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BOEZIO

A cura di Diego Fusaro

"Si tacuisses, philosophus mansisses" (De consolatione philosophiae, II, 7)

INDICE INTRODUZIONE AL PENSIERO DE CONSOLATIONE PHILOSOPHIAE

INTRODUZIONE AL PENSIERO

Suo padre fu Flavio Narsete Manlio Boezio, due volte prefetto del pretorio d'Italia, prefetto di Roma e console nel 487, mentre la madre apparteneva alla nobile e antichissima gens Anicia. Alla morte del padre, avvenuta intorno al 490, fu affidato a Quinto Aurelio Memmio Simmaco, nobile e letterato romano, la figlia del quale, Rusticiana, sposer intorno al 495 avendone due figli. Nel 493 Teodorico, re degli Ostrogoti, vince in battaglia e uccide Odoacre, re degli Eruli, stabilendo in Italia il proprio regno, confermando Ravenna come capitale, ma risiedendo anche a Pavia e a Verona. Boezio studi alla scuola di Atene, retta dallo scolarca Isidoro, dove si insegnavano soprattutto Aristotele e Platone insieme con le quattro scienze fondamentali per la comprensione della filosofia platonica, l'aritmetica, la geometria, l'astronomia e la musica; qui conobbe forse il giovane e futuro grande commentatore di Aristotele, Simplicio, che indic come nella scuola si cercasse un accordo tra i due maggiori filosofi dell'antichit, studiando ogni singola frase delle loro opere e discutendo le opinioni dei commentatori, partendo da Aristotele, il maggior studioso della natura, per giungere a Platone: Aristotele procede dalle cose fisiche - scrive Simplicio verso quelle che stanno al di sopra della natura; considera queste in base alla relazione che hanno con quelle, mentre Platone considera le cose naturali in quanto partecipi di quelle che stanno al di sopra della natura. S'iniziava con lo studio della logica di Aristotele, preceduta dall'introduzione, l' Isagoge, di Porfirio;

il piano che Boezio seguir nel compito che un giorno vorr assumersi di tradurre in latino, commentare e accordare i due pensatori greci. Intorno al 502 si fa risalire la sua attivit letteraria e filosofica: scrive i trattati del quadrivio, le quattro scienze fondamentali del tempo, il De institutione arithmetica, il De institutione musicae e i perduti De institutione geometrica e De institutione astronomica. Qualche anno dopo traduce dal greco in latino e commenta l'Isagoge di Porfirio, un'introduzione alle Categorie di Aristotele, che avr un'enorme diffusione nei secoli a venire. La fama cos ottenuta gli procura nel 510 la nomina di consul sine collega dalla corte imperiale di Costantinopoli, carica biennale che gli d diritto a un seggio permanente nel Senato romano. Da questi anni fino al 520 traduce e commenta le Categorie e il De interpretatione di Aristotele, scrive il trattato teologico Contra Eutychen et Nestorium, il perduto commento ai Primi Analitici di Aristotele, un De syllogismis categoricis, un De divisione, gli Analytica posteriora, un De hypotheticis syllogismis, la traduzione, perduta, dei Topica di Aristotele e un commento ai Topica di Cicerone. Partecipa ai dibattiti teologici del tempo: intorno al 520 compone il De Trinitate, dedicato al suocero Simmaco, l' Utrum Pater et Filius et Spiritus Sanctus de divinitate substantialiter praedicentur, il Quomodo substantiae in eo quod sint bonae sint, cum non sint substantialia sint e, secondo alcuni, il De fide catholica. L'interesse di Boezio e di molta parte del patriziato romano per i problemi teologici che avevano il loro centro soprattutto in Oriente, con i dibattiti sull'arianesimo, mettono in allarme Teodorico, che sospetta un'intelligenza politica della classe senatoria romana con l'Impero, la cui ostilit verso i Goti ariani era sempre stata appena malcelata. Appena terminati i De sophisticis elenchis, perduti, e i De differentiis topicis, Boezio chiamato alla corte di Teodorico, per discutere della non facile convivenza fra gli elementi gotici e italici della popolazione. Nel 522 magister officiorum - i suoi due figli sono nominati consoli - nel 523, alla morte di papa Ormisda, succede al papato Giovanni I. Il magistrato Cipriano, a Pavia, in seguito al sequestro di lettere dirette alla corte di Bisanzio, accusa il nobile romano Albino di complotto ai danni del regno di Teodorico. Boezio difende Albino, esponendo se stesso e tutto il Senato nella difesa del collega. Portate nuove accuse fondate su lettere, forse falsificate, di Boezio, nelle quali egli avrebbe sostenuto la necessit di "restaurare la libert di Roma", viene sostituito nella sua carica da Cassiodoro e, nel settembre 524, incarcerato a Pavia con l'accusa di praticare arti magiche; qui inizia la composizione della sua opera pi nota, la De consolatione philosophiae. Egli viene giudicato, a Roma, da un collegio di cinque senatori, estratti a sorte, presieduto dal prefetto Eusebio. Questi, nell'estate del 525, notifica la sentenza di condanna a morte di Boezio, che viene ratificata da Teodorico ed eseguita presso Pavia, nell' ager Calventianus, una localit che non si potuta identificare con certezza. L'intento di Boezio fu soprattutto quello di tradurre Platone e Aristotele, forse allo scopo di confermare il loro accordo di fondo, secondo un'impostazione propria dei Neoplatonici. Il progetto per rimase incompiuto: a noi sono pervenute le traduzioni delle Categorie, del De interpretatione, dei Topici e delle Confutazioni sofistiche di Aristotele, mentre andata perduta quella degli Analitici secondi. Boezio fu dunque il pi grande traduttore di Aristotele del mondo medievale in Occidente. Egli tradusse, inoltre, l'Isagoge di Porfirio alle Categorie, su cui compose due commentari, uno pi elementare e uno pi avanzato; scrisse commenti al De interpretatione e alle Categorie di Aristotele e uno ai Topici diCicerone, e compose anche propri trattati di logica: Sulla divisione, Sulle differenze topiche , due scritti Sui sillogismi categorici e uno Sui sillogismi ipotetici. La traduzione di Boezio - che seguono parola per parola l'originale - trasmettono le dottrine logiche degli antichi, sulle quali si baser la cultura medioevale sino all'undicesimo secolo. Nei commenti all'Isagoge di Porfirio, Boezio affronta il problema degli universali, che sar pi ampiamente dibattuto anche nei secoli successivi (sar il tema portante dellet medievale). In quest'opera Porfirio riportava varie opinioni sulla natura dei generi e delle specie, ma senza assumere una posizione personale. La questione se i generi e le specie, per esempio "animale" o "uomo" , sussistano indipendentemente dai singoli animali o dai singoli uomini (come credeva Platone) oppure esistano solo in questi (come credeva Aristotele) oppure siano entit che hanno la loro esistenza soltanto nel pensiero. Boezio, pur riconoscendo che la

questione assai difficile, propende per una soluzione che egli considera propria di Aristotele e differente invece da quella di Platone. Egli afferma che universale ci che comune a molte cose, ma poich una cosa realmente esistente non pu essere comune a molte cose perch non pu suddividersi in pezzi tra esse, gli universali non possono esistere come sostanze autonome. Essi, allora, esistono come pensieri, ma come pensieri che hanno la loro base in oggetti che esistono nella realt, poich se cos non fosse, gli universali non avrebbero alcun contenuto n riferimento alla realt. Come aveva insegnato Aristotele, l'intelletto partendo dagli oggetti sensibili, ne astrae la forma o specie: vedo tanti cavalli in carne ed ossa e, per unastrazione operata dal mio intelletto, ne ricavo luniversale di cavallo. Specie (per esempio "uomo") non altro che la somiglianza tra pi cose (in questo caso : uomini) colte dall'intelletto, mentre genere ( per esempio : "animale" ) la somiglianza tra pi specie. Generi e specie sussistono nelle cose in modo percepibile, ma sono anche pensieri che sussistono in s. Nel commento alle Categorie, Boezio rintraccia invece la base degli universali (generi e specie), pi che nelle somiglianze tra le cose, nelle collezioni di individui simili. Armato di questi strumenti logici, egli interviene, forse a partire dal 520, in controversie teologiche sulla natura di Cristo e sulla Trinit scrivendo 5 Opuscoli Sacri, tra i quali Sulla Trinit - sulla linea di Agostino. In essi egli sostiene platonicamente che le specie sono le idee eterne esistenti nella mente di Dio e modelli delle cose; egli distingue inoltre tra eternit, che appartiene esclusivamente a Dio, e perpetuit, che propria del mondo creato nella sua durata ininterrotta. L'ultimo imponente scritto composto da Boezio la Consolazione della filosofia, in cinque libri. I personaggi che egli mette in scena sono Boezio stesso e la personificazione della Filosofia che lo visita in cella: il suo modello il Critone platonico, dove le leggi con una celebre prosopopea - appaiono in sogno a Socrate nel carcere e colloquiano con lui, inducendolo a non evadere, perch cos facendo commetterebbe ingiustizia non verso i suoi calunniatori, ma verso la poliV alla quale deve ogni cosa. Dopo aver sottolineato la necessit di disprezzare la sorte, la Filosofia dimostra che solo Dio il Sommo Bene. Secondo Boezio il bene perfetto, se possibile, deve esistere nella realt: ma "non si pu concepire nulla migliore di Dio", dunque Dio esiste . E' questo un embrione di ragionamento, gi presente in Seneca, che sar ripreso e sviluppato da Anselmo nella sua formulazione della "prova ontologica" dellesistenza di Dio. Gli ultimi due libri dell'opera affrontano il problema del male, risolto alla maniera agostiniana, e quello del rapporto tra prescienza divina e libero arbitrio umano . Secondo Boezio, la conoscenza divina diversa da quella umana, perch fuori dal tempo. Infatti la conoscenza che Dio ha del futuro non corrisponde a quella che ne ha l'uomo, essa piuttosto avvicinabile a quella che l'uomo ha del presente: ci che per noi futuro, per Dio presente. Agli uomini, infatti, il futuro appare incerto, ma ci non possibile per Dio; egli dunque conosce pienamente il futuro, ma ci non significa che la sua conoscenza causi il futuro. Ogni evento l'effetto di una causa, e Dio, conoscendo le cause, conosce simultaneamente anche i loro effetti, e poich la volont umana fa parte delle cause che danno luogo a eventi, Dio conosce anche quale la volont dei singoli, bench il fatto che egli la conosca non significhi che egli annulli la libert del volere: a tal proposito Tommaso si avvarr di un esempio particolarmente significativo; come quando vediamo un vascello e sappiamo gi quale sar la sua rotta, ma non per questo possiamo influenzarla, cos Dio sa gi come ci comporteremo ma non per questo limita la nostra libert. Gli interpreti moderni sono stati colpiti dal fatto che nella Consolazione della filosofia manchino riferimenti espliciti al cristianesimo, anche se allusioni al testo biblico non sono assenti, ma va rilevato che in linea di principio non c' incompatibilit tra il cristianesimo e le dottrine neoplatoniche, che pervadono il suo scritto. Inoltre, con Boezio la filosofia in lingua latina sembra ripercorrere un itinerario di allontanamento dalla scena politica, che gi Cicerone e Seneca avevano conosciuto. Nel mondo latino la filosofia riconferma cos la sua vocazione terapeutica e consolatoria (e quindi pratica) nei momenti drammatici della vita, ma l'eredit pi rilevante di Boezio consiste nella creazione di un vocabolario latino della logica e della riflessione teologica e nell'uso di una tecnica di risoluzione delle questioni che saranno determinanti per l'et successiva.

DE CONSOLATIONE PHILOSOPHIAE

Quando Boezio venne da Teodorico fatto imprigionare e condannato alla pena capitale nel 524, scrisse un'opera in cinque libri, mista di versi e prosa, che rimasta pietra miliare della filosofia medievale: De consolatione philophiae. Questopera godette di una fortuna strepitosa, non solo in et medievale (Dante si form filosoficamente su di essa), ma anche in epoca moderna: quando Shakespeare in Romeo e Giulietta proclama "Adversity's sweet milk, philosophy", nelle sue parole sentiamo echeggiare la lezione boeziana, della filosofia come viatico e come cura per far fronte alle avversit che si abbattono imperscrutabilmente su di noi. Riportiamo qui un breve riassunto del De consolatione philosophiae:

-LIBRO I: Non appena Boezio riconosce la donna, apparsagli, come la "nutrice" compagna della sua giovinezza, ella cerca subito di allietarlo ricordandogli le ingiustizie che tanti pensatori hanno dovuto subire; poi lo invita a sfogare il proprio dolore affinch lei possa curarlo e indicargli la giusta via. Boezio, perci, mette a nudo tutta la sua infelicit come conseguenza della disastrosa condizione umana in contrasto con lordinato equilibrio del cielo. Perci la Filosofia intravede un vuoto attraverso il quale si insinuato nellanimo di Boezio il male del turbamento, in quanto egli si dimenticato quale sia il fine delle cose e da quali strumenti il mondo sia retto e, per di pi, giudica potenti e fortunati gli uomini malvagi.

-LIBRO II: Ha, quindi, inizio lopera benefica della Filosofia con laiuto della Retorica e della Musica. Ella esorta linfelice a diffidare dei favori della fortuna, perch, in quanto instabile, non pu portare alla realizzazione della felicit: "in che modo, infatti, con la sua presenza, pu rendere felici gli uomini una condizione fortunata la cui assenza non li pu rendere felici?" (I, 5). Boezio perci concorde che sia pi vantaggiosa una sorte avversa, che rende consapevoli, piuttosto che una sorte prospera, che fornisce solo fallaci illusioni.

-LIBRO III: La Filosofia annuncia a Boezio che giunto il momento di parlare con estrema chiarezza allanimo di lui, che ormai ben disposto a ricevere i suoi pi importanti precetti: quelli che lo condurranno alla vera felicit, definita come lo stato di perfezione conseguente alla presenza di tutti i beni. La Filosofia si accinge quindi a definire quali siano i caratteri della felicit umana; ogni uomo vede la felicit in quella condizione a cui egli aspira al di sopra di tutte le altre (ricchezze, onori, potere, gloria, piaceri del corpo). Tramite un vasto ragionamento, la Filosofia riesce a far capire a Boezio che da nessuna di queste cose deriva la felicit e che dunque sono soltanto delle immagini illusorie di essa. Ne viene dunque che, se tutto ci che un bene terreno non un bene vero, il sommo bene si identificher necessariamente con Dio, a cui tutti dovranno aspirare per essere davvero felici.

-LIBRO IV: Boezio si pone quindi una logica domanda, che da sempre pone lessere umano nellincertezza: da dove viene, dunque, il male che attanaglia il mondo? Con quale criterio fatta la ripartizione dei beni, che sembrano andare pi verso i malvagi che verso i buoni? La Filosofia lo conduce alla ragione portandolo a riconoscere che i beni dei cattivi non sono veri beni e che le infelicit dei buoni sono utili per la loro salvezza.

-LIBRO V: I due si avviano ad un altro problema; si tratta stavolta della questione sul rapporto tra libero arbitrio e prescienza divina.

Nel De consolatione philophiae Boezio cercava nella filosofia una via di consolazione alle proprie disgrazie: in essa, egli immagina di ricevere, durante la prigionia, la visita di una donna che si rivela essere la Filosofia stessa, venuta a consolarlo del suo triste stato e a fornirgliene una spiegazione teleologica. La Filosofia inizia col ricordare a Boezio che ci che egli sta vivendo lo vive proprio in quanto filosofo: , infatti, tipica dei veri discepoli della filosofia la tendenza a dispiacere ai perversi. Ci dimostrato anche dal fatto che situazioni pi o meno analoghe sono state vissute da uomini altrettanto illustri e tra questi la Filosofia ricorda Socrate e lo stesso Seneca, due grandi martiri della filosofia. Proprio in virt di quanto asserito dalla Filosofia, Boezio si chiede come sia possibile che il mondo premi gli ingiusti mentre la Fortuna si accanisca contro un uomo come lui che ha sempre difeso i diritti dei deboli. A questa angosciata domanda, che chiude il libro I, la Filosofia risponde dicendo che Boezio non deve temere, perch non alla fortuna affidato il mondo, ma alla divina ragione. Del resto (e ci l'argomento del II libro), la felicit non da ricercarsi nei beni materiali: questi ultimi, infatti, sono tali che per procurarseli l'uomo deve inevitabilmente ricorrere a soluzioni aberranti, stravolgendo il valore delle cose e finendo, cos, per uccidere proprio ci in cui crede. Infatti, l'uomo che vuole superare gli altri in onori, dovr necessariamente disonorarsi umiliandosi servilmente per ottenere gli onori cui aspira; allo stesso modo, chi cerca la ricchezza dovr sottrarla a chi la possiede; e ancora, se si vuole una vita all'insegna dei piaceri, si finisce col suscitare ripugnanza. Eppure, la presenza di beni imperfetti implica automaticamente l'idea della perfezione cui i beni imperfetti partecipano. Dante stesso - che nel Convito chiama Boezio suo consolatore e dottore - si ricorder di queste riflessioni boeziane sulla caducit dei beni terreni, quando nel Paradiso (X, 124-129) scriver - alludendo a Boezio stesso, che lha iniziato alla filosofia - :

Per vedere ogni ben dentro vi gode L'anima santa, che 'l mondo fallace Fa manifesto a chi di lei ben ode. Lo corpo, ond'ella fu cacciata, giace Giuso in Cieldauro; ed essa da martro E da esiglio venne a questa pace.

Ora, i beni materiali di per s non sono un male come gi diceva Plotino -, in quanto creati da Dio, ma tali diventano se ci distolgono dai veri beni, quelli di natura spirituale: finch restiamo allinfimo livello della materialit, vediamo i beni materiali come i supremi; ma non appena ci innalziamo a quelli spirituali, i beni materiali ci appaiono insignificanti e minuti, proprio come quando per riprendere limmagine che user Petrarca nella sua ascesa al monte Ventoso saliamo in cima ad un monte vediamo piccolissimo ci che sta sotto e che, prima di salire, ci pareva enorme. La Filosofia conclude quindi che la felicit Dio stesso, inteso come sommo bene. Fin qui, i primi tre libri; nel libro IV, per, viene sollevata l'inevitabile obiezione: se il mondo governato da Dio e se Dio il sommo bene, come mai esiste il male? Si Deus est, unde malum? Cos si interroga lo stesso Agostino, e la tematica verr lasciata in eredit ai pensatori successivi, fino ai giorni nostri (ma, del resto, si Deus non est, unde bonum?). A questa legittima domanda, la Filosofia risponde che ci che governa tutto la Provvidenza, ossia la volont divina stessa, la quale per si serve del Fato, cio la contingenza relativa alle cose mutevoli. Gli uomini, che non conoscono questo stato di cose, non operano la necessaria distinzione tra fato e provvidenza, s che il verificarsi del male nel mondo appare ad essi incomprensibile, tanto pi quando a farne le spese sono i virtuosi (pensiamo a Socrate e a Seneca). Ma una provvidenza che governa il mondo non annulla la libert dell'uomo? Boezio utilizza il V libro per dare risposta a questo arduo problema: ci che governa il mondo provvidenza, non previdenza; le azioni passate, presenti e future sono in Dio tutte presenti: "se tu volessi valutare esattamente la previsione con cui egli riconosce tutte le cose, dovresti giustamente ritenere che si tratti non di prescienza di cose proiettate nel futuro, ma di conoscenza di un presente che non viene mai meno. Onde si chiama, non previdenza, ma provvidenza" (De consolatione philosophiae, V). Ci che rappresenta per l'uomo un evento futuro, in Dio sempre presente "... per cui quelli [gli eventi] che dipendono dal libero arbitrio sono presenti nella loro contingenza" (Giovanni Reale). Dio vede s cosa noi faremo in futuro, ma non per questo la nostra libert viene meno, giacch ci che per Lui presente attuato, per noi futuro e, pertanto, possibile, non necessario.

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