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CONCEZIONE DELL’HUMANITAS IN CICERONE

Al centro del pensiero filosofico di Cicerone vi è l’ideale di humanitas, che deriva


dall’incontro tra il pensiero filosofico greco e l’esperienza morale e politica romana.
L’humanitas deve stare alla base dei rapporti tra gli uomini, poiché questi sono
accomunati dalla stessa natura, quindi provano le stesse emozioni.

Questo concetto non nasce con Cicerone ma è già presente in Terenzio.

La concezione dell’humanitas si basa su:

- una visione secondo la quale l’uomo è un essere superiore, di natura divina


perché dotato di ragione (logos). L’uomo assoggetta dunque alla ragione gli
istinti, le passioni e i sentimenti e la ragione deve essere il criterio del
ragionamento dell’uomo ed il suo punto di riferimento (si rifà allo stoicismo);
(nell’ambito della cultura italiana questi concetti vengono ripresi dagli
Umanisti, particolarmente l’umanesimo civile, mediante la visione
antropocentrica di Cicerone. La nuova concezione che si afferma nell’uomo è
dunque frutto degli studi dei classici latini);

- l’importanza dello studio e dalla cultura, in quanto attraverso ciò è possibile


conoscere se stessi ed il mondo, in modo da orientarsi convenientemente
nella vita (nella cultura italiana, Petrarca sostiene che gli studi dell’humanitas
portasse l’uomo alla sua forma perfetta);

- nei rapporti con gli altri uomini, l’uomo deve essere animato da rispetto,
tolleranza e benevolenza e deve agire con autocontrollo, equilibrio e
cortesia (esprimendo l’ideale del decorum, senso di ciò che è moralmente ed
esteticamente adatto alle situazioni o alla persona), che sono le
manifestazioni esteriori della bellezza ed armonia interiori;

- il dovere di rendersi utili alla patria e allo Stato, prioritario rispetto a tutti gli
altri doveri; qui Cicerone contesta la concezione epicurea dell’edonismo
individualistico ed egoistico e la predicazione del disimpegno politico;

- l’idea che i beni terreni come il successo, gloria e prestigio sono da


apprezzare ma non possono essere il movente dell’azione né lo scopo
dell’azione di un uomo virtuoso. Quest’ultimo è infatti spinto dalle virtù morali
(forza d’animo, sopportazione, conoscenza, equilibrio, tolleranza), anche
perché i beni terreni scompariranno con il tempo.

LUCREZIO (Tito Lucrezio Caro)

La vita e la cronologia
Sulla vita di Lucrezio disponiamo di scarse notizie, tutte contrastanti tra loro.
La testimonianza più importante è data da San Gerolamo, un autore latino del IV
secolo d.C., il quale afferma che il poeta nacque nel 94 a.C., che egli divenne folle
dopo aver ingerito un filtro d’amore e che scrisse i libri della sua opera negli anni di
mezzo, morendo suicida all’età di 44 anni.

Da ciò si desume che Lucrezio nacque nel 94 a.C e morì nel 50 a.C.

San Gerolamo ricava questi dati dall'opera di un autore storico a lui precedente,
Svetonio, da cui Gerolamo si serviva abitualmente. Queste date vennero messe in
dubbio dagli studiosi, i quali ritengono invece di anticipare di qualche anno le date di
nascita e morte; per questa ragione gli studiosi danno per nascita nel 98 a.C e la
morte nel 55 a.C. Ciò avviene in quanto un grammatico del IV secolo d.C chiamato
Donato, nella sua “Vita di Virgilio” afferma che Lucrezio morì quando Virgilio prese la
toga virile, quindi collocano in 55 a.C. come data di morte.

Questa data è tra l’altro confermata da un giudizio sul poema lucreziano che
leggiamo in una lettera di Cicerone al fratello Quinto, scritta nel febbraio del 54 a.C. I
due fratelli si stavano infatti occupando dell’opera di Lucrezio in vista della
produzione postuma, di cui parla anche Gerolamo.

Notizie della follia e suicidio


Le notizie relative alla pazzia ed al suicidio possono tuttavia essere frutto di una
sorta di denigrazione avvenuta in ambito cristiano, in quanto all’interno del suo
poema Lucrezio si era impegnato a dimostrare la mortalità dell’anima e l’inesistenza
di una vita dopo la morte; questo avrebbe dunque scatenato la reazione dei
cristiani, i quali avrebbero creato la leggenda relativa alla follia e al successivo
suicidio.

Nel suo poema (libro IV) Lucrezio attacca violentemente l’amore, presentandolo
come una sorta di follia (furor) che acceca gli uomini; è anche questo aspetto
dell’opera che avrebbe portato all’invenzione di questa leggenda.

Ci sono stati però altri studiosi che, suggestionati da questa affermazione e


seguendo una strada diversa, hanno cercato all’interno del De Rerum Natura delle
conferme di questa pazzia, individuando tracce di un disagio mentale dell’autore, il
quale appunto tendeva ad una psicosi ciclica. Questo tipo di indagine non è tuttavia
corretta dal punto di vista metodologico, poiché se si mettessero sotto indagine tutti
gli autori, in tutti sarebbe riscontrabile un tormento. Inoltre possiamo dire che il De
Rerum Natura fornisce addirittura appigli minori rispetto ad altri testi, poiché
nell’opera sono presenti chiari segni di una mente lucida oltre che creativa e
fantastica.

Dal poema quindi non possiamo ricavare nè conferme nè smentite alle notizie di
Gerolamo; ne si possono dedurre altri dati come il luogo di origine o la condizione
sociale. Neanche i poeti contemporanei parlano del poeta, ad eccezione di una
lettera che Cicerone manda al fratello Quinto inerente alla pubblicazione postuma
dell’opera di Lucrezio. La ragione risiede probabilmente nel fatto che Lucrezio visse
da solo e isolato, lontano dalla vita politica che nel suo poema giudica tanto
negativa.

Dedica dell’opera
Il De Rerum natura è dedicato a Lucio Memmio, un illustre personaggio romano
appartenente agli ottimati, pretore nel 58 a.C e propretore nel 57 a.C.. Cicerone nel
Brutus lo presenta come un coltissimo intellettuale che ama la letteratura greca.

DE RERUM NATURA
Il De rerum natura è un poema epico-didascalico in esametri, suddiviso in 6 libri
raggruppati in tre diadi.

È definito didascalico in quanto ha come oggetto l’esposizione della filosofia


epicurea, che aveva raggiunto una notevole diffusione a Roma e che il poeta vuole
diffondere ulteriormente, poichè ritiene che possa assicurare agli uomini la soluzione
ai loro problemi esistenziali.

L’aggettivo “epico” rimanda invece al metro in cui il poema è composto ed


all’entusiasmo con cui Lucrezio elogia Epicuro (colui che diede agli uomini un
messaggio di salvezza).

La concezione della poesia di Epicuro e di Lucrezio


Il titolo è la traduzione dal greco “Perì physeos”, Sulla natura, titolo già usato in
opere di diversi filosofi greci ed in particolare da Epicuro (non disponiamo dell’opera
perchè andò persa), che costituisce la principale fonte del poeta latino. L’opera di
Epicuro tuttavia non era scritta sotto forma di poema, ma era un trattato in prosa; ciò
in quanto il filosofo aveva espresso diverse critiche sulla poesia, giudicando la lettura
dei poeti inutile per il raggiungimento della verità e della saggezza e nociva poiché
suscita emozioni e sentimenti, visti in modo negativo dalla filosofia epicurea.

Proprio per questa ragione Lucrezio giudica la scelta della poesia: egli si presenta
come stimolato ed ispirato dalle Muse ad esplorare strade nuove e preannuncia la
gloria che deriverà dalla sua opera, sia per quanto riguarda i contenuti che la forma,
capace di fare chiarezza su argomenti tanto complessi attraverso il fascino (lepos)
della poesia.

In un’altra dichiarazione successiva, mediante una metafora che sarà poi ripresa da
Tasso nel proemio della Gerusalemme liberata, egli celebra il valore della forma
poetica, destinata a mediare contenuti salutari ma difficili che altrimenti
risulterebbero ostici ai lettori. Lucrezio afferma infatti di voler esporre in versi la
dottrina epicurea, agendo come un medico che cosparge di miele il bordo della tazza
contenente una medicina amara da somministrare ad un bambino. La poesia è uno
strumento attraverso il quale attrae e alletta anche i lettori più diffidenti verso la
filosofia a recepire invece le verità filosofiche che curano l’anima.

Così Lucrezio spiega la scelta di non scrivere in prosa. Questa scelta risulta
conforme alle tendenze della letteratura temporanea: il poema didascalico era infatti
tra le forme più adatte secondo il gusto alessandrino, che si stava diffondendo a
Roma.

I modelli dell’opera

Esiodo
Il poema didascalico si era affiancato a quello eroico con il poeta greco Esiodo, il
quale scrisse “Le opere e i giorni” il quale scopo era quello di fornire informazioni
sull’agricoltura e la navigazione ed allo stesso tempo trasmettere un messaggio
morale: il lavoro come dura necessità ma anche come strumento non solo di
benessere economico ma anche di elevazione morale, perché permette di
acquisire un’etica.

Empedocle ed il filone scientifico-filosofico


Lucrezio si inserisce inoltre nel filone scientifico-filosofico, che vedeva Empedocle
di Agrigento come maggiore esponente. Egli elogia Empedocle pur non
condividendo la sua dottrina ma dichiarandolo nella sua opera come suo modello
(anche Empedocle aveva scritto un’opera dal titolo Sulla natura).

Ciò che accomuna Lucrezio ed Empedocle è la forma esametrica, l’argomento


(scienza e natura), i procedimenti espositivi e argomentativi e la convinzione di una
missione da compiere per il bene dell’uomo: entrambi proclamano un messaggio di
salvezza per l’umanità, seppur con differenze nei contenuti, facendo coincidere
canto poetico e messaggio salvifico, rendendo attuale la sacralità della
concezione del vates (poeta divinamente ispirato e quasi profetico, in grado di
proporsi come guida della comunità, impegnato attivamente per il ripristino di valori
morali).

Ennio, Catone ed i poemetti didascalici


Abbiamo poi il poema epico storico di Ennio “Gli annales”, scritto in esametri, che
costituisce in particolare un modello di lingua e stile.

Possiamo anche aggiungere Catone, con il suo “De Agricoltura”, un’opera


didascalica che parlava delle tecniche agricole ma in prosa.

Vi sono poi altri modelli, ovvero i molti poemetti didascalici in poesia di argomento
tecnico che fiorirono in età ellenistica (queste opere in realtà non avevano la finalità
di insegnare, ma erano una sorta di esercizio poetico volto a dimostrare la loro
erudizione e la loro capacità di narrare nozioni di tipo tecnico in poesia).

La struttura compositiva del poema


La struttura del poema è chiara e ordinata, poiché i libri sono raggruppati in tre diadi.
Ogni libro è costituito da un proemio, una parte centrale dove si affronta il tema e poi
una parte conclusiva.

Ci sono tuttavia degli elementi come le ripetizioni di versi o dei versi sospesi (quindi
appunto non completati) che fanno pensare al fatto che a causa della morte del
poeta il poema non ebbe una revisione definitiva. D’altra parte si sostiene invece che
queste ripetizioni siano volute ed intenzionali; esse infatti, oltre a rientrare nella
formularità tipica dell’epica greca, assumono una funzione didascalica e pongono
l’attenzione del lettore su determinati punti di cui si era parlato precedentemente.

Le parti proemiali e finali hanno un grande valore poetico, mentre l’esposizione


filosofica è molto pesante.

Tutti i libri dispari iniziano con un elogio ad Epicuro; la stessa cosa accade nel sesto
libro: alcuni studiosi hanno discusso a lungo su questo elemento in quanto esso
sarebbe il segno che probabilmente l’opera non fu mai completata e che Lucrezio
avrebbe apportato delle modifiche all’opera (o ampliandola o spostando
successivamente l’elogio). Altri invece sostengono che questo elogio sia presente
perchè si tratta del libro finale, e che quindi l’autore volesse concludere con un
ultimo elogio al filosofo.

Il contenuto dell’opera
L’opera è composta da 6 libri e tratta tre argomenti generali: fisica (primi due libri);
antropologia (3 e 4); cosmologia (5 e 6). L’etica non viene specificatamente trattata
ma è presente in tutti e sei i libri, dunque presenta una trattazione asistematica.

Il contenuto del proemio


L’opera si apre dunque con una preghiera rivolta a Venere, dea progenitrice e
protettrice dei Romani. Non avendo Epicuro una concezione positiva della religione,
questo potrebbe sembrare contraddittorio. In realtà gli studiosi spiegano che questa
apertura potrebbe essere dovuta a tre motivi principali:

- tutti i poemi epici si aprivano con una preghiera agli dei, per cui viene
semplicemente rispettata la tradizione letteraria;

- Venere è simbolo della voluptas, ovvero il piacere, senza il quale non vi può
essere la procreazione e quindi la vita; Venere diventa quindi simbolo della
forza naturale che genera la vita, ed il poeta le si rivolge affinché ella seduca
Marte, dio della guerra (i Romani erano guerrieri) e porti pace ai Romani, in
modo che leggano l’opera;

- essa è una forma di captatio benevolentiae verso i lettori Romani ed il


destinatario(Memmio) (la cui gens aveva in Venere il suo nome tutelare).

Abbiamo poi un elogio ad Epicuro, all’interno del quale egli viene esaltato come
l’eroe che ha saputo sconfiggere la religio e divenire salvatore dell’umanità.

Segue la narrazione del sacrificio di ifigenia (figlia di Agamennone e Clitemnestra)


immolata con il consenso del padre per propiziare la partenza della flotta greca per
la guerra di Troia; questa narrazione ha lo scopo di mettere in luce come la
religione, usata a fini politici, sia spesso causa di fatti empi e scellerati.

I libro
Il primo libro si apre con l’inno a Venere ed un elogio di Epicuro. Il contenuto
fondamentale di questo libro è la dottrina degli atomi: ogni cosa è costituita da atomi
che sono particelle elementari indivisibili innumerevoli e indistruttibili; la dissoluzione
dei corpi è data dalla disgregazione degli atomi, che si riaggregano in un altro corpo.
Questo processo è quindi incessante ed è la ragione per cui nulla si crea e nulla si
distrugge.

Nell’ultima parte del libro egli afferma l’infinità dell’universo.

II libro
Il secondo libro si apre con una trattazione sulla serenità imperturbabile del sapiente,
ovvero l’atarassia; a questa viene contrapposta la stoltezza. Lucrezio come Epicuro
afferma quindi che soltanto la ragione può liberare gli uomini dalle ansie che li
tormentano.

Successivamente viene esposta la dottrina del clinamen, ovvero la deviazione o


inclinazione che interviene a modificare le traiettorie verticali secondo cui gli atomi si
muovono nel vuoto, permettendogli di aggregarsi. Infine egli parla della molteplicità
di mondi nell’universo e di come tutti, anche il nostro, siano destinati a disgregarsi.

III libro
Il terzo libro si apre con un elogio di Epicuro. Si parla poi di come anche l’anima
dell’uomo è formata da atomi, più piccoli di quelli normali, dunque è mortale ed è
destinata a disgregarsi proprio come il corpo. Sapendo dunque che l’anima non
sopravvive al corpo, e che l’uomo non prova dolore con la morte, la paura della
morte viene allontanata.
IV libro
Nel proemio abbiamo una dichiarazione di poetica. Il tema di cui tratta sono le
sensazioni; esse hanno origine dal fatto che dagli oggetti e dai corpi si staccando dei
veli fatti di atomi sottili che colpiscono altri corpi.

Il finale del libro è occupato dalla trattazione del sesso e dell’amore, considerato la
passione più funesta dell’uomo,che scuote l’animo e che condanna all’infelicità

V libro
Nel proemio abbiamo un elogio di Epicuro. Il tema è la formazione dell’universo;
l’ultima parte del libro è costituita da una sorta di racconto della storia dell’umanità.
All'inizio della civiltà si affermava che il cielo e la terra non erano fatti per l’uomo,
cioè non creati da una divinità per l'uomo, anzi che l’uomo alla nascita trova delle
condizioni sfavorevoli per cui deve lottare sempre per la sopravvivenza

VI libro

Nel proemio abbiamo un elogio di Atene ed Epicuro. Il tema principale sono i


fenomeni meteorologici e naturali. Lucrezio ha come fine quello di far capire che
questi fenomeni naturali sono determinati da leggi fisiche e non sono manifestazioni
dell’ira divina. Prima infatti si credeva che i fenomeni naturali fossero manifestazioni
dell’ira delle divinità che volevano colpire gli uomini; invece Lucrezio, seguendo
Epicuro, dimostra che questi fenomeni naturali hanno una spiegazione scientifica e
rispondono a leggi fisiche. Tra i fenomeni rientrano anche le malattie e i morbi.

Alla fine del libro infatti si parla della peste che ha colpito Atene nel 430, all’inizio
della guerra del Peloponneso. L’epidemia fu narrata dallo storico greco Tucidide, per
cui Lucrezio ne riprende il racconto e la descrizione, all’interno della quale si
dimostra la grande partecipazione emotiva alle atrocità descritte.

Lucrezio poeta della ragione


Lucrezio nel poema afferma e ripete che Epicuro, grazie all’uso della ragione, ha
liberato l’uomo da quelle paure che generano la sofferenza e il dolore, quindi
l’infelicità. Con la ragione il filosofo ha lottato e sgombrato la mente dell’uomo dalla
paura della morte, degli dei e le passioni che provocano turbamento.

Tra queste egli condanna aspramente l’ambizione politica e la lotta per il potere; la
scelta più salutare per l’uomo è infatti quella di vivere appartato, lasciando agli stolti
gli affanni di una vita competitiva. La guerra viene invece definita come una vera e
propria atrocità, che diviene sempre più spaventosa con il perfezionarsi della
tecnologia.

Altre inutili preoccupazioni che allontanano l’uomo dalla felicità sono l’amore, definito
come desiderio tormentoso e sempre insoddisfatto, la paura della morte e quella
degli dei (in particolare, le ultime sono ritenute le forme di stoltezza più gravi e
pericolose).

Lucrezio quindi esalta la forza della ragione umana, che deve tenere a bada le
passioni che indeboliscono l’uomo. Per raggiungere l’atarassia (benessere
dell’anima, assenza di turbamento) occorre dominare e controllare le passioni
mediante la ragione.

Il pessimismo di Lucrezio
Nonostante l’opera si presenti come un’opera ottimistica, all’interno viene conferito
un ruolo fondamentale alla ragione umana, gli studiosi hanno notato che nell’opera si
possono scorgere elementi pessimistici che andrebbero contro questo ottimismo
circa la forza della ragione umana:

- all’interno del IV libro il poeta afferma che la terra e il cielo non sono stati
creati da una divinità per l’uomo, ma che egli sin dalla nascita debba
affrontare gravi difficoltà per sopravvivere e lottare contro il freddo, il caldo, le
calamità naturali, le malattie, gli animali feroci;

- ricorrono spesso nella poesia lucreziana immagini di morte, cioè immagini di


sofferenza e dolore, come il racconto della peste di Atene in cui vengono
descritti minuziosamente la sofferenza della malattia, l'atrocità e la sofferenza
della morte che la pesta causava;

- sono presenti incubi e presagi negativi che si contrappongono con l’ottimismo


nella forza della ragione che Lucrezio cita.

Vi è quindi una contraddizione dell’autore.

Il pessimismo in relazione al finale dell’opera


Anche in merito al finale dell’opera, molto pessimistico in quanto si tratta della peste
di Atene, gli studiosi hanno pareri contrastanti. Alcuni credono che l’opera non fu mai
completata da Lucrezio, ed è questa la ragione per cui il finale è così macabro.

Altri invece giustificano la cosa a causa del peggioramento delle condizioni psichiche
di Lucrezio, quindi attribuiscono questi elementi pessimistici al suo malessere
psichico.

Altri ancora credono che la peste di Atene abbia abbia valore simbolico ed indichi
metaforicamente come diventa la vita dell’uomo se non è condotta secondo i precetti
di Epicuro.
Il pensiero di Luciano Perelli
Secondo Luciano Perelli, le contraddizioni esistono nell’opera e dipendono dal fatto
che fondamentalmente lo spirito di Lucrezio in fondo non è appagato totalmente
dalla filosofia materialistica, razionalistica e meccanicistica di Epicuro e che quindi
egli, in modo inconsapevole, non riesce ad accontentarsi dalle spiegazioni date da
Epicuro.

Perelli sostiene dunque che le risposte date dall’epicureismo sulla vita non
soddisfano Lucrezio sul piano spirituale, e questo si evince proprio dal pessimismo
presente all’interno della sua opera

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