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Facoltà di Lettere

L’età del particolarismo grafico


Con il dissolversi dell’unità politica rappresentata dall’Impero romano anche l’unità
culturale entra in crisi, e con essa l’unità grafica. Ciò significa che mentre nella tarda
età imperiale tutti conoscevano e parlavano il latino, utilizzando le medesime scritture,
che circolavano, anche grazie ad una profonda alfabetizzazione risultato di un sistema
scolastico diffuso e capillare, con l’alto Medioevo la situazione muta completamente.
Si ha un crollo drastico della alfabetizzazione: la gente non sa più scrivere nemmeno il
proprio nome, non ci sono scuole, le città stesse si spopolano e nelle campagne si
vive in un isolamento pressoché assoluto. E’ un quadro solo abbozzato velocemente,
che interessa ai nostri fini per comprendere come in quest’epoca i centri di produzione
scritta, assai ridotti, si concentrino intorno agli unici depositari della cultura: i centri
ecclesiastici (monastici o vescovili), che producono testi esclusivamente per esigenze
interne, al di fuori di ogni ottica di mercato.
Dal punto di vista politico, con la frantumazione e quindi la nascita dei regni
romano-barbarici, ogni regione dell’Impero procederà d’ora in poi in modo autonomo,
sorgeranno esperienze diverse nelle varie regioni. A questo ‘particolarismo’ politico fa
riscontro il particolarismo grafico che porterà alla nascita delle cosiddette scritture
nazionali. Si veda la tav. 12 per un panorama dei centri di cultura all’epoca.

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Per particolarismo grafico si intende la varietà di esiti grafici che, a partire da una
comune esperienza grafica tardo antica, si produce nei diversi territori, in relazione alla
frantumazione politica e culturale dell’alto Medioevo.
Distinguiamo allora 4 regioni che per vari motivi storici e culturali possiamo ritenere
omogenee:
• I. Area insulare: comprende l’Inghilterra, abbandonata dai Romani già nel 400 ma
poi recuperata dal Cristianesimo, insieme all’Irlanda, cristianizzata dal V secolo. In
particolare in Irlanda la scrittura latina viene introdotta non dall’Impero romano, bensì
dagli uomini di Chiesa, monaci missionari.
• II. Area visigotica: la Spagna, di romanizzazione antichissima, venne conquistata dai
Visigoti. Dalla fine del sec. VI fiorisce una ricca cultura romano-germanica. La scrittura,
detta visigotica o mozarabica, viene utilizzata dall’VIII al XII secolo.
• III. Area della longobardia minore (Sud Italia): in quest’area si sviluppa l’unica
scrittura nazionale italiana, nota come Beneventana: avrà vita dall’VIII al XIII secolo.
• IV. Area franca: si intende un’ampia regione dell’Europa centrale, che comprende
l’Italia del nord, la Francia e la Germania. La Francia, in particolare, è latinizzata dalle
epoche più remote e da essa prenderà impulso la ricostruzione dell’Impero.

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TAV. 12:
Monasteri e
centri di cultura
nell’Europa
medievale

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Scritture insulari (VI-XI sec.)
In Irlanda la scrittura latina venne portata dai monaci che intendevano cristianizzare
gli Scoti: si innesta dunque in una base profondamente diversa (pensiamo alle scritture
runiche) e comporta un grandissimo sforzo. I monaci, oltre ai libri sacri (il salterio, ossia
il libro dei salmi, era l’abbecedario degli scolari medievali), si basarono sugli autori
classici, quali Cicerone, per far apprendere i rudimenti di una lingua così ostica. La
scrittura di partenza dunque non fu una tradizione corsiva d’uso, bensì la scrittura
libraria. Da questa base nacquero la semionciale insulare e la minuscola insulare.
• Semionciale insulare: pesante, schiacciata, larga e rotonda, presenta al termine
delle aste dei tratti di attacco a forma di spatola . Spesso comprende lettere maiuscole
(N, R, S). Tipiche sono B, D in forma rotonda e dritta, G senza occhiello e N.
• Minuscola insulare: è una scrittura più agile, dai tratti angolari, con ampie aste e
alcune legature, soprattutto iriguardanti I, disposte al di sotto della base di scrittura.
Viene adoperata per manoscritti di livello più modesto e nei documenti.
• Tipica è anche la scrittura distintiva (= scrittura dei titoli e delle parti di testo da
evidenziare), elaborata a partire da modelli capitali sulla base di criteri estetici e
figurativi del tutto propri e distinguibili, che improntano anche il vastissimo apparato
decorativo dei manoscritti insulari. Si veda per tutto ciò la tav. 13
(http://www.icar.beniculturali.it/biblio/pdf/Steffens/049_tav030.pdf ).
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La visigotica (secc. VIII-XI)
Diversamente che nelle regioni anglosassoni, in Spagna la romanizzazione era stata
profonda, la diffusione della scrittura latina capillare e pertanto la scrittura utilizzata
durante il regno visigotico e dai Cristiani del mondo arabo (ricordiamo che nel 711 gli
Arabi conquistarono una buona parte della penisola iberica), chiamati Mozarabi, è una
corsiva, detta visigotica o mozarabica. Di essa abbiamo testimonianze in ambito librario,
dove è tracciata in modo più posato, e in ambito documentario, dove invece sono
frequentissime le legature. Può essere inclinata o dritta.
Le sue caratteristiche sono: A aperta (cioè in forma di u), D rotonda onciale alternata a
D dritta, G maiuscola, I corta o I alta, R con ultimo tratto ampio e arricciato verso l’alto, T
con traversa che forma un occhiello a sinistra, posato sulla base del rigo, U anche in
forma di V soprascritta. Sono frequenti le legature. La maiuscola visigotica è altrettanto
tipica, è rivela (si pensi alla O a forma di cuore) chiaramente l’influsso della cultura araba.
Si veda la tav. 14 (http://www.icar.beniculturali.it/biblio/pdf/Steffens/056_tav036.pdf )

Sia le scritture insulari che la visigotica svilupparono un proprio autonomo sistema di


abbreviazioni, su cui torneremo in seguito.

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Paleografia
TAVOLA 13: Scrittura insulare

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FACOLTÀ DI LETTERE

Sec. VII ex. – Evangeliario di Kells. Scrittura Irlandese

Dublin, Library of Trinity College

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TAVOLA 14: Visigotica

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TAVOLA 15: Beneventana cassinese

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TAVOLA 16: Beneventana barese

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TAVOLA 17: Corsiva altoimedievale

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La beneventana (secc. VIII-XIII)
In Italia si continuò a lungo a scrivere codici in onciale, ma, a partire dalla fine del sec.
VIII, in Italia meridionale, nelle aree dei ducati longobardi, vengono prodotti alcuni
codici che adottano una scrittura ben formata e riconoscibile, organizzata in un sistema
elaborato. Si tratta di una minuscola libraria di base corsiva, dal tratteggio pesante, con
aste clavate e forme tipiche di lettere e legature. Si veda la tav. 15
(http://www.let.unicas.it/dida/links/didattica/palma/beneventana/paleob07.htm ).
Lettere caratteristiche sono A, in forma di ac, E alta e ‘strozzata’, I sia corta che alta,
se in posizione iniziale o intervocalica, R con asta che scende sotto il rigo e parte
superiore angolosa, T con traversa che forma un ampio occhiello a sinistra (attenzione
alla parte superiore del tratto di destra, che in A è curvo e in T è diritto). Vi sono poi
alcune legature obbligatorie: EI, FI, GI, LI, RI, in cui I scende sotto il rigo ad eccezione
che in FI ove è invece corta e sospesa. La legatura TI ha forma diversa a seconda che
corrisponda al suono duro (ti) o assibilato (zi), caso in cui T assume la forma di un 3
rovesciato chiuso dall’asta di I.
La beneventana ha una lunga vita perché è l’unica delle scritture nazionali dell’alto
medioevo a resistere efficacemente alla diffusione della nuova scrittura del Sacro
Romano Impero, la carolina, nei secc. IX e successivi. In passato era stata strettamente
connessa ai Longobardi e pertanto chiamata scrittura longobardica, con ventilate origini
nel monastero padano di Nonantola.
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Si distinguono diverse fasi: una fase di formazione, nei primi secoli, cui segue nel sec.
X una precisa definizione del canone grafico, che avviene non nel più importante
monastero dell’Italia meridionale, ossia Montecassino (distrutto nell’ 883 dai Saraceni,
venne riabitato dai monaci solo nel 949), ma proprio nel ducato di Benevento.
Da quest’epoca la beneventana si diffonde in un’area che comprende Campania,
Basilicata, Puglia, Abruzzo, Marche e la costa dalmata al di là dell’Adriatico. Con il sec. XI
la situazione si complica perché nel versante adriatico, nell’area di Bari, la beneventana
viene tracciata con una penna sottile (forse per influenza della scrittura greca), in forme
ampie e rotonde, con una C alta e ‘crestata’ ossia tracciata in 2 tratti distinti, aste ridotte.
Tra la fine del sec. X e i primi decenni dell’XI si afferma la beneventana barese .
(tav. 16 http://www.let.unicas.it/dida/links/didattica/palma/beneventana/paleob78.htm).
Nel corso del sec. XI Montecassino si avvia verso la ripresa; un gran numero di codici
vengono prodotti in una particolare forma di beneventana, fissatasi nella seconda metà
del secolo XI, detta beneventana cassinese (tav. 15). Ne è caratteristica l’esecuzione
spezzata dei tratti verticali, tracciati come due rombi sovrapposti, e il ‘cordellato’, ossia
l’allineamento perfetto dei tratti orizzontali sulla linea superiore di scrittura (cfr. ‘offertur’
seconda parola della r. 2 di tav. 15, in cui i tratti orizzontali di FFERT formano un’unica
linea). Tra le abbreviazioni, sono caratteristici il segno a forma di 3 in esponente per
indicare -m finale e l’abbreviazione per eius: EI con tratto orizzontale che taglia I.
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L’Italia del nord
Nelle regioni settentrionali dell’Italia del Nord non si ebbe alcuna nuova scrittura
paragonabile ai tipi precedentemente visti. Ricordiamo in particolare la beneventana,
che rispetto alle scritture insulari o alla visigotica o alla scrittura merovingica di cui
parleremo ora, rappresenta un tipo grafico assai forte, perché arriva ad organizzarsi in
un vero e proprio sistema: scrittura, abbreviazioni, scrittura distintiva, decorazione. La
sua diffusione, nell’area meridionale, fu totale: venne utilizzata anche in ambito
documentario. Nella regione più continentale dell’Europa, invece, sopravvivono
stentatamente le librarie di antica tradizione, quali onciale e semionciale, e, soprattutto,
non è mai venuto meno il filone della corsiva (a suo tempo chiamata corsiva romana
nuova, ma ora è meglio rinominarla ‘corsiva altomedievale’), eseguita in forma più o
meno rozze. Da questa base non mancano tentativi di organizzare una minuscola
libraria, ma nessuno tale da riuscire ad affermarsi. Si veda ad esempio nella tav. 17,
http://www.icar.beniculturali.it/biblio/pdf/Steffens/039_tav025b.pdf fine riga 3

QUAE AUTEM SPINAE SINT

Con A aperta, legature AE, TE EM SP; E lega dal tratto orizzontale mediano.

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La scrittura merovingica (VI-VIII)
Anche in Francia onciale e semionciale continuano ad essere adottate, ma, come
nell’Italia del nord, è la corsiva la scrittura più frequentemente utilizzata, soprattutto
nell’ambito della cancelleria merovingica, ove si intende dare un aspetto specifico alla
propria scrittura, adottando artificiosi espedienti di compressione laterale e allungamento
delle aste, che vengono eseguite in modo ondulato. E’ la corsiva merovingica. Se ne
tenta anche una canonizzazione libraria, con un esecuzione più posata, per esempio nel
VII sec. nel monastero di Luxeuil (cfr. tav. 18 : le prime 2 parole sono qualitas astringit).
Nel sec. VIII troviamo due tipi di scrittura libraria, elaborati nel monastero di Corbie,
che partono l’uno, ancora da una base corsiva (è il tipo A-B, dalle 2 lettere
caratteristiche), l’altro, invece, dalla semionciale (è il tipo E-N). Si tratta di scritture ora
veramente posate, in cui il numero delle legature si è notevolmente ridotto e le forme
cominciano a stabilizzarsi.
Si veda la tav. 19: nella sezione superiore vediamo un esempio del tipo A-B. Nella r. 10
dal basso è sottolineata la parola ‘labore’.
Nella sezione inferiore della tavola abbiamo un esempio del tipo E-N, con le lettere
caratteristiche evidenziate da un cerchietto.

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Paleografia
TAVOLA 18: Scrittura di Luxeuil

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TAVOLA 19: Minuscole di Corbie

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