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1
Il volgarizzamento italiano delle «Epistole di Seneca a Paolo e di Paolo a Seneca»
secondo il codice Fr. 12235 della Bibliothèque Nationale de France
0. PREMESSA
Il carteggio tra Seneca e San Paolo, sulla cui natura pseudoepigrafica è oggi concorde la
maggior parte della comunità scientifica,1 è senza dubbio uno dei «documenti più enigmatici della
letteratura cristiana antica»:2 una collezione di quattordici brevi componimenti in latino che ha
raccolto l’attenzione dei Padri della Chiesa prima, del mondo umanistico poi, e che ha continuato a
stimolare, in maniera ininterrotta, la curiosità e la riflessione degli studiosi fino alle epoche più
moderne.
Nel corso di questo contributo si tenterà di ampliare il raggio della ricerca a un àmbito, quello
dei volgarizzamenti italiani dell’epistolario, ancora sostanzialmente inesplorato; nella prospettiva di
uno studio preparatorio all’edizione critica della tradizione manoscritta volgare dell’opera, verrà
presentato il testo, con note e commento, tràdito da uno degli esemplari di riferimento più
rappresentativi, il codice Fr. 12235 della Bibliothèque Nationale de France di Parigi, accompagnato
da una breve rassegna preliminare riguardante alcuni aspetti peculiari della corrispondenza e della
sua trasmissione.
1. INTRODUZIONE
1.1. Tradizione latina ed edizioni
La corrispondenza tra Seneca e San Paolo, a proposito della quale sono state di volta in volta
riconosciute finalità e motivazioni diverse – dal tentativo di una conciliazione tra l’ideologia storica
e quella cristiana alla necessità di un’educazione retorico-stilistica dell’apostolo (e, per estensione,
della comunità cui egli apparteneva)3 –, è trasmessa, stanti gli esiti delle ricerche fin qui eseguite, da
oltre 400 manoscritti in latino4 conservati in diverse sedi europee, con una particolare
concentrazione in area francese; si tratta, come rilevato da più parti, di codici riconducibili, nel
1
Per un dettagliato resoconto a riguardo cfr. almeno L. BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio apocrifo di Seneca e San
Paolo, Firenze, Olschki, 1978, pp. 7 sgg. e M. NATALI, Anonimo. Epistolario tra Seneca e san Paolo, Milano, Rusconi,
1995; tra i contributi più recenti cfr. invece M.G. MARA, L’epistolario apocrifo di Seneca e San Paolo, in AA.VV.,
Seneca e i Cristiani, Atti del Convegno Internazionale. Università Cattolica del S. Cuore. Biblioteca Ambrosiana.
Milano, 12-13-14 ottobre 1999, Milano, Vita e Pensiero, 2001, pp. 41-54, G. MAZZOLI, Paolo e Seneca: virtualità e
aporie d’un incontro, in «Sandalion. Quaderni di cultura classica, cristiana e medievale», XXXI, 2008, pp. 50-64 e I.
RAMELLI, L’epistolario Seneca-Paolo, in «Chaos e Kosmos», X, 2009, pp. 45-55. Ulteriori indicazioni saranno inoltre
fornite nel corso delle pagine che seguono.
2
E. FRANCESCHINI, Un ignoto codice delle epistole «Senecae et Pauli», in AA.VV., Mélanges Joseph de Ghellinck,
Gembloux, Duculot, 1951, 2 voll., I, pp. 149-70 (la citazione è a p. 150).
3
Si rinvia, per approfondimenti, almeno a BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., pp. 49 sgg.
4
I risultati degli ultimi censimenti sono segnalati in MARA, op. cit., p. 42.
2
maggior numero dei casi, ai secoli XIV e XV. 5 Sebbene abbia avuto a lungo una trasmissione
indipendente, date anche la sua natura e le sue dimensioni, a partire dal Trecento lo scritto venne
per lo più collocato in appendice a molti degli esemplari che raccolgono l’insieme delle opere,
epistolari e non, di Seneca.6
Tra i testimoni a stampa si segnalano almeno quello napoletano del 1475, inserito in un volume
che comprende l’intero corpus senecano, quello romano, dello stesso anno, in cui il carteggio
accompagna la più nota corrispondenza tra il filosofo e Lucilio, le due veneziane del 1490 e 1492 e
le due tedesche, entrambe pubblicate a Colonia nel 1499. 7 A pochi anni di distanza si colloca
l’edizione di Erasmo (Basilea, 1515, poi ristampata con alcune correzioni nel 1529 nella medesima
sede);8 al suo interno viene rimarcata più volte la natura apocrifa dello scritto:
«His epistolis non video quid fingi possit frigidius aut ineptius et tamen quisquis fuit auctor, hoc
egit, ut nobis persuaderet Senecam fuisse Christianum […]. Quam nihil est in Paulinis epistolis illo
Pauli spiritu dignum, quam vix usquam audias nomen Christi, cum mille non soleat aliud crepare
quam Iesum Christum […] Illud omnium impudentissimum quod cum faciat Senecam in Apostolo
desiderantem copiam et cultum sermonis, tamen in his epistolis nihilo cultius scribit Seneca quam
Paulus. Sed par est utriusque balbuties et sensum frigus atque ineptia». 9
Ad uno stesso anno, il 1853, risalgono invece le prime due edizioni critiche del testo, ad opera
rispettivamente di A. Fleury10 e di F. Haase.11 Il primo, sostenitore della tesi apocrifa tramandata da
Erasmo, utilizza un codice tolosano del secolo XV e tre esemplari parigini coevi; 12 Haase si
concentra invece su due documenti più antichi, il primo, conservato a Strasbourg, del secolo IX, 13 il
secondo, milanese, della fine del secolo XI.14
Di Claude W. Barlow è senza dubbio lo studio critico più completo: edito nel 1938, è basato
sulla collazione di venticinque testimoni, per lo più inediti, redatti tra il secolo IX e il secolo XII. 15
5
Cfr. soprattutto C.W. BARLOW, Epistolae Senecae ad Paulum et Pauli ad Senecam, New York, American Academy in
Rome, 1938, pp. 8 sgg., FRANCESCHINI, Un ignoto codice cit., pp. 149 sgg., BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., pp.
61 sgg., NATALI, op. cit., pp. 83 sgg.
6
Cfr. BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., pp. 35 sgg.
7
Cfr. BARLOW, op. cit., pp. 104 sgg.
8
Cfr. ERASMUS ROTERODAMUS, Senecae Opera, Basel 1529.
9
Il passo è tratto da BARLOW, op. cit., p. 105; cfr. anche W. TRILLITZSCH, Der Apokryphe Briefwechsel zwischen
Seneca und Paulus, in ID., Seneca im literarischen Urteil der Antike, Darstellung und Sammlung der Zeugnisse,
Amsterdam, Hakkert, 1971, 2 voll., II, pp. 439-41.
10
Cfr. A. FLEURY, Saint Paul et Sénèque. Recherches sur les rapports du philosophe avec l’apôtre, et sur l’infiltration
du christianisme naissant à travers le paganisme, Paris, Ladrange, 1853.
11
Cfr. F. HAASE, L. Annaei Senecae Opera quae supersunt, Leipzig 1853, 3 voll., III, pp. 476-81.
12
Sono i mss. Lat. 2359, 6344, 6389, per cui cfr. anche BARLOW, op. cit., p. 121.
13
È il ms. C. VI. 5, per cui cfr. ibid.
14
È il ms. C. 90. Inf.; si veda ibid. Lo stesso Haase, nel 1872, consegna alle stampe una seconda edizione del carteggio
riveduta sulla base delle osservazioni degli studi di Wachsmuth (C. WACHSMUTH, Zu Seneca’s Briefwechsel mit dem
Apostel Paulus, in «Rheinisches Museum», XVI, 1861, pp. 301-303) e Kraus (F.X. KRAUS, Der Briefwechsel Pauli mit
Seneca, in «Theologische Quartalschrift», XLIX, 1867, pp. 603-24) inerenti, tra gli altri, il testimone strasburghese e
quello milnese.
15
Cfr. BARLOW, op. cit.
3
Lo stemma codicum conseguente individua due rami fondamentali: il primo è rappresentato dal solo
testimone P,16 copia diretta di Ω; il secondo, che discende da Ω attraverso un subarchetipo Σ –
secondo Barlow anteriore al sec. VIII –, è il modello dei due apografi α e β dai quali dipendono,
attraverso ulteriori raggruppamenti e numerose contaminazioni orizzontali, i manoscritti presi in
esame a eccezione di P.17
Sulla base di questa edizione si fondano tutti i successivi contributi sull’epistolario; tra essi
andrà qui menzionato almeno il fondamentale saggio di Ezio Franceschini, 18 nel quale lo stemma
precedentemente proposto viene arricchito grazie a un esemplare del secolo VIII, λ,19 assai prezioso
in quanto ad antichità e ad autorevolezza, rappresentante della famiglia di Σ secondo però una
trafila indipendente rispetto ad α e β.
Non si possono tralasciare infine le due recenti monografie dedicate all’opera da Laura
Bocciolini Palagi:20 in esse la studiosa ripropone, accompagnandolo con ampi commenti di ambito
filologico, linguistico e storico, il testo latino con apparato critico secondo l’edizione di Barlow
riveduta grazie ai nuovi dati e agli emendamenti di Franceschini.21
«Lucius Annaeus Seneca Cordubensis Sotionis Stoici discipulus et patruus Lucani poetae
continentissimae vitae fuit. Quem non ponerem in catalogo sanctorum, nisi me illae epistolae
provocarent quae leguntur a plurimis, Pauli ad Senecam aut Senecae ad Paulum, in quibus, cum
esset Neronis magister et illius temporis potentissimus, optare se dicit eius esse loci apud suos
cuius sit Paulus apud Christianos. Hic ante biennium quam Petrus et Paulus coronarentur martyrio
a Nerone interfectus est».22
Se, da una parte, come è già stato rilevato con ampiezza, tale passaggio «ha giocato un ruolo
determinante nella conservazione del carteggio e nel suo successo attraverso i secoli» 23 – al punto
che in un numero considerevole di testimoni della tradizione manoscritta latina (e romanza) viene
16
Si tratta del manoscritto Lat. 2772, per cui cfr. ibid, p. 121.
17
Per la rappresentazione dello stemma si rinvia a BARLOW, op. cit., pp. 166-67.
18
Cfr. FRANCESCHINI, Un ignoto codice cit.
19
È il manoscritto C. 72 Inf. della Biblioteca Ambrosiana di Milano.
20
Cfr. BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit. e ID., Epistolario apocrifo di Seneca e San Paolo, Firenze, Nardini Editore,
1985.
21
Si vedano ancora NATALI, op. cit., edizione recente, con note e ampia introduzione, che ripropone il testo edito da
Barlow, e gli studi inseriti nelle antologie apocrife di Erbetta (M. ERBETTA, Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, Torino,
Marietti, 1969, 3 voll., III, pp. 85-92) e Moraldi (L. MORALDI, Apocrifi del Nuovo Testamento, Torino 1971, 3 voll., II,
pp. 1730-32, 1735-36, 1749-55).
22
Il passo del testo è tratto da J.P. MIGNE, Patrologiae cursus completus. Series latina, Paris, 1844-1865, 221 voll.,
XXIII, p. 662.
23
NATALI, op. cit., p. 7.
4
premesso alle lettere in funzione di prologo –, dall’altra parrebbe dimostrare con evidenza come la
corrispondenza fosse, a quella data, ben nota a un pubblico significativamente vasto («illae
epistolae […] quae leguntur a plurimis»).
Non è possibile stabilire con certezza, sulla base del brano citato, se Girolamo avesse avuto in
visione l’epistolario: l’esistenza di proposte assai divergenti tra gli studiosi della materia ne è una
conferma.24 A favore dell’inammissibilità della tesi sono soprattutto Barlow,25 Trillitzsch26 e
Sevenster:27 essi, muovendo dal carattere spurio della corrispondenza, considerano assai poco
probabile che il Padre della Chiesa si sia lasciato “ingannare” da un’opera palesemente apocrifa.
Opposto è invece il parere di Laura Bocciolini Palagi, secondo cui «il riecheggiamento preciso
dell’epistola XII (XI)28 non lascia dubbi sul fatto che Girolamo aveva una conoscenza diretta di
quello stesso testo che è giunto anche a noi». 29 Più cauto il giudizio di Arnaldo Momigliano: «S.
Girolamo, che scriveva allora a Betlemme, non asserisce di aver visto personalmente le lettere […].
Egli può aver avuto davanti a sé un manoscritto corrotto o può aver ricevuto da un corrispondente
un’erronea impressione del contenuto della lettera 12. Allo stato attuale delle nostre conoscenze la
conclusione più probabile è che la lettera 12 della presente corrispondenza tra S. Paolo e Seneca già
esistesse al tempo di S. Girolamo e fosse a lui nota direttamente o indirettamente». 30 Si segnalano a
latere le posizioni, oggi difficilmente sostenibili, di Fleury e Kreyher, secondo le quali sarebbe da
postulare l’esistenza di due epistolari: uno, più antico, conosciuto da Girolamo; un secondo,
posteriore, trasmesso dai codici conservati fino ai nostri giorni, che andrebbe inteso come il risultato
di un tentativo di ricostruzione dell’originale perduto proprio sulla base della citazione contenuta
nel del De viris illustribus. Non si dimenticherà infine di ricordare l’ipotesi di Carlo Pascal, che
congettura una prima redazione greca della raccolta, la quale doveva contenere «esposizioni di
dottrine morali che giustificassero l’assegnazione di Seneca tra i Santi del Cristianesimo», 31 e di cui
la seconda, in nostro possesso, non sarebbe che una parziale e deteriore traduzione compiuta in età
medievale.32
24
Sulla fortuna di Seneca presso gli autori cristiani e in particolare in Girolamo, cfr. soprattutto L. TAKÁCS, Seneca e
Girolamo, in AA.VV., Seneca e i Cristiani cit., pp. 323-34.
25
Cfr. BARLOW, op. cit., p. 81.
26
Cfr. TRILLITZSCH, op. cit., II, pp. 159-60.
27
Cfr. J.N. SEVENSTER, Paul and Seneca, Leiden, Brill, 1961, p. 14.
28
Il riferimento alla lettera è rappresentato dal passo geronimiano «optare se dicit eius esse loci apud suos cuius sit
Paulus apud Christianos», che è indubbiamente interpretazione della corrispondente frase attribuita a Seneca
nell’epistolario: «Nam qui meus apud te locus, qui tuus velim ut meus»; cfr., per approfondimenti, infra il paragrafo 4.
«Note al testo», XI, 5.
29
BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., pp 14-15.
30
A. MOMIGLIANO, Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV, trad. it. a c. di A.D. Morpurgo, Torino,
Einaudi, 1968, p. 14.
31
Cfr. C. PASCAL, La falsa corrispondenza tra Seneca e Paolo, in AA.VV. Letteratura latina medievale, Catania 1909,
p. 130.
32
Ibid.
5
Altrettanto arduo è stabilire con certezza se Girolamo ritenesse o meno autentico il carteggio:
anche in questo caso, l’assenza di indizi che conducano chiaramente in un senso o nell’altro è stata
determinante nella formazione di posizioni diverse e contrapposte tra gli esperti. 33 Tra queste, anche
alla luce della documentazione in nostro possesso, la più condivisibile, proprio per la cautela che la
distingue, pare essere quella espressa da Bocciolini Palagi: «Il fatto che non dichiari le lettere
palesemente apocrife non significa che le ritenga autentiche: Girolamo cita questo carteggio che
aveva allora una notevole diffusione senza pronunciarsi apertamente né contro né a favore della sua
autenticità. Preferisce evidentemente che il lettore interpreti la notizia come meglio crede». 34 Una
prudenza intenzionale, secondo la studiosa, che avrebbe avuto il non secondario fine di giovare al
proposito ultimo del De viris ilustribus: «Girolamo non aveva alcun interesse né a passare sotto
silenzio, né a bollare come apocrifa questa corrispondenza, dal momento che la notizia di un tale
scambio di lettere tra Seneca, autorevole rappresentante della tradizione classica, e san Paolo,
l’apostolo di Cristo, non poteva che tornare a vantaggio della causa del cristianesimo. Contro
l’accusa così spesso rivolta ai cristiani di avere alle origini reclutato solo spiriti inferiori e gente
senza cultura, quale argomento migliore ci poteva essere in favore della religione nascente, se non
la simpatia e il sentimento di stima che Seneca avrebbe manifestato a Paolo? La notizia di un tale
epistolario rispondeva polemicamente allo scopo che Girolamo perseguiva […]: quello cioè di
innalzare il prestigio della letteratura cristiana, dimostrando che essa era degna di opporsi a quella
profana».35
Al fine della datazione, il dato più significativo rimane tuttavia la menzione stessa del
carteggio nell’opera geronimiana, che costituisce in definitiva il termine ante quem; il post quem è
invece generalmente riconosciuto nelle Institutiones divinae di Lattanzio, composte tra il 303 e il
304 e successivamente riprese dallo stesso autore, fino alla loro elaborazione definitiva del 324. In
esse, a proposito di Seneca, spesso ricordato e considerato «omnium Stoicorum acutissumus»,
acquisisce particolare rilievo il passo che segue:
«Quid verius dici potest ab eo, qui Deum nosset, quam dictum est ab homine verae religionis
ignaro? […] Potuit esse verus Dei cultor si quis illi monstrasset, et contempsisset profecto
Zenonem et magistrum suum Sotionem, si verae sapientiae ducem nanctus esset». 36
33
Cfr. NATALI, op. cit., p. 9.
34
BOCCIOLINI PALAGI, Epistolario apocrifo cit., p. 21.
35
Ibid., pp. 21-22.
36
Cfr. C.F. LACTANTIUS, Institutiones divinae, Paris, Les éditions du Cerf, 1973, VI, 24, 13-14.
6
Come ricordato da Natali, «se Lattanzio si dispiace che Seneca non abbia avuto una guida e
non abbia conosciuto la vera religione, evidentemente all’epoca in cui egli scrive non si ha ancora
notizia di uno scambio epistolare tra Seneca e San Paolo».37
Non molti anni dopo il De viris illustribus, la corrispondenza ritorna in una lettera di Agostino
a Macedonio databile attorno al 413:
«Merito ait Seneca, qui temporibus Apostolorum fuit, cuius etiam quaedam ad Paulum leguntur
epistolae: Omnes odit qui malos odit».38
Come già Girolamo, così il teologo d’Ippona, pur dimostrando di conoscere le lettere, rinuncia
a una presa di posizione a favore o contro la loro autenticità: di esse ricorda una generica lettura
(«leguntur»), informazione che ne rivela, con buona probabilità – in quanto si tratta di un calco del
passo geronimiano – una mancata conoscenza diretta.
A entrambe le testimonianze, tuttavia, va riconosciuto un ruolo determinante per la
sopravvivenza e per la fortuna dell’opera nei secoli; ancora Bocciolini Palagi: «di fronte all’autorità
di Girolamo e di Agostino […] i posteri non hanno osato per molto tempo contestare l’autenticità
delle lettere che i due Padri della Chiesa non avevano espressamente dichiarate apocrife».39
37
NATALI, op. cit., p. 12.
38
Si tratta dell’Epistola 153, 14, tratta da MIGNE, op. cit., XXXIII, p. 659.
39
BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., p. 16.
40
Cfr., per un’ampia rassegna degli studi sull’argomento, almeno AA.VV., Scienza, cultura, morale in Seneca: atti del
Convegno di Monte Sant'Angelo, 27-30 settembre 1999, a c. di P. Fedeli, Bari, Edipuglia, 2001.
41
NATALI, op. cit., p. 63.
42
Ibid.
7
accenno al cristianesimo di Seneca è attribuibile a Giovanni Colonna, in un passo del De viris
illustribus (1332):
«Hunc [Seneca] saepe credidi christianum fuisse, maxime cum magnus doctor Ieronimus ipsus in
sanctorum catalogo ascribat […]. Sed potissime inductor ad credendum hunc fuisse christianum ex
hiis epistolis notis toti orbi terrarum, quae inscribuntur Pauli ad Senecam et Senecae ad paulum».43
Assai significativo appare in questo passaggio il riferimento diretto all’epistolario, la cui esistenza e
fama rappresentano per il domenicano la prova certa della conversione del latino.
Un autorevole continuatore di una simile posizione fu Giovanni Boccaccio; nel suo Commento
alla Divina Commedia, egli ricorda infatti un episodio già tramandato dagli Annales tacitiani in
relazione alla morte del filosofo e alla libagione per Giove Liberatore, interpretata come un’offerta
a Cristo:
«Parendomi queste parole potersi con questo sentimento intendere: che esso, il quale, che si sappia,
quantunque il battesimo della fede avesse, il quale i nostri santi chiamano «flaminis», non essendo
rigenerato secondo il comune uso de’ cristiani nel battesimo dell’acqua e dello Spirito Santo,
quell’acqua in fonte battesimale consecrasse a Giove Liberatore, cioè a Iesù Cristo […]. Né osta il
nome di Giove, il quale altra volta è stato mostrato ottimamente convenirsi a Dio, anzi a lui, e non
ad alcun’altra creatura; e così, consecratala, in questa essersi bagnato e divenuto cristiano col
sacramento visibile, come con la mente era». 44
L’autore toscano giustifica l’interpretazione cristiana del passo di Tacito proprio richiamandosi
al carteggio:
«Esser parole scritte da san Paolo, le quali, bene intese, assai chiaro mi pare dimostrino san Paolo
lui avere per cristiano».45
A partire dalla metà del Quattrocento, tuttavia, seppur a fronte del credito del quale l’opinione
sul cristianesimo di Seneca continua a godere, si segnalano i primi, sporadici attacchi contro
l’autenticità del carteggio: tra questi vanno certamente ricordati quelli condotti da Lionello d’Este e
Lorenzo Valla.46 Tale tendenza si amplifica progressivamente nel corso dei secoli: il
Protestantesimo, la già ricordata posizione di Erasmo e la critica razionalistica del ’600 e del ’700
contribuiscono a screditare in maniera irreversibile la veridicità della corrispondenza;
parallelamente a ciò, inoltre, prende piede anche l’infondatezza della leggenda cristianesimo del
filosofo latino.47 L’immagine suggestiva di un Seneca cristiano rinasce almeno parzialmente in
43
Si cita da MOMIGLIANO, op. cit., p. 24.
44
G. BOCCACCIO, Esposizioni sopra la Commedia di Dante, a c. di G. Padoan, Verona, 1965, p. 258.
45
Ibid., p. 257.
46
Cfr. BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., p. 24 e gli studi ivi citati.
47
Cfr. ibid.
8
epoca romantica, in quanto, come rilevato da Momigliano, «l’ipotesi della sua conversione attraeva
in un’età di conversioni».48 In altre parole, la leggenda, in origine indissolubilmente legata
all’epistolario, dal Rinascimento comincia a vivere e a svilupparsi sulla base di una trafila autonoma
e indipendente, secondo una tendenza che culminerà nell’Ottocento, secolo nel quale la cognizione
del carattere apocrifo del carteggio non impedirà alla credenza del cristianesimo di Seneca di
trovare tenaci e agguerriti sostenitori.49
Andrà quindi in definitiva ribadito come, allo stato attuale degli studi sull’argomento,
l’epistolario non possa essere considerato la conferma scritta di una tradizione orale anteriore in cui
già fosse riconoscibile la leggenda della conversione di Seneca e la notizia del rapporto amichevole
tra questi e San Paolo, bensì, al contrario, l’origine della leggenda stessa: «a questa conclusione
dobbiamo attenerci almeno finché non sarà possibile dimostrare […] che questa innovazione era già
stata introdotta precedentemente, cioè finché non sarà possibile trovare delle testimonianze che
infirmino o comunque ridimensionino l’esplicita e per ora determinante affermazione di Lattanzio
che esclude l’esistenza di una diffusa leggenda dell’amicizia di Paolo e Seneca […] indipendente
dal carteggio stesso».50
53
Cfr. E. WESTERBURG, Der Ursprung der Sage, dass Seneca Christ gewesen sei, Berlin, Grosser, 1881, pp. 20 sgg.
54
Cfr. MORALDI, op. cit., p. 1731.
55
Cfr. A. KURFESS, Der apocryphe Briefwechsel zwischen Seneca und Paulus, in E. HENNECKE, Neutestamentliche
Apokryphen, Tübingen, Mohr, 1964, 2 voll., II, pp. 84-89.
56
Cfr. BARLOW, op. cit., pp. 81 sgg.
57
BOCCIOLINI PALAGI, Epistolario apocrifo cit., p. 42. Anche la collocazione della lettera nei manoscritti potrebbe, del
resto, suscitare il sospetto dell’interpolazione: «Nei codici la lettera è inserita inspiegabilmente tra la X e la XII, che
trattano ambedue la questione del prescritto, delle quali viene a interrompere bruscamente il filo logico» ( ibid. Per
maggiori dettagli a riguardo si rinvia al paragrafo 4. «Note al testo»).
10
L’unico esemplare a oggi edito è quello tràdito dal codice Q VIII 11 (7) della Biblioteca
Roncioniana di Prato, del secolo XIV; in esso il carteggio segue la raccolta delle Epistole di Seneca,
una Pistola fatta per ser Andrea Lancia ciptadino fiorentino, l’Oratione di Seneca ad Nerone
Ciesare e la conseguente Risposta di Nerone ad Seneca, al parlamento facto. L’edizione, che risale
al 1861, è di Cesare Guasti: la trascrizione del testo, non sempre affidabile, è accompagnata da una
scarna introduzione alla materia e non risulta supportata da un adeguato apparato di note critiche, né
da un opportuno quanto necessario studio ecdotico che prenda in esame la tradizione latina
dell’opera.58 Nel corso delle considerazioni preliminari lo studioso dà notizia di due ulteriori
esemplari della corrispondenza in volgare italoromanzo, i manoscritti 1094 e 1304 conservati nella
Biblioteca Riccardiana di Firenze.
Nel 1976, a margine della comunicazione dei risultati di una ricerca condotta presso l’Università
di Torino inerente un primo censimento dei volgarizzamenti italiani dei Vangeli Apocrifi
neotestamentari, Anna Cornagliotti segnalò il reperimento di otto codici inediti contenenti
l’epistolario,59 che vanno sommati ai tre precedentemente indicati da Guasti: Firenze, Nazionale, II I
26; Firenze, Nazionale, II I 73; Firenze, Nazionale, II I 74; Firenze, Nazionale, II I 102; Firenze,
Nazionale, Pal. 541; Firenze, Riccardiana, 1321; Firenze, Riccardiana, 1541; Paris, BNF, Fr. 12235.
È oggi possibile ampliare ulteriormente la recensio attraverso la testimonianza di cinque nuovi
esemplari, anch’essi inediti, del carteggio in volgare:60
- Firenze, Laurenziana, Plut. XXVII 6;
- Firenze, Laurenziana, Plut. XL 49;
- Firenze, Nazionale, Panc. 56;
- Firenze, Nazionale, Magl. XIII, 75;
- Parma, Palatina, 289.
Alla luce di questi ultimi ritrovamenti, il quadro complessivo della tradizione è dunque così
riassumibile:
1. Firenze, Laurenziana, Plut. XXVII 6 [Fl1]
2. Firenze, Laurenziana, Plut. XL 49 [Fl2]
3. Firenze, Nazionale, II I 26 [Fn1]
4. Firenze, Nazionale, II I 73 [Fn2]
5. Firenze, Nazionale, II I 74 [Fn3]
6. Firenze, Nazionale, II I 102 [Fn4]
58
Cfr. C. GUASTI, L’Epistole di Seneca a S. Paolo e di S. Paolo a Seneca volgarizzate nel secolo XIV , in, AA.VV.,
Miscellanea di opuscoli inediti o rari dei secoli XIV e XV - Prose, Torino, Unione Tipografico Editrice, 1861, pp. 289-
302.
59
Cfr. A. CORNAGLIOTTI, I volgarizzamenti italiani degli apocrifi neo-testamentari, in AA.VV., Actes du XIIIe Congrès
International de Linguistique et Philologie Romanes tenu a l’Université Laval (Québec, Canada) du 29 août au 5
septembre 1971, a c. di M. Boudreault, F. Möhren, Québec 1976, pp. 669-687.
60
Tali nuovi reperimenti sono anch’essi frutto dell’attività svolta, in anni più recenti, da Anna Cornagliotti; a lei debbo
quindi la mia gratitudine per la preziosa e cortese segnalazione.
11
7. Firenze, Nazionale, Magl. XIII 75 [Fn5]
8. Firenze, Nazionale, Pal. 541 [Fn6]
9. Firenze, Nazionale, Panc. 56 [Fn7]
10. Firenze, Riccardiana, 1094 [Fr1]
11. Firenze, Riccardiana, 1304 [Fr2]
12. Firenze, Riccardiana, 1321 [Fr3]
13. Firenze, Riccardiana, 1541 [Fr4]
14. Paris, BNF, Fr. 12235 [Pn]
15. Parma, Palatina, 289 [Pp]
16. Prato, Roncioniana, Q VIII 11 (7) [Pr]
Un primo sondaggio testuale condotto su alcuni passaggi “sensibili” dei testimoni volgari
recuperati ha permesso l’individuazione di due redazioni principali: la prima – cui appartiene, tra gli
altri, l’unico esemplare edito, Pr –, che dipende da un capostipite riconducibile, sebbene entro un
dettato scarsamente conservativo, alla famiglia latina α; la seconda, che si distingue per una veste
linguistica, soprattutto in merito a lessico e sintassi, ancora fortemente subordinata alla lezione
originaria, è invece da porre in relazione con probabilità a un archetipo discendente da un esemplare
latino caratterizzato da una evidente interpolazione dei due rami di riferimento della trasmissione, α
e β.
Data la fisionomia che, con le ultime individuazioni, la tradizione italiana della corrispondenza
ha quantitativamente acquisito, è parso opportuno, in questa sede – al fine, da un lato,
dell’integrazione dell’unica testimonianza fornita da Pr e, dall’altro, dell’avvio dello studio critico
della tradizione volgare dell’epistolario attraverso un percorso filologicamente più probante –,
limitare in via preliminare l’indagine a un solo esemplare, Pn, la cui lezione è una delle più
significative tra quelle dei testimoni appartenenti alla seconda redazione.61
61
Cfr. il paragrafo 2.2.2. «Questioni ecdotiche».
12
Il volgarizzamento italiano si trova negli ultimi tre fogli dell’esemplare, aggiunti
posteriormente: il testo, in scrittura semigotica, è su due colonne; lo specchio scrittorio ospita in
media 34 righe per facciata.
I titoli delle lettere sono scritti con inchiostro rosso; le iniziali della prima parola di ogni lettera
sono affrescate e stilate in rosso o azzurro. A partire dall’epistola III si rileva, a margine, la
numerazione corrispondente, in cifre arabe (fino alla XI) e romane (dalla XII al termine), redatta da
mano posteriore.
Le peculiarità di maggiore rilievo del testo volgare italiano sono senza dubbio, da un lato,
un’eccessiva aderenza al dettato latino – in taluni casi a scapito della comprensione62 –, dall’altro, la
presenza di un fitto apparato di glosse, tanto interlineari, quanto marginali, anche di rilevante entità,
inserite da mano coeva alla principale con funzione per lo più didascalica in riferimento ai passaggi
reputati di più ardua comprensione.63
Incipit: «Nel nome del nostro Segnore Gesù Cristo. Santo Geronimo scrive di Seneca nel libro
chiamato Catalogo de’ Santi. Parole di San Geronimo». Dopo il prologo, costituito dal passaggio
geronimiano, prende avvio la corrispondenza: «Lectere di Seneca, maestro di Nerone imperadore, a
Paulo apostolo et di Paulo ad Seneca. Et prima di Seneca ad Paulo».
Explicit: «Qui finiscono le Pistole et comincia la soprascritta de la sepultura di Seneca», cui
segue il testo volgare del cosiddetto Epitaffio di Seneca, per cui si veda infra.64
62
Tale particolarità verrà analizzata infra, nel paragrafo 4. «Note al testo».
63
Nell’edizione del testo che segue le glosse vengono inserite nelle note a piè di pagina; laddove necessario, sono state
riprese e commentate nel paragrafo 4. «Note al testo».
64
Per ulteriori dettagli a proposito della descrizione codicografica cfr. A. MARSAND, I manoscritti italiani della regia
biblioteca parigina, Paris, Crozet, 1835, pp. 572-73.
65
Cfr. supra il paragrafo 1.1. «Tradizione latina e edizioni».
66
Con Ps si indica il testo latino del carteggio sulla base dell’edizione critica di Barlow; le famiglie e i diversi
sottogruppi vengono di volta in volta indicati attraverso le sigle utilizzate nella detta edizione.
13
P, VII: «Qui postea castus et Pollux sunt nominati».
P, VIII: om.
Ʃ, XI (XII): «Et impune in his tenebris loqui liceret, iam omnes omnia viderent»;
Pn, XII, 8: «Et sanza pena in queste tenebre fosse lecito loro di parlare, già tutti vedrebbono ogni
cosa»;
67
A proposito della lezione «il desiderio et il carneggiamento» cfr. infra il paragrafo 4. «Note al testo».
68
Per ulteriori esempi cfr. BARLOW, op. cit., pp. 27-41.
69
Si riproducono gli esempi nell’ordine con cui sono presentati in ibid., pp. 42 sgg.
70
A proposito della la lezione fortuna cfr. infra il paragrafo 4. «Note al testo».
14
β, XI (XII): «Cui voluptas carnificina est»;
Pn, XII, 9: «Al quale il desiderio et71 il carneggiamento»;
In una serie non occasionale di passaggi, tuttavia, il testo di Pn rivela tratti comuni a α in
opposizione a β:
È quindi lecito dedurre, come anticipato, che Pn sia la copia, diretta o mediata, di un antigrafo
contenente il volgarizzamento di un esemplare discendente da β ma caratterizzato da significative e
non sporadiche interpolazioni di α.
71
Per ulteriori riflessioni sulla lezione cfr. infra il paragrafo 4. «Note al testo».
72
Pn manifesta inoltre chiare divergenze nei confronti di λ, il testimone latino rinvenuto da Franceschini, per cui cfr.
supra il paragrafo 1.1. «Tradizione latina e edizioni»; una filiazione del codice parigino da tale esemplare appare del
tutto improbabile.
73
A proposito del passo cfr. BARLOW, op. cit., pp. 47-48.
15
Come rileva Barlow, del resto, già buona parte dei codici latini tardi, e in particolare quelli
appartenenti ai secc. XI-XII, si segnala per una lezione frutto di un variabile ma intelligibile livello
di contaminazione tra i due gruppi α e β: i codici rappresentanti di tale trasmissione orizzontale
sono, nello specifico, C, D, G, H, J, K, N, Q e Z;74 molti di questi esemplari sono latori dei tratti
appena discussi a proposito di Pn.75
Al di là delle lezioni errate e imputabili con sicurezza a Pn o al suo archetipo, in diverse
circostanze, laddove il dettato dell’esemplare studiato si allontana da Ps concorda
significativamente con quello di uno almeno dei testimoni succitati. 76 In tale direzione andranno
tenuti in particolare considerazione i codici H e J, dipendenti secondo l’editore del testo critico
latino da un archetipo ρ, che doveva verosimilmente tramandare un dettato derivante da una sola
delle due famiglie di riferimento α e β, ma con una fitta presenza di varianti interlineari e marginali
del dettato della famiglia non utilizzata, e di volta in volta impiegate in maniera diversa dai
copisti.77 Si riportano di seguito alcuni esempi dai quali appare evidente la corrispondenza tra ρ e
Pn in opposizione a Ps:
Ps, XII (XI): «Non ergo vis laeter si ita sim tibi proximus […]?»;
ρ, XII (XI): «Non ergo vis latere ita sim tibi proximus […]?»;
Pn, XI, 3: «Non dunque ti vuoli allegrare se io ti sono prossimano […]?».
78
Cfr. anche infra il paragrafo 4. «Note al testo».
79
Cfr. BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., pp. 177-78.
80
Maggiori dettagli sulle caratteristiche di Pn tanto in relazione alle redazioni latine quanto in rapporto alla tradizione
volgare italiana saranno ancora presentati nel paragrafo 4. «Note al testo».
17
3. IL TESTO DI PN81
[0.] [132r] Nel nome del nostro Segnore Gesù Cristo. Santo Geronimo scrive di Seneca nel libro
chiamato Catalogo82 de’ santi. Parole di San Geronimo.
1
Lucio Anneo Seneca di Cordava, discepolo de la setta de li Stoici 83 et çio del poeta Lucano,
fue di vita temperatissima; 2il quale io non porrei nel catalogo de’ santi se quelle lectere non mi vi
inducessero, le quali in molti luoghi si leggono essere scritte di Paulo a Seneca et di Seneca a Paulo.
3
Ne le quali, con ciò sia cosa ch’elli fosse maestro 84 di Nerone,85 et era Seneca potentissimo di
quello tempo, dice che elli desiderava d’essere appo li suoi di quello grado86 del quale era Paulo apo
li Cristiani. 4Costui, due anni innançi che Piero et Paulo fossero 87 coronati di martirio, da Nerone fu
morto.88
81
Al fine della riproduzione fedele del testo tràdito da Pn, gli interventi sono stati limitati allo stretto necessario:
l’integrazione a testo di singole lettere o sillabe assenti per chiara e circoscritta omissione è segnalata con parentesi
uncinate; le lezioni annullate dal copista, le dittografie, le glosse e le scrizioni interlineari vengono riportate nelle note a
piè di pagina, mentre i probabili casi di lacune e le letture dubbie sono commentate nel paragrafo 4. «Note al testo». Si
segnalano con l’apostrofo l’aferesi vocalica e sillabica, l’apocope e l’assenza di articolo determinativo; si utilizza il
punto medio [∙] per indicare la caduta di una consonante finale e il raddoppiamento fonosintattico. Si mantiene la grafia
del manoscritto con rispetto di tutte le alternanze grafiche: da tale proposito ci si allontana esclusivamente per la
regolarizzazione dell’alternanza fra u e v e fra i e j: si utilizza sempre il segno u per indicare il suono vocalico e
semivocalico e, di conseguenza, v per quello consonantico; allo stesso modo il segno i viene impiegato per la resa della
vocale e semivocale anteriore i, mentre j esprime il solo suono consonantico palatale. Le abbreviazioni sono state sciolte
in conformità alle lezioni scritte a tutte lettere, nel rispetto dell’uso prevalente del codice. Le lettere maiuscole e i segni
d’interpunzione sono stati introdotti o regolarizzati secondo l’uso moderno. La numerazione delle carte dei codici viene
indicata, nel testo, in carattere corsivo entro parentesi quadre; il cambio di colonna è segnalato mediante barra obliqua /.
Ogni lettera è numerata, in apertura, accanto all’intestazione, in cifre romane e tra parentesi quadre; all’interno delle
singole lettere è stata impiegata, in apice e in grassetto, una suddivisione in pericopi. I casi di omografia, non numerosi,
si risolvono nella maniera che segue: a = ‘a’, a’ = ‘ai’; ai = ‘ai’, ài = ‘hai’; de = ‘di, de’, de’ = ‘dei’; i = ‘i’, i’ = ‘io’; se
= ‘se’ (cong.), sé = ‘sé’, se’ = ‘sei (tu)’.
82
Sul margine sinistro, accanto al testo, si legge: «Catalogo, cioè sermone o anumeratione, o ordine, o brieve detto
d’uomini nobili».
83
A lato del passo in questione, sul margine di sinistra si legge: «Stoici furono filosofi o setta di scientiati, i quali
ponevano somma beatitudine essere ne le vertudi. Et furono chiamati stoici da stoa in greco, portico in latino, dove
stavano ad Athene a filosofare».
84
Nell’interlinea, sopra maestro, si legge «vero maestro».
85
Nell’interlinea, sopra Nerone, si legge «crudelissimo».
86
Sul margine sinistro si legge: «O di fama, o di costume, o d’opinione».
87
Lezione che interviene a sostituzione della precedente furono, annullata da una serie di puntini sottostanti.
88
Sul margine sinistro si legge: «Secondo Santo Agostino, nel libro del vero cultivamento, Seneca non seppe la vera
religione».
18
2
O Paulo, io credo che a te fue detto quello che noi tractamo ieri col nostro Lucilo, 89 delle
apocrifis90 et altre cose, però ch’elli erano meco alcuni compagnoni de le tue doctrine. 91 3Noi
eravamo ritratti da parte nelli Orti Sallustiani, 92 nel quale luogo, per cagione di noi, andando ellino
in altra parte, coloro de’ quali io dissi s’a/giunsero a noi, sì come ci parve certo, quivi dove noi
desiderammo la tua presentia. 4Et questo voglio che tu sappie: che, lecto il tuo libretto, cioè alcune
de le tue pistole, le quali mandasti ad alcuna cittade93 o capo di provincia,94 che conteneano la vita
morale con maraviglioso confortamento, molto ci contentoe.95 5L’intendimenti delle quali non penso
essere detti da te,96 ma per te,97, et certo alcuna volta da te98 et per te, però che tanta è la maestade di
quelle cose, et risplendono di tanta nobilitade, che io penso che apena sarebbono sofficienti l’etadi
degl’uomini a poterle imprendere et informarsene, venirne a perfectione.99 6Io desidero, frate, che tu
sie bene sano et salvo.
89
Nell’interlinea, sopra Lucilo, si legge «amico».
90
Nell’interlinea, sopra apocrifis, si legge «scritti».
91
Si legge, nell’interlinea, «al cui intellecto la ragione non agiugne mai ’l lume de la fede».
92
Nell’interlinea viene aggiunto «luoghi a Roma».
93
Nell’interlinea superiore si legge «a’ Filippesi».
94
Nell’interlinea superiore si legge «a’ Romani».
95
Nell’interlinea superiore si legge «fanoe».
96
Nell’interlinea superiore si legge «da∙ tuo ingegno naturale».
97
Nell’interlinea superiore si legge «cioè che lo Spirito Sancto parla per lui sì come per uno suo istrumento».
98
Sul margine destro, con segno di richiamo, è aggiunto «cioè per vertù di tuo ingegno in parte et parte per virtù di
Spirito Sancto».
99
Sul margine destro si legge «Informarsene quanto a lo ’ntellecto, venirne a perfectione quanto all’operatione d’esse».
100
Sul margine destro si legge: «di uno loro fedele messo».
101
Nell’interlinea superiore e, in seguito, sul margine destro, si legge: «per cui io mandi che non a ciascuno si conviene
conmettere l’ambasciata».
102
Nell’interlinea superiore viene aggiunto: «quanto tu se’».
103
Sul margine destro si legge: «‘Io mi tengo beato per la tua sentençia, ché veggio che bene è in me, ché tu nol diresti
se non fosse vero’ dice qui Sancto Paulo».
19
[III.] Seneca a Paulo.104
1
Seneca a Paulo salute.105
2
Alcuni volumi compuosi et con sue divisioni diedi a loro ordine. Et sono disposto di
leggere quelli a Cesare.106 3Et se ora prosperamente la fortuna concederae che elli rechi seco novelli
orecchi, forse tu vi sarai presente.107 4Et se no io ti renderoe die nel quale noi insieme rivedremo
questa opera. 5Or, potesse io fare di non publicare a Cesare questa scrittura, se io prima non la
conferisse teco, farelo voluntieri se questo solamente sanza periglio di pena fare si potesse, 108 acciò
che tu vedessi de non essere lasciato di dietro.109
104
A partire da questa lettera si rileva, a margine di ogni epistola, la numerazione corrispondente, in cifre arabe (fino
alla XI) e romane (dalla XII al termine), redatta da mano posteriore.
105
Sul margine sinistro si legge: «In questa lectera mostra Seneca che Sam Paulo era molto scienziato et in grande
amore di lui».
106
Nell’interlinea superiore si legge: «a Nerone».
107
Sul margine sinistro, evidenziato da un segno di richiamo (una a puntata), si legge: «cioè ragioneroe del bene ch’è in
te et se io vedrò che s’acosti manderò per te».
108
Sul margine sinistro si legge: «Per questa lectera puoi comprendere che fedele messo bisognava a Sancto Paulo et a
Seneca, però che se fosse pervenuta a le mani di Nerone sarebbe essuta in damno di ciascuno, però che ’l biasima».
109
Nell’interlinea superiore si legge: «quanto tu mi se’ a grado». Sul margine sinistro, invece, si legge: «Era pericoloso
dimostrare prima la sua opera ad altri che allo ’mperadore. Credo che questi volumi furono quelli che sono intitulati Di
clementia a Nerone, però che dire la su sire ch’era novelli orecchi tu vi farai, però che pietade dovea lui dolce et
pietoso».
110
Nell’interlinea superiore si legge: «a me da le parti dove sono».
111
Segue «questo», annullato da un tratto di colore rosso.
112
Segue «tardare», annullato da una serie di puntini sottostanti, sostituito dal successivo «stare».
113
Nell’interlinea superiore si legge: «Cesare».
114
Nell’interlinea superiore si legge: «pagana o giudaica»; sul margine destro invece: «setta viene a dire ‘divisione’».
115
A margine di quest’ultimo paragrafo si legge: «vuole dire ‘tu se’ stato tocco da Dio, te se’ convertito da l’anticha
setta a novella fede però che tu se’ savio non di leggiero animo’».
20
[VI.] Paulo a Seneca et a Lucillo.116
1
Seneca et Lucilo Paulo salute.
2
Di quelle cose che mi117 scrivesti non lece parlare con la penna et collo incostro, de le quali
l’una nota et disegna alcuna cosa, l’altra manifestamente mostra,118 massimamente con ciò sia cosa
che io sappia in tra voi essere, cioè apo voi et in voi, coloro che m’intendono. 3Honore si dee
rendere a tutti, tanto maggiormente quanto maggiormente prendono cagione d’indignatione. 4A li
quali, se noi saremo patienti, al postutto loro con giusta parte 119 vinceremo, se solamente120 questi
sieno tali che si pentano avere fallato. Siate bene sani et salvi.
116
Sul margine destro, a lato delle prime righe della lettera, si legge: «qui mostra Sancto Paulo sé temere di scrivere
manifesto la cagione del suo remoto stare, et parmi che dica che la ’ndignatione di Cesare verso lui però che ch’era di
giudeo facto cristiano fosse la minima ma alcuna era, ma la manifest[…] era cagione d’averlo indegnato il co nvertire gli
altri».
117
La lezione mi è inserita nell’interlinea con segno di richiamo.
118
Sul margine destro, evidenziato da un segno di richiamo (una b puntata), si legge: «massimamente et cetera: ‘non
bisogna di scrivere perché voi intendete quanto et più il mio dire suona’».
119
Nell’interlinea superiore si legge: «ragione».
120
Nell’interlinea superiore una c puntata richiama una glossa posta sul margine destro in cui è scritto: «se solamente et
cetera; pare che dica: ‘s’elli non difenderanno con protervitade loro parte, vorranno riconoscere con giusta ragione,
vinceremo’».
121
Nell’interlinea superiore si legge: «Nerone».
122
Nell’interlinea superiore si legge: «scritti ne [le] lettere».
123
Nell’interlinea superiore si legge: «che li contonea in quelle lectere».
124
Nell’interlinea superiore si legge: «cioè tu che se’ legista de le leggi giudaice».
125
Nell’interlinea superiore si legge: «cioè sopra la legge dove tratta di fede et d’opera sopra natura».
126
Nell’interlinea superiore si legge: «de gran maestri».
127
Sul margine sinistro si legge: «Valerio Massimo ne tratta di quello villano».
21
[VIII.] Paulo a Seneca.
1
Paulo a Seneca salute.
2
Avegna che io sappia che Cesare si maravigli de le nostre cose, se alcuna 128 volta elgli
cesserae di maravigliarsene, inpertanto non ti lasciare offendere, ma rimuovere lasciati. 3Io penso
che tu facesti grave cosa, ché tu volesti ançi mettere a∙llui la / innocenza, la qual cosa è al suo
costume et a la doctrina sua contraria. 4Con ciò sia cosa ch’elgli adori li dii de’ pagani, io non
veggio onde ti sia comandato che tu volgli ch’elgli sappia questo, se non ch’io estimo che tu fai per
troppo amore di me. 5Io ti priego che tu non facci questo nel tempo che verrae, però ch’elgli è da
guardare che, infino che tu ami me, tu non offenda129 il segnore,130 la cui offesa, s’ella persevera,
non nocerae né, se non sia,131 gioverae.132 6S’è la reina133 non isdegna; se ella è femina sie almeno
offesa.134
128
Ms.: segue i annullato da un tratto obliquo.
129
Sul margine destro, in corrispondenza di offenda, si legge: «dicendo cosa che li spiaccia».
130
Nell’interlinea si legge «Cesare».
131
Nell’interlinea si legge «offesa».
132
Sul margine destro, in relazione a gioverae, si legge: «forse si intende: ‘se non molesta Cesaro sarò più utile che più
tosto il recherae a lo ’ntendimento di san Paulo’».
133
Nell’interlinea si legge «imperadrice».
134
Sul margine destro si legge: «Estima che la ’mperadrice fosse apo Nerone quando Seneca recitava le parole di san
Paulo, et dice: ‘pur da ch’ella è femina che non ae intellecto di bene et di vertù, benché non mostri lo sdegno suo di
fuori, si le noia udire di ciò […]’».
135
Nell’interlinea si legge «adirato».
136
Nell’interlinea si legge «non […] ma disavedutamente».
22
elegge’ l’ultimo luogo, a ciò che con rimbrotti et villania io non desideri di fare quello ad alcuno
che sia di mio arbitrio. Sie sano, devotissimo maestro.
142
Ms.: molte cose inserito nell’interlinea da mano posteriore con segno di richiamo.
143
Sul margine destro si legge: «se li altri […] volliono parlare come tu per allegoria et per similitudine corrompono».
144
Nell’interlinea, in corrispondenza della lezione re temporale, si legge «Nerone».
145
Nell’interlinea, in corrispondenza della lezione dilungi da voi Dio chiama, si legge «a cielo».
24
4. NOTE AL TESTO146
0. Come già rilevato in apertura, nella maggior parte dei testimoni, latini e italiani, viene
inserito in funzione di prologo il passo contenuto all’interno del capitolo XII del De viris illustribus
di Girolamo sulla presunta cristianità di Seneca.
0.1. fue di vita temperatissima] cfr. Ps: «continentissimae vitae fuit». Una condotta sobria e
quasi ascetica pare, secondo i critici del testo geronimiano, necessaria per poter fare di Seneca un
Cristiano; in questo caso è inoltre evidente e significativo il richiamo a I Cor IX, 25: «omnis autem
qui in agone contendit ab omnibus se abstinet et illi quidem ut corruptibilem coronam accipiant nos
autem incorruptam». Cfr. inoltre G. SCARPAT, Il pensiero religioso di Seneca e l’ambiente ebraico
e cristiano, Brescia, Paideia, 19832, pp. 115-16 e n. 7.
0.2. Catalogo de’ santi] cfr. Ps: «Catalogo sanctorum». In accordo con Erbetta, Moraldi e
altri studiosi non si considera santi nell’accezione strictu sensu, bensì come ‘autori cristiani’ (cfr.
ERBETTA, op. cit., p. 86; MORALDI, op. cit., p. 1730); cfr. anche NATALI, op. cit., p. 157: «Girolamo
non fa di Seneca un santo, ma intende semplicemente contrapporre agli scrittori profani quelli che
hanno trattato argomenti religiosi o di edificazione, e in quanto autore delle lettere a San Paolo,
Seneca rientra appunto fra gli scrittori religiosi». Si ricorderà che proprio la “puntualizzazione” di
Girolamo a proposito della corrispondenza quale motivo per il novero di Seneca nel Catalogo
sanctorum è secondo diversi esperti determinante al fine di escludere l’anteriorità delle leggenda del
cristianesimo del filosofo latino rispetto al carteggio e, contestualmente, l’indipendenza di quella da
questo.
in molti luoghi] cfr. Ps: «a plurimis» ‘da molti’; è lezione congiuntiva di Pn e Pp («in molti
luogi»), forse per errato anticipo di loci («optare se dicit eius esse loci apud suos») che segue. Per
ulteriori considerazioni sulla diffusione dell’epistolario al tempo di Girolamo cfr. supra il paragrafo
1.2. «Prime testimonianze e datazione del carteggio».
0.3. elli desiderava d’essere appo li suoi di quello grado del quale era Paulo apo li
Cristiani] cfr. Ps: «optare se dicit eius esse loci apud suos cuius sit Paulus apud Christianos», che a
sua volta richiama con evidenza l’explicit della lettera XI (Ps, XII (XI): «qui meus tuus apud te
locus, qui tuus velim ut meus»); cfr. anche Gal IV, 12: «Estote sicut ego, quia et ego sicut vos,
fratres, obsecro vos». Per maggiori approfondimenti sul passo si rinvia a BOCCIOLINI PALAGI, Il
carteggio cit., pp. 14 e 181.
0.4. Costui, due anni innançi che Piero et Paulo fossero coronati di martirio, da Nerone fu
morto] cfr. Ps: «Hic ante biennium quam Petrus et Paulus coronarentur martyrio a Nerone
interfectus est». In accordo con quanto osservato da Mastandrea (si veda P. MASTANDREA, Lettori
cristiani di Seneca filosofo, Brescia, Paideia, 1988, pp. 52-53) si rileverà come questa sezione
contenga «una lievissima alterazione del dato biografico senecano»: Girolamo, infatti, non accenna
al suicidio di Seneca, ma utilizza un’espressione generica per non ricordare le dinamiche della
morte del filosofo, delle quali è tuttavia a conoscenza, avendone trattato in precedenza nel
Chronicon. A tale riguardo cfr. anche TAKÁCS, op. cit., pp. 323 sgg.
In relazione alla glossa che accompagna l’ultima sezione del Prologo, «Secondo Santo
Agostino, nel libro del vero cultivamento, Seneca non seppe la vera religione», cfr. almeno
AUGUSTINUS, De civitate dei, a c. di C. Horn, Berlin, Akademie, 1997, VI, 10; cfr. inoltre C.
AUBERTIN, Sénèque et Saint Paul, Paris 1872, p. 364 e A. GRAF, Roma nella memoria e nelle
immaginazioni del Medioevo, Torino, Loescher, 1882, p. 282.
146
Nel corso delle note si farà ricorso, laddove necessario o utile, ai codici volgari Pp e Pr; il primo verrà nello
specifico impiegato per avvalorare le lezioni di Pn, essendo, i due testimoni, rappresentanti di una stessa tradizione; il
dettato del secondo sarà invece utilizzato in sede di commento in relazione a passi errati o complessi dell’esemplare
parigino. La sigla Ps indica, come già ricordato, il testo del carteggio latino secondo l’edizione Barlow emendata da
Franceschini e Bocciolini Palagi; per le sigle di singoli codici latini cfr. supra e le edizioni di riferimento.
25
I.2. tractamo] cfr. Pp, I: «trattamo»; cfr. invece Pr, I: «avemo ragionamento», per cui si
veda Ps, I: «nuntiatum quid heri […] habuerimus» e il commento in BOCCIOLINI PALAGI, Il
carteggio cit., pp. 77-78.
delle apocrifis et altre cose] cfr. Ps, I: «de apocrifis et aliis rebus» (si veda anche Pp, I:
«delle apocris et altre cose»; ma cfr. Pr, I: «de’ segreti della natura et d’altre cose»).
Sull’interpretazione del passo non vi è accordo tra gli studiosi. Se per Fleury, che congettura
apographis ‘copia di un libro’, l’autore del carteggio allude agli scritti di Paolo (FLEURY, op. cit.),
secondo Erbetta la lezione de apocrifis va connessa «senza dubbio ai libri non canonici» (ERBETTA,
op. cit., p. 8 n. 1); per Barlow, al contrario, non può essere riferita ai testi esclusi dal canone, dal
momento che la denuncia di opere apocrife o eretiche da parte della comunità cristiana è processo
che si avvia solo a partire dal sec. II: in tal caso l’autore della corrispondenza avrebbe commesso un
macroscopico anacronismo (cfr. BARLOW, op. cit., p. 138 n. 2). Come rileva in maniera persuasiva
Bocciolini Palagi, tuttavia, apocryphus è un grecismo della tarda latinità di ambito esclusivamente
cristiano, comunemente in uso negli scritti ecclesiastici a partire da Tertulliano; sulla base delle
occorrenze nelle opere di quest’ultimo, di Ireneo, di Agostino, di Girolamo e di Commodiano, il
termine può valere tanto ‘falso, non autentico’ quanto ‘segreto’. Così conclude la studiosa: «Nel
nostro testo apocrypha significa verosimilmente ‘argomenti profondi’ che solo a occhi iniziati è
dato toccare, e perciò ‘segreti’» (BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., pp. 78-79); per corroborare
l’interpretazione è possibile richiamare Col II, 3, e, come già segnalato, il passo di Pr. Non va
infine dimenticato che nella glossa corrispondente di Pn si legge genericamente «scritti». Sulla base
dei dati offerti in M. PFISTER, W. SCHWEICKARD, Lessico Etimologico Italiano, Wiesbaden,
Reichert, I-…, 1979-… (III, p. 91) e nel TLIO (Tesoro della Lingua Italiana delle Origini, a c. del
CNR – Opera del Vocabolario Italiano: http://tlio.ovi.cnr.it/TLIO/, s.v. apòcrifo) non risultano
attestazioni del termine in tale accezione negli antichi volgari d’Italia; accettando la proposta di
Bocciolini Palagi l’occorrenza in Pn-Pp andrà quindi considerata hapax.
I.3. Orti Sallustiani] sono i sontuosi giardini di Sallustio, situati tra l’odierna Piazza
Barberini e Porta Pia, che lo storico acquistò grazie alle ricchezze accumulate durante il proprio
governo in Numidia; appartennero alla sua famiglia fino al tempo di Tiberio, quindi divennero
proprietà imperiale. Per tale ragione, il riferimento ai giardini quale luogo di libero accesso e
deputato all’incontro tra Seneca e i seguaci di Paolo è, secondo BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio
cit., pp. 80-81, un mero motivo letterario.
per cagione di noi] vale ‘per nostra fortuna’; cfr. Ps, I: «occasione nostri», cioè ‘capitando
noi là’, oppure ‘offrendosi la possibilità di stare con noi’.
I.4. lecto il tuo librecto] cfr. Ps, I: «libello tuo lecto»: si tratta delle epistole di San Paolo,
che l’autore immagina siano state lette al cospetto di Seneca; per l’accezione di libellus ‘raccolta di
lettere’ cfr. BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., p. 83.
capo di provincia] cfr. Ps, I: «caput provinciae», cioè ‘capoluogo di provincia, città
principale di una regione’, cui San Paolo rivolge le proprie lettere, in riferimento ai centri di
Tessalonica, Corinto, Efeso, Filippi e Roma. Si rileva un evidente errore nella lezione
corrispondente di Pr «principi della provincia» ‘governatori della provincia’. Per capo ‘città più
importante di una regione’ in it.a. cfr. Tesoro della Lingua Italiana cit., s.v. capo9.
I.5. però che tanta è la maestade di quelle cose] cfr. Ps, I: «Tanta enim maiestas earum est
rerum»; lo stilema ritorna con lievi variazioni anche in VII, 4, per cui cfr. infra.
II.2. Le tue lectere allegro ieri ricevetti] cfr. Ps, II: «Litteras tuas hilaris heri accepi». Non
viene riconosciuto in Pn, così come in Pp, II – che tramanda la medesima lezione –, il pl. litterae
con valore sing. nell’accezione di ‘lettera, missiva’; cfr. invece Pr, II: «Ieri ricevetti lietamente la
tua lettera».
quel giovane] il motivo dell’assenza di un messaggero sicuro quale giustificazione per una
risposta non tempestiva è un topos della letteratura epistolare latina: ricorre tra gli altri in Cicerone
e, soprattutto, in Plinio. Come ricordato in FLEURY, op. cit., p. 302, inoltre, il ricorso a giovani
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impiegati per la consegna delle lettere in grado di sopportare le fatiche dei lunghi viaggi, è già in
alcune epistole autentiche di San Paolo, per cui si veda almeno Eph VI, 21-22 («ut autem et vos
sciatis quae circa me sunt quid agam omnia nota vobis faciet Tychicus carissimus frater et fidelis
minister in Domino quem misi ad vos in hoc ipsum ut cognoscatis quae circa nos sunt et consoletur
corda vestra») e Col IV, 7 («quae circa me sunt omnia vobis nota faciet Tychicus carissimus frater
et fidelis minister et conservus in Domino»).
II.3. Tu sai quando, et per cui, et in che tempo, et a cui et che dare et che commettere si
debbia] cfr. Ps, II: «Scis enim quando et per quem et quo tempore et cui quid dari committique
debeat»; vale ‘tu sai, infatti, quando, per mezzo di chi, in quale momento e a chi una cosa si debba
dare o affidare’. Nel passo in esame di Pn si segnala la lezione «et che dare», per non perfetta
comprensione di quid ‘qualche cosa’ o per errata ripresa di «et che»; allo stesso modo si osserva la
presenza di «che» prima di «commettere», sempre per probabile errata ripresa. La lezione
«commettere» va intesa nell’accezione di ‘affidare’.
II.4. ti priego che non pensi ch’io ti metta in non calere] cfr. Ps, II: «rogo ergo non putes
neglectum» ‘ti prego dunque di non sentirti trascurato’; per la locuzione mettere in non calere
‘disinteressarsi a q. o qc.’ in it.a. cfr. Tesoro della Lingua Italiana cit., s.v. calere.
infino che io guardo la qualitade de la persona] cfr. Ps, II: «dum personae qualitatem
respicio»: la lezione latina è complessa per il valore da attribuire a personae. Il dettato di Pn vale:
‘fintanto che io pongo attenzione alla qualità (cioè all’affidabilità) della persona, ovvero del
messaggero’; si veda anche la glossa corrispondente («per cui io mandi che non a ciascuno si
conviene conmettere l’ambasciata»), che parrebbe avvalorarla. Secondo la lezione di Pr, II, invece,
la persona in questione sarebbe Seneca e non il messaggero: «onde considerando la qualità della
persona tua»; quest’ultima è l’interpretazione preferibile secondo BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio
cit., pp. 96-97.
ché in alcuno luogo] vale ‘poiché in alcun luogo’, cfr. Ps, II: «quod litteris meis vos bene
acceptos alicubi scribis».
sententia di tanto huomo] cioè ‘per il giudizio di un uomo così illustre’, cfr. Ps, II: «tanti viri
iudicio».
II.5. come uno soffistico iudice], cfr. Ps, II: «censor sophista». La lezione iudice per censor,
oltre che da Pp, è avvalorata da Pr, II: «essendo tu censore, cioè giudice». Il lat. censor con il sign.
di ‘giudice’, probabile riduzione dell’espressione forense censor morum, è in molti autori del
periodo tardo (cfr. BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., p. 98). Seneca viene considerato
dall’autore del carteggio prima di tutto in funzione del suo incarico di “giudice dei costumi” e della
condotta morale: una simile caratterizzazione ben si addice alla reale figura del nostro; come ricorda
Bocciolini Palagi, infatti, «lo stoicismo di Seneca e la filosofia romana in genere, sviluppano
soprattutto l’aspetto etico-pratico, lasciando da parte i problemi speculativi e astratti» (ibid.). La
lezione «soffistico», assente in Pr, va probabilmente intesa nell’accezione positiva di ‘maestro di
bellezza formale’, colui il quale è in grado di conciliare la retorica e la filosofia, in opposizione a
quella più diffusa, soprattutto nell’era cristiana, che mette al contrario in luce l’eloquenza artificiosa
ed enfatica dei Sofisti, e successivamente dei pagani in genere. Nel IV secolo, quando il termine
viene utilizzato in senso positivo, vale ‘maestro di retorica’ e non ‘filosofo’: sophista parrebbe
dunque alludere nel testo studiato più a Seneca retore (padre) che a Seneca filosofo (figlio), e
porterebbe quindi a suppore che l’autore del carteggio confonda in una sola persona il retore e il
filosofo, secondo una trafila ben nota in epoca medievale e rinascimentale (cfr. almeno G.
MARTELLOTTI, La questione dei due Seneca da Petrarca a Benvenuto, in «Italia medioevale e
umanistica», XV, 1972, pp. 148-68). Per un confronto con le attestazioni in it.a. cfr. Tesoro della
Lingua Italiana cit., s.vv. sofista e sofistico. Si osserverà a latere che l’ammirazione di Paolo verso
l’eloquenza raffinata di Seneca appare, se posta in relazione allo scarso interesse mostrato
dall’apostolo per l’arte del dire nelle sue lettere autentiche (cfr. almeno II Cor XI, 6: «et si inperitus
sermone sed non scientia in omnibus autem manifestatus sum vobis»), una forzatura che ben si
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inserisce nell’ambito del dibattito tra tradizione cristiana e cultura classica di cui il carteggio è
permeato.
III.2. Alcuni volumi compuosi] «compuosi» è lezione congiuntiva di Pn e Pp; cfr. Ps, III:
«Quedam volumina ordinavi». Il testo latino pone il dubbio circa la paternità dei volumina; il punto
di vista degli studiosi a riguardo non è concorde, sebbene oggi si tenda a privilegiare l’ipotesi che si
alluda a opere di Seneca: il dettato di Pn-Pp sembrerebbe una conferma a riguardo, così come Pr,
III: «Io ho ordinati cierti miei libri». Sull’eventuale identificazione dei volumina con il De
clementia, si veda la glossa al testo «Credo che questi volumi furono quelli che sono intitulati Di
clementia a Nerone…» e BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., p. 105: pare tuttavia lecito
ipotizzare che l’autore del carteggio menzioni gli scritti senecani in termini volutamente vaghi per
mera finzione letteraria che dia modo al filosofo di dimostrare la profonda stima nei confronti di
San Paolo.
con sue divisioni] «divisioni» ‘i singoli argomenti (dei volumi); parte del discorso nella
quale i fatti vengono ricapitolati e argomentati per punti’ è latinismo di ambito retorico, per cui cfr.
Tesoro della Lingua Italiana cit., s.v. divisione6.
diedi a loro ordine] cfr. Ps, III: «statum eis dedit»; il lat. status vale ‘assetto, forma’ (cfr.
anche Pr, III: «ho dato loro forma»); «ordine» di Pn può essere eco del lat. ordinavi dell’esordio
della lettera (Ps, III: «Quedam volumina ordinavi»).
III.3. elli rechi seco novelli orecchi] cfr. Ps, III: «novas aures adferat»: come ricordato in
BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., p. 107 e come avvalorato da numerosi esempi di autori della
latinità classica, aures significa qui ‘interesse, attenzione’. Meno persuasiva la lezione del
volgarizzamento tràdita da Pr, III: «che egli si disponga a udire come cose nuove».
III.4. io ti renderoe die] altro latinismo di Pn-Pp, per cui cfr. Ps, III: «(alias) reddam tibi
diem», da intendere ‘ti indicherò un giorno (in un’altra occasione)’.
III.5. publicare] per «edere» ‘presentare, mostrare, svelare, riferire, ecc.’ di Ps, III.
de non essere lasciato di dietro] cfr. Ps, III: «non te praeteriri», da intendere ‘non ti trascuro,
non sei trascurato’.
IV.2. imagino la tua presença] il motivo delle lettere che evocano nel lettore la persona
assente costituisce un topos della letteratura epistolare greca e latina per cui cfr. almeno BOCCIOLINI
PALAGI, Il carteggio cit., pp. 109-110.
bramo] per il lat. «existimo» ‘penso’ di Ps, IV, è lezione congiuntiva di Pn-Pp; cfr. Pr, IV:
«non penso altro».
IV.3. Adunque quando primamente tu comincerai a venire] la lezione rende alla lettera Ps,
IV: «Cum primum itaque venire coeperis», espressione ridondante, propria del latino tardo, per cui
si rinvia al commento in BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., p. 110.
insieme] la lezione di Pn, confermata anche da Pp e da Pr, IV («noi ci vedremo insieme»)
conferma quanto ipotizzato in BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., pp. 110-11, cui si rimanda, a
proposito del lat. «invicem» di Ps, IV, da tutti gli editori precedenti interpretato ‘a vicenda,
reciprocamente’.
parleremo di divino sermone] è lezione congiuntiva di Pn-Pp che non trova riscontri nei
testimoni latini né in quelli italiani.
et vedremo del prossimo] «vedremo» è raddoppiamento di vedremoci che precede a breve
distanza, per probabile erronea ripresa; «del prossimo» è latinismo per «de proximo» ‘vicino,
intimamente’ di Ps, IV.
VI.1. Lucilo] il nome di Seneca è associato a quello di Lucilio: specularmente, nel prescritto
della lettera VII, al nome dell’apostolo è connesso quello di Teofilo; cfr. infra.
VI.2. non lece] latinismo per cui cfr. Ps, VI: «non licet».
con la penna et collo incostro] il topos della penna e dell’inchiostro, già nota nel latino
classico, passa, per probabile tramite biblico, negli autori della tarda latinità (cfr. BOCCIOLINI
PALAGI, Il carteggio cit., p. 120); in questo caso è inoltre assai plausibile la reminiscenza di II Io,
12: «plura habens vobis scribere nolui per cartam et atramentum spero enim me futurum apud vos et
os ad os loqui ut gaudium vestrum plenum sit» e III Io, 13: «multa habui scribere tibi sed nolui per
atramentum et calamum scribere tibi».
de le quali l’una nota et disegna alcuna cosa, l’altra manifestamente mostra] da intendere,
secondo l’interpretazione corrente: la penna (l’una) traccia sulla carta dei segni (nota et disegna
alcuna cosa) che l’inchiostro (l’altra) rende evidenti. A sostegno di tale interpretazione cfr. anche
Pr, VI: «La penna figura et disegnia: l’altra, ciò è lo ’nchiostro, apertamente dimostra quello che è
con la penna disegniato». Per altre possibili letture si veda soprattutto L. VOUAUX, Correspondance
entre Sénèque et saint Paul, in AA.VV., Les actes de Paul et ses lettres apocryphes, Paris, Libraire
Letouzey et Ané, 1913, p. 355.
apo voi et in voi] cfr. Ps, VI: «apud vos et in vobis»; come rilevato da BOCCIOLINI PALAGI,
Il carteggio cit., pp. 121-22, l’autore del carteggio qui «prolissamente distingue il nucleo degli
amici più stretti (in vobis) dalla cerchia presumibilmente più ampia di amicizie meno intime (apud
vos)».
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VI.3. cagione d’indignatione] chiaro rimando a ’ndegnazione di Pn, V, 3.
VI.4. vinceremo] cfr. BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., p. 123: «la vittoria che Paolo
spera di riportare sui propri nemici non è un successo personale, ma il trionfo del Vangelo». Un
simile esito appare tuttavia vincolato al pentimento degli avversari, ovvero alla loro conversione;
cfr. anche, a tale proposito, la glossa interlineare: «se solamente et cetera; pare che dica: ‘s’elli non
difenderanno con protervitade loro parte, vorranno riconoscere con giusta ragione, vinceremo’».
VII.1. Teofilo] la presenza di Teofilo accanto a Paolo risponde a quella di Lucilio della
lettera precedente. Sull’identità di Teofilo esistono opinioni diverse: è tuttavia probabile che si tratti
dell’amico dell’evangelista Luca, cui sono dedicati il III Vangelo (cfr. Lc I, 3-4) e gli Atti (cfr. Ac I,
1); secondo BARLOW, op.cit., p. 86, l’autore del carteggio apocrifo avrebbe quindi confuso Teofilo
con Timoteo, il discepolo prediletto di Paolo, spesso citato nelle Lettere (cfr. Rom XVI, 21, Phil II,
19-22, ecc., e soprattutto Philem I, 1, in cui il nome compare nel prescritto proprio insieme a quello
dell’apostolo) e negli Atti (cfr. Ac XVI, 1, XVII, 14, XVIII, 5, ecc.). A detta di BOCCIOLINI PALAGI,
Il carteggio cit., p. 125, cui si rinvia, alla base del travisamento non sarebbe da escludere una trafila
apocrifa.
VII.2. io sono bene accepto] «accepto» è latinismo; cfr. infatti Ps, VII: «Profiteor bene me
acceptum», da intendere ‘confesso che mi sono dilettato’ (cfr. anche Pr, VII: «Io ti confesso che ho
avuto molto caro»).
le quali mandasti a’ Galathi, a quelli di Corintho et alli Achai] l’autore dell’epistolario
menziona alcune delle lettere paoline, tra le quali quelle «alli Achai». Le interpretazioni a riguardo
sono discordi: Fleury, a proposito del testo latino, immagina che Achaeis vada con Corinthiis e
designi i Corinti d’Acaia (cfr. FLEURY, op. cit.); in J. KREYHER, L. Annaeus Seneca und seine
Beziehungen zum Urchristentum, Berlin, Gärtner, 1887, si rinvia invece alle lettere ai Tessalonicesi
(I Thess I, 7-8: «ita ut facti sitis forma omnibus credentibus in Macedonia et in Achaia a vobis enim
diffamatus est sermo Domini non solum in Macedonia et in Achaia sed in omni loco fides vestra
quae est ad Deum profecta»); Fabricus infine pensa di riconoscere un’allusione alla II lettera ai
Corinzi, indirizzata alla Chiesa di Dio, che è a Corinto, e a tutti i fedeli (II Cor I, 1: «Paulus
apostolus Iesu Christi per voluntatem Dei et Timotheus frater ecclesiae Dei quae est Corinthi cum
sanctis omnibus qui sunt in universa Achaia»; cfr. J.A. FABRICUS, Codex Apocryphus Novi
Testamenti, Hamburg, Herold, 1703, 2 voll., II, p. 896 ): quest’ultima è l’ipotesi sostenuta anche in
BARLOW, op. cit., p. 142 n. 1, BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., p. 126, MORALDI, op. cit., p.
1751 n. 7 e ERBETTA, op. cit., p. 89 n. 5.
et così insieme viviamo, che etiamdio quelle lettere rendiamo col divino] cfr. Ps, VII: «et ita
invicem vivamus, ut etiam cum honore divino eas exhibes». Si tratta di uno dei loci più controversi
dell’interno carteggio: alle difficoltà di ricostruzione del testo latino, date le numerose varianti della
tradizione, si sommano i problemi di interpretazione. Secondo i moderni editori il passo andrebbe
inteso nel seguente modo: ‘e possiamo noi vivere insieme (gli uni con gli altri), cioè possano essere
i nostri rapporti, così come tu scrivi quelle lettere onorando Dio’; Seneca auspica quindi di poter
vivere unito all’apostolo nell’onorare Dio come lo onorano le epistole di San Paolo. La lezione di
Pn è problematica: all’omissione di honore (forse perché lezione incerta anche nel testo latino, in
molti codici sostituita da horrore, per cui cfr. BARLOW, op. cit., p. 46), che porta a un difficilmente
comprensibile «col divino», va aggiunta l’errata interpretazione di exhibes, da cui dipende eas, cioè
‘le lettere’: va perduto in questo modo il riferimento alla scrittura delle lettere da parte dell’apostolo
quale termine di comparazione con quanto auspicato da Seneca nella prima parte del passaggio. A
Pn si accorda Pp, VII; cfr. invece Pr, VII: «Piaccia ad Dio che noi così viviamo come tu scrivi», in
questa circostanza preferibile.
VII.3. Lo Spirito Santo in te et sopra te manifesta excelsi et alti assai venerabili
intendimenti] cfr. Ps, VII: «Spiritus enim sanctus in te et super excelsos sublimi ore satis
venerabiles sensus exprimit». La lezione «sopra te» è errore congiuntivo di Pn-Pp: non viene infatti
compreso super excelsos ‘al di sopra dei supremi ingegni’; in alternativa va ipotizzata un’erronea
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ripresa di te. Viene inoltre omesso ore ‘a voce’, per la probabile dipendenza dal lat. sublimior
tramandato dai testimoni H e J, per evidente travisamento di Ps, VII: «Spiritus enim sanctus in te et
super excelsos sublimi ore…».
VII.4. Io vorrei che quando tu profferi grandi cose, che l’ornamento del sermone non
mancasse a la maestade de quelle] si esplicita in questo passo il motivo dell’intera lettera e uno dei
temi dominanti dell’intero carteggio: Seneca loda l’alto contenuto delle lettere paoline, ma obietta
sul loro stile, privo di eleganza formale.
VII.5. ché io non ti tolga alcuna cosa, overo sia tenuto a la mia consciença] da intendere
‘affinché io non ti tenga nascosto nulla, né abbia qualcosa in sospeso con la mia coscienza’, per cui
cfr. Ps, VII: «Et ne quid tibi […] subripiam aut conscientiae miae debeam».
per li tuoi intendimenti] la lezione «intendimenti», per sensibus del testo latino, vale
‘parole’; cfr. infatti la glossa interlineare: «scritti ne [le] lettere».
VII.6. Al quale, lecto il principio de la vertude in te] cfr. Ps, VII: «Cui perlecto virtutis in te
exordio». Il passo latino, la cui comprensione è controversa, potrebbe intendersi nel seguente modo:
‘dopo che io ebbi letto (a Nerone) quanto tu affermi all’inizio sulla virtù’; secondo BARLOW, op.
cit., p. 143, che interpreta exordium come ‘trattato’, l’autore dell’epistolario immagina che Seneca
abbia esposto a Nerone una sua opera di argomento cristiano. In maniera più persuasiva invece
BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., pp. 132-33, riprendendo una precedente proposta di Fleury,
ipotizza che il filosofo si riferisca all’epistola di Paolo ai Galati, già menzionata nell’apertura di
questa epistola, in cui San Paolo descrive la propria conversione; tale proposta è ben avvalorata
dalla glossa interlineare a virtude di Pn: «che li contonea in quelle lectere». La “virtù” andrebbe in
questo senso intesa come ‘facoltà’, secondo l’accezione biblica, e designerebbe quindi la
straordinaria capacità dell’apostolo, ispirato dalla divinità, di concepire pensieri tanto elevati pur
senza avere ricevuto un’adeguata istruzione.
ch’era informato secondo legge] cfr. Ps, VII: «qui non legitime imbutus». La lezione di Pn,
condivisa da Pp, è errata: il passo latino riferisce che Nerone è sorpreso che un individuo che non
abbia ricevuto una regolare istruzione («non legitime imbutus») possa esprimere ragionamenti così
profondi («taliter sentiat»), sulla base di un modello più volte ricorrente nelle Scritture (cfr. NATALI,
op. cit, p. 167). All’origine del passo tramandato dai due testimoni volgari potrebbe riconoscersi
l’omissione di non tra «ch(e)» ed «era», già nel modello da cui essi discendono. Anche la glossa
interlineare a legge conferma il dettato dei due esemplari («cioè sopra la legge dove tratta di fede et
d’opera sopra natura»).
VII.7. Al quale io rispuosi che li Dii erano usati di parlare per la boccha de l’innocenti,
non parlare per effecto di coloro che per la sua doctrina possono alcuna cosa travalicare] è il
motivo dell’ispirazione divina degli individui semplici, in quanto immuni dal rischio di
travisamento del messaggio rivelato, assai ricorrente nella Bibbia (cfr. NATALI, op. cit, p., 168); in
relazione alla seconda parte del passo, si veda la glossa «de gran maestri».
VII.8. lo indovino villanello, al quale con ciò fosse cosa che apparissero due huomini nel
campo di Rieti, li quali poi fuoro chiamati Castore et Polluce] a proposito di «villanello» cfr. supra.
La leggenda di Vatieno è ricordata da Cicerone, Valerio Massimo (per cui cfr. la glossa), Plutarco,
Minucio Felice e Lattanzio. Alla base della vicenda tramandata dall’epistolario va riconosciuta,
secondo i moderni editori, la versione di Cicerone, in cui un contadino, giungendo a Roma
proveniente dal reatino, incontra due giovani a cavallo – che si scoprirà successivamente essere i
Dioscuri –, i quali gli annunciano che in quel giorno, il 22 giugno 168 a.C., il re Perseo è stato fatto
prigioniero. La comparazione di Paolo con l’uomo incolto presentata nel carteggio è un
anacronismo tramandato anche da altri testi; cfr. a proposito BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit.,
p. 141.
informato] da intendere ‘soddisfatto’.
VIII.2. Avegna che io sappia che Cesare si maravigli de le nostre cose] a proposito dell’errata
lezione di Pn cfr. supra; il passo, secondo il dettato del testo latino («Licet non ignorem Caesarem
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nostrum rerum admirandarum»), confermato da Pr, VIII («Benché noi sappiamo che lo ’nperadore
desideri d’udire cose piene d’ammirazione di qualunque luogo si venghino»), dovrebbe riferire
della curiosità di Nerone verso il meraviglioso e lo straordinario in genere (e non quindi per le
“cose” dei due protagonisti del carteggio), in accordo con quanto trasmesso da Svetonio, da Plinio il
Vecchio e dallo stesso Seneca. Si tratta di un aspetto della figura dell’imperatore che verrà
ulteriormente sviluppato in campo apocrifo: si ricorderà soltanto, a tale riguardo, l’atteggiamento di
profondo stupore che accompagna Nerone davanti ai prodigi di Simone Mago tramandato dagli
Acta Petri et Pauli e variamente ripreso nella Cura Sanitatis Tiberii e in alcuni testimoni italiani
della Vindicta Salvatoris, per cui si rinvia a L. BELLONE, La tradizione italiana della «Vindicta
Salvatoris»: edizione dei volgarizzamenti toscani, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2011, pp. 101,
217-18, 237.
se alcuna volta elgli cesserae di maravigliarsene] cfr. Ps, VIII: «[ni]si quando deficiet»,
lezione complessa, a proposito della quale sono state proposte numerose interpretazioni, da
intendere probabilmente, anche grazie alla testimonianza di Pn, ‘se prima o poi non ci verrà meno’
o ‘benché un giorno possa venire meno (il suo interesse verso il meraviglioso)’, in riferimento
all’indole volubile di Nerone.
inpertanto non ti lasciare offendere, ma rimuovere lasciati] cfr. con Ps, VIII: «permittes
tamen se non laedi, sed admoneri», cioè ‘lascia che io, senza offesa, ti ammonisca’. La lezione di
Pn conferma la dipendenza del testimone parigino da β, opponendosi ad α («permittit tamen se non
laedi, sed admoneri» ‘permette [Nerone] tuttavia di essere avvertito, ma non offeso’).
VIII.3. Io penso che tu facesti grave cosa] per il lat. di Ps, VIII, 3: «graviter fecisse» ‘hai
agito in modo urtante, inopportuno, pericoloso’ nei confronti di Nerone e dell’imperatrice.
ché tu volesti ançi mettere a∙llui la innocenza, la qual cosa è al suo costume et a la doctrina
sua contraria] Pn è qui latore di una lezione errata, «innocenza» per notizia, condivisa anche da Pp;
il dato non è privo di rilievo in quanto il dettato è probabilmente trasmesso ai due testimoni volgari
dalla trafila da cui dipendono i codici latini G, C e Q («Ei innocentiam peferre voluisti»), per cui
cfr. supra, contro il resto della tradizione di Ps («Ei in notitiam perferre voluisti»). L’intero passo è
da intendere ‘volendo far conoscere («in notitiam perferre», per il cui costrutto cfr. BOCCIOLINI
PALAGI, Il carteggio cit., p. 145) a lui (cioè a Nerone) ciò che è contrario al suo culto e alla sua
religione’.
VIII.4. io non veggio onde ti sia comandato] la lezione di Pn, per il latino «quid tibi visum
sit […] velles non video», si segnala per la probabile confusione di visum con dictum ‘detto,
ordinato’ o forma simile.
VIII.5. tu non offenda il segnore] la lezione «il segnore» di Pn dipende da quella tramandata
dai codici latini C e Z («Offensum domini facias»), per cui cfr. infra, in opposizione alla tradizione
di Ps («Offensum dominae facias»); che nel testimone volgare si faccia riferimento a Nerone e non
all’imperatrice è dichiarato inoltre dalla glossa interlineare («Cesare»).
la cui offesa, s’ella persevera, non nocerae né, se non sia, gioverae] cfr. Ps, VIII: «cuius
quidem offensa neque oberit, si perseveraverit, neque, si non sit, proderit», da intendere ‘il cui
rancore, se ella dovesse persistere in questo suo atteggiamento, non potrà ostacolarci, ma nemmeno
favorirci in caso contrario (cioè qualora fosse di breve durata)’. La lezione «ella» è qui chiaramente
connessa a Poppea, che quindi contraddice la precedente segnore, per cui cfr. supra; non altrettanto
si rileva nella glossa, in cui si conserva il riferimento a Nerone («forse si intende: ‘se non molesta
Cesaro…’»).
VIII.6. S’è la reina non isdegna] chiara incongruenza rispetto alla sezione anteriore, per cui
cfr. le due note precedenti.
se ella è femina sie almeno offesa] da intendersi: ‘comportandosi da regina, non si indignerà,
ma si offenderà se si comporterà come una donna qualunque’; cfr. anche la glossa al passo.
IX.2. commosso] vale ‘turbato’, o ‘adirato’ come specificato nella glossa; cfr. anche Tesoro
della Lingua Italiana cit., s.v. commosso.
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per cagione de te per le lectere, le quali io feci a te del manifestamento de le tue lectere a
Cesare] la lezione di Pn è complessa; va intesa così: ‘(sei turbato) a causa della lettera che ti ho
inviato, nella quale ti scrivevo di aver letto le tue epistole a Cesare’.
revocano] vale ‘distolgono, allontanano’.
cert’ò io, se questo teme colui che, per molte speriençe notissimo] cfr. Ps, IX: «multis
documentis hoc iam notissimum habeam». La lezione «se questo teme colui che», condivisa anche
da Pp, è inserzione non facilmente giustificabile: non sono d’ausilio le varianti dei codici latini né il
ricorso ai testimoni italiani; scarsamente probabile è poi l’ipotesi di un’errata ripresa o di un
anticipo non corretto.
IX.3. facciamo] vale ‘agiamo, comportiamoci’.
De la copia de le parole: cfr. anche Pr, IX: «Io t’ho mandato il libro intitolato De copia
verborum». È qui probabilmente riconoscibile l’eco di uno scritto di Martino Dumiense, la Formula
vitae honeste, erroneamente attribuito al filosofo latino, che in alcuni codici è trasmesso con il titolo
di De verborum copia. L’identificazione è tuttavia da scartare in quanto l’opera del vescovo di
Braga è un trattato di contenuto morale; il testo che nell’epistolario viene recapitato da Seneca a San
Paolo è invece chiaramente un manuale di retorica utile al perfezionamento dello stile di
quest’ultimo. Per ulteriori approfondimenti cfr. BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., pp. 151-54.
X.2. Quante volte ti scrivo et il nome mio ti soscrivo, io fo cosa grave et sconvenevole a la
mia setta] Paolo ritiene di trovarsi in imbarazzo per l’accostamento, nel prescritto delle lettere, del
proprio nome a quello di Seneca; il riferimento alla “setta” allude all’uso dei Cristiani di posporre,
nelle lettere, il nome del mittente a quello del destinatario in segno di deferenza e di umiltà: si tratta
tuttavia di un anacronismo, essendo tale pratica in vigore soltanto a partire dal secolo II.
sì como sono professo] riflette il latino ut professum sum ‘come ho affermato’ di Ps, X.
et quello osservare ne la tua persona che la legge romana concedette a l’honore del Senato]
resa eccessivamente letterale di Ps, X: «et id observare in tua persona quod lex Romana honori
senatus concessit»; ne risente il senso. Il passo va inteso così: ‘e trattandosi della tua persona
rispettare quell’onore che la legge romana riconobbe ai senatori’.
X.3. rilecta] per il lat. «perlecta» ‘letta a fondo’ di Ps, X; in diversi codici la lezione
tramandata è tuttavia perfecta ‘terminata, finita’. Si veda il commento in BOCCIOLINI PALAGI, Il
carteggio cit., pp. 157-58.
In buona parte dei rappresentanti della tradizione latina le lettere X-XIV sono datate: nello
specifico, l’epistola riporta la data del 27 giugno del 58; i testimoni italiani considerati omettono le
indicazioni.
XI.1. In quasi tutti i testimoni latini questa lettera è preceduta dalla XII, per probabile
interpolazione posteriore; negli esemplari volgari esaminati, invece, viene ripristinata la scansione
che qui si presenta; cfr. anche infra, XII.1.
XI.2. per necessitade mescolato] cfr. Ps, XII (XI): «sed necessario mixtus», cioè
‘strettamente associato’, in relazione alla stretta vicinanza dei nomi nel prescritto della missiva.
chiamato sara’ dal tuo Seneca] «chiamato» è errore congiuntivo di Pn-Pp, alla cui base è
probabile concetturare un’errata lettura del lat. «actum erit» (> vocatum erit). Il senso dell’intera
pericope è il seguente: ‘se il nome di un uomo così grande e prediletto da Dio in tanti modi sarà,
non dico unito, ma strettamente associato al mio, al tuo Seneca andrà benissimo’; si tratta dalla
risposta alla lettera X, in cui l’apostolo mostra incertezza nell’accostare il proprio nome a quello del
filosofo.
XI.3. alteçça de tutti li monti] la lezione di Pn semplifica quella di Ps, XII (XI):
«altissimorum omnium montium cacumen»; sulle probabili fonti del passo cfr. BOCCIOLINI PALAGI,
Il carteggio cit., p. 177.
XI.4. Né nella prima faccia de le tue lectere giudicherai te indegno d’essere nominato,
acciò che non paia che tu m’asaggi maggiormente che schernischa] Seneca esorta Paolo a non
33
considerarsi immeritevole di condividere il prescritto con l’amico, dal momento che è cittadino
romano (cfr. infatti il seguito della pericope): ‘non ritenerti indegno che il tuo nome compaia nella
prima parte delle lettere, di modo che non sembri che tu voglia non tanto mettermi alla prova
(m’asaggi, per il lat. temptare), quanto addirittura prenderti gioco di me (schernischa, per il lat.
ludere)’.
XI.5. però che quello mio luogo ch’è apo te, i’ vorrei che fosse il tuo sì come il mio] si tratta
del volgarizzamento del passo latino utilizzato da Girolamo, nel più volte citato brano del De viris
illustribus (per cui cfr. supra il paragrafo 1.2. «Prime testimonianze e datazione del carteggio»), per
dimostrare che Seneca vorrebbe essere presso i suoi concittadini nella stessa considerazione in cui
Paolo era presso i Cristiani. Tuttavia è probabile che l’intero passaggio sia giocato sul doppio
significato di locus (> luogo) inteso sia come ‘posizione di rilievo’ nel mondo, sia come posizione
dei nomi nell’intestazione dell’epistola.
Al termine della lettera, in parte della tradizione manoscritta latina, è indicata la data del 23
marzo 59.
XII.1. Seneca invia la missiva a Paolo immediatamente dopo l’incendio di Roma del 64
d.C.: viene descritta la catastrofe, e contestualmente si esprime il dolore per le persecuzioni di cui
sono vittime i Cristiani, additati falsamente come responsabili; mentre questi, assieme agli Ebrei,
sono sottoposti a pesanti condanne, il vero colpevole, Nerone, resta impunito. La lettera, al di là
della diversa collocazione che possiede all’interno del carteggio nei vari testimoni della tradizione
manoscritta latina, per cui cfr. soprattutto BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., pp. 43 sgg., con
buona probabilità non apparteneva al nucleo originario della corrispondenza; secondo gli studi più
recenti si tratterebbe di un’addizione posteriore di mano diversa da quella dell’autore delle altre
epistole finalizzata al ridimensionamento dell’immagine troppo benevola di Nerone e
all’adeguamento alla più diffusa tradizione degli scrittori cristiani che riconoscevano in lui uno
spietato persecutore e, in alcuni casi, l’incarnazione dell’Anticristo. Sulle ragioni a sostegno della
sua dubbia autenticità, e in particolare sull’improvvisa sospensione della polemica antiebraica e sul
mutato atteggiamento nei confronti dell’imperatore da parte di Seneca, cfr. supra e, soprattutto,
BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., pp. 160 sgg. Si veda anche la glossa a lato del testo
corrispondente di Pn, solo parzialmente leggibile: «questa […] che fosse facta ne la persecutione
de’ Cristiani».
XII.2-3. de la innocenza nostra […] noi colpevoli giudichi essere peccatori […] pensando
che da noi si faccia] la sequenza «nostra-noi-noi» di Pn (a proposito di «nostra» cfr. anche la glossa
«di noi cristiani») si oppone a Ps; cfr. infatti Ps, XI (XII): «Innocentia vestra […] vos […] iudicet
[…] putans a vobis»: è probabile che la lezione di Pn, condivisa anche da Pp, risenta della
tradizione da cui deriva il testimone latino Q («Innocentia nostra […] nos […] iudicet […] putans a
nobis»).
XII.4. Ma sostegnamolo patientemente et usiamo quella corte et giudice che la fortuna
concedette] Seneca, coerente con la dottrina stoica, invita a sopportare le ingiustizie e ad avvalersi
delle opportunità messe a disposizione dalla sorte. La lezione «quella corte et giudice» è endiadi che
riflette il lat. (utamur) foro, espressione proverbiale per cui si veda BOCCIOLINI PALAGI, Il
carteggio cit., p. 161.
XII.5. il macedonico, figluolo di Filippo, et poi Dario, et poi Dionisio] si rileva un caso di
lacuna comune a Pn-Pp; cfr. infatti Ps, XI (XII): «Tulit et priscorum aetas: Macedonem, Philipi
filium, Cyros, Darium, Dionysium». La rassegna di alcuni tra i più crudeli tiranni della storia è
reperibile a più riprese in diversi scritti autentici di Seneca.
XII.6. fue lecito ciò che fu libito] cfr., per il latinismo «libito», Ps, XI (XII): «quicquid libuit
licuit» e Tesoro della Lingua Italiana cit., s.v. lìbito; si veda anche la glossa corrispondente
«piacque».
XII.7. onde] vale ‘per cui, a causa di chi’, ovvero Nerone.
34
spesso la cittade di Roma arda] sulla posizione degli storiografi latini a proposito della
responsabilità di Nerone cfr. almeno NATALI, op. cit, p.173 n. 58.
XII.8. bassi huomini] cfr. Ps, XI (XII): «humilitas humana», espressione mutuata dal latino
cristiano, in cui tuttavia designa per lo più i limiti dell’umanità contrapposti alla perfezione divina;
qui vale chiaramente ‘gente del popolo’, in opposizione al tiranno.
Cristiani et Giudei, li quali consumati per tormenti, sì come commettitori de lo ’ncendio
sogliono essere tractati] a differenza di quanto avviene altrove nel carteggio, in cui domina il
sentimento antigiudaico, qui Cristiani e Ebrei sono entrambi vittime della persecuzione
dell’imperatore.
XII.9. Questo imperversato, qualunque elgli è, al quale il desiderio et il carneggiamento et
bugie è uno ricoprimento, è destinato al suo tenpo] cfr. Ps, XI (XII): «Grassator iste quisquis est,
cui voluptas carnificina est et mendacium velamentum, tempori suo destinato est». Pn si segnala per
un’evidente lezione errata individuale (Pp è corretto), «il desiderio et il carneggiamento», per
originaria confusione tra e congiunzione e il suo omografo verbale; «imperversato» è da intendere
nell’accezione di ‘spietato’, o, meglio, ‘indemoniato’, di buona diffusione in ambito letterario
italiano tre-quattrocentesco, che riproduce opportunamente grassator, epiteto utilizzato con
frequenza negli scrittori cristiani come sinonimo di persecutore religioso oppure come termine per
designare l’Anticristo, secondo una serie di antiche leggende sorte sulla base della tradizione
apocalittica per la quale quest’ultimo venne identificato proprio con Nerone. Per ulteriori dettagli
sulla questione cfr. BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., pp. 168 sgg. e L. BELLONE, Richiami
apocalittici nella tradizione apocrifa in volgare italiano, in AA.VV., L'Apocalisse nel Medioevo.
Atti del Convegno internazionale dell'Università degli Studi di Milano e della Società
Internazionale per lo Studio del Medioevo Latino (Gargnano sul Garda, 18-20 maggio 2009), a c.
di R. E. Guglielmetti, Tavarnuzze (FI), SISMEL – Edizioni del Galluzzo, 2011, pp. 526-29. La
lezione «carneggiamento» vale invece ‘carneficina’, per cui cfr. il corrispondente lat.; non è del
tutto esatta quindi la glossa alla v. carneggiamento ‘il peccato della lussuria’ in Tesoro della Lingua
Italiana cit., che riporta, in merito al termine indagato, un’unica occorrenza, ripresa da N.
TOMMASEO, B. BELLINI, Dizionario della lingua italiana, Torino, Unione Tipografica Editrice,
1865-1929, 6 voll., I., s.v., ricavata proprio da un esemplare, non specificato (non si tratta con
certezza di Pn), della corrispondenza qui studiata.
XII.10. Et sì come ciascuno optimo uno capo è dato per molti, così et questi devoto per tutti
sarae arso nel fuoco] da intendere: ‘così come tutti i migliori hanno dato (la vita) per molti, così
anche costui sarà condannato (arderà nel fuoco) per tutti ’. La prima parte della pericope rende Ps,
XI (XII): «unum pro multis datum est caput», che a sua volta riflette, con adattamento in chiave
cristiana (forse sulla base di II Cor V, 14: «aestimantes hoc, quoniam si unus pro omnibus mortuus
est, ergo omnes mortui sunt»), un passo del libro V dell’Eneide («uno pro multis dabitur caput»), in
riferimento a Palinuro, la cui morte consente la sopravvivenza dei compagni.
La lettera è datata, nei codici latini, 28 marzo 64; a proposito delle numerose incongruenze a
riguardo cfr. almeno BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., pp. 174-75.
XIII.2. per similitudine] da intendere: ‘attraverso immagini enigmatiche’ (cfr. Ps, XIII:
«aenigmatice»).
conchiuse] vale ‘argomentate, dedotte per via di allegoria’.
XIII.3. Et imperciò tanta força di cosa et di dono ch’è attribuita, non per ornamento di
parole ma per uno cotale coltivamento, è da fare bella] la lezione di Pn è complessa. Il senso della
pericope è: ‘e perciò tanta ricchezza di contenuto («forza di cosa», per Ps, XIII: «rerum vis»,
espressione del linguaggio retorico, vale ‘forza dei pensieri’) che hai avuto in dono (cfr. Ps, XIII
«tibi tributa», ma cfr. la lezione «et di dono» di Pn-Pp, per probabile travisamento; il solo Pn,
inoltre, omette il corrispondente di tibi) va valorizzata, se non con l’eleganza delle parole (Ps, XIII:
«ornamento verborum»), almeno con una certa cura formale’. Anche in questa occasione, come già
35
nella lettera VII, Seneca invita quindi Paolo ad accordare, allo spessore dei contenuti dei suoi scritti,
una opportuna veste stilistica.
XIII.4. Né di vero] è lezione errata comune anche a Pp: cfr. infatti Ps, XIII: «Nec vereare»
‘non lasciarti condizionare’.
schifano] altra lezione errata di Pn-Pp, per probabile confusione tra le forme lat. evirare e
evitare; cfr. infatti Ps, XIII: «(multos) rerum virtutes evirare», cioè ‘(molti) privano di forza il
contenuto delle cose’. Cfr. in questo caso anche Pr, XIII: «(molti) hanno lacierato le virtudi delle
cose». Si veda ancora Pn XIV, 4, in cui «da schifare» riflette, nell’occasione opportunamente, il lat.
«vitandas» di Ps, XIV.
L’intera pericope 4 di Pn, che mostra in più loci segni di corruzione testuale, va così intesa:
‘Non lasciarti condizionare da ciò che ricordo di avere spesso detto: e cioè che molti, prestando
attenzione eccessiva alla forma, snaturano il senso e tolgono forza al contenuto’. Seneca parrebbe
dunque esortare Paolo «a non lasciarsi influenzare da quei luoghi delle sue opere (cfr. soprattutto,
tra le Epistolae ad Lucilium, le nn. 52, 75, 100, 115) in cui egli ricorda di aver messo in guardia
contro l’eccessiva cura formale» (BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., p. 185).
XIII.5. secondo il latino] cfr. Ps, XIII: «latinitati morem gerere»; latinitatis, tecnicismo
della retorica, indica la correttezza del linguaggio e la purezza dello stile.
di dare la speranza alli honesti desideri] tutta la lezione, condivisa da Pp, è erronea per
probabile errata interpretazione di speciem ‘forma, aspetto esteriore’; cfr. infatti Ps, XIII: «honestis
vocibus et speciem adhibere», ovvero ‘di dare un bell’aspetto ai tuoi nobili concetti’: spem per
speciem è tramandato da un solo testimone di β, il codice C, uno dei rappresentanti del gruppo di
esemplari latori di interpolazione tra le due famiglie principali, per cui cfr. supra. Si veda anche in
questo caso la migliore lezione di Pr: «dia bella forma ad le oneste materie».
del honesto dono] per il lat. «generosi muneris» di Ps, XIII, dovuto a probabile errata ripresa
di honesto.
si possa spacciare da te] vale ‘si possa diffondere da te’; cfr. Ps, XIII «a te possit expediri».
Alcuni codici latini tramandano in chiusura la data del 6 luglio 58; cfr. BOCCIOLINI PALAGI,
Il carteggio cit., pp. 45.
XIV.2. scorgendoltu] lett. ‘ponderandole tu (le verità divine che a molti sono celate)’; cfr.
Ps, XIV: «perpendenti tibi», cioè ‘mentre stai riflettendo, durante le tue riflessioni’.
XIV.3. fortissimo seme] cfr. Ps, XIV: «semen fortissimum», cioè incorruttibile, eterno: è la
parola di Dio, che l’apostolo fa penetrare nell’animo di Seneca; è probabile qui la reminiscenza di I
Petr I, 23: «renati non ex semine corruptibili sed incorruptibili per verbum Dei vivi et permanentis»,
di cui Ps pare una sorta di parafrasi. L’immagine del seme incorruttibile è un topos della letteratura
cristiana ereditato proprio dalla tradizione stoica, per cui si veda BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio
cit., 190.
dirivamento di colui ch’è crescente et mane in eterno] vale ‘emanazione (cfr. derivamentum,
di ampio uso cristiano) di colui il quale cresce e rimane in eterno’: la parola di Dio deriva dal Padre
secondo un procedimento di “emanazione”; cfr. a riguardo soprattutto I Petr I, 23; Act XIX, 20; XII,
24.
XIV.4. La qual cosa acquistata, la tua prudentia, non manchevole, dovrà indicare che le
osservationi delli ennichi et Isdraelliti sono da schifare] la prima parte della pericope è assai
complessa, per probabile corruzione testuale; cfr. infatti Ps, XIV: «quod prudentia tua adsecuta
indeficiens fore debebit», ovvero ‘per te che sei giunto a comprenderla (la parola di Dio) con la tua
saggezza, dovrà essere un punto fermo’. Si può ipotizzare una mancata comprensione della lezione
prudentia tua e una libera riformulazione della sezione che segue. Non si esclude la seguente,
possibile lettura alternativa del passo, meno probante in quanto più distaccata dal latino: “La qual
cosa, acquistata la tua prudentia non manchevole, dovrà indicare…”. Per «ennichi» ‘pagani’ (cfr. il
ethnicorum) si veda l’it.a. etnico.
36
XIV.5. co∙ li rectorici suoni] lezione congiuntiva di Pn-Pp, forse generata da una originaria
incomprensione di sophiam (cfr. infatti Ps, XIV: «rhetoricis inrprehensibilem sophiam»).
et factoti tale auctore most‹r›errati al re temporale] passo non senza difficoltà, per
probabile travisamento: cfr. infatti Ps, XIV: «quam propemodum adeptus regi temporali […]
insinuabis», in cui il verbo è riferito alla «inrprehensibilem sophiam» che il nuovo testimone della
fede farà penetrare nell’animo dell’imperatore; cfr. anche Pr, XIV: «tu lo debba monstrare ad lo Re
terreno».
XIV.6. non prenderà i loro nomi, con ciò sia cosa che molti di quelli non si pieghino per le
tue insinuationi] la prima parte del passo rivela un errore congiuntivo di Pn-Pp: la lezione «nomi»,
che non ha corrispondenti nel testo latino, e non possiede senso compiuto nel contesto della frase in
cui è inserita, dipende infatti con buona probabilità da un’erronea lettura di minime (> nomine(m));
cfr. Ps, XIV: «cum plerique illorum minime flectuntur insinuationibus tuis», cioè ‘perché la
maggior parte di loro non si lascia minimamente piegare dai tuoi insegnamenti’.
XIV.7. Per le quali l’utilitate de la vita, lo sermone di Dio stillato] il passo è problematico
per via di un verosimile travisamento di cui Pn è latore; cfr. infatti Ps, XIV: «Quibus vitale
commodum sermo Dei instillatus», lett. ‘ai quali/nei quali, come un principio vitale, la parola di Dio
instillata’ (per vitale commodum ‘principio vitale’ cfr. BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., p. 199).
affrettantesi] è resa letterale per properantes, che vale ‘che tende’.
La lettera è datata, nei testimoni latini, 1 agosto 58.
XIV.bis. Nei codici latini meno antichi, e in buona parte degli esemplari volgari indagati,
alle lettere segue il cosiddetto “Epitaffio” di Seneca: si riproduce di seguito il testo latino secondo
l’edizione contenuta in E. BICKEL, Die epitaphio Senecae, in «Rheinisches Museum für
Philologie», LXIII, 1908, pp. 392-405: «Cura, labor, meritum, sumpti pro munere honores, / Ite,
alias post hanc sollicitate animas. / Me procul a vobis Deus avocat; ilicet actis / Rebus terrenis,
hospita terra, vale. / Corpus avara tamen solemnibus accipe saxis / Namque animam caelo
reddimus, ossa tibi».
LUCA BELLONE
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