Luca Bellone
https://unito.webex.com/meet/luca.bellone
Lezioni giovedì/venerdì ore 14:15/16:45
Per l’esame ci sarà una prova scritta, che sarà un’attività di ricerca. Sostituisce la prova orale, ma
comunque ci sarà un breve colloquio orale.
TESINA da consegnare + COMMENTO insieme nella prova orale
(si può presentare la prova scritta anche non in data di esame, prima o dopo un appello).
11/02/2021
FILOLOGIA:
- Etimologia: dal greco philos che significa amante, amico e lògos che significa parola,
discorso, lett. Interesse, amore per lo studio delle parole. Qui siamo solo allo studio
etimologico, ma è ben chiaro che la filologia pone al centro dei suoi interessi le parole in
senso complessivo e quindi le lingue composta da più parole.
- È un insieme di discipline che studiano i testi scritti, principalmente ma non solo letterari al
fine di costruire la forma originaria di questi.
- È una parola, la filologia, che ha un etimo trasparente, ma ha un’evoluzione semantica
nebulosa, perché gli indirizzi che ha concorrono a comporre un quadro complesso.
- Tullio de Mauro nel Grande Dizionario Umanistico del 2007 dice che la filologia è una
disciplina che mediante l’analisi linguistica e la critica testuale mira alla ricostruzione e alla
corretta interpretazione dei testi o documenti scritti.
- In questa accezione possiamo definire la filologia la regina delle discipline universali; non
esisterebbero traduzioni scritte se non esistesse il filo filologico. È un’arte più raffinata della
storia, della letteratura, in quanto queste dipendono proprio dall’arte. Non ci sarebbe
letteratura se non ci fosse il lavoro del filologo.
- Discorso più complesso è il rapporto tra filologia e linguistica, in quanto si contaminano e si
trovano nello stesso campo. Un bravo filologo deve essere un bravo linguista, ma non è
detto che un bravo linguistica debba essere un bravo filologo.
- Con questa parola si intende oggi il complesso di tutte quelle discipline che si propongono
di ricostruire e analizzare in maniera corretta gli aspetti più caratterizzanti di una cultura,
antica e moderna. Disciplina democratica.
Per dare una definizione meno asettica ma più sentimentale di filologia ci rifacciamo ad un testo di
Nietzsche Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali del 1879-1881. Definizione poetica, altamente
suggestiva. L’aspetto più interessante è che si tratta di una definizione attuale. Filologia è la
lentezza in opposizione all’eccessiva velocità del mondo reale. Inoltre, è attenzione al particolare,
in un’epoca in cui domina il generale, il generico, l’approssimativo. È molto attuale, basta pensare
a quanto di tutto ciò ci sia adesso e di quanto dominante sia questo atteggiamento che si oppone a
quello della lentezza della filologia. È amore per la precisione dell’essenza, per la profondità, in
opposizione alla superficialità. La filologia è lettura attenta con dita e occhi delicati, che ci porta a
scartare quelle posizioni idealistiche, tipo attuali. Quando si parla di atteggiamento basato su
interpretazioni semplicistiche si pensi alla situazione politica. Ma naturalmente questo tipo di
lettura attenta va associato alla dimensione social che è in enorme diffusione nella comunicazione
deragliata. La filologia come strumento per combattere tutto ciò. Filologia è curiosità, lasciare
aperta la porta al nuovo e allo sconosciuto. È AMORE PER IL LINGUAGGIO, per le parole intese
come strumento necessario, potente a nostra disposizione per parlare e plasmare il pensiero
dell’uomo, per canalizzarle i sentimenti. Le parole sono importanti. In genere chi parla male, pensa
male e vive male.
In Per difesa e per amore, Gian Luigi Beccaria scriveva che vale la pena ricordare quanti siamo in
questo pianeta. Ciascuno di noi è nell’atto di parlare o ascoltare, sentir parlare.
Cringe è diventata una parola italiana, arriva dalla accademia della Crusca. Inserita nella sezione
PAROLE NUOVE che serve a documentare i termini utilizzati in italiano o termini che non sono
entrati a far parte o non sono nei dizionari.
Il fatto che la Crusca dedichi una scheda ad una parola, non significa automaticamente il suo
ingresso. Se una parola viene usata, entra da sola in una lingua. Il lessicografo, dopo averla
osservata per 3 o 4 anni, ne prende atto.
Alla fine, si è scoperto che era un articolo falso, perché hanno mal interpretato ciò che ha detto la
Crusca.
La tuttologia è il contrario della filologia.
Un altro giornale aveva pubblicato un articolo fasullo, che la Crusca avrebbe approvato
l’espressione USCIRE IL CANE. Senza inopportuna verifica. L’accademia avrebbe quindi sdoganato
tale espressione, perché non possiamo usare un verbo intransitivo come transitivo.
L’accademia della Crusca ha sempre avuto una funzionalità descrittivo, non ha nessuna finalità
prescrittiva, a meno che non vengano poste domande sull’essere giusto o no usare determinate
parole in un determinato modo.
La crusca non si limita a dire cose, ma tengono documentati gli usi circostanziati attraverso
esempi, con specificazioni.
12/02/2021
L’ITALIANO NELLE CANZONI: INTRODUZIONE
Qui dove il mare luccica e tira forte il vento, sulla vecchia terrazza, davanti al golfo di Surriento...
Come quando fuori pioveva e tu mi domandavi se per caso avevo ancora quella foto, in cui tu
sorridevi e non guardavi... Le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi... Poi d’improvviso venivo dal
vento rapito, e cominciavo a volare nel cielo infinito... Questa è la tua canzone Marinella, che sei
volata in cielo su una stella... È una canzone di cent’anni almeno, urlando contro il cielo... Ma il
cielo è sempre più blu... Voglio una vita spericolata, voglio una vita come Steve McQueen... Io
penso positivo perché son vivo, perché son vivo... Vivo per lei da quando sai, la prima volta l'ho
incontrata... Tu non sai cosa ho fatto quel giorno quando io la incontrai... Lo sai che la Tachipirina
cinquecento, se ne prendi due diventa mille?... Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi... Vorrei ma non
posto... Parole, parole, parole, soltanto parole, parole tra noi...
Il rapporto tra la lingua italiana e la musica è diverso rispetto al rapporto tra la lingua italiana e la
canzone. Associare l'italiano alla musica viene spontaneo in tutto il mondo, italiano e musica
sembrano un binomio indissolubile:
- molte opere sono state scritte in italiano, come quelle di Vincenzo Bellini, di Gioachino
Rossini, di Gaetano Donizetti, di Giuseppe Verdi, di Puccini,
- in numerose lingue le parole che hanno a che fare con la musica sono italiane, o comunque
hanno origine italiana come le parole che indicano gli strumenti musicali violino,
violoncello, pianoforte che oltre a essere una parola italiana è anche uno strumento
inventato da un italiano alla Corte dei medici a Firenze nel XVII secolo,
- sono italiane molte delle parole che indicano i generi di musica o di canto, come aria,
capriccio, fantasia, fuga, sinfonia,
- di origine italiana o italiane sono molte delle parole che indicano i tempi musicali allegro,
adagio, presto, prestissimo.
- italiane anche le parole che indicano i tipi di cantanti lirici, come tenore, soprano.
Lo seppe già Mozart che a 13 anni scriveva lettere in italiano alla sorella e che in età più matura
affidò a un librettista italiano, Lorenzo da Ponte, la stesura del testo poetico delle sue opere più
celebri.
Jean Jacques Rousseau diceva: “se c’è in Europa una lingua adatta alla musica è certamente la
lingua italiana; infatti, questa lingua è dolce, sonora, armoniosa e accentata più di ogni altra cosa”.
Thomas Mann diceva: “Caro signore per me non c'è dubbio che gli angeli nel cielo parli in italiano.
Impossibile immaginare che queste belle creature si servano d’una lingua meno musicale.”
Queste considerazioni sono frutto di un pregiudizio positivo che, però nei secoli, è sfociato nel
mito. È evidente che nel mondo è diffuso un luogo comune secondo cui l’italiano è la lingua
musicale per eccellenza.
Per risolvere i problemi in sede di rima o far combaciare l’accento verbale, del verso o musicali,
esistono una serie di soluzioni e uno di questi è il ricorso a parole inglesi, perché
morfologicamente sono parola che hanno l’accento sull’ultima sillaba. Nella canzone moderna,
come rap o trap, dal punto di vista della struttura metrica questi seguono una strada diversa
rispetto alla canzone tradizionale. Per la loro natura testuale hanno maggiori possibilità, non è il
ricorso ad anglicismi la soluzione per risolvere problemi tecnici della scrittura di un testo per
canzoni. Però, nella canzone tradizione, a partire da Celentano l’uso di anglicismi è stato utilizzato
per questa ragione.
Le canzoni sono fatte di parole e molti autori di canzoni hanno affrontato la questione legata al
ruolo delle parole nella vita, al peso che hanno in alcune situazioni della vita, più cantate sono
quelle in rapporto all’amore, alla memoria collettiva, nel sentimento comune.
Come Piero e Cinzia, Cinzia si scrive i testi sul diario per sentirli bene, o ancora nel duetto, le Parole
di Mina sono definite caramelle, rose, violini, sono, cioè, simbolo di persuasione, finzione, natura
effimera. Le parole sono percepite dai cantanti, dagli autori di canzoni come un elemento
fondamentale. Quelle delle canzoni sono parole che ci accompagnano lungo la nostra vita.
SONO SOLO CANZONETTE?
- LA CANZONE E NOI:
Bisogna riflettere sul rapporto che esiste tra la canzone e noi, il peso che le canzoni hanno
nella vita di tutti noi è un peso significativo. Si dice che oggi si canti meno di un tempo.
Studiando dal punto di vista sociologico ciò, è probabilmente così, così emerge, basti
pensare a ciò che accadeva all’indomani del festival di Sanremo. Era una vita meno
dominata dal rumore quella dell’allora, le canzoni si sentivano di più. Oggi viviamo in un
acquario sonoro, non solo perché la musica ci arriva da tutte le parti, ma perché il rumore è
una costante nella nostra esistenza. Ma al di là di ciò, anche se forse cantiamo meno, il
peso che le canzoni hanno nella nostra vita è un peso considerevole.
- CANZONE E POESIA: la letteratura popolare, di consumo (fumetti, soap opera), ma che non
va confusa con la poesia. La canzone non va confusa con la poesia, perché non è poesia.
Nel 2016 è stato dato il premio Nobel per la letteratura a Bob Dylan, giustificato per aver
creato una nuova espressione poetica. Non dice perché ha creato una nuova poesia, non
ha ricevuto il premio Nobel per la poesia, ma LETTERATURA.
Già 20 anni prima, un professore dell’università della Virginia aveva proposto la
candidatura di Bob Dylan giustificandola perché ha elevato la musica a forma poetica
contemporanea: non alla poesia, ma forma poetica contemporanea. Canzone e poesia, c’è
una differenza, ma questa diversa natura non deve essere vista come un limite, anzi, si
tratta di due forme d’arte distinte, ma non contrapposte. Sono diverse per un semplice
motivo, cioè adoperano linguaggi diversi, mentre la poesia moderna ha come materia
d’espressione la parola e solo la parola, la canzone usa parole e musica, e questo è
semioticamente più che sufficiente per stabilire una differenza di testo, di forma tra queste
due. La poesia esaurisce il suo messaggio nel testo, la canzone no. Una conferma a riguardo
potrebbe essere leggere il testo di una canzone senza melodia e senza esecuzione: l’effetto
della lettura può non essere lo stesso, è come se si perdesse qualcosa per strada. Un’altra
conferma, forse più banale, è: quanti di noi ascoltano e forse si innamorano di un brano in
lingua straniera senza comprendere il testo? Senza domandarsi che dica?
- IL BISOGNO DI POESIA da parte degli uomini, il sentimento poetico dell’uomo, ieri come
oggi, deve essere soddisfatto. Nel momento in cui la poesia cessa di essere ciò che a lungo
è stato, arriva la canzone e in parte ne prende il posto, anche perché la canzone ha
potenzialità uniche. La poesia e anche il romanzo non hanno quasi mai oggi la forza di
esprimere la nostra sentimentalità in maniera spiegata, che è come quella di un
adolescente. La canzone riesce a farlo. Si pensi alla capacità delle canzoni che hanno di
legarsi con alcuni momenti della nostra vita.
PAROLA DI OGGI:
CANZONE:
- Letteralmente è un componimento lirico costituito da un certo numero indeterminato (5 o
7) di strofe o stanze (con un numero variato di versi) e da un commiato o congedo più
breve.
- Breve composizione vocale accompagnata da una melodia orecchiabile: canzone ballabile,
popolare, rock, di protesta; intonare, cantare una canzone; il festival della canzone italiana.
- Fig., situazione o discorso che si ripete in modo monotono: è sempre la stessa canzone; qui
la canzone non cambia mai; è ora di cambiare canzone.
- Sono stati gli USA luogo di fusione di tradizioni culturali diverse portate dalla corrente
europee del XIX secolo. Già alla fine del 1800, la tradizione musicale europea dei coloni
bianchi, tradizione radicata nelle ballate anglosassoni, si incontrò con la musica, anzi
canzone degli afroamericani, proprio in America. Una tradizione, quella afroamericana, che
aveva i suoi punti di forza nelle worksongs, che scandivano i loro lavori. Da questo incontro,
nasce il blues, canzone afroamericana con contaminazione di altre tradizioni musicali che
costituisce lo scheletro di riferimento della moderna canzone pop, che subisce una sua
sorta di standardizzazione, in fatto di durata e di ritmo, con l’avvento e il successo delle
radio, dove le canzoni dovevano avere una durata massima.
LA CANZONETTA:
- Lett. Componimento poetico d’argomento amoroso, più breve e semplice della canzone,
spesso musicato. È una variante della canzone, che a differenza della matrice, ha tematiche
amorose ed è di norma più breve e di tono più leggero.
- Composizione di musica leggera facilmente orecchiabile. Esempio la canzone trasmessa a
Sanremo è detta canzonetta sanremese. Esempio: LAURA PAUSINI OPS
Per definire l’italiano della canzone, bisognerà analizzare i testi, cioè progettare un’analisi
linguistica, ma non solo nell’accezione più ristretta, ma anche sociolinguisitca (che tenga conto dei
fenomeni culturali dei singoli brani), ma anche le tendenze comuni che emergono a livello
linguistico a traverso gli anni. Lo si dovrà fare sulla base di un insieme rappresentativo di testi
(metodo applicato a qualsiasi analisi linguistica).
In alcuni casi si tratta di aspetti linguistici quasi impercettibili all’attenzione dell’ascoltatore, e forse
anche alla coscienza dell’autore (non tutti gli autori di canzoni hanno dedicato tutta
quell’attenzione alle parole, l’esigenza principale era rivestire di parole una melodia, che
rispettassero l’accento musicale, quindi scelta limitata e l’importante era far tornare i conti) ma
che saranno decisivi per ricostruire l’evoluzione linguistica della canzone e il rapporto tra la lingua
della canzone e la lingua italiana, da un lato rispetto all’italiano standard e dall’altro rispetto
all’italiano comune, vivo. Serviranno ad analizzare la grammatica della canzone italiana, che non è
scritta e non è intesa nell’accezione data oggi alla grammatica (insieme di regole che determinano
un solo modello…), ma intesa come insieme di tratti comuni, condivisi necessariamente dalle
canzoni che ha subito ben poche modifiche nel corso degli anni.
A partire da quella grammatica, saranno valutati gli scarti, cioè gli allontanamenti che sono stati
rappresentati da alcuni generi, di rottura, e sono scarti in positivo, che si collocano a partire dalla
fine degli anni 60, in particolare nel 1968, dove assistiamo ad una sorta di riconquista linguistica,
presso tendenze musicali che vanno verso una direzione diversa da quella di Sanremo; riconquista
della lingua viva, anche del dialetto, dove l’italiano sta diventando la lingua parlata da tutti, o
almeno da una maggioranza relativa di persone.
La canzone è questa osservazione, è lo studio dei testi delle canzoni che costituirà una sorta di
osservatorio ideale privilegiato per chi vuole conoscere l’evoluzione della lingua.
A partire da quando posso essere inseriti nella canzone riferimenti all’erotismo e alla sessualità?
La parola amore è quella più attestata nelle canzoni di Sanremo, circa un migliaio di volte. Ma c’è
da capire in quale significato.
Ha due significati:
- Il termine che va riferito all’atto sessuale, soprattutto nella locuzione “fare l’amore”.
- L’altra accezione è di allocutivo, “amore mio”.
Nei testi di Sanremo ricorre quasi sempre alla seconda accezione, perché il senso della lingua
corrisponde a quello del pudore.
Norma linguistica: è la grammatica, scritta, ma l’italiano standard, che riflette le norme, non esiste.
Esiste nella scrittura, ma nemmeno in tutta.
In che modo si allontana l’italiano standard da quello della canzone? Per molto tempo non si
allontana, gli scarti saranno minimi. Nell’italiano della canzone troveremo rispetto alla norma.
Scarti in negativo: anacronistici, allontanano l’italiano della canzone da quello vivo.
Scarti in positivo: avvicinano finalmente l’italiano della canzone a una lingua più viva e vera.
Ruolo che la canzone, anzi i testi delle canzoni hanno avuto e continuano ad avere nella diffusione
di parole, espressioni, modi di dire, grazie a quell’effetto di cassa di risonanza. Molto spesso, anche
senza volerlo, in forma letterale o attraverso un processo di riformulazione, citiamo versi o parti di
canzoni, o titoli, perché si sono fissate nella memoria collettiva, per mandare un messaggio, che
viene compreso da tutti, perché facente parte della nostra storia. Come fosse una sentenza. Quasi
con quella capacità propria delle locuzioni proverbiali, dei modi di dire, collocazioni fisse, ma
eventualmente riformulabili, perché attualizzate.
Effetto concreto che coinvolge la nostra lingua.
Quante sono le parole ed espressioni entrate nel nostro lessico grazie a questa dinamica?
Sono diventate parole italiane, sono neologismi. Quanto accaduto col cinema e la pubblicità, ha
arricchito il vocabolario dell’italiano. Sono neologismi non inventati nella canzone, ma diventati
termini dell’italiano dell’uso grazie alla canzone. Il latino cessa di essere lingua viva, perché non è
in grado di parlare di tutto, e subentrano le lingue romanze.
Modalità di rinnovamento lessicale: formazione di parole nuove, in particolare grazie all’inglese.
Non sempre questa dinamica giunge a compimento, quindi svolge la sua azione in tutte queste
fasi; a volte si verificano solo alcune di queste fasi, a volte una parola non si fissa nella memoria
collettiva, un brano non arriva fino alla fine, a essere radicato nell’uso: molte volte, nella
dimensione social, casi di questo genere beneficiano di una diffusione virale enorme, ma poi
altrettanto velocemente spariscono, senza lasciare traccia. Sono i casi di TORMENTONI, i
MODISMI.
BREVE STORIA DELLA CANZONE ITALIANA
Dalle origini a Sanremo
Tra Ottocento e primo Novecento
Prima edizione di Sanremo 1951.
La prima canzone “Santa Lucia” del 1848 tradizionalmente nota “sul mare luccica/l’astro
d’argento” è considerata la prima canzone in lingua italiana, “prima” intesa nell’accezione
moderna del termine. È un brano scritto in italiano da Teodoro Cottrau, che deriva da una prima
frase scritturale in dialetto napoletano, ed è la prima canzone napoletana ad essere stata tradotta
in italiano, ma varietà d’italiano discutibile, non perché non sia all’altezza della norma, ma è una
varietà caratterizzata da un certo tasso di letterarietà. È stato un trionfo in tutto il mondo e oggi
all’estero è presente sempre nei repertori di canzoni in italiano, tanto nei repertori di musica
leggera, quanto nei repertori di musica lirica, perché è stata adattata all’ambito di musica non
popolare.
È un brano che rientra nel genere della barcarola, cantato in origine dai gondolieri, che
accompagnavano i turisti nel golfo di Napoli o Venezia. Ha un ritmo lento e costante, che richiama
il movimento ondulatorio e lento della barca a remi o della gondola, che va piano.
C’è un abisso tra le due stesure:
Il genere è quello della villanella, sono canti a 4 voci di tonico ironico-scherzoso e satirico,
chiamato altrimenti frottola, come schema base per queste canzoni.
Si sviluppano alla corte di Federico II.
Sempre a Napoli, a partire dalla seconda metà del 600, si genera un altro tipo di canzone, cioè la
tarantella, anche se l’etimologia ci porterebbe in Puglia, perché tarantella, come danza popolare, a
coppia, alla città di Taranto. La taranta pare sia legata a Taranto, etimologicamente parlando. Ma è
una danza che diventerà popolarissima a Napoli, associata al morso della tarantola.
Sempre all’ambito napoletano, si colloca il grande successo della canzone dialettale popolare,
verso la fine dell’800. Funiculì funiculà, è la canzone che pubblicizza la realizzazione della
funicolare che portava sul Vesuvio. O sole mio è del 1898-99.
Nell’800, aldilà dell’ambito dialettale, si presero a cantare le arie delle opere più famose come
brani a sé stanti. L’aria è un motivo, un brano con una forma chiusa e che può stare a sé come
motivo isolato, e che può essere inserito in un’opera lirica. Nell’800 si estrapolano le arie come
brasi a sé stanti. Musicisti come Leon Cavallo iniziano questi procedimenti, a modellare le romanze
con l’uso del pianoforte. La romanza è una composizione che nasce da un’aria presa da un’opera
lirica che viene musicata e può essere cantata accompagnata da un pianoforte. Fu la prima forma
di diffusione privata di canto e musica.
Furono definite la colonna sonora della borghesia. Instaurarono quello che può essere chiamato
“concerto in casa”.
Parallelamente si sviluppa il “caffè concerto”, che riflette il modello del café chantant francese, che
nasce nei caffè parigini. Era uno spettacolo che si componeva di tante piccole parti, delle
rappresentazioni teatrali, intervallati da balletti o giocoleria e da canzoni, di tipo popolare, ma in
lingua italiana. Come la romanza da salotto, anche questo si sviluppa negli anni precedenti la
grande guerra (in Francia e in Inghilterra già dalla fine del 600). In Francia si svolgevano nei caffè,
invece all’inizio in Italia si svolgevano nelle piazze cittadine, su pedane, per poi sposarsi nei caffè.
Differenza tra Francia e Italia: all’estero era all’insegna dell’intrattenimento, ma dell’eleganza e
raffinatezza; in Italia è sempre stato legato all’idea peccaminosa della donna, della bellezza
femminile e mai si liberò da questo sospetto di mezzaneria. Riguardavano donne belle, esplicite. In
Italia a partecipare a questi erano specialmente i giovani studenti e i testi delle canzoni sono quasi
sempre audaci: “la donna senza cuore, volubile e leggera”, o “che paniere”, “com’è bello il tuo
cestino”. Resta però un dato: sono tra le prime canzoni in lingua italiana.
Dal caffè-concerto si sviluppa il varietà, questa volta teatrale, non più improvvisato, sempre di
carattere leggero, basato sull’alternanza tra balletto e scene comiche. Nasce come evoluzione del
caffè-concerto e ha successo durante il fascismo, in un periodo in cui diventa concorrente
dell’altro genere, l’operetta. L’operetta arriva dalla Francia e ha come la varietà alternanza tra
brani cantati e scenette; si sviluppa negli ambienti più sensibili all’influenza parigina, come Genova
e Roma.
Influenze tecnologiche, in particolare la nascita della fonografia, cioè tecnica di registrazione e
quindi riproduzione di suoni, dei brani registrati. Ciò contribuisce in maniera determinante allo
sviluppo e al successo della canzone italiana, soprattutto quella moderna. È l’antenato del
giradischi. Nasce grazie a Thomas Edison che scopre per caso questa tecnica. Il primo fonografo
pubblico a pagamento si trova a San Francisco nel 1889, riproduce pubblicamente brani registrati.
Con l’inizio del 900, viene introdotto il disco, e quindi il giradischi a manovella. In Italia le prime
incisioni sono della Fonit (?), 1911.
Fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, esercitano un ruolo determinante nella diffusione
della canzone popolare italiana i canti patriottici e i canti politici. Un solo esempio, il più
importante: “Canto degli italiani”, divenuto poi “Inno nazionale”. È un canto patriottico molto
popolare durante il Risorgimento, è del 1847, siamo nell’epoca decisiva del Risorgimento. È
composto da Goffredo Mameli e musicato da Michele Novario e venne cantato per la prima volta
durante i moti di Genova, fase di tumulto che segna le tappe importanti di quel tempo. Diventa poi
inno d’Italia soltanto alla fine della Seconda Guerra Mondiale, dal 1946. Viene scartato dai Savoia,
perché era un brano antimonarchico, molto poco conservatore.
Anche qui rileviamo la presenza di un linguaggio che è tutto tranne che leggero, popolare e
colloquiale. L’Italia s’è desta, forme arcaiche letterarie, participio passato. “stringiamci” è un caso
di sincope. Tra questi canti patriottici si ricordano quelli legati alle grandi ondate migratorie che si
sono susseguite tra la fine dell’800 e i primi anni del 900 (1880-1920 sono 20 milioni gli italiani che
si imbarcano da Napoli per le Americhe Nord e Sud: di questi 4 milioni solo negli Stati Uniti, un
terzo va a New York, che diventa la più grande città italiana). La più nota è “Mamma mia dammi
cento lire”, detta la canzone della maledizione della mamma, poiché nasce da una canzone
dialettale che aveva questo titolo.
Anche quelli politici sono interessanti: “Addio a Lugano” 1894 a livello storico-culturale, scritto da
Pietro Gori in carcere; “Bandiera Rossa” del mondo operaio, che ha origine lombarda.
Scoppia la Prima Guerra Mondiale. I canti della grande guerra: “Il Piave” del 1918, scritta alla fine
della PGM che celebra la resistenza dell’esercito italiano sul Piave, in Veneto, che alla luna
determina la fuga dell’esercito austroungarico e la vittoria dell’Italia. Anche qui la classica retorica
è presente nella lingua: piano aprico, tripudiar, la notte è trista.
“O soldato innamorato” è il canto di un soldato durante la PGM, è del 1915, inizio della Guerra.
Il quadro sociale
Leggendo i testi delle prime canzoni, quindi i testi delle canzoni delle prime edizioni del Festival,
appare chiaramente la rappresentazione di un paese, l’Italia, ancora molto arretrato, paternalista,
bonario, un paese con ferite ancora da rimarginare. Testi che hanno dei picchi di sentimentalismo,
che si manterranno stabili nel corso di buona parte della storia di Sanremo, e danno anche una
rappresentazione di un provincialismo in questa fase rassicurante per il pubblico, come per dare
l’idea di un gran paese lacerato.
Questa caratterizzazione non va slegata dal quadro politico italiano di quegli anni. La canzone
italiana trionfa quasi contemporaneamente con la democrazia cristiana che nel 1948 guadagna più
del 48% di preferenze. La canzone italiana si mette subito in riga, scacciando senza troppi problemi
l’energia e l’idea di sessualità nei testi che arrivavano da altre culture e facendo posto a
madonnine, chiesette, preghiere, religione. La triade, che caratterizza i testi delle prime edizioni.
Le prime edizioni
La prima edizione, quella che inizia di lunedì, prevede una competizione di 20 canzoni scelte dalla
Rai, che ha organizzato il Festival. Nel frattempo, era sorta la RAI.
Un aspetto di costume è che in sala il pubblico non è seduto sulle classiche poltroncine da teatro e
attento all’ascolto delle canzoni, anzi, è raccolto intorno a tavolini stile cabaret e caffè-concerto.
Durante il Festival il pubblico cena.
3 interpreti: Nilla Pizzi, Achille Togliani e il duo Fasano. Ciascuno di questi interpreta più brani. E
vince Nilla Pizzi con “Grazie dei fior”. Il pubblico decide la vittoria. Già l’anno dopo, case
discografiche fanno a gara per essere ammessi, ma ci sono ancora tavolini in sala.
Fior/amor/cuor/ancor forma di troncamento, perché una parola piana come amore, perdendo la
finale, diventa tronca e funziona bene a fine verso. Le metafore sono trite, “in mezzo a quelle rose,
ci sono tante spine”.
Nella seconda edizione c’è altra attenzione nei confronti del Festival, nonostante la dinamica fosse
simile all’edizione precedente.
Vince la seconda edizione un bravo diventato abbastanza importante “Vola colomba”, un brano
che trasmette l’idea di un’Italia con tradizione contadina, i cui simboli sono il campanile, la
campana, la collina, amore contrastato per ragioni politiche. A accompagnare il testo ci sono
violini, oggi quasi stucchevoli, e dei cori, anzi voci, che richiamano i cori degli alpini. Non è un caso
che dai critici sia stata definita una sorta di ninna nanna. Nilla Pizzi vince, tutti e tre i premi.
Nella terza edizione, il Festival cambia un po’ la sua fisionomia. C’è una doppia orchestra, quindi il
rilievo che si da alla musica è diverso rispetto alle prime e due edizioni, e scompaiono i tavolini da
sala. Si mobilita la stampa per la prima volta, insieme alle case discografiche. Quella dei dischi sta
diventano un’industria florida, promettente, su cui è bene investire. Non vince Nilla Pizzi, che
comunque fa il secondo posto, ma Carla Boni.
Gianni Bornia ha scritto una canzone della storia italiana, che ancora oggi è riferimento di studio di
questa tematica, e sostiene che nell’edizione del 1954 si tocca il fondo con il brano “Tutte le
mamme del mondo”. In questo brano è assegnato alla donna il ruolo di madre quasi moniacale.
1958 fine gennaio: Domenico Modugno sale sul palco dell’Ariston e canta “Nel blu dipinto di blu”,
canzone che genera uno scossone, che apparentemente sembra far vacillare quel tradizionale
assetto della canzone italiana fino ad allora.
Il corriere della Sera giudica questa canzone: “la canzone più originale, più nuova, più estrosa nella
musica e nel soggetto”. Il successo della canzone è planetario. Dai dati di Rolling Stone, è una
canzone che ha venduto 22 milioni di dischi nel mondo e che sembrerebbe essere ancora oggi la
seconda canzone più venduta di tutti i tempi in tutto il mondo, dopo White Christmas di Bing
Crosby. Resta per tredici settimane nella classifica di vendita negli Stati Uniti. In Italia vende
800.000 copie. Le è toccato essere molto di più che una canzone, perché è stato prima di tutto uno
spartiacque: la vita prima e dopo la canzone, un segnalibro dei tempi. Segna la VERA data di inizio
della carriera musicale.
IL SECONDO NOVECENTO: INTRODUZIONE
Per parlare di una canzone contestualizzata al suo interno, ma al contrario, per inserire
complessivamente e anche attraverso percorsi specifici l’italiano della canzone all’interno di un
quadro più ampio (culturale, storico, sociale, di costume) e per comprendere a fondo le soluzioni
linguistiche alla base dei testi, occorre tratteggiare il quadro dell’Italia dal punto di vista sociale,
culturale e linguistico di quegli anni.
25/02/2021
L’ITALIANO POPOLARE
Premessa: la variazione diastratica
L’italiano popolare è da molti studiosi una varietà storicizzata, cioè che oggi da un punto di vista
tecnico non esiste più. Ma è fondamentale nei decenni descritti. È una varietà collegata con una
delle dimensioni della variazione linguistica, ossia la variazione diastratica. L’italiano, come tutte le
altre lingue vive, è una lingua che varia al variare di diversi fattori. Per variazione linguistica si
intende il carattere delle lingue vive di essere mutevoli, e quindi presentarsi sotto forme diverse
nel comportamento dei parlanti. La variazione linguistica dipende da una serie di fattori: il primo è
il fattore sociale. La lingua varia al variare delle caratteristiche sociali dei parlanti.
È nota fin dall’antichità la constatazione che persone che appartengono ad una stessa comunità di
parlanti (quindi usano la stessa lingua, come gli italiani) differiscono nel modo di parlare e di
scrivere la loro stessa lingua e che tale differenziazione/variabilità è sistematicamente legata ad
alcune caratteristiche proprie dei parlanti. Esistono cioè secondo la sociolinguistica una serie di
fattori che determinano quella differenziazione dei parlanti.
Questi possono essere:
1. Grado di istruzione: è il fattore più determinante. A livello sociologico, non
necessariamente sociolinguistico, la stratificazione dei parlanti in gruppi o classi sociali è
determinata da tre parametri, cioè reddito, occupazione e grado di istruzione (soprattutto
quest’ultimo). Al variare del livello di istruzione varia la capacità di un individuo di parlare e
di scrivere, ma non è detto che vari al variare del primo fattore, cioè il reddito o del
secondo, l’occupazione.
2. Modelli culturali e comportamentali di riferimento: un individuo sviluppa una propria
competenza linguistica, tanto nel parlato, quanto nello scritto, per effetto dei modelli
culturali, che agiscono sulla sua competenza, sull’acquisizione di una competenza
linguistica attiva. Se il modello culturale è rappresentato dalla letteratura, cioè legge molti
testi letterali, avrà, di conseguenza, una competenza linguistica di un certo tipo. Anche i
livelli comportamentali incidono, come il livello comportamentale della famiglia. Esistono
studi sulla povertà educativa, condotta dalla fondazione Openpolis, dai quali si rileva che
oltre il 50% dei minori in Italia, tra i 6/18 anni non ha letto un libro.
3. L’età: le giovani generazioni sono sempre state considerate un fattore di innovazione
linguistica. I giovani come gruppo sociale sono riconducibili a innovazioni, non soltanto
linguistica, i giovani sono i più attenti a captare le nuove tendenze, all’opposto degli
anziani, specie se, in una situazione come quella italiana con basso livello di istruzione, è
visto come individuo più conservatore.
4. Genere: l’analisi del rapporto tra comportamento linguistico e genere si è mossa a lungo
attraverso due ipotesi opposte: le donne sono considerate un elemento di conservazione
sociale e linguistica dalla dialettologia e dalla geografia linguistica (due fondamentali rami
della linguistica).
I dialettologi hanno sempre considerato le donne i migliori soggetti da osservare,
analizzare, registrare e intervistare, per ottenere in cambio la restituzione di una
forma meno contaminata di dialetto. Le donne rappresentano più degli uomini la
conservazione di abitudini anche linguistiche.
All’opposto, una parte consistente della moderna sociolinguistica (altra branca della
linguistica) attribuisce alle donne delle classi medie una maggiore inclinazione a
mutare il proprio linguaggio, rispetto agli uomini, per adeguarsi al linguaggio dei
gruppi più alti della scala sociale.
Variazione diastratica: dimensione collegata con lo strato sociale di un parlante o di una comunità
di parlanti. Tale variazione p riconosciuta, anche se non sempre in maniera consapevole, dagli
stessi parlanti di una comunità che assegnano il ruolo di importante indicatore della collocazione
sociale di un individuo la sua competenza linguistica. Forse più ieri che oggi. Il saper parlare e
scrivere bene è un indizio importante per la collocazione di un individuo nella società per stessa
ammissione di quei membri nella comunità.
Immaginiamo la variazione diastratica come un segmento con due poli. Ai due poli le due varietà
poste agli estremi: in alto le varietà tipiche degli individui con livello di educazione più alto, in
basso individui con livello di istruzione basso o nullo. Le due varietà ai due poli sono: nel polo alto
l’italiano colto (formale-aulico), ovvero l’italiano impiegato a livello scritto e a livello orale dai
parlanti di livello socioculturale alto o medio-alto, e non può essere descritta in una serie di tratti,
in quanto coincide con l’italiano standard; nel polo basso, l’italiano popolare.
Oggi il saper scrivere e parlare bene non sono visti come una competenza necessaria. Oggi non c’è
mai o quasi mai la lingua, la competenza linguistica nel centro d’attenzione del parlante. È
reputato più efficace apparire attraverso altre forme, come abbigliamento, cura del corpo,
strumenti digitali. Il risultato è lo stesso o, per lo meno, molto simile. Possiamo riconoscere una
varietà sub-standard, trascuratezza, scarsa attenzione alla forma. Il problema non è l’italiano, ma
chi lo usa.
L’ITALIANO REGIONALE
Un’altra dimensione fondamentale per l’Italia in quegli anni in cui l’italiano si sviluppa a livello
orale nelle diverse regioni è la diatopia o variazione diatopica. Per variazione diatopica si intende
una dimensione focalizzata sullo spazio geografico entro il quale una lingua viene utilizzata. Una
stessa lingua muta al variare dello spazio e muta in uno spazio nei diversi territori nei quali viene
utilizzata; tanto più sarà ampia la superficie entro la quale viene utilizzata una lingua, tanto
maggiore sarà a livello teorico la sua capacità di variare nel territorio (spagnolo in Sud America,
situazione in India). Il latino parlato a Roma non era lo stesso parlato in Sicilia, Sardegna, Dacia,
ecc., anzi, la variazione diatopica applicata al latino è uno dei motivi che ha successivamente
determinato l’evoluzione del latino nelle lingue romanze.
La capacità di una lingua di variare nello spazio non è solo determinata dall’ampiezza di un
territorio, anzi, l’italiano è una delle lingue che mostra il maggior tasso di differenziazione interna
per la dimensione diatopica, proprio per ragioni collegate allo spazio geografico e al mutare del
territorio, nonostante il territorio italiano sia piccolo.
Ciò che distingue la nostra lingua dalle altre romanze è la presenza dei dialetti. Dopo gli anni 50,
l’italiano fa ingresso nelle diverse regioni e incontra altre lingue. Incontrando i dialetti locali,
l’italiano, pur senza subire conseguenze drastiche, rimanendo sempre italiano, ha subito in
maniera positiva l’influenza dei diversi dialetti. In quegli anni nascono nelle diverse regioni delle
diverse varietà di italiano che non sono semplicemente distinte tra loro per minime questioni
fonetiche, trascurabili, ma sono varietà che tra loro presentano differenze su tutti i livelli di analisi
linguistica e che possono giungere come effetto non troppo estremo anche a generare situazione
di non comprensibilità tra parlanti di una stessa lingua. Tale variazione, determinata da fattori
diatopici, prende il nome di italiano regionale.
Italiano regionale: «quella varietà di italiano usata in una determinata area, che denota
sistematicamente, ai diversi livelli di analisi, caratteristiche in grado di differenziarla sia dalle
varietà usate in altre zone sia anche dal cosiddetto italiano standard» (D’Achille 2002: 26).
È una varietà di italiano che è usato in un determinato territorio e che si caratterizza a tutti i livelli
di analisi per una serie di tratti che consentono di differenziarla sia dalle altre varietà regionali, sia
dall’italiano vero e proprio, quello standard.
Osservazioni generali
L’italiano regionale è di una zona, di una determinata area. Non ci si riferisce alle regioni
amministrative, ma a regioni linguistiche (area che presenta caratteristiche comuni di tipo
linguistico). Sono varietà fluide, più libere di modificarsi.
Sono varietà prima di tutto parlate, ma esiste anche l’italiano regionale nella scrittura, poiché tratti
del nostro italiano regionale orale compare nella scrittura.
Già dalla metà del secolo scorso è stato impiegato da alcuni dei nostri autori, in narrativa e nel
contesto poetico, per caratterizzare dal punto di vista espressivo il parlato di alcuni particolari
personaggi. Cesare Pavese, fin dalla metà degli anni 30, fa un impiego consapevole dell’italiano
regionale, di tratti e delle langhe di esso, e lo fa per marcare dal punto di vista diatopico e
diastratico il parlato dei suoi personaggi: per esigenza di mimesi (realismo linguistico), un po’ per
ragioni più sottili, con esiti straordinari. È più interessante rivelare come abbiamo numerose
testimonianze di scrittori che inseriscono, senza rendere conto, tratti regionali nei loro romanzi e
questo ci restituisce l’idea della profondità che l’italiano regionale ha nelle nostre abitudini
linguistiche.
Esempio: Alessandro Baricco, autore noto piemontese. I suoi romanzi sono caratterizzati da una
lingua che tende verso l’alto, fitta di citazioni letterarie, per lo più scolastiche. È una scrittura
enciclopedica, ma anche che si mantiene sul livello alto per l’intenzione dello scrittore di dare una
bella impressione di sé. Il mostrarsi verso l’alto fa trovare tratti come il SOLO PIÙ e altri tratti che
sono usi in riflesso regionale.
L’italiano regionale nasce al pari dell’italiano popolare quando la lingua nazionale entra nelle
diverse regioni. Ma qui c’è la differenza: quello regionale è quello parlato da tutti, non manifesta
devianze rispetto alla norma, non è quello ricostruito da chi non sa l’italiano, ma è parlato da
persone con istruzione medio-alta.
4/03/2021
L’ITALIANO REGIONALE TORINESE
Presenta tratti caratteristici propri.
- OH FRATE, LASCIAMI DUE NOTE: specifica formula torinese, le due note per indicare i tiri di
sigaretta, tipicamente piemontese.
- HO TAGLIATO: ho marinato la scuola
- C’HAI UN CICLES: gomma da masticare
- NE’
- GUIDO è l’autista del pullman.
- CI STA detto almeno 10 volte in una frase dal giovane torinese medio
Tra i principali morfosintattici non condivisi con altre regioni, troviamo una serie di
- avverbi e sintagmi verbali come solo più (ormai soltanto, ho di soltanto ancora), già (di
solito è utilizzato in strutture parentetiche o accidentali, sempre in frasi interrogative, per
indicare che l’informazione è nota all’interlocutore, ma che per ragioni non chiare in quel
momento non è più nota: com’è che ti chiami, già?)
- verbi pronominali impiegati in forma sintagmatica anche: osarsi, non oso è italiano, non mi
oso è piemontese. Anche questo è un effetto del dialetto.
- perifrasi: fare che + infinito, come facciamo che andare, o faccio che chiamarlo. Funzione
deontica, cioè che esprime un dovere attraverso una richiesta
- la particella neh che è un indicatore di domande orientate o domande-coda.
L’italiano regionale inizierà a comparire nelle canzoni dei cantautori, come De Gregori, Dalla. Si
ritroverà in maniera circoscritta nel rock che rinnova il canone tradizionale. E saranno molto più
frequenti nei testi moderni, quelli più giovanili e più aperti alle innovazioni, in particolare nel rap,
con la nascita dell’impiego del dialetto.
5/3/2021
La “gomma da masticare”
Vi sono tre tipologie ricorrenti:
- it. reg. sett. cicca (< lomb.)
- it. centr. gomma (> nord)
- it. sett., centr., merid. ciungai, cingum, cingomma, gingomma, ecc. (< ingl. chewing gum)
Esiti di diffusione areale circoscritta:
- piem. cicless (ma cfr. anche il bol. la cicle)
- fior. cincibiascia
- luc. caramella a molla («di uso raro»)
- sic. mastica, masticante, masticozza, tiramastica, ecc.
[2]
Criterio proposto da Alberto Sobrero sul raffronto con il toscano.
- Ci sono geosinonimi toscani per noi italiani forti, cioè quelle parole che di provenienza
toscana si diffondono in tutta Italia.
- I geosinonimi non toscani forti, cioè parole non toscane che però hanno la capacità di
concorrere per lo meno con i corrispondenti toscani, se non di avere la meglio, come
insipido, scipito, insulso, per indicare il cibo senza sale, rispetto al toscano sciocco.
- Geosinonimi che coesistono alla pari in un proprio ambiente geografico, come il toscano
babbo e il settentrionale papà, il toscano ciotola con il settentrionale scodella o il
meridionale tazza.
- Geosinonimi deboli, cioè assorbiti dal toscano, come il veneto santolo, il meridionale
compare, il sardo nonno, rispetto a padrino.
I criteri per stabilire la capacità di espansione dei geosinonimi o per stabilire il grado di
concorrenza che hanno con il toscano. La fortuna dei geosinonimi sfugge a criteri di analisi chiari,
univoci. Ci possono essere
- Fattori legati al prestigio culturale o economico e da qui si spiega il successo avuto da
parole settentrionali, come anguria, formaggio e panetteria (al sud panificio).
- Prestigio “nascosto” (dall’inglese covert prestige), cioè dipendente dai mezzi di
comunicazione di massa, in particolare la varietà romanesca con il successo avuto tramite il
canale televisivo-cinematografico, come pennica, bella, scialla, tardona, patacca, una cifra.
- Geosinonimi locali e regionalismi “alimentari”, nel 1975 da Sabatini, come gondola,
catasto, pizza, panettone, grissini, etc.
L’italiano standard ha vissuto come lingua scritta nei libri, ma non coincide con nessuna varietà
effettivamente parlata. Nella seconda metà del 900, si è reso visibile l’allargamento dello standard,
causato dal diffondersi dell’italiano nelle regioni come lingua utilizzata anche a livello orale, cioè
non doveva essere più un codice alto, ma lingua parlata in un quadro nuovo.
Un italiano standard che era paludato per sua stessa natura e tendente all’aulico, utilizzato a
livello scritto per la letteratura con lessico più adeguato ai temi del bello scrivere, ha dovuto fare i
conti e adattarsi a una situazione che si era venuta a creare a livello sociale. Ha dovuto allargare il
proprio raggio d’azione. Due effetti:
- Nascita dell’italiano regionale (mix di dialetto-lingue parlate)
- Ha dovuto abbassare il proprio livello, scendere verso le zone basse della variazione
linguistica. Ha dovuto accettare nell’uso quotidiano parole, costrutti, forme che per secoli
erano state considerate non grammaticalmente corrette o che erano state messe ai
margini. Molte di queste forme in questa fase devono essere recuperate e accettate.
Il nuovo standard è stato definito italiano neo-standard da Gaetano Berruto o italiano dell’uso
medio da Sabatini. Non è un italiano scorretto, perché quello dell’uso medio è una denominazione
con la quale Sabatini indica usi linguistici dell’italiano da parte di parlanti con istruzione medio-
alta, non è l’italiano popolare, neanche il regionale.
I tratti sono:
- A livello sintattico: vengono considerate accettabili nell’italiano dell’uso medio i fenomeni
della sintassi marcata, cioè la dislocazione a sinistra (le sigarette le compro io), e la frase
scissa (sono io che compro le sigarette) e dislocazione a destra (le compro io le sigarette).
- A livello morfosintattico: si registra una semplificazione. A livello pronominale, esempio,
cadono i pronomi personali, nessuno gli usa, ma si usano i pronomi personali complemento
(lui, lei, loro), o ancora come nell’italiano dell’uso medio venga accettato l’utilizzo di gli
come unico pronome dativo di terza persona, maschile, femminile e plurale.
- A livello lessicale: si caratterizza per una serie di parole nuove. A partire da un certo punto,
tra queste parole comincia ad intagliarsi spazio l’anglicismo. I neologismi, i prestiti di
necessità, i prestiti di lusso (non necessari, come fashion, anziché alla moda).
L’uso degli anglicismi è giustificato dal fatto che tutte le parole o quasi tutte sono polisemiche;
quando passano da una lingua all’altra come prestiti almeno in un primo momento sono
monosemiche, univoche, perciò sono particolarmente adatte a diventare tecnicismi (che per sua
natura deve essere chiaro, monosemico). Spread vale divario di qualsiasi genere, entra in Italia per
la differenza di rendimento tra titoli di stato italiani e tedeschi, quindi è una cosa ultra-tecnica,
ultra-precisa. Ciò giustifica l’ingresso di parole straniere, almeno in un primo momento. Entrò la
parola scooter in Italia, avendo vespa, motorino, moto, perché non possono sostituire la parola
scooter.
11/03/2021
L’Italia impara a Volare (1958)
Domenico Modugno salì sul palco e iniziò a cantare “Nel blu dipinto di blu”. Questa canzone aveva
generato molte aspettative ben prima della sua esecuzione e la percezione di una frattura con il
passato fu immediata. I quotidiani dell’epoca la accolsero come un trionfo. 22 milioni di dischi nel
mondo, il brano italiano più noto di tutti i tempi.
Ha nel titolo una sorte unica nella storia della canzone italiana: essere molto più di una canzone. È
uno spartiacque, identificano un prima e un dopo, segnando la vera data di nascita della moderna
canzone italiana. Nel 58 c’è ancora Nilla Pizzi che canta tre canzoni. C’è Claudio Villa,
rappresentante migliore pre-Modugno che canta 5 canzoni e poi c’è Modugno che si caratterizza
per un modello nuovo.
Per la prima volta una canzone è interpretata dal suo stesso autore. Qualcuno l’ha riconosciuto
come il primo cantautore.
Dalla metà degli anni 50 l’ascolto delle canzoni non è più solo attraverso la radio e la tv, ma anche
attraverso i dischi che promuovono una fruizione consapevole della musica, decido io cosa e
quando ascoltare. Non bisogna dimenticare che dalle statistiche di allora solo il 50% degli italiani
possiede la televisione. C’è anche il jukebox.
Un ruolo non secondario in questa rottura col passato viene di norma attribuito alle scelte
linguistiche del testo. Attraverso Volare la canzone italiana si proietta sul fronte linguistico in
un’epoca nuova. Lo stesso Modugno, finito il Festival, rivendicava il linguaggio modello della sua
musica e delle parole. Il messaggero segnalava come gli altri concorrenti erano rimasti a vecchi
schemi tendenti al patetico, al contrario di Volare che si caratterizzava per una lingua nuova.
Diamo uno sguardo alla lingua: ci sono degli elementi di discontinuità col passato, mancano cose
che erano presenti in precedenza:
- sono assenti gli arcaismi
- sono assenti i troncamenti in rima (cuor, amor, mar, sol che erano statisticamente tra le più
utilizzate)
Ma ci sono il cielo, il sole, il sogno, il volo, il vento che rapisce, gli occhi, la musica dolce che sono
gli stessi ingredienti a cui ricorrevano anche gli altri, che si trovano nelle canzoni di Claudio Villa
(più tradizionale conservatore). Il testo di Volare non è uguale, ma condivide con buona parte delle
altre canzoni, comprese quelle dell’ultimo anno, uno stesso codice, una sorta di grammatica del
testo cantato. Induce ad alterare l’ordine delle parole “Poi d’improvviso venivo dal vento rapito”,
inversione necessaria per il disegno delle rime baciate o ancora “gli occhi tuoi blu”, oppure “blu” è
in rima con “più su”.
In questa stessa grammatica induce a spezzare la frase in modo che il verso si chiuda con l’accento
giusto “ma tutti i sogni nell’alba svaniscono perché”, non corrisponde a unità semantica e
sintattica, è una spezzatura della sintassi del testo, resa necessaria per far finire il verso con una
parola giusta in rima.
Grammatica che impone la presenza in rima di alcune parole assai ricorrenti, dalle quali non si può
prescindere, come i monosillabi più, blu, su, sé, te e i termini con parole tronche lassù, perché,
quaggiù. Le novità riguardano in parte la struttura della lingua e a dimostrarlo ci sono le scelte
prese da Modugno.
Se quella canzone rappresenta tutto ciò, non è per il suo testo, ma molto più ha agito la musica, la
melodia e ancora di più la voce del cantante. Ma non solo, in un’epoca che consente la
trasmissione dell’immagina incise l’interpretazione teatrale di Modugno.
Se pensiamo all’edizione appena conclusa e a Orietta Berti, ha cantato come si cantava allora, ma
nel 2021, sguardo non troppo ballerino, movimenti quasi assenti.
Umberto Fiori, musicologo, riflette sul valore del termine “metrica”: «Con il termine metrica, nel
gergo della canzone, si intende lo schema al quale il paroliere deve attenersi quando applica un
testo a una melodia data».
Per chi scrive canzoni, la metrica è un passaggio fondamentale, non è tanto la costituzione di una
struttura metrica, ma l’applicazione di un testo alla metrica stessa.
«Il perfetto finimento della musica sempre si fa in battere, perocché quando la cantilena finisce in
levare lascia in sospensione gli ascoltatori» (Giovenale Sacchi, ante 1789).
Motivo perché le canzoni presentano parole che a fine verso hanno accento sull’ultima sillaba, o
monosillabi o parole tronche.
Le soluzioni ricorrenti
In italiano le parole con accento sull’ultima sillaba, le parole monosillabiche o che acquisiscono
accento su loro stesse sono poche e le soluzioni che possono essere individuate sono
numericamente limitate. Non c’è verso per riempire quella casella, bisogna ricorrere a soluzioni.
Questo vale per la canzone tradizionale, non per tutti i generi come il rap, la trap, nella canzone
d’autore o in alcune correnti dell’indie in cui manca la rima o viene sostituita con le assonanze.
Le soluzioni sono:
- Nomi in –à (bontà, felicità, serenità, città, libertà, sincerità) o nomi che finiscono in –è o in
–ù (caffè, te, tivù, tu)
- Futuri e condizionali, soprattutto la prima persona singolare (avrò, cadrò, morirò) anche al
di fuori di Sanremo, cioè La donna cannone di De Gregori. Il condizionale è più moderno e
si fa più comune a partire dagli anni 60.
- Il passato remoto, soprattutto le tre singolari. È la soluzione più datata.
- Frequenti gli avverbi accentati (qua, là, su, giù, qui, lì) o anche i bisillabi (così) senza
funzione sintattica
- Monosillabi
- I pronomi personali monosillabici (tu, te, me, lei, noi) seppur non accentati
- Onomatopee riconducibili ad esclamazioni e reiterazioni che, se inseriti alla fine di un
verso, riempiono il verso (Vasco di più di 20 anni fa), e nomi propri che hanno possibilità di
generare la rima (Carrà con Gianni Minà di Francesco Baccini in Ladri di biciclette)
- Parole tronche (cuor, amor)
- I forestierismi
- Le zeppe a fine verso: aggiunte solo per far tornare i conti ritmici come in Vasco “non te
l’aspettavi eh”
- Fenomeni di infrazione, di rispetto degli accenti. Ci sono soluzioni in cui, per assecondare la
griglia del ritmo musicale arrivano a forzare l’accentazione delle parole. Questo fenomeno
è la neometrica: esiste in Italia da una quarantina d’anni, nella trap e nel rap. Prevede di
alterare il corretto accento di una parola «Sei un mito, sei un mito per me / Sono anni che ti
vedo così irraggiungibilé. Non fa rima, ma per far sì che lo sia, viene aggiunto un accento
su irraggiungibile. Max Pezzali l’ha giustificato perché veniva utilizzato dai Public Enemy
negli Stati Uniti.
È un ricorso poetico, non antico. Nella letteratura e nella poesia delle origini fino al 1500 non si
rileva mai o quasi mai, ad esempio Dante tende regolarmente a far coincidere l’unità metrica del
singolo verso con l’unità sintattica e concettuale di una frase. Ad ogni singolo verso corrisponde
un’unità sintattica e una semantica, di modo che ogni verso abbia un suo significato autonomo.
Nell’800 e ancora di più nella poesia del 900 e quella contemporanea, i poeti tendono a spezzare i
versi unitari, sia per dare maggiore rilievo a singoli elementi, lasciare a fine verso un termine
spezzando un’unità sintattica, per dargli maggiore enfasi, sia per creare maggiore fluidità ritmica.
Per spezzare questi momenti monotoni, si ricorre anche al verso libero, come l’Infinito
leopardiano.
Nella canzone meno queste spezzature sono necessarie rispetto alla poesia e alla letteratura. Sono
finalità meno artistiche, ma ugualmente utili, come non ti credo e perciò / stai lontana da me / non
cercarmi perché / io ritorno da chi / già sapeva che sarebbe finita certo così (A. Celentano, Stai
lontana da me, 1962).
«non era bello / ma accanto a sé / aveva mille donne se / cantava Help o Ticket to Ride / o
Lady Jane o Yesterday» (G. Morandi, C’era un ragazzo, 1967); non è molto comprensibile, perché
molto estremo, è una spezzatura molto forte. L’accento rende quasi comprensibile questa
struttura.
Indipendente da esigenze metriche e più originale, salvo quello di Togni («sembro uscito da un
romanzo / giallo» (G. Togni, Luna, 1980), è quello di Tiziano Ferro, («Perdono sì quel che è fatto è
fatto io però chiedo scusa regalami un sorriso io ti porgo una /rosa su questa amicizia nuova pace
si / posa perché so come sono infatti chiedo / perdono» (T. Ferro, Perdono, 2001) con un effetto
circolare, perché la sua ripetitività permette che la rima non sia al fondo, ma più un’assonanza
iniziale, sulla prima sillaba di ogni verso. È in questa direzione che vanno tutti i casi di alterazione
della struttura sintattica che si ritrovano nel rap e nella trap.
La rima
Non va dimenticato che la rima, intesa come elemento indispensabile nella canzone tradizionale,
ha una valenza elastica e talvolta approssimativa, come per la metrica, perché vengono percepite
e utilizzate come rime tante soluzioni che rime non sono, ma che proprio per la sovrapposizione
dell’accento e del testo sulla musica sembrano rime. La rima parte dall’ultima sillaba tonica, non
solo dall’ultima lettera accentata a fine parola. Le quasi rime funzionano esattamente come le
rime, perché sorrette dall’accento musicale.
- "cantavano la loro proposta / ora pare ci sarà un'inchiesta" (I Giganti, Proposta, 1968);
non è rima, ma più un’assonanza. La canzone si chiamava protesta e la data non è
casuale. Viene censurata inizialmente per il titolo PROTESTA, allora I Giganti, ascoltata
l’indicazione artistica che la giudica troppo forte, la sostituiscono con PROPOSTA. Tra le
due parole c’è consonanza e assonanza, ma viene meno la rima.
- «a riscoprirmi uomo / io sempre lo stesso / più̀ grigio ma non domo» (C. Baglioni, Io
sono qui, 1995); dittongo rimato con una vocale semplice. È un’infrazione gravissima
dal punto di vista poetico, ma nella canzone funziona.
- - «e vado e poi ritorno / e son tre notti che non dormo» (Zucchero, Per sempre tuo,
1998); rima tra N e M.
- "e intanto il mondo rotola e il mare sempre luccica domani è già domenica e forse
forse nevica" (Vasco Rossi, Basta poco, 2007). Questa è una rima ritmica, coinvolge
parole sdrucciole che coinvolgono la terzultima sillaba. Questa rima, nella canzone
tradizionale, comincia a comparire da un certo punto, quasi mai generando rime, ma
generando consonanze o assonanze.
Ci sono soluzioni più originali, perché rinunciano alla rima, ma non alla sequenza di parole con
suono simile o omofone, ma non mettono queste parole a fine verso. È un escamotage che si trova
nella lingua della poesia e al di fuori di Sanremo.
- Effetti finta: è una rima interna che gioca sulla prevedibilità della rima delle canzoni.
Poiché le parole sono ricorrenti, è facile attendersi una rima. Questo effetto fa sì che si
sottrae all’attesa dell’ascoltatore, ponendo la rima nel verso e non alla fine. Come in
Gloria di Umberto Tozzi “acqua nel deserto/lascia aperto il cuore”. L’emozione non ha
voce di Celentano dice “tra le mie braccia dormirai serenamente / ed è importante
questo sai per sentirci pienamente noi.”
- Il verso copia: più attestato nella canzonetta. Consiste nella ripetizione in sequenza di
due versi che tra loro sono quasi identici, sono basati su un calco identico e si
differenziano per una minima variazione posta nella seconda metà del verso.
- Verso puntello: più o meno la stessa cosa del verso copia. Può anche essere un verso
che si ripete nel corso della canzone mantenendo il suo elemento iniziale. Come saprei
di Giorgia è un elemento che agisce da puntello attorno al quale ruotano i versi.
- Anadiplosi: connesso con l’enjambement. Dal punto di vista della retorica è la ripresa
della parte conclusiva di un verso all’inizio del verso successivo. Gianni Morandi in
Ginocchio D’Atene diceva “l’altra non è / non è niente per me”. Patty Pravo in Dimmi
che non vuoi morire diceva “la cambio io la vita che / che mi ha deluso più di te”.
- C’è chi ha giocato con l’ossessione per la rima: "Poi comincia il lavoro e dimentichi il
cuoro (ma la notte no) parli sempre e soltanto delle cose importanto (ma la notte no), e
ti perdi la stima se non trovi la rima" (R. Arbore, Ma la notte no, 1985). Qui la rima c’è
alla fine, ma si parla di ossessione per la rima. Arbore ironizza su questa ricerca
esagerata della rima.
Lessico e retorica
Dal punto di vista del lessico, pochi sono stati i cambiamenti, perché a Sanremo deve concentrarsi
un certo stile. Musica e testo si muovono in parallelo. Il lentissimo rinnovamento ha riguardato gli
aspetti esteriori della musica e della lingua. Sul fronte musicale ha riguardato gli arrangiamenti, sul
fronte linguistico il rinnovamento si nota a livello lessicale. Ma questo progresso non intacca i due
nuclei principali, cioè la melodia e la rima che è constante, viva e tronca.
All’altezza dei primi anni 80 non si può rivelare come non si siano trovati a interpretare un altro
standard della lingua. Parallelamente all’italiano standard, sul fronte sanremese sul fronte
linguistico si assiste all’entrata di un nuovo standard, di un sanremese neostandard.
Fanno la loro entrata sul palco dell’Ariston parole come mafia o espressioni come buco nell’ozono.
12/03/2021
Lessico e retorica
Dal punto di vista del lessico, pochi sono stati i cambiamenti, perché a Sanremo deve concentrarsi
un certo stile. Musica e testo si muovono in parallelo. Il lentissimo rinnovamento ha riguardato gli
aspetti esteriori della musica e della lingua. Sul fronte musicale ha riguardato gli arrangiamenti, sul
fronte linguistico il rinnovamento si nota a livello lessicale. Ma questo progresso non intacca i due
nuclei principali, cioè la melodia e la rima che è constante, viva e tronca.
All’altezza dei primi anni 80 non si può rivelare come non si siano trovati a interpretare un altro
standard della lingua. Parallelamente all’italiano standard, sul fronte sanremese sul fronte
linguistico si assiste all’entrata di un nuovo standard, di un sanremese neostandard.
Fanno la loro entrata sul palco dell’Ariston parole come mafia o espressioni come buco nell’ozono.
I dati numerici:
siamo giunti alla 71° puntata, con una media di 20/25 canzoni all’anno.
Le parole più utilizzate in assoluto sono:
- Amore: 1072 occorrenze su 1800 canzoni presentate.
- Cuore e Mare (entrambe a distanza notevole dalla prima)
- Poi: fuoco (metafora amorosa), sempre, cielo, blu.
Inoltre, si tratta di un lessico non quotidiano, poiché ricco di arcaismi, voci desuete, cultismi di
appartenenza melodrammatica. Al punto che, nel 1987, Tiziano Scarpa, scrittore, pensò di giocare
sulla prevedibilità del lessico sanremese, sulla presenza di certe parole che compongono il
vocabolario di base di Sanremo e aveva pensato di assegnare ad ogni parola un punteggio e di
verificare quale tra i testi in gara avrebbe ricevuto il punteggio più alto. Il punteggio era doppio se
queste parole comparivano nel titolo. Il risultato non rispecchiò le sue ipotesi, cioè che la canzone
con il punteggio più alto avrebbe vinto.
Un vocabolario abbastanza consueto nel quale si rileva in aggiunta una sorta di preferenza
marcata per i toni sentimentali (si canta sempre d’amore), languidi e lacrimosi.
Molto ricorrenti gli imperativi imploranti, come ascoltami, parlami, prendimi, perdonami. Sono
rivolti sempre al tu e hanno la funzione di implorare l’interlocutore o l’interlocutrice.
Di contro possiamo vedere tutto quello che manca nella tradizionale canzone sul piano lessicale:
- Sono scarsi i termini di ambito colloquiale, voci quotidiane con un dato interessante:
queste voci nel nuovo millennio hanno aumentato la loro presenza in termini numerici.
- Rari i forestierismi. La tendenza all’impiego delle parole straniere nei testi (quasi sempre
anglicismi) ha preso ad essere più frequente negli ultimi anni. Gli anglicismi li troviamo nei
brani alternativi, non proprio ortodossi. La maggior parte dell’edizione 2020/21 si trovano
nel testo di Willie il Peyote.
- I tecnicismi: i più ricorrenti sono quelli della medicina, soprattutto della psicologia e della
psicanalisi.
- Limitato l’uso del dialetto, ma non stupisce, poiché è meno comprensibile dell’italiano, non
offre la possibilità di fruizione della lingua italiana. Sono state poche le canzoni che hanno
sfruttato la risorsa offerta da esso. Quando c’è, è funzionale al richiamo alla tradizione, idea
di campanilismo che allontana dagli usi innovativi del dialetto. Ci sono state eccezioni: 1997
a Sanremo si sentì il dialetto veneziano, i Pittura Fresca, gruppo reggae che si piazzò 16°
con la canzone Papa nero.
- Scarso il numero dei regionalismi, cioè le parole che appartengono a varietà regionali di
italiano. Sono nulli fino agli ultimi anni. Cominciano a comparire nelle edizioni più recenti,
ma in percentuale trascurabile, in un numero che non fa nemmeno statistica e compaiono
come sempre all’interno di canzoni presentate da esponenti di generi meno tradizionali,
più marginali. Un caso nell’edizione di quest’anno. La Paranza di Daniele Silvestri, autore
che ha partecipato spesso al Festival e spesso ha partecipato con canzoni interessanti dal
punto di vista linguistico e metrico. È un’eccezione perché è un brano che non parla
d’amore (L’uomo con il megafono anche), si occupa di attualità. Il brano si apre con una
parolaccia, con un ribaltone “mi sono innamorato di una stronza”.
- Quasi del tutto assenti le componenti più espressive del nostro lessico, il gergo, il
linguaggio giovanile con eccezioni.
Le parolacce: nessuno ha studiato la consistenza del turpiloquio di Sanremo.
Lucio Dalla nel 1971 si presenta con un brano meraviglioso: 4/3/43 che indicano la data di nascita.
Nel brano dice “ancora adesso mentre bestemmio e bevo vivo, per ladri e puttane sono Gesù
bambino”, è blasfemo e la canzone viene censurata e accetta di modificarla trasformandola e
modificandola “per la gente del porto mi chiamo Gesù bambino”, togliendo il “bestemmio” con
“adesso gioco a carte e bevo vino…”. Si perde il turpiloquio ma sul fronte artistico non c’è stata
perdita.
Legato al turpiloquio, anche se non direttamente indipendenza dal turpiloquio, è il taboo
linguistico. Taboo è termine che in origine designava una proibizione rituale, era una proibizione
legata a qualche azione o rito. Il termine poi ha acquisito nell’accezione corrente al significato della
proibizione dell’uso, cioè nelle diverse culture e nelle diverse fasi storiche ci sono dei referenti che
vuoi perchè sono sacri, perché sono portatrici di valori negativi, non possono essere chiamati per
nome. Dio non si nomina invano per esempio. Avviene che, persone, animali, oggetti, azioni e idee,
caricati a tal punto di connotazioni culturali possono essere in grado di trasferire la loro
caratteristica peculiare sulle rispettive designazioni, sulle parole che servono ad indicare quei
concetti e devono essere evitati o sostituiti da altre meno esplicite.
Le sfere più complite dal taboo sono da sempre la magico-religiosa (sacralità della religione), la
sfera della malattia, la morte e la sessualità e le funzioni corporali (soprattutto sugli ultimi due
aspetti). Per superare l’interdizione, ci sono delle strategie lessicali che operano sul significato o
sul significante, con sostituzione per perifrasi, metafora, con un latinismo o forestierismo.
Il taboo a Sanremo ha agito sulla sessualità e di riflesso sul lessico della sessualità.
Si canta sempre d’amore, ma mai di sesso, o quasi mai. Quando lo si fa, lo si fa con un certo
pudore, con eufemismi, cioè soluzione che consente di evitare l’interdizione linguistica.
Il disfemismo: parola con carica più forte, è il contrario dell’eufemismo. Cavolo è un eufemismo,
utilizzato per sostituire il membro maschile.
Basta evitare la parola sesso. La prima attestazione della parola sesso è stata nel 1978, significa
che per la metà delle sue edizioni il Festival è riuscito a fare a meno di essa.
Chi è il primo ad usare la canzone con la parola sesso? Rino Gaetano con la canzone Gianna. È un
cantautore, non un cantante di Sanremo. Qui porta un brano diverso, in quanto non si sente nel
suo habitat. Inizialmente voleva portare Nun te regghe più, ma poi cede e presenta Gianna. È un
brano che è tendente al surreale, ma come sempre è un caso isolato, un’eccezione che conferma
la regola.
A partire dalla seconda metà degli anni 80, sembra tornare ma con una frequenza molto rara,
quasi sempre in brani interpretati da uomini, ma con un’eccezione: Loredana Bertè con Angeli,
angeli dove canta “io non sono normale, dormo coi vestiti addosso, faccio solamente sesso”.
Forte. Perché la parola pronunciata da una donna fa molto, in un ambiente perbenista e forte
perché è inserita nella locuzione “fare sesso”, senza giri di parole.
La stessa espressione è stata ripresa da Irene Grandi nel 2020 che dice “se vuoi fare sesso,
facciamolo adesso, qui”. Anche qui situazione molto esplicita e interessante segnalare che questo
brano è scritto da Vasco Rossi, quindi genere rock.
Guardando la qualità delle attestazioni, vediamo che quando si trova questa parola è quasi sempre
per lo più inserita in costrutti che descrivono la tradizionale posizione tra sesso e amore.
Max Gazzè è l’autore che ha utilizzato più volte la parola sesso, ma in costrutti ricercati, mai diretti
ed è l’unico che usa la parola in un titolo Il solito sesso nel 2009.
Tessuto stilistico e retorico: costituzione di figure retoriche e significato che costellano i testi,
come metafora e similitudine. Nel Sanremese tradizionali, a dispetto del passare del testo, si rileva
come quel tessuto sia rimasto quasi immutato, si trovano cioè le stesse metafore, le stesse
similitudini. Amore è ancora l’amore. Si parla di amore attraverso figure ricorrenti. È associato al
fuoco o alla fiamma che brucia.
Fuoco d’amore: soprattutto nei testi delle ultime edizioni, soprattutto giovani proposte. Semplice
prolungamento dei tsti delle edizioni precedenti, ma anche quello di Orietta Berti.
Giorgio Gaber ironizza sulla metafora dell’amore che brucia. 1961 Benzina e cerini dice “il mio
destino è di morire bruciato, la mia ragazza deve averlo giurato”.
Retorica patriottica, altro tema molto forte, cantato sempre con toni pressappoco identici da una
canzone all’altra.
Canzoni che trasmettono puntate di brevi episodi su una (determinata) storia d’amore, presenza di
un dialogo con il/la propri* amat*.
L’anglicismo più utilizzato è il pronome “you” nell’edizione sanremese del 2020 e l’articolo
mostrato dice che questo utilizzo è da collegare alla serie Netflix You. Compare 6 volte nello stesso
brano, nel medesimo contesto e nella medesima frase. Il brano è Niente di Rita Pavona.
You appare sempre in costrutti largamente prevedibili. Si ritrova nel modulo I LOVE YOU, già a
partire dalla prima metà degli anni 80.
I colloquialismi, cioè voci di uso quotidiano, tutto quel vocabolario non letterario e non
tradizionale non utilizzato a Sanremo. Nell’edizione di quest’anno: in Navincola il termine padelle,
in Foldcast le mutande (parola forte per i canoni sanremesi). Prima di questa edizione compare in
8 canzoni a partire dalla fine degli anni 70, di cui il caso più notevole si trova in Caffè Nero Bollente,
brano con il quale Fiorella Mannoia per la prima volta partecipa a Sanremo. Una donna, con un
tasso di espressività maggiorato, anche considerando i termini e considerando anche il contesto in
cui compare “Un filo azzurro di luce scappa dalle serrande/cerco invano qualcosa da inventare in
mutande”. “Ma io come Giuda, so vendermi nuda/Da sola sul letto, mi abbraccio, mi
cucco/Malinconico digiuno senza nessuno”, anch’essa frase molto forte, tutt’altra musica.
Interessante è la presenza del tipo: in Dellai e in Foldcast “tipo le volte in cui tu vuoi uscire e io
sono preso male”, ma qui anche il preso male. È un colloquialismo, usato anche dai non giovani e
qui c’è anche in Dellai e c’è anche nei Manneskin “qui la gente strana tipo spacciatori [..] tipo
scalatori” e genera un modulo ritmico, tipo più quadrisillabo piano con rima baciata. L’ultimo caso
di colloquialismo nei giovani è l’espressione un tot in Gaudiano, anche se nello stesso c’è un
focalizzati. Tra i big ci sono: le serrande in Madame (ma va in altra direzione), il tostapane nei
Coma_Cose, in cui troviamo anche in grattugiare. Ci sono i supermercati in Colapesce-DiMartino,
come anche in Bugo, ma c’erano già in Battisti negli anni 70 come supermarket; c’è il cellulare in
Arisa, che si usa poco oggigiorno, senza differenza con il telefono.
Nei versi in cui compare tipo nei Manneskin c’è un altro colloquialismo: “mo li prendo a calci sti
portoni” dove vi sono tre fenomeni colloquiali, cioè mo, ‘sti e dislocazione a destra del
complemento oggetto (invece di prendo a calcio ‘sti portoni, viene ripetuto il CO in li). Ancora nei
Manneskin ritroviamo “essere fuori di testa”, espressione più forte dal punto di vista dell’enfasi
del brano, che ritorna anche in Ghemon. Poi c’è il brano de Lo Stato Sociale “il profilo di coppia” il
termine “sfiga” che potrebbe rientrare, ma non più oggi, tra le parole volgari a Sanremo.
Gonzo, sempre in Lo Stato Sociale, ha un’accezione diversa, ma in italiano vale sciocco, stupido e
minchione, è una voce che proviene dal gergo del 1500; nell’italiano gergale milanese vale
contadino, colui che ha da essere derubato, ma poi passa nella lingua dell’uso ed è riportato nel
dizionario della Crusca.
Si trovano anche fenomeni morfosintattici: l’aferesi di questo/questa che diventa ‘sto/’sta, ma
anche il ci + verbo avere, come nell’espressione di Willie Peyote “c’ha rotto i coglioni”. In Willie c’è
anche coatto, interpretato come grezzo, è un’espressione romanesca del linguaggio gergale, che in
origine significa portato obbligatoriamente in arresto.
‘Sti cazzi ha due accezioni: significa wow o anche non me ne frega niente.
C’è un regionalismo nel nome di Fulminacci come termine, però a parte il nome nel suo testo non
si segnala nulla, anzi si rileva la rima Marinella-Stella che rimanda alla canzone di Fabrizio de
André.
Uno sguardo ancora sul linguaggio giovanile: non c’è mai stato a Sanremo, a parte qualche rara
eccezione che conferma la regola e, a parte il solito brano di Willie Peyote, troviamo solo le siga
nei Manneskin. Gira e rigira ci si ritrova sempre nei soliti nomi.
Tecnicismi della farmacologia: la loro presenza in assoluto è stata superiore alla norma, vale a dire
il superiore al numero medio di presenze. Si riduce in maggior presenza nel testo di Max Gazzè. I
giornali ne hanno parlato e un esempio potrebbe essere GQ che ha parlato di frequenza
intollerabile di tecnicismi medicamentosi. Il caso più parlato è stato IBUPROFENE di Aiello.
Ci sono altri minimi casi, come baricentro dei ComaCose, la memoria del cellulare di Arisa che
rimanda alla tecnologia, c’è qualcosa dello sport nel caso di goal e della cucina, ma che andrebbe
indagato con maggiore attenzione. Nel 1999 i Subsonica scrissero un brano Depre il cui testo è
esclusivo di nomi di medicinali, precisamente ansiolitici e depressivi. questi sono i casi da
segnalare.
Aspetti del lessico e dello stile che non appartengono a Sanremo, ma che quest’anno e gli anni
scorsi hanno fatto capolino:
- Il cosiddetto citazionismo: la tendenza a citare all’interno di un brano versi di altri brani,
per esempio, o frammenti che provengono da battute famose del cinema, film e serie
televisive, dalla letteratura, dalla televisione o che sono riconducibili ai cosiddetti
tormentoni, come le battute che in un determinato momento per ragioni specifiche sono
diventate famose (esempio battuta di Morgan). Si trova citazionismo nella canzone
d’autore (Battiato compone quasi interamente brani su citazione di altri brani) e si sviluppa
con un rilievo maggiore nei generi più giovanili, dall’indie, al rap, alla trap (in questi ultimi
due la citazione e l’autocitazione è maggiore). Interessante è il brano de Lo Stato Sociale
dove troviamo il riuso di “pensavo fosse amore, invece era un calesse” che diventa
“coglione”, o ancora una citazione di Guccini che fa “a canzoni si fan rivoluzioni, si possa far
poesia” e che diventa “a canzoni non si fanno rivoluzioni, ma nemmeno un venerdì di
protesta”, o ancora “la moda passa ma lo stile resta. / Fidati l’ha detto uno stilista”. In Max
Gazzè c’è “si può fare” de Frankenstein Junior. C’è Boris de La Locura in Willie Peyote, o
ancora “le brutte intenzioni” di Morgan. Non c’è nulla tra i giovani.
- Simile al fenomeno del citazionismo, anche se non legato a questo, è la presenza di
riferimenti culturali: tratto di norma assente da Sanremo, ma che nella canzone degli ultimi
anni è diventato quasi un topos, soprattutto in alcune particolari correnti. Si intendono i
riferimenti a persone, opere, artisti dell’ambiente culturale e sociale, ma che sono
immediatamente riconoscibili e vengono utilizzati per stabilire paragoni o associazioni di
significato. I Coma_Cose utilizzano la Venere di Milo, Bugo nomina Ringo Star, Celentano e
Ronaldo, Lo Stato Sociale nomina i Klash (gruppo punk per eccellenza) e anche Amadeus,
Willie Peyote cita Marilyn Manson del 2000. Sono pochi, ma ci sono. Un unico caso dei
giovani è in Dellai (forse testo che si distacca dagli altri 7) che nominano Dalla e Battisti.
Sono una costante nei generi recenti, come l’indie, con un richiamo a personaggi, artisti
che rimandano a forme diverse della cultura di massa che sono riferimenti più o meno
facili. Nell’indie il caso dei Pinguini Tattici Nucleari: I pinguini inseriscono molti riferimenti
culturali che siano di moda, tv, politica.
Tra i tratti estranei a Sanremo, ma caratteristici dei generi di controtendenza, ci sono lo
stile nominale e l’elencazione. Si nota una struttura nominale e utilizzo di sintagmi, magari
senza verbo. Quando questi sintagmi si susseguono, costituiscono una struttura ad elenco
(elencazione ed è usatissima da Rino Gaetano “chi vive in baracca…”), possono non avere
un filo logico. Colapesce/Lo Stato Sociale: sintagmi nominali collocati in una struttura ad
elenco.
19/03/2021
LA CANZONE D’AUTORE
Accanto a Sanremo
Cominciano a verificarsi degli episodi di allontanamento da Sanremo quanto a stile musicale
quanto a scelte. Le prime manifestazioni sono limitate nel tempo, nello spazio e nella popolarità.
Ma sono manifestazioni che consentono alla formazione del primo grande genere di rottura, cioè
la canzone d’autore.
- Con urlatori si intende un gruppo di cantanti che si distinguono per alcune loro forme di
esecuzione specifica. Urlatore è il nome attribuito dalla stampa ad un genere canoro che si
colloca negli anni del boom economico. La cifra era data da una voce ad alto volume,
espressa in maniera disadorna, senza intervento di abbellimento tipico. I maggiori
esponenti di questa corrente sono cantanti molto giovani che saranno destinati a
percorrere carriere di successo. Il primo è Toni D’Allara, poi c’è Adriano Celentano (nella
stessa immagine nella slide c’è anche Mina). È una stagione che dura poco, perché da lì a
poco l’Italia verrà investita dall’avvento del rock and roll, con i dischi di Elvis Presley. Questi
avvenimenti determinano un cambiamento epocale nel modo di fruizione: si abbassa l’età
di chi ascolta la canzone, la canzone di Sanremo non era per giovani o solo per giovani, ma
con l’avvento del rock and roll esplode un tipo di canzone destinata ai giovani e
interpretata da giovanissimi cantanti che hanno immediato successo. Rientra in questa fase
Gianni Morandi. Intorno alla metà degli anni 60, si assiste a un altro avvento proveniente
dalla Gran Bretagna, cioè il pop (rock inglese sul modello dei Beatles). Gli urlatori perdono
la loro popolarità, lasciando posto ad artisti che saranno identificati come rocker.
- Adriano Celentano, nel 1959, a dimostrazione di un tentativo di rinnovare la canzone,
presenta “Il tuo bacio è come un rock”. È interessante, perché nel 1959 presenta dei tratti
lessicali degni di rilievo, soprattutto interessanti sono gli anglicismi (swing, rock, knock-out,
choc, ring). Nei primi otto versi abbiamo 6 forestierismi in rima o in chiusa diverso.
Prisencolinensinainciusol è una canzone, contenuto in un 45 giri, pubblicato nel 1972.
(Cantata nell’edizione di Sanremo del 2021 da Madame che dichiara di averlo scelto,
perché è caratterizzato da una lingua inventata). Celentano disse che è una lingua nuova
che forse qualcuno capirà, è amore universale. È una canzone che Celentano dichiarò di
aver composto partendo da una base musicale già preparata, inserendo parole inventate
che richiamano l’inglese maccheronico, con l’obiettivo di tramutarlo in italiano, ma senza
che quest’ultimo passaggio sia stato realizzato. Questa canzone non viene composta a
partire da una melodia tradizionale, ma da un loop, cioè una serie di battute musicali
ricorrenti, che restano così, perché, come dice egli stesso, la sua idea era scrivere un brano
che descrivesse l’impossibilità della comunicazione, frutto della ribellione di correnti
alternative, rispetto alla norma dominante del Festival. È stato considerato il primo brano
rap della storia, per via della base. L’inserzione di elementi in lingua inventata verrà ripresa
da altri, in alcuni esponenti di generazione di cantautori o nel primissimo Jovanotti nel
disco “Jovanotti for President”. Prima esperienza di scarto dal mondo di Sanremo.
- Il duo composto da Renato Carosone e Fred Buscaglione, portatori di novità. Fred
Buscaglione, torinese, originario del biellese, molto spesso cantava perché aveva come
meta l’America dei gangster ed era solito cantare canzoni strampalate, originali, che
parlavano di bulli e pupe, criminalità newyorkese, di Chicago o Detroit, ma duri in balia di
donne e dell’alcol. Le sue storie sono legate a queste tematiche da cui nascono le sue
canzoni, famosissime in tutta Italia e che fanno ancora parte della nostra memoria
collettiva, esempio “Eri piccola così”. Porta dei testi che possono non parlare d’amore, ma
che prendono spunto da argomenti di cronaca nera, ma il tutto cantato con un tono
leggero.
- I Cantacronache: era un gruppo di musicisti, di letterati, poeti, scrittori che sorge a Torino in
questi anni, fine anni 60 (1957) con un obiettivo: valorizzare il mondo della canzone
attraverso l’impegno sociale. Quindi una nuova canzone era orientata alla creazione di
modelli linguistici che si differenziassero in maniera netta, marcata, rispetto alla canzonetta
di consumo. Evadere dall’evasione è espressione dei Cantacronache. Trovato riferimento
nei cantastorie italiane e negli chansonnier francesi. I testi si differenziavano per descrivere
una realtà diversa. Nell’arco dei cinque anni sono nate una decina di nuove canzoni con
testi di scrittori e intellettuali, anche di spicco, quali Italo Calvino, Gianni Rodari, Umberto
Eco. Qui abbiamo un dato eloquente: il testo è fondamentale. Tale gruppo recupera parte
di quel bagaglio culturale, rappresentato dai canti della resistenza e proponendo brani
della tradizione anarchica e socialista. Solo 5 anni più tardi, nel 1962 si sciolse. Ma è stato
storicamente il primo esempio di cantautorato impegnato in Italia e la loro esperienze
venne assorbita dalla prima generazione di cantautori e dalla seconda.
Il mondo è stato percorso da una ventata rivoluzionaria espressa grazie a movimenti studenteschi.
Ma la spinta più energica è venuta dai paesi del terzo mondo, anche da realtà particolari, come
quelle del Vietnam (guerra che si conclude con la vittoria del Vietnam del Nord) che diventa un
simbolo dal valore esemplare. Forte era la suggestione generata da tentativi rivoluzionari
dell’America Latina e della rivoluzione culturale cinese avviata dal lider della Cina.
Questi movimenti raccolgono un’effervescenza che negli anni del boom economico si era generata
per ragioni diverse e si manifesta in una serie di battaglie che hanno capacità di intervenire nella
vita quotidiana dei singoli. Modifica dei costumi sociali. Diffusione dei contraccettivi negli anni 60,
in seno di questi movimenti di rivoluzione, così come la lotta per il riconoscimento dei diritti delle
donne, con l’esperienza del femminismo.
Negli anni 70, l’effervescenza viene bloccata da una profonda crisi economica del 1973 dovuta al
tentativo dei paesi produttori di petrolio di trarre maggiore vantaggio aumentando il prezzo. Tale
crisi porta ad una ristrutturazione di processi economici e progressivo arretramento di aperture
democratiche e spazi di libertà.
Si passa dal sogno della rivoluzione all’esaltazione dell’iniziativa privata e della competitività.
Forza ancora maggiore sotto il segno del capitalismo degli anni 80. Il capitalismo conosce una
spinta sempre precedente ed è ormai pari passo con l’arretramento di tutti i movimenti
rivoluzionari e riformistici. Vi fu un lungo scontro del dopoguerra tra capitalismo occidentale e
comunismo orientale giunge ad una risoluzione tra 1989 e 1991: crollano i regimi comunisti
dell’Europa orientale e dell’unione sovietica.
Gli anni 80 hanno visto una rapida e sorprendente modificazione del piano politico ed economico.
Da ipotesi di apertura democratica ad una crisi generalizzata di tutti i partiti della sinistra, che
avevano sostenuto la forma di democrazia partecipata. Tutto ciò è coinvolto col successo
planetario del capitalismo, definito con l’aggettivo AGGRESSIVO. Con il trionfo del mercato, si
arriva a una concorrenza e competitività, esaltazione dell’interesse e godimento personale, il
dominio della pubblicità sulla vita quotidiana. Tutto favorito dal nascente dominio della pubblicità
attraverso le comunicazioni di massa.si genera una sorta di ristrutturazione sociale, che porta da
un lato alla fine della classe operaia o limitazione del ruolo della classe operaia, e dall’altra
all’estensione del ceto medio. Domina secondo la maggior parte degli studi il cosiddetto egoismo
sociale e cura ossessiva per il privato, che si amplificano dal periodo di recessione.
Lingua e società
Tra fine anni 70 e inizio 80, sul piano sociolinguistico ci sono episodi decisivi per la volta nel
rapporto tra lingua nazionale e dialetti:
- Alcune date significative: 1975 (vengono presentate le 10 tesi per un’educazione linguistica
e democratica, promosse da un gruppo di studio tra cui c’è De Mauro per insegnare
l’italiano a scuola e sull’idea di norma e di grammatica) e 1976 (viene fondato il quotidiano
La Repubblica, che è un quotidiano giovane rispetto alla Stampa e tanti altri. Si impone per
uno stile più narrativo e brillante, che si avvicina al parlato o a un italiano verosimile,
dell’uso medio. È anche un anno decisivo per la rivoluzione televisiva, vengono liberalizzate
le emittenti vocali. Eco segnala la nascita delle eco-televisioni). In questi anni si verifica
quella svolta fondamentale, nel rapporto tra lingua nazione e dialetto.
- Il bilancio di questi studi:
Italiano diviene lingua della nazione, il processo di italianizzazione si trova in una
fase avanzata.
Importanza crescente dei linguaggi tecnici e delle varietà socioprofessionali: lingue
speciali e linguaggi settoriali che prima erano limitate presso la popolazione
comune cominciano ad ampliare la loro influenza sull’italiano dell’uso.
Cresce l’influsso dell’inglese, strettamente connesso con il punto precedente,
perché è un linguaggio tecnico specialistico. Si percepisce, accanto agli aspetti
negativi, una serie di aspetti positivi, utili nell’acquisizione di nuove parole e nuove
soluzioni, come il calco, il prestito adattato.
I moderni mezzi di comunicazione di massa, come la televisione, influiscono sulla
nostra lingua, determinando la forma dei messaggi linguistici.
- Si è avviato il processo che porterà alla consacrazione dell’italiano dell’uso medio o
standard del 1975.
- L’italiano è ormai una lingua parlata alla fine degli anni 80, da una maggioranza relativa di
italiani. Indagini ISTAT in rapporto a analoghe indagini.
L’oralizzazione
Dopo aver vissuto per secoli come lingua scritta, tra la fine degli anni 60 e anni 80, l’italiano
conquista la dimensione parlata, familiare, quotidiana, spontanea, che fino a quel momento era
stata prerogativa del dialetto. È una svolta reale. Nel giro di pochi decenni, questo sbilanciamento
verso l’oralità porterà a capovolgere il rapporto tradizionale tra scritto e parlato, anche nell’ottica
dell’educazione e insegnamento scolastici. A partire da questo momento, perde terreno nella
scrittura. Se ne accorge un’acutissima insegnante, Maria Corti, che intorno alla metà degli anni 80,
si lamenta che nelle tesi di laurea si ritrovino errori di varia natura, di ortografia o imputabili a una
produzione del parlato nello scritto. Il cambio di prospettiva è stato così drastico che ora è così
parlato che a livello scritto è riprodotto dando vita ad anomalie che la Corti riconosce in errori e
povertà lessicale.
L’oralizzazione è evidente anche nei medi orali: si passa sempre più dallo scritto parlato al parlato-
parlato. La Repubblica diventa modello di lingua anche di altri giornali, perché avvicina una lingua
sempre storicamente tendente verso lo standard al polo del parlato. I programmi son caratterizzati
da una veste linguistica del parlato perché non c’è più una base scritta, una sorta di scaletta,
copione, prima imprescindibile.
La progressiva perdita di terreno della scrittura è legata al trionfo del telefono, che sostituisce la
corrispondenza scritta, l’epistola, la lettera. Se ne accorge nel 1983 un0’altra linguista, Maria Luisa
Altieri Biagi che, intervenendo a un congresso della Crusca, dice che la differenza tra lei e la figlia è
scandita dal fatto che i suoi epistolari amorosi erano importanti per lei, invece la figlia telefona,
perdendo qualcosa nel tipo di rapporto.
Trionfo dell’oralità secondaria, visto che il parlato si diffonde attraverso un metodo di
comunicazione, come una cultura tecnologica che avanza.
Anni nei quali si sente parlare di rischio di analfabetismo di ritorno, per quelle difficoltà che in
misura crescente vengono rilevate nella scrittura, che viene data per spacciata in molte prognosi
autorevoli in quegli anni.
È nella seconda metà del 900 (1950-2000) che si sono diffuse 1664 parole che ci dicono che forse
solo in apparenza man mano che il dialetto retrocede nell’uso, ha minore capacità di fungere da
prestito e elemento linguistico che arricchisce il lessico italiano. La lingua nazionale assorbe un
numero maggiore di parole dal dialetto.
In questi anni si verifica il linguaggio giovanile: nasce prima come fenomeni locali e limitati, e poi
acquisendo una dimensione sempre maggiore, a partire dalla fine degli anni 60, soprattutto nel
corso degli anni 70 e nei decenni successivi. Una varietà, anzi la prima varietà generazionale che
negli anni a venire riesce a dare un contributo di rilievo all’italiano dell’uso. Grazie a un processo
nel quale si trova implicata con un ruolo da protagonista la canzone e le varietà giovanili diventano
un insieme eterogeneo di stili e modelli comunicativi che crescono di popolarità negli anni, grazie
alla quale diciamo che è la prima varietà.
SI RIPRENDE: LA CANZONE D’AUTORE: LE ORIGINI
Si sviluppa in un ventennio, come effetto di condizioni sociali che si verificano negli anni in
questione, legati a episodi specifici e concreti (tutto quello detto finora).
- Il cantautore: è stata fatta una classificazione su base generazionale (si parla di prima
generazione, seconda e una terza, quarta e successive) e su base locale (scuola genovese
rappresentata da Luigi Tenco, Umberto Bindi, Lauzi, Paoli e De André; scuola milanese
ispirata al teatro di Dario Fò, con Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci; scuola bolognese con
Lucio Dalla, Francesco Guccini; scuola romana con Antonello Venditti, Rino Gaetano, anche
se calabrese, e De Gregori). Non è possibile parlare di una lingua della canzone d’autore.
- Vi sono tratti comuni condivisi se non da tutti, almeno da una parte di cantautori, partendo
da due dati chiari sul piano linguistico: in primo luogo la tendenza generalizzabile a rifiuto
del canone tradizionale sanremese che si riflette sulla lingua e sul piano metrico-stilistico,
oltre che sugli aspetti melodici; in secondo luogo che va nella direzione di quei registri
linguistici che abbiamo riconosciuto come eccezionali-marginali, quindi adozione di una
lingua nuova associata a temi nuovi, una lingua nuova che, se per certi versi si avvicina alla
letteratura, per altri sfrutta con grande maestria e con evidenti risultati anche sul piano
artistico tutte le risorse che la nostra lingua viva mette a disposizione. Questi sono tratti
generali che prendono piede soprattutto nella seconda generazione.
- Cantautore è una parola problematica, è macedonia formata da cantate e autore e indica
un cantante di musica leggera che interpreta brani scritti e musicati da lui stesso. Nel 1960
De Mauro diceva 'nella musica leggera, cantante che interpreta brani da lui stesso
composti'. Il cantautore in Italia non è solo questo, perché dovremmo considerare
cantautore già Domenico Modugno, ma è chi ha scritto un brano cantato da sé e che ha
caratteristiche particolari.
- Bisogna considerare anche il binomio Mogol-Battisti: è un binomio inscindibile, perché uno
scrive i testi, l’altro scrive la musica e canta. A scrivere è Mogol, a scrivere la musica e a
cantare è Battisti. È un binomio che soltanto forzando le regole possiamo fari rientrare
nella canzone d’autore, perché nessuno dei due può essere considerato cantautore. La
canzone di questo binomio che rientrerebbe per tematiche e questioni linguistiche nella
canzone d’autore va ricordata perché, per la prima volta, la lingua cantata volge verso il
parlato. I tratti del parlato che si trovano sono molti: riguardano il lessico, con
colloquialismi, trattano l’amore con parole e storie insolite. La riproduzione del parlato
quotidiano è apprezzabile sul piano sintattico, sono frequenti le parti dialogate, ma non il
dialogo in assenza, il tu immaginario cui, implorante, si rivolge l’autore, ma un dialogo vero
e proprio in cui Battisti si rivolge ad un interlocutore femminile che risponde o al coro.
Alcune tra le più celebri canzoni di Battisti raccontano e cantano di tradimenti, con
sovrapposizioni di un tu presente (l’amante) cui in un primo momento si rivolge, e un tu
assente che magari ritorna (la compagna). Battisti è sempre stato snobbato, poiché non ci
sono canzoni che parlano di politica, al punto che è stato associato ad ambienti neofascisti.
Ha dovuto fare i conti col femminismo, poiché parlare di tradimento anche con leggerezza
(da 29 settembre in avanti) ha generato qualche problema. C’è un dato che è
inequivocabile: tutti allora, anche chi non lo apprezzava per questo disimpegno,
ascoltavano Battisti, anche chi diceva di non ascoltarlo.
La scuola genovese
Appartengono alla scuola genovese Luigi Tenco, anche se di origine alessandrina, Umberto Bindi,
Bruno Lauzi e Gino Paoli, ma anche in parte De André, nonostante non sia genovese. Di Tenco si
ricorda “Ciao amore, ciao” che porta subito dopo al suo suicidio come atto di protesta.
Il suo brano “Mi sono innamorato di te” del 1962, mostra come basta un verso per far sì che
rimanga uno dei classici della musica: mi sono innamorato di te/perché non avevo niente da fare.
La tematica è amorosa, la struttura è quella tradizionale, ma il testo e la lingua si allontanano. I
due versi iniziali sono figli di una sincerità che in quegli anni doveva risultare scandalosa e
sconcertante. È una canzone sull’innamoramento, ma secondo una modalità nuova, in un quadro
di completa rottura con la tradizione. Questo brano e, più in generale, il suo ricordo, ci portano a
considerare questo esponente in particolare all’interno della scuola genovese come uno
spartiacque, tra prima e dopo Tenco. Da quel momento possiamo dire che la canzone d’autore
definisce con chiarezza la propria posizione nel quadro della canzone italiana.
La scuola milanese
Nasce alla fine degli anni 50 a Milano, nel boom economico, in un contesto diverso da quello
genovese, in quanto nasce nell’ambito del cabaret e del teatro, in luoghi che diventeranno storici,
come in Derby (ancora oggi chiamato così), dove si incontrano i principali esponenti della scuola:
Enzo Jannacci, Giorgio Gaber e il futuro premio Nobel Dario Fo. È inevitabile che i tre si ritrovino in
un ambiente che faccia attenzione alle nuove sonorità, anche lontane dalla tradizione della
canzone impegnata (jazz, swing). Qui danno avvio ad un ricco momento di sperimentazione
musicale e linguistica che porterà Dario Fo e Giorgio Gaber a far confluire il corpo chiuso, limitato
della canzone in una dimensione più ampia, cioè lo spettacolo teatrale, portando così alla
formazione del “teatro-canzone”, in cui lo spettacolo teatrale contiene brani musicali che possono
diventare autonomi e di successo. Una sperimentazione linguistica che si muove in più direzioni:
- se consideriamo Enzo Jannacci, ricordiamo la canzone comico-surreale e i primi casi
nonsense (ascoltare la canzone “Silvano”, scritta inizialmente per il duo Cocchi-Renato);
sperimenta innovazioni che vanno verso il modulo dialogico con “Vengo anch’io?” e “Ho
visto un re”, brani tra il surreale e il popolare, inteso però nella dimensione della canzone
popolare-storica e di una struttura dialogica tra diseredati. Si ritrova un dato nuovo nella
canzone, cioè la voce degli emarginati, di personaggi molto umili, poveri in bolletta,
disperati (come farà De André), ma sempre tra il surreale, ironico, scherzoso che va nella
direzione del dialetto milanese. Scrive anche brani interamente in dialetto “El purtav e
scarp del tennis”. O ancora l’elencazione, che è un ricorso che appartiene alla letteratura
post-moderna fino ad arrivare alla canzone d’autore, con “Quelli che…”, un brano non
concluso, basato su una struttura anforica o da verso puntello, che è diventato un meme
oggigiorno sui social e dal vivo viene modificato ad ogni sua esecuzione, a dimostrazione di
una struttura aperta come accade presso i cantastorie di strada, di piazza.
- Giorgio Gaber si distingue per aver contribuito al successo di un tipo di canzone particolare,
cioè le canzoni della mala (vita) milanese degli anni 60, canzoni che sono scritte da Gaber e
da Umberto Simonetta, romanziere milanese di quegli anni, e che vengono affidate per
l’esecuzione a Ornella Vanoni che all’epoca è la cantante della mala. Uno dei brani più noti
di questa fase è “Cerutti Gino”, il personaggio è sempre presentato prima col cognome e
poi col nome. Apre anche alla violenza verbale, sono gli anni del post 68, della
contestazione e della politica, in cui il linguaggio subisce la politica. Anni in cui si forma il
politichese, cioè un linguaggio che è fitto di parole ed espressioni del mondo della politica,
specialmente quella che si fonda su immagini forti che si ritrovano non solo nelle canzoni di
Gaber, ma anche Guccini e De André.
25/03/2021
La seconda generazione
È stata quella che ha portato i suoi esponenti al successo nazionale. La notorietà di alcuni di essi è
una popolarità che ha saputo superare il fattore tempo.
Le voci principali:
Fabrizio De André
Francesco De Gregori
Lucio Dalla
Antonello Venditti
Francesco Guccini
Ivano Fossati
Claudio Lolli
Rino Gaetano
Franco Battiato
Roberto Vecchioni
Ivan Graziani
Paolo Conte
Quadro che è particolarmente ricco di nomi, ma anche di stili, perché ciascuno di questi esponenti
si distingue dagli altri per tratti individuali che riguardano lo stile a livello musicale, ma anche
testuale. Ciascuno di questi meriterebbe uno studio specifico ed individuale.
Lingua e stile
Ci sono aspetti che possono essere considerati a livello generale:
- Dal punto di vista metrico, rileviamo che, a differenza di quanto accadeva e accade nella
canzone tradizionale, nella canzone d’autore viene meno quel rapporto obbligato tra la
parola, il verso e il ritmo, cioè tra accento metrico e accento musicale. I cantautori si
prendono numerose licenze e non è raro trovare versi che non rispettano l’unità musicale e
ritrovare brani privi di rime e figure di suono.
- Maggiore libertà anche per quanto riguarda la lingua:
Lingua colloquiale, parlata e antiletteraria: è disposta ad aprirsi a modelli espressivi,
lessicali, fraseologici, sintattici che non sono tradizionali, quelli della tradizione
letteraria e che a volte vanno in contrasto.
Il frequente ritrovare l’italiano regionale, che nella canzone di Sanremo non c’è mai.
È frequente anche nella pronuncia, è un aspetto nuovo, che non tende a rispettare
la fonetica dell’italiano standard, ma va verso le varietà regionali. Evidente in
Venditti, Guccini, De André.
Utilizzo di elementi linguistici regionali, esempio Roma Capoccia di Venditti (lasso,
robivecchi, ce so’), o ancora di Venditti Sora Rosa (pe’lla, er core, me ne vojo annà),
qui siamo in una direzione che imporrebbe di riconoscere il dialetto romanesco.
C’è il dialetto vero e proprio: ci son autori che scelgono di impiegare un dialetto. Il
più rappresentativo della schiera è Fabrizio De André, che nel 1984 scrive insieme a
Mauro Pagani un album di 7 canzoni tutte in genovese CREUZA DE MA.
Dal libresco al colloquiale spinto, si utilizzano i registri più bassi della colloquialità,
fino ad arrivare al turpiloquio. BOCCA DI ROSA di De André è la storia di una donna
bella che crea scompiglio nel paese, dal parroco fino a tutti e genera l’ira funesta
delle mogli.
Dall’inverosimile al quotidiano, con l’accostamento di Beethoven e Sinatra.
Il politichese e il sinistrese, come LA LOCOMOTIVA, BORGHESIA, CANZONE DEL
MAGGIO.
Il turpiloquio e la detabuizzazione del linguaggio della sfera sessuale. Contro
l’interdizione linguistica, agiscono i giovani, principalmente nella fase di rinnovo
culturale che va intensificandosi dopo il 1968. I giovani consentono attraverso la
rivendicazione dell’impiego di parole a una vasta terminologia della sfera sessuale,
ma non solo, di risalire nell’accettabilità. Ci sono delle cose che si possono chiamare
anche con il loro nome, senza il classico eufemismo o giro di parole. la lingua dei
cantautori dimostra il raggiungimento di questo traguardo, nelle canzoni si trova
con certa frequenza il lessico che sul fronte sessuale non poteva essere impiegato a
Sanremo. Un esempio DISPERATO EROTICO STOMP di Lucio Dalla, canzone del 1977
contenuta nell’album “Com’è profondo il mare”, ha un ritmo veloce, pulsante.
Qualcuno ha sostenuto che questa canzone sia in parte autobiografica: racconta di
una donna che abbandona il cantante per andare con un’altra donna. Egli, infatti,
raccontò di essere stato con una donna, una filosofa, che lo lasciò per una donna.
Dalla ci rimane male, ferito e pensa a una thailandese. Lo soccorre la sessualità fai
da te, che fa da capolino sin dall’inizio della canzone.
È evidente la tendenza a impiego di registri substandard e la presenza sporadica del
gergo storico, come De André nel quale si ritrovano elementi di gergo, proprio
gergo carcerario “pantera che morde il sedere” che fa riferimento alla polizia.
Curioso è il caso de LA BALLATA DEL CERUTTI di Gaber che contiene “drago,
sgobbare, occhio (fai attenzione), pantera, madama (la polizia), il terzo raggio
(carcere).
Sgrammaticature o altre anomalie popolareggianti che si trovano nei testi:
chiaramente intenzionali, perché impiegate per riprodurre gli ambienti popolari, ma
più semplicemente ambienti reali, in opposizione all’artefatto della canzone
tradizionale. In questa direzione si colloca il “ma però” di Carlo Conte, una struttura
errata, perché duplicazione. “a me mi rubano” di De Gregori.
- Lo stile: contro la tradizione è lo stile, in opposizione alla retorica stantia delle immagini di
Sanremo, il tramonto, il cielo stellato, le onde del mare. Un esempio: AHI MARIA di Rino
Gaetano, nel quale l’assenza della donna (più madre che amata) è resa attraverso immagini
non consuete e non canoniche, a partire dall’attacco della prima strofa “da quando sei
andata via da quando non ci sei più / da quando la pasta scotta non la mangio più / ahi
Maria chi mi manca sei tu.” O ancora “da quando sei andata via ho più donne del DJ”.
26/03/2021
RIMMEL (1975)
Pur di fronte a una sorta di appartenenza di gruppo, il panorama rappresentato dai cantautori di
seconda generazione è molto vario, e quindi offre sviluppi individuali interessanti.
I cantautori hanno ciascuno elaborato una propria cifra stilistica e linguistica.
Ci concentriamo su un singolo brano, RIMMEL di Francesco de Gregori. È il brano che da il titolo
all’album omonimo, il quarto disco del cantautore più celebre, che lo renderà famoso. Pubblicato
nel gennaio del 1975 e viene pubblicato quando ha 24 anni. Il disco rimane in classifica per 60
settimane, vende oltre 500 mila copie e alla fine del 1975 risulta essere l’album più venduto. È
presente nella classifica dei 100 dischi italiani più belli di sempre secondo la classifica Rolling Stone
Italia alla posizione numero 20.
De Gregori è esponente di spicco della cosiddetta scuola romana, i suoi dischi vanno dal 1972 al
1975 e sono dischi caratterizzati da arrangiamenti asciutti, che risentono del folk e cantautorato
americano (Bob Dylan), seppure con un linguaggio ermetico e consueto, talvolta surreale, che
tende verso la poesia contemporanea, proprio l’ermetismo.
Tra i primissimi brani ricordiamo ALICE pubblicato nell’album omonimo ALICE NON LO SA nel 1973,
nella quale, a proposito di citazioni, ricorda “Cesare perduto nella pioggia” che rimanda a Cesare
Pavese che si ammala di pleurite per aver aspettato 6 ore sotto la pioggia in Piazza Vittorio, a
Torino, una ballerina della quale di era innamorato.
RIMMEL: una canzone enigmatica fin dal titolo. È il nome di un trucco. È una canzone d’amore,
scritta nell’ambito della canzone d’autore da uno dei più raffinati cantautori. Accanto alla tematica
amorosa, dobbiamo intenderla come un cruciverba sull’amore, non tradizionale, fatto di pochi
dettagli: le labbra, le foto, il collo di pelliccia e da una serie di immagini sfocate che costruiscono
un addio, che allo stesso tempo è gelido. È una canzone su un amore finito, è una nuova tematica,
raccontata con delicatezza e poeticità, perché raccontata attraverso immagini con elevato
contenuto lirico. Non ci sono riferimenti all’amore, ai sentimenti, non c’è la parola AMORE. In
generale, il linguaggio, le parole, sono parole piane, dell’uso quotidiano, non c’è nulla di difficile, di
strano, non ci sono quelle componenti tradizionali rilevate negli altri cantautori, come gergo,
linguaggi settoriali, giovanili, turpiloquio, non c’è nulla di questo. E non ci sono le immagini della
retorica tradizionale della canzone d’amore. C’è qualche espediente retorico, inevitabile che faccia
la sua comparsa: c’è l’effetto copia (due versi che quasi identici si ripetono), con quasi
pubblicazione del metro o ripresa parziale del verso “i miei alibi e le tue ragioni”; ci sono solo due
rime monosillabiche, ma molto spesso la rima non c’è. C’è da sottolineare la congiunzione iniziale
“e…”, come se riprendesse qualcosa che è stato già detto, già raccontato, quasi a dire che siamo
arrivati tardi, quando ormai tutto era già avvenuto, è una congiunzione che sospende, ma che
collega ciò che viene presentato e quello che ci siamo persi. L’autore ha voluto che arrivassimo
tardi, per generare quel cruciverba enigmatico.
L’amore è un trucco? Il titolo sembrerebbe dire di sì, come è così anche il resto della canzone, o
almeno un’immagine ricorrente, cioè le carte “chi mi ha fatto le carte/ mi ha chiamato vincente,
ma uno zingaro è un trucco”, la cartomante è il trucco delle carte. O ancora “la mia faccia
sovrapposta a quella di chissà chi altro”, o “o ancora i tuoi quattro assi” e poi un verso “come
quando fuori pioveva” che è l’ordine dei semi delle carte, quindi cuori, quadri, fiori e picche, che
qui diventano poetici. E poi le immagini inconsuete, come “le tue labbra puoi spedirle a un
indirizzo nuovo”, non è una dislocazione, ma è l’immagine ermetica delle labbra spedite.
“dolce Venere di Rimmel” che è presente rielaborato in un brano dei Coma_Cose che diventa
“dolce Venere di Rime”.
“MA PIÙ DELL’ONOR POTÈ IL DIGIUNO”: RIUSO (PARODICO) DI FORME E TEMI ANTICHI IN
CARLO MARTELLO RITORNA DALLA BATTAGLIA DI POITIERS.
Cambio di tema e di autori, concentrandoci su un brano molto originale di Fabrizio De André
scritto insieme a Paolo Villaggio (Fantozzi), con il quale ha elaborato per la stesura di alcuni dei
primi brani. Il brano di chiama CARLO MARTELLO RITORNA DALLA BATTAGLIA DI POITIERS del
1963.
De André ricorda che:
«A quell’epoca lui [Paolo Villaggio] metteva in scena piccoli sketch in cui prendeva vigorosamente
[in giro] grandi personaggi storici: mi ricordo quello del principe di Condé che si addormenta prima
della battaglia. Così gli feci sentire un tema per corno rinascimentale che mi era venuto sulla
chitarra e si pensò di trarne una canzone su Carlo Martello che, dicemmo, doveva essere un gran
puttaniere».
Il principe di Condé è quello con cui si apre il secondo capitolo del Promessi Sposi.
Abbiamo anche un ricordo di Paolo Villaggio, ricostruito con toni evocativi.
E quello di Paolo Villaggio:
«Era una notte buia e tempestosa. Eravamo un branco di giovani fannulloni affamati e senza una
lira [...]. Prese [De André] la chitarra. “Suono un po’ così mi passa...”; “Che bello questo motivo, –
dico – sembra musica trovadorica”. “Tu che sei un maniaco di storia medievale, – mi dice – scrivimi
le parole...”. E cominciammo: “Re Carlo tornava dalla guerra l’accoglie la sua terra cingendolo
d’allor...”»
Abbiamo anche altre testimonianze, in cui si racconta della presentazione del disco a Nanni
Ricordi, editore milanese. Tutti questi ricordi vanno interpretati come un voler beffarsi.
La canzone venne incisa nel 1963 per la casa discografica KARIM e compare nel lato B di un 45 giri
che nel lato A accoglieva un altro brano di De André dal titolo IL FANNULLONE. I precedenti erano
stati NUVOLE BAROCCHE e FU LA NOTTE del 1960 e LA BALLATA DEL MICHÈ e LA BALLATA
DELL’EROE del 1961. Seguiranno poi IL TESTAMENTO del 1963 e LA GUERRA DI PIERO del 1964.
Nel 1964 viene pubblicata LA CANZONE DI MARINELLA e con essa, grazie all’interpretazione di
Mina incomincerà la fortuna di De André.
Tra le note non cronologiche, Carlo Martello ebbe una sorte particolare, poiché venne denunciato
da un ascoltatore veneto, non si sa se per oltraggio alla monarchia o per oltraggio alla cristianità, o
ancora per oltraggio al pudore, in quando il re cristiano Carlo Martello è preso in giro per un suo
disfatto che è al centro della canzone.
Temi e fonti
De André e Villaggio prendono un modello della tradizione trovadorica e poi italiana, senza
distaccarsi eccessivamente da esso. I due autori calano il modello astratto della pastorella in un
ben preciso luogo, momento e personaggi storico, col quale identificano il cavaliere della
tradizione. Abbiamo un protagonista che è Carlo Martello, nonno di Carlo Magno, che non è un
cavaliere. L’appellativo re cristiano è un’imprecisione, perché verrà incoronato 5 anni dopo, ma è
un dettaglio nell’economia della canzone. La chiara fontanella è il dove dell’incontro, che offre
rimandi evidenti alla tradizione, il luogo in cui di solito il cavaliere incontra la giovane.
Ma abbiamo anche un dove precedente, ovvero la Battaglia di Poitiers del 7 ottobre 732. A questa
data, sostituiscono “una calda primavera” che col suo sole e i suoi fiori e con la chiara fontanella
costituisce una più consueta cornice per il genere della pastorella.
L’intervento fondamentale è dato dalla conclusione, è inattesa e beffarda, la pastorella passa
dall’essere un’angelicata pulzella a una prostituta sfacciata e ironica.
Ci sono tre voci: il narratore, la voce di Carlo e la voce della pulzella. Il narratore ha un tono aulico,
in una tonalità bassa dal punto di vista del canto, Carlo è reso come un’imitazione parodica su una
tessitura di canto più alta; la pulzella che, su una tessitura canonica medesima, utilizza altri
stratagemmi, come il falsetto, che diventa sfacciata e petulante quando si rivela per quello che è.
Lessico
Fin dalla prima stanza, il momento dell’incontro, i primi 22 versi, presenta un linguaggio della voce
narrante che è sostenuto e ironicamente aulico, non pensa alla battaglia, ma alle privazioni della
grottesca ipotesi della cintura di castità. C’è il chiasmo “più che del corpo le ferite, / da Carlo son
sentite le bramosie d’amor”: sequenza specificazione + complemento e il suo incrocio
complemento + specificazione.
Interessante nel secondo piede, quindi verso 19-22, il quadro edilico “Quand’ecco, nell'acqua si
compone (mirabile visione) il simbolo d'amor: nel folto di lunghe trecce bionde, il seno si
confonde, ignudo in pieno sol.” La parentetica in cui si fa riferimento alla mirabile visione con la
quale De André ci da conto dell’improvvisa apparizione della donna. Fa riferimento al neologismo
dantesco che si trova nell’ultimo capitolo de LA VITA NUOVA dove si racconta della visione di
Beatrice in Paradiso.
Nella seconda stanza interessante è il discorso della giovane, che è caratterizzata da un lessico
aulico, da toni angelicati, a partire da quel DEH, poi GAUDIO, con allusione oscena riferita al
desiderio del principe, e poi dalla metafora velatamente oscena “ad altra più facile fonte la sete
calmate”, nel senso andate a soddisfarvi da un’altra parte, allusione sessuale.
La terza stanza è quella che genera la feroce ironia nei confronti di Carlo: nei versi 33-36 è
descritto come dal nasone e un caprone, quindi nel momento in cui Carlo si toglie l’armatura, è
riconosciuto dalla donna, a discapito della sua descrizione di re valente.
Reminiscenza dantesca nei versi 29-32, più forte del suo onore di re fu il digiuno sessuale e
fremente si toglie l’elmo e si avvicina alla donzella per avere un rapporto. Per spiegare il grande
desiderio viene utilizzato un calco dantesco.
La III stanza (vv. 29-42), tra linguaggio parodico e ironia:
il «gran nasone», il «volto da caprone» e l’«arma segreta;
«ma, più dell’onor, potè il digiuno» [cfr. Inf., XXXIII, 75 canto del Conte Ugolino che si ciba
della carne dei suoi figli, perché il digiuno è più forte del dolore, ma qui è diversa];
codesta, sua Maestà, disio, debbo, ecc.
allo straziante dolore è sostituito l’onore cavalleresco, e all’atroce digiuno nella torre della fame,
viene sostituita la bramosia d’amore, il desiderio, è un digiuno sessuale, non legato all’inedia.
Ma è la IV, versi 43-56 a rappresentare il culmine della narrazione.
I primi 4 versi “Cavaliere egli era assai valente, ed anche in quel frangente d'onor si ricoprì: e,
giunto alla fin della tenzone, incerto sull'arcione tentò di risalir” ritraggono il grottesco barcollare
del sovrano che, una volta compiuta l’impresa, cerca di montare a cavallo.
Effetto malizioso ottenuto attraverso alternanza di termini bassi.
Poi c’è la risposta di Carlo vv. 51-56 costruita su un’analoga alternanza (lessico aulico-infimo)
questa volta sbilanciato verso lo stile comico, in accezione dantesca “oh porco di un cane” che fa
rima con “reame” che a sua volta fa rima con “puttane”. La quasi rima reame-puttane segna in
maniera eloquente questo cozzare, questo cortocircuito tra stile alto e stile basso e costituisce la
punta comica del testo.
Poi c’è il CONGEDO che riprende lo schema della fronte della prima strofa.
“Ciò detto, agì da gran cialtrone: con balzo da leone in sella si lanciò; frustando il cavallo come un
ciuco, fra i glicini e il sambuco, il re si dileguò.
Re Carlo tornava dalla guerra, lo accoglie la sua terra cingendolo d'allòr: al sol della calda
primavera lampeggia l'armatura del Sire vincitor.”
Ripreso il modello della prima strofa, dove il corno sembrano introdurre un eroe, ma qui lo stesso
modello e le stesse parole vengono modificate, con abbassamento esplicito da cavallo a ciuco e da
cavaliere a cialtrone. Il secondo piede ripropone identica apertura del testo, chiudendo a circolo la
canzone, ma solo nella forma, non nella sostanza, generando effetto di contrasto tra l’apparenza
gloriosa del re e la realtà squallida bassa e popolare messa in luce nella parte precedente.
IL GERGO
Utilizzato dai giovani. È bene chiarire che cosa sia il linguaggio giovanile.
Questa varietà è il gergo. Cos’è il gergo?
È una lingua di gruppo che può variare dal territorio, può anche essere il dialetto, è una varietà
storicamente attestata nel nostro territorio.
- Gergo: varietà di lingua (o dialetto) dotata di un lessico specifico utilizzato da particolari
gruppi di persone, in determinate situazioni, per non rendere trasparente la comunicazione
agli estranei e sottolineare l’appartenenza al gruppo.
- Da questo punto di vista, il gergo storico, dal momento che risulta incomprensibile al di
fuori di un determinato gruppo che ne fa uso, si configura come codice segreto, che ha
quindi funzione criptica, al punto che si parla di criptolalia, lingua che esclude dalla
comprensione comunicativa chi non sia parte di un determinato gruppo, esclude i diversi.
- Dall’altra parte, è una lingua che rafforza i legami e il senso di coesione interna del gruppo.
I gerganti condividono attività, esperienze, ambiti di vita comuni, e la lingua è l’elemento
che serve loro per marcare e sottolineare questo elemento di appartenenza.
- È una lingua utilizzata da categorie sociali definite marginalizzate, è la lingua delle categorie
sociali marginali, poste ai margini di una società. Ha una valenza di contrapposizione alla
lingua della società che potremmo definire normali. Se l’italiano è la lingua istituzionale dei
normali, il gergo è un’antilingua, che esprime una controcultura di opposizione, di
resistenza rispetto alle norme e ai valori di una determinata società.
- Deriva dall0’italiano antico GERGONE ed è una parola francese col significato di
“gorgheggiare degli uccelli”, verosimilmente deriva da una base onomatopeica GARG,
suono non troppo comprensibile. In francese e provenzale antico, veniva utilizzata per
designare la lingua usata dai mendicanti e dagli imbroglioni.
- È una lingua che è stata definita artificiale (è una lingua che si appoggia ad un’altra già
esistente, l’italiano per esempio o un dialetto), parassitaria (sfrutta una lingua già esistente,
ma la deforma), e criptica (deformandola la rende incomprensibile).
- Una frase in gergo antico “usare l’amaro con lo zaraffo (ladro) per improsare (derivato di
prosare, che significa canzonare, prendere in giro) il vincenzo (bello/gaggio)”. Questa frase
è italiana, perché sono italiane le parole. Ma cosa vuol dire? Usare il gergo con il
malvivente, il proprio compare, per prendere in giro, ingannare il mal capitato, il diverso,
che non appartiene al gruppo ed è vittima di inganno e raggiro. Vincenzo non è l’unico
nome proprio usato, è il più diffuso in area meridionale, ma al nord ci sono altri termini, un
esempio è LA BALLATA DEL CERUTTI GINO, dove il GINO è il fesso.
- È evidente la natura segreta del gergo, ma alcuni studiosi del gergo di scuola francese,
seguiti da antropologi italiani hanno ridotto la funzione, alcuni l’hanno negata, perché solo
raramente è utilizzato in presenza di diversi, è usata soltanto quando si comunica
all’interno del gruppo. Se ciò fosse vero, non potremmo parlare di funzione segreta, o per
lo meno dovremmo ridimensionare la sua portata.
- Più forte è la componente identitaria.
Altri gerghi.
Accanto al significato più specifico e stretto di gergo, esiste anche un’accezione più ampia dello
stesso termine, che è quella più diffusa oggi, è un’accezione che configura il gergo come un
linguaggio settoriale, quindi gruppo specifico di persone, ma senza particolari caratteristiche.
Sentiamo parlare di gergo televisivo, dei media, teatrale, giornalistico, sportivo. Intenderlo così
significa sovrapporre l’ambito semantico del gergo con quello del linguaggio settoriale. Sono stati
chiamati così perché effettivamente sono dei sottocodici dell’italiano che servono per comunicare
in alcuni ambiti specifici da alcune persone, quelle che lavorano in quei determinati ambiti o
settori. Pur essendo in senso lato, impiegato nell’interazione, e anche avendo delle dinamiche
linguistiche simili in contesto storico, le differenze sono evidenti, non c’è la componente criptica,
in quanto c’è la collante sociale.
E poi ci sono varietà intermedie, o meglio varietà che non possiamo chiamare del tutto gerghi e
sono definitivi transitori. Questi sono il linguaggio giovanile/studentesco e il linguaggio di caserma,
militare.
Gerghi transitori
- Gergo di caserma e giovanile che sono varietà più recenti. Ma ci sono dei punti di contatto
tra il linguaggio dei giovani, della caserma e il linguaggio storico, perché sono lingue di
gruppo con forte funzione sociale, non è soltanto una lingua che serve per comunicare in
un determinato ambito, ma serve per segnare l’appartenenza e rafforzare i legami.
(canzone di Fred de Palma “vieni dalla mia stessa zona”). I giovani e i militari sono le
categorie sociali che sono entrate in contatto con i gerganti, e hanno imparato una parte
del loro vocabolario. Sono entrati in contatto negli ambienti tipici della marginalità: strada,
piazza, bordello e ambienti in cui trova realizzazione l’attività malavitosa, le periferie delle
città. Ha determinato un travaso lessicale.
- Terminologia impropria perché non storici.
GERGO E GERGANTI
I gerganti sono una galassia piuttosto variegata di personalità collocate ai margini della società
nella storia, un mondo marginale che popola i mercati, le fiere e le piazze. Ancora oggi la strada e
la piazza sono legate a gruppi di persone emarginate. Il furbo è una persona che sa provvedere
abilmente ai propri interessi e in un gruppo gergale sa tirarsi fuori da situazioni incresciose. Idem
furfanti e dritti (che non va inteso in senso dantesco come persona onesta ma quello che va dritto
sulla base di una realtà rappresentata dalla società contraria a quella tradizionale). La sequenza
fonica frb, frf, drt è uno di quei misteri che rimane irrisolto, punti di contatto tra i gerghi di lingue
anche distanti tra loro (per esempio fricativa vibrante occlusiva).
Persone diverse ma tutte collocabili ai margini della società, tutte persone che devono fare ricorso
alla malizia e all’astuzia linguistica per provvedere al proprio interesse o per togliersi dai gari, per
sopravvivere. Imbonitore: venditore ambulante che convince la gente a comprare merce di
scarsissimo valore e lo fa attraverso di frasi ad effetto.
Il gergo è parlato anche da persone che facevano lavori particolari che erano legati alla strada, alla
piazza e al mercato perché era lì che lavoravano come gli arrotini, gli spazzacamini, gli ombreallai, i
ciabattini, alcuni muratori e pastori, quasi tutti lavoratori migranti che si spostavano di paese in
paese che usavano il gergo per non trasmettere il loro sapere agli estranei che dovevano essere
trasmessi solo da padre a figlio o che appartenevano a un unico gruppo. Questo spazio variegato,
popolato da persone diverse è il gergo, un elemento forte che caratterizza tutti questi gruppi di
persone marginati.
Repertori gergali: gergo come oggetto di studio delle linguistica, lavori fondati su repertori tratti
dal parlato e analizzati con un occhio scientifico. Le raccolte non sono sistematiche, ancora oggi
sono dati episodici ed è per questo che ci sono cose non chiare.
IL GERGO OGGI
Il codice di San Luca: testo criptato legato alla ndrangheta che va verso una direzione nuova che va
verso segni grafici diversi che sono stati poi decriptati.
Nei quartieri periferici ci sono ancora oggi delle varietà gergali che da lì hanno avuto modo di
passare alla canzone. Prima erano state rintracciate dalla letteratura.
Pier Paolo Pasolini ha utilizzato nei romanzi di borgata il gergo dei pischelli.
Alfabeto farfallino per comunicare senza essere compresi e consiste nell’inserimento della lettera f
seguita dalla vocale della sillaba che la precede.
09/04/2021
LE VARIETÀ GIOVANILI
Non è facile parlare di varietà giovanili poiché richiede quesiti preliminari:
- Che lingua è quella dei giovani?
- Chi sono i giovani? A posizione anagrafica va esteso tale concetto, dipendendo dalla
cosiddetta sindrome di Peter Pan e il sempre più tardivo inserimento nel mondo del lavoro
e il tardo affrancamento dalla famiglia di origine tardano l’entrata nella vita adulta. Non c’è
nemmeno tra gli antropologi una risposta.
- Dal punto di vista metodologico, anche nell’ambito degli studi di linguistica c’era la
tendenza a identificare la maniera comunicativa in modo generico. Linguaggio o linguaggi?
Si aveva l’impressione che parlassero tutti allo stesso modo. Ma il quadro è più complesso:
non sempre emerge e questo è il rischio che si trova nell’indagine che riguarda una varietà
di lingua di una generazione.
La cultura giovanile nasce negli Stati Uniti ed entra nella storia con il rock’n’roll, con i blue jeans,
con la voglia di protagonismo, di libertà e di anticonformismo. Elvis Presley, James Dean, Marlon
Brando sono stati i primi miti giovanili. Ritagliarsi uno spazio autonomo e indipendente tra l’età
infantile (figli) e età adulta (genitori). A determinare questo processo, bisogna ricordare un altro
aspetto fondamentale: le grandi trasformazioni sociali legate al processo tecnologico e
miglioramento delle condizioni di vita. Condizioni che modificano le caratteristiche della famiglia e
il rapporto con i genitori di conseguenza. Con l’inurbamento e la tendenza allo spostamento dalle
campagne alle città, alla vecchia famiglia patriarcale, si sostituisce la famiglia nucleare, che,
rispetto alle forme precedenti, è più democratica. Con l’allungamento della vita e il maggior
numero di anni passati a scuola, si erano spostate le nuove frontiere biologiche. Per questo si parla
di mutate condizioni sociali.
Il collante è la musica, che ha un ruolo inteso come linguaggio di aggregazione tra i giovani. La
cultura hippie e la cultura bit sono i primi esperimenti in tal senso, che in Italia arrivano in alcune
manifestazioni marginali. Poi ci son i Beatles, poi c’è il folk americano e la tradizione che viene
aperta da Bob Dylan, poi c’è il rock dei Rolling Stones. Poi in Italia arriva l’esperienza nostrana dalla
canzone d’autore e da manifestazioni alternative, collocate sotto l’insegna del rock, e attraverso
nuovi generi.
Ci sono necessarie premesse di tipo sociolinguistico. Sono la prima varietà, l’insieme
generazionale, e anche l’unica varietà generazionale del nostro repertorio. Non c’è un italiano dei
quarantenni. C’è l’italiano giovanile. Questo insieme di varietà presenta dei tratti di marcatezza.
Dal punto di vista diacronico, il linguaggio giovanile non nasce dappertutto nello stesso
momento, ma nasce al Nord e rimane a lungo una questione quasi esclusivamente
settentrionale. Successivamente riesce a raggiungere altre realtà.
Dal punto di vista diatopico, sono inizialmente limitate all’Italia del Nord e nelle grandi città
del Nord. Nasce a Milano e a Torino e da qui eventualmente si diffonde altrove.
Microdiatopica: sono proprie di alcuni gruppi giovanili elitari, quindi giovani di famiglie
benestanti. Col passare del tempo, si verifica un apprezzabile movimento: dal centro verso
la periferia, che acquisisce un ruolo determinante, come focolaio.
Dal punto di vista diastratico, il linguaggio giovanile è la lingua di un gruppo sociale, quindi
di uno strato sociale ben definito. Non è la lingua di tutti, e sempre su questo piano, si
caratterizza per un abbassamento. Non è un italiano standard, ma al di sotto. Sono i giovani
stessi che decidono di sfruttare soprattutto registri più bassi della nostra lingua, perché
ritenuti più espressivi. Dove c’è il dialetto non c’è il linguaggio giovanile, quando il dialetto
si perde, i giovani, bisognosi di una modalità comunicativa, ricorrono a un’altra lingua o un
altro stile comunicativo, interno all’italiano, che è la loro unica lingua. Al Sud manca il
linguaggio giovanile.
Dal punto di vista diafasico, il linguaggio giovanile non è un vero e proprio linguaggio, come
il gergo che è uno stile comunicativo che subentra solo in determinate situazioni.
Dal punto di vista diamesico, è una varietà orale, ma ciò non toglie che in un secondo
momento tale varietà si sia manifestata anche all’interno di diversi generi di scrittura di
ambito privato, o semi privato (diari), esposte (muri di scuola), sulle cartelle, nella
letteratura giovanile. Negli anni 70, per effetto di una serie di condizioni, nasce la prima
letteratura generazionale, quindi giovanile.
Differenze tra gergo storico e LG: c’è stato un contatto, almeno nella fase storica, tra giovani e
mondo dei gerganti, nella condivisione degli spazi. Il mondo di aggregazione giovanile è anche
quello dei gerganti, ma nella storia, in quanto i gerganti si sono quasi estinti. La differenza è data
da un lato dalla mancanza storicità nel LG, in quanto varietà astorica, e dall’altro che il gergo ha
finalità criptica, è una lingua segreta che serve per comunicare in situazioni marginali, a volte
malavitose, a differenza del LG.
Le fasi:
1. Una prima fase che si colloca nella prima metà del Novecento, che però non viene di
norma presa in considerazione, perché limitata da sporadiche attestazioni di parole
giovanili. Si colloca qui GAROFANO ROSSO di Elio Vittorini.
2. 1954-1968, questa sì, attestata da testimonianze certe. 1954 non è casuale, iniziano le
prime trasmissioni televisive e 1968 inizia un decennio caratterizzato dall’impegno politico
e momentanea eclissi del linguaggio giovanile, eclissato dal politichese, soprattutto dal
sinistrese (varietà di riferimento degli studenti più attivi). È la fase tipicamente
settentrionale e ancora di più milanese, in quanto la documentazione recuperata porta a
Milano.
3. 1968-1977 - il post ’77: anni dominati dal reflusso, anni in cui, abbandonati gli ambiti legati
all’impegno politico, i giovani volgono lo sguardo dentro di sé, riflettono sulla sfera privata,
per la prima volta. Anni del rifiuto del tabù linguistico. Anni che determinano la prima
grande diffusione delle varietà giovanili, anche grazie alle radio libere, che trasmettono su
frequenze alternative, rispetto alle radio del monopolio, della RAI.
4. gli anni Ottanta - gli anni Novanta: il linguaggio giovanile inizia ad espandersi. Tale processo
è amplificato negli anni 90, nei quali trovano compimento alcuni meccanismi generati
prima. Il LG si diffonde anche in forma scritta, perché sono gli anni in cui si vedono le nuove
forme di scrittura digitale.
5. gli anni Zero, descritti attraverso la canzone e i generi tipicamente giovanili.
Sessantotto e dintorni
Gian Luigi Beccaria, nel 1973, dice che è un linguaggio che rappresenta almeno nella dinamica
della comunicazione giovanile una fase di momentaneo allontanamento rispetto al carattere
tradizionale, ludico ed espressivo che la LG ha, per adeguarsi più nettamente al linguaggio
dell’impegno, come effetto della partecipazione alla vita culturale.
Una canzone AL LIMITE CIOÈ di Enzo Maolucci, rappresenta il sinistrese del linguaggio giovanile
fitto dei modelli provenienti dalla politica e dei movimenti della sinistra, nella quale l’autore, un
torinese, il primo laureato con una tesi sulla canzone che scrive tale canzone interessante, perché
il testo mette insieme con dose di ironia, una sequenza di stereotipi tipici del 68. Al limite e cioè
che danno il titolo al brano, e non soltanto.
Pressione che i giovani in maniera consapevole esercitavano sulla lingua italiana: il dialetto è
ancora la lingua principale e occorre rilevare che i giovani di allora preferirono quasi sempre, se
non sempre, l’italiano al dialetto e contribuirono a rafforzare anche i moduli del parlato in italiano.
Questo tipo di linguaggio giovanile, il sinistrese, fa la sua prima comparsa nella scrittura. Ancora no
nella letteratura, ma sui muri come graffiti, o in alcuni strumenti di propaganda, come giornalini e
volantini.
Film PAZ! di Renato de Maria che è uno dei suoi film più riusciti. È uno dei migliori prodotti che
rappresentano il mondo dei giovani in quegli anni, riproduce il sinistrese.
Il post ‘77
In sociologia è stata definita la fase del riflusso, perché segna il passaggio dalle piazze al
disimpegno, dagli scontri sociali al ripiegamento nella sfera del privato. Il linguaggio giovanile
rifiuta i tabù linguistici.
Questo è il periodo in cui nasce la letteratura generazionale: in questa fase prende piede la prima
letteratura giovanile
Le varietà contemporanee
In questa fase, interessante è riflettere sui meccanismi comuni.
Anche oggi continua ad essere una varietà non marginale all’interno del repertorio linguistico
italiano. È contrassegnato da fenomeni di ulteriore estensione generazionale: non si è allargata la
fascia generazionale, ma oggi hanno acquisito nella percezione linguistica della comunità italiana
un rilievo che prima non avevano e accade che elementi lessicali e fraseologici dei giovani vengono
fatti propri anche dagli adulti, anzi, è la tendenza sistematica che caratterizza il rapporto tra
italiano dei giovani e italiano dell’uso oggi. Ciò accelera il rinnovamento lessicale: il giovane,
quando riconosce che una formula linguistica cessa di essere generazionale, perché si diffonde,
non la sente e la abbandona e la sostituisce. Questo spiega la rapida obsolescenza che caratterizza
molte espressioni, l’invecchiamento precoce. E giustifica quell’incessante ricambio lessicale che
caratterizza il linguaggio. I dati sono vecchi di due-tre anni e mostrati oggi, quelle novità lessicali
del 2018 non sono più novità, ma anche parole passate di moda.
Le novità erano ansia, chiusura, mai una gioia, male male, presa male, disagio. Presenza di un
numero significativo di espressioni con elevata carica emotiva, parole che si caratterizzano per
avere una valenza specifica in direzione dell’emotività. Disagio è il porta bandiera, tutto era
disagio, dalla perdita del lavoro al 10% di carica nella batteria del telefono.
A partire dagli anni d’oro e dal 2010, il linguaggio giovanile si è arricchito di una componente che
prima c’era, il linguaggio digitato, la lingua dei social. Anche in relazione a questo particolare
canale, occorre riconoscere un rapporto di mutuo scambio, perché il LG alimenta l’italiano dei
social network e restituisce elementi potenziati, come la canzone e megafono delle tendenze
linguistiche, e restituendole, le diffonde sui non giovani. Social come cassa di risonanza di
tendenze che arrivano anche dal mondo giovanile.
Ti sblocco un ricordo: nasce in contesto social, per questo diventa subito virale e poi, rapidamente
sparisce.
Esempio LOL: CHI RIDE È FUORI
Quindi si parla di una diffusione virale di modismi della scrittura digitale e social network. Fino agli
anni 2000 era necessario uscire e vedersi per strada per conoscersi, c’erano i telefonini, ma erano
utilizzati per chiamarsi, non c’era Facebook. Oggi con la comunicazione digitale, ha generato
differenze che si evidenziano sul piano della comunicazione. C’è un appiattimento del linguaggio
giovanile, che si diffonde senza limiti spaziali.
Aspetti linguistici
Possiamo applicare l’operazione di scomposizione in diverse componenti per tutte le varietà
giovanili. Il linguaggio giovanile è costituito da una serie eterogenea di apporti e componenti:
- La base è l’italiano colloquiale informale, anche scherzoso.
- Su quella base si innestano una serie di strati che possono differire nelle proporzioni a
seconda delle aree, dei gruppi e delle epoche storiche: un primo strato è quello dialettale o
regionale. Sono del dialetto piemontese le aree semantiche delle parolacce,
dell’ubriacatura, della bestemmia, dell’insulto.
- Strato costituito da inserti di altre aree, di termini provenienti da aree centrali o
meridionali, soprattutto in questa dinamica, provenienti dall’area romanesca.
- Al polo opposto dei dialettismi, si pongono gli apporti da lingue straniere, sono gli
internazionalismi e pseudoforestierismi, che manca il senso di appartenenza a un vasto
universo giovanile, di dimensioni sovrannazionali. In questo contesto forestierismi integrali,
cioè prestiti non adattati (casi più numerosi), prestiti adattati, che nel passaggio da una
lingua matrice a lingua replica subiscono un adattamento in forma o pronuncia, e poi calco,
cioè traduzioni, che può essere strutturale o semantico. Tra i primi prestiti integrali c’è
brown, che intende la coca e tra i calchi c’è sniffa, sniffare etc.
- Un ulteriore strato è costituito dalle parole provenienti dalle lingue speciali, cioè tecnicismi
(che caratterizzano i linguaggi settoriali o le lingue speciali per comunicare in un
determinato ambito). Forniscono parole nuove al linguaggio giovanile. I giovani sono stati i
primi a generare il travaso dai linguaggi settoriali al parlato colloquiale, con una
formulazione che agisce soprattutto sul significato, come per salvarsi in corner. Il linguaggio
medico, della psicanalisi e psichiatria, è quello che ha fornito più termini, come sclerare,
sclerato, ansia, panico.
- Ampio è lo strato costituito da parole gergali: dal gergo storico all’italiano giovanile c’è
stato un passaggio costante di terminologie. I giovani usavano ancora parole come aizzare
per guadagnare, asciugare per rubare, imboscarsi, pula, etc.
- Strato proveniente dalla lingua dei mass-media, come televisione, cinema, canzone e
pubblicità, i cosiddetti tormentoni. Oggi è soprattutto una questione che riguarda i nuovi
media, quindi l’italiano digitato.
- Ma c’è un serbatoio terminologico di parole che sono SOLO giovanili o nate in contesti
giovanili. Due filoni: quelle parole di lunga durata, facenti parte dello strato gergale
tradizionale; il filone del lessico innovativo, cioè lo strato gergale innovante. Visto che il LG
è caratterizzato da un continuo evolversi, esistono numerose parole di lunga durata, che
garantiscono una certa continuità dal punto di vista cronologico. Poi c’è il nucleo più
caratteristico, quello innovante, cioè una serie di parole che caratterizzano un gruppo
giovanile in un determinato contesto storico, è effimero.
Per concludere
Il linguaggio giovanile è oggi più di ieri rappresentativa nell’architettura dell’italiano
contemporaneo, non è più una varietà trascurabile nel repertorio linguistico. È una lingua che
sempre di più riesce a influenzare l’italiano dell’uso, quindi in una dimensione extragenerazionale
ed anche la sua stessa natura specifica riempie il vuoto diafasico (legato a situazioni comunicative)
lasciato dalla vitalità ridotta del dialetto. È una lingua che è propria di un gruppo e di una
generazione specifica che si colloca tra la fase infantile e la fase adulta, quando l’individuo si
forma. È la lingua che è strumento di comunicazione in questa fase specifica, di gruppo. Non è una
lingua banale, anzi, molto appariscente, a colori, esuberante e a volte anche esagerata (usi
iperbolici). A volte diventa una lingua contro, cioè una antilingua, di denuncia, contrapposizione. È
una lingua per volersi bene, ma anche male, perché è anche la lingua dell’insulto e dell’offesa. È in
definitiva una lingua per crescere, da rivalutare nel contesto specifico della canzone.
16/04/2021
“È TUTTO UN EQUILIBRIO SOPRA LA FOLLIA”: LA LINGUA ROCK
Uno dei generi giovanili per eccellenza, forse il primo genere musicale giovanile, intendendo
l’indirizzo specifico che questo genere ha avuto verso una specifica fascia generazionale: la lingua
del rock.
Sesso, droga e…
È stato un fenomeno di costume, in quanto ha portato con sé una nuova cultura di massa, una
cultura giovanile, una cultura fondata su alcuni miti, come la trasgressione, l’eccesso, le aspirazioni
libertarie, il pacifismo, ecc., e ha portato con sé anche i suoi riti, che erano raduni di occasioni di
incontro (i grandi festival degli anni 60 da L’ISOLA DI WHITE a WOODSTOCK).
Dal punto di vista storico, è un genere della popular rock music, dagli anni 50 ai 60. È
un’evoluzione del rock’n’roll, ma trae le sue origini anche da generi precedenti.
Musicalmente è caratterizzato da 3 strumenti: chitarra elettrica, basso e batterie. Negli anni il
termine rock è diventato una parola generica utilizzata per indicare una grande varietà di
sottogeneri. Dagli anni 60 in poi, il rock si è diramato in una serie considerevole di varietà e
sottogeneri, se mescolata con il blues per dare vita al Southern rock, o col jazz generando il rock
progressivo, etc., o ancora il pop rock o l’hard rock o ancora il rock psichedelico, heavy metal, punk
fino ad arrivare alla new wave, tutte declinazioni che partono da un modello di rock. Poi l’indie
rock da cui deriva l’indie nostrano.
La koinè rock
I testi presentano un’ideologia del genere, un’ideologia caotica, articolata in mille rivoli, tra loro in
contraddizione. Questi testi la rielaborano e la presentano attraverso una serie di elementi che
ricorrono con una certa frequenza. Il rock è fatto di parole che ritornano spesso nei testi, che si
ripetono, sono parole proprie di quella ideologia. Da quella iteratività lessicale e tematica nasce
una tradizione vera e propria, che ha connotati evidenti anche sul piano della lingua, ecco perché
si parla di koinè, grecismo che intende una lingua comune o una varietà di lingua comune, che si
diffonde in un dato territorio, contrapponendosi alle parlate territoriali, è una lingua sovralocale.
Nel rock esiste una koinè, che si basa su un certo numero di tratti distintivi, che si combinano tra
loro e, perciò, contribuiscono alla formazione di una tradizione abbastanza riconoscibile.
La tradizione rock italiana
Si fonda su alcune correnti principali, dal punto di vista degli esponenti:
- Almeno fino a un certo punto, corrisponde la visione realistica, verosimile del fenomeno
del rock: esistono i classici, una corrente classicista, rappresentata da Vasco, Ligabue, ma
anche i Litfiba e Gianna Nannini. Sono classici, perché producono i loro dischi nella fase
della costituzione di quella tradizione, tra la fine degli anni 70 e la metà degli anni 90.
Pur condividendo gli aspetti principali di quella koinè, altri filoni ne enfatizzano una particolare
componente.
- Il rock politico in cui è forte il componente ideologico, con massiccio utilizzo del linguaggio
politico. Rientrano i Gang e i CCCP.
- Il rock demenziale, ricerca di effetti comici, ironici e dissacranti. È una corrente del rock.
Primo gruppo di area emiliana è il gruppo degli Skiantos o ancora Elio e le storie tese.
- Il rock di ricerca che, qui in Italia, sulla base del modello britannico, è definito il prog. I PFM
e gli Area di Demetrio Stratos sono stati gli esponenti principali.
Poi ci sono alcune tendenze successive:
- Il nuovo rock italiano, che si caratterizza per toni più cupi e atmosfera rarefatta.
- Più recente il rock sentimentale, melodico o pop rock, che in Italia si sviluppa su modelli
internazionali come Elton John, Coldplay, Robbie Williams. È il rock di Nek.
Vasco entra a far parte di una istituzione della vita italiana. Zanichelli fornisce una definizione di
autore, dicendo che Vasco scrive la voce spericolato sul vocabolario Zanichelli.
Non è stato l’unico, ci sono altre personalità come Giorgio Armani, Carlo Verdone o Valentino
Rossi che hanno contribuito a quell’edizione particolare.
La violenza verbale
La lingua rock è dura anche perché è aggressiva, violenta, non attraverso necessariamente
metafore. L’aggressività si manifesta all’interno di tre aree semantiche principali:
- L’autodistruzione, tipica dei testi del rock e che procede parallelamente secondo modalità
affini a una medesima tematica nella letteratura giovanile di quegli anni. Reale o figurata
che sia. SIAMO SOLO NOI e SONO ANCORA IN COMA di Vasco.
- Violenza fisica: esempi IERI HO SGOZZATO MIO FIGLIO e TI TAGLIO LA GOLA.
- Disgusto e fastidio fisico, provato da situazioni diverse: FEGATO SPAPPOLATO di Vasco
dove racconta quasi come fosse un diario parlato in presa diretta un risveglio dopo una
notte difficile. Il vomito è una parola forte del rock internazionale e Vasco la utilizza in
SIAMO SOLO NOI e la recupera in un brano più recente STUPENDO!
Irreligiosità e blasfemia
Si caratterizza anche per toni, se non blasfemi, irriverenti nei confronti della religiosità e del sacro.
Vengono ricostruite anche certe atmosfere tipiche del rock anglosassone degli anni 60-70. In
alcuni brani dei Litfiba PROIBITO, per esempio, dice “spara al serpente della prima mela/che ruba
la forza a chi comandò/ ed io con la musica mi cambio la pelle/ ma il paradiso è un’astuta bugia/
tutte le vite per primo la mia/ ah, mama mia el diablo”.
La blasfemia la vediamo in PORTATEMI DIO di Vasco e in Ligabue con HAI UN MOMENTO, DIO?
Talvolta assistiamo a formule quasi da parafrasi di brani di preghiere e un esempio è LIBERA NOS A
MALO di Ligabue, che sta ad indicare “liberaci dal male”. Religiosità proiettata in un mondo
terrestre e profano.
Amore e sesso
Nella carica espressiva, talvolta volgare, del rock non può mancare la componente amorosa,
sessuale ed erotica. Il rock è una lingua con una forte carica erotica. Se pensiamo con la percezione
che abbiamo della canzone oggi, quella carica erotica risulta un po’ annacquata. Bisogna mettersi
nei panni di chi ascoltava le canzoni 30-40 anni fa.
Evidente negazione del sentimentalismo tradizionale della canzone, quello a lungo riconosciuto
nella canzone di oggi. È giusto che abbia una sua caratterizzazione sentimentale, lo si vede ancora
a Sanremo. Ma nel rock il sentimentalismo non trova spazio, in particolar modo nel rock delle
origini.
L’amore ha sempre una connotazione fisica, carnale. Anche la parola amore della canzone
tradizionale è sempre intesa come allocutivo, ma nel rock fa riferimento all’atto sessuale.
Nella canzone DIMENTICHIAMOCI QUESTA CITTÀ di Vasco “facciamo l’amore per delle ore”, più
chiaro di così non si può. O ancora, lo stesso Vasco, in un brano più noto REWIND “fammi
vedere/fammi godere”.
Più interessante quando a cantare l’amore è una voce femminile. Gianna Nannini ha cantato molto
spesso l’amore, ma dal punto di vista della donna, con una forte carica erotica in AMERICA, dove
l’America diventa un referente erotico “fammi sognare lei si morde la bocca e si sente l’America”.
Altri brani noti della Nannini sono VOGLIO IL TUO PROFUMO e I MASCHI che riflettono l’oggetto
del desiderio già dal titolo.
Vasco e il rapporto complesso che ha avuto col mondo femminile: esiste un canzoniere rivolto al
femminile. Ci sono dei testi interessanti come IO NON SO PIÙ COSA FARE che da l’interpretazione
di un certo mondo, inteso quello della sessualità, alla fine degli anni 70 e si potrebbe leggere come
se fosse un brano di prosa: “naturalmente lei insiste/mi vuole proprio fare”. C’è originalità, ma
anche autoironia. C’è in ballo la reputazione dell’uomo virile “dovrei essere molto venire/ e
continuare magari per due ore”, Vasco ci sta raccontando l’esatto contrario e noi non siamo lì.
Sullo sfondo c’è del femminismo “magari è femminista”.
BRAVA sempre di Vasco: lei è giovane, è furbetta (così la descrive), lui si innamora di lei subito,
probabilmente perché le dice “prima ancora che lei si accorga di lui”, ma lei decide di commettere
un piccolo peccato, si diverte con un ragazzo, prendendosi gioco di lui. C’è un capovolgimento del
ruolo immaginario e tradizionale. È di nuovo donna, ma in una chiave diversa, e lui subisce più sul
piano sentimentale/psicologico.
Lo sballo e la droga
Anche qui possiamo leggere estratti di canzoni che sono più rappresentativi: Dice mia madre, “devi
andare dal dottore/a farti guardare, a farti visitare/ hai una faccia che fa schifo, guarda come sei
ridotto, /mi sa tanto che finisci male”, /la guardo negli occhi con un sorriso strano, /neppure la
vedo, ma forse ha ragione davvero/ sempre di FEGATO SPAPPOLATO
Rock e attualità: le nuove fonti
I testi sono fedeli testimoni di un rapporto complesso e contradditorio sempre con la realtà, anche
quella più cruda. Entrano tra le fonti di riferimento dei modelli che non sono quelli tradizionali
soltanto, ma arrivano anche dal cinema, dal fumetto e dalla letteratura per l’infanzia.
L’immaginario del rock dal quale vengono pescati i riferimenti affondano le radici in nuove forme
di cultura diverse. Il primo modello è il rock stesso, che alimenta il riferimento culturale.
I miti del cinema come Steve McQueen e Marlon Brando, o ancora Dustin Hoffman e John Holmes.
Nel fumetto e la letteratura per l’infanzia ricordiamo Tex e Peter Pan.
23/04/2021
Il ritmo
Rifiuto programmatico per la melodia e per la cantabilità, ma non significa rifiuto delle altre
componenti tradizionali del canto, a partire dalla rima. La rima c’è. Qui risponde a esigenze diverse
rispetto a quelle della canzone tradizionale. Una ragione è sicuramente stilistica: nella rima si viene
compensata la carica del testo, anche più aggressiva. Il messaggio compare al termine di una
sequenza, all’interno di una struttura con rima baciata. Quindi rima come elemento che consente
di compensare la carica espressiva del messaggio del testo o di un messaggio particolarmente
significativo. Poi c’è una ragione testuale: implica maggiore rapporto con il ritmo, la struttura
ritmica della base e della lingua. Il brano rap è un testo che per l’orecchio non va mai a capo.
La rima stabilisce i legami tra le varie parti del testo, che altrimenti risulterebbe sconnesso o
difficile da seguire. La rima da ritmo, ma anche coesione sintattica e testuale. Per tale ragione, la
rima, nei brani rap, è totale, cioè è a tutto presto.
Le parole sommano al loro interno più valori metrici, stabiliscono più relazioni di natura fonica con
parole vicine, che precedono quelle che seguono, generando un effetto di forte coesione testuale.
Altri ricorsi, non legati alla rima, ma a determinare il rapporto tra parlato e recitato, sono
rappresentati da:
- Filastrocche e scioglilingua con giochi di parole.
- La reticenza, tipica del genere, cioè figura retorica legata al tabù linguistico, all’interdizione,
che consiste nella sospensione di un discorso, prima di una parola o un’espressione che
risulterebbe volgare e sconveniente. Anche se non viene detta, è facilmente intuibile. Ad
esempio “non era mica male questa pu-pulzella: era una bella con un cu-curioso taglio di
capelli e delle te-te-te-te tenere espressioni”. Può assumere la forma di una mancata rima.
Quella parola verrebbe suggerita dopo.
- L’anafora svolge una funzione di coesione testuale come la rima, in quanto figura della
ripetizione, in posizione diversa, ma generando l’identità di suoni, lega la coesione agli
elementi. È estendibile a tutte le figure della ripetizione, che sono presenti nel rap con una
percentuale maggiore rispetto agli altri generi. L’accumulo è una figura retorica di
elencazione che viene impiegata per amplificare una parte di testo o un messaggio
attraverso le numerazioni di elementi diversi che possono essere legati da fattori semantici
e melodici. GENTE DELLA NOTTE di Jovanotti è un brano rap “baristi, spacciatori, puttane e
giornalai/ poliziotti, travestiti gente in cerca di guai” ecc.
- Le sequenze con legame “logico”, cioè sequenze di parole legate tra loro dallo stesso
legame logico, ad esempio CIELO dei Casino Royale presenta sintagmi che si ripetono e
sono formati dalla sequenza sostantivo + aggettivo. Il sostantivo è sempre piano, è sempre
un trisillabo, mentre l’aggettivo è sempre sdrucciolo e trisillabo.
I temi
Sulla scia del rap sono anche i temi della trap. La novità non sta nelle tematiche, quanto nel modo
di esprimerle. È una lingua eccessivamente volgare quella della trap. Alcuni sono:
- Successo, affermazione, autocelebrazione.
- Violenza e la gang: è la prima grande tematica che si riscontra. Secondo alcuni è una forma
di violenza “normale”, in quanto è normale nel genere ampio. È una violenza correlata alla
banda del protagonista della canzone, non è violenza raccontata come fatto di cronaca.
L’idea della gang è associata a quella della famiglia, a amici stretti legati da vincoli profondi,
che si comportano come fratelli.
- La droga è un’altra componente fondamentale: assunzione di stupefacenti e spaccio. Qui ci
sono nuove droghe con nuove parole. “prendo sempre tre gusti, fumo un cono gelato”,
Young Signorino dedica intere canzoni e Sfera Ebbasta è quello che ha fatto più notizie con
lo sciroppo a base di codeina. Viene citato anche lo spaccio. I trapper sono stati spesso
oggetto di bersaglio della critica per aver riportato alla ribalta il concetto della droga,
l’associazione tra musica e droga è evidente. La questione è diventata nota in un concerto
di Sfera Ebbasta nel 2019 che era troppo pieno di giovani.
- Ossessione per lusso e moda: ostentare come effetto del successo, di esserci arrivati.
Gioielli, oro, auto costose, i videoclip pieni di questa roba, perché i gioielli sono anche i
protagonisti dei testi. “sto pensando solo ai soldi, giuro sono malato” ne CONO GELATO
della Dark Polo Gang. Nella maggior parte dei brani analizzati, sia della prima produzione
della trap, ma anche prodotti più recenti, le grandi firme ricorrono con frequenza, in
particolare Gucci, ma anche Armani, Bulgari.
- Poi c’è il sesso, altro chiodo fisso, soprattutto le donne, o meglio, le tipe. Le ragazze sono
chiamate in diversi modi, fanno di tutto per avere una relazione con loro. Nei racconti
“scelgo una tipa, nessuna dice di no” in RICCHI PER SEMPRE di Sfera. È un atteggiamento
maschilista, per i modi con cui ci si riferisce alle donne. Sono modi ricorrenti: puttana,
troia, bitch, in espressioni di oggetto sessuale da collezionare. Fanno quasi a gara per chi ne
parla peggio.