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FILOLOGIA ITALIANA MAGISTRALE

Luca Bellone
https://unito.webex.com/meet/luca.bellone
Lezioni giovedì/venerdì ore 14:15/16:45

Per l’esame ci sarà una prova scritta, che sarà un’attività di ricerca. Sostituisce la prova orale, ma
comunque ci sarà un breve colloquio orale.
TESINA da consegnare + COMMENTO insieme nella prova orale
(si può presentare la prova scritta anche non in data di esame, prima o dopo un appello).

In cosa consiste la tesina?


 Analisi linguistica di una canzone italiana, di Sanremo, di un autore, di più generi come il
rock, il rap, indie, etc.
 È possibile studiare un autore, un gruppo di autori, concentrarsi su un singolo album, solo
se più che sufficiente per l’analisi. Posso concentrarmi sulla lingua di un genere o
sottogenere (indie, pop, rock)
 Presenza di alcune espressioni prima proibite perché considerate taboo, come dialetto o
parolacce.
 La scelta deve ricadere su un tema di nostro gradimento, ma anche che abbia sostenibilità
linguistica.
 Un autore che utilizza un linguaggio standard, senza picchi e che non offre soluzioni
linguistiche potrebbe portare difficoltà.
 I libri e il materiale sono utili per le ricerche e per le fonti bibliografiche.
 Date appelli: 17/05, 1/06, 15/06, 5/07, 8/09, 21/09.

11/02/2021
FILOLOGIA:
- Etimologia: dal greco philos che significa amante, amico e lògos che significa parola,
discorso, lett. Interesse, amore per lo studio delle parole. Qui siamo solo allo studio
etimologico, ma è ben chiaro che la filologia pone al centro dei suoi interessi le parole in
senso complessivo e quindi le lingue composta da più parole.
- È un insieme di discipline che studiano i testi scritti, principalmente ma non solo letterari al
fine di costruire la forma originaria di questi.
- È una parola, la filologia, che ha un etimo trasparente, ma ha un’evoluzione semantica
nebulosa, perché gli indirizzi che ha concorrono a comporre un quadro complesso.
- Tullio de Mauro nel Grande Dizionario Umanistico del 2007 dice che la filologia è una
disciplina che mediante l’analisi linguistica e la critica testuale mira alla ricostruzione e alla
corretta interpretazione dei testi o documenti scritti.
- In questa accezione possiamo definire la filologia la regina delle discipline universali; non
esisterebbero traduzioni scritte se non esistesse il filo filologico. È un’arte più raffinata della
storia, della letteratura, in quanto queste dipendono proprio dall’arte. Non ci sarebbe
letteratura se non ci fosse il lavoro del filologo.
- Discorso più complesso è il rapporto tra filologia e linguistica, in quanto si contaminano e si
trovano nello stesso campo. Un bravo filologo deve essere un bravo linguista, ma non è
detto che un bravo linguistica debba essere un bravo filologo.
- Con questa parola si intende oggi il complesso di tutte quelle discipline che si propongono
di ricostruire e analizzare in maniera corretta gli aspetti più caratterizzanti di una cultura,
antica e moderna. Disciplina democratica.

Per dare una definizione meno asettica ma più sentimentale di filologia ci rifacciamo ad un testo di
Nietzsche Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali del 1879-1881. Definizione poetica, altamente
suggestiva. L’aspetto più interessante è che si tratta di una definizione attuale. Filologia è la
lentezza in opposizione all’eccessiva velocità del mondo reale. Inoltre, è attenzione al particolare,
in un’epoca in cui domina il generale, il generico, l’approssimativo. È molto attuale, basta pensare
a quanto di tutto ciò ci sia adesso e di quanto dominante sia questo atteggiamento che si oppone a
quello della lentezza della filologia. È amore per la precisione dell’essenza, per la profondità, in
opposizione alla superficialità. La filologia è lettura attenta con dita e occhi delicati, che ci porta a
scartare quelle posizioni idealistiche, tipo attuali. Quando si parla di atteggiamento basato su
interpretazioni semplicistiche si pensi alla situazione politica. Ma naturalmente questo tipo di
lettura attenta va associato alla dimensione social che è in enorme diffusione nella comunicazione
deragliata. La filologia come strumento per combattere tutto ciò. Filologia è curiosità, lasciare
aperta la porta al nuovo e allo sconosciuto. È AMORE PER IL LINGUAGGIO, per le parole intese
come strumento necessario, potente a nostra disposizione per parlare e plasmare il pensiero
dell’uomo, per canalizzarle i sentimenti. Le parole sono importanti. In genere chi parla male, pensa
male e vive male.

In Per difesa e per amore, Gian Luigi Beccaria scriveva che vale la pena ricordare quanti siamo in
questo pianeta. Ciascuno di noi è nell’atto di parlare o ascoltare, sentir parlare.
Cringe è diventata una parola italiana, arriva dalla accademia della Crusca. Inserita nella sezione
PAROLE NUOVE che serve a documentare i termini utilizzati in italiano o termini che non sono
entrati a far parte o non sono nei dizionari.
Il fatto che la Crusca dedichi una scheda ad una parola, non significa automaticamente il suo
ingresso. Se una parola viene usata, entra da sola in una lingua. Il lessicografo, dopo averla
osservata per 3 o 4 anni, ne prende atto.
Alla fine, si è scoperto che era un articolo falso, perché hanno mal interpretato ciò che ha detto la
Crusca.
La tuttologia è il contrario della filologia.
Un altro giornale aveva pubblicato un articolo fasullo, che la Crusca avrebbe approvato
l’espressione USCIRE IL CANE. Senza inopportuna verifica. L’accademia avrebbe quindi sdoganato
tale espressione, perché non possiamo usare un verbo intransitivo come transitivo.
L’accademia della Crusca ha sempre avuto una funzionalità descrittivo, non ha nessuna finalità
prescrittiva, a meno che non vengano poste domande sull’essere giusto o no usare determinate
parole in un determinato modo.
La crusca non si limita a dire cose, ma tengono documentati gli usi circostanziati attraverso
esempi, con specificazioni.

ALLE ORIGINI DELLA FILOLOGIA: ETÀ ANTICA


- Nel mondo greco è possibile affermare che il primo studio filologico sistematico e
scientifico, consapevole, il costituirsi della filologia come disciplina autonoma risale al
periodo ellenistico che si estende dalla morte di Alessandro Magno 323 a.C. fino alla
battaglia di Azio 31 a. C.
In questi anni si colloca l’opera di filologi nella biblioteca di Alessandria d’Egitto. Questi
avevano l’obiettivo di analizzare dal punto di vista linguistico e interpretare i testi letterari
dell’epoca precedente, di lingua greca, come i poemi omerici che presentavano numerosi
problemi linguistici e corruzioni linguistiche generate nella trasmissione scritta di questi
testi. Trovare norma linguistica che fosse in grado di mettere ordine alle diverse varianti di
oscillazione che le opere mostravano per dare una sistematizzazione grammaticale
linguistica ai testi. Non è un caso che questa biblioteca viene fondata all’inizio del III secolo
a.C. dove vennero conservati testi matematici, di filosofia e medicina, oltre ai testi letterari.
Diventa la biblioteca un centro di studi di altissimo valore. Venivano conservati oltre
500.000 manoscritti. Da lì ebbe inizio la trasmissione delle opere attraverso il lavoro.
Uno dei problemi principali era quello di doversi orientare tra varie forme di testi che prima
di essere interpretati e comunicati avevano bisogno di un’operazione preliminare
fondamentale: dovevano trovare una loro collocazione linguistica sistematica, cioè ridotti
ad una norma linguistica.
Grande differenza linguistica che esisteva anche a livello letterario nella produzione dei
grandi classici. Il filologo dell’antica Grecia è un linguista che deve individuare delle norme
per mettere ordine all’insieme delle varietà linguistiche.
- Dalla Grecia ci spostiamo a Roma, perché anche presso i latini il filologus era il grammatico.
Dopo la battaglia di Anzio e soprattutto nelle epoche successive vennero a Roma, sia
portati come schiavi sia come accompagnatori di principi, studiosi di Alessandria
permettendo la diffusione della filologia nella città.
- Edizione che Origene propone in testo ebraico e in diverse edizioni di traduzione. Mette a
confronto due edizioni dello stesso testo a partire dal testo ebraico e dal confronto con le
diverse edizioni greche. Siamo tra il secondo e terzo secolo. Poco più tardi Girolamo è
l’autore della prima traduzione in latino dell’antico testamento a partire dal testo che da
allora è sempre stato considerato riferimento per tutte le traduzioni successive della
Bibbia. Il nome Divulgata viene dato alla sua versione e che diventa per indicare uno scritto
o opera tradizionalmente accettata. Egli non rendeva parola per parola, ma rendeva il
senso.

DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA


- Nel corso del Medioevo si sviluppa a partire da un monastero fondato a Schillaci si sviluppa
la cultura del monaco amanuense che fino al XIII secolo è strettamente legata al mondo
religioso, e preso il monastero di Schillaci per la prima volta vengono coinvolti numerosi
monaci nella raccolta di testi antichi.
- Qualche secolo dopo va ricordata la Schola Palatina di Carlo Magno, che promosse in
Europa una vera e propria rivincita culturale e filologica.
- Parlare di medioevo significa fare i conti con un episodio che ha avuto un rilievo: la nascita
delle lingue romanze. Il latino era percepito come lingua priva di parità almeno nei testi di
vita quotidiana, ormai incapace di esprimere ciò che di complesso era la cultura. Era una
lingua destinata a cessare e si affermava come continuazione diretta del latino che non
soltanto nell’uso popolare o quotidiano, ma anche nella traduzione scritta. A poco a poco
diventano lingue nazionale ante litteram. Questo porterà con sé conseguenze dal punto di
vista filologico.
- Dante ha scritto un’opera De Vulgari Eloquentia dedicata alle lingue romanze del nostro
territorio. Da questo punto di vista è stato il nostro primo filologo sull’eloquenza, l’efficacia
del volgare, sulla capacità di esprimersi intesa come lingua migliore del latino. Il primo
filologo Dante anche primo autore di trattati. Obiettivo: trovare volgare illustre adeguato a
essere utilizzato nelle aule dei tribunali. Punto di partenza è che Dante giudica il volgare
una lingua naturale della balia migliore rispetto al latino, cercando di individuare quale
fosse il “migliore” volgare, che dia lustro a chi lo parla.
- I centri intellettuali diventano le corti principesche, signorili e le stesse città. E si formano
sui valori dell’uomo nel nome di una nuova concezione del mondo. L’attività filologica
nell’Umanesimo gode di un nuovo sviluppo a partire dalla metà del XIV secolo quando si
sviluppa una intensa ricerca di codici antichi.
- Una svolta fondamentale per la storia della filologia, già più orientata verso l’epoca
moderna, è l’invenzione della stampa a caratteri mobili di Gutenberg. In seguito a questa
innovazione fiorirono eccellenti tipografie, soprattutto a Venezia, Napoli, Firenze, Bologna
che contribuì alla moltiplicazione e circolazione di libri antichi e moderni. Comportò quindi
nascita e sviluppi di nuove biblioteche crebbero e si moltiplicarono.
- Alla luce di questo percorso, non è facile dare una definizione di ciò che è la filologia perché
come abbiamo notato è una disciplina caratterizzata da molteplici aspetti in quanto ha
assunto nel corso della storia e nelle diverse culture diversi scopi e significati.
- La filologia è intesa in vario modo, per esempio la scienza che studia l’origine de la struttura
di una lingua venendo a coincidere con molti settori della linguistica come la linguistica
comparata e linguistica storica, può essere quella parte della linguistica che is occupa del
mondo greco e latino come sistema di norme che regolarizzano la multiforme
caratterizzazione linguistica e può essere l’insieme degli studi non soltanto letterari ma
artistici di un genere che consentono di studiare e di comprendere una cultura antica o
moderna che sia.
- Oggi la filologia deve essere intesa anche in una accezione contemporanea anche con testi
che non trasmettono contenuti letterari come, ad esempio, i testi delle canzoni.
- La filologia italiana, ramificazione della filologia romanza, è la scienza volta allo studio dei
testi italiani, scritti in lingua italiana, in uno dei suoi volgari, o eventualmente scritti in Italia.

12/02/2021
L’ITALIANO NELLE CANZONI: INTRODUZIONE

Qui dove il mare luccica e tira forte il vento, sulla vecchia terrazza, davanti al golfo di Surriento...
Come quando fuori pioveva e tu mi domandavi se per caso avevo ancora quella foto, in cui tu
sorridevi e non guardavi... Le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi... Poi d’improvviso venivo dal
vento rapito, e cominciavo a volare nel cielo infinito... Questa è la tua canzone Marinella, che sei
volata in cielo su una stella... È una canzone di cent’anni almeno, urlando contro il cielo... Ma il
cielo è sempre più blu... Voglio una vita spericolata, voglio una vita come Steve McQueen... Io
penso positivo perché son vivo, perché son vivo... Vivo per lei da quando sai, la prima volta l'ho
incontrata... Tu non sai cosa ho fatto quel giorno quando io la incontrai... Lo sai che la Tachipirina
cinquecento, se ne prendi due diventa mille?... Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi... Vorrei ma non
posto... Parole, parole, parole, soltanto parole, parole tra noi...

Gioco o collage che serve da preambolo


Come diceva Tiziano Scarpa “di che cosa siamo fatti noi, di che cosa hai fatta la nostra vita?” Di
ritornelli che ciascuno di noi sceglie di canticchiare all'infinito.
Quindi di parole parole e parole (Mina e Alberto Lupo).
L’obiettivo è ricostruire attraverso proprio quelle parole mezzo secolo della nostra lingua, perché
lingua/canzoni e canzoni/lingua determinano un legame fitto. “E Cinzia cantava le sue canzoni e si
scriveva i testi sul diario per sentirli veri” ci dice che la famosa Cinzia cantata da Antonello Venditti
in un brano abbastanza famosa “Piero e Cinzia” del 1985, contenuto nell’album di 100 città è una
giovane ragazza che ama le canzoni di Bob Marley e la canzone racconta proprio un concerto che
Piero e Cinzia, due fidanzati vanno a vedere a Milano nel giugno del 1980.
Ecco Cinzia e così innamorata delle canzoni di Bob Marley da scriversi i testi sul diario per sentirli
più dure fissare le parole, quindi al di là della componente musicale noi dobbiamo tenere presente
il peso che nelle canzoni hanno le parole.
Il fenomeno della musica leggera, cioè l'insieme della produzione musicale pop di consumo
commerciale, quella che si oppone o vi si contrappone a quella classica o colta, è di così grande
radicamento e di grande rilievo a livello sociale, culturale ed economico e di costume nella vita
degli italiani, fin dagli anni dell'Unità che non può essere trascurato dalla linguistica e dalle altre
discipline umanistiche o sociali che si occupano della società dell'uomo e della comunicazione.
quindi la linguistica da qualche anno da qualche decennio ha cominciato a occuparsi di lingua della
canzone, perché il rilievo sociale e linguistico che questo mezzo di comunicazione particolare ha
avuto nella nostra società nelle nostre abitudini anche linguistiche è grande e non può essere
trascurato.
Alcuni interrogativi hanno interessato principalmente le riflessioni dei linguisti: prima di tutto qual
è la natura semiotica dell'italiano della canzone stessa, cioè in che modo si manifestano i segni di
questo particolare tipo di testo?
Dal punto di vista semiotico la canzone è un prodotto culturale molto particolare e quindi la
domanda è quali sono i meccanismi che a livello linguistico caratterizzano un testo cantato e, a
differenza del testo poetico, non esaurisce in sé tutti i suoi significati e perché è sempre destinato
ad essere una parola per musica, cioè un testo che deve essere cantato, non un testo soltanto, ma
un testo che deve fare i conti con la componente musicale.
La semiotica è quella disciplina sociale che si occupa dello studio dei segni attraverso i quali
avviene la comunicazione di un messaggio.
La musica aggiunge senso alla parola cantata. Questo è il primo interrogativo.
Il secondo grande interrogativo: qual è stato il ruolo che la canzone ha avuto nella storia linguistica
dell'Italia unita? Ha costituito la canzone un modello linguistico? Può essere intesa la canzone
come specchio linguistico degli usi degli italiani?
A livello sociale come possiamo definire la canzone? Un mezzo che come la televisione, come il
cinema e come giornali ha in qualche misura ha costituito o agito da modello per gli usi linguistici
italiani o agito come specchio, cioè come riflesso degli usi linguistici degli italiani?
Il terzo interrogativo: che rapporti ci sono tra l'italiano della canzone e gli italiano inteso come
lingua in generale? Che rapporti di dare e avere e di mutuo scambio ci sono stati e ci sono adesso
tra la lingua della canzone e la lingua italiana che parliamo tutti? Può avere l'italiano della canzone
influenzato almeno in parte la lingua italiana, per esempio diffondendo nell’uso articolari
espressioni? In che modo la lingua italiana ha agito sulla lingua della canzone? Corrisponde al
mutamento della lingua italiana nel corso di 10 anni anche un mutamento della lingua della
canzone?
È possibile tracciare un profilo di storia linguistica della canzone italiana?
Questo è un interrogativo che ha stimolato la riflessione linguistica degli ultimi anni e la risposta a
quest'ultima domanda può essere affermativa, perché esistono degli studi sulla storia della lingua
della canzone italiana dati da autorevoli colleghi.

Lingua italiana e musica


Riflessione non sul rapporto tra lingua italiana e canzone, ma tra lingua italiana e musica. Non
bisogna confondere le due cose. Differenza sostanziale:
- Musica è un componimento o un’esecuzione musicale, in riferimento specialmente all'arte
di combinare insieme suoni prodotti da strumenti musicali. La musica è la componente
melodica e sonora di una canzone.
- La canzone invece è una composizione vocale accompagnata dalla melodia, cioè dalla
musica, una melodia che di norma dovrebbe comparire orecchiabile. Quindi la canzone
riflette, a differenza della musica, anche sulla componente testuale, cioè sulle parole.

Il rapporto tra la lingua italiana e la musica è diverso rispetto al rapporto tra la lingua italiana e la
canzone. Associare l'italiano alla musica viene spontaneo in tutto il mondo, italiano e musica
sembrano un binomio indissolubile:
- molte opere sono state scritte in italiano, come quelle di Vincenzo Bellini, di Gioachino
Rossini, di Gaetano Donizetti, di Giuseppe Verdi, di Puccini,
- in numerose lingue le parole che hanno a che fare con la musica sono italiane, o comunque
hanno origine italiana come le parole che indicano gli strumenti musicali violino,
violoncello, pianoforte che oltre a essere una parola italiana è anche uno strumento
inventato da un italiano alla Corte dei medici a Firenze nel XVII secolo,
- sono italiane molte delle parole che indicano i generi di musica o di canto, come aria,
capriccio, fantasia, fuga, sinfonia,
- di origine italiana o italiane sono molte delle parole che indicano i tempi musicali allegro,
adagio, presto, prestissimo.
- italiane anche le parole che indicano i tipi di cantanti lirici, come tenore, soprano.

Lo seppe già Mozart che a 13 anni scriveva lettere in italiano alla sorella e che in età più matura
affidò a un librettista italiano, Lorenzo da Ponte, la stesura del testo poetico delle sue opere più
celebri.
Jean Jacques Rousseau diceva: “se c’è in Europa una lingua adatta alla musica è certamente la
lingua italiana; infatti, questa lingua è dolce, sonora, armoniosa e accentata più di ogni altra cosa”.
Thomas Mann diceva: “Caro signore per me non c'è dubbio che gli angeli nel cielo parli in italiano.
Impossibile immaginare che queste belle creature si servano d’una lingua meno musicale.”
Queste considerazioni sono frutto di un pregiudizio positivo che, però nei secoli, è sfociato nel
mito. È evidente che nel mondo è diffuso un luogo comune secondo cui l’italiano è la lingua
musicale per eccellenza.

Lingua italiana e canzone


Ci chiediamo se le considerazioni sul rapporto tra italiano e musica valgono anche quando
l'italiano è cantato, valgono cioè anche nel rapporto tra lingua italiana e canzone.
Ma pare che la lingua di Dante non sia così musicale, cioè non sia così adattabile alla melodia.
Lo sapeva per esempio Fabrizio De André che, con la sua precisione diceva:
“scrivere canzoni in italiano è difficile tecnicamente, perché le esigenze della metrica ti rendono
necessaria una gran quantità di parole tronche, che in italiano non ci sono, o comunque non
abbondano, a questo punto ti vedi costretto, per garantire la qualità estetica del verso, a cambiare
addirittura il senso di quello che vuoi dire.” Definizione precisa e tecnica.
Anche Luciano Ligabue dice:
“usare l'italiano in musica non è una sfida: è proprio una sfiga”
Spesso per diventare musica o per essere utilizzata come lingua cantata, l'italiano deve
necessariamente forzare la propria struttura, deve modificare la sintassi, la posizione delle parole,
l'ordine dei costituenti frasali, e a volte questa modifica incide anche sul senso, determina
l'impossibilità di dire quello che in una prima intenzione era nei desideri del dell'autore del testo.
Per diventare musicale, l’italiano deve anche selezionare le parole. È un problema che in alcune
lingue è maggiore rispetto ad altre; in italiano il livello di difficoltà, cioè i problemi sono massimi.
Molto più semplice è il compito di mettere in musica le parole utilizzando altre lingue, come
l'inglese, ma è molto più semplice utilizzare il dialetto, una buona parte dei dialetti italiani, perché
hanno delle caratteristiche morfologiche. I dialetti così come l'inglese hanno delle possibilità
maggiori dal punto di vista delle soluzioni morfologiche, esistono più parole brevi, le parole
tronche, e quindi maggiori possibilità per la individuazione di soluzioni a fine verso che consentano
la rima o il rispetto dell’accento della musica.

Per risolvere i problemi in sede di rima o far combaciare l’accento verbale, del verso o musicali,
esistono una serie di soluzioni e uno di questi è il ricorso a parole inglesi, perché
morfologicamente sono parola che hanno l’accento sull’ultima sillaba. Nella canzone moderna,
come rap o trap, dal punto di vista della struttura metrica questi seguono una strada diversa
rispetto alla canzone tradizionale. Per la loro natura testuale hanno maggiori possibilità, non è il
ricorso ad anglicismi la soluzione per risolvere problemi tecnici della scrittura di un testo per
canzoni. Però, nella canzone tradizione, a partire da Celentano l’uso di anglicismi è stato utilizzato
per questa ragione.

Le canzoni sono fatte di parole e molti autori di canzoni hanno affrontato la questione legata al
ruolo delle parole nella vita, al peso che hanno in alcune situazioni della vita, più cantate sono
quelle in rapporto all’amore, alla memoria collettiva, nel sentimento comune.
Come Piero e Cinzia, Cinzia si scrive i testi sul diario per sentirli bene, o ancora nel duetto, le Parole
di Mina sono definite caramelle, rose, violini, sono, cioè, simbolo di persuasione, finzione, natura
effimera. Le parole sono percepite dai cantanti, dagli autori di canzoni come un elemento
fondamentale. Quelle delle canzoni sono parole che ci accompagnano lungo la nostra vita.
SONO SOLO CANZONETTE?
- LA CANZONE E NOI:
Bisogna riflettere sul rapporto che esiste tra la canzone e noi, il peso che le canzoni hanno
nella vita di tutti noi è un peso significativo. Si dice che oggi si canti meno di un tempo.
Studiando dal punto di vista sociologico ciò, è probabilmente così, così emerge, basti
pensare a ciò che accadeva all’indomani del festival di Sanremo. Era una vita meno
dominata dal rumore quella dell’allora, le canzoni si sentivano di più. Oggi viviamo in un
acquario sonoro, non solo perché la musica ci arriva da tutte le parti, ma perché il rumore è
una costante nella nostra esistenza. Ma al di là di ciò, anche se forse cantiamo meno, il
peso che le canzoni hanno nella nostra vita è un peso considerevole.

- CANZONE E POESIA: la letteratura popolare, di consumo (fumetti, soap opera), ma che non
va confusa con la poesia. La canzone non va confusa con la poesia, perché non è poesia.
Nel 2016 è stato dato il premio Nobel per la letteratura a Bob Dylan, giustificato per aver
creato una nuova espressione poetica. Non dice perché ha creato una nuova poesia, non
ha ricevuto il premio Nobel per la poesia, ma LETTERATURA.
Già 20 anni prima, un professore dell’università della Virginia aveva proposto la
candidatura di Bob Dylan giustificandola perché ha elevato la musica a forma poetica
contemporanea: non alla poesia, ma forma poetica contemporanea. Canzone e poesia, c’è
una differenza, ma questa diversa natura non deve essere vista come un limite, anzi, si
tratta di due forme d’arte distinte, ma non contrapposte. Sono diverse per un semplice
motivo, cioè adoperano linguaggi diversi, mentre la poesia moderna ha come materia
d’espressione la parola e solo la parola, la canzone usa parole e musica, e questo è
semioticamente più che sufficiente per stabilire una differenza di testo, di forma tra queste
due. La poesia esaurisce il suo messaggio nel testo, la canzone no. Una conferma a riguardo
potrebbe essere leggere il testo di una canzone senza melodia e senza esecuzione: l’effetto
della lettura può non essere lo stesso, è come se si perdesse qualcosa per strada. Un’altra
conferma, forse più banale, è: quanti di noi ascoltano e forse si innamorano di un brano in
lingua straniera senza comprendere il testo? Senza domandarsi che dica?

- IL BISOGNO DI POESIA da parte degli uomini, il sentimento poetico dell’uomo, ieri come
oggi, deve essere soddisfatto. Nel momento in cui la poesia cessa di essere ciò che a lungo
è stato, arriva la canzone e in parte ne prende il posto, anche perché la canzone ha
potenzialità uniche. La poesia e anche il romanzo non hanno quasi mai oggi la forza di
esprimere la nostra sentimentalità in maniera spiegata, che è come quella di un
adolescente. La canzone riesce a farlo. Si pensi alla capacità delle canzoni che hanno di
legarsi con alcuni momenti della nostra vita.

- LA CAPACITÀ EVOCATIVA DELLA CANZONE: nessuno o quasi nessuno è esente dalla


suggestione scaturita dal ricordo di una melodia, di un testo, di una voce. Basta un
frammento di canzone per rimettere in moto il gioco delle associazioni e dei ricordi. Il tutto
questo risiede il particolare potere che le canzoni hanno di restituire qualcosa: il profumo
di un momento, il frammento di un istante, il sentimento, un’emozione. Richiamare alla
memoria, far rivivere nell’immaginazione in maniera spontanea e potente qualche ricordo.

- DALLA SFERA PRIVATA A QUELLA SOCIALE: IL MIGLIORE ROMANZO DEL NOVECENTO?


Bisogna riconoscere il ruolo sociale della canzone, sempre rimanendo nel rapporto tra
canzone e noi. Il Novecento è il secolo dove sono nate molte cose: esplose diverse forme
d’arte, ma anche il secolo della canzone. Se dovessimo raccontarlo, unendo delle canzoni in
ordine cronologico, otterremmo forse il migliore o il più esauriente romanzo del
Novecento, quanto meno quello che racconta l’educazione sentimentale degli italiani. Ci
riporta all’aspetto poetico della canzone. Il rapporto tra lingua di una canzone e lingua di
un periodo storico è forte.

LINGUA, CANZONE E SOCIETÀ


- Un aspetto fondamentale della canzone è: la lingua della canzone ha inciso negli sviluppi
storici e sociali della nostra vita. È stata partecipe del rinnovamento linguistico dell’italiano
nel corso della storia recente, negli anni in cui l’italofonia era ancora precaria. Anni però
nei quali la canzone, per le classi sociali più svantaggiate, costituiva un modello di
riferimento.
- Un bombardamento acustico costante: le canzoni hanno svolto una funzione
evangelizzatrice del verbo quotidiano, hanno consentito a molti individui di familiarizzare
con la lingua italiana, nei primi decenni del secondo dopoguerra (quando si sviluppa
Sanremo).
- Le canzoni non sono mai state insegnanti di lingua, anzi, lo saranno sempre meno se forse
lo sono state, ma hanno agito come cassa di risonanza potente nella diffusione di tendenze
della nostra lingua che, grazie ai testi, si sono radicate nell’uso comune. La nostra lingua ha
assunto parole e modi di dire non inventate dalla canzone, ma rese immortali, grazie alle
canzoni, per l’effetto, appunto, di cassa di risonanza.
- Alcuni momenti della nostra vita quotidiana scorrono in parallelo con CD che gira, un
telefono con cuffie, con ambiente circostante di parole. In questo senso le parole delle
canzoni sono parole speciali, perché noi ascoltiamo e riascoltiamo, le portiamo dentro di
noi canticchiandole all’infinito.

PAROLA DI OGGI:
CANZONE:
- Letteralmente è un componimento lirico costituito da un certo numero indeterminato (5 o
7) di strofe o stanze (con un numero variato di versi) e da un commiato o congedo più
breve.
- Breve composizione vocale accompagnata da una melodia orecchiabile: canzone ballabile,
popolare, rock, di protesta; intonare, cantare una canzone; il festival della canzone italiana.
- Fig., situazione o discorso che si ripete in modo monotono: è sempre la stessa canzone; qui
la canzone non cambia mai; è ora di cambiare canzone.
- Sono stati gli USA luogo di fusione di tradizioni culturali diverse portate dalla corrente
europee del XIX secolo. Già alla fine del 1800, la tradizione musicale europea dei coloni
bianchi, tradizione radicata nelle ballate anglosassoni, si incontrò con la musica, anzi
canzone degli afroamericani, proprio in America. Una tradizione, quella afroamericana, che
aveva i suoi punti di forza nelle worksongs, che scandivano i loro lavori. Da questo incontro,
nasce il blues, canzone afroamericana con contaminazione di altre tradizioni musicali che
costituisce lo scheletro di riferimento della moderna canzone pop, che subisce una sua
sorta di standardizzazione, in fatto di durata e di ritmo, con l’avvento e il successo delle
radio, dove le canzoni dovevano avere una durata massima.
LA CANZONETTA:
- Lett. Componimento poetico d’argomento amoroso, più breve e semplice della canzone,
spesso musicato. È una variante della canzone, che a differenza della matrice, ha tematiche
amorose ed è di norma più breve e di tono più leggero.
- Composizione di musica leggera facilmente orecchiabile. Esempio la canzone trasmessa a
Sanremo è detta canzonetta sanremese. Esempio: LAURA PAUSINI OPS

LA CANZONE DEL GIORNO


- F. Guccini, Una canzone (2004): è uno dei pochi autori di canzoni che scriveva brani molto
lunghi, con numero elevato di strofe (il suo brano più noto dura 7 minuti).
- Tra leggerezza e complessità: attraverso una ricca gamma di esemplificazioni costituiti da
immagini che rimandano a concetti, v. 5 vaga farfalla, v. 7 rosa gialla, v. 9 fatto di niente, v.
3 l’erba voglio, desiderio. Il tema ricorrente è proprio il contrasto tra leggerezza del brano e
complessità che porta con sé, tipo verso 4 complessa come la vita. Congiunzione
avversativa MA ripetuta nel corso della canzone, sempre a inizio verso per segnalare la
contrapposizione.
- L’autore di canzoni: in questa sua descrizione in versi e cantata della canzone si sofferma
su chi scrive le canzoni. V. 13 la scrive gente quasi normale, si continua con l’attenuazione
dell’importanza della canzone. La gente è normale, gente è collettivo generico. Quasi
sottintende che normale va interpretato in un altro modo, MA con l’anima come un
bambino al v. 14. Quest’anima, vv. 15-16 si mette le ali e con le parole gioca a rimpiattino
(sorta di nascondino). L’autore deve cercare la parola giusta e cercare tra le pieghe della
parola.
- Parole vs musica: dall’unione delle due deriva l’immortalità della canzone. Guccini risolve
l’eterno duello delle parole e della musica a favore delle parole, non è un rapporto
paritario. La musica, ad esempio vv. 41-44 fatta con sette note essenziali e quattro accordi
cuciti in croce, sopra chitarre più che normali ed una voce che non è voce, che è ancora
meno di una voce. Le parole vv. 45-48 ma con carambola lessicale può essere un prisma di
rifrazione cristallo e pietra filosofale svettante in aria come un falcone. Una dote per pochi
la capacità di comporre che viene espressa attraversa un lessico tecnico specialistico.
Carambola (cambio improvviso di traiettoria) lessicale è imprevedibile, il testo è questo.
Può essere un prisma di rifrazione, che scinde i diversi colori. Cristallo e pietra filosofale
(simbolo dell’alchimia, forniva l’elisir della vita). Il falcone nella tradizione medievale è un
animale prestigioso, in quanto abile cacciatore, raffigurato nell’epoca medievale con un
cavaliere.
- Il potere della canzone: la canzone se ti afferra, ti rimane per sempre. v. 11 ma qualche
volta se ti ha afferrato ti rimane per sempre in mente. Vv.21-22 la canzone può aprirti il
cuore con la ragione o col sentimento. Vv. 54 a canzone diventa un sasso lama, martello,
una polveriera che a volte morde e colpisce basso e a volte sventola come bandiera. La urli
allora un giorno di rabbia la getti in faccia a chi non ti piace un grimaldello che apre ogni
gabbia pronta ad irridere chi canta e tace. Non soltanto i singoli termini, ma i suoni anche
sono calibrati per trasmettere quel particolare sentimento. V. 29 e ti ricorda quel canto
mutola donna che ha fatto innamorare le vite che tu non hai vissuto e quella che tu vuoi
dimenticare. Nella strofa precedente la distingue rispetto a tutte le altre forme d’arte: la
funzione aggregativa: Si può cantare a voce sguaiata quando sei in branco, per allegria o la
sussurri appena accennata se ti circonda la malinconia.
- Il finale: improvvisa attenuazione, leggerezza e delicatezza, conosciute all’inizio. Però alla
fine è fatta di fumo veste la stoffa delle illusioni, nebbie, ricordi, pena, profumo: son tutto
questo le mie canzoni. Come accade con l’ultima strofa si ricorda alla situazione iniziale e si
attenua la portata della canzone. Presenza di temi che rimandano alla leggerezza della
canzone, ma nulla toglie a quanto detto in precedenza.
18/02/2021
PER UNA STORIA DELL’ITALIANO DELLA CANZONE
Nel rapporto tra lingua e società non possiamo non indagare un ambito della comunicazione nel
quale proprio questo rapporto ha avuto e ha tutt’ora un ruolo fondamentale: la canzone, come
medium attraverso il quale tale rapporto si è espresso e continua a esprimersi attraverso degli
scambi di mutuo rapporto, bidirezionali, che vale la pena indagare.
La lingua italiana ha inciso sulla lingua delle canzoni, ma anche la lingua delle canzoni ha inciso
sulle nostre abitudini linguistiche, sulla lingua parlata in un determinato momento sociale da un
gruppo sociale.
Se provassimo a mettere le canzoni in ordine cronologico, ne uscirebbe il migliore dei romanzi
italiani del Novecento.
Rapporto tra canzone/individuo: colonna sonora che ci accompagna in tutta la vita.
CHE ITALIANO È QUELLO DELLE CANZONI? PUÒ LA LINGUA DELLE CANZONI OFFRIRE UN MODELLO
REALE DI LINGUA VIVA, O ADERENTE A ESSA?
La musica delle canzoni si definisce leggera e popolare, in opposizione alla musica classica, non
così popolare e così leggera.
Possiamo dire che l’italiano delle canzoni sia o sia stato un leggero italiano e leggero? NO
La lingua delle canzoni è stata ed è ancora in larga misura appesantita dai condizionamenti della
ritmica, non può essere leggera, perché non può essere libera, è condizionata dalle esigenze del
rispetto del ritmo musicale, cui è legata in quasi tutti i suoi generi e tutte le sue manifestazioni.
Tutto ciò la rende poco spontanea e poco lineare. Al contrario, è una lingua che è facile alle
inversioni, quelle sintattiche, per esigenza di ritmo e di rima. Per le stesse ragioni di rispetto di
metrica e ritmo, deve essere sottoposta ad una selezione musicale. La rima deve rispettare
l’accento musicale, le parole finali di solito sono tronche, e si riducono ad una serie limitata di
casistiche e non è un caso che si ritrovino in rima. Ciò implica continue inversioni (futuro alla fine
del verso, per esempio).
La lingua della canzone non è leggera, perché risente dell’esigenza di superare o contrastare il
rumore della musica che l’accompagna. La parola è in concorrenza con la nota, le parole sono
concorrenziali alle note. Tendenza rappresentata dall’enfasi, dalla ridondanza.
Le canzoni tendono ad esibire forme marcatamente letterarie, desuete, se non arcaiche e a
osservare con un certo scrupolo la norma linguistica. Potrebbe sembrare un paradosso, perché la
canzone è un genere popolare, ma, nonostante ciò, come tutti i generi popolari, come in tutti i
testi anche di altri generi, pensati per un largo consumo, diretti ad un pubblico non culto, le
canzoni tendono verso l’alto, verso un lessico letterario, ma NON relativo alla letteratura
contemporanea. È stato sempre così per quei generi di paraletteratura.
Livello alto che allontana dall’italiano colloquiale e popolare.

Per definire l’italiano della canzone, bisognerà analizzare i testi, cioè progettare un’analisi
linguistica, ma non solo nell’accezione più ristretta, ma anche sociolinguisitca (che tenga conto dei
fenomeni culturali dei singoli brani), ma anche le tendenze comuni che emergono a livello
linguistico a traverso gli anni. Lo si dovrà fare sulla base di un insieme rappresentativo di testi
(metodo applicato a qualsiasi analisi linguistica).
In alcuni casi si tratta di aspetti linguistici quasi impercettibili all’attenzione dell’ascoltatore, e forse
anche alla coscienza dell’autore (non tutti gli autori di canzoni hanno dedicato tutta
quell’attenzione alle parole, l’esigenza principale era rivestire di parole una melodia, che
rispettassero l’accento musicale, quindi scelta limitata e l’importante era far tornare i conti) ma
che saranno decisivi per ricostruire l’evoluzione linguistica della canzone e il rapporto tra la lingua
della canzone e la lingua italiana, da un lato rispetto all’italiano standard e dall’altro rispetto
all’italiano comune, vivo. Serviranno ad analizzare la grammatica della canzone italiana, che non è
scritta e non è intesa nell’accezione data oggi alla grammatica (insieme di regole che determinano
un solo modello…), ma intesa come insieme di tratti comuni, condivisi necessariamente dalle
canzoni che ha subito ben poche modifiche nel corso degli anni.
A partire da quella grammatica, saranno valutati gli scarti, cioè gli allontanamenti che sono stati
rappresentati da alcuni generi, di rottura, e sono scarti in positivo, che si collocano a partire dalla
fine degli anni 60, in particolare nel 1968, dove assistiamo ad una sorta di riconquista linguistica,
presso tendenze musicali che vanno verso una direzione diversa da quella di Sanremo; riconquista
della lingua viva, anche del dialetto, dove l’italiano sta diventando la lingua parlata da tutti, o
almeno da una maggioranza relativa di persone.
La canzone è questa osservazione, è lo studio dei testi delle canzoni che costituirà una sorta di
osservatorio ideale privilegiato per chi vuole conoscere l’evoluzione della lingua.
A partire da quando posso essere inseriti nella canzone riferimenti all’erotismo e alla sessualità?
La parola amore è quella più attestata nelle canzoni di Sanremo, circa un migliaio di volte. Ma c’è
da capire in quale significato.
Ha due significati:
- Il termine che va riferito all’atto sessuale, soprattutto nella locuzione “fare l’amore”.
- L’altra accezione è di allocutivo, “amore mio”.
Nei testi di Sanremo ricorre quasi sempre alla seconda accezione, perché il senso della lingua
corrisponde a quello del pudore.
Norma linguistica: è la grammatica, scritta, ma l’italiano standard, che riflette le norme, non esiste.
Esiste nella scrittura, ma nemmeno in tutta.
In che modo si allontana l’italiano standard da quello della canzone? Per molto tempo non si
allontana, gli scarti saranno minimi. Nell’italiano della canzone troveremo rispetto alla norma.
Scarti in negativo: anacronistici, allontanano l’italiano della canzone da quello vivo.
Scarti in positivo: avvicinano finalmente l’italiano della canzone a una lingua più viva e vera.

Ruolo che la canzone, anzi i testi delle canzoni hanno avuto e continuano ad avere nella diffusione
di parole, espressioni, modi di dire, grazie a quell’effetto di cassa di risonanza. Molto spesso, anche
senza volerlo, in forma letterale o attraverso un processo di riformulazione, citiamo versi o parti di
canzoni, o titoli, perché si sono fissate nella memoria collettiva, per mandare un messaggio, che
viene compreso da tutti, perché facente parte della nostra storia. Come fosse una sentenza. Quasi
con quella capacità propria delle locuzioni proverbiali, dei modi di dire, collocazioni fisse, ma
eventualmente riformulabili, perché attualizzate.
Effetto concreto che coinvolge la nostra lingua.
Quante sono le parole ed espressioni entrate nel nostro lessico grazie a questa dinamica?
Sono diventate parole italiane, sono neologismi. Quanto accaduto col cinema e la pubblicità, ha
arricchito il vocabolario dell’italiano. Sono neologismi non inventati nella canzone, ma diventati
termini dell’italiano dell’uso grazie alla canzone. Il latino cessa di essere lingua viva, perché non è
in grado di parlare di tutto, e subentrano le lingue romanze.
Modalità di rinnovamento lessicale: formazione di parole nuove, in particolare grazie all’inglese.
Non sempre questa dinamica giunge a compimento, quindi svolge la sua azione in tutte queste
fasi; a volte si verificano solo alcune di queste fasi, a volte una parola non si fissa nella memoria
collettiva, un brano non arriva fino alla fine, a essere radicato nell’uso: molte volte, nella
dimensione social, casi di questo genere beneficiano di una diffusione virale enorme, ma poi
altrettanto velocemente spariscono, senza lasciare traccia. Sono i casi di TORMENTONI, i
MODISMI.
BREVE STORIA DELLA CANZONE ITALIANA
Dalle origini a Sanremo
Tra Ottocento e primo Novecento
Prima edizione di Sanremo 1951.
La prima canzone “Santa Lucia” del 1848 tradizionalmente nota “sul mare luccica/l’astro
d’argento” è considerata la prima canzone in lingua italiana, “prima” intesa nell’accezione
moderna del termine. È un brano scritto in italiano da Teodoro Cottrau, che deriva da una prima
frase scritturale in dialetto napoletano, ed è la prima canzone napoletana ad essere stata tradotta
in italiano, ma varietà d’italiano discutibile, non perché non sia all’altezza della norma, ma è una
varietà caratterizzata da un certo tasso di letterarietà. È stato un trionfo in tutto il mondo e oggi
all’estero è presente sempre nei repertori di canzoni in italiano, tanto nei repertori di musica
leggera, quanto nei repertori di musica lirica, perché è stata adattata all’ambito di musica non
popolare.
È un brano che rientra nel genere della barcarola, cantato in origine dai gondolieri, che
accompagnavano i turisti nel golfo di Napoli o Venezia. Ha un ritmo lento e costante, che richiama
il movimento ondulatorio e lento della barca a remi o della gondola, che va piano.
C’è un abisso tra le due stesure:

Comme se frìcceca l Sul mare luccica


a luna chiena L’astro d’argento;
Lo mare ride, placida è l’onda
ll’aria è serena prospero è il vento
[…] […]
Stu viento frisco Con questo zaffiro
Fa risciatare Così soave
Chi vo’ spassarse Oh, com’è bello
Jenno pe mare Star sulla nave
[…] […]
La tenna è posta In fra le tende
Per fa na cena bandir la cena
In una sera così serena!

Il genere è quello della villanella, sono canti a 4 voci di tonico ironico-scherzoso e satirico,
chiamato altrimenti frottola, come schema base per queste canzoni.
Si sviluppano alla corte di Federico II.
Sempre a Napoli, a partire dalla seconda metà del 600, si genera un altro tipo di canzone, cioè la
tarantella, anche se l’etimologia ci porterebbe in Puglia, perché tarantella, come danza popolare, a
coppia, alla città di Taranto. La taranta pare sia legata a Taranto, etimologicamente parlando. Ma è
una danza che diventerà popolarissima a Napoli, associata al morso della tarantola.
Sempre all’ambito napoletano, si colloca il grande successo della canzone dialettale popolare,
verso la fine dell’800. Funiculì funiculà, è la canzone che pubblicizza la realizzazione della
funicolare che portava sul Vesuvio. O sole mio è del 1898-99.

Nell’800, aldilà dell’ambito dialettale, si presero a cantare le arie delle opere più famose come
brani a sé stanti. L’aria è un motivo, un brano con una forma chiusa e che può stare a sé come
motivo isolato, e che può essere inserito in un’opera lirica. Nell’800 si estrapolano le arie come
brasi a sé stanti. Musicisti come Leon Cavallo iniziano questi procedimenti, a modellare le romanze
con l’uso del pianoforte. La romanza è una composizione che nasce da un’aria presa da un’opera
lirica che viene musicata e può essere cantata accompagnata da un pianoforte. Fu la prima forma
di diffusione privata di canto e musica.
Furono definite la colonna sonora della borghesia. Instaurarono quello che può essere chiamato
“concerto in casa”.
Parallelamente si sviluppa il “caffè concerto”, che riflette il modello del café chantant francese, che
nasce nei caffè parigini. Era uno spettacolo che si componeva di tante piccole parti, delle
rappresentazioni teatrali, intervallati da balletti o giocoleria e da canzoni, di tipo popolare, ma in
lingua italiana. Come la romanza da salotto, anche questo si sviluppa negli anni precedenti la
grande guerra (in Francia e in Inghilterra già dalla fine del 600). In Francia si svolgevano nei caffè,
invece all’inizio in Italia si svolgevano nelle piazze cittadine, su pedane, per poi sposarsi nei caffè.
Differenza tra Francia e Italia: all’estero era all’insegna dell’intrattenimento, ma dell’eleganza e
raffinatezza; in Italia è sempre stato legato all’idea peccaminosa della donna, della bellezza
femminile e mai si liberò da questo sospetto di mezzaneria. Riguardavano donne belle, esplicite. In
Italia a partecipare a questi erano specialmente i giovani studenti e i testi delle canzoni sono quasi
sempre audaci: “la donna senza cuore, volubile e leggera”, o “che paniere”, “com’è bello il tuo
cestino”. Resta però un dato: sono tra le prime canzoni in lingua italiana.
Dal caffè-concerto si sviluppa il varietà, questa volta teatrale, non più improvvisato, sempre di
carattere leggero, basato sull’alternanza tra balletto e scene comiche. Nasce come evoluzione del
caffè-concerto e ha successo durante il fascismo, in un periodo in cui diventa concorrente
dell’altro genere, l’operetta. L’operetta arriva dalla Francia e ha come la varietà alternanza tra
brani cantati e scenette; si sviluppa negli ambienti più sensibili all’influenza parigina, come Genova
e Roma.
Influenze tecnologiche, in particolare la nascita della fonografia, cioè tecnica di registrazione e
quindi riproduzione di suoni, dei brani registrati. Ciò contribuisce in maniera determinante allo
sviluppo e al successo della canzone italiana, soprattutto quella moderna. È l’antenato del
giradischi. Nasce grazie a Thomas Edison che scopre per caso questa tecnica. Il primo fonografo
pubblico a pagamento si trova a San Francisco nel 1889, riproduce pubblicamente brani registrati.
Con l’inizio del 900, viene introdotto il disco, e quindi il giradischi a manovella. In Italia le prime
incisioni sono della Fonit (?), 1911.
Fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, esercitano un ruolo determinante nella diffusione
della canzone popolare italiana i canti patriottici e i canti politici. Un solo esempio, il più
importante: “Canto degli italiani”, divenuto poi “Inno nazionale”. È un canto patriottico molto
popolare durante il Risorgimento, è del 1847, siamo nell’epoca decisiva del Risorgimento. È
composto da Goffredo Mameli e musicato da Michele Novario e venne cantato per la prima volta
durante i moti di Genova, fase di tumulto che segna le tappe importanti di quel tempo. Diventa poi
inno d’Italia soltanto alla fine della Seconda Guerra Mondiale, dal 1946. Viene scartato dai Savoia,
perché era un brano antimonarchico, molto poco conservatore.
Anche qui rileviamo la presenza di un linguaggio che è tutto tranne che leggero, popolare e
colloquiale. L’Italia s’è desta, forme arcaiche letterarie, participio passato. “stringiamci” è un caso
di sincope. Tra questi canti patriottici si ricordano quelli legati alle grandi ondate migratorie che si
sono susseguite tra la fine dell’800 e i primi anni del 900 (1880-1920 sono 20 milioni gli italiani che
si imbarcano da Napoli per le Americhe Nord e Sud: di questi 4 milioni solo negli Stati Uniti, un
terzo va a New York, che diventa la più grande città italiana). La più nota è “Mamma mia dammi
cento lire”, detta la canzone della maledizione della mamma, poiché nasce da una canzone
dialettale che aveva questo titolo.
Anche quelli politici sono interessanti: “Addio a Lugano” 1894 a livello storico-culturale, scritto da
Pietro Gori in carcere; “Bandiera Rossa” del mondo operaio, che ha origine lombarda.
Scoppia la Prima Guerra Mondiale. I canti della grande guerra: “Il Piave” del 1918, scritta alla fine
della PGM che celebra la resistenza dell’esercito italiano sul Piave, in Veneto, che alla luna
determina la fuga dell’esercito austroungarico e la vittoria dell’Italia. Anche qui la classica retorica
è presente nella lingua: piano aprico, tripudiar, la notte è trista.
“O soldato innamorato” è il canto di un soldato durante la PGM, è del 1915, inizio della Guerra.

TRA LE DUE GUERRE MONDIALI


Succedono cose importanti tra le due guerre, collocabili negli anni 30.
Evento che avrà ripercussioni enormi nel processo di diffusione della canzone: nasce la radio.
Nasce in America nel 1920, giunge in Italia qualche anno più tardi, la prima trasmissione è della
fine del 1924, più o meno epoca fascista (elezioni del 1925, Matteotti era stato ucciso prima).
1° gennaio 1925: prime trasmissioni in Italia.
Giovinezza era la canzone che si replicava ogni sera, perché il regime capì che la radio sarebbe
stato un valido strumento di propaganda. Dal 1927 la radio è controllata dal AER, ci si poteva
abbonare alla radio. La radio è strettamente legata al fascismo: il regime la utilizza per la propria
propaganda.
Vennero censurate alcune canzoni. Sagra delle parole in libertà. Ci sono circolari dei carabinieri,
perché hanno per oggetti dischi contrari al regime, per riferimenti non rispettosi all’Italia. Vedi la
Marsigliese. Termini: tradimento, onta e alludeva alla disfatta di Caporetto (canzone patriottica).
Essendo entrati in vigore nel 29 i patti lateranensi tra stato e Chiesa, vennero proibite le canzoni
non rispettose nei confronti della Chiesa e della regione di stato.
Musica afro-demo-pluto-giudo-masso-epilettoide.
10 giugno 1940 divieto di ballare in pubblico, proibizione della musica americana (bloccata la
traduzione filmica che arriva da Hollywood attraverso il controllo del doppiaggio e stop delle
importazioni). Messi al bando gli autori ebrei. Il jazz viene interdetto (persone di colore).
Il fascismo prestò molta attenzione alla canzone, nel quadro del controllo della cultura di massa.
Eia eia alalà: canzone per Benito Mussolini.
Dal 1930 nasce il cinema sonoro e cinema-canzoni è un rapporto molto stretto che determina il
successo della canzone, grazie alla popolarità del cinema.
Attorno alla SGM vanno citati i canti della Resistenza, e lo iato profondo, la distanza che si genera
tra queste che sono le uniche a dare un’interpretazione autentica, ma dall’altro lato le canzoni del
repertorio leggero, che di tutto si occupano, tranne che dei problemi.
Tra le canzoni più celebri: “Fischia il vento” che è una rielaborazione di aria russa, che si chiamava
Katiuscia, da Felice Cassone, partigiano garibaldino che era operante la zona di Imperia, e “Bella
Ciao”, che originariamente era una canzone molto più antica della Resistenza, pare essere stata
composta nel 500, era una ballata francese. Ma ancora non si sa come sia diventata una canzone
della resistenza.
L’estraneità di questo genere di canzoni rispetto a quelle da repertorio leggero, e questa
estraneità spiega perché dalla guerra non nascerà una nuova canzone. Anzi, dopo la guerra si
torna indietro. Non è un caso che prima di Sanremo, che nasce da lì a poco, torna la canzone
regionale. Sono gli anni di “Piemontesina bella” o di “Romagna Mia”.
19/02/2021
IL SECONDO DOPOGUERRA E SANREMO
La radio e l’industria discografica all’indomani della Liberazione
All’indomani della Liberazione, con qualche mese di ritardo rispetto al 25 aprile del ’45, il 3
novembre del ‘46 cade l’ultima eredità della linea gotica, che aveva diviso l’Italia in due. Era una
fortificazione dalla provincia di Ferrara fino alla costa Adriatica della attuale provincia Pesaro-
Urbino. Questa fortificazione aveva impedito la trasmissione radiofonica. Con la caduta di questa
linea (fine 1946), vengono ripristinati i collegamenti tra le stazioni del Nord e del Sud, e la radio
può darsi in programmi omogenei in tutte le regioni, a eccezione della Sardegna. Aspetto che
contribuirà alla fruizione della canzone a livello popolare, soprattutto perché la radio in età fascista
ha un ottimo successo. È in ascesa l’industria discografica nel 1945 vengono venduti 1 milione e
mezzo di dischi in Italia, nel 1946 sono 2 milioni, e nel giro di qualche anno, nel 1952 diventano 4
milioni. Se confrontati con i dati di altri paesi europei, sono cifre ancora modeste. Il disco non è
ancora in grado di creare un successo musicale: i dati lo dimostrano. Si limita a raccogliere il
successo quando questo c’è dalla radio. La radio sì, è in questo momento in grado di generare un
successo musicale, per questione di numeri.

La canzone italiana dopo la fine della guerra e la nascita del Festival


Secondo gli storici, emerge che la canzone di quel periodo ebbe una serie di demeriti. Parliamo
della canzone appena prima della nascita del Festival. Questi demeriti furono due: riportare in
auge le melodie più solite, tradizionali; riportare in auge le espressioni linguistiche più superate,
anacronistiche, arcaiche, che avevano una provenienza letteraria, una lingua marcatamente
letteraria. Tutto ciò avveniva in un’Italia nella quale la gente continuava a parlare in dialetto e
l’italiano non lo sapevano, non c’era presso ampie fasce della popolazione, nelle diverse regioni,
con differenza regionale significativa. Gli eccessi di arcaismi, anacronistici fanno sì che molti
appassionati di musica in quegli anni, ansiosi di ascoltare qualcosa di nuovo, di novità, si rivolgono
a suoni, a ritmi e a generi di altri paesi; in particolare la Francia e gli Stati Uniti. Tuttavia,
nonostante ciò, nasce il Festival. La prima edizione è del 29 gennaio 1951.

Una genesi curiosa


Nessuno aveva pensato a una gara canora che potesse ambire anche nell’immaginazione più rosea
a diventare ciò che negli anni è diventata. Nell’intenzione degli ideatori, doveva essere
un’iniziativa cantistica per rilanciare l’economia della città, che era stata quasi distrutta.
Inizialmente è legato al casinò, si svolgeva nel salone delle feste dei casinò, anche perché il teatro
comunale era stato distrutto dai bombardamenti e mai più ricostruito. Era un lunedì quando si
fece per la prima volta. La cosa particolare è che non c’era la televisione. Il disco, quindi l’industria
musicale era ancora lontana dall’avere la funzione che avrà da lì a poco, sicché il Festival ha un
legame saldo ed esclusivo con la radio nei primi anni, che è in fondo (dal punto di vista musicale,
ma anche generale) la grande protagonista. La radio è l’unico medium a trasmettere ciò che
diventerà l’avvenimento più importante della musica leggera.

Il quadro sociale
Leggendo i testi delle prime canzoni, quindi i testi delle canzoni delle prime edizioni del Festival,
appare chiaramente la rappresentazione di un paese, l’Italia, ancora molto arretrato, paternalista,
bonario, un paese con ferite ancora da rimarginare. Testi che hanno dei picchi di sentimentalismo,
che si manterranno stabili nel corso di buona parte della storia di Sanremo, e danno anche una
rappresentazione di un provincialismo in questa fase rassicurante per il pubblico, come per dare
l’idea di un gran paese lacerato.
Questa caratterizzazione non va slegata dal quadro politico italiano di quegli anni. La canzone
italiana trionfa quasi contemporaneamente con la democrazia cristiana che nel 1948 guadagna più
del 48% di preferenze. La canzone italiana si mette subito in riga, scacciando senza troppi problemi
l’energia e l’idea di sessualità nei testi che arrivavano da altre culture e facendo posto a
madonnine, chiesette, preghiere, religione. La triade, che caratterizza i testi delle prime edizioni.

Le prime edizioni
La prima edizione, quella che inizia di lunedì, prevede una competizione di 20 canzoni scelte dalla
Rai, che ha organizzato il Festival. Nel frattempo, era sorta la RAI.
Un aspetto di costume è che in sala il pubblico non è seduto sulle classiche poltroncine da teatro e
attento all’ascolto delle canzoni, anzi, è raccolto intorno a tavolini stile cabaret e caffè-concerto.
Durante il Festival il pubblico cena.
3 interpreti: Nilla Pizzi, Achille Togliani e il duo Fasano. Ciascuno di questi interpreta più brani. E
vince Nilla Pizzi con “Grazie dei fior”. Il pubblico decide la vittoria. Già l’anno dopo, case
discografiche fanno a gara per essere ammessi, ma ci sono ancora tavolini in sala.
Fior/amor/cuor/ancor forma di troncamento, perché una parola piana come amore, perdendo la
finale, diventa tronca e funziona bene a fine verso. Le metafore sono trite, “in mezzo a quelle rose,
ci sono tante spine”.
Nella seconda edizione c’è altra attenzione nei confronti del Festival, nonostante la dinamica fosse
simile all’edizione precedente.
Vince la seconda edizione un bravo diventato abbastanza importante “Vola colomba”, un brano
che trasmette l’idea di un’Italia con tradizione contadina, i cui simboli sono il campanile, la
campana, la collina, amore contrastato per ragioni politiche. A accompagnare il testo ci sono
violini, oggi quasi stucchevoli, e dei cori, anzi voci, che richiamano i cori degli alpini. Non è un caso
che dai critici sia stata definita una sorta di ninna nanna. Nilla Pizzi vince, tutti e tre i premi.
Nella terza edizione, il Festival cambia un po’ la sua fisionomia. C’è una doppia orchestra, quindi il
rilievo che si da alla musica è diverso rispetto alle prime e due edizioni, e scompaiono i tavolini da
sala. Si mobilita la stampa per la prima volta, insieme alle case discografiche. Quella dei dischi sta
diventano un’industria florida, promettente, su cui è bene investire. Non vince Nilla Pizzi, che
comunque fa il secondo posto, ma Carla Boni.
Gianni Bornia ha scritto una canzone della storia italiana, che ancora oggi è riferimento di studio di
questa tematica, e sostiene che nell’edizione del 1954 si tocca il fondo con il brano “Tutte le
mamme del mondo”. In questo brano è assegnato alla donna il ruolo di madre quasi moniacale.
1958 fine gennaio: Domenico Modugno sale sul palco dell’Ariston e canta “Nel blu dipinto di blu”,
canzone che genera uno scossone, che apparentemente sembra far vacillare quel tradizionale
assetto della canzone italiana fino ad allora.
Il corriere della Sera giudica questa canzone: “la canzone più originale, più nuova, più estrosa nella
musica e nel soggetto”. Il successo della canzone è planetario. Dai dati di Rolling Stone, è una
canzone che ha venduto 22 milioni di dischi nel mondo e che sembrerebbe essere ancora oggi la
seconda canzone più venduta di tutti i tempi in tutto il mondo, dopo White Christmas di Bing
Crosby. Resta per tredici settimane nella classifica di vendita negli Stati Uniti. In Italia vende
800.000 copie. Le è toccato essere molto di più che una canzone, perché è stato prima di tutto uno
spartiacque: la vita prima e dopo la canzone, un segnalibro dei tempi. Segna la VERA data di inizio
della carriera musicale.
IL SECONDO NOVECENTO: INTRODUZIONE
Per parlare di una canzone contestualizzata al suo interno, ma al contrario, per inserire
complessivamente e anche attraverso percorsi specifici l’italiano della canzone all’interno di un
quadro più ampio (culturale, storico, sociale, di costume) e per comprendere a fondo le soluzioni
linguistiche alla base dei testi, occorre tratteggiare il quadro dell’Italia dal punto di vista sociale,
culturale e linguistico di quegli anni.

Società e cultura nel dopoguerra (1945-1968)


Dal 1945 fino alla fine del secolo in Italia si gode di un periodo di relativa stabilità, sebbene a
fronte di violenti conflitti sociali nei diversi stati. Sono anni che vanno dalla Guerra Fredda al crollo
del regime, del comunismo e il trionfo del capitalismo, con crollo dell’Unione Sovietica (anche se
gli storici allungano il secolo fino ad arrivare al 2001).
L’Italia si caratterizza per una sostanziale continuità istituzionale, cessa di essere monarchia dopo
la SGM e per una serie di grandi processi di trasformazione, che hanno radicalmente buttato i
connotati del paese, nelle abitudini quotidiane degli abitanti.
Verso la fine del secolo, ma siamo al di fuori del segmento che ci interessa, si segnala l’incrinarsi di
quella continuità provocata dal crollo del potere intorno alla democrazia cristiana da cui
scateneranno movimenti di seconda repubblica. Ma senza andare troppo in là, bisogna rilevare
nell’ambito della storia sociale e culturale del nostro paese un primo decisivo momento di forte
discrimine nel 1968 (anno importante per le canzoni e per la lingua delle canzoni). Non sono solo
le rivolte studentesche, le esplosioni dei movimenti, le lotte delle classi operaie a determinare
quegli anni, ma grazie a quei movimenti prende avvio un processo che ha cambiato la vita dei
decenni successivi. Diventeranno argomento di discussione politico-istituzionale la parità di
genere, il pacifismo, il problema ambientale.
Si arriva a negare l’esistenza della letteratura, ma è proprio da lì che comincia a essere messa in
discussione la possibilità di fare letteratura e scrivere romanzi.
Il dopo il 1968 verrà ripreso più avanti.

Verso una cultura di massa


Bisogna segnalare l’avvio del grande sviluppo nei paesi occidentali di tipo economico che
determina nuove forme (nuove perché prima inedite, ignote) di benessere collettivo, che
riguardano settori ampi. Con lo sviluppo industriale e tecnologico inizia la produzione di oggetti e
strumenti di uso quotidiano, dei quali possono essere acquirenti anche individui che appartengono
a classi operaie, le famiglie operaie. Beni di consumo che modificano i caratteri più evidenti della
vita quotidiana, delle vite, anzi, delle nostre vite. Sono beni che facilitano l’esistenza e che creano
nuove abitudini, nuovi comportamenti. Servono a rilevare la presenza di altri oggetti che non
hanno una funzione di sopravvivenza o che contribuiscono a migliorare la vita di tutti i giorni: sono
strumenti con funzione di tipo culturale. Questi sono gli anni dell’esplosione della radio, dei
giradischi, strumento molto potente per la riproduzione privata della canzone, e della televisione.
L’ingresso massiccio di questi mezzi, strumenti nelle famiglie modifica radicalmente l’uso del
tempo libero, IL tempo libero. Lo genera per la prima volta, in molti casi. E per la prima volta si
formano dei comportamenti culturali definibili di massa, di conseguenza anche una prima cultura
di massa. La canzone è partecipe di questo fenomeno significativo per la nostra storia.
Tra i nuovi beni c’è anche l’automobile, come strumento che modifica le abitudini, è il principale
strumento del miracolo economico, è la forza trainante dell’economia italiana.
I mezzi di comunicazione di massa iniziano a diffondere capillarmente messaggi e forme culturali
che prima erano solo di qualcuno, sono gli anni in cui iniziano ad abbattersi barriere secolari in
fatto di uguaglianza nella direzione della possibilità di fruire di forme e modelli e messaggi
culturali, che in precedenza avevano agito solo su alcuni strati della popolazione.
Ci sono problemi: ci sono aree raggiunte da tali forme di benessere, ma anche aree arretrate,
raggiunte da tali forme molto più tardi. Problemi legati all’eccessiva velocità dell’urbanizzazione e
dell’industrializzazione, perché nelle aree economicamente più avanzante, la troppa
urbanizzazione, da origini a fenomeni di alienazione ed emarginazione.
Il mondo intellettuale e, in questo senso la canzone, è sensibile alle nuove problematiche, e lancia
ripetuti allarmi per gli effetti che vengono determinati da questi nuovi caratteri della cultura di
massa stessa.
A proposito di canzone, non va dimenticato che il miglioramento delle tecniche di registrazione e
la trasmissione porta a una diffusione vastissima della musica leggera e, in questo momento,
accanto a Sanremo e il successo della canzone tradizionale, acquista un fascino essenziale la
massiccia importazione di modelli americani, soprattutto a partire dai primi anni 60. In questi anni
si afferma rapidamente in Italia il rock, come nuovo genere musicale non autoctono, accanto ad
altri nuovi generi che preannunciano la nascita della canzone d’autore, ma è soprattutto il rock in
questa fase ad agire a livello sociale. Rock non ancora italiano (nasce un po’ più tardi rispetto ad
altri paesi), arriva prima la parola, ma non è rock. Questo arriva con il beat, una sottospecie di
rock, che deve molto all’America a livello di melodie. Ha effetti a livello culturale grazie alla
capacità della popolazione di agire come collante sociale ed è grazie al rock che si diffondono le
prime forme di cultura giovanile. Primi atteggiamenti giovanili che negli anni successivi si
trasformeranno in vere e proprie culture.
Anni nei quali prende avvio un processo di modernizzazione che troverà compimento nell’ultimo
trentennio del 900, che, sul fronte culturale, determina delle grandi innovazioni in Italia.
Istruzione scolastica nella battaglia all’analfabetismo. Va aggiunto come accompagnamento un
progressivo alimento della scolarizzazione, un investimento significativo in quel momento, con un
passaggio, che non è privo di contrasti, tra una scuola di élite a una scuola di massa, finalmente.
Diverse iniziative politiche che videro come attori protagonisti la sinistra da un lato e dall’altro i
settori più avanzati che collaborarono alla lotta contro l’analfabetismo, e attraverso lo sviluppo di
un’istruzione della scuola di base per tutte le classi sociali.
Un momento determinante nella politica di investimento e scolastica, nel 1962, è la scuola
dell’obbligo fino ai 14 anni, con una scuola media inferiore unica. Questa innovazione determina
un fenomeno evidente di promozione sociale che ebbe effetti sull’università, per la prima volta,
perché appunto per la prima volta l’università venne raggiunta da un numero consistente di
giovani provenienti dalla sempre più numerosa borghesia media, o anche da quella nuova
borghesia di origine operaia e contadina.
L’ampliamento della scolarizzazione modificò l’uso sociale della cultura, che diviene una
possibilità, se non per tutti, per quasi tutti, ma rompe delle barriere secolari, perché mise a
contatto con forme e istituzioni, discipline particolari, quelle della cultura e istruzione, molti strati
della popolazione che da sempre ne erano stati esclusi. In secondo luogo, diede l’avvio a un
processo di rimescolamento tra le classi: la scuola d’élite e l’università d’élite determinano nuovi
rapporti e nuovi conflitti sociali. I percorsi scolastici e universitari allargati portarono alla
formazione di nuovi intellettuali, cioè uno strato di intellettuali che non doveva essere legato a una
famiglia agiata o a una tradizione intellettuale, ma anche di tipo medio, che allargò anche la fascia
intellettuale.
LE TRASFORMAZIONI DEL TESSUTO LINGUISTICO
Anni di trasformazione, non di compimento, ma di avvio e di prima fase di una serie di modifiche
strutturali dell’architettura linguistica del nostro paese che nascono all’indomani della SGM, già
perché nel 1945, anzi dopo la fine, assistiamo ad una serie di cambiamenti sociali che hanno effetti
diretti sulla lingua:
- Passaggio dalla monarchia a costituzione repubblicana
- Declino industriale delle regioni settentrionali: genera ondate migratorie sia interne
all’Italia che esterne
Una popolazione dialettofona deve fare i conti con l’arrivo di una nuova ondata di lingue.
L’immigrato impara il dialetto locale e la lingua.
Si compie il primo di una serie di balzi verso la modernità linguistica. Poi ci sono due fatti collaterali
che hanno ripercussione in positivo: avvento delle trasmissioni televisive e la riforma scolastica. Si
comprenderà come in un quindicennio appena fossero mutati tutti i riferimenti su cui si fondava
l’assetto linguistico d’Italia fino alla SGM. Cambiano i riferimenti e quindi le fondamenta su cui si
poggia l’italiano dal punto di vista sociolinguistico. Le secolari tradizioni dialettali, i dialetti, le
lingue, che persistono nell’uso quotidiano, si scontrano con la lingua comune, l’italiano, la lingua
della produzione e del consumo, la lingua del potere e della comunicazione di massa. Se n’era
accorto Pier Paolo Pasolini che, in una serie di suoi interventi, aveva rilevato come
l’industrializzazione, e quindi creazione di centri di potere che irradiano modelli culturali,
comportamentali e linguistici, e le comunicazioni di massa avevano ridotto la vitalità dei dialetti a
favore di una nuova lingua, l’italiano, definito tecnologico e capitalistico da Pasolini. Lingua
dell’innovazione tecnologica, che risponde prima di tutto, secondo Pasolini, ai bisogni del mondo
industriale, e riduce le uniche lingue parlate dalla gente, le lingue naturali per tutti, o quasi.
Italiano: sarà lingua della comunicazione di quasi tutti più tardi. L’unificazione della penisola
linguistica si collocherà alla fine degli anni 70.
Sul piano sociolinguistico comincia ad avvicinarsi l’Italia all’italiano. È un processo che va visto
secondo una prospettiva bilaterale: l’italiano arriva nelle diverse regioni come una lingua piovuta
dall’alto e, come sempre accade quando si verificano operazioni linguistiche di questo tipo. fa i
conti con la situazione preesistente, cioè incontra i dialetti, e incontra persone che parlano quei
dialetti. Gli italiani imparano l’italiano, ma, secondo quella prospettiva bilaterale, l’italiano subisce
una serie senza precedenti di ibridazione, l’italiano cambia faccia, perché è una lingua che si deve
adattare alla situazione preesistente. Si deve adattare al contesto orale. Deve diventare strumento
comunicativo efficace per comunicare il quel mondo. Deve diventare una lingua che si adatta a
quella situazione, all’uso orale e che si rivolge a una massa di persone, apprendenti linguistici
scarsamente alfabetizzati e dialettofoni esclusivi. L’ibridazione genera la nascita di una serie di
varietà dell’italiano che forse già esistevano (l’italiano circolava con altre proporzioni già prima di
questa fase), ma che diventano parte del repertorio di allora e in parte di oggi. L’italiano che si
diffonde nelle regioni non è quello standard, perché in questa fase una buona parte degli
apprendenti di italiano acquisisce la nuova lingua, non tanto attraverso processi direzionali, come
canale scolastico, ma prende l’italiano attraverso i mezzi di comunicazione. Nelle diverse regioni
deve fare i conti con il dialetto. Il risultato di questo incontro porta alla formazione delle prime due
varietà:
- L’italiano regionale: insieme di realizzazioni della nostra lingua diverse da regione a
regione, a tutti i livelli di analisi linguistica (fonetico, morfologico, sintattico e lessicale), al
punto che l’italiano di una regione, allora così come oggi, è diverso sia dall’italiano
standard, sia da quello delle altre regioni. A determinare questa differenza è il contatto tra
italiano-dialetti.
- Italiano popolare
- Italiano nell’uso medio
Il bilinguismo che si verifica quando una delle due lingue si affianca a una già esistente. Il contatto
e la conseguenza interferenza tra i due codici è inevitabile. Anch’essa bidirezionale. Influenza
italiano-dialetti e viceversa. Il parlante che apprende l’italiano passa attraverso una fase di
bilinguismo non bilanciato. Il parlante tenderà ad incorporare termini dialettali all’italiano, lì dove
incontra delle lacune.
Le tre grandi varietà della nostra lingua generano in quegli anni il nuovo repertorio linguistico, cioè
l’insieme delle risorse comunicative a disposizione di una comunità di parlanti. Tale repertorio
diventa più amplio a livello orale, con dialetti, italiano, ma non una, bensì tre varietà, che
diventeranno di più successivamente, con l’entrata di nuove varietà (tecnico-specialistico, gergale,
giovanile, etc). PRIMO MOMENTO in cui si allarga quella dicotomia tra italiano scritto-dialetti
parlati.

25/02/2021
L’ITALIANO POPOLARE
Premessa: la variazione diastratica
L’italiano popolare è da molti studiosi una varietà storicizzata, cioè che oggi da un punto di vista
tecnico non esiste più. Ma è fondamentale nei decenni descritti. È una varietà collegata con una
delle dimensioni della variazione linguistica, ossia la variazione diastratica. L’italiano, come tutte le
altre lingue vive, è una lingua che varia al variare di diversi fattori. Per variazione linguistica si
intende il carattere delle lingue vive di essere mutevoli, e quindi presentarsi sotto forme diverse
nel comportamento dei parlanti. La variazione linguistica dipende da una serie di fattori: il primo è
il fattore sociale. La lingua varia al variare delle caratteristiche sociali dei parlanti.
È nota fin dall’antichità la constatazione che persone che appartengono ad una stessa comunità di
parlanti (quindi usano la stessa lingua, come gli italiani) differiscono nel modo di parlare e di
scrivere la loro stessa lingua e che tale differenziazione/variabilità è sistematicamente legata ad
alcune caratteristiche proprie dei parlanti. Esistono cioè secondo la sociolinguistica una serie di
fattori che determinano quella differenziazione dei parlanti.
Questi possono essere:
1. Grado di istruzione: è il fattore più determinante. A livello sociologico, non
necessariamente sociolinguistico, la stratificazione dei parlanti in gruppi o classi sociali è
determinata da tre parametri, cioè reddito, occupazione e grado di istruzione (soprattutto
quest’ultimo). Al variare del livello di istruzione varia la capacità di un individuo di parlare e
di scrivere, ma non è detto che vari al variare del primo fattore, cioè il reddito o del
secondo, l’occupazione.
2. Modelli culturali e comportamentali di riferimento: un individuo sviluppa una propria
competenza linguistica, tanto nel parlato, quanto nello scritto, per effetto dei modelli
culturali, che agiscono sulla sua competenza, sull’acquisizione di una competenza
linguistica attiva. Se il modello culturale è rappresentato dalla letteratura, cioè legge molti
testi letterali, avrà, di conseguenza, una competenza linguistica di un certo tipo. Anche i
livelli comportamentali incidono, come il livello comportamentale della famiglia. Esistono
studi sulla povertà educativa, condotta dalla fondazione Openpolis, dai quali si rileva che
oltre il 50% dei minori in Italia, tra i 6/18 anni non ha letto un libro.
3. L’età: le giovani generazioni sono sempre state considerate un fattore di innovazione
linguistica. I giovani come gruppo sociale sono riconducibili a innovazioni, non soltanto
linguistica, i giovani sono i più attenti a captare le nuove tendenze, all’opposto degli
anziani, specie se, in una situazione come quella italiana con basso livello di istruzione, è
visto come individuo più conservatore.
4. Genere: l’analisi del rapporto tra comportamento linguistico e genere si è mossa a lungo
attraverso due ipotesi opposte: le donne sono considerate un elemento di conservazione
sociale e linguistica dalla dialettologia e dalla geografia linguistica (due fondamentali rami
della linguistica).
 I dialettologi hanno sempre considerato le donne i migliori soggetti da osservare,
analizzare, registrare e intervistare, per ottenere in cambio la restituzione di una
forma meno contaminata di dialetto. Le donne rappresentano più degli uomini la
conservazione di abitudini anche linguistiche.
 All’opposto, una parte consistente della moderna sociolinguistica (altra branca della
linguistica) attribuisce alle donne delle classi medie una maggiore inclinazione a
mutare il proprio linguaggio, rispetto agli uomini, per adeguarsi al linguaggio dei
gruppi più alti della scala sociale.
Variazione diastratica: dimensione collegata con lo strato sociale di un parlante o di una comunità
di parlanti. Tale variazione p riconosciuta, anche se non sempre in maniera consapevole, dagli
stessi parlanti di una comunità che assegnano il ruolo di importante indicatore della collocazione
sociale di un individuo la sua competenza linguistica. Forse più ieri che oggi. Il saper parlare e
scrivere bene è un indizio importante per la collocazione di un individuo nella società per stessa
ammissione di quei membri nella comunità.

Immaginiamo la variazione diastratica come un segmento con due poli. Ai due poli le due varietà
poste agli estremi: in alto le varietà tipiche degli individui con livello di educazione più alto, in
basso individui con livello di istruzione basso o nullo. Le due varietà ai due poli sono: nel polo alto
l’italiano colto (formale-aulico), ovvero l’italiano impiegato a livello scritto e a livello orale dai
parlanti di livello socioculturale alto o medio-alto, e non può essere descritta in una serie di tratti,
in quanto coincide con l’italiano standard; nel polo basso, l’italiano popolare.

L’italiano popolare: definizioni


Tullio de Mauro, nel 1970 ha descritto per primo l’italiano popolare, una varietà descritta così:
«Modo di esprimersi di un incolto che, sotto la spinta di comunicare e senza addestramento,
maneggia quella che ottimisticamente si chiama la lingua ‘nazionale’, l’italiano» [De Mauro 1970].
Definizione perfetta e precisa, con punti fondamentali alla base dell’italiano popolare. È un modo
di esprimersi, non una lingua, di un incolto, cioè bassissimo livello di istruzione, che, per esigenze
comunicative, deve farlo, pur senza strumenti necessari, maneggia, non padroneggia, cerca di
destreggiarsi, con una lingua che non conosce, e che si caratterizzerà per numerose anomalie, che
viene chiamata italiano, in maniera ottimistica. Mentre a Sanremo si canta di “beltà”, gli italiani si
esprimono con forme distanti non solo dal registro delle canzoni, ma dall’italiano medio, per
effetto della recente, troppo recente, della diffusione dell’italiano nelle diverse regioni. Non è un
caso che la data è 1970 quando definisce quella varietà, in quanto prima circolava molto meno
l’italiano.
Pochi anni dopo, 1972, Manlio Cortelazzo lo presenta come:
«Il tipo di italiano imperfettamente acquisito da chi ha per madrelingua il dialetto» [Cortelazzo
1972]. Mette in risalto più gli elementi di devianza, che non gli scopi comunicativi. Ma le due
definizioni si completano, perché sono complementari, individuano i due fattori necessari
nell’individuazione dell’italiano nella lingua popolare: competenza linguistica limitata (incolti) e
dialettofonia. Grazie a questi due studi, l’espressione italiano popolare si è stabilizzata nella
comunità dei linguisti per comunicare una varietà che si colloca nel punto più basso nell’ipotetica
linea verticale, ossia asse della variazione diastratica.
Grazie a Bruni e D’Achille è nata una nuova espressione che può essere utilizzata in alternativa,
cioè:
«Italiano dei semicolti» [Bruni 1984, D’Achille 1994]. Riconoscono la presenza di testi scritti in
italiano popolare, anzi, rilevano come l’italiano popolare sia documentato prima di tutto a livello
scritto, in lettere, diari, autobiografie, testamenti. Varietà posseduta da persone incolte/semicolte
che si manifesta anche nella scrittura.

Sociolinguistica dell’italiano popolare


Questi studiosi convergono su un aspetto fondamentale: l’italiano popolare nasce dal basso, è
evidente, nasce cioè ad opera delle stesse classi popolari e al di fuori dei consueti processi di
acquisizione linguistica, quello scolastico ad esempio.
Prima dell’unità di Italia l’italiano quasi non esiste, almeno nella sua dimensione parlata.
Comincia a circolare dopo l’unità di Italia, ma in maniera sporadica e non ovunque. Si fa più
massiccia proprio dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, e in via crescente negli anni
successivi.
Si manifesta nel parlato, cioè nelle situazioni formali o nella comunicazione con persone
sconosciute con cui non si ha grande familiarità o non conoscono lo stesso dialetto dei parlanti, e
nello scritto. È lecito parlare, secondo De Mauro, che accanto al dialetto, hanno imparato l’italiano
popolare e l’hanno usato regolarmente.
Esiste ancora l’italiano popolare? Da un lato oggi possiamo dire che non ci sono più le condizioni
sociali necessarie per riconoscere l’esistenza di parlanti di italiano popolare (gli incolti e i semicolti
sono pochi e gli esclusivi dialettofoni pure), dall’altro, manifestazioni riconducibili ai tratti tipici
dell’italiano popolare ci sono anche oggi.

Linguistica dell’italiano popolare


Aspetti propriamente linguistici che si allontanano dall’italiano standard o modello per una serie di
anomalie. Alcune di queste dipendono da due meccanismi:
- Contatto con il dialetto retrostante
- Rielaborazione e ristrutturazione delle norme dell’italiano. Non avendo studiato la
grammatica, l’uomo si comporta come un bambino in età prescolare, che osserva la lingua
e cerca di ricostruire la norma. Ma così facendo, applica la norma in quei casi nei quali
nell’italiano riconosciamo l’eccezione alla norma. Da un lato ipercorrettismi, cercare di
correggere un tratto percepito come errato anche se errato non è (le doppie, caso più
frequente), dall’altro continue semplificazioni di un sistema grammaticale complesso,
come quello dell’italiano.
Queste anomalie riguardano tutti i livelli di analisi linguistica, quindi sono fenomeni riconoscibili
nei seguenti campi:
- Sintassi: il parlante popolare tenderà al conguaglio verbale nella protasi e nell’apodosi del
periodo ipotetico dell’irrealtà, cioè utilizzo di un solo modo verbale, anziché due, nelle due
frasi del periodo ipotetico (doppio condizionale, anziché congiuntivo/condizionale, se
sarebbe venuto, sarebbe stato bello).
 Un altro tratto è la mancata concordanza tra nome/aggettivo, nome/attributo,
ovvero le concordanze a senso, come la gente sono ignoranti. Il che polivalente,
come indicatore generico di subordinazione, come il paese che sono stato
domenica scorsa si chiama Villafranca / voi dovreste trovare un lavoro che la
domenica restate libera. Il che dell’ultimo esempio è visto come il che indeclinabile
perché a volte non è facilmente sostituibile con una formula corretta. Anche questo
è fenomeno di semplificazione.

- Morfologia: le anomalie principali riguardano il pronome, il verbo e il nome, le tre


categorie più complesse, perché più ricche di forme e di irregolarità.
 A livello del pronome, ritroviamo molto spesso la presenza del ci clitico tuttofare,
usato come complemento di termine e che neutralizza le opposizioni di genere e
numero (usato sia per femminile e maschile, sia plurale e singolare). Ma è prima
persona plurale atono, usato come complemento oggetto diretto o come
complemento di termine “a noi”. Qui diventa un clitico, un pronome che precede
spesso un verbo, come ci dico (ai nipoti); c’era la sentinella, io ci detti uno spintone.
In Sicilia ancora viene usato, come a livello intercalare.
 Per quanto riguarda il verbo, il parlante ricostruirà per analogia forme irregolari
come se fossero regolari, come vada, venghino, stassi, potiamo (possiamo), faciuto
(fatto). Ancora lo scambio di ausiliari, come i miei figli hanno cresciuto qua, talvolta
generato dall’effetto del dialetto.
 Il nome, invece, è un altro caso complicato, perché la morfologia nominale chiama
in causa due questioni: la doppia forma dell’articolo determinativo, cioè uso di i al
posto di gli (coi zii) e l’uso di il al posto di lo (il sciopero); adozione dei maschili in o/i
e dei femminili a/e e applica questo paradigma alle desinenze che hanno una sorte
diversa, come le cimice, l’uniforma, la moglia.
- Grafia: anche nella scrittura lo scrivente si rende protagonista di una serie di anomalie. “3
latucche a un euro”, vi è raddoppiamento invertito e scambio di g con c (ipercorrezione),
ovvero consonante sonora che passa alla consonante sorda (interferenza del dialetto).
 Interferenza dialettale e regionale, come Andonio, manciare;
 Resa delle doppie che porta alla scrittura senza doppia o ipercorrezione;
 l’uso casuale (a volte reverenziale) delle maiuscole, cioè alcune parole che non
richiedono una maiuscola vengono indicati con maiuscola iniziale, per sottolineare
l’importanza che si da;
 mancata percezione dei confini delle parole (rianalisi), attraverso grafie anomale:
due parole diverse percepite come una parola sola come lamico, lamerica, apposto;
discrezione dell’articolo presunto, attraverso segmentazioni improprie, come con
torni, di spetto, in dirizzo.
 L’ortografia, con l’h di fronte a forme coniugate del verbo avere (alternanza a/ha),
q+u, i digrammi, cioè la presenza di un doppio grafema per la realizzazione di un
unico suono, come cielo e i trigrammi, presenza di 3 grafemi per un solo fonema,
come moglie.
 Nessi consonantici per effetto della pronuncia non sono riconosciuti e quindi
semplificati, come proprio al posto di propio.
 Punteggiatura e altri segni interpuntivi, o è assente o usata in maniera casuale.
26/02/2021

- Fonetica: il parlante di italiano popolare manifesta delle difficoltà in questo campo. La


realizzazione fonetica propria del parlante italiano popolare si distingue dall’italiano
standard per alcuni tratti, sempre nella direzione della semplificazione.
 Tenderà a risolvere la pronuncia di nessi consonantici per lui difficili da pronunciare.
Qui è frequente la modifica del suono ritenuto ostrico sempre nello stesso canale. Il
primo è l’epentesi, inserzione di un corpo fonico, qui di una vocale, all’interno di un
gruppo consonantico ritenuto difficile nella pronuncia, come pissicologo (psicologo)
e aritemetica (aritmetica)
 Il secondo è l’assimilazione, cioè attrazione esercitata in un gruppo di due
consonanti diverse di un suono sull’altro, che si risolve con il passaggio del secondo
suono al primo, cioè assume i tratti del primo, come arimmetica (aritmetica).
 Frequenti errori nell’accentazione delle parole non di uso quotidiano, come
persuàdere, centrifùga, rùbrica.
- Lessico: il tratto più interessante del lessico dell’italiano popolare è quello all’interno dei
cosiddetti:
 Malapropismi: parola o espressione che viene deformata sul piano del significante
(punto di vista della forma) per accostamento a un’altra parola/espressione più
nota al parlante, è una sostituzione, una parola/espressione sostituita da un’altra
simile o molto simile dal punto di vista fonomorfologico, ma dal significato diverso.
È una sostituzione inconsapevole: raggi ultraviolenti (ultravioletti), posta proletaria
(prioritaria), celebre (celibe), frustati (frustrati), pietre militari (miliari), tic (ticket),
polistirolo (colesterolo). A volte ci si vuole dare un tono impreziosendo il proprio
enunciato con termini ricercati. Ciò scatena effetto comico.
 Le storpiature sono delle sostituzioni parziali, delle deformazioni sempre sul piano
del significante, ma che riguardano solo una parte della parola. Porta alla
sostituzione di un prefisso o suffisso di una parola, come accidente/incidente,
operamento/operazione, spensierato/pensieroso.
 Accanto ai primi due fenomeni di parlato trascurato, l’italiano dei semicolti
presenta dei tratti che vanno in direzione contraria, cioè presenta particolarità
lessicali, quali burocratismi, cultismi e tecnicismi, che si possono spiegare con
riferimento a modelli di lingua percepiti come autorevoli, prestigiosi. Primo fra tutto
burocrazia e pubblica amministrazione, tutto fuorché modello autorevole di lingua.
Ma per l’italiano è il migliore modello. Il burocratismo è il più ricorrente, conosciuto
in linguistica come burocratese (svalutativo, indica lingua complicata), stile
comunicativo inutilmente complicato. Costante sequenza cognome + nome nelle
firme dell’italiano popolare. Il semicolto, di norma, non firma nome e cognome, ma
cognome e nome. È un segnale inequivocabile. (ordine inverso usato negli archivi,
elenchi telefonici, registri scolastici).

Oggi il saper scrivere e parlare bene non sono visti come una competenza necessaria. Oggi non c’è
mai o quasi mai la lingua, la competenza linguistica nel centro d’attenzione del parlante. È
reputato più efficace apparire attraverso altre forme, come abbigliamento, cura del corpo,
strumenti digitali. Il risultato è lo stesso o, per lo meno, molto simile. Possiamo riconoscere una
varietà sub-standard, trascuratezza, scarsa attenzione alla forma. Il problema non è l’italiano, ma
chi lo usa.
L’ITALIANO REGIONALE
Un’altra dimensione fondamentale per l’Italia in quegli anni in cui l’italiano si sviluppa a livello
orale nelle diverse regioni è la diatopia o variazione diatopica. Per variazione diatopica si intende
una dimensione focalizzata sullo spazio geografico entro il quale una lingua viene utilizzata. Una
stessa lingua muta al variare dello spazio e muta in uno spazio nei diversi territori nei quali viene
utilizzata; tanto più sarà ampia la superficie entro la quale viene utilizzata una lingua, tanto
maggiore sarà a livello teorico la sua capacità di variare nel territorio (spagnolo in Sud America,
situazione in India). Il latino parlato a Roma non era lo stesso parlato in Sicilia, Sardegna, Dacia,
ecc., anzi, la variazione diatopica applicata al latino è uno dei motivi che ha successivamente
determinato l’evoluzione del latino nelle lingue romanze.
La capacità di una lingua di variare nello spazio non è solo determinata dall’ampiezza di un
territorio, anzi, l’italiano è una delle lingue che mostra il maggior tasso di differenziazione interna
per la dimensione diatopica, proprio per ragioni collegate allo spazio geografico e al mutare del
territorio, nonostante il territorio italiano sia piccolo.
Ciò che distingue la nostra lingua dalle altre romanze è la presenza dei dialetti. Dopo gli anni 50,
l’italiano fa ingresso nelle diverse regioni e incontra altre lingue. Incontrando i dialetti locali,
l’italiano, pur senza subire conseguenze drastiche, rimanendo sempre italiano, ha subito in
maniera positiva l’influenza dei diversi dialetti. In quegli anni nascono nelle diverse regioni delle
diverse varietà di italiano che non sono semplicemente distinte tra loro per minime questioni
fonetiche, trascurabili, ma sono varietà che tra loro presentano differenze su tutti i livelli di analisi
linguistica e che possono giungere come effetto non troppo estremo anche a generare situazione
di non comprensibilità tra parlanti di una stessa lingua. Tale variazione, determinata da fattori
diatopici, prende il nome di italiano regionale.

SPIEGAZIONE DEL PICCIO <3

La formazione di varietà linguistiche regionali


A differenza di quanto accade in altri paesi europei, paesi nei quali esiste una varietà di
riferimento, definibile standard, condivisa dai parlanti a prescindere dalla posizione geografica, in
Italia non esiste una vera e propria varietà standard. Esiste un modello astratto, tendenziale, verso
il quale possiamo tendere, ma che non trova una sua concretizzazione effettiva nell’oralità. È un
modello valido per la scrittura, a livello orale no.
Nell’oralità, al posto di quell’italiano standard, si trovano varietà regionali, ossia le diverse
realizzazioni di una norma sovralocale (norma dell’italiano nelle diverse realtà territoriali che può
avere realizzazione diverse). Tale diverse realizzazioni sono derivate dal dialetto che, agendo come
sostrato, ha avuto la capacità di modificare in vario modo l’ottica locale, a tutti i livelli di analisi.

Italiano regionale: «quella varietà di italiano usata in una determinata area, che denota
sistematicamente, ai diversi livelli di analisi, caratteristiche in grado di differenziarla sia dalle
varietà usate in altre zone sia anche dal cosiddetto italiano standard» (D’Achille 2002: 26).
È una varietà di italiano che è usato in un determinato territorio e che si caratterizza a tutti i livelli
di analisi per una serie di tratti che consentono di differenziarla sia dalle altre varietà regionali, sia
dall’italiano vero e proprio, quello standard.
Osservazioni generali
L’italiano regionale è di una zona, di una determinata area. Non ci si riferisce alle regioni
amministrative, ma a regioni linguistiche (area che presenta caratteristiche comuni di tipo
linguistico). Sono varietà fluide, più libere di modificarsi.
Sono varietà prima di tutto parlate, ma esiste anche l’italiano regionale nella scrittura, poiché tratti
del nostro italiano regionale orale compare nella scrittura.
Già dalla metà del secolo scorso è stato impiegato da alcuni dei nostri autori, in narrativa e nel
contesto poetico, per caratterizzare dal punto di vista espressivo il parlato di alcuni particolari
personaggi. Cesare Pavese, fin dalla metà degli anni 30, fa un impiego consapevole dell’italiano
regionale, di tratti e delle langhe di esso, e lo fa per marcare dal punto di vista diatopico e
diastratico il parlato dei suoi personaggi: per esigenza di mimesi (realismo linguistico), un po’ per
ragioni più sottili, con esiti straordinari. È più interessante rivelare come abbiamo numerose
testimonianze di scrittori che inseriscono, senza rendere conto, tratti regionali nei loro romanzi e
questo ci restituisce l’idea della profondità che l’italiano regionale ha nelle nostre abitudini
linguistiche.
Esempio: Alessandro Baricco, autore noto piemontese. I suoi romanzi sono caratterizzati da una
lingua che tende verso l’alto, fitta di citazioni letterarie, per lo più scolastiche. È una scrittura
enciclopedica, ma anche che si mantiene sul livello alto per l’intenzione dello scrittore di dare una
bella impressione di sé. Il mostrarsi verso l’alto fa trovare tratti come il SOLO PIÙ e altri tratti che
sono usi in riflesso regionale.
L’italiano regionale nasce al pari dell’italiano popolare quando la lingua nazionale entra nelle
diverse regioni. Ma qui c’è la differenza: quello regionale è quello parlato da tutti, non manifesta
devianze rispetto alla norma, non è quello ricostruito da chi non sa l’italiano, ma è parlato da
persone con istruzione medio-alta.
4/03/2021
L’ITALIANO REGIONALE TORINESE
Presenta tratti caratteristici propri.
- OH FRATE, LASCIAMI DUE NOTE: specifica formula torinese, le due note per indicare i tiri di
sigaretta, tipicamente piemontese.
- HO TAGLIATO: ho marinato la scuola
- C’HAI UN CICLES: gomma da masticare
- NE’
- GUIDO è l’autista del pullman.
- CI STA detto almeno 10 volte in una frase dal giovane torinese medio

Peculiarità lessicali torinesi


Presenta dei tratti caratteristici a tutti i livelli di analisi, presenta parole proprie soltanto di questa
regione.
- Sono regionalismi lessicali di circolazione esclusivamente o quasi regionale, come chiamare
per chiedere, comprare per avere un figlio, grilletto per l’insalatiera, guadagnare per
vincere, venire per diventare, cottolengo per scemo, gagno per bambino, lordone per
schiaffo, tampa per figuraccia. I germini che avevano a che fare con lo stato interessante
della donna non potevano essere indicati per nome, ma indicati attraverso perifrasi, come
“essere interessante”. Sono parole che derivano dal dialetto e sono state italianizzate. Il
dialetto viene adattato all’italiano (l’italiano acquista parole dal dialetto adattandole
fonomorfologicamente) trasformandole attraverso il prestito adattato e il calco.
- Polirematiche: gruppi di parole con significato unitario, quindi dal punto di vista semantico
vale come una singola parola, ma formata da più termini. Il significato non è desumibili dal
significato delle parole messe insieme, per esempio avere la mano (essere pratico, avere
esperienza nel fare qualcosa), dare dei nomi (insultare), fare amico (fare amicizia), fare
conto (immaginare), tenere da conto (conservare con cura), trovare da dire (criticare).
- Enunciati: con strutture prosodiche, in determinati contesti, pronunciati in un certo modo a
indicare stupore, come o basta là, si che so è un figuriamoci se lo so.

Tra i principali morfosintattici non condivisi con altre regioni, troviamo una serie di
- avverbi e sintagmi verbali come solo più (ormai soltanto, ho di soltanto ancora), già (di
solito è utilizzato in strutture parentetiche o accidentali, sempre in frasi interrogative, per
indicare che l’informazione è nota all’interlocutore, ma che per ragioni non chiare in quel
momento non è più nota: com’è che ti chiami, già?)
- verbi pronominali impiegati in forma sintagmatica anche: osarsi, non oso è italiano, non mi
oso è piemontese. Anche questo è un effetto del dialetto.
- perifrasi: fare che + infinito, come facciamo che andare, o faccio che chiamarlo. Funzione
deontica, cioè che esprime un dovere attraverso una richiesta
- la particella neh che è un indicatore di domande orientate o domande-coda.
L’italiano regionale inizierà a comparire nelle canzoni dei cantautori, come De Gregori, Dalla. Si
ritroverà in maniera circoscritta nel rock che rinnova il canone tradizionale. E saranno molto più
frequenti nei testi moderni, quelli più giovanili e più aperti alle innovazioni, in particolare nel rap,
con la nascita dell’impiego del dialetto.

La canzone ascoltata è Fai Cisti, di Fred de Palma, Ensi e Shade.


È uno dei lemmi bandiera, che indica una parola che rappresenta una realtà e un contesto sociale.
È un’espressione bandiera. Fai Cisti significa fai attenzione e nel gergo piemontese rientrava in una
locuzione proverbiale: fai cisti, madama ci ha visti.
Cisti usato da solo ha un significato positivo, come figo.
Brasa come bruciato, fuori di testa, ma anche sinonimo di socio, fra.
Tattico usato come LIKE TATTICO
Il toro verde sono le fontane di Torino, il turet verd
DioFa è una bestemmia, che deriva da falso, ma che subisce una modifica eufemistica e diventa fa,
perde la sua riconoscibilità immediata, non è detto che un giovane in quella parola riconosca
l’aggettivo falso. Però è un’espressione che nasce in quel contesto, nella blasfemia.
Su Genious, database di testi delle canzoni, nato per il rap, è consentito di commentare, le parti in
grigio sono quelle con i commenti. Su DIOFA dicono che sia Dio Faust, come Dio diavolo, ma è un
errore.

Macro-classificazione delle varietà regionali


Ad ogni località corrisponde un dialetto, ecco perché nel territorio ci sono macchie che cambiano
di tonalità di colore anche in aree molto piccole. Quando si descrive il panorama, si procede per
macroaree, utilizzando il criterio utilizzato per la descrizione delle aree regionali.
Ci sarà:
- varietà settentrionale, che riguarda i territori al di sopra della linea La Spezia-Rimini:
 fonetica: 1. scarsa sensibilità nella distinzione tra timbro aperto e chiuso di -e ed -o
(la differenza di pronuncia di una vocale per una parola diversa è percepita in area
toscana, come per pesca, botte, riconoscendo due parole diverse a seconda della
fonetica) e porta ad una chiusura generalizzata di tali vocali, tranne per il Piemonte,
dove sono pronunciate con timbro aperto; 2. Difficoltà alla realizzazione di
consonanti forti, le doppie, che sono soggette a indebolimento, come a te e non a-
tte, [‘gato], [ka’valo], etc.; 3. Pronuncia sonora della fricativa [s] quando
intervocalica, come in [‘kasa], [‘koza].
 morfosintassi: 1. Passato prossimo al posto del passato remoto, che è pressoché
sconosciuto a livello orale; 2. Impiego dell’articolo determinativo davanti a nomi
propri, come la Francesca; 3. Formazione della frase negativa con mica, nel caso di
ti ho sentito, mica sono sordo.
- la varietà toscana:
 fonetica: 1. La gorgia, che coinvolge le consonanti occlusive intervocaliche, come la
p, la t e la c (coca-cola), anche sonore, la b, d e g; 2. Mantenimento delle aperture e
chiusure vocaliche come per pesca, botte, riconoscendo due parole diverse a
seconda della fonetica; 3. Realizzazione fricativa delle affricate palatali [tʃ] e [dʒ]:
[’katʃo] > [’kaʃo], [’adʒile] > [’aʒile]; 4. monottongamento del dittongo /wɔ/: [‘nɔvo],
[‘bɔno] invece di buono e nuovo; 5. anaptissi sillabica, cioè l’inserzione di una vocale
o tra due consonanti o a fine di parola, quando una parola finisce per consonante,
facendo quindi terminare le parole che finiscono per consonante come bar e bus
con una vocale, come busse, barre. Tale procedimento è epitesi, per facilitazione
della pronuncia.
 Morfosintassi: 1. Passato prossimo e passato remoto, usato ciascuno nel rispetto
dei suoi domini di impiego; 2. Sopravvivenza del sistema tripartito dei deittici, sul
modello dell’italiano, cioè questo, quello e codesto. Al di fuori della Toscana
nessuno usa codesto; 3. Preferenza per la forma impersonale anziché la prima
plurale, si dice si va al posto di andiamo; 4. Anteposizione obbligatoria dell’articolo
al pronome possessivo, in riferimento a un nome di parentela, come in la mi
mamma.

5/3/2021

- la terza che è l’italiano regionale romanesco e mediano: si riflette sull’italiano di Roma,


perché è l’italiano regionale che tutti gli italiani hanno sentito negli anni di più tra le diverse
varietà, attraverso i mezzi di comunicazione di massa. In una prima fase di trasmissione, il
romanesco era forse l’unica o quasi l’unica varietà che si sentiva. Ha influenzato a livello
lessicale l’italiano dell’uso, cioè molti regionalismi li usiamo nell’italiano di tutti i giorni, a
prescindere dove viene parlato. Oggi non è più la varietà principe, perché le cose sono
cambiate.
 Fonetica: 1. Affricamento di •[s] preceduto da l e n, come in [’pɛntso], [’poltso]; 2.
Rafforzamento di [b] e [g] intervocaliche, come in [’rɔbba], [’adʒʒile]; 3. [s]
intervocalica sempre sorda, come in [’vi:zo] > [’vi:so] a differenza dell’italiano
regionale meridionale; 4. Rotacizzazione di [l] davanti a consonanti, come
[ar’tsare], [ar ’kilo], cioè diventa una [r]; 5. Scempiamento di r intensa in posizione
intervocalica, come in [’gwerra] > [’gwera].
 Elementi morfologici: 1. Usare stare al posto di essere; 2. Stare + a + infinito (lo
stanno a menà) che esprime valore di simultaneità, cioè indica un’azione quando si
sta svolgendo; 3. Che enfatico interrogativo (che, vieni al cinema?); 4 uso di mia,
tua, sua, con sostantivi maschili plurali, come in sono fatti mia! Questo non
dipende dal sostrato dialettale, ma dal latino.
- la quarta è l’italiano regionale meridionale non estremo (colorata di blu nella cartina e va
da Roma-Pescara e arriva alla linea Taranto-Ostuni e Diamante-Cassano che separa la
Calabria settentrionale dalla meridionale):
 tratti fonologici: 1. Arretramento degli accenti nei dittonghi [’pjɛde] > [’pi.ede], in
particolare a Napoli, dove l’accento è sulla [i]; 2. Sonorizzazione occlusiva dopo una
nasale, come [’kampo] > [’kambo]; 3. Sonorizzazione di [ts] dopo [l], come [al’tsare]
> [al’dzare]; 4. Vocale atona indistinta finale, in Puglia o Sardegna, non è un suono
muto, è un suono swa, come [’finǝ], [’panǝ].
 tratti morfologici: 1. Accusativo preposizionale come nel caso di Ho visto a Davide (Il
latino aveva i casi che segnalavano le funzioni sintattiche delle parole, riconosciute
attraverso le desinenze, con preposizioni. In questo modo, aldilà della posizione
degli elementi, la funzione sintattica di ciascuna parola era riconoscibile. Le lingue
romanze hanno quasi tutte perso il sistema dei casi, già in una fase di latino volgare,
quando si trasformava nelle diverse lingue. Per rimediare questa perdita, devono
marcare con le preposizioni, ma non tutte le funzioni sintattiche sono marcabili con
preposizioni, il soggetto non è marcato da preposizione, come neanche il CO. Per
eliminare l’ambiguità tra S e CO, si marca anche il COD con la preposizione A. 2. Uso
transitivo di verbi intransitivi, come scendere, salire, uscire, tornare, etc. come ho
sceso il cane; 3. Uso di esserci al posto di fare in costrutti meteorologici, come in c’è
caldo. Non è esclusivamente meridionale, perché i costrutti meteorologici sono retti
tanto da esserci quanto da fare. Esserci si è sviluppato in area centro-meridionale,
fare nelle aree restanti.
- la quinta è l’italiano regionale meridionale estremo, Salento, Calabria centro-meridionale e
Sicilia. Queste tre aree sono affini linguisticamente. Il Salento non è affine alla Puglia, ma
alla Sicilia. Hanno uno sviluppo costiero unico, sono quasi tutta costa. Ecco perché
caratterizzate da un’unità linguistica, parallela, comune.
 Tratti fonologici: 1. Vocalismo tonico a cinque unità, cioè non le 7 vocali
dell’italiano, ma solo 5 a, e, i, u, ed o aperte; 2. Apertura generalizzata [e] e [o],
come in [’sɔle], [’pɛra]; 3. Vocalismo tonico a tre unità, con a, i e u, mentre la e e la
o sono aperte; 4. Pronuncia retroflessa di alcuni nessi consonantici, come tr, dr e ll
intensa (Sicilia), come in strada, jaddina (gallina).
 Tratti morfosintattici: 1. Passato remoto usato anche quando non ci sarebbero le
condizioni, come in chi bussò alla porta?; 2. Collocazione del verbo a fine frase,
come in Io sono!; 3. Futuro epistemico che esprime opinione espresso da dovere +
infinito, come in a luglio mi devo laureare.
- la sesta è il sardo.

Il lessico dell’italiano regionale: i geosinonimi.


Le varietà dell’italiano regionale differiscono tra loro a tutti i livelli di analisi linguistica. Significa
che le diverse varietà hanno tratti lessicali, come parole o espressioni, di una determinata zona e
non di altre. Il tratto più interessante della variazione diatopica sul piano lessicale è dato dalla
presenza di regionalismi, cioè parole di uso regionale che non hanno diffusione nazionale.
La bagnacauda è un regionalismo, cioè espressione di area piemontese che designa un piatto
tipico del Piemonte.
I geosinonimi sono sempre regionalismi, ma sono parole che nelle varie parti del territorio
designano lo stesso oggetto, cioè parole diverse che indicano uno stesso concetto o referente o
azione. Gruccia, attaccapanni, croce, omino, sono tutti geosinonimi.
Robert Rüeg, nel 1956, studioso di colonia, che per la sua tesi di dottorato, ha posto una serie di
immagini a un campione di 200 persone di tutte le regioni chiedendo loro in che modo
chiamassero, nella loro varietà di italiano, oltre 242 referenti. Soltanto uno di quei 242 referenti
venne chiamato in tutta Italia con la stessa espressione, era il caffè forte che si prende al bar,
chiamato caffè espresso. Da qui si da avvio allo studio sulla geosinonimia.

La “gomma da masticare”
Vi sono tre tipologie ricorrenti:
 -  it. reg. sett. cicca (< lomb.)
 -  it. centr. gomma (> nord)
 -  it. sett., centr., merid. ciungai, cingum, cingomma, gingomma, ecc. (< ingl. chewing gum)
Esiti di diffusione areale circoscritta:
 -  piem. cicless (ma cfr. anche il bol. la cicle)
 -  fior. cincibiascia
 -  luc. caramella a molla («di uso raro»)
 -  sic. mastica, masticante, masticozza, tiramastica, ecc.

Geosinonimi – Criteri di classificazione [1]


Ci sono parole che, pur nascendo da un luogo circoscritto, riescono ad arrivare a diffusione
nazionale. Ci sono termini non toscani, cioè non dell’italiano standard, che riescono a
sopravanzare. Ci sono altri che non vengono riconosciuti come tali dai parlanti, altri che rimangono
nel territorio e sono riconosciuti dagli stessi parlanti, sanno cioè che ci sono varianti.
- Geosinonimi di rango nazionale, cioè che hanno un’area di diffusione panitaliana, come
anguria.
- Di rango regionale, cioè parole che provengono dal dialetto locale, che sono adattate
dall’italiano, ma che rimangono in un’area. Possono essere:
 sovraregionale, ampia, ma non come il territorio nazionale, conducibili alle 5
precedenti, come stracco per stanco, abbuffarsi per mangiare, faticare per lavorare;
 parole propriamente regionali, cioè diffuse nelle singole regioni, come bagnetto in
Piemonte per designare la salsa, brocco per dire scarso, incapace, caruso per dire
ragazzo, conca al posto di testa, etc.)
- geosinonimi di rango dialettale, quelli che gli stessi parlanti riconoscono come locali,
perché sono diretta espressione del dialetto, con estensione d’uso e di notorietà locali,
come piola per osteria, ramazza per scopa, babbiare per scherzare.

[2]
Criterio proposto da Alberto Sobrero sul raffronto con il toscano.
- Ci sono geosinonimi toscani per noi italiani forti, cioè quelle parole che di provenienza
toscana si diffondono in tutta Italia.
- I geosinonimi non toscani forti, cioè parole non toscane che però hanno la capacità di
concorrere per lo meno con i corrispondenti toscani, se non di avere la meglio, come
insipido, scipito, insulso, per indicare il cibo senza sale, rispetto al toscano sciocco.
- Geosinonimi che coesistono alla pari in un proprio ambiente geografico, come il toscano
babbo e il settentrionale papà, il toscano ciotola con il settentrionale scodella o il
meridionale tazza.
- Geosinonimi deboli, cioè assorbiti dal toscano, come il veneto santolo, il meridionale
compare, il sardo nonno, rispetto a padrino.

I criteri per stabilire la capacità di espansione dei geosinonimi o per stabilire il grado di
concorrenza che hanno con il toscano. La fortuna dei geosinonimi sfugge a criteri di analisi chiari,
univoci. Ci possono essere
- Fattori legati al prestigio culturale o economico e da qui si spiega il successo avuto da
parole settentrionali, come anguria, formaggio e panetteria (al sud panificio).
- Prestigio “nascosto” (dall’inglese covert prestige), cioè dipendente dai mezzi di
comunicazione di massa, in particolare la varietà romanesca con il successo avuto tramite il
canale televisivo-cinematografico, come pennica, bella, scialla, tardona, patacca, una cifra.
- Geosinonimi locali e regionalismi “alimentari”, nel 1975 da Sabatini, come gondola,
catasto, pizza, panettone, grissini, etc.

L’italiano standard ha vissuto come lingua scritta nei libri, ma non coincide con nessuna varietà
effettivamente parlata. Nella seconda metà del 900, si è reso visibile l’allargamento dello standard,
causato dal diffondersi dell’italiano nelle regioni come lingua utilizzata anche a livello orale, cioè
non doveva essere più un codice alto, ma lingua parlata in un quadro nuovo.
Un italiano standard che era paludato per sua stessa natura e tendente all’aulico, utilizzato a
livello scritto per la letteratura con lessico più adeguato ai temi del bello scrivere, ha dovuto fare i
conti e adattarsi a una situazione che si era venuta a creare a livello sociale. Ha dovuto allargare il
proprio raggio d’azione. Due effetti:
- Nascita dell’italiano regionale (mix di dialetto-lingue parlate)
- Ha dovuto abbassare il proprio livello, scendere verso le zone basse della variazione
linguistica. Ha dovuto accettare nell’uso quotidiano parole, costrutti, forme che per secoli
erano state considerate non grammaticalmente corrette o che erano state messe ai
margini. Molte di queste forme in questa fase devono essere recuperate e accettate.
Il nuovo standard è stato definito italiano neo-standard da Gaetano Berruto o italiano dell’uso
medio da Sabatini. Non è un italiano scorretto, perché quello dell’uso medio è una denominazione
con la quale Sabatini indica usi linguistici dell’italiano da parte di parlanti con istruzione medio-
alta, non è l’italiano popolare, neanche il regionale.
I tratti sono:
- A livello sintattico: vengono considerate accettabili nell’italiano dell’uso medio i fenomeni
della sintassi marcata, cioè la dislocazione a sinistra (le sigarette le compro io), e la frase
scissa (sono io che compro le sigarette) e dislocazione a destra (le compro io le sigarette).
- A livello morfosintattico: si registra una semplificazione. A livello pronominale, esempio,
cadono i pronomi personali, nessuno gli usa, ma si usano i pronomi personali complemento
(lui, lei, loro), o ancora come nell’italiano dell’uso medio venga accettato l’utilizzo di gli
come unico pronome dativo di terza persona, maschile, femminile e plurale.
- A livello lessicale: si caratterizza per una serie di parole nuove. A partire da un certo punto,
tra queste parole comincia ad intagliarsi spazio l’anglicismo. I neologismi, i prestiti di
necessità, i prestiti di lusso (non necessari, come fashion, anziché alla moda).
L’uso degli anglicismi è giustificato dal fatto che tutte le parole o quasi tutte sono polisemiche;
quando passano da una lingua all’altra come prestiti almeno in un primo momento sono
monosemiche, univoche, perciò sono particolarmente adatte a diventare tecnicismi (che per sua
natura deve essere chiaro, monosemico). Spread vale divario di qualsiasi genere, entra in Italia per
la differenza di rendimento tra titoli di stato italiani e tedeschi, quindi è una cosa ultra-tecnica,
ultra-precisa. Ciò giustifica l’ingresso di parole straniere, almeno in un primo momento. Entrò la
parola scooter in Italia, avendo vespa, motorino, moto, perché non possono sostituire la parola
scooter.

11/03/2021
L’Italia impara a Volare (1958)
Domenico Modugno salì sul palco e iniziò a cantare “Nel blu dipinto di blu”. Questa canzone aveva
generato molte aspettative ben prima della sua esecuzione e la percezione di una frattura con il
passato fu immediata. I quotidiani dell’epoca la accolsero come un trionfo. 22 milioni di dischi nel
mondo, il brano italiano più noto di tutti i tempi.
Ha nel titolo una sorte unica nella storia della canzone italiana: essere molto più di una canzone. È
uno spartiacque, identificano un prima e un dopo, segnando la vera data di nascita della moderna
canzone italiana. Nel 58 c’è ancora Nilla Pizzi che canta tre canzoni. C’è Claudio Villa,
rappresentante migliore pre-Modugno che canta 5 canzoni e poi c’è Modugno che si caratterizza
per un modello nuovo.
Per la prima volta una canzone è interpretata dal suo stesso autore. Qualcuno l’ha riconosciuto
come il primo cantautore.
Dalla metà degli anni 50 l’ascolto delle canzoni non è più solo attraverso la radio e la tv, ma anche
attraverso i dischi che promuovono una fruizione consapevole della musica, decido io cosa e
quando ascoltare. Non bisogna dimenticare che dalle statistiche di allora solo il 50% degli italiani
possiede la televisione. C’è anche il jukebox.
Un ruolo non secondario in questa rottura col passato viene di norma attribuito alle scelte
linguistiche del testo. Attraverso Volare la canzone italiana si proietta sul fronte linguistico in
un’epoca nuova. Lo stesso Modugno, finito il Festival, rivendicava il linguaggio modello della sua
musica e delle parole. Il messaggero segnalava come gli altri concorrenti erano rimasti a vecchi
schemi tendenti al patetico, al contrario di Volare che si caratterizzava per una lingua nuova.
Diamo uno sguardo alla lingua: ci sono degli elementi di discontinuità col passato, mancano cose
che erano presenti in precedenza:
- sono assenti gli arcaismi
- sono assenti i troncamenti in rima (cuor, amor, mar, sol che erano statisticamente tra le più
utilizzate)
Ma ci sono il cielo, il sole, il sogno, il volo, il vento che rapisce, gli occhi, la musica dolce che sono
gli stessi ingredienti a cui ricorrevano anche gli altri, che si trovano nelle canzoni di Claudio Villa
(più tradizionale conservatore). Il testo di Volare non è uguale, ma condivide con buona parte delle
altre canzoni, comprese quelle dell’ultimo anno, uno stesso codice, una sorta di grammatica del
testo cantato. Induce ad alterare l’ordine delle parole “Poi d’improvviso venivo dal vento rapito”,
inversione necessaria per il disegno delle rime baciate o ancora “gli occhi tuoi blu”, oppure “blu” è
in rima con “più su”.
In questa stessa grammatica induce a spezzare la frase in modo che il verso si chiuda con l’accento
giusto “ma tutti i sogni nell’alba svaniscono perché”, non corrisponde a unità semantica e
sintattica, è una spezzatura della sintassi del testo, resa necessaria per far finire il verso con una
parola giusta in rima.
Grammatica che impone la presenza in rima di alcune parole assai ricorrenti, dalle quali non si può
prescindere, come i monosillabi più, blu, su, sé, te e i termini con parole tronche lassù, perché,
quaggiù. Le novità riguardano in parte la struttura della lingua e a dimostrarlo ci sono le scelte
prese da Modugno.
Se quella canzone rappresenta tutto ciò, non è per il suo testo, ma molto più ha agito la musica, la
melodia e ancora di più la voce del cantante. Ma non solo, in un’epoca che consente la
trasmissione dell’immagina incise l’interpretazione teatrale di Modugno.
Se pensiamo all’edizione appena conclusa e a Orietta Berti, ha cantato come si cantava allora, ma
nel 2021, sguardo non troppo ballerino, movimenti quasi assenti.

Il fondamento di una tradizione


A partire da quell’edizione in particolare, Sanremo fissa una tradizione, la genera, cioè del filone
della canzone melodica ispirata al melodramma, il cui stile, pur conoscendo una serie di evoluzioni,
si è mantenuto nei suoi tratti distintivi fino ad oggi.
- Impiego dell’orchestra: c’è sempre stata l’orchestra a Sanremo, seppur in corrispondenza
di esecuzioni di brani che dell’orchestra poteva fare a meno, perché è un elemento su cui si
fonda la tradizione di Sanremo. È mancata solo negli anni 80, della crisi di Sanremo. Ma poi
con una restaurazione è tornata. Non è secondario, perché ha permesso che sopravvivesse
un genere specifico di tradizione, con strumenti ad arco e violini in maniera dominante, per
produrre melodie classicheggianti.
- I testi: sono caratterizzati da un lessico abbastanza fisso, riconducibili all’ambito della
passione, a frasi d’amore, tematiche amorose che al Festival hanno sempre trovato terreno
fertile. Ci sono state anche eccezioni, interpretate negli anni come sintomo di qualità del
Festival. L’eccezione che conferma la regola è ciò che consente agli organizzatori di dire che
c’è qualità. Autore che poco centra in alcuni casi con il Festival e questa differenza è molto
più evidente negli ultimissimi anni, dove c’è stata presenza di eccezioni quasi ricorrenti, a
segnalare un cambio generazionale, finalmente.
- Molti autori una volta a Sanremo hanno modificato il proprio stile, hanno deciso di
presentare canzoni che dal punto di vista linguistico si sono avvicinate ai gusti del pubblico
più vasto.
- Giovane non va confuso con innovazione, perché nelle otto canzoni dei giovani di
quest’anno si trovano tutti gli elementi della traduzione e che si trovano statisticamente di
meno nei big.
- Da 63 anni si conserva e si tramanda senza evoluzioni di arrangiamenti e lessico.
Dopo Volare, le edizioni si caratterizzano tutte, fino alla seconda metà degli anni 70, per la canzone
tradizionale. Al di fuori di Sanremo, negli anni 60, si sviluppano altri generi, come il rock e la
canzone d’autore, ma anche se al di fuori è cambiata, i cantautori sono molto lontani dal
conquistare il centro della scena. Nel 1966 Sergio Endrigo, Gino Pauli e Luigi Tenco non riescono a
vendere in un anno la metà di dischi che Bobby Solo vende per un solo brano, cioè Una lacrima sul
viso.
Tenco, l’anno dopo, 1967 si suicida dopo essere stato eliminato nella prima serata del Festival col
brano Ciao amore, ciao che lo stesso Luigi Tenco lo definì come atto di protesta contro il pubblico
che manda in finale Io, tu e le rose di Orietta Berti. Al di là della tragedia, ricordata da molti
cantanti, quel suo pezzo era una nuova linea per la canzone italiana, soprattutto per la lingua,
definisce Tenco. Qui ci sono elementi di rottura:
- Lo stile nominale
- Mancano i pronomi personali l’io e il tu che sono immancabili nelle canzoni
- Manca il passato remoto
- Manca il futuro dei progetti, delle speranze, tempo verbale più diffuso nelle canzoni
tradizionali.
- Mancano gli accenti sull’ultima sillaba del verso
- Mancano le rime, sostituite da una serie di assonanze a cadenza irregolare
Tutti questi elementi mancano nella canzone di Tenco.
È un momento che non passa inosservato, a partire da qua, al di fuori dal Festival, la canzone
tradizionale, o meglio la lingua tradizionale italiana comincia a morire, anche se non di morte
violenta, ma dopo un’agonia destinata a durare per decenni.
Con Dalla e altri una nuova grammatica del testo entrerà in un codice extra sanremese, che
rimarrà al di fuori del teatro Ariston. A Sanremo tutto rimane come prima.

Ci sono delle costanti musicali:


- Introduzione con melodia “in salita”: il cantante comincia con un tono basso che tende a
innalzare nel corso del brano per dare dimostrazione della sua ampiezza canora
- Prevalenza dei temi in maggiore: accordi maggiori sono superiori rispetto agli accordi in
minore
- Cambio di tono tra la seconda e la terza strofa. Dopo il ritornello della seconda strofa, non
è un fenomeno sporadico assistere all’innalzamento di un’ottava o di un tono/mezzo tono
rispetto alle strofe precedenti
- Lo schema base: Intro musicale e cantato/ Strofa/ Strofa/ Ritornello/ Strofa (Ponte)/
Ritornello

Il sanremese, ovvero la grammatica della canzone tradizionale


Non si può prescindere dalla melodia, che presuppone un rapporto non paritario tra musica e
parole. La melodia viene prima. Si parte da una melodia data e sulla base di una melodia
preesistente viene adattato un testo. Il testo è subalterno rispetto alla melodia. Nella tradizione di
Sanremo esistono figure diverse che hanno compiti specifici nella costituzione del brano: c’è il
musichiere che compone la melodia, il paroliere che acquisita la melodia del musichiere compone
il testo, e c’è l’interprete che può essere una terza persona o identificarsi con una delle due
precedenti figure.
Il paroliere utilizza la soluzione della mascherina, cioè utilizzo di parole casuali o di numeri nella
prima stesura, per individuare sequenze di sillabe che siano coerenti con accenti della melodia. Un
esempio: Lodovico, 1928
- «Diciannove, tre quattro diciannove, quarantanove quarantatré» («Lodovico / sei dolce
come un fico / più caro amico / di te non ho»); quelle parole avevano degli accenti che si
sposavano con gli accenti musicali. Solo dopo quei numeri sono stati sostituiti con parole di senso
compiuto.
- «Ventisette, trentaquattro, tre più sette, tre più quattro» («mi daresti se lo voglio /
l'orologio il portafoglio / e il vestito col cappello / con l'ombrello e tua sorella»).

Dalla melodia al testo attraverso il passaggio rappresentato dalla mascherina. Abbiamo


testimonianze anche recenti. Tutti ricorrono o quasi a questa soluzione quando la melodia venga
prima del testo.

Umberto Fiori, musicologo, riflette sul valore del termine “metrica”: «Con il termine metrica, nel
gergo della canzone, si intende lo schema al quale il paroliere deve attenersi quando applica un
testo a una melodia data».
Per chi scrive canzoni, la metrica è un passaggio fondamentale, non è tanto la costituzione di una
struttura metrica, ma l’applicazione di un testo alla metrica stessa.

Metrica e accentazione delle parole


Dalla Guida per gli aspiranti alla carriera di autori-cantanti di musica leggera (1964): «bisogna
sempre ricordare che una canzone con gli accenti sbagliati non può mai essere suonata in modo
soddisfacente».
È come una torta, se la ricetta è giusta e l’applicazione è precisa, il risultato è garantito.

«Il perfetto finimento della musica sempre si fa in battere, perocché quando la cantilena finisce in
levare lascia in sospensione gli ascoltatori» (Giovenale Sacchi, ante 1789).
Motivo perché le canzoni presentano parole che a fine verso hanno accento sull’ultima sillaba, o
monosillabi o parole tronche.

Le soluzioni ricorrenti
In italiano le parole con accento sull’ultima sillaba, le parole monosillabiche o che acquisiscono
accento su loro stesse sono poche e le soluzioni che possono essere individuate sono
numericamente limitate. Non c’è verso per riempire quella casella, bisogna ricorrere a soluzioni.
Questo vale per la canzone tradizionale, non per tutti i generi come il rap, la trap, nella canzone
d’autore o in alcune correnti dell’indie in cui manca la rima o viene sostituita con le assonanze.
Le soluzioni sono:
- Nomi in –à (bontà, felicità, serenità, città, libertà, sincerità) o nomi che finiscono in –è o in
–ù (caffè, te, tivù, tu)
- Futuri e condizionali, soprattutto la prima persona singolare (avrò, cadrò, morirò) anche al
di fuori di Sanremo, cioè La donna cannone di De Gregori. Il condizionale è più moderno e
si fa più comune a partire dagli anni 60.
- Il passato remoto, soprattutto le tre singolari. È la soluzione più datata.
- Frequenti gli avverbi accentati (qua, là, su, giù, qui, lì) o anche i bisillabi (così) senza
funzione sintattica
- Monosillabi
- I pronomi personali monosillabici (tu, te, me, lei, noi) seppur non accentati
- Onomatopee riconducibili ad esclamazioni e reiterazioni che, se inseriti alla fine di un
verso, riempiono il verso (Vasco di più di 20 anni fa), e nomi propri che hanno possibilità di
generare la rima (Carrà con Gianni Minà di Francesco Baccini in Ladri di biciclette)
- Parole tronche (cuor, amor)
- I forestierismi
- Le zeppe a fine verso: aggiunte solo per far tornare i conti ritmici come in Vasco “non te
l’aspettavi eh”
- Fenomeni di infrazione, di rispetto degli accenti. Ci sono soluzioni in cui, per assecondare la
griglia del ritmo musicale arrivano a forzare l’accentazione delle parole. Questo fenomeno
è la neometrica: esiste in Italia da una quarantina d’anni, nella trap e nel rap. Prevede di
alterare il corretto accento di una parola «Sei un mito, sei un mito per me / Sono anni che ti
vedo così irraggiungibilé. Non fa rima, ma per far sì che lo sia, viene aggiunto un accento
su irraggiungibile. Max Pezzali l’ha giustificato perché veniva utilizzato dai Public Enemy
negli Stati Uniti.

Tra metrica e sintassi


Sintassi: disposizione e costituzione dei costituenti frasali. Le frasi sono invertite, come nel caso di
«dentro agli occhi miei», «pugnalato sarei».
Questa esigenza porta ad altri fenomeni tra cui le spezzature del periodo sintattico, chiamato
enjambement. In italiano è chiamato inarcatura o semplicemente spezzatura: è il superamento
logico e sintattico del limite ritmico del verso che si ottiene con la collocazione all’inizio del verso
successivo di un termine strettamente collegato a un termine che sta nel verso precedente, o
anche un costrutto.
- "ma tutti i sogni nell'alba svaniscon perché / quando tramonta la luna li porta con sé”
(Volare);
- «non m’importa molto se / niente è uguale a prima» (Subsonica, Tutti i miei sbagli, 2000).

È un ricorso poetico, non antico. Nella letteratura e nella poesia delle origini fino al 1500 non si
rileva mai o quasi mai, ad esempio Dante tende regolarmente a far coincidere l’unità metrica del
singolo verso con l’unità sintattica e concettuale di una frase. Ad ogni singolo verso corrisponde
un’unità sintattica e una semantica, di modo che ogni verso abbia un suo significato autonomo.
Nell’800 e ancora di più nella poesia del 900 e quella contemporanea, i poeti tendono a spezzare i
versi unitari, sia per dare maggiore rilievo a singoli elementi, lasciare a fine verso un termine
spezzando un’unità sintattica, per dargli maggiore enfasi, sia per creare maggiore fluidità ritmica.
Per spezzare questi momenti monotoni, si ricorre anche al verso libero, come l’Infinito
leopardiano.
Nella canzone meno queste spezzature sono necessarie rispetto alla poesia e alla letteratura. Sono
finalità meno artistiche, ma ugualmente utili, come non ti credo e perciò / stai lontana da me / non
cercarmi perché / io ritorno da chi / già sapeva che sarebbe finita certo così (A. Celentano, Stai
lontana da me, 1962).
«non era bello / ma accanto a sé / aveva mille donne se / cantava Help o Ticket to Ride / o
Lady Jane o Yesterday» (G. Morandi, C’era un ragazzo, 1967); non è molto comprensibile, perché
molto estremo, è una spezzatura molto forte. L’accento rende quasi comprensibile questa
struttura.
Indipendente da esigenze metriche e più originale, salvo quello di Togni («sembro uscito da un
romanzo / giallo» (G. Togni, Luna, 1980), è quello di Tiziano Ferro, («Perdono sì quel che è fatto è
fatto io però chiedo scusa regalami un sorriso io ti porgo una /rosa su questa amicizia nuova pace
si / posa perché so come sono infatti chiedo / perdono» (T. Ferro, Perdono, 2001) con un effetto
circolare, perché la sua ripetitività permette che la rima non sia al fondo, ma più un’assonanza
iniziale, sulla prima sillaba di ogni verso. È in questa direzione che vanno tutti i casi di alterazione
della struttura sintattica che si ritrovano nel rap e nella trap.

La rima
Non va dimenticato che la rima, intesa come elemento indispensabile nella canzone tradizionale,
ha una valenza elastica e talvolta approssimativa, come per la metrica, perché vengono percepite
e utilizzate come rime tante soluzioni che rime non sono, ma che proprio per la sovrapposizione
dell’accento e del testo sulla musica sembrano rime. La rima parte dall’ultima sillaba tonica, non
solo dall’ultima lettera accentata a fine parola. Le quasi rime funzionano esattamente come le
rime, perché sorrette dall’accento musicale.
- "cantavano la loro proposta / ora pare ci sarà un'inchiesta" (I Giganti, Proposta, 1968);
non è rima, ma più un’assonanza. La canzone si chiamava protesta e la data non è
casuale. Viene censurata inizialmente per il titolo PROTESTA, allora I Giganti, ascoltata
l’indicazione artistica che la giudica troppo forte, la sostituiscono con PROPOSTA. Tra le
due parole c’è consonanza e assonanza, ma viene meno la rima.
- «a riscoprirmi uomo / io sempre lo stesso / più̀ grigio ma non domo» (C. Baglioni, Io
sono qui, 1995); dittongo rimato con una vocale semplice. È un’infrazione gravissima
dal punto di vista poetico, ma nella canzone funziona.
- - «e vado e poi ritorno / e son tre notti che non dormo» (Zucchero, Per sempre tuo,
1998); rima tra N e M.
- "e intanto il mondo rotola e il mare sempre luccica domani è già domenica e forse
forse nevica" (Vasco Rossi, Basta poco, 2007). Questa è una rima ritmica, coinvolge
parole sdrucciole che coinvolgono la terzultima sillaba. Questa rima, nella canzone
tradizionale, comincia a comparire da un certo punto, quasi mai generando rime, ma
generando consonanze o assonanze.

Ci sono soluzioni più originali, perché rinunciano alla rima, ma non alla sequenza di parole con
suono simile o omofone, ma non mettono queste parole a fine verso. È un escamotage che si trova
nella lingua della poesia e al di fuori di Sanremo.

- Effetti finta: è una rima interna che gioca sulla prevedibilità della rima delle canzoni.
Poiché le parole sono ricorrenti, è facile attendersi una rima. Questo effetto fa sì che si
sottrae all’attesa dell’ascoltatore, ponendo la rima nel verso e non alla fine. Come in
Gloria di Umberto Tozzi “acqua nel deserto/lascia aperto il cuore”. L’emozione non ha
voce di Celentano dice “tra le mie braccia dormirai serenamente / ed è importante
questo sai per sentirci pienamente noi.”
- Il verso copia: più attestato nella canzonetta. Consiste nella ripetizione in sequenza di
due versi che tra loro sono quasi identici, sono basati su un calco identico e si
differenziano per una minima variazione posta nella seconda metà del verso.
- Verso puntello: più o meno la stessa cosa del verso copia. Può anche essere un verso
che si ripete nel corso della canzone mantenendo il suo elemento iniziale. Come saprei
di Giorgia è un elemento che agisce da puntello attorno al quale ruotano i versi.
- Anadiplosi: connesso con l’enjambement. Dal punto di vista della retorica è la ripresa
della parte conclusiva di un verso all’inizio del verso successivo. Gianni Morandi in
Ginocchio D’Atene diceva “l’altra non è / non è niente per me”. Patty Pravo in Dimmi
che non vuoi morire diceva “la cambio io la vita che / che mi ha deluso più di te”.
- C’è chi ha giocato con l’ossessione per la rima: "Poi comincia il lavoro e dimentichi il
cuoro (ma la notte no) parli sempre e soltanto delle cose importanto (ma la notte no), e
ti perdi la stima se non trovi la rima" (R. Arbore, Ma la notte no, 1985). Qui la rima c’è
alla fine, ma si parla di ossessione per la rima. Arbore ironizza su questa ricerca
esagerata della rima.

Lessico e retorica

Dal punto di vista del lessico, pochi sono stati i cambiamenti, perché a Sanremo deve concentrarsi
un certo stile. Musica e testo si muovono in parallelo. Il lentissimo rinnovamento ha riguardato gli
aspetti esteriori della musica e della lingua. Sul fronte musicale ha riguardato gli arrangiamenti, sul
fronte linguistico il rinnovamento si nota a livello lessicale. Ma questo progresso non intacca i due
nuclei principali, cioè la melodia e la rima che è constante, viva e tronca.

All’altezza dei primi anni 80 non si può rivelare come non si siano trovati a interpretare un altro
standard della lingua. Parallelamente all’italiano standard, sul fronte sanremese sul fronte
linguistico si assiste all’entrata di un nuovo standard, di un sanremese neostandard.

Fanno la loro entrata sul palco dell’Ariston parole come mafia o espressioni come buco nell’ozono.
12/03/2021

Lessico e retorica

Dal punto di vista del lessico, pochi sono stati i cambiamenti, perché a Sanremo deve concentrarsi
un certo stile. Musica e testo si muovono in parallelo. Il lentissimo rinnovamento ha riguardato gli
aspetti esteriori della musica e della lingua. Sul fronte musicale ha riguardato gli arrangiamenti, sul
fronte linguistico il rinnovamento si nota a livello lessicale. Ma questo progresso non intacca i due
nuclei principali, cioè la melodia e la rima che è constante, viva e tronca.

All’altezza dei primi anni 80 non si può rivelare come non si siano trovati a interpretare un altro
standard della lingua. Parallelamente all’italiano standard, sul fronte sanremese sul fronte
linguistico si assiste all’entrata di un nuovo standard, di un sanremese neostandard.

Fanno la loro entrata sul palco dell’Ariston parole come mafia o espressioni come buco nell’ozono.

I dati numerici:
siamo giunti alla 71° puntata, con una media di 20/25 canzoni all’anno.
Le parole più utilizzate in assoluto sono:
- Amore: 1072 occorrenze su 1800 canzoni presentate.
- Cuore e Mare (entrambe a distanza notevole dalla prima)
- Poi: fuoco (metafora amorosa), sempre, cielo, blu.
Inoltre, si tratta di un lessico non quotidiano, poiché ricco di arcaismi, voci desuete, cultismi di
appartenenza melodrammatica. Al punto che, nel 1987, Tiziano Scarpa, scrittore, pensò di giocare
sulla prevedibilità del lessico sanremese, sulla presenza di certe parole che compongono il
vocabolario di base di Sanremo e aveva pensato di assegnare ad ogni parola un punteggio e di
verificare quale tra i testi in gara avrebbe ricevuto il punteggio più alto. Il punteggio era doppio se
queste parole comparivano nel titolo. Il risultato non rispecchiò le sue ipotesi, cioè che la canzone
con il punteggio più alto avrebbe vinto.
Un vocabolario abbastanza consueto nel quale si rileva in aggiunta una sorta di preferenza
marcata per i toni sentimentali (si canta sempre d’amore), languidi e lacrimosi.
Molto ricorrenti gli imperativi imploranti, come ascoltami, parlami, prendimi, perdonami. Sono
rivolti sempre al tu e hanno la funzione di implorare l’interlocutore o l’interlocutrice.
Di contro possiamo vedere tutto quello che manca nella tradizionale canzone sul piano lessicale:
- Sono scarsi i termini di ambito colloquiale, voci quotidiane con un dato interessante:
queste voci nel nuovo millennio hanno aumentato la loro presenza in termini numerici.
- Rari i forestierismi. La tendenza all’impiego delle parole straniere nei testi (quasi sempre
anglicismi) ha preso ad essere più frequente negli ultimi anni. Gli anglicismi li troviamo nei
brani alternativi, non proprio ortodossi. La maggior parte dell’edizione 2020/21 si trovano
nel testo di Willie il Peyote.
- I tecnicismi: i più ricorrenti sono quelli della medicina, soprattutto della psicologia e della
psicanalisi.
- Limitato l’uso del dialetto, ma non stupisce, poiché è meno comprensibile dell’italiano, non
offre la possibilità di fruizione della lingua italiana. Sono state poche le canzoni che hanno
sfruttato la risorsa offerta da esso. Quando c’è, è funzionale al richiamo alla tradizione, idea
di campanilismo che allontana dagli usi innovativi del dialetto. Ci sono state eccezioni: 1997
a Sanremo si sentì il dialetto veneziano, i Pittura Fresca, gruppo reggae che si piazzò 16°
con la canzone Papa nero.
- Scarso il numero dei regionalismi, cioè le parole che appartengono a varietà regionali di
italiano. Sono nulli fino agli ultimi anni. Cominciano a comparire nelle edizioni più recenti,
ma in percentuale trascurabile, in un numero che non fa nemmeno statistica e compaiono
come sempre all’interno di canzoni presentate da esponenti di generi meno tradizionali,
più marginali. Un caso nell’edizione di quest’anno. La Paranza di Daniele Silvestri, autore
che ha partecipato spesso al Festival e spesso ha partecipato con canzoni interessanti dal
punto di vista linguistico e metrico. È un’eccezione perché è un brano che non parla
d’amore (L’uomo con il megafono anche), si occupa di attualità. Il brano si apre con una
parolaccia, con un ribaltone “mi sono innamorato di una stronza”.
- Quasi del tutto assenti le componenti più espressive del nostro lessico, il gergo, il
linguaggio giovanile con eccezioni.
Le parolacce: nessuno ha studiato la consistenza del turpiloquio di Sanremo.
Lucio Dalla nel 1971 si presenta con un brano meraviglioso: 4/3/43 che indicano la data di nascita.
Nel brano dice “ancora adesso mentre bestemmio e bevo vivo, per ladri e puttane sono Gesù
bambino”, è blasfemo e la canzone viene censurata e accetta di modificarla trasformandola e
modificandola “per la gente del porto mi chiamo Gesù bambino”, togliendo il “bestemmio” con
“adesso gioco a carte e bevo vino…”. Si perde il turpiloquio ma sul fronte artistico non c’è stata
perdita.
Legato al turpiloquio, anche se non direttamente indipendenza dal turpiloquio, è il taboo
linguistico. Taboo è termine che in origine designava una proibizione rituale, era una proibizione
legata a qualche azione o rito. Il termine poi ha acquisito nell’accezione corrente al significato della
proibizione dell’uso, cioè nelle diverse culture e nelle diverse fasi storiche ci sono dei referenti che
vuoi perchè sono sacri, perché sono portatrici di valori negativi, non possono essere chiamati per
nome. Dio non si nomina invano per esempio. Avviene che, persone, animali, oggetti, azioni e idee,
caricati a tal punto di connotazioni culturali possono essere in grado di trasferire la loro
caratteristica peculiare sulle rispettive designazioni, sulle parole che servono ad indicare quei
concetti e devono essere evitati o sostituiti da altre meno esplicite.
Le sfere più complite dal taboo sono da sempre la magico-religiosa (sacralità della religione), la
sfera della malattia, la morte e la sessualità e le funzioni corporali (soprattutto sugli ultimi due
aspetti). Per superare l’interdizione, ci sono delle strategie lessicali che operano sul significato o
sul significante, con sostituzione per perifrasi, metafora, con un latinismo o forestierismo.
Il taboo a Sanremo ha agito sulla sessualità e di riflesso sul lessico della sessualità.
Si canta sempre d’amore, ma mai di sesso, o quasi mai. Quando lo si fa, lo si fa con un certo
pudore, con eufemismi, cioè soluzione che consente di evitare l’interdizione linguistica.
Il disfemismo: parola con carica più forte, è il contrario dell’eufemismo. Cavolo è un eufemismo,
utilizzato per sostituire il membro maschile.
Basta evitare la parola sesso. La prima attestazione della parola sesso è stata nel 1978, significa
che per la metà delle sue edizioni il Festival è riuscito a fare a meno di essa.
Chi è il primo ad usare la canzone con la parola sesso? Rino Gaetano con la canzone Gianna. È un
cantautore, non un cantante di Sanremo. Qui porta un brano diverso, in quanto non si sente nel
suo habitat. Inizialmente voleva portare Nun te regghe più, ma poi cede e presenta Gianna. È un
brano che è tendente al surreale, ma come sempre è un caso isolato, un’eccezione che conferma
la regola.
A partire dalla seconda metà degli anni 80, sembra tornare ma con una frequenza molto rara,
quasi sempre in brani interpretati da uomini, ma con un’eccezione: Loredana Bertè con Angeli,
angeli dove canta “io non sono normale, dormo coi vestiti addosso, faccio solamente sesso”.
Forte. Perché la parola pronunciata da una donna fa molto, in un ambiente perbenista e forte
perché è inserita nella locuzione “fare sesso”, senza giri di parole.
La stessa espressione è stata ripresa da Irene Grandi nel 2020 che dice “se vuoi fare sesso,
facciamolo adesso, qui”. Anche qui situazione molto esplicita e interessante segnalare che questo
brano è scritto da Vasco Rossi, quindi genere rock.
Guardando la qualità delle attestazioni, vediamo che quando si trova questa parola è quasi sempre
per lo più inserita in costrutti che descrivono la tradizionale posizione tra sesso e amore.
Max Gazzè è l’autore che ha utilizzato più volte la parola sesso, ma in costrutti ricercati, mai diretti
ed è l’unico che usa la parola in un titolo Il solito sesso nel 2009.
Tessuto stilistico e retorico: costituzione di figure retoriche e significato che costellano i testi,
come metafora e similitudine. Nel Sanremese tradizionali, a dispetto del passare del testo, si rileva
come quel tessuto sia rimasto quasi immutato, si trovano cioè le stesse metafore, le stesse
similitudini. Amore è ancora l’amore. Si parla di amore attraverso figure ricorrenti. È associato al
fuoco o alla fiamma che brucia.
Fuoco d’amore: soprattutto nei testi delle ultime edizioni, soprattutto giovani proposte. Semplice
prolungamento dei tsti delle edizioni precedenti, ma anche quello di Orietta Berti.
Giorgio Gaber ironizza sulla metafora dell’amore che brucia. 1961 Benzina e cerini dice “il mio
destino è di morire bruciato, la mia ragazza deve averlo giurato”.
Retorica patriottica, altro tema molto forte, cantato sempre con toni pressappoco identici da una
canzone all’altra.
Canzoni che trasmettono puntate di brevi episodi su una (determinata) storia d’amore, presenza di
un dialogo con il/la propri* amat*.

L’anglicismo più utilizzato è il pronome “you” nell’edizione sanremese del 2020 e l’articolo
mostrato dice che questo utilizzo è da collegare alla serie Netflix You. Compare 6 volte nello stesso
brano, nel medesimo contesto e nella medesima frase. Il brano è Niente di Rita Pavona.
You appare sempre in costrutti largamente prevedibili. Si ritrova nel modulo I LOVE YOU, già a
partire dalla prima metà degli anni 80.

Amore nell’edizione del 2021 non è più la parola più utilizzata.


2 sole occorrenze di AMORE nei giovani; 3 occorrenze sono tra i brani meno tradizionali:
- 3 volte in Madame: è amore per la sua voce,
- 3 volte in Lo stato sociale: qui si rifiuta il senso amoroso, perché in due di quelle tre
occorrenze la parola amore compare in “si può anche dire di no alle canzoni d’amore” e la
terza si segnala come controcorrente perché reinserita tramite la famosa frase “pensavo
fosse amore invece era un calesse”, ma adattata in “credevo fosse amore ma era un
coglione”,
- 3 volte in Max Gazzè: associata ai termini della farmacologia.
In due casi si fa riferimento all’atto sessuale:
- In Annalisa entrambe le volte: si allude all’atto sessuale, ma in un contesto nel quale quella
carica erotica risulta attenuata, quasi annullata, dal mancato riferimento a chi canta.
Il verbo amare, collegato all’amore, si trova all’infinito è in 6 occorrenze nella canzone de La
Rappresentante di Lista.
In forme coniugate compare in futuro nel brano di Arisa, il cui brano è stato scritto da Gigi
D’Alessio: non c’è da stupirsi. 6 volte ritorna nel sintagma TI AMO.
Più presente di amore è CUORE, anche al plurale, come anche VITA, in brani di contenuto
esistenziale.
VITA: 24 occorrenze/ MORTE: 1 in Willie Peyote, ma che non è cantata, solo è una citazione della
serie Boris che si ritrova all’inizio del brano. L’ACQUA compare una volta sola, ma ci sono MARE (8
volte) e PIOGGIA. La parola ANSIA 3 occorrenze tutte in Gio Evan.
18/03/2021
Il colore a Sanremo 2021 è mancato, è stato più bianco e nero.
Ci sono anche pochi nomi propri, nomi di persona e di luogo. L’onomastica è una disciplina interna
alla linguistica. Il più interessante in questa edizione è California in una similitudine nel testo dei
Coma_Cose.
Altri aspetti lessicali sono quelli che vanno in direzione diversa rispetto al vocabolario di base
cominciando dai forestierismi (merce rara a Sanremo e rientrano nell’ambito degli acclimatati,
cioè nell’uso dell’italiano comune): si confermano non molti, ma sono molto pochi nelle nuove
proposte, i più giovani che da un punto di vista biologico dovrebbero essere i più esposti, sono
quelli che almeno nella sezione nuove proposte usano meno parole straniere. Tre giovani su 8
hanno nomi stranieri o parzialmente o vagamente stranieri° Wrongonyou, Shorty e Folcast, ma
non si distinguono dai loro colleghi, ma forse in negativo per il mancano impiego di forestierismi.
Tra i forestierismi si ritrova goal nel titolo di Avincola, uno ancora più tradizionale è film in 4
occorrenze in tre brani (Wrongonyou, Elena Faggi e Annalisa). Tsunami in Wrongonyou, ma non è
una novità, in quanto già presente nella canzone tradizionale.
Come spesso accade in atti lessicali si trovano più dati nei big: a parte Guaranà, che è un esotismo,
tutti gli altri casi sono anglicismi. C’è qualcosa in Michelin-Fedez come baby (in due versi rimati
identici); c’è babe in Madame (in anafora); baci francesi delivery in Annalisa che è un caso nuovo e
che crea una bella immagine, accanto a film e cocktail; in Gio Evan è presente cocktail e ritroviamo
stress in Max Gazzè. La situazione è diversa nel brano de Lo Stato Sociale dove l’anglicismo è già
nel titolo Combat Pop, è un anglicismo sintattico, e vi ritroviamo quasi esclusivamente anglicismi
d’ambiente o settoriali all’ambito musicale, rock star, rock and roll, punk, combat rock, etc. e
compaiono sempre a fine verso. Non paragonabile a tutti gli altri, sia per numero di parole
straniere, sia per qualità della scelta dei termini, è il brano di Willie Peyote: da solo quel brano si
caratterizza per un impiego superiore, una ventina, rispetto agli altri, da solo costituisce il doppio
dei casi delle altre canzoni. Uno sguardo dal punto di vista qualitativo, molti sono integrali, anzi
quasi tutti, cioè non adattati, ma tra gli adattati c’è twerkare, che è una neoformazione endogena,
cioè parola italiana nella struttura morfologica derivata da un modello straniero (da twerk o
twerking si ottiene twerkare, attraverso l’aggiunta di una desinenza verbale italiana). Altri sono
anglicismi diffusi attraverso la musica o la canzone, come autotune, hype che hanno proliferato
grazie a generi musicali.
La maggior parte di questi anglicismi, a differenza degli altri brani, sono di ambito giovanile, non
sono anglicismi utilizzati da tutti, ma di recente ingresso nell’italiano e di uso generazionale. Alcuni
di questi sono relativi alle abitudini social dei giovani, tra cui anche fashion, LOL, bomber (è un
falso anglicismo, in quanto in italiano acquisisce un significato che in inglese non ha, si chiama
risemantizzazione). In un discreto numero di casi, sempre in Willie Peyote, si trovano anglicismi
che non sono lemmatizzati nei dizionari, a dimostrare che si tratta di voci molto moderne,
percepite intercettando il linguaggio giovanile e social.
Dal punto di vista dei forestierismi è quello di Willie Peyote il brano che più si caratterizza nel
quadro tradizionale di Sanremo, piuttosto coerente.
Sempre per rimanere nei settori extracanonici del lessico, estranei a Sanremo, possiamo dare un
occhio al turpiloquio (insieme di brutte parole): è una particolarità del lessico che compare
sporadicamente nei testi. Ma quest’anno nelle nuove proposte zero, non ce n’è uno, questo
dimostra come nei giovani si mantenga forte l’adesione alla grammatica del sanremese. Nei big ci
sono alcuni casi più o meno interessanti, ma c’è più materiale: non è clamoroso in bastardo in
Fasma, perché è una voce non nuova a Sanremo. Bastardo si ritrova in 25 occasioni nella storia di
Sanremo distribuite in 10 occasioni, già a partire dall’89. Nell’89 compare nel titolo di una cantante
femminile: Gloria Nuti canta Bastardo e sono di donne anche gli altri due brani nei quali il termine
compare nel titolo, Uomo bastardo di Marcella Bella del 2005 e Bastardo di Anna Tatangelo del
2011.
Fottersi compare in Mahmood in riferimento al padre e in Cecilia verso una donna di colore.
Ancora Willie Peyote si segnala per una densità maggiore di questi termini: si ritrovano quasi tutti
quelli ritrovati all’interno degli altri, come culo, coglioni, merda, cazzo (ma nell’espressione
sticazzi).

I colloquialismi, cioè voci di uso quotidiano, tutto quel vocabolario non letterario e non
tradizionale non utilizzato a Sanremo. Nell’edizione di quest’anno: in Navincola il termine padelle,
in Foldcast le mutande (parola forte per i canoni sanremesi). Prima di questa edizione compare in
8 canzoni a partire dalla fine degli anni 70, di cui il caso più notevole si trova in Caffè Nero Bollente,
brano con il quale Fiorella Mannoia per la prima volta partecipa a Sanremo. Una donna, con un
tasso di espressività maggiorato, anche considerando i termini e considerando anche il contesto in
cui compare “Un filo azzurro di luce scappa dalle serrande/cerco invano qualcosa da inventare in
mutande”. “Ma io come Giuda, so vendermi nuda/Da sola sul letto, mi abbraccio, mi
cucco/Malinconico digiuno senza nessuno”, anch’essa frase molto forte, tutt’altra musica.
Interessante è la presenza del tipo: in Dellai e in Foldcast “tipo le volte in cui tu vuoi uscire e io
sono preso male”, ma qui anche il preso male. È un colloquialismo, usato anche dai non giovani e
qui c’è anche in Dellai e c’è anche nei Manneskin “qui la gente strana tipo spacciatori [..] tipo
scalatori” e genera un modulo ritmico, tipo più quadrisillabo piano con rima baciata. L’ultimo caso
di colloquialismo nei giovani è l’espressione un tot in Gaudiano, anche se nello stesso c’è un
focalizzati. Tra i big ci sono: le serrande in Madame (ma va in altra direzione), il tostapane nei
Coma_Cose, in cui troviamo anche in grattugiare. Ci sono i supermercati in Colapesce-DiMartino,
come anche in Bugo, ma c’erano già in Battisti negli anni 70 come supermarket; c’è il cellulare in
Arisa, che si usa poco oggigiorno, senza differenza con il telefono.
Nei versi in cui compare tipo nei Manneskin c’è un altro colloquialismo: “mo li prendo a calci sti
portoni” dove vi sono tre fenomeni colloquiali, cioè mo, ‘sti e dislocazione a destra del
complemento oggetto (invece di prendo a calcio ‘sti portoni, viene ripetuto il CO in li). Ancora nei
Manneskin ritroviamo “essere fuori di testa”, espressione più forte dal punto di vista dell’enfasi
del brano, che ritorna anche in Ghemon. Poi c’è il brano de Lo Stato Sociale “il profilo di coppia” il
termine “sfiga” che potrebbe rientrare, ma non più oggi, tra le parole volgari a Sanremo.
Gonzo, sempre in Lo Stato Sociale, ha un’accezione diversa, ma in italiano vale sciocco, stupido e
minchione, è una voce che proviene dal gergo del 1500; nell’italiano gergale milanese vale
contadino, colui che ha da essere derubato, ma poi passa nella lingua dell’uso ed è riportato nel
dizionario della Crusca.
Si trovano anche fenomeni morfosintattici: l’aferesi di questo/questa che diventa ‘sto/’sta, ma
anche il ci + verbo avere, come nell’espressione di Willie Peyote “c’ha rotto i coglioni”. In Willie c’è
anche coatto, interpretato come grezzo, è un’espressione romanesca del linguaggio gergale, che in
origine significa portato obbligatoriamente in arresto.
‘Sti cazzi ha due accezioni: significa wow o anche non me ne frega niente.
C’è un regionalismo nel nome di Fulminacci come termine, però a parte il nome nel suo testo non
si segnala nulla, anzi si rileva la rima Marinella-Stella che rimanda alla canzone di Fabrizio de
André.
Uno sguardo ancora sul linguaggio giovanile: non c’è mai stato a Sanremo, a parte qualche rara
eccezione che conferma la regola e, a parte il solito brano di Willie Peyote, troviamo solo le siga
nei Manneskin. Gira e rigira ci si ritrova sempre nei soliti nomi.
Tecnicismi della farmacologia: la loro presenza in assoluto è stata superiore alla norma, vale a dire
il superiore al numero medio di presenze. Si riduce in maggior presenza nel testo di Max Gazzè. I
giornali ne hanno parlato e un esempio potrebbe essere GQ che ha parlato di frequenza
intollerabile di tecnicismi medicamentosi. Il caso più parlato è stato IBUPROFENE di Aiello.
Ci sono altri minimi casi, come baricentro dei ComaCose, la memoria del cellulare di Arisa che
rimanda alla tecnologia, c’è qualcosa dello sport nel caso di goal e della cucina, ma che andrebbe
indagato con maggiore attenzione. Nel 1999 i Subsonica scrissero un brano Depre il cui testo è
esclusivo di nomi di medicinali, precisamente ansiolitici e depressivi.  questi sono i casi da
segnalare.

Aspetti del lessico e dello stile che non appartengono a Sanremo, ma che quest’anno e gli anni
scorsi hanno fatto capolino:
- Il cosiddetto citazionismo: la tendenza a citare all’interno di un brano versi di altri brani,
per esempio, o frammenti che provengono da battute famose del cinema, film e serie
televisive, dalla letteratura, dalla televisione o che sono riconducibili ai cosiddetti
tormentoni, come le battute che in un determinato momento per ragioni specifiche sono
diventate famose (esempio battuta di Morgan). Si trova citazionismo nella canzone
d’autore (Battiato compone quasi interamente brani su citazione di altri brani) e si sviluppa
con un rilievo maggiore nei generi più giovanili, dall’indie, al rap, alla trap (in questi ultimi
due la citazione e l’autocitazione è maggiore). Interessante è il brano de Lo Stato Sociale
dove troviamo il riuso di “pensavo fosse amore, invece era un calesse” che diventa
“coglione”, o ancora una citazione di Guccini che fa “a canzoni si fan rivoluzioni, si possa far
poesia” e che diventa “a canzoni non si fanno rivoluzioni, ma nemmeno un venerdì di
protesta”, o ancora “la moda passa ma lo stile resta. / Fidati l’ha detto uno stilista”. In Max
Gazzè c’è “si può fare” de Frankenstein Junior. C’è Boris de La Locura in Willie Peyote, o
ancora “le brutte intenzioni” di Morgan. Non c’è nulla tra i giovani.
- Simile al fenomeno del citazionismo, anche se non legato a questo, è la presenza di
riferimenti culturali: tratto di norma assente da Sanremo, ma che nella canzone degli ultimi
anni è diventato quasi un topos, soprattutto in alcune particolari correnti. Si intendono i
riferimenti a persone, opere, artisti dell’ambiente culturale e sociale, ma che sono
immediatamente riconoscibili e vengono utilizzati per stabilire paragoni o associazioni di
significato. I Coma_Cose utilizzano la Venere di Milo, Bugo nomina Ringo Star, Celentano e
Ronaldo, Lo Stato Sociale nomina i Klash (gruppo punk per eccellenza) e anche Amadeus,
Willie Peyote cita Marilyn Manson del 2000. Sono pochi, ma ci sono. Un unico caso dei
giovani è in Dellai (forse testo che si distacca dagli altri 7) che nominano Dalla e Battisti.
Sono una costante nei generi recenti, come l’indie, con un richiamo a personaggi, artisti
che rimandano a forme diverse della cultura di massa che sono riferimenti più o meno
facili. Nell’indie il caso dei Pinguini Tattici Nucleari: I pinguini inseriscono molti riferimenti
culturali che siano di moda, tv, politica.
Tra i tratti estranei a Sanremo, ma caratteristici dei generi di controtendenza, ci sono lo
stile nominale e l’elencazione. Si nota una struttura nominale e utilizzo di sintagmi, magari
senza verbo. Quando questi sintagmi si susseguono, costituiscono una struttura ad elenco
(elencazione ed è usatissima da Rino Gaetano “chi vive in baracca…”), possono non avere
un filo logico. Colapesce/Lo Stato Sociale: sintagmi nominali collocati in una struttura ad
elenco.
19/03/2021
LA CANZONE D’AUTORE
Accanto a Sanremo
Cominciano a verificarsi degli episodi di allontanamento da Sanremo quanto a stile musicale
quanto a scelte. Le prime manifestazioni sono limitate nel tempo, nello spazio e nella popolarità.
Ma sono manifestazioni che consentono alla formazione del primo grande genere di rottura, cioè
la canzone d’autore.
- Con urlatori si intende un gruppo di cantanti che si distinguono per alcune loro forme di
esecuzione specifica. Urlatore è il nome attribuito dalla stampa ad un genere canoro che si
colloca negli anni del boom economico. La cifra era data da una voce ad alto volume,
espressa in maniera disadorna, senza intervento di abbellimento tipico. I maggiori
esponenti di questa corrente sono cantanti molto giovani che saranno destinati a
percorrere carriere di successo. Il primo è Toni D’Allara, poi c’è Adriano Celentano (nella
stessa immagine nella slide c’è anche Mina). È una stagione che dura poco, perché da lì a
poco l’Italia verrà investita dall’avvento del rock and roll, con i dischi di Elvis Presley. Questi
avvenimenti determinano un cambiamento epocale nel modo di fruizione: si abbassa l’età
di chi ascolta la canzone, la canzone di Sanremo non era per giovani o solo per giovani, ma
con l’avvento del rock and roll esplode un tipo di canzone destinata ai giovani e
interpretata da giovanissimi cantanti che hanno immediato successo. Rientra in questa fase
Gianni Morandi. Intorno alla metà degli anni 60, si assiste a un altro avvento proveniente
dalla Gran Bretagna, cioè il pop (rock inglese sul modello dei Beatles). Gli urlatori perdono
la loro popolarità, lasciando posto ad artisti che saranno identificati come rocker.
- Adriano Celentano, nel 1959, a dimostrazione di un tentativo di rinnovare la canzone,
presenta “Il tuo bacio è come un rock”. È interessante, perché nel 1959 presenta dei tratti
lessicali degni di rilievo, soprattutto interessanti sono gli anglicismi (swing, rock, knock-out,
choc, ring). Nei primi otto versi abbiamo 6 forestierismi in rima o in chiusa diverso.
Prisencolinensinainciusol è una canzone, contenuto in un 45 giri, pubblicato nel 1972.
(Cantata nell’edizione di Sanremo del 2021 da Madame che dichiara di averlo scelto,
perché è caratterizzato da una lingua inventata). Celentano disse che è una lingua nuova
che forse qualcuno capirà, è amore universale. È una canzone che Celentano dichiarò di
aver composto partendo da una base musicale già preparata, inserendo parole inventate
che richiamano l’inglese maccheronico, con l’obiettivo di tramutarlo in italiano, ma senza
che quest’ultimo passaggio sia stato realizzato. Questa canzone non viene composta a
partire da una melodia tradizionale, ma da un loop, cioè una serie di battute musicali
ricorrenti, che restano così, perché, come dice egli stesso, la sua idea era scrivere un brano
che descrivesse l’impossibilità della comunicazione, frutto della ribellione di correnti
alternative, rispetto alla norma dominante del Festival. È stato considerato il primo brano
rap della storia, per via della base. L’inserzione di elementi in lingua inventata verrà ripresa
da altri, in alcuni esponenti di generazione di cantautori o nel primissimo Jovanotti nel
disco “Jovanotti for President”. Prima esperienza di scarto dal mondo di Sanremo.
- Il duo composto da Renato Carosone e Fred Buscaglione, portatori di novità. Fred
Buscaglione, torinese, originario del biellese, molto spesso cantava perché aveva come
meta l’America dei gangster ed era solito cantare canzoni strampalate, originali, che
parlavano di bulli e pupe, criminalità newyorkese, di Chicago o Detroit, ma duri in balia di
donne e dell’alcol. Le sue storie sono legate a queste tematiche da cui nascono le sue
canzoni, famosissime in tutta Italia e che fanno ancora parte della nostra memoria
collettiva, esempio “Eri piccola così”. Porta dei testi che possono non parlare d’amore, ma
che prendono spunto da argomenti di cronaca nera, ma il tutto cantato con un tono
leggero.
- I Cantacronache: era un gruppo di musicisti, di letterati, poeti, scrittori che sorge a Torino in
questi anni, fine anni 60 (1957) con un obiettivo: valorizzare il mondo della canzone
attraverso l’impegno sociale. Quindi una nuova canzone era orientata alla creazione di
modelli linguistici che si differenziassero in maniera netta, marcata, rispetto alla canzonetta
di consumo. Evadere dall’evasione è espressione dei Cantacronache. Trovato riferimento
nei cantastorie italiane e negli chansonnier francesi. I testi si differenziavano per descrivere
una realtà diversa. Nell’arco dei cinque anni sono nate una decina di nuove canzoni con
testi di scrittori e intellettuali, anche di spicco, quali Italo Calvino, Gianni Rodari, Umberto
Eco. Qui abbiamo un dato eloquente: il testo è fondamentale. Tale gruppo recupera parte
di quel bagaglio culturale, rappresentato dai canti della resistenza e proponendo brani
della tradizione anarchica e socialista. Solo 5 anni più tardi, nel 1962 si sciolse. Ma è stato
storicamente il primo esempio di cantautorato impegnato in Italia e la loro esperienze
venne assorbita dalla prima generazione di cantautori e dalla seconda.

La canzone d’autore: le origini


La canzone d’autore si sviluppa in un ventennio e ancora di più in un decennio d’oro. Va dal 1960
alla fine degli anni 70 ed è un ventennio che si intreccia con significativi movimenti sociali e politici,
che vedono protagonisti i giovani in due momenti chiave, cioè 1968 e 1977. È uno dei periodi più
ricchi e fecondi della storia, non solo linguistica, ma della canzone italiana, con esponenti che
nascono e acquisiscono popolarità, al punto di essere studiati tutt’oggi a scuola.

VERSO UNA CIVILTÀ PLANETARIA (1968-1989)


Alcune premesse
- Dopo il 1968 si rileva una radicale modifica degli equilibri mondiali, è una modifica che
interviene sulla situazione creata all’indomani della fine della SGM.
- Vengono meno gli equilibri della guerra fredda e alcuni di questi equilibri vengono meno
nel corso del 1968.
- Nel corso degli anni 70 e nel decennio successivo, la guerra fredda termina con il crollo del
comunismo che ha apparentemente dato spazio a una nuova unificazione del mondo sotto
il segno della superpotenza americana.
- Si va da processi di liberazione della vita individuale e collettiva ad una trasformazione della
vita materiale e culturale, dei comportamenti quotidiani e sociali.

Il mondo è stato percorso da una ventata rivoluzionaria espressa grazie a movimenti studenteschi.
Ma la spinta più energica è venuta dai paesi del terzo mondo, anche da realtà particolari, come
quelle del Vietnam (guerra che si conclude con la vittoria del Vietnam del Nord) che diventa un
simbolo dal valore esemplare. Forte era la suggestione generata da tentativi rivoluzionari
dell’America Latina e della rivoluzione culturale cinese avviata dal lider della Cina.
Questi movimenti raccolgono un’effervescenza che negli anni del boom economico si era generata
per ragioni diverse e si manifesta in una serie di battaglie che hanno capacità di intervenire nella
vita quotidiana dei singoli. Modifica dei costumi sociali. Diffusione dei contraccettivi negli anni 60,
in seno di questi movimenti di rivoluzione, così come la lotta per il riconoscimento dei diritti delle
donne, con l’esperienza del femminismo.

Negli anni 70, l’effervescenza viene bloccata da una profonda crisi economica del 1973 dovuta al
tentativo dei paesi produttori di petrolio di trarre maggiore vantaggio aumentando il prezzo. Tale
crisi porta ad una ristrutturazione di processi economici e progressivo arretramento di aperture
democratiche e spazi di libertà.
Si passa dal sogno della rivoluzione all’esaltazione dell’iniziativa privata e della competitività.

Forza ancora maggiore sotto il segno del capitalismo degli anni 80. Il capitalismo conosce una
spinta sempre precedente ed è ormai pari passo con l’arretramento di tutti i movimenti
rivoluzionari e riformistici. Vi fu un lungo scontro del dopoguerra tra capitalismo occidentale e
comunismo orientale giunge ad una risoluzione tra 1989 e 1991: crollano i regimi comunisti
dell’Europa orientale e dell’unione sovietica.

In Italia: dalla crisi all’egoismo sociale.


Negli anni 70, dopo la spinta generata dal 1968, si assiste allo sviluppo di nuove forme di
benessere che determinano la mutazione antropologica, avvertita già in anticipo da Pasolini.
Dal punto fi vista politico, il paese si muove nella strada della democrazia sociale, cioè aperta alle
iniziative della società civile che porta all’introduzione del divorzio (1970) e da una avanzata
legislazione sull’aborto (1980) sostenuta con un referendum.
Questa considerevole apertura nella direzione della democrazia sociale viene rafforzata da una
violenza di stampo terroristico, con la prima strage nella banca dell’agricoltura nel 1969. Da allora
prende avvio una spirale di iniziative e di crimini che determinano la degradazione del tessuto
sociale e restringe gli spazi dell’azione sociale e politica. Definiti anni di piombo e i problemi nodali
italiani rimangono quasi tutti irrisolti. Attentati di destra attraverso delle stragi e terrorismo di
sinistra che si manifesta con attentati politici e statali, che raggiunge il punto culminante con
sequestro e uccisione dell’allora lider Aldo Moro da parte delle brigate rosse, avvenuto tra marzo-
maggio 1978.

Gli anni 80 hanno visto una rapida e sorprendente modificazione del piano politico ed economico.
Da ipotesi di apertura democratica ad una crisi generalizzata di tutti i partiti della sinistra, che
avevano sostenuto la forma di democrazia partecipata. Tutto ciò è coinvolto col successo
planetario del capitalismo, definito con l’aggettivo AGGRESSIVO. Con il trionfo del mercato, si
arriva a una concorrenza e competitività, esaltazione dell’interesse e godimento personale, il
dominio della pubblicità sulla vita quotidiana. Tutto favorito dal nascente dominio della pubblicità
attraverso le comunicazioni di massa.si genera una sorta di ristrutturazione sociale, che porta da
un lato alla fine della classe operaia o limitazione del ruolo della classe operaia, e dall’altra
all’estensione del ceto medio. Domina secondo la maggior parte degli studi il cosiddetto egoismo
sociale e cura ossessiva per il privato, che si amplificano dal periodo di recessione.

Mezzi di comunicazione e cultura di massa


La cultura di massa è incontrastata sulla scia del modello americano. In questa direzione va
riconosciuto il monopolio della televisione, che ha scalzato completamente il ruolo che aveva
avuto il cinema, riducendo il numero degli spettatori, delle sale e causando una grave crisi della
produzione filmica italiana, che va di passo con l’americanizzazione del cinema.
La televisione prende il sopravvento, il controllo della cultura di massa e propone un nuovo
profilo: 1. Quiz a premi; 2. Spettacolarizzazione degli eventi; 3. Programmi sportivi, prima limitati a
episodi rari come gare di ciclismo; 4. Intrattenimento esasperato, non più di informazione
culturale.
Bisogna ricordare che è della fine degli anni 70, la fine del monopolio televisivo statale negli anni
Ottanta, che provoca la moltiplicazione delle reti e una moltiplicazione dei programmi, delle
novità, con un dato fondamentale, cioè espansione massiccia dei messaggi pubblicitari. nel regno
della pubblicità.
Un aspetto interessante riguarda l0ambito musicale:
la musica rock, in tutte le sue correnti, penetra nella vita quotidiana attraverso numerosi canali,
non più soltanto grazie all’LP e JUKEBOX, ma anche grazie alla radio, alla televisione, l’ascolto
privato e i concerti. Due generi: rock e canzone d’autore. La musica rock agisce sulla formazione e
sullo sviluppo della cultura giovanile, diffondendo comportamenti alternativi che vanno contro
l’autoritarismo, imperialismo e globalizzazione. Anzi, il rock è la colonna sonora di quei movimenti
giovanili, stimola alla rivolta, all’impegno e alla rivendicazione di nuove forme di giustizia sociale.
Ricca scuola di cantautori che si sono legati agli orizzonti della contestualizzazione (scendendo in
campo in prima persona) e cercando forme di comunicazione e manifestazione alternativa.

Lingua e società
Tra fine anni 70 e inizio 80, sul piano sociolinguistico ci sono episodi decisivi per la volta nel
rapporto tra lingua nazionale e dialetti:
- Alcune date significative: 1975 (vengono presentate le 10 tesi per un’educazione linguistica
e democratica, promosse da un gruppo di studio tra cui c’è De Mauro per insegnare
l’italiano a scuola e sull’idea di norma e di grammatica) e 1976 (viene fondato il quotidiano
La Repubblica, che è un quotidiano giovane rispetto alla Stampa e tanti altri. Si impone per
uno stile più narrativo e brillante, che si avvicina al parlato o a un italiano verosimile,
dell’uso medio. È anche un anno decisivo per la rivoluzione televisiva, vengono liberalizzate
le emittenti vocali. Eco segnala la nascita delle eco-televisioni). In questi anni si verifica
quella svolta fondamentale, nel rapporto tra lingua nazione e dialetto.
- Il bilancio di questi studi:
 Italiano diviene lingua della nazione, il processo di italianizzazione si trova in una
fase avanzata.
 Importanza crescente dei linguaggi tecnici e delle varietà socioprofessionali: lingue
speciali e linguaggi settoriali che prima erano limitate presso la popolazione
comune cominciano ad ampliare la loro influenza sull’italiano dell’uso.
 Cresce l’influsso dell’inglese, strettamente connesso con il punto precedente,
perché è un linguaggio tecnico specialistico. Si percepisce, accanto agli aspetti
negativi, una serie di aspetti positivi, utili nell’acquisizione di nuove parole e nuove
soluzioni, come il calco, il prestito adattato.
 I moderni mezzi di comunicazione di massa, come la televisione, influiscono sulla
nostra lingua, determinando la forma dei messaggi linguistici.
- Si è avviato il processo che porterà alla consacrazione dell’italiano dell’uso medio o
standard del 1975.
- L’italiano è ormai una lingua parlata alla fine degli anni 80, da una maggioranza relativa di
italiani. Indagini ISTAT in rapporto a analoghe indagini.

L’oralizzazione
Dopo aver vissuto per secoli come lingua scritta, tra la fine degli anni 60 e anni 80, l’italiano
conquista la dimensione parlata, familiare, quotidiana, spontanea, che fino a quel momento era
stata prerogativa del dialetto. È una svolta reale. Nel giro di pochi decenni, questo sbilanciamento
verso l’oralità porterà a capovolgere il rapporto tradizionale tra scritto e parlato, anche nell’ottica
dell’educazione e insegnamento scolastici. A partire da questo momento, perde terreno nella
scrittura. Se ne accorge un’acutissima insegnante, Maria Corti, che intorno alla metà degli anni 80,
si lamenta che nelle tesi di laurea si ritrovino errori di varia natura, di ortografia o imputabili a una
produzione del parlato nello scritto. Il cambio di prospettiva è stato così drastico che ora è così
parlato che a livello scritto è riprodotto dando vita ad anomalie che la Corti riconosce in errori e
povertà lessicale.
L’oralizzazione è evidente anche nei medi orali: si passa sempre più dallo scritto parlato al parlato-
parlato. La Repubblica diventa modello di lingua anche di altri giornali, perché avvicina una lingua
sempre storicamente tendente verso lo standard al polo del parlato. I programmi son caratterizzati
da una veste linguistica del parlato perché non c’è più una base scritta, una sorta di scaletta,
copione, prima imprescindibile.
La progressiva perdita di terreno della scrittura è legata al trionfo del telefono, che sostituisce la
corrispondenza scritta, l’epistola, la lettera. Se ne accorge nel 1983 un0’altra linguista, Maria Luisa
Altieri Biagi che, intervenendo a un congresso della Crusca, dice che la differenza tra lei e la figlia è
scandita dal fatto che i suoi epistolari amorosi erano importanti per lei, invece la figlia telefona,
perdendo qualcosa nel tipo di rapporto.
Trionfo dell’oralità secondaria, visto che il parlato si diffonde attraverso un metodo di
comunicazione, come una cultura tecnologica che avanza.
Anni nei quali si sente parlare di rischio di analfabetismo di ritorno, per quelle difficoltà che in
misura crescente vengono rilevate nella scrittura, che viene data per spacciata in molte prognosi
autorevoli in quegli anni.

L’affermazione nei confronti del dialetto


In più di 100 anni di unità nazionale, la lingua italiana è diventata la lingua di quasi tutti gli italiani.
Questo cambio di prospettiva ha generato conseguenze sul fronte dei dialetti. A partire dalla fine
degli anni 70 in poi, il ruolo dei dialetti è passato in secondo piano. I dialetti non sono più
strumento di comunicazione primaria, ma diventano un’alternativa. Per questo alcuni dialettologi
hanno parlato di “annacquamento” del dialetto, poiché le varietà locali si avvicinano
progressivamente alla lingua nazionale, si italianizzano, perde tratti a livello fonomorfologico, a
livello sintattico e, ovviamente, a livello lessicale.
Indebolimento sul profilo quantitativo (un numero sempre minore si esprime in dialetto), che è
quello più clamoroso, e qualitativo (i dialetti tendono ad avvicinarsi all’italiano e a perdere le
caratteristiche marcate, come le differenze locali dei dialetti. In questi anni l’unico dialetto che
tiene è il torinese, che si diffonde anche in aree in cui si parlavano diverse varietà).
A partire dagli anni 70, partono i sondaggi e abbiamo dati statistici più affidabili:
i sondaggi DOXA
Code mixing e code switching: dialetto come risorsa comunicativa che in determinate situazioni è
utilizzata in alternanza all’italiano. Questa è la via d’uscita del dialetto, la salvezza del dialetto che,
ancora oggi secondo tali modalità, si mantiene con tenacia e apprezzabili segni di vitalità.
Questo rapporto si manifesta anche attraverso un movimento di parole in entrambi i sensi: la
diffusione dell’italiano ormai sistematica e generalizzata avvicina i due codici principali (ita-
dialetto) e porta ad una permeabilità di codici, dove molti termini della lingua nazionali passano al
dialetto e in direzione contraria, cioè molte parole dei dialetti passano alla lingua nazionale.

È nella seconda metà del 900 (1950-2000) che si sono diffuse 1664 parole che ci dicono che forse
solo in apparenza man mano che il dialetto retrocede nell’uso, ha minore capacità di fungere da
prestito e elemento linguistico che arricchisce il lessico italiano. La lingua nazionale assorbe un
numero maggiore di parole dal dialetto.

In questi anni si verifica il linguaggio giovanile: nasce prima come fenomeni locali e limitati, e poi
acquisendo una dimensione sempre maggiore, a partire dalla fine degli anni 60, soprattutto nel
corso degli anni 70 e nei decenni successivi. Una varietà, anzi la prima varietà generazionale che
negli anni a venire riesce a dare un contributo di rilievo all’italiano dell’uso. Grazie a un processo
nel quale si trova implicata con un ruolo da protagonista la canzone e le varietà giovanili diventano
un insieme eterogeneo di stili e modelli comunicativi che crescono di popolarità negli anni, grazie
alla quale diciamo che è la prima varietà.
SI RIPRENDE: LA CANZONE D’AUTORE: LE ORIGINI
Si sviluppa in un ventennio, come effetto di condizioni sociali che si verificano negli anni in
questione, legati a episodi specifici e concreti (tutto quello detto finora).
- Il cantautore: è stata fatta una classificazione su base generazionale (si parla di prima
generazione, seconda e una terza, quarta e successive) e su base locale (scuola genovese
rappresentata da Luigi Tenco, Umberto Bindi, Lauzi, Paoli e De André; scuola milanese
ispirata al teatro di Dario Fò, con Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci; scuola bolognese con
Lucio Dalla, Francesco Guccini; scuola romana con Antonello Venditti, Rino Gaetano, anche
se calabrese, e De Gregori). Non è possibile parlare di una lingua della canzone d’autore.
- Vi sono tratti comuni condivisi se non da tutti, almeno da una parte di cantautori, partendo
da due dati chiari sul piano linguistico: in primo luogo la tendenza generalizzabile a rifiuto
del canone tradizionale sanremese che si riflette sulla lingua e sul piano metrico-stilistico,
oltre che sugli aspetti melodici; in secondo luogo che va nella direzione di quei registri
linguistici che abbiamo riconosciuto come eccezionali-marginali, quindi adozione di una
lingua nuova associata a temi nuovi, una lingua nuova che, se per certi versi si avvicina alla
letteratura, per altri sfrutta con grande maestria e con evidenti risultati anche sul piano
artistico tutte le risorse che la nostra lingua viva mette a disposizione. Questi sono tratti
generali che prendono piede soprattutto nella seconda generazione.
- Cantautore è una parola problematica, è macedonia formata da cantate e autore e indica
un cantante di musica leggera che interpreta brani scritti e musicati da lui stesso. Nel 1960
De Mauro diceva 'nella musica leggera, cantante che interpreta brani da lui stesso
composti'. Il cantautore in Italia non è solo questo, perché dovremmo considerare
cantautore già Domenico Modugno, ma è chi ha scritto un brano cantato da sé e che ha
caratteristiche particolari.
- Bisogna considerare anche il binomio Mogol-Battisti: è un binomio inscindibile, perché uno
scrive i testi, l’altro scrive la musica e canta. A scrivere è Mogol, a scrivere la musica e a
cantare è Battisti. È un binomio che soltanto forzando le regole possiamo fari rientrare
nella canzone d’autore, perché nessuno dei due può essere considerato cantautore. La
canzone di questo binomio che rientrerebbe per tematiche e questioni linguistiche nella
canzone d’autore va ricordata perché, per la prima volta, la lingua cantata volge verso il
parlato. I tratti del parlato che si trovano sono molti: riguardano il lessico, con
colloquialismi, trattano l’amore con parole e storie insolite. La riproduzione del parlato
quotidiano è apprezzabile sul piano sintattico, sono frequenti le parti dialogate, ma non il
dialogo in assenza, il tu immaginario cui, implorante, si rivolge l’autore, ma un dialogo vero
e proprio in cui Battisti si rivolge ad un interlocutore femminile che risponde o al coro.
Alcune tra le più celebri canzoni di Battisti raccontano e cantano di tradimenti, con
sovrapposizioni di un tu presente (l’amante) cui in un primo momento si rivolge, e un tu
assente che magari ritorna (la compagna). Battisti è sempre stato snobbato, poiché non ci
sono canzoni che parlano di politica, al punto che è stato associato ad ambienti neofascisti.
Ha dovuto fare i conti col femminismo, poiché parlare di tradimento anche con leggerezza
(da 29 settembre in avanti) ha generato qualche problema. C’è un dato che è
inequivocabile: tutti allora, anche chi non lo apprezzava per questo disimpegno,
ascoltavano Battisti, anche chi diceva di non ascoltarlo.
La scuola genovese
Appartengono alla scuola genovese Luigi Tenco, anche se di origine alessandrina, Umberto Bindi,
Bruno Lauzi e Gino Paoli, ma anche in parte De André, nonostante non sia genovese. Di Tenco si
ricorda “Ciao amore, ciao” che porta subito dopo al suo suicidio come atto di protesta.
Il suo brano “Mi sono innamorato di te” del 1962, mostra come basta un verso per far sì che
rimanga uno dei classici della musica: mi sono innamorato di te/perché non avevo niente da fare.
La tematica è amorosa, la struttura è quella tradizionale, ma il testo e la lingua si allontanano. I
due versi iniziali sono figli di una sincerità che in quegli anni doveva risultare scandalosa e
sconcertante. È una canzone sull’innamoramento, ma secondo una modalità nuova, in un quadro
di completa rottura con la tradizione. Questo brano e, più in generale, il suo ricordo, ci portano a
considerare questo esponente in particolare all’interno della scuola genovese come uno
spartiacque, tra prima e dopo Tenco. Da quel momento possiamo dire che la canzone d’autore
definisce con chiarezza la propria posizione nel quadro della canzone italiana.

La scuola milanese
Nasce alla fine degli anni 50 a Milano, nel boom economico, in un contesto diverso da quello
genovese, in quanto nasce nell’ambito del cabaret e del teatro, in luoghi che diventeranno storici,
come in Derby (ancora oggi chiamato così), dove si incontrano i principali esponenti della scuola:
Enzo Jannacci, Giorgio Gaber e il futuro premio Nobel Dario Fo. È inevitabile che i tre si ritrovino in
un ambiente che faccia attenzione alle nuove sonorità, anche lontane dalla tradizione della
canzone impegnata (jazz, swing). Qui danno avvio ad un ricco momento di sperimentazione
musicale e linguistica che porterà Dario Fo e Giorgio Gaber a far confluire il corpo chiuso, limitato
della canzone in una dimensione più ampia, cioè lo spettacolo teatrale, portando così alla
formazione del “teatro-canzone”, in cui lo spettacolo teatrale contiene brani musicali che possono
diventare autonomi e di successo. Una sperimentazione linguistica che si muove in più direzioni:
- se consideriamo Enzo Jannacci, ricordiamo la canzone comico-surreale e i primi casi
nonsense (ascoltare la canzone “Silvano”, scritta inizialmente per il duo Cocchi-Renato);
sperimenta innovazioni che vanno verso il modulo dialogico con “Vengo anch’io?” e “Ho
visto un re”, brani tra il surreale e il popolare, inteso però nella dimensione della canzone
popolare-storica e di una struttura dialogica tra diseredati. Si ritrova un dato nuovo nella
canzone, cioè la voce degli emarginati, di personaggi molto umili, poveri in bolletta,
disperati (come farà De André), ma sempre tra il surreale, ironico, scherzoso che va nella
direzione del dialetto milanese. Scrive anche brani interamente in dialetto “El purtav e
scarp del tennis”. O ancora l’elencazione, che è un ricorso che appartiene alla letteratura
post-moderna fino ad arrivare alla canzone d’autore, con “Quelli che…”, un brano non
concluso, basato su una struttura anforica o da verso puntello, che è diventato un meme
oggigiorno sui social e dal vivo viene modificato ad ogni sua esecuzione, a dimostrazione di
una struttura aperta come accade presso i cantastorie di strada, di piazza.
- Giorgio Gaber si distingue per aver contribuito al successo di un tipo di canzone particolare,
cioè le canzoni della mala (vita) milanese degli anni 60, canzoni che sono scritte da Gaber e
da Umberto Simonetta, romanziere milanese di quegli anni, e che vengono affidate per
l’esecuzione a Ornella Vanoni che all’epoca è la cantante della mala. Uno dei brani più noti
di questa fase è “Cerutti Gino”, il personaggio è sempre presentato prima col cognome e
poi col nome. Apre anche alla violenza verbale, sono gli anni del post 68, della
contestazione e della politica, in cui il linguaggio subisce la politica. Anni in cui si forma il
politichese, cioè un linguaggio che è fitto di parole ed espressioni del mondo della politica,
specialmente quella che si fonda su immagini forti che si ritrovano non solo nelle canzoni di
Gaber, ma anche Guccini e De André.
25/03/2021
La seconda generazione
È stata quella che ha portato i suoi esponenti al successo nazionale. La notorietà di alcuni di essi è
una popolarità che ha saputo superare il fattore tempo.
 Le voci principali:
 Fabrizio De André
 Francesco De Gregori
 Lucio Dalla
 Antonello Venditti
 Francesco Guccini
 Ivano Fossati
 Claudio Lolli
 Rino Gaetano
 Franco Battiato
 Roberto Vecchioni
 Ivan Graziani
 Paolo Conte
Quadro che è particolarmente ricco di nomi, ma anche di stili, perché ciascuno di questi esponenti
si distingue dagli altri per tratti individuali che riguardano lo stile a livello musicale, ma anche
testuale. Ciascuno di questi meriterebbe uno studio specifico ed individuale.

Sono solo canzonette?


È indubbio che i cantautori di questa generazione siano accumunati da una serie di tratti comuni,
tratti distintivi rispetto alla tradizione. Da un lato sono elementi che i cantautori condividono, ma
sono anche aspetti che allontanano la canzone d’autore dalla canzone tradizionale, dall’italiano.
I tratti sono:
 Presenza di argomenti non necessariamente amorosi: nella canzone d’autore non è più
determinante, non è più l’unica possibilità. Parlano anche d’altro, non solo d’amore. Si
occupano di temi diversi, più o meno legati alla realtà, ma anche di questioni che vanno in
direzione contraria, verso l’astratto, ma senza mettere al centro l’amore. Approccio diverso
nella lingua con l’assenza del lessico da melodramma, fitto di sentimentalismi.
 Una canzone d’amore nasce per un episodio reale, di cronaca, non personale. Uno dei casi
più noti è quello della canzone di Marinella, che è una canzone sull’amore, ma è una
canzone scritta nel 1964 da De André che nasce per riscattare la figura di una giovane
sedicenne, una prostituta, che era stata gettata in un fiume che si trova tra il Piemonte e la
Lombardia, vicenda che aveva letto su un quotidiano locale e lo aveva coinvolto così tanto
da scriverne una canzone. Ecco perché attualità nella tematica amorosa.
 Si parla anche di altro. I cantautori della seconda generazione operano nel corso degli anni
70, decennio più politicizzato per gli eventi storico-politici ed è inevitabile che voce dei
cantautori sia prestata per narrare vicende che hanno a che fare con l’ambito politico-
sociale. Anche attraverso le denunce. Una sorta di canzone-protesta. Una è LA CANZONE
DEL MAGGIO di De André, inserita in un concept album, “Storia di un impiegato”. È una
canzone che prevede una tematica sociale, di denuncia, contro chi non si è impegnato nel
periodo dell’impegno, quindi rivolte studentesche. Lessico che dipende dal politichese,
lessico che va anche nella direzione dell’espressività, crudo, che presenta riferimenti alle
forze dell’ordine. Un altro esempio che incarna questo esempio è LA LOCOMOTIVA di
Francesco Guccini, del 1972 nell’album “Radici”, storia di un ferroviere anarchico emiliano
che si impossessa di un treno merci e si lancia contro la stazione di Bologna come atto di
protesta estremo. Questo gesto è contrastato dagli altri ferrovieri che contrastano il treno
su un binario morto e il suo va a schiantarsi contro altri vagoni. Non muore, ma gli viene
amputata una gamba.
 Ma la canzone d’amore non può essere limitata: ha avuto un fitto rapporto con la
letteratura. Non significa, come dicemmo per Sanremo che la canzone d’autore recuperi il
linguaggio della letteratura attraverso schemi e moduli ricorrenti precisi che contribuiscono
a generare quel canone, anzi, tutt’altro. Molti cantautori hanno fatto i conti con la
letteratura, riscrivendo, rielaborando testi letterali. L0ha fatto De André con L’ANTOLOGIA
DI SPOON RIVER di Edgar Lee Masters. Dante (oggi 25 marzo ’21 giornata dedicata a Dante,
e anche ai 700 anni dalla morte del poeta, non è data scelta a caso, ma è il giorno nel quale
sarebbe iniziato il viaggio nell’aldilà raccontato nella Divina Commedia) e la sua opera sono
presenti nei testi degli autori, ma mai nessuno ha inserito Dante nelle loro canzoni, solo
attraversi rimandi, versi sparsi significativi a personaggi e avvenimenti della Divina
Commedia. Ci sono casi significativi che dimostrano la presenza di Dante: nella canzone di
Sanremo sono pressoché nulli, perché sopravvive un altro tipo di letteratura, quella
drammatica, ma è presente nei cantautori, in un percorso dal più semplice al più percorso
possono essere presi in considerazione i nomi di Dante e dei suoi personaggi, a partire da
Beatrice. Non viene citato molto spesso nella canzone d’autore, ma molto di più nel rap. Lo
troviamo in Guccini in ADDIO, contenuto nell’album “Stagioni” del 2000, dove Guccini
stanco sogna di ritornare alle sue montagne, al suo paese dove i contadini, persone
analfabete, conoscono Dante a memoria ed è qui che lo cita. Più presente è Beatrice, a
volte affiancata al nome del poeta, come icona di rapporto, anche in una dimensione
ironica. C’è un caso interessante, ma che non è dei cantautori: Beatrice appare in UNA
ZEBRA A POIS di Mina, che dice “Dante si ispirò a Beatrice/ chi sarà la nostra ispiratrice? /
Una zebra a pois.” È il primo caso di presenza di Beatrice nelle canzoni. NOTTE PRIMA
DEGLI ESAMI di Venditti è un brano che unisce tratti personali dell’autore e di una coppia di
giovani ragazzi che si sta preparando all’esame di maturità, in una Roma notturna estiva.
Struttura libera, andatura ariosa della sintassi, è un lessico quotidiano, ci sono termini del
linguaggio amoroso tradizionale, non c’è quasi rima, forse rima interna. Queste strofe
chiamano in causa Dante e Ariosto, non è una mera citazione scolastica, ma c’è un legame
e una contrapposizione tra scuola e vita, vita dentro e fuori da scuola. Venditti non è nuovo
a questo tipo di accostamento tra scuola e vita attraverso Dante, perché quasi 10 anni
prima Venditti aveva composto un brano meno noto, ma ugualmente interessante
COMPAGNO DI SCUOLA, brano nato in pieno clima sessantottesco, tra studio,
autogestione, le ore passate a scuola, i primi amori, l’impegno e gli ideali politici. La Divina
Commedia qua perde l’elemento forte di valore, non è più divina, ma solo commedia. E con
lei Dante, in quanto qui l’autore non sa se sia un fallito, un uomo libero o un servo di
partito. Paolo e Francesca, che sono sempre in grado di negare la propria storia. Al volto di
Francesca si sovrappone quello della ragazza, ma non quella amata, solo quella del primo
banco. Il libro non è un dettaglio qui e non lo è se riportato alla vicenda di Paolo e
Francesca. Anche un altro personaggio noto, Ulisse di Dante, è presente nella canzone
d’autore. Dantesco perché fa riferimento all’ultimo viaggio che non lo riporterà più. C’è un
caso straordinario di riformulazione di un altro passo dantesco, un passo dell’ultimo canto
dell’inferno, CANTO GOLINO. Echi danteschi quasi tutti collegati all’inferno. L’unico caso
che rimanda al paradiso è in De Gregori, SOTTO LE STELLE DEL MESSICO del 1985, racconta
le giornate faticose dei minatori nei pozzi di petrolio; nella terza strofa di questo brano è
descritto un imprevisto della quotidianità, la pioggia, un acquazzone che gli immerge nel
fango e sono obbligati a procedere, nel ritorno a casa, sotto la pioggia e nel fango. “E
quando piove nel fango a transumanar”, l’eco dantesca è il verbo, primo canto del
Paradiso, è un’invenzione di Dante che vale “elevarsi oltre i limiti della natura umana, per
attingere la natura divina, per accedere al Paradiso”. I lavoratori devono transumanare per
raggiungere uno stato di pace interna. È una canzone fatta di infiniti tronchi, tentativo
intenzionale, da un lato per ironizzare sulla canzone tradizionale, e dall’altro ricorda le
poesie di Pier Paolo Pasolini, in particolare “Poesia a Casarsa”. Tutto ciò dimostra come la
distanza temporale non è stata sufficiente per scalfire la popolarità di Dante, anche in un
contesto particolare come quello della canzone. La fortuna è dovuta al fatto che è l’autore
più studiato a scuola. Ma non solo, nella canzone di autore si assiste a qualcosa che va oltre
alla mera citazione di un passo celebre, i cantautori cercano di superare la citazione
scolastica, per dare una nuova interpretazione, attualizzata a concetti divenuti topici,
spesso proverbiali e tipici della Commedia. Le voci dei cantautori cercano di dialogare con
Dante.
 I cantautori hanno sempre preso le distanze da chi tendeva ad assimilare la loro figura a
quella del poeta.

Lingua e stile
Ci sono aspetti che possono essere considerati a livello generale:
- Dal punto di vista metrico, rileviamo che, a differenza di quanto accadeva e accade nella
canzone tradizionale, nella canzone d’autore viene meno quel rapporto obbligato tra la
parola, il verso e il ritmo, cioè tra accento metrico e accento musicale. I cantautori si
prendono numerose licenze e non è raro trovare versi che non rispettano l’unità musicale e
ritrovare brani privi di rime e figure di suono.
- Maggiore libertà anche per quanto riguarda la lingua:
 Lingua colloquiale, parlata e antiletteraria: è disposta ad aprirsi a modelli espressivi,
lessicali, fraseologici, sintattici che non sono tradizionali, quelli della tradizione
letteraria e che a volte vanno in contrasto.
 Il frequente ritrovare l’italiano regionale, che nella canzone di Sanremo non c’è mai.
È frequente anche nella pronuncia, è un aspetto nuovo, che non tende a rispettare
la fonetica dell’italiano standard, ma va verso le varietà regionali. Evidente in
Venditti, Guccini, De André.
 Utilizzo di elementi linguistici regionali, esempio Roma Capoccia di Venditti (lasso,
robivecchi, ce so’), o ancora di Venditti Sora Rosa (pe’lla, er core, me ne vojo annà),
qui siamo in una direzione che imporrebbe di riconoscere il dialetto romanesco.
 C’è il dialetto vero e proprio: ci son autori che scelgono di impiegare un dialetto. Il
più rappresentativo della schiera è Fabrizio De André, che nel 1984 scrive insieme a
Mauro Pagani un album di 7 canzoni tutte in genovese CREUZA DE MA.
 Dal libresco al colloquiale spinto, si utilizzano i registri più bassi della colloquialità,
fino ad arrivare al turpiloquio. BOCCA DI ROSA di De André è la storia di una donna
bella che crea scompiglio nel paese, dal parroco fino a tutti e genera l’ira funesta
delle mogli.
 Dall’inverosimile al quotidiano, con l’accostamento di Beethoven e Sinatra.
 Il politichese e il sinistrese, come LA LOCOMOTIVA, BORGHESIA, CANZONE DEL
MAGGIO.
 Il turpiloquio e la detabuizzazione del linguaggio della sfera sessuale. Contro
l’interdizione linguistica, agiscono i giovani, principalmente nella fase di rinnovo
culturale che va intensificandosi dopo il 1968. I giovani consentono attraverso la
rivendicazione dell’impiego di parole a una vasta terminologia della sfera sessuale,
ma non solo, di risalire nell’accettabilità. Ci sono delle cose che si possono chiamare
anche con il loro nome, senza il classico eufemismo o giro di parole. la lingua dei
cantautori dimostra il raggiungimento di questo traguardo, nelle canzoni si trova
con certa frequenza il lessico che sul fronte sessuale non poteva essere impiegato a
Sanremo. Un esempio DISPERATO EROTICO STOMP di Lucio Dalla, canzone del 1977
contenuta nell’album “Com’è profondo il mare”, ha un ritmo veloce, pulsante.
Qualcuno ha sostenuto che questa canzone sia in parte autobiografica: racconta di
una donna che abbandona il cantante per andare con un’altra donna. Egli, infatti,
raccontò di essere stato con una donna, una filosofa, che lo lasciò per una donna.
Dalla ci rimane male, ferito e pensa a una thailandese. Lo soccorre la sessualità fai
da te, che fa da capolino sin dall’inizio della canzone.
 È evidente la tendenza a impiego di registri substandard e la presenza sporadica del
gergo storico, come De André nel quale si ritrovano elementi di gergo, proprio
gergo carcerario “pantera che morde il sedere” che fa riferimento alla polizia.
Curioso è il caso de LA BALLATA DEL CERUTTI di Gaber che contiene “drago,
sgobbare, occhio (fai attenzione), pantera, madama (la polizia), il terzo raggio
(carcere).
 Sgrammaticature o altre anomalie popolareggianti che si trovano nei testi:
chiaramente intenzionali, perché impiegate per riprodurre gli ambienti popolari, ma
più semplicemente ambienti reali, in opposizione all’artefatto della canzone
tradizionale. In questa direzione si colloca il “ma però” di Carlo Conte, una struttura
errata, perché duplicazione. “a me mi rubano” di De Gregori.
- Lo stile: contro la tradizione è lo stile, in opposizione alla retorica stantia delle immagini di
Sanremo, il tramonto, il cielo stellato, le onde del mare. Un esempio: AHI MARIA di Rino
Gaetano, nel quale l’assenza della donna (più madre che amata) è resa attraverso immagini
non consuete e non canoniche, a partire dall’attacco della prima strofa “da quando sei
andata via da quando non ci sei più / da quando la pasta scotta non la mangio più / ahi
Maria chi mi manca sei tu.” O ancora “da quando sei andata via ho più donne del DJ”.
26/03/2021
RIMMEL (1975)
Pur di fronte a una sorta di appartenenza di gruppo, il panorama rappresentato dai cantautori di
seconda generazione è molto vario, e quindi offre sviluppi individuali interessanti.
I cantautori hanno ciascuno elaborato una propria cifra stilistica e linguistica.
Ci concentriamo su un singolo brano, RIMMEL di Francesco de Gregori. È il brano che da il titolo
all’album omonimo, il quarto disco del cantautore più celebre, che lo renderà famoso. Pubblicato
nel gennaio del 1975 e viene pubblicato quando ha 24 anni. Il disco rimane in classifica per 60
settimane, vende oltre 500 mila copie e alla fine del 1975 risulta essere l’album più venduto. È
presente nella classifica dei 100 dischi italiani più belli di sempre secondo la classifica Rolling Stone
Italia alla posizione numero 20.
De Gregori è esponente di spicco della cosiddetta scuola romana, i suoi dischi vanno dal 1972 al
1975 e sono dischi caratterizzati da arrangiamenti asciutti, che risentono del folk e cantautorato
americano (Bob Dylan), seppure con un linguaggio ermetico e consueto, talvolta surreale, che
tende verso la poesia contemporanea, proprio l’ermetismo.
Tra i primissimi brani ricordiamo ALICE pubblicato nell’album omonimo ALICE NON LO SA nel 1973,
nella quale, a proposito di citazioni, ricorda “Cesare perduto nella pioggia” che rimanda a Cesare
Pavese che si ammala di pleurite per aver aspettato 6 ore sotto la pioggia in Piazza Vittorio, a
Torino, una ballerina della quale di era innamorato.
RIMMEL: una canzone enigmatica fin dal titolo. È il nome di un trucco. È una canzone d’amore,
scritta nell’ambito della canzone d’autore da uno dei più raffinati cantautori. Accanto alla tematica
amorosa, dobbiamo intenderla come un cruciverba sull’amore, non tradizionale, fatto di pochi
dettagli: le labbra, le foto, il collo di pelliccia e da una serie di immagini sfocate che costruiscono
un addio, che allo stesso tempo è gelido. È una canzone su un amore finito, è una nuova tematica,
raccontata con delicatezza e poeticità, perché raccontata attraverso immagini con elevato
contenuto lirico. Non ci sono riferimenti all’amore, ai sentimenti, non c’è la parola AMORE. In
generale, il linguaggio, le parole, sono parole piane, dell’uso quotidiano, non c’è nulla di difficile, di
strano, non ci sono quelle componenti tradizionali rilevate negli altri cantautori, come gergo,
linguaggi settoriali, giovanili, turpiloquio, non c’è nulla di questo. E non ci sono le immagini della
retorica tradizionale della canzone d’amore. C’è qualche espediente retorico, inevitabile che faccia
la sua comparsa: c’è l’effetto copia (due versi che quasi identici si ripetono), con quasi
pubblicazione del metro o ripresa parziale del verso “i miei alibi e le tue ragioni”; ci sono solo due
rime monosillabiche, ma molto spesso la rima non c’è. C’è da sottolineare la congiunzione iniziale
“e…”, come se riprendesse qualcosa che è stato già detto, già raccontato, quasi a dire che siamo
arrivati tardi, quando ormai tutto era già avvenuto, è una congiunzione che sospende, ma che
collega ciò che viene presentato e quello che ci siamo persi. L’autore ha voluto che arrivassimo
tardi, per generare quel cruciverba enigmatico.
L’amore è un trucco? Il titolo sembrerebbe dire di sì, come è così anche il resto della canzone, o
almeno un’immagine ricorrente, cioè le carte “chi mi ha fatto le carte/ mi ha chiamato vincente,
ma uno zingaro è un trucco”, la cartomante è il trucco delle carte. O ancora “la mia faccia
sovrapposta a quella di chissà chi altro”, o “o ancora i tuoi quattro assi” e poi un verso “come
quando fuori pioveva” che è l’ordine dei semi delle carte, quindi cuori, quadri, fiori e picche, che
qui diventano poetici. E poi le immagini inconsuete, come “le tue labbra puoi spedirle a un
indirizzo nuovo”, non è una dislocazione, ma è l’immagine ermetica delle labbra spedite.
“dolce Venere di Rimmel” che è presente rielaborato in un brano dei Coma_Cose che diventa
“dolce Venere di Rime”.
“MA PIÙ DELL’ONOR POTÈ IL DIGIUNO”: RIUSO (PARODICO) DI FORME E TEMI ANTICHI IN
CARLO MARTELLO RITORNA DALLA BATTAGLIA DI POITIERS.
Cambio di tema e di autori, concentrandoci su un brano molto originale di Fabrizio De André
scritto insieme a Paolo Villaggio (Fantozzi), con il quale ha elaborato per la stesura di alcuni dei
primi brani. Il brano di chiama CARLO MARTELLO RITORNA DALLA BATTAGLIA DI POITIERS del
1963.
De André ricorda che:
«A quell’epoca lui [Paolo Villaggio] metteva in scena piccoli sketch in cui prendeva vigorosamente
[in giro] grandi personaggi storici: mi ricordo quello del principe di Condé che si addormenta prima
della battaglia. Così gli feci sentire un tema per corno rinascimentale che mi era venuto sulla
chitarra e si pensò di trarne una canzone su Carlo Martello che, dicemmo, doveva essere un gran
puttaniere».
Il principe di Condé è quello con cui si apre il secondo capitolo del Promessi Sposi.
Abbiamo anche un ricordo di Paolo Villaggio, ricostruito con toni evocativi.
E quello di Paolo Villaggio:
«Era una notte buia e tempestosa. Eravamo un branco di giovani fannulloni affamati e senza una
lira [...]. Prese [De André] la chitarra. “Suono un po’ così mi passa...”; “Che bello questo motivo, –
dico – sembra musica trovadorica”. “Tu che sei un maniaco di storia medievale, – mi dice – scrivimi
le parole...”. E cominciammo: “Re Carlo tornava dalla guerra l’accoglie la sua terra cingendolo
d’allor...”»
Abbiamo anche altre testimonianze, in cui si racconta della presentazione del disco a Nanni
Ricordi, editore milanese. Tutti questi ricordi vanno interpretati come un voler beffarsi.
La canzone venne incisa nel 1963 per la casa discografica KARIM e compare nel lato B di un 45 giri
che nel lato A accoglieva un altro brano di De André dal titolo IL FANNULLONE. I precedenti erano
stati NUVOLE BAROCCHE e FU LA NOTTE del 1960 e LA BALLATA DEL MICHÈ e LA BALLATA
DELL’EROE del 1961. Seguiranno poi IL TESTAMENTO del 1963 e LA GUERRA DI PIERO del 1964.
Nel 1964 viene pubblicata LA CANZONE DI MARINELLA e con essa, grazie all’interpretazione di
Mina incomincerà la fortuna di De André.
Tra le note non cronologiche, Carlo Martello ebbe una sorte particolare, poiché venne denunciato
da un ascoltatore veneto, non si sa se per oltraggio alla monarchia o per oltraggio alla cristianità, o
ancora per oltraggio al pudore, in quando il re cristiano Carlo Martello è preso in giro per un suo
disfatto che è al centro della canzone.

Una complessità metrica inedita


La scelta della vicenda piccante del cavaliere e della pulzella, che va interpretato come il recupero
della tematica tradizionale della pastorella. L’incontro, nel quale il cavaliere rivolge offerte
amorose, che la pastorella accetta e che raramente rifiuta. Il secondo momento è l’incontro
amoroso e il contrasto. Il tema della pastorella si poteva sviluppare attraverso forme metriche
diverse. Alla chiusa della canzone c’è un commiato che da la ripresa di una metà della stanza.
È formata da due parti: una prima detta fronte e una seconda detta sirma (trascinamento,
qualcosa che continua, che segue una prima parte). Entrambi sono a loro volta suddivisibili in due
momenti: la fronte è suddivisa in due piedi (in 2 quartine) e la sirma è suddivisa in due momenti
simmetrici, dette volte (in 2 terzine).
Questo brano è una canzone che riflette la canzone medievale formata da 4 stanze più una chiusa
che riprende la fronte della prima stanza, ma ciascuna di queste quattro stanze è composta da 14
versi di vario statuto ritmico, ma sempre 14 versi, suddivisi in due quartine e due terzine, che
fanno venire in mente un componimento poetico che è il sonetto. Arieggia in questo brano una
struttura tipica del sonetto, ciascun sonetto costituisce la stanza.
Schema delle rime: A(a7) BC(c7) B–D(d7) BE(e7) B+FFF–GGG, dove a7 rappresenta l’emistichio.
Sono versi vari, perché abbiamo:
 decasillabi (vv. 1, 3, 5, 7 di ogni strofa);
 settenari doppi (vv. 2, 4, 6, 8; cesura e rima interna);
 quinari doppi (vv. 9-10) (sequenze di due moduli da 5 sillabe ciascuno);
 endecasillabi a minore (vv. 12-13);
 altre combinazioni (vv. 11, 14).
È un componimento che si muove tra la canzone, il sonetto e la ballata.
Qualcosa anche sull’arrangiamento:
«L’arrangiamento è tipico della ballata medioevale sin dall’introduzione del corno con note tenute
e trionfali, quasi ad annunciare l’ingresso in scena del personaggio; l’arpeggio in 4 del clavicembalo
accompagna poi tutto il brano. La struttura di ballata presenta essenzialmente due frasi: la prima,
portante, scritta in modo maggiore (corrisponde ai primi 8 versi) [...], ad illustrare la reale
pochezza del personaggio; la seconda frase, scritta nella relativa tonalità minore, funge da
contrasto alla prima [...]. L’ampia musicalità delle frasi favorisce un interessante contrasto nelle
parti di dialogo fra Carlo e la prostituta, in cui De André rifà un po’ il verso alle voci liriche maschili
e femminili. La quadratura del cerchio si completa con la ripresa della frase musicale del corno in
chiusura».
[M. Borsani – L. Maciacchini, Anima salva. Le canzoni di Fabrizio De André, Mantova, Tre Lune,
1999, pp. 27-28]

Temi e fonti
De André e Villaggio prendono un modello della tradizione trovadorica e poi italiana, senza
distaccarsi eccessivamente da esso. I due autori calano il modello astratto della pastorella in un
ben preciso luogo, momento e personaggi storico, col quale identificano il cavaliere della
tradizione. Abbiamo un protagonista che è Carlo Martello, nonno di Carlo Magno, che non è un
cavaliere. L’appellativo re cristiano è un’imprecisione, perché verrà incoronato 5 anni dopo, ma è
un dettaglio nell’economia della canzone. La chiara fontanella è il dove dell’incontro, che offre
rimandi evidenti alla tradizione, il luogo in cui di solito il cavaliere incontra la giovane.
Ma abbiamo anche un dove precedente, ovvero la Battaglia di Poitiers del 7 ottobre 732. A questa
data, sostituiscono “una calda primavera” che col suo sole e i suoi fiori e con la chiara fontanella
costituisce una più consueta cornice per il genere della pastorella.
L’intervento fondamentale è dato dalla conclusione, è inattesa e beffarda, la pastorella passa
dall’essere un’angelicata pulzella a una prostituta sfacciata e ironica.
Ci sono tre voci: il narratore, la voce di Carlo e la voce della pulzella. Il narratore ha un tono aulico,
in una tonalità bassa dal punto di vista del canto, Carlo è reso come un’imitazione parodica su una
tessitura di canto più alta; la pulzella che, su una tessitura canonica medesima, utilizza altri
stratagemmi, come il falsetto, che diventa sfacciata e petulante quando si rivela per quello che è.

Lessico
Fin dalla prima stanza, il momento dell’incontro, i primi 22 versi, presenta un linguaggio della voce
narrante che è sostenuto e ironicamente aulico, non pensa alla battaglia, ma alle privazioni della
grottesca ipotesi della cintura di castità. C’è il chiasmo “più che del corpo le ferite, / da Carlo son
sentite le bramosie d’amor”: sequenza specificazione + complemento e il suo incrocio
complemento + specificazione.
Interessante nel secondo piede, quindi verso 19-22, il quadro edilico “Quand’ecco, nell'acqua si
compone (mirabile visione) il simbolo d'amor: nel folto di lunghe trecce bionde, il seno si
confonde, ignudo in pieno sol.” La parentetica in cui si fa riferimento alla mirabile visione con la
quale De André ci da conto dell’improvvisa apparizione della donna. Fa riferimento al neologismo
dantesco che si trova nell’ultimo capitolo de LA VITA NUOVA dove si racconta della visione di
Beatrice in Paradiso.
Nella seconda stanza interessante è il discorso della giovane, che è caratterizzata da un lessico
aulico, da toni angelicati, a partire da quel DEH, poi GAUDIO, con allusione oscena riferita al
desiderio del principe, e poi dalla metafora velatamente oscena “ad altra più facile fonte la sete
calmate”, nel senso andate a soddisfarvi da un’altra parte, allusione sessuale.
La terza stanza è quella che genera la feroce ironia nei confronti di Carlo: nei versi 33-36 è
descritto come dal nasone e un caprone, quindi nel momento in cui Carlo si toglie l’armatura, è
riconosciuto dalla donna, a discapito della sua descrizione di re valente.
Reminiscenza dantesca nei versi 29-32, più forte del suo onore di re fu il digiuno sessuale e
fremente si toglie l’elmo e si avvicina alla donzella per avere un rapporto. Per spiegare il grande
desiderio viene utilizzato un calco dantesco.
La III stanza (vv. 29-42), tra linguaggio parodico e ironia:
 il «gran nasone», il «volto da caprone» e l’«arma segreta;
 «ma, più dell’onor, potè il digiuno» [cfr. Inf., XXXIII, 75 canto del Conte Ugolino che si ciba
della carne dei suoi figli, perché il digiuno è più forte del dolore, ma qui è diversa];
 codesta, sua Maestà, disio, debbo, ecc.
allo straziante dolore è sostituito l’onore cavalleresco, e all’atroce digiuno nella torre della fame,
viene sostituita la bramosia d’amore, il desiderio, è un digiuno sessuale, non legato all’inedia.
Ma è la IV, versi 43-56 a rappresentare il culmine della narrazione.
I primi 4 versi “Cavaliere egli era assai valente, ed anche in quel frangente d'onor si ricoprì: e,
giunto alla fin della tenzone, incerto sull'arcione tentò di risalir” ritraggono il grottesco barcollare
del sovrano che, una volta compiuta l’impresa, cerca di montare a cavallo.
Effetto malizioso ottenuto attraverso alternanza di termini bassi.
Poi c’è la risposta di Carlo vv. 51-56 costruita su un’analoga alternanza (lessico aulico-infimo)
questa volta sbilanciato verso lo stile comico, in accezione dantesca “oh porco di un cane” che fa
rima con “reame” che a sua volta fa rima con “puttane”. La quasi rima reame-puttane segna in
maniera eloquente questo cozzare, questo cortocircuito tra stile alto e stile basso e costituisce la
punta comica del testo.
Poi c’è il CONGEDO che riprende lo schema della fronte della prima strofa.
“Ciò detto, agì da gran cialtrone: con balzo da leone in sella si lanciò; frustando il cavallo come un
ciuco, fra i glicini e il sambuco, il re si dileguò.
Re Carlo tornava dalla guerra, lo accoglie la sua terra cingendolo d'allòr: al sol della calda
primavera lampeggia l'armatura del Sire vincitor.”
Ripreso il modello della prima strofa, dove il corno sembrano introdurre un eroe, ma qui lo stesso
modello e le stesse parole vengono modificate, con abbassamento esplicito da cavallo a ciuco e da
cavaliere a cialtrone. Il secondo piede ripropone identica apertura del testo, chiudendo a circolo la
canzone, ma solo nella forma, non nella sostanza, generando effetto di contrasto tra l’apparenza
gloriosa del re e la realtà squallida bassa e popolare messa in luce nella parte precedente.

Tradizione e attualità: riuso parodico di forme e temi antichi


Questo è il grande tema della canzone tradizionale letteraria alta, quella poetica, di canzone
cavalleresca. Tradizione che viene riutilizzata parodicamente attraverso forme e temi antichi, però
per parlare anche almeno dell’attualità. In Carlo Martello, futuro fondatore della dinastia
carolingia, le due autorità Chiesa e Impero vengono sbeffeggiate. Il tema rinascimentale con le
parodie storiche generano nel 1963 una canzone che prima di tutto si inserisce bene nella poetica
antimilitarista del De André di quegli anni, rappresentata da testi noti come LA BALLATA
DELL’EROE del 1961 e la celeberrima GUERRA DI PIERO del 1964. Non sono solo dei richiami
casuali a tematiche, ma anche rimandi interni tra questi brani che servono a dimostrare come
vadano inseriti all’interno di quella tradizione dimostrata dallo stesso De André.
È una condanna alla guerra fra tricida, che noi vediamo nella canzone di Carlo Martello come nel
verso “Il sangue del Principe e del Moro arrossano il cimiero d'identico color”, questo è un chiaro
riferimento alla guerra tra tricida e non casualmente questo stesso modulo viene in parte ripreso
proprio ne LA GUERRA DI PIERO. Abbiamo l’aggettivo IDENTICO e il sostantivo COLORE.
Due anni prima invece ne LA BALLATA DELL’EROE c’era il tema della guerra, ma senza toni trionfali
che, invece, troviamo in Carlo Martello.
Tutto ciò per dire che è evidente il fatto che Carlo Martello, oltre ad essere un pezzo divertente,
con toni comici, costituisce un esempio, il più riuscito nell’ambito della canzone d’autore, del riuso
di temi antichi in chiave parodica.

IL CANTAUTORE DEI GIOVANI: RINO GAETANO


Ricordato per la voce ruvida, per l’ironia e i testi delle canzoni che rappresentano delle
caratteristiche, ricordato anche per la morte prematura, che lo portò via a soli 30 anni.
Il crocevia della sua carriera è stato GIANNA portato a Sanremo nel 1978.
I brani al di là di GIANNA sono stati riscoperti e nuovamente apprezzati solo diversi anni dopo la
sua morte, dopo il 2000, in particolare, tra le nuove generazioni, che consentono di definirlo come
il cantautore dei giovani.
Viene invitato caldamente dalla RCA casa discografica a partecipare al Festival, perché la
convinzione era che si trattasse di una occasione da non perdere. Lui non era convinto, perché in
quegli anni un cantautore non poteva partecipare a Sanremo, anche i suoi fan non la presero
bene, perché valeva come tradimento. Egli voleva portare NONTEREGGEA PIÙ, ma non venne
accettata, perché considerata poco adatta al Festival.
I temi sono disparati:
- questione meridionale,
- l’emigrazione,
- l’emarginazione,
- la corruzione della classe politica,
- l’alienazione come effetto della società industriale,
- l’amore trattato poco.
Dice che bisogna partire dal presupposto che fa musica leggera, ma i temi non sono leggeri. Il tema
dell’amore non è quello delle lacrime. Il suo stile linguistico può essere sintetizzato dicendo che
- vi è un’adesione ai registri del parlato “mio fratello è figlio unico perché è convinto che
Chinaglia non può passare al Frosinone”, si riflette il classico dibattito da bar, tipico del
registro parlato.
- Il nonsense, la tendenza a caratterizzare i testi di una sorta di umorismo paradossale, quasi
privo di senso. Una mancanza di logicità è una delle caratteristiche più evidenti e che lo
rende un outsider e lo avvicina ad alcuni esponenti della scuola milanese, come Enzo
Iannacci.
- La denuncia sociale, con l’esempio del brano FABBRICANDO CASE.
- Il gusto per la provocazione, con NUNTEREGGAE PIÙ.
- L’antiretorica con l’utilizzo di immagini che costituiscono un ribaltamento della tradizione,
con l’esempio “da quando la pasta scotta non la mangio più”.
- Una tendenza rappresentativa è l’elencazione, figura retorica di ambito letterario, non è
semplicemente una caotica successione di nomi e parole, senza ragione. È un artificio
retorico che nasce nella narrativa italiana del secondo novecento, nella fase di profondo
innovamento. La troviamo in NUNTEREGGAE PIÙ e MA IL CIELO È SEMPRE PIÙ BLU. Tutta la
canzone MA IL CIELO È SEMPRE PIÙ BLU, a eccezione del ritornello, è un elenco sterminato,
apparentemente di situazioni scollegate, ma che hanno una connessione con le difficoltà
sociali di quel periodo storico.
- Rime non tradizionali, infatti vi è l’attestazione della parola DJ in rima con un monosillabo
usato tradizionalmente SEI “da qualche tempo ho più donne del dj / ah Maria ma tu non ci
sei”.
- Numerose le occorrenze di forestierismi e molto spesso, come novità che rimanda alla
scuola di milanese, sono forestierismi maccheronici, inventati, come I LOVE YOU,
MARIANNA o libere associazioni incomprensibili.
- I giochi del significante, cioè i giochi di parole determinati dalle figure di suono, come nel
brano STOCCOLMA, che non è tra i suoi più noti, e gioca col sintagma STO COLMO, STAI
COLMA, utilizzando il nome di una città.
NUNTEREGGAE PIÙ: canzone scomoda, di sicuro non per Sanremo. Dal titolo parrebbe del genere
reggae, ma qui si gioca con l’assonanza tra un anglicismo reggae e il regionalismo.
Finale dissonante, come spesso accade nelle sue canzoni, che ha una tematica distante da quella
amorosa, segue nella parte finale una chiusa sentimentale o amorosa. Tra i dati linguistici più
interessanti troviamo una forte componente di nonsense, umorismo paradossale, ai limiti
dell’incomprensibilità, la sequenza delle sigle dei partiti politici, che formano una concatenazione
fonica del tutto inconsueta e un nonsense generato da rime. A tenere insieme i versi è il suono
“eia eia a la la”. Qui, accanto a episodi e situazioni di ambito sociale, intervengono persone reali e
sono i cognomi a costituire quel tessuto ritmico che costituisce la sequenza fonica, quindi
cognome usato per assonanza o rime identiche. Presenza di linguaggi settoriali: qui c’è l’ambito del
calcio, dribbla e nomi di calciatori, c’è la scienza, psicanalisi, Freud, c’è il politichese “mi sia
consentito dire”, nomi delle cariche come “eccellenza, nobildonne”, c’è influenza regionale, c’è di
tutto. C’è il “cess”, “paesà”, ci sono regionalismi morfosintattici “ma chi me sente”, ci son
forestierismi, anglicismi non così antitradizionali come rock, blues e reggae, e francesismi mon
cheri, bricolage. C’è il gergo del gioco delle carte. Rima e assonanza a volte sono l’unico connettivo
tra gli elementi visto che manca il filo logico. Infrazione alle norme culturali, visto che questo è un
brano che non è politicamente corretto per la presenza di nomi e cognomi inseriti in questo
quadro.
08/04/2021
Fattori tematici, canzone d’autore politica, polemica, con risvolto sociale e la canzone d’autore a
tema amoroso e soprattutto i fattori linguistici, che ci hanno consentito rilevare in una dimensione
parziale e incompleta uno scenario molto ricco.
Non abbiamo mai accennato a Franco Battiati che è ricco di paradossi, aforismi, di citazioni colte e
a volte sapientemente legate, che vengono montate con effetti stranianti.
O ancora andava citato Renato Zero, in relazione ai temi ancora ancorati agli anni 70, dimensione
erotica, sessuale, del rapporto che si contrappone al sentimento. Il sesso è il campo semantico nel
quale si muove con risultati originali. Pensiamo a IL TRIANGOLO, provocatorio, controcorrente.
Crisi della canzone d’autore a livello internazionale, che ha dei limiti cronologici ben precisi. Si
sviluppa negli anni 80. E poi quelli che sono venuti dopo che attingono ai modelli culturali di massa
e con grandi risultati dal punto di vista della sperimentazione linguistica, vedi Daniele Silvestri,
dall’altro Fenicio Capossela con la sua lingua etilica, o Carmen Consoli o ancora Gianmaria Testa,
fino ad arrivare ai più giovani degli anni zero, ai quali l’abito del cantautore non calza a pennello
come Vasco Brondi e Le Luci della centrale elettrica.

IL GERGO
Utilizzato dai giovani. È bene chiarire che cosa sia il linguaggio giovanile.
Questa varietà è il gergo. Cos’è il gergo?
È una lingua di gruppo che può variare dal territorio, può anche essere il dialetto, è una varietà
storicamente attestata nel nostro territorio.
- Gergo: varietà di lingua (o dialetto) dotata di un lessico specifico utilizzato da particolari
gruppi di persone, in determinate situazioni, per non rendere trasparente la comunicazione
agli estranei e sottolineare l’appartenenza al gruppo.
- Da questo punto di vista, il gergo storico, dal momento che risulta incomprensibile al di
fuori di un determinato gruppo che ne fa uso, si configura come codice segreto, che ha
quindi funzione criptica, al punto che si parla di criptolalia, lingua che esclude dalla
comprensione comunicativa chi non sia parte di un determinato gruppo, esclude i diversi.
- Dall’altra parte, è una lingua che rafforza i legami e il senso di coesione interna del gruppo.
I gerganti condividono attività, esperienze, ambiti di vita comuni, e la lingua è l’elemento
che serve loro per marcare e sottolineare questo elemento di appartenenza.
- È una lingua utilizzata da categorie sociali definite marginalizzate, è la lingua delle categorie
sociali marginali, poste ai margini di una società. Ha una valenza di contrapposizione alla
lingua della società che potremmo definire normali. Se l’italiano è la lingua istituzionale dei
normali, il gergo è un’antilingua, che esprime una controcultura di opposizione, di
resistenza rispetto alle norme e ai valori di una determinata società.
- Deriva dall0’italiano antico GERGONE ed è una parola francese col significato di
“gorgheggiare degli uccelli”, verosimilmente deriva da una base onomatopeica GARG,
suono non troppo comprensibile. In francese e provenzale antico, veniva utilizzata per
designare la lingua usata dai mendicanti e dagli imbroglioni.
- È una lingua che è stata definita artificiale (è una lingua che si appoggia ad un’altra già
esistente, l’italiano per esempio o un dialetto), parassitaria (sfrutta una lingua già esistente,
ma la deforma), e criptica (deformandola la rende incomprensibile).
- Una frase in gergo antico “usare l’amaro con lo zaraffo (ladro) per improsare (derivato di
prosare, che significa canzonare, prendere in giro) il vincenzo (bello/gaggio)”. Questa frase
è italiana, perché sono italiane le parole. Ma cosa vuol dire? Usare il gergo con il
malvivente, il proprio compare, per prendere in giro, ingannare il mal capitato, il diverso,
che non appartiene al gruppo ed è vittima di inganno e raggiro. Vincenzo non è l’unico
nome proprio usato, è il più diffuso in area meridionale, ma al nord ci sono altri termini, un
esempio è LA BALLATA DEL CERUTTI GINO, dove il GINO è il fesso.
- È evidente la natura segreta del gergo, ma alcuni studiosi del gergo di scuola francese,
seguiti da antropologi italiani hanno ridotto la funzione, alcuni l’hanno negata, perché solo
raramente è utilizzato in presenza di diversi, è usata soltanto quando si comunica
all’interno del gruppo. Se ciò fosse vero, non potremmo parlare di funzione segreta, o per
lo meno dovremmo ridimensionare la sua portata.
- Più forte è la componente identitaria.
Altri gerghi.
Accanto al significato più specifico e stretto di gergo, esiste anche un’accezione più ampia dello
stesso termine, che è quella più diffusa oggi, è un’accezione che configura il gergo come un
linguaggio settoriale, quindi gruppo specifico di persone, ma senza particolari caratteristiche.
Sentiamo parlare di gergo televisivo, dei media, teatrale, giornalistico, sportivo. Intenderlo così
significa sovrapporre l’ambito semantico del gergo con quello del linguaggio settoriale. Sono stati
chiamati così perché effettivamente sono dei sottocodici dell’italiano che servono per comunicare
in alcuni ambiti specifici da alcune persone, quelle che lavorano in quei determinati ambiti o
settori. Pur essendo in senso lato, impiegato nell’interazione, e anche avendo delle dinamiche
linguistiche simili in contesto storico, le differenze sono evidenti, non c’è la componente criptica,
in quanto c’è la collante sociale.
E poi ci sono varietà intermedie, o meglio varietà che non possiamo chiamare del tutto gerghi e
sono definitivi transitori. Questi sono il linguaggio giovanile/studentesco e il linguaggio di caserma,
militare.

Gerghi transitori
- Gergo di caserma e giovanile che sono varietà più recenti. Ma ci sono dei punti di contatto
tra il linguaggio dei giovani, della caserma e il linguaggio storico, perché sono lingue di
gruppo con forte funzione sociale, non è soltanto una lingua che serve per comunicare in
un determinato ambito, ma serve per segnare l’appartenenza e rafforzare i legami.
(canzone di Fred de Palma “vieni dalla mia stessa zona”). I giovani e i militari sono le
categorie sociali che sono entrate in contatto con i gerganti, e hanno imparato una parte
del loro vocabolario. Sono entrati in contatto negli ambienti tipici della marginalità: strada,
piazza, bordello e ambienti in cui trova realizzazione l’attività malavitosa, le periferie delle
città. Ha determinato un travaso lessicale.
- Terminologia impropria perché non storici.

GERGO E GERGANTI
I gerganti sono una galassia piuttosto variegata di personalità collocate ai margini della società
nella storia, un mondo marginale che popola i mercati, le fiere e le piazze. Ancora oggi la strada e
la piazza sono legate a gruppi di persone emarginate. Il furbo è una persona che sa provvedere
abilmente ai propri interessi e in un gruppo gergale sa tirarsi fuori da situazioni incresciose. Idem
furfanti e dritti (che non va inteso in senso dantesco come persona onesta ma quello che va dritto
sulla base di una realtà rappresentata dalla società contraria a quella tradizionale). La sequenza
fonica frb, frf, drt è uno di quei misteri che rimane irrisolto, punti di contatto tra i gerghi di lingue
anche distanti tra loro (per esempio fricativa vibrante occlusiva).

Persone diverse ma tutte collocabili ai margini della società, tutte persone che devono fare ricorso
alla malizia e all’astuzia linguistica per provvedere al proprio interesse o per togliersi dai gari, per
sopravvivere. Imbonitore: venditore ambulante che convince la gente a comprare merce di
scarsissimo valore e lo fa attraverso di frasi ad effetto.

Il gergo è parlato anche da persone che facevano lavori particolari che erano legati alla strada, alla
piazza e al mercato perché era lì che lavoravano come gli arrotini, gli spazzacamini, gli ombreallai, i
ciabattini, alcuni muratori e pastori, quasi tutti lavoratori migranti che si spostavano di paese in
paese che usavano il gergo per non trasmettere il loro sapere agli estranei che dovevano essere
trasmessi solo da padre a figlio o che appartenevano a un unico gruppo. Questo spazio variegato,
popolato da persone diverse è il gergo, un elemento forte che caratterizza tutti questi gruppi di
persone marginati.

PER UNA BREVE STORIA DEL GERGO


Prime attestazioni scritte:
- Proverbia: proverbi sulle donne, composto in antico volgare veneto, primo testo misogino,
contro le donne, che contiene una carrellata di esempi illustri per documentare i comportamenti
negativi delle donne.
- Cecco Angiolieri che compone in volgare senese e sfrutta il gergo che sentiva parlare come un
esercizio letterario, immette il gergo nella poesia come esercizio stilistico.
- Luigi Pulci che scrive una lettere a Lorenzo il Magnifico che era considerato un vero e proprio
documento epistolare nella quale comunica la partecipazioni di giovani prostitute a delle feste che
vengono chiamate “peci”.

Repertori gergali: gergo come oggetto di studio delle linguistica, lavori fondati su repertori tratti
dal parlato e analizzati con un occhio scientifico. Le raccolte non sono sistematiche, ancora oggi
sono dati episodici ed è per questo che ci sono cose non chiare.

IL GERGO OGGI
Il codice di San Luca: testo criptato legato alla ndrangheta che va verso una direzione nuova che va
verso segni grafici diversi che sono stati poi decriptati.
Nei quartieri periferici ci sono ancora oggi delle varietà gergali che da lì hanno avuto modo di
passare alla canzone. Prima erano state rintracciate dalla letteratura.
Pier Paolo Pasolini ha utilizzato nei romanzi di borgata il gergo dei pischelli.

I NEOLOGISMI GERGALI DI RAGAZZI DI VITA


Abbioccato: di origine romanesca, acquisire la posizione della chioccia quando cova.
Ciofeca: in principio vino annacquato, poi persona non bella.
Sbarellare: andamento tipico della barella che tende ad oscillare.
Appioppare e arrapato: lessico contadino che derivano da due nomi di piante, il pioppo e la rapa.
Zinna: germanismo, cima.
UNO STRAORDINARIO LABORATORIO LINGUISTICO
Volontà di occultamento del gergo viene ottenuta attraverso la rilessicalizzazione (smontare e
ricostruire attraverso delle operazioni che riguardano la fonetica o la morfologia) e
risemantizzazione (riguarda la semantica e si dà un valore nuovo a una parola già preesistente)
delle parole.

ALTERAZIONI FONOMORFOLOGICHE: ALCUNI ESEMPI


Riocontra: strategia linguistica che si trova nel rap, soprattutto milanese che consiste
nell’inversione sillabica.

Alfabeto farfallino per comunicare senza essere compresi e consiste nell’inserimento della lettera f
seguita dalla vocale della sillaba che la precede.
09/04/2021
LE VARIETÀ GIOVANILI
Non è facile parlare di varietà giovanili poiché richiede quesiti preliminari:
- Che lingua è quella dei giovani?
- Chi sono i giovani? A posizione anagrafica va esteso tale concetto, dipendendo dalla
cosiddetta sindrome di Peter Pan e il sempre più tardivo inserimento nel mondo del lavoro
e il tardo affrancamento dalla famiglia di origine tardano l’entrata nella vita adulta. Non c’è
nemmeno tra gli antropologi una risposta.
- Dal punto di vista metodologico, anche nell’ambito degli studi di linguistica c’era la
tendenza a identificare la maniera comunicativa in modo generico. Linguaggio o linguaggi?
Si aveva l’impressione che parlassero tutti allo stesso modo. Ma il quadro è più complesso:
non sempre emerge e questo è il rischio che si trova nell’indagine che riguarda una varietà
di lingua di una generazione.

Un po’ di storia: le culture giovanili


Il linguaggio giovanile nasce quando i giovani si dotano di una propria cultura, è il risultato di un
complesso più articolato di fenomeni che collochiamo nella dicitura cultura giovanile. La cultura
giovanile comincia ad affermarsi dagli anni 50, quando cioè nei paesi più avanzati, occidentali, si
formano le prime aggregazioni giovanili, quindi gruppi di giovani separati dal resto sociale che
affermano valori comuni ai giovani in quanto tale. Si riconoscono in comportamenti quotidiani, di
abbigliamento e di linguaggio. Creano modelli di vita diversi rispetto alla società adulta, fata di
lavoro, consumo e famiglia. L’individuazione di una cultura di riferimento consente ai giovani stessi
di riconoscersi parte di una galassia generazionale, identificarsi in essa e acquisire un’identità che
proviene dai modelli culturali di riferimento. Il linguaggio diventa uno strumento che consente alle
culture giovanili di manifestarsi e consente al giovane di sentirsi parte di un gruppo, perché
condivide un modo di esprimersi che è suo e dei suoi pari e si manifesta nelle situazioni di gruppo.
È il giovane che sceglie di utilizzare un modello comunicativo in una determinata situazione. Uno
dei ruoli fondamentali è esercitato dalla canzone, dalla musica.

La cultura giovanile nasce negli Stati Uniti ed entra nella storia con il rock’n’roll, con i blue jeans,
con la voglia di protagonismo, di libertà e di anticonformismo. Elvis Presley, James Dean, Marlon
Brando sono stati i primi miti giovanili. Ritagliarsi uno spazio autonomo e indipendente tra l’età
infantile (figli) e età adulta (genitori). A determinare questo processo, bisogna ricordare un altro
aspetto fondamentale: le grandi trasformazioni sociali legate al processo tecnologico e
miglioramento delle condizioni di vita. Condizioni che modificano le caratteristiche della famiglia e
il rapporto con i genitori di conseguenza. Con l’inurbamento e la tendenza allo spostamento dalle
campagne alle città, alla vecchia famiglia patriarcale, si sostituisce la famiglia nucleare, che,
rispetto alle forme precedenti, è più democratica. Con l’allungamento della vita e il maggior
numero di anni passati a scuola, si erano spostate le nuove frontiere biologiche. Per questo si parla
di mutate condizioni sociali.
Il collante è la musica, che ha un ruolo inteso come linguaggio di aggregazione tra i giovani. La
cultura hippie e la cultura bit sono i primi esperimenti in tal senso, che in Italia arrivano in alcune
manifestazioni marginali. Poi ci son i Beatles, poi c’è il folk americano e la tradizione che viene
aperta da Bob Dylan, poi c’è il rock dei Rolling Stones. Poi in Italia arriva l’esperienza nostrana dalla
canzone d’autore e da manifestazioni alternative, collocate sotto l’insegna del rock, e attraverso
nuovi generi.
Ci sono necessarie premesse di tipo sociolinguistico. Sono la prima varietà, l’insieme
generazionale, e anche l’unica varietà generazionale del nostro repertorio. Non c’è un italiano dei
quarantenni. C’è l’italiano giovanile. Questo insieme di varietà presenta dei tratti di marcatezza.
 Dal punto di vista diacronico, il linguaggio giovanile non nasce dappertutto nello stesso
momento, ma nasce al Nord e rimane a lungo una questione quasi esclusivamente
settentrionale. Successivamente riesce a raggiungere altre realtà.
 Dal punto di vista diatopico, sono inizialmente limitate all’Italia del Nord e nelle grandi città
del Nord. Nasce a Milano e a Torino e da qui eventualmente si diffonde altrove.
Microdiatopica: sono proprie di alcuni gruppi giovanili elitari, quindi giovani di famiglie
benestanti. Col passare del tempo, si verifica un apprezzabile movimento: dal centro verso
la periferia, che acquisisce un ruolo determinante, come focolaio.
 Dal punto di vista diastratico, il linguaggio giovanile è la lingua di un gruppo sociale, quindi
di uno strato sociale ben definito. Non è la lingua di tutti, e sempre su questo piano, si
caratterizza per un abbassamento. Non è un italiano standard, ma al di sotto. Sono i giovani
stessi che decidono di sfruttare soprattutto registri più bassi della nostra lingua, perché
ritenuti più espressivi. Dove c’è il dialetto non c’è il linguaggio giovanile, quando il dialetto
si perde, i giovani, bisognosi di una modalità comunicativa, ricorrono a un’altra lingua o un
altro stile comunicativo, interno all’italiano, che è la loro unica lingua. Al Sud manca il
linguaggio giovanile.
 Dal punto di vista diafasico, il linguaggio giovanile non è un vero e proprio linguaggio, come
il gergo che è uno stile comunicativo che subentra solo in determinate situazioni.
 Dal punto di vista diamesico, è una varietà orale, ma ciò non toglie che in un secondo
momento tale varietà si sia manifestata anche all’interno di diversi generi di scrittura di
ambito privato, o semi privato (diari), esposte (muri di scuola), sulle cartelle, nella
letteratura giovanile. Negli anni 70, per effetto di una serie di condizioni, nasce la prima
letteratura generazionale, quindi giovanile.

Aspetti generali del LG


 Varietà di lingua usata nelle relazioni di gruppo dei pari da adolescenti e post-adolescenti
costituita principalmente da particolarità lessicali e fraseologiche. A determinare la
specificità di tale varietà rispetto ad altre è soprattutto il lessico, con parole, espressioni,
modi di dire, frasi. Ma ha anche caratterizzazioni di tipo morfosintattico e fonetico.
 L’uso di una varietà di lingua si accompagna ad altre modalità interazionali specifiche
legate ai modelli del gruppo, che sono legate e dipendenti dai modelli del gruppo e
possono essere il modo di vestire, l’utilizzo di forme di ornamento del corpo, come
tatuaggi, piercing, luoghi e modalità di incontro, ai modi di utilizzo di strumenti di
comunicazione come i cellulari (un tempo erano le radio o i walkman), modalità
interazionali specifiche, come l’interazione, la velocità dell’eloquio, o la trascuratezza, che
caratterizza il modo di parlare, un’attenzione alla pronuncia, ecc.
 Il gruppo è una condizione necessaria. Non basta essere giovani per parlare il linguaggio
giovanile, ma è la lingua comunicativa che il giovane utilizza all’interno di un GRUPPO
SPECIFICO. È il risultato della condivisione di elementi e modelli comportamentali condivisi.
 La situazione interazionale, gli argomenti, le sfere di riferimento.
Le sfere di riferimento principali sono:
 La scuola e l’Università sono state le prime sfere di riferimento.
 La musica, come già introdotto prima.
 La droga: esiste il droghese e questo gergo appartiene tanto al gergo storico, in quanto
varietà di gruppo marginale, quanto al linguaggio giovanile.
 La sfera privata e il sesso: dopo l’abbuffata politica del post 68, col ritorno al privato e
parlare di sé, si determinano le condizioni per la maturazione definitiva del LG, come lingua
che può parlare del privato e del sesso. Detabuizzazione del sesso.
 La letteratura, un tempo più di oggi è stata, non come la canzone, ma come il cinema,
come le serie televisive di oggi, un collante.
 La caserma, luogo di condivisione di un’esperienza marginale, di allontanamento dalla vita
normale, in cui i giovani fanno gruppo.
 La politica, per un po’ di tempo è stata centrale, è quella che cronologicamente si colloca
tra il 68 e il 75: impegno politico sul modo di parlare dei giovani. Esiste ancora oggi, ma
circoscritta agli ambiti giovanili che tendono ai movimenti, le controculture.
 Lo sport, in quanto occasione di incontro e possibile strumento di aggregazione.
 I mass-media che ha mandato il linguaggio giovanile dove prima non c’era. Oggi dal
linguaggio verbale a quello iconico, con GIF, meme.

Differenze tra gergo storico e LG: c’è stato un contatto, almeno nella fase storica, tra giovani e
mondo dei gerganti, nella condivisione degli spazi. Il mondo di aggregazione giovanile è anche
quello dei gerganti, ma nella storia, in quanto i gerganti si sono quasi estinti. La differenza è data
da un lato dalla mancanza storicità nel LG, in quanto varietà astorica, e dall’altro che il gergo ha
finalità criptica, è una lingua segreta che serve per comunicare in situazioni marginali, a volte
malavitose, a differenza del LG.

Per una storia delle varietà giovanili.


Il linguaggio giovanile in Italia nasce piuttosto tardi. I primi studi sono tardivi, perché
probabilmente che i giovani potessero usare una lingua propria non era una possibilità che veniva
presa in considerazione, almeno fino agli anni 80. Si necessitavano le condizioni sociali, come i
nuovi ruoli sociali dei giovani nella società contemporanea, la scolarizzazione che fornisce
elementi linguistici per la lingua e mancava la diffusione dei mass-media.

Le fasi:
1. Una prima fase che si colloca nella prima metà del Novecento, che però non viene di
norma presa in considerazione, perché limitata da sporadiche attestazioni di parole
giovanili. Si colloca qui GAROFANO ROSSO di Elio Vittorini.
2. 1954-1968, questa sì, attestata da testimonianze certe. 1954 non è casuale, iniziano le
prime trasmissioni televisive e 1968 inizia un decennio caratterizzato dall’impegno politico
e momentanea eclissi del linguaggio giovanile, eclissato dal politichese, soprattutto dal
sinistrese (varietà di riferimento degli studenti più attivi). È la fase tipicamente
settentrionale e ancora di più milanese, in quanto la documentazione recuperata porta a
Milano.
3. 1968-1977 - il post ’77: anni dominati dal reflusso, anni in cui, abbandonati gli ambiti legati
all’impegno politico, i giovani volgono lo sguardo dentro di sé, riflettono sulla sfera privata,
per la prima volta. Anni del rifiuto del tabù linguistico. Anni che determinano la prima
grande diffusione delle varietà giovanili, anche grazie alle radio libere, che trasmettono su
frequenze alternative, rispetto alle radio del monopolio, della RAI.
4. gli anni Ottanta - gli anni Novanta: il linguaggio giovanile inizia ad espandersi. Tale processo
è amplificato negli anni 90, nei quali trovano compimento alcuni meccanismi generati
prima. Il LG si diffonde anche in forma scritta, perché sono gli anni in cui si vedono le nuove
forme di scrittura digitale.
5. gli anni Zero, descritti attraverso la canzone e i generi tipicamente giovanili.

Alle origini del “giovanilese”


Milano, anni 50, sono gli anni in cui, anche grazie al DIARIO DI UNA SIGNORINA SNOB di Franca
Valieri del 1952, si sviluppano i Montenapi, cioè ragazzi che si trovano in via Monte Napoleone, la
via dello shopping a Milano. Sono giovani di provenienza benestante e sono anche gli unici che
hanno la possibilità di ritagliarsi degli spazi di libertà, di tempo libero. Questi giovani hanno un
modo di parlare che è proprio ed è documentato da Renzo Barbieri che scrive per EVA e che
dedica reportage a questo gruppo. Sono fonti che ci consentono di riconoscere una lingua snob, di
gruppo. La prima manifestazione va nella varietà snob, anche grazie a fenomeni linguistici:
- utilizzo della R uvulare, la r moscia.
- Fenomeni linguistici che sono ancora oggi in uso e sono peculiari del linguaggio giovanile,
come gli accrescitivi in -one (festone), alterati o diminutivi in -ino (champagnino, ferrarino),
costrutti in super-, stra- (strafigo).
- Ricorso costante alla metafora: i genitori sono detti avi, fossili, i mezzi di trasporto sono
biga, carro, animale, bestia, le bevande alcoliche sono benzina, beveraggio, beverone, il
denaro è espresso con argento, grano, carta.
- Tra di loro i ragazzi si chiamano: baby, bimba, pupa, figa.
- Ci sono neologismi: blue jeans, bikini, mocassina, snob, montato, infognato, salvarsi in
corner (primo esempio di tecnicismo del calcio).
- Qualche prima testimonianza di turpiloquio, che è una questione giovanile, almeno
all’inizio. “Mi son fatta un biondo”, vacca, arrapare.

Sessantotto e dintorni
Gian Luigi Beccaria, nel 1973, dice che è un linguaggio che rappresenta almeno nella dinamica
della comunicazione giovanile una fase di momentaneo allontanamento rispetto al carattere
tradizionale, ludico ed espressivo che la LG ha, per adeguarsi più nettamente al linguaggio
dell’impegno, come effetto della partecipazione alla vita culturale.
Una canzone AL LIMITE CIOÈ di Enzo Maolucci, rappresenta il sinistrese del linguaggio giovanile
fitto dei modelli provenienti dalla politica e dei movimenti della sinistra, nella quale l’autore, un
torinese, il primo laureato con una tesi sulla canzone che scrive tale canzone interessante, perché
il testo mette insieme con dose di ironia, una sequenza di stereotipi tipici del 68. Al limite e cioè
che danno il titolo al brano, e non soltanto.
Pressione che i giovani in maniera consapevole esercitavano sulla lingua italiana: il dialetto è
ancora la lingua principale e occorre rilevare che i giovani di allora preferirono quasi sempre, se
non sempre, l’italiano al dialetto e contribuirono a rafforzare anche i moduli del parlato in italiano.
Questo tipo di linguaggio giovanile, il sinistrese, fa la sua prima comparsa nella scrittura. Ancora no
nella letteratura, ma sui muri come graffiti, o in alcuni strumenti di propaganda, come giornalini e
volantini.
Film PAZ! di Renato de Maria che è uno dei suoi film più riusciti. È uno dei migliori prodotti che
rappresentano il mondo dei giovani in quegli anni, riproduce il sinistrese.
Il post ‘77
In sociologia è stata definita la fase del riflusso, perché segna il passaggio dalle piazze al
disimpegno, dagli scontri sociali al ripiegamento nella sfera del privato. Il linguaggio giovanile
rifiuta i tabù linguistici.
Questo è il periodo in cui nasce la letteratura generazionale: in questa fase prende piede la prima
letteratura giovanile 

La letteratura giovanile: premessa


È la narrativa di autori giovani, spesso esordienti, che riescono a ritagliarsi uno spazio nell’ambito
del mercato editoriale, che proponeva autori noti e ripetitivi. Ora il mercato editoriale guarda ai
giovani. Narrativa di giovani, rivolta ai giovani, caratterizzata da storie che mettono al centro i
giovani o riguardano la condizione giovanile in un preciso contesto storico-sociale.
Lo fanno attraverso una lingua che sia adeguata a tutti questi parametri: il LG.
Si caratterizza per l’impiego di una varietà generazionale: prima non c’erano i segni dei giovani,
fatto ad eccezione per alcuni casi. Connessione tra il pubblico in grado di comprendere le vicende
e i personaggi. Potrebbe sembrare banale tale discorso, ma non troppo: oggi si assiste molto
spesso a narrativa scritta da giovani che riflette sulla loro condizione, e quindi, rivolgendosi in
prima persona a loro, ma non con la lingua dei giovani.

La letteratura giovanile: coordinate cronologiche


Non è un caso se in ambiente milanese vi è la comparsa di alcuni romanzi di ambientazione
milanese, come Umberto Simonetta, autore de LA BALLARA DI CERUTTI o della mala, che collabora
con Giorgio Gaber. Egli scrive una trilogia che si compone soprattutto di due romanzi: LO
SBARBATO del 1961 e TIRAR MATTINA del 1963. Sono due romanzi che si caratterizzano per
l’impiego del gergo milanese.
Un momento fondamentale è la traduzione di alcuni romanzi di stampo angloamericano.
Tra gli altri, i due testimoni di questo processo sono la traduzione (1961) di J.D. Salinger, The
catcher in the Rye (il giovane Holde, tradotto da Adriana Motti) e la traduzione (1969) di A.
Burgess, A clockwork orange (Arancia meccanica tradotto da Floriana Bossi). L’ultimo è
considerato intraducibile, visto che dalla stesura alla traduzione passano 7 anni. Intraducibile
perché scritto in una lingua inventata, il nadsat, lingua tra russo e inglese gergale, lingua che
l’autore si inventa per riprodurre i suoi personaggi, giovani teppisti della città inglese, inserita in un
quadro distopico. Nelle edizioni successive, viene pubblicato in coda un glossario, che comporta
una perdita dell’intenzione originale. Come si traduce? Nel 69, la Bossi utilizza il gergo torinese e
milanese degli anni 60, una lingua artificiale di gruppo per definizione, incomprensibile per natura,
al di fuori del contesto marginale, una lingua straniante, perché diventa tale se viene utilizzata
nella pagina di un romanzo.
Il primo romanzo da inserire nel filone della letteratura generazionale è PORCI CON LE ALI del
1976, scritto da Rocco e Antonia (pseudonimi di Lidia Ravera e Marco Lombardo Radice),
fortemente marcato nella sfera della sessualità e dell’erotismo. Costa la denuncia ai due autori e
all’editore. È un romanzo epistolare, si compone di lettere che i due liceali si mandano,
raccontando il loro anno presso il liceo romano Mamiani, passato tra impegno politico e
ripiegamento nella sfera privata (tra grandi ideali e grandi frustrazioni, primo fra tutti il loro grande
amore). A questo seguono BOCCALONE del 1979 di Enrico Palandri, che racconta le vicende
bolognesi, ponendo la politica sullo sfondo. In una dimensione più matura c’è ALTRI LIBERTINI del
1980, grande capolavoro di Pier Vittorio Tondelli, romanzo esordio dell’autore, romanziere
emiliano. Viene pubblicato dal Transeuropa e poi da Feltrinelli. Fece scandalo, fu sequestrato
perché ritenuta opera blasfema per i contenuti espliciti.
Nel corso degli anni 80 e poi 90, nasce e si consolida una sorta di tradizione giovanile in ambito
letterario, grazie ad alcune voci, come Enrico Brizzi, che scrive uno dei romanzi più importanti JACK
FRUSCIANTE È USCITO DAL GRUPPO, o ancora TUTTI GIÙ PER TERRA di Giuseppe Culicchia e
Niccolò Ammaniti che segue le tracce della letteratura cannibale, che, nei primi anni 90, si sviluppa
in Italia grazie al successo di Pulp Fiction e che lancia una nuova corrente interna, quella degli
scrittori cannibali e uno dei suoi romanzi più belli TI PRENDO E TI PORTO VIA, che, pur potendosi
collocare nell’ambito della cultura giovanile, è anche qualcosa di più, di diverso.
15/04/2021
Gli anni Ottanta
Sono storicamente anni nei quali le VG si diffondono, tendono a diffondersi anche al di fuori delle
grandi città, verso le città minori.
Si iniziano a formare gruppi di artisti, legati alla musica, punk, metal, che tendono a caratterizzare
la propria identità, differenziandosi per il vestiario e per le caratteristiche linguistiche. Sono gli anni
nei quali i LG si rafforzano, si differenziano, tendono ad assumere caratteristiche proprie in
relazione al singolo gruppo.
Dal punto di vista degli studi, gli anni 80 sono soprattutto gli anni dei paninari: giovani inizialmente
di Milano che appartenevano ad una cultura o sottocultura giovanile, erano giovani benestanti, la
“Milano da bere”, che avevano un interesse specifico, quello di vivere nell’agio, stile di vita
fondato sulla spensieratezza, consumo totale e rifiuto per l’impegno politico e sociale. Sono la
tendenza seguente a quella italiana degli yuppie o dello yuppismo. Gli yuppie erano giovani
rampanti negli Stati Uniti, tra i 25-35 anni che, sul modello degli uomini d’affari newyorkesi,
seguivano il sogno di diventare ricchi nel modo più veloce possibile, buttandosi nella metropoli di
New York, nel periodo di maggiore benessere storico). Si crea una figura giovanile. Molti di questi
frequentavano discoteche e ristoranti esclusivi, frequentavano feste particolari, insomma,
riconosciamo anche persone reali, come Donald Trump.
In Italia lo yuppismo si sviluppa attraverso i paninari. Questo gruppo sembra ritagliarsi uno spazio
autonomo, di rilievo, e a diffondere una modalità stilistica, comunicativa, comportamentale e
culturale in tutta Italia.
Il gruppo dei paninari si forma agli inizi degli anni 80 a Milano: si chiamano così perché si
ritrovavano nelle prime paninerie o paninoteche dell’epoca. Prima era elitario, poi si diffonde
come fenomeno di massa. Le marche sono Monclair, Timberland, sono giovani che si
caratterizzano per i luoghi di ritrovo, come le discoteche e i fast food, come Mc Donald. Ma anche
per una lingua particolare: si basa su un sottofondo di italiano regionale milanese sul quale sono
innestati fenomeni caratteristici del linguaggio giovanile. Interessante è che si tratta del primo
gergo giovanile o prima varietà giovanile che ha popolarità a livello nazionale. La possibilità di
questa diffusione è offerta dai nascenti mezzi di comunicazione di massa e programmi tv, con la
promozione del loro modello linguistico. I programmi principali sono DRIVE IN del 1983/4 e QUELLI
DELLA NOTTE del 1985 che lanciano numerosi personaggi dello spettacolo.
Abbiamo anche fonti scritte che ci danno un’idea della loro lingua: SFITTY racconta in forma di
fumetto le avventure dei paninari liceali ed è insieme a un altro fumetto il prodotto culturale di
riferimento di quell’epoca. Titoli: panotti stragallosi, sfitinzia’s gallery, un marziano del trial,
universal look, safari very okay, una land da money. La tendenza all’utilizzo di anglicismi.
Vengono mostrati i protagonisti principali e la posta. A rispondere era Sfitty in persona. Lettere che
riguardano richieste di materiali sulla cultura paninara. Tendenza a iperbole e accumulo come
ipermegatogato. Preppine era un termine che all’epoca indicava le ragazze per bene, vestite
elegante, sul modello delle ragazze che andavano alle preparatory school. Le duraniane sono le
ragazze che ascoltano i Duran Duran.

Gli anni Novanta


Il LG di questo decennio continua il suo processo di espansione, dalle grandi città alle città minori,
fino ai piccoli centri. Anni intensi perché segnano la prima diffusione, non ancora documentata,
delle varietà giovanili nel Sud Italia. Sembra per la prima volta fare capolino anche nei centri
maggiori dell’Italia meridionale, in alternanza al dialetto, attraverso televisione, cinema, radio e
canzone. Sono anni nei quali si verifica l’estensione generazionale della fascia giovanile e si
consolida tale processo. Il giovane tende a rimanere più a lungo nella dimensione giovanile, anche
quando anagraficamente non può essere considerato tale, anche per fattori sociali, e porta alla
maggiore propagazione della VG. Avviene che i giovani tendono a usare varietà diverse a seconda
della loro fascia generazionale. Un ragazzo di 15-16 anni tenderà a parlare in modo diverso da uno
che ha 7 o 8 anni in più.
Sono questi gli anni in cui acquisisce un ruolo fondamentale la periferia: si verifica la spinta dal
basso, cioè la periferia diventa un focolaio di modelli comportamentali marcati, soprattutto nelle
grandi città del Nord. In questa fase aumenta la possibilità dei giovani di fare gruppo e trascorrere
tempo fuori casa con i propri pari.
Nel centro, in questa fase, tutto ciò sembra meno evidente, si notano nelle periferie differenze nel
modo di vestire, nelle abitudini. C’è un insieme di fattori che determina tale differenziazione anche
dentro una stessa città.
Comincia, dal punto di vista della ricerca, a essere chiara la necessità dell’indagine sul campo,
questo è l’unico strumento che consente a studiosi e ricercatori di intercettare le novità lessicali.

Le varietà contemporanee
In questa fase, interessante è riflettere sui meccanismi comuni.
Anche oggi continua ad essere una varietà non marginale all’interno del repertorio linguistico
italiano. È contrassegnato da fenomeni di ulteriore estensione generazionale: non si è allargata la
fascia generazionale, ma oggi hanno acquisito nella percezione linguistica della comunità italiana
un rilievo che prima non avevano e accade che elementi lessicali e fraseologici dei giovani vengono
fatti propri anche dagli adulti, anzi, è la tendenza sistematica che caratterizza il rapporto tra
italiano dei giovani e italiano dell’uso oggi. Ciò accelera il rinnovamento lessicale: il giovane,
quando riconosce che una formula linguistica cessa di essere generazionale, perché si diffonde,
non la sente e la abbandona e la sostituisce. Questo spiega la rapida obsolescenza che caratterizza
molte espressioni, l’invecchiamento precoce. E giustifica quell’incessante ricambio lessicale che
caratterizza il linguaggio. I dati sono vecchi di due-tre anni e mostrati oggi, quelle novità lessicali
del 2018 non sono più novità, ma anche parole passate di moda.
Le novità erano ansia, chiusura, mai una gioia, male male, presa male, disagio. Presenza di un
numero significativo di espressioni con elevata carica emotiva, parole che si caratterizzano per
avere una valenza specifica in direzione dell’emotività. Disagio è il porta bandiera, tutto era
disagio, dalla perdita del lavoro al 10% di carica nella batteria del telefono.
A partire dagli anni d’oro e dal 2010, il linguaggio giovanile si è arricchito di una componente che
prima c’era, il linguaggio digitato, la lingua dei social. Anche in relazione a questo particolare
canale, occorre riconoscere un rapporto di mutuo scambio, perché il LG alimenta l’italiano dei
social network e restituisce elementi potenziati, come la canzone e megafono delle tendenze
linguistiche, e restituendole, le diffonde sui non giovani. Social come cassa di risonanza di
tendenze che arrivano anche dal mondo giovanile.
Ti sblocco un ricordo: nasce in contesto social, per questo diventa subito virale e poi, rapidamente
sparisce.
Esempio LOL: CHI RIDE È FUORI
Quindi si parla di una diffusione virale di modismi della scrittura digitale e social network. Fino agli
anni 2000 era necessario uscire e vedersi per strada per conoscersi, c’erano i telefonini, ma erano
utilizzati per chiamarsi, non c’era Facebook. Oggi con la comunicazione digitale, ha generato
differenze che si evidenziano sul piano della comunicazione. C’è un appiattimento del linguaggio
giovanile, che si diffonde senza limiti spaziali.
Aspetti linguistici
Possiamo applicare l’operazione di scomposizione in diverse componenti per tutte le varietà
giovanili. Il linguaggio giovanile è costituito da una serie eterogenea di apporti e componenti:
- La base è l’italiano colloquiale informale, anche scherzoso.
- Su quella base si innestano una serie di strati che possono differire nelle proporzioni a
seconda delle aree, dei gruppi e delle epoche storiche: un primo strato è quello dialettale o
regionale. Sono del dialetto piemontese le aree semantiche delle parolacce,
dell’ubriacatura, della bestemmia, dell’insulto.
- Strato costituito da inserti di altre aree, di termini provenienti da aree centrali o
meridionali, soprattutto in questa dinamica, provenienti dall’area romanesca.
- Al polo opposto dei dialettismi, si pongono gli apporti da lingue straniere, sono gli
internazionalismi e pseudoforestierismi, che manca il senso di appartenenza a un vasto
universo giovanile, di dimensioni sovrannazionali. In questo contesto forestierismi integrali,
cioè prestiti non adattati (casi più numerosi), prestiti adattati, che nel passaggio da una
lingua matrice a lingua replica subiscono un adattamento in forma o pronuncia, e poi calco,
cioè traduzioni, che può essere strutturale o semantico. Tra i primi prestiti integrali c’è
brown, che intende la coca e tra i calchi c’è sniffa, sniffare etc.
- Un ulteriore strato è costituito dalle parole provenienti dalle lingue speciali, cioè tecnicismi
(che caratterizzano i linguaggi settoriali o le lingue speciali per comunicare in un
determinato ambito). Forniscono parole nuove al linguaggio giovanile. I giovani sono stati i
primi a generare il travaso dai linguaggi settoriali al parlato colloquiale, con una
formulazione che agisce soprattutto sul significato, come per salvarsi in corner. Il linguaggio
medico, della psicanalisi e psichiatria, è quello che ha fornito più termini, come sclerare,
sclerato, ansia, panico.
- Ampio è lo strato costituito da parole gergali: dal gergo storico all’italiano giovanile c’è
stato un passaggio costante di terminologie. I giovani usavano ancora parole come aizzare
per guadagnare, asciugare per rubare, imboscarsi, pula, etc.
- Strato proveniente dalla lingua dei mass-media, come televisione, cinema, canzone e
pubblicità, i cosiddetti tormentoni. Oggi è soprattutto una questione che riguarda i nuovi
media, quindi l’italiano digitato.
- Ma c’è un serbatoio terminologico di parole che sono SOLO giovanili o nate in contesti
giovanili. Due filoni: quelle parole di lunga durata, facenti parte dello strato gergale
tradizionale; il filone del lessico innovativo, cioè lo strato gergale innovante. Visto che il LG
è caratterizzato da un continuo evolversi, esistono numerose parole di lunga durata, che
garantiscono una certa continuità dal punto di vista cronologico. Poi c’è il nucleo più
caratteristico, quello innovante, cioè una serie di parole che caratterizzano un gruppo
giovanile in un determinato contesto storico, è effimero.

Lessico e semantica del LG


Argomenti: lessico della devianza, della festa, della politica, il linguaggio volgare, turpiloquio e il
mondo della canzone, della musica e i social anche. I mezzi di comunicazione, si parla anche di
quello e attraverso quello. Riflessioni sulle dinamiche di alterazione semantica che mettono in atto
i giovani per creare parole nuove, perché i giovani parlano di droga, di sballo, di amore, di sesso, di
affetto, di social network e di canzoni, ma non con una lingua neutrale, lo fanno mediante il ricorso
di una lingua speciale, di gruppo, uno stile comunicativo che, analogamente al gergo, deve
sfruttare meccanismi di alterazione. Sul piano morfologico troviamo:
- gli scorciamenti, cioè rilessicalizzazione che riguarda modifiche alla forma delle parole che
vanno nella direzione dell’abbreviazione: amo’, sbatti, bro o che riguardano espressioni
come chissene, stica, fottesega.
Sul piano semantico:
- la metafora come figura del significato che consente la formazione di parole nuove (solo
nel significato) a partire da associazioni figurate: autostrada per ragazza piatta, cesso per
indicare individuo non bello, rospo per denigrare e cozza, tonno è la stessa cosa, fino al più
recente cagna, a volte utilizzato dalle stesse ragazze per chiamarsi tra loro.
- Metonimia/sineddoche che indica una forma per oggetto, materiale per oggetto, come
lingua, pezzo.
- Iperbole: costante nel linguaggio giovanile. L’individuo bello è detto illegale, un vestito non
troppo sexy è definito antistupro o una gonna a vita alta è detta ascellare.
- Antonomasia: utilizzo di nomi propri di persona che costituiscono un significato e una
valenza propria, come Fantozzi e l’aggettivo fantozziano.
- Sigle: tecniche di occultamento di una espressione o di una frase. CBCR sta per “cresci bene
che ripasso” o LOL.

Funzioni del LG:


- Funzione sociale: è una lingua di gruppo, strumento che consente all’individuo di sentirsi
parte di un gruppo. Deriva dall’antenato linguistico che è il gergo storico.
- Funzione espressiva: grazie ai giovani di Torino, laddove si chiedeva perché utilizzi il LG, le
risposte principali erano “abbassare il livello di conversazione tra coetanei, rendendola più
informale e immediata” o “conferire maggiore espressività alla lingua italiana usata in
contesti giovanili”.
- Funzione ludica: (collegata alla espressiva) riflette sull’ambito ironico-scherzoso, che molto
spesso determina quei meccanismi di alterazione propria dei LG. Lo scherzo può essere
molto pesante: dire rospo o cozza per una persona non bella o troppo sveglia non è
elegante, ma alla base ha un’intenzione ludica, scherzosa.
- Funzione di opposizione: il giovane rivendica una sua posizione specifica nella società, e nel
momento in cui conosce di essere parte di una tribù, rivendica i suoi tratti distintivi e a
volte attraverso una contrapposizione marcata. La lingua diventa un’antilingua, di
contrapposizione, come nel gergo.
- Funzione criptica: fondata sulla volontà di estromissione esterne a un gruppo specifico. È
una funzione marginale nell’autovalutazione data dal giovane, in quanto nell’indagine alla
domanda “qual è la funzione del LG?” solo il 7% ha dato questa funzione al LG.

Dialettalità persa o riacquistata?


Le varietà giovanili si diffondono in maniera inversamente proporzionale alla vitalità del dialetto,
cioè si sviluppano quando i dialetti cominciano a dare qualche segno di sofferenza tra i giovani. Le
varietà giovanili nascono prima di tutto al nord, nelle aree urbane, dove si era perso già il dialetto.
Nel sud e nelle aree rurali c’è una maggiore affluenza del dialetto, non vi è la necessità del
linguaggio giovanile, a differenza del nord e delle aree urbane dove vi è una maggiore incisività
della lingua giovane. Entrambi svolgono ruoli molto simile. Entrambe vanno alla ricerca di una
maggiore espressività linguistica, sono lingue più informali rispetto alla lingua istituzionale ed
entrambe possono essere utilizzate come antilingue, quindi come veicoli linguistici di
contestazione verso una lingua che viene sentita come effimera. Per il parlante nativo di dialetto la
lingua italiana è una lingua artificiale e l’unica lingua con cui si possono chiamare le cose è il
dialetto. La parola dialettale è l’unica possibile per il parlante esclusivo dialettofono e la lingua con
cui quella persona ha cominciato a parlare è il dialetto.
Per parlare della condizione giovanile, tra giovani, occorre una lingua più adeguata e questa è il
giovanilese. In definitiva: una nuova varietà sub-standard che, a differenza dei dialetti, ha
potenzialmente una diffusione nazionale, perché è una varietà interna alla lingua e può diffondersi
ovunque.

Per concludere
Il linguaggio giovanile è oggi più di ieri rappresentativa nell’architettura dell’italiano
contemporaneo, non è più una varietà trascurabile nel repertorio linguistico. È una lingua che
sempre di più riesce a influenzare l’italiano dell’uso, quindi in una dimensione extragenerazionale
ed anche la sua stessa natura specifica riempie il vuoto diafasico (legato a situazioni comunicative)
lasciato dalla vitalità ridotta del dialetto. È una lingua che è propria di un gruppo e di una
generazione specifica che si colloca tra la fase infantile e la fase adulta, quando l’individuo si
forma. È la lingua che è strumento di comunicazione in questa fase specifica, di gruppo. Non è una
lingua banale, anzi, molto appariscente, a colori, esuberante e a volte anche esagerata (usi
iperbolici). A volte diventa una lingua contro, cioè una antilingua, di denuncia, contrapposizione. È
una lingua per volersi bene, ma anche male, perché è anche la lingua dell’insulto e dell’offesa. È in
definitiva una lingua per crescere, da rivalutare nel contesto specifico della canzone.
16/04/2021
“È TUTTO UN EQUILIBRIO SOPRA LA FOLLIA”: LA LINGUA ROCK
Uno dei generi giovanili per eccellenza, forse il primo genere musicale giovanile, intendendo
l’indirizzo specifico che questo genere ha avuto verso una specifica fascia generazionale: la lingua
del rock.

Sesso, droga e…
È stato un fenomeno di costume, in quanto ha portato con sé una nuova cultura di massa, una
cultura giovanile, una cultura fondata su alcuni miti, come la trasgressione, l’eccesso, le aspirazioni
libertarie, il pacifismo, ecc., e ha portato con sé anche i suoi riti, che erano raduni di occasioni di
incontro (i grandi festival degli anni 60 da L’ISOLA DI WHITE a WOODSTOCK).
Dal punto di vista storico, è un genere della popular rock music, dagli anni 50 ai 60. È
un’evoluzione del rock’n’roll, ma trae le sue origini anche da generi precedenti.
Musicalmente è caratterizzato da 3 strumenti: chitarra elettrica, basso e batterie. Negli anni il
termine rock è diventato una parola generica utilizzata per indicare una grande varietà di
sottogeneri. Dagli anni 60 in poi, il rock si è diramato in una serie considerevole di varietà e
sottogeneri, se mescolata con il blues per dare vita al Southern rock, o col jazz generando il rock
progressivo, etc., o ancora il pop rock o l’hard rock o ancora il rock psichedelico, heavy metal, punk
fino ad arrivare alla new wave, tutte declinazioni che partono da un modello di rock. Poi l’indie
rock da cui deriva l’indie nostrano.

Tra giovani, contestazione e cultura di massa: un canto generazionale


Tra i diversi sottogeneri, sono diventati centrali proprio per la costituzione dell’identità di diverse
culture e sottoculture giovanili. Negli anni 60, si diffusero le Teddy Boys o ancora la controcultura
Hippy, legata con il rock psichedelico americano, o alla sottocultura punk degli anni 70, che nasce
negli Stati Uniti, ma che beneficia lo sviluppo in area britannica.
Legame stretto tra sottogeneri del rock e culture giovanili. Si formano delle forme di cultura che
appartengono ai giovani.
Continuando da un lato la tradizione delle canzoni di protesta e il folk, una delle manifestazioni
iniziali è stata espressione delle rivolte giovanili e caratterizzata dall’impegno legato alle tematiche
come droga, religione, etc., questa prima caratteristica di impegno ha poi subito un
ridimensionamento nel corso degli anni 80.
È stata legata a forme di ribellione contro le norme sociali, a rifiuto della cultura dominante.
Il punto più alto è toccato in uno dei grandi concerti simbolo, IL FESTIVAL DI WOODSTOCK del 1969
che lanciò artisti come Carlos Santana. È stato almeno in una fase la colonna sonora della rivolta
giovanile.
Come spesso accade, modelli controculturali a lungo andare si sono trasformati in fenomeni di
moda, quando diventa cultura internazionale. Moda legata al rock che ha caratterizzato i decenni.
Sesso, droga e rock and roll: portatrice di un messaggio indirizzato verso una maggiore libertà
sessuale, come forma di sensibilizzazione del tema. È stato anche collegato all’uso di varie droghe.
In numerosi studi, il rock psichedelico è associato all’impiego di LSD e altre sostanze stupefacenti.
Il rock in Italia
Arriva nella seconda metà degli anni 50 con i dischi e qualche film di successo di tradizione
americana, innescando quella prima frattura generazionale da cui si formano le culture.
- Prima arriva la parola, nel 1956 e poi il genere: il rock come genere arriva con un certo
ritardo rispetto alla nascita del genere degli Stati Uniti.
- I ritmi importati restano una curiosità marginale, fino alla fine degli anni 60, quando
esplode la moda dei BIT, in un repertorio costituito, almeno in una prima fase, da cover di
successi stranieri, tradotte tramite traduzione letterale o forme di riscrittura più libere.
- Nascono anche dei fenomeni più riconducibili a una tendenza giovanile, cioè i primi luoghi
di aggregazione di giovani, che ascoltano la musica rock degli Stati Uniti e dal vivo i primi
gruppi italiani: primi locali storici per i concerti, come il PIPER di Roma, le prime riviste
musicali come CIAO e si sviluppano alcuni luoghi di aggregazione per “capelloni”, come
Piazza Navona a Roma e Piazza Castello a Torino.
- Attorno agli ultimi anni del decennio, prende vita in Italia un rock originale, cioè “il rock
progressive”, detto anche “la pro”, un particolare sottogenere che, sul modello britannico,
propone prodotti nuovi, in particolare il superamento della parola canzone, non è più di 3-4
minuti, ma un contenitore più ampio, di durata anche di 10 min., anche con un’idea diversa
di prodotto finale. Fioriscono i concept, dischi che sviluppano un unico tema e viene
articolato in una serie di canzoni, sui due lati dei 33 giri.
- Il nuovo rock italiano degli anni 90: si sviluppa un rock tipicamente targato Italia, che si
caratterizza per alcuni tratti linguistici specifici. I gruppi sono Marlene Kuntz, Afterhours e
CSI.

“Il rock sono io”


- Vasco Rossi, detto il comandante, il vero fuorilegge. Giovane audace controverso, per il
quale vita spericolata non è solo il verso di una canzone. Va collocato nella sua epoca, tra la
fine degli anni 70 e la metà degli anni 80. Resta grande il Vasco dei concerti, non ha perso
smalto. Ha messo la testa a posto e si allena per essere in grado di cantare 3-4 ore.
- Esordisce come cantautore, pubblicando il suo primo disco MA COSA VUOI CHE SIA UNA
CANZONE del 1978, che contiene molti brani divenuti pietre miliari. La prima edizione
vende poco più di duemila copie. Ma il disco acquisisce popolarità attraverso radio libere.
- Nel 1979, con la pubblicazione di NON SIAMO MICA GLI AMERICANI, costituisce il
momento in cui avviene la rottura, e probabilmente la liberazione della canzone da ogni
obbligo stilistico e ideologico. Contiene alcuni dei suoi brani più classici, sul fronte del rock
puro FEGATO SPAPPOLATO, SBAGLI RAVVICINATI DEL TERZO TIPO e ALBACHIARA.
- Inizia un’epopea nuova: da voce a una moltitudine di giovani, anche di provincia e da voce
ai loro sbagli, alla loro perdizione, alle loro notti spericolate e ai loro desideri immediati ed
effimeri, senza prospettive e senza certezze. È un’epopea che viene raccontata in presa
diretta. Vasco è un giovane emiliano, fa parte di quei giovani e racconta le loro vite, lo fa
senza giri di parole, di modo che i giovani di allora e degli anni posteriori, nelle storie che
Vasco racconta, si riconoscono.
- Il segreto è l’autenticità: egli è sincero, autentico, e la gente lo percepisce. Non c’è nulla di
più distante del linguaggio artefatto. Sincerità e autenticità garantite dalla lingua: lingua
semplice, che si parla davvero e che, associata alla melodia, utilizzata per raccontare storie
particolari, va dritta al cuore dei giovani. Manifesta anche tutte le sue contraddizioni, i vizi,
le debolezze, che sono di tanti. Prima volta che vengono raccontate sotto forma di
canzone. E le canzoni nascono da fatti, situazioni e sentimenti reali, le sue canzoni sono
raccontate nella loro genesi e sono riconducibili spesso, con certezza, a episodi della sua
vita, così è per ALBACHIARA, che racconta di una ragazza, vicina di casa, che nella sua
stanzetta fa quello che le va di fare, e che Vasco ha il coraggio di raccontare, con bravura e
con una lingua semplice, ma che emoziona, così per SIAMO SOLO NOI, così per tutte le
canzoni dei primi dischi. Spesso la sua lingua è dura, rock, appunto perché è una rockstar.
MI PIACI PERCHÈ dice “mi piaci perché sei porca, perché sei falsa, perché sei bastarda”.
Talvolta è addirittura scandalosa “ho perso un’altra occasione buona stasera/è andata a
casa con un negro, la troia”.
- Il mito esplode nel 1981 con SIAMO SOLO NOI, che presenta “ieri ho sgozzato mio figlio,
credevo fosse un coniglio”, parole davvero dure. C’è chi si scandalizza. È un disco, un
brano, ma molto di più. È un inno che usa un nome, è una canzone fatta per rappresentare
una tribù, è la canzone del secolo. È il periodo della Milano da bere, dello yuppismo, dei
paninari e in questo quadro Vasco diventa l’eroe dei perdenti, dei disperati, degli ultimi e
dei marginali, “di quelli che vanno la mattina presto a letto e si svegliano col mal di testa”. È
una sorta di rivendicazione della marginalità, è il primo manifesto contro i benpensanti,
contro il moralismo che, qui, si rivolge verso il mondo giovanile. È un grido collettivo, dando
la possibilità a tutti quelli che si riconoscono di cantare, dando a una generazione la
possibilità di riconoscersi in quel NOI. Si passa dal “siamo noi” della generazione passata,
rivolta alla politica, al “siamo solo noi”, proprio di una generazione persa, che in quel SOLO
va rilevato un forte distacco rispetto a quello che c’era stato prima. I giovani sono soli, non
credono più a niente e nessuno e questo Vasco lo dice chiaramente. La ribellione è un
senso di rifiuto. Questa canzone ha una genesi curiosa: ha raccontato di essersi limitato i
rimproveri di sua mamma in un testo, sostituendo il noi al tu. Una variante è NON È TEMPO
PER NOI, di Ligabue, anche qui c’è la distanza, frattura, tra il noi e gli altri.

Una musica ribelle


Qualche anno prima è stato il manifesto rappresentato da una canzone di un autore. Eugenio
Finardi è stato nella prima fase molto legato al rock, alla musica e ai temi del rock. Finardi, nel
1976, scrive MUSICA RIBELLE che potrebbe essere un bel titolo per descrivere le canzoni del rock.
È un manifesto programmatico, perché auspica l’avvento di una nuova era musicale, contrapposta
a quella tradizionale e a quella della canzone d’autore. È un manifesto perché prende le distanze
dal vecchio “E le strofe languide di tutti quei cantanti/Con le facce da bambini e con i loro cuori
infranti” per proporre la novità, cioè “È la musica, la musica ribelle/Che ti vibra nelle ossa/Che ti
entra nella pelle/Che ti dice di uscire/Che ti urla di cambiare/Di mollare le menate/E di metterti a
lottare”, è un messaggio che in Vasco non troviamo, anzi, il contrario, ma si tratta di un brano che
apre la scena del rock italiano.

La koinè rock
I testi presentano un’ideologia del genere, un’ideologia caotica, articolata in mille rivoli, tra loro in
contraddizione. Questi testi la rielaborano e la presentano attraverso una serie di elementi che
ricorrono con una certa frequenza. Il rock è fatto di parole che ritornano spesso nei testi, che si
ripetono, sono parole proprie di quella ideologia. Da quella iteratività lessicale e tematica nasce
una tradizione vera e propria, che ha connotati evidenti anche sul piano della lingua, ecco perché
si parla di koinè, grecismo che intende una lingua comune o una varietà di lingua comune, che si
diffonde in un dato territorio, contrapponendosi alle parlate territoriali, è una lingua sovralocale.
Nel rock esiste una koinè, che si basa su un certo numero di tratti distintivi, che si combinano tra
loro e, perciò, contribuiscono alla formazione di una tradizione abbastanza riconoscibile.
La tradizione rock italiana
Si fonda su alcune correnti principali, dal punto di vista degli esponenti:
- Almeno fino a un certo punto, corrisponde la visione realistica, verosimile del fenomeno
del rock: esistono i classici, una corrente classicista, rappresentata da Vasco, Ligabue, ma
anche i Litfiba e Gianna Nannini. Sono classici, perché producono i loro dischi nella fase
della costituzione di quella tradizione, tra la fine degli anni 70 e la metà degli anni 90.
Pur condividendo gli aspetti principali di quella koinè, altri filoni ne enfatizzano una particolare
componente.
- Il rock politico in cui è forte il componente ideologico, con massiccio utilizzo del linguaggio
politico. Rientrano i Gang e i CCCP.
- Il rock demenziale, ricerca di effetti comici, ironici e dissacranti. È una corrente del rock.
Primo gruppo di area emiliana è il gruppo degli Skiantos o ancora Elio e le storie tese.
- Il rock di ricerca che, qui in Italia, sulla base del modello britannico, è definito il prog. I PFM
e gli Area di Demetrio Stratos sono stati gli esponenti principali.
Poi ci sono alcune tendenze successive:
- Il nuovo rock italiano, che si caratterizza per toni più cupi e atmosfera rarefatta.
- Più recente il rock sentimentale, melodico o pop rock, che in Italia si sviluppa su modelli
internazionali come Elton John, Coldplay, Robbie Williams. È il rock di Nek.

La VITA SPERICOLATA di Vasco Rossi


 Presenta una struttura regolare fondata su minime variazioni rispetto a uno schema fisso,
dato da:
 Verso-puntello, che agisce come cardine, e qui è “voglio una vita”, che si ripete per tutta la
canzone, a eccezione della fase del ritornello, basato sull’anafora.
 Tre aggettivi isosillabici: tutti con lo stesso numero di sillabe, cioè maleducata, spericolata,
esagerata.
 L’anafora può essere seguita da altro, come da alcuni sintagmi appositivi, introdotti dal che,
o subordinate generiche “che non dormono mai” e così via.
 C’è il ritornello che è ripetuto sempre uguale, formato da due coppie omologhe diverse “e
poi ci troveremo” con “o forse non c’incontreremo” seguiti da “a bere del whisky…” e “a
rincorrere i suoi guai”. E ripetizione di “ognuno”. Richiamo del noi nel “ci troveremo” e il
contrasto forte con la seconda parte del ritornello, basata sull’anafora aperta da “ognuno”,
significativa perché ha la funzione di scindere e dividere in tanti destini individuali quel noi.
 Le rime: sono per lo più baciate, con una netta prevalenza per le tronche o mediante
ricorso alla rima identica, c’è un “mai/mai” o alla zeppa come “sì”, che serve per far
quadrare il conto dei versi.
 Gli anglicismi, che non sono sempre casuali, perché tutti riconducibili alla canzone del rock,
come star, Roxy bar, whisky. Seppur acclimatati, perché tutti termini inglesi che, già a
quell’epoca, erano parte del nostro vocabolario, svolgono il ruolo di parole atmosfera,
perché evocano i valori tradizionali della canzone del rock, si pensi a Alabama Song.
 Le parole chiave del brano, oltre agli aggettivi come spericolata, anche il viaggio, perso,
entrambi termini che rimandano all’ambito semantico dello sbaglio e della droga, in
particolare viaggio, che è anche calco semantico, in quanto trip in inglese è un viaggio
prodotto dall’assunzione di sostanze stupefacenti.

Vasco entra a far parte di una istituzione della vita italiana. Zanichelli fornisce una definizione di
autore, dicendo che Vasco scrive la voce spericolato sul vocabolario Zanichelli.
Non è stato l’unico, ci sono altre personalità come Giorgio Armani, Carlo Verdone o Valentino
Rossi che hanno contribuito a quell’edizione particolare.

Aggredire e trasgredire: le scelte linguistiche


Aggressività ritmica, che costringe il testo in versi brevi, e per questo è una ritmica che si sposa con
una lingua mono o bisillabica, come l’inglese, meno con l’italiano. E ci potremmo chiedere:
l’italiano può essere una lingua cantata nel rock? I problemi son i soliti: sintassi tendenzialmente
pesante per la struttura della canzone, è un coefficiente di difficoltà maggiore, che è proprio di
altre lingue. Ma possiamo anche rispondere portando esempi interessanti, costituiti da traduzioni
di canzoni rock o cover, tradotte o ricantate sulla stessa base, quindi rifacimenti di brani inglesi.
Lo ha fatto Vasco e l’ha fatto anche Ligabue. Vasco l’ha fatto con GLI SPARI SOPRA del 1993, presa
da CELEBRATE del 1990 di An Emotional Fish.
Vengono riprodotti i suoni, con una traduzione delle strutture fonetiche dall’originale al testo
replica, ma in una dimensione più ampia vengono riprodotte le concatenazioni di suoni sul piano
morfosintattico o ripetizioni di parti di verso come “beauty does best it’s beautiful” in “questo
posto is beautiful”. “this party’s over” è quasi sovrapponibile con “gli spari sopra”. Un altro
esempio è QUI, riproduzione del brano CREEP dei Radiohead.

Repetita iuvant: le figure della ripetizione


Le figure della ripetizione sono un accorgimento utile e quasi necessario per far collimare la frase,
col ritmo della sintassi col ritmo della melodia. Le ripetizioni possono agevolare tale operazione,
tenendo conto che, a differenza della canzone tradizionale, qui il ritmo è davvero serrato e
richiede una sintassi snella. Le soluzioni più ricorrenti sono:
 Anafora “oggi non ho tempo/oggi voglio stare spento”, canzone di Vasco VIVERE.
 Meno frequente è l’epanalessi, cioè ripetizione di una o più parole all’interno della stessa
frase o stesso verso “qui non sei, non sei nessuno” di Vasco NON APPARI MAI
 Anadiplosi: “senza richiare di cadere/ di incontrare sempre/ sempre quel tale/ quel tale che
scrive sul giornale” di Vasco VADO AL MASSIMO.
 Effetto copia e verso puntello: “senza pensare a niente / senza pensare sempre” COME
NELLE FAVOLE di Vasco o anche “E ogni volta che viene giorno /Ogni volta che ritorno
/Ogni volta che cammino e /Mi sembra di averti vicino” della canzone OGNI VOLTA.
 Ripetizioni parziali "Pro pro proibito / pro pro è proibito" (Litfiba, Proibito); "Dai, ridai, ridai,
ridai, / dammi la mia radio" (Vasco, Ti taglio la gola); "Ba ba ba bambolina / ba ba fammi
giocare / ba ba ba ba regalami / un po' di calore" (Ligabue, Bambolina barracuda).

C’è chi dice qua, c’è chi dice là: la rima


La rima rientra nelle ripetizioni. È necessario, quasi sempre presente con alcune caratteristiche: è
preferibile utilizzare monosillabi (vedi utilizzo della zoppa), ma le soluzioni sono poche e
prevedibili (‘c’è chi dice qua, c’è chi dice là di Vasco), oppure la rima morfologica.
Si preferisce la clausola per monosillabi semanticamente deboli e se questa è la condizione, le
soluzioni saranno poche e prevedibili, perché i monosillabi sono pochi, quindi qua, là, oppure altre
soluzioni come le rime morfologiche, ad esempio l’utilizzo dei passati remoti che generano una
rima tronca.
Il rispetto della rima viene esasperato per finalità ludiche nel rock demenziale, si pensi ad Elio.
Utilizzo di combinazioni: “vivere/è passato tanto tempo/vivere/ è un ricordo senza tempo/ vivere /
è un po’ come perder tempo”, combina cioè diverse possibilità.
22/04/2021
Scadenze tesina: una settimana prima dell’appello, anche 5 giorni.
“È TUTTO UN EQUILIBRIO SOPRA LA FOLLIA”: LA LINGUA ROCK
“Per le parole non preoccuparti”: il mito della spontaneità
Le parole devono riflettere sul piano lessicale la spontaneità e che può essere dimostrata
riconoscendo la visione massima al parlato. L’esigenza di conservare un ordine delle parole che sia
simile al parlato è in sintonia con la spontaneità del rock. La preferenza per il grezzo e
l’immediatezza sul raffinato e sull’artificio.
Semplicità, naturalezza e linearità rispetto al modello della lingua parlata. Tutti questi aspetti
vengono riconosciuti dagli stessi artisti e spesso descrivono la loro spontaneità nella canzone.
Due esempi di Vasco Rossi: in UNA CANZONE PER TE “le mie canzoni nascono da sole/vengono
fuori già con le parole” e in BOLLE DI SAPONE canta “per le parole non preoccuparti/è più facile di
quello che pensi/come le bolle di sapone di sapone/se soffi piano vengono da sole”.
È un mito quello della spontaneità.
Ma ci sono esempi anche di Gianna Nannini e Ligabue.

“Lo zoo è qui”: la metafora animale


Il rock ha una lingua dura, per quanto spontanea, semplice e lineare. Una prima dimostrazione sta
nel fatto che si ritrovano nell’ambito della metafora e del lessico figurato dei riferimenti al campo
semantico della natura nei suoi aspetti più selvaggi e primitivi.
È evidente se prestiamo attenzione ai referenti delle metafore, cioè i termini che stabiliscono una
relazione figurata o coi paragoni delle similitudini.
In questi casi, il referente metaforico o il secondo termine della similitudine, troviamo la natura
nelle sue diverse manifestazioni più selvaggi o la metafora animale.
Esempi sono MERAVIGLIOSA CREATURA e IO SENZA TE della Nannini, FIGLIO DI UN CANE di
Ligabue e BLASCO ROSSI di Vasco Rossi, nel quale si riconosce lo stesso Vasco, si diceva che fosse
stato come un rospo, tramutato come un animale strano.

La violenza verbale
La lingua rock è dura anche perché è aggressiva, violenta, non attraverso necessariamente
metafore. L’aggressività si manifesta all’interno di tre aree semantiche principali:
- L’autodistruzione, tipica dei testi del rock e che procede parallelamente secondo modalità
affini a una medesima tematica nella letteratura giovanile di quegli anni. Reale o figurata
che sia. SIAMO SOLO NOI e SONO ANCORA IN COMA di Vasco.
- Violenza fisica: esempi IERI HO SGOZZATO MIO FIGLIO e TI TAGLIO LA GOLA.
- Disgusto e fastidio fisico, provato da situazioni diverse: FEGATO SPAPPOLATO di Vasco
dove racconta quasi come fosse un diario parlato in presa diretta un risveglio dopo una
notte difficile. Il vomito è una parola forte del rock internazionale e Vasco la utilizza in
SIAMO SOLO NOI e la recupera in un brano più recente STUPENDO!

Irreligiosità e blasfemia
Si caratterizza anche per toni, se non blasfemi, irriverenti nei confronti della religiosità e del sacro.
Vengono ricostruite anche certe atmosfere tipiche del rock anglosassone degli anni 60-70. In
alcuni brani dei Litfiba PROIBITO, per esempio, dice “spara al serpente della prima mela/che ruba
la forza a chi comandò/ ed io con la musica mi cambio la pelle/ ma il paradiso è un’astuta bugia/
tutte le vite per primo la mia/ ah, mama mia el diablo”.
La blasfemia la vediamo in PORTATEMI DIO di Vasco e in Ligabue con HAI UN MOMENTO, DIO?
Talvolta assistiamo a formule quasi da parafrasi di brani di preghiere e un esempio è LIBERA NOS A
MALO di Ligabue, che sta ad indicare “liberaci dal male”. Religiosità proiettata in un mondo
terrestre e profano.

Amore e sesso
Nella carica espressiva, talvolta volgare, del rock non può mancare la componente amorosa,
sessuale ed erotica. Il rock è una lingua con una forte carica erotica. Se pensiamo con la percezione
che abbiamo della canzone oggi, quella carica erotica risulta un po’ annacquata. Bisogna mettersi
nei panni di chi ascoltava le canzoni 30-40 anni fa.
Evidente negazione del sentimentalismo tradizionale della canzone, quello a lungo riconosciuto
nella canzone di oggi. È giusto che abbia una sua caratterizzazione sentimentale, lo si vede ancora
a Sanremo. Ma nel rock il sentimentalismo non trova spazio, in particolar modo nel rock delle
origini.
L’amore ha sempre una connotazione fisica, carnale. Anche la parola amore della canzone
tradizionale è sempre intesa come allocutivo, ma nel rock fa riferimento all’atto sessuale.
Nella canzone DIMENTICHIAMOCI QUESTA CITTÀ di Vasco “facciamo l’amore per delle ore”, più
chiaro di così non si può. O ancora, lo stesso Vasco, in un brano più noto REWIND “fammi
vedere/fammi godere”.
Più interessante quando a cantare l’amore è una voce femminile. Gianna Nannini ha cantato molto
spesso l’amore, ma dal punto di vista della donna, con una forte carica erotica in AMERICA, dove
l’America diventa un referente erotico “fammi sognare lei si morde la bocca e si sente l’America”.
Altri brani noti della Nannini sono VOGLIO IL TUO PROFUMO e I MASCHI che riflettono l’oggetto
del desiderio già dal titolo.
Vasco e il rapporto complesso che ha avuto col mondo femminile: esiste un canzoniere rivolto al
femminile. Ci sono dei testi interessanti come IO NON SO PIÙ COSA FARE che da l’interpretazione
di un certo mondo, inteso quello della sessualità, alla fine degli anni 70 e si potrebbe leggere come
se fosse un brano di prosa: “naturalmente lei insiste/mi vuole proprio fare”. C’è originalità, ma
anche autoironia. C’è in ballo la reputazione dell’uomo virile “dovrei essere molto venire/ e
continuare magari per due ore”, Vasco ci sta raccontando l’esatto contrario e noi non siamo lì.
Sullo sfondo c’è del femminismo “magari è femminista”.
BRAVA sempre di Vasco: lei è giovane, è furbetta (così la descrive), lui si innamora di lei subito,
probabilmente perché le dice “prima ancora che lei si accorga di lui”, ma lei decide di commettere
un piccolo peccato, si diverte con un ragazzo, prendendosi gioco di lui. C’è un capovolgimento del
ruolo immaginario e tradizionale. È di nuovo donna, ma in una chiave diversa, e lui subisce più sul
piano sentimentale/psicologico.

Lo sballo e la droga
Anche qui possiamo leggere estratti di canzoni che sono più rappresentativi: Dice mia madre, “devi
andare dal dottore/a farti guardare, a farti visitare/ hai una faccia che fa schifo, guarda come sei
ridotto, /mi sa tanto che finisci male”, /la guardo negli occhi con un sorriso strano, /neppure la
vedo, ma forse ha ragione davvero/ sempre di FEGATO SPAPPOLATO
Rock e attualità: le nuove fonti
I testi sono fedeli testimoni di un rapporto complesso e contradditorio sempre con la realtà, anche
quella più cruda. Entrano tra le fonti di riferimento dei modelli che non sono quelli tradizionali
soltanto, ma arrivano anche dal cinema, dal fumetto e dalla letteratura per l’infanzia.
L’immaginario del rock dal quale vengono pescati i riferimenti affondano le radici in nuove forme
di cultura diverse. Il primo modello è il rock stesso, che alimenta il riferimento culturale.
I miti del cinema come Steve McQueen e Marlon Brando, o ancora Dustin Hoffman e John Holmes.
Nel fumetto e la letteratura per l’infanzia ricordiamo Tex e Peter Pan.

L’invadenza dei media


I media più famosi venivano citati in quanto conosciuti da tutti e che oggi si potrebbe riscrivere la
stessa canzone citando altri media.

Produci, consuma, crepa: la pubblicità


In piena fase rock ci troviamo nel regno della pubblicità.
La pubblicità come riferimento culturale attraverso fenomeni di mimesi o riuso caricaturale, come
in Ligabue NON È TEMPO PER NOI dice “soddisfatti o no/ qui non rimborsano mai”.
Poi ci sono capolavori. Il primo a scrivere una canzone sulla pubblicità non è stato una rockstar, ma
Lucio Battisti con CANTO BRASILEIRO del 1972. La voce narrante è di un uomo che non sopporta
più vedere comparire la moglie in campagne pubblicitarie trash o disoneste. Ci sono le BOLLICINE
di Vasco del 1983 in riferimento alla Coca Cola, è una canzone che cita esplicitamente il marchio. È
una novità, al punto che oggi nessuno si scandalizzerebbe. La marca voleva fare causa a Vasco, per
l’utilizzo fatto nella canzone. Il brano KINOTTO degli Skiantos.

“Non c’è gusto in Italia ad essere intelligenti”: il rock demenziale


Sottogenere del rock è quello demenziale che nasce con gli Skiantos a Bologna negli anni 70 e si
caratterizza come sottogenere più aperto alla presenza giovanile del linguaggio degli anni 70 in
stile bolognese. Il LG è una continua fonte, come essere in para, kakkole (hashish), sbarba,
sbarbina, rullare di cartoni, peso (opprimente), marcare (fare la corte).
Esibisce un costante ricorso al turpiloquio, cioè al lessico volgare, duro, ingiustificato, in quanto c’è
solo il gusto per l’elemento volgare fine a sé stesso. CARA TI AMO di Elio è una prima attestazione
di certi termini e vale per quasi tutti i testi di Elio, come anche SPALMAN. Questa trasgressione
viene rivolta nei confronti del politicamente corretto, del galateo, dell’interdizione e del tabù: nella
canzone GOMITO A GOMITO CON L’ABORTO Elio dice 35/36 volte la parola aborto, anche se in
contesti diversi.
I giochi di parole come componente fondamentale del rock iniziale: JOHN HOLMES di Elio gioca
sull’utilizzo della parola pene/pane o moto/muto.
Tendenza abbastanza frequente, cioè prendersi gioco del sapere tradizionale dei proverbi e dei
modi di dire, come in CARRO, sempre di Elio, nella quale è in sequenza l’utilizzo dei modi di dire
snaturati, rivalutati.

Il “nuovo” rock italiano


Si sviluppa intorno ai primi anni 90 attraverso esperienze diverse, di gruppi di alto livello, sul fronte
musicale, come i CSI, Marlene Kuntz, Afterhours e Subsonica.
Sono gruppi che propongono un rinnovamento dello stile tradizionale del rock, rinnovano quella
koinè che è stata definita un tratto caratterizzante molto forte dei classici del rock.
CSI, Marlene Kuntz, Afterhours e Subsonica, ma molti altri presentano novità sul fronte stilistico e
sul fronte lessicale.
La linearità e l’immediatezza non c’è più, viene sostituita da atmosfere astratte, rarefatte e
tendenti allo scuro. CSI con FINISTÈRE “Annus Horribilis in decade malefica/ Decade malefica in
stolto secolo/ Secolo /Secolo osceno e pavido/ Grondante sangue e vacuo di promesse”
Parole difficili da cantare e inserire in un contesto familiare e acquisisce una dimensione
importante il linguaggio scientifico e la demitizzazione del sesso, come in MI AMI? Dei CCCP.
“POTERE ALLA PAROLA”: LA LINGUA DEL RAP “OLD SCHOOL” (1990-2000)
Un po’ di storia
È un genere che arriva da lontano, un discorso rimato e cantato, senza melodie, seguendo un certo
ritmo prodotto alla consolle dal dj. Nasce nel Bronx, a New York, alla fine degli Anni Settanta,
caratterizzato dal parlare. Non è un semplice genere musicale, insieme a alcune tecniche, anzi,
stili di ballo, come hip-hop e break-dance o ancora il graffitismo, nasce come prodotto per la
controcultura cittadina e periferica. Dal punto di vista musicale, nasce come musica povera, visto
che è basata sul riuso di brani di qualsiasi tipo, che vengono presi in prestito dai generi più svariati,
attraverso la campionatura e scelta di campioni di brani, che vengono riutilizzati attraverso la
tecnica dello skretching, in cui il disco di 33 giri viene mosso avanti e indietro sul mixer.
Improvvisazione parlata, però il parlare al ritmo della base. Devono rispettare un modulo, che è
quello della base ritmica, però è uno schema che consente grande libertà rispetto a tutti gli altri
generi della canzone tradizionale, perché è basato su una struttura aperta.
Il rapper porta in strada e poi sul palco le storie della strada, delle aree marginali delle grandi città.
Nasce al di fuori del contesto commerciale e tradizionale, non sfrutta le case discografiche, ecco
perché non abbiamo brani registrati intorno alla fine degli anni 70.
Fino al 1980 non abbiamo registrazioni di brani. Dal 1980, con la “old school” americana, il rap si
diffonde prima negli Stati Uniti e poi al di fuori. Si differenzia anche al suo interno, il rap è un
genere caratterizzato da una significativa varietà interna, che da vita a correnti differenziate.
Esistono scuole di rap diverse nelle stesse città. Dopo i primi anni si genera, sempre a New York, la
“new school”, con l’incisione dei primi dischi.
Apre al periodo della golden age, che inizia tra la metà degli anni 80 e raggiunge completa
maturazione all’inizio degli anni 90 e che contempla al suo interno artisti.
Il rap si commercializza, viene assimilato sul piano della distribuzione commerciale e si diffonde in
tutto il mondo.
In Italia:
- la cultura hip-hop arriva negli anni 80, attraverso alcune trasmissioni televisive e prodotti
cinematografici, come WILD STYLE del 1981, che è il film di riferimento per cultura hip-hop
di New York. Jovanotti conosce a Roma il genere rap e nel 1987, quando pubblica
JOVANOTTI FOR PRESIDENT in inglese maccheronico. È stato il primo, ma senza mai
avvicinarsi del tutto.
- Negli anni 90, troviamo gruppi attivi in realtà antagoniste. Con Sangue Misto e Articolo 31
che si sviluppa una prima tradizione del rap italiano, definita anche qui golden age. Va
rilevato che ci sono delle scuole, il rap è legato a singole culture italiane. I Sangue Misto
sono bolognesi, gli Articolo 31 sono legati al contesto settentrionale, ma in questa
particolare dimensione, acquisisce uno spazio significativo il sud Italia, con gruppi rap di
primissimo piano come Sud Sound System o gruppi napoletani. Nel 1996 il disco COSÌ
COM’È vende 600 mila copie.
- Cambia tutto con gli anni 2000: tra i principali esponenti Neffa stesso che abbandona il rap
e si apre un periodo di stanca in Italia. Entra in scena Caparezza, che raggiunge un successo
inatteso e si genera una nuova scuola di artisti, come Club Dogo, Fabri Fibra, Marracash,
sono i nomi degli anni 2000. Dal 2010, secondo gli studiosi, dopo il successo di TRANNE TE,
il rap si allontana dalla tradizione delle origini.
- Gli ultimi anni sono caratterizzati dall’avvento della trap.

La cultura rap in Italia: la old school


La centralità del messaggio trasmesso attraverso la musica veicola messaggi difficili, è il manifesto
del disagio giovanile, il rap raccoglie il testimone e dall’altra parte continua il modello americano.
Così, nelle periferie italiane, il rapper sente l’esigenza di raccontare storie di vita quotidiana e di
esprimere la rabbia che si genera in culture degradate.
Grande diffusione hanno i centri sociali alla fine degli anni 80 fino al decennio successivo e si
presentano come luoghi di aggregazione nelle periferie. Hanno dato vita a band che poi hanno
avuto un certo rilievo. I rapper si muovono in quell’area della sinistra extra parlamentare, radicale
e si caratterizzano per l’impegno rivolto contro fascismo, razzismo. Nasce il TIFA e si caratterizza
per la vicinanza a movimenti politici libertari. Sono significativi i nomi di alcune di quelle
formazioni, a partire dai Sangue Misto, Articolo 31, rifacendosi all’articolo della costituzione che
difende la libertà di espressione).
La musica rap è un mezzo di trasmissione potente, che è capace di dare un senso di forma
collettiva, disagio giovanile, alienazione. Il rap si propone come strumento che combatte
l’isolamento, attraverso l’aggregazione, quindi spazi in cui si assiste alla performance hip-hop e
attraverso la cultura promossa da esso, contro l’isolamento.

La lingua rap: aspetti generali


È il genere più originale negli ultimi 30 anni.

Una filosofia di vita ritmata


Una lingua senza impliciti

23/04/2021
Il ritmo
Rifiuto programmatico per la melodia e per la cantabilità, ma non significa rifiuto delle altre
componenti tradizionali del canto, a partire dalla rima. La rima c’è. Qui risponde a esigenze diverse
rispetto a quelle della canzone tradizionale. Una ragione è sicuramente stilistica: nella rima si viene
compensata la carica del testo, anche più aggressiva. Il messaggio compare al termine di una
sequenza, all’interno di una struttura con rima baciata. Quindi rima come elemento che consente
di compensare la carica espressiva del messaggio del testo o di un messaggio particolarmente
significativo. Poi c’è una ragione testuale: implica maggiore rapporto con il ritmo, la struttura
ritmica della base e della lingua. Il brano rap è un testo che per l’orecchio non va mai a capo.
La rima stabilisce i legami tra le varie parti del testo, che altrimenti risulterebbe sconnesso o
difficile da seguire. La rima da ritmo, ma anche coesione sintattica e testuale. Per tale ragione, la
rima, nei brani rap, è totale, cioè è a tutto presto.
Le parole sommano al loro interno più valori metrici, stabiliscono più relazioni di natura fonica con
parole vicine, che precedono quelle che seguono, generando un effetto di forte coesione testuale.
Altri ricorsi, non legati alla rima, ma a determinare il rapporto tra parlato e recitato, sono
rappresentati da:
- Filastrocche e scioglilingua con giochi di parole.
- La reticenza, tipica del genere, cioè figura retorica legata al tabù linguistico, all’interdizione,
che consiste nella sospensione di un discorso, prima di una parola o un’espressione che
risulterebbe volgare e sconveniente. Anche se non viene detta, è facilmente intuibile. Ad
esempio “non era mica male questa pu-pulzella: era una bella con un cu-curioso taglio di
capelli e delle te-te-te-te tenere espressioni”. Può assumere la forma di una mancata rima.
Quella parola verrebbe suggerita dopo.
- L’anafora svolge una funzione di coesione testuale come la rima, in quanto figura della
ripetizione, in posizione diversa, ma generando l’identità di suoni, lega la coesione agli
elementi. È estendibile a tutte le figure della ripetizione, che sono presenti nel rap con una
percentuale maggiore rispetto agli altri generi. L’accumulo è una figura retorica di
elencazione che viene impiegata per amplificare una parte di testo o un messaggio
attraverso le numerazioni di elementi diversi che possono essere legati da fattori semantici
e melodici. GENTE DELLA NOTTE di Jovanotti è un brano rap “baristi, spacciatori, puttane e
giornalai/ poliziotti, travestiti gente in cerca di guai” ecc.
- Le sequenze con legame “logico”, cioè sequenze di parole legate tra loro dallo stesso
legame logico, ad esempio CIELO dei Casino Royale presenta sintagmi che si ripetono e
sono formati dalla sequenza sostantivo + aggettivo. Il sostantivo è sempre piano, è sempre
un trisillabo, mentre l’aggettivo è sempre sdrucciolo e trisillabo.

Potere alla parola


Il periodo tipo del brano rap si fonda sulla giustapposizione, sulla coordinazione spinta, radicale. È
il caso di POTERE ALLA PAROLA, la sintassi potrebbe sembrare semplice, è un periodo molto
ampio, abbiamo tre/quattro blocchi in tutto in testo. 3 grandi periodi. Tutti dominati dalla
coordinazione di un relativo e il risultato è un testo che, malgrado la scarsezza di subordinazione,
si rileva tutt’altro che semplice. È un insieme di periodi complessi, seppure basati sulla
coordinazione.

Un linguaggio ad alto voltaggio: le parole del rap


I rapper della scena italiana della golden age sembrano condividere, oltre a una serie di stilemi
ritmici, anche vocabolari. Un vocabolario che si presenta come ben riconoscibile, una canzone rap
è facilmente riconoscibile per la sintassi, ma anche per il suo vocabolario, in particolar modo.
È un vocabolario corale, perché tutti i rapper della scena lo condividono.
Un substrato generale nel quale ogni rap si muove, si pensa e si canta coralmente.
Le componenti principali del vocabolario:
- Tecnicismi e modismi della cultura hip-hop: casa, casa discografica, tribù, ritmo, stile,
vinile, ecc. Tecnicismo e idioletto, una varietà specifica al punto di essere personale e
condivisa in un gruppo. Spesso sono rappresentati da parole straniere
- Tecnicismi e anglicismi: screcciare, rappare, blastare (la gabbia), pompare, ecc.
- Anglicismi con alterazione grafica: inna, brotha, sistaz, ecc.
- Inglese e dialetto: non sono limitati a singole parole, ma diventano dei sintagmi, delle frasi
o intere quartine, generando situazioni di code mixing e code switching con italiano o con il
dialetto.
- Il gergo e il droghese sono componenti diffuse, non sono esclusive del rap, ma anche del
rock, appunto perché il rap continua in certi aspetti l’esperienza che era propria del rock.
Ad esempio porra, giansugoso, trombarduolo (spinello), mista, dopa, cilum, fattanza, ecc.
- Il linguaggio giovanile.
- Il turpiloquio e elementi gergali può essere assimilato alle funzioni dello slang del rap
americano.
- Formule e slogan di provenienza massmediatica.
“SWISHO UN BLUNT A SWISHLAND”: LA LINGUA DELLA TRAP
Premesse
Non si può dimenticare che ogni aspetto valutato è strettamente legato al contesto
sociolinguistico in cui si colloca. La trap è arrivata in Italia dopo che quella americana era diventata
un genere mainstream, nel 2014/2015, anni in cui si colloca il primo successo, con Sfera Ebbasta e
Ghali e con la Dark Polo Gang a Roma. Il modello è quello americano. Nel giro di pochissimo
tempo, da quei pochi esponenti, destinati a scomparire dopo una stagione, oggi sono tantissimi gli
artisti noti, come Capoplaza, Marracash, ecc.
Occorrerebbe delimitare questo sottogenere, con paletti tecnici musicali: le basi sono diverse
rispetto a quelle del rap, così come le melodie, che però nascono da una corrente interna rap. C’è
il ricorso all’autotune che segna, almeno all’inizio, un marchio evidente, la produzione dei primi.
Oggi si è consolidato come strumento necessario, utilizzato da quasi tutti. Ma resta il fatto che si
tratta di un genere che nasce dal rap.
C’è anche un fattore generazionale che riavvicina la trap all’ultimo rap. Tha Supreme e Madame
scrivono i loro primi pezzi a 17 anni. È un aspetto correlato con la platea dei produttori del genere,
composti da ragazzi, anche più giovani, minorenni.
C’è un altro fattore: la dimensione digitale, il legame con il mondo online e social è strettissimo,
perché la trap è il primo genere prodotto e ascoltato da una generazione di nativi digitali. È
evidente su più livello, molti di loro hanno avuto un successo iniziale grazie ai social, i primissimi
con MySpace e poi con Instagram o adesso anche con TikTok, senza alcuna mediazione di major o
case discografiche. Non solo sono diventati famosi attraverso i social, ma si sono autoprodotti
attraverso i social e hanno conosciuto i loro produttori attraverso i social.
Nella fase di transizione dal supporto materiale dei cd al supporto digitale, l’mp3 prima e ora lo
streaming, c’è stata una fase in cui si è perso il supporto testuale, perché mancava l’elemento
materiale che potesse trasmetterlo, appunto libretto o inserto, è la dimensione liquida. Dopo
questa fase durata qualche anno, c’è stata una sorta di riconquista del testo, della dimensione
testuale, attraverso i social, il web e la creazione di alcuni siti dedicati al recupero dei testi e alla
loro interpretazione. Uno dei primi è Genious, che inizialmente nasce nel 2008 negli Stati Uniti
come Rap Genious, database dedicato solo all’hip hop, ma ora aperto a tutto. Questo sito è una
community aperta di giovani che divulgano testi, che discutono sui testi, perché esistono vari form
di discussione e di annotazione, con una sorta di classifica che riporta i testi al centro
dell’attenzione, in particolare quelli del rap. È un fenomeno in forte crescita, del quale sono a
conoscenza gli stessi artisti, che li sfruttano, per dare loro stessi a volte il testo.
Delle voci femminili non c’è di mezzo soltanto la presenza di voce di una giovane donna, ma ci
sono componenti testuali e linguistiche importanti, che vanno trattate con attenzione.

I temi
Sulla scia del rap sono anche i temi della trap. La novità non sta nelle tematiche, quanto nel modo
di esprimerle. È una lingua eccessivamente volgare quella della trap. Alcuni sono:
- Successo, affermazione, autocelebrazione.
- Violenza e la gang: è la prima grande tematica che si riscontra. Secondo alcuni è una forma
di violenza “normale”, in quanto è normale nel genere ampio. È una violenza correlata alla
banda del protagonista della canzone, non è violenza raccontata come fatto di cronaca.
L’idea della gang è associata a quella della famiglia, a amici stretti legati da vincoli profondi,
che si comportano come fratelli.
- La droga è un’altra componente fondamentale: assunzione di stupefacenti e spaccio. Qui ci
sono nuove droghe con nuove parole. “prendo sempre tre gusti, fumo un cono gelato”,
Young Signorino dedica intere canzoni e Sfera Ebbasta è quello che ha fatto più notizie con
lo sciroppo a base di codeina. Viene citato anche lo spaccio. I trapper sono stati spesso
oggetto di bersaglio della critica per aver riportato alla ribalta il concetto della droga,
l’associazione tra musica e droga è evidente. La questione è diventata nota in un concerto
di Sfera Ebbasta nel 2019 che era troppo pieno di giovani.
- Ossessione per lusso e moda: ostentare come effetto del successo, di esserci arrivati.
Gioielli, oro, auto costose, i videoclip pieni di questa roba, perché i gioielli sono anche i
protagonisti dei testi. “sto pensando solo ai soldi, giuro sono malato” ne CONO GELATO
della Dark Polo Gang. Nella maggior parte dei brani analizzati, sia della prima produzione
della trap, ma anche prodotti più recenti, le grandi firme ricorrono con frequenza, in
particolare Gucci, ma anche Armani, Bulgari.
- Poi c’è il sesso, altro chiodo fisso, soprattutto le donne, o meglio, le tipe. Le ragazze sono
chiamate in diversi modi, fanno di tutto per avere una relazione con loro. Nei racconti
“scelgo una tipa, nessuna dice di no” in RICCHI PER SEMPRE di Sfera. È un atteggiamento
maschilista, per i modi con cui ci si riferisce alle donne. Sono modi ricorrenti: puttana,
troia, bitch, in espressioni di oggetto sessuale da collezionare. Fanno quasi a gara per chi ne
parla peggio.

La lingua della trap: costanti testuali


È una lingua che non si discosta moltissimo da quella del rap. Presenta alcune caratteristiche che
sono un ulteriore marchio di fabbrica.
- L’introduzione nella quale vengono presentati gli artisti, o anche in chiusura. Gli ad-libs
sono i suoni, a metà o fine verso, come SKRU, sono onomatopee.
- Citazionismo e autocitazionismo, elemento ricorrente nei testi della trap, citazioni da altri
brani di genere affine o altri genere, dello stesso artista, soprattutto per autocelebrazione,
come effetto di collaborazione di artisti diversi. Sono inserite nell’ambito del dissing e può
avere sviluppi in più portate. Ma possono essere citazioni dalla letteratura, dal cinema,
dallo spettacolo, dal mondo dei social.
- Tony Effe dice che la sua lingua è piena di abbreviazioni, per l’assenza di alcuni elementi a
livello sintattico. Secondo alcuni, questa tendenza deriverebbe dall’eccessiva esposizione
alla scrittura dei social, ma dove non troviamo quel tipo di struttura ellittica.
Giustapposizione ed ellissi di parole o di singoli sintagmi o di frasi “facce scombinate rubik”
o “io sono fuori Brexit”, qui è sempre coincidente con una similitudine, ma manca il legame
che genera una similitudine, il come, sembra. È una scrittura incompleta, ma non è quella
dei social.
- La deissi: è una forma ellittica, “ne accendo una per chi non c’è più”. Tutti elementi non
espliciti, ma ricavabili da elementi deittici.
- Dissing e collaborazioni.
- “capisci se swingo le parole?”:

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