Maria Cerasi
MÁSTER UNIVERSITARIO EN FORMACIÓN DEL PROFESORADO DE EDUCACIÓN SECUNDARIA
OBLIGATORIA Y BACHILLERATO, FORMACIÓN PROFESIONAL Y ENSEÑANZAS DE IDIOMAS
TEMA 1
PRESENTAZIONE
In riferimento alle Sue passate esperienze, sia di studio che lavorative, ci presenti
Ricordo ancora il mio primo giorno da maestra: avevo otto anni e tra i miei studenti
L’insegnamento per me non è mai stata una professione. Iniziò nell’infanzia come un
(UNINT). Nel 2009, infatti, mi sono iscritta al corso di laurea triennale in Lingue per
grammaticali sulla lingua italiana e ho sviluppato il senso critico nell’uso della lingua
consapevolezza degli aspetti che compongono una lingua e dei meccanismi che ne
dal contatto della lingua nativa con una seconda lingua. Ho cercato poi di applicare
queste tre discipline allo studio delle lingue straniere: la conoscenza dell’alfabeto
la pragmatica e della morfologia mi hanno fornito gli strumenti necessari per un’analisi
Dopo la discussione della tesi di laurea dal titolo La politica linguistica catalana: tra
revisione della lingua italiana che mi ha introdotto alla pratica della revisione
frequentato, inoltre, due corsi sulla didattica delle lingue straniere grazie ai quali ho
mio percorso universitario presentando una tesi di ricerca dal titolo I “gridi di reazione”
nell’ufficio orientamento del mio Ateneo. Per più di un anno, quindi, mi sono occupata
come insegnante di lingue ed è per questo che nel 2015 ho deciso di partecipare al
bando per assistenti di lingua italiana all’estero promosso dal Miur. È cominciata così,
la mia prima, vera esperienza lavorativa come lettrice di italiano in Spagna. Un anno
incredibile, non solo per aver conosciuto una parte di questo paese in cui non ero mai
tematiche culturali e sociali inerenti all’Italia, sono stata per un anno una piccola
quanto avevo appreso da libri e lezioni. Oltre al lavoro come assistente, ho anche
le mie abilità di docente: durante le varie edizioni del progetto, infatti, ho strutturato
diversi corsi di lingua italiana focalizzando l’attenzione sullo sviluppo delle funzioni
mie conoscenze sulla metodologia didattica delle lingue straniere che ho acquisito sia
all’università sia con l’esperienza lavorativa. Nonostante ciò, sento il bisogno di dover
sviluppano in un’aula.
Vorrei inoltre potermi abilitare all’insegnamento presso le scuole ufficiali, poiché
l’esperienza di Guadalajara mi ha permesso di scoprire una strada che non avevo preso
formazione come docente. Sono certa che grazie a questo nuovo cammino riuscirò a
scorgere ancora più nitidamente il mio traguardo e chissà magari un giorno poterlo
raggiungere.
TEMA 2
Cosa ne pensate dei prestiti in italiano? Siete d’accordo con questa opinione?
Perché?
Il numero di prestiti presenti nella lingua italiana infastidisce e fa paura ai puristi che
viene dall’alto, come è stato in Italia ai tempi del fascismo, potrebbe agire da
conoscono argini, limitazioni imposte dalle norme. Parole straniere, come killer,
sandwich, revolver, vengono più usate delle corrispondenti italiane esistenti con lo
stesso significato, tanto che le parole di questo tipo vengono chiamate prestiti di lusso,
Per analizzare in maniera chiara la questione dei prestiti in italiano, occorre innanzitutto
definisce come “parole tratte da altre lingue con cui la nostra è venuta in contatto per
scopriamo che esistono vari tipi di prestiti, molti dei quali non rivelano la propria
origine straniera poiché non mantengono la forma originaria ma si sono adattati alle
per l’intensificarsi degli scambi internazionali, per cui se si passano in rassegna le varie
all’accoglienza degli anglicismi nella lingua italiana, poiché al giorno d’oggi risulta
Roma Tre, la causa di questo uso spasmodico di parole come mouse, file o formattare è
parte degli italiani, che parlano forme danneggiate o intermedie dell’italiano e una
scarsa lealtà nei confronti della lingua, ovverosia un facile adattamento alla presenza di
non tanto l’eccessivo numero di input a cui l’italiano è sottoposto, quanto gli italiani
stessi che tradiscono la parola nazionale per rimpiazzarla con quella straniera. Per quale
motivo, dunque, parole straniere, come killer, sandwich, revolver, vengono usate più
Crusca, sembra essere sulla stessa linea di pensiero del prof. Simone e afferma che “la
Per trovare le ragioni di questo scarso attaccamento alla propria lingua da parte degli
italiani e alla conseguente accettazione dei prestiti di lusso è necessario capire le ragioni
2 Per esempi di forestierismi ed altre categorie di prestito del lessico italiano, consultare il manuale di
D’ACHILLE, P. (2003) L’Italiano contemporaneo. Milano: Il Mulino, 79-81
3 SIMONE, R. (2009) Il fascino delle lingue straniere [https://www.youtube.com/watch?v=MRnG-
IcWU8k; 22/10/2020]
4 MARAZZINI, C. (2015) Restituire ai cittadini la fiducia nell’italiano
[http://www.accademiadellacrusca.it/it/laccademia/notizie-dallaccademia/restuire-cittadini-fiducia-
nellitaliano-larticolo-claudio-marazzini; 22/10/2020]
per cui la parola straniera attrae di piú rispetto alla formazione endogena di parole che,
mediante il fenomeno dei prestiti interni o della neologia, arricchisce e rinnova il lessico
Al giorno d’oggi possiamo constatare che su un’analisi per campioni di 50.000 lemmi
integrati risulta essere del 10%, di cui circa la metà corrisponde a francesismi e circa un
nota che l’uso delle parole straniere inglesi è maggiore rispetto a quelle francesi (su
4000-5000 lemmi presenti nel dizionario e di uso frequente, abbiamo una ventina di
anglicismi e una decina di francesismi)6 L’inglese, dunque, già 10 anni fa, sembrava
d’oggi, il numero di parole inglesi nella lingua italiana è sicuramente aumentato: basta
consultare l’ultima edizione digitale del Devoto Oli per osservare che il numero di
anglicismi ad oggi è di circa 3522, rispetto ai 926 del francese 7. Sembra inoltre essere
infatti, non è quella del calco, né del prestito adattato, ma di una vera e propria
accettazione del termine straniero con scarso (o nullo) adattamento al sistema della
lingua ricevente. Si pensi ad esempio a parole come jobs act, deadline o competitor, che
secondo il pronto soccorso linguistico del devoto Oli, potrebbero essere rispettivamente
eccessivo uso di anglicismi rispetto agli equivalenti italiani è rintracciabile nelle parole
della sociolinguista Vera Gheno: “purtroppo, oggi dì, gli italiani hanno un vago senso di
inferiorità culturale nei confronti dell’inglese”9. Questa sudditanza psicologica porta gli
italiani a sostituire concetti semplici presenti in italiano con corrispettivi inglesi che non
proposito delle ragioni che spingono gli italiani ad accogliere forestierismi si basa su
fascista10, su cui ci soffermeremo per capire meglio se in qualche modo possa essere
relazionata alla poca fiducia degli italiani nei confronti della propria lingua.
Durante il periodo fascista (1922-1943), il regime impedì in tutti i modi l’uso delle
parole straniere sia nel parlato che nello scritto: scoraggiò, infatti, l’uso di forestierismi
nelle pubblicità, negli alberghi e nelle insegne dei negozi11 attraverso numerosi decreti12.
Il regime propose inoltre diverse azioni di promozione della lingua italiana come la
8 La7 Attualitá, servizio di GERINA, M. (2017) Troppe parole inglesi nella lingua italiana, arriva il
soccorso linguistico [https://www.youtube.com/watch?v=MFDSWMV2DPM 22/10/2020]
9 GHENO, V. per rtv38 (2017) A lezione di italiano: forestierismi in eccesso
[https://www.youtube.com/watch?v=3u8H0nNMQbk 22/10/2020]
10 GHENO, V. (2017) La lingua che s'infutura: l'italiano alle prese con i neologismi – Maratona
didattica organizzata da Alma Edizioni
[https://www.almaedizioni.it/it/almatv/maratona-didattica/webinar-vera-gheno/?
fb_comment_id=1546485285399806_1550829514965383; 22/10/2020]
11 RAI Gli anni della censura: il Fascismo e la lingua italiana [http://www.italiano.rai.it/articoli/gli-
anni-della-censura-il-fascismo-e-la-lingua-italiana/20300/default.aspx 22/10/2020
12 Tra i principali ricordiamo il decreto 11 febbraio 1923, n. 352 che prevedeva una tassa elevata per
coloro che esponevano forestierismi nelle insegne pubblicitarie, il decreto del 5 dicembre 1938, n.
2172, che vietava l’uso delle parole straniere nei locali di pubblico spettacolo e il decreto del 9 luglio
1939, n. 1238, che vietava l’uso di nomi stranieri per i bambini nati con cittadinanza italiana. Per
maggiori dettagli si rimanda a RAFFAELLI, A (2010) Enciclopedia dell’Italiano Treccani – Lingua
del fascismo [http://www.treccani.it/enciclopedia/lingua-del-fascismo_(Enciclopedia-dell'Italiano )
22/10/2020]
creazione della rubrica Una parola al giorno nella Gazzetta del Popolo in cui i
dalla linguista Vera Gheno durante la maratona didattica: traducenti come quisibeve per
bar, casimiro per cashmere, arlecchino per cocktail e ritirata per toilette o WC (water
close) erano le nuove parole che dovevano sostituire quelle straniere. Sembra, però, che
qualche termine come tramezzino, proposto da D’Annunzio, che oggi non sostituisce la
proprie radici linguistiche con la conseguente necessità di apertura verso gli altri paesi e
le altre lingue. Potremmo pertanto concludere che il regime fascista, nonostante il suo
carattere impositivo, non riuscì ad agire come deterrente poiché come si afferma
nell’opinione iniziale “le lingue sono in movimento, il loro movimento naturale, e non
conoscono argini, limitazioni imposte dalle norme”. Più che una sfiducia nella lingua
italiana come diceva il professor SImone, quindi, c’è a mio giudizio un dinamismo
linguistico dei parlanti, un vago senso di inferiorità culturale nei confronti dell’inglese
che spinge i parlanti ad affidarsi a parole come spending review anziché tagli alle spese
o default anziché fallimento, per sentirsi in linea con i tempi e con i fenomeni mondiali.
13 Ibidem
14 GHENO, V. (2017) [https://www.almaedizioni.it/it/almatv/maratona-didattica/webinar-vera-gheno/
22/10/2020]
produce dei guasti nel costume, abbassa il livello di responsabilità civica nel parlare.” 15
probabilmente da qui che si potrebbe, a mio giudizio, ripartire. Se non hanno funzionato
le disposizioni dall’alto come nel caso del fascismo, si potrebbero attuare campagne di
sensibilizzazione all’uso delle parole italiane, come ha ben fatto il Dizionario Devoto
Oli attraverso il lancio del pronto soccorso linguistico, una sezione interamente dedicata
agli anglicismi e ai suoi equivalenti italiani.16 Premesso che la decisione è sempre dei
parlanti, perché sono loro che si trovano al centro del processo comunicativo, è anche
vero che il parlante sceglie in base agli input che riceve e in base alla percezione che ha
di una parola piuttosto che un’altra. Se viviamo ancora con l’idea che la cultura inglese
posto delle risorse interne della nostra lingua, spesso e volentieri senza nemmeno
della parola che stiamo utilizzando. A tal proposito nel 2016 il forestierismo stepchild
adoption, irruppe nella lingua italiana: era sulla bocca di tutti ma molti non sapevano né
soccorso è stata adottata dal professor Francesco Sabatini, che ha proposto l’uso di
“adozione del configlio”17, termine che rende molto più chiaro agli italiani il concetto
che si vuole esprimere. Poiché la lingua italiana, come del resto tutte le altre lingue,
15 SABATINI, F. (2012) TGtg -- Telegiornali a confronto: [https://www.youtube.com/watch?
v=nYFI8ofr0Cc 23/10/2020]
16 CONTI, P. (2017) Provate a dire «feedback» in italiano. Sezione di «pronto soccorso linguistico» per
i 50 anni del Devoto-Oli. Così si evitano gli anglicismi
[http://www.corriere.it/cronache/17_settembre_17/devoto-oli-anglicismi-feedback-pronto-soccorso-
linguistico-0c35e384-9bea-11e7-99a4-e70f8a929b5c.shtml 23/10/2020]
possiede numerose risorse per la creazione di nuove parole, sarebbe opportuno evitare
l’uso dei prestiti di lusso a favore di un arricchimento linguistico endogeno, mentre sui
Per fare ciò è necessario un duro impegno non solo da parte delle istituzioni che
diffusione della lingua. Non si tratta solo di promuovere (e non imporre) la lingua
italiana, ma anche ridare ai parlanti maggior fiducia nella propria cultura e di risvegliare
“La lingua italiana è stata soltanto una lingua ideale con un vocabolario nazionale per
comunemente accettato per parlare delle mille piccole cose della vita di tutti i giorni”.
proprio codice (Bartolotta, S. 2010: 37). Aggiungerei, inoltre, che se pensiamo anche a
concetti come l’idioletto, ossia quella “particolare varietà d’uso del sistema linguistico
di una comunità che è propria di ogni singolo parlante” 18, possiamo renderci conto di
come “la lingua non è solo espressione, o meglio realizzazione del pensiero, ma è
17 Accademia della Crusca per TG2000 (2016): limitare termini tecnici inglesi nella comunicazione di
massa [https://www.youtube.com/watch?v=3jsskgi25B8; 23/10/2020]
18 Treccani Vocabolario online [https://www.treccani.it/vocabolario/idioletto/; 23/10/2020]
strumento di interazione sociale. Si tratta della lingua, per cosí dire, in atto, cioè nell’uso
quotidiano che ne fanno gli individui in rapporto a diversi tipi di situazione, per
che dipendono da molteplici fattori sociali, cambia nel tempo e nello spazio, e le sue
parole sono per questo motivo “portatrici dei segni delle cose nuove che via via si sono
introdotte e conosciute, dei segni lasciati dai popoli con cui si è venuti in contatto per
dovuta premessa, sembra che Perruzzi attribuisca alla lingua italiana un valore
esclusivamente letterario e non quotidiano, poiché la definisce come una lingua ideale
parte la sua affermazione trova le sue ragioni nel fatto che “la lingua letteraria italiana è
quella data da tutti i prodotti letterari, in prosa e in versi, letti o recitati, che
costituiscono quella letteratura che fin dalle origini prende il nome di italiana. Essa è
centrale non solo per la storia della letteratura, ma anche per quella della lingua. In
effetti, le lingue allo stato originario, anche l’italiana (quando ancora si chiamava
grande forza di diffusione fuori dal centro in cui venivano parlate.” 21 La lingua
letteraria, pertanto, sin dai tempi delle tre Corone trecentesche ha dimostrato una forte
pulsione volta alla ricerca di un sistema grammaticale e lessicale che servisse non solo
come modello per gli scrittori, ma anche come guida della lingua comune. Il proposito,
peró, secondo quanto afferma Perruzzi sembra avere avuto poco riscontro nell’uso
all’unificzione nazionale nel 1861 l’italiano fu una lingua usata prevalentemente nello
scritto e nel Novecento pochi possedevano una competenza attiva sia nel parlato che
nello scritto, pertanto la maggior parte parlava uno dei dialetti formatosi nella nostra
ha ampliato i suoi ambiti di uso togliendo spazio ai dialetti e diventando dunque lingua
influito ben poco nel parlato e ad oggi l’italiano contemporaneo è ben lontano dal
modello standard del passato, convive con i vari dialetti regionali e al suo interno si puó
individuare una gamma di varietá che dipende da una serie di variabili denominate assi
di variazione.23
caratteristiche.
In linea generale, dobbiamo sfatare il mito secondo il quale esiste un solo tipo di
vocabolario, che sará etimologico se si vuole ricercare il momento della nascita di una
parola, storico se si vuole ricostruire la storia di una parola e vedere il suo cambiamento
nel corso degli anni. Per quanto riguarda la ricerca delle informazioni sul significato,
possiamo avere due tipi di dizionari che variano a seconda del criterio di raccolta delle
parole: quelli semasiologici o d’uso, che hanno la funzione di riportare i lessemi della
riflettono il criterio usato dalla mente per assimilare le parole, ossia i dizionari
analogici, come il Dizionario analogico della lingua italiana di L. Terzolo, Thea Utet,
Torino, 1991, i quali raccolgono le parole che hanno a che fare con una parola lemma e
formano un insieme di parole denominato campo semantico (Bartolotta 2010: 33). Una
delle attivitá lessicografiche piú intense in Italia venne avviata dall’accademia della
Crusca che tra il 1612 e il 1728-39 pubblicó quattro edizioni del Vocabolario degli
dizionari d’uso sono lo Zingarelli, il Devoto Oli e il De Mauro, i quali possiedono anche
una versione online o su CD-ROM sono pertanto di facile accessibilitá. Il loro scopo
vita e di tutti i livelli d’uso, comprese le voci piú colloquiali, oltre alle informazioni
derivati. Possiamo dunque dedurre che al giorno d’oggi il dizionario semasiologico non
analogica, perché buona parte dei lemmi sono corredati di espressioni sintagmatiche,
lemmi. Il volume, pubblicato nel 1999, registra anche voci letterarie, termini
specialistici, varianti formali, regionalismi, parole straniere, voci gergali, latinismi, sigle
delle entrate ed è in continuo aggiornamento rispetto alle parole italiane che nel tempo
Prima di addentrarci nell’analisi del testo, è opportuno ricordare che “Il codice
linguistico è solo uno dei fattori che determina la buona riuscita dello scambio
comunicativo. Infatti, il messaggio non puó essere compreso se viene isolato dalle
Calvino e pubblicato sul quotidiano “Il Giorno”nel 1965 ossia circa cento anni dopo
un contesto linguistico, quello del sel diciassettesimo secolo, in cui i parlanti usavano i
vari dialetti regionali per comunicare tra loro, mentre la lingua scritta rimaneva il
volgare fiorentino che ricordiamo affondava le sue radici nelle opere letterarie, prime
fra tutte quelle di Dante, Boccaccio e Petrarca. C’era dunque, un divario tra la lingua
25 Interessanti sono gli esempi delle parole pianista e cucchiaio riportato nel manuale di D’ACHILLE,
P. (2003) L’Italiano contemporaneo. Milano: Il Mulino, 68: “Altre parole italiane di recente hanno
sviluppato significati nuovi che il GRADIT ha registrato nel II volume di aggiornamento, uscito nel
2007, fra i quali: il particolare, ma forse occasionale, valore di pianista, nella cronaca politica del
2002, con riferimento ai parlamentari che votano anche per gli assenti allungando il braccio sulla
tastiera del vicino […] o ancora l’accezione calcistica di cucchiaio ‘pallonetto’, la cui fortuna si lega
al nome del giocatore romanista Francesco Totti.”
Alessandro Manzoni, il quale, con l’uso del fiorentino parlato ne I Promessi Sposi,
mirava ad una lingua che fosse uniforme sia nello scritto che nell’orale. Le proposte
burocratici.27 In questo contesto, inseriamo il testo di Calvino, che costituisce una vera e
propria denuncia contro l’oscuritá del burocratese. L’autore esordisce con il racconto di
un caso che si potrebbe definire pratico, pertanto in linea con la sua concezione della
brigadiere il quale “batte veloce sui tasti la sua fedele trascrizione”, e da qui inizia una
deposizione verbale che agli occhi del lettore appare quasi ridicola per il fatto, ad
esempio, di interpretare dei fiaschi di vino dietro la cassa del carbone come
burocrati di fronte alle parole comunemente usate dai parlanti per riferirsi alla realtá. Da
notare, inoltre, che Calvino parla di un processo automatico, quello della traduzione
della lingua comune all’antilingua, che dura da cent’anni a questa parte, pertanto
riconosce che il fenomeno ha come punto di partenza il periodo dell’ Unitá d’Italia. A
mio giudizio, il tratto piú interessante di questo articolo è costituito non tanto dalle
allontanati, relegati in fondo a una prospettiva di vocaboli che di per se stessi non
vogliono dire niente o vogliono dire qualcosa di vago e sfuggente.”) ma quanto dalle
ragioni che spingono i parlanti ad usare il burocratese. Egli infatti dice che “chi parla
l’antilingua ha sempre paura di mostrare familiarità e interesse per le cose di cui parla,
crede di dover sottintendere: «io parlo di queste cose per caso, ma la mia ‘funzione’ è
ben più in alto delle cose che dico e che faccio, la mia ‘funzione’ è più in alto di tutto,
altre parole manca la volontá di interazione. Calvino attribuisce questo rifiuto ad una
chiusura verso la vita che porta alla morte della lingua stessa: “La motivazione
psicologica dell’antilingua è la mancanza d’un vero rapporto con la vita, ossia in fondo
l’odio per se stessi […] dove trionfa l’antilungua –l’italiano di chi non sa dire ho
«fatto» ma deve dire «ho effettuato»- la lingua viene uccisa.” Possiamo dunque
constatare che Calvino denuncia la presenza di due lingue, una utilizzata da tutti per
riferirsi alla realtá e l’altra, quella burocratica, che usa parole distanti, lontane, astratte.
morte. Questa sterilitá causata dal burocratese non puó essere peró attribuita al
linguaggio tecnico di cui parló Pasolini poiché secondo Calvino “Se il linguaggio
omologatore degli usi diversi) si innesta sulla lingua non potrà che arricchirla,
ci fa dunque riflettere sul fatto che se la lingua tecnologica viene usata per riferirsi a
nuove categorie lessicali o per precisare categorie giá esistenti, non impedirá
e la strumentalità tecnologica vi entra solo per finta.” Interessante è notare come sia
Pasolini che Calvino coincidono nell’idea che la lingua tecnologica è uniforme in tutto
il Paese: “In tutta Italia ogni pezzo della macchina ha un nome e un nome solo” dice
afferma che “il centro linguistico italiano non è piú letterario, non è piú Firenze, ma è
la parola frigorifero, è una parola che tutti gli italiani adoperano, dalla massaia di
Milano a quella di Palermo. Le parole tecniche sono una specie di cemento che sta
livellando e unificando tutto l’italiano.” Sebbene i due autori siano d’accordo sul fatto
che il linguaggio tecnico sia un elemento di unificazione della lingua italiana a discapito
dell’antilingua che, invece, la rende sterile, possiamo dire che Calvino mostra una
fiducia piú ampia verso i tecnicismi argomentandola con le seguenti parole: più la
lingua si modella sulle attività pratiche, più diventa omogenea sotto tutti gli aspetti, non
tendo ad amare di piú alla guida di una lingua nazionale una lingua letteraria ma se
questa lingua è tecnologica invece che letteraria non posso far altro che prenderne
atto”29. Sembra, insomma, che quella di Pasolini sia esattamente l’obiezione di cui lo
stesso Calvino parla nel suo testo e a cui risponde sostenendo che la lingua pratica,
quella tecnica, quella operativa, guiderá le sorti generali della lingua nazionale, con il
contributo delle lingue straniere, poiché “L’italiano si definisce in rapporto alle altre
lingue con cui ha continuamente bisogno di confrontarsi, che deve tradurre e in cui deve
questo testo. Torniamo infatti ad osservare il comportamento del Brigadiere, che sente il
atteggiamento presente non solo nel personaggio di questa storia, ma anche in tutti i
apprendimento scopriremo che c’è un’alta tendenza alla traduzione da e verso la L2. È
proprio su questo principio, quello della traduzione, che si basa la parziale realizzazione
l’italiano sia ricco di prestiti esogeni, proprio perché, come diceva Calvino “L’italiano si
definisce in rapporto alle altre lingue con cui ha continuamente bisogno di confrontarsi”
Sicuramente siamo ben lontani da ció che l’autore definiva essere un’interlingua
mondiale ad alto livello, ma possiamo altresì affermare che l’italiano si sia salvato
29 Ibidem
5. Commentate il testo di Tullio De Mauro, Il linguaggio televisivo e la sua
influenza.
Ci troviamo di fronte all’analisi della lingua sul piano diamesico, poiché stiamo
analizzando la sua evoluzione sulla base dei mezzi utilizzati per la sua trasmissione, in
questo caso televisione e radio. In questo testo di Tullio de Mauro viene messa in risalto
l’importanza della televisione e della radio, i due alleati che, in maniera diversa, hanno
contribuito negli anni ‘50-’70 alla diffusione e unificazione della lingua. In linea
generale, si afferma che l’italiano della televisione, pur presentando aspetti simili a
quelli della radio, ha avuto una maggiore incidenza nel rendere l’italiano parlato
introdotto l’uso della lingua italiana tra coloro che erano relegati nel ghetto dei dialetti,
imposti loro come unico idioma, dall’altro, invece, ha portato i ceti piú colti
all’abbandono del dialetto nel parlato orale. Lo stesso de Mauro definisce la televisione
come una scuola di usi linguistici italiani. Ma qual era, dunque, la differenza tra la
lingua diffusa dalla radio e quella televisiva? I telespettatori erano esposti al parlato
autentico con tutte le sue varietá: gli annunciatori televisivi, sopratuttutto coloro che
loro accento romano o milanese, mentre la ricchezza dei generi televisivi come i
vocabolario che spaziava da espressioni colloquiali a parole piú formali. Inoltre, come
afferma de Mauro, i costi di fruizione degli spettacoli era basso pertanto la diffusione
sottolinea inoltre una volontá da parte dei personaggi televisivi di avvicinarsi il piú
possibile ai telespettatori con l’uso della prima persona plurale (voltiamo pagina,
cambiamo decisamente argomento, passiamo ora, ci dice tutto X)31, per cercare di
telespettatori. Possiamo dunque concludere dicendo che con la televisione, ancora più
che con la radio, la lingua nazionale è entrata nelle case di tutti, si è estesa in maniera
parlata. La televisione ha quindi agito in modo duplice. Da una parte sui singoli
normativi di uso. Radio e televisione sono dunque state tra i fattori che più hanno
L’autore espone uno dei grandi problemi che genera l’apprendimento di una lingua
l’autore, provoca una frustrazione poiché lo studente rimane convinto dell’idea che una
descrivere la realtá che vivono gli studenti di una qualsiasi lingua straniera. Il fattore
principale che influisce nell’approccio piú o meno positivo di un parlante ad una L2,
chiedersi da dove proviene questo atteggiamento e soprattutto che alternativa puó offrire
di crisi perché i suoi metodi tradizionalisti sono ormai rifiutati dai docenti. Nel manuale
Introducción a la didáctica del italiano si afferma che “il quadro generale dello stato
grammatica, concetto che a sua volta evoca cose molto diverse tra loro. Serianni scrive
cultura scritta (attraverso il latino, la parola risale al greco techne grammatiké – scienza
del leggere e del scrivere) e dunque sulla contrapposizione tra il grammatico, la persona
basi per questo terrore di cui parla Hayakawa. Una definizione di grammatica piú
funzionamento della lingua stessa intesa come codice semiotico deputato alla
pensa alla grammatica come un insieme di norme grazie alle quali la lingua funziona in
tutti i suoi aspetti, iniziamo giá ad uscire dall’idea della lingua corretta e si intravede la
ricordare che lo scopo della lingua è quello dell’interazione e non della correttezza.
Partendo da questi due presupposti, quello della grammatica intesa come descrizione
degli aspetti di una lingua e dell’interazione come funzione predominante di una lingua,
credo che un insegnante, per allontanare la ”paura degli errori di grammatica” e curare
apprendimento di una qualsiasi lingua e che bisogna imparare a capire le ragioni insite a
esso per poter avere una maggiore consapevolezza del rapporto tra la propria lingua
una lingua e cercare di utilizzare un metodo deduttivo, che analizzi cioè un campione di
s’impara non sopra un libro ma sopra molti libri: non cioè crogiolandosi nel
parlando, parlando.” Bisognerebbe, insomma, avere una concezione piú dinamica della
33 Ibidem, pag. 4
norma linguistica, capire che una lingua va descritta e non rispettata come se fosse un
insieme di leggi, poiché essa stessa è sensibile al cambiamento lungo l’asse del tempo.
TEMA 3
pari in quanto a competenze e uso. Questo concetto si distingue dalla diglossia, che è
vede l’uso della prima in contesti piú formali e l’uso del secondo nella comunicazione
informale, poiché alla lingua italiana viene attribuito un valore di prestigio rispetto al
bilinguismo nei territori della Val d’Aosta, dove si parlano l’italiano e il francese e
ragioni storiche della presenza del bilinguismo in queste due regioni. Un’importante
propria lingua. Questo ovviamente significa che non tutti i parlanti sono bilingui, poiché
sia il tedesco che l’italiano condividono lo stesso territorio d’uso ma possono di fatto
fenomeni legati all’immigrazione, per cui piccoli gruppi di emigrati in cerca di lavoro
arrivarono nel nostro paese e si stabilirono nei centri della Penisola, nei casi riportati al
nord italia36. Si potrebbe pensare che la presenza di lingue straniere nel territorio
nazionale possa aver minato all’unitá nazionale del Paese, in effetti la politica
linguistica fascista proibí non solo l’uso dei dialetti, ma anche di tutte le lingue
minoritarie presenti nel paese: vennero ad esempio soppresse tutte le insegne francesi in
Val D’Aosta (1924), e venne proibito l’insegnamento del francese presso le scuole
(1925). Anche in Alto Adige venne imposto l’italiano per la pubblicazione di manifesti,
scolastici compresi37. Successivamente, grazie agli articoli della Costituzione 38 del 1948,
A tal proposito, le prime traduzioni dei principi costituzionali si ebbero proprio nelle
lingue straniere delle regioni a statuto speciale sebbene, come ci segnala la D’Agostino,
molti anni dopo in maniera più organica sull’intera questione39. Interessanti sono i dati
delle lingue che conosce a seconda del contesto comunicativo in cui si trova.
Soffermiamoci sull’analisi dei dati riportati nelle regioni di nostro interesse: in Valle
una percentuale di bilinguismo molto alta, che trova le sue radici nel ruolo del francese
dell’amministrazione nella regione, funzione che venne ribadita nel 1561, con la
come giá accennato, venne poi riconfermato dalla regione stessa che in virtú delle leggi
Nonostante questa politica linguistica volta a favore del mantenimento del francese, la
realtá bilingue della Valle d’Aosta dimostra di essere ben lontana dal bilinguismo
(«in quale lingua parli con...?»), dove il francese appare del tutto marginale in tutti i
contesti, anche quelli formali (per es. negli uffici dell’amministrazione regionale).”
Sembra, dunque, che il francese non venga usato né in contesti famigliari, né in quelli
formali ma è abbastanza chiaro che, come dice Berruto: “«conoscere» – non «usare», si
badi – il francese risulta assai importante per sentirsi membri a pieno titolo della
comunità locale”43. Ci spostiamo adesso in Alto Adige dove, in seguito allo statuto di
autonomia del 1972 le istituzioni locali hanno acquisito un certo potere amministrativo e
hanno fatto della provincia di Bolzano una realtá del tutto autonoma. Secondo i dati
ISTAT riportati nel saggio della D’Agostino, “risulta che nella Provincia autonoma di
all’italiano”44. Un’indagine piú dettagliata45 ci rivela inoltre che l’82% della popolazione
che dichiara di appartenere al gruppo italiano indica come seconda lingua il tedesco,
mentre chi appartiene al gruppo tedesco indica per la quasi totalità l’italiano. Questo ci
dimostra che nonostante il bilinguismo in Alto Adige sia di tipo bicomunitario, esiste un
alto tasso di plurilinguismo individuale che si riflette anche in altri dati riportati
plurilinguismo fin dall’infanzia appare altissima in tutti i gruppi. Con in testa ancora
una volta il gruppo tedesco che, oltre ad avere avuto per il 96,5% contatto con il dialetto
francese + francoprovenzale) il 51%.” Cfr. D’AGOSTINO, M. (2015) Sociolinguistica dell’italiano
contemporaneo
43 Citazione tratta dal saggio della D’Agostino (2015)
44 Ibidem (le lingue in questione sono il tedesco e il latino)
45 Inchiesta campionaria del 2004 su 1300 individui a partire dai 19 anni di età, dal titolo Barometro
linguistico dell’Alto Adige. Uso della lingua e identità linguistica in provincia di Bolzano (dati ripresi
dal saggio D’Agostino (2015)
tedesco e il 69,8% con il dialetto standard, ha avuto contatti anche con l’italiano (nella
contenute con il ladino e l’inglese”. Per concludere, in Italia possiamo osservare che le
leggi tutelano le situazioni bilingue del paese e che se in Val D’Aosta il francese è
considerata una lingua di conoscenza e non di uso, che denota semplicemente prestigio
e istruzione, il tedesco è di fatto una realtá ben presente nel territorio della provincia di
plurilingui.
Con il termine “isola linguistica” si intende una comunitá la cui varietá linguistica usata
è completamente diversa rispetto alla lingua del territorio circostante. Tale lingua
motivi storici, tra cui l’immigrazione o il rifiuto di adattarsi a strati linguistici giunti
l’obiettiva discesa nell’uso di queste lingue da parte delle comunitá alloglotte, gli
abitanti delle “isole” dichiarano per lo meno la conoscenza della lingua minoritaria. 47
Per quanto riguarda la Calabria, l’isola linguistica per eccellenza è costituita da quella
grecofona, risalente al 1880 circa e spalmata su tre aree geografiche prossime tra loro
del greco nell’isola linguistica della Calabria, alcuni studi hanno messo in evidenza che
sebbene la maggior parte della popolazione sia bilingue, in realtá predilige l’uso del
riguardante la tutela della lingua e del contesto in cui è parlata (Legge regionale 30
Gonias parla di due teorie, quella “romaica”, secondo la quale “il greco fu introdotto
nell’Italia meridionale nel 10-11 sec., durante il flusso migratorio che fece seguito alle
presente fin dalle prime colonizzazioni avenute nell’ottavo secolo a.C., sopravvissuto
alle intemperie del latino dominante e ancor oggi vivo grazie alle caratteristiche ostili
dell’ambiente e allo stile di vita della popolazione che si dedica principalmente alla
presente la comunitá albanese, la cui presenza risale alle invasioni turche del XV secolo
nel Nord dell’impero romano, che spinse le popolazioni dei Balcani a cercare rifugio in
48 Per maggiori dettagli sulle aree geografiche, si fa riferimento all’opera di MINNITI GONIAS, D.
(2009)
49 Cfr. Ibidem
50 Cfr. ANNALI DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE (2006) Le minoranze linguistiche in Italia nella
prospettiva dell’educazione plurilingue La legge n. 482/1999 sulle minoranze linguistiche nel settore
scolastico Bilancio dei primi sei anni di attuazione
51 Ibidem
52 Ibidem
albanese nel territorio italiano in generale e siculo nello specifico non è sempre stata
facile, poiché era costituita da forti tensioni che possono essere riassunte con il seguente
detto popolare: Si vidi nu jejju e nu lupu, spara aru jejju e lassa u lupu “Se incontri un
albanese e un lupo, spara all’albanese e lascia il lupo” 53.Sebbene al giorno d’oggi non
del sopravvento della lingua dominante. Per la salvaguardia della comunitá albanese, è
di origine albanese e delle altre minoranze linguistiche» 54. Nonostante l’impegno della
lingua e letteratura albanese dell’Universitá del Salento Monica Genesin afferma che
“Le risorse finanziarie fornite [...] hanno permesso di avviare alcune attività nei comuni
minoritari [...] ma i fondi sono troppo scarsi e molto resta affidato alla buona volontà dei
singoli e all’impegno dei due principali centri di albanologia attivati presso le Università
53 GENESIN, M. e MATZINGER, J. (2019) Sezione Magazine del portale Treccani Lingue sotto il tetto
d'Italia. Le minoranze alloglotte da Bolzano a Carloforte - 11. La minoranza linguistica italo-
albanese (arbëreshe) [https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/scritto_e_parlato/
Toso11.html; 27/10/2020]
54 Cfr. ANNALI DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE (2006) Le minoranze linguistiche in Italia nella
prospettiva dell’educazione plurilingue La legge n. 482/1999 sulle minoranze linguistiche nel settore
scolastico Bilancio dei primi sei anni di attuazione
55 GENESIN, M. e MATZINGER, J. (2019)
Ci troviamo nella seconda metá dell’Ottocento, periodo in cui la situazione linguistica
caratterizzata vista la numerosa presenza di dialetti locali utilizzati nella lingua parlata
anche dalle persone colte. La spinta verso l’unificazione linguistica era giá presente da
tempo, poiché intellettuali e scrittori, incamminati dai tre padri della lingua Dante,
Boccaccio e Petrarca, avevano aspirato alla trasmissione di una lingua unica attraverso i
canali della letteratura. Ma l’evento storico piú significativo del reale percorso di
unificazione linguistica fu il processo del Risorgimento che, tra la fine del Settecento e
l’Ottocento, vide non solo una serie di trasformazioni economiche e sociali, ma anche
d’Italia poiché a livello politico vennero proposti progetti unitari in tutti gli ambiti,
anche quello linguistico. La discussione sulla questione della lingua, quindi, non era piú
solo teorica, ma trovava riscontro nell’azione politica. Basti pensare, infatti, che il
provvedimenti e i modi coi quali si possa aiutare e rendere più universale in tutti gli
ordini di popolo la notizia della buona lingua e della buona pronunzia” 56 e fu proprio a
seguito di questa richiesta che Manzoni pubblicó nel 1868 la propria Relazione
sull’unità della lingua, che suscitó non poche polemiche57. Sta di fatto che questo
che agiva a livello nazionale e la cui iniziativa proveniva dalle autoritá politiche in
collaborazione con i letterati del tempo. Tornando alla questione della lingua unitaria, la
scelta rimaneva sempre proiettata verso il fiorentino, poiché godeva giá di una buona
reputazione nel mondo degli intellettuali e degli scrittori. Lo stesso Manzoni arrivó poco
a poco alla consapevolezza che il fiorentino parlato dalle persone colte costituisse la
grande rivoluzione linguistica. Secondo Giacomo Devoto, questo grande cambió maturó
nello scrittore attraverso diverse fasi: “prima quella di una generica lingua
toscana; infine quella di una visione fiorentina rigorosa: non piú nel senso dei puristi,
palpitante, immersa nei modelli vivi del suo tempo” 59 Una lingua d’uso, dunque, viva e
immersa nella societá. Questa sensibilitá fiorentina trova la sua piena realizzazione nella
stesura definitiva60 dei Promessi Sposi, e getta cosí le basi della lingua nazionale unitaria
ancor prima dell’unitá d’Italia. È importante sottolineare che il romanzo ebbe tre
stesure, quella del ‘21-’23 con il titolo Fermo e Lucia, il cui quadro, secondo Devoto,
lessicali […] volgarismi dialettismi e banalitá lessicali, l’uno piú infelice degli altri” 61.
Nella successiva revisione, quella del ‘25-’27 col titolo I Promessi Sposi, l’autore non si
allontana troppo dallo stile della prima versione ed è solo durante il soggiorno a Firenze,
completezza nell’ultima e definitiva versione, quella del 1840 con lo stesso titolo,
trasmessa al popolo italiano, ci furono altre opere che insieme alla giá citata Relazione
sull’unitá della lingua furono espressione della teoria fiorentinista che sosteneva l’uso
orale del fiorentino parlato dai ceti alti e si allontanava dalla lingua letteraria in virtú di
un codice comunicativo piú vivo e vicino alla realtá sociale. Tali opere che esprimevano
questo pensiero furono la lettera a Giacinto Carena Sulla lingua italiana (1845) e le
due lettere al ministro Bonghi Intorno al libro «De vulgari eloquio» e Intorno al
lingua italiana di estrazione fiorentina sia ai personaggi di alto ceto sociale che a quelli
unitá linguistica.
Nel testo della Murano viene messa in evidenza la grande crisi che affligge
norme e le sue applicazioni ma ció si rivela fallimentare perché, come afferma l’autrice
“la lingua è un sistema aperto, che non ha una regola o una norma per tutto”. Spiega
inoltre che dove esiste la regola, non esiste nella coscienza di molti maestri e alunni la
possibilitá di poterle trasgredire. Questa concezione della lingua intesa come insieme di
corretta visione delle cose”, cioè l’idea per cui se si rispettano le regole grammaticali si
visione non tiene in conto che la lingua è un sistema in continuo cambiamento, “che non
comanda piú il modo di formazione delle frasi”, cioè non puó essere interamente
forza delle parole66 sostiene che è necessario eliminare quelle categorie che sono vane,
testo della Murano, viene presentata la polemica didattica tra la posizione del linguista,
che lascia agli alunni massima libertá di espressione ed è pertanto tollerante all’errore e
66 Intervento di Luca Serianni al Convegno nazionale "La forza delle parole", organizzato da Pearson
Italia e tenutosi a Roma il 6 marzo 2014. [https://www.youtube.com/watch?v=bZbAvY_72XI
28/10/2020]
Serianni fa notare che lo stato dell’insegnamento delle lingue, seppur ancorato alla
nella didattica di due correnti della linguistica novecentesca quali la sociolinguistica con
coerenza . Per concludere, credo che il testo della Murano ci aiuta a comprendere che il
essa “si è sempre piegata alle nuove esigenze dei parlanti e ha sempre riflettuto il corso
delle vicende umane, ciò vuol dire che la lingua è veramente un’istituzione regolata
modificare il nostro atteggiamento verso gli errori: essi sono opportunitá di riflessione,
straniera. Un approccio del genere potrebbe sicuramente migliorare il rapporto tra gli
studenti e le lingue straniere, e curare una volta per tutte quelle “nevrosi linguistiche” di
cui parla Hayakawa, causate dalla vecchia grammatica a due facce corretto/scorretto.
Allo stesso tempo, potranno vedere l’insegnante non come un giudice, ma come un
Questa canzone, scritta dal cantautore Riccardo Cocciante ed uscita nel 1993, presenta
un importante piano formale. Il testo, infatti, si è diviso in sei strofe, di cui quattro
perfettamente ottave e due (la terza e la quinta strofa) ipermetre, mentre è un distico a
chiudere l’opera. L’adozione di una struttura lirica tipicamente italiana lascia intendere
messa in rilievo dalla ripetizione in alcune strofe (prima, seconda e quarta) e nel distico
conclusivo del titolo della canzone “La nostra lingua italiana”. In questa cornice metrica
si inquadra anche il senso delle varie anafore, per cui si ripete per ben ventidue volte la
parola lingua, scandendo cosí il ritmo musicale del testo insieme alle poche rime sparse
Potremmo dire che la scelta della struttura metrica e rimica dell’opera ha una stretta
correlazione con l’accordo musicale scelto, da cui ovviamente non si puó prescindere
nell’analisi di una canzone. Per quanto riguarda i contenuti e le immagini presenti nel
testo, osserviamo come Cocciante dipinge la bellezza della lingua italiana che è
racconto, di una testimonianza artistica, storica, folcloristica e sociale che parla della
gente e dei luoghi dove si usa questa lingua. Se ci addendriamo nell’analisi dei
significati, scopriamo che sin da subito l’autore parla di una “lingua di marmo antico di
che narra la storia di un popolo d’arte (il marmo), di religione (la cattedrale), di
battaglie (spada) per poi passare alla rappresentazione della lingua nei paesaggi in cui
essa è parlata (“lingua di mare”, “lingua di monti esposta a tutti i venti/ che parla di
neve bianca agli aranceti”). Nella seconda strofa, poi, prosegue ricordando che la lingua
di oggi è frutto e volontá del lavoro di un fiorentino, del suo essersi battuto per la
nobiltá del volgare per far si che la lingua potesse essere del popolo. Interessante è il
riferimento implicito a Dante per antonomasia: “uomo di Firenze che parla del cielo agli
architetti”. Potremmo ipotizzare che l’autore usa questa metafora per riferirsi alla
Divina Commedia, viaggio attraverso i mondi ultraterreni (cielo) raccontato in un’opera
architetti). Nella terza strofa continua l’excursus e la “nostra lingua italiana” diventa il
codice di comunicazione per ed in ogni contesto: dallo stadio alla trattoria, al bar,
diventa persino lingua dei luoghi dell’amore. Si passa poi, nella quarta strofa, dove
torna l’immagine della lingua legata all’arte che si nutre di essa e anche della vita.
Sembra che Cocciante ci stia ricordando come la nostra lingua sia aulica, pura, poetica,
colta, ma allo stesso tempo è anche la lingua della vita quotidiana, quella degli strati
sociali piú bassi: a questo proposito è significativo il rapporto rimico tra le parole
all’italiano. L’idea della lingua come patrimonio di tutti gli strati sociali si intreccia con
il tema giá citato della lingua dolce, che nella strofa 4, verso 4 diventa bella da sentire
ed esportare “fino alla sabbia del continente americano”. Si apre qui, con l’immagine
dell’areoplano della quinta strofa, il tema del rapporto tra la lingua italiana con il resto
del mondo, la lingua che esce fuori dai confini e arriva in terre lontane ed esotiche (versi
1-3) per poi viaggiare attraverso la lingua degli attori e del grande patrimonio
cinematografico italiano ed entrare nell’opera come “lingua del bel canto” (strofa 6,
versi 1-2). Essa sa, inoltre, coniugarsi anche con altre lingue, perché sa prendere presititi
dall’inglese e dal francese (strofa 6, versi 4-5). Ma è nella conclusione del testo, degli
ultimi 3 versi della sesta ottava e nel distico finale che il cantautore trova la definizione
ultima per la “nostra lingua italiana”: nei versi 6-8, canta: “lingua di pace, lingua di
dolce suono porta la pace, rappresenta un patrimonio culturale che spazia dall’arte alla
racconta quanto si sia diffusa e possa diffondersi portanto messaggi positivi di unione e
sguardo non puó non scorrere sui commenti degli stessi stranieri: da russi a finlandesi,
agli stessi ispanoparlanti. Questo conferma che la lingua italiana possiede una bellezza
estetica ed intrinseca, fatta dalla sua storia, dal suo patrimonio artistico e dalla sua
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NENCIONI, G. La nuova questione della lingua - File PDF (39 KB) [lezione tenuta