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IL PRINCIPIO DI NON CONTRADDIZIONE.


LA TEORIA DEI TRASCENDENTALI DI TOMMASO D'AQUINO.

Analizzare la teoria dei trascendentali di Tommaso d'Aquino in un'opera di filosofia della conoscenza potrebbe sembrare ad una prima vista incoerente in quanto siffatta teoria richiama pi o meno direttamente il piano ontologicometafisico piuttosto che quello prettamente epistemologico. E questo senza ombra di dubbio indiscutibile. Ma cos come il principio di non contraddizione, riteniamo che la teoria tomista dei trascendentali sia intimamente legata all'aspetto della gnoseologia generale, e pertanto crediamo sia doveroso mettere in luce i punti cardine che siffatta speculazione filosofica vuole mostrare. Come Aristotele, l'Aquinate sostiene che l'ente il primo noto, ossia la sostanza (prima) che l'intelletto acquisisce originariamente attraverso un atto intenzionale. Per Tommaso l'ente si pone essenzialmente nella condizione di farsi esperire e comprendere dall'intelletto per mezzo dei modi generali del suo proprio essere1. Invero, ogni volta che un soggetto di conoscenza ha cognizione di qualcosa, e quindi di un'entit, una sostanza prima (giacch lo ricordiamo nuovamente sempre l'ente individuale e sostanziale il primo noto), intuisce che codesta prima ancora di mostrarsi come tale all'intelletto, ossia per mezzo della sua natura, della sua quidditas e dei modi speciali del suo essere, si rende conoscibile attraverso i suoi modi generali di essere. Siffatti modi generali di essere, o anche detti transcategorie, sono ci che caratterizzano l'ente al suo livello ontologico prima ancora che al suo livello ontico, quella della sua specifica essenza. Cercando di utilizzare una terminologia meno complessa esplichiamo dicendo che ogni volta che il soggetto di conoscenza apprende l'essenza di ci che conosciuto, prima ancora di averne cognizione di cosa esso sia n intuisce immediatamente il che esso sia. Ed in quanto tale che l'ente oggetto di conoscenza si mostra attraverso quelli che Tommaso definisce trascendentali. L'Aquinate afferma che ontologicamente ogni ente intrinsecamente costituito da modi comuni di essere che rispetto all'ente s medesimo sono essere-cosa ed essere-uno, e rispetto ad altro da s medesimo sono esserequalcosa, essere-vero ed essere-buono. Cos, quando l'agente epistemico verte le sue attenzioni sull'oggetto conosciuto, ne intuisce che codesto (l'ente) necessariamente ed originariamente: 1) ente. In quanto ogni cosa conosciuta sempre conosciuta per s, per

1 Cfr. TOMMASO, Quaestiones Disputate de Veritate, 1, 1.

ci che ; 2) uno. In quanto ogni cosa sempre un'entit (una sostanza) individuale; 3) qualcosa. In quanto essendo l'ente sempre un'entit individuale ed irriducibile, si distingue necessariamente da tutto ci che altro da s; 4) vero. In quanto per il fatto di essere concepito necessariamente dall'intelletto come tale; 5) buono. In quanto per il fatto di essere, analogamente al suo esserevero, ritenuto necessariamente dall'intelletto come tale (dotato cio di un certo valore)2. Tutto ci prova ulteriormente che la realt tutta sottoposta alla rigida legge onto-logica del principio di non contraddizione. Infatti, come il principio tematizzato da Parmenide e formalizzato da Aristotele, che in senso lato negava la possibilit di una cosa di essere allo stesso spazio-tempo un'altra cosa, i trascendentali di Tommaso mostrano come, nello specifico, ogni cosa non pu che non essere ente, uno, qualcosa, vero e buono. Questa delucidazione offerta dall'Aquinate va a evidenziare oltre al gi citato principio di non contraddizione una questione che sopratutto nella modernit si fatta sempre pi delicata: ossia quella problematica circa l'identificazione e/o con-fusione tra verit e certezza. Quando con Cartesio si ebbe la cosiddetta inversione del processo cognitivo e la necessaria e conseguente perdita dell'ente quale oggetto privilegiato di studio dell'epistemologia, ossia l'inversione del processo gnoseologico nella direzione tutta moderna soggetto oggetto piuttosto che, come quella classica insegnava, oggetto soggetto, anche la nozione di verit sub un sostanziale slittamento semantico. Difatti, l'antitesi moderna che ha portato a parlare di verit come evidenza piuttosto che come adaequatio ricollegabile alla concezione postcartesiana dei trascendentali. Ma prima di andare avanti vediamo come Gianfranco Basti definisce gli stessi trascendentali:
Con trascendentali si intendono in logica i termini primitivi pi fondamentali che costituiscono la base di ogni linguaggio. In particolare, nei linguaggi formalizzati, grazie ai termini primitivi che vengono costruiti gli stessi enunciati assiomatici e le stesse definizioni di partenza, in ogni procedura dimostrativa interna ad una determinata teoria scientifica. Nell'accezione tomista i termini primitivi pi fondamentali o, appunto, trascendentali, sono quelli che dichiarano il significato particolare con cui va inteso il termine ente e i termini ad esso equivalenti all'interno di un particolare linguaggio. [] Con trascendentale si intende nella filosofia della conoscenza il fondamento ultimo dei concetti della ragione e quindi dei predicati della logica nella costituzione di enunciati semplici o atomici (proposizioni categoriche composte da un soggetto e da un predicato uniti dalla copula ) che sono ci mediante cui i concetti della ragione vengono
2 Sulla corrispondenza tra vero e bene Tommaso scrive che il vero e il bene si includono a vicenda perch il vero un bene e ogni bene vero. TOMMASO, ivi, 3, 3, 9.

primariamente espressi i n un linguaggio3.

L'aver riposto siffatte trans-categorie nella mente dell'agente epistemico come la modernit tutta ha fatto invece che nell'essere degli enti, ha condotto inesorabilmente ad avere una considerazione dei fondamenti ultimi della conoscenza come una condizione aprioristica dettata dall'evidenza che il soggetto di conoscenza, appunto, attribuisce di volta in volta, da contesto a contesto, a ci che ritenuto essere pi certo, pi sicuro e presumibilmente non confutabile. La locazione dei fondamenti del sapere nel sistema assiomatico di riferimento ha poi condotto alla considerazione anch'essa tipicamente moderna della nozione di verit quale fattore derivante dall'agente epistemico. Tale concezione che ha fatto scaturire la dicotomia tra pensiero classico e pensiero moderno mette in evidenza la sostanziale differenza che non pi, con la modernit, l'essere dell'ente ad essere ritenuto il fondamento della conoscenza tutta, quanto invece lo il suo modo di essere esperito. Ecco dunque mostrata la chiave di volta che ha portato al ripensamento della nozione di verit come indissolubile dall'epistemologia (visione moderna), al cospetto di quella che invece come Aristotele prima e Tommaso poi sostenevano insita nell'ontologia (visione classica). A questo punto, per, dobbiamo fare chiarezza per non incombere nella falsa concezione che conduce all'equiparazione tra essere e verit. Dice infatti Tommaso che l'essere non si identifica e non deve essere identificato con il vero, tanto che il vero un valore ritenuto tale dall'intelletto dell'agente epistemico4. Cosicch la nozione formale di verit si compie esclusivamente quando viene a sussistere l'assimilazione della cosa da parte dell'intelletto (teoria classica della verit come adaequatio). Ed proprio perch l'intelletto ad adeguarsi all'essere dell'ente, e non il contrario, che la verit in un certo qual modo subita, e non creata, dal soggetto di conoscenza: in questo senso sosteniamo che l'essere insito nell'ontologia piuttosto che nell'epistemologia. Dopo questa chiarificazione concettuale andiamo ora a vedere perch la considerazione di una verit insita nell'epistemologia sfoci necessariamente nel tipico stato mentale della certezza. Riporre la verit dalla parte del soggetto piuttosto che in quella dell'oggetto significa primariamente avere una concezione del soggetto conoscente quale legislatore, ossia come colui il quale ha la facolt di misurare gli oggetti di conoscenza presi ad esame, attribuendogli oltremodo il carattere di veracit. Ci significa che l'agente epistemico ogni volta che si pone nella condizione di proferire un giudizio di verit, attribuisce la veracit di ci che conosciuto sulla base dell'auto-evidenza cognitiva che lo rende certo, sicuro e convinto, dell'atto che compie. Ma sappiamo bene che la verit non la certezza e che giammai deve
3 Gianfranco BASTI, Filosofia della natura e della scienza 1. I fondamenti, Lateran University Press, Citt del Vaticano, 2002, 382, 383. 4 TOMMASO, ivi, 1, 5, 12m.

essere ridotta a questa. La certezza una condizione psicologia soggetta all'agente epistemico presente nel momento in cui egli sente passivamente la convinzione che una cosa sia proprio cos e non altrimenti. Ma non necessariamente le cose (chiamiamole anche enti, entit), o le relazione fra stati di cose, si trovano in siffatta disposizione solo perch creduti come tali dal soggetto conoscente. Abbiamo detto infatti che la certezza si fonda sull'evidenza e che in quanto tale uno stato di coscienza. E anche se obiettivamente sussiste una relazione tra la nozione di verit e di certezza questa sempre di tipo asimmetrico in quanto, se pur vero che l'essere-vero suppone l'essere-certo, altrettanto vero che l'essere-certo non implica l'essere-vero. In ultima analisi bene avere cognizione del fatto che una cosa non vera perch evidente, ma evidente perch vera. Cos possiamo giustamente affermare che la conoscenza (in questo senso la gnoseologia generale e non esclusivamente l'epistemologia) sempre un qualche effetto della verit (ontologia), e che mai potrebbe conseguirsi senza l'ammissione di un'entit ontologicamente indipendente e senza il rispetto della legge ontologica del principio di non contraddizione. E la teoria dei trascendentali di Tommaso dice proprio questo, ribadendo l'importanza che occupano i principi supremi dell'essere, sia nel campo dell'ontologia, sia in quello dell'epistemologia. L'essere ovvero tutto ci che per dirla con il linguaggio parmenideo oltre a non poter non-essere, dice Tommaso che deve necessariamente essere uno, cosa, qualcosa, vero e buono. Siffatti principi sono propri dei modi comuni di essere dell'ente, ed per questo che nessuna teoria della conoscenza pu di fatto anche solo immaginare una proposizione che in ultima analisi non si fondi su quanto appena detto. E se in questo lavoro abbiamo ritenuto opportuno parlare del principio di non contraddizione ai fini di una corretta impostazione filosofica e, chiaramente, per dare una concreta e consistente risposta al relativismo filosofico protrattosi da Protagora fino ai giorni nostri, allo stesso modo riteniamo che la teoria dei trascendentali di Tommaso non sia altro che un'ulteriore delucidazione ed una analisi pi dettagliata del principio di non contraddizione. Oggigiorno la teoria dei trascendentali dell'Aquinate sopratutto presa a sostegno per la confutazione delle teorie della conoscenza di matrice rappresentazionista che, spostando i fondamenti ultimi del sapere dall'essere dell'ente all'evidenza cognitiva dell'agente epistemico, hanno ridotto la valenza ontologia della verit al puro stato mentale della certezza. questa la causa che rende senza dubbio affascinanti ma decisamente inconsistenti le teorie della conoscenza della modernit. Ecco cosa scrive Gianfranco Basti sulla concezione (radicalmente opposta) dei fondamenti ultimi della conoscenza.
dunque profondamente vero affermare che le metafisiche nella modernit, in seguito alla rivoluzione copernicana operata dalla nascita della scienza moderna, sono state sostituite da visioni del mondo, se vero che il loro fondamento non posto nel mondo delle cose e dalla capacit della mente e del linguaggio di adeguarsi ad esso, ma nel modo del pensiero autocosciente di rappresentarsi il mondo delle cose adeguandolo alle proprie pre-

comprensioni. Si tratter allora di visioni del mondo di tipo o razionalista, o empirista, o sinteticamente, trascendentale nella misura in cui pretendono che la verit ultima dei concetti e delle leggi logico-matematiche del pensiero non si fondi sull'essere delle cose e sull'insieme delle loro propriet caratterizzanti o essenze, ma rispettivamente: 1) nel razionalismo (Cfr. le filosofie di Descartes, Spinoza, Leibniz, etc.), sulla ragione e la sua propriet di autocoscienza in quanto considerata fondamento dell'evidenza concettuale; 2) nell'empirismo (Cfr. le filosofie di Loche, Berkeley, Hume, etc.), sull'esperienza e la sua propriet di autocoscienza in quanto considerata fondamento dell'evidenza sperimentale; 3) nel trascendentalismo (Cfr. la filosofia di Kant e dei neo-kantiani), sulla sintesi trascendentale di ragione ed esperienza in quanto l'autocoscienza stessa stavolta, o Io penso trascendentale, ad essere considerata, coerentemente peraltro, come fondamento di ambe due5.

Avendo esplicato i rischi che si nascondono dietro la falsa ed errata concezione dei trascendentali, andiamo a vedere nel paragrafo che segue come Hilary Putnam, non avendo preso atto della teoria dei trascendentali di Tommaso e della formalizzazione del principio di non contraddizione da parte di Aristotele, sia incappato in un seppur ben camuffato relativismo filosofico. Alessandro Belli

5 Gianfranco BASTI, cit., 384.

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