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Filologia medievale e umanistica

Prima lezione

L’Umanesimo fu un periodo storico le cui origini sono rintracciate dopo la metà del Quattordicesimo sec. e
culminato nel Quindicesimo sec. – tale periodo si caratterizza per un più ricco e consapevole fiorire degli
studi sulle lingue e letterature classiche, considerate come strumento di elevazione spirituale per l’uomo e
perciò chiamati, secondo un’espressione ciceroniana, studia humanitas.

Il termine umanista deriva dal latino humanistam, cioè insegnante di humanae litterae (lettere classiche).
L’umanista è un esponente dell’Umanesimo e più precisamente si tratta di scrittori, filologi e filosofi che
promossero le lettere classiche e più in generale la cultura classica. Gli umanisti erano dei veri e propri
intellettuali (insegnanti, studiosi, ecc.) che si occupavano di studiare, comporre opere proprie (quasi tutti gli
umanisti furono poeti o prosatori) e analizzare storicamente i testi antichi.

Dante, nonostante la sua estesa conoscenza classica, non si può definire un umanista in quanto non
possedeva la stessa consapevolezza di un intellettuale come Poliziano, capace di distinguere la sua epoca
dalle epoche precedenti. L’atteggiamento di Dante e dei suoi contemporanei era attualizzante, segno della
scarsa consapevolezza della distanza tra l’allora attuale epoca e l’epoca passata in quanto non era percepita
una frattura tra la contemporaneità di allora e il prima, il loro mondo era il prolungamento di quello antico.
Dante, inoltre, non conosceva il greco (come del resto, gran parte dei suoi coetanei, compreso Petrarca)
mentre all’epoca di Poliziano il greco lo si conosceva e lo si insegnava; l’approccio alla storicità era
differente, i testi venivano contestualizzati e interpretati storicamente.

Il greco, il latino e il volgare (o meglio, i volgari) erano le lingue parlate dagli autori medievali da Dante in
poi. È presente una relazione imprescindibile tra ciò che tali autori hanno scritto in una lingua piuttosto che
in un’altra, infatti, come disse Umberto Eco “I testi si parlano”; i collegamenti sono essenziali.

Angelo Poliziano è il massimo filologo del ‘400, un punto cardine per quanto riguarda l’elaborazione della
metodologia filologica.

Poliziano scrisse un’opera intitolata Miscellanea la cui prima stampa risale al 1489 (attualmente non esiste
alcuna edizione tradotta in italiano). Tale opera consiste in una raccolta di scritti che documentano l’intensa
attività di filologo svolta da Poliziano a partire dal 1480, comprendendo le lezioni tenute presso lo Studio
Fiorentino e la discussione su passi di autori classici greci e latini. I primi cento testi dell’opera costituiscono
la prima centuria che stampata nel 1489 rese Poliziano famoso in tutta Europa, mentre la seconda centuria
è purtroppo rimasta incompiuta (al cap. 59) e fu scoperta solo poco tempo fa, nel 1978.

Poliziano inaugura una stagione di studi filologici che introdurranno Firenze alla filologia.

Poliziano nel 1480 diviene insegnante a soli 26 anni e così si introduce ai suoi allievi con la sua orazione
inaugurale attraverso la quale illustra anche il contenuto del suo corso e il suo metodo di insegnamento
riscuotendo non poco successo. L’orazione inaugurale è un testo fondamentale per comprendere la visione
della letteratura secondo Poliziano, il quale oltre ad essere un filologo e un professore (insegnava oratoria e
poetica, letteratura latina e greca e quindi di conseguenza anche filologia) era anche un poeta ( Puella).
Poliziano non amava dare alle stampe i suoi scritti, pubblicò poco in vita, quasi tutti i suoi scritti furono resi
noti dopo la sua morte.

Poliziano riuscì nella sua carriera umanistica grazie a Lorenzo de’ Medici, suo sostenitore e finanziatore;
Angelo Poliziano infatti, il cui vero nome è Angelo Ambrogini (detto Poliziano perché originario di Monte
Pulciano, in latino Mons Politianus), era un povero ragazzo caduto in disgrazia dopo la morte del padre.
Accolto da sua cugino in giovane età inizia a studiare e a tradurre l’Iliade a partire dal libro II, poiché il libro I
fu già tradotti in precedenza e pian piano inizio a spiccare nel panorama culturale fiorentino divenendo il
protetto di Lorenzo il quale iniziò a finanziarlo per permettergli di continuare a studiare, rendendolo così un
intellettuale mediceo.

In politica avere dalla propria parte eminenti personaggi di cultura era allora come oggi motivo di lustro e
indicatore di potere e influenza.

Già a 19 anni Poliziano va ad abitare a Palazzo Medici in Via Larga (attuale Via Cavour) presso Lorenzo, il suo
“Padrone”. Poliziano educa i figli di Lorenzo per poi divenire cancelliere, segretario, accompagnatore di
Lorenzo e della sua famiglia durante vari spostamenti e infine, dopo il suo periodo di militanza laurenziana,
divenne professore.

Poliziano ebbe l’onore di poter entrare nella biblioteca laurenziana, provvista di rari manoscritti e
altrettante rare stampe, per studiare; la stima reciproca tra Lorenzo e Poliziano costò a quest’ultimo
numerose inimicizie e godé di così tanta stima anche da parte dei suoi allievi tanto che dovette spostare gli
orari delle sue lezioni per motivi di concorrenza con gli altri insegnanti.

Seconda lezione

In filologia il titolo di un’opera è molto importante, un punto critico ed essenziale ai fini della corretta
analisi ed interpretazione di un testo.

Il testo della Commedia di Dante col passare del tempo si è riempito di errori e varianti (a causa della
disattenzione o della voluta mistificazione dei copisti) e lo stesso è accaduto per molti altri testi antichi. Il
compito del filologo è quello di riportare un testo il più possibile al suo stato originale.

I copisti facevano più attenzione al latino poiché essendoci tra quest’ultimo e la loro lingua una distanza
temporale maggiore si sentivano in dovere di porre maggiore cura nel loro lavoro – il processo di entropia
del testo aumenta.

La lettura filologica di un testo è una lettura analitica durante la quale ci si deve soffermare sui dettagli –
Poliziano cerca di analizzare il De Officiis di Cicerone, testo fondativo della cultura europea (del quale i più
antichi testi manoscritti risalgono al all’ottavo/decimo secolo – il più antico e attendibile è il manoscritto
dell’ottavo secolo).

Nel De Officiis [17v] 14 Stratocles è riportato che gli oratori si ispiravano sempre alle grandi imprese
compiute da uomini celebri in luoghi conosciuti per essere stati teatro di grandi imprese ma nella lista di
questi ultimi (i luoghi) compare un nome insolito: Stratocles. Poliziano così si interroga su chi possa essere e
giunge alla conclusione che Stratocles è in realtà noster Cocles dove la sillaba “no” non è stata riportata dal
copista probabilmente per disattenzione (dovuta forse alla scriptio continua e alla mancanza di maiuscole,
caratteristiche tipiche delle scritture medievali).

Poliziano giunge a tale conclusione confrontando più versioni dello stesso testo (collazione); dapprima
legge un’edizione che ha in casa e poi la confronta con altri due codici dei quali uno è di media età mentre
l’altro è più antico. Il primo codice gli fu prestato da Andrea Magnano Bolognese, l’altro lo perse alla
biblioteca medicea laurenziana.

In un codice Poliziano trova scritto “Stercocles”, mentre nell’altro trova scritto “Stercodes”.

I copisti avevano confuso “cl” con “d” a causa della fitta scriptio continua. Poliziano elaborò quindi una
congettura (cioè una correzione del testo) basandosi sui dati di fatto; “Stercocles” non è esattamente un
errore, bensì un relitto (vestigia) della lezione autentica – “l’errore” contiene la verità.

Le correzioni possibili, quindi, sono:


● No-ster Cocles 🡪 la correzione meno invasiva

● Hinc no-ster Cocles 🡪 una correzione più invasiva poiché prevede l’aggiunta di hinc, tuttavia è la più
accettata
● Leutrist ( forma contratta di Leutri est) – Leutri Stercocles

● Leutrist et Cocles

Ciò che è certo è che il nome Cocles è presente nel testo originale, tutto il resto sono ipotesi e congetture
che il filologo è in dovere di fare.

Terza lezione

Poliziano lavora su una versione del De Officiis di Cicerone confezionata senza troppi scrupoli apposta per
essere pubblicata perché potesse circolare; si tratta di un domesticus codex, testo per la vulgata.

In filologia l’ipse dixit non esiste. Tutto è messo in discussione. Il procedimento di analisi di un filologo è
considerare il testo vulgato, analizzare un preciso passo e individuarne gli eventuali errori (considerando
anche i manoscritti più antichi), si pensa a come correggerli e si pensa a delle congetture plausibili.

Nell’edizione di Atzert la lezione “Stratocles” non è presente anche se si tratta della lezione da cui Poliziano
è partito con la sua analisi. Nell’edizione del 2016 del filologo inglese Winterbottom

Poliziano per condurre al meglio i suoi studi filologici non poteva non avere conoscenze paleografiche; la
paleografia infatti è una disciplina fondamentale in filologia che ha permesso a Poliziano di individuare il
nome “Cocles” nella lezione “Stercocles”.

“Noster Cocles” è la lezione presumibilmente più vicina al manoscritto originale, ad ogni modo Marco
Antonio Sabellico (storico italiano morto nel 1511) propose un’ulteriore congettura per l’interpretazione
della lezione, ovvero emendare “Stratocles” in “Stratoque”. La versione di Sabellico non è troppo
attendibile perché si avrebbero 6 nomi greci e 4 latini mentre se si considera il nome “Cocles” si avrebbero
5 nomi greci e 5 nomi latini, il che sarebbe più equilibrato.

Per quanto riguarda gli errori delle copie manoscritte realizzate nel tempo, questi fanno capo ad un errore
originario detto “errore di archetipo”. I manoscritti contengono errori ma anche varianti che non rovinano il
testo ma in un certo senso arricchiscono lo spettro delle possibilità di interpretazione. Se si considerano il
manoscritto di S. Marco del 1443 e il manoscritto fiorentino del 1460 si può rilevare che nel primo troviamo
“Sceva Cocles” (che ci fa pensare ad un possibile riferimento a Mucio Scevola) mentre nel secondo
“Cocles”.

Le edizioni critiche servono per individuare gli errori dei copisti. La carenza di documenti va supplita
attraverso la ricerca storica applicata ai testi.

Poliziano trovò un manoscritto del ‘300 a S. Croce, rilevò che si trattava di uno scritto emendatissimo che
presentava la lezione “Hinc Noster Cocles” e a ragion di ciò alcune persone hanno avuto motivo di pensare
che forse Poliziano non riuscì a intuire la lezione “Noster Cocles” da solo ma probabilmente l'aveva già letta
nel manoscritto trovato.

Poliziano conduce una correzione “ope ingenii”, ovvero una correzione fatta basandosi solo sul proprio
ingegno.

Nell’opera Vita di Claudio c’è un determinato passo che in molti manoscritti si legge:
● Si aut ornatum aut pegma 🡪 lezione meno buona

● Si automaton vel pegma 🡪 lezione più buona (correzione ope ingenii condotta da Poliziano)

● “aut ornatum” è una variante scorretta anche se non del tutto

● “automaton” è una variante da preferire perché lectio difficilior

Il motivo per cui troviamo “aut ornatum” risiede nel meccanismo di banalizzazione (doppio meccanismo
filologico Lachmann, detto anche metodo stemmatico, paleografico e banalizzante) del testo al quale molti
copisti ricorrevano; si trattava di sceglie una parola sinonimo dell’originale per rendere il testo più semplice.

Quarta lezione

I documenti come manoscritti, testimoni, ecc. per la filologia sono essenziali. Purtroppo nel tempo
numerosi scritti sono stati tramandati male a causa di omissioni e mistificazioni così è di consuetudine
pensare che più il testimone è vicino al manoscritto originale più è degno di fede.

Poliziano attraverso un processo a ritroso riesce a ricostruire la giusta variante della lezione “Stercocles”
cioè “Noster Cocles” contenuta nel De Officiis di Cicerone semplicemente analizzando “l’errore” che
secondo il metodo Lackmann non esiste poiché l’autore e i copisti non fanno errori bensì incappano in
insensatezze che i filologi hanno il compito di emendare.

Sapersi orientare tra i numerosi testimoni è essenziale e questo lo sapeva anche Petrarca che al tempo
oltre ad essere poeta era anche filologo.

Il Lupo Servato, noto anche come Lupo di Ferrières, fu un abate benedettino francese fra i più importanti
del IX secolo. Egli fu un letterato e teologo che entrato all’abbazia Ferrières compì studi a Fulda sotto
Rabano Mauro e lì strinse amicizia con Gotescalco Orbais (enciclopedista e organizzatore e divulgatore di
cultura tra i più importanti dell’alto Medioevo). Tornato a Ferrières fu nominato abate da Carlo il Calvo e
intervenne nella polemica sulla predestinazione sollevata da Gotescalco di Orbais con due trattati:il Liber de
tribus quaestionibus e il Collectaneum de tribus quaestionibus ma anche con alcune lettere. Il Lupo Servato
sostiene una posizione strettamente agostiniana secondo la quale il peccato di Adamo ha irrimediabilmente
corrotto l’umanità e tutta la natura umana è rimasta viziata (massa damnationis). Ad ogni modo una parte
dell’umanità è destinata alla gloria (doppia predestinazione).

L’epistolario del Lupo Servato contiene importanti informazioni per la filologia, grazie ad esso infatti
sappiamo che il Lupo Servato scrisse allo storico Eginardo (al servizio di Carlo Magno) riguardo ad una
copia del De Oratore piena di errori che ha collazionato con un’altra copia in Germania; tale lettera
rappresenta il manifesto dell’epigrafia.

Le edizioni critiche sono molto importanti in filologia; l’ecdotica è l’arte di preparare edizioni critiche che
possano essere pubblicate e costituisce una branca importante della filologia.

A proposito di ecdotica, l'apparato critico di un testo costituisce un elemento fondamentale, infatti può
essere considerato come una foto che mostra le caratteristiche dei vari testimoni di un testo. L’apparato
critico contiene tutto ciò che si scarta all'interno della traduzione e senza di esso non esisterebbe
un’edizione critica. Il testo di un’edizione critica è un’ipotesi fattibile sulla base dell’analisi filologica dei
testimoni, niente è imposto e certo, tutto è opinabile, l’apparato critico infatti dà l'idea della mobilità e
della precarietà del testo.

L’apparato critico può essere di due tipi differenti:


● di fonti → che indica da dove determinati testi provengono
● filologico → che indica caratteristiche visibili del manoscritto considerato

N.B. → Nelle ed. critiche “ob.” significa “omesso”

Il metodo di analisi filologica è paragonabile al metodo processuale, infatti si ha a che fare con dei
testimoni, anche se di tipo diverso e si procede in maniera rigorosa facendo più ipotesi.

Anche la conoscenza della paleografia è importante ai fini dello studio filologico, soprattutto per individuare
le inesattezze da correggere.

La filologia è interpretazione sia critica (globale, d’insieme) sia grammaticale (più attinente ad un testo in
particolare, rigorosa e contestualizzata).

La centuria secunda dei Miscellanea di Poliziano ci perviene incompleta (e purtroppo di difficile


interpretazione a causa del fatto che Poliziano non la finì e quindi non la corresse) nella sua originale
versione autografa (1493-94).

Landino (nato 20 anni prima di Poliziano) fu il massimo letterato umanista fiorentino dell’epoca, ad ogni
modo Poliziano non lo apprezzava affatto poiché non era un grande conoscitore ed estimatore del mondo
antico infatti non era nemmeno conoscenza del greco.

I quattro alfieri della cultura laurenziana erano (presenti nell’affresco di S. Maria Novella):

● Marsilio Ficino
● Landino
● Poliziano
● Calcondila

Nel testo Umbra (scritto da Poliziano sulla base di un testo di Orazio) la parola “umbrae” suscita dubbi sulla
sua corretta interpretazione, infatti Landino (che non conosceva il greco) sosteneva che “umbrae”
significasse semplicemente “ombre” (cioè luoghi dove poter stare al fresco, lontano dal sole).

Poliziano comprese che “umbrae” stava per commensali e mosse una critica a Landino il quale non si
poteva appellare al principio di autorità in quanto Poliziano scoprì che la parola “umbrae” era stata
utilizzata con il significato di “commensali” da Plutarco. Landino ipotizzò quindi che “umbrae” stesse per
“buffoni” spesso invitati da altri invitati per la loro simpatia.

In realtà sappiamo che nel commento di Porfirione a Orazio, le capre e la puzza sono i troppi invitati che
sedendosi stretti sudano e puzzano e perciò sono detti caproni. Fonzio e Beroaldo si erano accorti di ciò così
quando Poliziano lesse lo scritto di Beroaldo gli rispose con un altro scritto rivendicando l’interpretazione
che in realtà era risalente a Porfirione.

Sesta lezione

I commenti del Poliziano sono raccolte di materiali/appunti che Poliziano raccolse ai fini dell'insegnamento
e per ricerche personali. Egli scrisse riguardo alle Selve di Stazio. Poliziano scrive nella sua introduzione al
corso su Stazio (per i suoi studenti che chiama commilitoni) che il suo parere è che non c’è niente che
danneggia gli studi più del fatto di dare più peso all’autorità che alla ragione. Lo iudicum, la ratio, deve
essere sempre la guida.

Cap. 25 della centuria secunda dei Miscellanea di Poliziano.

Poliziano fa riferimento a Plinio il Vecchio, autore della Naturalis Historia, opera mastodontica suddivisa in
47 libri, una vera e propria enciclopedia multidisciplinare (zoologia, botanica, storia dell’arte antica, ecc.).
Plinio non è un letterato, non ha preoccupazioni letterarie quando scrive e non tratta di questioni
filosofiche e narrazioni fantastiche, bensì di trattazioni scientifiche. Scrive in un latino composito per
necessità, quindi non esattamento lo stesso latino di Cicerone o Orazio. La sua opera propone numerosi
problemi filologici per la sua ampiezza e per il suo contenuto complesso e vario. Plinio viene studiato alla
fine degli anni 80 e inizio anni 90 del ‘400 poiché in precedenza era per Poliziano un autore marginale, per
tal motivo non è presente nella prima centuria dei Miscellanea.

Per analizzare seguendo un metodo filologico si parte dal testo vulgato (che si leggeva comunemente nella
sua epoca) nell’edizione princeps (prima edizione pubblicata) del 1469 stampata a Venezia. Poliziano si
procura un’edizione poco più tarda, del 1473, pubblicata a Roma dopodiché procede con la collazione tra il
1489-90 tra la stampa e i manoscritti che aveva a disposizione.

Quando Poliziano inizia a scrivere della Naturalis Historia nella centuria secunda dei suoi Miscellanea
prende in considerazione i problemi filologici già risolti da Barbaro (in Castigationes) e in ragione di ciò
porta avanti la sua indagine filologica. Tra i passi che il Barbaro non prese in considerazione c’era il passo
25 Sororiantes in cui Plinio parlava dell’uso medicamentoso delle acque:

Plinio scriveva: “Le piscine di acqua di mare curano (o hanno effetti benefici) sul mal di petto (mal di
stomaco) e la magrezza eccessiva del corpo.”.

Giorgio Merula, uno dei massimi filologi antecedenti a Poliziano, analizzò anch’egli partendo dall’editio
princeps le Naturalis Historiae di Plinio e tradusse rigentes, non sororiantes.

Landino tradusse tutta la Naturalis Historiae in volgare pubblicandola nel 1496 non si pose alcun problema
per quanto riguarda il passo Soriorantes.

Poliziano utilizza un manoscritto vetustissimus (antichissimo, risalente fino al decimo sec.) della biblioteca
di S.Marco che attualmente si trova nella biblioteca riccardiana a palazzo Medici-Riccardi nel quale trova
l’integra lectio, cioè sororientes. Un altro manoscritto che si trova alla biblioteca laurenziana risale al
tredicesimo secolo e contiene un integrae vestigium confermando l’integra lectio, ovvero so rientes (dove il
copista saltò una sillaba). Poliziano sospetta che rientes sia una lezione erronea e ipotizzò che
probabilmente si dovesse intendere sororiante (parola che già incontrò nel corso dei suoi studi).

● Sororiente →deriva da un verbo della quarta coniugazione


● Sororiante →deriva da un verbo della prima coniugazione

Poliziano ricordò di aver già incontrato la parola sororiante in De verborum significatione cioè un'epitome
compilato, modificato e annotato da Sesto Pompeo Festo (dalle opere enciclopediche di Verrio Flacco),
pervenutaci in condizioni frammentarie.

Ai tempi Poliziano poté leggere un’epitome di Paolo Diacono, un'abbreviazione estremamente sintetica del
testo originale. Poliziano nel 1484 si diresse a Roma e lì, alla biblioteca farnesiana, trovò, lesse e scrisse
dell'epitome originale di Sesto Pompeo Festo (più antica e quindi più corretta ma poco chiara in certi punti)
che Plauto fu il primo ad utilizzare sororiantes. Tale frammento è conosciuto come Festo Farnesiano (un
testimone databile all’Undicesimo sec.) e attualmente si trova alla biblioteca di Napoli.

Successivamente nel 1488 Poliziano si diresse nuovamente a Roma e presso la biblioteca Nardini (che
prende il nome dall’omonimo cardinale) trova un’epitome (scritta sulla base dell’epitome originale di Sesto
Pompeo Festo) testimone del Tredicesimo sec. contenente una citazione dalla Fribolaria di Plauto (opera in
cui Plauto fa per la prima volta uso di sororiantes usato parallelamente al verbo fraterculare) maggiormente
leggibile rispetto a quella contenuta nel più antico Festo Farnesiano.

Poliziano trascrisse e collazionò il tutto dando vita al Vaticano latino 23,68.

Poliziano, poi, si autocita riportando una sua poesia, Puella, dove egli usa sororiantes.
N.B. → La differenza tra l’epitome di Diacono e quella di Pompeo risiede sostanzialmente nel fatto che nel
Festo Farnesiano Poliziano individua l’origine della parola sororiare (deriva dalla Fribolaria di Plauto della
quale Poliziano trova un frammento alla biblioteca di Nardini).

Rigentes è una variante peggiorativa che si trova nei testimoni moderni che va corretta con la lezione buona
sororientes (in Naturalis Historia di Plinio) o sororiantes. Rigentes (lectio facilior) è una parola meno
ricercata che significa rigido, è una banalizzazione della lectio difficilior.

Settima lezione

Riepilogo della scorsa lezione

● Festo, epitome di Paolo Diacono → sororiantes (prima coniugazione)


● Festo Farnesiano (visto a Roma nel 1484) → sororiantes + fraterculare (con rinvio alla Fribolaria di
Plauto MA citazione illeggibile)
● Festo, epitome cardinale Nardini (vista a Roma nel 1488) → citazione completa di Plauto MA senza
il titolo della commedia
● 1489-90 si ha la collazione della Naturalis Historia di Plinio → sororientes (quarta coniugazione)

La tradizione diretta e la tradizione indiretta

● Si parla di tradizione diretta quando possediamo uno o più manoscritti o libri a stampa
espressamente destinati a tramandare il testo in questione. Tali manoscritti e libri a stampa sono
dei veri e propri testimoni che possono riprodurre il testo in una forma più o meno vicina
all'originale dell'autore.
● La tradizione indiretta è costituita invece da tutte quelle opere che del testo considerato riportano
citazioni o estratti.

Tradizione diretta e tradizione indiretta possono coesistere o meno:

● Di alcune opere abbiamo solo testimoni diretti


● Alcune opere ci sono tramandate solo dalla tradizione indiretta, in forma frammentaria
● Di alcune opere possediamo uno o più testimoni diretti insieme a saltuarie citazioni di altri autori

Se di un testo non si possiede l'originale nella forma definitiva voluta dall'autore, tale originale deve essere
ricostruito sulla base della tradizione superstite (diretta e/o indiretta) e poiché nessuna copia di una certa
estensione è esente da errori o corruttele testuali, compito dell'editore è quello di restituire un testo il più
vicino possibile all'originale (costituzione del testo). A questo scopo egli deve:

1. Collazionare (cioè leggere, trascrivere e confrontare) i diversi testimoni e sulla base delle loro
“coincidenze in errore”, stabilire le relazioni reciproche provvedendo eventualmente ad escludere
quelli che risultano copie o antigrafi conservati, provvedendo a individuare la forma o le forme più
antiche di trasmissione del testo (recensio, cioè il reperimento di tutti i testimoni del testo).
2. Valutare le differenze testuali (varianti/lezioni) che in questo o quel punto del testo i diversi
testimoni presentano e procedere alla scelta o selezione delle lezioni da accogliere e da respingere.
3. Esaminare il testo tradito individuando eventuali passi corrotti in tutta la tradizione e ove possibile
correggerli o emendarli per via congetturale.

Poiché il lavoro di ricostruzione delle relazioni fra i testimoni, di selezione delle varianti, e di valutazione ed
emendazione del testo tradito si basa sul giudizio dell'editore, egli deve dar conto delle sue scelte al lettore
permettendogli di ripercorrere a ritroso il cammino da lui compiuto. A questo scopo l'editore correda il
testo di un'introduzione dedicata a presentare i testimoni e le loro reciproche relazioni, nonché di un
apparato di note (o apparato critico) destinato a registrare le varianti di tutti i testimoni che non risultino
copia di altri testimoni conservati. L'edizione di un testo allestita secondo questi criteri prende il nome di
edizione critica.

N.B. → Secondo Poliziano non esiste un latino peggiore e un latino migliore; egli infatti dimostra il suo
eclettismo nel rivalutare la latinità periferica propria degli autori minori. Poliziano non fa riferimento
soltanto al latino di Properzio, Lucrezio, Cicerone, ecc. bensì predilige addirittura il latino arcaico.

Tra il 1488 e il 1490 Poliziano compie la collazione di due manoscritti della Naturalis Historia di Plinio il
Vecchio per chiarire in merito alla parola sororientes.

Guardando l’autografo della II centuria dei Miscellanea:

Il titolo originale era Sororientes mamme. Poi tra parentesi tonde Sororiantes, cioè il titolo definitivo.

● Originariamente era capitolo 30 e poi 25.


● Alla citazione della sua poesia le ultime righe scritte strette indicano un’aggiunta imprevista poiché
vi è lo spazio per 7 righe ma non per 9, infatti, le ultime 2 sono scritte sul margine sinistro.
● La parola sororiantes viene inserita successivamente nella poesia Puella (che aveva scritto in
passato).

Poliziano cita i 9 versi dell’Ode puella (120 versi) ma inizialmente non aveva programmato di arrivare a 9
versi, così ne scrive 7 e aggiunge gli ultimi due al margine sinistro; ciò ci dice che si tratta di una tradizione
indiretta del componimento del Poliziano infatti non sappiamo quando, precisamente, egli scrisse la poesia
(probabilmente negli anni ‘70 del ‘400). Poliziano, nel suo autografo dei Miscellanea (II, 25), cita i 9 versi
della sua poesia utilizzando la lezione sororiantes. Non sappiamo perché Poliziano scelse sororiantes (forse
perché diede più credito al testimone Festo piuttosto che ai copisti di Plinio).

Puella e Anus (componimenti di Poliziano)

Poliziano descrive:

● Una giovane donna (in Puella) →In 120 versi brevi chiamati dimetri giambici
● Una vecchia donna (in Anus) → In contrapposizione alla puella

L’ed. critica Rizzoli compie una verifica testuale partendo dai testimoni (di fine ‘400 inizio ‘500 - un
manoscritto risale invece al diciottesimo). I manoscritti che tramandano Puella sono 6 (più un libro a
stampa):

Tradizione di Puella:

● A = Arezzo, Bibl. Città di Arezzo (già Bibl. della Fraternita dei laici di S. Maria), ms. 181: Puella Angeli
Politiani, ff. 28v-31r; Eiusdem A. P. In vetulam, f. 31r-v; la sezione del ms. che contiene il dittico
polizianeo secondo la Curti sarebbe stata trascritta fra il 1474 e il 1478, probabilmente in una
cerchia culturale gravitante attorno a papa Pio II.
● C = Città del Vaticano, Bibl. Apost. Vat., Ottob. lat. 2860, sec. XVI, appartenuto ad Angelo Colocci e
con note di sua mano. Tramanda solo il secondo carme del dittico, col titolo In anum, al f. 82v,
incluso in una sezione intitolata Maledicta. Presenta numerose correzioni di mano diversa da quella
del copista, che però non è la mano del Colocci.
● F = Perugia Bibl. Com. Augusta, 331 (F 5), sec. XVI in., con nota di possesso di Ascanio Alfani:
Politiani puella, ff. 46v-47v; Eiusdem anus, ff. 39r-40r.
● N = Firenze, Bibl. Nazionale Centrale, Palat. 890, sec. XVIII: Ang. Politiani Puella, ff. 2r-5v. 72
● O = Oxford, Bodl. Libr., Lat. misc. c 62, sec. XV ex.: Eiusdem Politiani Puella, f. 3v; Politiani eiusdem
Anus, f. 5r.
● P = Perugia, Bibl. Com. Augusta, 178 (C 61), scritto a Perugia in gran parte da Francesco Maturanzio,
non per sé, ma per Alfano Alfani, secondo un’ipotesi di Perosa: Eiusdem Politiani Puella, f. 5r-v, a
cui seguiva l’Anus in un foglio perduto.
● R = Firenze, Bibl. Riccardiana, 771, ms. composito, sec. XV ex.; i ff. 27-28 (filigrana Briquet 12147:
Roma 1479-1481) con 3 poesie latine e 5 italiane di Poliziano piegati in forma di lettera sono
trascritti da Zanobi Masolini da Prato e indirizzati ad Andrea Magnani (umanisticamente
ribattezzato Andrea Magnanimo) di Bologna: Puella Ang. Politiani, f. 27r. La Delcorno Branca colloca
nel 1491 l’invio dei foglietti ad Andrea Magnanimo.

A questi manoscritti è da aggiungere una stampa:

Ald = Omnia opera Angeli Politiani et alia quaedam lectu digna, Venetiis, in aedibus Aldi Romani, 1498. In
questa edizione, curata postumamente da allievi e amici, va tenuta presente la possibilità di interventi dei
curatori, ma è stato accertato in più casi che per le poesie latine essa rispecchia un originale polizianeo che
presentava testi rivisti per un’edizione dei carmi latini a cui Poliziano pensava negli ultimi anni, come
appare da una sua lettera.

L’edizione Aldina è la prima edizione a stampa del 1498. Pubblicata dopo 4 anni dalla morte del Poliziano fu
curata da Piero Crinito e da un umanista bolognese, Alessandro Sarti, stretto amico di Poliziano grazie al
quale quest’ultimo riesce a pubblicare i suoi ultimi scritti. L’edizione di Crinito e Sarti non è completa,
infatti, mancano le opere volgari, alcune opere latine e greche, alcune opere non trovate oppure escluse
perché abbozzate o per motivazioni politiche. Nel 1498 i Medici non ci sono più e l’opera del Poliziano
curata da Crinito e Sarpi viene pubblicata a Firenze.

In nessuno dei manoscritti elencati precedentemente era presente il verso 64 che si presuppone sia stato
aggiunto postumo dal Poliziano.

N.B. → In Coniura Patiorum, opera pubblicata da Crinito e Sarti, troviamo il resoconto della congiura de’
Pazzi dal punto di vista mediceo e troviamo anche il componimento Puella.

Sulla base dei 7 testimoni (6 manoscritti contemporanei a Poliziano e l’editio princeps), 2 manoscritti
vengono eliminati dalla Rizzo poiché erano copie di altri manoscritti e non potevano comunicare niente di
nuovo (descriptus). La Rizzo sceglie sororiantes, sororiente viene messo nell’apparato critico a seguito del
confronto con il capitolo dei Miscellanea.

Riassumendo, quindi, Poliziano scrisse il cap. 25 utilizzando sororientes, lo lasciò in sospeso e in seguito ci
tornò sopra e cambiò il titolo in sororiantes (ad ogni modo l’ed. Aldina ha come titolo sororientes per cui
riporta un testo più arretrato).

La citazione ha uno scopo pratico: la volontà di comunicare l'aggiunta dell'ultimo verso nell’ultima strofa
(verso 69) del componimento. Silvia Rizzo ha rispettato l’ultima volontà di Poliziano e così ha riportato la
versione del componimento che contiene la variante sororiantes.

Leopardi pubblica a Silvia nel 35 utilizzando rammenti al posto di sovvienti come nell’autografo. Nell’ultimo
manoscritto Leopardi corresse a penna rammenti con rimembri.

La scelta della Rizzo è sororiantes: anche se la lezione nell’ed. Aldina è l’ultima forma, per Poliziano
inizialmente la forma migliore (che deriva da sororire della 4 coniugazione) in seguito cambia idea
prediligendo la forma della prima coniugazione. Poliziano nel capitolo 25 non prende posizione all’inizio: nel
manoscritto che Crinito trova in casa di Poliziano in Puella c’è la forma sororientes poiché probabilmente
Poliziano riteneva fosse la scelta migliore (Crinito quindi trova il manoscritto che riportava la prima volontà
di Poliziano). Poliziano decide soltanto dopo che la forma migliore è sororiantes e a quel punto la inserì in
Puella.
Poliziano pubblica 9 versi perché il suo componimento già circolava senza il nuovo verso con
sororientes/sororiantes così ritiene necessario pubblicare più di un verso per contestualizzare il nuovo verso
aggiunto.

domande da fare

● Non sappiamo quando e se pubblicò Puella? Poliziano non pubblicò MAI Puella. Il componimento fu
pubblicato 4 anni dopo la sua morte.
● Quali sono i due manoscritti di Plinio che collaziona? Poliziano collaziona l’epitome del Festo con un
testimone della Naturalis Historia di Plinio (credo)
● Perché utilizza sororiantes? da chi lo prende? da Erinna o da altri? Incontra per la prima volta
questo termine nel De verborum significatione, giusto? Sì, lo incontra nel De verborum
significatione ma lo prende in considerazione da un punto di vista filologico solo dopo averlo
trovato in Plinio.
● Nei Miscellanea parla di sororiantes/sororientes autocitandosi e citando altri, quindi? Sì (credo).

Ottava lezione

● Possiamo notare l’aggiunta del verso 63 all’interno di Puella “sororientes primulum” (in nessun
manoscritto ma nell’ed. aldina delle opere di Poliziano)
● La revisione del cap. 25 della seconda centuria con mutamento del titolo Sororientes mammae →
Sororiantes
● Modifica aggiornamento del verso 63 di Puella: sororientes primulum → sororiantes primulum
● Inserimento alla fine del cap.

Edizione diplomatica → si tratta di una edizione in cui il testo manoscritto viene trascritto così com’è senza
apportare modifiche (tutto ciò che è in corsivo è stato cancellato da Poliziano nel suo autografo). Si
utilizzano abbreviazione (abbreviazione di tirone per “et”, le “e” con cediglia per indicare il dittongo “ae”, le
“i” con il segno della lunga per indicare l’omissione della nasale, ecc.).

I Miscellanea (II centuria) di Poliziano appartengono a una edizione mista che vede l’incontro tra tradizione
diretta e indiretta.

I manoscritti A, P, R derivano da un padre comune α che presenta l’errore d’archetipo (omissione del verso
63) cioè l’errore originale a causa del quale i manoscritti successivi riportano l’errore. Ciò è possibile ma
improbabile poiché Poliziano non da importanza alla parola sororientes finché non la trova nella Naturalis
Historia di Plinio, inoltre in tutti i manoscritti non ci sono ulteriori errori d’archetipo come l’omissione del
verso 63 (gli errori sono presenti ma si tratta di sbagli trascurabili). Nelle scienze storiche è importante
seguire la probabilità e non la possibilità!

Analisi di Puella

L’ode utilizza il dimetro giambico, un verso di otto sillabe di uso raro nella poetica latina. Il dimetro
giambico era più spesso utilizzato insieme al trimetro giambico. Poliziano usa il dimetro giambico come
fecero Seneca, i poeti argentei e i poeti cristiani.

Il trimetro giambico è una successione di quattro piedi giambici, Il giambo è una successione di quattro
piedi, tre brevi e uno lungo.

L’Ode Puella è caratterizzata dal topos della descriptio femini, descrizione femminile che prevede due parti:
una dell’aspetto fisico (descriptio extrinseca) e una dell’aspetto interiore (descriptio intrinseca).
La prima parte è un elogio alla giovane donna paragonata secondo la tradizione elegiaca a piccoli animaletti
graziosi oppure a cose morbide, bianche, tenere. Nella seconda parte del componimento la fanciulla fugge
nonostante le preghiere del poeta che la pregano di restare.

La poesia ha una cadenza cantilenante causata dall’uso del dimetro giambico.

L’uso del lessico latino non classico è una caratteristica del Poliziano (secondo la Rizzo). Poliziano
prediligeva un latino barocco, artificioso. La poesia è strutturata in modo elencatorio attraverso la figura
retorica dell’anafora. La poesia inizia con un vocativo. Gli occhi sono chiamati “faces” cioè fiamme. Labella
sono le labbra; spesso quelli che sembrano diminutivi non lo sono o più che altro sono da considerare
vezzeggiativi. Le narici sono, le guance sono delicate, i denti sono come perle candide (preterizione →
“perché parlare delle perle dei denti…”). La lingua è “perplexabilem”, termine utilizzato in termine figurato a
significare sinuosa, che si intreccia (elemento di innovazione all’interno della descriptio femini). “ Venere si
appresta alla calce”, in senso figurato alla meta, cioè all’atto sessuale). “Oscula” sono le labbra che baciano
chiamate così poiché nel pronunciare tale parola le labbra assumono la forma del bacio. “ Lenocinante”
(participio che sta con oscula). Poliziano descrive le fantasie che la belezza della donna gli provoca, donna
che alla fine scappa dal poeta.

Nona lezione

La struttura di Puella prevede una salita (ακμή) e una discesa.

In Puella “semiulca” è un hápax legómenon (ἅπαξ λεγόμενον, detto una volta sola) che possiamo ritrovare
nell’opera Noctes Atticae. Il titolo dell'opera si riferisce all'inizio della sua compilazione, avvenuto in Attica
durante lunghe notti invernali. Il grosso del lavoro fu tuttavia compiuto una decina di anni più tardi a Roma.

L'opera è divisa in venti libri e ci è giunta completa, a parte il libro ottavo, del quale ci sono pervenuti solo
dei frammenti. Gellio raccolse in quest'opera estratti delle opere di circa 275 autori provenienti da molti
campi del sapere come grammatica, retorica, etimologia, medicina, filosofia, critica letteraria, storia,
scienze, archeologia e diritto e natura. Rappresenta una ricerca sulle maggiori curiosità del sapere umano di
quel periodo storico (fine del II secolo). L'opera è ritenuta estremamente frammentaria, disorganica nella
sua struttura, sempre alla ricerca della notizia erudita o dell'aneddoto. Mentre infatti i singoli capitoli sono
strutturati in modo ordinato, non esiste un ordine sistematico generale. Stilisticamente il tono utilizzato è
proprio dell'erudito, sebbene il testo del libro appaia al tempo stesso istruttivo e divertente. L'opera è
scritta con uno stile meno pomposo e pedante di quello utilizzato dal “maestro” Frontone: certamente la
sua esposizione risulta semplice e piacevole, grazie anche all'entusiasmo che Gellio mette nella scoperta di
singole informazioni erudite.

Il principale motivo d'interesse delle Noctes sembra risiedere nella descrizione della bellezza della società
imperiale negli anni di Antonino Pio. La sua opera è definita una sorta di Zibaldone ante litteram, adatta
solo a chi ama e possiede la vera cultura, non per il semplice “popolino”. L'opera è, quindi, lo specchio della
profonda erudizione e dello spirito indagatore dell'Autore. Per Gellio la cultura consiste di nozioni curiose,
particolari, nella vastità enciclopedica delle informazioni trattate, di sicuro non nella profondità con cui
vengono espresse o nella loro organicità. Egli, pur senza affermarlo in modo esplicito, sosteneva la
superiorità della civiltà romana rispetto a quella dell'antica Grecia.
Tornando a Poliziano, egli fu ispirato a scrivere il suo componimento Puella dopo aver letto il cap. 11 del
libro XIX delle Noctes Atticae di Gellio (dove troviamo “semiulca”). Grazie ai Miscellanea di Poliziano
sappiamo che Gellio, in Noctes Atticae, riporta un frammento in greco antico (un epigramma che oggi
troviamo nell’antologia palatina insieme a molti altri ) attribuito a Platone che diceva: “Mentre baciava
Agatone teneva l’anima sulla punta delle labbra. Quell’anima infelice, affrettandosi, era sul punto
d’andarsene”. Poliziano scrive che un suo giovane amico (“non incolto”, probabilmente Gellio stesso che
non voleva esporsi in prima persona) tradusse l’epigramma con maggior libertà e in modo pluricensioso
(aumentando il n. di versi - 17 dimetri giambici - e rendendo più licenzioso il contenuto dei versi di Platone).
In tale traduzione l’amico di Gellio utilizza “semiulca” e in luogo di oscula (bacio a labbra semiaperte), usato
da Poliziano, usa savio.

Il lessico, il contenuto e il clima fortemente erotico sono caratteristiche che il componimento di Gellio e
quello di Poliziano hanno in comune.

Nimula varula blandula → poesia attribuita all’imperatore Adriano che ha le stesse caratteristiche dei
componimenti sopra citati, a noi nota grazie alla testimonianza della Historia Augusta.

Un po’ di analisi - Puella

● quem; quem; cui → tre interrogative dirette - anfora costruita in maniera parallela
● allexerint (adescare); immiserint (immettere); incederint (incendiare) → omoteleuto, climax
ascendente (acme)
● asilum → smania amorosa (in realtà il termine deriva dal greco e significa tafano (“oistros”, insetto
che punge gli animali facendoli impazzire) e estro (“oestro”).

Poliziano, ballata CVII, vv. 21-26 (in volgare, poesia popolareggiante)

Poliziano usa asilum (componente dotta, di tipo erudito) con valore di “oistros”/ “oestrus”. Si riferisce all’
“assillo” procuratogli dall’amore.

N.B. → Il furor amoroso è maggiormente diffuso nelle persone malinconiche (con la “bile nera”) che hanno
la propensione a isolarsi, a meditare.

Poliziano, in età giovanile (prima di entrare all’università), traduce uno dei poemata di Alessandro
d’Afrodisia sul furor amoroso in cui spiega il perché di alcune tradizioni mitologiche sull’amore, come per
esempio il perché delle frecce; frecce che colpiscono come colpiscono gli sguardi, oppure il perché
dell’importanza del fuoco e degli occhi; occhi che si incendiano quando incontrano gli occhi dell’amato/a.
Secondo Alessandro d’Afrodisia chi ama immette in sé la furia Erinni.

Poliziano, nel 1479, riceve una lettera da Pandolfo Pollennuccio in cui questo gli scrive di aver letto e
apprezzato la traduzione del problemata di Alessandro d’Afrodisia e a proposito di ciò Poliziano gli rispose
dicendogli che gli avrebbe mandato un’altra traduzione sullo stesso argomento ma tratta da un’opera di
Plutarco: Amatoriae Narrationes (cinque novellette d’amore).

Poliziano è coinvolto in quanto letterato ma anche in considerazione dei suoi interessi personali.

Decima lezione

Puella vv. 68-69

● anafora variata quem non amore allexerint - cui non asilum miserint - quem non furore incenderint
● parallelismo pronome relativo (acc. / dat. / acc.) + sostantivo in abl. / acc.
● omoteleuto (assonanza, anche)
● doppia climax ascendente

Poliziano individua (così come prima ha fatto Ficino)

● Venere celeste → ispira amore spirituale


● Venere volgare → ispira la propagazione della specie

Alcuni celebri opere su malinconia e furor


● Platone, Fedro
● Aristotele, Problema XXX, 1
● Alessandro di Afrodisia, Problema 87 (tradotto da Poliziano ante estate 1479)
● Plutarco, Amatoriae narrationes (trad. Poliziano estate 1479)
● Poliziano, De ira (1478-1479)

La riflessione su questi testi si colloca a fine anni ‘70.

Il Problema XXX, 1 è un testo topico per quanto riguarda il topos della malinconia (patologia dovuta ad uno
squilibrio fisico - la bile nera è la causa). L’opera inizia con un breve testo in cui viene asserito che molti
grandi della storia sono stati affetti da malinconia. Coloro che hanno la bile nera fredda sono caratterizzati
da torpore mentre quelli che hanno abbondante bile nera calda sono caratterizzati da follia e talento,
portati a provare forti emozioni, ad essere impulsivi e talvolta loquaci. Poliziano si identifica in questa
tipologia umana e lo fa trasparire dal modo in cui egli descrive la puella nel suo omonimo componimento.

Poliziano, precettore dei figli di Lorenzo, era non solo insegnante ma anche educatore morale. Egli
individuò in Piero una propensione alla genialità riconducibile alla patologia della bile nera poiché una volta
dopo averlo rimproverato Piero reagì in modo eccessivamente iroso. Poliziano ritenne che Piero facesse
bene a seguire i propri impulsi senza reprimerla e nel suo trattatello in latino, De ira, esprime che l’ira non è
necessariamente negativa poiché tratto tipico della genialità.

Focus sul libro di Orvieto → Bartolomeo della Fonte elegia (1973) Poliziano narra la sua giornata e cita
Ficino insieme ad altri studiosi sostenendo di annoiarsi molto alle lezioni di filosofia - poco dopo invece si
orienterà verso la filosofia e in particolare versa la filosofia aristotelica (branca della morale). Pico della
Mirandola sostituisce un po’ Ficino e coinvolge Poliziano nell’amore per la filosofia.

N.B. → Tra critica letteraria e filologia non c’è differenza sostanziale poiché entrambe si pongono lo stesso
scopo.

Il trilinguismo/bilinguismo era allora piuttosto diffuso. Le opere venivano scritte ricorrendo a più lingue e
non soltanto ad una lingua ufficiale che prevaleva sulle altre.

Parecchi epigrammi greci di Poliziano parlano di amori omosessuali, un esempio è Poesia d'amore, in
dorico, chiara prova della pederastia di Poliziano. Poliziano era bisessuale; la bisessualità era molto comune
in quel periodo (Machiavelli era bisessuale, per esempio). Vives raccolse voci e scrisse di Poliziano che egli
ricercava se si debba scrivere Carthaginensis o Carathaginiensis, primus o preimus, Vergilius o Virgilius e
inoltre scriveva epigrammi pederastici per diletto e in lingua greca per far sì che i latini non capissero e non
lo accusassero.

1484: dopo la morte di Poliziano si scrisse che egli si innamorò di un giovane ragazzo che si ammalò,
impazzì invocando il nome di Poliziano e morì. Poliziano fu poi condannato a morte per omicidio, si ammalò
di febbre e iniziò a delirare come il ragazzo che prima di lui morì. Piero giunse da Poliziano e lo uccise dopo
aver constatato che la situazione era oltre che disperata, pericolosa. Chiaramente questo è un rumor
dell’epoca, falso.

Questa diceria (ferunt, si dice) venne presa in considerazione da Paolo Giovio, umanista lombardo e
vescovo. Giovio scrisse Elogi ai letterati illustri, una raccolta di dicerie, brevi biografie di personaggi illustri
del tempo; tra i personaggi è presente anche Poliziano (che si presume fosse di brutto aspetto), il quale
morì in preda al delirio (per un amore omosessuale) di una morte vergognosa (all’età di 40 anni).

Undicesima lezione
Puella, analisi

La traduzione di Puella presenta settenari sdruccioli poiché è molto complesso tradurre in dimetri giambici.

Poliziano è affascinato, rapito dalla voce suadente della puella, dalla sua grazia blanda (lèpos). Egli paragona
i piedi della fanciulla a quelli della Dea Teti poiché Omero scrisse che Teti era dotata di piedi d’argento
(epiteto). I piedi della puella sono mirabili sia in posizione statica che in moto, durante il ballo.

Probabilmente Poliziano leggeva i suoi testi durante le sue lezioni per illustrare ai discenti la precisione
lessicale e strutturale di un componimento, l’attenzione, la minuzia nello scegliere determinate parole
apparentemente sinonimiche.

I versi 80-2 presentano molti sostantivi e aggettivi che descrivono la puella. Poliziano predilige sempre
scegliere parole rare dal sapore classicheggiante, vere e proprie minuzie letterarie.

La puella è arguta (spiritosa), dicacitate (mordacità), plena aculeis (lascia come degli aculei (“aculei verbali”
- dicitura ripresa dal De oratore, di Cicerone) all’interlocutore per la sua capacità retorica innata), decore
(decorosa, composta), ecc.

La puella è interessante perché sa alternare la dolcezza e l’arguzia.

La parola notae sta ad indicare i canti della puella; questa diffonde la sua voce con la sua bocca di miele
(melliflua) accompagnata dalla lira. La puella viene associata a Thalia, (la musa della poesia comica che in
questo caso però indica tutte le muse per cui si tratta di una sineddoche). A Thalia è attribuita la dolcezza
mentre ad Apollo la dottrina, la sapienza; Apollo non sa suonare con maggiore abilità della puella.

La parola fluenta fa parte del lessico raro e peregrino che Poliziano ama utilizzare.

Per quanto riguarda lubentia si tratta di un ablativo retto da referta.

L’aggettivo decet sta ad indicare ciò che non è sconveniente, che non supera i limiti, che è armonioso
(decente).

L’aggettivo protervitate singifica audace, mentre praepotens è quasi pleonastico e sta a significare ostinata

La puella è bella sia preparata (cultu) che non (nimi non culta placens)

Dal verso 101 al 104 possiamo notare un’anafora variata (quis, quae, quo, quo, quo)

Poliziano poi utilizza un superlativo rarissimo in latino: bellissima

La parola corculum significa “piccolo cuore”, formula molto rara

Da purpura (v. 109) a sanguine (v. 113) vediamo una climax ascendente

Tenellis unguibus sta ad indicare che da quando i due erano molto piccoli (con le unghiette piccole) Venere
li ha stretti tra le catene d’amore - meum tibi circumdedit (endiadi)

Il componimento Puella è parallelo all’ode alla vecchia, Anus; Poliziano vuole comunicare che bisogna
approfittare delle passioni d’amore quando si è in gioventù poiché in vecchiaia gli amanti scapperanno
prediligendo le fanciulle.

Poliziano attinge a Columella, a Plinio, a Sorino… autori non necessariamente letterati ma comunque
interessanti, validi, in cui si può trovare un lessico peregrino e ricercato.

Dodicesima lezione
La tradizione di Puella

Diretta (in tutto sei manoscritti di cui una stampa)

● A → Arezzo, Bibl. Città di Arezzo (già Bibl. della Fraternita dei laici di S. Maria), ms. 181 [Roma,
[1474-1478]; + Anus (In vetulam)
● F → Perugia Bibl. Com. Augusta, 331, sec, XVI in.; + Anus
● N → Firenze, Bibl. Nazionale Centrale, Palat. 890, sec. XVIII;
● O → Oxford, Bodleian Library, Lat. misc. c 62, sec. XV ex.; + Anus [copiato a Perugia , in parte da
Francesco Maturanzio]
● P → Perugia, Bibl. Com. Augusta, 178, sec. XV (1490-92?), mano di Francesco Maturanzio [+ Anus
(in un foglio caduto)];
● R → Firenze, Bibl. Riccardiana, 771, sec. XV ex. (1491?).
● Stampa Aldina → Omnia opera Angeli Politiani et alia quaedam lectu digna, Venetiis, in aedibus Aldi
Romani, 1498

Legenda:

● in e unte:
● ex e unte:

Maturanzio era legato a Firenze, agli ambienti umanistici fiorentini e in particolare a Pico della Mirandola.
Probabilmente tramite amici o allievi di Poliziano ebbe un copia di Puella, il che significa che la sua copia è
buona poiché probabilmente presa dall’originale o comunque da una copia vicina all’originale.

Indiretta

● Poliziano, Miscelanea, II 25, vv. 61-69 (isola di S. Giorgio [Venezia], Fondazione Cini, ms. FGC 1
autografo)

Collatio e recensio

Gli errori comuni fanno pensare ad un padre comune dal quale più copisti hanno attinto e sbagliato. Gli
errori comuni suggeriscono che i manoscritti sono imparentati.

Errori comuni a F; O; P (di Perugia):

● 32 → miserque (miser quae)


● 38 → poscit (pascit)
● 74 → thean o tean
● 76 → saltantibus (saltatibus)
Gli errori propri li hanno manoscritti a sé. Individuare gli errori e suddividerli tra comuni e propri ci aiuta a
distinguere quali manoscritti sono copie di altri e quindi a suddividere tra manoscritti imparentati e non.

Errori propri di F (tra parentesi la lezione corretta):

● 8 → securus (sciurus)
● 10 → ausaca (aut saccarum)
● 15 → amphisius (amphrisius)
● 39 → quid mirium (quid narium)
● 61 → namque (nam quae)
● 91 → falsa (salsa)
● 106 → ut (heu)
● 110 → me (nec)
● 110 → gratior (carior)

Gli errori non correggibili si chiamano errori separativi poiché separano un manoscritto dall’altro, escludono
la possibilità che due manoscritti possano essere imparentati, uno copia dell’altro.

Errori propri di O:

● 19 → nobis (nodis)
● 44 → iam (tam)

P non ha errori propri oltre a quelli in comune con F e O

Il grafico che presenta le corrette parentele tra i testimoni si chiama stemma. Lo stemma di Puella è:

P→O;F cioè i manoscritti O e F derivano dal manoscritto P

P è alla base di O e F poiché F ha tutti gli errori di P + errori propri viceversa P non ha errori suoi personali (i
suoi errori li hanno anche O ed F che aggiungono errori propri).

O non può essere al posto di P poiché ciò presuppone che i copisti di P ed F abbiano corretto allo stesso
modo gli errori di O; ciò è possibile ma improbabile poiché ad esempio il copista di F ha compiuto numerosi
errori ed è improbabile che abbia corretto quelli di O.

Il processo di eliminatio ci aiuta ad escludere le ipotesi possibili ma improbabili.

Errori propri di A (errori separativi che escludono la parentela tra A e P)

● 4 → anserulique ()
● 8 → scurius ()
● 14 → aequare ()
● 22 → subventillantibus (subventilantibus)

Errori propri di ALD (ha le varianti d’autore, il v. 63 in più e il verso che è stato tolto al v. 42)

● 8 → scuirus (sciurus)
● 48 → linguam (linguamque)

Variante adiafora (si tratta di una variante che non si può dire migliore o peggiore di un’altra)

al v. 7 blandae (aggettivo) A; O; P; R - blande (avverbio) ALD; F (N lettura incerta)

N.B. → Dal primo manoscritto originale derivano A R e P dove manca il v. 63 e c’è il v. 42 (nell’Ald manca)
Il manoscritto che sta all’origine di tutta la tradizione manoscritta di un testo manca nello stemma codicum
di Puella - secondo Lackmann nell'originale e non ci sono errori, per cui se si trovano errori comuni a tutte
le copie manoscritte, allora quell’errore deriva dal primo originale manoscritto dell’autore. Puella non lo ha
poiché la traduzione di Puella si è sviluppata a partire dall’autore O.

Abbiamo un autografo che è stato modificato nel tempo, quindi ci sono più tradizioni.

Il manoscritto R è una lettera che Zanobi Masolini (amico di Poliziano) di Prato mandò (forse per volere di
Poliziano stesso) ad Andrea Magnanimo (umanista bolognese che Poliziano cita spesso nel cap. Stratocles
dei Miscellanea) nel 1491.

Tredicesima lezione

Praelectiones, Poliziano

Le prolusioni sono un genere tipicamente umanistico; generalmente vengono scritte in prosa ma anche in
versi, a volte. Tali testi venivano denominati in vario modo: orationes, prolusiones, prelectiones

Le prolusioni potevano inaugurare un singolo corso nello specifico (di solito fatte annualmente) oppure un
corso di studi in termini più ampi, in una nuova università, in cui il professore poteva illustrare anche il suo
metodo di studio (prolusione generale).

In genere la lingua di tali testi era il latino; inoltre avevano una struttura obbligata, ovvero l’autore doveva
scrivere di determinati punti come: le lodi della città (del Principe se lo stato era monarchico altrimenti
della Repubblica), le lodi all’università, i ringraziamenti a coloro che hanno assunto, ai colleghi, un elogio
alle arti liberali e un'esortazione (esortatio) agli studenti. Se il corso era più specifico, chiaramente, l’autore
si concentrava maggiormente sui contenuti del suddetto corso.

Poliziano non si atteneva mai alle regole da seguire per scrivere una prolusione, era del tutto originale, sui
generis. Egli elogiava gli autori, talvolta le arti liberali e spesso affrontava gli argomenti in maniera polemica
per evidenziare quanto egli era diverso rispetto a molti altri prof. con i loro approcci tradizionali. Egli
descriveva procedendo in modo programmatico illustrando e difendendo le sue scelte e intenzioni.
Poliziano era capace di rendere molto personale anche un testo generale come una prolusione. Egli era un
maestro di captatio benevolentiae nei confronti dei suoi studenti, sapeva come coinvolgere e interessare il
pubblico. La lettura delle prolusioni era un momento di cultura al quale tutti potevano assistere.

Praelectio in enarratione Odysseae → Ci è pervenuto un manoscritto in una prosa latina non sistemata,
molto breve rispetto ad altri testi - non fu sistemato per la stampa e quindi non fu inserito nell’ed. Aldina -
si tratta quindi di un testo a testimonianza unica (non permette collazioni con altri manoscritti)

Poliziano sceglie Stazio e fa una scelta di campo perché Stazio era da tempo parte del campo di studio
romano. Quando Poliziano inizia a dedicarsi alle Selve di Stazio, Domizio Calderini (grande studioso e
filologo umanista) pubblicò nel 1475 un’edizione commentata delle Selve di Stazio (documento
monumento della filologia umanistica) e oltre a lui anche altri due filologi umanisti del tempo si occuparono
di Stazio.

Poliziano compie durante la sua carriera scelte di campo, anti fiorentine e “anti landiniane”. Poliziano fa
scelte di novità poiché queste riflettono scelte di studi innovative rispetto a quelle tradizionali.

Quattordicesima lezione

Abbiamo già parlato della novità nella scelta delle Silvae di Stazio.

L’opera ha un carattere diverso, sono poesie di genere leggero, non impegnato dal punto di vista tematico e
linguistico. Caratterizzata da 32 componimenti con testi di ogni tipo, testi di carattere lirico, testi “in morte
di” (riferiti generalmente ad amici o personaggi importanti ma anche ad animali), epitalami (testi per
nozze), descrizioni di case, ville, strade, ecc. - Si tratta di tutto il repertorio della poesia d’occasione, una
poesia tendenzialmente disimpegnata.

Un altro aspetto importante è la varietà che è sia tematica sia metrica (usati metri diversi con prevalenza di
esametro) e stilistica. Non c’è un ordine nella raccolta, i testi si susseguono in ordine libero e nemmeno la
divisione in 5 libri risponde a criteri di ordine. Si tratta di un’opera agli antipodi delle opere di Virgilio,
Cicerone, Orazio, Properzio, ecc.

Domiziano è il protagonista della raccolta ed è colui al quale Stazio si rivolge frequentemente. Il gusto per la
varietà (tematica e strutturale), la brevità e la varietà caratterizzano Stazio come anche il Poliziano.
Quest’ultimo non ha preferenza per i grandi poemi ed è interessato da tutt’altro genere di letteratura, una
letteratura peregrina che presentava difficoltà, sicuramente appetibili, per un filologo.

Per Poliziano l’interesse principale era di tipo filologico in quanto i testi venuti alla luce da poco, quindi
poco studiati, racchiudevano molto da scoprire. Tali testi li aveva scoperti Bracciolini in un monastero
dell’Europa Centrale; egli fece copiare immediatamente il manoscritto da una persona “ignorante”, che
copiò male, con molti errori e imprecisioni. Bracciolini in seguito promosse poi la circolazione del testo in
Italia, sapendo che gli umanisti ne sarebbero stati interessati. Prima di tutto spedì il manoscritto a Venezia,
a Francesco Barbaro, cui chiese di fare un’altra copia da mandare a Firenze a Niccoli: inizia così la
circolazione in Italia e il testo arriva anche a Roma, dove viene studiato da Calderini.

Lo studio sui testi era molto da fare perché tutto derivava da una copia fatta da un copista disattento. Il
testo delle Silvae aveva estremamente bisogno di cure filologiche, era necessario ricorrere spesso alla
congettura ope ingenii, non c’era spazio per un lavoro di collazioni.

Già negli anni a metà del 1470 Poliziano comincia a lavorare sul testo, ne possedeva l’edizione a stampa del
1472. Venne poi in possesso di un manoscritto e ritenne che fosse il manoscritto di Poggio, ma è
presumibile che vide una copia di quella copia che comunque gli fu utile per correggere la stampa del 1472
ma molto fu obbligatoriamente affidato alla congettura.

C’era una conseguente difficoltà interpretativa sia perché le Silvae alludono ad episodi di vita quotidiana
della Roma del tempo, dunque difficili da costruire e da capire senza avere un contesto culturale della
Roma del momento, sia perchè c’era una difficoltà culturale in quanto testi di grande erudizione.

Stazio tratta gli argomenti di occasione con accenni mitologici, a fatti storici, luoghi geografici, personaggi
della storia, si richiede quindi per la corretta interpretazione ma anche comprensione del testo, una
conoscenza profonda della storia greca e latina.

Lavorare su questi testi è per Poliziano non solo una sfida di abilità filologica e interpretativa ma anche un
momento di competizione con gli altri filologi, grazie a cui potrebbe dimostrare le sue capacità in materia.
Quando Poliziano cominciò il suo insegnamento universitario partì sulla difensiva, si dovette difendere da
questa scelta anomala che richiede una giustificazione (soprattutto nel panorama fiorentino).

L’unico testimone dell’orazione è l’edizione aldina del 1498, postuma non curata dall’autore (è necessario
tenere a mente che le edizioni a stampa spesso non erano molto fedeli al testo - nell’edizione critica che
abbiamo sono usati come testimoni l’Aldina e altre stampe successive).

Prima che io cominci a spiegare, oh giovani, le cose che sembrano essere proprie del compito che mi sono
sobbarcato/che ho deciso di illustrare, spiegherò in poche parole a voi la motivazione della mia scelta.

Già all’inizio dell’orazione vediamo che Poliziano si rivolge solo ai giovani, cosa alquanto sorprendente in
quanto solitamente ci si rivolgeva prevalentemente ai personaggi illustri, alle autorità.
Secondo consuetudine, in questa prima parte dell’orazione avrebbe dovuto ringraziare chi lo aveva
nominato, elogiare l’università, i colleghi, ecc. ma prima di questo ritiene necessario spiegare la scelta
dell’opera.

Non sono ignaro infatti che ci saranno alcuni dai quali (forse) la mia decisione non sarà approvata, lo so
bene, poiché tra una così grande abbondanza di volumi di autori ottimi ed eccellentissimi abbiamo deciso di
spiegare le Selve di Stazio e l'Institutio oratoria di Quintiliano. Delle quali opere (de) le une (le Selve)
potrebbero dire che non furono ritenute degne di pubblicazione neppure dallo stesso poeta (allude a quello
che dice Stazio nella divulgazione delle Selve), le altre (riferendosi all’Institutio oratoria) anche se possono
sembrare estremamente accurate e dottissime non sarebbero da anteporre agli scritti di Cicerone nello
stesso genere (oratoria).

Queste sono le obiezioni immaginarie (fino ad un certo punto) che Poliziano sente la necessità di
respingere.

Inoltre, questi tali, potrebbero ritenere che il nostro compito non venga assolto adeguatamente da noi (che
noi non assolviamo bene il nostro compito), noi che pur essendo di questa debolezza di ingegno, di questa
povertà di dottrina e di questa tanto scarsa o addirittura nulla esperienza oratoria/didattica tuttavia ci
incamminiamo lungo vie nuove e sconosciute, abbandoniamo le vie antiche e abituali, percorse da tutti, e
riterranno al tempo stesso che non ci preoccupiamo dell’utilità degli allievi. Noi che scegliamo soprattutto
scrittori di quel secolo nel quale ormai la nobiltà dell’eloquenza romana e la sua purezza era degenerata. E
riterranno che avremmo fatto sicuramente molto meglio se ci fossimo accinti di spiegare Virgilio e Cicerone,
i principi dell’eloquenza latina.

Si può porre attenzione al fatto che il latino con cui scrive non sia un latino essenziale e chirurgico che
appare scritto di getto come nei Miscellanea, si tratta piuttosto di un latino del letterato e dell’oratore,
Poliziano infatti deve sfoggiare uno stile bello e adeguato (teniamo comunque sempre a mente che il testo
è stato rivisto e revisionato).

Tutta la prima parte è quindi dedicata ad esporre le obiezioni, immaginarie fino ad un certo punto poiché
sta esponendo critiche che già aveva ricevuto.

C’è un inizio sull’autodifesa:

Ritengo che si debba replicare brevemente a queste opinioni e a queste voci/dicerie di persone non forse
malvagie, anzi, amiche nostre (qui assume l’atteggiamento canonico di modestia). Per quanto dunque
riguarda Stazio per quanto io possa ammettere in parte che questi libri delle Selve di Stazio non siano del
tutto perfezionati, tuttavia abbiamo egregiamente un buon motivo (abbiamo una buona ragione) per la
quale ci siamo presi il compito di spiegare questi testi.

Poliziano riconosce che esiste una mancanza di labor limae in questo testo ma già il titolo Silvae (Selve)
indica un ammasso di cose non organizzate (in ambito letterario si riferisce ad una raccolta di scritti che non
obbediscono ad una struttura precisa ma che vengono messi insieme in modo casuale, quasi caotico).

→ Gellio elencò anche questo tra i titoli scartati delle Notti attiche.

La varietà quindi è intrinseca nel genere delle “selve”.

Si riteneva poi che la silva dovesse essere scritta improvvisando, i testi non dovevano essere rivisti,
revisionati o corretti; anche in questo risiede la disorganicità del testo e ciò gli conferisce il carattere non
studiato e non calcolato in tutti i suoi aspetti (Poliziano non può negare una caratteristica propria del
genere delle silvae, appunto che non sia perfezionata).
Che cosa infatti proibisce che ai ragazzi adolescenti si offrano da imparare non immediatamente quei grandi
autori ma anche quelli, se si vuole chiamarli così, minori e di secondo piano, affinchè possano più facilmente
imitarli.

Qui Poliziano dà una giustificazione pedagogica secondo cui è più facile imitare un autore minore che un
autore grande per imparare a scrivere.

Infatti fanno così anche gli agricoltori quando coltivano le viti. E quando nascono i primi tralci, li appoggiano
a dei sostegni molto bassi in modo che possano crescere trovando un appoggio. Allo stesso modo gli
adolescenti non devono essere chiamati/incitati subito verso quegli scrittori di prim’ordine ma sembrano
dovere essere incitati e innalzati grazie a questi autori minori a poco a poco, che tuttavia non sono abietti e
bassi.

Poliziano scrive con grande finezza lessicale: usa ad esempio un lessico tecnico della vite e della viticoltura,
che prende da autori che ama come Plinio, Columella, Varrone, insomma coloro che si occupavano della
realtà. È un testo ricco di riferimenti letterari del genere, infatti usa spesso la dittologia (due termini
coordinati dalla congiunzione)a volte sinonimica, altre volte con disposizione a climax.

È dunque un latino di grande finezza ed elaborazione.

Poi fa altri due paragoni sulla stessa linea di quelli della vite: afferma infatti che chi impara a cavalcare le
bighe, non comincia con i cavalli più feroci, ma con quelli più docili, e che chi deve imparare a fare i
combattimenti navali non inizia in mare aperto ma nel porto.

In questa prima parte quindi Poliziano si ritaglia un ruolo minore di “colui che insegna i primi passi” ma
tutto questo è apparente poiché vuole assumersi apparentemente un ruolo marginale ma in realtà il tono è
polemico. Poliziano non crede che Stazio e Quintiliano siano autori minori, anzi, tutto il contrario!

Poliziano arriverà poi ad un capovolgimento in cui dirà esattamente l’opposto, arrivando a dire che non c’è
alcuna inferiorità di Stazio e Quintiliano rispetto agli altri autori e che non si può dividerli in “minori” e
“maggiori” o tra “periodo aureo” e un “periodo argenteo”.

Quindicesima lezione

Prima di fare la traduzione e la spiegazione verso per verso dell’opera di Stazio, Silvae, Poliziano parla
dell'autore e del genere della silva (ovvero una composizione varia e improvvisata che non veniva
sottoposta ad un lavoro di labor limae).

La selva è detta dai filosofi “indigesta materia”, materia non organizzata. Quest’ultima i greci la chiamavano
hyle (selva, foresta). Quintiliano nella sua Institutio oratoria scrive dei vari generi letterari e poetici e parla
male delle silvae poiché queste trattano più argomenti in modo disordinato e poco approfondito, le
modalità di scrittura sono troppo rapide e improvvise (impetu ed extempore). Poliziano a differenza di
Quintiliano difendeva il genere della silva e infatti ritiene che Stazio con le sue Silvae superi la Tebaide e
l’Achilleide (poemi composti a regola d’arte); Poliziano riteneva che in un poema troppo lungo il pensiero
del poeta autore lo affaticasse (se prolungato). Stazio non eccelleva in forza e robustezza bensì per velocità
ed impeto e queste sue caratteristiche risplendevano nei suoi vari e diversi testi. Il fervore dell’animo
(celeritas, impetu, calor, ecc.) durava fino alla fine dell’opera, non ci sono versi fiacchi poiché l’ispirazione
permaneva fino alla fine della composizione. Gli opuscoli di Stazio riflettono in modo perfetto l’ispirazione
di quest’ultimo fino alla fine. La brevità enfatizza anche il carattere epico di certi versi di Stazio. Nella
Tebaide, destituito dalla sua natura la quale dopo i primi impeti si raffreddava, andava in cerca dell’aiuto
dell’arte. L’arte (presidium ars) è l’abilità dello scrivere, l’abilità tecnica del poeta che sa comporre i versi
ma anche la dottrina, la sapienza. Nessuna arte è così grande da poter imitare l’“entusiasmon” (in greco)
ovvero il furor che permette ai grandi poeti di essere i portavoci degli Dèi, quindi di diventare poeti vate.
● Furor amatorio → Venere
● Furor divinatorio (dei profeti) → Apollo
● Furor sacerdotale → Bacco
● Furor poetico → Muse

L’ars è quella del poeta, quella del pittore, quella dell’artigiano, ecc. tutto richiede ars (una serie di
competenze ed esperienze) ed è differente dal furor poiché quest’ultimo mette in comunicazione con gli
Dèi. Nessuna ars può imitare l’afflatio del furor che è breve di natura.

→ Nel commento alle Silvae di Stazio Poliziano riflette i suoi gusti letterari presenti nei Miscellanea (serie di
capitoletti riuniti in un’unica opera senza ordine con predilezione per la varietas e per la brevitas).

Nella prefazione del primo libro (Stazio saluta il suo amico Stella, epistola a Stella) Stazio spiega cosa sono
le silvae e perché hanno questo titolo. C’è da dire che una rielaborazione, nonostante la brevità e l’impeto,
era presente; infatti i testi di Stazio erano tutt’altro che poveri.

Virgilio descrive nel VI libro dell’Eneide la discesa nell’aldilà e questo Landino lo dice implicitamente: un Dio
ha aperto metafisicamente la mente di Virgilio per mostrargli delle verità di cui poi il poeta vate scriverà
(stessa cosa vale per Dante). Per Poliziano il furor non è un Dio che comunica al poeta verità escatologiche,
bensì un furor letterario, un’ispirazione poetica che si manifesta qualunque sia l’argomento trattato, senza
niente di teologico (anche Platone distingueva il furor letterario da quelli di tipo sacerdotale e divinatorio) .
Per Landino il furor è presente nelle opere che trattano di argomenti alti che comprendono tematiche che
riguardano Dio, la teologia - Poliziano ritiene che il furor sia un mantenere la stessa altezza, lo stesso calore,
per tutta la durata del testo di qualsiasi tema esso tratti.

Vi è quindi una contrapposizione di tipo letterario e teologico da Landino e Poliziano: Landino valorizza i
testi di contenuto importante come la vita, la morte, ecc. mentre Poliziano considera anche altri campi
dove individuare l’eccellenza letteraria che appunto, per Poliziano, prescinde dal contenuto (i poeti più abili
nello scrivere d’amore sono quelli che non hanno mai provato tale sentimento).

Sedicesima lezione

Leonardo Bruni, cancelliere della Repubblica di Firenze, storico, traduttore dal greco e autore di varie opere
in volgare, affermò nella sua opera Vita di Dante che quest’ultimo non era poeta di furor bensì abile nella
scienza (esplicata infatti nei suoi versi, secondo Bruni).

Landino nelle Disputationes camaldulenses ma anche nel commento al proemio al Commento dantesco
tratta della vita attiva e della vita contemplativa e dei primi sei libri dell’Eneide. Landino inoltre sostiene che
dal furore divino, cioè l’ispirazione divina, proceda l’ispirazione poetica, la poesia (come sosteneva Platone)
e include nella categoria dei poeti ispirati dal furor sia Dante che Omero nonostante anch’egli faccia
distinzione tra furor e ars. Landino sostiene che il furor si divide in quattro tipologie: il furore poetico
permette al poeta di mettersi in contatto con il Dio dal quale trae la conoscenza delle cose divine oltre ai
versi dei componimenti poetici.

Landino afferma che Omero aveva assimilato l’antica sapienza degli egizi e Virgilio seguendo le sue orme si
rese conto che l’antica sapienza dei sacerdoti egizi consonava con la filosofia di Platone del quale Virgilio
era studiosissimo. Landino quindi scrive che Virgilio scrisse di Enea per allegorizzare la vita umana che
dapprima si purifica dai peccati poi conosce la virtù e infine si innalza al sommo bene conoscendo la
divinità.

Lorenzo (figlio di Piero de’ Medici, figlio di Cosimo “il vecchio” e Lucrezia de’ Tornabuoni) impara a memoria
la Commedia da ragazzo e sostiene di non capirla bene inizialmente per poi meglio comprenderla in
seguito. Tra mondo antico e moderno si ha continuità, Dante supera Virgilio in una logica di continuità e
non di frattura.

Nel suo commento al proemio dell'Eneide, Landino parla di Prisca Theologia cioè una dottrina (nata a
Firenze nel tardo XV secolo) secondo la quale esiste un'unica vera teologia che attraversi tutte le religioni e
che essa fu donata da Dio all'uomo nei tempi antichi.

Landino e Ficino cercano analogie tra ciò che appartiene a culture, religioni, popoli differenti e distanti
cronologicamente e spazialmente che è il contrario di ciò che dovrebbe fare uno storico e un filologo che
invece si occupano di distinguere (soprattutto ciò che sembra simile), categorizzare, storicizzare. Poliziano
aveva un approccio storico e filologico e in questo si distingue principalmente.

Poliziano applicava un approccio contenutistico ai testi - il commento alle Selve di Stazio va verso una
direzione completamente opposta

Il Poliziano si riferisce a Dante nel suo commento alle Selve di Stazio (pg. 10 pdf) e allude in modo poetico a
due errori di Dante, ovvero:

1 errore → Nella letteratura latina ci sono due poeti di nome Stazio, uno di Napoli e poi un’altro francese
(gallo di Tolosa).

● Publio Papinio Stazio → vissuto ai tempi di Nerone (autore delle Selve)


● Stazio Surculo → la cui esistenza è testimoniata nel Chronicon di San Gerolamo

Vari studiosi assegnano il cognome di Surculo a Stazio autore delle Selve. Poliziano specifica che Dante fu
ingannato, insieme ad altri, dal medesimo nome; Stazio autore delle Selve (poeta, visse a Roma) visse ai
tempi di Domiziano e non di Nerone come Surculo (retore che visse in Gallia).

Landino nel suo commento alla Commedia si sofferma su Stazio (presente nel cap. XXI del Purgatorio) e
dovrebbe correggere Dante il quale sbagliando confonde Publio Papinio Stazio e Stazio Surculo ma lo
giustifica sostenendo che il Sommo poeta aveva troppo e ben altro a cui pensare piuttosto che alla città
natale di Stazio; Dante non dava importanza alle piccolezze, secondo Landino.

Lattanzio Placito compie lo stesso errore di Dante e sostiene che Stazio nacque a Tolosa e non a Napoli, così
Landino utilizza furbamente l’errore di Placito per sostenere Dante.

Nel canto XX del Purgatorio Stazio parla con Virgilio e lo ringrazia di essere stato cristiano proprio grazie a
lui.

2 errore → Dante crede che Stazio fosse crisiano interpretando in maniera erronea alcuni suoi versi

La figura di Demogorgone è del tutto sconosciuta alla mitologia classica. Il nome nacque verosimilmente in
ambiente bizantino per una sorta di errore grammaticale: dal greco antico: Δημιουργόν, Dēmiourgón
(«Demiurgo») corrotto in Demogorgon. Boccaccio afferma di averne appreso il nome da Lattanzio, uno
scoliasta del IV o del V secolo d.C. nella Tebaide di Publio Papinio Stazio.

Diciassettesima lezione

In un anonimo commento all’Achilleide conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana si afferma che
Dante avrebbe dovuto rendersi conto che Stazio Surculo, autore delle Silvae, non è Stazio di Tolosa.

Allo stesso modo Domizio Calderini scrive nel suo Commento alle Silvae in Vita Statii che lo Stazio di Tolosa
non è il nostro Papinio Stazio, infatti in molte poesie che fanno parte delle Silvae Stazio celebra le sue
origini che non sono di Tolosa bensì di Napoli.

Poliziano, nel suo corso su Giovenale, ritorna sull’errore commesso da Dante.


Landino in Commento alla Commedia, fa una digressione e parla di Stazio e le sue opere scrivendo del fatto
che Dante fa dire a Stazio “[...]Cantai di Tebe e poi del grande Achille; ma caddi in via con la seconda
soma[...]” ciò significa che il Sommo non considerava le Selve al livello della Tebaide e dell’Achilleide, bensì
piuttosto un'opera scritta per rilassare l’animo dopo aver scritto le cosiddette “some”.

In ambito umanistico le critiche a Dante erano diffuse già dalla II metà del ‘300. L’umanesimo è così detto
poiché alcuni letterati ritennero di possedere una conoscenza superiore a quella dei letterati del passato in
quanto quest’ultimi non conoscevano bene le lingue antiche (latino e greco) né si interessavano alla
ricostruzione storica del mondo antico accontentandosi piuttosto dell’attualizzazione e dell’allegorizzazione
del passato. Petrarca è considerato il primo umanista mentre Boccaccio si può considerare un precursore
dell’umanesimo. Dante appariva un autore attardato a chi si interessava al mondo antico in modo
umanistico.

Landino non ha un piena conoscenza del latino, ha una scarsa conoscenza del mondo antico (storia,
letteratura, filosofia, geografia, ecc.) e inoltre era troppo disinvolto nell’interpretazione dei testi antichi (egli
era arbitrario e tendente ad attualizzare - es. cristianità di Stazio e IV egloga di Virgilio che NON è una
profezia del cristianesimo).

Dante si appropria del mondo antico poiché per lui quello è un mondo “domestico”, familiare, non lontano
da sé, per cui c’è un’appropriazione e non una storicizzazione - ciò non significa che Dante sbagli in
confronto agli umanisti bensì è evidente che a seconda del panorama culturale del periodo l’approccio era
differente. Dante non era interessato all’analisi storica dei testi bensì all’attualizzazione in chiave cristiana di
questi.

Bruni (1370-44) e Bracciolini furono i primi ad attaccare Dante per i suoi presunti errori mentre Domenico
da Prato difende Dante chiamando in maniera dispregiativa gli umanisti “setta” di ignoranti che credono di
saperne più degli altri solo perché a conoscenza delle lingue antiche. Domenico sostiene che nocque alla
fantasia di Dante il non aver letto molte opere antiche che avrebbero contribuito alla composizione della
Commedia.

Landino, come Domenico da Prato, accomunava Poliziano ai sussurroni (criticoni) che criticavano Dante e i
moderni solo per la scarsa conoscenza delle lingue e di conseguenza dei test antichi.

Leonardo Da Vinci scriveva della contrapposizione tra verità ed errore - la verità ha tale importanza che
anche se ha a che vedere con minuzie apparentemente trascurabili non ha paragone con l’errore e la falsità
che travisa ciò che è reale. Si preferisce quindi una piccola verità che da certezza piuttosto che parlare di
grandi temi che non danno certezza alcuna. Il punto di vista di Da Vinci verrà poi ripreso da Galileo.

N.B. : 1903 → Morì il filologo Gaston Paris e un suo allievo, Brunetière, gli fece la commemorazione funebre
scrivendo che non ci sono verità trascurabili, differenti o minori poiché nella ricerca di una data, nella
determinazione di un testo o del significato esatto di un parola, niente era indegno. Qualunque verità è
importante in quanto verità reale, certa.

L’approccio di Landino è medievale, tradizionale, differente da quello di Poliziano e non inferiore.

Secondo Stazio il fatto che i testi fossero improvvisati e non ragionati (non significa non curati) gli conferiva
un maggior valore e un maggior apprezzamento da parte del pubblico. Il fatto che i componimenti di Stazio
fossero stati composti velocemente non significa che egli non li revisionò; non bisogna errare affermando
che la velocità sia portatrice di superficialità poiché a volte sono le opere scritte velocemente ad essere
degne di nota. Callimaco secondo Poliziano è “cachizotechinos” perché non smetteva di criticarsi.

Diciottesima lezione
Nella prolusione su Quintiliano:

Poliziano ha una visione non gerarchica della storia, riteneva che non ci fosse un latino migliore ma che
esistessero latini differenti con caratteristiche uniche. Poliziano inoltre afferma che spesso le migliori
tipologie di latino, quelle più interessanti e ricercate, sono proprio quelle non classiche. Il diverso non è
peggiore anzi spesso il post classico è migliore perché ha molte qualità (lo stesso per Stazio che non è
inferiore a Virgilio bensì quasi migliore - Poliziano preferiva un latino un po’ barocco, caratterizzato da
molte figure retorico, piuttosto che il la composta classicità del latino classico, tradizionale).

Poliziano sostiene che è errato imitare un solo autore, bisogna piuttosto attingere a più fonti (come
sostenne anche Lucrezio: come le api si nutrono di più nettari nei prati fioriti così noi dobbiamo attingere a
più opere di più autori). Poliziano dice inoltre che persino Cicerone non era “ciceroniano” in quanto egli
dopo aver studiato i tersi e accurati oratori attici attinse agli oratori asiatici, i non canonici. Cicerone non si
limitò ad imitare una sola tipologia d’oratore, scelse di avere dinanzi i pregi di molti per poter avere un
panorama più ampio dal quale prendere tutto ciò che è necessario (imitatio).

Le api si nutrono di tanti fiori e dai tanti creano un prodotto originale nel quale non si riconoscono gli
apporti dei molti; non si tratta di un mosaico, di una zuppa, ma di ispirazione presa da molti per creare una
novità. Gli autori imitati dovevano essere di valore riconosciuto, comunque, e non privo di qualsiasi
selettività.

In una prolusione dedicata ad un poeta, l’autore fa l’elogio al suddetto poeta e ne parla. Poliziano non fa lo
stesso per quanto riguarda l’opera di Cicerone “Arte oratoria” in quanto Cicerone stesso è esaustivo
nell’introduzione dell’opera.

Struttura prolusione accademica di Poliziano (egli espone il SUO programma e la SUA visione che
corrispondono ai SUOI GUSTI di letterato, poeta, studioso, ecc. i quali sono molto singolari)

1. Excusatio, lodi dei colleghi, captatio benevolentiae e professione di modestia con autodifesa e
autoapologia
2. Lode di Stazio, descrizione e lode delle Sylvae
3. Lode di Quintiliano, descrizione e lode della sua opera, autodifesa e autoapologia
4. Lode della latinità non classica, teoria dell’imitazione eclettica e anti ciceroniana
5. Lode della retorica e della sua utilità per la formazione del cittadino [manca nella prima parte la
lode della poesia che Poliziano però afferma di aver fatto]
6. Vita di Quintiliano [manca della prima parte della vita di Stazio che si trova all’inizio del Commento
alle Selve di Stazio]

L’orazione alla fine diventa una specie di discorso/saggio sulla letteratura/lingua latina, sul come
considerare l’imitatio. Si ha solo un testimone: la stampa Aldina del 1498 (dalla quale sono derivate, poi,
altre edizioni).

Quando il testimone è uno solo è più semplice trovare l’errore ma è complicato correggerlo poiché senza il
confronto non è possibile stabilire con estrema certezza perciò bisogna fare una congettura, una emendatio
ope ingenii (con tutti i rischi che comporta).

La stampa Zollino mostra una correzione: stampa Aldina: Vergilium - altri testimoni (del ‘500) riportano
Virgilium - Zollino sceglie Virgilium poiché sostiene che Poliziano fa la scoperta di Vergilium dopo la prima
metà degli anni ‘80 e quando ha scritto l’opera non avrebbe potuto sapere la differenza
Vergilium/Virgilium.

● Apparato positivo →
● Apparato negativo →
L’errore è:

● Nostrum → errato
● Nostrorum → giusto

Ad ogni modo non è certo che nostrum sia errato mentre nostrorum corretto.

I precetti di Quintiliano, nell’Institutio oratoria, sono come frecce scagliate verso il bersaglio. La Zollino
predilige scopulum → scoglio (in senso fig. rovina, ostacolo) a scopulus (falso diminutivo) → piccolo
bersaglio.

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