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LATINO- CICERONE FILOSOFO

Cicerone non fu un filosofo in senso greco, ma fu un grande divulgatore della filosofia greca. Molte
opere infatti sono andate perdute e ciò che ci è arrivato è in gran parte grazie a Cicerone. Per noi è
significativo che con Cicerone e Lucrezio la letteratura latina si apre alla filosofia. Per Lucrezio fu
un’opera di trapianto, in modo di far conoscere ai romani la filosofia epicurea, Cicerone invece
cercò di conciliare parti della filosofia greca al mos maiorum. Mentre Lucrezio fu espunto e i
romani tentarono di eliminarlo, le opere di Cicerone furono accettate e furono un’interpretazione
romana della filosofia greca.
Cicerone sceglie la prosa filosofica, per motivi di metodo, mentre Lucrezio si orienta per la poesia
filosofica, riprendendo una vecchia parte della filosofia greca.
Cicerone, benché studiò filosofia da giovane, non trovò subito un suo impiego a livello odi scrittura,
perché Cicerone scrive di filosofia in due momenti della sua vita, intorno alla metà degli anni 50
a.C, col tempo di cesare e Pompeo, dove viene tagliato fuori dalla vita politica, infatti si ritira a vita
privata, riprendendo la filosofia politica, componendo il “De Repubblicae”. Fa il ”politologo” non
potendo più essere politico.
Nel decennio successivo Cicerone ritorna sulla filosofia, con interessi etici, e compone una serie di
opere, intorno al 46-45 a.C, anni della dittatura Cesariana. Oltre ad avere questa motivazione
dell’esclusione politica vi fu anche la morte della figlia, che morì prematuramente, e provocò a
Cicerone un dolore fortissimo che trovò nella filosofia studiata in gioventù un conforto per
affrontare questo dolore.
Il primo aspetto è la filosofia come surrogato della vita attiva, dall’impiegum alla consolazione
della vita attiva. Le ”Tusculanae Disputationes” vengono composte nel 45, divise in 5 libri,
ambientate in una scenografia realistica nella villa di Tuscolo.
In questi libri Cicerone immagina di tenere dei discorsi con i suoi allievi, con un’ambientazione che
la cornice del dialogo di Cicerone e hanno un tema di carattere etico e ognuno di questi libri ha un
proemio.

“Dopo essermi finalmente liberato, o del tutto o in gran parte, dalle fatiche delle difese e degli
impegni da senatore, mi sono riconvertito, oh Bruto, su tua grande esortazione sono ritornato a
quegli studi che, trattenuti nel mio animo, rimandati a causa dei tempi e interrotti per un lungo
intervallo, ho richiamato. E poiché il metodo e l’argomento di tutte le arti che riguardano il modo
corretto di vivere, sono abbracciate dall’interesse per la sapienza, che viene detto filosòfia, ho
ritenuto che da perte mia dovessi dare lustro a questo oggetto attraverso le lettere latine. Non per il
fatto che la filosofia non potesse essere appresa attraverso la lingua e maestri greci, ma è sempre
stata una mia convinzione il fatto che noi romani abbiamo scoperto tutte le cose da noi stessi con
maggiore sapienza rispetto ai greci, oppure le cose che abbiamo appreso da loro, le abbiamo
migliorate, quelle certamente che abbiamo valutato degne nelle quali portare avanti la ricerca.”
Secondo cicerone la filosofia può essere appresa tramite la lingua e i maestri greci, ma diventa in
ambito latino una parte del patrimonio culturale, esperimento tutto il suo nazionalismo.

Mos maiorum come filtro della filosofia greca: l’atteggiamento di Cierone fu la mediazione.
Quando Cicerone opera a Roma vi erano varie filosofie, tra cui i neoaccademici, importanti per
Cicerone a livello di metodo. Aristoele era arrivato a Roma con il peripatetico e così anche lo
stoicismo, e riusciranno a integrarsi a Roma perché tutte comprendo la valorizzazione dell’uomo
come uomo politco

I romani ai tempi di cicerone si confrontavano con 4 “doxe”: 4 scuole filosofiche, ovvero stoicismo,
epicureismo, Aristotelismo e l’eccletismo.
L’epicureismo sarà sempre al margine. In ambito politico Cicerone riesce a sintetizzare Platone e
Aristotele, mentre in ambito etico seguirà le dottrine stoiche.
Metodo? Da un punto di vista della teoria della conoscenza (gnoseologia) Cicerone si schiera con i
neo accademici, cioè un’articolazione della scuola di Platone che si
concentrò sulla teoria della conoscenza che prese il nome di “probabilismo”: sosteneva che l’uomo
non poteva avere la conoscenza assoluta ma si poteva avvicinare alla teoria o alla conoscenza più
vicina, quella che resiste alla riva della confutazione. Dunque Cicerone cerca uno strumento in
grado di mettere a confronto le varie doxe . Nel confronto risulterà quella che è meglio rispetto alle
altre, quella meno confutabile, dunque risulterà più vera. Questo strumento è il dialogo filosofico.
Soltanto il dialogo può consentire di mettere a confronto, attraverso il ragionamento, le varie doxe
per provare quella più vera.
Il dialogo aveva già una sua grande stagione letteraria e perché il dialogo era connesso con il
metodo doxografico.
Cicerone, in cerca della forma espressiva, aveva con sé due forme:
il trattato e il dialogo. Il trattato perché tanta filosofia si era espressa in trattati; il dialogo perché
Platone si esprimeva in dialoghi.
Platone, allievo di sorci, si espresse quasi esclusivamente in dialoghi.

Annalisa basta
Piccola info (Quando Platone struttura le sue opere tiene presente la scena attica del suo tempo:
“drama attico”. Altro influsso erano il mimo siracusano e l’oratoria ateniese.)

DIALOGO DI PLATONE:
1)Presenza di almeno due interlocutori, di cui uno è sicuramente i filosofo Socrate;
2) ambientazione, ha sempre un dove e un quando che sono Atene ai tempi di Socrate;
3) drammatico-dieghematico “modello matriosca”;
4) lingua d’uso di ambito colto.

DIALOGO DI CICERONE:
1) presenza di più interlocutori, almeno 3, ma solitamente 4, per poter affidare a ciascuno le varie
doxe;
2) Ha a disposizione due modelli: eraclideo e aristotelico ed entrambi consentivano grandi
possibilità. L’eraclideo permetteva di ambientare il dialogo dando l’idea della preesistenza della
filosofia nella cultura romana. Il modello aristotelico è il modello di ambientazione recente;
3) Modello solo dieghematico, proemio+narrazione;
4) lingua d’uso di ambito colto.

INVENTIO FILOSOFICA LUX/LUMEN


Illuminazione della scienza e filosofia: sia a livello di forma ed estetica, sia a livello d’ingegno, il
modo che l’uomo ha per liberarsi dal male. Scoperta in lingua latina della filosofia.
Associazione dell’inventio con il lumen. Per Lucrezio è una luce nella sua mente che lo libera delle
tenebre e dagli inganni dei dogmatismi religiosi.
Cicerone e Lucrezio si considerarono gli “inventores”.

LUCREZIO
E’ un autore che fu un “civis anti romanum”, perché abbracciò una filosofia che non consentiva di
essere collegata al mos maiorum: l’epicureismo.
Propaga questa filosofia in un piano razionalistico e poetico al tempo stesso, infatti veniva visto
come una figura pericolosa, infatti ai suoi danni venne effettuata quella che viene chiamata
“congiura del silenzio”. Lucrezio era un intellettuale che agì in contrasto con la sua cultura, agendo
diversamente “dai più”, e andò incontro ad un processo di diffamazione. La cultura dominante
trova il modo di difendersi e autotutelarsi espungendo questi che pensano diversamente “dai più” .
Lucrezio porta avanti culture, idee e ipotesi che la cultura dominante del tempo non può accettare,
come anche per Galileo o per Giordano Bruno.
A Lucrezio fu dato del folle. La congiura del silenzio è un’espressione che si utilizza su Lucrezio: si
tentò di eliminare Lucrezio eliminando la sua voce, agendo in maniera sottile. Il mondo intellettuale
del suo tempo non ne parlò, proprio perché la sua opera, per quanto pregevole, era troppo diverso
dalla cultura romana per essere mandata giù: la sua cultura fu eliminata, creando danni alla sua
figura. Questo silenzio si trasformò successivamente, andando in mano ai cristiani, creando notizie
infondate sulla sua realtà biografiche. Di Lucrezio si hanno pochissime informazioni, di lui o si dice
poco o non si dice nulla.
Aspetto della inventio filosofica: si concentrò la congiura del silenzio e quello che si disse su di lui
fu deformato e portarono alla deformazione del suo personaggio.
Si parla di lui in riferimento ad una follia che viene associata alla sua figura.
Lucrezio già al suo tempo portava avanti un contenuto eversivo con idee non accettate dai romani
del tempo. Il verbo epicureo portava dei benefici sul piano razionale ed intellettivo ed è una
filosofia terapeutica, poiché ciò che si apprendeva faceva vivere meglio.
Nella sua persona vi è esemplificata la figura di un personaggio non compreso o volutamente
compreso diversamente, proprio perché il suo credo non si poteva conciliare con le credenze e la
cultura dell’epoca.
Le forme di censure non hanno sempre bisogno di un potere forte ma si possono attuare anche dalla
democrazia, proprio come nel caso di Lucrezio.

Cicerone curò l’edizione del De Rerum Natura. Cicerone sicuramente non aveva nulla a che fare
con l’epicureismo, ma come letterario e intellettuale non si piegò alla cultura del tempo. Cicerone
individua la luce dell’ingegno di Lucrezio: gli piacque il poema di Lucrezio sia per forma, sia per
ingegno.
Questo personaggio era tanto epicureo che si silenziò da solo. Siccome Lucrezio era epicureo,
l’unica cosa che si sa di lui è la sua opera letteraria. Contemporaneo di Catullo, la sua passione
epicurea la apprese nella campagna, dove questa filosofia era già apparsa.
Poesia e filosofia sono inscindibili in Lucrezio.

DE RERUM NATURA
E’ il primo ad avvolgere se stesso in un silenzio, sposando il motto epicureo del “vivi nascosto”.
San Girolamo attua sul profilo di Lucrezio e della sua Opera alcune affermazioni diffamatorie: “un
opera scritta in un momento di lucidità nella pazzia”. La morte per suicidio, probabilmente
inventata, ha fatto pensare che l’opera si sia chiusa con la peste di Atene, con un finale di morte,
perché Lucrezio non ebbe il tempo di finire la sua opera appunto per la mancata sanità mentale. Ci
sono delle parti di creazione e delle parti di distruzione, che descrivono il mondo.
Non voleva inventarsi un mondo solo di bene o solo di male, ma descrive il mondo reale.
E’ un poema in esametri scritti in 6 libri accoppiati a due a due. E’ un piano estremamente
razionale. La disposizione dell’argomento procede con un climax ascendente dal piccolo verso il
grande. Si ha l’atomo, poi l’uomo, poi il cosmo. Il piano dell’opera prevede un punto di vista di
ordinamento della materia: prima la materia nei suoi copri più piccoli, poi la materia nella sua
aggregazione più piccola e infine la materia nella più l’aggregazione di materia del cosmo intorno
all’uomo.
Ogni diade si compone di un primo libro che riguarda l’anatomia dell’oggetto e un secondo libro
che riguarda la fisiologia dell’oggetto. Il primo è descrittivo della struttura di quel corpo, il secondo
riguarda il movimento e l’interazione di quel corpo con altri.
Un primo libro anatomico e un secondo fisiologico che spiega cosa quella materia può fare. In una
struttura più minuta c’è assolutamente un’armonia.
E’ un’opera scientifica con un premio e un finale, cosa che non era prevista nelle opere
scientifiche. Ci sono parti più tecniche e più scientifiche, ravvivate con parti più poetiche. I finali
hanno costituito un problema per l’opera. Vi son finali chiari (elemento positivo di creazione) e
finali scuri (elemento negativo di distruzione).
Il finale è estremamente duro e tragico, un finale che sembra in contraddizione con un’opera che ci
vuole far eliminare la paura.
E’ visto quindi come o poeta dell’angoscia, del pessimismo, sfruttando vari elementi di orte e
disgregazione arrivando a dire che fu un poeta della morte, o come un poeta ottimista per l’inno a
Venere, per la creatività della natura etc..
E’ quindi un poeta della verità che utilizza la ragione per sgomberare le falsità delle credenze
del tempo.
Riprende la convenzione più antica del mondo che vede in azione due elementi contrapposti ma in
armonia, come l’oscurità e la luce, la vita e la morte, entrambi elementi della natura.
Il proemio di Lucrezio ha in se le caratteristiche del proemio, quindi l’argomento; l’invocazione alla
divinità, non alle muse; il metodo; la dedica. Accanto a questo c’è l’elemento della preghiera
(“euké”, preghiera verso il Dio). Lucreizio, poeta e filosofo, abbina uno schema proemiale ad una
preghiera tipica del suo tempo. Questa preghiera ha un’invocazione, successivamente la richiesta.
La prima richiesta è della di donare il fascino alle parole del poeta, devono essere creativi come lo
è Venere;
Successivamente vi è una piccola cosmologia descritta per immagini che vede come protagonisti
Venere e Marte. Queste figure opposte rappresentano l’intero poema, dunque l’armonia che
presenta l’elemento distruttore e l’elemento creatore. (Filìa e Neikos, per Empedocle: non esiste
l’uno senza l’altro, anche la guerra esiste nel mondo come esiste la pace, queste due tendenze
Lucrezia le chiama Venere e Marte)
La figura femminile viene saltata nella sua dimensione di ruolo. E’ come se Marte non avesse
terreno contro la potenza femminile creatrice.
La poesia sin dall’età omerica è una sorta di filosofia messa in immagini concrete che tutti possono
identificare. Riesce a erigere questi due concetti ponendoli come due divinità contraddistinte, quindi
“iconografando” le due idee rendendole comprensibili a tutti.

V 29 :“Fai in modo che nel frattempo le crudeli opere della guerra riposino sopite per tutti i mali e
per tutte le terre. Infatti tu sola (Venere) puoi giovare ai mortali con una pace tranquilla, dal
momento che regge le crudeli opere della guerra Marte, il quale spesso si raccoglie nel tuo grembo
ferito da un’eterna ferita d’amore e guardandoti dall’alto verso l’alto con il capo ben modellato,
reclinato indietro, guardandoti con desiderio, pasce d’amore il suo sguardo arido. E lo spirito di lui
che, adagiato, pende dalla tua bocca. E tu oh dea, abbracciando col tuo copro santo lui che è
inchinato, effondi soavi parole nel suo animo d’amore e di pace per i romani”.

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