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Il Parmenide

Nei dialoghi della vecchiaia Platone torna a riflettere su alcuni dilemmi che sono risultati dalla
teoria delle idee:
Nel Parmenide Platone immagina l’incontro fra il giovane Socrate e l’anziano Parmenide seguito
dal suo allievo Zenone. Socrate gli espone, anche un po' ingenuamente, la teoria delle idee,
criticata subito dopo da Parmenide stesso (maestro venerando e terribile). Parmenide (che in
pratica è Platone che si autocritica) trova tutti i difetti della teoria delle idee. La più importante
obiezione fornita da Parmenide riguarda il rapporto tra idee e cose che Aristotele rinominerà
“argomento del terzo uomo”. Se per esempio ci focalizziamo sull’idea di Uomo (prima idea), e la
paragoniamo all’idea che tutti gli uomini si somigliano (seconda idea) noteremo che entrambe si
riferiscono all’uomo ma ciò che le unisce è l’idea di somiglianza (terza idea). In breve, la relazione
tra l’idea di uomo e l’idea che tutti gli uomini si somigliano è a sua volta un’idea. Abbiamo quindi
una terza entità. Questo procedimento però potrebbe essere ripetuto all’infinito: se rapporto
l’idea di somiglianza con le altre due potrebbe nascere una quarta idea a così via. In questo modo
le idee potrebbero moltiplicarsi all’infinito annullando così l’unicità dell’idea, caratteristica
appartenente alle idee secondo i precedenti scritti platonici. Parmenide obbietta che, se un’idea
fosse in relazione con le cose del mondo sensibile che la imitano, allora appunto perderebbe
l’unicità. Ad esempio, se l’idea di uomo fosse presente in due uomini diversi, essa esisterebbe in
due luoghi diversi. Infine, l’obiezione fondamentale alla teoria Platonica è: soltanto l’essere è. Un
mondo intellegibile composto da una molteplicità di idee che funzionano come modelli per le cose
nel mondo sensibile, finirebbe per spezzare l’unicità dell’essere, confondendolo con il non essere e
generando inevitabilmente incongruenze e assurdità.

I generi sommi dell’essere


Le soluzioni a questi problemi sono affrontate da Platone nella sezione finale del Parmenide e
soprattutto nel Sofista e nel Politico. In questi dialoghi Platone si sofferma sulla struttura
dell’Iperuranio, dimostrando che non è solo un contenitore per le idee alla rinfusa, ma possiede
una complessa articolazione interna. Innanzitutto, le idee si possono ricondurre ai cosiddetti
generi sommi: Essere, identità, differenza, quiete e movimento. Le prime tre sono riferite e
intrinseche a tutte le idee: secondo l’essere l’idea esiste, secondo l’identità l’idea è identica solo a
sé stessa e secondo la differenza l’idea è diversa dalla altre.
Quiete e movimento invece non sono generi sommi propri di tutte le idee in quanto si possiede o
l’uno o l’altro. Si escludono a vicenda e riprendono situazioni contrarie: la quiete indica che l’idea è
in relazione solo con sé stessa, il movimento che può relazionarsi anche con altre idee. Questo
concetto è un chiaro distacco dai sofisti in quanto essi credevano che tutte le idee comunicassero
e insegnavano che si poteva dire tutto e il contrario di tutto: l’idea di irragionevolezza è l’idea di
Uomo non possono relazionarsi perché l’uomo è un essere dotato di ragione (caratteristica
peculiare dell’uomo, se si pensa all’uomo viene in mente la ragione perché è ciò che lo differenzia
dagli animali); ecco in che senso alcune idee non comunicano tra di loro.
Se tutte le idee comunicassero come credevano i sofisti, allora sarebbe impossibile sbagliare
perché tutto sarebbe vero, indipendentemente se ciò che si dice ha un senso logico.

Risoluzioni dei problemi


Platone fa corrispondere l’idea di Differenza al non essere: quando si dice che qualcosa non è, non
si sta affermando che non esiste in assoluto, ma soltanto che è differente da qualcos’altro.
Ponendo la Differenza tra i generi sommi, Platone intende replicare in modo definitivo a
Parmenide compiendo il cosiddetto parricidio in quanto uccide simbolicamente il suo padre
filosofico. Parmenide sosteneva che il non essere è il nulla, Platone sostiene invece che va inteso
come differenza: ogni idea è identica a sé stessa ma è anche “diversa” dalle altre, cioè “non è” le
altre (il non essere esiste ma va inteso come diverso). Tutto ciò, quindi, non comporta il dissolversi
dell’unicità dell’essere perché essere e non essere non entrano in conflitto. Inoltre, permane
anche l’unicità delle idee in quanto nell’Iperuranio esse sono uniche è nel mondo sensibile che
vengono riportate in una molteplicità di cose ma il concetto, il fondamento, l’idea rimane la stessa
per tutte le imitazioni nel mondo sensibile (coso del terzo uomo moltiplicazione idee solo mondo
sensibile, idea primordiale sempre quella).

Il ricorso alla dialettica e l’albero dicotomico


L’essere (l’idea) non è né corpo né spirito ma è legato alla possibilità, ossia la possibilità di entrare
in relazione con altre idee. Ciò viene spiegato da Platone nel Sofista attraverso la dialettica
(suprema scienza delle idee, è la possibilità da parte delle idee di distinguere quali comunichino e
quali non comunichino). Per Platone è necessario che le idee comunicano tra loro perché se fosse
come affermavano alcuni filosofi come i cinici, i quali pensavano che nessuna idea comunicasse
con le altre, si ricadrebbe in un discorso che Platone definisce tautologico (da tautologia, la
negazione di ogni discorso). Se prendiamo come esempio l’affermazione “l’uomo è uomo”,
connettiamo l’idea di uomo con sé stessa, perciò, è come se stessimo sempre nello stesso punto
senza poter arrivare ad un discorso: si arriverebbe a negare la possibilità di poter parlare. Per
capire come le idee comunicano tra di loro, anche quelle più assurde, è stato introdotto da Platone
l’albero dicotomico. L’albero dicotomico (dicotomia= divisione per due, ogni idea è sdoppiabile) ha
un concetto iniziale, per esempio il concetto di caccia da cui, attraverso ramificazioni successive,
Platone arriva a definire il termine sofista. Il sofista è colui che si lega al concetto di caccia perché è
il cacciatore di allievi, colui che cerca di acquisire le persone tramite un compenso.

Il Timeo: il mito del demiurgo


Non è un caso che il Timeo sia tenuto in mano da Platone nel dipinto “La scuola di Atene” di
Raffaello Sanzio. È il più importante dialogo platonico in quanto illustra completamente la visione
cosmologica di Platone stesso. È un’opera enciclopedica che ci permette anche di capire usi e
costumi dell’epoca in cui è vissuto Platone. Grazie alle nozioni matematiche presente nel Timeo,
Platone è considerato anticipatore della rivoluzione scientifica del 500 in cui gli scienziati vedranno
l’universo su una base geometrica e aritmetica.
È divenuta l’opera che ha influenzato di più la filosofia successiva soprattutto quella diffusa da
Plotino, un filosofo neoplatonico vissuto nel III sec d.C.
Il Timeo ha avuta una grande fortuna anche nel Medioevo perché in esso viene descritto l’universo
in termini molto simili a come lo descriverà poi il cristianesimo. Sempre nel Medioevo, scuole
filosofiche come la Scolastica riprenderanno questa e molte altre opere platoniche e aristoteliche.
Il protagonista del dialogo è appunto l’astronomo pitagorico Timeo (richiamo al pitagorismo), il
quale spiega a Socrate la derivazione del mondo sensibile da quello intellegibile attraverso il mito
del demiurgo. Il demiurgo è una sorta di divinità artigiana (terzo termine, tra mondo intellegibile e
sensibile) paragonabile ad un artista (?) che, essendo buono e intelligente, voleva che la realtà da
lui plasmata fosse altrettanto e che si rivolgesse quindi al Bene supremo (per questo nell’universo
ogni cosa tende al meglio). Perciò, nel processo di plasmazione, il demiurgo (definito da Platone
anche divino plasmatore o divino artefice) parte dal modello dell’Iperuranio e plasma una materia
informe e indefinita, la chora (o necessità o ananche o madre del mondo...), creando il cosmo
ossia l’universo fisico di cui la terra fa parte. Il demiurgo plasma la chora per realizzare il cosmo
così come un vasaio plasma la creta per realizzare un vaso.
Tutto ciò che è riconducibile al mondo delle idee è buono e perfetto ma il nostro mondo è pur
sempre materia e quindi rimane imperfetto, nonostante sia indirizzato verso il bene.
Il demiurgo impone alla chora un ordine temporale per mezzo del quale il cosmo diventa
“immagine mobile dell’eternità”. Il cosmo è “immagine dell’eternità” in quanto è basato sulle idee,
che sono eterne e immobili (non cambiano mai), ed è appunto “mobile” perché al suo interno
scorre il tempo. Il tempo è infuso nella materia per misurarne la durata e, a sua volta, questo si
può calcolare attraverso il movimento degli astri (presenza astrologia). Tutto l’universo platonico
viene ricondotto ad un grande movimento/ordine astrale che ha come sfondo la matematica
(Platone fortemente influenzato dal pitagorismo anche nella vecchiaia). Oltre ad un ordine
temporale, il demiurgo impone al cosmo anche un ordine spaziale basato sulle forme geometriche.
Il cosmo nel complesso ha una forma sferica ma al suo interno si differenziano 4 elementi
fondamentali che combinati in vari modi portano alla creazione di tutte le cose esistenti: fuoco,
terra, aria e acqua che vengono ricondotti a solidi regolari detti solidi platonici.
Fuoco: tetraedro solido spigoloso come il fuoco che fiammeggia, 4 facce.
Terra: cubo (si pensava la terra fosse quadrata), 6 facce.
Aria: ottaedro, 8 facce.
Acqua: icosaedro, 20 facce.
C’è anche un quinto solido, il dodecaedro (12 facce), che viene ricondotto all’universo.
Ogni elemento viene associato al solido ma anche al numero.
Grazie al mito del demiurgo, possiamo intuire che Platone è un filosofo finalista secondo cui tutta
la realtà è stata creata e si muove verso un fine ultimo, quasi sempre Dio, come il nostro mondo
ha lo scopo di somigliare al mondo delle idee.
Nella parziale rivalutazione dell’arte (soprattutto all’interno del sofista ma anche nel Timeo) si
arriva alla distinzione tra arte acquisitiva (acquisire qualcosa di già esistente) e arte produttiva, che
produce qualcosa ex novo e sembra essere più nobile rispetto all’altra.

Il mito di Atlantide
Nel Timeo (e successivamente nel Crizia) secondo Platone la storia dell’umanità inizia ed è
paragonata al mito di Atlantide, la città perfetta, ubicata in vari luoghi del mondo. Attraverso
questo mito Platone ritorna a riflettere sulla politica. Atlantide fu costruita dal dio del mare
Poseidone. Inizialmente essa prosperava felicemente perché era abitata da uomini perfetti e
virtuosi. Con il passare del tempo, però, i cittadini di Atlantide si abbandonarono alla bramosia e
alla cupidigia e la città cadde preda della corruzione fino a quando Poseidone decise di farla
sprofondare in mare. Platone vede nella vicenda di Atlantide una rappresentazione del
decadimento di Atene che dall’età dell’oro si sarebbe corrotta con l’arrivo della democrazia e dei
30 tiranni. Nelle Leggi Platone progetta una colonia ideale in cui realizzare stabilmente la felicità
che chiama Magnesia.

Filippo di Ocunte è uno dei discepoli di Platone che rese noto il dialogo delle leggi dopo la sua
morte.

Le Leggi
Le Leggi hanno 12 libri che riportano la rivisitazione dello stato platonico. Nelle Leggi l’obiettivo
principale di Platone è quello di progettare un modello di Stato realizzabile. Innanzitutto, egli notò
che i veri filosofi sono ben pochi e non riuscirebbero a gestire il potere anche se si dovessero
mettere alla guida della comunità, perciò, il modello di stato presente nella Repubblica non poteva
essere attuato. Platone concepisce un nuovo ruolo per i filosofi: quelli che prima erano i filosofi
reggitori diventano filosofi legislatori che hanno appunto il potere di amministrare e far rispettare
le leggi, guidando indirettamente la comunità. Inoltre nelle Leggi Platone riconosce che la scrittura
è lo strumento principale mediante il quale i filosofi possono contribuire alla felicità dello Stato
quando le circostanze storiche molto spesso non permettono di esercitare direttamente il potere.
Per la prima e unica volta, Socrate non è presente in un dialogo platonico, il protagonista è
chiamato semplicemente l’Ateniese.
A Magnesia, tutti i cittadini condividono gli stessi diritti e doveri, compresi quelli che riguardano
l’educazione e tutti possono partecipare alla vita politica in quanto devono essere tutti
adeguatamente educati, indipendentemente dalla classe. In realtà Platone pensava che i cittadini
avrebbero potuto vivere più felici senza leggi (spesso non vengono rispettate), ma allo stesso
tempo senza le leggi non ci sarebbe ordine e vigerebbe l’anarchia.
Forme di stato fisiologiche:
Monarchia \
Democrazia (peggiore di tutte) – hanno leggi, cosa che nei modelli degenerati non esiste
Aristocrazia /
Religione importante perché facilita la coesione sociale
No matrimoni combinati
Consiglio notturno filosofi legislatori garanti di leggi usi e costumi
Introdotta proprietà privata in maniera discreta e famiglia
Governo misto tra la monarchia e l’aristocrazia filosi legislatori ma a governare sono le leggi
Platone pone alla base di questo modello di stato un fondamento storico fornitogli da due città
rivali e opposte: Sparta e Atene, le più potenti poleis del tempo. Egli cercò di conciliare il primato
del bene pubblico della città (Sparta) e la felicità individuale (Atene).
Egli voleva promuovere un modello di stato in cui se si agisce per lo stato si agisce anche per sé
stessi.
Vero nome di Platone: Aristocle
Alcuni aspetti rimangono inalterati come il comunismo platonico (partecipazione di tutti i cittadini
alla vita pubblica).

Aristotele (384-322 a.C.)


Aristotele= lo scopo migliore da aristoi (migliore)+ telos (scopo)
Teleologia lo studio dei fini (in pratica teologia)
Aristotele nacque nel 384 a.C. a Stagira (al confine tra Grecia e Macedonia), da cui deriva anche
l’appellativo “Stagirita” con cui egli viene talvolta indicato. La madre Festide apparteneva a una
famiglia originario dell’Eubea mentre il padre Nicomaco era un medico e tantomeno lui era
ateniese. Perciò, Aristotele non godette mai pienamente dei diritti civili e politici di Atene,
nonostante vi trascorse almeno metà della sua vita. Pur essendo rimasto molto presto orfano di
padre, Aristotele ereditò l’interesse per le scienze, sulle quali scrisse un’enciclopedia del sapere
attraverso un metodo di indagine razionale utilizzato in seguito da grandi scienziati. L’enciclopedia
non tratta appunto solamente dell’uomo ma anche di ciò che lo circonda, per questo studia la
zoologia, la botanica, il naturalismo ecc…
Intorno ai 18 anni entra nell’Accademia di Platone ad Atene, dove rimarrà per circa un ventennio.
Inizialmente aderisce con convinzione alla filosofia platonica, con il passare del tempo ne evidenzia
i limiti trovando da solo la sua strada. La filosofia aristotelica può essere considerata come critica
profonda della filosofia platonica, infatti, Diogene Laerzio per enfatizzare le dispute filosofiche tra
allievo e maestro, racconta che Platone, poco prima che Aristotele giungesse all'accademia, aveva
sognato un puledro che scalcia contro la madre che lo aveva appena partorito. Nonostante le
differenze tra le dottrine dei due filosofi siano evidenti, va comunque considerato che ci sono
anche importanti punti di contatto: ad esempio i dialoghi tardi di Platone sembrano tenere conto
in maniera significativa delle critiche di Aristotele inoltre alcuni dialoghi di Aristotele che è
purtroppo sono andati perduti e di cui sappiamo solamente il titolo hanno appunto il titolo di
alcuni dialoghi platonici
Alla morte di Platone, avvenuta nel 347 a.C., Aristotele lascia l’Accademia perché non c’era più
nulla che lo teneva legato al\la scuola, e inizia una vita di peregrinazioni che lo ha portato a
trasferirsi ad Asso, in Asia minore (Turchia), dove si sposa con Pizia, figlia adottiva di Ermia, tiranno
della città.
Nel 342 a.C. Filippo secondo, re di Macedonia, affidò ad Aristotele l’educazione del figlio
Alessandro; a questo scopo il filosofo si sposta in una città macedone per istruire Alessandro e
fargli da precettore per circa tre anni. Al principe macedone verrà in seguito lasciata la reggenza
del regno da parte di Filippo e in quel momento Aristotele capirà qual era il vero obiettivo di
Alessandro, conquistare la Grecia e formare un impero universale. Quindi, quasi cinquantenne,
Aristotele fa ritorno ad Atene dove fonda la sua scuola, il Liceo, chiamato così perché e situato nel
giardino dedicato ad Apollo Licio. I suoi discepoli sono chiamati peripatetici (o liceali) perché il
luogo in sorgeva il liceo aveva un peripato, luogo destinato alle passeggiate. È nel Liceo di
Aristotele che prende forma il principale modello di insegnamento e di ricerca che caratterizza
ancora oggi la nostra cultura: un modello in base al quale si persegue il sapere sulla base di
un’indagine scientifica, che si articola in una varietà di discipline allo scopo di esplorare tutti gli
aspetti della realtà.
Aristotele rimane ad Atene per circa una decina d’anni convivendo con una donna che è diventata
la sua compagna dopo la morte della moglie e dalla quale ebbe un figlio, Nicomaco, chiamato così
in onore del padre. Alla morte di Alessandro Magno nel 323 a.C., il malcontento verso il dominio
macedone si estese e Aristotele, per i suoi precedenti legami con la corte macedone, fu accusato
di empietà con un pretesto. Per sottrarsi al processo si trasferisce a Calcide (nell’Eubea), luogo di
nascita di sua madre, e ci rimase un anno quando nel 322 all’età di 62 anni morì per una
probabilmente per una malattia.

Il tempo storico che divide Platone e Aristotele è poco ma la loro concezione è diversa. Aristotele
fu influenzato dal periodo storico in cui è vissuto in quanto, con la Grecia diventata provincia
macedone, cambiano gli interessi del cittadino greco o, per meglio dire, gli interessi del nuovo
suddito macedone. Questo scontro tra culture e voglia di libertà, portano Aristotele ad avere una
mente più aperta rispetto a quella di Platone, acquisisce una visione cosmopolitica, meno carica di
pregiudizi.

Scritti essoterici e esoterici


Le opere di Aristotele oggi sono divise in scritti essoterici (da exo, al di fuori), destinati al pubblico,
e scritti esoterici (da es, dentro all’interno) o opere acroamatiche (da ascoltare), destinati
all’insegnamento nel liceo. Gli scritti essoterici erano opere dialogiche molte note durante
l’antichità che però non sono riuscite a pervenire fino a noi, tuttavia, grazie ai dossografi sappiamo
i titoli di alcuni dialoghi come il Simposio, Della retorica, Delle idee (ricalcano l’insegnamento di
Platone)
Tra questi dialoghi ne spiccherebbe uno, “Sulla filosofia”, che segnerebbe il primo distacco di
Aristotele da Platone.
Quello che ci resta del pensiero aristotelico sono solo gli scritti esoterici; il termine esoterico in
italiano rimanda a dottrine segrete ma ciò non ci deve trarre in inganno in quanto il Liceo era
aperto anche agli uditori.
Lo stile
Gli scritti aristotelici sono organizzati in lezioni per i suoi allievi e quindi sottoforma di trattati scritti
in prosa molto sobria. Non bisogna però dimenticare che di Aristotele sono andate perdute le
opere essoteriche, quelle destinate al pubblico e scritte sottoforma di dialogo, la potenza del cui
stile pare non avesse nulla da invidiare a Platone, anzi, Cicerone lo ritiene migliore: paragonare
Aristotele a Platone è come paragonare l’oro all’argento. Di Aristotele ci sono state tramandate un
milione di parole ma sembra che il suo intero corpus ammontasse a 5 milioni di parole (Platone ne
ha scritte mezzo milione). La sistemazione delle opere esoteriche, dopo varie disavventure, fu
affidata ad Andronico di Rodi vissuto molto dopo, nel I sec d.C., infatti molto probabilmente
Aristotele non le aveva sistemate così. Non ci sono giunti scritti di matematica, possiamo
solamente supporre che siano andati perduti.

La sistemazione degli scritti


Nell’edizione Bekker delle opere aristoteliche, primeggia su tutto l’Organon (dal latino
“strumento” + di ricerca, come lo intendeva Aristotele) che comprende scritti di logica in quanto
Aristotele credeva che prima di arrivare al sapere attraverso la ricerca bisognava imparare a
ragionare. Sono compresi nell’Organon: Categorie, Dell’espressione, Analitici primi, Analitici
secondi e topici. Nel raggruppare gli scritti Aristotelici, Andronico seguì il principio di classificazione
delle scienze di Aristotele: l’organizzazione aristotelica del sapere. In base a questa organizzazione
le scienze si suddividono in teoretiche, pratiche e produttive (o poietiche).

1) scienze teoretiche: perseguono la conoscenza fine a sé stessa, (da teoria, contemplazione)


comprendono scritti di metafisica, fisica e matematica. Hanno come obiettivo il sapere
disinteressato della realtà. Per arrivare a questo sapere si segue un metodo che Aristotele
definisce dimostrativo: l’obiettivo di queste singole scienze è di poter dimostrare come la
realtà funzioni.
2) scienze pratiche: (praxis, azione) puntano a guidare e valutare i comportamenti umani
comprendono scritti di etica e politica. Studiano l’agire umano e seguono un metodo non
dimostrativo: è un metodo valido “per lo più” cioè regole che non hanno carattere
universale e non possono essere applicate in tutti gli ambiti.
3) scienze produttive o poietiche: (poiesis, cosiddetta arte del fare o del produrre) sono le arti
e le tecniche cioè discipline attraverso le quali si producono degli oggetti. Non seguono un
metodo dimostrativo ma seguono un metodo valido per lo più.
Ognuno di esse studiano una parte dell’essere, solo la metafisica studia l’essere nella sua totalità
e si rivolge a tutte le scienze.
Alcune delle opere di Aristotele non sono di certa attribuzione, sono quindi spurie. Altre opere
sono state pubblicate dopo la sua morte come l’etica Eudemia, chiamata così perché è stata
pubblicata da un allievo di Aristotele, Eudemio di Rodi, o come l’etica nicomachea, pubblicata
invece da Nicomaco.
In realtà ci sono altri scritti di Aristotele che riguardano la politica. Egli si limitò ad analizzare i vari
modelli di stato infatti si pensa abbia custodito nel liceo 158 costituzioni, anche se a noi rimane
solo la costituzione degli ateniesi.
La Metafisica
L’opera più importante e famosa di Aristotele è la metafisica, uno scritto enciclopedico di 14 libri. Il
dodicesimo contiene la dottrina del primo motore immobile ed è il più rilevante.
Nell’organizzazione del sapere c’era una grande differenza tra Platone e Aristotele: Platone aveva
una visione del sapere verticale e gerarchizzata alla cui cima c’era la scienza per eccellenza, la
Dialettica.
Inizialmente anche Aristotele aveva una visione verticale delle scienze ma poi è diventata una
struttura orizzontale in cui tutte quante le scienze sono graduate in base all’oggetto che trattano.
Tutte quante le scienze studiano una parte dell’essere (per Platone solo filosofia e dialettica), ma,
dato che la metafisica tra le sue funzioni studia l’essere in quanto essere, diviene la scienza per
eccellenza in quanto rappresenta appunto l’essere nella sua totalità.
Il nome metafisica è stato attribuito da Andronico di Rodi agli scritti aristotelici denominati
inizialmente da Aristotele stesso come filosofia prima.

I significati della metafisica sono 4:


1. Ontologia: studio dell’essere in quanto essere, studio della realtà in generale
2. Teologia: studio di Dio e della sostanza immobile, il primo motore immobile muove tutto
senza essere mosso
\Più importanti\^
3. Scienza che studia le cause e i principi primi della realtà
4. Scienza che studia la sostanza
Tutti questi significati sono legati tra loro: se si studia uno si studierà indirettamente anche una
parte degli altri.

Il verbo essere
Secondo un'ipotesi di ricerca sviluppata nella metafisica, il linguaggio tende a rispecchiare la
realtà, per cui interrogarci sulle cose di cui parliamo ci aiuta a stabilire quali cose esistono. In
quest'ottica, il fatto che l'essere sia la più fondamentale delle nozioni filosofiche è rispecchiato dal
ruolo cruciale che il verbo essere svolge il nostro linguaggio, permettendoci di collegare tra loro gli
altri termini. Sebbene il linguaggio si usino anche i verbi diversi da essere tutti gli altri si possono
esprimere come combinazione del verbo essere con un predicato ricavato dal participio presente
del verbo in questione: ad esempio, invece di camminare si può dire essere camminante e così via.
Il termine essere e quindi usato con molte accezioni nel senso che possiamo ricorrere al verbo
essere per attribuire un predicato a un soggetto, oppure per stabilire l'identità fra due soggetti, ho
ancora per affermare l'esistenza di un soggetto. Quest'ultimo uso è quello da cui dipendono anche
altre 2: per attribuire un predicato ho stabilito un'identità, infatti, dobbiamo presupporre qualcosa
esista. L'indagine sull'essere richiede dunque di stabilire quali cose esistono.
“L’essere” di Aristotele ha un significato polivoco, cioè si riferisce ad una molteplicità di significati
che sono affini tra loro.
l’essere inteso come verbo fa da predicato, congiunge il soggetto con una caratteristica peculiare
del soggetto stesso che non può non possedere (Socrate è uomo).

L’Essere come “sostanza prima” si riferisce all’uomo mentre l’essere come primo motore immobile
si riferisce a Dio.
Per Parmenide l’essere ha un unico significato, Aristotele gli da più significati rendendolo un
concetto concreto e non astratto.
Il linguaggio è la chiave che permettere di connettere cose che sono connesse ed evidenziare la
differenza tra cose non connesse. Non si può dire che Socrate non è un uomo perché si
disgiungono cose che sono connesse. Il linguaggio deve essere valido.

Le 10 categorie
Aristotele introduce 10 categorie (predicati primi dell’essere, qualcosa che mette insieme 2 cose
che sono effettivamente congiunte e disgiunge ciò che è effettivamente disgiunto) compilando una
tavola:
1. Sostanza
2. Quantità
3. Qualità
4. L’agire
5. Il subire
6. Il dove
7. Il quando
8. La relazione
9. l’avere
10. Lo stare (il giacere)
Ogni essere ha questi predicati e non può non possederli, per esempio la sostanza uomo avrà
determinate qualità e avrà determinate quantità, in relazione sarà vicino o lontano da me, si
troverà in questo luogo o in un altro luogo, in questo momento o in altro momento, sarà in quiete
o agirà, starà subendo qualcosa o starà facendo qualcos’altro. Quando si parla di sostanza, le altre
categorie sono intrinseche in essa, aspetti che si ritrovano all’interno della sostanza. Aristotele
ritiene che le categorie siano il modo più generale che abbiamo per catalogare tutto ciò di cui si
parla. Si possono individuare anche altre categorie ma esse discenderanno dalle prime dieci, i
predicati primi, e saranno soggettive.

La sostanza ha molteplici significati: si può riferire a Dio se si intende il cosiddetto “primo motore
immobile” ma si può riferire anche all’uomo, definito sostanza prima, per distinguerlo dalle
sostanze seconde.
La sostanza ha un significato tanto ontologico quanto logico riferito alle categorie: ontologico
perché nel momento in cui ci riferiamo alle categorie allora ci stiamo riferendo a quelli che sono i
supremi generi dell’essere, mentre logico perché attraverso le categorie si uniscono due cose che
sono già (rapporto dei predicati).

Aristotele ad affermare che la sostanza è l’oggetto di indagine della Metafisica?


Lo fa attraverso il procedimento per astrazione (=tirare fuori qualcosa da qualcos’altro): astrarre
dal termine “essere” tutti i significati che in realtà non hanno a che fare con l’essere stesso,
servendosi di due principi detti anche “postulati” (=verità indimostrabili, si danno per scontati): il
principio di non contraddizione e il principio di identità. Il principio di contraddizione ha due
significati secondo Aristotele: è impossibile che una stessa cosa inerisca e non inerisca
contemporaneamente a una stessa realtà (significato logico), è impossibile che una stessa cosa sia
e non sia (significato ontologico). Per esempio, non posso affermare contemporaneamente che
l’uomo è ragionevole e che è irragionevole, o l’una o l’altra (significato logico), io non posso
affermare che l’uomo non è ragionevole perché la ragionevolezza è una delle caratteristiche
costitutive dell’uomo, quindi se tolgo la ragionevolezza sto negando l’esistenza dell’uomo stesso
(significato ontologico). Il principio di identità afferma che ogni cosa è identica solo a se stessa e
diversa dalle altre (aggiunto dopo).
Attraverso un metodo confutatorio dimostra che il principio di non contraddizione si possa
confutare, una cosa inconfutabile è assolutamente certa perciò indirettamente dimostra che è il
metodo più saldo di tutti.

Dalla sostanza prima, uomo, (=> tode ti= il questo qui) si distinguono anche le sostanze seconde,
tutto ciò che non è uomo. Inoltre, distingue dalla sostanza quelle che sono le sue caratteristiche
accidentali. Gli accidenti sono caratteristiche fortuite che esistono solo in relazione alla sostanza,
non hanno vita propria e sono temporali (Socrate è malato).
Materia e forma
Quando Aristotele si riferisce alla sostanza ne parla anche in termini di “sinolo”: unione
indissolubile di forma e materia.
Sostanza: è l’aspetto fondamentale della nostra realtà ed è qualcosa di tangibile e concreto, non
ideale come le idee platoniche.
La materia è l’elemento passivo (potenza), l’elemento ricettivo, il sostrato che sta sotto e sorregge
la forma che invece è l’elemento attivo (atto), ciò che determina la materia e le fa assumere un
determinato aspetto.
Esiste una materia prima ed una materia seconda che è il prodotto finale (argilla-vaso, se il vaso si
rompe non c’è più forma ma la materia rimane in ogni coccio). La potenza è la possibilità della
materia di assumere un determinata forma, l’atto è la realizzazione di tale potenzialità.
Molto spesso Aristotele al posto di sinolo usa spesso direttamente il termine forma perché
secondo lui la forma ha la priorità in quanto rende la materia ciò che è. Ma cosa viene prima la
materia o la forma? L’atto ha una priorità logica, ontologica e cronologica rispetto alla potenza. È
nato prima l’uovo – materia - o la gallina – forma – ? la risposta è la gallina (forma) perchè ci
dev’essere sempre qualcosa o qualcuno che ha dato origine alla realtà, senza la forma la materia
sarebbe inutile perché non può essere cambiata. La forma determina ciò che la materia sarà.

Secondo Aristotele le Idee erano inutili doppioni che invece di semplificare la realtà non fanno
altro che complicarla. Non scriveva miti
Platone: Filosofare aperto ai dubbi, ritorna costantemente sui suoi passi.
Aristotele: Filosofare chiuso, una conoscenza una volta raggiunta non deve essere più toccata

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