- nei rapporti con gli altri uomini, l’uomo deve essere animato da rispetto,
tolleranza e benevolenza e deve agire con autocontrollo, equilibrio e
cortesia (esprimendo l’ideale del decorum, senso di ciò che è moralmente ed
esteticamente adatto alle situazioni o alla persona), che sono le
manifestazioni esteriori della bellezza ed armonia interiori;
- il dovere di rendersi utili alla patria e allo Stato, prioritario rispetto a tutti gli
altri doveri; qui Cicerone contesta la concezione epicurea dell’edonismo
individualistico ed egoistico e la predicazione del disimpegno politico;
La vita e la cronologia
Sulla vita di Lucrezio disponiamo di scarse notizie, tutte contrastanti tra loro.
La testimonianza più importante è data da San Gerolamo, un autore latino del IV
secolo d.C., il quale afferma che il poeta nacque nel 94 a.C., che egli divenne folle
dopo aver ingerito un filtro d’amore e che scrisse i libri della sua opera negli anni di
mezzo, morendo suicida all’età di 44 anni.
Da ciò si desume che Lucrezio nacque nel 94 a.C e morì nel 50 a.C.
San Gerolamo ricava questi dati dall'opera di un autore storico a lui precedente,
Svetonio, da cui Gerolamo si serviva abitualmente. Queste date vennero messe in
dubbio dagli studiosi, i quali ritengono invece di anticipare di qualche anno le date di
nascita e morte; per questa ragione gli studiosi danno per nascita nel 98 a.C e la
morte nel 55 a.C. Ciò avviene in quanto un grammatico del IV secolo d.C chiamato
Donato, nella sua “Vita di Virgilio” afferma che Lucrezio morì quando Virgilio prese la
toga virile, quindi collocano in 55 a.C. come data di morte.
Questa data è tra l’altro confermata da un giudizio sul poema lucreziano che
leggiamo in una lettera di Cicerone al fratello Quinto, scritta nel febbraio del 54 a.C. I
due fratelli si stavano infatti occupando dell’opera di Lucrezio in vista della
produzione postuma, di cui parla anche Gerolamo.
Nel suo poema (libro IV) Lucrezio attacca violentemente l’amore, presentandolo
come una sorta di follia (furor) che acceca gli uomini; è anche questo aspetto
dell’opera che avrebbe portato all’invenzione di questa leggenda.
Dal poema quindi non possiamo ricavare nè conferme nè smentite alle notizie di
Gerolamo; ne si possono dedurre altri dati come il luogo di origine o la condizione
sociale. Neanche i poeti contemporanei parlano del poeta, ad eccezione di una
lettera che Cicerone manda al fratello Quinto inerente alla pubblicazione postuma
dell’opera di Lucrezio. La ragione risiede probabilmente nel fatto che Lucrezio visse
da solo e isolato, lontano dalla vita politica che nel suo poema giudica tanto
negativa.
Dedica dell’opera
Il De Rerum natura è dedicato a Lucio Memmio, un illustre personaggio romano
appartenente agli ottimati, pretore nel 58 a.C e propretore nel 57 a.C.. Cicerone nel
Brutus lo presenta come un coltissimo intellettuale che ama la letteratura greca.
DE RERUM NATURA
Il De rerum natura è un poema epico-didascalico in esametri, suddiviso in 6 libri
raggruppati in tre diadi.
Proprio per questa ragione Lucrezio giudica la scelta della poesia: egli si presenta
come stimolato ed ispirato dalle Muse ad esplorare strade nuove e preannuncia la
gloria che deriverà dalla sua opera, sia per quanto riguarda i contenuti che la forma,
capace di fare chiarezza su argomenti tanto complessi attraverso il fascino (lepos)
della poesia.
In un’altra dichiarazione successiva, mediante una metafora che sarà poi ripresa da
Tasso nel proemio della Gerusalemme liberata, egli celebra il valore della forma
poetica, destinata a mediare contenuti salutari ma difficili che altrimenti
risulterebbero ostici ai lettori. Lucrezio afferma infatti di voler esporre in versi la
dottrina epicurea, agendo come un medico che cosparge di miele il bordo della tazza
contenente una medicina amara da somministrare ad un bambino. La poesia è uno
strumento attraverso il quale attrae e alletta anche i lettori più diffidenti verso la
filosofia a recepire invece le verità filosofiche che curano l’anima.
Così Lucrezio spiega la scelta di non scrivere in prosa. Questa scelta risulta
conforme alle tendenze della letteratura temporanea: il poema didascalico era infatti
tra le forme più adatte secondo il gusto alessandrino, che si stava diffondendo a
Roma.
I modelli dell’opera
Esiodo
Il poema didascalico si era affiancato a quello eroico con il poeta greco Esiodo, il
quale scrisse “Le opere e i giorni” il quale scopo era quello di fornire informazioni
sull’agricoltura e la navigazione ed allo stesso tempo trasmettere un messaggio
morale: il lavoro come dura necessità ma anche come strumento non solo di
benessere economico ma anche di elevazione morale, perché permette di
acquisire un’etica.
Vi sono poi altri modelli, ovvero i molti poemetti didascalici in poesia di argomento
tecnico che fiorirono in età ellenistica (queste opere in realtà non avevano la finalità
di insegnare, ma erano una sorta di esercizio poetico volto a dimostrare la loro
erudizione e la loro capacità di narrare nozioni di tipo tecnico in poesia).
Ci sono tuttavia degli elementi come le ripetizioni di versi o dei versi sospesi (quindi
appunto non completati) che fanno pensare al fatto che a causa della morte del
poeta il poema non ebbe una revisione definitiva. D’altra parte si sostiene invece che
queste ripetizioni siano volute ed intenzionali; esse infatti, oltre a rientrare nella
formularità tipica dell’epica greca, assumono una funzione didascalica e pongono
l’attenzione del lettore su determinati punti di cui si era parlato precedentemente.
Tutti i libri dispari iniziano con un elogio ad Epicuro; la stessa cosa accade nel sesto
libro: alcuni studiosi hanno discusso a lungo su questo elemento in quanto esso
sarebbe il segno che probabilmente l’opera non fu mai completata e che Lucrezio
avrebbe apportato delle modifiche all’opera (o ampliandola o spostando
successivamente l’elogio). Altri invece sostengono che questo elogio sia presente
perchè si tratta del libro finale, e che quindi l’autore volesse concludere con un
ultimo elogio al filosofo.
Il contenuto dell’opera
L’opera è composta da 6 libri e tratta tre argomenti generali: fisica (primi due libri);
antropologia (3 e 4); cosmologia (5 e 6). L’etica non viene specificatamente trattata
ma è presente in tutti e sei i libri, dunque presenta una trattazione asistematica.
- tutti i poemi epici si aprivano con una preghiera agli dei, per cui viene
semplicemente rispettata la tradizione letteraria;
- Venere è simbolo della voluptas, ovvero il piacere, senza il quale non vi può
essere la procreazione e quindi la vita; Venere diventa quindi simbolo della
forza naturale che genera la vita, ed il poeta le si rivolge affinché ella seduca
Marte, dio della guerra (i Romani erano guerrieri) e porti pace ai Romani, in
modo che leggano l’opera;
Abbiamo poi un elogio ad Epicuro, all’interno del quale egli viene esaltato come
l’eroe che ha saputo sconfiggere la religio e divenire salvatore dell’umanità.
I libro
Il primo libro si apre con l’inno a Venere ed un elogio di Epicuro. Il contenuto
fondamentale di questo libro è la dottrina degli atomi: ogni cosa è costituita da atomi
che sono particelle elementari indivisibili innumerevoli e indistruttibili; la dissoluzione
dei corpi è data dalla disgregazione degli atomi, che si riaggregano in un altro corpo.
Questo processo è quindi incessante ed è la ragione per cui nulla si crea e nulla si
distrugge.
II libro
Il secondo libro si apre con una trattazione sulla serenità imperturbabile del sapiente,
ovvero l’atarassia; a questa viene contrapposta la stoltezza. Lucrezio come Epicuro
afferma quindi che soltanto la ragione può liberare gli uomini dalle ansie che li
tormentano.
III libro
Il terzo libro si apre con un elogio di Epicuro. Si parla poi di come anche l’anima
dell’uomo è formata da atomi, più piccoli di quelli normali, dunque è mortale ed è
destinata a disgregarsi proprio come il corpo. Sapendo dunque che l’anima non
sopravvive al corpo, e che l’uomo non prova dolore con la morte, la paura della
morte viene allontanata.
IV libro
Nel proemio abbiamo una dichiarazione di poetica. Il tema di cui tratta sono le
sensazioni; esse hanno origine dal fatto che dagli oggetti e dai corpi si staccando dei
veli fatti di atomi sottili che colpiscono altri corpi.
Il finale del libro è occupato dalla trattazione del sesso e dell’amore, considerato la
passione più funesta dell’uomo,che scuote l’animo e che condanna all’infelicità
V libro
Nel proemio abbiamo un elogio di Epicuro. Il tema è la formazione dell’universo;
l’ultima parte del libro è costituita da una sorta di racconto della storia dell’umanità.
All'inizio della civiltà si affermava che il cielo e la terra non erano fatti per l’uomo,
cioè non creati da una divinità per l'uomo, anzi che l’uomo alla nascita trova delle
condizioni sfavorevoli per cui deve lottare sempre per la sopravvivenza
VI libro
Alla fine del libro infatti si parla della peste che ha colpito Atene nel 430, all’inizio
della guerra del Peloponneso. L’epidemia fu narrata dallo storico greco Tucidide, per
cui Lucrezio ne riprende il racconto e la descrizione, all’interno della quale si
dimostra la grande partecipazione emotiva alle atrocità descritte.
Tra queste egli condanna aspramente l’ambizione politica e la lotta per il potere; la
scelta più salutare per l’uomo è infatti quella di vivere appartato, lasciando agli stolti
gli affanni di una vita competitiva. La guerra viene invece definita come una vera e
propria atrocità, che diviene sempre più spaventosa con il perfezionarsi della
tecnologia.
Altre inutili preoccupazioni che allontanano l’uomo dalla felicità sono l’amore, definito
come desiderio tormentoso e sempre insoddisfatto, la paura della morte e quella
degli dei (in particolare, le ultime sono ritenute le forme di stoltezza più gravi e
pericolose).
Lucrezio quindi esalta la forza della ragione umana, che deve tenere a bada le
passioni che indeboliscono l’uomo. Per raggiungere l’atarassia (benessere
dell’anima, assenza di turbamento) occorre dominare e controllare le passioni
mediante la ragione.
Il pessimismo di Lucrezio
Nonostante l’opera si presenti come un’opera ottimistica, all’interno viene conferito
un ruolo fondamentale alla ragione umana, gli studiosi hanno notato che nell’opera si
possono scorgere elementi pessimistici che andrebbero contro questo ottimismo
circa la forza della ragione umana:
- all’interno del IV libro il poeta afferma che la terra e il cielo non sono stati
creati da una divinità per l’uomo, ma che egli sin dalla nascita debba
affrontare gravi difficoltà per sopravvivere e lottare contro il freddo, il caldo, le
calamità naturali, le malattie, gli animali feroci;
Altri invece giustificano la cosa a causa del peggioramento delle condizioni psichiche
di Lucrezio, quindi attribuiscono questi elementi pessimistici al suo malessere
psichico.
Altri ancora credono che la peste di Atene abbia abbia valore simbolico ed indichi
metaforicamente come diventa la vita dell’uomo se non è condotta secondo i precetti
di Epicuro.
Il pensiero di Luciano Perelli
Secondo Luciano Perelli, le contraddizioni esistono nell’opera e dipendono dal fatto
che fondamentalmente lo spirito di Lucrezio in fondo non è appagato totalmente
dalla filosofia materialistica, razionalistica e meccanicistica di Epicuro e che quindi
egli, in modo inconsapevole, non riesce ad accontentarsi dalle spiegazioni date da
Epicuro.
Perelli sostiene dunque che le risposte date dall’epicureismo sulla vita non
soddisfano Lucrezio sul piano spirituale, e questo si evince proprio dal pessimismo
presente all’interno della sua opera