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Filologia Romanza

LEZIONE 1
Il corso sarà diviso in tre sezioni, indipendenti ma intercomunicanti:
a) Fondamenti di linguistica romanza
b) Testi delle origini
c) Profilo per generi delle letterature romanze medievali
Il concetto di filologia romanza
Il sostantivo filologia e l’aggettivo / sostantivo filologo derivano dalle parole del greco classico. Il
sostantivo φιλολογία [philologĭa]:
 “Amore per la discussione o il ragionamento” = non ha ancora a che fare con la letteratura
ma più che altro con la discussione filosofica.
 “Amore per la conoscenza e la letteratura” = questo concetto solo in un secondo momento,
inizialmente i greci non la pensavano così.
Aggettivo/sostantivo φιλόλογος [filologo]:
 “Appassionato di parole, loquace” = ama discutere.
 “Appassionato di conoscenze e letteratura, letterato”.
 “Studente, studioso”.
 “Studioso delle parole” = si avvicina davvero all’attività del filologo per come la intendiamo
oggi.
Il verbo φιλολογέω → “amare il sapere, perseguire il sapere, studiare” = perseguire la verità, il
filologo è sempre alla ricerca di essa. La radice etimologica = [< φιλος “amico” + λόγος “discorso,
parola”] = “amico delle parole, amico del discorso”.
Dal greco la parola transita, come prestito dotto, nel latino. Già in età repubblicana ci fu
l’innamoramento degli intellettuali latini per la cultura greca (= considerata “superiore”) – si
cominciarono a leggere le opere greche, a studiare la filosofia greca… Questo contatto di culture
produce il transito di parole → la lingua latina, molto presto (II-III a.C.), si riempie di vocaboli
provenienti dal greco.
 Sostantivo philologia = in latino significa “passione per la letteratura; sapere, erudizione”
(utilizzata in particolar modo da Cicerone e da Seneca).
 Aggettivo e sostantivo philologus = in latino significa “letterato, erudito”.
Il collegamento tra filologia e letteratura qui è potente e anche tra filologia ed erudizione. Chi è un
erudito? È uno studioso con molte conoscenze di diverso genere, anche precise e minute, che gli
servono tutte quante nel momento in cui presta la sua opera a interpretare, per esempio, un
testo.
La parola “filologia” viene recuperata, come cultismo, tra Umanesimo e Rinascimento. Cos’è una
forma dotta? Le parole dotte sono parole che nel momento in cui il latino è morto – e dal latino
sono nate le lingue romanze – non hanno avuto una continuazione nel parlato. La parola
“filologia”, nel momento in cui il latino (fine età romana inizio Medioevo) si è trasformato nelle
lingue romanze, questa parola non era in bocca a nessuno = era soltanto nei libri e ci rimase per

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anni fino a quando qualcuno decise di recuperarla e di “italianizzarla”, “francesizzarla”… perché


aveva scoperto che gli serviva per un determinato scopo. Le parole dotte – o i cultismi – sono
forme delle lingue classiche (greco, latino) che vengono recuperate direttamente dai libri, dopo
secoli di oblio, per essere riutilizzate nel contesto di nuove lingue (italiano, francese, inglese).
Il contrario di “forma dotta” è “forma popolare” = la maggior parte del nostro lessico è di
derivazione popolare = è passato direttamente dal latino parlato alle varietà romanze. Le forme
dotte o cultismi sono forme che non sono passate direttamente dal latino parlato alle lingue
romanze ma che sono entrate nelle lingue romanze in un momento successivo per recupero dotto.
“Filologia” è un cultismo che viene recuperato tra Umanesimo e Rinascimento → periodo della
“riscoperta” dei classici e necessità di studiarli in modo critico = vogliono tornare a leggere i classici
nella loro forma originaria. Viene recuperato il termine “filologia” e matura un’accezione più
precisa di esso = disciplina che mira ad interpretare i testi calandoli nel loro contesto storico-
culturale e linguistico. Un esempio = il caso di Lorenzo Valla, De falso credita et ementita
Constantini donatione (1440) = documento creduto autentico che autorizzava l’esistenza del
potere temporale del Papa, secondo questo documento l’imperatore Costantino avrebbe concesso
dei terreni al Papa nel IV d.C. e questa concessione imperiale autorizzava l’esistenza e l’incremento
del potere temporale del Papa. Lorenzo Valla, umanista, dimostra con un’analisi di tipo filologico
che il documento latino è un falso = è stato redatto molto più tardi dell’epoca di Costantino.
Lorenzo Valla dimostra la falsità, l’inautenticità facendo ricorso a strumenti interpretativi; come la
conoscenza della storia o delle lingue antiche – strumenti che ogni filologo dovrebbe utilizzare
quando si approccia alla lettura e allo studio di un testo antico.
Sempre nell’Umanesimo si sviluppa il significato di “filologia” come disciplina che riavvicina i testi
antichi alla loro forma originaria, attraverso il confronto di diverse copie = per vedere dove ci sono
errori, dove un copista è innovato... Filologia testuale o critica del testo o ecdotica → l’arte di
pubblicare un testo sulla base di criteri scientifici.
Delle opere della letteratura classica – greca o latina – non abbiamo gli autografi originali = quando
li leggiamo, il testo è stato ricostruito dai filologi. Questo discorso vale anche per la letteratura
medievale. Abbiamo l’autografo del Canzoniere di Petrarca, due manoscritti autografi. Idiografo =
scrittura di un suo scrivano sotto lo stretto controllo dell’autore ≠ autografo = scritto direttamente
dall’autore. Non abbiamo autografi di Dante. Esiste, al contrario, una copia parzialmente autografa
del De Decameron – Boccaccio era un cattivo copista di sé stesso.
Secondo Immanuel Kant (citato nel Deutsches Wörterbuch di Jacob e Wilhelm Grimm = grandi
indagatori del folklore germanico) – “la filologia è quella disciplina che comprende in sé una
conoscenza dei libri e delle lingue”. Conoscenza critica = si basa sulla capacità di saper giudicare,
discriminare direttamente proporzionale alla quantità di conoscenze che il filologo può mettere
nella sua operazione di interpretazione del testo. Kant ci dice già come la filologia non si possa fare
senza linguistica e senza una conoscenza delle lingue antiche.
Erich Auerbach → scrisse un volume pensato per i suoi studenti = “Introduzione alla filologia
romanza” = “la filologia è l’insieme delle attività che si occupano metodicamente del linguaggio
dell’uomo, e delle opere d’arte composte in questo linguaggio”. È una definizione più “larga”
rispetto a quella di Kant. Per Auerbach la filologia si applica soltanto a opere di carattere letterario.

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Per Friederich Nietzsche in “Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali” → “il fondamento del metodo
filologico consiste in quella onorevole arte che esige dal suo culture essenzialmente una cosa,
trarsi da parte, lasciarsi tempo, diventare silenzioso, diventare lento, come un’arte e una perizia di
orafi della parola, che deve compiere un finissimo attento lavoro e non raggiunge nulla se non lo
raggiunge lentamente”. Il lavoro “veloce” è un lavoro che non si addice a un filologo. La filologia è
l’arte della lentezza.

La parola filologia ha dunque avuto in passato e ha tutt’oggi diverse accezioni, a seconda del
contesto culturale in cui la si impiega = lo spettro semantico è molto ampio, come l’etimo greco
consente. Alberto Vàrvaro → in “Prima lezione di filologia” si chiede che cosa sia la filologia tout
court e per darsi una risposta analizza le definizioni di filologia che si trovano nei grandi dizionari
storici di alcune lingue europee:
 Filologia come esegesi
 Filologia come ecdotica
 Filologia come linguistica
Area anglosassone (OED) philology = “love of learning and literature; the branch of knowledge
that deals with the historical, linguistic, interpretative and critical aspects of literature”; “the
branch of knowledge that deals with the structure, historical development, and relationships of
languages or language families [...] historical linguistics” [accezione oggi comune in quell’area]. Nel
mondo anglosassone, la definizione di filologia più diffusa è quella di linguistica storica.
Area italiana (GDLI) filologia = “disciplina che, mediante la critica testuale, si propone di ricostruire
e di interpretare correttamente testi o documenti letterari; dottrina che studia l’origine e la
struttura di una lingua, linguistica”; “il complesso degli studi letterari ed eruditi; le discipline
umanistiche, le lettere”; “il complesso di studi e di ricerche che, fondandosi sull’esame di testi,
documenti e testimonianze, tende a fornire un’esatta e precisa interpretazione di un problema
critico e storico”. Il primo significato che si dà alla filologia in area italiana è quello di “critica
testuale”. Testi o documenti letterari = si fa riferimento a testi di carattere documentale ( la
filologia si occupa anche dei documenti). Lo studio criticamente fondato di un testo o di un
documento per avere informazioni importanti su un determinato momento del passato.
Area francese (TLF) philologie = “ XIX secolo. Studio, sia in termini di contenuto che di espressione,
di documenti, specialmente scritti, che utilizzano una particolare lingua ”; “studio delle parole, dei
documenti [...] e di tutti i contenuti di civiltà coinvolti”; “studio scientifico di una lingua dal punto
di vista del suo materiale formale e della sua economia”; “XX secolo. Disciplina che si propone di
ricercare, conservare e interpretare documenti, di solito scritti e più spesso letterari [...] e il cui
compito essenziale è quello di stabilire un'edizione critica del testo”. Il significato attribuito
(nell’Ottocento) è soprattutto lo studio di documenti principalmente scritti, sia del contenuto che
dell’espressione. Stabilire un’edizione critica del testo = fondata su criteri scientifici.
Area tedesca (DWDS) Philologie = “scienza che si occupa di testi di contenuto storico, letterario o
storico-culturale scritti in una particolare lingua e li interpreta dal punto di vista linguistico, storico,
culturale e sociale”.

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Come intendiamo la filologia? Come una disciplina che interpreta testi, perlopiù scritti, di
carattere sia letterario e non [testo letterario = intento artistico, l’autore ci mette una particolare
intenzione artistica ≠ testo non letterario = scritto da un autore ma senza un intento artistico =
senza suscitare emozioni]. Testi non letterari del Medioevo = testi pratici → testi di carattere
giuridico, testi di carattere privato, liste di dare e avere.
La filologia è una disciplina che interpreta testi perlopiù scritti (ma non solo), di carattere sia
letterario sia non letterario, con l’ausilio di conoscenze storiche, storico-culturali, storico-letterarie,
linguistiche (→ funzione esegetica = spiegazione di un testo). La filologia studia la tradizione
(manoscritta e stampa) dei testi e li pubblica criticamente (= con criteri scientifici), ove possibile
cercando di ricostruirne il dettato nella forma il più possibile vicina alla volontà dell’autore (→
filologia testuale). La filologia esamina come un autore arriva a compiere il suo testo, e di come
eventualmente lo integra in un secondo momento (→ filologia d’autore). In area anglosassone,
studia lo sviluppo storico di una lingua e le sue caratteristiche grammaticali (→ linguistica storica,
glottologia).
Importanza della funzione critica della filologia → ci permette di accostarci ai testi, di qualunque
genere essi siano, in modo consapevole e in modo attivo e non passivo. L’esercizio della filologia è
metodologicamente fondamentale anche nel nostro quotidiano. È doveroso e decisivo non
recepire passivamente i testi (scritti o orali) nei quali ci si imbatte ogni giorno, ma verificarne le
fonti, comprenderne il contesto, validarne le informazioni. È fondamentale saperli leggere
criticamente (basti pensare alle fake news).
LEZIONE 2
Intorno al concetto di romanzo:
Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.C.) – l’aggettivo latino romanus perde la
connotazione politica (= l’impero non esiste più) e assume una connotazione culturale-linguistica =
i romani sono quelli che abitano nei territori che furono romani e che parlano una lingua che ha a
che fare con il latino.
In testi risalenti all’inizio dell’Età Carolingia (IX secolo) troviamo l’espressione → romana lingua =
“lingua parlata da chi abita i territori dell’ex Impero Romano d’Occidente” vs theothisca (lingua)
→ “lingua parlata dalle popolazioni germaniche”. I sudditi dell’impero carolingio parlavano sia
lingue neolatine, sia lingue di ceppo tedesco [i sudditi dell’impero carolingio parlavano sia lingue
neolatine, sia lingue di ceppo tedesco]. In alcuni testi, quando si deve far riferimento agli abitanti
del Sacro Romano Impero nel loro insieme, si fa riferimento agli abitanti che parlano la romana
lingua e altri che parlano la theothisca.
Quindi, una lingua non più latina ma più genericamente romana → la lingua parlata riecheggia il
latino ma non è più latino. Età Carolingia = acquisizione della consapevolezza dello scarto
esistente tra il latino, che è ormai solo scritto, e la lingua parlata (volgare = “lingua parlata dal
popolo”).
In latino, accanto a romanus c’era il più popolare aggettivo romanicus (più basso e colloquiale)
“relativo agli ex territori imperiali”. Romanicus assume un significato linguistico → corrisponde un
avverbio latino romanice (loqui) “fare/parlare/vivere alla maniera degli abitanti dell’ex impero di

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Roma” > (deriva da) il sostantivo antico francese romanz “lingua volgare francese”; romanz è il
sostantivo con cui i parlanti antico francese identificavano la propria lingua materna ancora
all’inizio del Basso Medioevo (dopo il Mille). Poi, per metonimia, romanz passa a indicare un
“componimento narrativo in lingua volgare francese; romanzo” (XII secolo). Dall’antico francese
romanz deriva il sostantivo italiano romanzo in entrambi i significati = “testo narrativo, perlopiù di
provenienza francese” (significato attestato dal XIII secolo) e “lingua neolatina” (dal XVII secolo) =
è un prestito dal francese che entra nell’italiano molto presto – questa parola NON è un cultismo.
Per come è concepita in Italia, la filologia romanza è dunque la disciplina che studia le origini delle
lingue neolatine e che ricostruisce e interpreta i testi, letterari e non, scritti in queste lingue nel
Medioevo. Le filologie italiani e francesi hanno come ambito di applicazione e di studio il
Medioevo = si occupano soprattutto di testi medievali. Altrove, l’ambito di applicazione della
disciplina ha sfumature diverse = nel mondo anglosassone, la Romance Philology (o più
largamente Romance Studies) tratta le lingue e le letterature neolatine senza precisazioni
cronologiche (medievali e moderne). O ancora, nella sua Introduzione alla filologia romanza, Erich
Auerbach tratta l’origine delle lingue neolatine e poi offre un profilo delle loro letterature dalle
origini all’Ottocento = la trattazione di Auerbach arriva fino alle soglie del XX secolo.
Alle origini della filologia romanza
La filologia romanza come disciplina scientifica nasce con il Romanticismo (XIX secolo, prima
metà). Ne sono pionieri François Raynouard (1761-1836), francese, e Friederich Diez (1794-1876),
tedesco. La filologia romanza come disciplina scientifica nasce con una caratterizzazione
spicciamente linguistica = ciò che interessa è l’origine delle lingue romanze. Sia Raynouard sia Diez
sono interessati al problema delle origini delle lingue neolatine (va però precisato che il loro
interesse linguistico muove dalla necessità di comprendere meglio le liriche dei trovatori, delle
quali erano studiosi = legame linguistica-filologia). Sono entrambi esperti di lirica trobadorica e di
letteratura provenzale.
La nascita della filologia romanza si inserisce in un contesto particolare = Romanticismo Europeo e
in particolare nel dibattito intorno alla questione delle origini delle lingue, non solo quelle
neolatine. Il Classicismo considerava il cambiamento in chiave negativa = un deterioramento
rispetto al canone. Il Romanticismo valorizza invece il mutamento, l’aspetto evolutivo della realtà
(idealismo hegeliano) come manifestazione di progresso (Hegel, la dialettica storica). Vale anche
per le lingue → si comincia a studiare il processo evolutivo delle lingue nella storia (= considerarle
nella loro diacronia = cambiamento di una lingua nel corso del tempo). Grande interesse per il
mito filosofico delle origini (dei popoli, delle nazioni…) come fase aurorale e quindi pura delle
manifestazioni dello Spirito → il mito delle origini si riflette nell’interesse per l’origine delle lingue
– lo “spirito” che si manifesta per la prima volta.
In questo contesto ideologico e culturale, si sviluppa la linguistica storico-comparativa:
 Linguistica storica = studio della grammatica di una lingua in senso diacronico → lingua
analizzata nel suo sviluppo storico = mutamento.
 Linguistica comparativa = confronto tra lingue diverse ma affine. A partire dal confronto
delle loro caratteristiche fonetiche (suoni: vocali, consonanti) e morfologiche (struttura,
forma delle parole: prefissi, suffissi, infissi, desinenze…) si può tracciare un albero

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genealogico delle lingue, evidenziandone le parentale, e ricostruire le caratteristiche


fonetiche e morfologiche della lingua comune da cui le lingue affini derivano.
Il metodo storico-comparativo delle lingue viene applicato – inizialmente – al sistema della
coniugazione verbale del sanscrito (= lingua letteraria del periodo classico della letteratura
indiana) a confronto con greco, latino, persiano e germanico dal linguista Franz Bopp → la sua
opera più importante è “Sul sistema di coniugazione della lingua sanscrita, a confronto con quello
greco, latino, persiano e delle lingue germaniche”. Bopp dimostra che all’origine del gruppo di
lingue sorelle da lui considerato esiste un’antica e grande famiglia linguistica, o protolingua, della
quale non restano tracce scritte = il cosiddetto indoeuropeo (o indogermanico) = lingua della
quale non esistono tracce scritte, ma la cui esistenza storica si può ipotizzare sulla base del
confronto tra le affinità fonetiche e morfologiche di molte lingue dell’Europa e dell’Asia.
Bopp lavora sugli aspetti morfologici delle lingue considerate, in particolare sulle desinenze verbali
= nota regolarmente delle affinità e quindi ipotizza l’esistenza matrice comune. La morfologia è il
cuore pulsante della grammatica di ogni lingua = è questo che dà scientificità al lavoro di Bopp =
affinità lessicali tra lingue diverse sono sempre possibili (esistono i prestiti), ma affinità
morfologiche indicano parentela sicura. L’importante lavoro storico-comparativo di Bopp fa di lui il
padre dell’indoeuropeistica [in realtà il linguista danese Rasmus Rask lo aveva anticipato
redigendo nel 1814 uno studio in cui comparava danese e islandese, ma l’opera fu pubblicata solo
nel 1818].
L’INDOEUROPEO:
 Famiglia di lingue affini, parlate da tribù stanziate nell’area del Caucaso, tra Europa e Asia,
prima del III-II millennio a.C.
 Con le migrazioni verso ovest e sud-est, queste lingue si sarebbero diffuse da un lato in
Europa, dall’altro in Persia e nel subcontinente indiano.
 Non esistono tracce scritte dell’indoeuropeo → lingua ricostruita tramite le tecniche della
linguistica storico-comparativa = riusciamo a ipotizzare.

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↑I nomi sottolineati sono le popolazioni appartenenti al ceppo etnico-linguistico indoeuropeo. Le


popolazioni non sottolineate = ad esempio, di origine mediterranea, di ceppo non indoeuropeo ma
ancora oggi è tema di dibattito da dove provengano (= etruschi, baschi…).
Nell’ambito della linguistica germanica, Jakob Grimm redige una grammatica comparativa delle
lingue germaniche (Deutsche Grammatik, 1819-1837 = confronta tutte le lingue germaniche – dal
tedesco all’inglese, al danese… e le confronta anche in prospettiva storica). Secondo Grimm tutte
le lingue germaniche (tedesco, inglese, danese, lingue scandinave) derivano da un non
documentato germanico primitivo/comune = una delle tante declinazioni possibili
dell’indoeuropeo. Sia Bopp sia Grimm valorizzano le potenzialità ricostruttive del metodo storico-
comparativo, perché le lingue matrici non sono attestate e vanno quindi ricostruite.
La linguistica romanza è l’unica per la quale la lingua matrice da cui originano italiano, francese,
spagnolo, provenzale… è ben nota e ben documentata = il latino. Se prendiamo il caso, ad
esempio, dell’indoeuropeo:
 antico indiano pitár – greco πατήρ – latino pater – gotico fadar - inglese antico fæder –
antico alto tedesco fater (mod. Vater) < *ph2tér [* = radice ricostruita, forma non attestata
– non sappiamo se effettivamente fosse così, possiamo solo ipotizzare].
Invece per le lingue romanze:
 Italiano figlio – spagnolo hijo – francese fils – portoghese filho – rumeno fiu < latino
FILIU(M). Il latino FILIUS è ampiamente documentato, la lingua matrice è presente.
Quindi si attiverà una dinamica inversa rispetto a indoeuropeo e germanico comune (o primitivo). Il
metodo storico-comparativo applicato alle lingue romanze, da Friedrich Diez in poi, non sarà

ricostruttivo (o meglio, lo sarà solo in parte), ma studierà quali esiti hanno prodotto nelle varie

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lingue neolatine i suoni e le forme del latino → ci aiuta a capire in che modo il latino si è
trasformato nelle diverse lingue romanze = in che modo i suoni o le desinenze del latino sono
cambiati nel processo di mutamento che ha portato dal latino parlato all’italiano, al francese, allo
spagnolo…
Il pioniere dello studio comparativo delle lingue romanze è François Raynouard, il quale scrive
nel 1821 = “Grammaire comparée des langues de l'Europe latine dans leurs rapports avec la
langue des troubadours” → è il sesto volume dello Choix des poésies originales de troubadours
(1816-1821). Per lui, all’origine delle lingue romanze non c’è il latino ma una protolingua derivata
dal latino che lui definisce romana e che identifica con il provenzale → Raynouard mette il
provenzale all’origine delle lingue romanze. Lo schema derivativo proposto è latino popolare (=
parlato) > lingua romana (= provenzale) > italiano, francese, spagnolo… Un confronto sistematico
tra tutte le lingue romanze gli avrebbe mostrato che alla base di esse non può esserci il provenzale,
ma che alla base di tutte (provenzale compreso) c’è il latino.

Friederich Diez (1794-1876) è il vero fondatore della linguistica romanza. Come Raynouard, parte
da studi filologici sulla poesia trobadorica. Scrive la Grammatik der romanischen Sprachen (1836-
1843) = Grammatica [storico-comparativa] delle lingue romanze. Scrive anche l’Etymologisches
Wörterbuch der romanischen Sprachen (1854) = Dizionario etimologico delle lingue romanze.
Entrambe le opere di Diez verranno poi riprese e perfezionate, tra Ottocento e Novecento, da
Wilhelm Meyer-Lübke, cui si devono la Grammatik der romanischen Sprachen e soprattutto il
Romanisches Etymologisches Wörterbuch, tutt’oggi fondamentale.
Diez adatta il metodo storico-comparativo di Bopp e Grimm alle lingue romanze (compresi alcuni
dialetti). Dimostra scientificamente la derivazione di tutte le lingue romanze dal latino, studiando
“i meccanismi che regolano l’evoluzione di una lingua ben nota come il latino verso i nuovi sistemi
linguistici”. Secondo i teorici del metodo storico-comparativo, quando una lingua X muta e genera
una lingua Y (e quindi anche delle lingue romanze dal latino) è attivato da due “motori/forze”:
1. LE LEGGI FONETICHE
2. L’ANALOGIA
Un’applicazione formidabile del metodo storico-comparativo risiede nello studio dell’etimologia =
lo studio dell’origine delle parole. La maggior parte delle parole romanze hanno un etimo (latino,
germanico, arabo…) attestato ad esempio: latino FILIUS > italiano figlio, francese fils, spagnolo hijo,
portoghese filho…
Di alcune parole invece l’etimo lo possiamo soltanto ricostruire, attraverso l’indagine comparativa,
perché le parole (latine, arabe, germaniche…) da cui derivano non sono attestate (ma sono
sicuramente esistite) – ad esempio: antico francese disner (> italiano desinare), francese moderno
dîner, provenzale disnar, catalano dinar < latino *DISIEIUNARE “mangiare” (letteralmente
“interrompere il digiuno”).
Appunti di filologia testuale (critica del testo / ecdotica):

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Negli stessi anni in cui, grazie a Diez, Meyer-Lübke e molti altri, la linguistica romanza diventa una
scienza, anche la filologia testuale si dota di un metodo scientifico. Le due principali teorie intorno
alla pratica di pubblicare testi antichi si devono al filologo tedesco Karl Lachmann e al filologo
francese Joseph Bédier. I testi antichi sono trasmessi dai manoscritti, trascritti a mano da copisti di
professione che lavorano nelle officine librarie (scriptoria) oppure da copisti amatoriali, che
trascrivono un esemplare di un’opera per uso personale. Se un’opera ha avuto una particolare
fortuna, possono esserne sopravvissuti numerosi manoscritti. Di altre opere si è conservato un
manoscritto solo → ricostruire un testo significa cercare di ritornare all’originale a partire dalle
copie. Tradizione indiretta di un testo = quando un’opera viene citata all’interno di un’altra opera.
Tradizione diretta = insieme dei manoscritti di un’opera. Ogni copia è diversa dall’altra → i copisti
non sono mai fedeli al 100% al testo che stanno trascrivendo = il testo copiato viene
continuamente modificato. Ogni modifica introdotta dal copista è classificabile come errore. Gli
errori dei copisti sono di tanti tipi, più o meno volontari, più o meno meccanici:
1. Salti di sillabe, parole o intere righe di testo
2. Sostituzioni di parole
3. Aggiunta indebita di parole
4. Inserimento nel testo di brevi glosse (cioè spiegazioni = il copista prova a migliorare la
comprensibilità del testo)
5. Creazione di “mostri linguistici” (dove non capisce, il copista “si arrangia” trascrivendo ciò
che vede)
Altro problema legato alla copia = ogni copista ha la sua lingua madre e le sue abitudini di
scrittura, legate al luogo e al tempo in cui ha imparato a scrivere → ogni volta che copia un testo,
dissemina nella copia tracce della sua lingua madre e delle sue abitudini scrittorie,
sovrapponendole alla lingua del testo che sta copiando. Meno un copista è professionale, più
numerose e marcate saranno le impronte della sua lingua sul testo copiato. Si crea così, nella
copia, un diasistema linguistico [definizione di Cesare Segre] = una stratificazione di sistemi
diversi, quello dell’autore + quello del copista 1 + quello del copista 2…
Confrontiamo due copie duecentesche, una lombarda (Bg) e una toscana (V), della stessa lirica di
Giacomo da Lentini, caposcuola della Scuola poetica siciliana → Donna, eo languisco e no so qua
speranza.

Bg, c. 100v Notaro Giacomo – V 8, c. 3v


Dona, languisso, e no so qual sperança Donna, eo languisco e no so qua·speranza
me dà fidan[ça] ché no me desfethy, mi dà fidanza ch’io non mi disfidi,
e se merçì e pietança in voy non [ . . . . . ], e se merzé e pietanza in voi non trovo,
perdut[ . ] aprova lo clamar merçì; perdut’aprouo lo chiamare merzede;
ché tant[ . ] [ . . ]nçament ò customato, ché tanto lungiamente ò chustumato,
palis et in celato, palese ed in cielato,
pu[r] [ . . ] merçé [ . . . . . ], pur di merzede cherere,
che non saço altro dire. ch’i non saccio altro dire.
E se altre me demanda [........................], E s’altri m’adomanda ched agio eo,
[.....] no so dir se no «Mercé, par Deo!». eo non so dire se no «Merzé, per Deo!».

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Filologia Romanza

L’originale siciliano è perduto, di questa lirica abbiamo soltanto due trascrizioni = lombarda e
toscana. In quella lombarda, già dall’incipit, notiamo un tratto tipico settentrionale = dona con lo
scempiamento della N / languisco in lombardo diventa languisso tipico dei dialetti settentrionali.
LEZIONE 3
Tramite il confronto fonetico e morfologico tra lingue affini si possono stabilire i legami
genealogici esistenti tra queste lingue e si può provare a ricostruire la lingua comune da cui
derivano, se non attestata. Applicando tale metodo ad ambiti differenti, Franz Bopp e Jakob
Grimm teorizzano l’esistenza di due protolingue, rispettivamente l’indoeuropeo (cui
rimonterebbero buona parte delle lingue d’Europa e le lingue della Persia e dell’India) e il
germanico primitivo (matrice di tutte le lingue germaniche.
Approfondimento metodo storico-comparativo → abbiamo visto come la linguistica romanza sia la
sola per la quale il metodo storico-comparativo non serva, o meglio, serva parzialmente soltanto in
alcuni casi come strumento ricostruttivo, perché la lingua matrice di tutte le lingue romanze è nota
ed è il latino. Le lingue romanze non derivano dal latino classico (= scritto di Virgilio, Cicerone,
Seneca) ma derivano dal latino parlato (volgare) che condivide dal punto di vista grammaticale
molto con il latino classico e di movenze sue proprie che non sono state mai registrate dalla
scrittura. La funzione del metodo storico-comparativo applicato alla linguistica romanza è quella di
descrivere in che modo, suoni e forme del latino si sono trasformati nei suoni e nelle forme delle
lingue romanze.
I comparativisti scoprono che il transito da una lingua a un’altra (dal latino alle lingue romanze o
dal germanico primitivo alle lingue germaniche) non avviene in modo casuale, ma si svolge in
modo regolato = quando una lingua X muta e si trasforma in una o più lingue Y, sul piano dei
suoni (fonetica) agiscono due principi → legge fonetica e analogia = questi regolano il transito da
una lingua A ad una lingua B.
LE LEGGI FONETICHE (1) → nell’evoluzione da una lingua A ad una lingua B, un suono X della lingua
A si trasforma ineluttabilmente in un suono Y della lingua B. Questo concetto di “legge fonetica”,
già presente in filigrana nelle opere di Diez e Grimm, viene formalizzato dalla scuola linguistica dei
neogrammatici → ispirati dal principio del Positivismo. Secondo i neogrammatici, se la linguistica
è una scienza al pari delle scienze naturali, le leggi linguistiche devono essere ineluttabili come le
leggi di natura. Esempio, se in italiano (toscano), la “legge fonetica” fa sì che il nesso consonantico
latino CL produca inevitabilmente chi = CLAUSTRUM > chiostro / CLAVIS > chiave / ECCLESIA >
chiesa. In francese, la vocale tonica A del latino collocata in sillaba libera (finisce per vocale), se
non è preceduta da C- o seguita da M/N, produce sempre e (legge 1) = CLA-VIS > clé / A-MA-RE >
amer / AES-TA-TE(M) > eté. Se è preceduta da C- produce il dittongo ascendente je (legge 2):
CANEM > chien “cane”. Se è seguita da M/N produce il dittongo discendente ai (legge 3): MANUM
> main “mano”. [Evoluzione condizionata da che cosa? Da altri suoni vicini che condizionano (=
influiscono su) lo sviluppo fonetico di A]
Le leggi fonetiche hanno, nelle lingue, diverse accezioni = non sempre una parola mostra
l’evoluzione che ci si aspetterebbe (ogni lingua è piena di eccezioni). Una legge non può avere
accezioni. Si preferisce parlare di “norme” o “tendenze” fonetiche. Una marcata regolarità esiste

10
Filologia Romanza

senza dubbio → l’idea dei comparativisti (= Diez) o dei neogrammatici (= Meyer-Lübke) non è
sbagliata.
Alcune delle eccezioni alle leggi fonetiche si possono spiegare con:
L’ANALOGIA (2) → ci sono parole che, invece di mostrare lo sviluppo fonetico che ci si
aspetterebbe, si uniformano (per ragioni di semplificazione linguistica) ad altre parole della loro
stessa classe morfologica, o che sono loro vicine per suono o per significato. Le lingue sono sistemi
intelligenti = vanno sempre nella direzione del “semplificarsi”. Esempio = verbo latino MOVERE
(“muovere, muoversi”); il perfetto (= passato remoto) in latino è MOVI – che in italiano dovrebbe
dare movi “io mossi” (perché il latino -V- > italiano -v-) invece abbiamo mossi → PERCHÉ? Si
uniforma per analogia alla nutrita serie di passati remoti scrissi, dissi, condussi, ressi, trassi…
(derivati regolarmente dai perfetti latini scripsi, dixi, conduxi, rexi, traxi). C’è una schiera di perfetti
in “-ssi” e dunque il perfetto di MOVERE è stato attratto da questa schiera = mossi. Anche quello
dell’analogia è un principio che tuttora è valido nell’indagine linguistica, sia in ambito fonetico, sia
in ambito morfologico. Esempio = il verbo essere < infinito latino ESSE presenta la desinenza -re?
Anche l’infinito si fa attrarre da questi – si uniforma per analogia agli infiniti regolari in -re. Forme
meno comuni, si attaccano a forme più comuni cercando di assomigliare a loro.
Altre accezioni alle leggi fonetiche si spiegano con il fatto che le parole coinvolte sono prestiti =
parole che entrano in una lingua provenendo da un’altra lingua o da un dialetto – esempio:
italiano giardino < francese jardin < francone (= lingua di Carlo Magno) GARD. Uno sviluppo di
GARD direttamente dal francone all’ italiano avrebbe dato *gardo, *gardino [GA > italiano ga] gi-
iniziale dimostra che la parola è passata attraverso il francese, dove GA > ja [come l’antico
francese jau < latino GALLUM “gallo, galletto”].
Cultismi o voci dotte = parole “ripescate” direttamente dal patrimonio lessicale delle lingue
classiche (= greco o latino). Ad esempio: l’italiano clausura < latino CLAUSURA: se fosse entrata per
via popolare, le leggi/tendenze fonetiche avrebbero imposto *chiosura (ma i cultismi entrano
nella lingua quando ormai le leggi/tendenze fonetiche non funzionano più da secoli). Sia i prestiti
sia i cultismi mantengono la forma della lingua di partenza.
L’etimologia, cioè lo studio dell’origine delle parole, ha tratto giovamento dal metodo storico-
comparativo (basti pensare ai grandi lavori etimologici di Diez e del neogrammatico Meyer-Lübke).
Con il trionfare del metodo storico-comparativo nell’Ottocento, la ricerca etimologica ha potuto
fondarsi su presupposti scientifici e non più su “impressioni” o “collegamento indebiti tra lingue”.
Esempi: se è appurato che il latino CL > italiano chi, francese cl, spagnolo ll, lombardo č… che il
latino A [tonica in sillaba libera] > francese e, italiano, spagnolo, lombardo a che le vocali e sillabe
atone finali del latino in italiano e spagnolo si conservano, in lombardo e francese cadono → posso
affermare scientificamente che italiano chiave, francese clé, spagnolo llave, lombardo ciav < latino
CLAVE(M) → attraverso l’indagine comparativa posso anche provare a ricostruire etimi non
attestati.
La dialettologia → Graziadio Isaia Ascoli è considerato il padre della dialettologia romanza,
fondatore della rivista “Archivio glottologico italiano”, professore di storia comparata delle lingue
classiche e neolatine a Milano. Ascoli applica il metodo storico-comparativo allo studio dei dialetti

11
Filologia Romanza

→ individua le famiglie linguistiche ladina (Saggi ladini) e francoprovenzale (Schizzi


francoprovenzali).
Dobbiamo molto al metodo storico-comparativo, i cui principi sono tuttora validi e sono utilissimi
nella ricerca linguistica specificamente nello studio delle caratteristiche fono-morfologiche delle
lingue, antiche e moderne, considerate in prospettiva storica (origine ed evoluzione).
Nel Novecento ha preso piede lo studio sincronico delle lingue ≠ dallo studio diacronico. Dunque,
lingue viste non in rapporto alle loro origini e al loro mutamento nel tempo, ma analizzate nel loro
funzionamento in un determinato momento della loro esistenza (ci si inizia a chiedere come
funziona una lingua) – contemporaneità. Il paradigma moderno (strutturalista) inaugura lo studio
della lingua come struttura complessa = si indagano i meccanismi che le fanno funzionare, la
costruzione della frase (sintassi), i registri linguistici, l’uso della lingua nella società… Si scopre che
certi principi di funzionamento delle lingue sono universali (validi per ogni lingua in ogni tempo) =
ad esempio, la dicotomia langue / parole. Il precursore dello strutturalismo fu Ferdinand de
Saussure (scrisse nel 1916 Cours de linguistique générale).
FILOLOGIA TESTUALE → si dota di un metodo scientifico negli stessi anni in cui lo fa la linguistica
con il metodo storico-comparativo. Abbiamo presentato i due studiosi cui si devono le due
principali correnti metodologiche della disciplina ecdotica → il tedesco Lachmann e il francese
Bédier. Lachmann, filologo classico, stabilì un metodo scientifico per la ricostruzione di un testo
antico a partire dalle sue copie = il metodo di Lachmann. Lachmann collauda il metodo nella prima
metà dell’Ottocento, i suoi continuatori lo perfezionano nella seconda metà – formalizzazione
definitiva = Paul Maas, Textkritik, Lipsia, 1927.
Ebbe modo di applicarlo all’edizione del De rerum natura di Lucrezio (1850). Lachmann si distanzia
dalla prassi editoriale degli Umanisti → correggevano i testi antichi sulla base di congetture, o
attingendo alle varie copie di quei testi senza fondare le loro scelte su precisi criteri metodologici.
Per provare a ricostruire l’originale di un testo antico, Lachmann invita a partire dalla recensio
[latino = recensere “fare il censimento”, “esaminare”], che consiste nel:
1. Prendere in considerazione tutta la tradizione manoscritta del testo da pubblicare
2. Mettere a confronto tra loro i manoscritti (collatio) per stabilirne le parentele
I rapporti genealogici tra i manoscritti si stabiliscono tramite gli errori comuni = in particolare,
tramite quegli errori che non possono essere poligenetici (= errori che sono stati compiuti da tanti
copisti indipendentemente, errori banali/facili), cioè non possono essere stati commessi
indipendentemente da più copisti – questi errori si chiamano errori guida (e sono monogenetici =
errori che è impossibile che tanti copisti abbiano commesso indipendentemente ed è impossibile
che l’abbiano corretto). Non bisogna mai confondere il testo (entità astratta, contenuto) con
l’oggetto che lo riporta (manoscritto, contenitore) → il testo è UNO, i suoi manoscritti possono
essere MOLTI – testo e manoscritto non coincidono.
Principi del metodo lachmanniano = l’individuazione dei rapporti genealogici tra i manoscritti si
basa sugli errori comuni. Per sancire una parentela tra manoscritti, tali errori comuni devono
essere errori significativi, o errori guida, e soprattutto devono essere monogenetici (non possono
essere stati commessi più copisti indipendentemente e un copista non può correggerli).

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Filologia Romanza

LEZIONE 4
Non sempre gli errori guida sono evidenti → spesso, se la copia A di un testo presenta la parola X,
e la copia B la parola Y, e nessuna delle due (X/Y) è palesemente erronea (ma è certo che una
delle due è un errore), siamo in presenza di varianti adiafore/sostanziali = una vale l’altra.
Esistono anche le varianti formali = varianti linguistiche (esempio: forma della parola cammin /
camin). Se due manoscritti A e B di un testo condividono almeno un errore monogenetico, allora
significa che questi due manoscritti sono imparentati. Questo errore monogenetico che le
congiunge si definisce, appunto, errore congiuntivo (congiunge due manoscritti di uno stesso
testo). La parentela tra A e B può allora essere di tre tipi:

Dal momento che trovo l’errore congiuntivo, so solo che sono strettamente collegati e i rapporti
possibili sono 3, in questo caso. Può essere che: (1) il manoscritto B sia copia del manoscritto A
oppure (2) il manoscritto A sia copia del manoscritto B oppure (3) sia il manoscritto A sia il
manoscritto B dipendono separatamente da un capostipite comune che li ha generati entrambi in
modo indipendente = sono “figli” di X che a sua volta è un manoscritto perduto.

Nei casi 1. e 2., i manoscritti A e B derivano direttamente l’uno dall’altro → si dice pertanto che
sono descripti l’uno dall’altro [latino describere “copiare, trascrivere”]. Dunque, nel caso 1 il
manoscritto B è descriptus del manoscritto A / nel caso 2 il manoscritto A è descriptus del
manoscritto B. Se possiedo sia A che B e a un certo punto riesco a dimostrare che B è stato
trascritto da A, B lo tolgo di mezzo e uso solo A (esempio). Se si riesce a dimostrare che un codice
dipende direttamente da un altro che già possediamo, cioè è descriptus da quell’altro, quel
manoscritto non è più utile per la ricostruzione del testo (perché possediamo già il suo antigrafo:

quindi, se si verifica l’es. 1, non mi serve più B, se si verifica l’es. 2 non mi serve più A). Si pratica
allora quella che Lachmann chiama eliminatio codicum descriptorum (“eliminazione dei codici
descripti, cioè chiaramente copiati da altri che possediamo”). Nel caso 3, invece, le copie A e B
dipendono entrambe da uno stesso modello perduto (x). Questa situazione 3 si verifica quando:

1. I manoscritti A e B condividono almeno un errore congiuntivo che ci assicura della loro


parentela.

13
Filologia Romanza

2. Sia A sia B presentano almeno un errore che nell’altro manoscritto non c’è e che il copista
non può aver corretto → questo genere di errore guida o errore significativo si chiama
errore separativo (gli errori guida, o significativi, sono in generale quelli utili a
comprendere i rapporti genealogici tra i manoscritti, e possono essere sia separativi, sia
congiuntivi). Dunque, in questo caso abbiamo sia errori congiuntivi sia errori separativi (che
ci garantiscono che non possono dipendere l’uno dall’altro). Le lacune sono gli errori
separativi più comuni. Se A presenta un errore che in B non c’è, e se B presenta un errore
che in A non c’è → allora A e B non potranno dipendere uno dall’altro, ma dipendono
entrambi da x.

Esempio: si hanno sei manoscritti di un certo testo (A, B, C, D, E, F), che costituiscono nell’insieme
la tradizione manoscritta di quel testo. Al termine del lavoro di individuazione dei rapporti di
parentela esistenti tra i manoscritti (grazie a errori guida separativi e congiuntivi), si è riusciti a
disegnare uno schema di questi rapporti, detto STEMMA CODICUM (“albero genealogico dei
codici”):

Omega = originale che non abbiamo. Alfa = archetipo = prima copia dell’originale contenente già
almeno un errore ed è da questa prima copia che dipende tutta quanta la tradizione manoscritta di
un testo. Lettere
minuscole =

manoscritti che non abbiamo ma che possiamo ricostruire / lettere maiuscole = i manoscritti dei
quali effettivamente siamo in possesso. E ed F sono i manoscritti collocati ai rami bassi della
tradizione del testo.

14
Filologia Romanza

Se si è fatto un buon lavoro nell’individuazione


degli errori, lo stemma costruito è corretto → si
potrà avviare l’operazione di ricostruzione del
testo, scegliendo tra le varianti riscontrate nella
tradizione manoscritta tramite l’applicazione
della cosiddetta legge della maggioranza.
Esempio: a un certo punto del testo la tradizione
manoscritta presenta le varianti adiafore cane e
lupo. Se questo stemma è ben costruito, per la
legge della maggioranza posso stabilire che la
lezione dell’archetipo (cioè la variante “buona”)
è cane. Se c’è un errore in C D E F = l’errore l’ha
fatto Y. Se c’è un errore in D E F = l’errore l’ha
fatto Z. Se c’è un errore in C = l’errore l’ha fatto
C.
Applicazione della legge della maggioranza sulla base dello stemma → scelta meccanica tra
varianti prima considerate adiafore “senza differenza”, cioè “ugualmente accettabili” (eliminatio
lectionum singularium “eliminazione delle lezioni singolari”) → Ricostruzione del testo
dell’archetipo ≠ originale perché contiene errori. Correzione degli errori dell’archetipo
(emendatio) → restituzione del testo originale. L’errore d’archetipo si riconosce perché è
contenuto in tutte le copie superstiti, presente in tutta la tradizione di un testo. La prima
monumentale applicazione del metodo di Lachmann all’edizione critica di un testo romanzo si
deve a Gaston Paris
Stemma codicum della (1839-1903), edizione
Vie de Saint Alexis
secondo Gaston Paris :

del poema agiografico Vie de Saint-Alexis (XI secolo).

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Filologia Romanza

Apparato critico con l’indicazione delle varianti della tradizione manoscritta che Gaston ha scartato
(non ha accolto a testo). Questo è un apparato negativo = indica solo le varianti non accolte
(invece un apparato positivo è quello che registra anche la diffusione, nei manoscritti, delle
varianti accolte a testo).
L’apparato critico → è un complemento irrinunciabile dell’edizione critica, chiunque faccia una
edizione critica, deve fornire l’apparato oltre al testo. Con il testo ci fa vedere come ha ricostruito
la lezione originaria. L’apparato è quel luogo dell’edizione critica in cui lo studioso ci dice
chiaramente tutte le forme attestate nella tradizione manoscritta che lui ha deciso di scartare.
Dandoci il testo, ma anche l’apparato, l’editore ci fa vedere come si muove la tradizione
manoscritta del testo. I peggiori editori critici sono quelli che nascondono le informazioni. I migliori
editori critici sono quelli che ci esplicitano le regole del gioco e il percorso seguito per arrivare al
risultato finale, passo per passo. Le edizioni critiche di un testo sono molte e nessuna ci restituisce
l’originale.
Ogni tentativo di ricostruzione dell’originale
rappresenta un’approssimazione, “un’ipotesi
di lavoro” (Gianfranco Contini). La filologia
testuale non è una scienza esatta = l’originale
di un testo è e rimane irrecuperabile (tranne
che nei fortunati casi in cui esso è conservato)
e poterlo ricostruire meccanicamente per
intero è un’illusione.
Infatti, il metodo di Lachmann, che mira alla
ricostruzione meccanica del testo, in alcune
situazioni non è applicabile. In particolare, i
successori di Lachmann individuano “falle”
nel metodo in presenza di:
1. Stemmi bipartiti (molto frequenti) – ai
piani alti gli stemmi sono bipartiti.
2. Contaminazione (= trasmissione orizzontale) tra manoscritti diversi dello stesso testo.
1 = stemma bipartito
Cane e lupo “resistono” come varianti
adiafore fino ai “piani alti” dello stemma.
Qual è allora la lezione dell’archetipo (<
originale)? Non è ricostruibile, abbiamo

16
Filologia Romanza

un 50 e 50 (cane e lupo). Qui, la ricostruzione meccanica di


Lachmann NON funziona.
Dove non sono possibili scelte meccaniche si parla di
recensio aperta (vs recensio chiusa, quella in cui invece
sono possibili scelte meccaniche).
Deve intervenire il cosiddetto iudicium del filologo.

Lo iudicium del filologo (scelta “non meccanica”) si applica


di norma secondo due principi:
1. USUS SCRIBENDI (“modo di scrivere”) dell’autore → il filologo sceglie la variante che a suo
modo di vedere si adatta meglio allo stile dell’autore e quindi ha più probabilità dell’altra
di essere originaria.
2. LECTIO DIFFICILIOR (“lezione più difficile”) → il filologo sceglie la variante che pare la meno
banale delle due: un copista, trovandosi a copiare una parola “difficile”, potrebbe averla
semplificata, banalizzata.
2 = contaminazione (trasmissione orizzontale)
Il copista che realizza il manoscritto B prende un po’ da x e un po’ da z, che appartiene a un altro
ramo della tradizione.
Il copista che realizza il manoscritto D prende un po’ da z e un po’ da x.
Se uno non riconosce la contaminazione, rischia di costruire stemmi sbagliati. Come si capisce che
una tradizione è contaminata? = studio il testo tramandato da B, noto una stretta parentela con A
(comunanza di errori congiuntivi), a un certo punto noto che ci sono errori significativi in comune
con Z – il copista ha cambiato modello, ha smesso di copiare da un antigrafo tipo X e ha iniziato a
copiare da un antigrafo tipo Z. Non sempre è facile individuare una contaminazione.
LEZIONE 5
Errore congiuntivo = è un errore monogenetico → se due o più manoscritti lo contengono, allora vi
è una parentela. Errore separativo = errore guida → due manoscritti non possono derivare l’uno
dall’altro, magari sono imparentati ma non vi è una derivazione diretta [ms / mss = manoscritto /
manoscritti]. Varianti = sono quelle forme che si trovano in un punto del testo all’interno della
tradizione manoscritta. Legge della maggioranza = stabilire quale variante è corretta e quali sono
erronee. Volgarizzamenti = sono testi, le più antiche traduzioni in volgare di testi latini – possono
essere più o meno fedeli al testo originale.
LIMITI ALL’APPLICAZIONE DEL METODO DI LACHMANN:
1. Presenza di stemmi bipartiti, lezione dell’archetipo non ricostruibile meccanicamente
(50% vs 50%) necessità per lo studioso di attivare il iudicium, scegliendo in base = all’usus
scribendi dell’autore, alla lectio difficilior ma anche affidandosi al principio dei loci paralleli
= partiamo dal fatto che ho due varianti, una nel ramo A (cane) e una nel ramo B (lupo),
adiafore – non ha funzionato il principio dell’usus scribendi e non posso usare il principio

17
Filologia Romanza

lectio difficilior poiché sono equivalenti. Noto che ci sono, ad esempio, cinque luoghi dello
stesso testo in altri punti del testo dove il mio autore, in contesti più o meno simili a quelli
che sto trattando in questo testo, parla di lupi → allora scelgo lupo, non è detto che abbia
ragione ma siccome in altri punti del testo e in contesti simili a questo, lui usa lupo io mi
sento “autorizzato” ad usarlo. Oppure, due autori coevi al mio, in altri testi, descrivendo
situazioni simili a quelle del mio testo, parlano di lupi e allora è possibile che la lezione da
scegliere sia lupo = perché c’è un’intertestualità, corrispondenza di usi tra il mio autore e
altri autori. L’ultima spiaggia che si utilizza → ramo della tradizione che lo stemma ha
dimostrato essere più affidabile = vado dove so, per altri motivi, che il testo tramandato è
più affidabile.
2. Presenza di contaminazione (= trasmissione orizzontale). Un copista copia un po’ da X, un
po’ da Y, un po’ da Z (che appartengono a tre diversi rami della tradizione). Anzitutto,
fondamentale rendersi conto dell’esistenza della contaminazione. Poi: se una tradizione è
troppo contaminata (= troppe linee di trasmissione orizzontale), gli errori passano da una
famiglia all’altra di mss. → la possibilità di costruire lo stemma è compromessa. Se invece
la contaminazione è riconoscibile, ridotta e governabile, si può ugualmente costruire lo
stemma. Se ci sono troppe linee di trasmissione orizzontale → è difficile ricostruire lo
stemma.

La discussione intorno all’applicazione del metodo di Lachmann = l’approccio al metodo di


Lachmann nella filologia novecentesca e specialmente italiana (G. Pasquali, filologo classico, M.
Barbi, filologo dantesco, G. Contini, filologo romanzo) comporta revisioni e aggiornamenti del
metodo ricostruttivo. Oltre alle questioni non meccaniche degli stemmi bipartiti e della
contaminazione, emergono altri aspetti che il filologo ricostruttivo, lachmanniano non può
ignorare → il processo di trasmissione di un testo antico non è né può essere rigidamente
regolato, è sottoposto a diverse influenze (vicenda umana, non legge matematica). Interpolazione
= un copista trascrive un testo, e a un certo punto prende l’iniziativa di migliorarlo attingendo ad
altri testi che ha a disposizione – diverso dalla contaminazione, l’interpolazione avviene tra
esemplari di testi differenti. La trasmissione di un testo sfugge al meccanicismo.
Si presta grande attenzione alla storia della tradizione, non solo alla pura e meccanica critica del
testo → come, quanto e dove un testo ha circolato dopo essere uscito dalle mani dell’autore .
L’esame della storia della tradizione può aiutare nel processo ecdotico [opera fondamentale di
Giorgio Pasquali, Storia della tradizione e critica del testo, 1934].

Il metodo ricostruttivo rimane valido, ma non vanno ignorate alcune questioni importanti legate
alla tradizione dei testi, quali ad esempio:
 Il principio dei manoscritti recentiores non deteriores (“manoscritti più recenti non recano
necessariamente un testo più corrotto”) → un ms. copiato nel Tardo Medioevo può
dipendere da un antigrafo vicino all’archetipo [i filologi ritenevano che i manoscritti tardi
fossero inaffidabili perché spesso interpolati e quindi sbagliati].

18
Filologia Romanza

 La possibilità dell’esistenza di varianti d’autore


disseminate nella tradizione → l’autore ha messo in
circolazione redazioni diverse di un suo stesso testo
(quindi possono esistere due originali ed
eventualmente due archetipi). Se un autore scrive
un’opera e la mette in circolazione, torna sul suo testo
e lo corregge – ci saranno due redazioni in circolazione
= due varianti d’autore.
 La difficoltà o impossibilità di costruire uno stemma:
ad esempio, capita con i testi di fruizione popolare,
destinati a recitazione e canto → tradizione
caratterizzata da marcati rifacimenti, esistenza di
versioni non confrontabili di uno stesso testo,
diversissime nella forma e nella sostanza.
 L’impossibilità di ricostruire un archetipo, o il fatto che un archetipo possa non esistere,
perché magari la tradizione nota rimonta direttamente all’originale: ad esempio, un autore
fa copiare la sua opera autografa o idiografa a due copisti in contemporanea, o la consegna
a uno scriptorium (officina di produzione libraria) = esistono tante copie.

Caso complesso = Il Devisement dou monde (Milione) di Marco Polo [stemma di Simion, 2017]
Ogni sigla corrisponde a una diversa redazione-traduzione del testo, ciascuna con la sua
tradizione manoscritta autonoma; spesso le redazioni coincidono con ampi rimaneggiamenti.
Il Milione originario fu scritto da Marco Polo e Rustichello da Pisa in francese con elementi italiani,
ma l’unica redazione a noi pervenuta con tali caratteristiche linguistiche è F (ms. unico).
Le altre redazioni del testo sono nelle lingue più varie: dal latino (L, Z) al catalano (K), dal francese
d’oil (Fr) ai volgari italiani veneto (VB, V), emiliano (VA), toscano (TA)… Beta è una sorta di
“secondo originale” con varianti d’autore…
Devisement dou monde = titolo di carattere enciclopedico. Ogni sigla con le lettere maiuscole
corrisponde a una diversa redazione o traduzione del testo. Il Milione ha avuto tanta fortuna che è
stato tradotto fin da subito in diverse lingue. Ciascuna di queste redazioni/traduzioni del testo
originario ha la sua tradizione manoscritta autonoma (della redazione Fr esistono 18
manoscritti…). L’originale venne scritto in franco-italiano = in quel momento il francese era la
lingua letteraria d’eccellenza soprattutto per la prosa, decisero di scriverlo in francese “non puro”,
con un po’ di italiano = il cosiddetto franco-italiano. L’unica redazione che conserva la veste
originaria linguistica è la redazione F che è un manoscritto unico (tradizione manoscritta unica). F,
mi serve per ricostruire la lezione dell’archetipo – F non è un manoscritto dalla lezione
“buonissima”, i suoi errori li posso correggere con la legge della maggioranza → se voglio
ricostruire la lezione “buona” di F, la individuo, ma, in che lingua la metto? Toscano, francese,
catalano? Verrebbe fuori un “mostro”, la ricostruzione lachmanniana funzionerebbe, in questo
caso, fino a un certo punto. Altro aspetto → il ramo Beta, in realtà, costruisce un “secondo

19
Filologia Romanza

originale con varianti d’autore” – i manoscritti che la contengono sono o il latino o il veneziano.
Questa tradizione è plurilingue, contaminata e con presenza di varianti d’autore.
Lachmann era un filologo classico e dunque lavorava su testi greci e latini, ovvero su testi
linguisticamente uniformi e su tradizioni linguisticamente uniformi – una tradizione di un testo
romanzo non potrà mai avere questa uniformità linguistica.
Confraternite laiche = movimenti di devozione di religiosità popolare che si sono sviluppati a
partire dagli anni ’30 del Duecento. Erano associazioni di persone laiche, del ceto della borghesia
cittadina = mercanti, artigiani… che si riunivano per pregare coordinati da un sacerdote. Avevano
degli statuti (comportarsi in un certo modo, dire le preghiere, obblighi…). Si dotavano di raccolte di
preghiere da cantare durante le occasioni di radunanze → queste preghiere si chiamavano laude.
Questi testi e le loro preghiere circolano – ogni volta vengono cambiate linguisticamente e nella
sostanza (per via delle esigenze e del pubblico).
Il filologo romanzo francese Joseph Bédier (1864-1938), inizialmente lachmanniano, si rese conto
che il metodo di Lachmann portava a costruire dei testi “virtuali”, che non sono mai esistiti nella
realtà. Bédier registra, nella tradizione romanza:
1. Una grande quantità di stemmi bipartiti (= impossibile ricostruire un testo per intero in
maniera meccanica).
2. La possibilità di disegnare diversi stemmi per la tradizione di uno stesso testo → si possono
disegnare più stemmi tutti più o meno equivalenti.
Nell’edizione (1913) del Lai de l’ombre, testo in versi di carattere narrativo in antico francese,
Bédier suggerisce di evitare di lanciarsi in ricostruzioni insoddisfacenti. Propone di individuare un
bon manuscrit (“buon manoscritto”) del testo da pubblicare, come lo sceglie? Si prende il
manoscritto che sulla base dello stemma risulti il migliore o tra i migliori e di pubblicare il testo di
quel manoscritto correggendolo il minimo indispensabile (solo dove il copista si sbaglia). Bédier dà
dunque valore a una forma del testo che ha avuto un’esistenza storica e che è stata realmente
fruita da qualcuno. Bédier traccia lo stemma solo per capire quale tra tutti i manoscritti possa
essere considerato il migliore. Bédier sostiene che, facendo così, sia impossibile ottenere un falso
storico.
Il metodo di Bédier (= bon manuscrit; rinuncia alla ricostruzione della fisionomia originaria del
testo) non ha scalzato il metodo lachmanniano nell’ambito dell’ecdotica:
Quando egli [Bédier], perfettamente consequenziario, pubblicò il lai e il Roland sulla base di un solo
manoscritto, e per il Roland si affannò a difendere con geniale ostinazione la lezione del
manoscritto per molte ragioni migliore anche in infimi particolari poco verosimili, certo non si
rendeva conto che conservare criticamente è, tanto quanto innovare, un’ipotesi [...]; resta da
vedere se sia sempre l’ipotesi più economica (Gianfranco Contini, Ricordo di Joseph Bédier, 1939)
→ Il metodo ricostruttivo rimane fondamentale, ma con tutta la serie di correttivi che abbiamo
visto e con la nuova sensibilità per la testimonianza manoscritta che Bédier ha promosso. Contini
contesta il metodo di Bédier. Contini = conservare è un’ipotesi tanto quanto innovare – si schiera
dalla parte della filologia ricostruttiva di tipo lachmanniano.

20
Filologia Romanza

Grande merito di Bédier è però quello di avere portato l’attenzione sul testo e sul manoscritto
come individui storici: valorizza il testo come “oggetto” effettivamente fruito in un luogo e in un
tempo grazie al manoscritto / ai manoscritti che lo riporta(no).
In ambito romanzo: l’attenzione al manoscritto promossa da Bédier ha portato a “smussare” la
pura teoria ricostruttiva di Lachmann. Tale “smussamento” è stato peraltro necessario, perché i
testi romanzi sono tramandati da mss. con diverse patine linguistiche, spesso non coincidenti con
la lingua dell’autore; ma la lingua dell’originale non si può ricostruire attraverso lo stemma
codicum (Lachmann vale per la sostanza, non per la forma) → anche nelle edizioni critiche
ricostruttive, per stabilire la lingua del testo critico è necessario fondarsi su un manoscritto che
sia al contempo di lezione autorevole e vicino all’autore per datazione e per collocazione
geografica (e quindi lingua) – siamo costretti a mischiare principi lachmanniani e bédieriani. I poeti
siciliani, scrivevano in volgare siciliano (“siciliano illustre”) → la più antica tradizione a noi nota è
toscana.
Ad esempio, il caso della tradizione della Commedia dantesca: il manoscritto U (Città del Vaticano,
BAV, ms. Urbinate latino 366, a. 1352), dalla lezione molto autorevole (a livello di sostanza) non è
linguisticamente fiorentino, ma padano (emiliano-romagnolo) → è forse il codice migliore ma la
sua patina linguistica settentrionale rende complicato sceglierlo come manoscritto base (o ms. di
superficie) per l’edizione della Commedia. Così però ha fatto Federico Sanguineti, fondando la sua
edizione della Commedia (2001) proprio sull’Urbinate (bon manuscrit), ma correggendolo talora
nella sostanza sulla base dell’altro ramo dello stemma ed espungendone i tratti linguistici
settentrionali – l’ha “ri-toscanizzato”. L’edizione della Commedia che si studia a scuola, Petrocchi,
non è fondata sull’Urbinate.
Più lineare è ad esempio il caso di Restoro d’Arezzo (autore del Duecento), autore del testo
enciclopedico La composizione del mondo colle sue cascioni (XIII secolo, s.m.) → è linguisticamente
aretino (= coerente con la lingua dell’autore) → pertanto può essere senza problemi il
manoscritto base dell’edizione critica.
Sempre a proposito dell’interesse, di tipo “bédieriano”, per “l’oggetto manoscritto”. Negli ultimi
decenni ha preso piede la cosiddetta filologia materiale = filologia del manoscritto. Chi fa filologia
materiale deve essere esperto non solo di metodi filologico-ricostruttivi, ma anche di competenze
codicologiche, paleografiche, linguistiche, storiche → attraverso la storia del manoscritto, dei
manoscritti si fa storia della tradizione del testo e quindi storia della cultura. Ogni volta che si
studia un’edizione di un testo antico, non si può fare a meno di tenere in conto la storia della sua
ricezione.
LEZIONE 6
Giorgio Pasquali, Storia della tradizione e critica del testo (1934) → pubblicare un testo antico non
può prescindere dal conoscere bene le vicende della sua tradizione (= dove, come, quando,
quanto un testo ha circolato nei manoscritti che lo hanno tramandato, dopo che il suo autore l’ha
“fatto uscire”): …non può ricostruire, per mezzo del confronto e della valutazione delle
testimonianze della tradizione, dunque di recensio, il testo originale di un’opera letteraria
tramandata a noi dall’antichità classica, se non chi conosce le vicende che quell’opera subì
successivamente alla sua pubblicazione, per secoli e secoli, fino ai testimoni conservati. Chi mira a

21
Filologia Romanza

trasformare un complesso di norme logiche e quindi astratte in un metodo di lavoro storico, non
deve avere paura del particolare = significativa è la distinzione che fa tra il complesso di norme
logiche e quindi astratte che sembrerebbero identificare il metodo dei lachmanniani “puri” –
questo complesso di norme logiche va sempre accompagnato con un metodo di lavoro storico.
Soprattutto Pasquali richiama l’attenzione su alcuni principi dei quali l’editore di testi deve tenere
conto:
 Manoscritti recentiores non deteriores = i codici “recenti” NON sono peggiori.
 Presenza di varianti d’autore, circolazione di più redazioni “d’autore” di un determinato
testo = caso del Milione di Marco Polo.
 Testi dalla tradizione mobile: riscritture, rimaneggiamenti, traduzioni (spec. testi destinati
all’oralità, di fruizione popolare) → difficoltà a costruire lo stemma, o impossibilità =
esempio le laude, le preghiere – ogni volta che vengono eseguite o che cambiano
ambiente, vengono modificate.
 È sempre esistito un archetipo? Oppure alcune tradizioni derivano, in tutto o in parte,
direttamente dall’originale? No, non è sempre esistito, in alcuni casi sì, in altri ne sono
esistiti due e in altri la tradizione di un testo dipende direttamente dall’originale. I principi
metodologici fissati da Lachmann, non vanno applicati matematicamente, bisogna sempre
tenere conto delle infinite variabili che si presentano nel momento in cui ci mettiamo a
studiare la tradizione di un testo.
Nella filologia dei testi romanzi, solo di rado si può applicare il metodo della ricostruzione
meccanica (metodo di Lachmann) fino all’archetipo → lo iudicium del filologo è sempre decisivo –
il fatto che ogni edizione possa essere diversa dall’altra ha spinto Bédier a fare delle scelte diverse
e osserva nelle tradizioni dei testi romanzi:
1. Grande quantità di stemmi bipartiti (no scelte meccaniche) – analizzò 110 tradizioni
testuali e in 105 casi gli stemmi sono bipartiti = non si può ricostruire il testo
meccanicamente = deve intervenire lo iudicium soggettivo del filologo.
2. Possibilità di tracciare più stemmi per una stessa opera (messa in discussione
dell’oggettività del concetto di errore). Bédier mette in discussione per primo questo
concetto.
Bédier pensa che i filologi romanzi ricostruiscano testi mai esistiti nella realtà (perché non
meccanici ma condizionati dallo iudicium dei singoli studiosi, e spesso fondati su stemmi opinabili
– l’oggettività non può esistere nella ricostruzione). Tanto vale allora fare l’edizione del testo
secondo la lezione di un solo manoscritto (= bon manuscrit), come si sceglie il bon manuscrit:
1. Si traccia lo stemma.
2. Si individua nello stemma il ms. che non ha bisogno di troppe correzioni, uno “buono”.
3. Si pubblica quello, correggendolo il meno possibile e dove non se ne può fare a meno.
→ Se si offre il testo contenuto in un bon manuscrit, si è sicuri di offrire al lettore un testo che è
esistito, che ha avuto una sua concretezza storica, che è stato effettivamente letto da qualcuno in
un certo momento del passato (no falso storico). Il metodo lachmanniano resiste, ma l’eredità di
Bédier è grande.

22
Filologia Romanza

→ Nella filologia romanza c’è ormai sempre attenzione per la fisionomia del testo per come si
presenta in un determinato manoscritto, e per le caratteristiche materiali dei manoscritti
(filologia materiale).
Le edizioni critiche di testi romanzi hanno il problema della lingua originale del testo (tradizioni
manoscritte linguisticamente variegate ≠ filologia classica, tradizioni linguisticamente stabili) → si
usa, se possibile, fondare la propria edizione critica (anche condotta con metodi lachmanniani) su
un ms. che sia buono per lezione, magari antico e linguisticamente vicino all’autore (manoscritto-
base o manoscritto di superficie) → la lingua sarà abbastanza vicina a quella originaria – questo,
ovviamente, non è sempre possibile = caso della Scuola Siciliana.
Esempio di procedura = se pubblico un testo romanzo tramandato da più mss. (pluritestimoniale):
 Costruisco, se possibile, lo stemma sulla base degli errori guida = metodo di Lachmann.
 Individuo, se possibile, tra i mss. più “alti” nello stemma quello che per caratteristiche
linguistiche e per data si avvicina di più alla lingua e al periodo dell’autore.
 Faccio funzionare, se possibile, lo stemma su quel ms. → eventualmente lo correggo dove
lo stemma me lo suggerisce; e se restano lezioni insoddisfacenti, le correggo con lo
iudicium.
La filologia romanza stempera il metodo lachmanniano con le indicazioni di Bédier che ha insistito
sulla necessità di considerare l’importanza dei manoscritti. È l’applicazione del metodo di
Lachmann su un manoscritto scelto come base che ritengo possa offrire una veste linguistica vicina
a quella dell’originale.
TIPOLOGIE DI EDIZIONI DI CARATTERE SCIENTIFICO
EDIZIONE DIPLOMATICA → tipologia “base”, riproduce esattamente il testo per come si presenta
in un determinato manoscritto, senza nessun tipo di intervento dell’editore. Edizioni di questo
genere erano molto utili in epoca pre-fotografica. Oggi si offrono edizioni diplomatiche:
 Se il ms. è difficilmente leggibile (grafia ostica, inchiostro evanito [“scomparso”]).
 In accompagnamento all'edizione interpretativa o critica di testi di grande valore storico-
linguistico, storico-letterario, storico-culturale (ad es. le più antiche manifestazioni scritte di
un volgare, i testi delle Origini).
Nello Bertoletti Una lauda-orazione bresciana del Duecento “Lingua e stile”, LV/1, pp. 3-28.
Brescia, Biblioteca Queriniana, ms. B.II.8 (XII secolo m.), f. 298v. È un’antichissima preghiera, una
proto-lauda, in volgare per la Madonna ed è il più antico esempio di lauda + la più antica
attestazione del volgare bresciano. È rimasta solo una strofa, scritta nel margine inferiore della
carta di un manoscritto che contiene tutt’altro. Bertoletti rispetta esattamente la disposizione che
il testo ha sulla pagina = edizione diplomatica. L’unico intervento è la numerazione delle righe.
Dove il copista scrive attaccato, lo fa anche lui. I segmenti di parole tra parentesi sono scioglimenti
di abbreviazioni. Sca con sopra un tratto = sancta. P con il taglio a metà del tratto basso = per. Am
con il tratto sopra = amen. Una vocale con un tratto sopra sottintende una consonante nasale o
labiale (M o N). Gli scioglimenti sono presentati da Bertoletti tra parentesi. Non distingue le U dalle
V.

23
Filologia Romanza

Mater gloriosa madona s(an)c(t)a maria.


auo p(re)ciosa recoma(n)t lanima miia.
cheuolamenet p(er) si s(an)c(t)a uia.
chela possa uegnir allauostra
compagnia.

Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, ms. Redi 9 (XIII secolo ex.), f. 75ra. Giacomo da Lentini,
Madonna, dir vo voglio:
· Notar iacomo dallentino .
Madonna dir uouoglo · como lam
or maprizo · inuer logra(n)de org
oglo · cheuoi bella mostrate eno
maita · Olasso lomeo core · chenta(n)te
pene emizo · cheuiue quando more ·
p(er) bene amare eteneselo auita · Du(n)q(ue)
moruuiueo · no malocore meo · ass
ai piu spesso eforte · che no(n) faria dim
orte naturale · Peruoi mado(n)na cama · /
↑ Il Canzoniere Laurenziano è importante perché in una delle sue sezioni, quella trascritta dal
copista pisano siglato con La
contiene un gruppo di poesie di
liriche dei poeti siciliani e lo
studio incrociato della lezione
del manoscritto Laurenziano con
quella delle poesie dei poeti
siciliani (contenute negli altri due canzonieri delle origini), ha indotto un filologo romanzo a
supporre che la trascrizione toscana originaria delle liriche siciliane sia avvenuta tra Pisa e Lucca. È
redatto su due colonne parallele, ogni poesia è introdotta
da una rubrica in cui è indicato l’autore (in questo caso
Giacomo da Lentini). I testi poetici non si presentano con
i versi incolonnati ma con i versi scritti in prosa. Punto
metrico = tra un verso e l’altro per indicare che
finiva/iniziava il verso. La forma è continua/di prosa. La
fine della colonna è indicata con /

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Filologia Romanza

EDIZIONE INTERPRETATIVA → chi trascrive, rispetta la lezione di un determinato manoscritto, ma


presenta interventi che ne facilitano la lettura; in genere si attuano normalizzazioni grafiche, non
correzioni (se non, al limite, di lapsus calami del copista: aplografie, dittografie, omissioni di
lettere, di tituli… comunque da segnalare o in un piccolo apparato, o con accorgimenti tipografici
all'interno del testo). L’edizione interpretativa rende leggibile
un testo nella forma che esso ha in un determinato
manoscritto. Anch’essa, come l’edizione diplomatica,
valorizza il testo come documento linguistico o storico →
valorizza la testimonianza materiale del singolo manoscritto,
più che il testo in sé (cfr. le CLPIO – Concordanze della lingua
poetica delle Origini di d’Arco Silvio Avalle, 1992 – tutti i
manoscritti di testi in versi prodotti in area italiana/romanza
fino all’anno 1299 vengono offerti in edizione interpretativa).
Gli unici interventi che un copista di questo genere si può
permettere sono quelli di lapsus calami. L’editore deve dare tutti i criteri che ha seguito nella sua
trascrizione = deve dirmi come ha lavorato. Ci troviamo nell’ambito di un’edizione che rispetta al
massimo grado la testimonianza di un manoscritto.

Nello Bertoletti Una lauda-orazione bresciana del Duecento “Lingua e stile”, LV/1, 2020, pp. 3-28.
Ecco dunque l’edizione, nella quale si eliminano le parentesi tonde della precedente trascrizione
diplomatica, si separano con uno spazio bianco gli emistichi e si introducono segni di
punteggiatura, diacritici e divisione delle parole secondo criteri moderni – in questo caso l’edizione
interpretativa coincide con quella critica:

Edizione interpretativa contenuta nelle CLPIO, Concordanze della lingua poetica italiana delle
Origini:
Non ci sono correzioni, ci sono semplicemente adattamenti di carattere grafico che garantiscono la
leggibilità di questo testo poetico.

25
Filologia Romanza

Avalle va a capo per ogni verso – cosa che


nell’edizione diplomatica non si fa. Ha inserito la
punteggiatura e separato le parole secondo l’uso
moderno. Per il resto, il dettato del codice
Laurenziano è rispettato.

EDIZIONE CRITICA → si propone di ricostruire un testo per avvicinarlo alla sua forma originaria.
Può essere fondata su una tradizione del testo pluritestimoniale (= tanti manoscritti, si pone il
problema dello stemma) o su un manoscritto unico (tradizione monotestimoniale), da correggere
ricorrendo al iudicium. L’editore critico deve mostrare con precisione tutte le tappe che lo hanno
condotto a costruire lo stemma (o alla decisione di non costruirlo) e deve giustificare ogni sua
scelta editoriale → l’editore critico non può dunque rinunciare:
 A una sezione introduttiva nella quale presenta e discute gli errori guida su cui ha fondato
lo stemma – deve presentare e descrivere tutti i testimoni che tramandano l’opera.
 All’apparato critico, dove raccoglierà tutte le varianti sostanziali presenti nella tradizione
manoscritta del testo e che lui ha deciso di scartare.
È bene che offra anche: un commento puntuale al testo (esegesi) / una nota linguistica che
descriva almeno la lingua del “manoscritto base” / un glossario – indice delle parole notevoli.

Paolo Chiesa, Elementi di critica testuale, Bologna, Pàtron, 2002: La conclusione naturale di uno
studio di critica testuale è la realizzazione di un’edizione critica. Si tratta di un’edizione
“scientifica” dell’opera, tale cioè che possa essere utilizzata dal lettore come testo “ufficiale” e
affidabile, e nella quale si affrontino i problemi posti da quello specifico testo in ordine al suo
stato di conservazione e, ove necessario, alla sua ricostruzione. Essa può consistere nella
riproduzione dell’originale, se è conservato; o in un’ipotesi di ricostruzione dell’originale, se esso
non è conservato; o ancora nella pubblicazione comparativa di testi diversi, ognuno dei quali gode
della qualifica di originale o è comunque importante ad illustrare il processo di sviluppo testuale.

Giacomo da Lentini – Madonna, dir vo voglio in I poeti della Scuola siciliana, 2 volume, Milano,
Mondadori (i Meridiani), 2008. Volume 1: Giacomo da Lentini, a cura di Roberto Antonelli –
stemma codicum.
Non è attestata solo dal Laurenziano, ma anche da altri manoscritto Canzoniere Palatino, Giunti,
Vaticano Latino, Memoriale Bolognese 74. I testimoni sono 5 = stemma bipartito = La (Laurenziano)
e dall’altro y. Antonelli appoggia la lezione di L – dove sbaglia, lui corregge. Antonelli normalizza la
grafia = offre il testo e un ricco apparato delle varianti. I Memoriali Bolognesi = nel XIII secolo, il

26
Filologia Romanza

comune di Bologna decide che tutti gli atti notarili di carattere pubblico-privato, vergati sul
territorio soggetto alla giurisdizione del comune di Bologna debbano essere trascritti in copia
anche in libroni che si trovano nella cancelleria del
comune. Questi libroni sono i Memoriali Bolognesi,
contengono atti in latino. Questi notai che li compilano
utilizzano le parti bianche per scrivere versi che a loro
piacciono o per lasciare una traccia dei loro interessi
culturali – vediamo un ceto borghese di una città con una
Pagina dell’edizione critica de La Chanson de Roland
curata da Cesare Segre – la prima edizione curata è quella
di Bédier che la fondò su un solo manoscritto (il più antico
e il più autorevole = testo in forma assonanzata) = il
manoscritto di Oxford (XII secolo). Segre, prende come
base il manoscritto di Oxford ma lo corregge sulla base

LEZIONE 7
Fondamenti di linguistica romanza
La continuazione del latino parlato non sono le
lingue nazionali ma i DIALETTI (continuazione
diretta). I dialetti romanzi nel loro insieme
configurano un continuum (parola latina) = il
cosiddetto continuum dialettale romanzo. Da
Lisbona a Trieste i dialetti sfumano
gradualmente l’uno nell’altro senza soluzione di
continuità. L’area di transizione da una varietà
dialettale a un’altra è determinata da un “ fascio
di isoglosse”.
ISOGLOSSA (concetto introdotto da G. I. Ascoli,
letteralmente “lingua uguale”) = linea immaginaria che segna il confine geografico di un certo
fenomeno linguistico (fonetico, morfologico, sintattico, lessicale). Esempio = se unisco tutti i punti
di determinate località nelle quali si trova per l’ultima il fenomeno della caduta delle vocali finali
(sal – sale) – li unisco, questa è l’isoglossa che segna il limite della diffusione della caduta della
vocale finale.
In questo esempio, i fasci di isoglosse che segnano: il confine meridionale dei dialetti italiani
settentrionali / il confine settentrionale dei dialetti italiani centro-meridionali / L’area dei dialetti di
tipo toscano.

27
Filologia Romanza

Il fascio di isoglosse 1-7 = determina l’area di


passaggio dai dialetti di tipo italiano-
settentrionale ai dialetti di tipo toscano
(occidente) e centro-meridionale (oriente),
segnano, inoltre, il passaggio dai dialetti di
tipo romagnolo a quelli di tipo marchigiano.
A sud, si può dire di essere entrati nel dominio dei
dialetti centro-meridionale. L’isoglossa 1 segna il limite meridionale del tipo ortiga – dov’è che si
finisce di dirla così e si inizia a dire ortica? A Est, sopra a Pesaro / a Ovest, Lunigiana – a Nord di
questa linea si dice ortiga e a Sud si dice ortica. L’isoglossa 2 = sal (con caduta di e), a oriente arriva
a Sud di Pesaro / a occidente arriva fino all’altezza La Spezia = a nord si dice “sal” / a sud si dice
“sale”. 1-7 → tratti caratterizzanti delle varietà dialettali di tipo italiano-settentrionale. 8-18 →
caratteristiche dei dialetti centro-meridionale. I due fasci di isoglosse isolano l’area che comprende
la Toscana, Lazio settentrionale, Umbria = dialetti di tipo toscano. Per identificare tutti questi
passaggi non basta una isoglossa singola ma serve un fascio di isoglosse. “Linea La Spezia-Rimini”
anche detta “Linea Massa-Senigallia” → a Nord troviamo il dominio dei dialetti settentrionali, a
Sud troviamo a Occidente i dialetti toscani e a Oriente i dialetti centro-meridionale. Linea Roma-
Ancona → a Nord troviamo a Occidente i dialetti di tipo toscano e a Oriente i dialetti di tipo
settentrionale / a Sud troviamo i dialetti di tipo centro-meridionale.
GEOGRAFIA LINGUISTICA → è quella branca della linguistica che indaga come una lingua si
modifica nello spazio. Mentre la linguistica diacronica studia il mutamento di una lingua nel
tempo. La LINGUISTICA DIATOPICA (o GEOLINGUISTICA) studia i mutamenti delle lingue nello
spazio. Strumenti preziosissimi per indagini di tipo diatopico sulla lingua sono gli atlanti linguistici
che mirano a rappresentare sulla mappa la variazione della lingua nello spazio. I due principali
atlanti linguistici → AIS (Karl Jaberg e Jakob Jud = Sprach- und Sachatlas Italiens und der
Südschweiz) e ALF (Jules Gillieron ed Edmond Edmont = Atlas linguistique de la France). Come
funzionano? Si selezionavano una serie di località (indicate con numeri) e si selezionavano una
serie di campi semantici (esempio = agricoltura, famiglia, gestione della casa, alimentazione,
sentimenti…) e si inviava una serie di studiosi presso queste località a interrogare le persone del
posto per sapere come si diceva una determinata parola/espressione nel loro dialetto. Sono divisi
in “carte” e ogni “carta” indica il nome di un oggetto → esempio, la carta che indica come si dice
“sedia” in tutta Italia.
TEORIA DELLE AREE LATERALI = secondo la quale, una determinata forma (parola o fenomeno
fonetico) che nel Medioevo era diffuso, ad esempio a Milano, oggi non si trova più se non nelle

28
Filologia Romanza

zone periferiche. Stesso principio per il quale, il sardo, tra le lingue romanze è quella più
conservativa a livello fonetico – esempio, in sardo “pace” si dice ancora “bake” = si dice ancora con
la velare esattamente come la /c/ si pronunciava nel latino del I-II d.C. In Sardegna, per via del suo
“isolamento” marittimo, l’innovazione della palatizzazione di /c/ davanti /e/ non è arrivata. La
Sardegna è anche una delle poche regione in cui “casa” si dice ancora “dòmo”.
Che cosa differenzia una lingua e un dialetto (< greco διάλεκτος “lingua”, “lingua comune”, “lingua
di una regione”)? Tra lingue e dialetti non ci sono differenze di sostanza (= differenze di carattere
glottologico) → sia i dialetti sia le lingue sono varietà linguistiche (con una loro fonetica, con una
loro morfologia, con una loro sintassi, con un loro lessico – e funzionano allo stesso modo). Una
lingua non è in sé e per sé superiore a un dialetto = la distinzione tra lingue e dialetti si opera sulla
base di criteri storici, culturali, politici, sociali, NON LINGUISTICI. All’origine e alla base di una
lingua c’è sempre una varietà dialettale = ad esempio il fiorentino del Trecento per l’italiano, il
castigliano per lo spagnolo, la varietà dell’Ile-de-France (editto di Villers-Cotterêts) per il francese…
Nel Medioevo, a parte il provenzale, nel dominio d’oil il dialetto francese che ha avuto la massima
espansione di tipo culturale e letteraria è stato di tipo “piccardo”.
DIALETTO = “parlata propria di un ambiente geografico e culturale ristretto (come la regione, la
provincia, la città o anche il paese); contrapposta a un sistema linguistico affine per origine e
sviluppo, ma che, per diverse ragioni (politiche, letterarie, geografiche...) si è imposto come lingua
letteraria e ufficiale” [GDLI Grande dizionario della lingua italiana, fondato da Salvatore Battaglia,
Torino, UTET, 1961-2002, s.v.] → Definizione corretta che mette subito in contraddizione il dialetto
con la lingua – non si può definire “dialetto” se non in opposizione a “lingua”.
Nella lingua italiana, parola dialetto comincia a essere impiegata in seguito alla scelta del
fiorentino trecentesco “delle Tre Corone” [Dante, Petrarca e Boccaccio] come lingua letteraria →
che si ha con Pietro Bembo, Prose della volgar lingua, 1525 = fissa il canone della lingua italiana =
bisogna utilizzare la lingua che Petrarca ha usato nelle sue poesie e quella che Boccaccio ha usato
nelle sue prose).
Prima, si parlava di volgari (milanese, fiorentino, siciliano… fuori d’Italia, limosino, piccardo,
castigliano…), la maggior parte dei quali era arrivata nel Medioevo all’elaborazione scritta, a volte
anche illustre (basti pensare alla lingua dei poeti siciliani = siciliano illustre) → scripta = parola
latina che significa proprio “scrittura”, “forma scritta” – non è uniforme, anche all’interno delle
singole famiglie dialettali esistevano escursioni di registro (stilistico) = on è che Bonvesin dalla Riva
scrivesse esattamente come parlava = esistevano le escursioni stilistiche finché non venne stabilito
il fiorentino “delle Tre Corone” come lingua di riferimento.
Con l’instaurarsi di una lingua standardizzata e ufficialmente riconosciuta come strumento
comunicativo (instaurarsi per ragioni culturali-letterarie, come in Italia; per ragioni politiche, come
in Francia e Spagna) le altre varietà assumono una connotazione diastratica più bassa → dialetti,
patois [francese].

I DIALETTI = hanno un ambito d’uso più ristretto della lingua sia sul piano geografico, sia sul piano
sociolinguistico (società):

29
Filologia Romanza

1. Cambiano sensibilmente da un luogo all’altro (variazione diatopica).


2. Non sono riconosciuti come strumenti di comunicazione trasversale da ampie comunità di
parlanti.
3. Non sono impiegati nelle istituzioni, nella burocrazia, nei media… e sono relegati alla
comunicazione informale e di solito orale (famiglia, amici, gruppi sociali ben identificati).
4. Hanno in genere scarsa escursione stilistica (= registri linguistici) e non possono essere
impiegati per tutte le esigenze espressive. Il dialetto manca del lessico tecnico.
Come le lingue, i dialetti hanno una loro grammatica (per tempo si è pensato che fossero
“sregolati”), ma spesso non è stata codificata (= fissata per iscritto) → di solito un dialetto manca
di uno standard = esempio, quello dei telegiornali (le lingue, invece sono altamente
standardizzate).
Esempio = non esiste nessuna lingua lombarda cioè non esiste un “lombardo” standard dalla
grammatica codificata utilizzato da un capo all’altro della regione da bergamaschi, pavesi,
mantovani, milanesi… come lingua comune, da impiegare anche per iscritto (dalla narrativa alla
saggistica) e nelle istituzioni, nella burocrazia, nei media…
Esiste semmai la famiglia dei dialetti lombardi:
 Inclusa nella più ampia famiglia dei dialetti gallo-italici.
 Inclusa nella più ampia famiglia dei dialetti italiani settentrionali.
I dialetti derivano dal LATINO PARLATO – per questo si parla di “dialetti d’Italia”. Giovan Battista
Pellegrini = Carta dei dialetti d’Italia [Firenze,
Litografia Artistica Cartografica, 1977]. Colore giallo
scuro = rappresenta la famiglia dei dialetti gallo-italici
(hanno un comune sostrato celtico = si sono sviluppati
dal latino parlato su territori che prima dei romani
erano popolati da celti). I dialetti veneti appartengono
al gruppo dei dialetti settentrionali ma con colore
diverso perché hanno un sostrato venetico e non
celtico. Friulano, ladino centrale e romancio (= di tipo
ladino, lingua della Svizzera) = stesso gruppo reto-
romanzi o ladini. Nelle Alpi Occidentali (dalla Valle
d’Aosta al basso Piemonte) = franco-provenzale e i
dialetti di tipo occitano (galloromanzo). Dialetti
toscani = coincide con la Toscana, in verde. Dialetti
mediani = Italia centrale (marchigiano, Umbria e
Lazio). Dialetti meridionali propriamente detti =
Abruzzo, Lazio meridionale, Molise, Campania,
Basilicata (+ Puglia e Calabria settentrionali). Dialetti
meridionali estremi = salentino, calabrese meridionale e il siciliano (caratteristiche fonetiche in
comune come ad esempio il vocalismo). La carta non contempla la Corsica poiché è francese
nonostante si parlino alcuni dialetti toscani. La Sardegna = dialetti di tipo sardo tranne che
nell’area settentrionale (= gallurese e sassarese).

30
Filologia Romanza

LINGUA → “sistema orale e scritto istituzionalizzato (il dialetto non è istituzionalizzato, non è
codificato e non ha uno standard), creato dai parlanti e dagli scrittori, con cui si attua il linguaggio
articolato, serve all’uomo per esprimersi, e si presenta in perenne evoluzione attraverso il tempo
[…] In particolare = idioma ufficiale parlato e letterario proprio di una nazione, contrapposto alla
parlata di un ambiente geografico e culturale ristretto” [GDLI, s.v.]. Le lingue:
 Hanno un alto grado di standardizzazione.
 Hanno una codificazione grammaticale = la grammatica ufficiale.
 Sono riconosciute da una comunità di parlanti più o meno ampia come strumento di
comunicazione comune che supera le differenze locali.
 Sono impiegate nelle istituzioni, nella burocrazia, nei media… a differenza dei dialetti.
 Sono adeguate a tutte le esigenze espressive che il parlante e lo scrivente può
manifestare.
Alcune varietà oggi classificate come dialetti o patois in passato sono state lingue a tutti gli effetti =
ad esempio, nel Medioevo il provenzale (per prestigio culturale e letterario e per la rilevanza
politica dei potentati autonomi dell’area centro-meridionale della Francia) o il veneziano (diffusosi
ben oltre Venezia, nel parlato e nello scritto, per ragioni di egemonia politica); nel Quattrocento il
volgare di Milano, ripulito dei tratti locali più marcati, era impiegato nell’amministrazione (lingua
della cancelleria visconteo-sforzesca) → La storia può determinare la “promozione” di un dialetto
a lingua o viceversa la “degradazione” di una lingua a dialetto. Il provenzale è nato “dialetto” ed è
diventato “lingua illustre” per poi ritornare allo stato di “dialetto”. Il fiorentino è nato come
“dialetto” per poi trasformarsi in “lingua” = italiano.
LEZIONE 8
Ogni dialetto si differenzia da quello confinante per alcuni tratti linguistici. L’isoglossa (= “ultima
frontiera”) di un certo tratto non è esattamente uguale a quella di un altro tratto → ogni
fenomeno ha la sua “ultima frontiera”, l’insieme di queste “ultime frontiere” è il fascio di
isoglosse. Il confine linguistico quindi non è una linea, ma un’area, nella quale si parlano “varietà

31
Filologia Romanza

di transizione” [poi, naturalmente, tra varietà diverse esistono confini più netti e confini meno
netti].

La lingua cambia nello spazio (diatopia) = gli atlanti linguistici rappresentano questo cambiamento
sulla carta geografica. La linguistica areale (o geografia linguistica, o geolinguistica) rende
evidente il fenomeno della teoria delle onde (Wellentheorie) descritto da Johannes Schmidt (1843-
1901). Un’innovazione linguistica parte da un centro propulsore (di solito un centro di prestigio) e
si irradia più o meno rapidamente verso la periferia → le periferie conservano dunque stadi di
lingua più arcaici, perché le innovazioni partite dal centro propulsore non sono ancora arrivate e
forse non arriveranno mai = il caso delle consonanti velari C, G del latino conservate dal sardo
davanti ad -e-, -i- (sardo bake, italiano pace, francese paix, spagnolo paz < latino PACEM).
LINGUE E DIALETTI = cosa li accomuna, cosa li differenzia. Non esistono differenze strutturali tra
lingue e dialetti. La differenza è di tipo funzionale, cioè riguarda i differenti ambiti di impiego nella
società. Dialetto = uso privato, familiare; geograficamente limitato; non istituzionalizzato; varietà
non riconosciuta come lingua di comunicazione a tutti i livelli da una comunità di parlanti (no
grammatica codificata, no standard). Circostanze storiche, culturali, politiche hanno fatto sì che
determinati dialetti venissero “promossi” a lingue e che viceversa delle lingue fossero “degradate”
a dialetti o patois.
La scelta del parlante tra lingua e dialetto (se usare l’uno o l’altro) pertiene all’ambito della
diglossia. DIGLOSSIA → prevede che ci sia un parlante che conosce due varietà (ad es. lingua e
dialetto) che però non sono intercambiabili in tutti i contesti (altrimenti = bilinguismo), ma va
scelta una o l’altra a seconda del contesto (diafasia):
 In contesti ufficiali, formali, si impiega la lingua (registro più alto).
 In contesti privati, informali, si impiega il dialetto (registro più basso).
Esiste un rapporto gerarchico tra lingua e dialetto → e quindi una differenziazione funzionale tra le
due varietà = una è riconosciuta come “superiore” e l’altra come “inferiore”. Diglossia = una lingua
va usata in un determinato contesto e l’altra lingua in un altro ≠ bilinguismo = posso usarle
entrambe in qualsiasi momento.
Gli strumenti per interpretare e classificare le variazioni linguistiche si chiamano assi di variazione
della lingua. Ogni lingua è soggetta a diversi tipi di variazione, che possono anche interagire tra
loro; si parla assi di variazione della lingua (primo teorizzatore = Saussure 1916 / Coseriu 1973):
1. DIACRONICA → variazione nel tempo = esempio, dialetto milanese del 200/del 600/2023.
2. DIATOPICA → variazione nello spazio = da Ferrara a Cento il dialetto è diverso.
3. DIASTRATICA → variazione determinata dal contesto sociale = (classi sociali) un giovane si
esprime in maniera diversa rispetto a un anziano. Una persona che ha compiuto tutti gli
studi parlerà in maniera diversa rispetto a una persona che non ha mai finito gli studi. Ciò si
vede anche da persone che abitano in campagna e da persone che abitano in città.
4. DIAFASICA → variazione determinata dalle situazioni comunicative = se parlo con mio
fratello utilizzo un registro differente rispetto a quello utilizzato durante un esame
universitario.

32
Filologia Romanza

5. DIAMESICA → variazione determinata dal mezzo dell’espressione linguistica (scritto o


parlato) = nessuno di noi scrive come parla o parla come scrive. Quando si scrive si tende
ad essere “più attenti” – ciò vale per qualsiasi persona, istruita o no.
Lo studio sincronico di una lingua = è lo studio strutturale di essa presa in un determinato
momento della sua esistenza → la lingua si sviluppa nel tempo e io prendo un punto esatto sulla
linea del tempo e indago lo stato di lingua che si manifestava, ad esempio, nell’italiano del 1492 [lo
studio sincronico studia la lingua in un determinato momento della sua storia]. L’indagine
diacronica studia la variazione di una qualsiasi lingua nel tempo.
Il concetto di ROMÀNIA
In senso lato e sincronico, la Romània oggi è quella vasta parte del mondo in cui si parlano lingue
romanze (cioè “derivate dal latino”) come lingue madri = buona parte dell’Europa, tutta l’America
Latina (centro-meridionale), il Québec in Canada, parte degli USA (soprattutto per via della nutrita
minoranza ispanofona), le ex colonie francesi, belga, spagnole, portoghesi in Asia, Africa e Oceania
(dove però raramente le lingue romanze sono lingue madri della popolazione locale). Le lingue
romanze contano oggi circa 750 milioni di parlanti nativi nel mondo = dal momento in cui nasce
una persona, gli viene insegnata una lingua romanza.
In senso più ristretto e diacronico (storico), possiamo distinguere tra Romània continua, perduta
e nuova. La Romània continua è quella vasta porzione dell’Europa appartenuta all’Impero
Romano nella quale “non si è mai smesso di parlare latino” dalla fine dell’Impero a oggi → non c’è
stata soluzione di continuità linguistica da allora a oggi (semmai si parla di “trasformazione” del
latino in lingue romanze). Nella Romània continua si parlano oggi dialetti che sono la diretta
continuazione del latino che in quegli stessi territori si parlava sotto l’Impero. Da alcuni di quei
dialetti hanno avuto origine le lingue nazionali. Nella Romània continua, le seguenti varietà godono
dello statuto di lingue ufficiali = hanno una codificazione grammaticale e uno standard impiegato
ufficialmente nell’amministrazione, nella scuola, nelle istituzioni in genere, nei media… → sono
largamente impiegate a tutti i livelli come strumento di comunicazione dalla comunità dei parlanti
e degli scriventi:
 Portoghese – area iberoromanza (Portogallo)
 Spagnolo (castigliano) – area iberoromanza (Spagna)
 Catalano – area iberoromanza (Catalogna, Baleari, Andorra, Roussillon, Alghero)
 Galego – area iberoromanza (Galizia)
 Francese – area galloromanza (Francia, Belgio, Lussemburgo, Svizzera romanda, Principato
di Monaco, Valle d’Aosta)
 Italiano – area italoromanza (Italia, San Marino, Canton Ticino)
 Romancio – area italoromanza (Canton Grigioni, Alto-Adige)
 Romeno – area balcanoromanza (ultimo residuo della latinità balcanica, Romania,
Moldova, + dialetti romeni in Istria [istroromeno], Albania, Macedonia e Grecia [aromeno,
meglenoromeno])
Ci sono anche varietà linguistiche romanze riconosciute e tutelate dagli stati di appartenenza, per
motivate ragioni di carattere storico-culturale e quindi identitario (= forma di riconoscimento
dagli stati; dipende da ragioni di carattere storico e culturale: se sono state prestigiose nel passato

33
Filologia Romanza

e tuttora siano rappresentative dell’identità di una comunità). Queste varietà non sempre hanno
una codificazione grammaticale non sempre si sono dotate di uno standard (una forma valida per
tutti, una KOINÉ) ma rappresentano un forte strumento di identificazione per i loro parlanti:
Occitanico (provenzale) – area galloromanza (Francia meridionale (1/3 del territorio nazionale),
valli piemontesi centro-meridionali)
Franco-provenzale – area galloromanza (da Besançon a Lione, Savoia, Svizzera romanda, Valle
d’Aosta, valli piemontesi settentrionali)
Corso – area italoromanza, anche se amministrativamente la Corsica è francese; divisi tra
cismontani/trasmontani = entrambi di tipo toscano-arcaico), fenomeno del “separatismo corso”.
Sardo – area italoromanza
(Sardegna)
Ladino centrale –
area italoromanza
(Dolomiti dell’Alto
Adige, con propaggini
fino al Friuli)
Friulano – area
italoromanza (Friuli-
Venezia Giulia)

↑ Carta della Romània continua ↑ = in azzurro notiamo le varietà linguistiche “ufficiali”


(nazionali) = galego (Comunità Autonomia della Galizia), catalano (Catalogna + isole Baleari + aldilà
dei Pirenei dell’area francese del Rossiglione). Tra l’area iberoromanza e galloromanza c’è ancora
un residuo – nella parte Nord della penisola Iberica/sud-occidentale della Francia – di lingua Basca
(né romanza né indoeuropea). Altra lingua non romanza si trova in area francese (nord-
occidentale) e si parla tuttora = il Bretone (lingua celtica). L’occitanico o provenzale si estende oggi
per circa un 1/3 del territorio francese – il fascio di isoglosse che separava le varietà di tipo
occitanico dalle varietà francesi nel Medioevo era molto più a Nord di quanto non sia oggi. Franco-
provenzale = insieme di dialetti parlati tra Lione, Savoia, Valle d’Aosta e nelle valli nord-occidentali
del Piemonte. La repubblica francese non ha riconosciuto lo statuto di lingua regionale il franco-
provenzale = l’ha riconosciuto all’occitanico e al corso ≠ la Repubblica Italiana ha riconosciuto lo
statuto di minoranza linguistica al franco-provenzale. Il sardo si divide in tre famiglie →

34
Filologia Romanza

campidanese, logudorese, nuorese / la parte settentrionale fino ad Olbia ha un dialetto più di tipo
corso. La Repubblica Italiana riconosce al friulano, al ladino centrale e al sardo lo statuto di
minoranze linguistiche. Lungo le coste della ex Jugoslavia (Croazia) esisteva il “dalmatico” = diretta
continuazione del latino, oggi non esiste più poiché il suo ultimo parlante è morto nel 1898 e con
lui si è estinto il dalmatico (= anello di congiunzione tra le lingue romanze italoromanze e
balcanoromanze). In Salento e in
Calabria esistono isole linguistiche di
tipo greco = lungo dibattito, le fecero
risalire alle colonie della Magna Grecia
– l’ipotesi più quotata, ad oggi, è che
dipendano da una grecità più tarda =
bizantina. Sicilia Occidentale = “piana
degli albanesi”, tuttora resiste. Puglia =
serbo-croato. Veneto nord/occidentale
= “sette comuni Cimbri” = tedeschi =
bavaresi. ISOLA LINGUISTICA = una
località o un gruppo in cui si parla una
determinata varietà dialettale
(minoritaria) circondate da territori vasti in cui si parlano altri dialetti (Calabria meridionale si parla
il calabrese e al suo interno isole linguistiche greche).
La Romània perduta è costituita dall’insieme di quelle aree dell’Europa e dell’Africa già
appartenute all’Impero Romano, nelle quali si parlava latino, in qualche caso si era anche
sviluppato un embrione di lingua neolatina. Ma le vicende storiche e politiche hanno fatto sì che
la latinità linguistica venisse spazzata via. In genere la scomparsa del latino è stata determinata
dalle invasioni di popolazioni di lingua non romanza tra la fine dell’Antichità e l’Alto Medioevo
(barbariche):
L’Inghilterra fino al vallo di Adriano – l’antica provincia romana Britannia.
I territori oggi tedeschi lungo il corso del Reno – Germania inferior e superior.
Parte della Svizzera oggi tedesca – Rezia, Norico e Pannonia.
L’Austria – Rezia, Norico e Pannonia.
L’Ungheria – Rezia, Norico e Pannonia.
I Balcani, dalle coste ex-Jugoslave fino alla Romania – Dalmatia, Moesia. L’Africa settentrionale
costiera (Libia, Tunisia, Algeria, Marocco) – Africa proconsularis, Numidia, Mauretania, l’arrivo
degli arabi = scomparsa della latinità.

35
Filologia Romanza

La Romània nuova corrisponde a quei territori nei


quali le lingue romanze sono state importate in
seguito al fenomeno della colonizzazione dei
territori extraeuropei, a partire dal XV secolo in
avanti.

LEZIONE 9
Note sulla storia del concetto di Romània = il concetto di Romània prende forma già in antico, alla
fine dell’Età romana. In un testo dello storico Paolo Orosio (collaboratore di Sant’Agostino, V sec.
d.C.) si trova per la prima volta la parola Romània, nome dato al “territorio dell’impero romano”
(politico-amministrativo sotto il dominio di Roma) contrapposto a Gothia, “territorio sotto il
dominio dei Goti” (= popolazione barbarica, di ceppo germanico).

← Carta linguistica dell’Impero


Romano nel momento della sua
massima espansione (Traiano, 117
d.C.).

Caduto l’impero romano


d’Occidente (476 d. C.), il termine Romània (come romanus, romanicus) perde il significato
politico ma mantiene quello culturale-linguistico → all’inizio del Medioevo, con Romània si
intende quella fetta di territorio dove si parla romanice, cioè “come i romani, alla maniera dei
romani” (e diversamente dai “barbari”).
Parlare ROMANICE non significa più “parlare latino” → all’inizio del medioevo (dal V-VI sec. in poi)
il latino è conosciuto soltanto da chi ha studiato (poco o tanto), ed è ormai soprattutto una lingua
scritta. “Parlare alla maniera dei romani” significa dunque “parlare nelle lingue neolatine”
diverse sia dalle lingue dei barbari sia dal latino che si studiava a scuola. All’inizio del Medioevo,
ormai anche per i dotti la lingua materna appresa da bambini non è più latino, ma appunto il suo
derivato: la lingua (o meglio la varietà dialettale) romanza.

36
Filologia Romanza

Il latino e Roma – storia di una “conquista” linguistica


Il latino, lingua indoeuropea del “gruppo kentum” (= “centro” erano
parlate nell’area occidentale del gruppo indoeuropeo, comprendente
anche le altre lingue italiche, il venetico, il celtico, il germanico, il greco –
usavano una consonante velare a inizio parola) era parlato in origine,
intorno all’VIII sec. a. C., soltanto dai latini, piccolo popolo insediato sulla
riva sinistra del Tevere. I latini vivevano essenzialmente di agricoltura e
pastorizia. Intorno avevano altre popolazioni che parlavano altre lingue,
alcune simili al latino (osco-umbro, falisco), altre
molto diverse (etrusco).

Lingue d’Italia prima dell’espansione del latino (VI-V sec. a.C.) – mappa
etnico-linguistica.
INDOEUROPEE:
Celtico, Venetico, Retico, Piceno, Latino, Umbro, Osco, Greco, Messapico, Siculo, forse Sicano.
NON INDOEUROPEE:
Etrusco, Sardo, forse Ligure e Sicano.

La conquista romana – periodizzazione e mappe

Fine VI-inizio IV secolo a.C. In cent’anni, dalla


fine della monarchia (509 a.C.?) alla
distruzione della città etrusca di Veio (396
a.C.), Roma consolida il suo dominio sul
Latium vetus (“Lazio antico”) – prima
espansione romana.

IV sec. a.C. – metà III sec. a.C. (scoppio prima


guerra punica: 264 a.C.). Roma estende la sua
influenza su tutta l’Italia centrale e su buona
parte di quella meridionale, sconfiggendo a
sud i Sanniti (popolazione appartenente al
gruppo etnico osco-umbro), e domando a nord gli Etruschi e le ondate dei Galli (= nemici di Roma).

37
Filologia Romanza

264 a.C. – 241 a.C. (prima guerra punica). Conquista della


Sardegna, della Corsica e di quasi tutta la Sicilia
(conservarono una temporanea indipendenza alcune città
greche = Siracusa, Messina,
Agrigento). La Sardegna
(unita alla Corsica) e la Sicilia
divengono le prime province romane, governate da un pretore di
Roma con incarichi militari e civili (governatore e prefetto
insieme).

222-221 a.C. Sottomissione dell’Italia settentrionale (222 a.C.: Roma sconfigge i Galli nella battaglia
di Clastidium [Casteggio]). Negli
stessi anni Roma estende la propria influenza all'Illirico (costa
ex-jugoslava fino all’Albania).

201 a.C. = fine della seconda guerra punica (Scipione sbaraglia Annibale).
Roma si impadronisce della Spagna (Penisola Iberica), sottraendola
all’influenza cartaginese.

Dominio di Roma alla fine del II sec. a.C. (sconfitta definitiva di Cartagine, conquista della
Macedonia e della Grecia, dell’Asia Minore e della Gallia Narbonense = porzione meridionale
coincidente con i futuri territori in cui si svilupperà l’occitanico).
Territori di Roma alla morte di Giulio Cesare (44
a.C.) – La conquista più importante è senz’altro
quella della Gallia (raccontata da Cesare nei
Commentarii de bello Gallico).

Il dominio di Roma sotto l’impero di Augusto (27 a.C. –


14 d.C.).

38
Filologia Romanza

Cent’anni dopo (117 d.C.), sotto l’imperatore Traiano, l’impero di Roma raggiunge la sua massima
espansione = Traiano aggiunge la Dacia (nucleo dell’attuale Romania), alcuni territori in Medio
Oriente (Assiria e Mesopotamia [attuale Iraq], Armenia) e una fetta di penisola arabica.

La diffusione della lingua e della cultura romana


Prima dell’espansione militare = Roma entra in relazione con i territori circostanti tramite i traffici
commerciali → i mercanti romani diffondono, insieme alle merci, la lingua e i costumi latini.
Dopo l’espansione militare → colonizzazione, con conquista e romanizzazione di città preesistenti
(Mediolanum) e fondazione di nuove città per il controllo del territorio (tra queste, Rimini,
Cremona, Piacenza; Narbona, Lione in Francia; Saragozza, Cordova in Spagna…) o per la soluzione
di problemi demografici → centuriazione del territorio, bonificato e razionalmente diviso (a
reticolo) per essere assegnato ai cittadini romani; costruzione di strade che facilitano le
comunicazioni.
Concessione della cittadinanza (latina o pienamente romana) ai vinti = nel 49 a.C. la cittadinanza
romana è concessa a tutti gli abitanti dell’Italia; nel 212 d.C., con l’editto di Caracalla, a tutti i
cittadini dell’Impero. Nei territori conquistati, i cittadini romani (amministratori, funzionari, ma
anche mercanti, soldati, coloni) affiancano gli indigeni → romanizzazione dei locali = le classi
dirigenti autoctone acquisiscono lingua e costumi latini, non per costrizione ma per prestigio, per
il desiderio di assimilarsi ai dominatori. Alcuni reperti archeologici evidenziano lo svolgersi del
processo di romanizzazione all’interno di alcune famiglie delle classi dirigenti dei territori
conquistati da Roma. Il caso del prefetto Caius Iulius Rufus, l’iscrizione dell’arco trionfale di Saintes
(vicino a Bordeaux), detto “arco di Germanico” (circa 20 d.C.):
A Germanico Cesare […] Gaio Giulio Rufo [prefetto],
figlio di Gaio Giulio Catuaneunius,
nipote di Gaio Giulio Agedomopatis, → il nonno di Caius diviene cittadino romano
pronipote di Epotsoviridis, della tribù Voltinia, → il bisnonno è gallo
sacerdote di Roma e di Augusto, […]
ha fatto [quest’arco] a sue spese.
↑ Questa genealogia del prefetto fino al nonno, ci dice molte cose = Caius Iulius Rufus ha un
praenomen, nomen e un cognomen completamente romano – sia il padre (Gaio Giulio
Catuaneunius) sia il nonno (Gaio Giulio Agedomopatis) conservano un cognomen di tipo non
romano ma gallico, mentre praenomen e nomen sono romani = molto probabilmente, il nonno
divenne cittadino romano assumendo così il praenomen e nomen romani ma mantenendo il
cognomen gallico. Il bisnonno (Epotsoviridis) era completamente gallico. Vediamo la
romanizzazione di una famiglia nel corso di cent’anni [sono quattro generazioni].
 La romanizzazione dei popoli conquistati non è improvvisa, ma graduale.
 Condizioni di bilinguismo (lingua locale / latino) devono essere durate a lungo.
 La romanizzazione è più lenta nelle campagne che nelle città e nei luoghi densamente
insediati → specialmente nei villaggi più lontani dalle vie di comunicazione, dai traffici
commerciali, dai grandi centri urbani.

39
Filologia Romanza

 Qui, le lingue preromane devono avere resistito più a lungo alla penetrazione del latino (e
qualcosa sopravvive ancora oggi: il basco, l’albanese, il bretone; il punico era ancora vivo
nel V sec. d.C., il gallico nel VI sec. d.C.).
Il colpo di grazia alle lingue preromane è stato dato dalla diffusione del cristianesimo, che a partire
dal IV sec. d.C. viene predicato in lingua latina fino ai confini dell’Impero → grazie alla predicazione
dei missionari il latino attecchisce definitivamente anche laddove, fino a quel momento, non aveva
avuto la meglio sulle lingue locali (contesti lontani dalla civiltà, luoghi difficilmente raggiungibili…).
Il latino era lingua ufficiale dell’Impero romano: la lingua dell’amministrazione, della scuola, della
letteratura. Era naturalmente anche la lingua parlata dai sudditi della parte occidentale
dell’Impero mentre nella parte orientale dell’Impero la lingua di cultura e di intercomunicazione
continuava a essere il greco → dalla Grecia all’Anatolia, dal Vicino Oriente all’Egitto il latino non
era diffuso nel parlato, ma era solo la lingua dell’amministrazione.
Che latino si parlava, dove si parlava latino?
Anche il latino, come tutte le lingue del mondo in ogni tempo, muta:
1. Nel tempo (asse diacronico) = il latino parlato ai tempi delle guerre puniche non è quello
parlato nel 476 d.C., anno della caduta dell’Impero.
2. Nello spazio (asse diatopico) = il latino parlato a Milano ha caratteristiche diverse da quello
parlato a Napoli o a Marsiglia o a Valencia o nei Balcani.
3. A seconda del contesto sociale (asse diastratico) = un cittadino di Roma parla con
urbanitas, uno che viene da fuori Roma con rusticitas; un cittadino scolarizzato si esprime
diversamente da un operaio o da uno schiavo.
4. A seconda della situazione comunicativa (asse diafasico) = il registro linguistico utilizzato da
Cicerone nelle grandi orazioni è diverso da quello delle lettere all’amico Attico o ai familiari.

LEZIONE 10
Ancora sulla Romània = dopo avere approfondito Romània continua / perduta / nuova, siamo
andati alle origini storiche del concetto di Romània → Tarda Antichità (V sec. d.C., Paolo Orosio) =
Romània indica i territori politicamente, linguisticamente e culturalmente soggetti all’Impero di
Roma (vs Gothia). Caduto l’Impero d’Occidente, Romània perde il significato politico (gli aggettivi
romanus, romanicus); perdura la Romània culturale e linguistica, ed è a questa che ci riferiamo
oggi usando il termine Romània.
Nella parte orientale dell’Impero Romània mantenne invece il significato politico → terre di
Costantinopoli, la “Roma d’Oriente” i cui sudditi sono appunto “Ρωμαῖοι Romani” (ma la lingua di
cultura e di comunicazione internazionale è qui il greco). Cfr. anche il coronimo Romagna <

40
Filologia Romanza

Romania “terra dei romani” vs Langobardia “terra dei Longobardi” (VI-VII sec. d.C.) [anche il nome
dello stato Romanìa ha a che fare con Roma, ma è di introduzione recente (XIX sec.)].
Breve storia dell’espansione politica, culturale e linguistica di Roma, dall’Età Repubblicana (VI-I
sec. a.C.) alla piena Età Imperiale (fino al 117 d.C., Traiano). Come è avvenuta la romanizzazione
delle popolazioni sottomesse. Nei territori conquistati da Roma, cittadini romani affiancano le
popolazioni locali → le classi dirigenti autoctone acquisiscono lingua e costumi latini, non per
costrizione ma per prestigio → desiderio di assimilarsi ai nuovi dominatori.
La romanizzazione linguistica e culturale dei popoli conquistati non è improvvisa, ma graduale
(anche nella società). In un primo momento si verificano condizioni di bilinguismo o diglossia tra
lingua locale e latino – cfr. la stele bilingue latino-gallica rinvenuta lungo il Sesia (Vercelli), inizio
del I secolo a.C. La stele segnava il confine di un’area sacra – il confine era indicato sia in latino sia
in gallico [gallico = parte bassa della foto, quella fuori dal quadrato rosso]. Lo scalpellino aveva più
dimestichezza con il latino e con il suo alfabeto piuttosto che con l’altra lingua. L’esistenza di una
stele bilingue nella Pianura Padana significa che era necessario che si realizzassero scritture
pubbliche nelle due varietà.
[trascrizione diplomatica del testo in lingua latina]:
FINIS
CAMPO · QUEM Traduzione letteraria: “Confine al campo
DEDIT · ACISIVS che Acisio Argantocomatereco diede
ARGANTOCOMATEREC comune agli dei e agli uomini, così come le
US · COMUNEM quattro pietre sono state poste”.
DEIS · ET · HOMINIB
VS · ITA · VTI · LAPIDES
IIII · STATVTI SVNT
La romanizzazione linguistica e culturale si irradia dai centri urbani verso le campagne = processo
più lento nei villaggi lontani dalle vie di comunicazione, dai traffici
commerciali, dai grandi centri urbani (la romanizzazione si irradia
socialmente in senso verticale e geograficamente in senso orizzontale)
→ qui, le lingue prelatine devono avere resistito più a lungo alla
penetrazione del latino e in qualche caso sopravvivono tuttora = ad
esempio, il basco, l’albanese, il bretone, il punico (lingua cartaginese) era
ancora vivo nel V sec. d.C., il gallico nel VI sec. d.C. [cfr. Wellentheorie,
“teoria delle onde”, principio delle “aree laterali”]. Il bretone di
Bretagna non è in realtà un residuo delle lingue celtiche che si
parlavano in Gallia prima dei Romani → il bretone (si parla nel nord-
ovest della Francia) di oggi è una varietà che è stata reimportata dalle isole britanniche [è di
importazione, non autoctono].
Questa distinzione tra centro e periferia, tra luogo civilizzato/urbanizzato e luogo lontano
difficilmente raggiungibile dalle popolazioni “ostili” – è espresso da Cesare nel primo capitolo del
“De bello Gallico” = Gallia est omnis divisa in partes tres → le tre parti sono:
1. La Gallia propriamente detta [attuale Francia]

41
Filologia Romanza

2. Aquitania
3. Gallia-Belgica [corrispondente a una parte delle Fiandre odierne]
Quando Cesare parla dei belgi = sono i più “rozzi di tutti, è impossibile avere a che fare con loro e
hanno dei costumi che non condividiamo e non riusciamo a capire” → perché sono i più lontani da
tutti dalla provincia [= per Cesare la “provincia” è la Gallia Narbonense].
Con la diffusione del cristianesimo a partire dal IV sec. d.C. (il cristianesimo fa da propulsore
anche per la diffusione del latino) i missionari cristiani predicano il Vangelo in lingua latina fino ai
confini dell’Impero impiegando il sermo humilis, connotato diastraticamente in senso medio-
basso → il latino attecchisce definitivamente anche laddove le lingue locali erano ancora vive
(contesti lontani dalla civiltà, luoghi difficilmente raggiungibili…). Il latino non è arrivato
dappertutto – in alcune aree hanno resistito le lingue locali. I cristiani [per mandato di Gesù]
hanno il compito di arrivare fino ai confini della terra e di parlare con tutti (anche con i pagani) –
per poterlo fare devono utilizzare un registro linguistico che non sia il latino di Cicerone ma che sia
vicino alla lingua che la gente parlava e che poteva parlare = sermo humilis o sermo piscatorius →
“parlata bassa” o “parlata da pescatori” [il grado zero del latino per farsi capire dalla gente
“comune”].
Il latino e le lingue autoctone – il concetto di SOSTRATO
Si definisce lingua di sostrato la varietà linguistica di un determinato territorio che, soppiantata
da un’altra più prestigiosa, si estingue, ma condiziona “da sotto” (sub-strato = “strato
[linguistico] sottostante”) la varietà dominante in alcuni aspetti → determinati fenomeni linguistici
osservabili in una varietà neolatina possono dipendere dalla lingua prelatina alla quale il latino si è
sovrapposto fino a soppiantarla (fenomeni fonetici, sintattici, lessicali) – “reazioni etniche o di
sostrato” = la lingua soppressa che si fa sentire su quella predominante. In Italia i dialettofoni
erano la maggioranza e l’italiano non era ancora molto diffuso – quando quest’ultimo ha dato un
“duro colpo” ai dialetti, questi ultimi sono stati sostituiti o affiancati dall’italiano. L’italiano parlato
a Torino non è lo stesso parlato in Puglia/Lazio… L’italiano come “lingua viva” si diversifica. È nato
quello che i linguisti chiamano “italiano regionale” = cadenza, scelte linguistiche caratteristiche di
una zona.
→ L’Europa alla fine del IV secolo a.C. agli albori dell’espansione di Roma. I Romani stanno
diventando una potenza in Italia ma non ancora a livello europeo. Le componenti etnico-
linguistiche sono molte = i celti non sono monolitici (tante tribù). I liguri sono una popolazione
forse di origine indoeuropea. I germani nel nord-Europa. I veneti erano una popolazione
indoeuropea di ceppo prossimo al latino e alle popolazioni italiche.
La teoria degli influssi del sostrato prelatino sul latino
fu perfezionata da Graziadio Isaia Ascoli. Secondo
Ascoli, un determinato fenomeno linguistico (ad
esempio, un certo esito fonetico) presente in
determinate varietà romanze (ad esempio, il francese, i
dialetti galloitalici) può essere interpretato come

42
Filologia Romanza

reazione etnica della lingua di sostrato (ad esempio, il celtico). Devono però manifestarsi
contemporaneamente tre prove/circostanze:
1. PROVA COROGRAFICA → L’area geografica oggi occupata dal francese e dai dialetti
galloitalici prima dell’arrivo dei Romani era occupata dai Celti.
2. PROVA INTRINSECA → Esistono lingue celtiche antiche e moderne (ad esempio, il bretone,
il gaelico, il cimrico) che testimoniano lo stesso esito fonetico del francese e dei dialetti
galloitalici – se in lingue celtiche vive o morte, c’è quello stesso fenomeno del mio dialetto
allora dipende da esso.
3. PROVA ESTRINSECA → Altre lingue a sostrato celtico presentano lo stesso esito fonetico
del francese e dei dialetti galloitalici – esempio, l’olandese (lingua germanica, prima di loro
c’erano i celti però).
Esempio 1 (G.I. Ascoli) = il passaggio del latino Ū > ü in francese e nei dialetti galloitalici (e nel
provenzale) è stato spiegato con l’influsso del sostrato celtico → esempio, latino MŪRUM “muro”
> francese, dialetti galloitalici mür – la Ū del latino si realizza come ü:
1. Prova corografica – I Galli insediavano l’area galloromanza e l’Italia nord-occidentale prima
dei Romani = i galli sono una tribù celtica.
2. Prova intrinseca – Molte lingue celtiche medievali e moderne trasformano Ū > i (ad
esempio, i prestiti latini nel celtico, CUPA “coppa” > *cüb > cimrico cib, DURUS “duro” >
*dür > bretone dir “acciaio”…). Per passare Ū > i serve un passaggio fonetico intermedio
che è la ü.
3. Prova estrinseca – In neerlandese (olandese), lingua di ceppo germanico ma con sostrato
celtico, Ū > ü [stesso esito che troviamo nel francese e nel provenzale].
Esempio 2 (G.I. Ascoli) = il passaggio del latino CT > it in francese, provenzale, spagnolo,
portoghese, dialetti gallo-italici è stato spiegato con l’influsso del sostrato celtico → esempio,
latino NOCTEM “notte” > francese nuit, provenzale nuech, spagnolo noche, portoghese noite,
dialetti galloitalici noit, noch…
1. Prova corografica – Popolazioni celtiche insediavano l’Italia padana, l’area galloromanza e
anche parte della penisola iberica (cfr. i Celtiberi).
2. Prova intrinseca – Nelle lingue celtiche medievali e moderne CT > χt > it, et (cfr. ancora i
prestiti dal latino in celtico: ad esempio, LACTEM “latte” > irlandese laχt, cimr. llaeth, antica
corn. lait...).
3. Prova estrinseca – manca.
Esempio 3 (C. Merlo) = il passaggio del latino ND > nn nei dialetti dell’Italia centro-meridionale è
stato spiegato con l’influsso del sostrato osco-umbro → esempio, latino MUNDUM “mondo” >
dialetti centro-meridionale monno, munno…:
1. Prova corografica – Popolazioni di ceppo osco-umbro insediavano l’Italia centro-
meridionale (tranne Calabria, Puglia e Sicilia) prima dei Romani.
2. Prova intrinseca – In antico osco al latino OPERANDAM “che deve essere fatta” corrisponde
la parola úpsannam.
3. Prova estrinseca – manca.

43
Filologia Romanza

Esempio 4 (R. Menendez Pidal) = il passaggio del latino F- > h- nello spagnolo (castigliano) è stato
spiegato con l’influsso delle lingue di sostrato dell’area iberica → esempio, latino FILIUM “figlio” >
spagnolo hijo, latino FERRUM > spagnolo hierro:
1. Prova corografica – Popolazioni non indoeuropee, provenienti forse dal Caucaso
(progenitrici dei baschi) e dall’Africa (Iberi), insediavano la penisola prima dell’arrivo dei
Romani
2. Prova intrinseca – Il basco manca della f-: cfr. i prestiti in basco dal latino come latino
FICUM “fico” > basco iko, piko, biko, latino FURCILLAM > basco urkila…
3. Prova estrinseca – Il guascone, dialetto romanzo di tipo occitanico (provenzale) la cui lingua
di sostrato era simile all’attuale basco, presenta ad esempio, he (< latino FIDEM “fede”),
houelho (< latino FOLIA “foglia”).
La spiegazione sostratista di alcuni tratti linguistici (spec. fonetici) dei dialetti romanzi ha avuto
molta fortuna lungo tutto il Novecento. Oggi viene messa in discussione per varie ragioni:
 Non conosciamo bene le caratteristiche delle lingue prelatine (il celtico sì, ma, ad esempio,
dell’iberico no).
 Le iscrizioni romane diastraticamente basse (epigrafi, graffiti…) non riportano in modo
sistematico fenomeni fonetici che vengono tradizionalmente attribuiti a questo o a quel
sostrato.
 Alcuni fenomeni possono essere poligenetici e quindi manifestarsi in molte aree della
Romània indipendentemente dal sostrato.
 Alcuni fenomeni sono attestati nei dialetti solo molto tardi, e in territori che coincidono
solo in parte con quelli dove erano parlate le lingue di sostrato alle quali li si riconduce
oppure non compaiono in dialetti che invece dovrebbero conservarli.
Oggi si ritiene che i soli elementi sicuramente riconducibili ai sostrati prelatini siano di carattere
lessicale = onomastico e toponomastico ad esempio, i toponimi del Veneto Padova, Asolo, Abano
derivano dal venetico (in particolare, è caratteristica paleoveneta l’accentuazione proparossitona).
I toponimi Volterra, Cortona, Modena, Ravenna, i sostantivi già latini CISTERNA, LANTERNA sono
etruschi (caratteristica l’uscita in -na). I sostantivi già latini CARRUS “carro”, BRACAE “calzoni”
sono di origine celtica, così come il toponimo Mediolanum (mid-lan “in mezzo al piano”).
L’aggettivo spagnolo izquierdo, portoghese esquerdo, antico provenzale esquer “sinistro” deriva
dal sostrato prelatino (aquitanico?) dell’area iberica e pirenaica → infatti il basco ha esquerre.
Scarafaggio e bufalo → forme tipicamente osco-umbre che entrano nel latino e da esso nelle
lingue romanze.
LEZIONE 11
Il latino e le lingue “barbare” – il concetto di SUPERSTRATO
Si definisce lingua di superstrato una varietà linguistica che viene importata in un determinato
territorio da popolazioni che lo invadono militarmente, lo conquistano e lo insediano [LINGUA DEI
DOMINATORI – può imporsi oppure no]. Tenendo come punto di riferimento il latino, sono lingue
di superstrato le lingue arrivate con le cosiddette “invasioni barbariche” (in realtà non sempre
violente) da parte di popolazioni di ceppo germanico (V-VI sec. d.C.) ad esempio, l’ostrogoto (Goti
dell’Est) e poi il longobardo in Italia, il fràncone e il burgundo in Gallia, il visigoto (Goti dell’Ovest) e
44
Filologia Romanza

lo svevo nella Penisola Iberica, il vandalo nella Penisola Iberica e nel Nord Africa… (varietà
germaniche che sono entrate nell’impero) → romanizzazione delle popolazioni germaniche: dopo
una prima fase di bilinguismo/diglossia, acquisiscono lingua, cultura, costumi romani (anche a
livello religioso; i longobardi inizialmente erano cristiani-ariani, dopo un periodo di adattamento
abbracciano la religione cristiana-cattolica). I romani, inizialmente, cercarono di integrarsi con
queste popolazioni – le invasioni barbariche non furono sempre un evento violento e traumatico.
Nello sviluppo delle varietà romanze della Galia – i Franchi, i Burgundi e i Visigoti, si sono divisi
l’antica Gallia Romana in questo modo = i Franchi (centro nord), i Burgundi (ridosso arco alpino), i
Visigoti (sud) → alcuni lo hanno interpretato come una delle ragioni della forte differenziazione
linguistica della area galloromanza in tre aree → d’oil (francese), provenzale d’oc, franco
provenzale. Le divisioni territoriali che hanno caratterizzato l’ultima fase convulsa dell’impero
romano e la prima dei regni romano-barbarici possa aver influenzato lo sviluppo linguistico delle
diverse aree romanze.
Il lascito delle lingue di superstrato nelle lingue romanze è soprattutto lessicale (vari aspetti della
vita materiale, armi, organizzazione territoriale = i longobardi e i franchi porteranno nuove forme
di organizzazione territoriale = feudo/feudalesimo), onomastico e toponomastico. Ad esempio,
gotico WARDJAN > italiano guardare, francese garder, provenzale guardar, ecc. franc. *WERRA >
fr. guerre, it. sp. port. guerra long. TREUUA > tregua long. gastald > it. gastaldo franc. WANTO > it.
guanto, fr. gant, sp. guante, ecc. got. *BLAUTHS > lomb. piem. biot “nudo”… topon. it. Gudo, Goito
dall’etnonimo Goto topon. topon. it. Fara < long. fara “accampamento” coron. spagnolo Andalucia
dall’etnonimo Vandali… nomi propri Guido (< Wido), italiano Bernardo, francese Bernard (< franc.
Bernhart) e in generale i nomi composti con -hart…
Nel francese l’eredità del fràncone (lingua dei Franchi di Carlo Magno) è andata oltre i semplici
prestiti lessicali, toponimi e nomi di persona. Eredità fonologica del fràncone → presenza della
consonante laringale /h/ cfr. franc. *HARDJAN > hardi “ardito”, *HAUNITHA > honte “vergogna”,
*HATJAN > hair [/h/ non è muta e quindi impedisce la liaison consonante-vocale in sintassi].
Eredità morfologica del fràncone → suffissi denominali produttivi come -art / -ard (< germ. -hart),
-aud / -aut (< germ. -alt): a.fr. bastard, coart, ribaud / ribalt (> it.)… Una S finale non fa liaison con
le parole che iniziano con H.
Altrove, le lingue delle popolazioni che hanno occupato i territori dell’Impero romano d’Occidente
(germaniche, slave, ungare, arabe) hanno cancellato la latinità linguistica → Romània perduta. Lo
slavo è superstrato rispetto all’embrione di romeno in area balcanica , che ne è fortemente
condizionato. L’arabo può considerarsi superstrato rispetto alle nascenti varietà romanze nella
Penisola Iberica (invasa nel 711) → dialetti
mozarabici (< ar. musta‘rib “arabizzato”) nella
Spagna arabizzata: varietà romanze autoctone a
tutti gli effetti, ma corposamente influenzate
dall’arabo.
← Anno 1000 ca. La frammentazione linguistica
della Penisola Iberica sotto il califfato di Al-Ándalus.

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Filologia Romanza

Il latino e le lingue “confinanti” – il concetto di ADSTRATO


Si definiscono lingue in adstrato due varietà linguistiche parlate in territori contigui (oggi, nel Friuli
– il friulano e lo sloveno sono lingue in adstrato con rapporti reciproci ma indipendenti l’una
dall’altra), oppure in uno stesso territorio nel quale sussistano condizioni di bilinguismo o diglossia
(in Belgio – le varietà fiamminghe e le varietà vallone)→ nessuna delle due però è sopraffatta
dall’altra e infine scompare, ma esistono scambi linguistici, principalmente di carattere lessicale .
Ad esempio, il greco rispetto al latino è stato:
 Lingua di adstrato, ad es. al confine tra province occidentali e orientali dell’Impero romano;
e anche all’interno delle province orientali il latino e il greco furono in adstrato → latino
soltanto lingua amministrativa, greco lingua veicolare e di cultura.
 Di adstrato prima e sostrato poi nell’Italia meridionale (ex Magna Grecia) – quando i
romani cominciarono ad espandersi, entrarono in contatto con il greco.
 Di superstrato culturale ovunque, per lungo tempo.
Mappa dell’Impero Romano nel momento
della sua massima espansione (Traiano, 117
d.C.).
In azzurro: linea Jireček (dove si è parlato il
latino).
In tratteggio giallo: la parte dell’Impero in cui il
latino parlato non si impose, la lingua veicolare
e di cultura rimase il greco, sopravvissero le
lingue locali. Il latino non è mai stata una lingua
parlata ma solo dell’amministrazione – in questa area.
L’apporto lessicale che il greco ha fornito al latino è enorme. Non solo cultismi, ma anche molte
parole che entrano nel latino parlato → e di conseguenza nelle lingue romanze. Ad esempio = it.
braccio, fr. bras, sp. brazo ecc. < lat. BRACCHIUM < gr. Βραχιων it. pietra, fr. pierre, sp. piedra ecc.
< lat. PETRAM < gr. πετρα it. carta, fr. charte, rom. hartie, sp. port. carta < lat. CHARTA < gr. χαρτης
ecc.
Possibile anche un influsso di carattere sintattico → in latino classico (dei grandi autori –
Cicerone, Virgilio, Seneca), la proposizione oggettiva (ad es. “io dico che tu sei bello” = risponde
alla domanda Chi? Che? Cosa?) si rendeva così: VERBO REGGENTE + COMPLEMENTO OGGETTO
(accusativo) + INFINITO (proposizione infinitiva: tipico costrutto sintattico degli autori classici) dico
[“io dico”] te [“te”] pulchrum esse [lett. “bello essere”].
Il latino parlato (diastraticamente e diafasicamente più basso) aveva un altro modo di costruire la
proposizione oggettiva: VERBO REGGENTE + QUOD/QUIA (congiunzione “che”) + SUBORDINATA
OGGETTIVA dico [“io dico”] quod [“che”] tu pulchrum es [“tu sei bello”] (o più “basso”: tu es
bellum). Secondo alcuni studiosi, il costrutto proprio del latino parlato potrebbe dipendere dal
contatto con l’omologo costrutto greco λεγω οτι/ως “dico che…”.

46
Filologia Romanza

LEZIONE 12
Esempio dei contatti latino – lingue germaniche
SE tutte le lingue romanze (o la maggior parte) conservano un determinato germanismo lessicale
(= forma di origine germanica) e non può essere una forma gotica o fràncona (cioè entrata in
latino con le “invasioni” del V-VI sec.). E se ciascuna lingua lo presenta in una veste fonetica
diversa, ma coerente con le leggi (tendenze) fonetiche che hanno regolato l’evoluzione dal latino
parlato a quella lingua romanza → ALLORA si tratterà di un germanismo entrato nel latino
parlato ancora in età imperiale = germanismo di adstrato (esercito, commerci…) e diffusosi
dappertutto nell’Impero. Ad esempio = italiano uosa, antico francese huese, antico spagnolo
huesa, portoghese, provenzale e catalano hosa < germanico *HOSA “stivale”. Italiano, portoghese
e spagnolo fresco, francese freche, provenzale fresc < germanico FRISK. Le parola germaniche sono
entrate nel latino parlato e da lì si sono diffuse in quasi tutte le lingue romanze. Quando troviamo
dei germanismi diffusi nelle lingue romanze, dobbiamo sempre chiederci → è entrato con le
invasioni barbariche? Si è diffuso con Carlo Magno (di origine francone)? È entrato nel latino
prima che l’Impero cadesse?
Le lingue di sostrato, adstrato e superstrato rispetto al latino sono tra gli elementi che hanno
sicuramente contribuito all’originaria differenziazione linguistica delle lingue romanze sviluppatesi
dal latino parlato (anche se sull’eredità fonetica delle lingue di sostrato permangono dubbi). Se il
latino era una lingua unica, e le lingue romanze derivano del latino, perché le lingue romanze
sono tutte diverse l’una dall’altra? Concetto di diatopia = una lingua scritta o parlata muta nello
spazio. Le popolazione a cui i romani si sono sovrapposti e che sono arrivate a sovrapporsi ai
romani sono TUTTE diverse = differenziazione geografica delle lingue romanze. Possiamo solo
formulare delle ipotesi – sicuramente i fattori di sostrato, adstrato e superstrato sono tra quelli più
importanti.
Altri elementi che hanno favorito fin dall’origine la differenziazione romanza [diacronico e
diatopico]:
 I diversi periodi di romanizzazione: la conquista romana dell’Europa si è svolta lungo un
arco cronologico ampio (V sec. a.C. - II sec. d.C.) → diacronia della romanizzazione. Ad
esempio = conquista dell’Italia: V-III sec. a.C.; Gallie: II-I sec. a.C.; Dacia: II sec. d.C. (ultima
conquista romana); Penisola Iberica: fine III-fine I sec. a.C.… Roma conquista il suo
territorio in circa 700 anni = il latino esportato nei primi secoli non è lo stesso esportato, ad
esempio, in Dacia.
 Le varietà regionali del latino esportato con le conquiste → diatopia della
romanizzazione. Ad esempio, la Dacia e la Penisola Iberica, popolate perlopiù da coloni
italici (ma a distanza di 300 anni…). Il latino esportato con le conquiste sia sempre stata la
varietà di una determinata regione. Con le conquiste sono state esportate diverse varietà
regionali del latino.
La distribuzione non omogenea delle innovazioni linguistiche sul territorio dell’Impero = una lingua
muta in continuazione, c’è un continuo adeguamento alle varie necessità comunicative → “teoria
delle onde” (dal centro si irradia) e NORME AREALI della linguistica di MATTEO BARTOLI:
47
Filologia Romanza

1.AREE ISOLATE
2.AREE LATERALI
3.AREE MAGGIORI
4.AREE SERIORI (più tarde)
 ESEMPIO 1 = latino classico CE, CI/GE, GI (velari) > sardo [ke] [ki], [ge] [gi] = pronuncia
restituta; resto della Romània: sviluppo palatale [palatalizzazione: innovazione]. Latino
classico DOMUS “casa” > sardo domo, resto della Romània CASA, MANSIONEM [CASA,
MANSIONEM: innovazioni]. La parola tedesca Kaiser deriva direttamente dal latino =
prestito che le lingue germaniche hanno ricevuto dal latino e il fatto che si pronunci così ci
certifica che nel momento in cui la parola latina è entrata nel tedesco la palatalizzazione
ancora NON c’era e il dittongo AE si pronunciava ancora AE. Nella quinta satira di Orazio, si
prende in giro un personaggio chiamato CICIRRUS, dicendo che il suo nome sembra il verso
del galletto = ciò vuol dire che si leggeva CHICHIRRUS. Nel sardo l’innovazione della
palatalizzazione NON è mai arrivata poiché la Sardegna è un’area isolata [il sardo è
CONSERVATIVO].
 ESEMPIO 2 = latino CIRCUS “cerchio” > romeno Cerc, spagnolo Cerco; latino CIRCULUS
(diminutivo – spesso le parole romanze derivano dai diminutivi e non dalla forma base) >
italiano cerchio, francese provenzale Cercle [derivano da CIRCULUS: innovazione che ha
coinvolto per la legge della propagazione l’area italo-romanza e galloromanza ma NON le
aree estreme = Dacia e Penisola Iberica → infatti lì abbiamo continuatori di CIRCUS]. Latino
EQUA “cavalla” > portoghese égua, spagnolo catalano yegua, sardo ebba, rumeno iapa
(afr. ive, aprov. ega). Latino CABALLA > italiano cavalla. Latino IUMENTA > francese
jumente [CABALLA, IUMENTA: innovazioni = solo l’area centrale della Romània]. Le aree
laterali hanno conservato la forma più ANTICA = CIRCUS ed EQUA.
 ESEMPIO 3 = latino FRATREM, FRATELLUM > francese frère, provenzale fraire, italiano
frate, fratello, sardo frade, romeno frate. Latino GERMANUM “figlio della stessa madre” >
spagnolo hermano, portoghese irmao, catalano germà [GERMANUM: innovazione]. Se
tutta la Romània, salvo un’area o due, conserva una forma allora questa forma è quella
antica. La piccola area in cui si conserva una forma diversa, è un’area che ha innovato.
 ESEMPIO 4 = latino PLORARE “piangere” > spagnolo llorar, portoghese chorar, francese
plorer, provenzale e catalano plorar. Latino PLANGERE “battersi il petto” (“lamentarsi,
piangere”) > italiano piangere [PLANGERE: innovazione]. Per Bartoli, l’area italiana è stata
la prima a veder diffondersi il latino = PLANGERE. Invece, l’area che è stata romanizzata più
tardi/recentemente conserva la forma più antica [Gallia – Penisola Iberica
= PLORARE].
Frammentazioni territoriali tra il Tardo Antico (III-VI sec. d.C.) e l’Alto Medioevo
fino a Carlo Magno (fine VIII sec.). Ad esempio, a livello macroterritoriale, la
divisione del territorio dell’Impero in diocesi (Diocleziano, fine III-inizio IV sec.), o
la nascita dei regni romano barbarici; a livello microterritoriale, le circoscrizioni
ecclesiastiche (città vescovili e loro territorio).

48
Filologia Romanza

→ divisione costantiniana dell’Italia in due diocesi (IV secolo d.C.,


prima metà): Italia annonaria e Italia suburbicaria. Il confine tra le
due diocesi è più o meno coincidente con il fascio di isoglosse
Massa-Senigallia.
← divisione dell’Impero in diocesi (Diocleziano, fine III sec. d.C.)
Cfr. le osservazioni di G. Folena a proposito delle diocesi

Galliarum e Viennensis e le possibili ricadute linguistiche su tale partizione (sostanziale


coincidenza con domini d’oc e d’oïl). Diocesi = nel senso amministrativo.
La dominazione bizantina (= superstrato greco-bizantino) nell’Italia Meridionale estrema = Puglia,
Calabria, Sicilia → metà VI secolo – anni Settanta dell’XI sec. (inizio X sec. per la Sicilia). Il contatto
duraturo del neolatino locale con il superstrato greco bizantino può avere prodotto il tipico
vocalismo siciliano a 5 vocali toniche e 3 atone? [ipotesi del linguista Franco Fanciullo]:

Nel latino parlato in piena età


Imperiale, quest’opposizione
di lunghezza tra le vocali latine viene meno = i parlanti non riescono più a distinguere una vocale
lunga da una breve. Questa distinzione quantitativa viene sostituita da una distinzione di timbro =
E ed O possono essere sia chiuse che aperte [A I U sono sempre quelle]. Nella maggior parte delle
lingue romanze il vocalismo atono è pentavocalico. In Calabrese, Siciliano e Salentino è trivocalico
= solo tre vocali atone = A I U. Il sistema a 10 vocali del latino si semplifica:

LEZIONE 13
49
Filologia Romanza

Latino scritto, latino parlato (o volgare [< VULGUS “popolo”])


Il latino era dunque la lingua ufficiale di tutto l’Impero romano, dal centro alla periferia (quasi
tutta l’Europa odierna, Africa settentrionale, Asia minore) → lingua dell’amministrazione,
dell’esercito, della religione, della scuola (la scuola romana aveva diffusione capillare), della
letteratura…
IL LATINO PARLATO è il latino parlato e non coincide necessariamente con il latino popolare – il
latino parlato è quello parlato da chiunque. È evidente che Cicerone fosse in grado di esprimersi
nel parlato a diversi livelli (alto, medio, basso). Il prof preferisce “latino parlato” e NON “latino
volgare”. L’aggettivo “volgare” fa pensare alla lingua parlata da persone di ceti sociali bassi e
inferiori → ecco perché meglio parlare di “latino parlato tout court”.
Era naturalmente anche la lingua parlata dalla maggior parte dei sudditi della parte occidentale
dell’Impero; quella orientale conservava invece, nel parlato, il greco di koinè (lingua veicolare) e le
lingue locali (corrispondente alla linea sud-ovest della linea Jireček = si parlavano le lingue locali e
usavano il greco ellenistico come lingua veicolare). Il fatto che non si parlasse latino nella parte
orientale è stato dibattuto a lungo. Ai tempi di Gesù, nella provincia della Giudea, vi erano
situazioni di bilinguismo che hanno portato all’ingresso di latinismi nell’ebraico → non per via
dotta.
Nella parte occidentale dell’Impero è esistito, a un certo punto, un “latino vivo e unico” della
comunicazione (definizione del linguista e filologo romanzo Paolo Savj-Lopez) variegato
geograficamente e socialmente, ma relativamente uniforme = era sempre e ovunque latino → in
piena età imperiale (II secolo d.C.), due latinofoni (anche non alfabetizzati) provenienti dalla Gallia
e dalla Sicilia si potevano capire reciprocamente = al netto delle differenze sociali e regionali,
parlavano la stessa lingua. Anche ora, un messicano e un argentino (non particolarmente istruiti) si
capiscono.
Questo latino parlato era naturalmente differenziato a vari livelli → riprendiamo quanto già detto
a proposito degli assi di variazione. Anche il latino, come tutte le lingue del mondo in ogni epoca,
muta:
1. Nel tempo (asse diacronico) = il latino parlato ai tempi delle guerre puniche (III-II sec. a.C.)
non è quello parlato nel 476 d.C., anno della caduta dell’Impero = poiché in mezzo vi sono
700 anni. Questo aspetto del tempo, vale soprattutto per il francese → differenze tra
l’antico francese e il francese moderno sono molto più significative – un lettore colto della
Francia moderna non è capace di capire un testo in francese antico senza una traduzione a
fronte.
2. Nello spazio (asse diatopico) = il latino parlato a Milano (Mediolanum) ha caratteristiche
diverse da quello parlato a Napoli o a Marsiglia o a Valencia o nei Balcani (per le varie
ragioni che abbiamo visto). Napoli (“città nuova”) e Marsiglia = toponimi di origine greca.
[NOTA BIBLIOGRAFICA: il più importante studio esistente sulla variazione regionale del latino, dalle
sue prime manifestazioni scritte fino all’inizio dell’Alto Medioevo (asse diacronico), si deve a James
Noel Adams The Regional Diversification of Latin. 200 BC-AD 600 Cambridge, Cambridge University
Press, 2007]. La domanda che si pose Adams → studiando le testimonianze diastraticamente più
basse del latino scritto, riusciamo a trovare elementi di diversificazione regionale? La risposta fu
50
Filologia Romanza

ovviamente positiva. Non riuscì però a dimostrare che queste differenziazioni regionali del latino
corrispondessero alle differenziazioni che oggi troviamo tra una lingua romanza e l’altra.
3. A seconda del contesto sociale (asse diastratico): un cittadino di Roma parla con urbanitas
(in modo urbano), uno che viene da fuori Roma con rusticitas (in modo rustico); un
cittadino scolarizzato si esprime diversamente da un operaio o da uno schiavo. In piena età
classica, Tito Livio, che aveva tratti tipici del parlato di Padova = veniva chiamato
“patavinitas”. Così come Adriano con i tratti tipici spagnoli.
4. A seconda della situazione comunicativa (asse diafasico): il registro linguistico utilizzato ad
esempio, da Cicerone nelle grandi orazioni è diverso da quello delle lettere all’amico Attico
o ai familiari = circostanze comunicative diverse.
5. A seconda del mezzo espressivo (asse diamesico): anche nel caso del latino, la scrittura
determinava un livello di controllo maggiore rispetto al parlato. Il latino, come ogni altra
lingua, è soggetto all’azione dei 5 assi di variazione.

Le lingue romanze si sviluppano dunque a partire dalle forme del latino parlato:
 Di livello comunicativo molto basso (asse diastratico).
 Impiegate nelle diverse aree dell’Impero romano (asse diatopico).
 Nei secoli che segnano il passaggio dall’Antichità all’Alto Medioevo, VI-VIII secolo, (asse
diacronico) → l’effetto linguistico di questo collasso è la nascita delle varietà neolatine.
Con la Caduta dell’Impero romano = la scuola romana perde prestigio che ebbe per lungo tempo e
ciò porta a una minore consapevolezza di quelle che erano, ad esempio, le regole della
grammatica.
Il latino parlato che ha dato origine alle lingue romanze presentava vaste aree di
sovrapposizione con il latino classico (= gramatica) impiegato nella scrittura e nei contesti ufficiali.
Ad esempio, nel lessico = buona parte (circa i 2/3) del lessico del latino parlato coincideva con
quello del latino classico → cfr. gli sviluppi nelle lingue romanze:
it. figlio, fr. fils, a. prov. filh, cat. fill, sp. hijo, port. filho < sost. lat. FILIUM (= lat. class. e parlato)
it. mano, fr. main, prov. man, cat. mà, sp. mano, port. mão, rom. mână < sost. lat. MANUM
it. buono, fr. prov. cat. bon, sp. bueno, port. bom, rom. bun < agg. lat. BONUM
it. ego, fr. je, prov. ieu, cat. jo, sp. yo, port. rom. eu < pron. lat. EGO
it. amare, fr. aimer, prov. amar, sp. port. amar < vb. lat. AMARE
[cfr. anche la coniugazione: it. 1° p. s. amo, 3° ama, 2° p. pl. amate, 3° amano, fr. 1° p. s. aime, 3°
aime, 2° p. pl. aimez, 3° aiment ecc.< lat. AMO, AMAT, AMATIS, AMANT].
Ma il latino parlato era caratterizzato da una serie di elementi fonetici, morfologici, sintattici e
lessicali suoi propri, non allineati alla norma classica. Tali elementi possono essere:
 DOCUMENTATI occasionalmente nella scrittura, dalle origini al latino tardo (ogni tanto
compaiono delle forme non proprie del latino classico ma tipiche di un latino “inferiore,
colloquiale”) → fonti del latino parlato. Ci sono aspetti che possiamo osservare nei testi.

51
Filologia Romanza

 NON DOCUMENTATI nella scrittura durante tutta la vita del latino → latino sommerso [il
latino sommerso “riemerge” negli esiti che produce nelle varie lingue romanze → il metodo
storico-comparativo permette di risalire alla forma del latino sommerso]. Elementi che non
hanno mai trovato espressione scritta = non sono mai state trovate.
Esempi lessicali di questa situazione
Lessico di registro basso documentato nella scrittura (1):
(a) Sostantivo italiano fegato, francese foie, provenzale e catalano fetge, spagnolo hígado,
portoghese fígado, romeno ficàt < latino FICATUM (due varianti = prima con accento su -A-,
poi su -I-), è diventata una parola proparossitona = parola con l’accento acuto sulla
terzultima sillaba.
FICATUM è un aggettivo originariamente impiegato nella locuzione IECUR FICATUM “fegato
ingrassato con i fichi” (attestata nel De re coquinaria di Apicio, I sec. d.C.). FICATUM deriva da
FICUS.
Nel sermo cotidianus (“parlata di tutti i giorni”), l’aggettivo FICATUM divenne aggettivo
sostantivato e passò a indicare semplicemente il fegato → nel latino parlato sostituì
definitivamente il sostantivo classico IECUR, che infatti non ha continuatori romanzi. La parola
FICATUM rimase viva nel latino parlato in tutte le province dell’Impero fino alla fine cioè fino al
passaggio latino parlato → lingue romanze. Non esiste nessuna lingua romanza con cui “fegato” si
dice con IECUR.
(b) Aggettivo italiano bello, francese beau, provenzale bel, catalano bell, sardo bellu < latino
BELLUM “carino, grazioso”, di registro più basso rispetto al classico PULCHER [ma romeno
frumos, spagnolo hermoso < latino FORMOSUM = principio delle aree laterali].
Catullo (massimo poeta dell’età classica, poeta d’amore e non solo), Carme 3, 13-14: «tenebrae
Orci, que omnia bella devoratis» / Carme 69, 8: «nec quicum bella puella cubet». Cicerone Ad
Atticum, XV, 4: «certe gratissimae bellae tuae litterae fuerunt».
Lessico di registro basso non documentato nella scrittura (2):
In molti casi la base latina di parole, forme o costrutti romanzi è sommersa, cioè non è mai
comparsa nella scrittura del latino (= era viva solo nel parlato) e allora la si deve ricostruire.
 It. carogna, fr. charogne, prov. carogno, sp. carroña < lat. *CARONIA [sostantivo
denominale dal latino classico CARO “carne”].
 It. usare, fr. user, prov. cat. sp. port. usar < lat. *USARE [formato con il participio passato
del verbo latino classico UTOR “servirsi”, cioè USUS + -ARE].
 It. prov. faina, fr. fouine, port. fuinha < lat. *FAGINA “martora del faggio” [sostantivo
denominale dal latino classico FAGUS “faggio” + -INA].
Testi latini contenenti tracce del latino parlato (le cosiddette fonti del latino volgare):
(1) Alcune opere letterarie contengono forme e costrutti riconducibili al latino parlato e quindi a un
registro più basso, perché il genere letterario o la funzione del testo lo richiedono.

52
Filologia Romanza

(a) I testi teatrali di Plauto (III-II sec. a.C.) e di Terenzio (II sec. a.C.) → autori di commedie,
utilizzano parole e costrutti dell’uso informale per ragioni stilistiche di mimesi (approssimazione
al parlato quotidiano = imitazione del parlato):
de + ablativo = complemento di specificazione [de praeda]. Ad patrem = complemento di termine.

← (b) Il Satyricon [romanzo picaresco] di Petronio (27-66 d.C.): uso espressionistico di alcuni tratti
della lingua parlata = caratterizzazione linguistica dei personaggi.

(c) Gli epistolari, in particolare quelle di Cicerone, caratterizzate da uno stile studiatamente non
elevato lessico e costrutti più bassi e quotidiani → sermo cotidianus “parlare di tutti i giorni”:
 abbondanza di diminutivi: librariolis, membranulam.
aggettivazione colloquiale: bellus “bello” (anche l’avverbio perbelle “davvero bene”)
 periodi brevi e prevalenza della paratassi.
 costrutti sintattici come video te + infinito (iocari, deridere).
Latino classico = video te + participio presente (iocantem, ridentem).
Lingue romanze = italiano ti vedo giocare, francese je te vois jouer, spagnolo te veo jugar…
(1d) Alcuni carmina del Liber di Catullo: nel racconto in versi dell’amore per Lesbia non mancano
concessioni al “lessico famigliare” ad esempio, nella ricchezza dei diminutivi = Carmen 67: «nec
linguam esse nec auriculam». Latino AURICULA lett. “orecchietta” > it. orecchia, fr. oreille, sp.
oreja... (forma base: AURIS) o nell’uso di aggettivi come bellus (latino classico pulcher). Catullo
utilizza un lessico più colloquiale, più “basso” – non necessariamente “classico”.
LEZIONE 14
L’obiettivo del
Cristianesimo era
raggiungere con il
messaggio
evangelico il
maggior numero di persone →
necessità di comunicare con le
masse e per far ciò = sermo
humilis. (1e) Opere di autori
cristiani, necessità per gli adepti
della nuova religione di avvicinare
le masse impiegando il sermo
humilis (detto anche sermo
piscatorius) → nei testi scritti da
autori cristiani compaiono tratti
del latino parlato. Traduzioni in
53
Filologia Romanza

latino (< greco) della Bibbia – prima la Vetus latina (II-IV sec.), dovuta a traduttori di livello
culturale modesto poi la Vulgata di San Girolamo (fine IV sec.-inizio V sec.). San Girolamo lavora su
alcune vecchie traduzioni latine dell’Antico e Nuovo Testamento, che risalivano al II-III d.C., e che
tutte insieme costituiscono la Vetus Latina. Le prime traduzioni della Bibbia che costituiscono la
Vetus Latina contengono molti volgarismi.
Alcune opere di padri della Chiesa: ad es. Agostino e Ambrogio (autore di hymni di fruizione anche
popolare = poesie sacre da cantare, caratterizzate da un latino “basso” – in modo da farli
comprendere al popolo). Agostino, Enarrationes in Psalmos, 138, 20: «Melius est reprehendant
nos gramatici quam non intelligant populi» = “Meglio essere sgridati dai grammatici, che non
essere compresi dalla gente” = registro del latino vicino alla lingua parlata dalle persone come
scelta politica.
Genesi 4:8 [Vetus Latina] Et dixit Cain ad Abel fratrem suum: «Eamus in campum». Et factum est.
Cum essent ipsi in campo, insurrexit Cain super Abel fratrem suum, et occidit eum. [Episodio in cui
Caino uccide Abele – Disse Caino ad Abele suo fratello: “andiamo nel campo”. E così avvenne. E
trovandosi essi nel campo, si elevò Caino sopra Abele suo fratello, e lo uccise”].
Genesi 4:8 [Vulgata di Girolamo] Dixitque Cain ad Abel fratrem suum: «Egrediamur foras».
Cumque essent in agro, consurrexit Cain adversus fratrem suum Abel et interfecit eum. [Girolamo
sostituisce il sostantivo campum con l’avverbio foras e con agro. Anche l’esordio cambia e il
complemento di termine AD + Accusativo. Eamus (prima persona plurale al congiuntivo presente)
diventa Egrediamur ].
[In rosso: forme e costrutti di registro non elevato nella Vetus latina. In blu: interventi di Girolamo
per innalzare lo stile. In verde: costrutto di registro non elevato comune a Vetus e Vulgata]
(1e bis) L’Itinerarium (o Peregrinatio) Aegerie (o Aetherie), fine del IV sec. d.C. (tardoantico) –
Testo cristiano di carattere diaristico (= racconto di viaggio). Uno dei più antichi itineraria ad loca
sancta (“itinerari ai luoghi santi”) conosciuti. Esempio raro di scrittura femminile in età antica.
Egeria o Eteria è una pellegrina iberica (una monaca?) di elevata condizione sociale. Recatasi a
Gerusalemme, redige un itinerarium che ci è giunto in manoscritto unico (mono testimoniale). Il
suo latino è connotato da tratti della lingua parlata nella sintassi e nel lessico = non è uno stile
elevato, è lo stile di una “discreta” scrittrice che per ragione della tipologia testuale (“diario”) non
può usare uno stile elevatissimo. Non si può considerare come un documento del latino parlato
tout court. È un latino che fa entrare caratteristiche della lingua parlata di Egeria. Grafia
beneventana.
Esempi di tratti del parlato nel lessico e nella sintassi di Egeria [un testo può essere più antico del
manoscritto – in questo caso il manoscritto è più tardo di 600-700 anni rispetto a Egeria stessa e al
suo viaggio]:
II, 4: …iter sic fuit, ut per medium transversaremus caput ipsius vallis et sic plecaremus nos ad
montem Dei. […il percorso fu tale che attraversammo per il mezzo l’estremità di quella valle e così
arrivammo al monte di Dio].
III, 1: Qui montes cum infinito labore ascenduntur, quoniam non eos subis lente et lente per girum,
ut dicimus in cocleas, sed totum ad directum subis ac si per parietem et ad directum descendi
necesse est singulos ipsos montes, donec pervenias ad radicem propriam illius mediani, qui est
54
Filologia Romanza

specialis Sina. [Quei monti (nella zona del Sinai) si scalano con fatica immensa, perché non vi si
sale piano piano girandovi attorno, come si dice “a chiocciola”, ma vi si sale in linea retta, come su
di una parete, e in linea retta si deve poi scendere un monte per volta, fino a che non si giunge alle
pendici vere e proprie del monte che sta in mezzo, che è il famoso Sinai].
1. LESSICO: Il lat. plicare, plecare nel significato di “arrivare” e subire nel significato di “salire”
sono iberismi lessicali, cioè forme tipiche del latino parlato nella Penisola Iberica (>
spagnolo llegar, portoghese chegar / spagnolo e portoghese subir). Sono forme che
appartenevano al latino che si usavano nella Penisola Iberica. Plicare veniva usato nel
linguaggio marinaresco “piegare le vele” [plicare velas > piegare la vela > arrivare] = ha
avuto vitalità solo in aree iberiche.
2. SINTASSI: ordine Verbo-Oggetto o Verbo-Complemento indiretto (vs lat. class. OV – CiV =
verbo alla fine e i vari complementi prima) = transversaremus caput ipsius vallis et sic
plecaremus nos ad montem Dei / ad directum descendi necesse est singulos ipsos montes /
donec pervenias ad radicem.
(2) Opere di carattere tecnico e scientifico:
Artes “discipline tecniche”: discipline concrete, spendibilità pratica medicina, veterinaria
(Mulomedicina Chironis, IV sec.), agricoltura, architettura, cucina (Apicio, De re coquinaria, I sec.
d.C.)… Sono perlopiù trattati.
Le artes non hanno la dignità letteraria delle discipline maggiori come la retorica, la grammatica,
la filosofia. La lingua che tratta di argomenti tecnici non necessita di elaborazione stilistica. Il
registro è meno sorvegliato, quindi ci sono concessioni alla lingua dell’uso. Vitruvio, De
architectura (I sec. a.C.): «Non enim debet nec potest esse architectus grammaticus, […] sed non
agrammatus» “Infatti l’architetto non deve né può essere un grammatico, […] ma del resto
nemmeno digiuno di grammatica” (dobbiamo saper scrivere ma non è necessario che scriviamo
come la grammatica prescrive). Nelle opere letterarie/paraletterarie quello che porta verso il
registro non standard o più basso è o il genere letterario o la destinazione d’uso dell’opera.
(3) Opere di grammatici e lessicografi:
Grammatici come custodi dello standard linguistico → segnalano gli errori specialmente fonetici e
morfologici da evitare nel parlato e soprattutto nello scritto (informazioni sul parlato grazie a
osservazioni metalinguistiche). Ad esempio, Consenzio, Ars de barbarismis et metaplasmis (V sec.)
Consenzio è un romano di Gallia che segnala gli errori più comuni che i romani di Gallia e d’Africa
commettono nel parlare latino.
I lessicografi segnalano spesso lo status di volgarismo di una parola (si occupano del lessico di una
lingua). Pompeo Festo, De verborum significatu (II sec.) + Sergii explanationes in artes Donati
(metà V sec.) = Spiega che Ē e Ō vengono ormai pronunciate chiuse, Ĕ e Ŏ pronunciate aperte.
Nonio Marcello, De compendiosa doctrina (IV sec.) + Isidoro di Siviglia, Etymologiae (VI-VII sec.)
XVII, 7, 9: «Mella, quam Graeci loton appellant, quae vulgo propter formam et colorem faba syrica
dicitur» (> sardo suriaca “bagolaro” calabrese suraca “fagiolo”).
CELEBRE È IL CASO DELL’APPENDIX PROBI (“appendice di/a Probo”):

55
Filologia Romanza

Appendice di prescrizioni lessicali agli Instituta artium (testo grammaticale) dello pseudo-Probo
(non è certo che gli Instituta artium siano suoi) contenuti nel ms. Napoli, Biblioteca Nazionale
Centrale, lat. 1 (Bobbio [?], VI-VII sec.). Elenco di 227 forme caratteristiche della lingua latina
parlata, segnalate come scorrette e affiancate dalla variante corretta (cioè classica) → formula “x
non y”, forse un prontuario per scolari. Secondo gli editori più recenti, la lista di parole è stata
prodotta «entro un contesto culturale e linguistico tardo antico, da circoscrivere
approssimativamente intorno alla metà del V secolo d.C.», ma forse anche più antica. È probabile
che sia stata redatta da un maestro o più che insegnavano la grammatica ai propri alunni dicendo:
“non si dice così ma così”.

(4) Scritture non letterarie di carattere popolare – chi le redige, in circostanze e per scopi
occasionali, di solito non cura lo stile, anche perché spesso non padroneggia il codice linguistico
elevato. Il registro di queste scritture è dunque basso → lingua dell’uso:
 (4a) Tabellae defixionum
 (4b) Corrispondenza familiare (lettere)
 (4c) Scritture esposte di carattere non ufficiale = le “scritture esposte” sono scritture che
“stanno fuori/all’aperto” e tutti le possono vedere.
(4a) Le tabellae defixionum – letteralmente “tavolette di maledizione”.
Lamine di solito di piombo, ma anche altri supporti (ad es. tavolette di
pietra) con formule magiche e a volte disegni intesi a scagliare
maledizioni contro qualcuno. Scritte in latino e altre lingue (greco,
lingue locali), spesso scarsamente controllate sotto il profilo
grammaticale. A volte
venivano sotterrate per
“conservare” il loro potere.
Ovviamente chi scriveva non
badava allo stile. Esempi:

Defixio di Gellep (Germania), I sec. d.C.


Como [per quomodo] hoc perversum scriptum Come questo testo è stato scritt
est, sic illos dei spernent così gli dèi disprezzino quelli là
Defixio campana, I sec. d.C.
Dite inferi Caium Babullium et fotricem [per O divinità infernali, maledite Caio
fututricem] eius Tertiam Salviam sua fottitrice, Terzia Salvia
Defixio di Bologna, IV-V sec. d.C.
Porcellus molomedicus [per mulo-] […] Porcello veterinario […] uccide
interficite omne corpus caput tente [per corpo: testa, denti,
dentes] oculus [per oculos] […] facite occhi […] fate [crepare] Porcello e
Porcellum et Maurillam usurem [per uxorem] moglie […] il corpo, tutte le memb
ipsius […] le viscere di Porcello, e lui […]
corpus omnis menbra bisceda [per viscera?] stramazzi
Porcelli, qui […] languat [per langueat] et ruat
Defixio di Mérida (Spagna), II sec. d.C.
Dea Ataecina Turibrigensis Proserpina, per Dea Atecina, Proserpina di Turo
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Filologia Romanza

tuam maiestatem te rogo, obsecro, uti tua maestà ti prego e scongiuro che tu mi
vindices, quot [per quod] mihi furti factum est. vendichi di tutto ciò che mi è stato rubato.
Quisquis mihi imudavit [per immutavit], Chiunque mi ha sottratto, rubato o alleggerito
involavit, minusve fecit eas res, quae delle cose che sono scritte qui sotto…
infrascriptae sunt…

LEZIONE 15
(4b) Corrispondenza familiare: Corpora di lettere private, che trattano questioni quotidiane e
famigliari di vario genere; redatte su papiri, tavolette cerate o cocci. Le più importanti sono quelle
redatte (o fatte redigere da scribi = la corrispondenza non era autografa) dai soldati in servizio
nelle varie province dell’Impero. Dalle truppe di stanza in Egitto provengono ca. 300 lettere (e
molte anche dalla Britannia). Ad es. è di rilievo il
corpus epistolare (su papiro) di Claudius
Terentianus, rinvenuto a Karanis, in Egitto (II
sec.). Claudius era un greco-egiziano
romanizzato, veterano dell’esercito = suo padre
aveva aderito ai costumi di Roma. Invia al padre
degli oggetti.

Misi [ti]bi, pater, per Martialem inboluclum Da parte mia, padre, ti ho mandato per mezzo
[per involucrum] concosu[tu]m in quo habes di Martialis un involucro ben sigillato, in cui
amicla [per amicula] par unu [per unum] troverai un paio di mantelli, un paio di sciarpe,
amictoria [pa]r unu sabana par unu saccos par un paio di panni di lino, un paio di tele di sacco
unu et str[a]glum lini[u] [per stragulum e una coperta di lino. Quella l’avevo
lineum] emeram aute [per autem] illuc con comperata assieme al materasso e al cuscino,
[per cum] culcitam [per culcita] et pulbino [per che mi sono
pulvino] et me iacentem in liburna sublata mi stati portati via mentre giacevo ammalato
[per mihi] s[unt]. Et abes [per habes] in nella liburna. Nel pacco troverai anche una
imboluclum amictorium singlare [per sciarpa semplice, che mia madre ha mandato
singulare], hunc tibi mater mea misit. [E]t per te, e troverai una gabbia per polli nella
accipias caveam gallinaria [per gallinariam] in quale stanno ben stipati servizi da tavola di
qua ha[bes] sunthes [..] vetro e un paio di coppe da cinque e sei paia
vitriae [per vitrias] et phialas quinarias p[ar di calici e due fogli
u]nu et calices paria sex et chartas sc[holare]s di papiro per scrivere e, ben avvolto,
d[u]as et in charta atramentum et calamos dell’inchiostro scuro e cinque calami e anche
q[u]i[nq]ue et panes Alexandronis viginti. Rogo venti pagnotte alessandrine. ti prego, padre, di
te, [p]a[t]er, ut contentus sis ista [per istis]. accontentarti di questo: se soltanto non mi
Modo si non ia[c]uisse speraba [per iacuissem, fossi trovato costretto a letto avrei sperato di
sperabam] me pluriam [per plurima] tibi mandarti di più…
missiturum…
È un latino corretto ma con diversi “inciampi” fonetici e morfologici. Usa il nominativo al posto del
caso accusativo o l’accusativo dove avrebbe dovuto usare l’ablativo.
(3c) Le scritture esposte non ufficiali: iscrizioni come epigrafi (quelle private) e graffiti murali
possono presentare tratti del parlato, perché spesso si tratta di scritture poco sorvegliate e/o
vergate da scriventi non sempre competenti → celebri i graffiti di Pompei ed Ercolano, precedenti

57
Filologia Romanza

l’eruzione del Vesuvio (terminus ante quem = 79 d.C.). Ad es. Quisquis [chiunque] ama valia [stare
bene di salute],
peria qui
nosci [non
sapere] amare.
Bis [due volte]
tanti peria
quisquis amare
vota [variante di vetat = vietare] (CIL, IV, 1173) “Chi ama stia bene, muoia chi non sa amare.
Muoia due volte chi impedisce di amare” [distico amoroso = ha due occorrenze, qui la grammatica
è scorretta mentre nell’altra no]. Corpus Inscriptionum Latinare (CIL) = opera monumentale nella
quale sono raccolte tutte le scritture esposte che la latinità ci ha consegnato. Un intero volume è
dedicato ai graffiti di Pompei ed Ercolano.
Tratti del latino parlato da altri graffiti di Pompei:

Tratti del latino parlato


da graffiti di Ercolano:

Spoglio di alcuni tratti


del latino parlato dai testi esaminati, Primi appunti di grammatica storica:

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Filologia Romanza

Caduta delle desinenze nominali e verbali:


-m, desinenza verbale della 1° persona singolare imperfetto: iacuisse, speraba (scomparsa nelle
lingue romanze).
-t, desinenza verbale della 3° persona singolare e plurale: ama, nosci, peria, valia, viban, vota.
Le lingue romanze orientali (italiano, romeno e il dalmatico) ne sono prive fin dalle origini; le
lingue romanze occidentali (francese, provenzale, lingue della Penisola Iberica, portoghese):
1. O le hanno conservate in antico, e oggi in qualche caso le mantengono solo graficamente
(non si pronuncia più) antico francese aimet (< AMAT, oggi aime), antico spagnolo sientet
(< SENTIT, oggi siente); solo grafica: francese (ils) aiment (la -t- non si pronuncia più).
2. O le conservano tutt’oggi: sardo issu cantat “egli canta”, issos cantant “essi cantano”.
3. (+ area Lausberg [al confine tra Lucania e Calabria]: vyeniti “egli viene” = quella -t- è la
sopravvivenza della -t- della desinenza della terza persona del latino).
-s, desinenza del caso nominativo (soggetto = tutti i nomi maschili della seconda declinazione
finiscono in -s- così come nella terza e nella quarta) del latino: cinedu, emtu:
 Scomparsa fin dalle origini nelle lingue romanze orientali (italiano, dalmatico, romeno).
 Conservatasi nel Medioevo solo in area galloromanza: antico francese, antico provenzale
murs (< lat. MURUS nominativo singolare).
I casi sono scomparsi in tutte le lingue romanze tranne nel rumeno (ancora oggi ci sono) e nel
provenzale e francese durante l’età medievale.
Il fatto di fare il plurale con la -s- o con le vocali -i- -e- è un tratto distintivo della divisione tra lingue
romanze orientali e occidentali.
-m, desinenza del caso accusativo (complemento oggetto) del latino: Amplianda, bellissimu,
coliclo, gallinaria, liniu, miliu, Mula, unu, Veneria:
 Scomparsa nelle lingue romanze, ma non nei monosillabi (es. lat. REM > fr. rien, QUEM >
sp. quien, CUM > it. con).
Sviluppo di -ea-, -eu- (bisillabi) > -ja-, -ju- (monosillabi, con -e- > jod semivocale): casium, habias,
liniu, peria, solia, valia / balia. /j/ produce palatalizzazione del suono che lo precede (ad es. LJ > gli,
ill, lh; SJ > sci; NJ > gn).

Sviluppo precoce nel latino volgare: cfr. infatti gli esiti romanzi:
 antico italiano vaglia “egli valga, sia in forze”, francese vaille, portoghese valha… < VALJAT
< VALEAT.
 Italiano abbia, francese aie, italiano meridionale aggia < HABJAS < HABEAS.
 antico italiano cascio, romeno caş, spagnolo queso, portoghese queijo… < CASJUM <
CASEUM.
 LJ > gli, ill, lh SJ > sci, ş → palatalizzazioni dei nessi con jod.

59
Filologia Romanza

Monottongazione di AE > ę, AU > ǫ; sviluppo in sede tonica Ŭ > ọ, atona Ĭ > e, Ŭ > o: cinedus,
coliclo, colomna, scribet, torma.
Il monottongo AE > ę si sviluppa presto nel latino parlato: non ne resta traccia nelle lingue
romanze.
Il dittongo AU ha invece diversi sviluppi romanzi:
1. > o: in italiano spagnolo oro, francese catalano or < AURUM. Italiano spagnolo cosa,
francese. chose < CAUSA.
2. > au: provenzale e romeno aur < AURUM, taur < TAURUM.
3. > ou: portoghese ouro < AURUM.
Il passaggio Ĭ > e, Ŭ > o rientra nel normale sviluppo del vocalismo panromanzo (o maggioritario)
= sistema panromanzo o romanzo comune (a 7 vocali toniche, 5 atone) = più diffuso nell’area
romanza: colomna, torma (< COLŬMNA, TŬRMA: Appendix probi), scribet, coliclo (< SCRIBĬT,
CAULICULŬM: Pompei).
Il latino aveva un sistema a 10 vocali toniche e 10 vocali atone – ogni vocale aveva la possibilità di
essere realizzata in due modi = lunga o breve. In latino, il fatto che una vocale fosse lunga o breve
(durata del suono vocalico) aveva valore distintivo → se una parola CŎPA ha la Ǒ breve significa
una cosa, se ha la Ō lunga significa un’altra cosa. Oltre ad essere distinte per lunghezza e brevità,
erano distinte anche per intensità (= su alcune cadeva l’accento, su altre no). Cosa succede? Nei
primi secoli d.C., nel latino parlato, l’opposizione di durata delle vocali NON si percepisce più (non
si riesce più a distinguere una Ă da una Ā) → si perde la consapevolezza della quantità vocalica – se
non fosse successo, le lingue romanze avrebbero conservato il sistema quantitativo del vocalismo
latino. L’orecchio dei parlanti latini non distingue più le lunghe dalla brevi MA distingue solo le
accentate dalle non accentate e i gradi di aperture (aperte – chiuse).
Sistema panromanzo o romanzo comune (a 7 vocali toniche, 5 atone):

↑ Questo sistema, nato


nel latino parlato (I-II
sec. d.C.), è suscettibile
nelle lingue romanze di
ulteriori modifiche: ad
es. ę (< Ĕ) in sillaba libera
produce dittongo
ascendente (iè) in fiorentino, veneziano e trevigiano (dal Duecento), francese: lat. PĔ-DEM > it.
60
Filologia Romanza

piede, venez. piè, fr. pied, sp. piè (ma dial. italiani pede, pè, retorom. pè, prov. pèu, cat. port. pè).
In spagnolo ę (< Ĕ) dittonga anche in sillaba impedita: tierra (< lat. TĔR-RAM). Sillaba impedita =
finisce per consonante.
Sistema siciliano (a 5 vocali toniche e a 3 atone) – Sicilia, Calabria sud e Salento:

È un sistema a 5 vocali toniche


e 3 atone = si trova in quei
territori che per vari secoli furono dominati dai bizantini che portarono il loro greco (“bizantino”)
come lingua di superstrato (= lingua a 5 vocali toniche che ha condizionato lo sviluppo del
vocalismo tonico in Sicilia, Calabria e Salento). Il siciliano per la -e- ed -o- non ha le varianti chiuse
(ha soltanto le aperte → in siciliano si dice aviri e non avere). Da qui l’istituto metrico della rima
siciliana = rima imperfetta di ẹ con i (avere : sentire) e ọ con u (voi : fui) introdotto dalla
trascrizione toscana delle poesie dei poeti siciliani, nelle quali queste rime erano perfette (aviri :
sintiri, vui : fui). lat. AMŌREM > sic. calabr. salent. amuri ma it. amore, fr. amour, retorom. prov.
cat. sp. port. amor / lat. HABĒRE > sic. calabr. salent. aviri ma it. avere, fr. avoir, prov. cat. aver, sp.
haber, rom. avea. Agli occhi di Dante, la poesia siciliana-toscanizzata quella rima imperfetta
sembrava legittima. Da Dante a Manzoni la usano come una rima vera e propria.
LEZIONE 16
Sistema sardo (a 5 vocali toniche e 5 atone) – Sardegna, Corsica Meridionale, Area Lausberg
(Potenza – Cosenza/Catanzaro):

Vocalismo caratteristico di aree molto conservative (isolate), dove le innovazioni del sistema
panromanzo non arrivano. Ha un sistema tutto suo per via della sua isolazione. Il sardo è una
lingua molto simile al latino – tra le lingue romanze è quella più vicina alla matrice latina.
lat. PĬRAM > sard. cors. area L. pira ma it. pera, fr. poire, sp. pera, port. pera, rom. pară
lat. TĒLA > sard. cors. area L. tela
lat. FŬRCAM > sard. cors. area L. furca ma it. forca, fr. fourche, prov. cat. port. forca, sp. horca
lat. AMŌREM > sard. cors. area L. amore

61
Filologia Romanza

Sistema balcanico (a 6 vocali toniche e 5 atone) – Romanìa e piccola area della Basilicata
Occidentale:

Sistema misto tra quello panromanzo (due gradi di apertura per e) e quello sardo (un solo grado di
apertura per o). L’innovazione di Ŭ > ọ deve essere più recente di quella Ĭ > ẹ → in area balcanica
(laterale) non arriva. lat. SĬTEM > rom. sete / lat. PARĒTEM > rom. perete / lat. FŬRCAM > rom.
furcă ma it. gola, fr. fourche, prov. cat. port. forca, sp. horca / lat. NŌDUM > rom. nod.
Probabilmente l’innovazione di Ĭ > ẹ è un fenomeno più antico di Ŭ > ọ.

 SINCOPE di vocali o sillabe atone (è la caduta in posizione postoniche = dopo la vocale


tonica): amicla, calda, coliclo, comperendinarunt, damna, fotricem, fricda, oclus, oricla,
Proclo, singlare, speclum, straglum, veclus, virdis. Fenomeno precoce e diffusissimo nel
latino parlato, presupposto degli esiti romanzi = it. vecchio, a.bol. veclo, a.fr. vieil, fr. vieux,
prov. velh, sp. viejo ecc. < VECLUM < VETULUS / it. amarono, fr. aimèrent, sp. amaron, ecc.
< *AMARUNT < AMÀVERUNT < AMAVÉRUNT / it. donna, fr. dame, a.prov. domna, rom.
doana < DOMNA (= latino parlato) < DOMINA (= latino classico).
 DEFONOLOGIZZAZIONE di H-: abes, ic abitamus, mi. Queste forme dicono che H- ha perso
il suo valore fonico (suono) e di conseguenza fonologico: non è più consonante distintiva
→ fino a un certo punto, in latino la presenza/assenza di H iniziale differenziava parole es.
HORTUS “giardino” / ORTUS “il sorgere (del sole)”. Nel latino la H aveva valore fonologico
= distintivo = una parola con H e una senza H avevano due significativi diversi.
 SEMPLIFICAZIONE dei nessi consonantici -CT- > -(t)t-, -NS- > -s-, -PS- > -ss-: Otaus,
condisces, masit, issa. CT → it. ottavo; ma in fr. port. -CT- > it, in sp. prov. > -ch-, in rom. > -
pt-. NS → it. rimase da *REMASIT < REMANSIT (così in tutta la Romània: cfr. ad es. lat.
MENSEM > it. mese, fr. mois, prov. sp. mes, ecc.). PS → it. essa, nap. issa < ĬSSA < ĬPSA
(tendenza panromanza: cfr. it. esso, sardo issu, a.fr. es, prov. eis, sp. ese, port. esse). I nessi
consonantici sono “incontri di consonanti”.
 PASSAGGIO di [w] > [b] in posizione intervocalica o in fonosintassi [betacismo]: baliat,
bisceda, inboluclum, pulbino, viban. lat. arc. e class. VIVERE pronuncia [wi’were = uiuere],
con [w] semivocale. Dal I sec. d.C., perlopiù [w] > [β] > [v] → lat. VOCEM > it. rom. voce, fr.
voix, port. voz… Ma anche [w] > [β] > [b] → lat. VOCEM > nap. boce, sardo boghe. Il
passaggio [w] > [b] e la confusione [b] – [v] compaiono già in latino, diffusamente. Oggi in
spagnolo e catalano, laddove il lat. aveva V, la pronuncia è [b] o [β]. Betacismo = B al posto
della V. Il latino non possedeva la V (fricativa), quindi per arrivare alla B non si deve partire

62
Filologia Romanza

da una V ma da una U semivocale (posizione intervocalica = VIVA / stringa sintattica =


PUELLA VIVA).
Tracce di sviluppi fonetici locali sub-substandard (= radicalmente dialettali, molto basso e che
nella scrittura non sono mai comparsi)?
 -ND- > -nn-: Verecunnus “Verecondo”, Pompei, ante 79 d.C. Tale assimilazione compare in
Campania, dove è presente tuttora → si è invocata a lungo la reazione etnica (sostrato) di
tipo osco (cfr. anche Oriunna < Oriunda, Roma, I sec. d.C. Ma oggi l’ipotesi più forte è che si
tratti di gioco di parole osceno (vere cunnus). Assimilazione -ND- > -nn- documentata nelle
scritture diastraticamente basse di diverse aree dell’Impero (non solo nelle aree ex osche:
cfr. riflessioni di Varvaro, Adams). È un’assimilazione “banale” – spesso si trova in iscrizione
molto “basse” a livello di registro.
 -T- > -d-: imudavit “sottrasse”, Estremadura, II sec. d.C. Tale lenizione compare in area
iberoromanza, dove le varietà neolatine la conservano tuttora Cfr. anche podui [< potui
“potei”], Empuries, Catalogna, I-II sec. d.C.; evides [< evites “eviti”], Cadice, prima metà del
II sec. d.C. Anche questa lenizione è però molto diffusa nelle scritture basse di età imperiale
(non solo dove la si troverà nelle lingue romanze). Sonorizzazione della T intervocalica.
 Ō > u: usure “moglie”, Ū > o: molomedicus “veterinario” Bologna, IV-V sec. Cfr. a.bol.
ambaxature, remure, odure, robadure ecc. (< -ŌREM); lome “lume” (< LŪMEN), molli
“muli” (< MŪLI).
LEZIONE 17
Risvolti linguistici della crisi dell’Impero e
delle “invasioni barbariche”
Il potere romano comincia a sfaldarsi
pericolosamente nel IV sec. → I “barbari”
premono ai confini dell'impero: si tratta
specialmente popolazioni di stirpe
germanica. Vengono accolti entro i
territori dell’impero come federati (alleati
con obbligo di prestare servizio
nell’esercito) dove si organizzano in
comunità → presto formano nuclei autonomi di potere indipendenti dall’autorità di Roma = si
danno una struttura di tipo politico-amministrativo.
L’impero inizia gradualmente a cadere tra il III e il IV secolo d.C.
Nel corso del V sec. i “barbari” si sostituiscono definitivamente a Roma nella gestione del potere
nell’ormai ex Impero romano d’Occidente → i Burgundi e i Franchi occupano la Gallia, i Visigoti la
Gallia e la Spagna, i Vandali l’Africa del Nord, gli Ostrogoti di Teodorico l’Italia. Crolla la macchina
amministrativa romana → Roma non è più punto di riferimento ideale, culturale, politico →
perdita di prestigio del latino. L’esperienza politica-amministrativa romana può dichiararsi
conclusa con il Sacco di Roma del 410 (= con i Visigoti di Alarico I) – questo saccheggio suscitò
un’emozione enorme, si percepisce che si tratta di evento che segna un “prima” e un “dopo” → ha
cambiato le sorti del mondo e soprattutto di Roma.
63
Filologia Romanza

 Distruzione dell’unità politico-amministrativa dell’Impero → allo spazio aperto e coeso in


cui circolavano uomini, merci, idee, e con essi la lingua di Roma, si sostituiscono gli
orizzonti più ristretti dei regni romano-barbarici. Non sono più le province dell’impero ma
sono realtà politico-amministrative più ristrette e non necessariamente in comunicazione.
 Continua la crisi delle città, che si spopolano e si “sgretolano”, non ci sono più controlli.
 Crisi del sistema scolastico → degrado dell’istruzione anche presso i ceti sociali più elevati:
ormai sono quasi solo gli ecclesiastici ad avere un’istruzione decente (ma condizioni varie
da zona a zona: no uniformità). Era un’istituzione ben funzionante e “famosa”. Dal
momento che non funziona più, anche la lingua ne risente. Vi è un livello di
alfabetizzazione non sufficiente a garantire la continuità linguistica.
 Degrado delle infrastrutture, meno cura del territorio = ad esempio, le strade vengono
rovinate e sommerse dalla vegetazione. Tornano le paludi e le aree boschive = aree
impercorribili, malsane (popolate di briganti o infestate dalle malattie).
 Le comunità sono ora più isolate, chiuse su sé stesse → singole città sede di diocesi
divengono il centro del mondo e il punto di riferimento per il loro contado. Ristringimento
di orizzonti = con la caduta di Roma, il centro del mondo diventano le città sede di diocesi e
non più Roma.
Nel titolo di un suo saggio lo storico francese Ferdinand Lot chiede provocatoriamente: À quelle
époque a-t-on cessé de parler latin? [«Archivum Latinitatis Medii Aevi», 6 (1931), pp. 97-159] = A
che epoca si è smesso di parlare latino? – Laura Minervini = non c’è un’epoca in cui si è smesso di
parlare latino ma il passaggio alle lingue romanze è stato graduale. Illustra come l’evoluzione
latino parlato → lingue romanze si sia articolata in due fasi:
 PRIMA FASE II-V SEC. D.C.
 SECONDA FASE VI-VIII SEC. D.C.
PRIMA FASE (II SEC. – V SEC. D.C.):
Dalla piena età imperiale alla crisi dell’Impero, il latino parlato si diffonde in un territorio vasto e
variegato geograficamente e socialmente. Una serie di tratti tipici del latino parlato (alcuni
innovazioni recenti, altri nati già in età repubblicana) di carattere fonetico e morfosintattico
raggiunge i confini dell’Impero d’Occidente → infatti ne osserviamo le conseguenze in tutte le
lingue romanze o quasi. Ad esempio:
 Perdita della quantità vocalica
 Monottongazione di AE > ę [e aperta]
 Sincope della vocale o della sillaba post-tonica
 Caduta di -m e di h
 Palatalizzazioni indotte da /j/
 Ordine dei costituenti della frase S V O / S V CInd invece di S O V / S CInd V
 Ristrutturazione del sistema dei casi latini: da 6 casi 3 → 2 casi (caso soggetto / caso
obliquo)
SECONDA FASE (VI SEC. – VIII SEC.) – accelerazione della frammentazione linguistica

64
Filologia Romanza

Dalla caduta dell’Impero d’Occidente alla rinascita carolingia. L’ecumene romanus (il grande
organismo politico, amministrativo, culturale) si frammenta politicamente e socialmente →
linguisticamente. Le forme di latino parlato impiegate da un capo all’altro dell’Impero
d’Occidente hanno una solida base comune. Però sussistono da sempre differenze sociali e
geografiche che ora si intensificano per via di crisi sociale, culturale e politica – frammentazione
politica – isolamento delle comunità. Da zona a zona il latino parlato è soggetto tra VI e VIII sec. a
innovazioni profonde che lo caratterizzano radicalmente e definitivamente in senso locale →
nascita delle varietà neolatine o romanze.
Armando Petrucci - Il problema delle Origini e i più antichi testi italiani in Storia della lingua
italiana, a cura di Luca Serianni e Pietro Trifone, 3 voll., Torino, Einaudi, 1993-1994 vol. 3 (Le altre
lingue), pp. 5-73, a p. 9:
Dissoltasi l’unità dell'Impero d’Occidente, la definitiva scomparsa dell’amministrazione centrale e il
crescente declino dei commerci, con il correlato svuotarsi delle città a favore delle campagne,
indussero un poderoso restringimento nel raggio degli interessi, e con esso il deperimento
sociale: cioè un deciso conguaglio verso il basso della maggioranza della popolazione e un drastico
immiserimento delle residue funzioni amministrative. L’insieme di questi fatti rese nettamente più
onerosa la “manutenzione” dell’unità dello spazio linguistico, che in una realtà vasta e complessa
come quella delle province latinofone dell'Impero non poteva non far conto su due fattori
unificanti, del resto strettamente correlati: la circolazione degli uomini (funzionari, mercanti,
soldati) e il prestigio della norma scritta, abbastanza nota da potersi riverberare, attraverso il
comportamento linguistico degli alfabeti, su gran parte della comunità (o almeno delle comunità
urbane).
LINGUA SCRITTA E LINGUA PARLATA TRA VI E VIII SECOLO:
Il divario tra la lingua scritta (latino) e la lingua parlata (romanice loqui) è ormai incolmabile. Molti
di coloro che usano il latino per mestiere (notai e giudici, prelati, cancellieri) spesso non lo
padroneggiano, e lo infarciscono di errori e di parole prese dal parlato (appunto ormai diverso dal
latino).
Chi è istruito ha gli strumenti per capire che ormai la lingua parlata quotidianamente non è più
latino → graduale acquisizione di consapevolezza dell’esistenza di due sistemi linguistici → latino
e romanzo, in rapporto di diglossia tra di loro. Il latino lo usa chi lo sa usare in determinati contesti,
in altri invece usa la lingua materna ovvero la lingua romanza. La lingua dei libri e della Messa,
ovvero il latino, è molto diversa da quelli con cui si parla [è un’acquisizione che matura lungo
questi secoli, non è un’acquisizione immediata ma graduale].
Secondo Varvaro, in questi secoli (VI-VIII) nei quali le lingue romanze già esistono, il latino
conservava spazi di oralità (soprattutto in contesto ecclesiastico = per dire, se si incontravano dei
monaci provenienti dalla Spagna, Francia e Italia settentrionale – in quale lingua comunicavano?
Naturalmente il latino = lingua grammaticale ma in qualche caso doveva essere pur parlata,
come lingua veicolare = latino differenziato in base al livello di istruzione del monaco). Il latino
continua dunque anche a essere parlato, sebbene dalle pochissime persone che lo hanno studiato
a vari livelli a seconda della cultura di chi lo parla (ad esempio: un vescovo in un concilio avrà usato
un latino diverso da quello di un monaco semi-alfabetizzato).

65
Filologia Romanza

Gli alfabetizzati/semi-alfabetizzati scrivono ancora in latino poiché non c’è ancora la


consapevolezza che esiste un’altra varietà ben diversa dal latino – parlano la lingua romanza nel
quotidiano ed eventualmente il latino. Gli analfabeti naturalmente non scrivono nulla – parlano
soltanto la lingua romanza, in qualsiasi occasione. I primi capiscono il latino in base alla loro
cultura e le lingue romanze. I secondi capiscono la lingua romanza e in qualche caso il latino (ad
esempio il latino delle prediche o delle liturgie a condizione di che sia un latino “bassissimo”,
infarcito di termini volgari e con una sintassi semplice.
Varvaro ci spiega che chi sa il latino è sostanzialmente un bilingue e le situazioni di bilinguismo
favoriscono lo scambio linguistico (dal volgare verso il latino) e anche la prima codificazione scritta
del volgare (quando ci sono più lingue in use, capita che ci sia da transcodificare da una lingua
all’altra = capita che anche la varietà più bassa, il volgare, affiori alla scrittura). In contesti bilingue
(latino – volgare romanzo) capita sempre a un certo punto si debba tradurre da una all’altra
varietà – ad esempio, in questi secoli c’è la necessità che chi conosce il latino sia obbligato a
tradurlo in volgare. In ragione a questa necessità, i volgari romanzi vengono messi per iscritto
(prima non lo erano mai stati). Ad esempio, un sacerdote fa la predica, inizialmente in latino e
successivamente si rende conto che chi ha difronte non è in grado di comprendere = il sacerdote
inizierà così a farla il lingua romanza (= prima fissazione scritta della varietà romanza che non è
altro che una traduzione dal latino alla lingua romanza).
Consapevolezza espressa per la prima volta a chiare lettere nel dispositivo del Concilio di Tours
(813) → concilio convocato per volontà di Carlo Magno e venne stabilito che il prete deve fare la
predica del Vangelo in volgare – la maggior parte delle persone ormai non parla o non conosce più
il latino. La Chiesa dunque ha bisogno che il suo “messaggio” venga capito da tutti – la Chiesa è
stata una delle prime a capire questa cosa della necessità di un cambio. La diciassettesima
disposizione del Concilio di Tours recita:

66
Filologia Romanza

Visum est unanimitati nostrae, ut quilibet episcopus habeat omilias continentes necessarias
ammonitiones, quibus subiecti erudiantur. […] Et ut easdem omelias quisque aperte transferre
studeat in rusticam Romanam linguam aut Thiotiscam, quo facilius cuncti possint intelligere quae
dicuntur. TRADUZIONE → Sembra opportuno a tutti noi che ogni vescovo pronunci omelie
contenenti gli insegnamenti necessari all’educazione dei sudditi. […] E che ciascuno si sforzi di
tradurre apertamente le omelie in lingua romanza rustica [letteralmente la “lingua romana delle
campagne” = a livello più basso] o in lingua tedesca, in modo che più facilmente tutti possano
capire cosa viene detto.
LEZIONE 18
Le prime tracce scritte delle lingue romanze
Le prime tracce scritte delle lingue romanze compaiono nel corpo di testi scritti in latino (chi scrive
ancora non concepisce che si possa scrivere in una lingua diversa dal latino imparato a scuola. Tali
“emersioni volgari” possono avvenire in due modi:
1. IN MODO NON INTENZIONALE, per distrazione o per vera e propria incompetenza grammaticale

[in rosso il latino corretto / in azzurro il volgare] – sono errori quasi di ortografia e di morfologia,
tipici di chi padroneggia la lingua fino a un certo punto.

2. IN MODO INTENZIONALE: chi scrive un testo in latino sceglie, per ragioni perlopiù legate a
uno “sforzo di comunicabilità” (M.L. Meneghetti), di ricorrere a parole o costrutti volgari
veri e propri (più spesso) / di ricorrere a parole o costrutti volgari travestiti, mascherati in
forma latina. Per questo tipo “ibrido” di latino → Francesco Sabatini ha parlato di scripta
latina rustica (“forma scritta del latino che accoglie elementi volgari). D’Arco Silvio Avalle di
latino circa romançum (“latino quasi/dalle parti del romanzo”). Maria Luisa Meneghetti di
latino della parola (“latino orientato in direzione del volgare”). → Chi è capace di scrivere
può adottare consapevolmente nella scrittura di un certo tipo di testi (perlopiù testi pratici,
ma non solo) un registro intermedio tra il latino e la lingua parlata.
In questi secoli, i pochi che scrivono in latino, scelgono di ricorrere a parole o costrutti volgari o
“travestiti” in forma latina. Per necessità comunicative decidono di ricorrere alle forme più basse.

67
Filologia Romanza

Esempi di emersioni intenzionali del volgare: in testi di uso pratico (glossari, elenchi di beni),
giuridici (deposizioni di testimoni), normativi (leggi) → l’utilizzo del codice linguistico nuovo è
richiesto dalla tipologia testuale, e quindi consapevole:
1. Glossari – Raccolte di forme latine “difficili” oppure di forme in lingue non romanze (ad es.
greco bizantino, antico tedesco) glossate, tradotte con parole / espressioni dell’uso vivo dei

parlanti
la lingua
romanza
(il

bilinguismo favorisce la forma scritta del volgare) → l’emersione scritta del neolatino è
favorita da contesti di bilinguismo o diglossia:

68
Filologia Romanza

Per loro la scrittura si


dava unicamente
in latino e scrivere
come parlavano si
poteva fare solo
adattandola ai modi e
alle forme del latino =
l’unico modo era
quello di “latinizzarlo”.
2. Raccolte di leggi – scritte in un latino semplificato, più vicino alla lingua parlata, in modo
che anche chi fosse ignaro di latino (= illitterati) potesse conoscerle e rispettarle → un testo
prescrittivo necessita di vicinanza al volgare. Esempi:

69
Filologia Romanza

3. Testi giuridici di vario genere (atti notarili, carte giudiziarie…) – Nelle cosiddette parti libere
(elenchi di beni, indicazioni topografiche, interventi di testimoni) questi documenti
possono contenere tracce della lingua parlata, dovute al contatto diretto del documento
con la realtà effettiva, quotidiana di cui si occupa (e che si esprime in volgare) → in queste
parti dei testi, è forte la pressione dell’oralità (Sabatini). Esempi:

Breve de inquisitione (Siena, 715), “breve documento d’inchiesta” = disputa giudiziaria tra i
vescovi di Arezzo e Siena; indagine disposta dal re longobardo Liutprando. La registrazione delle
deposizioni orali richiede che la scrittura si avvicini alla voce del testimone (che parla in volgare),
per ragioni di autenticità documentaria → la parte formulare del documento è in latino
sostanzialmente corretto, la parte libera (= deposizione) ricalca il tono linguistico della
testimonianza orale: «Item Ursus presbiter senex de Sancto Felice fines Clusinas dixit: “(...) Iste
Adeodatus episcopus isto anno fecit ibi fontis, et sagravit eas a lumen per nocte, et fecit ibi
presbitero uno infantulo abente annos non plus duodecem, qui nec vespero sapit, nec madodinos
facere, nec missa cantare. Nam consubrino eius coetaneo ecce mecum abeo: videte si potit, et
cognoscite presbiterum esse”».
4. Testi religiosi e didattici – inni, vite di santi (agiografie), testi di carattere morale, edificante
→ da cantare / recitare nelle funzioni da utilizzare per la predicazione e per
l’indottrinamento della popolazione presentano un latino adeguato alla situazione

comunicativa bassa (= al target popolare). Se la Chiesa si deve rivolgere alle masse, non
può usare un latino “elevato” ma un latino “compromesso” con la lingua della gente → per
questo presentano un latino adeguato al target popolare = latino che trae dalla lingua
parlata tantissimi elementi.
5. Registrazioni “informali” di varia natura, libere da vincoli di tipo grammaticale – dove il
copista, il notaio, il chierico si “riposano” dal loro mestiere e registrano per iscritto
proverbi, motti, giochi di parole… → abbassano il registro e quindi accolgono forme del
parlato, ma senza mai rinunciare al latino. Quando i copisti fanno delle “pause”, spesso
trascrivono motti o giochi di parole e lì il latino si abbassa = abbassamento del registro che
accoglie forme basse – senza MAI rinunciare al latino che rimane il codice linguistico con
cui questi copisti si muovono.

70
Filologia Romanza

LEZIONE 19
Un caso di latino circa romanzo della parola di tipo (5): l’INDOVINELLO VERONESE (fine VIII sec.):
 Sono due versetti in una lingua di compromesso (struttura latina + elementi volgari = la
struttura grammaticale è latina ma la superficie linguistica è popolata di elementi volgari).
 Scritti probabilmente da un copista della scuola capitolare di Verona a fine VIII secolo = a
Verona c’è la Cattedrale e affianco il capitolo che ospitava i chierici che si occupavano dei
riti = questi chierici avevano un’importantissima biblioteca e scriptorium.
 Sul margine del foglio di guardia (= sono quei fogli bianchi che si trovano a inizio e a fine dei
libri, “proteggono” le pagine effettivamente scritte) anteriore di un orazionale mozarabico
(ms. liturgico) dell’VII-VIII secolo proveniente dalla Spagna arabizzata. Rito cristiano con cui
si celebravano le liturgie nella Spana arabizzata. È stato portato in Italia da Cristiani iberici
che scappavano dalla loro patria > arriva in Toscana e poi raggiunge Verona.
† Se pareba boves, alba pratalia araba et albo versorio teneba et negro semen seminaba. [“Si
spingeva avanti i buoi, arava bianchi prati e un bianco aratro reggeva e nero seme seminava”
(soluzione: chi scrive)]. I buoi sono le dita che tengono la penna / i bianchi prati da arare sono le
pagine bianche della pergamena ancora prive di scritte / l’aratro bianco è la penna d’oca / nero
seme è l’inchiostro.
† Gratias tibi agimus omnipotens sempiterne Deus = lo stesso copista dopo l’indovinello, redige
sulla riga sotto una formula scritta in latino perfetto. [“Ti rendiamo grazie, Dio onnipotente ed
eterno”]. Notiamo la differenza di livello tra i due latini.
È una scrittura corsiva altomedievale precarolina di non facile interpretazione → forma elegante
usata prima della riforma promossa da Carlo Magno (= appunta da qui si chiamerà carolina).
L’Indovinello veronese è stato spesso interpretato come il più antico testo scritto in una lingua
romanza (nello specifico, un volgare veneto antico). Elementi superficiali volgari:
 Caduta di -T della 3° pers. sing.: pareba, araba, teneba, seminaba (lat. -ABAT, -EBAT)
 Caduta di -M dell’accusativo e -Ŭ > -o: albo versorio, negro (ALBŬM, *VERSORIŬM,
NĬGRŬM)
 Ĭ > ẹ: negro (lat. NĬGRUM)
 pareba ‘spingeva avanti’ (< lat. PARARE ‘preparare’): in questa accezione è parola diffusa in
area veneta
 versorio ‘aratro’ (< *VERSORIUM): parola diffusa in area veneta [cfr. le mappe AIS ‘spingere
le bestie’ e ‘aratro’]
 pratalia ‘i prati’ (< lat. *PRATALIA; cfr. toponimi sett. Predaia [TN] Pradaglia [PC], ecc.)
Il fatto che il chierico lo abbiamo scritto nel Capitolo di Verona ciò non si significa che il chierico sia
di origini veronesi. Sembra che in questi secoli non ci sia più nessuno in grado di scrivere “bene”
poiché si ha a che fare anche con il parlato nella scrittura.
Struttura grammaticale ancora latina:
 La terminazione dell’imperfetto rimane in forma latina: -aba-, -eba- < -ABAT, -EBAT (senza
b > v come in it.: -ava, -eva)

71
Filologia Romanza

 Il sostantivo neutro semen conserva la desinenza -n latina


 L’aggettivo albus “bianco” appartiene al lessico latino
 L’ordine sintattico OV è tipicamente latino (alba pratalia [O] araba [V], albo versorio [O]
teneba [V], negro semen [O] seminaba [V])
 L’acc. plur. alba pratalia è di genere neutro, quindi pienamente organico al latino (le lingue
romanze non hanno il neutro)
→ L’indovinello è stato scritto da un chierico abituato a copiare libri, che quindi conosceva molto
bene il latino. I volgarismi non sono errori, ma sono intenzionali, adatti al contesto di un breve
divertissement. La tipologia testuale “giocosa” suggerisce l’uso di un latino meno controllato,
quindi contaminato con il parlato. Non si può parlare di testo scritto volgare, ma di latino della
parola con elementi volgari inseriti per scelta stilistica.
Tra la fine dell’Impero (V sec.) e l’avvento dei Carolingi (VIII sec.)
La qualità del latino scritto era precipitata → pochi autori scrivono ormai al livello dei classici
antichi. Nell’enorme mole dei documenti, ma anche nei testi letterari e para-letterari, si attesta
«latino linguisticamente modesto» (Renzi-Andreose) dalla forte compromissione con il parlato,
più o meno intenzionale → sembra che non ci sia più nessuno in grado di scrivere “bene”.
Il programma carolingio di rinascita culturale (renovatio) promosso soprattutto dall’entourage di
Carlo Magno (re dei Franchi dal 774, imperatore dall’800) investe gli studi umanistici:
 Nuova attenzione alla scuola e all’istruzione soprattutto del clero e dei funzionari = non si
può affidare l’amministrazione del culto a persone che conoscono poco e male il latino.
Stesso discorso vale per la scuola.
 Recupero “filologico” degli auctores classici, allestimento di grandi biblioteche.
 Importante impegno letterario con attenzione alla lingua e allo stile (lotta alla scripta latina
rustica) = si producono testi molto importanti i quali autori badano alla lingua e allo stile.
Non è che in seguito alla renovatio le cose cambiano immediatamente – ci sono aree più
arretrate dove si continuava a fare come prima.
 Riforma della scrittura per risolvere “l’anarchia grafica” (minuscola carolina) = la scrittura
carolina è leggibile da chiunque.
La rinascita culturale carolingia
Con la riscoperta del latino classico nelle sue forme autentiche e l’innalzamento del livello
culturale della classe dirigente favorisce l’acquisizione definitiva della consapevolezza della
differenza sostanziale tra il latino (gramatica) e la lingua parlata (romanice loqui, rustica romana
lingua = volgare).
Inoltre, l’impero carolingio di Carlo Magno si estende su territori di lingua sia romanza sia tedesca:
 Il dualismo evidente per ragioni linguistiche tra latino (scritto) e lingua tedesca (parlata)
[nella parte orientale dell’Impero: Germania]. Latino e tedesco sono glottologicamente
differenti.
 Promuove il riconoscimento dell’altro dualismo tra latino (scritto) e lingua romanza
(parlata) [nella parte occidentale dell’Impero: Gallia].

72
Filologia Romanza

Si riconosce che nell’Impero la lingua ufficiale, diastraticamente alta, è il latino. Le lingue dell’uso,
diastraticamente basse, parlate, sono la theothisca e la romana.
Riconoscimento definitivo del fatto che il latino e il romanzo sono due sistemi distinti → piena
autonomia, “libertà di movimento” del romanzo rispetto al latino.
Non è un caso che la prima codificazione scritta di una lingua romanza in quanto tale, cioè non più
“mediata” dalla tradizione scrittoria latina e “travestita” di latino avvenga in questo contesto
culturale, avvenga dalla penna di uno storiografo, Nitardo, membro della corte di Carlo Magno.
Il più antico testo ad oggi noto scritto in un volgare romanzo (= antico francese, lingua d’oïl) sono
i Giuramenti di Strasburgo (14 febbraio 842). Carlo il Calvo, Ludovico il Germanico e Lotario, figli
di Ludovico il Pio e nipoti di Carlo Magno, governano le tre grandi regioni in cui era stato suddiviso
il Sacro Romano Impero dopo la morte del suo fondatore:
1. Carlo il Calvo ottiene i territori occidentali, di lingua galloromanza (d’oc e d’oïl) – rustica
romana lingua.
2. Ludovico il Germanico i territori orientali, di lingua tedesca (theothisca).
3. Lotario i territori centro-meridionali, di lingua tedesca (Lotaringia, cioè Lorena) e
italoromanza (Italia).
In un contesto di schermaglie per il potere, nell’842 Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico si
alleano contro il fratello Lotario. L’alleanza anti-Lotario fu sancita tramite un giuramento,
pronunciato a Strasburgo (territorio di confine dell’Impero) da Carlo e Ludovico, in presenza dei
rispettivi eserciti:
 Quello di Carlo, formato da soldati di lingua francese.
 Quello di Ludovico, formato da soldati di lingua tedesca.
I contenuti di questo giuramento dovevano essere chiari a tutti specialmente ai soldati dei due
eserciti (illitterati = ignari di latino, non lo conoscevano) → il giuramento venne redatto, e poi fatto
leggere sia ai sovrani, sia ai capi degli eserciti, in due versioni: una in francese e una in tedesco =
nell’842 abbiamo quindi la prima fissazione scritta di un volgare romanzo (non più latino con
elementi volgari, ma volgare tout court).
 Il testo dei giuramenti di Strasburgo fu redatto ad hoc dalle cancellerie dei due sovrani →
già pronto per essere pronunciato (no registrazione del parlato spontaneo della gente).
 È riportato integralmente nell’Historia latina di Nitardo († 844), storiografo e cronista
franco, nipote di Carlo Magno, probabilmente
testimone oculare degli eventi. giuramento di tipo incrociato
 L’Historia di Nitardo è tramandata da un solo
manoscritto, di fine X-inizio XI sec. (posteriore agli
eventi di circa 150 anni): attenzione a distinguere testo e manoscritto – quasi mai, o molto
raramente, possediamo di un testo copie più tarde rispetto alla data di composizione
poiché non abbiamo gli originali (autografi o apografi dei vari autori cos’ antichi). Intento
letterario → presentando i due giuramenti, non voleva fare altro che sottolineare le due
identità nazionali = scelta espressiva da parte di Nitardo. Per poter trascrivere tali
giuramenti, è stato testimone oculare degli eventi.

73
Filologia Romanza

Sia Carlo che Ludovico pronunciano una sorta di difesa della loro causa → Nitardo ce la riporta in
latino e ci dice che Carlo l’ha detta in volgare.
Secondo Aurelio Roncaglia trascrive i Giuramenti così come sono stati pronunciati per amore di
autenticità (NB: il contesto giuridico favorisce, anzi richiede l’adesione al vero).
Secondo Petrucci, invece, per sottolineare solennemente, con un artificio retorico, le due “identità
nazionali” che facevano capo a Carlo (romana) e Ludovico (theothisca) e che si “affratellano”
contro Lotario (nemico di entrambi) – ipotesi più comunemente accettata. Il copista è stato molto
fedele al suo antigrafo.
Il contesto giuridico e l’ormai piena consapevolezza della diversità dei sistemi linguistici latino e
romanzo (raggiunta in età carolingia) favoriscono l’emersione scritta del volgare. Non più breve
traccia più o meno travestita di latino, ma testo organico pienamente romanzo.
Ludovico (che parlava tedesco) giura fedeltà al fratello Carlo e lo fa in francese, perché l’esercito
francofono di Carlo capisca:

«Cumque Karolus haec eadem verba romana «Dopo che Carlo ebbe pronunciato le
lingua perorasset, Lodhuvicus, quoniam major medesime parole in romanzo, Ludovico, che
natuerat, prior haec deinde se servaturum era maggiore di nascita, per primo giurò che
testatus est:» avrebbe mantenuto quanto segue:»
«Pro Deo amur et pro christian poblo et nostro «Per l’amore di Dio, per il popolo cristiano e la
commun salvament, d’ist di in avant, in quant nostra comune salvezza, da questo giorno in
Deus savir et podir me dunat, si salvarai eo cist avanti, nella misura in cui Dio mi dona
meon fradre Karlo, et in aiudha et in cadhuna sapienza e potere, io sarò al fianco di questo
cosa, si cum om per dreit son fradra salvar dift, mio fratello Carlo nell’aiuto [militare] e in ogni
in o quid il mi altresi fazet, et ab [ab = con] cosa, così come ogni uomo deve a buon diritto
Ludher nul plaid nunquam prindrai qui, meon essere a fianco di suo fratello [perché è così
vol, cist meon fradre Karle in damno sit» che si deve fare tra fratelli], a condizione che
egli faccia altrettanto con me, e mai prenderò
alcun accordo con Lotario che, per mia
volontà, procuri danno a questo mio fratello
Carlo»

LEZIONE 20

Carlo fa la stessa cosa in tedesco:


«In Godes minna ind in thes christianes folches ind unser bedhero gehaltnissi, fon thesemo dage
frammordes […]» – È lo stesso testo ma in antico alto tedesco, si può riconoscere → Godes = Dio /
christianes folches = popolo cristiano. Gli studiosi hanno notato che questo codice proviene da un
ambiente molto vicino a quello di Nitardo (= molto a ridosso dell’archetipo).
Poi giurano i comandanti dei due eserciti, ciascuno nella propria lingua:

74
Filologia Romanza

«Sacramentum autem quod utrorumque «Se Ludovico rispetta il giuramento che ha


populus, quique propria lingua. Romana lingua prestato a suo fratello Carlo, e Carlo, mio
sic se habet: Si Lodhuvigs sagrament, que son signore, da parte sua, non lo mantiene, se io
fradre Karlo iurat, conservat, et Karlus, meos non riesco a farlo desistere da ciò [cioè “dal
sendra, de suo part non los tanit, si io returnar tradimento”], né io, né altri che io possa far
non l’int pois, ne io ne neuls cui eo returnar int desistere da ciò [cioè “dal tradimento”], non
pois, in nulla aiudha contra Lodhuwig nun li iu gli saremo di aiuto alcuno contro Ludovico”».
er».

Queste formule di giuramento volgari non sono registrazione del


parlato, ma scrittura volgare elaborata in contesto cancelleresco
(= alto, colto) da funzionari che conoscevano il latino. Sono
ricalcate su analoghe formule latine impiegate in documenti
carolingi coevi (capitolari, giuramenti).

pro Deo amur pro amore Dei, pro Dei amore, pro Dei
omnipotentis amore
pro christian poblo cum consilio servorum Dei et populi christiani
et nostro commun salvament secundum Dei voluntatem et commune
salvamentum
d’ist di en avant de isto die in antea
in quant Deus savir et podir me dunat quantum mihi Dominus scire et posse
donaverit (dederit)
si salvarai eo…et in aiudha et in cadhuna cosa invicem nos salvemus et adiuvemus
si cum om per dreit son fradra saluar dift sicut frater fratri per rectum facere debet
si Lodhuvigs sagrament, que son fradre Karlo si Hludowicus frater noster illud sacramentum,
iurat, conservat, et Karlus, meos sendra, de quod contra nos iuratum habet, infregerit vel
suo part non los tanit infringit

Localizzazione dei Giuramenti di Strasburgo su base linguistica → è stata osservata nei


Giuramenti la compresenza di tratti della lingua d’oil (francesi) e di tratti d’oc (occitanici):
Sembrerebbero interpretabili come tratti dialettali di tipo occitanico:
1. -A- tonica in sillaba libera del latino > -a-: fradre/fradra/christian/salvar/returnar (< latino
FRATREM, CHRISTIANUM, SALVARE, TORNARE ma antico francese frere, chrestien, salver,
retorner)
2. Latino -P- > -b-: poblo, “popolo” (< latino POPULUM ma antico francese peuple)
3. Mancata palatalizzazione di C + A > ca: Karle / -o, cadhuma, cosa (< latino CAROLUS,
*CATAUNUM, CAUSA ma antico francese Charles, chaum, chose) – quest’ultimo tratto è
però anche dei dialetti d’oil piccardo e normanno (nord della Francia)
Ipotesi 1 → che l’estensore delle formule provenisse da una zona di confine linguistico = secondo
Arrigo Castellani dal Poitou o dall’Aquitania del nord / secondo D’Arco Silvio Avalle dal Poitou (la
corte di Carlo il Calvo rimase stanziata in quell’area per molto tempo) / secondo Henri Suchier
dall’area franco-provenzale (area centro-orientale del dominio galloromanzo).
Ipotesi 2 → Altri, tra i quali Ferdinand Lot, sostengono che la compresenza di tratti del Nord e del
Sud sia dovuta al consapevole intento di creare una koiné linguistica (secondo loro l’antico
75
Filologia Romanza

francese nascerebbe già come una koiné francese) → la mescolanza di tratti linguistici sarebbe
servita a farsi capire da soldati di diversa provenienza.
Secondo altri ancora, tra i quali anche Lorenzo Renzi e Alvise Andreose, la lingua dei Giuramenti
non è localizzabile perché è troppo forte l’impronta del latino, la sola lingua che il redattore dei
Giuramenti padroneggiava nello scritto.
L’aderenza delle formule alle matrici latine è anche linguistica, non solo di contenuto → massiccia
adozione delle consuetudini scrittorie del latino, specificamente del latino merovingico (modo di
scrivere in latino nei primissimi secoli in seguito alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente con
particolari grafie, forme).
La patina linguistica latina annulla, annacqua gli elementi dialettali → difficoltà a localizzare la
lingua dei Giuramenti (= comprendere la varietà dialettale in cui sono redatti).
In questa fase si scrive in volgare appoggiandosi alla scrittura del latino, perché una tradizione
scritta del volgare non esiste ancora. Il grado di “sincerità fonetica” della scripta volgare dei
Giuramenti è parziale, perché incidono le consuetudini della scrittura latina. L’incertezza nella
scrittura del volgare è evidente → ad esempio: nella resa oscillante delle vocali finali ormai
evanescenti (/ə/). Dunque, poblo < POPULUM, fradre/fradra < FRATEM, Karlo/Karle, nostro <
NOSTRUM, sendra < SENIOR. Antico francese: peuple/frere, Charles/Carles, nostre, sire.
Dal latino SENIOR abbiamo un’evoluzione di questo tipo → SENIOR > *SENR (la O postonica viene
meno) o SENHR (con la palatalizzazione dello jod) > SENDRE/A o SENHDRE/A. Successivamente
abbiamo SEIRE > SIRE.
MELIOR > *MELR (velarizzazione di L) > MEUDRE.
Nella lingua dei Giuramenti, rinviano alla scrittura latina in particolare:
 Le forme pro Deo, in o quid, nunquam, in damno sit, iurat, conservat, contra, Karlus…
 I grafemi ‹i› e ‹u› per /e/ e /o/, tipici del latino merovingico = savir, podir, prindrai, dunat.
 L’assenza dell’articolo determinativo, sicuramente già esistente nel volgare del IX secolo.
 La frequente sintassi OV [Oggetto-Verbo] = savir et podir [O] me dunat [V] / si cum om per
dreit son fradra [O] salvar dift [V] / nul plaid [O] nunquam prindrai [V].
Adesione linguistica che secondo alcuni “maschera” l’aspetto reale di questa lingua.
Potrebbe dunque darsi che anche alcuni dei tratti linguistici dei Giuramenti che sembrano
riconducibili a varietà dialettali di tipo occitanico – siano invece da interpretare non in chiave
dialettologica (= occitanismi) ma come conservazioni della forma latina delle parole. Ad esempio:
la conservazione di -A- tonica → salvar (latino SALVARE), christian (latino CHRISTIANUS), fradre
(latino FRATEM), returnar (latino TORNARE). Oppure la mancata palatalizzazione di C + A: Karle (<
CAROLUS), cosa (< CAUSA), cadhuna (< *CATAUNA). Non c’è l’abitudine di scrivere in volgare, ci si
adatta con quello che si ha → ovvero il latino.
LEZIONE 21
Il più antico testo romanzo di carattere letterario → la SEQUENZA DI SANT’EULALIA (ultimo
quarto del IX secolo = 875-900 d.C.). È un testo di carattere agiografico (= racconto della vita e del

76
Filologia Romanza

martirio di un santo) → produzione di testi volgari a contenuto sacro, in modo che i contenuti
edificanti fossero compresi dagli illitterati. Testo di carattere esemplare = offre un modello di vita
da seguire per poter andare in Paradiso – i migliori modelli di vita sono le vite dei Santi (specchi di
Cristo). Sono testi utili per diffondere la parola del Signore → uso del volgare per farsi capire da più
persone (ragione comunicativa = deve arrivare a tutti).
I più antichi testi in versi in lingua d’oil → sono testi di carattere religioso-didattico:
1. Sequenza di Sant’Eulalia (IX secolo) – area piccarda-vallone (estremo nord-est a confine
con il Belgio)
2. Sermoni di Valenciennes (prima metà X secolo) – area vallone
3. Passione (X secolo) – area francoprovenzale (in octosyllabes = verso che in Italia è il
novenario. Successivamente octosyllabes diventerà il verso tipico dei primi romance
francesi)
4. Vie de Saint Lethgier (X secolo) – area vallone (in octosyllabes) = area in cui c’erano
monasteri che promovevano l’uso del volgare in queste tipologie di testi
5. Vie de Saint Alexis (XI secolo) – area normanna, cantato dai giullari, stesso metro della
Chanson de Roland = erano testi accompagnati da una cantilena/melodia
La Sequenza di Sant’Eulalia racconta il martirio di questa martire spagnola, avvenuto sotto
l’imperatore Diocleziano (III secolo d.C.). La tipologia testuale è quella della passio “passione” (di
Cristo, santi…). È una sequenza di 14 coppie di versi anisosillabici assonanzati (assonanzati =
corrispondono dalla vocale tonica in poi ma non le consonanti) + versicolo finale. La lingua è
l’antico francese, nella variante dialettale vallone (attuale confine Francia-Belgio – all’epoca anche
linguisticamente tra la theothisca e la romana lingua) = siamo in grado di capire la provenienza del
suo autore. [Stefano Asperti, Origini romanze, p. 178, non li definisce versi ma «periodi ritmici»].
Valenciennes, Bibliothèque Municipale, manoscritto 150 (IX secolo). La provenienza = biblioteca
del monastero benedettino di Saint-Amand (nel Medioevo fu molto importante come luogo di
produzione di testi ed era anche una scuola musicale), dove era giunto nella seconda metà del IX
secolo da territorio tedesco. Contenuto = Sermoni teologici di Gregorio Nazianzeno. All’inizio del IX
venne composto in territorio tedesco, arriva a Saint-Amand dove qualcuno trascrive alcuni testi tra
cui, in francese, la Sequenza di Sant’Eulalia.
Nelle carte finali:
a c. 141r: viene copiata una sequenza latina in lode di Sant’Eulalia (Cantica virginis Eulalie), 14
coppie di vv. assonanzati. Non si tratta di una traduzione della sequenza latina ma di un
rifacimento in volgare che conserva l’assetto metrico di quella latina. Mentre la sequenza latina ha
un andamento più lirico, la sequenza in volgare è proprio una poesia narrativa (si racconta una
storia).
a c. 141v:
1. Sequenza volgare di Sant’Eulalia [il testo volgare ricalca il latino nella forma, mentre è più
autonomo nei contenuti]
2. Rhitmus in antico alto tedesco dedicato alla vittoria del re franco Ludovico il Giovane
contro i Vichinghi (881).

77
Filologia Romanza

Il copista che trascrive la Sequenza di Sant’Eulalia e subito dopo il ritmo dedicato alla vittoria di
Ludovico contro i vichinghi, lavora dopo l’anno 881 = termine post quem. Saint-Amand è una zona
di confine = capacità di usare entrambe le lingue = romanzo e tedesco.
Secondo gli studiosi, le sequenze latina e antico-francese su Sant’Eulalia potrebbero essere state
composte:
 Proprio nel monastero di Saint-Amand, nell’ultimo quarto del IX secolo = nello stesso luogo
in cui sono state copiate.
 Poco dopo la traslazione delle reliquie della martire da Barcellona a Hasnon in un
monastero femminile vicino a Saint-Amand (post 878) → diffusione del culto della santa in
area franca orientale. Dobbiamo immaginare che si sia diffuso anche in Francia il culto di
questa santa (era principalmente spagnolo).
Cos’è una sequenza alto-medievale:
La sequenza è un testo liturgico (si canta durante la Messa), di norma in latino, che viene associato
alla fioritura melodica (= melisma) compiuta a partire dall’ultima nota dell’Alleluia gregoriano,
cantata sulla vocale -a. Inizialmente l’Alleluia si concludeva con una nota modulata – a un certo
punto, sopra questa modulazione canora iniziano a essere cantati dei testi → ecco perché si
chiamano “sequenze”. Il termine sequenza (< lat. SEQUENTIA) significa letteralmente “che segue
(l’Alleluia)”. Tipologia diffusa nell’Alto-Medioevo.

TESTO TRADUZIONE
Buona pulcella fut Eulalia, Buona fanciulla fu Eulalia,
bel auret corps, bellezour anima. Bello ebbe il corpo, ancor più bella l’anima.
Voldrent la veintre li Deo inimi, Vollero vincerla i nemici di Dio,
voldrent la faire diaule servir. vollero farle servire il diavolo.
Elle no’nt eskoltet les mals conselliers, Ella non ascolta i cattivi consiglieri,
qu’elle Deo raneiet chi maent sus en ciel, che lei rinneghi Dio che sta su nel cielo:
ne por or ned argent ne paramenz, né per oro, né argento, né vesti preziose,
por manatce regiel ne preiement; né per minacce del re o preghiere;
niule cose non la pouret omque pleier nessuna cosa non la poté mai piegare,
la polle sempre non amast lo Deo menestier. la giovinetta, a che non amasse sempre il
E por o fut presentede Maximiien, servizio di Dio.
chi rex eret a cels dis soure pagiens. E per questo fu portata al cospetto di
Il li enortet, dont lei nonque chielt, Massimiano, che regnava a quei tempi sui
qued elle fuiet lo nom christiien. pagani. Egli la esorta, cosa di cui a lei non
Ell’ent adunet lo suon element: importa, a che ella rifugga il nome cristiano.
melz sostendreiet les empedementz Lei perciò raccoglie le proprie forze:
qu’elle perdesse sa virginitet. preferirebbe sopportare le torture che perdere
Por o’s furet morte a grand honestet. la propria verginità. Per questo morì con
grande onore.

…Enz enl fou lo getterent, com arde tost. …Nel fuoco la gettarono, in modo che subito
Elle colpes non auret, por o no’s coist. arda: ella non ebbe colpe, per questo non
A czo no’s voldret concreidre li rex pagiens, bruciò. Davanti a ciò non si volle convincere il
ad une spede li roveret tolir lo chief. re pagano, con una spada ordinò di staccarle il
La domnizelle celle kose non contredist, capo. La ragazzina non si oppose a quella cosa:
78
Filologia Romanza

volt lo seule lazsier, si ruovet Krist. vuole lasciare questo mondo, ne prega Cristo.
In figure de colomb volat a ciel. In figura di colomba se ne volò in cielo.
Tuit oram que por nos degnet preier Preghiamo tutti che per noi si degni di pregare
qued auuisset (congiuntivo imperfetto) de nos in modo che Cristo possa avere di noi mercé
Christus mercit post la mort et a lui nos laist dopo la morte, e a lui ci lasci venire per la sua
venir par souue clementia. clemenza.

La scelta di raccontare la vita di questa Santa anche il volgare, oltre al latino, serve per far capire a
tutti i partecipanti alla Messa la sua vita. Non c’è una regolarità ma una cadenza – poiché era
sicuramente cantato. Il testo è in antico francese con presenze del vallone.
bellezour → è un residuo di comparativo sintetico latino. Bisogna pensare che nel latino parlato ci
fosse una forma dell’aggettivo BELLUS con un’aggiunta di un suffisso = *BELLATUS. Il suo
comparativo era BELLATIŌR. Dall’accusativo di BELLATIŌR che è BELLATIŌREM > antico francese
BELLEZOUR.
La struttura di queste agiografie al femminile è molto ben fissata – una giovane cristiana molto
bella viene convocata dall’imperatore o dal re (maschio potente) che si è invaghito di lei (distanza
sociale e di culto) e lui cerca di convertirla al paganesimo. A volte vi sono anche esplicite proposte
di matrimonio + ricchezze. Di norma, la ragazza rifiuta e il re o l’imperatore decide di ammazzarla.
Miracolosamente la giovane non muore nonostante vengano usate diverse modalità e alla fine
viene decapitata e qui muore.
Localizzazione della Sequenza di Sant’Eulalia – i tratti linguistici che, entro il dominio d’oïl, portano
verso l’area vallone, sono:
Nella FONETICA:
 b > u (velarizzazione di b): diaule (< diable)
 Evoluzione, in sede atona, di en > an: raneiet (< reneiet < RENEGET), manatce (< menace <
*MINACIA)
 Inserimento di semivocale “estirpatrice di iato”: souue “sua” (sou - u - e; cfr. anche a. it.
sova “sua” < soa)
 Assenza di e- prostetica davanti a parole che iniziano con s + consonante occlusiva: spede
< SPATHA (invece di espede, espee)
LEZIONE 22
Nella MORFOLOGIA:
 Desinenza verbale di prima persona plurale -am: oram “preghiamo” (invece di oron, orons,
come negli altri dialetti d’oïl)
 Passato remoto derivante dal piuccheperfetto latino invece che dal perfetto latino: auret
“ebbe” (< HABUERAT, non da HABUIT), pouret “poté” (< POTUERAT, non da POTUIT)
Spoglio linguistico congiunto di Giuramenti (= G) e Sant’Eulalia (= S) → evidenziamo alcuni tratti
caratteristici dell’antico francese, FONETICA – VOCALISMO
1. Evoluzione di A tonica in sillaba libera > e (spontanea) / ie (condizionata – dagli altri
suoni).
79
Filologia Romanza

G Ø (mancano esempi), S: maent “sta, rimane”, pronuncia /’mεŋt/ (< MANET), honestet (<
HONESTATEM), presentede “presentata” (< PRAESENTATAM). CONDIZIONATE = chielt “importa”
(< CALET), chief (< CAPUT), pleier (< PLICARE), regiel “del re, regale” (< REGALEM) – [in chielt, chief,
pleier, regiel A diventa ie e non semplice e per condizionamento del vicino suono palatale →
CALET > *čale(t) > chielt, CAPUT > čapu > chief, PLICARE > *pleğare > plegier > pleier, REGALEM >
*reğale > regiel]
2. Dittonghi delle vocali toniche in sillaba libera:

S: ciel (< CAELUM), buona (< BŎNA), ruovet (< RŎGAT) / veintre (< VĬNCERE) / bellezour (<
BELLATIŌREM)…
G: forse le grafie merovinge ‹i› e ‹u› mascherano ei (savir = saveir) e ou (amur = amour)? Non vi è
risposta, per il resto in G nessuna traccia di dittongo.
3. Evoluzione del dittongo latino AU > o. G: cosa (< CAUSA). S: cosa / kose, or “oro” (<
AURUM)
4. Caduta delle vocali in sillaba finale tranne -A (che di norma passa a -
e- evanescente = ə):
G: christian, commun, salvament, ist, avant, sagrament, returnar…
cosa, cadhuna, nulla, MA fazet “faccia” (< FACIAT) e forse Ludher.
S: bellezour, voldrent, servir, paramenz, virginitet, honestet… -A = buona pulcella, anima, MA niule
cose, polle, presentede, morte… questo tratto tipicamente francese nella Sant’Eulalia è molto ben
rappresentato. È anche un tratto tipico nei dialetti piemontese, lombardo e in parte emiliano-
romagnolo.
[Importante: l’antico francese sviluppa vocali d’appoggio dopo nessi consonantici altrimenti di
difficile pronuncia:
G: poblo, Karle, fradre /-a, sendra, nostro.
S: veintre, faire (< *FACR-), diaule (-bl-), sempre, seule “secolo” (< SECL-)…].
In antico francese tutte le vocali atone finali cadono (tranne la A), esistono casi di reintegro nel
caso in cui la parola finale ha casi consonantici di difficile realizzazione fonica.

FONETICA – CONSONANTISMO
1. Palatalizzazione di C / G davanti ad A: G ø, S: chielt (< CALET), chief, (< CAPUT), pleier (<
*pleğare < PLICARE), pagiens, regiel (< *pağans, *reğal < PAGANOS, REGALEM)… In ladino o
in friulano, così come in antico francese, parole come cavallo si pronunciano čhaval o gallo
si pronuncia gjal.
2. Lenizione (indebolimento articolatorio) delle consonanti sorde intervocaliche (-C- > -g-, -P-
> -b- > -v-, -T- > -d-) e in molti casi dileguo (cioè scomparsa: ad es. amie < *amiga < AMICA,
vie < vida < VITA – in francese è comune / in provenzale no):

80
Filologia Romanza

G: podir (< POTERE, a. fr. poeir), aiudha (< ADIUTARE; a. fr. aiue), cadhuna (< CATA-, a. fr. chaum),
Ludher (< LOTHAR-) plaid (< PLACITUM). [la grafia ‹dh› rappresenta la consonante interdentale
sonora ð, come nell’inglese father].
S: presentede (< -ATA; fr. mod. présentée), spede (< SPATHA; fr. mod. épée)
3. Sviluppo CT > it = S ø, G: dreit (< DIRECTUM), plaid (< *plactu < PLACITUM).
Ad oggi l’unica lingua romanza nella quale si conservi un residuo di sistema casuale è il rumeno.
MORFOLOGIA
Per sostantivi e aggettivi è documentata sia in G sia in S la declinazione bicasuale (nel latino
parlato, soprattutto negli ultimi secoli dell’impero, il sistema dei casi è collassato da 6 casi a 2, a
volte 3) → l’antico francese e l’antico occitanico conservavano un sistema a due casi:
 Caso SOGGETTO [deriva dal nominativo latino] – per il soggetto della frase e per tutti gli
elementi in relazione con il soggetto (sostantivo, aggettivo).
 Caso OBLIQUO [deriva dall’accusativo latino]:
A. Per il complemento oggetto (accusativo)
B. Per tutte le preposizioni
C. Per usi che in latino erano propri di genitivo
(complemento di specificazione) e dativo
(termine)

mur è senza la S nel


caso obliquo poiché
deriva dall’accusativo
latino MURUM. Al
plurale abbiamo mur
nel caso soggetto e al
caso obliquo murs dove

81
Filologia Romanza

la S si conserva. È un sistema che a un certo punto è stato abbandonato poiché rendeva il tutto
troppo difficile.
SOSTANTIVO IMPARISILLABO = sono quei sostantivi della terza declinazione con un numero di
sillabe al nominato e un altro all’accusativo (SENIOR – SENIOREM / BARO – BARONEM). Due sillabe
al nominato e tre sillabe all’accusativo. A seconda della base latina, nomi e aggettivo realizzano in
modo diverso il caso soggetto o il caso obliquo.
Esempi dai testi che abbiamo letto:
G:
 Soggetto: Karlus, meos sendra, non lo·s tanit < CAROLUS, MEUS SENIOR
 Obliquo: salvarai cist meon fradre Karlo (c. oggetto) < CAROLUM, MEUM / son fradre Karlo
iurat (c. termine/vantaggio senza preposizione)
S:
 Soggetto : auuisset de nos Christus merci < CHRISTUS – calco dell’etimo latino
 Obliquo: [Eulalia] si ruovet Krist (c. oggetto) < CHRISTUM
Situazioni di completa confusione tra il caso soggetto e il caso obliquo nei testi di 200/300 anni più
tardi rispetto a questi.
Altri impieghi del caso obliquo senza preposizione con valore di genitivo o dativo latino:
G: pro Deo amur “per l’amore di Dio” [caso soggetto: Deus]
S: li Deo inimi “i nemici di Dio” / lo Deo menestier “il servizio di Dio” / fut presentede Maximiien “fu
presentata a Massimiano” [caso soggetto: Maximiiens]
Abbiamo utilizzato G e S per tracciare un breve profilo grammaticale dell’antico francese. Usiamo
ora il testo di G e S per occuparci di tre innovazioni morfologiche panromanze (quindi non solo
antico-francesi, ma di tutta la Romània) che distanziano la morfologia delle lingue romanze da
quella del latino (cose che in latino non c’erano ma nelle lingue romanze sì):
1. Il futuro di origine analitica o perifrastica (= formato da più parole) (la forma di futuro
sintetico del latino classico è quasi del tutto scomparsa nel romanzo)
2. Il condizionale (modo verbale che in latino non esisteva)
3. L’articolo determinativo (parte del discorso che in latino non esisteva)
1- Il futuro romanzo di origine analitica o perifrastica. In latino il futuro aveva una forma
sintetica (= con terminazioni sue proprie da unire al tema verbale):
amabo “io amerò”, monebo “io avvertirò”, leges “tu leggerai”, audiet “egli ascolterà”.
Alla base del futuro dei
composti di esse: possum
(potero “potrò”), prosum
(prodero “gioverò”).
Cos’era il futuro in latino? Aveva
una forma sintetica (= con
terminazioni suoi proprie e
82
Filologia Romanza

andavano unite al tema del verbo per formare il futuro). La I e II coniugazione = aggiungevano al
tema le terminazioni -bo, bis, bit… ≠ la III e IV aggiungevano al tema le terminazioni -am, es, et…
Il futuro sintetico aveva diversi problemi intrinseci:
 Era troppo vario: mancava di uniformità sul piano morfologico
 Probabilmente lo si riteneva poco espressivo sul piano semantico
 Era formalmente troppo vicino alla coniugazione di altri tempi e modi verbali → ambiguità.
Ad es. il futuro in -bo, -bis, -bit era simile all’indicativo imperfetto in -bam, -bas, -bat…
Quello in -am -es -et simile al congiuntivo presente in -em, -es, -et / -am, -as, -at…
→ Per reazione il latino parlato sviluppa altri tipi di futuro meno ambigui e più validi sul piano
espressivo, a partire da perifrasi (= giri di parole) formate con l’indicativo presente dei verbi
HABĒRE, DEBĒRE, *VOLĒRE (sfumatura semantica di dovere / necessità / volontà di compiere
un’azione nell’imminenza). Sono espressioni del latino parlato che inizialmente non hanno valore
di futuro ma di “volontà di compiere un’azione nell’imminente” – queste espressioni diventano i
nuovi modi per esprimere il concetto del futuro = perifrasi più “solide”.
Il futuro più diffuso nel territorio romanzo (= doveva essere ben radicato e diffuso nel latino
parlato) è quello formato da infinito + indicativo presente del verbo HABĒRE. Esempio: CANTARE
HABEO, letteralmente “ho da cantare, ho intenzione di cantare”. Non si diceva più cantabo (che si
poteva cantare con l’imperfetto cantaba) nel parlato classico ma venne sostituito da CANTARE
HABEO.
CANTARE HABEO > CANTARE *AO > *CANTARAO > italiano canterò / cantarò, francese chanterai,
spagnolo cantaré, portoghese cantaréi, antico provenzale cantarai. Nei Giuramenti di Strasburgo:
salvarai “io salverò”, prindrai “io prenderò”.
Le persone dell’indicativo presente del verbo HABĒRE sono dunque diventate, col tempo, vere e
proprie desinenze (= marche flessive) del nuovo futuro: HABĒRE perde autonomia
lessicale/semantica e diviene pura desinenza → grammaticalizzazione della perifrasi originaria
creazione di una nuova forma sintetica.

La più antica attestazione del nuovo futuro sintetico è del VI sec., in una fibbia merovingica (la
“fibbia di Landelino”, Borgogna) che riporta un’iscrizione latina di livello diastraticamente basso
→ la forma grammaticalizzata del nuovo futuro si sviluppò negli ultimi secoli dell’Impero ma
doveva avere una connotazione sociolinguistica bassissima: non compare mai nello scritto prima
del VI sec. (cfr. Varvaro 2014):

83
Filologia Romanza

Le nuove forme sintetiche di futuro < inf. + HABĒRE convivono a lungo con le corrispettive forme
analitiche (ad es. in presenza di costrutti con pronomi):
Nel Medioevo:
 provenzale dir vos ai “vi dirò” accanto al più diffuso vos dirai
 antico spagnolo dar gelo hemos “glielo daremo” accanto al più diffuso gelo daremos,
 antico italiano settentrionale turbar se n’à “se ne turberà” accanto a se ’n turbarà
Ancora oggi, nel portoghese, esiste il tipo amar-te-éi “ti amerò” accanto a te amaréi.
Altre forme romanze di futuro perifrastico (e rimasto tale: non grammaticalizzato) si trovano in
aree più o meno isolate (Sardegna, Alpi) o laterali (Romania) → saranno più antiche del tipo
comune infinito + HABĒRE?
Dalla perifrasi verbo HABĒRE + AD + infinito / verbo DEBĒRE + infinito → sardo app’a cantare,
deppo cantare “canterò”.
Dalla perifrasi verbo *VOLĒRE + infinito → romeno voi cînta “canterò”.
Dalla perifrasi verbo VENIRE + AD + infinito → romancio vegnel a cantar “canterò”.
La reazione all’uso del futuro sintetico è stata molto forte e variegata → il latino parlato ha tirato
fuori diverse soluzione di tipo perifrastico. Il futuro sintetico del latino è morto TRANNE in poche
forme in aree galloromanze nel Medioevo (guarda caso si trova nei Giuramenti di Strasburgo).
2- Il condizionale. Il latino non aveva il modo condizionale (possibilità / desiderio che un’azione si
compia, ma a condizione che si verifichino altre azioni). In latino funzione semantica del
condizionale era svolta perlopiù dal congiuntivo.
Il condizionale romanzo più diffuso è anch’esso di origine perifrastica, simile al futuro:
infinito + indicativo imperfetto del verbo HABĒRE (sorta di “futuro nel passato”). Esempio:
CANTARE HABEBAM > CANTARE *EBA > *CANTAREA > spagnolo, portoghese, provenzale,
catalano, italiano settentrionale, antico siciliano cantaria, antico francese chantereie.
Perché si dice “futuro nel passato”?

PRESENTE FAREI

Se questa è la linea del tempo, se mi trovo nel presente (adesso) e dico “io farei questa cosa” il
“farei” non coincide con il momento presente ma si proietta nel futuro. Ma l’azione si svolge a
condizione che tra il momento “presente” e il momento “farei” avvengano delle cose.
Nella Sequenza di Sant’Eulalia: sostendreiet “sosterrebbe” (< SUSTINERE HABEBAT)
In italiano e in alcuni dialetti italiano-settentrionali antichi, il condizionale si forma in un altro
modo:

84
Filologia Romanza

infinito + perfetto del verbo HABĒRE = CANTARE HABUI > CANTARE *HEBUI > canterebbi > it.
canterei. CANTARE HABUI / *HEBUI > antico italiano settentrionale cantarave, cantareve.

Aree isolate / laterali:


 In sardo, il condizionale è espresso dalla perifrasi “imperfetto di DEBĒRE + infinito”: dia
cantare (< DEBEBAM CANTARE)
 In romeno, dalla perifrasi HABĒRE + infinito: am cînta “canteremmo”.
LEZIONE 23
3- La formazione dell’articolo determinativo
Il latino non aveva l’articolo determinativo. Nelle lingue romanze, che invece ce l’hanno tutte,
l’articolo determinativo ha essenzialmente due funzioni:
1. Quella di individuare categorie generali di cose, persone, animali, concetti… Ad esempio: le
parole sono importanti, gli animali domestici sono carini, la matematica non è per tutti,
l’uomo è andato sulla luna.
2. Quella di richiamare un elemento già citato , noto all’interno di un testo (funzione
anaforica): un operaio è caduto dal tetto di una casa; l’uomo ora sta bene (l’articolo mi
serve a citare un elemento giù nominato) / Roberto Baggio ha segnato due gol; il
fantasista è ora capocannoniere del campionato.
In alcuni testi del latino tardo aumenta moltissimo la frequenza dei pronomi e aggettivi già del
latino classico ĬLLE “quello” (dimostrativo) e ĬPSE “proprio lui, lui stesso” (determinativo) usati
proprio in funzione anaforica (quella del punto 2 della slide precedente):
Peregrinatio Aegerie: Sancti monachi […] sancti illi […] illi sancti […] illi sancti (III, 6-8)
Montes faciebant vallem infinitam [I, 1]
…ipsa valle tota […] ipsa valle […] de valle illa (V, 4-10)
→ queste occorrenze (articoloidi – poiché ancora non si può parlare di articoli determinativi) ci
dicono che probabilmente, nel latino parlato di età imperiale, si era diffuso un uso di ĬLLE e di ĬPSE
molto più ampio di quello del latino classico (pron. / agg. dimostrativi).
Nuove funzioni di ĬLLE e ĬPSE nel latino parlato:
 Utilizzati per le riprese anaforiche (come ne Peregrinatio Aegerie)
 Loro generalizzazione come determinativi (senza più necessariamente valore dimostrativo,
ma semplice valore referenziale → certificano l’esistenza e l’essenza di un oggetto)
Dalle varie forme di ĬLLE = sia dall’accusativo singolare (ĬLLUM, ĬLLAM, plur. -OS, -AS) sia dal
nominativo plur. ĬLLI, ĬLLAE. Derivano quasi tutti gli articoli determinativi romanzi:

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Filologia Romanza

In Sardegna, e a cavallo tra area galloromanza e ibero-romanza era invece più usato, con le
medesime funzioni, ĬPSE (acc. ĬPSUM, ĬPSAM) da cui l’articolo sardo su, sa / sos, sas, catalano
(Baleari) es, sa, antico provenzale, ant. guasc. so / se, sa…
← aree in cui sopravvivono esiti di ĬPSE come articoli determinativi (su, so, sa…). L’area della
Sardegna, Baleari e Catalogna è ben compatta.

Prima attestazione sicura dell’articolo determinativo romanzo:


Parodia della Lex Salica (area galloromanza, metà VIII secolo) – testo in cui il latino è contaminato
volontariamente da forme volgari:
tollant lis potionis «tolgano le bevande»
(lis, con grafia merovingica, potrebbe anche mascherare una pronuncia les, come nell’a.fr. e nel fr.
moderno).
Nei Giuramenti di Strasburgo l’articolo determinativo manca: non perché nell’842 non esistesse
ancora, ma per l’impronta linguistica e stilistica dei modelli formulari latini.
Ne Sant’Eulalia l’articolo determinativo abbonda: lo Deo menestier, lo nom christiien, lo suon
element, li rex pagiens, lo chief, lo seule (m. sing.), la polle, la mort (f. sing.) li Deo inimi, les mals
conselliers, les empedementz (m. plur.).
I PIÙ ANTICHI TESTI SCRITTI IN LINGUA D’OC (provenzale, occitanico)
1- Le benedizioni di Clermont-Ferrand [Clermont-Ferrand, Bibliothèque communautaire et
interuniversitaire, ms. 201 (IX-X sec.)]. È la zona del Massiccio Centrale, Francia. Contiene il
Breviarium Alarici decurtatum (testo giuridico = raccolta di leggi) – codice di leggi visigote, Alarico.
I margini di queste carte

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Filologia Romanza

possono ospitare altre piccole note di penna, scritture/annotazione del lettore o del copista
stesso.
A c. 89v, una mano di metà X secolo trascrive, in forma di traccia (= testi copiati casualmente in
margini di testi che contengono tutt’altro), in minuscola carolina, due scongiuri (nel nostro caso,
in particolare, “formule di magia terapeutica” [Lucia Lazzerini]).
SCONGIURI → formule rituali di uso pratico (non letterario) utili a risolvere problemi di salute
allontanare eventi atmosferici avversi difendere i propri beni fare innamorare attraverso
l’evocazione del soprannaturale. Molto spesso fanno riferimento a entità non religiose.

Testo Traduzione
1. 1.
Cum pisce in aqua fregit sua ala et resoldè, Come il pesce in acqua ruppe la sua pinna e si
si resold in ista mans qui deslogè (serve a far risaldò, così si saldi in questa [acqua] la mano
passare le slogare delle mani) che si slogò.

2. 2.
Tomida femina in tomida via sedea; Una donna gonfia sedeva in gonfia via,
tomid infant in falda sua tenea; teneva in grembo un bambino gonfio,
tomides mans et tomidas pes, tomidas carnes, gonfie mani e gonfi piedi, gonfie carni che
que est riceveranno
colbe recebrunt; (o ricevettero?) questo colpo,
tomide fust et tomides fer que istæ colbe gonfio legno e gonfio ferro che daranno (o
donerunt. diedero?) questo colpo*.
[segmento testuale eraso – è stato cancellato] [segmento testuale eraso]
Exsunt en dolores Ne escono dolori,
d’os en polpa d’osso in muscolo,
‹de polpa en curi› di muscolo in pelle,
de curi in pel di pelle in pelo,
de pel en erpa. di pelo in erba.
Tærra madre susipiant dolores La terra madre riceva i dolori.
(serviva a far guarire da gonfiori ma non si sa
di quale natura)
*(= non è altro che la toccatura con un coltello per far uscire l’ascesso / oppure il legno e il ferro
sono quelli che hanno causato il gonfiore).
È uno scongiuro profano, arcaico con un riferimento alla Terra. “tærra madre susipiant dolores” →
è una “Catena” di eliminazione del dolore: già documentata in testi tardo-latini:
Nella Physica Plinii sangallensis (VI-VII sec.?):
a medullis ab ossa, ab ossibus a pulpa, a pulpa a nervos, a nervo a cutes,
a cute a pilos, a pilo in centesimo [scaricano il dolore su un sasso]
Nel ms. XC della Biblioteca Capitolare di Verona (IX-X sec.):
exi de osso in pulpa, de pulpa in pelle, de pelle in pilo, de pilo in terra.
Terra matre, suscipe, quia te ille sufferre non potest
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Filologia Romanza

Tipologia di scongiuro arcaica e di grande diffusione nell’Europa Occidentale altomedievale (anche


esempi in area germanica).

2- Passione di Augsburg
Breve testo in versi occitanici [4 octosyllabes, 1 exasyllabe, 1 octosyllabe assonanzati in -a- (= è
sempre l’ultima vocale tonica), di area limosina = Francia centro-occidentale] sulla Passione di
Gesù. Tramandato in forma di traccia, in littera minuta cursiva (corsiva piccola), nel margine
superiore della prima carta di un ms. perduto (contenente, pare, la trascrizione atti notarili relativi
a un’istituzione ecclesiastica). La carta è ora conservata come frammento ad Augsburg,
Stadtarchiv, Urkundensammlung 5 [2].
Lo scriba che ha trascritto la Passione può essere assegnato al X sec. (ultimo terzo). La copia è
avvenuta a Strasburgo (Francia orientale). Scoperto da Rolf Schmidt, che ne è anche il primo
editore (1981).
Trascrizione diplomatica:
alespins batraunt sos caus etabes lan staudiraunt sos lad & enlacrux lapenderaunt et oblaeid lo
potaraunt si greu est a pærlær etenlacrux lapenderat
alespins] anche abespins
oblaeid] anche oblacid

Proposta editoriale di Gerold Hilty Proposta editoriale di Lucia Lazzerini


[La “Passion d’Augsbourg” reflet d’un [Letteratura medievale in lingua d’oc
poème occitan du Xe siècle (1994)] (2001)]
<Ailas,> als poins batraunt sos caus, A[b] les puns bat[e]raunt sos caus,
et ab escarn diraunt sos laus, et ab escarn diraunt sos laus,
et en la crux l’apenderaunt, et en la crux l’apenderaunt,
et ab l’aced lo potaraunt, et ab l’acid lo potaraunt,
si greu est a parlar, – si greu est a parlaer! –
et en la crux l’apenderaunt. et en la crux l’apendera[un]t.

Ahimè, con i pugni batteranno le sue guance (Cristo percosso nel pretorio),
e con scherno diranno le sue lodi (quando inchinandosi gli dicono “Salve, Re dei Giudei”),
e sulla croce l’appenderanno,
TRADUZIONE →
e con l’aceto lo disseteranno,
è così pesante parlarne!,
e sulla croce l’appenderanno.
Lucia Lazzarini riprende la proposta di Gerold Hilty ma apportando qualche modifica. Lei interviene
soprattutto sul primo verso. Rispetto alla trascrizione diplomatica ci sono degli interventi di
normalizzazione linguistica e semantica, a partire dall’integrazione iniziale <Ailas>, NON esiste nel
manoscritto ma siccome questo è un testo in versi e il primo verso si presentava ipometro (più
breve degli altri, con sillabe in meno) per il primo editore, per normalizzare il metro, l’editore lo
integrò con <Ailas>.

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Filologia Romanza

Il verso due è difficile, ancora oggi nessuno sa cosa si volesse intendere nel manoscritto. Gli editori
si sono arrangianti, sapendo che la Passione inizia nel pretorio con Gesù preso a botte, il Vangelo ci
dice che dopo viene

schernito/preso in giro (Salve, Re dei Giudei). “et ab escarn diraunt sos laus” è un intervento
massiccio che va ad intaccare ciò che effettivamente ci dice il manoscritte.
I primi due versi, dunque, vengono reinterpretati poiché nel manoscritto sembrano non avere
molto senso.

Proposta editoriale di Sam Wolfe e Martin Maiden [Variation and change in gallo-romance
grammar (2020); riprendono alcuni spunti interpretativi di Schmidt]:

Ab espins è la corona di spina [tormenteranno la sua testa/le sue tempie con le spine]. Al verso 4,
ab/ob (nel senso di “con”) = in provenzale sono entrambi accettabili. Al verso 2, parlano della
lancia che trafigge il costato di Cristo [con questa lancia __ il suo fianco/lato].
La funzione del testo della Passione di Augsburg:
Secondo Maria Luisa Meneghetti: il verso ripetuto a metà e alla fine del componimento («et en la
crux l’apenderaunt») sarebbe un refrain (= ritornello che si infila a metà e poi compare anche alla
fine).
Refrain in 3° e 6° posizione → rinvia alla forma strofica del rondeau, canzone a ballo attestata più
tardi in area francese → insomma, questa Passione in volgare era forse destinata al canto voce
sola + coro (e al ballo) nelle chiese, durante le celebrazioni liturgiche o paraliturgiche della
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Filologia Romanza

Settimana Santa. Dunque, questa Passione sarebbe un canto in versi della Passione di Cristo messo
nella forma di canzone-ballo.
Le caroles (tipo di danza) paraliturgiche erano diffuse e venivano eseguite nelle chiese (cfr. il
poemetto agiografico in octosyllabes della Sancta Fides, XI sec., da eseguire in tresca = ballo).
I più antichi testi in lingua d’oc: testi religiosi in versi destinati al canto / danza → embrioni di
teatro sacro:
 Passione di Augsburg (X sec.) – area limosina (?)
 Alba bilingue latino-provenzale (X sec.) – area cluniacense (abbazia di Cluny)
 Tu autem Deus (tropo)
 Versus Sancte Marie
 Sponsus (dramma liturgico in versi latini e provenzali)
 In hoc anni circulo (inno farcito latino-provenzale)

Boeci (XI sec.): poemetto agiografico in décasyllabes ispirato al De consolatione Philosopie di


Severino Boezio – area limosina (San Marziale?)
Santa Fides (XI sec.): poemetto agiografico in octosyllabes su Santa Fede di Agen (sec. XI), da
ballare in tresca – area pirenaica (Cerdagne?)
Gli ultimi due testi sono probabilmente anche del repertorio giullaresco → escono dal contesto
della (para)liturgia della messa, entrano nel repertorio dei professionisti della performance.
Tratti grammaticali dell’occitanico ricavabili da B (= Benedizioni di Clermont-Ferrand) e da P (=
Passione di Augsburg)
Testi linguisticamente complessi:
 Influenze di tipo verticale – dal latino al romanzo – soprattutto B
 Influenze di tipo orizzontale (dovute al contatto varietà d’oc – varietà d’oil) → presenza in B
e P di elementi linguistici settentrionali, dovuti o a zona di confine o a diasistema linguistico
(legato alla provenienza dei copisti).
FONETICA – VOCALISMO Copiati nello stesso manoscritto:
1. Conservazione di A tonica in sillaba libera > a. In B ms. latin 1139 della BnF di Parigi
(XI-XII sec.), nell’abbazia
abbiamo mans (< MANUS, a.fr. main), ala (<
benedettina-cluniacense di San
ALAM, a.fr. ele). In P: caus (< CAPUT, a.fr. chief).
Marziale di Limoges.
2. Assenza di dittonghi spontanei delle vocali toniche in
sillaba libera. In B abbiamo pes “piedi” (< PĔDES, a.fr. piès), pel (< PĬLUM, a.fr. peil, poil). In
P abbiamo greu (< *GRĔVEM, a.fr. grief).
3. Caduta delle vocali atone in sillaba finale tranne -A (> -a, a.fr. -e). In B abbiamo resold (<
RESOLIDET) os (< OSSUM) mans (< MANUS), tomid (< TUMIDUM), infant (< INFANTEM),
ecc. - A: tomida, femina, via, aqua. In P abbiamo acid (< ACETUM), pærlær (<
*PARAULARE), espins (< SPINOS), crux (< CRUCEM).

90
Filologia Romanza

4. Mantenimento del dittongo latino AU. In B non abbiamo niente. In P abbiamo caus (< cau
< CA(P)UT, dittongo secondario; cfr. a. lomb. cò).
FONETICA – CONSONANTISMO
1. Assenza di palatalizzazione di C / G davanti ad A. B: carnes (< CARNES, a.fr. chars). P: caus
(< CAPUT, a.fr. chief)
2. Lenizione delle consonanti sorde intervocaliche al grado sonoro (-C- > -g-, -P- > -b-, -T- > -
d-) mantenimento di -d- primario (< -D- latino) raro il dileguo (frequentissimo invece in
a.fr.)
Esempi dalla serie dentale
B: tomida, -e passim (< TUMIDA, -AE), sedea (< SEDEBAT, a.fr. seeit, seoit)
P: acid (< ACETUM, a.fr. aisil)

LEZIONE 24
Il più antico testo scritto in un volgare iberoromanzo: LA NODICIA DE KESOS “nota dei formaggi”
(terzo-ultimo quarto del X sec.). Conservato a León, Archivo de la Catedral, n. 852.
È un testo di carattere pratico (spendibilità immediata) → tiene nota di alcune uscite dalla
dispensa del convento di San Justo y Pastor.
È un elenco dei formaggi consumati in diverse occasioni presso l’abbazia di San Justo y Pastor,
presso Rozuela, nel León (nord-ovest della Penisola Iberica, non lontano dal territorio galiziano). La
nota redatta sul verso di una pergamena contenente un atto di donazione all’abbazia, datato 959
(termine post quem). La nota è di poco successiva a questa data; redatta in una minuscola
precarolina (zona laterale, territorio che non fa parte dell’impero carolingio e dunque molte
riforme tardarono ad arrivare). Potrebbe essere databile poco dopo il 974: nella Nodicia si nomina
un re in visita al monastero → Ramiro III di Leon visitò effettivamente il monastero nel 974.
Testo:
Nodicia de kesos que espisit frater Semeno in labore de fratres: inilo
bacelare de cirka Sancte Juste, kesos .v.; inilo alio de apate, .ii. kesos; en
que puseron ogano, kesos .iiii.; inilo de Kastrelo, .i.; inila vinia majore
.ii.; que lebaron en fosado, .ii. adila tore; que lebaron a Cegia, .ii.
quando la taliaron; ila mesa, .ii.; que lebaron a Lejone .i.; […]alio ke
91
Filologia Romanza

leba de soprino de Gomi de do[...] a[...]; .iiii. qu’espiseron quando ilo


rege venit ad Rocola; .i. qua‹ndo› Salbatore ibi venit.
Notizia dei formaggi che spese frate Semeno per ricompensare il lavoro dei fratelli: nella vigna
nuova che si trova vicino al monastero 5 formaggi, nell’altra vigna dell’abate 2, nella vigna di
quest’anno 4, nella vigna di castello 1 […] 4 formaggi sono stati spesi quando il re venne a Rocola.
Profilo dell’antico castigliano a partire dalla Nodicia
Fonetica:
 Conservazione di -J- latino: majore (< latino MAIOREM, spagnolo mayor).
 Betacismo: leba, lebaron, Salbatore (< -V-, spagnolo llevar), con ‹b› per /β/; forse la grafia
‹p› sta per /β/ in apate (< latino ABATEM), soprino “cugino” (< SOBRINUM).
 Sonorizzazione consonanti occlusive: nodicia (< latino NOTITIA), fosado (< FOSSATUM),
ogano (< HOC ANNO, portoghese ogano).
Morfologia:
 Plurale sigmatico: kesos (mentre fratres è latinismo)
 Articolo determinativo: ilo rege “il re” (< ĬLLUM), ila mesa “la tavola” (< ĬLLAM)
 Preposizioni articolate: inilo “nel”, inila “nella”, adila “alla”
 Passato remoto 3° persona plurale in -ron (< latino -RUNT): puseron, lebaron, taliaron…
Lessico:
 bacelare “vigneto nuovo” (cfr. REW S.V. baccillum “asta”, “bastoncino” → portoghese
bacelo “alberello di vite”, spagnolo bacillar, portoghese abacelar “piantare viti”.
 cirka “vicino” nel sintagma preposizionale de cirka “vicino a” (< latino CĬRCA; spagnolo
cerca).
 kesos “formaggi” (< latino CASEUM, spagnolo queso, portoghese queijo, italiano cacio,
italiano meridionale caso).
 mesa “tavola” (< latino MENSAM, spagnolo mesa).
Il più antico testo scritto in un volgare italiano: L’ISCRIZIONE DELLA CATACOMBA DI
COMMODILLA (metà del IX secolo)
 L’iscrizione si trova a Roma, nella cripta dedicata ai santi Felice e Adàutto, all’interno di una
catacomba, detta di Commodilla. L’affresco si trova sull’altare della cripta. È un testo
pratico.
 Il muro retrostante l’altare ospita un affresco del VI-VII sec. d.C.: Vergine in trono con ai lati
i due santi dedicatari della cripta, e la committente Turtura (nobildonna romana).
 Lungo la cornice del dipinto qualcuno ha inciso una scritta : lo ha fatto entro la prima metà
del IX secolo, cioè prima delle incursioni arabe (saraceni) che dall’846 (termine ante quem)
avevano devastato i dintorni di Roma e spinto le comunità cristiane ad abbandonare i
luoghi di culto.
 Siamo negli stessi anni dei Giuramenti di Strasburgo, forse anche prima.
Trascrizione diplomatica → NON / DICE/RE IL/LE SE/CRITA / ABBOCE

92
Filologia Romanza

Interpretativa → Non dicere ille secrita a bboce


= “Non dire le secrete ad alta voce”
Le secrete (orationes secretae) sono orazioni che il sacerdote era tenuto a pronunciare sottovoce
appena dopo l’offertorio: uso liturgico arrivato dall’area galloromanza a inizio IX secolo (molti
celebranti italiani, non si fossero ancora abituati all’uso di dire le secrete a voce bassa).
Quest’iscrizione serve a ricordare di dire queste secrete a voce bassa – come un promemoria.
→ La messa si celebrava spalle all’assemblea (rito preconciliare): quindi guardando l’affresco. Il
testo è redatto nel volgare romanesco di allora perché era importante che il celebrante capisse:
spesso il piccolo clero conosceva poco e male il latino. Siamo dunque in presenza di un
(micro)testo dalla funzione schiettamente pratica: un’istruzione.
La lingua dell’iscrizione
È un testo breve ma molto eloquente sul piano linguistico – si ricavano molte informazioni. Ad
esempio, ci mostra come l’antico romanesco fosse una varietà pienamente meridionale, di tipo
campano = assomigliava molto al napoletano. Oggigiorno il romanesco è simile al toscano.
Imperativo non dicere costruito con non + infinito, come in italiano e in generale nelle lingue
romanze (in latino classico, imperfetto con NE + congiuntivo presente / imperfetto [ne dicas, ne
diceres], o NOLI / NOLITE + infinito [noli, nolite dicere]).
L’infinito non sincopato dicere (italiano dire < DIC[E]RE) è tipico dei dialetti italiani centro-
meridionali (e anche del latino).
Nel sintagma ille secrita → ille (femminile plurale) funziona già da articolo determinativo (la grafia
è latina) = LE SEGRETE.
In secrita, ‹i› è grafia merovingica per /e/ (come savir, podir, prindrai nei Giuramenti di
Strasburgo).
Il sintagma a bboce esibisce due tratti schiettamente centro-meridionali:
 Raddoppiamento fonosintattico: a bboce
 Betacismo /w/ > /b/ centro-meridionale: boce (< VOCEM)

I PLACITI CAMPANI (O PLACITI CASSINESI), anni 960-963


 Il latino medievale placitum (< latino classico PLACĒRE “piacere”) è la sentenza scritta
emessa da un giudice in merito a una controversia. Il placito è il documento intero che
contiene quella formula.
 I placiti campani sono quattro articolate sentenze (in latino) fatte redigere da tre giudici
diversi a Capua, Sessa Aurunca, Teano (nel principato longobardo di Capua) per regolare
controversie territoriali che vedono coinvolta l’abbazia benedettina di Montecassino →
l’intento dell’abbazia è di consolidare il proprio dominio territoriale nell’ambito di contese
fondiarie tra monastero e nobiltà laica di stirpe longobarda. I longobardi, all’epoca, si
presero quasi tutta l’Italia e per questo venne divisa in → Langobardia Maior (Italia

93
Filologia Romanza

settentrionale + attuale Toscana) e Langobardia Minor (Italia meridionale = ducati di


Spoleto e Benevento). Le formule sono in VOLGARE e vengono anche trascritte all’interno
delle sentenze latine.
 I placiti emessi dai giudici stabiliscono, ascoltati i testimoni giurati (monaci, notai) che le
terre contese sono di proprietà dell’abbazia per usucapione (per possesso continuativo =
quando si usa qualcosa di proprietà altrui per talmente tanto tempo che alla fine diventa
tuo poiché l’altra parte NON lo reclama). Si sono dovuti recare davanti a giudici poiché
mancavano documenti iniziali che testimoniassero l’appartenenza.
 All’interno dei placiti, le formule testimoniali che certificano il possesso dei terreni sono in
volgare («garantiscono la verità dei fatti e rappresentano il fondamento giuridico della
sentenza» [S. Asperti]).
 La presenza di formule volgari all’interno di un documento latino all’epoca è rarissima.
La più antica delle formule è quella contenuta nel Placito di Capua (960)
Davanti al giudice Arechisi parla un testimone prodotto dall’abate di Montecassino, che riguardo
alle terre contese si esprime così: «Sao ko kelle terre per kelle fini que ki contene trenta anni le
possette parte Sancti Benedicti» → “So che quelle terre, entro quei confini di cui si parla qui,
trent’anni le possedette il patrimonio di San Benedetto” = per usucapione, sono sue.
Questa deposizione in volgare, di tipo italiano meridionale, all’interno del documento latino NON
è la registrazione di un parlato spontaneo → le formule testimoniali volgari contenute nei placiti di
Sessa Aurunca e Teano sono identiche alla prima:
 Sessa Aurunca (963): Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe monstrai, Pergoaldi foro,
que ki contene, et trenta anni le possette.
 Teano/1 (963): Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe monstrai, trenta anni le possette
parte Sancte Marie.
 Teano/2 (963): Kella terra, per kelle fini que bobe mostrai, Sancte Marie è, et trenta anni la
posset parte Sancte Marie.
Si tratta di formule testimoniali elaborate a tavolino, con tratti formulari tipici dei documenti
giuridici latini coevi della stessa area cassinese → formule elaborate ad hoc dai professionisti del
diritto legati a Montecassino (notai, giudici) a partire da modelli latini poiché i testimoni le
pronunciassero (come i Giuramenti di Strasburgo).
A riprova di ciò cfr. il passo del placito (in latino) che precede la formula volgare:
Perciò noi, suddetto giudice, sentenziammo e per nostra sentenza facemmo loro assumere
impegno formale [con guadia] che il suddetto Rodelgrimo si sarebbe rimesso alla legge e il
suddetto venerabile abate Aligerno per l’amministrazione patrimoniale del menzionato suo
monastero avrebbe fornito a lui prova mediante testimoni secondo legge in tal modo: che ad uno
ad uno i suoi testimoni, tenendo in mano la suddetta memoria prodotta da Rodelgrimo, avrebbero
pronunciato la seguente testimonianza: «Sao ko kelle terre per kelle fini que ki contene […]», e
avrebbero confermato la loro testimonianza secondo legge mediante giuramento.
La scelta del volgare è probabilmente dettata dalla necessità di sancire in modo inequivocabile i
termini della questione (“evidenza comunicativa”) → un modo anche gli illitterati possano

94
Filologia Romanza

conoscere inequivocabilmente come stanno le cose (non solo al momento della pronuncia della
testimonianza, ma anche nel referto scritto). Se si scrive in volgare = tutti capiscono.
Importante il ruolo dell’Abbazia di Montecassino nella promozione del volgare scritto →
avanguardia, capacità di intuire il cambiamento epocale nella comunicazione (non solo in ambito
giuridico, ma anche letterario: ritmi giullareschi, drammi religiosi).

LA LINGUA DELLE FORMULE TESTIMONIALI CASSINESI:


Grafia:
 Utilizzo del grafema ‹k› per /k/ l’occlusiva velare sorda: ko, kelle, ki – la presenza di ‹k› è
un tratto tipico arcaico = quando lo troviamo è facile che siano testi scritti ancora nel
Duecento se non prima.
Fonetica:
 Conservazione generale delle vocali atone finali, come in toscano e nei dialetti italiani
centro-meridionali: kelle terre, fini, contene, possette…
 Assenza di dittongamento spontaneo, come in tutti i dialetti italiani tranne quelli toscani :
contene (it. contiene)
 Gruppo labiovelare /kw/ (la /Q/ di “quando o quelle”) > /k/: ko (< lat. QUOD), kella, kelle
(< ECCUM + ILLA, -AE, it. quella, quelle, nap. chella, chelle), ki (< ECCUM HIC, it. qui)
 Betacismo: bobe “a voi” (< VOBIS), anche latinismo
 Raddoppiamento fonosintattico: sao cco
Morfologia:
 Plurali vocalici, come di norma nella Romània orientale (italiano centro-meridionale, e
toscano, romeno, dalmatico): terre, fini “confini”, anni

Sono invece retaggi dei modelli formulari latini:


1. Costrutto “pars + genitivo” parte Sancti Benedicti “patrimonio di San Benedetto”
2. Costrutto “verbo essere + genitivo” Pergoaldi foro “furono di Pergoaldo”
3. Sancte Marie è “è di Santa Maria” (foro < FUERUNT ed è < EST sono volgari, Pergoaldi e
Sancte Marie sono genitivi latini)
4. tebe “a te” e bobe “a voi” (< tibi, vobis) sono forti latinismi ma intaccati dal betacismo
Cfr. anche l’assenza dell’art. determinativo (come nei Giuramenti di Strasburgo)
NOTA LINGUISTICA INTORNO A SAO “IO SO” – VERBO:
Dal latino SAPIO > *SA(P)IO > sao > italiano so [Toscana, Italia centro-settentrionale] ma latino
SAPIO > italiano meridionale saccio, con passaggio -PJ- > čč. Il gruppo PJ, la P è l’occlusiva bilabiale
sorda, quindi palatalizzandosi produce una palatale sorda = č.

95
Filologia Romanza

La forma sao “io so” dei Placiti non sembra campana e nemmeno meridionale (non è mai attestata
nelle scriptae volgari antiche). Probabilmente va pronunciata /sɔ/, cioè con ‹ao› = o aperta [cfr. le
osservazioni del linguista Michele Loporcaro sul raddoppiamento fonosintattico in sao cco].
LEZIONE 25
→ [ipotesi] Forse i notai cassinesi inseriscono nelle formule testimoniali volgari un elemento non
locale (proveniente da aree più settentrionali del territorio longobardo) per “sprovincializzare” la
lingua (= eliminare un tratto troppo dialettale)? Se fosse così sarebbe in atto un tentativo aurorale
di koinè volgare giuridico-cancelleresca di tipo centro-meridionale.
Importanza dell’abbazia di Montecassino come motore, in Italia, di una politica culturale e
linguistica che porta alla valorizzazione (tra X e XII secolo) del volgare in ambito giuridico ma anche
e soprattutto in ambito letterario → volgare come strumento di avvicinamento agli illitterati
attraverso la fioritura di letteratura sacra in versi (ritmi, drammi liturgici). In tale contesto, i giullari
(= esecutori) sono tramite tra cultura clericale e popolazione. Caso simile a quello dell’abbazia
limosina di San Marziale di Limoges = grande luogo di testi in volgare e in cui il volgare letterario
ha avuto un enorme successo.
Sull’antichissima postilla del monaco di Bobbio = Valtrebbia (prima metà del X sec.): [vergata nel
margine superiore di una carta del ms. Milano, Biblioteca Ambrosiana, C 138 inferiore].
Si tratta di un testo rinvenuto recentemente, questa postilla scritta nel margine di questo codice, è
un commento ironico a un passo della Regula pastoralis in cui Gregorio Magno se la prende con
chi pecca di ingordigia – la gola è il peccato peggiore tra tutti.
Commento ironico (motto di spirito) a un passo di Gregorio Magno, Regula pastoralis, sulla gravità
del peccato dell’ingordigia. La forma è quella della postilla ritmica: cioè modellata sulla misura e
sul ritmo dei versi degli inni monastici (che il monaco naturalmente aveva nell’orecchio). Scelta
del volgare indotta dall’abbassamento di registro (cfr. Indovinello veronese). Sono parole che lui
trascrive dando loro un ritmo, come se trascrivesse un verso. La scelta del volgare è dovuta
all’abbassamento di registro – se il latino è la lingua delle cose “serie”, se si vuole “scherzare” lo si
può fare con la lingua di tutti i giorni → volgare.
Tale avisi, Bivirello, bivir’e manducare = “Magari tu, Beverello, avessi una tale disponibilità di
cose da bere e da mangiare!”. Gregorio Magno, sotto a questa postilla, scrive e ribadisce quanto
sia grave il peccato di gola. Il monaco gli risponde e si dà del “tu” da solo. Linguisticamente si
colloca nella stessa area in cui è stato scritto = testimonianza del piacentino del X secolo. Il tratto
più volgare in senso settentrionale è “avisi” per “tu avessi” → questo fenomeno è chiamato
METAFONESI = fenomeno di armonizzazione vocalica, è come se all’interno della parola, le vocali
tra toniche e atone cercassero un equilibrio. Congiuntivo piucchepperfetto latino HABUISSES >
produce due esiti in antico italiano “AVESE” (più arcaico) o “AVESI” – la /i/ finale condiziona per
metafonesi il timbro della vocale tonica = la vocale tonica di AVESE è una /e/ chiusa. La metafonesi
è quel fenomeno per cui le vocali finali condizionano il timbro delle vocali toniche (in questo
caso /i/ che passa ad /e/). In alcune aree la metafonesi funziona solo da /i/ finale. In meridione
anche da /u/ finale – ci sono parole nel dialetto napoletano che hanno dei dittonghi condizionati
da una vocale finale /u/ = dittonghi metafonetici.

96
Filologia Romanza

La carta del manoscritto è stata fotografata grazie alla luce ultravioletta = la si usa nei manoscritti
per vedere se vi sono tracce di inchiostrato “sbiadito” e per esaltarlo – alla luce normale queste
scritte non si vedrebbero.
La più antica traccia di poesia lirica romanza a tema amoroso
Fino a poco tempo fa, la più antica traccia lirica romanza conosciuta erano le due Liebestrophen
(“strofette d’amore”) pittavine (= volgare della regione centro-occidentale della Francia, al confine
con il dominio d’oc) scoperte dal grande paleografo Bernhard Bischoff. Lo troviamo a Londra,
British Library, ms. Harley 2750. Sono versi trascritti nei margini a mo’ di traccia. Poesie in francese
d’oil.
Liriche forse redatte nel Poitou (Francia centro-occidentale) ma copiate nel ms. Harley 2750 da un
copista tedesco nell’ultimo terzo dell’XI sec. e corredate di notazione neumatica (= musicale,
come nei Canzonieri di oggi). Sono state composte in Francia e sono arrivate dalla parte opposta,
al confine con l’area germanofona dove un copista le ha trascritte (1065-1100) – precedono il
“primo trovatore” (Guglielmo IX), precedenti alla poesia trobadorica che ne anticipano le
tematiche:

1. 1.
Las, qui non sun sparvir astur, Ahimè, che non sono sparviero astore (falco),
qui podis a li vorer, che potesse a lei volare,
la sintil imbracher, la gentile abbracciare,
se buchschi duls baser, la sua dolce bocca baciare,
dussirie repasar tu (= tutto) dulur. addolcire e quietare ogni dolore
2. 2.
Sacramente non valent, I giuramenti non valgono,
tu spiure current, ogni genere di spergiuro circola,
multe vel […]edent molte monache accolgono
per amor per amore
inclusi schevaler iuch tradur un cavaliere [iuch?] traditore
Il primo inizia con una metafora topica delle poesie trobadoriche = sparviero astore = tipo di falco
(rapace molto nobile). Si sottintende che la donna è lontana = che lui, sotto forma di falco, potesse
volare da lei per colmare il dolore della sua anima – lirica che parla di un amore lontano (tema
tipico).
Il secondo ha le caratteristiche della poesia “polemica”, non romantico come il primo. Si capisce
che il poeta si lamenta che i giuramenti non valgono più, ci sono in giro spergiuri e (le monache
sono designate come “incluse”) viene stigmatizzato l’amore tra i cavalieri laici e le monache = non
c’è più religione. È un testo polemico a sfondo amoroso.
Secondo M.L. Meneghetti: «se vale la datazione proposta in base allo stile della scrittura […]
costituirebbero la più antica attestazione concreta dell’esistenza di una lirica volgare romanza»:
 Una lirica galloromanza precedente l’esperienza trobadorica inaugurata da Guglielmo IX
d’Aquitania, e che ne anticipa temi e forme.
 Una lirica solo di poco posteriore alle più antiche harğat mozarabiche (versi finali romanzi,
amorosi, delle muwaššah arabe ed ebraiche) circolanti in Al-Ándalus (Spagna arabizzata).

97
Filologia Romanza

Il primato lirico delle Liebestrophen in area romanza è stato recentemente scalzato.


Vittorio Formentin ha pubblicato (2020) un verso di lirica amorosa ancora più antico (già noto a B.
Bischoff, ma mai valorizzato). Lo si trova trascritto nel margine inferiore di una carta di un ms.
dell’VIII sec. (contenente un testo latino: le Omeliae in libro Numerorum di Origene). Questo verso,
nel margine inferiore, era già stato letto da diversi studiosi e tra questi c’era Bischoff – non si sa
perché non lo abbia valorizzato:
 Il verso è trascritto in una scrittura di tipo documentario (= tipica dei documenti, non dei
libri). Scrittura usata nei documenti.
 La datazione della mano che lo trascrive (chierico o notaio) si colloca tra IX e X secolo =
quasi duecento anni prima delle Liebestrophen.
 Il verso è in un volgare italoromanzo → la più antica traccia lirica romanza è dunque
italiana: Fui eo, madre, in civitate, vidi onesti iovene ca[ . . ]e[ . ]u[ . ] = “Sono stata,
madre, in città, ho visto dei bei giovani” = è una ragazza che si rivolge alla propria madre.
È un verso lungo → possiamo semplificare parlando di ottonario piano (otto sillabe con l’accento
sulla settima) + senario sdrucciolo (sette sillabe con l’accento sulla quinta) = applicazione volgare
del tetrametro trocaico catalettico latino (non doveva avere un livello infimo di cultura – aveva il
ritmo di questa poesia latina):

Parla una giovane ragazza → chanson de femme “canzone di donna” con topoi come parlare con la
madre, lamentare la lontananza dell’amato (parla una giovane ragazza innamorata). L’incipit rinvia
a un tipo lirico di diffusione popolare, qualcosa di simile si ritrova nelle harğat mozarabiche (XI
sec.), e più avanti nelle cantigas de amigo galego-portoghesi (XIII sec.). non siamo davanti a una
poesia colta o stilisticamente elaborata, è un tipo di poesia con una vastissima circolazione –
soprattutto orale – di grande fortuna popolare.
Ad esempio:
Fui eu, madr’, a San Momed’, u me cuidei / que veess’ o meu amigu’, e non foi i (Johan de Cangas,
Fui eu, madr’, a San Momed’, vv. 1-
2) = “Sono stata, madre, a San
Mamete, dove pensavo di incontrare il mio innamorato, però non era lì”.
Fui eu, madr’, en romaria a Faro con meu amigo (Johan de Requeixo, Fui eu, madr’, en romaria, v.
1) = “Sono stata, madre, in pellegrinaggio a Faro con il mio innamorato”.
Nella poesia provenzale non si trovano poesie di questo genere.
Questo genere di poesia amorosa altomedievale di registro “popolare”, destinata al canto e al
ballo, è andato perlopiù perduto → doveva vivere principalmente nell’oralità (non era una poesia
“colta” dei trovatori), quindi rarissime fissazioni per iscritto (soprattutto a questa altezza
cronologica). Ne restano alcune riprese “colte”, più tarde, nella lirica cortese del XII e XIII secolo.
Dire “poesia popolare” non vuol dire che emerge spontaneamente dalla persona illetterata = ma
che una persona che sa leggere e scrivere, le da una forma più o meno strutturata e la mette in
circolazione.

98
Filologia Romanza

Per riassumere questa sezione sulle prime manifestazioni scritte dei volgari romanzi, testi romanzi
anteriori all’anno Mille = una classificazione tipologica, per capire perché viene usato il volgare:
 TESTI PRATICI:
Di carattere giuridico, quindi pubblico: Giuramenti di Strasburgo, Placiti campani.
Di carattere materiale e occasionale, quindi privato: iscrizione della catacomba di Commodilla,
nodicia de kesos, scongiuri.
Testi legati a doppio filo alla contingenza (al momento), al bisogno materiale, alla dimensione
concreta della vita, e quindi al volgare = la lingua della quotidianità in cui quei bisogni, quelle
contingenze si manifestano.
 TESTI LETTERARI RELIGIOSI: Sequenza di Sant’Eulalia, Passione di Augsburg.
Programma dei clerici per l’edificazione e l’indottrinamento dei fedeli illitterati (cfr. il Concilio di
Tours).
 TESTI LETTERARI PROFANI: Fui, eo, madre → testo poetico di fruizione popolare = il
registro popolare richiede il volgare.
 Motti, postille semiserie nei margini dei manoscritti (“pause” del copista, del lettore):
postilla ritmica di Bobbio l’abbassamento di registro va di pari passo con l’uso del volgare .
Anche la prova di penna ladina dell’amanuense Desiderio (copista ladino), area alpina
centro-orientale (tra il Trentino e il Veneto), X-XI secolo = “Diderros ne habe diege
muscha” “Desiderio non ha dieci mosche” = “non ha voglia di far nulla” – il “niente”
attraverso la menzione di un oggetto piccolo, in questo caso le “mosche”.
Panoramica dei generi letterari nell’Europa romanza medievale
L’EPICA – che cos’è:
«Che narra, celebrandole, le gesta degli eroi, intrecciando l’elemento storico con quello mitico e
fiabesco (un’opera poetica, di regola in forma di poema; e, secondo le partizioni della critica
retorica, il genere poetico che comprende tali opere; eroico)
 Guerresco (in particolare: riferito ai canti e altre forme di poesia popolare ispirati alle
antiche imprese guerresche di un popolo, divenute oggetto di racconto leggendario).
 Oggettivo (contrapposto a “lirico” inteso nel senso di “soggettivo”)»
Sono tipici dell’epica anche i seguenti tratti:
«il disporsi di un complesso di azioni intorno a uno scontro fra parti contrapposte, rappresentato
come decisivo per un’intera comunità e i suoi ideali (religione, stirpe, patria), con un forte senso di
destino collettivo»
«Autore e primi destinatari appartengono a quella comunità e non se ne distinguono, la voce
dell’autore come individuo non compare o dispone di spazio minimo (frequente, di fatto,
l’anonimato dei testi)»
«il testo è destinato a una dizione pubblica ad opera di un “professionista” (aedo, giullare) che lo
memorizza e che effettua la sua performance»
99
Filologia Romanza

Ricaviamo che l’epica è:


 Poesia narrativa (che ci raccontano qualcosa) → poema (non poesia lirica), eseguita in
canto o cantilena da cantori professionisti, in luoghi pubblici, alla presenza di molte
persone (dimensione orale – è uno dei fattori più importanti). Ogni volta, queste
rappresentazioni possono avere realizzazioni diverse proprio per via dell’oralità.
 Storicità, reale o presunta, degli eventi narrati (= oggettività), ma al contempo
rielaborazione leggendaria dei fatti. Nella maggior parte dei casi, partono da uno spunto
storico reale.
 Presenza di battaglie (spesso) e di eroi (o campioni) → quindi di gesta, a.fr. geste < lat. RES
GESTAE “fatti accaduti, imprese”, perlopiù “militari”. In queste battaglie spesso vengono
esaltati gli eroi, i campioni. L’etichetta che spesso si usa è chanson de geste.
 Lo scontro è tra parti contrapposte: una parte rappresenta una comunità e i suoi ideali,
l’altra parte il suo uguale e contrario, destinato alla sconfitta → ascolto di un poema epico
= momento “rituale” di identificazione di una comunità nei suoi valori l’eroe-campione È la
sua comunità (la incarna tutta). Non sono mai del tutto diversi il protagonista e
l’antagonista – nella Chanson de Roland, il re Marsilio (re dei musulmani) e Carlo Magno
(rappresentante della cristianità) = sono speculari.

L’epica romanza in lingua d’oïl. Definizione del corpus:


Si veda un celebre passo metaletterario (questione di generi) contenuto all’inizio di un poema
epico intitolato Chanson des Saisnes (“Canzone dei Sassoni”) composto da Jean Bodel di Arras
(fine XII sec.). Jean Bodel classifica la poesia narrativa in antico francese in questo modo:
“Non ci sono che tre materie per chi è istruito: di Francia, di Bretagna e di Roma la grande; non c’è
somiglianza fra le tre. I racconti di Bretagna sono vani e divertenti (Re Artù – Ciclo Bretone), quelli
di Roma saggi e istruttivi, quelli di Francia sono veri come appare ogni giorno”.
Le chansons de geste “canzoni di gesta (militari)” in antico francese contano complessivamente un
centinaio di testi tra XI secolo e XIV secolo.

LEZIONE 26
Le chansons de geste “canzoni di gesta (imprese principalmente militari)” in antico francese
contano complessivamente un centinaio di testi tra XI secolo e XIV secolo. Testi divisi in cicli (→
ciclizzazione: nel XII sec. fioritura di testi a partire dalle “chansons-archetipo”; Frappier: «i figli
hanno generato i padri») – fenomeno della ciclizzazione = ancora oggi è molto diffuso:
1. Il ciclo carolingio: capostipite la Chanson de Roland (terzo quarto dell’XI secolo) poema in
lasse assonanzate di décasyllabes.

100
Filologia Romanza

→ imprese di Carlo Magno e dei suoi paladini contro i saraceni, in difesa della cristianità (afflato
religioso, similarità con le agiografie): «paien unt tort et chrestiens unt dreit». Il re e i suoi paladini
sono graniticamente uniti contro i pagani.

2. Il ciclo narbonese: capostipite la Chanson de Guillaume (prima metà XII secolo) poema in
lasse assonanzate di décasyllabes – regione meridionale della Francia, in Occitanica.
→ imprese di Guillaume d’Orange (trasfigurazione mitica di Guglielmo conte di Tolosa): affronta
eroicamente i saraceni che nell’VIII secolo hanno invaso la Francia meridionale (incidenza del
modello rolandiano: Guillaume e il nipote Vivien come Carlo e Roland) ma al contempo introduce
il tema della crisi dei valori feudali (lealtà del vassallo al suo signore, coraggio, mutua assistenza) e
del difficile rapporto con la corona di Francia = percepita come un’entità lontana. Le geste
riflettono il sentire di un determinato periodo storico = in questo caso, in cui si sta creando una
spaccatura con Francia e la feudalità = aumento della corona e del suo potere.

3. Il ciclo dei “vassalli ribelli”: capostipite Gormont et Isembart (inizio XII secolo) poema in
lasse assonanzate di octosyllabes (= diventerà il verso caratteristico del romanzo).
→ il tema dello “scontro di civiltà” (pagani vs cristiani) va in secondo piano. Prende il sopravvento
il tema della ribellione dei vassalli al re di Francia. Ad esempio: Isembart, in rotta con re Louis,
passa a servire Gormont, re dei saraceni. Qui l’eroe è il vassallo. Queste geste finiscono sempre
tragicamente.
Il ciclo riflette una fase storica in cui aumenta il potere della corona la nobiltà feudale va in crisi.
Sovrani altrove eroici (ad es. lo stesso Carlo Magno) qui diventano i “nemici”.

4. Ciclo delle “canzoni di crociata”: capostipite Chanson de Antioche (XII secolo) poema in
lasse assonanzate di alessandrini, composto da Richard le Pèlerin (abbiamo un autore), che
aveva partecipato alla prima crociata. Ambientato tra la Turchia e la Siria.
→ tra XII e XIII secolo fioriscono testi che celebrano in chiave epica la riconquista del Santo
Sepolcro (avvenuta con la prima crociata: 1096-1099). Il tema identitario della lotta contro i
pagani è svolto non più attraverso il filtro di gesta lontane nel tempo (cfr. Chanson de Roland) ma
con riferimento a gesta contemporanee (le crociate) struttura classica dell’epica rolandiana (con
spunti agiografici) + accenni di storiografia (favoriti dalla prossimità cronologica degli eventi).
LA CHANSON DE ROLAND
Poema epico che narra le gestes contro i saraceni in Spagna di Carlo Magno e dei suoi 12 paladini
(= dall’aggettivo latino PALATINUS = conti del Palazzo = la più alta nobilita insieme al sovrano); il
“campione” cristiano è il conte palatino Roland, nipote di Carlo (la sua caratteristica è la dismisura
in tutto).
In una qualche forma, la Chanson de Roland doveva esistere già intorno al terzo quarto dell’XI
secolo (circa 1070) ma il codice più antico e autorevole che la contiene è il manoscritto Oxford,
101
Filologia Romanza

Bodleian Library, Digby 23 (O) (secondo quarto del XII sec.), in antico francese nella varietà
anglonormanna.
Nel manoscritto Digby la chanson conta circa 4000 décasyllabes suddivisi in lasse assonanzate
[lassa = strofa dal numero variabile di versi, unità metrica ma anche narrativa → ogni lassa, pure
collegata narrativamente alla precedente e alla successiva, ha un suo senso compiuto].
Verso finale della Chanson de Roland nel manoscritto di Oxford:
“Ci falt la geste que Turoldus declinet” = “Qui si arresta il racconto delle imprese che Turoldo
racconta/trascrive/porta a termine/rimaneggia (declina)/esegue cantando”.
Chi è Turoldo, il cui nome compare SOLTANTO nel manoscritto di Oxford?
1. L’autore della Chanson de Roland, nella forma in cui la leggiamo nel manoscritto di Oxford.
2. Il copista del manoscritto di Oxford.
3. Il copista dell’antigrafo (= del modello da cui è stato copiato) il manoscritto di Oxford.
4. Un giullare che ha eseguito il testo.
5. [Aurelio Roncaglia individuò un Turoldo abate di Peterborough (morto nel 1098), prelato-
guerriero vicino alla corte dei sovrani normanni d’Inghilterra].
Oxford, Bodleian Library, manoscritto Digby 23. Codice factice (composto da più libri distinti che a
un certo punto sono stati uniti insieme) appartenuto dal III secolo all’Abbazia di Osney,
Oxfordshire, Inghilterra. Prima unità codicologica (XII secolo) = raccolta di testi latini. Seconda
unità codicologica (XII secolo p.m.) = Chanson de Roland.
LA VICENDA:
 Carlo Magno e il suo esercito sono a combattere in Spagna, contro i saraceni, da sette anni;
resiste solo la città di Saragozza, sotto assedio da tempo – la Spagna, all’epoca, era sotto gli
arabi.
 Marsilio, re dei saraceni, consapevole dell’inferiorità del proprio esercito, propone di
consegnare ricchi doni ai Franchi in cambio della loro ritirata.
 Carlo e i dodici pari (i conti palatini) sono propensi ad accettare, tutti tranne Roland, conte
palatino e nipote di Carlo, che si ribella: la guerra va portata fino in fondo, perché «paien
unt tort et chrestien unt dreit» = Roland è dismisurato.
 Il patrigno di Roland, Gano di Mayence, che appartiene “all’ala moderata”, lo accusa di
follia.
 Lite tra Gano e Roland: quest’ultimo propone infine che sia proprio Gano a recarsi in
ambasceria presso Marsilio, a ricevere i doni, e la proposta viene accettata.
 Gano è terrorizzato all’idea di andare a prendere i doni da Marsilio e giura vendetta contro
Roland.
 Preso contatto con i saraceni, si accorda con loro perché venga teso un agguato all’esercito
franco in ritirata, presso Roncisvalle, sui Pirenei – Roncisvalle era un passo famoso nel
Medioevo poiché portava a Santiago de Compostela.
 A Roncisvalle i saraceni attaccano, la retroguardia franca è impreparata e accusa il colpo.
 Rolando, Olivieri, l’arcivescovo Turpino e gli altri prodi cavalieri cristiani combattono
valorosamente contro i pagani ma alla fine Rolando è costretto a richiamare rinforzi.

102
Filologia Romanza

 Rolando richiama l’avanguardia dell’esercito guidata da Carlo, suonando il suo corno


(l’Olifante); lo suona con tale intensità (tipica sua è la desmesure in tutto) che gli esplodono
le tempie.
 Ormai morente, Rolando assiste al massacro di alcuni dei suoi compagni più valorosi; cerca
di distruggere la sua leggendaria spada (Durindarda) menando fendenti a una roccia, ma
non ci riesce; muore da martire, su un poggio, steso sotto un pino; dal cielo scendono gli
angeli per accompagnarlo in Paradiso.
 Carlo, udito il suono del corno, giunge in soccorso e alla fine sbaraglia i saraceni; re
Marsilio muore.
 Ad Aquisgrana, Carlo processa Gano per alto tradimento, lo condanna a morte e lo fa
squartare da quattro cavalli.
I fatti hanno un fondamento storico in un episodio minore delle campagne militari di Carlo. Nel
778, di ritorno da una breve compagna militare in Spagna, la retroguardia dell’esercito franco è
attaccata a Roncisvalle da gruppi armati di Wascones (Baschi), impegnati in un’azione di
guerriglia. In quell’occasione trovano la morte alcuni illustri cavalieri franchi.
Einhardus [Eginardo] (770 ca. – 840), allievo di Alcuino e storiografo di corte, Vita Karoli Magni
(edizione critica di G. H. Pertz e G. Waitz). Segmento di questa cronaca è il seguente:
Imprese in Spagna, e sconfitta inflitta dai Baschi al suo [di Carlo] esercito:
Mentre combatteva, quasi senza interruzione, questa lunga guerra contro i Sassoni, aveva disposto
vari presidi nei posti adatti dei confini, ed aveva attaccato la Spagna con il maggior spiegamento di
forze possibile. Passò la catena dei Pirenei, ricevette la sottomissione di tutti i castelli e le
piazzeforti che incontrò sul suo cammino, rientrò, alla fine, in patria, con un esercito incolume.
Però, nel viaggio di ritorno, ripassando il giogo dei Pirenei, fu provato dalla perfidia dei Baschi;
profittando del fatto che l’esercito, data la strettezza del passaggio, era obbligato a muoversi in
lunghe file, apparecchiarono essi un’imboscata sulla cima di un monte, aiutati dalla circostanza che
il luogo pareva creato per le insidie, ricco com’era di oscure selve. Si precipitarono dall’alto;
gettarono nella sottostante valle gli ultimi carri e quei soldati che coprivano la retroguardia e li
massacrarono, infine, fino all’ultimo. Poi saccheggiarono i carriaggi e, protetti dalla sopravveniente
notte, si dispersero con ogni celerità. I Baschi si trovavano in netto vantaggio, sia perché provvisti
di armi leggere, sia per la configurazione del terreno, mentre i Franchi erano loro nettamente
inferiori per la pesantezza del loro armamento e le posizioni che occupavano. Caddero in questa
battaglia, con molti altri, il siniscalco Eggiardo, il conte palatino Anselmo e Orlando, conte della
Bretagna. E non fu nemmeno possibile vendicarli subito, perché i nemici, dopo aver perpetrato
questo colpo di mano, si dispersero in modo da non lasciare alcuna traccia.
L’evento storico è raccontato da Eginardo.
Perché si suppone che la Chanson de Roland, o una qualche forma di leggenda rolandiana,
esistesse già nella seconda metà dell’XI secolo?
Per via dell’esistenza della cosiddetta Nota Emilianense = chiamata così perché contenuta in un
manoscritto proveniente dal monastero di San Millan de la Cogolla , vicino a Burgos, lungo il
camino di Santiago:

103
Filologia Romanza

 Sostanziale riassunto, in latino, del contenuto della Chanson de Roland.


 Databile, secondo gli studiosi, tra il 1054 e il 1076.
 Redatto nello spazio rimasto libero della c. 245 di un codice di altro argomento
appartenente alla biblioteca del monastero.

In era DCCCXVI, venit Carlus rex ad Nell’anno 816 venne re Carlo a Saragozza. A
Cesaragusta. In his diebus habuit duodecim quei tempi aveva dodici nipoti, ciascuno dei
neptis; unusquisque habebat tria milia quali aveva tremila cavalieri con le loro
equitum cum loricis suis. corazze, i loro nomi erano Rolando, Bertrando,
Nomina ex his Rodlane, Bertlane, Oggero Oggieri “spada corta”, Guglielmo “naso corto”,
Spatacurta, Ghigelmo Alcorbitunas, Olibero et Olivieri e il vescovo monsignor Turpino. E
episcopo domini Torpini. Et unusquisque ciascuno serviva il re un mese all’anno con il
singulos menses serbiebat ad regem cum proprio seguito. Accadde che il re con il suo
solicis suis. Contigit ut regem cum suis ostis esercito si fermò a Saragozza; dopo un po’ di
pausabit in Cesaragusta. Post alinquantulum tempo i suoi gli consigliarono che accettasse
temporis, suis dederunt consilium ut munera molti doni, in modo che l’esercito non morisse
acciperet multa, ne a ffamis periret execrtum, di fame, e se ne tornasse da dove era venuto:
sed ad così fu fatto.
propriam rediret. Quod factum est. Deinde Piacque poi al re, per la sicurezza dei soldati
placuit ad regem, pro salute hominum dell’esercito, che il forte guerriero Rolando con
exercituum, ut Rodlane, belligerator fortis, il suo contingente guidasse la retroguardia. Ma
cum suis posterum veniret. At ubi exercitum quando l’esercito superò il passo di Cise, a
portum de Sicera transiret, in Rozaballes a Roncisvalle Rolando fu ucciso dalle genti
gentibus saracene.
Sarrazenorum fuit Rodlane occiso.

Questa Nota dice che tra il 1050 e il 1080 circa, lungo il camino di Santiago, era già nota una
leggenda rolandiana (non sappiamo in quale forma: un articolato poema come lo conosciamo?
canti popolari diversi?) che aveva più o meno gli stessi contenuti della Chanson de Roland.
La Nota implica l’avvenuta rielaborazione del dato cronachistico offerto da Eginardo nella Vita
Karoli → non si parla più di un agguato di Wascones (Baschi) ma di saraceni: l’elemento epico
(scontro cristiani vs pagani) è già stato introdotto, la cronaca è divenuta leggenda.
1050-1080 = siamo negli anni immediatamente precedenti la prima crociata (1096) → clima
favorevole di fervore religioso e fermento anti-saraceno.
San Millan de la Cogolla, camino di Santiago = siamo nei luoghi in cui i fatti narrati nella Chanson
de Roland avvennero, e dove probabilmente si era sviluppata una qualche forma di leggenda orale
sui paladini di Carlo Magno eroicamente morti da quelle parti (ad es. i monasteri di quella zona
millantavano di conservarne le spoglie).

Joseph Bédier, Légendes épiques (indagine sulle origini dell’epica romanza, 1926-1929), volume 1:
Recherches sur la Formation des Chansons de Geste – Bédier lo fece prima della scoperta della
Nota Emilianense.
Bédier formula un’ipotesi tuttora valida:
104
Filologia Romanza

La chanson de geste nascerebbe dalla collaborazione di monaci e giullari presso i monasteri che si
trovavano sulle vie di pellegrinaggio tra Francia e Spagna dove si conservava la memoria degli
eventi bellici narrati nelle chansons.
Ad esempio = si può pensare che i giullari abbiano raccolto tradizioni locali sulla disfatta di
Roncisvalle e le abbiano strutturate in forma di poema da recitare sui sagrati delle chiese, nelle
fiere, a beneficio dei pellegrini incamminati verso le loro mete. In questi anni è cruciale rafforzare
il sentimento identitario dell’Europa cristiana → funzione propagandistica della chanson de geste.

← stemma della Chanson de Roland secondo l’editore Cesare Segre.

Chanson de Roland, lassa II, ms. Oxford


(anglonormanno, XII secolo):

Li reis Marsilie esteit en Sarraguce. Il Re Marsilio stava a Saragozza.


Alez en est en un verger suz l’umbre; Se n’è andato in un giardino sotto l’ombra;
Sur un perrun de marbre bloi se culched, su uno sperone di marmo blu si è sdraiato,
Envirun lui plus de vint milië humes. intorno a lui più di 20000 uomini.
Il en apelet e ses dux e ses cuntes: Chiama i suoi duchi e i suoi conti: “sentite
«Oëz, seignurs, quel pecchét nus encumbret: signori che disgrazia incombe sopra di noi:
Li e‹m›per‹er›es Carles de France dulce l'Imperatore Carlo della Francia dolce in
En cest païs nos est venuz cunfundre. questo paese è venuto a darci fastidio.
Jo nen ai ost qui bataille li dunne, Io non ho esercito che gli possa dare battaglia
Ne n’ai tel gent ki la sue deru‹m›pet. e non ho spiegamento di forze che può
Cunseilez mei cume mi saivë hume, sbaragliare il suo esercito. Consigliatemi come
Si·m guarisez e de mort e de hunte! – miei saggi uomini e liberatami dalla morte e
N’i ad paien ki un sul mot respundet, dalla vergogna e non c'è pagano che risponda
Fors Blancandrins de‹l› castel de Valfunde a una sola parola. Tranne Blancandrino del
AOI. castello di Valfonda”.
È un testo pieno di /u/ = chiude la /o/ in /u/ = ad esempio: umbre al posto di ombre, dunne al
posto di donne…

Chanson de Roland, lassa II, ms. V4 (copiato nell’Italia padana, XIV secolo):

Marsilion estoit in Saragoçe, Il re Marsilio stava a Saragozza,


Desot une olive seit a laç all'ombre, si trovava sotto un ulivo all’ombra,
Inviron lui plu de .C.M. home, intorno a lui più di 10000 uomini,
Sovra un peron de marmore si plure, [si nota il dialetto padano].
105
Filologia Romanza

E si apella som dux et soi conte:


- Oldi, signor, qual peçe nos ingombre!
L'imperer si nos ven per confundre.
Consia-me, segnor, com saçes home!
Garenta-me da mort et da grande onte! -
No lí ert païn che niente li responde,
Ma tut lor teste verso la tere imbroçe. Tutti girano la testa verso il basso.
È stato copiato molto probabilmente a Mantova. La lingua di V4 si definisce francoveneto o
francoitaliano - è un sistema ibrido. Di solito, Carlo è seduto sotto un pino / Marsilio sotto un ulivo.
Oldi, signor = tipico esordio che si trova anche in testi giullareschi di area italiana-settentrionale –
Oldi = tipica forma lombarda o veneta. C’è una forma di adattamento del testo originario +
aggiornamento di tipo linguistico in senso italiano-settentrionale (francoveneto o francoitaliano).
LEZIONE 27
Lettura, traduzione e commento di alcune lasse della Chanson de Roland
I – la lassa incipitaria
II – Marsilio, re dei pagani
VIII – Entrano in scena Carlo e i paladini
LXXIX – I pagani hanno torto, i cristiani ragione
CLXXV-CLXXVI – La morte di Roland
Testo (edizione critica di Segre del 1971)
La lassa incipitaria:

I I
Carles li reis, nostre emper‹er›e magnes, Carlo il re, nostro imperatore grande,
Set anz tuz pleins ad estét en Espaigne: sette anni tutti pieni è stato in Spagna:
Tresqu’en la mer cunquist la tere altaigne. fino al mare conquistò la terra alta.
N’i ad castel ki devant lui remaigne; Non c’è castello che davanti a lui rimanga;
Mur ne citét n’i est remés a fraindre, muro né città non è rimasto da infrangere,
Fors Sarraguce, ki est en une muntaigne. tranne Saragozza, che sta su una montagna.
Li reis Marsilie la tient, ki Deu nen aimet, Il re Marsilio la tiene, che Dio non ama,
Mahumet sert e Apollin recleimet: Maometto serve e Apollo invoca:
Ne·s poet guarder que mals ne l’i ateignet. non può guardarsi che male non gli venga.
AOI.

Sono décasyllabes assonanzati in A-E. Solo nel manoscritto di Oxford appare alla fine di ogni lassa
la sigla AOI = ancora oggi non si sa a cosa si riferisce = alcuni pensano che si tratti al riferimento
all’intonazione musicale. Sono décasyllabes con cesura epica dopo la quarta sillaba → quando
dopo la quarta sillaba del décasyllabes abbiamo la chiusura di un’unità sintattica si parla di cesura
epica, tipica del verso décasyllabes.
Nei primi due versi abbiamo due mistificazioni:
1. Siamo nel 778 e gli viene attribuita la qualifica di imperatore quando di fatto non lo è
ancora (lo diventerà nel 800) – nella trasfigurazione leggendaria della storia, “funziona
bene” chiamarlo già Imperatore. Se ci fosse stato scritto “Re” ciò voleva dire essere re solo
106
Filologia Romanza

di Francia. Chiamandolo “Imperatore” si fa riferimento a “Imperatore della Cristianità” =


ovvero di tutti.
2. Dire che Carlo è stato in Spagna sette anni (v. 2: “set anz tut pleins ad estét en Espaigne”),
quando invece, cronache alla mano, la spedizione del 778 durò all’incirca un anno.
→ Esagerare le proporzioni contribuisce ad aumentare la tonalità epica del testo.
Il segmento di parola racchiuso in emper‹er›e = è un’integrazione operata da Segre perché nel
manoscritto di Oxford la parola si presenta nella forma empere al posto di emperere = è un errore
di aplografia → quando in una parola ci sono vicine due sillabe identiche o simili, è facile che una
della due salti poiché sono uguali. Se invece una sillaba viene ripetuta una volta di più si parla di
errore di dittografia. “la terra alta” → la Spagna. “castello” = città fortificata, cittadella.
Qual è il soggetto di aimet? Marsilio (è Marsilio che non ama Dio) – se il soggetto fosse stato Dio
avremmo trovato scritto “Deus” al caso soggetto e non “Deu” al caso obliquo. Fede islamica è
molto imprecisa = erano in pochi ad avere una conoscenza della fede musulmana all’epoca –
tant’è che una delle espressioni che si trova frequentemente a proposito dell’Islam è che “adorano
Maometto” → i musulmani NON adorano Maometto ma Allah (errore teologico). Maometto è
“l’intermediario”. I musulmani sono talmente negativi che hanno delle divinità false, Maometto e
Apollo (la trinità era Maometto, Apollo e Termagante). Essendo un pagano, non può che non finire
male = i cristiani hanno sempre ragione, i pagani NO.

Marsilio, re dei pagani:

II II
Li reis Marsilie esteit en Sarraguce. Il re Marsilio stava in Saragozza.
Alez en est en un verger suz l’umbre; Se n’è andato in un giardino all’ombra;
Sur un perrun de marbre bloi se culched, su uno sperone di marmo blu si stende,
Envirun lui plus de vint milië humes. intorno a lui più di ventimila uomini.
Il en apelet e ses dux e ses cuntes: Lui chiama a sé i suoi duchi e i suoi conti:
«Oëz, seignurs, quel pecchét nus encumbret: “Sentite, signori, quale sventura incombe su di
Li e‹m›per‹er›es Carles de France dulce noi:
En cest païs nos est venuz cunfundre. l’imperatore Carlo di Francia dolce
Jo nen ai ost qui bataille li dunne, in questo paese è venuto ad annientarci.
Ne n’ai tel gent ki la sue deru‹m›pet. Io non ho esercito che possa dargli battaglia,
Cunseilez mei cume mi saivë hume, né ho tale forza d’uomini che possa sbaragliare
Si·m guarisez e de mort e de hunte! – la sua. Consigliatemi, come miei saggi uomini,
N’i ad paien ki un sul mot respundet, e salvatemi dalla morte e dalla vergogna!”
Fors Blancandrins de‹l› castel de Valfunde Non c’è pagano che una sola parola risponda,
AOI. fuorché Blancandrin del castello di Valfonda.

Entrano in scena Carlo e i paladini:

VIII VIII
Li empereres se fait e balz e liez: L’imperatore si fa baldo e lieto,
Cordres ad prise e les murs peceiez, Cordoba ha preso e le mura ha fatto a pezzi,

107
Filologia Romanza

Od ses cadables les turs en abatiéd. con le sue catapulte le torri ne abbatté.
Mult grant eschech en unt si chevaler Molto grande bottino ne hanno i suoi cavalieri
D’or e d’argent e de guarnemenz chers. d’oro e d’argento e di preziosi guarnimenti.
En la citét nen ad remés paien Nella città non è rimasto pagano
Ne seit ocis, u devient chrestïen. che non sia ucciso, o divenga cristiano.
Li empereres est en un grant verger, L’imperatore è in un gran giardino,
Ensembl’od lui Rollant et Oliver, insieme a lui Roland e Olivier,
Sansun li dux e Anseïs li fiers, Sansone il duca e Anseis il fiero,
Gefreid d’Anjou, le rei gunfanuner; Gefreid d’Anjou, il gonfaloniere del re;
E si i furent e Gerin e Gerers. e anche ci furono Gerin e Gerers.
La u cist furent, des altres i out bien: Là dove questi furono, ce ne furono ben degli
De dulce France i ad quinze milliers. altri: di dolce Francia ce n’è quindicimila.
Sur palies blancs siedent cil cevaler, Sopra pallii bianchi siedono quei cavalieri,
As tables jüent pur els esbaneier, giocano alle tavole per distrarsi i saggi e i
E as eschecs li plus saive e li veill, vecchi,
E escremissent cil bacheler leger. e agli scacchi i più saggi e i vecchi,
Desuz un pin, delez un eglenter, e tirano di spada quelli giovani e rapidi.
Un faldestoed i ‹out›, fait tut d’or mer: Di sotto un pino, accanto a un rosaio selvatico,
La siet li reis ki dulce France tient. un trono da campo c’era, fatto tutto d’oro
Blanche ad la barbe e tut flurit le chef, puro:
Gent ad le cors e l‹e› cuntenan‹t› fier: là siede il re che dolce Francia governa.
S’est ki·l demandet, ne l’estoet enseigner. Bianca ha la barba e tutto bianco il capo,
E li message descendirent a pied, nobile ha il corpo e il portamento fiero:
Si·l saluerent par amur e par bien. se c’è chi lo cerca, non occorre additarglielo.
AOI. E i messaggeri scesero a piedi
e lo salutarono con amore e rispetto.

È successo che nel frattempo Biancardino ha proposto a Marsilio = diamoli un bottino e facciamo
in modo che si ritirino. Qui troviamo quello che nell’epica classica si chiama catalogo degli eroi =
sono presentati uno dopo l’altro + scene di pausa (giocano a scacchi, sfidano a scherma…) – è il
momento in cui i messaggeri fanno la proposta ai cristiani. cadables = catapulta. eschech =
preda/bottino di guerra (origine germanico). I pagani o li hanno ammazzati o fatti convertire.
Roland e Olivier = i primi due del catalogo degli eroi. rei = è un complemento di specificazione, in
antico francese è un caso obliquo (uno dei tanti usi senza preposizione). “Dolce Francia” = è un
epiteto ricorrente. Gioco delle tavole = in molti statuti medievali, veniva bandito (era un gioco
d’azzardo). eglenter la base latina etimologica è ACULEUS. faldestoed = origine germanica (i
prestiti germanici sono MOLTO presenti in questo testo). blanche ad la barbe = non soltanto è
l’attributo di persona anziana ma anche di persona saggia, di saggezza. chef deriva da CAPUT –
letteralmente sarebbe “capo fiorito” → capo bianco, si identifica la fioritura come il momento
della maturazione di un germoglio → è una metafora in cui la “fioritura” rappresenta “età in cui si
è maturi = età in cui si è anziani” (capelli bianchi). cors da CORPUS. È talmente evidente che il Re
sia lui che qualsiasi persona lo riconoscerebbe (capelli bianchi + barba bianca). “scesero a terra” =
nel senso di “scesero da cavallo”.

I pagani hanno torto, i cristiani ragione:

108
Filologia Romanza

LXXIX LXXIX
Paien s’adubent d‹’›osbercs sarazineis, I pagani si rivestono di cotte di maglia
Tuit li plusur en sunt dublez en treis. saracinesche, la maggior parte sono di triplo
Lacent lor elmes mult bons sarraguzeis, spessore, allacciano i loro elmi molto buoni,
Ceignent espees de l’acer vianeis ; saragozzani, cingono spade di acciaio
Escuz unt genz, espiez valentineis, viennese;
E gunfanuns blancs e blois e vermeilz. hanno grandi scudi, lance valenciane,
Laissent les mulz e tuz les palefreiz, e gonfaloni bianchi e blu e vermigli.
Es destrers muntent, si chevalchent estreiz. Lasciano i muli e tutti i palafreni,
Clers fut li jurz e bels fut li soleilz : sui destrieri montano, e cavalcano serrati.
N’unt guarnement que tut ne reflambeit. Chiaro fu il giorno e bello fu il sole: non hanno
Sunent mil grailles, por ço que plus bel seit ; guarnimento che tutto non fiammeggi.
Granz est la noise, si l’oïrent Franceis. Suonano mille trombe in modo che sia più
Dist Oliver : «Sire cumpainz, ce crei, bello: grande è il rumore, e l’udirono i
De Sarrazins purum bataille aveir». Francesi. Disse Oliver: «Sire compagno, questo
Respont Rollant : «E Deus la nus otreit ! penso, dai Saraceni potremo aver battaglia».
Ben devuns ci estre pur nostre rei: Risponde Roland: «E che Dio ce la conceda!
Pur sun seignor deit hom susfrir destreiz Ben dobbiamo essere qui per il nostro re:
E endurer e granz chalz e granz freiz, per il proprio signore si deve soffrire angustie
Si·n deit hom perdre e del quir e del peil. e sopportare gran caldo e gran freddo,
Or guart chascuns que granz colps ‹i› empleit, se ne deve addirittura perdere pelle e pelo.
‹Male› cançun de nus chantét ne seit ! Ora, guardi ciascuno che gran fendenti meni,
Paien unt tort e chrestïens unt dreit. che di noi non sia cantata cattiva canzone!
Malvaise essample n’en serat ja de mei» I pagani hanno torto e i cristiani hanno
AOI. ragione;
cattivo esempio non verrà mai da me».

L’offerta di Marsilio è stata accettata. Le truppe cristiane vengono attaccate dai saraceni, i quali
erano accordati con Gano. In questa lassa i saraceni si preparano all’attacco. Tuit li plusur = tutti/la
maggior parte. Le loro armature sono tutte “a km 0”. viennese = non è chiaro se si riferisce alla
Vienna in Austria o quella della zona Aquitania. espiez = origine germanica. È una scena
abbastanza colorata. I palafreni sono i cavalli da parata, cavalli eleganti ≠ muli sono animali da
soma. Abbiamo dunque tre tipi di cavalcature diverse con tre diversi usi = destrieri (battaglia),
palafreni (parate), muli (soma).
I testi epici destinati alla performance sono pieni di versi formulari = versi simili che si ripetono più
volta e che permettono la memorizzazione di un verso. Il francese soleilz deriva da un diminutivo
di sole che è SOLICULUM. sire = che cos’è? È il caso soggetto dal latino SENIOR / SEIGNOR, al
contrario, è il caso obliquo. Il costrutto con HOM + terza persona singolare è impersonale = “si
deve fare”. Per il proprio signore si devono sopportare le più dure cose = addirittura fino a perdere
pelle e pelo (fino a morire). La risoluzione palatale di /c/ velare davanti ad /a/ tonica non è
regolare in questo testo – in altri casi, lo è = c’è una resa oscillante (tipico dei dialetti d’oil
normanni e piccardi presentare in qualche caso la forma non palatalizzata). cançun = senza
risoluzione palatale. È un discorso fortemente ideologico = che Dio ce la conceda questa battaglia.
Or guart chascuns que granz colps ‹i› empleit, ‹Male› cançun de nus chantét ne seit! = è come se
fosse un intervento metatestuale di Rolando = “facciamo in modo che questa Chanson sia una
canzone eroica dove noi ne usciamo bene”.
109
Filologia Romanza

La morte di Roland:

CLXXV CLXXV
Ço sent Rollant de sun tens n’i ad plus. Ciò sente Roland, del suo tempo non ce n’è
Devers Espaigne est en un pui agut; più.
A l’une main si ad sun piz batud: Verso la Spagna sta, su un poggio aguzzo;
«Deus! meie culpe vers les tues vertuz con una mano si è battuto il petto:
De mes pecchez, des granz e des menuz, «O Dio, mea culpa verso la tua potenza
Que jo ai fait des l’ure que nez fui dei miei peccati, dei grandi e dei piccoli
Tresqu’a cest jur que ci sui consoüt!» che io ho fatto dall’ora che fui nato
Sun destre guant en ad vers Deu tendut. fino a questo giorno in cui qui sono colpito a
Angles del ciel i descendent a lui. morte».
AOI. Il suo guanto destro ha verso Dio teso: angeli
dal cielo scendono a lui.

↑ I saraceni uccidono tutti. Rolando decide di suonare il corno = essendo la sua caratteristica la
dismisurità = quando suona il corno gli esplodono le tempie (si uccide da solo anche perché
nessuno sarebbe riuscito a sconfiggerlo in battaglia). Alla fine si stende sotto un albero e attende la
sua morte da MARTIRE. La definizione di “aguzzo” per una montagna è diffusissima nella
toponomastica (esempio: Monte Acuto) – era tipico definirli così e ancora oggi si trovano nella
toponomastica. Rolando è rivolto verso la Spagna (si trova anche nella lassa precedente). A = nel
senso di “con”, introduce il complemento di mezzo. Les tues vertuz = le tue virtù. consoüt =
accezione particolare dal verbo latino CONSECUOR = “inseguire qualcuno per colpirlo”. Questo
gesto di tendere il guanto = fortissima carica simbolica = il guanto è il segno di servizio feudale.
Rolando è come se stesse dicendo a Dio: “sono tuo vassallo/servitore”. Rolando è il paladino
della cristianità + servitore dello stato. Moto da luogo = angeli DAL cielo scendono a lui.

CLXXVI CLXXVI
Li quens Rollant se jut desuz un pin, Il conte Roland giacque sotto un pino;
Envers Espaigne en ad turnét sun vis. verso la Spagna ha girato il suo viso.
De plusurs choses a remembrer li prist, Di molte cose a ricordare prese:
De tantes teres cum‹e› li bers conquist, di tante terre, come il barone le conquistò,
De dulce France, des humes de sun lign, di dolce Francia, degli uomini del suo lignaggio,
De Carlemagne, sun seignor, ki·l nurrit; di Carlomagno, suo signore, che lo allevò.
Ne poet müer n’en plurt e ne suspirt. Non può impedire né pianto e né sospiri.
Mais lui meïsme ne volt mettre en ubli, Ma non vuole mettere nemmeno sé stesso in
Cleimet sa culpe, si prïet Deu mercit: oblio, dichiara la propria colpa, e domanda a
«Veire Pate‹r›ne, ki unkes ne mentis, Dio misericordia:
Seint Lazaron de mort resurrexis «O vero Padre, che mai non hai mentito,
E Danïel des leons guaresis, San Lazzaro da morte resuscitasti
Guaris de mei l’anme de tuz perilz e Daniele dai leoni salvasti, salva la mia anima
Pur les pecchez quë en ma vie fis!» da tutti i pericoli per i peccati che nella mia vita
Sun destre guant a Deu en puroffrit; feci!». Il suo guanto destro a Dio offre in dono;
Seint Gabrïel de sa main l’ad pris. San Gabriele dalla sua mano l’ha preso.
Desur sun braz teneit le chef enclin; Sopra un braccio teneva il capo chino;
Juntes ses mains est alét a sa fin. giunte le sue mani è andato alla sua fine.
Deus ‹li› tramist sun angle Cherubin Dio inviò il suo angelo Cherubino,
E seint Michel ‹de la mer› del Peril; e san Michele del mare del Pericolo;
110
Filologia Romanza

Ensembl’od els sent Gabrïel i vint: insieme con loro san Gabriele venne.
L’anme del cunte portent en pareïs. L’anima del conte portano in Paradiso.
AOI.

“Sotto al pino” = spesso anche Carlo Magno. Di nuovo “verso la Spagna”. “Di molte cose a
ricordare prese” = quando stai per morire e ti passa davanti tutta la vita. “Barone” = si riferisce a sé
stesso. Si commuove in punto di morte poiché gli affiorano tutti questi ricordi. Non vuole lasciare
da parte quelle che sono le sue colpe (oblio) – dichiara la sua colpa e prega Dio. Veire > VERUS.
Unkes > UNQUAM. Riferimenti al testo sacro = san Lazzaro è Lazzaro (fratello di Marta e Maria)
che viene resuscitato da morte e Daniele è il profeta Daniele (celebre l’episodio della calata nella
fossa dei leoni dove viene salvato da Dio). Abbiamo un Rolando che ricorda le sue imprese, i suoi
compagni in modo umano e che nel suo rapporto con la divinità tiene a chiedere scusa per i suoi
peccati (= lo fa due volte, in questa lassa e in quella precedente). Tecnica delle lasse similari =
stratagemma per favorire la memorizzazione del testo. L’Arcangelo Gabriele prende il guanto dalla
mano destra di Rolando. Con le mani giunte è andato alla morte = è la descrizione della morte di
un vero cristiano, di un martire (capo inchinato, guanto teso al cielo, mani giunte). Costrutto di
tipo assoluto = giunte le mani, richiama l’ablativo assoluto latino. Dopo l’Arcangelo Gabriele
arrivano anche Cherubino e san Michele del mare del Pericolo (san Michele venerato a Saint-
Michel).
LEZIONE 28
La lirica trobadorica
L’elemento di novità: “La novità [del movimento trobadorico] non consiste nel fatto che si canti in
lingua romanza, ma nel formarsi di un sistema di autori che elaborano un patrimonio comune di
forme, immagini, idee che riflettono, ma anche creano, le aspettative del pubblico delle corti. E un
modello letterario, culturale e musicale che ha fatto scuola in Europa” (= UN SISTEMA DI AUTORI,
una “scuola” – tante figure autoriali collegate tra di loro in un arco di tempo ristretto = XII secolo).
Il contesto e il pubblico: “[poesia] elaborat[a] nelle corti della Francia meridionale da poeti che
appartengono alla classe nobiliare, o che da essa traggono sostentamento, e che alla corte si
rivolgono come a un pubblico privilegiato e per lungo tempo esclusivo. Con il suo lusso, la sua vita
di relazione, il suo dinamismo politico la corte offre il luogo e i mezzi; alla corte la nuova poesia
fornisce consapevolezza culturale e politica […] una poesia non solo aristocratica, ma laica, nel
senso medievale del termine, espressione delle aspirazioni proprie del feudalesimo evoluto” (= i
temi della poesia trobadorica sono vastissimi, è una poesia in cui l’ideologia feudale/cortese trova
una sua consapevolezza letteraria).
Estremi cronologici del movimento trobadorico: fine XI secolo – fine XIII secolo, ma il periodo
classico di questa esperienza poetica si colloca nel pieno XII secolo (tra gli anni Sessanta e
Ottanta).
Guglielmo IX → è il primo autore di cui ci è arrivato un corpus di liriche – non è detto che sia il
fondatore di questo movimento però. Ci sono alcuni contenuti della sua poesia, soprattutto
polemici nei confronti dei suoi colleghi che fanno pensare che lui fosse già inserito all’interno di
questo sistema. Si sospetta che fosse UNO dei primi e non il capostipite – in ogni caso, non si sa.

111
Filologia Romanza

Luogo d’origine: le corti del Sud-Ovest della Francia (Poitou, Aquitania, Limosino). Grandi
potentati (ducati, contee) che di fatto politicamente autonomi dalla corona di Francia (= si
sviluppa anche una vita cultura molto vivace). Ad esempio, Guglielmo IX duca d’Aquitania e conte
di Poitou, considerato il primo trovatore, era più potente e più influente del re di Francia stesso. A
partire da qui il movimento poetico trobadorico si irradia in tutto il dominio d’oc.
Diffusione:
1. Lungo il XII secolo la lirica trobadorica influenza i poeti d’oïl (che verranno chiamati
trouvères “trovieri”) e si diffonde nella Penisola iberica in Catalogna e in Castiglia; la
diffusione iberica è punto di partenza per lo sviluppo della lirica galego-portoghese (da fine
XII secolo e poi lungo il Duecento).
2. Ultimo quarto del XII secolo: ripresa trobadorica in area tedesca da parte dei Minnesänger
“cantori dell’amore cortese” che scrivono liriche amorose in tedesco.
3. Fine XII secolo: alcuni trovatori (ad esempio: Raimbaut de Vaqueiras) arrivano presso le
corti dell’Italia settentrionale (specificamente presso i signori del Monferrato e i Malaspina
= quest’ultimi possedevano un territorio vastissimo nell’area appenninica).
1209-1229: crociata contro gli albigesi (“catari”, la cui roccaforte era ad Albi = sud della Francia)
spinta da Innocenzo III → accentramento del potere nelle mani della corona di Francia
l’autonomia politica dei potentati del Sud si spegne (e di fatto anche la loro florida vita culturale).
Ne consegue la diaspora trobadorica, specialmente verso l’Italia padana. Importante il ruolo dei
da Romano, signori della Marca trevigiana, come mecenati dei trovatori (li accolgono). Momento
fondamentale per la ricezione della lirica trobadorica in Italia.
I più antichi e i più importanti canzonieri che raccolgono le poesie dei trovatori sono di confezione
italiana, il più antico (canzoniere D) è di area veneta orientale ed è almeno in parte la trascrizione
del Liber Alberici “libro di Alberico” = una raccolta di poesie trobadoriche appartenuta ad Alberico
da Romano, signore di Treviso (1196-1260). Del Liber Alberici abbiamo solo la copia contenuta nel
Canzoniere D.
In Italia l’eredità della lirica trobadorica è raccolta principalmente dai poeti della Scuola poetica
siciliana di Federico II (anni Venti del XIII secolo).
NB: tracce di lirica amorosa italiana di ispirazione trobadorica indipendenti e precedenti /
contemporanee rispetto all’esperienza siciliana esistono anche in altre aree della Penisola (anni
Venti-Trenta del Duecento), ad esempio:
 La cosiddetta canzone piacentina («O bella bella bella madona…»).
 La traduzione basso-piemontese dell’alba Reis glorios del trovatore Giraut de Bornelh
(«Aiuta De’, vera lus et gartaç») – una mano di un lettore ha annotato una traduzione
piemontese dell’alba Reis glorios.
 Il caso controverso della Carta ravennate («Quando eu stava in le tu cathene»).

112
Filologia Romanza

L’estrazione sociale dei poeti


Esponenti dell’aristocrazia occitanica a vari livelli (nobiltà maggiore e minore) = Guglielmo IX
(duca d’Aquitania e conte di Poitou), Jaufre Rudel (conte di Blaia), Raimbaut d’Aurenga (conte di
Orange), Bertran de Born (signore di Altafonte), Uc de Saint-Circ (figlio di un paubre vavassor, si fa
giullare).
Personalità di origini incerte, che però crescono e maturano la loro esperienza poetica nel
contesto delle corti, sia occitaniche sia dei territori confinanti: Arnaut Daniel, Bernart de
Ventadorn, Giraut de Bornelh (forse un magister “maestro”), Raimbaut de Vaqueiras (forse un
giullare), Marcabru, Cercamon “giramondo” (trovatori-giullari di professione, come suggeriscono i
loro soprannomi), Folchetto di Marsiglia (vescovo, di origine borghese).
Sulle biografie della maggior parte dei trovatori si hanno soltanto notizie incerte.
In alcuni canzonieri le antologie di ciascun trovatore sono precedute da un breve profilo biografico
(vida) → le vidas dei trovatori, composte da Uc de Saint Circ in Italia, alla corte dei da Romano
(XIII secolo: fase di raccolta e sistemazione razionale dei testi trobadorici in raccolte), contengono
informazioni perlopiù ricavate direttamente dai testi poetici, quindi non sempre attendibili.
Oltre alle vidas, Uc de Saint Circ compone anche le razos “ragioni” di alcune poesie → sorta di
cappelli introduttivi ai testi, dedicati all’occasione compositiva.
Prima come circolavano queste poesie se non esistevano Canzonieri? Verosimilmente, venivano
cantate nelle corti da giullari che in molti casi coincidevano con i trovatori stessi. In altri casi, i
trovatori assegnavano i loro testi ad un esecutore di professione per eseguirli. I giullari come
traccia per l’esecuzione orale usavano i LIEDERBLÄTTER = “fogli volanti” di pergamena –
successivamente sono stati raccolti e messi insieme per formare un Canzoniere.
I temi della lirica trobadorica
Tema cardine (ma non l’unico) della poesia trobadorica è quello dell’amore. La declinazione più
caratteristica del tema amoroso è nella forma della fina amor (fin’amor) = “amore fine, privo di
impurità, raffinato” [Gaston Paris traduce l’espressione con amour courtois “amore cortese”, cioè
“forma di amore declinata secondo l’ideologia cavalleresca”].
Questo tema è sviluppato in modo compiuto ed evidente nelle liriche di Jaufre Rudel (ante 1150) e
Bernard de Ventadorn (seconda metà XII secolo). Rappresentazione del rapporto amoroso
attraverso il filtro dell’ideologia feudale → distanza sociale signore-vassallo / legame di fedeltà e
servizio del vassallo verso il signore / liberalità (generosità) del signore verso il vassallo ma
mantenimento dei ruoli reciproci.
Aspetti chiave della fin’amor
1. Distanza sociale tra l’amante e la domna, che è sempre di condizione sociale superiore (nei
testi è spesso definita midonz < MEUS DOMINUS “mio signore”).
→ La domna è sposata (il marito è spesso il gilos “geloso”) → quindi è virtualmente irraggiungibile
+ è di condizione sociale più alta.

113
Filologia Romanza

→ A volte la distanza amante / domna è anche fisica oltre che sociale (amor de lonh), Cfr. ad es. la
canso di Jaufre Rudel, Lanquan li jorn son lonc en mai (BdT 262.2), vv. 1-4, 8-11:

Lanquan li jorn son lonc en mai Quando i giorni sono lunghi in maggio
m’es belhs dous chans d’auzelhs de lonh, mi fa piacere il dolce canto di uccelli di
e quan me sui partitz de lai lontano,
remembra·m d’un’amor de lonh: e quando me ne distacco (mi sono partito di là)
[...] mi ricordo di un amore di lontano
Ja mais d’amor no·m jauzirai […]
si no·m jau d’est’amor de lonh: Giammai d’amore non godrò
que gensor ni melhor non sai se non godo di questo amore di lontano:
ves nulha part, ni pres ni lonh ché donna più gentile né migliore non conosco
da nessuna parte, né vicino né lontano

Lo scrittore gode del fatto che la donna è lontana.


2. L’amante riserva alla domna la sua obediensa = “obbedienza”, “vassallaggio d’amore”.
3. L’amore non viene consumato, ma rimane allo stadio di “tensione erotica” → l’amante si
appaga di un segno di largueza “liberalità, generosità” da parte della domna (ad es. un
dono simbolico). Tendere a lei senza raggiungere l’appagamento fisico eleva
spiritualmente l’amante = paradosso amoroso, “have and have not”.
4. L’amore trobadorico, per definizione adulterino, va tenuto nascosto → necessità del celar
“nascondere” utilizzo nelle liriche del senhal “segnale”, cioè “espressione che designa la
donna in codice” difesa dai lauzengiers “maldicenti”, letteralmente “quelli che davanti ti
adulano e dietro sparlano”.
Altre tematiche:
 L’amore carnale, esibito senza censure (gap “vanto” – in molti casi è lirica “spinta”,
licenziosa): cfr. ad es. la canso di Guglielmo IX Farai un vers pos mi soneilh (“Farò una
poesia poiché sonnecchio”), BdT 183.12 – Guglielmo è un trovatore capace di parlare sia di
amore cortese che di amore carnale (in alcuni suoi scritti il sesso è ben presente).
 La politica, l’attualità, la morale (nella forma dell’invettiva, dello scherno, dell’elogio, del
lamento funebre, ecc.): Marcabru, trovatore morale per eccellenza, che scaglia invettive
contro il degrado della civiltà cortese (mancanza di largueza, fals’amor, slealtà = amore
finto, basato sull’adulterio e su “figli bastardi”).
Generi lirici trobadorici:
In origine i trovatori identificano le loro liriche come vers “versi” (< lat. VERSUS, utilizzato in
ambito liturgico). Lungo il XII secolo la terminologia si specializza:
 Canso “canzone”, specialmente per la tematica amorosa alta (fin’amor).
I suoi sottogeneri: pastorella e alba → declinazioni meno alte della tematica amorosa (trattano
altri tipi di amore). Contenuti della pastorella → c’è un cavaliere che esce con il cavallo, incontra
una ragazza – pastorella – di condizione sociale molto inferiore e lì inizia un dibattito amoroso =
inizialmente lei non ci sta, poi per sfinimento/violenza è costretta a cedere. Le canzoni d’alba = lui

114
Filologia Romanza

e lei trascorrono la notte insieme – in assenza del marito geloso di lei – e a un certo punto, il sole
sorge, e lui deve andarsene per non essere scoperto dal marito o dai servi di lei.
 Sirventes “sirventese” («canto di elogio o di scherno del sirven, del “giullare di servizio”»)
per la tematica politica e morale, per gli attacchi personali. Non ha niente a che fare con
l’amore.
I suoi sottogeneri: planh “pianto, lamento funebre” e canso de crosada “canzone di crociata”.
Generi lirici minori:
 tenso (tenzone) e joc partit (o partimen, gioco diviso): testi dialogici incentrati sulla
discussione accademica, scolastica (ma a volte con tonalità semiserie) intorno a un
determinato argomento, di solito l’amore – “se sia meglio per un cavaliere amare una
donna di alto o basso rango”.
Una tipologia di tenso è il contrasto: testo dialogico, di carattere comico, che ha per protagonisti il
poeta (che si propone) e una donna (che lo rifiuta). Ad esempio, il contrasto di Raimbaut de
Vaqueiras tra il giullare e la popolana genovese = il giullare si esprime in provenzale e la donna in
genovese = di fatto, le strofe genovesi sono il più antico testo (BdT 392.7). Il contrasto = mette in
scena due personaggi, il poeta e la donna che si rifiuta, hanno una/due strofe a testa e dopo
questo dibattito amoroso – in alcuni casi le decide di starci / in altri lo caccia via.
Note sulle origini del movimento trobadorico
Punto primo – sull’esistenza di una lirica amorosa in lingua romanza prima di Guglielmo IX (il
primo trovatore di cui ci sia pervenuto un corpus lirico).
1. Testimonianze dirette: sporadiche tracce di:
Una produzione di taglio popolareggiante (chansons de femme). Ad esempio: frammento italiano
Fui eo, madre, in civitate (IX-X secolo) o harğat mozarabiche (dall’XI secolo).
Una produzione più colta: le due Liebestrophen pittavine: tema dell’amore de lonh (“da lontano”)
e polemica amorosa (“microsirventese”).
2. Testimonianze indirette:
Le cronache delle nozze dell’imperatore tedesco Enrico III con Agnese di Poitiers, figlia del duca
Guglielmo VII d’Aquitania e futura zia di Guglielmo IX (anno 1043). Le nozze si celebrano in
Germania, a Magonza e Ingelheim (in territorio tedesco, area renana). Enrico chiede di allontanare
dal seguito della duchessa aquitana i giullari e i cantori aquitani che desideravano celebrarla con i
loro canti. Cfr. Hermannus Contractus, Chronicon: «in vano histrionum favore nihili pendendo,
utile cunctis exemplum, vacuos eos et moerentes dimittendo, proposuit» = “Non facendosi per
nulla attrarre dalla vana popolarità offerta dai giullari, diede un esempio utile a tutti: li mandò via
tristi e a mani vuote”.
Le numerose notizie relative alle condanne ecclesiastiche di canzonette di tema amoroso, di
origine folklorica, cantate principalmente da voci femminili e destinate a essere ballate in carola o
in tresca («una poesia amatoria e satirica, cantata e ballata da cori di donne nelle case e nelle

115
Filologia Romanza

piazze, spesso anche nelle chiese durante le feste […] e che viene senz’altro definita “turpe” e
“oscena”, o addirittura “diabolica”»).

LEZIONE 29
Punto secondo – note sulle origini dei termini tecnici della produzione lirica trobador, trobar
(termini non attestati prima dello sviluppo della lirica trobadorica). L’antico provenzale trobador
significa letteralmente “colui che esercita il trobar”. L’etimo di trovatori è ancora oggi molto
discusso.
Ma cosa significa esattamente trobar (= poetare)? L’ipotesi tuttora valida è che il provenzale
trobar < latino medievale *TROPARE (sonorizzazione della P + caduta della vocale finale porta a
trobar) “inventare, comporre tropi”. Cos’è un tropo?
1. Un componimento in versi latini accompagnati da musica e inseriti o in principio o alla fine
del canto liturgico della Messa – dedicati a temi legati alla liturgia stessa o alle sue scritture.
2. Versi applicati a gruppi di note di un canto liturgico che inizialmente non prevedono testo (i
cosiddetti melismi tipici del canto gregoriano); cfr. le sequenze dopo l’Alleluia.
3. L’epoca di massimo sviluppo dei tropi è tra il IX e il XI secolo.

Il trobador è dunque simile al chierico che “compone tropi” perché “mette insieme versi e
musica”, anche se fa poesia profana (il chierico, invece, sacra).
NB: il fatto che per definire poeti profani venga utilizzato un termine appartenente al lessico
tecnico della musica liturgica è la prova dello strettissimo legame tra la nascita della poesia
profana in volgare e gli ambienti clericali / monastici. I trovatori definiscono sé stessi e la loro arte
poetica con termini di diretta derivazione clericale = legame molto stretto.
→ i primi trovatori dovevano avere familiarità con gli ambienti clericali in cui si componevano
tropi e sequenze in latino e in volgare = cioè le abbazie benedettine collegate a Cluny (studiavano
lì, si formavano lì). Emblematico è il caso dei duchi d’Aquitania (casato di Guglielmo IX, primo
trovatore): i duchi d’Aquitania erano abati laici proprio di San Marziale di Limoges.
→ Non è un caso che il primo trovatore sia legato così strettamente a un centro monastico di
fondamentale importanza per l’attività poetica (sacra) in latino e in volgare occitanico che vi si
svolgeva.
Un’altra spia formale della matrice clericale della poesia trobadorica.
→ Nelle canzoni dei primi trovatori (Guglielmo IX, Marcabru) è documentato un certo tipo di
metro, a struttura detta zagialesca, tipico dell’innografia liturgica mediolatina sviluppatasi nel
contesto di San Marziale di Limoges → aderenza formale dei primi trovatori a modelli poetici di
carattere liturgico.
Strofa zagialesca: schema metrico aaax, bbbx, cccx… (= ogni strofa ha 3 versi monorimi + una rima
fissa x).

116
Filologia Romanza

Ad esempio, l’inno natalizio In hoc anni circulo, San Marziale di Limoges, XI secolo:

In hoc anni circulo In questo volgare dell’anno


Vita datur seculo, è data la vita al mondo,
nato nobis parvulo è nato per noi un bambino
de Virgine Maria. dalla Vergine Maria.

Fons de suo rivulo Una fonte dal suo ruscello


Nascitur pro populo, nasce per il popolo,
fracto mortis vinculo, rotto della morte è il vincolo,
de Virgine Maria. dalla Vergine Maria.
↑ È un inno composto nell’XI secolo e si cantava la notte di Natale. La cadenza va sull’ultima
vocale del verso. Il verso clausola di ogni strofa è sempre de Virgine Maria.
Guglielmo IX d’Aquitania, Pos de chantar:

Pos de chantar m’es pres talenz, a Visto che m’è venuta voglia di cantare
Farai un vers don sui dolenz: a farò una poesia di cui mi rattristo:
Mais non serai obedienz a non sarò più vassallo di nessuno
En Peitau ni en Lemozi. x né in Poitou, né in Limosino
Qu’era m’en irai en eisil: b Perché ora me ne andrò in esilio:
En gran paor, en gran peril, b in paura e in gran pericolo
En guerra laisserai mon fil, b in guerra lascerò mio figlio,
Faran li mal siei vezi. x e i suoi vicini gli faranno del male.
↑ La struttura è la stessa della strofa zagialesca → questa struttura metrica non compare mai
prima di questa occorrenza negli inni sacri scritti a San Marziale. Il fatto che Guglielmo IX utilizzi
una struttura metrica che era tipica degli inni liturgici di San Marziale ci indica come il legame tra
questi poeti profani e l’ambiente clericale fosse molto forte e solido.
Si aggiunga quanto segue (per complicare il quadro):
→ Lo schema metrico zagialesco prende nome da un certo tipo di poesia amorosa arabo-andalusa
detta záğal, dove se ne fa uso:
 schema metrico dello záğal arabo-andaluso (aa) / bbba / (aa) / ccca / (aa) / ddda /(aa) /…
*(aa) è il refrain, cioè il “ritornello”, da ripetere dopo ogni strofa
Lo záğal si sviluppa in Spagna tra IX e X secolo per iniziativa del poeta Muqaddam di Cabra.
Rispetto alle poesie d’amore dette muwaššaha (quelle che si chiudono con le harğat) lo záğal è
scritto in un arabo meno colto, più dialettale, quindi di registro più basso e popolare, e a volte
accoglie termini in mozarabico (cioè in lingua romanza).
Abbiamo quindi una netta coincidenza di tipo formale (metrico) tra poesia mediolatina liturgica
(inni) elaborata a San Marziale poesia popolare d’amore della Spagna arabizzata (zağal). È
verosimile che tra San Marziale e la Spagna arabizzata ci fossero contatti e scambi che hanno
favorito la condivisione di questa tecnica di versificazione poi fatta propria dai primi trovatori → si
apre la questione delle fonti della lirica trobadorica. È impossibile che nello stesso anno, i poeti
arabi e quelli di san marziale abbiano elaborato lo stesso metro = è ovvio che o uno o l’altro
abbiamo influenzato l’altro.

117
Filologia Romanza

La questione di fonti e modelli della lirica trobadorica – quadro ampio e complesso


Questione affrontata da grandi filologi romanzi, spesso su posizioni differenti (A. Jeanroy = origine
della lirica d’amore europea, A. Roncaglia, R. Menéndez-Pidal, L. Lazzerini, M.L. Meneghetti, ecc.)
→ testi latini della cultura clericale (punti 1, 2) + preesistente produzione poetica in volgare (punto
3).
1. Il serbatoio tematico delle Sacre scritture (il Cantico dei Cantici, o alcuni Salmi…)
2. Versi e prose in latino (classico e medievale), d’amore e d’altro:
Naturalmente l’opera del grande poeta di età classica Ovidio (= le Heroides “Eroine” – raccolta di
lettere scritte da eroine del mito classico indirizzata ai loro amori lontani).
Ma anche autori più tardi, ad esempio: Venanzio Fortunato vescovo di Poitiers (VI secolo) quando
scrive alla regina merovingia Radegonda: «amo ciò che lo spirito, non la carne desidera» (= dichiara
il suo amore spirituale) o quando afferma di avere scritto i suoi Carmina per il papa Gregorio
Magno «quasi cavalcando o sonnecchiando» (= usa il topos della poesia scritta mentre si fa altro,
ad esempio “cavalcando” o “dormendo” = si trova spesso nella lirica di Guglielmo IX) ↓.
(topos → cfr. Guglielmo IX, Farai un vers pos mi sonelh “Farò una poesia perché sonnecchio”; Farai
un vers de dreit nien: «[il vers] fo trobatz en durmen / sus un chivau» “la mia poesia fu composta
dormendo su un cavallo”).
Nell’ambito della letteratura latina medievale (= mediolatina) si possono ricordare
In poesia:
I poeti della “scuola della Loira” (XI-XII sec.): scrivono versi d’amore spirituale (ma con sottintesi
erotici) indirizzati alle monache del monastero di Le Ronceray. Sono territorialmente compatti alla
zona della Loira.
In prosa:
Opere di carattere agiografico, ad esempio quelle in cui alcuni santi compiono “miracoli” a sfondo
sessuale = ricorda molto la poesia di Guglielmo IX quando si finge muto per approfittare
sessualmente di due donne.
Scambi epistolari tra uomini e donne, dove entri in gioco, in qualche forma, il tema amoroso: ad
esempio, tra quelli che coinvolgono grandi esponenti del pensiero cristiano medievale, l’italiano
Pier Damiani (1007-1072) che scrive all’imperatrice Agnese, sua devota «…ogni giorno mi
rattristo della tua assenza, sento di non essere in me; anzi, sospiro per un’inusitata tristezza…».
3. Repertorio della preesistente poesia d’amore in volgare romanzo:
- Quella di diffusione popolare e origine folklorica:

118
Filologia Romanza

Le chansons de femme di vario genere, destinate al canto e al ballo o la poesia amorosa


popolareggiante della Spagna arabizzata harğat mozarabiche, zağal arabo-andaluso (R.
Menéndez-Pidal sostenne con forza la matrice arabo-andalusa della lirica trobadorica).
- Quella con tratti più colti, testimoniata ad esempio dalle Liebestrophen pittavine.
LETTURE TROBADORICHE:
1. La vida di Guglielmo IX d’Aquitania
2. Guglielmo IX, Ab la douzor del temps novel (BdT 183.1) = il primo numero è il numero
d’ordine del trovatore mentre il numero dopo il punto identifica le liriche.
4. Raimbaut de Vaqueiras, Bella, tan vos ai preiada (BdT 392.7)
Guglielmo IX d’Aquitania (1071-1137), vida

Lo coms de Peitieus si fo uns dels maiors Il conte di Poitou fu uno dei maggiori cortesi
cortes del mon e dels maiors trichadors de del mondo e dei maggiori ingannatori di
dompnas, e bons cavalliers d’armas e larcs de donne, e buon cavaliere d’armi e generoso
dompneiar; e saup ben trobar e cantar. Et anet nell’andare a donne; e seppe ben comporre
lonc temps per lo mon per enganar las versi e cantare. E andò a lungo per il mondo a
domnas. ingannare le donne. E ebbe un figlio, che ebbe
Et ac un fill, que ac per moiller la duquessa de in moglie la duchessa di Normandia, dalla
Normandia, don ac una filla que fo moiller del quale ebbe una figlia che fu moglie del re
rei Enric d’Engleterra, maire del Rei Iove e d’en Enrico d’Inghilterra, madre del Re Giovanni e
Richart e del comte Iaufre de Bretaingna. di messer Riccardo e del conte Jaufré di
Bretagna.

↑ Ci dà informazioni importanti su Guglielmo IX sia di carattere storico e altre recuperate dai testi
di Guglielmo stesso. È un trovatore bifronte → “ingannatore di donne” = da un lato la cortesia e
dall’altro il suo essere un satiro inguaribile. Chi è la nipote di Guglielmo IX? Eleonora d’Aquitania. È
una vida che recupera elementi storici e altri elementi – ad esempio di essere cortese +
ingannatore di donne – si ricava dai suoi stessi testi.
Guglielmo IX d’Aquitania, Ab la douzor del temps novel (BdT 183.1; ed. Eusebi 2003)

I I
Ab la douzor del temps novel Con la dolcezza del tempo nuovo
fueillon li bosc, e li auzel germogliano i boschi, e gli uccelli
chanton chascus en lor lati cantano ciascuno nel proprio linguaggio
segon lo vers del novel chan: secondo il verso del nuovo canto:
adoncs estai ben q’on s’aizi dunque sta bene (è bene) che ci si accosti
de zo don hom a plus talan. a ciò di cui si ha più voglia.
II II
De lai don plus m’es bon e bel Da là donde più mi è (viene) il buono e il bello
no·m ve messatgers ni sagel, non mi viene messaggero né lettera sigillata,
don mos cors non dorm ni non ri motivo per cui il mio corpo non dorme né ride
e no m’en auz traire enan e non oso farmi avanti
tro que eu sapcha ben de fi fino a che io sappia bene per certo
s’el es aissi con ieu deman. se è (se le cose stanno) così come io domando.
III III
119
Filologia Romanza

La nostr’amor vai enaissi Il nostro amore va così


con la branca de l’albespi come la brocca del biancospino (ramo)
qu’estai sobre l’arbr’entrenan che sta sopra l’albero proteso in avanti
la noig, a la ploi’e al giel, la notte, alla pioggia e al gelo,
tro l’endeman, qe·l sol s’espan fino all’indomani, che (quando) il sole si
per la fueilla vert enl ramel. spande
attraverso la foglia verde sul rametto.
IV IV
Anqar mi membra d’un mati Ancora mi ricordo di un mattino
qe nos fezem de guerra fi che noi facemmo di guerra fine (pace)
e qe·m donet un don tan gran, e che mi donò un dono tanto grande,
sa drudari’ e son anel: il suo pegno d’amore e il suo anello:
Anqar mi lais Dieus viure tan ancora mi lasci Dio viver tanto
q’aia mas manz sotz son mantel! ch’abbia le mie mani sotto il suo mantello!
V V
Q’ieu non ai soing d’estraing lati Io non ho cura del parlare di altri
qe·m parta de Mon Bon Vezi, che mi divida dal Mio Buon Vicino,
q’eu sai de paraulas con van perché io so le parole come vanno
ab un breu sermon qi s’espel: (funzionano), con un breve motto che si
qe tal se van d’amor gaban; esprime (dice) così: alcuni vanno d’amor
nos n’avem la pessa e·l coutel! vantandosi, noi ne abbiamo il pane e il
coltello!

I. È un tipico esordio primaverile = parlando del fatto che è cambiata la stagione, topos tipico
della poesia trobadorica. Il latino è la lingua per eccellenza = lati = essendo la lingua per
antonomasia, si parla direttamente di linguaggio. A livello grammaticale = auzel da
AUCELLUS (conservazione del dittongo AU tipica del provenzale). Essendo Guglielmo
aquitano, il suo provenzale risente di influenze settentrionali e per questo ha chanton con
la palatalizzazione e non canton. Notiamo ancora una volta l’uso impersonale di hom.
II. De lai don plus m’es bon e bel = fa riferimento ai luoghi dove si trova la sua donna (non gli è
arrivata neanche una lettera da parte dell’amata). Da qui diventa una canzone di
lontananza, distanza dalla sua amata che crea tristezza in lui.
III. Da qui c’è la speranza = in provenzale “amore” è femminile (LA nostr’amor). albespi =
biancospino (ciò che noi traduciamo con “bianco” in provenzale è albe dal latino ALBUS).
entrenan è un avverbio ma qui ha valore aggettivale.
IV. Qui c’è assemblarsi di simbologie feudali. drudari’ = pegno d’amore + lei gli consegna
l’anello – legame che richiama quello tra il signore feudale e il suo vassallo (come fece
Rolando con il guanto). Il gesto di coprire il vassallo con il mantello è simbolico alla
semiotica della feudalità MA dietro a questo, Guglielmo IX lascia intendere un intento
licenzioso (lei gli lascia mettere le mani sotto al mantello) → il poeta è abilissimo con i
doppi sensi.
V. Si riferisce a quelli che davanti ti lusingano e dietro te ne dicono di tutti i colori = ai
lauzengiers (maldicenti). “Mon Bon Vezi” = è la sua innamorata – usa un senhal per non far
capire ai lettori l’identità dell’amata. “pane e coltello” = “noi il nostro amore lo viviamo
serenamente”, il motto che usa per sminuire i maldicenti. Doppio senso = pane e coltello,

120
Filologia Romanza

alcuni pensano che stia alludendo nuovamente al sesso o altri “chi ha il pane non ha i
denti” = e lui li ha entrambi.

È una canso di 5 coblas “strofe” di 6 versi ottosillabi ciascuna, rima aabcbc.

LEZIONE 30
Raimbaut de Vaqueiras (circa 1155-post 1205) – Bella, tan vos ai pregada

I I
Bella, tan vos ai pregada, Bella, tanto vi ho pregata,
se·us platz, c’amar me voillatz, se vi piace, che mi vogliate amare,
q’eu soi vostr’endomengatz, perché sono a voi soggetto (siete mia signora):
car es pros et enseignada infatti siete prode e dotta
e tot bon pretz autreiatz: e di ogni buon pregio siete garanzia:
per que·m plaz vostr’amistatz. per questo mi piace la vostra amicizia.
Car es en totz faitz corteza, Poiché siete cortese in tutto ciò che fate,
s’es mos cors en vos fermatz si è il mio cuore in voi fermato
plus qu’en nulla genoeza: più che in nessun’altra genovese:
per q’er merces si m’amatz per questo sarà gran grazia se mi amate,
e pois serai miels pagatz e poi sarò meglio remunerato
qe s’era mia·l ciutatz, che se fosse mia la città,
ab l’aver q’es ajostatz con la ricchezza che vi è accumulata
dels jenoes. dei genovesi.
II II
Jujar, voi no sei cortezo Giullare, voi non siete cortese
qi me chaideiai de zo che mi chiamate in causa in ciò
qe niente non farò, che assolutamente non farò,
ance fossi voi apesso! quand’anche voi foste appeso!
Vostr’«amia» no serò, Vostra “amica” non sarò,
certo ja ve scanerò, certo piuttosto vi scannerò,
proensal malaurao! provenzale sciagurato!
Tal enojo voi dirò: Tale insulto vi dirò:
sozo, mozo, escalvao! sozzo, scemo, rapato!
Ni za mai no v’amerò, Né giammai non vi amerò,
q’eu chu bello marì ò perché io più bel marito ho
qe voi non sei, be’ lo so! di quanto non siete voi, ben lo so (questo è
Andai via, frar’: eu temp’ò certo)! Andate via, fratello: io ho tempo da
meillaurà! impiegare meglio! (ho di meglio da fare)
VII VII
Bella, en estraing cossire Bella, in cattivo pensiero
m’aves mes et en esmai; mi avete messo e nello scoramento;
mas ancara·us preiarai ma ancora vi pregherò
qe voillatz q’eu vos essai, che vogliate che io vi provi (assaggi),
si com proenzals o fai come un provenzale fa
121
Filologia Romanza

cant es pojatz. quando è montato a cavallo.


VIII VIII
Jujar, no serò con tego, Giullare, non sarò (verrò) con te,
pos asì te cal de mi. poiché in questo modo ti importa di me.
Miels valrà, per sant Martì, Meglio sarà, per San Martino,
s’andai a ser Opetì, che voi andiate da ser Obizzo,
qi dar v’à fors un roncì, che vi darà forse un ronzino,
car sei jujar! perché siete giullare !
↑ La struttura = 5 coblas di 14 versi l’una (13 settenari + 1 tetrasillabo, rima abbabbcbcbbbbd) + 2
tornadas “congedi” di 6 versi (= una al giullare e l’altra alla popolana, 5 settenari + 1 tetrasillabo).
 I –Raimbaut parla per bocca del giullare. L’incipit, la locuzione all’amata usa Bella dunque
non parole colte = abbassamento di registri, tipico del contrasto. endomengatz = “sono
indominicato” > DOMINUCS (= voi siete la mia Signore, “io sono signoreggiato da voi”). Qui
“cors” significa “cuore” e NON “corpo”. Inizia chiamandola “bella” e poi comincia una sorta
di laudatio che stride molto con il “bella” iniziale. “merces” significa “grazia”. Lui sta
letteralmente dicendo: “se voi mi amate, sarò più ricco di quanto non sarei se avessi tutta
la città di Genova ai miei piedi” – sembra già esserci un riferimento alla nota tendenza
all’accumular ricchezza e di tenersela ben stretta dei genovesi (stereotipo).
 II – La donna parla in genovese, mentre il giullare in provenzale. Il genovese della fine del
XII secolo è la prima attestazione di uso letterario di un volgare italiano messa per iscritto e
ce la fornisce un poeta provenzale. Il canone grammaticale del genovese antico è ben
rappresentato. Forme come “escalvao” o “malaurao” con il suffisso latino ATUM che
diventa AO poiché perde la dentale intervocalica. Aspetti tipici del genovese sono “chu” (>
PLUS) – ancora oggi “più bello” si dice “chu bello” – l’esito latino del nesso PL in affricata
palatale. La base di “chaideiai” è PLACITUM. La donna lo accusa di mancata cortesia (cosa
paradossale per un trovatore provenzale dell’epoca). “amica” è un termine chiave della
lirica provenzale, qui “l’amica” è “l’amata”; la parola assume un’accezione meno aulica e
più bassa → nel senso di “vostra compagna di avventura”. “mozzo” vuol dire “privato di
una parte”, in questo caso “privato del senno” (= scemo). Lo congeda con una forte
durezza, lei ha capito che dietro al giullare c’è un solo obiettivo = portarsela a letto.
 VII – (prima tornadas, giullare) Si gioca tutte le carte ma non benissimo poiché allude a
un’allusione sessuale = le dice nuovamente “bella”. “esmai” = “scoraggiarsi”. “estraing” =
cattivo, fastidioso. Il giullare dice: “Vi pregherò ancora, che voi vogliate che io vi assaggi
come fa un provenzale quando è montato a cavallo” → etimologicamente ha a che fare con
l’assaggio. “pojatz” > APPODIARE → lessico dell’equitazione = appoggiarsi sulla sella, ma in
questo caso ha una sfera semantica molto più triviale = allusione sessuale.
 VIII – (seconda tornadas, donna genovese) “cal” > CALERE. “San Martino” = interazione.
Obizzo Malaspina = protettore di Raimbaut. Il “ronzino” è il cavallo di basso livello, umile –
un cavallo da giullare e NON da cavaliere. Lei gli dice: “voi vorreste montare a cavallo su di
me, ma voi vi meritate un ronzino”. Il futuro → nell’italiano antico, quando è implicato nel
sintagma verbale una particella pronominale (in questo caso “vi”) può spaccare in due il
futuro = dar v’à [costrutto analitico] → la “à” è il verbo “avere”.
Raimbaut fu uno dei primi a portare la lirica provenzale oltre le Alpi, ovvero in Italia poiché fu al
servizio di diversi signori (Malaspina – Italia Nord-Occidentale).
122
Filologia Romanza

Il romanzo – questioni terminologiche


Antico francese e antico provenzale romans, romanz in origine vale semplicemente “lingua
romanza, volgare”. Per metonimia passa presto a indicare genericamente componimenti redatti in
volgare:
 Testi tradotti dal latino, volgarizzamenti («metre en roman» = “tradurre dal latino in
volgare”).
 Testi originali – che non hanno un antecedente latino.
In origine il termine romans, romanz dunque non identifica un genere preciso.
Siccome però i più antichi romanzi antico francesi (Roman d’Alexandre di Alberic de Pisançon e
Roman de Brut, prima del 1155; Roman de Thèbes, Eneas, Troie, 1155-1165) sono tutti
adattamenti in versi di testi in latino (→ sono delle mises en roman “traduzioni in lingua volgare”,
ovvero dei volgarizzamenti). Mentre le chansons de geste non sono mises en roman, perché sono
testi originali (→ scritti subito in volgare).
Il termine romans si è specializzato nell’indicare questo genere di narrazioni in versi (distinte dalle
chansons per forma, contenuti e funzione). Il fatto che i primi romanzi fossero tutti volgarizzamenti
ha fatto sì che romans sia passato a significare un genere particolare.
Questioni tassonomiche (cioè di classificazione)
Ricorriamo ancora a Jean Bodel (Chanson des Saisnes, fine XII secolo), che distingue la narrativa in
versi del suo tempo in tre matières “materie”:
1. «de France» chansons de geste «voir chascun jour aparant» (ha la caratteristica di essere
“vera” = narrazione di tipo storico)
2. «de Bretagne» romanzi arturiani «vain et plaisant» (leggera e divertente)
3. «de Ronme la grant» romanzi “antichi” «sage et de sens aprendant» (saggi)
Jean Bodel non segnala distinzione formale né terminologica → sono tutte e tre matières
narrative, la classificazione si fonda sulle differenze di “contenuto” e “funzione”.
Secondo M.L. Meneghetti “antichi”:
«Jean Bodel aveva già intuito due dati di grande importanza […]: la preponderanza e la ricchezza
tecnica dell’intreccio nei romanzi bretoni e il forte contenuto enciclopedico di quelli “antichi”».
La questione dell’intreccio è uno dei punti chiave, sul piano strutturale, per distinguere il genere
narrativo romanzesco dalla chanson de geste.
[l’intreccio è una questione di contenuto che condiziona naturalmente la forma: si pensi alla
tecnica dell’entrelacement nei romanzi arturiani: “lascio questo personaggio e vado da un altro,
lascio l’altro e torno dal primo”].
Un’altra classificazione della narrativa in versi antico francese è quella proposta da → Jehan
Maillart (inizio XIV sec.), autore del Roman du Comte d’Anjou. Nel prologo, condanna sia le
chansons de geste sia i romanzi arturiani perché pieni di bugie e non verosimili (a differenza del

123
Filologia Romanza

suo roman) → introduce l’opposizione fantastico (negativo) / verosimile (positivo). L’elemento


fantastico viene dunque posto come una delle caratteristiche principali del romanzo arturiano.
Un’ulteriore classificazione, senza giudizi di valore né commenti, ma utile per farsi un’idea della
percezione meta-letteraria dei contemporanei, è nell’incipit del Roman de Renart (XII-XIII secolo).
È una serie di poemetti comici appartenenti al genere della narrativa breve in versi, di fruizione
borghese (vicissitudini di Renart la volpe, Isengrin il lupo e altri animali):

Seigneurs, oï avez maint conte, Signori, avete udito molti racconti,


Que maint conterre vous raconte che molti raccontatori vi raccontano:
Conment Paris ravi Elaine, come Paride rapì Elena,
Le mal qu’il en ot et la paine, il male che ne ebbe e la pena,
De Tristan que la Chievre fist, di Tristano che la Capra fece,
Qui assez bellement en dist che in modo assai bello ne parlò,
Et fabliaus et chançons de geste. e fabliaux e chansons de geste.
Romanz d’Yvain et de sa beste Il romanzo di Ivain e della sua bestia,
Maint autre conte par la terre. e molti altri racconti per il mondo.
Mais onques n’oïstes la guerre, Ma mai sentiste della guerra,
Qui tant fu dure de grant fin, che fu tanto dura per davvero,
Entre Renart et Ysengrin, tra Renart e Ysengrin,
Qui moult dura et moult fu dure. che molto durò e molto fu dura.
L’autore, introducendo il suo testo, si rivolge al suo pubblico inserendo il suo testo all’interno di
una precisa classificazione della narrativa. In rosso sono evidenziate le tipologie testuali e in nero i
contenuti che vengono citati dall’autore. Si tratta della “materia di Roma”. “di Tristano che la
Capra fece” → riferimento a un autore detto “la Capra” che ha raccontato la storia di Tristano.
Fabliaux → testi narrativi brevi di carattere storico. “Yvain” è uno dei capolavori di Chrétien de
Troyes – la “bestia” è il leone (infatti il capolavoro è conosciuto anche come le Chevalier du Lion).
“conte” è un iperonimo ovvero un termine generico che contiene piò o meno tutti gli altri.
Per riassumere:
Intreccio avvincente, dimensione fantastica, contenuti istruttivi (enciclopedismo) → elementi che
per nelle “teorizzazioni letterarie” dei contemporanei (Jean Bodel, XII sec.; Jehan Maillart, inizio
XIV) caratterizzano il romans.
Per inquadrare meglio il genere del romans rispetto alla chanson de geste:
La CHANSON DE GESTE:
 Recitata / cantata in pubblico dai giullari, in spazi ampi (piazze, sagrati).
 È popolare, nel senso che è rivolta a un uditorio vasto, variegato.
 Stimola l’identificazione di un’intera comunità nella figura dell’eroe, portabandiera dei
valori fondamentali di quella comunità.
 Non ci si aspettano colpi di scena, il finale è reso noto fin da subito, perlopiù il pubblico già
conosce la storia → ciò che importa è il senso (dimensione rituale, cerimoniale).
Il ROMANS:
 Viene letto ad alta voce entro gruppi più ristretti (o individualmente).
 Si rivolge a un pubblico meno vasto dell’epica.
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Filologia Romanza

 Stimola un’identificazione individuale con l’eroe che attraversa varie peripezie.


 È caratterizzato da avventure, rovesci di fortuna, colpi di scena → obiettivo ludico (delitier
“divertire”) o tutt’al più didattico (enseigner).
Hans-Robert Jauss, Cinq modèles d’identification esthétique:
…l’eroe epico o leggendario risponde al bisogno della memoria collettiva di glorificare un atto
storico che deve restare memorabile ed esemplare nel corso della storia, l’eroe del romanzo,
simile al giovane principe delle fiabe, sollecita l’interesse, tipico del lettore solitario, per
l’avvenimento inaudito, al di là della realtà quotidiana, che risponde al desiderio di avventure
straordinarie e di perfetti amori [ascoltare una chanson de geste e leggere un romanzo possono
essere entrambi inseriti nella dimensione dello “spettacolo” = ovviamente due “spettacoli” diversi
→ assistere alla chanson de geste è come andare in Chiesa (obiettivo religioso/civile) ≠ leggere un
romanzo è un po’ come andare al cinema (obiettivo di puro divertimento)].
Romans antico francesi. Periodizzazione:
Gli albori (prima del 1155):
1. Roman d’Alexandre di Alberic de Pisançon → il più antico roman noto. Incentrato sulla
biografia leggendaria e meravigliosa (la “meraviglia” è uno degli elementi caratteristici
delle vicende romanzesche di Alessandro Magno) di Alessandro Magno eroe «prode,
generoso e cortese» (Meneghetti). Ne resta solo un frammento di 105 vv. octosyllabes
divisi in lasse monorime. Dell’area franco-provenzale (infatti ne caratterizzano la lingua).
2. Roman de Brut (1155) di Wace, chierico anglonormanno vicino a Eleonora d’Aquitania (la
nipote di Guglielmo IX). Traduzione ampliata, in distici di octosyllabes a rima baciata,
dell’Historia regum Britanniae (“Storia dei re di Bretagna”) del monaco inglese Goffredo di
Monmouth (1135) → si tratta del testo-archetipo del ciclo arturiano, il più celebre e
fortunato dei cicli romanzeschi in antico francese → infatti si parla delle geste di Artù e dei
cavalieri della tavola rotonda.
Il personaggio di Brut (> Bretagna) viene presentato come nipote di Enea e fondatore della
dinastia dei sovrani normanni (cioè francesi) d’Inghilterra (→ tentativo di legittimare agli occhi dei
locali la conquista francese del trono inglese [1066, Hastings]).
Nucleo dell’Historia regum Britanniae e del Roman de Brut è la vicenda di Artù e dei suoi cavalieri
«della Tavola Rotonda» → la Tavola rotonda è innovazione di Wace: origini celtiche del mito?
[dibattito sulla presenza della tradizione locale, inglese, nella grande letteratura cavalleresca
antico-francese; cfr. anche il mito del graal].
Prodezza e cortesia sono i valori che legano i cavalieri tra loro e al loro re Artù, primus inter pares;
i cavalieri gli rendono un servitium disinteressato.
Con “traccia” e in particolare “traccia poetica” → si intende la registrazione, la trascrizione
occasionale di un testo o di una sua parte, di solito di carattere poetico, nei margini delle carte di
un manoscritto che contiene tutt’altro tipo di testi.
L’Artù storico, capo militare britannico, è citato in antiche cronache (Nennio, Historia Britonum, IX
secolo; Annales Cambriae, metà X secolo). Coordinate storiche nebulose (agiografie gallesi [XI

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Filologia Romanza

secolo] lo presentano come un sovrano sanguinario) → Nel Brut la sua figura viene nobilitata,
essendo presentato come l’antenato dei sovrani normanni d’Inghilterra (disegno encomiastico).
I “romanzi antichi” (circa 1155-1165)
Così chiamati perché traducono, rimaneggiando e attualizzando in senso cortese-cavalleresco,
testi (in qualche caso capolavori) della letteratura classica. Gruppo testuale tematicamente
compatto:
Roman de Thèbes (< Stazio, Tebaide) pittavino
Roman d’Eneas (< Virgilio, Eneide) normanno
Benoit de Saint Maure, Roman de Troie normanno
(< pseudo-Ditti cretese, Ephemeris belli troiani, IV secolo
pseudo-Darete frigio Historia de excidio Troiae, VI secolo)
L’epoca d’oro (ca. 1165-1180)
 I due Tristan di Béroul (mutilo dell’inizio e della fine) e Thomas vicenda di Tristano e Isotta,
fortemente connotata dalla presenza di elementi della tradizione celtica (Tristano viene più
avanti associato ai cavalieri della Tavola rotonda).
 L’ampia articolazione delle avventure cavalieri arturiani nel grande ciclo di romanzi di
Chretien de Troyes (seconda metà del XII sec.) → Chrétien detta la ‘grammatica’
dell’ideologia cortese-cavalleresca pone le basi per le riscritture in prosa del XIII secolo (ad
es. di Robert de Boron, cui si deve lo sviluppo della leggenda del graal in senso cristiano).
Lettura di un brano del Roman d’Alexandre di Alberic de Pisançon[→ il più antico romanzo noto in
una lingua neolatina].
Cenni sulla fortuna del mito di Alessandro Magno in ambito narrativo tra Antichità e Medioevo.
Pseudo-Callistene, Romanzo di Alessandro (in greco), III sec. d.C. Cristallizzazione di fatti storici +
elementi leggendari.
Giulio Valerio (IV sec. d.C.) traduce lo pseudo-Callistene in latino, riassumendolo Epitome (cioè
“riassunto”) molto fortunata nell’Età Carolingia (VIII-IX sec.)
→ da questa epitome derivano i grandi romans in versi antico francesi
 Alberic de Pisançon, Roman d’Alexandre in octosyllabes (primo terzo del XII sec.)
 Roman d’Alexandre in decasyllabes (metà XII sec.)
 Alexandre de Paris, Roman d’Alexandre in alessandrini (fine XII sec.)
 + tutta una serie di branches “diramazioni” autonome (sottobosco testuale)
Anche Leone di Napoli, arciprete (X secolo), traduce in latino lo pseudo-Callistene → Nativitas et
victoria Alexandri Magni regis. Dalla traduzione di Leone di Napoli + interpolazioni dipendono le
tre versioni della Historia de preliis Alexandri Magni (fine dell’XI sec.) → Roman d’Alexandre en
prose (primi decenni del XIII sec.) volgarizzamento in prosa antico francese di una delle versioni
della Historia de preliis.

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