Sei sulla pagina 1di 6

Neoplatonismo

Caratteristiche generali

- Ultima manifestazione del platonismo nel mondo antico, ultimo baluardo della filosofia (e della fiducia
nella razionalità) di fronte al Cristianesimo.
- Atto finale della filosofia greca, le cui espressioni più alte sono proprio quelle della scuola a Roma (con il
Neoplatonismo vero e proprio) e di una scuola ad Alessandria (con il Neoplatonismo più generico, che
costituisce la conditio del Neoplatonismo, è la base da cui parte: la scuola di Alessandria con Ammonio
Sacca).
- Tendenza al sincretismo religioso (unione, fusione)
- Riassume le tendenze e gli indirizzi che si erano manifestati nella filosofia greca e alessandrina
dell’ultimo periodo (nel platonismo vengono fusi elementi pitagorici, aristotelici, stoici). Restano esclusi
l’epicureismo e lo scetticismo, in quanto filosofie materialistiche.
- Sopravvivrà indirettamente nel Cristianesimo (anche se lo critica, giudicandolo irrazionale, pietista e
antropomorfo) e avrà una grande ripresa nell’umanesimo fiorentino di Marsilio Ficino e della sua
Accademia. Grazie alla sua mediazione i padri cristiani conoscono Platone e Aristotele; e molti elementi
della sua filosofia entrano nel Cristianesimo.
- L’ansia e l’inquietudine sono i segni dell’epoca. Il neoplatonismo risponde alle grandi domande esistenziali
ed escatologiche (Chi sono? Da dove vengo? Dove vado? Cos’è il male?).
- L’imperatore Giuliano (331-363 d.C.) la adotta come filosofia pagana per ripristinare la cultura classica.
Ma Giustiniano, nel 529, fa chiudere l’ultima scuola neoplatonica di Atene.
- Fondatore: Ammonio Sacca (175-242 d.C.); insegna filosofia platonica ad Alessandria; non lascia scritti
- Esponente maggiore: Plotino (n. Licopoli, in Egitto, 205 d.C.- m. in Campania a 66 anni, 270 d.C.);
frequenta per 11 anni la scuola di Ammonio Sacca ad Alessandria; partecipa alla spedizione
dell’imperatore Gordiano III in Persia, venendo a contatto con le dottrine persiane e indiane. In seguito
alla sconfitta e alla morte dell’imperatore, Plotino fugge ad Antiochia; e poi si stabilisce a Roma, dove
apre la sua scuola, frequentata anche da senatori romani e molto ammirata dall’imperatore Gallieno e da
sua moglie Salonina (N.B.: Gallieno aveva intrapreso l’ambizioso progetto della rifondazione culturale,
morale e spirituale dell’Impero). La scuola di Plotino, pertanto, si presenta come un circolo filosofico,
frequentato da uomini e donne. Con l’aiuto dell’imperatore Gallieno, vorrebbe anche fondare in
Campania una “città di filosofi”, che dovrebbe chiamarsi Platonopoli, perché ispirata alle teorie etico-
politiche del filosofo greco; ma era più l’idea di un monastero che della Kallipolis di Platone.
- Pare che nel corso della sua vita abbia raggiunto quattro volte lo stato estatico; muore (forse di lebbra),
tra atroci sofferenze.
- Per anni Plotino non scrive nulla. Poi, forse per il tradimento di un amico che comincia a divulgare le sue
dottrine, ma soprattutto per l’insistenza dei suoi allievi, decide di scrivere le proprie riflessioni.
- Un suo allievo, Porfirio di Tiro, raccoglie e pubblica gli scritti del maestro, ordinandoli in sei Enneaidi (sei
raccolte, ciascuna di nove scritti, per un totale di 54). A premessa di quest’opera, Porfirio redasse una
“Vita di Plotino”; oltre a questa, Porfirio scrive altre sue opere, tra cui: “Vita di Pitagora”; “Introduzione
alle Categorie di Aristotele”, che è un commento in forma di dialogo dell’opera aristotelica).
- Lo stesso Porfirio spiega che l’ordine delle Enneadi non è cronologico, ma tematico:
 La prima raccolta contiene scritti di etica
 la seconda, di fisica e cosmologia
 la terza ancora di cosmologia, ma svolge in modo più ampio il tema, fino ad affrontare le
questioni del tempo, dell’eternità e della contemplazione dell’Uno.
 La quarta contiene gli scritti sull’anima
 la quinta tratta dell’intelletto e delle idee
 la sesta si occupa dei generi sommi dell’essere, dell’ente e del bene
Dai molti all’Uno

Sebbene Plotino presenti il proprio pensiero come un semplice sviluppo del platonismo (infatti riprende
tematiche tipicamente platoniche), in realtà la sua è una filosofia nuova e originale, in cui si compenetrano alcuni
dei motivi più tipici della riflessione greca sull’essere (da Parmenide a Eraclito, da Pitagora a Platone, da
Aristotele agli stoici).
- La riflessione di Plotino prende le mosse dalla molteplicità delle cose
- Tutte le singole cose che si trovano nel mondo rimandano costantemente ad altro (condividono un fine
comune), poiché non hanno in sé il loro scopo e non si spiegano da sole
- Questo fine comune, che rappresenta la condizione della molteplicità, è l’unità. Questo vale dal punto di
vista sia matematico sia ontologico. Infatti, la molteplicità è impensabile senza l’unità: il due presuppone
l’uno; ogni cosa è ciò che è solo in quanto costituisce un’unità [gli enti molteplici che costituiscono il
mondo devono fondarsi necessariamente su un principio ontologico unitario]. Tolta l’unità, è tolto lo
stesso ente
- Esempi (di Plotino stesso): la casa, la nave, il gregge, il coro…esprimono l’unità dei loro molteplici
componenti, al punto che se perdono l’unità non sono più ciò che sono. Anche un oggetto è ciò che è in
virtù dell’armonia delle sue parti
- Gli esseri minori hanno meno unità, quelli maggiori ne hanno di più
- Procedendo di grado in grado si arriva all’Uno assoluto (Uno Primo, Uno in sé, Uno totale), da cui tutto
deriva e grazie a cui i molti sono
- E poiché la radice dell’essere è l’unità, la radice del mondo è l’Uno

Caratteri dell’Uno

- L’Uno, principio dei molti, è diverso da tutto ciò di cui è principio (Primo di tutte le cose che sono, non
può “essere” allo stesso modo delle cose che sono)
- È trascendente ed estraneo al mondo
- È immobile, immutabile, perfetto (dunque è Dio)
- È infinito (àpeiron), ovvero la sua potenza è illimitata
- (Poiché è infinito) è privo di forma e di figura
- (Poiché non ha forma), è al di là dell’essere e al di là della sostanza
- Di conseguenza, è al di fuori di ogni determinazione quantitativa e spazio-temporale
[In quanto infinito, l’Uno non può essere colto mediante attributi finiti]
- Per la sua natura trans-finita, l’Uno è inesauribile, per cui non può essere argomento di discorso e oggetto
di scienza [Poiché è diverso dagli enti del mondo e sfugge alla nostra capacità di comprensione, gli
attributi con cui gli uomini possono descriverlo non corrispondono davvero a ciò che l’Uno è, poiché Egli
non può essere ricondotto al “logos” umano, inteso sia come linguaggio e sia come ragione]; dunque è
l’assolutamente Altro, di cui si può dire soltanto ciò che non è (teologia negativa)
- La teologia negativa si contrappone alla teologia razionale (che invece pensa che con la ragione si possa
arrivare a comprendere qualche caratteristica divina)
- Tuttavia, ispirandosi a Platone, Plotino parla dell’Uno anche in termini di Bene, sottolineando il fatto che
Esso è tale soprattutto in relazione al mondo, il quale non può fare a meno di rappresentarvisi come a un
supremo oggetto di desiderio
- L’Uno può anche essere detto Causa, ma il termine vale solo per noi uomini (che abbiamo qualcosa di Lui,
mentre Egli persevera in se stesso)

Dall’Uno ai molti

- Ma se non lo possiamo conoscere (in quanto è “assolutamente Altro” rispetto al mondo) e di


conseguenza non ne possiamo parlare (in quanto è ineffabile), come possiamo filosofare sull’Uno e
spiegare il mondo tramite l’Uno? Plotino cerca di risolvere tale contraddizione ricorrendo ad un
linguaggio allusivo e metaforico, con il quale intende dare risposta a due interrogativi di fondo:
1) Perché dall’Uno derivano i molti?
2) Come avviene tale derivazione?
Ragionamento:
- L’Uno è perfetto, dunque non ha bisogno del mondo [“…il principio del Tutto non ha affatto bisogno di
questo Tutto”]
- Ma allora, perché l’Uno non rimane unico? Ovvero, perché, e in che modo, l’Uno genera il mondo?
- L’Uno è potenza illimitata e inesauribile, per cui la condizione del suo essere è di debordare,
sovrabbondare rispetto a se stesso
- La sovrabbondanza d’essere implica che l’Uno generi, senza volere, a causa della sua stessa natura ([Non
può fare a meno di traboccare e di generare]
- Tutto ciò non avviene per un atto di volontà [l’Uno è Volontà che si “auto-vuole”, ma non vuole “creare” il
mondo. Quest’ultimo, quindi, non è una realtà intenzionalmente voluta, ma un prodotto che scaturisce
inevitabilmente dall’essere ridondante dell’Uno]
- Per descrivere tale processo, Plotino utilizza i concetti-metafora di “emanazione” e di “irradiazione”,
espressioni che rimandano alle immagini del calore e della luce solare, il cui propagarsi infonde vita
- L’emanazione è uno svolgimento eterno delle potenzialità infinite e debordanti dell’Uno; è un processo
“necessario” (spontaneo, non volontario) per cui dall’Uno scaturisce la molteplicità degli enti secondo una
scala degradante, un processo di gradazione dell’essere, durante il quale l’essere si determina secondo
gradi diversi, dal più al meno perfetto, per progressivo allontanamento dal principio unitario e immutabile
- Essendo l’Uno eterno (fuori dal tempo), tale processo non si determina nel tempo, secondo una
successione cronologica di passaggi dall’uno ai molti. Dunque, l’emanazione non si compie nel tempo, ma
è eterna (come nel caso del calore che procede dal fuoco, ma non è posteriore ad esso)
- L’emanazionismo esclude:
 Creazionismo (il Dio ebraico-cristiano, con un atto di volontà, crea il mondo dal nulla, genera la
materia e la plasma. Per Plotino, invece, non vi è alcun atto creativo)
 Panteismo (implica la presenza di Dio nel mondo, come causa immanente, principio fisico
dell’universo, al punto che Dio e mondo sono inseparabili. Per Plotino, invece, Dio è
assolutamente trascendente ed estraneo al mondo)
 Dualismo (Dio è creatore dell’ordine, ma non della materia originaria, che esiste eternamente
insieme a Dio. Il Demiurgo platonico, inoltre, è subordinato alle Idee. Secondo Plotino, invece, il
mondo materiale non può coesistere con Dio, poiché in tal caso vi sarebbero due principi
originari; per cui il mondo esiste solo come effetto della processione divina)
- L’emanazione (e dunque la relazione Dio-mondo) può essere spiegata attraverso le metafore, tra cui:
 La metafora della luce (la luce si propaga infinitamente al di là del suo punto di origine). Ciò che è
più vicino alla luce è più illuminato (dunque più perfetto), mentre ciò che è lontano lo è di meno.
Il passaggio dall’Uno ai molti è come il passaggio dalla luce all’ombra attraverso tutte le
gradazioni possibili dell’illuminazione.
 La metafora del fuoco che emana calore
 La metafora della sostanza odorosa che emana profumo
 I cerchi concentrici che si originano da un punto centrale
 La sorgente da cui zampillano le acque
 La neve che produce il gelo
- La materia è il grado più basso dell’emanazione
Il processo emanativo si muove dunque nell’eternità fra due poli assolutamente incommensurabili: la
fonte della luce (l’Uno) e l’assenza di luce (la materia, che si trova all’estrema periferia della perfezione
divina).
La gerarchia degli esseri
Dal processo di emanazione (che è degradazione dalla perfezione divina) proviene un mondo
gerarchicamente ordinato, composto da essenze intermedie (o ipostasi, cioè sostanze del mondo
intellegibile, realtà sostanziali che sussistono di per sé. Letteralmente: ciò che sta sotto).
1) La prima ipostasi è l’Uno stesso, inteso come pànton dynamis (principio dinamico) dell’emanazione,
già proteso al di fuori della sua incommensurabile perfezione, realtà “potenza di tutte le cose che da
Lui si irraggiano”.
2) La seconda ipostasi è l’Intelletto (o Spirito o Intelligenza; in greco “Noùs”), che scaturisce da una
contemplazione che l’Uno fa di se stesso. È l’Uno che si pensa e inizia a distinguere in sé il molteplice,
in quanto questo implica già il dualismo fra chi pensa e ciò che è pensato.
Ma cosa pensa l’Intelletto? Plotino, rifacendosi alla concezione aristotelica di Dio, risponde che esso
pensa tutti gli infiniti pensieri pensabili (tutto ciò che è pensabile), ovvero l’Uno negli infiniti modelli
ideali che lo rappresentano (i modelli eterni delle cose) e che corrispondono alle idee platoniche,
collocate da Plotino al di sotto dell’Uno in quanto definizioni molteplici dell’unità indivisibile,
esplicazioni in un mondo ideale di tutte le forme dell’essere.
3) La terza ipostasi è l’Anima, che da un lato guarda all’Intelletto, da cui riceve la luce delle essenze
archetipe e con ciò pensa; dall’altro lato guarda a ciò che è dopo di lei (la Materia, il mondo) e lo
ordina tramite le idee, considerate non solo come modelli o archetipi (Platone), ma anche come
forme plasmatrici (Aristotele) e forze vivificanti (stoici). Quindi l’Anima contempla l’Intelletto e ne
mette in atto il disegno: ha una parte superiore (rivolta all’Intelletto) e una parte inferiore (rivolta al
corpo che da essa emana. Unendosi a quest’ultimo diviene Anima del mondo e Provvidenza (in senso
diverso da quello cristiano). L’Anima è poi presente nelle singole cose, di cui rappresenta l’elemento
incorporeo, spirituale.

I rapporti tra le ipostasi: come si può notare, ogni ipostasi “nasce” da un atto di contemplazione rivolto
all’ipostasi precedente e costituisce l’esplicazione o la realizzazione, a un livello ontologico inferiore, di
qualche sua caratteristica, o potenza. Ad esempio, l’Intelletto nasce dalla contemplazione dell’Uno e si
configura come l’esplicazione, in forma ideale, di tutto l’essere. Analogamente, l’Anima nasce dalla
contemplazione dell’Intelletto e rappresenta la realizzazione, nel mondo corporeo, delle idee. In altre
parole, come scrive Plotino, l’Intelletto è verbo e atto dell’Uno, mentre l’Anima è verbo e atto
dell’Intelletto. Il loro rapporto è simboleggiato dalla luce (l’Uno), dal sole (l’Intelletto), e dalla luna
(l’Anima, che trae la luce dal sole). l’Uno, l’Intelletto e l’Anima universale costituiscono il mondo
intelligibile.

La materia e il male: il mondo corporeo, che deriva dall’Anima, implica anche, per la sua formazione, un
altro principio, che è la materia, concepita da Plotino negativamente, ossia come privazione del positivo.
Questo perché la materia si trova all’estremità inferiore della scala alla cui sommità c’è Dio. Essa è
l’oscurità che comincia là dove termina la luce. Come tale, la materia è non-essere e male (non l’opposto
dell’essere e del bene, ma la loro assenza o privazione). Il male, dunque, è inteso come “non ente” o
negazione dell’ente e non come un principio (perché altrimenti esisterebbero due principi, l’Uno e la
materia). Il male, essendo privazione del bene, può essere paragonato a ciò che per il corpo è la malattia,
cioè la privazione della salute. Pertanto, nel processo di emanazione mano a mano che la condizione
spirituale si degrada nella materia, vi è per Plotino una progressiva perdita di consistenza ontologica: più
ci si allontana dal modello, più si discende, più si determina una condizione di privazione, di perdita di
senso. La materia è, in questo contesto, la massima degradazione.

La materia è compenetrata di una forza spirituale (le anime singole) che si manifesta in diversa misura nei
vari esseri e massimamente nell’uomo. Le anime singole sono parti (immagini o riflessi) dell’Anima del
mondo, la quale penetra e vivifica la materia, rimanendo in se stessa unica e indivisibile. Perciò produce
l’unità e la simpatia (il patire insieme) di tutte le cose, giacché queste, avendo un’unica anima, si
richiamano vicendevolmente come le membra di uno stesso animale. Vi è dunque, una partecipazione e
una comunanza tra le cose, un ordine, un’unità armoniosa che possiamo definire con il termine
“bellezza”, che rappresenta il riflesso nel mondo della perfezione divina. Per scoprire quest’ordine
bisogna guardare al Tutto, nel quale trova il proprio posto e la propria funzione ogni singola parte, anche
quella apparentemente imperfetta o cattiva.

Il tempo: per quanto concerne la temporalità, Plotino (che ha presente la definizione platonica del tempo
come “immagine mobile dell’eternità”) afferma che essa nasce dall’attività dell’Anima del mondo, la
quale, distribuendosi nella materia, pone in una successione di prima e di poi ciò che nell’eterno (ossia nel
mondo delle idee) è tutto insieme e simultaneo.

Il “ritorno” all’Uno

Iniziato con la discesa dell’Uno nei molti, il circolo cosmico termina con il ritorno dei molti all’Uno. La
saldatura dei due semicerchi del reale avviene attraverso quel punto nodale del Tutto che è l’uomo, il quale,
nella gerarchia universale, occupa una posizione intermedia tra il mondo intellegibile e il mondo sensibile.
All’anima individuale spetta, pertanto, la scelta fra intellegibile e sensibile, fra bene e male: può cioè
sprofondare e perdersi nell’abisso oscuro della materialità, oppure ripercorrere all’inverso il processo di
emanazione dell’Uno, risalendo verso l’ineffabile unità di Dio. Anzi, proprio nel ritorno all’Uno consiste il
compito supremo dell’anima.

[A tale proposito si noti come la filosofia greca, nell’ultima fase del suo sviluppo, tenda ad avvicinarsi alla sapienza
orientale (a carattere religioso), così come quest’ultima si avvicina alla filosofia greca, di cui cerca di assimilare i concetti.
Pertanto, in questa fase a filosofia assume un aspetto più “spirituale-religioso”: si diffonde la consapevolezza (già
presente nel mondo greco) che in realtà la vita è un viaggio dentro se stessi, verso l’illuminazione, una chiamata verso la
luce. Ma questa luce è dentro l’uomo stesso, per cui l’illuminazione a cui l’uomo è chiamato è in realtà una
consapevolezza, implica una trasformazione, un ritorno verso la propria luce, la “beatrice” che è dentro ciascun uomo, la
propria anima di luce, il proprio compagno di luce, la propria divinità. Dunque tale viaggio è un risveglio, un percorso
dentro se stessi.]

Secondo Plotino, l’anima si incarna per necessità e conseguentemente alla sua condizione di ipostasi
dell’emanazione divina, ma anche a causa di una duplice colpa. In primo luogo, l’anima desidera una propria
autonomia rispetto all’ordine intelligibile, ossia di appartenere a se stessa in quanto tale, di legarsi
all’individualità corporea tramite un distacco dal mondo intelligibile. la seconda colpa consiste nel fatto che
l’anima si affeziona troppo al corpo che la ospita, prendendosene eccessivamente cura, con le conseguenze
che ne derivano, ossia con il mettersi al servizio delle cose esteriori e quindi con il dimenticare se stessa e il
suo vero scopo. L’anima, insomma, finisce per perdersi nel mondo, dimentica la sua condizione intermedia tra
cielo e terra e sembra smarrire la strada dell’elevazione.

Tuttavia, collocate tra l’Uno e la materia, le anime, se da un lato sono attirate dal gorgo dell’inautenticità
corporea, dall’altro non possono fare a meno di avvertire il richiamo dell’ “Essere donde nacquero”: esse
provano un sentimento di nostalgia di quanto è andato perduto (l’Uno da cui sono generate) e cercano di
tornarvi, intraprendendo un viaggio complesso e travagliato. A tale proposito Plotino parla esplicitamente di
esilio dell’anima e del desiderio di quest’ultima di ritornare alla casa del padre. In altre parole, la vita è una
sorta di esilio che trova nell’Odissea omerica la sua rappresentazione metaforica. L’anima vive una condizione
simile a quella di Ulisse: vaga per il mondo subendo il fascino di mille sirene, ma ciò che in realtà più
intimamente desidera è tornare nel proprio paese.

Le tappe del ritorno all’Uno (tappe progressive di elevazione)

Per poter intraprendere questo viaggio di ritorno, l’uomo, la cui anima è prigioniera nel corpo, deve
innanzitutto rinunciare ai piaceri esteriori e agli interessi mondani, dedicandosi esclusivamente alla
consapevolezza interiore di sé. La liberazione da ogni rapporto di dipendenza nei confronti del corpo avviene
tramite le virtù civili (corrispondenti alle virtù cardinali di Platone):

- con l’intelligenza e la sapienza, l’anima impara a fare affidamento unicamente su se stessa, a operare da
sola, senza l’aiuto dei sensi;
- con la temperanza si libera dalle passioni;
- grazie al coraggio non teme di separarsi dal corpo;
- per mezzo della giustizia affida la guida dei propri atti unicamente alla ragione.
Dopo essersi esercitata in queste virtù, l’anima è pronta per tentare di raggiungere l’Uno attraverso tre vie:

- la via estetica dell’arte


- la via etica dell’amore
- la via intellettuale della filosofia

Come per Platone, queste vie corrispondono ai tre ideali per cui merita il vivere: il Bello, il Bene e il Vero.

- La prima via che consente l’elevazione al di là delle cose del mondo è l’arte, intesa come contemplazione
della bellezza. Ritornano qui i riferimenti platonici, in particolar modo al Fedro. La bellezza riflette nella
realtà l’armonia delle idee, è dunque la manifestazione dell’intelligibile nel sensibile, cioè delle idee nel
mondo. Essa è presente, innanzitutto, nella natura: non si manifesta, però, nella proporzione e simmetria
delle parti (come sosteneva Aristotele), ma nel momento in cui cogliamo in una cosa l’unitarietà che la fa
esistere. Oltre che nella natura, la bellezza è presente anche nell’arte, come manifestazione della
tensione dell’uomo verso l’Uno. L’arte, dunque, è intuizione del mondo intelligibile e non imitazione del
mondo sensibile come riteneva Platone, che di conseguenza la condannava. Particolarmente adatta, poi,
a farci intuire il mondo intellegibile, è la musica, in quanto è un’espressione artistica non materiale:
l’uomo, procedendo oltre i suoni sensibili, cerca di cogliere il rapporto e la misura a essi sottostanti, per
sollevarsi all’armonia intelligibile.
- Nel momento in cui si scopre la bellezza dell’anima inizia la seconda via per tentare di raggiungere l’Uno,
quella dell’amore: così facendo, si passa dal piano estetico a quello etico, in quanto l’amore si manifesta
come contemplazione della bellezza morale, cioè del Bene. Nell’amore, infatti, l’uomo si solleva
gradualmente (secondo il processo già descritto da Platone nel Fedro) dalla contemplazione della bellezza
corporea a quella della bellezza incorporea, la quale è immagine o riflesso del Bene.
- Una contemplazione che si trasforma, nel suo più alto grado, in filosofia, la terza via, nel momento in cui
diventa riflessione intellettuale dell’Uno. La filosofia è per Plotino la disciplina dialettica, la capacità cioè
di procedere verso la fonte stessa della bellezza, ossia verso l’Uno in sé. All’Uno, tuttavia, l’uomo non può
arrivare tramite l’intelligenza, poiché questa è condizionata dal dualismo tra soggetto pensante e oggetto
pensato, mentre Dio è assoluta unità, che sfugge a ogni presa conoscitiva. Anche la via intellettuale,
dunque, si dimostra inadeguata.
- Dato che l’intelletto umano non è in grado di cogliere l’Uno, la strada seguita dall’anima non è quella della
ragione, ma è quella della contemplazione mistica chiamata da Plotino estasi. Si tratta di un’esperienza
spirituale eccezionale, che consiste in una sovra-razionale immedesimazione con l’Ineffabile, ottenuta
mediante un’uscita da sé e dai limiti del finito. L’estasi non è da intendersi come uno stato di incoscienza
irrazionale, ma piuttosto come superamento della razionalità: uno “slancio” per mezzo del quale l’anima
trascende la dimensione finita e si perde finalmente nell’Assoluto. Nell’estasi, infatti, l’anima si
immedesima con l’Uno al di là della stessa ragione.
Ecco le parole con cui si chiudono le Enneadi: “Ed ecco la vita degli dèi e degli uomini divini e beati:
separazione dalle restanti cose di quaggiù, vita cui non aggrada più cosa terrena, fuga di solo a solo”.
Quali forze conducono l’uomo all’estasi (che, a detta dello stesso Plotino, costituisce un avvenimento
eccezionale nella vita di un uomo)? Restando fedele alla tradizione del pensiero greco, Plotino ritiene che
l’uomo giunga all’estasi con le proprie forze, in quanto si tratta della “fuga di un singolo verso l’Uno”. Per
illuminare l’uomo, dunque, Dio non interviene con la sua “grazia”, il “dono di Dio di sé”, come sostiene il
cristianesimo. È invece l’uomo stesso che con le sue capacità razionali può giungere a ltrepassarle per
riunirsi a Dio, l’assolutamente Uno. L’estasi è dunque l’ascesa mistica verso Dio, in cui viene abolita
l’alterità tra l’Uno e il molteplice, allo stesso modo in cui le singole note musicali si perdono all’interno di
un’unica sinfonia. Una religiosità tutta filosofica che non richiede sacerdoti e liturgie, in quanto si tratta di
un’esperienza individuale, un personale “amoroso contatto” (prosbolé) con l’Uno.

Potrebbero piacerti anche