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Neoplatonismo 1

Neoplatonismo
Il Neoplatonismo è quella particolare
interpretazione del pensiero di Platone che ne
venne data in età ellenistica, riassumendo in sé
diversi altri elementi della filosofia greca, e
diventando la principale scuola filosofica
antica a partire dal III secolo.

Sorto in età imperiale romana, il


neoplatonismo andrà poi ad influenzare
soprattutto la filosofia occidentale,
distinguendosi dal platonismo di marca
bizantina, rimasto più fedele al Platone della
tradizione.

Nascita
Il neoplatonismo nacque in un particolare
momento storico, in cui l'uomo, spinto da una
profonda crisi interiore, avvertiva
intensamente la caducità della realtà
sensibile.[1] Era l'epoca del tardo ellenismo, un Filosofi platonici: Platone, Plotino, Agostino.

periodo di grandi difficoltà e sconvolgimenti,


preludio della caduta dell'Impero romano, ma culturalmente fecondo per la varietà di correnti filosofiche e religiose
da cui fu caratterizzato, e per il fatto che proprio allora stava cominciando a diffondersi il messaggio cristiano
mescolato con altri culti (specie orientali). Convenzionalmente il neoplatonismo viene fatto iniziare con l'attività di
Plotino di Licopoli, che visse nella prima metà del III secolo e studiò ad Alessandria d'Egitto, dove fu allievo di
Ammonio Sacca. Qui assimilò i fermenti culturali sia della filosofia greca che della mistica orientale, egiziana ed
asiatica. Di fronte alle incertezze del suo tempo, Plotino si rese conto di essere alle soglie di una nuova epoca,[2] e
sentì la necessità di ricorrere alla saggezza e alla sapienza degli antichi quali strumenti per mettere in salvo l'anima,
purificandola dalle passioni ed elevandola all'intelligenza.

Intorno ai quarant'anni si trasferì quindi a Roma dove fondò una scuola neoplatonica.[3] Qui Plotino elaborò
un'esegesi del pensiero platonico che integrava in esso dottrine aristoteliche e in parte anche stoiche, ispirandosi
all'opera di filosofi precedenti come Numenio di Apamea, Alessandro di Afrodisia e Filone di Alessandria. In primo
luogo, tuttavia, egli intendeva rifarsi al pensiero razionalista di Parmenide e degli eleati basato sull'identità di essere
e pensare, a partire dalla quale essi avevano ricondotto l'intera realtà all'unità.[4] Il metodo di cui costoro si erano
serviti era la logica formale di non-contraddizione, secondo cui un pensiero evita di contraddirsi solo quando
riconosce di avere in sé stesso la verità dell'essere. Al di fuori di questa suprema unità di essere e pensiero si rimane
nella contrapposizione di soggetto e oggetto, i quali secondo logica non possono sussitere l'uno senza l'altro perché si
implicano a vicenda.
Da Platone egli riprese poi la distinzione tra mondo iperuranio, dove ha sede una tale unità, razionalità e perfezione,
e mondo terreno sottoposto alla divisione, alla caducità, e al non-senso. Egli conservò anche la definizione di
filosofia come eros e come dialettica, colla quale ricucire queste lacerazioni e approdare al regno delle idee, in cui
consiste la dimensione eterna del vero, del buono e del bello.
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Plotino tuttavia conciliò le idee platoniche anche con la filosofia di Aristotele: partendo dalla natura, egli notava
come negli organismi sia presente un unico sostrato o logos da cui scaturisce il molteplice. Mentre l'artigiano
costruisce l'uno a partire dai molti, cioè assemblando più parti tra loro, la vita al contrario sembra nascere da un
principio semplice che si articola nel complesso.[5] Plotino chiamò Anima del mondo la sostanza vitale da cui
prendono forma le piante, gli animali, e gli esseri umani. I gradi inferiori della natura possono evolversi e formare gli
organismi più intelligenti e progrediti perché l'intelligenza dev'essere già presente dentro di lei. Ciò secondo Plotino
era possibile appunto perché l'Anima discende da quelle Idee platoniche che per il suo tramite diventano
aristotelicamente le ragioni immanenti e formanti degli organismi. Le Idee per lui restavano tuttavia trascendenti, e
concepite come infinite sfaccettature di un medesimo Pensiero autocosciente, che pensandosi si rende oggetto a sé
stesso; in esso consisteva così l'identità parmenidea di essere e pensiero. Tale identità era però ancora l'unione di due
realtà distinte, benché coincidenti. Secondo Plotino occorreva allora ammettere il puro Uno al di sopra di questa
stessa identità, quale principio supremo del Tutto. In tal modo egli formulò la dottrina delle tre ipostasi, costituite
dall'Uno, l'Intelletto e l'Anima.[6]

Diffusione e correnti
Il neoplatonismo si impose come corrente dominante della tarda antichità e
soppiantò le altre principali correnti filosofiche imperiali, soprattutto lo
stoicismo e l'aristotelismo, ottenendo una posizione di egemonia non solo tra i
filosofi pagani, ma anche tra i cristiani.
Il dibattito intorno al platonismo e all'interpretazione che ne aveva dato
Plotino portarono alla fondazione di diverse scuole, alcune delle quali
concorrenti le une con le altre, che si situavano nei principali centri di
insegnamento delle nuove dottrine. Le principali scuole neoplatoniche pagane
furono:[7]
• scuola di Roma, fondata da Plotino e continuata dai suoi discepoli Porfirio
e Amelio;
• scuola di Alessandria, che ebbe tra i suoi esponenti Olimpiodoro e la
filosofa Ipazia;
• scuola siriaca, fondata da Giamblico, discepolo di Porfirio, che si distinse Giamblico

per la sua revisione delle teorie del fondatore e per il marcato recupero
delle tradizioni neopitagoriche e della sapienza contenuta nel cosiddetto Corpus Hermeticum;
• scuola di Atene, legata con quella siriaca per il tramite di Prisco, i cui maggiori esponenti furono Plutarco di
Atene e Siriano, e i cui risultati sono testimoniati dalle opere di Proclo;
• scuola di Pergamo, fondata da Edesio di Cappadocia e che ebbe nell'imperatore Giuliano uno dei principali
rappresentanti.
La Scuola di Atene cessò la sua attività nel 529, in seguito alla chiusura disposta dall'editto giustinianeo, mentre la
scuola di Alessandria continuò fino agli inizi del VII secolo.[8] Anche in ambito cristiano tuttavia il neoplatonismo
conobbe notevole diffusione, soprattutto a partire dal circolo intellettuale che si era formato a Milano verso la fine
del III secolo, attorno alla figura dell'arcivescovo Ambrogio: fu grazie ai contatti con il cenacolo milanese che
Agostino, il futuro vescovo di Ippona e Padre della Chiesa conobbe il pensiero dei "filosofi platonici" che furono
così determinanti nel suo allontanamento dal manicheismo.
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Filosofia come esegesi


Come praticamente tutte le scuole filosofiche post-ellenistiche, anche il neoplatonismo considera la filosofia prima di
tutto come esegesi, cioè interpretazione dei testi. I filosofi neoplatonici non si consideravano per nulla degli
innovatori, quanto piuttosto dei fedeli lettori dei dialoghi del maestro. Il loro compito non era elaborare nuove
dottrine, ma portare alla luce il vero messaggio degli scritti platonici. Anche per questo, le opere che di loro ci sono
giunte - e in ogni caso la maggior parte degli scritti che produssero - sono per lo più commenti ai testi di coloro che
essi consideravano i pensatori più importanti tra quelli che li avevano preceduti: Platone e Aristotele in primo luogo,
ma anche la tradizione ermetica e neopitagorica.
Nonostante i loro proclami di assoluta fedeltà, i pensatori neoplatonici non vanno considerati dei semplici ripetitori:
il loro pensiero porta notevoli tratti di originalità, e condizionerà fortemente l'interpretazione che della filosofia
antica daranno le epoche successive. Quello che si definiva (e spesso si definisce tutt'oggi nei manuali) platonismo è
in realtà la dottrina neoplatonica.

Dottrina
I punti salienti delle sistemazioni dottrinali delle varie correnti
neoplatoniche e soprattutto del pensiero del massimo esponente di
questa filosofia, Plotino, possono essere così schematizzati:
• L'intero cosmo deriva la sua esistenza da un principio primo
ineffabile, totalmente trascendente e buono, chiamato da Plotino
"Uno" (τὸ ἕν, tò hèn).
• La potenza infinita dell'Uno genera l'universo attraverso un
processo spontaneo e necessario, chiamato processione o ἀπόρροια
(apòrroia), tramite il quale l'energia vitale emanata dall'Uno
penetra ovunque, formando i diversi livelli di cui è costituita la
realtà: per Plotino sono l'Intelletto e l'Anima; Il Sole come simbolo astrologico dell'Uno, in una
• Il processo di emanazione avviene per natura, non meccanicamente stampa rinascimentale

o in vista di un fine deliberato, come quando l'uomo compone


artificialmente più parti tra di loro, bensì in maniera organica, a partire da un principio assolutamente semplice e
irriproducibile. La visione neoplatonica del mondo è pertanto agli antipodi del meccanicismo determinista, perché
anti-antropomorfa;
• Al punto più basso dell'emanazione c'è la materia, la quale è un inganno perché in realtà è un semplice non-essere.
Essa è il luogo delle presenze oscure e maligne, ma è anche indice di qualcosa di superiore: è un segnale, “nunzio
dell'Intellegibile”, decifrando il quale l'uomo riconosce il primato dell'uno rispetto al molteplice;
• Le anime umane sono decadute dalla loro condizione iniziale, nella quale erano unite all'anima del tutto e
assolutamente libere dai bisogni del corpo. In seguito a questo atto di tracotanza, che le ha portate a volersi
separare dall'anima del mondo e ad interessarsi eccessivamente del corpo a loro affidato, esse vivono in una
condizione di dimenticanza e di lontananza dalla loro reale condizione, "come prìncipi in esilio".
• Lo scopo dell'uomo si configura perciò come un cammino di liberazione dalle conseguenze della caduta, e dai
falsi bisogni che la eccessiva attenzione per i corpi ha imposto alle anime. Al termine di questo percorso l'anima
riacquisirà il suo status iniziale, e la coscienza della propria felicità.
A tali principi sono connessi alcuni punti chiave, che vengono ora esaminati in dettaglio:
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Polarità e circolarità
Secondo la concezione neoplatonica, il mondo è teso tra due poli: a un'estremità si trova Dio o l'Uno, che è la luce
divina; all'altra c'è il buio assoluto, dove questa luce non giunge. Il buio però non esiste veramente, perché consiste
soltanto in una mancanza di luce. I due estremi, dunque, sono in realtà uno solo. Questo tema della polarità che si
risolve in unità, permea, come vedremo, tutto il sistema neoplatonico.
Ad esempio, l'articolarsi della realtà dal semplice al complesso ha come riflesso l'articolarsi del pensiero. Esso infatti
si può svolgere in due direzioni opposte ma complementari: verso l'unità intuitiva o verso la dispersione discorsiva.
Come questi due procedimenti sono solo apparentemente antitetici, così anche l'Uno e il molteplice vanno conciliati
organicamente l'uno con l'altro, essendo due facce di una stessa realtà. In polemica contro le dottrine empiriste della
conoscenza, il neoplatonismo sostiene che la conoscenza non deriva dall'esperienza. Tutto il sapere giace già a
livello inconscio nella nostra mente per una sorta di innatismo delle idee, che si risvegliano tramite il contatto coi
sensi non per una nostra volontà deliberata, ma in virtù di una reminiscenza involontaria. La vera sapienza è quella
che nasce dalla ragione e non dai sensi. Anche qui tuttavia la razionalità e la sensibilità sono visti in un'ottica
bipolare di complementarietà, come lo sono l'Uno e il molteplice, l'essere e il non-essere, il bene e il male. In
maniera simile a un organismo, composto armonicamente di tante singole parti che sono a sua volta un uno, e nelle
quali opera una particolare idea o "lògos" genetico, così anche il pensiero neoplatonico vuole partire da un principio
assolutamente semplice articolandolo nella complessità, senza perdere tuttavia la visione organica d'insieme, e
ritrovando ogni volta l'uno dentro il molteplice.
Analogamente, il processo di emanazione che avviene per necessità dal punto più alto a quello più basso, ha il suo
contraltare nella libertà dell'uomo, il quale, unico fra tutte le creature, ha la possibilità di compiere il percorso a
ritroso (epistrofé) tramite la purificazione e la catarsi. Il conflitto tra processione e contemplazione, tra la necessità
dei condizionamenti in cui risiede il male, e la possibilità umana di scegliere il bene, si risolve quindi in un cerchio.
Una metafora spesso utilizzata era appunto quella del ciclo,[9] con cui i neoplatonici ellenistici descrivano le
emanazioni in senso discensivo fino al punto di massima dispersione, e che poi giunto alla materia si invertiva per
ricominciare la “via all'insù”.[10] Questo tema della circolarità presenta inoltre molte affinità con le filosofie orientali,
quali il buddhismo o il taoismo (si pensi allo yin e yang).

Teologia negativa
La polarità del mondo, costituita dalle due estremità, permetteva di stabilire un rapporto dialettico tra di esse,
essendo l'una il negativo dell'altra. Ad esempio, la verità (assunta come il polo positivo) diventava definibile tramite
il suo negativo, ovvero la falsità. Così, pur affermando che l'Uno si trova al di là di tutto, persino del pensiero logico,
il sistema neoplatonico non intendeva presentarsi come un mero salto nell'irrazionale o nell'intuizione mistica, ma
diventò anzi quella corrente filosofica che ha fornito al pensiero occidentale lo strumento critico della teologia
negativa. Ricorrendo a tale strumento, la teologia neoplatonica mirava a ricucire, tramite l'uso della dialettica e della
logica formale, quell'unità immediata di soggetto e oggetto, spirito e materia, che nel mondo sensibile appariva
invece terribilmente frantumata in un dualismo insanabile.
L'Uno è indefinibile di per sé, in quanto se definito verrebbe delimitato; ma ci si può avvicinare a Lui dicendo
piuttosto ciò che l'Uno non è, eliminando tutti quegli attributi che altrimenti lo renderebbero finito: non è volontà, né
atto morale, né coscienza. L'Uno è semmai ciò che rende possibile la coscienza, la quale nella forma dell'Intelletto o
Noùs ci fa accorgere della realtà fenomenica. Ma la fonte del pensiero è anche il limite del pensiero, il punto in cui
questo si annichila: la sorgente della razionalità non può essere a sua volta razionalizzata, essendo realtà e ragione
l'una il negativo dell'altra. La filosofia pertanto, nel ricercare la realtà ultima da cui ha origine, deve riconoscere di
non essere la verità, ma solo un'emanazione di questa, e deve quindi cancellarsi negando se stessa fino a quando,
uscendo da sé, ci si trovi in estasi. La filosofia culmina così nella religione; l'estasi è l'identificazione dell'anima
individuale con Dio, il quale può essere posseduto solo lasciandosi possedere da Lui.
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Nel neoplatonismo pagano Dio restava comunque un'entità impersonale, che si rivela indirettamente, e a cui è
possibile risalire solo tramite la consapevolezza del suo contrario, cioè del falso, mentre la verità rimane qualcosa di
assolutamente inconsapevole.

Assoluto come potenza


L'Uno è così da un lato inconoscibile, dall'altro però va ammesso come condizione del costituirsi della razionalità
stessa, per un'impossibilità logica di dare altrimenti una spiegazione al molteplice. Per spiegare il modo con cui
l'Uno genera la dispersione, e instaura con essa un rapporto dialettico di reciproca complementarietà e polarità, si
imponeva di pensare l'Assoluto non come una realtà statica e definita una volta per tutte, perché in tal caso
significava oggettivarlo e renderlo conoscibile, bensì di concepirlo come potenza infinita, come attività mai conclusa
che genera continuamente se stessa, e oggettivandosi crea il mondo. "Potenza" è da intendersi qui non in senso
aristotelico, come passaggio all'atto (essendo l'Uno già del tutto autosufficiente in quanto causa di sé), ma viceversa
come capacità di donare all'infinito la propria natura. Si trattava di una concezione nuova e originale nel panorama
della filosofia greca, con tratti ancora una volta simili a quelli delle filosofie orientali. Cusano nel Quattrocento dirà
in maniera simile che l'universo è l'esplicarsi in grande della potenza di Dio.[11]
Così anche Plotino concepiva l'Uno superiore allo stesso Essere (cioè superiore alla realtà oggettiva), come pura
energia che per la sua sovrabbondanza trabocca, emanando da sé la seconda ipostasi dell'Intelletto, il quale genera a
sua volta la terza ipostasi dell'Anima. La molteplicità viene emanata perché il momento della divisione è essenziale
come quello dell'unità, essendo due termini dialetticamente legati. Il processo di emanazione non è però il risultato di
un'attività finalistica o antropomorfa, perché l'Uno non si propone alcuno scopo, ma genera in maniera involontaria e
spontanea. Assegnare ragioni a una tale potenza generatrice era peraltro impossibile, perché la ragione prende ad
agire solo ad un certo punto della discesa in poi, cioè nella fase in cui le determinazioni intelligibili (o idee) in cui si
specifica l'Intelletto divengono, attraverso l'Anima, la ragione del presentarsi in un certo modo della realtà sensibile.
Al di sopra di questo livello la ragione è presente solo in forma eminente, cioè nella sua radice intuitiva unitaria, ma
non sviluppa ancora un'attività discorsiva e quindi giustificatrice.
Il motivo per cui l'assoluto incondizionato si rende condizionato, dando luogo alla necessità, può essere compreso
solo ricorrendo ad analogie, immaginando ad esempio l'Uno come volontà che radia all'esterno di sé il risultato della
sua natura attributiva (essendo la natura della volontà quella di volere), o come un sole che emana la luce fuori di sé.
La necessità della dispersione scende quindi fino al punto più basso rappresentato dalla materia: anche il male in essa
presente ha perciò una sua causa, perché sottostà ad una necessità cieca, ed è pertanto inevitabile; è il regno
dell'apparenza e degli inganni del mondo, dal quale il filosofo cerca di risollevare gli uomini, indicando loro la via
della salvezza e della libertà.

Vitalità del mondo


L'idea centrale del neoplatonismo è che la natura, in quanto generata dalla potenza infinita dell'Uno, non è una
combinazione meccanica e accidentale di più parti, ma è animata da un'unità interiore che obbedisce alle leggi che
essa stessa si dà, e autodeterminandosi si articola nel molteplice. Questa unità vitalizzatrice veniva chiamata “anima
del mondo”, un concetto filosofico destinato ad avere molta fortuna in Occidente. In virtù di questo principio, tutto
l'universo era concepito armonicamente come un unico grande Organismo, penetrato da energie spirituali, e nel quale
anche gli oggetti apparentemente inanimati sono dotati di vita propria. Ciò avviene perché ogni elemento della realtà
risulta animato da un particolare lògos o idea, che rappresenta la ragione del suo costituirsi: le idee platoniche erano
viste cioè come il principium individuationis degli organismi, come la forza che li differenzia "plasmandoli" per così
dire dall'interno secondo un fine prestabilito, in maniera simile all'entelechia aristotelica, o ai caratteri genetici di un
individuo.
Le idee inoltre sono al contempo causa essendi e causa cognoscendi, ovvero rappresentano la causa per cui il mondo
risulta fatto così, e grazie a cui possiamo conoscerlo. In esse pertanto si trova anche il fondamento soggettivo del
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nostro pensare: per i neoplatonici il pensiero non è un fatto, un concetto collocabile in una dimensione temporale, ma
un atto fuori dal tempo. Il pensiero pensato, posto cioè in maniera quantificabile e finita, è per essi un'illusione e un
inganno, perché nel pensare una realtà sensibile, questa non si pone come un semplice oggetto, ma è in realtà
soggetto che si rende presente al pensiero. In altri termini, la caratteristica principale del pensiero è quella di
possedere la mente, non di essere posseduto, e comporta dunque il rapimento della coscienza da parte del suo stesso
oggetto.
Ancora una volta soggetto e oggetto erano visti così come i poli di un'unità, senza la quale nulla è pensabile, e nulla
può vivere. Qualunque vivente infatti, a differenza di un ingranaggio, non può essere spaccato, altrimenti muore,
senza poter essere ricomposto. Il "semplice" che è alla base del complesso non può essere un'entità materiale, perché
qualunque oggetto esteso spazialmente può essere pensato diviso a metà. La polemica dei neoplatonici fu rivolta di
conseguenza contro il meccanicismo democriteo, secondo cui tutta la realtà è composta di singole parti o atomi, che
combinerebbero esternamente e meccanicamente gli organismi, in un modo per così dire artificiale. Secondo i
neoplatonici invece, gli atomi non possono costituire il principio primo perché sono a loro volta potenzialmente
divisibili; la vita nasce non in forma meccanica o programmabile, ma da un principio semplice, autònomo e
immateriale, che non opera “deliberando” né è riproducibile pragmaticamente nei suoi passaggi. Esso origina i molti
dall'uno; l'uomo invece costruisce artificialmente l'uno a partire dai molti. Schopenhauer nell'Ottocento dirà
similmente che la vita viene da una volontà non progettuale e pertanto “cieca”. Questo principio è l'anima, che è il
vero centro della persona. L'anima funge da tramite: da un lato è rivolta verso l'unità superiore dell'intelligibile, ma
per la sua cecità è portata a discendere disperdendosi nel molteplice; essa ha così una doppia natura, fonte di
lacerazioni e dualismi.

Esoterismo e gerarchie cosmiche


I cardini del sistema neoplatonico sono posti in tal modo nell'attenzione alla strutturazione ontologica del mondo,
nella sempre più marcata separazione tra il mondo sensibile, imperfetto, e il mondo noetico perfetto e primo, e nella
ricerca del cammino di liberazione che l'anima deve percorrere per ritrovare la sua condizione originaria. Poiché
soltanto l'anima del sapiente sa compiere però una tale ascesa, si viene a creare una profonda differenza tra i pochi
eletti che riescono a raggiungere la salvezza e la moltitudine dei sofferenti che, incapaci di raggiungerla, restano
ciechi alla luce; la filosofia neoplatonica assume così i connotati di una dottrina esoterica rivolta solo a pochi iniziati.
Tutti questi elementi erano per i pensatori neoplatonici già contenuti nelle opere di Platone. Per esempio, nella parte
finale del Parmenide Plotino leggeva la sua dottrina delle ipostasi, mentre il percorso di liberazione poteva
facilmente essere dedotto dalle dottrine contenute nel Fedone o nella Repubblica, come per esempio il famoso mito
della caverna. Al suo interno il pensiero neoplatonico conobbe un dinamismo, che portò a rivedere le interpretazioni
precedenti e ad elaborare nuove dottrine. Con il pensiero di Giamblico alcuni cardini della filosofia di Plotino —
come la discussa dottrina dell'anima non discesa — vennero abbandonati, mentre si fecero più forti il disprezzo per
la corporeità e l'afflato religioso. Giamblico sostenne l'importanza della teurgia, un insieme di pratiche magiche, in
parte dedotte dalla tradizione ermetica, che permettevano all'anima dell'uomo di mettersi in contatto con i livelli
superiori della realtà.
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Un'altra tendenza sempre più marcata fu la gerarchizzazione del cosmo: le tre


ipostasi plotiniane (dopo l'Uno la realtà conosceva i livelli dell'Intelletto,
dell'Anima e del mondo sensibile) vennero al loro interno divise in più
sotto-livelli. Anche qui si riteneva che la maggior parte delle anime
riuscissero a percepire unicamente l'aspetto materiale e fenomenico della
realtà fermandosi al livello più basso, mentre soltanto pochi uomini fossero in
grado di vedere, col pensiero e non coi sensi (arguendole per via negativa), le
varie gerarchie in cui è strutturato l'universo. Nei pensatori più tardi, per
esempio Proclo, ad ognuno degli aspetti della processione derivante dall'Uno
venne quindi associata una divinità del pantheon ellenistico.
L'imperatore Giuliano
Così nonostante la sua concezione monistica veniva salvato al contempo
l'impianto del politeismo tradizionale, e fu per questo che il neoplatonismo pagano, a partire se non dal suo
fondatore, quantomeno da Porfirio e Giamblico, lottò strenuamente contro la diffusione sempre più forte della
religione cristiana, contestando i presupposti teologici del pensiero della Chiesa, come la dottrina dell'incarnazione o
quella della Trinità. Se ne trova eco nella polemica tra Celso e Origene, testimoninata dal Contra Celsius di
quest'ultimo. La battaglia raggiunse l'apice sotto l'impero di Giuliano, che cercò di rifondare il culto pagano
rileggendolo sulla base della filosofia neoplatonica. Dopo il suo fallimento, il neoplatonismo, pur battuto, continuò a
sopravvivere, e arrivò a produrre alcuni dei suoi più importanti pensatori nello stesso ambito cristiano.

Eredità e sviluppi
Il neoplatonismo ha influito sulla cultura occidentale in maniera determinante anche se spesso velata; il posto che
occupa nella storia della filosofia è ancora oggi tutto da studiare. Le forme nuove con cui esso ciclicamente si
ripresenta rivelano una sostanziale continuità, venendo a costituire così una sorta di cerniera tra la filosofia antica,
l'età imperiale, il medioevo e l'età moderna. La sua nascita nell'ambiente fecondo della cultura ellenista ha
contribuito inoltre a sviluppare un tipo di conoscenza scientifica che ha dato avvio, attraverso Archimede, e poi
tramite gli alchimisti rinascimentali, alla scienza moderna.

Il neoplatonismo cristiano
L'influsso del pensiero neoplatonico può essere rintracciato già nella Patristica
medievale. Agostino in particolare è considerato il capostipite del
neoplatonismo cristiano. In lui il tema tipicamente neoplatonico della
polarità/unità lo si ritrova ad esempio nel rapporto che egli instaura tra la fede e
la ragione, tra dubbio e verità: pur essendo due termini apparentemente
antitetici, essi si conciliano l'uno con l'altro, perché non si può dubitare senza
con ciò ammettere l'esistenza di una verità che al dubbio si sottrae. Alla
reminiscenza platonica, inoltre, Agostino sostituì la dottrina dell'illuminazione:
le idee si rivelano non per un atto deliberato dell'uomo, ma per una loro
autonoma volontà. Concetto questo più facilmente accettabile da Plotino, per la
sua teoria dell'involontarietà e del carattere inconscio del pensiero umano, che
da Platone. Come in Plotino, inoltre, Agostino identifica il male con il
Sant'Agostino
non-essere: egli salva in questo modo il dualismo tra Dio e materia evitando la
caduta nel manicheismo, poiché il non-essere non è una realtà vera e propria
contrapposta all'essere, ma è solamente assenza, mancanza di luce.

Nello Pseudo-Dionigi l'Areopagita la polarità neoplatonica la si ritrova nella contrapposizione tra la positività di Dio,
cioè la possibilità di avvicinarsi a Lui indefinitamente, tramite l'accrescimento all'infinito di tutte le proprietà della
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realtà finita, e la sua negatività, ovvero l'impossibilità di parlare comunque di Lui in qualche modo, di determinarlo
in maniera finita. Anche Scoto Eriugena si riallaccia al tema dualistico del rapporto tra fede e ragione, soggetto e
oggetto, risolvendolo in un cerchio.
Da un punto di vista teologico, si può dire in generale che avviene un profondo
cambiamento rispetto alla prospettiva pagana. L'Uno viene visto ora come un
Dio personale, e non più come un atto impersonale che genera per necessità. La
difficoltà di spiegare il processo di emanazione, cioè il motivo che spinge Dio a
creare il mondo, viene superato così dall'idea dell'Amore e del dono: Dio crea
perché ama. È un amore non più identificabile con l'eros ascensivo, ma con un
amore discensivo, indicato col termine agape, una parola di derivazione ebraica
che non trovava corrispondenza nel greco antico. Il rapporto tra ascesi e discesa,
filosofia e religione, aspetto personale e impersonale di Dio, veniva comunque a
sua volta fatto rientrare in quella prospettiva bipolare di cui si è parlato. Il
San Bonaventura
carattere degradante della trinità plotiniana, che consisteva nella subordinazione
dell'Anima all'Intelletto, e di quest'ultimo all'Uno, venne sostituito (già da
Origene nel III secolo) con la consustanzialità delle tre ipostasi. La Persona del Figlio veniva facilmente identificata
col Noùs, e lo Spirito Santo con l'Anima, in un rapporto paritario e non più di subordinazione. Col Cristianesimo
viene riscattato anche il giudizio negativo che i neoplatonici avevano dato della materia: non solo il "mondo di lassù"
ha valore, ma anche quello terreno, perché frutto dell'amore di Dio. In epoca scolastica i neoplatonici di maggior
rilievo furono quindi San Bonaventura, Duns Scoto, e gli esponenti della mistica speculativa tedesca, ad esempio
Meister Eckhart; questi ultimi accentuarono il carattere apofatico di Dio.

Ma una vera e propria ripresa delle idee neoplatoniche si ebbe durante


l'Umanesimo e il Rinascimento, quando esse arrivarono a caratterizzare quasi tutta
la filosofia rinascimentale, e durante il quale verranno sottoposte a deformazioni
ermetiche, magiche ed esoteriche, senza tuttavia smarrire la loro struttura logica di
fondo, costituita dal metodo critico della teologia negativa. La rinascita del
neoplatonismo fu favorita in particolare dall'influsso della cultura bizantina; la
filosofia rinascimentale tuttavia non si limitò a recepire il platonismo greco, ma lo
rielaborò integrandolo non solo col neoplatonismo già presente in ambito
occidentale, ma anche con l'aristotelismo apportato dagli arabi. Platone, Aristotele
e Plotino si ricongiunsero così nella città di Firenze, culla dell'Italia
rinascimentale. Il neoplatonismo conobbe allora una notevole diffusione in quasi
tutti gli ambienti culturali, anche al di fuori delle scuole o delle accademie. Niccolò Cusano

Soprattutto Cusano, Ficino, e Pico della Mirandola contribuirono alla sua grande
rinascita. Ficino in particolare diede vita a un'accademia con l'intento di far rivivere la tradizione neoplatonica, da lui
concepita come pia philosophia, cioè una sorta di divina rivelazione filosofica e religiosa che percorre un intero
filone spirituale, da Platone fino al Cristianesimo.
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Pico della Mirandola

Marsilio Ficino

Sul piano filosofico, venne recuperata in particolare la concezione secondo cui


tutti gli aspetti della realtà materiale partecipano dell'idea o lògos che li fa essere
così, il che portava a considerarli come entità vive, dominati da una vita
autonoma. Vi fu dunque un ritorno al concetto di Anima Mundi, identificata colla
Terza Persona della Trinità cristiana (lo Spirito Santo), quale principio vivificante
e unificatore della molteplicità sensibile.

Nel Cinquecento, un pensatore di primo piano fu Giordano Bruno, che interpretò


il neoplatonismo in un'ottica panteista, e fece propria la concezione della filosofia
come Eros: secondo Bruno la verità oggettiva è tale solo quando si fa vita nel
soggetto. Un altro esponente di rilievo fu Campanella, il quale pure vedeva
l'universo intimamente penetrato da energie spirituali e senzienti, ma conciliando
Giordano Bruno
il neoplatonismo con l'aristotelismo tomista.

Nel Seicento l'ontologia neoplatonica, basata sull'identità di essere e pensiero, cominciò invece a entrare in crisi col
dualismo elaborato da Cartesio tra res cogitans e res extensa. Il cogito ergo sum cartesiano proponeva l'idea di una
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ragione che si pone esternamente rispetto all'oggetto della sua indagine, concependo la natura come un qualcosa di
inerte, svuotato di ogni coscienza animata, e dissolvendo così l'unità immediata di soggetto e oggetto.[12] Nella
ricerca della verità, cioè, il soggetto non risultava più coinvolto.
Fu poi anche lo sviluppo dell'empirismo anglo-sassone e del meccanicismo
newtoniano, che riproponevano il determinismo di Democrito (storico
avversario del neoplatonismo) ad avversarlo sul piano della conoscenza e in
generale della visione del mondo.

Spinoza

Il neoplatonismo rimase tuttavia fortemente presente nella cultura popolare,


continuando a mescolarsi con elementi magici, esoterici, gnostici e astrologici
che, pur avendo poco a che fare col suo impianto filosofico, gli permisero di
esercitare ancora notevoli influssi sulla vita e sul pensiero dell'Occidente,
durante tutto il Seicento e il Settecento. Esso, fondendosi con le nuove istanze
del razionalismo moderno, riemerse ad esempio con Spinoza, che ripropose in
forma dogmatica e panteista l'unità immediata di essere e pensiero, ricucendo
così il dualismo cartesiano. Con Leibniz, dove ritrovò nel complesso sistema
delle Monadi l'articolarsi armonico dell'Uno nel molteplice. E con Vico, ancora
in funzione anti-cartesiana, il quale applicò le idee platoniche alla storia, da lui
concepita come uno sviluppo in divenire delle verità eterne.
Leibniz

Fu poi soprattutto con l'idealismo tedesco che il neoplatonismo godette di nuova


fioritura. Già Kant aveva riattirato l'attenzione sull'unità suprema dell'io penso,
attività unificante di soggetto e oggetto, seppure su un piano unicamente
gnoseologico. Fichte invece fece dell'Io il fondamento non solo gnoseologico,
ma anche ontologico della realtà, riproponendo così le caratteristiche dell'idea
platonica, fondamento sia della conoscibilità del reale che della sua esistenza,
secondo il tipico schema della teologia negativa. Fichte instaura un rapporto
dinamico e dialettico tra io e non-io: la reciproca contrapposizione tra questi due
opposti è tuttavia apparente, perché il non-io è posto inconsciamente dall'io
supremo, così come in Plotino l'Uno emanava da sé il molteplice.
Fichte
Neoplatonismo 11

La stessa complementarietà la si ritrova in Schelling: Spirito e Natura sono i due


momenti antitetici, e tuttavia funzionali l'uno all'altro, in cui si esplica l'attività
dell'Assoluto.
L'assolutizzazione della dialettica da parte di Hegel, invece, che ravvisò nella
mediazione della ragione il punto di unione dei due princìpi opposti (anziché
nell'immediatezza dell'intuizione), finì col lacerare l'organicità unitaria del
neoplatonismo. Con Hegel infatti soggetto e oggetto ridiventano, come già in
Cartesio, due momenti distinti, il cui tratto d'unione non si trova non più
nell'indifferenza originaria, ma è una conseguenza dell'opera mediatrice della
ragione. Prima Schelling e poi Schopenhauer si opposero al sistema hegeliano,
che riduceva di fatto la verità a un semplice pensato oggettivabile e
Schelling
quantificabile, riproponendo la visione neoplatonica di un atto inconscio
originario dal quale ha origine la vita, la cui impossibilità di razionalizzarsi e di
far rientrare totalmente l'Essere nell'Idea è causa della sofferenza.

Sempre nell'Ottocento, il neoplatonismo andava ad influenzare i Platonici di


Cambridge e i Trascendentalisti americani (soprattutto Emerson e Thoreau). Fu
inoltre proprio nell'Ottocento che Friedrich Schleiermacher, esponente minore
dell'idealismo tedesco, coniò per la prima volta il termine neoplatonismo per
distinguerlo dal platonismo.

R.W.Emerson

Nella seconda metà del XIX secolo l'influsso del neoplatonismo e della sua
concezione circolare può essere ancora rintracciato nel tema nietzschiano
dell'eterno ritorno.
Nel Novecento il neoplatonismo riaffiora infine con Bergson, in una rinnovata
polemica contro il determinismo e il materialismo. Bergson torna infatti ad
affermare che la vita biologica, come del resto la coscienza, non è un semplice
aggregato di elementi composti che si riproduce in maniera sempre uguale a sé
stessa. La vita invece è una continua e incessante creazione che nasce da un
principio assolutamente semplice, non rieseguibile deliberatamente, né
componibile a partire da nient'altro.

Sempre nel Novecento il neoplatonismo influenzò anche la psicanalisi di Carl


Gustav Jung, in particolare la nozione di inconscio collettivo. Secondo Jung
Henri Bergson
nell'inconscio sono presenti sin dalla nascita degli archetipi, simili alle idee
platoniche o alle kantiane "forme a priori". Jung diede vita a una psicologia
analitica che, diversamente da quella freudiana, voleva essere oltre che uno strumento per guarire dalle patologie
mentali, una specie di filosofia di vita con cui poter cogliere le infinite potenzialità espressive dell'anima.
Neoplatonismo 12

L'estetica
Notevole importanza riveste la
concezione estetica del neoplatonismo,
secondo cui la bellezza è uno dei
principali strumenti di elevazione
verso l'Idea. Nonostante Platone avesse
alquanto svalutato l'arte, la sua
filosofia era animata da una tensione
ideale espressa in forma poetica e
fervidamente artistica, che venne fatta
propria secoli dopo da Plotino. La
musica soprattutto, e l'amore
(sublimato però dalla sua componente
sessuale) hanno per costui la capacità
di farci volgere al "mondo di lassù".
Per Plotino, l'alunno delle Muse si Il Parnaso di Raffaello (Musei Vaticani), raffigurante l'ideale platonico del Bello.
accorge che belli non sono i corpi ma il
principio che li fa essere tali, e che la bellezza consiste in una simmetria delle parti, le une rispetto alle altre e ognuna
rispetto all'insieme.[13] L'armonia del bello non risulta però da relazioni estrinseche tra le varie componenti, ma nasce
da una semplicità assoluta, da un principio intelligente e unitario come appunto l'Idea.

L'estetica neoplatonica poggia dunque sulla teoria fondamentale di Plotino, cioè che il complesso è unitario solo
quando nasce dal semplice, non quando se ne mettono insieme le parti. Questa concezione fu importantissima
nell'influenzare l'estetica rinascimentale, la quale vedeva nell'artista l'intermediario di una realtà trascendente, in cui
avviene il "prodursi" (cioè letteralmente il presentarsi innanzi) di un valore superiore, non strumentale alla
contemplazione ma coincidente colla contemplazione stessa. Botticelli, Michelangelo, Raffaello, Tiziano[14] vollero
esprimere al massimo nelle loro opere questo ideale sublime di armonia e perfezione. Anche i Medici e numerosi
altri artisti della Firenze rinascimentale si rifecero ai canoni neoplatonici.

Questa visione estetica tornò in auge durante il Romanticismo, insieme con l'ideale di organicità e di armonia che si
realizza, diceva Kant, quando «la natura dia la regola all'arte».[15] Per i romantici, e in particolare per Schelling,
l'Assoluto, in quanto è l'assolutamente immediato, è attingibile solo al di là dell'opera mediatrice della ragione,
quindi solo attraverso il sentimento o un pensare intuitivo che superi la ragione stessa: strumento filosofico per
eccellenza secondo Schelling è l'arte.[16]
Un certo neoplatonismo estetizzante è rintracciabile ancora nelle correnti decadentiste e irrazionali a cavallo tra
Ottocento e Novecento; in D'Annunzio ad esempio è costante il riferimento al desiderio di un'unione totale con
l'Anima del mondo (panismo), attraverso la ricerca di un piacere sensuale.
Neoplatonismo 13

Note
[1] Cfr. G. Faggin, introduzione a La presenza divina (op. cit. in bibliografia).
[2] Ibidem.
[3] Le notizie biografiche su Plotino provengono quasi totalmente dalla Vita di Plotino scritta dal suo discepolo Porfirio.
[4] «Noi siamo gli esegeti delle teorie di tanto tempo fa, la cui antichità ci è testimoniata dagli scritti di Platone. Prima di lui anche Parmenide
affermava una simile dottrina quando riduceva all'unità l'essere e l'intelligenza, e negava che l'essere consistesse nelle realtà sensibili. Egli
diceva che l'essere e il pensiero sono la stessa cosa» (Enneadi, V, 1, 8, trad. di G. Faggin, op. cit.).
[5] Cfr. Vittorio Mathieu, Come leggere Plotino, op. cit. in bibliografia.
[6] Cfr. Werner Beierwaltes, Plotino. Un cammino di liberazione verso l'interiorità, lo spirito e l'Uno, Vita e Pensiero, Milano 1993 ISBN
88-343-0546-9.
[7] Si tratta di scuole e correnti dai confini approssimativi, che seguono lo schema tracciato da Praechter, il quale distinse anche tre tendenze
complessive: una filosofico-speculativa, seguita dalla scuola romana di Plotino, da quella di Siria e di Atene; un'altra di impronta
teurgico-religiosa, facente capo alla scuola di Pergamo; e una terza più scolastica ed erudita presente nella scuola di Alessandria, e in seguito
nei primi pensatori cristiani dell'Occidente latino (cfr. K. Praechter, Richtungen und Schulen im Neuplatonismus, in AA.VV., Genethliakon für
C. Robert, 1910, pp. 105-156).
[8] Cfr. G. Reale, Il pensiero antico, pag. 476, Vita e Pensiero, Milano 2001.
[9] Cfr. F. Paparella, La metafora del cerchio: Proclo e il Liber viginti quattuor philosophorum, in «La tradizione ermetica dal mondo tardo
antico all'umanesimo», Atti del Convegno nazionale di studi, Napoli, 20-24 novembre 2001, a cura di P. Lucentini, I. Parri e V. Perrone,
Turnhout, Brepols 2003, pp. 127-138.
[10] Secondo Vittorio Mathieu vi era tuttavia una differenza tra il ciclo detto «alessandrino», utilizzato da Plotino e altri filosofi, in cui l'Uno
rimane trascendente rispetto alla dispersione del molteplice, e il ciclo «gnostico», dove invece si ha una caduta di Dio stesso che si rovescia nel
suo contrario (cfr. V. Mathieu, La speranza nella rivoluzione (http:/ / books. google. it/ books?id=OD7WU9X4HD4C&
printsec=frontcover#v=onepage& q& f=false), pag. 61, Armando editore, Roma 1992 ISBN 88-7144-302-0).
[11] Concetto espresso da Cusano nel significato teologico di Dio come posse ipsum, scilicet omnis posse, «potere stesso, cioè il potere di ogni
potere» (cfr. Cusano, De apice theoriae, in AA.VV., La persona e i nomi dell'essere, Vita e Pensiero, 2002, pag. 880).
[12] Così si esprimeva Cartesio nel Le Monde ou traité de la lumière (1667) parlando degli esseri viventi: «Tutte le funzioni di questa macchina
sono la necessaria conseguenza della disposizione dei suoi soli organi, così come i movimenti di un orologio o di un altro automa conseguono
dalla disposizione dei suoi contrappesi ed ingranaggi; sicché per spiegarne le funzioni non è necessario immaginare un'anima vegetativa o
sensibile nella macchina».
[13] Cfr. Plotino, Enneadi, I, 6.
[14] Cfr. Augusto Gentili, Da Tiziano a Tiziano. Mito e allegoria nella cultura veneziana del Cinquecento, Bulzoni, Roma 1996.
[15] Kant, Critica del Giudizio (1790).
[16] «Se l'intuizione estetica non è se non l'intuizione intellettuale divenuta obiettiva (cioè fatta oggetto, opera d'arte), s'intende di per sé che l'arte
sia l'unico vero ed eterno organo e documento insieme della filosofia, il quale sempre e con novità incessante attesta quel che la filosofia non
può rappresentare esternamente, cioè l'inconscio nell'operare e nel produrre, e la sua originaria identità con il cosciente. Appunto perciò l'arte è
per il filosofo quanto vi è di più alto» (F. Schelling, Sistema della filosofia trascendentale, cit. in Grande Antologia Filosofica, Marzorati,
Milano 1971, vol. XVIII, pp. 189-190).

Bibliografia
• Plotino, La presenza divina, introduzione e antologia a cura di G. Faggin, D'Anna editrice, Messina-Firenze 1967
ISBN 88-8104-436-6
• Giovanni Reale, Storia della filosofia greca e romana, Vol. 8, Plotino e il neoplatonismo pagano, Bompiani,
Milano 2004
• Cleto Carbonara, La filosofia di Plotino, Ferraro, Napoli 1954
• Vittorio Mathieu, Come leggere Plotino, Bompiani, Milano 2004
• Werner Beierwaltes, Platonismo e idealismo, trad. di Elena Marmiroli, Il Mulino, Bologna 1987
• Werner Beierwaltes, Platonismo nel Cristianesimo (http://books.google.it/books?id=H4JAkWcHQ5YC&
printsec=frontcover#v=onepage&q&f=false), trad. di Mauro Falcioni, Vita e Pensiero, Milano 2000 ISBN
88-343-0572-2
• Mubabinge Bilolo, Fondements Thébains de la Philosophie de Plotin l'Égyptien, Kinshasa-Munich-Paris 2007
ISBN 978-3-931169-00-8
• P. Merlan, Dal Platonismo al Neoplatonismo, introduzione di G. Reale, traduzione di E. Peroli, Vita e Pensiero,
Milano 1994 ISBN 88-343-0805-0
Neoplatonismo 14

• Nuccio D'Anna, Il neoplatonismo. Significato e dottrine di un movimento spirituale, Il Cerchio, Rimini 1989
• Francesco Romano, Studi e ricerche sul neoplatonismo, Guida editori, Napoli 1983 ISBN 88-7042-118-X
• M. L. Gatti, «Plotinus: The Platonic tradition and the foundation of Neoplatonism», in L. P. Gerson, The
Cambridge Companion to Plotinus, Cambridge University Press, Cambridge 1996
• Francesco D. Paparella, Teorie Neoplatoniche del Simbolo. Il caso di Giovanni Eriugena, Vita e Pensiero, Milano
2009 ISBN 9788834317093
• Christian Vassallo, La dimensione estetica nel pensiero di Plotino. Proposte per una nuova lettura dei trattati
"Sul bello" e "Sul bello intelligibile", Giannini, Napoli 2009 ISBN 978-88-7431-431-7
• Sebastian R. P. Gertz, Death and Immortality in Late Neoplatonism: Studies on the Ancient Commentaries on
Plato's Phaedo, Leiden: Brill, 2011 ISBN 978-90-04-20717-2
• Michele Abbate, Parmenide e i neoplatonici. Dall'Essere all'Uno e al di là dell'Uno, Edizioni dell'Orso,
Alessandria 2010

Voci correlate
• Platonismo
• Medioplatonismo
• Accademia neoplatonica

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