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Il ruolo di san Paolo nell'elaborazione della complessa figura

del Cristo si riconnette, nella mentalità religiosa occidentale, alla


tradizione culturale giudaica.
Il libro di Macchioro, che è sorretto da una robusta dottrina e
da una sempre lucida polemica teologica, indaga sull'altro cru-
ciale versante dell'origine orfica ed ellenistica della concezione
paolina.
Indubitabile emerge l'influenza delle religioni misteriche sul
cristianesimo. L'ideologia sottesa al concetto di rigenerazione at-
traverso l'eucarestia ha un ben riconoscibile sostrato orfico, che è
tra le cause principali del successo della missione di Paolo in Gre-
cia. Il mistero, d'altronde, ha il suo fondamento nella mentalità
"primitiva" dei Greci e si può attingere solo attraverso un sogget-
tivo processo estatico e mitico. Così come la rigenerazione, la
concezione cristiana della redenzione e della beatitudine oltre-
mondana è, comparativamente, omologa ai risultati dell'azione
salvatrice contenuta nel mito di Dioniso e Ariadne, il cui connu-
bio rappresenta il matrimonio cosmico tra terra e cielo e la ricon-
ciliazione col dio.
Tutto questo conferma, ed è merito grande del Macchioro
averlo puntualmente rilevato, che non puq essere negata, nean-
che iri sede escatologica, la razionale riconsiderazione dei tratti
dottrinari che apparentano orfismo e cristianesimo paolina.

DESIG N DELLA DEMAF


€15.:
I.

1.
Bencltè la critica or-
L'indagine della persona e della co-
todosoa tenda, per
scienza di Paolo ebbe per un pezzo il
varie ragioni, a di-
minuire l'ellenismo
in Paolo, suo centro nel giudaismo. Fedele al•
l' attestazione dell' apostolo stesso, la.
critica amò considerarlo come un ebreo di ebrei, come un
ultimo germoglio del tronco giudaico. Ma a mano cbe
si approfondiva la conoscenza del mondo ellenistico, sem-
pre più evidente balzava su, dietro al Paolo giudaico,
un altro Paolo assai meno preciso, nel quale si intuiva
maggior quantità di verità che non nell'altro: un Paolo
ellenistico che, accolto con diffidenza dalla critica or-
todossa e assai più tollerato che amato, accenna a porsi
con eguali e maggiori diritti di fronte al primo. Quella
schietta e profonda mentalità giudaica, che era una volta
la base dell'indagine paolina, oggi non domina più la
scienza. I critici che escludono l' influsso greco nella
formazione del pensiero paolino sono relativamente non
solo pochi, ma anche - almeno di fronte alla scienza
se non alla fede - poco autorevoli perchè dominati da
idee preconcette. In molti teologi, per esempio, appare
evidente la tendenza a ridurre al minimo il distacco
8 ORFJSMO li: P40LIN18M0

che tra Gesù e Paolo necessariamente crea la tesi elle-


nistica, sia per conservare la esclusiva derivazione tra-
dizionale del cristianesimo dall1:a persona del Salvatore,
sia per reagire contro la tendenza a considerar la teo-
logia paolino-luterana come una deviazione del pensiero
originario di Gesù e come antidoto all'odierna tendenza
extraecclesiastica e antiecclesiastica di ritorno da Paolo
a Gesù.
Cosi spieghiamo, per esempio, la posizione di Feine (1),
Titius (2), Heinrici (3), Harnack (4), Deissner (5), e
più di ogni altro di Resch che, come specialista dei
Loghia, tende naturalmente a ricondurre a questi tutta
intera la formazione del cristianesimo, e arriva al punto
da negare in Paolo non solo l'influenza greca, ma an-
che gli elementi giudaici, negando ogni nesso tra Luca
e il paolinismo e derivando tutto il paolinismo dalla
kain6 didacM di Gesù (6). Egualmente il ministro pre-
sbiteriano Strachan cede certo a prevenzioni ortodosse
quando vuol costruir tutto intero Paolo sul farisei-
smo (7) i con intendimenti ancor più esplicitamente
ortodossi il P. Lagrange ha iniziato recentemente una
specie di crociata scientifica contro il Loisy, allo scopo
di liberar la storia del cristianesimo dall'ellenismo (8);

(1) FEINE, Da, ge,etusfreie Evangeliu.ni de, PauluB (Leipzig,


1899); Je,v., Christu, und Paulu, (Géittingen Lipsia 1902).
(2) TITIUli 1 Der Pauliniftm11B unter dem Gesicht1p1tnkt der Selig-
k6" {Tlibingen 1900).
(S) HEINBICI 1 1st da, Urchi-iatentum eine My,terienrel. f (I11ternat.
Woohemchrift 1911 p. 417-430) e Die He1"111Utnystik u. daa Ne.,u
Tnt. (1913),
(() HARN~CK 1 Die Terminologie d. Wiedergeburt und verwandte
1/lrltlmu,e in d. a.1tellt. Kircke [Teine u. DnùrBuohungen Ser. Ili vol.
121 (Lipsia 1918) p, 97-143.
(5) DEISSNER, Paulv.a u. die Mylltik Hiner Zeil, (Lipsia 1921 2).
(6),RB:scu, D•r Paulin4n11u, und Di11 Logia [Tezte und U11te1·1v.-
chunge11 Ser. voi. 12] (Lipsia 1904), pp. 517,582, 609, 517, 637.
(7) Srn.u.:u~, The i11dividuality of S. Pa"l (.Cambridge 1916').
(8) P. LAGRANGZ, .Attis et le ohri,tianiBm,:, Lu my,tère, à' Eieusil
et Il o1'riat. in Revue blbliqtUJ 1919.
L'ORIGINE ORFICA DELLA CRISTOLOGIA PAOLINA 9

con lo stesso scopo in fondo il professore ùi esegesi Gre-


sham Machen ha scritto un suo libro, del resto non
privo di meriti, intorno ali' origine della religione di
Paolo (1), dove nega risolutamente il più piccolo rnp-
porto tra ht religione ùi Paolo e le religioni miste-
riche; e con propositi di evidente ortodossia il pro-
fessore di teologia David Smith ha scritto il suo
grosso libro su S. Paolo, <love l'apostolo è addirittura
rappresentato 001110 il difensore del cristianesimo giu-
daico contro quello ellenistico! (2). Forse da qualche
scrupolo di si mii genere fu preso lo st,esso Renan quando
parlò di un Paolo del tutto ignaro del pensiero g-re,
co (3); e forse la medesima cosa può dirsi del Snbatier,
che fa sì piccola parte all'ellenismo e sl grande al fa.
riseismo (4). In realtà si può affermare cùe questa 1:1pc-
cie di critica ortodossa, pur avendo tutto l' aspett.o e-
steriore della scienza, parte da posizioni religiose assai
più che scieut.ifiche e soddisfa i bisogni più del sen-
tinwnto che della rag-ioue (5).
Altri :,;t.odci e teologi invece, dopo avere escluso l'in-
flusso ellenistico, ammettono in Paolo taluni elementi
non propriamente giudaici, la cui origfoe non sanno spie-
garsi. Caratteristico esempio di questo imbarazzo teo-
logico è il Beyschlag, che considera come una evidente
e memorabile manifestazione della Provvidenza il fatto

(1) MACHEN, The origin of Pau.l's 1·eligion (London 1922), speo.


pp. 276, 279, 286.
(2) SMITH, The life and letters of St. Paul (Londoll 1921) v. spe-
cialmente pp. 276-6.
(3) RENAN, Les apotres p. 166, S. Paul p. 178.
(4) 8..1.BATIER, L' A.p6tre Paul, (Parigi 18963) speo. p. 28 s.
(5) Per giudicar lo stato d'animo di q11e11ti oritioi ortodossi
basta il seguente periodo ùel Maohen (p. 271): In turning from
Herrues to the Hebrew Scripture, the etudent ha.s tnrned away
fro1u Stoio pantheiem, a.wa.y from the polyt,heism of the ml'"tery
religioni!, away from the fimtastic epeculation of a deoadent phi-
losophy, to the presenee of the persona! God. And, in doing so,
he hae found the origin of the religion of. Pa.ul.
10 ORFISMO E PAOLINISMO

che fuori dal più duro elemento giud,lico uscisse un a-


postolo il quale, benchè profondamente radicato nel
suolo delll\ rivehlzione, pur aveva in se stesso on im-
pulso che non era contenuto nel fariseismo (1); dove
però non si dice donde venisse e in che consistesse
questo impulso che non era giudaico. La stessa posi-
zione ha il Heinrici (i) quando ci dice che l'origine
vera del pensiero paolino non sta nell' Antico Testa-
mento nè nell' ellenismo nè nel giudaismo tardo, ma-
nell' evangelo di Gesù, cioè nella esperienza religiosa.,
semr,a neppur tentare di precisare questa particolare
esperienza. Più o meno lo stesso dice l' Omodeo (3}
quando, affermato che il pensiero di Paolo fosse un
ripensamento del giudaismo in base alla nuova espe-
rienza cristiana, non dice poi donde dflrivasse que~ta
nuova esperieuza, che mancava al giudaismo, nè pare
essersi chiesto se essa non potesse connettersi proprio
a <Jnell' ellenismo che egli nega. Questa tendenza a
spieg·are Paolo con Paolo nasconde in fondo la volon-
tà ili c:liminare dalla ricerca la storia, sostituendola
cori lo psicologismo. Questo è il cnso di uomini per
altro insigni come Lipsius, Bernardo vVeiss e \.Veiz-
saeker (4), i quali, per aver voluto rinchiudersi entro
i limiti della personalità di Paolo, non rispondono al
quesito <li quali elementi culturali e spirituali, even-
tualmente non giudaici, coust.ass~ la complessa perso-
nalità dell'apostolo. Egualmente il Case (5) all'erma

(1) BEYSCHLAG, Neutestamentl. Theologie (Halle 1896), II, p. 2.


(2) HEINRIC1, in 1'heol. Literatu1·,cit. 1894 p. 110.
(3) OMODEO, P1·olegomeni alla storia dell'età apost. (Messina 1911),
p. 3!19.
(4) L1Ps1cs, Àuslegung dei· JJriefe an die Galater, Riimer, Phi-
lipper [HOLTZMANN, Handkomm. 111m N. T. II 2] (Frailmrg 1891,
1892 2). B. WEISS. Neutestam. Tlteologie(Halle 1896) II; WE:ZSAECKER,
Das apostol. Zeitalter (18962) Cfr. SCHWEITZER, Gesch. d. pauli11.
Forschu11g (Ttlbingen 1911) p. 53.
(5) CASE, The evoluf.io11 of ea1·ly clwistia11ity (Chicago 1913), p. 354.
L'ORIGDrn ORFICA DELLA CRISTOLOGIA PAOLINA 11

con ragione che la religione ùi Paolo va considerata


come vita reale inte1·iore e non quale una artiflcia.le
composizione di elementi giu•laici e pagani, ma sposta
il problemit senz1, ri:10l verto dal wom,mto che non dice
quali fattori concorressero a formare ed alimentare que-
st,\ vita reale. Qui giova anche menzionare il Dob·
schiitz (L), il quale fa derivare la parte spiritualistica
e mistica del pensiero paolino, cioé la comunione con
Cristo , dalla esperienza di Damasco , senza dirci poi
donde derivarono quegli elementi razionali e specula-
tivi che Paolo stesso raggruppò intorno a questa pri-
migenia esperienza. Solo B. Weiss eviti\ lo scoglio, ma
a contlizione di non uscir dai contini biblico teologici (2).
La stessa rlifficoltà psicolog ca incontra chi, invece di
patfaro ùella singolare personalità dell'apostolo, le so-
stituisce, con l'illusione di aver raggiunto una concre-
tezza storica, una personalità collet.t,ini. storicamente
in1letinita. Cosl l' Anrich (3), considerando il paolinismo
come una. cre~zione dl'llo spirito cristiano fondl\to sul
giudaismo, non dice quali sieno le origini di questo,
pur avendo affermato che esso non è giudaico. Altri in-
vece conserva bensì il µ;iuditismu ma ct'ea. un Paolo
storicamP1ùo e psicologicnmeinte incomprensibile, come
fa il Kennerly (4), il quale afferma da un lato che l'An-
tico Te:3tame11t.o basta per spiegare quelle itlee delle epi-
stole paoline che generalmente Ri sogliono connettere
con l'ellenismo, ma dall'altro ammette l'esistenza del-
I'ellt-nismo nell'ambiente di Paolo, consente che egli po-
tesse aver rapportì con persone dotate di coltura elle-
nistica, e trova in Paolo qualche cosHo di più che idee o

(1) DOBSCHUE1Z, P,·obleme d. apostol. Zeit (Lipsia 1904), p. 99 ~-


(2) V. 8CHWE1TZKR o. c. p. 62.
(3) ANRICH, Das ant . .Mgste,·ienwe&eii iii sein. Einftuss auf da~
Ch,·ist. (Giittingen 1894 ).
(4) KENNEDY, St. Pa11l and the 111ystery ,·eligions. (Londou 1913),
spec. p. IX e 121 cfr. in HASTINGs, Enc.vcl. of rel. and ethics IX
1917 p. 73.
12 OR~'ISMO E PAOLINISMO

termini ellenistici isolati, creando così un Paolo assurdo,


che, mentre vive in aml>ient.e ellenistico e rivela ele-
menti ellenistici, rimane poi in realtà insensibile all'elle-
nismo. Altri ancora, e sono piì1 numerosi, fanno in fondo
entrare dalla finestra. ciò che hanno cacciato dall'uscio:
e sono coloro ohe, escludendo l'influsso greco diretto,
lo riammettono indiretta.mente attraverso il giudaismo
ellenistico (1).
Potrei citare altri esempi , ma questi bastano per
dimostrare un fatto che potrebbe conrlurre a non poche
considerazioni intorno alle interferenze tra la scienza e
la fede e alla funzione formativa che questa esercita su
quella; il fatto, dico, che la negazione deg\i elementi
ellenistici in Paolo risponde in realtà a esigenze reli-
giose e non conduce a conclusioni propriamente scien-
tifiche.
2.
si r,uempre più lar•Viceversa è un fatto che la maggioran-
11• parte all'lnftuen•
za dei dotti non dominati da presup-
za de Il e rell glonl
ml1terlche ,ul cri•
,tianeaimo, posti teologici non solo ammette l'in-
flnonza dell' ellenismo sul pensiero di
Paolo, ma gli dà una parte cospicua nella formazione
del cristianesimo paolino. Possiamo distinguere due pe·
riodi in questo indirizzo, dei quali il primo rappresenta
la continnaziono del pensiero di Cr. Ba.ur e intende la
influenza ellenistica come risultato della filosofia plato-
nica e neoplatonica, diretta o mediata da.I giudaismo el-
lenistico; il secondo invece aggiunge a questa influenza.
filosofica un'altra specificamente religiosa e miRtica, deri-
vata dalle relig"io111 misteriche greco-orientali.
Qnesti due periodi, che rispondono a.ll'incirca ai f.ecoli
XIX e XX (di quante cose è indice questa. coincidenza.!),
contano i più bei nomi della critica neotestamentaria. e
della storia. del cristianesimo. Lo Pfl.eiderer, in un primo

(1) V. SCHWElTZER p. 51.


I.'ORIGINF, ORFICA DEI.LA CRISTOLOGIA PAOLINA 13

periodo (1), ammette nel cristianesimo di Paolo un pro-


gressivo Rssorbimento del pensiero alessandrino che in-
fine trionfa nell'apostolo; e in un secondo periodo (2) ten-
de a cercare nella letteratura giudaico ellenistica l'ori-
gine di molti elementi gTeci cLe prima aveva deri\ ato di- 7

rettamente dall'ellenismo. Il Holsten (3) pone il duali-


smo greco come pensiero fondamentale di Paolo; lo Hein-
rici (4) vede in Paolo la sintesi di eh•menti profetici e
greci. E il Holtzmann finalmente, il maggior conoscitore
della teologia neotestamentMria, afferma che le concor-
danze paoline con l'ellenis1110 non si possono spiegare con
una mera derivazione occasionale e acci<lentale e che solo
si può discutere dell' a111piezza di questa 111escolanza.;
analizza i due fattori, giudaico ed ellenistfro, di Paolo;
afferma che l'uso delle parole greche non è nel paoli-
nismo un fatto isolato, ma un anello nella e.i.tena. di
idee ellenistiche la. cui coesistenza con concet.l;i gii:daici
costituisce il nocciolo di tutti i quesiti <lclla critica bi-
blica, considera la a11tropologfa paolina come il risul-
tato di un influsso ellenisti,'.O sulla coscienza originaria
giudaica il cui centro di gravità però sta 1wll'elle11i1,nno,
nota quanto il pensiero di Paolo intorno alla legge e
al peccato fosse lontano dal giu<laismo e come la con-
cezione del peccato quale pmprietà. della natura uma-
na non corrisponda alla cosmolog·ia e all'etica. giudaica.
e come la interpretazione snbbiettiva etica paolina della
riconc:ilia.zione sia più elleni,;tica che giudaica; e final-
mente conclude che nella sacramentalità introdotta da

(1) PFLEll>ERER, Dei· Paulinismus, (Lipsia 19002); Das Urchri-


ste11t1t111 (Berlino 1897) ; V. SCHWEITZER p. 56.
(2) PELEIDElrnR, lJas Urclll'iste11tu111 (Berlino 19022).
(3) HOLSTEN, Das Ei•a11geliu111 des Paulus (Berlino 1880), p. 98;
Zu111 Evangel. desPa11lusu. Petrus (Rostock 1868); Paulinis111us (1898);
V. SCHWEl'l'ZEI{ p. 54.
(4) HEINRICI, Erkliil'ung der Ko,·intherbriefe (1880 e 1887); Das
U1·ohristentum (Gottingen 1902); SCHWEI'l'ZER p. 53.
14 os•·1sMO E PAOLINISMO

Paolo sta il vero segreto della religione e il v1,ro mp-


porto tra uomo e Dio (1).
A questa prima fase che sta entro i confini della filoso-
fia grnca, schiusasi la via della conosceuza ùei misteri
greci (2), succede la seconda fase, in cui pe1· intendere
Paolo più che alla filosofia greca si chiedono lumi alla.
mistica e alla prassi ellenistiche. Ed ecco il Gunkel (3)
twvar il Cristo in un preesistente mito di Dio redentore
e connettere il battesimo paolino ai misteri di Osiride; il
Heitrniiller (4) riconoscere l'influenza mitriaca snl lrnt-
tesimo e sulla cena e non credere giudaica la rnistica
paolina <li Cristo; il Goguel (5) fare derivare le idee :-a-

(1) HoLTl'lMANN, Leh1'b. d. 11eutesta111. Tht0logie (Friùurgo 1911 2) pp.


13, 15, 28 s. 117. Un apologeta ortotlosso, R.E.P., polemizza udo t"Ol
mio ZagrettB oppone in Bilych11is 1921 p. 191 alla mia concezione
ellcuiHtica di S. Paolo la magistrale a11ali•i della me11/a/ità fo11dame11-
talme11tc giudaica di Paolo fatta tlal Holtzmaun. Ha letto veramente
R. E. P. il liùro tlel Holtzmaun~
(~) 811i rapporti trn le religioni misteriche e il cristianesimo
Y, ANRTCII o. c.: Womn:RMIN, Religio1tB!!CBCltichllic/t.e Studien (Ber-
lino 1896); 801:l'AU, lJas Fortlebe11 d. Heide11t. i11 d. allchi·istl. K,rche
(Berliuo 1895); CIIEE"l'HAM, The mysleries, pagan aud christia11 (Lon-
dra 1897); GUNKEL, Zum 1·eligio11sgesch. Ver8tiind1tis des N.T. (Giittin-
gen 1908). BRiiCHNER, Der stei·I>. u. Auferst. Gotthdland iu d.
01·ient. Religionen u. ihr Verhiil/11iH zum Christ. (Tlibingeu 190~);
\VENDLAND, Die hellenist.-1·0111. Kultur ili ihr. 1Jeziehu11gen z11 !ud.
u. Christ. (Tiìllingen, 1907.) Ri,:1·1zENSTEIN, Die hellenisl. Mysterie11-
nli[!ionen (Tiiùingen 1910); J ACOBY, Die a11t. Mysterienrel. ·und d.
Christ. (Tiiùingen 1910); PERD•:unTz, Die Mysteriem·el. nnd das Pro-
blem des I. Pelr11shi-iefes (Giessen 1911); BovssxT, Christe11tit111 11. MJJ·
sterienr. [Theol. ll1t11dschau XV 1913], p. 91-60, 251-77, e K!!i·ios
Christos (Giittingen 1913); CLE:IIEN, lleligionsgesch. E1·kliin111g des X.
T. Giesseu 1909). CLXMEN, Der Ei11jt11ss der }lysterienrel. a11f das
iiltest Christ. (Giessen 1913); CASE, The ei•olution of early christ.
Chicago 19172) p. 284 s. ; SEECK , Entwicklungsgesch.. d. Chrisl.
(Giittiogen-Stuttgart 1921), onp. 4 p. 119 R,
(3) GUNKEL, Z11m religio11sgesch. Verstiindnis des N. T. (Giittin-
gen 1903).
(4) HE1TMilLLER, Tau/e 1111d Abtndmahl bei l'tsulus (Giit.tingen
1903) p. 52 e Zeitsch,·. fii!- 'l'he,0l. u. Kirche 1915 p. 174.
(5) GOGUEL, L'ap/Jtre l'aul et Jesus (Paris 190-1) s.pec. p. 36 s.
L'ORIGINE ORFICA DELLA CRISTOI.OGIA PAOLINA 1:;

era.mentali dai misteri; il Jiilicher (1) trovare che l'eli-


minazione della legge mosaica fu necessaria per il trionfo
universalistico del cristianesimo e che Paolo è così poco
ebreo che in lui vi sono solo resti di pensiero giudaico; il
Wendland (2) connettere Paolo con le religioni miste-
riche e specialmente con la gnosi; il Maurenbrecher (3)
pensare piuttosto ai misteri di Osiride; il Reitzen-
stein (4) postulare l'influenza mistica. su Paolo della
letteratura religiosa ellenistica e consider!lre il trapasso
dal Cl'istianesimo giudaico al cristianesimo greco quale
conseguenza dell'aver considerato il cristianesimo come
mistero; il Gardncr (5) connettere con i misteri e eon
le l'eligioni ellenistiche l' origine del paolinismo e del
cristianesimo ellenistico in generale; il Knopf (6) cercare
anche lui nei misteri l' origine della mistica paolina;
Giovanni Weiss (7) riconoscere l'importanza dei misteri
per il cristianesimo primitivo e far derivare la rinascita
in Cristo dall'ellenismo; il Weinel (8) pensare che gli
elementi derivati dall'ellenismo non sono meno impor-
tanti tlegli elementi giudaici ~ counettere il sacramento
col mistero; il Menzies (9) osservare l'ellenismo nel lin-
guag·gio, nella. composizione, nella religiosità di Paolo;
e tinalmente il Moore (10), pur negando che il cristia-

(1) JiiLICHEH, Die A11fltnge d. CMist. u11d die christl. Rel. [Die
Ku/tur. tler Gegentv. I 4] (Berlino 1906) p. 85-87.
(2) W1r,:,. DLAND, Die IUJllenist. rii1n. K11/t111'.
(3) l\lAUH&NBRKCHER, V.in Je1·usale11t nach Rom. (Berlino 1910).
(4) R&ITZENSTEIN, Die lrellenist. Afysterienreligiontn (Lipsia 1910-
19202) spec. p. 208-10 della I ed.
(5) GARDNtr.R, The religions experience of S. Paul (London -
New-York 19132).
(6) KNOPF, Probleme dei· Pa1il·usforschung (Tiibingen 1913) spec.
p. 305.
(7) G. WElSS, Das Urchriste11tum (Gottingen 1919) spec. pp.
129, 357.
(8) WEINEL 1 Paulus (Ttlbingen 1915) p. 38 e. 44 s.
(9) MENZIES 1 Paulus in.H.&.STINGS, E11c. ofreligion IX 1917 p. 681.
(10) MoORE, Hiatory of rellgitms (Edinburgh 1'14) Il pp. 123,
128 s ; Tr. ital. La Piana (Bari 1920) }I pp. 138, 144.
16 ORFISMO E PAOLINISMO

nesimo derivasse miti o idee dai misteri, riconoscere che


il cristianesimo paolino derivò dal cristianesimo elleni-
stico delle comunità asiatiche e che esso doveva appa-
rire come un mistero agli ascoltatori di Paolo.
Singolare in questo dibattito è la posizione dello
Schweitzer, nemico deciso della interpretazione elleni-
stica del paolinismo, il quale crede di conceder pochis-
simo ammettendo che Paolo possa aver derivato dal-
l'ellenismo la << lingua religiosa>> (1): e non si avvede
quale gr:i ve concessione sia questa, perchè è assurdo
isolare così la lingua da tutta la rimanente attività. spi-
rituale. Egualmente lo Schwartz pensa che Paolo usò il
greco ellenistico per abitudine o per comodità, pur con-
servando un pensiero prettamente giudaico (2), come
se il linguaggio, e specialmente il linguaggio di un'ar-
dente anima di apostolo, potesse equipararsi a una ma-
schera che si assume o si depone per ragioni pra-
tiche. Giustamente e proprio per questa ragione il
Knopf (3) accentua invece l'importanza del fatto che
Paolo scrive in greco e in ottimo greco le sue let-
tere, perchè ciò è segno che fino da giovane dovette
insieme alla lingua assorbire qualche cosa dello spi-
rito e dell'anima ellenistica, tanto è vero che la sua
terminologia indica concetti diversi da quelli espressi
dalle rispettive parole ebraiche; e giustamente il Hein-
rici (4) comincia il sue commento da una profonda ana-
lisi della lingua. A voler giudicare i fatti senza sofi-
sticherie, il fatto linguistico ha un significato ben più
profondo di quanto taluno ammette, e giustamente
Reitzenstein (5) insiste sulla impossibilità di scindere

(1) SCHWEITZRR, Gesch. dei· paulin. Foraohung, p. 186.


(2) ScHWARTZ Charakterkopfe aus d. ant. Litei·atur ( Lipsia
1910) I p. 1195.
(3) Probleme d. Paulusforsohung p. 15-17.
(4) HEINRICI, Àuslegung d. Korinth. Briefe (1880-1887).
(5) RRITZENBTEIN in Ztsohr. f. ntl. Wiss. XIII 1912 p. 17 e 21.
L'ORIGINE ORFICA DRLLA CRISTOLOGIA PAOUNA 17

la. parul a dal ,:oncetto, e il Toussa i II t clà il p;iusto peso


al linguaggio e alla terminologia di Pnolo (1).

3.
sl che ln queau, eSi può dunque dire che la battaglia tra
precis:i.men te n e I •
il Paolo giudaico e il Paolo ellenistico
l'orfismo, Ta eercata
l'origine del paoli•
nismo, si vada risolvendo a favore <lei secon-
do. Anche le riserve di'\ pnrt0 giudaica
intorno al giudaismo di Paolo (2) forse ormai deb-
bono apparire in più giusta luce. Si sente ormni ohe
nell'ellenismo sta la chiave dell'anima dell'11postolo. e
che solo continua.odo su questa via, vi è sperallza di
schiuderla. Ma la verità è che per ora noi non vi
siamo ancora penetrati a fondo, che non conosciamo
ancora. l'origine di quel processo che è il crmliue •i.ella
mistica p11.0Iina e in generale cristiana, pel' mli il fatto
esterno della resurrezione del Cristo 1li\'ea11e fa tru in-
terno del credente, per cui, in altri termini, In rrsur-
rezione del Cristo - che, sia. () non sia accettata, non
può considerarsi che come un avvenimento storico con-
creto obbiettivo, avvennto in un mowento determinato
come qualunque altro fatto - potesse lliventnre un av-
venimento spirituale e subbiettivo che si ripete nelle
coscienze cristiane. Il processo per cui, insomma, la co-
noscenza diventa esperienza.

(1) TOUSS.AINT, L'h.elleniame de l'apotre Paul (Pa.ris U121) p. 268 a.


(2) V. GIU.ETZ 1 Ge,chichte d. J11den III (Lipsia. 1888) p. U4;
KoHLJtR in Tllojewi,h encyclop. p. XI (Lonclon 1905) p. 79; MONTI!:·
FIORE, Thd judal8m and the epistlea of Pa11Z (1901). In Àtti XX. 8 P.
si dice na.to a. Ta.rso xra. educato a Gcrnsa.lowrue o in Atti XXVI
4 dice di esser vissuto fino da.Ha. giovinezza in seno nlla sna. na-
zione. Su questi due luoghi gli Atorici ortodossi si fondano per ne-
gare la. co!iura. ellenistica. di P. (v. per es. STRACHAN, The indi-
viduality of St. Paul, (London 19172] p. 22). Qualunque sia. il valore
di queste affermazioni, che iufine non su.ppiamo se iu tutto auten-
tiche o no, resta il fatto del lingung·gio e del pensiero di P. tutti
pregni di ellenismo.
V. MACCHfORO. - OrjiJmfJ , Paolinismo.
18 ORFISMO 1C PAOLINIS~IO

Noi non sappiamo ancora come ciò sia avvenuto, per


quali vie e quali ragioni si è determinato questo pro-
cesso mistico che è il fondamento della esperienza cri-
stiana. Non si. tratta qui - come bene osserva il Loi-
sy (1) - di studiare l'influenza che poterono avere i mi-
steri su questa o quella credenza cristiana, su questo
o quel rito , ma si tratta tli. sapere come il Vaugelo
di Gesù è divenuto il cristianesimo.
Gesù insegnò all'uomo ehe egli deve identificarsi con
lui, ma non insegnò mai che con lui occorresse morire
e rinascere. É ovvio che questa dottrina non potè for-
marsi se non dopo la sua morte, ed è anohe ovvio che,
essa è opera. di Paolo. Tnt.to il problema che stiamo
trattando è un problema di paolinismo e niente altro.
Ma se tutti convengono che in Paolo e per Paolo
:si operò il passaggio dal cristianesimo giudaico al cri-
stianesimo ellenistico, dal fatto :storico di Gesì1 al fatto
mistico di Cristo, 11011 Yi è il minimo accordo intorno
alla origine di quei;;to processo. Io ritengo che esso esi-
steva. nell'orfismo, ritengo cioè che ,lall'orfismo derivò
quella peculiare esperienzit che è il centro deJla mi-
stica paolina. Iu altre 1iarole, dal punto di vista pu-
ramente dell'esperienza mistica, il paolinismo è per me
una. trascrizione cristiana dell'orfi,.;mo. ,
Questa tesi è appena acc,·nnata in Zagreua. ((La Teo-
gonia-scrivevo ivi-era nè più nè meno che un libro
sacro dogmatico al qua !e nessn11 altro si pnò paragonare
fuori del Vangelo, per·chì• queo;tn come quella contiene la
vita di quell'essen, divino nel quale l'nomo identitican-
ùosi ottiene la salvezza. Come eioè nel Vangelo è narrata
la passione e la resmrezione del Cristo, così nella teo-
logia orfica eran narrate la passione e Ja resurrezione
di Zagreo; come il crif,tiano in base allo parole ùel Van·
gelo crede alla verità storica della passione e della re-

(1) LOIBY, Lea 111yatèrcs payc11a et le 111yat. chretien (Paris 1919,


19202) p. 40. lo cito <lnlln. prima edizione.
L'ORIGINE ORFICA DELLA CRISTOLOGIA PAOLINA 19

surrezione del Cristo, così l'orfico affermava la realtà


storica del mito <li Zagreo sull'autorità della teologia;
come il cristiano realizzando in se medesimo la storia del
Cristo ottiene la vita eterna, così l'orfico morendo e ri-
nascendo in Zagreo arriva alla beatitudine>>. E ancora:
'' come l'orfico moriva e rinasceva in Zagreo, cosi il
c>·istiano muore e rinasce in Cristo; l'orfico, uscendo dalla
sua natura umana, diventava Dioniso così come il cri-
.stiano diventa Cristo ,,.
Con queste parole io affermavo un fatto ne storico
nè teologico, ma mistico. Io non volli cioè punto, come
l'ortodossia dell'uno e dell'altro campo mi accusò, « de-
rivare la sublime idea del Cristo dal superstizioso' culto
orfico di Zagreo » o « trasformare il Cristo divino in
un mito >> o addirittura far del Cristo « un plagio di
Zagreo '> (1). Questa ricerca del Cristo precristiano
poteva aver fortuna vent'anni fa; oggi sarebbe anti-
quata. Io concepisco il mito non come uno schema o
una formula che si copia o si scimmiotta, ma come ne-
cessaria rappresentazione fantastica. di uno stato reale
di coscienza, cioè di una esperienza. Se questo è vero,
stabilire ohe· gli elementi mitici del Cristo paolino de-
rivarono dall'orfh;mo equivale a cercare quanto ed entro
quali limiti la palingenesi mistica cristiana derivi dal-
l'orfismo. Nulla vi è in ciò che urti la fede cristiana,
cioè la fede in Gesù Crist,o, quando essa non si rac-
chiuda entro la superata formula della cristologia paolina.
Generalmente si ha della coscienza di Paolo una rap-
presentazione concettualistica, che non si accorda con
il tempera.mento mistico e lirico dell'apostolo. Si ima-
gina. che il suo pensiero si determinasse mediante un
processo logico e razionale più che attraverso una po-
tente esperienza; si ammette che nell'intimo della sua
anima egli riflettesse più che agisse.

(1) .k.E •.P. in Bilyohnis 1921, pp. 62, 190; BoNUCCl in Riv. t1·im.
di stuài jilo11. e rel. 1921 p. 365, 1922 p. 127.
20 OUFISNO IC PAOI.JXISMO

Que~ta concezione l'itoma più pnrtic,,h11m<'llt<' iu co-


loro che in"estigauo o vogliono i11nsti1?are la vita e
il pensiero di Puolo l:Oll il soccu1 su della isci('nrn filo-
logica o mitologica, ricercandone l'origine neJla civiltè,
ellenistica. Superata Ja tradizione fideistica della orto-
dossia e spenta o soffocata per naturale reazione contro
gli eccessi di questa la simpatia per l'esperienza reli-
giosa come tale, costoro hanno imaginato un Paolo
scientifico logico razionalistico così come era l'anima
loro e ne uscl un Paolo lontanissimo dalla verità; uu
Paolo ohe operò la fusione del giudeo e del greco non
già in uno slancio cli fede che gli fa snpernre ogni di-
stinzione di coltura, ma col freddo sistema del filologo.
E ne esce il Paolo del Reitzenstein (1), tutto occupato
a leggel'e assidunme11te i libri magici e mistici per for-
marsi una coltura mistica da travasar nel cristianesi-
mo; o il P11olo del Loisy (2), spinto da conversazioni
intorno ai misteri a staccarsi alquanto dal messi1rne-
simo e a persuadersi cbe il suo rnodo di concepire Cri-
sto rispondo al pensiero pagano; un Paolo, insomma,
calcolatore inverosimile, che avrebbe abbandonato il
giudaismo per effetto della lettera tura (3).
Ora da questo Paolo differi~ce certo il mio che '' fa
se medesimo attuò la fusione deJI' uomo vecchio e del-
l'uomo nuovo, del pag1rno e del cristiano,, (4); un
Paolo insomma vivo e vero e umano, per quanto la or-
todossia si compiaccia a presentarlo come un vero mo-

(1) REITZENSTEIN, Die hellenist·. Religionen, p. 59 delle. I ed.


(2) LOISY io. Bevue à'hist. et Zitterat. ,·el. 1911 p. 588.
(S) Altrove però (R611ue hi,t. lit. ,·el. 1910 p. 422) il Loisy pensa
piuttosto a. un P. meno orge.nizze.tore e più spontaneo in cui le i-
dee derive.te de. influenze pagane si adattarono spontaneamente
alla fede nel Cristo. L'idea che l'influenza ellenistica. operasse sn
P. per vie. letterarie. non è generalmente accettata. (Bo:tiiHèiJrFER,
Epiktet unà àas N. T. (Giessen 1911) [Religion,ge,oh. Veteuohe
X] p, 99).
(4) Zogreus p. 268.
L'ORIGINE ORFICA DELLA CRISTOLOGIA PAOLINA !l

stro psicologico << docilmente condotto dinanzi al mito


orfico per metterlo teologicamente in bella copia >>(1), e
« intento a derivare sic et simpliciter il suo Cristo di-
vino e mistico dal mito di Zagreo \) (2).

II.

1.

A eliminare questo Paolo intellettuali-


L'origine orllca del
paolinismo , nuova
in scienza, stico occorreva restringere il campo
della ricerca e uscire da qnella cer-
chia di parallelismi disparati tra paganesimo e cristia-
nesimo, dai qnali per la loro stessa eterogeneità non può
uscire una personalità omogenea. Una figura di Paolo
armonica, sintetica., compatta quale appare dalle let-
tere non può essere il risnltl\to di influenze misteriche
egizie o frigie, asiatiche o greche, prive di ogni reale
consistenza. Questo processo ulteriore, per cui dal ge-
nerico si va allo specifico, dall'indistinto al distinto,
è rappresentato dalla min tesi, la quale in questo ap-
punto si diversifica da qnelle precedenti, che al posto
di rapporti vaghi e generici, spesso secondari , tra il
cristianesimo e le religioni misteriche che non arrivano
al nocciolo del problema, oioè alla origine della cri-
stologia pa.olina, pone nn determinato e preciso rap-
porto con una di queste religioni, sl da toccare per l'a.p·
punto l' origine di questa cristologia , facendola deri-
vare da un determinato mito misteri,~o, travasato nel
cristianesimo attraverso l'esperienza di Paolo.
Può darsi che apparentemente questa mia tesi possa
confondersi con altre, ma non mi par possibile consi-
derarla, come fa un mio censore, come una rifrittura
di vecchiumi d'oltre alpe, salvo a giudicarla senza ade,

(l) R.B.P. i. O, p. 191.


(2) R.:s.P. I, o. p. 190.
22 ORFISMO E P..LOLD11SMO

gnata conoscenza (1). In tutta quanta la ricca lettera-


tura intorno alle relazioni tra il cristianesimo e le re·
ligioui misteriche, voi non trovato alcun aecenno a spe-
cifici rapporti tra il cristianesimo e l'orfismo (2).
Ricorderò qui solo i più vecchi e più autorevoli 1-,tu-
diosi. Lo Pfleitlerer (3), studiando i ni pporti tra Li ci-
viltà ellenistica e il paolinismo, accenna sì generil'a·
mente ai misteri che dovevano esser noti a Paolo, ma.
si ferma solo al mitrncismo (4), al quale dà grande impor-
tanza (5). Il ·weiss (6) riconosee sì l'importanza delle
religioni misteriche per la comprensione del cristiane-
simo primitivo, e 11011sa che anche il concetto di mo-
rire e rinascere in Cristo morto e risorto, mancante
nel primo criRtianesimo, esistesse nell'ellenis1110, ma non
cerca in nesirnn luogo questo precedente concreto del
Cristo. Il Mooro ('i) esamina lo religioni ci bel ica, isiaca
e mitriaca quali affini per certi riguardi mitici al pao-
linismo, ma non fa parola ùell' orfismo; anzi, quando
pone tra le religioni misteriche e il cristianesimo que-
sta differenza, che esse ignoravano il Dio supremo e
che tutto il loro interesse era concentrato nel Dio Salva-
tore (8), mostra d'aver addirittura sc(rnlato la parte che
ha Zeus nell'orlismo. B il Weinel (9) attribuisce grande
importanza alle religioni misteriche e ricorda anche (10}
il processo mistico dell'iniziato che doveva rivivere le
vicende del dio col quale si era riunito, ma non ci dice
in quali misteri propriamente si debbono cercare que-

(1) R.E.P. ivi.


(2) V. nota 2 a p. 14.
(3) PFLE!DERER, Dall Urch.ristenlum2 I p. 29 5.
(4) Il p. 4' B,
(5) Il p. 79-90.
(6) WErss, Das U1·christe11tum (Giittingen 1914) I pp. 129 e 357.
(7) Moo1rn, Hist. of rel. I p. 579 s. Tr. it. I p. 646 s.
(8) Histo,·11 II p. 129s. nota. Tr. it. Il p. U4 nota.
(9) WEINEL, Paulus (Tiibingen 1915) p. 38 5,
(10) O. c. 11. 69s.
L 10RIGIN.K ORFICA DELLA CRISTOLOGIA PAOLINA 23

sti precedenti della mistica paolina. E il Morgan (1)


ammette la influenza delll\ teologia ellenistica sulla re-
denzione paolina, ricorda gli dei "salvatori,, Dioniso
Atti Serapide Mitra, parla a lungo dei misteri , ma
non si ferma all'orhsmo, concludendo anzi (2) che per
valutare quanto Paolo dovesse alle religioni misteri-
che, conviene considerarne i tratti generali e non i
singoli culti. E l' Omodeo (3) ci enumera tutte le re-
ligioni misteriche greco-orientali (Iside e Serapide, Atti
e Cibele, Mitra, Sabazio, Dea Siria, Baalim) nonchè i
riti magici e la astrologia caldea, per negare con ra-
gione che tutto questo groviglio avesse influenza su
Paolo; ma, ahimè !, dimentica completamente l'orfismo.
E il Toussaint, che in fondo è meglio di ogni altro pre-
parato a questa indagine, fa nel suo recente volume
larga parte alle religioni misteriche e ammette anche
chiaramente l' influenza dei misteri su Paolo (4), ma
non pone alcun nesso tra questo e l'orfismo.
Qualche dotto recente ha ricordato sì l'orfismo, ma
per escludere ogni relazione tra il cristianesimo ed esso,
insieme alle altre religioni misteriche. Così per esempio
il Clemen, che ha tentato di demolire tutto l' edifioio
delle comparazioni eHenistico - cristiane (6), sorvola con
molta disinvoltura proprio sull'or6smo per la ragione
comoda che se ne sa troppo poco (6), ciò ohe anche
nel 1913 quando scrisse il suo libro non era vero. Il
Kennedy ne parla nello sguardo generale che dà alla,

(1) MORtiAN, The rel. and theology o/ S. P. (Edinburg 1917)


pp. 107-127 8,
(2) o. o. p. 1'0.
\3) Prolegomeni aUo Bt. dell'età apo,t. (Catania. 1920) p. 416.
(4) TOUBSAINT, L'helten..me et rap6tre s. Pa,d (Pa.rigi 1921) p.
356. T. tratta dei misteri a. pp. 46-50, dell'orfismo a pp. 56-68,
dei rapporti tra P. e le religioni greco-orientali a p. 286-302.
(5) Cun,mN, Der E.nftva• der My,ttlf'. auf das iilte8'e Christe11t.
(Giessen 1913).
(6) P. 5. Weil wir iiber dieses noch zu wenig aioheree wlsaen.
24 OllFJSMO E P.6.0LlNJSMO

società della età paolina (1) ma con tale incertecza da


mostrare chiaramente che non ha alcuna. idea sua perso-
nale (2), e là dove enumera le religioni misteriche «tipi-
che>> di allora ricorda. i misteri eleusini, quelli di Cibele
e Atti, quelli di Iside, non che la letteratura ermetica,
(3), ma dimentica ckll tutto l'orfismo. Ma si dirà che il
Kennedy scriveva n~I 1913; ebbene, nel 1917 (4), par-
la.odo del ct·istianesimo paolino, egli enumera solo Ado-
nide, Attis, e Osiride, concludendo con ragione che que-
sti witi non contengono la redenzione dei peccati, per
i&ggiungere poi che connettere Cristo 0011 Osiride e Atti
è una vera caricatura, ina dimenticando invece che la.
redenzione è contenuta, come vedremo, nel mito orfico di
Zagreo. E il Morgan (5), parlando del dualismo paolino,
ricorda i culti dei misteri di Serapide Adonide e Atti,
senza distinguere l'u110 dall'altro; e il Weinel ha delle
religioni misteriche an concetto oos). generico da parlare
adtliritt·nra come di cosa esistente di una « Mysterien-
theologie i> (6). In fondo il pensiero scientifico ohe meglio
risponde allo stato attuale della !tcienza. è sempre quello
del Bousset, ohe è poi il n1aggior rappresentante della
tesi ellenistica; ma egli non crede nemmeno possibile re-
stringere i confronti a una. determinata religione. Più ra-
gionevolmente il Reitzenstein (7) nega perfino ogni rap·
porto diretto tra Paolo e i misteri e suppone che questi
gli fossero noti attraverso la letteratura mistica, oostr.u-

(1) KBNNBDY, 8t. Pa•I. arati the 11111,t.er, rei. (London 1913) p.
12 • 18.
(2) Per es. per il K. la oonnessione tra PLA.T, Ph.a.ed. 690 e l'or-
fismo, da tutti riconosoiuta, è presenbta come una idea degli an-
tichi commentatori. Al K. pare che il mito di Zagreo foese com-
preao nella teologia orfica!
(3) p. 81-11'.
(f.) Art. Mrtt.erier ( chru"a11) i11 HASTllfG8, Bile. o/ rei. IX
1917 p. 78.
(5) M-ORGAN, T1M, rei. 11nd thaol. o/ P11•I (Edinburg 1917) p. 28.
(6) WElNBL, Pavlv, p. ,so e 506.
("') REJTZ-STBIN, Dlo ua.i. • .Mlflùnmreligionora.
L 1 0B.IGINE OUlCA DELLA. CBI8TOLO(HA PAOLINA 25

endo un Paolo dottrinale e int.ellettualistico che giusta-


mente Loisy (1) trova storicamente inverosimile. Scen-
dendo a te'llpi più recenti, incontriamo finalmente lo
Strachan, che non solo parla dei misteri assai superfi-
cialmente paragonando gli dei delle religioni misteriche
ai santi cattolici e confondendo queste religioni con le
5ette gnostiche, ma non va più io là di discorsi generici
che tendono del resto a svalutar l'indosso di quelle re-
ligioni (2); e dopo lo Straohan il Mac Neile ohe, f11,cendo
un unico cibreo di tutte le religioni misteriche, 8enza.
distinguerne alcuna, attribuisce II tutte il dualismo di
corpo e di spirito ohe è proprio del solo orfismo (3);
e ftnalmente il Deissner, che è certo il più recente tra
gli avversari del Paolo ellenistico, non fa parola, nella
aua introduzione storica, né deH'orflsmo nè di altra re-
ligione misterica e parla di queste religioni generica-
mente, come di 1.10 complesso omogeneo (4).
Due sole sono, per quanto so, le eccezioni: il W obber-
mi n (5), il quale pensa che quando si voglia trattare
delle relazioni tra il cristianesimo primitivo e le reli-
gioni misteriche occorre aver riguardo alla teologia e
a.Ila religiosità dell'orfismo, ma in pratica non trae al-
cuna conclullione da questa affermazione, e il Gardner
che connette el il dualismo di carne e spirito di Paolo
con la dottrina orfica del corpo toniba e trova rifieBBi
orici in Paole arrivando assai più in là di tutti ; suoi
predeceseori, ma non connette punto l' esperienza mi·
etica paolina oon quella orfl.oa, e quando parla del gran·
de merito che ebbero i misteri stabilendo una comunion.e

(1) Jùlvue 4'1'ist. et litt.r. re!. 1911 p. 588.


(2) STRACHAN, Tlt.e indMduaUty o/ St. Paul (Cambridge 1916 1)
pp. ll4S !!,
(8) MACNEI.LB, St. Paul, li.i, U/e kcte,:s ad o1wi,t. doçtri•• (Cam-
bridge 1920) p. 304. s.
(4) DEIBSNEB, P111&1v, u. du M111Hk 1eitler Zrit (Lipsia 19211):
•· speo. p. 124-5. .
(5) W0BBEBllrUN 1 ReHpm1g,1o'Molt.ll. Studi.,. p. 56.
26 ORFISMO E PAOLINl!IMu

tra umano e divino (1) non precisa da quale mistero


storicamente venne al cristianesimo questo processo
mist.ico.
In tutto l'enorme lavoro rappresentato dalle ricerche
qui accennate, volto a investig·are le relazioni tra il cri,
stianesimo e le rei igioni misteriohe , l' orfismo che P,
giustamente o no, il fondamento del mio pensiero, non
ba dnnque alcnna parte.
Se poi ci volgiamo a un altro ordine di idee che da
queste dipendono, cioè ai tentativi <li connettere la cri-
stologia paolina a qualche determinato mito o dio pre-
cristiano (tentativi ai quali in parte il mio può somigliare)
noi vedremo che quando qualcuno volle trovar un rap-
porto concreto tra il cristianesimo e qualche altra religio-
ne a tutto pensò tranne che all'orfismo. Il Briickner (2)
ammette sì che Paolo prima della conversione avesse
la concezione di ltn Messia, ma si tratterebbe di una
concezione passata dalle religioni orientali al giudai-
smo, che fu da lui poi applicata a Cristo; e quando
vuol trovare i precedenti storici di Gesù (3) imagina a
Betlemme nientemeno che un culto di Adonide Tammuz.
Il Iensen (4) imagina che Gesn, come anche Paolo
stesso, derivasse dal mito babilonese di Gilgamesoh e
fa derivare la parte divina del Cristo dall'influenza dei
miti di Mitra, Marduk, Tammuz. Lo Srnith (6) suppone
che tra gli ebrei, specialmente ellenistici, ci fosse nel-
l'ultimo secolo a. C. un culto segreto di Iesus (Iosua)

(1) GARDNER, The religious nperienu of 8. P111d (New - York


1913) p. 100.
(2) BRiiCKNER, DieEnt1tehung der paulin. Chr"tologic (Straseburg
1903) pp. 14,23 8,
(3) BRiiCKNKB, Der ,terbMUÙJ "· auferstehende Gottheiland in à.
or,ent.-Religionen (Tubmgen 1908).
(4) JENBE:S-, Diu Gi1g11m111ch<lpo1 ln d. Weltiitercilur, I {Straseburg
1906). Mose,, J,eu,, P11u.lus, (Frank.furt 1909).
(6) SMITH B. Der vorch1·illlicM J1111., (Jena 1906); Ecce Deus
(Jena 1911).
L 1 0IUGl:'m ORFICA DICLLA CR!i:<TOLOG!A PAOLINA 27

derivato da sette mandee dell'Asia Minore; il Drews (1)


pensa che Gesù fosse mm divinità precrii:-tiana giudai1·0·
ellenistica e lo connette con Agni (Agnns dei= agni
deus); il :\laurenhrecher (2) suppone che la persona ,li
Cristo derivasse dalla applicazione di un mito giudaico
di un uomo dio morente e risorgente alla persona ,\i
Gesu; il Whittaker (3) imagina 1111 culto preeristiano
di Iosua-lesus, mediante il quale il monoteismo giudaico
si sarBbl>e diffuso tra i pagani e avrehbe progredito eti-
camente culminando nel paolinismo; il Robertson (4)
afferma che il culto di Gesù esisteva in Israele giil, nel
tempo in cui le divinitù Abramo, Isacco, Giuseppe, Mosè,
Giosuè non erano ancora divenute personalitù. umane;
che Gesù fu in origi11e nua divinità sohu·e simile a Iosua,
affine acl A,lonide e a Ta111111uz, di cui in Palestina esi-
steva la religione prima dell'rra cristiana.
Se consnltiamo il libro dello Schw1~it,wr, dove esamina
le opere uscite sino al 1911 intorno ai rapporti tra i
misteri e il cristianesimo (5), vedremo che nell'elenco
delle religioni ehe quelle opere indagarono per trovarci
taluni prer.edenti al cristianesimo comprende la reli-
gione frigiH, cibehca, quella isiaca, quella siriaca di Baal,
il mitracismo, ma non l'orfismo. E nemmeno lo Schweitzer
stesso pensava pur lontanamente nella sna posizione an-
tiellenistica, all'orfismo; quando infatti o'iserva che il pao-
linismo è del tutto diverso dalla teologia greca egli ha
presente evidentemente la teologia olimpica tradizionale,
che davvero non ha niente di comune col paolinismo, ma
non la teologia orfica che con esso, come vedremo, ha ri-
scontri mirabili; e quando obbietta che le religioni mi-

(1) DREWS, Die 0111"iBtltsmythe (Jena 1910, 1912), Das Jlarkus-


evangelium gegen die Geschichtlichkeit Jesu (Jo>na 1921).
(2) MAURENBRECHER, Von Na11areth nach Golgota, (Berlino 1908).
(3) WH!TTAK&R, The 01·ig1111 of chrislia11ity (Lonrlon 19092 ).
(4) RoBERTSON, Chrislia11ity and mythology (London 19J02); Paga·n
christs ( London 19112).
(5) SCHWEITZER, Gesch. d. paulin. Forschung pp. 143-148.
28 ORFISMO E PAOLINISMO

steriche si diffusero nell'impero romano solo nel II• seo.


d. O. e che Paolo non potè conoscerle non esistendo
e11se al tempo suo, ba, pur esagerando un poco, ragioni
da vendere per le su accennate religioni, ma ha torto
per l'orfismo, che preesisteva di almeno cinque secoli
al cristianesimo; e quando osserva che in nessuna delle
religioni misteriohe vi è un dio salvatore analogo al
Cristo, ha ragione in tutto tranne che per il Zagreo orfico
ohe al Cristo per l'appunto corrisponde (1).
Ma vi sono in tempi più recenti «lue colossi nei quali
il mio critico ha voluto vedere due miei predecessori,
dico il Bousset e il Loisy (2).
Ebbene, se vi è un'opera profondamente diversa dal
mio pensiero è questa il famoso libro ùel Bousset. Egli
nota st giustamente che la grande incognita del cristia-
nesimo è l'origine storica e mistioa ùel paolinismo, cioè
del vincolo spirituale con Cristo, cioè la identificazione
dell'uomo con Cristo, ma non fa punto derivare questo
processo mistico dall'orlìsmo. Egli si vale sl della dif-
fusione del culto dionisiaco attorno alla Palestina, ma
solo per trovare un riscontro alla nascita miracolosa ohe
del resto, a esser precisi, non ricorre nel mito dioni-
siaco, ma non pone alcun rapporto tra le due religioni.
Tanto poco il Bousset pensava all'orfismo che dopo aver
enumerato i vari miti delle divinità morenti e risor-
genti (3) conclude ohe non vi è nessun esempio nella
mitologia greca in cui ci siano tutti gli elementi di-
vini del cristianesimo. Perciò appunto egli conclude
ohe non ci poteva essere aloun rapporto tra il cristia-
nesimo e una qualsiasi determinata religione mistica; e
la sua persuasione era oos\ profonda che arrivò a dire
che nessun studioso vorrà aft'ermare che il cristiane-

(1) o. o. p. 150 8,
(2) R. B, P. in BltyoA.1111 1931 p. 936.
(3) Bot1ss11:T, Kyrio1 Ch.rilto• (Gottingen 1913). Spec. p. 337 e
167 8,
L'ORIGINR ORFICA DELl,A C1118TOLOGIA PAOLINA 29

simo dipenclesse da qnesta o cln qnella religione dei


mist,t\ri (1), nnenùn p11i eol peu,;nr11 t'he 1lalle va.rie
coneezio11i dei 1liversi misteri si form11sse la unica fl.
gora. del dio Snlvntore. Tra il pensiero del Bousset e
il mio ci è dunque non solo dissomiglianza ma addirit-
tura antitesi: io penso e affermo proprio quello che
secondo lui nessun stndioso poteva ragionevolmente
pensare, e pongo nn rnpporto diretto tra il cristiane-
simo e una di quelle religioni tra le quali nessuna., se-
condo lui, pnò por:.i in relazione con esso.
Non meno lontano mi sento dnl Loisy, che fa derivare
il crit1tiu11e!limo paolino non dn una l'leteruiinuta religione
ma in genernle dai misteri, come fino a lui si era. fatto.
Già. nella prnfazione del sun libro egli dice che la sua
scoperta - molto tardivi\ a ogni modo e puuto nuo-
va - consiste nell' avere osservato che "les raoines
du cbristiRnisme ne plongeaient pas seulement dans le
judaisu1e, mais aussi dans !es anciennes religione paien-
nes par l'intermediafre des cultes des mystères ». E que-
sta mancanza di precisiont1, q nesto parlare cosl generi-
camente dei misteri i-enza distinguere l'uno 1fall'altro,
ritorua. lungo tutto il libro. << Ce dieu universel qui prend
oet elan dans toutos !es familles humaines, comme les
dieux dea mystères, a reglé aussi leur salut sur le type
commun des mya.tères payens >>, « Le Christ de cette
religion y a le rOle qui, dans les cultes des myst~res re-
vient au:x: dieux soufl'rants >> (p. 243). « L'idée de l' Eglise
vient de la tradiction biblique; le sene de l'Eglise vient
dn juda.isme. A ces deux elements Paul ajoute son idée
du Seigneur et son illée du Christ esprit, principe de
toute vie, qui viennent plutòt du paganisme et des my-
stères »; e via dicendo (2).
In questa visione generica e vaga dei misteri manca

(1) O. c. p. Xli.
(2) L<>IsY, Les myBtèreB payem et le 111yst, chrrt. (Parie 1909) pp.
5, 230, 267.
30 Ol!J<'JSMO E PAOLINISMO

completamente l'idea dell'orlismo che, come appare chia-


rissimo, non era nemmeno presente al pensiero del Loisy
quando scrisse il suo libro. Egli confronta, per esempio,
la posizione contradditoria di Paolo, che trova la reden-
zione nel battesimo e insieme nella fede, a quella degli
iniziati di Eleusi e a quella di Lucio iniziato nei mi-
steri isiaci e a q nella. degli iniziati col taurobolio, ma
non parla, degli iniziati orfici (1); ed egualmente parlan-
do della eucaristia, parla sì della presenza del cuore di
O;;iri<l<' nei sacrifici isiaci, e dei pasti sacramentali mi-
triaci, ma non ricol'(la l'omofagia dionisiaca (2). Il Loisy
ha tanto poco prnsenti i misteri orfici che ricorda (3)
come i padri della cl.tiesa osservassero la parentela tra
i riti cristiani e i riti dei misteri, ma dimentica i rap-
porti assai più significativi testimoniati, come vedre•
mo, da Giustino Mitrtire e da Origene tra Zagreo e il
Cristo. E appunto perchè non aveva presente le con·
cordanze tra Zagreo e il Cristo il dotto francese poteva
scrivere che << le Sauveur chretien ressemble a tous les
dieux de mystères sa.ns correspondre exactement à
aucun d'eux >> (4).
Si vuole ancora una prova 1 Eccola: concludendo il
suo studio il Loisy dice delle religioni misteriche (5)
<< à, l'idea.I mora! vers lequel ils ten<laient plus ou moins
a s'elever, il manquait un point d'appuis dans ces me-
wes mythes qui etaient censé le soutenir >>. Orbene,
questo giudizio si attaglia a tutte le religioni miste-
riche, nei cui miti infatti manca il punto d'appoggio
della eticità, ma. non conviene proprio e solo all'orfismo
dove il mito della origine della doppia natura umana,

(1) LOIBY o. c. p. 275.


(2) Lo1sY altrove (Hibbe1·t Jou1·nal 1911 p. 6 citato da KEN·
NEDY St. Paul and the myst. nl. p. 211) confronta il Crii;to pao-
lino con Attis Osiri<le Adonidi, ma non con Dioniso.
(3) LOISY o. c. p. 301.
(4) LOISY o. c. p. 357.
(5) LOISY o. c. ll. 343,
L 1 0R1GIN.I<: OHF!CA D~;LLA CRISTOLOGIA PAOLINA 31

dionisiaca e titanicà, è proprio il punto di partenza


dell'etica orfica che diverrà poi l'etica platonica, po-
nendo la necessità di liberare l'anima dionisiaca dal
gravame del corpo titanico.
Il Loisy non ha dunque mai pensato a istituire rap·
porti tra il cristianesimo da un lato e questa o quella
religione misterica e meno ancora tra il cristianesimo
e l'orfismo, ma solo tra il cristianesimo e la massa
indist,inta di quelle religioni. Già nel 1910 egli affer-
mava l'impossibilità di un raffronto con quakuna tra
le religioni misteriche dicendo che, benchè le reli-
gioni misteriche costituiscano una raccolta di concetti
simili alle idee messianiche e cristologiche, prese nel-
l'insieme formano. un caos da cui le dottrine cristiane
non possono essere derivate, e prese l'una dopo l'altra
non ve n'è alcuna di cui si possa affermare che sia l'o-
rigine immediata della cri,-tologia (1).
Dunque, come nel caso del Bonsset, il libro del Loisy
ha una tesi proprio opposta alla mia perchè è contrario
a quel nesso stretto e preciso tra il cristianesimo e una
trn le varie religioni misteriche che io postulo e ohe trovo
mediante l'ortismt', e parte dalla irrealtà di ciò che per
me è la verità.
2.

dà un fondRmento La mia tesi è dunque nuova. Non è


storico concreto alla
ricerca, punto vero, come un teologo che non
conosco affermò , che essa sia stata
<< già difesa e illustrata da altri>> (2); uè è lecito af-
fermare che essa sia nientemeno che << il postulato fon.
<lamentale della moderna critica specialmente in Ger-
mania nello studio della vita ùi S. Paolo e nella vita
di Gesù narrata uei Vangeli>> (3). La « moderna cri·

(1) Rei:ue d'hist. et litterat, ,·el. 1910 p. 405.


(2) R.E.P. Bilychnis 1921 p. 62.
(3) R.E.P. ivi p. 190.
32 ORFISMC E PA0LIN1Slf0

ticn » non ha mai affermato quel che io affermo. La


zag-rcite, quella incurabile mn.lattia mentale della quale
secontlo qualche mio critico io sarei tocco, è stata por-
tata da me uel mondo purtroppo I
La mia tesi è dunque nuova. Nuova nel seuso che
ha questo vocabolo in scienza, dove la novità consiste
in un passo :wanti, da altri non aucor fatto, in una
determinata llirezione. Questo passo avant.i consiste nel
passa.g·gio dall'indefinito al definito, o, se si vuole, dal
generico a.Ilo specifico.
Infatti il tlifotto che infirma tut.te le ricerche dei miei
prcdece~sori è proprio la assenza di concretezza, la
mancanza <li un solido foudamento storico, la impossi-
bilità cioè di persuadere. La scienza è certamente in-
tuizione perchè Lia una intniziono viene l'impulso alla
ricerca; ma linchè questa intuizione non diveuta dimo-
struzione, finchè cioè essa non ritrova se medesima nei
fatti, conglobandoli e coordinandoli intorno a- se stessa
per moùo che dalla propria luce riescano illuminati e
comprensibili, noi non abbiamo scienza: abbiamo arte.
Per questo hanno ragione gli ortodossi i quali uegano
valore scientifico alla derivazione del oristianesino pao-
lino de.Ile religioni mistel'iche; essi sentono , di fronte
alla iuassiccia coucretezza. della tradizione giuùaico-cri-
stiana, elle, non ostante la mas:sa delle singole osser-
vazioni, la tesi in generale è troppo vaga per essere ac-
cettata. Essa appare loro ricca di contenuto particolare
ma povera di valore generale; intuiscono che le con-
cordanze rituali e sacramentali ben note tra il cristia,
nesimo e questa o quella religione misterica sono ben
lontane dal creare quella specifica certezza donde esce
la scienze..
Perciò, pur accettanùo la validità delle osservazioni
particolari , hanno sempre considerato la tesi stessa
come une. creazione fantastica, come la arrischiata crea-
zione di filologi o di storici invasati di novità, di libertà;
e hanno avuto buon gioco quando a questa creazione
L'ORIGINE ORFICA DELLA CRISTOLOGIA PAOLINA 33

così seducente ma così inconcludente hanno opposto la


grave e pesante barriera della ortodossia che si impone
per forza propria.
Nel lavoro di indagine intorno ai rapporti tra cri·
stianesimo e religioni misteriche manca fino ad oggi la
determinatezza storica. Si parla di misteri così, in ge-
nerale, dando ~t questa parola nn illegittimo significato
collettivo, come se i vari misteri fossero così concordi
e similari e vicini da potedi leggittimamente raggrup-
pare sotto un'unica voce, superando le distanze enormi
di tempo e di spazio che li divide, senza voler distin-
guere entro questa categoria artificiale i misteri trnco·
frigi preistorici dai misteri mitriaci dei bassi tempi, i
misteri di Grecia da quelli di Egitto, e si pretende
che da questo ibrido miscuglio impreciso, che nella
storia non è mai esistito veramente, che si vuol <·hia-
mare i misteri, derivasse un fatto formidabilmente pre-
ciso come il cristianesimo paoli no.
Questa indeterminatezza è l'ostacolo contro il quale
ha cozzato finora l'indagine.
Qnando, dopo aver pescato in questo o in quel<< miste-
ro» delle concordanze rituali o mistiche o letterarie, si
è sul punto di concludere, cioè di affermare un vero e
proprio nesso concreto tra il m·hitianesimo e i misteri,
ci si ferma, non si ha il coraggio di passare dai mi.~te,·i
al mistero, di far cioè la rassegna dei misteri per tro-
vare se ci sono quoi precedenti storici del paolinismo
che la teoria stessa presuppone. Si lascia credere che
questi precedenti possano trovarsi indifferentemente nei
misteri egizi corne nei misteri siriaci; si lascia connet-
tere il Cristo tanto con Osiride quanto con Adonide;
o meglio a11eora si pensa che esso derivasse, non si sa
come uè per qnnle processo, da tutti insieme questi
miti, nonostante la loro enorme diversità che li distin-
gue nell:t 1•stl'riore affinità. Il contenuto soteriologico
~cne di passaporto a quci,;ta ,Jeplore,ole imprecisione;
dall'nno n dall'altro di questi salvatori deve pur esser
V, M.ACCHIORO. - Orjism• e Paolinismo, J
34 ORFISMO E PAOLINISJ\10

derivato il Salvatore. Da quale, poco importa. Si ra-


giona come chi affermasse che un bianco può esser figlio
al tempo stesso di un negro di un cinese e di un pel-
lerossa, scusando questa leggerezza con ciò: che in so-
stanza sono tutti uomini. E non si comprende come
questa facilità, questo lasciar le cose a mezzo, è non
soltanto poco scientifico ma altresì poco morale; che chi
ha sollevato dei dubbi intorno all'autogenesi del pao-
linismo, turbando la quiete della ortodossia, ha il ilo-
vere di condurre la ricerca fino in fondo, per conclu-
dere che: o il cristianesimo paolino è i I prodotto di n na
intuizione o di una rivelazione, oppun•. che esso è il
r~sultato di una derivazione, la quale in queste con<"or-
danze si manifesta. Bisogna pur scegliere t-rn Dio e uomo.
Non si può dire a chi crede: << ti ho indotto in tent,a-
zioue; adesso salvati come puoi-;,.
A parte la quistioue morale, questo affermano ~li
ortodossi. Essi neg·ano alla teoria misteri(~a del cristia-
nesimo la precisione, la determinatezza. (lnesto rimp1·0-
verava il \Vred" (li al Bou!iset quando osservava che
il presupposto della sua tesi è che <falle varie conce-
zioni dei diver3i misteri sorgesse un'unica figura di sal-
vatore morente e risorgente la quale avrebbe poi aoqui-
stato un:,,, sua propria posizione nel culto, e gli oppone
la difficoltà di credere che questo mito di un Dio sal-
vatore fosse tanto diffuso nell'oriente, notando come in
queste ricerche e specialmente in quella del Briickner
si usi armonizzare e fondere insieme ciò che è storica.-
mente distinto e localmente ristretto, ornando così una
specie di mito astratto. Questo nota anche Clemen (2)
quando dice cho l'esistenza. di tutte le religioni miste-
riche per ogni dove, fin giù nel I secolo, è un eccesso
scientifico, perchè la loro diffusione non è dimostrata se
non nel II sec. d. C.; e lo Schweitzer, dopo avere notato

(1) Zeitschrijt fiir Th,ologu 11.nà Kirohe 1915 XXV P• 871.


(2) CLEM€N, Der Ein.fttJH à. My1teri1111rel. pp. 4, 10.
L'ORIGINE OIIFICA DELLA CRISTOLOGIA PAOLINA 85

la inconsistenza di questa imaginaria religione sinoreti•


stica dei misteri, osserva - ciò che fa anche il Ma-
chen (1) - come, eRSlindo la diffusione ùelle. religioni
misterichl• constatata solo nel II sec., Paolo non può
averle conosciute eosì come si presentano <lopo di lui
nei loro ree i proci influ,.:si, e osserva che la figura del
<< ::::alvatorc greco>>, che si snol contrapporre al Salva-
tore cristiano, l' il risultato di una generalizzazione e
di una astrazione, poichè dalle varie notizie si è cavato
fuori una specie di rclligione misteriea universale che
non è mai esistita (2J.
Vi furono coloro che cercarono qnesta determinatezza
e vollero r,rovare il concreto mito da cui sarebbe deri-
vato il Cristo; ma il Kyrios di Bousset, i• una conget·
tura che, uonost.ante lo sforzo mirabile •lei grande dotto,
resta nel campo del!' impreciso perchè le manca l' ap-
poggio della storia; il Jesus dello Smith è una fanta-
sia che, a. parte la Rtat.ura diversa dello studioso, può
paragonarsi al Kyrios bussetti ano; il Gtlsù·Gilgamesch
del Jensen è il risultato di una mania panbabilonica
che non teme di accostar fatti e cose distanti nel tempo
e nello spazio; e il Gesù Adonide del Briickner è una
idea meno inverosimile storicamente ma altrettanto in-
fondata in se stessa. Fuori di questi tentati vi non CO·
nosco altri per trovare o i111agi11are quel precedente
storico al Cristo paolino che la scienza giusta.nente
esige.
E invece la scienza proprio di questa precisione ha
bisogno. Questo senti il Wrede (3) quando constatò che
l'unica spiegazione possibile del Cristo paolino è che Paolo
credesse a un «Cristo>> divino prima di credere a Gesù,
e che in questo ritrovasse e riconoscesse quello, conclu·
dendo cl.te l'indagine comincia proprio di qui, nell'im-

(1) MACHKN, 1'he origin of Paul's 1·eligion pp. 237 e 3U.


(2) 1SCHYrnlTZEII, O. C, p. :330 p. 150, 151.
(3) WuaH,;, Paulu, (Tiibingen 1907) 1 p. 86.
36 ORJ!I81110 E PAOUNISM-0

padrouirsi di questo problema. Questo sentì il Knopf (1)


quando aft'errua che Paolo dovette avere già da fariseo
un certo numero di ra1)preseutazio11i che poi applicò a
Gesù, e conclude che potremmo dire delle cose molto
importanti se conoscessimo meglio la religione e la teo-
logia di quei circoli ellenistici che eran vicino e da-
vanti a Paolo. Questa necessità sente in fondo anche
il Gognel quando loda la lealtà del Loisy per non aver
voi uto dare una spiegazione storica delle analogie tra
i misteri e il cristianesimo paolino (2).
Data questa det,errninatezza della mia tesi, comprendo
birnissimo come dove:sse ::mscitare un eccezionale scal-
porn nel campo ortodosso, e bi arrivasse a gridare a-l-
l'offesa. e al sacrilegio. Realmente la reazione doveva
esser tanto più vigorosa quanto più precisa era l'azione:
a una, riduzione a mito della mitologia paolina così sto-
ricamente fondata come la mia, non si poteva opporre
quell'atteggiamento di addottrinata sufficienza con la
quale la apologetica aveva facilmente soorbacchiato le
teol'ie che mi banno preceduto.
Non mi dolgo perciò nè mi sorprendo degli improperi
ortodossi che accompagnano le mie ricerche: non può
essere altrimenti. Però deploro che ancora non si sia
arrivati a distinguere la storia dallo spirito, e a com-
prendere come sostanzialmente le indagini storiche in-
torno a una religione non possono intaccare il conte-
nuto di essa i:ie non quando questo contenuto sia il pro-
dotto di questa medesima storia e perciò appunto con-
tingente e superabile. Il processo storico di una reli-
gione soggiace alle medesime leggi e va indagato con
gli stesRi criteri che valgono per il processo storico del-
l'arte o della morale: il credente può vedere nell'arte
o nella. morale lo spirito di Dio, ma non per questo

(1) KNOPP, Probleme der Paulusforachung, (Tiibingen 1913) p.33-34.


(2) Revue à'hiat. et lit. nl. 1920 p. 109.
L'ORIGINE ORFICA DELLA CRISTOLOGIA PAOLINA 37

esse restano sottratte alle leggi storiche, nè perdono la


loro di\"inità quando con queste sieno meRse in rapporto.
Per quest,o la fede cristiana i:- in equivoco quando
teme di ricever danno da queste ricerèl1e storiche. Esse
non riguardano punto il <·ontennto della fede, rna uni-
camente talune veramente accidl·ntali contingenze sto-
riche. Qui 110n è in gùwco Dio, ma un uomo.
Il pem,iero del quale in conclusione, per grande che
sia, non si i<lPntifit1a con la fede cristiana, nè pn<> sottrarsi
all'indagine slorica, nè pui>, propria.mente parlando, per-
dere o gwul:1gnare da nwL ricerca che tendo a lumeg-
giare le forze ':lw concorsero a formarla. « gssa certa-
mente non si può spezzare in tanti elementi , che da
parti diverse <'<l opposte siano venuti, quasi a caso, ad
incontrarsi e unirMi in essa-dice un critico avveduto
che ignoro chi sia-; (J J è invl·cc una forza. origina-
ria e sintetica che ha attinto per potersi comunicare
le sue espressioni, e per ciò stesso anche le concezioni,
da parti diverse, senza perder per questo la sua ori-
ginalità erl unità. Fissato bene questo punto, si può
liberamente indagare le affinità, e le scambievoli inter-
ferenze tra il cristianesimo di Paolo e le altre religioni,
qualunque esse sieno ». E concia.de giustamente: « Io
non vedo che guadagno ci sia ptlr la persona Ili Paolo
nel negare in questo modo ogni sua dipendenza dall'el-
lenismo >>. Parole savie: alle quaJi potremmo aggiun-
gere che non si vede che guadagno ci sia per la fede
cristiana a negare l'ellenismo in Paolo, porti pure que·
sto studio alle estreme conseguenze di ridurre a un mito
la cristologia paolina. Perchè si t,ratterit pur sempre di
svalutare un processo avvenuto in un uomo, per ragioni
storiche varie, non diverso da qualsiasi altro simile pro-
cesso artistico o fantastico.

(1) g in Riv. trim. di ,tudi fil. e 1·tl. 1922 p 93.


38 ORFISMO E PAOLINISMO

3.

Ora si chiede : l' orfismo contiene esso


ehe la. aelenza finora
non conobbe.
la soluzione di questo problema T
Prima di rispondere a questa, rispondiamo a una do-
manda assai semplice che più di un lettore mi rivol-
gerà. Ammesso che neIPorfismo stia la chiave del que-
sito, perchè la scienza finora non ci pensò 1
Si è già veduto dianzi come uomini di grande cul-
tura come Kennedy e Oler11en si manifestano così ine-
sperti di orfismo da far capire come , a parte la loro
tendenza non favorevole a queste ricerche, non potes-
sero trovar la verità. Ma la risposta deve andar più in
là: bisogna dire che le conoscenze di taluni che respin-
gono la teoria misterica del cristianesimo non sono quali
si avrebbe il diritto di esigere. Prendiamo il Clemeu,
per esenrpio, autore di un'opera. riputata su Paolo e
ohe ripetutamente si occnpò dei rapporti tra le reli-
gioni misteriche e il crist.ianesimo (1) con eonclusioni
negative; ebl,ene, è facile coglierlo in flagrante igno-
ranza e trascuranza di talune nozioni che sono fonda-
mentali per chi si occupa di simili coso. Egli osserva
per esempio (2) die la p,uola my.~térion in Paolo non
ha punto il significato <li silenzio e ne deduce la ine-
sistenza di uu mistero cristiano segreto e riservato ai
credenti. Ma dimentica che, come Paolo, anche i greci
parla vano di misteri non solo in seni-;o proprio, ma al-
tresì figurato, come di n'la dottrina alla qnale conviene
essere introdotti. Platone, che pure di orfismo era im-
pregnato, usò metaforicamente i due gradi dei piccoli
e dei grandi misteri per significare du~ diversi gradi
di conoseenza. (3). A parte questo, il segreto del mistero

(1) CLJCMBN, Beligi011sgeschiohtliche Erkliirung de• .Y. T; f!c:· Ei11-


jftt.ss à. My,tei·ie11religione11.
(2) Der EinjtuBB p. 24.
(3) PLAT, Go,·g. 497 C.
L'ORIGINE ORFICA DELLA CRISTOLOGIA PAOLINA 39

non era quello che il Olemen imagina; non riguardava


cioè In. dottrina, cioè la palingenesi spirituale che tro-
viamo testimoniata da tanti scrittori (I), ma i riti, cioè
le pratiche (2). Ora, non crediamo che intorno a un
mistero puramente spirituale dovesse aver tanto riser-
bo Paolo, n.n cristiano del I sec. d. C., se non ne ave-
vano Pindaro ed Eschilo ed Aristofane nell'Atene del
V sec. elle vide la condunna di Socrate e di Diagora,
per un mistero rituale e sacerùotale.
Ingiusto è poi il Clemen quando per negare una
concordanza etica tra i mit1teri e il cristianesimo nega
ogni effetto morale o.gli atti iniziatori (3). Le testimoniali·
ze concordi degli antichi dicono che le conseguenze della
iniziazione erano profondamente morali. Gli iniziati del
coro delle Rane di Aristofane (4) si vantano che essi
soli avevano tenuto eguale benevolenza verso gli estra-
nei come verso gli amici, superando la barriera infran-
gibile che i greci ponevano tra sè e lo straniero. E Ari-
stofane non era un iniziato e scriveva per il publico
atenie1:1e del V Se·colo ! Per lo stesso publico scriveva
0

Euripide, anche lui non iniziato, che pone in bocca a.


Ippolito, iniziat(I orfico, un linguaggio la cui nobiltà vien
solo eguagliata dalla fierezza (5). « L'orfico - per tra-
scrivere qui nna mia pagina (6) - non era un uomo
come gli altri: era più puro, più giusto e in tutto mi-
gliore, come dice Diodoro (7): viveva con letizia e mo-
riva con speranza perchè aveva conosciuto veramente
i principi della vita , come dice Oicerone (8)... attra-

(1} llàCCHIORO, Zagreu, p. 237.


(2) MACCHI0R0 1 o. c. p. 263.
(3) CLEMICN, p. 44. .
(4) AR, .Ban. 457 s.
(5) EuR. Hipp. 995.
(6) Zagreiu, p. 236-7.
(7) D100. V. 49, 6.
(8) C1c. De leg. II 14. Cfr. ABIBT. Or. XIX 1 p. 431 Dind.
Iroor. Paneg. XXXVIII p. 46 B Benseler.
40 ORFISMO E PAOLINISMO

verso la castità e la purezza l'orfico arrivava alla di-


vinità e, dopo morto, alla felicità. Per lui la morte non
era male, ma bene (1): per lui Persefone era benigna
e cortese (2): per lui era la dolce speranza di una miglior
vita dopo la morte (3): per lui la morte era vita (4): per
lui solo, come dice Plutal'co, l'oltretomba riserbava
gioie tali che se l'anima le avesse conosciute nulla a-
vrebbe potuto trattenerla dal lasciare il corpo (5) ».
Opporre a tutto ciò una negazione, affermare ehe in
tutto ciò non vi è eticità, è un far torto non nlla storia,
ma allo spirito umano. Ma vi è di peggio, filologicamen-
te parlando. Il nostro autore osserva (6i che la testimo-
nianza di. Olimpiodoro sulla iniziazione per i morti(';)
è troppo tarda per aver valore per Paolo: è vero. Ma
dimentica che essa è confermata da Platone stesa.o il
quale afferma cl.t6 i vati e iniziatori orfici popolareschi
solevano fare iniziazioni anche per i morti (8/, testimo-
nian<lo cosl che queste iniziazioni si facevano nou già
nei solenni e ufficiali misteri orfici, che Platone forse
non conobbe, ma in quelle iniziazioui popolari che egli
certo conobbe percliè universalmente <liffuse nella sua
società. Platone infatti dice che questi cerretani usavano
convertire e battezzare intere città.

(1) V. l'epigramma di un ierofante in Rev. al'Ch. 1883 III p.


81 n. 8.
(2) 8CHOL• ..lrillt, p. 314. 24 s., Dindorf.
(3) ARISTID, Or. XI:X:, I p. 421; Xlii, I p. 302 Dindorf.
(4) SOPH. fr. 753 Nauok.
(5) PLUT. De. an. VI 2 p. 726 Bernardakis. STOn. Flo,·. 128 IV
p. 108 Meioecke.
(6) o. o. p. (7.
(7) ABEL, 01-phica fr. 208.
(8) PLA.T. Rep. II 364 C.: ("yup,aL xal !LCX',o'm,;;) ~l~Àwv Ili
llµa/loy .tapéxoncu Mouaa!ou xar 'Op<:p§w,;; .... 1tE!~on1,;; où IJ,(ivov
tlluil'ta,;; ciÀÀcx xal 1t6Àet,;;, wç apa }J,arn;; n x.at xa~ap11ol d:1'.tx7Jµci,wv
lhd: &uaLWY xal 1taLllLii,;; fJlloYWY E!CL µli.y Èn çwaLV ' Elci llà Ketl
'CIÀ10,,jaci:aw, lì,;; 1'11 uÀncx,;; xa:l.oilaLY, ci ,wv •ilY.Et xaxwY d:1t0Àuot1-
CJLY 71µ1!,;;, µ11 ~uaana,;; llà 1'6L',CX 7tEptµ ... EL,
L'ORIGINE ORFICA DELLA CRISTOLOGIA PAOLINA 41

Il passo cli Platone vien rigettato da Clemen sull'au-


torità. dello Schweitzer (1), il quale, ignorando Ilei tutto,
come dicemmo, i misteri, non lo ha compreso, e ha cre-
duto ohe esso riguardasse qnalohe sacrificio espiatorio,
mentre Platone parla chiaramente di uua cerilllonia che
ha lo scopo di liberar l'anima dai mali oltrerno1Hlani,
laddove il sacrificio espiatorio aveva solo lo scopo di
placare le anime dei morti. Il passo di Platone è dun-
que un perfetto riscontro a quello ùi Paolo e di Olimpio-
doro e male fa Clemen a seguir lo Schweitzer, il quale
a un passo di q nesta i mporta11za ossorva l.mrbanzo-
samente che fa a1Illotto « in mannanza di prove migliori».
Finalmente il Clemen respinge la testimonianza (iello
scoliaste di Clemente Alessan1Irino (2), dubitando che
essa possa aver valore per il tempo di Paolo, ma ignora.
dunque che da un lato bi omofagia era un mezzo sacra-
mentale dionisiaco in uso fino rlai tempi preistorici (3),
e ohe dall'altro il mito di Dioniso e dei Titani hon che
il suo aµpre111limento nei misteri orfici è testimoniato da
Diodoro (4) che scrisse nella prima metà del 1° seo. a. C.
Noi vediamo dunque in questo singolo esempio come
l'ignoranza o l'incomprensione delle testimonianze anti-
che deve necessariamente impedire l'indagine di un pro-
blema ohe esige comµlessti e sicure cognizioni non solo
neo · testamentarie ma altresl classiche. In fondo è
la bilateralità ohe manca agli Rtudiosi di questa inda-
gine: essi sentono e rivivono il problema solo dal punto
di vista cristiano ma non dal punto di vista pagano.
Del binomio Zagreo Cristo sono in grado di conoscere
solo il secondo termine: il primo sfugge loro. Non lo

(1) SCHWEITZER p. ]6fi.


(2) CLRM, AL. P,·otr. I p. 433 s: wµà !o,'l,LOv xp!Clf. ol µuoòµ&vot
.à1ovooq> aEtyµClf. 'tOfi'to nÀoòµsvot 'toii a1tClf.pClf.yµoil 8v i11tsa't'lj At6vuao,
l>1tò Tt'tcivwv.
(3) V. ultima.mente Lo1sY, Le, my8tère8 p. 3211,
(4) DIOD. Ili 62, 6 Dind.
OUl!'ISMO lC PAOLINISMO

sentono e non lo all'errano. Solo cos} si spiega come un


maestro come Adolfo Harnack potesse affermare che
dove ci sono pnnti di confronto non si può in nessun
luogo nè ùimostrare ni- supporre con fondamento che un
unica religioue orientale o g·reca o nn 1tnico culto mi-
sterico abbia avuto una qualche influ~11za sulla religione
cristiana almeno fino alla fine tlel secondo secolo (1).
Se il Harnack fosse risalito indietro fino al secondo o
terzo secolo avanti Cristo avrebbe incon~rato l'orfismo,
cioè proprio quell'unica religione misterica che egli nega.

III.

1.

L'orfismo rtopondeCominciamo dunque col precisare i ter-


lllle eolgenze della
ectenza, mini entro i quali questo confronto è
possibile. Per non essere tacciato di
creare metodi a mio uso e consumo, accetterò i criteri
e le norme del più forte e reciso avversario che mai
abbia avuto la teoria misterica del crit>tianesimo, cioè
il Clemen. Egli (2) pone tre condizioni senza le quali
non è lecito affermare una qualsiasi derivazione mi·
sterico-cristiana e cioè un rapporto diretto e imme-
diato tra istituti o credenze o costumanze ellenistiche
da un lato e cristiane dall'altro. E sono: 1) L'idea o
istituto confrontato non deve potersi spiegare nè col
cristianesimo nè col giudaismo. 2) Tra le idee o le isti-
tuzioni paragonate dev~ esserci una corrispondenza non
solo esteriore ma anche interiore. 3) La religione che
si paragona al cristianesimo deve essere esistita prima
di q nesto e nelle sue vicinanze.

(1) liABNACK, Di• Terminologie d. Wiedergeburt u. verwanclte


.Erlebnis,e in d. liltut. KiTche [Texte und Unterauollungen Ser. III
12] (Berlino 1918) p. 97-143. V. Speo. p. UO s.
(2) CLEMEN, De,· Einftuu p. 2 s.
L'ORIGINE ORFICA DELLA CRISTOLOGIA PAOLINA 43

Io accetto tutte tre queste condizioni e non varcherò


i confini di queste limitazioni benchè sia persuaso che
nel pensiero del Clemen esse ablJiano l'ufficio di 1111 cor-
done :-;anitario tirato tutto intorno alla storiografia orto-
dossa del criHtianesimo, per impedire che in essa pe
netri il <·ontagio pestifero degli elementi ellenistici e
misterici. Le accetto percbè sono sicuro che il conta-
gio orfico, o zagrcite clic dir si voglia, è così potente
che prima o poi la sullodata imma!'.olata storiografia
ne <lovrà essere definitivamente presa, senza potersene
più liberare. E sar:ì una di quelle malattie che, come
dicono taluni me1lici, capitano fatalnwnte in taluni pe-
riodi llello sviluppo, facendo assai più bene elle male.
Di un'altra cosa so110 inoltre persuaso: che il Cle111en
non avrl'bbe osato formulare queste tre condizioni, me-
diante le quali egli pensa di a,·cr eausa vinta, se avesse
conosciuto l'orfismo, percbè l'orfismo le soddisfa pie-
namente: perciò sono persuaso che nell'orfismo è con-
tenuta la chiave dei cristimwsinrn paolino. Dico cioè,
anticipando per comodo dei lettori le 111ie conclusioni
che oppongo come soluzioni alle dnl>itazioui del poco
clemente Clemen: 1) che l'orfismo contiene quegli ele-
menti specifici mistici e mitici <IPl paolinismo elle non
si sono potuti spiegare nè col giudaismo nè col cristia-
nesimo giudaico, lasciando da parte la teoria generica
del cristianesimo ellenistico che può benissimo piegarsi
e adattarsi all'orlismo come a qmllunque altra influenza
misterica, e l'altra comoda teoria di spiegar Paolo con
Paolo, perchè non esclude le esperienze interiori sia
dell'orfismo sia di qualunque altra credenza. 2) Che nella
palingenesi orfica è contenuto quel concetto di rinno-
vamento reale e spirituale insieme che è il fondamento
del paolinismo. 3) Che l'orfismo esistette e operò secoli
prima del cristianesimo e intorno alla Giudea, se non
anche in essa.
Queste tre conclnsioni anticipate debbono essere di-
mostrate, naturalmente.
ORFISMO E PAOLINISMO

2.
perchè eHo solo co•-E cominciamo dalla prima. Io non in-
corda con la cristo-
logia paolina, tendo risolverla con i soliti confronti,
noti ormai a tutti i dilettanti di cri-
stianesimo primitivo, tra il battesimo e l'eucaristia
e altri riti Rimili ellenistici, anzi rimaado senz'altro chi
vuol saperne qualche cosa alle opere che ne parllmo (1),
perch>, a dirla chiarn, non do gran peso a qnesti con-
fronti. Ì<~ ovvio che il cristianesimo, svolgendosi in am-
biente ellenistico, abbia spontaneamente assorbito qual-
che elemento ritualistico dalle religioni misteriche; non
per questo è lecito negargli la originalità spirituale ,
da poi che sappiamo come uno stes8o rito può ricevere
un contenuto spirituale del tutto diverso da due o più
diverse religioni, perchè il rito è forma. È assai facile
citare esempi di riti pagani che sono in uso ancora oggi
e hanno un contenuto e rispondono a una volontà, che
nulla hanno a che vedere col pag·ane8imo; anzi sarebbe
assai facile mostrare come ogni religione nuova assume
e continua gran parte del ritualismo della religione pre-
cedente e come anzi proprio da questa permanenza del
ritualismo esce la. continuità, cioè il trapasso, cioè la
possibilità. che la nuova idea vinca non per rivoluzione
ma per evoluzione, non distruggendo cioè la forma. esi-
stente per crearne una nuova, ma tra.sformando quella.
già esistente mercè il nuovo contenuto, e in' modo che
proprio attraverso ano schema consueto la nuova idea
a poco a poco vinca. Le idee nuove non possono essere
comprese se non I\ pàtto di arcetta n.l e ni,:are il vecchio
linguaggio, dando ad esso un nuovo Rignificato.
Queste cose cosl Remplioi vanno <lette tanto a co-
loro cùe credono davvero, in base ad alcuni paralleli
ritualistici, di poter considerare il cristianesimo come

(1) V. la. bibliografia a. p. 141 dell'opera dello Scbweitzer.


L'ORIGINE ORFICA DELLA CRISTOLOGIA PAOLINA 45

una specie di ultima fase del sincretismo ellenistico,


quanto a coloro che, negati questi paralleli , credono
con ciò ùi aver salvato l'originalità del cristianesimCl.
Sono fuori di strada gli uni e gli altri.
lo non mi occuperò dunque di questi particolari che
possono si;rvirc solo per completare e arricchire una
teoria ma non a formarla, e andrò diritto al nocciolo
di tutto il quesito: la identità e la diversità delle due
persone del Cristo paolino e del Zagreo orfico. Riso-
luto questo punto, vedremo che le tre condizioni del
Clemen sono bell'e soddisfatte e che non resta se non
trarre le conclusioni.
I momenti mitici che qui cadono nel discorso sono
cinque: a) Zagreus è figlio di Zeus (I); b) i Titani lo
uccidono e lo fanno a pezzi (2); e) Zeus lo richiama,
in vita (3); d) lo fa salire al cielo (4); e) gli dà il
regno (5).
Lasciamo stare le complicazioni che questo mito subl
col tempo; fermiamoci a questi cinque momenti, con-
siderandoli come miti, cioè, per trasportarci alla men-
talità tanto orfica qnaoto cristiana, come fatti. Possia-
mo noi negare che il fatto di Zagreo risponde al fatto
di Cristo,
L'ortodossia fa però una obbiezione apparentemente
assai ~rave: nel mito di Zagreo mancherebbe l'elemento
essenziale della resurrezione personale del Dio, morto

(1) PLAT. Gorg. 523 A. Cfr. 524 B, 526 D.


(2) CLE:11. AL. Protr. II 17 ,2 Stahliu = Eus. Praep. e11. II
323-4 Uind. = =
ABEL, Orpliica fr. 196, Cfr. ARNOB, Àdv, riat. V 19
ABEL fr. 196; NONN. Dionys. VI 169 s; HYGIN. Fab. CLXVIII 238;
0RIG. C. Cel8. IV 17.
(3) D101,, III 62,7; CORNUT. De nat. deor, XXX 220 lo fa ri-
comporre cla Rea.
(4) Ju,mN. Apol. I 54; Dial. cum Tryph. 69; ORIG. C. Cels.
IV 17.
(5) PROCL. In Plat. Crat. p. 396 B (p. 56.6 Pasquali), e In
Plat. Tim. V (III p. 310, 32 s. Diehl); 0LYMPl0D, In Plat. Phaed.
163 p. 121 Norviu.
46 OR~'JSMO E PAOLINISMO

e sepolto (1). Invece gli i.• un fatto certissimo che la


resurreziouc di Zagreo era concepita proprio corporal-
mente.
Plutarco parla di vera e prnpria ucc1s1one e resur-
re-zione (21; Diodoro i· a11corn più esplicito: egli non
solo dice che Dioniso 1 f<epolto e ricomposto ,la Deme-
tra, riclinnti, giovant•, m:i ag-giunge anche che ]e ùot-
trinP iwwgn.1te nei poemi orfici li rivelate nei misteri
erano in accordo co11 q111•sto mito (3) e a Delfi si
moi<trnva la t.omba in cni seeonrlo la tradizione era. stato
sepolto il coqlO rli Diirniso (4). Ora io non so come si
posi,:a dubitare defl;L re~nl'rczione <li una persona che
vien fatta a pezzi, ricomposta e richiamata in vita, la cui

(1) lt.F: P. Rcrive iu Bilych1&is 1921 p. 1921: « Per poter affer-


ma.re che nel mito di Zagrco, comunque interpretato, ci sono tutti
gli elementi del Cristo puulinn hiso~·uernbbe che, almeno, non vi
mancasse un elemento t,111to Ps~euziale qunl'è quello della 1·esui·-
1·ezione pe1·ao11ale del Dio 111ortu e sepolto; q nesto elemento manca nel
mito di Zagreo orfico tra,lizionul,•. Il Loisy nel sno libro sul Mi-
~tero cristiano e i rni~teri pagani scrive: l' orphisme, qni con-
çoit le salnt commo nne lil,ération de I' :'11110 eufcnuée dans la
chair iguore la res11rrectio11 <In corps (p. 471). Giirntino ha par-
lAto della resurrezione ùi Orfeo, ma cou improprietà di linguaggio,
evit,ate da Origenc e da Diodoro». Quanto al Loisy ò eviùente
che R.E.f'. lo cita. a spropoHito pcrchè egli nega ginstumeute che
l'orlìRmo promettesse agli iniziati la re~nrrezionti 1lella carne ma
non dice parola della resurrezione personale di Zagreo che ò tntt'a.1-
tra cosa. R.EP, fa la st11ss:i confusione di chi scambiasse Cristo
col cristiano. Quauto a Giustino e Diodoro e Origene vedremo su-
bit.o se U.E P. ò nel vero.
(2) PLUT. De Ei ap. Delph. IX p. 3&8 F: cp&opcxç "CLV11ç Kotl
à.cpotvtaµoùç Ketl 1:cxç iivot~uineu~ xetl 1tetÀLyyev!a!etç.
(3) D100. III 6, 6 Voge!. xetncp'l')&évett, 1tciÀLv a·1mò 1:'ijç 4,j-
11'1')1:poç 1:filv µ,Àwv auvetpµoa&tnwv t~ à.px'ijç véov ye:vv'l')&i')vctL 8:
aòµcpwvct llé 1:001:0lç; stvotl 'CCX 'CE a'l')ÀOÒµE~Clt al11 1:WV OpcplXWV 7t0l'I')·
µci,wv Kctl ,ò: 7tctpeLaotyéµe:vot xot,11 ,ò:ç nÀnciç, Cfr. Dwn. V. 75,
4 B.: !iv 'Opq,silç KClt'Cl1 'tÒ:ç; 1:EÀE,cxç 7totpéllwKE llLct07tWµEVOV Ù7tÒ ,cilv
TL'tCXVQIV,
(4.) PLUT. De lsid. 35 p. 365A: ÀIIÀcpol n 'tOU 4LOVOOOU À!(-
cjietVClt 1tet! CltÙ,otç; 7totpck 'tÒXP'l'JO't'ljstov li1toxs!a&ctl voµ!aoucav.PHILOCH.
fr. 22 Milller. !a'tLV ta,rv 't7/Y 'tCt(f>7/V Cltll'tOU 4v ÀIIÀcpotç;.
L'ORIGINE ORFICA DELLA CRISTOLOGIA PAOLINA 47

morte è tanto reale che se ne mostra il sepolcro e la


cui seconda vita è tanto vera che es,;a ... si sposa. Tanto
varrebbe clubitarn dt>lla resurrezione di Crist.o perchè
se ne mostrava la tomb11.
Ma quel che più importa i_, vedere se i criRtia11i :un-
mette\'a110 o no questa fondanwutale coincidenza t.ra
Zagreo e Cristo, se da essi insomma era amme11sa la
resurrezione di Zagreo. Orbene: Origene dice chiaro
che Dioniso fu ricomposto e richiamato in vita (I), e
Giustino usa per Zagreo proprio la stessa parola che
l'Evangelio adopera per la resurrezione di Cristo: ana-
sthéliai (2). Possiamo ragionevolmente credere che Gin-
stino usasse a caso quella aug·usta parola, o non dob-
biamo credere piuttosto che, conscio delle somitdianze
trn i due miti da lui iittribu ite al diavolo, come ve<lremo
subito, volesse accentuare con quel vocabolo p1·oprio
quel che vi era <li scandaloso in questo avere opposto
la resurrezione di Dioniso a quella di Cristo?
11 mito di Zagreo ave\'a dunque col Cristo in comune
anche la resurrezione personale (3). Se a tutto questo
ag-~inng-iamo ancom la identità tra Dioniso e Zeus,
cioè tra il padre e il figlio che corrisponde alla iden-
tità. del Cristo col Padre (4), otterremo tra il Zagreo

(1) ORIG. C. Gel,. IV 17: 1t«Àtv auvell-eµisvou xa:l olovEt civa-


~Lòcrxov"to<;;.
(2) Dial. c. Tryph 69. Cfr. Mc. XVI 9, Gro. XX 7, Atti Il 24,
Rom. VI 5 ecc.
(3) Notevole la coincidenza tra l'antica festa del battesimo
cristiano del 6 (10) gennaio e la festa dell'epifania di Dioniso il
6 gennaio. PLINIO (N. h. II 106, 11) narra che ad Andro il 5 gen-
naio correva ogni anno un ruscello di vino (cf. PAUB. VI 26,1).
Si può anche confrontare il miracolo delle nozze di Cana con la
trasformazione in vino dell'acqua disposta in caldaie nel tempio
di Dioniso in Elide (Pau,. VI 26.1). Su tutto ciò v. BoussET, Ky-
rw, Ch.ri,to, pp. 332 36.
(4.) Dioniso era identificato dagli orfici con Fanete (PROCL.
In PlaC.. Tim. Il 102 F. cfr. D10D. I 11, 3 : ABEL fr. 168). Fanete
veniva identificato con Zeus (HEBM. In Plat. Phaedr. p. 141;
=
MACRO». 811,t. I 18 1 17: Cfr. MA.CROB. I 23, 22 ABEL fr. 56) l'iden•
48 ORl'ISMO E PAOLINISMO

orfico e il Cristo paolino una tale concordanza che la


maggiore non si vide mai: sì che quando udiamo qual-
cuno, per esempio il Deissner, argomentare che se Paolo
avesse avnto qnalche impuh,o dai misteri si dovrebbe
trovare qnalche affinità tra il Dio paga.no rispettivo e
il Cristo paolino mentre non vi è alcun tratto nella
conct>zionc paolina che ricor<li influenze estranee (1),
noi dobbiamo rispondere deplorando sinceramente che
la teologia si mostri così sicura di se in coMe che non
conosce abbastanza.
Anche l'escatologia era assai simile nelle due reli-
gioni : qui come là abbiamo la concezione di terribili
punizioni fisiche inflitte nell'oltretomba ai malvagi. Giu-
stino ci attesta che i cristiani avvertivano quest,a con-
cordanza quando, riferendosi al mito ùi Er narrato da
Platone nella Repnbhlicn, llove le anime vengono giu-
dicate e punite con tormenti vari, nota come Platone
credeva alla resurreziorw <lei corpi, dal rnornento che
credeva ai tormenti 1isici oltremondani, e conclude che
non esistendo questa credenza presso i greci il filosofo
doveva averla appresa dai profeti (i): ora, poichè il
mito di Er Ì! orfico, si deduce che Giustino vedeva in-
consapevolmente 1wll'escatologia orfica una concorllanza
con quella cristiana.
E b:uliarno all'etica. Tra orfismo e cristianesimo vi era
certn.rnente 1111 abi:-;so spirituale; ma i fondamenti della
costruzione etica, cioè il sostrato mitico, o teologico che

tificaziono 1\i Z<>n~ e Fanete era rappresentata, nell'inghiotti111e11to


lli }':mete (PnocL. fo Plat. 1'im. Il 95 E =A1rnL fr. 121, 122; cfr.
PnocL. in l'lat. P,ir11t. 621 Sralllmnm e_ In Plat. Crnt. p. 66. =
AHEL fr. 128. Fannte è la divinità sup:rema, coueepito co111e Z,•ns.
Nel pap. Par. 17!!9 ì· 1ll'l to : ipz'Yjyh·% 1tct0'% YEYÉOEwç ::,1r1a;p:ioaò-
µ1ovo;; ,'l mb-ca; ,fi ia;u,o~ e•rniµE~ (Wo111n:!:)11N, o. c. p. 8J).
(1) DislSSNRH, lJ-ie Mystik iles Pa1tl11s p. 128. Sccoudo D. il
Cristo paoliuo 1.00Uconla perfettamente col GcsÌI storico, cioè eol
Gesù ,\ci ~iuottici !
(2) JusnN. Coh. ad G1·. 27.
L'OKIGIXE ORl'ICA DELLA CRISTOLOGIA PAùLISA f9

dir si voglia, era lo stesso. L'orfismo affermava il dua-


lismo tra la carne titanica, derivata all'uomo dalla sua
natura titanica, essendo nati gli nomini dalle ceneri dei
Titani fulminati da Zeus, e l'anima dionisiaca, derivata
da ciò che i Titani, progenitori degli nomini, avevano
divorato Dioniso (1), e poneva nella carne il peccato
originale di cui l'uomo deve liberarsi ricongiungendosi
alla sua natura dionisiaca in Zagreo; il paolinismo af-
fermava il dualismo tra ,:arne e spirito, ponenendo nella
prima la sede del peccato, poichè gli nomini sono discen-
denti di Adamo, di cui l'uomo può liberarsi rinascendo in
Cristo « Come cioè - per ripetere le mie parole (2) -
nel Vangelo è narrata. la passione e la resurrezione del
Cristo cosl nella teologia orfica eran narrate la passione
e la resurrezione di Zagreo: come il cristiano in base
alla parola del Vangelo érede alla. verità storica della
passione e della resurrezione del Cristo così l'orfico af-
fermava la realtà storica del mito di Zagreo sull'auto-
rità della teologia: co111e il cristiano realizzando in se
medesimo la storia del Cristo ottiene la vita eterna così
l'orfico morendo e rinascendo in Zagreo arriva alla
beatitudine ».
Tra orfismo e cristianesimo vi era dunque un'intima
profonda essenziale concordanza. E Luciano esprimeva
una impressione certo assai comune definendo la reli-
gione di Gesù come un ·1mot·o m,stero (31, allo stesso
modo che Ignazio era assai preciso applicando ai disce-
poli di Paolo la terminologia misterica (4).
Uno dei miei crit.ici, spa\"entato di tutto ciò, cerca
di attenuare il vero. Ma. il vero erompe dalle sue

(1) Testi in LOBECK, .Aglaophamus p. 557.


(2) Zagre1111 p. 232.
(3) Luc. Peregt·. II: 'Xam17l11 'tctll't7i11 'tTjY nh't-lj11 11ìc,lyciy1111 11!,
'tÒV ~(c;v.
(-1) IGN. Eph. Xlii 2: Ilct'.IÀc;~ :J1.1µµ!:J'!Gtt, Per queste affinità
,·o,li anche ciò che dice WonB.ERMI:::- o. c. p. 96 s. sugli elemeoti
ortici dell'e,nngelio egizio.
V. MACCHIORO. - O,.fis""' ~ Paolùri.sMo. 4
50 ORFISMO F. PAOLINISMO

stesse parole quando afferma che << nessuna. dottrina


filosofica antica parve così opportunamente oontrap-
ponibi!f' al cristianesimo quanto la teogonia orfica» (1)
riconoscendo implicitamente che solo l'orfismo avrebbe
potuto opporre al cristianesimo mito a mito, domma a
domma. Queste concordanze parvero ai primi cristiani
tanto singolari che le supposero invenzione dei nemici
di Cristo: << La identità tra Zageo e Cristo - scrissi in
Zagreua a questo proposito - colpì i cristiani stessi che
non sapevano spiegarsela. Giustino Martire la spiega
supponendo che i commentatori dei poeti antichi, ap-
presa dai profeti la futura venuta di Cristo, inventa-
rono i figli di Zeus nel disegno che le cose riguardanti
il Salvatore venissero considerate come fiabe simili a
quelle dei poeti : l' apologeta spiega così la coinci-
denza. veramente straordinaria tra la profezia di Gia-
cobbe nella Genesi , ohe la tradizione connette con la
venuta del Messia, e la persona di Dioniso, supponendo
che, in accordo ad essa, si inventò Bacco figlio di Zeus,
1ace rato, risorto e asceso al cielo (2) >>.
E Giustino conclude, quasi consolandosi, che per quanti
miti i demoni potessero inventare, per nessuno dei figli
di Zeus avevano osato inventare la crocifissione (3): il
che vuol dire, in sostanza, che nel pensiero di Giustino
solo la crocifissione distingueva nell'ordine dei fatti il
Cristo da Zagreo.
Questa profonda concordanza tra Cristo e ZagTeo eùbe
una parte non ancora bene studiata nella polemica del
Discorso vero di Celso (4). Uno degli argomenti di que-
sto apologeta pagano era in parte fondato sull'orfismo,

(1) BONUCCI, in Bio. trim. stud. fil. 1921 p. 237.


(2) Zagreua p. 256.
(S) IU8TIN. Àpol, I 54 : "AU" ou~a:µoù oùx ibt( ,tvoç ,ùw À6-
yoµiv(l)Y ulwv ,ou <itòç ,ò a,a:up(l)IJ-i'jva:t t11iµljoa:v,o.
(4) L'orfismo non è nemmeno accennato dai più importanti
studiosi di Celso; v. PREliSENSÉ, Hist. des h'ois pre111. siècles de
l'ltgli11 Ser. II voi. 2 (Parigi 1861) p. 115-142; NEANDER, Allgem.
I.'OHl(;ll',;E OR~'ICA l>ELLA Cltl810UlGIA PA01.11'A 51

e consisteva nell'opporre alla dottrina e alla teologia


cristiane quelle della sua religione, in base ai libri del-
l'orfismo. « Su dunque - dice Origene a Celso - adduci
i poemi di Lino, Museo, Orfeo, la storia di Ferecide; con-
frontali con le leggi di Mosè, opponendo le storie, e i
(liscorsi morali alle leggi e ai precetti>> (1). II fonda-
mento dunque della polemica celsiana. era costituito dai
libri canonici dell'orfismo (2). Dalle stesse argomen-
tazioni di Origine si può avere una idea assai esatta
intorno a.Ile dottrine fondamentali di Celso e conchiudere
con sicurezza che esse erano derivate dall'orfismo. Per
esempio, la escatologia. Celso evidentemente aveva ne-
gato la verità della escatologia cristiana: ed ecco Ori-
gene gli ribatte che se i cristiani sono in errore è in
errore anche I ui stesso. E perchè Y << Poichè Celso dice-
sono le parole di Origene-che i cristiani sono sviati
da meschine speranze, noi risponderemo a lui che li bia-
sima per la dottrina della vita beata e la comunanza.
con Dio: Certamente secondo te, amico, sono sviati da
esigue speranze anche colorn che hanno accettata la
dottrina di Pitagora e di Platone secondo la quale l'a-
nima per sua natura sale verso l'arco del cielo e nella
regione celeste contempla la vi'sione degli spettacoli
beati. Secondo te, o Celso, anche coloro che hanno ap-
preso che l'anima si libera, e Yivono in mododa"diventare
eroi e vivere in compagnia degli dei , sono sviati da

Geech. d. christl. Rel. u. Kirche; (Gotba. 1863) I p. 203-14; BAUR,


Gesc/t,. dei· christl. Kirche (Tiiliingen 1863) I p. 382-409; KEIM, Cel-
sus Wah,·ee Wort (Ziiricb 1873), MUTH, Der Kampf d. hllidn. Phil.
Celsue gegen die Christ. (Ma.inz 1899). Non conosco PÉU.OAUD, Etude
sur Celsus (Lipsia. 1878) e l'edizione di Celso di NEUIIUNN. Il Keim
che pretende di ricostruire l'opera di Celso non traduce nemmeno
i pa.stri ai quali mi riferisco e a.fferrua. (p. 199) che C. ignorò l'i-
dea. del Messia sofferente.
(1) ORIG. C. Cela. I 18.
(2) Lo <1>1pExuaou rriu.cpTJ di cui parla Origene l'l il Illv'tiµuxoç,
opera cosmogonica. di contenuto orfico (GRUPPK, Griech. Myth.. u.
Rel. gesch. I 427 s.).
52 ORFISMO E l'AOLl.i-ISMO

esigue speranze,> (1). È evidente che Origene qui allude


alle dottrine orfico - pitagoriche, le quali insegnavano
che l'anima si :sollevava al cielo dopo la morte (2) e de-
scrivevano con vivi colori le beate visioni dell'oltre tom-
ba (3) e dicevano che l'anima dell'iniziato diventa un
eroe (4) oppure va a vivere insieme agli dei (5). Quan-
to alla allusione alla liberazione dell'anima, essa mira
evidentemente alla nota dottrina che considerava r a-
nima rinchiusa nel corpo eome in una tomba dalla quale
la morte la liberava (6).
L'uso personale che Origene fa di questa replica dù,

(1) OaIG. C. Cela. III 80.


(2) DwG. L. VIII 1, 31: iyEo8-cu (diceva Pitagora.) tcx, µtv
xci&cipi, (anime) l1tt· tòv f,4'totov. Car,11. aur. 70: fjv ll'àitoÀe(qai:,
owµci a, cit8-ép ·v.116,'h,poi;; U8-71i;; loaecit à8-civcitoi;;. Ps.-PIND. fr. 132
Bergk 5-Schruder: qruxcil e11ae~érov ll'i1toupci:not vciouot. CIA I 442:
A.!{fijp 1,1,È'I <:,ux2i;; (ntellil;cno awµcnci llè x8-wv twvlle; KAIBEL, Epigr.
er; lapid. coll U; 4,uxiJv xcil !mepq,tci:Àoui;; lluxvo!ai;; a!8-jjp !lypòi;; Axei,
awµci llé t.:,1,1,;;o, tMe; Ps. IIERACL. Epillt. V p. 73, l s. By water:
1,uzi, ... e!;; C.llpCLVOV civaitt7jaetcit µetcipato,: EPICHARM. fr. 22 Diels:
i·,ro ~\aµé•,u xa, 'o&pavov: El:RIP, Suppi. i:;33 8. ; 1tve'ìJ1CL µèv itr:,ò,
a!&é;;:.1: ,?.. :.wµa E!, yijv: P11oc1.. In Plat. llemp. II 129 s. Kroll:
i giudici mandarono td:i;; µèv e!i;; o1'ipavov tò,v <J,uxwv, tài;; llè a!i;;
tl.Y !11tò -:'ii, ,67tov; lvi II· 132, IO H. Kroll: i/ µèv yèip tiji;; ciitoÀEu-
;wri i!v c,ùpav,p
ae.111, xat Eli'.atµc.•1(et<;; o,,
~E!u tl{/-e~ett.
(3) Hi vedano le <le11<:rizioni elisiache in P1xn. fr. 129-130-132.
Bergk•-1:!clirijder e Ol. Il 108 s., A1,. lfo11. 372 8.; SfJPII. fr. 638,
Xauck; PLAT. Civ. II 363 C.; Ps. PLAT. ÀX. 13; P1.1JT. NonpoBBe
s11a11. riti p. 1105 A; V1tRG ...Jtn. VI 638 11.
(.lJ Lam. orliea KAIBJ::L u;sf 638, Da:u1, VorBokr3. II p. 175
N. 17: btlHt ·uuw; µelJ.' Yj~WYi:iOL civci~twet,.
(5} PLAT, Pkaed. 6!1 C.: 6 U xe.xa~apµhoi;; te xal nteÀaaµtvoi;;
ilx1tcr1 à{ptxlµ,-..o, µni -11-Eiiw olx7jaet. Ciò equivale a diventar dio:
cfr. Lam. KAinEL JG/H 641, 1 =
1J111.1,1:1, r·orsokr3. II p. 177 N.
18: ./I-et., ~-b~ !htl jipotofo: KAIBEL 642, lJ1E1.1:1 p. 177 N. 20: {/-Eò,
ilyi·1ou i!; à•1./l-p1111tou;. Carm. aur. v. 71: lcreat cill-civeti:oi;; &1òi;; dµ-
ppo":,;ç;. Cfr. anche f.lc1101.. Ar. Ban. 1158 JJindorf: e, tix µuat'ljpta
~~taz~at<;; µetlX tWY ty{J-jy',1 tl!À.lUtTjY &1jjç T)~LOÙtO ttµ~ç.
(6) Nella d1>ttrina orfica l' auima Il chiu11a nel corpo come in
on carure per scontare la col1,a titanica (Testi in MACCHIORO ,
Zagrl?U p. 109 n. 3), da cni la libera la morte (PuT. Pkaeà. p. 67 ,
Cfr. J"'BJ,. Protr. 13 p. 15 Pistelli).
L'ORIGINE ORFICA DELLA CRISTOLOGIA PAOLINA 53

un singolare valore a queste allusioni. Infatti tutto il


discorso di lui non avrebbe alcun valore polemico se tra
coloro che avevano accettato queste dottrine non entrava
anche Celso, nonostante il suo disprezzo per le non molto
dissimili dottrine cristiane: e solo in questo caso si giu-
stifica l'ironico invito che Origene rivolge aCelso a voler
essere sincero, a confessare di essere epicureo, e di
non credere nell'anima, confrontando la morte cri·
stiana con quella affermata dalla filosofia greca e dai
misteri (1).
Celso opponeva dunque alla escatologia cristiana quella
dei misteri. Sappiamo infatti che egli opponeva alle pene
oltremondane del cristianesimo quelle dell'orfismo (2),
e se approvava i cristiani che promettevano ai buoni
la felicità e ai malvagi la dannazione (3), ciò dipen-
dova certamente dal fatto che l'orfismo aveva una eguale
dottrina.
Anche la cosmologia di Celso era dedotta dall'orfis-
mo, perchè egli opponeva alla lotta di Satana contro
Dio la lotta dei Titani e dei Giganti narrata nella teo-
gonia orfica ( 4) e affermava le successive distruzioni
del mondo mediante il fuoco secondo la dottrina ortica,
eraclitea e stoica (5), e il susseguente perpetuo ritorno
delle cose (6). E infine anche la sua antropologia era

(1) C. Cels. III 80.


(2) ORIG. C. C. VIII 48: "!2amsp aù xoÀciaaL• a!wv[o:i, voµ!1;;1u,,
OU't(I) Xetl ot 'tW\I !Epwv bE[V(l)\I A~'IJ"f'IJ'tCtl 'tEÀ!iO'tetl Xetl JJ.UO'tetywyol,
a. aù µèv 'tot• ilÀÀoL• IÌ:1t1SLÀ1t,, tutvoL ~s au. Sulle pene minaccia.te
dall'orfismo v. MAGCHIORO, Orpltica p. 53, Eraclito p. 85 s.
(3) C. Ce1B. VI 42.
(4) C. Cels. VIII 44.
(5) c. Cels. I 19: 1tOÀÀIÌ:. b 1tCl:\l'tÒ. etUi>vo. è1mupwa1L. rsro.-
'IIÉ\ICtL. Cfr. PORPH. V. Pyth. 19: Xct'tlÌ: 7tlpL6~ouç; 'tLVIÌ:• 'tlÌ: ysv6µ.svct
7tO'tE 1tciÀLv yCvE'tetL, La b1t6p. era affermate. da Eraclito la cni filo-
sofia. era tutfa fon<lata snll'orfiRmo (v. MAcCHIORO, E1·aclito). Il
rito funerario orfico della. arsione era una 41mup. indi vi duale.
(6) c. CelB. IV 60: XOL\17j iJ 7tQ'.V't(l)\I ... q,uaL., Xetl µ.[et ,t.
IÌ:JJ.OL-
Jlriv 1tetÀ[npom;;v [oùact xetl 4mi:noùaet; IV 69: bcta'tet 'tÒil oÀou OW't7jpCetç
54 OR~'JSMO K PAOl,l!il"IS:MO

orfica perchè riteneva il male insito nella stessa natura


umana (1) e considerava il corpo come il carcere del-
l'anima (2).
Il pensiero di Uelso era dunque tutto imbevuto di
dottrine ortiche e su qneste dottrine ern fondata prin-
cipalmente la sua polemica che cm1sistc nell' opporre
al oristianesimo nna religione equivalente. Sicchè Ori-
gene aveva ragione chiedendogli se le credenze cristiane
non fossero più venerande di Dioniso ingannato dai
Titani e decaduto dal trono di Zeus e da essi sbranato
e di nuovo ricomposto, e risorto e risalito al cielo (3):
e vedeva giusto quando esclama.va: ,< Mi memviglio se
Celso non loda Dioniso per rivaleggiar con noi e vili-
pendere Gesù >> (4).
Però la scelta dell'orfismo come base della polemica
non fu fatta da Celso senza una profomla ragione. Egli
non voleva già abbattere il cristianesimo ma riconci-
liarlo col paganesimo (5): or dunque conveniva mo-

inxct y!ve:tc:d u cbtoÀÀU'tctL, ix1,uit~ijv i(; ixÀÀ:rjÀwv .sii cxÀÀYJÀct, Cfr.


PORPH. V. Pyth. 19: xct,CÌ'. 1tEFit6~ou~ nvci~ ,CÌ'. yevoµevct rcon 1tciÀL\I'
y(YS'tCl.l,
(1) ORJG. C. Celll. IV 65: b &!oil oùx ton xctxci, liÀYJ et.
1tp6ox1L,a.L, xa.l ,ot~ &v11,otç; tµ1t0Àc;ue,a.L.
(!t) ORJG, C. Cela. VIII 53 chiama il corpo eeaµodpLov del-
l'anima.. Secondo VII 28 Cc)Ro segue la escatologia del Fedone
che è orfica.
(3) ORIG. C. Cela. 1V 17.
(4) C. C.ls. VII. t singolare che Celso, pnr co111hattendo tutti
i dogmi della. fede cristiana, ruoetra di ignorare, come IJen nota
MUTH (p. 101), la Trinità e la Eucarestia, benchl\ quanto alla pri-
ma, ricordi il nome delle tre persone (VII 11. VI 70, 73). Sup-
pongo che C. non toccasse nè In. Trinità oè l' Eucari1:1tia perchè
quanto alla prima l'orfismo aveva qualche cosa di similo nella i-
dentità di Zeus padre e Dioniso figlio, e quanto alla seconda. il
processo mistico della iniziazioue era lo stesso.
(5) BAOB 1 Das Ch.1·i1te11t u. die christl. Kirche p. 387 e. KEIM 1
o. p. 190 s. PÉLAGAUD, Celsue et les p,·em. luttes entre la phil. ant. et
le chrut. (Parie 1879) pref. p. XV ep. 454; AuBÉ, Hist. des pe1·1-
dee egli,es (Parie 1878) p. 168 s. ; NEUMANN 1 Der rii111. Staat 1111d die
allgem. Kirche bi, au.f Diocletia11 (Lipsia 1890) I p. 3:i; MUTH o. c.
L 1 0RIGIJSK OR1''1CA DELLA CRISTOLOGIA PAOLINA 55

strare come nel paganesimo ci erano alcuni dei dogmi


o dei miti fondamentali del cristianesimo, aI6ne di avvi-
cinare sulla base di essi i due grandi nemici, mostrare
che in realtà i punti fondamentali delle due religioni
coincidevano. Solo così si poteva sperare di riconciliare
le due religioni. Ora nessuna base di conciliazione po-
teva trovarsi entro il pagane:;imo fuori dell'orfismo.
Per questo Celso l'aveva scelto.
Date queste concordanze tra le due religioni, si com
prende che i cristiani pensarono che Orfeo , al quale
la tradizione faceva risalire la religione ortica, aveva at.
tinto la sua dottrina alla fonte giudaica del cristiane
simo, c1oe a Mosè (1) , e finirono con avere per lui
un vero e proprio culto (2).

3.
perehè cronologica.
L'orfismo non era dunque ripeto, una
mente anteriore al
crlotlaneolmo. concezione un po' simile al cristiane-
simo; era un completo riscontro mi-
tico antropologico ed escatologico. Un mio critico or-
todosso tenta di Rpiegare questa concordanza con l'o-
JJera dei neoplatonici imaginando che, nell' intento òi
combattere il cristianesimo, costoro introducessero nel-
l'orfismo taluni elementi cristiani per poterlo opporre
al cristianesimo (3). Ma la cronologia gli dà torto
perchè dimostra che il mito di Zagreo era fissato in
tutti quei momenti che lo assomigliano alla storia del
Cristo molto prima che il neoplatonismo spuntasse sul-
l'orizzonte.

p. 159-60 seguendo ÙVEHBECK (Theol. Literahwzeit. 1878 p. 6:-16)


e KOLTSCHAV (Jah,·b. fiir p,·otest. Theol. XVIII 1892 p. 631) cre,le
che lo scopo di C. fosae di combattere l'esclusivismo particolari-
stico dei cristiani e r;chiamarli ali' unione coi pagani.
(1) Cu::.1. AL. Strom. V 12, 79, 1 Staehlin; IUBTIN. Coh. 14.
(2) MACCHIORO, ZagrsllB p. 259 li. 3.
(3) Boisccc1, Rii•. trim. si. fil. e rei, 1921 p. 236.
56 ORl<'ISMO E PAOLINISMO

I fatti son questi.


La prima apologia di Giustino, dove è affermata la
concordanza delle due persone, è rledicata ad Antonino
Pio, e cade tra gli anni 138-161; ma benchè al cap. 46
Giustino dica che Cristo era nato cinquant'anni in-
nanzi al tempo in cui la scrisse-ciò che se fosse esatto,
daterebbe l'apologia dopo la morte di Autonino Pio -
dobbiamo datarla nei primissimi anni del suo reguo,
tra il 138 e il 140. La ragione è che essa fu scritta
prima del Dialogo con Trifone (1) , il quale non può
datarsi molto dopo il 138 o 140 al più, perchè Giu-
stino dice che il dialogo avviene poco dopo la guerra
giudaica di Barkochaba (132-134) (2), in conseguenza
della quale il rabbino Tarfun , noto e rigido persecu-
tore dei cristiani ebrei, col quale avviene il dialogo (3),
era fuggito in Grecia dove Giustino lo incontra. Tarfun
morì insieme ad altri martiri al tempo della caduta
di Betar (136) che chiude quella guerra (4). Natural-
mente uon vi è sicurezza che il colloquio tra Tarfun
e Giustino sift storico, benchè non si possa escludere
che dei riflessi di verità ci siano; si può aucbe am-
.nettere che tutte le circostauze st,oriche di esso siano
inventate; soltanto non si può consentire alla data relati-
vamente tarda, dopo il 150, che si suole assegnare a
questo dialogo, perchè se anche Giustino nou s'imma-
ginò il suo dialogo proprio vivente ancora Tarfun, non
l• neanche ragionevole ohe egli introducesse come in-
terlocutore proprio un uomo morto venti anni prima e
ormai dimenticato. È invece assai probabile che Giu
stino scrivesse il suo dialogo vivente ancora il ricordo

(1) IUSTIN, Dinl. c. T1·yph. 120.


(2) IUBTIN. Àpol. I 31.
(3) L'identificazione di Trifone con Tarfun poggia s n Eus.1:B.
Billt. eocl. IV 18: su Tarfun v. OCHSER in The jewiah enc. XII p.
56 e Gau:TZ, Gesch. d. luden IV pp. 59, 94.
(4) Sulla guerra di Hetar v. spec. G&AETz IV p. 165 ; Hull:L
morte <li Tarfun, ivi p. 155.
L'ORIGINE ORFICA l>ELLA CRISTOLOGIA p,.OI.INA 57

di questo fiero nemico dei cristiani per confutarne le


accuse.
Se dunque il dialogo con Trifone va datato pochi anni
dopo la morte di Tarfun, intorno al 140 circa , assai
poco prima di questo, nei primissimi armi o mesi di
Antonino Pio, rn, datata. l'apologia elle vol1:,ntieri si irna-
gina scritta nel fervore ùelle speranze suseitate diii nuovo
imperatore, appena giunta la notizia del suo avvento.
Dunque intorno al 138 o 140 noi vediamo ben fissate
e determina.te le concordanze fondamentali tra Zag-reo
e Uristo. E se così è, dove se ne va la parte d1e il
mio critico assegna ai neoplatonici i Il Discorxo vero
di Celso, che inizia la schermaglia neoplatonica contro
il cristianesimo, è degli anni 178-180 (1), dunque po-
steriore di una quarantina d'anni alle date <:he ab-
biamo fissato q ni sopra. Porfirio, che i cristiani consi-
deravano come il loro peg-giore nemico, tanto che per
decreto del concilio di Efeso (431.) e per una le~g-e di
Teodosio II (448) i suoi libri furono bruciati a ditreren;,,a.
di quelli di Celso (2), visse circa tra gli anni 215-270;
Giuliano l\ degli anni 331-363. Tutto il lavorio di adat-
tamento dell'orfismo al cristianesimo che si vuol porre
come consegnenza della battagfot neoplatonica è di molto
posteriore, dunque, al tempo in cui le concordanze or-
fico-cristiane sono riconosciute e acc6ttate come fatto
dai cristiani.
Resterebbe un unico partito: abbassare le date del-
l'orfismo fino al primo o secondo secolo dopo Uristo;
ma questo è impossibile. Ho già detto (3) che i miti
fondamentali dell'orfismo debbono datarsi intorno al VI
secolo almeno a. C. e anche consentendo col K ern (4)
che il mito di Orfeo sia relativa.mente recente (V sec. 0

(1) N~:l'MANN in PAULY-WJSi,OWA. Renlenc. III 2 p. 1884.


(2) \VHITTAKF.11, T/1e 11eoplato11ists 2 p. U9.
(3) Zagn·u~ p. 2ii:3 11. 3.
(4) K1rn~, Orphe"s (lli,rli110 1920) l'· l s.
58 01\FJSMO K PAOLJNJS)IO

circa) e che non abbia avuto, come io credo, una forma-


zione diversa e più recente dal sostrato della teogonia
orfica, è indiscutibile che il complesso dei miti orfici è
anteriore di cinque secoli almeno a Gesù. E quando anche
volessimo dubit,,ue di questa, che è del resto una con~
quista della Bcienza, resta il fatto che Diodoro ci provii
che il mito ùi Zagreo , compresa la sua resurrezione
personale, esisteva e veniva insegnato nei misteri or-
fici verso la metà del 1. sec. a. C., poichè l'ultimo fatto
0

narrato nella Biblioteca di Diodoro è la spedizione bri-


tannica di Cesare del 54.
Dunque le interpolazioni neoplatoniche si potrebbero
accettare solo se si potesse ammettere che esse riguar-
dano il mito vero e proprio, quel mito che era il fon-
damento del confronto tra Zag-reo e Cristo: la uccisione
e lR rinascita del dio. Ma a ciò non si può consentire.
La teogonia intitolata Discorso sacro, che era quella usata.
dai neoplatonici (1), ha il suo centro appunto nel mito
di Zag-reo, la cui rimu1cita e il cui regno ht coronava?
non pnò certo imaginarsi come una invenzione dei neo-
platonici. La sostanza mitica di essa, cioè il mito di
Zagreo e dei Titani, indipendentemente dalla teogonia,
come prodotto letterario, risaliva a età antichissima, ed
era compiutamente formata un secolo avanti Gesù e al-
meno due secoli prima del primo neoplatonico.
Ora gli è proprio su questo mito che poggia la iden-
tificazione tra Dioniso e Cristo; toglietelo, e cadrà com-
pletamente il tentativo neoplatonico di rontrapporre un
dio pagano al Messia cristiano. Qui non si tratta di
ammettere interpretazioni neoplatoniche simili a quelle
per esempio di Porfirio e di Proclo, che stanno nella
corrente allegorizzante filoniana; si tratta ùi affermare
che i neoplatonici introdussero nell'orfismo un detenni-
nato mito per opporlo a Cristo, quando è dimostrato
che esso esisteva nel VII almeno avanti Cristo e che

(1) GRUPPJC, Gl'iech. Religionsgesch. I p. 430.


L 1 0111GIN•: ORFICA Dt:l.l.A CRISTOLOGIA l'ACLINA 59

era il nucleo di una teogonia, orfica elle esisteva forse


in età. preistorica e in tutti i casi era insognat.a nei
misteri orfici al tempo di Diodoro. Non so se ci sia chi
abbia il coraggio di far questo. li'orsf-\ può parer strano
che un mito così arcaico venisse integralmente con-
servato fino a età tardissima: ma documenti orfici ài-
mostrauo questa. immobilità. La dottrina che l'uomo mo-
rendo diventa dio, espressa nelle laminette auree di Si-
bari, risalenti circa al III sec. a. C. (1), si trova già
nel Carme aureo e in Empedocle (2), nonchè in Pla-
tone (3), e le concordanze generali tra le laminette e
la seconda olimpica di Pindaro, che ne è quasi un com-
mento (4), dimostrano che esse contengono una. dottri-
na la quale già due secoli innanzi era completamente
formata; e la concordanza. tra il rito funerario orfico e
il dialogo plutarchiano Del demone socratico (5) prova
che dopo nitri quattro secoli, e cioè verso la metà del
primo secolo dopo Cristo, ancora le dottrine fonrlaml.'rt·
tali dell'orfismo erano le stesse. Sì che noi abbiamo n11a
permanenza. di queste dottrine, storicamente accertata,
di almeno sei secoli. Ma poichè la teogonia rapsodica, 1m
cui quelle dottrine poggiano, risale certamente almeno
a.I VI o VII secolo, questa permanenza finisce coll'ab-
bracciare un periodo di sette od otto secoli. Gli orlici,
per dirla col Gruppe, non fecero altro che versare il vec-
chio vino nei vecchi otri (6).
Data questa immobilità, la quale è infine assai mi·
nore della immobilità mostrata. dalla cristologia orto-
dossa, per esempio, che oggi è la stessa che era nel IV

(1) KAIBEL, Jnscr. Gr. Sic. It. 642 = Drnui, Vorsokr3, II p. 177
n. 20: &,ò, tytvou !~ ci~&pcimou.
(2) Ca1•m, a11r. v. 71; EMPED. cfr. 355 Dicls.
(3) PLAT. Phaed. p. 69 C dice che l'iniziato abiterà co11 gli dei.
(4) DIE'IERICH, Nekyia (Lipsia 1893) p. 112.
(5) V. l'11ltimo Raggio di questo volume.
(6) GRUPP}:, Die rapsod. 1'heog. u. ih,·e Bedeut. i1inerhalb d. OTf'h.
Lit. (Jah,·bb. f. Phil. Supplementb. XVII 1890) p. 738.
60 0l1F1SMO R PAOLINISMO

sec., è perfettamente leggittimo proiettare uella età an-


teriore a Cristo, liberandole dalle interpretazioni allego-
riche tarde, le notizie mitiche e teologiche cl.te intorno
all'orfismo i neoplatonici ci hanno conservato, ed è asso-
lutamente illeggittimo attribuire al lavorio dei neopla-
tonici le conconlarzo che si osservano tra orfismo e cri-
stianesimo. Questo lavorio potè riguardare la interpre·
tazione allegorica e mistica dl\l mito, ma. non già i fon-
damenti mitici dell'orfismo, che sono quelli dei quali stia-
mo parlando e sui quali poggiano quelle concordanze.
E non basta. Noi possiamo dimostrare che in Giu-
dea e nelle regioni limitrofe l'orfismo era molto diffuso.
In Zagreus (1) ho affermato che nelle regioni circostanti
alla Giudea, e precisamente in Fenicia, poco innanzi
Gesù, il culto di Dioniso come dimostra la monetazione,
doveva essere molto diffuso, e ho detto come, dentro la
Giudea stessa, gli Esseni dovevano essere un potente
strumento di diffusione delle idee orfiche. Di tutti questi
argomenti e anche dell'orfismo degli Esseni la critica
ortodossa ha naturalmente dubitato (2): che cosa può
con vincerla quando si tratta di sai var la fede T Ma senza
alcuna ragione. Certamente il punto di vista orfico per
considerare gli Esseni non è il più frequente, benohè
vi sia chi li connette non propriamente all'orfismo ma al
pitagoreismo (3). Ma non si può negare che la dottrina

(1) Zag1·eun p. 265 s. Aggiungi le testimooiauze del culto di


Dioniso a Cesarea., Damasco, Sitopoli raccolte ùa SCHiiRER ,
GeBch.d.jud. VolkeB II 37, 56; 38, 56 II 44; II 55 (citato da BOUSSBT,
Kyrios Christos p. 386 nota. 3).
(2) R. E P. in Bilychnis 1921 p. 191 scriv<l: «Nou bast1i cl.te il
mito di Zagrens sia. cronologicamente anteriore alla predica:r,ione
di san Paolo : non ba.sta additare la Giudea. come r.egione più di
ogni altra idonea ad elaborare l'idea di una divinità morente e
risorgente: e nulla giova l'affermare che entro la Giudea stessa
gli Esseni dovettero essere un attivo e importante strumento di
diffusione dello ideo orfiche affini•. Per R. K P. nulla basta, evi-
dentemente.
(3) Per es. Cl!~l'ZKH, 8ymlwlik 11. Mytlwl. d. alte11 Viilker (Lipsia
1821) IV p. 40-75; RCHiillER, Gesch. d.jiid. Volkes im ZeHaltei· Jesu.
L'OIUGINE OIO'JCA DELLA CRISTOLOGIA PAOLINA (il

escatologica essena, come già. dimo,,tro in Zagreus, sia or-


fica. 11 destino oltremondano dell'anima è forse il punto
intorno al quale si concentra il pensamento religioso del-
l'uomo: tanto che spesso le credenze escatologiche di
per se sole bastano a caratterizzare tutto intero l'orien-
tamento religioso di un popolo o di un individuo. Si pui>
credere al Purgatorio senza aderire più o meno compie
tamente al oattolicismoT Si può credere allo Sceol senza
aderire al giudaismo 7 E così noi diciamo: è possibile
che gli Esseni avessero accettato integralmente le dot-
trine fondamentali della escatologia orfica se non erano
assai vicini agli orfici, se non propriamente orfici? E Rt'
questo è vero, come negheremo noi l'importanza di questo
fat.to, specialmente se lo connettiamo a tutti gli altri
fatti che sono venuto enumerando 7
Qui voglio aggiungere, a conferma di quanto ho detto
in Zagr,ms, che dallo stesso Giustino si rileva come
l'orfismo dovesse essere ai suoi tempi specialmente dif-
fuso in Giudea. L'apologeta afferma infatti che, i demoni,
saputo dai profeti l'avvento di Cristo, avevano inventato
il mito di Zagreo diffondendolo pres::;o i Greci e presso
gli altri popoli dove specialmente apprendevano che avreb-
bero creduto ai profeti annunzianti il Cristo (1). Qua-
l'era dunque - noi chiediamo - il popolo al quale i pro-
feti avevano preannunziato il Criato se non i Giudei 1
Ecco dunque che, Rtando a Giustino, quella religione
<li Dioniso, che i demoni avevano voluto opporre alla
religione di Cristo, era specialmente diffusa in Grndea.

(LipHia 18862) II p. 49 H. Pl'LKillEIIEH. JJas Urchristentum (llerl.


19022) I p. 15. Altri pochi conHi<lernrono gli E8seni come una de-
riTuziouc orlico-pitagorica; p. cs. DiiLLINGim, Christent. u. Kirohe
in d. Ztit der G1·undlegung (lfogcuHlmrg 1868) p. 127; BAUR, .D,·ei
.:lhhandl. z. Gesoh. der alten l'/dl. ed. Zcller (Lipsia 1876) p. 216
ti.) Altri ancora negano agli E. ogni olemento sia orfico sia pita•
gorico: p. eH. Ril:vn.LE, Je,u, de Na~areth (l'oris 1897) I p. 136-73;
MOIIFAT iu llAS'J'INO~, Eno. of rel. V p. 400.
(1) Iusn:N. Àpol. I. 64: 81tou µai:Uov !mjxouov i:wv 1tpOft)'lj1:WY·
!tl01:lll{l,,jaaaftH ,:ti)y Xp10,:{ly 71:pOOX'ljpU006v,:wy,
62 ORFISM() E PAO LI1'1SMO

Ora, per concludere questa parte del nostro ragiona-


mento, ritorniamo alle tre condizioni poste dal Clemen,
a quella qualsiasi religione ellenistica che pretendesse
di vanta:i;e una certa influenza sulla formazione del pao-
linismo; e vedremo che l'orfismo i:isponde a quelle con-
dizioni.
La prima è che l'idea, lasciando da parte l'istituto
che è oggetto di confronto, non si trovi nè nel cristia-
nesimo nè nel giudaismo: ora è certo cbe la morte e la
Tinascita dell'uomo in un essere divino, rivivendo mi-
sticamente le vicende attribuite a questo essere, che è
il cardine della mistica orfica da un lato e paolina dal-
l'altro, non si trova nè nel giudaismo nè nel cristianesi-
mo giudaico degli apostoli, nè con quello nè con questo
si potè mai spiegare, restando sempre non ostante tutti
gli sforzi, la grande incognita del paolinismo.
La seconda condizione è che questa concordanza tre.
il cristianesimo e l'altra religione sia non solo esteriore
ma interiore: e noi vedemmo che gli è proprio il pro-
cesso mistico, cioè la base della stessa esperienza re-
ligiosa cristiana, che noi ritroviamo nell'orfismo, e non
già delle concordanze rituali ohe possono essere coin-
cidenze o anche derivazioni esteriori.
La terza condizione è che la religione paragonata al
cristianesimo sia esistita prima di questo e intorno a
questo. Ora tra tutte le religioni misteriche 1:1010 l'or-
fismo risponde a questa condizione, che è poi la più
importante di tutte e la meno suscettibile di interpre-
tazioni soggettive.
L'orfismo è dunque quella religione appunto di cui
la scienza, sentendo il problema ma non sapendo ri-
solverlo, andò in cerca: la religione che cercava il Knopf
(1) quando pensava che molto noi sapremmo se po-
tessimo conoscere la teologia della cerchia ellenistica

(1) KNOPF, P1·obleme d. Pa1'11'8jo1·1oh1mg (Tiihingou 1913) p. 26.


L'ORIGINE ORFICA DELLA CRISTOLOGIA PAOLINA 63

di Paolo: quella che cercava Wernle (1) quando si au -


gurava che in avvenire si potesse stabilire esattamente
ciò ohe si può dire di sicuro intorno ai singoli misteri:
quella infine che intuiva il Wrede (2) quando pensava
che Paolo prima della conversione già avesse la credenza
in nn <<Cristo>> divino che venne a sovrapporsi a Gesù, e
cbe tutto il problema sta nella ricerca di questo <<Cristo>>.
lo mentirei a me stesso se non dicessi che credo di
averlo trovato. E attendo che la critica ortodos11a, la
qtiale finora non è andata più in là del luogo comune e
dell'insolenza, se ne occupi seriamente e serenamente (3).

IV
1.

La rinucita mistica,
Addentriamoci ora nel vivo del proble-
che è l' esaenza del
paoltni,mo, ma paolino. Cerchiamo di identificare la
esperienza religiosa, cioè quel processo
peculiare che è la rinascita in Cristo.
La grande novità di Paolo sta propl'io e solo in questa
nuova esperienza, per la quale il Gesù storico diventò
il Cristo mi 11tico, il fatto storico della resurrezione di
lui diventò il fatto mistico della rinascita dello spirito,
l'obbiettivo subbiettivo, il passato presente.

(1) WERNLE, Jesus und Paulus in Zt1ch1·. f. 1'heol. u. Kii'che


1918 xxv p. 88.
(2) WnEDE, Paulus p. 86.
(3) R. E P. (in Bilychni, 1921 p. 62, p. 190) dichiara la mia
te9i « psicologica.mente fragile e storicamente più che contesta-
bile» e la. giudica una « offesa alla coscienza cristiana.»; BONUCCI
(in Riv. trim. di studi filoa. e rel. 1921 p. 365) trova che la mia
1.tlsi consiste nel • far del Cristo nientemeno che un plagio di qnel
paga.no e straccione mito di Za.greo • e si burla (Ivi 1922 p. 127)
insieme al HUONAJUTI (Boli. di studi storico - religiosi 1922 p. 36 s.)
della mia « zagreite ». NesAano ha ancora tentato neppur lontana-
mente Ili saggiare scientificamente le mie asserzioni: ciò che Ae
non può chiedersi nè a. R. 11: P. nè al Bonncci, si può però esigere
64 OR~'ISMO E PAOLINISMO

In questo immedesimarsi in Cristo, proiettando noi


in lui o assorbendo lui in noi, sta la nuova esperienza
che Paolo diede al mondo e che diventò la pietra an-
golare della vita cristiana. Questa esperienza rese pos-
sibile la formazione della chiesa universale, perchè pose
ogni uomo in rapporto personale e immediato col Cristo,
e il Redentore fu presente da allora, giusta le sue pa-
role, in ogni luogo. Perciò l'esperienza paolina è il punto
di partenza del cristianesimo storico, quale si svolse.
Sfrondata della formulazione teologica o mitologica, essa
resterà sempre viva e vera perchè solo per essa il cri-
stiano può sentirsi uno con Cristo e arrivare mistica-
mente a Dio attraverso di lui: cioè realizzare Dio in
Cristo. Il giorno in coi la rinascita in Cristo non fosse
più possibile misticamente, il Cristo tornerebbe a es-
sere Gesù, ridiventerebbe da Dio uomo , ritornerebbe
nel passato, riscenderebbe nel sepolcro dal quale era
uscito e avrebbe il valore di un fatto che è avvenuto,
e non di un prooesso che avviene.
Il processo mistico di questa rinascita poggia tutto
sulla reEmrrezione di Cristo, e S. Paolo aveva ragione
dando valore esclusivo alla resnrrezione di Cristo (I)
e facendo di essa il centro del suo sistema, perchè essa
è garanzia della nostra. stessa rinascita. È sul modello
di essa che si foggia la rinascita cristiana: di essa, come
fatto storico, è una ripetizione la rinascita spirituale,
come fatto mistico. Se Cristo non è risorto 1 il cristiano
potrà sl rinascere ma fuori del cristianesimo, non in lui
e con lui. Il fondamento della esperienza cristiana è

dal Buonaiuti , fornito a. dovizia della necessaria coltura. Tanto


più che il mio articolo sui rapporti tra noetianesimo e orfismo, con-
dann11to da. lui come un errato e fantastico prodotto d111la mia za.-
greite (Gnosis 1921 1 I), è stnto completo.mente approvato da. VICTOR
SCIIULZE (in T~ol. Literaturblati 1922 p. 155). Devo dunque oon-
oludero che, cùme al solito, conviene andar all'estero per trovar giu-
dici equanimi f
(1) I. Cor. 15, l 2 s.
L 1 0HHilXF. ORFIC.\ Ul•I.L.'1. CRISTOLOGIA PA<JI.IXA 65

dunque non subbiettivo o spirituale, rua obbiettivo e


reale: il processo diventa spirituale, ma parte dal reale:
si fa in noi, ma riceve lo stimolo fuori di noi. Esso di-
pende da un fatto, non da una idea; oppure da un mito
cl.te il credente ritiene un fatto, che è poi lo stesso, come
nel caso di Zagreo. Il mito, cioè il racconto, contiene lo
schema della esperienza: per esso essa si fa. È il mito
che traccia la via alla comunione. cbe le prescrive il cam-
mino e determina la meta. Se questo narra che la divinità
con la quale io entro in comunione fu fatta a pezzi, io
sarò fatto a pezzi misticamente, vale a dire passerò at·
traverso lo squartamento; se invece il mito narra che que-
sta divinità fu crocifissa, io sarò crocifisso in comunione
con lui. S. Francesco non avrebbe ricevuto le stigmate
se Cristo non fosse stato crocifisso. Occorre una sola
condizione: credere alla storicità dell'avvenimento che
si vuole realizzare misticamente; credere alla realtà del
passato se si vuole che diventi presente. Chi dubita della
storicità della Passione non potrà mai riviverla perchè
la sostituzione della personalità, che è il fondamento
della comunione, non avviene con fantasmi, ma esige
persone reali o credute reali. La comunione non vuole
abbracciare ombre, ha bisogno di persone.
Data questa realità, la comunione opera ripetendo i
g·esti e le parole attribuite alla persona che si sosti-
tuisce alla mia, sia o non sia storica, purchè storici io
creda quella persona e quei gesti e quelle parole: anzi
1:ssa deve operare mediante questa ripetizione, perchè
non si può sostituire alla propria persona quella di altri
se non operando come quella; non si può imitare re-
Htando noi. Questa Rostituzione di personalità è una ne-
oessità non 1,pirituale ma reale: perciò in se st-essa è
vuota di ogni contenuto spirituale, è pura forma e niente
altro. Essa è mezzo, non fine, così come è mezzo e non
fine il camminare, che vi può portare tanto alla chiesa
qnanto all'osteria, così come è mezzo la favella che può
pronunciare la bestemmia e l'inno. La sostituzione di
V. MACCHIORO. - Orfismo e Paolinisma, 5
66 ORFISMO E PAOl.l:Sl8MO

persona può far di voi un santo o uno stregone secondo


che in voi entrerà Cristo oppure Satana. Occorre solo
che crediate alla reale esistenza di Cristo o di Satana
e che vogliate diventar l'uno o l'altro. La differenza starà
in questo: nel primo caso risveglierete in voi quei va-
lori positivi dello spirito che sono contenuti nella per-
sona del Cristo, mentre nel secondo creerete in voi stessi
quei valori negativi che l'umanità ha simboleggiato in
8atana. La fenomenologia è la stessa; ma il contenuto
ilei fatto varia.
Possiamo riunire queste variazioni in tre gruppi o
gradi. Nel primo grado voi potete avere una sostitu-
zione cli persona pienamente passiva, dove la volontà
umana non esiste, come nelle depersonalizzazioni i-
pnotiche e spiritiche dove il soggetto, dominato dalla
volontà altrui, diventa bambino, prete, Tizio, Caio, Ales-
sandro, Napoleone, tutto quel che si vuole (1), ma lo
diventa senza che il suo spirito vi partecipi, senza che
cioè da quel transurnanamento escano dei valori reali
per lui. Oppure, nel secondo grado, potrete a vere la
sostituzione di persona attuata mediante la volontà, dove
cioè lo spirito partecipa alla. comunione, come nei mi-
steri dei popoli Jlrimitivi o nei drammi giapponesi o in-
diani, dove i partecipanti entrano in com1111ione con
l'antenato (2), ma dove i valori sono transitori e in-
feriori. O finalmente nell'ultimo grado la sostituzione
di persona è completa, lo i,;pirito Jlartecipa non solo mi-
sticamente ma altresì moralmente e ir!tellettualmente,
e coni;erva, o si i;forza di contservare, i valori acquisiti,
e allora si ha la vna palingenesi: e que1,to è Il caso
della cowunioue con Cristo.
La diversa dignità e realtà di questi due ultimi gradi
in che consiste, lai,iciando da 1>arte il primo <love manca
la coscienza! Tanto nella diversità della persona che

(1) V. esempi iu Zagnu, p. I:i2 s.


(2) Esempi iu Zagreu, p. 221!-7.
J.'OHJGJ:SF. OREICA Dl!LLA CRISTOl,OGIA PAOI.I ~ A 67

si surroga quanto in quella della persona che ,·iene sur-


rogata; la differenza cioè tra la comunione del negro
che assume la personalità dell'avo e quella del cristiano
che assume quella di Cristo, sta in ciò, prima di tutto,
che nel primo caso il soggetto assume una personalità
che più o meno equivale alla sua, che uon può dargli
valori superiori percbè non li contiene: ucl secondo caso
invece tutto il suo spirito vien sollen,to a un piano
superiore. Nel primo caso perciò la personalità assunta
è nuova, sl 7 ma non migliore, nel secondo è uuo,·a e
migliore. L'altra differenza sta nel soggetto stesso, nella
sua maggiore o minore capacità a realizzare i valori
eventualmente contenuti nella nuova persoua. Tanto S.
Francesco quanto Luisa Latean si identificarono in Cri -
sto ed ebbero le stigmate, ma il primo di \'enne un eroe
della caritÌì, la seconda rimase una pon'ra donna, per·
chè Luisa Lateau non era S. Francesco. Ciò che è co
stante, che forma il comune denominatore <le Ila sosti -
tnzione di personalità, è dunque il proce::;,.:o, lo schema,
il metodo.
Esso consiste sempre nella ripetizioue dei gesti o dei
fatti attribuiti alla persona che si assume. Il soggetto
che viene ipnotizzato e rivive N a poi eone, cammina parla
agisce comanda come il gTande imperatore o come egli
crede che agisse. Il sacerdote giapponese ripete i gesti
e i fatti che la tradizione at t rilmisce al sno antenato;
lo stigmatista rivive la passione di Cristo e la fa sna.
Tra mito e fatto non vi è differenza, come non Yi è dif-
ferenza nel processo mediante il quale ciò che è o può
e::1sere mito per la storia diventa fatto per me: la ri-
petizione.
2.
,1 •aon attnnno
qaaUro momenti,
Yen iamo ora, µre messo ciò, ali& rinascita
paolina.
Il processo della rinascita paolina si attua attraverso
•111attro momenti esposti nei capitoli V-YIII della lettera
68 ORFISMO E PAOLINISMO

ai Romani e ntli versetti che dò qui tradotti, omettendo


quanto può rendere oscuro il processo, non sempre evi-
dente di per sè, del pensiero paolino.

1° momento.

Cap. V 6. Se Cristo, essendo noi impotenti , certo


nel tempo opportuno per gli empi mori,
9 molto maggiormente, rifatti giusti nel sangue di lui,.
saremo salvati mediante lui dall'ira.
10 Infatti se, nemici essendo, fummo riconciliati a Dio
mediante la morte del figliuolo di lui, molto più, ri-
conciliati, saremo salvati nella vita di lui.
12 Per questo, come per un sol uomo il peccato entrò
nel mondo e per il peccato la morte, così anche a.
tutti gli uomini giunse la morte poichè tutti pec-
carono;
14 e però regnò la morte da Adamo fino a Mosè, an-
che su quelli che non peccarono, per la somiglianza,
d61la trasgressione di A-Jamo.
15 Ma non come la caduta così è la grazia. Se infatti
per la caduta di un solo i tanti perirono, molto più
la grazia di Dio e il dono nella grazia dell'unico
uomo Gesù Cristo ai tanti abbondò.
17 Se infatti per la caduta di uno la morte regnò per-
l'opera di uno, molto più quelli che ricevono l'ab-
bondanza della grazia e della giustizia in vita re-
gneranno per l'opera di quell'uomo, Cristo Gesù.
18 Veramente dunque come per la caduta di uno, che
riguarda tutti gli nomini, si venne alla condanna,
cosi anche per l'atto giusto di uno, che riguarda tutti
gli uomini, si venne alla giustificazione della vita;
19 come infatti per la disubbidienza di uu solo uomo
i molti furono costituiti peccatori, così anche per
l'ubbidienza di un solo i molti saranno costituiti
giusti.
L'OnH.a1rn ORFICA DELLA CRISTOLOGIA PAOLINA 69

11° momento

VI. 1 Che dunque diremo! rimarremo nell'errore , af-


fìnchè la grazia eresca 7
2 Non sia. Quanti morimmo al peccato, come ormai
vivremo in esso!
.3 O ignorate che quanti fummo battezzati in Cristo,
nella morte di lui fummo battezzati T
4 Sepolti dunque fummo con lui per il battesimo nella
morte, a ciò che eome Cristo risuscitò dai morti per
la gloria del Padre così anche no; in novità di vita
camminassimo:
.5 poichè, se siamo stati connaturatt con lui per la so-
miglianza. della morte di lui, lo saremo anche per
quella della resurrezione,
6 anche questo conoscendo, che il nostro vecchio uomo
fu crocifisso con lui, affinchè venisse sciolto il corpo
del peccato, perchè non più fossimo schiavi del
peccato;
7 perchè chi muore viene liberato dal peccato.
8 Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche
vivremo con lui,
9 sapendo che Cristo risuscitato dai morti non più
muore, la morte non più lo domina.
10 Infatti cio ch'è morto morì per il peccato una volta.:
ma ciò che vive vive in Dio.
11 Così anche voi pensate di esser morti al peocato,
ma viventi in Dio, in Gesù Cristo.

111° momento

VII. 5 Quando eravamo nella carne, le passioni dei


peccati operate dalla legge aiutavano le membra
nel produr frutti per la morte:
6 ma ora fummo sciolti dalla legge, essendo morti,
nella quale eravamo rattenuti.
70 onFISV.:0 E PAOLINI:;:110

14 Sappiamo infatti che la legge è spirituale: ma io


sono carnale, venduto schiavo del peccato.
15 Ciò invero che opero non riconosco: non infatti ciò
che voglio questo faccio, ma ciò che 011io qnei,;to fò.
18 So infa ti i che non in me , cioè nella mia carne,
abita il bene: poichè il volere 1,ì è con me, ma.
l'operare il bene, no;
19 poichè non quel bene che voglio faccio, ma quel
ma le che non voglio, q nesto faccio.
20 Se dunque ciò che non voglio questo faccio, non
più io lo compio, ma il peccato che abita in me;
21 trovo dunque questa legge per me che voglio fare
il bene, ohe vicino a me il male sta.
22 Poichè io mi compiaccio nella legge del pensiero
secondo l'uomo di dentro;
23 ma vedo un'altra legge nelle mie membra che com-
ùatte contro alla legge del mio pensiero, e mi asse-
rvisce alla legge del peccato che è nelle membra mie.
24 Misero uomo io sono. Chi mi trarrà da questo corpo
della morte,
25 Grazie a Dio, per mezzo di Gesù Cristo, signor
nostro. Non dunque io stesso col pensiero servo alla
legge di Dio, ma con là carne alla legge del peccato.

IV 0 momento

VIII. 1 Nessuna condanna dunque per quelli che sono


in Cristo Ge!lù 7
2 poichè la legge dello !ipirito dldla vita in Cristo Gesù
ti liberò dalla legge del peccato e della morte.
3 Poichè quanto alla impotenza della legge nella quale
ero debole grazie alla carne, Dio, mandando il suo
figliuolo in somiglianza della carne del peccato e
per il peccato, condannò il peccato nella carne,
4 a ciò ohe la giustizia 1lella leggo si adempia in noi
ohe non camminiamo secondo la carue nrn secondo
lo spirito;
L'ORIGIN~: OR~'ICA DF.LLA CRISTOLOGIA PAOLINA 71

5 poichè coloro che sono secondo la carne curano le


cose della carne , ma quelli secondo lo spirito le
cose dello spirito.
10 E se Cristo è in voi , il corpo bensì è morto per
il suo peccato, ma lo spirito invece è vita per la
sua giustizia,
11 e se lo spirito di chi risuscitò Gesù dai morti abita
in voi, chi risuscitò Cristo dai morti vivificherà an-
che i morti corpi vostri mediante lo spirito che
abiterà in voi.
13) Se infatti vivete secondo la carne, state per mo-
rire; ma se con lo spirito ucciderete le azioni del
corpo, vivrete,
14) poichè quanti dallo spirito di Dio sono condotti,
costoro sono figli di Dio.

3.
elle formano un
alw proceno
°· Il processo dialeU,ico
è evidente. Sche-
matizzando il pensiero di Paolo, ecco
i quattro momenti:
1) Cristo morì per liberare l'uomo dal peccato di
Adamo.
2) La liberazione avviene morendo e rinascendo con lui.
3) Il corpo è la sede del peccato.
4) Rinascendo in Cristo il peccato è ucciso nel corpo.
Ciascuno dei quattro momenti è essenziale per l'in-
tero processo che si svolge con vera forza dialettica.
Attraverso di esso quel che ern la salvezza giuridica
mediante il sacrificio di Cristo in redenzione dell'uomo
diventa salvezza antropologica mediante la rinascita in
Cristo. Uon la rinascitR in Cristo, cioè con la identifica-
zione in lui, il superamento della carne avvenuto in lui
una volta, mediante la sua morte e la sua resurrezio11e,
diventa un fatto che si ripete nell'uomo. Così la se-
oonda salvezza non è che la realizzazione della prima,
ò la via per la quale quella diventa attuale. In questo
72 os•·1SMO E PAOLINISMO

trapasso la resurrezione di Cristo diventa resnrrezione


dell'uomo, cioè l'obbiettivo diventa subbiettivo, la sto-
ria cliventa spirito.
Questo trapasso da esteriorità a interiorità è espresso
da Paolo coi due concetti della legge e della fecle : è
la fede che rende attuale la legg·e. <<~un vienr fatto
giusto l'uomo dalle opere della legge tranne che mediante
la fede di Gesù Cristo » (1) << perchè nessuno vien
fatto giusto da Dio nella legge» (2) essendo che << la
legge non vien dalla fede >> (3).
Non è dunque punto vero che in Paolo ci sieno due
concezioni di verse della salvezza. Vi è una sola conce-
zione, che consta di due momenti strettamente connessi
tra loro, simboleggiati dai due concetti di legge e di
fede, equivalenti a obbietti\'o e subbiettivo, oppure a
storia e a spirito. Paolo esprime a suo modo qnesta di-
versità quando dice di avere appreso da altri il valore
espiatorio della morte del Uri sto seconrlo le profozie (4),
che è il contenuto della. legge; ma dichiara cli non avere
appreso da alcuno la sua ,lottrina della rinascita in
Cristo (5), che è il contenuto della fede.
I due momenti si fondano su due circostanze che per
il realismo paolino sono due circostanze di fatto : la
schiavitù della legge che tiene l'uomo soggetto alla
consapevolezza della colpa e dell'ira divina, e la schia-
vitù della carne alla quale l'uomo soggiace. II peccato,
che è poi uuico originalmente percbè deriva da quello
di Adamo, vien visto secondo due aspetti, l' uno sto-
rico l' altro antropologico. Da questo doppio aspetto
del peccato dipende il duplice aspetto della salvezza,
che avviene prima secondo la legge che pone Cristo

(1) Gal. II 16. Cfr. Fil. III 9.


(2) Gal. III 11.
(3) Gal. III 12.
(4) I Cor. XV 3.
(;i) Gal. I 11.
I. 1 UlllGINE ORFICA DELI.A CRISTOLOGIA PAOLINA 73

come vittima espiatoria dei peccati dell' uomo , e poi


secondo la fede che libera l'uomo dal peccato facendolo
rinascere in Cristo. Questi due momenti sono neces-
sari tutti e due percbè senza il primo la fede non a-
Yrebbe alcun fon<hlmento rPale e senza il secondo il
primo nou avrebbe alcun valore in1lividnale. La. fede,
identificando l' nomo in Cristo, realizza la legge, cioè
renùe attuale l'offerta espiatoria di lui. Il pensiero pao-
lino, per chi sa rintracciarne Io schema attraYerso le
involuzioni, ha una straordinaria. unità e presenta anzi
nella lettera ai Romani, che è l'unico scritto propria-
mente teologico , un andamento veramente teoretico ,
contrariamente al pensiero di coloro i quali negarono
che Paolo mai desse un quadro completo delle sue
dottrine (1).
4.
di contenuto reali-
etico.
li fondamento di tutto questo 11rocesso
è il realismo. La interpretazione spiri-
tualistica della dottrina paolina, specialmente di Pflei-
derer e Holsten, è un tra.vestimento che ce fa renderà
più accettevole facendola apparire più moderna, ma che
ne impedisce la comprensione, e specialmente la mette
a contrasto con tutto lo svolgimento del cristianesimo
primitivo, in ultima analisi di origine paolina, che è pro-
fondamente realistico e a volte magico (2).
Fu il Liidemann (3) che per primo affermò la con-

(1) WE1zsaCKER , Das apost. Zeitalt. p. 20. La iuc1nuprcusio-


ne di questa unità. fondamentale del pensiero di P. ha creato la
tendenza II trovar tante interpolazioni quante occorrono per porre in
rilievo i dne aspetti del suo penRiero, apparentemente contruddi-
tori (p. es. VoLTER, Paulv, u. seine B,·iefe (Straseburg 1905) p.
162-3). V. su questa unità del pensiero di P. le brevi con~idera-
zioni di !;! in Riv. 11tud. fil. e ,·el. 1922 p. 93.
(2) HARNACK, Miss.on vnd Ausb,·eitung d. Ckristent. (Lipsia 1902)
Jl, 169 B,
(3) LiiDE)fA:-IN, Die A11trnpol. de.~ Apostels l'aulus (Kiel 1872).
Cfr. 8CHWEITZ~'.R p. 21-24.
74 Oll~'Jll~!O E l'AOLI!'.JSMO

oezione della redenzione essere in Paolo fisica e non


spirituale. Ma egli rimase isolato e solo ùopo una tren-
tina d'anni si comprese questo fatto fondamentale per
la storia della mistica sacramentale cristiana e special-
mente cattolica: che la mistica paolina è realistica e
concepisce la comunione come fatto tisico (1), non di-
versa in ciò da tutta la mistica ellenistica la quale fu
lontanissima da ogni concezione spiritualistica, e con-
cepì sempre la comunione con Dio come un fatto ma-
terialistico e quasi meccanico (~).
Tutto il processo mistico di Paolo poggia infatti non su
una concezione metafisica ma su un/atto: la resurrezione
di Cristo, di cui egli aveva acquistato a Damasco la
certezza (3). Questo è il fatto per Paolo.
« Se Cristo non è risuscitato vano dunque l'annuncio
nostro, vana anche la fede vostm; e siamo ritrovati anche
falsi te;;timoni di Dio, poicllè testimoniammo di Dio che
risuscitò Cristo, cui non risuscitò se almeno i morti
non risuscitano. Se infatti i morti non risuscitano,
neppure Cristo è resuscitato. E se Cristo non è risu ·
soitato, vana è la fede vostra, ancor siete nei peccati
vostri >> (4). Il proces110 mistico di Paolo consiste nel
(1) V. SCHWEITZER p. 129 s., e Rpecial. PFLBIDERER, Der Pau-
linihn ua2 p. 93; WREDE, Paul,i, p. 63 s.: LAKE, The earlier epistles
of Paulua p. 38 H.: BousSET, Kyrios Christos pp. 148, 164, 169;
MORGAN, Th• rei. and theol. of St. l'aul (Edinburgh 1917) p. 98 s.
12 s. Un esempio degli acrobatismi filologici di cui è capace la
ortodossia quando vuol cavare dal testo paolino Io spiritualismo
che non c' è si puil vedere in ViiLTER, Paulus u. seine Bi·icfe,
spec. p. 42 11.
(2) V. su queste specialmeute WETTKR, Phos [S/crifter utgiftna
af k. H1111aaniati1ka JTetenskaps - Samfundct 1711] (Uppsala. 1915)
pp. 35, 42, 66, 65, 156, 157.
(3) V. su questo DEIBSMANN, Paulvs ]l, 117.
(4) I Cor. 16, 13. Il concetto più esatto intorno al realismo
in P. è quello di SCHWEITZER p. 84, il quale nota come il lato
più caratteristico del paolinismo è che P. non ha punto la co-
scienza. di conrnoicare avvenimenti personali come qualche coHa
che si deve vivere, ma che il pen8iero di P. deriva irumeùiatamente
e obbiettivamentti dai fatti.
r}ORIGnrn ORFICA DELLA C!Wi'l'OJ.OGIA PAOLINA j5

morire e uel rinascere in Cristo; ora la garanzia della


realtà di questo processo sta in ciò clrn realmente Cristo
sia morto e risorto; lo spirito deve appoggiarsi alla
storia. ~· Uno solo per tutti morì , tlnnque tutti m01·i-
rono; e morì per t,ntti affinchè i viventi non piì1 per se
steRsi vivessero, ma per quello che per essi era morto
e risuscitato» (1). La 1:oncezione di Paolo presuppone
dunque la resurrezione come fatto reale, perchè da que-
sta cli pende come fatto altrettanto reale la resurrezione
dell'uomo. La semplice morte tli Cristo senza resurre-
zione porterebbe per assimilazione non alla rinascita ma
alla. morte in Cristo: « noi che eravamo morti nei folli
(Dio) rivivificò insieme a Cristo>> (2).
La resurrezione è pensata come reale perchè su di
essa poggia la possibilità di arrivare mediante essa alla
liberazione dal peccato, concepito esso pure come 1111
processo reale di rinnovamento del corpo. << Camminate
in spirito e non compiete la bramosia della carne, poi-
chè la carne brama contro lo spirito e lo spirito con-
tro la carne; queste cose sono l'una all'altra avversi•,
acciocchè ciò che volete, questo facciate. l\fa se vivetti

(1) II Cor. V_ 14. L'idea comuue cho Cristo morisHe i11rece ili
noi, come vittima espiatoria è eom\Jat,tnta da B1;YSCIILAG, Neutest.
Theologie III 138 che osserva: 1) «l'espressione dd,'h:1.YEY (mÈp 'i)µ&v
non rispornle 111111 lornzione « inn,ce• che è il greco dnl, e significa
«a vantaggio»; 2) se CriAto fosse rnorlo il11•ece nost1·a, avre\JlJe dovuto
sotl"rire la stesea pene. che noi meritiamo, 11111 Cristo non muore
veramente perchè risnscita ; 3) Al' la ginRtifieazione e la salvezza
Hi attuassero mediante una sost.ituzioue della vittima non si com-
preude come possano esHere sul,onlinate alla fede; 4) l:1 neces,;ità
di credere nelht resurrezione a la affermazione che senza la res11r-
rezione uoi saremmo ancora nel pecc:ito non si spiego. se nella
mo,·te di Cr. avessimo trovato la sostituzione. Ometto gli altri ar-
gomenti meno forti, chè 1Jnesti liastano. Cristo non morì secondo P.
in sostituzione di noi, 111>1 ptr noi , perchll con lni morissimo e
rinascessi mo.
(2) II Cor. V 14.
76 OBFlSMO E PAOLINISMO

con lo spirito. non siete sotto la legge. Ma quelli che


sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le pas-
sioni e le bre.me (1) >>. << lo invero per la legge sono
morto alla legge, affinchè in Dio iCI viva. Con Cristo
insieme fui crocifisso; e vivo non più io, ma vive in
me Cristo; e io che ora vivo nella carne I vivo nella
fede di Dio e di Cristo che mi amò e diede se stesso
per me. lo non rifiuto la grazia di Dio; poichè se la giu-
stizia vien per la legge , certo Cristo è morto vana-
mente » (2).
Come avviene queRta liberazione dal peccato che è
lo scopo supremo della mistica paolina 1
Essa avviene con ciò: che l'anima si libera dal corpo
terreno simboleggiato dal primo Adamo per rivestire il
corpo spirituale (pneumatico) simboleggiato dall'ultimo
Adamo, cioè Cristo. q. Sappiamo infatti che se la nostra
casa terrestre della tenda si dissolve riceviamo da Dio
un'abitazione quale casa non fatta da mani, eterna nei
<:ieli; e frattanto invero gemiamo, aspirando a soprav-
vesti re l'abitazione nostra che è dal cielo, se pure, anche
rivestiti, non saremo trovati ignudi. Poichè noi che siamo
nella tenda gemiamo gravati, per ciò che vogliamo non
svestirci ma sopravestirci, affinchè ciò che è mortale sia
assorbito dalla vita. E colui che ci fece per questo ap-
punto è Dio, colui che oi ha dato il regno dello spirito.
Fidando dunque in ogni tempo e sapendo che essendo
presenti nel corpo siamo assenti dal Signore, per fede
camminiamo non per parvenza. E confidiamo e abbia-
mo maggior gioia nel diventare assenti dal corpo e farci
presenti al Signore» (3).
Il processo per cui l'uomo si apoglia dal corpo e con
eRso dal peccato è dunque reale.

(1) Gal. lii 16 s.


(2) Oal. II 20 s.
(3) li Co,·. 5, 1 H. Cfr. I Cor. 15, 44 8.
L'ORIGINE ORFICA Dll;LLA CRISTOLOGIA PAOLINA 77

V.
1.
La realità della ,..
Qnesta realità appare anche più chiara
Uapae1l è l'orl!l••
del reall1mo uen- in quello che è il mezzo per il quale
mentale, questo passaggio dall'oggettivo al sub-
biettivo, dal fatto storico al fatto mi·
stico si realizza, cioè il sacramento.
Il realismo sacramentale paoliuo fu negato in pas-
sato per tendenze spiritualistiche dominanti spech1I
mente nel campo protestante, dove del resto oggi si
tende piuttosto ad accettarlo. Ma chi giudichi senza
prevenzioni non può negare che la concezione che
Paolo ha del sacramento è perfettamente realisti-
ca, senza. di ohe, del resto, il sacramento perderebbe
il suo carattere. Il linguaggio di Paolo è chiarissi-
mo. <<0 ignorate che qnanti fummo battezzati in Cristo,
nella morte di lui fummo battezzati T Sepolti fnmmo
dunque con lui per il battesimo nella morte, aociocchè
come risuscitò Cristo dai morti per la gloria del Padre,
così anche noi in novità di vita camminassimo. Poichè
se siamo divenuti nna sola natura per la somiglianza
della morte di lui , lo saremo anche per quella della
resurrezione, aucbe questo conoscendo che il nostro vec-
chio uomo fu crocifisso con lui, affinchè venisse sciolto
il corpo del peccato (e noi non più servissimo al pec-
cato), poichè chi muore viene liberato dal peccato. Ma
se siam morti con Cristo, crediamo che anche vivremo
insieme a lui, sapendo che Cristo risuscitato dai morti
non più muore. La morte non più lo domina; infatti
ciò che è morto morì per il peccato una volta; ma oiò
che vive, vive in Dio. Così anche voi pensate di esser
morti sì al peccato ma viventi per Dio in Cristo Ge-
sù>> (1). « Essendo stati sepolti con lui nel battesimo,

(1) Rom. VI 3 s.
78 ORFISMO E PAOI INISMO

uel quale anche foste risvegliati per la fede della ener-


gfa di Dio che lo suscitò dai morti» (1). (< Portando
intorno in ogni tempo la morte di Gesù nel corpo, af-
fìnchè anche la vita di Gesù nel nostro corpo appaia.
Poiche noi continuamente siamo esposti alla morte me-
,liante Gesù, affinchè anche la vita di Gesù si mani-
festi nella morta carne nostra>> (2). << E voi che una
volta eravate alieni e nemici, col pensiero nelle opere
mal vage , ora invece foste riconcilia ti nel corpo della
carne di lui mediante 1a morte, affinchè vi presentiate
al suo cospetto santi e irreprensibili e incolpabili (3) >>.
<< N til quale anche foste circoncisi con la circoncisione
11011 tatta con mano, nella deposizione del corpo della
cl\rne, nella circoncisione di Cristo, sepoUi con lui nel
battesimo in cui anche risuscitaste per la fede nella
energia di Dio che lo risuscitò dai morti>> (4).
Appare nelle parole di Paolo nn riflesso del realismo
~Teco il quale concepiva la liberazione dell'anima dal
corpo come un processo fisico, onde la concezione della
morte come unica vera liberazione e cioè come unica
vera conoscenza (5). Egualmente Paolo pari fica il bat-
tesimo, che è l'unica via per rinascere, alla morte (6).

2.
e apec,lalmente del•
Il realismo di Paolo risulta ancor più
l'encareatla secondo
Paolo, chiaro nella eucarestia. Il -passo fon-
damentale, come è noto, è nella 11.a let-
tera e.i Corinti v. 235.
<< Il Signore nel giorno che fn tre.dito prese un pane,

(1) Col. Il 12.


(2) II C01·. IV 10.
(3) Cul. I 21 s.
(4) Col. Il 11 s.
(5) PLAT. Phae,J,. 10-12, p. 67; ,JAMDl .. Pt·ot,·. 13 I'· 15.
(6) HErrzti:NSTE!N (ZBilach1·. fu1· ntl. WiBB. XIII 1912 p. 11) nota
die iu Mc. 10, 3 Ge~ù parln. tlf'l bat.tt'simu comt1 della. morti'>; il
Henso Il « potete voi 11ooett11re il 111io 11111rtirio» f li h11tte1<imo •'
J. 1 0RIGINY. ORFICA DELLA CRISTOLOGIA PAOLINA 79

e, rese grazie, lo spezzò e disse: questo è il mio corpo


che è per voi, questo fa.te per il mio ricordo. Simil-
mente anche il calice dopo il pasto dicendo: questo ca-
lice è il nuovo patto nel mio sangue. Questo fato ,
quante volte ne berrete per il mio ricordo. Quante volto
infatt,i mangiate questo pane e beviate il calice , an-
nunziate la morte del Signore, fino a che venga. Co-
sicchè chi mangi il pane e beva il calice del Signore
indegnamente, colpevole sia del corpo e del sa11g-ue del
Signore>>.
Il realismo di questo racconto, e S!lecialmente dei
versetti 24 e 25, è innegabile. La concezione che Paolo
aveva del sacramento eucaristico è magica. Egli attri-
buisce al fatto che viene celebrata dai Corinti senza
religione la frequenza dei morti e delle infermità (1).
Si leggano ancora le parole che egli rivolge ai Uorinti.
<< Il calice della benedizione che noi ùenediciamo non
è dunque la comunanza del corpo di Cristo i li pane
che spezziamo non è la comunanza del corpo di Cri-
sto T Per ciè> che uno è il pane, un corpo noi molti
siamo; poichè noi tutti di quest'unico pane partecipiamo.
Guardate all'lsrnel secondo la carne; forse che coloro
che mangiano del sacrificio non sono partecipi de Il 'al.
tare 1 Che dunque dico t Che cfo che si sacrifica al-
l'idolo è qualche cosa, o che l'idolo è qualche cosa,
Anzi, che ciò che sacrificano, sacrificano ai demoni e
non a Dio, e non voglio che di venti ate partecipi dei
,Jemoni. Non potete bere il calice del Signore e il ca-

tluuque considerato pari alla morte, come un patto realflj i greci


considerava.no pure pari alla morte il loro • battesimo », cioè i 1
mistero (MACCHIOIIO, Eraclito p. 127). li p,L&10 <li Mc. pare inter-
)'Olazione paolina; infatti Gesì1111·0Beguc111lo (v. 3!J) JHLritica il hat,·
frHimo <lei ,!ne 1,ehe<l"i al suo hatte~iiuo, ciò alla morte. Per hl
,·1111cozionc reali8tic11 1lel IJatt.eHirno in P. \". anche I Coi·, II 1 8,
,love lo p:1ragona al IHlBHDl,:'gio <lei mar !fosso. P. ammette poi il
liattrsi11111 per i morti (/ (;or. X V 29).
(1) I Cor. XI 30.
ORFISMO K PAOLINISMO

lice tlei demoni, non potete partecipare a.lla mensa del


Signore e alla. mensa dei demoni • (1).
Il pensiero contenuto in questo discorso è che tanto
il sacrificio pagano quanto quello cristiano sono reali,
in modo che l'uno esclude l'altro (2). Altrimenti non
si potrebbe opporre alla comunione dei cristiani quella
dei pagani e degli ebrei, concludendo che, se quella è
male comunione, pure reale deve essere la comunione
oristiana, e che per ciò appunto non si può farle tutte
e ùue.
3.
e aeoondo l'laterpo, Il realismo della eucaristia., che ormai
]adone paolina del
1laottlcl, è generalmente ammesso dalla critica,
risulta ancora, meglio che da. ogni altrn
considerazione, dal testo stesso dei sinottici.
I tre testi sono i seguenti, come ognuno sa.

(1) I Cor. X 16-21.


(2) FEINE, Ieeus Christus und Paulus (Lipsia 1902) pp. 215-20,
251; cfr. le considerazioui di CONYBEARE, Myth, niagio anà mo1·als
(Londra, 1909) p. 252. VoLTER (o. c. pp. 46 e 51) riconosce il
realismo di questo passo e di I Cor. XI 23-28, ma suppone che
sieno interpolazioni di comunità paoline, allo scopo di salvare lo
&piritualismo di P. Si può solo consentire col WEISS J. (Daa Ur-
chrùtentum, Gottingen 1914, p. 246) che le due lettere ai Corinti
attuali non eieno origina.li ma risultino dalla contaminazione di
due diverse lettere scritte in epoche diverse.
MAaee 111 MHTTBtl ~6 LD9R ~li
18) E mentre erano a tavola e mangia- 21) E mentre es•i mangiavano disse: In 15) E disse ad cui: Bramosamente bra-
vano, Gesù disse : In verità vi dico che verità vl dico che uno di voi mi tradirà. mai mangiar queata pasqua con voi pri-
uno tra voi ml tradirà, di voi che state ma ch'io soffra:
mangiando con me.
191 Cominciaro,io ad addolorarsi e a dir- 22) E addolorandosi fortemente comin•
t-
16) polchè vj dico che non la mangio
gli a uno a uno: Non forse io? ciarono a dirgli ciascuno di essi; non più fino a quando non sie. compiuta ò
sono io forse, Signore? nel regno del padre mio. "'ci
20) E quegli disse loro: Uno dei dodici, 2J) E queg1i rispondendo disse: Quegli 17) E ricevuto il calice e rese grazie,
quegli che sta intingendo con me nel che intinge con me la mano nel piatto disse: Prendete questo e dividetelo Lra ;;
piatto. questi mi tradirà. voi, I!:
21) Perchè Il figlio dell'uomo se ne va 24) Il figliuolo dell'yomo se ne va bensl 18) polchè vi dico, non più lo bevo da o:,:
secondo che è stato scritto di lui, tna come è stato scritto di lui, ma guai a ora il frutto della vite fino a che Il
guai a quell'uomo per il quale il figlio quell' uomo per il quale il figlio del• "i
regna di Dio venga.
dell'uomo è stato tradito ; buon per lui l'uomo è stato tradito: buon sarebbe o
se non fosse nato, quell'uomo. per lui se 110n fosse nato, quell'uomo. "
22) E mentre mangiavano, prese un pa- 26) E mentre quelli mangiavano Gesù 19) E preso un pane e rese grazie , lo ~
ne e rese grazie lo ruppe e lo diede pr~se il pane e rese ruazie lo ruppe, e ruppe e lo diede loro dkenclo: Que-
loro e disse: Prendete, questo è il cor- datolo ai discepoli disse : Prendete , sto è il corpo mio che è dato per voi; !:
po mio. mangiate : questo è· 11 corpo mio, questo fate per rnlo ricordo.
~
23) E preso un calice rese grazie, lo die- 27) E preso il calice e rese grazie, lo 20) E similmente il calice dopo aver
":,,
de loro e bevvero da quello tutti. diede loro dicendo: Bevetene tutti, mangiato dicendo : Questo calice è Il :;;
nuovo patto nel sangu~ mio , che è ...o
versato ·per voi:
24) E disse loro: questo è il-sangue mio, 28) poichè questo è Il sangue mio del 8
quello del patto , quello versato· per patto, quello per molti vereato pef 1-. Q
molti. remissione dei peccati. ;:
25) In verità vi dico che non più io bevo 29) E vi dico. che non più da adesso lo 21) se non che vedi la mano di chi ml .,,
del frutto della vite fino a quel giorno bevo da esso Il frutfo della vite sino a tradisce con me 1ulla tavola.
quando lo lo beva nuovo nel regno quel giorno in cui lo lo bevo con voi "g
di Dio. nuovo nel regno del Padre mio. ;;
16) E cantalo l'inno uscirono "l'erso il 22) Perchè Il figlio dell'uomo cammina ~
monte degli ulivi. secondo quel ch'è deciso. Se non che
guai all'uomo per Il quale è tradito.
23) Ed essi cominciarono a rldiiederel
l'un l'altro chi tra loro folle colui che OD
1tàva per far questo. ...
82 OlU'lSMO I•: PAOJ.INI SMO

La nostra attenzione deve l'Sser rivolta ai v. 22-24 di


Marco, 26-28 di Matteo, 19-20 di Luca. In tutti e tre i
Vangeli questi versetti sono evidentemente interpolati.
Si possono giustificare con cento ragioni, ma non vi
è ragione che impedisca di sentire la interpolazione solo
che 8i legga il testo correntemente, omettendoli. Il verso
25 in Matteo continua perfettamente il pensiero del 21,
di cui è la conclusione. Dopo aver detto che egli mo-
ril"'.ì., Cristo conferma elle egli non berrà il vino mai
più se non nel regno di Dio. I tre versi eucaristici in-
terrompono questo logieo e nat,urale discorso di Gesù,
senza adattarvisi.
Infatti tra il v. 24 e il 25 non vi è nesso; anzi vi
è discordanza. Non è infatti possibile che Cristo, dopo
avere affermato che il vino contenuto nel bicchiere è
il suo sangue, elica che egli non berrà più di quel vino.
Evidentemente il non bere più ilei frutto della vito è una
frase metaforica (come il nostro << vestir panni>>) per
dire « morire >>, e non concorda affatto col significat,o
lllistico che acquista il vino nei due prcc,'.denti versetti.
:Ma questa stessa frase comune che, dopo i v. 2:1-24 ap-
Jlare assurda, è logicissima se si pone dopo il v. 21; e
allora il pensiero che risult,a dai V\', 21 25 così con-
giunti è: << Io debbo morire e non herri, più il Yino
con voi se non in Paradiso>>. Pensiero affettuosissimo,
pieno di malinconia, promessa sublime oltre la quale
nulla più si pui) dire.
Questo identico ragionamento vale per Matteo, salvo
che l'ag·giunta dell'episoùio di Giulia accentua il con·
trasto tra i versi 21-24 e 29. Nel racconto secondo Mat-
teo da un lato si accoHtua il contenuto mistico e sa·
cramentale dei vv. 26·28, dall'altro si rinforza il lato
sentimentale del v. 29, sicchè il contrasto tra i due v.
28 e 29 è ancora più forte. Nel v. 28 è aggiunta la
frase << per ht remissione dei peccati», nel verso 29 è
aggiunto quel piccolo affettuoso con 1:oi e ne risulta che
Gesù deplora di non potor più bere con i discepoli quel
L'ORIGINK ORFICA DELLA CHI~TOI.OGIA PAO!.!N.\ 83

vino che è lì davanti a lui, e che è il suo stesso san-


gue sparso per i peccati del mondo.
Vediamo Luca. L' interpolazione, come in Marco e
Matteo, spezza a metà il discorso di Gesù, che procede
alquanto diversamente, ma non per ciò con minor con-
nessione t,ra i vv. 18 e 21. Gesù, con perfetta natu-
ralezza, dopo aver detto con la solita irnagine del vino,
suggeritagli dal calice che fa girare, che deve morire,
fa un accenno a chi lo tradisce, Il presente. Ma l'accenno
a Giuda con quel senonchè del v. 21 dopo il ,-. 20 è
veramente privo di senso. Vi è di più cht>. l'interpola-
zione dei vv. 19-20 porta a una duplicazione del calice
offerto da Gesù al v. 17 senza alcun accenno sacra-
mentale, ma semplicerneute per offrire per l'ultima volta
il vino ai suoi discepoli che stava per lasciare, come
a dire: << Bevete , perchè q nesta è l' ultima voi ta che
beviamo insieme>>. E questo doppio uso del calice fu
sempre uno scoglio per la teologia e per la crit.ica, cb1:,
non se lo spiegi, mai bene (1).
Questi versetti interpolati hànno, così isolati, un evi-
dente contenuto sacramentale. Questo ri:rnlta dal con-
trasto stesso in cui stanno con il testo dove furono in-
terpolati; essi non si fondono col ùjscorso di Gesù che
è realistico, sentimentale; hanno lo scopo di introdurre
il sacramento dove non c'er.i, di trasformare cioè il con-
tenuto del racconto, dando :dia con:1 pasquale giudaica
il contenuto sacrnmentale cristiano.
Ora i versi Marco 22-24, Luca 19-20, e anche con

(1) Dal bisogno di accordar l'ioterpolazioue paolina. col testo


di Luca levando la doppia menzione del calice derivano in fondo
l<l varianti del racconto rli Lnca. Il codice D e altri codici sop-
primono i v. 19b-20 poneU<lo al loro posto I v. 17-18. Il codice
Hiria.co sinait'·;" unisce i vv. 19-20 immediatamente al v. 16 e poue
18 alla fine come in Mc. e iu Mt. fondendo insieme il conten11to
ilei v. 17 al v. 20; il cod. siriaco Cnretonis omette il v. 20 e so-
At,itnisce ad <lRso i v. 17-18; HoLT7.MANN, Handkomm . .suni N. T-
(Tiibingen 19013) I 1 p. 409.
84 ORFISMO E PAOLINISMO

qualche variazione Matteo 26-28, derivnno dal testo di


Paolo (1) dove dobbiamo trovare l' origine di questo
realismo eucaristico.
L'altro accenno eucaristico è in Atti XX 9-12.

4.

aecondo gll Atti. Un fanciullo s'addormenta sulla finestra,


cade a basso e resta morto. Paolo scen-
de, lo abbraccia affermando che è ancora vivo , poi
risale, celebra l'eucaristia e parte. << E disceso, Paolo
si gittò su di lui e abbracciatolo disse: Non strepitate,
poichè la sua anima è in lui. E risalito e !"pezzato il
pane e gustatone, lungamente avendo conversato fino
al giorno, così partì. E condussero il fanciullo vivente
e furono consolati fuor di misura >>. In questo racconto
parrebbe che l'eucaristia sia un mezzo per far risusci-
tare il fanciullo. Infatti non è detto che Paolo lo fa pro-
priam(,ute risuscitare, come narra il Vangelo di Lazaro,
ma piuttosto Paolo pare preannunziare il suo ritorno
alla vita; questo avviene certo o durante la celebrazione
della cena o dopo questa, e il racconto, dando qua~i per
conclusione dell'episodio il ritorno del fanciullo vivo, fa
quasi discretamente capire che la sua rinascita è conse-
guenza della eucarestia. Se fosse conseguenza imme-
diata di un miracolo <li Paolo la ricomparsa del fan-
ciullo sarebbe narrata prima e non dopo la cena (2).

(1) I Cor. XI 23 s. La parte omessa da alcuni coilici nel rac-


conto di Luca, cioè i v.190-20, corrisponde letteralmente ai v.J Coi·.
XI 23 A: ciò prova che l' interpolazione paolina nei sinottici fu
operata per creare il documento storico della eucaristia. Lo1sY
(Lea myst. pagens p. 284) nota ginstamente che le parole rignar-
de.nti la istituzione clell'encaristia non hanno senso fuor che nella
teologia di P. che Gesù non insegnò mai. In Giov. VI 48-58 si
tenta una conciliazione tra il realismo paolino e lo spiritualismo:
ma nel v. 53 appare in piena luce la necessità del realismo.
(2) Atti XXVII 33 s. Su questo passo seguo FEINE, Iesus Chri-
stus u. J>auluB (Lipsia 1902) p. 33 s.
L 1 0RIGINE ORFICA DELLA CRISTOLOGIA PAOLINA 85

Una concezione realistica e magica della eucaristia ap-


pare anche nell'altro racconto eucaristico di Atti XXVII
33s. Sono quattordici giorni che Paolo e i suoi com-
pagni sono sballottati quà e là nell'Adriatico. « E fino
a che non fosse per spuntare il giorno, Paolo confor-
ta va tutti a prender cibo, dicendo: Oggi è il quattor-
dicesimo giorno che aspettando rimanete senza cibo
nulla prendendo. Perciò vi esorto a prender cibo; poi-
chè questo giova alla vostra salvezza; invero a nessuno
di voi cadrà un capello dal capo. E detto ciò e preso
il pane, rese grazie a Dio nel cospetto di tutti e spez-
zatolo cominciò a mangiare. E tutti fattisi buon animo
anch'essi presero il cibo. Eravamo in tutte le anime nella.
nave circa settantasei. E saziatisi di cibo, alleggerirono
la nave gettando fuori il grano nel mare. Ed ecco sorge
il giorno ed essi scorgono un~ ce.la in cui si rifugiano».
Il racconto degli Atti pare fatto o adattato per met-
tere in vista la potenza magica della eucaristia. Oome
nella seconda lettera ai Corinti si attribuiscono le in-
fermità alla empietà. con cui i Oorinti celebrano la eu-
carestia, cos} qui a questa cerimonia è attribuita la
salvezza. Il prender cibo, che Paolo consiglia, non è un
pasto comune ma un pasto eucaristico, ed egli infatti
promette la salvezza in conseguenza di esso. Ed ecco
avviene il miracolo: allo spuntar del giorno si offre loro
l'approdo che stavano cercando da due settimane. Si
noti anche l'accenno al numero delle persone che pare
alludere a un miracolo di moltiplicazione dei pani. Set-
tantasei persone sono molte per una nave da carico; non
parliamo poi di duecentosessantasei, come recano alcuni
codici! Un'altra allusione si trova nel racconto ohe,
dopo saziati, avanzò tanto frumento da poterne alleviare
la nave. Il ricordo del miracolo della moltiplicazione
dei pani è evidente (1).

( l) Cfr, il 1tciYn,;; xcil ciù,Ql itpoasÀciPoY,o ,poq,ij,;; con l'!q,ciyoy


mbn,;; di M-r. XIV 20. Negli Atti si parla sempre di una xÀcia,,
86 OIU'I8lf0 E l'AOLINIS~IO

VI.

1.

La comunione realeDolllle tolsu Paolo questo realismo f Per


41 P. derhò 4all 'or•
11,mo chi stu11i le origi ui del paolinismo, due
sono i filoni storici che occorre aver
presenti: il filone giudaico e quello gTeco, con le reci-
proche interferenze. Vi è sì, eù è anzi di moda, una terza
tendenza: quella ohe vuole spiegare Paolo con Paolo ,
che esclude, con più o meno definitezza, ogni vera e
propria influenza esteriore e cerca l'origine del fatto
religioso nè nel giudaismo nè nell'ellenismo, ma nello
spirito di Paolo.
Che in ultima analisi q nesta sia l'unica verità non
è ohi non veda: perchè ogni esperienza religiosa è in
oonelusione una libera attività dello spirito. Ma questa.
tendenza, verissima finchè si ponga come superamento
dello storicismo, diventa falsa se vuol esserne la nega-
zione. L'essere ogni attività spirituale uua creazione
dell'io, non assolve lo storico dal dovere di indagare per
quale concordanza di disparati elementi quell'io venne
tratto a quella determinata esperienza, a quella deter-
minata attività. Astraendo l'io dal processo storico non
lo si ingrandisce ma lo si annulla, perchè gli si sottrae
i fondament,i della concreta realtà. L'io fuori della storia.
non ha nè personalità nè vali<lità.
Oro, è bensl vero che gli è, in conclusione, nello spi-
rito ùi Paolo che convien cogliere il palpito delle sue
passioni, ma gli è nella civiUà donde Paolo uscì che tro-

4p'tou (Il 22; II 46): il viuo uou i, ricor<lato. In Le. XXIV 35 Gesù
è riconosciuto dal modo come spezza il piine; uua variante del
co<l. D omette il calice nel racconto p.n,·nrist.ico: l:t. comunione gno-
stica <legli Acta Thomae si faceva col Holo pane (BoussET, llaupt-
pt·obltme d. G110Bi1 p. 307). lll<lica tnitu ciii che il s:wnuuento ori-
ginale si compi va col solo pane f
L'ORIGINE ORFICA DF.LI.A CRISTOLOGIA PAOLINA 87

viauw i prece<lenti necessari onde poi si formò la sua


potente personalità. Schivare il problema e cercare di filar
dritto tra Scilla e Cariddi, evitando a dritta il giudail'l-
mo e a sinistra l'ellenismo, rifugiandosi nel porto prov-
visorio dell'esperienza di Paolo, significa rinunziare alla
verità, dandosi l'iJlusione di averla trovata, dimenticando
che ad altri poi toccherà cercare quali furono gli ele-
menti costitutivi di quella data esperienza, e le cause
per le quali essa fu quella che fu, e non diversa.
Ora noi possiamo escludere senz'altro che la comu-
nione reale di Paolo, cioè la morte e la rinascita in
Oristo, dnivasse dal giudaismo, perchè il giudaismo nou
aveva neppur l' idea della comunione; e allora resta
l'ellenismo.
E qui soccorre l'orfismo.
Dopo quanto abbiamo detto non vi può essere aloun
dubbio intorno alla concordanza del Cristo paolino col
Zagreus orfioo: nell'uno come nell'altro abbiamo no es-
sere divino che muore eri.sorge corporalmente. Ma questo
non sarebbe ancora sufficiente per connettere il paoli-
nismo con l'orfismo, se non si potesse dimostrare che
nell' uno come nell' altro la rigenerazione avviene con
ciò che il fatto storico della morte e della resurrezione
di questo essere divino diventa fatto mistico nell'uomo
e che il processo per cui questa identificazione avviene
è lo stesso nei due casi.
Nell'orfismo il processo mistico poggia sai «fatti>> se-
guenti:
1) Nell'uomo vi è il peccato originale, derivando essi
dalle ceneri dei Titani fulminati da Zeus, dopo che eb-
bero divorato Dioniso (1);
2) da questa inferiorità titanica l'uomo si libera ri-
congiungendosi alla natura ò.ionisiaca di oui nell'anima
umana è un riflesso (2);
(lJ Testi in LonECK, .Aglaopluim,is p. 557 s.
(2) PROCL. In I'lat. Crat. p. 82 CXXXIII - Pasquali; ÙJ.YMPIOD.
In Plat. Phaed. H 161 120 Non-ili.
88 ORFISMO E PAOLINlBMO

3) la rinascita avviene liberando l'anima dal corpo


in cui è rinchiusa per scontare il peccato titanico (1);
4) e· per ciò la rinascita in Dioniso libera l'uomo dalla
inferiorità titanica (2).
Il processo, per il quale la comunione si attua è dun-
que reale: l'estasi vien concepita come una reale muta-
zione di stato, durante il quale l'anima, uscendo dal
corpo, si riunisce alla natura dionisiaca (3) : e questo
processo poggia sulla realtà della morte e della resur-
rezione di Dioniso. Togliamo la base storica e concreta
della palingenesi fornita dal mito, e l'intero processo
mistico perderà la sua base. E questo realismo mistico
non fu mai alieno dell'orfismo, perchè il processo della
identificazione reale con Dioniso era consueto nella re-
ligione dionisiaca fino dai tempi preistorici (4). Per
questo nei misteri si insegnava il mito di Dioniso morto
e risorto (5), e ad Agre nei piccoli misteri si rappre-
sentavano i fatti di Dioniso (6).
Trn il processo descritto da Paolo nella lettera ai
Romani e il processo mistico dell'orfismo c'è dunque
perfetto parallelismo (7).
(1) DION. CHRYB. Or. XXX, Il P. 297, 10 Arnim; ÙLYMPIOD.
ap. WITIENDACH, Platonia Phaeà. (Lugduni Bat. 1810) p. 134. A
questo peccato originale e.linde l'orfico Ippolito moribondo in EUR.
Hipp. 13i9 ij. Sulla pena dell'anima chiusa nel corpo-carcere v.
testi in MACCHIORO, Zag,·eus P• 169 n. 3.
(2) L'iniziato diventa dio (MACCHIOBO, o. c. p. 231,4). La tra.-
sforme.zione dell'iniziato in Dioniso è espreBBa. anche da.Ila. formula.
orfica lptq,o, t, yciÀcx 17tE'COY (MACCHIORO, Zagre'U,/J p. 85 n. 1).
(3) V. testimonianze in MACCHIORO pp.165, 1; 144, 1; 169, 1.
(4) V. Zagreus p. 79, 1 e LOIBY, Les myatilres payens, p. 32 s.
(5) DIOD. III 6, 8, 6, Voge!.
(6) ST. BYZ. s. v. "Aypcxt.
(7) Un grave errore commette OMODEO (Prol. alla età apo,t.
p. 405) affermando che nel pensiero pita.gorico-pla.tonico le. corpo-
reità non è di per se stesse. le. sorgente positiva. del peccato, me. che
il corpo è la tombe. dell' anime. perchè questa. ha. anteriormente
peccato. Le. inferiorità. tita.nice. è connaturata. e.I corpo secondo l'or-
fismo e corrisponde perfette.ment.e al peccato insito nella a~pi;
secondo P.
I!ORIGIISE ORFICA DELLA CRISTOLOGIA. PAOUN<ls 89

La concordanza tra l'orfismo e il paolinismo non po-


trebbe dunque essere più perfetta: al Zagreo morto e
risorto per opera di ~eus, risponde il Cristo morto e
fatto risorgere dal Padre. Al corpo-tomba orfico, nel
quale l'anima è rinchiusa, corrisponde il corpo - tenda
di Paolo, che opprime il corpo; al peccato originale tita-
nico corrisponde il peccato originale adamitico. Io non
saprei imagiuare una rispondenza mitica più perfetta
di questa.
E si badi anche alla mistica. Alla rinascita mediante
il congiungimento con Dioniso corrisponde la rinascita
mediante il congiong'iu1ento con Cristo: al raggiungi-
mento della natura dionisiaca. corrisponde il rivestimen-
to del corpo pneumatico: alla iniziaidone che dà la bea-
titudine risponde il battesimo che dà la salvezza. L'or-
fico acquista la natura stessa di Dioniso e il cristiano
conquista la stessa natura spirituale di Cristo (1): per
il mistero l'uomo diventa di titanico dionisiac<>, e per
il battesimo diventa di psichico pneumatico. Nell'uno
come nell'altro caso abbiamo on processo mediante il
quale un fatto storico diventa fatto spirituale , ope-
rando il superamento del dualismo antropologico. Qui
come là la morte e la resurrezione del dio è punto di
partenza storico e punto di arrivo mistico: nell'uno
come nell'altro caso esse sono necessarie. L'imitazione
di Dioniso è il fondamento della mistica orfica come
l'imitazione di Cristo è il fondamento della mistica
cristiana.
L'argomento che probabilmente l'ortodossia opporrà a.
queste considerazioni è che Cristo è un personaggio sto-
rico mentre Dioniso è un personaggio mitico. Il Deissner
osserva infatti, negando ogni relazione tra le religioni
misteriche e il cristianesimo, che in quelle ci sono delle
divinità astrali e naturali, e in questo invece un per-

(1) I Cor. XVI, 16-17.


90 Olll,'JSMC E PAOLINISMO

sonaggio storico. (1). E il )lacheu nota chti mentre la


morte e la resurrezione degli dei pagani era una cosa
che riguardava il culto, la morte e la resrirrezione di
Cristo erano nn fatto (2). Ma basta. uscir dalla posizio-
ne ortodos!la per compren<lere che qnesti argomenti non
hanno alcun valore perchè gli antichi non avevano punto
la coscienza dell'origine astrale o naturale (anche Re
davvero fu tale) delle loro divinità, ma erano cosi con-
vinti della loro reale storicità. quanto può esserlo un
cristiano della storioità del Messia; i greci celebrando
le feste trieteriche solennizzavano la spedizione indiana
di Dioni8o, cosi come noi possiamo solennizzare la brec-
cia di po.,.•a Pia, o la battaglia di Vittorio Veneto: e
le <lonue greche nelle orge bacchiche intendevano imi-
tare le baccanti che un tempo avevano accompagnato
il dio: P epifania di Dioniso durante le feste in suo
onore era concepita come reale (3), quanto ad Atti e ad
Adonide è inutile indugiarsi a dimostrare che la loro
morte e la loro resurrezione erano creduti fatti per-
fettamente storici. L'esperienzo, cioè l'atto di fede, par-
tiva tlunque nei misteri da un fatto che aveva valore
storico perchè ritenuto storico e il processo per cui esso
diveniva un fatto spirituale era lo stesso che si attua
nell'ei-perienza. cristiana. Egualmente i potrà saffer-
mare anche che Cristo è un mito astrale, ma questa
affermazione non toglierà, il fat,to che Paolo vide Cristo.
Venismo ai particolari.
Gli antichi, e specialmente gli orfici, consideravano
la estasi come un reale mutamento di stato (4) ed e-
(1) DEISBNER, Die MyBtik d. PauluB p. 125 - 6.
(2) MACHEN, The origiu of Paul' B 2 cl. p. 315.
(3) D100. 3, 2 ~= 0 0
ATI;oµv'l')µòveuov 'tèt.ç; 'tjjç; xcnèt. 'tTJV Iva(x71v
a'tpcn1laç; xrnae1t!';aL 'tcxç; 'tpLE't'l')pl1laç; ,'J,ualaç; '1Lovila!Jl , xat 'tòv
,'l,1òv voµti;;aw l(Ct'tCX 'tÒV XPÒVO\I 'tOO'tO'\I TI;OLEta,'J,aL 'tlÌ.ç; TI;apò: 'tOtç;
&v,'l,ptimoLç; lmq,av1(aç; .•. (le donne) µLµouµÉvaç; 'tcxç; la'topouµÉva,
'tÒ TI;etÌ..atòv TI;ape~pEUSLV 't<j> ,'J,Erji µaLv<its,. Sull'epifania di DioniRo
v. ROHDE, l'sychc (Tiiliingen 1903 3) II p. 12 nota 1.
(4) Rom. III 2~ : 1lLXCtLOU!!EVCL ... 1l(cx 'ti), :iTI;OÌ..U'tpÒOEOJç; 'ti)ç ~y
Xpta't(ji "l'l')aou. Cfr. Gal. 113-17.
L'ùJ<J(;JlOC Ol!FICA DELLA t.:HISTOI.OGIA l'AOLIXA !JJ

gualmeute Paolo pensava della, giustificazione. Per essa


l'uomo non solo riceveva la g·inst.izia di Dio ma diven-
tava egli stesso q1rnsta gim,tizia (1) per un processo
che è bensì Hpiritnale iu ~e metleHimo rna che veniva
concepito realisticamente. li realismo r!ella giustifica-
zione appare anche in ciò che essa si attua mediante
la redcnzioac in Cristo ('.!), la quale, come veden;uno, L'
concepita come processo reale. ì\Ia non basta: essa si
fonda sopra nu fatto fisico, cioè sulla morte e sulla re-
surrezione di Cl'i8to (3) attuata nell'uomo stesso (4),
e viene qnindi a corrispondere perfettamente alla teoria
orfica esposta nel Fellone, secondo la quale la liberazione
perfetta dal gravame del corpo si ha soltanto con la
morte (5). Nell'un caso co111e uell' altro il fatto spiri-
tuale viene concepito e rappresentato come un processo
fisico: nel concetto realistico della giustificazione come
di una liberazione 1lell'anima 1lal corpo noi troviamo
la eco 1lella conoezioue orfica del corpo-tomba in cui l'a-
nima è nuchiusa.
E si badi ancora: Paolo concepisce co111e termini eqn i-
valenti il corpo e la carne: l'una come l'altrn sono oppo-
sti allo spirito (6). La carn~, cioè il corpo, come tale, i!

(1) PLUT. Q11at8I. ro111. VIII 93 p. 732 e: txoi:aoEt• a.ùi:a.t x:.tl


µna.~oÀa.(; lAMIIL. D, 1hlJ81. III 7 p. 114, 9 Parthey: oùx gx-
o,:cxot• li1tÀw, i;ihoiç; ifonv, cxÀÀèc è1tl ,:6 xpEh,ov &.vcxyoyri xa.l µ<--
,:cio,a.ot.; 8urn: hna.otç;, ,'J-a.uµc,oµ6ç,lj a.ÀÀo(wot.; CmYLL. AL. Com111.
in Hab, 56 (MIGNE, PG 71 p. 934): 1:YJV ci1t6 YE ,:éìiv cxtoxt6VW',1 è1tl
,:ci ciµ1(vw µnaxì,riow how.otv Elvcx( cpr.qiEv.
(2) Il. Col'. V 21: !va. 1Jrutç; yEvoiµE,'1-c:t ~txcxtoaiiv11 ,'l,EoiJ tv a.ùi:<j>.
Cfr. REINIIAIW, Das Wi1ke11 d. lieilig. Uei8tes 11ach d. Bl'iefe11 dea Àp.
Paulu, [l<'reib1i1·11er 1'hcol. 8t11dien XXV] (Freihurg 1915) p. 42 s.
(3) Rom. IV 2u.
(4) .Hum. V 6 8: 6 y<ip &1to,'l,a.vwv ~Eitxa.(w,a.t ci1t6 'tYJ• òiµa.p,[a.~.
t6) PLAT. l'hatd. 10-12 p. 67; .J.ornr.. Protr. 13 p. 15.
(6) BEYRCIILA<,. Ntl. 1'/ieol. BO-I; PFJ.EIDERER. JJas Urchrist 2•
I p. 191-2; Ho1:rz~1A.'òN, Lehl'b11ch d. 11e11te,t. T/1rologie II 10. BEY-
BCHLAG (li p. 22 e 4i) nega l'origine greca. di questo dualismo e
92 ORFISMO E PAOLINISMO

sede del peccato (1) che vien concepito realisticamente,


come una forza concreta che si è impadronita dell'uomo
(2). Non ci è una ragione vera e propria per la pre-
senza del peccato nella carne: essa esiste perchè l'uomo
è uomo (3): non è già che la carne sia per se stessa
peccato, ma è per se stessa nn male, una inferiorità(4).
Tutto questo corrisponde perfettamente alla conce-
zione orfica. Anche qui la carne titanica è di per sè
stessa sede del peccato, fuori di ogni colpa umana., per
destino: anche qui la salvezza consiste nel liberar l'anima
da questo gravame corporeo. Questa teoria si ritrova in
Plotino, col quale Paolo ha molte affinità, (5), e special-

lo fa risalire all'AT. Ma in esso manca la opposizione della carne


e dello spirito. La frase di Gesù MT. XXVI 41 (Mc. XIV 38) ,ò
µàv n;vsDµa: n;p6&uµov, fi !là acip!; tia&av'ljç; che manca. in Le. può es-
sere uno. interpolazione paolina. Beyschle.g ricorda anche lo. I epi-
stola. di Pietro, specie.lmente II, 11: tim!xEa&a ,wv oa:p,mt6>v tn;u-
-&uµiwv a:i,tvEç; o,pa:ui>ov,a:t xa:,à: ,i'jç; <Jiuxjjç;: me. <Jiux'lj nel lin.-
gnaggio paolino è ngna.le o. ocip!; e si oppone a TtvEilµa:, non a oiip!;.
I Petr. IV t B. parla. 111 della. liberazione da.I peccato, e ooncepi-
5ce questo come una. conseguenza della sofferenze., perchi, Cristo
ho. sofferto, ma non po.ria. della rine.scita. paolina. e non oppone il
m,sDµa: e.Ila otip!;. In Giac. I 14-15 si parla delle. concupiscenze.
che genera. peccato e di questo che gem1ra. morte, ma non altro.
Il tentativo di Beyschlag di trovo.re nelle lettere di Pietro e di
Giacomo dei precedenti giudaici a.I dualismo paolino della carne
e dello spirito è duaque fallito. È curioso che GOGUEL (L'apotre
Paul et Ieaua, (Pe.ris 1904) p. 142, rigetta. la concezione di HoLBTEN
(Zum Evangeliu.n1 d. Paulus u. PetrUB (Rostock 1868) p. 40) che iden-
tifica la carne e il peccato nel pensiero paolino, perchè fa di P.
un greco!
(1) HOLTZMANN, Lehrb. d. ntl. Theol.l Il p. 38 s; WEIZSii.CKER,
A.post. Zeit. p. 128; WEINEL, Bibl. Theol. des N.T. (Gt·tllldriH d.
ThtWl. Wills. III 2] (Tlibingen 1911) p. 243; MORGAN, The rei. and
theology of S. Pau.l, p. 17 s.
(2) PFLEIDERER, Das Urchrisc.t I 197; HOLTZMANN II p. 41-42;
WEIZBii.CKER p. 128.
(3) WEINEL p. 246, HOLT:IIMANN II p. 38; BEYBCHLAG II p.
37, 53.
(4) REDIHARD, Das Wirken d. heilig. GeialeR p. 58.
(5) V. sn Paolo e Plotiuo apec. MliLLll:R i11 Hr,·mes 1919 p. 103 as.
L'ORIGINE ORFICA DELLA CRISTOLOGIA PAOLINA 93

mente in Filone, dove troviamo parecchie concordanze


con la lettera. ai Rorna.ui (1), uonchè un dualismo del
tutto rispondente a quello paolino, di uomo pneumatico
e uomo psichico (2). Anche con Seneca, nel cui stoi-
cismo è passata la fondamentale concezione 01m:a, la
lettera ai Romani ha grandi affinità (3 ).
Singolarissima appare la parola tenda usata da Paolo
per indicare il corpo e il concetto che da questa «tenda,>
l'uomo deva liberarsi. Ebbene: questa parola appartiene
al linguaggio dei misteri (4), e la troviamo nella Sa-
pienza di Salomone in un passo di evidente infl.uenz:~
orfica (5).

(1) PHIL. De gig. 3 II 44 Wendlaud. JJ,EÀE'twaa. 'toù µn&: awµci-


'tWV cbto&njax1nv ~(ov, tva. 'tijç; ò:awµci.ou xa.l ò:cp&cip.ou 1ta.p&: 'tq>-
àyEvhq> xctl licp&cip'tq> \;wrjç JJ.E'ta.Àa.xwaLv. Leg. allegor. III 69 (I 127
Cohn): 'tòv y&:p aEpµcinvov éyxov ijµwv .ò aiiiµa. ... 1tov,ipòv xa.l
!it(~ouÀov .rjç; cJmxrjç; .... xa.l nxpòv xa.l n&v,ixòç; ot.1El µ'Ì) y&:p lìHo
'tt vo">')a,iç !xa.a,ov 'ijµwv 1tOLEtv ij vExpocpopEtv, ,ò vExpòv t~ é:a.u'toù
awµa. llyEtpoi>a·aç; xot.l ò:µox&l q>Epoua,iç 'tijç cj,uxijç. lvi 71 (I p. 128,
Cohu): lhot.v y&:p ò voùç µEnwpo1t0Ài7 xa.l ,:è( ,:où ,wpiou µua't">')pta.
µurj'tot.t, 1tov,ipòv xa.l auaµEvÉç xp{vEt .6 awµcx. De ugric. 5 (II 100
Wendland) chiama il corpo 'tÒV cj,uxrjç; èyyta'ta. oixov, ov li1tò yEvÉaEwç;
/ìxpt 't!ÀEU'tijç;, 11x&oç 'tOOOU'tOV, OÙX Ò:1tO't(&ua.t VEXpocpopoùaa..
(2) PHIL. Quod deus sit ini.mutabilis 11 p. 55 Wendl.: ol µàv-
cj,uxrjç, ol ai awµot.,oç; yq6va.at cp(Àot, ol µèv oùv q,uxijç ha.tpot
vo,i,a.tç xa.l ò:awµci,oLç; cpuaEat lvoµtÀEtv auvciµEva.t ... ot llÈ auµ~cia1.tç
xa.l a1tov1l&:ç: 1tpòç; awµa. &tµEvot ò:auva.i:oùvnç cimtµcpLciaa.a&a.L ,ò aa.p-
xwv 1tEp l~À ,i µa.. V. REITZENSTEIN, M ysterienreligionen p. 145.
(3) SEN, Consol. ad Maniam 24: Obruitnr bis a.nimus, offusca-
tur, inficitnr, arcetur a veris et suis, iu falsa coniectus: omne illi
cum ho.e carne grave certamen est, ne e.bstrahatur et sidat (cfr.
Rom. VIII 18-23) ; Ep. 65: animus, qui gravi surcina pressus ex-
plicari curit et reverti ad illa quornm fnit. Nam corpus hoc ani-
mi pondus ac poena est, premente illo urgetur, in vinculis est ,
niei accessit pltilosophia.
(4) Corp. Herni. XIII 5: xa.Àw, a1tEUllEtç ÀiJaa:t ,ò axrjvoç;;
REITZENSTEIN p. 177,
(5) Sap. Sal. 9, 15 ~ cp&a.p'tÒV y&p awµci ~cipuvst cj,ux11v xcil ~p(a-EL
'tÒ yEwllsç axijvo, voùv n:oÀucppov,l&ci. Un'altra espressione che mi
pare orfica è Fil. II 12: JJ,E'tlÌ: cpò~ov xa.l 'tp6µov; cfr. PLUT, Db an.
1 Bernardakie VII p. 23 = STOD, cpp(x,i xcil 'tpoµoç;.
OIIF.ISMO e PAOLINISMO

La salvezza paolina appare dunque in conclusione co-


me una trascrizione giudaico-cristiana della salvezza or-
fica. In fondo si tratta di una specie ili conoscenza mi-
atica. << Lo spirito infatti - dice Paolo (1) - investiga
tutte le cose, anche le profondità di Dio; in \'ero chi tra
gli uomini sa le cose dell'uomo se non lo spirito del-
1' nomo che è in lui YCosì anche le cose di Dio nessuno
conosce se non lo spirito di Dio. E noi non lo spirito del
mon1lo ricevemmo, ma lo spirit,o che vien da Dio, affinchè
coi10sciamo le cose che da. Dio ci furono grat,ificate >>.
La congiunzione con lo spirito di Dio, cioè la gim,ti-
ficazione, è dunque una forma di conoscenza mistica che
si raggiunge trnsformantlosi in nomo pneumatico me-
diante la comunione con Cristo. Gli t• il processo che
troviamo in Eraclito, secondo il quale la conoscenza av-
viene quando la mente si congiunge col logos divino (2):
gli è la teoria misterica, secondo la quale la conoscenza
avviene nell'estasi, quando l'nnima si stacca dal corpo
o si congiunge con Dio; oiulo la concezione 1lella morte,
perfetto distacco dal corpo, come unica perfetta cono-
scenza (3).
2.
che P, conciliò e fu-
Quale po:,;to dobùiamo dnnqne dare a Pao-
se col gl udaismo
lo nella evoluzione del cristianBsimo I
Non crntlo necessario riaprire ancora una volta la que-
stione, trat,tata sino alla !>azietà, del contenuto e del va-
lore del paolinismo; credo piuttosto utile restringere il
problema allo speciale pnnto di cui ci stiamo occupan-
do: la palingenesi in Cristo.
Rispetto a questa mi pare che il pensiero di Paolo
si presenti come la sintesi di due correut.i, l'una gin
daica e l'altra greca, che rispondono ai dne momenti del

(1) I Cor. 2, 10 H.
(2) MACCHIORO, Ei-aclito p, 131 A,
(3) MACClllOHO o. c. p, 12H M,
I!OHIG!SE OHFICA JH:Ll,A URISTOLOGIA PAOJ.INA 95

processo di salvazione quale è esposta nella lettera ai


Romani. Il momento iniziale, quello secondo cui Cristo
vien considernto come il liberatore del peccato di Ada-
mo, è giudaico. l\ia questo mo111ento resterebbe sterile
spiritualmente se il secondo momento non gli desse il
contenuto, non Io fecondasse, se cioè non veuisse in-
dicata la via, il mezzo pel' cui questa lìbernzio11e si at-
tua. Questo secondo momento è orfico.
In Paolo dunque il giudaismo e l'orfismo confluiscono.
Il primo gli insegnò sì che il peccato portò la morte (1),
ma l'orfismo gli insegnò che questo peccato, ciot' la
morte, stava nella carne e elle in comunione con Dio
la morte poteva essere vinta. Del binomio morti per il
peccato ma viventi per Dio, il primo termine è giu-
daico, il secondo è or.fico; l'uomo fisico giudaico di-
venta uomo pneumatico mediante l'orfismo.
Dei due momenti entrambi sono necessari. Se non
fosse stato ebreo Paolo non avrebbe avuto il concett.o
della concretezza. del peccato adamitico e per ciò del va-
lore concreto della redenzione dionisiaca. Senza l'orfismo
la redenzione mistica, cioè la comunione in Dio, ignota
al giudaismo, 1100 si sarebbe attuata. Il giudaismo gli
insegnò a che scopo era venuto Cl'isto, l'orfismo gli in-
i;egnò come si può redimersi in Cristo. Da questa doppia
origine scaturisce la esperienza cristiana in Paolo, con
quella unità perfetta che troviamo nei capitoli V-VIII
della lettera ai Romani, che sono il vero Vangelo di
Paolo: unità che non può apparire se non a chi la con-
sideri nella sua totalità. Oonsiderandola scissa nei suoi
elementi avviene fatalmente che or l'uno or l'altro dei
suoi due aspetti si imponga e che per ciò Paolo a volte
r1ppaia come un giudeo H volte come un greco.

tl) V. le testimonianze in Pi,'LEIDERER, Paulinismu, p. 42.


96 ORJ'JSMO B PAOLINISMO

3.

eena propria eape- Come si ha da intendere questa espe-


rienza. rienza orfica di Paolo, fu Paolo iniziato T
Non c'è nessuna ragione per negarlo. Il silenzio di
Paolo non ha valore perchè era l'iniziazione stessa che
lo esigeva : del resto sarebbe una curiosa pretesa quella
di chi esigesse di trovare nellfl lettere di Paolo una
confessione di questo genere. Ma è innegabile che il
lingtiaggio di Paolo, così ricco di terminologia miste-
ric:i, convalida più che non escluda la nostra congettura..
Possiamo benissimo dire che l'uso di questo formulario
non impegna lo spirito e non è indizio che Paolo accet-
tasse anche le idoe che si connettono a quella terminolo-
gia; ma con eguale e maggiore giustezza dobbiamo am-
mettere che l'uso di termini così specifici non può non
avere radici profonrle nella coscienza. Più che gli sforzi
dei teologi per tirar l'acqua greca al mulino giudaico, vale
il buon sensC1. Se oggi uno usasse continuamente la
terminologia cristiana e a proposito di nn affare riu-
scito parlasse della grazia ottenuta, e a proposito di uua
sventura alludesse al sno calvario, e a proposito di un
pericolo scampato parlasse di resurrezione, difficilment~
potremmo dire che quest'uomo non ha una coscienza
cri11tiana qualsiasi, anche ammesso che ciascuna a 8è
quelle parole possono usarsi metaforicamente, senza in-
tenzione religiosa. Per chi giudica col buon senso, il
linguaggio di Paolo è quello di un iniziato.
L'idea di un Paolo iniziato verrà senza alcun dubbio
respinta dalla maggioranza dei lettori, per una ripu-
gnanza altrettanto spiegabile qµanto ingiustificabile. In
realtà tra il giudaismo ellenizzante di Paolo e le reli-
gioni misteriche non vi era punto quella incompatibilità.
che affettano di constatare gli ortodossi; anzi, in fondo,
pur non sapendo esattamente quanta influenza avessero
queste religioni sullo svolgimento del giudaismo elleni-
J!O!l!Gl~E 01\FICA DEI.LA Clllf\TOI.OGIA PAOLl~A 97

stico, dobbiamo ammettero tra i due assai più accordi


che contrasti.
Quel che sappiamo rlella civiltà di Tarso al tempo
di Paolo è sufficiente per giustificare la nostra tesi.
Nella patria di Paolo era molto diffuso il culto del dio
Sandan, che era una delle tante divinità siro-orientali
morenti e risorgenti, come Aclonis, Attis, Osiride, Tam-
mnz, di cui era una varietà, fondamentalmente simile
a Dioniso, ed era il dio principale di Tarso (1). In Fri,
gia si celebrava la sua resurrezione (2). Ma non basta:
nel primo discorso tarsico di Dione da Prusa troviamo
delle chiare allusioni alle credenze orfiche ilei Tarsi.
Dione accenna ai Titani quali capostipiti della città,
alle cosmogonie insegnate dai veggenti , alla dottrimt
della morte e della resurrezione (3) : e in un altro
discorso dello stesso oratore troviamo una evidente al-
lusione alla identificazione orfica di Elio a Dioniso (4).
Specialmente significativa è la descrizione dei Titani
come capostipiti dei Tarsi, perchè ciò non può riferirEii

(1) DION. CHRYS. (Or. XXXIII 47; I p. 310 Arnim) lo chiama


<iPX'IJr6ç.
(2) PLAT, De Iside 69.
(3) DION. CHRYS, Or. XXXIII 2- 4; li l'· 298 Arnim: dpx'IJ-
yoì,ç !xsu !pwaç xa! ijµUJ·souç µliÀÀov ~È TL'tlivaç ... : ~oxst't! µot
1tOÀÀax,ç dX1JXOÉvaL {),s(w11 d11{),pw1to11, ot mina slll!va, cpaa! xal
nspl 1tcinw11 !palv i'j ll,cnhax'tal xal 't!va sxa, cpua,v, nsp! u dv{l,p-
w1tw11 xal llatµòvw11 xal {),sliJv, E'tL llà 't~ç xal oùpavoù xal {),aÀaaa'llç,
xal nspl ijA!ou xal aEÀYJ"'ll' xal 'tlilv !ÀÀwv aa'tpwv, xal nspl 'tOÙ
auµ1tcinoù x6aµou, xal nspl cp{),opliç xal ysvfoawç.
(4) D10N. CHRYS. Or. XXXI (I p. 222, 11 Amiru): 'tÒY µàv
'A1t6ÀÀW xa:l 'tÒV ·HÀLov xal 'tòv 4L6vu.aov lv,o! cpaa,v stva, 'tÒV a:ù't6v,
xa:l 1>µatç ,ori'tw voµ!~sn wau µl')llÈv ll,acpépsw 'tÒ 'tOLOÙ'tov i'j è-
x1tvov 'ttµliv. Cfr. il frammento orfico IUSTIN. Cohort. = 16 ABEL,
Orphica 7: Etç Zi;uç, at,;; "All1Jç, i.ti;; "HÀ,oç, i;tç '1,6vuaoç, stç ,'l,sòç
t111tci11uaa,. Per tutto questo v. BoHLIO, Die Geieteekultu,· von Ta,·,·us
im aug. Zeit [F01'Bohungen zur Lit. de,· À. u. N. T. Il] (Gottingen
1913) p. 44 s. Sullo. coltura in Tarso v, oltre all'opera del Bohlig,
RAMSAY, The oitieB of St. Paul (London 1908) p. 85-244, e TOUSS,UNT,
L'hell.énisme et l'apotre Paul (Parigi 1921) p. 186 e.
V. MACCHIOllO, - Orfismo • Paolinismo, 7
98 Ol!YISMO E PAOLINISMO

se non alla dottrina orfica che faceva derivare gli uo-


mini dai Titani, salutati come progenitori della stirpe
umana anche nell'inno orfico XXXVII. Non si può
porre in dubbio, davanti a questa attestazione, la ge-
nerale diffusione dell'orfismo a Tarso. Se oltre a tutto
ciò pensiamo che nel I secolo dopo Uristo tutta l'Asia
minore era disseminata di collegi orfici (1), conclu-
deremo che per un uomo profondamente imbevuto di
misticismo ellenistico come Paolo, era più facile essere
iniziato che no11 ig·norare i misteri.
Ma l'iniziazione non è necessaria. Le esperienze re-
ligiose possono comunicarsi anche a chi propriamente
non le abbia vissute, mediante l' esperienza di altri.
Vi sono anime calde che sanno comunicarvi quel che
esse stesse han sentito e sofferto, come se voi stessi
vi ci foste trovati. Paolo può aver sentito e intuita la
grandezza dell'esperienza orfica anche senza essere en-
trato propriamente in una confraternita di iniziati. Que-
sto concetto immenso della rinascita in Dio mediante
Dioniso, poteva essere penetrato a fondo nel suo spi-
rito udendo i discorsi e osservando gli atti degli ini-
ziati più moralmente elevati, sl da capire quale grande
cosa fosse la palingenesi; discorsi simili a quelli che
Euripide pone in bocca a Ippolito (2) non potevano
non sconvolgere un'anima torbida, assetata di supera-
mento, quale fu Paolo. E quando la visione di Damasco
gli ebbe schinse le vie della fede cristiana, tutta qnella
potente esperienza che egli aveva conosciuta nell'orfismo
si rovesciò nella nnova fede; la rinascita di Dioniso
divenne lo schema per la rinascita in Cristo,
L'orfismo dunque fu lo schema per la esperienza cri-
stiana, fu essa che insegnò a Paolo, e con Paolo alla
umanità., come si rinasce in Cristo; come cioè si può

(1) MACCHIOR0 1 Zagrc11s p. 268.


(2) EuR. Hipp. 996 8,
L 1 0Rlli1NE ORFICA DELLA CR!STOLOLllA PAOI.I'.'.A 99

attuare quella identificazione con lui che Cristo insegnò


ma non disse come si poteva raggiungere.

VII.

1.

11 sootrato orftco Questa fu forse la profouda ragione di


spiega Il SBcceHO
della mlulone di P.que ll a vocaz10ne
· d 1· p ao 1o a pre d"1care
presso I Greci ai Greci che finora è rimasta inespli-
cabile (1), e del suo rapido successo.
L'opera di Paolo resterà. sempre inesplicabile finchè gli
Eii attribuirà una mentalità giudaica, perchè non si com-
prenderà come e perchè questa sua c:>scienza giudaica
potesse così facilmente conquistarn gli spiriti greci. Nul-
la vi era nella dottrina giudaica, o negli elementi giudai-
ci, della dottrina paolina, che potesse attrarre i Greci;
l'idea messianica non aveva alcuna risponllenza nella re-
ligione greca; essa doveva apparire ai greci assurda e
incomprensibile. Nè d'altro canto in tutte le epistole di
Paolo è tentata alcuna dimostrazione che Gesù fosse il
messia giudaico (2); strana cosa per uno che si van-
ta va di esser un giudeo puro sangue, alunno dei farisei!
La predicazione <li Paolo non ha dunqnt- alcun conte-
nuto giudaico uè ebbe alcun successo tra gli .l!Jbrei.
Inquadrata invece entro l'idea delht rinascita in Cri-
sto, ecco che essa apparirà tanto estranea ai giudei, che
della rinascita mistica o sacrarneutale non avevano al-
cuna idea, quanto ovvia ai greci che a questa idea
erano stati assuefatti dall'orfismo e dalle altre religioni
misteriche.
Ora si badi bene: tutta b. predioa2ione di Paolo si
svolge su uno schema di insuccessi presso gli ebrei e di

(1) LOISY in Revue hiat. lit. rel. 1912 p. 667.


(2) Vi sono solo due a.llusioui, l'una. alla. sna. stirpe giuda.ica.
(Rom. IX 6) l'altra a.Ha discendenza. da.viùica (Il Tim. II 8).
100 ORFISMO E PAOLINISMO

successi presso i greci. Ad Antiochia i giudei ingiuriano


e contradùicono Paolo, e allora egli e Barnaba decidono
di predicare ai gentili, di che questi si rallegrano; e h
tede cristiana si diffonde largamente nel paese mentre i
giudei istigano le donne e i primati suscitando una per-
secuzione che scaccia l'apostolo (1). A !conio Paolo e
Barnaba entrano insieme nella sinagoga dei giudei e
predicano convertendo giudei e gentili; ma i giudei ri·
masti increduli aizzano i gentili contro di loro (2). A
Listra ven~ono sì accolti trionfalmente in seguito a un
miracolo, ma da. Antiochia e Jonia vengono giudei che
eccitano la folla contro Paolo che vieue lapidato (3).
A Tessalonioa per tre sabati oonseouti vi discute con
gli eùrei in sinagoga; si convincono alcuni ebrei sol-
tanto e invece molti greci, e i giudei rimasti increduli
suscitano una sommossa (4). A Corinto Paolo predica
ogni sabato nella sinagoga ma senza risult.ato, e allora
dichiara che d'ora in poi predicherà ai gentili (5). A
Efeso predica per ben tre mesi nella sinagvga e poiohè
gli cbrni si ostinano a non crederg·li, egli se ne separa
e tiene per due anni lezione nella scuola cli Tra uno, con-
vertendo largamente (6).
Paolo dunque cercò costantemente por prim<\ cosa i
giudei. Ciò era stato prescritto da Cristo stesso (7), e
così avevano fatto gli apostoli, cominciando l'opera loro
proprio a Gerusalemme (8). Non vi è dubbio ohe così

(1) À.tli XIII 4.5 s.


(2) Àlti XIV 1 s.
(3) ..:l.tti XVII 1 a.
(4) Àtti XVII 4- s.
(5) Atti XVIII 4 s. Recentemente il LOIBY (Les actu dea ap6ti·es,
Parigi 1921) sostenne la idea che gli Àtti sieno subordinati a uuo
scopo apologetico giudaico di far apparire il cristianesimo come
in fondo identico al giudaismo. Ma allora perchè si narrano con
tanti particolari le antipatie dei giudei e le simpatie dei greci t
(6) Mt. X 5 s. 23.28; Cfr. Atti I 8.
(7) Atti I 8 s.
(8) À.tti I 14 s.
L"ORIGINK ORFICA DELLA CRISTOLOGIA PAl)LINA 101

facendo con tanta ostinazione egli credeva di obbedire


a Cristo stesso. Vi fu dunque una ragione indipendente
dalla sua volont,\ che lo costrinse ad abbandonare i
giudei e darsi ai gimtili; e questa è che egli riusciva
incomprensibile ai giudei. Costoro potevano forse con-
sentire elle Gesù fosse il Messia, ma non potevano certo
comprendere e accettare l'esperienza fondamentale di
Paolo, cioè la rinascita in Cristo. Ciò doveva parere
loro una pura e semplice assurdità (1).
Egli trovava invece il successo con i greci perchè que-
sti potevano comprenderlo e seguirlo e moltissimi erano
già passati, grazie all'orfismo, attraverso quella stessa
rinascita che egli loro predicava in Cristo. Quella stessa
mistica greca elle aveva insegnato a lui come si rina-
sce in Cristo, lo aiutava a comunicare ad altri la sua
stessa esperienza, e in base alla esperienza ci spieghia-
ruo come mai quel Cristo crocifisso che unicamente Paolo
p1·edicava (2) potè apparire così a~cetta bile ai greci,
ai quali avrebbe dovuto sembrare invece una stram-
beria (3), e non fu accettato dagli ebrei, dinanzi ai quali
Cristo come Messia aveva pure l'appoggio delle Scritt.nre.

(1) In I 1.'ess. Il 14-15 P. dice che gli Ebrei lo combatterono


perchè non volevano che i gentili venissero salvati. Evidentemente
è une. interpolazione paolina contro gli Ebrei, per giustificare la
loro persecuzione favorevolmente a P. A ogni modo certo è che
P. aveva cominciato a. predicare ai giudei e cbe non aveva alcuna
ragione interiore o personale per mute.re.
(2) I Cor. I 17-18, I, 23 ; I 2, 2 ; Gal. Ili 1.
(3) Contro questo. concezione sta I 001·. I 23 dove P, dice che
Cristo crocifisso è pazzia per i greci: 71µEtç 8! X7lpilaaoµE11 Xpta'tò11
lla't«UpwµE\10\1 'Ioua«rot,;; µÈv axliva«Ào11, È,h7lat at µwpt«11. l) Cod.
Vat. 1209 legge !,'l-v7)at inv-ece di 'EÀÀ"/)Ot: mi pq_re logica questa.
lezione perchè risponde pienamente a MT. XXVIII 10 1topeu&hu,;;
ou11 µ«&71nua«n 1tlivi:« 't!X rn1171 e a Le. XXIV 47 x71pux&Tj11«t ....
a1,;; 1t1X11't« 't!X t&1171, al cui pensiero evidentemente P. si riferisce•
E allora. il testo dice ragionevolmente che Cristo era de. un lato
!!Canda.lo per i Giudei (che in fatti avversavano P.) dall'altro pa-
reva pazzia a tutti gli altri. Ma Buche le)!gendo 'EÀÀ71at non si
conclude come fa qualcuno (p. es. WERNLE, Je,us 1,nd Paul11s pp.
102 OHFIS)IO E P,\OLIXISYIO

2.
come è date ..edere
Per tutto quanto stiam dicendo è un do-
nel discorso a g l I
Ateniesi, cumento di importanza capitale il di-
scorso sull'Areopago.
Sul suo valore come documento storico i pareri sono
discordi. H arnack (1) lo crelle autentico; Deissmann (2)
lo trova pieno di spirito paolino, "\Vilamowitz invece (:l)
cre1le che l'autore degli Atti abbia fatto parlare Paolo
come gli storici del suo tempo facevano parlare i loro
eroi. Fra queste due opinioni divergenti qual'è la vera,
La rlimostrazione del Soltau (4), che i discorsi con-
tenuti negli Atti sono tutti inte~suti cli pensieri paolini.,
e la :rnaloga dimostrazione dello Schultze per il discorso
di congedo a Mileto (5), serve a dirimere la questio-
ne. Perchè, se nei rimanenti discorsi degli Atti l'autore
usò pensieri e parole dell'apostolo - e tanto più se,
com' è assai probabile, q110sto autore fu Lnca, disce-
polo e compagno di Paolo- non vi è ragione per sup-
porre che anche in questo discorso capitale Paolo non
sia fatto parlare con i suoi stessi pensieri.

44, 88 e RESCB, Der Pauli11ism11s u. die Logia Jes1t [Texte u. Un-


ter1uchunge11 XXV] (Li1,sia 1901) p.617) che la pre,licazione di P. era
avversa ai Greci. P. dice ,li esser veanto :t enrngelizzare non con
la sapienza del discorso (olJx lv aoq,let. À6you) m:t con una predi-
cazione elle pare pazzia (llLà •Yi•
µoiria. 1:où xr,pilyµet.1:0.) al monùo
elle cerca la sapienza; e poichè i gr!:ci cercaao la sapienza ("EÀÀ7JYEç;
aoq,lav 1;;7)'toùaw), la predicazion~ cristiana appare loro come nua.
pazzia. P. dunque esprime ser>1plicemente non già la avversione
dei greci per la sua preùicaz;one ma la incapacità. di compren-
derlo che in essi creava l'int-~llettnalisruo.
(1) HARNACK, Mission 1111d .411sbreitnn9 dt.8 Ch,·,2 p. 321.
(2) DEISSMANN, l'aul118 p. 292.
(3) WILAllOWITZ in Knlt. d. Gege11w. I, VIII 2 p. 191.
(4) SOLTAU, Die He1·ku11ft der Reden i11 d. Apg. in Ztsoh,·. fiil-
ntl. Wiss. IV 191)3 p. 13 s.
(5) ScHULTZE, Die U11ttrlagen /iii' die .Abschiedsrede zu Milet
i11 d. Apg. in Studien u. Kritiken 1900 (4) p. 563 s.
L'OHIGINII OR!ilCA DELLA CHISTOLOGJA P.\OLIXA 103

Quali poterono essere questi pensieri !


Vediamo quale effetto fa il discorso snlF Areopago.
Degli •ascnlt.atori alcuni udendolo parlare di resurre-
zione dei morti se ne fecero beffe, altri inveee dis-
sero: noi ti 1ulrn1110 di nuovo sn questo soggetto (1).
Tra coloro che lo avevano ascolt.ato c'erano epicurei e
stoici; ora, non potc\'auu certo approvarlo gli epicurei,
che negavano la resurrezione, come invece lo avevano
approvato i sadducei che pure la negavano (2); invece
dovettero approvarlo gli stoici, i quali ammettevano non
solo la sopravvivenza dell'anima fino all'incendio uni-
versale, ma anche una resurrezione dei corpi simile a
quella cristiana, affermando che dopo la ekpyrosis il
mondo risorgerebbe come prima, con gli stessi uomini
e con lo stesso destino, quale conseguenza del rinno-
vamento cosmico (3). È dunque agli stoici che Paolo
si rivolge, è ad essi che parla quando, citando Cleante,
dice i i•ostri poeti; è per essi che intesse tutto il di-
scorso di pensieri stoici al punto che il Norden giusta-
mente lo definisce come una predica sul tema stoico
« Intorno al divino» tenuta sullo schema dei discorsi
missionari di scrit.ti ermetici (4). Il pensiero che Dio
non abit,a in templi fatti da mani, è un pensiero attri-
buito a Zenone (6); il pensiero fonda.mentale che siamo
e viviamo e ci moviamo in Dio, che Paolo rinforza con

(1) Àlti XVII 32.


(2) Àtti XXIII 8.
(3) CHRYS. II 7tpovo!cxç; ap. LACTANT. lnst. VII 2::S = ARNUI
Stoico,·. vet. f1·. II 623 : !aso,'l,cxt yà.p mUtv :E(!)xpci,'I') xcxl IlÀci,wvcx
XGtl lXIXO'tOY 'tWV àv,'!,ptimwv OÙY ,otç IXÙ'totç; xcxl q,!Àotç xcil 7tOÀ!,citç,
xcil aù,,i ni!oE,'l,cxt xcxl ,à. aihà. µncixetpteta,'l,at, µe,à. !lè: ,71.,. i!x.tu-
pwow ncincx ,cxù,à. lv ,<j) x6oµq., yevto,'l,cxt ... ,oti,o Il! olhwç; l!xov,oç;,
llfjÀov, wç; ou!lè:v à!luvci,ov xcxl ijµliç µnà. ,ò .eÀsu,ijoat nci:Àtv ne-
pt61lwv 'ttVWV ElÀ'l')µµbwv XP6YOU Elç; 6 vtiv toµÈv XIX't!XO't'I/OEO,'J,Gtt
oxfiµcx.
\4) NORDEN, Agnostos Theos p. 30ss., spec. p. 19 e.
(5) PLUT. De sloicor. rcp. p. 1034 s.
104 OR11'18MO E PAOLINISMO

un emistichio di un inno di Cleante, si ritrova tutto nel


detto inno (1).
Ora, perchè Paolo avrà dato questo colorito stoico
così vivo al suo discorso 7
È ben nota la tattica seguita da Paolo nella sua pre-
dicazione che eg·Ji stesso definisce quando affomrn lli es-
sersi fatto come uno sottoposto alla legge per guada-
gnar quelli sottoposti alla legge, ed essersi fatto come
uno che non ha legge per guadagnare quelli che non
hanno legge (2); ma forse non altrettanto esattamente è
,.;tata misurata ha portata di questa sua tattica. Più di o-
gni altro la comprese il Gebhardt (3), quando nota come
secondo i ·bisogni della sua predicazione Paolo cerchi il
punto di accordo col suo uditorio. Còsl nella lettera ai Ga-
la ti il pensiero centrale, intorno al quale si aggira tutta la
lettera, è la rinascita in Cristo che è la parte greca della
sua dottrina. La Epistola agli Efesi, che non è di Paolo,
ma sottostà al pensiero paolino, presenta invece Cristo
come adcmpitore delle promesse di Dio, che è la p,trte
giudaica della dottrina di Paolo. Egualmente, mentre
ai Greci di Atene si presenta Cristo come un uomo in-
dicato o accreditato da Dio mediante la resurrezione
per giudicare il mondo (4), agli ebrei presenta Cristo
nel suo carattere messianico, venuto per la redenzione
dei peccati (5). Ora questa tattica è seguita anche con
l'uditorio stoico di Atene, al quale egli presenta quella

(1) ARNrn, St. vet. Jr. I 537: èx aoii y&p ytvoi;; èaµÉv /fixou
µ(µ71µa: Àa.XOV'tEç;/ J.LOUVOL, llaa. çWEL 'tE xa.l gpltEL ,'J.v"/j't ',!.Jtl ya.ta.v ... /
-coMs 'tL y(yvs-ca.L ~pyov t!1tl x.9-ovl aou 1l(xa., 1la.tµov/ OU'tE XCl:'t 'a.(-
.9-spLOV .9-stov 1t6Àov oùx èvl 1tovi:cp. Gli stessi di,finivano la divinità.
come 1tvsilµa: 1lLix minwv 1lLEÀ7jÀu.9-òi;; xa.l mi;v,;a. èv éa.u-c<j) 1tspLéxov
(ARNIM II 1051). SEN. Ep. XL, 4: prope est a te deus, intus est.
Cfr. VRRG. Àell. VI 726 e SERV. ad VERG. Buo. Ili 60.
(2) I Coi·. IX 20 s.
(3) GEBHARDT, Die an die Heiden gerichtete Missions1·eden de
Apg. in Ztsohr. f. nll. Wiss. 1905 VI p. 238.
(4/ Atti XVII 30-31.
(5) -1tti XIII 26 s.
L'ORIGINE ORFIC.A.. DELLA CRISTOLOGIA PAOLINA 10~1

dottrina che più concordava con la dottrina stoica, e-


sponendola secondo gli schemi che dovevano apparirgli
più accetti. Nè mi par possibile negare a Paolo l'ori-
ginaria paternità del discorso snll' Areopago, se quanto
siam venuti dicendo è vero. Considerare da un lato
il discorso di Atene come la si.nt.esi di due correnti,
pl'Ofetica e stoica (1), e attribuirè dall' altro questa
poderosa concezione a una oscura e anonima perso-
nalità, quando la storia la attribuisce a una perso-
nalità che non soltanto era capace di simile sintesi
ma che rappresenta realmente nella storia la fnsione
del giudaismo e dell'ellenismo, ecco ciò che a 111e pare
illogico. Nè è vero che tra il discorso di Atene e le let-
tere di Paolo ci sia tale sconcordanza da costringerci
a scegliere (2): la sconcordanza c'è solo per chi si osti-
ni a considerar Paolo come uno spirito essenzialmente
giudaico. Per ohi ammette in lui potenti influssi elle-
nistici la sconcordanza non c'è. E per noi, date le re-
lazioni tra stoicismo e orfismo, il discorso dell'areopago
risponde proprio all'intimo pensiero di Paolo (3).
A ogni modo del diseorso sull' areopago noi pos-
sediamo solo un breve cenno che certamente non ri-
produce l'intero discorso, e meno ancora la serie in-
tera delle argomentazioni che Paolo avrà espresso di-
scutendo con gli stoici. Possiamo dare come assai ve-

(l) NoRDEN, AgnoBIOB TheoB p. 125-7.


(2) NORDKN p. 127: WKNDLAND, Die ltellenist. rom. K1tltur
p. 142 s. W1LA!lfOWITZ, in Deutsche Literaturzeit. 1910 p. 285.
(3) I: certo però, com'è noto, che P. non potè pronunziare
l'allusione al « dio ignoto» 1 che dove'l'a essere al plurale e che non
può spiegarsi con una corruzione del testo. P. alluse realmente
agli « dei ignoti» e vi fu chi sostitul a quel plurale il singolare,
secondo il concetto gnostico del ~EÒ~ liyvoo'to~ (Pl'LEIDERER, Ur-
christ. 12 p. 512; WENDLAND, Hellenist.-rom. Kultur p. 78: NORDEN,
Agnoatoa Theos p. 58 s.). La sostituzione non potè esser fatta da
P. steRso come Mi vnole (HAHNACK, Apoatelgeschicltte (Lipsia 1908)
p. 95) perchè gli ascoltatori avn•bhero notato l'errore (LOIBY, in
Rev,ie hial. lit, nl. 1913 p. 364).
106 OHFl>'~IO ~; l'AOJ.INl>'~!O

rosimile che egli abbia esposta anche la sua dottrina.


del dualismo antropologico, e della conseguente neces-
saria lillerazione dell'aninrn Jal corpo mercè la rinascita
in Cristo, percltè qut>sta dottrina appunto concordava
con l'antropologia stoica che riteneva, proprio come
Paolo, l'auima prigioniera clel corpo e alfprmava la ne-
cessità di liberar;;eue (1). Anzi in Seneca troviamo il
corpo rappresentato proprio come in Paolo, come una
veste che circonda l'anima (2). Ora la dott,rina stoica
del carcere o vincolo del corpo, esposta continuamente in
Seneca era orfica come orfico era il dualismo paolino. Era
dunque, l'orfismo che aveva reso possibile a l'aolo il ren-
dersi più o meno accettabile agli stoici di Atene.
L'orli,;mo fu dunque il mediatore tra Paolo e l'elle-
nismo. La palingenesi cristiana fu accettata dai Greci
perchè venne a innestarsi alla palingenesi orfica: il Cri-
sto paolino fu reso comprensibile dal Zagreo or.fico.

3.
ed II nocciolo delDopo Paolo, colui che, continuando la
pensiero di lii a r.
clone. dottrina di lui, più di ogni altro eser-
citò una influenza sul mondo greco e
greco orientale, è Marcione (3).
l\farcione è figura t1·oppo complessa perchè si possa
semplicemente connetterla a questa o quella delle cor-

(1) SEN. Ep. VII 2 (65) rn Hans: corpns hic animi pondus
ao poena est: frementi ilio urgetur, in vinculis est ; XVI 2 (502)
22: cum Yenerit dies illa quae rnixtnm boe divini humanique se-
ceruat, corpus hic ubi inveui, reliuquam, ipse me diis reddam; nec
nuuc sine illis snm seù gravi terrenoque detiueor carce;-e: Cons ad
Polyb. IX 3,8: Animns patris mci velut ex ,liuturno carcere emis-
sns ... frnitnr nnnc aperto et libero coelo.
(2) SEN. Ep. XIV 4 (92) 13: quod ùe veste Ili xi idem me di-
cere ùe corpore existimo: 1mm hoc quoqne natura nt quamla10
vestem a.nimo circnmdedit.
(3) Su. Marcione v. HARNACK, Mm·cio11 [Tute u. U11tersuchu11gen
Ser. III vol. 15] (Lipsia 1921).
L'ORIGl:SE Ol!FICA l>F.LLA CHISTOl.0(;1.\ PAOl.l!\A 107

renti miRtiche che si ripercossero sul gnosticismo. (lni


hasta al nostro scopo porre in rilievo qnegli elementi
del mnrcionismo che visibilment.e cleri va no dall'orlismo.
Due sono i punti in cui la dottrina <li .Marcione <le-
riva evidentemente <la qnella <li P.1010: l'antropologia
e l'escatologia. Mnrcione riteneva mnlvagia la materia
(1) e postulava un assoluto dualismo trn corpo e ani-
nima, la cui perpetua contesa deriverebbe dal ten(kr
quello a deprimere l'anima e questa invece a sollevare
il corpo al Creatore (2). Or questo dualismo, con la
relativa ue('e8sità che l'anima si liberi dal corpo, è per-
fettamente paolino (3) e insieme orfico. Ancora più
orfica era la dottrina dello scolaro di Marcione, Apclle,
secon<lo il quale le anime vengon chiuse da Dio nel
corpo malvagio (4).
L'origine fondamentale orfica della dottrina antropo-
logica di l\Iareione è rivelata, senza volerlo, da Clemente
nella sua critica del marcionismo (5).
Secondo l'apologeta alessandrino i filosofi, dai quali
Marcione avrebbe derivato la dottrina che la gent•ra-
zione è cattiva, avevano un assai diverso concetto: non
dicevano cioè che la generazione fosse cattiva, ma che
l'anima è divina e viene rinchiusa nel corpo come in
un carcere (6). Ora questa dottrina orfica, che Cle-

(1) CLJ<:M. Strom. III 3 (II 200 St1Lhlin).


(2) THEODOR. Ha1·eel. fa/1. comp. I 23 (M!GNE, PG. 83 p. 374:
·EvuiHl·Ev q,71atv i) ataµlix71 'ti), 4'uxiJ, xat 'tC>ù awµa'toç, 'toù µè.v
awµcnob,1tpò, 't'Yjv uÀ71v àxE!v71v xc,;,c,;aupat 't(l;ll't7)V q,tÀov1nxoùv,o,,
'tij, M 4'ux7iç ò:vEÀXuaat 1tpò, 'tòv 6.71µwupyò-v 1tEtpwµisv71, 'tÒ aii>µa.
(3) M. oouservò nel suo Evangolio il testo fondamentale di.
Paolo 11 Cor. V 1-4. V. HARNACK p. 97. La fra.~e di Paolo II Cor.
V, 4 àv ,cj> ax7iVEt è modificata tla M. in b ,OU't!Jl 'tcj> axi)vEt ,où
awµa'toç. Forse M. pensò che questa frase misterica non sarebhe
compresa cfa tutti e la spiegò.
(4) T1mT. De charne christ. 8; De ani111a 36.
(5) CLEM. Stro11i. III 3.
(6) CLEM. Strom. III 3, 131; II p. 201 St.
108 ORFISMO E PAOLINIS:110

mente corrobora con citazioni orfiche a noi note (1),


sarebbe stata, secondo Clemente, deformata da Marcionfl.
Accanto a questa antropologia ùi origine indubbia-
mente ortica, troviflmo una escatologia pure orfica. Mar-
cione affermava infatti la emigrazione dell'anima ma
non la resurrezione della carne (2). L'una come l'altra
dottrina erano orfiche: la prima discendendo diretta-
mente dalla dottrina orfico pitagorica della trasmigra-
zione delle anime, la seconda dalla dottrina del corpo-
tomba, che necessariamente portava alla distruzione del
corpo e perciò alla negazione della resurrezione della
carne (3).
Questi erano gli elementi orfici che Marcione dedusse
o direttamente, incontrandosi poi di conseguenza con
Paolo, oppure iudirettamente, com'è più probabile, da
Paolo; come certo da Paolo dedusse il profondo realis-
mo della comunione che lo trasse a rifiutare non solo
il Vangelo di Giovanni, dove l'eucaristia non è narrata
(4), ma a rimaneggiare il Vangelo di Luca per modo
da accentuare nel racconto della Cena la sacramenta-
lità dell'atto (5).
Marcione è l'ultimo consapevole bagliore dell'orfismo
nel pensiero cristiano: esso permane nel cristianesimo,
sì, ma si chiama d'ora in poi paolinismo e come tale
si propaga nel cattolicismo con la dottrina realistica

(1) PLAT, Crat. p. 400 B-C; PHILOL. fr. 14 Diels ; PIND, fr.
137 A Schroeder; PLAT. Phaed. p. 60 C.
(2) EPIPH. Àd11. haer. I 8; er. 4 (MIGNE, P. G. 41 p. 702 A):
civcia,ixatç; ... Àiyst oùxl awµ.ci'tW\I iiÀÀix cj,u wv, xixl aw,71p(ixv ,ixò,ixtç;
6p!~nixt, oùxl ,otç; awµ.ixat. Kixl µ.nixyytaµ.oùç; 6µ.ocw, ,wv cj,uxwv,
xixl µ.snvawµ.ix,wast, &~6 awµ.ci,wv at, awµ.ix,ix q,ciaxEt. Cfr.
'l'IIJCODOR. I 23,
(3) Vedi in questo stesso volume il saggio Verso i prati di
Per1efo11e.
(') ZAHN, Gesoh. d. ntl. Kanons (Ltpsie. 1889) I p. 676.
(5) M. soppresse in LUCA XXII il v. 16 che è nn grande
ostacolo :illn interpretuzioue sacramenta.le della Cena; probabil-
mente tolse anche i v. 17 -18 sopprinu,iulo la doppia cerimonia del ca-
lice (V. HARNAK .Uarcio11 p. 223).
L'URIGl~E ORFICA DELLA Cl11ST0LOG1A PAOLINA 109

della comunione e nel protestantesimo colla giustifica-


zione per la fede. Ma. 11011 è compito nostro perseguire
qnesta seconda storia o vita dell'orfismo.

VIII.

1.

Il realismo o rfl e o
La stori~ comparata delle religioni è
che fece Tlncere Il
paollsmo, stata ingiusta con Paolo.
Cedendo alle concordanze rituali ha
messo la rinascita paolina in un mazzo con le agapi e le
iniziazioni clei misteri (1). Ma in questo è stata ingiu-
sta, perchè il paolinismo aveva un~ base, come dicemmo,
di concretezza, di realtà, di necessità fisic&. che agli altri
misteri mancava. Ora che conosciamo l'origine di que-
sta peculiarità e comprendiamo non solo donde venne a
Paolo l'ispirazione al suo sistema, ma anche quale mirabile
sforzo dovette compiere per adattarlo al cristianesi-
mo, per rivestire la vecchia magica rinascita orfica
con i nuovi panni della frd;, ~ristiana, possiamo ca-
pire quale fu la g--r':l.ndezza del paolinismo e perchè vinse.
Questa imperiosa necessità concreta, cosl concret,a
ohe oltre a essere spirituale è anche materiale, manca
agli altri tipi di rinascita misterica, perchè ad essi man,
cava qualunque dottrina antropologica che la facesse
apparire come una necessità assoluta, come l'unica reale
via di salvezza. E in questo sta la superiorità di essa
sulle altre concezioni di rinascita.
Per noi questa conorehzza è certo una inferiorità,
ma per i contemporanei di Paolo era invece una super-
iorità. L'et.à di Paolo ~ra un prodotto del paganesimo
non del cristianesimo , della carne non dello spirito, e
verso la carne tendeva naturalmente. Essa concepiva
la religione come prassi, come rito, come azione, nel

(1) CONYBURK, Myth, magio and flloraZ. p. 277.


110 01\Fll:iMO J,; PAOLINISMO

suo rendimento. Una rinascita puramente spirituale,


anche ammesso che Paolo fosse capace di concepirla,
non sarebbe stata intesa da una età che non sapeva
sollevarsi su dal fatto concreto. Paolo perciò fu un me-
diatore meraviglioso tra Gesù, che predicava il regno
di Dio in noi, senza però indicare quali mezzi occorre-
vano per attuarlo, e una età che per tradizione seco-
lare non sapeva disgiungere il fine dai mezzi e concepiva
la religione sacramentalmente, nell'azione rituale. Egli
presentò all'umanità il nuovo vino in quell'unico vec-
chio bicchiere al quale era abituata a bere e che Cristo
forse avrebbe spezzato: e grazie al bicchiere l'umanità
bevve.
2.
n nperato nel rt- Ora noi crediamo ohe non si debba con-
torno da Paolo a
Gesù. fondere il bicchiere col vino. Se vi è chi
ha bisogno di questo bicchiere fa benis-
simo a usarlo; e poichè vi sono milioni che a q nesto
sono stati abituati, non crediamo necessario spezzarlo
a tutti i costi. Poichè ogni vino presuppone un bicchiere,
accettiamo questo; un altro forse avrù. meno forza di
suggestione perchè meno antico e meno misterioso. Ma
una cosa è il vino e una cosa il bicchiere; <lel vino di
Gesù la coscienza moderna ha sempre mag·gior bisogno,
ma sempre minor bisogno sente del bicchine di Paolo.
Essa si ribella al sacramentalismo e al teologismo; vuol
risalire direttamente a Gesù, per slancio di affetto e di
simpatia, senza alcuna mediazione mistica o magica.
Essa tende a ritornare con forza irresistibile indietro
da Paolo a Gesù, perchè in Gesù sente Dio, in Paolo
sente l'uomo; e noi abbiamo bisogno di Dio.
Questo sforzo gigantesco per il quale la fede cerca
di annullare il paolinismo e cioè, in fornlo, tutto Io svol-
gimento storico del cristianesimo, òa Gesù fino a noi,
varcando tutte le barriere sacramentali e confessionali
che duemila anni di teologismo e di ecclesiasticismo hanno
L'OHIGIN"E Olll'ICA D~;LLA CRISTOLOGIA PAOLINA 111

posto tra essa e Gesù, è uno dei piì:t grandi trionfi della
fede. È proprio ùa questo sforzo che possiamo trarre
buoni auspici per l'avvenire del cristianesimo, perchè
prova che finalmente l'anima umana ha compreso che
il cristianesimo deve essere vita dello spirito e non ade-
sione a formule e a dottrine.
Certamente l'avvenire, sotto questi auspici, se si pre-
senta meraviglioso per la fede non è lieto per la chiesa.
Assistiamo anzi a questo fatto apparentemente con-
traddittorio, che, mentre la religione fiorisce, <lecad(l
proprio quell'istituto la cui specifica attività è per l'ap-
punto la religione: cioè la chiesa. Da un lato il cri -
stianesimo conquista province sempre più larghe nel-
l'arte nella politica e specialmente nella filosofia, che è
il gran trionfo cristiano del secolo XX. Dall'altro la
chiesa è, inversamente, costretta a ritirarsi proprio da
quei campi, come la politica e più ancora la filosofia,
che furono un tempo il suo regno. Si direbbe che il
cristianei;imo vince oggi non con la chiesa ma fuori
della chiesa e anche contro la chiesa. Come istituto,
questa non ha alcuna parte nei vasti e numerosi mo-
vimenti di risveglio cristiano che si accendono or qua
or là, e dei quali molti hanno caratteri nettamente anti-
occlesiastici, e in ogni caso hanno scopi universalistici,
nei quali le differenziazioni ecclesiastiche restano abolite.
Se valutiamo storicamente questa più recente storia
del cristianesimo e specialmente questo suo progresso,
costituito dal regresso della chiesa, noi riconosceremo
in esso proprio quel movimento che la nuova teologia
sintetizza con la formula << indietro da Paolo a Gesù». In
fondo gli è il paolinismo che decade, mentre il cristia·
nesimo fiorisce: tutto ciò che è dommatismo e sacramen-
talismo deriva in ultima analisi dal paolinismo. P11olo
e Gesù sono due simboli: di qua lo schema, la formula,
il mistero, la sofferenza: di là l'impulso la vita, la luce,
Ja gioia. Il monrlo vuole Gesù. Ma per arrivare a Gesù
occorre abbattere Paolo, occorrù ritornare al Gesù del-
112 ORFISMO E PAOLINISMO

l'Evaugelio: occorre, insomma, se posso usarn i1 termiue,


sdeificare il Cristo paoliuo , ridurlo a mito: superarlo
insomma.
Qnest.o tocca alla scienza.
È la scienza che deve dimostrare come il Cristo pao-
lino, che la fede reputa manifestazione divina, è un pro-
dotto mit'llogico sincretistico uscito dalle contingenze
umane. In proporzioni diverse occorre che avvenga por-
la e1·istologia paolina quel che avvenne per il Penta-
teuco. E come Lutero disse: Ohe importa per la fede-
se il Pentateuco non fu scritto da Mosè Y Con vien che
oggi si dica: Ohe importa per la fede se il Cristo pao-
lino non è divino 1
Noi crediamo che questa riduzione occorra. Con-
vien liberare Gesù da questa barbarica invoglia miste-
rica che fa del luminoso trionfatore un'ostia espiato-
ria, che lo sprofonda nel mistero sacramentale, che pone-
tra lui e il nostro slancio le barriere teologali e dom-
matiche. Occorre rimettere in luce, come si fa con un
purissimo affresco trecentesco coperto da volgari restauri
barocchi, tutto quel che di umano, vivo, reale c'è in
Gesù, e che il paolinismo mascherò e coper::,e.
E questa è opera di fede cristiana per chi non iden-
tifica l'ortodossia con la fede.
}!;eco perchè ho affermato e affermo che la volontà
mia è di giovare alla fede cristiana, che la persuasione
mia è che da queste ricerche la fede cristiana esca rin-
vigorita e rinsaldata perchè da questa riduzione a mito
del Cristo paolino l'uomo viene accostato a Gesù. L'uo-
mo, intendo, che al di là del Cristo dogmatico delle
chiese sente e intuisce un Gesù più vero e più vivo
di quello; e in questo, solo in questo, crede di poter
trovare la salvezza.
II.
L'ESSENZA DEL MISTERO
1.

L a La novità - se novità esiste in scienza,


COBC8F.Ì0D8 O b•
blettha del mistero,
In aè ateHo lnooate. propriamente parlando - delle mie ri-
nlblle, cerche intorno ai misteri sta nell'aver
concepito il dr6mc1101i come marna sub-
Liettivo invece che come drauia ouuiettivo, uell'a.ver tra-
:,;portat,o cioè il dramma dall'esterno ali' interno e averlo
posto non come fatto naturale ma come un processo spiri-
tnale. In fonllo potremmo dire che ciò equivale a ridurre il
dromenon da conoscenza a ei-pericnza: e come tale la
111ia teoria si connette al la corrente religiosa odierna
che tende a concepire il fatto religioso come azione. Io
ritengo che la rirlnziono del mistero a esperienza pura
Ria non solo una necessità archeologica e filologica, ma
(") Le recensioni e discusRioni del mio Zagreus , 111le qua.li mi
riferisco in questo scritto, sono le seguenti: B0Nucc1 in Riv. trim.
studi filas. e rel. I, 1921 p. 232 s. GENTILE in La Critioa, 1921 p.
371 s.; TURCHI in Italia ohe Bot·iue, 1911 fase. 2; ROSTAGNI in Ri{).
Jil. cla1B. 1921 p. 262 ; TERZAGHI in Riv. indo-g,·eco-ital. 1921 p.
116 s.; PICll:ARD in The ClaBB, review 1921 p. 11' 8,; VAN HUJIEN
iu The journ. ,·om. Btud. 1919 (XII) p. 321 s.; GRUPPI!: in Pkilol.
Wochenachr. 1921 p. :.:145 s. CUMONT in Rev. d'ltist. de• rei. 1922 p. 83.
116 ORJ'ISMO B P~OLINISMO

anche, e più ancora, una necessità d'ordine spirituale,


in quanto 111010 pn et1sa arriviamo a cornprendel'e il mi-
stero e e. giustificare la sua efficacia.
Non possiamo negare che alla concezione obbiettiva.
del dramme. sacramentai-,, cioè alla congettura che esso
fosse più o meno una specie di rappresentazione litur-
gica la cui efficacia Rtava più che altro nella scenogra-
fi.a (1)1 manca per l'av1mnto la subbiettività, cioè quell'in-
timo processo che è l'esperienza e che fa si che le im-
pressioni visive o auditive si trasformino in valori. Le
ricostruzioni oorri,nti del drama mistico, sieno o non sie-
no giustificate filologicamente, non hanno per ciò alcr..n
valore religioso. Gli è come se uno ponesse l'origine
dell'en,ozione, che alcuno può avere delle rappresenta-
zioni di Oberammergau, nella scenografia e nei costumi,
e non piuttosto uella coscienza religiosu dello spetta-
tore ohe valorizza le sue impressioni estetiche. Non è
il drama come tale che importa, che è detArminato in
ultima analisi dello spirito dell'osservatore, perohll in
sè stesso non ha alcun valore: è il rapporto dell'osser-
vatore con esso.
Questa subbiettività manca oompletau1onte nella odier-
na concezione del mistero; è inutile affaticarsi a concApire
danze o luci o voci o imagini, se non si sa costruire
l'esperienza che da esse deriva.
Non c'è da meravigliarsi che una concezione così ma-
terialistica sia uscita òalla filologia e dalla archeologia,
discipline eminentemente empiriche e descrittive, non
assuefatte a penetrare oltre la fenomenica esteriorità
del fatto. Ma desta meraviglia che se non l'archeologia,
almeno la filologia non arrivasse ad accorgersi ohe que-
sta concezione poggia, come vedremo, su una serie di
deplorevoli equivoci, non tutti involontari. Già sarebbe
be.stata la semplicissima riflessione del Goblet d' Alviel-

(1) V. le varie opinioni nel mio Zagreu, p. 183 e.


L 1 EBIIBNZ6. D!r.L MISTERO 117

la (1), non esser ammissibile che i drami eleasini riguar-


dassero le vicendo di Demetra perchè queste erano no-
tissime e narrate già nell'Inno a Demetra, per metter
sull'avviso la scienza. Ma a quanto pare non fu il buon
senso il genio tutelare di queste indagini.
Archeologicamente la teoria obbiettivistica del mi-
stero è insostenibile perchè non si accorda con la CO·
struzione del telesterion, cioè della sala del santuario di
Eleusi dove si celebravano i misteri. Un tempo si pensò
che nel suolo ci fossero dei trabocchetti, come negli
anfiteatri, me1lia11te i quali si potessero far sorgere dal
suolo delle imagini a simulare l'anodos di Kore (2), ma
gli scavi esegui ti nel telesterion provarono la fallacia
di questa congettura. Si rinunz~ dunque al traboc-
chetto e ad altre simili particolari co11getture tecniche:
ma non per questo si rinunziò a imaginare che vi fosse
una scenogrnfl.a Ilei misteri, dei mezzi tecnici, cioè, per t:li-
mulare luoghi o ambienti o persone. Senonchè il t(jle-
sterion con le sue quarantadue colonne non permette
nessuna congettura di questo genere perchè tra quella
selva di colonne nessuna vera e propria scenografi.a è
possibile.
Del resto, anche ammesso che ad Elensi si svolges-
sero veramente quelle grandi rappresentazioni sceno-
grafiche che si è imaginato, resterebbe ancora il que-
sito se tali rappresentazioni erano possibili in tante
altre minori città dove par si celebravano i misteri. Noi
sappiamo che per esempio a Cela e a Megalopoli si
solennizzavano i misteri di Demetra sul modello di quelli
eleusini (3). Ora, ammesso anche che ad Eleusi si ese-

(1) GOBI.ET D 1ALVIBLLA, D, quelque, probUmeB relatif, IJUZ Mytl.


d' Eleu,b in Bev. hi,t. rei. 1902 (46 p. 199.
(2) FOUCART, Lea mydère1 d' Eleu1i1 (Paria 1920) p. 418.
(S) P.a.us. II 14: 'tek 111 1, d't7111 "CTjY nÀa,;7111 b.1(11w11 la'tlY ,t,
fllfl'l'jOY. llflOÀoyoOat 111 xa:l a:fhol flLflltaa.«L <l>ÀLtiOLOL d: 111 °EÀlll·
,t...L llpWfllYII:.
118 ORFISMO B PAOLINISMO

gnissero dei drawi spettacolosi, avevano i provinciali di


Megalopoli o di Cele a loro disposizione i mezzi tec-
nici di cui disponeva la gloriosa Eleusi, dove i misteri
erano celebrati sotto il controllo dello stato f E se a
Cele e a Megalopoli queRti effetti scenografici non erano
possibili, in che consisteva dunque la imitazione 7
Ho scelto Cele e Megalopoli come esempio perché la
imitazione per q ueRte due città è attestata da Pausauil1;
ma non vi è dubbio che il mistero era su per giù lo
etetc1so da per tutto. E allora noi chiediamo se per esem-
pio nella i,:-rntta naturale di Zeus a Grnta, dove si ce-
lebravano i famosi misteri dei Cureti (1), ci potevano
essere i mezzi tecnici 11eccssal'i pN una scenografia e.
se di simili mezzi disponevano Lerne o Ermione dove
pur si celebravano i misteri di Demetm (21,
Il problema, dunque, anc·he A.mmesso che davvero a.
Eleusi si impieg·assero dei complicati mez,,i tecnici per
ottenere effetti sct•nogrntici, nun si risolve, percht\ resta
insoluto il quesito che cosa a questi mez,,i sost.itui\'a
la provincia che, certo, non ne aveva. a sua rli!,posizion1·.
Resterebbe la filologia. Apvarentemente essa corro-
bora questa concezione perchè le fornisce alcune testi-
monianze, che troviamo citate da tutti coloro che Ri oc-
cuparono ùi simile qursito, sulle quali essa poggia. Sic-
chè sorgere bue il quesil o, a prima vista insolubile, come
mai nna ooncezioue, archeologicamente insosteniuile, po~-
isa aver l'appoggio della filologia. Dobbiamo dunque ac-
cordare l'archeologia con la filologia; e poicùè la pri·
ma, in questo caso, non può aver torto essendo le sue
costatazioni definitive, oecorre fare una revisione delle
testimonianze filologiche. E apparirà subito come tutta
quella scenografia, di cui si compiacciono molti trn quelli
che parlano di misteri, è una forzatura dei testi, origi-
nata da falsa interpretazione, perpetuatasi per tradi-

(1) SCHOL. Plat, p. 446 Bekker.


(2) PAUS. II 34,9; II 36,7.
L'ESSENZA DEL MISTERO 119

zione di dotto in dotto, di mannaie in mannaie, per quella


tipica disinvolte. pigrizia caratteristica di taluni stu-
diosi anohe valorosi, la quale si accontenta delle noti-
zie consacrate in qualche noto ponderoso volume senza
andare a investigarne la veridicità, e accoglie e propaga
inconsapevolmente errori.

2.
11 tonda ID una tra-
Quale l'origine di questa tradizione er-
dizione che, traln-
teadendo I testi, rataf Nella prima metà del secolo XIX,
nel pieno fervore dell'indagini filologi-
che e antiquarie, sorse, per opera in gran parte del Lo-
beck, lo studio critico delle religioni misteriche greche.
La reazione contro le romantiche e fantastiche ricostru-
zioni del secolo antecedente e specialmente del Sainte-
Croix (il S'lncrucius contro il quale appuntò i suoi strali
il Lobeck) fu salutare: ma l'entusiasmo soverchio con-
dusse a una esagerazione in senso in verso. Se prima si
trascuravano i testi adesso invece si sopravalutarono: la
fantasia, tutto sommato, si esercitò ora non più fuori
dei testi, ma dentro ai testi, industl'iandosi a trovarci le
testimonianze di se medesima. E ne uscì una curiosa
filologia tra romantica e classica, tra soggettiva e obbiet-
tiva, la quale consiste in un perpetuo fraintendimento
delle testimonianr;e.
A questo fraintendimento si prestarono specialmento
taluni passi dove, secondo l'uso frequente presso gli an-
tichi, si parla di filosofia o di insegnamento con un lin-
guaggio metaforico tratto dai misteri: il maestro è il iero-
fante, lo scolaro è !'iniziando, la dottrina è il santuario
che si schiude, e via dicendo. In questo genere di pa-
ragoni quel che occorre specialmente tener presente è
Io scopo che lo seri ttore ha in mente svolgendo la sna
comparazione, l'idea che egli vuol adombrare col suo
linguaggio misterico. .A seconda ,•.he questa o quella
idea lo domina, egli accentuerà questo o quel partico-
uo OR1'1SHO I: P40L1NI8110

lare dei misteri, per trarne un ammaestramento. Ma è


naturalmente molto facile cadere in equivoco e dar va-
lore di testimonianza a ciò che è semplicemente un par-
lar metaforico. Da ciò il fraintendimento di questi passi
che ora vogliamo ries11 minare.
Cominciamo da Plutarco. «Invero-dice egli-come g·li
iniziandi da principio ùensì conveugono insieme con tu-
multo e grida spingen<losi innanzi, ma poi, mentre si
fanuo e si mostra110 i sacri riti, ad essi si volg·ono ormai
eon timore e in silenzio, così nell'inizio della filosofia
pure intoruo alle porte \'edrai molto tumulto e eia.da
e arditezza, mentre alcuni si Rpingernnno verso la fama
selvaggiamente e violentemente; ma colui che sia en-
trato e abbia veduto la grau<le luce, come se si fossero
aperti i sa11tuari, assunto n11 altro contegno e silenzio
e ammirazione·, con umilt,à e compostezza seguirà comi·
un dio il rag-iona111cuto » (1 ).
Plutarco intende di mettt'rl' in luce il contra.sto
tra la incivile e ,·iolenta cactia alla fama ùi coloro che
sono ignari di filo8olia e la r:ioliPstia o eompostezza di
quelli che ne sono imbevuti e che curano solo l'idea,
mostrando come l'addentrarsi 11clla filosofia muti il co-
sturue. E a questo scopo paragona la filosofia a un san-
tuario, lo st.udioso a l'iniziando, la dottrina al mistero
che trasforma l'uomo, cerca11do il t1·r111ine del confronto
uel mutamento di co11tegno che avvieue negli iniziandi.
che sono da prima rnsi Yiolenti dalla curiosità e poi
attentameute seguono il 11Jistero.
Il punto che Plutarco vuol lumeg·giare è la trasfor-
mazioue che la filosotia, paragonabile in questo al mi
stero, opera negli uomini; da oiò l'e,;agerazione iu tutto
quel che contribuisce a far meglio comprendere la pro-
fondità e la rapidità del mutamento. Da ciò la neces-
sitù per il critico di aceettare con molta cautela tanto

(1) PLUT. Quom.qui ,vo, ,ent. 8:1 E p. 197 Bernardakis.


L 1 lt8SBNZ.A. Dll:L MISTERO 121

l' imagine dei neofiti tumultuanti fnor dell'uscio come


ta la folla odierna davanti a un circo, guanto l'attesta-
zione della grande luce improv\·isa, riducendo questa
testimonianza r.l suo giusto valore che è, come tale,
a8sai modesto.
Questa iu,senza di critich;mo intorno all'intenzione
dell' autore risulta più grave per uu altro luogo, di
Dione da Prusa, nel quale, parlando della prova di dio
tratta <lai mon<lo, si parag;oua110 <la un lato l'uou10 e
il mondo, dall'altro l'iniziau<lo e il mh,tero, 1n1.:-omen-
tando clie, como questi deve ragiouevolmente attribuire
a una iutelligenza la coor<linazio11e <lel11~ cerimonie, così
<JUegli non può non riconot,cern 11el 111ondo l'opera di
una mente. Dice Dione <la Prnsa: << Gli i· cirl'a come
1-;e alcuno, grt>co o barbaro: ver1i,-sc rniziato, introdotto
i11 un santuario mistico <li iitraordinaria bellezza e gran-
dezza, molte visioni mistiche veden1lo e molte udendo
1:orn~inrili voci, e ombrn e luci alterr1atamento appnrcn-
dogli e a Itre mille cose suc('edeudo; e 11 uzi come so-
glior10 nella così detta intronizzazione, fatti sedere gli
iniziandi, gli iniziatori in giro danzargli intorno; è dun-
que verosimile che quest'uomo nulla i-enLa nell'anima
nè supponga che ciò chi' avvif'ne si fa per uua intel-
ligenza e una <lisJ)osizione più sRpiente, anchfl se fosse
di quei remoti e sconosciuti bal'bari, anche se 11011 gli ap-
pare alcun esegeta o interprete, 1ml che abbia anima uma-
na 7 Cert.o questo 11011 è posi:;ibile. Ma in comune tutta la
Hchiatta degli uomini viene iniziata nella intera e real-
mente perfetta iniziì1zione, non in nna piccola casn. ap-
parecchiata dagli ateniesi per rienere una piccola folla,
ma in questo universo, svariato e Hitpiente, creazione,
mentre miriadi di meraviglie ogni volta appaiono, e ve-
ra.mente non degli uomini simili agli iniziandi iniziano,
ma dei immortali i mortali>> (1).

(1) D10N. CHRY8, Or. XII 33 p. 163 Arnim.


122 ORJ'ISMO E PAOJ.JNJ8MO

Dione da Prusa oppone qui la magnificenza e la gran·


dezza del tempio (che deve ricordare la immensità del-
l'universo) e la complessità e la varietà delle cerimonie
(che stanno a ricordal'e la complicazione della vita co-
smica) a Ila ignoranza del!' uomo; e naturalmente esa-
gera i 1n·imi termini del paragone. Tanto è vero che
poco dopo, qnan<lo paragona. al santuario il mondo per
concludere che tanto più evidente in questo appare li\
mente divina, il tempio, t:be prima era di strnordinaria
bellezza e gra11dezza, diventa una piccola co1,a.

3.
Su ciucsti due luoirhi
l111.m•1lnò 1ceno11ra-
fte di luci e 41 statue ~
si formava spe-
cialmente la trndizione di una grnn luce,
OJ)pure ùi 1111 alt1•1·1H1rsi di luce e di tenebra; ladùove,
pur alllrnett1•1l1lo eh1:1 la illnminazionc del Aantnario e-
lem~inio fosse per quei tempi ecceziorrnle, non crediamo
alla possibilità di giochi di luce di sapore moderno>
tanro più che le testimonianze (reali e non fantastiche)
intorno a qut-sta « luce>> non consentono alcuna esa-
gerazione. Pe1· esempio 1merio accemrn nel solito modo
figurato al tempio che si apre e alla lnce che gli ini-
ziati vedevano (1), ma la semplice parola fuoco che Ime-
rio usa altre volto a proposito dei misteri (2) e che
non indica altro se non lo tlac1Jole (aJ, non oi auto-
rizza a parlare di una gra11tle luce che irraggfava dalle
porte del santuario quando si aprivano, come fa il Lo-

(1) H1M. Or. XXII 7: 'tÙI llè: d1tst,9,oilvn xotl 1totpotxouaovn xpu4'ùl
't6 1tilp xotl xÀ1taùl Àoyùlv àvlix'topot.
(2) nup µuonx6v: ap. PHOT. Bibl. p. 611 A. 01·. XI 4, XXXV 1.
(3) Ciò è dimostrato da CLEM. AL. Protr. Il 21, 1 Stahlin: !l;tot
µìv ouv vux't6, 'tlX nÀioµa.'tot xotl 1tup6,; Il 22, 7: &1t60~1oov w !spo-
cplinot 't6 1tilp· ot11lfo,'h1n, w llotllouxs, 'tà, Àa.µmxllot,; e da Imerio
stesso Or. I 11:. yotµ'71À!ou 1tup6,.
L'ESSENZA DEL MISTERO 123

beck (1), nè una semplice allusione di Plutarco, che


può riferirsi semplicemente alle faci (2), permette mag-
giori conclusioni. Seuza dire che molti degli accenni alla
luce e 111 fnoco, che ricorrono spesso uei testi dove si
allude ai mist.eri, vanno presi non in senso proprio.
ma in senso simbolico soconcl,> l'uso frequentissimo nella
mistica ellenistica di designare la conoscenza e la comu-
nione di Dio come lnce (3).
Oltre ai giochi di luce vi è un altro elemento che ha
nna parte assai importante nelle fantasie ddla critica
moderna.: le stat,ue.
Se non erro, il primo a immaginarsele fu il Lob"ck,
in base a nu passo di Ate11eo dove i,;olo la specifica
fantasia arclieologica pnò trovare quello che il dotto
critico ci trovò. Ateneo descrive un Lanchetto e dice:
<< Sul far della sera apro110 la c11sa, uella• quale tutte
le sta11ze sono riciutc intorno di bianche tele; e <li1-1chiu
sele a ppa rvno fiacco Ie me11 tre le chi u sun• nascosta111en te,
secondo i congeg11i, ve11iva110 rattl•nute, ed :Eroti e Ar-
temidi, e Pani e Brmeti, molte simili statne che soste-
nevano fiaccole in candelabri d'argento>> (4).
Ateneo descrive assai semplicemente una sala, pro-
babil111ente un atrio clii uso all'uso romano con teucle duo
rante il giorno, che all'imbrunire viene aperto e appare
adorno cli ca11delabri a forma di st.atue, secondo l'uf.o
greco-roma110. I misteri non c' 011tra110 per nulla. Ep-
pure da qnest.o passo Lobeck conclnse non solo elle in
essi vi era una scena mistica ornata di imagini di dei

(1) Lon~:cK, Aglaopha11111s p. 69: ill(lici nm pr:tebet templi Elen-


sinii eacrarium quum aperirctnr ingens effulsiHsc lumen.
(2) WETTJCR, Phos. (Upsala 1905) epcc. capp. I o II o p. 27.
(3) PLU'f. Phoo. 28: 'tà' µuo'tixà, !l(jiti,.
(4) ATHll:N. II 1304. Alcuni codici leggono NcxteE, invece di
e~8E,. Se questa lezione fosse la vera, se no andrebbe a gambe
all'aria. tutta la fantasia a base di fiaccole.
12, OJIFISHO E PAOLINISMO

recanti fa.ci, ma che forse queste statue si porta.va.no


in prooessione (1).
Un altro luogo, nel quale il Lobeck fece un'altra. pe-
sca miracolosa di statue , è un passo di Temistio in
onore del padre, dove lo dipinge come un insigne mae·
stro di filosofia ..
In tutto il diS{,'Orso di TemiRtio non si può ravvisare
se non un ingegnoso esempio di metafora continuata
deg-wt del retore che la pronunzia, tutta impostata sui
misteri. Si esalta. la maestria del defnnto nell' intro-
durre i giovani nello studio della filosofia; 11~ varie li -
losofie sono rappresentate da tanti santuari nei quali
il maestro, rappresentato come il sacerdote, intro<luce
gli scolari; le qnistioni o i problemi che quegli loro
espone, dopo amoroso studio, sono rappresentati corno
le statue che egli ha amorosamente ripulito prima di
svelarle; e la venustà della esposizione di lui viene rap -
presentata con le atatue di Afrodite e d11lle Cariti che
nssistono alla iniziazione (2). Il Foncart (3) ha acu-
tamente dimostrato che i particolari di questa allegoria
non possono rifel'irsi ai misteri; come per esempio l'atto
di spogliare le statne delle dee per polirle e rivestirle,
che è proprio di un sacerdote adcletto n. un tempio più
che di un ierofante, mentre l'imagine di svestir delle
statue per mostrarle al publico non può in nessun modo
riferirsi all'angusta imagine di Demetra nè di alcuna
altra di viuità, rua va presa oome una pura e semplice
metafora.
Eppure il Lobeck vide in questo luogo una testi-
monianza di prim'ordine per le sue oare statue (4),

(1) LOBRCK, Agl. p. 60 quiùus similis sine dubio (I) fuit sce-
nae my11tioae instructus, deorum signis luciferis in medio po11iti1:1
11,I etiam 1oleff1nt pompa cfrcumduotil.
(2) THEMIS'l', Or. xx p. 288 Dindorf.
(3) FOUCART 1 Le, myst. d'Eleul. p. 390 8.
(4,) LOB~CK, .Agi. p. 62: De sta.tuie luo111ffltum he.beruus The-
mi1tii teatimonium.
L'BSSBNZA DICL MISTERO 125

e il Lenormant, rincarando la dose, dedusse che « on


peut concluro sans ésiter qu'une apparition de Venns
faisait partie des spectaoles d'Elensis, et, de mème, que
la vue de la statue de Demeter inaugurait la repré-
sentation, qu' elle se terminait par I' interveut.ion cle
Venus au moment où 1'011 voulnit que l'exta!'c de l'i-
nitié arri v.at à son com ble (1) ». Dopo di che 110n re-
Rtava al Lenormant che prcndet· qnesto te:'1to (·omo do-
cumento di uno spettacolo << qui ravissait les initi és » (2J.
La processione dolle statue non parve però sufficiente;
ci volevnno le imagini scendenti dall'atto o sorgenti dal
basso. Si incaricò ,li trovarle ili nnovo il Lobeck e le trovò
in un innocentissimo passo di Temistio, nel qnale il re-
tore si rallegra tlelli\ p 1cl~ con una delle solito meta-
fore tlove di Htatne o im:1gi111 non vi è ncppnre l' i-
dea (3). liJ poicuè nemmeno cotest.e a.pparizioni basta-
va.no più, il Preller peusò bene di in vtmtare tutta in-
tera una rappresentazione del ratto di Core, con la ap-
parizione della dea, ricavandolo, col solito metodo, là dove
esso non c'era: cioè in un luogo di Apollodoro, nel quale
si narra soltanto che il ierofante invocava Core battendo
il timpano, senza che ci si possa. t,rovare il minimo ac-
cenno a simili diavolerie (4).

(1) LEN'ORMANT 1 in Mem. Àcad. Jnso1·. XXIV 1861 p. 411.


(2) In DAREMDERG, Dictw11n. deB ant. II 1 p. 578.
(3) THEM. O,•, XVI p. 199 C.: ihme71 'tf), 'ijµapa., bs!v'l'j; a.!'J-
't67t't'l'j\;; xa.'tÉCJ't'l'jY 4v 'ii 't7JV atpÉY'l'jY ataf)yav wa1t11p h 't1ÀE't1' àcj,oq>'l'j'tl
xa.l à1tpa.yµ6vw,, LOBECK p. 501: in mysteriis deos vel superos
vel inferos repentino quasi ex ruachina apparuiaee colligimus ex
Themistio.
(4) APOLLOD. ap. SCHOL. Theoor. II 16: "A3-'/jv'l'jCJt 't7)Y tapoq,6.v-
't'l'jll 'trj' K6p'l'j' xa.Àouµiv11, 'tÒ xa.Àouµsvov 'i/xstov. PRELLER in PAV-
l>Y, &alencyol. III 106: es wurde ... die Geechicte dee Ranbes/orm-
!ioh aufgeflihrt. L'invocazione o adorazione di Core ool suono del
timpano conisponde alla invocazione di Dioniso che si faoeva
ad Argo, dove lo si invocava su dal lago a suon di tromba (PLUT.
De ls. 35 p. 360 E), senza che perciò, come crediamo, Dioniso in
persona apparisse su dal lago.
126 OllFIBMO I! PAOLINISMO

Il Lenormant va 1tncora più in là. in q11et-1ta gara di


fantasie e afferma addirittura che in una dellfl notti
dei mit1teri si rappresentava nientemeno che tutto in-
tero il mito di Demetm e Core, a partire dal rntto di
Core, e si appoggia su un passo di Clemente, che il dotto
francese intende nel senso che in questo drama si rap-
presentavano unicamente le vicende delle due dee, lad
dove si deve intendere che ad Eleusi queste vicende
venivano celebrate probabilmente con la nota cerimo-
nia in cni i misti t'rravano qua e h\ con torce per imi-
tare gli errori Ili Demetra (1). La scena culminante di
questn presunto tira.ma sarebbe adom\.Jrata nei seguenti
versi •li Ola1ulia110: (2)

Jam furor hurna.uos nostros de pectore sensuR


t'xpulit et. totum Bpirant praecorditt Phoebum ;
iam mihi cernuntur t.repidis delul,ra 1110,t'ri
sedibus et clara.111 dispergere lirnina l ncem
adventum testata dei; iam magnus ab imis
anditur fremitus terris templumque remugit
cecropium sancta,,que faces extollit Elensis.
Angues Triptolemi stride11t et 11qua111ea cnrvis
colla levant attrita iugis la.psuquc sereno

(1) CLEM. AL. Protr. II p. 12 2 Stiihlin: '1'Y)ÙJ xa;l K6p'Y) llpaµa: ÈjE·
-vfo&'Y)" µua'tLKÒv xa:l 't'Ì)V 1tÀ6.v'Y)v xa:l 't'Ì)v tip1ta:1 ijv xa:l 'tÒ miv&oç
(W'ta;tv 'EÀsilaLç; llq:ll.;,uxsr. 11 LENORMANT in DAREMHERG, (Dictiom1.
II 1 p. 6T1) traduce: El,msis eclafre à la lueu1· deB torcheB du da-
duque l'enlevement de Kore. Ma è assnrdo pensare cho un dramma
lungo e spettacoloso quale lo pensa il Lenormand venisse rap-
presentato a lume di torce tenute a mano. '1q:1'louxEtv significa qui
semplicemente ctlebral'e come in TH~;MJST. 01'. p. 71 A: llépaa., ~t
,xa.l 'A&Yjva.toL nxwvuç; i!llq:lloux'Y)aa:v 'tCÌI µua't~pLa:. Clemente dice
dunque semplicemente che ad Eleusi si celellravano le vicende
delle due dee, il che 1', verissimo , ma uou accenna per nulla al
modo in cui questo avveniva. In que11to steRso senso, llenchè me-
ta.forioamente, lo usa altrove Clemente: IJa./)ouxouµa.L 'toùç; oùpa.-
voùç; 'tÒv &sòv i!1to1tniiaa.L, dyLoç; y(poµa:t µuoùµEvoç;. (Proti·. XII 119,
1 Stahlin),
(2) CLAUD. De 1·aptu proB. I 1 s.
L'MSENZA DEL MISl'ERO 127

erecti roseas tendunt ad carmina cristas.


Ecce procul temis Recate variata fìguriij
exoritur, levisque simul procedit Jacchus
crinali florens hedera, quem Parthica velat
tigris et auratas in nodum colligit angues.

Nei quali non solo il Lenormant ravvisa la descri-


zione « en termes très daires >> della scona finale del
drarna, ma ci trova anche una ali usione alla luce che
irradiav11, dall'opaion, l'apertura praticata nel tetto del·
l'anactoron, nella luce che, secondo 0Jnudiano, annun-
zia l'avvento del dio, rne11tre il terremoto che scuote il
(\elubro ricorda al fautasioAo erudito i rumori dei prepa·
rativi che gli iniziandi ndivimo di là dalla porta clliu·
sa (1). Chi lla buon senso vedrà sernplicemeute la gonfia
e retorica amplificazione di un poPta di cattivo g-usto.
Niente dunque; 11è processioni nè drammi. Nelle
fonti non c'è nulla. di tutto ciò. Riducendo ai giusti ter-
mini queste fantasie noi crednemo semplicemente, per-
chi> questo ricaviamo (!alle font.i, che nei loca.li atletti
ai misteri ci fossero, come in tutti i templi greci, delle
stat,ue della divinità; nnll'altro dicono gli scrit,tori (2)
u null'altro è lecito affermare.

4.
nonchè riproduzioni Accanto a questa leggenda delle pro-
dell'oltretomba che
non esistettero mal cessioni e tlelle rappresentazioni un'al-
tra se ne forma va: che nei misteri ci
fo:,1se una specie di ricostruzione scenografica dei duo
regni oltremondani , per modo che l'iniziazione consi·
steva essenzialmente in una specie di viaggio attraverso
~li Elisi e l'Atle. La certezza su questo punto è assoluta.

(1) LENORMANT in DAREMBEl!G Il 57i.


(2) Per es. HIM11:R. Ecl. I 83, X 131, XXXI 304-; IAMBL. De
1nyst. II 10, 53.
128 ORJl'JS.110 B PAOLJNJ8KO

Questa tradizione che, se non erro, risale essa pure


al Lobeck, ba le sue radici in un grosso abbaglio, percl1ì:
taluni luoghi di scrittori antichi furono riferiti ai mi-
steri mentre vanno invece riferiti agli inferi, così che
si venne aù attribuire ai misteri ciò che quelli dicevano
dell'oltre tomba. Nè vi fu chi riHettesse che se era ovvio
che scrittori antichi parlassero con tanta evidenza delle
rappresentazioni elisiache o infernali, che erano noti:--
sime :rnche al volgo, non altrettanto naturale era che
rivelassero con tanta disinvoltura i più gelosi Sl'greti
dei misteri: così che da Lobeck a noi la tradizione inter-
pretativa di queste testimonianze non ebbe un solo at-
timo di esitazione.
Il fondamento di essa è costituito quasi unicamente
da un celebre passo di Plutarco (1), che fu costante-
mente riferito agli Elisi.
Plutarco comincia col chiedersi come mai, se la ere
denza nella immortalità è antichissima, sia poi tanto
antica la paura della morte. E stabilisce, come punto
di partenza, che la mutazione contenuta nella morte non
ha in sè nulla di grave, ma si tratta di giudicare se
qnesta mutazione è in meglio o in peggio.
L'etimologia della parola dimostra che la morte è ri-
poso e la cessazione di una grande angustia contro na-
tura. In questa mutazione avviene all'anim11 quel che

(1) PLl'T. De anima fr. VI Berne.rdakis = STOB, Fio,·. CXX 28


p. 107 Meinecke. Dal Wytteubach in poi questo passo è attribuito
a Plutarco invece che a TernisUo, secondo la tradizione, MAABS
(Or'pheu,, Monaco 1895, p. 303 s.) crede verosimile chti sia di Te-
mistio. WBTT.e:R (Phos, Upsala 1905 p. 18) lo attribuisce a Temi-
stio. Per la nostra discussione ciò non ha importanza. Il Wetter
crede che il passo si riferisca sl alla vita oltremondana ma secondo
quel che si vedeva nei misteri. In Zag,-eus p. 187 n. 1 annunziai
la pubblicazione di certi miei .tl.nalecta orphioa nella Rassegna di
filologia classica, dove avrei chiarito il vero senso di questo passo;
cessata quella rivista, il mio scritto rimase inedito, e lo pubblico
qui. La analisi che dò del passo plutarchiano è quella che per
o.ltre ragioni sta nel mio E,·aolito p. 78.
L'ERSENZA DEL MISTERO 129

avviene all'iniziato, che da prima subisce ansie e ter-


rori e poi arriva alla felicità: avviene in questa muta-
zione ciò che in altri casi, dove una sensazione piacevole
che sopravviene ci dà bensl piacere, ma non per questo
dalla mancanza 1lelh~ sensazione noi riceviamo dolore,
perchè la sensazione non si risente, per la consuetu-
(line di ciò che è contro nat.ura; ma si riceve dolore
quando avvenga una mutazione secondo naturn. Cos}
l'anima, per la comunanza eol corpo, non si accorge di
esst-re oppressa da cJò che è contro naturn: sente però
sollievo quando viene sciolta dalle attività determinate
,lai corpo dalle qnali è angustiata, e libera da esse de-
sidera di riposare, essendo la sua attivitii. naturale l'os-
servare, il rngionare, il ricord11re. Man. qnesti suoi propri
piaceri non si rivolge, vincolata com'è al corpo. E come
Od isseo i,i tiene stret.to al caprifico nou per amore di
esso ma per timore di Cariddi, così l'anima è vin,·o·
lata al corpo non perchè lo ami ma per timore dell'i-
gnoto, contenuto nella morte. Gli dei, infatti, non ten-
gono legata l'anima nl corpo con vincoli carnali ma con
nn solo e unico vincolo:. l'ignoranza di ciò che sarà dopo
morte, la quale fa sì che essa, temendo l'ignoto, resti
vincolata al corpo. Che se l'anima sapesse con certezza
ciò che atternle g·li nomini dopo la morte, nulla la po-
trebbe trattenere.
In questo ragionamento è inserita, là dove parla
delle emozioni degli iniziati ' una descrizione che fu
intesa come riferibile ai misteri.
Dice Plutarco: << Allora l'anima ba una impressione
come quella degli iniziatisi nei grandi misteri: perciò
anche la parola s'accorda con la parola e Pazione al-
l'azione, del morire e dell'iniziarsi. Errori da prima e
avvolgimenti spossanti e certi viaggi inquietanti e senza
fine attraverso il buio: indi, prima del termine, tutti gli
spaventi, paura e tremore , sudore e stupore: e dopo
questo una certa luce mirabile si fa di contro e lo ac-
11dlgono siti puri e prati in cui sono voci e balli e pompa
V. MACCl!IORO. - Orfismo I Paolinismo. 9
130 ORFISMO E PAOJ.INISMO

dignitosa di sacre audizioni e parvenze divine. Tra le


quali l'uomo, perfetto ormai e iniziato, 1livenuto libero
e sciolto, aggirandosi, incoronato celebra le, orge e con-
viene con nomini 8anti e puri, qui guardando lo. profana
e impura torma dei viventi che 1:1i calca e si accozza nel
molto fango e nel buio sotto di lui, per1:1isten<lo pe mi-
scredenza nei heuidi colà. Poicllè colà comprt'nderesti
esser contrn natura che al corpo l'anima sia abbrac-
ciata e conginnta>>(L).
Già la chiusa stessa doHehbe ili per sè sola dissi-
pare la imprnssioue, a prima vista giustificabile, che que-
sti, descrizione si riferisca ai misteri perchè in essi non
vi poteva essere alcuua dimostrazione ili fatto che l'a-
nima sia 1111it.a contro natura al corpo; quel colà deve
riferirsi 11011 già a.i misteri o al luogo dove la iniziazione
avveniva ma all'olt,re tomba, .perchè solo 1lopo la morte
l'anima può aver coseieliza della sua vera natura. A
priori non si comprende perd1ò Plutarco avrebbe in-
trodotto nel suo hrnno questa lunga descrizione che non
giova al suo nssnnto.
Ma si osservi ili quante assurdità essa sarebbe gre-
mita se dovesse riferirsi alle iniziazioni. Se l'ag-g·irarsi
iu mezzo ai prat.i felici che Plutarco dcs1:riYe ern una
delle cerimonie attraver:,;o le quali !'iniziando deve pas-
sare, è cliiarn che coloro elle compievano questo rito
(1) 'tÒU llè: (nella. morte) 'ltciO-XEL (l'anima) 'ltciil-oç; ofov ol 'tEÀE-
'tct!ç; µsyciÀctL, XGt'topyLctçòµEVOl" llLÒ Xctl 'tÒ p'i)µct i:t:) pi,:ict'tl xct\ ,:ò
Èpyov i:tjl Èpylp 'tOÙ 't6XEu'tli.i Xctl UÀstail-ctL 'ltpOOÉOLXE. 'ltÀciVGtL 'ttz
'ltpiòi:ct xctl 'ltEpLllpoµctl xomi>llsLç;, xctl llLit axòi:ouç; nvè:ç; lj'lto'lt'tOL
'ltOpEictL xct\ à.'tÉÀsai:oL, shct .tpò 'tOÙ i:ÉÀou,; ct~i:où i:tz llaLVèt 'ltcinct,
cppb1.71 xctl ,:pòµoç; xctt l~pw,; xal &ciµ~oç;· h llè: i:oui:ou q,iòç; n &ctu-
µa.:nov CX'lt'l)V't1)0E Xctl 'tO'ltOl x:ill-ctpot Xctl ÀELµwvEç; àllÉ~GtV'tO, q,wvikç;
xct\ xiopE!ctç; xct\ aaµv6:c71i:ctç; ixoucrµcii:wv lapwv xct\ cpctaµchwv tiylwv
!xovuç;- Èv cttç; 6 'ltctV'tEÀ'Ìjç; 7jll7J xctl µsµum1.boç; ÈÀEuil-Epoç; ysyo-
vwç; xa;l tirE-roç; 'ltEpLLÙlv àaucpctv6µsvoç; òpyLtiçsL, xal auvsanv 6ato,~
xcLl xct&ctpotç; tivllpciaL, 'tòv tiµu711:ov ÈY'tctù&ct 'twv çwnwv à.xti&ctp'tov
t:;,opiòv l'lxÀov tv ~op~6p1p 'ltc;ÀÀtjl xctl 6µ!XÀ'!l 'ltcti:ouµavov bcf>' ictui:où
xctl auvaÀctuvòµsvov, cp6~1p llè: &ctvci'tou i:otç; xctxotç; timai:!q; 'tiòv i!xEt
tiyct&iòv lµµiYOY'tGt.
L 1 ESSENZ.L DKL MISTERO 131

uon erano ancora nè iniziati nè meno anco1·a puri e


perfetti: e allora non 8i capisce come mai Plutarco chia-
mi perfetto ormai e iniziato colui che sta compiendo
questo rito. E .poi, chi sono questi altri uomini santi
(! puri con i qnali egli viene a trovarsi? Se sono ini-
zianùi, insieme ai quali egli sta compiendo la inizia-
zione, è strano che sieno chiamati puri e santi dal mo-
mento che, tutto al più, sono i,;olo sulla via di compiere
la purificazione e la santificnzione: e se sono realmente
puri e santi, cioè già iniziati, non è chiaro come un
iniziando che sta compiendo talune cerimonie possa
trovarsi insieme con altri che hanno già subito questa
iniziazione. E ancora: se l'arrivo a questi prati folici (·
una :,<econda fase iniziatoria che segue al)a prima, e se
que5ta prima fase· come dice Plutarco - si svolge nel
buio mentre l'altra avviene nella luce, non si comprende
come ciò potesse avvenire, dato che le due fa:-.i rituali
avvenissero riel medesimo 1unbiente che avrebbe dovuto
essere buio e insieme illuminato; solo si può ammettere
1·he le due fasi si svolgessern s1wcessi·vamente, prima nel
buio e poi alla luce, perchè Plutarco dice che colui che
è arrivato vede coloro che non sono ancora iniziati
nel buio e nel fango: vale a dire che le due fasi ini-
ziatorie, contro il buon semw, avrebbero dovuto svol-
gersi contemporaneamente. E nemmeno si può pen,
sare che queste due fasi si svolgessero in due ambienti
diversi, l'uno illuwinato e l'altro oscuro, per la semplice
ragione che, se coloro che era.no arri vati alla seconda
fase potevano vedere coloro che ancora erano alla- pri-
ma, i due ambi enti dovevano essere comunicanti tra loro:
e allora la lnce del secondo ambiente doveva per forza
arrivare al primo locale, che dunque non poteva dirsi
buio. E nemmeno si comprende come ma.i colui che era
pervenuto ai prati felici potesse vedere sotto di ae gli
altri iniziati che erano alla prima fase, perchè ee questa
espressione ai deve riferire, come è inevitabile, al fatto
che le due fasi si svolgevano in due locali sovrapposti,
132 ORFISMO E PAOLINISMO

non ancora si capisce come gli inizi:rndi della seconda


fase (al piano superiore) potessero vedere quelli df'llu
prima fase (al piano inferiore): non certo attraverso il
pavimento. E finalmente l'avverbio colà, che localizza
quei beni che gli increduli perdono per paura della morte,
non ha senso se si riferisce a quei fittizi luoghi beati,
attraverso ai quali gli iniziati sarebbero passati, perchè
questo bene non era già contenuto nelle cerimonie della
iniziazione, ma veniva raggiunto, dopo la morte, da co-
loro che avessero subito questa iniziazione.
Se si ammette invece che Plutarco parli della morte
e restringa il paragone tra essa e i misteri alle sole
sensazioni dell'anima, simili secondo lui a quelle che
provano gl' iniziandi passando dal terrore al piacere ,
allora la descrizione viene naturalmente a riferirsi agli
inferi. E ciò dimostra anche il fatto che le parole di
Plutarco si accordano alle rappresentazioni escatologi-
che, specialmente orfiche, a noi note.
Prima. di tutte, quella che Aristofane fa nelle Rane
per bocca di Eracle (v. 145 s.). Questi preannunzia a
Dioniso che dopo aver attraversato Io Stige incontrerà
priwa un mare di fango e di lordura in cui sono im-
mersi gli empi, e poi arriverà ai prati luminosi dei
beati. La concordanza tra le due fasi successive de-
scritte in Plutarco e in Aristofane è perfetta: e non
si può spiegarla supponendo che anche Aristofane vogli:t
alludere alle cerimonie dei misteri perchè ciò nell' A-
tene del V secolo, dove la legge imponeva tiranni-
0

camente il segreto intorno ai misteri , e in un poeta


conservatore come Aristofane, è assolutamente incon-
cepibile.
La parola usata da Plutarco per indicare il fango in
cui stanno i non iniziati, << borboros >>, è parola costan-
temente usata nelle descrizioni escatologiche orfiche (1):
(1) AR. Ran. 145: p6ppopov 1t0Àuv. PLAT, Phaed. 13 p. 69 C:
•v ~opp6pcp x1toncn; OLYMPIOD. Àd Plat. Remp. II 363 C: clv ~op-
L'ESSENZA DEL MISTERO 133

e la descrizione dell'iniziato che vede sotto di sè i non


iniziati è in perfetta armonia con le dottrine orfiche.
Platone dice che l'iniziato si troverà dopo morto con
gli dei, e il non iniziato nel fango (1), vale a dire il
primo in alto e il secondo sotto di lui; e Pindaro dice
che le anime degli empi si aggirano sotto al cielo, sulla
terra, e quelle dei pii nel cielo (2/, dunque le une in
basso e le altre in alto; e l'erebo o baratro verso il quale,
secondo Plutarco stesso, sono condotte le anime degli
empi (3) non può logicamente concepirsi se nou sotto
al luogo in cui stanno i pii, più in basso. Ancora più
chiaro ciò appare in Proclo dove immagin& in alto, nel
cielo, la ùivina e felice vita dei pii, sotto terra la vita
della pena, e in mezzo, tra le due, la regione dove av-
viene il giudizio (4). Qui davvero si può dire, come
Plutarco. che i beati vedeva.no sotto di se gli empi in
atto di scoutar la pena. Del resto la concezione orfica
che l'anima, liberata dal corpo, salisse all'etere (5),

~6pq., xslai.,cu !lv • At,ou; ARIST. Or. XIX I p. 421 Dindorf: ilv
ax6,q., xcil poppépq.,; PLOTIN. Enn. I 6; 6: lv poppépq.,. In nn inno
orfico del grande papiro magico di Parigi Persefone è detta. ~op-
popoq:,éppci (v. 1416 Wessely); Luciano ricorda. un ora.colo del falso
profeta Alessandro in cui è detto che Epicuro nell'Ade 11iede lv
poppépq., (Lux. Alez. 25).
(1) PLAT, Phaed. 13 p. 69 C : a, av ciµUYj"tO' xcil cidÀsa,o, ,,
•ALllou cicp(x711:cit tv ~opp6pq., xs(onciL, 6 llà xsxci.'l-a:pµsvo, &xa!os
a.cptx6µavo, µE,à: .'l-swv o(x,jost.
(2) PIND. fr. 132 Bergk-Schroeder: 11Tuxcil ll'a:asPa(l)v b1touplivtpL
yci(q: 1to,wna:L I !v ,U.yaot cpovCot, b1tò !;;suyÀcit, cicpux,oL, xa:xwv, I
cl'.laa~É(l)v !'J" t1toupcivtot va:Couacit I µ0À1ta:t, µlixa:pci µtrciv da(llou-
atv !v !iµvot,.
(3) PLUT. De lat. 11iv. p. 1130 D Bernardu.kis: ~ llà 1:p(,71 "tWV
à.voo((l)c; Ps:Ptoxci"t(l)V xcil 1tcipa:v6µ(1)Y 6!'J6c; ,a,Lv, a['" lpsp6, "tL xcil
papci.'l-pov w.'l-ouaci ,à:, ~ux tir,;.
( 4) PROCL. In P/at. Btlfllp. II 132 R, Kroll: ~ µh yà:p ,17, d1t0Xci6as(I),
xcil sf>lla:tµovCa:, !;;(1)71 h ol'.lpa:v(j) w, .'l-sCci ,(.'l-ncit, ~ llà ,1jc; !'JCx71c;
1!c; "tTjY µia71y cpApnCIL XWPCIY 1 ~ !'Jl djc; 'ltOLvf), d,Cci !'Jtà: "tOEI ,Cq:,ou,
&Ttò r'f!,.
(5) Carm. aur. v. 70-71: ~.,, !'J"ll'ltoÀsC4la:c; aiiiµci le; a:t3-ip" ll..a63-apov
.À.'l-f)c;, IOOICIL d:.'l-civci,oc;, 3-aòc; i!µppo,o,, OllX hL .'l-v711:6c;. JAHBL.
134 ORFIBJl(O E P.àOLINIBMO

implica. sempre la stessa concezione del beato in alto


e dell'impuro sotto di lui.
Si badi ancora ai vart.icolari di questa desm·izione di
Plutarco. Egli parla di una luce mirabile, e questa è
ricordata spesso nelle descrizioni elisia.che orfiche (l)r
Plutarco parla di prati, e questo è il termine tipico per
denota.re gli elisi, (2) e ti piche nella escatologia orfic.~
sono le rlanz(• e le corone di cui parla Plutarco (3). Così
potremmo connettere le mci e le antlizioni di cui si
parla con i canti e i suoni di cui 1,,i dilettano gli ini-
ziati nell'oltre tomba (4), e di cni parla Plutarco stess,1
nel mito di Tespesio (5) dove sono evi1lenti gli ele
Protr. Ili p. 16 Pistelli: _'tò cbt0Àm1t.,, 'tÒ aiilµet 11.11l µneta't'ij'llll~
&lç 'tÒV et!&ipet, µnetÀÀci-nstv .11.etl 't'JÌ" ch&pbm!"'l'I" q,ilalv 1!ç 'ti)v i:iilv
&,iii.,, xet3'etp6't'l'j'tet. KAIBEL, Epigr. 21 : Ai&ijp µiv 4'uxà:ç {mallifet'to,
OWjlCt'tCt Il! x&wv 'tW'lllli. Jt>i 41 : <J,uxijv 1(."t ll'lt!pcptcUouç lltet'llO(etç
etl&'JÌp bypòv ixat, awµet llà: ,:uµ~oç 'tME.
(1) PI~D. fr. 129-130 Bergk-Schroeder: 'total Àciµn;u µs.,, µévoç
ci1À(ou. ARisr. Ran. 155: ~<j,Et 'tE cpiilç 11.ciÀÀtaw.... PB. PI,AT . .J.x. 13
p. 371 D: 1!111.pet,oç ci71p, Xlit't11t cimi:Àettç 'f/À(ou cl::intat'll ch"xtp.,,ciµsvoç.
ABEL, Orphica fr. 154: int'etùyàç -/jEÀ(oLO. VltRG, Àen. VI 140: lar-
gior hic campos aether et lumiue vestit p1H'pnt·eo.
(2) AR. Ra11. v. 450: Àltµwvetç ch&1wllstç. Ps. - PL~T. À:&, 13:
ÀlljlW"lllç c!v,'l,sot '!1;0L'K(ÀOLç iczptt;6µsvoL, P1ND fr. 1-28-130; Cj?Ol'lllll.0·
p61loLç 't'!'lll ÀlljlW"lliOOt; ABEL, Orpkioa fr. 154: tv XCZÀ(p MlµÙl"IL.
Law. orfica KAIBEL lGSI 642. DIRLB, Vorsokr3 II p. 177 N. 20:
ÀlljlÒl'llet' n lapoilç. VERG, Àen. VI, 938; Amoena virecta, Astµiilv
era detto il luop:o in cui sedevano i giudici infernali (PLAT, Reap.
X 614, PROCL In Plat. Remp, Il p. 128, 17, p. 132, 25 p. 133,19
Kroll. V. anche PLUT. De fac. in orbe lun. I'· 94'3 C).
(3) AR. Ran, v. 374: xwp1n vOv; cfr. vv. 444, 449. PLUT, Non
poBBtJ ,uav. vivi p. 1105 A: xoptilovu,. Dwsc. in Anth. Pal. VII
31: l!q:,pet Xetl h A7joilç O\'llWjlÉ'llO' &~pà XWPIUO'l'j,;. VER'G, Àen. 644:
pare pedibue ple.ndunt ohoreae. Trn. I 3 59 hic choreas cant.usque
vigent. PL.à'l', Bep. II 363 C: ta'ticpetvwµa.,,ou,. Lam. KAIBEL, IGSJ
8U, l=DIELB, Vor,okr3. II p. 176 n.19. lµap,oiJ ll'ild~11v aucpcivou.
(4) PIND, fr. 132: µoÀn;ett, µtbetpet µiyetv ch(llouaL'llj fr. 129+130:
'tOl !là q:,opµ(yy1oa1 'tspn;ovtczL. Ps.-PLAT, ÀX. 13: jlOUOLll.èt d:11.oilaµet'tll.
VERG, Aen. VI 657: laetumque choro paeana ce.nentes. Trn. I, 3,
59: hio choreaa cantu11que vigent.
(5) PLUT, De aera t1.um. tiind. p. 566 F: tòv t6n;o.,, !v 11.611.À<p xetntx a
~c:cxx1C11 xc:cl rUwç xczl n;/ioc:c µoOacz n;"Lt;6vtwv xczl upn;oµi~w·,.
L 1 ESSENl!lA EEL MISTERO 185

menti orfici 11). E potremmo infine connettere la co-


munitnza con gli altri beati con i colloqui sapienti rlegli
iniziati negli elisi e le liete accoglienze nel mito di
Tespesio (2).
Tutto ciò dimostra dnnque che Plutarcc, deòcrive gli
inferi, non i misteri, e paragona la vicenda di sensa-
zioni dell'anima che arri va agli inferi con quelle clell'ini-
ziando nell'atto che subisce le varie cerimonie. Plutarco
concopi va la morte come un rapido succedersi. di so11-
sazioni angosciose e piacevoli (2) e nel trattato Intorno
alla fa.cciii che è nella luna usa, un'altra volta, per espri-
mere questo pensiero, un parallelo tra morte e iniziazio-
ne. « Ogni anima - dice appena resa libern daIJa morte
vagola alcun tempo nt~lla regione che sta tra terra e
luna. Poi le anime empie scontano la pena, e le anime
pie vi si indugiano solo quanto occorre alla purificazione
,lai miasmi ilei corpo e poi, come so tornasRero dall'e·
:-iilio, go,lono una gioia mista di trepidazione e terrore
quale provano gli iniziati (4)». Anche qui il paragone
avviene solo nelle sensazioni: cbè trn questo mondo fan·
tasti,:o tra terra e luna e le scene, o gli ambienti dei
misteri, non vi era certo nulla cli comu11e; e la stessa

(1) Alla pnmzrone dei dannati presiede Adrasteia: vi è uu sito


tlal quale Dioniso sall all'Olimpo portando con se Semele, e vi è
1111 lnogo che segna il pnnto di arrivo di Orfeo neJla. sua catabaAi.
(2) Ps-PLAT, Ax. 13: ~La,pt~al aè cptÀoa6cpw"I; PLUT, De lat. viv.
1130 D: ata,pt~èq; t"I µv,jµat, xal Àclyot, ,ii>..,. ysyovl,wv 1tal òv,wv.
I'U,T. De sem n. v. p. 565 F a! tfiuxcxl. .. 1tpcl, à:H'ljÀcx, tcptÀo-
~povoilv,o.
(3) PLUT. Ve se,·. num. vind. 22 p. 563 E: hil yòtp tlJ1tEaE (Te-
spesio) ,ò cppo-;oilv ,oil awµcx,oç;, otov <lv ,Lç; tx 1tÀo(ou xu~EpvT),7), slç;
~u&òv dmopplcp&Elç; mi&ol ,ò 1tpii>,ov, ou,w, b1tò ,i')ç; µncx~oH)ç; laxav·
Et.cx µtxpòv t~o:p&.tç; l~o~Ev livcx1tntv llÀoç; xo:l 1t1ptopdv 1tcxv,cxxo&1v,
wç1tEp tvòç; 15µµcx,o, liVOLX&ta71ç; 't1)ç; tfiuzi'),.
(4) PLUT. De fao. orb. /un. p. 943 H.: yi.uov'tcxl xcxpd' otcxv ot
uÀouµEvot µciÀta'tcx &opu~qi xcxl 1t'toTjaEL auyxnpo:µh71v µn "U11:(ao,
'>\~sia;; !xouat. Una frase frammentata nello stesso luogo dioeva
,·irca: alò 1tpoaiotx1t 'tlj) 'tEÀEu,1iv] tv 1tb,~ (Demetra) ,ò nÀatv.
136 ORFISMO E PAOLINISMO

successione di tenebre e di luce, di terrore e di leti ·


zia, è descritta nelle Rane di Aristofane con riferi-
mento ai misteri eleusini (1).
Non vi è d1mquo alcun 1lubbio, come bo detto, che
questo lnogo di Plutarco si riferitiea agli inferi e non
ai misteri. Eri pure tnlta la scienza concorderncu IP lo
riferì ai misteri fondando quasi del tutto su di esso
la sua concezionl' scenografica di e:,;si. La gloria di
questo grosso equi \'oco va tutta, :,;e non erro, a I Lo-
beck (2) dal q na le la scienza l'accettò (::$) senza mai
disouterlo, co11 una vernwente strana acquiescenza clw
sa wolto di pigl'izia; e qna11to in realtà questo errnn·
possa iuliuire sulla ricostruzio11e llel llrama mistico
è provato da ciò che re1:enteme11te il Grnppe, oppo-
ueudo alla mia ricostruzione soggettiva la vec,:bia con-
cezione oggettiva, non fece, in realtà, che parafrasare
l'lutarco. << Il credente - dice il Grnppe - i cui nl'rvi
erano fortemente irritati già ila.I Inr1g·o pel Jpg-ri na gg-io
fino a Eleusi, poi dalla pia attesa ud semimwuro te111
pio delle iniziazioni e dalla musica cl.te v.cr11si1111I111e11te
vi riecheggiava 1lall'alto, e inoltro, sul far della 1wtte,
dall'aggirarsi nPlla oscurità, e finalmente dall'improv-
viso accendersi della luce, riportava la certezza dulla

(1) An. Ra11. 272 s, 312 s.


(2) L0BECK 1 Àgl. p. 61: Animos corporis vinculis reeens ~olutott
auraeque coelest-is cont,actos similes fore initiatis, quos principio
tenebria et horrore circnmfnndi , doin<le vero eos excipere cpfuç
.'1-a.uµci.,:nov xa.l osµv6np:a.ç cixouoµci.,wv lepwv·xa.lq,a.v,a.oµci.,wv d:.ylwv.
(3) GUIGNIAUT iu Mt!m. lnstitut. XXI 1857 11 parte, p. 57 ;
LKNORMANT 1 Id. XXIV 1861, I p. 443; K. 0. MilLLKR in EHBCH-
GRUBER1 Allgem. Encycl. d. WiBBensch . .Sez. I Voi. 33 p. 285; DE-
CHARME1 Myth. de la Grèce p. 371: w.
FURTWii.NGLER' Die Idee
d. Todesind. Mythertd. Griechenp. ::141; PnELLER in PAULY, Realenc,
III p. 107; FOUCAR"f" in Mem. Inst. XXXV 2 p. 56 Cfr. p. 63;
GRUPt'E, (fr. Mythol. I p. 53; Dn:TERICH, Nekyia p. 65, 1 ; ROHDE,
P,ycho3 I p. 301; FARNELL 1 CultB of the gr. states III p. 1,9; PE1t-
DELW1Tz, Die Mysterienrel. und d. Problem d. I Petrus briefes pp. 78
e 83; LorsY in Revue hist. !iter. rel. 1913 p. 205.
L'ESSENZA DEL MISTERO 137

:.;ua salvezza quando vedeva il salvatore nel likuon


e il ierofante annunzia.va ad alta voce a quelli che
aspettavano fuori: La forte ha generato il forte» (1).
Un altro luogo che si riferisce pnre al mondo ultra
terreno e che fu, per la medesima ragione, riforito ai
misteri, leggiamo nel Fedro.
Dice Platoue, riferendosi alla esi,,;tenza elle le anime
conducono prima di iniziare la vita terrena: « Senon-
cllè era pur lecito allora scorgere la splendiente bel-
lezza, quando in una col beato coro seguendo noi Gio-
ve, e gli altri ad altro tra gli iddii teneuclo dietro e
sì d'una beata visione e contemplazione fruivamo e s"t
ci iniziavamo in quella iniziazione che si deve tra tutte
avvo.nturosissima climandare, la quale 11oi celebravamo
sendo noi medesimi interi ed inesperti di tntti quanti i
mali che nel prosieguo ùel tempo ci aspettavano, ad
intere e schiet.te e costanti e beate p:tl'venze miste-
riosamente intro1lotti e fattine spettatori , puri come
eravamo 111 purn luce e no11 sepolti in questo che ora
corpo dimandiamo, conducendocelo attorno it gnisa d'o-
striche fatte in esso prigione>> (2).
Che questo lnog-o si riferisca a una vita anteriore alla
vita terrena è provato dall'ultima frase relativa al corpo,
rn cui le anime vengono imprigio11ate secondo la dot-
trina orfica, sicchè non parrebbe possibile il minimo
dubbio. Invece Carlo Lenormaut non solo lo riferì ai
misteri ma osò pensare che in questo discorso Platone
adombrasse, sotto una voluta imprecisione, le cerimo-
nie misteriche. << Les apparitions-y seront entières, donc
<lans les myst.ères on no rnontrait ::wuvent qu'nne partie
des fig-ures ou bien il y cu avait de ruutilées on d'in-
complètes; elles seront siinples et claires, donc les ap-
paritions eleusinienn.es rlevaient étre quelqne fois com-

(1) GRUPPE in Phil. WoohenBchr. 1921 p. 247.


(2) PLAT. Phaedr. p. I 50 B vers. Bonghi.
138 ORFllll40 E P-'.OLINIBMO

pliquées et snrchargées d'attributs incompréhensibles;


elles seront immuables, donc A Eleusis !es apparitions
se succedaient les unes les autres >> (1). Il Fouoart ,
che pure respinge questo voler trovare a tutti i costi
quel che si cerca, ved.d anche lui l'inesistente in que-
sto luogo. Platone, secondo lui, << a voulu dire que les
révelations les plus instruotives qui pnissent étre fRites
aux hommes, telles qne les apparitions des mystères,
sont incomplètes et fngitives en regarù des verités que,
Fame a.contemplées a.v:mt d'ètre enfermée da.ns le corps.
Mais, tout en marquant la distance qui i;épare ces deox
ordres d'apparitions, Pl"ton les a (iomparél's, et le fait
meme qu'il les a rapprochées pronve qu'il leur recon-
na.issait une qu111ité commune. A des degrés fort ine-
gaux les unes et les autres procumient à l'homme une
connaiss11nce directe des realités divines, connaissance
qui ne résnltait pas du raisonnement mais de l'intui-
tion. Comme les apparitions du monde céleste donna-
ient aux ames, sans effort et sans empéchement, la
pleine notion des idées éternelles, dont le souvenir ne
ùevait plns s'effacer, de méme, dans un cercle plus re-
strni11t et par une vue moins claire, apparaissaient aux
mystes les divinités du monde inferieur, menaçantes ou
secourables; en un instant, ils voyaient des yenx du
corps ce qu' aucune soience humaine n' aurait pu leur
apprel1endre. Si l'on tient compte cles allusions qnej'ai
cit~es plus haut, telle est la conclusion, qu'il est per-
mis, sans trop de subtilité, de tirer clu passage du
Pbaedre, sur l'importance et le ròle des phasmata dans
l'initiation (2) ».
E invece è evidente che Platone non ha voluto dir
niente di tutto queRto e che tutto si riduce. al para-
gone tra le visioni ohe le anime hanno in quel mondo

(1) LBNORKANT iD Mem. Àoacl. I1180f", XXIV 1861 p. 373.


(2) FOUO-'.RT, Lea myat. cl 1E. p. S97-8.
L 1 BSSENZA DEL MISTERO 139

superiore e le cose (che non appare in che consistes-


sero) wostrate agli iniziati, le quali potevano essere sta-
tue, pitture, :fiaccole, simboli.
Ma il Foncart aveva la idea fissa del viaggio oltre-
mondano dei misti e per questo finiRce con trovare
un'altra Rllusione in un altro luogo di Platone, in cui
questi spiega come non ci sia un unico e semplice sen-
tiero che conduce ali' Ade ma come l'anima ci venga
condotta dal suo deuwne attraverso molte e compli-
cate vie. « Il sentiero - narra Pl'\tone - non è come
Telefo di Eschilo dice, poichè quegli dice che una sem-
plice via porta all'Ade e nè semplice nè una pare a
me. Perchè non avrebbe bisogno di guida; p.,rchè niuno
verosimilmente sb:a.glierebbe in alcun luogo essendoci
una sola via. Ora pare io vece che vi sieno biforca-
zioni e molti trivi; Io dico coodudendolo dalle cose sante
e giuste di quaggiù >> (1).
A che cosa allude Platone con qnell' aceenuo allo
<< cose giuste e sante di quaggiù >> T
Olirnpiodoro 1itenue che l'allusione si riferisse ai sa-
crifici che si so levano celebrare nei trivi a Eca te (2):
e questa spiegazione fu accettata dal Wyttenbach (3),
dal Lobeok (4), e dallo Stallba.um (5), intendtmtlola come
riferentesi in modo generico ai sacrifici mortuari. Lo
Heimdorf (6). invece pensò che quell'allusione nndasse
ai mistel'i, ai quali in ninn modo le parole di Platone
poS8ono riferirsi; 11111, fu comba.ttuto dal Lobeck e dallo

(1) PLAT. Phaed. 108 A.


(2) OLYMPIOD. p. 158Finokh:61:wxpci.71\; lltx~ lla!xvuat· (l>tÀo-
a6cpwç µiv dn6 "toii llEta&cu "tlX\; <J,uxà:, "tCÌlv iJyaµovwv· µu'i\; yà:p
o!,071\; blloO- µ71 if.v lls71&ijvctt "tWV dyciv"twv· l;pcntxcii\; llt dn6 "tWV iv
"tptcillOt\; "ttµciiv 'Exctn,\;-
(3) WYTTENBACH, Platonia Phaedon (Lugd. Ba.t. 1810) p. 293.
(4) LOBECK, Aglaophamua p. 1343.
(5) STALLBAUM, Platani, opera- (Gotha 1846) I p. 213.
(6) Citato da LOBECII: !. c.
ao ORl'I8MO B PAOLINISMO

Stallbaum. Ed ecco che ora il Foucart riprende la vec-


-0hia idea del Heirudorf e la fa sua.
Ma il vero senso delle parole di Platone non può essere
quello che afferma Olimpioduro, percbè l'uso di celebrar
dei sacrifici a Eca.te Trivia non contiene punto la prova
che simili trivi esistano nell'oltre tomba. La spiega-
zione vera è data rla Proclo, 11ssai più vicino al pen-
siero platonico e assai più profondo interprete del sno
pensiero : « Nel Fodone dimostra ciò che è detto nei
misteri, che noi uomini sia.mo in una cotale posizione ...
e adducendo i misteri per le differenti sorti doll'anima
che giunga purificata o impura ali' Ade e congettu-
rando da.i sacri riti e dai p11trii costumi le biforcazioni
e i trivi... e le vie in sn e in giù di cui narrano i poAti,
e le sofferenze dionisiache e i peccati titanici, i trivi
dell'Ade e l'aggirarsi e tutte lo cose cotali>• (1).
Qui noi apprt:'111liawo il vero contenuto della allu ·
sione pia.tonica: ella mira a quell:1 stessa origine donde
Platone rlcdnsse la dottrina del corpo - tomba, e le
sofferenze (li Dioniso e la colpa dei Titani: cioì\
l'ortismo. L'orfismo insegnava infatti che vi erano nel·
l'Ade d 11e vie, l'una a destra verso gli Elisi per i gi nst.i,
l'altra per gli ingiusti verso I' Ade (2), e tra le la-
mine orfiche ve n'è una che insegna ali' anima a evitar
la sinistra (3) e un'altra glorifica il defunto perohè,
andando verso destra, ha raggiunto i prati di Perse-
fone (4).
Platone si riferisce dunque a questo mito, secondo
il quale infatti era difficile prender la via giusta senza

(1) PROCL, In Remp. I 85 Kroll.


(2) PLAT, Gorg. p. 524 A ; Rep. X 13 p. 614 C.
(3) KAIBKL, In,cr. 91· • .Sic. II, 636; DIBLs, Vorsokraliker3 II p.
175, 17.: s!>p'ljoou, e·Acecio Mµ.wy t,,;•lip1oupt xp'ljv'l'jY ... 'tctU't'l'j'
-ifJ, xp'ljY'l'j' J.1,'l'jllà oxsMv tµ.nsÀcios1ci,.
(<i) KAIBEL, IG.SI. 642; Dui:LS, JToraokratiklJf' 113 p. 177 n. 20:
xcitp1, i(cttpa, ea~l«Y ~eomopiiJV Àllµ.ii>Yci,; 'ti !spoÙ, X.ct't« 't• 4ÀOH
<t1po1(fonCci,;.
L 1 E~BENZA DKL MISTKRf) 141

una guida che gli orfici sostituivano con le indicazioni


scritte sulla lamiuetta d'oro; e con una frase volutamente
oscura accenna alle dottrine orfiche dell'oltre tomba.
Nulla nè di più nè di diverso si può vedere in questo
luogo. Ma il Foucart, che pure non ignora quanto ab-
biamo detto, vuol vederci a forza la prova che « dans
le telesterion, les initiés voyaient des choses qui les
instruisaient snr les chemins des enfers et sur la route
à suivre >> (1); e per arrivare a questa conclusione forza
il testo traducendolo: « comme je le conjécture ù'aprés
ce qui se pratique ici dans nos cérémonies >> !
Il mrno significante tra i trsti ,lai quali si volle a
forza cavare un senso che non hanno, è un passo del
Tragitto di Luciano. Megillo e Cini.ico stanno avanzando
a stento nella tenebra del.I' Ade e il primo chiede al se-
condo: « Dimmi, Cinisco, chè si sa che fosti iniziato nei
misteri eleusini: non ti pare che quaggiù sia come colà T>>-
« Certamente - risponde Cinisco. - Ecco almeno una
donna con torcia che gitta occhiate terribili e minac-
ciose. Che sia dunque una furia 'I>> E Megillo: << Cosl mi
pare dall'aspetto >> (2).
K. O. Miiller vide in questo passo la prova che nei
misteri si mostravano agli iniziati gli orrori dell'Ade (3),
e fu seguito dal Preller che rincarò la dose (4), fin-
chè il Foucart trovò addirittura che Cinisco << affirwe
une similitnde complete entre ce qu' il voit anx en-
fers flt ce qu'il avait vu autre fois dans l' initiation
d'Eleusis >>, e vede nel passo di Luciano la conferma
che <<les initiés voyaient les regions de l'autre monde,
ses habitants et la route qui devait le conduire en pre-

(1) FOUCART, Lea mystèrea d'El. p. 398.


(2) Luc. Catapl. 22.
(3) K.0. MiiLLJCR in ERBCH-GRUBER, Allgem. Enc. Sez. I Voi. 33
p. 285.
(~) PRELLER in PAULY, Realenc. III 107.
142 OSFISMO E PAOLINISMO

sence du maitre dell' enfer>> (1). Ì<J chiaro invece che


l'allusione di Luciano, come in questo caso ben vide il
Lenorruant (2), si restringe alle tenebre e forse anche
alla torcia. Del resto è curioso che Cinisco, un iniziato,
non riconosca la Erinni e la riconosca in vece l'altro
che non è iniziato.
E su 11imili fondamenti potè il Preller pensare che
gli iniziati venivano condotti attraverso una ripro1lu-
ziono degli Elisi e del 'fartaro, e il Foucart potè affer-
mare che « lo voyage des mystes à tmver8 Ics rogions
du monde inferieur ligurée dans le telcsterian ost un
fait ge,iemlément admis ! :1> (3J.
Così 1lunquo si venne formando la << scienza dei mi-
steri >>. La sna st.oria è una storia di amplificazioni ,.
~nasi falsificazioni incredibili, mediante le quali si foce
dire ai testi qu,~l che si voleva che 1licessero, costru-
endo per fol'za nna tradizione fa Isa, la q nale avrebbe
dovuto crollare tli fronte a: risultati dall'indagine ar-
cheologica. Invece questa tradizione falsa continuò a
reggersi anc!Je dopo che I' esplorazione del telesterion
aveva dimostrato la impossibilità del dramma ogget-
tivo. È veramente incredibile come, per esempio, il Fou-
cart elle conosce perfettamente la costruzione del te-
lesterion e le difficoltà che essa. presenta per la sua
stessa idea (4), non avvel'te il contrasto che sorge tra
questa costruzione, che esclude la possibilità di una sce-
nografia, e la sua concezione scenografica per amor della
quale egli tortura i testi parafrasandoli invece cli tradurli,
e battezzando le sue parafrasi per tanti textes positifs.
Di simili e anche maggiori violenze ai testi ci offre
numerosi esempi un libro recente intorno al paolinismo
del quale non parlerei qni se esso non fosse un tipico

(1) FOUCART 1 MyBter. d'El. p. 4 a.


(2) LBNORMANT in DAREMBBRG, Dictionnaire II 1 p. 577.
(3) FOUCART, Myatèrea p. 399.
{4) FOUCABT, :lfy,tèr111 pp. 350 e. 413.
L'ESSENZA DEL MISTERO

caso di 1,imili proce,Iimenti. Il Tonssaint afferma per


esempio che nei misteri orfici c'erano dellti rappresen-
tazioni teatrali che mostravano l'Ade, in ùase a un passo
di Plutarco dove invece si parla della pi:rnura della ve-
rità la qnale contiene l'universo e tutti i modelli delle
cose, i quali l'ani11rn che è vi8snta bene può vedere og-ni
diecimila anni, e che è dato veùe1·e solo in sogno (1):
u affermtt che nei mistel'i eleusini c'erano pure di :,;imiti
rnpprestmtazioni in ùase a nn passo di Galeno (iJ, dove
si esorta il lettore a porgere un' attenzioue maggiore
che se fosi:;e iniziRto nei misteri, e a uno <li Diodoro (3)
dove manca ogni accenno a f'imili scenografie. Ma questo
uon è ancor nnlla: si figuri il lettore che il notissimo
passo del Convivio di Platone, dove Alcilliade paragona
Socrate a 1111 lillro che a chi Io apre ri\'ela all'interno
preziose immagini (4), serve al Tonssaint come testi_
111onia11za di fenomeni ipnotici e subcoscienti!
1 I.
1.
l,a eonoezlone aob-
Ma lasciamo lì questo uuovo romanti-
blettlva ha lnnce
cismo pseudofilologico peg1,?:iore del1'1rn-
l'appoggio di testi-
nionlanze, tico. Occofl'e dunque l'accordo tra H·
cueologia e filologia: se lu. prima escllHle
il dram1trn obl,ietti vo la seconda non può 1dl"ermarlo.
Deve rinunziarci.
(1) TousSA!NT, L'hellenis111e de l' apotre Paul (Parigi 1921) p.
60. Il passo di PLUT. (De def. orac. 22) contiene solo una delle
consuete metaforn tratte dal linguaggio dei misteri dove dice che
il Ronno serve a introdurre alle visioni del mondo supero come
qui le migliori delle iuiziazioui.
(2) ToussA.INT , p. 62. GAL. De usu pal't. VII 4 (III p. 576
Kiihn). Gal. dice: Porgimi maggiore attenzione che Re, iniziato
nei misteri eleusini o samotraci o in altro simile sacro mistero ,
tutto tu fossi volto alle cose fatte o dette dal ierofante.
(3) DIOD. V. 49.
(4) Pu.T. Con~. 216 E.
144 OIIFI8Mo B PAOLINISMO

Ma il drama obbiettivo, questa corpulenta scenogra-


fia a base di statue e di luci , non ha alcuna consi-
stenza storica: esso è una invenzione dei filologi. In-
vece da molte testimonianze finora trascurate, è lecito
dedurre la sublJietti vità del drnma mistioo.
Le testimonianze alle quali ricorriamo sono tarde e
questo farà sogghignare più di un filologo. Ma noi di-
ciamo che l'obbiezione cronologica non ha valore non
solo per quella immobilità mitologica, chc ho illustrato
altrove, propria dell'orfismo, (1), ma anche per la stessa
natura del dmmma soggettivo o illusorio, perchè i pro-
cessi psicologici, sui quali si fon1la, non mutano con
la storia come quelli che sono elementi costi tu ti vi del
nostro io. Non vi è differenza tra la illusione o la vi-
sione di un greco di età t1uda e quella di un greco della
età classica, o magari tra quella di un greco e quella.di nn
cristiano: le condizioni psicologiche sono le medesime.
Altra cosa è ciò che riguarda il oontenuto di questa
visione, il qnale, essendo determinato dalla evoluziollc
stessa della religione, deve variare con la età. Così il
processo allucinatorio di chi vede Dioniso è il m,•.
desimo di chi vede la Madonna, perchè le due visioni
sono il prodotto di condizioni psico-fisiologiche fonda-
mentalmente identiche; ma il contenuto della prima vi-
sione è di tanto diverso dRl contenuto della seconda di
quanto Dioniso è diverso dalla Madonna: per cui le
due visioni, in se stesse equi~alenti, diventano punto
di partenza di due esperienze diverse.
Il contenuto della visione varia dunque col tempo;
varia specialmente col variare del mito. L'estasi mi farà
vedere un inferno diverso a seconda che questo inferno
è quello della mitologia greca o zoroastrica o cristiana.
Ora noi vedemmo già che l'orfismo fu tra le varie re-
ligioni una delle più immobili, che conservò per secoli

(1) Vedi questo volume p. 59.


L 1 Jl!l!IJl:NZA DBL lll!ITJl:BO 1(5

immutato il proprio patrimonio. Dobbiamo per ciò con-


cludere che non solo il processo suggestivo e illusorio
dell'età tarda serve, come tale, a ricostruire il drama
subbiettivo assai anteriore all'età alla quale risale quel
processo, ma che il contenuto mitico di esso, per l'or-
fismo, serve a ricostruire il contenuto di visioni risa-
lenti a età assai anteriore ..
E concludiamo che le testimonianze di Paolo e di altri
scr:ttori tardi possono servire, astraendo dai particolari,
a ricostruire il mistero (1). Osserveremo anzi che l'ob-
biezione cronologica se ha scarsissimo peso per il dram-
ma subbiettivo ne ha invece uno grandissimo per il
dramma obbiettivo. Mentre quello esige, infatti, es-
senzialmente elementi in se stessi costanti, cioè un pro-
cesso psicologico, questo esige invece elementi in se
stessi estremamente variabili, un complesso cioè di ar-
tifici scenici e di meccanismi che naturalmente varia-
vano assai col tempo. La scenografia del tempo di Eschilo,
quando quasi non esisteva, non era certo quella della
Grecia ellenistica o imperiale. Eppure di questa circio-
stanza essenzialissinm la filologia si è mostrata del tutto
dimentica quando ricor,;e all'autorità di Temistio, vis-
suto nella seconda metà del IV secolo, per il mistero
della età classica e magari anche arcaica , senza
riflettere che , se anche simili testimonianze potessero
riferirsi ai misteri e contenere degli indizi intorno
alla loro scenografia, questi indizi a ogni modo si
riferirebbero alla complicata e raffinata arte scenica
dell'età imperiale e del basRo impero e non avrebbero
alcun valore per il mistero classico greco. Sl che noi

(1) Giustissima l'osservazione del GOMPERZ, Penseur, de la Grèoe,


trad. Raymond, I p. 52, che, dopo aver illui;tre.to la tipioa immo-
bilità delle dottrine orfiche, conclude intorno all'uso delle testi-
monianze tarde: • meglio vale concedere all'errore una parte pic-
cole. nel dettaglio che interdirsi volontariamente la conoscenza. in-
tima. del sistema per l'applicazione troppo rigorosa di Ull metodo,.,
V. MAccmoao. - Or/fs,,u, 6 Paolinismo. 10
14.6 ORFI8MO E PAOLINISMO

assistiamo a questo spettacolo cnrioso, di una scienza


che trascura la cronologia là dove essa è il fondamento
stesso del giudizio e accusa altri di averla trascurata
là dove la cronologia resta fuori clel campo del giudizio.
Quanto alle testimonianze tarde concediamo soltanto
che il contenuto mitico e fantastico delle visioni ohe
esse descrivono potesse variare col tempo e non Assere
più in qualche parte quello del mistero classico; ma
noi del resto non le usiamo per ricostruire il conte-
nuto della visione mistica. Le usiamo solo per dimo-
strare che da esso scaturisce la possibilità che il mi-
stero fosse un drama mistico snbbiettivo; diciamo me-
glio, la necessità che esso fosse tale, poichè non pos-
siamo pensare che il mistero fosse in origine un drama
oggettivo, cioè scenografico, quando l'abilità tecnica
non era in grado di crearlo, e poi diventasse subbiet,-
tivo, cioè psicologico, in età tarda, proprio quando la
più evoluta capacità. tecnica sarebbe stata in grado di
crearlo.

2.
Le visioni di cui parl:;i.no tante testi-
elle attutaao viilo•
nl e1tatloll1.
monianze tarde dovevano dunque, a
maggior ragione, avere una parte nel mistero dell' età
classica. Alcune di queste testimonianze sono già a.dotte
in Zagreus e le ripeto qui. Si veda, per esempio, quelln
che il Dieterich chiamò una liturgia mitriaca: a ogni
formula e a ogni rito è descritta la visione che ne
sorge. La spera del sole si apre e si vede un immenso
cerchio e delle porte di fuoco chiuse. Recitata una pre-
ghiera, si sente un tuonò e un fracasso, le porte si aprono
e si vedono all'interno gli dei. Dopo un'altra preghiera
si vede un giovane dio con chioma di fuoco, veste bianca,
mantello scarlatto e oorona di fuoco. A un'altra preghie-
ra ei aprono altre porte e sorgo.no dal profondo sette ver-
gini in veste di bisso, con volti taurini, grembiali di lino
L 1.ESSENZA. DEL 1118TEl\0 147

e diademi d'oro. E dopo questo, tra lampi e tremuoti,


appare un dio con volto splendente, veste bianca, corona.
d'oro, ampie brache; nella destra la spalla aurea di un
vitello. Come si spiegano queste descrizioni 7 L'esempio
più vicino è l'apocalissi gioannea e tutta la lettnatura
affine. Oertamente nessuno vorrà affermare che le visioni
dell'apocalissi sono reali; e lo stesso saremmo tentati di
concludere per questa <<liturgia». Ma vi è una oirco-
stane;a che ce lo vieta: il fatto che è detto esplicita-
mente che queste visioni av,·enivano in stato di esta-
si (1), ciò ohe nell'apucalissi non è detto. Orn gli an-
tichi avevano dell'estasi un concetto troppo realistica-
mente preciso per non dare il massimo peso a questa
affermazione. Crederemo dunque piuttosto che il noc-
ciolo di questa <<liturgia» sia veramente visionario e
che ad esso venissero agg·iunti nella redazione lette-
raria tutti quei particolari che non possono essere il-
lusori.
Visioni somiglianti attesta Proclo per i misteri.<< Nelle
iniziazioni e nei misteri - egli dice (2) - gli dei spesso
ostentano molte forme di se medesimi e si mostrano
mutando molte parvenze. E si proietta da loro una luce
ora informe e ora conformata ad aspetto umano e ora
tramutantesi in altra forma~. E altrove descl'i ve la vi-
sione che sorgerà recitando una certa formula desti·
nata a far sorgere gli dei: « Detta l'invocazione, vedrai
o un fuoco simile a un fanciullo che allargherà il suo
fiotto nell'aria come uno sprazzo, o anche un fuoco in-
forme da cui verrà una voce, o una ricca luce che si
volverè. stridendo sul suolo, o anche verlrai lampeg-
giare un ca.vallo pieno di luce e anche un fanciullo
ardente cavalcante il velocè dorso di un cavallo, sia
tutto coperto d'oro, sia invece nudo, o anche dardeg-

(1) Dll:TBRlCH, Mljthras litvrgie, pp. 6, (6.


(2) Paocn. In Plat. Remp. I pp. 110, 21 Kroll.
1'8 OUJSIIO • PAOLllllllXO

giante, oppure stante sol dorso • (1). Qui , come nel


caso della «liturgia mitriaca,>, possiamo ammettere della
esagerazione, ma non possiamo pensare che Proolo, pro-
fondamente persuaso com'era della verità della sua dot-
trina, voleRse darla a bere. E Psello parla delle visioni
peculiari e svaria.te, e di forme demoniache sorgenti dal
profondo o scendenti dall'alto, che si vedevano nei mi-
steri, opera di magia (2).
Nelle testimonianze antiche troviamo dunque, a sa-
perla cercare, la prova che nei misteri avevano gran
parte l'e8tasi e l'allucinazione. Iamblico, per esempio,
si riferisce evidentemente a. questo stato di coscienza
quando parla delle beate visioni, vedendo le quali
l'anima acquista un'a.ltra vita e pensa di non essere
più umana (3). Proclo , parlando di voci che non
erano udite da tutti ma che alcuni udivano e altri
no (4), accenna evidentemente ai fatti allucinatori che
in alcuni avvenivano e in àltri no. Nè diversamente
credo di dover interpretare quei fanta'lmi svariati e pe-
culiari che gli dei suscitano negli iniziati e che i teurgi
chiamavano visione del dio, di cui parla Psello (5), u-
sando termini che assolutamente escludono la visione
obhietti va.
A integrare queste testimonianze, che mi paiono in
discntiLili, servono le numerose documentazioni intorno
al processo suggestivo che l'iniziazione si proponeva
di esercitare sull'iniziando. Aristotele, affermando che
gli iniziati non dovevano apprendere ma ricevere sen-

(1) PROCL. In Pia,. Bemp, I p. 111 Krol1. = KaoLL, Oroe.


clwdd. p. 57.
(2) PRELL. De daemon. oper. IV (MIGNE, Patr. gr. 122 p. 829.A):
De dtUmon. ' (MIGNE p. 579 A).
(3) IAMBL. De myst. III 14 p. 133 Parthey.
(4) MACCB10R0 1 Zagrewi p. 203, 3.
(5) Pl!El,L. De daem. t1per. IV (MIGN•, PG. 122 P• 829 A).
L'JD88111NZA DIIIL MISTERO

sazioni e predisposizioni (1), e Plutarco dicendoci che


nei misteri non vi era alcuna dimostrazione nè altra
cosa che potesse portare l'iniziando alla persuasione (2),
pongono quasi le basi di una retta interpretazione del
mistero, avvertendoci che i suoi fondamenti erano sub-
biettivi e suggestivi. Lo stesso tliee Dionisio d' A.licar-
nasso in un luogo che è per noi fondamentale. << Quando
leggo qualcuno dei discorsi di Demnstene - egli dice-
mi entusiasmo e sono tutto fuori di me, permutando
l'una dopo l'altra passione, dubitando, agognando, te-
mendo, disprezzando, odiando, ;;cntendo pietà, benevo-
lenza, collera, invidia, tutte le passioni permutando
quante hanno il dominio dell'animo umano. E in nulla
mi sembra differire da coloro che vengono iniziati nei
misteri della Madre o ,lei cori han ti o in quanti a questi
sono simili, che, sia dai profumi o 1lagli strepiti o dallo
spirito di quegli dei commossi, molte svariate visioni
ricevono» (3). Dove è indiscutibile che Dionh,iio ac-
cenna a. visioni subbiettive favorite o prorncate da sen-
sazioni varie auditive o di altro /:!enere.
Dalle testimonianzr- più tarde noi riceYiamo la per-
suasione su questo punto essenzialissimo. Proclo enun-
cia. nettamente la fuuzione sug·g·cstiva dei simboli, di-
cendo che l'arte delle cose sa<'re questo seduce con le
iniziazioni e con i mistici simboli 1 in quello produce
una ineffabile simpatia per !ti sensazioni che ricevo-
no (4): e altrove ci dice anche che i simboli, operando
violentemente sugli iniziandi, li rendeva più acconci e

(1) ARll!T. ap. 8YNES. Dio 47 (Mrmrn P. G. 66 p. 1234 D) =


fr. 16 Ro1e.
(2) PLUT, De de/. orac. 22 p. 422 C.
(3) DION. HAL. De Demosth. p. 22 p. 1022 Useuer.
(4.) PROCL. In Plat. Renip. I p. 78, 22 s. Kroll. Per i simboli
è importante un pl\sso di un papiro magico egizio che dice: iJxa
µot 'tb 1en!lµci "tb chpo1e1dç, xciÀouµavoY auµ~6l.ot1; xcil tlv6µcicnv
dq:,,Hrx'totç A1el 'tTJY Àuxvoµciv't(ci:v 'tClll't'IJY (citato da WBTI&:R, PAoc
(Upaala 1915) p. 8).
150 ORFISMO Il: P.à0LlNI8M0

consoni alla cerimonia iniziatoria (1). E in un altro


punto, anche più chfaramente, ci dice ehe il dromenon
era preceduto da « talune stupefazioni, le une mediante
le cose dette, le altre mediante le co8e mostrate», che
rendevano l'anima proclive al divino (2).
Vi era, dunque un processo di predisposizione sug.
gestiva, che consisteva parte probabilmente in racconti
oppure anche in canti sacrali, parte nella esihizione
di simboli. Ai racconti, che naturalmente dovevano
riferirsi al contenuto stesso dt·l mistero, allude forse
Proclo dove parla della efficacia ehe nel mistero aveva.
il mito. << Che sulla maggioranza - dice Prodo - i miti
abbiano una efficacia mo::-trano i misteri. Poichè que-
sti, usando dei miti allo scopo di 8Chiud1ire la verità
intorno agli dei, che non deve esser det.ta: sono cagione
alle anime di simpatia verso i drami in modo irwono-
scibile per noi e divino; così chi' degli iniziandi gli uni
restano stupefatti e pieni di divini terrori, gli altri
vengono disposti eoni simboli, e, usciti di se\ sono pieni
del dio >> (3). Qni mi pare cl1iaramente adomhrata la.
parte suggestiva che aveva il mito nel mistNo: proba-
bilmente il racconto delle vicende del dio serviva per
preparare l'animo dei mi8ti alla comunione con essu ,
evocando alla loro fantasia quelle vicende che essi mi-
sticamente dovevano riviverf'. Co:-;ì i• gim,to e logico
prepararsi alle. comunione con Cristo mediante la let-
tura della PasHione di lui.
Queste letture , questi racconti dovevano avere un
carattere magfoo. Iamblico ci dice che nei misteri si
usava un complesso di cose adatte agli dei che sta--
vano per venire, quali canzoni e iucantamenti, che op-

(1) PROCL. In Plat. I AZc. p. 142 Creuzer.


(2) PROCL. In Plat. I Alc. p. 61 Creuzer.
(3) PBOCL, In Plat. Remp. Il p. 108,158. Kroll.
L'EBBBNZA DEL MISTERO 151

portunamente preparavano a ricevere la presenza de-


gli dei (1).
Questo e:ra dunque il processo fondamentale del mi·
stero: una graduale preparazione di tipo magico, d1e
avveniva mediante simboli accompagnati da canti e
racconti, e che culminaYa in una visione.
In questa preparazione il processo si incentrava nel
simbolo che aveva per il dio rispettivo lo stesso signi-
ficato che ha per il cristiano la croce. Sappiamo da
Clemente Alessandrino che nei misteri orfici si mostra·
vano gli oggetti mediante i quali Zagreo era stato al-
lt>ttato e ucciso ùai Titani e che erano i veri e pr<,pri
simboli della sua passione (2), e sappiamo anche che
la suprema visione eleusinia, la epoptein, conteneva la
esibizione rli una spiga di grano e forse in qnesta <·si-
bizione si risolveva (3).
Uome dobbiamo noi imaginare questa esibizione rli
simboli!
l~ assnrtlo crcllero che un processo mistico come il
mist,ero eleusinio rlal quale l'uomo, pl'r concorde testi-
monianza degli antichi, usciva rinnovato, pot<>sse cul-
minare nella visione di una spiga, oYe non si consenta
che proprio in questa spiga si incentrava il grado mas-
simo della estasi, il culmine del processo mistico. Ora
tutte le considerazioni intorno al significato mitologico
e cosmologico della spiga (4) sono qui perfettmneute
sterm e insufficienti a spiegare il proeesso, corno sareb-
bero sterili per spiegare lo stirnrnatismo le pi;': acute
divagazioni sul significato della crore. L'esperienza mi-
stica non si fonda sulla razionalità e sull' intellettua-
lismo: esige emozione, scossa, transnmanazione.

(1) IAMBL. De my,t. III 14 p. 133, 165 Parthey.


(2) CLEM. AL. Protr. II 17, I Stil.hlin= Eus. Praep. ev. Il 323
Dindorf= ABEL, Orphica fr. 196. Cfr. AllNOB • .Adv. nat. V 18.
(3) HIPP. Pref. omn. hae1·. V 8.
(4.) V. per es. FOUC.lRT, M!IBtère, p. 435 8,
l52 OBl'I8KO lii l"Al1Ll1"18MO

III.

1.

n ml,tero .,..,.. Il
Il mistero, come io lo penso, è dunque
HO fondamento
una cosa assai lontana da quel tipo di
.ella me a t a 11 t lr,
"p r I m I ti 1' a,, del
greci, drama obbiettivo e concreto che la
scienza imaginò, e doveva invece
molto assomigliare ai misteri dei popoli primitivi e di
taluni popoli orientali, nei quali il centro non stava fuori
ma dentro l'individuo, come ho detto in Zagreus. Mi era
parso naturale che, risultandomi dall'esame delle testi-
monianze essere stato il clrama mistico assai lontano da
quella specie di mistero medievale che la critica aveva
pensato, io dovessi cercarne i termini di paragone tra
quelle forme di arte che appaiono più affini al mistero
così come a me risultava. Il procedimento come tale è
certamente impeccabile e, date le premesse, non poteva
portare ad altra conseguenza. Occorreva dunque negare
le premesse, dimostrare cioè che la concezione sceno-
gratl.ca del mistero era una stortura. A questo nessuno
ha pensato, e mi pare che in generale la mia conce-
zione sia stata accettata. E allora perchè scandolezzarsi
se io, seguendo un metodo comunissimo in scienza, cerco
di illustrare similia cum similibns Y Si accetta che il
mistero fosse subbiettivo ma non si consente che io Io
studi cercando le analogie dove le trovo. Mi paiono per-
ciò incoerenti quei critici che, senza aver negato il ,·a.-
lore della. mia ricostruzione subbiettiva del drama, si
meravigliano delle mie analogie. Lasciamo stare il vec-
chio Gruppe, il quale parte almeno da un principio er-
rato sì ma ohe gli dà la coerenza: che la religione greca
non debba studiarsi con i metodi della storia compa-
rata delle religioni, ma solo in sè stessa. Fermiamod
a due fra i miei critici: il Turchi e il Terzaghi.
Dice il Turchi: non conviene urgere troppo l'analogia.
L'BSSBNZ.A. DBL MISTERO 153

tra le società segrete o di mistero dei popoli primitivi,


di carattere magico, di finalità, contingenti e ùi ambito
ristrettissimo, con le misteriosofie vere e proprie, di ca-
rattere mistico, di finalità oltremondane, e di amhit.n
universalistico >>.
Il Terzaghi nega poi che il miste << fosse in quei
tempi sempre capace di uno stato ùi estasi e .di estra-
niamento della persona, come i selvagg·i di Australia ».
Ecco: a me parn di intuire che tanto il Turchi quanto
il Terzaghi abbiano inconsciamente ceduto a quella spe·
cie di idolatria ùei greci che, come eredità del!' uma-
nesimo, sta al fondo della nostra cultura classica: quella
idolatria che ha creato il mito della serena concezione
ellenica, e ci presenta il popolo greco come un'accolta
di sa'Vi indifferenti alle passioni, assorti nella contem-
plazione delle statue e nella lettura dei poemi. Attri-
buire a questo popolo di semidei il fermento delle su-
perstizioni, gli scoppi delle passioni, le demenze dei
fanatismi, pare un delitto di lesa civiltà, un iufrangere
l'idolo <lella bellezza ellenica etemamente sorridente.
Questa specie di popolo greco però non è mai 1 ;.
stita. I greci per fortuna erano assai più fantastici e
mistici di quel che generalmente si pensa. Le testimo-
nianze che ho raccolto in Zagreus (1) intorno alle epi-
deniie religiose greche ci dànno un'idea di quanto << me-
dioevo >> fosse impregnata la società greca. Le Baccanti
di Euripide sono un monumento meraviglioso di questa
mentalità primitiva, senza la quale non avremmo il
mito platonico. E se volessimo penetrare un poco più
addentro nella coscienza religiosa dei greci ci trove-
remmo tali e tanti clementi primitivi da restarne me-
ravigliati. Basti ricordare la concezione realistica del
sogno e l'idea che in esso l'anima esca dal corpo, l'uso
dei presagi e della divinazione, e via dicendo (2).

(1) p. 223-4.
(2) V. LBVY - BnliHI. 1 La ment. primit. (Parigi 1922) ca.p. III.
15( ORFISMO R PAOLINil'IMO

Ma forse io mi inganno in questa analisi del pen-


siero dei miei critici. Certo è a ogni modo che il Turchi
non è nel vero quando oppone al magismo contingente
delle società primitive l'universalismo mistico delle mi-
steriosofie. Prima di tutto, che l'orfismo fosse una re-
ligione magica perfettam1•ntc paragonabile a quelle dei
popoli primitivi dal pnnto di vista magico, non è dub-
bio, 110n tanto perchè il 111 ito di Zagrco lrn tutti i ca-
ratteri di una religione primitiva (1) 1 quauto perchè il
mistero, in qnanto è sacramento, ha i caratteri della reli-
gione primitiva (2). A g-uar<lar bene, il sacramentalismo
e il uiagismo, sono come tali termini equivalenti, e l'uno
e l'altro sone peculiari delle religioni primitive. Non
vi i, relig-ione primitiva senza magia e non vi è reli-
gione primitiva senza sacramento; tanto è vero che la
evoluzione religiosa consta spesso proprio nel supera-
mento del sacramcntalismo. Basti accennare alla in-
terpn,t:izionl' cattolica reale della eucaristia e a quella
simholic" protestante. Per i suoi caratteri, come per
il tl·mpo, la società in cui si sviluppi, l'orlh,mo si pnì>
du111Jll!l benissimo porre a confronto con la società delle
così dette religioni primitive.

2.

cioè nel momnto


mitico ed eatatlco
Naturalmente con le necessarie cautele,
e prima di tutto, confrontando termini
equivalenti, concentrando cioè il confronto a quel punto
per il quale esso può aver valore. Ora, se io aveRsi voluto

(sulla concezione reale dei sogni, spec. p. 97 s.) sulla fuoruscita


dell'anima; cap. IV-V sulla divinazione, spec. p. 203 s. 11nll'exti-
1picium ep. 210 s. salle 11orti con gli astragali.
(1) V. su ciò Zagreus p. 156.
(2) Per gli elementi primitivi nei misteri v. WETTER. I'hos
p. 35 e WEBSTER, Società segrete prim. trad. it. Bologna 1922 p.
62, la letteratura sull'argomento a p. 271 n. 117.
L 7 E881CNl!;A Dl':L MIS1'ERO 155

fondare i miei confronti, tanto per dire, sul contenuto


etico del mistero, allora sl che avrei errato. Ma. il fon-
damento del mio confronto è il momento mistico, un atto
dello spirito che è per se stesso primitivo. Il momento
lirico o mistico è, quale possa essere l'individuo, sempre
in un certo senso un ritorno t,emporaneo o istantaneo alla
mentalità primitiva, e cioè un risa.lire dalla razionalità
alla intuizione, dall'intellettualismo al misticismo. Noi
possiamo avvertire in noi tanto più evidenti e frequenti
e violenti questi ritorni quanto più la nostra menta-
lità è disposta al lirismo e al mistici8mo: e chi ha
esperienza di simili cose sa che tra taluni momentnnei
nostri stati di coscienza e quel che possiamo indovi-
nare della coscienza dei primitivi vi è assai più con-
cordimza di quanto non si crede. Il primitivo non è
morto in noi, ma dorme e talora si sveglia.
Con questi ritorni collettiYi alla coscienza primiti-va
si i,;piegano taluni movimenti mistici cbe si rinnovano
in età e in ambiente di civiltà indubbimnente progre-
dita, fatti che normalmente avvPngono solo presso i
<, selvap;gi )). Io ho citato come esempio l'epidemia dei
Trembleurs de1,1 Cevennel'ì del sec. XVII (1), ma avrei
potuto citare esempi assai più vicini a noi, come i mo-
vimfmti revivalisti battisti del Kentucky e del Ten-
ness~e e lii altri stati dell'Unione, nei primi decenni
del sec. XIX (2). Forse che i hattisti americani erano
verso il 1800 in uno stato di civiltà J)rimitiva
Pel'chè dunque, trattandosi di un momento che non
è particolare di un determinato popolo o di una de-
terminata età, essendo proprio dello spirito umano,
non dovremmo studiarlo là dove esso appare più chiaro
ed evidente, Del resto io non ho paragonato i greci
con i selvaggi cosl, puramente e semplicemente, oome

(1) Zagreus p. 222.


(2) MooNEY 1 The ghost-danoe religion in Bwr,au of ethAOlogy, report
U p. 542, 947.
1.56 OUJ8MO :li PAOLl.l!USKO

dice il Terzaghi, perchè, infine, i miei confronti, pur


comprendendo anche i primitivi, si fondano special-
mente sui drami sacramentali di due popoli che, sieno
o no per questo punto paragonabili ai greci, sono tut-
t'altro che primitivi: dico i giapponesi e i persiani (1),
Che dunque T Metteremo i persiani e i gia1}ponesi io
un fascio con i sel va.ggi d'Australia 7
Il Turchi mi fa una obbiezione npparentemente for-
te: parla di misteriosofl.e, di universalismo, e simili
cose. Ma le sono cose imagioarie: l'idea della << miste-
riosofìa >> - come oggi si intende - era lontanissima
dal mistero greco, che era non una dottrina ina un
fatto, e appunto perchè fatto necessariamente esclusi-
vista: il mistero era una esperienza che non si poteva
sostituire in nessun modo, meno che mai col ragione.-
mento. Occorreva esserci passato. Il dogma orfi.oo ed
orfico-eleusinio su questo punto era chiarissimo (2); al-
meno tanto chiaro quanto il dogma cattolico per il bat-
tesimo.
L' orfismo fn sempre, come tutte le religioni miste-
riche, essenzialmente religione di esperienza e non di
conoscenze.. Ora io non so se esagero, ma confesso che
in un episodio di revival indiano raccontato dal Mooney
vedo un complesso di fatti che mi fa capire la origine
del mistero greco.
Si tratta della istituzione di una religione a base
di danza estatica (the ghost-dance religfon), che nella
seconda metà del secolo XIX si diffuse largamente
tra molte tribù indiane. Nel 1830 si teneva presso
alcune tribù una grande riunione di danza alla quale
p:utecipavano tremila persone, e le danze duravano
già da circa due settimane. Sitting Bull, un misto
di visionario e di stregone cho dirigeva le cerimonie,
annunziò che alla prossima danza avrebbe fatto un

(1) Zagreu, p. 227.


(2) V. su queato Zogreu, p. 2s, s.
157

grande miracolo alla vista. di tutti, mettendo gli astanti


in condizione di comporre essi pure dei canti. Egli
comparve nel mezzo della danza, e, quando questa
ebbe raggiunto il colmo della eccitazione, fece con una
penna di aquila <'he portava al berretto alcuni passaggi
ipnotici a un giovane, che cadde al suolo senza co-
scienza. Lo stesso fece ad altri, tinchè circa cento per·
:sone giacquero in estasi, e Sitting Bull annunciò che
esse avrebbero avuto visioui felici del mondo degli spi-
riti. Quando furono tornati :n sè, costoro raccontarono
infatti che nell'altro mondo avevauo visto e parlato con
gli amici morti e si erano trattenuti con loro come nella
vita. Alcuni di essi narrarono queste visioni in canti,
e da allora la nuova danza estatica, detta « la danza
degli spiriti », si diffuse rapidamente presso altre tribù.
Ogni nuova danza produceva nuove visioni e nuovi
canti, e ogni tanto sorgevano altri ipnotizzatori, finchè
qnasi ogni accampamento ebbe il imo. Seguendo il con-
siglio di Sitting Bull, si mutò metodo, e invece di te-
nere a intervalli irregolari delle frequenti piccole danze
per ogni accampamento, se ne teunero di più grandi
con partecipazione di parecchi accampamenti, a inter-
valli regolari di sei settimane. Le danze erano circo-
lari e durante il ballo si intonavano canti descriventi
il mondo degli spiriti veduto nelle estasi precedenti.
Molti dei partecipanti cadevano in estasi e avevano
visioni oltremondane che cercavano di riprodurre: ve-
devano gli amici morti, salivano al cielo, udivano
mesKaggi oltremondani. Un europeo, Pani Boyton, che
aveva avuto da poco un fratello morto, volle ten-
tare l'esperimento; si fece ipnotizzare durante la danza
da Sitting Bull e vide realmente il fratello morto. La
dottl'ina della nuova danza passò ad altre tribù, ma
la tribù dov'era cominciato il movimento conservò un
certo predominio. I direttori delle danze vennero no-
minati con una solenne cerimonia, in cui si invocava
la presenza di Bitting Bull, il Messia, e si consegnava
158 0Rll'l9110 B P.I.OLll!USMO

loro la penna che era lo strumento traòizionale che


produceva l'estasi. Primi a « ricevere la penna » fu-
rono i discepoli immediati di Sitting Bull, che, a lor
volta, 11ominarono altri discepoli. Una parte importan-
tissima l'bbero i canti che si trasmettevano e si inse-
gnavano prima della danza in una riunione religiosa a
coloro che dovevano poi cantarli (1).
Consideriamo con attenzione questo complesso di
fatti.
Noi abbiamo qui una religione a base estatica ed
escatologica, la cni essenza consiste in ciò: che gli ini-
ziati vivono in visione la vita oltremondana. Queste
visioni scmo collettive nel senso che avvengono con-
temporaneamente e hanno un generico contenuto co-
mune, ma in(lividuali nel senso che i particolari sono
determinati da Ile conilizioni di vita dell'indi vidno. Tutti
vedono cioè l'oltretomba più o meno secondo le cre-
denze gl'nerali in voga, ma ciascuno ci trova i suoi
amici e le sue consuetudini.
La tradizione di queste cerimonie si perpetue. dopo
il fondatore, di discepolo in discepolo, attraverso una
catena <'li penione che ricevono il potere e il segreto
di produrre l'estasi nei partecipanti; la materia delle
visioni si com1erva e si propaga a mezzo di canti che
costituiscono una vera e propria letteratura estatica e
visionaria.
Ora confrontiamo tutto ciò coi misteri. Anche qui
il contenuto è escatologico, anche qui abbiamo delle di-
nastie di ierofanti, come gli Eumolpidi e i Licomidi (2),
che si tra11metto110 la dottrina e il segreto del mistero;
anche qui abbiamo dei canti che, istituiti dal fondatore

(1) MoONEY o. c. pp. 898 - 9, 902 R. 909, 921 a. V. a.nohe 8U


queBti canti WEBSTER 1 Soo. aegrtte p1·i111. (Tr. it. Bologna 1922)
pp. 249, 265.
(2) P.A.Utl. IX 27, 7: Iltiµq,11>\:i u ln71 Xlll 'OpcplÙ\:i AnoC71aor.v ....
tvs •nl ,ot, 1'pwµivoL, àuxoµf)1'Cl1 Klll ,&D,ll ~1'11>aLv.
L 1 EBB11lNZA. DKL MISTERO 159

dei misteri, vengouo poi insegnati dagli iel'ofanti e can-


tati durante la cerimonia.
Noi non sappiamo che oosa contenessero questi canti;
ma sappiamo da un lato che tra i libri sacri orfici vi
era una « Discesa all'Ade>> attribuita ad Orfeo, che era,
come dice il titolo, una descrizione dell'oltretomba, della
quale forse un riflesso è lecito trovare nelle descrizioni
oltremondane delle laminette orfiche; sappiamo dall'al-
tro che nei misteri la parte escatologioR aveva una
grande importanza e formava il oentro della dottrina.
Una sola oonclusione si impone: che questi canti, affi-
dati alla stirpe sacerdotale dei Licomidi, ave$sero appun-
to un contenuto escatologico, raccogliessero cioè le tradi-
zioni sorte dalle visioni dei llrimissi mi iniziati, formando
-cosl una letteratura canonica, la quale, regolava e sug-
geriva le visioni stesse.
Così, al mio parere, possiamo imaginare l'origine del
mistero nei tempi in cui e!5so si formò nella coscienza
mistica popolare.

3.
ehe appare a • eh•Tutto questo mi sarebbe forse stato con-
• e li a Yalatulo..
platonaa 411 mito.cesso se non a vessi osato toccar Pia -
tone , scrivendo le parole seguenti :
« è indiscutibile che il popolo greco non superò mai
completamente i confini della mentalità razionale vera
e propria. Nella filosofia greca bisogna scendere fino
agli stoici per trovare la distinzione, ovvia per noi,
di rappresentazione snbbiettiva e obbiettiva: e l'oso
che fa Platone del mito escatologico mostra chiara-
mente che questa distinzione per lui non esiste, e ohe
il mito per il ftlosofo ha tutlla la forza probativa della
realtà obbiettiva ~ (1).

(1) Zag,·eM p. 165.


160 ORJ'ISMO IC P~OLIJIIISMO

L'iòea che in Platone mancasse la distinzione tra


rappresentazione obbiettiva e snbbiettiva Giovanni
Gentile rimase incerto se accettarla o no, ma il Bonucci
ne rimase scandalizzato, e mi invitò a riesaminare le
« posizioni principali del pensiero greco », concludenrlo
che se Platone avesse pensato quel che io gli fò pen-
sare sarebbe stato uno scemo. Garbato modo di impo-
stare e riso! vere le discussioni scientifiche ! Ma il Bo-
nucci l!li dà la zappa sui piedi quando afferma che Pla-
tone « rlel mito ebbe una concezione di adombramento
della realtà che non può dirsi inaccettabile nemmeno
dalle coscienze odierne >>. Dire che il mito è fantasia
e poi sostenere che esso è adombramento della realtà
è, se ben capisco, confondere noi stessi la rappresen-
tazione subbiettiva con la obbiettiva. Il Bonucci mo-
stra insomma di avére lui stesso quel pensiero che Pla-
tone non potè avere se non a .patto di diventar scemo !
Il Bonucci deve dunque scegliere delle due l'una; o il
mito è fantasia mera, senza riferimento alcuno nè me-
diato nè immediato con la realtà obbiettiva, e allora
la rappresentazione subbi etti va resta nettamente divisa
dalla rappresentazione obbiettiva; oppure tra fantasia
e realtà vi è identità, armonia, adombramento, e allora
tra le due specie di rappresentazione vi è una zona,
a dir così, di coincidenza.
Ma il Bonucci mi ha invitato a riesaminare le posi-
zioni principali del pensiero greco. Riesaminiamole in-
l!lieme per ciò che riguarda Platone.
Dal punto di vista ontologico Platone non è un idea-
lista, ma un realista. Anzi egli va più in là del rea-
lismo, perchè questo ammette che al mondo interiore
delle idee risponda un mondo esteriore degli enti men-
tre Platone allo steBBO mondo delle idee conferisce la
concretezza del mondo degli enti; anzi ne fa un mondo
di enti.
Si sa che per Platone le idee sono enti reali, sono
forme dell'essere, in sè e per sè esistenti , non forme
L'J:88Uli DBL M18T.SB0 161

del pensiero, non prodotto di un pl'Ocesso logico, come


per noi (1).
Vi è on mondo sensibile, reaJe, delle cose e on mondo
soprasensibile, altrettanto reale, delle idee. L'esistenza
delle oose dipende da un rapporto di somiglianza non
ideale ma reale tra le cose e le idee. Le cose esistono
in quanto partecipano realmente delle relative idee,
così come uno respira partecipando dell'aria. Dunque
il rapporto tra individui e idee non è come per noi un
rapporto tra l'io pensante e la cosa pem1ata, ma tra
tmte ed ente: rapporto cioè di partecipazione o di imi-
tazione. Il mondo per Platone non è nè un mondo di
oose e di idee, e nemmeno un mondo di sole idee; è on
mondo che deriva dal concepire come oggetti gli atti
del nostro spirito. Per Platone idee nel senso nostro
nen ci sono; ci sono solo oggetti.
Il sistema di Platone non è nè l'idealismo nè il rea-
lismo, ma è la trascrizione realistica dell' idealismo
subbiettivo; un realismo soggettivo assoluto, un sistema
in cui i rapporti logici t.ra idee sono ridotti a rapporti
ontologici tra cose; i rapporti subbiettivi ideali diven,
tano rapporti obbiettivi reali; in cui, in:somma, come
io dico, la rappresentazione subbiettiva si identifica
con la rappresentazione obbiettiva. Ora, con buona paco
dei miei critici, questo sistema ha molto del « primi-
tivo», e poggia precisamente sulla incapacità di discer-
nere la rappresentazione obbiettiva dalla subbiettiva,
dando alla seconda il valore della prima.
So bene che certi confronti sono arrischiati ; tutta·

{l) Nel paseo Rep. X 596 B intorno al quesito 88 esistono


le idee dei generi artificiali Pl. afferma. che Dio ha fatto u11 solo
letto, cioil il '17111"0 letto, e non già qneato o qnel letto, oiò che a-
vrebbe fatto di lni un fabbricante di letti. Ciò esclude che PI.
pa.rl118se simbolicamente e mostra come questo letto ideale, opera
di Dio, esisteva secondo Pl. non meno dei letti comuni (Fouu-
ù:B, La. plil. tle Pla,t,o• (Paria 1912) I P• 1°'.
V. lil4caPoao. - O,,µao • P ~ . u
102 ORFISMO E PAOLINISMO

via mi pare significativo il fatto ohe tra. gli indiani.


lit1ll' America vi è una concezione che riproduce per-
fetta.monte quella di Platone; essi pensao.o cioè che di
tutte le costi ci sht l'archetipo, dii.I quale ogni specie
trae la vita (1). Forse per questa ragione manca in
Plato11e, como già lamentava Aristotele, una vera e
propria dimostrazione delle idee; concependole come
oggetti concreti in sè e per sè esistenti , egli incon-
sci a mente assumeva verso di esse la posizione che noi
abbiamo verso la natura, che non si dimostra. Per uscire
da questa. posizione e raggiungere la posizione moderna,
Platone avrebbe dovuto, a cos} dire, « accorgersi >> che
le idee sono forme del pensiero, uscire da questo equi~
voeo per cui la fantastia si obbiettivizza e dall'asso-
1uta subbiettività esce la assoluta obbiettività. Ma
Platone il problema della origiM logica, anzi della na.-
tura logica, delle idee non se lo pose mai perchè non
si avvedeva di questo suo aprioristico realisu10 assoluto.
Ora il Bonucci comprenderà meglio quel che è stato
sempre il tormento della critica platonica: la funzione
del mito. Per la posizione platonica il mito, come qua-
lunque altro pensamento, non può essere altro che real!'.
Già il dualismo ontologico di anima e corpo, che è il
fondamento del pensiero greco, non è altro che un
esempio di questa posizione. La funzione conosciti va,
secondo Platone, è un atto materiale che sorge dalla
stessa reciproca posizione di due mondi egualmente
reali: delle cose e delle idee. Si tratta di uscir dall'uno
per a11dar nell'altro: l'anima esce dal corpo che la
rinchiude per giungere a contatto con il vero, cioè con
le idee. Il processo logico è qui concepito come fatto
ontologico; il mito, insomma, è pensato come realtà
cosi come faremmo noi se facessimo comiistere l'atto
del pensare all'America in una fuoruscita dell'anima

(1) ALEXANDER in HASTING8, Enu. of. rel. III 744.


l.'B8SBNU. DEL HI8TUO 1a3

dal oorpo per recarsi in America, cosl come davvero


pensavano i greci che avvenisse durante il sonno, il
quale per essi era, al pari della morte, un reale di-
stacco dell'anima dal corpo (1). Cioè la fantasia è pen-
,ata, e non posta, come farebbe un idealista assoluto,
come fatto. Ed. ecco percllè i greci, e specialmente gli
orfici e i platonici, consideravano l'estasi come l'uscita
reale dell'anima dal corpo (2), come un atto oonosci,
tivo (3), e ponevano la perfetta conoscenza nella morte,
cioè nel di~tacoo totale dell'anima (4), ritenendo l' e-
stasi e la morte come condizione per la riunione del-
1' anima. ali' elemento dionisiaco (5). Il mito del corpo,
in cui l'anima è racchiusa come io una tomba e da cui
deve liberarsi, era per essi non già simbolo o allego-
ria, come per noi, ma fatto.
Si veda infatti la posizione di Platone di fronte al
mito escatologico. Con quali parole introduce Socrate
l'esposizione del mito del Gorgia, << Il morire in se stesso
nessuno teme, ma il commettere ingiustizia teme; per-
chè il giungere ali' Ade, l'anima gravata di molte in-
giustizie, è di tutti i mali l'estremo. E se vuoi, ohe
questa cosa così è ti voglio fare un discorso ..... Ascolta
dunque un bellissimo discorso che tu giudiolieresti mito,
come penso, ma io discorso; giaccbè come vere io ti
dirò le cose che sto per dire » (6).
Platone dà dunque al mythos, realtà subbiettiva, il
valore del logoR, realtà obbiettiva. Egualmente nel
Fedl)ne, Socrate inizia la esposizione del suo mito co-
smologico concedendo che possa essere un mito. << Chè
se anche convien dirlo un mito, merita udire quali si

(1) V. DIELS, Philodemos iibBr die Giitter in Abh. Ak. Wi11. B,rlin
1916 (1917) Phil.-hist. KI. p. 41s.
(2) MACCHIORO, Zag,·eus p. 165.
(3) MACCHIORO, E,oaclito p. 126 n. 1.
(4) MACCHIORO, Eraclito p. 126 n. s.
(5) MACCHIORO, ZagreuB p. 169,
(6) PLAT Gorg. 522 E - 623 A. Cfr. anche 624 B, 626 B.
16' ORFISMO :& PA0LI1U8110

trovano a esse.re le cose sulla terra sotto il cielo>> (1).


Però, narrato il mito, ecco che esso acquista per lui
il v11lore di un diaoorso: « per cagione invero delle cose
che abbiamo discorso conviene, o Simmia, far di tutto
a ciò che virtù e saviezza nella vita possediamo; poichè
bello è il premio e la speranza grande. L'affermare che
queste cose stanno cosl come io ho dieoorso non con-
viene a uomo che abbia intelletto: che però o questa
o cotale cosa sia delle anime nostre e delle dimoret
se pur ci appare che l'anima sia immortale, questo mi
pare e conYeniente e degno che si rischi di credere
ohe così è >> (2).
Ancora un esempio. Si badi come nel Menone è in-
trodotta la nota teoria gnoseologica della reminiscenza.
Socrate dice di ignorare che cosa sia la virtù; Menone
allora afferma la impossibilità di trovare ciò che si ignora
perchè, anche trovandola, non si può riconoscere se non
ciò che già si conosce, e Socrate completa l'argomenta-
zione di lni concludendo che, se così fosse davvero, l'uo-
mo non si metterebbe a cercare nè ciò che sa, perchè
già lo sa., nè ciò che non sa perchè non sa quel che cerca.
Ma per Socrnte questa difficoltà non esiste. E perchè f
Non già per ragioni logiche, ma perchè l'insegnamento
di taluni sacerdoti e sacerdotesse dice ohe l' anima è
immortale e. soggetta a palingenesi periodiche. D'onde
si conclude che la conoscenza è possibile come ricordo
delle cose conosciute nelle vite precedenti (3).
Di nuovo il mito assume inconsapevolmente la fun-
zione del discorso, e. cioè la fantasia si confonde con
la logica, rer cui, come dice benissimo lo Stewart, il
mito i;i pone come un momento del processo logico (4.).
Con ohe non si dice punto che Platone pigliasse

(1) PLAT, Phaed. 110 B.


(2) Ivi p. 110 D.
(3) PL..t.T. Mefl. 80 A se.
(.&) STBW.t.RT, The mythe, o/ Plato (London 1905) p, 2.
L(JCSSBNZA DEL JIUSTBBO 166

lucciole per lanterne, ma si illustra quella peouliar-e


forma mentis di Platone, che è poi quella degli anti-
chi, continuamente oscillante tra reale e ideale , tra
l'obbiettivo e il sobbiettivo, senza mai raggiungere
una distinzione netta tra le due posizioni. In questa
mentalità noi troveremo facilmente i fondamenti del
mistero in quel che in esso vi era direi quasi di equi-
voco, di indefinito, in quella sua cosl pl'ofonda e sen-
tita oggettivazione del processo subbiettivo per cui un
fatto meramente interiore diveniva un vel'o e proprio
avvenimento della vita, al punto che Al'istotele potè
affermare che gli iniziati credevano alla· realtà delle
visioni (1); affermazione questa che basta da sola a ro-
vesciare tutte le scenografie dei filologi.

4.

So questi fondamenti mistici e fanta-


e eo1tltal1ee n pro-
eeHo comane a tutte
stici possiamo imaginare il mistero come
le relazioni mt,te-
rtche. un processo att!'avers 0 il quale, per gradi,
!'iniziando veniva condotto so per la
scala estatica fino al grado supremo, alla visione, alla
evopteia. Allora, tra cantilene e voci e preghiel'e, quando
l'anima era giunta al parossismo, il sacerdote alzava
sulla folla il simbolo del dio, e tutte le passioni e i
tenori che la avevano agitata trovavano finalmente il
loro centro e il loro sfogo: e il dio compariva.
C'era chi lo vedeva, gli altl'i credevano alla sua pre-
senza e perciò ne sentivano il brivido. Per compren-
dere questo occorre saper vedel'e questa folla fanatica,
esaltata da giorni interi di digiuni incantamenti terrori
speranze, imbevuta di 1irofonde persuasioni sacramen-
tali, pronta a creder tntto e a veder tutto; quella folla
che tremava di terrore davanti alle Eumenidi di Eschilo

(1) ABIST. Ilapl µ.v'ljµ.7j\; p. 451 A b.


166 ORl'I8MO B PAOLJNI8110

e alle Baccanti di Euripide; imaginarla, dico, nel mo-


mento in coi finalmente il ierofante, alzando il simbolo,
scatenava la suprema tempesta nella sua anima; e al-
lora sentiremo il mistero e capiremo come da esso si
dovesse oscire rinnovati.
In un certo senso si potrà obiettarmi che questo mi-
stero manca di precisione storica perchè non si sa s'è
orfico o eleusinio o frigio; e io non soltanto accetto
l'obiezione senza punto trincerarmi dietro la comoda
difesa delle interferenze trn la religione orfica e quella
eleusinia (1), ma anzi affermo che in questa indeter-
minatezza sta proprio il pregio della mia teoria, percbè
eRsa dimostra che, imperando le particolari differenzia-
zioni storiche che distinguono le varie religioni miste-
riche, sono arrivato all'elemento comune a tutte, cio&
alla loro essenza: il processo mistico, la comnnione.
Il Rostagni, con la solita acutezza, osserva che io
ho voluto << penetrare nel fatto centrale dell'orfismo >> ;
orn questo fatto centrale, cioè l'esperienza mistica ,
non è punto specifica dell'orfismo, ma è propria di tutte
le religioni mistiche antiche e moderne. La comunione
è, in fondo, la stessa nell'orfismo, nel cristianesimo, nel
sufismo. Il linguaggio dei mistici è lo Rtesso in oriente
e in occidente; un identico slancio è quel lo che con-
giunge l'uomo a Dio. Il Rostagni nota che io ho del-
l'orfismo una concezione un poco illimitata in cui com-
prendo Quasi tutte le manifestazioni del misticismo,
sieno queste pitagoriche o de16che o eleusinie o frigie,
senza cnrarmi dei contini ehe la ricerca storica può
porre tra loro. No, gli è questo un equivoco. Io con-
sidero e uso con indifferenza tutte le manifestazioni mi-
stiche antiche e moderne, che servono a illustrare il

(1) Secondo la tradizione Orfeo istitnl il culto di Demetra Chto-


nia a Sparta (P.a.us. III 14, 5) e l' aTrebbe introdotto ad Atene
(PI.UT. fr. 133, VII p. 166 Bernardakis).
I/ESSBNZA DEL llil1STBRO 167

processo orfico, non già perchè le creda assorbite dal-


F orfismo, ma perohè hanno oon l'orfismo un comune
processo mistico; quello che ho cercato di ricostruire.

IV.

1.

Le p I t tu re Item
Ora si chiede: fino a che punto è le-
1enoao a rlcoetrul•
re Il mistero, cito ferma.rsi sulle pitture Item per
ricost,ruire il mistero Y
Vi è chi, come il Pickard e il Grnppe e il Bonncci,
nega addirittura ogni connessione tra la pittura e l'or-
fismo e per costoro parofo non ci a.ppulcro, perchè se
non sono ancora convinti che le pitture Item sono or-
tiche, io non so con quali mezzi convincerli e non mi
resta che invocar su loro la, grazia della conversione.
ìHa tanto per aiutarla, voglio tentare di chiarire quello
che, secondo me, è l'origine di questo scetticismo. La
rivela, se non erro , il Bonucci quando nega la con-
nessione tra le pitture e il niito di Zagreo perchè la
persona di Zagreo non vi compare. È facile spiegarsi
infatti come un osservatore superficiale, udendo che
t.ntta la vasta composizione si Hggira intorno al mito
di Zagreo, esiga che Zagreo stesso vi compaia. Ma que-
sta esigenza poggia su un equivoco assai grave: sullo
scambio cioè tra mito e rito. Qni noi abbiamo non il
mito di Zagreo ma il rito di Zagrco; non si rappresenta
cioè una vicenda del dio ma una vicenda delFuomo che
lo adora; non nn episodio divino, ma una serie di epi-
sodi umani che nel dio si incentrano. Ora è assurdo
pretendere che la persona del dio si intrecci e si im-
mischi in una serie di azioni rituali che riguardano lui
medesimo. E come potrebbe avvenire ciò, II dio potrà.
assistere a un sacrificio com pi u to in suo onore, ma
via!, il Bonucci è troppo esigente quando pretende che
il dio stesso vada ad ammazzare la vittima o magari
168 OB1'18110 B PAOLINISMO

ad accendere il fuoco. Un poco di riguardo ci vuole


anche con gli dei pagani! Gli è, insomma, il caso della
messa; essa commemora e ripete simbolicamente il sa-
crificio di Uristo. che è i magi nato presente in ispirito;
ma non vorrete pretendere che il Salvatore scenda dal
cielo a servirla. Ora, se imaginiamo una serie di quadri
esibenti i vari episodi della messa, noi potremo tutto
al più pretendere che Cristo sia rappresentato in atto
di assistere alla cerimonia, come per tisempio la Trinità
assiste alla Disputa del sacramento di Raffaello, pro-
prio come Dioniso assiste alla sua liturgia; ma non
potremo chiedere che la persona stessa di Cristo com-
paia nei vari episodi, vicino al prete o al sagrestano
o magari tra i canonici troneg·gianti negli stalli. E forse
la assenza di Cristo ci farà concludere che la messa
non lo riguarda T Ed ecco p('rchè è assurdo cercare la
persona di Zagreo nella liturgia pompeiana.

2.
perehil conte118'0110
Ora in quale tra i vari riti che la com-
riti ehe 11 eonaet-
pongono Zagreo è, a dir così, più pre-
tono al mito di Za-
8TeG sente 7 Quale, rettamente interpretato,
ci rivela il dio invisibile! Gli è quello
che io chiamo l'annunciazione, cioè la catoptromanteia.
Negare che quella sia una cerimonia di rii vi nazione con
lo specchio curvo è impossibile, dopo la mia dimostra-
zione che si fonda sulla irrdragabile testimonianza di
Plinio intorno all'uso rituale degli specchi a forma di
poculum, cioè identici a quello che vediamo in mano
al Sileno (1). Negare la connessione ùello s1wccl1io
col rito e col mito di Zag-reo è anche i111possihile,
date le testimonianze di 'Jlemente, di Nonno, di Ari-

(li PLIN, N. h. XXXIII 129. V. Zag1·e1u p. 97.


L 1EBS.BNZA DEI, MISTICRO 169

gnote e di Proclo (1) e la concordanza col rilievo


di Milano nel quale Dioniso stesso sta guardandosi
nello specchio (2). Altrettanto impossibile è negare
che solo mediante uno specchio curvo si poteva ri-
petere nel rito ciò che narrava il mito, ripetendo,
come afferma Firmico Materno, tutto ciò che aveva
fatto e sofferto Dioniso (::S), simnlando cioè quella de-
formazione ùel volto nell'atto del guardarsi nello spec-
chio che distolse l'attenzione di Zagreo e permise ai
Titani di ucciderlo (4). Questo è in fondo il nocciolo
del quesito. Il segreto sta tutto in quello specchio curvo,
por gli orfici come per noi. Se voi lo sopprimete, to-
gliete la possibilità di attuare fautasticamente e misti-
camente la comunione con ZagTeo ri petentlo i suoi gp-
sti. Prendete uno specchio piano; avrete un bel guar-
darvi! Non ci troverete mai il vostro << contraffatto a-
spetto», come dice Nonno. Ecco perchè la signora Van
Buren piglia un grosso abbaglio quando, confondendo
la catotl'Omanzia con la lecanomanzia, dice che l'ef-
fetto sarebbe in ogni caso lo stesso. No, esso sarebbe
tanto diverso - perchè la lecanom:inzia equivale a uno
specchio piano - che lo scopo stesso del mistero, cioè
la ripetizione del mito, sarebbe impossibile.
Per la stessa ragione il Pickard mostra di non aver
capito nulla, quando dice che io spiego la scena col

(1) Cui.vi. A1.. Prot,·. II 17.2 St:ihlin = Eus. Praep. ev. II


323, 24 lli111lorf=AIIEL, Orphica fr. HJ6; NCNN. Dion. VI 169 s j
HAHPOCII. do>: CICX~Ol Jli,kker (Tm:sr, Die Fragn1. d. KultUBMchriftat.
(Religion~_~esch. Yers11!'he XV 1) p. 129; P1cocr.. In Plut. Ti111. III
163 F.= .\BEL p. 19;;, ~ul paHso di Clemt>nte V. la discussione
in Zag1·e11s p. lOii H.
(2) RE!NACH, Rep. deB rei. III p. 59, 4-4 = Zagreus fig, 3 cfr.
p. 110 s.
(3) FIRM. MAT. Dc en·. prof. rel. 5 Ziegler: omnia per or-
dinem facicntes (i cretesi) qnae pner moriens aut fecit ant pa.s-
sus est.
(4) NONN. Dion. VI 168 s. Ki.ichly.
170 ORl!ISMC :S PAOLINISMO

Sileno come ana lecanomanzia e poi conclude che non


vi è traccia di orfismo in queste pitture . .Agli orbi DOD
approda il sole!
È curioso come il Bonucci , pur aC\cettando con in-
solite lodi la mia interpretazione catottromantica, neghi
poi la connessione della liturgia con Zagreo. Veramente
egli abbozza un ragionamento, dice cioè che gli pare
sforzato << il collegamento al particolare di Nonno che
Zagreo fossfl ucciso mentre guardava nello specchio la
propria fif,ura contraffatta, mentre è cosi facile ricor-
dare che i Titani ne avevano già prima impiastricciato
il volto di gesso>>. Su questa quistione che è un pro-
blema di passaggio dal mito al rito voglio soffermarmi.
Nonno narra che« i Titani, avendo spalmato di astuto
gesso l' ingannevole cerchio del volto di lui... con la
spada tartarea lo uccisero, mentre curiosamente guar-
dava nell'opposto specchio l'aspetto deformato>> (1).
Dal puuto di vista mitico questo racconto non ha senso.
È assurdo pensare che per uccidere uno si pensi a di-
strarlo impiastricciandogli il volto di gesso affinchè poi,
guardandosi in nno specchio tenutogli innanzi, resti
meravigliato vedendo il proprio volto deformato. Il
tempo perso a strofinargli la faccia poteva essere più
utilmente speso ammazzandolo! È chiaro che qui ab-
biamo uno dei tanti casi in cui il mito subi l'influenza
del rito.
Il rito risulta chiaro in Arpocratione: « Spalmavano
col fango e col gesso gli iniziandi, imitando quel che
è narrato da alcuni, che cioè i Titani spalmarono di
gesso Dioniso, impiastricciandolo per non esser rico-
nosciuti » (2).

(1) NONN. Dion. VI 169 s. Ki:ichly.


(2) HARPOCR, B. V. &1toµci-nwv Bekker: 7iÀEt(f'OV 'tqi 7t'l')Àqi xal
7tt'tUf)CJ.1 'toùç µuouµévouç, ~xµtµouµtvot 'tlÌt µui9-oÀoyouµsva 1tap'i!vlotç,
fuç a.pa ol Tt'tltv&ç 'tÒv 4t6vuaov i!ÀuµljvaHo yilcj,CJ.1, xa'ta1tÀaaa.µEVOL
à1tl 't(j> µ71 yvwplµot ysvaa,9-at.
L'ESSENZA DEL MIST.ERO 171

Il passo, così com'è, è a.ssurdo. Chi non vuol essere


riconosciut.o spalmerà di gesso la faccia propria e non
quella di colui che non lo deve riconoscere. Evidente·
mente invece di << riconosciuti >>, riferibile ai Titani, si
deve leggere <<riconosciuto,>, riferito a Dioniso. Il dio
viene spalmato di gesso per renderlo irriconoscibile,
affinchè quando si guarderà nello specchio egli non si
riconosca. Così ci si accorda con Nonno (1). Ma men-
tre in Nonno, che sta nel mito, questo racconto è as-
surdo, in Arpocratione, in cni mito e rito confluiscono,
la stranezza apparente si spiega.
Lasr,iando da parte il mito, vediamo che significato
ha il rito. L'imbiancarsi il volto di gesso è una azione
rituale ricordata spesso da Nonno; la compiono i cen-
tauri e gli altri segnaci di Bacco (2), la eseguiscono
i tiasoti sugli indiani per ordine di Bacco (3); e i Ri-
leni, afflitti per l'assenza di Dioniso, smettono di im-
biancarsi la faccia (4). Questa operazione, usata spes-
so anche da popoli prirnitivi (5), veniva realmente
compiuta dagli iniziandi (6), ed aveva scopo caLarti-

(1) NONN. Dion. VI 169 s. Kochly: É yuqiq> XEpl'ic:tÀÉ'!/ XPIIJ·


&Év'tE\; S7tLXÀ07tGt XUXÀct 1tpoaco100u ... Tctp'tc:tpl'!) T\'tl7VE\; slhjÀ'ljlJctV'tO
µctXGtLP'!I <iv,1,61tq> vo&ov a!ao\; ò1tmEU6V't<i xoc,61t,pw.
(2) NONN. Dicnys. XXVII 28 1,1: xév,c:tupo1 IJEÀa.yd;;ov, SÀEuxiil-
VOV'tO l'iè yòqiq> µua,moÀq>, Pare impossibile che la HA1m1soN (The-
mis p. 17) citando questo passo lo riferisca ai Titani: Nonnus also
says that the Titans were whiteneù witli mystic gypsum.
(3) NoNN. Dion. XXVII 205 s. xuxÀc:t µEÀc:,;pplvo10 1tpoaw1tou.
"lvl'iii>V À'!J \8(C1lV ÀEllXGt(VE'tE )'Uqiq>.
(4) NONN. XXXIV 144 s: oùaè µÉ'tC1l7t:X 7tEq>upµEVGt ÀEuxci!h yu<jicp,
ÙJ\; 1ta.po\;, cipyc:,;lvoV'to.
(5) LANG, Mythes, cultes et rel. (trad. Marillier, Parigi 1896)
p. 265; WEBSTER, Soc. seg,·ele prim. (Th. it. Bologna 1922) pp.
77, 121, 256 e spec. p. 6, nota 54.
(6) DE:11. 313 ; Surn. s. v. "A;coµa.nEa~<i\; BE'KKER, Ànecd. I
293, 18 s. cfr. PLUT. De Buptrst. III 5 p. 166 Bernardakis e PROT1-
ZIEHEN, LegeB g1·aec. sacr. I 15 fr. 16. Su questo rito v. ROHDE,
Psyohe3 II p. 110 n. s; D111:TEHICH in Rhein, Mus. N. F. XLVIII
1893 p. 278s,=Kl. Sohr. p. 121; HARRISON, Themis p. 17.
172 OBll'ISHO B PAOLINISMO

co (1); e si spiega benissimo che gli iniziandi, prima


di guardar nello specchio per imitar Dioniso che nello
svecchio aveva visto il proprio destino (2), si purifi-
cassero , perchè era opinione ohe lo specchio non ri-
fletteva una imagine impura (3).
Or dunque nei misteri si usava purificarsi prima di
compiere il rito dello specchio e questo antichissimo
uso, divenuto incomprensibile, fu spiegato con un mito
che in se stesso è incomprensibile; lo si interpretò come
una imitazione di quel che il dio stesso aveva fatto.
Cosl interpreta Firmico Materno i misteri (4). La con-
nessione tra il rito dello specchio e Zag-reo è reale, e
non è ragionevole ricorrere al racconto di Nonno per
negare il valore rituale della catottromanzia, poichè
consta che il rito dello specchio faceva parte della li-
turgia orfica.
3.

L'orfismo delle pitture Item uon può


• rappreaentano uaa
Utlll'gla uutca,
dunque esser messo in dubbio. Sorge
ora il quesito fino a che punto si pnò usarle per rico-
struire il mistero. Il prohlema si scinde in due parti
distinte, la prima delle quali riguarda genericamente

(1) DEM. XVIII 213: xa.iJ.a.!pwv 'toùç 'tEÀouµévouç xa.l lin:011ci't'tWv


't<jl it'ljÀ<jl xa.l 'tOtç m'tupo(ç; Luc. Necyom. 7: txciiJ.'ljpÉ 'tÉ µ1o xa.l
lidµa.~1o v. PROHDE II 406.
(2) PROCL. In Plat. 1'i11t. III 163 F =
AB~:L, Orphica. fr. 195.
V. il rilievo eùurneo lli Milano. HEINACH , Rep. dea rel. III p.
593,4; HAilRISON, The111is p. 60 fig. 9; MACCIIIORO, Zag1·e11s !ig. 3.
La scena dello specchio anche in RoscHER, Le.r:ikon II 1617-18 e in
DAREMBERG -SAGLIO, Dict. I 2 fig. 2191. Su questa riproduzione
rituale del mito v. specialmente FrnM. MAT. De tn-. prof. i·el. VI
5 Ziegler: omnia per ordiuem facientes quae puer moriens aut
fecit aut pa.ssus est.
(S) Le donne nel periodo catamenico appannavano lo specchio:
ARIBTOT. De somn. Il p. 469 Bekker. Cfr. PROCL. In Plat. Remp.
i31 Il p. ~90. 19s: Kroll: PLIN. N. h. Xl 64,170; VIII 16,64.
(() V. nota 2.
L'ESSENZA DEL MISTERO 173

la interpretazione delle pitture come liturgia misterica;


la seconda la loro connessione specifica con i misteri
orfici. Di questi due elementi l'uno come l'altro sono
essenziali per la soluzione del problema che ci siamo
posti. Imaginiamo infatti che le pitture non conten-
gano una liturgia misterica, oppure che questa liturgia,
pnr essendoci, non possa connettersi col mistero greco,
ed ecco che tra questo e la pitt,ura si apre un distacco
insormontabile.
Per il primo punto credo che nel mio libro ci sia
materia sufficiente per persuadere il più incredulo dei
lettori, nè trovo necessario inshitere sur una dimostra-
zione della cni validità sono persuaso e di cui in ge-
nerale la critica è rimasta persuasa.
Si conviene dai più che realmente, salvo particola-
ri, la dimostrazione che quelle pitture contengono una
liturgia orfica sia riuscita; non starò dunque a. pole-
mizzare col Gruppe che nega completamente in esse
tanto la liturgia quanto l'orfismo, o col Turchi, secondo
il quale la unità della figurazione sta assai più nella
mia descrizione che nella realtà., o col Cumont, il quale
trova che la mia interpretazione liturgica si regge
male, e che in generale arriccia il naso ali' uso che
dell'orfismo oggi si fa nello studio del pensiero antico:
si tratta evidentemente di valentuomini che a una lettura
più attenta. vedranno quel che a una prima lettura non
poterono scorgere. Mi fermerò a quei critici che al loro
scetticismo hanno dato almeno una parvenza di ragione:
il Terzaghi e il Bonucci. I due critici, tanto diversi in
tutto, sono concordi nel dubitare o negare che la serie
delle pitture si svolga cosl come io dico e perciò, non
ostante taluni consensi particolari, si accordano nel ri-
gettare il fondamento stesso del mio libro. Ciò è in se
stesso assurdo: non è possibile accettare le conclusioni
secondarie di esso dal momento che si rifiuta. quell'u·
nica. premessa su cui tutto il libro poggia e dalla quale
dipendono quelle conclusioni. Il Rostagni osserva gin-
174 ORFISMO E PAOLINISMO

stamente che i risultati, a cui per la storia dell'orfismo


io arrivo, rimarrebbero annullati o fortemente compro-
messi se la mia esegesi dovesse fallire. Se la serie delle
pitture non è quella ohe io dico, nemmeno la interpre-
tazione che presento può essere quella che dico e nem-
meno la connessione tra la pittura e il mistero potrà
essere quella che io penso, e nemmeno, in ultima ana·
lisi, il 111istero sarà qnello che io suppongo. Negate la
serie delle pitture e tutte le mie ricerche crollano come
un castello di carLa.
Di questa necessità interiore del mio libro, per la
quale conviene accettarlo o respingerlo integralmente,
non pare che i due critici in discorso si sieno accorti.
Il Terzaghi, però, ne dà una curiosa per quanto in-
conscia dimostrazione. Egli afferma sì che io passo con-
tinuamente « da una ipotesi a un'altrn >> e che tutto
il mio libro è << costruito su ipotesi >>, ma da questo
cumnlo di ipotesi balza su per lui la dimostrazione che
la sala delle pitture servil'lse per celebrarvi i misteri.
E il valente filologo non si accorge che accettar come
vera qnesta conclusione equivale necessadamente ad
acceltare tutte quelle precellenti dimostra:1.ioni ohe un
momento primri aveva condannate, perchè che in quella
sala si celebravano i misteri si può dedurre unicamente
dal contenuto delle pitture, e questo contenuto miste-
rico non può dedursi se non dalla serie stessa delle
pitture, e questa serie non può esser diversa da come
io la penso se per essa si costruisce il mistero. Il Ter-
zagbi ha fatto dunque questo curioso esperimento: ba
respinto le idee particolari ma ba accettato l'idea ge-
nerale che da esse deriva. Il che vuol dire che quelle
idee, che prese singolarmente possono parere una con-
gettura, acquistano valore probativo dalla loro stessa
connessione reciproc11, e che il libro va giudicato nella
sna unità interiore, integTalmente.
È una negazione apparentemente ristretta dunque
quella del Terzaghi e del Bonucci, ma in realtà essa
L'll:881:!i!ZA l>J:L IUBTBRO 175

implica la svalutazione di tutto il libro. Quali le ra,


gioni,
Ohi ha letto Zagreus sa che il punto di partonza di
tutta la mia costruzione sta nella determinazione della
prima scena, la quale schiude la vis a tutta intera
l'esegesi, e che a que-sta determinazione si arriva ac-
certando quale fosse delle due porte tuttora esistenti
l' ingre11so alla sala delle iniziazioni , grazie alla loro
stessa costruzione. Parrebbe dunque che a questa se-
rie di indagini puramente archeologiche e connesse con
particolari usi edilizi pompeiani non potessero opporsi
se non altrettanti argomenti archeologici.
Invece no. Il Bonucci dice: << Si tratta, come è noto,
di una stanza con due porte, una grande e una pic-
cola, su pareti contigue. Nella parete opposta alla por-
ticina si apre una grande finestra. Il Maccbioro rior-
dina le pitture come le vede clii entri dalla portici-
na ... ciò che mi sembra a dir vero inaccettabile perchè
fa gravitare tutta la, decorazione intorno ad una minu-
scola porticina architettonicamente irrilevante, mentre
esiste una porta ben maggiore; ed è anche smentito
da ciò che la scena centrale e principale è infatti con-
trapposta alla porta principale». Ed ecco quindi il Bo-
nucci dichiHrare che la scena della vestizione, che io
pongo per prima, viene invece ultima, dopo la d'.mzn
orgiastica, e mostra la danzatrice ignuda che si rivestt-
dopo aver danzato. Magnifica idea! per cui, ad esem-
pio, possiamo sperare di vedere sul palcoscenico di
Oberammergau non solo Gesù morente in croce , ma
anche, subit,o dopo, l'attore stesso che, sceso dalla croce,
-si leva la barba finta e si infila la giacca.
Il Terzaghi non arriva a tanto, ma si accorda col
Bonucci nel negare che l'ingresso alla sala sia dalla
porta minore. << Come si può ammettere - chiede egli -
che l'ingresso fosse da ana porticina laterale e veni88e
scartata invece la porta grande, posta proprio di fronte
a-I quadro principale eh~, pel suo significato e per la
176 ORFISMO B PAOLDTISMO

sua disposizione, era. destinato ad attirare gli sguardi


e l'attenzione dei visitatori Y »
L' uno e l'altro cedono, io fondo, alla suggestione
del gruppo di Dioniso e Core troneggianti nel fondo,
che si impone alla loro fantasia come ai impose a tutti
gli esegeti che mi precedettero, e non sanno rinun-
ziare alla idea che la grande porta di fronte al gruppo
fosse il vero ingresso alla sala e servisse a porre chi
entrava subito di fronte alle due divinità. Concezione
che si reggerebbe ove si dimostrasse falsa la mia idea,
cha vedo invece accettata, che le due divinità sieno
rappresentate io atto di assistere invisibili alla liturgia
celllbrata in loro onore, come, a tacer d'altri esempi,
le divinità nel frontone orientale del Partenone. Poichè
è logico che, se quelle divinità sono concepite come in-
visibili, una porta enorme che si apra davanti a loro
affinchè ci si pigli il gusto di adorare un dio invisibile,
diventa un lusso inutile . .A questo non hanno pensato
nè il Terzaghi nè il Bonucci.
Il Terzagbi esita a entrare dalla porta stretta; pre-
ferisce la via larga. << O non varrebbe l'ammetter
ciò - egli scrive - quanto ammettere che in tutte le
chie11e sia secondaria la porta che guarda l'altare mag-
giore rispetto a quella della sagrestia Y">> Ora io prego
il mio amico di non confondere le cose: in basilica con
gli orfici, e in chiesa coi cristiani. La chiesa non serve
a nessuna cerimonia che si po.ssa paragonare a quella
della basilica pompeianit. In chiesa si può entrare dalla
porta grande, dalla sacrestia, o magari dalla finestra,
obè la messa non perde perciò il suo valore.
Imaginiamo invece che nella chiesa si entri non già
per sentire la messa, ma per conoscere la passione e
la resurrezione di Gesù osservando una serie di quadri
disposti intorno alle pareti. Allora non sarà mioa. lo
stesso entrar dalla porta principale o dalla porta la-
terale a rischio di imbattersi, per esempio, prima nella
Resurrezione che nella Passione, e sarà logioo che que-
L'ESSENZA DEL MISTERO 177

sta peculiare forma di esperienza religiosa finisca con


l'essere disciplinata in modo che la serie dei qnadri
vengano a presentarsi nel loro ordine vero. Questo è
il caso della nostra basilica.
Il Terzaghi vuol dare però una specie di giustifica-
zione archeologica ai suoi dubbi: ed eccolo dubitare di
quel che dico quando osservo che la costruzione delle
porte a Pompei Ì' tale che esse girano sempre nel senso
del movimento e che da ciò si pu/) concludere che il
portone serviva ad entrare e non ad uscire. << Il fatto
che la porta grande facesse aprire i battenti verso l'e-
sterno non ha, se non erro, grande valore, non essendo
rare porte siffattamente disposte a Pompei, come non
sono rare tutt'ora, speciah11ente nell'Italia meridionale.
E se è così, è ovvio che la pittura posta di fronte alla
porticina perde il valore assegnatole dal Macchioro,
quello cioè di essere la prima del ciclo ». Se è così:
ma disgraziatamente noJl, è così. Il Terzaghi cade in
errore; il fatto che serve di base al mio discorso è
assai più diffuso di quel cht ei crede. L'Iva.noft' in un
suo lavoro su le soglie pompeiane (1) osserva che
<< tutte le porte, iannae, si aprono da dentro>> e nota
che le porte d'ingresso della Casa dei capitelli colorati
si aprono in dentro tanto nell'ingresso anteriore quanto
nell'ing-resso posteriore. Lo stesso l' Ivanoff osserva nella
Casa di Pansa , e in quella detta di Championnet.
E ancora: da osservazioni compiute per mia preghiera
dal dott. Della Corte, ispettore di Pompei, risultano i
seguenti fatti relativi a quattro case. E cioè: nella Casa
del Fauno da tutti e due gli atri si passa.·,a agli altri
ambienti spingendo la porta; e taluno di questi ambienti
ha due porte, l'una nell'atrio, l'altra nel peristilio, cia-
scuna delle quali si apre verso l'interno. Nella Oasa di
Sallustio tutte le porte che dall'atrio mettono ai cin-
que cubicoli laterali si aprono in dentro. Nella Casa di
(1) À1&nali de!Z' latit. corr. arch. 1859 p. 98 e .
.,,_ MACCRIORO. - 0r/lJ1IIO e Pulinismo. 12
178 ORFISIIIO E PAOLINISMO

Olconio si entrava spingendo la porta nella casa stessa


dalla strada, nelle fauci, nei quattro cubicoli sull'atrio.
Nella casa N. 0 26 reg. VIII ins. II, si entrava spin-
gendo i battenti nel vestibolo, nei sei cubicoli a una
terrazza e a un'altra stanza. Nella, Casa di Cornelio si
entrava spingendo i battenti nei quattro cubicoli e nelle
fauci.·
Se dunque questa è la regola, il fatto cùe la gran-
diosa porta elle mette sulla terrazza si apre in fuori
prova che essa non era punto l'ingresso principale, che
il nesso tra essa e il gruppo di Dioniso e Core è ùel tutto
imaginario e che l'ingresso rituale era dalla porticina.
E da questa premessa si svolge per forza logica tutta
intera la mia spiegazione. La prima sceirn ci tlice da
<love convieu cominciare, ci dice che tutta la figura-
zione sta nel mondo del rito e non del mito, ci n,ostra
nella donna la protagonista di tutte le future scene, ci
dà col suo contenuto la chiave per peuetrnre dentro al
seuso di questa. Fissata la prima scena, il resto è così
logico , così chiaro e semplice , che possiamo davvero
dire ohe, passata quella soglia, anche noi siamo pene-
trati nell'intimo del mistero. E via via l'ordine delle
scene, il loro singolo significato, il loro contenuto mi-
sterico dipende, in ultima analisi, da quest'unico punto
di partenza.
Io non credo dunque ohe per il lettore scevro di pre·
concetti la mia interpretazione delle pitture Item possa,
salvo i particolari, dar luogo a dubbi; nè i più sagaei
e intelligenti tra i miei critici manifestarono il minimo
dubbio su di esse.
4.
connesH d Ire i t •·
Ma, come dicevo, per la ricostruzione
aente al misteri or•
fio! di .l!Jre. del mistero greco la mia interpreta-
zione n,on avrebbe alcun valorn se non
potessimo connettere la liturgia pompeiana diretta-
mente con i misteri orfico-eleusini, considerandola come
L1 ESS11:NZA DEL MISTERO 179

una derivar.ione da essi. Veramente se dovessi con-


tentrHe il Terzag-J..ti dovrei imprendere la dimostrazio-
ne che le pitture Item derivano da un originale greco
poichè egli ne duuita e considera questa ùerivazione
come una ruia ipotesi. Ma io non starò a ,limoi,;trare
qui u11a cosa tanto ovvia che fu accettata da tutti come
di per se evidente, come risulta a chiunque consulti
qualcuno degli autori che pitrla.rono di queste pitture
e che io cito i11 Zaf!reus p. U 11ota 1 (1). Piuttost,o eapri-
merò la mia. meraviglia che una affer11rnzio11e ta11t.o OY-
via da 110n aver alcun bisogno di dimostrazione possa
venir uattezzata come una mia pura e semplice con-
gettura da eh i non è punto archeologo pnr essendo
-certo un valente filologo.
l\:fa questo poeo importa. Ritorniamo piuttosto alla
connessione tra le pitture e i piccoli misteri di Agre.
Il Bonucci e il Turchi non ci credono; per essi tutta
la 111ia dimostrazione consiste nel trarre da un luo~ro
di Stefano da Bisanzio e da un altro di No11110 delle
coucl11sioni drl tutto ingiustificate. Ma nemmeno il Ro-
stag-ni nccetta la mia dimostrazione. E allora debbo cou-
cludere che il difetto sta. nella dimostrazione. Per ciò
la riprendo.
Debbo dire che il Rostagni mi pare incoerente. In-
fatti egli accetta senza riserve la ricostruzione del mi -
stero greco come drn,nrn subbiett.ivo ch'io tragg-o dalla
litlll'gia pompeiana, ma insieme respinge la connessione

(1) Per es. il NICOLE (Ga•ette des beaux a,·ts 1911 p. I) dire
<ihe l'artista • s'inspira assurement d'un beau modèle ,le l'epoque
hellenistique » : il BAUMGARTEN (in BAUMGAR1'I<:N - POJ.AND. w AG-
NER, Die hell. ,·om. Kult1t1· 2 p. 461) pensa che questi, pitture sono
dipinte <mach einem gefeierten hellenistischeu Originalgemalde~;
il WINTER (Kunst. u. lfonstler 1917 p. 551) affermi. che «griechisch-
hellenistisch diirfen wir die Knnst. die uns in dem Gemalde ent-
gegeutritt, immer neunen»; il DE RIDDER (Revue de, etudea gr. 1917
p. 190) pensa che la pittura « se rattache proù:tùlement a une tra-
dition plus ancieune de la peintnre grecque», e via dicendo.
180 ORJ,'JS.MO J,; PAOl,INISMO

tra questa liturgia e i misteri greci. Ora se la, connes-


sione non esiste come può esser ,·alida la ricostrnzione,
dal momento elle io deduco questa dalla liturgia e la
applico ai mist,eri ! Forse il Rosta.gni distingue incon-
sapevolmente i misteri orfici in ge11ernle <lai misteri spe-
cificamente di Agre, sì che crede di potl'r accettare la
connessione con quelli e rPspingerla con questi. Ma io
non conosco questa distinzione; io credo che vi fosse
un unico << 111istero orfico>>, cioè un unico sacramento,
dal q nale <Ieri varouo tutti i vari ,, misteri >> che tro-
viamo localizzati in vari siti, Agre compresa, e che
dovettero ,~sscre derivazioni, complicazioni o sempli-
ficazioni di quell'unico tipo canonieo cht- era poi de-
termiuato dal mito stesso. Io coucepisco insomma il
mistero co111e la messa, che è la medesima a Roma
come in 1111 qualunque villaggio dal pu11to di vista
teologico e <lommatico, e si svolge su una trama sem-
pre identica per quanto pos:,;a ,·enir complicata este-
ticamente e mrn,icalrnent-e. ConcedPre tlu1HJUe la con-
nessione tlella liturgia pompeiana eoi 111iskri, o risnlin·
da essa ai misteri, che i· lo stesso, e rigettare la con-
nessione con i miHteri di ,\gre, gli è come riconoscere
l'itlentit:ì di nna messa ret'.itata i11 una qualche chiesa
con tutte le altre IDl·sse della cat.tolicità, ma negamela
parentela con la messa pontificale di S. Pietro. f~ veri>,
però, che la mia tlimostrazionc in Za.greus non ehbe la
arnpiezza necessaria, onde io pensavo di riprenderla nella
Rassegna di filologia classica. Morta questa senza che
il mio lavoro uHcisse, riprendo qui il discorso.
La pietra angolare tli esso è il frammento eschi-
leo (1) conservato nelle Tesrnoforie di Aristofane.
Nelle Tcsmoforie di Aristofane (2) , Mnesiloco sa-

(1) Fr. 61 Nauck.


(2) An. Theam. 13-L B, xat a'w Ylavtcx ·~cnç; Et, xa't 'AtcxuÀov I
ix ,ijç; Auxoupy1:ta, tpt.aa.at ~ouÀoµat. 1to~a1t6ç; !I yuvvtç;; ,lç;
mi'tpa; ,!ç; 11 a,oÀ'I): I ,!ç; 11 ,ci.pai;tç; ,ci:I ~(ou ,( ~cip~L'tcç; J ÀaÀ,t
L'ESSENZA DEL MISTERO ~81

Iuta Agatone parodiando alcuni versi della Licurgia di


Eschilo nel segnentc modo :

O g·iovincel. chinnqne sii, com'Eschilo


Ul'll:t sua Licnrgia, vo' interrogm'l"i :
l'1•ffemi11ato ond'è 'I qnal patria ha 1 qnah•
la veste~ e ,pml la eonfnsion 1kll'essere 1
la cetra come sta con crocea vestl'?
lira con rl't.icella '/ e ampolla. e cinto 'I
Che aeeozzo ! E ,-pen,hio e spa1ln come lPgano
Ma tn, garzoH, ti tiri sn per uomo i
E il rn ... ov'è, ove il ?nanto, 01·p il la<'o11ieo
calzar? Per donna inn~ce 'I E 01·'!1ai le pop1w
Che dil'i '/ taei Y Io già hen da' tnoi canti
ti scopro, se pnr tn non vuoi paria re.

Sull'ampiezza della parodia non ,·i Ì.\ •tccol'<ln tra i cri-


tici, <li\'isi tra <lue opinio11i, 1'11na <lPlle quali espressa dal
Welckcr (1) e aecettata <lall'Ahrens (:!), <lai Fritsche (3),
<lai J,peuwen (4): pensa elrn la parodia si estenda fino

xpoxorcif,; -cl U Àupa; itexpuq,a.À<p; I -e( ì.-.jitu&oç xa;i a-cp6q,wv; ©t;; ob


!;uµq,opov. I -cli;; ilcti xct't6,npou xcti ~lq:ou;; xolvwvlet; I 'tlç il' a;ù'tòt;; ili
1ta:t; 1t6npov ©ç &.VYJP -cpéq:el; I xa;i m:;5 7tÉoç ; I Il cii ;,).ettva;; 1toù
Àa:XWVlY.a:l; I &.ÀÀ'(oç yuv'f/ l;fi,'. eha; 7tOU ,i -;u-clHrt; J 'tl q,'i)ç; ,. ,,:yiiç;
&ÀÀÒ: ~Yj't 'àx 'tOÙ µHoui;; çe,Ùl a·, à1tei1;"1j y' a;ù-c,iç o•'.i ~ouÀe1 q,pa.aa;i.
(1) WELCKEH, Nachtr. ~11 d. Schi-if't iib. die Ac~Ch1JI. Trilogie (},'rau-
coforto 1826) p. 106 s. Il ,v. attrilml aù E8chilo 1., fr,i,~i ~eg111m,/:
T. 134: a', W VECI.V(OX: V. 136: 1toea..:òç Ò yuvvtç; ,(ç 7t0'.'t/)Cl;j ,(ç
ij O'tOÀ"lj; v. 137: 'tlç 1J -ca.pa.!;iç 'tOÙ ~{ou; 'tL. V. 138: µÉÀEl xpo-
XW'tqi; -cl l}é v. 139: -e( À"ljxu,'!,oç xa;\ a-cpé,q;iov; ©ç où !;uµq,opov; v.
HO: -c(ç llett xa:,61t'tpou xa:i !;lq,ooi;; xoivwvla;; '"· 141: -e(,;; il' a.ù-còi;;
<Ò 7tCl;l; 1t6,epov 1h,;; &.VYJP -cpÉ<:pél; V, 142: xa;i 'tOU.
(2) Eù. e8chilea Parigi 1842 p. 179.
(3) Ed. di Aristofane Lipsia 1838. Il Pr. attribuisce ad Eschilo
le parole segneuti: v. 136: 1t0Ba:1tòç ò yuvviç; -c(i;; 1tci.,pa;; -c(t;; 1J
a-coÀ'lj ; v. 137 -cli;; 1J -ca.pa:~lt;; 'tOil ~loo ; -cl v. 138 (Àa:Àet] xpoxo'tqi,
°' llè v. 139 -e( ... xa:l... ©ç ob t;uµq,opov. v. 140 't!ç Il ... xa.l ~lq,ooi;;
XOlVWv(a.; V. 141: -c(i;; 8'a.ù-cò,;; (Ì) 1ta:t; 7tÒ'tEpov ©t;; àv71p 'tpÉCj)BLj
v. 142: xa:l 1toù... 1toù [xÀa:tva:] noil v. 143: àÀÀ:©ç yov711lij-c 'st,;°'
1tOÙ V, 144: 't( <:p7)t;; ; 't( aiy/iç j
(4,) LEEUWEN, A.rist. The~m. (Lug. Bat. 1904).
182 ORFISMO E PAOLINISMO

al verso 143. frammista cli frasi aristofanesche sosti-


tuite a quelle «li Eschilo; l'alt.ra invece, che è quella
del Herma11n (1) e clw accettarono i principali editori
di Eschilo (2), restringe la paro<lia al solo ,·mist.ichio
del vC1rso urn, o tutto al pitì a questo verRo intero.
A favore del Ilermann sta lo ::wol.iaste che attribui-
sce a Eschilo le sole p1trole <<l'effe111iuaro ond'è>> (3), ma
l'Hermann stesso rieor,b l'nso dt>gli scoliast.i di citare
il solo principio <li 1111 verso. Chi dunque attribuisce
a,l Eschilo liii verso intern henchè lo snoliaste ne 1·iti
solo la prima metà, 11011 pn/-, aver ,lif'li«·oltù ad aUl'ih11ir-
irlie11e quattro o cinq1w, 1rnrchì• questi seguano la 1:ita-
zione dello scoliaste. e non la prn:edano. E hisogna.
inoHre,concrnl<•re che la co111icit:ì dell,1 paroclia. clw con-
sisteva nell'imitani qnalehe passo cl'lebre a.p.plican«lolo
burle8camente a nna situazione tutta diYPrsa, sarebbe
mancata se qnesta par0<lin, si fosse ristrf'tta a qnelle
tre parole, nelle quali mimca. 01?:11i allusiorH' :ill'aspett.o
o alle abitu(lini dell'effeminato Agatoue, e pl•rciil ogni
forza comica o sat.irica.
Nè è possibile che Aristofane preannunziasse u11a. n1i-
sera paro1lia di tre parole, prive di ogni sapore, con
non meno di due versi aUisonanti. Chi ha senso <l'arte
sente guanto vnote e sciocche sieno quelle tre paro-
lette dopo il preannunzio enfatic1J che le precede, e non

(1) HERMANN, Op1&scula (Lipsia 1827 - 39) V. p. 14 s. ed edi-


zione e~chilea Berlino 1868 fr. 61.
(2) P. es. DINDORF (Poetar. Rce11, gi·. fab. Oxonii, 1846 fr. 55,
ed edizione Oxford 1851 fr. 51l) NAt:CK (Gr. trag. gr. Aesch. fr. 61)
SIDGWICK (Oxonii s. tl.) ecc. Il llRl'XCK (ed. ariAtofanea Argento-
rati 1783 I p. 92 e Oxonii 1810 I p. 95 cfr, DINVORF, Comm. in
Àrist. com. Lipsia 18:n, VIII p. 328) crede che il v. 140 fosse tolto
<la Epicarmo ( cfr. EPICHAHM. ap. STOB. Flor. IV 170, 8 Meinecke :
't(' ydcp xa.,61npq> xa.l ,o<:pÀ!ji Y.OLvwv(a.). Se ciò fosse vero il verso
deriverebbe pur sempre da ERchilo.
(3) SCIIOL. A,·i8t. Therm. 137 : ÀéyEL U é.v 'tOt~ 'Hawvo!ç 11;pòç
'tèv aoÀÀ'l)<:p-&tna. 4Lovoaov, m,aa.tòç o yuvvLç.
L'J-:SSKNZ,\ DEL MISTERO 183

ammettei:lt mai che in quelle tre parole consista tutta


la paro1lia. preannunziata dal poeta.
Si ba<li :in1'.ont: la interrogazione del v. 141 non ha
alcun senso se non è paro<lia, se cioè si rifrrisc1~ :ill
Agatone, perchP Muesiloco sa benissimo chi egli i_~ e
mnove appunto in cerca di lui insieme ad Euripidt>; e
le parole del v. 144 << che dicil taci,>> non si :aldut-
tano belle ad Agatone che sta cantiindo. La paro1lia
si esternle tl11nqno <'erta111t"nt<·· fino al v. 141 compreso,
e forse fino al v. 144. La difficoltà del passo intero sta
nel v. 140: << spPcchio e spada come legano ». Infatti
Agatone ò intrndotto sulla. scena in atto <li cantare e
canta veramente. Ma non si può imnrnginare che uno
canti t<'nendo in mauo uno speccliio e una spada, per-
chè egli ha le mani impe<lite dalla lira e dal plett.ro.
Si pni1 perì: pensa.re che lo specchio sia appesv a una
funicella o tlecato magari nella ciutura e la spada HP·
pesa al lmlteo, vale a dire che questi due arnesi fos-
sero rappresentati, alla piiri degli altri nominati in questi
versi , come arnesi familiari e nece8sari ad Agatone.
E per lo specchio, simbolo di effeminatezza, 110n vi è
difficoltà, sa.Ivo quella antiquaria del come questo spec-
chio stesse a1ltlosso al poeta, dal momento che non
lo teneva in mano. Ma, e la spada f Se Agatone , ri-
provando la irrisione di Mnesiloco, afferma ohe la sue.
fogg·ia di vestire effeminata è in armonia col suo spi-
rito perchè il poeta deve accordare il c,)stnme alla
materia dei suoi drammi (1), come mai pnò aver ad-
dosso una spada, che di tutto può esser indice tranne
che di effeminatezza 1 È chiaro dunque che il v. 140
è tutto parodistico e non si riferisce ad Agatone, ma
al Dioniso della Licurgia eschilea; non è Agatone che

(1) V. 148 s. iyw ll71 't7IY ia,H),'l,' &µa. yvwµ11 q>opw. XP71 yixp
1tOt'l'j't7IY lltvllpa. 1tp6ç; ,ix llpciµa.'ta. lì. llst 1to1Etv 1tpòç; -rcr.il'tcr. -roii1; 'tpciitou,
IXEIY. cr.ù't!xcr. yuva.L>tEr' ijv 1to:'fi ,1, llpciµcr.-rcr., µnoua!cr.v llst -rwv -rp6-
1twv 'tÒ awµ"lx11v.
184 ORFISMO E PAOLINISMO

compare su la scena con lo specchio e la spada, ma è


Dioniso nella tragedia eschrlea.
Che significano questo specchio e questa spada di
Dioniso~
Il Creuzer (1), che attl'ilJuisce ad Eschilo questo
verso, spieg·ò lo specchio eome un « \\. eUspiegel >> al-
legorico, secondo il suo simbolismo, e lasciò da parte
la spada; il Welcker (2) pensò invt>ce che innanzi a
Dioniso venisse tenuto uno specehio pe1· indicarne la
effeminatezza. Noi sappiamo ora clte tanto Io specchio
quanto la spada erano i simboli della passione di Za-
greo; che, eioè, i Titani avevano distratto mediante uno
speeohio l'attenzione di Dioniso fauci ullo e lo a ve vano
ucciso mediante una spada (3). Q.uesti 1lue strumenti
stavano dunque in mano a Dioniso nella tragedia e-
scbilea per la stessa rap;ione per cui si suol rappre-
sentare Cristo con la croee, e non stavano 11nnto in
mano ad Agatone nella commedia di Aristofane.
In ciò sta appunto la forza comiea dell.l parndia. Per
beffeggiare l'effeminato poeta, Aristofane evoca, con
nna improvvisa e rapida allusione a una seena tragiea
certo notissima agli ateniesi, il tel'I'ibile Dioniso dei
rnii?teri, e contrappone alla mollezza femminea e indo-
lente di lui la vita dolorosa e trngiea del dio orfico.
Se si pensa che la tragedia esehilea doveva essere ILO·
tissirna a tutti e che nel V secolo la religione orfico-
0

dionisiaca era nel suo pieno fiore, si ammetterà che la


stoccata ad Agatone doveva essere compresa e gustata
da tutti , e che poche parodie aristofanesche possono
dirsi più felici di questa.
Ma forse la stoccata era doppia e colpiva da 1111 Iato
Agatone e dall'altro Eschilo. Dico questo perchè è pos-

(1) CREUZER, Symbolik! lii p. 392.


(2) o. c., p. 107.
(8) V. Za1reua p. 105 s. e p. 113 s.
L' 11:SSENZA DEL :IUSTERO 185

sibile che il Dioniso con specchio e spada introdotto,


o de<1critto, da Eschilo sulla scena, fosse la causa della
famosa accusa mossa al poeta pe1· aver portato nel tea-
tro qualche cosa segreta dei misteri (1).
Non sappiamo di che genere fosse la indiscrezio-
ne, ma possiamo escludere che si riferisse alla parte
mitica dei misteri , perchè questa era nota a tutti e
non formava certo un segreto (2); nemmeno le dot-
trine morali ed ('Scatologiche dei mit-teri erano, in ge-
nerale, segrete, come pr0vauo le testimonianze cho in-
torno a questo argomento sono pervenute sino a noi.
Ciò che era segreto e non doveva rivelarsi ai profani
era la parte rituale, i dròmena, quella cioè che formant
la vera e propria iniziazione, e il cui effetto psicologico
e religioso si fondava per l'appunto snlla ignoranza, e
quindi sulla sorpresa, dell' iniziando. I>i ciò abbiamo
una test,irnonianza esplicita in Diodoro dove dice che
era proibito narrare partitamente ai profani ciò che si
introrluoeva, cioè si faceva vedere, nei. misteri (3). La
profanazione non poteva dunque avvenire se non rive-
lando o riproducendo quella sola co:,;a clrn COt'.\tituiva
il segreto dei misteri: non il mito nè le dottrine, ma
i riti, i dròmena (4). Questa è la causa per cni furono
accusati Alcibiade (5j e Andocide (6), ai quali si fece

(1) Testi e ùiscussione in LOBECK, Àglaopha111us p. 77 8.


(2) Per que8to il FOUCART, Reche1·ch. sur l'orig. et la nat. dea 1nyst.
d'El. (Mé.m. de l'Institut. XXXV (1896) parte II, p. 48) crode che
Eschilo introducesse in un suo dr11mma un mito che era noto solo
agli iniziati. Cong;ettura contraria alla 8tessa. natura dei misteri.
(3) D10u. Hl 65; !:l: 2:6µcpwvix llt 'tOU'totç; (i miti di Demetra
e Zagreo) Etvixi ... 'tCX 1t1XpEioixy6µ1ovix xa:,oc 'tàç; uì..nciç, 1ti.pt wv où
3-éµtç; 'tot,;; &.µulj,oi,;; lcr-:opi.tv 'tÒ xix,oc µapoç;. IIa:pEiociyw =introduco,
specialrueute Hulla seeua cf. Isocn. Or. VIII 82 p. 175 C Benseler:
Surn. s. v.; STRAB, V. 2. 6 IX 16, 1: ecc.
(4) V. ANRICH, Das ant. Mysterienwesen (Gottingen 1894) p.
31 s. RoHDE, Psycke3 I p. 289.
(5) PLUT, Àlc. 19,22.
(6) LYS, VI 51.
186 ORFISMO E PAOLINISMO

nolpa non di avere rivelato alcuna dottrina segreta dei


misteri, ma di avere pnro<liato le cerimonie misteriche.
E questa certamente fn la colpa di Eschilo (1). Co-
munque sia ciì,, quel che risulta accertato dalla paro-
dia aristofanesca è questo: che Eschilo introdusse sulla
sce11a o descrisse un Dioniso con lo specchio e con la
spada. :Noi sappiamo ormai che l'uno come l'altro ar-
nest> crnno i simboli delh passiont- di Zagreo poichè
con lo specchio i Titani distrassero il giovane dio e
con 1a spa.,la lo uccist>rn (3); si sa anehe che lo spec-
chio veniva mostrato nelle iniziazioni orfiche cogli al-
tri simboli della passione del dio (3), nè per ciò pos-
siamo dubitare che Escl1ilo conosct:>sse questi simboli
dei miHteri , poichè egli fu iniziato nei misteri eleu-
sini (4), rappresentò in occasione dei misteri talune
sue tragedie (5) certamente di argomento adatto a l'oc-
casione (6), e amò intrecciare nei suoi drammi allusioni
orfiche cd elcnsiuic \ 7). Ora si chiede: dove conobbe
Eschilo questo Dioniso con specchio e spada 1 La ri-

(1) LOBECK p. 81.


(2) N'ONN. Dfo11. VI 169 s.
(3) MACCHI-ORO, ZagnitB p. 105.
(4) AmsT. Eth. Nicom. III 2 p. III! A Bekker.
(6 J SCHOL, Àr. Ran. 886: i!.v 'totç 'EÀE!JOlVlolç i!.'tEÀEt'tO 'tct llpli-
µ,ncx 'toil A(axuÀou. Cfr. Ar. Ran. 886 s : à'rjµ71up ~ {!-pi,:pcxacx 't'Ìjv
lµ'ijv ,:ppivcx, Etvcu µE 'tiilv aiilv li~Lov µua't7jplwv.
(6) Per es. le tragedie seguenti: Blixxaa, Ba;aalipa;L, àtovi>aou
'tpo,:pol, 'EÀcwalVLoL, 'Hllwvo(, Auxoilpyoç, Il1v{!-Ei>ç, l:1µéÀ71. t inte-
ressante la notizia. cli Ateneo che i ierofanti e i da.duchi eleusin i
avrebbero imitato le bellezze i costumi introdotti da Eschilo nelle
sue tragedie (ATHEN. I 38 p. 21 C Meineke: 1ò1tps1tEL«v xa;l aa-
µv6't'IJ't«, -ljv l;;7jÀWO«V'tE\; ol lap0(/)1:tV't(l;l xa;l IJ;llouxot ciµ,:p:ÉVV!JV'totl)
(7) Per es. ofr. fr. 70 ZEùç aa'tLV a;!{!-'rjp, Zsùç 1lt r7l, ZEùç
ll'oòpa;v6ç / ZEi>ç 'tot 'tct 1tliv'ta;: il fr. orfico in Eus. Praep. e11. III
9 =ABEL, Orphioa p. 123 sp. v. 10 (ZEi>ç) ya;tci xa;l a;({!,'ljp, il fr.
386 si riferisce alle fiaccole dei misteri eleusini secondo ScHOL.
St,ph. Oed. c. 104 7; il fr. 387 (!,:pplrlpwç llà 'tOU8E µua'tlXOU 'tÉÀouç)
pure si riferisce ai misteri secondo ScHOL. Oeà. C. 387. Su Eschilo
e i misteri v. MAABB, Orpheuspp.107,26le; DIETERJCH,Nekyia p. 77.
L'ESS~~ZA llEL )IISTERO 187

sposta è facile e sicnra: ad .Agre, poi,:hè le iniziazioni ai


misteri orfico - eleu:,;i11i aveva110 il loro pri1110 g-rado ob-
bligatorio nei pic<·oli misteri di Agre (1). Ad Agrtl duu-
que egli dovette conoH(:ere il suo J)iouiso co11 specchio
e spalla, non ad Eleusi <love Dioniso compariva come
lacco ma nou eome Zagreo. Dunqne a1l Agre, iu qua-
lunque moilo o forma, :si e.voeava e rappres1·ntava l:~
paissione di Dioniso, Dio11 ii-P 1110n·ntc per opera dello
specehio e 1lella sp111la titanici. E allora il Sl'l!So dPlla
frase di Stefano ila llizanzio i11lorno alla << imitazione
dei fatti di Dionii-o » clw si eseguiva a,l Agrn (2) uon
altro afforma se non clte appunto ad Ag-re si celebrava
un dromenon 1:011 la pai-sioue di Dioniso. E se questa
pm,siono t\ il sostrato mitico 1lella liturgia pompeia11a,
·~ome è dimostrato 1wl mio libro, allora essa viene a
counettersi spo11taneame11te cou i misteri di Agre, non
nel senso che ne sia una ripro1lnzione, ma nel i<enso
che essa ue ba il contenuto mistico e teologico. Sta
ad essi, insomma, come una llll'SHa bassa sta a una messa
pont.ilicale.
La tei-timonianza di Aristofane si nccorda, come ho
già most,rnto in Zagrei1.~, in modo molto singolare con
uno scolio a un luog·o delle lfa11e dello stes:-w poeta, da I
quale si deve concludere che l'epiteto mastighias apò
Melite.'1 (colui che ha ricevuto le nerbate a Melite)
che Dioniso dà a Eracle in quelht commedia (3) deve
riferirsi alla flagellazione che l'erne avrebbe subito nella

(1) V. testimonianze in ZagreitB p. 177.


(2) ST. Byz. s. v. ~ AypaL: xwplov... àv cp 'ti J.HKpà µua't'ljpLa
1htL'tEÀE!'taL µCµ"ljµa 'tlÌlv 1tEp i 'toil ,ilovuaoo.
(3) AR. Ran. 499 s. San tiri: ~Hcj,ov Eib 'tÒV 'HpaKÀ!t~av,Hav
El llEtÀòb fooµat ital Y.a't<i. GE 'tÒ Ài)µ ·~xwv. DioniRo: :lrlà ~t' fiÀ"lj.9-lÌlb
o!ix MEÀ!nÌb 11aanylaç. SCHOL.: 'Anl 'toil, ò èit MEÀh"f/b 'HpaKÀfjb,
iv yàp MEÀt't"!} ll"ljµqi ,fjb "AntK'ijb èµuii.9-"'I 'HpaKÀijb 'tiX µtxpci:
p.oa,"ljpta,
188 ORFISMO E PAOLINISMO

sua imziazione ai misteri eleusini (1). Ricorrfonrlo noi


<'he nella iniziazione ai misteri eleusini era obbligato-
rio far precedere l' iniziazione ai piccoli misteri <ii
Agre (2J e elle la flagellazione era caratteristica dei
riti dionisiaci (3), dobbiamo concludf're che, secondo
il mito, Eraele fn iniziato con la flagellazione proprio
a(l Agre e che il rito delht flagellazione, contenuto
nella liturgia pompeimn (4-), deve per ciò counetter8i
ai mi steri di Agre.
Io non cr<·do cli i11;.rannarmi dicendo che in questo
ragionamento sta la dimostrazione <'lrn la liturgia pom-
peiana :,;i connette ai misteri di Agre. Quanto alla af-
fermazione del Pick,ml, il quale neg-,t adclirittnrn che
Zagreus avesse culto ad AgTe, essa è smentita non solo
da t,ntto quanto i· qni detto, ma anche più semplice-
mente tla Nonno don• afferma che Dioniso istituì a.cl
Atene delle soleunitù relative a Browio lacco e Za-
greo (5) ,love, nat.uralmeute 7 si dice Atene invece di
Agre. Comica poi mi parn la obbiezione <lei filologo
inglese che la nostra litnl'/.!'ia è esclusivamente femmi-
nile, mentre questo non poti· essere dei piccoli misteri
di Agre.
Il Pickard prende il rnio pensiero troppo più alla
lettera che 11011 convenga e non sa per ciò imag-iuare
che a Pompei ci fossero dei misteri org-iai,;t.ici esclui,;i.
vamente femminili, simili a quPlli della. <lea Bona, de·
rivati da quelli di Agre. È indiscutibile, del resto, che
la reli~;ione dionisiaca era, nella sua forma orgiastica,

(1) La iniziazione avveniva a Agre. Lo scoliaste equivoca sul-


l'epiteto 6 ex MeÀ(n1ç; che Aristofane dà a<l Eracle percbè a Melite
e' era un noto tempio di Eracle <iÀei;(xaxoç; 1 e crede che Ar. lo
chiami cost per alludere al luogo della iniziazione.
(2) Testi in Zag1·e1ts p. 177 nota 3.
(3) Zagreus p. 124 s.
(4) Zagreus p. 180 s.
(6) Zagreu, p. 175 n.l.
L'ESSENZA !>EL Ml STERO 189

qna,;i un privilegio (lel sesso gentile: le Baccanti di Eu-


ripide sono impos(ate tutte sulla. esistenza di riti dio-
nisiaci segreti fe1m11inili e tutte le testimonianze di epi-
demie dionisiache che conosciamo riguardano donne (1).
Perfino nei misteri elensini c'era. a volte una certa ten-
denza al predominio femminile. A Celee c·'era l'uso di
eleµ:gere, per ogni tornata dei misteri, un altro iero-
fante, che poteva anclie essere una donna (2).
Conci udemlo, io dirò francament.\' che credo di avere
<lato la dimostrnzio11e che la liturgia ortica dipende dai
piccoli miRteri di Agre. Non sarà quella prova. mate-
matica clil' gli archeologi talora da altri esigono ma
non impo11g-0110 a se stessi, ma è nna prova pur sem-
pre perchè costituita, allo stato presente della scienza,
da un compksso di osservazioni che non si possono
rigettare.
Del resto chi be11 guardi ritroverà 11ella liturgia
orfica l'essenza del mistero quale dalle testimonianze
l'abbiamo dedotta. Noi abbiamo conelnso che il mistero
doveva consistere in un processo spirituale evocato,
regolato da simboli , da un ritualismo che aveva con-
tenuto sacramentale percl.Jè per esso il mito diventava
attuale. Or questo avviene a Pompei: lo specchio, che
i.· il simbolo della morte di Zagreo, diventa per chi in
esso si mira il nucleo clella morte mistica in Zagreo;
per esso il mito diventa fatto, la morte del dio diventa
morte dell'uomo; la salvezza si raggiunge nel rito; l'atto
sacramentale si incentra nel simbolo. Nella liturgia pom-
peiana tutto procede così, attraverso a un processo per
cui lo spirito viene, a dir così, ritualizzato mediante
una riduzione dell' atto rituale a fatto sacramentale;
la serie delle azioni rituali diventa una serie di mo-
menti successivi dello spirito, di successive trasforma-

(1) Zagreu, p. 223.


(2) PAVB. Il 14, 1.
190 OHFISMO l': PAOLINISMO

zioni attraverso le qnali l'uomo diventa dio, e la litur-


gia diventa esperienza.
Riassumendo e tinindo le somme, qnal' è l'essenza
del miHtero,
Credo ,li aver dimostrato:
l) che la concezione del mistero come un dramma
ohùiett.ivo reah\ Hi fonda su una serie di amplifi,·azioni
e di faJ,;ificazio11i d<'i t!'sti.
2) che l:1 conc(·1,i01w del m11,;tero conw fotto subbiet-
ti\'o si aceorda con tnt,t.a una ;;erie di tPstimonianze
le q11:1 li ;;olo con essa riescono comprensibili.
3) d1<· qnesta concezione sta in a<'cordo con taluni
aspetti <lolla mentalità greca.
4) l'he il mistero orfico p11i> venir ricostruito grazie
alla lit,nrgia pompeiana.
lo a111metto elle in qualche particolare questa dirno-
strazi011e possa apparir manchevole: nna parte conget-
tura](' ,leve esistern in simile genere di ricostruzioni.
Q111•l che credo di poter escludere è che nel suo com-
plesso la mia argomentazione non abbia valore: e cioè
che dalla concatern1zione degli argomenti non esca una
tal forza «li persuasione da superare quel tanto di dub-
bio clw può sorgere dai particolal'i.
Cre,lo cioè che volendo frammentare la mia dimo-
strazione s. possa benissimo annullarla, ma che acco-
glieudola, com'è giusto, nella sua integrità essa arrivi
allo i-iCOJlO,
Il mist.cro era dunqne un dramma subbiettivo che
si rivolg·eva alla fantasia <lello spettatore, e non un
dramma obbiettivo al quale egli assisteva. Tutto con-
verge verso questa conclnsione: e solo aocettandola
avremo del mistero una concezione rrligiosa tale cho
ci permerta di comprendere l'immensa intluenza che
esso e;;m·citò, al punto ,la diventare il punto lii par-
tenza della. mistica paolina, la quale, sotto altro nome,
lo fece risorgere nel sacramento cristiano, seconda vita
del mistero greco.
III.

IL DIO DEGLI ORFICI


T. '.'")

I.

Il di11i11to po III i', ..


Il 1lipin10 pompeiano qni riprorlotto è
ia110 ron l'inrou t rn
4i lllonlsoe Ari,ulne famoso traglia i-cheologi. Intorno ad l'SSO
fieramente hattag·liarono in seno alla
Reale Acca!le111ia Ercol:rncnse ili 1m·h1•ologia il Guarini.
i I lannelli_, l' A veli i 110, il Qnanrnta (1 ), tinchè, oscurata e
vinta la gimita co11gettnra del Gnarini (2), trionfò la

(*) La materia di questo saggio è tolta da ùue miei studi (Dio-


n:,1siaka in Atti Ace. Anh. Napoli III 1917 (1918) e Dionysos My-
ltes (Atti Àcc. 1'ori110 IV 1918) che 1111i ripnbùlico parzialmentl'I
eon molti rito,·,·h i.
(1) V. gli si,ritri loro in Mcm. d. li. Ace. Ercol. Arch. Il 1833
pp. 187-362.
(2) Àm1ali ln•I. 18:rn p. 352 B. Mem. cit. p. l r(j' "· Contempo-
raneamente al G. CAHLO LRSOHMANT csprimc•n.i l'idc11 assai vicina
MACCHIORO - Orfismo ~ Paolinismo IJ
194 OH~'JSMO E PAOLINISMO

errata idea che questo dipinto rappresenti le nozze di


Zeffiro e Clori (1). Solo recentemente il Sogliano, ri pren-
dendo l'idea del Guarino, riportè> l'esegesi llello strano
dipinto sulla retta. via (2).
Il dipinto mostra una giova.ne seminuda che dorme pog-
giando il capo sulle ginocchia di Hypnos, mentre un ero-
te è sul punto di scoprirla sollevando il drappo cl,e la
ricopre, mentre dall'alto sostenuto da clue eroti scende
verso di lei un giovane ignudo, alato alle spalle, con pic-
cole ali in fronte, che calza alti stivali (embades) e porta
alle spalle una. nebl'irie; e Afrodite in compagnia di un
erote, seduta in alto sulla roccia, osserva la scena che
si svolge entro a una grotta la quale è corsa <la un
ruscelletto.
Il mist.ero del dipinto sta tutto nel giovane volan-
te, che con le sue ali alle spalle e al fronte è davvero
tale da sfidare il coraggio di più di un esegeta. Per
afferra.rio noi partiremo ora da.I noto per procedere verso
l'ignoto, e cominceremo dalla figura clormeut,e che non
può essere altro che Ariadue. Su questo punto non vi è
controversia: il tipo di Ariadne si fissò nell'arte greco-

al vero che si trattasse dell'unione di Dioni110 ed Anra secondo il


L. 48 delle Dionisiache di Nonno (Annali !net. 1830 p. 359).
(I) Gutda del Museo Na1. di Napoli N. 146·1. Altrettanto strane sono
le idee del ROCHETTE (Mon. ined. p. 36 s.) che riconoùùe le nozze
di Marte e Rea Silvia., e del HIRT (Annali 1829 p. 247 s.) ohe ci
vide le no~ze del Sonno e ili Pasitea. Alldirittura assurda l'idea.
del Po.troni che si tratti di 1111 sogno ,li Di1lone, idea da lui svolta
1nolto fantasiosamente in una iuter,, serie ili scritti polemici
(Atti Àocad. Archeol. Napoli lfl14, p. 53 s. Rtnd. Lincei XXIV,
191G p. 1 s. Reud. Istit. (:u111/. LIII 18:lO )l, 251 s.) Chi ne sen-
tisse ùisog110 pnò ve,ler co11fotn.ta 'l""~ta c11riosa i1\ea 1rnlla prima
pa.rt11 ,lei mioi DionyBiak,i.
(2) SOGLIANO, .Sul dipinto pomp. rapp1·e•e11ta11t~ lt supposte nozze
à' Zeffiro e Clo!'i in Atti Accad. A,·ch. N<1p. 1914 p. 28 s. Ancora del
dip. po'111p. detto di Zeffiro e Clo,·i, ivi p. 72 s.
Il, DIO DKGLI ORFICI 196

romana, diventò costante e non passò a nessnn al


tra persona tranne, nell'arte romana, a Silvia (1), la
quale però è sempre riconoscibile per la presenza di
Marte; è chiaro perciò che una donna dormente nella
posa di Ariadne non può essere altro se non Ariadue
11101lcsima, quando non sia Silvia. Tant'è vero che ci
erano iu antico !lelle statlle di Ariadne ùwlate (2) le
q llali dunque non erano riconosciute per tali se non
per il puro e semplice 111otivo, poichè Ariadne non ebbe
nrni nessun at.t,rihnt.o, se 11011 forse qiialche attributo
bacchico in t.alnna, pittum vascolare dionisiaca.
Niuno escln(le certo che questo tipo ariadneo potesse
passarn a nn' altra qualunque figura; ma ciò deve
m;sere provat,o con argomenti m,trinse(:i. Se gli argo-
rnenti estrinseci non possono provare che quest.a figura
non è Aria(lne, essa, per gli argomenti 'intrinseci, cer·
tamente è Ariadne.
E ba(lia1110 a.nche all'azione tuttit intera. Non è
solo una donna che dorme nella posa di Ariiulue: è
11na donna che dorme poggiata in grembo a Hypnos,
prnprio come Ariadne, sul capo 1lella quale il dio tiene
11 na coppa· proprio come la tieue sn l capo di Ariallne:
t,utt,a la scena, tale e quale, è ripetuta in un quadro
pompeiano (3), (love è (lipinto, :;enza duùbio alcuno, l'in-
contro di Dioniso e Ariadne.
Or, continuando a de(lurre, se questa dormente è
Ariadne, un giovane che -si trovi in sua presenza du-
rante il suo sonno uon può esser altri fuor elle o Teseo
o Dioniso. Ma Teseo vien sempre rappresentato, giusta

(1) RBINACH, Rep, des rtliefa, I p. 124, 4; Ili pp. 273, 5; 291,
3; 397, 4. Cf'T. la pittura delle terme di Tito (BAUMBrSTBR, Denk-
n1iile1· II p. 986) dove Marte è librato in aria simile al nostro
Dioni~o.
(2) Anth. Planvd. IV 145 e 146.
(3) Atti citati III p. 5 ~ 8.
196 ORl'ISMO t: PAOl.ll\lS~IO

il mito, nell'atto ùi su.tir sulla ua\"e e allontanarsi da


Nasso, mentre questo giovane volante è in atto di ac-
costarsi amorosamente alla giovane; e allora, escluso
Teseo, non resta altra posRibilità fuor che per Dioniso,
rappresentato nel momento in cui, toruan<lo dalla spe-
dizione indiana, trova Aria1lne ath1ormentata snl lido.
dopo che Teseo la ebbe lasciata; un Dioniso misterioso,
un Dioniso inesplicabile, ma Dioni:so. Se anche la nebride,
appena visi bi le nell' origi11ale, e le em bades non dimo-
strassero che costui è Dioniso, noi non esiteremmo a.
chiamarlo così per pure e semplici ragioni di logica.
Il problema di questa pittura 11011 sta dunque nel per-
sonaggio volante, elle è determinato senza il minimo
dubbio come Dioniso dalla presenza di Aria<lne, ma
nelle ali cou le quali egli è rappresentato.
Prima di spiegarle, giustifichiamo la presenza di Afro-
dite, a.ffinchè tutti i personaggi del quadro assumano
la parte che loro compete nel mito.
Un antichissimo nesso tra Ariadne e Afrodite è ri-
velalo da una leggenda, secondo la quale Teseo avrebbt·
portato a Delo una antica immagine di Afrodite, da-
tagli da Ariadne (1): ad Amatunte, in Cipro si onora
va, poi, .Ariadne Afrodite (2). In alcune tradizioni A-
riadne era figliuola di Afrodite (3).
Altri nessi c'erano tra Afrodite e Dioniso, che era
spesso connesso a lei nella poesia e nel culto (4), era
creduto figlio (5) o fratello di lei (6), e padre con lei

(1) Testi in PAULY·WISSOwA, Realenencykl. II p. 807 (WAGNER).


(2) PAION ap. PLUT. Thes. 20 = MliLLi<:ll, Fr. hist. gr. IV p.
371, 2.
(3) PRELLER4-RoB&RT, G1·,ech. Mythol. I p. 373; GRUPPE, G1·,ech.
Jlythol. I pp. 238, 244.
(4) GRUPPlt o. c. II p. 1431.
(5) GRUPPE o. c. Il p. 1430.
(6) NoNN. Dion. XIX 122; XXIX 86; XLII 388.
IL DIO DEGLI ORFICI 197

di una delle Cariti (1): pare all.zi che si usassero fare


11acrilici comuni alle due divinità (2).
E vi è di più: Afrodite ha grallllissima 1,.irte pro-
prio nel connubio di Ariadne e Dioniso. In Nonno ella
precede il dio e lo guida verso Ariadne dormente (3);
secondo una versione fu lei che consolò Ariadne prean-
nunzia11dogli il prossimo matrimonio col dio (4); e, se-
0011do un'altra versione, fu lei a donare a Dioniso quella
coro11a aurea che, regalata poi ad Ariadne, valse a ren-
derla proclive all'amore di lui (5). E bisogna anche ag-
giungere che 11elle Dionisiache Eros preannunzia a Dio-
niso il suo futuro possei,;so di Ariadne (6).
Aggi ungeremo che Afro1lite pre;;enzia proprio la u-
nione di Ariadne e Dioniso in due pitture vascolari
assai note: l'una. è eHibita, da un cratere attico ò.i Ca-
marina, di stile bello (7), dove la dea siede in alto as-
sistendo alla epifania di Dioniso, mentre Eros, che la
dea guarda volgendosi, vola a inghirlandare Ariadue;
l'altra pittura ,~ quella di nn cratere etrusco (8), pro-
babil111ente imitazione di una pittura attica, dove si
vede Ariaclne dormente, cui si accosta Dioniso circon-
dato da' suoi tiasoti, mentre Afrodite - figura similis-
sima, benchè invertita, a quella del primo cratere -
si volge verso Eros che le siede vicino: ella si appog-

(1) Escmm in RosCHER, Lex. e. v. Charites p. Si; PRELLER'-


ROBERT I p. 481, 3; PAULY-WIBSOWA, Realenc. III 2151.
(2) CORN. Theol. gr. comp. 30, p. 61 Lang; Ps.-EUDOC. Violar.
110 p. 209 J<'lach.
(3) NONN. Dio11ys. XLVII, !?65 s. Anche al couuubio tra Dioniso
1 Pallene presiede Afrodite in Noi,;N, XLVI11 106 R.
(4) PIIEI!EC. ap. SCIIOL. Od. XI 320 = MliLL~:R, l~r. hist. gr. I
p. 97, 106.
(5) HYG. Astron. II 6 Robert.
(6) NoNN. XLIII 426 e.
(7) Rizzo, Vasi greci della Sicilia (Mo11. a11t. IX) tav. I.
(8) Mon. Inst. X 51.
198 0Ri'1Sl110 B PA.0LLN1Sllll0

gia a un timpano, mostrando oosì di partecipare al


tiaso (1).
Resta infine Hypnos; ed f chiaro che egli interviene,
non fosse altro come personificazione del sonno, già in
quanto qui c'è uua persona dormente. Infatti egli in·
terviene dovnnque, in ogni specie di mito, solo che vi
sia 1111 dormente; coi;ì egli fa addormentare Zeus nel-
1' Ipa,le (2', Palinuro nell'Eneide (3), Annibale nelle
Puniche (4), assiste costantementl' Endimione nei sar-
cofag:i rournni (5), nonchè Ariadne in rlipint.i murali (6).
e in sarcofagi (7:; a volte anzi il dormente riposa, couHi
nel nostro caso, proprio sulle ginocchia di lui (8).

2.

Così ginstifl.cati tutti i persona!!'"Ì


mostra un Dionl1111
alato ~,-,
che
intervengono nella. scena, chiarito chH
qui si trntta di un incontro tra Ariadne e Dio11i110, pos-
siamo imprendere la spiegazione di quello che è il vero
problPmR del dipinto, cioè le nli di Dioniso.
Il Sogliano ricorda opportunamente il noto passo di

(1) V. SALIS in Jah,·buch d. Inst. XXV 1910 p. 138. In nn rilievo


adrianeo del Vaticano (Jahrb11ch 1910 p. 141 .fig. 6, HEI,BIG-Allrn-
LUNG, Jf.'iih,·er I p. 138 n. 210) con l'incont,ro di D. e A. ei vede
in alto la personifioazione dì Nasso. Il Salis crede che quella fo~se
in origine una figura di Eros : a me pare più probabile che quella
figura muliebre seminuda derivi da nna figura di Afrodite.
(2) Il. XVI 231 RS
(3) VERI., Àen. V 838 sA.
(4) 81L. IT. X 341 s,
(5) REINACH, Rep. des rel. III p. 19, 3; 50, 2'; 71, ::I; 110, 2;
243, 1 j 242, 3 i 244, 1 ; 251, 1. Cfr. ROSCHER, Lex. I 2 }J. 2850
~AU~. ,
(6) GrLida Ruesch 1322, 1410; HELBIG 1 Wandge111. 1237, 1289.
(7) REINACH, O, o, III 361.
(8) REINA.CH, o. o. III p. 184, 3; 317, 3; 318, 1; 365, 1.
IL DIO DEGLI ORFICI 199

Pausania intorno a Dioniso alato ( psilax) onorato ad


Amicle (1) nonchè un satiro alato dipinto nella villa.
di P. Fannio Sinistore (2), e una bcLccante alata di una
notissima pittura dionisiaca scoperta a Pompei fnori di
Porta Ercolanese (3); e istituisce un assai persuasivo
raffronto tra il dipinto pompeiano e nn luogo di Catullo
descrivente Jacco volante in cerca di Ariadne, ricamato
nella coltre nuziale di Teti (4).
A questi raffronti il Sogliano avrebbe potuto aggiun-
gere altri molti, se non aves!le accettato con troppa fede
a.Icone critiche non giuste mosse da qualche dotto (5)
a un vecchio lavoro del Braun, dove sono raccolte molte
figurazioni, di Dionii;;o alato (6).
Accettando quegli tra gli esempi citati dal Braun che
non posi;;ono venir recati in dubbio, e molti altri ricor-
dati dal W elcker in una sua dotta recensione di quel
lavoro (7), nonchè aggiung,,ndo altri ancora sfuggiti a
quei due dotti e al Sogliano, possiamo formare la pre-
seute non picco-fa lista:
1) Pittnra vascolare apula (8) con scena dionisiaca;
Dionhw con tirso e ramo (9), e ali alle tempie.
2) Mosaico di Delo (10): Dioniso alato su pantera.

(1) PAUS. III 19, 6.


(2) Atti cit. tav. li f. 2.
(3) Atti cit. tav. II f. I.
(4) CAT. LXIV, 251: At pa,·te. ex aliajloren• ~·olitabat Jacchu, I c.111
thyaso Baty1·orn111 et NJ/B,gn1is Siltni.9 I le q1rnue11•, Ariadne.
(:'i) PRE1.1.1rn 4-nlJ111r.11T, <Jriech . .J111th. I 710 not,a; STOJ.L in Ro-
t!CH~;u, Lex. T I l!'i2.
(6) B11 A ur,:. K1111strorsll'll11ng1·11 d .g,fliigt'lte11 lJio1111Ho•(M iinchen 1839).
(7) Rhew . .\fu,. J~;:J!J (VI) pp. ,,9:! · (illl =· Kt. Schl'ifte,i V. pp.
202-212.
(8) ll'HANCAHVILLK, Hawilto11 col/ce!. Il 12l = BnAUN te.v. IV
2. Ricordato ancho ,lai Brann in ]Ju/1. lllBt. 1838 p. 25.
(9) Di rose (B1u UN), Il.i papaveri (l'A!SOFliA ap. SToLI, in Ro-
8CHER l 1152).
(10) Mon. Piot. XIV t. XV= XtapoliB II p. (i2 Hg. 15.
200 OIIFISMO E PAOI.INl~MO

3) Rilievo di Firenze (1): due maschere alate, l'una


di Dioniso imberbe, l'altra di Dioniso barlJato.
4) Rilievo Albani simile (2).
5) Busto bro11zco ùa Ercolano (3J: Dioniso fanciullo
coronato di foglie di vite, con ali alle spalle. '
6) Gemma \4): identieo al n. 5.
7) Rilievo Albani 15): Uio11i:-10 g-iovinetto alato, ab-
ùracciato da un sileno, in prnsenza di nna menade.
8) Rilievo di Villa B01·1,!h<'se (6): scena dionisiaca, con
Dioniso fanciullo, alato, sn capro.
9) Mosaico della Uasa dd Fauno (7): Dioniso fan-
cinllo, alato, su pantera.
I monumenti con Dio11iso alato sono dunque più nu-
merosi di quanto si crede gPneral111e11te. E possiamo
aggiungerci altri, abbastanza 1111111erosi, esibenti fi-
gure dioniisiache alate, come un rilievo Albitni (8)
con un satiro alato che scherza con u1m pantera, due
pitture vascolari (9) ciascuna con un Hileno alato,

(1) BRAUN 1 o. c. Tav. I, 1; BAU~IE1STEH 1 Denk111iiler I p. 434


iìg. 485.
(2) ZOEGA, Bassirilievi Tav. 16.
(3) Bronz, di Ercol. I (Ant. di JC,,c. V) Tav. VII p. 37. Il GuA-
RINI (Mem. Àco. ercol. II p. 20:!) ricorda a propoHito di queste
bl'Onzo un altro, allura esistente nel Museo tli N:tpoli, «alato anch'es-
ao, e oon grappolo d'uva sulla p11nt1L del t.irso ».
(4) Gonr, M11a. Fior. Il Tav. 41. M:t11c1L in l<'UHTWii.NGLER, Die
ont. Ge111111en,
(5) ZOEGA, Tav. 79.
(6) REINACH, Jlep. dea 1·el. Ili p. 168, 2.
(7) Neapolis li Ta1·. IV.
;8) ZOEGA t. 88; l{EINACH, o, c. Ili p. 138, 2.
(9) TrscHBEIN, Coli. of e11g1'l,i,ings I :iii= R~;o, ACrr. Rep. tles vaseB
Il p. 288, 1 e TISCIIDl<:IN I 44 = lb:rr,r,\L:11 o. c. II fl. :!8!1, 4. Il
R. dichiara suspect il primo dis .. ~1111. f; un po' l'ancla.zzo (li (licl..tia-
rare SOHpetti i tlisegni del '1'. nppena Y,rnsen ta110 <pmh·he partico-
lare insolito. Il fatto ò però che cpiasi t.ntti i vasi (lis,.guati dal
T. soao stati ritrovati di receuto all'aHt11 della Collezioue Hop11
nel 1917 e che non risnltù chfl T. fosse poi qnel fiu1t1,stico arti-
sta che si crede (V. Luci,: in Amer. Journ. oj' al'Ch. XXI (19'17)
p. '12 88.
II. DIO DEGLI ORFICI 201

un busto bronzeo (1) esibente un eatiro con nebride,


alato.
Nè è Dioniso la sola divinità che appaia alata. Atena
è spesso alata in vasi, monete, specchi , anelli, sta-
tuette (2): cosi la nota Artemide ar.;iatica (3). Un vaso
a ligure nere ci mostra un Ermete alato (4): :N"emesi
alatà aveva una statua ~ S111irne (5) ed è invocnta nel-
l'inno di Mesomede (6): sono poi r:cor<lati e descritti
Pluto (7), le Muse (8), Arie (9), Elio (10), tutti alati.
E altri pu:,onagg·i di vini o mitolog"ici a lati troviamo
rappresentati o descritti, che non si potè finora iden-
tificare con sicurezza (11).

tl) Gom, Mus. et1·. t. 55.


(.!) SAVIGNONI iu Rom. MW. 1897 p. 310 ss. Tav. XII, e .Au-
410,tia 1910 l p. 76; PUTO!lTI iu Ntapolis I p. 128 s~. j REINACH,
lltp. st. II p. 29,, 2 e 3; III p. 800, 5.
(3) RoscHEit, L1·x. I Jigg. a col. 564 e 595; Artemiùe alata in
un rilievo delle Terme, HEINACH 1 Rep. rei. III p. 327, 2.
(4) L~:NOl!lllANT-DE W1Tr11:, Elite ceram. II t. 36 D.
(5) PAUS. I 33, 6.
(6) ,1AN, Musici script. gr. p. 468: Né11Eai 1t,EpUEaact.
(7) PmL. lm. II 27, 2.
(8) POHPII. De .Abstin. III 16 Nanck: ,à, a1;; Mouact, h,épwactv.
Cfr. PINI>. Isth111, I 64 Schriiùer: E!"I) nv Eùcpwvwv 1tnp6yEaaiv
1hplJ.ÉV"t. àyì..actt, IliEp!8wv.
(9) In Eump . .Alc. 261 alcnni codici leggono 1tupw,6, • Aact,.
{10) EURIP. Jon. 122 s. Wecklein: aµ· &;ì,.!ou 1t,Épuyt IJ.o'1 ì..ct,-
flEUW'll ,ò xa,• ~µctp. Per Elio alato nell'arte HAPP in ROBCHJtR 7
Lex. I 1908.
(11) Tale la figura alata in talune scene di rito dioniHiaco mi-
etico (Homn;N-W1NNEI<'ELD, Die ant. Tcrrakotten IV t. 123 = Journ.
rom. st. 1913 fig. 28; BAll1'LON, Cat. des cam. a11t. Tav. VIII 62, 63 =
Jo11rn. cit. lig. 29 e 30 ; lhHTOLI-Btr.r.1.om, Pitt. a11t. ddle grotte
lli Ro111a e del sep. dei Nas., titv. XI; .-l1111ali Jnst. 1842 T. B. fig.
1: Tahrbuclt 1913 Tav. 9 a (WE~:,a,) = J\1011. 111st. XII 32, 3. Il BA-
CH<>fl<:N ( Versuch iib. die G1·iibersy111b. der LI lt1111, Ba~i lea I 859, p. 30)
menziona un frarrìnwnto marmor,:o cli Monaco, chti credo ine,lito,
eon una figura ft>mminiln alata che t.i,me 1111 uovo tra le dita. Una
divinità alata incerta invoca EU1<JPII>e:, Bacch. 366 s.: 'Oa(ct Il", 11
xct,ix yà.v xpuoéct 1tnpix cpépEl,. N 011110 segue forHe una tmùizione
20:.. OHFISMO H PAOLINISMO

Un Dioniso alato non è dunque per nulla inverosi-


mile: e io credo anzi che non poche identifioszioni mi-
tologiche, accetta te come sicuro de.i dotti, sono assai
meno sicnre di questa qui.

3.

8he li Mnnetto al
alto prlmltho.
All'importanza del dipinto haaocennato
il prof. Sogliano, esprimendo fng-gevol-
rnente e quasi timidamente l'idea che questo dipinto
possa connettersi in qualche modo con le tradizioni or-
fiche t>LI eleusinie (1). Ora io dico invece, e mi accingo
a dimostrarlo, che questo ùipint.o 11011 solo lia una non
comn11e importa11za per la conmicenza del mito primi-
tivo di Dioniso e Ariadne, ma si conuette direttament,e
alla più schietta tradizione orfica, come ha intuito feli-
cissimamP11te il prof. Sogliano.
Indaghiamo per prima cosa quali rapporti corrono
tra. la pittura e la tradizione.
ln No11no, i11 quel tardo poeta pagano che ha voluto
riassumere e quasi rivivilicare nel suo poema tut.ti i
miti dionisiaci cll\lla civiltà greca (2), noi troviamo de-
scrit.to l'inoontro ile' due dei con particolari che corri-
spondono in modo sorprendente alla nostra pittura.
Nonno ci descrive Dioniso mentre, lasciata Atene,
va verso Nasso prt>ceduto e guidato da Afrodite, e cir-
condato da uno sciame di eroti; il 1,1110 arrivo avviene

a noi sconosci11ta <jllan,lo rntna che, liuita la lotta con Tif'f'n, gli
dei tor11aro110 all'Oli111po ,Icp1111ernlo le u.li: r.a:ÀLvv6o,rp ~' Èvi µopcp'i/
n;np6Ev µt1njµa: µn7JÀÀ<i~a:no n;pootimou (NoNK. 1Jiu11 .. II 707)
Koe"hly. V. u.uclrn G1mIL\IW, u~b. die /l'liige/gestalten d. alt. KunBt
(Gesamm. akad. Ablr. I pp. Hi7-177). · '
(1) Atti alce. Nap. 1914 JIP· 30 Il ì5.
(2) V. lo studio di n. F. DAMIANI, L'vltimo poeta pagano , To-
rino, 1902.
IL DIO DEGLI ORFICI 203

di giorno, e le nozze sono celebrate immantineilte (1).


Ebbene, tutto ciò noi ritroviamo nella pittura, con le
t.rasformazioni inevitabili nel passaggio rlall' arte nar-
rativa all'arte figurativa. Afrodite presiede ali' incon-
tro, e il manto che parte dalla sua 111a11q e, arcuandosi,
va ad avvolgersi intorno al braccio sinistro di Dioniso,
indica che il dio ta ha. seguita fin n, socon<lo nn espe-
diente usato dall' nrte figurativa antica per esprimere
simili rapporti (2). Att,orno al dio svolazz1rno gli eroti,
la grotta è illuminata dalla luce 1lell'alba, e la fiaccola
eiinbolica posta n in modo assai visibile, con un signi-
ficato indubbio per nn greco e per un romano, ci av -
vert.e che il matrimonio sarà. tra poco una rnaltà"(3).
Ma vi è di più: nel poema nonniano Dioniso, al primo
vedere Ariadne, la scambia per Pasitea e erede che la
ninfa si sia testè sposata con Jpno (4). Perchè questQ
scambio 7 Non certo per il suo aspetto, che era. quello
di una qualunque fandulla e 1lal quale non si poteva
certo dedurre che si fosse testè cong-i unta a Ipno o a

(1) NoNN. Dionys. XLVII 26:, s. Koedily: 'ULcrcroù l:lè péE&pa.


µEÀ(ppu'ta. Bcixxoç àcicra:ç, I 6:~p6ç àç àµ1tEÀ6Ecrcra.v bciiµa.crEv !iv'tt>ya:
Nci~ou I &µq,t 1lè µw 7t'tEpà 1tciÀÀEv "Epwç; &pa.cr6ç èpxoµt!.vou 1lÈ I
µEÀÀoyciµou Ku&spELa: 1tpol)yEµ.civ.us Aua:(ou; XL VII 468 R. : àµcpl
bè v6µq,'l)ç N a:~(a:1loç; crx(p'tl)n ya:µ6cr,oÀog t!.crµòç 'Epcil'tWV; XLVII,
279: 15p&poç; Ha:µcj,E, xa:l àyyu&L q,a:(vna.L fiwç. X·J, VII 456: 1ta.1J'tÒV
·Epwç; È1tEx6crµEcrE Bcixxcp. Dioniso è detto µeÀÀoya:µoç e tnttq, la
descrizione clel connubio (v. 456 B8.) è una trasformazione ppetica
di nn rito nuziale col canto dell'inrnneo e le d1tuze rituali.
(2) V. il pnte:ile di Villa Albani (R~:INACH, Rep. des rcl, III 135,
1) dove le st1igioni che si avvicinano da d,,stra t1mgouo ciascuna.
in mano 1111 Jt,mho 11<'1 manto di q1wlla 1·IH• JHr.c•.e1Ìi,; cfr. le ,lan-
zat.rit:i in un rili~,·o di Sa..~alns8o (REl~Al'II o.,,. II 10(1, 2) n le· ni11fe
in 1l11e rilievi <li Ati,nc (1{~:r:s:ACII o. c. 11 :liiK, l; B:i!', 1).
(3) P«r l'uso delle liaccoli, !IP! ;:.atrimo11io greco II Tomano v.
POT'l'lli:R i11 D.\.IIF.:11HEIIG-S.H,LIO, Dfol. Il 2 pp. I 028 e 1029; COL·
LIONON, ii:i lii 2 pp. 16,l'i, !liii!: IIt<:Jt~fA:S:!'.'1-BLlill~Ell, tehrb. d.
gr. l'rivatalt. p. 274:;; MiiLLll:R, U.r. l'rfralait,wt. p. 149.
(4) NONN. Dion. XLVII, 278 - 80: 7tEW·oµa:L, wç; ÌpOEV'tL XcipL,;:
vuµqieuncu ·r1tvq1 ... II a.crLiJ-É'l)V Er>1loucrcn lyeipe1.u.
204 Oltl"ISMO Jr. PAOLINISMO

chi che sia. Dunque Dioniso vede Ariadne addormen-


tata nelle braccia di Irmo, ed è perciò appunto ch'egli
crede di aver innanzi proprio la sposa di lui, dormente
nelle braccia del marito; nel poema nonniano Ariadne
dorme dunque in grembo a Ipno proprio come nel nostro
dipinto (1).
Manca porò in Nonno prnprio quol JHnticolare figu-
rativo che 1listing11e la no:;,trn pittura da ogni a]t,ra,
cioè il Dioniso alato: anzi il poeta ctiiama Dioniso aptero,
cioè senz' ali (2), beuchi· poi lo descriva volteggiante
e balzante nello spazio con tanta agilità che la nostra.
fantasia ,~ tratta a immaginarlo per l'appunto alato (3):
-e la assenza di questa fignrn ci viet.a di riconoscere
un nesso diretto e immediato tra la pittura e la fonte
di Nonno: e ci costringe a valerci del poet.a solo per
affermare che il qna1lro risponde a una t,radizione, se-
guita da Nonno, nella quale si muTava il matrimonio
di Dioniso e Ariaclne, presente Irmo, pronuba Afrodite.
Nonno Rerve dunque solo per i prcct>denti mitologici
di questa pittura.
Per risalire ai precedenti pittorici ci serviremo di
Catullo. Il quale nel notissimo epitalamio di Peleo e
Teti descrive, immaginandolo ricamato nolla coltre n11-
ziale di Teti (4), proprio ciò che manca in Nonno e che
caratterizza il no~tro dipinto: (l cioè un Dioniso alato.
Se poi, come vogliono alcuni critici, ammettiamo che

(1) Cfr. BrnTH in Rh. Mus. N. F. LVII (1895) p. 49. Non vede
la. ri11pondenza - affermata anche <la KAJ.KMANN (Rh. ,11us. XXXVII
(1882) p. 416, 4 - tra NONNO e PHII.OSTR. ifn. I 15.
(2) NoNN. Dion. XLVII 668.
(3) Ecco come N. descri Ye p. es. il duello tra Perseo Il Dioniso
(Dionys. XLVII 656 ss.): 'rdp Bpoµ!ou ~È xap'Yjvou I a(.'l-6oowv itnpdc
-xoùcpa µE,cipaLo, Eit,ci,o IhpaE6ç I ùq,woa, ~· 'Ié,~axxo, Éòv Mµa~,
a:t.'l-ÉpL yE!,wv I 1iitupo, ÙqJLXÉÀEu.'l-o, à.s(pE,O µElçovL poLçiji I titu-
J1Évou IlEpoi)o, ùdpupo,. Cosl nella lotta contro i giganti Dio-
niso si libra e balza sopra le teste dei nemici (XLVIII, 79 s,).
(4) CAT. LXIV 158 Il.
IL 1>10 DKU!.I Ol<F!Cl 205

in questa descrizione ci sia una lacnna (dopo il v. 243),


allora potremo anche immaginare clie nei versi mlln-
cauti il poeta uarrasHe come il connubio fu aintato e
voluto da Afrodite. ì\la anclle rinunciando a questa :,:e-
con<la eventuale coincidenza, noi dobùiamo pensare che
la duplice prm;enza di questo sinj!olare Dioniso alato
nel poema catnlliano e nel dipinto cnmpano non p11i}
esser casnale, e che le due opere 11'arte hanno in co-
mune la fonte.
l\fo questa foutc era letteraria o figurativa! era 1111
poema o un q nadro i
11 quesito se Uatullo traùucPsxe addirittura il suo
e1,italamio da uu poeta alessandrino o se si restrin-
gesse a imitarlo a noi non irnportn. l\Ia quel elle a 11oi
importa è cl.te in questo poemetto è stata già ricono-
sciuta la duplicitù, della fonte in base a sostanziali ine-
guaglianza di stile e di fattura, concludendosi che il
poeta romano contaminò ùue distinti poemetti elleni-
stici, l'uno jntorno alle nozze di Peleo e Teti, e l'altro
intorno all'abùandono di Ariadne (1). Ed è altresì noto
che tr~ l'eph,odio di Ariadne nell'epitalamio catulliano
e l'eguale episodio di Nonno vi :,;ono tali rispondenze
di frasi da far concludere che i due poeti attinsero a
una fonte comune a noi sconosciuta (i).
Ma in tutto questo lavorìo di indagine fu negletto.,
finora, il breve episodio dell'arrivo di Dioniso (v. 251-
266) che descrive la seconda delle due scene ricamate
anlla coltre di Teti e che non fa parte del poemetto

(1) PASCAL in Studi it. .fil. cla88, 1901 XX p. 219 ss. Altri, certo
errando , nega qneHte ineguaglianze: HEUMANN (De epyltio alex.
Leipzig l!J04, citato <la GRUPPK, Be,·icht ii/,. die Lit. zui· ant. Myth.
Leipzig 1908 (Bu,·Bians JahreBbe,·icht Voi. 1.3) ).), 166 e R&ITZe:N-
ilTEIN (He,·me8 1900 (35) p. 101).
(2) MAASS in Rer111eB 29 (1889) p. 52.8 ; REITZENSTEIN ivi p. 101.
F.orse il DionyBos di Euforione (KoHLER, Die Dionya. d. Nonno, p.
12 e.; MAASS, OrpheuB p. 118).
206 OIIH~MO E PAOLINISMO

sull'abbandono di Ariadne inserito da Catullo entro il


suo epitalamio.
È evideute che questo finisce con i versi 246 - 248,
che chiudono la narrnzione della morte di Egeo, e con-
tengono la conclm1ione, anzi la morale ùel poemetto:

aie o funesta domus ingressus tecta paterna


morte ferox 'l.'lumms, quatem Alinoidi luctu1n
obtulerat mente -immemori talem ip11e recepii.

Ognuno comprende che qui il poemetto, anzi la ma-


teria epica stm,sa, è linita. Ma in Oat,ullo seguono due
altri ver:;i :

quae tamen a11pectans cedentem moesta carinam


muttipJices animo vol·vebat saucia curas,

ai quali segue la descrizione dell'arrivo di Dioniso. A


me pare evideute che il poeta, trndotto o imitato il
poemetto ariadneo, volendo pas1mre a descrivere la se-
conda sceua della col tre, si trovò nella necessità, dopo
la lunghissima digressione della morte di Egeo, di rie,
voon,re la situazione iniziale, di ritornare cioè ud A·
riadne ahbaudonatit sul lido prima di accingersi a de-
scrivere l'arrivo di Dioniso, legando con qnei due versi
la n1urazione che segue a quella che precede.
Questo 8econùo epiMoùio dunque non faceva in realtà
pal'te di nessuno dei due poemetti contaminati da Ca-
tullo, nè dell' epitalamio di Peleo e Teti, nè del poe-
metto al'iadneo: la Hua fonte va dunque cercata altrove.
Confrontando i due t•pii,,odi che descrivono le due
.scene della coltre nuziale osserveremo molte e i,iingo-
lari diversità, lo quali sono tanto più strane in quanto
essi dovrebbero rispondersi pienamente non solo per
il contenuto - distacco di amanti, riunione di amanti -
ma anche per l'euritmia stessa della poesia.
La prima difforenza. sta nella diversità della lunghez-
IL lllO DltGLI OKl'ICI 20ì

za, che re':>ta enorme anche ammettendo una lacuna dopo


il verso 253, percllè questa, se c'è, non può compren-
dere più di una decina di versi al più come si vede
dal testo: la prima descrizione (v. 52-241') è lunga, dun-
que, tre volte la secouda (v. 250-264).
Ma non basta: c'è diversità anche 11ell'a11damento e
nel contenuto. La prima descrizione ha procodi111e11to
epico -narrativo (l ). 11 poeta, 1limentico d1e sta descri-
vendo .una :,;cena figurata, divaga dopo :n·er descritto
la disperazione della derelitta, e narra eo111e l<i Svolse
l' impresa del Mi nota uro. A un ,·erto punto ( ,-. 1 Hi ),
avvl·dutosi del suo divagare, si ri1,n·1Hle: Sed q11id_ ego
a primo digre.~sus cnrmine plttra eo111memore1n 'I Ripi-
~lia a descrivern la disperazione di Ariadne, metten-
dole in boccrL un lungo pateti1'.0 lamento. l\la ecco poi
divaga ancora, narra11do come Teseo dimenticasse la
raccomandazione di Egeo di 111ut,ar le vele in caso di
esito felice, e ripl'O<ince perfino le parole di Egeo (v.
215 - 247 ), concludendo con la morte <li lui. È clliaro
ohe questa è una narrazione epica perfetta che sta a
sè, durante la quale, come bene nota il Pascal, il poeta
di111e11tica che sta descrivendo una scmrn figurata, la
quale è un preteisto o nn sacrificio pPr collegare il poe-
metto ariallneo all'epitalamio di Peleo e Teti.
Invece la seco11da descrizione lrn tono e andamento
desc,·ittivo:

at parte ex alia florens volitabat lacchus


cw,n thiaso Satyrorum et Nysigenis SUenis,
qui (2) tum alacres passim lymphata, mente furebant
euhoe baccantes, 11ulwe capita i11fiecte11tes.
Harmn ptirs tect1i quatiebant cuspide thyrsos,
parll e divolso iactabant membra iuvenco,
pars sese tortis serpentibus incingebant,

(1) V. le fini osservazioni del PASCAi. o. c. p. 224.


(2) Quae leggono colorn <'he ammettono la lacuna dopo il v. 253.
208 OltFISMO E P.HII.INJSMO

pars obscura c11vis celebrabant orgia cisti.~,


orgia, quac frn.~trn cupiunt audire profani,
pla11[Jcbnnt aliae proceris tym.pana palmis
aut tercti tenues tinnitus acre cicbant,
multis raucisonos cJllnb((.1tt cornwt bombos
barba.raque ltorribili stridebat tibia cnntu.

Si osservi qni la asse11za a,;solnta di ogni lliscor .._,,


messo in uoc1·a ai val'i perso11agg-i, co111e 1nve1~e, c:011
vera prolissitù, av\·icne nella prima descrizione. Il pol·I a,
che si iwlugia co11 tanta co111piace11za a descrivere 1:i
dispera:,:ione di .Ariadnc o la passione di Egeo, non ha
ora una sola parola per esporci l'amore di Dioniso e
la gioia di ~\ riadne. :N l'Ila prima scena, si de seri vono
stati d'animo (1); nella seconda, ge8ti e azioni (2). L.1
prima, dove il poeta, cioè il modello di Catullo, inter·
preta l' eomnnica, come la fanta,;ia gli suggerisce, k
passioni dei suoi personaggi, è diffnsa, vasta, eo111ples-
sa; la seco111la, dove il poeta descrive, senia ag·gi unger
di suo, ciò che i suoi occhi vedc,no, è breve, ra pi1l:i.
semplice.
Queste eRRenziali differenze si spiegano snppo11t•1Hlo
che la prima descrizione :,;ia stata composta sotto l'in
fln:,;so 1lell'arte narrativa ed interiore, e la seconda, sotto
l' intlnsso di 1111' arte dexcrittiva ed esteriore: la poesia
cioè nel primo caso, e la pittura nel secondo. E infatti.
nella prima descrizione Catullo mostra attinenze con
Nonno, cioè un poeta, e nella seconda col dipinto cam·
pano, cioè 1,n pittore. Poco importa, praticamente, se-
Catullo, invece di ispirarsi a un quadro direttamente.

(1) I11do111itos in corde gerens f11rores (v. 54): magnis cumn,m


.fl11cl11al 1111dis (v. 62): toto ex te peclore. Theseu , toto animo , tota
pen debat pe1·dita mente (v. 69 s.) : supplicium saeds exposcens Jactis
( v. 202) ecc.
(2) Volitabat, quatieba·nt thy1·sos, sese torti, serpe11tibu.1 inoinge-
bant ecc.
IL DIO DEGLI ORFICI 209

derivò da un poeta - fors' anche lo stesso dal quale


deriva la prima scena - il quale a saa volta dipen-
deva direttamente da un quadro. Ciò non muta il va-
lore del nostro ragionamento.
Il quale arriva dunque alla. conclusione che ci fu
un quadro nel quale era rappresentato l'incontro di
Dioniso alato con Ariadne. E ricostruendo qnesto qua-
dro con i dati offerti dal dipinto campano, da Oatullo
e da Nonno - i quali si int,egrano a vicenda-, por,-
siamo dire che esso rappresentava questo incontro in
una grotta, presso a un ruscello, in presenza di Afro-
dite, che Dioniso era alato, che Ariadne dormiva in
seno a Ipno, e che di questo quadro noi possediamo
una fedelissima copia.

4.
Cerchiamo di ricostruire il significato,
clel connablo di Dio-
alao e .lrlaclne,
o contenuto mitico, di qnesta pittura.
I due miti dell' abbandono di Teseo o dell' amore di
Dioniso non erano congiunti e fusi im1ieme original-
mente. Vi sono molti argomenti per credere che il mito
più antico, cioè quello del connubio di Dioniso e Ariadne,
era in origine isolato (1): Esiodo ignora la versione più
tarda, secondo la quale Teseo abbandona a Nasso
Ariadne che Dioniso poi trova e sposa, e nomina sem-
plicemente Ariadne quale sposa del dio, insieme ad
altre eroine o dee sposate da dei (2).
Anche negli scrittori piì1 tarcli troviamo le prove che
in origine i due miti erano distinti.

(1) V. PRt;LLKR3-ROnll:RT, Gl'. 1lfyth. I, 208, 1; GROPPE, Gried .•


Myth. l p. 582; WAGNER in PAULY-W!SSOWA, Realenc. II p. 80ti.
(2) H11:s, Theog. 917 s.: Aglaia ed Efosto, Ariadne e Dioniso,
Ebe ed Eracle. In due frammenti (fr. 85, 86) dice solo che Teseo
abbandono Ariadne per amore di Egle, ma mostra. di ignora.re tutto
l'antefatto.
V. MACCIIIORO. - Orfismo e Paolinismo.
210 OIUl'l8MO B PAOJ.INIBMO

In Igino, per esem!_:'io, leggiamo le due distinte ver-


sioni : l'una, nella quale Teseo non ha parte alcuna,
narra che Dioniso sposò Ariadne donandole una corona
d'oro, dono di Afrodite e delle Ore; l'altra in cui Dio-
niso a sua volta non ha parte, narra che la corona era
di Teseo e fu donata da lui ad Ariadne (1). Ma Igino
non fa il minimo accenno alla partecipazione di Ariadne
ali' impresa cretese, e racconta anzi che l'eroe attioo
uscì dal labirinto guidato non già dal famoso filo, ma
dalla luce irradiata dalla corona, secondo un mito pro-
babilmente più antico (2).
Ateneo riferisce anche lui due leggende: la prima,
narrata da Teolito, secondo la quale Glauco si inna.-
morò di Ariadne quando fu rapita da Dioniso e, avendo
tentato di farle violenza, fu da lni legata con viticci
e poi lasciata andare (3) ; la seconda , raccontata da
Euante, secondo la quale Glauco si congiunse ad A-
riadnt> quando Teseo la abbandonò (4). Ma nè l'una
nè l'altra versione contengono un qualunque nesso tra
Teseo e Dioniso; e Ateneo stesso, pur esponendo l'nna
dopo l' altra le due leggende , non fa alcun cenno di
questo nesso.
Vi sono altre versioni, secondo le quali Dioniso ra-

(1) HYGIN. Astro•. II 5 Robert: Dicitu1· enim in insula Dia oum


Ariadnt Libero riuberet, hanc pri111u11~ coro11am muneri aocepisse· a Ve-
rie,·e et Ho1·is cum omnes dii 111 eius nuplii• dona confe,·rent,... Ali.
iicu11t he.11c co1·011am Thesei esse •.. Co1·onam Ariadnae TM1eus dono
dicitwr dedisse, cuni ei ... uxor eastt co11cessa.
(2) GRUPPR o. c. I p. 603 n. 3. - t curioso che Igino altrove,
non Hapeudo o non curando le versioni comuni, spi,iga l' abban-
dono <li Teseo con ragioni ... 111orali: HYGIN. Fab. 43: TheseuB in
irtsula Dia tempeHtate rete11l118 , eogitans si Artadnem in patria po1·-
t1111tt, sibi opp,·obrium futuru111, itaque in insula Dia clormientem re-
liqmt. Cfr. l'incertezza ùi SERVJo (ad VEnG. Geo,·g. I 222): qui cum
11à Naxum insula111 delati essent, Ariadnen ibi vel consulto vel rieces-
1itate t·el monit-u Me1·cu1·ii a Theseo derelictam.
(3) THF.OLYT. ap. ATHEN. VII 47, 296 a (Meinecke).
(4) EVANTH. :ip. ATIIEN. jyj 296 C.
IL DIO DeGLl ORPICI 211

pisce .Ariadne a Teseo , ma nemmeno queste narrano


l'impresa del Minotauro e l'abbandono di Teseo (1);
oppure tonoRcono sì l'abbandono e il successivo incon-
tro con Dioniso, ma non esprimono un qualunque nesso
tra l'un fatto e l'altro (2). Altre versioni infine unifi-
cano i due miti, spiegando l'abbandono in varia guisa:
l1una narra che Teseo 1,i allontanò per ordine di At(·-
na (3); l'altra dice che fu Dioniso 1,tesso a cacciare TP-
seo minacciandolo (4); una terza, che ciò avvenne per
ordine di Ermete (5).
Vediamo dunque che, mentre si andava operando la.
contami11azione dei due miti, rimase pur sempre viva
la distinzione di essi. Un riflesso di questa distinzione
possiamo riconoscere, se ben giudico, in una tradizione
di Nasso, secondo la quale c'erano due Ariadne, figlie
di due Mi11ossi, delle quali l'una fu sposata a Nasso
e l'altra, rapita da Teseo, giunse poi a quell'isola (6).
]~ certo che la tradizione cercò sempre di dare una
impronta ùio11isiaca anche al mito contaminato, a mag-
gior decoro <li Dioni1,o, immaginando l'amore di Teseo
come una offesa al dio, punita e rintuzzata. In questa
forma troviamo trasformato il mito già in Omero (7),

(1) APOLLOD. Epit. vat. 1, 10 (Wagner); DIOD. IV 61, 5.


(2) SCHOL. Àp. Rh. III 997 (Keil): 'ICctpciastyµa: q>apoy nJY "A.pui-
~Y'IJY ,iJv EhjoEw, owutpa:v, ... 'X.cna:UÀ6m,cu at fl7tò Eh1aaw, iY Ncifrp.
Ila1ta:plHvauu.L !là ll1tÒ àtovòooo xa:,ci ,Lva:,.
(3) Pm.alEC. ap. SCHOL. Hom. Od. XI 320 =
MiiLLBR, FGH I p.
97, 106; EusTATH. In Hom. Oà. XI 321.
(4) DroI>. V 51, 4.
(5) SEHV. ad VERG. Geo1·g. I 222. In Nonno (XLVII, 270) non
è detto perchè Teseo si allontaria, ma nello spirito se non nella let-
tera. di quel poeta ciò avviene per '\l'olontà. di un dio, Afrodite •
Dioniso.
(6) PLUT, The8. 20. Altri (PRELLER3-RoBERT I p. 682) spiega )11,
duplicazione di Ar. con i due tliversi aspetti del mito che accanto
al tripudio 11er il connuhio con Dioniso mostra.va il dolore per la
morte di It,i. Ma anche il wito di Adone ha questo doppio a.spetto
eppure la figura di Adone non ne risultò sdoppiata..
Cl) Oà. XI 322 s., ed EUBTH.
212 01u·1~.:v.o JI: l'J.0U1òl1SM0

dove si narra che 'feseo rapì ùeusì Ariadne, ma non


l'ebbe, perchè Artemide la uccise su accusa di Dioniso
stesso; un'altra versione narrava che fu Dioniso stesso
a uccidere Ariadne perchè si era data a Teseo nel sno
stesso tempio (1); una terza, la quale sostituiva a Teseo
una divinità che lm con lui qualche affinità, cioè Glau-
co, raccontava che questo dio osò attentare ad Ariadne
e fu legato per punizione da Dio11iso (2). Notevolissima
per noi è una tradizione cretese, conservata da Epime-
nide (3), secondo la qual.e l'impresa del Minotauro sa-
rebbe avvenuta dopo il matrimonio di Dioniso e Ariad.n&
e oon l'aiut,o di quest'ultima (4).
In tutte queste tradizioni, e specialmente nell' ulti-
ma, Ariadne è la sposa di Dioniso, senz' altro. Altre
versioni però narravano un ratto di Ariaàne, che Dio-
niso sottraeva violentemente all'eroe attico (5), usando
anche la minaccia (6). E un'altra versione, infine, ria-
bilitava in altra guisa Dioniso, immaginando che Teseo
amasse Ariadne proprio per volere del dio (7).
Questi vari tentativi di dare una impronta schietta-
(1) EusTH. io HOM. Od. XI 321.
(2) TBEOLYT. o.p. ATHEN. VII 47, 296 a.
(3) ROBEUT, Erat. Cat. pp. 8 Pl•· 8 e 241.
(4,) ScHOL. Germ. 71 (RoBERT, Erat. Cut. p. 66): Qui Cretica
eo,uoripsit refef'I, cum Liber ad Mi11oem vtmisset, ut eam uxo,·em du-
""et, coronam donum .tlriadnae dedisset Vulcani opere confectam er
auro et gemmis. ab todem domino dicitui· Thestz ex labyrintho libe-
raHe: tali fulgore fuit. quae post astris adfixa, cum i·n Naxo utriqvt
t1et1i11e111' Big11um amoria; cfr. ERAT. Cat. E'p. V (ROBERT p. 66) e
SOHOL. Àrat. 71 - L'aiuto dato ùa Dioniso all'impresa. di Teseo,
11he esclU<le l'&bliontlooo e il ritrovamento di Ariadne, era il fon-
d&men~o della tradizione esplicativa delle Oscoforie, secondo la.
qnale i tre.lei di vite portati dagli Oaxoq,6poL volevano significare
le. gre.titutliue per Dioniso ed Ariadoe per la. liberazione delle vit-
time destinate al Minotauro (PIIELLER'·ROBERT I 208 i GIRARD in
DAREMBERG - BAGLIO II Diotionn, I p. 234. STOLL io ROBCHER,
Lez. I 1076.
(5) APOLLOD. Epit. t1at. 11 10; D10D. IV 61, 6,
(6) DIOD. V 61, 4.
(7) SCHOL. Theocr. III, 4.6 s,
213

mente dionisiaca al mito contaminato, per giustificarlo


e per mantenere ad Ariadne il suo primitivo carattere
di sposa del dio, dimostrano che la distinzione tra i
due miti non scompare mai.
E noi vediamo un l'iflesso di ciò nella singolare cir-
costanz:i che in alcune versioni le due fasi del mito
contaminato si svolgono in due diversi luoghi, e non in
quello stesso sito dove TeReo ha abbandonato Aria.due.
Secondo Apollodoro (lJ ciò avvenne bensi a Nasso, ma
il connubio tra il dio e la fanciulla ebbe luogo a Lem-
no dove, rapitala, Dioniso la portò; Diodoro ('.!) 1listin-
gue pure due luoghi diversi, pur non uscendo dall'isola,
perchè narra che l'abbandono avvenne in riva al mare
e il cònnnbio sul monte Dio, in Na.sso stessa. Più chia-
ramente a11cora lo scoliaste di Germanico dice ehe il
connubio av,·enne iu Creta e che l'impresa di Teseo
avvenne a Nasso, dopo il connubio con l'aiuto di Dio-
niso (3).
Ci fu dunque sempre grande incertezza so questi miti
in generale (4), e sulla loro localizzazione in partico-
lare, ch1:1 oscillò i;,empre tra Dia, coucepita o come isola
mitica oppure come isola reale, cioè l'isoletta che giace
di fronte a.Ila costa. settentrionale di Creta (5), e N asso,
che si chiamò pure Dia (6). E la confusione, riconosciuta
già in antico (7), arrivò a tal punto che si scambiò ~asso
(1) Epit. vat. 1, 10.
(2) DIOD. V 51, 4.
(3) V. note. 4 e. p. 212.
(4) PLUT. Thee. 20.
(5) Od. Xl 325 ; PHlmEC. a.p. SceoL. Hom. Od. XI 320= MilLLEJt,
FHG I p. 97, 106; AP. RH. IV 434; Ovu,. Met. VIII 174; CAT.
LXIV 62 6 121 j PHILOSTR. Jm. 1 14 (15); Q. SMYRN, IV 398.
(6) Nominano Na~so = Dia CALLIM. fr. 163 Schneider: D100.
IV 61; Ovrn. Met. III 636 cfr. 690: PLIN. H. n. IV 12, 22: ScHOL.
Theocr. Il 45; ScHOL . .A.p. Rk. IV 425; Et.y111. Magn. p. 266, 4';
1nvece menzionano Ne.sso semplicemente DIOD. V 51, 4 APOLLOD•
.Bj,il. 1, 10: 8ERV. ad VERG, Georg. I 222; NoNN. Dionya. XLVll
266; Cfr. EsCHBR in PAULY-W1ssowA, V p. 298.
('7) PLUT. Thea. 20.
211 ORFISMO Jr. P~OLINISMO

con la Dia reale, e si credette che quella giacesse al


posto della Dia reale, vicino a Creta (l).
Questo dualismo nella localizzazione dei due miti si
osserva anche nell'arte figurata. Se ei.;aminiamo le pit-
ture campane, esibenti l'abbandono di Ariadne e l'in-
contro con Dioniso, osserveremo che le prime conten-
gono un paesaggio che rappresenta la riva del mare (2),
mentre nelle seconde il paesllggio rapprn;enta un an-
tro, o almeno un ambiente cinto di rocco (3J. La pre-
senza di qualche paesaggio misto, dove vedi àggiunto
alle rocce un lembo di mare, per pura ricerca di un
effetto pittoresco (4), non diminuisce il valoro di que-
Bto fatto. A questa diversità di mnbiente corrisponde
una diversità di modo, poiohè nei dipinti esibenti l'ab-
bandono di Ariadne questa dorme sopra una coltre bene
disposta, o anche sotto un baldacchino o sotto una
tenda, come, secondo il mito, Teseo la depose perchè
rip0t:iasse, prima di abbandonarla: mentre le altre pit-
ture che rappresentano l'incontro ccin Dioniso mo-
strano Ariadne dormente sul nudo suolo. Questa di-
versità, che le contaminazioni e le varianti proprie del-
l'arte rappresentativa (5) non possono cirncellare, si

(1) EUSTH. i11 Hom. Od. XI 321 : (TeReo) 1tpo:,QpµLo3-El, 't'Ì) A!q;,
vfjao,llà C1.lh'I) 1tp6 'tY)ç; Kp°lj't'I)' lEpà: Atovuaou, i) xcll N cii;o, èx):,j3'7),
6~LÀ1t 'tt 'Aptciev'!),
(2) HELBIG , Wandge111. 1217 ( =
Guida RueBch 1438) , 1218 --
1220, 1222, 1223 (=G. 1442), 1224-1226, 1227 (=G. 1439), 1228
(=G. 1441), 1229-12:H; SOGLIANO, Pitt. 11LUI'. 131 (=G. 1440).
(3) HELBIG 1233, 1234, 1239 (= G. 1322) Guida Ruesch, 1434:
Bali. In,t. 18tìl, 138; HELBJG 974 (= G. 1464); Not. Be. 1899 p.
::14.:! .fig. 3; 1908 p. 72 tig. 4.; 1908 p. 79 fig. 9.
(4.) Per eij. H..:1.IIIG 1237 e 1240. Non mi pare da rigettare sen-
z'altro la congettura del MINERVINI (Bull. aroh. nap. n. s. II 67)
c;he queeto monte non lontano <lai mare eia il monte Drios, in
])lueo stessi\, dove Dioniso portò Ar. secondo Diodoro (V 51, 4.).
(5) P. ee. HELBIO 1234 (Abbandono di Teseo e arrivo di Dio-
Jlieo), 1286 (Arrivo di Dion. ma Ar. dorme eu une. coltrice come
nei quadri della prima aerie); SOGLIANO, ltfo11. Linon VIII p. 299
IL DIO DEGLI ORFICI 215

spiegano solo ammettendo che i due gruppi di quadri


derivino da due tradizioni distinte, l'una delle quali nar-
rava l'abbandono di Ariadne, e l'altra il suo incontro
con Dioniso.
Se cosl non fosse, se cioè queste pittare derivassero
tutte dal mito contaminato ( secondo il quale Dioniso
sovraggiunge in quel sito medesimo dove Teseo ba ab-
bandonato la fanciulla addormentata e la ritrova ancora
immersa nel sonno) esse dovrebbero mostrarci tutte la
medesima scena, cioè la riva del mare, e tutte il me-
desimo soffice giaciglio sotto la belle. addormentata. È
notevole a questo proposito la descrizione che fa Longo
Sofista di una serie di quadri dipinti in un tempio di
Dioniso esibenti le varie imprese del dio, a comin-
ciare dalla nascita; e cioè l'incontro di Ariadne, Licurgo,
Penteo, il trionfo indiano e i pirati tirreni. Non ostante
la ricchezza dei particolari non vi si fa cenno di Te-
seo, per cui è lecito concludere che esso mancava nel
quadro con Ariadne (1).
I due miti si svolgevano dunque in due siti diversi.
Ma dove mai si svolse il mito primitivo, non anoora
contaminato, del connubio tra Dioniso e Ariadne T A
Dia o a Nasso T
Ci sono buone ragioni a favore di Dia, che natural·
mente nella tradizione viene spesso confusa con Creta,
tanto vicina, tanto più grande e rinomata. È inutile
dire ohe a Creta c'era un culto fiorente di Dioniso (i),
tanto più che questo argomento può valere anche per
Nasso; piuttosto è significativo l' epiteto Kre,ios dato

tig. 28; HERRMANN 1 Denkm. d. Mal. T. 40 (Ar. dorme su una pelle


ferina.. Nello sfondo, il mare e la nave di Teseo).
(1) LONG, IV 3: Etx• !là xcd h!lo,'l-ay 6 nwç 4LOYUGLCl:'XCÌ' ypa:cpci:r;;,
!aµ.iÀ'ljY 't("X'touaa:y, 'ApLci!'JY7jY xa:,'l-aueouaa:y, .AuxoOpyoy !'Ja!liµayoy,
Ilo,'l-ia: !'JLa:Lpouµ.avov. 'i)aa:v xa:l 'Iv!lol YLxci>1,1avo1, xa:l Tupp71vot
µ.na::µ.opcpou1,1avoL. Ila::na::xoO l:ci'tUpOL 1tcr:'toOvnr;;' 1ta:na::xoo Blixx,n
xopaòaa:1, x,:;>..
(~> GBul'H o. o. 1 p. 2s,.
316 Oltl!"lflKO M: PJ.OLINISMO

in Argo a Diouiiw, nel cui tempio si mostrnva la tomba


di Ariadne, e spiegato dalla tra,lizione proprio con que-
sta ragione (1). C'era inoltre una tradizione viva che
il connubio tra i due dei avvenisse a Creta (Dia): esim
ci è tramandata da Igino (2), da Imet·io (3), da I,at-
tanzio (4), ,tallo scoliaste di Germanico Ce1,;are (5), d,t
quello di Teocrito (6).
Il connubio tra Dioniso ed Ariri.,lne ri.Yveuiva dun-
que, uel mito orig"iuario, a Dia, l'isola mitica, più tardi
localizzata vicino a Creta (7).
Così abuiamo ricostruito e localizzato il mito.

5.

E ora 1>ossiamo misurare a 11ieno il


eoaeeplto eome eoa-
•Hlo eoamlco,
contenuto 111itologico dei dipinti con
Dioniso e Ariadne.
Essi 11011 esibiscono l'incontro trn mi dio e una fan
ciulla corno lo concepiva l'età pot1terioro, essi mostrano

(1) PAt·s. II 23, 8: Kp,jo,01; ~! riotEpov ti,voµci::,,'J-"1/, ~L6'tl 'Apui~Y"f/Y


IÌ7to/}a.voùoa.v !,'J-a.ct,a.v èvta.ù&a..
(2) HYGIN . . htron. Il 5: sed ut ait qui Cretioa conscripait quo
le111po1·c Libe,· ad Minoa cenit, cogitans Ariadnem comprimere hanc co-
ronam ei p1·0 m11ntre dedit.
(3) HIM11:R. O,·at. I;;: tl)v 'ApLii~Y"f/Y '1L6vuoo1; èv Kp"f/'tlXot1; li,tpoL~
a~uµq,EllEY.
(4) LACT. Divin, lnst. I 10, 9: delat1tB cnim Cretam c1tm semivin
comitalu na11ctus fBt inipudicam muliere11t in litore etc. Inst. Epit. ll,5:
Liber pale,· debellata India t·ictor c1.1111 C1·eta111 forte veniaaet, Ariadnam
conape.1:it in lito,·e, quem These11s et violaverat et 1·elique1·at.
(5) V. not.a ,, a p. 40.
(6) SCHOL. 1'heocr. Il 45: 7tOÀÀa.t llè: xa.l hepa.l YljOC,l àia.L xa.-
Àoi>µEva.L, ,jtE 11:pq 't7Ì\; Kp,j't"f/ç, h ~ oùx Eixòç J!6Y'?) IJllf!~;Jva.L 'tC( 11:Epl
o;ijv "ApLcillv71v. L'oùx andrel,1,e l'spunto secondo akuni (DiiBNER
Àdnot. c1·it. in Schol. Theocr, p. 126), e allora lo scoli1iRte verrf'bbe a
dire che « li verosimile che il mito ariadneo si svolgesse tutt.o a l>ia. ».
Con~ervando l'oux, lo se., negando questo. verosimiglianze., testitica.
che c'era una tradizione la quale negavo. la pluralità. dei luoghi.
(7) Cfr. STOLL in ROSCHER, Lez. s. v. Ariadue , 540.
IL l>IO l>K(,l.l OIO'ICI 217

il connubio di due divinità, come lo immaginava l'an-


tichissimo mito primitivo, qnarnlo Dioniso e Aria,lne
avevano ancora tutto il loro :sig11iti,:ato cosmico. Essi
ci mostrauo insomma un iero.~ gtimos, un << matrimonio
sacrn », come dicevano i greci.
Non i.·, no, una piccante scena di sapore ellenistico
che eHsi ci presentano: 110n è una hella addol'mentata,
sorpresa e conquistata nel t11u111lto dei sensi dall'alle-
gro d10 del vino, clw la tro,·a per caso: ma è l'epifania di
Dioniso (1), il i,;uo matri111ouio con Ariadne; quello cl.te,
secondo una assai veri1,;i111ile co11gett11ra, si sol .. 1111iz-
zava nella cerimonia delle Uhot', la terza festività delle
Antesterie (2). Dionii,;o appare dall'alto, perrhè così vo-
leva la primitiva tipica epifania (:3), e rapirà la sposa,
perchè il ratto era il rito primitivo delle nozz" [4);
Ariadne è. la consanguinea di Dioniso (5), la :santissima
dea di Creta (6J, il cni matrimonio mistico con Dio-
niso, preparato da Afrodite, paredra. ortica del dio (7),
è festeggiato dagli dei tutti (8), la dea antichis:sima

(l) Cfr. D:!on. IV 61, 5: xtz,'l,"lìv Il/; xpovov µu,'l,oÀoyoùotv àt6voaov


imq,a:vivi:tz.
(2) HERMANN, Gottesdtenstl. Altert. 68, 13: MAA8S, Orphe11s 58.
I più credono, senza prove, ('he si festeggiasse il matrimonio di
Dioniso con Kore; ma. fu osservato che le Antesterie si fonda,:tno
sulla. teogonia orfica e che iu questa. Kore era madre, e non mo-
glie, di Dioniso-Zagreo. Per gli elementi orfici nelle Antesterie v.
GRUPPE in ROSCHKR Lex. lii 1, 1098 e GIRARll in DAREMB&IU1-
8AGLIO li 2 1 p. 238. ,
(3) Sum. Lex. s. v. tmq,a:[vntu· u4'6,'l,&v (Bernhardy).
(4) \r. GRAILl,OT in DAREMnKIIG-::;A,,1.10 III 1, 180; H~mMANN3 -
BLiiMNEII, Leh.rb. d. gr. P·rivatallert. p. 2i2.
(5) NONN. XLIII, 427: òµ6yuLOv.
(6) GRUPPI<: o. c. I p. 254 n. 6.
(7) Pt1.-0HPH. Hymn. LV, 7.
(8) ERAT. Cat. Ep. V (ROBERT p. 66): llu "'1:0lls yciµou. ol ,'l,&oi
!v i:fJ xtzÀouµh~ à!a: il1to[71oa:v. HYGIN. Astron. Il 5: cum 011111es dti
in eius nupti'8 do11a conferre11t. ScHOL. Germ. 71: ut eius nuptias dei in
in,vla Dia celeb1·arent (altre lezioni leggono in in,ula Creta).
218 ORJ'IBMO I: PAOLINISMO

della vegetazione (1), che attende il connubio giacendo


simbolicamente snlla nuda terra secondo un rito anti-
chissimo seguito ancor oggi (2), così come , secondo
il mito, giacque Demetra quando si congiunse a la-
sione (3) e così come Rono rappresentate Rea, Cibele
e Gaia (4); è la dea della Terra, che col connubio fa ri-
fiorire il suolo , ricoprendolo di fiori e di fronde (5) e
l'eroLe che la scopre eseguisce simbolicamente la ceri-
lllonia nuziale delle anukalyptéria, quando la sposa si
_toglieva per la prima volta il velo davanti allo sposo (6),
e Hypnos che ne culla il sonno guardando verso il dio
che appare è, più che la semplice personificazione del_

(1) WAGNER in PAULY-WISSOWA o. o. II p. 807; STOLLin:Ro-


SCHER, Lez. t!, V. Ariadne p. 542.
(2) MANNHAIU> r, Feld-u. Waldkulte I 469 8. 480 s. DIETERICH,
Jlut!er Erde2 p. !17 8,
(3) Od. V 125.
(4) V. i rilievi e i sarcofagi RBINACH, Rep. deB rel. III 201,
3 (Rea.); 187, 2; 199, 2; 210, 3; 254, 1; 291, 2 e 3; 370, 4 (Gaia).
Gaia è in queste figurazioni assai simile ad Ariadne, specialmente
nella. seminudità. t però proba.bili' c.he nel quadro originale Ariadi:w,
fosse vestita. come nella nota. statua. del Vaticano (AMELUNG, Dk
Skulpt. d. Vat, Mu,.: Gall. S,, 414), con lo. qua.le i dipinti cam-
pani non hanno nulla di comune. Due rilievi di evidente origine
pittorica (Vienna, RJ:INACH, Rep. deB rei. III p. 130, li; Vàticano,
Jahrllucll d. Imt. 1910 p. 141 fig. 6) mostrano due figure di Ariadne
identiche a.Ila sto.tua. vaticana. t notevole che di questa statua ci
SODO due repliche (Pitti: BaUNN- BRUCKMANN, Dtmkm. 168; Wilton
House: CLARAC mu,u de ,oulpt. 760, 1829 C.), e una riprorlbzione su
une. moneta di Perinto con l'epifania di Dioniso (BAUMEI8TER ,
Denkmiiler I p. 126 fig. 131), mentre mancano finora statue di .Ar.
Meminurla.
(5) NONN. XLIII 467 8. SEN. Oed. 49( B. Cfr. PLUT, De ,era
num. 11ind. 4 7.
(6) HKRMANNS-BLUMNER o. o, p. 266; COLLIGNON in DA.REMDlr.RG-
SAGLIO III 2 p. 1660; HILLBR V. GilRTRINGJ:N in P4ULY-W1S80W~·
I p. 2032.
IL DIO DEGLI ORFICI 219

sonno (1), il ministro di Afrodite (2), fautore dell' ime-


neo di Ariadne (3), come del connubio tra Dioniso e
Aura, la madre di lacco (4); l'antro, entro al quale si
celt"bra il connubio, è la grotta dionisiaca di Dia, dove
esso avvenne Recondo una tradizione (5), grotta cbe
ricorda qnella bacchica di Nasso (6) e altri antri si-
mili (7), miticamente pari a quPlla che Dioniso apre
nella roccia con un colpo di tirRo, e dentro alla quale
possedPrà Aura (8); e il ruscello drn ci ricorda il ru-
scello di vino scorrente in Nasso (9), è quello che Dio-
niso fa Rpicciare entro la grotta per inebriarne Aura
prima di congiungersi a lei (10).
Il significato cosmico di queRto connubio è dimo·
strato anche <lalla sua Htraordinaria somiglianza col ce-
lebre << matrimonio sacro>> ài Zeus e di En1.
Eros prepara il t.alamo di Ariadne (11) e,l Iride quello
di Era (12); Hypnos P complice e fautore dell'uno come
dell'altro connubio (13); qui come là la Terra si orna di
una rigogliosa vegetazione per festeggiare il mistico

(1) Se H. fosse una Remplice personificazione del sonno app1ni-


rebbe ane!Je nei quadri con la partenza di Teseo, dove pure vi è
Ariadoe dormente; invece compare solo nei dipinti oon l'incontro
di Dioniso e Ariadno (HELRIG, 1Vandg. 1237, 1239, 1240).
(2) NONN. XLVIII 752: Ilciq,('Y)~ ,'l-o;Àciµ~1t0Ào,; XXXII 97: 6µ6-
oi:oJ..o, 'Epwtwv.
(3) NoNN. XLVIII 635: "f1tvo~ h)v Bcixxou yciµ6otoÀo,.
(() NONN. XLVIII 636 s.
(5) HIMER. Or. I 5: t'Ì)v 'Aptci~v'Y)v 4t6vuao, t~ Xp'Y)i:txot, iv,:poi,
ilvilflq,eusv.
(6) PoRPH. De antro nymph. 20.
(7) PLUT. De ae,·a 1111m. vind. 47. Cfr. la grotta circondata da.l
tiaso, entro la quale avvieue l'anodo di Dioniso, in un vaso attico
TISCIJBEIN, Col!, o/ engr I 32=REINACH, Rep. dea vas. Il 287, 2.
(8) NONN. XLVIII 574 s.
(9) ST. BYZ. 468, 13; PROP, IV 16, 27.
(10) NONN, 1. c.
(ll) NONN. XLVII, 456: 7tCIO"tÒV ·Epwç b:1x60fllOI Brixxq,,
(12) THEOCR. XVII, 133; NONN, XLIII, 78 8.
(13) Il. XIV 233 S,
220 0.Rl'J!!IMO E PAOLINISMO

connubio (1); qui come là gli dei onorano gli sposi con
i loro doni (2). E potremmo anche iiggiungere, come
concordanza, il mito del rapimento di Era, di cui ser-
bava ricordo, secondo alcuni, una cerimo,-iia sacra (3),
e lo svelamento della dea effigiato in una metopa di
Selinnnte (4), nel fregio della cella del Partenone (5),
e nel così detto altare dei dodici <lei nel Louvre (6);
mentre la grotta del dipinto campano ricorda l'antro
delle niufe che si trovava sul Citerone, dove Era e
Zt1us si erano congiunti (7).

6.

Tutto questo contenuto mistico della


aeaoado I• concedo-
ae orfloa.
nostra pittura parrà assai più verisimile
quando avremo dimostrato che essa risale a rappresen-
tazioni e dottrine orfiche.
Nella letteratura orfica il nesso tra Afrodite e Dio-
niso è più stretto di quanto non sia nella tradizione
comune; }a. Afrodite orfica è la paredra di Dioniso (8),
quando non è detta madre di lui (9), e ha gli stessi

(1) Il. XIV 347 s.; NoNN. XXXII 83 s. - Anche per il connubio
d; Dioniso e Nicea (NONN. XVI 270 s.) avviene la stessa cosa: e
qul le. concorde.nze. con Omero è quo.si imitazione.
(l!) PHRREC, ap. ERAT. Cat. J (=MiiLLER, FHG I p. 79, 33 ~:
cpsp6v,wv a;ùi;f) (Era) i;uiv ~ewv Mipa:. Cfr. nota 6 a p. 46.
(3) GRAILLOT in DAREMBERG - 8AGLI0 III I, p. 180; ROSCHER,
Lex. I p. 2099.
(4) REINACH, Rtp. du 1•el, I 399, 1.
(6) REINACH, o. c. I p. 40,
(6) REJNACH, Rep. de la atat. I p. 65.
(7) PAUB. IX 3, 5; ScHOL. Aristoph. Pa. 1126: uµqHxòv ~è 'ttYE'
a.ù,;6 q,a:atv , ,S,;1 6 ZEù, i;~ •apq: ixi.t auv!yhno. Eus. Praep. e,·.
III I, 4: Kt.'l-a.t'p&lvo, a:ùi;ot, (Zeus ed Era) 1httax6mov 'ttYà: µuxòv
"Km:l .'1-ci.Àa.µo'I rd)i;oq,ufj 1ta.ptxovi;o,.
(8) Ps.-ORPH. Hymn. LV, 7: crsµv71 Bcixxou mip1ap1 (Abel).
(9) 111, XLVI, 3: yuµq,wv lpvo, tp~a,;òv sùanq,civou i;' 'Aq,poai.71,.
IL DIO DF.GLI ORFICI 221

epiteti mistici <li lui (1); è 1111 nesso insomma simile a


quello (•spret,;so nella nostrn pittura. Ma quel che più
importa e che esclude ogni dubbio intorno all'origine
orfica di questa pittura, è il fatto che solo nella lettera-
tura orfica troviamo invocato e descritto un Dioniso alato.
Nell'inno 6 Protogono, la divinità orfica primigenia,
è ùescritto come fornito di nli (2). Ora Protog-0110 non
è altro che Dioniso in uno di quei numerosi af:'petti e
signi!icati sotto iti quali lo concepiva l' ortisrno, cioè
come divinità frcondatrice e vivificatrice. Questa iden-
tità concettuale risalta evidente <la Ila ideuti t:ì deg·li
epiteti più significativi (3): il nome Protogonos stesso
è un epiteto di Dioniso (4). Ma Protogono non è al-
tro che Erichepeo - Fanete (5), ed Erichepeo non è al-

(1) vuX't'IJP['IJ (Inno LV, 3: Cfr. vux't,jpio, LII, 4), xpur;i'I) (LV,
9: cfr. xpuq,10, XXX, 3), ax'l)1t'toilxoç (LV, II Cfr. LII, 7). - Nello
eta.toto di nna. corporazione orfico-dionisiaca ateniese di etit roma-
na, Afrodite li onorata insieme a Dioniso e 11, Core (D1TTE!>BER-
GER, Sylloge 2 737, PROTr-ZIEHEN, Leges 91·. sacrae li 44).
(2) VI 1 s. (Abel): ttt.'hpé1tÀttyx'tov I XPU.JÉ'l)CJ\V ci.yttHéµavov 1tnpil-
yEaa1v; V, 7, 1tci.V't'IJ 61v'l),'I-Et, 1tnpòwv pmttt,.DAMASC. De p1·i111. p,·inc.
p. 387 = fr. 36 Abel: !XEt 6è ènt 'twv wµwv 1tnpci.ç. Fanete (=Pro-
togono) alat,o: PROCJ,. In Plat. Ti111. Il 1301"=fr. 62Aliel: aùn:i
6à xttt ttl 1t'tépuy,,. H1mMIAS. In Plat. l'haedr. p. 137 = fr. 65
Abel: xpuaE[tti, 1t'tEpilyEaat q,op1oòµEvo, lv,'l-tt xttl !v,'l-tt. Cfr. il fram-
mento orfico conservato nel papiro magico di Parigi (WESSKLY,
Gi'iech. Zaubtrpap. von Parie u. Lottdon, Denksckr. Llkad. Wiss.
Wten, Pkil. -h~t. Kl. 1888 XXXVI) v. 1749 s.
(3) VI 5 app'l)'tO\; xpilq>tO\; Cfr. xxx 3, LII 5; VI 1 ~iq,u,j, cfr.
XXX 2; VI 4 'tttupo~oa,. cfr. XXX 4 uupw1téç, LII 2 'tttupcixEpo,;
VI 4 yav1a1, µttxci.pwv cfr. L. 3 µttxci.pwv !1pòv ,'1-ci.Àoç; VI 4 amipµtt
noÀòµv'l)CJ'tO'I cfr. L, 2 id.; VI 4 'fiptxantttO\; cfr. LII, 6 id ..
(4) XXX 2, LII 6.
(5) npw't6yovo, epiteto di Erichepeo in fr. 120. Per la. identifi-
cazione Erichepeo-Fa.nete v. VI 9 : ò:q,' oti aE «l>ctV'l)'ttt xixÀ,jaxw.
Cfr. PRELLER4-RoBl!:nT, Gr. Myth. I p. 42, GnuPP.11: in RoscHER 1
Lez. 1112259, 2267 e Gr. Myth. I 431, WASER iu PAULY-W1ssow.a.,
Bealonc. VI 453. Per Protogono = Fanete '"· o.oche GRl:PPE in
RosCHER III 2237.
222 ORFISMO B PAOLINISMO

tro che il Dioniso orfico (1) . .Anche Zeus ed Elio erano


concepiti con le ali dall'orfismo (2), e tutti e due eran
parificati, anzi identificati , con Dioniso (3). L'origine
orfica di questo Dioniso alato non può dunque esser
messa in dubbio.
Dirò anzi di più: io credo che se noi conoscessimo
più perfettamente tutto ciò che la mistica greca tarda
tolse dalle vecchie tradizioni dell'oriente non greco (4) 7
potremmo affermare senz'altro l'origine semitica di que-
sta divinità. orfica. Per ora questa origine è soltanto
probabile: date le riconosciute attinenze tra alcune di·
vinità orfiche e certe divinità e dottrine semitiche. Fa·
nete ha infatti la sua origine in dottrine babilonesi (5),
e Protogono esisteva anche nella cosmogonia fenicia (6);
sono anche not.i gli elementi fenici nel mito di Crono (7)
che ba tanta importanza nella teogonia. ortica (8). Certo

(1) HESYCH. s. v. "HpLKE7ta.toç 6 àuivuaoç. P1rnCL. In l'lat. Tim.


II 102 DE= fr. 71 Ahel: Aihci; n 6 4.Lcivuaoç xa.l <l>a.v-r,ç xcLl "HpLK5·
'lta.to, auvsxw, òvoµa.~si:a.L. MACROJI. I 18, l:a! = ABEL fr. 167, V. 3:
~v (Il Sole) e,) vilv xa.HouaL <l>a.v"l),a. n xa.l 4.Lcivuaov. Nell'inno LII
v. 6 "EpLx111ta.to, è un epiteto di Dioniso.
(2) Eus. Praep. III 9 = Ae11:L fr. 123 v. 27: 1ti:épuys, et ol
[Zeus] èçsrpilono i:a.t, iitl 7ta.vi:a. itoi:!i,'l,; Cfr. NONN. Dionya. X 314:
Z11ù1; ,:a.vuaC1tupoç. MALAL. Chron. IV p. 73 = Abel p. 49: ·HU.Le:
Xp{lOhjOLY IÌiLp01,16VS 7t't6piJyaaaLY,
(3) JUSTIN. Cohort. 15=fr. 7 AllEL: E!' ZEU\;, E!<;; "ALe71ç, at,
"HÀLo,, et, 4.Lcivuao,, sr, ,'l,Eòç; !v 1ta.vuaaL. PIIOCL. In Plat. 1'im.
V 333 A= fr. 192 ABEL: E:pa.tvs µàv ouv Zsùç 1ta.na. 1ta.,,jp, Ba.xx o~
e'llithpa.LVS. DIOJ). I 11, 3 = fr. 168 ABEL: "Aa,potpa.ij 4.LOVUOOV tv
clxi:CvEaa1 1tupw1t6v. MACR. I 18, 17 = fr. 169 ABKL: HÀL0,, 6v 0

4.LOYUOOY 1l1t(KÀ"l)OLV xa.ÀÉOUOLV. MACH. I 23, 22 = fr. 235 ABEL:


0
liyÀa.à Zsu 4.LovuaE, HÀLa ita.yyEvéi:op.
(4) V. su ciò GRUPPF. in R0SCH1<R 1 Lex. III 2264 H.
(5) GRUPPE, Griech. Kull. u. Myth. I p. 658 e in RosCHER III
226'1. V. anche GOMP~:nz, Lea pena. de la G1·. p. 102-103.
(6) PHILO BYBL. ap. Eus. P1·aep. et,. I 10, 7 p. 42 Dindorf
cfr. HoFRR in RosCHER III 3184 s.
(7) MAYER in ROSCHER II, p. 1498 H. i PRELLEll'·ROBERT I 53.
(8) Crono forma un novo d'argento da. cui nasce Fanete (fr. 53
Abel. Cfr. l'inno 13). Per la identificazione, specificamente orfica,
IL DIO DROLl ORPJCI 223

è un fatto assai singolare che come solo nella dottrina


orfica si ritrova un Dioniso alato cosl solo nella reli-
gione fenicia si ritrova una divinità con quattro ali, due
alle 11paLle e due in fronte, per l'appunto come nel Dio-
nillo orfico (1). Filone da Biblo, infatti, nella sua co-
smogonia fenicia eh' egli aflerma tradotta da Sancnnia-
tone, narra che Taant diede le ali a tutte le imm11gini
di divinità da lui fatte, ma quattro ne diede al solo
Crono, e cioè due alle spalle e due in fronte (2). Ora
Eracle-Crono era alato anche nella teogonia orfica (3).
La coincidenza tra il Dioniso alato del nostro dipinto
e il DioniBo orfico da un lato, e tra le quattro ali di
lui e le quattro ali del Urono fenicio dal!' altro, gin-
stifka dunque la congt-ttura che l'origine del Dioniso
orfico alato debba ricercarsi in qualche teogonia semi-
di Xp6voç; e Kp6voç; v. ROSCHER in ROSCHlm 1 p. 900, MAYER ivi
Ili 1'96 s. ; G1tUPPE , Griech. Myth. pp. 427 , 1064 j W ASER in
PAULY-WISSOWA, Real.-enc. III 2482; PUELLER4·ROBERT I 51, 1.
(1) Il GUARINI (An11ali dell'lst. 1830 p. 352) deRcrive «un pic-
oiolo Hacco d'oro»(!) ron « nella fronte due alette alquanto schiac-
ciate, e due agli omeri•. Si tratta di una falsificazione, di una
fantasia o di un irnportantiHsimo monumento sperdutof
(2) PHILO BYBL. a.p. Eus. Praep. ev. I 10, 36: 'totç; llè Àomot,
-3-Eor, lluo hcia't<p 1tnp<iJµa:'ta: !itl 'tiÌl"/ wµwv ... xa:l a:ù't<ji [Crono] at
1tciÀw hl 't'i)<;; XE(f)a:À'i),;; 1tup&: auo. - Sulla inesistenza di S. la cri-
tica. è unanime, beuchè si duliit,i se fu inventato do Euseliio o da.
Filone o se vi fosse una fonte originale fenicia (V. la letteratura.
in GRUPPE, G1·iech. Cult. 11. Myth. I p. 350 n. 4 e WACHBMl'TR,
Einleitu11g p. 405 s.). È probabile che S. fosse una invenzione di
}'ilone per rivestire le sne idt>e, ma non una falsificazione, e che
F. usasse fonti fenicie a.ntt'ntiche ricche di elPlll<'llti egizi, ebraici,
caldei (V. l'analisi in GHUPPE o. c. pp. 350-409). Non è ammis-
sibile che }'. inv,·ntasHf\ il particolare dell.e quattro ali, anche
perchè ri~ponde all<' til.(nrnzioni orientali; v. p. Cl!, il dio mitriaco
(Znvan 1) con quattro ali (.lt~:INACH, Rep. des rel. II p. 97, 5; p.
308, 2; III p. 219, 3; p. 38:\ 1). Riconlo anche il rilievo di Mo-
dena (Rev. arclt. 1902 I ta.v. I, REINACH, Rep. rel. III p. 61, 1)
in cui si rre,le Ria rappres,•11tato il Fanete alato orfico (EISLER,
Welten111antel. u. Himmelztlt II p. 400).
(3) DAMASC. De p1·im. pi-inc. p. 387 = fr. 36 Abel: lxE~ llè Xctl
!1tl 't<Ìl"/ wµwv 7t'tEpci,;;.
224 01U'1Sll0 E PAOLINISMO

tica, così come l'origine di Fanete e di Protogono, che


sono per l'orfismo tutt'una cosa con Dioniso.
Questa rlivinità alata era concepita come una divi-
nita fecondatrice ; infatti Protogono è identificato a
Priapo (1), e Fanete era concepito come divinità fe-
condante (2), al pari di Erichepeo (3). E poichè Pria-
po, secondo alcune tradizioni, era identificato a Dio-
niso (4), ne segue che il Dioniso alato orfico era. uno. di-
vinità della feconrlità (5). Ecco perchè il Fanete di-
pinto nel santuario orfico eleusinio di l!'liunte, giustRi
la deserizione di Ippolito, era rappresentato alato e
itifallico (6).
Non è dnnque punto strano che la religione orfica
rivolgesse la sua attenzione al suo connubio con la dea
terrestre Ariadne, così come la aveva rivolta al con-
nubio mistico di Era e di Zeus (7) e ai << sacri matri-

(1) ''1 8 s. iiq,'ou aE <PiiV'l)'ta xtxhjaxro I YJOÈ Ilp!'l)itOv iivax,a.


(2) NoNN, ARII. = fr. 66 Abel: HyouaL 8È aù,òv [Fa.nete] l(!)opov
EtvaL ,i)ç 1;;woy6vou lluviiµEwç,
(3) MALA! .. IV p. 74 Dind. =fr. 56 Abel: 'HpLXEitatov ... ,;;roollo,"ljp.
(4) Priapo epiteto di DioniRO PRll:LLlrn4-ROBERT I p. 736; GRUPPE,
Gl'iech.. Myth. p. 1078, 1. Per l'identificaziooo di Dioniso e Priapo
V. anche GIWPPE pp. 854, 2; 1422, 8; ROSCHER III 2977 (JEBSEN).
(5) Per Dioniso divinità del fooco (= Fanete, Elio) e insieme
divinità fecondante v. GRUPPE, Gr. Myth. p. 854.
(6) H1Pr. Ref. omn. h.aerna. V. 20 p. 144 Miller p. 208 s. Duncker-
Schneidewiu: 7tUpro,6ç, !V'tnaµiv'l)V 'tYJV alaxòv'l)V- La HARRIBON
(Proleg. 2 p. 644) crede che fosse rappresentato qui l'Eros orfico;
il Rizzo (Mem. Accad. arch. Nap. III 1914 p. lùl)-correg-
gendo q,<ioç puÉV't'l)ç in «l><iv'l)ç puE!ç - si accorda soMtam:ialmente
colla H. (F"nete =Eros: ABEL fr. 58 ò <l>iiv'l)ç 1t5pLxiiÀÀoç a(~Épo<;
ulòç cvoµ<il;;e,at xal ii~pòç 'Eproç).
(7) DIO CHRYS. XXXVI p. 453 = fr. 220 Abel: ,oii,ov bµvoiicr:
itatlSEç aoq,wv tv (ipp"lj,oiç ,EÀnatç "Hpctç xal 4LÒ<; Eùllalµ1.1va yiiµov.
Per il matrimonio di z. ed E. nei misteri eleusini PsELLUS, De
'aem. 3: MIGNE PG 122 p. 878. Per gli elementi orfici nel ma-
trimonio di Z. ed E. v. OLIVIERI, Conti·. alla st. d, cult. gr. pp.
6, 13, 14, 16. Per i matrimoni mistici in genera.le, LOBECK, ..lglao-
ph.amua l'· 609 s.; ANIUCH, Das ant. Myateriemveaen p. 77.
IL DIO DEGLI ORFICI 225

moni >> in generale (1). La divinità, poi, che fa\'orisce


e prepara questo connubio è Afrodite, concepita orfi-
camente quale divinità cosmica animante tutte le cose
del mondo (2), così come la concepivano Parmenide ed
Empedocle (3), e come è descritta in un frammento <li
Eschilo (4).
L'origine orfica del nostro dipinto giustifica poi lo
at.t.inenze tra esso e Nonno, tenendo presente il fatto
elle il poema nonniano derivò largamente dalla mitolo-
gia, dalla letteratura e dal rito dell'orfismo (5).

6.

La nostra pittura parietale deriva dun-


" derha da . . di-
que da un originale greco, nel quale era
plnto greco che eRI-
bha Dloalso come
rappresentato il matrimonio cosmico di
1111o rlgeaeratore.
Dioniso e Ariatlne, secondo le tradizioni
orfiche. Da questo stes:so originale derivarono anche gli
altri dipinti parietali con Dioniso e Ariadne, ma con
as:sai minore fedeltà, con assai maggiori concessioni a.l
gusto dell'età ellenistica, con assai più gravi deforma-
zioni del carattere sacrale del dipinto. Sì che, allo stato

(1) PROCL. ln Plat. Tim. V p. 16 A= fr. 2:?0 Abel: tx 'tii)y


µuonx<iìv ÀO'(aJY xa.l 'tii>Y i!v cbtopp'lj'tol~ ÀEyoµtvwv !epiilv yciµwv.
(2) PRELLH:R'-ROBERT J p. 354; FURTWiiNGLER in ROSCBER, UZ.
I 397.
(3) P.UUolEN. fr. 12 e 13 Diele; EMPED. fr. 171.
(4) AEBCH. fr. 44 Nauck.
(5) V. epec. LonECK, AglaophamuB p.552 ~.; Dll.THEY in Rh. M11s.
XXVII p. 38i'i; DrnTKRJCII, De hy11111. orph. in K/. Schr. p. 109.
Notevole è la i1le11tità tlegli epiteti di Dioniso in N. e negli i1111i
orliri: p. es. NoNN. IX 114, XXVII 173 - Hymn. LII, 4 NONN.
XLIV 279: - Hym11: XLV, 1: NONN, XLV 131- Hy11111. XXX 3;
LII 5; NoN:-.. XIV 229-Hymn. LII 4, MoNN. XXIX I68-Hyn111.
L 6; NONX. XXXVI 338-Hymn. L 5; NoNN. XLVII 498-Hy11111.
XXX 2; NoNN. XXXI 307 - Hymn. LII, 11 e XLV, 5; No:trn.
XLII 31::i - lly11111. XLVIII 2; NoNN, XXVII 323 - Hymn. XLV,
1 e LII, 2; NONN. XXIV 178-Hyntn. XLV 3.
V. MACCHIORO. - O,·fis,,,o e PaoJi,,ismo. 15
226 OR!'ISMO i,: PAOLINIS;.,o

attuale delle nostre cognizioni, l'unica pittura che ri-


produce fedelmente, nei suoi elementi essenziali, que-
sto quadro orfico dionisiaco attico è proprio il nostro
dipinto.
Non è possibile dire attualmente quali fossero l'età
e l'autore di questo originale. È certo che in esso il
matrimonio di Dioniso era concepito diversamente da
quel che usò l'arte del V secolo, la quale, se badiamo
al cratere di Camarina, rappresentò Ariadne assisa e
sv11glia, col capo velat,o (1). Nel IV secolo prevalse in-
voce la figurazione di Ariadne dormente, come mostra
il cratere etrusco di Filacciano (2) e un frammento at-
tico nel Museo accademico di Bonn (3), e come provano
g'li scarsi ricordi letterari (4). Come congettura possiamo
supporre che la nostra pittura derivi da un quadro che
Agatarco dipinse in un santuario di Dioniso ad Atene,
vicino al teatro (5), nel quale era rappresentata Ariadne
nell'atto di dormire (6); tanto più che è verisimile una
influenza di Agatarco nella pittura pompeiana (7).
A ogni modo non è evidentemente la quistione ar-

(1) V. le osservazioni del Rizzo in Mon. ant. XIV p. 42 e SJHl-


cia.lmente il confn•nto tra la figura di Dioniso e il tipo del cosl
detto Sarda.napalo.
(2) Mon. Inst. X 61.
(3) Jahi'buch à. Insl. 1910 p. 138 fìg. 5.
(4) PHIL. Im. I 14 (15); LONG. IV 3, descrive un quadro con
"Apui~Y'l'jY xor.&sò~ouaor.v in un tempio <li Dioniso.
(5) P,ws. I 20, 3 = 0VERB~:CK 1 Sc/il'iftq. 1126. t; degno di nota.
che le due scene di questa pittura (o le due pitture f) corrispon-
dono alle due scene descritte da Catullo: 'Apta:~Y'l'j M xor.&&Mouaa:
,i,or.l µsasù,;; d:va:y6µ!YOt;; - xor.l 4t6vuao,;; 'ljxwv a[, 't'Y}V 'Apta:llv11,;;
cip1ta:y"ljv. Cfr. il catulliano fugiens pellit vado remis con l' ~va:yciµsvoç;
di Pausania.
(6) 811 questo supposto originale v. spec. FunTwaNGLER in An-
nali Inst. 50 (1878) p. 90 e BrnT, Rh. Mus. N. F. LVII (1895) p.
50. Le mie conclusioni sono asHai diverse da quelle del Birt che
riconosce questo originale nel rilievo del Vaticano (V. nota 1 a,
p. 47) in cui nulla vi è di orfico.
/7) V. SALIB, in Jahrb. à. àeutsch. archiiol. Instituta 1910 p. 184 s.
Il, lllO llEl11.1 ORFICI 227

tistica che qui importa, la quale in fin dei conti 1·i·


gnar,lerebbe una mediocre pittura pompeiana. Quel che
importa è la quet;tione relig-iosa, cioè la luce che il no-
stro dipinto getta sopra. la granùiosa concezione tli
Dioniso come forza cosmica che rigenera il mondo e
crea la vita, così diversa dalla gretta concezione tra-
dizionale greco· romana del dio del vino. In questn
concezione si vede ancora una volta la gTande supe-
riorità deIF orfi,;1110 sulla religione olimpica greca cosi
povera di Yeri e propri elementi universali.

II.
2.
Secondo questi\ con-
Una concezione assai di,versa e religio-
cedono Il mistero
samente ancor più misera di quella.
non potè preesiftterc
a Dioniso,
greco-romana. ris11lterebbe da una me-
moria pubblicata anni or sono dal noto professore di
:1relH·Ologia Bma1111ele Rizzo, secondo la quale sarebbe
m,istita nell'antichità nna duplice tradizione, letteraria.
e tig"nrativa, della iniziazione di Dioniso ai suoi stessi
misteri (1); il che equivale a dire che il mistero orfico
pr<!e,;isteva a Dioniso e cho egli non ne fu l'istitutore.
Noi e,;ami11er,.mo questa opi11ione del Rizzo, mostrando
come essa ,;ia completamente fantastica, per liberar la
stienza di questa falsa e irreale concezione di Dioniso.
Il Rizzo imprenùe la sua dimostrazione affermando
che c'è una trnùizione letteraria secondo la quale Dio-
niso sarebbe stato iniziato ai suoi misteri medesimi.
Yeramente di una vcrii e propria tradizione non è il
caso di parlare perchè 11011 esistono quelle « testimo-
nianze indiscutibili>>, e quelle <<egplicite testimonianze>>
alle quali l'ingegnoso archeologo si riferisce. Esiste

(1) Rizzo, Dionysos Mystes in Mem • ..Jccad. aroheol. Napoli,III 19U.


~28 011~·1:nlO E l'At>l.l:Slt,!dO

un unico passo di Nonno, che ha disg-raziatamente un


significato del tutto diverso da quello che il Rizzo gli
dà, trnviato da una scusabile imperizia filologica (1).
Nonno così narra: (2) << E Mistide nutrì il dio dopo
che lo aveva allattato la sua signora, con occhi insonni
assistendo Lieo: e la saputa domestica che dette il suo
nome alla mii.tica arte, cbl· aveva appreso le orge del
notturno Dioniso e che il vigile mist1m1 apparecchiava
a Lieo, per la prima il ce111ualo scot-:se e acclami, Baeco
i cembali agitando strepitanti con duplice bronzo, per
la prima, accesa per i balli notturni la fiamma della
torcia, un grido fece rintronare all' insonne Dioniso;
per la prima, spiccato il curvo fiore dei corimbi, la di-
sciolta chioma incoroni, colla vitifora benda; e lei stessa
intrecl'ÌÒ il tirso congiunto cou lo. rossastra e1lern, e l'a-
pice del ferro avvolse nel corimbo, nascosto tra le fo-
glie per nou ferire Bacco; e i111111agi11ò di appendere al
nudo petto le tazze di uronzo, e ali' auca. le pelli di

(1) Il R. intel'preta l'epiteto µua,l)~ che aveva Dioniso a T,•g,·,~


(PAUB. Vili 54, 5) nel senRo <li «iniziato»; pui, essere, ma a ogni
modo senza esclnùere il riferi111ento alla sua iniziazione nei misteri
di Demetra il cui tempio era I\ vicino, poichi, Diouiso fu iniziato
nei misteri eleusini (l's.-PL. Axioclt. 13 p. 371 E): AnP!1e Eracle,
infatt.i, era <letto MyBtes proprio por <ptP6tn. rngioue (Sc1101.. Lyc .
..ti. 1328 Scheer; Mua,'!) 'tcjl ·Hpax],Et 1'Lci,L EJtu-ij.9-"I) tv 'E:\.Euotn).
Del resto µuo"t"I)<;; significa normalnwuto « i11izil~t.o », ma 8i~nifil'a
anche «iniziatore»: H~:SYCH.: µua,"l)ç ci EtO"l)Y"IJ•Yi<;; (cfr. Anth. l'al.
IX 340: fiv 1'É 06 µuO"t"I)<;; E[aa;yci.n1); Sl!II>: 6 ,ci. µua,f,pLa; !1tLO"tci.-
J-IEVO<;; fj 1'Ltci.oxw'1; POHPH. Vitll J'yt/i. 17 Nanck; Kpf,,l)ç 1''faL~ci.ç
(Pitagora) 'COL<;; M6pyou 1160,aL<;; (i ~aconloti) 1tpoof1EL; H1M. 01'. VII
2 usa pure µua't"I)<;; metaforicamcnt,• nel sPnso di iniziatore. Mua,"l)ç,
cioè iuiziatore, era anche epiteto di Apollo: AHTEM. 011. Il 70 JJ,
168 Heroher; 'A1t6ÀÀwva; 5v Jlluo,r,v xa;ÀoùJtEV, Nel fram111euto di
Porfirio IlEpl ,'Y}<;; lxÀoytwv cp],c;ooq;(a;ç dnlicato a una suprenm di-
vinità creatrice, che comincia <'ol V<'l'SO 'A.9-avci.,wv &pp"l)U 1ta,f,p,
a;lwv1e, µua,a; (MCLLACH, Fr. pili/. gr. 190 V, 1), µuo,"/)<;; significa
oerto iniziatore.
(2 Dion. IV 1115. Kochly.
IL DIO DEGLI ORFICI 221:1

cervo; e la mistica cista piena del mistero divino por-


gendo come balocco al fa11cinlletto Dioniso, per la prima
si adattò intorno alla pelle una viperina veste conte-
sta, e intorno alla duplice benda i nodi ùei serpenti
tortuosamente aggirando piegò in un vincolo ser-
pentino>>.
Il Rizzo così leggiadramente p:irafrasa e amplifica
questi versi, che io ho tradotto letteral111e11te, ai quali an-
nette grande importanza, perchè conterrebbero la (li·
mostrazione che esisteva una. traclizione di Dioniso ini-
ziato: << li poeta ci parla delle prime cure onde le Ninfe,
i Satiri e Sileno circonda,·ano l'infanzia e la puerizia
<li Dionysos. Dopo che la sorella di Semele, la prov-
vida Ino, aveva nutrito l'infante con latte del suo Hcrw,
l'educazione diremo così 'spirituale' del divino fanciullo
è affidata alla Ninfa Mystis, all'iniziatrice cioè
per eccellenza.. E questa ('Oli vigili ocelli lo assist<', e,
saggia istitutrice, per virtù della mistica arte oncl'essa
aveva nome, gl' i11sPgna le sacre 'orge' nottnrrn~ e il
vigile mistero. liJ Mystis, colei che, prima, agita i rnrno-
rosi strumenti del culto dioni,;iac:o ... prima, coglier11l<> il
flore ricurvo dei corimbi, 1:in~e di nn pampineo ,;l•rto le
fluenti chiome del dio, e prima intreccia l'edera al tinw ...
Essa gl' insegna il rit,o dellrL mistica cista, piena degli
strumenti della saera iniziazione, primi trnstnlli al ùio
giovinetto». E conclude: << Dionysos è, dunque, iniziato
in quelli che Faranno poi i suoi Misteri (1) >>.
La prima osservazione ila fare è che nel racconto di
Nonno 11011 intervengono punto nè satiri nè sileni, elle
il poeta nemmeno nomina e che non possono avere al·
cuna parte in questa educazione spirituale perchè essa
non avviene, ammesso che avvenga, alla loro presenza.
Ermete affida Dioniso a Ino elle lo consegna a Misti,
la quale lo tiene gelosamente nascosto sotto chiavistello

(1) Op. cit. pp. 15-16.


ORF!BMO E PAOLINISMO

in una stanza buia (l); e in questa buia e remota stanza


lo trattiene con quei giochi e quei trastulli nei quali
il Rizzo vede adombrata la istituzione dei misteri bac-
chici. Questa precauzione ha lo scopo di escludere ogni
estraneo dalla presenza di Dioniso perché resti ignorata 7
e per sottrarre il fanciullo allo sguardo di Era. È dun-
que chiaro che la presenza di ninfe e satiri e sileni
sarebbe stato il mezzo più sicuro per destare anche
più presto l'attenzione della gelosa dea. Meno male se
Nonno avesse seguìto la tradizione che troviamo in
Pausania (2), secondo la qua.le luo allevò Dioniso in
un antro, chè in questo caso i sileni e le ninfe si giu·
stifl.cherebbero; ma Nonno, a farlo apposta, dice pro-
prio che questa educazione avvenne in casa di Ino (3).
Ora, è mai possibile che in casa di Ino bazzicassero
liberamente satiri e ninfe, e che consentissero anche a
farsi chiudere in una stanza buia, con tanto di catenac-
cio, per il gusto di assistere alla educazione del dio T
A ogni modo queste ninfe si ridurrebbero alla sola
Misti, cioè ali' unica persona che rimane chimm nella
buia stanza con Dioniso. Ma Misti non è una ninfa;
Nonno dice chiaramente che essa era un'ancella feni-
cia che Ca.dmo aveva tolto con se da ragazza pe1· ser-
vire Ino: era dunque unn. donna mortale (4). Le ninfe e
i sileni esistono dunque sì nella fantasiosa para.frasi del
nostro archeologo, ma non già nel poema di Nonno, dove

(1) IX 102: ànpotl)~ çoq,6i.yi;t xcznxÀ"ljtaai. ~epÉ.9-pq>; IX 132: ,òv


l)à TtoÀuxÀ"ljrai:ov (n;ò aq>pczytltcz µHcz.9-pov· ta&v TtCZVETt6qno, "'Ilp'I)
Mòai:tao, àq,pa.ai:olO µux<ji nsq>uÀa.yµ&vov otxou.
(ll) PAUl:l. III 24, 4: à1toq,cz(vouat µèv ,;ò ~npov !v.9-cz ,òv à\6vuaov
1.9-psqisv "I vii>.
(3) IX 64: •, Mµov ijyczyEv 'Ivoil,.
(4) Il Rizzo In. chiama ninfa tra.tto evidentemente in inganno
dal termine vòµq>'I) che Nonno usa, e che però , accoppiato ad
4µcp'1toÀo, o ,'l,C1tÀczµ"lj1toÀo, equivale esattamente al nostro « dome-
stica».
IJ, DIO DEGLI Ol!FICI 231

una sola donna, e mortale per giunta, attende ali' e-


ducazione del dio.
Ma Nonno parla poi veramente di una educazione
mistica di Dioniso 7 f~ poi vero che Misti "saggi 11, isti-
" tutrice per virtù della mistica arte orni' essa aveva
" nome, gl' insegna le sacre orge notturne e il vigile
" mistero " no11chi' " il rito della mistica cista piena
'' degli strumenti della sacra iniziazione, primi trastulli
" al ctio giovinetto Y"
Senza soffermarci troppo f;U un perdonabile abba-
glio di greco preso dall'Pgregio professore, per il qna le
le parole di Nonno acquistarono nn senso lontimis-
Rimo dal vel'o (1 ), accertiamo quale parte Nonno asseg-ni
a Misti.

(1) Il testo dici" (v. 113 s.; 127 8.) xcil mvui:i/ ,'l-.pcbtetLVet q,Ep6-
vuµci µiJanèlL 1:ÉXV'!J llpyLet vuxi:EÌ.loLo èlLèlet'JKOµÉv'!) '1tc;·,cjac,•J I xcil
nÀni/v a.ypu1tvov ~1tEnuvouaci 1\'.Jci(!Jl I 1tpÙli:'Y/ f,ém,:pov foEu::iEv. xcil
nì.nijç çci.'!-É'Yjç; àyx•jµc;vci 1iu'Jnèlci x('.l,1jV I mz!yvtci xoup(;c;vH èltèlci-
axo µlv'Y/ '1 tovuaq,.
Notiamo prima di tntto rhe rwl secondo passo il Kiichlv, la r·ni
edizione il Rizzo Aegne e cita, leg-ge èlEèlLnoµÉv'Yj e non 1llèlcioxoµév'Yj,
nè BO con quale idea il Rizzo abbia Hostit.nit.o l'una parola all'altra.
,1 LllcioxoµÉv'Yj lPg-gono altri «-<I i tori (De Marcellus, Parigi, ))itlot, 1856;
Luilwich, Lipsia, Tenlmer, 1909), ma non il Kiichly, il cni P-mon-
dament.o, acccttat,o anche dal Jahn (He1·mes Ili, 1869. p. 320), è
aHsai ragionevole. Leggen<lo 1lt1lciaxoµEV'7) non @i giustifica in nes8un
modo il dativo xouplçovn '1toviia(fl e si ha una sciall,n. ripetizione
,lei verMo 114: inve,··,· l',·Hpressione 1lE1ltoxoµÉv'Yj = btne1wlo aninw
po,.,-ige11s coloriAco heno la cura con cui Misti porgli i balocchi al
piccolo Dioniso.
Dalla parafrasi su citata appare che il Rizzo intrn,le 1lt~ctoxo-
µév'Yj attivamente, r1111ivrtlente a i11seg11ando, comi' forma mPilia. Ci
Houo Hl esempi in cui 1lt1liioxoµcii, al medio, significa aliq1ttm llt
dit1cip11/1Lm sibi instr1u1·e: ma il fatto è che Nonno, pa.rlarnlo di l>io-
niso cho ins<'gna i misteri, usa sempre la forma att.iva; per , ..,_
XII 397. Mciiovl'l')Y Il' è1ll1let~Ev triv a.ypu1tvov fopi:ljv; XL 295: Àci6v
ci~ctXXEui:cov 'Apii~cov èèllllet~Ev ciElpEtV µuon1t6ÀoU\; viip,'l-'Yjxct~; XX
37::!: 1tcii:ljp µ'41ll1letl;E µnà xì..6vov lpycz .'!-ctì..iioa'l')v; sl che 11ni ,lo-
vremmo aApet.tarci nn 1lt1liioxouocz invece di quel èlt~ctoxo11b'I'), se
il Rizzo l1a ragione. Ma ammettiamo che 1lt1lciaxoµiv'7) possa inten-
232 ORFISMO K PAOLINISMO

Secondo il Rizzo questa ''ninfa", o meglio questa


serva Ridonia, sareblw la iniziatrice per eccellenza, la
peri,ionificazione del mistero. Ma una obbiezione assai
semplice sta in questo, che se Nonno avesse voluto
farne ht 1wrsonific:azione della iniziazione, non avrebbe
attribuito anche ad altri personaggi quell'azione di cui
Misti sarebbe la rappresentante, cioè l'iniziazione. Ora
sta il fatto cl.te Ino, dopo aver cercato inutilmente Dio-
niso sottrntto)p da Ermete pn difenderlo da Era, isti-
tuisce i mi8teri dionisiaci sul Parnaso per i~pirazione
di Apollo ( TX '.!86 s.) t~ che Dioniso stesso istituisce
i miHteri nella grotta di Rea dop•1 aw•r celebrato la
vendemu1ia (XII 395 s.). E si noLi che 111entre a Misti

<fer8i attivamente: o dov'i' allora l'o,sg1•tto HII cui cu.<le questa a-


zione T Nella pnrnfra~i del Rizzo nllo parole 1;,pyta vuxu:À(ow llt-
aaoY.O!!ÉV'ì ,i!'ovuoou risporulono k parole « gli i11segn:i l1c sttcrn <Jtge
notturne», e alle paroltJ 1tix(yv:" xo•,piçovn /;iia.oxOJ!ÉV'ì (i11vPce di
1'a5:oY.oµÉv'ì) ,ho~uoq., rispon,lono 1., parnle •""""gli insegna il rito •..
primi tra~tnlli al tlio µ;ioviudto ». Uo11 che v1e110 a dirsi che l'og-
getto ,lei l'azione esprflssa d:t lhllaoxo11ÉV'ì è 11Pl primo caso espressa
nel genitivo (&wvl!loou), e nel BPcon,lo - per chi leg:.:tJ 1hllo:crxoµÉv'ì -
nel dalit•o (tHovuoqi): e questo i· impossibile, perchè ll1/Jcioxw si co-
struisce con doppio accusativo. Vnnqno l'oggetto <li quel verbo non
c'è: e non si puil neanche riwediare snppouendo ehe Nonno scri-
vesse sl nel primo come nel sec,mdo caso .1t6vuoov, perchè la me-
trica non ce lo permette. Ne risulta pi,rciò un perio<lo monco e
irregolare, dove Dioniso, nominato prima ripetutamente, viene
sottaciuto proprio qni dove si enuncia l'azione principale di cui
egli è oggetto, e cioè proprio la sua educazione 11pirituale. Tutto
ciò il naturalmente inammissibile: e fa conelnùere molto facilmente
che lldlaoxoµÉv71 non è modio, ma passivo e vale doctus in Il. II
811 (lltll:x:ox6µsvo,; 1toUµo10), e che Non'!O non ha punto voluto
dire che Misti inBegnò alcunchè a Dioi.iso, ma eh.e era tos~a stessa
esperta ne!le orge bacchiche.
Che tntto ciò sia esatto si ricava anche dal coufrontu con XXVII
214 dove Nonno mette in bocca a Dioniso nn verso quasi identico
a quello fin qui discusso per ordinare che i prigionieri indiani ven-
gano iniziati: llpyux vuxt1xopsuta. 1'1!lctodo,'l-w '11ovuoou. Se 1'11'aa'-
xio,'l-w vuol dire docet01', ll11'cioxoµsv71, 11 parità di condizioni, vorrà
dire doc!a.
li. r,10 l>B!il.l OIWICI 233

il poeta attribuisce solo la trovata di qualche arnese


bacchico per trastullare il bambino, a Ino e a Dioniso
egli attribuisce una vera e propria istit,nzione dlli mi-
steri. Nel pensiero di Nonno, dunque, non solo non vi
era un personag-g·io cl11~ rappresentaisise la i11iziazio11e,
ma 11011 vi fn n(\rnme110 1111.t isola e unica "i11vm1zio11e"
dei mistni, 1111.t 111011oge1H·si, 1,;e è lP1:ito il tenninP, dei
misteri. R iu qne!'!ta plnrnlitù di ori;.dne si Vt·dc il ri-
fles;;o della tradizio11e orlka che, incertissima in ,prnsto
come i11 tanti altri particolari miti,·i, com,ideravn nn:t
mezza. d,n:ziua di dci co111e primi istitnt.ori di mist1iri,
e cioi• le Nneid1 con Calliope e Apollo (1), i Oureti (~),
le Muse (:J), 'l'e11li (1); q11a11to a Ino·ù ehiaro che Nonno
volle a llegorrz;r,are la noi a fn sione delle 1lue religioni
dionisiaca o :q,olliuea.
Il luogo di Nonno non dice dunque quanto il Rizzo,
vittima della fantasia-, ci ha letto; non vi si parla punto
di una iniziazione ,lei .gio\'anc Dioniso ai misteri d1011i-
siaci ila parte dellM sut} t>tlncatrici: e eiò è co11fl•rn1ato
dal fat.to che nPgli inni orlic,i nPi qn:ili si parla di que-
ste e1ilwatrici si allude sì ai misteri e all'antro in cui
Dioniso fn edneato (5J, rna Hon si fa il minimo acc~uno
a que;;ta iniziazione giovanile che è cosa del tutto im-
maginaria.
Bsa111i11iamo ora l:t cosiùetta tradizione figurati va, che
il Rizzo si t\ ingegnato di costruire parallelamente e.
quell'altra tradizione letteraria, la q nale in realtà sa-
rebbe poi rappresentata unicamente dal passo di Nonno
letto e interpretato nel curioso moclo chl· abbiamo vednto.

(1) Ps.-ORPH. Hy11111. XXIV lOs.: uµst~ yàp 1tpiii-ca.L 'tsÀni/\,


dva~s(fa,s asµv'Yjv sÙLÉpoo Ba:xxoLO xal àyvjj~ <l>spascpovs(1J~ KaÀ-
ÀL01t'!/ aùy µ1),pl xal •A1t6ÀÀWvL a.vaxn.
(2) Ps. - 0RPH. Hymn. XXXVIII 6.
(3) Ps. • 0RPH. Hymn. LXXVI 7.
(4) Ps. · 0RPH. Hymn. LXXIX 8 s.
(5) Ps. 0RPH · Hymn. XLIX a Ippa; LI alle Ninfe; LXXIV a Ino.
ORFISMO E PAOLINISMO

Si tratta di alcune rappresentazioni nelle quali è esi-


bita la iniziazione di un fanciullo, e precisamente:
1) Stucco d~Ila Farnesina, nel Museo delle Terme (1);
2) Altro stucco, ivi stesso (2);
3) Pittura nella Domus Aurea (3);
4) A.nforetta vitrea del Museo di Firenze (4);
5) Terracotta "Campana,, con molte repliche, a Lon-
dra e nel Museo delle Terme (5);
6) Pittura parietale nella villa Item a Pompei.
Da questa serie vanno tolte le pitture della Domus
.A.urea, perchè, come vedremo, mostrano una iniziazione
eleusinia, e non dionisiaca, e la pittura pompeiana, nella
quale, secondo quanto diremo tra poco, non vi è nes-
suna iniziazione da potersi accomunare a quella degli
altri monumenti.
I quali certamente sono troppo pochi e troppo tardi
per poter costituire quel che si intende generalmente per
tradizione figùrativa, e però il Rizzo arricchisce questa
serie con alcuni monumenti, turdi anch'eRsi, dove si
vede l'infanzia di Dionh,o, cioi~ il lavacro, la vesti-
zione e simili. Ma questi monumenti, ai quali molti
altri del resto potremmo aggiungere (6), non contribui-
scono per nulla a formare una tradizione figurativa della
iniziazione dionisiaca, perchè io esRi non vi è quel si-

(1) Mcm. Jnat. Suppi. tav. 35; Rizzo, fig. 8.


(2) Mon. Imt. Suppl. tav. 35; Rizzo, fig. 9.
(3) Jahrbuoh d. Inat. XXVIII 1913 tav. 9 b; Rizzo, fig. 10.
(4) CAETANI-LOVATELLI, .,fot. mon. ill. tav. XV; Rizzo, fig. 11
(5) CAMPANA, Aat. op. in. pl. tav. 45; Rizzo, fig. 12.
(6) Vaso d'argento dalla Tessaglia (Àth. Mitt. 1912, t. III; REI·
NACH, Rép. dea rel. III p. 530, 6); terra.cotta. «Campana.• (CAM-
PANA, Op. in pl. tav. 50; RlllINACB, Rel. II p. 275, 2); sarcofago
della collezione Walters a. Baltimore (Milangu à'arch. 1885 t. II;
R1nNACH, Rel. li p. 198, 1); sarcofago del Museo Fitz-William a.
Cambridge (HARRISON, Prolegomena2 fig. 152); rilievo eburneo di
Milano (RE..INA.CH 1 Rép. dea rel. II, pp. 69, 3-4; Ha.RRISON 1 Th411Ailt
p. 60 fig. 9; MACCBIORO, Zagreu,, p. 3).
IL DIO DEGLI ORFICI 235

gniflcato sacro che il Rizzo, vittima ancora una volta.


della fantasia, vi ravvisa (1), rappresentando essi un
puro e semplice episodio mitico dove manca ogni ritua-
lita, una Mena di vita infantile, che in tanto riguarda
Dioniso in quanto è Dioniso il bambino che vien la,
vato e vestito, ma che nulla ha in sè di sacro; tant'è vero
che proprio questa scena si svolgeva davvero in tutte
le case greche dove vi era un neonato, e dove si celebra·
va la lustrazione rituale; salvo a credere che per i greci
lavare un bambino e iniziarlo ai misteri dionisiaci fosse
la stessa cosa. Il Rizzo cade dunque in un singolare
equivoco quando dà valore mistico a una scena la quale
evidentemente ha un semplice carattere familiare.
La pretesa tradizione figurativa del Rizzo, tolte que-
ste scene di lavanda, si riduce dunque a ben poca cosa.
A ogni modo, e!mminiamola.
In tutte le rappresentanze citate dal Rizzo si vede
un fancinllo, col capo velato o no, munito di simboli
o attributi dionisiaci, nell'atto che viene iniziato da un
sileno e da alcune sacerdotesse: or questo fanciullo sa-
rebbe Dioniso fa nei ullo.
La prima obbiezione è costituita da tutto quanto ab-
biamo detto fin qui, percbè solo le testimonianze let-
terarie possono dirci se questo fanciulla è o non è Dio·
niso, non essendo possibile dirimere la questione con
argomenti tratti dalle rappresentanze medesime. E poi-
chè le testimonianze letterarie negano che mai vi fosse
la tradizione che Dioniso venisse iniziato, è logico con-
cludere che l' iniziando di queste scene non può essere
Dioniso.
Il Rizzo adduce però due argomenti a favore della
propria tesi: 1) gli attributi caratteristici di Dioniso
che questo fanciullo reca o indossa; 2) la presenza, ac-
canto a lui, di Sileno (2).

(i) Op. cit. p. 7.


(2) « Un fanciullo coronato di edera, col tirso e col timpano
236 ORFISMO E PAOLINISMO

Al primo argornent.o è asHai facile opporre un ragio-


ne.mento semplicissimo tratto dall'essenza st~ssa del
mistero.
Il quale consisteva nel raggiungimento della natura
divina, per cui l'iniziato diventava l'immagine dlll dio (1).
Questa identificazione col dio veniva espre:,;:-:a l'itnalmen-
te in più modi: nei misteri isiaci l'iniziato ve11iva coperto
con la vesti~ celeste cihe simboleggiava l'apot.eosi, e ado-
rato come un'immagine~ del sole; nei misteri eleusi11i egli
ripeteva il diginuo di Demetra e beve\·a il ci,:eo11P come
aveva fatt.o la dea, ed errava qua e là c:on le faci imi·
tando la dea nell'atto di cercare Uore; nei misteri dio-
nisiaci egli rivestiva. la nebride, simuolo cli Ilionisn
capretto, immaginato come cerbiatto, e diventava lni
stesso simbolicamente identico al dio cerbiatto: da cii>
la nota formula orfica '' io capretto ho trovato il lat-
te ,, (2). Se dunque la iniziazione avova lo scopo ili
identificare l'iniziato al dio e se ern. opinione 1:be fa
iniziazione dionisiaca parificasse a Dioniso il miste, è
naturalissimo che questi iniziati manifestino, iwlossando
o recando gli attributi di Dioniso, come il tirRo o le
embades, la loro identificazione col dio. Ì!} veris1'1imo dun
.que che queste figure di iniziandi sono identiche ad
altrettante figure di Dioniso, ma è anche vno che esse
debb1•no esser tali per ragioni dogmaticlie, e che il loro
aspetto dionisiaco non porge il minimo appoggio alla
cong~ttura del .Rizzo. Ancora u11a volta, dunque, man-
candoci ogni argomento intrinseco per dirimere la que-
atione, siam costretti a ricorrere alle testimonianze let-
terarie per decidere se siamo innanzi a un mol't.ale iui ·
ziando o a Dioniso. E le testimonianze dicono che non
è Dioniso.

« calzato dei traci ce.I zari, alla. cui iniziazione presiede Sileno, eh i
« può ma.i essere se non lo stesso Dionisof ~ (Rrzzo p. 13).
(1) V. MACCHIORO, Zagreu, p. 1608.
2) M.&.CCHIORO, Zagnu, p. 85.
IL IJlO IJI'.• ,LI OIU'IC! 237

Il 1-1econ,lo argomento è ancora più dehole.


Percbè, lasciando auche da parte ogni con:,;idera-
zione estetica intorno all'idealismo tlell' arte p:reca e
alla mescolanza di clementi reali e ideali in es:-;a, per
cui non è il caso di meravigliarsi se vicino all' ini-
ziando compare nn sileno, così come, per esempio, vi-
cino ai vasai di un notissimo vaso di Ruvo compaiono
Atena e due Nikai in atto di incoronarli (1) 1 noi chie-
diamo se questa associazione di personaggi u111ani ed
esseri bacchici è cosa diversa da quello che si ,·ede
in ccnt,innia di vasi a sog-getto dionisiaco. Non Ira m,•i
veduto dunque il Rizzo sui vasi greci e italogrcci sileui
e satiri vicino a dello ligure femminili o maschili, utua·
ne, di baccanti WMa vi è di più: noi sappiamo che nelle
scene iniziatorie avevano largii, parte de'sitoenloti tra.-
vestiti iu aspetto di questa o quelle. divinità; :,ci mi-
steri orfico-elensini di Agre si rappresentava mm pan-
tomima con i fatti di Dioniso (2); nel bakcheio11 tli una
corporazione ateniese di Iobacchi si rappresenlav1mo -
come appare dallo statuto (8) - scene mistfolre, i cui
personaggi ernno Dioniso, Core, Palemone, Afr0tlite, e
un enigmatico Proteuritmo (4); ad .Andnnia Ilei i-acer-
doti maschera.ti rappresentavano talune divinità (fiJ; ab-
biamo poi da Porfirio interessanti notizie intorno alle

(1) lhtINACII, Ré,p. deB vas. Il p. 336, 1.


(2) 8T. llvz. • Ayp<XL xwplov ... tv 0 ,:oc µ,xpoc µuai:"ljpta: !mi:eÀst,:a:c
µ(µ"fjµa: i:iilv 1t~pt ,c,ù 4LovuaotJ. Cfr. Myth. Vat. III 12 p. 269 Mai:
hanc et.iam falrnlam i11 Hacris rcpr:tcHt>lltasse legnntur.
(3) L1/t. Mit. l 8X,I XIX Witle p. 2-18 H.; MAAllH, Orphev.s p. 18 s.;
DnTENR~:HGEII, Syllogc 2 737 ; Pnurr-ZrnHEN, Leges 91·aeo. saorae II
(4. V. 6-l H.: -coùç; µEpLaµoùç; HyELV xa:t 7COLELV.
(-l) lvi v. 123 s. Su queste recite v. \\'um, I. c. p. 276; MAASS,
p. 51 ; Zrnmi:N p. 139.
(5) DJTTENBEUGEII, Syl/ogeZ 65:~: ~1ICIIFL, Rtcutil 624; C.H:11:u,
Delectus 41; CoL1.l'l'Z-ll~;c11TEL IJr. 1Ji11/.-i11•d1r. 4689. V 24: llaa:,ç;
llè IIEL i'h<X'JXEUtiçEcrll-ctL Etç lJEÙJ"I i,u/f~'.J;V, S)'.OV-::OJ "CÒV Eli!<X,LOµÒv
xa:{)-" O av e,[ [EpOL i'lL<X1:Cl~OJV"tL.
238 OR1''1SMC B PAOLINISMO

parti rappresenta.te dai sacerdoti nei misteri eleusini (1),


e Platone ci dice che nelle iniziazioni vi erano persone
mascherate da sileni, ninfe, Pani (2). Dato tutto ciò,
se alcuno trovasse illogico F:1ccostamento, per noi na-
turalissimo, di questi sileni e di questi esseri umani,
!3i può anche pensare cho i sileni sieno realmente dei
sacerdoti mascherati che presiedono alla iniziazione. Per
l'una o per l'altra via, dunque, la presenza dei perso-
naggi mitici si accorda benissimo con la idea. che in
queRte scene sia rappresentata la iniziazione di un
qnalRiasi fanciullo. Dirò anzi che questi perRonaggi
mitici sono in disaccordo proprio con quella tradizione
lettera.ria della quale queste 8ceue sarebbero, secondo
il Uizzo, la integrazione. Abbiamo già veduto, infatti,
che nella unica testimonianza addotta da lui, cioè in
Nonno, la supposta iniziazione di Dioniso avverrebbe
in una stanza buia, in presenza di Ino, senza ninfe nè
sileni; or qui noi troveremmo invece, se queste figura-
zioni rappresentassero la iniziazione del dio, proprio
quei sileni e quello ninfe che dal raccont.o cli Nonno
restano escluse. Così che tra la tradizio11e letteraria e
quella figurativa ci sarnbbe, invece dell'accordo, la più
stridente e inconciliabile cliscordanza.
Del resto, a parte ogni altro argomento est.rinseco,
non è focil<'., a 1d1i sia povero di fantasia, rico11oscere
in queste scene la iniziazione di Dioniso fanciullo ai
mist,eri dionisiaci. Nella pittura della Domus Aurea è
indfscutibile che si tratta <lei misteri eleusini e non dei

(1) PoRPH. ap. Eus. Praep. ev. III, 12 4 Dindorf': èv as 'tot~


xa:t" 'Ehoatva: µoa't1)p(oi, b µèv lEpoq,a;n'I'), Et, Etx6va: 'toù ~1)µtoop-
roù èYOKEOa;~na:t, ~q;aouxo, as Elb 'tYJY 7JÀ(oo, Ka:l 6 µÈY è1tl ~Wµq>
et, 't'ÌjY oEÀ'ljY1)Y, 5 ~È lspox'i'jpo!; 'EpµoD.
0
(2) PLA'l'. Leg. VII 815 C: 6011 (~PXriai,) µh Ba:xxi.(a: 't la'tl xa:l
'tii>Y 'ta:t1'ta:tç; !1toµivwv, lì.ç; N6µq,a:, 't6 xa:l 11/iva:, xa:l l:EtÀ1)Yoùç; xa:l
l:a:'rilpooç; i1toYoµa;~oY't1tç; w, q,a:ot, µiµoiJY'ta:t xompvwµévoo,, 1tapl
xa:&a:pµo6, u xa:l uÀna;, 'ttYa:ç; ci1touÀot1Y'tWY. V. sni sacerdoti-attori
anche GRUPPF. 1 Gr. Myth. II p. 924.
IL DIO DEGLI ORFICI 239

misteri orfici, come provano le due figure di Demetra


e Core che assistono alla scena, nè so capire come,
riconoscendo in queste due figure le due dee, si possa
parlare di misteri dionisiaci. Ammesso anche, dunque,
che l'iniziando di questa pittura sia Dioniso, cosa assai
dubbia oltre che per le ragioni mitologiche già dette,
anche perchè egli non reca alcun attributo bacchico, è
chiaro che questa figurazione pui) riferirsi solo alla ben
nota tradizione che Dioniso si facesse iniziare nei mi-
steri eleusini. Un'altra figurazione che certamente non
rappresenta ciò che il Rizzo vorrebbe, è quella di una
terracntta "Campana,, ohe ha molte repliche, dove il
rito è bensì dionisiaco, ma l'iniziato non è certamente
un fanciullo, ma un adulto, come prova la sua statura.
Più gravi riserve dobbiamo fare per la figurazione
che mostrano le famose pitture della villa pompeiana,
le quali servirono di base al mio Zagreus.
Per rP-ndere cmnprensihili le mie osservazioni pre-
metto una descrizione puramente formale delle varie
scene, attenendomi all'ordine e alla spiegazione del Riz-
zo, senza minimamente occuparmi del valore intrinseco
della sua interpretazione, la cui illogicità, risultante da.
tutto q nesto discorso, è ormai riconosciuta dalla critica.
A) Una donna seduta ascolta un bambino stante da-
vanti a lei che legge attentamente in un rotolo, men-
tre un' altra donna si accosta da sinistra, e una tena.
donna coronata di mirto si avvia verso destra portando
un bacile con sopra vi taluni oggetti indistinti;
B) Intorno a una trapeza si veggono tre donne:
l' nna, seduta al centro, sMpre con la manca un bacile
arrecato da sinistra. da una servente e tiene nella de-
stra un ramicello di mirto su cui una terza donna liba.
<la una oinocoe: verso destra un sileno tocca la lira;
C) Su un grosso parnllelepipedo siedono un satiro
in atto di suonar la siringa e una satirisca che sta al-
lattando un cerbiatto; a destra del gruppo una donna
arretra con gesto ed espressione di terrore;
240 UHFISMO E PAOLINIS)IO

D) Un sileno porge da bere a un giovane satiro,


mentre un altro giovinetto regge alta una maschera
bacchica. A destra Dioniso e Core;
E) Una donna ginocl"liioni sta per scoprire il phal-
16s, interrotta nel suo gesto da una fignra alata mu-
nita di vergn;
F) Q1wttro tiasote.
Nt11la s1,ena A il Rizzo riconosce senza esitazione
l'iniziazione di Dioniso, e tutt.a la serie delle pitture
acqni,-ta significato e lume, nell'esegesi del Rizzo, da
questa prima scena, tanto cho lo scritto che espone
q1wsta e,;egesi si intitola per l'appun._to Dionysos Mystes,
cioè Dioniso iniziato.
Qne:--ta scena A il Rizzo mette in stretto rapporto
col luog·o di :No11110 (1) qui sopra discusso, che è il
fondamento di tutta l'esegesi di lui (2). Ora noi di-
ciamo inVf,ce che si> questa scena rappresenta l'inizia-
zione di J>iouiso IP si deYB rn'gare ogni e qualunque
relazione o eoncordanza con Nonno, perchè nel rac-
conto del poeta greco mancano, e debbono mancare,
come dicemmo, quei satiri e quelle ninfe (se ninfe sono)
ch<1 nelle pitture ricorrono con g-rande abbondanza.
Ma ciò a noi poco import.a, come in fondo J>oco im-
porta che il Rizzo abbia letto in Nonno quello che non
c'è, perchè a noi pare assolntamente da escludersi, per
ragioni intrinseche, che queste pitture rappresentino
la iniziazione del piccolo Dioniso.
Si badi infatti: in tutte le scene di iniziazione, non
una esclusa, che il Rizzo cita e riproduce e nelle quali
egli riconosce lit iniziazione di Diouiso, l'iniziato ap-
pare col capo velato; ed è quu1to un segno che il ve-

(1) « Il fauciullo è l'iniziato, Dionyso~; la rlonna è l'iuiziatrice ...


Noi potremmo chiamarla Mystis, riferPnt!oci alla tradizione poe-
tica raccolta da Nonno» (p. 29). Cfr. p. 32.
(2) « Luol{O per noi importantissimo" (p. 16); - « Nostra foute
precipua• (p. 58).
IL DIO DBlìLl ORFICI 241

lare il capo era un gesto rituale tra i più importanti


e caratteristici dell'iniziazione. Cosl era infatti (1), e
Aristofane nelle Nuvole, parolliando l'iniziazione dio-
nisiaca, non senza ragione mette in scena proprio que-
sta cerimonia (2); anche il fatto che la iniziazione di
Eracle viene rappresentata e quasi sintetizzata in molti
monumenti proprio da questa cerimonia (3), prova che
essa era la più caratteristica di tutte le varie fasi del-
1' iniziazione. Se così è, non si spiega perchè in queste
scene e proprio nella prima dove, secondo il Rizzo, è
esibito Dioniso stesso nell'atto di venir iniziato o istruito
nei misteri, manchi per l'appunto quella cerimonia elle
si vede in tutti gli altri monumenti, cioè il velamento
del capo; non si comprende come mai in un monumento
se altri mai cospicuo, risalente, per giudizio concorde
di tntti, a nna insigne opera d'arte greca della fine
~el V secolo e cioè direttamente connesso nl periodo
aureo della religione orflca, manchi una cerimonia che
in quella medesima età era certo universalmente pra-
ticata nelle 1niziazioni orfiche, come prova la parodia
aristofanea; e inversamente non si comprende come ma.i
nna cerimonia che manca nel più cospicuo e complesso
e schietto monumento orfico a noi noto ritorni poi con
aingolM"e persistenza in monumenti assai più tardi e
88flai più lontani dalla fonte religiosa ortica, come son

(1) Sn questo rito, Rizzo, Op. c.t. p. 12, n. 1.


(2) AR, ;Nub. v. 235 s. Il DIETERICH ( Uebs1· eine S•ene der arist.
Wolken, in Rh. Mus, N. 8. XLVIII (1893) p. 275 s. = Kl. Schrijten
p. 117 s.) ha dimostrato che q11esti> scena parodia i misteri ùnc-
chici. V. anche HARHISON, I'1"0lego:111ena 2 p. 511 e. Altri crede che
la parodia. mira ai misteri eleusini , ma il coro delle Nubi oom-
mo"QJ.ora Bromio (v, 811 s.) e invoca Dioniso (v. 606), e il corifrfl
si proclama alunno di Dioniso (v. 319).
(3) Si vedano i monumenti seguenti: rilievo di Napoli (REl:NACH
Btp. rf.l. III p. 89, 2); urna dell'Esquilino (R.EINACH III p. 383,
1); rilieyo «Campana.• del Museo delle Terme (Bom. Mitt. 1910
p. 133, Rizzo); sarcofago di Torre Nova (RE;INACH Ill p. 172, 1).
MACCHIORO - Orfis""' e PaoliniS1'10
242 ORFISMO li: PAOLINISMO

quelli ricordati e riprodotti dal Riz-zo. Questa profonda


sconcordanza tra le pittore pompeiane e le altre rap-
presentanze non si spiega in nessun modo; e meno di
ogni altro potrà spiegarla chi pensa che tanto la pit-
tura pompeiana quanto le altre scene rappresentino alla
pari l'iniziazione di Dioniso. Perchè manca dunque la
scena p.el velamento t E se non c'era nell'origina.le greco,
se cioè alla fine del V sec. esso non era praticato -
poichè possiamo esser certi che in quell'originale tutte
le cerimonie più importanti del rito erano rappresen-
tate - perchè lo portò sulla scena Aristofane t E se nel-
l'originale greco c'era, perchè il copista romano lo tolse,
quando tanti altri monumenti, non fosse altro, dove-
vano avvertire che queAta scena era tra le più carat-
teristiche- del rito T
La verità è che qui non c'è alcuna iniziazione. Nem-
meno in quella primR scena dove il Rizzo, sempre vit-
tima della sua illusione, riconosce Dioniso nell'atto che
apprende il rituale dei misteri.
Nulla vi è in queste scene che possa accordarsi in
qualche modo con questa iniziazione divina, e tuttò
porta ad esclude.ria.
L'ambiente prima di tutto. "Nè paesaggio - dice
" benissimo il Rizzo (1} - nè prospetti ed edifizi , nè
" 'interni , , nessun elemento paesistico od architetto-
" nico, insomma: ed unico accenno assai incerto e sche-
" matico al luogo sono i plinti di marmo, sui quali
" stanno o siedono alcuni personaggi. Il pittore ha sup-
" posto che le figure si muovono sul podio della dee-0-
" razione, proRpetticamente avanzato di tanto quanto
" bastava a dare l' illosione del piano di posa, e che
" le pareti stesse del triclinio sono lo sfondo dell'azione
" rappresentata; la quale sembra perciò che si svolga
" dentro la stessa sala ,,.
Benissimo: meglio di co8l non si può dire. E' veris-
(1) Op. cit. p. 27.
IL DIO DBGLI ORFICI 2-18

simo che tutt.a intera l'azioue rappresentata in queste


scene pare svolgersi entro la sala stessa; ma in questi)
caso possiamo esser sicuri che queste scene , dal mo-
mento che derivano da un originale greco; non po~so-
oo rappresentare l'iniziazione di Dioniso. Infat.ti è ma i
possibile - domando io - ohe un pittore greco im-
maginasse Dioniso nell'atto di farsi iniziare-indovi·
nate nn pò dove T - in una stanza pompeiana, ripro-
ducendo in Grecia e nel V secolo lo stile pompeiano ...
0

ohe ancora non esisteva 1 Quanclo e dove mai in tutta


la pittura pompeiana è dato osservare questa proie-
zione del passato nel presente, del mitico nel reale 1 Vi è
1111a sola pittura antica in cui l'ambiente non armonizzi
con la scena o col mito rappresentato, sia questo ambiente
domestico o campestre, privato o pubblico, reale o im-
maginario! Ora, perchè mai intorno a qut>sta iniziazione
~lei dio non vediamo su per giù quell'ambiente che
mostrano le altre scem·, dove pure dovremmo col Rizzo
riconoscere la iniziazione di Dioniso, e cioè un am·
biente paesbticoT E la pittura pompeiana, che tanto
amava proprio l'amhie11te paesistico, perchè l'avrebbe
sopprexso solo e proprio in questo caso? Si potrà pen-
sare che l'originale greco non mostrava alcun accenno
ad awhientc e nhe perciò qni l'ambien1e non c'è. Giu-
stissimo: ma altrettanto sicuro è che nell'originale
greco l' azione non xi svolgeva entro le pareti di una
stanza pompeiana. Dobbiamo dunque pensare che H
copista, avulsa l'azione iutera a quel qual si sia am-
biente eh' era il sno, la proiettasse entro l'ambiente
pompeiano, con tra vaglio pari al cattivo gusto, per ar-
rivare a questo assurdo: a una iniziazione di Dioniso
che avviene entro una stanza pompeiana.
Dopo l'ambiente, i personaggi.
Intorno a Dioniso bambino noi vediamo costantemente
in tutte le figurazioni, variamente affaccendati, satiri
e ninfe. Il R:zzo riconosce gli uni e gli altri anche nella
pittura pompeiana e parla anche ripetut11mente del tiaso
ORJ.'ll!'l!O Jt P1lOL"INHIHO

figurato in queste sceno; il Rizzo è evidentemente


spinto dalla brama di ritrovar nel dipinto quelle ninfe
che ei crede di aver trovato nel poema di Nonno:
perchè di un tiaso in queste pitture non c'è neppure l'om-
bra, se per tiaso intendiamo quel giocondo seguito ma-
schile e femminile, di Dioniso, che danza e salta facendo
corteo al dio in innumerevoli pitture vascolari. Qui non
vi è nulla ùi tutto ciò; vi sono bensl dei personaggi
bacchici intenti a determinate azioni, ma non sono per
nulla legati al dio da una comunanza di g"t'Sti o di i;en·
time.nti; essi non danzano, non suonano intorno a lai,
non mostrano nemmeno di accorgersi della presenza di
lui e badano ai fatti propri con in<liJfcrenza :i,ssai poco
lnsinghiera per il dio troneggiante. Tiaso dunque no:
ma personaggi bacchici in determinate azioni delle quali
non è il momento questo per discorrere. Si hadi tut-
tavia alle quattro donne della scèna F; di esse una
sola è earatterizzata come baccante, vale a dire rappre-
sentata con quel gesto e quei caratteri che l'arte dava
alle baccanti, e cioè la danzall'ic(• ignuda. Ma le altre
tre chi mai o!lerebbe credel'lc bac<>anti 1 Che vi i• in
esse di bacchico 1 E che fanno quelle due di cui l'una
poggia il capo timorosa nel grembo all'altra 1 E eh&
fa gnella tetza donna tutta vestita 1 A ogni modo se sono
b11cC6nti nel senso mitico della parola non so con;ie si
poBBa spiegar.e la nudità delfa danzatrice con le costu-
manze e le danze rituali ed espiatorie, come fa il Rizzo,
e ri<:oi:dare i rituali epigrafici greci i 1). Evidentemente
il valorolilo archeologg qui confonde il mito col rito,
cioè confonde le baccanti mitiche, che formavano il tiaso
di Dioniso, e che egli riconosce in quest.e ligure, con
le iniziande che partecipavano ai misteri di Dioniso, e
attribuisce belh1mente la nudità delle iniziande reali
al~ bacuanti del mito.

(1) Op. fli.t. pp. 31-54-.


IL DIO DEGLI ORll'ICI

I sileni invece ci sono. Ma, strano a dii:si, mentre


nelle altre sceno è Sileno proprio, nella sua qualità. di
precettore e sa<ierdot,e di Dioniso (1) e direttorn dei
misteri (2), che assiste e inizia il dio, qui I' iniziando
è affidato a due donne qualunque, e il bravo precet-
tore si spassa, lungi dal suo diletto alunno, a suonar
la lira o a porger da bere, secondo parve al Rizzo, ai
suoi minori colleghi. Ed anche questo sdoppiarsi di
Sileno è curioso. Sileno è un personaggio ben definito,
che ha una sua parte speciale nel mito e nei misteri
di Dioniso, come suo precettore e sacerdotP; due Si-
leni, dunque, sono tanto impossibili e assurdi, nell'am-
bito dei rnist.eri, quanto due Dionisi, specialmente quando
in tanta abbondanza di Sileni neppur uno si trova vi-
cino aL suo discepolo, al eui ammaestramento si è prov-
verluto per incarico, intanto ehe il bravo maestro si
spassa a suonar la lira. E, tiualmente, non si spi1ig-a come
mai gli stucchi e le te1Tecotte, arte tarda e in,lnst,riale,
mostrino tanta fedl'lt~ì, alht trndizìone da presentarci
Sileno proprio come precet,tore e sacerdote dionisiaco,
e qu~sta pittura qui, che direttamente deriva ,talla tra-
dizione orliect, violi questa tradizione, e mostri un Si-
leno che sarà forse un eccellente citarista ma è certo
un pessimo maestro.
L'educazione spirituale di Dioniso resta dunque af-
fidata a due donne, l' una delle quali addirittura. d' a-

(1) }'IRM, MAT. IJe er,·. prof. t·el. VI 5 Ztegler: paedagogum


pueri [Dioniso] constituit sacerdotem huio. Sileous fuit nomen.
Cfr. Eus. P,·aep. ev. II 2, 8 Dindorf.
li) In un'isola immaginaria descritta da Filostrato, Dioniso ha
affidato a Sileno la celebrazione dei misteri. Puu.. Im. II 17
(Benndorf-Schenkl): ilc(,pitjia:na: ,<jl l:stÀ7JY/j) -rdc ilv,a:!J3,a: 4m6p()1j1a:,
Simielo attribuisce II Sileno 111 direzione del misteri: BYKas. OGl11.
4lfl0, 68; MIGN&, PG. LXVI p. 1177 A: l:atÀ7JY/j) lll xcb,1t (nei mi-
steri) xa:3-illpa: xa:l ax6,oç lat! , xczl ,:o!J '1Lovòaoo 'mnllczy111yll,
411:oll61l1x1:a:L.
OR!tISMO E PAOLINl!lllO

spetto matronale, caratterizzate come donne mortali clal


costnme e dall'apparenza.
Il Rizzo, al quale non poteva sfuggire la diliicoltù,
insita nell' a8petto stesso di queste <lue clonne, cNca
di attenuarla con vari ragionamenti (1), lwncliè al 1:,1uo
desiderio di trovare un accordo tra qne:-;te pitture e
Nonno giovi in fondo più lasciar crnlt'rc l'IH· quegt,p
donne sono clonne mortali - l'una delle quali potrl'l1be
essere Misti-che non il persuaderci che :-;0110 ninf"c, <lai
momento che in Nonno le niufo non ci sono. ::'Ila i suoi·
argomenti non convincono. Non è vero l'hc nell' nrtP
ci for;se tra ninfa e clonua mortale qnella idcnt.ità o
confm1ione che il Rizzo afferma; il tipo della ninfa i·
giovanile, tende spesso alla parziale rnulità, mostra co-
stume ideale. In nessun caso, poi, pni> rii e1H·r:-;i 1111a
ninfa la matrona velata che :-;i accosta da sinistra.
Quanto ai raffronti cl1e il Rir.zo fa con le s1·e1ie ila lui
stesso ripro<lotte, nelle quali ,,g}i riconosce l'i11iziar.io11l'
di Dioniso, è verissimo che alcune - 110n tnt.te 1w1·ò --
delle figure femminili che vi partt,cipano hanno a:,;pettv
umano e mortale: ma :,;ono poi ni11fr Y Ninfl' sart,bhero
certamente se quelle iniziazioni si riferissero a Dioni-
so; ma poichè, come vedemmo, cii, non è nè pnò es-
sere, si conclude cht' qm·lk son tlon11e mortali, le quali
stanno inizian<1o un f'a11ci11llo, e se queste rlonne dell:b
pittura parie.tale son tanto compagne a quelle altw
~li è Regno che sono esse pure mortali e non ninfP.
E dove è certo che sono ninfe, cioè nelle figurar.ioni
con l'infanzia di Dioni1"o, che il nir.r.o riproduce, ivi il
loro carattere è chiaramento denotato dalla Reminudità.
e dal coRtumP ideale.
Il Rizzo ricorda assai inopportunamente le '' belle o
eleganti thiasotai », vestite seconclo la moda attica del
secolo quinto, di una pittura. vascolare. Ma il confronto

(1) o,. °''· p. 82.


IL DIO llEGr.I ORFICI

calza. malissimo, perohè le ninfe erano divinità, che solo


per errore o trascuranza qualche artista potè rappresen-
tare con aspetto mortale, mentre i t.iasoti erano dei sem-
plici mortali appartenenti a un t.iaso, cioè a una asso-
ciazione cultuale (1). Il Rizzo non penserà certo, io spero,
ohe le innumerevoli donne greche che appartenevano a
questo o qnel tiaso all'atto rlell'imif'rizione si trovassero
di botto tramutate in tante ninfe!
Se l'esser tiasota, ossia appartenere a un tiaso, eq ni-
valesse a esser satiro o ninfa, allora sono da annoverarsi
tra i satiri anche i membri degli innumerevoli tiasi greci,
che erano delle pure e semplici società. cui tnali.
Nè l'ambiente, dunque, nè i personaggi sono quelli
che una iniziazione dionisiaca, e cioè un episodio mi-
tico, esigerebbe, perchè l'ambi ente è reale, anzi pom-
peiano , e dei personaggi quelli che sono mitici non
partecipano nll' azione, e quelli che partecipano aU' a-
zione non sono mitici.
Badiamo ora noTJ. a quel che manca, ma a quel che
c'è in queste scene. Uhe cosa vi è infine che possa ri-
ferirsi alla iniziazione di Dioniso t La prima scena, vi
risponderà il Rizzo, persuaso che in essa sia rap-
presentato Dioniso nell'atto che apprende il rituale dei
misteFi. E sia pure: concediamo ciò che non è. Ma non
per questo possiamo parlare di iniziazione ai misteri
perohè imparare il catechismo non è lo stesso che ri-
cever la comunione.
Nei monumenti relativi ai fatti o ai gesti di Dioniso
voi trovate sempre espressi tutti, più o meno, gli epi-
1;1odi più importanti clella vita del dio. Si veda per esem-
pio quel rilievo d'avorio di Milano ch'io ripubblico in
Zagreus (2); esso mostra Dioniso portato dalle ninfe a

(1) HARPOCRAT: 8!a:a6, tan ,à. à,'l,po\a6µsvov 1tÀfJ,'l,o, hl 'tlÀE'tI/


xa:l UJ.'I/ ,'l,aii>v. 8La:aw,a:L ·ot xotvrovoilvu, ,ii>v ,'l,tliamv.
(2) RBINACH, Rtp. de, reliefa II pp. 3934: MACCBIORO, Zagreu,,
pag. S.
248 ORl'J8lll0 K PAOLINISMO

:Rea, lo danza coribantioa intorno a.I fancinllo, i giuochi


di lui aiutato da Sileno, e infine il dio nell'atto di gui·
dare il carro di Rea preceduto dal tiaso. Qualche cosa,
di simile ci aspetteremmo da queste pitture: vale a dire
che dopo la prima scena con l'istruzione ùcl dio giovi-
netto ci aspetteremmo qualche altra srena riferibilli alla
vita o al culto del dio, qnalche rappresentanza che mo•
stri le conseguenze mitiche o religiose di quella inizia-
zione. Nulla di tutto ciò invece: dopo questa prima scena
Dioniso non compare più in nessuna delle successive
scene; comunque si voglia interpretarle, il dio non vi
compare più, e tutte le ,,arie azioni sono compiute o
~nblte da altri personaggi oht1 nulla hanno che vedere
con Dioniso, cioè da alcune donne cùe non vengono
caratterizzate pnnto come menadi. E Dioniso dove se
n'è ito T Lo vediamo nel bol mezzo delle scene in grembo
a Oore, senza ohe tra. la prirna scena, dove lo vedi bam•
bino, e questa qui dove lo vedi adulto, vi i!ia un tra-
passo, un nesso qualunque che colleghi in qualche modo
le varie scene tra loro. Come spiegare tutto ciò7 Se
dopo quella primi,. scena l'originale greco mostrava qual-
che altro episodio relativo a Dioniso, perchè mai il co-
pisttt lo avrebbe soppresso e sostituito con tant.i altri
episodi non riferibili a Dioniso T
E questo Dioniso iu gremho a Core, come si spiegaf
È mi.I possibile ammettere che il dio assista da adulto
alla propria iniziazione infantile, stando nella stessa
&tenza in cui quella iniziazione avviene t Questo sl ehe
sarebbe un vero miracolo dionisiaco.
Il Rizzo veramente dice che quel gruppo è on "em-
blema,;; ma io non so da che colila si pnò ricouoscerlo.
Dioniso e Core sono immag'innti e raJlpresentati <'Ome
persone reali, tant' è vero che essi seggono su troni
poggianti su quello stesso piano su cui stanno gli altri
peraonaggi, e e.be 1111 questo stesso piano giace il cal-
z11re che il dio ,i è Jevato. Questa realtà rappresen-
tativa è sentita. del resto dallo stesso Rizzo quando
IL DIO DEGLI ORFIC[ 249

trova dell'analogia tra questa scena e i '' gruppi rap-


presentanti Dionysos con Arilldne , seduti o sdraiati
sulla kline, in mezzo al thiasos orgiastico,, (1), ma il
nostro archeologo dimentica che in questi casi le due
divinità sono pensate come persone e non come emblemi;
a meno che non riduciamo a emblema tutta intera la
iconografia religiosa greca, iuvent:rn<lo di pianta un'Hrte
e nna religione greche davvero nnove di zecca.
Nella spiegazione di questa scena noi assistiamo clun-
que al trionfo della fantasill ermeneutica <lel valente pro-
fessore. L'emblemll non c'è: c'è il dio in carne e ossa.
Sl che per forza si arriva ailll couclnsione che S(• l'ese-
gesi del Rizzo fosse 1:,satta noi avremmo qui un Dioniso
fanciullo che vitne iniziato e un Dioniso adulto che as-
siste alla iniziazione del primo, tut.ti e due neUo stesso
ambit1nte.
Delle singole scene, nesimna, dunque, si accorda con
la ''iniziazione,, mostrata nel primo quadro. Diremo
di piu: v'è una scena (F) che contraddice addirittnra,
cosi come la spiega il Rizzo, al concetto stei:,so della
iui2.iazione (2).
Il Rizzo pensa che quella flagellante alata. sia. nien-
temeno che una " potenza avversa al fine supremo dei
" misteri dionisiooi, invida della beatitudine eterna
" agognata dai mortali ,, (3), un " daimon geloso, di
"natura inferna o titanica, il quale si oppone a che si
'' compia il mistico rito, d'onde perviene agli uomini la
" puriJlcazione del peccato primigenio,, (4); e suppone che
questo demone risalga a tradizioni orfiche e sie. preci-
samente Ana.nke o Adrasteia, cioè '' colei che impone
le rme immutabili prescrizioni a tutte le potenze terrene

(1) Op. cit. pp. 41 e 43.


(2) Op. oit. p. 43.
(3) Op. rit. p. 60.
(4) Op. oit. p. 61.
250 ORI'lt!MO .Il: J>AOLINJSMO

ed ultra terrene, ohe regola i I corso del destino, in vo-


cata come signora nell'introduzione degli inni orfici,, (1).
Diremo priwa di tutto, tra parentesi, che la Adra-
steia orfica, così come è descritta negli inni orfici, che.
il Rizzo in tanto parlare di orfismo non ha mai letto,
è assai diversa da come egli la immagina. Essa non era..
punto un demone geloso o invidioso di chi che si.a.. La
gelosia e l'invidia sono prerogat.ive umane che nessun
orfico avrebbe osato attribnil'e ad Adrasteia che era la
personificazione della imparzialità (2), tanto è vero che
facev11, parte dell'Olimpo orfico come regolatrice e legi-
feratrice, e immaginarla invidiosa della. beatitudine cho
gli iniziati si procacciavano nei misteri e pensare che
essa voglia interrompere la iniziazione, gli è come pen-
sare, per gràzia (li e.sempio, un S. Michele che per in-
vidia o gelosia, non si sa di che, interviene a interrom-
pere un battesimo o una comunione, e prende con lo
spadone a botte coloro che stan compiendo il sacra-
mento. Inoltre gli orfici rappresentavano Adrasteia assai
diversa da quell'essere alato, ignudo, munito di alti
calzari e di verga, ohe vediamo nel dipinto: essi la im-
maginavano in atto di battere i cembali innanzi all'an-
tro della. Notte, dove siede Fanete, per attrarre I' a.t-
tenzionfl di tutti snlla sua legge (3), oppure munita
dì verghe di bronzo e di timpani rumoreggianti (4).

(1) !fii.
(3) HERMIAS 1 In Plat. Phaed. p. 148 = ABEL Orphica 109, 110:
'Aepa.OU\11. età 'tOU'tO XEXÀ'l)µ!v'I), età "t6 "tà rm• ctÙ'tij, n,'1-!V"tO: XO:l
voµo.9-a"t7l.'1-i-.."ta. d,a.1t6!lpcta"ta. atva.t.
(3) ]fii: iv "tot, itpo.9-upot, yàp "toil i!-.."tpou "tij, Nux"t6, 'iJxst-.. J..iyna:L
"tot, xuµ~a.Àot, tva. itciv"ta. "tà a.ù"tijç "tli>-.. -..6µw-.. xa."t'ilxoa. yh7J'tC1.L.
1-..eo-.. µè-.. ylip i-.. 't(jl iiM'trp "t'i'j, Nux,èç xli..9-'l)"ta.t o 4'a.-..ll,. 1-.. µaaip
et -lj Nù; µa.n,uouaa. "tot, .9-1ot,, '#j e, 'Aepa.auta. h "totç itpo.9-6potç
itl.iat -..oµo3-noDaa: "toì>ç ,9,g(ouç -..6µou,.
(4) PROCL. Theol. Plal. IV 16, 206 =.ABEL 111: Ila.p' 'Opq,1t e,
xa.l q,poupatv Hynat (Adro.stea) "tè" "tw-.. llJ..w-.. ll7Jµtoupyò-.. xe11l xil-
xsa. p67t'tpCI. ÀCll~oiiaa. xa.l 'tllJ.LltCl."CI. 'iJX,jlV'tCI. olhw, "IJXEh tiJO't! 7tlX-..-
"tCI.C lmo"tpii:pu-... ,t, a.f>"tTJV "toù, ii-1ouç.
1L !>IO DEGLl OR.1Cl 2Sl

Ma ammettiamo che questa sia Adrasteia: o perchè


dovrebbe interrompere lo scoprimento del phallos, ce-
rimonia tra le più comuni dei riti dionisiaci 7 Se que-
sta cerimonia era contraria alle leggi divine delle quali
Adrasteia era custode, perchè gli orfici l'avrebbero ac-
colta nei loro riti, c comt, mai es,m compare così spesso
in rappresontanze ortico•dionisiache T E se ammettinmo
col Rizzo che nelle figurazioni, delle quali abbiamo par-
lato più sopra, sia rappresentata l'iniziazione di Dio-
niso, come mai in talune di esse, come in una terracotta
''Campana,, e nel dipinto della Domus Aurea, si vede
accennato o anche est,guito proprio quel rito fallico che
nella pittura pompeiana eccita il santo sdeg·no di Adra-
steia al punto da farla irrompere furiosamente uella
stanza don, si t·ompie il rito per interromperlo a suon
di nerbate? Ed è pos><ihile che una serie di cerimonie
le quali si svolgono intorno alla pen;ona stessa di Dio-
uìi,;o e si sintetizzano nella iniziazione di lui, sieno tanto
eterodosse da cuutravvenire alle leggi immutabili di
Adrasteia t
Le pitture Item non rappresentano dunque la ini-
ziazione di Dioniso, come volle alforma.re il Rizzo.
La spiega1.ione tli lui rnanca di ogni fondamento lette-
rario perchè il luogo di Nonno, l!ov' egli cercò questo.
fondamento, dice tutt'altra cosa da quel elle egli gli fa
dire e non ba alcuna relazione con le sceue della villa
pompeiaua; e manca di ogni verosimiglianza perchè
porta a una quantità enorme di inverosimiglianze e con-
traddizioni. La critica ben fece respingendola come.
assurda.
E cou essa fallisce il tentativo del Rizzo di dimo-
strare P inesistente, di presentare insomma la storia
come non è, affermando l'esistenza di una duplice tra-
dizione, letteraria e figurativa, che Dioniso foRse ini-
ziato cla fanciullo nei suoi stessi misteri dei quali egli
non sarebbe stato quindi il fondatore ma solo il di-
vulgatore.
252 OBJ'I8:MO E PAOI.lNIBMO

2.
Il tentativo del Rizzo verrà giudicato
•• fil 4• 1111 1te110
htltulto,
ancor più severamente quando diremo
che di fronte alla sua fantastica tradizione esiste tutta
una reale tradizione, documentata e cerziorat-a, da lui
eviùentemente ignorata, che attesta proprio il contrario
di quol eh' egli dice: e cioi\ proclama Dioniso proprio
come istitutore e fondatore dei misteri. Una simile tra-
dizione deriva direttamente dalla concezione di Dioniso
come dio rigeneratore, che fu l'idea fondamentale intor-
ro alla q nate si venne costit1wndo il mistero orfico:
Dioniso non solo fu la divinità per mezzo della quale il
mistero opera la sua re,Ienzione identificando l'uomo al
dio, ma diventò addirittura l'istitutore dei misteri, il do-
natore di questo unico mezzo di redenzione dal peccato.
Nelle Baccanti di Enl"ipid.e Dioniso dice di avei· isti-
tuito i misteri per rivelarsi quale dio agli uomini (1,;
egualmente attribuiscono l'invenziQne dei misteri a Dio
niso; Diodoro (2), Megastene (3), Strahone (4), gli sco-
liasti di Omero (5), Aristofane (6), Ap<illonio Rodio (7);

(1) EURIP. Bacoh. 21 s. : xà:xs! xopEuaa:ç; xa:l xa:"ta:a·njaa:ç; lfLà:ç;


1:IÀS"ttiç;, t... • lhJV t1,Lq,a:v-/J, ia:CfLWV ~pO"totç;.
(2) DJOD. III 64, 7: xa."ta:1'JEtfa:t 1'Jà xa:l "t!Ì itapl "tàç; "tSÀf>"ttZç; xa:i
"'na:1'Jouva:t "ttilv fLllO"t"IJpCwv "totç; E1las~isat "tli.lv à:v&p<ilmov.
(3) STRAB. X , 3 10: 'Itixxov n xa:l "t6v i1t6vuaov xa:ÀoClat xa:l
"tilv à:PX"IJYh"IJY "ttilv fLll"t"IJpCwv.
(4) MEGASTH, 38, 22 (MiiLLIUt, FHG. II p. 404): Ml"tix 1'Jè :ta:IJu
't'fJ, ita:pa:&taawç; "tli.lv xa:pitwv !mfLIIÀ"IJ&év"ta: fL&'l:a:at1'J6vett "tot, "Iv1'Jotç:
1ta:l "t7JV gljp'ljOIV "tOiJ otvou xa:i "tWV !ÀÀWY "tÙlY &:lç; "tÒV ~,o ... XP"IJO!-
fLWV 7tetpa:1'Joilva:t.
(5) ScHOL • . Il. VI 131 Dindorf: 4t6vuaoç; h KuPiÀoL, 1i')ç cf>puyta:,
titil "ti'jç; ·Paaç; "toxwv xa:,'l,a:pfLiilv, Ket~ 1'JLa:&sl, "tlXç; nÀa"tdç xa:l Àa:Pd>v
,cclaa:v ita:pà: "ti'), &sii, "t1}Y 1'Jtcioxsu-/Jv dvòi daa:v iq:,tpno niv ~"-
(8) ScuoL. ÀI'. Ran. 343: div (= misteri) "ti')ç; nÀe~, ob 1-'~WJ<\I
x0p1u"t7',, à:ÀÀà xa:C l~a:pxoç; ~" 6 4t6vuaoç;.
(7) SCHOL. Àf). Bh. II 904: o!;"tw 1'Jà xld'lj"ta:t 6 'ltO"ta:fL6ç; &.1til
,:6v 4L6vudov d"L'6&t xa:"tCEa"t1jdcit xop6v, !In clitil 'lvlJli)v bdO"tp•
IL DIO DRGLI ORFICI 253

una tarda tradizione evemeristica narrava che Dioniso


era un uomo che fu poi assunto a dio in premio delle
sue innovazioni sacre (1).
Questa. traùizionfl che attribuiva a Dioniso la i11\'en-
.zio11e dei misteri acquista una particolare grandiosità
.nell'enorme poema di Nonno che, attraverso innumere-
:voli digressioni e narrazioni, in realtà è tutto una glo·
dficazione di Dioniso come istitutore dei misteri.
Allegoricamente questa qualità suprema del dio è
manift>stata facendolo padre di Talete ( XVI 399 s.), la
per!'.oni!icazione del miste1'o (teleté), come dice il nome.
E si barli: l'amore di Dioniso con Nicea, da cui 11asce
Telettl, non è invenzione del poeta; lo troviamo, assai
pri.Hla di Nonno, in Memnoue (2), che il poeta. segue
fa tutti i particolari. Ma in Memnone manca proprio
'Eelete, che .pare aggiunta da Nonno, per esprimer.e con
qoosta personificazione il fatto che da Dioniso presero
i-nii.io le teletai, cioè i misteri.
-Questo par verosimile a chi pensi l'amore di Nonno
per le .allegorie e le personificazioni , delle quali egli
si serve .graziosamente per esprimtire l'introduzione o
l' instit.uzione di arnesi o usi bacchici. Così nel libro
XVIII Dioniso vien accolto onorevolmente da Sta.O.lo
~phylos = graspo) con la moglie Mete (mtithe = ebrie-
tà). il flglio Botri (botrys = grappolo) e il ministro Pito
(,pithos = botte). Graziosissima, come allegoria, la danza
di Me,e a-ccompagnata da Stalìlo e .Botri, mentre Pito,
pieno siqo .al gozzo, salt.a qua e là (XVIII 145 s.); e
Pito viene r'icompensato col permesso di mettersi sotto
un torchio da vino per riempirsi col liquore che cola
(XX 127 s.). Dato qnesto amore e questo uso delle per-
sonifi'cazioni, è evidente che Talete deve essa pare aver

(1) Hn,. Or. XIV 26; JuLIAN. Or. VII 219 B; AmT. Piac. I b=
ARNIM 1Stoioor. vet. jr. II 1009 p. 300, 30; MALAL. Chron. Il p.
,2 Dindorf; CBDRBN. Hut. I p. 43 Bekker.
(2) XLI 45 s. MilLLEll 1 FHG p. 547.
25-l ORFISMO Il: PJ.OLINIS.1110

un significato; deve cioè significare che Dioniso è il


padre delle teletai, l'istitutore dei misteri.
Net poema nonniano tre volte è narrato come Dio-
niso istituisce dei misteri : ]a prima volta egli isti-
tuisce presso Rea, nella cui grotta ha trascorso la gio-
viner.za (1), dei misteri di specie incerta che certamente
vogliono simholP/U{iar la fusione tra il culto dionisiaco
t.rncio e quello cibelico frigio; la seconda volta istituisce
ud Atene dei misteri che sono chiaramente designati
co1ne quelli orfici (2). Infine il poema si chiude raccon-
tarulo come Atena affidò il piccolo lacco , figlio di
Dionis<' e ili Aura, alle baccanti eleusinie, e come
ad Atene si istituirono delle cerimonie in onore di Za-
greo, Brornio e lacco (3); dove si allegorizza nel modo
più evidente la fusione avvenuta ad Eleus.i delle due
religioni orfica ed eleusinia. L'intero poema in fondo
non fa che glorificare Dioniso come istitutore e propa-
gatore dei misteri, e si chiude con l'apoteosi dell' or-
fismo cioè con la sua conquista di JiJiem,i; le stesse guerre
im ma11 i che Dioniso conduce in Oriente non hanno altro
Rcopo che la propagazione dt>i misteri; egli vince in bat-
taglie colossali g·li Indiani, ma 11111l'altro fa fuor che or-
dinRre ai suoi Reguaci di lllll'iflcam i' vinti col gesso
e di ini:1.iarli im;ieme al loro re nei misteri (4); lo stesso
fa 0011 gli Arnhi (5).
Or dunque noi vediamo che da Euripide a Nonno,
rioè.• per circa nove secoli, la tradizione coRtantemente
glorificò Dioniso come istitutore dei miRteri.

(1) XII 395.


(2) XLVII 27 M.:
(3) XLVIII 967 s.:
(4) XXVII 20l s.
(5) Xl 295 s.
IL DIO D1'01.l ORFICI

3.
l'eate la coneedoaeLa cosa, come dicevamo, ha importanza
Il Bloal10 eome Ilo
ae,l,ratore. per la storia delle religioni.
L'orfismo concepiva Dioniso come un
dio salvatore. Nel poema di Nonno l'avvento di Dio-
niso acquista un significato cosmico: il tempo invita
Zeus ad affidare al dio novello le cose del mondo per
rimediare ai mali che ai.Higgono l'umanità (1). Zeus gli
rispoude preannunzianùo la nascita di Dioniso che ar-
recherà all'umanità il dono del vino e, dopo vinti gli
indiani, sarà accolto nel cielo insieme a lui (2), e an-
nunzia a Semele che Dioniso farà dimenticare i dolori
della umanità (3).
Dioniso è il redentore dell'uomo, secondo l'orfismo;
e, appunto perchè tale, deve essere l'inventore del mi-
stero, che e l'unica via <li redenzione. Rappresentatelo
in atto di esser lui introdotto nel mistero, di esser ltti
addottrinato nel mistero, ed ecco che questo dio co-
smico che riassume in se tutto l'universo e si pone
come unica forza creatrice, si ridurrà alle propor-
zioni di un banale dio omerico che oggi impara il ca-
techismo dei misteri e domani farà all'amore con qual-
che dea. Togliete il co:i.cctto del dio che inizia e to-
glierete alla religione orfica questa immensa forza, che
essa poi cedette al cristianesimo, dell' unione con dio
in vita e in morte, della fede personale nel Salvatore.
L'esempio cristiano ritorna qui al pensiero quale via
per comprendere la psicologia religiosa degli ot·fici.
Lo storico può benissimo dire che l'eucarestia preesi-
steva a Gesù uei misteri ellenistici, ma il cristiano

(1) VII 35 B,
(2), VII 74 B •.
(3) VIII 367 s.
256 ORFISld.O E .PAOLI.NIS:WO

ortodosso penserà sempre che ciò non può esser vero,


perchè la Santa Cena deve averla istituita il Signore
Gesù. Perchè deve t Perohè se cosi non fosse la fede
cristiana perderebbe I' appoggio del E-aeramento. Cosi
si formò la impossibilità di una tradizione religiosa di-
versa d11 quella che attribuisce l'istituzione della cena
a lui; gli è la fede che crea questa tradizione e la
conserva; e uno storico del cristianesimo non potrà
mai comprenderne lo sviluppo senza questa certeze:a
che il cristianesimo, come specifica pr11tioa religiosa, cioè
come sacramento, cominciò con Gesù. Se questo non fos-
se egli non sarebbe più il Salvatore.
Egualmente pet' gli orfici Dioniso. Non si capirà. mai
il processo religioso dell'orfismo se non si ha ben chiaro
questo pensiero fondamentale che per gli orfici la re-
ligione cominciava con Dioniso, che con lui era entrata
la salvezza nel mondo, e oon lui l' uomo aveva tro-
vato la via di riconciliarsi con Dio.
IV.

VERSO I PRATI DI PERSEFONE


1.
L& •ottrln& orlea N eUe concezioni orfiche della vita ol-
serbaYa Il segreto
sulla beatltu41aetremondana, troviamo due correnti: l'u-
oltreaoad&n& pro-
na, non specificamente orfica, impre-
111eua dall' orllsmo,
gnata di credenze popolaresche, con-
cepiva la beatitudine riserbata agli iniziati come una
vità amenissima, in cui i defunti si dAdicavano agli
esercizi ginnastici, al canto, alla musica (1), al banchet-
ta.re (2/, al con versare (3), ciascuno secondo le tendenze
che aveva avuto nelle. vita (4); così che la vita d'oltre-
tomba era concepita come una seconrla vita terrena,
più ricca e bella e lieta della prima, ma non essenzial-
mente diversa. Un singolare esempio di questo primitivo
materialismo troviamo nel rilievo funerario romano di
Hieronymos (5), un maestro iniziato, nel quale il defunto
( ) QuPsto saggio comprende co8e in p1ute già. dette nei miei
due 81 udi Orpliica (in !liv. indo-greco-ital. 1918) e Il rito ft1111era1"ie
orjko (iu Àrch. stor. per la Sio. o,·, XVI).
(I) PJND. fr. 129 + 130, fr. 132 Bergk 6-Schroeder; AR. Ban. 15(a .
.f.48 8. Ps .• PL. ÀX, 13: PLUT. Non p0886 11Ua11. 11i11i p. 1105 A; D1osc.
in Anth. Pal. VII 31; VERG. Aen. VI 642 8,; TIB. I, 3, 59.
(2) PLAT. Rep. II 363 C; Ps • PL. À:i:. I. o. VBRG, Àen. VI 656 s.
(3) Ps. • PLA.T, A:i:ioch. I. c.; PLUT, De 11111. ou. 1130 D.
(4) VERG, ÀBII, VI 653.
!i) RBINACH, 1/ep. iu,. e.i. II 51.s.
260 ORl'I8MO JI: P.A.OLU1'18110

è rappresentato nell'Ade, in presenza di Persefone e dei


defunti, mentre l'epigrafe clice che Plutone, e Core ed
Hermes ed Ecate lo hanno eletto a maestro df>gli ini-
•iati, a continuare, cioè, con maggior onore, la sna pro
fessione terrena. Egualmente Aristofane pone tra i di-
letti più frequenti degli iniziati, da lui portati in Sl'ena
nelle Rane, la danza (1), i motti e gli scherzi alleg-ri (2),
e ce li rappresenta nell'atto <li lagnarsi scherzo11amente
dei propri vestiti ridotti a brandelli nella danza (3).
L'altra corrente, propriame11te orfica, di origine spe-
eulativa, attestata da Platone e dalle lamine auree, era
quella che riteneva venir l'iniziato trasformato, dopo
morte, in un dio (4), e andar ad abitare con gli dei (5),
oppure con gli eroi (6).
A questa dott.rina, di origine etica e con colorito
quasi spiritualistico, manca - a ditler1mza della prl-
m11 - ogni precisione rappresentativa intorno a questa
futura vita eroica. o clivina. Tanto era forte ed esst-n-
ziale nell'orfismo la spinta verso la divinità, il bisogno
di uscire dRi lacci corporei per conginn~ersi, JHirilicati
dalla materia, alla primitiva essenza divinR, altrettan-
to vaghe e incon::;istenti era.no Io rappresentazioni
intorno al contenuto ili questa transnruanazione. L'or-
fismo insegnavi\ cl1e l'iniziato diventava un ilio; ma, a
differenza della religione olimpica, non <fava alcuna idea
intorno alla vita che egli, come dio, avrebbe condotto.
Di più, sullR specifica vita oltramomlana orfiCR c'era
il segreto. Euripide dice che il vantaggio trntto dagli
iniziati dalla loro religione, cioè la beatitudine, è ben8l
(1) Aa. Ran. 326.
(2) V. 387 s.: Per l'e!,rietà V. ARISTOPHON. fr. 445 .(DINDORII').
(3) 104 e••
(4) KAIREL, IGSI 642 = DrELS, Vorsokt-atiker 3 li pg. 177 n. 20:
IGSI 641, l; CmilPARETTI, Lam. orfiche Tav. Il 2 pag176 n. 18:
Caf"ffl. aur. 71: Cf. ScHOL. Àr. B. 1158.
(5) PLAT. Phaed. 69 C.
(6) La.m. orf. KAIDBL JGBI 638; DIELB II p. 175 n. 17; Co11-
P.ABKTTI, Tav. Il 1 pp. 32-33.
VERSO I PRATI DI PBRSBll'ONB 261

cosa degna di esst>re creduta, ma non si JH1Ò dire tl);


e Plator1e atforuia che le dottrine t'scatologicbe facevano
partti delle costi 1:1egrtite degli ot·lici (2). Intorno alla bea-
titu•line oltremondana orfica nulla, duuqne, si pot.ev3
sapere.
E nulla ne diceva la letteratura orfica, nat.nralmen-
te. Il poema della Mi11iade, - fossti o no tutta nna cosa.
con la Oatabasi di Orfeo - non conteneva se non de-
scrizioni di pene (3); la Nekyia omerica (4) non de-
scrive nessuna beatitudine; nel mito orfico ili Er, espo-
sto da Plat,011e (5J, sono descrittti con vivi particolat·i
le pene e specialmente quelle riserbate ai tiranni (6),
ma si allude appena vagamente alle beat,itndini rii-;er-
bate ai giusti (7). E le descrizioni di vita elisiaca, che
molti scrittori antichi ci dànno, in parte si riferiscono
a credenze mistiche popolari, che non cost.itnivano una
vera e propria dottrina, in p11rte souo, forse anche, ela-
borazioni sogg-tittive e artistiche.
Ma vi è di più: l'unica ùescrizio11e precisa delFam-

ll) EumP. Bacch. 473 s. (Penteo): où 3-éµlç: cxxo;i~a.( o'!on,


a'ciç(', 6l~ÉVll.l.
(2) PLAT. Phaed. p. 62 B = fr. 221 Abel: 6 µÈv o'iv i!v d1top-
rn),olç; ÀE.roµsvoç; 'r.Epl 11.Ù'tÒIV Mroç;, wç; lv 'tlVI (fpOupf toµÈv ol
4v3-pw1tol xa.l où ~st b -ra.il-r71ç; ÀUEIY oùll'ci1to8l~pciox&lv 1 µéya.ç; u
,!ç; µ01 cpa.(vE'tll.l xa.l où p(1iloç; llullslv. Cf. PROCL. Prolnpl. \'III,
134=fr. 221 Abel. Un lungo frammento orfico in ciii sono espo-
ste a.leone credenze e prescrizioni, cominoia con eecltulcre i profani
dall'udirle (frr. 4 e 5 Abel).
(3) WILAMOWITZ, Honi. UnterB, p. 222-:!3.
(4) Od. XI 34 s. Sull'origine orfica della Nekyia omerica, W1-
LAMOWl'l'z, Honi. Untera. p. 199 B.
(5) PLA.T. Rep. X 614 B ss.
(6) PLA.T. I. c. 616 A.
(7) ,à:ç; IJ'a.ù ilx -roù oùpa.voil sù1ta.S-a!a.1: llt71rstoS-a.1 xa.l 3-t«,
iµ711ci.vouç; ,ò xci.ÀÀoç;. Ha torto dunque l'OLIVIERI (ConCr. allo al,
ddla cif!. nella M. p. 45) affermando che c'erano poemi i quali
descrivevano lo stato dell'anima nell'Ade. l: assai plausibile l'o-
pinione del Cao1SET (Hùt. liC. gr. II p. 468) che i poemi orfioi,
quanto alla forrua, fossero eguali ai poemi profani.
262 ORl'I5110 B PA.OLINISMO

biente orfico oltremondano e dello stato dell'anima nel-


l'al di là. orfico, è quella contenuta nelle laminette orfi-
che; e bencbè questa descrizione fosse desti nata a res1;u
sconosciuta ai profani, come << ineffabile >>, ben custo-
dita. da.I pondo di un enorme tulll ulo, Ulla delle lami-
nette mostra, come acutamente nota il Comparetti (1),
delle reticenze in tomo a ciò che l'iniziato dovrìt fare
e vedere, che non possono at.tribuirsi se non al silen-
zio imposto dalla dottrina.
Oltre a questa ragione fondumentale ce n'era un'al-
tra: la spiccat,a predilezione dell'orfismo per le descri-
zioni o rappresentazioni proprio 1tntitetiche alla vita
beata, e cioé le descrizioni dei tormenti e delle pene
riserbate ai malvagi e ai profani. Simili rappresenta-
zioni erano molto frequenti nell'orfismo: se ne trovano
tracce in Eschilo e in Pindaro (2), e dovevano servire
di esempio e di ammonimento per convertire (3). Ora
a q nesta conversione, fondata sul terrore, meglio delle
belle e seducenti descrizioni di beat.itudini, le (Inali
avrebbero, tutto al più, potuto spera.re in una con ver-
sione di invidia o di desiderio, servivano certame.ute que-
ste descrizioni terribili, in se stesse più persuasive. Era,
insomma, un fenomeno propriamente identico a quello
offerto dal cristiane~dn,o, pe1· il quale le pene ùei mal-
vagi hanno assai maggior forza suasiva che non il pre-
mio dei buoni.
2.
Tutto ciò viene confermato da un at-
elle non compare In-
fattl nell'arte fl1a-
,ata tento esame di quei prodotti di arte
figurativa che indii\cutihilmente si con-
nettono, qualunque sia il modo, a.Il' orfismo: vogliamo
dire le pitture con scene oltremondane. Percbè questo
(1) COMPA.RE'?TI o. o. p. 51.
(2) Su ciò V. Dll!:TKRICH, Nekyia p. 227 11; M,us:s, Orphe1u pp.
261 s, 264 s, 27111, 275.
(3) PLA.T, Gorg. 525 C.; (v. NORDEN in Hermee 1893 p. 392-3).
VERBO I PRATI DI PERBEFONE 263

esame dimostm che nemmeno nella vera. e propria. pit-


tura escatologica greca e italogreca vi era il minimo
accenno alla beatitudine orfica. Tanto era perfetto il
rii,erbo su questo punto!
La prima e più celebre di queste, cioè la Nekyia
di Polignoto, non conteneva nessuna scena di vita eli-
siaca, come risulta dalla descrizione che ne dà Pausa-
nia (1), e nemmeno la Nekyia rli Nicia, giacchè seguiva
la Nekyia omerica (2), dove gli elisi non sono descritti.
Ed è pur notevole che tanto l'una quanto l'altra pit-
tura erano di ispirazione orfica: la prima perchè deri,
vat.a, più o meno, dalla Miniade (3), la seconda perchè
or.fica era la Ne.kyia omerica da cui derivava (4).
Da queste rappresentazioni greche derivano. certo
con inevitabili variazioni e contaminazioni, quei famosi
Tasi con scene infernali dell'Italia meridionale, che un
tempo furono tanto discussi (5).

(1) PAUB. X 28 = 0VERBECK, Schi'iftquellen 1050.


(2) Anth. Pal. IX 792 = 0YEHBECK, Sckriftq. 1818. PLIN, N. h,
36, 132 = OvERBECK 1816, 6; Athenis neL'YOmantea Homeri.
(3) PAUB. X 28, 2.
(4) V. Nota 4 a p. 261
(5) Furono studiati e raccoJt.i dal WINKLER in De i11ferorum
111 vaBiB It. infer. repraes. (Ilreslau 1878), ripubblicato in BreBl-
lauer phil. Abk. Ili (Die Da,·stell. der Unterwelt auf unte,·it. Va,.
1888). Aggiungo il frammento della collezione Fenicia. che il W.
non conobbe, e due scene con lesione (l'aso di Berlino 3023 e colle,
ciel vaso di Pietroburgo 424) che W. (Da,·stell. p. 89 s.) escluse
perchè in un vaso di Londra (RAOUL...RocHETTE, Mon. ined. Ta.v.
XI), dove Atena reca la ruota per affiggervi lesione, la. scena. non
avviene agli inferi. Ma anche ammesso che in questo vaso, che
pare attico e a ogni modo molto anteriore a.gli a.Itri due che sono
di età. tar•la., la punizione avvenga nell'aria. secondo il mito pri-
mitivo, non è escluso che invece negli altri due vasi la. scena possa.
svolgersi agli inferi: e ciò è poi dimostrato dalla presenza delle
Erinni. _Escludo inl'ece un frammento di vaso ripl'odotto dal TISCH·
BEIN ( Coll. of engl'. II Tav. l=REINACH, Rep. de, 11a,e, II p. 293, 2)
che mostra due divinità. assistenti a un combattimento che si svolge
ORPISIIO Z PAOLINISMO

I qua.li sono i seguenti:


A. Cratere a volute apulo di Monaco n. 849 (1).
B. Cratere a volute apnlo di Carlsruhe n. 388 (2),
C. Cratere a volute apulo di Napoli n. 3222 (3).
D. Frammento apulo della collezione Fenicia. (4).
E. Cratere a volute apulo dell' Ermitage n. 426 (.5).
F. Stamno etrnsoo tli Vienna (6).
G. Cratere a volute apulo dell'Ermitage n. 498 (7).
H. Cratere a volute apulo di Napoli, Sant. n. 709 (8).

nella. frisa inferiore; e un altro frammento dello stesso vaso (T1scH-


BEIN II Tav. 2 = REINACH p. 292, 3) mostra lo stesso soggetto.
Il WINKLER (p. 63) crede che le due 1Iivinità, ch'egli scinde ar-
bitrariamente da.I resto della. scena, dMivino da una scena infer-
nale, ma. non ha nessuna buona ragione. Dei singoli vasi cito le
riproduzioni più ovvie, rima.oda.odo per compiutezza. al W1NKLJCR,
(1) BAUMEIBTBR, Denkmalm· III Tav 87, WINKLER p. 4 D. 1.
(2) R11:INACH, Bep. I p. 108, 1. WINKLER p. 13 n. 2.
(3) REINACH, I p. 167. WJNKLER p. 18 n. 2.
(4) lA.TTA io Mon. a·nt. XVI Tav. III.
(5) R11:INACH I p. 479; WINKLER p. 58 o. 4. La figura di gio-
Tane ignudo in a.tto di supplicare, a sinistra., fu interpretata dal
W. (p. 48 e 118 s) come Protesilao. L'AMELUNG (Ram. Mitt. Xlii
104), osservando la lira che gli sta appesa vicino coma attributo,
lo credette Apollo. Ma. questo Apollo che non sta insieme con gli
altri dei oeJla frisa. supariore, come è uso costante nella pittura.
vascolare italogreca., e interloquisce o prega non si sa perchè, uon
è persuasivo : e io credo che si tratti di Orfeo , designato dalla
lira ; e allora si spiega benissimo il suo gesto supplichevole. Credo
poi che sia Orfeo, e non Apollo come crede il WINKI,lm (o. c. p.
6) 1 la figura. a s. io alto con lira e corona. del Taso K. Mancano
iD questo ,vaso quelle divinità. collocate in alto - come p. es. nel
vaso P - che giustificherebbero la presenza di Apollo: e io.credo
ehe si tratti di un Orfeo schematizzato, che fa pendant a Teseo
e Piritoo, pure schematizza.ti, che stanno dall'altro bto dell'edificio.
(6) REINACH I 343, 2-3. Aggiungo questo vaso, unico che non
l!ia italogreco, perchè fa. parte di qoesta. serie, benchè ne sia. stato
llempre escluso.
(7) Wiener Vorlegebllitter, Ser. E Ta.v. V 2, WINKLER p. 54 n. 5,
(8) REINACH I p, 455, 1. WINKLER p. 27 n. 2.
Vl!lRBO I PRllTI DI PEBSBFONII: 265

I. Cra.tere a calice apulo del Museo britannico F.


270 (1).
K. Cratere a volute apulo di Napoli, Sa11t. n. 11 (2).
L. Frammento apulo di Oarlsruhe 11. 256 (3).
M. Cratere apulo della raccolta fatta n. 1094 (4).
N. Oratero npuLo dell'Ennitago 11. 424 (collo) (5).
O. Anfora cumana !li Berlino 3023 (6).
P. Cratere 1lell'Ermitage 424 (pancia) (7).
Q. Idria abeliana del Museo britamlico F. 370 (8).
R. Anfora a.pula !lei Museo britannico F. 276 (9).
S. Aufora apula già della collezione Beugnot n.
28 (10).
T. Vaso disperso già Han,iltou (11).

Di questi vasi i più importanti, ricclli e complessi,


sono quelli che mostrano Orfeo circo11llato dai vari per-
sonag!l:i infernali, i11 atto <li s11011ar la lira (A, B, C,
D, E, F) o in atto di supplicare (G), o già riunit.o con
Euridice (H); nn altro vaso lo mostra in una scena ft.
nor11, non a11cora be11e spiegarn, per quunto certo con·
nessa agli iuf,,ri (I); in un altro vaso ancora. egli è
trattato come figura secornlaria e di n•pertorio, Renza.
alcuna azione (K); su 1111 altl'O vaso, i11fi11e, frammen-
tato, poss1am solo ail'nmare la presenza. di lui, dimo-
strata dalla lignra, tuttora visibile, di Euridice (L).
Altri vasi più semplici ci mostmno questo o quell'epi-

(1) REIN.ACH I p. 356, 1. WINKLER p. 73 n, 1.


(2) R~:INACU I p, 401, 2. WINKLF.lt p. 50 o. 1.
(3) R1t:INACII I p. 455, 2. WINK!.ER p. 35 D, 1.
(4) RKINACH I p. 356, 4. WINKI.ER p. 57 Il. 1.
(5) RF.INACH I Jl, 355, WINKhElt p. 65 o. 1.
(6) Rt<.INACH I p. 330, 3.
(7) V. nota 5.
(8) PANO~'KA. Mus. Blaca,, Tav. IX.
(9) WINK LEil, tavola.
(10) WINKLElt p. 72.
(11) REINACH Il p. 327, 2; WINKLli:K p. 53 Jl, 3.
266 OB1'I8llf0 B PA.OLINl8110

sodio di pene infernali: Teseo e Piritoo incatenati dalle


Erinni (M), Js:,i.ione (N, O), le Dannidi (P, Q); altre pit-
ture h1fine, ancora più semplici, mostrano solo qualche
divinità infernale (R, S): un vaso presenta Eiacle da-
vanti a<l Ade e Core (S).
Che i primi vasi, quelli con Orfeo, si connettano in
un modo o nell'altro ali' orfismo è provato dalla pre-
1,1,euza stessa di Orft•o; potrebbe dubitarsi se abbiano
connessione con l'orfismo anche gli altri vasi, i quali
presentano episodii e persone tratti dalla tradizione co-
mune. Pel'ò è evidente che qnest.i piÌl semplici vasi
sono deri vazioui e ahhreviazioni di più vaste pitture -
le pitture dei vasi del primo gruppo, oppure i loro ori-
ginali - e che va11no considerati alla stessa stregua dei
primi: lo dimostrn la loro identità stilistica. Per cui,
tra11ne tre sole eccezioni (F, O e Q), tutti questi vasi
appaiono prodotti non solo di una stessa scuola, ma a
volte quasi di una stessa mano: e lo dimostra il fatto
anche pitì notevole che rnolt.e figure di vasi meno com-
plt•ssi 11011 :--11no d1e modificazioni o copie di figure di
vasi più eomplessi 1·on Orfeo (1); si che, in ultima analisi,
i vasi più semplici vanno considerati alla stessa stre-
gua ili quelli più complessi nei quali compare Orfeo,
dove il Msso co11 l'orfismo è stato già riconosciuto (2)
ed è anzi probahilmente anche più stretto di quanto
si creùe (3).

(1) Cfr. p. es. la figura e il gesto di Ade in A in G e in R;


una eriuni cou le faci elevate in A in D ed Ecate in M, il gruppo
di Eracle e Cerbero in A e B e in K (dove Orfeo è ridotto a ti-
gnra di repertorio), il ge8to di Kore poggiata col cubito alla fiac-
cola e in atto di tenersi sopra le. spalla un lembo della vesta in
R e in G , la posa di Trittolemo in B e di Eracle in T; e via
dicendo.
(2) DIETERICH, De Hym11. orph. p. 40 s. e Nckyia p. 128 ; KUH-
NERT in Jaht-buch d. Inst. 1893 p. 104 s; A?,rnr.uxo in Rom. Mitt.
XIII p. 107. Cfr. la letteratura in IATTA, Mon. ant. XVI p. :i2 n. 1.
(3) Si noti p. es. la concordanza tra le Eriuni come sono de-
soritte nell'inno orfico LX Vili v. 7, cioò vestite di pelli ( lh7p61trnÀot)
VERSO I PRl'.Tl DI PERSEFONE 261

Nò par dubbio, data la identità di alcune flgn1·e ri-


correnti in più vasi, che essi derivino da un origi11ale
greco forse del la fine del V sec<llo ( 1), che potè esser&
liU per giù una di quelle pitture infernali alle qnali al-
ludono Demostene (2), la fontt'I greca dei Captivi di
Plauto (3), Cicerone (4), lo scoliaste di Stazio (5), e
Origene nella sua )lolemica contro Celso (6). Ma neppure
questo originale conteneva qualche rapprt,sentazione
della vita elisiacn, chè altrimenti, 8euza alcun dubbio,
qualche traccia ne Aarebbe rima:sta in questi vasi dove
pur vedi riprodotti fedelmente episodi e per8011aggi che
non hanno proprio nulla di comune con l'orfismo.
I va8i con scene infernali confermano dunque quanto
abbiamo giù detto: la tradizione ortica non ammetteva
rivelazioni intorno al conte11uto della beatitudine, cioè
intorno alle specifi<·he gioie oltremondane promesse
agli iniziati. E perciò appunto so110 soltanto le pene
quelle che l'arte figurativa espresse.

e le Eriuui <lei vasi A e C puro vestito ,li pelli. Nel rnso A gli
Eraclidi sono rap11resentati con le ferite rfrevnte in vita, come era
eostumo delle Nekyie orfiche: Od. XI 40: 1toÀÀol ~·oùnt11evot xaÀ-
,njpeotv hXEirJOLv, ~E~pw't6µevct 'teuxe· Éxoneç (versi interpolati).
VE!W. Àen. 445 s: Eriphylen crn<lelis nati monstrautem vuluera cer-
nit; 495 s: Deipholrnm vitlit, lacernm crmleliter ora J I ora ma-
nnsque arnbas, popnlataque tempora raptis J auribns et truncas
inhonesto voluere naris. Per l'origino orfica della Nekyia omeri-
ea V. WH,Al\lOWIT:·., Rom. Unte1"8. p. 199 s: e per la Nekyia virgi-
liana, NoRDKN, Vei·gilstudien iu Hertnu 1893, pp. 360-405, spec.
385, 393, 405.
(1) KUHNERT I. c. p. 108; KoPP in Arch. A11z. 1892 p. 128.
Per )a. ricostruzione clell'originale v. KoH1,1m in À.11n. Jnst. 1864
p. 292 s. e KUHNERl' !. c. p. 108 s. La HARRISON (o. o. p. 600) è
certo in errore negando l'esistenza di un originale comune.
(2) DEM. C. ÀriBtog. A 52.
(3) PLAUT. Capt. V 4, 1 s (998): vidi ego multa saepe pìcta
qoae Acheruuti fierent crnciarueut.a (cfr. DIETERICH p. 138).
(4) C1c. Disp. Tu•c. I 16: poetarurn et pictorurn portenta.
(5) LOTAT. PLAC. ad Slat. Theb. IV 516: iuxta picturam illam
Teterem in qna haec tormenta descripta sunt.
(6) ORIG. C. Gel,. VI 26.
268 ORFISMO JI: PAOLINISMO

3.
aè potè euere te- Dunque se mancava nell'orfismo ogni
1tlaonlata lettera-
riamente. tendenza o volontà a precisare il ca-
rattere e il conteunto (lclla beatitudi-
ne elle esso prometteva, ne viene di conseg-uenza che
la letteratura, se ci fornisce numerose testimonianze
di quelle credenze popolaresche alle quali ho accennato
in principio, non può nè potrà mai fornirci documenti
di quelle che erano le vere e proprie dottrine orfiche.
Senonchè il prof. Patroni crndette di poter sal-
vare dal naufrng·io la sna interpretazione orfico -
eleusi11ia delle pitture vascolari italiote, ormai com-
ph•tamente dimentieata (1), affermanilo che le dottrine
orfiche intorno alla beà.titudine oltremondana erano
testimoniate in due epigrammi greci dell' Antologia.
Poca cosa in se stessa, ma sufficiente per affermare
che realmente il segreto orfico non era poi così ri-
gido come si credeva, e che pcrci() le dottrine esca-
tologfohe ortiche se fornirono l'argomento a due poeti
poterono benissimo suggerire delle scene a dei cera-
mografi.
Veùiamo dunque come stanno le cose.
Si tratta di dne epigrammi, come dicevo.
Intorno al primo, che è di Dioscoride, bastano poche
parole poichè esso non contiene il più piccolo ac-
eenuo alla vita oltremondana orlica o non orfica, dio-

(1) Intorno a questa ùottrina. si veda la polemici\ tra. il Pat,roni


e me (PATRONI, Eros e Sire11a in Rendic. lstit. ùm1b. 50 p. 131 s;
HACCHIORO lnt,n-no al conten11to oltre111M1d, della ceram. ital. in lve•-
polis 1913 p. 30s; Orpltica in Riv. indo-greco-i!al. 1910, PATRONI,
L 10t'fillfl10 e i 11a,i italioti iu Re11d. Lince, XXVII 1918 p. 333 s.
vaaso I PUTI DI P:&RSSl'Ol!IS 269

nisiaoa o no. Trascrivo qui la versione del Grozio per


non essere accusato di far violenza ai testi (l ):

Alba Ruper tumulum date lilia; frangite inxta


tympana, quae dederunt nomen Anaximeni:
et per Strymoniarn furiatae Thyades url,em
enthea demissis colla rotate comis,
saepe etenim visa est vest.rns imitata choreas
illius ad dulcee meJUùra movere modos •

.Anassimene era dunque un suonatore di timpano, col


quale soleva accompagnare le danze orgiastiche del culto
bacchico i11 TraciH; e il poeta null'altro ra che imdtar
le bnccanti ad abbandonarsi alla disperazione poichè
spe!;SO al s110110 del sno strumento iwevano condotto
la danza hacehica. E niente altro; nulla assolutame11te
ehe si riforisca al la vita oltremon1htna.
Passiamo ora al secondo epigra1mna che, risalendo al
terzo secolo dopo Cristo (2), è a ogni modo troppo tardo
per potei· servire come teistimoniauza in una qnistione
ohe riguarda il terzo o quarto secolo avanti Cristo.
lfa, a r,arte ciò, vediamo come si debba giudicare.
Esso contiene un compianto retorico per la morte di
un fanciullo cui seguono questi versi:
Tu placidus, dum nos[cr] uciamur volnere vieti,
et reparatm, item vivis in Elysiis.
Sic plncitnm est divis a[e] terna vivere form[a
qui bene de supero [n]uruine sit meritus:
(1) Ànth.. Pal. VII 485: ,
BcD.Àell-' {ni:è:p 'tòµ~ou 11:oÀLIX xpiva, xal 'CCX ouv,j3-'I)
'tÒµ11:av· t11:l o't'ljÀ'!l priaae't· 'A).e~tJ1Évouç,
xal 11:epLl)tv'ljoa-Jll-E µaxpr,ç av1Àfrµa'ta l(e&L't'I)'
l:'tpuµovL'l)V dtpE'tOL 0uLci1)e, liµrpl '1:0ÀLV,
il ')"ÀllXEplX 11:vsòoav'to, tq,· T)µUl!pOLOLV (i1)ci11:'tat,
• noÀÀcixt 11:pò, µaÀaxoù, -;oilll.. !xtpeua vlµou,.
(2) H11:uz11:Y, Miaaion. de Maced. Testo p. 129 : ]es lettres extr6
mement eerrèes, qnelqnefois m6me Jièes entre elles, e.ppartiennent
li ee type d'écriture etroit et allongé qni preve.ut tlan& ]es monu-
menta du troisième sieele de l'~mpire.
270 ORFISMO E PAOLINISMO

que tibi castifico promis1t rnunera curs11


olim iussa deo simplicitas faciliti.
Nunc seu te Bromio signatae mJstidis ad ee
florigero in prato congre[gem ut.i] Satyrum
eive canistriferae poscunt sil.ii Naides aeque
qui ducibus taedis agmina festa trahas,
sis quotcumque, puer, quo te tua protulit aetas,
dummodo ....•

Nei versi 17-18 il Patroni trova una testimonianza.


non dubbia della credenza che imaginava gli "'spiriti
eletti» tramutati in satiri 11ell' al di là.
Comincio con lo stabilire una lezione migliore di qnl'lla
adotta;ta dal Patroni, la cni origine ignoro. La lez;ioue
qui riportata è quella del Haupt nel Oorpns; il Biiche-
ler legge mystidis a.ise III vece che mystid is at se, e con·
gregi in Sat'!Jf"um i11vece ch1\ congregi uti Satyrum, le-
zione questa accet-tata anclie dal Maass. Il Patroni so·
atituisce una terza lezione che è la seguente:

nunc seu te Bromio signatll.e mystides ad se


florigero in prato congregant in Sa.tyru1n.

Ed è una lezione errata, perchì- congregare aUquem,


in aliquam rem è cosa assurda; congregare regge l' in
quando si accompagna a nome di luogo (1) col signi-
fioato di raccogliere più persone ( e non già, una sola)
in un solo sito, e regge il cu,n quando signitl.-0a accom-
pa.gnarsi con più per.~one (e 11011 con tma sola) (2). Si
dovrebbe dunque leggere congregant cum Satyri6. 8-e poi
ai intende che il morto fu accolto come Satiro (e così
par che intendi\ il Patl'Oni) allora si dovrebbe leggerA

(1) Es.: C1c. Or. 1 33: dispersoe homines unum in locum con·
grege.re; Phil. XIV 6, 14: cives unum io locum ... congregant.
(2) Es. C1c. De Fin. V 16: Aeque.libus delectautnr libenterque
se oum iis congrega.nt; 8EN. Ep. 621 nec ewn illi1 moror qaibua
me temp1111 e.liq11od oongregavit.
VERSO I PRATI DI PERSEFONE 271

congregant ut Batyrum, lasciando da parte che oongr~-


gare non ha il significato di accogliere. Inoltre quel con-
gregant sarebbe pleonastico perchè il verbo principale
è poscunt che ba il doppio soggetto: mystides e Naidu;
• sive te mystides ... sive te Naides poscunt >>. Quel con-
gre ... è dunque il principio di nn aggettivo e non di
un nome (1), cioè dell'aggettivo congrex=<< compagno di
greggia >>, come benissimo intesero il Haupt e il Bii-
cheler, il primo dei quali legge congregem uti Satyrum =
« come un satiro loro compagno di greggia»; e il se-
condo legge congregi in Batyrum << nella compagnia (con-
grex preso nella accezione di commune) dei satiri » (sa-
tyrum starebbe per satyrorum).
La esattezza della lezione è qui importante poicbè,
inteso come par che il Patroni intenda, l'epigramma
viene a dire che il fanciullo fu accolto dalle baccanti
e trasformato in satiro, mentre secondo la lezione, che
a me par giusta, esso dice assai meno; dice cioè ohe
le baccanti lo accolgono così come se egli fosse un sa-
tiro loro compagno << uti satyrum congregem ». La pa-
rola satiro non va dunque presa nel senso stretto e
reale, ma è usata analogicamente per indicare la cor-
dialità della accoglienza fatta dal defunto, così come
noi diremmo << accogliere uno come fratello>>, senza per
questo voler affermare una fraternità reale.
Nessuna prova intorno alla beatitudine della vita eli-
siaca ci dà questo epig-ramma, il quale una cosa sola
afferma con certezza: che il morto vive al sicuro negli
Elisi. Ma intorno al contenuto di questa vita elisiaca
nulla di sicuro ci dice. Si esprimono solo due conget·
ture: l'una che il mor~o si trovi in compagnia delle
baccanti, e l'alt.ra che egli si trovi in compagnia delle
Naiadi. Nessuna di queste due congetture prevale nel

(1) Es. APUL. Met. XII: equinis armentis me congregem put.ir


aliqu&Ddo pi,rmisit.
OltJ'J811'0 S PAOLINISMO

pensiero del dedicante, tant'è vero che egli conclude:


e Qualunque cosa tu sia là dove la tua vita ti ha con-
dotto purchè [ tu sia felice] >>, Se il dedicante avesse
avuto la persuasione che il morto è divenuto un sa-
tiro, non avrebbe poi espresso l'altro pensiero che egli
possa trovarsi in compagnia delle Naiadi, secondo la
credenza, assai lontana dalla religione dionisiaca, e fre·
quent.e nell'età tarda. che rappresentava la morte come
un rapimento operato dalle Ninfe (1); e meno ancora
avrebbe concluso afffmuando di non sapere che cosa
veramente è divenuto il defunto.
Una cosa sola il rledicante sa con certezza: che il
morto vive agli Elisi; e questa credenza, come ognuno
sa, non si può connottere specificamente nè all'orfismo
nè ii Ila religione dionisiaea; e, si connettesse anche,
mancliereùùe qui ogui determinazione realistica sati·
resca cli questa vita elisiaca.
Dirò di più: queisto epign1mma non può essere con·
siderato come un documento di religione greca perchè
mostra evidenti influssi cristiani. I due versi:

sic placitum est divis aeterna vivere forma


qui bene de supero numine sit meritus

contengono un pensiero cristiano, il pensiero cioè che


la beatitu,line oltremondaua :sia un premio per clii ha
bene meritato della divinità. L'orfismo, l'unica reli-
gione greca la quale faceva dipen1lere il premio oltre-
mondano dalla volontà umana, poneva tutt'altra con·
dizione a questo prnmio, esigemlo non le buone azioni
o l'ossequio alla volontà <livinn, ma la pura e st>mplice
iniziazione la quale dava diritto alla beatitudine oltre-
mondana in sè e per sè, indipendentemente dni meriti,

=
(1) Per es. KAJBEL, Epigr. 570 CIG 6201; KAIBEL 571 = CIG
6293. Cfr. P1tELLER-RODER1·', Griech. Myth. I 719. .
VF.R!<O I PRATI DI PE:R~EFONJI: 273

a chiunque l'avesse subita (1). Fn il cristianesimo che


fece dipendere la beatitudine, cioè la salvezza, dalle
buone opert', oltre e al di là del rito. Anche il con-
cetto di eternità connesso a questa nuova vita oltre-
mondana ei,,.presso nel primo di questi due versi, è con-
cetto cristiano (2); e finalmente ha sapor cristiano an-
che la dei!ignazione al singolare del numen superwm che
si contrappone nettamente ai divi, veramente pagani,
nel primo dei due versi.
Il nostro epigramma è dunque un prodotto del tardo
sincretismo religioso, misto di paganesimo e di cristia-
nesimo; e proprio perchè tale, non esprime nessun con-
cetto flreciim salvo quello, pagano e cristiano insieme,
della beatitudine, perdendosi nella incertezza quanò.o
vuol precisare questa beatitudine e subendo l'influsso
di C<'rreuti diverse, principalissima quella, assai in voga
nei primi secoli dell'impero, della apoteosi, secondo la
quale il morto veniva divinizzato in questo o quel mo-
tlo, tramutandosi nelle più varie divinità (3).
NnUa di orfico vi è dunque in questo epigramma.
che possiamo continuare a considerare come on docu-
mento curioso del sincretismo pagano-cristiano, troppo
tardo a ogni modo per avere il valore che il Patroni
gli attribuisce. Meno che mai è possibile in base a
questo unico documento, anche se avesse il contenuto
che gli si è attribuito, rovesciare tutta intera la tra-
dizione letteraria orfica che va da Pindaro a Proclo,

(1) Si veda il detto di Diogene in PLUT. De aud. poet. 4 p. 21 F.


Bernardakis: 't( ÀÉyEL\; , !cp71 , xpEtnovc;,; 11otpc;,;v !l;sL lfa'tOr.r.x(wy,
o xÀht't"l'j' clito,'l,c;,;vli>v il 'E1tc;,;1lSLY6v~c;,;ç; !In µ.111ò71'ta.r.; Cfr. D10G. L.
VI, 2, 39.
(2) Cfr. anche alcuni epigrn,mmi latini; p. es. BiiCHELER, .dntk.
lat. 1431, 1408, 1373, 1347 v, 23, ecc.
(3) V. molti esempi iil SCHRoDJI:R, Stuàun •· den Grabàenkm. d.
Kaieen. in Bonner Iahrb. 1902 voi. 108/9, p. 61 ss.; ALTMANN, Blim.
G-t·abaltiire d. Kaieer11. p. 202; MACCHIORO, Il nmbol. funebre rom.
(Mem. Àoc Àrch. Nap. I 1908) p. 117.
V. MAccmoRo. - Or/is""' e PuhnLSmO, 18
27~

attraversando tutta intera la storia greca, la quale at-


testa che l'orftsmo uon mai pensò a promettere ai suoi
fedeli questa curiosa trasformazione oltremondana in
satiri o in menadi, tanto contraria 11lla austerità orfi-
ca, e in se i,,tessa anche, diciamo la verità, tanto in-
comoda.

II.

1.

i . dettrlaa orflu L'orfismo non ,·olle mai sollevare i I


oltreaondaaa è rl•
nlata dal rito del
velo dell'oltretomba. Non disse mai
tlaponl di Sibari quale Marebbe stata la beatitudine ol-
tremondana, non specifici, mai il conte-
nuto di qnesta. Solo agli iniziati cbo avevano varcato
]a soglia del mistero e8so aperse :dcun poco il segreto;
e questo poco noi siamo oggi in gmdo di conoscerlo, gra-
zie a un felice connn hio tra l'archeologia e la filologia.
Tra i monumenti più singolari dell'antichità, per
quanto 11011 tra i più noti e studiati, vanno annoYerat<i
quelle n11111erose grandi sepolture a tumulo, denominate
nel gergo paesano ti111poni, parola che deriva dal greco
tymbos che vuol dire tomba, lo quali formano quasi una
gigantesca necropoli nella regione dove furono Sibari
e Crotone. Sono circa quaranta grandi tumuli conici,
a forma di collinette, che hanno alla base diametri che
variano dai 10 ai 30 m. e altezze variabili da 8 a 10
m., formanti quasi una catena cbe si estende per chi-
lometri e chilometri nella pianura tra la Fiumara di
S. Mauro e i1 fuime Crati, fino al ma.re: e nulla è più
singolare di questi malinconici colossi, spersi nella
morta pianura, ohe vide tanti splendori di arte e di
storia.
Di questi timponi quattro furono esplorati negli
anni 1879 e 1880, e questi scavi ebbero subito la più
larga eco nel mondo seientiflco perohè da essi proven-
v,mso I l'ILU'I ]){ PJEll!IE}'CKI: 275

rniro le famose lamine anrne orfiche, cousel'vate nel


museo di Napoli (1).
[l timpone consta, come mostra la figura, di un tn-
mnlo nel cui centro si trova una tomba a cassa. Ma
i,;:,rebbe un grave errore considerarlo come un unico
rnonumento funerario, composto, secondo l'uso antico,
<li una tomba e di nn tumulo destinato a proteggerla,
perchè quel che noi chiamiamo il tumulo, i11vece di
c•ssere formato ,~on terra aecnrnnlata, consta ,li tanti

• ---------------·-----·----·--1
~.
I
i

:;t.rati sncee:;sivi che il Cavallari così descrive: << F,i


trovata superiormente presso la cima il primo strato di
/t.rra vegetale. Il secondo strato era di ca,·boni, alto m.
0,10, con frammenti di vasi. Il terzo strato era di terra
vegetale. Il qua.rto era formato a piccoli ciottoli detti
bricci. Il quinto era pa,·i,nenti di terra vegetale. Il sesto
di argilla giallognola. Il settimo poi di carboni e di terra
bnteiata, in mezzo a cui si trovò un frammento di vaio
con figura muliebre. Nell'ottavo era terra vegetale, nel
nono argilla, nel decimo pure terra vegetale con fram-
menti di vasi, nell'undecimo argilla giallognola, nel do-
dicesimo argilla vegetale. A m. O, 7 5 dal piano della cam ·
pa.gna s' incont~·ò il suolo vergine. Alla profondità di m.
6,.50 dal cono si trovò un grande strato di carbone, con
nn pezzettino di vaso dipinto. Agli strati di. argilla quasi

(1) KAIBEr., 1GS1 641, 1 e 2; 812; D111:Ls, Voreol.ratilur' Ili


pp. 176-77.
276 URHSMU E l'AUl,ISIH.\10

(lo,tante,nente si sovrapponeva,w gli, 11t1·ati di carbone, 11t•i:


3i ·rinveni'oano i frammenti dei vasi bruciati. L' argUta
si sovrapponeva oome uno strato impermettbilc , per non.
far giungere le acque piovane nel sepolcro, ed og1ii stra.ti>
cli oarbone indicava un nuovo rogo » (2).
Il tumulo risultava dunque di successive arsioni. In-
fatti entro gli strati dei timponi furono trovati dei re-
sti di cadaveri, vale a dire delle ossa, le quali conser-
vavano la loro disposizione naturale; tanto è vero che
le relazioni degli scavi parlano sempre di << umati ,>-
come se quelli non fossero i resti di altrettante cre-
mazioni. Resta dunque a spiegare perchè mai le osti~
di questi cremati non furono raccolte, secondo l' usv
comune, in altrettante olle cinerarie, ma si trovassero
cosl ben disposte tra strato e strato del timpone.
La spiegazione semplicissima è quella che chì. il Uaval-
lari: ogni strato, cioè, risulta di un rogo sul quale i.i
stendeva uno strato di argilla e di terra, sia per impe-
dire l'infiltrazione della pioggia, sia per rendere possi-
bile cremare sopra lo strato succestiivo, in modo che il
tumulo cosl si alzasse a grado a grado, senza che I>et·
oiò i vari roghi finissero col confondersi e le varie
t.1alme con l'andar frammischiate. Il corpo che dovevn,
essere arso veniva posto a giacere snl rogo costrutto
sopra lo strato di argilla come sopra un letto, per
modo che, finita l'arsione, le ossa, le quali non veni-
vano punto distrutte da questa arsione, venivano a tro-
varsi nella loro giacitura naturale, entro la massa del
timpone, come se si fosse trattato di una umazione.
Questa formazione graduale, dal ùasso in alto, fa
constatata. encbe dall' ing. lt'ulvio, bencbè egli differi-
sca alquanto dal Oavallari nei particolari. << La terrn,
a partire àall' alto - egli dice - per l'altezza ài circa
quattro metri mostra chiaramente ài essere stata accumu-

(1) Not. ,o. 1879 p. 52.


v1mso I PRATI DI p~:11s1n·o'i lr. '2-77

l<tta artificialmente. Dalla diversità degli strati e dalla


loro disposizione si può concludere che il timpone non fu
formato in un solo tempo, ma vi furono da principio rari
piccoli tumuli, ed andò sempre più alzandosi il piccolo
colle col riempimento di vuoti rimasti fm i tumuli stessi,
:fi11.ohè venne a formarsi un tumulo solo, che conttmeuJ.
rarie tombe >> (1 ).
Ed ecco ora la descrizione del rinveuimento tlella
cas1rn contenuta e quasi custodita dall'enorme tumulo,
nelle parole !!>tesse della relazione, nelle quali passa il
brivido della emozione che dovette afferrare gli autori
della f;trana e inusitata scoperta. << Prima di cominciare
l'apertura della tomba l'ingegnere CavaJ.lari ha rilevato
la pianta di tutto il monumento, come apparisce alt' e·
$terno , 110n che il p1·ojilo dello stes.,o. Prese le mi~ure,
risulta la lu11ghezza. m. 2,433, la larghezza ài m. 1,3ti
dei tre pezzi che componei•ano la sepoltura. L'altezza del
coperckio è di m. 0 118 ai quattro angoli e di m. 0,26f>
al veruee dei due prospetti orientale td occidentale, in
guisa ohe appariunno i prospetti come frontispizi un poto
inclinati. A i quattro lati esterni del monumento stanno
quattro gradini, un per cia.sc1m lato, di v,irie sporgenze,
cioè più sporgenti quelli dei prospetti orienta.le ed occi
dentale, il primo di m. 0,43, il secondo di m. 0/165;
meno sporgenti q1ielli del lato meridionale e settentrionale.
tJioè m. 0/10. Dall'esterno apparivano solo nove pezzi di
tufo lavorati e squadrati. Eseguita la misurazione ester-
m,, .,i è aperto il monumento in presenza di t1itti. Il suo
interno si è trovato della lunghezw di m. 2.36, largo
m. 1,00, alto m. O,f>O, il cui letto è l01·111ato di nuda terra.
In esso non erano punto penetrate le acque nè terra tJlia
solo a,lcune sottilissime radici. Si è fatto .,osta una meiz-
z' ora circa, onde far indurire con l'azionedell'aria tutto
oiò ohe poteva contenere. In tale fra.ttempo si è potuto
osservare esiste,·e nell' -interno dell11 tomlur {!l'nn quantit1ì

!l) Not. 8c. 1880 p. 153.


278 OIO'ISMC 11: PAOLINIS:VO

di carbone, con cenere ed ossa umane bruciate, segni eri


,lenti (:he il cadavere era stato cremato; sulle qttali mn-
taie si è veduto collocato un lenzuolo bianco quasi 111-
tatto, ma. ridotto fragilissimo, del quale appena si so1w
potuti raccogliere alc,mi pezzetti per osseruarne il tessuto.
Dopo ciò si sono cominciate le più 11iinute ricerche veriw
l'angolo nord ovest della tomba. Una dr,lle giiardie vi h1i
cominciato a fr-ugare, depositando poscia le materie sul
gradino esterno dove da altra guard·ia iwno state rivedute.
La terza guardia ed il signor ingegnere separano in re
cipienti d-istinti tutti i frammenti non intemmente con-
.~umati dalla combustione, nel mentre lo .Ycri·vente nota il
lnor10 preciso di ogni trornmento per fare poi i neccssa,·i
xtudi.. Dalle minute ricerche fatte e dai frammenti rac-
colti 11i è potuto scorge1·e che presso l'a.ngolo nord-f'st stai•rt
una cassettina di legno, ornata con palmette inci.~e sopr,1
altra specie di legno che non 11i potè determinare·. Nt·l
l1Lto sud· ovest f11rono 1·acc0Ui frammenti forse di altnr.
crt.Ysettina anche con ornati, ma di stile differente. AlVin-
tcrno del corpo cremato vedesi non piccola quantità di
legno bruciato i cui resti attestano che u11a grande cassa
racchiudeva iJ. corpo delt'estinto e che q11esta venne bnt·
ciata insieme nella tomba stessa. Infatti alle due estre-
mità della tomba si sono trovati due solidi.~simi fermo.gli
in bronzo della cassa. mcdes·ima diviso ognuno in due di<i-
frammi quadrati. Egualmente furono raocolti chiodi e
11ezzi di fe1·ro ossidato, alcuni della lnnghezza di m. 0,14,
che non potevano appartenere ad altro che alla cassa in
parola. Si sono pure rar,colti ventun chiodi di bronzo pio·
coliBsimi nei lati ove stavano i jl"ammenti delle due oas-
11ettine.
Dai residui delle ossa non consumate si è potuto ri-
conoscere che la testa del def11nto era 1:erso occidente; e.
presso il petto .~i sono trovate ,bit sotidisRime piast1·elle
di argento, del diametro di mill. 35, con. Vimpronta ognuna
di una testa muliebre, con oapelli radiati ed ornamento
al collo, come pnre un ago crinale di ferro, lungo m. 0,09.
VERSO I PRATI DI PER81':l'ONE 279

l'erso nord si sono rinvenuti va,.i sottilissimi pezzettini


d'oro, ohe potevano servire di ornamento. Nello stesso sito
e 'l!icino alla testa si è ,·accolta una laminetta d'oro pu·
rissimo, larga mill. 23, ripiegata sei volte, in modo che
può risultare della htnghezza di mill. 42. Non essendo
tJonveniente ,volgere questa preziosa laminetta in presenza
di più centinaia di mtriosi, i quali avrebbero certamente
preteso di passarsela in mano , dopo a1;erla mostrata e
detto essere ornamento con doratura, si è gelosamente oon-
.~eri•ata. Osservata poscia con tranquill-itti, si è veduto che
nella prima piegatura della ,çtessa esiste altra laminetta
più piccola, egualmente di oro, larga mill. 15, ripiegata
q1tattro. volte, in modo da ris1tltare della lunghezza di
111ill. 32; e tutte e due contengono iscrizioni greche che
dara1t,no al certo notizie sul personaggi.o così misterio.~a.-
mente sepolto sotto un cono di terra, del volume di 2000
metri cubici circa >> (1 ).
Eguale era la cassa di un altro ,lei quattro tiwponi
1·~plorati: « Era essa forma.ta di quattro lastt·oni ,nono-
Uti di tufo ed era stata costr11it1i formando un fosso ret-
tangolare con le pareti disposte a sc1trpa, per non far
tadere la terra. ll pian.o di questo fosso era fot·mato dal
terreno naturale spianato a livello; su di esso erano pog-
giati in coltello ed a piombo quatt,·o lastroni di tufo, ed
il vuoto rimasto alle spalle di essi era stato ,·iempito
f,lettandovi della terra pi1't frolla di quella d.elle pareti
del fosso e chiaramente formata d.i materiali mescolati.
Questa tomba è internar,iente lunga m. 2,25 larga ni. 1,11
alta m. 1,00. Facevano da coperchio tre lastroni della
stessa pietra, sporgenti pochi centimetri dalla/accia esterna
dei due lati lttnghi, grossi agli estremi m. 0,14 e nel mezzo
m. 0,20 formando così superiormente 1,na ooperturtf, a due
spioventi. 1 lastl'oni laternli sono grossi tn. 0,16 e rive-
stiti internamente di uno 8'roto di calce bianca. Ciascun
pe!Zzo laa in una delle estremità incavato un deate largo
(1) Not. ,c. 1879 p. 80-81.
280 OIU'lllMO E PAOLINISMO

m. 0,16 e profondo m. 0,05 nel quale si innesta l'e11tre11t,o


dell' altro lastrone che non ha dente di sorta. A questo
modo i pezzi, reggendosi l'uno contro l'altro per mezzo
degli incaatri, non potevano mai rovesoiarsi indietro, men-
tre la terra li teneva fermi dalla parte esterna. Il piano
di questa tomba. era stato disposto a livello. Solo nei quat-
tro angoli del rettangolo erano praticati quattro fos11etti,
ciasouno lungo m. 0,50 largo m. 0,35 e profondo m. 0,22.
Iii questi fossetti è stata rinvenuta della cenere. Nel muro
era posto il cadavere rivolto ad oriente. Lo scheletro con-
servava le ossa delle braccia, delle gambe e dei piedi. Il
cranio rioonoscevasi appena e il poco che ne rimaneva al
contatto dell'aria andò in polvere. La sua posizione era
quella di un uomo ooricato, coi calcagni giunti cd 1· piedi
rivolti al di fuori; le braccia erano distest e quasi lega.te
ai flanchi. Vicino alla mano destrn era spiegata una la-
minetta rettangolare di oro » ( 1 ).
La tomba era perfettamente vuota e priva cli ogui
corredo funerari.o. Invece sparsi entro la massa del tu-
mulo si rinvennero numerosi frammenti di oggetti vari,
ùei quali dà un'idea la enumerazione del Cavallari re-
lativa al tirnpone n. 3. Ecco ciò che fu trovato d.t lui:
1) Pezzo di materia carbonizzata. 2) .Frammento di tazza
sottile con ornati a foglie. 3, 3 bis) Frammenti di 1•aso
grande oon resti di due figure virili dipinte. 4) Altro
frammento con figura muliebre. 5) Pezzi di vaso con or-
nato a fiori. 6) Cullo di altro vaso con 01·nati a linee.
7) Manico di anfora con piocolo foro. 8) Residuo di coppa
con oinque palmette impresse a stampa. 9) Due chiodi di
ferro ossidati, uno dei quali rotto. 10) Due pezzi di coppa
a vernice nera. 11) Avanzi di ossa umane. 13, rn bis) Due
pezzi di un rito di alabastro. 14, 15) Due pezzi di vaso
con ornato a greca in nero. 16) Pezzo di coppa nera con
ornato di tra.lei di vite. 17) Fiala a vernice nera con scal-
Ji.ttura nel collo. 20) Frammento di anfora con orn,1ti a

(1) Not. se. 1879 p. 154.


VJ.:RBO 1 PI\ATI DI PERSBFONlt 281

Jiori. 21) Bottone rotto di vetro chiaro. 23) Due fram-


menti di piatti grandi con ornato. 25) Ventotto frammenti
ài a1ifora a vernice nera. 26) Cinquantasette frammenti
di ·vasi diversi, ordinari. 27) Quarantotto fram·m.enti d·i
,:asi ornati a foglie. 28) Trenta frammenti di vasi sem-
plici, senza ornato <> rivestimento di sorta. 31)) Un pezzo
di conca a fondo nero. 31) Pezzo di vaso dipinto con fi-
gure mitliebri. 32) Pezzo di ·va.so a fotido nero, con or-
nato di /'ogUe. 33) Un dente molare >>.
Nel timpone n. 1 si trovarono soltanto una piccola
testa fittile di nomo imberbe, con capelli raccolti e le-
gati sopra la fronte, un' altra. testina simile appai:w-
nente a statua muliebre, un piccolo vasetto a vemice
·1!era, un frammento di lucerna pure a vernice nera,
due bottoni ùi bronzo, dei piccoli pezzi di legno (1).
Ciò che occorre tener presente per quel che in se-
g·uito diremo è che la presenza di simile quantità di
frammenti entro la massa del timpone deve rispondere
a qualche intenzione precisa. Non è possibile amruet-
rnre che e;;si risultassero dal frantumamento di quegli
.,gg(~tti avvennto casualmente, sia per qualche movi-
mento del terreno, sia durante lo scavo medesimo, per-
chè il timpone che li cnstodiva entro se stesso fn tro-
vato intatto e fu seavato con la massima cura; nè si
spiega altrimenti l'assenza dei corpi relativi alle te-
stine trovate nel primo timpone, che non furono rinve-
nuti nonostante le più accurate ricerche. Tutti i fram-
menti t'rovati in questi timponi sono frammenti isolati;
,.,ì che l'unica conch1sione possibile è questa: cbe sui
vari roghi i quali, sovrapponendosi l'uno all'altro, for-
rnavano il timpone, questi frammenti venissero deposti
intenzionalmente.
Questo è il singolare rito dei timponi, il quale, gra-
zie alle laminette auree conservate entro le casse, ci
si rivela come il rito funerario degli orfici.

(1) Not. se. 1879 p. 153.


OR!fll:IMO E PAOUNIS.MO

•l
.J.

che è 4heroo 4al Il rito funerario dei timponi constava


een111etorlte 1JN1eo
••Il• tomba-casa dunque dell'arsione, più rituale che reale,
del cadavere entro una cassa di legno,
ohe veniva collocata dentro una tomba a cassa costruita
con lastroni di pietra. Nessun oggetto di corredo perso-
nale vPniYa. collocato vicino al cadavere, ma solo la 11\-
minetta d'oro; e sul cada vere veniva disteso un lenzuolo
bianco. Chiusa la cassa, si co<itruivn. sopra ,li essa uu
tumulo che risultava dai roghi di successive arsioni di
cadn.veri, prnsso ai quali si collocavano alcuni fram-
menti di oggetti rotti intenzionalmente.
Nulla fa sentire la profonda singofarità della reli-
gione orli ca come il confronto tra. questo rito e quello
della comune religione greca. Ì<] proprio nel confronto
dei dtrn riti che appare chiara la essenziale di versitù-
1lc Ile dnc religioni, opposte, per quanto ricche di co ·
muni elementi mitici, nei loro -stessi fondamenti.
Il rito fu11erario greco, e greco-romano, come in gl'-
ncrule qnello di tutti i popoli antichi, poggiava su11a
conce1.ione che la vita oltremondana fosse una specie
di continuazione della vita terrena.
Come questa continuazione avvenisse non sempre la
coscienza religiosa nntica seppo di re; rua la incapacità
a. concepire un moudo diverso dal nostro, che sta a11e
radici del pensiero antico, costringeva P-ntro ai confini
terreni e umani anche il mondo oltrt-mondano. SoltHnto
eol cristianesimo l'oltretomba apparve come il supera-
mento integrale del mùndo concreto e della vita indi-
viduale. Realmente , per gli antichi non esisteva on
vero e proprio mondo oltremondano; la morte non giun-
geva a separare l' al di qua dall' al di là, q1Jel che 8i
sa da quel che si ignora. Pt>r gli a11tichi vi era in realhì
un unico proccs,;o, del quale il primo periodo, innan1.i
alla morte , ci è noto, e i I scconrlo periodo , dopo la
\'l'.RSO I PIUTI Hl l'tr.ll~B~'O:St: 283

morte, ci è St;onosduto; ma non tanto che non si possa.


affermare che tra l'uno e l' altro, in fondo, non e' ern
antitesi, come nel crh1tianesimo, ma continuità. Colui
ehe moriva non andava per ciò in un mondo ignoto,
incontro a bisogni ignoti, verso una vita ignota, nm
andava verso una vita che fondamentalmente eomiglh•
alla vita terrena. Da ciò il pio desiderio di fornire i I
defunto di tutti quegli arredi e quegli oggeW, i quali
J)Otessero servire ad abuell ire ed agevolare questa se-
conda vita, permettendogli di fruire aBcora ,dei pia-
ceri della vita terrena questa: il desiderio, insomma,
che il morto continuasse a vivere come sempre era
,·issuto.
Così vanno interpretate le urne a oapann11 della prima
età, del ferro, le tombe preelleniche con porte e dromo:,,
le tomue greche a c:unera con i cadaveri giacenti su
letti di pietra disposti spesso a triclinio, con un rialzo-
al posto del guanciale, le tombe della Licia delht Ma-
4ledonia della Russia meridionale con facciate archi-
tettoniche rip1·oducenti a volte le costruzioni inr!igelle
di legno, le tombe etrusche con corridoio e vestibolo e
camere disposte intorno a nn atrio centrale, fornite di
bilnchi di finte porte di porticati di frontoni, dipinte e
decorate a uso delle case: vere e proprie case funera-
rie, dove il morto veniva collocato sul suo letto con le
,me armi, con i suoi arredi, con i suoi gioielli. Nessuno
potrà dubitare mai che a questi riti funebri non corri-
spondesse una credenza che immaginava la vit,a oltre-
mondana come una continuazione della vita terrena.
Ora, se eemuiniamo il rito funebre della .Magna Gre-
cia, troveremo la. medesima cosa. Dapptrt.ntto la tomba
imita la casa. Specialmente in Puglia questa imitazione
raggiungeva una, perfezione e quasi una meticolosità.
ohe raramente si può osservare altrove. Gli ipogei di
Oanosa erano vere e proprie abitazioni sotterranee, a.Ile
quali metteva una lunga ,;ealinata, composte di parec-
chie stanze, clecomte e ornate seeondo i gusti elleni-
284 OHnS~lO ~; }'AOI.INIRMO

stioi, con graude riccbezzH. Nella t.omba Monterisi-


Hossignoli, per est>mpio, Yi era 1111 letto l'nnchre ornato
di una volpe e di un ippocampo in rilievo, e una delle
11t.a.nze era decorata con un cignale di grandezza natu-
rale impostato su uno zoccolo·, e di un leone plastico
che gli faceva riscont.ro; e su quel letto giaceva il guer-
riero, tutto rivestito delle sue armi (1). La tomba Bar-
b:trossa aveva finte porte o finestre (2); la tomha La-
grasta, pilastri ionici e finestre dipintt\ (3). Un alt.rn
ipogeo, presso Lecce, era ornato di una ric<:a frisa ticol-
pita. c:on scene di com battimento e ornai.i tlorenli r4 Ì·
In Dannia, e spech1lu1Pnte a Canosa, IR tomba casa
era certo più cliff'usa obe altrove (5), ma anche al·
trova ora frequente. A Taranto furono trovati ipo~Pi
a ~elle, con protiro e scala, con porte architettonid11•,
modinntnre di i.tucco, pitture, letti imitanti IP kliuai
greche (6); a Mimduria uscl in lnco un ipogeo deco·
rato con fasce Rzznrre e rosse (il; a Egnazia, l'ipogoo
di Dahizona mostrava pitture rappresentanti un gio-
vane col i.no cocchio ed armi varie (8); a Oria, una
tomhn aveva pareti vnriamrnle dipinte (9); arl Alt~-
vil)a. Silent.ina, nn ipogeo esibiva ,lipinto il duello ,li
due guerrieri, una quadriga gui<lnta eia Nike, e vari

(1) NACHOD iu Rii,n. Miti. XXIX p. 270R. lvi la lt<tteratnra. pre-


cedente.
(2) N ACHOT> fri p. 276.
(3) NACHOD ivi pp. 281, 28:-!.
(4) A.11ao11ia VIII p. 14 e., fìgg. 4 s. e tav. J.
(5) RuG•ilERO, Soai•i del reame di Napoli p. 547: << Ad ogni p4u•
togliendo tre o qunttro palmi <li terra. M'incontra un sentiero an-
t ìco in declivio ch11 vi co11cl11co a 16 pa.I. di profonditi\, innanzi ai
unn t,omba compoRt:i ,li mrn o più stanzei,,.
(6) Not. se. 1881, p. 417-IR TaT. VIII; 1906, p. 469 R. A Ta-
rnnto I' ipogf'o ,•011 rf'lln nn. frf'']1te11tt>. (YIOJ.A in Noi. BC. 1881
l'· 419).
(7) Not. Be. 1886 p. IO!.
(8) PA!mN!!TF.CIIF.R in Uiim. Miti. 1~1:! p. 10i ~. Ta,•, IV·.
(!l) Not. •c. lAAl p. 24!1.
\' lr.Kl:'0 I PRATI IJl l!1tR8Ell'ONE 285

animali (1); a Ruvo, un ipogeo era ornato di pitture


rappresentanti una danza (2), e un altro mostrava co-
lonne corintie nonchè un finto porticato con nel mezzo
dipinta una vasca alla quale bevevano due uccelli (3);
e un terzo aveva fasce e intonachi imitanti il marmo
roseo (4).
Passiamo dal versante adriatico a quello tirreno.
Un ipogeo cumano era decorato con rilievi di stucco
esibenti scene di danza e di banchetto (5), e pare che
questa decorazione funeraria a stucco fosse assai fre-
quente in Campania (6); un altro ipogeo cumano aveva
pitture esibenti una scena di gineceo (7 ); un ipogeo di
Pozzuoli era ornato di un piccolo mosaico che mostrava.
una Nereide seduta in grembo a un Tritone sostenuto
da un ippocampo (8). Frequenti erano pure gli ipogei
dipinti nella regione di Capua: infatti nel fondo Cap-
pella dei Lupi vicino all'odierna S. Maria di Capua Ve-
tere furono trovati i resti di una pittura sepolcrale che
rappresentava una donna con collana e fiore (9), men-
tre un altro ipogeo ivi presso aveva altri dipinti con
figure varie (10). Più note sono certe tombe sannitiche
capnane con scene funerarie o di combattimento (11).
Poi, a Teano fu scoperto un ipogeo con capitelli ionici

(1) Not, BC. 1893 p. 424 S.


(2) Bull. lmt. 1834 p. 228 s.
(3) Bull. Inst. 1837 p. 162 s.
(4) Bull. Inst. 1837 p. 82.
(6) RUGG!li:RO o. o. p. 201 S,
(6) Il IORIO parla di • migliaia di bassirilievi in stucco sco-
verti nei sepolcri di Miseno e Bacoli, in quelli della via Antiniana
cunrn.na e campana, in Pozzuoli , in quelli di Cuma e di Baia»
(RUGGIERO o, c. p. 202 B.).
(7) SOGLIANO in Mon. antichi I p. 954 B,
(8) RUGGIER0 1 p. 232.
(9) RUGGIERO, p. 345.
(10) RUGGIER0 7 p. 359.
(11) B1tll. 11ap. n. s. II tav. 10-15, p. 1110 s. Per le pitture se-
polcrali osche v. WEEGE 1 Oskisohe GrabmalerBi in Jah.rb. d. Inst.
1909, p. 99 B.
21<6 Ol!Fl,;c\(() p,; l'All/.lXl!';\IO

,ecolonnine (1); ad Albanella venne in luce un ipogeo


le cui pitture riproducevano armi e figure cavalcanti o
suonanti (2); notissime, infine, sono le pitture del Museo
di Napoli tratte da un sepolcro pestano, con donnee guer
rieri a piedi o a cavallo, arrecanti le spoglie dei nemici (;3J.
In tutta l'Italia meridionale dunque, con maggiorn
o minore perfezione, si tendeva a riprodurre nel sepol-
ero la casa, ornandolo di pitture riproducenti scene o
fasi della vita terrena. Nè si potrebbe pensare a una
riproduzione abitudinaria la quale forse non indielae-
rebbe la persuasione che la vit.a terrena continua.~sc
nl'lP al di là - come si può dire per es. delle porfo
scolpite nei cippi romani o dei sarcofagi a lettll e ,·o-
lnnnati - perchè la suppellettile trovata in questi ipo-
gei prova che, nel roncetto di chi ve li pose, il morto
do,·eva farne uso. Nelle tombe-case si trovarono armi
vicino e indosso al cadavere (4), candelabri metallici (5)
<J di terracotta (6), lucerne (7), specchi (8), casset-
tino (9), strigili (10), vasellame locale grezzo (11), o
(1) Mon. antichi XX p. 22 fig. 10, e p. 23-24.
(2) Bull. nap. n. s. III p. 9411.
(3) Guida llue8ch n. 1893.
(4) Bull. lnst. 1836 pp. 16'1 1 165 j RUGGIERO p. 458 j Doc. pe1·
,erv. alla 8toria dei mus. d' lt. IV, pp. 115, 116, 117, 120; 1"10-
RELLI, Cat. ·mu8eo di Napoli, ar111i, n. 12-17, 29-36, Bui/. nap. 11.
~- III, p. 9<1 s.; Not. 80. 1877, p. 355; 1880, p. 40,1; 1884, p. 251;
1893 p. 442; 1898 p. 201; 1902 p. 583.
(!i) RuoGIERO pp. 566, 571 j Documenti IV p. 115; Not. so. 1884,
p. 151, 1886 p. 92, 1893 p. 442.
(6) RuGGIERO p. 550; Biim • .Mili. 1910 1 pp. 173, 178. Per il
tipo v. MAYER in Not. ,c. 1898 p. 209 e MACCHIOR0,&11l, Mitt. 1910
l'· 186, fig. 6.
(7) RuGGIER0 1 p. 550; Docume11ti IV p. 118; Bull. [11st. 1831
p. 83; Not. 80. 1887 p. 427, 1886 p. 100, 1898 p. 200.
(8) Not. 80. 1898 pp. 200, 201.
(9) Not. ,c.1898 p. 201.
(10) Not. ec. 1902 p. 583.
(11) Riim. ,llitt. 1910, pp. 173-174, 178-1~0; }Tot. 10. 1877, p.
335; 1896 p. 494-; 1898 pp. 200, 202, 204). I vasi locali (danni)
formavano n Tolte l'intero corredo funebro del sepolcro. «Rin\e.
\'1-:US<I I l'RATI l>l J'F,HSB1"<1!,;E :!1:17

ap1wna ver11iciat,o ili nero (lJ; e !-ipe:;so 1wll'anedan•


<·011}la tombu si :c<eguirnuo le part,1colari incliuaziuni
del defunto (2).
È evidente duuqne che la tornba-easa uou era un ri-
masuglio tradizionale di un rito antichissimo, ma una
vera e propria dimors funebre, destinatR. alla abitaziom·
<lel defunto. << Vi si rai,visa -=- dice il Bunucci, l'espio·
t·atore degli ipogei di Canosa - uno o più scheletri nd
mezzo della prima stanza rivestiti t11tlora delle loro arm;
f! dei loro ornamenti preziosi. 1 vasi dipinti di ogni al-

tezza e figura; le supp,llettili di ogni sorta e pli uten.vili


di ogni forma o metallo si ritrovano intorno alla persona.
,Jejuftta nello stesSD luogo ove gli avevano collocati i stwi
congiunti e gli amici a lei più cari » (3). Cosi descrive
le tombe - case di Canosa il loro scopritore, e così in-
fatti appaiono nei disegni di oolòro cùe le videro al-
l'atto della scoperta (4).
Importa ora, al nostro scopo, accentuare la. identità
clecorativR. ed architettonicn di questi ipogei con la casa
ellenistica, quale apparn a Pompei.
La facciata degli ipogei di Cauosn. con al primo
piano una serie di colon11ine formanti una balcona-

uimmo un tumulo greco rettangolare di tufo, ove raccogliemmo


alcuni viu;i rustici di creta della forme. comune di caldaia e. collo
stretto [= sphagiou], e tre altre masserizie anche d'argilla d'una
forma nuova e d'UHO scono8ciut,o. (RUGGIERO o. e. p. 656. PM la
identificazione di questi vasi danni v. MACCHIORO in Rii111. Mili.
1910 p. 180).
(1) RuGGIEl10 pp. 294, 363, 357 1 511, 565.
(2) Sol61 cosl si può spiegare il singolare corredo di un sepol-
cro scoperto a .i:luvo nel 1840 che conteneva una vera collezione
di vasi configurati, e cioè « tre teste umo.ne a fOl'ma di orciuolo,
di terracotta - due teste di grifi, idem - una. di porco, idem -
clne di cervo 11011 intere, idem - dne teste fine, una di bue e l'altro.
di cervo nou intere con ligure ai bicchieri - più a.Itri fr.i.mmenl;i
di teste fine». (Dooume11ti IV p. l_:!O).
(3) BONUCCI in HuoGIEIIO •• c. p. 54 7.
(4) MACCHIORO, Curioaità cano,ine in .Apulia II 19a TH. IV Bg.
6 = À.rcll. A,u. 1912 p. 309 Jig. 29.
:188 ORFISMO F. P.~OLINISMO

ta (1) è assolutamente identica a quella di taluna casii


pompeiana (2); e il tipo della porta rastremata con
mostre ansate, ohe a volte appare anche nell'interno,
dipinta (3), è proprio quello ohe si vede, dipinto, in
talune pareti pompeiane (4). Passando alla decorazio-
ne interna, troviamo in una tomba ruvestina un tinto
porticato (5) , che ricorda i numerosi finti porticati
pompeiani, specialmente de] primo e secondo stile (6);
troviamo, nello stesso ipogeo , una finta vasca a cui
bevono degli uccelli (7), ohe rammenta le numerose
tinte vasohe della pittura parietale campana (8) ; fre-
quenti sono ancora i finti oggetti appesi alle pareti,
come btmde, armi, vasi e simili (9), i quali hanno piena.
rispondenza con moti vi decorati vi pompeiani {10); e sa-

(1) V. i disegni in Àpulia II Te.v. III e 4 fig. 4 = A,·ch. A111.


1912 p. 309 s. fig. 27-28.
(2) Not. so. 1912 p. 66 fig. 3, p. 103 fig. 1.
(3) NACHOD 1 B0111. Mitt. 1912 p. 276: Mon. lnat, I 43, ..J11so11iu
VIII p. 10 fig. 3.
(4) N1CCOLINI, Case e 111011. di Pomp. I (). del Fauno, Tav. VU1
}(A u, Gesch. d. dek01·alfren Wandmal. Tav. II; SPRINGER - R1cc1
8101·. dell'Arte I, Te,,-, IX, 1; Not. se. 1910 Te.v. III.
(5) « Nelle. parte destra si veclea la dipintura d'un porticato a.
colonne. d'ordine corintio » (B11ll. Inst. 1835 p. 163).
(6) MAU, Gesch. d. Wandmal. Tav. I, II, III.
(7) « Nel mezzo dipinto nna conca che posa su di una colon-
netta, a cui bevevano due uccelli» (Bull. Inst. ivi).
(8) J'itt. d' Ercolano I Tav. 20. N1cCOLINI o. c. I T,rme Stab.
Te.v. VIII; II Descr. gen. Tav. LXXXVIII (un uccello sulla n.-
sce.) ; Not. BO, 1910 p. 4 70 s. figg. 10-11.
(9) Rlim. Mitt, 1912 p. 111 fig. 2; Bull. Jnst. 1836 p. 163 ( « nr-
ciuoli, crateri ed anfore•), Not. so. 1893 p. 4-24 ; Mon. Linc. VIII
Te.v. V; Llpdia II Tav. IV fig. 5.
(10) Pitt. d'Ero. Il 36, 37: III 58. NICCOLINI o. c. I, Qasa di
Sirico Tav. II, Casa della sec. font. Te.v. IV, Casa dei glad. Tav.
I, lenne Stai,. Tav. VIII; II, Descr. gen. Tav. XLVI, XLIX, LIV,
LXIX, XCII; IV, L'arte a Pomp. Tav. XII, XX4UI; CBBILLO •
COT'l'.lUU, Dip, mur. TaT, I, Il, XII, XIII; MAU, GeBch. d. Wa11d-
111al. Tavv. V, VI; Not. se. 1907 p. 555 fìg. 6; 1905 p. 208 lig.
2, 211 fig. 3.
YKRSO I rl!ATI J)J 1'11:RSEFOJSE 289

rebbe ,rn perfino cita.r riscontri parietali, tanto sono co-


muni, alle finte ghirlande dipinte in qualche ipogeo (1).
Ma qualche volta non bastava la finzione pittorica-
tanto forte era la tendenza di simulare una vera casa -
e si appendevano oggetti veri a veri chiodi, che fnron
trovati conlitti nelle pareti degli ipogei (2). Entro que-
sta sua dimora, costrutta e arredata col maggiore o mi-
nor lusso concesso dalle condizioni sociali ed economi-
che (3), il morto continuava a vivere, nella cone'ezione
antica, una sua vita reale, alla quale si attribuivano
perfino bisogni fisici: da ciò i piatti da pesce (4) spesso
trovati nelle tombe (5), e i resti di cibo che si col-
locava in un piatto vicino al defunto (6); da cib
ancora gli arnesi da cucina, come pentole e tegami,
collocati vicino al cadavere (7); da ciò infine l'uso di
provvedere alla illuminazione dell'ipogeo, appendendo
una lucerna, con u11a catenella, al sofptto (8).
È impossibile, concludendo, che coloro i quali sca-

(1) JJull. nap. n. s. III 49; Riim. Mitt. 1912 p. 152 fig. 4,,
(2) Bull. 111st. 1886 p. 163 ; .Vot. se. ~891 p. 358.
(3) Per es. accanto a. un l'icco sepolcro di Altavilla. Silentina.,
decornto di pitture e con numel'osa suppellettile, giaceva. un altro
ipogeo del tutto rozzo, senza pitture e senza. va.si. « Si direbbe -
dice il VIOLA (Not. se. 1893 p. 423) - la. tomba di un signore ac-
canto a quella del servo•.
(4) Tipo PATRONI, Cemmica dip. dell' lt. merià. fig. 96.
(5) RuGGIERo o. c. pp. 294, 353, 357; Documenti IV p. 115;
Not. se. 187B p. 336; 1893, p. 426.
(6) « È notevole che in uno di questi piatti si trovò il guscio
di un uovo mancante dello. sola. terza parte di esso, e questo si con-
'llerTa rotto in dne parti ; è notevole che nell'altro piatto si tro-
varono tre piccoli ossiccinoli delle giunture delle gambe degli a-
gnelli» (Pu,sr in RuGGIERo o. c. p. 588; Cfr. Not. se. 1893 p. 251).
(7) Not; se. 1886 p. 92 n. 9 ; 1893 p. 442; 1896 p. 494 nn. 7
e 8 p. 495, n. 13.
(8) V. il disegno (stilizzato) in Apulia II Tav. IV fig. 5= Àrch .
.J.11zeig. 1912 p. 309, fig. 29. In un ipogeo greco di età. romana di
)l'apoli Ri trovò una. lucerna bilicne appesa per una catenella allr
Tolta (DE PETRA, Mon. ant. VIII p. 227).
V. MACCJUOR.O. - Orfiuno e Pao/,n,s,,.,,,
290 ORFISMO E PAOLINISMO

varono a grande profondità queste vere case, e le or-


narono con la decorazione di moda, e le fornirono di
finte porte e finte finestre e finti colonnati e le deco-
rarono di sculture a rilievo e a tutto tondo, e vi col-
locarono poi il morto sul suo letto, con le sue anni, i
suoi arredi, il suo nutrimento; è impossibile, dico, che
q_uesta gente non concepisse la vit.a oltremondana non
come una speranza o una fantasia ma come una con-
creta realtà di contenuto terreno.
Tutto ciò trova una mirabile ct>nferma nelle tavo-
lette fittili locresi, le quali hanno il doppio vantag-gi-0
di essere state fatte in un sito vicino a Crotohe e in
generale a11a terra classica dell' orfismo, e di risalire
a11a prima metà del V secolo (1), ciò è all'etù, aurea
della religione orfico - dionisiaea. Ora qut"ste tavolette.
che senza alcun dubbio ripro1lncouo sct>ne e credt>nze
oltremondane, ci mostrano costantemente una vita ol-
tremondana che rassomiglia a puntino alla vita terre
na, più o meno idealizzata. Sono fanciulle che si ac-
conciano i capegli allo specchio, fancinll.e con specchi
e cassette, ancelle in atto di spiegare un drappo, don-
zelle arrecanti doni a una matrona, figure varie che
colgono frutta o insetti; alt1·i rilievi mostrano un vero
è proprio ambiente domestico con mouil i, ceste, vasi.
o altri piccoli oggetti di uso vario appesi alla parete.
Non vi è alcun dubbio che tutte q11este scene si svol-
gono nell'oltre tomba; basterebbe a dirnostrarlo la fre-
quenza del g-a11o, noto simùolo funebre; ed è perciò
assai notevole che l'ambiente oltremondano da esse esi-
bito è identico a quello che il rito funebre italo-greco
cercava con Lanta cnra di costruire intorno al defunto,
cioè l'ambiente domestico; qui come là noi troviamo il

(1) V. su esse QUAGLIATI. Rilievi vot. are. di Lokri in Au3onia


II p. 136-234 : le citazioni di figure che seguono nel testo riman-
dano allo scritto del (f!). Q. le data dalla flue del VI sec. al 470-460
circa (pp. 138, 233).
VERSO I PRATI DI Pll:RSEFONB 291

defunto circoudato dei suoi mobili, dei suoi ornamenti


personali, dei suoi gioielli; il defunto che vive, insomma,
in queste tavolette p.roi>rio quella vita che il rito fu-
nebre presuppone, ed nAa proprio quegli arnesi che
il rito richiede.
Il contrasto tra il rito funerario orfico e q nello greco
politeil!otico (per denotar con questa parnla la religione
greca tradizionale) non potrlibbe d.nnque essere più pro-
fondo. Nell'uno assoluta mancanza di qualsiasi corredo
funerario; nell'altro la ricerca amorosa e affannosa rli
tutto quanto può giovare a rernler bella. e felice la se-
conda vita. Nell'nuo seppelU111ento accurato del cada
vere quasi a conservare l'organo necessario al go<li·
mento. dei nuovi piaceri, simulando la permaneuza del la
vita ttirrena; nell'altro distruzione del cadavere quasi
ad affermare che la vita terrena con i suoi bisogni ter-
reni è fluita. Si sente che siamo in presenza di du0
mondi diversi che non si inte1u1ouo.
Quasi a significare questo profondo distacr.o i tim-
pani orfici si elevano in mezzo a nua necropoli greca
circa del V secolo (mentre i tirnponi sono circa del III
secolo) che mostra il solo tipo di tomba a cassetta e
a umazione. << Questi tumuli sepolcrali -- dice il Cavai-
lari (1), - si ergono in una pianura di sepolcri tanto
vicini l'uno all'altro ehe frugando superficialmente il
terreno si è sicuri di in<:ontrare frammenti di vasi eco-
perchi di sepolcri di argilla rotti dall'aratro ... Il citato
cono (cioè il timpone grande) ad un chilometro e mezzo
a sud del fiume Orati, si eleva in una estesa pianura
sparsa di sepolcri, la maggior parte costruiti di terra
cotta, c/t(J contengono vasi greci del J7 secolo a, C. Tutti
q1testi sepolc1·i costituiscono una vasta necropoli di quat·
tro chilometri circa, seguendo la direzione da oriente a
occidente. In questa necropoli però si eleva una non in-

(1) Xol. ac. 1899 p. ~52.


292 ORFISMO Y. PAOLISISMO

differente quantità di coni artifioiali che altro non sono


,e non tanti roghi di cospicue persone o pire da morti ».
E il Lenormant: << Le tombe a forma di sarcofago,
composte di. lastre di tufo e ricoperte di altro lastre si
tuate in piano, affiorano da per tutto la superficie àet
,uolo. 1 paesani vi fan1,o spesso ricerche clandestine e ne
cavano vasi dipinti a figure rosse per la maggior parte
dell'età della deca,denza. Di distanza in distanza tra que-
1ti sepolcri chtJ sono quelli del uolgo, alcune tombe di per-
1onaggi più importanti sono indjcate con tumuli, qualchtJ
volta di grandi proporzioni, che nel linguaggio del paese
,i chiamano timponi . .. L'estensione apparente di questa
necropoli è di 12 km. ma la catena dei tumuli di variv
dimensioni si prolunga assai di più, » ( 1 ).
È chiaro da questa descrizioue che i timponi sono
del tutto indipendenti dalla necropoli e senza alcun
nesso storico con essa; si ergono in mezzo ad essa qua:;ii
a testimoniare una civiltà, un pensiero loro proprio che
nulla ha ùi comune col mondo che li circonda.

3.
• 11 eonnetteeon laQuale fu dun(1ue il contenuto rt>ligiot-o
eoneezlone or fh a
..11• morte eome del rito attestatoci da questi :,,olitari
at,tero colossi t Perchè dunque vollero gli or-
fici, in piena civiltà greca, e greci essi
1tessi, diffnenziare la loro religione funeraria <la quella
di tutto intero il monùo circostante'?
Noi troviamo la. chiave (lei segreto in un episodio rlel
dialogo Intorno al demone di Socrnte cli Plutarco (2).
Jn casa del tebano Sinm1ia, dove avviene il dialogo,
11i presenta, introdotto da Epaminonda, il pitagorico ero-
toniate Teanore, mamlat,o a riportare in Italia i resti

(1) LBNORMANT 1 La Gt·ande Grèce I p. 319.


(2) PLUT. De genio .Soc,·. ~i 8, 10, 18.
VERSO I PRATI DI PERBBFONE 293

del Jlitagorico Liside, riparatosi a Tebe dopo la disper-


sione delle confraternite ortiche della Magna Grecia, e
ivi morto. Teanore espone il perchè del suo lungo viag-
gio: egli dice che i pitagorici hanno un rito speciale,
senza il quale essi credono che la morte non sia beata
e acconcia, e che i compagni di Crotone, appresa da
on sogno la morte di Liside, lo avevano incaricato di
riportare in Italia il cadavere per seppellirlo secondo
il rito. E narra che, recatosi il giorno innanzi al se-
polcro di Lisi de , aveva appreso da n na voce che l' a-
mico era stato sepolto << santamente » e che l'anima
di lui era già separata dal corpo e pronta a un'altra
nascita: e aggiunge infine che, incontrnto Epaminonda,
aveva appreso da lui in che modo Liside era stato se-
polto e quanto a1hlentro l'eroe tebano fosse stato istruito
da lui nelle cose orfiche segret,e.
In che consistesse questo rito speciale degli orfici
Teanore non dice: 111a poichè egli viene ùa Crotone e
poichè proprio vicino a Crotone fu rì11venuta la vasta
neeropoli dei timpoui ortici con un rito peculiare, è
ovvio che il rito al q nale 'reanore all nde non può es-
ser se non quello mostrato dai t,impoui. Per una felice
e quasi unica collnuorazione tra filoloµ;ia e archeologia
noi pJ>Ssiamo perciò conoscere dagli scavi di Sibari le
modalità ùel rito funebre e dal dialogo di Plutarco il
contenuto religioso di questo rito, sì che il monumento
archeologico e il documento letterario si ili ui,trano a
vicenda in modo mirabile.
Dal discorso di Teanore si appren•lono i seguenti
punti: 1) il rito prnscritto occorreva perchè la morte
fosse felice (l); 2) se qnest.o rito veniva compiuto l'a-

(1) p. 585 E Bernardakis: fon ycip n y:p6µEvov rntq; 1tEpl 't"'


't"Cf'a,'tÙlv Ilu,'.l-~yopLxwv éiawv, oìi µi) wxov-cE~ où BoxoùµEv ti1ts-
XELV 'tÒ µe:tXGtpLll'tOV. Xe:t\ OlXElOV 'tÉÀO~.
19! ORFISMO B PAOLINISMO

nima otteneva la palingenesi (1); 3) questo rito era


connesso alle più segrete dottrine degli orfici (2).
Esaminiamo il rito funerario dei timponi giusta que-
sti tre punti.
Che cosa significava per l'orfico una morte felice T
La morte che lo conducesse alla beatitudiue promessa
dall'orfismo agli iniziati , natnr,,lme-nte. Questo ern lo
scopo supremo di tutta la as11esi e la mistica orfica, e
questo coronamento, come fine di una vita pura e pia,
in vocnno gli inni orfici (3).
La teologia orfica affermava che i Titani, dopo aver fat.
to a pezzi e divorato Zagreo, vennero fulminati da Zeus
e che dalle ceneri titaniche nacquero gli nomini, nei
quali dunque oltre alla natura. titanica v'era una parte
di natura dionisiaca (4). L'uomo reca perciò in sè stesso
la colpa del peccato originale commesso dai 'l'itani uc-
cidendo il dio (5), e l'anima la sconta restando chimm
nel carcere, o nella toro ba, del corpo finchè nou ne venga
sciolta (6); l'unica via per alleviare questa prigionia

(1) p. 586 A: oa(w~ ydtp ur.ò "tiiiv ,:p(Àwv XE)n1aéiia,'l-,n "tÒ AilaLao,
oi>µ<X, "tY)V M <j>ux11v 7jll71 XEXpLµÉV7)V <X(f)Ei:o.9-a.t 'lèpò' <iU71v yévEaLv.
(2) Ivi i oup.~<XÀiiiv !v,'l-Ev 'E1tu.µèLHov1lq: X<Xl "tÒV "tp61tov «XOUO<X'
<jl .'1-<itj,sts Auotv heyvwv li,t xa.À<ii~ <ixpL ,iiiv <inopp"lj,wv nrna.L-
0Euµévo, {>-n;'txs(vou ,· a.vllpò, El'l)-
(3) Inni XIII 10 Abel: cosl anche XX 6, XXVIII 11, XXXII
9, xxxv 7.
(4) Testimonianze in LOBECK, ..cJ.glaopl,amuB, p. 557 s; all'origine
titanica dell'uomo e alla colpa dei Titani allm'ono anche le lami-
netto orfiche /Ct,MPARETTI, o. c. p. 25 s).
(5) DION. CHRYS, 01·. xxx, p. 550 Dindorf. 0LYMPI0D. ap.
WYTTENBACH, Platoni8 Phaed., p. 134. L'orfico Ippolito <lice mo-
ribondo: µta.t,:p6vwv [u] ouyy6vw'I 1ta.À11Lòiv 1tpoyavv71,6pwv 11.~opiçE-
-ia;t xctx6v (EURIP. Hipp. 1379 s. Murray).
(6) PHILOL. ap. CLEM. AL. Strom. III 17, 1 (II, p. 203 St,ii,h-
lin)= fr. 140 Abel; HIPP. Ref. 0111n. haer. VI 24 p. 26. Duncker-
Schneidewin; ATHEN. IV, p. 157 C Meinecke; PLAT. Gorg. p. 493A
Murray: Phaed. p. 62B; Crat. p. 400 B; JAMBL, P,·()tr. 8. p. H
Pistelli; PLOTIN, Enn. IV, 1, p. 469 Volkmann. Cfr. Ps-HERACL
.Ep. I, p. 73, 9 s Bywater; SEXT, EMP. Hyp. III 240 Mutschmann
VERSO l PRATI DI PERSEFONE 295

è la a11cesi, la vita pura e casta (1). Da ciò la grande


importanza della catarsi, la quale, come si pensava, at-
tenuamlo o eliminando i legami del corpo, agevolava
la lihera.ziùne dell'anima (2): e la concezione della ca-
tarsi come un mutamento e un rinnovamento (3).
Se non eh~ non vi è che :una sola catarsi perfetta,
una sola solnzione totale dai vincoli del corpo, la morte:
e l'orfico considerava infatti, la morte come la catarsi
pn eccellenza (4). Ma la morte stessa, sciogliendo l'a-
nima <lai corpo, non implicava la distruzione totale del
corpo carcere; perciò la impossibilità che l'anima ci

GREG. NàZ. Or. 22. (MIONE, PG 35, p. 784 D; BAS. MIN. Schol.
in BaB. oi·. VIII (MIGNE, ivi, p. 1200); 0LYMPI0D. In Plat. Phaed.
662 tl 2 Norvin.
(1) Inno LVIII 9 Abel: LXI, 11: Sì veda. la professione <li fede
di Ippc>lito in Eun. Hipp. 9\J6 R.
(2) PLAT. Phaed1·. 260 il Mnrray: POHPHYIL :ip. STOII. Fior. I
8 (I, p. '43 Meiuecke): x,a{J-tipasLç aù,aL ÀÉyonaL tv à.1toxi'i {J-swpoi>-
µsvetL ,wv ,oil aci>µcno, 1tpa~Éùlv xal auµm,:{)-etwv ,fuv 1tpò' aihé.
JAMIIL. l'rotr. Id, p. 65 .Pistelli = PLAT. l'ltaed. 67 C Murray :
xci,'J,apaL, 1lè; cipet où 'toù,o auµ~a!vsL limp .cò:Àcu tv i;ljl Àoycp À!-
yua.L, ,Ò XWPL~l>LV on µciÀLO'tCt •CX7tÒ 'tOÙ aci>µa.i;oç 't7/V <j,UX'Ì/V xa.L
t&!aa.L OCÙ't'Ì/V xai· Ctll't7/V 1tetvta.x6iev sx 'tOU' aci>µai;oç. ÙJ,YMPIOD.
In Plat. Alcib. p. 4 Cret1zcr: xa{J-apnxòç µèv ycip àai;l <J,ox11 ci1to-
.luoµÉv"I/ i;oò aci>µa.i;oç -twv 1leaµfuv µÉnoL µEvénwv xal µ71 ÀullµÉ-
-v. PROCL. In Plat. Remp. Il p. 354, 20 Kroll: cfr. In I'lat. I,
.itlc,b. p. 175 Crenzer.
(3) HIPl'OL. Jtef. 0111n. haer. I, 21. 4 = DIEL8, D,u:ogi·. gr. p.
571, 20 s: (gli stoici) 't7/'I cp,'J,opciv · xal 1:71v S'tÉpou t; etù,jjç yisvi;-
atv x!i{J-apaLV òvoµtiçouaLv. Cfr. EPIPH. Adv. haer. I, 5 = DrnLs,
1-><n. gr. 'p. 588, 8 s: µEi;ayyLaµoi>;; u <J,uxwv xetl ~lE'tEvawµé.i;6a1w;;
li:1tò aci>µa.i;ò, Ei<;; aiilµct [xetl] xa{J-a.Lpoµsvetç awµci.i;wv 71èi' a.ti 1t!iì,.iv
etçMouaetç xal òcvti1ta.ÀLV yevvci>µEvaç.
(4) ,JAMBL. Proti·. 13, p. 65 Pistelli = PLAT. Phaed. 67 C: xc:i.-
a-a.paLç 1lè; 'tOÙ'tO 01.)µ~a.!vEL 07tEp 1tci.Àa.L i!.v 'tqi ÀO"(ljl HyE,ctL, 'tÒ
)(wp(~ELV O'tL, µ<iÀLa'ta. cirtò -toil ac.iJµa.i;oç i;71v <J,ux71v xocl i!.&!aetL etÙ't'Ì)V
xa.,'J," a.O't'Ì)V 1t0CV'tC<)C'.O&Ev ÈX 'tOÙ aci>µa.,o, OUVCt"(E!pEa{l-etl 'ltetl cil)-po(-
t;aa&a.t, xa.L oixE!v xa.'tci ,;o ~uvet'tÒV 'ltetl i!.v 1:lj> vùv -1tocp6vn xa.l 11v
'tifi !7:sL'tCt µ6V"I/V xoci· a.ll't~V, i!.xÀ1.)0fl.6V"I/V Ul07t6p i!.x 8sqµliill i!.'lt 'tOU
,wµa.i:oç, 'tOÙ'tO 1lè; ,'l-ci.va.i;oç év.oµc:i.tnetl, ÀUOl' xa.L x(l)pLaµò, <Jiuxi'I,
ci1tò awµa.i;oç; ScHOL; Plat. Phaed. 1. c. Rubnken: ci1to~v~axu µh
29G ORFISMO li: PAOI.INISMO

tornasse, e la possibilità della palingenesi esistono solo


a condizione che questa distruzione avvenga realmente,
dopo la morte: in altre parole solo a condizione che
il corpo venga bruciato. Per questa ragione ritenevano
gli orfici che il fuoco distruggesse le macchie originali
dell'anima (1 ), cioè la mala natura titanica, cioè il cor-
po. Per questo Proclo vedeva nel rogo ùi Patroclo una
imitazione dell' immort,alamento mistico dell'anima me-
diante il fuoco (2), e pensava che l'uomo, accostandosi
si fuoco, ricevesse la luce divina (3).
Ooi,;ì dunque si spiega il rito dei tirnponi. Esso co-
stituisce la catarsi piena e completn, che è necessaria
affinchè l'anima sia completamePte libera e pura, rin -
nendosi alla sua primitiva natura dionisiaca, divenemlo
l'uomo dio, come dice una laminet,ta orfica (4), o sol-
levandosi l'anima al cielo (5). Si comprendono così be-
nissimo i due di versi modi di seppellimento, percbè cioè
alcuni di questi iniziati, propriamente quelli racchiusi

yà:p .'l-a.v1nov µEÀE'tWY 6 x11.'l-apnx6ç;, xa.'l-alwpv tau'tòv ,ii.lv 1ta.'l-wv·


OLYMPIOD. In Plat. Phaed. VII 2 Norvin: ,òv .'l-a.va,ov oplçs-
'tCXL xa..'l-apaLç; µ6vov c!iux'i)ç; ix1tò awµa'toç;, xal xa.'l-oÀLXW'tEpoç; 6 &à:-
v11,oç;'t'i)ç; xii.'l-lipaswç;, 8Lcin 6 µèv xii,'llaLpciµsvoç; 1tliV'twç; xal ix1to-
3-v'YjaxsL.
(1) PnocL. In Plat. Tim. V p. 331 B Diehl.
(2) Pnocr.. In• Tim. V p. 391 Diehl. cfr. PORPH. ap. AuG. Civ.
J)ei IX 9 es.
(3) PnOCL. In Tini. Il p. 65 B Diehl.
(,i) KAIBEL IGSI 641, 1; COMPARETTI, Lam. 01:fiche p. 17;
Vorsokr. 3 II p. 176 n. 18: DIELB in Festschr. fu,· T. Gomperz
p. 13 ; Vorsokr.s II p. 177 n. 21; COMl'ARETTI, pp. 6 e 12; Carm•ft
•ur. 71 : Cfr. SCHOJ.. A,·. Ran. 1158 Diilrner: o 'tÒ: µucr,~pLa 8L-
lliix3-slç; µE't~ 'tWV tv.'l-év8E 'tEÀEU't~Y .'l-E(iiç; YJ~LOÙ'tO nµ'i)ç;; e Pr.AT,
Phaed. 69 C Bnrnet: 6 llà xsxa.'l-apµévoç; u xiil nnÀsaµÉvoç; sxE'Cas
(nell'Ade) cl:q>LxoµEvoç; µE'tà: .'l-swv otx'YjcreL.
(5) DIOG. L. VIII, 1, 31 : Carm. aur. 70: PnocL. In Plat. Remp.
Il 129 s. Kroll: lbid. Il 132, 10 e Kroll: Ps. - PIND. fr. 132 Bergk~-
Schroder: CIA I, 442: KAIBEI,, Epig1·. ex lapid. coll, 41 : Ps.-HE-
RACL, Ep. V p. 73, 1 e Bywater. Cfr. EPICHARM. fr. 22 Diele,
EURIP. Suppl. 533 e.
YJllRS0 I PRA'l'I DI PBRSEFONE 297

nella cassa, avessero vicino a sè non già dei frammenti


di suppellettile ma la laminetta aurea e fossero coperti
di nn lenzuolo bianco: e perchè altri, sepolti entro la
massa del timpone, avessero vicino dei frammenti vari
e mancassero della laminetta e del lenzuolo. Si può pen-
sare, cioè, che i primi rappresentassero un grnrlo più
elevato della iniziazione, nel quale il distacco dal corpo
e la santità, espressa dalla lamina d'oro, fossero com-
pleti, e che i secondi corrispondessero a un grado più
basso, nel quale era contenuta semplicemente la nega-
zione dei bisogni terreni, simboleggiata dai frammenti
posti vicino al corpo. I primi potevano essere epoptai,
giunti alla perfetta conoscenza del mistero, i secondi
erano forse semplici mystai, che non erano andati oltre
al primo grado della conoscenza (1).
Nell'uno come nell'altro caso la combustione, come ri-
sulta dalla relazione stessa del Cavallari, non era punto
perfetta; assai meno perfetta certamente di quella che
risulta, per esempio, dalle olle cinerarie preistoriche o
romane. La relazione parla infatti spesso di cadaveri,
cioè di ossa giacenti nella loro compagine naturale, e
questo etsclude una arsione cosi avanzata da distrug-
gere almeno le ossa maggiori, come importa normal-
mente il rito della cremazione. Gli è che questa cre-
mazione orfica non aveva lo scopo pratico - che fu
probabilmente l'origine del rito crematorio - di rac-
cogliere in una piccola olla i resti del cadavere, distrug-
gendolo per ciò in grandissima parte, ma aveva un va-
lore tutto rituale e simbolico, identico tanto nel caso
di un'arsione completa quanto nel caso di un'arsione
appena superficiale; cosi come, per esempio, il batt~-
simo ba sempre lo stesso contenuto tanto con un litro
quanto con una goccia d'acqua.

(1) Per le ger1U'chie orfiche e i loro nomi v. LOBECK, Aglao-


phamus p. 31 a; DiiRRBACH in DAREMBKRG, Dictionn. V, 1 P• 252.
298 OJlJ'JIDIO li: PAOLINISMO

Ma che significa il lenzuolo bianco del quale parla


il Ca vallari T
Questa stoffa.. bianoa., con la quale Rii orfici copri-
vant> o avvolgevano i cada.veri, viene da. me posta. in
relazione con la sindone mistica, la veste rituale a
forma. di chitone (1), tipica dei misteri dionisiaci (2),
usata nei misteri isiaci (3), prescritta nel rituale di
Anda11ia (4), che i discepoli di Pitagora inrlossavano
:~r ascoltare il maestro (5), ohe un papiro ma6 ico pre-
scrive ripetutamente a colui che esegue la liturgia ma-
gica (6). Ora, la sindone era di lino (7) perchè il lino
era la so"Jtanza tipica delle vesti rituali usate, per esem·
pio, nei ml steri isiaci (8); o nelle operazioni magiobe (9)
e si usava -il lino perchè il bianco era il color puro per
eccellenza (10), tanto è vero ohe di bianco si vestivano

(1) PHoT. aLvaov('t'%, XL'twv. Probabilmente è una. sindone la


Teste aciv1lLf che Giovanni Lido ricorda e che aveva forma di
ohitone. (Joir. LYD. De magist1·. III 63 p. 258 Bekker).
(:I) 81'RAB, XVI 58, p. 712 C: àLO\IUOLO:XÒ\I al;; xal 'tÒ aLvao\lo-
q>Opstv.
(3) Luc. Deor. CO'II.C. 10 p. 533 Js,·obitz: aù M, CÌl xuvo1tp6-
C111JµE (Annbi) xal aLva6aw 4a'taÀµévs Alyi11t'tLE. N'ell'iscrizione vo-
tiva. ad Annbi &rapide ed Iside DITTENBERGH:R, Sylloge2 761 il
dedicante è Apollonio di Carmide aLvaovocp6poi;;; in DrrTENBH:RGER.
2, 7!>4 si dedica.no ad Anubi Serapide e 0Miride !l;Uai;; alv1l6va,
Àctµ1tpà:i;; 'tpsti;; .
. (4) SAUPPII:, Àmgew. Sch1·ifte11, pp. 217-274; MICHEL,- Ree. d'insc,•,
,..• 694; C.t.UER, Delectua 47; COLLITZ, Dialekti11scki·. 4689, l.17s;
a:[ 1lè 1tat!lsi;; xalcia71pLv i'j aLVllovl'tav ..... al Il/;; 1louÀaL xciÀcia7JpLv 7/
cnvaovl'tav.
(5)JuniL. Vita Pytb. 73 Westermann: lnòç; aLv1l6voi;; h"lj-
xouov 'tofl Ilu,'l-ayopou.
(6) WESSELY, Gi·iech. Zaube,· papyri (Denkschr. Àkad. Wis. Phil-
hiat. Kl. Vienna 1885), Psp. par. l. 88 l. 213.
(7) Go&TZ, Coip. glossa,·. lat. II p. 421, 42: aLV1lwv tunica. lintea.
(8) APUL. Met. XI 23; PLUT. De laide et 08. 3 p. 353 C; Cfr.
À:nth. Pal. Append. ed. Congny IV 32: Aìyu1t'tou paa(ÀsLa ÀLv6-
G'tOÀs.
· (9) AMM.· M.i.Rc. XXIV 1, 29 Ga.rdtho.usen.
(lO)Wii.CHTER, Reinheitavar,chr. im griech. Kult. (Bel. geaoh. Vorarb.
IX) p. 16.
VERSO I PRATI DI PEfiSEFONE 299

generalmente i sacerdoti e i celebranti in vari riti (1).


11 lenzuolo bianco, in cui gli orfici avvolgevano il ca-
davere, era dunque la sindone del morto, la veste sa-
cra di quel mistero perfetto che è la morte.
Nel pensiero filosofico antico la morte e il mistero
sono identici, e Plutarco infatti li parificR in nn sno
laog-o celebre (2). Me1liante la catarsi della morte l'a-
nima si ricongiunge stllbilmente alla divinità così come
nel mistero, mediimte l'estasi, essa esce temporanea-
mente dal corpo e si congiung-e cùn la natura. dioni-
Biaca (3), di modo che l'uomo diventa bakchos, cioè
diventa dio {4); la morte dunque è, a così dire, un mi-
atero duraturo e definitivo. E come il rito. del mistero,
c,ioè la iniziazione, è nece8sario pereliè l'iniziato abbia
diritto alla beatitudine, così occorre un rito funerario
speciale percbè l'anima. ottenga questa beatitudine. Il
dogma infrangibile, espresso già nell'inno a Demetra (5),
obo solo l'iniziato avi-à la beatitudine, mentre i non ini-
ziati µ:iaccranno nel fango (6), e che solo l'iniziato può
avere speranze per l'oltretomba (7), e che solo la morte

(1) P"r es. l sacer<loti ùel tempio di Demetra Chtonia a Er-


mione (PACS. II 35, 5), e i visitat.ori dell'antro di Trofonio (PHJL.
Vita Àp. VIII 19) ; un iniziato a Zairreo accenna, in Euripide,-
a.Ila propria veste ùianc.i (EuR. Fr. 472 Nauck): vesti bianche
11ono prescritte da una le;!ge ùi Delo (PllOTT-Zll'-HEN, Leges graecor •
.aorae I 9.1) 1rnlla simione v. anche il mio Za!i1·e·us p. 44 s.
(2) PLUT. lJe anima VI 2, p. 726 Bernardakis = Stob. Flor. 128
(IV p. 108 Meinecke). Su questo luogo v. in questo volum&
p. 128 S.
(3) PROCL. In Plat. Crnt. p. 82 CXXXIII Pasquali.
(() 0LYMPI0D. In Plat. I'haed. B. 166 p. 122 Norvin.
(5) Hymn. in Cer. 486 s.
(6) PLAT. Phaed. p. 69 C : Resp. Il p. 363 C, Cfr. Soph. fr.
763 Nauck.
(7) DIOD. V (9, 6 ; IsocR. Paneg. XXVIII p. 46 B Benselor j
A.RIS'I'ID. Or. XIX 1 p. 421 Dindorf; 8CHOL. Àrial. p. 314, 2(
Dindorf; C1c. De leg. II 14.
300 OR)'ISMO X PAOLINISMO

è un bene (1), trova il suo corollario in quel!' altro


dogma, espresso da Teanore, che solo se il rito orfico
vien compiuto l'anima è beata. Mistero nel primo come
nel se,:ondo caso: e perciò ineft'abilo e non rivelabile
ai profani il rito iniziatorio come il rito funerario.

4.
Cosl noi penetriamo nel segret,o di q ue
• pauagglo alla bea-
tltadlne ottremon•
dana. sta misteriosa religione che nemmeno
l'enorme tnmnlo ha difci,;o dalla nostra
profana curiosità., turbatrice dell'eterno sonno degli
iniziati. Dormivan essi tranquilli sot.to la bianca sin-
done, finalmente ammessi al supremo mistero della morte,
con stretta nella mano la laminetta aurea, pegno e ga-
ranzia della beatitudine, con sopravi incise le parole
che l'anima doveva pronunziare giungendo all'Ade, per
diventar beata :
« Io pura d'infra i puri vengo a voi, o Regina degli
inferi, o Eukles o Eubuleo, e voi altri dei immortali.
Poichè io mi preg·io di appartenere alla vostra stirpe
beata, ma la Moira e il balenar del fulmine mi abbattè
e mi inaridl, e scontai la pena per non giuste opere.
Ma io me ne volai via dal giro luttuoso e duro, e con
rapido piede raggiunsi la bramata corona, e discesi in
grembo alla signora infernale. Ed ora. io supplichevole
vengo dinanzi alla santa Persefone perchè benigna mi
mandi nelle sedi dei pii >> (2).
Così l'iniziato raggiungeva quella che era stata la
suprema brama della sua vita: vedere finalmente le vi-
sioni luminose oltremondane delle quali narravano le
antichissime scritture orfiche, che Eschilcr aveva cau-

(1) Ephe11i. arch. III 1883 p. 81 n. 3.


(2) Versione di D. COMPAUETTI in Laminette orfiche (Firenze 191 O).
La versione integra l'un con l'altro i testi delle varie laminette,
ricostituendo il testo unico.
VERSO l PRA'rl DI PKRSKJ'ONJC 301

tato e chl, Plntone aveva tlescri tto; che i sacerdoti a-


vevano promesso come compenso ai dolori della vita,
che gli inni orfici invocavano come grazia suprema dagli
dei. O Asclepio - canta un inno -

o Asclepio, sa1mtor di tutte cose,


o possente Peana, che sollevi
all'uom dei morbi i dolorosi mali,
di quiete dator possente, i-cendi !
Teco n'adduci Igea, lungi fugando
i tristi morbi e della morte i mali !
Eterno giovitietto, che allontani
le sciagure ùa noi, ricco di beni,
germe possente eù inclito di Febo
ai morbi infenso, che geu til cowpai;na
hai dei talami Igea, nume immortale
salutare, fra noi scendi, e concedi
al viver nostro avventuroso tine (1).
E un altro:
Te questa prece, o gran demone, invoca
propizip, reverendo, conciliabile
Giove, dd mondo genitur, ili vita
fonte ai mortali; te, gran Giove, errante
per molte plaghe, \'iudice ,,;evero
ddl'npre ree, Rignor dell'nuiversu,
ùispcn,;at.or di beni, allor che lieto
scendi nei nostri detti e riconforti
la vita del mortai piena d'affanno.
Poi che il gaudio e il dolor serri e disserri,
santo nume immortal, deh tu disperdi
la triste cura, che per l'ampia terra
il vivere mortai lenta. consuma,
e bello e dolce e pio morir ne dona (2).
E un terzo a Ermes infero:
O tu che di Cocito le fatali
vie senza ritorno abiti, e l'alme

(1) Inno or.fico 67. Vers. di E. Ottino (Torino 1855).


(2) Inno 72.
302 onFJ!'!\lO E PAOLINISMO

guidi sotterra dei defunti, o prole


del baccante Dionleo e della vergine
di Pafo, dai soavi occhi, Afrodite;
Tu, che pei sacri alberghi ti ravvolgi
di Persetone, all'anime dolenti
duce sotterra allor che il dì tramonta
dalle Fata segnato, che sopisci
tutte cose d'un tocco della sacra
verga che assonna, e susciti i dormenti:
cbè te per l'arco sterminato all'alme
eterne dei mortttli, duce impose
la divina Persefone; o beato
nume, ai vlilggenti deh manda, ten prego,
tra i riti sacri avventurati~ fine (l).

Tutta la. religione orfica era piena ùi q nesta brama


della morte bella, che schiu1leva le porte ciel paradiso,
di questa di,iua nostalgia della vit,i eterna che anche
Gesù aveva annunziato al mondo.
E par quasi che pel' volontà ùello spirito, una scin-
tilla di fede cristiana fosstJ 11enetrata prima del tempo
nei cuori di questi amanti della bella morte e avesse
loro rivelato il sen!So della divina promessa evangelica:
Sii fedele fino alla morte e io ti darò la corona della vita.

(1) Inno 61. V. ancora simili invocazioni negli inni 12 (a Eracle),


13 (a Crono) 25 (a Proteo), ll9 (a Persefone), 36 (a Latona).
GIUNTA
Alle prove della diffusione dcli' ol'fismo in Giudea
e nelle regioni vicine, che bo esposto a p. 60 - 61, ag-
giungo queste altre, frutto di ricerche fatte durante la
stampa dei libro.

Il regno dei Nabatei si estendeva dall'Arabia fino


a Damasco almeno: essi facevano commercio del bi-
tume e dell'asfalto del Mar Morto esportandolo in Egitto
dove serviva per la imbalsamazione dei cadaveri (1);
Damasco Ri era data volontariamente al re nabateo
Aretas (2), il cui etnarca tentò di far imprigionare Paolo
a Dama1<co (3); nel 92 d. C. il dominio nabateo si esten-
deva, come prova uua epigrafe, a.Imeno fino a nord-est
di Damasco (4). Il regno na.bateo cingeva dunque, nel
tempo in cui si iniziò la cristologia, la Palestina e la
Giudea come una cintura.
La divinità principale dei Na.batei era Dusares (5),
(1) D10D. XIX 98-99.
(2) MOMMBEN, Le prov. roni. (tr. De Ruggiero, Roma 1870). II
169. n. 1.
(3) 2 Cor. XI 32.
(4) MOMMSJ:N Il p. 170 n. 1.
(6) 811 Dusares V. DB VooilÉ, Inscr. s6111it. (Parie 1863) p. 120
S,j E. MEYER in ROBCHER, Le:i;ikon I 1, 1206 8j CUMONT in PAULT-
W18SOWA, Bealeno. V 2 p. 1866 s.

V. MA CCIII ORO, - Orfismo 8 P'1ohnrsmo.


306 GIUNTA

sul culto del quale troviamo molti particolari in Epi-


fanio. Secondo lui questo dio veniva festeggiato dai
greci con una solenne cerimonia nel giorno della Epi-
fania. « infatti - dice Epifanio - costretti a riconoscere
una parte della verità, gli istitutori del culto degli i<loli,
perfino ingannando per trarre in inganno gli idolatri
che banno loro creduto, in molti luoghi celehrano una
festa grandissima nella notte stessa della. Epifania, affin-
cbè coloro che fondarono le loro spPranze sull'errore non
cercassero la verità. Primierau1entc ad Alessarnlria nel
cosl detto Korion: ed è nn tempio grandissimo, e cioè
il santuario di Core. Lit notte infat.ti, vegliando tra
canzoni e cantando all'idolo al suono dei flauti e ce-
lebrando la. festa notturna, dopo il canto dei galli di-
scendono i portatori di fiaccole in un cotale delubro
sotterraneo e ne portano fuori nn idolo di legno se,lc11te
nudo su una lettiga, che }i:t i,;u Ila fronte un :s~gno do-
rato di croce, e su ciascuna delle mani altri due segni
simili, e sulle due ginocchia altri due, ed 11g-11al111ente
i cinque segni sono formati di oro; e port,a110 attorno
questo idolo sette volte girando attorno al centro del
tempio con suono di flauti e di t,impani e di inni; e
dopo aver banchet.tato lo riportano ~iì1 di nuovo nel
luogo sotterraneo. E se alc11110 cl.liede: Che è q11esto mi-
stero T Rispondono e dicono: In quest'ora oggi Core, cioè
la Vergine, ha generato Eone». {l) Così dice Epifanio.
Testimonianze concordi identilicano questo Dusares con
Dionii,o: Snida dice che Dnsares era il Dioniso dei Na-
batei (2); monete di Adraha e di Bostra commemoranti
le foste Dusarie recano come simbolo il torchio, che è
simbolo dionisiaco (3). E certamente a qul'sta identità

(1) EPIPH . .A.dv. haet·. 51, 22 (Il 1 p. 632 e. Oehler).


(2) Surn • .&ouatipYJ<;. 'tòv .c1t6vuaov. Na:~a:'ta:tot.
(3) l<:CKHKL, Doctr. llUffl. III. 500, 502. MIONNBT, De,cr. de, med.
V. p. 578 nn. 5 e 6, 585 n. 37. L'epiteto Lenaioa di Dioniso fu
fatto derivare concordemente nell'antichità da len6, che è il t,or-
ehio (D10D, Ili 62; SCHOL. Hes. Op. 506; Sr. BYZ s. v. A,jv,noi;.
GIUN'f.l. 307

di Dusares con Dioniso si riferisce la notizia riporta-


ta da Brodoto (1), Strnbone (2) . Arria.no (3) , che gli
Arabi onoravano Dioniso, insieme ~l Urania e a Zeus,
nonchè la tarda tradizi<,nt, che in Arabia Zeus desse
alla luce Dioniso (4).
Non vi è dunque alcun lluhhio che Dusares aveva
qualche fondamentale identità con Dioniso; giustamente
perciò Epifanio lo dice figlio rli Core, e giustamente
lo chiama Eone perchè questo era il nome mistico di
Zagreo ad Al~ssa.nùria, nella sna identificazione con
O:-iri1le ll Adonide (5).
Da t 11 tto ciò si conci urle che il dio principale dei
Nabatei o era nna derivazione di Zabrreo oppure, co-
m\.• più probabile, ne aveva assimilato alcuni tratti al
punto da veni1· confuso con esso. Certo è che questo
Dio11i:-o arabo doveva. a.ppal'ir assai simile a Cl'isto se,
col{le prnva il rnc1'.onto di Epifanio, esso vtmne a con-
fo111lersi con qn<'sto al 1mnto che la festivit:ì di esso ven-
ne a caclere nel giorno dell'Epifania, se Core, qaa.le
mar] re ùi Dioniso, fu scambiata con la V ergine, e ae
Epifanio, come anche Giustino Martire, non potè spie-
garsi queste concordanze se non supponendole opera
medit.ata dei nemici del cristianesimo.
Il dominio dei Nabatei, come dicemmo, oingeva
tutta la Palestina come di una cintura: perciò nel tempo
di Gesù tutta la Palestina era circondata. da questa
religione nabatea che aveva per suo dio principale
Dusares, cioè nna divinità quasi irlentica a Dioniso, la
quale già al t.empo di F,pifanio appariva confusa ooD
Cristo.

(1) HEROD. Ili. 8.


(2) STRAB. XVI. 7U.
(3) ARRH • •bob.VII. 20, 1.
(4) DION. PERIRG. 773.
(6) Suw: 'Hpa.toxoç ,;li llpp11i:ov !lrctl11a. i:ou Allilvoç ... li "il...
f1ntpat, h!1171oav ·oa(p1v !lvi:a. xa.l •A~<0v1v liµou; V. su ciò Bous-
8E1', Kyrio, Chry,to, p. 341, 1.

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