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I patosensibili
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Il Well-being definisce tre mondi: quello dell'odio


(sperabilmente vuoto), quello dell'amore (sperabilmente
ricco di persone a noi vicine) e quello dell'indifferenza (che
con un termine molto duro potremmo definire "degli
estranei"). Verso questo mondo non si può essere coinvolti
emotivamente più di tanto; il patosensibile è invece colui
che non riesce a elaborare un sufficiente distacco dal male
e dal dolore che è attorno a lui, ma che non lo coinvolge
direttamente. Il patosensibile è colui che "soffre con
l'altro", spesso pur "non conoscendolo" minimamente. Di
questa sofferenza non esiste nessuna giustificazione, né
teorica né pratica.
In genere la patosensibilità non è una personalità
dominante, nel senso che un minimo grado di
patosensibilità è in tutti noi. In alcuni soggetti però diventa
prioritaria e ne condiziona moltissimo la vita. Di norma è
una deformazione di altre personalità (irrazionali, mistici,
deboli, paurosi), originatasi dall'estrema priorità che il
soggetto dà al mondo neutro, quello dell'indifferenza.
La considerazione che condanna la patosensibilità è che, se
è giusto soffrire ogni volta che si vede o si ha coscienza del
dolore, allora la nostra vita è dolore e la felicità è impossibile. Se gioissi o fossi triste per qualcosa
che accade a persone che nemmeno conosco, sarebbe la fine: la mia vita sarebbe vissuta in
funzione delle notizie dei telegiornali. Forse che dovrei piangere per due ostaggi uccisi e non per
quattro giovani vite stroncate in un incidente del sabato sera? E perché non piangere per tutti
coloro che stanno soffrendo in un letto di ospedale, vittime di un male incurabile, magari bambini di
pochi anni? Insomma, il dolore è ovunque: che diritto ho io di sceglierne uno migliore di altri? Ma
soprattutto:

poiché so che il dolore esiste ed è dappertutto, che senso ha addolorarsi solo quando
lo si vede e dimenticarlo quando non lo si vede, magari divertendosi?
Piuttosto ipocrita, no? Se il patosensibile fosse coerente, la consapevolezza che in questo momento
c'è sicuramente qualcuno che sta morendo, che sta soffrendo ecc. dovrebbe renderlo
continuamente triste.

Le massime del patosensibile


Il patosensibile risolve i problemi etici della sua esistenza con massime che a lui sembrano di una
profondità estrema, inattaccabili e "scontate":

 ama il prossimo tuo come te stesso;


 non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te;
 la vita è sacra ecc.

Il vero problema è che non sa uscire dalle contraddizioni logiche che tali frasi portano con sé,
soprattutto in occasione di conflitti peraltro non sempre ipotetici. Per chi fosse interessato ai
problemi di coerenza che tali massime generano, rimando alla pagina sul prossimo.

L'idealista

http://www.albanesi.it/Mente/patosensibile.htm 20/06/2009
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Il patosensibile idealista è una persona che ha razionalizzato la sua patosensibilità (infatti spesso
non si ritiene nemmeno patosensibile); non soffre più di tanto per il dolore che è nel mondo perché
tiene a bada il suo senso di colpa per la sofferenza altrui con la sua etica (per esempio è anche
sempre pronto a giustificare il male fatto dagli altri, è o vuole apparire una "brava persona").
Spesso sente come colpa (e quindi tende a rifiutarle) anche le condizioni facilitanti, soprattutto la
ricchezza. L'idealista ha elaborato tutta una serie di teorie più o meno articolate per dimostrare a sé
stesso (prima che agli altri) che la sofferenza che avverte nel mondo non è colpa sua. Ha elaborato
una sua morale le cui basi sono circa queste:

Ovviamente è impossibile non creare nessuna sofferenza nell'ambiente che ci circonda. Si tratta di
avere un atteggiamento equilibrato bilanciando la sofferenza che inevitabilmente si crea con le
necessità (fisiche e psicologiche) legate al vivere. L'etica consiste nell'arte di avere un modello di
vita che provochi la minore sofferenza all'ambiente che ci circonda massimizzando al tempo stesso
la felicità personale.

Questa base di partenza può essere condivisa da tutti, ma... non serve a nulla. Leggiamo
attentamente la definizione e scopriremo che ognuno può interpretarla a suo modo. Immaginiamo
tutto graficamente, una linea (segmento dell'egoismo) ai cui capi stanno la sofferenza
dell'ambiente esterno (pensiamo a una persona che mi ama e che io respingo oppure a una persona
che licenzio, che boccio a un esame, che non assumo ecc.) e la mia felicità. Il principio
sopraesposto non vuol dire altro che decidere di porsi in un certo punto (punto Z) della linea, verso
destra o verso sinistra, ma dove situarsi questo il principio non lo dice e ognuno lo interpreta in
base alla propria sensibilità. Così c'è chi è sensibile alla sofferenza dei bambini che muoiono di fame
e poi vive comunque ben al di sopra della soglia della povertà oppure chi è contro la caccia e
magari non è nemmeno vegetariano. Il patosensibile è tale perché in questo suo posizionamento
tiene in eccessivo conto la sofferenza dell'ambiente esterno, ma in sostanza è un falso santo perché
non avverte l'ipocrisia di un punto Z puramente soggettivo, scelto in funzione della qualità della
vita, sua e dei suoi cari. Magari è disposto a rinunciare a molte più cose della media della
popolazione, ma se ne tiene ben strette altre, insomma non è certo un novello San Francesco!
Per una persona equilibrata il posizionamento è dato dalla sua qualità della vita, cioè dalla
massimizzazione della propria felicità; è la società con le leggi che impedisce che questi
posizionamenti egoistici possano degenerare in conflitti fra individui: essere criminali e rapinare una
banca per arricchirsi, al di là di ogni considerazione etica, non ha semplicemente senso perché "non
conviene". Purtroppo il patosensibile è invece convinto che ogni sofferenza inflitta (quindi anche
quelle legali, magari involontarie o nella necessità delle cose) si ritorca a mo' di boomerang
attraverso una rete di interconnessioni profonde e invisibili. Anche in questa convinzione è evidente
la priorità data alla sofferenza anziché alla felicità personale e non comprende la vera soluzione.
Infatti l'idealista trova la teoria dei tre mondi egoistica perché ritiene assurdo non provare nulla per
chi è nel mondo neutro, non riesce a comprendere come ci possano essere persone così insensibili
da non sentire quel macigno della sofferenza del mondo che lui, più o meno inconsciamente, sente
sopra di sé. Non comprende che se ognuno amasse veramente il proprio mondo dell'amore, poiché i
mondi dell'amore dei singoli individui sono fra loro disgiunti, l'onda d'amore si allargherebbe a tutto
il mondo con un effetto positivamente devastante.

Le due tipologie - Gli idealisti sono spesso associati alle personalità degli irrazionali, dei mistici o
dei romantici: sono soggetti che non sanno elaborare le priorità e vengono dominati dalla necessità
di combattere sempre, comunque e dovunque il male, la sofferenza e il dolore. L'idealista può
essere teorico o pratico.
L'idealista teorico è colui che "a parole" ama tutto il mondo, ma in pratica non fa granché per
aiutarlo. Poiché l'amore si dimostra con le azioni, è una versione nobile del patosensibile ipocrita.
Sicuramente è persona gentile, ogni tanto dà l'elemosina a una persona che soffre, porta i suoi
vestiti vecchi ai poveri, partecipa a un incontro sulla pace, magari adotta un bambino a distanza. Il
suo impegno economico è minimo rispetto alle sue possibilità (è un teorico anche il mecenate che
dà la millesima parte di ciò che guadagna in un anno in beneficienza) e pure quello in termini di
tempo. La sua azione non è più risolutiva di chi si promuove per favorire la solidarietà come
sentimento sociale (che senso ha dare spontaneamente l'1% del proprio reddito? non è più giusto
battersi perché per solidarietà sociale tutti lo facciano?), ma lui si sente "migliore".
Il pratico è invece colui che quotidianamente fa qualcosa per il mondo neutro (esempio classico

http://www.albanesi.it/Mente/patosensibile.htm 20/06/2009
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madre Teresa di Calcutta), per esempio il medico che si sottopone a massacranti turni di lavoro,
ben più di quello che gli è richiesto dal livello standard della sua professione. In questo secondo
caso siamo di fronte a sindromi del missionario, cioè a persone che non hanno un proprio mondo
dell'amore (e trasformano il mondo neutro nel proprio mondo dell'amore, ma non si può certo
pretendere che tutti lo facciano) oppure trascurano il proprio mondo dell'amore a favore di quello
neutro.

L'ipocrita
Il patosensibile ipocrita è la versione moralmente discutibile del patosensibile idealista, tanto che in
alcuni casi può esserne una degenerazione (pensiamo agli idealisti che sono pronti ad aiutare i
bisognosi e poi si scannano nelle riunioni di condominio con il vicino che fa questo o quello).
Gli ipocriti in genere sono associati alle altre personalità, deboli, sopravviventi, insufficienti,
semplicistici in primis. Il meccanismo è semplice, quello che è richiamato dal noto detto mal
comune, mezzo gaudio. Il soggetto è patosensibile perché si immagina nella stessa condizione di
chi è oggetto della sofferenza. Il debole per esempio avrà una patosensibilità esagerata per bambini
e per anziani o più modernamente per gli animali: pensiamo al mendicante che per raccattare
qualche soldo in più si "dota" di cagnolino strappalacrime; il mio springer ha occhi talmente cadenti
che gli danno un'espressione tristissima anche quando è felicissimo: con lui penso che riuscirei a
ricavare interessanti redditi esentasse. I paurosi invece hanno una patosensibilità esagerata a causa
della loro paura del dolore: la morte, le catastrofi ecc. sono ciò che fa scattare la patosensibilità.
Non per un reale interessamento al soggetto che subisce il dolore (altrimenti sarebbero patosensibili
idealisti), ma per l'inconscia domanda: "e se ci fossi stato io al suo posto?".
Il patosensibile ipocrita spesso elimina vigliaccamente la vista del dolore (perché così può
continuare a credere che la sua occasionale commozione di fronte a una vicenda triste che non può
eliminare sia alta sensibilità d'animo), lo fugge. Non tollera il sangue, la morte, gli dà
immensamente fastidio sentire parlare di un funerale o di una malattia incurabile. I media questo lo
sanno benissimo e per catturare questa parte della popolazione costruiscono storie che strappano
lacrime perché ormai dalla televisione e dai giornali non si può sfuggire. Così facendo però, ipocrita
diventa l'informazione che discrimina il dolore in dolore vendibile (quello che fa più audience) e
dolore non vendibile. La retorica serve poi per foraggiare la patosensibilità degli ascoltatori. Vi siete
mai chiesti perché nell'elenco dei morti si differenzia spesso il numero dei bambini (e delle donne)?
Perché sembrano più indifesi e colpiscono maggiormente il patosensibile. Sono "innocenti". Perché
forse un ragazzo di 18 anni che è rimasto vittima di una bomba mentre andava a trovare la sua
ragazza non era innocente? Si dice: "hanno una vita davanti". Forse che un uomo adulto di 25 anni
non ce l'ha?
Alcuni patosensibili ipocriti sono tali anche nel bene: paesi interi che brindano perché uno
sconosciuto (magari il riccone del paese) ha vinto al Superenalotto. Ma perché si deve brindare?
Donne in lacrime quando vedono uscire una sposa da una chiesa. Ma perché si deve piangere di
commozione? Magari si sono sposati perché lei è incinta, lui ha già l'amante e fra due anni
divorzieranno…

Qualità della vita


Gli idealisti vivono bene o male a seconda del loro carattere: gli ottimisti profondono infinite
energie nella lotta al male e questo li appaga; i pessimisti vedono la loro vita avvelenata dal fatto
che il male continua a esserci, nonostante i loro sforzi. Gli idealisti possono avere un mondo
dell'amore molto vuoto; è questa situazione che li spinge verso il mondo dell'indifferenza, invece di
cercare di riempire il proprio mondo dell'amore con affetti profondi e stabili.
Da una mail di un patosensibile idealista:

Per dirti, ieri ho compiuto 17 anni e nessuno s'è degnato (nonostante di amici ne abbia e
nonostante le carinerie con cui vengono trattati) di venirmi a trovare. Questo tuo discorso cade per
l'egoismo che c'è nelle persone, nella volontà di risolvere la propria vita e i propri casini.

Capito? Lui pensa agli altri perché vorrebbe che qualcuno pensasse a lui.
Sicuramente chi scrive è una persona gentile e a modo, ma non riesce a capire che un sorriso in
seguito a una gentilezza non è poi granché, è di circostanza. Le vere amicizie non si costruiscono

http://www.albanesi.it/Mente/patosensibile.htm 20/06/2009
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sulle carinerie, ma su situazioni in cui abbiamo dato veramente una mano a qualcuno, gli abbiamo
"risolto" un pezzo della sua vita. Il patosensibile idealista che è schifato dall'egoismo che è nel
mondo dovrebbe riflettere: vede egoismo e menefreghismo dappertutto; ma se gli uomini sono
così "cattivi", che senso ha salvarne? È proprio certo che quelli che salverà gliene saranno grati e
riceverà quell'amore che cerca? Oppure, come gli altri, non faranno altro che usare la loro forza
ritrovata per scannarsi a vicenda? In realtà le cose non sono così buie, stanno a metà strada tra
l'egoismo e l'utopia del patosensibile.
La qualità della vita degli ipocriti è determinata dai loro rimanenti pregi/difetti. La patosensibilità è
una bomba che può esplodere a seconda delle vicende personali.
Del resto pensiamo a come popoli diversi affrontano il rito della morte. Ricordiamo le preficae
romane, donne pagate perché ai funerali piangessero, si strappassero i capelli e gli abiti,
simulassero insomma dolore. Ancora oggi, da noi esiste l'assurda equazione che si soffre quanto più
si piange. Presso altri popoli, il funerale è addirittura una cerimonia con cibo e musica.
Pensiamo a come si affronta tradizionalmente una malattia incurabile. E pensiamo come la affronta
un medico come Patch Adams. Chi ha visto il film, sa che il sorriso, e non la disperazione, dà forza e
dignità.

Il superamento
Il patosensibile spesso non fa che mettere delle pezze al dolore. Essere distaccati dal dolore non
significa non agire, significa semplicemente avere la forza di rimanere lucidi e operare al meglio.
Quindi

azione, non disperazione.


E l'azione non può essere caoticamente individuale. Come non ci si può sostituire alla polizia per far
trionfare la giustizia, così non ci si può sostituire alle istituzioni per far trionfare la solidarietà. Può
sembrare assurdo avere fiducia nelle istituzioni, come duecento anni fa poteva sembrare assurdo
averlo nella legge. Ma la civiltà non fa nessun passo avanti se non ci si impegna a far funzionare
meglio i governi anche dal punto di vista della solidarietà. Personalmente penso che non abbia
senso un'azione che non sia politica: chi vuole risolvere problemi come la fame nel mondo, la
povertà, l'emarginazione, deve fare pressione sulle istituzioni perché questi problemi siano
affrontati alla radice, perché i paesi ricchi aiutino quelli poveri, perché cultura e progresso arrivino a
tutti: del resto in un regime democratico il voto è lo strumento migliore per eleggere chi promuove
interessi che ci stanno a cuore. Azioni individuali come adozioni a distanza (con una cifra che spesso
non è che un centesimo di quello che si spende in lussuosi vestiti) o euro inviati con SMS in
occasioni di catastrofi varie non sono che un modo di tacitare la propria coscienza "perché non si ha
tempo" di fare di più.

Egoismo e patosensibilità
Qual è la differenza fra l'egoismo e il non essere patosensibili? Il fatto che l'egoista ha un mondo
dell'amore vuoto, non ama nessuno al di fuori di sé o, al più, usa pochissima bontà nel suo mondo
dell'amore. L'equilibrato invece ha un mondo dell'amore ricco, contenente diverse persone cui
dimostra il suo amore con le sue azioni. Come vedete non esistono solo due livelli, egoismo e
altruismo, ma ne esistono tre: egoismo, equilibrio, patosensibilità.

La vera soluzione
San Francesco e Madre Teresa di Calcutta sono spesso
citati come esempi ideali cui l'uomo dovrebbe tendere.
Ma chi vorrebbe una vita come la loro? Certo è facile
avere degli alibi ("ho famiglia, come faccio a
spogliarmi di tutto?"; alibi che curiosamente tirano
sempre in ballo il proprio mondo dell'amore e un
posizionamento puramente soggettivo sul segmento
dell'egoismo), ma, anche se si rimuovessero gli alibi,
pochissimi farebbero cambio. E allora perché non dirlo
chiaramente che quelli non sono affatto esempi da

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imitare?
Molto probabilmente perché la patosensibilità vuole una soluzione e, non riuscendo a trovarla, si rifà
sempre ai vecchi condizionamenti.
In realtà la soluzione esiste e si chiama ola (onda) dell'amore. La prima volta uso il termine
spagnolo perché rispetto a quello italiano rende meglio (fare la ola) il propagarsi dell'effetto.
Supponiamo che ognuno di noi definisca il proprio mondo dell'amore, cioè le persone che migliorano
la qualità della sua vita. Il mondo di Tizio è in parte sovrapponibile al mondo di Caio, ma, messi
assieme fanno un mondo più grande, spesso molto più grande.
Immaginiamo ora che l'operazione si estenda come una grande onda a tutti gli uomini. Cosa
accadrà? Che ognuno di noi, a meno di non essere il peggior criminale o una persona
assolutamente impossibile, sarà compreso nell'insieme globale.
Se tutti si adoperassero a far vivere bene chi è nel proprio mondo dell'amore, ecco che tutto il
mondo vivrebbe meglio.
Il nostro scopo non è quindi di fare generici propositi di bontà e di santità e di amare (a parole)
tutto il mondo, ma è quello di amare al meglio il nostro mondo dell'amore e di farci amare. Se tutti
realizzassero questo scopo, l'onda dell'amore travolgerebbe il mondo.
Il vero (vero perché concreto, fattibile, non penalizzante) altruismo passa attraverso quattro stadi,
gli ultimi tre dei quali rappresentano la bontà:

 avere un mondo dell'odio vuoto;


 costruire il nostro mondo dell'amore;
 gestirlo al meglio, dando amore a chi vi appartiene;
 insegnare gli altri come implementare i primi due stadi.

Chi li ha percorsi capisce che:

aspirare alla santità è insulso, essere buone persone è il massimo dell'umanità.

L'utopia – La differenza fra l'onda dell'amore e la soluzione del patosensibile idealista è


sostanzialmente nella concretezza. Anche il patosensibile può sostenere che la soluzione dell'onda è
utopistica, ma nessuno può mettere in dubbio che lo è molto meno che pretendere che tutti si
vogliano bene, che i cattivi e le sofferenze non esistano più. La sostanziale differenza è che al
patosensibile idealista interessa intimamente solo una società ben fatta, senza ingiustizie, perfetta;
a chi è concreto interessa soprattutto migliorare la società attuale, un obbiettivo realistico, non
utopistico.
La morale - A molti idealisti non piace anteporre la concretezza alla morale, non piace che il Well-
being condanni la violenza perché non conviene; la morale non viene condannata, viene solo
ritenuta strumento inadatto a cambiare velocemente la società; il Well-being ha una sua definizione
della morale e invita ogni uomo a riflettere e a rispettare la sua morale.
Si dovrebbe considerare che le guerre nel mondo sono diminuite non solo per il progredire della
civiltà, ma anche e soprattutto perché l'uomo ha capito che non conviene essere violento. Non a
caso l'idealista cita la povertà fra i motivi facilitanti i conflitti; nel suo tentativo di rimuoverla non fa
altro che perorare il fatto che, una volta rimossa, non conviene più essere violenti; nessun idealista
sosterrebbe che rimuove la povertà perché ciò migliora moralmente il povero!
Confrontiamo i risultati del patosensibile con chi è concreto, supponendo di avere di fronte a noi un
criminale. Se ci si mette a parlare di etica, del fatto che siamo tutti uguali, che i deboli vanno
rispettati ecc. quello ci ride in faccia, non penso proprio che si possa essere così illusi da poterlo
convincere. Supponiamo invece che gli si dimostri che ha 9 probabilità su 10 di finire in galera o
ammazzato. Secondo me una certa percentuale di criminali ci penserebbe su. In questo senso la
società diventerebbe non perfetta, ma migliore.
La solidarietà - Tutti dovremmo trovare intollerabile la sofferenza altrui; è possibile farlo senza
diventare patosensibili? Sì. Per evitare di diventare un idealista pratico (e distruggere la mia vita) e
per evitare l'ipocrisia dell'idealista teorico ho proposto la solidarietà come sentimento sociale. Non
vedo altre soluzioni intelligenti. Io e tante altre persone abbiamo un mondo dell'amore ricco, perché
dovrei trascurarlo per dare ogni giorno (se lo faccio saltuariamente divento un teorico piuttosto
ipocrita) spontaneamente (cioè al di fuori della mia professione) qualcosa di tangibile al mondo
neutro?

http://www.albanesi.it/Mente/patosensibile.htm 20/06/2009
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I COMMENTI E LE MAIL
La cecità del patosensibile idealista

Diciamo che mi ritrovo abbastanza nella definizione del "patosensibile idealista", anche se non
riesco a vedere la connessione con la definizione generale di patosensibile.

Leggi la definizione: il patosensibile è colui che "soffre con l'altro", spesso pur "non conoscendolo"
minimamente". Mi fai notare che "una persona nel 1994 poteva starsene felice con la sua ragazza e
intanto in Ruanda veniva ucciso un milione di persone" oppure che "la sofferenza del mondo non è
colpa mia, ma penso che in un certo senso tutti noi siamo colpevoli, nel senso che portiamo in noi il
germe del male". Non basta?

So bene che dovremmo mettere in discussione molte cose che coinvolgono la nostra stessa vita (ad
esempio nei paesi africani dove ci sono le guerre si estraggono i minerali per costruire i nostri
telefonini), ma mi domando se sia migliore una posizione che ignora questi problemi. Per esempio
tu dici: "essere criminali e rapinare una banca per arricchirsi, al di là di ogni considerazione etica,
non ha semplicemente senso perché "non conviene"." Ecco, in certi paesi essere criminali conviene,
allora che dice in questi casi la tua teoria? A Stalin per esempio è "convenuto" fare i gulag, dato che
è morto contento di morte naturale essendo a capo di una superpotenza.

Non si tratta affatto di ignorarli, si tratta di darne una soluzione razionale. La gestione di problemi
internazionali (sicurezza, solidarietà ecc.) non è un problema che compete al singolo, è un problema
sociale che deve essere risolto dalle istituzioni. Nel caso della giustizia, chi pretende di intervenire
direttamente nella gestione senza lasciarla alla polizia e alla magistratura non è che un giustiziere
della notte; così nella gestione della sofferenza universale chi si sente incaricato di "fare qualcosa"
agisce da giustiziere. Più razionale è:
1) affidare la propria "delega" a politici capaci (se si pensa che non ce ne siano, anziché fare il
giustiziere sociale si scenda in politica e si entri nella stanza dei bottoni!) che possono operare
molto meglio del singolo;
2) occuparsi del proprio mondo dell'amore.
Inoltre essere criminali non conviene mai, anche in Paesi non democratici perché non è il massimo
doversi guardare sempre le spalle da chi ci odia. La frase su Stalin indica che tu sei pesantemente
condizionato dal potere e che lo reputi una condizione sufficiente per essere felice. Cosa che non è.
Un capo di Stato che teme in ogni istante di essere avvelenato, di essere rovesciato, di essere
ammazzato come può essere "contento"?

Poi ho qualche dubbio su "non avverte l'ipocrisia di un punto Z puramente soggettivo". "Magari è
disposto a rinunciare a molte più cose della media della popolazione, ma se ne tiene ben strette
altre, insomma non è certo un novello San Francesco!" Questo vuol dire che l'unico modo di essere
coerenti se si vuole eliminare la sofferenza nella terra è di rinunciare a tutto?
Per essere coerenti, sì. Tu mi sensibilizzi sui milioni di morti per le guerre o per la fame e mi chiami
egoista se io ti dico che non soffro più di tanto; però poi non ti accorgi che nella tua vita ci sono
molti momenti in cui ti diverti, magari a cena con la tua famiglia o i tuoi amici; ci sono momenti in
cui ti compri cose che migliorano la tua vita, ma che certo non sono indispensabili. Momenti in cui
ridi proprio mentre milioni di persone muoiono di fame o per guerre. Certo, puoi fare molti distinguo
e molte eccezioni per spiegare quei tuoi momenti di gioia (Eh che? Uno non può certo soffrire per
sempre!), ma in quei momenti tu rimuovi quelle tragedie esattamente come faccio io per tutto il
tempo. Solo che io ho il coraggio di dirlo e non voglio sembrare migliore (secondo parametri
buonisti) di quello che sono.

Anzi io potrei rigirare il discorso dell'onda dell'amore, e ribaltare la tua frase: "se è giusto soffrire
ogni volta che si vede dolore, allora la nostra vita è dolore e la felicità è impossibile."
Certo potresti e dovresti farlo secondo la tua concezione. Poiché io invece ritengo che la felicità sia
possibile e che la vita non sia dolore, ecco che "non" è giusto soffrire ogni volta che si vede dolore".
Confronta la soluzione del patosensibile che tu proponi con la mia dell'onda dell'amore:

http://www.albanesi.it/Mente/patosensibile.htm 20/06/2009
I patosensibili Pagina 7 di 11

Soluzione del patosensibile: se tutti noi ci rifiutassimo di pensare ai nostri fatti privati e rifiutassimo
di essere felici finché non si sconfiggano la fame nel mondo e le guerre, queste ultime
scomparirebbero molto presto.
Le ipotesi sono irrealistiche (se tutti…) quindi alla fine il tuo impegno in cosa si traduce, visto che,
mi sembra, non credi in un premio ultraterreno? Nello sprecare la tua vita! Sì perché se il tuo sogno
(qui c'è anche un che di romantico) non va in porto, per tua stessa decisione avrai rifiutato di
essere felice per tutta la tua vita. No, grazie!

Lo tsunami

Fino a quando durerà l'ondata di commozione generata


dalla tragedia dello tsunami? Ermes.

Ho aspettato a rispondere a questa mail perché volevo


avere dati certi. Per esempio, ieri 22 gennaio,
nemmeno un mese dopo l'evento, sul maggiore
quotidiano italiano, il Corriere della Sera, nessuna
pagina, nessuna riga!!! Tanti articoli frivoli (rispetto
alla tragedia), ma nessuna storia, nessun
aggiornamento. Possibile che il dolore laggiù sia
cessato? O, non vedendolo, i patosensibili (per
sopravvivere si sono stufati di piangere e pensano a
qualcosa di più leggero) si illudono che tutto sia tornato come prima?
Forse va meglio in televisione? Telegiornale serale su RAI 1 del 23 gennaio: parole sull'Asia: zero!
Si noti che non ho scelto due casi favorevoli, ma i primi due che ho analizzato.
Il patosensibile (quello ipocrita che rappresenta sicuramente la maggioranza dell'insieme) è molto
"sensibile", ma si stanca presto del dolore e ha bisogno di nuove storie. Così la tragica morte di un
militare italiano rimpiazza le milioni di sofferenze che ancora ci sono in Asia...

Pistorius

Oscar Pistorius è assurto agli onori della cronaca per le sue


imprese sportive. È nato senza peroni e ha subito a 11 anni
l'amputazione degli arti. Dopo aver praticato la pallanuoto e il
rugby, ora pratica la corsa. Corre i 100 m in 10"91 e i 400 m in
46"56.
I media hanno raccontato la sua storia, ha scritto un libro e non ha
partecipato alle olimpiadi semplicemente perché non ha conseguito
il minimo. Alcuni atleti hanno espresso più di un dubbio sul fatto
che Pistorius possa gareggiare con gli atleti normali e il fatto che i
suoi tempi erano leggermente superiori al minimo ha evitato
lì'apertura di un caso.
Francamente chi usa il cervello non può accettare che Pistorius
gareggi con gli atleti normali. Solo la patosensibilità di chi vede
nella vicenda umana una sofferenza che lo stesso interessato nega
(in fondo, secondo lui, non è normale?) può emozionarsi per un
atleta che usa comunque protesi che lo avvantaggiano nettamente,
trasformandolo da disabile in super-abile, o meglio insuperabile. Se
lui può usarle in virtù della sua condizione (che influenzino il
rendimento è evidenziato dal fatto che nessun umano che corre i
100 m in 10"91 riuscirebbe a scendere sotto i 47" nei 400 m),
perché ogni atleta mediocre, che però ha sempre sognato le
Olimpiadi, non può usare delle molle? Che dire di un portatore di
handicap che, anziché correre una maratona in carrozzella nella
categoria a lui designata, pretendesse di correrla insieme a Baldini,
arrivando nettamente primo, con onori, gloria e soldi?
Supponiamo che esista una pastiglietta che mi permetta di

http://www.albanesi.it/Mente/patosensibile.htm 20/06/2009
I patosensibili Pagina 8 di 11

allenarmi senza temere infortuni; sicuramente, se la prendessi,


sarei da tutti ritenuto avvantaggiato. Ciò praticamente è analogo al fatto che Pistorius può allenarsi
senza temere nessun infortunio cronico, proprio quelli che spesso pongono fine alla carriera di molti
atleti e che obbligano altri a limitare quantità e qualità degli allenamenti.
Questo commento può sembrare molto duro, ma non lo è per chi crede che la verità non faccia mai
male. Negare sé stessi - e vedersi diversi da quello che si è - è il miglior modo per non capire il
mondo: questo vale per chi si crede una cima e invece è un somaro o per chi si crede sano e invece
è ormai prossimo all'infarto a causa di una vita dissoluta; vale anche per un disabile che dice di sé:
"No, non sono un disabile, sono solo un uomo senza gambe".

Distaccati dal dolore

Caro Roberto,
ho letto con interesse le tue risposte alla vicenda delle due Simone; per quanto io possa essere
d'accordo sulle tue conclusioni sulla loro psicologia, non lo sono completamente con le tue critiche
verso i "patosensibili". In particolare mi sono rimaste impresse queste tue frasi: "se le avessero
sgozzate o uccise nel più barbaro modo, avrei preso atto della situazione, avrei assimilato
l'informazione ma senza emozione", "se gioissi o fossi triste per qualcosa che accade a persone che
nemmeno conosco, sarebbe la fine".
Il messaggio che percepisco leggendo i tuoi pensieri è quello di promuovere una totale autonomia e
distacco dell'uomo verso i dolori di chi non gli è vicino, escludendo sentimenti quali compassione e
empatia verso "gli estranei". Io trovo che con il tuo messaggio rischi di diffondere cinismo e totale
indifferenza verso i rapporti sociali, mentre, visti i tempi che corrono, penso che sarebbe meglio un
po' più di interesse verso la solidarietà e cooperazione verso gli altri per evitare l'ulteriore
isolamento delle persone, la spietata concorrenza, il logoramento progressivo del tessuto sociale e
della collettività.
Ti racconto un episodio capitato a una mia amica questa estate a Bologna e colgo l'occasione per
chiederti cosa ne pensi. Lei stava scendendo dei gradini verso la strada, è scivolata e sbattendo
violentemente contro il marciapiede, ha iniziato a sanguinare dalla testa e da un braccio. È capitato
in una strada trafficata e, chiedendo aiuto con vari cenni e urla, ha visto tirare dritto più di un
centinaio di macchine senza che nessuna di queste si fermasse. Dopo ben 10 minuti (era agosto)
finalmente un passante le è corso in aiuto; al pronto soccorso ha poi scoperto di essersi rotta
l'omero ed alcune costole. Che ne pensi di chi ha "tirato dritto", non li biasimi solo perché non
avevano nulla a che fare con quella poveretta? Se un dolore altrui non ci coinvolge emotivamente,
non dovremmo cercare di stare un po' più attenti cercando di ascoltarlo? Penso che ne avremmo da
guadagnare tutti.
Quello che consigli è di posporre razionalmente il sentimento alla ragione, sempre e comunque
quando hai gli elementi per farlo; non pensi che sia meglio considerare un equilibrio tra mente e
cuore piuttosto che limitare con la ragione quest'ultimo?
Mi piacerebbe avere un tuo commento su questi argomenti, ma soprattutto sapere se ho male
interpretato le tue conclusioni. Ciao, Piero.

Essere distaccati dal dolore non significa non agire, significa semplicemente avere la forza di
rimanere indifferenti perché chi è colpito dal dolore è come dici "un estraneo". Se hai letto Hard
People, sai che definisco tre mondi: quello dell'odio (sperabilmente vuoto), quello dell'amore
(sperabilmente ricco di persone a noi vicine) e quello dell'indifferenza (che con parole tue
potremmo definire "degli estranei"). Verso questo mondo non si può essere coinvolti emotivamente,
ma ti ripeto nulla vieta di agire. Il patosensibile è colui che "soffre con l'altro". Scusami, ma non
vedo il motivo di questa sofferenza. Anzi, come ho spiegato, se è giusto soffrire ogni volta che
si vede dolore, allora la nostra vita è dolore e la felicità è impossibile. Mi sembra banale.
L'esempio che porti è illuminante. Le persone che non si sono fermate sono semplicemente egoiste.
Mi è già capitato di trovarmi in situazioni simili e ho soccorso diverse persone. Non ho perso un
attimo, ho tranquillizzato la persona e ho chiamato l'ambulanza. Tutto questo senza lasciarmi
coinvolgere emotivamente. È così difficile da capire? Agire non è sentire. La compassione e
l'empatia verso gli "estranei" a mio avviso definiscono il patosensibile che fra l'altro annega nel suo
dolore, spesso senza essere minimamente d'aiuto (continuando l'esempio, magari il patosensibile
sviene alla vista del sangue della persona). Compassione ed empatia non sono necessarie per
risolvere la situazione e dal mio punto di vista contano solo le azioni.

http://www.albanesi.it/Mente/patosensibile.htm 20/06/2009
I patosensibili Pagina 9 di 11

Tu dici: non pensi che sia meglio considerare un equilibrio tra mente e cuore piuttosto che limitare
con la ragione quest'ultimo?
L'equilibrio fra mente e cuore non esiste per il semplice fatto che se chiedo a chi lo perora di
spiegarmi come si fa a crearlo non sa che pesci pigliare. In realtà significa solo "giustificare" certi
atteggiamenti emozionali; in altri termini, un po' di sentimento non guasta. Una visione molto poco
precisa della realtà perché non si hanno elementi per usare correttamente ora il cuore ora la
ragione. Come ho già spiegato, la ragione limita il cuore solo per evitargli errori madornali, che
avvelenano la vita. Poi c'è massima libertà di sentire.
Uso il tuo esempio per spiegarmi meglio. Supponiamo che la tua amica, anziché rompersi l'omero,
fosse stata colta da shock anafilattico per una rara allergia. Stramazza al suolo perché la gola si è
ingrossata e non riesce più a respirare. Passo di lì, vedo che nessuno si ferma. La mia cultura
medica è tale che capisco la situazione; valuto che posso chiamare l'ambulanza (5% di probabilità
di sopravvivenza, arriverà troppo tardi) oppure posso praticare una tracheotomia con un temperino
che ho in tasca. Non l'ho mai fatto, non sono medico, ma è abbastanza semplice, diciamo che le
possibilità di salvezza salgono al 40%. Se la persona appartiene al mio mondo dell'indifferenza
chiamo l'ambulanza (in caso l'operazione non riuscisse, andrei infatti incontro a guai a non finire:
ecco che uso la ragione per evitare un errore madornale), se appartenesse al mio mondo dell'amore
rischierei, costi quel che costi (il perdere la persona che amo è immensamente più grave rispetto ai
guai che rischio).
Ti chiederai come sia possibile essere sempre così razionali. I problemi della vita nascono dal non
trattare razionalmente proprio i dettagli. Dal lasciarsi condurre una volta dal cuore e uno dalla
ragione, così a caso o come tira il vento.

Se sei triste 24 ore al giorno

La mail seguente vuole mostrare come capire fino in


fondo le implicazioni del Well-being non sia
immediato e che molto spesso chi legge le pagine
del sito le legge in parte "solo per darsi
ragione", senza verificarle spietatamente con la
propria situazione. Sono sicuro che Isa condanna la
patosensibilità verso le persone, ma, come si suol
dire è caduta dalla padella alla brace.

Oggi sul giornale ho letto di una strega di 60 anni che


ha quasi ucciso il suo cane a badilate perché aveva un
tumore e poi l'ha seppellito ancora vivo finché una
ragazza non l'ha salvato e ha denunciato la vecchia
megera. Mamma mia, quando sento queste notizie mi
viene uno sconforto perché mi rendo conto che il
mondo non potrà mai migliorare... i mostri esistono
ed esisteranno sempre, ma io soffro perché nel mio cuore sento che sarebbe meglio se non
esistessero e non mi do pace se la società li lascia a piede libero, così continuano a fare del male
indisturbati. Isa.

La patosensibilità non è mai corretta. Il tuo dolore per ciò che capita ai cani in generale è
patosensibilità: a te capita con i cani, ad altri, molto frequentemente, capita con gli esseri umani.
Pensa a tutti quegli esseri umani che soffrono nel mondo, non per colpa loro, ma per colpa di altri.
E allora che facciamo?
a) Siamo tristi 24 ore al giorno.
b) Ignoriamo gli uomini con la scusa che sono stupidi, ma poi ci ributtiamo sugli animali (come fai
tu), dimenticando che asserire che "tutti i cani sono buoni" è equivalente alle affermazioni di chi
sostiene che "ogni uomo è buono, ha un'anima ed è da salvare". Come per gli uomini, ci sono cani
buoni e cani cattivi, cani sensibili e cani insensibili, la mia esperienza mi dice questo. E penso di
essere imparziale, visto che in generale amo moltissimo i cani. A molti sembrano tutti buoni come
agli occhi di molti tutti i bambini sembrano innocenti (ma si dimenticano che molti di quei bambini,
la stragrande maggioranza purtroppo, per loro scelta, diventeranno adulti di scarso spessore).
c) Non so se hai letto Hard People e conosci i tre mondi (amore, neutro, odio). Non si può amare

http://www.albanesi.it/Mente/patosensibile.htm 20/06/2009
I patosensibili Pagina 10 di 11

tutto il mondo, per cui cerco di amare al meglio chi è nel mio mondo dell'amore. Chi ne è al di fuori
è come se fosse in un altro mondo. In questi giorni mi ha suonato alla porta uno che voleva parlare
delle cose scioccanti che accadono nel mondo. L'ho liquidato gentilmente dicendo semplicemente
che io non sono affatto scioccato. Mi informo, conosco, ma è saggio capire che l'aspettativa di un
mondo senza dolore, morte, cattiveria ecc. è assurda. è la stessa aspettativa di chi compra un
biglietto della lotteria e pretende di vincere perché quei soldi gli servono proprio, perché avrebbe
diritto a una vita migliore per la sua famiglia ecc.
In fondo la nostra vita ha senso anche perché il mondo non è perfetto. Sul fatto che non migliori
non è vero perché se guardi come si viveva 100, 200, 1.000 anni fa il cambiamento in meglio è
evidente. A me basta partecipare a un mondo che migliora lentissimamente e fare in modo che il
"mio" mondo dell'amore sia bello, magari contribuendo a migliorare quello neutro parlando con la
gente, convincendo uno su mille, diffondendo principi moderni. Quello che scrivi (...sarebbe meglio
se non esistessero e non mi do pace se la società li lascia a piede libero, così continuano a fare del
male indisturbati...) sa troppo di "giustiziere della notte", un concetto violento che non fa certo
andare avanti la società. Premesso che molti resoconti giornalistici sono ritoccati (per esempio
quello del cane malato di tumore che andava a trovare in ospedale il padrone ammalato pure lui
di tumore e che poi sarebbe morto il giorno stesso della morte del padrone, storia strappalacrime
smascherata mesi dopo come una grande panzana) e che per giudicare occorre conoscere i fatti,
evitando di mettere tutto il bene da un parte e il male dall'altra (come nella vicenda della rumena
assassina), bisogna ricordare che esistono le leggi; compito della società è di farle rispettare (giusta
la denuncia della ragazza, ma pensa se le avesse sparato, passando automaticamente dalla parte
del torto!) e applicare. Se si ritiene che le leggi siano troppo blande, ci si deve dar da fare per
cambiarle, non pretendere che sia applicata la "nostra" legge.

Cani di razza?

Dopo 3 anni di casa mia è giunto il momento di prendermi un cane, il cane che ho sempre sognato,
il jack russell.
Quello che più mi sconcerta e un po' mi butta giù è la faccia e le parole di amici e conoscenti
quando sentono che voglio un cane di razza dicono "eh....ma con tutti i cani abbandonati che ci
sono al canile, tu al solito fai il figo e ti prendi il cane di razza...".
Non hanno tutti i torti in effetti, ma in tutti questi anni io e i miei abbiamo recuperato non so quanti
cani dalla strada e dal canile. Ora non voglio con questo mettere a tacere la mia coscienza, ma
ammetto che quando gli amici dicono questo un po' mi fermo a pensare.
Che fare ??

Scegliere un cane di razza (o al canile, ma dopo lunga osservazione*, non il primo che capita solo
perché è buffo o fa pena) probabilisticamente vuol dire avere certi comportamenti, interazioni di un
certo tipo con l'uomo ecc. Se io e il cane dobbiamo legare, è ovvio che si deve scegliere un cane
"simile" a noi e al nostro modo di vivere (infatti un violento sceglie spesso un cane di una razza
socialmente pericolosa) perché ciò aumenta la probabilità che sia "favoloso".

* si deve cioè verificare il carattere del cane, i suoi pregi e i suoi difetti. Altro dato fondamentale è
l'età: Personalmente se scelgo un cane voglio che viva al più a lungo possibile con me, quindi non
sceglierei mai un cane adulto o di una razza (come i boxer) a vita media breve.

Fox hunting in Rovigo, spammers in Kaluga

Vista la loro incoerenza direi genetica, gli


animalisti sono bersaglio piuttosto facile.
Il fatto - La provincia di Rovigo ha
autorizzato la caccia alle volpi a tutela della
fauna selvatica.
Concordo con il provvedimento, visto che
questi animali si stanno diffondendo nella
pianura padana con un tasso esponenziale e
sono tornati a fare razzia di pollai oltre che di

http://www.albanesi.it/Mente/patosensibile.htm 20/06/2009
I patosensibili Pagina 11 di 11

fauna selvatica: un mio amico si era


comprato due bellissime oche canadesi per il suo laghetto e una mattina non ha trovato che le due
teste e una scia di sangue che si perdeva nei campi.
Scusate la lugubre descrizione alla CSI (Crime Scene Investigation, N.d.R.) ma devo contrastare la
patosensibilità degli animalisti che non hanno trovato di meglio che parlare dei poveri cucciolotti
delle volpi e mostrare foto che sembravano teneri peluche.
Ora una domanda sorge spontanea: perché gli animalisti non si oppongono agli stermini delle
zanzare (ogni comune della pianura padana si occupa del problema) e dei topi? L'unico motivo che
ho trovato (ma francamente risibile) è che le zanzare e i topi fanno schifo mentre le volpi no.
Un aneddoto raccontato da Luciano De Crescenzo: Cinecittà, riprese del film Mamba, gruppo di
attricette impietosite per un tenero coniglietto che deve essere dato in pasto al serpente. Parte la
scena e il coniglietto viene dato in pasto al serpente tra le urla disperate delle ragazze. Colpo di
scena: il coniglietto gli va di traverso e il serpente muore; dalla sua bocca ecco che rispunta il
coniglio. E tutte sono felici e contente. De Crescenzo si chiede: ma il povero serpente non
impietosisce nessuno?
Il bello è che il patosensibile non si accorge dei suoi limiti ed è fiero dei suoi ideali di cartapesta.
Così non solo pensa di vivere in un mondo crudele e insensibile (il che già è un'autoemarginazione),
ma spesso finisce per essere gabbato.
Pensiamo alla bellissima truffa di Valentin Mikhaylin, lo spammer russo che ogni anno dal 1999
invia in Rete migliaia di messaggi disperati, cercando l'aiuto di noi occidentali per non morire di
freddo nella sperduta Kaluga (Russia). Dapprima chiede generi di prima necessità, poi, quando lo si
contatta per sapere come fargli avere il materiale, chiede direttamente soldi tramite Western Union.
Chi si occupa di Internet ha profuso diversi consigli (anche tecnici) per evitare di cadere vittime di
queste truffe. In realtà basta non essere patosensibili: è poi così difficile?

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http://www.albanesi.it/Mente/patosensibile.htm 20/06/2009

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