe" hJdu; h\n. kai; to; meta-
bavllein hJduv: eij" fuvs in ga;r givgnetai ãto;Ã metabavllein: to; ga;r
aujto; ajei; uJperbolh;n poiei' th'" kaqestwvsh" e{xew", o{qen ei[rhtai
metabolh; pavntwn glukuv.
dia; tou'to ga;r kai; ta; dia; crovnou hJdeva ejstivn, kai; a[nqrwpoi kai;
30 pravgmata: metabolh; ga;r ejk tou' parovnto" ejstivn, a{ma de; kai;
spavnion to; dia; crovnou. kai; to; manqavnein kai; to; qaumavzein hJdu;
11. IL PIACERE 109

tende a immaginarsi di essere tale e quale un gentiluomo,


e ancora di più quando a parlarne siano quelli che si ri- 10

tiene che dicano la verità. Tali sono: quelli vicini più di


quelli lontani, gli intimi e i concittadini più degli estra-
nei, quelli che ci sono più di quelli che verranno, i saggi
più degli stolti e i molti dei pochi: infatti è maggiore la
probabilità che dicano il vero quelli qui nominati che i
loro contrari. Mentre non ci si cura affatto della stima e
dell’opinione di coloro che si disprezzano fortemente, 15

come di bambini o di animali, proprio a motivo della


reputazione stessa, ma se ciò accade è per qualche altra
ragione. E anche l’amico è tra le cose piacevoli: infatti
l’avere amicizia è tra le cose piacevoli (nessuno, infatti,
è amante del vino, senza provare piacere per il vino) e
l’essere amato è piacevole: infatti anche in questo caso
l’immaginazione è quella di avere la caratteristica di es-
sere in se stessi un bene, la qual cosa desiderano tutti 20

quelli che provano la sensazione di essere amati, e l’es-


sere amato è essere trattato con affetto per se stesso e a
causa di se stesso. E l’essere ammirato è piacevole per-
ché è lo stesso motivo per cui essere onorati. E l’essere
adulato e l’adulatore sono piacevoli: infatti l’adulatore
è chi appare ammiratore e amico. E fare spesso le stesse
cose è piacevole: infatti, s’era detto, ciò che è consueto 25

è piacevole63. E il cambiare è piacevole dal momento


che il cambiare conduce allo stato naturale: infatti fare
sempre la stessa cosa produce un’eccessiva mancanza
di mobilità della disposizione, di qui si è detto «il cam-
biamento di ogni cosa è piacevole»64.
Per questo, infatti, pure ciò che si verifica dopo un in-
tervallo di tempo è piacevole, si tratti di uomini o di cose:
vi è infatti un cambiamento a partire dalla condizione 30

presente, e, allo stesso tempo, ciò che succede a intervalli


di tempo è pure raro. Anche l’apprendere e il meravi-
110 RETORICA I, 1371a 32 - b 23

wJ" ejpi; to; poluv: ejn me;n ga;r tw'/ qaumavzein to; ejpiqumei'n ma-
qei'n ejstin, w{ste to; qaumasto;n ejpiqumhtovn, ejn de; tw'/ manqavnein
ãto;Ã eij" to; kata; fuvs in kaqivstasqai. kai; to; eu\ poiei'n kai; to;
35 eu\ pavscein tw'n hJdevwn: to; me;n ga;r eu\ pavscein tugcav-
1371b nein w|n ejpiqumou's i, to; de; eu\ poiei'n e[cein kai; uJper-
evcein, w|n ajmfotevrwn ejILventai. dia; de; to; hJdu; ei\nai to;
eujpoihtikovn, kai; to; ejpanorqou'n hJdu; toi'" ajnqrwvpoi" ejsti;n tou;"
plhsivon, kai; to; ta; ejlliph' ejpitelei'n. ejpei; de; to; manqav-
5 nein te hJdu; kai; to; qaumavzein, kai; ta; toiavde ajnavgkh
hJdeva ei\nai, oi|on tov te mimouvmenon, w{sper graILkh; kai;
ajndriantopoiiva kai; poihtikhv, kai; pa'n o} a]n eu\ memimhmev-
non h\/, ka]n h\/ mh; hJdu; aujto; to; memimhmevnon: ouj ga;r ejpi;
touvtw/ caivrei, ajlla; sullogismo;" e[stin o{ti tou'to ejkei'no, w{ste
10 manqavnein ti sumbaivnei. kai; aiJ peripevteiai kai; to; para;
mikro;n swvzesqai ejk tw'n kinduvnwn: pavnta ga;r qaumasta;
tau'ta. kai; ejpei; to; kata; fuvs in hJduv, ta; suggenh' de; kata;
fuvs in ajllhvloi" ejstivn, pavnta ta; suggenh' kai; o{moia hJdeva
wJ" ejpi; to; poluv, oi|on a[nqrwpo" ajnqrwvpw/ kai; i{ppo" i{ppw/
15 kai; nevo" nevw/, o{qen kai; aiJ paroimivai ei[rhntai, ªwJ~º “h|lix h{lika
tevrpei”, kai; “wJ" aijei; to;n oJmoi'on”, kai; “e[gnw de; qh;r qh'ra”,
“kai; ga;r koloio;" para; koloiovn”, kai; o{sa a[lla toiau'ta.
ejpei; de; to; o{moion kai; to; suggene;" eJautw'/ hJdu; a{pan, mav-
lista de; aujto;" pro;" eJauto;n e{kasto" tou'to pevponqen, ajnavgkh
20 pavnta" ILlauvtou" ei\nai h] ma'llon h] h|tton: pavnta ga;r
ta; toiau'ta uJpavrcei pro;" auJto;n mavlista. ejpei; de; ILvl-
autoi pavnte", kai; ta; auJtw'n ajnavgkh hJdeva ei\nai pa's in, oi|on
e[rga kai; lovgou": dio; kai; ILlokovlake" wJ" ejpi; to; polu;
11. IL PIACERE 111

gliarsi è per lo più piacevole: nel meravigliarsi vi è infatti


il desiderio di imparare, di conseguenza ciò che è oggetto
di ammirazione è desiderabile, mentre nell’apprendere ci
si riconduce a ciò che è conforme a natura65. E il fare bene
e il ricevere bene fanno parte delle cose piacevoli: il riceve- 35

re bene è ottenere delle cose che si desiderano, mentre fare 1371b


bene è possedere ed essere superiori, a entrambe perciò
si ambisce. Poiché il piacevole è il rendere atto a fare del
bene, anche il correggere chi ci sta vicino è piacevole per
gli uomini, e il perfezionare le cose che sono in difetto.
Poiché l’apprendere e il meravigliare sono piacevoli, de- 5

vono essere piacevoli anche le cose di questo genere, ad


esempio l’imitazione, come pittura, scultura e poesia, e tut-
to ciò che sia ben imitato, anche se l’oggetto imitato in sé
non sia piacevole: non è infatti questo che dà piacere, ma
il collegamento che questo è quello, di conseguenza acca-
de che s’impari qualcosa66. Anche le peripezie e l’essersi 10

salvato per poco dai pericoli: tutte queste cose infatti sono
oggetto d’ammirazione. E poiché l’essere secondo natura
è piacevole, e le cose congeneri stanno tra loro in modo
conforme a natura, tutte le cose dello stesso genere e simili
sono per lo più piacevoli, ad esempio l’uomo per l’uomo
e il cavallo per il cavallo e il giovane per il giovane, di qui 15

anche i proverbi che dicono come «il coetaneo rallegra


il coetaneo»67 e «così sempre il simile cerca il simile»68, e
«conosce la bestia la bestia», «e infatti la cornacchia sta
presso la cornacchia»69, e tutti gli altri detti di questo tipo.
Poiché ciò che è simile e ciò che è congenere a se stes-
so è tutto quanto piacevole, e soprattutto ciascuno ha
provato questa affezione per se stesso, è necessario che
tutti, chi più chi meno, si amino: perché è soprattutto 20

in se stesso che si verificano tutte queste cose. E poiché


ognuno ama se stesso, è pure necessario che a tutti siano
piacevoli le proprie cose, ad esempio le loro stesse opere
112 RETORICA I, 1371b 24 - 1372a 9

kai; ILlerastai; kai; ILlovmaimoi kai; ILlovteknoi: aujtw'n ga;r


25 e[rgon ta; tevkna. kai; to; ta; ejlliph' ejpitelei'n hJduv: aujtw'n ga;r
e[rgon h[dh givgnetai. kai; ejpei; to; a[rcein h{diston, kai; to;
sofo;n dokei'n ei\nai hJduv: ajrciko;n ga;r to; fronei'n, e[stin dΔ
hJ soILva pollw'n kai; qaumastw'n ejpisthvmh. e[ti ejpei; ILlov-
timoi wJ" ejpi; to; poluv, ajnavgkh kai; to; ejpitima'n toi'" pev-
30 la" hJdu; ei\nai kai; to; a[rcein, kai; to; ejn w|/ dokei' bevltisto"
aujto;" auJtou' ei\nai, ejntau'qa diatrivbein, w{sper kai; oJ poih-
thv" fhsi kajpi; tou'tΔ ejpeivgei,
nevmwn eJkavsth" hJmevra" plei'ston mevro",
i{nΔ aujto;" auJtou' tugcavnei bevltisto" w[n.
35 oJmoivw" de; kai; ejpei; hJ paidia; tw'n hJdevwn kai; pa'sa a[nesi", kai;
oJ gevlw" tw'n hJdevwn, ajnavgkh kai; ta; geloi'a hJdeva ei\nai, kai;
1372a ajnqrwvpou" kai; lovgou" kai; e[rga: diwvristai de; peri; geloivwn
cwri;" ejn toi'" peri; poihtikh'". peri; me;n ou\n hJdevwn eijrhvsqw
tau'ta, ta; de; luphra; ejk tw'n ejnantivwn touvtoi" fanerav.

12. »Wn me;n ou\n e{neka ajdikou's in, tau'tΔ ejstivn: pw'" de; e[con-
5 te" kai; tivna", levgwmen nu'n. aujtoi; me;n ou\n o{tan oi[wntai
dunato;n ei\nai to; pra'gma pracqh'nai kai; auJtoi'" dunatovn,
ei\tΔ a]n laqei'n pravxante", h] mh; laqovnte" mh; dou'nai divkhn,
h] dou'nai me;n ajllΔ ejlavttw th;n zhmivan ei\nai tou' kevrdou"
auJtoi'" h] w|n khvdontai. poi'a me;n ou\n dunata; faivnetai kai; poi'a
12. IL COMMETTERE E SUBIRE INGIUSTIZIE 113

e i loro discorsi, per questo motivo si amano per lo più gli


adulatori, gli amanti, i consanguinei e i figli: infatti i figli
sono opera loro. Ed è piacevole il perfezionare le cose 25

difettose: infatti sono ormai diventate opera loro. Inoltre,


poiché il comandare è cosa piacevolissima, anche il sem-
brare di essere saggio è piacevole: infatti l’essere saggio
significa essere atto a comandare, e la sapienza è cono-
scenza di tante cose pure meravigliose. Ancora, poiché
si è per lo più ambiziosi, è necessario che sia piacevole
sia criticare chi ci sta vicino sia comandare, inoltre, oc- 30

cuparsi di quell’ambito, nel quale ci si ritiene di essere


il migliore, come dice ed esorta il poeta «dedicando la
maggior parte di ogni giorno, / a quell’aspetto di sé cui
è toccato in sorte di essere quello migliore»70. Allo stesso 35

modo, poiché sia i giochi che ogni forma di ristoro, sia il


ridere stanno tra le cose piacevoli, è necessario che anche
ciò di cui si ride, uomini, discorsi o azioni, sia piacevole; 1372a
ma sulle cose ridicole si sono effettuate le definizioni in
separata sede, nei libri della Poetica71. Quindi si mettano
in rilievo tali cose su ciò che è piacevole, là dove ciò che è
doloroso risulterà chiaro dagli argomenti opposti.

12. Sul commettere e subire ingiustizie

Sono dunque questi i motivi per cui si commettono in-


giustizie; adesso però diciamo con quale stato d’animo 5

e verso chi. Allora, gli uomini le commettono quando


ritengono che sia possibile compiere l’atto, e che sia pos-
sibile per loro, o se ritengono possibile rimanere nell’om-
bra, o se, agendo allo scoperto, sia possibile non pagare
la pena, o pagare ma ritenendo che il danno sia minore
del guadagno per loro o per quelle cose di cui si preoc-
cupano. Quali azioni dunque appaiano possibili e qua-
114 RETORICA I, 1372a 10-33

10 ajduvnata, ejn toi'" u{steron rJhqhvsetai (koina; ga;r tau'ta


pavntwn tw'n lovgwn): aujtoi; dΔ oi[ontai dunatoi; ei\nai mavlista
ajzhvmioi ajdikei'n oiJ eijpei'n dunavmenoi kai; oiJ praktikoi; kai;
oiJ e[mpeiroi pollw'n ajgwvnwn, ka]n poluvILloi w\s in, ka]n
plouvs ioi. kai; mavlista me;n a]n aujtoi; w\s in ejn toi'" eijrhmevnoi"
15 oi[ontai duvnasqai, eij de; mhv, ka]n uJpavrcwsin aujtoi'" toiou'toi
ILvloi h] uJphrevtai h] koinwnoiv: dia; ga;r tau'ta duvnantai kai;
pravttein kai; lanqavnein kai; mh; dou'nai divkhn. kai; eja;n ILv-
loi w\s in toi'" ajdikoumevnoi" h] toi'" kritai'": oiJ me;n ga;r ILvloi
ajfuvlaktoiv te pro;" to; ajdikei'sqai kai; proskatallavttontai
20 pri;n ejpexelqei'n, oiJ de; kritai; carivzontai oi|" a]n ILvloi w\s i,
kai; h] o{lw" ajILa's in h] mikroi'" zhmiou's in. laqhtika; dΔ eijs i;n
oi{ tΔ ejnantivoi toi'" ejgklhvmasin, oi|on ajsqenei'" peri; aijkiva" ªkai;º
oJ pevnh" kai; oJ aijscro;" peri; moiceiva", kai; ta; livan ejn fanerw'/
kai; ejn ojfqalmoi'": ajfuvlakta ga;r dia; to; o{lw" mhdevna a]n
25 oi[esqai. kai; ta; thlikau'ta kai; ta; toiau'ta oi|a mhdΔ a]n
ei|": ajfuvlakta ga;r kai; tau'ta: pavnte" ga;r ta; eijwqovta,
w{sper ajrrwsthvmata, fulavttontai kai; tajdikhvmata, o} de;
mhdeiv" pw hjrrwvsthken, oujdei;" eujlabei'tai. kai; oi|" mhdei;"
ejcqro;" h] polloiv: oiJ me;n ga;r oi[ontai lhvsein dia; to; mh; fu-
30 lavttesqai, oiJ de; lanqavnousi dia; to; mh; dokei'n a]n ejpiceirh'-
sai fulattomevnoi", kai; dia; to; ajpologivan e[cein o{ti oujk a]n
ejneceivrhsan. kai; oi|" uJpavrcei kruvy i" h] trovpoi" h] tovpoi", h]
diaqevsei" eu[poroi. kai; o{soi" mh; lanqavnousin e[stin divwsi" divkh"
12. IL COMMETTERE E SUBIRE INGIUSTIZIE 115

li impossibili, sarà detto in seguito (sono infatti questi i 10

luoghi comuni di tutti i discorsi). Ritengono che sia pos-


sibile commettere impunemente ingiustizia soprattutto
quelli che sono abili a parlare, quelli portati all’azione e
quelli che hanno esperienza di tanti processi, sia nel caso
in cui dispongano di numerose amicizie sia che abbiano
parecchio denaro. E ritengono possibile commettere in-
giustizia soprattutto se sono essi stessi nelle condizioni
suddette, oppure, se hanno amicizie o servi o complici 15

di quel genere: infatti, in virtù di questi mezzi è possibi-


le agire, rimanere nell’ombra e non pagare la pena. E se
sono amici di coloro che hanno subito ingiustizia o per
i giudici: infatti gli amici non si guardano dal subire in-
giustizia e si riconciliano prima di muovergli contro delle 20

accuse, i giudici, invece, se sono loro amici concedono


favori e o li lasciano liberi del tutto o li puniscono con
piccole sanzioni. Non sono atti ad essere scoperti coloro
che sono in condizione opposta alle accuse, ad esempio
i deboli riguardo il maltrattamento e il povero e il brutto
riguardo all’adulterio, e le cose troppo in evidenza e sotto
gli occhi di tutti: infatti non sono cose da cui guardarsi
perché nessuno in genere se le immaginerebbe. E non 25

ci si cautela da azioni di tale portata e di tale natura che


nessuno potrebbe immaginare, perché tutti si guardano
dalle solite cose, come le malattie e le ingiustizie, ma non
ce ne è uno che si difenda da ciò di cui nessuno è ancora
ammalato. Inoltre, è possibile commettere ingiustizia a
chi non ha nessun nemico o a chi ne ha molti: i primi
infatti ritengono di poter agire nell’ombra, dal momento
che contro di loro non si prendono precauzioni, i secondi 30

sfuggono perché non si crede che si tenti un attacco a


chi sta in guardia, e per avere quale argomento di difesa
il fatto che non si sarebbero arrischiati. E possono com-
mettere ingiustizia coloro che sono in condizione di agire
116 RETORICA I, 1372a 34 - b 15

h] ajnabolh; crovnou h] diafqorai; kritw'n. kai; oi|", eja;n gevnhtai


35 zhmiva, e[stin divwsi" th'" ejktivsew" h] ajnabolh; crovnio". h] ãeijÃ
diΔ ajporivan mhde;n e[cei o{ ti ajpolevsei. kai; oi|" ta; me;n kevrdh
fanera; h] megavla h] ejgguv", aiJ de; zhmivai mikrai; h] ajfa-
1372b nei'" h] povrrw. kai; w|/ mh; e[stin timwriva i[sh th'/ wjfeleiva/, oi|on
dokei' hJ turraniv". kai; o{soi" ta; me;n ajdikhvmata lhvmmata,
aiJ de; zhmivai ojneivdh movnon. kai; oi|" toujnantivon ta; me;n ajdikhv-
mata eij" e[painovn tina, oi|on eij sunevbh a{ma timwrhvsasqai
5 uJpe;r patro;" h] mhtrov", w{sper Zhvnwni, aiJ de; zhmivai eij"
crhvmata h] fugh;n h] toiou'tovn ti: diΔ ajmfovtera ga;r ajdi-
kou's i kai; ajmfotevrw" e[conte", plh;n oujc oiJ aujtoi; ajllΔ oiJ
ejnantivoi toi'" h[qesin. kai; oiJ pollavki" h] lelhqovte" h] mh; ejzh-
miwmevnoi, kai; oiJ pollavki" ajpotetuchkovte" (eijs i; gavr tine"
10 kai; ejn toi'" toiouvtoi", w{sper ejn toi'" polemikoi'", oi|oi ajna-
mavcesqai). kai; oi|" a]n paracrh'ma h\/ to; hJduv, to; de; luphro;n
u{steron, h] to; kevrdo", hJ de; zhmiva u{steron: oiJ ga;r ajkratei'"
toiou'toi, e[stin de; ajkrasiva peri; pavnta o{swn ojrevgontai. kai; oi|"
a]n toujnantivon to; me;n luphro;n h[dh h\/ h] hJ zhmiva, to; de; hJdu;
15 kai; ãto;Ã wjfevlimon u{stera kai; croniwvtera: oiJ ga;r ejgkratei'" kai;
12. IL COMMETTERE E SUBIRE INGIUSTIZIE 117

di nascosto o per i modi o per i luoghi o perché sono


pieni di risorse. Inoltre, coloro che, se non sono identi-
ficati, possono evitare il processo, differirlo nel tempo o
corrompere i giudici. Ancora, per chi incorre nella pena, 35

commettere ingiustizia consiste nell’evitare la sanzione o


dilazionarla nel tempo. Oppure nell’evitarla se, per man-
canza di mezzi, non hanno niente di ciò che dovrebbero
perdere. Inoltre, è possibile che commetta ingiustizia chi
ha guadagni evidenti, oppure grandi o immediati, mentre
le perdite sono di scarsa entità, incerte o di là da venire; 1372b
e chi ha più vantaggi che punizioni, come pare sia il caso
della tirannide; e chi ha dalle ingiustizie guadagni mate-
riali, dalle punizioni soltanto biasimi. E è possibile che le
commettano coloro che conseguono una certa lode, ad
esempio se è accaduto che si sia fatta vendetta del padre o 5

della madre, come per Zenone72, mentre, al contempo, le


punizioni riguardano ricchezze, esilio o cose del genere:
infatti si commettono ingiustizie per entrambi i motivi e
quando si ha l’animo disposto in entrambi i modi, salvo
per il fatto che non si tratta di persone dello stesso genere
ma di carattere opposto l’una orientata all’onore l’altra al
guadagno. E possono commettere ingiustizie quelli che
spesso non sono stati scoperti o non sono stati puniti;
inoltre quelli che molte volte non hanno avuto successo
(ve ne sono infatti alcuni che – anche in determinate si- 10

tuazioni, come in battaglia – hanno carattere tale da re-


cuperare una sconfitta). E per chi abbia immediatamente
piacere, mentre ciò che è penoso lo riceva in un secondo
momento, o immediatamente il guadagno, e in un secon-
do momento la punizione: tali sono infatti gli intempe-
ranti, e l’intemperanza riguarda tutto ciò di cui si ha ap-
petizione. Ed è possibile commettere ingiustizia per chi,
al contrario, nell’immediato abbia sofferenza o punizione,
mentre il piacevole e il vantaggioso si abbiano in segui- 15
118 RETORICA I, 1372b 16-34

fronimwvteroi ta; toiau'ta diwvkousin. kai; oi|" a]n ejndevchtai dia;


tuvchn dovxai pra'xai h] diΔ ajnavgkhn h] dia; fuvs in h] diΔ e[qo",
kai; o{lw" aJmartei'n ajlla; mh; ajdikei'n. kai; oi|" a]n h\/ tou' ejpi-
eikou'" tucei'n. kai; o{soi a]n ejndeei'" w\s in: dicw'" dev eijs in ejndeei'": h]
20 ga;r wJ" ajnagkaivou, w{sper oiJ pevnhte", h] wJ" uJperbolh'", w{sper oiJ
plouvs ioi. kai; oiJ sfovdra eujdokimou'nte" kai; oiJ sfovdra ajdoxou'n-
te", oiJ me;n wJ" ouj dovxonte", oiJ dΔ wJ" oujde;n ma'llon ajdoxou'nte".
aujtoi; me;n ou\n ou{tw" e[conte" ejpiceirou's in ãajdikei'nÃ, ajdi-
kou's i de; tou;" toiouvtou" kai; ta; toiau'ta, tou;" e[conta" w|n
25 aujtoi; ejndeei'" h] eij" tajnagkai'a h] eij" uJperoch;n h] eij" ajpov-
lausin, kai; tou;" povrrw kai; tou;" ejgguv": tw'n me;n ga;r hJ
lh'yi" tacei'a, tw'n dΔ hJ timwriva bradei'a, oi|on oiJ sulw'nte"
tou;" Karchdonivou". kai; tou;" mh; eujlabei'" mhde; fulaktikou;"
ajlla; pisteutikouv": rJav/dion ga;r pavnta" laqei'n. kai; tou;" rJa-
30 quvmou": ejpimelou'" ga;r to; ejpexelqei'n. kai; tou;" aijscunthlouv":
ouj ga;r machtikoi; peri; kevrdou". kai; tou;" uJpo; pollw'n ajdikh-
qevnta" kai; mh; ejpexelqovnta", wJ" o[nta" kata; th;n paroimivan
touvtou" Musw'n leivan. kai; tou;" mhdepwvpote kai; tou;" pollavki":
ajmfovteroi ga;r ajfuvlaktoi, oiJ me;n wJ" oujdevpote, oiJ dΔ wJ" oujk a]n
12. IL COMMETTERE E SUBIRE INGIUSTIZIE 119

to e più a lungo: tali, infatti, sono le cose che perseguono


persone temperanti e più assennate. Inoltre, commettono
ingiustizia quelli per i quali è possibile che le loro azioni
sembrino casuali o per necessità o per natura o per carat-
tere e, in genere, che sembri loro di aver sbagliato, ma non
di aver commesso ingiustizia. E quelli per cui sia possibile
ottenere indulgenza. E quelli che sono bisognosi. Si ha bi-
sogno in due modi sono: o del necessario, come i poveri, o 20

del superfluo, come i ricchi. Inoltre possono commettere


ingiustizia coloro che godono di ottima fama e coloro che
hanno pessima reputazione: i primi poiché non sembrano
tali da poter commettere ingiustizia, i secondi in quanto
tali da non avere in nessun caso un maggiore discredito.
Costoro, dunque, che sono così disposti si accingono
a commettere ingiustizia verso questo tipo di persone e
di cose: verso chi ha ciò di cui loro stessi sono bisognosi,
verso ciò che è necessario, ciò che è superfluo o ciò che 25

è divertente; inoltre, lo sono sia verso chi è lontano sia


verso chi è vicino: infatti, per questi ultimi si fa presto ad
appropriarsi delle loro cose, mentre dei primi tarda la pu-
nizione (ad esempio quelli che depredano i Cartaginesi).
E commettono ingiustizia verso gli incauti e verso coloro
che non stanno in guardia, ma sono propensi a fidarsi: è
più facile infatti sfuggire a tutte queste persone. E verso
le persone superficiali, dal momento che quelli attenti ri- 30

corrono alle vie legali. E verso chi si vergogna: non sono


infatti inclini a combattere per questioni di denaro. E
verso quelli che sono stati oggetto d’ingiustizia da par-
te di molti e non hanno intentato una causa, in quanto,
come dice il proverbio, sono una preda dello stesso gene-
re dei Misii73. E commettono ingiustizia verso quelli che
non l’hanno subita mai e quelli che l’hanno subita spesso:
entrambi infatti sono senza difesa, i primi in quanto non
l’hanno subita mai, i secondi come se non ne potessero ri-
120 RETORICA I, 1372b 35 - 1373a 18

35 e[ti. kai; tou;" diabeblhmevnou" h] eujdiabovlou": oiJ toiou'toi ga;r


ou[te proairou'ntai, fobouvmenoi tou;" kritav", ou[te duvnantai
peivqein, wJ" misouvmenoi kai; fqonouvmenoi. kai; pro;" ou}"
1373a e[cousi provfasin h] progovnwn h] aujtw'n h] ILvlwn h] poih-
savntwn kakw'" h] mellhsavntwn, h] aujtou;" h] progovnou" h] w|n khv-
dontai: w{sper ga;r hJ paroimiva, profavsew" dei'tai movnon hJ
ponhriva. kai; tou;" ejcqrou;" kai; tou;" ILvlou": tou;" me;n ga;r rJav/-
5 dion, tou;" de; hJduv. kai; tou;" ajILvlou", kai; tou;" mh; deinou;" eij-
pei'n h] pra'xai: h] ga;r oujk ejgceirou's in ejpexievnai, h] katallavtton-
tai, h] oujde;n peraivnousin. kai; oi|" mh; lusitelei' diatriv-
bein ejpithrou's in h] divkhn h] e[ktisin, oi|on oiJ xevnoi kai; aujtourgoiv:
ejpi; mikrw'/ te ga;r dialuvontai kai; rJa/divw" katapauvontai.
10 kai; tou;" polla; hjdikhkovta", h] toiau'ta oi|a ajdikou'ntai: ejg-
gu;" gavr ti dokei' tou' mh; ajdikei'n ei\nai o{tan ti toiou'ton
ajdikhqh'/ ti" oi|on eijwvqei kai; aujto;" ajdikei'n: levgw dΔ oi|on ei[
ti" to;n eijwqovta uJbrivzein aijkivsaito. kai; tou;" h] pepoihkovta"
kakw'" h] boulhqevnta" h] boulomevnou" h] poihvsonta": e[cei ga;r
15 kai; to; hJdu; kai; to; kalovn, kai; ejggu;" tou' mh; ajdikei'n faiv-
netai. kai; oi|" cariou'ntai h] ILvloi" h] qaumazomevnoi" h]
ejrwmevnoi" h] kurivoi" h] o{lw" pro;" ou}" zw's in aujtoiv. kai; pro;"
ou}" e[stin ejpieikeiva" tucei'n. kai; oi|" a]n ejgkeklhkovte" w\s in
12. IL COMMETTERE E SUBIRE INGIUSTIZIE 121

cevere ancora. E commettono ingiustizia verso quelli che 35

sono stati calunniati o facili alla calunnia: questi ultimi in-


fatti non portano avanti in giudizio, essendo timorosi dei
giudici, né sono nella possibilità di persuadere, in quanto
odiati e oggetto di risentimento. E si commette ingiusti-
zia verso coloro contro cui si ha a pretesto che gli avi o 1373a
loro stessi o i loro amici hanno agito o stavano per agire in
modo malvagio, nei nostri riguardi, nei riguardi dei nostri
avi o di quelli di cui ci prendiamo cura: come infatti dice
il proverbio, «la malvagità ha bisogno solo del pretesto»74.
E si commette ingiustizia verso i nemici e verso gli amici,
poiché su questi ultimi è più facile, mentre nei riguardi 5

dei primi è piacevole. E verso quelli privi di amici, e quelli


che non sono capaci a parlare o ad agire: infatti o non
si impegnano a perseguire penalmente, o verranno a un
compromesso o non concluderanno nulla. E si commette
ingiustizia con chi non ha interesse a spendere del tempo
per curarsi di un processo o di un indennizzo, come gli
stranieri e chi lavora in proprio: infatti si riconciliano in
poco tempo e pongono fine alla questione con facilità. E 10

verso quelli che hanno commesso molte cose ingiuste, o


dello stesso genere di quelle che subiscono: sembra infatti
che si sia in certo senso vicini al non commettere ingiu-
stizia quando se ne sia fatta qualcuna dello stesso tipo di
quelle che si è soliti subire; dico, ad esempio, se qualcu-
no avesse maltrattato chi è solito offendere. E verso quelli
che o hanno agito in maniera malvagia o hanno voluto o
vogliono o agiranno in maniera malvagia: vi è infatti in
questo del piacevole e del bello, e sembra simile al non 15

commettere ingiustizia. E si commette ingiustizia verso


chi è gradito da costoro: amici o chi si ammira o si ama
o chi è importante o, in genere , verso quelli in funzione
dei quali essi vivono. E verso coloro presso cui è possibi-
le ottenere clemenza. E verso coloro ai quali siano stati
122 RETORICA I, 1373a 19-38

kai; prodiakecwrhkovte", oi|on Kavllippo" ejpoivhsen ta; peri;


20 Divwna: kai; ga;r ta; toiau'ta ejggu;" tou' mh; ajdikei'n faivne-
tai. kai; tou;" uJpΔ a[llwn mevllonta", a]n mh; aujtoiv, wJ" oujkevti
ejndecovmenon bouleuvsasqai, w{sper levgetai Aijnesivdhmo" Gev-
lwni pevmyai kottavbia ajndrapodisamevnw/ ã...Ã, o{ti e[fqasen,
wJ" kai; aujto;" mevllwn. kai; ou}" ajdikhvsante" dunhvsontai
25 polla; divkaia pravttein, wJ" rJa/divw" ijasovmenoi, w{sper e[fh
ΔIavswn oJ Qettalo;" dei'n ajdikei'n e[nia, o{pw" duvnhtai kai;
divkaia polla; poiei'n. kai; a} pavnte" h] polloi; ajdikei'n
eijwvqasin: suggnwvmh" ga;r oi[ontai teuvxesqai. kai; ta; rJav/-
dia kruvyai: toiau'ta de; o{sa tacu; ajnalivsketai, oi|on ta;
30 ejdwvdima, h] ta; eujmetavblhta schvmasin h] crwvmasin h]
kravsesin, h] a} pollacou' ajfanivsai eu[poron: toiau'ta de;
ta; eujbavstakta kai; ejn mikroi'" tovpoi" ajfanizovmena. kai;
oi|" ajdiavfora kai; o{moia polla; prou>ph'rcen tw'/ ajdikou'nti.
kai; o{sa aijscuvnontai oiJ ajdikhqevnte" levgein, oi|on gunaikw'n
35 oijkeivwn u{brei" h] eij" auJtou;" h] eij" uiJei'". kai; o{sa ILlodikei'n
dovxeien a]n oJ ejpexiwvn: toiau'ta de; ta; mikra; kai; ejfΔ
oi|" suggnwvmh. wJ" me;n ou\n e[conte" ajdikou's i, kai; poi'a kai;
poivou" kai; dia; tiv, scedo;n tau'tΔ ejstivn.
12. IL COMMETTERE E SUBIRE INGIUSTIZIE 123

mossi rimproveri e dai quali si siano già prese le distan-


ze, ad esempio le cose che Callippo fece nei riguardi di 20

Dione75: infatti anche le azioni di questo genere si avvi-


cinano all’assenza di ingiustizia. E verso coloro che stan-
no per essere fatti oggetto d’ingiustizia da altri, se non la
facessero loro stessi, in quanto non vi è più la possibilità
di pensarci su, come si dice di Enesidemo che avrebbe
inviato il premio del gioco del cottabo a Gelone, che lo
aveva ridotto in schiavitù …76, dal momento che lo aveva
anticipato, perché era quanto stava per fare anche lui. E
verso coloro nei cui confronti, dopo averne fatto oggetto
d’ingiustizie, si potranno compiere molte azioni giuste, in 25

modo da porvi rimedio con facilità, come disse Iasone il


Tessalo: occorre commettere alcune cose ingiuste, anche
allo scopo di poterne fare molte giuste. E si commettono
quegli atti ingiusti che tutti o in parecchi sono soliti com-
piere, perché si pensa che vi sarà perdono. Ed è oggetto
d’ingiustizia tutto quello che è facile a nascondersi: di
questo tipo sono le cose di pronto utilizzo, per esempio
i cibi, o ciò che è facile a cambiare in forme, colori o 30

composizioni, o facile da nascondere dove capita: di tale


genere è ciò che è agevole da trasportare e far sparire
in piccoli posti. Ancora, è oggetto d’ingiustizia ciò che
non si distingue e che è simile alle molte cose che sono
state imputate a chi ha commesso reato. E tutto quello
che chi subisce ingiustizia si vergogna a dire, ad esempio
oltraggi alle sue donne, a se stesso o ai figli. E tutte quelle 35

cose che chi intenta una causa sembrerebbe volere, per-


ché ama citare in giudizio. Di questo tipo sono quelle di
poca importanza e per le quali vi è indulgenza. Dunque,
le condizioni di chi commette ingiustizia, e quali reati e
verso chi e per quale motivo, sono pressappoco queste.
124 RETORICA I, 1373b 1-23

1373b 13. Ta; dΔ ajdikhvmata pavnta kai; ta; dikaiwvmata dievlwmen


ajrxavmenoi prw'ton ejnteu'qen. w{ristai dh; ta; divkaia kai;
ta; a[dika prov" te novmou" duvo kai; pro;" ou{" ejsti dicw'".
levgw de; novmon to;n me;n i[dion, to;n de; koinovn, i[dion me;n to;n
5 eJkavstoi" wJrismevnon pro;" auJtouv", kai; tou'ton to;n me;n a[gra-
fon, to;n de; gegrammevnon, koino;n de; to;n kata; fuvs in. e[sti
gavr ti o} manteuvontai pavnte", fuvsei koino;n divkaion kai;
a[dikon, ka]n mhdemiva koinwniva pro;" ajllhvlou" h\/ mhde; sun-
qhvkh, oi|on kai; hJ Sofoklevou" ΔAntigovnh faivnetai levgousa,
10 o{ti divkaion ajpeirhmevnou qavyai to;n Poluneivkh, wJ" fuvsei
o]n tou'to divkaion:
ouj gavr ti nu'n ge kajcqev", ajllΔ ajeiv pote
zh'/ tou'to, koujdei;" oi\den ejx o{tou favnh:
kai; wJ" ΔEmpedoklh'" levgei peri; tou' mh; kteivnein to; e[m-
15 yucon: tou'to ga;r ouj tisi; me;n divkaion tisi; dΔ ouj divkaion,
ajlla; to; me;n pavntwn novmimon diav tΔ eujrumevdonto"
aijqevro" hjnekevw" tevtatai diav tΔ ajplevtou aujgh'":
kai; wJ" ejn tw'/ Messhniakw'/ levgei ΔAlkidavma", “ejleuqevrou" ajfh'ke
pavnta" qeov", oujdevna dou'lon hJ fuvs i" pepoivhken”. pro;" ou}"
dev, diwvristai divca: w{ristai ga;r pro;" to; koino;n h] pro;"
20 e{na tw'n koinwnouvntwn a} dei' pravttein kai; mh; pravttein: dio;
kai; tajdikhvmata kai; ta; dikaiwvmata dicw'" e[stin ajdikei'n
kai; dikaiopragei'n: h] ga;r pro;" e{na kai; wJrismevnon h] pro;"
to; koinovn: oJ ga;r moiceuvwn kai; tuvptwn ajdikei' tina tw'n wJri-
13. ATTI DI GIUSTIZIA E DI INGIUSTIZIA 125

13. Atti di giustizia e di ingiustizia

Distinguiamo tutti gli atti ingiusti e quelli giusti, inizian- 1373b


do innanzitutto da questo punto. E allora, abbiamo defi-
nito che le cose giuste e quelle ingiuste sono in rapporto
a due tipi di leggi e in due modi in rapporto alle persone.
Chiamo legge quella che è da un lato «particolare»,
dall’altro «comune», «particolare» è quella che è stabilita 5

da ciascuna comunità in rapporto a sé medesima, e que-


sta è da un lato non scritta e dall’altro scritta, «comune»
è quella secondo natura. Vi è, infatti, un qualche giusto
e ingiusto comune per natura che tutti indovinano, an-
che se non vi è nessun rapporto reciproco degli uni con
gli altri, né accordo, come pure ci mostra, ad esempio,
l’Antigone di Sofocle dicendo che è corretto, anche se è 10

stato vietato, onorare con riti funebri Polinice, in quanto


ciò è giusto per natura: «Perché invero non da adesso né
di ieri, ma da sempre vive questa legge, e nessuno sa da
dove sia apparsa»77.
E così Empedocle dice riguardo a non uccidere chi ha 15

un’anima: è infatti impossibile che una cosa del genere non


sia giusta per alcuni mentre sia ingiusta per altri, «ma la
legge di tutte le cose ininterrottamente si estende per l’e-
tere dall’ampio dominio e per l’infinito raggio del sole»78;
e come nel Messeniaco dice Alcidamante: «liberi tutti la-
sciò andare il dio, la natura nessuno ha fatto schiavo»79. In
relazione alla persone si sono distinti due casi: infatti si è
stabilito ciò che si deve o non si deve fare per la comunità o 20

per il singolo membro della comunità. Perciò si commette


reato e si agisce legalmente, si commettono atti giusti e atti
ingiusti, in due modi: o, appunto, verso una persona singo-
la e determinata, o verso la comunità. Chi infatti commette
adulterio o dà delle percosse fa un’ingiustizia nei riguardi
di una singola e determinata persona, mentre chi non si
126 RETORICA I, 1373b 24 - 1374a 8

smevnwn, oJ de; mh; strateuovmeno" to; koinovn.


25 aJpavntwn dh; tw'n ajdikhmavtwn dih/rhmevnwn, kai; tw'n me;n
o[ntwn pro;" to; koino;n tw'n de; pro;" a[llon h] pro;" a[llou",
ajnalabovnte" tiv ejstin to; ajdikei'sqai levgwmen. e[sti dh; to;
ajdikei'sqai to; uJpo; eJkovnto" ta; a[dika pavscein: to; ga;r ajdi-
kei'n w{ristai provteron eJkouvs ion ei\nai. ejpei; dΔ ajnavgkh to;n
30 ajdikouvmenon blavptesqai kai; eJkousivw" blavptesqai, aiJ me;n
blavbai ejk tw'n provteron faneraiv eijs in: ta; ga;r ajgaqa; kai;
ta; kaka; ei[rhtai kaqΔ auJta; provteron kai; ta; eJkouvs ia, o{ti
e[stin o{sa eijdovte", w{stΔ ajnavgkh pavnta ta; ejgklhvmata
h] pro;" to; koino;n h] pro;" to; i[dion ei\nai, kai; h] ajgnoou'nto"
35 kai; a[konto" h] eJkovnto" kai; eijdovto", kai; touvtwn ta; me;n
proelomevnou ta; de; dia; pavqo". peri; me;n ou\n qumou' rJhqhvsetai
ejn toi'" peri; ta; pavqh, poi'a de; proairou'ntai kai; pw'"
e[conte" ei[rhtai provteron. ejpei; dΔ oJmologou'nte" pol-
1374a lavki" pepracevnai h] to; ejpivgramma oujc oJmologou's in h]
peri; o} to; ejpivgramma, oi|on labei'n me;n ajllΔ ouj klevyai, kai;
patavxai provteron ajllΔ oujc uJbrivsai, kai; suggenevsqai ajllΔ ouj
moiceu'sai, h] klevyai me;n ajllΔ oujc iJerosulh'sai (ouj ga;r qeou'
5 ti), h] ejpergavsasqai me;n ajllΔ ouj dhmosivan, h] dieilevcqai
me;n toi'" polemivoi" ajllΔ ouj prodou'nai, dia; tau'ta devoi a]n
kai; peri; touvtwn diwrivsqai, tiv klophv, tiv u{bri", tiv moiceiva,
o{pw" ejavn te uJpavrcein ejavn te mh; uJpavrcein boulwvmeqa
13. ATTI DI GIUSTIZIA E DI INGIUSTIZIA 127

mette a servizio dell’esercito è ingiusta verso la comunità.


Essendo già state distinte tutte le azioni ingiuste, e 25

quelle che si rivolgono alla comunità e quelle che si ri-


volgono ad altro o ad altri, riprendendo il discorso, dicia-
mo che cos’è subire un’ingiustizia. Precisamente, subire
un’ingiustizia significa patire atti ingiusti da parte di chi
lo fa volontariamente: infatti, si è in precedenza stabilito
che il commettere ingiustizia è un atto volontario80. Poi-
ché è necessario che chi patisce ingiustizia sia danneggia- 30

to e lo sia volutamente, risulta chiaro, da quanto detto in


precedenza, cosa siano i danni81: in effetti ci siamo prima
pronunciati sulle cose buone e cattive in sé e su quel-
le volontarie, dal momento che sono tutte quelle che si
compiono consapevolmente; di conseguenza è necessario
che tutte le accuse riguardino o la comunità o un privato
cittadino, inoltre riguardino chi ha agito senza sapere e
senza volere o in modo volontario e consapevole, e tra 35

queste o con predeterminazione o sulla base di una pul-


sione. Ebbene, riguardo l’impeto ne parleremo nei passi
relativi alle passioni82, mentre si è già parlato di quali cose
si scelgono deliberatamente83 e con quali disposizioni
d’animo84. Dal momento che spesso, pur riconoscendo di
aver compiuto il fatto, non si è d’accordo o sulla voce di 1374a
registro o su ciò su cui verte la registrazione, ad esempio:
aver preso, ma non aver rubato, aver colpito per primi,
ma non aver recato offesa, aver avuto rapporti sessuali
ma non aver commesso adulterio, o aver rubato ma non
aver commesso sacrilegio (infatti non era pertinente alla
divinità quella certa cosa), o di aver coltivato di là dei 5

propri confini, ma non un terreno dello Stato, o di aver


dialogato con i nemici, ma non di aver tradito, per queste
ragioni si dovranno dare definizioni anche su cose di que-
sto tipo – cosa è il furto, cosa l’oltraggio, cosa l’adulte-
rio – in modo che, se volessimo mostrare il sussistere o il
128 RETORICA I, 1374a 9-32

deiknuvnai e[cwmen ejmfanivzein to; divkaion. e[sti de; pavnta


10 ta; toiau'ta peri; tou' a[dikon ei\nai kai; fau'lon h] mh; a[dikon
ªhJº ajmILsbhvthsi": ejn ga;r th'/ proairevsei hJ mocqhriva kai; to;
ajdikei'n, ta; de; toiau'ta tw'n ojnomavtwn prosshmaivnei th;n
proaivresin, oi|on u{bri" kai; klophv: ouj ga;r eij ejpavtaxen pavn-
tw" u{brisen, ajllΔ eij e{nekav tou, oi|on tou' ajtimavsai ejkei'non h]
15 aujto;" hJsqh'nai. oujde; pavntw", eij lavqra/ e[laben, e[kleyen, ajllΔ
eij ejpi; blavbh/ ãtouvtou ajfΔ ou| e[labeà kai; sfeterismw'/ eJautou'.
oJmoivw" de; kai; peri; tw'n a[llwn e[cei w{sper kai; peri; touvtwn.
ejpei; de; tw'n dikaivwn kai; tw'n ajdivkwn h\n duvo ei[dh
(ta; me;n ga;r gegrammevna ta; dΔ a[grafa), peri; w|n me;n oiJ
20 novmoi ajgoreuvousin ei[rhtai, tw'n dΔ ajgravfwn duvo e[stin ei[dh:
tau'ta dΔ ejsti;n ta; me;n kaqΔ uJperbolh;n ajreth'" kai; ka-
kiva", ejfΔ oi|" ojneivdh kai; e[painoi kai; ajtimivai, kai; timai;
kai; dwreaiv (oi|on to; cavrin e[cein tw'/ poihvsanti eu\ kai;
ajnteupoiei'n to;n eu\ poihvsanta, kai; bohqhtiko;n ei\nai toi'"
25 ILvloi", kai; o{sa a[lla toiau'ta), ta; de; tou' ijdivou novmou kai;
gegrammevnou e[lleimma. to; ga;r ejpieike;" dokei' divkaion
ei\nai, e[stin de; ejpieike;" to; para; to;n gegrammevnon novmon div-
kaion. sumbaivnei de; tou'to ta; me;n eJkovntwn ta; de; ajkovn-
twn tw'n nomoqetw'n, ajkovntwn me;n o{tan lavqh/, eJkovntwn dΔ
30 o{tan mh; duvnwntai diorivsai, ajllΔ ajnagkai'on me;n h\/ kaq-
ovlou eijpei'n, mh; h\/ dev, ajllΔ wJ" ejpi; to; poluv, kai; o{sa mh;
rJav/dion diorivsai diΔ ajpeirivan, oi|on to; trw'sai sidhvrw/ phlivkw/
13. ATTI DI GIUSTIZIA E DI INGIUSTIZIA 129

non sussistere di un fatto, si abbia a mostrare con chiarezza


ciò che è giusto. Tutti i casi di questo genere costituiscono 10

la controversia su ciò che è ingiusto e malvagio o su ciò


che non è ingiusto, perché la malvagità e il commettere
ingiustizia risiedono nell’intenzione, e quei termini, come
l’oltraggio e il furto, indicano l’intenzionalità: infatti non
sempre, se si ha percosso qualcuno, si è commesso oltrag-
gio, ma se lo si è fatto per uno scopo, ad esempio per diso-
norare l’altro o perché si provi piacere. Né, se si è preso di 15

nascosto, si ha in ogni caso commesso un furto, ma se lo si


è fatto per il danno di chi lo ha subito e con un’appropria-
zione di una sua cosa. Per questioni siffatte le cose stanno
allo stesso modo anche per ciò che riguarda gli altri casi.
Poiché vi sono due specie di azioni giuste e ingiuste
(le une previste per iscritto, le altre non scritte), di quelle
dichiarate dalle leggi s’è detto, due sono invece le specie 20

di quelle non scritte; queste sono alcune secondo un ec-


cesso di virtù e di vizio, per le quali si hanno rimproveri,
biasimi e disonori, o onori e doni (ad esempio avere rico-
noscenza per un benefattore e ricambiare il bene a quelli
che lo fanno, ed essere pronto ad aiutare gli amici e tutte 25

le altre cose di questo genere), altre sono lacune della leg-


ge particolare e scritta.
Per l’appunto, si pensa che l’equo sia un atto di giu-
stizia, ed «equità» è giustizia che va oltre la legge scritta.
Accade questo talvolta per volontà dei legislatori talvolta
in maniera involontaria: in modo non volontario quando
sfugge loro qualcosa, volontario quando non possono de- 30

terminare i casi, ma per un verso è necessario esprimersi


in generale, per un altro non lo è, ma occorre pronun-
ciarsi per la maggior parte dei casi, e tutte quelle situazio-
ni che non è facile definire per la loro indeterminatezza,
ad esempio bisognerebbe dire con che grandezza e con
che genere di oggetto si verifica «il ferire col ferro»: una
130 RETORICA I, 1374a 33 - b 23

kai; poivw/ tiniv: uJpoleivpoi ga;r a]n oJ aijw;n diariqmou'nta. a]n


ou\n h\/ ajovriston, devh/ de; nomoqeth'sai, ajnavgkh aJplw'" eijpei'n,
35 w{ste ka]n daktuvlion e[cwn ejpavrhtai th;n cei'ra h] patavxh/,
kata; me;n to;n gegrammevnon novmon e[nocov" ejsti kai; ajdikei',
1374b kata; de; to; ajlhqe;" oujk ajdikei', kai; to; ejpieike;" tou'tov ejstin.
eij de; ejsti; to; eijrhmevnon to; ejpieikev", fanero;n poi'av ejsti ta;
ejpieikh' kai; oujk ejpieikh', kai; poi'oi oujk ejpieikei'" a[nqrwpoi:
ejfΔ oi|" te ga;r dei' suggnwvmhn e[cein, ejpieikh' tau'ta, kai; to; ta;
5 aJmarthvmata kai; ta; ajdikhvmata mh; tou' i[sou ajxiou'n, mhde; ta;
aJmarthvmata kai; ta; ajtuchvmata: ªe[stinº ajtuchvmata me;n ãga;rÃ
o{sa paravloga kai; mh; ajpo; mocqhriva", aJmarthvmata de; o{sa
mh; paravloga kai; mh; ajpo; ponhriva", ajdikhvmata de;
o{sa mhvte paravloga ajpo; ponhriva" tev ejstin: ta; ga;r diΔ
10 ejpiqumivan ajpo; ponhriva". kai; to; toi'" ajnqrwpivnoi"
sugginwvskein ejpieikev". kai; to; mh; pro;" to;n novmon
ajlla; pro;" to;n nomoqevthn, kai; mh; pro;" to;n lovgon
ajlla; pro;" th;n diavnoian tou' nomoqevtou skopei'n, kai; mh;
pro;" th;n pra'xin ajlla; pro;" th;n proaivresin, kai; mh; pro;"
15 to; mevro" ajlla; pro;" to; o{lon, mhde; poi'ov" ti" nu'n, ajlla;
poi'ov" ti" h\n ajei; h] wJ" ejpi; to; poluv. kai; to; mnhmoneuvein
ma'llon w|n e[paqen ajgaqw'n h] kakw'n, kai; ajgaqw'n w|n
e[paqe ma'llon h] ãw|nà ejpoivhsen. kai; to; ajnevcesqai ajdikouvmenon.
kai; to; ma'llon lovgw/ ejqevlein krivnesqai h] e[rgw/. kai; to; eij"
20 divaitan ma'llon h] eij" divkhn bouvlesqai ijevnai: oJ ga;r
diaithth;" to; ejpieike;" oJra'/, oJ de; dikasth;" to;n novmon: kai;
touvtou e{neka diaithth;" euJrevqh, o{pw" to; ejpieike;" ijscuvh/.
peri; me;n ou\n tw'n ejpieikw'n diwrivsqw to;n trovpon tou'ton.
13. ATTI DI GIUSTIZIA E DI INGIUSTIZIA 131

vita, infatti, non sarebbe sufficiente a enumerare caso per


caso. Se dunque la casistica è illimitata, ma si ha bisogno
di elaborare la legge, è necessario pronunciarsi in linea
generale, di conseguenza se un uomo che porta un anello 35

alza la mano o colpisce, secondo la legge scritta è col-


pevole e commette ingiustizia, mentre per la verità non 1374b
commette reato, e questo è l’equo. Se ciò che s’è detto è
l’equo, è evidente quali cose siano eque e quali non eque,
e quali uomini non siano equi: infatti sono questi i casi
equi, quelli per i quali si deve avere comprensione, e gli
errori e gli atti ingiusti non sono meritevoli di uguaglian- 5

za di trattamento, né lo sono gli errori e i casi sfortunati:


sono infatti sfortunati tutti quei casi non previsti e non
provenienti da malvagità, errori tutti quelli che non sono
imprevisti e che non derivano da malvagità, atti ingiu-
sti tutti quei casi non imprevisti e derivati da perversità:
infatti ciò che è a causa del desiderio deriva dalla per- 10

versità. Anche tenere conto dei casi umani è equo. Cioè


prendere in considerazione non la legge ma il legislatore,
e non la lettera ma lo spirito del legislatore, e non il fat-
to ma l’intenzione, e non una parte, ma l’intero, e non 15

come uno è adesso, ma come uno è stato sempre o per lo


più. E il ricordare di più tra le cose che si sono ricevute
quelle buone piuttosto che le cattive, e i beni ricevuti più
di quelli che si sono fatti. E il sopportare quando si è
oggetto d’ingiustizia. E volere che si decidano questioni
più con la ragione che per vie di fatto. E voler andare a 20

un arbitrato piuttosto che a un’aula di giustizia: infatti


l’arbitro guarda l’equo, il giudice la legge; e per questo è
stato trovato l’arbitro, in modo da rendere forte l’equo.
Riguardo i casi d’equità, dunque, bastino queste defini-
zioni.
132 RETORICA I, 1374b 24 - 1375a 6

14. ΔAdivkhma de; mei'zon, o{sw/ a]n ajpo; meivzono" h\/ ajdi-
25 kiva": dio; ta; ejlavcista mevgista, oi|on o} Melanwvpou
Kallivstrato" kathgovrei, o{ti parelogivsato triva hJmiwbevlia
iJera; tou;" naopoiouv": ejpi; dikaiosuvnh" de; toujnantivon. e[stin
de; tau'ta ejk tou' ejnupavrcein th'/ dunavmei: oJ ga;r triva hJmiw-
bevlia iJera; klevya" ka]n oJtiou'n ajdikhvseien. oJte; me;n dh; ou{tw
30 to; mei'zon, oJte; dΔ ejk tou' blavbou" krivnetai. kai; ou| mh; e[stin
i[sh timwriva, ajlla; pa'sa ejlavttwn. kai; ou| mh; e[stin i[asi":
calepo;n ga;r †kai; ajduvnaton†. kai; ou| mh; e[stin divkhn labei'n
to;n paqovnta: ajnivaton gavr: hJ ga;r divkh kai; kovlasi" kai; i[asi".
kai; eij oJ paqw;n kai; ajdikhqei;" aujto;" auJto;n megavlw" ejkov-
35 lasen: e[ti ga;r meivzoni oJ poihvsa" divkaio" kolasqh'nai,
oi|on Sofoklh'" uJpe;r Eujkthvmono" sunhgorw'n, ejpei; ajpevsfa-
1375a xen eJauto;n uJbrisqeiv", ouj timhvsein e[fh ejlavttono" h] oJ pa-
qw;n eJautw'/ ejtivmhsen. kai; o} movno" h] prw'to" h] metΔ ojlivgwn
pepoivhken. kai; to; pollavki" to; aujto; aJmartavnein ªmevgaº.
kai; diΔ o} a]n zhthqh'/ kai; euJreqh'/ ta; kwluvonta kai; zhmiou'nta,
5 oi|on ejn “Argei zhmiou'tai diΔ o}n a]n novmo" teqh'/ kai; diΔ ou}" to;
desmwthvrion wj/kodomhvqh. kai; to; qhriwdevsteron ajdivkhma
14. L’ENTITÀ DELL’INGIUSTIZIA 133

14. L’entità dell’ingiustizia

Un atto ingiusto è tanto più grave quanto più grande è


l’ingiustizia da cui deriva. Per questo le più piccole in- 25

giustizie possono essere gravissime, ad esempio l’accusa


di Callistrato a Melanopo85, dato che aveva defraudato i
costruttori di templi di tre mezzi oboli sacri (riguardo la
giustizia invece è il contrario). E sono tali a partire dal fat-
to che una simile ingiustizia è presente in potenza, perché
chi ruba tre mezzi oboli sacri potrebbe commettere qua-
lunque altra forma di reato. Ebbene, talvolta è in questo
modo che si giudica la maggiore gravità del reato, talvolta 30

in base all’entità del danno. Inoltre, più grave è quell’a-


zione per la quale non esiste pena adeguata, ma qualsiasi
punizione risulterebbe inferiore. E ciò per cui non vi è
rimedio, perché difficile e impossibile86. E quell’azione
per la quale non ottiene giustizia chi la subisce, perché
non può essere sanata: infatti la giustizia è sia punizione
che guarigione. Ed è più grave il reato se la vittima, oltre
ad essere oggetto d’ingiustizia, si punisce gravemente da
sola: infatti, in tal caso, è giusto che sia punito con un pena 35

ancora più grande colui che ha commesso ingiustizia, ad


esempio Sofocle87, discutendo in difesa di Euctemone,
poiché si era tagliato la gola avendo subito un oltraggio, 1375a
disse che non avrebbe comminato una pena inferiore a
quella che la vittima aveva assegnato a sé stessa. Ed è più
grave l’atto di colui che l’ha commesso o da solo o per
primo o insieme a pochi. E il commettere ripetutamente
lo stesso errore. E l’azione per la quale si ricercano e si
scoprono nuove misure detentive e sanzioni; ad esempio, 5

ad Argo fu punito un uomo perché a causa sua fu isituita


una legge apposita e punite delle persone perché a causa
loro si costruì la prigione. Ed è più grave l’atto ingiusto
più bestiale. E lo è maggiormente quello che deriva da
134 RETORICA I, 1375a 7-26

mei'zon. kai; o} ejk pronoiva" ma'llon. kai; o} oiJ ajkouvonte"


fobou'ntai ma'llon h] ejleou's in. kai; ta; me;n rJhtorikav ejsti
toiau'ta, o{ti polla; ajnhv/rhken h] uJperbevbhken, oi|on
10 o{rkou", dexiav", pivstei", ejpigamiva": pollw'n ga;r ajdikhmavtwn
uJperochv. kai; to; ejntau'qa ou| kolavzontai oiJ ajdikou'nte", o{per
poiou's in oiJ yeudomarturou'nte": pou' ga;r oujk a]n ajdikhvsaien,
ei[ ge kai; ejn tw'/ dikasthrivw/… kai; ejfΔ oi|" aijscuvnh mavlista.
kai; eij tou'ton uJfΔ ou| eu\ pevponqen: pleivw ga;r ajdikei', o{ti te
15 kakw'" poiei' kai; o{ti oujk eu\. kai; o} para; ta; a[grafa div-
kaia: ajmeivnono" ga;r mh; diΔ ajnavgkhn divkaion ei\nai: ta; me;n
ou\n gegrammevna ejx ajnavgkh", ta; dΔ a[grafa ou[. a[llon
de; trovpon, eij para; ta; gegrammevna: oJ ga;r ta; fo-
bera; ajdikw'n kai; ta; ejpizhvmia kai; ta; ajzhvmia ajdi-
20 khvseien a[n. peri; me;n ou\n ajdikhvmato" meivzono" kai; ejlavt-
tono" ei[rhtai.

15. Peri; de; tw'n ajtevcnwn kaloumevnwn pivstewn ejcovmenovn


ejsti tw'n eijrhmevnwn ejpidramei'n: i[diai ga;r au|tai tw'n dika-
nikw'n. eijs i;n de; pevnte to;n ajriqmovn, novmoi, mavrture", sunqh'kai,
25 bavsanoi, o{rkoi. prw'ton me;n ou\n peri; novmwn ei[pwmen, pw'"
crhstevon kai; protrevponta kai; ajpotrevponta kai; kathgo-
15. LE PERSUASIONI NON TECNICHE 135

premeditazione. E quello che suscita paura piuttosto che


pietà in coloro che lo ascoltano. Anche le amplificazioni
retoriche sono di questo genere, dato che l’imputato ha
infranto o trasgredito molte cose, come giuramenti, stret- 10

te di mano, pegni di buona fede, matrimoni misti: vi è in


effetti un’eccedenza di tanti atti ingiusti. E l’ingiustizia è
più grave nel luogo dove si puniscono coloro che com-
mettono reato, come fanno i falsi testimoni: infatti dove
non potrebbero commettere ingiustizia se comunque lo
fanno persino in tribunale? E quelle cose per le quali vi
è massima vergogna. E se un fatto del genere è commes-
so da chi ha ricevuto del bene: infatti si fa ingiustizia in
maggior misura, sia perché si agisce in modo malvagio sia 15

perché non si fa del bene. Ed è più grave che si compia-


no atti contro la giustizia non scritta: Infatti è proprio di
un uomo migliore l’essere giusto senza esserne costretto:
ora, le leggi scritte s’impongono per necessità, quelle non
scritte no. Ma la questione si pone in un altro modo se si
vìolano quelle scritte: infatti chi commette ingiustizia in
ciò che si teme e si punisce, potrebbe commetterle anche
in quelle prive di sanzione.
Della maggiore e minore gravità di un atto d’ingiusti- 20

zia si è dunque parlato.

15. Le persuasioni non tecniche

È attinente con quanto s’è detto eseguire una rapida ras-


segna delle cosiddette argomentazioni persuasive non
tecniche, le quali, in effetti, sono proprie dei discorsi
giudiziari. Queste sono cinque di numero: leggi, testimo-
nianze, patti, confessioni fatte sotto tortura, giuramen- 25

ti. Per prima cosa, dunque, parliamo delle leggi, in che


modo servirsene quando si esorta e quando si dissuade,
136 RETORICA I, 1375a 27 - b 17

rou'nta kai; ajpologouvmenon. fanero;n ga;r o{ti, eja;n me;n ejnan-


tivo" h\/ oJ gegrammevno" tw'/ pravgmati, tw'/ koinw'/ crhstevon
kai; toi'" ejpieikestevroi" kai; dikaiotevroi". kai; o{ti to; “gnwvmh/
30 th'/ ajrivsth/” tou'tΔ ejstivn, to; mh; pantelw'" crh'sqai toi'" gegram-
mevnoi". kai; o{ti to; me;n ejpieike;" ajei; mevnei kai; oujdevpote
metabavllei, oujdΔ oJ koinov" (kata; fuvs in gavr ejstin), oiJ de;
gegrammevnoi pollavki", o{qen ei[rhtai ta; ejn th'/ Sofoklevou"
ΔAntigovnh/: ajpologei'tai ga;r o{ti e[qaye para; to;n tou' Krevonto"
35 novmon, ajllΔ ouj para; to;n a[grafon,
1375b ouj gavr ti nu'n ge kajcqev", ajllΔ ajeiv pote ...
tau'tΔ ou\n ejgw; oujk e[mellon ajndro;" oujdenov" ....
kai; o{ti to; divkaiovn ejstin ajlhqev" te kai; sumfevron, ajllΔ ouj
to; dokou'n, w{stΔ ouj novmo" oJ gegrammevno": ouj ga;r poiei' to;
5 e[rgon to; tou' novmou. kai; o{ti w{sper ajrgurognwvmwn oJ krithv"
ejstin, o{pw" diakrivnh/ to; kivbdhlon divkaion kai; to; ajlhqev".
kai; o{ti beltivono" ajndro;" to; toi'" ajgravfoi" h] toi'" gegram-
mevnoi" crh'sqai kai; ejmmevnein. kai; ei[ pou ejnantivo" novmw/
eujdokimou'nti h] kai; aujto;" auJtw'/, oi|on ejnivote oJ me;n keleuvei
10 kuvria ei\nai a{ttΔ a]n sunqw'ntai, oJ dΔ ajpagoreuvei mh; sun-
tivqesqai para; to;n novmon. kai; eij ajmILvbolo", w{ste strevfein
kai; oJra'n ejpi; potevran ªth;nº ajgwgh;n h] to; divkaion ejfarmov-
sei h] to; sumfevron, ei\ta touvtw/ crh'sqai. kai; eij ta; me;n
pravgmata ejfΔ oi|" ejtevqh oJ novmo" mhkevti mevnei, oJ de; novmo",
15 peiratevon tou'to dhlou'n kai; mavcesqai tauvth/ pro;" to;n novmon.
eja;n de; oJ gegrammevno" h\/ pro;" to; pra'gma, tov te “gnwvmh/
th'/ ajrivsth/” lektevon o{ti ouj tou' para; to;n novmon e{neka dikavzein
15. LE PERSUASIONI NON TECNICHE 137

quando si accusa e quando si difende. È infatti evidente


che, se la legge scritta è in conflitto con il fatto in que-
stione, bisogna ricorrere alla legge universale e a cose più
eque e più giuste. Inoltre, chiariamo che «con la capacità
di giudizio migliore»88 s’intende questo: il non fare ricor- 30

so sempre e comunque alle leggi scritte. E che l’equo è


sempre stabile e non cambia mai, né cambia la legge uni-
versale (infatti è secondo natura), invece le leggi scritte
mutano spesso, da qui quanto s’è detto nell’Antigone di
Sofocle: Antigone si difende, appunto, dicendo che ha
dato sepoltura contro la legge di Creonte, ma non contro 35

la legge non scritta: «Perché invero non da adesso né da 1375b


ieri, ma da sempre … Per queste cose, dunque, io non
potevo di nessun uomo avere timore…»89. E si deve dire
che il giusto è vero e vantaggioso, ma non lo è quello
che lo sembra, di conseguenza non lo è la legge scritta,
in quanto della legge non svolge qui la funzione. E che 5

il giudice è come chi saggia l’argento, per distinguere la


giustizia adulterata e quella autentica. E che è proprio di
un uomo migliore fare ricorso e attenersi alle leggi non
scritte, piuttosto che a quelle scritte. E bisogna vedere
se vi è una legge in qualche parte contraria ad un’altra
che è ben reputata o se vi sia contrarietà anche con sé
medesima, ad esempio a volte una legge prescrive che sia 10

valido qualunque patto, se si è giunti a un accordo, un’al-


tra prevede che non si facciano patti contrari alla legge.
E se la legge è ambigua, in modo da rivolgerla e vedere a
quale indirizzo si adeguerà, se al giusto o all’utile, per poi
avvalersi di tale possibilità. E se i casi per i quali venne
stabilita la legge non sussistano più, mentre la legge sus-
siste, si deve cercare di porre in evidenza tale fatto e con 15

questo muovere contro la legge.


Se invece la legge scritta è a vantaggio del caso in que-
stione, si deve dire «con la capacità di giudizio migliore»
138 RETORICA I, 1375b 18 - 1376a 6

ejstivn, ajllΔ i{na, eja;n ajgnohvsh/ tiv levgei oJ novmo", mh; ejpiorkh'/.
kai; o{ti ouj to; aJplw'" ajgaqo;n aiJrei'tai oujdeiv", ajlla; to; auJtw'/.
20 kai; o{ti oujde;n diafevrei h] mh; kei'sqai h] mh; crh'sqai. kai;
o{ti ejn tai'" a[llai" tevcnai" ouj lusitelei' parasoILvzesqai to;n
ijatrovn: ouj ga;r tosou'to blavptei hJ aJmartiva tou' ijatrou' o{son
to; ejqivzesqai ajpeiqei'n tw'/ a[rconti. kai; o{ti to; tw'n novmwn
sofwvteron zhtei'n ei\nai, tou'tΔ ejsti;n o} ejn toi'" ejpainoumevnoi" nov-
25 moi" ajpagoreuvetai. kai; peri; me;n tw'n novmwn ou{tw" diwrivsqw:
peri; de; martuvrwn, mavrturev" eijs in dittoiv, oiJ me;n palaioi;
oiJ de; provsfatoi, kai; touvtwn oiJ me;n metevconte" tou' kinduvnou
oiJ dΔ ejktov". levgw de; palaiou;" me;n touv" te poihta;" kai;
o{swn a[llwn gnwrivmwn eijs i;n krivsei" faneraiv, oi|on ΔAqhnai'oi
30 ÔOmhvrw/ mavrturi ejcrhvsanto peri; Salami'no", kai; Tenevdioi
e[nagco" Periavndrw/ tw'/ Korinqivw/ pro;" Sigeiei'", kai; Kleofw'n
kata; Kritivou toi'" Sovlwno" ejlegeivoi" ejcrhvsato, levgwn o{ti
pavlai ajselgh;" hJ oijkiva: ouj ga;r a[n pote ejpoivhse Sovlwn
eijpei'n moi Kritiva/ purrovtrici patro;" ajkouvein.
35 peri; me;n ou\n tw'n genomevnwn oiJ toiou'toi mavrture", peri; de;
1376a tw'n ejsomevnwn kai; oiJ crhsmolovgoi, oi|on Qemistoklh'" o{ti
naumachtevon, to; xuvlinon tei'co" levgwn. e[ti kai; aiJ paroimivai,
w{sper ei[rhtai, martuvriav eijs in, oi|on ei[ ti" sumbouleuvei mh;
poiei'sqai ILvlon gevronta, touvtw/ marturei' hJ paroimiva,
5 mhvpotΔ eu\ e[rdein gevronta,
kai; to; tou;" uiJou;" ajnairei'n w|n kai; tou;" patevra",
15. LE PERSUASIONI NON TECNICHE 139

non perché il fine sia quello di emettere sentenze contro


la legge, ma perché non si giuri il falso, se non si riconosce
ciò che dice la legge. E si deve dire che nessuno sceglie
il bene in assoluto, ma quello che è bene per lui. E che 20

non fa nessuna differenza non avere una legge o il non


farne uso. E che nelle altre arti non avvantaggia «saperne
più del medico»90: infatti l’errore del medico non è tanto
dannoso quanto avere l’abitudine a non prestare fede a
chi comanda. E che il cercare di essere più sapiente delle
leggi, è proprio quello che in leggi approvate è proibito. 25

E sulle leggi si sia definito in questo modo.


Per quanto invece riguarda i testimoni, ve ne sono di
due tipi, quelli «antichi» e quelli «recenti», e di questi al-
cuni partecipano del rischio di un processo altri ne stan-
no fuori. Dico «antichi» i poeti e tutti gli uomini noti i
cui giudizi sono celebri: ad esempio gli Ateniesi si sono 30

serviti di Omero come testimone a proposito di Salami-


na91 e, di recente, gli abitanti di Tenedo si sono serviti
di Periandro di Corinto contro i Sigei, e Cleofonte nei
riguardi di Crizia ha fatto uso degli elegiaci di Solone,
dicendo che da tempo la sua casa era senza freni: infatti
Solone a un certo punto non avrebbe potuto comporre
il verso « dire a Crizia, dai capelli rossi, da parte mia, di
ascoltare il padre»92.
Riguardo, dunque, ciò che è accaduto vi sono le testi- 35

monianze di questo genere, su cose che accadranno, inve- 1376a


ce, vi sono quali testimoni anche coloro che pronunciano
oracoli, ad esempio, Temistocle sosteneva che si doveva
combattere per mare, parlando di «muro di legno»93.
Inoltre anche i proverbi, come si è detto, sono testimo-
nianze, ad esempio, se qualcuno consiglia di non farsi
amico un vecchio, a suo favore testimonia il proverbio:
«Non fare mai del bene a un vecchio»94. E se qualcuno 5

consiglia di uccidere i figli i cui padri pure sono stati ucci-


140 RETORICA I, 1376a 7-28

nhvpio" o}" patevra kteivna" uiJou;" kataleivpei.


provsfatoi de; o{soi gnwvrimoiv ti kekrivkasin: crhvs imoi ga;r aiJ touv-
twn krivsei" toi'" peri; tw'n aujtw'n ajmILsbhtou's in, oi|on Eu[bou-
10 lo" ejn toi'" dikasthrivoi" ejcrhvsato kata; Cavrhto" o} Plavtwn
ei\pe pro;" ΔArcivbion, o{ti ejpidevdwken ejn th'/ povlei to; oJmologei'n
ponhrou;" ei\nai. kai; oiJ metevconte" tou' kinduvnou, a]n dovxwsi
yeuvdesqai. oiJ me;n ou\n toiou'toi touvtwn movnon mavrturev" eijs in,
eij gevgonen h] mhv, eij e[stin h] mhv, peri; de; tou' poi'on ouj mavr-
15 ture", oi|on eij divkaion h] a[dikon, eij sumfevron h] ajsuvmforon:
oiJ dΔ a[pwqen peri; touvtwn pistovteroi, pistovtatoi dΔ oiJ
palaioiv: ajdiavfqoroi gavr. pistwvmata de; peri; marturiw'n
mavrtura" me;n mh; e[conti, o{ti ejk tw'n eijkovtwn dei' krivnein
kai; tou'tΔ ejsti; to; “gnwvmh/ th'/ ajrivsth/”, kai; o{ti oujk e[stin ejxap-
20 ath'sai ta; eijkovta ejpi; ajrgurivw/, kai; o{ti oujc aJlivsketai ta;
eijkovta yeudomarturiw'n: e[conti de; pro;" mh; e[conta, o{ti
oujc uJpovdika ta; eijkovta, kai; o{ti oujde;n a]n e[dei marturiw'n,
eij ejk tw'n lovgwn iJkano;n h\n qewrh'sai. eijs i; de; aiJ marturivai
aiJ me;n peri; auJtou' aiJ de; peri; tou' ajmILsbhtou'nto", kai; aiJ
25 me;n peri; tou' pravgmato" aiJ de; peri; tou' h[qou", w{ste fanero;n
o{ti oujdevpotΔ e[stin ajporh'sai marturiva" crhsivmh": eij mh; ga;r
kata; tou' pravgmato" h] auJtw'/ oJmologoumevnh" h] tw'/ ajmIL"-
bhtou'nti ejnantiva", ajlla; peri; tou' h[qou" h] auJtou' eij" ejpieiv-
15. LE PERSUASIONI NON TECNICHE 141

si: «Stolto colui che, ucciso il padre, lascia vivere i figli»95.


Sono testimoni «recenti» tutti gli uomini noti che hanno
espresso un qualche giudizio: infatti per chi discute delle
stesse questioni i giudizi di costoro sono utili, ad esempio
Eubolo nei processi si servì contro Carete di ciò che Pla- 10

tone affermò contro Archibio, ossia di aver contribuito a


mettere tutti d’accordo sul fatto che in città vi siano dei
malvagi96. E sono testimoni recenti coloro che partecipa-
no del rischio di un processo, se sembra che diano falsa
testimonianza. Allora, i testimoni di questo tipo lo sono
solo di questo genere di fatti, se sono accaduti o non sono
accaduti, se sussistono o no, ma non sono testimoni adat-
ti a qualificarli, ad esempio, se sono giusti o ingiusti, utili 15

o inutili. Di casi del genere sono maggiormente degni di


fede i testimoni che vengono da lontano, ma in assoluto
più credibili sono gli antichi: infatti non possono esse-
re corrotti. Quando non si hanno testimoni, per quanto
riguarda le prove, sono argomenti attendibili quelli che
si devono giudicare a partire dai verosimili ed è questo
che significa «con la capacità di giudizio migliore», anche
perché non sono i verosimili ad allettare per denaro, e 20

perché non si accusano i verosimili di falsa testimonianza.


Mentre per chi ha testimoni contro chi non ne ha, è at-
tendibile il fatto che i verosimili non possono essere sot-
toposti a processo, e che se fosse sufficiente trarre giudizi
a partire da ragionamenti non si assumerebbero affatto
delle testimonianze. Le testimonianze riguardano le une
la persona stessa che è chiamata in causa le altre la parte
avversa, inoltre alcune vertono sul fatto, altre sul caratte- 25

re, di conseguenza è evidente che non si è mai a corto di


una testimonianza vantaggiosa: infatti se non vi è quella
relativa al fatto o a ciò che è in accordo alla persona chia-
mata in causa o a ciò che è contrastante la parte avversa,
tuttavia vi è quella relativa al carattere diretta a mostrare
142 RETORICA I, 1376a 29 - b 17

keian h] tou' ajmILsbhtou'nto" eij" faulovthta. ta; dΔ a[lla peri;


30 mavrturo", h] ILvlou h] ejcqrou' h] metaxuv, h] eujdokimou'nto" h] ajdo-
xou'nto" h] metaxuv, kai; o{sai a[llai toiau'tai diaforaiv, ejk tw'n
aujtw'n tovpwn lektevon ejx oi{wn per kai; ta; ejnqumhvmata levgomen.
peri; de; tw'n sunqhkw'n tosauvth tw'n lovgwn crh's iv" ejstin
o{son au[xein h] kaqairei'n, h] pista;" poiei'n h] ajpivstou"<eja;n
1376b me;n aujtw'/ uJpavrcwsi, pista;" kai; kuriva", ejpi; de; tou' ajmIL"-
bhtou'nto" toujnantivon. pro;" me;n ou\n to; pista;" h] ajpiv-
stou" kataskeuavzein oujde;n diafevrei th'" peri; tou;" mavr-
tura" pragmateiva": oJpoi'oi ga;r a[n tine" w\s in oiJ ejpi-
5 gegrammevnoi h] fulavttonte", toiouvtw" aiJ sunqh'kai pistaiv eijs in.
oJmologoumevnh" dΔ ei\nai th'" sunqhvkh", oijkeiva" me;n ou[sh"
aujxhtevon: hJ ga;r sunqhvkh novmo" ejsti;n i[dio" kai; kata; mev-
ro", kai; aiJ me;n sunqh'kai ouj poiou's i to;n novmon kuvrion, oiJ de;
novmoi ta;" kata; novmou" sunqhvka", kai; o{lw" aujto;" oJ
10 novmo" sunqhvkh tiv" ejstin, w{ste o{sti" ajpistei' h] ajnairei' sun-
qhvkhn tou;" novmou" ajnairei'. e[ti de; pravttetai ta; polla; tw'n
sunallagmavtwn kai; ta; eJkouvs ia kata; sunqhvka", w{ste ajkuv-
rwn gignomevnwn ajnairei'tai hJ pro;" ajllhvlou" creiva tw'n ajn-
qrwvpwn. kai; ta\lla de; o{sa aJrmovttei ejpipolh'" ijdei'n e[stin.
15 a]n dΔ ejnantiva h\/, kai; meta; tw'n ajmILsbhtouvntwn, prw'ton
mevn, a{per a[n ti" pro;" novmon ejnantivon macevsaito, tau'ta
aJrmovttei: a[topon ga;r eij toi'" me;n novmoi", a]n mh; ojrqw'"
15. LE PERSUASIONI NON TECNICHE 143

o la correttezza della persona o la cattiveria della parte


avversa.
Per quanto riguarda il testimone vi sono altri aspetti: 30

il fatto che sia amico, nemico o indifferente, oppure il


godere di buona reputazione, cattiva o a mezzo e tutte
le altre distinzioni del genere. Tali aspetti si devono ac-
quisire dagli stessi luoghi dai quali si traggono anche gli
entimemi.
Per quel che riguarda i contratti, vi è un così largo im-
piego di discorsi quanto il bisogno di accrescerne o ridur-
ne l’importanza, o di renderli attendibili o inattendibili
e – se stanno dalla nostra parte – renderli degni di fede e 1376b
validi, il contrario se stanno dalla parte avversa. Ebbene,
riguardo all’istituzione di patti attendibili o inattendibili
non vi è alcuna differenza d’analisi rispetto a quella rea-
lizzata sui testimoni: infatti i patti sono attendibili a se-
conda della qualità morale di chi li firma o li garantisce. 5

Una volta che ci si è messi d’accordo sull’istituzione del


patto, quando è conveniente se ne deve accrescere l’im-
portanza: infatti il patto è una legge privata e particolare,
e i patti non rendono valida la legge, ma sono le leggi a
rendere validi i patti fatti a norma e, in generale, la stessa 10

legge è una sorta di patto, di conseguenza chiunque scre-


dita o annulla un patto rende nulle le leggi. Ancora, la
maggior parte delle transazioni e le transazioni volontarie
si compiono secondo i patti, di conseguenza una volta
che si siano invalidati i patti si annulla il vincolo che lega
gli uomini tra loro. Gli elementi restanti, inoltre, tutti
quelli che sono appropriati all’argomento vanno osserva-
ti superficialmente.
Se invece i patti siano svantaggiosi, vale a dire dalla 15

parte degli avversari, sono innanzitutto appropriati que-


gli argomenti grazie ai quali si può procedere contro la
legge che ci è sfavorevole: infatti sarebbe assurdo se non
144 RETORICA I, 1376b 18 - 1377a 6

keivmenoi w\s in ajllΔ ejxamavrtwsin oiJ tiqevmenoi, oujk oijovmeqa


dei'n peivqesqai, tai'" de; sunqhvkai" ajnagkai'on. ei\ta o{ti tou'
20 dikaivou ejsti; brabeuth;" oJ dikasthv": ou[koun tou'to skeptevon,
ajllΔ wJ" dikaiovteron: kai; to; me;n divkaion oujk e[stin meta-
strevyai ou[tΔ ajpavth/ ou[tΔ ajnavgkh/ (pefuko;" gavr ejstin), sun-
qh'kai de; givgnontai kai; ejxapathqevntwn kai; ajnagkasqevntwn.
pro;" de; touvtoi" skopei'n eij ejnantiva ejstiv tini tw'n gegram-
25 mevnwn novmwn h] tw'n koinw'n, kai; tw'n gegrammevnwn h] toi'"
oijkeivoi" h] toi'" ajllotrivoi", e[peita eij h] a[llai" sunqhvkai" uJstev-
rai" h] protevrai": h] ga;r aiJ u{sterai kuvriai, a[kuroi dΔ aiJ provterai,
h] aiJ provterai ojrqaiv, aiJ dΔ u{sterai hjpathvkasin, oJpotevrw" a]n h\/
crhvs imon. e[ti de; to; sumfevron oJra'n, ei[ pou ejnantiou'tai toi'"
30 kritai'", kai; o{sa a[lla toiau'ta: kai; ga;r tau'ta eujqewvrhta oJmoivw".
aiJ de; bavsanoi marturivai tinev" eijs in, e[cein de; dokou's i
to; pistovn, o{ti ajnavgkh ti" provsestin. ou[koun calepo;n oujde;
peri; touvtwn eijpei'n ta; ejndecovmena, ejx w|n ejavn te uJpavrcwsin
oijkei'ai au[xein e[stin, o{ti ajlhqei'" movnai tw'n marturiw'n eijs in
1377a au|tai, ejavn te uJpenantivai w\s i kai; meta; tou' ajmILsbhtou'n-
to", dialuvoi a[n ti" tajlhqh' levgwn kaqΔ o{lou tou' gevnou" tw'n
basavnwn: oujde;n ga;r h|tton ajnagkazovmenoi ta; yeudh' levgousin
h] tajlhqh', kai; diakarterou'nte" mh; levgein tajlhqh', kai; rJad/ ivw" kata-
5 yeudovmenoi wJ" pausovmenoi qa'tton. dei' de; e[cein ejpanafevrein
ejpi; toiau'ta gegenhmevna paradeivgmata a} i[sasin oiJ krivnonte". dei'
15. LE PERSUASIONI NON TECNICHE 145

credessimo di dover obbedire alle leggi quando non si-


ano poste correttamente, anzi che abbia sbagliato chi le
istituisce, mentre ritenessimo necessario dover obbedire
ai patti. Inoltre è appropriato il fatto che il giudice sia 20

arbitro della giustizia; non deve dunque esaminare il pat-


to, ma il modo in cui è più giusto, e il giusto non si può
stravolgere né con l’inganno né con la costrizione (poiché
è tale per natura), mentre si fanno patti anche tra soggetti
ingannati e costretti. Oltre agli argomenti di questo tipo,
occorre esaminare se il patto sia contrario a una delle leg- 25

gi scritte o a una di quelle comuni, e di quelle scritte, se


trasgredisce o le proprie o le straniere, inoltre se contra-
sta altri patti, successivi o precedenti: infatti o sono validi
quelli successivi, mentre non lo sono i precedenti, oppu-
re quelli precedenti sono corretti mentre i successivi sono
capziosi, a seconda di quale delle due risulti utile. Ancora
occorre considerare se l’interesse nel patto, da qualche
parte, si oppone a quello dei giudici, e considerare tutte 30

le altre cose di questo genere, perché, allo stesso modo,


anche questi aspetti siano opportunamente valutati.
Le confessioni sotto tortura sono delle testimonianze,
e sembrano avere credibilità, dato che in esse è presente
una sorta di necessario. Pertanto, non è neppure difficile,
a proposito di quest’ultime, enunciare argomenti possibi-
li, qualora risultino adeguati, da cui trarre amplificazioni,
affermando che, tra le testimonianze, queste sono le sole 1377a
vere; se invece tali argomenti risultino contrari, cioè a fa-
vore della parte avversa, si possono risolvere, dicendo la
verità riguardo l’intero genere delle testimonianze sotto
tortura: infatti, quando si è costretti, dicono menzogne
non meno che verità sia chi si ostina a rifiutarsi nel dirle
sia chi mente facilmente per far cessare più in fretta la tor- 5

tura. Si deve poter riferire su avvenimenti del genere come


di esempi che chi giudica conosce. E bisogna dire come
146 RETORICA I, 1377a 7-25

de; levgein wJ" oujk eijs i;n ajlhqei'" aiJ bavsanoi: polloi; me;n ga;r pacuv-
7a frone" ªoiJº kai; liqovdermoi kai; tai'" yucai'" o[nte" dunatoi;
7b gennaivw" ejgkarterou's i tai'" ajnavgkai", oiJ de; deiloi; kai;
7c eujlabei'" pro; tou' ta;" ajnavgka" ijdei'n aujtw'n kataqarrou's in,
7d w{ste oujde;n e[sti pisto;n ejn basavnoi".
peri; dΔ o{rkwn tetracw'" e[sti dielei'n: h] ga;r divdwsi kai; lam-
bavnei, h] oujdevteron, h] to; me;n to; dΔ ou[, kai; touvtwn h] divdwsin
10 me;n ouj lambavnei dev, h] lambavnei me;n divdwsin de; ou[. e[ti a[llw"
para; tau'ta, eij ojmwvmostai ou|to" uJpΔ aujtou' h] uJpΔ ejkeivnou. ouj
divdwsin me;n ou\n, o{ti rJa/divw" ejpiorkou's in, kai; o{ti oJ me;n ojmovsa"
oujk ajpodivdwsin, tou;" de; mh; ojmovsanto" oi[etai katadikavsein,
kai; ªwJ~º ou|to" oJ kivnduno" kreivttwn, oJ ejn toi'" dikastai'": toi'"
15 me;n ga;r pisteuvei tw'/ dΔ ou[. ouj lambavnei dΔ, o{ti ajnti; crhmav-
twn o{rko", kai; o{ti eij h\n fau'lo", katwmovsato a[n: krei'tton ga;r
a]n ãh\nà e{nekav tou fau'lon ei\nai h] mhdenov": ojmovsa" me;n ou\n e{xei,
mh; ojmovsa" dΔ ou[: ou{tw" de; diΔ ajreth;n a]n ei[h, ajllΔ ouj diΔ ejpi-
orkivan, to; mhv. kai; to; tou' Xenofavnou" aJrmovttei, o{ti “oujk
20 i[sh provklhsi" au{th tajsebei' pro;" eujsebh'”, ajllΔ oJmoiva kai;
eij ijscuro;" ajsqenh' patavxai h] plhgh'nai prokalevsaito. eij
de; lambavnei, o{ti pisteuvei auJtw'/, ejkeivnw/ dΔ ou[. kai; to; tou'
Xenofavnou" metastrevyanta fatevon ou{tw" i[son ei\nai a]n oJ me;n
ajsebh;" didw'/, oJ dΔ eujsebh;" ojmnuvh/: deinovn te to; mh; qevlein
25 aujtovn, uJpe;r w|n ejkeivnou" ajxioi' ojmovsanta" dikavzein. eij de;
15. LE PERSUASIONI NON TECNICHE 147

non sono veritiere le testimonianze ottenute sotto tortura:


molti uomini, infatti, di grossolana sensibilità, dalla pelle
dura e forti di spirito resistono con fermezza alle violenze,
altri, vili e insicuri, confesseranno ancora prima di vedere
le stesse violenze, di conseguenza non vi è niente di credi-
bile nelle testimonianze ottenute sotto tortura.
Per quanto riguarda i giuramenti occorre distinguere
in quattro modi: infatti o si concede e si accetta di giura-
re, o nessuna delle due, o l’una ma non l’altra, e di queste
o si concede ma non si accetta, o si accetta ma non si 10

concede. Inoltre, a parte questi, vi è un caso ulteriore:


se da noi o dall’altra parte si sia già prestato giuramento.
1 Ebbene, non si concede che si presti giuramento per-
ché si spergiura facilmente, e perché chi ha giurato non è
detto che lo conceda a sua volta, anzi pensa di far condan-
nare dei giudici quelli che non hanno giurato (e proprio
questo è il rischio meglio calcolato, quello che risiede nei
giudici: infatti a loro si presta fiducia non all’avversario). 15

2 Non si accetta di giurare perché se si fosse disonesti,


dal momento che il giuramento è in cambio di denaro,
si farebbe spergiuro: infatti per chi è disonesto è meglio
spergiurare anziché non farlo; chi giura dunque avrà
qualcosa in cambio, chi non giura no; in questo modo
l’astenersi dal giurare potrebbe essere per virtù, e non
per giurare il falso. E il detto di Senofane è adatto, poiché
«non ha lo stesso valore la richiesta di giuramento da par- 20

te di chi è empio nei riguardi di chi è pio»97, ma è come


se il forte sfidi quello debole a colpire o ad essere colpito.
3 Se invece si accetta di giurare, è perché si ha fede nel
giuramento in sé, ma non alla parte avversa. E reinterpre-
tando le cose del detto di Senofane si deve dire in questo
modo: vi sarà uguaglianza se è l’empio che concede di giu-
rare, e se è il pio che presta giuramento; ed è qualcosa di
inaudito non voler il giuramento, quando su tali questioni 25
148 RETORICA I, 1376a 26 - b 12

divdwsin, o{ti eujsebe;" to; qevlein toi'" qeoi'" ejpitrevpein, kai;


o{ti oujde;n dei' aujto;n a[llwn dikastw'n dei'sqai (aujtoi'" ga;r
divdwsi krivs in), kai; o{ti a[topon to; mh; qevlein ojmnuvnai peri;
w|n a[llou" ajxiou's in ojmnuvnai. ejpei; de; kaqΔ e{kaston dh'lon o{pw"
30 lektevon, kai; sunduazomevnwn pw'" lektevon dh'lon, oi|on eij
aujto;" me;n qevlei lambavnein didovnai de; mhv, kai; eij divdwsi
me;n lambavnein de; mh; qevlei, kai; eij lambavnein kai; didov-
1377b nai qevlei ei[te mhdevteron: ejk ga;r tw'n eijrhmevnwn ajnavgkh
sugkei'sqai, w{ste kai; tou;" lovgou" sugkei'sqai ejk tw'n
eijrhmevnwn. eja;n de; h\/ gegenhmevno" uJfΔ auJtou' kai; ejnantivo",
o{ti oujk ejpiorkiva: eJkouvs ion ga;r to; ajdikei'n, to; dΔ ejpiorkei'n
5 ajdikei'n ejsti, ta; de; biva/ kai; ajpavth/ ajkouvs ia. ejntau'qa ou\n
sunaktevon kai; to; ejpiorkei'n, o{ti e[sti to; th'/ dianoiva/ ajllΔ ouj
tw'/ stovmati. eja;n de; tw'/ ajntidivkw/ h\/ uJpenantivo" kai; ojmwmosmevno",
o{ti pavnta ajnairei' mh; ejmmevnwn oi|" w[mosen: dia; ga;r tou'to
kai; toi'" novmoi" crw'ntai ojmovsante". kai; “uJma'" me;n ajxiou's in
10 ejmmevnein oi|" ojmovsante" dikavzete, aujtoi; de; oujk ejmmevnousin”.
kai; o{sa a]n a[lla au[xwn ti" ei[peien. peri; me;n ou\n tw'n ajtevcnwn
pivstewn eijrhvsqw tosau'ta.
15. LE PERSUASIONI NON TECNICHE 149

è corretto giudicare quelli che hanno prestato giuramento.


Se invece si concede di giurare, si deve dire che è un
atto di pietà religiosa l’essere disposto a rivolgersi agli
dei, e perché l’avversario non ha affatto bisogno di fare
richiesta di altri giudici (dal momento che il giudizio lo
rimettiamo a lui), e che è assurdo non essere disposti a
giurare su questioni sulle quali si ritiene corretto che altri
prestino giuramento. Poiché è chiaro come si deve parlare
caso per caso, è chiaro pure come si deve parlare quando i 30

casi si combinano insieme, ad esempio se la stessa persona


è disposta ad accettare ma non a concedere il giuramento,
e se lo concede ma non è disposta ad accettarlo, e se è
disposta ad accettarlo e a concederlo oppure né l’una né 35

l’altra. Poiché occorre che i casi seguano delle combina- 1377b


zioni sulla scorta di quanto si è detto, sarà di conseguenza
necessario che si combinino anche le rispettive argomen-
tazioni. Se da parte di un soggetto è già stato posto un giu-
ramento e questo è in contraddizione con quello attuale,
si deve dire che non è una falsa testimonianza: infatti com-
mettere ingiustizia è volontario, e fare falsa testimonianza
significa commettere ingiustizia, ma le cose involontarie 5

si fanno sotto costrizione e per inganno, ed è su questo


punto che va ricondotto il significato di commettere falsa
testimonianza, dato che il vero spergiuro lo si commette
con il pensiero ma non con la bocca. Se invece è il giura-
mento fatto dall’avversario ad essere contraddittorio, si
deve dire che ogni cosa si annulla se non ci si attiene a ciò
che si è giurato, per questo infatti si presta giuramento
anche quando si fa ricorso alle leggi. E si dovrà dire che:
«costoro ritengono giusto che voi giudici siate coerenti 10

con le cose su cui avete giurato e giudichiate, mentre essi


non si attengono al giuramento». E tutte le altre cose che,
amplificando, si potrebbero dire. Sulle argomentazioni
persuasive non tecniche, dunque, basti quanto s’è detto.
RHTORIKH B

1. ΔEk tivnwn me;n ou\n dei' kai; protrevpein kai; ajpotrevpein, kai;
ejpainei'n kai; yevgein, kai; kathgorei'n kai; ajpologei'sqai, kai;
poi'ai dovxai kai; protavsei" crhvs imoi pro;" ta;" touvtwn pivstei",
tau'tΔ ejstivn: peri; ga;r touvtwn kai; ejk touvtwn ta; ejnqumhvmata,
20 wJ" peri; e{kaston eijpei'n ijdiva/ to; gevno" tw'n lovgwn. ejpei; de; e{neka
krivsewv" ejstin hJ rJhtorikhv (kai; ga;r ta;" sumboula;" krivnousi
kai; hJ divkh krivs i" ejstivn), ajnavgkh mh; movnon pro;" to;n lovgon
oJra'n, o{pw" ajpodeiktiko;" e[stai kai; pistov", ajlla; kai; auJto;n
poiovn tina kai; to;n krith;n kataskeuavzein: polu; ga;r diafevrei
25 pro;" pivstin, mavlista me;n ejn tai'" sumboulai'", ei\ta kai; ejn
tai'" divkai", tov te poiovn tina faivnesqai to;n levgonta kai; to;
pro;" auJtou;" uJpolambavnein pw" diakei'sqai aujtovn, pro;" de;
touvtoi" eja;n kai; aujtoi; diakeivmenoiv pw" tugcavnwsin. to; me;n
ou\n poiovn tina faivnesqai to;n levgonta crhsimwvteron eij" ta;"
30 sumboulav" ejstin, to; de; diakei'sqaiv pw" to;n ajkroath;n eij" ta;"
divka": ouj ga;r taujta; faivnetai ILlou's i kai; misou's in, oujdΔ
ojrgizomevnoi" kai; pravw" e[cousin, ajllΔ h] to; paravpan e{tera h]
1378a kata; mevgeqo" e{tera: tw'/ me;n ga;r ILlou'nti peri; ou| poiei'tai
th;n krivs in h] oujk ajdikei'n h] mikra; dokei' ajdikei'n, tw'/ de; misou'nti
LIBRO II

1. La credibilità dell’oratore

Sono dunque questi i luoghi da cui bisogna partire per


esortare e dissuadere, lodare e biasimare, accusare e di-
fendere, e tali le caratteristiche di opinioni e premesse
utili alle relative argomentazioni: infatti è su questi ele-
menti, e a partire da questi, che si formulano gli entime-
mi per parlare in maniera appropriata su ciascun genere 20

di discorsi. Poiché la retorica è in funzione di un giu-


dizio (infatti le deliberazioni si giudicano e la sentenza
è un giudizio), è necessario non solo porre attenzione
al discorso, perché sia dimostrativo e convincente, ma
anche fare mostra di sé in un certo modo e porre chi giu-
dica in una certa disposizione d’animo: infatti vi è molta
differenza sotto il profilo della credibilità – soprattutto 25

nelle deliberazioni, ma anche nei processi – presentare


chi parla in una certa luce e far pensare che è lo stesso
oratore ad essere disposto in un certo modo nei riguar-
di degli ascoltatori qualora anch’essi, inoltre, si trovino
disposti in un certo modo. Ebbene, il fatto che l’oratore
si mostri di una certa qualità è più utile nelle delibera- 30

zioni, mentre disporre l’ascoltatore in un certo modo


è più utile nei processi: infatti le cose non sembrano le
stesse a chi ama e a chi odia, né a chi è in collera e a
chi è calmo, ma sembrano o completamente diverse o di 1378a
diversa importanza: infatti, a chi prova amicizia per chi
va giudicato sembrerà che quest’ultimo o non commetta
ingiustizia o che l’abbia commessa di piccola entità, a
152 RETORICA II, 1378a 3-25

toujnantivon: kai; tw'/ me;n ejpiqumou'nti kai; eujevlpidi o[nti, eja;n h\/
to; ejsovmenon hJduv, kai; e[sesqai kai; ajgaqo;n e[sesqai faivnetai, tw'/
5 dΔ ajpaqei' ãh]Ã kai; dusceraivnonti toujnantivon.
tou' me;n ou\n aujtou;" ei\nai pistou;" tou;" levgonta" triva ejsti;
ta; ai[tia: tosau'ta gavr ejsti diΔ a} pisteuvomen e[xw tw'n ajpo-
deivxewn. e[sti de; tau'ta frovnhsi" kai; ajreth; kai; eu[noia:
diayeuvdontai ga;r peri; w|n levgousin h] sumbouleuvousin h] diΔ
10 a{panta tau'ta h] dia; touvtwn ti: h] ga;r diΔ ajfrosuvnhn oujk ojrqw'"
doxavzousin, h] doxavzonte" ojrqw'" dia; mocqhrivan ouj ta; dokou'nta
levgousin, h] frovnimoi me;n kai; ejpieikei'" eijs in ajllΔ oujk eu\noi,
diovper ejndevcetai mh; ta; bevltista sumbouleuvein gignwvskonta",
kai; para; tau'ta oujdevn. ajnavgkh a[ra to;n a{panta dokou'nta
15 tau'tΔ e[cein ei\nai toi'" ajkrowmevnoi" pistovn. o{qen me;n ou\n
frovnimoi kai; spoudai'oi fanei'en a[n, ejk tw'n peri; ta;" ajreta;"
dih/rhmevnwn lhptevon: ejk ga;r tw'n aujtw'n ka]n e{terovn ti" ka]n
eJauto;n kataskeuavseie toiou'ton: peri; dΔ eujnoiva" kai; ILliva" ejn
toi'" peri; ta; pavqh lektevon. e[sti de; ta; pavqh diΔ o{sa metabavl-
20 lonte" diafevrousi pro;" ta;" krivsei" oi|" e{petai luvph kai;
hJdonhv, oi|on ojrgh; e[leo" fovbo" kai; o{sa a[lla toiau'ta, kai; ta;
touvtoi" ejnantiva. dei' de; diairei'n peri; e{kaston eij" triva, levgw
dΔ oi|on peri; ojrgh'" pw'" te diakeivmenoi ojrgivloi eijs iv, kai; tivs in
eijwvqasin ojrgivzesqai, kai; ejpi; poivoi": eij ga;r to; me;n e}n h] ta;
25 duvo e[coimen touvtwn, a{panta de; mhv, ajduvnaton a]n ei[h th;n
1. LA CREDIBILITÀ DELL’ORATORE 153

chi odia sembrerà invece il contrario; inoltre, a chi de-


sidera e che ha buone speranze, nel caso in cui l’evento
futuro sia piacevole, appare tale da realizzarsi e da essere
buono, apparirà invece il contrario a chi è indifferente o
anche maldisposto. 5

Allora, tre sono le cause del fatto che gli oratori stessi
risultano persuasivi: tante sono infatti le cose per cui
prestiamo fede al di fuori delle dimostrazioni. Queste
sono la saggezza, la virtù e la benevolenza, poiché colo-
ro che si sbagliano su ciò che dicono o consigliano, lo
fanno o per tutti questi motivi o per uno di essi; infatti 10

o si fanno delle opinioni sbagliate per insensatezza o,


pur ragionando correttamente, non dicono ciò che pen-
sano per cattiveria, oppure sono saggi e capaci ma non
benevoli, perciò è possibile che, pur conoscendolo, non
si consigli per il meglio. E a parte queste ragioni non vi
è altro.
È necessario allora che chi sembra in possesso di tut-
te queste qualità risulti credibile agli uditori. Ebbene, a 15

partire da cosa è possibile apparire saggi e dabbene, si


deve assumere dalle distinzioni che sono state fatte cir-
ca le virtù, poiché da queste stesse classificazioni si può
indifferentemente mostrare se stessi o un'altra persona
come dotato di quel tipo di qualità. Si deve invece parlare
di benevolenza e amicizia nelle parti sulle passioni98.
La ragione di tutto ciò che rende mutevoli e discor- 20

danti nei confronti dei giudizi sono le passioni, a queste


fanno seguito dolore e piacere,come nel caso di ira, pietà,
paura e di tutte le altre cose del genere e dei loro contrari.
A proposito di ciascuna passione si devono distinguere
tre aspetti; voglio dire, ad esempio sull’ira, in che stato
d’animo sono gli iracondi, e per chi si sia soliti adirarsi, e
su quali cose, poiché se di questi conoscessimo uno o due
elementi, ma non tutti, sarà impossibile suscitare la col- 25
154 RETORICA II, 1378a 26 - b 16

ojrgh;n ejmpoiei'n: oJmoivw" de; kai; ejpi; tw'n a[llwn. w{sper ou\n
kai; ejpi; tw'n proeirhmevnwn diegravyamen ta;" protavsei", ou{tw
kai; peri; touvtwn poihvswmen kai; dievlwmen to;n eijrhmevnon
trovpon.

30 2. “Estw dh; ojrgh; o[rexi" meta; luvph" timwriva" ªfainomevnh"º


dia; fainomevnhn ojligwrivan eij" aujto;n h[ ãtià tw'n aujtou',
tou' ojligwrei'n mh; proshvkonto". eij dh; tou'tΔ ejsti;n hJ ojrghv,
ajnavgkh to;n ojrgizovmenon ojrgivzesqai ajei; tw'n kaqΔ e{kastovn tini,
oi|on Klevwni ajllΔ oujk ajnqrwvpw/, kai; o{ti auJto;n h] tw'n auJtou' tiv
1378b pepoivhken h] h[mellen, kai; pavsh/ ojrgh'/ e{pesqaiv tina hJdonhvn,
th;n ajpo; th'" ejlpivdo" tou' timwrhvsasqai: hJdu; me;n ga;r to; oi[esqai
teuvxesqai w|n ejILvetai, oujdei;" de; tw'n fainomevnwn ajdunavtwn
ejILvetai auJtw'/, oJ de; ojrgizovmeno" ejILvetai dunatw'n auJtw'/. dio;
5 kalw'" ei[rhtai peri; qumou':
o{" te polu; glukivwn mevlito" kataleibomevnoio
ajndrw'n ejn sthvqessin ajevxetai:
ajkolouqei' ga;r kai; hJdonhv ti" diav te tou'to kai; diovti dia-
trivbousin ejn tw'/ timwrei'sqai th'/ dianoiva/: hJ ou\n tovte ginomevnh
10 fantasiva hJdonh;n ejmpoiei', w{sper hJ tw'n ejnupnivwn. ejpei; de;
hJ ojligwriva ejsti;n ejnevrgeia dovxh" peri; to; mhdeno;" a[xion fai-
novmenon (kai; ga;r ta; kaka; kai; tajgaqa; a[xia oijovmeqa spoudh'"
ei\nai, kai; ta; sunteivnonta pro;" aujtav: o{sa de; mhdevn ti h] mikrovn,
oujdeno;" a[xia uJpolambavnomen), triva ejsti;n ei[dh ojligwriva",
15 katafrovnhsiv" te kai; ejphreasmo;" kai; u{bri": o{ te ga;r kata-
fronw'n ojligwrei' (o{sa ga;r oi[ontai mhdeno;" a[xia, touvtwn
2. L’IRA 155

lera; lo stesso vale per le altre passioni. Allora, così come


abbiamo delineato le premesse su argomenti esposti in
precedenza, così pure si farà per questi e si classificherà
nel modo suddetto.

2. L’ira

Si definisca l’ira come un doloroso desiderio di vendetta 30

per un’evidente mancanza di rispetto nei nostri riguardi


o di qualcuno dei nostri cari, quando l’offesa non è me-
ritata. Se questa è l’ira, necessariamente colui che è in
collera si arrabbia sempre con una singola determinata
persona, ad esempio contro Cleone, ma non contro un
uomo in generale, anche perché questi ha fatto, o stava
per fare, qualcosa o contro di noi o qualcuno dei nostri. 1378b
Inoltre, a ogni ira consegue un certo piacere, quello che
deriva dalla speranza di vendicarsi: infatti è piacevo-
le pensare che si otterrà ciò che si vuol raggiungere, e
nessuno aspira a delle cose che si palesano impossibili, e
l’uomo adirato mira a cose possibili per lui. Perciò bene 5

si è detto sull’animosità: «essa, che è molto più dolce del


miele stillante, / nei cuori degli uomini s’accresce»99. Un
certo piacere, infatti, ne consegue sia per questo motivo
sia perché ci si sofferma nel vendicarsi col pensiero; eb-
bene la rappresentazione che allora sorge procura piace- 10

re, come quella dei sogni. Poiché la mancanza di rispetto


è l’attività dell’opinione riguardo ciò che appare privo di
valore (infatti riteniamo che siano degni di essere presi
in seria considerazione tanto i beni e i mali, quanto le
cose che tendono ad essi; mentre non consideriamo af-
fatto tutte le cose da niente o scarse), tre sono le specie di
offesa: disprezzo, sopruso e tracotanza. Infatti manca di 15

rispetto colui che disprezza (in effetti si disprezzano cose


156 RETORICA II, 1378b 17 - 1379a 3

katafronou's in, tw'n de; mhdeno;" ajxivwn ojligwrou's in), kai; oJ


ejphreavzwn faivnetai ojligwrei'n. e[sti ga;r oJ ejphreasmo;"
ejmpodismo;" tai'" boulhvsesin mh; i{na ti auJtw'/ ajllΔ i{na mh;
20 ejkeivnw/: ejpei; ou\n oujc i{na auJtw'/ ti, ojligwrei': dh'lon ga;r o{ti ou[te
blavyein uJpolambavnei, ejfobei'to ga;r a]n kai; oujk wjligwvrei, ou[tΔ
wjfelh'sai a]n oujde;n a[xion lovgou, ejfrovntize ga;r a]n w{ste
ILvlo" ei\nai: kai; oJ uJbrivzwn de; ojligwrei': e[sti ga;r u{bri" to;
pravttein kai; levgein ejfΔ oi|" aijscuvnh e[sti tw'/ pavsconti, mh;
25 i{na ti givgnhtai auJtw'/ a[llo h] o{ ti ejgevneto, ajllΔ o{pw" hJsqh'/: oiJ
ga;r ajntipoiou'nte" oujc uJbrivzousin ajlla; timwrou'ntai. ai[tion
de; th'" hJdonh'" toi'" uJbrivzousin, o{ti oi[ontai kakw'" drw'nte"
aujtoi; uJperevcein ma'llon (dio; oiJ nevoi kai; oiJ plouvs ioi uJbristaiv:
uJperevcein ga;r oi[ontai uJbrivzonte~): u{brew" de; ajtimiva, oJ dΔ
30 ajtimavzwn ojligwrei': to; ga;r mhdeno;" a[xion oujdemivan e[cei timhvn,
ou[te ajgaqou' ou[te kakou': dio; levgei ojrgizovmeno" oJ ΔAcilleu;"
hjtivmhsen: eJlw;n ga;r e[cei gevra" aujto;"
kai;
wJ" ei[ tinΔ ajtivmhton metanavsthn,
35 wJ" dia; tau'ta ojrgizovmeno". proshvkein de; oi[ontai poluwrei'-
sqai uJpo; tw'n hJttovnwn kata; gevno", kata; duvnamin, katΔ ajrethvn,
1379a kai; o{lw" ejn w|/ a]n aujto;" uJperevch/ poluv, oi|on ejn crhvmasin oJ
plouvs io" pevnhto" kai; ejn tw'/ levgein rJhtoriko;" ajdunavtou eijpei'n
kai; a[rcwn ajrcomevnou kai; a[rcein a[xio" ªoijovmeno~º tou' a[rce-
2. L’IRA 157

di questo tipo, tutte quelle cioè che si ritengono prive di


valore, mentre non si disprezza nulla di ciò che vale) e
mostra disprezzo anche chi compie soprusi: il sopruso è
appunto un impedimento alle cose che si vogliono non al
fine di avere qualcosa per sé, ma al fine di non farla ave- 20

re all’altro. Si manca di rispetto proprio perché lo scopo


non consiste in qualcosa da tenere per sé stesso: è appun-
to evidente che si pensa che l’altro né potrà far danno
(infatti lo si temerebbe e non si mancherebbe di rispetto)
né potrà tornare utile in qualcosa degno di nota, poiché
si sarebbe dato pensiero per essergli amico. Anche chi fa
atto di tracotanza manca di rispetto: infatti la tracotanza
consiste nel fare e dire cose che sono un’onta per chi le
subisce, non perché succeda chissà che di diverso da ciò 25

che è accaduto, ma per provare piacere: infatti coloro che


rispondono a loro volta con l’oltraggio non fanno atto di
tracotanza, ma si vendicano. Causa del piacere per coloro
che offendono è che ritengono, comportandosi male, di
mettersi in condizione di superiorità (per questo i giovani
e i ricchi sono tracotanti, perché ritengono, facendo pre-
potenza, di essere superiori). Fa parte della tracotanza il
disonore, e chi disonora oltraggia: infatti ciò che non è 30

degno di alcuna cosa, ne di bene né di male, non ottiene


alcun rispetto. Perciò Achille, in preda all’ira, dice: «mi
ha disonorato: infatti se lo tiene lui il dono dopo averme-
lo preso»100, e: «come se fossi un qualunque vagabondo
senza onore»101, e parla come chi è in collera per questi 35

motivi. Si ritiene che sia appropriato l’essere trattati con


molto riguardo da coloro che sono inferiori per nascita,
per potenza, per virtù, e in genere in ciò in cui si è su- 1379a
periori di molto, ad esempio nei beni materiali il ricco
è superiore al povero, chi ha talento retorico nel parlare
rispetto a chi ha difficoltà ad esprimersi; e chi comanda
a chi è comandato e chi si ritiene degno di comandare
158 RETORICA II, 1379a 4-25

sqai ajxivou: dio; ei[rhtai


5 qumo;" de; mevga" ejsti; diotrefevwn basilhvwn
kai ajllav te kai; metovpisqen e[cei kovton:
ajganaktou's i ga;r dia; th;n uJperochvn. e[ti uJfΔ w|n ti" oi[etai
eu\ pavscein dei'n: ou|toi dΔ eijs i;n ou}" eu\ pepoivhken h] poiei',
aujto;" h] diΔ aujtovn ti" h] tw'n aujtou' ti", h] bouvletai h] ejboulhvqh.
10 fanero;n ou\n ejk touvtwn h[dh pw'" te e[conte" ojrgivzontai
aujtoi; kai; tivs in kai; dia; poi'a. aujtoi; me;n gavr, o{tan lupw'ntai:
ejILvetai gavr tino" oJ lupouvmeno": ejavn te ou\n katΔ eujquwrivan
oJtiou'n ajntikrouvsh/ ti", oi|on tw'/ diyw'nti pro;" to; piei'n, ejavn te
mhv, oJmoivw" taujto; faivnetai poiei'n: kai; ejavn te ajntipravtth/
15 ti" ejavn te mh; sumpravtth/ ejavn te a[llo ti ejnoclh'/ ou{tw"
e[conta, pa's in ojrgivzetai: dio; kavmnonte", penovmenoi, ãpole-
mou'nte",Ã ejrw'nte", diyw'nte", o{lw" ejpiqumou'nte" kai; mh;
katorqou'nte" ojrgivloi eijs i; kai; eujparovrmhtoi, mavlista me;n pro;"
tou;" tou' parovnto" ojligwrou'nta", oi|on kavmnwn me;n toi'" pro;"
20 th;n novson, penovmeno" de; toi'" pro;" th;n penivan, polemw'n de;
toi'" pro;" to;n povlemon, ejrw'n de; toi'" pro;" to;n e[rwta, oJmoivw"
de; kai; toi'" a[lloi" ãeij de; mhv, ka]n oJtiou'n a[llo ojligwrh'/ ti~Ã:
proodopoiei'tai ga;r e{kasto" pro;" th;n eJkavstou ojrgh;n uJpo; tou'
uJpavrconto" pavqou": e[ti dΔ eja;n tajnantiva tuvch/ prosdecovmeno":
25 lupei' ga;r ma'llon to; polu; para; dovxan, w{sper kai; tevrpei to;
2. L’IRA 159

rispetto a chi è degno di essere comandato; perciò si dice:


«la grande animosità è dei re nutriti da Zeus»102, e «ma 5

pure dopo serba rancore»103; infatti si avverte una rabbia


profonda a causa del proprio senso di superiorità. Inoltre
ci si adira con quelli da cui si ritiene di dover ricevere del
bene: questi sono coloro ai quali si è fatto o si fa del bene
(o direttamente, o indirettamente con qualche mezzo o
con qualcuno dei suoi) o coloro ai quali si vuole o si è
voluto fare del bene.
Già da queste cose è dunque evidente in che stato d’a- 10

nimo è chi è in collera e con chi e per quali ragioni. Gli


uomini, infatti, si adirano quando soffrono, poiché chi è
in stato di sofferenza desidera qualcosa. Allora, si condu-
ce alla collera sia se si ostacola direttamente qualcuno in
una cosa qualsiasi – ad esempio impedire di bere a chi ha
sete – sia se lo si fa indirettamente, se, allo stesso modo,
sembra fare la stessa cosa. Inoltre, si è in collera in tutti
questi casi: sia che si tratti di qualcuno che fa opposizio- 15

ne, sia che non collabori, sia che ostacoli in qualche altra
cosa chi è in stato di necessità. Perciò quelli che sono am-
malati, poveri, che sono in guerra, in amore, assetati, in
generale che desiderano e non riescono a portare a com-
pimento, sono irascibili e facili ad eccitarsi, soprattutto
contro quelli che non hanno alcun riguardo della condi-
zione in cui ci si trova, ad esempio chi è ammalato contro
chi non ha riguardo della malattia, chi è in miseria contro 20

chi non ha riguardo della povertà, chi combatte contro


chi non ha riguardo della guerra, chi è innamorato contro
chi non ha riguardo dell’amore, lo stesso vale anche per
le altre cose; oppure, anche se si manca di rispetto verso
qualsiasi altra cosa: infatti, ognuno fa strada alla propria
rabbia in base alla passione presente. Inoltre si è in colle-
ra se per caso si ricevano cose contrarie alle attese: infatti
addolora di più ciò che va ben oltre quanto si pensava, 25
160 RETORICA II, 1379a 26 - b 8

polu; para; dovxan, eja;n gevnhtai o} bouvletai: dio; kai; w|rai kai;
crovnoi kai; diaqevsei" kai; hJlikivai ejk touvtwn faneraiv, poi'ai
eujkivnhtoi pro;" ojrgh;n kai; pou' kai; povte, kai; o{te ma'llon ejn
touvtoi" eijs iv, ma'llon kai; eujkivnhtoi.
30 aujtoi; me;n ou\n ou{tw" e[conte" eujkivnhtoi pro;" ojrghvn, ojrgiv-
zontai de; toi'" te katagelw's i kai; cleuavzousin kai; skwv-
ptousin (uJbrivzousi gavr), kai; toi'" ta; toiau'ta blavptousin o{sa
u{brew" shmei'a: ajnavgkh de; toiau'ta ei\nai a} mhvte ajntiv tino"
mhvtΔ wjfevlima toi'" poiou's in: h[dh ga;r dokei' diΔ u{brin. kai;
35 toi'" kakw'" levgousi kai; katafronou's i peri; w|n aujtoi; mavlista
spoudavzousin, oi|on oiJ ejpi; ILlosoILva/ ILlotimouvmenoi ejavn ti"
eij" th;n ILlosoILvan, oiJ dΔ ejpi; th'/ ijdeva/ ejavn ti" eij" th;n ijdevan,
oJmoivw" de; kai; ejpi; tw'n a[llwn: tau'ta de; pollw'/ ma'llon, eja;n
uJpopteuvswsi mh; uJpavrcein auJtoi'", h] o{lw" h] mh; ijscurw'", h]
1379b mh; dokei'n: ejpeida;n ga;r sfovdra oi[wntai uJperevcein ejn touv-
toi" ejn oi|" skwvptontai, ouj frontivzousin. kai; toi'" ILvloi"
ma'llon h] toi'" mh; ILvloi": oi[ontai ga;r proshvkein ma'llon
pavscein eu\ uJpΔ aujtw'n h] mhv. kai; toi'" eijqismevnoi" tima'n h]
5 frontivzein, eja;n pavlin mh; ou{tw" oJmilw's in: kai; ga;r uJpo;
touvtwn oi[ontai katafronei'sqai: taujta; ga;r a]n poiei'n. kai;
toi'" mh; ajntipoiou's in eu\ mhde; th;n i[shn ajntapodidou's in. kai;
toi'" tajnantiva poiou's in aujtoi'", eja;n h{ttou" w\s in. katafronei'n
2. L’IRA 161

così come, nel caso in cui accada quello che si desidera,


rallegra di più ciò che è ben oltre le attese. Pertanto da
tutto questo è chiaro quali siano le stagioni e i tempi e le
disposizioni e le età che portano facilmente alla collera, e
dove e quando, ed è chiaro che più si è in queste condi-
zioni, maggiore è anche la facilità ad esservi portati.
Le persone che sono in questo stato d’animo sono 30

dunque facilmente portate all’ira, e si adirano con chi


ride di loro, beffeggia e prende in giro (offendono in ef-
fetti), e con chi li ferisce in tutto ciò che è di natura tale
da segnalare arroganza: è necessario che siano azioni del
genere quelle che né ripaghino di qualcosa né costitu-
iscano un vantaggio per chi le compie: infatti, ormai le
si considera frutto d’arroganza. E ci si adira con quelli 35

che parlano male e mostrano disprezzo nei riguardi di


quelle cose alle quali ci si applica con la massima serietà,
ad esempio quelli che amano i riconoscimenti in ambi-
to filosofico si adirano se si disprezza la filosofia, quelli
che si impegnano per l’aspetto se qualcuno parla male
del loro aspetto, lo stesso vale anche per le altre cose;
e questo accade in misura di gran lunga maggiore, se si
sospetta di non avere queste doti, o di non averle affatto
o non abbastanza, o di non dare l’impressione di averle: 1379b
infatti se si è fortemente convinti di eccellere giusto in
quelle cose nelle quali si è presi in giro, non ce ne cu-
riamo. E ci adiriamo più con gli amici che con coloro
che non lo sono: infatti si ritiene che è più pertinente
ricevere del bene dai primi che non dai secondi. E con 5

quelli che sono soliti onorarci o rispettarci, se non si ha


lo stesso rapporto di prima, anche perché si pensa di non
avere più la loro stima: infatti avrebbero potuto fare le
stesse cose di un tempo. E ci si adira con chi non ricam-
bia del bene né lo ricambia in egual misura, e con coloro
che vanno contro di noi, qualora ci siano inferiori. Tutti
162 RETORICA II, 1379b 9-28

ga;r pavnte" oiJ toiou'toi faivnontai, kai; oiJ me;n wJ" hJttovnwn oiJ
10 dΔ wJ" para; hJttovnwn. kai; toi'" ejn mhdeni; lovgw/ ou\s in, a[n ti
ojligwrw's i, ma'llon: uJpovkeitai ga;r hJ ojrgh; th'" ojligwriva"
pro;" tou;" mh; proshvkonta", proshvkei de; toi'" h{ttosi mh; ojli-
gwrei'n: toi'" de; ILvloi", ejavn te mh; eu\ levgwsin h] poiw's in, kai;
e[ti ma'llon eja;n tajnantiva, kai; eja;n mh; aijsqavnwntai deomevnwn,
15 w{sper oJ ΔAntifw'nto" Plhvxippo" tw'/ Meleavgrw/: ojligwriva"
ga;r to; mh; aijsqavnesqai shmei'on: w|n ga;r frontivzomen ouj
lanqavnei. kai; toi'" ejpicaivrousi tai'" ajtucivai" kai; o{lw"
eujqumoumevnoi" ejn tai'" aujtw'n ajtucivai": h] ga;r ejcqrou' h] ojli-
gwrou'nto" shmei'on. kai; toi'" mh; frontivzousin eja;n luphvswsin:
20 dio; kai; toi'" kaka; ajggevllousin ojrgivzontai. kai; toi'" h] ajkouvousi
peri; aujtw'n h] qewmevnoi" ta; aujtw'n fau'la: o{moioi gavr eijs in h]
ojligwrou's in h] ejcqroi'": oiJ ga;r ILvloi sunalgou's in, qewvmenoi de;
ta; oijkei'a fau'la pavnte" ajlgou's in. e[ti toi'" ojligwrou's i pro;"
pevnte, pro;" ou}" ILlotimou'ntai, ªpro;~º ou}" qaumavzousin, uJfΔ
25 w|n bouvlontai qaumavzesqai, h] ou}" aijscuvnontai, h] ejn toi'"
aijscunomevnoi" aujtouv": a[n ti" ejn touvtoi" ojligwrh'/, ojrgivzontai
ma'llon. kai; toi'" eij" ta; toiau'ta ojligwrou's in uJpe;r w|n aujtoi'"
aijscro;n mh; bohqei'n, oi|on gonei'", tevkna, gunai'ka", ajrcomevnou".
2. L’IRA 163

costoro infatti sembrano disprezzare: sia gli uni che si


comportano come se considerassero degli inferiori, sia 10

gli altri che si comportano come se avessero ricevuto del


bene da parte di inferiori. E ci si adira di più con coloro
che non sono degni di alcuna considerazione, se manca-
no di rispetto in qualcosa; infatti si assume per ipotesi che
l’ira sia propria della mancanza di rispetto verso coloro ai
quali non si addice tale mancanza, mentre è conveniente
per chi è inferiore non mancare di rispetto. Con gli amici
invece, ci adiriamo se non parlano bene di noi o non ci
fanno del bene, e ancora di più fanno l’opposto, e se non
hanno percezione delle nostre necessità, come il Plessip- 15

po di Antifonte si adirò contro Meleagro104: infatti il non


accorgersi è segno di mancanza di rispetto, perché non
passa inosservato ciò che interessa. Inoltre ci adiriamo
con chi gioisce delle disgrazie e, in genere, con chi si ral-
legra delle sventure degli amici, poiché è indicativo o di
un nemico o di chi ci manca di rispetto. E con coloro che
non si curano se danno dispiaceri: per questo ci si adira 20

anche con quelli che portano brutte notizie. E con chi


sta ad ascoltare dicerie su di loro o che guardano le loro
miserie, poiché sono simili o a chi manca di rispetto o ai
nemici, infatti gli amici condividono il dolore e tutti quel-
li che assistono alle miserie che sentono proprie soffrono.
Inoltre gli uomini si adirano con quelli che mancano loro
di rispetto di fronte a cinque tipi di persone: di fronte a
quelli con cui si è in competizione, di fronte a persone
che essi ammirano, di fronte a quelli da cui si vuole essere 25

ammirati, oppure di fronte a persone con le quali non si


vuole sfigurare o con quelli che non vogliono far brutta
figura con loro: se qualcuno, in casi come questi, offende,
ci si adira di più. E si adirano con gli stessi individui che
mostrano disprezzo verso quel genere di persone per le
quali è vergognoso non intervenire, come genitori, figli,
164 RETORICA II, 1379b 29 - 1380a 13

kai; toi'" cavrin mh; ajpodidou's in: para; to; prosh'kon ga;r hJ
30 ojligwriva. kai; toi'" eijrwneuomevnoi" pro;" spoudavzonta":
katafronhtiko;n ga;r hJ eijrwneiva. kai; toi'" tw'n a[llwn eujpoih-
tikoi'", eja;n mh; kai; aujtw'n: kai; ga;r tou'to katafronhtikovn,
to; mh; ajxiou'n, w|n pavnta", kai; aujtovn. poihtiko;n dΔ ojrgh'" kai;
hJ lhvqh, oi|on kai; hJ tw'n ojnomavtwn, ou{tw" ou\sa peri; mikrovn:
35 ojligwriva" ga;r dokei' kai; hJ lhvqh shmei'on ei\nai: diΔ ajmevleian
me;n ga;r hJ lhvqh givgnetai, hJ dΔ ajmevleia ojligwriva tiv"
ejstin.
1380a oi|" me;n ou\n ojrgivzontai kai; wJ" e[conte" kai; dia; poi'a,
a{ma ei[rhtai: dh'lon dΔ o{ti devoi a]n kataskeuavzein tw'/ lovgw/
toiouvtou" oi|oi o[nte" ojrgivlw" e[cousin, kai; tou;" ejnantivou"
touvtoi" ejnovcou" o[nta" ejfΔ oi|" ojrgivzontai, kai; toiouvtou" oi{oi"
5 ojrgivzontai.

3. ΔEpei; de; to; ojrgivzesqai ejnantivon tw'/ prauv>nesqai kai;


ojrgh; praovthti, lhptevon pw'" e[conte" pra'oiv eijs i kai; pro;"
tivna" pravw" e[cousi kai; dia; tivnwn prauv>nontai. e[stw dh;
pravu>nsi" katavstasi" kai; hjrevmhsi" ojrgh'". eij ou\n ojrgivzontai
10 toi'" ojligwrou's in, ojligwriva dΔ eJkouvs ion, fanero;n o{ti kai; toi'"
mhde;n touvtwn poiou's in h] ajkousivw" poiou's in h] fainomevnoi"
toiouvtoi" pra'oiv eijs in. kai; toi'" tajnantiva w|n ejpoivhsan boulo-
mevnoi". kai; o{soi kai; aujtoi; eij" auJtou;" toiou'toi: oujdei;" ga;r
3. LA MITEZZA 165

mogli, sottoposti. E con coloro che non ricambiano il fa-


vore: infatti ciò che va contro il dovuto è mancanza di ri- 30

spetto. E con coloro che usano ironia nei riguardi di chi è


serio: infatti l’ironia è tendenza al disprezzo. E ci si adira
con chi è benefattori di altri, se non lo è anche con noi:
infatti anche questo implica disprezzo, il non considera-
re anche noi degni di ciò di cui si ritengono degni tutti.
Fattore di collera è anche la dimenticanza, ad esempio
quella dei nomi, benché sia cosa da poco: infatti anche la 35

dimenticanza sembra indicare mancanza di rispetto, poi-


ché la dimenticanza sorge per negligenza, e la negligenza
è una certa mancanza di rispetto.
Si è dunque parlato, ad un tempo, di quelli che si adi- 1380a
rano, di come sono disposti e per quali motivi; è chia-
ro, quindi, che con il discorso si dovrebbero rendere gli
ascoltatori tali quali quelli che sono disposti in modo col-
lerico, e gli avversari come se fossero colpevoli di quelle
cose per cui ci si adira, e come quel genere di persone per
le quali si va in collera. 5

3. La mitezza

Poiché l’essere in collera è l’opposto dell’essere miti e


l’ira della mitezza, si deve dire come stanno le cose quan-
do si è miti e in rapporto a chi si è in stato di mitezza
e per quali motivi si è miti. Sia allora la mitezza un ac-
quietamento e una sospensione dell’ira. Se dunque si è
in collera con chi disprezza, e la mancanza di rispetto è 10

volontaria, è pure evidente che si è miti con chi non fa


niente di tutto questo o che lo fa involontariamente o che
così sembra. E si è miti con chi desiderava il contrario di
ciò che ha fatto. E sono miti tutti quanti quelli che sono
così anche verso loro stessi: si ritiene infatti che nessuno
166 RETORICA II, 1380a 14-36

aujto;" auJtou' dokei' ojligwrei'n. kai; toi'" oJmologou's i kai; meta-


15 melomevnoi": wJ" ga;r e[conte" divkhn to; lupei'sqai ejpi; toi'"
pepoihmevnoi" pauvontai th'" ojrgh'": shmei'on de; ejpi; th'" tw'n
oijketw'n kolavsew": tou;" me;n ga;r ajntilevgonta" kai; ajrnoumev-
nou" ma'llon kolavzomen, pro;" de; tou;" oJmologou'nta" dikaivw"
kolavzesqai pauovmeqa qumouvmenoi: ai[tion dΔ o{ti ajnaiscuntiva
20 to; ta; fanera; ajrnei'sqai, hJ dΔ ajnaiscuntiva ojligwriva kai;
katafrovnhsi": w|n gou'n polu; katafronou'men, oujk aijscunovmeqa.
kai; toi'" tapeinoumevnoi" pro;" aujtou;" kai; mh; ajntilevgousin:
faivnontai ga;r oJmologei'n h{ttou" ei\nai, oiJ dΔ h{ttou" fobou'ntai,
fobouvmeno" de; oujdei;" ojligwrei': o{ti de; pro;" tou;" tapeinou-
25 mevnou" pauvetai hJ ojrghv, kai; oiJ kuvne" dhlou's in ouj davknonte"
tou;" kaqivzonta". kai; toi'" spoudavzousi pro;" ªtou;~º spoudavzon-
ta": dokei' ga;r spoudavzesqai ajllΔ ouj katafronei'sqai. kai; toi'"
meivzw kecarismevnoi". kai; toi'" deomevnoi" kai; paraitoumevnoi":
tapeinovteroi gavr. kai; toi'" mh; uJbristai'" mhde; cleuastai'"
30 mhdΔ ojligwvroi" eij" mhdevna h] mh; eij" crhstou;" mhdΔ eij" toiouv-
tou" oi|oiv per aujtoiv: o{lw" dΔ ejk tw'n ejnantivwn dei' skopei'n
ta; prauv>nonta. kai; ou}" fobou'ntai h] aijscuvnontai, e{w" a]n
ou{tw" e[cwsin, oujk ojrgivzontai: ajduvnaton ga;r a{ma fobei'sqai
kai; ojrgivzesqai. kai; toi'" diΔ ojrgh;n poihvsasin h] oujk ojrgivzontai
35 h] h|tton ojrgivzontai: ouj ga;r diΔ ojligwrivan faivnontai pra'xai:
oujdei;" ga;r ojrgizovmeno" ojligwrei': hJ me;n ga;r ojligwriva a[lupon,
3. LA MITEZZA 167

manchi di rispetto verso sé stesso. Inoltre, si è miti con


coloro che ammettono la loro colpa e si pentono, infatti, 15

come se si ottenesse una riparazione, l’addolorarsi per ciò


che si è compiuto pone fine all’ira; ne è segno ciò che
succede durante la punizione dei domestici: infatti quelli
che ribattono e negano li puniamo maggiormente, men-
tre, anche se siamo in collera, ci tratteniamo con quelli
che ammettono di essere puniti giustamente; la causa è
che vi è sfrontatezza nel negare l’evidenza, e la sfrontatez- 20

za è mancanza di rispetto e disprezzo: fatto si è che non


si ha vergogna di ciò che si disprezza profondamente. E
si è miti con chi è umile con noi e non controbatte: co-
storo, infatti, sembrano ammettere di essere inferiori, gli
inferiori hanno paura, e nessuno sprezza chi ha paura; il
fatto che nei riguardi del misero l’ira si placa, lo mostra- 25

no anche i cani non mordendo quelli che si siedono105.


E si è miti con chi si comporta con serietà quando si è
seri: si ritiene infatti di essere trattati con rispetto e non
con sufficienza. E con coloro che hanno fatto favori più
grandi; e con coloro che sono in ristrettezze e chiedono:
poiché sono più umili. E con coloro che non fanno atto
di tracotanza né scherniscono né mancano di rispetto a 30

alcuno o non lo fanno con persone rispettabili né verso


quelle che sono tali e quali a loro. In generale, le qualità
della mitezza vanno scoperte da quelle opposte.
Ancora, non si prova ira nei riguardi di chi si teme
o di chi si ha soggezione, fino a che stiano in questa di-
sposizione d’animo. È impossibile infatti, ad un tempo,
essere impauriti e in collera. E con coloro che hanno
agito in preda all’ira o non si prova collera o se ne pro- 35

va in misura minore; costoro, appunto, non sembrano


agire per mancanza di rispetto, poiché nessuno che è
arrabbiato manca di rispetto: la mancanza di rispetto,
infatti, è priva di sofferenza, mentre l’ira si accompagna
168 RETORICA II, 1380b 1-23

1380b hJ dΔ ojrgh; meta; luvph". kai; toi'" aijscunomevnoi" aujtouv".


kai; e[conte" de; ejnantivw" tw'/ ojrgivzesqai dh'lon o{ti pra'oiv
eijs in, oi|on ejn paidia'/, ejn gevlwti, ejn eJorth'/, ejn eujhmeriva/, ejn
katorqwvsei, ejn plhrwvsei, o{lw" ejn ajlupiva/ kai; hJdonh'/ mh;
5 uJbristikh'/ kai; ejn ejlpivdi ejpieikei'. e[ti kecronikovte" kai; mh;
uJpovguioi th'/ ojrgh'/ o[nte": pauvei ga;r ojrgh;n oJ crovno": pauvei de;
kai; eJtevrou ojrgh;n meivzw hJ parΔ a[llou lhfqei'sa timwriva
provteron: dio; eu\ )Llokravth", eijpovnto" tinov", ojrgizomevnou tou'
dhvmou, “Tiv oujk ajpologei'…”, “Ou[pw ge”, e[fh. “ΔAlla; povte…”
10 “”Otan i[dw a[llon diabeblhmevnon”: pra'oi ga;r givgnontai o{tan
eij" a[llon th;n ojrgh;n ajnalwvswsin, o} sunevbh ejpi; ΔErgoILvlou:
ma'llon ga;r calepaivnonte" h] Kallisqevnei ajfei'san dia; to;
Kallisqevnou" th'/ proteraiva/ katagnw'nai qavnaton. kai; eja;n
e{lwsin. kai; eja;n mei'zon kako;n peponqovte" w\s in h] o} ojrgizov-
15 menoi a]n e[drasan: w{sper eijlhfevnai ga;r oi[ontai timwrivan.
kai; eja;n ajdikei'n oi[wntai aujtoi; kai; dikaivw" pavscein, ouj
givgnetai ªhJº ojrgh; pro;" to; divkaion: ouj ga;r e[ti para; to; pro"-
h'kon nomivzousi pavscein, hJ dΔ ojrgh; tou'to h\n: dio; dei' tw'/
lovgw/ prokolavzein: ajganaktou's in ga;r h|tton kolazovmenoi kai;
20 oiJ dou'loi. kai; eja;n mh; aijsqhvsesqai oi[wntai o{ti diΔ auJtou;" kai;
ajnqΔ w|n e[paqon: hJ ga;r ojrgh; pro;" to;n kaqΔ e{kastovn ejstin:
dh'lon dΔ ejk tou' oJrismou': dio; ojrqw'" pepoivhtai
favsqai ΔOdussh'a ptolipovrqion,
3. LA MITEZZA 169

al dolore. E non si prova collera con chi ha vergogna di 1380b


noi.
E quando le persone sono nella condizione opposta
all’essere arrabbiati è chiaro che sono miti, ad esempio
nel gioco, nel riso, nella festa, in un giorno felice, nel suc-
cesso, nel pieno soddisfacimento, in genere in ciò che è
privo di dolore, in un piacere privo d’insolenza e in una 5

corretta speranza. Inoltre si è miti quando è già trascorso


del tempo e non si è stati di recente in collera: infatti il
tempo placa l’ira. La punizione che è stata prima presa
da qualcun altro placa, e in maggior misura, l’altrui col-
lera. Per questo fu opportuno Filocrate106 quando, con il
popolo in collera, a un tizio che gli aveva chiesto «Perché
non ti difendi?». Disse: «Non ancora». «Ma allora quan-
do?». «Quando vedrò un’altra persona sospettata». Si di- 10

venta, appunto, miti quando l’ira si sfoga verso un altro, il


che accadde a Ergofilo: infatti gli Ateniesi per quanto più
arrabbiati con lui che con Callistene, lo avevano assolto
perché avevano mandato a morte Callistene il giorno pri-
ma107. Inoltre gli uomini diventano miti se hanno qualcu-
no in loro potere. E se coloro che si sono arrabbiati hanno
subito più male di quanto ne abbiano commesso: infatti si 15

ritiene che in certo senso si subisca una punizione. Inol-


tre, se si pensa di aver commesso ingiustizia e di patire
giustamente, non sorge ira nei confronti del giusto: infatti
si crede di non aver subito oltre il dovuto, mentre l’ira era
proprio questo108. Per questo si deve anticipare il castigo
con una spiegazione: infatti anche gli schiavi avvertono
meno la collera quando sono puniti in questo modo. E 20

non vi sarà rivalsa se si ritiene che gli altri non possano


accorgersi di essere stati puniti da noi e in cambio di ciò
che si è patito: infatti l’ira si rivolge verso un individuo de-
terminato, il che è evidente dalla definizione. Per questo
è stato composto correttamente il verso: «rispondi che è
170 RETORICA II, 1380b 24 - 1381a 6

wJ" ouj tetimwrhmevno" eij mh; h[/sqeto kai; uJfΔ o{tou kai; ajnqΔ
25 o{tou: w{ste ou[te toi'" a[lloi" o{soi mh; aijsqavnontai ojrgivzontai,
ou[te toi'" teqnew's in e[ti, wJ" peponqovs i te to; e[scaton kai;
oujk ajlghvsousin oujdΔ aijsqhsomevnoi", ou| oiJ ojrgizovmenoi ejILven-
tai: dio; eu\ peri; tou' ”Ektoro" oJ poihthv", pau'sai boulovmeno"
to;n ΔAcilleva th'" ojrgh'" teqnew'to",
30 kwfh;n ga;r dh; gai'an ajeikivzei meneaivnwn.
dh'lon ou\n o{ti toi'" kataprauv>nein boulomevnoi" ejk touvtwn
tw'n tovpwn lektevon, auJtou;" me;n paraskeuavzousi toiouvtou",
oi|" dΔ ojrgivzontai h] foberou;" h] aijscuvnh" ajxivou" h] kecarismev-
nou" h] a[konta" h] uJperalgou'nta" toi'" pepoihmevnoi".

35 4. Tivna" de; ILlou's i kai; misou's i, kai; dia; tiv, th;n ILlivan kai;
to; ILlei'n oJrisavmenoi levgwmen. e[stw dh; to; ILlei'n to; bouvle-
sqaiv tini a} oi[etai ajgaqav, ejkeivnou e{neka ajlla; mh; auJtou', kai; to;
1381a kata; duvnamin praktiko;n ei\nai touvtwn. ILvlo" dev ejstin oJ ILlw'n
kai; ajntiILlouvmeno": oi[ontai de; ILvloi ei\nai oiJ ou{tw" e[cein
oijovmenoi pro;" ajllhvlou". touvtwn de; uJpokeimevnwn ajnavgkh ILvlon
ei\nai to;n sunhdovmenon toi'" ajgaqoi'" kai; sunalgou'nta toi'"
5 luphroi'" mh; diav ti e{teron ajlla; diΔ ejkei'non: gignomevnwn ga;r
w|n bouvlontai caivrousin pavnte", tw'n ejnantivwn de; lupou'ntai,
4. LE RAGIONI DELL’AMORE E DELL’ODIO 171

Odisseo distruttore di città»109, nel senso che Ulisse non


avrebbe ottenuto vendetta se Polifemo non avesse capito
e da chi e in cambio di cosa era stato punito; di conse- 25

guenza non si è in collera né con le altre persone, tutte


quelle che non sono in grado di capire il perché, né con i
morti perché hanno già subito la pena estrema e non pos-
sono né soffrire né sono in grado di percepire il dolore,
cosa che desidera dare chi è in collera; per questo il poeta
dice bene a proposito di Ettore, quando volle che Achille
placasse la sua furia nei confronti di un morto, «la terra 30

muta, infatti, insulti furente di collera»110.


È dunque evidente, per chi vuole condurre alla mitez-
za, che gli argomenti vanno tratti da questi luoghi per chi,
da un lato, mostra se stesso come tale, dall’altro, con le
persone con le quali l’uditorio si sente in collera, rappre-
sentarli o temibili o degne di rispetto o che hanno reso
favori o che hanno agito involontariamente o che si addo-
lorano fortemente per ciò che hanno fatto.

4. Le ragioni dell’amore e dell’odio

Una volta che si siano definiti l’amicizia e l’amare, parlia- 35

mo di quali cose si amano e si odiano, e perché. Quindi


l’amare significhi il volere per qualcuno ciò che si ritiene
buono per lui ma non per sé stessi, ed essere capaci di 1381a
realizzarlo. L’amico è chi ama ed è ricambiato in amore:
e ritengono di essere amici quelli che pensano di essere
reciprocamente disposti in questo modo. Poste tali con-
dizioni, è necessario che l’amico sia colui che condivide
il piacere nelle cose buone e le sofferenze in quelle dolo- 5

rose non per un qualche altro motivo se non per l’amico


stesso: infatti sono tutti contenti quando si verificano le
cose che desiderano, di quelle opposte si affliggono, di
172 RETORICA II, 1381a 7-30

w{ste th'" boulhvsew" shmei'on aiJ lu'pai kai; aiJ hJdonaiv. kai; oi|"
dh; taujta; ajgaqa; kai; kakav, kai; oiJ toi'" aujtoi'" ILvloi kai; oiJ toi'"
aujtoi'" ejcqroiv: taujta; ga;r touvtoi" bouvlesqai ajnavgkh, w{ste
10 a{per auJtw'/ kai; a[llw/ boulovmeno" touvtw/ faivnetai ILvlo" ei\nai.
kai; tou;" pepoihkovta" eu\ ILlou's in, h] aujtou;" h] w|n khvdontai,
h] eij megavla, h] eij proquvmw", h] eij ejn toiouvtoi" kairoi'", kai;
aujtw'n e{neka, h] ou}" a]n oi[wntai bouvlesqai poiei'n eu\. kai; tou;"
tw'n ILvlwn ILvlou" kai; ILlou'nta" ou}" aujtoi; ILlou's in. kai; tou;"
15 ILloumevnou" uJpo; tw'n ILloumevnwn aujtoi'". kai; tou;" toi'"
aujtoi'" ejcqrou;" kai; misou'nta" ou}" aujtoi; misou's in, kai; tou;"
misoumevnou" uJpo; tw'n aujtoi'" misoumevnwn: pa's in ga;r touvtoi"
ta; aujta; ajgaqa; faivnetai ei\nai kai; aujtoi'", w{ste bouvlesqai ta;
aujtoi'" ajgaqav, o{per h\n tou' ILvlou. e[ti tou;" eujpoihtikou;" eij"
20 crhvmata kai; eij" swthrivan: dio; tou;" ejleuqerivou" kai; ajndreivou"
timw's i kai; tou;" dikaivou": toiouvtou" dΔ uJpolambavnousi tou;"
mh; ajfΔ eJtevrwn zw'nta": toiou'toi dΔ oiJ ajpo; tou' ejrgavzesqai, kai;
touvtwn oiJ ajpo; gewrgiva", kai; tw'n a[llwn oiJ aujtourgoi; mavlista.
kai; tou;" swvfrona", o{ti oujk a[dikoi. kai; tou;" ajpravgmona"
25 dia; to; aujtov. kai; oi|" boulovmeqa ILvloi ei\nai, a]n faivnwntai
boulovmenoi: eijs i; de; toiou'toi oi{ tΔ ajgaqoi; katΔ ajreth;n kai; oiJ
eujdovkimoi h] ejn a{pasin h] ejn toi'" beltivstoi" h] ejn toi'" qau-
mazomevnoi" uJfΔ auJtw'n h] ejn toi'" qaumavzousin aujtouv". e[ti
tou;" hJdei'" sundiagagei'n kai; sundihmereu'sai: toiou'toi dΔ
30 oiJ eu[koloi kai; mh; ejlegktikoi; tw'n aJmartanomevnwn kai; mh;
4. LE RAGIONI DELL’AMORE E DELL’ODIO 173

conseguenza segno della loro volontà sono i dolori e i


piaceri. Dunque, a costoro coincidono tanto i beni e i
mali quanto chi gli è amico e chi gli è nemico: infatti è
per loro necessario volere le stesse cose, di conseguen-
za chi vuole anche per un altro ciò che desidera per se 10

stesso manifesta di essergli amico. E le persone amano


coloro che hanno beneficato loro o chi gli sta a cuore,
o li amano se questi beni sono di grande entità, o fatti
con cura, o in circostanze di questo tipo e a loro indi-
rizzate, oppure amano quelli che ritengono desiderosi di
fare loro del bene. E amano gli amici degli amici e quelli
che li amano. E amano quelli che sono amati da quelli 15

che loro stessi amano. E amano i nemici dei loro stessi


nemici e odiano coloro che gli amici odiano, e quelli che
sono odiati da coloro che sono odiati da loro: infatti a tutti
questi risultano buone le stesse cose che lo sono anche
per gli amici, di conseguenza per loro si desiderano cose
buone, il che, si era detto111, è proprio dell’amico. Inoltre
si amano coloro che sono atti a fare del bene per ciò che 20

riguarda il denaro e per l’incolumità delle persone. Per


questo si onorano gli uomini liberali, i coraggiosi e i giu-
sti; e presumono che siano di questo tipo quelli che non
vivono dipendendo da altri: tali sono quelli che vivono del
loro lavoro e, tra questi, quelli che vivono di agricoltura e,
degli altri, soprattutto quelli che lavorano in proprio. E i
temperanti, dal momento che non sono ingiusti. E quelli
che non s’intromettono negli affari pubblici, per lo stesso 25

motivo. E quelli con cui si desidera essere amici, se sem-


brano che lo desiderino anche loro, e sono tali le persone
capaci per virtù e quelli tenuti in buona considerazione o
da tutti o dai migliori o da chi è ammirato da questi o da
quelli che li ammirano. Inoltre sono amati quelli con cui è
piacevole trascorrervi la vita e passarvi le giornate; e que-
sti sono coloro che hanno buon carattere, vale a dire che 30
174 RETORICA II, 1380a 31 - b 18

ILlovnikoi mhde; dusevride" (pavnte" ga;r oiJ toiou'toi mach-


tikoiv, oiJ de; macovmenoi tajnantiva faivnontai bouvlesqai), kai;
oiJ ejpidevxioi kai; tw'/ twqavsai kai; tw'/ uJpomei'nai: ejpi; taujto; ga;r
ajmfotevrw" speuvdousi tw'/ plhsivon, dunavmenoiv te skwvptesqai
35 kai; ejmmelw'" skwvptonte". kai; tou;" ejpainou'nta" ta; uJp-
avrconta ajgaqav, kai; touvtwn mavlista a} fobou'ntai mh; uJp-
1381b avrcein aujtoi'". kai; tou;" kaqareivou" peri; o[y in, peri; ajmpecovnhn,
peri; o{lon to;n bivon. kai; tou;" mh; ojneidista;" mhvte tw'n aJmar-
thmavtwn mhvte tw'n eujergethmavtwn: ajmfovteroi ga;r ejleg-
ktikoiv. kai; tou;" mh; mnhsikakou'nta", mhde; fulaktikou;" tw'n
5 ejgklhmavtwn, ajllΔ eujkatallavktou": oi{ou" ga;r a]n uJpolam-
bavnwsin ei\nai pro;" tou;" a[llou", kai; pro;" auJtou;" oi[ontai.
kai; tou;" mh; kakolovgou" mhde; eijdovta" mhvte ta; tw'n plhsivon
kaka; mhvte ta; aujtw'n, ajlla; tajgaqav: oJ ga;r ajgaqo;" tau'ta
dra'/. kai; tou;" mh; ajntiteivnonta" toi'" ojrgizomevnoi" h] spoudav-
10 zousin: machtikoi; ga;r oiJ toiou'toi. kai; tou;" pro;" aujtou;"
spoudaivw" pw" e[conta", oi|on qaumavzonta" aujtou;" kai; spou-
daivou" uJpolambavnonta" kai; caivronta" aujtoi'", kai; tau'ta
mavlista peponqovta" peri; a} mavlista bouvlontai aujtoi; h]
qaumavzesqai h] spoudai'oi dokei'n ei\nai h] hJdei'". kai; tou;"
15 oJmoivou" kai; taujta; ejpithdeuvonta", eja;n mh; parenoclw's i mhdΔ
ajpo; taujtou' h\/ oJ bivo": givgnetai ga;r ou{tw to; “kerameu;" keramei'”.
kai; tou;" tw'n aujtw'n ejpiqumou'nta", w|n ejndevcetai a{ma met-
evcein aujtouv": eij de; mhv, taujto; kai; ou{tw sumbaivnei. kai;
4. LE RAGIONI DELL’AMORE E DELL’ODIO 175

non sono inclini a contestare chi sbaglia e che non sono


ossessionati dalla competizione né sono litigiosi (infatti
tutti quelli che sono così sono polemici e quelli che sono
polemici fanno mostra di volere il contrario), e quelli bra-
vi a scherzare e a tollerare gli scherzi: infatti in entrambi
i casi sollecitano chi gli sta accanto per lo stesso fine, dal
momento che sono tutti e capaci di subire gli scherzi e di 35

scherzare nel modo giusto. E si amano quelli che loda-


no le qualità presenti negli altri e, di queste, soprattutto
le qualità che si teme di non avere. E quelli dall’aspetto 1381b
pulito, nel modo di vestire, nel modo di vivere in gene-
re. E si amano quelli che non rinfacciano né errori né
benefici: perché in entrambi i casi vi è tendenza a cri-
ticare. E quelli che non serbano rancore, né tendono a
rimuginare sulle accuse ricevute, ma tendono facilmente 5

a riconciliarsi, poiché ritengono che le qualità che pre-


sumono negli altri anche gli altri le suppongano in loro.
Inoltre le persone amano quelli che non sono maldicenti
né sanno le cose cattive dei vicini né le loro, ma le cose
buone: infatti la persona valida fa queste cose. E quelli
che non si oppongono a chi è in preda alla collera o indaf- 10

farato seriamente, da momento che sono inclini alla lite.


E quelli che nei loro confronti sono disposti a prenderli
sul serio, ad esempio chi li ammira e li ritiene persone per
bene e che ne hanno piacere, e che soprattutto provano
queste cose in quell’ambito in cui si desidera al massimo
o l’essere ammirati o l’essere considerati persone per bene
o piacevoli. E si amano i simili e quelli che perseguono le 15

stesse cose, purché non interferiscano tra loro né il modo


di vivere sia vincolato dalla medesima situazione, è così
infatti che si realizza il detto «il ceramista odia il cerami-
sta»112. E coloro che desiderano le stesse cose, quelle che
è possibile realizzare insieme: in caso contrario anche qui
succede la stessa cosa del ceramista che odia il ceramista.
176 RETORICA II, 1381b 19 - 1382a 5

pro;" ou}" ou{tw" e[cousin w{ste mh; aijscuvnesqai ta; pro;"


20 dovxan, mh; katafronou'nte". kai; pro;" ou}" aijscuvnontai ta;
pro;" ajlhvqeian. kai; pro;" ou}" ILlotimou'ntai, h] uJfΔ w|n
zhlou'sqai bouvlontai kai; mh; fqonei'sqai, touvtou" h] ILlou's in
h] bouvlontai ILvloi ei\nai. kai; oi|" a]n tajgaqa; sumpravttwsin,
eja;n mh; mevllh/ aujtoi'" e[sesqai meivzw kakav. kai; oi} oJmoivw"
25 kai; tou;" ajpovnta" kai; tou;" parovnta" ILlou's in: dio; kai; tou;"
peri; tou;" teqnew'ta" toiouvtou" pavnte" ILlou's in. kai; o{lw"
tou;" sfovdra ILloILvlou" kai; mh; ejgkataleivponta": mavlista
ga;r ILlou's i tw'n ajgaqw'n tou;" ILlei'n ajgaqouv". kai; tou;" mh;
plattomevnou" pro;" aujtouv": toiou'toi de; oiJ kai; ta; fau'la ta;
30 eJautw'n levgonte": ei[rhtai ga;r o{ti pro;" tou;" ILvlou" ta; pro;"
dovxan oujk aijscunovmeqa: eij ou\n oJ aijscunovmeno" mh; ILlei',
oJ mh; aijscunovmeno" ILlou'nti e[oiken. kai; tou;" mh; foberouv",
kai; ou}" qarrou'men: oujdei;" ga;r o}n fobei'tai ILlei'.
ei[dh de; ILliva" eJtaireiva oijkeiovth" suggevneia kai; o{sa toiau'ta.
35 poihtika; de; ILliva" cavri" kai; to; mh; dehqevnto" poih'sai kai;
to; poihvsanta mh; dhlw'sai: aujtou' ga;r ou{tw" e{neka faivnetai
kai; ouj diav ti e{teron.
1382a peri; dΔ e[cqra" kai; tou' misei'n fanero;n wJ" ejk tw'n ejnan-
tivwn e[sti qewrei'n. poihtika; de; e[cqra" ojrghv, ejphreasmov", dia-
bolhv. ojrgh; me;n ou\n ejstin ejk tw'n pro;" auJtovn, e[cqra de; kai;
a[neu tou' pro;" auJtovn: a]n ga;r uJpolambavnwmen ei\nai toiovnde,
5 misou'men. kai; hJ me;n ojrgh; ajei; peri; ta; kaqΔ e{kasta, oi|on Kal-
4. LE RAGIONI DELL’AMORE E DELL’ODIO 177

E si amano quelli con cui si è in condizione tale da non


avere remore per la propria reputazione, senza che nei 20

loro riguardi vi sia disistima. E si amano quelli di fronte


ai quali si prova vergogna di cose veramente dis\dicevoli.
E quelli con cui competere, o dai quali si desidera essere
emulati e non invidiati, oppure che amano o desiderano
essere amici di persone di questo tipo. E amano le perso-
ne con le quali poter collaborare per realizzare dei beni,
purché in futuro non vi siano per loro mali maggiori. E
coloro che amano allo stesso modo sia gli assenti che i 25

presenti: anche per questo tutti amano le persone che si


comportano così per i defunti. E in genere si amano quel-
li che amano fortemente gli amici e non li abbandonano:
infatti tra persone di valore gli uomini amano soprattutto
quelli buoni ad amare. E chi non finge con loro; così è
chi gli rivela anche i lati negativi: si è infatti detto che con 30

gli amici non ci si vergogna di ciò che riguarda la repu-


tazione113; se dunque chi si vergogna non è un amico, chi
non si vergogna è come un amico. E si amano quelli che
non sono da temere e chi ci infonde coraggio: nessuno
infatti ama chi teme. Le specie dell’amicizia sono le asso-
ciazioni, il fare parte di una stessa casa, la consanguineità
e tutto ciò che è di questo genere.
Atte a produrre amicizia sono gratitudine e fare del 35

bene senza che sia stato richiesto e il non ostentare ciò


che si è fatto: in questo modo, infatti, l’amicizia risulta in
funzione della persona e non per qualche altro motivo.
Riguardo l’inimicizia e l’odiare è evidente che vanno 1382a
fatte considerazioni a partire dai contrari. Atte a produr-
re inimicizia sono ira, sopruso, calunnia. Ebbene l’ira sor-
ge da azioni ostili alla persona, l’inimicizia, invece, anche
senza che vi sia un’azione ostile al soggetto: se infatti pen-
siamo di essere in presenza di un certo tipo di persona,
gli siamo ostili. Anche l’ira riguarda sempre i singoli, ad 5
178 RETORICA II, 1382a 6-25

liva/ h] Swkravtei, to; de; mi'so" kai; pro;" ta; gevnh: to;n ga;r klev-
pthn misei' kai; to;n sukofavnthn a{pa". kai; to; me;n ijato;n
crovnw/, to; dΔ ajnivaton. kai; to; me;n luvph" e[fesi", to; de; kakou':
ai[sqesqai ga;r bouvletai oJ ojrgizovmeno", tw'/ dΔ oujde;n diafevrei.
10 e[sti de; ta; me;n luphra; aijsqhta; pavnta, ta; de; mavlista kaka;
h{kista aijsqhtav, ajdikiva kai; ajfrosuvnh: oujde;n ga;r lupei' hJ
parousiva th'" kakiva". kai; to; me;n meta; luvph", to; dΔ ouj
meta; luvph": oJ me;n ga;r ojrgizovmeno" lupei'tai, oJ de; misw'n ou[.
kai; oJ me;n pollw'n a]n genomevnwn ejlehvseien, oJ dΔ oujdenov": oJ me;n
15 ga;r ajntipaqei'n bouvletai w|/ ojrgivzetai, oJ de; mh; ei\nai.
fanero;n ou\n ejn touvtwn o{ti ejndevcetai ejcqrou;" kai; ILvlou"
kai; o[nta" ajpodeiknuvnai kai; mh; o[nta" poiei'n kai; favskonta"
dialuvein, kai; diΔ ojrgh;n h] diΔ e[cqran ajmILsbhtou'nta" ejfΔ oJpo-
tevran a]n proairh'taiv ti" a[gein.

20 5. Poi'a de; fobou'ntai kai; tivna" kai; pw'" e[conte", w|dΔ e[stai
fanerovn. e[stw dh; oJ fovbo" luvph ti" h] tarach; ejk fantasiva"
mevllonto" kakou' fqartikou' h] luphrou': ouj ga;r pavnta ta;
kaka; fobou'ntai, oi|on eij e[stai a[diko" h] braduv", ajllΔ o{sa
luvpa" megavla" h] fqora;" duvnatai, kai; tau'ta eja;n mh; povrrw
25 ajlla; suvneggu" faivnhtai w{ste mevllein. ta; ga;r povrrw sfovdra
5. LA PAURA E L’ARDIMENTO 179

esempio è per Callia o Socrate, l’odio invece si rivolge


pure ai generi di persone: infatti tutti odiano il ladro o il
sicofante. E l’una è guaribile col tempo, l’altro è incurabi-
le. E l’una è desiderio di dolore, l’altro di male: chi è adi-
rato, infatti, vuole che ci si accorga del dolore, mentre per
chi odia non fa alcuna differenza. Le cose che addolorano 10

sono tutte percettibili, invece i mali più grandi, l’ingiusti-


zia e la stoltezza, sono avvertiti pochissimo: la presenza
dei mali infatti non produce alcuna sofferenza. E l’una
s’accompagna a dolore, mentre l’altra non s’accompagna
a dolore: infatti chi è in preda alla collera è sofferente, chi
all’odio no. E chi è in collera in molte situazioni potrebbe
avere pietà, chi odia in nessuna: infatti il primo vuole che 15

si provi di rimando ciò per cui è adirato, il secondo vuole


che l’altro non esista.
È dunque evidente, in cose del genere, che è possibile
dimostrare sia chi sono i nemici e chi gli amici, quando lo
sono, sia rappresentarli, quando non lo sono, sia distin-
guere gli uni dagli altri in coloro che affermano di esserlo,
sia condurre dalla parte che si desidera quelli che stanno
su fronti opposti per ira o per inimicizia.

5. La paura e l’ardimento

Quali cose si temono e quali persone e con quale dispo- 20

sizione d’animo, sarà chiaro da ciò che segue. Sia dunque


la paura un certo dolore o turbamento che deriva dall’im-
maginazione di un male imminente atto a distruggere o
ad affliggere: infatti non tutti i mali fanno paura, ad esem-
pio se si è ingiusti o lenti, ma tutti quelli che sono capaci
di arrecare grandi dolori o rovina, e neppure questi se
appaiono lontani da noi, ma se sono vicini e tali da esse- 25

re imminenti. Infatti i mali ben al di là da venire non ci


180 RETORICA II, 1382a 26 - b 12

ouj fobou'ntai: i[sasi ga;r pavnte" o{ti ajpoqanou'ntai, ajllΔ o{ti


oujk ejgguv", oujde;n frontivzousin. eij dh; oJ fovbo" tou'tΔ ejstivn,
ajnavgkh ta; toiau'ta fobera; ei\nai o{sa faivnetai duvnamin e[cein
megavlhn tou' fqeivrein h] blavptein blavba" eij" luvphn megavlhn
30 sunteinouvsa": dio; kai; ta; shmei'a tw'n toiouvtwn foberav: ejggu;"
ga;r faivnetai to; foberovn: tou'to gavr ejsti kivnduno", foberou'
plhsiasmov".
toiau'ta de; e[cqra te kai; ojrgh; dunamevnwn poiei'n
ti (dh'lon ga;r o{ti bouvlontai te kai; duvnantai, w{ste ejgguv" eijs in
35 tou' poiei'n), kai; ajdikiva duvnamin e[cousa: tw'/ proairei'sqai ga;r oJ
1382b a[diko" a[diko". kai; ajreth; uJbrizomevnh duvnamin e[cousa (dh'lon
ga;r o{ti proairei'tai me;n o{tan uJbrivzhtai, ajeiv, duvnatai de; nu'n),
kai; fovbo" tw'n dunamevnwn ti poih'sai: ejn paraskeuh'/ ga;r ajnavgkh
ei\nai kai; to;n toiou'ton: ejpei; dΔ oiJ polloi; ceivrou" kai; h{ttou" tou'
5 kerdaivnein kai; deiloi; ejn toi'" kinduvnoi", fobero;n wJ" ejpi; to;
polu; to; ejpΔ a[llw/ aujto;n ei\nai, w{ste oiJ suneidovte" pepoihkovti
ti deino;n foberoi; h] kateipei'n h] ejgkatalipei'n. kai; oiJ dunavmenoi
ajdikei'n toi'" dunamevnoi" ajdikei'sqai: wJ" ga;r ejpi; to; polu;
ajdikou's in oiJ a[nqrwpoi o{tan duvnwntai. kai; oiJ hjdikhmevnoi h]
10 nomivzonte" ajdikei'sqai: ajei; ga;r throu's i kairovn. kai; oiJ hjdikh-
kovte", a]n duvnamin e[cwsi, foberoiv, dediovte" to; ajntipaqei'n:
uJpevkeito ga;r to; toiou'to foberovn. kai; oiJ tw'n aujtw'n ajntagw-
5. LA PAURA E L’ARDIMENTO 181

spaventano: tutti sanno che moriranno, ma poiché non è


vicino il momento, non se ne curano. Se allora è questa la
paura, è necessario che cose spaventose del genere siano
tutte quelle che sembrano avere grandi capacità distrutti-
ve o di arrecare danni che portino a gravi sofferenze; per 30

questo i segnali di questi mali sono spaventosi, poiché ciò


che ci terrorizza appare imminente: infatti in questo consi-
ste il pericolo, nell’approssimarsi di un male che fa paura.
Cose di questo genere sono l’inimicizia e la collera
di persone che possono fare del male (è infatti chiaro
che vogliono e possono, ragion per cui sono prossime 35

al farlo). E l’ingiustizia quando ha potere è spaventosa:


infatti l’ingiusto è ingiusto per il fatto che sceglie inten-
zionalmente il male. Anche la virtù oltraggiata, quando 1382b
ha potere di agire, fa paura (poiché è ovvio che, quando
si è oltraggiati, si ha sempre intenzione di fare del male,
ma è adesso che se ne è in grado); inoltre, la paura di
coloro che sono in condizione di fare qualcosa di male:
infati, è necessaria anche questa disposizione d’animo nel
prepararsi a farne. Poiché la maggior parte delle perso-
ne è spregevole, schiava del profitto e vile nei pericoli, 5

ciò che fa paura è per lo più l’essere in balia di un altro,


di conseguenza quelli coinvolti con chi ha fatto qualcosa
di terribile sono da temere perché possono o denunciare
o abbandonare. E chi può commettere ingiustizia è un
male per chi può subire ingiustizia: infatti per lo più gli
uomini sono ingiusti quando possono. E sono da temere
coloro che hanno subito ingiustizia o ritengono di aver- 10

la subita, perché vigilano sempre in attesa del momento


opportuno. E fanno paura coloro che hanno commesso
un’ingiustizia, se hanno potere, quando temono di dover-
la subire a loro volta: si era stabilito, infatti, che c’è d’aver
paura di una cosa del genere. E sono temibili quelli che si
contendono le stesse cose, ovvero tutto ciò che non può
182 RETORICA II, 1382b 13-33

nistaiv, o{sa mh; ejndevcetai a{ma uJpavrcein ajmfoi'n: ajei; ga;r


polemou's i pro;" tou;" toiouvtou". kai; oiJ toi'" kreivttosin aujtw'n
15 foberoiv: ma'llon ga;r a]n duvnainto blavptein aujtouv", eij kai; tou;"
kreivttou". kai; ou}" fobou'ntai oiJ kreivttou" aujtw'n, dia; taujtov.
kai; oiJ tou;" kreivttou" aujtw'n ajnh/rhkovte", kai; oiJ toi'" h{ttosin
aujtw'n ejpitiqevmenoi: h] ga;r h[dh foberoi; h] aujxhqevnte". kai;
tw'n hjdikhmevnwn kai; ejcqrw'n h] ajntipavlwn oujc oiJ ojxuvqumoi kai;
20 parrhsiastikoiv, ajlla; oiJ pra'oi kai; ei[rwne" kai; panou'rgoi:
a[dhloi ga;r eij ejgguv", w{ste oujdevpote faneroi; o{ti povrrw. pavnta
de; ta; fobera; foberwvtera o{sa aJmartavnousin ejpanorqwvsasqai
mh; ejndevcetai, ajllΔ h] o{lw" ajduvnata, h] mh; ejpΔ aujtoi'" ajllΔ ejpi;
toi'" ejnantivoi". kai; w|n bohvqeiai mhv eijs in h] mh; rJav/diai. wJ" dΔ
25 aJplw'" eijpei'n, foberav ejstin o{sa ejfΔ eJtevrwn gignovmena h] mevl-
lonta ejleeinav ejstin.
ta; me;n ou\n fobera; kai; a} fobou'ntai scedo;n wJ" eijpei'n ta;
mevgista tau'tΔ ejstivn, wJ" de; diakeivmenoi aujtoi; fobou'ntai, nu'n
levgwmen. eij dhv ejstin oJ fovbo" meta; prosdokiva" tino;" tou' peiv-
30 sesqaiv ti fqartiko;n pavqo", fanero;n o{ti oujdei;" fobei'tai tw'n
oijomevnwn mhde;n a]n paqei'n, oujde; tau'ta a} mh; oi[ontai ãa]nà paqei'n
oujde; touvtou" uJfΔ w|n mh; oi[ontai, oujde; tovte o{te mh; oi[ontai.
ajnavgkh toivnun fobei'sqai tou;" oijomevnou" ti paqei'n a[n, kai;
5. LA PAURA E L’ARDIMENTO 183

appartenere ad entrambe le parti nello stesso tempo: in-


fatti si è sempre in conflitto contro tali persone. E le per-
sone hanno paura di quelli che sono temibili per chi ha
più potere di loro: infatti a maggior ragione potrebbero 15

arrecare loro dei danni, se lo possono fare anche a quelli


più forti. E fanno paura quelli che sono temuti da quelli
più potenti di loro per questo stesso motivo. E quelli che
hanno eliminato quelli più potenti di loro, e anche quelli
che s’impongono sui soggetti meno forti di noi: infatti o
sono già temibili o lo saranno accrescendo il loro potere.
E coloro che hanno subito ingiustizia, e che sono nemici
o si fronteggiano, non sono da temere gli impulsivi e chi
parla franco, ma quelli calmi, simulatori e capaci di tutto: 20

infatti non è chiaro se sono prossimi ad agire, di conse-


guenza non danno mai a vedere che l’azione è ancora di
là da venire. Quando non è possibile rimediare a tutto ciò
che si sbaglia, ma o è del tutto impossibile, o non dipende
da chi fa l’errore o dipende dagli avversari, tutto ciò che
è temibile è ancora più temibile. E si ha paura di ciò di
cui non vi sono,o non è facile avere, degli aiuti. Per farla
semplice, sono temibili tutte le cose che succedendo o 25

che stanno per succedere ad altri suscitano compassione.


Le cose, dunque, che fanno paura e quelle che si temo-
no, per così dire quelle più rilevanti, sono pressappoco
queste. Adesso diremo invece, quale stato d’animo ha chi
teme. Ora, se la paura è un sentimento che s’accompagna
all’attesa di subire un che di distruttivo, è evidente che 30

nessuno di quelli che ritengono di poter subire alcunché


ha paura, né di quel genere di cose che si pensa di non
dover subire, né di quel genere di persone dalle quali non
si crede si possa subire alcunché, né delle circostanze in
cui non si crede di poter subire qualcosa. È necessario,
pertanto, che provino timore coloro che pensano di su-
bire qualcosa da parte di quelli dai quali ci si aspetta un
184 RETORICA II, 1382b 34 - 1383a 23

tou;" uJpo; touvtwn kai; tau'ta kai; tovte. oujk oi[ontai de; paqei'n
1383a a]n ou[te oiJ ejn eujtucivai" megavlai" o[nte" kai; dokou'nte" (dio;
uJbristai; kai; ojlivgwroi kai; qrasei'", poiei' de; toiouvtou" plou'-
to" ijscu;" poluILliva duvnami~), ou[te oiJ h[dh peponqevnai pavnta
nomivzonte" ta; deina; kai; ajpeyugmevnoi pro;" to; mevllon, w{sper
5 oiJ ajpotumpanizovmenoi h[dh: ajlla; dei' tina ejlpivda uJpei'nai
swthriva", peri; ou| ajgwniw's in. shmei'on dev: oJ ga;r fovbo"
bouleutikou;" poiei', kaivtoi oujdei;" bouleuvetai peri; tw'n ajnel-
pivstwn: w{ste dei' toiouvtou" paraskeuavzein, o{tan h\/ bevltion
to; fobei'sqai aujtouv", o{ti toiou'toiv eijs in oi|on paqei'n (kai; ga;r
10 a[lloi meivzou" e[paqon), kai; tou;" toiouvtou" deiknuvnai pavscon-
ta" h] peponqovta", kai; uJpo; toiouvtwn uJfΔ w|n oujk w[/onto, kai;
tau'ta ãa}Ã kai; tovte o{te oujk w[/onto.
ejpei; de; peri; fovbou fanero;n tiv ejstin, kai; tw'n foberw'n,
kai; wJ" e{kastoi e[conte" dedivasi, fanero;n ejk touvtwn kai; to;
15 qarrei'n tiv ejsti, kai; peri; poi'a qarralevoi eijs i; kai; pw'" diakeiv-
menoi qarralevoi eijs ivn: tov te ga;r qavrso" to; ejnantivon tw'/
ãfovbw/, kai; to; qarralevon tw'/Ã foberw'/, w{ste meta; fantasiva" hJ
ejlpi;" tw'n swthrivwn wJ" ejggu;" o[ntwn, tw'n de; foberw'n ãwJ~Ã h]
mh; o[ntwn h] povrrw o[ntwn. e[sti de; qarraleva tav te deina; povrrw
20 o[nta kai; ta; swthvria ejgguv", kai; ejpanorqwvsei" a]n w\s i kai; bohv-
qeiai pollai; h] megavlai h] a[mfw, kai; mhvte hjdikhmevnoi mhvte
hjdikhkovte" w\s in, ajntagwnistaiv te h] mh; w\s in o{lw", h] mh;
e[cwsin duvnamin, h] duvnamin e[conte" w\s i ILvloi h] pepoihkovte"
5. LA PAURA E L’ARDIMENTO 185

che di temibile, inoltre di subire cose e circostanze del


genere. Non ritengono di subire né coloro che sono in 1383a
contesti di grande fortuna né coloro che lo credono (per
questo sono tracotanti e mancano di riguardo e sprezzan-
ti, invero li rende tali la ricchezza, la forza, le molteplici
amicizie, la potenza), né quelli che pensano di aver già
subito ogni cosa di terribile e quelli che sono freddi verso
il futuro, come chi sia pronto a consegnarsi alla tortura114; 5

mentre si deve essere disponibili a una qualche speranza


di salvezza riguardo ciò su cui si è in difficoltà. Ed ecco
la prova: il timore rende inclini alla deliberazione, e nes-
suno delibera su cose senza speranza. Di conseguenza,
quando è meglio intimorire gli ascoltatori, occorre pre-
pararli ad essere tali, cioè pronti a soffrire (poiché hanno 10

già sofferto anche altri più grandi di loro), e dimostrare


che persone come loro stanno soffrendo o hanno già sof-
ferto, e di patire da quel tipo di uomini dai quali non se
lo aspettavano, né lo pensavano di tali cose e circostanze.
Poiché, è evidente quale sia la definizione sul timore e
sulle cose temibili, e quale sia lo stato d’animo di chi ha
paura, è altrettanto chiaro da dove si ricavi la definizione 15

dell’essere sicuri di sé, e riguardo a quali cose e in che di-


sposizione d’animo sta chi è ardimentoso: infatti l’uomo
che ha ardimento è l’opposto del pauroso e le cose atte a
dare ardimento lo sono di quelle atte a suscitare timore,
di conseguenza l’ardimento è la fede in cose salutari che
s’immaginano prossime al verificarsi, mentre delle cose da
temere si pensa o come non esistenti o che sono di là da
venire. Sono cose che danno ardimento sia la lontananza
delle cose temibili sia la prossimità delle cose salutari, e 20

se vi siano miglioramenti e molti aiuti, oppure grandi o


entrambi, e che non si siano né subite né compiute in-
giustizie, e i rivali o non lo siano del tutto, o non abbiano
potere, o quelli che hanno potere siano amici o abbiano
186 RETORICA II, 1383a 24 - b 10

eu\ h] peponqovte", h] a]n pleivou" w\s in oi|" taujta; sumfevrei,


25 h] kreivttou", h] a[mfw. aujtoi; dΔ ou{tw" e[conte" qarralevoi
eijs ivn, a]n polla; katwrqwkevnai oi[wntai kai; mh; peponqevnai, h]
eja;n pollavki" ejlhluqovte" eij" ta; deina; kai; diapefeugovte"
w\s i: dicw'" ga;r ajpaqei'" givgnontai oiJ a[nqrwpoi, h] tw'/ mh;
pepeira'sqai h] tw'/ bohqeiva" e[cein, w{sper ejn toi'" kata;
30 qavlattan kinduvnoi" oi{ te a[peiroi ceimw'no" qarrou's i ta;
mevllonta kai; oiJ bohqeiva" e[conte" dia; th;n ejmpeirivan. kai;
o{tan toi'" oJmoivoi" fobero;n mh; h\/, mhde; toi'" h{ttosi kai; w|n
kreivttou" oi[ontai ei\nai: oi[ontai de; w|n kekrathvkasin h] aujtw'n
h] tw'n kreittovnwn h] tw'n oJmoivwn. kai; a]n uJpavrcein auJtoi'"
35 oi[wntai pleivw kai; meivzw, oi|" uJperevconte" foberoiv eijs in:
1383b tau'ta dev ejsti plh'qo" crhmavtwn kai; ijscu;" swmavtwn kai;
ILvlwn kai; cwvra" kai; tw'n pro;" povlemon paraskeuw'n, h] pasw'n
h] tw'n megivstwn. kai; eja;n mh; hjdikhkovte" w\s in mhdevna h] mh;
pollou;" h] mh; touvtou" parΔ w|n fobou'ntai, kai; o{lw" a]n ta; pro;"
5 tou;" qeou;" aujtoi'" kalw'" e[ch/, tav te a[lla kai; ta; ajpo; shmeivwn
kai; logivwn: qarralevon ga;r hJ ojrghv, to; de; mh; ajdikei'n ajllΔ ajdi-
kei'sqai ojrgh'" poihtikovn, to; de; qei'on uJpolambavnetai bohqei'n
toi'" ajdikoumevnoi". kai; o{tan ejpiceirou'nte" h] mhde;n a]n paqei'n
ªmhde; peivsesqaiº h] katorqwvsein oi[wntai. kai; peri; me;n tw'n
10 foberw'n kai; qarralevwn ei[rhtai.
5. LA PAURA E L’ARDIMENTO 187

fatto o ricevuto del bene o, se quelli che hanno i nostri


stessi interessi, siano molti, o più forti o entrambi. Sono 25

ardimentose le persone che stanno in questa condizione:


se ritengono di aver ottenuto parecchi successi e di non
aver sofferto, o se siano spesso andati incontro a pericoli
e ne siano sfuggiti. Infatti gli uomini diventano indiffe-
renti ai pericoli in due modi: o perché non ne hanno fatto
esperienza o con l’avere degli aiuti (come succede nei pe-
ricoli per mare, chi non ha esperienza di tempeste si dà 30

animo fidando in ciò che avverrà e chi, munito di mezzi


di soccorso, si dà coraggio grazie all’esperienza). Inoltre,
gli uomini sono ardimentosi quando una cosa non fa pau-
ra né a chi è pari a loro, né a chi è inferiore a loro e né
a quelli nei confronti dei quali ci si ritiene superiori; e
ci si ritiene tali nei confronti delle persone sulle quelli
si ha potere sia che si tratti di inferiori, di migliori o di
persone pari a loro. E sono ardimentosi se ritengono che
appartengano loro cose più numerose e più grandi, con le 35

quali, prevalendo sugli altri, risultano temibili. Tali cose 1383b


sono il gran numero di beni materiali, la forza dei corpi,
degli amici, del territorio e dei preparativi militari (o di
tutti o di quelli più importanti). E sono sicuri di sé se non
hanno commesso ingiustizia verso nessuno o non l’han-
no commessa verso molti o non l’hanno commessa nei
riguardi di coloro che sono tali da dover essere temuti. E
nell’insieme, se si è bene disposti per ciò che riguarda gli
dei, sia che si tratti di altre cose sia che si tratti di ciò che 5

proviene da segni e oracoli (infatti l’ira infonde ardimen-


to, e la collera si produce non commettendo ingiustizia,
ma nel subirla, e si suppone che la divinità dia aiuto a chi
la subisce). E si è ardimentosi quando chi intraprende
un’azione ritiene o di non subire qualcosa di temibile o
che riuscirà nell’iniziativa. E per quanto riguarda ciò che
è temibile e ciò che dà ardimento si è detto. 10
188 RETORICA II, 1383b 11-31

6. Poi'a dΔ aijscuvnontai kai; ajnaiscuntou's in, kai; pro;" tivna"


kai; pw'" e[conte", ejk tw'nde dh'lon. e[stw dh; aijscuvnh luvph
ti" h] tarach; peri; ta; eij" ajdoxivan fainovmena fevrein tw'n
kakw'n, h] parovntwn h] gegonovtwn h] mellovntwn, hJ dΔ ajnaiscun-
15 tiva ojligwriva ti" kai; ajpavqeia peri; ta; aujta; tau'ta. eij dhv
ejstin aijscuvnh hJ oJrisqei'sa, ajnavgkh aijscuvnesqai ejpi; toi'"
toiouvtoi" tw'n kakw'n o{sa aijscra; dokei' ei\nai h] aujtw'/ h] w|n
frontivzei: toiau'ta dΔ ejsti;n o{sa ajpo; kakiva" e[rga ejstivn, oi|on
to; ajpobalei'n ajspivda h] fugei'n: ajpo; deiliva" gavr. kai; to;
20 ajposterh'sai parakataqhvkhn ªh] ajdikh'saiº: ajpo; ajdikiva" gavr.
kai; to; suggenevsqai ai|" ouj dei' h] ou| ouj dei' h] o{te ouj dei': ajpo;
ajkolasiva" gavr. kai; to; kerdaivnein ajpo; mikrw'n h] aijscrw'n h]
ajpo; ajdunavtwn, oi|on penhvtwn h] teqnewvtwn, o{qen kai; hJ
paroimiva to; ajpo; nekrou' fevrein: ajpo; aijscrokerdeiva" ga;r kai;
25 ajneleuqeriva". kai; to; mh; bohqei'n, dunavmenon, eij" crhvmata, h]
h|tton bohqei'n. kai; to; bohqei'sqai para; tw'n h|tton eujpovrwn,
kai; daneivzesqai o{te dovxei aijtei'n, kai; aijtei'n o{te ajpaitei'n,
kai; ajpaitei'n o{te aijtei'n, kai; ejpainei'n a} dovxei aijtei'n, kai; to;
ajpotetuchkovta mhde;n h|tton: pavnta ga;r ajneleuqeriva" tau'ta
30 shmei'a, to; dΔ ejpainei'n parovnta" kolakeiva", kai; to; tajgaqa;
me;n uJperepainei'n ta; de; fau'la sunaleivfein, kai; to; uJperalgei'n
6. LA VERGOGNA E L’IMPUDENZA 189

6. La vergogna e l’impudenza

Quali cose suscitino vergogna e quali impudenza, e nei


confronti di chi e quale stato d’animo producano, sarà
chiaro da quanto segue. Sia allora la vergogna un certo
dolore o turbamento relativo a delle cattive azioni, o pre-
senti o passate o future, e che si esplicano portando alla
cattiva reputazione, mentre l’impudenza sia una sorta di 15

noncuranza e di insensibilità nei confronti di queste stesse


cose. Allora se la vergogna è quella che si è definita, ne-
cessariamente gli uomini proveranno vergogna per colpe
tali da essere, si dice, tutte quante ignominiose o per loro
o per quelli che loro tengono in considerazione. Tali sono
tutte quelle opere che derivano da cattive azioni, ad esem-
pio il gettare via lo scudo o il fuggire: infatti sono azioni
da vili. E il privare di un deposito: infatti giunge da ingiu- 20

stizia. E l’avere rapporti intimi con coloro con cui non si


deve o dove non si deve o quando non si deve: infatti de-
rivano da incontinenza. E il trarre profitto da cose mise-
rabili o turpi o da chi è ridotto all’impotenza, ad esempio
dai poveri o dai morti, donde anche il proverbio «portar
via da un morto»115: infatti deriva da una spudorata sete di
guadagno e da bassezza. E il non aiutare materialmente, 25

quando se ne ha la possibilità, o il prestare aiuto meno


di quanto si potrebbe, e farsi aiutare da chi ha minore
disponibilità di risorse, e chiedere un prestito quando
qualcuno sembra chiederlo a noi, e chiedere un prestito
quando qualcuno domanda una restituzione, e chiedere
una restituzione quando qualcuno chiede un prestito, e il
lodare le cose per sembrare di chiederle, e il continuare
a farlo dopo che non si è riusciti a ottenerle: infatti tutte
queste cose sono segni di bassezza. Ed è vergognoso il lo- 30

dare i presenti, e, da un lato, il lodarne in eccesso i pregi,


dall’altro, minimizzarne untuosamente116 i difetti, e l’ad-
190 RETORICA II, 1383b 32 - 1384a 20

ajlgou'nti parovnta, kai; ta\lla pavnta o{sa toiau'ta: kolakeiva"


ga;r shmei'a. kai; to; mh; uJpomevnein povnou" ou}" oiJ presbuvteroi
1384a h] trufw'nte" h] ejn ejxousiva/ ma'llon o[nte" h] o{lw" oiJ ajdunatwv-
teroi: pavnta ga;r malakiva" shmei'a. kai; to; uJfΔ eJtevrou eu\
pavscein, kai; to; pollavki", kai; o} eu\ ejpoivhsen ojneidivzein:
mikroyuciva" ga;r pavnta kai; tapeinovthto" shmei'a. kai; to;
5 peri; auJtou' pavnta levgein kai; ejpaggevllesqai, kai; to; tajllovtria
auJtou' favskein: ajlazoneiva" gavr. oJmoivw" de; kai; ajpo; tw'n
a[llwn eJkavsth" tw'n tou' h[qou" kakiw'n ta; e[rga kai; ta; shmei'a
kai; ta; o{moia: aijscra; ga;r kai; ajnaivscunta. kai; ejpi; touvtoi" to; tw'n
kalw'n w|n pavnte" metevcousin, h] oiJ o{moioi pavnte" h] oiJ plei'stoi,
10 mh; metevcein < oJmoivou" de; levgw oJmoeqnei'", polivta", hJlikiwv-
ta", suggenei'", o{lw" tou;" ejx i[sou < aijscro;n ga;r h[dh to; mh;
metevcein oi|on paideuvsew" ejpi; tosou'ton, kai; tw'n a[llwn oJmoivw".
pavnta de; tau'ta ma'llon, a]n diΔ eJauto;n faivnhtai: ou{tw ga;r
h[dh ajpo; kakiva" ma'llon, a]n aujto;" h\/ ai[tio" tw'n uJparxavntwn
15 h] uJparcovntwn h] mellovntwn. pavsconte" de; h] peponqovte"
h] peisovmenoi ta; toiau'ta aijscuvnontai o{sa eij" ajtimivan fevrei
kai; ojneivdh: tau'ta dΔ ejsti; ta; eij" uJphrethvsei" h] swvmato" h]
e[rgwn aijscrw'n, w|n ejstin to; uJbrivzesqai. kai; ta; me;n eij" ajkola-
sivan kai; eJkovnta kai; a[konta, ta; dΔ eij" bivan a[konta: ajpo;
20 ajnandriva" ga;r h] deiliva" hJ uJpomonh; kai; to; mh; ajmuvnesqai.
6. LA VERGOGNA E L’IMPUDENZA 191

dolorarsi in eccesso per chi si duole delle sue attuali con-


dizioni e tutte le altre cose del genere, perché sono segni
di adulazione. E il non sopportare fatiche che gli anziani,
o quelli che vivono negli agi o che sono in condizione di 1384a
maggiore abbondanza di risorse oppure, in genere, i più
deboli sopportano: tutte cose che sono segni di mollezza.
E ricevere il bene da un altro e il riceverlo spesso, e il rin-
facciare il bene che si era fatto poiché sono tutti segni di
piccolezza d’animo e di bassezza. E dire e professare ogni 5

cosa di se stessi, e dichiarare come proprie le cose altrui,


poiché è segno di millanteria; e allo stesso modo, opere,
segni e cose simili derivano da altri difetti caratteriali di
ciascuno poiché sono cose disonorevoli e senza pudore.
Ed è vergognoso non essere partecipe di ciò che è bello,
di cui tutti – o tutti coloro che sono simili, o la maggior
parte – partecipano (dico simili quelli che appartengono 10

a una stessa etnia, concittadini, coetanei, parenti, in ge-


nere quelli provenienti da pari condizione), poiché è già
vergognoso il non partecipare, ad esempio, a un processo
educativo dello stesso livello, e lo stesso dicasi delle altre
cose. E tutte queste cose sono ancora più disonorevoli se
appaiono causate dal soggetto stesso, perché in questo
modo sono a maggior ragione imputabile a un vizio dal
momento che è il soggetto ad essere motivo di colpe pas-
sate, presenti e future. 15

Provano vergogna coloro che subiscono o coloro che


hanno subito o coloro che subiranno cose siffatte, tutte
quelle che conducono al disonore e al biasimo; tali sono
quelle che comportano asservimenti del corpo o ad azio-
ni disonorevoli, tra cui subire un oltraggio. Inoltre fa
provare vergogna, da un lato, ciò che, volente o nolente,
induce a intemperanza, dall’altro, ciò che in assenza di
volontà porta alla costrizione, in quanto sopportare senza 20

difendersi deriva da mancanza di ardimento o da viltà.


192 RETORICA II, 1384a 21 - b 8

a} me;n ou\n aijscuvnontai, tau'tΔ ejsti; kai; ta; toiau'ta: ejpei;


de; peri; ajdoxiva" fantasiva ejsti;n hJ aijscuvnh, kai; tauvth"
aujth'" cavrin ajlla; mh; tw'n ajpobainovntwn, oujdei;" de; th'" dovxh"
frontivzei ajllΔ h] dia; tou;" doxavzonta", ajnavgkh touvtou"
25 aijscuvnesqai w|n lovgon e[cei: lovgon de; e[cei tw'n qaumazovntwn,
kai; ou}" qaumavzei, kai; uJfΔ w|n bouvletai qaumavzesqai, kai;
pro;" ou}" ILlotimei'tai, kai; w|n mh; katafronei' th'" dovxh":
qaumavzesqai me;n ou\n bouvlontai uJpo; touvtwn kai; qaumavzousi
touvtou" o{soi ti e[cousin ajgaqo;n tw'n timivwn, h] parΔ w|n tugcav-
30 nousin deovmenoi sfovdra tino;" w|n ejkei'noi kuvrioi, oi|on oiJ
ejrw'nte": ILlotimou'ntai de; pro;" tou;" oJmoivou": frontivzousi dΔ
wJ" ajlhqeuovntwn tw'n fronivmwn, toiou'toi dΔ oi{ te presbuvteroi
kai; oiJ pepaideumevnoi. kai; ta; ejn ojfqalmoi'" kai; ta; ejn fanerw'/
ma'llon (o{qen kai; hJ paroimiva to; ejn ojfqalmoi'" ei\nai aijdw'): dia;
35 tou'to tou;" ajei; paresomevnou" ma'llon aijscuvnontai kai; tou;"
1384b prosevconta" aujtoi'", dia; to; ejn ojfqalmoi'" ajmfovtera. kai; tou;"
mh; peri; taujta; ejnovcou": dh'lon ga;r o{ti tajnantiva dokei' touvtoi".
kai; tou;" mh; suggnwmonikou;" toi'" fainomevnoi" aJmartavnein: a}
gavr ti" aujto;" poiei', tau'ta levgetai toi'" pevla" ouj nemesa'n,
5 w{ste a} mh; poiei', dh'lon o{ti nemesa'/. kai; tou;" ejxaggeltikou;"
polloi'": oujde;n ga;r diafevrei mh; dokei'n h] mh; ejxaggevllein:
ejxaggeltikoi; de; oi{ te hjdikhmevnoi, dia; to; parathrei'n, kai; oiJ
kakolovgoi: ei[per ga;r kai; tou;" mh; aJmartavnonta", e[ti ma'llon
6. LA VERGOGNA E L’IMPUDENZA 193

Tali, dunque, e di tal genere sono le cose di cui ver-


gognarsi; e poiché la vergogna è la rappresentazione di
una cattiva fama – che si prova, inoltre, in virtù di tale
rappresentazione, ma non di ciò che ne consegue – e nes-
suno si cura della reputazione se non a causa di coloro
che la danno, necessariamente ci si vergogna di chi si ha 25

in considerazione.
E le persone hanno considerazione di coloro che li
ammirano, di quelli che essi ammirano, di coloro dai
quali vogliono essere ammirati, di quelli con cui si è
in competizione e di coloro di cui si rispetta il parere.
Dunque, si ammirano e si vuol essere ammirati da tut-
ti quelli che hanno un qualche bene di prestigio, op-
pure da che è fortemente bisognoso di ciò di cui sono 30

padroni gli altri, come nel caso degli amanti. E si è in


competizione tra simili. E si danno pensiero dei saggi
perché dicono il vero: tali sono gli anziani e gli uomini
di cultura. E le persone si vergognano maggiormente di
ciò che è «negli occhi» e soprattutto di ciò che è in evi-
denza (da cui il proverbio: «la vergogna è negli occhi»);
per questo procurano maggior discredito quelli che sa- 35

ranno sempre presenti e quelli che tengono d’occhio, 1384b


perché entrambi i casi sono «sotto gli occhi». E le per-
sone provano vergogna di fronte a chi, in queste stesse
situazioni, non è in difetto: è chiaro infatti che questi
è di opinione opposta alla loro. E con coloro che non
sono indulgenti con chi mostra di sbagliare: infatti, si
dice, che un uomo non si indigna con chi gli sta accanto
per ciò che egli stesso fa, di conseguenza, è chiaro che si 5

indigna per ciò che non fa. E si prova vergogna con chi
tende a riferire a tanti (non vi è infatti alcuna differenza
tra non screditare e non riferire); inclini a riferire sono
coloro che hanno subito un’ingiustizia, perché osserva-
no con attenzione, e i maldicenti: infatti se sparlano di
194 RETORICA II, 1384b 9-30

tou;" aJmartavnonta". kai; oi|" hJ diatribh; ejpi; tai'" tw'n pevla"


10 aJmartivai", oi|on cleuastai'" kai; kwmw/dopoioi'": kakolovgoi gavr
pw" ou|toi kai; ejxaggeltikoiv. kai; ejn oi|" mhde;n ajpotetuchv-
kasin: w{sper ga;r qaumazovmenoi diavkeintai: dio; kai; tou;"
prw'ton dehqevnta" ti aijscuvnontai wJ" oujdevn pw hjdoxhkovte"
ejn aujtoi'": toiou'toi de; oiJ a[rti boulovmenoi ILvloi ei\nai (ta; ga;r
15 bevltista teqevantai: dio; eu\ e[cei hJ tou' Eujripivdou ajpovkrisi"
pro;" tou;" Surakosivou~), kai; tw'n pavlai gnwrivmwn oiJ mhde;n
suneidovte". aijscuvnontai de; ouj movnon aujta; ta; rJhqevnta
aijscunthla; ajlla; kai; ta; shmei'a, oi|on ouj movnon ajfrodisiav-
zonte" ajlla; kai; ta; shmei'a aujtou', kai; ouj movnon poiou'nte"
20 ta; aijscrav, ajlla; kai; levgonte". oJmoivw" de; ouj tou;" eijrhmevnou"
movnon aijscuvnontai, ajlla; kai; tou;" dhlwvsonta" aujtoi'", oi|on
qeravponta" kai; ILvlou" touvtwn. o{lw" de; oujk aijscuvnontai
ou[qΔ w|n polu; katafronou's i th'" dovxh" tou' ajlhqeuvein (oujdei;"
ga;r paidiva kai; qhriva aijscuvnetai), ou[te taujta; tou;" gnwrivmou"
25 kai; tou;" ajgnw'ta", ajlla; tou;" me;n gnwrivmou" ta; pro;" ajlhvqeian
dokou'nta tou;" dΔ a[pwqen ta; pro;" to;n novmon.
aujtoi; de; w|de diakeivmenoi aijscunqei'en a[n, prw'ton me;n eij
uJpavrcoien pro;" aujtou;" e[conte" ou{tw" tine;" oi{ou" e[famen
ei\nai ou}" aijscuvnontai. h\san dΔ ou|toi h] ãoiJÃ qaumazovmenoi h]
30 qaumavzonte" h] uJfΔ w|n bouvlontai qaumavzesqai, h] w|n devontaiv
6. LA VERGOGNA E L’IMPUDENZA 195

coloro che non sbagliano, a maggior ragione sparlano di


chi sbaglia. E con chi passa il tempo sugli errori dei vi-
cini, come succede con chi deride e con i poeti comici: 10

infatti i maldicenti sono come costoro e buoni a spette-


golare. E si prova vergogna di fronte a coloro con cui non
si è mai subìto insuccesso: infatti sono in una condizione
simile a chi è ammirato; per questo ci si vergogna anche
con chi ha chiesto qualcosa per la prima volta, in quanto
nei loro riguardi non si ha ancora una cattiva reputazio-
ne: tali sono coloro che desiderano essere nostri amici da
poco tempo (infatti hanno visto le cose migliori; pertan- 15

to è appropriata la risposta di Euripide ai Siracusani)117


e, tra le vecchie conoscenze, chi non è venuto a sapere
nulla di male. Si prova vergogna non solo di quelle cose
vergognose che si sono dette, ma anche dei loro segni,
ad esempio: non solo del fare atti erotici ma anche dei
suoi segni, e non solo di quelli che fanno cose turpi, ma 20

anche di quelli che le dicono. Allo stesso modo, si prova


vergogna non solo delle persone di cui si è parlato, ma
anche di quelle a cui verranno rivelate, ad esempio ci si
vergogna di chi presta servizio presso di loro o dei loro
amici. In generale, non si prova vergogna delle persone
di cui abbiamo scarsa considerazione circa l’attendibilità
del loro parere (nessuno infatti si vergogna di bambini
e animali), né ci si vergogna per le stesse cose di fronte
a persone note o a quelle sconosciute, ma si ha pudore, 25

dinnanzi a chi conosciamo, per ciò che si reputa realmen-


te vergognoso, mentre, di fronte ad estranei, per ciò che
riguarda le convenzioni sociali.
Gli uomini si possono vergognare quando si trovano
in tali stati d’animo: innanzitutto, se fossero disposti con
se stessi come lo si è di fronte a certe persone che, diceva-
mo, sono quelle con le quali provano vergogna. Tali per-
sone erano quelle che o si ammirano o che ammirano o 30
196 RETORICA II, 1384b 31 - 1385a 15

tina creivan h|" mh; teuvxontai a[doxoi o[nte", kai; ou|toi h]


oJrw'nte" (w{sper Kudiva" peri; th'" Savmou klhrouciva" ejdhmhgov-
rhsen: hjxivou ga;r uJpolabei'n tou;" ΔAqhnaivou" periestavnai
kuvklw/ tou;" ”Ellhna", wJ" oJrw'nta" kai; mh; movnon ajkousomevnou"
35 a} a]n yhILvswntai), h] a]n plhsivon w\s in oiJ toiou'toi, h] mevllwsin
aijsqhvsesqai: dio; kai; oJra'sqai ajtucou'nte" uJpo; tw'n zhlouvntwn
1385a pote; ouj bouvlontai: qaumastai; ga;r oiJ zhlwtaiv. kai; o{tan
e[cwsin a} kataiscuvnousin e[rga kai; pravgmata h] auJtw'n h] pro-
govnwn h] a[llwn tinw'n pro;" ou}" uJpavrcei aujtoi'" ajgcisteiva ti".
kai; o{lw" uJpe;r w|n aijscuvnontai aujtoiv: eijs i; dΔ ou|toi oiJ eijrhmev-
5 noi kai; oiJ eij" aujtou;" ajnaferovmenoi, h] w|n didavskaloi h]
suvmbouloi gegovnasin, h] eja;n w\s in e{teroi o{moioi pro;" ou}"
ILlotimou'ntai: polla; ga;r aijscunovmenoi dia; tou;" toiouvtou"
kai; poiou's i kai; ouj poiou's in. kai; mevllonte" oJra'sqai kai;
ejn fanerw'/ ajnastrevfesqai toi'" suneidovs in aijscunthloi;
10 ma'llon eijs ivn: o{qen kai; ΔAntifw'n oJ poihthv", mevllwn ajpotum-
panivzesqai uJpo; Dionusivou, ei\pen, ijdw;n tou;" sunapoqnhv/skein
mevllonta" ejgkaluptomevnou" wJ" h[/esan dia; tw'n pulw'n, “tiv
ejgkaluvptesqe…” e[fh: “h\ mh; au[riovn ti" uJma'" i[dh/ touvtwn…”
peri; me;n ou\n aijscuvnh" tau'ta: peri; de; ajnaiscuntiva" dh'lon
15 wJ" ejk tw'n ejnantivwn eujporhvsomen.
6. LA VERGOGNA E L’IMPUDENZA 197

dalle quali si vuole essere ammirati, o quelle a cui si chie-


de un qualche favore che non si otterrà se si è privi di sti-
ma, e queste persone non lo concederanno o perché sono
in condizione di osservarle (come sostenne in assemblea
Cidia, della cleruchia di Samo: infatti riteneva opportuno
che gli Ateniesi immaginassero i Greci in cerchio intorno
a loro, come se potessero vedere, e non solo ascoltare, le
cose che avrebbero votato), o perché sarebbero loro vici- 35

ne, o stiano per accorgersi di loro; per questo non si vuole


essere visti quando si è nella cattiva sorte da chi emula:
infatti gli emulatori sono ammiratori. E si prova vergogna 1385a
quando si hanno cose che infamano azioni e fatti o di noi
stessi o di nostri antenati o di altri in rapporto ai quali si
ha una qualche stretta relazione. E in genere in presenza
di quelle persone a causa delle quali si prova vergogna: e
queste sono quelle di cui si è detto, e che sono collegate 5

a loro, di cui sono state maestri o consiglieri, o, se ve ne


sono altre simili, con le quali sono entrate in competi-
zione: infatti, chi si vergogna per uomini del genere fa
e non fa tante cose. E quando stanno per essere visti e
circolano apertamente le loro mancanze provano ancora
più vergogna con chi lo viene a sapere; donde anche il 10

poeta Antifonte, essendo sul punto di essere torturato da


Dionigi, nel vedere coloro che erano condannati a morte
insieme a lui, mentre si accingevano a coprirsi attraver-
sando le porte della città, disse: «Perché vi coprite? For-
se perché domani qualcuno di costoro non vi veda?»118.
Gli argomenti riguardo la vergogna sono questi; mentre,
sull’impudenza, a partire da quelli opposti, è ovvio che 15

ne avremo in abbondanza.
198 RETORICA II, 1385a 16 - b 2

7. Tivs in de; cavrin e[cousi kai; ejpi; tivs in kai; pw'" aujtoi; e[conte",
oJrisamevnoi" th;n cavrin dh'lon e[stai. e[stw dh; cavri", kaqΔ h}n oJ
e[cwn levgetai cavrin e[cein, uJpourgiva tw'/ deomevnw/ mh; ajntiv tino",
mhdΔ i{na ti aujtw'/ tw'/ uJpourgou'nti ajllΔ i{na ti ejkeivnw/: megavlh de;
20 a]n h\/ sfovdra deovmeno", h] megavlwn kai; calepw'n, h] ejn kairoi'"
toiouvtoi", h] movno" h] prw'to" h] mavlista. dehvsei" dev eijs in aiJ
ojrevxei", kai; touvtwn mavlista aiJ meta; luvph" tou' mh; gignomev-
nou. toiau'tai de; aiJ ejpiqumivai, oi|on e[rw", kai; aiJ ejn tai'" tou'
swvmato" kakwvsesin kai; ejn kinduvnoi": kai; ga;r oJ kinduneuvwn
25 ejpiqumei' kai; oJ lupouvmeno": dio; oiJ ejn peniva/ paristavmenoi kai;
fugai'", ka]n mikra; uJphrethvswsin, dia; to; mevgeqo" th'" dehvsew"
kai; to;n kairo;n kecarismevnoi, oi|on oJ ejn Lukeivw/ to;n formo;n
douv". ajnavgkh ou\n mavlista me;n eij" taujta; e[cein th;n uJpour-
givan, eij de; mhv, eij" i[sa h] meivzw: w{ste ejpei; fanero;n kai; oi|"
30 kai; ejfΔ oi|" givgnetai cavri" kai; pw'" e[cousi, dh'lon o{ti ejk
touvtwn paraskeuastevon, tou;" me;n deiknuvnta" h] o[nta" h]
gegenhmevnou" ejn toiauvth/ luvph/ kai; dehvsei, tou;" de; uJphreth-
kovta" ejn toiauvth/ creiva/ toiou'tovn ti h] uJphretou'nta". fane-
ro;n de; kai; o{qen ajfairei'sqai ejndevcetai th;n cavrin kai; poiei'n
1385b ajcarivstou": h] ga;r o{ti auJtw'n e{neka uJphretou's in h] uJphrevth-
san (tou'to dΔ oujk h\n cavri~), h] o{ti ajpo; tuvch" sunevpesen h]
7. IL FAVORE 199

7. Il favore

Per quali persone gli uomini provino un sentimento


di favore e per quali motivi e con quale stato d’animo,
sarà chiaro dopo aver definito «il favore». Sia quindi «il
favore» ciò per cui chi lo possiede si dice che provi un
sentimento di favore, un servizio reso a chi ha bisogno
non in cambio di qualcosa, né perché qualcosa torni a
chi dà aiuto, ma perché abbia qualcosa chi lo riceve; in-
vero grande è il favore se si rivolge a persona che ha tanto 20

bisogno, o che ha bisogno di cose grandi e difficili o in


circostanze grandi e difficili, o se chi lo concede è solo,
o è il primo, o è al massimo delle sue possibilità. Sono
bisogni le appetizioni, e di queste soprattutto quelle che
si accompagnano al dolore di ciò che non si realizza. Tali
sono i desideri, come l’amore e quelli che sorgono nelle
sofferenze fisiche e nei pericoli: e infatti desidera chi è
in pericolo e chi prova dolore; per questo gli uomini che 25

assistono nella povertà e negli esili, anche se i servigi resi


sono piccoli, sono graditi a causa della gravità del bisogno
e della circostanza, ad esempio «colui che diede il cesto
a chi era in Liceo»119. Dunque è necessario che il servizio
sia reso soprattutto in queste stesse situazioni, altrimenti
in quelle di uguale o maggiore gravità. Di conseguenza,
dal momento che è evidente anche per chi e in quali casi
e in che stato d’animo si origini un sentimento di favore, 30

è chiaro che si deve preparare l’uditorio a partire da tali


considerazioni, mostrando gli uni che sono o che si sono
trovati in un tale stato di sofferenza e bisogno, gli altri
che hanno reso o che rendono un tale servizio in siffatte
necessità. È evidente anche per quale via è possibile eli-
minare il favore e rendere sfavoriti: si può mostrare infatti 1385b
che o si rende o è stato reso un servizio per interesse (que-
sto, si è detto, non è un favore), o che ci si è imbattuti per
200 RETORICA II, 1385b 3-20

sunhnagkavsqhsan, h] o{ti ajpevdwkan ajllΔ oujk e[dwkan, ei[te


eijdovte" ei[te mhv: ajmfotevrw" ga;r to; ajntiv tino", w{ste oujdΔ
5 ou{tw" a]n ei[h cavri". kai; peri; aJpavsa" ta;" kathgoriva" ske-
ptevon: hJ ga;r cavri" ejsti;n h] o{ti todi; h] tosovnde h] toiovnde h]
povte h] pou'. shmei'on de; eij e[latton mh; uJphrevthsan, kai; eij
toi'" ejcqroi'" h] taujta; h] i[sa h] meivzw: dh'lon ga;r o{ti oujde;
tau'ta hJmw'n e{neka. h] eij fau'la eijdwv": oujdei;" ga;r oJmologei'
10 dei'sqai fauvlwn.

8. Kai; peri; me;n tou' carivzesqai kai; ajcaristei'n ei[rhtai: poi'a


dΔ ejleeina; kai; tivna" ejleou's i, kai; pw'" aujtoi; e[conte", levgwmen.
e[stw dh; e[leo" luvph ti" ejpi; fainomevnw/ kakw'/ fqartikw'/ h]
luphrw'/ tou' ajnaxivou tugcavnein, o} ka]n aujto;" prosdokhvseien
15 a]n paqei'n h] tw'n auJtou' tina, kai; tou'to o{tan plhsivon faivnh-
tai: dh'lon ga;r o{ti ajnavgkh to;n mevllonta ejlehvsein uJpavrcein
toiou'ton oi|on oi[esqai paqei'n a[n ti kako;n h] aujto;n h] tw'n
auJtou' tina, kai; toiou'to kako;n oi|on ei[rhtai ejn tw'/ o{rw/ h]
o{moion h] paraplhvs ion: dio; ou[te oiJ pantelw'" ajpolwlovte"
20 ejleou's in (oujde;n ga;r a]n e[ti paqei'n oi[ontai: pepovnqasi gavr),
8. LA COMPASSIONE 201

caso o che si sia stati obbligati, o che si sia restituito, ma


non offerto, sia consapevolmente sia inconsapevolmente:
in entrambi i casi infatti qualcosa è in cambio di qualco-
sa, di conseguenza non è in questo modo che potrebbe 5

esservi un favore. E deve essere esaminata nell’ambito di


tutte quante le categorie. Infatti vi è favore o perché esi-
ste come sostanza o come quantità o qualità o in un tem-
po o in un luogo. E vi è segno di assenza di favore se non
hanno reso neppure un piccolo servizio, e se hanno reso
le stesse cose, o di uguale o di maggiore quantità, ai no-
stri nemici: è chiaro infatti che nessuna di tali cose è nel
nostro interesse. Oppure se lo hanno reso sapendo che si
trattava di cose di poco conto: nessuno infatti riconosce
di aver bisogno di cose di poco conto. 10

8. La compassione

Anche riguardo il favorire e il non favorire si è detto. Di-


ciamo adesso quali situazioni suscitino pietà, per chi si ha
compassione e con quale quale stato d’animo. Si defini-
sca «pietà» una certa sofferenza per un male palesemente
distruttivo o doloroso che capita a chi non lo merita, un
male che anche noi potremmo aspettarci di subire o che
lo possa subire qualcuno dei nostri cari, e questo quando 15

sembra prossimo ad accadere: è chiaro infatti che pro-


verà compassione necessariamente chi sta per diventare
quel tipo di persona che pensa di poter subire un qual-
che male o per se stessa o per uno dei suoi, e che questo
male sia come si è detto nella definizione, o simile o più
o meno della stessa entità. Perciò né chi è caduto com-
pletamente in rovina prova compassione (pensa infatti di 20

non avere più nulla per cui provare dolore, poiché ha già
subito tutto il possibile), né quelli che si ritengono oltre-
202 RETORICA II, 1385b 21 - 1386a 9

ou[te oiJ uJpereudaimonei'n oijovmenoi, ajllΔ uJbrivzousin: eij ga;r


a{panta oi[ontai uJpavrcein tajgaqav, dh'lon o{ti kai; to; mh; ejn-
devcesqai paqei'n mhde;n kakovn: kai; ga;r tou'to tw'n ajgaqw'n. eij-
si; de; toiou'toi oi|oi nomivzein paqei'n a[n, oi{ te peponqovte" h[dh
25 kai; diapefeugovte", kai; oiJ presbuvteroi kai; dia; to; fronei'n kai;
diΔ ejmpeirivan, kai; oiJ ajsqenei'", kai; oiJ deilovteroi ma'llon, kai;
oiJ pepaideumevnoi: eujlovgistoi gavr. kai; oi|" uJpavrcousi gonei'"
h] tevkna h] gunai'ke": aujtou' te ga;r tau'ta, kai; oi|a paqei'n ta;
eijrhmevna. kai; oiJ mhvte ejn ajndreiva" pavqei o[nte", oi|on ejn ojrgh'/
30 h] qavrrei (ajlovgista ga;r tou' ejsomevnou tau'ta), mhvte ejn uJbri-
stikh'/ diaqevsei (kai; ga;r ou|toi ajlovgistoi tou' peivsesqaiv ti), ajllΔ
oiJ metaxu; touvtwn, mhvtΔ au\ fobouvmenoi sfovdra: ouj ga;r ejleou'-
sin oiJ ejkpeplhgmevnoi, dia; to; ei\nai pro;" tw'/ oijkeivw/ pavqei.
ka]n oi[wntaiv tina" ei\nai tw'n ejpieikw'n: oJ ga;r mhdevna oijovmeno"
1386a pavnta" oijhvsetai ajxivou" ei\nai kakou'. kai; o{lw" dh; o{tan e[ch/
ou{tw" w{stΔ ajnamnhsqh'nai toiau'ta sumbebhkovta h] auJtw'/ h[ ãtw/Ã
tw'n auJtou', h] ejlpivsai genevsqai auJtw'/ h[ tw/ tw'n auJtou'.
wJ" me;n ou\n e[conte" ejleou's in ei[rhtai, a} dΔ ejleou's in ejk
5 tou' oJrismou' dh'lon: o{sa te ga;r tw'n luphrw'n kai; ojdunhrw'n
fqartikav, pavnta ejleeinav, kai; o{sa ajnairetikav, kai; o{swn hJ
tuvch aijtiva kakw'n mevgeqo" ejcovntwn. e[sti de; ojdunhra; me;n kai;
fqartika; qavnatoi kai; aijkivai swmavtwn kai; kakwvsei" kai; gh'ra"
kai; novsoi kai; trofh'" e[ndeia, w|n dΔ hJ tuvch aijtiva kakw'n
8. LA COMPASSIONE 203

modo fortunati, anzi sono tracotanti; se infatti ritengono


di possedere ogni bene, è chiaro pure che non è possibile
patire alcunché di male, dal momento che anche questo
fa parte dei beni. Sono tali da pensare di poter subire dei
mali: quelli che ne hanno già sofferto e chi ne è sfuggito, 25

gli anziani per assennatezza ed esperienza, i deboli, quelli


in maggior misura più timorosi, le persone colte perché
sanno pensare con prudenza; inoltre quelle che hanno
genitori o figli o mogli: giacché queste appartengono loro
e possono patire quanto si è detto; e quelli che non si tro-
vano nella condizione emotiva del coraggio, come nell’i-
ra o nella temerarietà (tali affezioni non tengono infatti 30

conto delle conseguenze), né in una disposizione incline


all’arroganza (infatti anche queste persone non tengono
conto di poter patire qualcosa). Di contro provano com-
passione quelli che si trovano nella via di mezzo, e coloro
che, a loro volta, non hanno eccessivamente paura: infat-
ti non prova compassione chi se ne è lasciato travolgere
preso dalla propria affezione. E si prova compassione se
si pensa che vi siano delle brave persone: infatti chi pensa
che non ve ne sia nessuna riterrà che tutti siano degni di
male. E, in genere, si prova compassione quando si sta 1386a
in una disposizione tale da ricordarsi che quel genere di
mali sono già capitati a noi o a uno dei nostri, o tale da
supporre che capitino a noi o a uno dei nostri.
Si è detto, dunque, con quale stato d’animo si provi
compassione, dalla definizione invece risulteranno chia-
re quali cose la suscitino: infatti sono capaci di muovere 5

a compassione, tra cose dolorose e penose, tutte quante


quelle che sono atte a distruggere, quelle che hanno na-
tura rovinosa e quei mali fortuiti che hanno grave entità.
Sono mali penosi e distruttivi: morti e sevizie corporali,
maltrattamenti e vecchiaia, malattie e mancanza di cibo;
invece la sorte è causa dei mali come mancanza di amici,
204 RETORICA II, 1386a 10-32

10 ajILliva, ojligoILliva (dio; kai; to; diaspa'sqai ajpo; ILvlwn kai;


sunhvqwn ejleeinovn), ai\sco", ajsqevneia, ajnaphriva, kai; to; o{qen
prosh'ken ajgaqovn ti uJpavrxai kakovn ti sumbh'nai, kai; to;
pollavki" toiou'ton, kai; to; peponqovto" genevsqai ti ajgaqovn,
oi|on Diopeivqei ta; para; basilevw" teqnew'ti katepevmfqh,
15 kai; to; h] mhde;n gegenh'sqai ajgaqo;n h] genomevnwn mh; ei\nai
ajpovlausin.
ejfΔ oi|" me;n ou\n ejleou's i, tau'ta kai; ta; toiau'tav ejstin:
ejleou's i de; touv" te gnwrivmou", a]n mh; sfovdra ejggu;" w\s in
oijkeiovthti (peri; de; touvtou" w{sper peri; auJtou;" mevllonta"
20 e[cousin: dio; kai; oJ ΔAmavs io" ejpi; me;n tw'/ uiJei' ajgomevnw/ ejpi; to;
ajpoqanei'n oujk ejdavkrusen, wJ" fasivn, ejpi; de; tw'/ ILvlw/ pro"-
aitou'nti: tou'to me;n ga;r ejleeinovn, ejkei'no de; deinovn: to; ga;r deino;n
e{teron tou' ejleeinou' kai; ejkkroustiko;n tou' ejlevou kai; pollavki"
tw'/ ejnantivw/ crhvs imon: ãouj ga;rà e[ti ejleou's in ejggu;" aujtoi'" tou'
25 deinou' o[nto~), kai; tou;" oJmoivou" ejleou's in kata; hJlikivan, kata;
h[qh, kata; e{xei", kata; ajxiwvmata, kata; gevnh: ejn pa's i ga;r
touvtoi" ma'llon faivnetai kai; aujtw'/ a]n uJpavrxai: o{lw" ga;r kai;
ejntau'qa dei' labei'n o{ti o{sa ejfΔ auJtw'n fobou'ntai, tau'ta ejpΔ
a[llwn gignovmena ejleou's in. ejpei; dΔ ejggu;" fainovmena ta; pavqh
30 ejleeinav ejstin, ta; de; muriosto;n e[to" genovmena h] ejsovmena
ou[te ejlpivzonte" ou[te memnhmevnoi h] o{lw" oujk ejleou's in h] oujc
oJmoivw", ajnavgkh tou;" sunapergazomevnou" schvmasi kai; fwnai'"
8. LA COMPASSIONE 205

esiguità del loro numero (per questo l’essere strappati da 10

amici e familiari è cosa che suscita compassione), bruttez-


za, debolezza, zoppìa, un male che sopraggiunge lì dove
ci si aspetta che vi sia un bene, il fatto che una cosa del
genere accada tante volte, che un bene sia capitato dopo
aver subito il male, come a Diopite120, che era già morto,
quando gli erano stati recapitati i doni da parte del re,
e che o non sia capitato alcun bene o che non se ne sia 15

goduto di quelli che sono capitati.


Dunque sono queste e quelle come queste le cose per
le quali si prova compassione. Si prova compassione per
chi si conosce, se non sia troppo vicino per parentela e
nei suoi riguardi ci si dispone come se dovessimo patire
noi stessi: pure per questo motivo, Amasi non pianse per 20

il figlio condotto a morte, come dicono, ma si commos-


se per l’amico che chiedeva l’elemosina121: infatti questo
caso è da compatire, quell’altro invece è terribile. Il «ter-
ribile», in effetti, è diverso del «pietoso», tende a esclu-
dere la compassione, ed è spesso utile a determinare uno
stato d’animo opposto, poiché non si prova compassio-
ne quando è ancora vicino ciò che è terribile. E si prova 25

compassione per quelli che sono simili per età, costume,


disposizione acquisita, dignità, stirpe; in tutte queste per-
sone, appunto, si manifesta più chiaramente il fatto che
qualcosa di brutto possa capitare anche a loro: in genere
infatti, si deve anche qui pensare che ciò che gli uomini
temono per loro stessi, quando succede ad altri, suscita
compassione. Poiché ciò che muove a pietà è quanto si 30

mostra prossimo alle sofferenze, le cose accadute o che


accadranno a distanza di diecimila anni, poiché né si
aspettano né si ricordano, o non suscitano del tutto com-
passione o non la suscitano nella stessa misura, necessa-
riamente coloro che contribuiscono all’effetto del discor-
so con gesti, voci, abiti e, in genere, con la recitazione
206 RETORICA II, 1386a 33 - b 19

kai; ejsqh's i kai; o{lw" uJpokrivsei ejleeinotevrou" ei\nai (ejggu;"


ga;r poiou's i faivnesqai to; kakovn, pro; ojmmavtwn poiou'nte" h]
35 wJ" mevllonta h] wJ" gegonovta: kai; ta; gegonovta a[rti h] mevllonta
1386b dia; tacevwn ejleeinovtera), ãkai;Ã dia; tou'to kai; ta; shmei'a, oi|on
ejsqh'tav" te tw'n peponqovtwn kai; o{sa toiau'ta, kai; ta;"
pravxei" kai; lovgou" kai; o{sa a[lla tw'n ejn tw'/ pavqei o[ntwn,
oi|on h[dh teleutwvntwn. kai; mavlista to; spoudaivou" ei\nai ejn
5 toi'" toiouvtoi" kairoi'" o[nta" ejleeinovn: a{panta ga;r tau'ta dia;
to; ejggu;" faivnesqai ma'llon poiei' to;n e[leon, kai; wJ" ajnaxivou
o[nto" kai; ejn ojfqalmoi'" fainomevnou tou' pavqou".

9. ΔAntivkeitai de; tw'/ ejleei'n mavlista me;n o} kalou's i nemesa'n:


tw'/ ga;r lupei'sqai ejpi; tai'" ajnaxivai" kakopragivai" ajnti-
10 keivmenovn ejsti trovpon tina; kai; ajpo; tou' aujtou' h[qou" to; lupei'-
sqai ejpi; tai'" ajnaxivai" eujpragivai". kai; a[mfw ta; pavqh h[qou"
crhstou': dei' ga;r ejpi; me;n toi'" ajnaxivw" pravttousi kakw'"
sunavcqesqai kai; ejleei'n, toi'" de; eu\ nemesa'n: a[dikon ga;r to;
para; th;n ajxivan gignovmenon: dio; kai; toi'" qeoi'" ajpodivdomen to;
15 nemesa'n.
dovxeie dΔ a]n kai; oJ fqovno" tw'/ ejleei'n to;n aujto;n
ajntikei'sqai trovpon, wJ" suvneggu" w]n kai; taujto;n tw'/ nemesa'n,
e[sti dΔ e{teron: luvph me;n ga;r taracwvdh" kai; oJ fqovno" ejsti;n
kai; ejpi; eujpragiva/, ajllΔ ouj tou' ajnaxivou ajlla; tou' i[sou kai;
9. LO SDEGNO 207

risultano maggiormente in grado di suscitare compassio-


ne (infatti fanno apparire più vicino il male, rappresen-
tando davanti agli occhi i fatti o come imminenti o come 35

già accaduti; e le cose accadute da poco, o che stanno per


accadere, suscitano con rapidità maggiore compassione). 1386b
Per questo motivo anche i segni suscitano compassione,
ad esempio vestiti e tutto ciò di chi ha sofferto, azioni,
discorsi e quant’altro di chi è in condizione di patimen-
to, ad esempio di chi sta per morire. E soprattutto fanno
pena le brave persone che si trovano in tali circostanze: 5

tutte queste cose, infatti, con il sembrarci vicine produ-


cono in maggior misura un sentimento di pietà, sia per-
ché c’è chi non se lo è meritato sia perché la sofferenza si
mostra ai nostri occhi.

9. Lo sdegno

All’avere compassione si contrappone soprattutto ciò che


chiamano «sdegnarsi»: infatti all’essere addolorati per
disavventure immeritate si oppone – e in qualche modo 10

deriva pure dallo stesso carattere – l’essere addolorati per


attività di successo immeritate. E tutt’e due le emozioni
sono proprie del carattere nobile: infatti si deve prendere
parte al dolore e provare compassione per chi immerita-
tamente non ha successo, mentre ci si deve indignare per
chi è immeritatamente fortunato: infatti ciò che si realizza
a discapito del merito è ingiusto; per questo anche agli
dei è stato messo in conto lo sdegnarsi. 15

Anche l’invidia potrebbe sembrare, allo stesso modo,


contrapposta al provare compassione, in quanto vicina
o identica allo sdegnarsi, invece è un’altra cosa, perché
anche l’invidia è una sofferenza che inquieta l’animo e
riguarda il successo, ma non di chi non lo merita, bensì
208 RETORICA II, 1386b 20 - 1387a 9

20 oJmoivou. to; de; mh; o{ti aujtw'/ ti sumbhvsetai e{teron, ajlla; diΔ
aujto;n to;n plhsivon, a{pasin oJmoivw" dei' uJpavrcein: ouj ga;r e[ti
e[stai to; me;n fqovno", to; de; nevmesi", ajlla; fovbo", eja;n dia;
tou'to hJ luvph uJpavrch/ kai; hJ tarachv, o{ti aujtw'/ ti e[stai fau'lon
ajpo; th'" ejkeivnou eujpraxiva".
25 fanero;n dΔ o{ti ajkolouqhvsei kai;
ta; ejnantiva pavqh touvtoi": oJ me;n ga;r lupouvmeno" ejpi; toi'"
ajnaxivw" kakopragou's in hJsqhvsetai h] a[lupo" e[stai ejpi; toi'"
ejnantivw" kakopragou's in, oi|on tou;" patraloiva" kai; miai-
fovnou", o{tan tuvcwsi timwriva", oujdei;" a]n luphqeivh crhstov":
30 dei' ga;r caivrein ejpi; toi'" toiouvtoi", wJ" dΔ au[tw" kai; ejpi; toi'"
eu\ pravttousi katΔ ajxivan: a[mfw ga;r divkaia, kai; poiei' caivrein
to;n ejpieikh': ajnavgkh ga;r ejlpivzein uJpavrxai a]n a{per tw'/ oJmoivw/,
kai; auJtw'/. kai; e[stin tou' aujtou' h[qou" a{panta tau'ta, ta; dΔ
ejnantiva tou' ejnantivou: oJ ga;r aujtov" ejstin ejpicairevkako" kai;
1387a fqonerov": ejfΔ w|/ gavr ti" lupei'tai gignomevnw/ kai; uJpavrconti,
ajnagkai'on tou'ton ejpi; th'/ sterhvsei kai; th'/ fqora'/ th'/ touvtou
caivrein: dio; kwlutika; me;n ejlevou pavnta tau'tΔ ejstiv, diafevrei
de; dia; ta;" eijrhmevna" aijtiva", w{ste pro;" to; mh; ejleeina; poiei'n
5 a{panta oJmoivw" crhvs ima.
prw'ton me;n ou\n peri; tou' nemesa'n levgwmen, tivs in te neme-
sw's i kai; ejpi; tivs i kai; pw'" e[conte" aujtoiv, ei\ta meta; tau'ta
peri; tw'n a[llwn. fanero;n dΔ ejk tw'n eijrhmevnwn: eij gavr ejsti to;
nemesa'n lupei'sqai ejpi; tw'/ fainomevnw/ ajnaxivw" eujpragei'n,
9. LO SDEGNO 209

di chi è pari e simile a loro. E deve parimenti appartenere 20

a tutte queste affezioni il fatto che si soffra, a causa però


del vicino stesso e non perché potrebbe capitarci qual-
cos’altro: infatti, se dolore e turbamento derivano dal fat-
to che qualcosa di brutto potrebbe succedere a noi dalla
fortuna del vicino, non sarà più questione, da un lato di
invidia, dall’altro di sdegno, ma di paura.
È evidente che seguiranno a cose di tal fatta anche le 25

passioni contrarie: infatti chi si addolora per chi cade im-


meritatamente in disgrazia avrà piacere, o non sarà addo-
lorato, per chi sfortunato lo è meritatamente, ad esempio,
nessun uomo valido potrebbe affliggersi se a parricidi e
sanguinari tocca ricevere la giusta punizione: ci si deve 30

infatti rallegrare di situazioni di questo tipo, come pure,


nella stessa maniera, di quelli che hanno meritato la loro
felice condizione: in entrambi i casi, infatti, sono cose
giuste, e fanno piacere alla brava persona, dal momento
che necessariamente si spera che tocchi anche a noi ciò
che accade a chi ci è simile. E tutte queste cose fanno
parte del medesimo carattere, quelle opposte invece del
carattere opposto: una stessa persona, infatti, è contenta
della sfortuna altrui e invidiosa, in quanto chi si addolora 1387a
per qualcosa di buono che succede e che appartiene a un
altro, necessariamente godrà se tale cosa verrà meno o
cadrà in rovina. Perciò tutte queste affezioni differiscono
per i motivi che si sono detti, ma sono idonee a inibire la
compassione: di conseguenza, per non rendere partecipi
di tale sentimento, sono tutte utili allo stesso modo. 5

Quindi, per prima cosa trattiamo dello «sdegnarsi»,


per quali persone si prova sdegno, in quali casi e con qua-
le stato d’animo, quindi dopo questi parleremo degli al-
tri argomenti. Da quanto si è detto la questione risulterà
evidente. Se infatti l’indignarsi consiste nel fatto che si è
sofferenti per ciò che si mostra come prosperità immeri-
210 RETORICA II, 1387a 10-31

10 prw'ton me;n dh'lon o{ti oujc oi|ovn tΔ ejpi; pa's i toi'" ajgaqoi'"
nemesa'n: ouj ga;r eij divkaio" h] ajndrei'o", h] eij ajreth;n lhvyetai,
nemeshvsei touvtw/ (oujde; ga;r e[leoi ejpi; toi'" ejnantivoi" touvtwn
eijs ivn), ajlla; ejpi; plouvtw/ kai; dunavmei kai; toi'" toiouvtoi", o{swn
wJ" aJplw'" eijpei'n a[xioiv eijs in oiJ ajgaqoi; kai; oiJ ta; fuvsei e[conte"
15 ajgaqav, oi|on eujgevneian kai; kavllo" kai; o{sa toiau'ta. ejpei; de;
to; ajrcai'on ejgguv" ti faivnetai tou' fuvsei, ajnavgkh toi'" taujto;
e[cousin ajgaqovn, eja;n newsti; e[conte" tugcavnwsi kai; dia; tou'to
eujpragw's i, ma'llon nemesa'n: ma'llon ga;r lupou's in oiJ newsti;
ploutou'nte" tw'n pavlai kai; dia; gevno": oJmoivw" de; kai; a[rconte"
20 kai; dunavmenoi kai; poluvILloi kai; eu[teknoi kai; oJtiou'n tw'n
toiouvtwn. kai; a]n dia; tau'ta a[llo ti ajgaqo;n givgnhtai aujtoi'",
wJsauvtw": kai; ga;r ejntau'qa ma'llon lupou's in oiJ neovploutoi
a[rconte" dia; to;n plou'ton h] oiJ ajrcaiovploutoi. oJmoivw" de; kai;
ejpi; tw'n a[llwn. ai[tion dΔ o{ti oiJ me;n dokou's i ta; auJtw'n e[cein
25 oiJ dΔ ou[: to; ga;r ajei; ou{tw fainovmenon e[cein ajlhqe;" dokei', w{ste
oiJ e{teroi ouj ta; auJtw'n e[cein. kai; ejpei; e{kaston tw'n ajgaqw'n ouj
tou' tucovnto" a[xion, ajllav ti" e[stin ajnalogiva kaiv ti aJrmovtton,
oi|on o{plwn kavllo" ouj tw'/ dikaivw/ aJrmovttei ajlla; tw'/ ajndreivw/,
kai; gavmoi diafevronte" ouj toi'" newsti; plousivoi" ajlla; toi'"
30 eujgenevs in: a]n ou\n ajgaqo;" w]n mh; tou' aJrmovttonto" tugcavnh/,
nemeshtovn. kai; ãto;Ã to;n h{ttw tw'/ kreivttoni ajmILsbhtei'n,
9. LO SDEGNO 211

tata, è chiaro innanzitutto che non è possibile sdegnarsi 10

per tutti i beni, in quanto se un uomo è giusto o coraggio-


so o se acquisterà virtù non si proverà sdegno per questo
(non a caso, neppure in situazioni opposte alle suddette
vi sono uomini compassionevoli), ma lo si proverà per
ricchezza, potere e cose del genere; per farla semplice,
non ci si indigna di quelle cose di cui sono meritevoli gli
uomini virtuosi e quelli che posseggono doni di natura, 15

come buona nascita, bellezza e cose del genere. Poiché


ciò che è antico sembra vicino a qualcosa che è per natu-
ra, necessariamente si prova maggiore indignazione con
coloro che sono in possesso di un bene dello stesso ge-
nere se si trovino a possederlo di recente e prosperino
per questo motivo: infatti si soffre di più per quelli che
si sono arricchiti da poco che per quelli che lo sono da
tempo e che sono ricchi di famiglia; lo stesso vale anche
per chi comanda e i potenti e per chi ha molti amici e 20

buona prole e qualsiasi altra cosa di questo genere. E se


attraverso queste cose arriva loro qualcos’altro di buono
è lo stesso: poiché pure in tal caso i nuovi ricchi, che co-
mandano attraverso il potere economico, infastidiscono
di più dei ricchi di antica data. Lo stesso dicasi anche per
le altre cose. La causa è che gli uni pensano di avere ciò
che gli spetta gli altri no: infatti si ritiene un vero posse- 25

dere ciò che risulta sempre in un modo, di conseguenza


sembra che gli altri non posseggano ciò che è loro, e poi-
ché non è giusto che ogni singolo bene sia del primo che
capita, ma che vi sia una certa corrispondenza e una qual-
che conformità, la bellezza delle armi, ad esempio, non si
confà all’uomo giusto ma al coraggioso, e i matrimoni che
si distinguono per il prestigio non sono cofacenti ai nuovi
ricchi ma a chi è nobile: se dunque un uomo di valore non 30

ha in sorte ciò che gli si addice, può esservi indignazione.


E provoca indignazione l’inferiore che si mette a dibat-
212 RETORICA II, 1387a 32 - b 21

mavlista me;n ou\n tou;" ejn tw'/ aujtw'/, o{qen kai; tou'tΔ ei[rhtai,
Ai[anto" dΔ ajleveine mavchn Telamwniavdao:
Zeu;" ga;r oiJ nemevsascΔ, o{tΔ ajmeivnoni fwti; mavcoito:
1387b eij de; mhv, ka]n oJpwsou'n oJ h{ttwn tw'/ kreivttoni, oi|on eij oJ
mousiko;" tw'/ dikaivw/: bevltion ga;r hJ dikaiosuvnh th'" mou-
sikh'".
oi|" me;n ou\n nemesw's i kai; dia; tiv, ejk touvtwn dh'lon: tau'ta
5 ga;r kai; ta; toiau'tav ejstin. aujtoi; de; nemeshtikoiv eijs in, eja;n
a[xioi tugcavnwsin o[nte" tw'n megivstwn ajgaqw'n kai; tau'ta
kekthmevnoi: to; ga;r tw'n oJmoivwn hjxiw'sqai tou;" mh; oJmoivou" ouj
divkaion. deuvteron dev, a]n o[nte" ajgaqoi; kai; spoudai'oi tugcav-
nwsin: krivnousiv te ga;r eu\, kai; ta; a[dika misou's i. kai; eja;n
10 ILlovtimoi kai; ojregovmenoiv tinwn pragmavtwn, kai; mavlistΔ ãa]nÃ
peri; tau'ta ILlovtimoi w\s in w|n e{teroi ajnavxioi o[nte" tugcavnousin.
kai; o{lw" oiJ ajxiou'nte" aujtoi; auJtou;" w|n eJtevrou" mh; ajxiou's i,
nemeshtikoi; touvtoi" kai; touvtwn: dio; kai; oiJ ajndrapodwvdei"
kai; fau'loi kai; ajILlovtimoi ouj nemeshtikoiv: oujde;n ga;r e[stin ou|
15 eJautou;" oi[ontai ajxivou" ei\nai.
fanero;n dΔ ejk touvtwn ejpi; poivoi" ajtucou's i kai; kako-
pragou's in h] mh; tugcavnousi caivrein h] ajluvpw" e[cein dei': ejk ga;r
tw'n eijrhmevnwn ta; ajntikeivmenav ejsti dh'la, w{stΔ eja;n touv" te
krita;" toiouvtou" paraskeuavsh/ oJ lovgo", kai; tou;" ajxiou'nta"
20 ejleei'sqai, kai; ejfΔ oi|" ejleei'sqai, deivxh/ ajnaxivou" o[nta" tug-
cavnein ajxivou" de; mh; tugcavnein, ajduvnaton ejleei'n.
9. LO SDEGNO 213

tere con il superiore, e soprattutto quelli che disputano


sullo stesso ambito, di qui si è pure detto: «evita la conte-
sa di Aiace Telamonio: / Zeus infatti si potrebbe indigna-
re, se si combattesse con uomo migliore»122; altrimenti, 1387b
anche se l’inferiore si oppone al superiore su qualunque
ambito – ad esempio se il musico si oppone al giusto – ci
si indignerebbe: infatti la giustizia è meglio della musica.
Dunque da ciò risulta chiaro per quali cose e per qua-
le motivo ci si indigna: sono infatti queste e quelle di tal 5

genere. Le persone tendono a sdegnarsi se hanno in sorte


di essere meritevoli dei beni più grandi e se ne siano im-
possessati: infatti il ritenere degno di beni simili chi non
è loro pari non è giusto. In secondo luogo, se capita di
essere uomini virtuosi e onesti dal momento che giudi-
cano correttamente e non sopportano le ingiustizie. E se
sono ambiziose e tendono a degli obiettivi, e soprattutto 10

se ambiscono alle stesse cose che altri, che non le merita-


no, riescono ad ottenere. E, in genere, quelli che si consi-
derano meritevoli, gli stessi che non ritengono meritevoli
gli altri, sono inclini a indignarsi con loro e per ragioni di
questo tipo; per questo anche gli uomini servili e da poco
e privi di ambizione sono restii a indignarsi: non vi è nul-
la, infatti, di cui costoro si ritengano meritevoli. 15

Da queste considerazioni è evidente per quali perso-


ne, sfortunate, infelici o che non riescono, si debba gioire
o evitare di soffire: infatti, da ciò che si è detto risultano
chiari gli opposti, di conseguenza se il discorso pone il
giudice in questi stati d’animo, e mostri come indegno
di ricevere compassione, e perché e come non ottenerla, 20

e chi invece ne è degno, è impossibile che si abbia com-


passione.
214 RETORICA II, 1387b 22 - 1388a 8

10. Dh'lon de; kai; ejpi; tivs i fqonou's i kai; tivs i kai; pw'" e[conte",
ei[per ejsti;n oJ fqovno" luvph ti" ejpi; eujpragiva/ fainomevnh/ tw'n
eijrhmevnwn ajgaqw'n peri; tou;" oJmoivou", mh; i{na ti auJtw'/, ajlla;
25 diΔ ejkeivnou": fqonhvsousi me;n ga;r oiJ toiou'toi oi|" eijs iv tine"
o{moioi h] faivnontai: oJmoivou" de; levgw kata; gevno", kata; sug-
gevneian, kaqΔ hJlikiva", kata; e{xei", kata; dovxan, kata; ta; uJpavr-
conta. kai; oi|" mikro;n ejlleivpei tou' mh; pavnta uJpavrcein (dio;
oiJ megavla pravttonte" kai; oiJ eujtucou'nte" fqoneroiv eijs in):
30 pavnta" ga;r oi[ontai ta; auJtw'n fevrein. kai; oiJ timwvmenoi ejpiv
tini diaferovntw", kai; mavlista ejpi; soILva/ h] eujdaimoniva/. kai;
oiJ ILlovtimoi fqonerwvteroi tw'n ajILlotivmwn. kai; oiJ doxovsofoi:
ILlovtimoi ga;r ejpi; soILva/. kai; o{lw" oiJ ILlovdoxoi periv ti fqo-
neroi; peri; tou'to. kai; oiJ mikrovyucoi: pavnta ga;r megavla dokei'
35 aujtoi'" ei\nai. ejfΔ oi|" de; fqonou's i, ta; me;n ajgaqa; ei[rhtai:
1388a ejfΔ oi|" ga;r ILlodoxou's i kai; ILlotimou'ntai e[rgoi" h] kthvmasi
kai; ojrevgontai dovxh", kai; o{sa eujtuchvmatav ejstin, scedo;n peri;
pavnta fqovno" e[sti, kai; mavlista w|n aujtoi; h] ojrevgontai h]
oi[ontai dei'n auJtou;" e[cein, h] w|n th'/ kthvsei mikrw'/ uJperevcousin
5 h] mikrw'/ ejlleivpousin. fanero;n de; kai; oi|" fqonou's in: a{ma ga;r
ei[rhtai: toi'" ga;r ejggu;" kai; crovnw/ kai; tovpw/ kai; hJlikiva/ kai;
dovxh/ fqonou's in: o{qen ei[rhtai
to; suggene;" ga;r kai; fqonei'n ejpivstatai.
10. L’INVIDIA 215

10. L’invidia

È chiaro anche per quali motivi s’invidia, a chi e con qua-


le stato d’animo, se davvero l’«invidia» è un certo dolore
per un’evidente realizzazione dei beni di cui si è detto,
presso persone di pari condizione, non per realizzarne
qualcuno per sé stessi, ma per via di quelle persone: in- 25

fatti uomini del genere saranno invidiosi di quelli di pari


condizione o che appaiono tali; dico «pari condizione»
in base alla discendenza, alla parentela, all’età, alle dispo-
sizioni acquisite, alla fama, alle cose che si possiedono.
Saranno invidiosi anche gli uomini cui manca poco dal
possedere ogni cosa (per questo coloro che compiono
grandi cose e quelli che hanno fatto fortuna sono invidio-
si): infatti credono che tutti vogliano portar via ciò che 30

gli spetta; e saranno invidiosi quelli che sono onorati per


ciò che li differenzia e soprattutto per sapienza o felicità;
inoltre, chi è ambizioso è più invidioso di chi ambizioni
non ha; e chi ambisce alla sapienza, perché è ambizioso in
relazione alla sapienza; e, in genere, chi ambisce alla glo-
ria in qualcosa sarà invidioso in relazione a questa cosa.
E le anime piccole: infatti sembra che tutto sia grande
per loro. Sono stati detti i beni per i quali si è invidiosi: 35

infatti l’invidia riguarda pressappoco tutto ciò, opere o 1388a


possedimenti per i quali gli uomini ambiscono alla fama
e competono e cercano di farsi una reputazione, e tutte
quelle cose che sono proprie della buona sorte, e soprat-
tutto sono invidiosi di quei beni ai quali o vi aspirano loro
stessi o ritengono che debbano appartenere loro, o il cui
possesso li renda di poco superiori o di poco inferiori. 5

È evidente anche per chi si prova invidia, dal momento


che lo si è detto insieme: infatti gli uomini invidiano chi
è prossimo per tempo, luogo, età e reputazione; di qui il
detto «i familiari, infatti, sanno anche invidiare»123. E si
216 RETORICA II, 1388a 9-30

kai; pro;" ou}" ILlotimou'ntai: ILlotimou'ntai ga;r pro;" tou;"


10 eijrhmevnou", pro;" de; tou;" muriosto;n e[to" o[nta" h] pro;" tou;"
ejsomevnou" h] teqnew'ta" oujdeiv", oujde; pro;" tou;" ejfΔ ÔHra-
kleivai" sthvlai". oujdΔ w|n polu; oi[ontai parΔ aujtoi'" h] para;
toi'" a[lloi" leivpesqai, oujdΔ w|n polu; uJperevcein, wJsauvtw" kai;
pro;" touvtou" kai; peri; ta; toiau'ta. ejpei; de; pro;" tou;" ajntagw-
15 nista;" kai; ajnterasta;" kai; o{lw" tou;" tw'n aujtw'n ejILemevnou"
ILlotimou'ntai, ajnavgkh mavlista touvtoi" fqonei'n, diovper ei[rhtai
kai; kerameu;" keramei'.
kai; w|n h] kekthmevnwn h] katorqouvntwn o[neido" aujtoi'" (eijs i;n
de; kai; ou|toi ãoiJÃ ejggu;" kai; o{moioi): dh'lon ga;r o{ti parΔ aujtou;"
20 ouj tugcavnousi tou' ajgaqou', w{ste tou'to lupou'n poiei' to;n
fqovnon. kai; toi'" h] e[cousi tau'ta h] kekthmevnoi" o{sa aujtoi'"
prosh'ken h] ejkevkthntov pote: dio; presbuvteroiv te newtevroi" kai;
oiJ polla; dapanhvsante" eij" taujto; toi'" ojlivga fqonou's in. kai;
toi'" tacu; oiJ h] movli" tucovnte" h] mh; tucovnte" fqonou's in. dh'lon
25 de; kai; ejfΔ oi|" caivrousin oiJ toiou'toi kai; ejpi; tivs i kai; pw'"
e[conte": wJ" ga;r e[conte" lupou'ntai, ou{tw" e[conte" ejpi; toi'"
ejnantivoi" hJsqhvsontai. w{ste a]n aujtoi; me;n paraskeuasqw's in
ou{tw" e[cein, oiJ dΔ ejleei'sqai h] tugcavnein tino;" ajgaqou' ajxiou'n-
te" w\s in oi|oi oiJ eijrhmevnoi, dh'lon wJ" ouj teuvxontai ejlevou
30 para; tw'n kurivwn.
10. L’INVIDIA 217

prova invidia con chi si è in competizione: si è appunto


in competizione con le persone di cui si è detto, mentre 10

nessuno lo è con chi visse diecimila anni fa o con chi ver-


rà o con chi è morto, né lo si è con chi vive nei pressi delle
colonne d’Ercole, né con chi si ritiene, o da noi stessi o
da altri, di gran lunga inferiore, lo stesso vale anche per
persone e circostanze di questo tipo. Poiché si compete
con avversari e rivali in amore e, in genere, con quelli che 15

aspirano alle stesse cose, necessariamente si prova invidia


soprattutto con persone di questo genere, perciò si dice:
«anche il vasaio invidia il vasaio»124. Inoltre, gli uomini
provano invidia di quelle persone i cui guadagni o succes-
si sono per loro motivo di biasimo (vale a dire che costo-
ro sono persone vicine o di pari condizione): è evidente
infatti che è per colpa loro se non riescono a ottenere del 20

bene, e questo, dando dispiacere, suscita invidia. E pro-


vano invidia di chi ha o ha acquisito quegli stessi beni che
spettavano loro o che un tempo avevano posseduto: per
questo chi è più vecchio prova invidia per chi è più gio-
vane e chi ha speso molto invidia chi, per la stessa cosa,
ha speso poco. E chi l’ha ottenuta a stento o non l’ha ot-
tenuta invidia chi l’ha avuta in poco tempo. È chiaro an- 25

che per quali motivi, per quali persone e con quale stato
d’animo gioiscono individui di questo tipo: perché così
come chi è in tale disposizione d’animo soffre, così chi è
in uno stato d’animo in condizioni opposte prova piacere.
Di conseguenza se gli uditori sono predisposti a tale stato
d’animo, e coloro che si ritengono degni di compassione
o di ottenere un qualche bene sono come quelli di cui si è
parlato, è chiaro che non otterranno indulgenza da parte 30

di coloro che hanno il potere di concederla.


218 RETORICA II, 1388a 31 - b 15

11. Pw'" de; e[conte" zhlou's i kai; ta; poi'a kai; ejpi; tivs in, ejnqevndΔ
ejsti; dh'lon: eij gavr ejstin zh'lo" luvph ti" ejpi; fainomevnh/
parousiva/ ajgaqw'n ejntivmwn kai; ejndecomevnwn aujtw'/ labei'n peri;
tou;" oJmoivou" th'/ fuvsei, oujc o{ti a[llw/ ajllΔ o{ti oujci; kai; auJtw'/
35 e[stin (dio; kai; ejpieikev" ejstin oJ zh'lo" kai; ejpieikw'n, to; de;
fqonei'n fau'lon kai; fauvlwn: oJ me;n ga;r auJto;n paraskeuavzei
dia; to;n zh'lon tugcavnein tw'n ajgaqw'n, oJ de; to;n plhsivon mh;
e[cein dia; to;n fqovnon), ajnavgkh dh; zhlwtikou;" me;n ei\nai tou;"
1388b ajxiou'nta" auJtou;" ajgaqw'n w|n mh; e[cousin, ãejndecomevnwn auj-
toi'" labei'nÃ: oujdei;" ga;r ajxioi' ta; fainovmena ajduvnata (dio; oiJ
nevoi kai; oiJ megalovyucoi toiou'toi). kai; oi|" uJpavrcei toiau'ta
ajgaqa; a} tw'n ejntivmwn a[xiav ejstin ajndrw'n: e[sti de; tau'ta
5 plou'to" kai; poluILliva kai; ajrcai; kai; o{sa toiau'ta: wJ" ga;r
prosh'kon aujtoi'" ajgaqoi'" ei\nai, oi|a proshvkei toi'" ajgaqw'"
e[cousi, zhlou's i ta; toiau'ta tw'n ajgaqw'n. kai; ou}" oiJ a[lloi
ajxiou's in. kai; w|n provgonoi h] suggenei'" h] oijkei'oi h] to; e[qno" h]
hJ povli" e[ntimoi, zhlwtikoi; peri; tau'ta: oijkei'a ga;r oi[ontai
10 auJtoi'" ei\nai, kai; a[xioi ãei\naià touvtwn. eij dΔ ejsti;n zhlwta; ta;
e[ntima ajgaqav, ajnavgkh tav" te ajreta;" ei\nai toiauvta", kai; o{sa toi'"
a[lloi" wjfevlima kai; eujergetikav (timw's i ga;r tou;" eujergetou'n-
ta" kai; tou;" ajgaqouv~), kai; o{swn ajgaqw'n ajpovlausi" toi'" plh-
sivon e[stin, oi|on plou'to" kai; kavllo" ma'llon uJgieiva". fanero;n
15 de; kai; oiJ zhlwtoi; tivne": oiJ ga;r tau'ta kai; ta; toiau'ta kekth-
11. L’EMULAZIONE 219

11. L’emulazione

Con quale stato d’animo le persone emulano, e quali cose


e per quali motivi, è chiaro da quello che segue: se infat-
ti l’emulazione è una sorta di sofferenza per un’evidente
presenza di beni tenuti in gran conto e raggiungibili in
persone simili a noi per natura, non perché sono di un
altro, ma perché non li abbiamo anche noi (per questo 35

l’emulazione è un sentimento appropriato e da persone


ammodo, l’invidiare è cosa misera e da persone meschi-
ne: le prime, con l’emulazione, si preparano a ottenere
dei beni, le seconde, con l’invidia, perché non le abbia il
prossimo), allora è necessario che quelli meritevoli di beni 1388b
che non hanno, ma che possono raggiungere, siano por-
tati ad emulare: nessuno infatti, si riterrebbe meritevole
di cose evidentemente impossibili (per questo i giovani
e i magnanimi fanno parte di questo genere di uomini).
E si emula quelli che hanno beni tali da essere conside-
rati meritevoli per uomini degni di rispetto; questi beni
sono ricchezza, molteplici amicizie, posti di potere e tutte 5

quante queste cose: infatti poiché è per loro appropriato


far parte dei buoni, e tal genere di cose sono appropria-
te a chi è buono, emulano, tra i beni, quelli siffatti. E
si emulano quelli che gli altri ritengono meritevoli. E le
persone, i cui avi o consanguinei o familiari o popolo o
città sono onorati, tendono all’emulazione di tali beni:
infatti ritengono che spettino loro e di esserne degni. Se 10

i beni tenuti in considerazione sono ciò che si emula, oc-


corre che siano di questo genere le virtù e tutte quante
le cose utili e benefiche per gli altri (si onorano infatti i
benefattori e i buoni) e tutti quei beni che siano di godi-
mento per il prossimo, come la ricchezza e la bellezza più
della salute. È evidente anche chi sono quelli da emulare: 15

sono da emulare quelli che si sono procurati questi beni


220 RETORICA II, 1388b 16 - 1389a 2

mevnoi zhlwtoiv: e[sti de; tau'ta ta; eijrhmevna, oi|on ajndreiva


soILva ajrchv (oiJ ga;r a[rconte" pollou;" duvnantai eu\ poiei'n),
strathgoiv, rJhvtore", pavnte" oiJ ta; toiau'ta dunavmenoi. kai; oi|"
polloi; o{moioi bouvlontai ei\nai, h] polloi; gnwvrimoi, h] ILvloi
20 polloiv, h] ou}" polloi; qaumavzousin, h] ou}" aujtoi; qaumavzousin.
kai; w|n e[painoi kai; ejgkwvmia levgontai h] uJpo; poihtw'n h] uJpo; logo-
gravfwn. katafronou's in de; tw'n ejnantivwn: ejnantivon ga;r zhvlw/
katafrovnhsiv" ejsti, kai; tw'/ zhlou'n to; katafronei'n. ajnavgkh
de; tou;" ou{tw" e[conta" w{ste zhlw'saiv tina" h] zhlou'sqai
25 katafronhtikou;" ei\nai touvtwn te kai; ejpi; touvtoi" o{soi ta;
ejnantiva kaka; e[cousi tw'n ajgaqw'n tw'n zhlwtw'n: dio; pollavki"
katafronou's in tw'n eujtucouvntwn, o{tan a[neu tw'n ejntivmwn ajga-
qw'n uJpavrch/ aujtoi'" hJ tuvch.
diΔ w|n me;n ou\n ta; pavqh ejggivgnetai kai; dialuvetai, ejx w|n aiJ
30 pivstei" givgnontai peri; aujtw'n, ei[rhtai.

12. Ta; de; h[qh poi'oiv tine" kata; ta; pavqh kai; ta;" e{xei" kai; ta;"
hJlikiva" kai; ta;" tuvca", dievlqwmen meta; tau'ta. levgw de; pavqh
me;n ojrgh;n ejpiqumivan kai; ta; toiau'ta peri; w|n eijrhvkamen ªprov-
teronº, e{xei" de; ajreta;" kai; kakiva", ei[rhtai de; peri; touvtwn
35 provteron, kai; poi'a proairou'ntai e{kastoi, kai; poivwn prakti-
koiv. hJlikivai dev eijs i neovth" kai; ajkmh; kai; gh'ra". tuvchn de;
1389a levgw eujgevneian kai; plou'ton kai; dunavmei" kai; tajnantiva touvtoi"
kai; o{lw" eujtucivan kai; dustucivan.
12. LA GIOVINEZZA 221

e cose di questo genere. Tali cose sono le stesse di cui si è


già parlato, come coraggio, sapienza, autorità – strateghi,
retori, tutti coloro che hanno possibilità di questo tipo
– (infatti quelli che comandano possono fare del bene a
molte persone). E si prova desiderio di emulazione per
uomini ai quali molti vogliono somigliare, o essere da loro
conosciuti, o amici, oppure emulare quelli che tanti am- 20

mirano, o quelli che essi stessi ammirano. Inoltre, quelli


di cui si dicono lodi ed encomi da parte di poeti o di scrit-
tori. Si ha invece disprezzo per tutt’altro tipo di persone:
all’emulazione è opposto il disprezzo, e all’emulare il di-
sprezzare. È necessario che quelli che stiano in uno stato
d’animo tale da emularne alcuni o da essere emulati siano
inclini a provare disprezzo di tutte quelle persone e con- 25

dizioni che posseggono i vizi opposti ai beni da emulare:


per questo spesso si prova disprezzo nei riguardi di colo-
ro che sono fortunati, quando la sorte è dalla loro senza
che i beni che fanno onore vi prendano parte.
Si è dunque detto per mezzo di cosa si originano e si
dissolvono le passioni dalle quali si traggono le persuasio- 30

ni su tali argomenti.

12. La giovinezza

Dopo queste cose, descriviamo i caratteri, alcune qualità in


rapporto alle passioni, alle disposizioni abituali, all’età e alle
occasioni. Intendo per «passioni» ira, desiderio, e cose di
questo genere di cui si è già parlato125; «disposizioni abitua-
li» virtù e vizi, e pure di questi si è già detto prima, e quali
siano quelle scelte da ciascuno e quali si tenda a pratica- 35

re126. Mentre le «età» sono: giovinezza, maturità e vecchia-


ia. Chiamo «fortuna» buona nascita. ricchezza e potenza e 1389a
le cose loro contrarie e, in genere, la buona e la cattiva sorte.
222 RETORICA II, 1389a 3-27

oiJ me;n ou\n nevoi ta; h[qh eijs i;n ejpiqumhtikoiv, kai; oi|oi poiei'n
w|n a]n ejpiqumhvswsi. kai; tw'n peri; to; sw'ma ejpiqumiw'n mavlista
5 ajkolouqhtikoiv eijs i th'/ peri; ta; ajfrodivs ia kai; ajkratei'" tauv-
th", eujmetavboloi de; kai; aJy ivkoroi pro;" ta;" ejpiqumiva", kai;
sfovdra me;n ejpiqumou's i tacevw" de; pauvontai (ojxei'ai ga;r aiJ
boulhvsei" kai; ouj megavlai, w{sper aiJ tw'n kamnovntwn divyai kai;
pei'nai), kai; qumikoi; kai; ojxuvqumoi kai; oi|oi ajkolouqei'n th'/ ojrgh'/.
10 kai; h{ttou" eijs i; tou' qumou': dia; ga;r ILlotimivan oujk ajnevcontai
ojligwrouvmenoi, ajllΔ ajganaktou's in a]n oi[wntai ajdikei'sqai. kai;
ILlovtimoi mevn eijs in, ma'llon de; ILlovnikoi (uJperoch'" ga;r ejpi-
qumei' hJ neovth", hJ de; nivkh uJperochv ti~), kai; a[mfw tau'ta
ma'llon h] ILlocrhvmatoi (ILlocrhvmatoi de; h{kista dia; to; mhvpw
15 ejndeiva" pepeira'sqai, w{sper to; Pittakou' e[cei ajpovfqegma
eij" ΔAmILavraon), kai; ouj kakohvqei" ajllΔ eujhvqei" dia; to; mhvpw
teqewrhkevnai polla;" ponhriva", kai; eu[pistoi dia; to; mhvpw
polla; ejxhpath'sqai, kai; eujevlpide": w{sper ga;r oiJ oijnwmevnoi,
ou{tw diavqermoiv eijs in oiJ nevoi uJpo; th'" fuvsew": a{ma de; kai; dia;
20 to; mh; polla; ajpotetuchkevnai. kai; zw's i ta; plei'sta ejlpivdi: hJ
me;n ga;r ejlpi;" tou' mevllontov" ejstin hJ de; mnhvmh tou' paroico-
mevnou, toi'" de; nevoi" to; me;n mevllon polu; to; de; parelhluqo;"
bracuv: th'/ ga;r prwvth/ hJmevra/ memnh'sqai me;n oujde;n oi|ovn te,
ejlpivzein de; pavnta. kai; eujexapavthtoiv eijs i dia; to; eijrhmevnon
25 (ejlpivzousi ga;r rJa/divw~), kai; ajndreiovteroi (qumwvdei" ga;r kai;
eujevlpide", w|n to; me;n mh; fobei'sqai to; de; qarrei'n poiei': ou[te
ga;r ojrgizovmeno" oujdei;" fobei'tai, tov te ejlpivzein ajgaqovn ti
12. LA GIOVINEZZA 223

Ebbene, quanto al carattere, i giovani sono tenden-


ti al desiderio, e tali da fare ciò che desiderano. E, tra
i desideri corporei, sono soprattutto disposti a seguire 5

il desiderio relativo ai piaceri sessuali, e in questo sono


intemperanti; nei desideri sono facili al cambiamento
e volubili, e bramano intensamente ma velocemente vi
pongono fine (infatti le loro voglie sono acute ma non
grandi, come i bisogni del bere e del mangiare di chi è
ammalato), e sono impulsivi e irascibili e tali da andare
dietro alla collera. Inoltre sono soggetti alla passionalità: 10

infatti per amore dell’onore non sopportano chi poco li


rispetta, ma sono preda di un’ira violenta se pensano di
aver subito ingiustizia. Inoltre, sono desiderosi di ono-
ri, ma in maggior misura amano le vittorie (la gioventù,
infatti, desidera la superiorità, e la vittoria è una specie
di superiorità), e amano entrambe queste cose più della
ricchezza (sono in minima parte desiderosi di ricchezza
a causa del non avere ancora provato l’indigenza, come 15

mostra la sentenza di Pittaco ad Amfiarao)127, e non sono


malevoli, ma ben disposti per non avere ancora visto mol-
te malvagità, e credono facilmente per non avere ancora
subito molti inganni, e sono pieni di speranza perché,
come gli ubriachi, i giovani, ad opera della natura, sono
di temperamento caldo, e pure perché, al contempo, non
hanno subito molti insuccessi. E vivono per la maggior 20

parte nella speranza: infatti la speranza riguarda il futu-


ro, mentre la memoria è del passato, e per i giovani, da
una parte, il futuro è tanto, dall’altra, il passato è breve;
nella vita, infatti, all’inizio non è possibile ricordarsi di
nulla, ma sperare ogni cosa. E sono facilmente ingannati
per quanto si è detto (infatti sperano facilmente), e sono 25

più coraggiosi (sono infatti fieri e speranzosi, a motivo di


queste cose da un lato non si fanno spaventare, dall’altro
si danno animo: e infatti nessuno si spaventa quando è in
224 RETORICA II, 1389a 28 - b 16

qarralevon ejstivn), kai; aijscunthloiv (ouj gavr pw kala; e{tera uJpo-


lambavnousin, ajlla; pepaivdeuntai uJpo; tou' novmou movnon), kai;
30 megalovyucoi (ouj ga;r uJpo; tou' bivou pw tetapeivnwntai, ajlla;
tw'n ajnagkaivwn a[peiroiv eijs in, kai; to; ajxiou'n auJto;n megavlwn
megaloyuciva: tou'to dΔ eujevlpido~). kai; ma'llon aiJrou'ntai pravt-
tein ta; kala; tw'n sumferovntwn: tw'/ ga;r h[qei zw's i ma'llon h]
tw'/ logismw'/, e[sti de; oJ me;n logismo;" tou' sumfevronto" hJ de;
35 ajreth; tou' kalou'. kai; ILlovILloi kai; ILlevtairoi ma'llon tw'n
1389b a[llwn hJlikiw'n dia; to; caivrein tw'/ suzh'n kai; mhvpw pro;" to;
sumfevron krivnein mhdevn, w{ste mhde; tou;" ILvlou". kai; a{panta
ejpi; to; ma'llon kai; sfodrovteron aJmartavnousi, para; to; Cilwv-
neion (pavnta ga;r a[gan pravttousin: ILlou's i ga;r a[gan kai;
5 misou's in a[gan kai; ta\lla pavnta oJmoivw~), kai; eijdevnai a{panta
oi[ontai kai; diiscurivzontai (tou'to ga;r ai[tiovn ejstin kai; tou'
pavnta a[gan), kai; ta; ajdikhvmata ajdikou's in eij" u{brin, ouj
kakourgivan. kai; ejlehtikoi; dia; to; pavnta" crhstou;" kai; bel-
tivou" uJpolambavnein (th'/ ga;r auJtw'n ajkakiva/ tou;" pevla" me-
10 trou's in, w{ste ajnavxia pavscein uJpolambavnousin aujtouv~), kai;
ILlogevlwte", dio; kai; ILleutravpeloi: hJ ga;r eujtrapeliva pepai-
deumevnh u{bri" ejstivn.

13. To; me;n ou\n tw'n nevwn toiou'tovn ejstin h\qo", oiJ de; presbuv-
teroi kai; parhkmakovte" scedo;n ejk tw'n ejnantivwn touvtoi" ta;
15 plei'sta e[cousin h[qh: dia; ga;r to; polla; e[th bebiwkevnai kai;
pleivw ejxhpath'sqai kai; ejxhmarthkevnai, kai; ta; pleivw fau'la
13. LA VECCHIAIA 225

collera, e lo sperare qualcosa di buono rende fiduciosi) e


modesti (infatti fino a questo momento non sospettano
altre cose belle, ma sono stati educati solo dalle conven-
zioni), e sono magnanimi (infatti, non sono stati ancora 30

umiliati dalla vita, ma sono inesperti delle necessità, e il


ritenersi degno di grandi cose significa magnanimità: e
questo è proprio di chi è pieno di speranza). E preferisco-
no di più compiere cose belle che utili: vivono infatti più
secondo il carattere che il calcolo, e il calcolo è proprio
dell’utile, mentre la virtù lo è del bello. E sono amanti 35

delle amicizie e dei compagni più che nelle altre età, per 1389b
il piacere dello stare in compagnia e perché ancora non
giudicano nulla per interesse, pertanto neppure gli amici.
E commettono tutti i loro errori per eccesso e per trop-
pa veemenza, contro il detto di Chilone128 (infatti fanno
«tutto troppo»: amano troppo e odiano troppo e lo stesso 5

dicasi per tutte le altre cose), e pensano di sapere tutto e


lo affermano con sicurezza (è infatti anche questa la cau-
sa del «tutto troppo»), e commettono atti d’ingiustizia
per tracotanza, non per malizia. E sono inclini alla com-
passione perché pensano che tutti siano validi e migliori
(infatti valutano tutti quelli che gli sono vicini senza catti-
veria, ragione per cui suppongono che essi patiscano cose 10

immeritate), e sono amanti delle risa, perciò anche del


motto di spirito: infatti la battuta pronta è una tracotanza
che è stata educata.

13. La vecchiaia

Tale è dunque il carattere dei giovani mentre gli anziani,


e coloro che hanno passato la maturità, hanno, nella mag- 15

gior parte dei casi, caratteri che derivano da qualità quasi


opposte: infatti per aver vissuto molti anni, essere stati
226 RETORICA II, 1389b 17 - 1390a 3

ei\nai tw'n pragmavtwn, ou[te diabebaiou'ntai oujdevn, h|ttovn te


a[gantai pavnta h] dei'. kai; oi[ontai, i[sasi dΔ oujdevn, kai; ajmIL-
doxou'nte" prostiqevasin ajei; to; i[sw" kai; tavca, kai; pavnta
20 levgousin ou{tw", pagivw" dΔ oujdevn. kai; kakohvqei" eijs ivn: e[sti
ga;r kakohvqeia to; ejpi; to; cei'ron uJpolambavnein pavnta. e[ti de;
kacuvpoptoiv eijs i dia; th;n ajpistivan, a[pistoi de; diΔ ejmpeirivan.
kai; ou[te ILlou's in sfovdra ou[te misou's i dia; tau'ta, ajlla; kata;
th;n Bivanto" uJpoqhvkhn kai; ILlou's in wJ" mishvsonte" kai; misou'-
25 sin wJ" ILlhvsonte". kai; mikrovyucoi dia; to; tetapeinw'sqai
uJpo; tou' bivou: oujdeno;" ga;r megavlou oujde; perittou' ajlla; tw'n
pro;" to;n bivon ejpiqumou's i. kai; ajneleuvqeroi: e}n gavr ti tw'n
ajnagkaivwn hJ oujs iva, a{ma de; kai; dia; th;n ejmpeirivan i[sasin wJ"
calepo;n to; kthvsasqai kai; rJav/dion to; ajpobalei'n. kai; deiloi;
30 kai; pavnta profobhtikoiv: ejnantivw" ga;r diavkeintai toi'" nevoi":
kateyugmevnoi gavr eijs in, oiJ de; qermoiv, w{ste prowdopepoivhke
to; gh'ra" th'/ deiliva/: kai; ga;r oJ fovbo" katavyuxiv" tiv" ejstin. kai;
ILlovzwoi, kai; ma'llon ejpi; th'/ teleutaiva/ hJmevra/ dia; to; tou'
ajpovnto" ei\nai th;n ejpiqumivan, kai; ou| ejndeei'", touvtou
35 mavlista ejpiqumei'n. kai; ILvlautoi ma'llon h] dei': mikroyuciva
gavr ti" kai; au{th. kai; pro;" to; sumfevron zw's in, ajllΔ ouj pro;"
to; kalovn, ma'llon h] dei', dia; to; ILvlautoi ei\nai: to; me;n ga;r
1390a sumfevron aujtw'/ ajgaqovn ejsti, to; de; kalo;n aJplw'". kai; ajn-
aivscuntoi ma'llon h] aijscunthloiv: dia; ga;r to; mh; frontivzein
oJmoivw" tou' kalou' kai; tou' sumfevronto" ojligwrou's i tou' dokei'n.
13. LA VECCHIAIA 227

più volte ingannati e aver commesso errori, e dal momen-


to che la maggior parte delle azioni sono immorali, non
affermano nulla con certezza, e su ogni cosa si meravi-
gliano meno di quanto sarebbe necessario. E «credono»,
ma non sanno niente, e lasciando sempre spazio a dubbi
appongono sempre «forse» e «probabilmente», e su ogni
cosa si pronunciano in questo modo, senza mai dire nul- 20

la con fermezza. E sono malpensanti: infatti la malignità


consiste nel supporre in ogni cosa il lato peggiore. Anco-
ra, sono sospettosi per mancanza di fiducia, e mancano
di fiducia a motivo dell’esperienza. E per queste ragioni
né amano né odiano intensamente, ma, secondo il detto
di Biante129, amano come se poi dovessero odiare e odia-
no come se poi dovessero amare. E sono pusillanimi per 25

l’essere stati umiliati dalla vita: infatti non vogliono nulla


di grande o che non sia ordinario, ma ciò che serve alla
vita. E privi di generosità: poiché i beni di proprietà sono
una delle cose necessarie, e al contempo, anche per espe-
rienza, sanno com’è difficile l’ottenere e com’è facile il
perdere. E sono vili e tendono ad avere paura in anticipo 30

su ogni cosa, poiché sono disposti in maniera opposta ai


giovani: infatti sono freddi, mentre i giovani sono infuo-
cati, di conseguenza la vecchiaia ha fatto strada alla viltà:
e infatti la paura è qualcosa di freddo. E sono attaccati
alla vita, e poiché il desiderio riguarda ciò che non c’è e
di cui si ha bisogno, soprattutto sul finire dei giorni una
cosa del genere si desidera nel modo più intenso. E sono 35

egoisti più di quanto si deve: infatti anche questa è una


forma di meschinità. E vivono in funzione dell’interes-
se, ma non di ciò che è bello, più di quanto si deve per
l’essere attaccati a sé stessi: infatti ciò che è utile è un 1390a
bene per il singolo, mentre ciò che è bello è un bene in
senso assoluto. E sono inclini all’impudenza più che alla
vergogna: per non curarsi allo stesso modo del bello e
228 RETORICA II, 1390a 4-27

kai; dusevlpide" dia; th;n ejmpeirivan (ta; ga;r pleivw tw'n gigno-
5 mevnwn fau'lav ejstin: ajpobaivnei ga;r ta; polla; ejpi; to; cei'ron),
kai; e[ti dia; th;n deilivan. kai; zw's i th'/ mnhvmh/ ma'llon h] th'/
ejlpivdi: tou' ga;r bivou to; me;n loipo;n ojlivgon to; de; parelhluqo;"
poluv, e[sti de; hJ me;n ejlpi;" tou' mevllonto" hJ de; mnhvmh tw'n
paroicomevnwn: o{per ai[tion kai; th'" ajdolesciva" aujtoi'":
10 diatelou's i ga;r ta; genovmena levgonte": ajnamimnhskovmenoi ga;r
h{dontai. kai; oiJ qumoi; ojxei'" me;n ajsqenei'" dev eijs in, kai; aiJ ejpi-
qumivai aiJ me;n ejkleloivpasin aiJ de; ajsqenei'" eijs in, w{ste ou[tΔ
ejpiqumhtikoi; ou[te praktikoi; kata; ta;" ejpiqumiva", ajlla; kata;
to; kevrdo": dio; swfronikoi; faivnontai oiJ thlikou'toi: ai{ te ga;r
15 ejpiqumivai ajneivkasi kai; douleuvousi tw'/ kevrdei. kai; ma'llon
zw's i kata; logismo;n h] kata; to; h\qo": oJ me;n ga;r logismo;" tou'
sumfevronto" to; dΔ h\qo" th'" ajreth'" ejstin. kai; tajdikhvmata
ajdikou's in eij" kakourgivan, oujk eij" u{brin. ejlehtikoi; de; kai; oiJ
gevrontev" eijs in, ajllΔ ouj dia; taujta; toi'" nevoi": oiJ me;n ga;r dia;
20 ILlanqrwpivan, oiJ de; diΔ ajsqevneian: pavnta ga;r oi[ontai ejggu;"
ei\nai auJtoi'" paqei'n, tou'to dΔ h\n ejlehtikovn: o{qen ojdurtikoiv
eijs i, kai; oujk eujtravpeloi oujde; ILlogevloioi: ejnantivon ga;r to;
ojdurtiko;n tw'/ ILlogevlwti.
tw'n me;n ou\n nevwn kai; tw'n presbutevrwn ta; h[qh toiau'ta,
25 w{stΔ ejpei; ajpodevcontai pavnte" tou;" tw'/ sfetevrw/ h[qei
legomevnou" lovgou" kai; tou;" oJmoivou", oujk a[dhlon pw'" crwvmenoi
toi'" lovgoi" toiou'toi fanou'ntai kai; aujtoi; kai; oiJ lovgoi.
13. LA VECCHIAIA 229

dell’utile, infatti, non rispettano l’opinione altrui. E dif-


ficilmente hanno delle aspettative per via dell’esperienza
(infatti la maggior parte degli avvenimenti sono infelici, 5

poiché il più delle volte finiscono nel modo peggiore) e,


inoltre, per vigliaccheria. E vivono più di ricordi che di
speranze: infatti, poco è ciò che rimane da vivere, molto
ciò che è già trascorso, e la speranza riguarda il futuro,
il ricordo le cose passate; la qual cosa è pure causa della
loro loquacità: infatti passano il tempo parlando del pas- 10

sato, perché nel ricordarsi provano piacere. E le passioni


violente sono prive di forza, e i desideri parte li hanno
abbandonati parte sono deboli, di conseguenza non sono
inclini ai desideri né alle azioni conformi ai desideri, ma
al profitto; per questo persone di questa età sembrano
portate alla saggezza: infatti i desideri li hanno lasciati 15

liberi e diventano schiavi del profitto. E vivono disposti


più al calcolo che al carattere: infatti il calcolo riguarda
l’utiltà, il carattere la virtù. E commettono azioni ingiuste
per cattiveria non per tracotanza. I vecchi sono però ten-
denti alla compassione, ma non per gli stessi motivi dei
giovani: questi infatti lo sono per amore del prossimo, 20

quelli per debolezza, poiché si ritengono prossimi a pati-


re ogni cosa, e questo, si era detto, rende compassionevo-
li; di qui la tendenza a lamentarsi, e non sono spiritosi né
amano scherzare: infatti il gusto nel lamentarsi si oppone
al piacere di scherzare.
Tali sono i caratteri dei giovani e dei vecchi, di con- 25

seguenza, poiché tutti accettano discorsi pronunciati in


base al proprio carattere e le persone simili a loro, non è
difficile vedere come, servendosi dei discorsi, appaiano
con queste qualità sia gli oratori stessi che i discorsi.
230 RETORICA II, 1390a 28 - b 17

14. OiJ dΔ ajkmavzonte" fanero;n o{ti metaxu; touvtwn to; h\qo" e[son-
tai eJkatevrwn, ajfairou'nte" th;n uJperbolhvn, kai; ou[te sfovdra
30 qarrou'nte" (qrasuvth" ga;r to; toiou'ton) ou[te livan fobouvmenoi,
kalw'" de; pro;" a[mfw e[conte", ou[te pa's i pisteuvonte" ou[te
pa's in ajpistou'nte", ajlla; kata; to; ajlhqe;" krivnonte" ma'llon,
kai; ou[te pro;" to; kalo;n zw'nte" movnon ou[te pro;" to; sumfevron
1390b ajlla; pro;" a[mfw, kai; ou[te pro;" feidw; ou[te pro;" ajswtivan
ajlla; pro;" to; aJrmovtton, oJmoivw" de; kai; pro;" qumo;n kai; pro;"
ejpiqumivan, kai; swvfrone" metΔ ajndreiva" kai; ajndrei'oi meta;
swfrosuvnh". ejn ga;r toi'" nevoi" kai; toi'" gevrousi dihv/rhtai
5 tau'ta: eijs i;n ga;r oiJ me;n nevoi ajndrei'oi kai; ajkovlastoi, oiJ de;
presbuvteroi swvfrone" kai; deiloiv. wJ" de; kaqovlou eijpei'n,
o{sa me;n dihv/rhntai hJ neovth" kai; to; gh'ra" tw'n wjfelivmwn,
tau'ta a[mfw e[cousin, o{sa de; uJperbavllousin h] ejlleivpousin,
touvtwn to; mevtrion kai; to; aJrmovtton. ajkmavzei de; to; me;n sw'ma
10 ajpo; tw'n triavkonta ejtw'n mevcri tw'n pevnte kai; triavkonta, hJ de;
yuch; peri; ta; eJno;" dei'n penthvkonta.
peri; me;n ou\n neovthto" kai; ghvrw" kai; ajkmh'", poivwn hjqw'n
e{kastovn ejstin, eijrhvsqw tosau'ta.

15. Peri; de; tw'n ajpo; tuvch" gignomevnwn ajgaqw'n, diΔ o{sa aujtw'n
15 kai; ta; h[qh poia; a[tta sumbaivnei toi'" ajnqrwvpoi", levgwmen
ejfexh'". eujgeneiva" me;n ou\n h\qov" ejsti to; ILlotimovteron ei\nai
to;n kekthmevnon aujthvn: a{pante" gavr, o{tan uJpavrch/ ti, pro;"
14. LA MATURITÀ - 15. LA BUONA NASCITA 231

14. La maturità

È evidente, quanto al carattere, che gli uomini maturi,


privandoli dell’eccedenza, staranno a mezzo tra questi
due, e né sono eccessivamente arditi (infatti un cosa del 30

genere significa temerarietà) né hanno troppo timore, ma


sono ben disposti in entrambi i casi, senza che facciano
affidamento in tutti e senza credere a tutti, ma giudican-
do piuttosto in modo veritiero, e non vivono soltanto per
il bello né per l’utile ma per entrambi, né per la parsimo- 1390b
nia né per la prodigalità, ma per ciò che le equilibra, lo
stesso vale per ardore e desiderio, e sono moderati con
coraggio e coraggiosi con moderazione. Nei giovani e nei
vecchi, infatti, queste qualità si sono separate: i giovani 5

sono appunto coraggiosi e intemperanti, i vecchi mode-


rati e vili. Per dirla in generale, da un lato, gli uomini
maturi posseggono tutte le qualità utili che entrambe,
gioventù e vecchiaia, separano, dall’altro, di tali qualità
che in costoro eccedono o difettano, ne hanno misura e
giusta proporzione. Il corpo raggiunge piena maturazio-
ne dall’età dei trenta anni fino a quella dei trentacinque, 10

lo spirito intorno ai quarantanove.


Dunque su giovinezza, vecchiaia e maturità, di quali
caratteri siano ciascuna, basti quanto detto.

15. La buona nascita

Di seguito trattiamo dei beni che traggono origine dal


caso, fra questi, il motivo di tutti quelli che pure danno 15

luogo alle qualità caratteriali negli uomini. Ora, carattere


dell’avere una «famiglia illustre», per chi la ha, consiste
nell’essere più ambizioso: tutti quanti, infatti, qualora
posseggano qualcosa, sono soliti accumularne ancora, e
232 RETORICA II, 1390b 18 - 1391a 6

tou'to swreuvein eijwvqasin, hJ dΔ eujgevneia ejntimovth" progovnwn


ejstivn. kai; katafronhtiko;n kai; tw'n oJmoivwn ejsti;n toi'" pro-
20 govnoi" auJtw'n, diovti povrrw taujta; ma'llon h] ejggu;" gignovmena
ejntimovtera kai; eujalazovneuta. e[sti de; eujgene;" me;n kata; th;n
tou' gevnou" ajrethvn, gennai'on de; kata; to; mh; ejxivstasqai th'"
fuvsew": o{per wJ" ejpi; to; polu; ouj sumbaivnei toi'" eujgenevs in,
ajllΔ eijs i;n oiJ polloi; eujtelei'": fora; ga;r tiv" ejstin ejn toi'"
25 gevnesin ajndrw'n w{sper ejn toi'" kata; ta;" cwvra" gignomevnoi",
kai; ejnivote a]n h\/ ajgaqo;n to; gevno", ejggivnontai diav tino" crovnou
a[ndre" perittoiv, ka[peita pavlin ajnadivdwsin. ejxivstatai de;
ta; me;n eujfua' gevnh eij" manikwvtera h[qh, oi|on oiJ ajpΔ ΔAlkibiav-
dou kai; oiJ ajpo; Dionusivou tou' protevrou, ta; de; stavs ima eij"
30 ajbelterivan kai; nwqrovthta, oi|on oiJ ajpo; Kivmwno" kai; Peri-
klevou" kai; Swkravtou".

16. Tw'/ de; plouvtw/ a} e{petai h[qh, ejpipolh'" e[stin ijdei'n a{pasin:
uJbristai; ga;r kai; uJperhvfanoi, pavscontev" ti uJpo; th'" kthvsew"
tou' plouvtou (w{sper ga;r e[conte" a{panta tajgaqa; ou{tw diav-
1391a keintai: oJ de; plou'to" oi|on timhv ti" th'" ajxiva" tw'n a[llwn, dio;
faivnetai w[nia a{panta ei\nai aujtou'), kai; truferoi; kai; salav-
kwne", truferoi; me;n dia; th;n trofh;n kai; th;n e[ndeixin th'"
eujdaimoniva", salavkwne" de; kai; sovloikoi dia; to; pavnta" eijwqev-
5 nai diatrivbein peri; to; ejrwvmenon kai; qaumazovmenon uJpΔ aujtw'n.
kai; to; oi[esqai zhlou'n tou;" a[llou" a} kai; aujtoiv. a{ma de; kai;
16. LA RICCHEZZA 233

l’avere natali illustri sta a indicare il prestigio degli an-


tenati. Inoltre, queste persone hanno un carattere che
rende inclini a disistimare anche chi è di pari rango ai 20

loro antenati, perché le stesse condizioni verificatesi lon-


tane nel tempo conferiscono maggiore prestigio e vanto
di quelle recenti. Si è di nobile origine in conformità alla
virtù della stirpe, si è invece «nobili» in conformità a una
natura che non degenera130; la qual cosa, per lo più, non
capita a chi è di natali illustri, anzi la maggior parte di
questi sono privi di merito. Nelle generazioni degli uo-
mini, infatti, vi è una sorta di raccolto, come in ciò che 25

si produce a seconda del territorio e, a volte, se la stirpe


è buona, per qualche tempo nascono uomini straordina-
ri, per poi, in seguito, regredire nuovamente. Certe volte
stirpi di nobile indole degenerano verso caratteri tenden-
zialmente più esaltati, come i discendenti di Alcibiade e
Dionisio il vecchio131, altre volte, quelle posate, verso stu-
pidità e lentezza, come i discendenti di Cimone, Pericle 30

e Socrate132.

16. La ricchezza

È dato a tutti osservare a prima vista i caratteri che conse-


guono dalla ricchezza: i ricchi infatti sono prevaricatori e
arroganti e subiscono qualcosa dal possesso della ricchez-
za (infatti il loro stato d’animo, come chi ha ogni bene, è 1391a
disposto così, e la ricchezza è come una stima del valore
di tutte le altre cose, per questo, grazie ad essa, sembra
che ogni cosa si possa comprare), e sono dediti al lusso e
pretenziosi: dediti al lusso a causa dell’alto livello sociale
e per l’ostentazione di benessere, pretenziosi ma anche
volgari, perché sono tutti soliti spendere il proprio tempo 5

per ciò che è da loro amato e ammirato, e ritengono che


234 RETORICA II, 1391a 7-27

eijkovtw" tou'to pavscousin (polloi; gavr eijs in oiJ deovmenoi tw'n


ejcovntwn: o{qen kai; to; Simwnivdou ei[rhtai peri; tw'n sofw'n kai;
plousivwn pro;" th;n gunai'ka th;n ÔIevrwno" ejromevnhn povteron
10 genevsqai krei'tton plouvs ion h] sofovn: “plouvs ion” eijpei'n: tou;"
sofou;" ga;r e[fh oJra'n ejpi; tai'" tw'n plousivwn quvrai" dia-
trivbonta~), kai; to; oi[esqai ajxivou" ei\nai a[rcein: e[cein ga;r
oi[ontai w|n e{neken a[rcein a[xion. kai; wJ" ejn kefalaivw/, ajnohvtou
eujdaivmono" h\qo" ãh\qo~Ã plouvtou ejstivn. diafevrei de; toi'"
15 newsti; kekthmevnoi" kai; toi'" pavlai ta; h[qh tw'/ a{panta ma'llon
kai; faulovtera ta; kaka; e[cein tou;" neoplouvtou" (w{sper ga;r
ajpaideusiva plouvtou ejsti; to; neovplouton ei\nai), kai; ajdikhvmata
ajdikou's in ouj kakourgikav, ajlla; ta; me;n uJbristika; ta; de; ajkra-
teutikav, oi|on eij" aijkivan kai; moiceivan.

20 17. ÔOmoivw" de; kai; peri; dunavmew" scedo;n ta; plei'sta fanerav
ejstin h[qh. ta; me;n ga;r ta; aujta; e[cei duvnami" tw'/ plouvtw/
ta; de; beltivw: ILlotimovteroi ga;r kai; ajndrwdevsteroiv eijs in ta;
h[qh oiJ dunavmenoi tw'n plousivwn dia; to; ejILvesqai e[rgwn o{sa
ejxousiva aujtoi'" pravttein dia; th;n duvnamin, kai; spoudastikwv-
25 teroi dia; to; ejn ejpimeleiva/ ei\nai, ajnagkazovmenoi skopei'n ta;
peri; th;n duvnamin, kai; semnovteroi h] baruvteroi: poiei' ga;r se-
mnotevrou" to; ajxivwma, dio; metriavzousin, e[sti de; hJ semnovth"
17. IL POTERE E LA BUONA SORTE 235

gli altri prendano a modello ciò che fanno anche loro.


Ed è verosimile che, allo stesso tempo, provino questo
sentimento (sono tanti infatti quelli che hanno bisogno di
chi ha mezzi; di qui il detto di Simonide sui sapienti e sui
ricchi rivolto alla moglie di Ierone, la quale aveva chie-
sto quale delle due cose fosse meglio, se ricco o sapiente; 10

«ricco» avrebbe risposto; poiché, disse, vedeva i sapienti


che passavano il tempo davanti alle porte dei ricchi), ed
è verosimile che reputino sé stessi meritevoli di dare or-
dini, infatti pensano di possedere ciò per cui si è degni
di comandare. E così, insomma, il carattere del ricco è
quello di uno sciocco fortunato. Vi è differenza tra chi
ha acquisito ricchezza di recente e chi ce l’ha da tempo: 15

i nuovi ricchi hanno tutti i vizi in misura maggiore e più


perversa (infatti l’essere un nuovo ricco equivale a una
mancanza di formazione per la gestione della ricchezza),
e commettono atti ingiusti che non tendono alla malvagi-
tà, bensì a volte alla tracotanza a volte all’intemperanza,
ad esempio al maltrattamento e all’adulterio.

17. Il potere e la buona sorte

Allo stesso modo, pure per quanto riguarda il potere, più 20

o meno la maggior parte dei caratteri risulta evidente. Da


un lato, infatti, il potere ha gli stessi caratteri della ric-
chezza dall’altro li ha migliori: perché di carattere i po-
tenti sono più ambiziosi e più virili dei ricchi, in quanto
aspirano a tutte le imprese che è possibile realizzare in
virtù delle loro possibilità. E sono più inclini alla serietà
perché occupano una carica, dal momento che sono co- 25

stretti a stare con gli occhi aperti per ciò che riguarda la
loro autorità. E sono più dignitosi che seriosi: infatti la
dignità rende più autorevoli, e la dignità è una austerità
236 RETORICA II, 1391a 28 - b 13

malakh; kai; eujschvmwn baruvth": ka]n ajdikw's in, ouj mikra-


dikhtaiv eijs in ajlla; megalavdikoi.
30 hJ dΔ eujtuciva kata; movriav te tw'n eijrhmevnwn e[cei ta; h[qh
(eij" ga;r tau'ta sunteivnousin aiJ mevgistai dokou'sai ei\nai eujtu-
civai), kai; e[ti eij" eujteknivan kai; ta; kata; to; sw'ma ajgaqa; para-
skeuavzei hJ eujtuciva pleonektei'n. uJperhfanwvteroi me;n ou\n kai;
1391b ajlogistovteroi dia; th;n eujtucivan eijs ivn, e}n de; ajkolouqei' bevlti-
ston h\qo" th'/ eujtuciva/, o{ti ILlovqeoiv eijs i kai; e[cousin pro;" to;
qei'ovn pw", pisteuvonte" dia; ta; gignovmena ajpo; th'" tuvch".
peri; me;n ou\n tw'n kaqΔ hJlikivan kai; tuvchn hjqw'n ei[rhtai: ta;
5 ga;r ejnantiva tw'n eijrhmevnwn ejk tw'n ejnantivwn fanerav ejstin,
oi|on pevnhto" kai; ajtucou'" h\qo" kai; ajdunavtou.

18. ΔEpei; de; hJ tw'n piqanw'n lovgwn crh's i" pro;" krivs in ejstiv (peri;
w|n ga;r i[smen kai; kekrivkamen oujde;n e[ti dei' lovgou), e[sti dΔ ejavn
te pro;" e{na ti" tw'/ lovgw/ crwvmeno" protrevph/ h] ajpotrevph/,
10 oi|on oiJ nouqetou'nte" poiou's in h] peivqonte" (oujde;n ga;r h|tton
krith;" oJ ei|": o}n ga;r dei' pei'sai, ou|tov" ejstin wJ" eijpei'n aJplw'"
krithv~), ejavn te pro;" ajmILsbhtou'nta", ejavn te pro;" uJpovqesin
levgh/ ti", oJmoivw" (tw'/ ga;r lovgw/ ajnavgkh crh'sqai kai; ajnairei'n
18. I LUOGHI COMUNI AI TRE GENERI DI DISCORSO 237

delicata ed elegante, ragione per la quale sono equilibrati.


E qualora commettano ingiustizia, non saranno inclini a
farne di piccole, ma di grandi.
La buona sorte, secondo le sue componenti, possiede 30

i caratteri delle cose di cui abbiamo già parlato (infatti


nella loro direzione convergono quelle che, a parere di
tutti, sono le più grandi fortune) e, inoltre, per quanto
riguarda una buona discendenza e i beni del corpo, la
buona sorte pone in condizione di ottenere di più. Le
persone fortunate sono, dunque, più arroganti e sconsi- 1391b
derate a causa della buona sorte, alla fortuna, però, viene
dietro una caratteristica eccelsa, perché chi ha fede, per
via di quanto ottenuto dalla sorte, è amante degli dei e si
relaziona, in qualche modo, col divino.
Allora, di caratteri conformi all’età e alla sorte si è già
trattato: infatti le qualità opposte ai caratteri descritti ri- 5

sultano evidenti dai contrari, ad esempio il carattere del


povero e dello sfortunato e di chi è privo di potere.

18. I luoghi comuni ai tre generi di discorso

Dal momento che l’uso di discorsi persuasivi è mirato a


un giudizio133 (di fatto, non vi è alcun bisogno di discute-
re ancora su ciò che ci è già noto e che abbiamo valutato),
ed è mirato a un giudizio
1) sia che, rivolgendosi a un singolo individuo, per-
suada o dissuada, – come fa chi ammonisce o convince (il 10

singolo, appunto, è non meno di un giudice, dal momen-


to che questi, ovvero chi deve essere persuaso, per farla
breve, è uno che giudica),–
2) sia che si parli contro degli avversari,
3) sia che si parli contro una dichiarazione – il che
avviene allo stesso modo (è necessario infatti che si faccia
238 RETORICA II, 1391b 14 - 1392a 7

ta; ejnantiva, pro;" a} w{sper ajmILsbhtou'nta to;n lovgon poiei'tai),


15 wJsauvtw" de; kai; ejn toi'" ejpideiktikoi'" (w{sper ga;r pro;" krith;n
to;n qewro;n oJ lovgo" sunevsthken, o{lw" de; movno" ejsti;n aJplw'"
krith;" ejn toi'" politikoi'" ajgw's in oJ ta; zhtouvmena krivnwn: tav
te ga;r ajmILsbhtouvmena zhtei'tai pw'" e[cei, kai; peri; w|n bou-
leuvontai), peri; de; tw'n kata; ta;" politeiva" hjqw'n ejn toi'" sum-
20 bouleutikoi'" ei[rhtai provteron < w{ste diwrismevnon a]n ei[h pw'"
te kai; dia; tivnwn tou;" lovgou" hjqikou;" poihtevon.
ejpei; de; peri; e{kaston me;n gevno" tw'n lovgwn e{teron h\n to;
tevlo", peri; aJpavntwn dΔ aujtw'n eijlhmmevnai dovxai kai; protav-
sei" eijs i;n ejx w|n ta;" pivstei" fevrousin kai; sumbouleuvonte" kai;
25 ejpideiknuvmenoi kai; ajmILsbhtou'nte", e[ti de; ejx w|n hjqikou;"
tou;" lovgou" ejndevcetai poiei'n, kai; peri; touvtwn diwvristai,
loipo;n hJmi'n dielqei'n peri; tw'n koinw'n. pa's i ga;r ajnagkai'on
tw'/ peri; tou' dunatou' kai; ajdunavtou proscrh'sqai ejn toi'" lovgoi",
kai; tou;" me;n wJ" e[stai tou;" de; wJ" gevgone peira'sqai deiknuvnai.
30 e[ti de; ãto;Ã peri; megevqou" koino;n aJpavntwn ejsti; tw'n lovgwn:
crw'ntai ga;r pavnte" tw'/ meiou'n kai; au[xein kai; sumbouleuvonte"
kai; ejpainou'nte" h] yevgonte" kai; kathgorou'nte" h] ajpologouv-
1392a menoi. touvtwn de; diorisqevntwn peri; tw'n ejnqumhmavtwn koinh'/
peiraqw'men eijpei'n, ei[ ti e[comen, kai; peri; paradeigmavtwn,
o{pw" ta; loipa; prosqevnte" ajpodw'men th;n ejx ajrch'" prov-
qesin. e[stin de; tw'n koinw'n to; me;n au[xein oijkeiovtaton toi'"
5 ejpideiktikoi'", w{sper ei[rhtai, to; de; gegono;" toi'" dikanikoi'"
(peri; touvtwn ga;r hJ krivs i~), to; de; dunato;n kai; ejsovmenon toi'"
sumbouleutikoi'".
18. I LUOGHI COMUNI AI TRE GENERI DI DISCORSO 239

uso del discorso e si confutino gli argomenti avversari,


come se fossero presenti le parti in causa).
E dal momento che lo stesso avviene pure nei discorsi 15

epidittici (infatti il discorso è composto per lo spettatore


come se fosse rivolto a un giudice; in genere, è propria-
mente un giudice solo colui che valuta gli oggetti d’inda-
gine nei dibattiti politici134: infatti si indaga sullo stato dei
fatti dibattuti e quelli sui quali si delibera).
E dal momento che, per quanto riguarda i caratteri
conformi alle costituzioni se ne discute nei discorsi de- 20

liberativi135, e di conseguenza potrebbe essere già stato


definito come e in virtù di quali mezzi siano fattibili i di-
scorsi conformi ai caratteri.
E dal momento che, si era detto136, il fine di ciascun ge-
nere di discorsi è diverso, e che su tutti questi vi sono opi-
nioni e premesse assunte da chi offre persuasioni sia quan-
do si delibera137, sia facendo epidissi138, sia dibattendo139, 25

e, inoltre, da chi è in grado di comporre discorsi conformi


ai caratteri, e si sono operate definizioni su tutti questi ar-
gomenti,140 ci rimane allora da trattare dei luoghi comuni.
È per tutti necessario, infatti, far uso nei discorsi del
luogo del possibile e dell’impossibile, e alcuni proveran-
no a mostrare che una cosa accadrà, altri che è accaduta.
Inoltre il luogo sulle grandezze è comune a tutti i discor- 30

si: infatti tutti fanno ricorso allo sminuire e all’amplificare


sia quando si consiglia, sia quando si loda o si biasima, sia
quando si accusa o si difende. Definiti questi luoghi, di 1392a
comune accordo proviamo a parlare, se abbiamo qualche
elemento, di entimemi e di esempi, in modo da soddisfa-
re il fine proposto all’inizio141 con l’aggiungere ciò che re-
sta. L’amplificare, come si è detto142, è il più appropriato
dei luoghi comuni per i discorsi epidittici, il passato per 5

quelli giudiziari (il giudizio verte infatti su questo genere


di cose), il possibile e il futuro per quelli deliberativi143.
240 RETORICA II, 1392a 8-28

19. Prw'ton me;n ou\n peri; dunatou' kai; ajdunavtou levgwmen. a]n
dh; to; ejnantivon h\/ dunato;n h] ei\nai h] genevsqai, kai; to; ejnantivon
10 dovxeien a]n ei\nai dunatovn, oi|on eij dunato;n a[nqrwpon uJgiasqh'-
nai, kai; nosh'sai: hJ ga;r aujth; duvnami" tw'n ejnantivwn h|/ ejnan-
tiva. kai; eij to; o{moion dunatovn, kai; to; o{moion: kai; eij to; cale-
pwvteron dunatovn, kai; to; rJa'/on: kai; eij to; spoudai'on kai; kalo;n
genevsqai dunatovn, kai; o{lw" dunato;n genevsqai: calepwvteron
15 ga;r kalh;n oijkivan h] oijkivan ei\nai. kai; ou| hJ ajrch; duvnatai genev-
sqai, kai; to; tevlo": oujde;n ga;r givgnetai oujdΔ a[rcetai givgnesqai
tw'n ajdunavtwn, oi|on to; suvmmetron th;n diavmetron ei\nai ou[tΔ a]n
a[rxaito givgnesqai ou[te givgnetai. kai; ou| to; tevlo", kai; hJ ajrch;
dunathv: a{panta ga;r ejx ajrch'" givgnetai. kai; eij to; u{steron th'/
20 oujs iva/ h] th'/ genevsei dunato;n genevsqai, kai; to; provteron, oi|on
eij a[ndra genevsqai dunatovn, kai; pai'da (provteron ga;r ejkei'no
givgnetai), kai; eij pai'da, kai; a[ndra (kai; ajrch; ga;r ejkeivnh). kai;
w|n h] e[rw" h] ejpiqumiva fuvsei ejstivn: oujdei;" ga;r ajdunavtwn ejra'/
oujde; ejpiqumei' wJ" ejpi; to; poluv. kai; w|n ejpisth'maiv eijs i kai;
25 tevcnai, dunato;n tau'ta kai; ei\nai kai; givgnesqai. kai; o{swn hJ
ajrch; th'" genevsew" ejn touvtoi" ejsti;n a} hJmei'" ajnagkavsaimen a]n
h] peivsaimen: tau'ta dΔ ejsti;n w|n kreivttou" h] kuvrioi h] ILvloi. kai;
w|n ta; mevrh dunatav, kai; to; o{lon, kai; w|n to; o{lon dunatovn, kai;
19. ANCORA SUI LUOGHI COMUNI 241

19. Ancora sui luoghi comuni

Parliamo innanzitutto del possibile e dell’impossibile. Eb-


bene se è possibile che sia o che sia successo il contrario di
una data cosa, sembrerà che sia possibile anche l’opposto, 10

ad esempio se è possibile che un uomo guarisca, è possi-


bile anche che si ammali: infatti la potenza dei contrari in
quanto contrari è la stessa. E se una cosa simile a un’altra
è possibile, lo sarà anche l’altra, e se è possibile la cosa più
difficile, lo sarà anche la cosa più facile; e se è possibile
che vi sia qualcosa di accurato e bello, è possibile che que-
sto qualcosa esista in senso generale: è più difficile, infatti,
che vi sia una bella casa piuttosto che esista una casa. E se 15

è possibile che di qualcosa si ha l’inizio, è possibile che si


abbia anche la fine: infatti non si ha, né si inizia ad avere,
nulla di ciò che è impossibile, ad esempio, non potrebbe
avere inizio né si ha il fatto che la diagonale sia commen-
surabile144. E se di qualcosa si ha la fine, è possibile che si
abbia anche l’inizio: ogni cosa infatti si origina dall’inizio.
E se è possibile che abbia luogo «il dopo» per l’essenza
o per la generazione, è possibile che abbia luogo anche 20

«il prima», ad esempio se è possibile che si generi un


uomo, è possibile che si generi anche un fanciullo (dato
che questo si genera prima), e se è possibile che si generi
un fanciullo, è possibile che si generi anche un uomo (in-
fatti l’uomo è anche principio). Ed è possibile che esista
ciò di cui per natura si prova o amore o desiderio: infatti
nessuno, per lo più, ama o desidera delle cose impossibili.
E ciò di cui si ha scienza e tecnica è possibile che esista e
che si realizzi. E sono possibili tutte quelle il cui princi- 25

pio d’origine risiede in ciò che noi potremmo costringere


o persuadere: ovvero di quelle in cui siamo più forti o
di cui siamo padroni o amici. E se sono possibili parti, è
possibile anche l’intero, e se è possibile l’intero, sono per
242 RETORICA II, 1392a 29 - b 19

ta; mevrh wJ" ejpi; to; poluv: eij ga;r provscisma kai; kefali;" kai;
30 citw;n duvnatai genevsqai, kai; uJpodhvmata dunato;n genevsqai, kai;
eij uJpodhvmata, kai; provscisma kai; kefaliv" kai; citwvn. kai; eij to;
1392b gevno" o{lon tw'n dunatw'n genevsqai, kai; to; ei\do", kai; eij to; ei\do", kai;
to; gevno", oi|on eij ploi'on genevsqai dunatovn, kai; trihvrh, kai;
eij trihvrh, kai; ploi'on. kai; eij qavteron tw'n pro;" a[llhla pefu-
kovtwn, kai; qavteron, oi|on eij diplavs ion, kai; h{misu, kai; eij
5 h{misu, diplavs ion. kai; eij a[neu tevcnh" kai; paraskeuh'" duna-
to;n givgnesqai, ma'llon dia; tevcnh" kai; ejpimeleiva" dunatovn, o{qen
kai; ΔAgavqwni ei[rhtai
kai; mh;n ta; mevn ge th'" tevcnh" pravssein, ta; de;
hJmi'n ajnavgkh/ kai; tuvch/ prosgivgnetai.
10 kai; eij toi'" ceivrosi kai; h{ttosi kai; ajfronestevroi" dunatovn, kai;
toi'" ejnantivoi" ma'llon, w{sper kai; ΔIsokravth" e[fh deino;n ei[nai
eij oJ me;n Eu[quno" e[maqen, aujto;" de; mh; dunhvsetai euJrei'n. peri;
de; ajdunavtou dh'lon o{ti ejk tw'n ejnantivwn toi'" eijrhmevnoi"
uJpavrcei.
15 eij de; gevgonen, ejk tw'nde skeptevon. prw'ton me;n gavr, eij to;
h|tton givgnesqai pefuko;" gevgonen, gegono;" a]n ei[h kai; to; ma'l-
lon. kai; eij to; u{steron eijwqo;" givgnesqai gevgonen, kai; to; prov-
teron gevgonen, oi|on eij ejpilevlhstai, kai; e[maqev pote tou'to.
kai; eij ejduvnato kai; ejbouvleto, pevprace: pavnte" gavr, o{tan
19. ANCORA SUI LUOGHI COMUNI 243

lo più possibili anche le parti: infatti se è possibile che vi


siano parte anteriore con spacchi, punta e suola, è possi-
bile pure che vi siano sandali, e se è possibile che vi siano 30

sandali, è possibile che vi siano parte con spacchi, punta


e suola. E se è concepibile che tra cose possibili si dia un
genere nella sua interezza, si darà anche la specie, e se si 1392b
darà la specie, si darà anche il genere, ad esempio se è
possibile che esista la nave, è possibile che esista anche la
trireme, e se è possibile che esista la trireme, è possibile
che esista anche la nave, e se è possibile che esista una
delle due cose che, per natura, sono l’una in rapporto
all’altra, è possibile che esista anche l’altra; ad esempio,
se è possibile che esista il doppio, è possibile che esista
anche la metà, e se è possibile che esista la metà, è possi-
bile che esista anche il doppio. E se è possibile che esista 5

qualcosa priva di arte e preparazione, a maggior ragione


è possibile che esista a causa dell’arte e dell’accuratezza,
e per questo Agatone ha detto «e in verità è proprio del-
la tecnica realizzare alcune cose, altre / ci giungono per
necessità e caso»145. E se qualcosa è possibile per uomini 10

peggiori, inferiori e stupidi, a maggior ragione lo sarà per


chi ha opposte caratteristiche; come pure disse Isocrate
che sarebbe ben strano se lui non fosse stato in grado
di scoprire ciò che Eutino aveva appreso146. Per quanto
concerne l’impossibile è chiaro che lo si ottiene dalle cose
contrarie a quelle che si sono dette.
Se una cosa è accaduta, si deve indagare a partire da 15

questi luoghi. Per prima cosa, infatti, se è accaduto ciò


che per natura ha meno possibilità di verificarsi, potreb-
be essere che è accaduto anche ciò che ne ha di più. E se è
accaduto ciò che è solito verificarsi in seguito, è accaduto
anche quello che è solito verificarsi prima, ad esempio, se
si è dimenticato qualcosa, un tempo la si è anche appresa.
E se qualcuno poteva e voleva realizzare qualcosa, lo ha
244 RETORICA II, 1392b 20 - 1393a 6

20 dunavmenoi boulhqw's i, pravttousin: ejmpodw;n ga;r oujdevn. e[ti


eij ejbouvleto kai; mhde;n tw'n e[xw ejkwvluen, kai; eij ejduvnato kai;
wjrgivzeto, kai; eij ejduvnato kai; ejpequvmei: wJ" ga;r ejpi; to; polu;
w|n ojrevgontai, a]n duvnwntai, poiou's in, oiJ me;n fau'loi diΔ ajkra-
sivan, oiJ dΔ ejpieikei'" o{ti tw'n ejpieikw'n ejpiqumou's in. kai; eij
25 e[melle ªgivgnesqaiº, kai; poiei'n: eijko;" ga;r to;n mevllonta kai;
poih'sai. kai; eij gevgonen o{sa h] pevfuke pro; ejkeivnou h] e{neka
ejkeivnou, oi|on eij h[straye, kai; ejbrovnthsen, kai; eij ejpeivrase,
kai; e[praxen. kai; eij o{sa u{steron pevfuke givgnesqai h] ou|
e{neka givgnetai gevgone, kai; to; provteron kai; to; touvtou e{neka
30 gevgonen, oi|on eij ejbrovnthse, kai; h[strayen, kai; eij e[praxen,
ejpeivrasen. e[sti de; touvtwn aJpavntwn ta; me;n ejx ajnavgkh" ta;
dΔ wJ" ejpi; to; polu; ou{tw" e[conta. peri; de; tou' mh; gegonevnai
fanero;n o{ti ejk tw'n ejnantivwn toi'" eijrhmevnoi".
1393a kai; peri; tou' ejsomevnou ejk tw'n aujtw'n dh'lon: tov te ga;r ejn
dunavmei kai; ejn boulhvsei o]n e[stai, kai; ta; ejn ejpiqumiva/ kai;
ojrgh'/ kai; logismw'/ meta; dunavmew" o[nta, tau'ta kai; ejn oJrmh'/ tou'
poiei'n h] mellhvsei e[stai: wJ" ga;r ejpi; to; polu; givgnetai ma'llon
5 ta; mevllonta h] ta; mh; mevllonta. kai; eij progevgone o{sa prov-
teron pevfuke givgnesqai, oi|on eij sunnefei', eijko;" u|sai. kai; eij to;
19. ANCORA SUI LUOGHI COMUNI 245

fatto, perché tutti quando sono in condizione e vogliono 20

qualcosa la fanno: non vi è infatti nulla che lo impedi-


sca. Inoltre è accaduto qualcosa se qualcuno lo voleva e
nessun fattore esterno l’ha impedito, e se poteva ed era
propenso, e se poteva e lo desiderava: infatti, se si può,
si compiono per lo più azioni per le quali si è portati, gli
uomini da poco per intemperanza, le persone ammodo
perché hanno desideri legittimi. E se qualcosa stava per 25

accadere, vi era pure chi era in procinto di farla: è verosi-


mile, infatti, che chi si accinge a fare qualcosa pure la rea-
lizzi. E qualcosa è accaduto se sono accadute tutte quelle
cose che o per natura lo precedono o ne sono la causa, ad
esempio se vi è stata una saetta, pure vi è stato un tuono,
e se qualcuno ha provato a fare qualcosa, pure l’ha fatta.
E se si sono verificate tutte quelle cose che per natura
seguono o ne sono il fine, si sono verificate anche quelle
che per natura precedono e che a queste sono dirette, ad 30

esempio se vi è un tuono, vi è anche una saetta, e se qual-


cuno ha agito, ha anche provato. Di tutte queste relazioni
alcune sono in tal modo legate da necessità, altre stanno
in modo tale da essere per lo più in questo modo. Per
quel che concerne il non accaduto è evidente che i luoghi
derivano da argomenti opposti a quelli riferiti.
E riguardo il futuro è ovvio che i luoghi si trarran- 1393a
no dai medesimi argomenti: infatti si verificherà ciò che
è nella volontà e nella possibilità di verificarsi, e con la
possibilità si verificheranno quelle cose che hanno parte
in desiderio, pulsione e calcolo, le stesse che pure saran-
no presenti nell’impulso a fare o nell’accingersi a fare,
poiché per lo più si verifica ciò che sta per accadere an-
ziché quelle che non lo è. E se prima è accaduto tutto 5

ciò che per natura precede qualcosa accadrà, ad esempio


se è nuvoloso, è verosimile che pioverà. E se è accaduto
qualcosa in vista di qualcos’altro, è verosimile che anche
246 RETORICA II, 1393a 7-31

e{neka touvtou gevgone, kai; tou'to eijko;" genevsqai, oi|on eij qemev-
lio", kai; oijkiva.
peri; de; megevqou" kai; mikrovthto" tw'n pragmavtwn kai; meiv-
10 zonov" te kai; ejlavttono" kai; o{lw" megavlwn kai; mikrw'n ejk tw'n
proeirhmevnwn hJmi'n ejstin fanerovn. ei[rhtai ga;r ejn toi'" sum-
bouleutikoi'" periv te megevqou" ajgaqw'n kai; peri; tou' meivzono"
aJplw'" kai; ejlavttono", w{ste ejpei; kaqΔ e{kaston tw'n lovgwn to;
prokeivmenon tevlo" ajgaqovn ejstin, oi|on to; sumfevron kai; to;
15 kalo;n kai; to; divkaion, fanero;n o{ti diΔ ejkeivnwn lhptevon ta;"
aujxhvsei" pa's in. to; de; para; tau'ta e[ti zhtei'n peri; megevqou"
aJplw'" kai; uJperoch'" kenologei'n ejstin: kuriwvtera gavr ejstin
pro;" th;n creivan tw'n kaqovlou ta; kaqΔ e{kasta tw'n pra-
gmavtwn.
20 peri; me;n ou\n dunatou' kai; ajdunavtou, kai; povteron gevgonen
h] ouj gevgonen kai; e[stai h] oujk e[stai, e[ti de; peri; megevqou" kai;
mikrovthto" tw'n pragmavtwn, eijrhvsqw tau'ta.

20. Loipo;n de; peri; tw'n koinw'n pivstewn a{pasin eijpei'n, ejpeivper
ei[rhtai peri; tw'n ijdivwn. eijs i; dΔ aiJ koinai; pivstei" duvo tw'/ gevnei,
25 paravdeigma kai; ejnquvmhma: hJ ga;r gnwvmh mevro" ejnqumhvmatov"
ejstin. prw'ton me;n ou\n peri; paradeivgmato" levgwmen: o{moion
ga;r ejpagwgh'/ to; paravdeigma, hJ dΔ ejpagwgh; ajrchv.
paradeigmavtwn de; ei[dh duvo: e}n me;n gavr ejstin paradeivgma-
to" ei\do" to; levgein pravgmata progenomevna, e}n de; to; aujto;n
30 poiei'n. touvtou de; e}n me;n parabolh; e}n de; lovgoi, oi|on oiJ Aijswv-
peioi kai; Libukoiv.
20. L’ESEMPIO 247

quest’ultimo accada, ad esempio, se vi è pietra di fonda-


zione, verosimilmente vi sarà anche una casa.
Riguardo le questioni su grandezza e piccolezza dei
beni, del più e del meno e su cose grandi e piccole in 10

generale è per noi chiaro da quanto detto in preceden-


za147. Di grandezza dei beni e su ciò che, in genere,
è più o meno rilevante se ne parla infatti nei discorsi
deliberativi; di conseguenza, poiché per ciascuno dei
discorsi il fine che si è disposto è un bene, come l’utile, 15

il bello e il giusto148, è evidente che, tramite questi ar-


gomenti, tutti devono assumere le amplificazioni. Al di
là di tutto questo, indagare ulteriormente su grandezza
e superiorità in genere è un parlare a vuoto, perché,
nella prassi, i singoli fatti sono più importanti di que-
stioni generali.
Dunque sul possibile e sull’impossibile, e su ciò che 20

è accaduto o non è accaduto e sarà o non sarà, inoltre


sulla grandezza e sulla piccolezza dei fatti, siano messe in
rilievo tali cose.

20. L’esempio

Resta da dire sulle persuasioni comuni a tutti i generi di


discorso, visto che si è parlato di quelle proprie. Le per-
suasioni comuni sono di due generi, esempi e entimemi, 25

poiché la massima è una parte dell’entimema. Dunque,


innanzitutto parliamo dell’esempio, poiché l’esempio è si-
mile all’induzione, e l’induzione costituisce un principio.
Vi sono due specie di esempi: in una vi è la specie di
esempi per parlare di fatti accaduti in precedenza, nell’al-
tra è l’oratore stesso a comporli. Di questi esempi una
specie è la parabola l’altra sono le favole, come quelle di
Esopo e dei Libici149. 30
248 RETORICA II, 1393a 32 - b 23

e[stin de; to; me;n pravgmata levgein toiovnde


ti, w{sper ei[ ti" levgoi o{ti dei' pro;" basileva paraskeuavzesqai
kai; mh; eja'n Ai[gupton ceirwvsasqai: kai; ga;r provteron Darei'o"
1393b ouj provteron dievbh pri;n Ai[gupton e[laben, labw;n de; dievbh, kai;
pavlin Xevrxh" ouj provteron ejpeceivrhsen pri;n e[laben, labw;n
de; dievbh, w{ste kai; ou|to" eja;n lavbh/, diabhvsetai, dio; oujk ejpi-
treptevon. parabolh; de; ta; Swkratikav, oi|on ei[ ti" levgoi o{ti ouj
5 dei' klhrwtou;" a[rcein: o{moion ga;r w{sper a]n ei[ ti" tou;"
ajqlhta;" klhroivh mh; oi} duvnantai ajgwnivzesqai ajllΔ oi} a]n
lavcwsin, h] tw'n plwthvrwn o{ntina dei' kuberna'n klhrwvseien,
wJ" devon to;n lacovnta ajlla; mh; to;n ejpistavmenon. lovgo" dev, oi|o"
oJ Sthsicovrou peri; Falavrido" kai; ãoJÃ Aijswvpou uJpe;r tou' dhma-
10 gwgou'. Sthsivcoro" me;n ga;r eJlomevnwn strathgo;n aujtokravtora
tw'n ÔImeraivwn Favlarin kai; mellovntwn fulakh;n didovnai tou'
swvmato", ta\lla dialecqei;" ei\pen aujtoi'" lovgon wJ" i{ppo"
katei'ce leimw'na movno", ejlqovnto" dΔ ejlavfou kai; diafqeivronto"
th;n nomh;n boulovmeno" timwrhvsasqai to;n e[lafon hjrwvta tina;
15 a[nqrwpon eij duvnaitΔ a]n metΔ aujtou' timwrhvsasqai to;n e[lafon,
oJ dΔ e[fhsen, eja;n lavbh/ calino;n kai; aujto;" ajnabh'/ ejpΔ aujto;n
e[cwn ajkovntia: sunomologhvsa" de; kai; ajnabavnto" ajnti; tou'
timwrhvsasqai aujto;" ejdouvleuse tw'/ ajnqrwvpw/. “ou{tw de; kai;
uJmei'"”, e[fh, “oJra'te mh; boulovmenoi tou;" polemivou" timwrhv-
20 sasqai to; aujto; pavqhte tw'/ i{ppw/: to;n me;n ga;r calino;n e[cete
h[dh, eJlovmenoi strathgo;n aujtokravtora: eJa;n de; fulakh;n dw'te
kai; ajnabh'nai ejavshte, douleuvsete h[dh Falavridi”. Ai[swpo" de;
ejn Savmw/ dhmhgorw'n krinomevnou dhmagwgou' peri; qanavtou e[fh
20. L’ESEMPIO 249

Parlare di fatti è qualcosa di questo tipo, come se uno


dicesse che occorre prepararsi contro il Gran re e senza
permettergli di conquistare l’Egitto150: infatti, in prece-
denza, anche Dario non passò in Grecia prima di aver 1393b
preso l’Egitto, ma vi si recò dopo essersene impadronito
e, a sua volta, Serse non attaccò prima di essersi impadro-
nito dell’Egitto, ma dopo averlo sottomesso andò in Gre-
cia, di conseguenza anche questo re, se s’impadronisce
dell’Egitto, la attraverserà, perciò non lo si deve permet-
tere. I discorsi socratici sono una parabola, ad esempio
se si dicesse che non deve comandare chi è sorteggiato, 5

poiché sarebbe come se si nominassero atleti designati


dalla sorte e non quelli capaci a gareggiare, o come se,
tra i marinai, si assegni chi capita a fare il timoniere e
non quello competente151. La favola invece è come quel-
la di Stesicoro a proposito di Falaride e come quella di
Esopo riguardo al demagogo. Dal momento che gli Ime- 10

ri avevano scelto Falaride come stratega plenipotenzia-


rio152, e che si era in procinto di conferirgli la guardia del
corpo, Stesicoro, dopo aver discusso le altre questioni,
raccontò loro una favola: un cavallo occupava un prato
da solo, poiché era giunto un cervo e gli aveva rovinato
il pascolo, volendosene vendicare, chiese a un uomo se 15

potesse unirsi a lui per punire il cervo, quello assentì, a


patto che avesse accettato un freno e si lasciasse montare
con dei giavellotti; giunti all’accordo e consentendogli la
monta, anziché vendicarsi si rese schiavo dell’uomo. «E
così sarà anche per voi», disse, «guardate che volendovi
vendicare dei nemici non subiate anche voi la stessa sorte 20

del cavallo; di fatto avete già il freno, avendo scelto uno


stratega con pieni poteri; se pure concederete la guardia
e gli permetterete di salirvi, sarete presto schiavi di Fala-
ride»153. Esopo, invece, parlando in un’assemblea a Samo,
in occasione della condanna alla pena capitale di un dema-
250 RETORICA II, 1393b 24 - 1394a 18

ajlwvpeka diabaivnousan potamo;n ajpwsqh'nai eij" favragga, ouj


25 dunamevnhn de; ejkbh'nai polu;n crovnon kakopaqei'n kai; kunorai-
sta;" pollou;" e[cesqai aujth'", ejci'non de; planwvmenon, wJ" ei\den
aujthvn, katoikteivranta ejrwta'n eij ajfevloi aujth'" tou;" kunorai-
stav", th;n de; oujk eja'n: ejromevnou de; dia; tiv, “o{ti ou|toi me;n” favnai
“h[dh mou plhvrei" eijs i; kai; ojlivgon e{lkousin ai|ma, eja;n de; touvtou"
30 ajfevlhte, e{teroi ejlqovnte" peinw'nte" ejkpiou'ntaiv mou to; loipo;n
ai|ma”. “ajta;r kai; uJma'", a[ndre" Savmioi, ou|to" me;n oujde;n e[ti
blavyei (plouvs io" gavr ejstin), ejan; de; tou'ton ajpokteivnhte, e{teroi
1394a h{xousi pevnhte", oi} uJma'" ajnalwvsousi ta; loipa; klevptonte".”
eijs i; dΔ oiJ lovgoi dhmhgorikoiv, kai; e[cousin ajgaqo;n tou'to,
o{ti pravgmata me;n euJrei'n o{moia gegenhmevna calepovn, lovgou"
de; rJa'/on: poih'sai ga;r dei' w{sper kai; parabolav", a[n ti"
5 duvnhtai to; o{moion oJra'n, o{per rJa'/ovn ejstin ejk ILlosoILva". rJav/w
me;n ou\n porivsasqai ta; dia; tw'n lovgwn, crhsimwvtera de; pro;"
to; bouleuvsasqai ta; dia; tw'n pragmavtwn: o{moia ga;r wJ" ejpi; to;
polu; ta; mevllonta toi'" gegonovs in.
dei' de; crh'sqai toi'" paradeivgmasi oujk e[conta me;n ejn-
10 qumhvmata wJ" ajpodeivxesin (hJ ga;r pivsti" dia; touvtwn), e[conta
de; wJ" marturivoi", ejpilovgw/ crwvmenon toi'" ejnqumhvmasin: pro-
tiqevmena me;n ga;r e[oiken ejpagwgh'/, toi'" de; rJhtorikoi'" oujk
oijkei'on ejpagwgh; plh;n ejn ojlivgoi", ejpilegovmena de; marturivoi",
oJ de; mavrtu" pantacou' piqanov": dio; kai; protiqevnti me;n ajnavgkh
15 polla; levgein, ejpilevgonti de; kai; e}n iJkanovn: mavrtu" ga;r crhsto;"
kai; ei|" crhvs imo".
povsa me;n ou\n ei[dh paradeigmavtwn, kai; pw'" aujtoi'" kai; povte
crhstevon, ei[rhtai.
20. L’ESEMPIO 251

gogo, raccontò che una volpe, nell’attraversare un fiume,


era stata sospinta in un fosso. Non potendone uscire, per 25

lungo tempo in difficoltà, si prese pure molte zecche. Un


riccio che si trovava a passare, come la vide, ne ebbe pietà
e le chiese se volesse togliersi le zecche, quella non glielo
permise; essendole stato chiesto il perché, «perché queste»
– rispose – «ormai sono piene di me e si portano poco
sangue, se le toglierai, le altre che arriveranno affamate mi 30

berranno il resto del sangue». «Tuttavia anche a voi, uomi-


ni di Samo, costui non farà alcun danno (infatti è ricco),
e se lo uccidete, altri verranno, poveri, che, derubandovi, 1394a
consumeranno ciò che vi resta»154. Le favole sono adatte ai
discorsi deliberativi, e hanno questo di buono, che mentre
è difficile trovare fatti simili che si sono realmente verifica-
ti, trovare favole è più facile: infatti si deve comporle come
parabole (a patto che si abbia occhio per il simile, il che 5

è più facile per chi muove dalla filosofia). Con le favole è


dunque più facile procurarsi argomenti, con i fatti, invece,
ci si procura quelli più utili per deliberare: infatti, gli av-
venimenti futuri sono per lo più simili a quelli del passato.
Si deve ricorrere ad esempi non avendo entimemi 10

per la dimostrazione (di fatto è con questi che si ottiene


la persuasione), ma qualora se ne posseggano, servirsi di
esempi come testimonianze, usandoli come epilogo per gli
entimemi: infatti se sono anteposti danno l’impressione di
un’induzione, e per i discorsi retorici l’induzione non è ap-
propriata se non in pochi casi, se sono detti a conclusione
invece fungono da testimonianze, e la testimonianza è in
ogni caso persuasiva. Per questo, per chi la pone prima
dell’entimema è necessario dire molte cose, mentre per chi 15

la mette alla fine è sufficiente anche una sola testimonian-


za: la testimonianza valida, anche singola, è utile.
Si è dunque detto quante siano le specie di esempi, e
come e quando occorre servirsi di esse.
252 RETORICA II, 1394a 19 - b 13

21. Peri; de; gnwmologiva", rJhqevnto" tiv ejstin gnwvmh mavlistΔ a]n
20 gevnoito fanero;n peri; poivwn te kai; povte kai; tivs in aJrmovttei
crh'sqai tw'/ gnwmologei'n ejn toi'" lovgoi". e[sti dh; gnwvmh
ajpovfansi", ouj mevntoi ou[te peri; tw'n kaqΔ e{kaston, oi|on poi'ov"
ti" ΔIILkravth", ajlla; kaqovlou, ou[te peri; pavntwn, oi|on o{ti to;
eujqu; tw'/ kampuvlw/ ejnantivon, ajlla; peri; o{swn aiJ pravxei" eijs iv,
25 kai; ãa}Ã aiJreta; h] feuktav ejsti pro;" to; pravttein, w{stΔ ejpei; to;
ejnquvmhma oJ peri; toiouvtwn sullogismov" ejstin, scedo;n ta;
sumperavsmata tw'n ejnqumhmavtwn kai; aiJ ajrcai; ajfaireqevnto"
tou' sullogismou' gnw'maiv eijs in, oi|on
crh; dΔ ou[ poqΔ o{sti" ajrtivfrwn pevfukΔ ajnhvr
30 pai'da" perissw'" ejkdidavskesqai sofouv".
tou'to me;n ou\n gnwvmh: prosteqeivsh" de; th'" aijtiva" kai; tou' dia;
tiv ejnquvmhmav ejstin to; a{pan, oi|on
cwri;" ga;r a[llh" h|" e[cousin ajrgiva",
fqovnon parΔ ajstw'n ajlfavnousi dusmenh',
1394b kai; to;
oujk e[stin o{sti" pavntΔ ajnh;r eujdaimonei',
kai; to;
oujk e[stin ajndrw'n o{sti" e[stΔ ejleuvqero"
5 gnwvmh, pro;" de; tw'/ ejcomevnw/ ejnquvmhma,
h] crhmavtwn ga;r dou'lov" ejstin h] tuvch".
eij dhv ejstin gnwvmh to; eijrhmevnon, ajnavgkh tevttara ei[dh ei\nai
gnwvmh": h] ga;r metΔ ejpilovgou e[stai h] a[neu ejpilovgou. ajpo-
deivxew" me;n ou\n deovmenaiv eijs in o{sai paravdoxovn ti levgousin
10 h] ajmILsbhtouvmenon: o{sai de; mhde;n paravdoxon, a[neu ejpilovgou.
touvtwn dΔ ajnavgkh ta;" me;n dia; to; proegnw'sqai mhde;n dei'sqai
ejpilovgou, oi|on
ajndri; dΔ uJgiaivnein a[ristovn ejstin, w{" gΔ ejmi;n dokei'
21. LA MASSIMA 253

21. La massima

Per quanto riguarda lo stile sentenzioso, dopo aver detto


cos’è la massima, risulterà soprattutto evidente su quali 20

argomenti e quando e a chi è opportuno farne ricorso


nei discorsi. Allora, la «massima» è un’enunciazione che
però non concerne il particolare – ad esempio che tipo
sia Ificrate – ma l’universale, non su ogni argomento – ad
esempio che dritto è contrario a curvo – ma su tutto ciò
che ha a che vedere con l’azione e su ciò che, in funzione 25

dell’agire, è da preferire o da evitare; per cui, dal momen-


to che su argomenti del genere l’entimema corrisponde
al sillogismo, una volta tolto il sillogismo, conclusioni e
premesse degli entimemi sono pressappoco delle mas-
sime, ad esempio: «Non bisogna mai che un uomo per
natura di retto sentire / insegni ai fanciulli ad essere ec- 30

cessivamente sapienti»155. Questa è dunque una massima,


ma aggiungendo una causa, il perché, l’insieme diventa
un entimema, ad esempio: «Poiché al di là dell’accusa di
essere oziosi, / incorrono nell’invidia astiosa dei concitta-
dini»156. Così il detto: «Non esiste uomo che sia del tutto 1394b
felice»157, e il detto: «Non vi è uomo che sia libero»158,
sono esempi di massima, ma accanto a ciò che segue: «in- 5

fatti o si è schiavo delle ricchezze o del caso»159, si ha un


entimema.
Se quindi la massima è ciò che si è detto, è necessario
che si diano quattro specie di massime: infatti o sarà con
epilogo o senza epilogo. Necessitano di dimostrazione,
quindi, tutte quelle che dicono un qualcosa di parados-
sale o qualcosa di controverso; invece tutte quelle che 10

non hanno nulla di paradossale, sono prive di epilogo.


Di queste è necessario che le une, in forza del loro esse-
re già note, non abbiano affatto bisogno di epilogo, ad
esempio: «per l’uomo la cosa migliore è essere in salute,
254 RETORICA II, 1394b 14 - 1395a 5

(faivnetai me;n ga;r toi'" polloi'" ou{tw), ta;" dΔ a{ma legomevna"


15 dhvla" ei\nai ejpiblevyasin, oi|on
oujdei;" ejrasth;" o{sti" oujk ajei; ILlei'.
tw'n de; metΔ ejpilovgou aiJ me;n ejnqumhvmato" mevro" eijs ivn,
w{sper
crh; dΔ ou[ poqΔ o{sti" ajrtivfrwn,
20 aiJ dΔ ejnqumhmatikai; mevn, oujk ejnqumhvmato" de; mevro": ai{per
kai; mavlistΔ eujdokimou's in. eijs i;n dΔ au|tai ejn o{sai" ejmfaivnetai
tou' legomevnou to; ai[tion, oi|on ejn tw'/
ajqavnaton ojrgh;n mh; fuvlasse qnhto;" w[n:
to; me;n ga;r favnai “mh; dei'n fulavttein” gnwvmh, to; de; pro"-
25 keivmenon “qnhto;n o[nta” to; dia; tiv. oJmoivw" de; kai;
qnata; crh; to;n qnatovn, oujk ajqavnata to;n qnato;n fronei'n.
fanero;n ou\n ejk tw'n eijrhmevnwn povsa te ei[dh gnwvmh",
kai; peri; poi'on e{kaston aJrmovttei: peri; me;n ga;r tw'n ajmIL"-
bhtoumevnwn h] paradovxwn mh; a[neu ejpilovgou, ajllΔ h] proqevnta to;n
30 ejpivlogon gnwvmh/ crh'sqai tw'/ sumperavsmati (oi|on ei[ ti" ei[poi
“ejgw; me;n ou\n, ejpeidh; ou[te fqonei'sqai dei' ou[tΔ ajrgo;n ei\nai,
ou[ fhmi crh'nai paideuvesqai”), h] tou'to proeipovnta ejpeipei'n
ta; e[mprosqen: peri; de; tw'n mh; paradovxwn ajdhvlwn de; prosti-
qevnta to; diovti stroggulwvtata. aJrmovttei dΔ ejn toi'" toiouvtoi"
35 kai; ta; Lakwnika; ajpofqevgmata kai; ta; aijnigmatwvdh, oi|on ei[
1395a ti" levgei o{per Sthsivcoro" ejn Lokroi'" ei\pen, o{ti ouj dei' uJbri-
sta;" ei\nai, o{pw" mh; oiJ tevttige" camovqen a[/dwsin. aJrmovttei de;
gnwmologei'n hJlikiva/ me;n presbutevrwn, peri; de; touvtwn w|n
e[mpeirov" tiv" ejstin, w{ste to; me;n mh; thlikou'ton o[nta gnwmo-
5 logei'n ajprepe;" w{sper kai; to; muqologei'n, peri; de; w|n a[peiro",
21. LA MASSIMA 255

almeno così ci sembra»160 (perché a molti pare così), al-


tre, nello stesso tempo in cui si dicono, sono chiare a chi 15

li prende in considerazione, come: «nessuno che non ami


sempre è amante»161.
Tra le massime con epilogo vi sono quelle che sono
parte dell’entimema, come: «nessun uomo di retto sen-
tire bisogna mai…» altre, che sono adatte agli entimemi, 20

non sono parte di un entimema: e sono queste che hanno


massimo successo. Sono le stesse che fanno parte di quel-
le in cui si mostra la causa di ciò che si dice, come nel
motto: «non serbare ira immortale essendo mortale»162;
per un verso infatti dire «non serbare…» è una massima,
per un altro l’avere aggiunto «essendo mortale» è la cau- 25

sa. E allo stesso modo: «bisogna che il mortale pensi cose


mortali, non che il mortale pensi cose immortali»163.
È dunque evidente, da ciò che si è detto, quante spe-
cie di massime vi siano, e a quale caso ciascuna si adatti;
infatti intorno a questioni dibattute o paradossali non
deve mancare l’epilogo, bensì o l’epilogo va anteposto,
e si fa ricorso alla massima come conclusione (come se 30

uno dicesse «Da parte mia, dunque, poiché né si deve su-


scitare invidia né essere oziosi, sostengo che non si deb-
ba avere cultura»), oppure, dicendo prima la massima,
pronunciare di seguito l’epilogo; mentre è da aggiungere
prima, nel modo più breve possibile, la causa per quanto
concerne ciò che non è paradossale ma oscuro. In casi
di questo genere si trovano sia apoftegmi laconici164 sia 35

massime enigmatiche, come se si dicesse, ad esempio, ciò 1395a


che Stesicoro ha detto a Locri, che non si deve essere tra-
cotanti, «affinché le cicale non cantino a terra»165. Parlare
per massime è adeguato all’età degli vecchi, e per le situa-
zioni in cui si è esperti, di conseguenza l’uso di massime
per coloro che non sono di questa età è sconveniente, 5

come pure raccontare favole, mentre farlo da inesperto


256 RETORICA II, 1395a 6-30

hjlivqion kai; ajpaivdeuton. shmei'on de; iJkanovn: oiJ ga;r ajgroi'koi


mavlista gnwmotuvpoi eijs i; kai; rJa/divw" ajpofaivnontai.
kaqovlou de; mh; o[nto" kaqovlou eijpei'n mavlista aJrmovttei
ejn scetliasmw'/ kai; deinwvsei, kai; ejn touvtoi" h] ajrcovmenon h]
10 ajpodeivxanta. crh'sqai de; dei' kai; tai'" teqrulhmevnai" kai;
koinai'" gnwvmai", eja;n w\s i crhvs imoi: dia; ga;r to; ei\nai koinaiv, wJ"
oJmologouvntwnpavntwn,ojrqw'"e[ceindokou'sin,oi|onparakalou'nti
ejpi; to; kinduneuvein mh; qusamevnou"
ei|" oijwno;" a[risto" ajmuvnesqai peri; pavtrh",
15 kai; ejpi; to; h{ttou" o[nta"
xuno;" ΔEnuavlio",
kai; ejpi; to; ajnairei'n tw'n ejcqrw'n ta; tevkna kai; mhde;n ajdikou'nta
nhvpio" o}" patevra kteivna" pai'da" kataleivpei.
e[ti e[niai tw'n paroimiw'n kai; gnw'maiv eijs in, oi|on paroimiva
20 “ΔAttiko;" pavroiko"”. dei' de; ta;" gnwvma" levgein kai; para; ta;
dedhmosieumevna (levgw de; dedhmosieumevna oi|on to; “gnw'qi sau-
to;n” kai; to; “mhde;n a[gan”), o{tan h] to; h\qo" faivnesqai mevllh/
bevltion h] paqhtikw'" eijrhmevnh. e[sti de; paqhtikh; me;n oi|on
ei[ ti" ojrgizovmeno" faivh yeu'do" ei\nai wJ" dei' gignwvskein auJtovn:
25 ou|to" gou'n eij ejgivgnwsken eJautovn, oujk a[n pote strathgei'n
hjxivwse: to; de; h\qo" bevltion, o{ti ouj dei', w{sper fasivn, ILlei'n
wJ" mishvsonta", ajlla; ma'llon misei'n wJ" ILlhvsonta". dei' de; th'/
levxei th;n proaivresin sundhlou'n, eij de; mhv, th;n aijtivan ejpi-
levgein, oi|on ou{tw" eijpovnta, o{ti “dei' de; ILlei'n oujc w{sper fasivn,
30 ajllΔ wJ" ajei; ILlhvsonta: ejpibouvlou ga;r qavteron”, h] w|de, “oujk
21. LA MASSIMA 257

di queste cose, è da persona sciocca e incolta. Un segno


sufficiente è che soprattutto la gente di campagna è sen-
tenziosa e ne dà facilmente prova. Dire l’universale di ciò
che non è universale si adatta soprattutto nell’indigna-
zione e nell’esagerazione e, in questi casi, o all’inizio o
dopo aver mostrato l’argomento. È necessario ricorrere 10

anche a massime ripetute fino alla noia e comuni, se sono


utili: infatti è per questo che sono comuni, in quanto, dal
momento che sono quelle su cui vi è l’accordo di tutti, si
pensa di fare assunzioni in modo corretto, ad esempio,
per chi invita i soldati a rischiare quando non si sono fatti
i sacrifici: «uno solo è il presagio migliore, correre in soc-
corso della patria»166; e quando si è in condizioni di infe- 15

riorità: «con tutti è Enialio»167; e riguardo il sopprimere i


figli dei nemici pur non essendo cosa affatto giusta: «Stol-
to colui che, ucciso il padre, lascia vivere i figli»168.
Inoltre alcuni proverbi sono anche massime, come il
proverbio «un attico vicino di casa»169. Si devono dire 20

massime anche contro i detti popolari (chiamo detti po-


polari quelli come il «conosci te stesso» e il «nulla di
troppo»)170, quando o si fa in modo che il carattere dell’o-
ratore appaia migliore o quando la massima sia detta con
emozione. Ed è detta con emozione se, in preda all’ira,
si dice che è falso dover conoscere se stesso, ad esempio:
«costui, se veramente avesse conosciuto se stesso, non si 25

sarebbe mai ritenuto degno di fare il generale». Mentre il


carattere dell’oratore risulterà migliore se dicesse che non
deve, come dicono, amare come se dovesse odiare, ma
piuttosto odiare come se dovesse amare171. Si deve, nell’e-
locuzione, rendere del tutto chiara l’intenzione, in caso
contrario dire in epilogo la ragione, ad esempio dicendo
in questo modo e cioè che «si deve amare non come di-
cono tutti, ma come se si dovesse amare sempre: infatti 30

l’altro modo è da persona infida», oppure così: «non mi


258 RETORICA II, 1395a 31 - b 20

ajrevskei dev moi to; legovmenon: dei' ga;r to;n ajlhqino;n ILvlon wJ"
ILlhvsonta ajei; ILlei'n”, kai; “oujde; to; mhde;n a[gan: dei' ga;r
touv" ge kakou;" a[gan misei'n”.
1395b e[cousi dΔ eij" tou;" lovgou" bohvqeian megavlhn mivan me;n dia;
th;n fortikovthta tw'n ajkroatw'n: caivrousi ga;r ejavn ti" kaqovlou
levgwn ejpituvch/ tw'n doxw'n a}" ejkei'noi kata; mevro" e[cousin. o}
de; levgw dh'lon e[stai w|de, a{ma de; kai; pw'" dei' aujta;" qhreuvein.
5 hJ me;n ga;r gnwvmh, w{sper ei[rhtai, ajpovfansi" kaqovlou ejstivn,
caivrousi de; kaqovlou legomevnou o} kata; mevro" prou>polambav-
nonte" tugcavnousi: oi|on ei[ ti" geivtosi tuvcoi kecrhmevno" h]
tevknoi" fauvloi", ajpodevxaitΔ a]n tou' eijpovnto" o{ti oujde;n geito-
niva" calepwvteron h] o{ti oujde;n hjliqiwvteron teknopoiiva",
10 w{ste dei' stocavzesqai poi'a tugcavnousi prou>polambavnon-
te", ei\qΔ ou{tw" peri; touvtwn kaqovlou levgein. tauvthn te dh;
e[cei mivan crh's in to; gnwmologei'n, kai; eJtevran kreivttw: hjqikou;"
ga;r poiei' tou;" lovgou". h\qo" de; e[cousin oiJ lovgoi ejn o{soi"
dhvlh hJ proaivresi": aiJ de; gnw'mai pa'sai tou'to poiou's in dia; to;
15 ajpofaivnesqai to;n th;n gnwvmhn levgonta kaqovlou peri; tw'n pro-
airevsewn, w{ste, a]n crhstai; w\s in aiJ gnw'mai, kai; crhstohvqh
faivnesqai poiou's i to;n levgonta.
peri; me;n ou\n gnwvmh", kai; tiv ejsti kai; povsa ei[dh tauvth"
kai; pw'" crhstevon aujth'/ kai; tivna wjfevleian e[cei, eijrhvsqw
20 tau'ta.
21. LA MASSIMA 259

sta bene il detto, si deve infatti amare il vero amico come


se si dovesse amarlo sempre», e «non mi soddisfa neppu-
re il detto «nulla di troppo: infatti i malvagi vanno odiati
all’eccesso».
Le massime apportano ai discorsi un solo grande aiu- 1395b
to in virtù del basso livello degli ascoltatori: infatti sono
contenti se uno, parlando in universale, ha colto delle
opinioni che ciascuno possiede come casi particolari. Ciò
che dico, e al contempo come procurarsi le massime, sarà
chiaro da quel che segue.
Infatti la massima, come si è detto172, è un enunciato 5

generale, e gli ascoltatori, che si ritrovano ad avere già le


loro opinioni particolari, provano piacere di ciò che si
proferisce in universale; ad esempio se a uno capitasse
di aver avuto a che fare con vicini o figli cattivi, potreb-
be comprendere chi dice il fatto che «niente è più gra-
ve dell’avere dei vicini»173 o che «niente è più insensato
del fare figli»174, di conseguenza si deve prendere di mira 10

quali opinioni preconcette si trovino negli ascoltatori,


e così, su queste, parlare in generale. Ebbene questa è
un’utilità che possiede il parlare per massime e ve ne è
anche un’altra più forte, dal momento che rende i discor-
si etici. Hanno carattere etico i discorsi nei quali è evi-
dente la scelta morale. Tutte le massime li rendono così,
perché chi dice la massima mostra il carattere generale 15

delle intenzioni, perciò, se le massime sono buone, fanno


pure vedere il buon carattere dell’oratore.
Sulla massima quindi, che cos’è, quante specie di essa
vi siano e come farvi ricorso e quale utilità abbia, si dica-
no queste cose. 20
260 RETORICA II, 1395b 21 - 1396a 10

22. Peri; dΔ ejnqumhmavtwn kaqovlou te ei[pwmen tivna trovpon dei'


zhtei'n, kai; meta; tau'ta tou;" tovpou": a[llo ga;r ei\do" eJkavteron
touvtwn ejstivn. o{ti me;n ou\n to; ejnquvmhma sullogismov" ejstin,
ei[rhtai provteron, kai; pw'" sullogismov", kai; tiv diafevrei tw'n
25 dialektikw'n: ou[te ga;r povrrwqen ou[te pavnta dei' lambavnonta"
sunavgein: to; me;n ga;r ajsafe;" dia; to; mh'ko", to; de; ajdolesciva
dia; to; fanera; levgein. tou'to ga;r ai[tion kai; tou' piqanwtevrou"
ei\nai tou;" ajpaideuvtou" tw'n pepaideumevnwn ejn toi'" o[cloi",
w{sper fasi;n oiJ poihtai; tou;" ajpaideuvtou" parΔ o[clw/ mousi-
30 kwtevrw" levgein: oiJ me;n ga;r ta; koina; kai; kaqovlou levgousin, oiJ
dΔ ejx w|n i[sasi, kai; ta; ejgguv": w{stΔ oujk ejx aJpavntwn tw'n
dokouvntwn ajllΔ ejk tw'n wJrismevnwn lektevon, oi|on h] toi'" kriv-
1396a nousin h] ou}" ajpodevcontai, kai; tou'to diovti ou{tw" faivnetai
dh'lon ei\nai a{pasin h] toi'" pleivstoi": kai; mh; movnon sunavgein
ejk tw'n ajnagkaivwn, ajlla; kai; ejk tw'n wJ" ejpi; to; poluv.
prw'ton me;n ou\n dei' labei'n o{ti peri; ou| dei' levgein kai; sul-
5 logivzesqai ei[te politikw'/ sullogismw'/ ei[qΔ oJpoiw/ou'n, ajnagkai'on
kata; touvtou e[cein ta; uJpavrconta, h] pavnta h] e[nia: mhde;n ga;r
e[cwn ejx oujdeno;" a]n e[coi" sunavgein. levgw dΔ oi|on pw'" a]n
dunaivmeqa sumbouleuvein ΔAqhnaivoi" eij polemhtevon h] mh;
polemhtevon, mh; e[conte" tiv" hJ duvnami" aujtw'n, povteron nau-
10 tikh; h] pezikh; h] a[mfw, kai; au{th povsh, kai; provsodoi tivne" h]
22. L’ENTIMEMA 261

22. L’entimema

Parliamo degli entimemi in generale – del modo in cui


vanno cercati – dopo di che, dei luoghi: infatti ciascun
campo d’indagine rientra in ambiti differenti.
Dunque che l’entimema è un sillogismo, si è detto pri-
ma175, e si è detto pure in che modo è sillogismo e in che
cosa differisce da quelli dialettici176: infatti non bisogna 25

inferire né assumendo da lontano né da ogni cosa, perché


la prima operazione è oscura per la lunghezza, la seconda
risulta prolissa perché parla di cose ovvie. Di fronte alle
masse, infatti è questa la ragione della maggiore capacità
di persuasione degli oratori meno colti rispetto a quel-
li preparati; come dicono i poeti, coloro che non sono
colti espongono alla folla in modo più ispirato177: infatti 30

gli oratori preparati parlano per luoghi comuni e in ter-


mini universali, gli altri a partire da ciò che sanno, e cose
vicine all’uditorio; di conseguenza non si deve parlare a
partire da ogni opinione ma da determinate opinioni, ad
esempio o da quelle dei giudici o da quelle accreditate, e 1396a
questo perché così l’argomento sembrerà chiaro per tutti
o per la maggior parte. E non si deve inferire il sillogismo
solo a partire dalle cose necessarie, ma anche da quelle
per lo più.
Dunque, innanzitutto si deve capire che su ciò di cui
si deve parlare e fare ragionamenti, sia con un sillogismo 5

d’argomento politico sia con un qualsiasi tipo di sillogi-


smo, è necessario avere tutte o alcune cose pertinenti ad
esso, poiché, non possedendone alcuna, non c’è nulla da
cui poter trarre conclusioni. Dico, ad esempio, come po-
tremmo consigliare agli Ateniesi se entrare in guerra o
non entrare, non sapendo quale sia la loro forza, se navale
o di fanteria o se di ambedue, e la sua entità, e quali sono 10

le entrate, o non sapendo su quali alleati contare e quali


262 RETORICA II, 1396a 11 - b 1

ILvloi kai; ejcqroiv, ei\ta tivna" polevmou" pepolemhvkasi kai; pw'",


kai; ta\lla ta; toiau'ta: h] ejpainei'n, eij mh; e[coimen th;n ejn Sala-
mi'ni naumacivan h] th;n ejn Maraqw'ni mavchn h] ta; uJpo; tw'n
ÔHrakleidw'n pracqevnta h] a[llo ti tw'n toiouvtwn. ejk ga;r tw'n
15 uJparcovntwn h] dokouvntwn uJpavrcein kalw'n ejpainou's i pavnte".
oJmoivw" de; kai; yevgousin ejk tw'n ejnantivwn, skopou'nte" tiv
uJpavrcei toiou'ton aujtoi'" h] dokei' uJpavrcein, oi|on o{ti tou;"
”Ellhna" katedoulwvsanto, kai; tou;" pro;" to;n bavrbaron
summacesamevnou" kai; ajristeuvsanta" hjndrapodivsanto, Aijginhv-
20 ta" kai; Potidaiavta", kai; o{sa a[lla toiau'ta, ªkai;º ei[ ti a[llo
toiou'ton aJmavrthma uJpavrcei aujtoi'". wJ" dΔ au[tw" kai; oiJ kat-
hgorou'nte" kai; oiJ ajpologouvmenoi ejk tw'n uJparcovntwn skopouv-
menoi kathgorou's i kai; ajpologou'ntai. oujde;n de; diafevrei peri;
ΔAqhnaivwn h] Lakedaimonivwn, h] ajnqrwvpou h] qeou', to; aujto; tou'to
25 dra'n: kai; ga;r sumbouleuvonta tw'/ ΔAcillei', kai; ejpainou'nta kai;
yevgonta, kai; kathgorou'nta kai; ajpologouvmenon uJpe;r aujtou', ta;
uJpavrconta h] dokou'nta uJpavrcein lhptevon, i{nΔ ejk touvtwn
levgwmen, ejpainou'nte" h] yevgonte" ei[ ti kalo;n h] aijscro;n uJp-
avrcei, kathgorou'nte" dΔ h] ajpologouvmenoi ei[ ti divkaion h] a[dikon,
30 sumbouleuvonte" dΔ ei[ ti sumfevron h] blaberovn. oJmoivw" de;
touvtoi" kai; peri; pravgmato" oJtouou'n, oi|on peri; dikaiosuvnh",
eij ajgaqo;n h] mh; ajgaqovn, ejk tw'n uJparcovntwn th'/ dikaiosuvnh/
kai; tw'/ ajgaqw'/: w{stΔ ejpeidh; kai; pavnte" ou{tw faivnontai ajpo-
deiknuvnte", ejavn te ajkribevsteron ejavn te malakwvteron sul-
1396b logivzwntai (ouj ga;r ejx aJpavntwn lambavnousin ajllΔ ejk tw'n peri;
22. L’ENTIMEMA 263

nemici si hanno, e quali guerre hanno già combattuto e in


che modo, e altre cose di questo tipo, o come lodarli, se
non avessimo la battaglia navale di Salamina o la battaglia
di Maratona o le gesta realizzate dagli Eraclidi o qual-
cos’altro di tal genere. Infatti tutti lodano a partire dalle
cose pertinenti o da quelle che si ritengono pertinenti alle 15

cose belle. O anche rimproverano, in maniera simile, a


partire dai contrari, esaminando che cosa di tal genere
è pertinente agli stessi biasimati o cosa si pensa che sia
loro pertinente, ad esempio che gli Ateniesi asservirono i
Greci, e che avevano ridotto in schiavitù anche quelli che
avevano combattuto contro il barbaro e che erano stati
i migliori, come gli Egineti e i Potideesi, e quante altre 20

cose di questo tipo, e se vi sia una qualche altra cosa del


genere che sia per loro una colpa. Così allo stesso modo,
sia quelli che accusano sia quelli che difendono, accusa-
no e difendono prendendo in considerazione quali cose
siano pertinenti al caso in questione. Non fa alcuna dif-
ferenza realizzare questa stessa cosa riguardo Ateniesi o
Spartani, o l’uomo o il dio: infatti sia che si diano consigli 25

ad Achille, sia che si lodi o si biasimi, sia che si accusi o


si difenda su uno stesso argomento, si devono assumere
le cose pertinenti o quelle che si ritengono tali, al fine
di discutere a partire da queste, lodando o biasimando
a seconda che riguardi un qualcosa di bello o di brutto,
accusando o difendendo se invece riguarda qualcosa di
giusto o ingiusto, consigliando se riguarda qualcosa di 30

utile o dannoso. E, in maniera analoga a situazioni del


genere, si procede su qualunque disciplina, ad esempio,
sulla giustizia, se un qualcosa è bene o non lo è lo si deve
assumere a partire da ciò che è pertinente alla giustizia
e al bene; di conseguenza, poiché anche tutti gli oratori
danno così l’impressione che si dimostri, sia che si ragioni
più rigorosamente o in modo più flessibile (infatti non 1396b
264 RETORICA II, 1396b 2-25

e{kaston uJparcovntwn), kai; dia; tou' lovgou dh'lon o{ti ajduvnaton


a[llw" deiknuvnai, fanero;n o{ti ajnagkai'on, w{sper ejn toi'" Topi-
koi'", prw'ton peri; e{kaston e[cein ejxeilegmevna peri; tw'n ejn-
5 decomevnwn kai; tw'n ejpikairotavtwn, peri; de; tw'n ejx uJpoguivou
gignomevnwn zhtei'n to;n aujto;n trovpon, ajpoblevponta mh; eij"
ajovrista ajllΔ eij" ta; uJpavrconta peri; w|n oJ lovgo", kai; perigrav-
fonta o{ ti plei'sta kai; ejgguvtata tou' pravgmato": o{sw/ me;n ga;r
a]n pleivw e[ch/ tw'n uJparcovntwn, tosouvtw/ rJa'/on deiknuvnai, o{sw/
10 dΔ ejgguvteron, tosouvtw/ oijkeiovtera kai; h|tton koinav. levgw de;
koina; me;n to; ejpainei'n to;n ΔAcilleva o{ti a[nqrwpo" kai; o{ti tw'n
hJmiqevwn kai; o{ti ejpi; to; “Ilion ejstrateuvsato: tau'ta ga;r kai;
a[lloi" uJpavrcei polloi'", w{ste oujde;n ma'llon oJ toiou'to" to;n
ΔAcilleva ejpainei' h] Diomhvdhn: i[dia de; a} mhdeni; a[llw/ sum-
15 bevbhken h] tw'/ ΔAcillei', oi|on to; ajpoktei'nai to;n ”Ektora to;n
a[riston tw'n Trwvwn kai; to;n Kuvknon, o}" ejkwvlusen a{panta"
ajpobaivnein a[trwto" w[n, kai; o{ti newvtato" kai; oujk e[norko" w]n
ejstravteusen, kai; o{sa a[lla toiau'ta.
ei|" me;n ou\n trovpo" th'" ejklogh'" prw'to" ou|to" oJ topikov",
20 ta; de; stoicei'a tw'n ejnqumhmavtwn levgwmen: stoicei'on de; levgw
kai; tovpon ejnqumhvmato" to; aujtov. prw'ton de; ei[pwmen peri; w|n
ajnagkai'on eijpei'n prw'ton. e[stin ga;r tw'n ejnqumhmavtwn ei[dh
duvo: ta; me;n ga;r deiktikav ejstin o{ti e[stin h] oujk e[stin, ta; dΔ
ejlegktikav, kai; diafevrei w{sper ejn toi'" dialektikoi'" e[legco"
25 kai; sullogismov". e[sti de; to; me;n deiktiko;n ejnquvmhma to; ejx
22. L’ENTIMEMA 265

compiono assunzioni a partire da ogni cosa, ma da ciò


che è pertinente a ciascun argomento), e poiché è chia-
ro che per mezzo del discorso non si può dimostrare in
altro modo, è evidente che, come s’è detto nei Topici 178,
è innanzitutto necessario avere su ciascun oggetto argo-
menti che siano stati selezionati sulla base di ciò che è 5

possibile e del momento più opportuno, e per quanto


riguarda le circostanze occasionali è necessario ricercare
allo stesso modo, prestando attenzione non a argomenti
imprecisati, ma a cose pertinenti sulle quali verte il di-
scorso, e delimitandone la maggior parte e quelle più vi-
cine al tema: infatti quanti più argomenti si hanno, tanto
più facile è dimostrare, quanto più sono collegate, tanto 10

più sono specifici e meno sono comuni. Intendo per «co-


muni» lodare il fatto che Achille è un uomo e che è tra i
semidei e che è andato a combattere contro Ilio, perché
queste sono cose che già troviamo in molti altri soggetti,
di conseguenza chi fa un encomio del genere non loda
Achille più di quanto non loderebbe Diomede. Chiamo
«specifiche» tutte quelle situazioni che non sono capitate
a nessun altro fuorché ad Achille, ad esempio l’aver uc- 15

ciso Ettore, il migliore dei Troiani, e Cicno che essendo


invulnerabile impedì a tutti di sbarcare, e il fatto che era
il più giovane e che partecipò con un esercito seppure
non vincolato da giuramento, e tutte quante le altre cose
del genere.
Un modo di selezione, il primo, è dunque questo,
ed è il «luogo». Parliamo ora degli elementi degli enti- 20

memi; chiamo «elemento» e «luogo» dell’entimema la


stessa cosa179. Innanzitutto parliamo di quelle cose che
è necessario dire per prima. Vi sono infatti due specie di
entimemi: gli uni «dimostrativi» di ciò che è o che non è,
gli altri «confutativi», e differiscono tra loro come nei di-
scorsi dialettici differiscono confutazione e sillogismo. È 25
266 RETORICA II, 1396b 26 - 1397a 17

oJmologoumevnwn sunavgein, to; de; ejlegktiko;n to; ta; ajnomolo-


gouvmena sunavgein.
scedo;n me;n ou\n hJmi'n peri; e{kaston tw'n eijdw'n tw'n
crhsivmwn kai; ajnagkaivwn e[contai oiJ tovpoi: ejxeilegmevnai ga;r
30 aiJ protavsei" peri; e{kastovn eijs in, w{ste ejx w|n dei' fevrein ta;
ejnqumhvmata tovpwn peri; ajgaqou' h] kakou', h] kalou' h] aijscrou',
h] dikaivou h] ajdivkou, kai; peri; tw'n hjqw'n kai; paqhmavtwn kai;
e{xewn wJsauvtw", eijlhmmevnoi hJmi'n uJpavrcousi provteron oiJ tovpoi.
1397a e[ti de; a[llon trovpon kaqovlou peri; aJpavntwn lavbwmen, kai;
levgwmen parashmainovmenoi tou;" ejlegktikou;" kai; tou;" ajpo-
deiktikouv", kai; tou;" tw'n fainomevnwn ejnqumhmavtwn, oujk o[ntwn
de; ejnqumhmavtwn, ejpeiv per oujde; sullogismw'n. dhlwqevntwn de;
5 touvtwn peri; tw'n luvsewn kai; ejnstavsewn diorivswmen, povqen dei'
pro;" ta; ejnqumhvmata fevrein.

23. “Esti de; ei|" me;n tovpo" tw'n deiktikw'n ejk tw'n ejnantivwn:
dei' ga;r skopei'n eij tw'/ ejnantivw/ to; ejnantivon uJpavrcei, ajn-
airou'nta me;n eij mh; uJpavrcei, kataskeuavzonta de; eij uJpavrcei,
10 oi|on o{ti to; swfronei'n ajgaqovn: to; ga;r ajkolastaivnein blaberovn.
h] wJ" ejn tw'/ Messhniakw'/: “eij ga;r oJ povlemo" ai[tio" tw'n par-
ovntwn kakw'n, meta; th'" eijrhvnh" dei' ejpanorqwvsasqai”.
ei[ per ga;r oujde; toi'" kakw'" dedrakovs in
ajkousivw" divkaion eij" ojrgh;n pesei'n,
15 oujdΔ a]n ajnagkasqeiv" ti" eu\ dravsh/ tinav,
prosh'kon ei\nai tw'/dΔ ojfeivlesqai cavrin.
ajllΔ ei[ per e[stin ejn brotoi'" yeudhgorei'n
23. TOPICI DEGLI ENTIMEMI 267

un «entimema dimostrativo» il trarre conclusioni a par-


tire da ciò su cui si è d’accordo, quello «confutativo» è
il trarre come conclusioni le cose su cui vi è disaccordo.
Dunque, all’incirca su ciascuna delle specie dei di-
scorsi retorici noi possediamo i luoghi utili e necessari:
infatti sono state selezionate le relative premesse; di con- 30

seguenza bisogna trarre gli entimemi da quei luoghi che


concernono il bene o il male, il bello o il brutto, il giusto o
l’ingiusto e lo stesso dicasi per ciò che riguarda i caratteri,
le passioni e gli abiti morali, ossia i luoghi che preceden-
temente sono stati da noi individuati. Inoltre, assumiamo 1397a
un altro modo generale per tutti quanti i luoghi degli en-
timemi, e parliamo prendendo nota di quelli confutativi,
di quelli dimostrativi e di quelli degli entimemi appa-
renti, che non sono entimemi perché in realtà non sono
neppure dei sillogismi. Dopo aver chiarito questi punti, 5

definiamo ciò che riguarda confutazioni e obiezioni, e da


dove bisogna trarli per opporsi agli entimemi180.

23. Topici degli entimemi

1) Un luogo degli entimemi dimostrativi si ricava dai con-


trari: infatti si deve considerare se il contrario è pertinen-
te al contrario181, invalidando la tesi se non è pertinente,
preparandola se è pertinente, ad esempio che l’essere 10

moderato è bene: infatti l’essere intemperanti è danno-


so. O come nel discorso per i Messeni182: «se di fatto la
guerra è causa dei mali presenti, bisogna rimediare con la
pace». Oppure: «Se invero non è giusto cedere alla col-
lera / contro chi, senza volerlo, ha agito in maniera mal-
vagia, / neppure è conveniente provare riconoscenza, / 15

se un uomo, perché costretto, ha fatto del bene a qualcu-


no»183. Oppure: «Ma se è proprio tra i mortali dire men-
268 RETORICA II, 1397a 18 - b 9

piqanav, nomivzein crhv se kai; toujnantivon,


a[pistΔ ajlhqh' polla; sumbaivnein brotoi'".
20 a[llo" ejk tw'n oJmoivwn ptwvsewn: oJmoivw" ga;r dei' uJpavrcein
h] mh; uJpavrcein, oi|on o{ti to; divkaion ouj pa'n ajgaqovn: kai; ga;r
a]n to; dikaivw", nu'n dΔ oujc aiJreto;n to; dikaivw" ajpoqanei'n.
a[llo" ejk tw'n pro;" a[llhla: eij ga;r qatevrw/ uJpavrcei to;
kalw'" h] dikaivw" poih'sai, qatevrw/ to; peponqevnai, kai; eij ãto;Ã
25 keleu'sai, kai; to; pepoihkevnai, oi|on wJ" oJ telwvnh" Diomevdwn
peri; tw'n telw'n, “eij ga;r mhdΔ uJmi'n aijscro;n to; pwlei'n, oujdΔ
hJmi'n to; wjnei'sqai”. kai; eij tw'/ peponqovti to; kalw'" h] dikaivw"
uJpavrcei, kai; tw'/ poihvsanti. e[sti dΔ ejn touvtw/ paralogivsasqai:
eij ga;r dikaivw" e[paqevn ti, ªdikaivw" pevponqen,º ajllΔ i[sw" oujc
30 uJpo; sou': dio; dei' skopei'n cwri;" eij a[xio" oJ paqw;n paqei'n kai; oJ
1397b poihvsa" poih'sai, ei\ta crh'sqai oJpotevrw" aJrmovttei: ejnivote ga;r
diafwnei' to; toiou'ton kai; oujde;n kwluvei, w{sper ejn tw'/ ΔAl-
kmaivwni tw'/ Qeodevktou “mhtevra de; th;n sh;n ou[ ti" ejstuvgei brotw'n…”
fhsi; de; ajpokrinovmeno" “ajlla; dialabovnta crh; skopei'n”:
5 ejromevnh" de; th'" ΔAlfesiboiva" pw'", uJpolabwvn fhsin
th;n me;n qanei'n e[krinan, ejme; de; mh; ktanei'n.
kai; hJ peri; Dhmosqevnou" divkh kai; tw'n ajpokteinavntwn Nikav-
nora: ejpei; ga;r dikaivw" ejkrivqhsan ajpoktei'nai, dikaivw" e[doxen
ajpoqanei'n. kai; peri; tou' Qhvbhsin ajpoqanovnto", peri; ou| keleuvei
23. TOPICI DEGLI ENTIMEMI 269

zogne persuasive, bisogna che tu pensi anche il contrario,


che molte verità non risultino credibili per i mortali»184.
2) Un altro luogo si ricava dalle forme grammaticali 20

simili: infatti il termine deve avere un rapporto di sus-


sunzione oppure non deve averlo nello stesso modo, ad
esempio, il fatto che «giusto» non è tutto quanto un bene,
anche perché lo sarebbe il «giustamente», ora però non è
auspicabile il morire «giustamente».
3) Un altro luogo si ricava dai termini in rapporto reci-
proco: se infatti a uno dei due termini è pertinente il be-
neficare o il farlo giustamente, anche all’altro sarà l’averlo
ricevuto, e se a uno è pertinente l’ordinare, all’altro sarà 25

l’avere eseguito, ad esempio, come disse il pubblicano


Diomedonte sulle imposte, «se infatti per voi non è turpe
il vendere, non lo è per noi l’acquistare». E se l’espres-
sione «in modo bello» o «in modo giusto» è pertinente
a chi ha subito un’azione, lo è pure per chi lo fa. Vi è
in questo la possibilità che si faccia un paralogismo. Se
infatti un tizio riceve qualcosa giustamente, giustamente
la ha subita, ma forse non per opera tua; perciò si deve 30

considerare separatamente se chi ha ricevuto è merite-


vole di ricevere e chi ha fatto di aver fatto, poi vedere in 1397b
quale dei due modi è adatto l’utilizzo: infatti a volte, in
casi come questi, vi è dissonanza e nulla impedisce, come
nell’Alcmeone di Teodette185, di chiedere: «nessuno dei
mortali odiava tua madre?» mentre l’interrogato rispon-
de: «tuttavia è necessario considerare ciò che va distin-
to»186; e quando Alfesibea chiede in che modo, dopo aver 5

riflettuto dice: «decisero di farla morire, non che dovessi


ucciderla io»187. Un altro esempio, il processo su Demo-
stene e sugli uccisori di Nicanore188: infatti, poiché si giu-
dicò che l’avessero ucciso giustamente, si era dell’avviso
che fosse morto giustamente. Ancora, il caso di un uomo
messo a morte a Tebe, riguardo al quale si chiede di giu-
270 RETORICA II, 1397b 10-30

10 krivnesqai eij divkaio" h\n ajpoqanei'n, wJ" oujk a[dikon o]n to; ajpo-
ktei'nai to;n dikaivw" ajpoqanovnta.
a[llo" ejk tou' ma'llon kai; h|tton, oi|on “eij mhdΔ oiJ qeoi; pavnta
i[sasin, scolh'/ oi{ ge a[nqrwpoi”: tou'to gavr ejstin “eij w|/ ma'llon
a]n uJpavrcoi mh; uJpavrcei, dh'lon o{ti oujdΔ w|/ h|tton”. to; dΔ o{ti
15 tou;" plhsivon tuvptei o{" ge kai; to;n patevra ejk tou' “eij to; h|tton
ãuJpavrconà uJpavrcei, kai; to; ma'llon uJpavrcei”: tou;" ga;r
patevra" h|tton tuvptousin h] tou;" plhsivon: h] dh; ou{tw" ge h]
eij w|/ ma'llon uJpavrcei mh; uJpavrcei, h] eij w|/ h|tton uJpavrcei ãuJp-
avrceiÃ, oJpovteron dei' dei'xai, ei[qΔ o{ti uJpavrcei ei[qΔ o{ti ou[. e[ti eij
20 mhvte ma'llon mhvte h|tton, o{qen ei[rhtai
kai; so;" me;n oijktro;" pai'da" ajpolevsa" pathvr:
Oijneu;" dΔ a[rΔ oujci; ªto;n ÔEllavdo~º kleino;n ajpolevsa" govnon…
kai; o{ti, eij mhde; Qhseu;" hjdivkhsen, oujdΔ ΔAlevxandro", kai; eij
mhdΔ oiJ Tundarivdai, oujdΔ ΔAlevxandro", kai; eij Pavtroklon ”E-
25 ktwr, kai; ΔAcilleva ΔAlevxandro". kai; eij mhdΔ a[lloi tecni'tai
fau'loi, oujdΔ oiJ ILlovsofoi. kai; eij mhdΔ oiJ strathgoi; fau'loi
o{ti qanatou'ntai pollavki", oujdΔ oiJ soILstaiv. kai; o{ti “eij dei'
to;n ijdiwvthn th'" uJmetevra" dovxh" ejpimelei'sqai, kai; uJma'" th'"
tw'n ÔEllhvnwn”.
30 a[llo" ejk tou' to;n crovnon skopei'n, oi|on wJ" ΔIILkravth"
23. TOPICI DEGLI ENTIMEMI 271

dicare se era giusto che morisse, dal momento che non è 10

ingiusto uccidere chi moriva giustamente.


4) Un altro luogo si ricava dal più o dal meno, ad
esempio «se neppure gli dei sanno tutto, difficilmente lo
sapranno gli uomini»; in effetti il fatto è questo: «se una
cosa non è pertinente a quella cui potrebbe esserlo di più,
è evidente che non lo è neppure a quella cui potrebbe es-
serlo di meno». E il detto secondo cui «colpisce il vicino 15

colui che colpisce anche il padre», si ricava da questo:


«se è pertinente il fatto che lo è in minor misura, lo è
pure quello che è pertinente in maggior misura»: infatti si
colpiscono i padri ancora meno dei vicini; ebbene si può
dimostrare in questo modo, o se il fatto non è pertinente
a ciò che dovrebbe esserlo in maggior misura o se la cosa
è pertinente a ciò che dovrebbe esserlo in minor misura,
a seconda di quale delle due cose si vuole mostrare, se
quella in quanto vi è pertinenza o quella in quanto non vi
è pertinenza. Inoltre se non vi è pertinenza né in misura 20

maggiore né in misura minore, di qui si dice: «Anche tuo


padre fa compassione avendo perso figli; / ma Eneo forse
non è da compiangere avendo perso un illustre discen-
dente della Grecia?»189. Inoltre il fatto che, se Teseo non
fu colpevole, non lo fu neppure Alessandro190, e se non
lo furono i Tindaridi191, non lo fu Alessandro, e se Ettore
fu colpevole della morte di Patroclo192, anche Alessandro 25

lo fu per quella di Achille193. E se non sono persone da


poco quegli altri che esercitano una professione, non lo
sono neppure i filosofi. E se non sono uomini da poco gli
strateghi che spesso si augurano la morte, non lo sono
neppure i sapienti. E che «se un privato cittadino deve
prendersi cura della vostra reputazione, anche voi dovete
aver cura di quella dei Greci»194.
5) Un altro luogo si ricava dal tenere in considerazio- 30

ne il tempo, ad esempio, come Ificrate che, nell’orazione


272 RETORICA II, 1397b 31 - 1398a 17

ejn th'/ pro;" ÔArmovdion, o{ti “eij pri;n poih'sai hjxivoun th'"
eijkovno" tucei'n eja;n poihvsw, e[dote a[n: poihvsanti dΔ a\rΔ ouj
dwvsete… mh; toivnun mevllonte" me;n uJpiscnei'sqe, paqovnte" dΔ
ajfairei'sqe”. kai; pavlin pro;" to; Qhbaivou" diievnai )Lvlippon eij"
1398a th;n ΔAttikhvn, o{ti eij pri;n bohqh'sai eij" Fwkei'" hjxivou, uJpevsconto
a[n: a[topon ou\n eij diovti proei'to kai; ejpivsteusen mh; dihvsousin.
a[llo" ejk tw'n eijrhmevnwn kaqΔ auJtou' pro;" to;n eijpovnta,
oi|on ejn tw'/ Teuvkrw/. diafevrei de; oJ trovpo" w|/ ejcrhvsato
5 ΔIILkravth" pro;" ΔAristofw'nta, ejperovmeno" eij prodoivh a]n
ta;" nau'" ejpi; crhvmasin: ouj favskonto" dev, ei\ta ei\pen “su;
me;n w]n ΔAristofw'n oujk a]n prodoivh", ejgw; dΔ w]n ΔIILkravth"…”
dei' de; uJpavrcein ma'llon a]n dokou'nta ajdikh'sai ejkei'non: eij de; mhv,
geloi'on a]n faneivh, ãoi|onà eij pro;" ΔAristeivdhn kathgorou'nta
10 tou'tov ti" ªa]nº ei[peien a[llo" pro;" ajpistivan tou' kathgovrou:
o{lw" ga;r bouvletai oJ kathgorw'n beltivwn ei\nai tou' feuvgonto":
tou'tΔ ou\n ejxelevgcein dei'. kaqovlou de; a[topov" ejstin, o{tan ti"
ejpitima'/ a[lloi" a} aujto;" poiei' h] poihvseien a]n, h] protrevph/
poiei'n a} aujto;" mh; poiei' mhde; poihvseien a[n.
15 a[llo" ejx oJrismou', oi|on tiv to; daimovniovn ejstin: “a\ra
qeo;" h] qeou' e[rgon… kaivtoi o{sti" oi[etai qeou' e[rgon ei\nai,
tou'ton ajnavgkh oi[esqai kai; qeou;" ei\nai.” kai; wJ" ΔIILkravth",
23. TOPICI DEGLI ENTIMEMI 273

contro Armodio, dice: «se per caso, prima di compiere


l’incarico, mi fossi ritenuto degno di ottenere una statua
nel caso l’avessi portato a termine, voi me l’avreste con-
cessa. Forse che non la darete dopo che ho agito? Per-
tanto, non fate promesse quando vi aspettate qualcosa
per poi negarle quando la ricevete»195. E di nuovo per
convincere i Tebani a lasciar passare Filippo diretto in 1398a
Attica, si disse che «se egli avesse ritenuto giusto chieder-
glielo prima di prestare loro soccorso contro i Focesi196
avrebbero acconsentito: sarebbe dunque assurdo se per
aver trascurato la cosa e aver contato su di loro ora non
avessero concesso il passaggio»197.
6) Un altro luogo si ricava dalle cose dette su di noi
rivoltandole contro chi le ha dette, come nel Teucro198. È
diverso il modo in cui se ne servì Ificrate contro Aristo- 5

fonte199, quando gli fu chiesto se avesse consegnato al


nemico le navi in cambio di denaro; questi, dopo aver
risposto di no, disse poi: «tu che sei Aristofonte non tra-
diresti, dovrei farlo io che sono Ificrate?» Occorre che
quella persona sia ritenuta in maggior misura propensa
al commettere ingiustizia, in caso contrario la cosa appa-
rirebbe ridicola, come se, contro Aristide200 che muove
questa accusa, ci fosse un altro a parlare contro la man- 10

canza di credibilità dell’accusatore: in genere, infatti, chi


accusa vuole essere migliore di chi fugge l’accusa; è dun-
que questo che bisogna confutare. In generale è assurdo,
quando uno rimprovera ad altri le cose che lui stesso fa
o farebbe, o solleciti altri a fare cose che lui stesso non fa
o non farebbe.
7) Un altro luogo si ricava dalla definizione, ad esem- 15

pio cos’è il potere divino: «forse dio o l’opera di un dio?


E chiunque ritiene che sia l’opera di un dio, è necessario
che creda anche che gli dei esistano»201. Ancora, come
sostiene Ificrate202, l’uomo più nobile è la persona più ec-
274 RETORICA II, 1398a 18 - b 8

o{ti gennaiovtato" oJ bevltisto": kai; ga;r ÔArmodivw/ kai; ΔAristo-


geivtoni oujde;n provteron uJph'rcen gennai'on pri;n gennai'ovn ti
20 pra'xai. kai; o{ti suggenevstero" aujtov": “ta; gou'n e[rga sug-
genevsterav ejsti ta; ejma; toi'" ÔArmodivou kai; ΔAristogeivtono" h]
ta; sav”. kai; wJ" ejn tw'/ ΔAlexavndrw/ o{ti pavnte" a]n oJmologhv-
seian tou;" mh; kosmivou" oujc eJno;" swvmato" ajgapa'n ajpovlausin.
kai; diΔ o} Swkravth" oujk e[fh badivzein wJ" ΔArcevlaon: u{brin
25 ga;r e[fh ei\nai to; mh; duvnasqai ajmuvnasqai oJmoivw" kai; eu\ paqovn-
ta" w{sper kai; kakw'". pavnte" ga;r ou|toi oJrisavmenoi kai; labovn-
te" to; tiv ejsti sullogivzontai peri; w|n levgousin.
a[llo" ejk tou' posacw'", oi|on ejn toi'" Topikoi'" peri; tou'
ojrqw'".
30 a[llo" ejk diairevsew", oi|on eij pavnte" triw'n e{neken ajdikou's in
(h] tou'de ga;r e{neka h] tou'de h] tou'de), kai; dia; me;n ta; duvo
ajduvnaton, dia; de; to; trivton oujdΔ aujtoiv fasin.
a[llo" ejx ejpagwgh'", oi|on ejk th'" Peparhqiva", o{ti peri;
1398b tw'n tevknwn aiJ gunai'ke" pantacou' diorivzousi tajlhqev":
tou'to me;n ga;r ΔAqhvnhsi Mantiva/ tw'/ rJhvtori ajmILsbhtou'nti
pro;" to;n uiJo;n ajpevfhnen hJ mhvthr, tou'to de; Qhvbhsin ΔIsmhnivou
kai; Stivlbwno" ajmILsbhtouvntwn hJ Dwdwni;" ajpevdeixen ΔIsmh-
5 nivou to;n uiJovn, kai; dia; tou'to Qettalivskon ΔIsmhnivou ejnovmizon.
kai; pavlin ejk tou' Novmou tou' Qeodevktou, “eij toi'" kakw'" ejpi-
melhqei's i tw'n ajllotrivwn i{ppwn ouj paradidovasi tou;" oijkeivou",
oujde; toi'" ajnatrevyasi ta;" ajllotriva" nau'" ãta;" oijkeiva~Ã,
23. TOPICI DEGLI ENTIMEMI 275

cellente: e infatti non vi era nessuna nobiltà in Armodio


e Aristogitone prima di compiere qualcosa di nobile203. 20

Inoltre diceva che lui stesso era quello a loro più affine:
«veramente le opere di Armodio e Aristogitone sono più
congeniali a me che a te». E come nell’Alessandro 204, si
sostiene che tutti sarebbero concordi nel fatto che le per-
sone non moderate non provano piacere nell’amare un
solo corpo. Ancora, per questo motivo Socrate disse di
non andare da Archelao205: disse infatti che era vergogno- 25

so il non esser in grado di ripagare in egual misura sia


quando si riceve del bene sia quando si subisce del male.
Tutti questi, infatti, che hanno determinato e assunto la
definizione, traggono conseguenze su ciò che è oggetto
del loro discorso.
8) Un altro luogo si ricava da quanti modi si dice un
termine, come nei Topici a proposito del parlarne corret-
tamente206.
9) Un altro si ricava dalla divisione, ad esempio «se tut- 30

ti commettono ingiustizia, la commettono per tre motivi


(appunto o per questo o per quest’altro o per quest’altro
ancora), ma per due il fatto è irrealizzabile, mentre del
terzo neppure gli stessi avversari ne parlano.
10) Un altro luogo viene dall’induzione, ad esempio
dalla vicenda della donna di Pepareto, si ha induzione
del fatto che riguardo i figli sono le donne di ogni luogo 1398b
a distinguere il vero; infatti, questo è ciò che, ad Atene,
dimostrò la madre all’oratore Mantia nell’attacco contro
il figlio207, e a Tebe è proprio questo che, durante la causa
tra Ismenia e Stilbone, dimostrò Dodonide ossia che il 5

figlio era di Ismenia, e per questo motivo riconobbero


che Tessalisco era figlio di Ismenia. E ancora, dalla Legge
di Teodette, «se a chi si è occupato malamente dei cavalli
altrui non si affidano i propri, e a quelli che ribaltano le
navi altrui non si affidano le proprie, certamente, se è nel-
276 RETORICA II, 1398b 9-34

oujkou'n eij oJmoivw" ejfΔ aJpavntwn, kai; toi'" kakw'" fulavxasi th;n
10 ajllotrivan ouj crhstevon ejsti;n eij" th;n oijkeivan swthrivan”. kai;
wJ" ΔAlkidavma", o{ti pavnte" tou;" sofou;" timw's in: “Pavrioi gou'n
ΔArcivlocon kaivper blavsfhmon o[nta tetimhvkasi, kai; Ci'oi
”Omhron oujk o[nta polivthn, kai; Mutilhnai'oi Sapfw' kaivper
gunai'ka ou\san, kai; Lakedaimovnioi Civlwna kai; tw'n gerovntwn
15 ejpoivhsan h{kista ILlovlogoi o[nte", kai; ΔItaliw'tai Puqagovran,
kai; Lamyakhnoi; ΔAnaxagovran xevnon o[nta e[qayan kai; timw's i
e[ti kai; nu'n, kai; ΔAqhnai'oi toi'" Sovlwno" novmoi" crhsavmenoi
eujdaimovnhsan kai; Lakedaimovnioi toi'" Lukouvrgou, kai; Qhvbhsin
a{ma oiJ prostavtai ILlovsofoi ejgevnonto kai; eujdaimovnhsen hJ
20 povli~”.
a[llo" ejk krivsew" peri; tou' aujtou' h] oJmoivou h] ejnantivou,
mavlista me;n eij pavnte" kai; ajeiv, eij de; mhv, ajllΔ oi{ ge plei'stoi,
h] sofoi; h] pavnte" h] oiJ plei'stoi, h] ajgaqoiv, h] eij aujtoi; oiJ
krivnonte", h] ou}" ajpodevcontai oiJ krivnonte", h] oi|" mh; oi|ovn te
25 ejnantivon krivnein, oi|on toi'" kurivoi", h] oi|" mh; kalo;n ejnantivon
krivnein, oi|on qeoi'" h] patri; h] didaskavloi", w{sper o} eij"
Mixidhmivdhn ei\pen Aujtoklh'", ªeijº tai'" me;n semnai'" qeai'"
kalw'" ei\cen ejn ΔAreivw/ pavgw/ dou'nai ta; divkaia, Mixidhmivdh/
dΔ ou[. h] w{sper Sapfwv, o{ti to; ajpoqnhv/skein kakovn: oiJ qeoi;
30 ga;r ou{tw kekrivkasin: ajpevqnhskon ga;r a[n. h] w{sper ΔAriv-
stippo" pro;" Plavtwna ejpaggeltikwvterovn ti eijpovnta, wJ" w[/eto:
“ajlla; mh;n o{ gΔ eJtai'ro" hJmw'n”, e[fh, “oujqe;n toiou'ton”, levgwn
to;n Swkravth, kai; ÔHghsivpoli" ejn Delfoi'" hjrwvta to;n qeovn,
provteron kecrhmevno" ΔOlumpivasin, eij aujtw'/ ta; aujta; dokei'
23. TOPICI DEGLI ENTIMEMI 277

lo stesso modo in tutti quanti i casi, non bisogna neanche


servirsi, per la propria salvezza, di chi difende malamen- 10

te quella degli altri»208. E così Alcidamante209 che disse


che tutti onorano i sapienti. «I Parii, quanto meno allora,
hanno onorato Archiloco anche se era una mala lingua,
e quelli di Chio Omero anche se non era loro concitta-
dino, e quelli di Mitilene Saffo anche se era una donna,
e i Lacedemoni pure fecero geronte Chilone per quanto 15

fossero poco amanti delle lettere, e gli Italioti Pitagora,


e i Lampsaceni onorarono con riti funebri Anassago-
ra anche se era straniero e ancora oggi lo onorano, e gli
Ateniesi furono felici di servirsi delle leggi di Solone e i
Lacedomoni di Licurgo, e a Tebe, quando i protettori di-
vennero contemporaneamente filosofi, la città prosperò». 20

11) Un altro luogo si ricava da un giudizio precedente


che verte su uno stesso oggetto o su uno simile o contrario,
soprattutto se tutti e sempre sono dello stesso avviso, e
se non tutti, almeno la maggior parte, o i sapienti (tutti
o la maggior parte), o uomini virtuosi, o gli stessi giu-
dici, o quelli che i giudici approvano, o coloro contro i
quali non è possibile emettere un giudizio sfavorevole, ad 25

esempio contro i padroni, o coloro contro i quali non è


bello emettere un giudizio sfavorevole, ad esempio con-
tro gli dei, il padre o i precettori, come ciò che fece Auto-
cle quando disse a Missidemide210: «se per le venerate dee
era bello nell’Areopago offrirsi ai giudizi, mentre non lo
è per Missidemide». O come sostenne Saffo che il morire
è un male, dato che gli dei hanno così giudicato, tant’è 30

che altrimenti morirebbero. Oppure, come Aristippo211


che, nei riguardi di Platone che diceva qualcosa di troppo
pretenzioso, la pensava in questi termini: «ma il nostro
amico» – diceva intendendo Socrate – «non ha mai detto
nulla del genere»; e Egesipoli, a Delfi, che in precedenza
si era consultato con l’oracolo di Olimpia, domandò al
278 RETORICA II, 1399a 1-25

1399a a{per tw'/ patriv, wJ" aijscro;n o]n tajnantiva eijpei'n, kai; peri; th'"
ÔElevnh" wJ" ΔIsokravth" e[grayen o{ti spoudaiva, ei[per Qhseu;"
e[krinen, kai; peri; ΔAlexavndrou, o{ti aiJ qeai; proevkrinan, kai;
peri; Eujagovrou, o{ti spoudai'o", w{sper ΔIsokravth" fhsivn:
5 “Kovnwn gou'n dustuchvsa", pavnta" tou;" a[llou" paralipwvn,
wJ" Eujagovran h\lqen”.
a[llo" ejk tw'n merw'n, w{sper ejn toi'" Topikoi'" poiva kivnhsi"
hJ yuchv: h{de ga;r h] h{de. paravdeigma ejk tou' Swkravtou"
tou' Qeodevktou: “eij" poi'on iJero;n hjsevbhken… tivna" qew'n ouj
10 tetivmhken w|n hJ povli" nomivzei…”
a[llo", ejpeidh; ejpi; tw'n pleivstwn sumbaivnei w{ste e{pesqaiv
ti tw'/ aujtw'/ ajgaqo;n kai; kakovn, ejk tou' ajkolouqou'nto"
protrevpein h] ajpotrevpein, kai; kathgorei'n h] ajpologei'sqai,
kai; ejpainei'n h] yevgein, oi|on “th'/ paideuvsei to; fqonei'sqai ajko-
15 louqei' kako;n ão[nÃ, to; de; sofo;n ei\nai ajgaqovn: ouj toivnun dei'
paideuvesqai, fqonei'sqai ga;r ouj dei': dei' me;n ou\n paideuvesqai,
sofo;n ga;r ei\nai dei'”. oJ tovpo" ou|tov" ejstin hJ Kallivppou tevcnh,
proslabou'sa to; dunato;n kai; ta\lla wJ" ei[rhtai.
a[llo", o{tan peri; duoi'n kai; ajntikeimevnoin h] protrevpein
20 h] ajpotrevpein devh/, ªkai;º tw'/ provteron eijrhmevnw/ trovpw/ ejpΔ
ajmfoi'n crh'sqai. diafevrei dev, o{ti ejkei' me;n ta; tucovnta
ajntitivqetai, ejntau'qa de; tajnantiva: oi|on iJevreia oujk ei[a to;n
uiJo;n dhmhgorei'n: “eja;n me;n gavr”, e[fh, “ta; divkaia levgh/", oiJ
a[nqrwpoiv se mishvsousin, eja;n de; ta; a[dika, oiJ qeoiv: dei' me;n
25 ou\n dhmhgorei'n: eja;n me;n ga;r ta; divkaia levgh/", oiJ qeoiv se
23. TOPICI DEGLI ENTIMEMI 279

dio se lui avesse le stesse opinioni del padre, in quanto è 1399a


brutto contraddirlo212; e come scrisse Isocrate riguardo
ad Elena213, cioè che era una persona seria, poiché Te-
seo così la giudicava, e riguardo ad Alessandro, che le
dee preferirono ad altri; e riguardo ad Evagora che era
una persona seria, infatti Isocrate sostiene che: «Conone, 5

in verità, caduto in disgrazia, trascurando tutti gli altri,


andò da Evagora»214.
12) Un altro luogo si ricava dalle parti, come nei To-
pici 215, quando ci si chiede che tipo di movimento sia
l’anima: infatti o è questo o è quello. Un esempio ci vie-
ne dal Socrate di Teodette: «In quale santuario ha com-
messo sacrilegio? Quali dei, cui la città è devota, non ha 10

onorato?»216.
13) Un altro luogo consiste nell’esortare o nel dissua-
dere, nell’accusare o difendere, nel lodare o biasimare a
partire dalla conseguenza, dal momento che per la mag-
gior parte dei casi succede che da una stessa cosa ne viene
del bene o del male, ad esempio, «all’essere istruiti con-
segue l’essere invidiati che è un male, e l’essere sapienti 15

che è un bene; pertanto non si deve essere istruiti, perché


non si deve essere invidiati; oppure, si deve quindi esse-
re istruiti, perché bisogna essere sapienti». Questo luogo
rappresenta la tecnica di Callippo217, che vi aggiunge il
luogo del «possibile» e gli altri di cui si è detto.
14) Un altro luogo, quando su due casi opposti si deve
esortare o dissuadere, consiste nel fare ricorso per en- 20

trambi al metodo precedentemente indicato. Si differisce


per il fatto che lì sono posti in contrasto termini qualsiasi,
qui i contrari; ad esempio la sacerdotessa non consentiva
al figlio di parlare alla gente: «perché – disse – se dici le
cose giuste, ti odieranno gli uomini, se dici le cose ingiu-
ste ti odieranno gli dei; oppure devi parlare alla gente, se 25

infatti dici le cose giuste gli dei ti ameranno, se ingiuste,


280 RETORICA II, 1399a 26 - b 12

ILlhvsousin, eja;n de; ta; a[dika, oiJ a[nqrwpoi”. tou'to dΔ ejsti; taujto;
tw'/ legomevnw/, to; e{lo" privasqai kai; tou;" a{la": kai; hJ blaivswsi"
tou'to ejstivn, o{tan duoi'n ejnantivoin eJkatevrw/ ajgaqo;n kai; kako;n
e{phtai, ejnantiva eJkavtera eJkatevroi".
30 a[llo", ejpeidh; ouj taujta; fanerw'" ejpainou's i kai; ajfanw'",
ajlla; fanerw'" me;n ta; divkaia kai; ta; kala; ejpainou's i mavlista,
ijdiva/ de; ta; sumfevronta ma'llon bouvlontai, ejk touvtwn peira'sqai
sunavgein qavteron: tw'n ga;r paradovxwn ou|to" oJ tovpo" kuriwv-
tatov" ejstin.
35 a[llo" ejk tou' ajnavlogon tau'ta sumbaivnein, oi|on oJ ΔIILkravth",
to;n uiJo;n aujtou', newvteron o[nta th'" hJlikiva", o{ti mevga" h\n
leitourgei'n ajnagkazovntwn, ei\pen o{ti eij tou;" megavlou"
tw'n paivdwn a[ndra" nomivzousi, tou;" mikrou;" tw'n ajndrw'n
1399b pai'da" ei\nai yhILou'ntai, kai; Qeodevkth" ejn tw'/ Novmw/, o{ti
“polivta" me;n poiei'sqe tou;" misqofovrou", oi|on Stravbaka kai;
Carivdhmon, dia; th;n ejpieivkeian: fugavda" dΔ ouj poihvsesqe
tou;" ejn toi'" misqofovroi" ajnhvkesta diapepragmevnou"…”
5 a[llo" ejk tou' to; sumbai'non eja;n h\/ taujtovn, o{ti kai; ejx w|n
sumbaivnei taujtav: oi|on Xenofavnh" e[legen o{ti oJmoivw" ajse-
bou's in oiJ genevsqai favskonte" tou;" qeou;" toi'" ajpoqanei'n
levgousin: ajmfotevrw" ga;r sumbaivnei mh; ei\nai tou;" qeouv"
pote. kai; o{lw" de; to; sumbai'non ejx eJkavstou lambavnein
10 wJ" to; aujto; ajeiv: “mevllete de; krivnein ouj peri; ΔIsokravtou"
ajlla; peri; ejpithdeuvmato", eij crh; ILlosofei'n”. kai; o{ti to;
didovnai gh'n kai; u{dwr douleuvein ejstivn, kai; to; metevcein th'"
23. TOPICI DEGLI ENTIMEMI 281

ti ameranno gli uomini». Questo è la stessa cosa del detto


«comprare la palude e il sale»; e questo è il «ritorcimen-
to», quando conseguono a ciascuno dei due contrari una
cosa buona e una cattiva, ciascuna conseguenza opposta
si può attribuire a ciascun dei due contrari.
15) Poiché non sono uguali le cose che si lodano da- 30

vanti a tutti e quelle che si lodano di nascosto, ma aper-


tamente si loda soprattutto ciò che è giusto e bello, in
privato si vuole di più l’utile, allora un altro luogo con-
siste nel provare a trarre da cose del genere l’una o l’altra
conseguenza; di fatto questo è il luogo più importante tra
quelli che hanno a che fare con i paradossi.
16) Un altro luogo consiste nel trarre dall’analogia 35

cose del genere come l’episodio di Ificrate218 che, quando


hanno costretto suo figlio, più giovane dell’età stabilita,
a compiere il servizio religioso perché era grande fisica-
mente, disse che se si ritengono uomini i grandi tra i fan-
ciulli, si dovrà decretare che i piccoli tra gli uomini siano 1399b
dei fanciulli, e come Teodette che nella Legge disse: «se
rendete cittadini dei mercenari, come Strabaco219 e Cari-
demo, per via della loro onestà, non renderete fuggiaschi
quei mercenari che hanno compiuto gesta irrimediabi-
li?»220.
17) Un altro luogo si ricava dal dedurre che, se identica 5

è la coseguenza, pure le premesse da cui si deduce risultano


identiche; ad esempio Senofane diceva che sono parimen-
ti sacrileghi quelli che dicono che gli dei sono nati e quelli
che dicono che gli dei muoiono: in effetti in entrambi i
casi risulta che vi è un tempo in cui gli dei non esistono221.
E in generale il luogo consiste nell’ assumere che la con-
seguenza derivante da ciascun caso sia sempre la stessa: 10

«state per giudicare non su Isocrate ma su un modo di vi-


vere, se cioè si debba filosofare»222. Inoltre si può dire che
consegnare terra e acqua è essere schiavi223, e partecipare
282 RETORICA II, 1399b 13 - 1400a 2

koinh'" eijrhvnh" poiei'n to; prostattovmenon. lhptevon dΔ oJpov-


teron a]n h\/ crhvs imon.
15 a[llo" ejk tou' mh; taujto; ajei; aiJrei'sqai u{steron kai; provteron,
ajllΔ ajnavpalin, oi|on tovde to; ejnquvmhma, “h\ feuvgonte" me;n
ejmacovmeqa o{pw" katevlqwmen, katelqovnte" de; feuxovmeqa
o{pw" mh; macwvmeqa…” oJte; me;n ga;r to; mevnein ajnti; tou' mavcesqai
hJ/rou'nto, oJte; de; to; mh; mavcesqai ajnti; tou' mh; mevnein.
20 a[llo" to; ou| e{nekΔ a]n ei[h h] gevnoito, touvtou e{neka favnai
ei\nai h] gegenh'sqai, oi|on eij doivh ªa[nº tiv" tini i{nΔ ajfelovmeno"
luphvsh/, o{qen kai; tou'tΔ ei[rhtai,
polloi'" oJ daivmwn ouj katΔ eu[noian fevrwn
megavla divdwsin eujtuchvmatΔ, ajllΔ i{na
25 ta;" sumfora;" lavbwsin ejpifanestevra".
kai; to; ejk tou' Meleavgrou tou' ΔAntifw'nto",
oujc wJ" ktavnwsi qh'rΔ, o{pw" de; mavrture"
ajreth'" gevnwntai Meleavgrw/ pro;" ÔEllavda.
kai; to; ejk tou' Ai[anto" tou' Qeodevktou, o{ti oJ Diomhvdh" pro-
30 eivleto ΔOdusseva ouj timw'n, ajllΔ i{na h{ttwn h\/ oJ ajkolouqw'n:
ejndevcetai ga;r touvtou e{neka poih'sai.
a[llo", koino;" kai; toi'" ajmILsbhtou's in kai; toi'" sum-
bouleuvousi, skopei'n ta; protrevponta kai; ajpotrevponta,
kai; w|n e{neka kai; pravttousi kai; feuvgousin: tau'ta gavr
35 ejstin a} eja;n me;n uJpavrch/ dei' pravttein, eja;n de; mh; uJpavrch/,
mh; pravttein, oi|on, eij dunato;n kai; rJav/dion kai; wjfevlimon h] aujtw'/
h] ILvloi" h] blabero;n ejcqroi'", ka]n h\/ ejpizhvmion, eij ejlavttwn hJ
zhmiva tou' pravgmato", kai; protrevpontai ªdΔº ejk touvtwn kai;
1400a ajpotrevpontai ejk tw'n ejnantivwn. ejk de; tw'n aujtw'n touvtwn kai;
kathgorou's i kai; ajpologou'ntai: ejk me;n tw'n ajpotrepovntwn
23. TOPICI DEGLI ENTIMEMI 283

della pace comune è fare ciò che è stato ordinato224. Dei


due argomenti va assunto quello che risulti vantaggioso.
18) Un altro luogo si ricava dal fatto che non sempre 15

coincidono la scelta successiva e quella precedente, ma al


contrario, come in questo entimema: «se esiliati combat-
tiamo per tornare, rientrati fuggiremo per non combat-
tere?»225. Nel primo caso, infatti, si è scelto di restare in
patria a costo di combattere, nel secondo di non combat-
tere piuttosto che non poter rimanere. 20

19) Un altro luogo consiste nel fatto che il fine per


cui qualcosa potrebbe esistere o essere esistito, è proprio il
motivo per cui esso ci appare esistente o come ciò che è esi-
stito, ad esempio se qualcuno darebbe qualcosa a un altro
perché, una volta che gli sia sottratto, si affligga; donde
si è detto: «a molti il demone non dona, delle cose che
porta, / grandi prosperità per benevolenza, ma perché / 25

si colgano le sventure come più manifeste»226. E il disti-


co tratto dal Meleagro di Antifonte: «non per uccidere la
bestia, ma affinché di fronte alla Grecia, / diventassero
per Meleagro testimoni della sua virtù»227. E dall’Aiace di
Teodette228, il fatto che Diomede preferì Odisseo non per 30

stima, ma perché risultasse inferiore: è possibile infatti


che lo fece per questo motivo229.
20) Un altro luogo, comune a chi dibatte e a chi con-
siglia, consiste nell’indagare ciò che esorta e ciò che dissua-
de, e le cause per cui si agisce e si rifugge dall’agire: infatti
se sussistono cose di un certo tipo si deve agire, se non 35

sussistono non si deve agire – ad esempio, se la cosa è


possibile e facile, oppure utile all’agente o ai suoi amici
o è dannosa per i nemici e, in caso gli risulti dannosa, se
il danno sia inferiore al vantaggio – si esorta quindi sulla
base di questi elementi e si dissuade su basi contrarie. 1400a
Ancora, a partire da questi elementi, inoltre, si accusa e
si difende: ci si difende a partire da ciò che dissuade, e si
284 RETORICA II, 1400a 3-25

ajpologou'ntai, ejk de; tw'n protrepovntwn kathgorou's in. e[sti


dΔ oJ tovpo" ou|to" o{lh tevcnh h{ te PamILvlou kai; hJ Kallivppou.
5 a[llo" ejk tw'n dokouvntwn me;n givgnesqai ajpivstwn dev, o{ti
oujk a]n e[doxan, eij mh; h\n h] ejggu;" h\n. kai; o{ti ma'llon: h] ga;r
ta; o[nta h] ta; eijkovta uJpolambavnousin: eij ou\n a[piston kai;
mh; eijkov", ajlhqe;" a]n ei[h: ouj ga;r diav ge to; eijko;" kai; piqano;n
dokei' ou{tw": oi|on ΔAndroklh'" e[legen oJ Pitqeu;" kathgorw'n
10 tou' novmou, ejpei; ejqoruvbhsan aujtw'/ eijpovnti, “devontai oiJ
novmoi novmou tou' diorqwvsonto", kai; ga;r oiJ ijcquve" aJlov",
kaivtoi oujk eijko;" oujde; piqano;n ejn a{lmh/ trefomevnou" dei'sqai
aJlov", kai; ta; stevmfula ejlaivou, kaivtoi a[piston, ejx w|n e[laion
givgnetai, tau'ta dei'sqai ejlaivou”.
15 a[llo" ejlegktikov", to; ta; ajnomologouvmena skopei'n, ei[ ti
ajnomologouvmenon ejk tovpwn kai; crovnwn kai; pravxewn kai;
lovgwn, cwri;" me;n ejpi; tou' ajmILsbhtou'nto", oi|on “kai; fhsi;
me;n ILlei'n uJma'", sunwvmosen de; toi'" triavkonta”, cwri;" dΔ
ejpΔ aujtou', “kai; fhsi; me;n ei\naiv me ILlovdikon, oujk e[cei de;
20 ajpodei'xai dedikasmevnon oujdemivan divkhn”, cwri;" dΔ ejpΔ aujtou'
kai; tou' ajmILsbhtou'nto", “kai; ou|to" me;n ouj dedavneike pwvpote
oujdevn, ejgw; de; kai; pollou;" levlumai uJmw'n”.
a[llo" toi'" prodiabeblhmevnoi" kai; ajnqrwvpoi" kai; prav-
gmasin, h] dokou's i, to; levgein th;n aijtivan tou' paradovxou:
25 e[stin gavr ti diΔ o} faivnetai: oi|on, uJpobeblhmevnh" tino;" to;n
23. TOPICI DEGLI ENTIMEMI 285

accusa sulla base di ciò che esorta. Questo è il luogo in


cui consiste l’intera arte di Panfilo e Callippo230.
21) Un altro luogo, conseguente da cose comunemente 5

considerate che avvengano ma poco credibili, consiste nel


dire che il fatto non sarebbe correntemente ammesso, se
non fosse o non fosse prossimo a succedere. E nel dire
che è o prossimo a succedere in maggior misura dal mo-
mento che gli uomini prendono per buoni fatti veri o ve-
rosimili; se qualcosa dunque non è né poco credibile né
verosimile, potrebbe essere vero. Infatti non è per via del
fatto di essere verosimile e credibile che comunemente si
pensa che sia vero: come Androcle detto il Pitteo231 che,
nel giudicare una legge, dal momento che lo si disappro- 10

vò rumorosamente quando lo fece, disse che: «le leggi


hanno bisogno di una legge che le corregga, e infatti i
pesci hanno bisogno di sale, nonostante non sia né ve-
rosimile né si dovrebbe dar credito al fatto che i pesci
cresciuti in acqua salata abbiano bisogno di sale, e le olive
di olio, nonostante non sia immaginabile che ciò da cui si
ricava l’olio, abbisogni di olio»232.
22) Un altro luogo è atto alla confutazione e consiste 15

nell’indagare i punti di disaccordo, cioè se a partire da luo-


ghi, tempi, azioni e discorsi vi sia un certo disaccordo,
volta per volta, sia in rapporto all’avversario – ad esem-
pio: «e sostiene di essere vostro amico, ma giurò insieme
ai Trenta» – sia in rapporto a chi parla («e sostiene che
io ami i processi, ma non ha modo di dimostrare che io 20

abbia intentato alcun processo»), sia in rapporto a chi


parla e a chi disputa («e questi non ha mai dato in pre-
stito alcun denaro, mentre io ho riscattato molti di voi»).
23) Un altro luogo, che si applica a persone e fatti che
sono stati in precedenza sospettate, o che sembrano es-
serlo state, consiste nel dire la causa di ciò che va contro
il comune sentire: in effetti vi è una qualche ragione se 25
286 RETORICA II, 1400a 26 - b 11

auJth'" uiJovn, dia; to; ajspavzesqai ejdovkei sunei'nai tw'/ meirakivw/,


lecqevnto" de; tou' aijtivou ejluvqh hJ diabolhv: kai; oi|on ejn tw'/ Ai[anti
tw'/ Qeodevktou ΔOdusseu;" levgei pro;" to;n Ai[anta diovti ajndrei-
ovtero" w]n tou' Ai[anto" ouj dokei'.
30 a[llo" ajpo; tou' aijtivou, a[n te uJpavrch/, o{ti e[sti, ka]n mh;
uJpavrch/, o{ti oujk e[stin: a{ma ga;r to; ai[tion kai; ou| ai[tion,
kai; a[neu aijtivou oujqe;n e[stin, oi|on Lewdavma" ajpologouvmeno"
e[lege, kathgorhvsanto" Qrasubouvlou o{ti h\n sthlivth" gegonw;"
ejn th'/ ajkropovlei, ajllΔ ejkkevkoptai ejpi; tw'n triavkonta: oujk
35 ejndevcesqai e[fh: ma'llon ga;r a]n pisteuvein auJtw'/ tou;" triavkonta
ejggegrammevnh" th'" e[cqra" pro;" to;n dh'mon.
a[llo", eij ejnedevceto bevltion a[llw", h] ejndevcetai, w|n h]
sumbouleuvei h] pravttei h] pevprace skopei'n: fanero;n ga;r o{ti,
1400b eij ªmh;º ou{tw" e[cei, ouj pevpracen: oujdei;" ga;r eJkw;n ta; fau'la
kai; gignwvskwn proairei'tai. e[stin de; tou'to yeu'do": pollavki"
ga;r u{steron givgnetai dh'lon pw'" h\n pra'xai bevltion, provteron
de; a[dhlon.
5 a[llo", o{tan ti ejnantivon mevllh/ pravttesqai toi'" pepragmevnoi",
a{ma skopei'n, oi|on Xenofavnh" ΔEleavtai" ejrwtw's in eij quvwsi
th'/ Leukoqeva/ kai; qrhnw's in h] mhv, sunebouvleuen, eij me;n qeo;n
uJpolambavnousin, mh; qrhnei'n, eij dΔ a[nqrwpon, mh; quvein.
a[llo" tovpo" to; ejk tw'n aJmarthqevntwn kathgorei'n h] ajpo-
10 logei'sqai, oi|on ejn th'/ Karkivnou Mhdeiva/ oiJ me;n kathgorou's in
o{ti tou;" pai'da" ajpevkteinen, ouj faivnesqai gou'n aujtouv"
23. TOPICI DEGLI ENTIMEMI 287

si manifesta un sospetto; ad esempio, se una tizia, che


si era messa sotto di sé il figlio per abbracciarlo, sem-
brava avere rapporti sessuali con un ragazzino, parlando
della causa si risolve la calunnia233; e come nell’Aiace di
Teodette Odisseo spiega perché, rispetto ad Aiace, pur
essendo più valoroso di lui non lo sembri234.
24) Un altro luogo si ricava dalla causa, se c’è, si dice 30

che il fatto sussiste, se non c’è, che il fatto non sussiste:


infatti, la causa e ciò di cui vi è causa esistono simulta-
nemante, e senza causa non vi è nulla come diceva Le-
odamante il quale, nel difendersi da Trasibulo235 che lo
accusava del fatto che era stato inciso il suo nome su una
colonna posta nell’Acropoli236, ma di averlo fatto cancel-
lare sotto i Trenta, disse che non era possibile: infatti i 35

trenta si sarebbero fidati di più di lui dal momento che era


stata scolpita la sua avversione nei riguardi del popolo.
25) Un altro luogo consiste nel considerare se era pos-
sibile, o è possibile, fare meglio in modo diverso da ciò che
si consiglia o si fa o si è fatto; è infatti evidente che, se la 1400b
cosa non sta in questo modo, non si è agito per il meglio:
nessuno infatti sceglie volontariamente e scientemente
cose di nessun valore. Ma questo è falso: spesso, infatti, è
dopo che diventa chiaro come sarebbe stato meglio agire,
mentre prima era oscuro.
26) Un altro luogo, quando si sta per fare un certa qual- 5

cosa che è opposta a ciò che si è già fatto, consiste nel con-
siderarle insieme, ad esempio, agli Eleati che chiedevano
se offrire sacrifici e intonare nenie oppure no in onore di
Leucotea, Senofane consigliava di non cantare se la con-
sideravano una dea, di non sacrificare se la ritenevano un
essere umano237.
27) Un altro luogo si ricava dagli errori nell’accusare o 10

nel difendere, ad esempio nella Medea di Carcino238 alcuni


la accusano di aver ucciso i figli, sostenendo che quanto
288 RETORICA II, 1400b 12-33

(h{marte ga;r hJ Mhvdeia peri; th;n ajpostolh;n tw'n paivdwn),


hJ dΔ ajpologei'tai o{ti ouj ªa]nº tou;" pai'da" ajlla; to;n ΔIavsona
a]n ajpevkteinen: tou'to ga;r h{marten a]n mh; poihvsasa, ei[per
15 kai; qavteron ejpoivhsen. e[sti dΔ oJ tovpo" ou|to" tou' ejnqumhvmato"
kai; to; ei\do" o{lh hJ provteron Qeodwvrou tevcnh.
a[llo" ajpo; tou' ojnovmato", oi|on wJ" oJ Sofoklh'"
safw'" sidhvrw/ kai; forou'sa tou[noma,
kai; wJ" ejn toi'" tw'n qew'n ejpaivnoi" eijwvqasi levgein, kai; wJ"
20 Kovnwn Qrasuvboulon qrasuvboulon ejkavlei, kai; ÔHrovdiko" Qrasuv-
macon “ajei; qrasuvmaco" ei\”, kai; Pw'lon “ajei; su; pw'lo" ei\”,
kai; Dravkonta to;n nomoqevthn, o{ti oujk ªa]nº ajnqrwvpou oiJ novmoi
ajlla; dravkonto" (calepoi; gavr): kai; wJ" hJ Eujripivdou ÔEkavbh eij"
th;n ΔAfrodivthn “kai; tou[nomΔ ojrqw'" ajfrosuvnh" a[rcei qea'~”,
25 kai; wJ" Cairhvmwn Penqeu;" ejsomevnh" sumfora'" ejpwvnumo".
eujdokimei' de; ma'llon tw'n ejnqumhmavtwn ta; ejlegktika; tw'n
ajpodeiktikw'n dia; to; sunagwgh;n me;n ejnantivwn ei\nai ejn mikrw'/
to; ejlegktiko;n ejnquvmhma, parΔ a[llhla de; fanera; ei\nai tw'/
ajkroath'/ ma'llon. pavntwn de; kai; tw'n ejlegktikw'n kai; tw'n
30 deiktikw'n sullogismw'n qorubei'tai mavlista ta; toiau'ta o{sa
ajrcovmena proorw's i mh; ejpipolh'" ei\nai (a{ma ga;r kai; aujtoi; ejfΔ
auJtoi'" caivrousi proaisqanovmenoi), kai; o{swn tosou'ton uJste-
rivzousin w{sqΔ a{ma eijrhmevnwn gnwrivzein.
23. TOPICI DEGLI ENTIMEMI 289

meno non li si vedeva più (sull’allontanamento dei figli,


infatti, Medea commise un errore), mentre lei si difende
dicendo che non avrebbe ucciso i figli ma Giasone, dal
momento che avrebbe sbagliato nel non farlo, se avesse
davvero compiuto anche l’altra azione. È questo il luogo 15

e la specie dell’entimema che costituisce l’intera tecnica


prima di Teodoro239.
28) Un altro luogo si ricava dal nome, ad esempio
come dice Sofocle «nel modo rilucente del ferro anche il
nome portando»240 e come si usa dire nelle lodi agli dei, e
come Conone chiamava Trasibulo – «trasibulo» [audace 20

in consiglio] – e come Erodico Trasimaco – «sei sempre


qrasuvmaco" [audace in battaglia]», e Polo «sei sempre
tu pw'lo" [puledro]», e Draconte il nomoteta, dicendo
che le sue leggi non sono di un uomo, ma di un «dravkwn»
[drago] perché sono dure; ancora, come l’Ecuba di Eu-
ripide dice nei riguardi di Afrodite «e il nome della dea
correttamente inizia dall’ajfrosuvnh [dalla follia]»241 –, e
come dice Cheremone242 «Penteo eponimo della futura 25

disgrazia»243.
Tra gli entimemi quelli confutativi hanno maggior
successo di quelli dimostrativi, perché nell’entimema
confutativo vi è una concentrazione in breve di contrari,
e nel disporre gli uni accanto agli altri sembrano più evi-
denti agli ascoltatori. Tra tutti i sillogismi, sia confutativi
che dimostrativi, sono più clamorosi soprattutto quelli 30

che, una volta iniziati, si possono anticipare conclusioni


senza che queste saltino subito all’occhio (infatti quando
si colgono prima gli sviluppi, contemporaneamante ci si
compiace anche di se stessi), e tutti quelli la cui compren-
sione tardi quel tanto che basti perché la si avverta nel
momento stesso in cui li si dice.
290 RETORICA II, 1400b 34 - 1401a 21

24. ΔEpei; dΔ ejndevcetai to;n me;n ei\nai sullogismovn, to;n de; mh;
35 ei\nai me;n faivnesqai dev, ajnavgkh kai; ejnquvmhma to; me;n ei\nai, to;
de; mh; ei\nai ejnquvmhma faivnesqai dev, ejpeivper to; ejnquvmhma sul-
1401a logismov" ti". tovpoi dΔ eijs i; tw'n fainomevnwn ejnqumhmavtwn
ei|" me;n oJ para; th;n levxin, kai; touvtou e}n me;n mevro", w{sper
ejn toi'" dialektikoi'", to; mh; sullogisavmenon sumpera-
smatikw'" to; teleutai'on eijpei'n, “oujk a[ra to; kai; tov, ajnavgkh
5 a[ra to; kai; tov”, ejn toi'" ejnqumhvmasi to; sunestrammevnw" kai;
ajntikeimevnw" eijpei'n faivnetai ejnquvmhma (hJ ga;r toiauvth
levxi" cwvra ejsti;n ejnqumhvmato~): kai; e[oike to; toiou'ton ei\nai
para; to; sch'ma th'" levxew". e[sti de; eij" to; th'/ levxei sul-
logistikw'" levgein crhvs imon to; sullogismw'n pollw'n kefavlaia
10 levgein, o{ti tou;" me;n e[swse, toi'" dΔ eJtevroi" ejtimwvrhse, tou;"
dΔ ”Ellhna" hjleuqevrwse: e{kaston me;n ga;r touvtwn ejx a[llwn
ajpedeivcqh, sunteqevntwn de; faivnetai kai; ejk touvtwn ti givgne-
sqai. e}n de; to; para; th;n oJmwnumivan, to; favnai spou-
dai'on ei\nai mu'n, ajfΔ ou| gΔ ejsti;n hJ timiwtavth pasw'n telethv:
15 ta; ga;r musthvria pasw'n timiwtavth telethv. h] ei[ ti" kuvna
ejgkwmiavzwn to;n ejn tw'/ oujranw'/ sumparalambavnoi, h] to;n Pa'na,
o{ti Pivndaro" e[fhsen
w\ mavkar, o{n te megavla" qeou' kuvna pantodapo;n
kalevousin ΔOluvmpioi,
20 h] o{ti to; mhdevna ei\nai kuvnΔ ajtimovtatovn ejstin, w{ste to; kuvna
dh'lon o{ti tivmion. kai; to; koinwniko;n favnai to;n ÔErmh'n ei\nai
24. TOPICI DEGLI ENTIMEMI APPARENTI 291

24. Topici degli entimemi apparenti

Poiché è possibile che un argomento sia un sillogismo, un


altro che lo sembri ma non lo sia, occorre anche che un 35

entimema possa esserlo, e che un altro ne dia l’impres-


sione ma non lo sia, dal momento che l’entimema è una
specie di sillogismo.
Uno dei luoghi dei sillogismi apparenti è quello che 1401a
si rileva durante l’elocuzione, e di questo una parte, come
nei paralogismi dialettici244, consiste nell’enunciare in
forma di conclusione senza che si giunga al risultato per
via di sillogismo – «allora non è questo né questo, neces-
sariamente sarà questo e quest’altro». Nell’ambito degli 5

entimemi, dire in modo stringato e antitetico è il modo in


cui si mostra l’entimema (infatti un’elocuzione di questo
tipo è il campo dell’entimema); e sembra che questo tipo
di argomento dipenda dalla forma dell’espressione. Per
dare forma sillogistica nell’elocuzione è utile dire i punti
salienti di molti sillogismi – ad esempio, «che salvò gli 10

uni, vendicò gli altri, liberò i Greci»245 – infatti ciascuno


di questi punti sono stati dimostrati a partire da altri ar-
gomenti, ma una volta messi insieme sembra che da essi
venga fuori anche qualche altra cosa.
Un’altra parte del luogo dei sillogismi apparenti con-
cerne l’omonimia, ad esempio, presentare il topo (mu'")
come importante, perché è da questo che proviene il rito
più onorato di tutti: infatti i misteri (musthvria) sono il 15

rito più onorato di tutti. Oppure, se qualcuno, elogiando


un cane, mettesse in conto quello che è in cielo246 o Pan,
dal momento che Pindaro disse: «o beato Pan, tu che sei
colui che gli Olimpi chiamano il cane multiforme della
grande dea»247, o perché il non esservi nessun cane è mo- 20

tivo di massimo disonore, di conseguenza è chiaro che


essere un cane è onorevole. E l’affermare che soprattutto
292 RETORICA II, 1401a 22 - b 6

mavlista tw'n qew'n: movno" ga;r kalei'tai koino;" ÔErmh'". kai; to;
to;n lovgon ei\nai spoudaiovtaton, o{ti oiJ ajgaqoi; a[ndre" ouj crhmav-
twn ajlla; lovgou eijs i;n a[xioi: to; ga;r lovgou a[xion oujc aJplw'"
25 levgetai. a[llo" to; ãto;Ã dih/rhmevnon suntiqevnta levgein h]
to; sugkeivmenon diairou'nta: ejpei; ga;r taujto;n dokei' ei\nai
oujk o]n taujto; pollavki", oJpovteron crhsimwvteron, tou'to dei'
poiei'n. e[sti de; tou'to Eujqudhvmou lovgo", oi|on to; eijdevnai
o{ti trihvrh" ejm Peiraei' ejstivn: e{kaston ga;r oi\den. kai; to;n ta;
30 stoicei'a ejpistavmenon o{ti to; e[po" oi\den: to; ga;r e[po" to; aujtov
ejstin. kai; ejpei; to; di;" tosou'ton nosw'de", mhde; to; e}n favnai
uJgieino;n ei\nai: a[topon ga;r eij ta; duvo ajgaqa; e}n kakovn ejstin.
ou{tw me;n ou\n ejlegktikovn, w|de de; deiktikovn: ouj gavr ejstin e}n
ajgaqo;n duvo kakav: o{lo" de; oJ tovpo" paralogistikov". pavlin to;
35 Polukravtou" eij" Qrasuvboulon, o{ti triavkonta turavnnou"
katevluse: suntivqhsi gavr. h] to; ejn tw'/ ΔOrevsth/ tw'/ Qeodevktou:
ejk diairevsew" gavr ejstin:
divkaiovn ejstin, h{ti" a]n kteivnh/ povs in,
ajpoqnhv/skein tauvthn, kai; tw'/ patriv ge timwrei'n to;n uiJovn,
1401b oujkou'n kai; tau'ta a} pevpraktai: sunteqevnta ga;r i[sw" oujkevti
divkaion. ei[h dΔ a]n kai; para; th;n e[lleiyin: ajfairei' ga;r to; uJpo;
tivno". a[llo" de; tovpo" to; deinwvsei kataskeuavzein h] ajnaskeuav-
zein: tou'to dΔ ejsti;n o{tan, mh; deivxa" o{ti ejpoivhsen ãmhdΔ o{ti
5 oujk ejpoivhsenÃ, aujxhvsh/ to; pra'gma: poiei' ga;r faivnesqai h] wJ" ouj
pepoivhken, o{tan oJ th;n aijtivan e[cwn au[xh/, h] wJ" pepoivhken,
24. TOPICI DEGLI ENTIMEMI APPARENTI 293

Ermete è il più «comune» tra gli dei: infatti solo Ermete


si definisce «comune»248. E dire che il discorso è la cosa
più importante, in quanto gli uomini di valore sono degni
non di ricchezze, ma di parola: infatti «degno di parola»
si dice in molti modi.
Un altro luogo consiste nel discutere combinando ciò 25

che è diviso o nello scomporre ciò che è composto: infat-


ti dal momento che sembra esservi un’identità anche se
tante volte non c’è, bisogna adoperare quello che dei
due procedimenti risulta più utile. Così è il discorso di
Eutidemo249, ad esempio il sapere che vi è una trireme
nel Pireo, giacché ciascun termine è noto. E dire che chi 30

conosce le lettere conosce la parola: infatti la parola è la


stessa cosa delle lettere. E che siccome una dose doppia
è nociva, neppure si può dire che una sia salutare: infatti
sarebbe assurdo che due beni costituiscano un male. In
questo modo, dunque, l’argomento è confutativo, dimo-
strativo, invece, lo è in quest’altro: un unico bene di fatti
non costituisce un doppio male; ma l’intero luogo è para-
logistico. Ancora quello che Policrate250 disse a favore di 35

Trasibulo, cioè che rovesciò trenta tiranni: infatti ha com-


binato più termini251. Oppure ciò che è detto nell’Oreste
di Teodette, dal momento che si ricava dalla divisione:
«è giusto che colei che ha ucciso il marito»252, / muoia e
che il figlio vendichi il padre, pertanto è giusto anche che
si siano compiute queste azioni: di fatto, una volta com- 1401b
binate insieme forse non è più giusto253. Questo luogo
potrebbe anche essere per omissione: si toglie, infatti, il
«da parte di chi» fu fatta vendetta.
Un altro luogo consiste nel costruire o nel demolire un
argomento attraverso l’esagerazione; e questo si ha quan-
do l’oratore amplifica il fatto, facendo a meno di mostrare
né che lo si è fatto né che non lo si è fatto: infatti quando 5

amplifica l’accusato, fa sembrare che il fatto non è stato


294 RETORICA II, 1401b 7-30

o{tan oJ kathgorw'n aujxh'/. ou[koun ejsti;n ejnquvmhma: para-


logivzetai ga;r oJ ajkroath;" o{ti ejpoivhsen h] oujk ejpoivhsen, ouj
dedeigmevnou. a[llo" to; ejk shmeivou: ajsullovgiston ga;r
10 kai; tou'to: oi|on ei[ ti" levgoi “tai'" povlesi sumfevrousin oiJ
ejrw'nte": oJ ga;r ÔArmodivou kai; ΔAristogeivtono" e[rw" katevluse
to;n tuvrannon ”Ipparcon”, h] ei[ ti" levgoi o{ti klevpth" Dionuv-
sio": ponhro;" gavr: ajsullovgiston ga;r dh; tou'to: ouj ga;r pa'"
ponhro;" klevpth", ajlla; klevpth" pa'" ponhrov". a[llo"
15 dia; to; sumbebhkov", oi|on o} levgei Polukravth" eij" tou;" mu'",
o{ti ejbohvqhsan diatragovnte" ta;" neurav": h] ei[ ti" faivh to;
ejpi; dei'pnon klhqh'nai timiwvtaton: dia; ga;r to; mh; klhqh'nai
oJ ΔAcilleu;" ejmhvnise toi'" ΔAcaioi'" ejn Tenevdw/: oJ dΔ wJ" ajti-
mazovmeno" ejmhvnisen, sunevbh de; tou'to dia; to; mh; klhqh'nai.
20 a[llo" to; para; to; eJpovmenon, oi|on ejn tw'/ ΔAlexavndrw/, o{ti
megalovyuco": uJperidw;n ga;r th;n pollw'n oJmilivan ejn th'/ “Idh/
dievtriben kaqΔ auJtovn: o{ti ga;r oiJ megalovyucoi toiou'toi, kai;
ou|to" megalovyuco" dovxeien a[n. kai; ejpei; kallwpisth;" kai;
nuvktwr plana'tai, moicov": toiou'toi gavr. o{moion de; kai; o{ti
25 ejn toi'" iJeroi'" oiJ ptwcoi; kai; a[/dousi kai; ojrcou'ntai, kai;
o{ti toi'" fugavs in e[xestin oijkei'n o{pou a]n qevlwsin: o{ti ga;r
toi'" dokou's in eujdaimonei'n uJpavrcei tau'ta, kai; oi|" tau'ta
uJpavrcei dovxaien a]n eujdaimonei'n, diafevrei de; tw'/ pw'":
dio; kai; eij" th;n e[lleiyin ejmpivptei. a[llo" para; to;
30 ajnaivtion wJ" ai[tion, oi|on tw'/ a{ma h] meta; tou'to gegonevnai:
24. TOPICI DEGLI ENTIMEMI APPARENTI 295

compiuto, quando amplifica chi accusa, che il fatto lo si è


compiuto. Non è pertanto un entimema: infatti l’ascolta-
tore deduce in maniera erronea che un qualcosa si è fatto
o non si è fatto, senza che ciò sia stato dimostrato.
Un altro luogo si ricava dal segno: di fatti neppure
questo è sillogistico. Ad esempio, se qualcuno dicesse: 10

«alle città sono utili gli amanti, perché l’amore di Armo-


dio e Aristogitone rovesciò il tiranno Ipparco»254, oppure
se dicesse che Dionisio è un ladro perché malvagio: ora
proprio questo non è sillogistico, poiché non ogni malva-
gio è ladro, ma ogni ladro è malvagio.
Un altro luogo si deve all’accidente, ad esempio ciò che 15

Policrate dice dei topi, che vennero in aiuto rosicchiando


le corde degli archi255. Oppure se si dicesse che l’essere in-
vitati a pranzo sia il massimo dell’onore, infatti Achille, per
non essere stato invitato, si adirò con gli Achei a Tenedo,
ma si adirò perché non si sentì rispettato, e questo acci-
dentalmente dovuto al fatto di non essere stato invitato256.
Un altro luogo si ha per consequenzialità, ad esempio, 20

nell’Alessandro257 si dice che questi era magnanimo, per-


ché disprezzando la compagnia della moltitudine passava
il tempo da solo sull’Ida: infatti dal momento che i ma-
gnanimi sono di questo tipo, anche costui potrebbe sem-
brare magnanimo. E che, siccome è un elegantone e va in
giro anche di notte, è un adultero, infatti gli adulteri sono
così. Ed è simile il caso sia dei mendicanti che cantano e 25

danzano nei templi, sia degli esuli che possono abitare


dove desiderano: infatti dal momento che questi compor-
tamenti appartengono a coloro che si ritiene siano felici,
anche ciò che appartiene ai primi potrebbe ritenersi feli-
ce, ma vi è differenza nelle circostanze: pertanto anche in
questo luogo si ricade nell’omissione.
Un altro luogo consiste nell’assumere come causa ciò 30

che non ha causa, ad esempio per il fatto che qualcosa


296 RETORICA II, 1401b 31 - 1402 a 15

to; ga;r meta; tou'to wJ" dia; tou'to lambavnousin, kai; mavlista
oiJ ejn tai'" politeivai", oi|on wJ" oJ Dhmavdh" th;n Dhmosqevnou"
politeivan pavntwn tw'n kakw'n aijtivan: metΔ ejkeivnhn ga;r sunevbh
oJ povlemo". a[llo" para; th;n e[lleiyin tou' povte kai; pw'",
35 oi|on o{ti dikaivw" ΔAlevxandro" e[labe th;n ÔElevnhn: ai{resi" ga;r
aujth'/ ejdovqh para; tou' patrov". ouj ga;r ajei; i[sw", ajlla; to;
1402a prw'ton: kai; ga;r oJ path;r mevcri touvtou kuvrio". h] ei[ ti" faivh
to; tuvptein tou;" ejleuqevrou" u{brin ei\nai: ouj ga;r pavntw",
ajllΔ o{tan a[rch/ ceirw'n ajdivkwn. e[ti w{sper ejn toi'" ejristikoi'"
para; to; aJplw'" kai; mh; aJplw'", ajlla; tiv, givgnetai fainovmeno"
5 sullogismov", oi|on ejn me;n toi'" dialektikoi'" o{ti e[sti to; mh; o[n
ªo[nº, e[sti ga;r to; mh; o]n mh; o[n, kai; o{ti ejpisthto;n to; a[gnwston,
e[stin ga;r ejpisthto;n to; a[gnwston o{ti a[gnwston, ou{tw" kai;
ejn toi'" rJhtorikoi'" ejstin fainovmenon ejnquvmhma para; to; mh;
aJplw'" eijko;" ajlla; ti; eijkov". e[stin de; tou'to ouj kaqovlou, w{sper
10 kai; ΔAgavqwn levgei
tavcΔ a[n ti" eijko;" aujto; tou'tΔ ei\nai levgoi,
brotoi's i polla; tugcavnein oujk eijkovta.
givgnetai ga;r to; para; to; eijkov", w{ste eijko;" kai; to; para; to;
eijkov", eij de; tou'to, e[stai to; mh; eijko;" eijkov". ajllΔ oujc aJplw'",
15 ajllΔ w{sper kai; ejpi; tw'n ejristikw'n to; kata; tiv kai; pro;" tiv kai;
24. TOPICI DEGLI ENTIMEMI APPARENTI 297

è successo insieme o dopo quest’altra: infatti si assume


il «dopo questo» come se fosse «a causa di questo», e
lo fa soprattutto chi è impegnato in questioni politiche,
ad esempio, come Demade che assumeva come causa di
tutti mali la politica di Demostene, perché dopo quel go-
verno scoppia la guerra258.
Un altro luogo si ha nell’omissione del quando e del
come, ad esempio affermando che Alessandro rapì giu- 35

stamente Elena259, perché la scelta dello sposo le era stata


concessa dal padre. Ma senza dubbio non glielo aveva
concesso per sempre, bensì la prima volta: e infatti il pa- 1402a
dre ha autorità sino a quel momento. Oppure si fa omis-
sione se si dicesse che colpire uomini liberi è tracotanza:
infatti, ciò non accade in ogni caso, bensì quando si viene
alle mani per primi commettendo ingiustizia.
Ancora, come succede nelle argomentazioni eristiche,
un sillogismo apparente si origina a dispetto di ciò che è
in modo assoluto e di ciò che non lo è, bensì da una par-
ticolare accezione (ad esempio in quelli dialettici dire che 5

il non essere è, dal momento che il non essere in un certo


senso «è» non essere260, e che l’inconoscibile è conosci-
bile, dal momento che l’inconoscibile in certo senso si
conosce come inconoscibile), così anche nelle argomen-
tazioni retoriche vi è un entimema apparente a seguito
di ciò che non è verosimile in senso assoluto, ma che lo è
in un certo senso. E questo non va inteso universalmen-
te, come dice anche Agatone: «forse si potrebbe dire che 10

proprio questo vi è di verosimile, / che ai mortali molte


cose capitano inverosimili»261. Infatti si verifica ciò che è
contrario al verosimile, di conseguenza diventa verosimi-
le anche ciò che va contro il verosimile, e se succede que-
sto sarà verosimile l’inverosimile. Ma non in senso assolu-
to, bensì, così come si verifica per gli argomenti eristici, il 15

fatto di non aggiungere in che misura, in relazione a che


298 RETORICA II, 1402a 16-37

ph'/ ouj prostiqevmena poiei' th;n sukofantivan, kai; ejntau'qa para;


to; eijko;" ei\nai mh; aJplw'" ajlla; ti; eijkov". e[sti dΔ ejk touvtou tou'
tovpou hJ Kovrako" tevcnh sugkeimevnh: “a[n te ga;r mh; e[noco" h\/ th'/
aijtiva/, oi|on ajsqenh;" w]n aijkiva" feuvgei (ouj ga;r eijkov~), ka]n e[noco"
20 h\/, oi|on ijscuro;" w[n (ouj ga;r eijkov", o{ti eijko;" e[melle dovxein)”.
oJmoivw" de; kai; ejpi; tw'n a[llwn: h] ga;r e[nocon ajnavgkh h] mh;
e[nocon ei\nai th'/ aijtiva/: faivnetai me;n ou\n ajmfovtera eijkovta,
e[sti de; to; me;n eijkov", to; de; oujc aJplw'" ajllΔ w{sper ei[rhtai:
kai; to; to;n h{ttw de; lovgon kreivttw poiei'n tou'tΔ e[stin. kai;
25 ejnteu'qen dikaivw" ejduscevrainon oiJ a[nqrwpoi to; Prwtagovrou
ejpavggelma: yeu'dov" te gavr ejstin, kai; oujk ajlhqe;" ajlla; fainov-
menon eijkov", kai; ejn oujdemia'/ tevcnh/ ajllΔ ãh]Ã ejn rJhtorikh'/ kai;
ejristikh'/.

25. Kai; peri; me;n ejnqumhmavtwn, kai; tw'n o[ntwn kai; tw'n faino-
30 mevnwn, ei[rhtai, peri; de; luvsew" ejcovmenovn ejstin tw'n eijrhmevnwn
eijpei'n. e[stin de; luvein h] ajntisullogisavmenon h] e[nstasin ejneg-
kovnta. to; me;n ou\n ajntisullogivzesqai dh'lon o{ti ejk tw'n aujtw'n
tovpwn ejndevcetai poiei'n: oiJ me;n ga;r sullogismoi; ejk tw'n ejn-
dovxwn, dokou'nta de; polla; ejnantiva ajllhvloi" ejstivn: aiJ dΔ ejnstav-
35 sei" fevrontai kaqavper kai; ejn toi'" Topikoi'", tetracw'": h] ga;r
ejx eJautou' h] ejk tou' oJmoivou h] ejk tou' ejnantivou h] ejk tw'n kekri-
mevnwn.
25. LA CONFUTAZIONE 299

cosa e in quale modo produce il sofisma. Anche in questo


caso il sofisma si produce in seguito non semplicemente a
un verosimile , ma ad un certo tipo di verosimile. Ed è da
questo luogo che è stata messa insieme l’arte di Corace262:
«infatti, se non si è passibili d’imputazione – ad esempio,
perché si è deboli – si sfugge all’accusa di maltrattamenti
(non è infatti verosimile), e se si è invece passibili d’impu-
tazione – ad esempio se si è robusti – parimenti si sfug- 20

ge (non è infatti verosimile, proprio perché la sua forza


portava verosimilmente a crederlo)». Lo stesso vale per
le altre cose, poiché necessariamente per l’accusa o si è
imputabili o non lo si è: entrambe le possibilità appaiono
dunque verosimili, ma l’una è verosimile, l’altra non lo è
in senso assoluto, ma come si è detto. E «rendere più for-
te il discorso più debole»263 è proprio questo. E perciò, 25

giustamente, gli uomini si sdegnarono della dichiarazione


di Protagora: infatti è falsa e un verosimile non autentico
ma apparente, e non vi è in nessuna arte tranne che nella
retorica e nell’eristica.

25. Sulla confutazione

E anche degli entimemi, sia autentici che apparenti, si è 30

parlato, ma è contiguo a quanto si è detto discutere di


«confutazione». Allora, si ha confutazione o quando si
muove un controsillogismo o quando si avanza un’obie-
zione. È poi ovvio che è possibile effettuare un controsil-
logismo a partire dagli stessi luoghi: i sillogismi264 infatti si
traggono da opinioni note e molte cose cui comunemente
si crede sono opposte le une alle altre. Le «obiezioni» si
conducono, come anche nei Topici265, in quattro modi: 35

precisamente, o a partire dall’argomento stesso o da quel-


lo simile o da quello contrario o da cose già giudicate.
300 RETORICA II, 1402a 38 - b 21

levgw de; ajfΔ eJautou' mevn, oi|on eij peri; e[rwto" ei[h
1402b to; ejnquvmhma wJ" spoudai'o", hJ e[nstasi" dicw'": h] ga;r kaqovlou
eijpovnta o{ti pa'sa e[ndeia ponhrovn, h] kata; mevro" o{ti oujk a]n
ejlevgeto Kauvnio" e[rw", eij mh; h\san kai; ponhroi; e[rwte". ajpo;
de; tou' ejnantivou e[nstasi" fevretai, oi|on, eij to; ejnquvmhma h\n
5 o{ti oJ ajgaqo;" ajnh;r pavnta" tou;" ILvlou" eu\ poiei', ão{tià ajllΔ
oujdΔ oJ mocqhro;" kakw'". ajpo; de; tou' oJmoivou, oi|on, eij h\n
to; ejnquvmhma o{ti oiJ kakw'" peponqovte" ajei; misou's in, o{ti
ajllΔ oujdΔ oiJ eu\ peponqovte" ajei; ILlou's in. aiJ de; krivsei"
aiJ ajpo; tw'n gnwrivmwn ajndrw'n, oi|on ei[ ti" ejnquvmhma ei\pen
10 o{ti toi'" mequvousi dei' suggnwvmhn e[cein, ajgnoou'nte" ga;r aJmartav-
nousin, e[nstasi" o{ti ou[koun oJ Pittako;" aijnetov": ouj ga;r a]n
meivzou" zhmiva" ejnomoqevthsen ejavn ti" mequvwn aJmartavnh/.
ejpei; de; ta; ejnqumhvmata levgetai ejk tettavrwn, ta; de; tevt-
tara tau'tΔ ejstivn, eijko;" paravdeigma tekmhvrion shmei'on, e[sti de;
15 ta; me;n ejk tw'n wJ" ejpi; to; polu; h] o[ntwn h] dokouvntwn sunhgmevna
ejnqumhvmata ejk tw'n eijkovtwn, ta; de; diΔ ejpagwgh'" ejk tou'
oJmoivou, h] eJno;" h] pleiovnwn, o{tan labw;n to; kaqovlou ei\ta sul-
logivshtai ta; kata; mevro", dia; paradeivgmato", ta; de; dia; ajnag-
kaivou kai; ãajei;Ã o[nto" dia; tekmhrivou, ta; de; dia; tou' kaqovlou ªh]º
20 tou' ejn mevrei o[nto", ejavn te o]n ejavn te mhv, dia; shmeivwn, to; de;
eijko;" ouj to; ajei; ajlla; to; wJ" ejpi; to; poluv, fanero;n o{ti ta;
25. LA CONFUTAZIONE 301

Chiamo obiezione «a partire dall’argomento stesso»,


se, ad esempio, riguardo l’amore l’entimema fosse che 1402b
esso è una cosa buona, l’obiezione viene mossa in due
modi: o dicendo, in generale, che in effetti ogni bisogno
è cattivo o, in particolare, che non si direbbe «amore di
Cauno»266, se gli amori non fossero anche malvagi.
Si muove obiezione dall’argomento contrario se, ad
esempio, l’entimema fosse che l’uomo di valore fa del 5

bene a tutti gli amici, l’obiezione sarà che, tuttavia, nep-


pure il malvagio fa loro del male.
Si muove obiezione dall’argomento simile se, ad esem-
pio, l’entimema fosse che coloro che hanno subito del
male odiano sempre; si obietta che, tuttavia, neppure
quelli che hanno ricevuto del bene amano sempre.
I giudizi sono quelli provenienti da uomini noti, ad
esempio: se in un entimema si sostiene che per gli ubria- 10

chi si deve avere comprensione, poiché sbagliano quando


non sono in loro stessi, l’obiezione sarebbe che Pittaco,
allora, non dovrebbe essere degno di lode267: infatti non
avrebbe prescritto pene più severe qualora un tizio com-
mettesse degli errori in stato di ebbrezza.
Poiché gli entimemi si enunciano a partire da quattro
luoghi – e i quattro luoghi sono questi: verosimile, esem-
pio, prova e segno – 1) sono entimemi tratti da verosimili, 15

quelli costituiti da cose che o sono o sembrano per lo più;


2) dall’esempio, quelli tratti per induzione da uno o
più casi simili, ogni volta che, colto l’universale, si fanno
poi sillogismi secondo il particolare;
3) sono entimemi che procedono attraverso una prova
quelli assunti per mezzo di ciò che è necessario e sempre;
4) sono entimemi per mezzo di segni quelli che pro-
cedono in virtù dell’universale o del particolare, sia che 20

esso sia reale o no. Dal momento che il verosimile non è


sempre ma per lo più, è evidente che, da un lato, questo
302 RETORICA II, 1402b 22 - 1403a 7

toiau'ta me;n tw'n ejnqumhmavtwn ajei; e[sti luvein fevronta e[nstasin,


hJ de; luvs i" fainomevnh ajllΔ oujk ajlhqh;" ajeiv: ouj ga;r o{ti oujk
eijkov" luvei oJ ejnistavmeno", ajllΔ o{ti oujk ajnagkai'on: dio; kai; ajei;
25 e[sti pleonektei'n ajpologouvmenon ma'llon h] kathgorou'nta dia;
tou'ton to;n paralogismovn: ejpei; ga;r oJ me;n kathgorw'n dia; eijkov-
twn ajpodeivknusin, e[sti de; ouj taujto; lu'sai h] o{ti oujk eijko;"
h] o{ti oujk ajnagkai'on, ajei; dΔ e[cei e[nstasin to; wJ" ejpi; to; poluv
(ouj ga;r a]n h\/ a{mΔ ajei; eijkov", ajei; kai; ajnagkai'on), oJ de; krith;"
30 oi[etai, a]n ou{tw luqh'/, h] oujk eijko;" ei\nai h] oujc auJtw'/ kritevon,
paralogizovmeno", w{sper ejlevgomen (ouj ga;r ejk tw'n ajnag-
kaivwn dei' aujto;n movnon krivnein, ajlla; kai; ejk tw'n eijkovtwn:
tou'to gavr ejsti to; gnwvmh/ th'/ ajrivsth/ krivnein), ou[koun iJkano;n
a]n luvsh/ o{ti oujk ajnagkai'on, ajlla; dei' luvein o{ti oujk eijkov".
35 tou'to de; sumbhvsetai eja;n h\/ hJ e[nstasi" ma'llon wJ" ejpi; to;
poluv. ejndevcetai de; ei\nai toiauvthn dicw'", h] tw'/ crovnw/ h] toi'"
pravgmasin, kuriwvtata de; eij ajmfoi'n: eij ga;r ta; ãpleivw kai;Ã
1403a pleonavki" ou{tw", tou'tΔ ejsti;n eijko;" ma'llon.
luvetai de; kai; ta; shmei'a kai; ta; dia; shmeivou ejnqumhvmata
eijrhmevna, ka]n h\/ uJpavrconta, w{sper ejlevcqh ejn toi'" prwvtoi":
o{ti ga;r ajsullovgistovn ejstin pa'n shmei'on, dh'lon hJmi'n ejk tw'n
5 ΔAnalutikw'n.
pro;" de; ta; paradeigmatwvdh hJ aujth; luvs i" kai; ta;
eijkovta: ejavn te ga;r e[cwmen ãe{nà ti oujc ou{tw, levlutai, o{ti oujk
25. LA CONFUTAZIONE 303

genere di entimemi si possono sempre confutare muo-


vendo un’obiezione, dall’altro, la confutazione può esse-
re apparente ma non sempre vera: infatti chi muove l’o-
biezione non confuta l’argomento perché non verosimile,
ma perché non necessario; pertanto anche in virtù di un 25

paralogismo di questo tipo si mette sempre in condizio-


ni di maggior vantaggio chi si difende piuttosto che chi
accusa: infatti, poiché l’accusatore dimostra attraverso
verosimili, e non è la stessa cosa confutare dicendo che
non è verosimile piuttosto che non necessario, dal mo-
mento che «il per lo più» ammette sempre un’obiezio-
ne (infatti non sarebbe «verosimile» se fosse allo stesso
tempo «sempre», ma sarebbe «sempre» e «necessario»),
il giudice ritiene che, se si confuta in questo modo, o 30

l’argomento non è verosimile o che non va giudicato da


lui, ragionando in modo errato come dicevamo; (non si
deve infatti giudicare solo a partire da cose necessarie,
ma anche da quelle verosimili, poiché in questo consiste
«il giudicare con la capacità di giudizio migliore»), non è
dunque sufficiente se si confuta dicendo che l’argomento
non è necessario, ma si deve confutare dicendo che non
è verosimile. Questo succederà se l’obiezione consiste so- 35

prattutto in ciò che per lo più si verifica. E può risultare


tale in due modi: o per il tempo o per le circostanze, ma
sarà efficace al massimo se concerne entrambi, perché se
vi sono casi in buon numero e che si verificano in un dato 1403a
modo, l’obiezione risulta più verosimile.
Si confutano e i segni e gli entimemi proferiti attraver-
so il segno, anche se indichino cose realmente sussistenti,
come si è detto all’inizio268: che infatti ogni segno non sia
sillogistico, ci è chiaro dagli Analitici269. 5

Sugli entimemi fondati sull’esempio, la confutazione è


la stessa che per quella fondata sulle probabilità; se infatti
abbiamo un solo caso che non si verifica in un dato modo
304 RETORICA II, 1403a 8-28

ajnagkai'on, eij kai; ta; pleivw h] pleonavki" a[llw", ejavn te kai; ta;
pleivw kai; ta; pleonavki" ou{tw, macetevon h] o{ti to; paro;n oujc
10 o{moion h] oujc oJmoivw", h] diaforavn gev tina e[cei. ta; de; tekmhvria
kai; tekmhriwvdh ejnqumhvmata kata; me;n to; ajsullovgiston oujk
e[stai lu'sai (dh'lon de; kai; tou'qΔ hJmi'n ejk tw'n ΔAnalutikw'n),
leivpetai dΔ wJ" oujc uJpavrcei to; legovmenon deiknuvnai. eij de;
fanero;n kai; o{ti uJpavrcei kai; o{ti tekmhvrion, a[luton h[dh givgne-
15 tai tou'to: pavnta ga;r givgnetai ajpovdeixi" h[dh fanerav.

26. To; dΔ au[xein kai; meiou'n oujk e[stin ejnqumhvmato" stoicei'on:


to; ga;r aujto; levgw stoicei'on kai; tovpon: e[stin ga;r stoicei'on
kai; tovpo" eij" o} polla; ejnqumhvmata ejmpivptei. to; dΔ au[xein kai;
meiou'n ejsti;n ejnqumhvmata pro;" to; dei'xai o{ti mevga h] mikrovn,
20 w{sper kai; o{ti ajgaqo;n h] kakovn, h] divkaion h] a[dikon, kai; tw'n
a[llwn oJtiou'n. tau'ta dΔ ejsti;n pavnta peri; a} oiJ sullogismoi; kai;
ta; ejnqumhvmata, w{stΔ eij mhde; touvtwn e{kaston ejnqumhvmato"
tovpo", oujde; to; au[xein kai; meiou'n.
oujde; ta; lutika; ejnqumhv-
25 mato" ei\dov" tiv ejstin ªa[llo tw'n kataskeuastikw'nº: dh'lon ga;r
o{ti luvei me;n h] deivxa" h] e[nstasin ejnegkwvn, ajntapodeivknusi
de; to; ajntikeivmenon, oi|on eij e[deixe o{ti gevgonen, ou|to" o{ti ouj
gevgonen, eij de; o{ti ouj gevgonen, ou|to" o{ti gevgonen: w{ste au{th
26. PRECISAZIONI SUGLI ENTIMEMI 305

è possibile confutarli, perché non vi è necessità, e se vi


sono più di un esempio o molteplici casi di esempi dalla
parte dell’avversario, si deve ribattere dicendo o che il
caso presente non è simile o non procede in modo simile 10

o che, quanto meno, vi è una certa differenza.


Prove ed entimemi fondati su prove non sarà possi-
bile confutarli sul piano di una formulazione non valida
di sillogismo (anche questo ci è chiaro dagli Analitici 270),
e rimane da mostrare come il fatto riferito non sussista.
Se invece è evidente che il fatto sussiste e che si tratta di
una prova, allora questo entimema diventa inconfutabile:
perché ogni elemento giunge ad essere una dimostrazio- 15

ne d’immediata evidenza.

26. Precisazioni sugli entimemi

«Amplificare» e «minimizzare» non sono elementi


dell’entimema (dico che «elemento» e «luogo» sono la
stessa cosa271, poiché elemento e luogo sono ciò sotto cui
ricadono molti entimemi). L’amplificare e il minimizzare
sono entimemi diretti a mostrare che una cosa è grande
o piccola, come pure che è buona o cattiva, giusta o in- 20

giusta, in qualsiasi altro modo. Di questo tipo sono tutti


i temi su cui vertono sillogismi ed entimemi, perciò se
neppure ciascuno di questi è luogo di entimema, non lo
sono neanche l’amplificare e il minimizzare.
Neppure gli entimemi confutativi sono una specie 25

particolare di entimema: è infatti chiaro che si confuta


o mostrando o muovendo un’obiezione, e con essi si dà
una controdimostrazione della tesi dell’avversario; ad
esempio: se questi ha mostrato che una cosa è avvenuta,
si dimostra che non è avvenuta, se ha mostrato che non
è avvenuta, si dimostra che lo è, di conseguenza non può
306 RETORICA II, 1403a 29 - b 3

me;n oujk a]n ei[h ªhJº diaforav (toi'" aujtoi'" ga;r crw'ntai ajmfovteroi:
30 o{ti ga;r oujk e[stin h] e[stin, ejnqumhvmata fevrousin): hJ dΔ e[nstasi"
oujk e[stin ejnquvmhma, ajllav, kaqavper ejn toi'" Topikoi'", to; eijpei'n
dovxan tina; ejx h|" e[stai dh'lon o{ti ouj sullelovgistai h] o{ti yeu'-
dov" ti ei[lhfen.
ejpei; de; triva e[stin a} dei' pragmateuqh'nai peri; to;n lovgon,
35 uJpe;r me;n paradeigmavtwn kai; gnwmw'n kai; ejnqumhmavtwn kai;
1403b o{lw" tw'n peri; th;n diavnoian, o{qen te eujporhvsomen kai; wJ" aujta;
luvsomen, eijrhvsqw hJmi'n tosau'ta, loipo;n de; dielqei'n peri; levxew"
kai; tavxew".
26. INDICAZIONI DI ERRORI 307

essere questa la differenza (di fatto entrambi fanno ricor-


so agli stessi mezzi, apportano cioè entimemi per mostra-
re che non è successo niente o che è successo qualcosa). 30

L’obiezione non è un entimema, ma, come si è detto nei


Topici 272, consiste nel dire una certa opinione dalla quale
sarà chiaro che non si è fatto un sillogismo o che si è as-
sunta una falsa premessa.
Poiché riguardo al discorso sono tre le cose da tratta-
re, e poiché su esempi, massime, entimemi, su ciò che in 35

genere concerne il pensare, da dove avremo abbondanza 1403b


di argomenti e come li confuteremo, è già per noi suffi-
ciente quanto s’è detto, rimane da trattare sull’elocuzione
e sulla disposizione.
RHTORIKH G

1. ΔEpeidh; triva ejsti;n a} dei' pragmateuqh'nai peri; to;n lov-


gon, e}n me;n ejk tivnwn aiJ pivstei" e[sontai, deuvteron de; peri;
th;n levxin, trivton de; pw'" crh; tavxai ta; mevrh tou' lovgou,
peri; me;n tw'n pivstewn ei[rhtai, kai; ejk povswn, o{ti ejk triw'n
10 eijs iv, kai; tau'ta poi'a, kai; dia; tiv tosau'ta movna (h] ga;r tw'/
aujtoiv ti peponqevnai oiJ krivnonte", h] tw'/ poiouv" tina" uJpo-
lambavnein tou;" levgonta", h] tw'/ ajpodedei'cqai, peivqontai pavn-
te~), ei[rhtai de; kai; ta; ejnqumhvmata, povqen dei' porivzesqai
(e[sti ga;r ta; me;n ei[dh tw'n ejnqumhmavtwn, ta; de; tovpoi): peri;
15 de; th'" levxew" ejcovmenovn ejstin eijpei'n: ouj ga;r ajpovcrh to;
e[cein a} dei' levgein, ajllΔ ajnavgkh kai; tau'ta wJ" dei' eijpei'n,
kai; sumbavlletai polla; pro;" to; fanh'nai poiovn tina to;n
lovgon. to; me;n ou\n prw'ton ejzhthvqh kata; fuvs in o{per pev-
fuke prw'ton, aujta; ta; pravgmata ejk tivnwn e[cei to; piqanovn,
20 deuvteron de; to; tau'ta th'/ levxei diaqevsqai, trivton de; touvtwn
o} duvnamin me;n e[cei megivsthn, ou[pw dΔ ejpikeceivrhtai, ta;
peri; th;n uJpovkrisin. kai; ga;r eij" th;n tragikh;n kai; rJayw/divan
ojye; parh'lqen: uJpekrivnonto ga;r aujtoi; ta;" tragw/diva" oiJ
poihtai; to; prw'ton. dh'lon ou\n o{ti kai; peri; th;n rJhtorikhvn
25 ejsti to; toiou'ton w{sper kai; peri; th;n poihtikhvn, o{per
LIBRO III

1. L’elocuzione o stile e la disposizione degli argomenti

Sono tre le cose da trattare riguardo al discorso, la pri-


ma da quali fonti si trarranno le persuasioni, la seconda
l’elocuzione, la terza su come si devono disporre le parti
del discorso. Di persuasioni si è già parlato, così come da
quante fonti si possono trarre, del fatto che sono tre, di
che natura sono e per quale motivo sono solo queste (in- 10

fatti coloro che giudicano sono tutti persuasi o per il fatto


che hanno essi stessi subito una certa affezione, o perché
hanno recepito che gli oratori siano di una certa qualità, o
per il fatto che si è dimostrato qualcosa). Si è pure parlato
di entimemi e da dove procurarseli in abbondanza (alcuni
infatti sono specie di entimemi, altri sono luoghi).
Adesso si deve allora parlare di elocuzione: non è in- 15

fatti sufficiente avere gli argomenti che si devono dire,


ma è necessario avere anche il modo di esporli, e ciò con-
tribuisce molto a che il discorso si mostri di una certa
qualità. Ebbene, seguendo l’ordine naturale, si analizza
innanzitutto ciò che viene prima per natura – cioè da
quali elementi le questioni stesse ricevano persuasività –;
secondariamente, il disporle con l’elocuzione; terzo, ciò 20

che possiede la massima efficacia, la declamazione, che


però non è stata ancora trattata. La declamazione, infat-
ti, giunse tardi sia alla tragedia che alla rapsodia, perché
all’inizio erano i poeti stessi a recitare le loro tragedie. È
dunque chiaro che anche nella retorica vi è questo ele- 25

mento come già per la poetica, la qual cosa, tra gli altri,
310 RETORICA III, 1403b 26 -1404a 14

e{teroiv ãtevà tine" ejpragmateuvqhsan kai; Glauvkwn oJ Thvio". e[stin


de; au{th me;n ejn th'/ fwnh'/, pw'" aujth'/ dei' crh'sqai pro;"
e{kaston pavqo", oi|on povte megavlh/ kai; povte mikra'/ kai; mevsh/,
kai; pw'" toi'" tovnoi", oi|on ojxeiva/ kai; bareiva/ kai; mevsh/, kai;
30 rJuqmoi'" tivs i pro;" e{kasta. triva gavr ejstin peri; a} skopou'-
sin: tau'ta dΔ ejsti; mevgeqo" aJrmoniva rJuqmov". ta; me;n ou\n
a\qla scedo;n ejk tw'n ajgwvnwn ou|toi lambavnousin, kai; kaq-
avper ejkei' mei'zon duvnantai nu'n tw'n poihtw'n oiJ uJpokritaiv,
kai; kata; tou;" politikou;" ajgw'na", dia; th;n mocqhrivan tw'n
35 politw'n. ou[pw de; suvgkeitai tevcnh peri; aujtw'n, ejpei; kai;
to; peri; th;n levxin ojye; proh'lqen: kai; dokei' fortiko;n ei\nai,
1404a kalw'" uJpolambanovmenon. ajllΔ o{lh" ou[sh" pro;" dovxan th'"
pragmateiva" th'" peri; th;n rJhtorikhvn, oujc wJ" ojrqw'" e[conto"
ajllΔ wJ" ajnagkaivou th;n ejpimevleian poihtevon, ejpei; tov ge divkaiovn
ãejstià mhde;n plevon zhtei'n peri; to;n lovgon h] w{ste mhvte
5 lupei'n mhvtΔ eujfraivnein: divkaion ga;r aujtoi'" ajgwnivzesqai
toi'" pravgmasin, w{ste ta\lla e[xw tou' ajpodei'xai periverga
ejstivn: ajllΔ o{mw" mevga duvnatai, kaqavper ei[rhtai, dia; th;n
tou' ajkroatou' mocqhrivan. to; me;n ou\n th'" levxew" o{mw" e[cei
ti mikro;n ajnagkai'on ejn pavsh/ didaskaliva/: diafevrei gavr ti
10 pro;" to; dhlw'sai wJdi; h] wJdi; eijpei'n, ouj mevntoi tosou'ton,
ajllΔ a{panta fantasiva tau'tΔ ejstiv, kai; pro;" to;n ajkroathvn:
dio; oujdei;" ou{tw gewmetrei'n didavskei. ejkeivnh me;n ou\n o{tan
e[lqh/ taujto; poihvsei th'/ uJpokritikh'/, ejgkeceirhvkasin de; ejpΔ
ojlivgon peri; aujth'" eijpei'n tinev", oi|on Qrasuvmaco" ejn toi'"
1. L’ELOCUZIONE O STILE 311

venne fatta oggetto di trattazione anche da Glaucone di


Teo273.
La declamazione riguarda la voce, come si debba ri-
correre ad essa per ciascuna passione, quando, per esem-
pio, debba essere forte, quando debole e quando media,
e come servirsi dei suoi toni, ad esempio quando di una
voce acuta o grave o media, e di quali ritmi per ciascun 30

caso. Tre sono infatti le cose su cui si fa attenzione, e


queste sono volume, armonia e ritmo. Ebbene chi se ne
appropria è di solito quello che ottiene premi dalle gare
poetiche e come in questo contesto, al giorno d’oggi, gli
attori hanno maggiore efficacia dei poeti, lo stesso vale
anche per i dibattiti politici, a causa della corruzione dei
cittadini. Non è stata ancora approntata un’arte su questi 35

argomenti, poiché anche lo studio sull’elocuzione è giun-


to tardi, inoltre, a ben vedere, si ritiene che sia buona 1404a
per l’interesse del volgo. Ma poiché l’intera trattazione
della retorica ha a che fare con l’opinione, bisogna curar-
sene non perché ciò sia giusto, ma perché è necessario,
dal momento che nell’ambito del discorso il giusto non è
niente di più che fare in modo da non offendere o diver- 5

tire: infatti è corretto dibattere sulla base dei soli fatti, in


modo che altre cose estranee alla dimostrazione siano su-
perflue; ma ciononostante hanno grande efficacia, come
s’è detto, per via della degenerazione dell’ascoltatore.
Una qualche piccola parte dell’elocuzione è comunque
necessaria in ogni forma d’insegnamento: infatti dire in
un modo oppure in un altro comporta una certa diffe-
renza per l’esposizione, per quanto non così importante; 10

tutti questi elementi sono però un’apparenza esteriore e


sono diretti all’ascoltatore: ecco perché nessuno insegna
geometria in questo modo. Qualora, dunque, l’elocuzio-
ne giunga allo stato di arte farà lo stesso effetto della reci-
tazione. E alcuni hanno brevemente intrapreso a trattare
312 RETORICA III, 1404a 15-39

15 ΔElevoi": kai; e[stin fuvsew" to; uJpokritiko;n ei\nai, kai; ajtecnov-


teron, peri; de; th;n levxin e[ntecnon. dio; kai; toi'" tou'to duna-
mevnoi" givnetai pavlin a\qla, kaqavper kai; toi'" kata; th;n uJpov-
krisin rJhvtorsin: oiJ ga;r grafovmenoi lovgoi mei'zon ijscuvousi
dia; th;n levxin h] dia; th;n diavnoian.
20 h[rxanto me;n ou\n kinh'sai to; prw'ton, w{sper pevfuken,
oiJ poihtaiv: ta; ga;r ojnovmata mimhvmata ejstivn, uJph'rxen de;
kai; hJ fwnh; pavntwn mimhtikwvtaton tw'n morivwn hJmi'n: dio;
kai; aiJ tevcnai sunevsthsan h{ te rJayw/diva kai; hJ uJpokritikh;
kai; a[llai ge. ejpei; dΔ oiJ poihtaiv, levgonte" eujhvqh, dia; th;n
25 levxin ejdovkoun porivsasqai th;n dovxan, dia; tou'to
poihtikh; prwvth ejgevneto levxi", oi|on hJ Gorgivou, kai; nu'n
e[ti oiJ polloi; tw'n ajpaideuvtwn tou;" toiouvtou" oi[ontai dia-
levgesqai kavllista. tou'to dΔ oujk e[stin, ajllΔ eJtevra lovgou
kai; poihvsew" levxi" ejstivn. dhloi' de; to; sumbai'non: oujde; ga;r
30 oiJ ta;" tragw/diva" poiou'nte" e[ti crw'ntai to;n aujto;n provpon,
ajllΔ w{sper kai; ejk tw'n tetramevtrwn eij" to; ijambei'on met-
evbhsan dia; to; tw'/ lovgw/ tou'to tw'n mevtrwn oJmoiovtaton ei\nai
tw'n a[llwn, ou{tw kai; tw'n ojnomavtwn ajfeivkasin o{sa para;
th;n diavlektovn ejstin, oi|" ªdΔº oiJ prw'toi ejkovsmoun, kai; e[ti
35 nu'n oiJ ta; eJxavmetra poiou'nte" ªajfeivkasinº. dio; geloi'on mi-
mei'sqai touvtou" oi} aujtoi; oujkevti crw'ntai ejkeivnw/ tw'/ trovpw/,
w{ste fanero;n o{ti oujc a{panta o{sa peri; levxew" e[stin eijpei'n
ajkribologhtevon hJmi'n, ajllΔ o{sa peri; toiauvth" oi{a" levgomen.
peri; dΔ ejkeivnh" ei[rhtai ejn toi'" peri; poihtikh'".
1. L’ELOCUZIONE O STILE 313

di essa, come Trasimaco nei Compianti 274. E l’essere atto 15

a declamare è cosa di natura, ed è priva di arte, mentre,


per l’elocuzione, è una questione di tecnica. Per questo,
ancora una volta, si pongono in palio dei premi per chi è
dotato, proprio come per i retori che parlano declaman-
do: infatti i discorsi scritti sono più efficaci per l’elocuzio-
ne che per il pensiero.
Ebbene, com’è naturale, iniziarono a muovere il pri- 20

mo passo i poeti: infatti i nomi sono imitazioni, e a noi ap-


partiene anche la voce, la più mimetica di tutte le facoltà;
perciò presero forma anche le arti: sia la rapsodia, sia la
recitazione sia, per la verità, le altre. Poiché i poeti, dicen-
do cose futili, apparvero acquisire notorietà grazie all’e- 25

locuzione, si ebbe per questo prima l’elocuzione poetica,


come quella di Gorgia, e ancora adesso la moltitudine
incolta ritiene che tutti questi parlino benissimo. Questo
non è vero, ma l’elocuzione della prosa è diversa da quel-
la della poesia; e ciò è reso evidente da quanto accade:
infatti neppure chi compone tragedie usa lo stesso modo 30

di esprimersi, ma come è anche passato dai tetrametri ai


giambici per il motivo che questo, dei metri, è quello che
più di tutti gli altri ricalca il parlato, così dei nomi hanno
tolto tutti quanti quelli che sono fuori dal linguaggio co-
mune, nomi con i quali i primi tragediografi adornavano, 35

e che, oggi, i compositori di esametri hanno già soppres-


so. Perciò sarebbe ridicolo imitare questi compositori
che non fanno più – loro stessi – ricorso a tale stile, di
conseguenza è evidente che non dobbiamo trattare in
maniera accurata di tutte quante le cose che si possono
dire sull’elocuzione, ma di tutte quelle che riguardano
solo quel tipo di elocuzione di cui stiamo parlando. Di
quell’altra si è invece trattato nei libri della Poetica275.
314 RETORICA III, 1404b 1-22

1404b 2. “Estw ou\n ejkei'na teqewrhmevna kai; wJrivsqw levxew" ajreth;


safh' ei\nai (shmei'on gavr ti oJ lovgo" w[n, eja;n mh; dhloi'
ouj poihvsei to; eJautou' e[rgon), kai; mhvte tapeinh;n mhvte uJpe;r
to; ajxivwma, ajlla; prevpousan: hJ ga;r poihtikh; i[sw" ouj ta-
5 peinhv, ajllΔ ouj prevpousa lovgw/. tw'n dΔ ojnomavtwn kai; rJh-
mavtwn safh' me;n poiei' ta; kuvria, mh; tapeinh;n de; ajlla;
kekosmhmevnhn ta\lla ojnovmata o{sa ei[rhtai ejn toi'" peri; poih-
tikh'": to; ga;r ejxallavxai poiei' faivnesqai semnotevran: w{sper
ga;r pro;" tou;" xevnou" oiJ a[nqrwpoi kai; pro;" tou;" polivta",
10 to; aujto; pavscousin kai; pro;" th;n levxin: dio; dei' poiei'n xevnhn
th;n diavlekton: qaumastai; ga;r tw'n ajpovntwn eijs ivn, hJdu; de;
to; qaumastovn ejstin. ejpi; me;n ou\n tw'n mevtrwn pollav te poiei'tai
ou{tw kai; aJrmovttei ejkei' (plevon ga;r ejxevsthken peri; a} kai;
peri; ou}" oJ lovgo~), ejn de; toi'" yiloi'" lovgoi" pollw'/ ejlavttw:
15 hJ ga;r uJpovqesi" ejlavttwn, ejpei; kai; ejntau'qa, eij dou'lo"
kalliepoi'to h] livan nevo", ajprepevsteron, h] peri; livan mikrw'n:
ajllΔ e[sti kai; ejn touvtoi" ejpisustellovmenon kai; aujxanovmenon
to; prevpon: dio; dei' lanqavnein poiou'nta", kai; mh; dokei'n
levgein peplasmevnw" ajlla; pefukovtw" (tou'to ga;r piqanovn,
20 ejkei'no de; toujnantivon: wJ" ga;r pro;" ejpibouleuvonta diabavl-
lontai, kaqavper pro;" tou;" oi[nou" tou;" memigmevnou~), kai;
oi|on hJ Qeodwvrou fwnh; pevponqe pro;" th;n tw'n a[llwn uJpo-
2. LE VIRTÙ DELL’ELOCUZIONE 315

2. Le virtù dell’elocuzione

Resti fatto, dunque, quello che si è già esaminato e sia 1404b


definita virtù dell’elocuzione il suo essere chiara276 (in-
fatti il discorso è una forma di segno, e se non comunica
con chiarezza non realizzerà il suo compito), inoltre non
deve essere sciatta né eccedente il valore del soggetto,
ma appropriata; quella poetica, appunto, forse non sarà
modesta, ma non è adatta al discorso. Tra nomi e verbi, 5

quelli correnti rendono la chiarezza, mentre tutti gli altri


nomi, di cui si è parlato nella Poetica277, non danno un’e-
locuzione sciatta ma adorna: infatti variare il linguaggio
ordinario la fa apparire più dignitosa. Perché ciò che gli
uomini provano di fronte a stranieri e a concittadini, lo
provano anche nei riguardi dell’elocuzione; per questo 10

bisogna rendere esotico il modo di parlare: infatti le lin-


gue di coloro che sono distanti destano meraviglia, e il
meraviglioso è piacevole. Ebbene, sono parecchie le cose
che nei versi si rendono in questo modo e che sono in tal
caso appropriate, infatti il discorso poetico verte su fatti
e personaggi che hanno maggiore distanza dall’ordinario,
mentre nei discorsi in prosa ciò avviene in misura di gran
lunga minore, dal momento che il soggetto è meno eleva- 15

to, e dal momento che pure in poesia sarebbe alquanto


inappropriato se uno schiavo o uno troppo giovane par-
lasse in maniera elegante, o lo si facesse su cose di infima
importanza. Ma anche in questi casi la convenienza è resa
dal minimizzare e dall’amplificare. Perciò si deve agire
in maniera non scoperta, e non dare a vedere che si par-
la in maniera artificiosa, ma naturale (dal momento che
questo è persuasivo, mentre l’altro è l’opposto: infatti si è 20

sospettosi con chi tende ad ingannare, proprio come lo si


è con i vini mescolati), cioè nel modo in cui era disposta
la voce di Teodoro278 rispetto a quella degli altri attori:
316 RETORICA III, 1404b 23 - 1405a 8

kritw'n: hJ me;n ga;r tou' levgonto" e[oiken ei\nai, aiJ dΔ ajllov-


triai. klevptetai dΔ eu\, ejavn ti" ejk th'" eijwquiva" dialevktou
25 ejklevgwn suntiqh'/: o{per Eujripivdh" poiei' kai; uJpevdeixe prw'to".
o[ntwn dΔ ojnomavtwn kai; rJhmavtwn ejx w|n oJ lovgo" sun-
evsthken, tw'n de; ojnomavtwn tosau'tΔ ejcovntwn ei[dh o{sa te-
qewvrhtai ejn toi'" peri; poihvsew", touvtwn glwvttai" me;n kai;
diploi'" ojnovmasi kai; pepoihmevnoi" ojligavki" kai; ojligacou'
30 crhstevon (o{pou dev, u{steron ejrou'men, tov te dia; tiv ei[rhtai:
ejpi; to; mei'zon ga;r ejxallavttei tou' prevponto~), to; de; kuvrion
kai; to; oijkei'on kai; metafora; movna crhvs ima pro;" th;n tw'n
yilw'n lovgwn levxin. shmei'on dΔ o{ti touvtoi" movnoi" pavnte"
crw'ntai: pavnte" ga;r metaforai'" dialevgontai kai; toi'" oijkeiv-
35 oi" kai; toi'" kurivoi", w{ste dh'lon wJ" a]n eu\ poih'/ ti", e[stai
te xeniko;n kai; lanqavnein ejndevxetai kai; safhniei': au{th dΔ
h\n hJ tou' rJhtorikou' lovgou ajrethv. tw'n dΔ ojnomavtwn tw'/
me;n soILsth'/ oJmwnumivai crhvs imoi (para; tauvta" ga;r kakour-
gei'), tw'/ poihth'/ de; sunwnumivai, levgw de; kuvriav te kai; sun-
1405a wvnuma oi|on to; poreuvesqai kai; to; badivzein: tau'ta ga;r ajmfov-
tera kai; kuvria kai; sunwvnuma ajllhvloi".
tiv me;n ou\n touvtwn e{kastovn ejsti, kai; povsa ei[dh meta-
fora'", kai; o{ti tou'to plei'ston duvnatai kai; ejn poihvsei kai;
5 ejn lovgoi", ªaiJ metaforaiv,º ei[rhtai, kaqavper ejlevgomen, ejn toi'"
peri; poihtikh'": tosouvtw/ dΔ ejn lovgw/ dei' ma'llon ILloponei'-
sqai peri; aujtw'n, o{sw/ ejx ejlattovnwn bohqhmavtwn oJ lovgo"
ejsti; tw'n mevtrwn: kai; to; safe;" kai; to; hJdu; kai; to; xeniko;n
2. LE VIRTÙ DELL’ELOCUZIONE 317

infatti sembra essere quella naturale del personaggio che


parla, mentre le altre sembrano essere estranee. E riesce
bene la simulazione, se uno compone scegliendo parole
dal linguaggio corrente; il che è quanto fa Euripide e lo 25

mostra per primo.


Dal momento che nomi e verbi sono gli elementi da
cui è composto il discorso, e che dei nomi si hanno tante
specie quante quelle che sono state prese in esame nella
Poetica279, tra queste si deve fare ricorso a glosse, a nomi
doppi e a neologismi di rado e in limitati contesti (mentre 30

in seguito diremo dove280, il perché lo si è già detto, dal


momento che si cambia il discorso in qualcosa di più ele-
vato del conveniente), mentre i soli espedienti per l’elo-
cuzione dei discorsi in prosa sono il termine di significato
comune, specifico e traslato. Ne è segno il fatto che tutti
si servono soltanto di queste parole: poiché ognuno parla
con «metafore», «nomi specifici» e «comuni», è chiaro, 35

di conseguenza, che se uno lo fa bene, e renderà non or-


dinaria l’elocuzione, sarà possibile nascondere l’artificio
e vi sarà chiarezza: ed è questa – si era detto – la virtù del
discorso retorico. Tra i termini, le «omonimie»281 sono
quelle utili al sofista (di fatto è su queste che opera con
malizia), al poeta invece sono utili le «sinonimie», e chia-
mo «nomi comuni» e «sinonimi», ad esempio, «l’andare» 1405a
e «il camminare»: infatti sono entrambi sia comuni che
sinonimi tra loro.
Quale sia dunque ciascuno di questi termini, e quan-
te specie di metafora vi siano, e il fatto che quest’ultime
siano della più grande efficacia sia in poesia che in prosa 5

lo si è esposto, come dicevamo, nella Poetica. Ma in prosa


occorre una più intensa applicazione di questi espedienti,
in quanto ci si avvale di minori ausili rispetto alle compo-
sizioni in versi. Inoltre la metafora contiene particolar-
mente chiarezza, piacevolezza e mancanza di ordinarietà,
318 RETORICA III, 1405a 9-33

e[cei mavlista hJ metaforav, kai; labei'n oujk e[stin aujth;n parΔ


10 a[llou. dei' de; kai; ta; ejpivqeta kai; ta;" metafora;" aJrmot-
touvsa" levgein. tou'to dΔ e[stai ejk tou' ajnavlogon: eij de; mhv,
ajprepe;" fanei'tai dia; to; parΔ a[llhla ta; ejnantiva mavlista
faivnesqai. ajlla; dei' skopei'n, wJ" nevw/ foinikiv", ou{tw gev-
ronti tiv (ouj ga;r hJ aujth; prevpei ejsqhv~), kai; ejavn te kosmei'n
15 bouvlh/, ajpo; tw'n beltivstwn tw'n ejn taujtw'/ gevnei fevrein th;n
metaforavn, ejavn te yevgein, ajpo; tw'n ceirovnwn: levgw dΔ oi|on,
ejpei; ta; ejnantiva ejn tw'/ aujtw'/ gevnei, to; favnai to;n me;n ptw-
ceuvonta eu[cesqai to;n de; eujcovmenon ptwceuvein, o{ti a[mfw aij-
thvsei", to; eijrhmevnon ejsti; poiei'n, wJ" kai; ΔIILkravth" Kallivan
20 mhtraguvrthn ajllΔ ouj da/dou'con, oJ de; e[fh ajmuvhton aujto;n
ei\nai: ouj ga;r a]n mhtraguvrthn aujto;n kalei'n, ajlla; da/dou'con:
a[mfw ga;r peri; qeovn, ajlla; to; me;n tivmion to; de; a[timon.
kai; oJ me;n dionusokovlaka", aujtoi; dΔ auJtou;" tecnivta" ka-
lou's in (tau'ta dΔ a[mfw metaforav, hJ me;n rJupainovntwn hJ de;
25 toujnantivon), kai; oiJ me;n lh/stai; auJtou;" porista;" kalou's i
nu'n (dio; e[xesti levgein to;n ajdikhvsanta me;n aJmartavnein, to;n
dΔ aJmartavnonta ajdikh'sai, kai; to;n klevyanta kai; labei'n kai;
porivsasqai). to; de; wJ" oJ Thvlefo" Eujripivdou fhsivn,
kwvph" ajnavsswn kajpoba;" eij" Musivan,
30 ajprepev", o{ti mei'zon to; ajnavssein h] katΔ ajxivan: ouj kevkleptai
ou\n. e[stin de; kai; ejn tai'" sullabai'" aJmartiva, eja;n mh; hJdeiva" h\/
shmei'a fwnh'", oi|on Dionuvs io" prosagoreuvei oJ calkou'" ejn
toi'" ejlegeivoi" kraugh;n Kalliovph" th;n poivhsin, o{ti a[mfw
2. LE VIRTÙ DELL’ELOCUZIONE 319

e non è possibile apprenderla da un altro. E occorre dire 10

sia epiteti che metafore in modo appropriato. E questo si


trarrà dall’analogia, se ciò invece non accadrà, sarà ma-
nifesta l’inadeguatezza per il fatto che i contrari, affian-
cati gli uni agli altri, sono messi in particolare risalto. Ma
così come a un giovane s’addice la veste rossa, si deve
osservare che cosa è adatto a un vecchio (lo stesso vesti-
to è infatti inadeguato), e pertanto, se si vuole abbellire,
bisogna portare la metafora dai migliori elementi dello 15

stesso genere mentre, se si vuole biasimare, dai peggiori.


Dico, ad esempio, poiché i contrari sono all’interno di
uno stesso genere, che il dire che «chi mendica prega» o
che «chi prega mendica», in quanto entrambe sono delle
richieste, significa fare quanto si è detto, così come pure
Ificrate282 chiamò Callia «questuante ma non portatore 20

di fiaccola», di contro Callia ribatté che l’altro non era


iniziato ai misteri poiché «non l’avrebbe chiamato que-
stuante ma portatore di fiaccola»: infatti entrambi i casi
riguardano la divinità, ma uno è dignitoso l’altro disdice-
vole283. Inoltre uno chiama gli attori «adulatori di Dioni-
so»284, mentre loro chiamano se stessi artisti (entrambe le
espressioni sono metafore: la prima è propria di chi mette
discredito, la seconda di chi fa l’opposto), anche i pirati 25

ora chiamano se stessi approvvigionatori (perciò è possi-


bile dire di chi commette ingiustizia «fare un errore», e di
chi commette un errore «fare ingiustizia», e dire di chi ha
rubato «prendere» oppure «rifornirsi»). E un’espressio-
ne come quella del Telefo di Euripide che dice: «regnan-
do sul remo e sbarcando in Misia»285 è sconveniente, in 30

quanto il «regnare» indica più di quanto sia conforme al


valore: non si è quindi dissimulato l’artificio. Vi sono poi
errori anche tra le sillabe, se siano segni di un suono sgra-
devole, ad esempio Dionisio Calco286 nelle elegie chiama
la poesia «pianto di Calliope», in quanto sono entrambi
320 RETORICA III, 1405a 34 - b 21

fwnaiv: fauvlh de; hJ metafora; †tai'" ajshvmoi" fwnai'~†. e[ti de;


35 ouj povrrwqen dei' ajllΔ ejk tw'n suggenw'n kai; tw'n oJmoeidw'n
metafevrein ãejpi;Ã ta; ajnwvnuma wjnomasmevnw" o} lecqe;n dh'lovn ejstin
o{ti suggenev" (oi|on ejn tw'/ aijnivgmati tw'/ eujdokimou'nti
1405b a[ndrΔ ei\don puri; calko;n ejpΔ ajnevri kollhvsanta:
ajnwvnumon ga;r to; pavqo", e[sti dΔ a[mfw provsqesiv" ti":
kovllhsin toivnun ei\pe th;n th'" sikuva" prosbolhvn), kai; o{lw"
ejk tw'n eu\ hj/nigmevnwn e[sti metafora;" labei'n ejpieikei'": meta-
5 forai; ga;r aijnivttontai, w{ste dh'lon o{ti eu\ metenhvnektai. kai;
ajpo; kalw'n: kavllo" de; ojnovmato" to; me;n w{sper Likuvmnio"
levgei, ejn toi'" yovfoi" h] tw'/ shmainomevnw/, kai; ai\sco" de;
wJsauvtw". e[ti de; trivton o} luvei to;n soILstiko;n lovgon: ouj
ga;r wJ" e[fh Bruvswn oujqevna aijscrologei'n, ei[per to; aujto;
10 shmaivnei tovde ajnti; tou'de eijpei'n: tou'to gavr ejstin yeu'do":
e[stin ga;r a[llo a[llou kuriwvteron kai; wJmoiwmevnon ma'llon
kai; oijkeiovteron, tw'/ poiei'n to; pra'gma pro; ojmmavtwn. e[ti oujc
oJmoivw" e[con shmaivnei tovde kai; tovde, w{ste kai; ou{tw" a[llou
a[llo kavllion kai; ai[scion qetevon: a[mfw me;n ga;r to; kalo;n
15 h] to; aijscro;n shmaivnousin, ajllΔ oujc h|/ kalo;n h] oujc h|/
aijscrovn: h] tau'ta mevn, ajlla; ma'llon kai; h|tton. ta;" de;
metafora;" ejnteu'qen oijstevon, ajpo; kalw'n h] th'/ fwnh'/ h] th'/
dunavmei h] th'/ o[yei h] a[llh/ tini; aijsqhvsei. diafevrei dΔ
eijpei'n, oi|on rJododavktulo" hjw;" ma'llon h] foinikodavktulo",
20 h] e[ti faulovteron ejruqrodavktulo". kai; ejn toi'" ejpiqevtoi"
e[stin me;n ta;" ejpiqevsei" poiei'sqai ajpo; fauvlou h] aijscrou',
2. LE VIRTÙ DELL’ELOCUZIONE 321

suoni, ma la metafora, indicando suoni senza senso, è cat-


tiva287. Ancora, per le cose senza nome288, non si devono 35

fare metafore dando nomi partendo da lontano, ma da


termini dello stesso genere e della stessa specie, termini
che, una volta detti, appartengono chiaramente allo stes-
so genere (come nell’enigma di successo «vidi l’uomo che 1405b
col fuoco incollava il bronzo sull’uomo», poiché l’azione
subita non ha nome, ed entrambe sono una specie di ap-
plicazione: pertanto il poeta disse «incollatura» l’appli-
cazione della coppa289), e in genere da enigmi ben fatti è
possibile trarre metafore adeguate: infatti le metafore si 5

esprimono in forma d’enigma, di conseguenza è chiaro


che dall’enigma si costruisce una buona metafora. Inol-
tre la si può trarre da belle parole; e la bellezza di un
nome, come dice Licimnio290, è nei suoni e nel significa-
to e lo stesso vale per la bruttezza. Vi è inoltre un terzo
elemento il quale risolve il discorso sofistico: infatti non
è vero, come disse Brisone291, che nessuno parla male se
dire una parola invece di un’altra significa dire la stessa 10

cosa. Questo è infatti falso, poiché un termine può essere


maggiormente in voga di un altro o più somigliante o più
specifico, o migliore nel rendere la cosa «davanti agli oc-
chi». Inoltre questo o quest’altro termine non esprimono
un significato nello stesso modo, di conseguenza si deve
anche ammettere in tal modo che quel termine è più bel-
lo o più brutto dell’altro: entrambi infatti significano ciò 15

che è bello o ciò che è spregevole, ma non come una cosa


sia bella o brutta, oppure lo fanno ma in misura maggio-
re o minore. Si devono trarre metafore da qui, ossia da
cose belle o per la voce o per la potenza o per la vista o
per una qualche altra sensazione. È differente dire, ad
esempio, aurora «dalle rosee dita»292 piuttosto che «dalle
purpuree dita», o, ancora più brutto, «dalle rosse dita». 20

Anche tra gli epiteti ve ne sono di composti da ciò che è


322 RETORICA III, 1405b 22 - 1406a 7

oi|on oJ mhtrofovnth", e[sti dΔ ajpo; tou' beltivono", oi|on oJ pa-


tro;" ajmuvntwr: kai; oJ Simwnivdh", o{te me;n ejdivdou misqo;n ojliv-
gon aujtw'/ oJ nikhvsa" toi'" ojreu's in, oujk h[qele poiei'n, wJ"
25 dusceraivnwn eij" hJmiovnou" poiei'n, ejpei; dΔ iJkano;n e[dwken,
ejpoivhse
caivretΔ ajellopovdwn quvgatre" i{ppwn:
kaivtoi kai; tw'n o[nwn qugatevre" h\san. e[stin au\ to; uJpo-
korivzesqai: e[stin de; oJ uJpokorismo;" o} e[latton poiei' kai; to;
30 kako;n kai; to; ajgaqovn, w{sper kai; ΔAristofavnh" skwvptei
ejn toi'" Babulwnivoi", ajnti; me;n crusivou crusidavrion, ajnti; dΔ
iJmativou iJmatidavrion, ajnti; de; loidoriva" loidorhmavtion kai; ajnti;
noshvmato" noshmavtion. eujlabei'sqai de; dei' kai; parathrei'n ejn
ajmfoi'n to; mevtrion.

35 3. Ta; de; yucra; ejn tevttarsi givgnetai kata; th;n levxin, e[n te
toi'" diploi'" ojnovmasin, oi|on Lukovfrwn “to;n poluprovswpon
oujrano;n th'" megalokoruvfou gh'~”, kai; “ajkth;n de; stenopovron”,
kai; wJ" Gorgiva" wjnovmazen “ptwcomousokovloka" ejpiorkhvsanta"
1406 katΔ eujorkhvsanto~”, kai; wJ" ΔAlkidavma" “mevnou" me;n th;n
yuch;n plhroumevnhn, purivcrwn de; th;n o[y in gignomevnhn”, kai;
“telesfovron” wj/hvqh th;n proqumivan aujtw'n genhvsesqai, kai;
“telesfovron” th;n peiqw; tw'n lovgwn katevsthsen, kai; “kuanov-
5 crwn” to; th'" qalavtth" e[dafo": pavnta tau'ta ga;r poihtika;
dia; th;n divplwsin faivnetai. miva me;n ou\n au{th aijtiva, miva
de; to; crh'sqai glwvttai", oi|on Lukovfrwn Xevrxhn “pevlwron
3. LA FREDDEZZA DELL’ELOCUZIONE 323

cattivo o turpe, ad esempio «il matricida», ma è possibile


che si facciano epiteti prendendo dal lato migliore, come
«il vendicatore del padre»293; e Simonide, quando il vinci-
tore della gara delle mule gli diede una paga insufficiente,
non volle comporre, come se non potesse sopportare di 25

farlo per dei mezzi asini, ma dopo che gli venne corrispo-
sto in maniera adeguata, compose: «Salve o figlie di ca-
valli dai piedi di tempesta»294, pure se erano figlie anche
di asini. Vi è anche l’uso del diminutivo. Il «diminutivo»
è ciò che rende più piccolo sia il male che il bene, come
anche Aristofane, nei Babilonesi 295, dice scherzosamente: 30

«oricino» invece di oro, «mantellino» invece di mantello,


«ingiurietta» invece di ingiuria e «malattiuccia» invece di
malattia. Ma in entrambi i casi si deve fare attenzione e
curarsi della giusta misura.

3. La freddezza dell’elocuzione

A seconda dell’elocuzione, si genera freddezza in quattro


modi: 35

in primo luogo coi nomi composti, al modo di Lico-


frone – «cielo molti-volti, terra grandi-vette» e «costa
stretto-passaggio» – oppure come Gorgia che dava nomi
come «adulatori-artisti nel mendicare, falso-giuranti ri-
spetto a vero-giuranti»296, e come Alcidamante297 «anima
piena di collera, viso color-di-fuoco diventato», e pensò 1406a
che il loro ardore sarebbe diventato «conducente-alla-
meta», e stabilì che la persuasione dei discorsi sarebbe
stata «conducente-alla-meta», e «color-d’azzurro» il fon-
do del mare: tutte queste espressioni, infatti, appaiono 5

poetiche perché sono composte298.


Dunque questa è una delle cause, un’altra consiste nel
far uso di glosse299, ad esempio Licofrone chiama Serse
324 RETORICA III, 1406a 8-34

a[ndra”, kai; Skivrwn “sivni" ajnhvr”, kai; ΔAlkidavma" “a[qurma th'/


poihvsei”, kai; “th;n th'" fuvsew" ajtasqalivan”, kai; “ajkravtw/
10 th'" dianoiva" ojrgh'/ teqhgmevnon”. trivton dΔ ejn toi'" ejpiqevtoi"
to; h] makroi'" h] ajkaivroi" h] puknoi'" crh'sqai: ejn me;n ga;r
poihvsei prevpei “gavla leuko;n” eijpei'n, ejn de; lovgw/ ta; me;n
ajprepevstera: ta; dev, a]n h\/ katakorh', ejxelevgcei kai; poiei'
fanero;n o{ti poivhsi" ejstivn, ejpei; dei' ge crh'sqai aujtoi'" (ejx-
15 allavttei ga;r to; eijwqo;" kai; xenikh;n poiei' th;n levxin), ajlla;
dei' stocavzesqai tou' metrivou, ejpei; mei'zon poiei' kako;n tou'
eijkh'/ levgein: hJ me;n ga;r oujk e[cei to; eu\, hJ de; to; kakw'".
dio; ta; ΔAlkidavmanto" yucra; faivnetai: ouj ga;r wJ" hJduvsmati
crh'tai ajllΔ wJ" ejdevsmati toi'" ejpiqevtoi" ãtoi'~Ã ou{tw puknoi'"
20 kai; meivzosi kai; ejpidhvloi", oi|on oujc iJdrw'ta ajlla; to;n uJgro;n
iJdrw'ta, kai; oujk eij" “Isqmia ajllΔ eij" th;n tw'n ΔIsqmivwn
panhvgurin, kai; oujci; novmou" ajlla; tou;" tw'n povlewn basi-
lei'" novmou", kai; ouj drovmw/ ajlla; dromaiva/ th'/ th'" yuch'"
oJrmh'/, kai; oujci; mousei'on ajlla; to; th'" fuvsew" paralabw;n
25 mousei'on, kai; skuqrwpo;n th;n frontivda th'" yuch'", kai;
ouj cavrito" ajlla; pandhvmou cavrito" dhmiourgov", kai; oijkonov-
mo" th'" tw'n ajkouovntwn hJdonh'", kai; ouj klavdoi" ajlla; toi'"
th'" u{lh" klavdoi" ajpevkruyen, kai; ouj to; sw'ma parhvmpiscen
ajlla; th;n tou' swvmato" aijscuvnhn, kai; ajntivmimon th;n th'"
30 yuch'" ejpiqumivan (tou'to dΔ a{ma kai; diplou'n kai; ejpivqeton,
w{ste poivhma givnetai), kai; ou{tw" e[xedron th;n th'" mocqhriva"
uJperbolhvn. dio; poihtikw'" levgonte" th'/ ajprepeiva/ to; geloi'on
kai; to; yucro;n ejmpoiou's i, kai; to; ajsafe;" dia; th;n ajdole-
scivan: o{tan ga;r gignwvskonti ejpembavllh/, dialuvei to; safe;"
3. LA FREDDEZZA DELL’ELOCUZIONE 325

«uomo mostruoso», e Scirone300 «uomo distruttore», e


Alcidamante dice «trastullo per la poesia», «temerarietà
della natura» e «affilato per l’ira non temperata dal pen- 10

siero»301.
Una terza causa di freddezza consiste nell’utilizzo di
epiteti302 lunghi, inopportuni o frequenti: infatti è appro-
priato in poesia parlare di «bianco latte»303, ma gli epiteti
nel discorso in parte non sono adatti, in parte, se usate
a sazietà, sono controproducenti e rendono manifesto
il fatto che vi è un artificio, poiché è vero che bisogna
farvi ricorso (infatti variano l’utilizzo solito e non rendo- 15

no ordinaria l’elocuzione), però occorre che si miri alla


giusta misura, perché si fa un male maggiore del parla-
re alla buona: infatti l’una non ha pregio, l’altra ha ciò
che la rende cattiva. Perciò le espressioni di Alcidaman-
te sembrano fredde: infatti non ricorre agli epiteti come
ad un condimento, ma come ad una pietanza per il fatto
che essi sono così frequenti, grandi e vistosi; ad esempio 20

non dice «sudore» ma «umido sudore»304, e non «ai gio-


chi istmici» ma «all’incontro per i giochi istmici», e non
«leggi» ma «leggi sovrane delle città»305, e non «di corsa»
ma «con l’impulso dell’anima a correre», e non «museo»,
ma «raccogliendo il museo della natura», e «il pensiero 25

torvo dell’anima», e non «artefice della grazia» ma «ar-


tefice della grazia di tutto il popolo», e «amministratore
del piacere degli ascoltatori», e non «tenne nascosto con
i rami» ma «con i rami della selva» e non «coprì il cor-
po» ma «la vergogna del corpo», e «desiderio imitatore 30

dell’anima» (e questo è, a un tempo, un nome composto


e un epiteto, di conseguenza l’espressione diventa poeti-
ca), e così pure «l’eccedente i limiti della perversità». Per
questo chi parla poeticamente per la forma inappropriata
realizza il ridicolo e la freddezza, e, a causa della prolissi-
tà, la mancanza di chiarezza: infatti quando ci si trova di
326 RETORICA III, 1406a 35 - b 19

35 tw'/ ejpiskotei'n. oiJ dΔ a[nqrwpoi toi'" diploi'" crw'ntai o{tan


ajnwvnumon h\/ kai; oJ lovgo" eujsuvnqeto", oi|on to; cronotribei'n:
1406b ajllΔ a]n poluv, pavntw" poihtikovn: dio; crhsimwtavth hJ diplh'
levxi" toi'" diqurambopoioi'" (ou|toi ga;r yofwvdei~), aiJ de;
glw'ttai toi'" ejpopoioi'" (semno;n ga;r kai; au[qade~), hJ de; meta-
fora; toi'" ijambeivoi" (touvtoi" ga;r nu'n crw'ntai, w{sper
5 ei[rhtai). kai; e[ti tevtarton to; yucro;n ejn tai'" metaforai'"
givnetai: eijs i;n ga;r kai; metaforai; ajprepei'", aiJ me;n dia; to;
geloi'on (crw'ntai ga;r kai; oiJ kwmw/dopoioi; metaforai'~), aiJ
de; dia; to; semno;n a[gan kai; tragikovn: ajsafei'" dev, a]n povr-
rwqen, oi|on Gorgiva" “clwra; kai; a[naima ta; pravgmata”, “su;
10 de; tau'ta aijscrw'" me;n e[speira" kakw'" de; ejqevrisa~”: poih-
tikw'" ga;r a[gan. kai; wJ" ΔAlkidavma" th;n ILlosoILvan “ejpi-
teivcisma tw'/ novmw/”, kai; th;n ΔOduvsseian “kalo;n ajnqrw-
pivnou bivou kavtoptron”, kai; “oujde;n toiou'ton a[qurma th'/
poihvsei prosfevrwn”: a{panta ga;r tau'ta ajpivqana dia; ta; eijrh-
15 mevna. to; de; Gorgivou eij" th;n celidovna, ejpei; katΔ aujtou'
petomevnh ajfh'ke to; perivttwma, a[rista ãe[ceià tw'n tragikw'n:
ei\pe ga;r “aijscrovn ge, w\ )Llomhvla”. o[rniqi me;n gavr, eij
ejpoivhsen, oujk aijscrovn, parqevnw/ de; aijscrovn. eu\ ou\n ejloidovrhsen
eijpw;n o} h\n, ajllΔ oujc o} e[stin.
3. LA FREDDEZZA DELL’ELOCUZIONE 327

fronte a cosa che si conosce, gli si toglie chiarezza con il 35

renderla oscura. Gli uomini ricorrono ai nomi composti


quando la cosa non ha nome o anche quando la nozione
è facile da combinare, ad esempio «il passatempo», ma se 1406b
l’uso è frequente, è del tutto incline a quello poetico: per
questo l’elocuzione per nomi composti è la più utile per
i compositori di ditirambi (costoro, infatti, sono appari-
scenti), e le glosse sono le più utili ai poeti epici (infatti
l’epica è grave e solenne), e la metafora ai compositori di
versi giambici (ancora adesso infatti se ne servono, come 5

si è detto)306.
Ancora – quarto motivo – la freddezza si genera anche
nelle metafore, poiché vi sono pure le metafore inappro-
priate, alcune a causa del ridicolo (infatti anche i comme-
diografi ricorrono alle metafore), altre perché troppo so-
lenni e tragiche, altre ancora oscure, se tratte da lontano;
tali sono quelle di Gorgia – «i fatti pallidi ed esangui»,
«tu che turpemente seminasti queste cose, malamente le 10

mietesti»307 – sono infatti rese troppo poeticamente. E


così fa Alcidamante quando chiama la filosofia «baluar-
do per la legge», e l’Odissea «specchio bello della vita
umana» e quando dice «senza portare alcun trastullo del
genere alla poesia»308: infatti tutte queste metafore non
sono persuasive per le cose che si sono dette. E la frase 15

di Gorgia alla rondine, perché volando su di lui lasciò


cadere degli escrementi, può benissimo stare tra quelle
dei tragici. Disse infatti: «Vergogna veramente, o Filome-
la»309. Poiché per un uccello, se lo fa, non è un atto vergo-
gnoso, ma è indecoroso se lo fa una fanciulla. Fu dunque
corretto nel rimproverare dicendo ciò che era successo,
ma non ciò che è successo.
328 RETORICA III, 1406b 20 - 1407a 8

20 4. “Estin de; kai; hJ eijkw;n metaforav: diafevrei ga;r mikrovn:


o{tan me;n ga;r ei[ph/ ªto;n ΔAcillevaº “wJ" de; levwn ejpovrousen”,
eijkwvn ejstin, o{tan de; “levwn ejpovrouse”, metaforav: dia; ga;r to;
a[mfw ajndreivou" ei\nai, proshgovreusen metenevgka" levonta
to;n ΔAcilleva. crhvs imon de; hJ eijkw;n kai; ejn lovgw/, ojligavki"
25 dev: poihtiko;n gavr. oijstevai de; w{sper aiJ metaforaiv: meta-
forai; gavr eijs i, diafevrousai tw'/ eijrhmevnw/.
eijs i;n dΔ eijkovne" oi|on h}n ΔAndrotivwn eij" ΔIdrieva, o{ti o{moio"
toi'" ejk tw'n desmw'n kunidivoi": ejkei'nav te ga;r prospivptonta
davknein, kai; ΔIdrieva luqevnta ejk tw'n desmw'n ei\nai calepovn. kai;
30 wJ" Qeodavma" ei[kazen ΔArcivdamon Eujxevnw/ gewmetrei'n oujk ejpi-
stamevnw/ ejn tw'/ ajnavlogovn ãejstinÃ: e[stai ga;r kai; oJ Eu[xeno"
ΔArcivdamo" gewmetrikov". kai; to; ejn th'/ Politeiva/ th'/ Plavtwno",
o{ti oiJ tou;" teqnew'ta" skuleuvonte" ejoivkasi toi'" kunidivoi"
a} tou;" livqou" davknei, tou' bavllonto" oujc aJptovmena, kai;
35 hJ eij" to;n dh'mon, o{ti o{moio" nauklhvrw/ ijscurw'/ me;n uJpo-
kwvfw/ dev, kai; hJ eij" ta; mevtra tw'n poihtw'n, o{ti e[oike toi'"
1407a a[neu kavllou" wJraivoi": oiJ me;n ga;r ajpanqhvsante", ta; de;
dialuqevnta oujc o{moia faivnetai. kai; hJ Periklevou" eij" Sa-
mivou", ejoikevnai aujtou;" toi'" paidivoi" a} to;n ywmo;n devcetai
mevn, klaivonta dev, kai; eij" Boiwtouv", o{ti o{moioi toi'" privnoi":
5 touv" te ga;r privnou" uJfΔ auJtw'n katakovptesqai, kai; tou;"
Boiwtou;" pro;" ajllhvlou" macomevnou". kai; o} Dhmosqevnh"
ãeij~Ã to;n dh'mon, o{ti o{moiov" ejstin toi'" ejn toi'" ploivoi" nau-
tiw's in. kai; wJ" Dhmokravth" ei[kasen tou;" rJhvtora" tai'"
4. LA SIMILITUDINE 329

4. La similitudine

Anche la similitudine è una specie di metafora, perché 20

c’è poca differenza: infatti quando Omero dice di Achille


che «balzò come un leone»310 è una similitudine, e quan-
do dice che «balzò un leone» è una metafora311: in effetti,
dato che entrambi sono coraggiosi, trasferendone il si-
gnificato, può infatti chiamare Achille «leone». La simi-
litudine è utile anche in prosa, ma raramente, perché è 25

di indirizzo poetico. Le similitudini si devono ottenere


come le metafore: sono infatti metafore che differiscono
per quanto si è detto.
Sono similitudini, ad esempio, quella che Androzione
rivolge a Idrieo312, il fatto che è come i cagnolini sciol-
ti dalle catene: infatti i cagnolini mordono chi capita, e
Idrieo, libero dalle catene, è pericoloso. E nel modo in 30

cui Teodamante paragonava Archidamo a un Eusseno


che non era pratico di geometria, vi è un analogia, per-
ché anche Eusseno sarà un Archidamo che ha attitudini
da geometra. Ed è similitudine ciò che si dice nella Re-
pubblica di Platone313, il fatto che coloro che spogliano
i morti sono come i cani che mordono le pietre, senza
toccare chi le scaglia. Ed è similitudine quella riferita al 35

popolo, il fatto di essere come un nocchiero forte ma sor-


do314, e quella riferita ai metri dei poeti, che sono simili ai
giovani senza bellezza315: infatti quando questi sfiorisco- 1407a
no e quelli quando sono sciolti dal metro non sembrano
più gli stessi. Ed è similitudine quella di Pericle riferita ai
Samii316 che li fa simili ai fanciulli i quali, piagnucolando,
accettano il boccone, e quella riferita ai Beoti, che sono
simili ai lecci: giacché i lecci vanno in pezzi da sé e i Beoti 5

combattono fra loro317. E quello che Demostene disse al


popolo, cioè che è simile a chi sulle navi soffre il mal di
mare318. Ed è similitudine il modo in cui Democrate pa-
330 RETORICA III, 1407a 9-30

tivtqai" ai} to; ywvmisma katapivnousai tw'/ siavlw/ ta; paidiva


10 paraleivfousin. kai; wJ" ΔAntisqevnh" KhILsovdoton to;n lepto;n
libanwtw'/ ei[kasen, o{ti ajpolluvmeno" eujfraivnei. pavsa" de;
tauvta" kai; wJ" eijkovna" kai; wJ" metafora;" e[xesti levgein,
w{ste o{sai a]n eujdokimw's in wJ" metaforai; lecqei'sai, dh'lon
o{ti au|tai kai; eijkovne" e[sontai, kai; aiJ eijkovne" metaforai;
15 lovgou deovmenai. ajei; de; dei' th;n metafora;n th;n ejk tou'
ajnavlogon ajntapodidovnai kai; ejpi; qavtera ªkai; ejpi;º tw'n oJmo-
genw'n, oi|on eij hJ ILavlh ajspi;" Dionuvsou, kai; th;n ajspivda
aJrmovttei levgesqai ILavlhn “Arew".

5. ÔO me;n ou\n lovgo" suntivqetai ejk touvtwn, e[sti dΔ ajrch;


20 th'" levxew" to; eJllhnivzein: tou'to dΔ ejsti;n ejn pevnte, prw'ton
me;n ejn toi'" sundevsmoi", a]n ajpodidw'/ ti" wJ" pefuvkasi prov-
teroi kai; u{steroi givgnesqai ajllhvlwn, oi|on e[nioi ajpaitou's in,
w{sper oJ mevn kai; oJ ejgw; mevn ajpaitei' to;n dev kai; to;n oJ dev.
dei' de; e{w" mevmnhtai ajntapodidovnai ajlhvlloi", kai; mhvte ma-
25 kra;n ajparta'n mhvte suvndesmon pro; sundevsmou ajpodidovnai
tou' ajnagkaivou: ojligacou' ga;r aJrmovttei. “ejgw; mevn, ejpeiv moi
ei\pen (h\lqe ga;r Klevwn deovmenov" te kai; ajxiw'n), ejporeuovmhn
paralabw;n aujtouv~”. ejn touvtoi" ga;r polloi; pro; tou' ajpodoqh-
somevnou sundevsmou proembevblhntai suvndesmoi: eja;n de; polu;
30 to; metaxu; gevnhtai tou' ejporeuovmhn, ajsafev". e}n me;n dh; to;
5. L’ESPRIMERSI IN MODO CORRETTO 331

ragonò i retori alle nutrici le quali, inghiottendosi i boc-


coni, umettano le labbra dei bambini con la saliva319. E il 10

modo in cui Antistene paragona il magro Cefisodoto320


all’incenso, perché consumandosi dà piacere.
È possibile dire tutte queste cose sia come similitudini
sia come metafore. Di conseguenze tutte quelle che, dette
come metafore, hanno successo, è chiaro che potranno
essere anche similitudini, e le similitudini sono metafore
che hanno bisogno di una spiegazione. 15

Si deve sempre rendere reversibile la metafora tratta


da una corrispondenza anche alle altre cose dello stesso
genere, ad esempio se la coppa è «lo scudo di Dioniso»,
anche lo scudo è adeguato a chiamarsi «coppa di Ares»321.

5. L’esprimersi in modo corretto

Il discorso, dunque, è composto da questi elementi. È


fondamento dell’elocuzione l’«esprimersi correttamente 20

in greco»322. Questo consta di cinque elementi:


per prima cosa delle «congiunzioni», qualora si pon-
gano, per natura, in modo che quelle che precedono e
quelle che seguono siano in un rapporto di reciprocità,
come richiesto da alcune, come il mevn e ejgwv; mevn richie-
dono dev e oJ dev 323. E occorre che vi sia una corrisponden-
za reciproca fintantoché si ha memoria del primo termi-
ne, e non siano staccate da lungo intervallo né si aggiunga 25

un collegamento prima di quello dovuto, perché di rado


è una cosa opportuna. «E io dopo che mi parlò, (perché
Cleone venne sia pregando che richiedendo), mi mettevo
in cammino prendendoli con me». Infatti in queste paro-
le molti elementi collegati sono stati introdotti prima del
dovuto, e se in mezzo a «mi mettevo in cammino» si sia 30

messo molto altro, non si ha chiarezza.


332 RETORICA III, 1407a 31 - b 13

eu\ ejn toi'" sundevsmoi", deuvteron de; to; toi'" ijdivoi" ojnovmasi
levgein kai; mh; toi'" perievcousin. trivton mh; ajmILbovloi". tou'to
dΔ a]n mh; tajnantiva proairh'tai, o{per poiou's in o{tan mhde;n
me;n e[cwsi levgein, prospoiw'ntai dev ti levgein: oiJ ga;r toi-
35 ou'toi ejn poihvsei levgousin tau'ta, oi|on ΔEmpedoklh'": fena-
kivzei ga;r to; kuvklw/ polu; o[n, kai; pavscousin oiJ ajkroatai; o{-
per oiJ polloi; para; toi'" mavntesin: o{tan ga;r levgwsin ajmILv-
bola, sumparaneuvousin <
Kroi'so" ”Alun diaba;" megavlhn ajrch;n kataluvsei
1407b < kai; dia; to; o{lw" e[latton ei\nai aJmavrthma dia; tw'n genw'n
tou' pravgmato" levgousin oiJ mavntei": tuvcoi ga;r a[n ti" ma'l-
lon ejn toi'" ajrtiasmoi'" a[rtia h] perissa; eijpw;n ma'llon h]
povsa e[cei, kai; to; o{ti e[stai h] to; povte, dio; oiJ crhsmolovgoi
5 ouj prosorivzontai to; povte. a{panta dh; tau'ta o{moia, w{stΔ
a]n mh; toiouvtou tino;" e{neka, feuktevon. tevtarton, wJ" Prw-
tagovra" ta; gevnh tw'n ojnomavtwn dihv/rei, a[rrena kai; qhvlea kai;
skeuvh: dei' ga;r ajpodidovnai kai; tau'ta ojrqw'": “hJ dΔ ejlqou'sa
kai; dialecqei'sa w[/ceto”. pevmpton ejn tw'/ ta; polla; kai; ojlivga
10 kai; e}n ojrqw'" ojnomavzein: “oiJ dΔ ejlqovnte" e[tuptovn me”.
o{lw" de; dei' eujanavgnwston ei\nai to; gegrammevnon kai;
eu[fraston: e[stin de; to; aujtov: o{per oiJ polloi; suvndesmoi
oujk e[cousin, oujdΔ a} mh; rJav/dion diastivxai, w{sper ta; ÔHra-
5. L’ESPRIMERSI IN MODO CORRETTO 333

Allora, un primo elemento consiste nel buon uso delle


congiunzioni, un secondo consiste nel parlare con «nomi
appropriati» e non con perifrasi.
Un terzo elemento consiste nell’evitare «espressioni
ambigue»324, e questo se non si effettua la scelta contra-
ria, il che si fa quando, non avendo nulla da dire, si finge
di dire qualcosa. Costoro, appunto, sono quelli che in 35

poesia usano tali accorgimenti, come Empedocle, per-


ché, con un ampio giro di parole inganna, e gli ascoltatori
provano ciò che tanti provano davanti agli oracoli: si dà
loro consenso quando pronunciano espressioni ambigue:
Creso «dopo aver attraversato l’Ali, eliminerà una grande
potenza»325. E poiché rimanendo sul generico l’errore è 1407b
di minore entità, gli oracoli parlano in termini generali
del caso particolare: infatti c’è maggiore possibilità di in-
dovinare nei giochi del pari e del dispari dicendo pari o
dispari piuttosto che dare un certo numero, e il fatto che
una cosa sarà piuttosto che quando sarà, per questo chi
dice oracoli non precisa il momento. Tutte queste ambi- 5

guità hanno effetti simili, di conseguenza vanno evitate se


non per uno scopo del genere.
Un quarto elemento: il modo in cui Protagora distin-
gueva i «generi dei nomi» maschili, femminili e neutri.
Anche questi vanno infatti attribuiti in maniera corretta:
«Essa se ne andò dopo essere venuta ed essersi intratte-
nuta a discutere».
Un quinto elemento consiste pure nel «denominare 10

correttamente» molte cose, poche o una sola: «Quelli


dopo essere giunti mi colpirono».
In generale, lo scritto deve essere facile da leggere ad
alta voce e facile da pronunciare – il che è la stessa cosa
– facilità che non danno le molte congiunzioni, né quel-
le espressioni che non sono facili da distinguere con la
punteggiatura come quelle di Eraclito. Infatti è difficile
334 RETORICA III, 1407b 14-32

kleivtou. ta; ga;r ÔHrakleivtou diastivxai e[rgon dia; to; a[dhlon


15 ei\nai potevrw/ provskeitai, tw'/ u{steron h] tw'/ provteron, oi|on
ejn th'/ ajrch'/ aujth'/ tou' suggravmmato": fhsi; ga;r “tou' lovgou
tou'dΔ ejovnto" ajei; ajxuvnetoi a[nqrwpoi givgnontai”: a[dhlon ga;r to;
ajeiv, pro;" potevrw/ ãdei'Ã diastivxai. e[ti tovde poiei' soloikivzein,
to; mh; ajpodidovnai, eja;n mh; ejpizeugnuvh/" o} ajmfoi'n aJrmovttei,
20 oi|on ªh]º yovfw/ kai; crwvmati to; me;n ijdw;n ouj koinovn, to; dΔ
aijsqovmeno" koinovn: ajsafh' de; a]n mh; proqei;" ei[ph/", mevl-
lwn polla; metaxu; ejmbavllein, oi|on “e[mellon ga;r dialecqei;"
ejkeivnw/ tavde kai; tavde kai; w|de poreuvesqai”, ajlla; mh; “e[mellon
ga;r dialecqei;" poreuvesqai, ei\ta tavde kai; tavde kai; w|de
25 ejgevneto”.

6. Eij" o[gkon de; th'" levxew" sumbavlletai tavde, to; lovgw/


crh'sqai ajntΔ ojnovmato", oi|on mh; kuvklon, ajllΔ ejpivpedon to;
ejk tou' mevsou i[son: eij" de; suntomivan to; ejnantivon, ajnti; tou'
lovgou o[noma. kai; eja;n aijscro;n h] ajprepev", eja;n me;n ejn tw'/
30 lovgw/ h\/ ãto;Ã aijscrovn, tou[noma levgein, eja;n dΔ ejn tw'/ ojnovmati,
to;n lovgon. kai; metafora'/ dhlou'n kai; toi'" ejpiqevtoi", euj-
labouvmenon to; poihtikovn. kai; to; e}n polla; poiei'n, o{per oiJ
6. LO STILE SOLENNE 335

il compito di mettere la punteggiatura alle frasi di Era-


clito, perché non è chiaro a quale dei due termini vada 15

posizionata, se a quella che segue o a quella che precede;


ad esempio, all’inizio della sua opera dice appunto: «Di
questo logos che è sempre privi di comprensione sono gli
uomini»326; infatti non è chiaro da quale dei due termini
vada distinto il «sempre» con la punteggiatura327. Oltre
tutto, questo, la mancata attribuzione cioè, produce un
solecismo, se non congiungi al termine giusto ciò che si
adatta per entrambi, ad esempio il termine «vedendo» 20

non è comune a un rumore e a un colore, mentre «perce-


pendo» è comune ad entrambi. Si ha mancanza di chia-
rezza se si dica qualcosa senza anticiparla, dovendo inse-
rire molti elementi in mezzo, ad esempio: «infatti stavo,
dopo aver discusso con lui di questo, di quest’altro e in
questo modo, per mettermi in cammino», anziché dire:
«infatti stavo per incamminarmi dopo aver discusso, e
allora successe questo e quest’altro e in questo modo». 25

6. Sullo stile solenne

Alla «solennità» dell’elocuzione contribuiscono i mezzi


seguenti.
Intanto, il servirsi di una frase al posto di un termine,
ad esempio, non «cerchio», ma «superficie equidistante
dal centro»; invece alla «concisione» contribuisce il con-
trario, al posto di una frase un termine. E in caso di una
cosa turpe o sconveniente, se la turpitudine consiste nella
frase, usare il termine adeguato, se è contenuta nel termi- 30

ne, la frase.
Inoltre, il mettere in evidenza con metafora ed epiteti,
guardandosi dall’effetto poetico. E il rendere il singola-
re al plurale, la qual cosa fanno i poeti; pur essendovi
336 RETORICA III, 1407b 33 - 1408a 16

poihtai; poiou's in: eJno;" o[nto" limevno" o{mw" levgousi


limevna" eij" ΔAcai>kouv"
35 kai; devltou me;n ai{de poluvquroi diaptucaiv.
kai; mh; ejpizeugnuvnai, ajllΔ eJkatevrw/ eJkavteron, “th'" gunaiko;"
th'" hJmetevra~”: eja;n de; suntovmw", toujnantivon, “th'" hJmetevra"
gunaikov~”. kai; meta; sundevsmou levgein: eja;n de; suntovmw",
a[neu me;n sundevsmou, mh; ajsuvndeta dev, oi|on “poreuqei;" kai; dia-
1408a lecqeiv~”, “poreuqei;" dielevcqhn”. kai; to; ΔAntimavcou crhvs i-
mon, ejx w|n mh; e[cei levgein, o} ejkei'no" poiei' ejpi; tou' Teumhssou',
e[sti ti" hjnemovei" ojlivgo" lovfo":
au[xetai ga;r ou{tw" eij" a[peiron. e[sti de; tou'to kai; ejpi;
5 ajgaqw'n kai; kakw'n, o{pw" oujk e[cei, oJpotevrw" a]n h\/ crhv-
simon, o{qen kai; ta; ojnovmata oiJ poihtai; fevrousin, to; a[cordon
kai; to; a[luron mevlo": ejk tw'n sterhvsewn ga;r ejpifevrousin:
eujdokimei' ga;r tou'to ejn tai'" metaforai'" legovmenon tai'" ajnav-
logon, oi|on to; favnai th;n savlpigga iJevnai mevlo" a[luron.

10 7. To; de; prevpon e{xei hJ levxi", eja;n h\/ paqhtikhv te kai;


hjqikh; kai; toi'" uJpokeimevnoi" pravgmasin ajnavlogon. to;
dΔ ajnavlogovn ejstin eja;n mhvte peri; eujovgkwn aujtokabdavlw" lev-
ghtai mhvte peri; eujtelw'n semnw'", mhdΔ ejpi; tw'/ eujtelei' ojnov-
mati ejph'/ kovsmo": eij de; mhv, kwmw/diva faivnetai, oi|on poiei'
15 Kleofw'n: oJmoivw" ga;r e[nia e[lege kai; eij ei[peien ªa]nº “povtnia
sukh'”. paqhtikh; dev, eja;n me;n h\/ u{bri", ojrgizomevnou levxi",
7. ADEGUATEZZA DELL’ELOCUZIONE 337

un solo porto tuttavia dicono «verso i porti Achei»328 e:


«ecco i plichi della lettera a molti ripiegamenti»329. 35

E il non congiungere i termini, ma ciascuno espri-


merlo separatamente: «delle donne dei nostri», mentre,
se ci si esprime in maniera coincisa, si dica, al contrario,
«delle nostre donne». E l’esprimersi con la congiunzio-
ne, mentre, se si parli concisamente, senza congiunzione,
però senza asindeto, ad esempio: «essendomi messo in
cammino e essendomi messo a discutere», «dopo essermi 1408a
messo in cammino, discussi».
Pure utile è il procedimento di Antimaco330: descrivere
qualcosa a partire da qualità che non ha; cosa che egli
fa quando parla del Teumesso331, «vi è un piccola cima
ventosa…»332; in questo modo, infatti, si può aggiungere
all’infinito. E questo – dire qualità che non ha – vale sia 5

per le cose positive che per quelle negative, a seconda di


quale dei due modi sia utile. Di qui il fatto che i poeti
introducono anche termini quali «melodia senza corde»
e «melodia senza lira»333: infatti li traggono da ciò di cui
mancano. Una cosa del genere ha infatti successo quando
la si esprime in metafore fondate sull’analogia, ad esempio
il dire che la tromba diffonde «una melodia senza lira».

7. Adeguatezza dell’elocuzione

L’elocuzione sarà detta «in modo conveniente», se sarà 10

idonea ad esprimere passioni e caratteri e se sarà pro-


porzionata ai temi trattati. Vi è «proporzione» se non si
parli con sciatteria su cose importanti e in tono solenne
su cose frivole, né si conferisca ornamento a parola ordi-
naria; in caso contrario, si mostra una commedia, come
fa Cleofonte334: in effetti parla di alcune cose come se 15

dicesse «augusto fico». Si ha invece «attitudine alla pas-


338 RETORICA III, 1408a 17 - b 2

eja;n de; ajsebh' kai; aijscrav, dusceraivnonto" kai; eujlaboumevnou


kai; levgein, eja;n de; ejpainetav, ajgamevnw", eja;n de; ejleeinav,
tapeinw'", kai; ejpi; tw'n a[llwn de; oJmoivw". piqanoi' de; to;
20 pra'gma kai; hJ oijkeiva levxi": paralogivzetaiv te ga;r hJ yuch;
wJ" ajlhqw'" levgonto", o{ti ejpi; toi'" toiouvtoi" ou{tw" e[cousin,
w{stΔ oi[ontai, eij kai; mh; ou{tw" e[cei wJ" ãlevgeià oJ levgwn, ta; prav-
gmata ou{tw" e[cein, kai; sunomopaqei' oJ ajkouvwn ajei; tw'/
paqhtikw'" levgonti, ka]n mhqe;n levgh/. dio; polloi; kataplhvt-
25 tousi tou;" ajkroata;" qorubou'nte". kai; hjqikh; de; au{th hJ
ejk tw'n shmeivwn dei'xi", o{te ajkolouqei' hJ aJrmovttousa eJkavstw/
gevnei kai; e{xei. levgw de; gevno" me;n kaqΔ hJlikivan, oi|on pai'"
h] ajnh;r h] gevrwn, kai; gunh; h] ajnhvr, kai; Lavkwn h] Qetta-
lov", e{xei" dev, kaqΔ a}" poiov" ti" tw'/ bivw/: ouj ga;r kaqΔ a{-
30 pasan e{xin oiJ bivoi poioiv tine". eja;n ou\n kai; ta; ojnovmata
oijkei'a levgh/ th'/ e{xei, poihvsei to; h\qo": ouj ga;r taujta; oujdΔ
wJsauvtw" ajgroi'ko" a]n kai; pepaideumevno" ei[peien. pavscousi
dev ti oiJ ajkroatai; kai; w|/ katakovrw" crw'ntai oiJ
logogravfoi, “tiv" dΔ oujk oi\den…”, “a{pante" i[sasin”: oJmo-
35 logei' ga;r oJ ajkouvwn aijscunovmeno", o{pw" metevch/ ou|per
kai; oiJ a[lloi pavnte".
1408b to; dΔ eujkaivrw" h] mh; eujkaivrw" crh'sqai koino;n aJpavn-
twn tw'n eijdw'n ejstin. a[ko" dΔ ejpi; pavsh/ uJperbolh'/ to; qru-
7. ADEGUATEZZA DELL’ELOCUZIONE 339

sione», quando, in caso di tracotanza, l’elocuzione è di


chi ha un tono adirato, in caso di empietà e turpitudine,
di chi è sdegnato e si guarda pure dal parlarne, oppure,
se in presenza di cose encomiabili, di chi ammira e, se
in presenza di ciò che è compassionevole, di chi ha toni
dimessi, e parimenti per tutti gli altri casi. Anche l’elocu-
zione appropriata rende credibile il fatto: infatti l’anima 20

è fuorviata come se l’oratore dicesse con sincerità che, in


queste situazioni, le cose stanno effettivamente così, di
conseguenza vi si crede anche se i fatti non fossero così
come li racconta chi parla, e chi ascolta è sempre emoti-
vamente coinvolto da chi è in grado di parlare con passio-
ne, anche se non dice nulla. Per questo molti colpiscono 25

gli ascoltatori con toni impetuosi. Ed è atta a esprimere


carattere la dimostrazione tratta da segni, quando ne con-
segue l’elocuzione appropriata per ciascun genere e abito
morale. Dico «genere» di persone secondo l’età, ad esem-
pio fanciullo o uomo o vecchio, oppure donna o uomo,
oppure Spartano o Tessalo; dico invece «abiti», quelli in
base ai quali un tizio è nella vita un tipo di persona: in-
fatti non è che a seconda di ogni abito morale i modi 30

di vivere sono di una certa qualità. Se dunque si dicono


pure i termini appropriati all’abito morale, si renderà il
carattere dell’elocuzione: infatti un ignorante e una per-
sona colta non direbbero le stesse cose né le direbbero
nello stesso modo. Gli ascoltatori subiscono una certa
pressione anche per ciò di cui i logografi335 fanno uso a
sazietà, «chi non sa?», «tutti quanti sanno»; in effetti chi
ascolta acconsente, dal momento che se ne vergogna, al 35

fine di rendersi partecipe di ciò di cui anche tutti gli altri


partecipano.
L’utilizzare nel momento opportuno o in quello non 1408b
opportuno le parole è comune a tutte quante le specie.
Un rimedio per ogni eccesso è ciò che più volte va ripetu-
340 RETORICA III, 1408b 3-23

louvmenon: dei' ga;r aujto;n auJtw'/ prosepiplhvttein: dokei' ga;r


ajlhqe;" ei\nai, ejpei; ouj lanqavnei ge o} poiei' to;n levgonta. e[ti
5 toi'" ajnavlogon mh; pa's in a{ma crhvsasqai (ou{tw ga;r klevpte-
tai oJ ajkroathv"): levgw de; oi|on eja;n ta; ojnovmata sklhra; h\/,
mh; kai; th'/ fwnh'/ kai; tw'/ proswvpw/ ªkai;º toi'" aJrmovttousin:
eij de; mhv, fanero;n givnetai e{kaston o{ ejstin. eja;n de; to; me;n
to; de; mhv, lanqavnei poiw'n to; aujtov. eja;n ou\n ta; malaka;
10 sklhrw'" kai; ta; sklhra; malakw'" levghtai, piqano;n givgnetai.
ta; de; ojnovmata ta; dipla' kai; ªta;º ejpivqeta pleivw kai; ta; xevna
mavlista aJrmovttei levgonti paqhtikw'": suggnwvmh ga;r ojrgizo-
mevnw/ kako;n favnai oujranovmhke", h] pelwvrion eijpei'n, kai; o{tan
e[ch/ h[dh tou;" ajkroata;" kai; poihvsh/ ejnqousiavsai h] ejp-
15 aivnoi" h] yovgoi" h] ojrgh'/ h] ILliva/, oi|on kai; ΔIsokravth" poiei'
ejn tw'/ Panhgurikw'/ ejpi; tevlei “fhvmhn de; kai; mnhvmhn” kai; “oi{-
tine" e[tlhsan”: fqevggontai ga;r ta; toiau'ta ejnqousiavzonte",
w{ste kai; ajpodevcontai dhlonovti oJmoivw" e[conte". dio; kai; th'/
poihvsei h{rmosen: e[nqeon ga;r hJ poivhsi". h] dh; ou{tw" dei', h]
20 metΔ eijrwneiva", w{sper Gorgiva" ejpoivei kai; ta; ejn tw'/ Faivdrw/.

8. To; de; sch'ma th'" levxew" dei' mhvte e[mmetron ei\nai mhvte
a[rruqmon: to; me;n ga;r ajpivqanon (peplavsqai ga;r dokei'), kai;
a{ma kai; ejxivsthsi: prosevcein ga;r poiei' tw'/ oJmoivw/, povte pav-
8. RITMO E METRICA 341

to, e cioè che l’oratore deve rimproverare anche se stesso:


si ritiene, infatti, che sia vero ciò che dice, dal momento
che chi lo fa non nasconde ciò che ha detto336. Inoltre non
si deve far uso nello stesso tempo di tutti i mezzi analoghi 5

(poiché in questo modo l’ascoltatore si sente ingannato);


dico, ad esempio, che se i termini utilizzati siano aspri,
non si deve far ricorso al tono di voce e al viso e a cose
che sono in accordo con essi; in caso contrario, diventa
evidente ciò che ciascun mezzo è. Se invece l’uno si usa,
l’altro no, l’espediente passa inosservato pur realizzan-
do lo stesso effetto. Se dunque cose dolci si dicano in 10

toni aspri e cose aspre dolcemente, si ottiene credibili-


tà. Nomi doppi, più epiteti e parole straniere sono ap-
propriati soprattutto per chi parla con passione – non
a caso vi è comprensione con chi, adirato, descrive un
male «alto come il cielo» o «mostruoso»337 – e quando
l’oratore tiene già gli ascoltatori, li renderà pure entusia-
sti con lodi o biasimi, con l’ira o con l’amicizia, come fa 15

anche Isocrate alla fine del suo Panegirico: «fama e me-


moria …»338 e «quelli che sopportarono…»339: infatti,
pieni di fervore, pronunciano con forza frasi del genere,
in modo che gli ascoltatori, disposti chiaramemente in
un simile stato d’animo, le accettino. Per questo parlare
con passione è appropriato alla poesia: infatti la poesia è
cosa ispirata. E si deve farne uso o così o con ironia, come 20

faceva Gorgia340 e come succede nel Fedro341.

8. Ritmo e metrica

La forma dell’elocuzione nel discorso non deve essere né


metrica né priva di ritmo: la metrica infatti non è persua-
siva (perché dà l’impressione di essere artificiosa) e, ad
un tempo, sposta l’attenzione, perché la rivolge a quan-
342 RETORICA III, 1408b 24 - 1409a 11

lin h{xei: w{sper ou\n tw'n khruvkwn prolambavnousi ta;


25 paidiva to; “tivna aiJrei'tai ejpivtropon oJ ajpeleuqerouvmeno"…”
“Klevwna”: to; de; a[rruqmon ajpevranton, dei' de; peperavn-
qai mevn, mh; mevtrw/ dev: ajhde;" ga;r kai; a[gnwston to; a[pei-
ron. peraivnetai de; ajriqmw'/ pavnta: oJ de; tou' schvmato" th'"
levxew" ajriqmo;" rJuqmov" ejstin, ou| kai; ta; mevtra tmhvmata:
30 dio; rJuqmo;n dei' e[cein to;n lovgon, mevtron de; mhv: poivhma
ga;r e[stai. rJuqmo;n de; mh; ajkribw'": tou'to de; e[stai eja;n
mevcri tou h\/. tw'n de; rJuqmw'n oJ me;n hJrw'/o" semnh'" ajllΔ ouj
lektikh'" aJrmoniva" deovmeno", oJ dΔ i[ambo" aujthv ejstin hJ
levxi" hJ tw'n pollw'n (dio; mavlista pavntwn tw'n mevtrwn
35 ijambei'a fqevggontai levgonte~), dei' de; semnovthta genevsqai
kai; ejksth'sai. oJ de; trocai'o" kordakikwvtero": dhloi' de;
1409a ta; tetravmetra: e[sti ga;r trocero;" rJuqmo;" ta; tetravmetra.
leivpetai de; paiavn, w|/ ejcrw'nto me;n ajpo; Qrasumavcou ajrxav-
menoi, oujk ei\con de; levgein tiv" h\n. e[sti de; trivto" oJ paiavn,
kai; ejcovmeno" tw'n eijrhmevnwn: triva ga;r pro;" duvΔ ejstivn,
5 ejkeivnwn de; oJ me;n e}n pro;" e{n, oJ de; duvo pro;" e{n, e[cetai
de; tw'n lovgwn touvtwn oJ hJmiovlio": ou|to" dΔ ejsti;n oJ paiavn.
oiJ me;n ou\n a[lloi diav te ta; eijrhmevna ajfetevoi, kai; diovti
metrikoiv: oJ de; paia;n lhptevo": ajpo; movnou ga;r oujk e[sti
mevtron tw'n rJhqevntwn rJuqmw'n, w{ste mavlista lanqavnein.
10 nu'n me;n ou\n crw'ntai tw'/ eJni; paia'ni kai; ajrcovmenoi ãkai;
teleutw'nte~Ã, dei' de; diafevrein th;n teleuth;n th'" ajrch'".
8. LA FORMA DELL’ELOCUZIONE 343

do giungerà di nuovo la stessa cadenza: proprio come i


bambini capiscono in anticipo la domanda degli araldi: 25

«lo schiavo affrancato chi si sceglie come patrono?», e


rispondono: «Cleone»342.
D’altro canto la mancanza di ritmo non conferisce li-
mitazione, mentre la forma dell’elocuzione deve essere
limitata – ma non con la metrica – perché ciò che è privo
di limite è di cattivo gusto e difficile a capirsi. Ma tutte
le cose sono limitate dal numero, e il numero nella forma
dell’elocuzione è il ritmo, di questo anche i metri sono
sezioni. Per questo il discorso deve avere ritmo, ma non 30

metro, in tal caso sarà un poema. Ma il ritmo non segui-


rà una cadenza precisa, e questo succederà qualora sia
presente fino a un certo punto. Tra i ritmi quello eroico è
solenne, ma non privo di un tono da colloquio ordinario;
quello giambico è la stessa elocuzione dei più (per questo
gli uomini mentre parlano, tra tutti i metri, fanno risuo- 35

nare soprattutto quelli giambici)343, occorre invece che


si abbia solennità e commuovere. Il trocheo è più come
la danza del cordace344, lo mostrano i tetrametri: infatti 1409a
i tetrametri sono un ritmo trocaico. Rimane il peone, al
quale si è fatto ricorso a cominciare da Trasimaco345, ma
non si era in grado di dire cosa fosse. Il peone è un terzo
ritmo, vale a dire che è collegato a quelli che abbiamo
detto: infatti è in rapporto di tre a due, mentre degli altri, 5

il primo è in rapporto di uno a uno, l’altro di due a uno,


il ritmo di uno e mezzo sta a metà tra questo tipo di con-
figurazioni: e questo è il peone346. Gli altri vanno respinti
per le cose che si sono dette e perché sono metrici; il pe-
one invece va assunto, poiché solo da questo, tra i ritmi
menzionati, non si ottiene un metro, di conseguenza è
soprattutto il peone a passare inosservato.
Allo stato attuale, dunque, si fa ricorso a un solo tipo 10

di peone sia che si inizi sia che si finisca il discorso, invece


344 RETORICA III, 1409a 12-34

e[stin de; paia'no" duvo ei[dh ajntikeivmena ajllhvloi", w|n to; me;n e}n
ajrch'/ aJrmovttei, w{sper kai; crw'ntai: ou|to" dΔ ejsti;n ou| a[rcei
me;n hJ makrav, teleutw's in de; trei'" bracei'ai, “Dalogene;" ei[te
15 Lukivan”, kai; “Cruseokovma ”Ekate pai' Diov~”: e{tero" dΔ ejx ejn-
antiva", ou| bracei'ai a[rcousin trei'", hJ de; makra; teleutaiva:
meta; de; ga'n u{datav tΔ wjkeano;n hjfavnise nuvx.
ou|to" de; teleuth;n poiei': hJ ga;r bracei'a dia; to; ajtelh;"
ei\nai poiei' kolobovn. ajlla; dei' th'/ makra'/ ajpokovptesqai, kai;
20 dhvlhn ei\nai th;n teleuth;n mh; dia; to;n grafeva, mhde; dia; th;n
paragrafhvn, ajlla; dia; to;n rJuqmovn.

9. o{ti me;n ou\n eu[ruqmon dei' ei\nai th;n levxin kai; mh;
a[rruqmon, kai; tivne" eu[ruqmon poiou's i rJuqmoi; kai; pw'"
e[conte", ei[rhtai: th;n de; levxin ajnavgkh ei\nai h] eijromevnhn
25 kai; tw'/ sundevsmw/ mivan, w{sper aiJ ejn toi'" diquravmboi" ajna-
bolaiv, h] katestrammevnhn kai; oJmoivan tai'" tw'n ajrcaivwn poih-
tw'n ajntistrovfoi". hJ me;n ou\n eijromevnh levxi" hJ ajrcaiva ejstivn
ª”ÔHrodovtou Qourivou h{dΔ iJstorivh" ajpovdeixi~”º (tauvth/ ga;r prov-
teron me;n a{pante", nu'n de; ouj polloi; crw'ntai): levgw de;
30 eijromevnhn h} oujde;n e[cei tevlo" kaqΔ auJthvn, a]n mh; to; pra'gma
ãto;Ã legovmenon teleiwqh'/. e[sti de; ajhdh;" dia; to; a[peiron: to; ga;r
tevlo" pavnte" bouvlontai kaqora'n: diovper ejpi; toi'" kampth'r-
sin ejkpnevousi kai; ejkluvontai: proorw'nte" ga;r to; pevra" ouj
kavmnousi provteron. hJ me;n ou\n eijromevnh ªth'" levxewv"º ejstin
9. IL PERIODO E LA COMPOSIZIONE DELLA FRASE 345

si deve distinguere la fine dall’inizio. Vi sono due specie


di peone opposte fra loro, di cui l’una è adatta all’e-
sordio, come d’altra parte si usa, e questo è quello che
inizia con una sillaba lunga e termina con tre brevi347,
Dalogene;" ei[te Lukivan, «nato a Delo o in Licia»348, e 15

Cruseokovma ÔEkate pai' Diov", «Ecate dai capelli d’oro


figlia di Zeus»349; l’altra specie, invece, deriva da un or-
dine opposto, in cui tre brevi iniziano e la lunga è finale:
meta; de; ga'n u{datav tΔ wjkeano;n hjfavnise nuvx, «dopo la
terra e l’acqua la notte oscurò l’oceano»350: questo rea-
lizza la conclusione, poiché la breve, per via della sua
incompiutezza, rende mutilo il verso. Si deve invece
chiudere con quella lunga, e la conclusione deve essere 20

messa in risalto non per mezzo del copista, né con un


segno a lato, ma attraverso il ritmo.

9. Il periodo e la composizione della frase

Che dunque l’elocuzione debba essere «euritmica» e non


«aritmica», e quali ritmi producano euritmia e come stia-
no disposti, si è detto. È necessario che l’elocuzione sia o
«continua» e unitaria per la congiunzione, come i prelu- 25

di nei ditirambi, o «compatta» e simile alle antistrofi dei


poeti arcaici. L’elocuzione continua è quella antica351, un
tempo, in effetti, se ne servivano tutti quanti, ai giorni no-
stri, invece, non sono poi molti; chiamo «continua» quella 30

che non ha un compimento in se stessa, a meno che non


sia concluso il fatto raccontato. È sgradevole per via della
mancanza di delimitazione: infatti tutti vogliono avere in
vista la meta; per questo, nei punti di svolta ai corridori
manca il fiato e si sentono deboli: in precedenza, infatti,
quando vedono in prospettiva il punto d’arrivo, non sen-
tono la fatica. Tale è dunque l’elocuzione continua.
346 RETORICA III, 1409a 35 - b 24

35 h{de, katestrammevnh de; hJ ejn periovdoi": levgw de; perivodon


levxin e[cousan ajrch;n kai; teleuth;n aujth;n kaqΔ auJth;n kai;
1409b mevgeqo" eujsuvnopton. hJdei'a dΔ hJ toiauvth kai; eujmaqhv",
hJdei'a me;n dia; to; ejnantivw" e[cein tw'/ ajperavntw/, kai; o{ti ajeiv
ti; oi[etai e[cein oJ ajkroath;" kai; peperavnqai ti auJtw'/, to;
de; mhde;n pronoei'n mhde; ajnuvein ajhdev": eujmaqh;" de;
5 o{ti eujmnhmovneuto", tou'to de; o{ti ajriqmo;n e[cei hJ ejn peri-
ovdoi" levxi", o} pavntwn eujmnhmoneutovtaton. dio; kai; ta; mevtra
pavnte" mnhmoneuvousin ma'llon tw'n cuvdhn: ajriqmo;n ga;r e[cei
w|/ metrei'tai. dei' de; th;n perivodon Êkai; th'/ dianoivaÊ teteleiw'-
sqai, kai; mh; diakovptesqai w{sper ta; Sofoklevou" ijambei'a,
10 Kaludw;n me;n h{de gai'a: Pelopiva" cqonov":
toujnantivon ga;r e[stin uJpolabei'n tw'/ diairei'sqai, w{sper kai;
ejpi; tou' eijrhmevnou th;n Kaludw'na ei\nai th'" Peloponnhvsou.
perivodo" de; hJ me;n ejn kwvloi" hJ dΔ ajfelhv". e[stin dΔ
ejn kwvloi" me;n levxi" hJ teteleiwmevnh te kai; dih/rhmevnh kai;
15 eujanavpneusto", mh; ejn th'/ diairevsei †w{sper kai; hJ perivodo",†
ajllΔ o{lh (kw'lon dΔ ejsti;n to; e{teron movrion tauvth~): ajfelh'
de; levgw th;n monovkwlon. dei' de; kai; ta; kw'la kai; ta;" peri-
ovdou" mhvte muouvrou" ei\nai mhvte makrav". to; me;n ga;r mikro;n
prosptaivein pollavki" poiei' to;n ajkroathvn (ajnavgkh ga;r o{tan,
20 e[ti oJrmw'n ejpi; to; povrrw kai; to; mevtron ou| e[cei ejn eJautw'/
o{ron, ajntispasqh'/ pausamevnou, oi|on provsptaisin givgnesqai
dia; th;n ajntivkrousin): ta; de; makra; ajpoleivpesqai poiei',
w{sper oiJ ejxwtevrw ajpokavmptonte" tou' tevrmato": ajpoleivpousi
ga;r kai; ou|toi tou;" sumperipatou'nta", oJmoivw" de; kai; aiJ
9. IL PERIODO E LA COMPOSIZIONE DELLA FRASE 347

Quella «compatta» invece consiste di periodi. Chia- 35

mo «periodo» l’elocuzione che ha inizio e fine di per se


stessa, e una grandezza tale da cogliersi agevolmente con 1409b
uno sguardo. Tali caratteristiche la rendono piacevole
e di facile apprendimento: piacevole perché si pone in
modo opposto a ciò che è indefinito, anche perché l’a-
scoltatore pensa ogni volta di acquisire qualcosa e che
qualcosa si sia concluso, mentre gli risulta sgradevole non
prevedere né giungere a conclusione; «facile ad appren-
dersi» in quanto facile a ricordarsi, e questo perché l’e- 5

locuzione in periodi ha numero, la qual cosa, tra tutte, è


quella più facile da ricordare. Per questo ognuno ricorda
più i versi che la prosa352: infatti, hanno il numero che dà
loro misura. Si deve dare compimento al periodo anche
attraverso il senso e non deve essere interrotto, come nei
giambici «Calidone è questa terra, della regione di Pe-
lope…»353, per il fatto di essere staccato dal resto, vi è 10

appunto da supporre il contrario, come nel caso suddet-


to, cioè che Calidone sia nel Peloponneso354. Il periodo
consiste di membri oppure è semplice. Un’elocuzione
«in membri» è quella compiuta, divisa e facile da ripe- 15

tere tutta d’un fiato, non nella sua suddivisione (come


pure il periodo)355, ma nell’insieme, («membro» è l’una
o l’altra parte del periodo); chiamo invece «semplice» il
periodo di un solo membro. Occorre che sia i membri
che i periodi non siano né striminziti né lunghi. Infatti
quello piccolo spesso fa inciampare l’ascoltatore (giac- 20

ché quando l’uditore, che è ancora desideroso di andare


avanti, ossia verso la misura di cui tiene lui stesso il limite,
subisce un arresto perché l’oratore ha terminato, necessa-
riamente ci sarà come un inciampo, per via della brusca
interruzione); quelli lunghi invece fanno restare indietro,
come quelli che nel passeggiare svoltano oltre il punto
concordato: infatti pure questi lasciano indietro i loro
348 RETORICA III, 1409b 25 - 1410a 16

25 perivodoi aiJ makrai; ou\sai lovgo" givnetai kai; ajnabolh'/ o{moion,


w{ste givnetai o} e[skwyen Dhmovkrito" oJ Ci'o" eij" Melanip-
pivdhn poihvsanta ajnti; tw'n ajntistrovfwn ajnabolav"
oi| tΔ aujtw'/ kaka; teuvcei ajnh;r a[llw/ kaka; teuvcwn,
hJ de; makra; ajnabolh; tw'/ poihvsanti kakivsth:
30 aJrmovttei ga;r to; toiou'ton kai; eij" ta;" makrokwvlou" levgein.
ai{ te livan bracuvkwloi ouj perivodo" givnetai: propeth' ou\n
a[gei to;n ajkroathvn.
th'" de; ejn kwvloi" levxew" hJ me;n dih/rhmevnh ejsti;n hJ de;
ajntikeimevnh, dih/rhmevnh me;n, oi|on “pollavki" ejqauvmasa tw'n
35 ta;" panhguvrei" sunagagovntwn kai; tou;" gumnikou;" ajgw'na"
katasthsavntwn”, ajntikeimevnh de; ejn h|/ eJkatevrw/ tw'/ kwvlw/ h]
1410a pro;" ejnantivw/ ejnantivon suvgkeitai h] taujto; ejpevzeuktai toi'"
ejnantivoi", oi|on “ajmfotevrou" dΔ w[nhsan, kai; tou;" uJpomeiv-
nanta" kai; tou;" ajkolouqhvsanta": toi'" me;n ga;r pleivw th'"
oi[koi prosekthvsanto, toi'" dΔ iJkanh;n th;n oi[koi katevlipon”:
5 ejnantiva uJpomonh; ajkolouvqhsi", iJkano;n plei'on. “w{ste kai;
toi'" crhmavtwn deomevnoi" kai; toi'" ajpolau'sai boulomevnoi~”:
ajpovlausi" kthvsei ajntivkeitai. kai; e[ti “sumbaivnei pollavki"
ejn tauvtai" kai; tou;" fronivmou" ajtucei'n kai; tou;" a[frona"
katorqou'n”. “eujqu;" me;n tw'n ajristeivwn hjxiwvqhsan, ouj
10 polu; de; u{steron th;n ajrch;n th'" qalavtth" e[labon”. “pleu'-
sai me;n dia; th'" hjpeivrou, pezeu'sai de; dia; th'" qalavtth",
to;n me;n ÔEllhvsponton zeuvxa", to;n dΔ “Aqw dioruvxa".” “kai;
fuvsei polivta" o[nta" novmw/ th'" povlew" stevresqai.” “oiJ
me;n ga;r aujtw'n kakw'" ajpwvlonto, oiJ dΔ aijscrw'" ejswvqhsan.”
15 “kai; ijdiva/ me;n toi'" barbavroi" oijkevtai" crh'sqai, koinh'/ de;
pollou;" tw'n summavcwn periora'n douleuvonta".” “h] zw'nta"
9. IL PERIODO E LA COMPOSIZIONE DELLA FRASE 349

compagni356, allo stesso modo anche i periodi che sono 25

lunghi diventano un discorso e sono simili a un preludio,


di qui il motteggio di Democrito di Chio nei riguardi di
Melanippide perché compose preludi invece di antistro-
fi: «Porta mali a se stesso l’uomo che a un altro mali va
preparando, / e un lungo preludio per chi compone è il
male peggiore»357. È appropriato anche dire lo stesso nei 30

riguardi di membri troppo lunghi. E quelli troppo corti


non danno luogo a un periodo: dunque conducono a ca-
pofitto l’ascoltatore.
Dell’elocuzione a membri vi è quella «divisa» e quella
«per antitesi». È «divisa» quella come «Spesso mi stupi-
sco di coloro che organizzano feste pubbliche e istitui- 35

scono gare ginniche»358; è «per antitesi», invece, quella


nella quale in ciascun membro un termine è opposto 1410a
all’altro o lo stesso termine si lega a quelli opposti, ad
esempio: «Giovarono ad entrambi, sia a quelli rimasti sia
a quelli che seguirono: agli uni infatti fecero acquistare
più terra che in patria, agli altri lasciarono in patria ter-
ra sufficiente»359; sono contrari: «rimanere» e «seguire», 5

«sufficiente» e «più».
«Di conseguenza sia a coloro che hanno bisogno di
beni materiali sia a coloro che vogliono goderseli»360; il
«godimento» sta in antitesi all’«acquisizione». E ancora:
«Accade spesso, nelle medesime situazioni, che le perso-
ne assennate siano sfortunate e le stolte abbiano succes-
so»361; «Subito furono ritenuti degni tra i migliori, e non
molto dopo si presero il dominio del mare»362; «Navigare 10

per la pianura, camminare attraverso il mare, aggiogando


l’Ellesponto, scavando l’Athos»363; «E per legge privare
di cittadinanza chi per natura è cittadino»364; «Di questi
alcuni perirono malamente, altri si salvarono turpemen-
te»365; «E in privato far uso di barbari come servitori, 15

in pubblico ignorare che molti degli alleati siano come


350 RETORICA III, 1410a 17-36

e{xein h] teleuthvsanta" kataleivyein.” kai; o} eij" Peiqovlaovn


ti" ei\pen kai; Lukovfrona ejn tw'/ dikasthrivw/, “ou|toi dΔ
uJma'" oi[koi me;n o[nte" ejpwvloun, ejlqovnte" dΔ wJ" uJma'" ejwv-
20 nhntai”. a{panta ga;r tau'ta poiei' to; eijrhmevnon. hJdei'a de;
ejsti;n hJ toiauvth levxi", o{ti tajnantiva gnwrimwvtata kai; parΔ
a[llhla ma'llon gnwvrima, kai; o{ti e[oiken sullogismw'/: oJ ga;r
e[legco" sunagwgh; tw'n ajntikeimevnwn ejstivn.
ajntivqesi" me;n ou\n to; toiou'ton ejstivn, parivswsi" dΔ eja;n
25 i[sa ta; kw'la, paromoivwsi" de; eja;n o{moia ta; e[scata e[ch/
eJkavteron to; kw'lon: ajnavgkh de; h] ejn ajrch'/ h] ejpi; teleuth'"
e[cein, kai; ejn ajrch'/ me;n ajei; ta; ojnovmata, ejpi; de; teleuth'" ta;" ejscav-
ta" sullaba;" h] tou' aujtou' ojnovmato" ptwvsei" h] to; aujto;
o[noma: ejn ajrch'/ me;n ta; toiau'ta, “ajgro;n ga;r e[laben ajrgo;n
30 parΔ aujtou'”,
dwrhtoiv tΔ ejpevlonto paravrrhtoiv tΔ ejpevessin:
ejpi; teleuth'" dev “wj/hvqh" a]n aujto;n ãoujà paidivon tetokevnai, ajllΔ
aujto;n paidivon gegonevnai”, “ejn pleivstai" de; frontivs i kai; ejn
ejlacivstai" ejlpivs in”. ptwvsei" de; taujtou' “ajxioi' de; staqh'nai
35 calkou'", oujk a[xio" w]n calkou'…” taujto; dΔ o[noma “su; dΔ auj-
to;n kai; zw'nta e[lege" kakw'" kai; nu'n gravfei" kakw'~”. ajpo;
9. IL PERIODO E LA COMPOSIZIONE DELLA FRASE 351

schiavi»366; «O possedere da vivi o lasciar perdere da


morti»367. E quel tale che disse contro Peitolao e Lico-
frone in tribunale: «Questi, in patria, vendevano per voi,
invece, arrivati da voi, vi hanno comprato»368. 20

Tutti questi casi, infatti, realizzano quanto si è detto.


L’elocuzione di questo tipo è piacevole, in quanto i
contrari sono facilissimi da riconoscere e contrapposti
sono ancora più riconoscibili, anche perché è simile a un
sillogismo: infatti la confutazione consiste nel mettere in-
sieme termini opposti369.
«Antitesi» è dunque una cosa di questo tipo, invece
«parisosi»370 se i membri sono uguali, «paromoiosi» se 25

ciascun membro ha finali simili. È necessario averli simili


o all’inizio o verso la conclusione, e all’inizio avere simi-
li le parole intere, verso la conclusione le sillabe finali,
o le flessioni del medesimo termine o il termine stesso.
All’inizio le somiglianze sono di questo tipo: ajgro;n ga;r 30

e[laben ajrgo;n par jaujtou`, «prese da lui un campo non


coltivato»371, dwrhtoiv t jejpevlonto paravrrhtoiv t jejpeves-
sin, «con i doni erano inclini a cambiare, con le parole a
persuadersi»372.
In conclusione invece: wj/hvqh" a]n aujto;n ouj paidivon te-
tokevnai, ajll jaujto;n paidivon gegonevnai, «avresti pensato
che non fosse lui ad aver generato un bambino, ma che
fosse divenuto lui stesso un bambino», ejn pleivstai" de;
frontivs i kai; ejn ejlacivstai" ejlpivs in, «nelle preoccupa-
zioni più grandi e nelle speranze più piccole».
«Flessione» di uno stesso termine: ajxioi' de; staqh'nai
calkou'", oujk a[xio" w]n calkou'; «degni di vedersi erigere
una statua di bronzo, ma non degni di una moneta di 35

bronzo?».
«Ripetizione»: su; d jaujto;n kai; zw'nta e[lege" kakw'"
kai; nu'n gravfei" kakw'", «tu malamente ne parlavi anche
quando era vivo e ora malamente ne scrivi».
352 RETORICA III, 1410a 37 - b 19

sullabh'" dev “tiv a]n e[paqe" deinovn, eij a[ndrΔ ei\de" ajrgovn…”
1410b e[stin de; a{ma pavnta e[cein taujtov, kai; ajntivqesin ei\nai to;
aujto; kai; pavrison kai; oJmoiotevleuton. aiJ dΔ ajrcai; tw'n peri-
ovdwn scedo;n ejn toi'" Qeodekteivoi" ejxhrivqmhntai. eijs i;n de; kai;
yeudei'" ajntiqevsei", oi|on kai; ΔEpivcarmo" ejpoivei,
5 tovka me;n ejn thvnwn ejgw;n h\n, tovka de; para; thvnoi" ejgwvn.

10. ΔEpei; de; diwvristai peri; touvtwn, povqen levgetai ta;


ajstei'a kai; ta; eujdokimou'nta lektevon. poiei'n me;n ou\n ejsti;n
tou' eujfuou'" h] tou' gegumnasmevnou, dei'xai de; th'" meqovdou
tauvth". ei[pwmen ou\n kai; diariqmhswvmeqa: ajrch; dΔ e[stw
10 hJmi'n au{th. to; ga;r manqavnein rJa/divw" hJdu; fuvsei pa's in
ejstiv, ta; de; ojnovmata shmaivnei ti, w{ste o{sa tw'n ojnomavtwn
poiei' hJmi'n mavqhsin, h{dista. aiJ me;n ou\n glw'ttai ajgnw'te",
ta; de; kuvria i[smen: hJ de; metafora; poiei' tou'to mavlista:
o{tan ga;r ei[ph/ to; gh'ra" kalavmhn, ejpoivhsen mavqhsin kai;
15 gnw's in dia; tou' gevnou": a[mfw ga;r ajphnqhkovta. poiou's in
me;n ou\n kai; aiJ tw'n poihtw'n eijkovne" to; aujtov: diovper a]n
eu\, ajstei'on faivnetai. e[stin ga;r hJ eijkwvn, kaqavper ei[rhtai
provteron, metafora; diafevrousa proqevsei: dio; h|tton hJduv,
o{ti makrotevrw": kai; ouj levgei wJ" tou'to ejkei'no: oujkou'n oujde;
10. LE ESPRESSIONI BRILLANTI E DI SUCCESSO 353

Dalla «sillaba finale» invece: tiv a]n e[paqe" deinovn, eij


a[ndr jei\de" ajrgovn; «che cosa orribile provasti, se vedesti
un uomo ozioso?»373.
È possibile che una stessa frase le abbia tutte, e che vi 1410b
sia «antitesi», «identico nome», «parisosi» e «omeoteleu-
to». Gli inizi dei periodi sono stati quasi tutti enumera-
ti nei Teodettei 374. Ma vi sono anche false antitesi, come
pure faceva Epicarmo: tovka me;n ejn thvnwn ejgw;n h\n, tovka 5

de; para; thvnoi" ejgwvvn, «a volte io ero a casa loro, a volte


accanto a loro»375.

10. Le espressioni brillanti e di successo

Dopo aver definito tali questioni, bisogna dire da dove


si prendono le «espressioni brillanti» e «di successo»376.
Ora il produrle è proprio di chi ha talento naturale o di
chi si è esercitato, ma il mostrarle è proprio di questa
indagine. Allora, esponiamole ed enumeriamole, e sia
questo per noi l’inizio. 10

L’imparare facilmente, infatti, per natura risulta piace-


vole a tutti, e i nomi significano qualcosa, di conseguenza
tutti i nomi che ci procurano un apprendimento sono i
più piacevoli. E allora, se le glosse non sono comprensi-
bili, ma conosciamo i termini correnti, soprattutto la me-
tafora produce un effetto di questo tipo: quando infatti
si chiama la vecchiaia «stoppia»377, si produce apprendi-
mento e conoscenza attraverso il genere, dal momento 15

che entrambe sono sfiorite. Ebbene anche le similitudini


dei poeti producono lo stesso effetto: pertanto se sono
buone, mostrano un’espressione brillante. Infatti la simi-
litudine, come si è detto prima378, è metafora che differi-
sce per un’aggiunta; per questo è meno piacevole, poi-
ché è più lunga; inoltre, non dice che «questo è quello»:
354 RETORICA III, 1410b 20 - 1411 a 9

20 zhtei' tou'to hJ yuchv. ajnavgkh dh; kai; levxin kai; ejnqumhvmata


tau'tΔ ei\nai ajstei'a o{sa poiei' hJmi'n mavqhsin tacei'an: dio;
ou[te ta; ejpipovlaia tw'n ejnqumhmavtwn eujdokimei' (ejpipovlaia
ga;r levgomen ta; panti; dh'la, kai; a} mhde;n dei' zhth'sai), ou[te
o{sa eijrhmevna ajgnoou'men, ajllΔ o{swn h] a{ma legomevnwn hJ
25 gnw's i" givnetai, kai; eij mh; provteron uJph'rcen, h] mikro;n uJste-
rivzei hJ diavnoia: givgnetai ga;r oi|on mavqhsi", ejkeivnwn de;
oujdetevrou. kata; me;n ou\n th;n diavnoian tou' legomevnou ta;
toiau'ta eujdokimei' tw'n ejnqumhmavtwn, kata; de; th;n levxin
tw'/ me;n schvmati, eja;n ajntikeimevnw" levghtai, oi|on “kai; th;n
30 toi'" a[lloi" koinh;n eijrhvnhn nomizovntwn toi'" auJtw'n ijdivoi"
povlemon”: ajntivkeitai povlemo" eijrhvnh/: toi'" dΔ ojnovmasin, eja;n
e[ch/ metaforavn, kai; tauvthn mhvtΔ ajllotrivan, calepo;n ga;r
sunidei'n, mhvtΔ ejpipovlaion, oujde;n ga;r poiei' pavscein. e[ti eij
pro; ojmmavtwn poiei': oJra'n ga;r dei' ªta;º prattovmena ma'llon h]
35 mevllonta. dei' a[ra touvtwn stocavzesqai triw'n, metafora'"
ajntiqevsew" ejnergeiva".
1411a tw'n de; metaforw'n tettavrwn oujsw'n eujdokimou's i mav-
lista aiJ katΔ ajnalogivan, w{sper Periklh'" e[fh th;n neovthta
th;n ajpolomevnhn ejn tw'/ polevmw/ ou{tw" hjfanivsqai ejk th'"
povlew" w{sper ei[ ti" to; e[ar ejk tou' ejniautou' ejxevloi. kai;
5 Leptivnh" peri; Lakedaimonivwn, oujk a]n periidei'n th;n ÔEl-
lavda eJterovfqalmon genomevnhn. kai; KhILsovdoto", spoudav-
zonto" Cavrhto" eujquvna" dou'nai peri; to;n ΔOlunqiako;n pov-
lemon, hjganavktei, favskwn eij" pni'gma to;n dh'mon a[gconta ta;"
eujquvna" peira'sqai dou'nai. kai; parakalw'n pote; tou;" ΔAqh-
10. LE ESPRESSIONI BRILLANTI E DI SUCCESSO 355

pertanto la mente non ricerca neppure. Ora è necessario 20

che siano eleganti sia l’elocuzione sia tutti quegli enti-


memi che ci procurano un veloce apprendimento: per-
ciò, tra questi, non hanno successo né quelli scontati (in
effetti chiamiamo scontati quelli evidenti a tutti, e che
non necessitano di alcuna ricerca), né tutti quelli che,
quando li si dice, risultano incomprensibili, ma lo sono
tutti quelli dai quali proviene conoscenza nel momento 25

stesso in cui si dicono, anche se prima non c’era, oppure


da quelli che si capiscono subito dopo: infatti subentra
come un apprendimento, mentre questo non succede
in nessuno di quegli altri due casi. Dunque, in base al
pensiero suddetto hanno successoquesto genere di enti-
memi, mentre, in base all’elocuzione, lo ottengono per
la forma, quando si parla per opposizione – ad esempio:
«e considerando la pace comune agli altri una guerra 30

per i propri interessi»379 (qui la guerra è opposta alla


pace) – per i nomi, quando si ha una metafora e questa
non sia strana, difficile da comprendere, né superficiale,
perché non colpisce per niente. Ancora ha successo il
far apparire «le cose davanti agli occhi»: bisogna infatti
far vedere le cose mentre accadono più che quando ac-
cadranno. Si devono, dunque, avere di mira queste tre 35

cose: «metafora», «antitesi», «azione».


Dei quattro tipi di metafora che ci sono380 hanno suc- 1411a
cesso soprattutto quelle «per analogia», ad esempio Pe-
ricle disse che «la gioventù caduta in guerra era sparita
dalla città come se qualcuno avesse tolto la primavera
dall’anno»381. E Leptine, a proposito dei Lacedemoni, 5

disse agli Ateniesi di «non guardare inerti la Grecia men-


tre si privava di un occhio»382. E Cefisodoto383, quando
Carete era intento a fare resoconti sulla guerra olintiaca,
si adirava, affermando che «tentava di fare esaminare il
suo rendiconto, mentre strangolava il popolo fino a sof-
356 RETORICA III, 1411a 10-35

10 naivou" eij" Eu[boian ejpisitisamevnou" e[fh dei'n ejxievnai to;


Miltiavdou yhvILsma. kai; ΔIILkravth" speisamevnwn ΔAqhnaivwn
pro;" ΔEpivdauron kai; th;n paralivan hjganavktei, favskwn auj-
tou;" ta; ejfovdia tou' polevmou parh/rh'sqai. kai; Peiqovlao"
th;n pavralon rJovpalon tou' dhvmou, Shsto;n de; thlivan tou'
15 Peiraievw". kai; Periklh'" th;n Ai[ginan ajfelei'n ejkevleuse, th;n
lhvmhn tou' Peiraievw". kai; Moiroklh'" oujqe;n e[fh ponhrov-
tero" ei\nai, ojnomavsa" tina; tw'n ejpieikw'n: ejkei'non me;n ga;r
ejpitrivtwn tovkwn ponhreuvesqai, aujto;" de; ejpidekavtwn. kai;
to; ΔAnaxandrivdou ijambei'on uJpe;r tw'n qugatevrwn pro;" to;n
20 gavmon ejgcronizousw'n “uJperhvmeroiv moi tw'n gavmwn aiJ parqevnoi”.
kai; to; Polueuvktou eij" ajpoplhktikovn tina Speuvs ippon, to;
mh; duvnasqai hJsucivan a[gein uJpo; th'" tuvch" ejn pente-
surivggw/ novsw/ dedemevnon. kai; KhILsovdoto" ta;" trihvrei" ejkavlei
muvlwna" poikivlou", oJ Kuvwn de; ta; kaphlei'a ta; ΔAttika;
25 ILdivtia: Aijs ivwn dev, o{ti eij" Sikelivan th;n povlin ejxevcean:
tou'to ga;r metafora; kai; pro; ojmmavtwn. kai; “w{ste boh'sai
th;n ÔEllavda”, kai; tou'to trovpon tina; metafora; kai; pro;
ojmmavtwn. kai; w{sper KhILsovdoto" eujlabei'sqai ejkevleuen mh;
polla;" poihvswsin ta;" sundromav" ªejkklhsiva~º. kai; ΔIso-
30 kravth" pro;" tou;" suntrevconta" ejn tai'" panhguvresin. kai;
oi|on ejn tw'/ ejpitaILvw/, diovti a[xion h\n ejpi; tw'/ tavfw/ tw'/
tw'n ejn Salami'ni teleuthsavntwn keivrasqai th;n ÔEllavda
wJ" sugkataqaptomevnh" th'/ ajreth'/ aujtw'n th'" ejleuqeriva":
eij me;n ga;r ei\pen o{ti a[xion dakru'sai sugkataqaptomevnh"
35 th'" ajreth'", metafora; kai; pro; ojmmavtwn, to; de; “th'/ ajreth'/
10. LE ESPRESSIONI BRILLANTI E DI SUCCESSO 357

focarlo»384. E una volta, chiamando a raccolta gli Ateniesi 10

alla volta dell’Eubea, dopo aver fatto approvvigionamen-


ti disse che dovevano mettersi in viaggio «per decreto di
Milziade»385. E Ificrate386, quando gli Ateniesi si erano ac-
cordati con Epidauro e con i paesi della costa, si indignò
affermando che questi si erano privati da soli degli ap-
provvigionamenti di guerra387. E Pitolao388 chiamò la Pa-
ralo «bastone del popolo» e Sesto «banco da fornaio del
Pireo»389. E Pericle ordinò di eliminare l’Egina, «l’occhio 15

dolente del Pireo»390. E Merocle391 disse, nel nominare


uno tra i notabili, di non essere affatto più disonesto di
lui: infatti quello era più disonesto del trentatré per cen-
to, lui del dieci392. E il verso giambico di Anassandride393
sulle figlie che si attardavano a maritarsi: «Le mie vergini 20

sono in ritardo al matrimonio»394. E il detto di Polieutte395


a un certo Speusippo che era apoplettico, e cioè che non
era in grado di vivere tranquillamente, nonostante fos-
se incatenato dalla sorte in una malattia che paralizza396.
E Cefisodoto chiamava le triremi «mulini variopinti»397,
mentre Diogene il Cinico chiamava le taverne «le mense 25

dell’Attica»398; ed Esione diceva che avevano «versato» la


città in Sicilia399: e questa è, in effetti, una metafora ed è
«davanti agli occhi». E «di conseguenza la Grecia gridò»,
anche in questo modo vi è una metafora e un «mettere
davanti agli occhi». È lo è anche il modo in cui Cefisodoto
prescriveva di guardarsi dal rendere troppo affollate le as-
semblee400, e il modo in cui Isocrate diceva per quelli che 30

si accalcano nelle feste pubbliche401. Oppure il modo in


cui lo si dice nell’epitaffio, che era giusto per la Grecia ta-
gliarsi i capelli sulla tomba di quelli che erano caduti a Sa-
lamina, perché «insieme al loro valore era stata sepolta la
libertà»402; se infatti avesse detto che era giusto piangere
dal momento che insieme a loro era stato sepolto il valore, 35

si sarebbero ottenuti metafora e un mettere «davanti agli


358 RETORICA III, 1411b 1-24

1411b th'" ejleuqeriva~” ajntivqesivn tina e[cei. kai; wJ" ΔIILkravth"


ei\pen “hJ ga;r oJdov" moi tw'n lovgwn dia; mevswn tw'n Cav-
rhti pepragmevnwn ejstivn” metafora; katΔ ajnalogivan, kai;
to; dia; mevsou pro; ojmmavtwn poiei'. kai; to; favnai para-
5 kalei'n tou;" kinduvnou" toi'" kinduvnoi" bohqhvsonta", pro;
ojmmavtwn ãkai;Ã metaforav. kai; Lukolevwn uJpe;r Cabrivou “oujde;
th;n iJkethrivan aijscunqevnte" aujtou', th;n eijkovna th;n calkh'n”:
metafora; ga;r ejn tw'/ parovnti, ajllΔ oujk ajeiv, ajlla; pro;
ojmmavtwn: kinduneuvonto" ga;r aujtou' iJketeuvei hJ eijkwvn, to;
10 “e[myucon dh; a[yucon”, to; uJpovmnhma tw'n th'" povlew" e[rgwn.
kai; “pavnta trovpon mikro;n fronei'n meletw'nte~”: to; ga;r
meleta'n au[xein ti ejstivn. kai; o{ti “to;n nou'n oJ qeo;" fw'"
ajnh'yen ejn th'/ yuch'/”: a[mfw ga;r dhloi' ti. “ouj ga;r dia-
luovmeqa tou;" polevmou" ajllΔ ajnaballovmeqa”: a[mfw gavr
15 ejstin mevllonta, kai; hJ ajnabolh; kai; hJ toiauvth eijrhvnh.
kai; to; ta;" sunqhvka" favnai trovpaion ei\nai polu; kavllion
tw'n ejn toi'" polevmoi" ginomevnwn: ta; me;n ga;r uJpe;r mi-
krw'n kai; mia'" tuvch", au|tai dΔ uJpe;r panto;" tou' polevmou:
a[mfw ga;r nivkh" shmei'a. kai; o{ti aiJ povlei" tw'/ yovgw/ tw'n
20 ajnqrwvpwn megavla" eujquvna" didovasin: hJ ga;r eu[quna blavbh
ti" dikaiva ejstivn.

11. ”Oti me;n ou\n ta; ajstei'a ejk metafora'" te th'" ajnavlogon
levgetai kai; tw'/ pro; ojmmavtwn poiei'n, ei[rhtai: lektevon de; tiv
levgomen pro; ojmmavtwn, kai; tiv poiou's i givgnetai tou'to. levgw
11. RAPPRESENTARE L’AZIONE 359

occhi», invece dicendo «insieme al valore la libertà» si ha 1411b


una sorta di antitesi. E come disse Ificrate, «per me la stra-
da dei discorsi passa in mezzo alle azioni di Carete»403 è una
metafora per analogia, e «a mezzo» rende il «davanti agli
occhi». E l’affermare «incitare i pericoli perché corrano in 5

soccorso ai pericoli», è un mettere «davanti agli occhi» e


una metafora. E come Licoleone disse in difesa di Cabrìa:
«che non si aveva pudore neppure della sua condizione
di supplice nella sua statua di bronzo»404; vi è infatti, una
metafora che è valida nello stato attuale, ma non sempre,
tuttavia è un «davanti agli occhi»: infatti quando lui corre
dei rischi, con la statua in posa di supplice, «l’inanimato
diventa poi animato», ossia prende vita il ricordo delle im- 10

prese compiute per la città. E «curandosi in ogni modo di


pensare in piccolo»405: infatti «il curarsi» implica una certa
amplificazione. E dire che «la divinità accese l’intelletto
come una luce nell’anima», entrambe infatti fanno vedere
qualcosa. Oppure «in effetti non cessiamo le ostilità ma
le rimandiamo»406; infatti in entrambi i casi vi è attesa del
futuro, sia nel rimandare sia nella pace di questo genere. E 15

il dire che «i patti sono un trofeo molto più bello di quelli


ottenuti nelle guerre, poiché questi ultimi riguardano pic-
cole cose e un solo avvenimento, i primi riguardano tutta
la guerra»407: entrambi infatti sono segni della vittoria . E
dire che le città con il biasimo degli uomini si correggono
grandemente: infatti la correzione è una sorta di giustizia. 20

11. Rappresentare l’azione

Ebbene, che le espressioni brillanti si proferiscano par-


tendo dalla metafora per analogia e dal rendere «davanti
agli occhi» si è detto; ma si deve dichiarare che cosa in-
tendiamo per «davanti agli occhi», e quale risultato vie-
360 RETORICA III, 1411b 25 - 1412a 15

25 dh; pro; ojmmavtwn tau'ta poiei'n o{sa ejnergou'nta shmaivnei,


oi|on to;n ajgaqo;n a[ndra favnai ei\nai tetravgwnon metaforav,
(a[mfw ga;r tevleia), ajllΔ ouj shmaivnei ejnevrgeian: ajlla; to; “ajn-
qou'san e[conto" th;n ajkmhvn” ejnevrgeia, kai; to; “se; dΔ w{sper
a[feton” ªejleuvqeronº ejnevrgeia, kai;
30 ãtoujnteu'qen ou\nà ”Ellhne" a[/xante" posivn:
to; a[/xante" ejnevrgeia kai; metaforav: tacu; ga;r levgei. kai; wJ"
kevcrhtai pollacou' ”Omhro", to; ta; a[yuca e[myuca poiei'n dia;
th'" metafora'". ejn pa's i de; tw'/ ejnevrgeian poiei'n eujdokimei',
oi|on ejn toi'sde, “au\ti" ejpi; davpedovnde kulivndeto la'a" ajnaidhv~”, kai;
1412a “e[ptatΔ ojistov~”, kai; “ejpiptevsqai meneaivnwn”, kai; “ejn gaivh/
i{stanto lilaiovmena croo;" a\sai”, kai; “aijcmh; de; stevrnoio dievssuto
maimwvwsa”. ejn pa's i ga;r touvtoi" dia; to; e[myuca ei\nai ejnergou'nta
faivnetai: to; ajnaiscuntei'n ga;r kai; maima'n kai; ta; a[lla ejnevr-
5 geia. tau'ta de; prosh'ye dia; th'" katΔ ajnalogivan metafora'":
wJ" ga;r oJ livqo" pro;" to;n Sivsufon, oJ ajnaiscuntw'n pro;"
to;n ajnaiscuntouvmenon. poiei' de; kai; ejn tai'" eujdokimouvsai"
eijkovs in ejpi; tw'n ajyuvcwn taujtav:
“kurtav, falhriovwnta: pro; mevn tΔ a[llΔ, aujta;r ejpΔ a[lla”:
10 kinouvmena ga;r kai; zw'nta poiei' pavnta, hJ dΔ ejnevrgeia kivnhsi".
dei' de; metafevrein, kaqavper ei[rhtai provteron, ajpo; oij-
keivwn kai; mh; fanerw'n, oi|on kai; ejn ILlosoILva/ to; o{moion
kai; ejn polu; dievcousi qewrei'n eujstovcou, w{sper ΔArcuvta"
e[fh taujto;n ei\nai diaithth;n kai; bwmovn: ejpΔ a[mfw ga;r to;n
15 ajdikouvmenon katafeuvgein. h] ei[ ti" faivh a[gkuran kai; kre-
11. RAPPRESENTARE L’AZIONE 361

ne fuori nel fare una cosa di questo tipo. Ora, chiamo


«davanti agli occhi» il comporre tutte quelle espressioni 25

che rappresentano cose in azione, ad esempio dire che


un uomo valente è «tetragono»408 è una metafora (in-
fatti entrambe le cose sono perfette)409, ma non esprime
un’azione; ma dire di uno «che mantiene fiorente l’età
migliore»410 è azione, e il «tu come animale lasciato libe-
ro»411, «libero» è azione. E «dunque, a quel punto i Greci 30

lanciandosi con i piedi»412 «lanciandosi» è azione e me-


tafora: infatti esprime velocità. E così è spesso solito fare
Omero rendendo animate le cose inanimate attraverso la
metafora. In tutte le espressioni vi è successo con il ren-
dere l’azione, come in queste frasi: «di nuovo sulla piana
rotolò la pietra impudente»413, e «volò la freccia»414, «con 1412a
il desiderio furente di volare»415, «in terra si fermarono
vogliose di saziarsi di carne»416, «la punta attraversava
bramosa il petto»417.
In tutti questi casi, infatti, si vedono le cose in azio-
ne perché sono animate: perciò l’«essere impudenti» e
l’«essere bramosa» e le altre espressioni sono «azioni», 5

e Omero le applicò tramite la metafora per analogia: in-


fatti come la pietra sta a Sisifo, così l’impudente sta a chi
è oggetto di impudenza. Omero rende effetti di questo
tipo anche in similitudini di successo riguardanti oggetti
inanimati: «curve, ondeggianti di bianco: alcune davanti,
altre dietro»418; le rende tutte infatti mobili e vive, e l’a- 10

zione è movimento.
Ma occorre comporre metafore, come prima s’è det-
to419, da ciò che è appropriato e non scontato, come
pure in filosofia il saper scorgere la somiglianza anche in
cose molto distanti è proprio di una mente perspicace,
Archita, ad esempio, disse che è la stessa cosa l’arbitro
e l’altare420: poiché da entrambi si rifugia chi ha subito 15

ingiustizia. Oppure se qualcuno afferma che l’ancora e


362 RETORICA III, 1412a 16 - b 2

mavqran to; aujto; ei\nai: a[mfw ga;r taujtov ti, ajlla; diafevrei
tw'/ a[nwqen kai; kavtwqen. kai; to; ajnwmalivsqai ta;" povlei" ejn
polu; dievcousin taujtov, ejn ejpifaneiva/ kai; dunavmesi to; i[son.
e[stin de; kai; ta; ajstei'a ta; plei'sta dia; metafora'" kai;
20 ejk tou' prosexapata'n: ma'llon ga;r givgnetai dh'lon o{ ti e[maqe
para; to; ejnantivw" e[cein, kai; e[oiken levgein hJ yuch; “wJ"
ajlhqw'", ejgw; de; h{marton”. kai; tw'n ajpofqegmavtwn de; ta;
ajstei'av ejstin ejk tou' mh; o{ fhsi levgein, oi|on to; Sthsicovrou,
o{ti oiJ tevttige" eJautoi'" camovqen a[/sontai. kai; ta; eu\ hj/ni-
25 gmevna dia; to; aujto; hJdeva (mavqhsi" gavr ejsti kai; meta-
forav), kai; (o} levgei Qeovdwro~) to; kaina; levgein. givgnetai de;
o{tan paravdoxon h\/, kai; mhv, wJ" ejkei'no" levgei, pro;" th;n e[m-
prosqen dovxan, ajllΔ w{sper ejn toi'" geloivoi" ta; para-
pepoihmevna (o{per duvnatai kai; ta; para; gravmma skwvmmata:
30 ejxapata'/ gavr), kai; ejn toi'" mevtroi": ouj ga;r w{sper oJ
ajkouvwn uJpevlaben: “e[steice dΔ e[cwn uJpo; possi; civmeqla”:
oJ dΔ w[/eto pevdila ejrei'n. touvtou dΔ a{ma legomevnou dei' dh'-
lon ei\nai. ta; de; para; gravmma poiei' oujc o} levgei levgein,
ajllΔ o} metastrevfei o[noma, oi|on to; Qeodwvrou eij" Nivkwna
35 to;n kiqarw/do;n “qravxei se”, prospoiei'tai ga;r levgein to;
1412b “Qra'/x ei\ suv” kai; ejxapata'/: a[llo ga;r levgei. dio; maqovnti hJduv,
ejpei; eij mh; uJpolambavnei Qra'/ka ei\nai, ouj dovxei ajstei'on
11. RAPPRESENTARE L’AZIONE 363

l’amo sono la stessa cosa: infatti entrambi hanno un che


di identico, ma differiscono per il trattenere dal basso e
dall’alto421. Anche nel dire «le città sono state livellate»422
vi è identità in cose molte distanti: l’uguaglianza nella su-
perficie e nel potere.
Inoltre, la maggior parte delle espressioni brillanti si
ottengono attraverso metafore e dall’aggiunta di un effet- 20

to ingannevole, perché diventa più evidente il fatto che


uno apprende qualcosa contrariamente alle sue aspettati-
ve, e l’anima sembra dire «così è veramente, ed io sbaglia-
vo». Anche le arguzie degli apoftegmi423 derivano dal non
esprimere ciò che dicono, ad esempio quello di Stesicoro
che «le cicale canteranno a terra per se stesse»424. E i buo-
ni enigmi sono piacevoli per lo stesso motivo (vi è infatti 25

apprendimento e metafora); piacevole è pure quello che


dichiara Teodoro, ossia il «dire cose nuove»425. E questo
si produce quando l’espressione risulta paradossale426 e
non, come lui sostiene, in contrapposizione a una prece-
dente opinione, ma come le parole leggermente storpia-
te nelle battute comiche (cosa che è resa possibile anche
sulla base di giochi di parole: infatti vi è un effetto ingan- 30

nevole). Succede pure nei versi. Il verso «marciava pur


avendo sotto i piedi i geloni»427, infatti, non è come si
aspetta l’uditore, il quale si aspetta di sentir dire «i calza-
ri». E questo dev’essere chiaro nel momento stesso in cui
lo si pronuncia. Le battute che si basano sullo scambio di
lettere fanno dire non ciò che si dice espressamente, ma
ciò che il nome stravolge, come l’espressione di Teodoro
a Nicone il citaredo: qravxei se [qualcosa ti turba]428, fa 35

infatti finta di pronunciare la frase Qra'/x ei\ suv [tu sei 1412b
un trace] e trae in inganno: infatti dice un’altra cosa. Per
questo per chi ha capito è piacevole, dal momento che se
non si sospetta che questi è un trace, non sembra esser-
vi un’espressione brillante. E così il detto bouvlei aujto;n
364 RETORICA III, 1412b 3-25

ei\nai. kai; to; “bouvlei aujto;n pevrsai”. dei' de; ajmfovtera pro"-
hkovntw" lecqh'nai. ou{tw de; kai; ta; ajstei'a, oi|on to; favnai
5 ΔAqhnaivoi" th;n th'" qalavtth" ajrch;n mh; ajrch;n ei\nai tw'n
kakw'n: o[nasqai gavr. h] w{sper ΔIsokravth" th;n ajrch;n th'/
povlei ajrch;n ei\nai tw'n kakw'n. ajmfotevrw" ga;r o} oujk a]n
wj/hvqh ti" ejrei'n, tou'tΔ ei[rhtai, kai; ejgnwvsqh o{ti ajlhqev": tov
te ga;r th;n ajrch;n favnai ajrch;n ei\nai oujqe;n sofovn, ajllΔ
10 oujc ou{tw levgei ajllΔ a[llw", kai; ajrch;n oujc o} ei\pen ajpov-
fhsin, ajllΔ a[llw". ejn a{pasi de; touvtoi", eja;n proshkovntw"
to; o[noma ejnevgkh/ oJmwnumiva/ h] metafora'/, tovte to; eu\. oi|on
“ΔAnavsceto" oujk ajnascetov~” oJmwnumiva/ ajpevfhse, ajlla; pro"-
hkovntw", eij ajhdhv". kai; “oujk a]n gevnoio ma'llon h[ se dei' xevno~”:
15 “xevno~” ãga;rà “ouj ma'llon h[ se dei'” to; aujto; kai; “ouj dei'
to;n xevnon xevnon ajei; ei\nai”: ajllovtrion ga;r kai; tou'to. to; aujto;
kai; to; ΔAnaxandrivdou to; ejpainouvmenon,
kalovn gΔ ajpoqanei'n pri;n qanavtou dra'n a[xion:
taujto; gavr ejsti tw'/ eijpei'n “a[xiovn gΔ ajpoqanei'n mh; o[nta
20 a[xion ajpoqanei'n”, h] “a[xiovn gΔ ajpoqanei'n mh; qanavtou a[xion
o[nta”, h] “mh; poiou'nta qanavtou a[xia”. to; me;n ou\n ei\do" to;
aujto; th'" levxew" touvtwn: ajllΔ o{sw/ a]n ãejnà ejlavttoni kai; ajnti-
keimevnw" lecqh'/, tosouvtw/ eujdokimei' ma'llon. to; dΔ ai[tion
o{ti hJ mavqhsi" dia; me;n to; ajntikei'sqai ma'llon, dia; de; to;
25 ejn ojlivgw/ qa'tton givnetai. dei' dΔ ajei; prosei'nai ªh]º to; pro;"
11. RAPPRESENTARE L’AZIONE 365

pevrsai [lo vuoi rovinare]429. Bisogna però che entrambe


le espressioni siano dette in modo appropriato. In que-
sto modo sono brillanti anche espressioni come il dire
agli Ateniesi che ajrchv [dominio] del mare non fu ajrchv 5

[principio] dei mali: infatti ne ebbero beneficio. O come


dice Isocrate che per la città ajrchv [il dominio] fu ajrchv
[il principio] dei mali430. In entrambi i casi, in effetti, si
è detto proprio ciò che in realtà non si intende dire e
tuttavia si sa che è vero: infatti il dire che l’ajrchv è ajrchv
non è affatto una cosa sensata, tuttavia non va intesa così, 10

ma in modo diverso, e non negano che ajrchv sia ciò che


si dice, ma va inteso diversamente. In tutti questi casi, se
il nome è posto in maniera appropriata con un’omonimia
o con una metafora, si avrà allora un buon risultato. Ad
esempio, se il soggetto è sgradevole, dicendo jAnavsce-
to" oujk ajnascetov" [Anascheto non è sopportabile], lo
si dice chiaramente che è sgradevole, ma in modo appro-
priato con l’omonimia. Ancora: «non potresti diventare
straniero più di quanto non ti occorra»431; in effetti dire 15

«straniero non più di quanto non ti occorra» è lo stesso


che dire «non occorre che xevno" [l’ospite] rimanga sem-
pre xevno" [straniero] perciò anche questo caso presenta
un significato diverso. Stesso discorso vale per il celebra-
to detto di Anassandride, «in verità è bello morire prima
di fare un’azione degna di morte»432; infatti è lo stesso che
dire «in verità è a[xion [degno] morire senza essere a[xion 20

[meritevole] di morire», oppure «senza compiere a[xia


azioni degne di morte».
Dunque la specie dell’elocuzione di queste espressio-
ni è la stessa; ma quanto più siano espresse in breve e in
maniera antitetica, tanto più hanno successo. La causa
consiste nel fatto che l’apprendimento si ha in maggior
misura attraverso l’antitesi, e diventa più rapido in virtù 25

dell’espressione concisa. Se ciò che si dice è vero e non


366 RETORICA III, 1412b 26 - 1413a 14

o}n levgetai ªh]º ojrqw'" levgesqai, eij to; legovmenon ajlhqe;" kai;
mh; ejpipovlaion ãe[staiÃ: e[stin ga;r tau'ta cwri;" e[cein, oi|on “ajpo-
qnhv/skein dei' mhqe;n aJmartavnonta” ªajllΔ oujk ajstei'onº, “th;n
ajxivan dei' gamei'n to;n a[xion”, ajllΔ oujk ajstei'on, ajllΔ ãh]Ã eja;n
30 a{ma a[mfw e[ch/: “a[xiovn gΔ ajpoqanei'n mh; a[xion o[nta tou' ajpo-
qanei'n”. o{sw/ dΔ a]n pleivw e[ch/, tosouvtw/ ajsteiovteron faivnetai,
oi|on eij kai; ta; ojnovmata metafora; ei[h kai; metafora; toiadi;
kai; ajntivqesi" kai; parivswsi", kai; e[coi ejnevrgeian.
eijs i;n de; kai; aiJ eijkovne", w{sper ei[rhtai kai; ejn toi'" a[nw,
35 aiJ eujdokimou'sai trovpon tina; metaforaiv: ajei; ga;r ejk duoi'n
levgontai, w{sper hJ ajnavlogon metaforav, oi|on “hJ ajspiv~”, famevn,
1413a “ejsti ILavlh “Arew~”, kai; “ãto;Ã tovxon fovrmigx a[cordo~”.
ou{tw me;n ou\n levgousin oujc aJplou'n, to; dΔ eijpei'n to; tovxon fovrmigga
h] th;n ajspivda ILavlhn aJplou'n. kai; eijkavzousin de; ou{tw",
oi|on piqhvkw/ aujlhthvn, luvcnw/ yakazomevnw/ ªeij~º muvwpa:
5 a[mfw ga;r sunavgetai. to; de; eu\ ejsti;n o{tan metafora; h\/:
e[stin ga;r eijkavsai th;n ajspivda ILavlh/ “Arew" kai; to; ejreiv-
pion rJavkei oijkiva", kai; to; to;n Nikhvraton favnai )Llokthvthn
ei\nai dedhgmevnon uJpo; Pravtuo", w{sper ei[kasen Qrasuvmaco"
ijdw;n to;n Nikhvraton hJtthmevnon uJpo; Pravtuo" rJayw/dou'nta,
10 komw'nta de; kai; aujcmhro;n e[ti. ejn oi|" mavlistav tΔ ejkpivptou-
sin oiJ poihtai; eja;n mh; eu\, kai; eja;n eu\, eujdokimou's in: levgw
dΔ o{tan ajpodidw's in:
“w{sper sevlinon ou\la ta; skevlh forei'.”
“w{sper )Llavmmwn zugomacw'n tw'/ kwruvkw/.”
11. RAPPRESENTARE L’AZIONE 367

superficiale, occore sempre aggiungere, in riferimento


all’oggetto del discorso, il fatto di parlarne correttamen-
te. In effetti è possibile che queste ultime cose si conside-
rino separatamente, ad esempio si può dire che «bisogna
morire senza aver commesso nessuna colpa», che «un
uomo meritevole deve sposare una donna meritevole»433,
ma non è brillante, a meno che non si tengano insieme 30

entrambe: «è invero a[xion [degno] morire quando non


si è a[xion [meritevoli] di morire». Quante più caratteri-
stiche contiene un’espressione, tanto più arguta appare
come, ad esempio, qualora anche i termini consistano in
una metafora e in un certo tipo di metafora, e in antitesi
e parisosi, e abbiano vigore. Come si è detto anche nei
passi precedenti434, pure le similitudini di successo sono 35

in certo modo metafore: infatti si esprimono a partire da


due termini, come la metafora per analogia, ad esempio
se diciamo «lo scudo è la coppa di Ares»435, e «l’arco è 1413a
una lira senza corde»436. Comunque queste similitudini
non esprimono in modo essenziale, mentre il chiamare
direttamente l’arco «lira» o lo scudo «coppa» è essen-
ziale. Si realizzano similitudini anche in questo modo, ad
esempio il flautista paragonato a una scimmia, il miope a
una lucerna bagnata (perché in entrambi i casi si ha una 5

contrazione) 437. Ma vi è un buon risultato quando si ha


una metafora: è infatti possibile paragonare lo scudo con
la coppa di Ares e la rovina ai resti di una casa; inoltre
l’affermare che Nicerato è Filottete azzannato da Pratis,
secondo il paragone utilizzato da Trasimaco quando ave-
va visto Nicerato, sconfitto da Pratis nel recitare poesie,
portare i capelli lunghi e per di più in misero stato438. I 10

poeti falliscono soprattutto nelle metafore se non sono


buone, se invece lo sono, hanno successo; intendo quan-
do con esse completano il paragone: «Ha le gambe storte
come un sedano»439; «Come Filammone che fa a pugni
368 RETORICA III, 1413a 15 - b 2

15 kai; ta; toiau'ta pavntΔ eijkovne" eijs ivn. aiJ dΔ eijkovne" o{ti meta-
foraiv, ei[rhtai pollavki".
kai; aiJ paroimivai de; metaforai; ajpΔ ei[dou" ejpΔ ei\do" eijs ivn:
oi|on a[n ti" wJ" ajgaqo;n peisovmeno" aujto;" ejpagavghtai, ei\ta
blabh'/, “wJ" oJ Karpavqiov~”, fasin, “to;n lagwv”: a[mfw ga;r to;
20 eijrhmevnon pepovnqasin. o{qen me;n ou\n ta; ajstei'a levgetai kai; diovti,
scedo;n ei[rhtai to; ai[tion: eijs i;n de; kai; ãaiJÃ eujdokimou'sai
uJperbolai; metaforaiv, oi|on eij" uJpwpiasmevnon “wj/hvqhte dΔ a]n
aujto;n ei\nai sukamivnwn kavlaqon”: ejruqro;n gavr ti to; uJpwvpion,
ajlla; tou'to polu; sfovdra. to; de; “w{sper to; kai; to;” uJperbolh;
25 th'/ levxei diafevrousa. “w{sper )Llavmmwn zugomacw'n tw'/
kwruvkw/”, “wj/hvqh" dΔ a]n aujto;n )Llavmmwna ei\nai macovmenon
tw'/ kwruvkw/”.
“w{sper sevlinon ou\la ta; skevlh forei'n”,
“wj/hvqh" dΔ a]n ouj skevlh ajlla; sevlina e[cein, ou{tw" ou\la”.
30 eijs i; dΔ aiJ uJperbolai; meirakiwvdei": sfodrovthta ga;r dhlou's in.
dio; ojrgizovmenoi levgousin mavlista:
oujdΔ ei[ moi tovsa doivh o{sa yavmaqov" te kovni" te.
kouvrhn dΔ ouj gamevw ΔAgamevmnono" ΔAtreiv>dao,
oujdΔ eij cruseivh/ ΔAfrodivth/ kavllo" ejrivzoi,
35 e[rga dΔ ΔAqhnaivh/:
1413b dio; presbutevrw/ levgein ajprepev": crw'ntai de; mavlista touvtw/
ΔAttikoi; rJhvtore".
11. RAPPRESENTARE L’AZIONE 369

con un sacco di cuoio»440. Inoltre, espressioni del genere 15

sono tutte similitudini, e che le similitudini siano metafo-


re, si è detto più volte.
Anche i proverbi sono metafore da specie a specie;
ad esempio, se uno invitasse un tizio persuaso che si trat-
ti di una persona perbene, e poi si ritrova con un dan-
no, diciamo: «Come quello di Carpato con la lepre»441:
entrambi infatti subirono ciò che si è detto. Dunque da 20

dove si ricavino espressioni brillanti e perché, grosso


modo se ne è detta la ragione; ma anche le iperboli che
hanno successo sono metafore, ad esempio, rivolto a chi,
con un colpo, ha avuto un occhio pesto «avreste pensato
che lui fosse un cesto di gelsi»; infatti una certa parte sot-
to gli occhi è rossa, ma vi è in questo molta esagerazione.
Il dire «come questo è anche quello» è un iperbole che si 25

differenzia per il modo di esprimersi: «come Filammone


che fa a pugni con un sacco di cuoio» diventa «avreste
pensato che fosse Filammone lo stesso che combatte con
un sacco di cuoio!»; e «avere le gambe storte come un
sedano» diventa «avreste creduto che avesse non delle
gambe ma sedani, tanto erano storte». Le iperboli poi 30

sono adatte al giovane: infatti manifestano veemenza.


Per questo le dice soprattutto chi è adirato: «neppure
se mi desse tante cose quante sono sabbia e polvere,
sposerò la figlia dell’Atride Agamennone e neppure se
rivaleggiasse in bellezza con l’aurea Afrodite, o in opere 35

con Atena»442; perciò per un vecchio non é opportuno 1413b


pronunciarle, ma sono soprattutto i retori attici che ri-
corrono ad essa.
370 RETORICA III, 1413b 3-26

12. Dei' de; mh; lelhqevnai o{ti a[llh eJkavstw/ gevnei aJrmovttei
levxi". ouj ga;r hJ aujth; graILkh; kai; ajgwnistikhv, oujde; dh-
5 mhgorikh; kai; dikanikhv. a[mfw de; ajnavgkh eijdevnai: to; me;n
gavr ejstin eJllhnivzein ejpivstasqai, to; de; mh; ajnagkavzesqai
katasiwpa'n a[n ti bouvlhtai metadou'nai toi'" a[lloi", o{per
pavscousin oiJ mh; ejpistavmenoi gravfein. e[sti de; levxi" gra-
ILkh; me;n hJ ajkribestavth, ajgwnistikh; de; hJ uJpokritikwtavth
10 (tauvth" de; duvo ei[dh: hJ me;n ga;r hjqikh; hJ de; paqhtikhv):
dio; kai; oiJ uJpokritai; ta; toiau'ta tw'n dramavtwn diwvkousi,
kai; oiJ poihtai; tou;" toiouvtou". bastavzontai de; oiJ ajnagnw-
stikoiv, oi|on Cairhvmwn (ajkribh;" ga;r w{sper logogravfo~),
kai; Likuvmnio" tw'n diqurambopoiw'n. kai; paraballovmenoi oiJ
15 me;n tw'n grafevwn ãlovgoià ejn toi'" ajgw's i stenoi; faivnontai,
oiJ de; tw'n rJhtovrwn, eu\ lecqevnte", ijdiwtikoi; ejn tai'" cersivn.
ai[tion dΔ o{ti ejn tw'/ ajgw'ni aJrmovttei ta; uJpokritikav: dio;
kai; ajfh/rhmevnh" th'" uJpokrivsew" ouj poiou'nta to; auJtw'n
e[rgon faivnetai eujhvqh, oi|on tav te ajsuvndeta kai; to; pollav-
20 ki" to; aujto; eijpei'n ejn th'/ graILkh'/ ojrqw'" ajpodokimavzetai,
ejn de; ajgwnistikh'/ ou[, kai; oiJ rJhvtore" crw'ntai: e[sti ga;r
uJpokritikhv. ajnavgkh de; metabavllein to; aujto; levgonta", o{per
w{sper oJdopoiei' tw'/ uJpokrivnesqai: “ou|tov" ejstin oJ klevya"
uJmw'n, ou|tov" ejstin oJ ejxapathvsa", ou|to" oJ to; e[scaton pro-
25 dou'nai ejpiceirhvsa~”, oi|on kai; )Llhvmwn oJ uJpokrith;" ejpoivei
e[n te th'/ ΔAnaxandrivdou Gerontomaciva/, o{te levgoi “ÔRadavman-
12. ELOCUZIONE E GENERI RETORICI 371

12. Elocuzione e generi retorici

Non va trascurato il fatto che a ogni genere di retorica si


adegua un’elocuzione diversa: non è infatti la stessa quel-
la appropriata alla scrittura e quella buona per i dibatti-
ti, né è la stessa quella appropriata alla politica e quella 5

buona al discorso giudiziario. Ed è necessario conoscere


entrambi i tipi: infatti l’una consiste nel sapersi esprimere
in un buon greco, l’altra nel non sentirsi costretti al silen-
zio se si vuole comunicare qualcosa agli altri, la qual cosa
subisce chi non sa scrivere. L’elocuzione appropriata alla
scrittura è la più rigorosa, quella buona al dibattito è la
più adatta alla declamazione (esistono due specie di de- 10

clamazione perché una è idonea ad esprimere il carattere


l’altra a suscitare passione): per questo gli attori sono alla
ricerca di rappresentazioni di questo genere e i poeti di
attori di questo tipo. E sono popolari i poeti capaci nella
lettura, come Cheremone443 (poiché è rigoroso come un
logografo), e Licimnio tra i compositori di ditirambi444.
Inoltre, confrontandoli, da un lato i discorsi degli scrit- 15

tori appaiono stringati nei dibattiti, dall’altro quelli dei


retori, pur essendo ben esposti, appaiono ordinari nelle
mani degli scrittori. Il motivo è che nel dibattito sono
appropriate le declamazioni: per questo, e per il fatto che
si è eliminata la declamazione, i dibattiti appaiono banali,
in quanto non adempiono al proprio compito; ad esem-
pio gli asindeti e dire più volte la stessa cosa sono giusta- 20

mente disapprovati nello scritto, ma non nel dibattito, e i


retori ne fanno uso poiché sono adatti alla declamazione.
Quando si dicono le stesse cose è necessario variare, il
che è come spianare la strada alla declamazione: «questi
è chi vi ha derubato, questi è chi vi ha ingannato, questi
è chi, alla fine, ha provato a tradirvi», come anche face- 25

va l’attore Filemone445 nella «Gerontomachia» di Anas-


372 RETORICA III, 1413b 27 - 1414a 15

qu" kai; Palamhvdh~”, kai; ejn tw'/ prolovgw/ tw'n Eujsebw'n to;
“ejgwv”: eja;n gavr ti" ta; toiau'ta mh; uJpokrivnhtai, givgnetai “oJ
th;n doko;n fevrwn”. kai; ta; ajsuvndeta wJsauvtw": “h\lqon, ajphvn-
30 thsa, ejdeovmhn:” ajnavgkh ga;r uJpokrivnesqai kai; mh; wJ" e}n
levgonta tw'/ aujtw'/ h[qei kai; tovnw/ eijpei'n. e[ti e[cei i[diovn ti
ta; ajsuvndeta: ejn i[sw/ ga;r crovnw/ polla; dokei' eijrh'sqai: oJ
ga;r suvndesmo" e}n poiei' ta; pollav, w{ste eja;n ejxaireqh'/, dh'lon
o{ti toujnantivon e[stai to; e}n pollav. e[cei ou\n au[xhsin: “h\lqon,
1414a dielevcqhn, iJkevteusa” (polla; dokei'), “uJperei'den o{sa ei\pon”.
tou'to de; bouvletai poiei'n kai; ”Omhro" ejn tw'/
“Nireu;"au\Suvmhqen”,“Nireu;"A Δ glaivh> ~”,“Nireu;"o}"kavllisto~”.
peri; ou| ga;r polla; levgetai, ajnavgkh kai; pollavki" eijrh'sqai:
5 eij ou\n ªkai;º pollavki", kai; polla; dokei', w{ste hu[xhken, a{pax
mnhsqeiv", dia; to;n paralogismovn, kai; mnhvmhn pepoivhken, ouj-
damou' u{steron aujtou' lovgon poihsavmeno".
hJ me;n ou\n dhmhgorikh; levxi" kai; pantelw'" e[oiken th'/
skiagraILva/: o{sw/ ga;r a]n pleivwn h\/ oJ o[clo", porrwvteron hJ
10 qeva, dio; ta; ajkribh' periverga kai; ceivrw faivnetai ejn ajmfo-
tevroi": hJ de; dikanikh; ajkribestevra. e[ti de; ma'llon hJ ãejnÃ
eJni; krith'/: ejlavciston ga;r e[nesti rJhtorikh'": eujsuvnopton
ga;r ma'llon to; oijkei'on tou' pravgmato" kai; to; ajllovtrion, kai;
oJ ajgw;n a[pestin, w{ste kaqara; hJ krivs i". dio; oujc oiJ aujtoi;
15 ejn pa's in touvtoi" eujdokimou's in rJhvtore": ajllΔ o{pou mavlista
12. ELOCUZIONE E GENERI RETORICI 373

sandride446, quando diceva «Radamanto e Palamede», e


«io» nel prologo dei «Pii»447; se infatti non si declamano
espressioni del genere, ha luogo il caso di «colui che por-
ta il bastone»448. Anche gli asindeti vanno declamati in
questo modo: «venni, incontrai, chiesi»: infatti è necessa- 30

rio declamare e non parlare al modo di chi dice una cosa


sola con lo stesso carattere e nello stesso tono. Inoltre
gli asindeti hanno un che di particolare: sembra infatti
che si dicano molte cose nello stesso tempo, poiché la
congiunzione fa di molte cose una sola; di conseguenza
se la si togliesse, è evidente che si verificherà l’opposto: di
un’unica cosa se ne fanno molte. Si ottiene dunque am-
plificazione dicendo «venni, discussi, supplicai» (sembra 1414a
che siano tante cose), «eppure trascurò tutto ciò che gli
dissi». E questo vuole fare anche Omero con «Nireo da
Sime», «Nireo figlio di Aglaia», «Nireo che è il più bel-
lo»449, perché è inevitabile nominare più volte un uomo
su cui si dicono tante cose. Se dunque lo si nomina spesso 5

si dà pure l’impressione di dire tante cose sul suo conto,


di conseguenza, con questo espediente Omero, pur ricor-
dandolo una sola volta, ne ha amplificato l’importanza
e lo ha reso presente alla memoria, nonostante non ne
abbia più fatta alcuna successiva menzione.
L’elocuzione adatta alla deliberazione sembra inoltre
del tutto simile al chiaroscuro: infatti quanto più è nume-
rosa la folla, tanto più è lontana la veduta, perciò le argo- 10

mentazioni precise sono inutili e sembrano più scadenti


in entrambi i casi. L’elocuzione per discutere in tribunale
invece richiede maggior rigore. E ancora di più ne richie-
de quella per un solo giudice, perché non vi è che una
minima parte di retorica: infatti ciò che è più pertinente
al caso e ciò che le è estraneo si vede subito e non vi è di-
battito, di conseguenza il giudizio è limpido450. Per que-
sto non sono gli stessi gli oratori che in tutti questi ambiti 15
374 RETORICA III, 1414a 16-36

uJpovkrisi", ejntau'qa h{kista ajkrivbeia e[ni. tou'to de; o{pou


fwnh'", kai; mavlista o{pou megavlh".
hJ me;n ou\n ejpideiktikh; levxi" graILkwtavth: to; ga;r e[rgon
aujth'" ajnavgnwsi": deutevra de; hJ dikanikhv. to; de; prosdi-
20 airei'sqai th;n levxin, o{ti hJdei'an dei' ei\nai kai; megalopreph', periv-
ergon: tiv ga;r ma'llon h] swvfrona kai; ejleuqevrion kai; ei[ ti"
a[llh h[qou" ajrethv… to; de; hJdei'an ei\nai poihvsei dhlonovti
ta; eijrhmevna, ei[per ojrqw'" w{ristai hJ ajreth; th'" levxew":
tivno" ga;r e{neka dei' safh' kai; mh; tapeinh;n ei\nai ajlla;
25 prevpousan… a[n te ga;r ajdolesch'/, ouj safhv", oujde; a]n suvn-
tomo", ajlla; dh'lon o{ti to; mevson aJrmovttei. kai; to; hJdei'an
ta; eijrhmevna poihvsei, a]n eu\ micqh'/, to; eijwqo;" kai; ãto;Ã xenikovn,
kai; oJ rJuqmov", kai; to; piqano;n ejk tou' prevponto".
peri; me;n ou\n th'" levxew" ei[rhtai, kai; koinh'/ peri; aJpavn-
30 twn kai; ijdiva/ peri; eJkavstou gevnou": loipo;n de; peri; tavxew"
eijpei'n.

13. e[sti de; tou' lovgou duvo mevrh: ajnagkai'on ga;r tov te
pra'gma eijpei'n peri; ou|, kai; tou'tΔ ajpodei'xai. dio; eijpovnta
mh; ajpodei'xai h] ajpodei'xai mh; proeipovnta ajduvnaton: o{ te
ga;r ajpodeiknuvwn ti ajpodeivknusi, kai; oJ prolevgwn e{neka
35 tou' ajpodei'xai prolevgei. touvtwn de; to; me;n provqesiv" ejsti
to; de; pivsti", w{sper a]n ei[ ti" dievloi o{ti to; me;n provblhma
13. LE PARTI DEL DISCORSO 375

hanno successo; bensì dove c’è bisogno soprattutto di


declamazione, vi è in tal caso il minimo di precisione. E
questo succede dove vi è necessità di voce e, soprattutto,
di una voce forte.
L’elocuzione epidittica, poi, è quella più adatta alla
scrittura: il suo compito, infatti, è la lettura; come secon-
da viene quella giudiziaria. Ma il distinguere ulteriormen- 20

te l’elocuzione, spiegando perché deve essere piacevole e


magnifica, è un compito inutile451: perché mai dovrebbe
essere in questo modo piuttosto che accorta o liberale o
secondo una qualche altra virtù del carattere (se vi è)?
Se la virtù dell’elocuzione è stata definita correttamen-
te452, ciò che si è detto ne renderà in modo chiaro la pia-
cevolezza. Altrimenti per quale motivo dovrebbe essere
chiara, non sciatta bensì conveniente? Poiché non vi sarà 25

chiarezza né se si è prolissi né se si taglia corto, ma è evi-


dente che è appropriata la medietà. E le suddette qualità
– linguaggio ordinario ed esotico, ritmo e credibilità che
deriva da ciò che è appropriato – se ben mescolate rende-
ranno la piacevolezza.
Si è dunque trattato dell’elocuzione sia, in genere,
riguardo tutte le tipologie sia, in particolare, riguardo a
ciascun genere. Rimane da trattare della disposizione. 30

13. Le parti del discorso

Le parti del discorso sono due: è infatti necessario espor-


re il fatto di cui si parla e il dimostrarlo. Perciò è impos-
sibile che chi espone non dimostri o che dimostri chi in
precedenza non ha esposto: infatti chi dimostra, dimo-
stra qualcosa, e chi in precedenza espone prende prima 35

la parola al fine di dimostrare. Di queste due parti la pri-


ma è la «proposizione» dell’argomento453, la seconda la
376 RETORICA III, 1414a 37 - 1414b 18

to; de; ajpovdeixi". nu'n de; diairou's i geloivw": dihvghsi" gavr


pou tou' dikanikou' movnou lovgou ejstivn, ejpideiktikou' de; kai;
dhmhgorikou' pw'" ejndevcetai ei\nai dihvghsin oi{an levgousin,
1414b h] ta; pro;" to;n ajntivdikon, h] ejpivlogon tw'n ajpodeiktikw'n…
prooivmion de; kai; ajntiparabolh; kai; ejpavnodo" ejn tai'" dhmh-
gorivai" tovte givnetai o{tan ajntilogiva h\/. kai; ga;r hJ kat-
hgoriva kai; hJ ajpologiva pollavki", ajllΔ oujc hJ sumboulhv: ajllΔ
5 oJ ejpivlogo" e[ti oujde; dikanikou' pantov", oi|on eja;n mikro;" oJ
lovgo" h] to; pra'gma eujmnhmovneuton: sumbaivnei ga;r tou'
mhvkou" ajfairei'sqai. ajnagkai'a a[ra movria provqesi" kai;
pivsti". i[dia me;n ou\n tau'ta, ta; de; plei'sta prooivmion prov-
qesi" pivsti" ejpivlogo": ta; ga;r pro;" to;n ajntivdikon tw'n
10 pivstewvn ejsti, kai; hJ ajntiparabolh; au[xhsi" tw'n aujtou',
w{ste mevro" ti tw'n pivstewn (ajpodeivknusi gavr ti oJ poiw'n
tou'to), ajllΔ ouj to; prooivmion, oujdΔ oJ ejpivlogo", ajllΔ ajna-
mimnhvskei. e[stai ou\n, a[n ti" ta; toiau'ta diairh'/, o{per ejpoiv-
oun oiJ peri; Qeovdwron, dihvghsi" e{teron kai; ªhJº ejpidihvghsi"
15 kai; prodihvghsi", kai; e[legco" kai; ejpexevlegco". dei' de; ei\dov"
ti levgonta kai; diafora'/ o[noma tivqesqai: eij de; mhv, givnetai
keno;n kai; lhrw'de", oi|on Likuvmnio" poiei' ejn th'/ tevcnh/, ejp-
ouvrwsin ojnomavzwn kai; ajpoplavnhsin kai; o[zou".
13. LE PARTI DEL DISCORSO 377

«persuasione», come se si distinguesse da un lato il «pro-


blema» dall’altro la «dimostrazione»454. Ma oggi si fanno
distinzioni in modo ridicolo455: infatti la «narrazione»,
suppongo, sia propria del solo discorso giudiziario, e in-
vece come potrebbe esservi narrazione, come quella di
cui parlano456, di un discorso epidittico e di uno delibe-
rativo, o come potrebbero esservi le «repliche» alla parte 1414b
avversa o un «epilogo» di quelli dimostrativi? «Esordio»,
«comparazione» degli argomenti e «ricapitolazione» nel-
le orazioni deliberative vengono fuori soltanto quando vi
sia un contraddittorio. E infatti spesso vi troviamo ac-
cusa e difesa, ma non la deliberazione. Inoltre l’epilogo 5

non è neppure pertinente ad ogni discorso giudiziario, ad


esempio se il discorso è breve e il caso è facile a ricordar-
si: capita, infatti, che si riduca la lunghezza del discorso.
Parti necessarie, dunque, sono proposizione e persuasio-
ne. Insomma, sono queste le parti appropriate ad ogni
discorso. Nella maggior parte dei casi, invece, troviamo
proemio, proposizione, persuasione ed epilogo: infatti
le repliche all’avversario fanno parte delle persuasioni, 10

il confrontarle, poi, costituisce un’amplificazione del


proprio caso, di conseguenza l’amplificazione è una cer-
ta parte delle persuasioni (infatti chi fa questo dimostra
qualcosa)457, ma non il proemio, né l’epilogo che, invece,
richiamano alla memoria. Se si suddividono queste parti,
la qual cosa facevano i seguaci di Teodoro458, vi sarà dun-
que una narrazione parte seconda, una «postnarrazione»
e una «prenarrazione», inoltre confutazione e «postcon- 15

futazione». Ma quando si parla di una qualche specie, si


deve pure porre il nome con una differenziazione, in caso
contrario, si ha una distinzione vuota e superficiale, come
fa Licimnio nella Tecnica459, quando usa termini come
«improvvisazione», «digressione» e «ramificazioni».
378 RETORICA III, 1414b 19 - 1415a 4

14. To; me;n ou\n prooivmiovn ejstin ajrch; lovgou, o{per ejn
20 poihvsei provlogo" kai; ejn aujlhvsei proauvlion: pavnta ga;r
ajrcai; tau'tΔ eijs iv, kai; oi|on oJdopoivhsi" tw'/ ejpiovnti. to; me;n
ou\n proauvlion o{moion tw'/ tw'n ejpideiktikw'n prooimivw/: kai;
ga;r oiJ aujlhtaiv, o{ ti a]n eu\ e[cwsin aujlh'sai, tou'to pro-
aulhvsante" sunh'yan tw'/ ejndosivmw/, kai; ejn toi'" ejpideikti-
25 koi'" lovgoi" dei' ou{tw" gravfein, o{ ti ªga;rº a]n bouvlhtai eujqu;
eijpovnta ejndou'nai kai; sunavyai, o{per pavnte" poiou's in.
paravdeigma to; th'" ΔIsokravtou" ÔElevnh" prooivmion: oujqe;n
ga;r koino;n uJpavrcei toi'" ejristikoi'" kai; ÔElevnh/. a{ma de; kai;
eja;n ejktopivsh/, aJrmovttei, kai; mh; o{lon to;n lovgon oJmoeidh'
30 ei\nai. levgetai de; ta; tw'n ejpideiktikw'n prooivmia ejx ejpaivnou
h] yovgou (oi|on Gorgiva" me;n ejn tw'/ ΔOlumpikw'/ lovgw/ “uJpo;
pollw'n a[xioi qaumavzesqai, w\ a[ndre" ”Ellhne~”: ejpainei'
ga;r tou;" ta;" panhguvrei" sunavgonta": ΔIsokravth" de; yevgei
o{ti ta;" me;n tw'n swmavtwn ajreta;" dwreai'" ejtivmhsan, toi'"
35 dΔ eu\ fronou's in oujqe;n a\qlon ejpoivhsan), kai; ajpo; sumbou-
lh'" (oi|on o{ti dei' tou;" ajgaqou;" tima'n, dio; kai; aujto;"
ΔAristeivdhn ejpainei', h] tou;" toiouvtou" oi} mhvte eujdokimou's in
mhvte fau'loi, ajllΔ o{soi ajgaqoi; o[nte" a[dhloi, w{sper ΔAlev-
xandro" oJ Priavmou: ou|to" ga;r sumbouleuvei): e[ti dΔ ejk tw'n
1415a dikanikw'n prooimivwn: tou'to dΔ ejsti;n ejk tw'n pro;" to;n ajkro-
athvn, eij peri; paradovxou lovgo" h] peri; calepou' h] peri; teqru-
lhmevnou polloi'", w{ste suggnwvmhn e[cein, oi|on Coirivlo"
nu'n dΔ o{te pavnta devdastai.
14. I PROEMI 379

14. I proemi

Dunque, il «proemio» è l’inizio del discorso, la qual cosa


è il prologo in poesia e il preludio nel flauto: tutti questi 20

sono infatti inizi, e sono come un’introduzione al prosie-


guo dell’opera. Ebbene il preludio è simile al proemio dei
discorsi epidittici; e poiché gli auleti, se sono ben capaci
a suonare un pezzo col flauto, dopo aver eseguito il pre-
ludio si collegano al motivo iniziale, anche nei discorsi
epidittici si deve scrivere allo stesso modo: subito dopo 25

aver detto ciò che si vuole, introdurre il tema e collegarlo,


come fanno tutti. Un esempio è il proemio dell’Elena di
Isocrate460: non vi è infatti nulla in comune tra i discorsi
eristici e l’Elena461. Allo stesso tempo, anche se l’autore fa
una digressione, è appropriato pure che il discorso non
sia interamente uniforme.
I proemi dei discorsi epidittici si pronunciano: 30

1) a partire da lode e biasimo (come Gorgia nel di-


scorso Olimpico «O uomini di Grecia, degni di essere
ammirati da molti…»462: infatti loda chi ha organizzato i
panegirici; mentre Isocrate li biasima in quanto celebra-
rono con doni le virtù fisiche, ma non stabilirono nessun 35

premio per quelli che sanno ragionare correttamente)463;


2) a partire da un consiglio (ad esempio dire che «si de-
vono onorare uomini valenti», perciò lo stesso Isocrate loda
Aristide, o che si devono onorare quelli che né sono uomini
di successo né degli inetti, ma tutte persone che, pur es-
sendo capaci, sono rimaste nell’ombra, come Alessandro,
figlio di Priamo: in tal caso, infatti, si dà un consiglio).
3) Inoltre, si ricavano da quelli giudiziari e cioè da quelli 1415a
rivolti all’ascoltatore, in modo da ottenere indulgenza qua-
lora il discorso riguardi un argomento contrario all’opinio-
ne comune o difficile o comunemente discusso in molti
casi, come Cherilo: «ora che tutto è già stato ripartito…»464.
380 RETORICA III, 1415a 5-31

5 ta; me;n ou\n tw'n ejpideiktikw'n lovgwn prooivmia ejk touv-


twn, ejx ejpaivnou, ejk yovgou, ejk protroph'", ejx ajpotroph'",
ejk tw'n pro;" to;n ajkroathvn: dei' de; h] xevna h] oijkei'a ei\nai
ta; ejndovs ima tw'/ lovgw/. ta; de; tou' dikanikou' prooivmia dei'
labei'n o{ti taujto; duvnatai o{per tw'n dramavtwn oiJ provlogoi
10 kai; tw'n ejpw'n ta; prooivmia: ta; me;n ga;r tw'n diquravmbwn
o{moia toi'" ejpideiktikoi'": “dia; se; kai; tea; dw'ra ei[te sku'la”.
ejn de; prolovgoi" kai; e[pesi dei'gmav ejstin tou' lovgou, i{na
proeidw's i peri; ou| ªh\/º oJ lovgo" kai; mh; krevmhtai hJ diavnoia:
to; ga;r ajovriston plana'/: oJ dou;" ou\n w{sper eij" th;n cei'ra
15 th;n ajrch;n poiei' ejcovmenon ajkolouqei'n tw'/ lovgw/. dia; tou'to
“mh'nin a[eide, qeav”. “a[ndra moi e[nnepe, mou'sa.”
“h{geov moi lovgon a[llon, o{pw" ΔAsiva" ajpo; gaivh"
h\lqen ej" Eujrwvphn povlemo" mevga".”
kai; oiJ tragikoi; dhlou's i peri; ãou|Ã to; dra'ma, ka]n mh; eujqu;"
20 w{sper Eujripivdh" ejn tw'/ prolovgw/, ajllav pouv ge, w{sper ªkai;º
Sofoklh'"“ejmoi; path;r h\n Povlubo~”.
kai; hJ kwmw/diva wJsauvtw". to; me;n ou\n ajnagkaiovtaton e[rgon
tou' prooimivou kai; i[dion tou'to, dhlw'sai tiv ejstin to; tevlo"
ou| e{neka oJ lovgo" (diovper a]n dh'lon h\/ kai; mikro;n to; pra'gma,
25 ouj crhstevon prooimivw/): ta; de; a[lla ei[dh oi|" crw'ntai, ija-
treuvmata kai; koinav. levgetai de; tau'ta e[k te tou' levgonto"
kai; tou' ajkroatou' kai; tou' pravgmato" kai; tou' ejnantivou
peri; aujtou' me;n kai; tou' ajntidivkou oi|av per diabolh;n
lu'sai kai; poih'sai (e[stin de; oujc oJmoivw": ajpologoumevnw/ me;n
30 ga;r prw'ton ta; pro;" diabolhvn, kathgorou'nti dΔ ejn tw'/ ejpi-
lovgw/: diΔ o} dev, oujk a[dhlon: to;n me;n ga;r ajpologouvmenon,
14. I PROEMI 381

I proemi dei discorsi epidittici si traggono, dunque, 5

da tali cose: dalla lode, dal biasimo, da esortazione e da


dissuasione, da quelle cose che si rivolgono all’ascolta-
tore, mentre i motivi iniziali devono essere o estranei o
appropriati al discorso. Si deve considerare che i proemi
dei discorsi giudiziari hanno lo stesso effetto dei prolo-
ghi dei drammi e dei proemi delle composizioni epiche, 10

mentre quelli ditirambici lo hanno simile ai proemi dei


discorsi epidittici: «per te e i tuoi doni o le tue spoglie»465.
Nei prologhi466 e nei proemi epici vi è un abbozzo del
discorso, affinché si preveda ciò su cui verte il racconto
e il pensiero non resti sospeso: infatti ciò che è indefini-
to fa smarrire chi ascolta; chi dunque mette l’esordio a
portata di mano dell’ascoltatore, pone in condizione di 15

seguire il discorso. Per questo si dice: «Cantami, o dea,


l’ira…», «Narrami, o Musa, l’uomo…»467; «Portami in
un’altra storia, come dalla terra d’Asia giunse in Europa
una grande guerra»468.
Anche i tragici mostrano su quale argomento verte 20

il dramma, e anche se non subito, come fa Euripide nel


prologo, tuttavia almeno da qualche parte lo mostrano,
come del resto fa Sofocle «Mi era padre Polibo…»469.
E la commedia fa allo stesso modo. Dunque compi-
to specifico e soprattutto necessario del proemio è quello
di mostrare lo scopo a cui mira il discorso (per questo se
il contenuto è chiaro e breve, non si utilizza il proemio); 25

invece le altre specie di proemio cui si fa ricorso sono ri-


medi470 e sono comuni ai tre generi di retorica. Queste
si traggono dall’oratore, dall’ascoltatore, dal fatto in que-
stione, dall’avversario e, per quanto concerne fatti e parte
avversa, riguardano il modo in cui demolire o costruire
una calunnia (le due cose non si svolgono però alla stessa
maniera: da parte di chi difende, infatti, si dice prima ciò 30

che concerne la calunnia, da parte di chi accusa invece la


382 RETORICA III, 1415a 32 - b 14

o{tan mevllh/ eijsavxein auJtovn, ajnagkai'on ajnelei'n ta; kwluvonta,


w{ste lutevon prw'ton th;n diabolhvn: tw'/ de; diabavllonti ejn
tw'/ ejpilovgw/ diablhtevon, i{na mnhmoneuvswsi ma'llon). ta; de;
35 pro;" to;n ajkroath;n e[k te tou' eu[noun poih'sai kai; ejk tou'
ojrgivsai, kai; ejnivote to; prosektiko;n h] toujnantivon: ouj ga;r
ajei; sumfevrei poiei'n prosektikovn, dio; polloi; eij" gevlwta
peirw'ntai proavgein. eij" de; eujmavqeian a{panta ajnavxei, ejavn
ti" bouvlhtai, kai; to; ejpieikh' faivnesqai: prosevcousi ga;r
1415b ma'llon touvtoi". prosektikoi; de; toi'" megavloi", toi'" ijdivoi",
toi'" qaumastoi'", toi'" hJdevs in: dio; dei' ejmpoiei'n wJ" peri;
toiouvtwn oJ lovgo": eja;n de; mh; prosektikouv", o{ti mikrovn,
o{ti oujde;n pro;" ejkeivnou", o{ti luphrovn. dei' de; mh; lan-
5 qavnein o{ti pavnta e[xw tou' lovgou ta; toiau'ta: pro;" fau'-
lon ga;r ajkroath;n kai; ta; e[xw tou' pravgmato" ajkouvonta:
ejpei; a]n mh; toiou'to" h\/, oujqe;n dei' prooimivou, ajllΔ h]
o{son to; pra'gma eijpei'n kefalaiwdw'", i{na e[ch/ w{sper sw'ma
kefalhvn. e[ti to; prosektikou;" poiei'n pavntwn tw'n merw'n
10 koinovn, eja;n devh/: pantacou' ga;r ajnia's i ma'llon h] ajrcovme-
noi: dio; geloi'on ejn ajrch'/ tavttein, o{te mavlista pavnte" pro"-
evconte" ajkrow'ntai: w{ste o{pou a]n h\/ kairov", lektevon “kaiv
moi prosevcete to;n nou'n: oujqe;n ga;r ma'llon ejmo;n h] uJmev-
teron”, kai; “ejrw' ga;r uJmi'n oi|on oujdepwvpote ajkhkovate deino;n h]
14. I PROEMI 383

si dice in epilogo. Il motivo non è un segreto: perché a chi


si difende, quando sta per presentare se stesso, occorre
sbarazzarsi di ciò che lo intralcia, per cui deve innanzi-
tutto dissipare il sospetto, invece, a chi calunnia occorre
esporre nell’epilogo perché rimanga più impresso nella
memoria). Le cose che si dicono a chi ascolta derivano sia 35

dal renderlo benevolo che dal provocarne l’ira e, a volte,


dal suscitarne attenzione o dal provocarne la condizione
opposta: infatti non sempre è utile tener desta l’attenzio-
ne dell’ascoltatore, perciò molti oratori cercano di su-
scitarne l’ilarità. Volendo, tutto condurrà a un facile ap-
prendimento e a mostrarsi equi: a oratori di questo tipo,
infatti, si presta maggiormente attenzione. E si è portati 1415b
a prestare attenzione per le grandi questioni, per quelle
personali, per quelle che suscitano meraviglia, per quelle
piacevoli. Occorre perciò fare in modo che il discorso
verta su argomenti del genere. Se invece non si vogliono
rendere attenti gli ascoltatori, si dica che la questione è di
scarsa importanza, che non vi è nulla che li riguardi, che è
spiacevole. Non si deve però nascondere che tutte le cose 5

di questo genere sono estranee al discorso: infatti si rivol-


gono a un cattivo uditore, cioè a uno che presta ascolto
a cose estranee al fatto, perché se non fosse questo tipo
di ascoltatore, non vi sarebbe bisogno di alcun proemio,
bensì di quanto basti per esporre l’argomento per sommi
capi, affinché un discorso, come un corpo, abbia una te-
sta471. Ancora, suscitare attenzione, se ve ne è necessità,
è comune a tutte le parti del discorso: in qualunque sua 10

parte, infatti, l’attenzione scema più di quando comincia-


no ad ascoltare. Perciò è ridicolo gestirla nel momento
iniziale, quando tutti ascoltano con la massima attenzio-
ne; di conseguenza, al momento opportuno, si deve dire:
«e state attenti: poiché il problema non è affatto più mio
che vostro», e «dirò a voi – ad esempio – qualcosa di
384 RETORICA III, 1415b 15 - 1416a 1

15 ou{tw qaumastovn”. tou'to dΔ ejstivn, w{sper e[fh Provdiko", o{te


nustavzoien oiJ ajkroataiv, parembavllein ãtià th'" penthkonta-
dravcmou aujtoi'". o{ti de; pro;" to;n ajkroath;n oujc h|/per ªoJº
ajkroathv", dh'lon: pavnte" ga;r h] diabavllousin h] fovbou"
ajpoluvontai ejn toi'" prooimivoi":
20 a[nax, ejrw' me;n oujc o{pw" spoudh'" u{po,
tiv froimiavzh/…,
kai; oiJ ponhro;n to; pra'gma e[conte" h] dokou'nte": pantacou'
ga;r bevltion diatrivbein h] ejn tw'/ pravgmati, dio; oiJ dou'loi ouj
ta; ejrwtwvmena levgousin ajlla; ta; kuvklw/, kai; prooimiavzontai.
25 povqen dΔ eu[nou" dei' poiei'n, ei[rhtai, kai; tw'n a[llwn e{kaston
tw'n toiouvtwn. ejpei; dΔ eu\ levgetai
dov" mΔ ej" Faivhka" ILvlon ejlqei'n hjdΔ ejleeinovn,
touvtwn dei' duvo stocavzesqai. ejn de; toi'" ejpideiktikoi'"
oi[esqai dei' poiei'n sunepainei'sqai to;n ajkroathvn, h] aujto;n
30 h] gevno" h] ejpithdeuvmatΔ aujtou' h] a[llw" gev pw": o} ga;r
levgei Swkravth" ejn tw'/ ejpitaILvw/, ajlhqev", o{ti ouj calepo;n
ΔAqhnaivou" ejn ΔAqhnaivoi" ejpainei'n, ajllΔ ejn Lakedaimonivoi".
ta; de; tou' dhmhgorikou' ejk tw'n tou' dikanikou' lovgou
ejstivn, fuvsei de; h{kista e[cei: kai; ga;r kai; peri; ou| i[sasin,
35 kai; oujde;n dei'tai to; pra'gma prooimivou, ajllΔ h] diΔ aujto;n
h] tou;" ajntilevgonta", h] eja;n mh; hJlivkon bouvlei uJpolambav-
nwsin, ajllΔ h] mei'zon h] e[latton, dio; h] diabavllein h] ajpo-
luvesqai ajnavgkh, kai; h] aujxh'sai h] meiw'sai. touvtwn de;
e{neka prooimivou dei'tai, h] kovsmou cavrin, wJ" aujtokavbdala
1416a faivnetai eja;n mh; e[ch/. toiou'ton ga;r to; Gorgivou ejgkwvmion
14. I PROEMI 385

terribile oppure di così straordinario quale mai avete udi- 15

to». E questo, come disse Prodico, significa «inserire un


assaggio di lezione da 50 dracme quando gli ascoltatori
potrebbero sonnecchiare»472. Che poi non ci si rivolga
all’ascoltatore in quanto semplice uditore è ovvio: infat-
ti nei proemi tutti o insinuano sospetti o fugano timori:
«Signore, parlerò non come chi per fretta…»473 «Perché 20

questo preambolo?»474
Anche coloro che capiscono o pensano che il fatto sia
increscioso si intrattengono coi proemi: infatti è meglio
attardarsi su qualsiasi altro punto che su quello in que-
stione. Per questo gli schiavi non dicono le cose su cui
sono interrogati, ma gli girano intorno, e indugiano in
preamboli.
Da dove si devono rendere benevoli gli ascoltatori si 25

è detto, e si è parlato di ciascuna delle altre condizioni


del genere. E poiché è ben detto che: «…concedimi di
giungere amico dai Feaci e che ispiri pietà»475, si deve mi-
rare a queste due cose. Nei proemi epidittici bisogna far
credere all’ascoltatore di essere lui stesso parte dell’elo-
gio, oppure che lo è la sua stirpe o i suoi modi di vivere o 30

comunque di farne parte in un modo o nell’altro: infatti è


vero ciò che dice Socrate nell’epitafio, che «non è difficile
lodare gli Ateniesi tra gli Ateniesi, ma tra gli Spartani»476.
I proemi dell’orazione deliberativa si traggono dall’ar-
gomentazione giudiziaria, ma per natura ve ne stanno po-
chissimi, anche perché riguardano cose che si conoscono
e la questione non ha bisogno di un proemio se non a 35

motivo dell’oratore o del suo avversario o se presumo-


no che il fatto in consiglio non abbia il rilievo dovuto,
ma sia d’importanza maggiore o minore, ragione per la
quale è necessario o creare il sospetto o fugarlo, ossia o
amplificare o sminuire il fatto. Per questi motivi, oppu-
re per ornamento, occorre un proemio, perché se non 1416a
386 RETORICA III, 1416a 2-20

eij" ΔHleivou": oujde;n ga;r proexagkwnivsa" oujde; proana-


kinhvsa" eujqu;" a[rcetai “«Hli", povli" eujdaivmwn”.

15. Peri; de; diabolh'" e}n me;n to; ejx w|n a[n ti" uJpovlhyin
5 duscerh' ajpoluvsaito (oujqe;n ga;r diafevrei ei[te eijpovnto"
tino;" ei[te mhv, w{ste tou'to kaqovlou): a[llo" tovpo" w{ste pro;"
ta; ajmILsbhtouvmena ajpanta'n, h] wJ" oujk e[stin, h] wJ" ouj
blabero;n h] ouj touvtw/, h] wJ" ouj thlikou'ton, h] oujk a[dikon
h] ouj mevga, h] oujk aijscro;n h] oujk e[con mevgeqo": peri; ga;r
10 toiouvtwn hJ ajmILsbhvthsi", w{sper ΔIILkravth" pro;" Nausi-
kravthn: e[fh ga;r poih'sai o} e[legen kai; blavyai, ajllΔ oujk
ajdikei'n. h] ajntikatallavttesqai ajdikou'nta, eij blaberovn, ajllΔ
ou\n kalovn, eij luphrovn, ajllΔ wjfevlimon, h[ ti a[llo toiou'-
ton. a[llo" tovpo" wJ" ejsti;n aJmavrthma h] ajtuvchma h]
15 ajnagkai'on, oi|on Sofoklh'" e[fh trevmein oujc wJ" oJ diabavl-
lwn e[fh, i{na dokh'/ gevrwn, ajllΔ ejx ajnavgkh": ouj ga;r eJkovnti
ei\nai auJtw'/ e[th ojgdohvkonta. kai; ajntikatallavttesqai to;
ou| e{neka, o{ti ouj blavyai ejbouvleto ajlla; tovde, kai; ouj tou'to
o} diebavlleto poih'sai, sunevbh de; blabh'nai: “divkaion de;
20 misei'n, eij o{pw" tou'to gevnhtai ejpoivoun.” a[llo", eij
15. LA CALUNNIA 387

vi fosse il discorso sembrerebbe improvvisato. Tale è, in-


fatti, l’encomio di Gorgia agli Elei, perché senza alcuna
preparazione477 e alcun preambolo subito attacca «Elis,
città felice»478.

15. La calunnia

Per quanto riguarda la «calunnia», un luogo si trae da


argomenti in virtù dei quali si può smontare una presup- 5

posizione diffamatoria (non vi è alcuna differenza se vi


sia chi la affermi o no, ne consegue che questo luogo vale
in generale).
Un altro luogo per affrontare i punti contestati consiste
nel dire che il fatto non sussiste, o che non è dannoso, o
che non lo è per quest’uomo, o che non è di tale rilevanza,
o che non è ingiusto, o grave, o turpe, o non importan-
te: infatti la controversia riguarda cose di questo genere; 10

come fece Ificrate con Nausicrate, dal momento che am-


mise di aver commesso ciò che questi affermava e di aver
procurato dei danni, ma senza compiere ingiustizia479. Op-
pure chi fa ingiustizia deve presentare un contraccambio:
se un’azione è dannosa, se non altro è bella, se dolorosa, è
però vantaggiosa o qualche altra cosa del genere.
Un altro luogo consiste nel dire che si è trattato di
un errore, di un incidente o di un evento inevitabile; ad 15

esempio: Sofocle disse di tremare, non come affermava


l’accusatore per apparire vecchio, ma per necessità: non
aveva infatti ottant’anni per sua volontà480. E il movente
si può ribaltare dicendo che non si voleva fare del danno,
ma quest’altra cosa, e che non si voleva commettere ciò
di cui lo si accusa, ma che il danno è sfortunamente suc-
cesso: «mentre sarebbe giusto odiarmi, se avessi fatto in 20

modo da provocare una cosa del genere».


388 RETORICA III, 1416a 21 - b 5

ejmperieivlhptai oJ diabavllwn, h] nu'n h] provteron, h] aujto;"


h] tw'n ejgguv" ti". a[llo", eij a[lloi ejmperilambavnontai ou}"
oJmologou's in mh; ejnovcou" ei\nai th'/ diabolh',/ oi|on eij, o{ti kaqavrio",
oJ ãdei'naà moicov", kai; oJ dei'na a[ra. a[llo", eij a[llou"
25 dievbalen h] a[llo" ãh]Ã aujtov", h] a[neu diabolh'" uJpelambavnonto
w{sper aujto;" nu'n, oi} pefhvnasin oujk e[nocoi. a[llo" ejk
tou' ajntidiabavllein to;n diabavllonta: a[topon ga;r eij o}"
aujto;" a[pisto", oiJ touvtou lovgoi e[sontai pistoiv. a[llo",
eij gevgonen krivs i", w{sper Eujripivdh" pro;" ÔUgiaivnonta ejn
30 th'/ ajntidovsei kathgorou'nta wJ" ajsebhv", o{" gΔ ejpoivhse keleuvwn
ejpiorkei'n,
hJ glw'ssΔ ojmwvmocΔ, hJ de; frh;n ajnwvmoto".
e[fh ga;r aujto;n ajdikei'n ta;" ejk tou' Dionusiakou' ajgw'no"
krivsei" eij" ta; dikasthvria a[gonta: ejkei' ga;r aujtw'n dedw-
35 kevnai lovgon, h] dwvsein eij bouvletai kathgorei'n. a[llo"
ejk tou' diabolh'" kathgorei'n, hJlivkon, kai; tou'to, o{ti a[lla"
krivsei" poiei', kai; o{ti ouj pisteuvei tw'/ pravgmati.
koino;"
1416b dΔ ajmfoi'n ªoJº tovpo" to; suvmbola levgein, oi|on ejn tw'/ Teuvkrw/
oJ ΔOdusseu;" o{ti oijkei'o" tw'/ Priavmw/: hJ ga;r ÔHsiovnh ajdelfhv:
oJ de; o{ti oJ path;r ejcqro;" tw'/ Priavmw/, oJ Telamwvn, kai;
o{ti ouj katei'pe tw'n kataskovpwn. a[llo" tw'/ diabavllonti,
5 to; ejpainou'nta mikro;n makrw'" yevxai mevga suntovmw", h]
15. LA CALUNNIA 389

Un altro luogo si ha se chi accusa è, in questo momen-


to o in precedenza, coinvolto nella medesima accusa o lo
è uno di quelli a lui vicini.
Un altro luogo si ha se si coinvolgono altre persone
che, per unanime consenso non sono passibili di sospet-
to, ad esempio: se il tale è un adultero per il solo fatto di
essere elegante, lo è quindi anche il tal dei tali.
Un altro, se un’altra persona o lo stesso accusatore 25

hanno già accusato altri individui, o se, senza un’accusa


furono sospettate, come adesso lo è l’accusato, persone
che si rivelarono chiaramente non colpevoli.
Un altro si trae dal muovere una contraccusa a chi ca-
lunnia: è infatti assurdo se risultassero credibili i discorsi
di chi è esso stesso privo di credibilità.
Un altro: qualora sia già stato emesso un giudizio,
come disse Euripide a Igiemonte che lo cita in giudizio 30

come empio in materia di scambio481, perché aveva fatto


dei versi sollecitando lo spergiuro: «la lingua giurò, ma
l’animo non era legato a giuramento»482. Infatti, disse Eu-
ripide che l’accusatore commetteva ingiustizia nel por-
tare in tribunale i giudizi tratti dalla gara dionisiaca, dal
momento che là aveva già reso conto di tali parole, o lo 35

avrebbe reso se Igienonte voleva accusarlo483.


Un altro si trae dal denunciare la calunnia, col dire
che è cosa molto grave, e questo perché altera i giudizi e
non presta fede al fatto.
Comune ad entrambi, accusatore e accusato, è il luogo 1416b
che consiste nel parlare di segni, ad esempio nel Teucro
Odisseo accusa Teucro di essere parente di Priamo per-
ché Esione era sua sorella484, ma Teucro rispose che suo
padre Telamone era nemico di Priamo, e che non aveva
tradito le spie485.
Un altro, valido per chi calunnia, consiste nel biasima- 5

re in modo conciso le cose importanti dopo aver lodato a


390 RETORICA III, 1416b 6-26

polla; ajgaqa; proqevnta, o} eij" to; pra'gma profevrei e}n


yevxai. toiou'toi de; oiJ tecnikwvtatoi kai; ajdikwvtatoi: toi'" ajga-
qoi'" ga;r blavptein peirw'ntai, mignuvnte" aujta; tw'/ kakw'/.
koino;n de; tw'/ diabavllonti kai; tw'/ ajpoluomevnw/, ejpeidh;
10 to; aujto; ejndevcetai pleiovnwn e{neka pracqh'nai, tw'/ me;n dia-
bavllonti kakohqistevon ejpi; to; cei'ron ejklambavnonti, tw'/ de;
ajpoluomevnw/ ejpi; to; bevltion, oi|on o{ti oJ Diomhvdh" to;n ΔOdu"-
seva proeivleto, tw'/ me;n o{ti dia; to; a[riston uJpolambavnein
to;n ΔOdusseva, tw'/ dΔ o{ti ou{, ajlla; dia; to; movnon mh; ajnt-
15 agwnistei'n wJ" fau'lon.

16. Kai; peri; me;n diabolh'" eijrhvsqw tosau'ta, dihvghsi" dΔ


ejn me;n toi'" ejpideiktikoi'" ejstin oujk ejfexh'" ajlla; kata; mevro":
dei' me;n ga;r ta;" pravxei" dielqei'n ejx w|n oJ lovgo": suvgkeitai
ga;r e[cwn oJ lovgo" to; me;n a[tecnon (oujqe;n ga;r ai[tio" oJ levgwn
20 tw'n pravxewn), to; dΔ ejk th'" tevcnh": tou'to dΔ ejsti;n h] o{ti
e[sti dei'xai, eja;n h\/ a[piston, h] o{ti poiovn, h] o{ti posovn, h]
kai; a{panta. dia; de; tou'tΔ ejnivote oujk ejfexh'" dei' dihgei'sqai
pavnta, o{ti dusmnhmovneuton to; deiknuvnai ou{tw": ejk me;n
ou\n touvtwn ajndrei'o", ejk de; tw'nde sofo;" h] divkaio". kai;
25 aJplouvstero" oJ lovgo" ou|to", ejkei'no" de; poikivlo" kai; ouj
litov". dei' de; ta;" me;n gnwrivmou" ajnamimnhvskein: dio; oiJ
16. LA NARRAZIONE 391

lungo un’inezia, o, dopo aver premesso molte cose buo-


ne, nel biasimare la sola che è importante in relazione al
fatto. Di questo genere sono gli oratori più competenti
e più ingiusti, perché tentano di danneggiare con cose
buone rimestandole al male. Un altro luogo è comune a
chi calunnia e a chi difende. Siccome è possibile che una 10

stessa azione sia stata compiuta per diversi motivi, si deve


porre, per chi accusa, una ricostruzione maliziosa colta
nel suo lato peggiore, mentre per chi difende, una posi-
tiva colta nel suo lato migliore; ad esempio, per un verso
si può dire che Diomede scelse Odisseo perché lo consi-
derava il migliore, per un altro che non è così, ma perché
era l’unico a non poter competere con lui dal momento 15

che era uomo di scarso valore486.

16. La narrazione

E sulla calunnia basti quanto s’è detto. La «narrazione»


nei discorsi epidittici non è «continua», ma «ripartita»:
infatti bisogna procedere elencando le azioni dalle quali
è costituito il discorso. Il discorso si compone di una
parte non tecnica (dal momento che l’oratore non è in
alcun modo causa delle questioni trattate), e di un’altra 20

che deriva dalla tecnica e che consiste nel dimostrare o


che il fatto sussiste (se non è credibile), o che è di una
certa qualità, o di una certa quantità o tutte queste cose
insieme. Per questo, talvolta, non bisogna narrare tutto
in maniera continua, dal momento che un’esposizione
di questo tipo è difficile da ricordare. Da azioni del ge-
nere perciò si fa vedere chi è coraggioso, da altre chi è
saggio o chi è giusto. Ed è più semplice un discorso di 25

questo tipo, mentre quell’altro487 è intricato e non linea-


re. Delle azioni famose bisogna fare solo una menzione,
392 RETORICA III, 1416b 27 - 1417a 12

polloi; oujde;n devontai dihghvsew", oi|on eij qevlei" ΔAcilleva


ejpainei'n (i[sasi ga;r pavnte" ta;" pravxei~), ajlla; crh'sqai auj-
tai'" dei'. eja;n de; Kritivan, dei': ouj ga;r polloi; i[sasin ....
30 nu'n de; geloivw" th;n dihvghsivn fasi dei'n ei\nai tacei'an.
kaivtoi w{sper ªoJº tw'/ mavttonti ejromevnw/ povteron sklhra;n h]
malakh;n mavxh/ “tiv dΔ”, e[fh ãti~Ã, “eu\ ajduvnaton…”, kai; ejntau'qa
oJmoivw": dei' ga;r mh; makrw'" dihgei'sqai w{sper oujde; pro-
oimiavzesqai makrw'", oujde; ta;" pivstei" levgein. oujde; ga;r ejn-
35 tau'qav ejsti to; eu\ ªh]º to; tacu; h] to; suntovmw", ajlla; to; me-
trivw": tou'to dΔ ejsti; to; levgein o{sa dhlwvsei to; pra'gma,
1417a h] o{sa poihvsei uJpolabei'n gegonevnai h] beblafevnai h] hjdi-
khkevnai, h] thlikau'ta hJlivka bouvlei, tw'/ de; ejnantivw/ ta;
ejnantiva: paradihgei'sqai de; o{sa eij" th;n sh;n ajreth;n fevrei
(oi|on “ejgw; dΔ ejnouqevtoun, ajei; ta; divkaia levgwn, mh; ta; tevkna
5 ejgkataleivpein”), h] qatevrou kakivan: “oJ de; ajpekrivnatov moi o{ti,
ou| a]n h\/ aujtov", e[stai a[lla paidiva”, o} tou;" ajILstamevnou"
Aijguptivou" ajpokrivnasqaiv fhsin oJ ÔHrovdoto": h] o{sa hJdeva
toi'" dikastai'". ajpologoumevnw/ de; ejlavttwn hJ dihvghsi": aiJ
ga;r ajmILsbhthvsei" h] mh; gegonevnai h] mh; blabero;n ei\nai h]
10 mh; a[dikon h] mh; thlikou'ton, w{ste peri; to; oJmologouvmenon
ouj diatriptevon, eja;n mhv ti eij" ejkei'no sunteivnh/, oi|on eij pev-
praktai, ajllΔ oujk a[dikon. e[ti pepragmevna dei' levgein o{sa
16. LA NARRAZIONE 393

per tale motivo la maggior parte dei discorsi epidittici


non ha affatto bisogno del racconto, ad esempio, se si
vuole lodare Achille: tutti infatti ne conoscono le azioni;
tuttavia è necessario ricorrere ad esse. Se invece si par-
la di Crizia, la narrazione è necessaria, infatti non tutti
sanno…488
Oggi in modo ridicolo si afferma che la narrazione 30

deve essere veloce489. Eppure anche questo caso è simile


a come il tale rispose al fornaio che domandava se volesse
un impasto duro o molle «perché – disse – giusto non è
possibile?», dal momento che non ci si deve dilungare
nella narrazione, come non lo si deve nel proemio né nel
pronunciare argomentazioni. Infatti, in quest’ambito il
bene non è nel parlare veloce o in modo conciso, ma in 35

modo misurato, e questo consiste nel dire tutto quello


che illustrerà il fatto, o tutto quello che farà ritenere che 1417a
si sia verificato o che abbia arrecato danno o compiuto
ingiustizia, o che le cose abbiano la rilevanza voluta. In-
vece per la parte avversa consiste nell’illustrare le cose
contrarie: narrare incidentalmente tutto quello che por-
ta alla tua virtù (ad esempio «Io gli consigliavo, dicendo
sempre le cose giuste, di non abbandonare i figli») o la 5

cattiveria dell’altro («e lui mi rispondeva che, ovunque


fosse, avrebbe avuto altri figli», il che è ciò che risposero
gli Egiziani quando si ribellarono, secondo quanto rife-
risce Erodoto490), oppure tutte le cose gradite ai giudici.
Per chi si difende, invece, la narrazione è più breve:
infatti le discussioni considerano il fatto o non accadu-
to o non dannoso o non ingiusto o non così rilevante, 10

di conseguenza non si deve perdere tempo su ciò su cui


si è d’accordo, a meno che qualcosa non tenda a questo
scopo, ad esempio se si è commesso un certo fatto, ma
mostrando che non è ingiusto. Inoltre bisogna esporre
tutte quelle cose che sono state realizzate e che non susci-
394 RETORICA III, 1417a 13-36

mh; prattovmena h] oi\kton h] deivnwsin fevrei: paravdeigma oJ


ΔAlkivnou ajpovlogo", o}" pro;" th;n Phnelovphn ejn eJxhvkonta
15 e[pesin pepoivhtai, kai; wJ" Favu>llo" to;n kuvklon, kai; oJ ejn tw'/
Oijnei' provlogo". hjqikh;n de; crh; th;n dihvghsin ei\nai: e[stai de;
tou'to, a]n eijdw'men tiv h\qo" poiei'. e}n me;n dh; to; proaivre-
sin dhlou'n, poio;n de; to; h\qo" tw'/ poia;n tauvthn, hJ de; pro-
aivresi" poia; tw'/ tevlei: dia; tou'to ãdΔÃ oujk e[cousin oiJ maqhma-
20 tikoi; lovgoi h[qh, o{ti oujde; proaivresin (to; ga;r ou| e{neka
oujk e[cousin), ajllΔ oiJ Swkratikoiv: peri; toiouvtwn ga;r lev-
gousin. a[lla dΔ hjqika; ta; eJpovmena eJkavstw/ h[qei, oi|on o{ti
a{ma levgwn ejbavdizen: dhloi' ga;r qrasuvthta kai; ajgroikivan
h[qou". kai; mh; wJ" ajpo; dianoiva" levgein, w{sper oiJ nu'n,
25 ajllΔ wJ" ajpo; proairevsew": “ejgw; de; ejboulovmhn: kai; proeilov-
mhn ga;r tou'to: ajllΔ eij mh; wjnhvmhn, bevltion”: to; me;n ga;r
fronivmou to; de; ajgaqou': fronivmou me;n ga;r ejn tw'/ to; wjfev-
limon diwvkein, ajgaqou' dΔ ejn tw'/ to; kalovn. a]n dΔ a[piston h\/,
tovte th;n aijtivan ejpilevgein, w{sper Sofoklh'" poiei': paravdeigma
30 to; ejk th'" ΔAntigovnh", o{ti ma'llon tou' ajdelfou' ejkhvdeto h]
ajndro;" h] tevknwn: ta; me;n ga;r a]n genevsqai ajpolomevnwn,
mhtro;" dΔ ejn ”Aidou kai; patro;" bebhkovtwn
oujk e[stΔ ajdelfo;" o{" ti" a]n blavstoi potev.
eja;n de; mh; e[ch/" aijtivan, ajllΔ o{ti oujk ajgnoei'" a[pista lev-
35 gwn, ajlla; fuvsei toiou'to" ei\: ajpistou's i ga;r a[llo ti
pravttein eJkovnta plh;n to; sumfevron. e[ti ejk tw'n paqhti-
16. LA NARRAZIONE 395

tano, mentre vengono raccontate, o pietà o indignazione.


Un esempio è l’apologo di Alcinoo, che è stato composto
per Penelope in sessanta versi491, e il modo in cui Faillo 15

espose il ciclo e il prologo nell’Eneo492. È necessario che


la narrazione sia portata ad esprimere carattere: e que-
sto si verificherà se sapremo che cosa crea un carattere.
Allora, un elemento consiste nel mettere in luce il pro-
posito morale, e il carattere è di qualità corrispondente
al proposito che ha la stessa qualità, mentre il proposito
è di una certa qualità per lo scopo. Per questo i discorsi
matematici non hanno carattere, in quanto non vi è pro- 20

posito morale (poiché non hanno il fine) invece lo hanno


i dialoghi socratici: infatti parlano di argomenti di questo
genere. Altre cose che esprimono carattere sono quelle
conseguenti al singolo carattere, ad esempio dire che
«parlando allo stesso tempo camminava», perché mostra
impudenza e rozzezza di carattere. E non parlare sulla
base di un calcolo come fanno gli oratori di questi tempi,
bensì di un proposito, «io volevo: e infatti avevo scelto 25

così; ma se non ne traessi profitto, sarebbe meglio»; il


primo, infatti è proprio del saggio, il secondo, dell’uomo
di valore, perché è ambito del saggio perseguire l’interes-
se, della persona per bene perseguire il bello. Se il fatto
non è credibile, allora se ne deve parlare aggiungendo la
causa, come fa Sofocle; l’esempio è quello tratto dall’An- 30

tigone, dove si racconta che questa si preoccupava più


del fratello che del marito o dei figli: di costoro, infatti, se
fossero morti ne avrebbe potuto avere degli altri, «men-
tre con madre e padre discesi nell’Ade, / non vi è fratello
che qualcuno possa far nascere»493. Se invece non si abbia
la causa, almeno si dica che non si ignora il fatto che si 35

parli di cose non credibili, ma che sono tali per natura:


infatti non si crede che si faccia volontariamente qualcosa
di insolito a meno che non sia utile.
396 RETORICA III, 1417a 37 - b 20

kw'n levge dihgouvmeno" kai; ta; eJpovmena ªkai;º a} i[sasi, kai;


ta; i[dia h] seautw'/ h] ejkeivnw/ prosovnta: “oJ dΔ w[/cetov me uJpo-
1417b blevya~”. kai; wJ" peri; Kratuvlou Aijscivnh", o{ti diasivzwn,
toi'n ceiroi'n diaseivwn: piqana; gavr, diovti suvmbola givgnetai
tau'ta a} i[sasin ejkeivnwn w|n oujk i[sasin. plei'sta de; toiau'ta
labei'n ejx ÔOmhvrou e[stin:
5 w|" a[rΔ e[fh, grh'u" de; katevsceto cersi; provswpa:
oiJ ga;r dakruvein ajrcovmenoi ejpilambavnontai tw'n ojfqalmw'n.
kai; eujqu;" ei[sage kai; seauto;n poiovn tina, i{na wJ" toiou'-
ton qewrw's in, kai; to;n ajntivdikon: lanqavnwn de; poivei. o{ti
de; rJav/dion, o{ra ejk tw'n ajpaggellovntwn: peri; w|n ga;r mh-
10 qe;n i[smen, o{mw" lambavnomen uJpovlhyin tinav. pollacou' de;
dei' dihgei'sqai, kai; ejnivote oujk ejn ajrch'/.
ejn de; dhmhgoriva/ h{kista dihvghsi" e[stin, o{ti peri; tw'n
mellovntwn oujqei;" dihgei'tai: ajllΔ ejavn per dihvghsi" h\/, tw'n
genomevnwn e[stw, i{na ajnamnhsqevnte" ejkeivnwn bevltion bou-
15 leuvswntai peri; tw'n u{steron, h] diabavllonto" h] ejpainou'n-
to": ajlla; Êtovte oujÊ to; tou' sumbouvlou poiei' e[rgon. a]n dΔ h\/
a[piston, uJpiscnei'sqai dei' kai; aijtivan levgein eujqu;" kai; dia-
tavttein wJ" bouvlontai, oi|on hJ ΔIokavsth hJ Karkivnou ejn tw'/
Oijdivpodi ajei; uJpiscnei'tai punqanomevnou tou' zhtou'nto" to;n
20 uiJovn, kai; oJ Ai{mwn oJ Sofoklevou".
16. LA NARRAZIONE 397

Ancora, parla narrando basandoti su ciò che suscita


emozioni, e mostra le conseguenze di ciò che gli uditori
conoscono, anche di quelle particolari che riguardano o
te stesso o l’avversario: «quegli se ne andò guardandomi 1417b
di traverso». E come dice Eschine494, a proposito di Cra-
tilo, che se ne andò fischiando e scrollando le mani: infat-
ti sono elementi persuasivi, perché le cose che l’uditorio
conosce diventano segnali rivelatori di ciò che non cono-
sce. La maggior parte degli elementi di questo genere si
possono trarre da Omero: «Così allora disse, e la vecchia 5

si nascose il viso tra le mani»495; infatti coloro che inizia-


no a piangere si portano le mani sugli occhi. E presenta
subito anche te stesso di una certa qualità, perché gli udi-
tori ti guardino – e guardino la parte avversa – come un
certo tipo di persona, ma fallo senza darlo a vedere. E il
fatto che sia facile, lo vedi da chi porta messaggi: di cui,
infatti, non sappiamo nulla, tuttavia abbiamo una qual- 10

che impressione. Si deve porre la narrazione ovunque, e,


talvolta, non all’inizio.
Nel discorso deliberativo vi è meno narrazione possi-
bile, in quanto nessuno può raccontare intorno ad eventi
futuri; ma se narrazione deve esserci, che almeno sia di
eventi passati, perché, ricordandosene, si deliberi meglio
su avvenimenti successivi o col porre delle insinuazioni o 15

lodandoli; in tal caso però l’oratore non realizza bene il


ruolo del consigliere.496 E se ciò che si dice non è credi-
bile, si deve promettere sia di rivelare subito la causa sia
di mettere ordine al discorso come desiderano gli uditori,
ad esempio la Giocasta di Carcino nell’Edipo promette
sempre, quando l’uomo che la interroga cerca il figlio497, 20

e così fa l’Emone di Sofocle498.


398 RETORICA III, 1417b 21 - 1418a 3

17. Ta;" de; pivstei" dei' ajpodeiktika;" ei\nai: ajpodeiknuvnai de;


crhv, ejpeiv per tettavrwn hJ ajmILsbhvthsi", peri; tou' ajmIL"-
bhtoumevnou fevronta th;n ajpovdeixin, oi|on, eij o{ti ouj gevgonen
ajmILsbhtei'tai, ejn th'/ krivsei dei' touvtou mavlista th;n ajpovdeixin
25 fevrein, eij dΔ o{ti oujk e[blayen, touvtou, kai; o{ti ouj tosovnde
h] o{ti dikaivw", wJsauvtw" kai; eij peri; tou' genevsqai tou'to hJ
ajmILsbhvthsi". mh; lanqanevtw dΔ o{ti ajnagkai'on ejn tauvth/
th'/ ajmILsbhthvsei movnh/ to;n e{teron ei\nai ponhrovn: ouj gavr
ejstin a[gnoia aijtiva, w{sper a]n ei[ tine" peri; tou' dikaivou ajmIL"-
30 bhtoi'en, w{stΔ ejn touvtw/ cronistevon, ejn de; toi'" a[lloi" ou[.
ejn de; toi'" ejpideiktikoi'" to; polu; o{ti kala; kai; wjfevlima hJ
au[xhsi" e[stw: ta; ga;r pravgmata dei' pisteuvesqai: ojligavki"
ga;r kai; touvtwn ajpodeivxei" fevrousin, eja;n a[pista h\/ h] eja;n
a[llo" aijtivan e[ch/. ejn de; toi'" dhmhgorikoi'" h] wJ" oujk e[stai ajm-
35 ILsbhthvseien a[n ti", h] wJ" e[stai me;n ãpoiou's inà a} keleuvei, ajllΔ ouj
divkaia h] oujk wjfevlima h] ouj thlikau'ta. dei' de; kai; oJra'n ei[ ti
yeuvdetai ejkto;" tou' pravgmato": tekmhvria ga;r tau'ta faivnetai
1418a kai; tw'n a[llwn o{ti yeuvdetai. e[stin de; ta; me;n paradeivgmata
dhmhgorikwvtera, ta; dΔ ejnqumhvmata dikanikwvtera: hJ me;n
ga;r peri; to; mevllon, w{stΔ ejk tw'n genomevnwn ajnavgkh para-
17. TIPI DI PERSUASIONE 399

17. Tipi di persuasione

Le persuasioni devono essere dimostrative. Poiché la di-


sputa verte su quattro punti499, si deve condurre la dimo-
strazione portandola sull’oggetto della disputa, ad esem-
pio, se si discute che il fatto non è accaduto, nel processo
si deve portare la dimostrazione soprattutto su questo 25

punto; se, invece, si discute che non si è arrecato danno,


si porta la dimostrazione su quest’altro punto, si dimo-
stra cioè che il danno non è tale o che si agì giustamente,
lo stesso vale anche se la discussione verte sul fatto che è
successo. Non sfugga però che soltanto in questa discus-
sione vi è la necessità di dimostrare che è l’altro ad essere
in mala fede, perché la causa del dibattito non è l’igno-
ranza (come se alcune persone si mettessero a discutere 30

di giustizia) di conseguenza è su questo punto che biso-


gna soffermarsi, non sugli altri.
Nei discorsi epidittici occorre che l’amplificazione di
azioni belle e utili sia la parte preponderante, dal mo-
mento che sono soprattutto i fatti a dover essere credibili,
perché di rado gli oratori presentano anche le relative di-
mostrazioni, e solo nel caso in cui i fatti non siano credi-
bili o che un'altra persona ne sia responsabile.
Nei discorsi deliberativi un oratore potrà contestare o 35

che i fatti non si verificheranno, o che se si realizzeranno


azioni che la parte avversa sollecita, non saranno tuttavia
giuste, oppure utili o di particolare rilevanza. Occorre
anche vedere se, al di là del fatto in questione, la parte
avversa dica qualcosa di falso, perché sono queste le cose
che costituiscono chiaramente la prova che si dicono 1418a
pure altre falsità.
Mentre gli esempi sono più adatti ai discorsi delibe-
rativi, gli entimemi lo sono a quelli giudiziari; il primo
tipo di oratoria infatti riguarda il futuro, per cui è neces-
400 RETORICA III, 1418a 4-28

deivgmata levgein, hJ de; peri; o[ntwn h] mh; o[ntwn, ou| ma'llon


5 ajpovdeixiv" ejsti kai; ajnavgkh: e[cei ga;r to; gegono;" ajnavgkhn.
ouj dei' de; ejfexh'" levgein ta; ejnqumhvmata, ajllΔ ajnamignuvnai:
eij de; mhv, katablavptei a[llhla. e[stin ga;r kai; tou' posou' o{ro".
w\ ILvlΔ, ejpei; tovsa ei\pe" o{sΔ a]n pepnumevno" ajnhvr,
ajllΔ ouj toiau'ta. kai; mh; peri; pavntwn ejnqumhvmata zhtei':
10 eij de; mhv, poihvsei" o{per e[nioi poiou's i tw'n ILlosofouvntwn,
oi} sullogivzontai ta; gnwrimwvtera kai; pistovtera h] ejx w|n
levgousin. kai; o{tan pavqo" poih'/", mh; levge ejnquvmhma (h]
ga;r ejkkrouvsei to; pavqo" h] mavthn eijrhmevnon e[stai to; ejn-
quvmhma: ejkkrouvousi ga;r aiJ kinhvsei" ajllhvla" aiJ a{ma, kai; h]
15 ajfanivzousin h] ajsqenei'" poiou'oin), oujdΔ o{tan hjqiko;n to;n
lovgon, ouj dei' ejnquvmhmav ti zhtei'n a{ma: ouj ga;r e[cei ou[te
h\qo" ou[te proaivresin hJ ajpovdeixi". gnwvmai" de; crhstevon
kai; ejn dihghvsei kai; ejn pivstei: hjqiko;n ga;r “kai; ejgw; dev-
dwka, kai; tau'tΔ eijdw;" wJ" ouj dei' pisteuvein”: eja;n de; paqh-
20 tikw'", “kai; ouj metamevlei moi kaivper hjdikhmevnw/: touvtw/ me;n
ga;r perivestin to; kevrdo", ejmoi; de; to; divkaion.” to; de; dhmh-
gorei'n calepwvteron tou' dikavzesqai, eijkovtw", diovti peri; to;
mevllon, ejkei' de; peri; to; gegonov", o} ejpisthto;n h[dh kai; toi'"
mavntesin, wJ" e[fh ΔEpimenivdh" oJ Krhv" (ejkei'no" ga;r peri;
25 tw'n ejsomevnwn oujk ejmanteuveto, ajlla; peri; tw'n gegonovtwn
me;n ajdhvlwn dev), kai; oJ novmo" uJpovqesi" ejn toi'" dikanikoi'":
e[conta de; ajrch;n rJa'/on euJrei'n ajpovdeixin. kai; oujk e[cei pol-
la;" diatribav", oi|on pro;" ajntivdikon h] peri; auJtou', h] paqh-
17. TIPI DI PERSUASIONE 401

sario riportare degli esempi tratti dal passato, il secondo


riguarda i fatti che sussistono o non sussistono, dei quali
vi è, in maggior misura, dimostrazione e necessità: infatti 5

possiede necessità ciò che si è verificato. Gli entimemi


non si devono esporre di seguito, ma inframmezzare, in
caso contrario si danneggiano reciprocamente. Vi è infat-
ti un limite anche alla quantità: «O caro, poiché dicesti
tante cose quante ne direbbe un uomo coscienzioso»500,
ma non dice «tali cose». E non cercare entimemi su ogni
argomento: in caso contrario farai come fanno alcuni fi- 10

losofi, i quali deducono cose più note e più credibili delle


premesse dalle quali derivano. E quando susciti un’emo-
zione, non enunciare un entimema (infatti respingerai l’e-
mozione o l’entimema sarà detto invano, poiché le mosse
effettuate nello stesso tempo si respingono a vicenda e o
spariscono o si indeboliscono), né devi cercare un enti- 15

mema quando vuoi pure rendere etico il discorso: infatti


la dimostrazione non possiede né carattere né proposi-
to morale. Bisogna invece utilizzare le massime sia nella
narrazione che nella persuasione: «anch’io ho dato, pur
sapendo questa cosa, ossia che non ci si deve fidare»; se
invece ci si vuole esprimere in modo da suscitare emozio-
ni, dire: «e non mi pento anche se ho subito ingiustizia: a 20

lui è rimasto il guadagno, a me il giusto».


Fare un’orazione al popolo, ovviamente, è più difficile
che parlare in tribunale, perché riguarda il futuro, men-
tre, nel secondo caso, concerne il passato il quale è già
noto «anche agli indovini»501, come disse Epimenide il
Cretese (quello che non vaticinava su avvenimenti futuri, 25

bensì su quelli però oscuri); inoltre nei discorsi giudiziari


la legge è il presupposto, e avendo un punto di partenza
è più facile trovare la dimostrazione. Ancora: nel parlare
al popolo l’oratore non ha molte occasioni per dilungar-
si, ad esempio riguardo l’avversario o su se stessi, o per
402 RETORICA III, 1418a 29 - b 11

tiko;n poiei'n, ajllΔ h{kista pavntwn, eja;n mh; ejxisth'/. dei' ou\n
30 ajporou'nta tou'to poiei'n o{per oiJ ΔAqhvnhsi rJhvtore" poiou's i
kai; ΔIsokravth": kai; ga;r sumbouleuvwn kathgorei', oi|on Lake-
daimonivwn me;n ejn tw'/ panhgurikw'/, Cavrhto" dΔ ejn tw'/ sum-
macikw'/. ejn de; toi'" ejpideiktikoi'" dei' to;n lovgon ejpeisodiou'n
ejpaivnoi", oi|on ΔIsokravth" poiei': ajei; gavr tina eijsavgei. kai;
35 o} e[legen Gorgiva", o{ti oujc uJpoleivpei aujto;n oJ lovgo", taujtov
ejstin: eij ga;r ΔAcilleva levgei Phleva ejpainei', ei\ta Aijakovn,
ei\ta to;n qeovn, oJmoivw" de; kai; ajndreivan, h} ta; kai; ta; poiei' h]
toiovnde ejstivn. e[conta me;n ou\n ajpodeivxei" kai; hjqikw'" le-
ktevon kai; ajpodeiktikw'", eja;n de; mh; e[ch/" ejnqumhvmata, hjqi-
40 kw'": kai; ma'llon tw'/ ejpieikei' aJrmovttei crhsto;n faivnesqai
1418b h] to;n lovgon ajkribh'. tw'n de; ejnqumhmavtwn ta; ejlegktika;
ma'llon eujdokimei' tw'n deiktikw'n, o{ti o{sa e[legcon poiei', ma'l-
lon dh'lon o{ti sullelovgistai: parΔ a[llhla ga;r ma'llon taj-
nantiva gnwrivzetai.
5 ta; de; pro;" to;n ajntivdikon oujc e{terovn ti ei\do", ajlla;
tw'n pivstewvn ejsti ãto;Ã ta; me;n lu'sai ejnstavsei ta; de; sullogismw'/.
dei' de; kai; ejn sumboulh'/ kai; ejn divkh/ ajrcovmenon me;n levgein
ta;" eJautou' pivstei" provteron, u{steron de; pro;" tajnantiva
ajpanta'n luvonta kai; prodiasuvronta. a]n de; poluvcou" h\/ hJ
10 ejnantivwsi", provteron ta; ejnantiva, oi|on ejpoivhse Kallivstrato"
ejn th'/ Messhniakh'/ ejkklhsiva/: a} ga;r ejrou's i proanelw;n ou{tw"
17. TIPI DI PERSUASIONE 403

suscitare emozioni, ma è quello che ne ha meno di tut-


ti, salvo fare digressioni. Appunto questo è quello che si
deve fare quando si è in difficoltà, come fanno gli oratori 30

ateniesi e Isocrate: che, infatti, anche quando consiglia


accusa, ad esempio contro i Lacedemoni nel Panegiri-
co502, contro Carete nel Simmachico503.
Nei discorsi epidittici si deve variare il discorso inter-
calando episodi a lodi, come fa Isocrate: infatti inserisce
sempre qualcuno da lodare504. E quello che diceva Gor- 35

gia, il fatto che la parola non lo abbandona mai, significa


la stessa cosa: infatti se parla di Achille loda Peleo, poi
Eaco, quindi la divinità505, e lo stesso vale anche per il
coraggio, e gli fa compiere questo e quello o qualcosa di
una certa qualità506.
Ebbene, se si hanno dimostrazioni si deve caratteriz-
zare il discorso sia in modo etico che dimostrativo, men-
tre, se non si hanno entimemi, lo si caratterizzi in modo
da esprimere carattere morale. Inoltre, a chi è onesto 40

conviene di più apparire affidabile che avere un discorso 1418b


rigoroso. Degli entimemi, quelli buoni a confutare hanno
maggior successo di quelli dimostrativi, in quanto tutto
quello che produce una confutazione è più evidente che
lo si è ottenuto con un sillogismo: reciprocamente acco-
stati, infatti, i contrari risultano più evidenti507.
Le confutazioni all’avversario non costituiscono una 5

specie diversa, ma rientrano tra le persuasioni il fatto di


risolverne alcune con un’obiezione, altre con un sillogi-
smo. Chi inizia, sia nell’oratoria deliberativa che in quella
giudiziaria, deve prima esporre le proprie persuasioni,
poi passare a quelle contrarie confutandole e demolendo-
le prima che possano essere avanzate. Se invece l’opposi- 10

zione consiste in una pluralità di obiezioni, prima occorre


risolvere le tesi contrarie, come fece Callistrato nell’as-
semblea dei Messeni: infatti, dopo aver tolto di mezzo in
404 RETORICA III, 1418b 12-35

tovte aujto;" ei\pen. u{steron de; levgonta prw'ton pro;" to;n


ejnantivon lovgon lektevon, luvonta kai; ajntisullogizovmenon, kai;
mavlista a]n eujdokimhkovta h\/: w{sper ga;r a[nqrwpon prodia-
15 beblhmevnon ouj devcetai hJ yuchv, to;n aujto;n trovpon oujde;
lovgon, eja;n oJ ejnantivo" eu\ dokh'/ eijrhkevnai. dei' ou\n cwvran
poiei'n ejn tw'/ ajkroath'/ tw'/ mevllonti lovgw/: e[stai de; a]n ajnevlh/": dio;
h] pro;" pavnta h] ta; mevgista h] ta; eujdokimou'nta h] ta; eujevlegkta
macesavmenon ou{tw ta; auJtou' pista; poihtevon.
20 tai'" qeai's i prw'ta suvmmaco" genhvsomai:
ejgw; ga;r ”Hran:
ejn touvtoi" h{yato prw'ton tou' eujhqestavtou.
peri; me;n ou\n pivstewn tau'ta. eij" de; to; h\qo", ejpeidh;
e[nia peri; auJtou' levgein h] ejpivfqonon h] makrologivan h] ajnti-
25 logivan e[cei, kai; peri; a[llou h] loidorivan h] ajgroikivan,
e{teron crh; levgonta poiei'n, o{per ΔIsokravth" poiei' ejn tw'/
)Llivppw/ kai; ejn th'/ ΔAntidovsei, kai; wJ" ΔArcivloco" yevgei:
poiei' ga;r to;n patevra levgonta peri; th'" qugatro;" ejn tw'/ ijavmbw/
crhmavtwn dΔ a[elpton oujqevn ejstin oujdΔ ajpwvmoton,
30 kai; to;n Cavrwna to;n tevktona ejn tw'/ ijavmbw/ ou| ajrch;
ou[ moi ta; Guvgew,
kai; wJ" Sofoklh'" to;n Ai{mona uJpe;r th'" ΔAntigovnh" pro;"
to;n patevra wJ" legovntwn eJtevrwn. dei' de; kai; metabavllein
ta; ejnqumhvmata kai; gnwvma" poiei'n ejnivote, oi|on “crh; de; ta;"
35 diallaga;" poiei'n tou;" nou'n e[conta" eujtucou'nta": ou{tw
17. TIPI DI PERSUASIONE 405

anticipo le obiezioni che gli avrebbero detto, parlò poi


per suo conto508. Chi parla per secondo, deve innanzitutto
pronunciare un discorso contro l’avversario, dirimendo
le questioni e opponendosi per sillogismi, soprattutto se
l’avversario ha riscosso successo. L’animo, infatti, come
non accetta l’uomo verso cui sono già stati insinuati dei 15

sospetti, nello stesso modo non ne accetta neppure il di-


scorso, se l’avversario sembra aver detto bene. Occorre
dunque far spazio nella mente dell’ascoltatore per il di-
scorso che si sta per pronunciare; e sarà così se verrà eli-
minato il sospetto; perciò si devono rendere credibili le
proprie argomentazioni in questo modo, combattendo o
contro tutti gli argomenti dell’avversario o contro quelli
più rilevanti o quelli che hanno avuto successo o quelli
facili da confutare. «Per le dee diventerò la principale al- 20

leata … / Io, infatti, penso che Era ...»509.


In questi versi viene per prima cosa attaccato l’argo-
mento più semplice. Questo dunque riguardo le persua-
sioni.
Poiché il dire alcune cose di sé stessi espone all’invi-
dia, alla prolissità o al contraddittorio, mentre, nei riguar- 25

di di un altro, alla diffamazione o alla rozzezza, è meglio


far sì che parli qualcun altro sul carattere morale,come fa
Isocrate nel Filippo e nell’Antidosi 510, e come fa Archilo-
co nel biasimare: infatti fa sì che il padre parli della figlia
nel giambo
«Non vi è nulla d’inaspettato tra i beni né che si possa
giurare impossibile511», e il falegname Carone nel verso 30

giambico il cui inzio è: «Non a me interessano le ricchez-


ze di Gige»512, e come Sofocle che fa parlare Emone in
favore di Antigone di fronte al padre come se parlassero
altri513. Si devono talvolta cambiare gli entimemi e farne
delle massime, ad esempio: «occorre che uomini assen-
nati stringano patti quando si è in un momento favorevo- 35
406 RETORICA III, 1418b 36 - 1419a 15

ga;r a]n mevgista pleonektoi'en,” ejnqumhmatikw'" de; “eij ga;r


dei', o{tan wjfelimwvtatai w\s in kai; pleonektikwvtatai aiJ kat-
allagaiv, tovte katallavttesqai, eujtucou'nta" dei' katallavtte-
sqai.”

40 18. Peri; de; ejrwthvsew", eu[kairovn ejsti poiei'sqai mavlista


1419a me;n o{tan to; e{teron eijrhkw;" h\/, w{ste eJno;" proserwthqevnto"
sumbaivnei to; a[topon, oi|on Periklh'" Lavmpwna ejphvreto
peri; th'" teleth'" tw'n th'" swteivra" iJerw'n, eijpovnto" de; o{ti
oujc oi|ovn te ajtevleston ajkouvein, h[reto eij oi\den aujtov", fav-
5 skonto" de; “kai; pw'", ajtevlesto" w[n…” deuvteron de; o{tan to; me;n
fanero;n h\/, to; de; ejrwthvsanti dh'lon h\/ o{ti dwvsei: puqovmenon
me;n ga;r dei' th;n mivan provtasin mh; proserwta'n to; fanero;n
ajlla; to; sumpevrasma eijpei'n, oi|on Swkravth", Melhvtou ouj
favskonto" aujto;n qeou;" nomivzein, eijrhkovto" de; wJ" daimovniovn
10 ti levgoi, h[reto eij oujc oiJ daivmone" h[toi qew'n pai'de" ei\en
h] qei'ovn ti, fhvsanto" de; “e[stin ou\n”, e[fh, “o{sti" qew'n me;n
pai'da" oi[etai ei\nai, qeou;" de; ou[…” e[ti o{tan mevllh/ h] ejnantiva
levgonta deivxein h] paravdoxon. tevtarton de; o{tan mh; ejnh'/ ajllΔ
h] soILstikw'" ajpokrinavmenon lu'sai: eja;n ga;r ou{tw" ajpo-
15 krivnhtai, o{ti e[sti me;n e[sti dΔ ou[, h] ta; me;n ta; dΔ ou[, h] ph'/
18. L’INTERROGAZIONE E LA RISPOSTA 407

le, in questo modo, infatti, possono ottenere i più grandi


vantaggi», invece per parlare alla maniera degli entimemi
sarebbe: «se ci si deve accordare quando i patti sono più
utili e vantaggiosi, allora ci si deve accordare quando si è
in un momento favorevole».

18. L’interrogazione e la risposta

Riguardo l’«interrogazione», il momento giusto consiste 40

nel farla soprattutto quando l’altro abbia già parlato, in 1419a


modo che, formulando un’ulteriore domanda, ne risul-
ti l’assurdità, ad esempio Pericle interrogò Lampone514
sull’iniziazione ai misteri della dea salvatrice, e poiché
questi rispose che non era possibile che un non iniziato
ascoltasse, gli chiese se lui ne fosse a conoscenza, avendo 5

detto di sì «e come, se non sei un iniziato?».


In secondo luogo, è opportuno interrogare quando
una prima tesi è evidente, e un’altra è ovvio che sarà
concessa a chi interroga: ottenendo risposta su ciò che
è palese, infatti, non deve domandare ulteriormente su
quella sola premessa, ma trarre la conclusione; ad esem-
pio: Socrate, quando Meleto lo accusò di non credere agli
dei, dopo però aver affermato che parlava con un certo 10

demone, gli chiese se i demoni non fossero o figli di dei o


un che di divino, ed avendolo quello confermato, disse:
«vi è, dunque, chi crede che esistano figli di dei, mentre
non crede che esistano gli dei?»515.
Ancora, quando ci si accinge a mostrare che la parte
avversa affermi tesi opposte o faccia un paradosso.
Un quarto caso, quando la parte avversa non possa
risolvere la questione se non in modo sofistico: infatti se
dovesse rispondere in questo modo, e cioè che parte è e 15

parte non è, oppure che alcune lo sono altre no, oppure


408 RETORICA III, 1419a 16 - b 1

me;n ph'/ dΔ ou[, qorubou's in wJ" ajporou'nto". a[llw" de; mh;


ejgceivrei. eja;n ga;r ejnsth'/, kekrath'sqai dovxei": ouj ga;r
oi|ovn te polla; ejrwta'n, dia; th;n ajsqevneian tou' ajkroatou': dio;
kai; ta; ejnqumhvmata o{ti mavlista sustrevfein dei'.
20 ajpokrivnasqai de; dei' pro;" me;n ta; ajmILvbola diairou'nta
lovgw/ kai; mh; suntovmw", pro;" de; ta; dokou'nta ejnantiva th;n
luvs in fevronta eujqu;" th'/ ajpokrivsei, pri;n ejperwth'sai to;
ejpio;n h] sullogivsasqai: ouj ga;r calepo;n proora'n ejn tivni oJ
lovgo". fanero;n dΔ hJmi'n ejstin ejk tw'n Topikw'n kai; tou'to
25 kai; aiJ luvsei". kai; sumperainomevnou, eja;n ejrwvthma poih'/ to;
sumpevrasma, th;n aijtivan eijpei'n, oi|on Sofoklh'", ejrwtwvmeno"
uJpo; Peisavndrou eij e[doxen aujtw'/, w{sper kai; toi'" a[lloi" pro-
bouvloi", katasth'sai tou;" tetrakosivou", e[fh “tiv dev… ouj
ponhrav soi tau'ta ejdovkei ei\nai…” e[fh. “oujkou'n su; tau'ta
30 e[praxa" ta; ponhrav…” “nai;”, e[fh, “ouj ga;r h\n a[lla beltivw”.
kai; wJ" oJ Lavkwn eujqunovmeno" th'" ejforiva", ejrwtwvmeno" eij do-
kou's in aujtw'/ dikaivw" ajpolwlevnai a{teroi, e[fh. oJ de; “oujkou'n
su; touvtoi" taujta; e[qou…” kai; o}" e[fh. “oujkou'n dikaivw" a[n”,
e[fh, “kai; su; ajpovloio…” “ouj dh'ta”, e[fh, “oiJ me;n ga;r crhvmata
35 labovnte" tau'ta e[praxan, ejgw; de; ou[, ajlla; gnwvmh/.” dio;
1419b ou[te ejperwta'n dei' meta; to; sumpevrasma, ou[te to; sumpevrasma
18. L’INTERROGAZIONE E LA RISPOSTA 409

che in un senso lo è in un altro no, gli uditori protestano


rumorosamente perché si mostra in imbarazzo.
Diversamente, non mettere mano ad un’interrogazio-
ne, perché se la parte avversa si oppone, sembrerà che
abbia preso il sopravvento: infatti non è possibile inter-
rogare a lungo, per la debolezza dell’uditorio; perciò si
devono mettere nella forma più concisa possibile anche
gli entimemi.
Occorre rispondere alle domande ambigue operan- 20

do delle distinzioni nel discorso e non in modo sinteti-


co, portando subito la soluzione con la risposta a quelle
che sembrano contraddittorie, prima che l’avversario
ponga una successiva domanda o si metta a sillogizzare:
non è infatti difficile vedere dove andrà a parare il di-
scorso. Sia questo che le confutazioni ci risultano chiare
dai Topici516.
E se la conclusione dell’avversario si formula come 25

una domanda quando conclude, occorre dire la ragione


della risposta. Per esempio, Sofocle, dopo che gli era stato
chiesto da Pisandro se anche lui, come gli altri probuli,
fosse dell’avviso di istituire i Quattrocento517, ripose di sì.
«Perchè? non ti sembrava che queste fossero cose sba-
gliate ?». Rispose di sì. «Non è forse vero che tu hai fatto 30

questi errori?» «Sì» – rispose – «non ve n’erano infatti


altre di migliori». E così lo Spartano, che rendeva conto
della sua eforia, interrogato se a suo parere fosse giusto
che gli altri efori fossero stati condannati giustamente, ri-
spose di sì. E quello: «non è forse vero che tu hai posto le
stesse cose?». Ed egli rispose di sì. «Non sarebbe dunque
giusto» – disse – «che anche tu fossi condannato?». «Cer-
tamente no» – disse – «perché questi compirono tali azio-
ni prendendo del danaro, mentre io no, ma ho agito se- 35

condo coscienza». Perciò non si deve interrogare né dopo 1419b


la conclusione né porre la conclusione come domanda, a
410 RETORICA III, 1419b 2-22

ejperwta'n, eja;n mh; to; polu; perih'/ tou' ajlhqou'".


peri; de; tw'n geloivwn, ejpeidhv tina dokei' crh's in e[cein ejn
toi'" ajgw's i, kai; dei'n e[fh Gorgiva" th;n me;n spoudh;n dia-
5 fqeivrein tw'n ejnantivwn gevlwti to;n de; gevlwta spoudh'/, ojrqw'"
levgwn, ei[rhtai povsa ei[dh geloivwn e[stin ejn toi'" peri; poih-
tikh'", w|n to; me;n aJrmovttei ejleuqevrw/ to; dΔ ou[, o{pw" to;
aJrmovtton auJtw'/ lhvyetai. e[sti dΔ hJ eijrwneiva th'" bwmolociva"
ejleuqeriwvteron: oJ me;n ga;r auJtou' e{neka poiei' to; geloi'on, oJ
de; bwmolovco" eJtevrou.

10 19. ÔO dΔ ejpivlogo" suvgkeitai ejk tettavrwn, e[k te tou' pro;"


eJauto;n kataskeuavsai eu\ to;n ajkroath;n kai; to;n ejnantivon
fauvlw", kai; ejk tou' aujxh'sai kai; tapeinw'sai, kai; ejk tou'
eij" ta; pavqh to;n ajkroath;n katasth'sai, kai; ejx ajnamnhvsew".
pevfuke gavr, meta; to; ajpodei'xai aujto;n me;n ajlhqh' to;n de;
15 ejnantivon yeudh', ou{tw to; ejpainei'n kai; yevgein kai; ejpicalkeuvein.
duoi'n de; qatevrou dei' stocavzesqai, h] o{ti touvtoi" ajgaqo;" h]
o{ti aJplw'", oJ dΔ o{ti kako;" touvtoi" h] o{ti aJplw'". ejx w|n de;
dei' tou'to kataskeuavzein ªdei'º, ei[rhntai oiJ tovpoi povqen spou-
daivou" dei' kataskeuavzein kai; fauvlou". to; de; meta; tou'to,
20 dedeigmevnwn h[dh, au[xein ejsti;n kata; fuvs in h] tapeinou'n: dei'
ga;r ta; pepragmevna oJmologei'sqai, eij mevllei to; poso;n ejrei'n:
kai; ga;r hJ tw'n swmavtwn au[xhsi" ejk prou>parcovntwn ejstivn.
19. L’EPILOGO 411

meno che intorno alla maggior parte del nostro discorso


non vi stia la verità.
Per quanto concerne gli aspetti comici, poiché sembra
che abbiano una certa utilità nelle dispute, e che debba-
no smontare la serietà degli avversari con il ridicolo e il 5

ridicolo con la serietà (disse Gorgia, dicendo bene)518, nei


libri sulla poetica519 si è detto quante specie di ridicolo vi
siano, tra le quali alcune sono confacenti all’uomo libero,
altre no, di modo che poi l’oratore assuma quella a lui
adeguata. È più da uomo libero l’ironia della buffoneria:
la prima, infatti, fa ridere per il proprio divertimento, il
buffone per quello di un altro.

19. L’epilogo

L’«epilogo» è composto da quattro elementi: dal disporre 10

l’ascoltatore a proprio favore, dall’indisporlo nei riguar-


di dell’avversario, dall’amplificare e dallo sminuire, dal
disporre l’ascoltatore alle passioni e dalla «ricapitolazio-
ne». In questo modo viene infatti naturale, dopo aver
mostrato se stesso sincero e mendace l’avversario, lodare 15

e biasimare e dare gli ultimi ritocchi. Si deve mirare a uno


dei due obiettivi: far vedere che o chi parla è un uomo
di valore, nel caso specifico o in assoluto, o che sia catti-
vo l’avversario, nel caso specifico o in assoluto. Dagli ar-
gomenti occorrenti per la preparazione di quest’effetto,
sono tratti i luoghi da cui bisogna partire per rappresen-
tare onesti e disonesti520. Il passo successivo, che è già sta- 20

to dimostrato, consiste nell’amplificare o nello sminuire


secondo un ordine naturale: bisogna che vi sia unanimità
sulle azioni compiute, se se ne deve dire l’entità, perché
anche l’aumento dei corpi si ha a partire da quelli pree-
sistenti. E precedentemente si sono posti i luoghi da cui
412 RETORICA III, 1419b 23 - 1420a 8

o{qen de; dei' au[xein kai; tapeinou'n e[kkeintai oiJ tovpoi prov-
teron. meta; de; tau'ta, dhvlwn o[ntwn kai; oi|a kai; hJlivka, eij"
25 ta; pavqh a[gein to;n ajkroathvn. tau'ta dΔ ejsti;n e[leo" kai;
deivnwsi" kai; ojrgh; kai; mivso" kai; fqovno" kai; zh'lo" kai; e[ri".
ei[rhntai de; kai; touvtwn oiJ tovpoi provteron, w{ste loipo;n ajna-
mnh'sai ta; proeirhmevna. tou'to de; aJrmovttei poiei'n oujc w{sper
fasi;n ejn toi'" prooimivoi", oujk ojrqw'" levgonte". i{na ga;r
30 eujmaqh;" h\/, keleuvousi pollavki" eijpei'n. ejkei' me;n ou\n dei'
to; pra'gma eijpei'n, i{na mh; lanqavnh/ peri; ou| hJ krivs i", ejn-
tau'qa de; diΔ w|n devdeiktai, kefalaiwdw'". ajrch; de; diovti a}
uJpevsceto ajpodevdwken, w{ste a{ te kai; diΔ o} lektevon. levgetai
de; ejx ajntiparabolh'" tou' ejnantivou. parabavllein de; ªh]º o{sa
35 peri; to; aujto; a[mfw ei\pon, h] ªmh;º katantikruv (“ajllΔ ou|to"
1420a me;n tavde peri; touvtou, ejgw; de; tadiv, kai; dia; tau'ta”), h] ejx
eijrwneiva" (oi|on “ou|to" ga;r tavdΔ ei\pen, ejgw; de; tadiv”, kai; “ti;
a]n ejpoivei, eij tavde e[deixen, ajlla; mh; tadiv”), h] ejx ejrwthvsew" (“tiv
ou\n devdeiktai…” h] “ou|to" tiv e[deixen…”). h] dh; ou{tw" ªh]º ejk para-
5 bolh'" h] kata; fuvs in wJ" ejlevcqh, ou{tw" ta; aujtou', kai; pavlin,
eja;n bouvlh/, cwri;" ta; tou' ejnantivou lovgou. teleuth; de; th'"
levxew" aJrmovttei hJ ajsuvndeto", o{pw" ejpivlogo" ajlla; mh; lovgo"
h\/: “ei[rhka, ajkhkovate, e[cete, krivnate”.
19. L’EPILOGO 413

si deve amplificare e sminuire521. Dopo queste cose, una


volta che risulti evidente l’essenza dei fatti e la loro quali-
tà e rilevanza, occorre spingere l’ascoltatore alle emozio- 25

ni. Queste sono pietà e indignazione, ira e odio, invidia,


gelosia e discordia. Anche di tali cose si sono esposti in
precedenza i luoghi522, di conseguenza non resta da ri-
cordare che ciò che si è detto. Questo è opportuno farlo
ma non come dicono si debba fare nei proemi, parlan-
do in maniera inesatta523: infatti perché vi sia facilità di
apprendimento, prescrivono di ripetere più volte. Ebbe- 30

ne, è qui nei proemi che si deve esporre il fatto per non
lasciarsi sfuggire l’argomento su cui verte la questione,
mentre nell’epilogo si devono dire per sommi capi gli ar-
gomenti con cui si è condotta la dimostrazione. Il punto
di partenza consiste nel mostrareperché si è mantenuto
quanto promesso, di conseguenza si deve dire sia questo
sia il motivo. Si parla poi a partire dal confronto con la
tesi dell’avversario. E confrontare o tutto quello che l’u-
no e l’altro dicono sullo stesso punto, o senza confronto 35

diretto («Ma costui afferma queste cose su questo fatto, 1420a


io queste altre e per questi motivi»), o a partire dall’i-
ronia (ad esempio, «Costui, appunto, dice queste cose,
mentre io queste altre», e «Cosa avrebbe fatto, se avesse
dimostrato queste, ma non quelle altre»), o a partire da
una domanda («Dunque, cosa è stato dimostrato?», op-
pure: «Cosa ha dimostrato costui?»). Si riassume, allora,
in questo modo, o a partire da un confronto o seguendo 5

l’ordine naturale del modo in cui gli argomenti sono stati


esposti: è così che vanno riassunti i propri e poi a par-
te, se si vuole, quelli dell’avversario. Come conclusione
dell’elocuzione l’asindeto è adeguato, in modo da avere
un epilogo ma non un ragionamento: «ho parlato, avete
ascoltato, disponete dei fatti, giudicate».
NOTE AL TESTO
Libro I

1
Aristotele considera la retorica come «antistrofe» alla dialettica
per evidenziarne la reciproca complementarità come «in un’ode lirica
strofe e antistrofe riproducono la stessa struttura metrica senza per
questo essere identiche» (cfr. Dorati, 131, n. 2). Su retorica e dialetti-
ca, cfr. Zanatta, pp. 15-23; P. Donini, Poetica e Retorica, (pp. 327-363),
in: E. Berti (a cura di), Guida ad Aristotele. Logica, Fisica, Cosmolo-
gia, Psicologia, Biologia, Metafisica, Etica, Politica, Poetica, Retorica,
Roma-Bari 1997, (cfr., in particolare, pp. 353-4); B. Cassin, L’effetto
sofistico. Per un’altra storia della filosofia, trad. it. a cura di C. Rognoni,
Editoriale Jaca Book, Milano 2002, pp. 187-91; F. Piazza, Il corpo del-
la persuasione. L’entimema nella retorica greca, Palermo, Novecento
2000, pp. 80-1.
2
Si tratta dei manuali di retorica allora in circolazione cui fa rife-
rimento anche Platone nel Fedro (266 D).
3
Sulle «persuasioni», cfr. s.v. SLYVWL/SLYVWHL André Wartelle, Le-
xique de la «Rhétorique» d’Aristote, ed. Les Belles Lettres, Paris 1982.
4
Sull’entimema, cfr. F. Piazza, Il corpo della persuasione cit., pp. 86
ss.; R. Barthes, La retorica antica, trad. it. Milano, 1972, p. 66.
5
Lett. sarebbe «adatta a parlare in una pubblica assemblea» o «al
popolo», ma – s’intende – su questioni di pubblico interesse, dunque
«atta a deliberare».
6
Ovvero, in sede di consiglio.
7
ARISTOTELE, Topici, 101a 26-7.
8
Cfr., al riguardo, ARISTOTELE, Elenchi Sofistici, 171b 23-33.
9
ARISTOTELE, Analitici primi, I, 23; Analitici secondi, I,1.
10
ARISTOTELE, Topici, I, 12, 105 a10-19.
11
Sul sillogismo cfr. ARISTOTELE, Analitici primi, I, 1, 24 b18-20; 4,
25 b32-35; 31, 46 a39 ss.
12
Opera perduta ricordata da Diogene Laerzio (Vite dei filosofi,
V, 23).
13
ARISTOTELE, Retorica, II, 20-24.
14
Cfr. ARISTOTELE, Etica Nicomachea, VI, 2, 1139 a11-14.
15
Cfr. PAUSANIA, VI, 7, 1.
418 NOTE AL TESTO

16
ARISTOTELE, Analitici primi, I, 8; 12-14; 27; Analitici secondi, I,
2, 71b 15-16; 6, 74b 5 ss.; I, 30, 87 b19-27.
17
Sull’accadere «per lo più», ARISTOTELE, Analitici primi, I, 13,
32 b4-18.
18
Cfr. ARISTOTELE, Analitici primi, I, 27, 70a 2-9.
19
Ossia proposizioni probabili o, talvolta, necessarie; cfr., ARISTO-
TELE, Analitici primi, I, 27, 70 a10.
20
ARISTOTELE, Analitici primi, I, 27.
21
ARISTOTELE, Topici, I, 1; 14; III, 5.
22
OMERO, Iliade, XVIII, 148 ss.; cfr., inoltre, PLATONE, Apologia,
28B-C, Simposio, 179E.
23
Cfr. ARISTOTELE, Retorica, I, 2, 1356a 25-27
24
Da intendersi come competenza sulla logica in generale (Dorati,
135, n. 45)
25
Forse si allude anche al Fedro di Platone (266B ss.). Per un con-
fronto tra le diverse posizioni rispetto alla retorica di Platone e Aristo-
tele, vedi B. Cassin, cit., pp. 182-191. Cfr. Retorica, I, 2, 1358 a 21-26.
26
Cfr. ARISTOTELE, Politica, IV, 11.
27
Gli storici.
28
Come osserva Dorati (135, n. 52), si tratta qui di «un topos oratorio,
e di un punto d’onore» specie per gli Ateniesi il cui progenitore, Eritto-
nio, sarebbe appunto “figlio della Terra” fecondata dal seme di Efesto.
29
Erodico di Selimbria deve la sua fama al fatto di essere riuscito a
vivere a lungo grazie a un regime estremamente severo (cfr. PLATONE,
Protagora, 316E, Fedro, 227D, Repubblica, 406A ss.).
30
ARISTOTELE, Retorica, I, 9.
31
OMERO, Iliade, I, 255.
32
Iliade, II, 176
33
Iliade, II, 298
34
Modo di dire che allude all’impresa che si fallisce poco prima
di realizzarla.
35
SIMONIDE, fr. 67 (572) [PAGE].
36
Cfr. ARISTOTELE, Etica Nicomachea, I, 1, 1094a 1-3.
37
LEODAMANTE, p. 244 [SAUPPE].
38
Il detto è da attribuire a Pindaro (PINDARO, Olimpiche, I, 1).
39
ARISTOTELE, Retorica, 1363b 14-15.
40
Cfr. 1362b 5-7.
41
Cfr. 1363a 9.
42
OMERO, Iliade, IX, 592-594.
43
Sulla nozione di «combinazione», cfr. Dorati, 137, n. 78.
44
SIMONIDE, fr. 163 [BERGK].
NOTE 16-75 419
45
OMERO, Odissea, XXII, 347.
46
ARISTOTELE, Politica, III e IV.
47
ARISTOTELE, Retorica, 1356a 1-4.
48
SAFFO, fr. 149 [DIEHL].
49
PLATONE, Menesseno, 235D 3-6.
50
IFICRATE, fr. 111 [BERGK]. Per il significato del detto cfr. ARISTO-
TELE, Retorica, 1365a 28-29.
51
Una versione più completa del distico in ARISTOTELE, Retorica,
1365a 26-27.
52
SIMONIDE, fr. 94 [DIEHL].
53
Personaggio ignoto.
54
Su Armodio e Aristogitone cfr. TUCIDIDE, La guerra del Pelopon-
neso, I, 20.
55
Distinzione che sarà ripresa in ARISTOTELE, Retorica, 1373b 4-11.
56
EVENO, fr. 8 [DIEHL], attribuito al sofista Eveno di Paro; cfr.
Zanatta, 196, n. 103.
57
Cfr. ARISTOTELE, Sull’anima, III, 3, 429a.
58
EURIPIDE, Andromaca, fr. 133, [NAUCK].
59
OMERO, Odissea, XV, 400-401.
60
Iliade, XVIII, 109.
61
Iliade, XXIII, 108, Odissea, IV, 183.
62
Ossicini di varie forme per un uso simile a quello dei dadi (cfr.
Dorati, 140, n.126).
63
ARISTOTELE, Retorica, 1369b 16-17.
64
EURIPIDE, Oreste, 234.
65
Dal momento che «tutti gli uomini per natura tendono al sape-
re» (ARISTOTELE, Metafisica, I, 1, 980 a21).
66
ARISTOTELE, Poetica, 1448b 12-17.
67
Cfr. ARISTOTELE, Etica Nicomachea, 1161 b33 (cfr. inoltre, PLA-
TONE, Fedro, 240C; Gorgia, 510B; Simposio, 195B).
68
OMERO, Odissea, XVII, 218.
69
Cfr. ARISTOTELE, Etica Nicomachea, VIII, 1155a 34-35.
70
EURIPIDE, Antiope, fr. 183, [NAUCK]; PLATONE, Gorgia, 484E.
71
ARISTOTELE, Poetica, 1448b 36 ss.
72
Personaggio e fatto ignoto.
73
Ci si riferisce al fatto che, a causa dell’assenza del re Tèlefo, il
territorio dei Misii fosse malamente difeso.
74
DIOGENIANO, VII, 87, [CPG], I, p. 122.
75
Si fa riferimento all’assassinio di Dione in seguito alla congiura
organizzata da Callippo (354 a. C.); cfr. PLUTARCO, Dione, 54 ss.; altri
riferimenti in Dorati (140, n. 133) e Zanatta (208, n.132).
420 NOTE AL TESTO

76
Probabile lacuna riguardo il nome della città sottomessa da Gelone.
«Questi – spiega il Dorati (141, n. 134) – aveva anticipato Enesidemo, che
gli aveva inviato il premio del cottabo (gioco di origine siciliana) compli-
mentandosi per aver giocato bene la partita e averlo battuto sul tempo».
77
SOFOCLE, Antigone, 456-7, v. pure ARISTOTELE, Retorica, 15,
1375b 1.
78
31 B 135 [DK].
79
Il Messeniaco è il titolo di un’orazione perduta di Alcimadante,
allievo di Gorgia, le parole succitate sono riportate in uno scolio (AL-
CIDAMANTE, Messeniaco, fr. 1, p. 154 [SAUPPE]).
80
ARISTOTELE, Retorica, 1368b 9-12
81
ARISTOTELE, Retorica, 1368b 13.
82
ARISTOTELE, Retorica, II, 2.
83
ARISTOTELE, Retorica, 1373a 29-38.
84
ARISTOTELE, Retorica, 1372a 11 - b 22
85
Contemporanei di Demostene, Callistrato e Melanopo erano av-
versari politici (cfr. PLUTARCO, Demostene, 13; SENOFONTE, Elleniche,
VI 3, 2-3).
86
Parte del testo che Ross pone tra cruces forse corrotto.
87
SOFOCLE, Pro Euctemone, p. 165 [SAUPPE]. È l’oratore, omonimo
del poeta, ricordato pure in Retorica, III, 18, 1419a 26 (Dorati, 141, 147).
88
Vi è un probabile richiamo alla formula utilizzata per il giu-
ramento degli eliasti ateniesi (cfr. DEMOSTENE, 39, Contro Boeto, 40;
POLLUCE, Onomastico, VIII, 122). Cfr. inoltre ARISTOTELE, Retorica,
1376a 17-21 e 1402b 32-33.
89
SOFOCLE, Antigone, 456 e 458.
90
È probabile che si tratti di un’espressione proverbiale come
congettura Dorati (141, n. 151).
91
L’episodio in questione si trova in PLUTARCO, Solone, 10, in cui si
narra delle pretese avanzate da Atene e Megara per il possesso dell’i-
sola di Salamina; chiamati in qualità di arbitri i Lacedemoni, questi ul-
timi si schierarono contro i megaresi per via di una citazione omerica
nella quale si ricordava l’episodio di Aiace che schierava i suoi uomini
a fianco degli Ateniesi (Iliade, II, 557-8); cfr. Dorati, 142, n. 153.
92
SOLONE, fr. 18 [DIEHL].
93
Così avrebbe interpretato il vaticinio di un oracolo Temistocle,
anziché vedere “nel muro di legno” una palizzata eretta a difesa della
città; cfr. ERODOTO, Storie, VII 141-143.
94
Cfr. DIOGENIANO, III, 89, [CPG], I, 231.
95
Cfr. ARISTOTELE, Retorica, II, 21, 1395a 18; si tratta di un verso
dei Canti Cipri, poema di Stasino (fr. 2 [KINKEL]).
NOTE 76-117 421
96
Eubulo, uomo politico ateniese contemporaneo di Demostene;
Cratete fu un comandante militare; Archibio un personaggio ignoto.
Platone non è il filosofo, ma un commediografo (cfr. Dorati, 142, n.
160).
97
SENOFANE, 21 A 14 [DK].

Libro II
98
ARISTOTELE, Retorica, III, 4.
99
OMERO, Iliade, XVIII, 109-110.
100
Iliade, I, 356.
101
Iliade, IX, 648
102
Iliade, II, 196.
103
Iliade, I, 82.
104
ANTIFONTE, Meleagro, fr. 2 [NAUCK]; ATENEO, Deipnosofisti,
DXV 653, e ARISTOTELE, Retorica, 1399b 27.
105
Allusione ad OMERO, Odissea, XIV 26: Ulisse, per far cessare
l’assalto dei cani presso la capanna di Eumeo, si siede.
106
Oratore, avversario di Demostene, ebbe un ruolo rilevante nel-
le trattative che condussero Atene alla pace con Filippo di Macedonia
il 346 a.C. (cfr. Zanatta, 234, n. 14).
107
Si tratta di due strateghi processati per tradimento (cfr. DEMO-
STENE, 19, Sulla corrotta ambasceria, 180 e Dorati, 282, n. 17).
108
Cfr. ARISTOTELE, Retorica, 1378a 32 e 1379b 10.
109
OMERO, Odissea, IX, 504.
110
Iliade, XXIV, 54
111
Cfr. ARISTOTELE, Retorica, 1380b 35-36
112
ESIODO, Opere e giorni, 25, cfr. pure ARISTOTELE, Retorica,
1388a 17.
113
Cfr. ARISTOTELE, Retorica, 1381b 19-20.
114
Il termine in questione DMSRWXPSDQL]RYPHQRL, ovvero «il subire
DMSRWXPSDQLVPRY», sta a indicare una forma di supplizio particolar-
mente infamante, consistente, forse, nella bastonatura a morte o in
una sorta di crocifissione (Cfr. E. Cantarella, I supplizi capitali in Gre-
cia e a Roma, Milano 1991, pp. 41 ss.; citato in Dorati, 283, n. 24).
115
DIOGENIANO, V, 84, [CPG], I, 267.
116
Alla lettera il significato di VXQDOHLYIHLQ è «ungere insieme»,
riferimento all’uso (qui in senso traslato), da parte dei lottatori, di
ungersi i corpi.
117
Si riferisce a un episodio secondo il quale Euripide, in qualità
di ambasciatore di Atene a Siracusa, dopo aver visto rifiutate le ri-
422 NOTE AL TESTO

chieste di pace e di amicizia, disse ai Siracusani che avrebbero dovuto


vergognarsi di non tenere conto dell’onore conferitogli dagli Ateniesi
proprio a causa di tale richiesta (cfr. Plebe, 103, n. 16).
118
ANTIFONTE, p. 792 [NAUCK]; l’episodio cui qui si fa riferimen-
to sembra quello narrato da Plutarco (cfr. PLUTARCO, Moralia, 833b):
Dionigi, tiranno di Siracusa, chiese ad Antifonte ambasciatore di Ate-
ne, quale fosse il bronzo migliore; avendogli questi risposto che era
quello con il quale gli ateniesi avevano fatto le statue dei tirannicidi
Armodio e Aristogitone, venne condannato a morte (Zanatta, 250,
nota 37).
119
Episodio ignoto.
120
Si tratta probabilmente dello stratega ateniese difeso da Demo-
stene (cfr. DEMOSTENE, 8, Sul Chersoneso, e Dorati 284, n. 34).
121
Lo stesso fatto è narrato da Erodoto che però lo riferisce al
figlio di Amasi, Psammenito (III, 14 ss.).
122
OMERO, Iliade, IX, 542-3.
123
Secondo uno scolio il verso potrebbe essere attribuito a Eschilo
(fr. 305, [RADT]).
124
ESIODO, Opere e giorni, 25 (cfr. ARISTOTELE, Retorica, 1318b 16)
125
ARISTOTELE, Retorica, II, 2-11.
126
ARISTOTELE, Retorica, I, 9-10, 12-13
127
Secondo lo scoliaste, «Pittaco diede del denaro all’indovino
Anfiarao, quegli non volle riceverlo, perciò Pittaco gli disse: tu non
hai ancora provato la brama dell’oro, altrimenti avresti le mani pronte
a ricevere» (in Plebe, 118, n. 22)
128
Uno dei sette sapienti cui Aristotele attribuisce il famoso detto
«nulla di troppo».
129
ERODOTO, Storie, I, 27, e 170.
130
Per quanto riguarda la differenza tra HXMJHQHY e JHQQDL
RQ, con
la prima s’intende semplicemente l’avere la fortuna di essere di «fami-
glia illustre», con la seconda, «l’essere nobile», s’intende l’avere anche
la capacità di mantenersi all’altezza di quella fama, mostrando virtù e
qualità morali (cfr. Zanatta, 268, n. 57).
131
Notizia che si riscontra anche in LISIA, Contro Agorato, e PLA-
TONE, Lettera VII (cfr. Zanatta, 268, n. 58).
132
Dell’inettitudine dei figli di Pericle, gli unici tra quelli menzio-
nati di cui si ha notizia, ne parla Platone (Protagora, 320A e 328C-D)
133
Cfr. ARISTOTELE, Retorica, II, 1.
134
Comprendenti sia i discorsi giudiziari sia quelli deliberativi (cfr.
Dorati, 285, n. 58).
135
ARISTOTELE, Retorica, I, 8
NOTE 118-166 423
136
ARISTOTELE, Retorica, I, 3
137
ARISTOTELE, Retorica, I, 4-8.
138
ARISTOTELE, Retorica, I, 9.
139
ARISTOTELE, Retorica, I, 10-14.
140
ARISTOTELE, Retorica, II, 13-17.
141
ARISTOTELE, Retorica, I, 1-3.
142
ARISTOTELE, Retorica, 1368a 26-29.
143
ARISTOTELE, Retorica, 1358b 4-5.
144
Commensurabile al lato del quadrato.
145
AGATONE, fr. 8, [NAUCK].
146
ISOCRATE, Orazione 18, 13.
147
ARISTOTELE, Retorica, I, 7.
148
Rispettivamente fini del genere deliberativo, epidittico e giudi-
ziario (cfr. ARISTOTELE, Retorica, I, 3, 1358b 20-29).
149
Cfr. QUINTILIANO, Istituzioni oratorie, V, II, 20; si tratta di favole
che avevano per protagonisti gli animali.
150
Si tratta delle vicende militari (354-51 o 343-41) di Artaserse III
Ocho (cfr. Plebe, 131, n. 28).
151
SENOFONTE, Memorabili, I, 2, 9.
152
Fu tiranno di Agrigento nel VI sec. a. C.
153
STESICORO, fr. 104a (281a) [PAGE].
154
ESOPO, 427 [PERRY]. Favola attribuita ad Esopo anche da Plu-
tarco in Moralia, 790 c-d; ulteriori rinvii in Dorati, 286, n. 80.
155
EURIPIDE, Medea, 294-5.
156
EURIPIDE, Medea, 296-7.
157
EURIPIDE, fr. 661, [NAUCK]; dovrebbe trattarsi della tragedia
perduta Stenebea (Dorati, 287, n. 84).
158
EURIPIDE, Ecuba, 863.
159
EURIPIDE, Ecuba, 864.
160
Frammento attribuito a Simonide (fr. 146, (651) [PAGE] e ATE-
NEO, Deipnosofisti, XV, 694) o a Epicarmo (23 B 19 [DK]).
161
EURIPIDE, Le Troiane, 1051.
162
Verso di un tragediografo sconosciuto.
163
EPICARMO, fr. 263 [KAIBEL], 239 [OLIVIERI].
164
Ossia, alla maniera spartana, brevi ed efficaci.
165
STESICORO, fr. 104b (281b) [PAGE]. La frase significa che l’at-
teggiamento tracotante degli abitanti di Locri avrebbe potuto scate-
nare un’invasione nemica, la terra sarebbe stata devastata e gli alberi
abbattuti, di qui l’invito ad evitare «che le cicale cantino a terra» (cfr.
Dorati, 287, n. 93; Zanatta, 282, n. 101).
166
OMERO, Iliade, XII, 243.
424 NOTE AL TESTO

167
Iliade, XVIII, 309. Si tratterebbe di un’antica divinità della
guerra (cfr. Dorati, 287, n. 95).
168
Cfr. ARISTOTELE, Retorica, II, 21, 1395a 18 e nota.
169
Significa avere un vicino poco raccomandabile, irrequieto come
un attico; cfr. TUCIDIDE, La guerra del Peloponneso, I, 70, e ZENOBIO,
II, 28, [CPG], I, 40.
170
Cfr. PLATONE, Protagora, 343B (13A 4 [DK]).
171
Cfr. ARISTOTELE, Retorica, 1389b 24.
172
Cfr. ARISTOTELE, Retorica, 1394a 21-22.
173
ESIODO, Opere e giorni, 346 (cfr. Zanatta, 284, n. 109).
174
Frase da attribuire al comico Menandro (in AULO GELLIO, Notti
Attiche, II, 23) secondo Zanatta (Id., 284, n. 110).
175
Cfr. ARISTOTELE, Retorica, 1394a 21-22.
176
Cfr. ARISTOTELE, Retorica, I, 2, 1356a 35 ss. (cfr., inoltre, ARI-
STOTELE, Analitici primi, 60b 11 e Elenchi Sofistici, 165a 3).
177
EURIPIDE, Ippolito, 988-989.
178
Cfr. ARISTOTELE, Topici, II, 23.
179
Cfr. ARISTOTELE, Retorica, 1403a 17.
180
Si tratta di una presentazione di argomenti che saranno trattati
nei capitoli successivi (cfr., rispettivamente, ARISTOTELE, Retorica, II,
23-25).
181
Contrari sono quelle cose che, appartenendo a uno stesso gene-
re, differiscono tra loro al massimo grado (cfr. ARISTOTELE, Metafisica,
I, 4, 1055a 3-31).
182
ALCIDAMANTE, Messeniaco, fr. 2, p.154 [SAUPPE]; e ARISTOTELE,
Retorica, I, 13, 1373 b18a.
183
I versi dell’ignoto tragediografo sono in fr. adesp. 80, [NAUCK];
per la relativa discussione, cfr. Zanatta, 288, n. 124.
184
EURIPIDE, Tieste, fr. 396, [NAUCK].
185
Secondo il mito, Alcmeone, uccise la madre Erifile, mentre il
nome, che appare subito dopo, Alfesibea, è quello della moglie dello
stesso Alcmeone. Per quanto riguarda Teodette, uno dei più celebri
tragici del IV sec. a. C., fu inoltre oratore, maestro di retorica, nonché
allievo di Platone, Isocrate e dello stesso Aristotele (cfr. Dorati, 288,
n. 110).
186
TEODETTE, Alcmeone, fr. 2 [NAUCK].
187
Ibid.
188
Nicanore è un personaggio sconosciuto. Per quanto riguarda
Demostene, non si sa se si tratti del politico o di un omonimo.
189
Eneo è il padre di Meleagro, uccisore di Toxeo e Plexippo.
Citazione di un tragico a noi sconosciuto, in fr. adesp. 81, [NAUCK].
NOTE 167-206 425
190
Alessandro è Paride, come Teseo, colpevole di aver rapito Ele-
na (cfr. APOLLODORO, Biblioteca, III, 10, 7; Epiteti, I, 23).
191
La colpa dei Tindaridi – ossia i Dioscuri – fu quella di aver
rapito le figlie di Leucippo (cfr. APOLLODORO, Biblioteca, III, 11, 2).
192
OMERO, Iliade, XVI.
193
La morte di Achille per mano di Alessandro – ovvero Paride – è
raccontata in un poema perduto del ciclo epico l’Etiopide (cfr. APOL-
LODORO, Epiteti, 5, 3).
194
Ross attribuisce l’espressione a Policrate (POLICRATE, Alessan-
dro, fr. 2, p. 222 [Sauppe]), Zanatta (291, n. 138) e Dorati (289, n.
121) la ritengono dubbia.
195
LISIA, Contro Armodio, fr. 1, p. 179 [SAUPPE]. Si tratta di un’o-
razione probabilmente scritta da Lisia e pronunciata da Ificrate (cfr.
DIONISIO DI ALICARNASSO, Su Lisia, 12). Ificrate è un celebre stratega
ateniese che nel 392 a. C. sconfisse gli Spartani, gli era stata promessa
una statua in suo onore, ma la proposta incontrò l’opposizione di Ar-
modio. Cfr. Dorati (289, n. 114); altri riferimenti in Zanatta (292, n.
139) e Plebe (146, n. 56).
196
Nel 346 a. C.
197
Dopo la conquista di Elea, nel 339 a. C., Filippo avanzò la ri-
chiesta ai Tebani a che lasciassero passare il suo esercito per entrare
nell’Attica. Probabilmente, il rifiuto opposto dai Tebani si deve anche
alle orazioni di Demostene, come congettura Zanatta (292, n. 140). Il
riferimento è agli avvenimenti che condussero alla sconfitta di Chero-
nea (cfr. Dorati, 289, n. 116; Plebe, 146, n. 57 e IX-X della Prefazione).
198
Tragedia perduta forse di Sofocle.
199
LISIA, Pro Ificrate, fr. 1, p. 191 [SAUPPE]. Ificrate venne accusato
di tradimento da Aristofonte.
200
Aristide «il giusto», uomo politico ateniese attivo intorno alla
prima metà del V secolo, famoso per la sua integrità morale.
201
Cfr. PLATONE, Apologia, 27B ss.
202
Cfr. PLUTARCO, Moralia, 187b.
203
L’azione cui qui si fa riferimento è l’assassinio di Ipparco, fra-
tello del tiranno ateniese Ippia (514 a. C.), ricordata come esempio di
amor patrio e di avversione nei riguardi della tirannide (cfr. Dorati,
289, n. 120).
204
POLICRATE, Alessandro, fr. 2, p. 222 [SAUPPE]; cfr. ante 1397b 27-29.
205
Re macedone.
206
Probabilmente Aristotele allude a Topici, I, 15, 106a 14 ss.; il
riferimento è comunque controverso (cfr. Dorati, 289-290, n. 123; Za-
natta, 293, n. 149).
426 NOTE AL TESTO

207
Mantia aveva due figli illegittimi che fu costretto a riconoscere,
in seguito alla dichiarazione della madre (cfr. DEMOSTENE, 39, Contro
Boeto; Dorati, 290, n. 124).
208
TEODETTE, Legge, fr. 1, p. 247 [SAUPPE].
209
Discepolo di Gorgia; per la citazione, cfr. ALCIDAMANTE, Mou-
seion, fr. 2 p. 155, [SAUPPE].
210
Missidemide è un personaggio sconosciuto. Autocle fu un poli-
tico ateniese contemporaneo di Aristotele.
211
L’allievo di Socrate, fondatore della scuola di Cirene.
212
L’episodio cui si fa riferimento (cfr. SENOFONTE, Elleniche, IV, 7,
2) è il seguente: il re di Sparta, Egesipoli, dapprima consultò l’oracolo
di Zeus a Olimpia, per sapere se rispettare una tregua sacra con gli
Argivi, alla risposta negativa del dio, si recò a Delfi, sapendo che la
risposta non poteva essere diversa, perché il figlio Apollo non avrebbe
mai contraddetto il padre Zeus.
213
ISOCRATE, Elena, 18-38, 41 ss.
214
ISOCRATE, Evagora, 52-53.
215
ARISTOTELE, Topici, III, 4, 111b 5-9.
216
TEODETTE, Apologia di Socrate, fr. 1, p. 47 [SAUPPE].
217
Discepolo di Isocrate.
218
Su Ificrate cfr. nota a ARISTOTELE, Retorica, II, 23, 1397b 30-34.
219
Strabaco, probabilmente allievo di Ificrate (cfr. DEMOSTENE, 20,
Contro Leptine, 84), Caridemo fu un generale mercenario più volte al
servizio degli Ateniesi (cfr. Zanatta, 297, n. 167).
220
TEODETTE, Legge, fr. 2, p. 247 [SAUPPE].
221
La posizione critica del filosofo Senofane di Colofone (IV sec.
a. C.) sulle credenze della tradizione religiosa è nota (cfr., ad esempio,
SENOFANE, 21 B 11 ss. [DK]).
222
ISOCRATE, Sullo scambio o Antidosi, 173.
223
DEMOSTENE, Sui patti con Alessandro = Orazione 17, 30. Il «con-
segnare acqua e terra» era l’atto richiesto dal Gran Re come riconosci-
mento della propria sottomissione (ERODOTO, Storie, VI, 48-9).
224
Secondo Dorati (290-1, n. 140): «Probabile riferimento alla
pace imposta in Grecia da Filippo di Macedonia dopo la battaglia di
Cheronea (338 a. C.), e conclusa due anni dopo dal figlio Alessandro».
225
LISIA, L’antica forma dello stato ateniese, 11.
226
Autore sconosciuto, vedi fr. adesp. 82, [NAUCK].
227
Cfr. ANTIFONTE, Meleagro, fr. 2, [NAUCK]; cfr., inoltre, ARISTO-
TELE, Retorica, II, 2, 1379b 15. Il distico si riferisce all’episodio in cui
Meleagro, insieme ad altri, fu invitato a uccidere il cinghiale che deva-
stava le terre di Oineo (APOLLODORO, Biblioteca, I, 8, 2-3).
NOTE 207-248 427
228
TEODETTE, Aiace, p. 801 [NAUCK].
229
Riferimento alla missione notturna (cfr. OMERO, Iliade, X).
230
Callippo, come si è detto (cfr. supra, nota 217), era allievo di
Isocrate; su Panfilo notizie in CICERONE, Sull’oratore, III, 21, e QUIN-
TILIANO, Istituzioni oratorie, III, 6, 34 (citati in Zanatta, 299, n. 177).
231
Demagogo Ateniese, Androcle fu avversario di Alcibiade e fau-
tore del suo esilio dopo che l’ebbe accusato della mutilazione delle
erme (cfr. ANDOCIDE, Sui misteri, 27; PLUTARCO, Alcibiade, 19, 3), ven-
ne ucciso (411 a.C.) da giovani seguaci di Alcibiade durante il governo
dei Quattrocento (TUCIDIDE, La guerra del Peloponneso, VIII, 65); cfr.
Plebe, 153, n. 75; Dorati, 291, n. 146.
232
ANDROCLE, p. 153 [SAUPPE].
233
Vale a dire che la donna è la madre del ragazzo.
234
TEODETTE, Aiace, p. 801 [NAUCK].
235
Cfr. LEODAMANTE, p. 216 [SAUPPE]. È quel Trasibulo di Collito che
fece interdire a Leodamante la carica di arconte (Zanatta, 300, n. 182).
236
Su tale colonna venivano, infatti, incisi i nomi dei traditori (Do-
rati, 291, n. 151).
237
Secondo il mito Leucotea era in origine la mortale Ino, figlia di
Cadmo e moglie di Atamante, che si gettò in mare col figlio Melicerte
per sfuggire al marito impazzito, diventando così una divinità marina
(APOLLODORO, Biblioteca, III, 4, 3).
238
CARCINO, Medea, p. 798 [NAUCK]. Su Carcino, cfr. Dorati, 291,
n. 153.
239
Del retore Teodoro di Bisanzio (seconda metà del V sec. a. C.),
autore di una WHFQZ
QVXQDJZJKY parla anche Platone nel Fedro (261C,
266E); cfr. Dorati, 291, n. 154 e Zanatta 301, n. 186.
240
SOFOCLE, Tindareo, fr. 597, [NAUCK]; fr. 658, [RADT].
241
EURIPIDE, Le Troiane, 990.
242
CHEREMONE, fr. 4, [NAUCK].
243
Da SHYQTR «dolore».
244
In ARISTOTELE, Elenchi Sofistici, 165b 23, Aristotele distingue
due tipi di sillogismi «falsi in forma», ovvero due paralogismi: in dic-
tione (dovuto all’elocuzione, ed è tale il caso succitato nel testo) ed
extra dictionem, che non dipendono dall’elocuzione (cfr. Zanatta, 303,
n. 190).
245
ISOCRATE, Evagora, 65-69.
246
La costellazione del cane.
247
Ossia di Cibele (Cfr. PINDARO, Parteni, fr. 96 [SNELL]).
248
Cfr. DIOGENIANO, V, 38, [CPG], I, 259. Come spiega il Dorati
(292, n. 166): «.RLQR
 Ô (UPH
 (“Hermes è comune”) era espressione
428 NOTE AL TESTO

proverbiale per indicare che ciò che veniva fortunosamente trovato (det-
to appunto H-UPDL
RQ) doveva essere diviso tra tutti i presenti. .RLQZQLNRY
vuol dire oltre che “comune” […] anche “generoso, liberale”. Il concetto
espresso sarebbe dunque che Hermes è il dio più generoso (NRLQZQLNRY)
poiché tutto ciò che viene trovato (H-UPDL
RQ Ô (UPH
) è comune (NRLQRY)».
249
Eutidemo è il sofista reso noto dall’omonimo dialogo platonico;
cfr. inoltre ARISTOTELE, Elenchi Sofistici, 20.
250
Il sofista (cfr. supra, nota 194).
251
L’impresa di Trasibulo – che, nel 404 a.C., rovesciò appunto i
Trenta tiranni – offre a Policrate l’argomento cui qui allude Aristotele
e riassunto da Quintiliano (Istituzioni oratorie, III, 6, 26) in questi
termini: se a chi rovescia la tirannide spetta un premio, e i tiranni sono
trenta, a Trasibulo dovevano forse essere riconosciuti trenta premi?
252
TEODETTE, Oreste, fr. 5 [NAUCK].
253
«Combinare» le azioni comporterebbe infatti che il figlio per
vendicare il padre, uccida la madre.
254
PLATONE, Simposio, 182C.
255
Cfr. POLICRATE, Elogio dei topi, fr. 1, p. 221 [SAUPPE]. L’episodio cui
si allude – i topi, rosicchiando le corde degli archi e le cinghie degli scudi
dell’esercito del re d’Arabia e d’Assiria, consentirono un’insperata vitto-
ria agli Egizi – è in Erodoto (Storie, II, 141). Cfr. Dorati, 292-3, n. 174.
256
Episodio trattato nei perduti 6XYQGHLSQRL di Sofocle (SOFOCLE,
L’assemblea dei Greci, p. 21 [NAUCK]).
257
POLICRATE, Alessandro, fr. 4, p. 223 [SAUPPE]; cfr., nota a Reto-
rica, 1397b 27-29.
258
DEMADE, (incerta), fr. 2, p. 315 [SAUPPE]. La guerra tra Atene e
Filippo che culmina con la sconfitta di Cheronea (338 a. C.).
259
TEODETTE, Elena, p. 801, [NAUCK].
260
«È» nella particolare accezione di «non essente».
261
AGATONE, incert. 9, [NAUCK].
262
Insieme a Tisia, Corace è tradizionalmente considerato il fon-
datore della tecnica retorica.
263
La celebre frase di Protagora, cfr. 21 A 80 [DK] (altri riferi-
menti in Dorati, 293, n. 180).
264
I sillogismi retorici.
265
ARISTOTELE, Topici, I, 10, 157a 34 - b 33, 14; VIII, 10; Elenchi
Sofistici, 9; Analitici secondi, 77b 34. Sulla nozione di «obiezione»,
ARISTOTELE, Analitici primi, 69a 37 - b 1.
266
Amore incestuoso, cfr. PARTENIO, Le pene d’amore, 11.
267
Pittaco, uno dei sette sapienti nonché uomo politico a Mitilene
nel VI sec. a.C. (cfr. Dorati, 293, n. 185 e Zanatta, 307, n. 223).
NOTE 249-287 429
268
ARISTOTELE, Retorica, I, 2, 1356a 35 ss.
269
ARISTOTELE, Analitici secondi, II, 26, 27.
270
Ibid.
271
ARISTOTELE, Retorica, 1396b 20-21.
272
ARISTOTELE, Topici, I, 10, 14; Elenchi Sofistici, 9.

Libro III
273
Cfr. ARISTOTELE, Poetica, 25, 1461b 1; forse è lo stesso Glauco-
ne ricordato in PLATONE, Ione, 530D (cfr. Dorati, 380, n. 2).
274
TRASIMACO, Grande trattato (85 B 6 [DK]), cfr. PLATONE, Fedro,
267C.
275
ARISTOTELE, Poetica, capp. 21, 22.
276
Cfr. QUINTILIANO, Istituzioni oratorie, VIII, 2, 1-11. Spiega Do-
rati (380, n. 5): «Solo la parola “propria” (NXYULRQ), usata nel suo signi-
ficato letterale, crea perspicuitas» (chiarezza).
277
ARISTOTELE, Poetica, cap. 22.
278
Attore tragico (IV sec. a. C.) ricordato pure in Aristotele (Po-
litica, VII, 17, 1336b 28 ss.) e in Demostene (DEMOSTENE, 19, Sulla
corrotta ambasceria, 246); cfr. Dorati, 380, n. 8 e Zanatta, 317, n. 12.
279
ARISTOTELE, Poetica, cap. 21.
280
ARISTOTELE, Retorica, III, 3.
281
Parole di significato ambiguo (cfr. ARISTOTELE, Retorica, II, 24;
Elenchi Sofistici, 7, e Dorati, 380, n. 11).
282
IFICRATE, incert. 2, p. 219 [SAUPPE].
283
Il «portatore di fiaccola» era un sacerdote di rango nell’ambito
dei Misteri ed era anche il soprannome di Callia che aveva ereditato
la carica dalla sua famiglia. Anche con il termine spregiativo «que-
stuante» s’indicava un sacerdote, per lo più legato al culto di Cibele,
mendicante e vagante e per questo disistimato (SENOFONTE, Elleniche,
VI, 3, 3; cfr. Dorati, 382-3, n. 13 e Zanatta, 319, n. 19).
284
Espressione proverbiale con la quale si indicavano spregiativa-
mente gli attori (ATENEO, Deipnosofisti, XII, 538 ss.; cfr. Plebe, 173,
n.7 e Zanatta, 319, n. 20)
285
EURIPIDE, Telefo, fr. 705, [NAUCK].
286
DIONISIO CALCO, fr. 7, II p. 262 [BERGK], e ATENEO, Deipnoso-
fisti, XV, 669. Dionisio soprannominato “Bronzeo” (R- FDONRX
) per
aver suggerito agli Ateniesi di usare monete di bronzo invece di quelle
d’argento (cfr. Dorati, 383, n. 15).
287
Il testo corrotto è posto tra croci da Ross (cfr. Dorati, 383, n. 16
e Zanatta, 320, n. 16).
430 NOTE AL TESTO

288
Spiega Dorati (383, n. 17): «si tratta della catacresi (lat. abusio)
che consiste in una metafora divenuta d’uso corrente per colmare il
vuoto causato dalla mancanza di un termine specifico […] come in
espressioni quali “collo della bottiglia”, “gambe del tavolo” ecc.».
289
CLEOBULINA, fr. 1, [BERGK]. Si tratta probabilmente di una for-
ma di salasso (cfr. inoltre Zanatta, 320, n. 24).
290
LICIMNIO, cf. Att. Ber. 12. 822 [BLASS]. Fu un allievo di Gorgia,
nel Fedro di Platone (267C) si ricorda una sua composizione sul bello
stile (cfr. Dorati, 383, n.19 e Zanatta, 320, n. 2c5).
291
Sofista, forse discepolo di Socrate e di Euclide di Megara (cfr.
Zanatta, 321, n. 26).
292
Espressione ricorrente nei poemi omerici (cfr. ad es. OMERO,
Iliade, I, 477; IX, 707; Odissea, II, 1, III, 404, 491 ecc.).
293
Riferimento alla nota vicenda di Oreste, matricida e vendicato-
re del padre (cfr. EURIPIDE, Oreste, 1588)
294
SIMONIDE, fr. 19 [DIEHL] = fr. 10 (515) [PAGE].
295
ARISTOFANE, Babilonesi, fr. 90 [Koch].
296
GORGIA, 82 B 15 [DK].
297
ALCIDAMANTE, incert. 1, p. 156 [SAUPPE]. Gorgia, Licofrone e Alci-
damante, vissuti nella seconda metà del V sec., ricercarono un uso poetico
del linguaggio in prosa (cfr. Dorati, 383, n. 25 e Zanatta, 322, note 30 e 32).
298
Sui nomi composti cfr. Poetica, cap. 21.
299
Per «glossa» s’intendono quelle locuzioni arcaiche, dialettali
o comunque rare e desuete, come si vede dagli esempi addotti (cfr.
Dorati, 383, n. 26).
300
Brigante ucciso da Teseo (Zanatta, 322, n. 33).
301
ALCIDAMANTE, incert. 5 e 6, p. 156 [SAUPPE].
302
Per «epiteto», s’intende «una qualunque aggiunta, descrittiva o
ornamentale, all’R>QRPDNXYULRQ» (Dorati, 383, n. 27)
303
OMERO, Iliade, IV, 434 ecc.
304
ALCIDAMANTE, incert. 6, p156 [SAUPPE].
305
L’espressione, pare di derivazione pindarica, si trova anche in
PLATONE, Simposio, 196C (cfr. Zanatta, 323, n.25).
306
Possibile riferimento a ARISTOTELE, Retorica, 1404 a 31-32.
307
GORGIA, 82 B 16 [DK]
308
ARISTOTELE, Retorica, 1406 a 8-9.
309
GORGIA, 82 A 23 [DK]; sul mito di Filomela, cfr. Dorati, 384,
n. 30.
310
OMERO, Iliade, XX, 166.
311
Spiega Dorati (384, n. 32): «Secondo la retorica antica, la me-
tafora (translatio) “trasporta un termine o un’espressione dal luogo in
NOTE 288-321 431

cui è proprio a quello in cui o il termine proprio manca o il traslato è


migliore” (Quintiliano, Istituzioni oratorie, VIII, 6, 5). Deve dunque
esistere un rapporto di somiglianza tra la parola che viene sostituita e
la parola che sostituisce intesa in senso proprio (tra “leone” e “guer-
riero coraggioso”). Di conseguenza si considerava la similitudine una
metafora ampliata e la metafora una similitudine contratta (cfr. Cice-
rone, Sull’oratore III, 39, 157; Quintiliano, Istituzioni oratorie, VIII,
6, 8-9)». Data l’imponente e autorevole letteratura sulla metafora in
Aristotele, ci limitiamo a rinviare al recente lavoro di V. Cicero, Parole
come gemme. Studi su filosofia e metafora, collana “I Cento Talleri”,
editrice Il Prato, Saonara (Padova) 2012 (la parte sulla metafora ari-
stotelica è alle pp. 65-169).
312
GORGIA, Androzione, p. 245 [SAUPPE]. Idrieo fu un principe
della Caria, Androzione (IV sec.) fu un politico ateniese, allievo di
Isocrate (cfr. Dorati, 384, n. 33).
313
PLATONE, Repubblica, V, 469D 6 - E 2.
314
PLATONE, Repubblica, VI 487E 7 - 488A 2
315
PLATONE, Repubblica, X 601B 6-7.
316
Come spiega Zanatta (325, n. 47): «I Samii rifiutavano di ac-
cettare l’egemonia di Atene che offriva loro aiuto contro i Persiani,
ma al contempo paventavano una campagna militare di costoro. È
probabile che Pericle abbia usato questa similitudine nella spedizione
che comandò, nel 440 a. C., contro i Samii stessi».
317
«I lecci vanno in pezzi da sé» o perché cadendo abbattono gli
alberi vicini, o perché il manico delle scuri con cui vengono abbattuti
è dello stesso tipo di legno (Dorati, 385, n.37).
318
DEMOSTENE, incert. 16, p. 234 [SAUPPE]. Probabilmente si
tratta del generale ateniese omonimo del celebre oratore (V sec.)
che morì in Sicilia nel 346 a. C. (cfr. Dorati, 385, n. 38 e Zanatta,
326, n. 49).
319
DEMOCRATE, fr. 1, p. 320 [SAUPPE]. Oratore noto per il suo stile
brusco e per le immagini forti (PLUTARCO, Moralia, 803 e-f). L’imma-
gine della nutrice ricorre anche in ARISTOFANE (Cavalieri, 715 ss.; cfr.
Dorati, 385, n.39; Zanatta, 326, n. 50).
320
Antistene potrebbe essere il fondatore della scuola cinica, men-
tre Cefisodoto dovrebbe essere l’oratore ateniese (IV sec.) cui si rife-
risce Licurgo nell’orazione omonima Contro Cefisodoto (cfr. Dorati,
385, n. 40 e Zanatta, 326, n. 51).
321
Cfr. ARISTOTELE, Retorica, III, 11, 1412 b 36 - 1413 a 1; Poetica,
21, 1457b 20-23. L’immagine è attribuibile al poeta ditirambico Timo-
teo (fr. 18, (794) [PAGE]).
432 NOTE AL TESTO

322
7RH-OOKQLY]HLQ, «il parlare correttamente», corrispondente alla
voce lat. puritas (Dorati, 385, n. 42)
323
Cfr. pure ARISTOTELE, Poetica, 20, 1456b 38 - 1457a 10.
324
L’«anfibolia» è l’ambiguità dell’espressione, mentre l’«omoni-
mia» indica l’ambiguità del termine; il primo, come si dice in ARISTO-
TELE, Elenchi Sofistici, 165b 26 e 166a 6, produce la falsità in dictione
di un ragionamento (Zanatta, 327, n. 55).
325
ERODOTO, Storie, I, 53 e 91. Dopo aver ascoltato l’oracolo, Cre-
so, re dei Lidi, varcò il fiume Alis confinante con il regno dei Persiani
di Ciro. Venne sconfitto, non comprendendo che le parole della pro-
fezia si riferivano al suo di regno e non a quello di Ciro (Dorati, 385,
n. 44).
326
ERACLITO, 22 A 4 e B1 [DK].
327
Se cioè il «sempre» vada riferito al «logos» o al «privi di com-
prensione».
328
Poeta sconosciuto; cfr. fr. adesp. 83 [NAUCK].
329
EURIPIDE, Ifigenia in Tauride, 727.
330
Poeta epico di Colofone (V-IV sec. a. C.), autore del poema
Tebaide, andato perduto (cfr. Zanatta, 329, n. 62).
331
Monte della Beozia.
332
ANTIMACO, Tebaide, fr. 2 [KINKEL].
333
Le espressioni D>FRUGRQ e D>OXURQ, «senza corde» e «senza lira»,
sono da attribuire, la prima, probabilmente a Teognide (DEMETRIO FA-
LEREO, Sullo stile, 85), mentre la seconda si riscontra sia in Euripide
(Elena, 185 ecc.) che in Sofocle (Edipo a Colono, 1222; cfr. Zanatta,
330, note 65 e 66).
334
CLEOFONTE, I, 962 [NAUCK]. Poeta tragico (V. sec.), ricordato
da Aristotele in Elenchi Sofistici, 15, 174 b27, Politica, 2, 1448a 12,
22, 1458a 20.
335
Ovvero gli scrittori di discorsi di professione, come ad es. Lisia
(un celebre esempio sulla tecnica di quest’ultimo è in PLATONE, Fedro,
230E6 - 235C5).
336
In sostanza, è buona norma che l’oratore che faccia uso di
espressioni audaci, ne attenui l’effetto o scusandosi anticipatamente o
con espressioni del tipo «se è lecito…», «se mi è permesso ecc.» (cfr.
Dorati, 386, n. 55).
337
Cfr. rispettivamente OMERO, Odissea, V, 239, e Iliade, III, 229
(altre indicazioni in Zanatta, 332, note 70-71).
338
ISOCRATE, Panegirico, 186.
339
ISOCRATE, Panegirico, 97.
340
GORGIA, fr. 7 - 7 [SAUPPE].
NOTE 322-353 433
341
PLATONE, Fedro, 238D 1 - 3, 241 E 1-2.
342
Cleone era noto per porsi come difensore dei poveri (cfr. ARI-
STOFANE, Rane, 569; Zanatta, 333, n. 76).
343
È il verso più vicino al parlato, come viene ribadito dallo stesso
Aristotele (Poetica, 4, 1449a 24-26), e quindi quello meno adatto a
un’orazione che richieda solennità.
344
Una danza comica (Dorati, 386, n. 62).
345
TRASIMACO, Grande trattato, 5, p. 164 [SAUPPE].
346
«Il peone – spiega Dorati – è costituito, nella sua forma fonda-
mentale, da tre sillabe brevi e una lunga (corrispondente a due brevi),
o da una lunga e tre brevi, presentando dunque un rapporto 3 a 2,
mentre il dattilo (una lunga e due brevi) presenta il rapporto 1 a 1, e
giambo e trocheo (una lunga e una breve, oppure una breve e una lun-
ga) sono in rapporto di 2 a 1 […] Il rapporto del peone (uno e mezzo,
cioe 3 a 2) è in altre parole il giusto mezzo tra gli altri due rapporti
analizzati» (Dorati, 386, note 64 e 65).
347
Il cosiddetto «peone primo» (ibid. n. 67).
348
SIMONIDE, fr. 26b [BERGK]
349
Ibid.
350
Ibid. Esempi del primo tipo di peone, quello adatto all’esordio,
sono sia 'DORJHQH che &UXVHRNRYPD con le quali si dà inizio ai primi
due dei versi citati: infatti, in entrambi, la prima sillaba è lunga mentre
sono brevi quelle successive. Invece, il terzo verso contiene un esem-
pio del secondo tipo di peone: la sillaba di QXY[ è lunga, mentre sono
brevi le tre sillabe di KMIDYQLVH (cfr. Dorati, 387, note 68 e 69). Come
indicato da Zanatta (334, n. 83), i tre versi che Bergk attribuisce a
Simonide sono, invece, considerati anonimi da DIEHL (II, p. 303) e
PAGE (p. 511, n. 950).
351
Ross espunge a questo punto la frase “Ô +URGRYWRX4RXULYRXK^GΔ
L-VWRULYK DMSRYGHL[L” [Esposizione della ricerca di Erodoto di Turi]
che è la citazione di ERODOTO, Storie I, 1, perché Erodoto – che, di
solito, è un esempio di «elocuzione continua» – non lo è nel caso della
frase succitata (cfr. Dorati, 387, n. 71).
352
«In unfettered language» ovvero «in prose» si suggerisce nel
Liddell-Scott (s.v.).
353
Secondo Ross, la citazione è in SOFOCLE, fr. 519, [NAUCK].
R. Kassel (Aristotelis, Ars Rhetorica, Berlin and New York, W. De
Gruyter, 1976) espunge 6RIRNOHYRX perché il verso è di Euripide
(Meleagro, fr. 515 [Nauck]). Il verso è citato ad esempio da Aristotele
in quanto, sebbene completo da un punto di vista metrico, è «incom-
pleto in relazione al senso, perché da solo lascerebbe intendere erro-
434 NOTE AL TESTO

neamente che Calidone si trova nel Peloponneso…» (Dorati, 387, n.


73).
354
«Il verso successivo (HMQDMQWLSRYUTPRLSHYGLΔH>FRXVΔHXMGDLYPRQD)
completava il senso» (Ibid.).
355
Frase considerata spuria da Ross (cfr. al riguardo Zanatta, 336,
n. 90)
356
Come chi, nel passeggiare avanti e inditero con alcuni amici,
anziché tornare dal solito punto di svolta prosegue oltre, spiazzan-
do i propri compagni che rimangono indietro (cfr. Dorati, 387, n.
75).
357
ESIODO, Opere e giorni, 265-266, a differenza del primo, cita-
to correttamente, il secondo verso esiodeo – che all’origine era K- GH
NDNKERXOKWZ
ERXOHXYVDQWLNDNLYVWK – è una parodia da parte di Ari-
stotele. Democrito di Chio fu un musico contemporaneo di Democri-
to (DIOGENE LAERZIO, Vite dei filosofi, IX, 49), mentre Melanippide (V
se. a. C.) fu compositore di ditirambi (cfr. Dorati, 387, n.76, Zanatta,
337, note 91, 92 e 93).
358
ISOCRATE, Panegirico, 1.
359
Ibid., 35 ss.
360
Ibid., 41.
361
Ibid., 48.
362
Ibid., 72.
363
Ibid., 89.
364
Ibid., 105.
365
Ibid., 149.
366
Ibid., 181.
367
Ibid., 186.
368
LICOFRONE, incert. 1 [SAUPPE], p. 346. Pitolao e Licofrone ucci-
sero il tiranno di Fere, Alessandro (DIODORO SICULO, Biblioteca stori-
ca, XVI, 14). Cfr. Plebe, 191, n. 43, Dorati, 388, n. 87.
369
Cfr. pure ARISTOTELE, Retorica, II, 23, 1396b 26.
370
Ossia, spiega Dorati (388, n. 89), quando hanno lo stesso nu-
mero di sillabe (isocolon).
371
ARISTOFANE, fr. 649 [Kock]. Ulteriori notizie in Zanatta, 339,
n. 107.
372
OMERO, Iliade, IX 526. Come si vede dal testo greco, non si
tratta di vere e proprie anafore, piuttosto giochi di parole basati sulla
somiglianza dei suoni (Dorati, 388, n. 91)
373
Questa citazione e le altre tre che la precedono, sono tutte
quante tratte da autori ignoti. Si noti inoltre nel testo greco l’e-
guaglianza dei suoni delle terminazioni delle parole, eguaglianza
NOTE 354-391 435

la quale viene chiamata da Aristotele «omoteleuto» (Dorati, 388, n.


93).
374
Cfr. DIOGENE LAERZIO, Vite dei filosofi, V, 24. Si tratta di un’ope-
ra, di argomento retorico, di Aristotele andata perduta (Dorati, 388,
n. 94 e Zanatta, 339, n. 114).
375
EPICARMO, 23 B 30 [DK]. Ulteriori notizie in Zanatta, 340, n.
115.
376
DMVWHL
RQ (lat. urbanitas) contrapposto a ciò che è rozzo, sempli-
ciotto, non da ‘cittadino’, sta ad indicare l’espressione che manifesta
finezza e prontezza d’ingegno; HXMGRNLPRX
QWD sono, invece, le espres-
sioni «ben reputate» e quindi di successo (cfr. pure Dorati, 388, 95).
377
OMERO, Odissea, XIV, 114.
378
ARISTOTELE, Retorica, III, 4, 1406b 20-26.
379
ISOCRATE, Filippo, 73.
380
ARISTOTELE, Poetica, 21, 1457b 6 ss.
381
ARISTOTELE, Retorica, I, 7, 1365a 32.
382
LEPTINE, p. 250 [SAUPPE]. Probabile riferimento a un discorso
pronunciato da Leptine per gli Spartani che invocavano l’aiuto degli
Ateniesi nella guerra contro Epaminonda e i Tebani (369 a. C.); cfr.
Dorati, 388-9, 101 e Zanatta, 342, n. 122.
383
CEFISODOTO, fr. 1, p. 220 [SAUPPE].
384
L’episodio riguarda Carete e i suoi mercenari e si riferisce alla
guerra di Olinto contro Filippo (349 a. C.; cfr. Zanatta, 342, n. 123).
385
Riferimento all’invasione persiana del 490 a. C. Con l’espressio-
ne «per decreto di Milziade» s’intende sbrigativamente, senza attar-
darsi in preparativi (Dorati, 389, n. 102).
386
IFICRATE, incert. 4, p. 219 [SAUPPE].
387
Secondo Ificrate, con questa pace gli Ateniesi si erano preclusi
la possibilità di saccheggiare un territorio che avrebbe fornito loro gli
approvvigionamenti per la guerra (su Ificrate cfr. nota a ARISTOTELE,
Retorica, II, 23, 1397b 30-34).
388
PITOLAO, p. 318 [SAUPPE].
389
La «Paralo», insieme alla «Salamina», era la nave sacra degli
Ateniesi. La città di Sesto era d’importanza strategica per il controllo
della rotta delle navi, cariche di frumento, provenienti dal Mar Nero
e dirette ad Atene (Dorati, 389, n. 104).
390
PLUTARCO, Pericle, 8. Egina, isoletta collocata all’ingresso del
golfo di Salonicco, permetteva di bloccare il porto del Pireo (Dorati,
389, n. 105).
391
Politico originario di Salamina, contemporaneo di Demostene
(Zanatta, 342, n. 130).
436 NOTE AL TESTO

392
MEROCLE, p. 275 [SAUPPE].
393
Poeta della commedia di mezzo (cfr. Dorati, 389, n. 106)
394
ANASSANDRIDE, fr. 68 [KOCK].
395
Oratore contemporaneo di Demostene.
396
POLIEUTTE, p. 220 [SAUPPE]. Per l’interpretazione del termine
HMQSHQWHVXULYJJZ, cfr. Dorati, 389, n. 107.
397
CEFISODOTO, fr. 3, p. 250 [SAUPPE].
398
La citazione è da intendersi in senso ironico: si fa, infatti, rife-
rimento alle frugali abitudini degli Spartani che consumavano i pasti
nelle mense comuni dette IHLGLYWLD (cfr., inoltre, Dorati, 389, n. 109).
399
ESIONE, p. 318 [SAUPPE]. Riferimento all’infelice spedizione ate-
niese in Sicilia.
400
CEFISODOTO, fr. 4, p. 220 [SAUPPE].
401
ISOCRATE, Filippo, 12.
402
La citazione presenta però un’inesattezza, perché in Lisia il rife-
rimento è rivolto ai caduti di Egospotami (Dorati, 389, n. 112).
403
LISIA, Sul tradimento di Ificrate, fr. 2, II, p. 191 [SAUPPE].
404
LICOLEONE, p. 249 [SAUPPE]. Il riferimento è alla tattica di Ca-
bria che attendeva l’assalto dei nemici con il ginocchio posato a terra;
con questa posa venne ritratto in una statua di bronzo nell’agorà di
Atene (Dorati, 389-90, n. 113)
405
ISOCRATE, Panegirico, 150.
406
Ibid., 172.
407
Ibid., 180.
408
SIMONIDE, fr. 37 (542), [PAGE] = fr. 5. 1-2 [BERGK]. L’espressio-
ne si trova nel carme di Simonide a Scopas (Dorati, 390, n.117).
409
Il «tetragono», ovvero il quadrato, è perfetto in virtù dell’ugua-
glianza dei suoi lati (Zanatta, 345, n. 146).
410
ISOCRATE, Filippo, 10.
411
ISOCRATE, Filippo, 127.
412
EURIPIDE, Ifigenia in Aulide, 80 (nel testo di Euripide troviamo
GRULY [con la lancia] al posto di SRVLYQ [con i piedi]; cfr. Dorati, 390,
n. 120).
413
OMERO, Odissea, XI, 598.
414
Iliade, XIII, 587.
415
Iliade, IV, 126.
416
Iliade, XI, 574
417
Iliade, XV, 542.
418
Iliade, XIII, 799.
419
ARISTOTELE, Retorica, III, 10, 1410b 32.
420
ARCHITA, 47 A 12 [DK].
NOTE 392-443 437
421
Dal basso trattiene l’ancora, dall’alto l’amo.
422
Si tratterebbe di una possibile allusione a ISOCRATE, Filippo, 40,
secondo il Dorati (390, 129).
423
«Frasi brevi e incisive meno universali della JQZYPK» (Dorati,
390, n. 130).
424
STESICORO, 2, 223 [BERGK]; cfr. inoltre ARISTOTELE, Retorica, II,
21, 1395a 1-2.
425
Cfr. ARISTOTELE, Retorica, II, 23, 1400b 16.
426
Sono le sententiae ex inopinato – spiega il Dorati (390, n. 132)
– dovute all’uso inaspettato di una parola o di un’espressione di cui
parla Quintiliano (Istituzioni oratorie, VIII, 5, 15). Su Teodoro cfr.
ARISTOTELE, Retorica, II, 23, 1400b 15-16 e nota.
427
Versi epici parodiati; cfr., in proposito, Odissea, XXI, 341 (Do-
rati, 390, n. 133).
428
Come si evince dal testo greco, gioco di parole fondato sulla
somiglianza fra TUDYVVZ [confondere] e 4UD
[ [Trace].
429
Altro gioco di parole tra SHYUVDL [distruggere] e 3HYUVDL [Per-
siani] (cfr. Dorati, 391, nota 135).
430
ISOCRATE, Filippo, 61; La Pace, 101. In questo caso, si gioca sul
doppio senso di DMUFKY come «dominio» e «principio».
431
Fr. adesp. 209 [KOCK].
432
ANASSANDRIDE, fr. 64 [KOCK].
433
Fr. adesp. 206 [KOCK].
434
ARISTOTELE, Retorica, III, 4, 1406 b20; III, 6, 1410b 18-19.
435
TIMOTEO, fr. 16, [BERGK].
436
Fr. adesp. 127 [BERGK].
437
Il suonatore di cetra per la postura, mentre il miope e la lucer-
na perché il primo contrae gli occhi mentre la seconda si contrae se
bagnata.
438
Tale era l’aspetto dell’eroe Filottete dopo essere stato morsicato
da un serpente sull’isola di Lemno (cfr. Zanatta, 350, n. 178).
439
Fr. adesp. 208 [Kock].
440
Fr. adesp. 207. Filammone fu un pugile ricordato da Eschine
(3, 89) e da Demostene (DEMOSTENE, 18, Sulla corona, 319); cfr. Do-
rati, 391, n. 145.
441
Cfr. ZENOBIO, IV, 48, [CPG], I, 98. Ci si riferisce ai danni causa-
ti alla vegetazione dell’isola di Carpato da parte di un suo abitante che
aveva improvvidamente introdotto sull’isola la lepre (cfr. Dorati, 391,
n. 146 e Zanatta, 351, n. 180).
442
OMERO, Iliade, IX, 385, 388-90.
443
Poeta tragico del IV sec.
438 NOTE AL TESTO

444
Cfr. nota a ARISTOTELE, Retorica, III, 2 1405b 6.
445
Attore ricordato anche da Eschine, Contro Timarco, 115 (Za-
natta, 353, n. 184).
446
ANASSANDRIDE, fr. 10 [Kock]. Altri editori, a differenza di Ross,
riportano *HURQWRPDQLYD sulla base di Ateneo, XIII, 570d-e; XIV 614c
(cfr. Dorati, 391, n. 152).
447
ANASSANDRIDE, Eusebeia, [Kock, 2. 140].
448
Forse un detto proverbiale indicante un discorso lento ed esi-
tante come il procedere di un uomo che porta un bastone sulle spalle
per tenere l’equilibrio (cfr. Zanatta, 353, n. 187).
449
OMERO, Iliade, II, 671-3.
450
In sostanza, una cosa è arringare la folla un’altra è convincere
un giudice.
451
Forse un riferimento polemico nei riguardi di Isocrate o di Te-
odette (Dorati, 392, n. 156).
452
In ARISTOTELE, Retorica, III, 2, 1404b 2-4.
453
Indica l’oggetto del discorso o «l’enunciazione preliminare del-
la questione» (Zanatta, 355, n. 192).
454
Cfr. ARISTOTELE, Analitici primi, 24 a11; 62 a21; 65 a36.
455
La polemica è rivolta alla divisione del discorso in quattro parti
di norma accettata dalla scuola di Isocrate: SURRLYPLRQGLKYJKVLSLY
VWHLHMSLYORJR; cfr. Dorati, 392, n. 157.
456
Discorso epidittico e deliberativo, a differenza di quello
giudiziario, non richiedono un resoconto puntuale e dettagliato
(GLKYJKVL).
457
Il discorso dell’oratore cui sta qui facendo riferimento Aristo-
tele, spiega il Dorati (392, n. 159), era scandito in tre momenti: 1)
esposizione delle «persuasioni», o «mezzi di prova», a sostegno della
propria tesi; 2) esposizione delle «persuasioni» a sostegno della tesi
dell’avversario; 3) le «repliche» contro queste ultime; di conseguenza
le «repliche»finivano col costituire un’«amplificazione» delle proprie
argomentazioni.
458
Cfr. inoltre ARISTOTELE, Retorica, II 23, 1400 b16 e relativo rin-
vio; PLATONE, Fedro, 266D-E (dove viene ripresa la ripartizione del
discorso secondo Teodoro).
459
ARISTOTELE, Retorica, III 2, 1405 b7.
460
ISOCRATE, Elena, 1-13.
461
Qui Isocrate esordisce contrapponendo a Gorgia (compositore
dell’Encomio di Elena; 82 B 11 [DK]) eristi e sofisti, il che non ha
nulla a che vedere con il tema successivo, cioè con il suo encomio di
Elena, facendo come gli auleti che, nel preludio, suonano un pezzo
NOTE 444-482 439

diverso rispetto al tema iniziale (cfr. Dorati, 392, n. 160 e Zanatta,


357, n. 201).
462
GORGIA, 82 B 7 [DK].
463
ISOCRATE, Panegirico, 1.
464
CHERILO, fr. 1, [KINKEL]. Il poeta Cherilo di Samo (V sec.) au-
tore della Perseide, sembra lamentare il fatto che ben poco sull’argo-
mento è rimasto che non sia già stato trattato (Dorati, 393, n. 163).
465
Fr. adesp. 124, [BERGK], attribuito dal Page al poeta ditirambi-
co Timoteo (fr.18, (794) [PAGE]).
466
Per una diversa interpretazione del passo, cfr. Zanatta, 358, n.
207.
467
OMERO, Iliade, I, 1; Odissea, I, 1.
468
Probabile esordio della Perseide di Cherilo; cfr. CHERILO (?), fr.
1, [KINKEL].
469
SOFOCLE, Edipo re, 774.
470
Alla disattenzione dell’uditore.
471
Cfr. PLATONE, Fedro, 264C.
472
PRODICO, 84 A 12 [DK]; cfr., inoltre, Zanatta, 360, n. 170.
473
SOFOCLE, Antigone, 223.
474
EURIPIDE, Ifigenia in Tauride, 1162.
475
OMERO, Odissea, VI, 327.
476
Si tratta del già citato PLATONE, Menesseno, 235D 3-6 (cfr. Re-
torica, I, 9, 1367 b 8-9).
477
Sui verbi SURH[DJNZQLY]HLQ e SURDQDNLQHL
Q, solitamente usati
per indicare le azioni preliminari al combattimento da parte dei lot-
tatori, si vedano le considerazioni di Dorati (393, n. 176) e Zanatta
(361, n. 220).
478
GORGIA, 82 B 10 [DK].
479
IFICRATE, A Nausicrate, p. 219 [SAUPPE]. Su Ificrate vedi nota
a ARISTOTELE, Retorica, II, 23, 1397b 30-34, Nausicrate fu allievo di
Isocrate (cfr. Dorati, 393, n. 179).
480
SOFOCLE, p. 165 [SAUPPE]. Il riferimento potrebbe essere al pro-
cesso che il figlio Iofonte intentò a Sofocle, accusato di essere ormai
incapace a gestire i propri averi (Dorati, 393, n. 180).
481
EURIPIDE, fr. 1 [SAUPPE], p. 216, I. Lo «scambio dei beni» (DMQ
WLYGRVL) – spiega il Dorati (ibid., n.181) – era una sanzione di natura
particolare: quando a un cittadino veniva imposta la spesa per il so-
stegno di una liturgia, questi poteva rifiutarsi citando in giudizio un
altro cittadino da lui ritenuto più idoneo; se quest’ultimo, a sua volta,
rifiutava, venivano appunto imposti a entrambi «lo scambio dei beni».
482
EURIPIDE, Ippolito, 612.
440 NOTE AL TESTO

483
Il summenzionato verso di Euripide (Ippolito, 612) viene citato
da Igiemonte per dimostrare l’inattendibilità dei giuramenti dello stes-
so Euripide. Qui il poeta si difende appellandosi al principio giuridico
che vieta di sottoporre due volte a giudizio un medesimo caso: infatti
l’Ippolito (la tragedia da cui è tratto il verso citato), prima di essere rap-
presentata al teatro di Dionisio (nel 408 a. C.), doveva essere sottoposta
– come da prassi – al giudizio di una giuria (Dorati, 393-4, n. 181).
484
Dunque Teucro, per parte di madre (Esione, sorella di Priamo
appunto), era metà troiano. In tal caso, l’autodifesa di Teucro consiste
nel citare quali ‘segni’ in suo favore l’essere greco per parte di padre
e il non aver denunziato ai troiani la presenza di spie greche a Troia
(Dorati, 394, n. 182).
485
SOFOCLE, Teucr., p. 256 [NAUCK].
486
OMERO, Iliade, X, 242 ss.
487
Ossia quello «continuo».
488
Il brusco passaggio al genere giudiziario, come si vede subito
dopo nel testo, ha fatto pensare a una lacuna. Cfr. Dorati, 394, n. 185.
489
Solito riferimento polemico alla manualistica d’argomento re-
torico in circolazione ai tempi di Aristotele, oppure, come suggerisce
Quintiliano (Istituzioni oratorie, IV, 2, 31 ss.), alla scuola di Isocrate
(cfr. Dorati, 394, n. 186).
490
ERODOTO, Storie, II, 30.
491
Si riferisce al resoconto che Ulisse fa delle sue avventure e che,
rivolgendosi a Penelope, riassume in una sessantina di versi (cfr. OME-
RO, Odissea, XXIII, 264-284 e 310-343) mentre quello ad Alcinoo è
contenuto nei libri IX-XII dell’Odissea.
492
EURIPIDE, Oeneo, fr. 558, [NAUCK].
493
SOFOCLE, Antigone, 911-912; ERODOTO, Storie, III, 119 (cfr.,
inoltre, Dorati, 394, n. 190).
494
È probabile che si tratti di un appartenente alla cerchia socra-
tica, come farebbe pensare anche il riferimento a Cratilo, filosofo e
protagonista del dialogo omonimo di Platone (Dorati, 393, n. 191).
495
OMERO, Odissea, XIX, 361.
496
Lodare o insinuare sospetti, infatti, non sono ciò che ci si atten-
de da un’orazione deliberativa.
497
CARCINO, Edipo, [NAUCK], p. 798.
498
SOFOCLE, Antigone, 635-8; le suddette citazioni non supportano
adeguatamente il testo, che è corrotto (cfr. Dorati, 395, nn. 195 e 196;
Zanatta, 369, n. 141).
499
Ossia: 1) se il fatto sussiste; 2) se ha arrecato danno; 3) di quale
entità e 4) l’intenzione.
NOTE 483-523 441
500
OMERO, Odissea, IV, 204.
501
EPIMENIDE, 3 B 4 [DK].
502
ISOCRATE, Panegirico, 122-128.
503
ISOCRATE, Sulla pace, 27.
504
ISOCRATE, Elena, 22-38, 41-48; Busiride, 33-40; Panatenaico, 72-84.
505
Ossia Zeus, padre di Eaco, a sua volta, padre di Peleo e quest’ul-
timo di Achille (Dorati, 395, n. 201),
506
GORGIA, 82 B 17 [DK] = fr. 5, p. 130 [SAUPPE]
507
ARISTOTELE, Retorica, II, 23, 1400b 26-29 e III, 2,1405a 12-14
508
CALLISTRATO, Messeniaco, [SAUPPE], p. 218. Gli argomenti usati
da Callistrato, forse in occasione di un’ambasceria da parte di Atene
poco prima della battaglia di Mantinea (360 a. C.) sono riassunti in
CORNELIO NEPOTE, Vite, XV, Epaminonda, cap. VI (cfr. Dorati, 395, n.
203 e Zanatta, 373, note 256-7).
509
EURIPIDE, Le Troiane, 969, 971.
510
ISOCRATE, Filippo, 4-7; Sullo scambio o Antidosi, 132-9, 141-9.
511
ARCHILOCO, fr. 74, I, [BERGK].
512
Ibid., fr. 25 I, [BERGK].
513
SOFOCLE, Antigone, 683-709.
514
Famoso indovino menzionato anche da Aristofane (Uccelli, 521
e 988) e Plutarco (Pericle, 6); cfr. Dorati, 395, n. 209.
515
PLATONE, Apologia, 27C 1-8.
516
ARISTOTELE, Topici, 8, 4.
517
Sofocle è probabilmente un oratore, forse lo stesso che Seno-
fonte (SENOFONTE, Storia greca, II, 3, 2) ricorda come uno dei trenta
tiranni. Il comitato dei Quattrocento doveva essere l’organo di un
governo provvisorio, avente il compito di designare i cinquemila citta-
dini più abbienti che avrebbero dovuto formare il governo successivo
al colpo di stato di Pisandro (411 a. C.). Di fatto i Quattrocento eser-
citarono una dittatura vera e propria finché, ad opera di Teramene, il
comitato non venne sciolto e il governo passò nelle mani dei Cinque-
mila (Dorati, 396, n. 214).
518
GORGIA, 82 B 12 [DK].
519
Forse si riferisce al secondo libro della Poetica che è andato
perduto (Dorati, 396, n. 215).
520
ARISTOTELE, Retorica, I, 9.
521
ARISTOTELE, I, 7, 9, 14; II, 7, 19, 23.
522
ARISTOTELE, Retorica, II, 2-11; cfr. Zanatta, 377, n. 278.
523
Riferimento polemico forse rivolto a Isocrate (ibid., 378, n.
279).
BIBLIOGRAFIA E INDICI
BIBLIOGRAFIA

Edizioni

Bekker I., Aristotelis Opera ex recensione Immanuelis Bekkeri edidit


Academia Regia Borussica, G. Reimer, Berolini 1831-1870.
Dufour M., Aristote. Rhetorique, tome I et II: texte établi et traduit
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Roemer A., Aristotelis Ars rhetorica, Leipzig 18982.
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Traduzioni

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Aristotele, Retorica, trad. a cura di A. Plebe, in Giannantoni (a cura
di), Aristotele. Opere complete, B.U.L. (voll. 11), Laterza, Bari
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Aristotele, Retorica, testo critico e note a cura di M. Dorati, con un’in-
trod. di F. Montanari, Mondadori, Milano 1996.
Aristotele, Retorica e Poetica, (trad., introd., note e apparati di M. Za-
natta), Utet, Torino 2004.

Altre traduzioni presenti nel testo:


Aristotele, Della Interpretazione, introd., trad. e comm. a cura di M.
Zanatta, BUR, Milano 1992.
Aristotele, Etica Nicomachea, introd. trad. e parafrasi di C. Mazzarelli,
Rusconi, Milano 1979.
Aristotele, Fisica, Saggio introduttivo, trad., note e apparati a cura di
L. Ruggiu, Rusconi, Milano 1995.
Aristotele, Frammenti dei dialoghi, trad. e comm. a cura di R. Lauren-
ti, Loffredo, Napoli 1987.
446 BIBLIOGRAFIA E INDICI

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Milano 1993.
Aristotele, Organon, intr. trad. e note a cura di G. Colli, Einaudi, To-
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Aristotele, Poetica. Introduzione, traduzione e commento di D. Gua-
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blioteca Universale Rizzoli, Milano 19923.
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Platone, Fedro, introd. trad. note e apparati a cura di G. Reale, testo
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Platone, Gorgia e Protagora, trad. a cura di F. Adorno, in Giannantoni
G. (a cura di), Platone. Opere complete, B.U.L. (voll. 9), Laterza,
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Presocratici, I Presocratici. Prima traduzione integrale con testi origi-
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Hermann Diels e Walter Kranz, a cura di G. Reale, trad. a cura di
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Sofisti, Sofisti. Testimonianze e Frammenti, a cura di M. Untersteiner
(con la collaborazione per Crizia di A. Battegazzore), introd. di G.
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Commenti

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INDICE DEI NOMI E DELLE CITAZIONI

AGATONE
fr. 8 [Nauck]: 1392b 8
fr. 9 [Nauck]: 1402a 11
ALCIDAMANTE
Messeniaco: 1373b 18, 1397a 11
Museo: 1398b 11
incert.: 1406a 1, 8, 9, 20
ANASSANDRIDE
Eusebeia: 1413b 28 (vedi pure 1411a 20, 1412b 18, 1413b 26)
ANDOCIDE
Sui misteri: 1400b 10 (n.)
ANDROCLE: 1400a 10.
ANTIMACO
Tebaide: 1408a 3.
ANTIFONTE
Meleagro: 1379b 15, 1399b 27, 1409b 10 (n.).
APOLLODORO
Biblioteca: 1327b 23 (n.).
ARCHILOCO: 1418b 29, 31
ARCHITA: 1412a 13-14
ARISTOFANE
Babilonesi in 1405b 30
I cavalieri: 1407a 8-10 (n.)
Le rane: 1408b 26 (n.), 1410a 29
Gli uccelli: 1419a 2 (n.)
ARISTOTELE
Analitici primi: 1356b 10, 1357a 29, b 24
Analitici secondi: 1403a 5 e 12
Elenchi Sofistici: 1402a 35
Etica Nicomachea: 1357a 4-7 (n.), 1363b 12-14 (n.), 1361b 16 e 17
(n.)
Metafisica: 1371a 31-34 (n.), 1397a 7-9 (n.)
Poetica: 1404a 39, b 7 e 28, 1405a 6
Sull’anima: 1370a 28-29 (nota)
I Topici: 1353a 28, 1356b 13, 20, 1358a 29, 1396b 3, b 24, 1398a
28, 1399a 7, 1401a 3, 1402a 35, 1403a 32, 1419a 24
462 BIBLIOGRAFIA E INDICI

ATENEO
Deipnosofisti: 1379b 15 (n.)
AULO GELLIO
Notti Attiche: 1395b 9 (n.)

CALLISTRATO
Messeniaco: 1418b 10
CARCINO
Medea: 1400 b11
Edipo: 1417b 18
CEFISODOTO: 1411a 6, 23 e 28
CHEREMONE: 1400b 25
CHERILO: 1415a 4 e 17
CLEOBULINA: 1405b 1
CLEOFONTE: 1408a 15
CORNELIO NEPOTE
Vite degli uomini illustri: 1418b 10-12 (n.)

DEMADE: 1401b 32
DEMETRIO FALEREO
Sullo stile: 1408a 6-7
DEMOCRATE: 1407a 8
DEMOSTENE, Orazioni
8. Sul Chersoneso: 1386a 14 (nota)
17. Sui patti con Alessandro: 1399b 12
18. Sulla corona: 1413a 14 (nota)
19. Sulla corrotta ambasceria: 1380b 11-13, 1404b 22 (n.)
20. Contro Leptine: 1399b 2 (n.)
39. Contro Boeto: 1375a 30 (n.), 1398b 2 (n.)
incert. 16: 1407a 7
DIOGENE LAERZIO
Vite dei filosofi: 1356b 20 (n.), 1409b 29 (n.), 1410b 3 (n.)
DIODORO SICULO
Biblioteca storica: 1410a 20 (n.)
DIOGENIANO: 1374a 4 (n.), 1376a 5, 1383b 24, 1401a 21-22
DIONISIO CALCO: 1405a 32
DIONISIO DI ALICARNASSO
Su Lisia: 1397b 34 (n.)

EPICARMO: 1394b 16 e 26, 1410b 5


EMPEDOCLE: 1373b 16
EPIMENIDE: 1418a 24
INDICE DEI NOMI E DELLE CITAZIONI 463

ESCHILO: 1388a 8
ESCHINE: 1417b 1
ESIONE: 1411a 25-28
ESOPO: 1393a 31-32, 1393b 9-10, 1393b 22 - 1394a 1
EURIPIDE
Andromaca: 1370b 4
Antiope: 1317b 33
Ecuba: 1394b 4 e 6
Elena: 1408a 7
Ippolito: 1416a 32
Ifigenia in Aulide: 1411b 30
Ifigenia in Tauride: 1415b 21
Medea: 1394a 29-30 e 33-34
Oeneo: 1417a 15-16
Oreste: 1371a 28, 1405b 22-23
Telefo: 1405a 29
Tieste: 1397a 17-19
Troiane: 1394b 19, 1400b 24, 1418b 20-21
EVENO: 1370a 11

FRAMMENTI DI AUTORI SCONOSCIUTI: 1397a 13-16 e b21-22, 1394b 23,


1399b 23-25, 1407b 34, 1412b 14 e 29, 1413a 13 e 14, 1418b 20

GORGIA: 1405b 38, 1406b 9 bis, 15 1408b 20, 1414b 31, 1416a 3,
1418a 35, 1419b 4
Androzione: 1406b 27

ERODOTO
Storie: 1376a 2 (n.), 1389b 24 (n.), 1399b 11-12 (n.), 1401b 16 (n.),
1407a 39, 1409a 29, 1417a 7.
ESIODO
Opere e giorni: 1381b 16, 1388a 17, 1395b 8-9, 1409b 28-29

IFICRATE: 1367b 19, 1405a 19, 1411b 11


A Nausicrate: 1416a 10-12
ISOCRATE
Busiride: 1418a 34
Contro Callimaco: 1392b 11
Elena: 1399a 2, 1418a 34
Evagora: 1399a 5, 1401a 10
Filippo: 1410b 29, 1411b 27 e 29, 1412a 17 1418b 26
Panatenaico: 1418a 34
464 BIBLIOGRAFIA E INDICI

Panegirico: 1408b 16 bis, 1409b 34, 1410a 2, 5, 7, 9, 10, 12, 13, 15,
16, 1411b 11, 13, 16, 1414b 33, 1418a 31 bis
Sulla pace: 1418a 31 e 32
Sullo scambio: 1418b 26

LEODAMANTE: 1364a 19, 1400a 33


LEPTINE: 1411a 5
LICIMNIO: 1405 b6, 1414b 17
LICOLEONE: 1411b 6
LICOFRONE: 1410 a 18
LISIA
Contro Armodio: 1397b 31
Contro Agorato: 1390b 29 (n.)
Pro Ificrate: 1398a 6
L’antica forma dello stato ateniese: 1399 b 16
Pro Iphicratis produsia, 1411 b2

MEROCLE: 1411a 16

OMERO
Iliade: 1359a 3-5, 1362b 36, 1363a 6 bis, 1365a 13-15, 1370b 12
e 29, 1375b 30, 1378b 6-7, 1378b 32 e 34, 1379a 5 e 6, 1380b 30,
1387a 33-34, 1395a 14 e 16, 1397b 24-25, 1399b 29-31 (n.), 1405b
19, 1406 a 12, 1406b 21, 1408b 12, 1410a 31, 1412a 1 bis, 2 e 9,
1413 a 32-35, 1414a 3, 1415a 16, 1416b 14-15
Odissea: 1365a 30, 1370b 5, 1370b 29, 1371b 16, 1380a 25 (n.),
1380b 23, 1405b 19, 1408b 12, 1410b 14, 1411b 34, 1412a 31 (n.),
1415a 16, 1415b 27, 1417a 13-15, 1417b 5, 1418a 8

PINDARO
Olimpiche: 1364a 28
Parteni: 1401a 18
PITOLAO: 1411a 13
PLATONE
Apologia: 1419a 11
Fedro: 1404a 14 (n.), 1408a 34 (n.), 1408b 20, 1414a 14 (n.), 1415b
9 (n.)
Ione: 1403 b 26 (n.)
Menesseno: 1367b 8-9, 1415b 31-2
Repubblica: 1406b 33, 36, 1407a 1
Simposio: 1401b 12
PLUTARCO
Alcibiade: 1400a 9 (n.)
INDICE DEI NOMI E DELLE CITAZIONI 465

Demostene: 1374b 25-26 (n.)


Dione: 1373a 19-20 (n.)
Moralia: 1385a 13-14 (n.), 1393b 22-1394a 1 (n.), 1398a 17 (n.),
1400a 9 (n.), 1407a 10 (n.)
Pericle: 1411a 15-16 (n.)
Solone: 1375b 29-30 (n.)
POLICRATE
Alessandro: 1397b 27-29, 1398a 23, 1401a 35, 1401b 20
Elogio dei topi: 1401b 15
POLIEUTTE: 1411a 21-23
POLLUCE
Onomasticon: 1375 a29-30 (n.)

QUINTILIANO
Istituzioni oratorie: 1393a 30-31, 1400a 4, 1404b 1

SAFFO: 1367a 12-15


SENOFANE: 1377a 19-20, 1399b 6.
SENOFONTE: Storia greca: 1374a 25-26 (n.), 1405a 22 (n.), 1419a 28
(n.); Memorabili: 1393b 8.
SIMONIDE: 1363a 16, 1365a 26, 1367b 21, 1405b 27, 1409a 14, 15, 18,
1411b 26
SOFOCLE: 1416 a15
Antigone: 1373b12, 1375b 2, 1415b 20, 1417a 32, 1417b 20,
1418b 32-33
Banchettatori: 1401b 16
Pro Euctemone: 1374b 36
Edipo a Colono: 1408a 7 (n.)
Edipo Re: 1415a 21
Teucro: 1416b 1
Tindareo: 1400b18
SOLONE: 1375b 34
STASINO: Canti Cipri: 1376a 7
STESICORO: 1393b 10-22,1395a 1-2, 1412a 23-24

TEODETTE
Aiace: 1399b 29-31, 1400a 27-29
Alcmeone: 1397b 3, 4, 6
Elena: 1401b 35-36
Legge: 1398b 6-10, 1399b 2-4
Oreste: 1401a 36-39
Apologia di Socrate: 1399a 8-10
466 BIBLIOGRAFIA E INDICI

TEODORO: Synagoge technon: 1400b 16, 1412a 26, 1414b 14


TIMOTEO: 1407a 18, 1415a 15
TRASIMACO: Grande trattato: 1404a 14, 1409a 2
TUCIDIDE: La guerra del Peloponneso: 1368a 18, 1395a 20, 1400a 9

ZENOBIO: 1395a 20, 1413a 19


INDICE GENERALE

SOMMARIO V

FABIO CANNAVÒ, Aristotele e la retorica che convince VII

I. Le origini della retorica e i tre generi di discorso IX


II. La Retorica di Aristotele XII
1. Cenni generali XII
2. Retorica e dialettica XIV
2.1. Platone: la ‘cattiva’ e la ‘buona’ retorica, XIV
2.2. Aristotele: la retorica oltre il Fedro, XV
2.3. Esperienza e techne, XVI
2.4. Pisteis átechnoi e éntechnoi: il campo delle prove, XVIII
2.5. L’esempio e l’entimema, XIX
III. I limiti della retorica XXIV

NOTIZIA BIOGRAFICA XXIX

ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI XXXI

NOTA AL TESTO XXXII

RETORICA

LIBRO I
1. La retorica è una techne 3
2. Tipi di persuasione e argomentazioni retoriche (loro
luoghi e proposizioni) 13
3. I tre generi della retorica 29
4. Il genere deliberativo. Caratteri generali 35
5. La felicità 41
6. Sul bene e sull’utile in generale 51
7. Sulla maggiore o minore utilità 61
8. La salvezza dei governi 77
9. Il genere epidittico 79
468 BIBLIOGRAFIA E INDICI

10. Il genere giudiziario 93


11. Il piacere 101
12. Sul commettere e subire ingiustizie 113
13. Atti di giustizia e di ingiustizia 125
14. L’entità dell’ingiustizia 133
15. Le persuasioni non tecniche 135

LIBRO II
1. La credibilità dell’oratore 151
2. L’ira 155
3. La mitezza 165
4. Le ragioni dell’amore e dell’odio 171
5. La paura e l’ardimento 179
6. La vergogna e l’impudenza 189
7. Il favore 199
8. La compassione 201
9. Lo sdegno 207
10. L’invidia 215
11. L’emulazione 219
12. La giovinezza 221
13. La vecchiaia 225
14. La maturità 231
15. La buona nascita 231
16. La ricchezza 233
17. Il potere e la buona sorte 235
18. I luoghi comuni ai tre generi di discorso 237
19. Ancora sui luoghi comuni 241
20. L’esempio 247
21. La massima 253
22. L’entimema 261
23. Topici degli entimemi 267
24. Topici degli entimemi apparenti 291
25. Sulla confutazione 299
26. Precisazioni sugli entimemi 305

LIBRO III
1. L’elocuzione o stile e la disposizione degli argomenti 309
2. Le virtù dell’elocuzione 315
INDICE GENERALE 469

3. La freddezza dell’elocuzione 323


4. La similitudine 329
5. L’esprimersi in modo corretto 331
6. Sullo stile solenne 335
7. Adeguatezza dell’elocuzione 337
8. Ritmo e metrica 341
9. Il periodo e la composizione della frase 345
10. Le espressioni brillanti e di successo 353
11. Rappresentare l’azione 359
12. Elocuzione e generi retorici 371
13. Le parti del discorso 375
14. I proemi 379
15. La calunnia 387
16. La narrazione 391
17. Tipi di persuasione 399
18. L’interrogazione e la risposta 407
19. L’epilogo 411

NOTE AL TESTO 415


BIBLIOGRAFIA E INDICI 443
BIBLIOGRAFIA 445
INDICE DEI NOMI E DELLE CITAZIONI 461

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