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L’AVVIO DEL PROBLEMA DEGLI UNIVERSALI

Porfirio, Isagoge (opera scritta fra il 268 e il 270)


“Ti avverto subito che non affronterò il problema dei generi e delle
specie: cioè se siano di per sé sussistenti o se siano semplici concetti
mentali; e, nel caso in cui siano sussistenti, se siano corporei o incorporei;
e, infine, se siano separati o se si trovino nelle cose sensibili, ad esse
inerenti; questo è, infatti, un tema molto complesso, che ha bisogno di un
altro tipo di indagine, molto più approfondita”.
La cosiddetta questione degli universali si impone come oggetto di un acceso
dibattito fra gli scolastici a partire dal XII secolo.

L’universale, secondo la definizione aristotelica, è ciò che può essere detto,


predicato di più cose (es.: il genere “animale” o la specie “uomo”).

Il problema dello statuto ontologico degli universali si pone dal momento che questi
mi presentano un quid, un’essenza che prescinde dal qui ed ora (essendo concetti
generali) mentre la realtà risulta costituita solo da individui, che sono qui ed ora.

Per questo, seguendo l’impostazione dell’Isagoge, opera di introduzione alle


Categorie di Aristotele, i dottori medioevali si chiesero:

- Se gli universali esistano come “conceptus mentis”, ossia come nozioni della
mente
separati dalle cose (idee platoniche)
- Oppure se esistano anche nella realtà
nelle cose (forme aristoteliche)

Ora interrogarsi sugli universali significa interrogarsi sui poteri stessi dalla ragione e
sulla validità degli strumenti intellettuali di cui essa si seve per parlare del mondo.
L’aver posto questo problema implica un cambiamento di prospettiva significativo:
l’attenzione si è spostata da Dio all’uomo. Fino a quel momento gli universali erano
stati considerati strumenti dell’azione creativa di Dio e nessuno avrebbe messo in
discussione la concezione degli universali come idee archetipe nella mente di Dio
che crea le cose imprimendo in esse tali forme (concezione agostiniana). Dal XII
secolo, invece, gli universali iniziano ad essere presi in considerazione come
strumenti o condizioni delle operazioni conoscitive dell’uomo.

SOLUZIONI DEL PROBLEMA:

estremo (Guglielmo di Champeaux – 1070/1121)

REALISMO

moderato (Tommaso d’Aquino- 1221/1274)

estremo (Roscellino – 1050/1120)

NOMINALISMO

Moderato (Guglielmo di Ockam- 1290/1348-49)

CONCETTUALISMO (Abelardo – 1079/1142)

 REALISMO: Il realismo estremo è la tesi secondo cui gli universali sussistono


fuori dalla mente e godono di una consistenza ontologica propria, ovvero
esistono separatamente rispetto alle realtà mutevoli e contingenti di cui
sono gli immutabili prototipi (modelli). Si tratta della soluzione di tipo
platonico-neoplatonico-agostiniana, che identifica gli universali con le idee o
con i modelli ante rem tramite cui Dio ha creato il mondo. Il presupposto è
che reali nel senso forte del termine siano solo gli universali e non gli individui
empirici.

 REALISMO MODERATO: Dottrina secondo cui gli universali, pur avendo una
certa consistenza, non sussistono ante rem ma solo in re, incorporati nelle
singole cose, in qualità di principi organizzatori immanenti (forme
aristoteliche). Il realismo moderato riconosce pienamente la realtà degli
individui, pur scorgendo la presenza, in essi, di un’essenza universale
(conciliazione di platonismo ed aristotelismo). In particolare, Tommaso
d’Aquino dirà che gli universali sono ante rem, come modelli delle cose
create, in re, come forme delle cose, post rem, come concetti astratti.
 NOMINALISMO ESTREMO: Dottrina secondo cui l’essere esiste solo in forma
individuale e i cosiddetti universali rappresentano solo dei nomi, senza alcun
corrispettivo nella realtà. In particolare, sembra che Roscellino abbia ridotto
gli universali a meri flatus vocis, emissioni di voce, prive di qualsiasi valore e
significato.

 NOMINALISMO MODERATO: dottrina secondo cui l’universale non esiste nelle


cose, ma solo in intellectu, come segno mentale, atto a raccogliere in una
stessa classe una serie di individui aventi tra di loro caratteristiche affini. Per
Ockam l’universale c’è solo nell’intelletto e c’è come segno, la cui funzione è
quella di “stare in luogo di”. Il valore del concetto non è nella sua realtà
oggettiva, ma va cercato nella sua genesi, poiché è generato dalle cose di cui è
segno. Il concetto è un segno naturale, predicabile di più cose; esso significa
la realtà come “il fumo significa il fuoco” (di cui è segno naturale).

 CONCETTUALISMO: sorta di “terza via” tra nominalismo estremo e realismo


esagerato, il concettualismo di Abelardo è la dottrina secondo cui l’universale
non può essere una realtà poiché una realtà non può essere predicata di
un’altra realtà, ma non può essere neppure un puro nome, poiché il nome è
una realtà particolare e non può essere il predicato di un’altra. L’universale è
un sermo, discorso, che implica il riferimento alla cosa significata; c’è, inoltre,
un elemento oggettivo che giustifica il riferimento di un concetto ad un
gruppo particolare di cose piuttosto che ad un altro. Si tratta di uno status,
una condizione uniforme in cui si trovano tutti gli individui indicati da un
determinato concetto e ciò ne giustifica la validità (es.: se il concetto di
“uomini” viene utilizzato per indicare gli uomini anziché gli asini è perché gli
uomini hanno in comune il loro “esser uomini”).

Errore che accomuna il realismo estremo e il nominalismo: non cogliere la differenza


fra ente reale ed ente logico.

Il nominalismo ritiene che l’unico modo autentico di essere sia quello dell’ente reale
che è sempre individuale e ne deduce che anche l’ente logico debba essere
individuale, altrimenti sarà un mero flatus vocis (nome a cui non corrisponde nulla
nella realtà).
Il realismo estremo di Guglielmo di Champeaux, che si pone in linea con la
tradizione platonico-agostiniana, invece, parte dal presupposto che l’unico modo
autentico di essere sia quello dell’universale, che viene ipostatizzato, collocato nella
realtà.

Il processo attraverso cui separiamo mentalmente l’universale dal singolare, ovvero


l’astrazione universalizzatrice, è un processo spontaneo, è il nostro modo di vedere
intellettivo, che è il modo proprio di una conoscenza inadeguata della realtà. Tutti i
nostri concetti sono universali e non riusciamo mai a conoscere una cosa in tutta la
sua determinatezza, nella sua individualità, come sostiene Sofia Vanni Rovighi. Se
conoscessimo le cose nella loro essenza individuale non avremmo bisogno di sapere
nient’altro su di loro, ne avremmo una conoscenza esaustiva, completa, mentre la
conoscenza umana progredisce incessantemente.

CONSEGUENZE DELLA DISPUTA SUGLI UNIVERSALI

La questione degli universali pone con forza il problema del rapporto fra linguaggio,
pensiero e realtà. Ciò che è in gioco è la capacità del pensiero di cogliere la realtà e
del linguaggio di esprimerla, rappresentarla in modo veritiero. Il realismo
presuppone una perfetta corrispondenza fra essere, pensiero e linguaggio e
garantisce la possibilità di far metafisica dal momento che il linguaggio ed il
pensiero si propongono come capaci di fotografare la realtà, di coglierne le
strutture o forme.

Al contrario, il nominalismo sottintende un potenziale divorzio tra pensiero e realtà


destinato a mettere in crisi la metafisica stessa.

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