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L’uomo è un animale sociale?

Parte 2
Sono rimasto impressionato innanzitutto da quanto l’italiano, o la lingua in generale, sia
straordinariamente ambigua nel significato. Ogni parola ha moltissime sfumature, quindi con un
solo insieme di lettere si sottintendono significati diversi che devono essere interpretati volta per
volta. Questo è il motivo principale per cui leggo e rileggo gli estratti dei testi filosofici, e solo infine
riesco ad afferrare pienamente il succo del discorso. Ciò detto, dovrei iniziare a confrontare le
posizioni dei due filosofi.
Letto il sunto del pensiero sofista, non ci potevo credere. L’uomo per paura di una eventuale
punizione non compie atti moralmente sconvenienti. Quindi la giustizia morale non è avvertita
dall’umanità? Tutti tendono alla violenza, alla barbarie, in altre parole. Deh, non sono d’accordo. 
Non si può ragionare dell’uomo moderno, o almeno dell’uomo occidentale, poichè il cristianesimo
impone dei dettami (giusti) che vengono rispettati per inerzia ormai da millenni. Anche se a volte la
spinta verso la cattiva azione esiste, viene repressa da un senso civico insito, appreso dai propri
genitori, a cui si integra col tempo a propria personalità.
Sopra ho menzionato l’uomo occidentale, ma nulla ci vieta di applicare lo stesso discorso anche
all’uomo orientale, con i suoi comandamenti divini che in parte combaciano, in parte differiscono.
Ma perchè allora Crizia afferma che l’umano tenda alla violenza?
Forse Crizia ragiona di un uomo ideale, animalesco, che non ha ancora sviluppato la propria
umanità siccome non ha ancora vissuto in società. Appena il legame con altri individui si instaura,
non lo si vuole recidere, anzi lo si vorrebbe fortificare (in quasi tutte le occasioni). Ciò significa che
l’uomo tende al legame, alla vita associata, ma deve avere la fortuna di sperimentarla per caso,
prima. 
Purtroppo è lo stesso identico principio di un bambino a cui non piace il parmigiano, e si ostina a
non volerlo mangiare per stizza, poi dopo averlo assaggiato cammina sempre con due tagli di
formaggio in mano. 
La medesima situazione si verifica quando un uomo adulto non ha intenzione di ricevere un altrui
aiuto, anzi rifiuta qualsiasi tipo di conforto perchè vuole “cavarsela da solo”. Non solo questa
situazione è deleteria, ma quando il nostro trova vero conforto in qualsiasi attività, non vorrebbe
più distaccarsi e tornare alla condizione di prima, che presumibilmente lo tormentava o lo lasciava
indifferente, chiuso nella propria apatia.
Esempio lampante di sofferenza repressa sono i reduci di guerra, gli alcolisti, i tossicodipendenti.
Per tutti il processo segue la stessa direzione, ma talvolta con motivazioni differenti.

Ad ogni modo l’uomo, secondo Crizia, rifiuterebbe la vita associata per quali motivi? Per gelosia
delle proprie (il lettore perdoni il gioco di parole) proprietà materiali? Condividerle con qualcuno,
con un “amico etico” magari, è molto più soddisfacente, non si può negare. 
L’uomo tende naturalmente alla vita associata sia per necessità che per piacere. La necessità
risiede nella comodità del vivere in comunità, che noi sperimentiamo ogni giorno. Il piacere è
invece molto superiore.
Mi piacerebbe riflettere sulla famosa frase, che si rivolge ad amici, parenti, alla propria fidanzata,
ad un animale, alla propria casa (“casa dolce casa”): “Mi sei mancat*”. Cosa significa mi sei
mancat*? Avevo bisogno di te per avvitare la lampadina, e non c’eri, e quindi mancavi? No,
dobbiamo lasciare da parte l’ironia e affrontare il discorso seriamente. 
Quando una persona ne apostrofa un’altra in questo modo, comunica la mancanza di complicità,
del piacere di trascorrere il tempo insieme. Poi, personalmente, rovescio il tutto in un’ottica
Epicureista, per la quale ogni sensazione dipende dalla materia, ma anche essendo cristiani
ortodossi, o credenti negli spiriti naturali, o semplicemente convinti che l’anima esista, il
ragionamento acquisisce forza, di certo non la perde. “La nostra anima è divisa a metà”, “Il mio
cuore è tuo”, sono espressioni che si usano (usavano) molto spesso, per comunicare qualcosa
che va oltre la semplice necessità pratica, e che rende l’uomo, suo malgrado, schiavo della vita
associata.
Anche se il migliore tra noi volesse ribellarsi al proprio istinto, dopo aver conosciuto la sensazione
di vivere insieme ai suoi simili, avrebbe sempre la tentazione di tornare sui propri passi; se non ne
ha la necessità, è appunto una bestia, per citare Aristotele. Ma non una bestia in senso
dispregiativo, (e ritorniamo all’ambiguità della lingua), ma in quanto animale che non ha
conosciuto la felicità, e dunque nella propria solitudine riesce a non “farsi mancare” nient’altro.
Ricapitolando, se non ci manca la società, non l’abbiamo mai conosciuta abbastanza bene da
apprezzarla (o l’abbiamo conosciuta così bene che l’abbiamo ripudiata, ma sono casi eccezionali
e per fortuna limitati).

Crizia è terribile in tutto il suo pensiero, mi sento in obbligo di continuare la critica socratica e
platonica nei confronti dei sofisti. E’ imbarazzante pensasse davvero che gli stati fossero creati per
limitare la stupidità e la violenza. Chi istintivamente ferisce il prossimo, o pensa di farlo per gusto,
non può di certo essere campione di una generalizzazione totale. Anzi, si tratta del caso ripudiato
dalla massa.
Intendo dire che un uomo può persino aizzare una folla a seguire i propri ideali malati, ma poi tutto
il resto della comunità gli si rivolterà contro, è naturale. Il buon comportamento è insito nella
natura, appunto, e le azioni moralmente dubbie sono tali per le leggi naturali, non per le positive,
come le distingue Aristotele. 

Per contro a ciò che ho affermato fino a questo momento, c’è la capacità dell’essere umano di
vivere per sè stesso. Dobbiamo dargliene (darcene) atto, potremmo sopravvivere nella foresta
selvaggia per tutta la vita, in linea puramente teorica. Nessun tipo di piacere che vada oltre la
fioritura dei peschi ci sarebbe concesso, ma la sopravvivenza non è in discussione.
Per questo è in discussione, al contrario, l’affermazione secondo la quale gli uomini si
aggregherebbero solamente per necessità, perchè se fosse così allora che vantaggio ne
trarremmo?
Un essere che segue solo le proprie necessità non ha emozioni nè sentimenti (mi odio quando
faccio questi ragionamenti, ma sono obbligato per far capire il pensiero), e la minore fatica fisica
sarebbe l’unico vantaggio tratto dall’aggregazione. Allora poniamo il caso che nasca un essere
resistente alla fatica. Vivrebbe da solo, perchè considerato un Dio? O questo Dio soffrirebbe di
solitudine e vorrebbe aggregarsi a sua volta, perchè ha bisogno di sperimentare oltre le funzioni
vitali primarie?
La seconda tesi è più plausibile, non ho dubbi. L’evoluzione ci ha permesso di sviluppare una
capacità di pensiero e interazione talmente ampia che ormai abbiamo bisogno di applicare le
nostre abilità per ritenerci soddisfatti. L’intelletto è talmente elevato, (e secondo Darwin non
abbiamo ancora visto nulla), che tenerlo in ghiaccio tutta la vita, anche avendolo infiammato una
singola volta, sarebbe sofferenza, repressione. E per intelletto intendo tutta la gamma di
sensazioni in cui chiunque si trova immerso vivendo in comunità. Quella sorta vi montagna russa
che è la vita rappresenta un bonus impossibile da trascurare, per chi l’ha sperimentata almeno
una volta. 
Il ragionamento diventa a prova di bomba, paradossalmente, se lo accostiamo al comportamento
di una “macchina”, un’automobile, magari sovralimentata, “turbo” come si dice in gergo. Anni ‘90,
Ferrari f40.
Noi alla guida, ci destreggiamo per le strade affollate del centro milanese; è la prima volta che
siamo al volante di una meraviglia del genere, quindi abbiamo un sorriso a 32 denti sul volto.
Arrivati in periferia, finalmente troviamo un miraggio di corsia libera, e spingiamo a fondo il piede
sul gas. 
Il lettore sarà d’accordo con me che la “musica” cambia, in tutti i sensi. Non possiamo più fare a
meno della scarica di adrenalina, del piacere che regala l’entrata in scena della sovralimentazione.
Mi piace identificare questo piacere meraviglioso con la vita di comunità, o di coppia, o comunque
con la compagnia di un individuo. La noia del traffico invece perde di senso, non viene ricercata
dopo aver provato un’emozione densa e soddisfacente come quella descritta poco sopra.

Spero risulti effettivamente condivisibile il tutto, adesso. E allo stesso modo, sia chiaro perchè gli
esseri evoluti tendano a raggrupparsi e organizzarsi. Inizialmente, ho argomentato del perchè
l’uomo tenda naturalmente alla comunità, poi quanto ci appaia più bello il percorso di vita se
condiviso, quindi di quanto la vita associata limiti, esistendo, i comportamenti deplorevoli , infine
della differenza tra vivere e sopravvivere.
Altrettanto lampante è la mia condivisione del pensiero aristotelico, e anche di quello kantiano,
che mi accingo ad esaminare meglio.
Niente di più vero fu mai scritto che le parole di Immanuel Kant, nella sua metafora del bosco a
confronto con l’albero solitario. Non avrei saputo trasferire meglio ciò che ha descritto, se non con
“sana competizione”. Gli impulsi egoistici, non contrastati, crescono incontrollati, e denotano un
individuo deleterio per la società, che infatti è incarnato in una pianta storta e solitaria.
Un uomo orgoglioso e ambizioso, al contrario, porrà gli istinti egoistici al servizio del proprio
volere, li metterà da parte, per raggiungere l’obiettivo comune agli elementi che compongono il
totale, ovvero migliorarsi (spesso per spiccare oltre gli altri). E questo ci spinge ogni giorno a
essere migliori di come lo eravamo ieri, ma obbligatoriamente peggiori di quanto saremo domani.
Chi diventa sequoia, chi rimane melo, magari qualcuno si avvicina alla quercia, e pochi sfortunati
fanno la fine dei salici: piangenti. Non ho mai detto che la vita di comunità sia facile, implica delle
problematiche di carattere psicologico che vivendo in solitudine neanche sorgerebbero. Ma
presuppone anche laute ricompense per chi si impegna a essere la migliore versione di sè
stesso. 
E qui spero di poter concludere (almeno per il momento) la lista di motivi per i quali l’uomo è un
animale sociale.

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