Il Monologion nasce dalle riflessioni teologiche che avvenivano nel monastero di Le
Bec: qui la speculazione filosofica, la ricerca intellettuale era un tutt’uno con la preghiera. Si trattava di un rivolgersi a Dio con la mente e i suoi strumenti naturali oltre che con la fede. Anselmo sostiene che per mostrare la luce della verità bisogna argomentare mediante rationes necessariae – argomenti logici - piuttosto che basarsi sull’autorità delle Sacre Scritture. In tal modo il cristiano acquista una consapevolezza più completa e profonda dei contenuti rivelati potendo difenderli anche dalle obiezioni mosse dai non credenti. Il Monologion intende dimostrare l’esistenza di Dio in virtù di quattro argomenti o prove ‘a posteriori’ – ossia ricavate dall’esperienza sensibile, dall’osservazione degli enti fisici e delle loro relazioni -, prove che conducono alla presenza di una natura suprema, autosufficiente, beata, dotata di immensa bontà che conferisce l’essere a tutte le altre cose e le rende buone. Tale natura è Dio. La prima prova parte dalla constatazione che tutti aspirano a godere delle cose che giudicano buone: poiché si possono confrontare beni tra loro diversi, deve esistere un fondamento comune, un criterio di valutazione, il bene sommo, dal quale tutte le cose traggono la bontà per partecipazione. Nella seconda prova si dimostra che il bene sommo è anche l’essere più grande che possa esistere, dal quale tutto l’ordine delle cose create riceve la grandezza. La terza prova prende le mosse dalla piena comprensione della distanza ontologica fra il creatore e le creature: tutte le cose create esistono in virtù di un qualcos’altro che invece esiste soltanto per se stesso, la somma sostanza che ha fatto tutto l’universo. Il rapporto fra la somma sostanza (l’essere) e gli enti viene descritto efficacemente da Anselmo attraverso la metafora della luce: essenza, essere e ente stanno fra di loro nella stessa relazione che troviamo fra la luce, lo splendere e la cosa che splende. La quarta prova si riallaccia alle prime due, considerando il modo nel quale gli enti sono ordinati secondo una scala di perfezione, per concludere che deve esistere una natura somma e pienamente perfetta. Le riflessioni del Monologion vengono portate avanti da Anselmo nella sua seconda opera, il Proslogion dove viene sviluppato un unico argomento in grado di attestare l’esistenza di Dio: la celebre prova ontologica. Anselmo afferma che perfino l’insipiente o stolto per poter negare l’esistenza di Dio deve ammettere di possedere in sé l’idea di Dio, ovvero la nozione di un qualcosa di cui non si può concepire il maggiore. Ora, se riconosciamo che l’idea di Dio esiste nell’intelletto (nel senso che lo possiamo concepire e rappresentare come un oggetto mentale), è necessario riconoscere che Dio esista anche nel mondo extra-mentale, ossia in una dimensione reale. Poiché Egli deve avere in sé tutte le perfezioni possibili, e dato che l’esistenza nel mondo reale è una perfezione, è impossibile asserire che Egli non esiste, poiché in tal caso si potrebbe immaginare qualcosa che, grazie alla sua esistenza reale è più grande e più perfetto di Dio. Questa conclusione è assurda perché contraddice la premessa secondo cui Dio è l’essere eccellentissimo. Dunque, per forza e coerenza logica, siamo tenuti a riconoscere l’esistenza di Dio.
Tommaso D’Aquino
Se l’Ipponate (Sant’Agostino) aveva interpretato la riflessione platonica in chiave
cristiana, il Dottor Angelico (San Tommaso) compie un’operazione simile con lo Stagirita (Aristotele). La filosofia tomistica si basa sulla non contraddizione di fede e ragione. L’uomo conosce il mondo in virtù di un’indagine o ricerca basata sulle facoltà intellettive che la natura fornisce agli individui. Tale conoscenza, però, può risultare infallibile solo se sostenuta dalla rivelazione divina. Pertanto la fede non si sostituisce alla ragione ma eleva quest’ultima alla certezza e alla perfezione. La ragione, inoltre, può svolgere un ruolo utile alla fede in tre modi: dimostrando i «preambula fidei» (ovvero i presupposti razionali delle verità in cui crediamo), difendendo la fede dalle critiche e dalle obiezioni.
Ente ed essenza sono le prime nozioni che l’intelletto concepisce. L’ente può essere
reale (ovvero esistente nella realtà e articolato secondo le dieci categorie aristoteliche), o logico, ovvero espresso in proposizioni affermative: in tal caso esso non necessariamente corrisponde a qualcosa che esiste veramente. Ciò che caratterizza intimamente l’ente reale è l’essenza o quidditas, ossia la natura comprendente la forma e la materia (rispettivamente il principio attivo e il sostrato passivo delle cose). Per ‘esistenza’ Tommaso intende l’atto mediante il quale le singole essenze da possibili divengono fattuali; in altri termini possiamo rappresentarci l’esistenza come una sorta di manifestazione , circoscritta nello spazio e nel tempo, di una realtà altrimenti virtuale, priva cioè di concretezza e sviluppo. Negli enti finiti, come l’uomo, essenza ed esistenza sono scissi in un rapporto di potenza e atto; nell’ente infinito (Dio), invece, essenza ed esistenza coincidono. Tale distinzione permette a Tommaso di ‘calare’ , di ‘innestare’, la speculazione aristotelica nella filosofia cristiana: Dio ‘è’ l’essere, è la vita, mentre le creature ‘possiedono’ l’essere e la vita perché, grazie a Dio, partecipano all’esistenza.
Cercando di conciliare fede e ragione, Tommaso d'Aquino elabora cinque argomenti
(le cosiddette ‘vie’) per dimostrare l’esistenza di Dio su base razionale. La prima via coincide con la prova cosmologica, che prende le mosse dal principio aristotelico secondo cui tutto ciò che si muove è mosso da altro. Affermando l’impossibilità di procedere all’infinito, però, diviene necessario individuare un primo motore immobile, che non può che essere Dio. La seconda via è la prova causale: se ogni fenomeno ammette una causa efficiente (ossia, un fattore che lo provoca), allora deve esistere una causa efficiente prima, identificata con Dio. Segue la prova del possibile e del necessario, che individua in Dio, quell’Ente intrinsecamente necessario e auto- sussistente da cui tutte le cose possibili dipendono. La quarta via è quella dei gradi di perfezione: poiché gli enti esibiscono gradi relativi di perfezione (nel senso che sono, comparativamente, più o meno perfetti), bisogna dunque ammettere una misura assoluta di perfezione, che è Dio. L’ultima via è quella ‘teleologica’ ovvero del ‘regime finalistico’: poiché la natura non è un complesso caotico ma esibisce un assetto ordinato in vista di specifiche mete o fini, è necessario concludere che esista un’intelligenza garante dell’ordine cosmico.
Anche per quanto concerne la gnoseologia (teoria della conoscenza) Tommaso si
ispira ad Aristotele. Come quest’ultimo, egli attribuisce un ruolo primario all’esperienza identificata come fonte, origine della conoscenza umana. Su ciò che noi raccogliamo attraverso la sensibilità agisce poi l’intelletto, ovvero la facoltà che ‘estrae’ dalla materia le forme intelligibili, operando un passaggio dal molteplice e dal particolare all’universale, oggetto delle scienze. Per Tommaso l’intelletto separa la forma (specie, eidos) dalla sostanza individuale (la cosiddetta materia quantitate signata) rappresentante ciò che determina il carattere peculiare di ogni soggetto, ovvero il principium individuationis. Se il processo di astrazione è condotto correttamente la conoscenza che si raggiunge è vera, poiché l’intelletto si adegua fedelmente alle cose esterne.
Anche nella morale Tommaso d'Aquino si ispira direttamente ad Aristotele. Il punto
di partenza consiste nel precisare che l'uomo agisce sempre -- in maniera più o meno consapevole -- in vista di un fine. Ora, i beni naturali - che sono alla portata delle sue forze, non riescono a soddisfare l’umana sete di felicità: né le ricchezza, né gli onori, né la fama, né il potere, né la perfezione corporale, né il piacere, né la perfezione dell'anima, né in generale alcun ente creato può costituire la felicità o beatitudine: essa, infatti, “ è un bene perfetto, che sazia totalmente il desiderio”. La beatitudine ultima e perfetta consiste esclusivamente nella visione dell'essenza divina. Il fatto stesso che l'uomo possa desiderare il bene perfetto mostra che egli, di fatto, lo può raggiungere. Tuttavia le sue forze naturali sono palesemente insufficienti a raggiungerlo: ciascuna creatura infatti conosce «secundum modum substantiae eius», cioè adattando l'oggetto conosciuto alla propria natura: ma l'essenza divina eccede infinitamente qualsiasi essenza creata. Dunque, conclude, Tommaso, l’uomo per conoscere Dio – oggetto della sua autentica, suprema felicità – deve affidarsi sia al proprio intelletto sia alla ‘virtù teologiche’ che orientano e sostengono tale ‘impresa’.
Auriloquio, Nel Quale Si Tratta Dello Ascoso Secreto Dell’Alchimia. Trattato Manoscritto Del 500 Dinterpretazione Alchemica... (Vincenzo Percolla, Carlo Alberto Anzuini) (Z-lib.org) (1)