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Giovanni Pico della Mirandola

LA VITA
Giovanni Pico della Mirandola nacque da famiglia principesca nel castello dei signori di Mirandola e
Concordia il 24 febbraio 1463. Rivelò precocemente una straordinaria capacità di apprendere, che gli diede
come un' ansia tumultuosa di abbracciare tutto il conoscibile per conquistare la verità. Studiò diritto canonico
a Bologna nel 1477-78, si recò a Ferrara nel '79, poi a Padova dove frequentò quello Studio nel 1480-82, e l'
anno seguente a Pavia. Nel 1484 è a Firenze, dove stringe rapporti di amicizia con Lorenzo de Medici, col
Poliziano e con Marsilio Ficino. Passando dal clima della filosofia scolastica, aristotelica e avverroistica di
Padova, a quello della filosofia platonica instaurato dal Ficino a Firenze e di qui radiantesi per l' Italia e per l'
Europa, Pico non si pone il problema della scelta tra le due filosofie, ma piuttosto quello di una loro possibile
conciliazione. Insofferente delle eleganze stilistiche del latino nell' uso degli umanisti italiani, nell' 85 lascia
Firenze per andare a familiarizzarsi a Parigi con lo stile aspro dei filosofi e teologi della Sorbona, ma l' anno
appresso è di nuovo a Firenze con un immenso, anche se ancora incomposto, corredo di cognizioni sul
pensiero filosofico e teologico non solo della tradizione cristiana, ma dei Greci, Latini, Ebrei- dei quali in
particolar modo gli apparvero rivelatori i libri cabalistici -, Caldei, Egizi. Pico ha la convinzione di scoprire
che, sotto un' apparente diversità di manifestazioni di pensiero di popoli diversi e lontani fra loro, si cela un
senso unico che attesta la dignità dell' uomo e il suo valore predominante nell' universo, l' amore universale
che lega le creature fra di loro e le creature a Dio, l' immensa varietà delle cose in tutto il creato come segni
della parola di Dio. A 23 anni gli pare di poter trarre il frutto delle sue meditazioni nella proposta di
novecento tesi da discutere in un convegno di dotti da radunare a sue spese a Roma il 7 gennaio 1487. Ma il
convegno non potrà aver luogo perchè la pubblicazione della sua tesi provoca la condanna da parte di una
commissione di teologi e di giuristi, che le giudica eretiche,e l' apertura di un processo a carico di Pico. L'atto
di sottomissione che fece il 31 luglio dell' 87 non gli lasciò tranquilla la coscienza, si ribellò apertamente e,
per sfuggire alla cattura, lasciò Roma, mettendosi in viaggio per la Francia. Il suo arresto quando era già in
territorio francese, vicino a Lione, suscitò clamorose proteste a Parigi, anche alla Sorbona, e Pico fu liberato
con l' obbligo di lasciare il suolo francese nell' estate del 1488. Se ne tornò a Firenze, accettando l' invito di
Lorenzo, che si adoperò inutilmente fino agli ultimi giorni della sua vita a fargli ottenere il perdono da
Innocenzo VIII. L' assoluzione dall' eresia gli verrà da Alessandro VI il 18 giugno 1493. Vivrà ancora poco
più di un anno (morì il 17 novembre 1494), dedito agli studi e a pratiche religiose col conforto e l' amicizia
del Savonarola. Di non grande rilievo quel poco che Pico scrisse in volgare: dei sonetti e un commento in
prosa a una canzone dottrinale di Girolamo Benivieni sull' amore divino, ispirata alle teorie di Marsilio
Ficino. Il momento più fervido delle sue meditazioni filosofiche e teologiche è consacrato nell' orazione De
hominis dignitate che Pico avrebbe dovuto pronunziare al convegno dei dotti del 7 gennaio 1487, e che fu
stampata solo dopo la sua morte. La dignità dell' uomo, dominatore della natura e responsabile del suo
destino, vi è affermata con trasporto lirico sorretto dalla profonda e meditata convinzione che nella storia
umana di tutti i popoli si attua un concorde sforzo d' amore che conduce verso la luce divina. Una risposta
fortemente polemica all' accusa di eresia è l' Apologia, composta e divulgata prima della fuga verso la
Francia. Del 1489 è l' Heptaplus, dedicato a Lorenzo, nel quale interpreta il Genesi col metodo cabalistico,
che rivelerebbe l' esistenza dell' universo di quattro mondi: il mondo intellettuale che è di Dio e degli angeli,
il mondo celeste che è quello delle sfere, il mondo sublunare che è degli elementi, e finalmente il mondo dell'
uomo che partecipa di tutti e tre i mondi precedenti e che è simile a Dio perchè anche l' uomo ha facoltà
creatrici. Di un' opera di grande impegno che doveva dimostrare la concordia sostanziale dei sistemi
filosofici diversi, pubblicò soltanto il libro De ente et uno dedicato al Poliziano (1491). Fra le opere a cui
attendeva, e che la morte gli impedì di condurre a termine, fu ritrovata fra le sue carte un' ampia trattazione
in dodici libri , De astrologia, in cui si dimostra l' inconsistenza scientifica delle divinazioni del futuro
fondate sul corso degli astri.

IL PENSIERO
Giovanni Pico della Mirandola inizia propriamente i suoi studi filosofici nelle università di Bologna , Ferrara
e Padova . Qui egli si convince della validità della tradizione scolastica e della sua conciliabilità con gli
orientamenti filosofici successivi . Ciò lo conduce al dissenso nei confronti di alcune tendenze
artificiosamente esasperate della filologia umanistica . E' il caso della polemica con Ermolao Barbaro ( 1453-
1493 ) , duramente critico verso i filosofi della tarda Scolastica a causa del loro linguaggio astrusamente
tecnico , che rappresenta una degenerazione del latino classico . All' umanista veneto Pico ribatte che al di là
della forma , la quale sola pare interessare ad Ermolao , occorre guardare ai contenuti del discorso filosofico ,
che valgono indipendentemente dall' espressione letteraria e non sono attaccabili dalla critica filologica :
Pico scrive un' epistola all' amico-avversario Ermolao per rivendicare la nobiltà della ricerca filosofica : la
contrapposizione tra retorica e filosofia é contrapposizione tra " lingua " e " cuore " ; Pico immagina che
siano quegli stessi filosofi ritenuti barbari da molti umanisti a parlare in propria difesa . L' idea della
conciliabilità e della continuità tra i diversi orientamenti di pensiero matura ulteriormente in Pico dopo il
periodo di studi a Parigi . Nasce così l' intento di realizzare una concordia filosofica , all' interno della quale
ciascuna tradizione speculativa può essere considerata come depositaria di una parte di verità . Il grande
progetto culturale di Pico avrebbe dovuto concretizzarsi in una sorta di " congresso " nel quale intellettuali di
ogni formazione e provenienza si sarebbero confrontati in un dibattito su 900 tesi ( cioè brevi proposizioni
riassuntive ) che egli stesso aveva catalogato desumendole dalle filosofie di cui era a conoscenza . Il progetto
non ebbe realizzazione pratica , poiché alcune proposizioni , sulle quali gravavano forti sospetti di eresia ,
imponevano maggiori cautele . Pico comunque sviluppò autonomamente gli argomenti proposti nelle 900
tesi , ma i risultati di questo lavoro videro la luce soltanto nelle " Conclusiones " apparse dopo la morte del
loro autore . Durante la vita di Pico , il quale finì poi per stabilirsi definitivamente a Firenze dove si
mantenne in stretto contatto con l' ambiente ficiniano dell' Accademia platonica , fu invece pubblicata l'
Orazione sulla dignità dell' uomo , che avrebbe dovuto fungere da introduzione al dibattito progettato . Qui
vengono celebrate le capacità di autodeterminazione dell' uomo , cioè quelle facoltà intellettuali che lo
conducono a scegliere liberamente tra più o meno nobili generi di vita ; ma dell' Orazione parleremo in
seguito . Del resto , il progetto di sintesi filosofica di Pico della Mirandola vuol essere un' esaltazione della
potenza intellettuale umana , considerata nel dispiegarsi delle sue manifestazioni storiche . Mentre Ficino
aveva tracciato le linee di una storia del progresso intellettuale garantita dal concorso , con pari dignità , di
rivelazione e filosofia , Pico intende porre in rilievo come l' avanzamento culturale dell' umanità sia reso
possibile dal continuo succedersi di scuole di pensiero che , nelle loro differenze , non si contraddicono , ma
si integrano l' una con l' altra . Su questo fondamento , che nulla toglie al valore della rivelazione , si realizza
la pace filosofica alla quale l' umanità deve aspirare . Sempre nella prospettiva della capacità dell' uomo di
autodeterminarsi , Pico opera una netta distinzione tra magia e astrologia , che la cultura del tempo tendeva
ad accomunare in unico giudizio positivo . Nel pensiero rinascimentale , come ad esempio in Ficino , le due
pratiche sono considerate non già manifestazioni di superstizione , ma tecniche pienamente legittime , rivolte
o allo studio dell' ordine naturale ( nel caso dell' astrologia ) o alla realizzazione del dominio dell' uomo sulla
natura ( nel caso della magia ) . Pico , invece , reputa l' astrologia una dottrina che limita pericolosamente la
libertà dell' uomo , ricercando le cause del suo agire in fattori indipendenti dalla volontà umana : se gli astri
determinano l' uomo , ossia se esercitano su di lui una grande influenza , l' uomo perde così la possibilità di
autodeterminarsi , in altri termini perde il libero arbitrio . Al contrario , la magia intesa tradizionalmente
come capacità di controllo della natura da parte dell' uomo , non inficia minimamente le capacità di
autodeterminazione dell' essere umano e può quindi essere pienamente giustificata . Allo stesso modo , come
tecnica per indagare il significato recondito della Sacra Scrittura , é legittima la cabala , cioè l' antica dottrina
esoterica ebraica che , stabilendo una corrispondenza tra lettere e numeri , consentirebbe di passare da una
composizione in lettere di un testo scritturale a una composizione numerica , e poi da questa a una nuova
composizione in lettere nella quale risiederebbe il significato occulto . Oltre che per la diversa valutazione di
astrologia e magia , Pico della Mirandola si differenzia da Ficino anche perchè rivela una grande attenzione
all' oggettività della ricostruzione storico-filosofica . L' acribia era infatti del tutto assente nella tradizione
ficiniana della perenne catena di rivelazione e filosofia , la quale più che a restituire la verità ai fatti badava a
dimostrare la tesi della conciliabilità tra platonismo e filosofia . Viceversa , una più precisa consapevolezza
storica e una più fedele analisi della dottrina platonica rivelano a Pico l' impossibilità di essere un vero
platonico rimanendo nel contempo un buon cristiano . Questo atteggiamento di Pico si manifesta
chiaramente nel diverso modo in cui egli concepisce la dottrina platonica dell' amore . Nel " Commento alla
Canzone d' amore di Girolamo Benivieni " , prima alludendo genericamente ad " alcuni platonici del suo
tempo , poi riferendosi esplicitamente a Ficino , Pico contesta la pretesa di parlare " platonicamente " del Dio
cristiano . Se si vuole essere fedeli a Platone occorre concepire l' amore come desiderio di bellezza , come
desiderio di ciò di cui si manca . Ma la divinità , se può essere oggetto d' amore , non può esserne soggetto,
poiché essa non é manchevole di nulla : viene così a cadere la reciprocità amorosa tra Creatore e creatura
ammessa da Ficino . Per di più non é neppure possibile riferire alla divinità l' attributo della bellezza ; infatti ,
la bellezza non é che armonia , la quale a sua volta risulta dalla consonanza di più parti differenti . Un
cristiano non può nè riconoscere una manchevolezza nel suo Dio , nè attribuirgli una natura composta di
parti , anzichè assolutamente semplice e unitaria : non é dunque possibile essere insieme cristiani e platonici .
Se la conciliazione e l' integrazione tra filosofia ( platonica ) e religione costituivano uno dei nuclei
fondamentali del pensiero di Ficino , per Pico della Mirandola viceversa un Platone cristianizzato é un
Platone travisato e un cristianesimo platonizzante é un cristianesimo contradditorio : mentre é possibile
realizzare la concordia tra le diverse filosofie , si rivela insuperabile il divario tra filosofia e religione .

ORATIO DE HOMINIS DIGNITATE


Pico della Mirandola , indubbiamente uno degli ingegni più vivaci dell' Accademia platonica , dotato di una
cultura immensa e disordinata e di una memoria divenuta proverbiale , riecheggia nell' orazione " de hominis
dignitate " gli argomenti già in parte trattati dall' umanista Giannozzo Manetti , tuttavia con quella
consapevolezza di natura teoretica che difettava nello scrittore precedente . Pico esalta l' uomo per una delle
sue caratteristiche specifiche , il libero arbitrio , la libertà di innalzarsi sino a Dio oppure discendere sino ai
bruti . Tale libertà gli é assicurata dal fatto che il Creatore provvide all' uomo sul finire dell' opera creativa , e
lo pose perciò nel " centro indistinto " dell' universo , unico essere a cui fosse concesse di determinare da se
stesso il proprio destino . Pare opportuno osservare che osservazioni come quelle dell' Oratio de hominis
dignitate , sebbene ispirate ad una religiosità piuttosto astratta e generica , tale che permette la citazione così
della Bibbia , come del Timeo e del Corano , non potevano neppure immaginarsi senza l' esperienza cristiana
. Certe concise e solenni affermazioni degli umanisti sono incomprensibili senza la parola nuova del Vangelo
: l' esaltazione dell' uomo é troppo più alta di quello che fosse possibile ai pagani . Interessante é l' epiteto
che Pico attribuisce a Dio , chiamandolo " architectus " , che risulta molto simile a quello usato da Platone a
riguardo dal Demiurgo , " che sempre geometrizza " . L' uomo non é stato fatto nè mortale nè immortale , nè
celeste nè terreno perchè lui stesso possa scegliere la forma che gli é più cara , quasi come se " libero e
sovrano artefice " del suo destino . Non sarebbe stato degno di Dio all' ultimo del generare , quasi per
esaurimento venir meno : e così egli diede il meglio di sè creando l' uomo , decidendo che a lui non poteva
essere dato nulla di proprio e che quindi gli fosse comune tutto ciò che alle singole creature era stato dato di
particolare. Ecco qui il testo dell' orazione :

Già il sommo Padre, già l'architetto divino aveva costruito, con le leggi della sua arcana sapienza, questa
dimora terrena, questo tempio augustissimo della divinità, che è il nostro mondo. Già aveva posto gli spiriti
ad ornamento della regione superna; già aveva seminato di anime immortali i globi eterei e riempito di ogni
genere di animali le impure e lerce parti del mondo inferiore. Ma compiuta la sua opera, l'artefice divino vide
che mancava qualcuno che considerasse il significato di così tanto lavoro, ne amasse la bellezza, ne
ammirasse la grandezza. Avendo, quindi, terminata la sua opera, pensò da ultimo - come attestano Mosè e
Timeo- di produrre l'uomo. [...] Ormai tutto era pieno, tutto era stato occupato negli ordini più alti, nei medii
e negl'infimi. [...] Stabilì, dunque, il sommo Artefice, dato che non poteva dargli nulla in proprio, che avesse
in comune ciò che era stato dato in particolare ai singoli. Prese pertanto l'uomo, fattura priva di un'immagine
precisa e, postolo in mezzo al mondo, così parlò: «Adamo, non ti diedi una stabile dimora, né un'immagine
propria, né alcuna peculiare prerogativa, perché tu devi avere e possedere secondo il tuo voto e la tua volontà
quella dimora, quell'immagine, quella prerogativa che avrai scelto da te stesso. Una volta definita la natura
alle restanti cose, sarà pure contenuta entro prescritte leggi. Ma tu senz'essere costretto da nessuna
limitazione, potrai determinarla da te medesimo, secondo quell'arbitrio che ho posto nelle tue mani. Ti ho
collocato al centro del mondo perché potessi così contemplare più comodamente tutto quanto è nel mondo.
Non ti ho fatto del tutto né celeste né terreno, né mortale, né immortale perché tu possa plasmarti, libero
artefice di te stesso, conforme a quel modello che ti sembrerà migliore. Potrai degenerare sino alle cose
inferiori, i bruti, e potrai rigenerarti, se vuoi, sino alle creature superne, alle divine.» O somma liberalità di
Dio Padre, somma e ammirabile felicità dell'uomo! Al quale è dato di poter avere ciò che desidera, ed essere
ciò che vuole. I bruti nascendo, assorbono dal seno materno ciò che possederanno. Gli spiriti superiori furono
invece, sin dall'origine, o poco di poi, ciò che saranno eternamente. Il Padre infuse all'uomo, sin dalla
nascita, ogni specie di semi e ogni germe di vita. Quali di questi saranno da lui coltivati cresceranno e
daranno i loro frutti: se i vegetali, sarà come pianta, se i sensuali, diventerà simile a un bruto, se i razionali,
da animale si trasformerà in celeste; se gl'intellettuali, diverrà angelo e figlio di Dio. E se di nessuna creatura
rimarrà pago, rientrerà nel centro della sua unità, e lo spirito, fatto uno con Dio, verrà assunto nell'umbratile
solitudine del Padre che s'aderge sempre al di sopra di ogni cosa. Chi ammira questo nostro camaleonte, o,
anzi chi altri può ammirare di più?

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