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Indice

Introduzione 3

CAPITOLO PRIMO 5
Riferimenti generali per le teorie sul ricevente 5

CAPITOLO SECONDO 15
Hans Robert Jauss. La teoria della ricezione come base di una nuova Storia della Letteratura 15

CAPITOLO TERZO 22
Umberto Eco. Dall' Opera aperta al Lector in fabula 22

CAPITOLO QUARTO 29
"Le città invisibili" di Calvino in una lettura semiotica 29

Conclusioni 40
Ringraziamenti 43
Riferimenti bibliografici 45

1
Introduzione

Questo lavoro ha due soggetti: le così dette teorie della ricezione elaborate in modo
sistematico a partire dagli anni Sessanta - in particolar modo si parlerà di una parte del
pensiero Umberto Eco e di Hans Robert Jauss - e un romanzo di Italo Calvino, Le città
invisibili (1972).
Le teorie della recezione sono oggetto di interesse di varie discipline (se ne
occupano tra le altre, sia la critica letteraria che le letterature comparate) ma, da una
prospettiva semiotica, l'interesse maggiore è rivolto alla figura del Lettore. Questi non
è più visto come un semplice consumatore di prodotti letterari finiti, ma è considerato
parte stessa del processo letterario; egli infatti è visto come un elemento
fondamentale, senza il quale un'opera non può considerarsi tale, poiché è solo la
ricezione che egli ne fa a darle vita. Nel momento in cui l'opera viene letta, genera nel
suo destinatario un processo di interpretazione, il quale ridimensiona la stessa figura
dell'autore stesso.
Dalla convinzione della validità di tali considerazioni, è stata qui condotta
un'analisi avente per oggetto uno dei romanzi più complessi e ricchi di possibili
interpretazioni della letteratura del nostro Paese, e forse anche della letteratura
contemporanea, cercando di mostrare l'importanza della ricezione non tanto dal punto
di vista del critico letterario, e quindi dall’esterno dell’Opera, ma da quello del
processo generativo dell’Opera stessa.
Nel primo Capitolo, si è tentato di creare un quadro generale per tali teorie: dal
contesto storico - ideologico nel quale si sono diffuse, alle basi teorico - filosofiche a
partire da cui si sono generate.
Nel secondo Capitolo, il contributo di Hans Robert Jauss, fondatore della
cosiddetta “Scuola di Costanza”, è stato maggiormente approfondito al fine di mettere
in risalto un aspetto centrale della sua opera, ovvero la volontà di riscrivere la storia
della letteratura, facendo di questa una storia delle ricezioni.
Nel terzo Capitolo, vengono introdotti alcuni dei contributi di Umberto Eco, al
fine di introdurre alcuni concetti chiave, come Opera Aperta e Lettore Modello, che
torneranno a essere fondamentali anche nel quarto Capitolo, dedicato ad
un'interpretazione de Le città invisibili da una prospettiva semiotica che tiene conto
2
dell’apporto recato dal processo interpretativo e, a partire da certi indizi disseminati
all’interno del testo stesso lo ritiene fondamentale, poiché dà significato al testo,
destinato, senza l'intervento del Lettore, e del senso da lui generato a partire dal
risalto conferito a quegli indizi, a restare un enigmatico groviglio.

3
Capitolo I
Riferimenti generali per le teorie sul ricevente

Il primo passo, prima di parlare propriamente di teorie della ricezione, è quello di


inquadrare tale scuola di pensiero all'interno della semiotica e, in particolare, a mio
avviso, di chiarire il motivo per cui tale disciplina si occupi anche di affrontare questioni
inerenti alla scrittura e al testo.
Semplificando al massimo, possiamo definire la semiotica come lo studio dei
segni (dal greco semeîon, “segno” e semiotikós, “relativo ai segni”)1 e del modo in cui
questi sviluppano un senso per noi.
Esistono vari tipi di segni, che riducendo all'essenziale sono: gli indici che sono
segni non intenzionali, basati su un rapporto di causa – effetto: come ad esempio
l'orma di un piede sulla sabbia; esistono, poi,i segni in senso stretto che, basati sulla
convenzione, sono prodotti intenzionalmente (siano essi essere umani o animali). Tali
segni vengono recepiti correttamente dal destinatario poiché sono inseriti all'interno
di un codice che questi condivide con l'emittente del messaggio, e che può essere
definito come un insieme di regole che permettono la combinazione - e la
comprensione - dei segni. I sistemi linguistici, così come i sistemi di scrittura, sono
segni prodotti intenzionalmente dall'essere umano2 e al pari di quelli non intenzionali,
rientrano tra gli oggetti di studio della semiotica.
D'altronde, il campo d'interesse di tale disciplina è molto ampio, e comprende
al suo interno anche altri elementi che spesso esulano da ciò che comunemente
intendiamo per ‘segno’. Studiosi di semiotica come ad esempio Charles Morris
definiscono come ‘segno’ una qualsiasi entità, a patto che vi sia un processo
interpretativo. Esso non è quindi da intendersi come un'entità particolare, ma come
qualunque cosa porti con sé un senso3. In quest'ottica non è dunque facilmente
definibile a priori l'oggetto di studio della semiotica.

1
S.Gensini, Manuale di semiotica, Roma, Carrocci Editore, 2004, p. 17.
2
G. Berruto - M. Cerruti, La linguistica. Un corso introduttivo, Torino, UTET, 2011 pp. 5-7.
3
C.Morris, Lineamenti di una teoria dei segni, Lecce, Editore Pensa Multimedia, 2009, p. 85.
4
Su di una posizione simile, Umberto Eco intende tutta la cultura, quindi tutta la
produzione umana, come segno se questa porta con sé significazione. Eco, a tal
proposito, sostiene che si verifica significazione ogni qual volta qualcosa sia fatto
oggetto di un processo interpretativo. L'attenzione ricade, da questa prospettiva, su
qualsiasi espressione umana capace di generare senso, come, ad esempio
l'organizzazione degli spazi e le arti4.
Seguendo ancora Eco, e tentando di chiarire ulteriormente quello che è
possibile definire come l'oggetto della semiotica, possiamo specificare:

Esiste una semiotica generale che non può e non intende investigare i meccanismi di
funzionamento di specifici processi di semiosi e che si preoccupa di porre filosofico
alcune categorie fondamentali, quali quella di semiosi, di segno, di rapporto di
significazione, d’inferenza interpretativa e così via. Questa semiotica generale ha per
scopo di mostrare la fondamentale unità di esperienze per altri versi assai diverse, per
quanto generalissimo sia il suo punto di vista, e lontano l'obiettivo con cui mette a
fuoco i dati molteplici delle nostre varie esperienze. Questa semiotica generale è una
branca della filosofia, o meglio è la filosofia intera in quanto impegnata a riflettere sul
problema della semiosi. Rispetto alla semiotica generale, esistono le semiotiche
specifiche, che sono lo studio di un determinato sistema di segni e dei processi che
esso può consentire: esempio principe di semiotica specifica è la linguistica. Ma è
5
semiotica specifica anche lo studio della segnaletica stradale .

A tal proposito, l'autore precisa che mentre le semiotiche generali hanno come
oggetto una categoria filosofica tutta da costruire, le semiotiche specifiche trovano i
loro oggetti come già esistenti.
È quindi chiaro perché, in tale disciplina, rientri anche l'interesse verso il testo.
Questo si configura infatti come un prodotto dotato di senso che è comunque
definibile come segno (o come insieme di segni). Bisogna, però, anche qui precisare
che in semiotica la definizione di testo va spesso al di là del senso comune. Se
considerassimo, ad esempio, il pensiero di Jurij Lotman dovremmo intendere come
testo non solo le produzioni scritte, ma, qualsiasi cosa abbia un ruolo significativo nella
cultura; i testi per Lotman sono l'elemento di base di una cultura, ed in qualche modo
la rappresentano e la condizionano. All'interno di tale categoria rientrano, per lo
studioso russo, finanche le bambole6.

4
S.Gensini, Manuale di semiotica, Carrocci Editore, 2004, p.43
5
U. Eco, Semiotica e Filosofia, reperibile presso:
http://www.umbertoeco.it/CV/Semiotica%20e%20Filosofia%20del%20Linguaggio.pdf, in data 11
gennaio 2013.
6
A.M. Lorusso, Semiotica della cultura, Roma-Bari, Laterza, 2010, pag. 71.
5
Possiamo, al fine di questa trattazione, dare una definizione di testo seguendo
quelle che sono le direttive dello studio della linguistica testuale. Tale disciplina si
dedica all'analisi dei testi e di come questi sono organizzati e strutturati, e come ogni
parte, poi, si ritroverà a formare una struttura globale. Possiamo distinguere tra tipi
testuali differenti: un articolo di giornale e una filastrocca sono entrambi testi ma con
caratteristiche differenti; ma nonostante ciò, tutti condividono il rispetto di sette
condizioni di testualità. Questi sette principi fanno sì che un testo comunichi un
messaggio, in modo più o meno chiaro e preciso, azionando così la funzione
comunicativa. Essi sono: coesione, coerenza, intenzionabilità, accettabilità,
informatività, situazionalità, intertestualità:

1. La coesione concerne la necessità delle parti del testo di essere collegate tra
loro e di avere, tra loro,una dipendenza. Ciò si verifica in base a convenzioni e
regole grammaticali
2. La coerenza riguarda la continuità di senso che bisogna rispettare, per garantire
una logica del testo. Ha per lo più a che fare con l'aspetto semantico, oltre che
sintattico.
3. L'intenzionalità ha a che fare, invece, con il “producente” e la sua volontà di
realizzare un testo coesivo e coerente, che abbia il fine di diffondere una
conoscenza o raggiungere un fine.
4. L'accettabilità ha a che fare con il ricevente del testo, che si aspetta un testo
coesivo e coerente capace di fornirgli nuove conoscenze.
5. L'informatività si riferisce molto spesso esclusivamente al contenuto, ed indica
la novità di informazioni che il testo dà al ricevente.
6. La situazionalità è inerente alla rilevanza e all'adeguatezza di un testo
all'interno di una situazione comunicativa (un contesto in cui avviene la
comunicazione).
7. L'intertestualità è il rapporto tra un testi aventi tra loro significative
connessioni. Inoltre permette di definire il testo in un genere preciso7.

Rispettando tali principi il testo risulterà riconoscibile come tale a qualunque categoria
esso appartenga, e, soprattutto, risulterà “funzionante” ovvero “funzionale”: assolverà
alla funzione di comunicare qualcosa ad un ricevente. Nel momento in cui una di

7
L.Cerrato, Uno sguardo alla linguistica testuale, reperibile presso:
http://www.speech.kth.se/~loce/old-publications.html in data 12 gennaio 2013
6
queste sette condizioni viene meno, avremo un testo con scarsa o senza funzione
comunicativa o un non testo8.
Ritengo che questa definizione sia ottimale ai fini dell'argomento che qui si è
deciso di trattare in quanto prende in considerazione alcune variabili determinanti,
spesso ignorate da altri tipi di analisi. Rilevante è a mio avviso in tale definizione la
necessità per il testo – per poter essere definito tale – di tenere conto del destinatario,
di dover fornire a questi un'informazione, come già precisato, coerente e logica.
Tutto ciò trova delle affinità con l'analisi che la semiotica affronta quando ci
troviamo a parlare, nello specifico, di testi letterari: un'analisi semiotica di un testo
letterario si differenzia da un'analisi di tipo linguistico per la priorità che acquisisce il
contesto entro il quale questo nasce, e dal quale non può prescindere9, e che si ritrova
preso in considerazione anche nella precedente definizione in termini di situazionalità.
Anche nei modelli utilizzati per tentare di spiegare i processi comunicativi, alla fine
della prima metà del secolo scorso, si è tentato di sottolineare il ruolo del destinatario.
Il modello di comunicazione, introdotto dal matematico statunitense Shannon, e
ripreso anche successivamente da Jakobson, è stato criticamente definito modello
elementare, poiché vede la comunicazione come un semplice scambio di un messaggio
tra due soggetti (emittente – ricevente) che usano un codice ed un canale].
Le varianti che il contesto può apportare (una su tutte, e molto banale,
l'esistenza di rumori), così come l'importanza del momento della ricezione non
vengono prese in considerazione in quel “modello elementare”. Un ricevente, infatti,
in base al contesto di ricezione dà al messaggio un'interpretazione che può far variare
il senso originario di quel messaggio10.
Ho riportato questo esempio apparentemente insignificante, inerente alla sfera
della comunicazione verbale umana, per dimostrare come il punto di vista del
ricevente, e con esso quello del contesto, sia stato messo in secondo piano da più
prospettive. Durante tutto il Novecento, le teorizzazioni da parte delle varie discipline
che incrociavano i loro interessi attorno al testo, si sono distinte in svariate correnti.
Per avere un quadro chiaro e lineare, V. Pisanty e R.Pellerey11, nel testo Semiotica e

8
R.A. De Beaugrande - W.U. Dressler, Introduzione alla linguistica testuale, Bologna, Il Mulino, 1994.
9
S. Gensini, Manuale di semiotica, Roma, Carocci Editore, 2004, cit.,pag. 138.
10
Ivi, pp. 51- 55
11
V. Pisanty - R. Pellerey, Semiotica e interpretazione, Milano, Bompiani, 2004 pag. 191

7
Interpretazione, ci indicano tre tendenze in base alle quali classificare il pensiero critico
e analitico di questo periodo: Autore, Opera e Lettore. Per il nostro lavoro sarà l'ultimo
filone, quello del lettore, ad essere centrale ma è opportuno capire che l'interesse
verso il fruitore e destinatario del testo apre una nuova ed innovativa prospettiva di
analisi, nata anche per contrasto a metodologie e teorie precedenti concentrate
soprattutto su aspetti che potremmo definire “tecnici”.
Mi riferisco, principalmente a quella articolata corrente definita formalismo. Al
suo interno possiamo riconoscere non un pensiero unitario, ma il confluire dell'attività
di due gruppi appartenenti ai due centri culturali maggiori della Russia del tempo: il
Circolo linguistico di Mosca, (fondato nel 1914-1915), uno dei cui massimi esponenti è
Roman Jakobson, semiologo e linguista, e l'OPOJAZ (la Società per lo studio del
linguaggio poetico) di Pietroburgo sorta, invece, nel 1917, dove spiccano le figure di
Viktor Sklovskij e Jurij N. Tynjanov. Il formalismo non si configurò come una
metodologia di analisi ma come un progetto il cui fine era quello di creare una scienza
letteraria. Nasce in questo modo la critica letteraria in quanto disciplina autonoma,
separata dall'estetica. L'attenzione del formalismo viene posta non tanto sull'aspetto
del contenuto di un'opera – e quindi anche del suo significato – quanto sull'aspetto
tecnico del linguaggio utilizzato12: procedimenti espressivi, metrica, ritmo, tecniche
narrative, sono alcuni dei temi cari agli studiosi russi. Per tanto, ritornando alla
divisione prima indicata, siamo all'interno del periodo in cui è sicuramente fulcro
dell'attenzione l'Opera. Ritroviamo qui, nella pratica, quella centralità nell'analisi del
contenuto già prima accennata.
La preoccupazione per il ricevente – quella inerente alla centralità del Lettore –
è cronologicamente ascrivibile agli anni Sessanta del secolo scorso, ma un'attenzione
in questa direzione, può essere rintracciata già nel passato. Un esempio riguarda la
Poetica di Aristotele13, dove il filosofo greco ci parla della katharsis un termine oscuro
che non è mai stato esplicato al meglio nemmeno all'interno della sua stessa opera. La
katharsis è un effetto provocato nello spettatore dalla partecipazione alla

12
A. Brettoni"Formalismo, strutturalismo, semiologia e critica stilistica" in E. Biagini - A. Brettoni - P.
Orvieto (a cura di), Teorie critiche del Novecento, Roma, Carocci, 2011 pag. 13.
13
C. Concina "Intertestualità, ricezioni, generi", in R. Bertazzoli (a cura di), Letterature comparate,
Brescia, Editrice La Scuola, 2010 pag. 67.
8
rappresentazione della tragedia. Qui egli riesce a liberarsi dalle passioni attraverso la
loro messa in scena. Siamo quindi di fronte ad una riflessione sulla fruizione dell'opera.
Ma per venire a epoche a noi più vicine, anche nelle teorizzazioni della
narratologia ritroviamo il lettore; Prince effettua una distinzione tra il narratario (colui
al quale l'autore si rivolge) e i lettori reali: tra i due esiste una differenza pari a quella
tra scrittore e narratore14. Sulla nuova importanza conferita al lettore da alcuni studiosi
e correnti di pensiero (si veda Eco o la Scuola di Costanza, a cui farò riferimento
successivamente), di sicuro non possono non aver influito, in questo senso, due
correnti filosofiche quali la fenomenologia e l'ermeneutica.
Husserl, appartenente alla prima corrente, sostiene ad esempio che la realtà è
solo quella percepita dalla nostra coscienza. Nello specifico, i testi letterari - sebbene
dotati di una propria struttura oggettiva, data dall'autore - prendono vita solo
attraverso la percezione del lettore 15 .Altrettanto importante ci appare l'influsso
dell'ermeneutica, intesa come filosofia dell'interpretazione. Secondo Heidegger, il
testo non ha più una sua struttura oggettiva dato che si realizza in ogni
interpretazione, basata su una pre-comprensione che fa sì che questo venga elaborato
da chi lo legge, sulla base di alcune idee già esistenti, frutto del tempo in cui il lettore
compie la sua azione. Sulla scia di Heidegger, anche Gadamer sottolinea come l'opera
sia determinata dalle sue interpretazioni che mutando, fanno mutare di volta in volta
l'opera stessa.
Il momento della centralità del lettore – la terza fase della nostra classificazione
– inizia a manifestarsi a partire dagli anni Sessanta, dopo cioè che la sfera semantica e
della ricezione si erano trovate escluse per molto tempo dall'attenzione. Sostiene
Tullio De Mauro al riguardo:

L'esplorazione sistematica del versante del significato e senso è cominciata soltanto


con gli anni Cinquanta e Sessanta […] Le scienze linguistiche, come hanno a lungo
privilegiato l'analisi del significante rispetto alle analisi del contenuto semantico, così
hanno privilegiato e privilegiano ancora l'analisi dei processi e delle modalità di
produzione degli enunziati rispetto all'analisi dei processi e delle modalità di ricezione.

14
F. Bertoni,Il testo a quattro mani, Milano, Ledizioni, 2010 pag. 29.
15
P.Orvieto, "Dalla parte del lettore. Fenomenologia, ermeneutica, testualità e teorie della ricezione" in
E. Biagini - A. Brettoni - P. Orvieto (a cura di), Teorie critiche del Novecento, Roma, Carocci, 2011, cit.,pp.
199-200.
9
Mettersi «dalla parte del ricevente» significa inoltrarsi in un mondo ancora poco
16
esplorato .

Tutte le teorie così strutturate, elaborate a partire da tali presupposti, sono


formalmente identificate sotto l'etichetta di reader-response criticism17.
È d'obbligo, a questo punto, aprire una parentesi su una studiosa poco
conosciuta e poco citata nella letteratura esistente sull'argomento, specialmente in
quella del nostro Paese: Louise Ronsenblatt, i cui primi scritti in materia risalgono alla
fine degli anni Trenta del secolo scorso, quindi un'epoca molto più precoce rispetto alla
cronologia ritenuta di riferimento. Il suo pensiero innovatore restò per molto tempo
nel dimenticatoio per essere poi rivalutato proprio a partire dagli anni Settanta, nel
momento in cui si svilupperanno tutte le focalizzate sul lettore18,quando cioè ci sarà
spazio per poter teorizzare al di là della forma del testo.
Il pensiero della Rosenblatt si è per lo più diffuso per le ricerche da lei
effettuate sulle modalità d'insegnamento della letteratura inglese. Fu in questo campo,
infatti, che le sue teorie avrebbero trovato applicazione pratica. Queste sottolineavano
come l'opera fosse il prodotto della lettura, e quindi della ricezione (parlerà infatti di
reader's construction text). Nel 1938, nel suo Literature as Exploration, l' autrice scrive:

The special meaning, and more particularly, the submerged associations


that these words and images have for the individual reader will largely
determine what the work communicates to him. The reader brings to the
work personality traits, memories of past events, present needs and
preoccupations, a particular mood of the moment, and a particular
physical condition. These and many other elements in a never-to-be-
duplicated combination determine his response to the peculiar
19
contribution of the text

Il lettore porterebbe dunque nell'atto della lettura una serie di elementi


provenienti dal suo universo personale; tutto questo, unito a delle condizioni
determinanti - come le sue preoccupazioni o la sua predisposizione in quel preciso
momento - renderebbero quel testo un'esperienza unica e irripetibile proprio in
quanto soggettiva.

16
T. De Mauro, "Introduzione" in T.De Mauro - S. Gensini, M.E. Piemontese (a cura di), Dalla parte del ricevente:
percezione, comprensione, interpretazione, Roma, Bulzoni, 1988 pag. 9.
17
V. Pisanty - R. Pellerey, Semiotica e interpretazione, Milano, Bompiani, 2004, cit., pag. 192.
18
G.W. Church, "The Significance of Louise Rosenblatt on the Field of Teaching Literature" in Inquiry, Volume 1,
Numero 1, 1977, reperibile presso: http://www.vccaedu.org/inquiry/inquiry-spring97/i11chur.html in data 14
gennaio 2013.
19
Ibidem.
10
Il pensiero di Louise Rosenblatt trovò un indirizzo specifico nell'analisi del
metodo di insegnamento della letteratura. Una distinzione formulata nel suo testo
The Reader, The Text, The Poem risalente ad un periodo successivo, verso la fine degli
anni Settanta(1978), era quella tra un approccio alla lettura definito efferente e un
altro definito estetico. L'approccio efferente è l'approccio del lettore che vuole solo
apprendere ciò che il testo sta dicendo per recepire determinate informazioni,
l'approccio estetico apre invece verso un'esperienza della lettura unica e molto più
profonda. La riflessione dell’Autrice virerà, quindi, verso la considerazione che
l'insegnamento della letteratura sarebbe stato, fino a quel momento, unicamente
efferente, mentre uno studio da una prospettiva estetica potrebbe apportare alla
letteratura una nuova ricchezza, generando per ogni opera una lettura diversa
dipendente dal contesto, dal tempo e da altri fattori. Alla luce di tale affermazioni,
l'autrice realizza una nuova lettura dell'Amleto di Shakespeare20.
Ritengo essenziale, al fine di una corretta ricostruzione dei tratti salienti delle
teorie orientate al lettore, citare la Rosenblatt nella misura in cui le sue riflessioni non
si discostano di molto dalle riflessioni di un altro studioso di rilievo, quale Hans Robert
Jauss, sulla necessità di riformare la storia della letteratura al fine di dare rilievo alle
letture fatte nel tempo21.
Prescindendo tuttavia da queste premature riflessioni, occorre aggiungere che
anche altri Autori si sarebbero in seguito interessati di questa nuova prospettiva.
Analizzare il loro lavoro ed il loro pensiero singolarmente sarebbe inappropriato per
questa sede. Mi limiterò a precisare che è possibile rilevare una sorta di comune
denominatore esistente fra loro, secondo cui esisterebbe all'interno del testo un
lettore ideale, che diverge da quello reale. Tale lettore ideale figura come un
costrutto, che ha come finalità quella di indirizzare l'attività interpretativa dei lettori
reali22. Sebbene in forme ancora “primitive”, con una terminologia ancora non del
tutto matura e tecnica, Walker Gibson è tra i primi ad elaborare questo concetto,
distinguendo tra un lettore in carne ed ossa - dedito alla lettura - e un mock reader,
ovvero un lettore implicito che esiste solo tra le pagine dell'opera stessa, come un

20
Ibidem.
21
Nei Capitoli successivi ci si soffermerà più approfonditamente su questo Autore.
22
V. Pisanty - R. Pellerey, Semiotica e interpretazione,Milano,Bompiani, 2004, cit., pag. 197.
11
concetto elaborato dallo scrittore per ancorare le interpretazioni possibili del lettore.
Scrive Gibson:

There are two readers distinguishable in every literary experience: First,


there is the "real" individual upon whose crossed knee rests the open
volume, and whose personality is as complex as any dead poet's. Second,
there is the fictitious reader – I shall call him the "mock reader" - whose
mask and costume the individual takes on an order to experience the
language. The mock reader is an artifact, controlled, simplified,
23
abstracted out of the chaos of day-to-day sensation .

Questo lettere implicito e artificiale, sarà costantemente riproposto acquisendo nel


tempo varie forme e varie denominazioni.
Michael Riffaterre, linguista e semiologo francese, nel suo Describing Poetic
Structures: Two Approaches to Baudelaire’s “Les chats”, si pone in contrasto con
l'analisi fatta da Jakobson e Lévi Strauss dello stesso sonetto di Baudelaire: l'attenzione
dei due studiosi è per lo più volta alla ricerca di ricorrenze a livello grammaticale,
metrico, fonologico etc… Riffaterre sostiene invece che un'analisi di questo tipo è del
tutto inadeguata poiché non tutte le ricorrenze stilistiche del testo sono rilevabili dal
lettore; la sua visione va in un'altra direzione di analisi24. Nello specifico, egli parlerà di
un superlettore, una figura che è focalizza l'analisi del testo da parte della critica. Esso
si presenta, infatti, come un insieme di molteplici commenti e riflessioni elaborate non
da uno ma da più lettori reali che dovrebbe mettere in luce le strutture che a livello
stilistico sono rilevanti nel complesso dell'opera25. Ed ancora, Umberto Eco parlerà di
un lettore modello, un insieme cioè di tutte le interpretazioni possibili di un testo,
mentre Wolfgang Iser elaborerà la figura di un lettore implicito, artefice della
situazione di tensione che il lettore reale vive quando accetta il ruolo che il testo gli
propone26.
Possiamo notare così che l'idea dell'esistenza di un testo costruito attorno ad
un ricevente idealizzato rispetto al quale quello reale può coincidere o meno,
stravolgendo quel senso che l'autore ha tentato di veicolare, è una costante in ogni
studio dedicato a questo tipo di interpretazione. In modo più o meno radicale ognuna

23
In J.P. Tompksin (a cura di), Reader – Response Criticism – From Formalism To Post-Structularism,
Baltimore, Johns Hopkins University Press, 1980, pag.2.
24
V.Pisanty - R. Pellerey, Semiotica e interpretazione, Milano, Bompiani, 2004, pag. 197
25
Ibidem,cit., pp. 197-199.
26
R. Bertazzoli (a cura di), Letteratura Comparata, Brescia, Editrice La Scuola, 2010, pp. 73-74.
12
di queste letture tende a voler sottolineare l'importanza dell'attribuzione di significato,
che non risulta più essere affidato a quello creato dall'autore, ma piuttosto a tanti,
quanti sono i lettori empirici, che concretamente affrontano la lettura. Potremmo dire,
trasportando tutto in una dimensione semiotica che, a passare in primo piano è
fondamentalmente il significato, piuttosto che il significante. L'importanza della
struttura del testo perde ogni rilevanza così che anche una lettura che voglia avere una
prospettiva storica sarà teorizzata (ad esempio da Jauss) come lettura di significati
diversi attribuiti nel tempo.
C'è da sottolineare, però, che per molti tutto questo peso verso
l'interpretazione non ha comportato la perdita di un senso oggettivo del testo. Infatti,
si è soliti parlare di una sorta di “libertà controllata”27 del lettore, poiché l'autore dà
sempre delle coordinate all'interno delle quali è possibile per il lettore attribuire nuovi
significati.
Dopo queste coordinate di carattere generale, ci si dedicherà nei Capitoli
seguenti all'analisi dell'opera di due teorici che hanno sviluppato parte delle loro opere
in questa direzione. Ho scelto di rifarmi alle riflessioni teoriche di Umberto Eco e di
Hans Robert Jauss, nelle quali talvolta è possibile ravvedere alcuni punti di contatto,
come, ad esempio, l'idea di base dell'esistenza di una delimitazione delle
interpretazioni possibili, l'assenza di una totale anarchia semiotica, elaborata nei
rispettivi concetti di intentio operis e di orizzonte d'attesa28.
Inoltre, alcune delle loro opere in questo campo fondamentali, come Perché la
storia della letteratura? di Jauss e Lector in fabula di Eco, saranno da supporto
all'analisi che mi accingo a svolgere, nella parte finale di questo lavoro, riguardo a uno
dei testi letterari ritenuti tra i più significativi del Novecento: Le città invisibili di Italo
Calvino, al fine di recuperare l'importanza (anche sul piano critico-teorico)
dell'interpretazione e della sfera del significato.
Proverò a seguire Jauss soprattutto nella sua idea di riscrivere una storia della
letteratura che tenga conto delle interpretazioni dei testi, mentre parlerò di Eco per la
sua idea di Opera Aperta e di Lettore Modello, entrambe utili per far luce, tramite il

27
M. Fusillo, Estetica della letteratura, Bologna, il Mulino, 2009, pag. 91.
28
P. Orvieto, "Dalla parte del lettore. Fenomenologia, ermeneutica, testualità e teorie della ricezione", in E. Biagini -
A. Brettoni - P. Orvieto (a cura di), Teorie critiche del Novecento, Roma, Carocci, 2011, cit.,pp. 199-200.

13
pretesto dell'opera di Calvino, sulla possibilità del tutto valida di rileggere i testi da
questa prospettiva.

14
Capitolo II
Hans Robert Jauss. La teoria della ricezione come base di una nuova Storia della
Letteratura

Hans Robert Jauss (Göppingen, 21 dicembre 1921 – 1 marzo 1997), accademico


tedesco, docente presso l'università di Costanza di filologia romanza, fu, insieme, a
Wolfgang Iser, uno dei massimi esponenti della Scuola di Costanza, la quale si poneva
in netto contrasto con le tendenze critiche del tempo, rispondendo a queste con
l'elaborazione della teoria della ricezione. In questa teoria più complessa, che
racchiude il pensiero di entrambi gli studiosi, definiremo il filone sviluppato da Jauss
come estetica della ricezione (Rezeptionsästhetik). È utile precisare che nei suoi scritti
Jauss fa alcune puntualizzazioni sul tale denominazione. Per “estetica” egli non intende
una “scienza del bello” ma, “l'esperienza dell'arte che sta a fondamento di tutte le
manifestazioni dell'arte in quanto attività produttiva, ricettiva e comunicativa29 ”.
Ricezione è, invece, sì l'effetto che viene prodotto dall'opera sul ricevente, ma è anche
il modo in cui questa viene accolta ed elaborata, la risposta che essa produce.
Centrale in tutta l'opera di Jauss è la componente di interpretazione e di
ricezione di un testo e quindi il ruolo del lettore. Centralità che porterà lo studioso ad
ipotizzare una riforma dell'intera storia della letteratura prendendo in considerazione
quella che può essere stata nel tempo la ricezione del testo da parte dei lettori. Una
storia letteraria fatta di letture. Abbiamo già accennato alla volontà della Scuola di
Costanza di proporsi come una “nuova via” critica. Nello specifico, lo stesso Jauss
riterrà oramai inadeguati i paradigmi esistenti, da qui l'esigenza di una riforma e di una
nuova prospettiva di interpretazione dell'opera. Due sono le tendenze dominanti. Da
un lato come s’è detto abbiamo, infatti, il formalismo russo concentrato su questioni
prettamente legate alla natura letteraria dell'opera; come dirà Jakobson l'oggetto di
studio dei formalisti sarà la letterarietà (le qualità che rendono un'opera letteraria
tale) e non la letteratura30.

29
H.R. Jauss, Estetica della ricezione, a cura di A. Giugliano, Napoli, Guida Editori, 1988, pag. 135.
30
V. Pisanty - R. Pellerey, Semiotica e interpretazione,Milano, Bompiani, 2004, cit., pag. 210.

15
Jauss evidenzia, comunque, come il formalismo russo attraverso la già
menzionata OPOJAZ abbia avuto anche dei meriti. Scrive Jauss rispetto a quelle che
potrebbero essere le innovazioni apportate da questa corrente:

La sua nuova proposta del formalismo si caratterizzava rispetto alla vecchia storia
letteraria per l'abbandono della concezione, in questa fondamentale, di un processo
rettilineo e continuo, perché al concetto classico di tradizione contrapponeva un
principio dinamico di evoluzione letteraria.[...]Lo 'spirito oggettivo' di epoche unitarie
viene rifiutato come speculazione metafisica.[...] Essa ha insegnato a vedere l'opera
d'arte in modo nuovo, cioè nel mutare dei sistemi dei generi e delle forme
letterarie[...]31.

Ma tali meriti non sono per Jauss sufficienti, in quanto il problema consiste nel
fatto che l'opera non sarebbe posta a confronto con la storia, intesa in senso ampio e
generale, ma raffrontata esclusivamente con la storia letteraria. Il formalismo ipotizza
ancora la storia della letteratura come un “elenco” di correnti ed autori avvicinati per
epoca o per somiglianza tematica. A necessitare di essere superata è quindi
l'attenzione posta unicamente alla forma letteraria del testo, isolandolo da tutti gli
elementi del contesto, e anche dalla tradizione in cui esso si inscrive.
D’altro canto, e giudicata altrettanto negativamente, è la posizione assunta
dalle teorie marxiste che appaiono concentrate sull'opera come un risultato di
dinamiche esterne all'individuo e invece quali espressione di determinati rapporti che
si manifestano all'interno della sfera sociale 32 . Bisognava perciò, al fine di una
comprensione “totale” porsi da una nuova prospettiva, una prospettiva che
permettesse una riforma dello studio della letteratura, e tale da discostarsi tanto dal
formalismo quanto dal marxismo, conducendo così alla risoluzione dei problemi da
questi posti:

Il mio tentativo di mediare la frattura tra letteratura e storia, fra conoscenza storica
e conoscenza estetica, può prendere l'avvio al limite dinanzi a cui ambedue le
scuole si sono fermate. I loro metodi concepiscono il fatto letterario nel circolo
chiuso di un'estetica della produzione della rappresentazione. Essi privano così la
letteratura di una dimensione che indiscutibilmente appartiene al suo carattere
estetico ed anche alla sua funzione sociale: quella della sua ricezione e della sua
efficacia. Lettore, ascoltatore e spettatore, il fattore pubblico insomma, giocano in
ambedue le teorie letterarie una parte straordinariamente modesta.[...] Ambedue i
metodi non attribuiscono al lettore il suo ruolo genuino, di importanza indiscutibile

31
H.R.Jauss, Perché la storia della letteratura, a cura di A. Varvaro, Napoli, Guida Editori, 1969 pag. 37.
32
Ivi, pag. 25.
16
sia per la conoscenza estetica che per quella storica: quello di destinatario cui
33
l'opera letteraria è diretta in primo luogo .

Ciò che viene radicalmente negato è il concetto di un'opera fermata nel tempo
dallo scrittore e sempre uguale a se stessa. L'opera è invece considerata –
condividendo il pensiero e la definizione di Umberto Eco “aperta”, e cioè un oggetto
mutevole che si presenta ogni volta sotto una forma diversa, una forma che cambia a
partire dalla effettiva e specifica lettura compiuta. Quello del lettore è un continuo
processo di attualizzazione dell'opera, e la dimensione della storia dovrà essere
definita proprio a partire da questo punto: ovvero una storia della sua ricezione. La
negazione di una storia letteraria tradizionale, basata su semplici sequenze
cronologiche, che accumunano gli autori tra di loro sulla base di somiglianze estetiche,
è molto forte, soprattutto poiché essa impone un canone estetico immutabile: le
opere incluse nelle letterature nazionali sono lo specchio di un gusto poetico e
letterario che tende ad essere sempre uguale a se stesso, e che non tiene conto della
sua storia effettiva, potremmo quasi dire del suo “vissuto”, in quanto opera che nel
tempo continua ad essere recepita entro differenti contesti storici e da nuove
sensibilità estetiche, ciò che contribuisce fortemente a modificare i “significati” di essa:

Infatti qualità e rango di un'opera letteraria non risultano né dalle condizioni


biografiche o storiche della sua formazione né soltanto dalla sua posizione nel
rapporto di successione che si instaura nello sviluppo del genere, ma dai criteri,
difficilmente definibili, di ricezione, efficacia e fama postuma. E se lo storico della
letteratura, ossequioso all'ideale di obiettività, si limita alla rappresentazione di un
passato conchiuso e lascia il giudizio sulla letteratura contemporanea ancora aperto
al critico a ciò competente, e si attiene al sicuro canone dei 'capolavori', allora egli,
nella sua distanza storica, rimane di almeno una o due generazioni indietro allo
sviluppo più recente della letteratura. Nel migliore dei casi egli partecipa alla
confrontazione attuale con i fenomeni letterari del presente come lettore passivo
[…]. Che senso ha dunque oggi uno studio storico della letteratura che – per
echeggiare una definizione classica dell'interesse per la storia, quella di Friedrich
34
Schiller – può promettere all'osservatore pensoso così poca istruzione […] ?

L'estetica della ricezione porta quindi ad una differenziazione rispetto alle teorie
letterarie del passato basate unicamente su un metodo descrittivo; si pone, infatti,
“come una scienza comprendente senso, quindi ermeneutica”35.
A questo punto è fuori dubbio che l'intera opera di Jauss si poggi sulla filosofia
di Gadamer, volta ad una nuova interpretazione dell'ermeneutica. L'ermeneutica (dal
33
Ivi, pag. 13.
34
Ibidem.
35
H.R. Jauss, Estetica della ricezione, a cura di A. Giugliano, Napoli, Guida Editori, 1988, pp. 137- 136
17
greco hermeneus), nasce come una tecnica adoperata in discipline come la teologia e
la filologia, per l'interpretazione dei testi, o in ambito giuridico come comprensione
delle leggi tramite l'adattamento al caso effettivo. Gadamer tenta di estrapolare tale
pensiero da questo circolo chiuso, definendo l'ermeneutica la koiné della filosofia
contemporanea, basata quindi sulla comprensione 36, da intendersi non come un
semplice procedimento ma come "l'inserirsi nel vivo di un processo di trasmissione
storica, nel quale passato e presente continuamente si sintetizzano”37. In questa sua
concezione, è di rilievo il posto che il filosofo tedesco dà al testo e alla sua
interpretazione:

Ma perché ricorrere qui, proprio al termine “ermeneutica”? Perché (vorrei far


osservare) per la prima volta constatiamo che in altre discipline è già operante, come
ausilio, una dottrina dell’interpretazione dei testi, la cui portata è assai più ampia della
sola comprensione testuale. Ovvero, per meglio dire, siamo di fronte al “testo del
mondo”, o forse persino al “testo” della storia universale, che abbiamo il compito di
interpretare a modo nostro, e ciò comporta innanzitutto la conquista di una
38
comprensione di noi stessi .

Nello specifico, egli ritiene che il senso del testo vada oltre quello dato dal suo
autore, nel senso che questo dipende fortemente dall'interprete e dal momento
storico nel quale l’interprete è inserito. Pertanto Gadamer intende il comprendere
come un atto produttivo: produttore cioè di un significato, e non solo riproduttore di
questo.
Altro punto cruciale, ripreso quasi in toto da Jauss, riguarda il concetto di
orizzonte, che porta ad intendere il comprendere come processo difusione degli
orizzonti (Horizontenverschmelzung) – quello del passato con quello del presente,
quello dell'opera con quello del lettore - i quali vengono considerati appunto in una
relazione produttiva. Infatti la conoscenza viene da Gadamer considerata sempre
come il risultato di una pre – comprensione, un pre-giudizio maturato dal contesto in
cui viviamo: ciò che è auspicabile è una fusione di orizzonti dell'opera da interpretare e
del soggetto che la interpreta39. È quindi innegabile, come tale filosofia sia – anche
esplicitamente – alla base delle considerazioni di Jauss. Basti pensare proprio alla

36
H.R. Gadamer, Il cammino della filosofia, reperibile presso:
http://www.emsf.rai.it/gadamer/interviste/27_ermeneutica/ermeneutica.htm in data 12 febbraio 2013
37
H.G. Gadamer, Verità è metodo, Milano, Bompiani, 1994, pag. 340.
38
H. G. Gadamer, Il cammino della filosofia, reperibile presso:
http://www.emsf.rai.it/gadamer/interviste/27_ermeneutica/ermeneutica.htm in data 12 febbraio 2013
39
P.Orvieto, "Dalla parte del lettore. Fenomenologia, ermeneutica, testualità e teorie della ricezione", cit., pag. 207
18
categoria di orizzonte di attesa (Erwantunghorizont) che risulta prelevata
esplicitamente dall'ermeneutica di Gadamer.
Anche qui, infatti, comprendere risulta essere la fusione dei due orizzonti.
L'orizzonte del presente risulta sempre mutabile, ma in un certo senso ancorato nella
sua dimensione semantica all'orizzonte d'attesa, inteso come un sistema di aspettative
che si costruiscono di fronte ad un testo. Tali aspettative sono molto simili alla
definizione di “pre-giudizio” data precedentemente: infatti queste si possono
intendere come una griglia di riferimenti che l’interprete acquisisce in base al suo
rapporto con la letteratura. A partire da queste aspettative, egli giudicherà i testi
successivi in base a quanto da esse differiscono o quanto le confermano40.
L'orizzonte d'attesa, inoltre, si prefigura come un fattore per determinare la
validità o meno di un'opera: quanto più questa saprà rompere l'orizzonte d'attesa del
lettore tanto più potrà essere ritenuta un'opera valida, portatrice di un valore artistico:

La distanza tra orizzonte d'attesa ed opera stessa, tra ciò che è già familiare alla
precedente esperienza estetica ed il “mutamento di orizzonte” sollecitato dalla
ricezione dell'opera nuova, determina dal punto di vista dell'estetica della ricezione il
carattere artistico di un'opera letteraria: nella misura in cui questa distanza diminuisce,
e alla coscienza del ricettore non viene chiesto nessuno spostamento sull' orizzonte di
un'esperienza ancora ignota, l'opera si avvicina all'ambito dell'arte dozzinale o di
intrattenimento.[...] Se al contrario il carattere artistico di un'opera va misurato sulla
distanza estetica determinata dal suo andar contro alle aspettative del suo primo
pubblico, ne consegue che questa distanza, che all'inizio appare piacevole o anche
estraniante come un nuovo modo di vedere, per i lettori posteriori può scomparire
nella misura in cui l'originaria negatività dell'opera è divenuta ovvia ed è anzi entrata
41
nell'orizzonte della più tarda esperienza estetica come esperienza familiare .

Molto spesso accade che un'opera non incontri subito una ricezione positiva, e
venga accantonata, perché ha troppo violentemente rotto l'orizzonte d'attesa.
Quando, però, essa acquisirà un pubblico, accadrà che ciò che prima faceva parte di un
canone estetico, verrà ora rigettato. Solo prendendo in considerazione tale punto di
vista, è per Jauss possibile una storia della letteratura; una storia che prende in
considerazione il punto di vista del lettore attraverso la storia dei mutamenti di
orizzonti, ovvero la storia della ricezione di un'opera. Un esempio riportato è quello del
famoso romanzo Madame Bovary di Flaubert, oscurato inizialmente da un altro
romanzo contemporaneo e non molto dissimile per contenuti, Fanny dello scrittore
Ernest Feydeau. Il romanzo di Flaubert, considerato successivamente un capolavoro e
40
Bertazzoli R.(a cura di), Letteratura Comparata,cit., pag 71.
41
H.R. Jauss, Perché la storia della letteratura?, cit., pp. 61 – 62.
19
un punto di svolta nella storia del romanzo, era stato, al momento della pubblicazione
“scartato” dai lettori, in quanto troppo innovativo. Ma nel momento in cui Emma
Bovary entra nell'orizzonte d'attesa, Fanny sparisce del tutto, passando in ombra,
divenendo un successo del passato e oggi del tutto, o quasi, sconosciuta ai più42. Tutto
ciò evidenzia ulteriormente l'importanza del fattore semantico e del lettore che giunge
addirittura ad essere considerato come il co-autore del testo: la sua azione contribuirà
al compimento dell'opera:

Il Perceveal [poema letterario incompiuto di Chrétien de Troyes risalente all'epoca


medievale ndr] diviene un evento letterario solo per il suo lettore, per chi legge
quest'ultima opera di Chrétien ricordando quelle da lui scritte prima, osservando ciò
che vi è in esso di caratteristico in rapporto a queste ed altre opere che già conosca, e
che in questo modo acquisisce un nuovo metro di giudizio che potrà applicare alle
opere successive. Esso può continuare ad agire solo dove è ancora o di nuovo recepito
dai posteri: dove si trovano lettori che fanno nuovamente propria l'opera del passato o
autori che vogliono imitarla, superarla o rifiutarla. Il nesso evenimenziale della
letteratura viene mediato in primo luogo nell'orizzonte di atteso determinato
43
dall'esperienza letteraria di lettori, critici ed autori contemporanei e posteriori .

Il soggetto rientra in campo per Jauss in una doppia forma, che è quella del ricevente
ma anche come co-autore, poiché sarà egli stesso a completare il senso di una
narrazione solo iniziata dall'autore. Come già detto, l'insieme di tutte le ricezioni dei
singoli lettori può decidere del valore storico di un'opera, considerando o meno la sua
efficacia.
Ripensare oggi a tali considerazioni è doveroso e più che naturale. La portata
semantica dei testi è qualcosa che di sicuro non è solo implicito al testo, ma anche
indotto da chi si ritrova a fruire l'opera. Interpretare la letteratura in questo senso è di
certo un atto molto più adeguato al panorama culturale che tende a sfatare il netto
confine tra discipline al fine di una comprensione migliore dell'oggetto che ci si pone
davanti. La storicizzazione di un'opera che si presenti dinanzi al suo pubblico attraverso
la cooperazione di varie discipline, è di sicuro un nuovo e più adeguato modo di
lettura.
Al contempo, nel capitolo finale, proverò a dimostrare cosa possa
comportare“attualizzare” la lettura di un'opera letteraria in base all'orizzonte d'attesa
nella misura in cui tale “attualizzazione” mette in rilievo questioni che, forse, al
momento della sua pubblicazione non erano considerate come rilevanti
42
Ivi, pp. 65 – 67.
43
Ivi, pag: 51.
20
Capitolo III
Umberto Eco. Dall'Opera aperta al Lector in fabula

Sarebbe molto difficile provare a sintetizzare e illustrare nel suo complesso l'intera
opera di Umberto Eco (Alessandria, 5 gennaio 1932) semiologo, scrittore e filosofo.
Rispetto al campo di interesse del presente elaborato, appare pertinente soffermarsi
almeno sulla riflessione iniziata a partire da Opera aperta su quella che potremmo
definire l'indefinitezza dell'opera. Il volume, pubblicato nel 1962, raccoglie una serie di
saggi, uno dei quali, che diede il titolo al testo in esame, venne presentato al XII
Convegno Internazionale di filosofia del 1958. Eco tiene a precisare come tali pagine
siano da considerarsi unicamente come spunti di riflessione e non come giudizi estetici
definitivi, che prendono tutti vita dalla reazione degli artisti di fronte alla “rottura di un
Ordine tradizionale, che l'uomo occidentale credeva immutabile e identificava con la
struttura oggettiva del mondo”44. È chiaro il riferimento alla configurazione di un
nuovo scenario storico, morale ed ideale, introdotto da una crisi della modernità e di
tutti quei valori culturali, e in particolare l’idealismo, il positivismo e come s’è visto
anche il formallismo, ritenuti fin ad allora come dei punti di riferimento. Da qui il
delinearsi di nuovi scenari culturali, quelli che fanno capo a ciò che si è soliti definire
postmodernità. La considerazione di un mondo in crisi o, parafrasando l'autore, un
mondo dove la nuova condizione di disordine (in quanto rottura di un ordine
precedente e non “disordine cieco") comporta anche una nuova espressione dell'arte,
e quindi un nuovo atteggiamento degli artisti, che tentano a questo di dare una forma:

accettare e cercare di dominare l'ambiguità in cui siamo e in cui risolviamo le nostre


definizioni del mondo, non significa imprigionare l'ambiguità in un ordine che le sia
estraneo e a cui è legata proprio quale opposizione dialettica. Si tratta di elaborare modelli
di rapporti in cui l'ambiguità trovi una giustificazione e acquisti un valore positivo. Non si
risolve un fermento rivoluzionario con un regime di polizia; è l'errore di tutte le reazioni. Si
conferisce ordine a una rivoluzione costituendo comitati rivoluzionari per poter elaborare
nuove forme di azione politica e di rapporti sociali che tengano conto dell'apparizione di
nuovi valori. Così l'arte contemporanea sta tentando di trovare – in anticipo sulle scienze e
sulle strutture sociali – una soluzione alla nostra crisi, e la trova nell'unico modo che le sia
possibile, sotto specie immaginativa, offrendoci delle immagini del mondo che valgono
quali metafore epistemologiche: e costituiscono un nuovo modo di vedere, di sentire, di
capire e accettare un universo in cui i rapporti tradizionali sono andati in frantumi e in cui
45
si stanno faticosamente delineando nuove possibilità di rapporto .

44
U.Eco, Opera aperta, Milano, Bompiani, 2010, pag. 42.
45
Ivi, pag. 28
21
Eco sembra suggerire qui che la struttura dell'arte risulti essere ambigua ed
aperta a molteplici possibilità proprio come lo è il reale: “la nozione di opera aperta
non è una categoria critica, ma rappresenta un modello ipotetico”46 estendibile e
riscontrabile in varie poetiche, delle quali si propone come una delle possibili chiavi di
lettura in grado di scongiurare il pericolo di considerare l'arte nella sua sola, sterile,
dimensione della forma. Ritorna qui la volontà, già riscontrata in Jauss, di abbandonare
modelli e schemi rigidi.
Rimarcando diversi anni dopo tale forte contrasto tra un precedente
atteggiamento critico e la sua nuova prospettiva di analisi, l'autore riporta alcuni passi
di un'intervista fatta a Claude Lévi-Strauss, dove l'antropologo francese commentava
proprio il testo Opera aperta:

C'è un libro molto notevole di un suo compatriota, l'Opera aperta, il quale difende
appunto una formula che non posso assolutamente accettare. Quel che fa che
un'opera sia un'opera, non è il suo essere aperta, ma il suo essere chiusa. Un'opera è
un oggetto dotato di proprietà precise, che spetta all'analisi individuare, e che può
essere interamente definita in base a tali proprietà. E quando Jakobson e io abbiamo
cercato di fare un'analisi strutturale di un sonetto di Baudelaire, non l'abbiamo
certamente trattato come un'opera aperta in cui potessimo trovare tutto quello che le
epoche successive ci avessero messo dentro, ma come un oggetto che, una volta
creato dall'autore, aveva la rigidezza, per così dire, di un cristallo: onde la nostra
47
funzione si riduceva a metterne in luce le proprietà .

Da questa citazione appare quindi palese come il motivo del contendere


risiedesse proprio da un lato nel richiamato “formalismo” di Lévis-Strauss e dall’altro
nell’intento di ridimensionarne le pretese da parte di Eco, la cui volontà di richiamare
in gioco la dimensione semantica,individuata nella posizione del lettore/ricevente, si
sviluppa proprio in relazione(e in opposizione) con l'idea di un’opera “rigida come un
cristallo”. L'apertura dell’opera sembra dunque coincidere con la rivendicazione delle
istanze del fruitore: opera quindi aperta, ma aperta proprio nella sua potenzialità di
rinnovarsi come oggetto di una lettura.
Qui Eco si riferisce a vari linguaggi artistici, dalle arti visive, alla poetica, alla
musica. Sarà proprio tramite un esempio musicale che sarà presentato il modello
ipotetico dell'apertura:

46
Ivi, pag. 18.
47
U. Eco, Lector in fabula. La cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Milano, Bompiani, 2010, pag. 6.
22
Tra le recenti produzioni di musica strumentale possiamo notare alcune composizioni
contrassegnate da una caratteristica comune: la particolare autonomia esecutiva
concessa all'interprete, il quale non è soltanto libero di intendere secondo la propria
sensibilità le indicazioni del compositore (come avviene per la musica tradizionale), ma
deve addirittura intervenire sulla forma della composizione, spesso determinando la
48
durata delle note o la successione dei suoni in un atto di improvvisazione creativa .

Questo esempio conduce direttamente al ruolo attivo del fruitore dell'opera.


Questi è considerato al centro di una rete di stimoli indefiniti lasciati dall'autore
proprio come se fossero un richiamo, e qui egli agisce dando una forma a ciò che è
appunto “aperto”49, a ciò che è privo di una struttura rigida e che dunque non limita la
possibilità di interpretazione. Tale possibilità, però, non è propria solo delle opere
intenzionalmente apertecome quelle che si affidano a una performance interpretativa,
ma anche quando queste si presentino sotto forme decisamente meno libere, il
ricevente può attraverso le sue esperienze, i suoi pregiudizi, il suo background, dare un
senso indipendentemente da quello che l'autore ha (o ha avuto) intenzione di
generare, essendo compresa nella definizione stessa di artisticità “la capacità di
generare un numero indefinito di letture diverse”50. Proponendo, quindi, due diverse
possibilità di apertura, Eco già da questa prima opera, porta in luce l'atto interpretativo
da parte del fruitore come qualcosa di connaturato all'oggetto artistico, che sia esso
un'opera affidata a una performance o un testo da fruire nella sua unicità.
Più specificamente, sul ruolo del lettore Eco verrà successivamente a insistere,
nel volume Lector in fabula. Le idee che erano state proprie della teorizzazione
precedente vengono qui sviluppate nella direzione specifica del testo, quello cioè non
affidato a performances interpretative, quale massima espressione di complessità per
Eco, dato che questo appare semioticamente più complesso e ricco di problemi51ed
anche perché questo “è intessuto di non - detto”52.Questo non-detto ha bisogno di
esplicarsi, e lo fa solo grazie al ruolo attivo del lettore, all’interno di un processo che
viene definito di cooperazione testuale,attraverso la quale egli riempie quegli spazi
bianchi, lasciati più o meno volontariamente vuoti dall'autore, per fare in modo che
siano riempiti da atti interpretativi.

48
U.Eco, Opera aperta, cit., pag. 25.
49
Ivi, pag. 35.
50
V. Pisanty - R. Pellerey, Semiotica e interpretazione,Milano, Bompiani, 2004, cit., pag 328.
51
U. Eco, Lector in fabula, cit., pag. 71.
52
Ivi, pag. 51.
23
Il lettore, infatti, deve mettere in gioco molte capacità, che non riguardano
esclusivamente il sapere decodificare il messaggio in base ad una lingua condivisa fra
un emittente ed un destinatario. Tali capacità, stimolate dal testo, fanno riferimento
ad una precisa tipologia di lettore in base al quale si costruisce la struttura narrativa;
nello specifico ogni testo prevede un suo Lettore Ideale:

Per organizzare la propria strategia testuale un autore deve riferirsi a una serie di
competenze (espressione più vasta che “conoscenza di codici”) che conferiscano
contenuto alle espressioni che usa. Egli deve assumere che l'insieme di competenze a
cui si riferisce sia lo stesso a cui si riferisce il proprio lettore. Pertanto prevederà un
Lettore Modello capace di cooperare all'attualizzazione testuale come egli, l'autore,
pensava, e di muoversi interpretativamente così come egli si è mosso
generativamente. […] Prevedere il proprio Lettore Modello non significa solo “sperare”
53
che esista, significa anche muovere il testo in modo da costruirlo .

Si tratta qui, dunque, di assumere come se dietro ogni testo ci fosse un


pubblico preciso che l'autore sceglie, ma che al contempo cerca di creare54. Tale
lettore si distingue nettamente da quello reale – il lettore empirico – poiché si
configura semplicemente come una strategia testuale, che rispetta delle regole
imposte dall'autore che tenta, potremmo dire, di incanalare la lettura attraverso degli
escamotages. Ma attraverso quali strategie l'autore, attraverso il testo, seleziona il
proprio lettore? Alcune tracce disseminate, o lo stesso incipit del testo narrativo, ci
possono subito indirizzare verso una comprensione della strategia utilizzata, atta a
produrre una selezione:

Se un testo inizia con “C'era una volta”, esso lancia un segnale che immediatamente
seleziona il proprio lettore modello, che dovrebbe essere un bambino, o qualcuno
55
disposto ad accettare una storia che vada al di là del senso comune .

Ancora, se analizzassimo l'incipit del celebre romanzo di Franz Kafka La


Metamorfosi: “Destandosi un mattino da sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò
tramutato, nel suo letto, in un enorme insetto”, potremmo dedurne che lo scrittore
ceco ha dato vita ad un racconto tenendo conto proprio di quel tipo di lettore che
accetta il crollo del “senso comune”, che accetta di mettersi di fronte ad una storia che
fa crollare ogni tipo di logica. Accettando il gioco che l'autore ha deciso di iniziare,

53
Ivi, pag. 56.
54
U. Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Bompiani, 2011, pag. 11.
55
Ibidem.
24
precisa Eco: “Ci sono delle regole del gioco, e il lettore modello è colui che sa stare al
gioco”56.
Abbiamo visto quindi alcuni dei modi, ma non ancora chi crea questo lettore
modello. Questo interrogativo porta a compiere una ulteriore distinzione, tra l'autore
empirico e l'autore modello. Proprio su quest'ultimo Eco fa ricadere la sua attenzione,
piuttosto che su quello empirico:

L'autore modello è una voce che parla affettuosamente (o imperiosamente, o


subdolamente) con noi, che ci vuole al proprio fianco, e questa voce si manifesta come
strategia narrativa, come insieme di istruzioni che ci vengono impartite ad ogni passo e
57
a cui dobbiamo ubbidire quando decidiamo di comportarci come lettore modello .

Secondo tale presupposto colui che all'interno del testo detta le regole ed
indirizza il nostro processo interpretativo, è l'autore modello, diverso sia dall'autore
empirico e sia da colui il quale narra la storia in prima persona, definito, con un
ulteriore distinzione narratore58. Eco chiarisce ulteriormente come segue:

Si ha Autore Modello come ipotesi interpretativa quando ci si configura il soggetto di


una strategia testuale, quale appare dal testo in esame e non quando si ipotizza, dietro
alla strategia testuale, un soggetto empirico che magari voleva o pensava o voleva
pensare cose diverse da quelle che il testo, commisurato ai codici cui si riferisce, dice al
59
proprio Lettore Modello .

Come strategia narrativa, quest'ultima è però più semplice da “scoprire” della


precedente; nel momento in cui vi è un approccio al testo, anche il lettore, attraverso
le “tracce” che nel suo percorso incontra, cerca di ricostruire quest'identità, risultando
avvantaggiato poiché egli parte da un dato concreto, che è verificato o verificabile in
quanto è “presente testualmente come un enunciato”60, mentre lo scrittore, pensando
al suo Lettore Modello deve partire come brancolando nel buio, e cioè da nessun dato
di fatto.
Una questione parallela a ciò che sta dentro il testo riguarda invece ciò che il
testo può generare nel momento in cui il lettore decide di dare il via al processo
interpretativo. Abbiamo già avuto modo di accennare alla cooperazione testuale che
vuole il lettore alle prese con quegli spazi bianchi e indefiniti lasciati dallo stesso

56
Ivi, pag. 12.
57
Ivi, pag. 19.
58
Ibidem.
59
U. Eco, Lector in fabula, cit.,pag. 64.
60
Ivi, pag. 62.
25
scrittore. È proprio il testo, nella sua concretezza, a richiamare insomma alla
collaborazione. Eco, pertanto, ci indica quelle che potremmo definire le fasi del
processo semiosico del lettore, mettendo così in evidenza quanto rilevante sia il suo
ruolo, poiché è da ciò che è intorno e fuori di lui che dipende la dimensione semiosica.
Il testo è così rappresentato come un sistema di livelli (livelli che appaiono solo come
nozioni, come schemi metatestuali), i quali però non seguono un ordine fisso, possono
cioè nel momento dell'interpretazione essere raggiunti senza rispettare un ordine
preciso. L'unica gerarchia esistente ci dice che non si può attualizzare un testo senza
riempirlo di significato61, e che quindi gli unici livelli strettamente consequenziali
possono essere i due seguenti.
Attualizziamo un significato a partire dalla sua manifestazione lineare, ovvero
da un suo primo livello, e cioè “di superficie”, il significante. Tale livello viene
successivamente riempito “col sistema di codici e sottocodici provvisti dalla lingua in
cui il testo è scritto e dalla competenza enciclopedica a cui per tradizione culturale
quella stessa lingua rinvia” 62 .A partire da questa base, il lettore individua delle
proprietà semantiche di base, da collegare – come in un primo impatto – a questo
testo ancora vuoto. Entrano in gioco in questa fase, quelle che vengono definite leggi
di implicitazione:

Se si legge che |in un regno lontano viveva una volta una bella principessa chiamata
Biancaneve| si sa quasi automaticamente che «principessa» implicita «donna» e di
63
conseguenza «vivente, umano, femmina» .

A questo punto del percorso il lettore, però, ancora non ha deciso quali
contenuti attualizzare rispetto a questo o quel significante che un po' alla volta
acquisisce questo o quel significato; ad un determinato lessema, dato il mio bagaglio di
esperienze semiotico-linguistiche di lettore, io potrei attribuire una infinità di
significati. Ciò infatti richiama il concetto di semiosi illimitata, già espresso da Eco nel
Trattato di Semiotica Generale, per cui le possibilità di significazione sono virtualmente
illimitate, e tale illimitatezza è confermata se teniamo conto che dando ad un testo
significati illimitati, allora questo potrebbe generare ogni altro testo. È necessario
quindi fissare un limite, un argine verso questo processo, ed è a questo livello che

61
Ivi, pag. 69.
62
Ivi, pag. 77.
63
Ibidem.
26
entra in gioco il topic, uno strumento metatestuale che permette di orientarci verso
una possibilità interpretativa determinata, e che è definito grazie ad alcuni segnali
come il titolo, un'espressione particolare o delle parole chiavi che ci indirizzano verso
una determinato senso:

Sulla base del topic il lettore decide di magnificare o narcotizzare le proprietà


semantiche dei lessemi in gioco, stabilendo un livello di coerenza
interpretativa, detta isotopia64.

L'isotopia può essere definita come la “coerenza di un percorso di lettura”, la stabilità


di direzione del proprio percorso interpretativo. Tale scelta viene considerata da Eco
come condizionata in base a quelle che sono chiamate sceneggiature ricorrenti o
frames. Dentro questi frames sono depositate tutta una serie di informazioni; siamo
portati a pensare che l'apparizione di un dato elemento A abbia come conseguenza
necessaria l'apparizione dell'elemento B: se ad esempio il testo o il suo titolo mi fanno
intuire che sto per leggere di un uomo su un isola deserta, mi aspetterò che arrivi
prima o poi qualcuno a salvare quest'uomo.
Ho tentato un breve e semplificato excursus tra i vari livelli di cooperazione
ipotizzati da Eco, tentando di contestualizzarli in base al tema di tale elaborato; a tal
fine ho scelto di mettere in rilievo quei criteri che consentono di mettere in evidenza il
ruolo e il posto consentiti al lettore. Se nel capitolo precedente ho tentato di
dimostrare come la sua capacità semiotica possa dare l'opportunità, per il critico
letterario Jauss, di una riscrittura della letteratura in base alle ricezioni, ho qui invece
posto in rilievo, attraverso le teorizzazioni di Eco,proprio l'importanza della fase
ricettiva del testo, anche considerando le strategie testuali dell'autore.
Nel capitolo successivo raccoglierò queste tre riflessioni intorno al testo di Italo
Calvino Le città invisibili, tentando di mettere in evidenza alcuni passaggi che
attualizzano un nuovo significato forse assente al momento della pubblicazione, che mi
permetterà di recare un sia pur modesto contributo sulla fecondità di una storia
letteraria su base semiotica. Proverò ad identificare alcune tracce che mi diano la
possibilità di confermare l'apertura di tale opera, l'esistenza di tanti spazi bianchi
all'interno di essa, per quante siano le possibilità di interpretazione e dunque di
significazione offerte da questo testo.
64
Ivi, pag. 92.
27
Capitolo IV
"Le città invisibili" di Calvino in una lettura semiotica

Finora ho tentato di illustrare alcune teorie che pongono al centro della loro
attenzione il processo della ricezione e quello della significazione: tali teorie, trasversali
a diverse discipline, rientrano anche nel campo di interesse della semiotica, nella
misura in cui consideriamo un testo – e in questo caso di genere letterario – come un
oggetto da dovere interpretare; tale interpretazione, come già s'è visto, pone il
ricevente in un ruolo decisivo in quanto, come afferma Eco: "[...] ogni testo è una
macchina pigra che chiede al lettore di fare parte del proprio lavoro"65. Proverò ora a
verificare tale impostazione con ad un testo letterario, al fine di dimostrare come la
letteratura sia un processo non una realtà statica, un processo che è capace di
compiersi solo nel momento in cui c'è fruizione ovvero interpretazione.
Sia Jauss che Eco si erano misurati con l'analisi di un testo letterario; in particolare Eco,
in Lector in fabula, dedicherà tutta l'ultima parte del suo lavoro ad una lettura
interpretativa di un testo francese, Un drame bien parisien (1890) di Alphonse Allais.
Sempre Eco, in un altro volume a cui ho già fatto riferimento nei capitoli precedenti,
Sei passeggiate nei boschi narrativi, introduce le sue lezioni con un riferimento a Italo
Calvino:

Vorrei iniziare ricordando Italo Calvino, che doveva tenere otto anni fa, in questo
stesso luogo, le sue sei Norton Lectures, ma fece in tempo a scriverne solo cinque,
e ci lasciò prima di poter iniziare il suo soggiorno alla Harvard University. Non
ricordo Calvino solo per ragioni di amicizia, ma perché queste mie conferenze
saranno in gran parte dedicate alla situazione del lettore nei testi narrativi, e alla
presenza del lettore nella narrazione è dedicato uno dei libri più belli di Calvino,
Se una notte d'inverno un viaggiatore. Negli stessi mesi in cui usciva il libro di
Calvino, usciva in Italia un mio libro intitolato Lector in fabula (solo parzialmente
simile alla versione inglese che si intitola The Role of the Reader). […] Chi
confrontasse oggi il mio Lector in fabula con Se una notte di inverno di Calvino,
potrebbe pensare che il mio libro sia un commento teorico al romanzo di Calvino.
Ma i due libri sono usciti quasi contemporaneamente e nessuno di noi due sapeva
che cosa l'altro stesse facendo, anche se eravamo evidentemente appassionati
entrambi dallo stesso problema.66 […]
In effetti, parlando del ruolo del lettore, sembra quasi scontato ripensare a
questo romanzo, pubblicato da Calvino nel 1979, e che potremmo definire un
65
U. Eco, Sei passeggiate nei boschi, Milano, Bompiani, 2011, cit. pag. 3.
66
Ibidem, cit. pag. 1.
28
metaromanzo contenente dieci incipit diversi di racconti che, puntualmente, si
interrompono, e con al centro, la storia di un Lettore e di una Lettrice.
Sono quindi evidenti, a partire da queste premesse, le possibilità di prendere in
considerazione il processo di significazione apportato dal lettore, e i possibili
collegamenti con le teorie già illustrate precedentemente. Scrive Calvino a proposito
del suo romanzo:

Se nel Viaggiatore ho voluto rappresentare (e allegorizzare) il coinvolgimento del


lettore (del lettore comune) in un libro che non è mai quello che lui s'aspetta, non
ho fatto che esplicitare quello che è stato il mio intento cosciente e costante in
tutti i miei libri precedenti. Qui si aprirebbe un discorso di sociologia della lettura
(anzi di politica della lettura) che ci porterebbe lontano dalla discussione sulla
sostanza del libro in questione67.

Egli ammette, quindi, di aver sempre scritto – e non solo in quel caso –
pensando al coinvolgimento del lettore: è da qui possibile considerare per la sua opera
una prospettiva di analisi che tenga conto del processo di significazione e del rilievo
che questo può avere nella complessa struttura del testo.
Il mio lavoro di analisi si sviluppa a partire da un testo dove l'attenzione verso il Lettore
può essere vista come meno immediata che in Se una notte di inverno un viaggiatore.
Ho scelto, infatti, Le città invisibili (1972). Il romanzo narra di Marco Polo, mercante
veneziano, il quale percorre le terre dello sconfinato impero del tartaro Kublai Kan, al
fine di poterne fare un rapporto per lo stesso imperatore: suddivise in 11 serie, di 5
racconti ciascuna, il testo riporta le descrizioni di città che sono "fuori dallo spazio e dal
tempo"68 luoghi che non hanno nulla di reale, e che e che, nel loro essere mondi
autosufficienti non devono entrare tra loro in relazione. Queste modalità narrative
hanno spinto negli anni la critica ad interessarsi al possibile significato celato dietro a
questa complessa struttura. Calvino definisce questo testo come “un ultimo poema
d'amore per le città"69, lasciandoci quindi intendere quale sia il tema portante. Ma il
carattere fortemente irreale di questi racconti ha dato l’avvio, come si diceva, a
sempre rinnovate interpretazioni. È possibile, a mio avviso, considerare tale romanzo
dimostrazione di quanto il ruolo del Lettore, come le teorie precedentemente esposte
supponevano, sia fondamentale quale ultimo tassello del compimento dell'opera

67
I.Calvino, Se una notte di inverno un viaggiatore, Milano, Mondadori, 2006, cit., pag. X.
68
I.Calvino, Lettere 1940-1985, a cura di L. Baranelli, Milano, Mondadori, 2001, cit., pag. 1485.
69
I.Calvino, Le città invisibili, Milano, Mondadori, 2006, cit., pag. IX
29
stessa e ciò attraverso il tentativo, questo sì esplicito, di mostrare, attraverso la
“fantasia” di Marco Polo che “crea” all’impronta mondi immaginari dando risalto a
dettagli ritenuti “invisibili”, il processo stesso della creazione letteraria,
coinvolgendone, appunto esplicitamente chi legge di questa narrazione, ma intanto
rivolgendosi al destinatario esplicito della sua narrazione, e cioè l’imperatore.

Prima di affrontare l'analisi nella specifica direzione delle teorie reader


oriented, mi sembra obbligatoria una riflessione carattere semiotico più generale:
come ha osservato Cesare Segre in un articolo del 2004, Calvino intitola una di queste
serie di La città e i segni, dimostrando un interesse verso la semiotica e la questione
del significato: leggendo delle città raggruppate in questa categoria, troviamo specifici
riferimenti a teorie fondamentali della disciplina; Charles Sanders Peirce, uno dei
principali esponenti della semiotica contemporanee, scrive:

Un segno, o rappresentantem, è qualcosa che sta a qualcuno per qualcosa sotto


qualche rispetto o capacità. Si rivolge a qualcuno, cioè crea nella mente di quella
persona un segno equivalente, o forse un segno più sviluppato […] il segno sta per
qualcosa: il suo oggetto70.

Leggiamo della città di Tamara nel romanzo di Calvino:

Raramente l'occhio si ferma su una cosa, ed è quando l'ha riconosciuta per il


segno d'un' altra cosa: un'impronta sulla sabbia indica il passaggio della tigre, un
pantano annuncia una vena d'acqua, il fiore dell'ibisco la fine dell'inverno.[...]
L'occhio non vede cose ma figure di cose che significano altre cose: la tenaglia
indica la casa del cavadenti, il boccale la taverna, le alabarde il corpo di guardia, la
stadera l'erbivendola71.
La tematica del significato, per definizione invisibile, sembra dunque
fortemente presente, e Segre giunge ad affermare che l'intero romanzo “può persino
essere letto come un trattato di semiotica”72.
Un'ulteriore riflessione riguarda le figure di Marco Polo e Kublai Kan. Come già
detto, il mercante veneziano racconta all'imperatore del suo stesso regno: i due
protagonisti si configurano, all'interno del testo stesso come un emittente ed un
ricevente. Alla fine e all'inizio di ogni gruppo di città, Calvino usa l'espediente di una

70
C.S. Peirce, Opere, a cura di M. Bonfantini, Milano, Bompiani, 2003, cit., pag. 147
71
I.Calvino, Le città invisibili, Milano, Mondadori, 2006, cit., pag. 13.
72
C. Segre, "«Le città invisibili» di Calvino e la vertigini epistemica", in "Strumenti Critici", 2004, XIX, cit., pag. 45.
30
cornice. In queste parti di testo, quello che possiamo identificare come lo spazio
riservato ad un Autore Modello, Calvino si sofferma su rapporto tra i due protagonisti.
Nella prima di queste cornici leggiamo:

Ma quando a fare il suo resoconto era il giovane veneziano, una comunicazione


diversa si stabiliva tra lui e l'imperatore. Nuovo arrivato e affatto ignaro delle
lingue del Levante, Marco Polo non poteva esprimersi altrimenti che con gesti,
salti, grida di meraviglia e d'orrore, latrati o chiurli d'animali, o con oggetti che
andava estraendo dalle sue bisacce: piume di struzzo, cerbottane, quarzi, e
disponendo davanti a sé come pezzi degli scacchi. Di ritorno dalle missioni cui
Kublai lo destinava, l'ingegnoso straniero improvvisava pantomime che il sovrano
doveva interpretare […]. Il Gran Kan decifrava i segni, però il nesso tra questi e i
luoghi visitati rimaneva incerto […]. Ma, palese o oscuro che fosse, tutto quel che
Marco mostrava aveva il potere degli emblemi, che una volta visti non si possono
dimenticare né confondere. Nella mente del Kan l'impero si rifletteva in un
deserto di dati labili e intercambiabili come grani di sabbia da cui emergevano per
ogni città e provincia le figure evocate dai logogrifi del veneziano73.

La comunicazione tra i due sembra dunque fortemente ostacolata dalla


mancanza di un linguaggio condiviso; sembra esistere una sottile analogia tra la
difficile interpretazione da parte di Kublai dei resoconti di Marco Polo, e le difficoltà
riscontrate dal lettore nel trovare il significato di ciò che legge. Tutte le cornici che
aprono e chiudono i testi, attraverso i dialoghi dei due, in vario modo si soffermano sul
linguaggio e sul significato; soprattutto pare che l'accento sia posto sul processo della
comprensione: si potrebbe ipotizzare che anche la cornice vada letta come una
strategia testuale, affidata ad un Autore Modello. Questi sembra così voler
74
accompagnare il Lettore Modello nel processo di significazione.
Inizialmente i due protagonisti non si comprendono se non con gesti, urla e
versi; a padroneggiare inizialmente sembra essere una comunicazione non verbale.
Gradualmente i due sembrano trovare però un campo comune entro il quale si avvia il
processo di comprensione: "dapprima esclamazioni, nomi isolati, secchi verbi, poi giri
di frasi, discorsi ramificati e frondosi, metafore e traslati"75; potremmo quindi supporre
che l'Autore spera che il Lettore abbia imparato a muoversi tra le parole di Marco Polo;
gradualmente egli è riuscito a parlare la stessa lingua del suo interlocutore, così, il
lettore, un po' alla volta sarà riuscito ad entrare in contatto con il testo, a sentirlo

73
I.Calvino, Le città invisibili, cit., pp. 21-22.
75
I.Calvino, Le città invisibili, Milano, Mondadori, 2006, cit., pag. 38.
31
come parte del proprio immaginario, e quindi a comprenderlo, attuando un processo
di significazione.
In più occasioni, Calvino si era ritrovato a sottolineare la complessità del suo
lavoro, tanto che in una delle innumerevoli lettere raccolte sull'argomento aveva
dichiarato di volere ritornare quanto prima alla stesura di argomenti più diretti ed
immediati76. Nel 1985, poco prima della sua morte, lo scrittore terrà presso l'università
di Harvard un ciclo di sei conferenze, i cui testi, verranno raccolti e pubblicati postumi
nel 1988 con il titolo di Lezioni americane. In una di queste sei conferenze, dedicate al
tema dell'Esattezza, Calvino si trova a parlare de Le città invisibili:

Il mio libro in cui credo d'aver detto più cose resta Le città invisibili, perché ho
potuto concentrare su un unico simbolo tutte le mie riflessioni, le mie esperienze,
le mie congetture; e perché ho costruito una struttura sfaccettata i cui ogni breve
testo sta vicino agli altri in una successione che non implica una consequenzialità
o una gerarchia ma una rete entro la quale si possono tracciare molteplici percorsi
e ricavare le conclusioni plurime e ramificate77.

Da qui mi sembra lecito riaffermare la validità di una lettura del testo che
ponga l'accento sul processo di significazione da parte del destinatario, e di
conseguenza allontanare l'idea di un'unica interpretazione. Quasi scontato appare,
quindi, il riferimento, al concetto di Eco di opera aperta:

[…] l'autore produce una forma in sé conchiusa nel desiderio che tale forma venga
compresa e così fruita così come egli l'ha prodotta; tuttavia nell'atto di reazione
alla trama degli stimoli e di comprensione della loro relazione, ogni fruitore porta
una concreta situazione esistenziale, una sensibilità particolarmente condizionata,
una determinata cultura, gusti propensi, pregiudizi personali, in modo che la
comprensione della forma originaria avviene secondo una determinata
prospettiva individuale. In fondo, la forma è esteticamente valida nella misura in
cui può essere vista e compresa secondo molteplici prospettive, manifestando
una ricchezza di aspetti e di risonanze senza mai cessare di essere sé stessa […] In
tal senso, dunque, un'opera d'arte, forma compiuta e chiusa nella sua perfezione
di organismo perfettamente calibrato, è altresi aperta, possibilità di essere
interpretata in mille modi diversi senza che la sua irriproducibile singolarità ne
risulti alterata. Ogni fruizione è così una interpretazione ed una esecuzione,
poiché in ogni fruizione l'opera rivive in una prospettiva originale78.

76
I.Calvino, Lettere 1940-1985, a cura di L. Baranelli, Milano, Mondadori, 2001, pag.1123.
77
I.Calvino, Lezioni americane, Milano, Mondadori, 2012, cit. pag.72.
78
U.Eco, Opera Aperta, cit., pag. 58.
32
L'Opera Aperta promuove per l'interprete atti di libertà cosciente 79 , che
sicuramente possiamo realizzare di fronte alle descrizioni realizzate per le città
invisibili. Leggiamo nel testo:

Entrato nel territorio che ha Eutropia per capitale, il viaggiatore vede non una
città ma molte, di eguale grandezza e non dissimili tra loro, sparse per un vasto e
ondulato altopiano. Eutropia è non una ma tutte queste città insieme; una sola è
abitata, le altre vuote; e questo si fa a turno. Vi dirò ora come. Il giorno in cui gli
abitanti di Eutropia si sentono assalire dalla stanchezza, e nessuno sopporta più il
suo mestiere, i suoi parenti, la sua casa e la sua via, i debiti, la gente da salutare o
che saluta, allora tutta la cittadinanza decide di spostarsi nella città vicina che è lì
ad aspettarli, vuota e come nuova, dove ognuno prenderà un altro mestiere,
un’altra moglie, vedrà un altro paesaggio aprendo la finestra, passerà le sere in
altri passatempi amicizie maldicenze. Così la loro vita si rinnova di trasloco in
trasloco, tra città che per l’esposizione o la pendenza o i corsi d’acqua o i venti si
presentano ognuna con qualche differenza dalle altre. Essendo la loro società
ordinata senza grandi differenze di ricchezza o di autorità, i passaggi da una
funzione all’altra avvengono quasi senza scosse; la varietà è assicurata dalle
molteplici incombenze, tali che nello spazio d’una vita raramente uno ritorna a un
mestiere che già era stato il suo. Così la città ripete la sua vita uguale spostandosi
in su e in giù sulla sua scacchiera vuota. Gli abitanti tornano a recitare le stesse
scene con attori cambiati; ridicono le stesse battute con accenti variamente
combinati; spalancano bocche alternate in uguali sbadigli. Sola tra tutte le città
dell’impero, Eutropia permane identica a se stessa. Mercurio, dio dei volubili, al
quale la città è sacra, fece questo ambiguo miracolo80.

Nel momento in cui ci ritroviamo di fronte a queste righe siamo portati dal
testo ad avviare necessariamente un processo di interpretazione: superando la sua
prima manifestazione testuale, dobbiamo necessariamente accedere alla nostra
enciclopedia semantica81. Questo perché ritroviamo ad ogni narrazione un mix di
continui riferimenti all'esperienza reale (a un qualcosa che ci sembra conosciuto, che
sembra l'immagine della condizione della vita e della “morale” del tempo nostro e
dell'autore) tutti riferimenti poggiati però su una base di immaginario. L'incontro tra
questi due piani determina il senso ultimo del romanzo, che troveremo solo aprendo la
scatola dei possibili significati. Si potrà, per tanto, interpretare Eutropia sia come me la
si descrive, dando a tale narrazione il semplice significato di un racconto di fantasia,
ma Eutropia potrà essere anche metafora di un qualcosa di reale che può essere,
grazie all'esperienza, identificata dietro queste parole.

79
Ibidem, pag. 59.
80
I.Calvino, Le città invisibili, Milano, Mondadori, 2006, cit., pp. 64-65.
81
U.Eco, Lector in fabula, Milano, Bompiani, 2010, pag. 77.
33
Se qui è citato un unico passo, lo stesso discorso potrebbe farsi tuttavia per
l'intero testo, estremamente aperto, che utilizza come rafforzamento di questa
apertura il suo essere privo di riferimenti al reale, sicché diventa più che mai
necessario un atto di interpretazione.

Muovendoci ancora nell' ambito di queste teorizzazioni, possiamo a questo punto


confrontare con il testo quella figura – di cui ho già accennato – presente in quasi tutti
gli autori impegnati nella teorizzazione sul versante della ricezione, e nello specifico
definita da Eco Lettore Modello. Il testo seleziona il proprio Lettore Modello tra quei
lettori che decidono di accettare le regole del gioco imposte dall'Autore: nello specifico
del testo, il lettore sa che queste città non esistono nella realtà, ma abbandona le sue
convinzioni per entrare nel “gioco”. Su tale questione, si riferisce qui una
considerazione di Marco Belpoliti che in un suo saggio accenna all'impossibilità
dell'identificazione del lettore con il testo:

Tuttavia tra lo scrittore e il lettore non c'è nessun patto autobiografico. Questo è
uno degli altri motivi dello spaesamento che produce il testo. Il lettore si rende
conto che il testo allude a qualcosa di biografico, ma in nessun luogo è dichiarato.
È impedito infatti ogni tipo di identificazione: dell'autore e del lettore con i
personaggi evocati[...]82.

Di sicuro questo è un rischio presente, ma si potrebbe anche avanzare un'altra


ipotesi: Calvino stesso afferma, in Lezioni Americane, di aver realizzato un testo dalle
molteplici conclusioni, motivo per cui, potremmo supporre che la volontà dell'Autore
non sia quella di portare il lettore ad identificarsi o identificare l'Autore tra le righe,
bensì – come già ampiamente affermato – sia quella di rendere il fruitore del testo
l'elemento fondamentale nel processo di significazione della storia, e questo mi pare
evidente a partire da alcuni punti rintracciati nel testo, ad esempio:

Ma con queste notizie non ti direi la vera essenza della città […] La città ti appare
come un tutto in cui nessun desiderio va perduto e di cui tu fai parte, e poiché
essa gode tutto quello che tu non godi, a te non resta che abitare questo
desiderio ed esserne contento. Tale potere, che ora dicono maligno ora benigno,
ha Anastasia, città ingannatrice: se per otto ore al giorno tu lavori come tagliatore
d'agate onici crisopazi, la tua fatica che dà forma al desiderio prende dal desiderio

82
M.Belpoliti, "Città visibili e città invisibili", in Chroniques Italiennes, 2005, 75/76, pag. 79
34
la sua forma, e tu credi di godere per tutta Anastasia mentre non ne sei che lo
schiavo83.

A chi si sta rivolgendo Calvino? In verità non è Calvino, l'Autore Empirico, a


parlarci: è Marco Polo che narra le sue visioni a Kublai Kan: il continuo uso della
seconda persona ('la città ti appare', 'tu lavori', etc.) può essere inteso come una
strategia testuale, leggiamo in Lector in Fabula, quando Eco commenta un brano di
Wittgenstein:

Tutti i pronomi personali, (impliciti o espliciti) non indicano affatto una persona
chiamata Ludwig Wittgennstein o un lettore empirico qualsiasi: essi
rappresentano pure strategie testuali. L'intervento di un soggetto parlante è
complementare all'attivazione di un Lettore Modello il cui profilo intellettuale è
determinato solo dal tipo di operazioni interpretative che si suppone (e si esige)
che egli sappia compiere […]84.

Per tanto, possiamo supporre che l'uso del “tu”, ancor più perché posto tra le
prime pagine del testo, abbia la finalità di identificare non tanto il destinatario
finzionale, e cioè l'imperatore, quanto un destinatario più determinato: quello che ha il
compito di attualizzare il non detto, dando il via ad un processo di semiosi che darà la
possibilità di riempire un testo inizialmente vuoto, (così come vuoto è il deittico
pronominale di seconda persona a cui si riferisce Eco), eche si compirà, e si
determinerà, solo tramite l'apporto del processo di significazione attuato dal
Destinatario.
Rifacendosi agli studi di Eco in merito, l'analisi del testo da un punto di vista
della ricezione potrebbe anche fermarsi qui. Ma nel secondo capitolo si è fatto
riferimento anche a un altro autore, Hans Robert Jauss, che aveva ampiamente
anch'egli scritto sulla questione del ricevente, ponendo l'attenzione su un particolare
punto nelle sue teorie, quello che ricalca l'importanza di una storia della letteratura
che sia una storia delle ricezioni (riflessione portata avanti principalmente nel suo testo
Literaturgeschichte als Provokation der Literaturwissenschaft 85 ). Scrive Jauss a
proposito di una siffatta storia letteraria:

Fondata sull'estetica della ricezione, l'evoluzione letteraria non solo riacquista per
ciò stesso il perduto orientamento, in quanto la posizione dello storico della

83
I.Calvino, Le città invisibili, Milano, Mondadori, 2006, cit., pag. 12.
84
U.Eco, Lector in fabula, Milano, Bompiani, 2010, cit., pag.58.
85
Edizione italian: Perché la storia della letteratura?, Napoli, Guida Editori, 1969.
35
letteratura diviene il punto di fuga – non però il fine! - del processo: si apre così
anche lo sguardo sulla profondità temporale dell'esperienza letteraria, in quanto
tale estetica permette di osservare la distanza variabile fra il significato attuale e
quello virtuale di un'opera letteraria. Ciò significa che il carattere artistico di
un'opera, il cui potenziale significativo il formalismo riduce all'innovazione, come
unico criterio di valutazione, nell'orizzonte del suo primo apparire non deve in
alcun modo essere sempre immediatamente osservabile […]. La distanza fra la
prima ricezione reale ed il significato virtuale, ovvero, il altre parole, la resistenza
che la nuova opera oppone all'attesa del suo primo pubblico, può essere tanto
grande da render necessario un lungo processo di ricezione per riscattare ciò che
era inatteso e non usufruibile nel primitivo orizzonte. Così può accadere che il
significato virtuale di un'opera rimanga ignorato fintanto che l'evoluzione
letteraria non abbia raggiunto l'orizzonte rispetto al quale l'attualizzazione di una
forma più recente permette di trovare l'accesso alla comprensione di quella più
antica e disconosciuta86.

È fuor dubbio che partendo da questo punto si può avanzare un'ulteriore e


ultima considerazione sul romanzo di Calvino: come sostiene Jauss, esiste un
significato “attuale” di un'opera e uno virtuale, che potremmo intendere come quello
“intenzionale” dell'autore.

Nel contemporaneo, di certo è possibile considerare la ricezione de Le città invisibili


certamente in modo diverso rispetto al passato: Calvino sostiene di non aver voluto
scrivere un libro profetico87, ma per molti versi, narrando della città e sostanzialmente
talvolta della loro crisi, ha avuto uno sguardo lungimirante. Negli ultimi anni la
considerazione di quest'opera si è del tutto amplificata, perché con una delle città
narrate l'autore ha sembrato predire una situazione che da vicino ha toccato il nostro
Paese, e maggiormente la città di Napoli. Leggiamo di Leonia:

La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione


si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate
dall'involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più
perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le
ultime filastrocche dall'ultimo modello d'apparecchio. Sui marciapiedi,
avviluppati in tersi sacchi di plastica, i resti della Leonia di ieri aspettano
il carro dello spazzaturaio. Non solo tubi di dentifricio schiacciati,
lampadine fulminate, giornali, contenitori, materiali d'imballaggio, ma
anche scaldabagni, enciclopedie, pianoforti, servizi di porcellana: più che
dalla cose che ogni giorno vengono fabbricate vendute comprate,
l'opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate
via per far posto alle nuove: tanto che ci si chiede se la vera passione di
Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse, o
non piuttosto l'espellere, allontanare da sé, il mondarsi d'una ricorrente

86
H.R.Jauss, Perché la storia della letteratura, a cura di A. Varvaro, Napoli, Guida Editori, 1969, cit., pp. 84-85.
87
I.Calvino, Le città invisibili, Milano, Mondadori, 2006, pag. IX.
36
impurità. Certo è che gli spazzaturai sono accolti come angeli, e il loro
compito di rimuovere i resti dell'esistenza di ieri è circondato d'un
rispetto silenzioso, come un rito che ispira devozione, o forse solo perché
una volta buttata via la roba nessuno vuole averci più da pensare. Dove
portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai nessuno se lo chiede.
Fuori della città, certo; ma ogni anno la città s'espande, e gli immondezzai
devono arretrare più lontano; l'imponenza del gettito aumenta e le
cataste s'innalzano, si stratificano, si dispiegano su un perimetro più
vasto. Aggiungi che più l'arte di Leonia eccelle nel fabbricare nuovi
materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza, resiste mal tempo,
alle intemperie, a fermentazioni e combustioni. E' una fortezza di
rimasugli indistruttibili che circonda Leonia, la sovr asta da ogni lato come
un acrocoro di montagne. Il risultato è questo: che più Leonia espelle
roba più ne accumula; le squame del suo passato si saldano in una corazza
che non si può togliere; rinnovandosi ogni giorno la città conserva tutta
se stessa nella sola forma definitiva: quella delle spazzature d'ieri che
s'ammucchiano sulle spazzature dell'altro ieri e di tutti i suoi giorni e anni
e lustri. Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo
sterminato immomdezzaio non stessero premendo, al di là dell'estremo
crinale, immondezzai d'altre città, che anch'esse respingono lontano da sé
montagne di rifiuti. Forse il mondo intero, oltre i confini di Leonia, è
ricoperto da crateri di spazzatura, ognuno con al centro una metropoli in
eruzione ininterrotta. I confini tra le città estranee e nemiche sono
bastioni infetti in cui i detriti dell'una e dell'altra si puntellano a vicenda,
si sovrastano, si mescolano. Più ne cresce l'altezza, più incombe il
pericolo delle frane: basta un barattolo, un vecchio pneumatico, un fisco
spagliato rotoli dalla parte di Leonia e una valanga di scarpe spaiate,
calendari d'anni trascorsi, fiori secchi sommergerà la città nel proprio
passato che invano tentava di respingere, mescolato con quello delle città
limitrofe, finalmente monde: un cataclisma spianerà la sordida catena
montuosa, cancellerà ogni traccia della metropoli sempre vestita a
nuovo 88.

Ecco come la realtà degli anni recenti si rispecchia in un racconto del 1972:
supponendo una storia della letteratura basata sulle ricezioni potremmo di certo
considerare diversamente Le città invisibili: la sua ricezione è di certo di certo
differente, ad esempio, da quella di un decennio fa. La letteratura è un fenomeno in
movimento, un processo, così come lo è la storia e la nostra società. Avere
considerazione per la ricezione e i processi di interpretazione di un romanzo e di
un'opera d'arte in generale, significa non leggere la realtà come un qualcosa di statico,
ma attribuirle un grado di veridicità maggiore.

88
Ibidem, pp. 113-114.
37
Conclusioni

L'attenzione verso il lettore - o ricevente - del testo, nasce storicamente, come detto in
precedenza, dalla volontà di rompere tanto con la critica di matrice marxista, tanto con
quella definita formalista, estremamente concentrata l'una sul contorno storico, l'altra
sulla forma del testo. Per molti decenni la critica letteraria si è mossa all'interno di
questi schemi senza che vi fosse altra possibilità di lettura. A partire dagli anni Sessanta
- Settanta (con dei precoci accenni già negli anni Trenta, come illustrato nel primo
Capitolo, attraverso il pensiero di Louise Rosenblatt) emerge una nuova prospettiva di
analisi, che si pone, quindi, dalla parte del lettore. A questa figura, nonostante la sua
importanza, era stata da sempre dedicata poca attenzione.
Ogni volta che parliamo di Lettore, a questi è strettamente connesso il discorso
del significato e dell'interpretazione e di qui, necessariamente, il coinvolgimento della
semiotica. Considerare il processo di significazione significa ammettere che un testo è
realmente finito solo nel momento in cui esso viene letto. Il ruolo dello scrittore viene
per tanto ridimensionato: egli non ha circoscritto completamente la sua opera, non ha
"chiuso" il suo testo nel suo discorso. Ad incrociarsi con la sua produzione, vi è la
lettura (nel senso di interpretazione) di tutti i Destinatari. È dalla valorizzazione di
questa lettura personale, nella quale sono coinvolte le proprie esperienze di lettura
precedenti, il proprio bagaglio culturale, etc..., che muovono tali teorie.
Per tali ragioni è stata qui posta l'attenzione su due degli studiosi che hanno
operato all'interno di questi schemi: Umberto Eco e Hans Robert Jauss. Sono stati scelti
perché nel raffronto concreto con il testo le loro idee erano di certo quelle che meglio
si prestavano per portare avanti un'analisi improntata sulla ricezione. Attraverso Eco, il
concetto di Opera aperta prima(aperta, ovviamente, a possibilità molteplici di
significazione da parte del Ricevente) e di Lettore Modello poi (strategia testuale a cui
il testo intende rivolgersi) sono stati rintracciati nel testo dei punti utili a porre in
risalto la possibilità, nonché la validità, di una prospettiva di analisi critica dei testi:
questo soprattutto perché, concordando con Jauss un discorso esclusivo sulla forma
del testo non può risultare esaustivo, non può servire a spiegare il testo stesso. Un
testo è realizzato per un "pubblico" ed è a partire dal punto finale di questo processo

38
che è utile ripartire se si vuole tenere conto di un'analisi che non sia unicamente
storicistica o tecnico-formale.
Si è così accennato al fatto che come la letteratura non sia un fenomeno statico
ma che è un processo a sua volta iscritto in un mondo e in una realtà in costante
movimento. Come ogni forma d'arte anch'essa è il prodotto della mente umana e in
quanto tale è oggetto, da parte di questa, di continue attenzioni, e quindi di continui
processi di significazione.
Il testo di Calvino, come si è tentato di dimostrare, ha una struttura aperta a infinte
letture; lascia campo libero al lettore, partendo da una scrittura che mostra il
movimento generativo della stessa “fantasia”, pur mantenendo continui rimandi
metaforici al reale. Ogni città è un simbolo da interpretare. Marco Polo narra
all'imperatore Kublai Kan prima attraverso gesti e urla, poi imparando la sua lingua le
terre dello sconfinato impero tartaro; l'Autore Empirico narra attraverso la strategia
testuale dell'Autore Modello di città che sa che non esistono ma a partire dalle quali
sono possibili infinite interpretazioni e quindi realizzazioni. E se l'imperatore
inizialmente non capisce il Veneziano, anche al lettore appare poco chiaro il senso
complessivo dell'opera, che l'autore spera si faccia via vi più chiaro, così come più
chiara e comprensibile dovrebbe via via apparire la lingua di Marco Polo. E magari lo
stesso Calvino avrà forse sperato che, entrando via via in un testo, enigmatico e poco
definito, e accettate le regole imposte dal genere, la narrazione, mettendo in gioco
l'interpretazione del lettore, giunga così ad una maggiore chiarezza.
La provocazione di Jauss, che suggeriva una riscrittura della storia della
letteratura a partire da una storia della ricezione dei testi, potrebbe portare
attualmente a più sensate "antologie". Di certo, prendendo in considerazione alcuni
testi divenuti best sellers sia ieri che oggi, e analizzando i significati che li hanno
storicamente condotti al successo, ci troveremo a fare i conti non solo più soltanto con
la letteratura in quanto tale , ma anche con una serie di fenomeni contestuali, tanto
della società quanto della storia.
Scriveva Italo Calvino: "Smontato e rimontato il processo della composizione
letteraria, il momento decisivo della vita letteraria sarà la lettura. In questo senso
anche affidata alla macchina, la letteratura continuerà a essere un luogo privilegiato

39
della coscienza umana, un'esplicitazione delle potenzialità contenute nel sistema dei
segni d'ogni società e d'ogni epoca".89

89
I.Calvino, Saggi 1945-1985, a cura di M.Barenghi, Milano, Mondadori, 1995, p.211.
40
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