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ESTUDIOS ITALIANOS

ATTIVITÀ TEMA 1-2-3

Maria Cerasi
 MÁSTER UNIVERSITARIO EN FORMACIÓN DEL PROFESORADO DE EDUCACIÓN SECUNDARIA
OBLIGATORIA Y BACHILLERATO, FORMACIÓN PROFESIONAL Y ENSEÑANZAS DE IDIOMAS
TEMA 1

PRESENTAZIONE

In riferimento alle Sue passate esperienze, sia di studio che lavorative, ci presenti

un Suo Curriculum Vitae in modo critico.

Ricordo ancora il mio primo giorno da maestra: avevo otto anni e tra i miei studenti

c’erano un paio di peluche, qualche bambola e un esercito di soldatini presi in prestito

da mio fratello. Spiegavo loro come parlare, leggere e scrivere.

L’insegnamento per me non è mai stata una professione. Iniziò nell’infanzia come un

gioco, si trasformò nell’adolescenza in un sogno, e adesso, finalmente, sta prendendo la

forma di una solida realtà.

Per arrivare a scorgere questo traguardo, ho intrapreso un lungo cammino composto da

tappe fondamentali: la prima in assoluto è stata il conseguimento del diploma al liceo

linguistico “Saffo” di Roseto degli Abruzzi, a cui è successivamente seguita la mia

formazione universitaria presso l’Università degli Studi Internazionali di Roma

(UNINT). Nel 2009, infatti, mi sono iscritta al corso di laurea triennale in Lingue per

l’interpretariato e la traduzione. Nei primi tre anni, oltre a imparare lo spagnolo e

approfondire l’inglese, ho anche frequentato un corso di lingua italiana in cui ho

analizzato le varietà dell’italiano contemporaneo, approfondito le competenze

grammaticali sulla lingua italiana e ho sviluppato il senso critico nell’uso della lingua

sviluppando una capacità di autovalutazione dei testi prodotti in diversi contesti.

Il vero punto di svolta, però, è stato lo studio della linguistica, sociolinguistica e

linguistica del contatto. Grazie ad esse, infatti, ho acquisito una maggiore

consapevolezza degli aspetti che compongono una lingua e dei meccanismi che ne

regolano il funzionamento; ho scoperto l’importanza del rapporto tra i parlanti e la loro


lingua, per poi approfondire lo studio delle interferenze linguistiche che scaturiscono

dal contatto della lingua nativa con una seconda lingua. Ho cercato poi di applicare

queste tre discipline allo studio delle lingue straniere: la conoscenza dell’alfabeto

fonetico mi ha permesso, ad esempio, di migliorare la mia pronuncia in inglese, mentre

la pragmatica e della morfologia mi hanno fornito gli strumenti necessari per un’analisi

consapevole del sistema lingua.

Dopo la discussione della tesi di laurea dal titolo La politica linguistica catalana: tra

coesione culturale e divergenza ideologica e il successivo conseguimento della laurea

triennale, mi sono iscritta al corso di laurea Magistrale in Traduzione presso la

medesima università. Oltre a lavorare sulla traduzione attiva e passiva da e verso le

lingue straniere scelte, ho avuto l’occasione di frequentare il corso di redazione e

revisione della lingua italiana che mi ha introdotto alla pratica della revisione

linguistica, ha contribuito a migliorare la resa dei testi tradotti dalla sottoscritta e mi ha

reso sensibile alla necessità di presentare un testo formalmente accurato. Ho

frequentato, inoltre, due corsi sulla didattica delle lingue straniere grazie ai quali ho

acquisito una metodologia per la strutturazione di un corso di lingua straniera e ho

consolidato la mia autonomia nell’apprendimento. Nel 2015 ho finalmente terminato il

mio percorso universitario presentando una tesi di ricerca dal titolo I “gridi di reazione”

nell’interazione: analisi dei meccanismi che regolano il funzionamento delle

interiezioni, con votazione di 110 e lode.

Terminato il mio percorso universitario, ho ottenuto una borsa come collaboratrice

nell’ufficio orientamento del mio Ateneo. Per più di un anno, quindi, mi sono occupata

di consulenza formativa a studenti e futuri studenti e di organizzazione di eventi legati

all’università. Durante questo periodo, però, ho continuato a prepararmi per lavorare

come insegnante di lingue ed è per questo che nel 2015 ho deciso di partecipare al
bando per assistenti di lingua italiana all’estero promosso dal Miur. È cominciata così,

la mia prima, vera esperienza lavorativa come lettrice di italiano in Spagna. Un anno

incredibile, non solo per aver conosciuto una parte di questo paese in cui non ero mai

stata, ma anche e soprattutto per l’esperienza nella Scuola Ufficiale di Lingue di

Guadalajara (Escuela Oficial de Idiomas de Guadalajara). L’attività di assistentato mi ha

permesso infatti di potenziare quella metodologia didattica appresa all’università: ho

creato attività a seconda dei livelli di conoscenza dell’italiano, ho approfondito

tematiche culturali e sociali inerenti all’Italia, sono stata per un anno una piccola

ambasciatrice del mio bellissimo paese. E ho potuto finalmente mettere in pratica

quanto avevo appreso da libri e lezioni. Oltre al lavoro come assistente, ho anche

lavorato come insegnante di italiano presso il Centro Giovani di Guadalajara (Centro

Joven de Guadalajara), il quale ha promosso per vari anni un progetto linguistico

denominato “Ciudad Babel” e destinato a utenti di livello avanzato. Questa esperienza,

che ho gestito in totale autonomia, mi ha permesso di sperimentare e quindi potenziare

le mie abilità di docente: durante le varie edizioni del progetto, infatti, ho strutturato

diversi corsi di lingua italiana focalizzando l’attenzione sullo sviluppo delle funzioni

comunicative in molteplici contesti e sugli aspetti culturali della lingua italiana.

Successivamente ho lavorato per 4 anni come docente di lingua inglese presso

L’accademia Crazy Learning English di Azuqueca e anche qui ho messo in pratica le

mie conoscenze sulla metodologia didattica delle lingue straniere che ho acquisito sia

all’università sia con l’esperienza lavorativa. Nonostante ciò, sento il bisogno di dover

approfondire maggiormente molti degli aspetti legati all’insegnamento: le caratteristiche

psicologiche che influiscono nell’apprendimento, l’analisi dei materiali didattici per

poterli sfruttare al meglio e la risoluzione di problemi legati alle dinamiche che si

sviluppano in un’aula.
Vorrei inoltre potermi abilitare all’insegnamento presso le scuole ufficiali, poiché

l’esperienza di Guadalajara mi ha permesso di scoprire una strada che non avevo preso

in considerazione, ossia l’insegnamento della lingua italiana a stranieri. Per questo ho

deciso di iscrivermi al Master de profesorado della Uned e di proseguire con la mia

formazione come docente. Sono certa che grazie a questo nuovo cammino riuscirò a

scorgere ancora più nitidamente il mio traguardo e chissà magari un giorno poterlo

raggiungere.
TEMA 2

Cosa ne pensate dei prestiti in italiano? Siete d’accordo con questa opinione?

Perché?

Il numero di prestiti presenti nella lingua italiana infastidisce e fa paura ai puristi che

ne vorrebbero eliminato e diminuito l’uso. In verità nessuna disposizione, anche se

viene dall’alto, come è stato in Italia ai tempi del fascismo, potrebbe agire da

deterrente, in quanto le lingue sono in movimento, il loro movimento naturale, e non

conoscono argini, limitazioni imposte dalle norme. Parole straniere, come killer,

sandwich, revolver, vengono più usate delle corrispondenti italiane esistenti con lo

stesso significato, tanto che le parole di questo tipo vengono chiamate prestiti di lusso,

rispetto ai prestiti di necessità.

Per analizzare in maniera chiara la questione dei prestiti in italiano, occorre innanzitutto

definire il concetto di prestito. Il professore di linguistica italiana Paolo D’Achille li

definisce come “parole tratte da altre lingue con cui la nostra è venuta in contatto per

vicende politiche, economiche o culturali”1. Se ci addentriamo ancor di piú nel tema,

scopriamo che esistono vari tipi di prestiti, molti dei quali non rivelano la propria

origine straniera poiché non mantengono la forma originaria ma si sono adattati alle

caratteristiche fonetiche e morfologiche della lingua ricevente. Per quanto riguarda

invece i forestierismi non adattati, risultano essere predominanti nell’italiano soprattutto

per l’intensificarsi degli scambi internazionali, per cui se si passano in rassegna le varie

categorie di forestierismi, scopriremo che l’italiano ha accolto numerosi germanismi,

1 D’ACHILLE, P. (2003) L’Italiano contemporaneo. Milano: Il Mulino, pag. 77


arabismi, ispanismi, tedeschismi2 ed infine, un riferimento speciale va fatto

all’accoglienza degli anglicismi nella lingua italiana, poiché al giorno d’oggi risulta

essere un fenomeno in costante crescita.

Secondo Raffaele Simone, linguista italiano e professore di linguistica all’Università di

Roma Tre, la causa di questo uso spasmodico di parole come mouse, file o formattare è

da attribuire principalmente a due fattori: un’identificazione ristretta nella lingua da

parte degli italiani, che parlano forme danneggiate o intermedie dell’italiano e una

scarsa lealtà nei confronti della lingua, ovverosia un facile adattamento alla presenza di

parole straniere presenti nei vari linguaggi, specialmente in quello pubblicitario 3.

Sembra, quindi, che i principali responsabili di questa invasione di forestierismi siano

non tanto l’eccessivo numero di input a cui l’italiano è sottoposto, quanto gli italiani

stessi che tradiscono la parola nazionale per rimpiazzarla con quella straniera. Per quale

motivo, dunque, parole straniere, come killer, sandwich, revolver, vengono usate più

delle corrispondenti italiane esistenti? Perché il prestito di necessità non basta e si

abbonda con quelli di lusso? Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della

Crusca, sembra essere sulla stessa linea di pensiero del prof. Simone e afferma che “la

classe dirigente italiana ha perso fiducia nella lingua nazionale”4.

Per trovare le ragioni di questo scarso attaccamento alla propria lingua da parte degli

italiani e alla conseguente accettazione dei prestiti di lusso è necessario capire le ragioni

2 Per esempi di forestierismi ed altre categorie di prestito del lessico italiano, consultare il manuale di
D’ACHILLE, P. (2003) L’Italiano contemporaneo. Milano: Il Mulino, 79-81
3 SIMONE, R. (2009) Il fascino delle lingue straniere [https://www.youtube.com/watch?v=MRnG-
IcWU8k; 22/10/2020]
4 MARAZZINI, C. (2015) Restituire ai cittadini la fiducia nell’italiano
[http://www.accademiadellacrusca.it/it/laccademia/notizie-dallaccademia/restuire-cittadini-fiducia-
nellitaliano-larticolo-claudio-marazzini; 22/10/2020]
per cui la parola straniera attrae di piú rispetto alla formazione endogena di parole che,

mediante il fenomeno dei prestiti interni o della neologia, arricchisce e rinnova il lessico

italiano utilizzando materiale esistente5

Al giorno d’oggi possiamo constatare che su un’analisi per campioni di 50.000 lemmi

riportata nell’enciclopedia Treccani del 2010, la percentuale di forestierismi non

integrati risulta essere del 10%, di cui circa la metà corrisponde a francesismi e circa un

terzo ad anglicismi. Se tuttavia si fa riferimento al lessico di alta frequenza d’uso, si

nota che l’uso delle parole straniere inglesi è maggiore rispetto a quelle francesi (su

4000-5000 lemmi presenti nel dizionario e di uso frequente, abbiamo una ventina di

anglicismi e una decina di francesismi)6 L’inglese, dunque, già 10 anni fa, sembrava

rappresentare la fonte esogena predominante da cui l’italiano attingeva. Al giorno

d’oggi, il numero di parole inglesi nella lingua italiana è sicuramente aumentato: basta

consultare l’ultima edizione digitale del Devoto Oli per osservare che il numero di

anglicismi ad oggi è di circa 3522, rispetto ai 926 del francese 7. Sembra inoltre essere

cambiata la misura in cui il forestierismo inglese aderisce all’italiano: la tendenza,

infatti, non è quella del calco, né del prestito adattato, ma di una vera e propria

accettazione del termine straniero con scarso (o nullo) adattamento al sistema della

lingua ricevente. Si pensi ad esempio a parole come jobs act, deadline o competitor, che

secondo il pronto soccorso linguistico del devoto Oli, potrebbero essere rispettivamente

5 BARTOLOTTA, S.; GONZÁLEZ DE SANDE, E.; GONZÁLEZ DE SANDE, M.; MARTÍN


CLAVIJO, M. (2010): Introducción a la Didáctica del Italiano. Sevilla: ArCiBel Editores pagg. 29-
31
6 FANFANI, M. (2020) Enciclopedia Treccani – Forestierismi
[http://www.treccani.it/enciclopedia/forestierismi_(Enciclopedia-dell'Italiano)/ ; 22/10/2020]
7 ZOPPETTI, A. (2017) I forestierismi nell’italiano: i numeri del Devoto Oli 2017
[https://diciamoloinitaliano.wordpress.com/2017/09/12/i-forestierismi-nellitaliano-i-numeri-del-
devoto-oli-2017/ 22/10/2020]
sostituite da legge sul lavoro, scadenza e avversario8. A mio giudizio la causa di un

eccessivo uso di anglicismi rispetto agli equivalenti italiani è rintracciabile nelle parole

della sociolinguista Vera Gheno: “purtroppo, oggi dì, gli italiani hanno un vago senso di

inferiorità culturale nei confronti dell’inglese”9. Questa sudditanza psicologica porta gli

italiani a sostituire concetti semplici presenti in italiano con corrispettivi inglesi che non

aggiungono nulla. Un’altra lettura interessante che offre la sociolinguista fiorentina a

proposito delle ragioni che spingono gli italiani ad accogliere forestierismi si basa su

due aspetti: la posizione geografica dell’Italia, situata al centro del mediterraneo e

pertanto crocevia di commerci e commistioni culturali, e la questione dell’autarchia

fascista10, su cui ci soffermeremo per capire meglio se in qualche modo possa essere

relazionata alla poca fiducia degli italiani nei confronti della propria lingua.

Durante il periodo fascista (1922-1943), il regime impedì in tutti i modi l’uso delle

parole straniere sia nel parlato che nello scritto: scoraggiò, infatti, l’uso di forestierismi

nelle pubblicità, negli alberghi e nelle insegne dei negozi11 attraverso numerosi decreti12.

Il regime propose inoltre diverse azioni di promozione della lingua italiana come la

8 La7 Attualitá, servizio di GERINA, M. (2017) Troppe parole inglesi nella lingua italiana, arriva il
soccorso linguistico [https://www.youtube.com/watch?v=MFDSWMV2DPM 22/10/2020]
9 GHENO, V. per rtv38 (2017) A lezione di italiano: forestierismi in eccesso
[https://www.youtube.com/watch?v=3u8H0nNMQbk 22/10/2020]
10 GHENO, V. (2017) La lingua che s'infutura: l'italiano alle prese con i neologismi – Maratona
didattica organizzata da Alma Edizioni
[https://www.almaedizioni.it/it/almatv/maratona-didattica/webinar-vera-gheno/?
fb_comment_id=1546485285399806_1550829514965383; 22/10/2020]
11 RAI Gli anni della censura: il Fascismo e la lingua italiana [http://www.italiano.rai.it/articoli/gli-
anni-della-censura-il-fascismo-e-la-lingua-italiana/20300/default.aspx 22/10/2020
12 Tra i principali ricordiamo il decreto 11 febbraio 1923, n. 352 che prevedeva una tassa elevata per
coloro che esponevano forestierismi nelle insegne pubblicitarie, il decreto del 5 dicembre 1938, n.
2172, che vietava l’uso delle parole straniere nei locali di pubblico spettacolo e il decreto del 9 luglio
1939, n. 1238, che vietava l’uso di nomi stranieri per i bambini nati con cittadinanza italiana. Per
maggiori dettagli si rimanda a RAFFAELLI, A (2010) Enciclopedia dell’Italiano Treccani – Lingua
del fascismo [http://www.treccani.it/enciclopedia/lingua-del-fascismo_(Enciclopedia-dell'Italiano )
22/10/2020]
creazione della rubrica Una parola al giorno nella Gazzetta del Popolo in cui i

forestierismi venivano adattati all’italiano, e la promozione di un concorso a premi per

la sostituzione di 50 parole straniere13. Interessanti sono i casi di traduzione evidenziati

dalla linguista Vera Gheno durante la maratona didattica: traducenti come quisibeve per

bar, casimiro per cashmere, arlecchino per cocktail e ritirata per toilette o WC (water

close) erano le nuove parole che dovevano sostituire quelle straniere. Sembra, però, che

i neologismi fascisti non hanno preso il sopravvento sui forestierismi, ad eccezione di

qualche termine come tramezzino, proposto da D’Annunzio, che oggi non sostituisce la

parola sandwich, ma la affianca14. L’autarchismo linguistico fascista provocò dunque

una reazione contraria a quella sperata: un’avversione all’uso, un allontanamento dalle

proprie radici linguistiche con la conseguente necessità di apertura verso gli altri paesi e

le altre lingue. Potremmo pertanto concludere che il regime fascista, nonostante il suo

carattere impositivo, non riuscì ad agire come deterrente poiché come si afferma

nell’opinione iniziale “le lingue sono in movimento, il loro movimento naturale, e non

conoscono argini, limitazioni imposte dalle norme”. Più che una sfiducia nella lingua

italiana come diceva il professor SImone, quindi, c’è a mio giudizio un dinamismo

linguistico dei parlanti, un vago senso di inferiorità culturale nei confronti dell’inglese

che spinge i parlanti ad affidarsi a parole come spending review anziché tagli alle spese

o default anziché fallimento, per sentirsi in linea con i tempi e con i fenomeni mondiali.

Il linguista Francesco Sabatini attribuisce parte della responsabilità ai giornalisti:

“attenzione giornalisti, perché il vostro gusto di apparire originali e un po’ criptici,

13 Ibidem
14 GHENO, V. (2017) [https://www.almaedizioni.it/it/almatv/maratona-didattica/webinar-vera-gheno/
22/10/2020]
produce dei guasti nel costume, abbassa il livello di responsabilità civica nel parlare.” 15

Effettivamente i principali propulsori della lingua sono proprio i media, ed è

probabilmente da qui che si potrebbe, a mio giudizio, ripartire. Se non hanno funzionato

le disposizioni dall’alto come nel caso del fascismo, si potrebbero attuare campagne di

sensibilizzazione all’uso delle parole italiane, come ha ben fatto il Dizionario Devoto

Oli attraverso il lancio del pronto soccorso linguistico, una sezione interamente dedicata

agli anglicismi e ai suoi equivalenti italiani.16 Premesso che la decisione è sempre dei

parlanti, perché sono loro che si trovano al centro del processo comunicativo, è anche

vero che il parlante sceglie in base agli input che riceve e in base alla percezione che ha

di una parola piuttosto che un’altra. Se viviamo ancora con l’idea che la cultura inglese

è superiore rispetto alle altre, probabilmente ci troveremo sempre ad usare anglicismi al

posto delle risorse interne della nostra lingua, spesso e volentieri senza nemmeno

saperle pronunciare in modo corretto o addirittura senza sapere appieno il significato

della parola che stiamo utilizzando. A tal proposito nel 2016 il forestierismo stepchild

adoption, irruppe nella lingua italiana: era sulla bocca di tutti ma molti non sapevano né

come pronunciarlo, né cosa volesse significare. Lo stesso senatore Domenico Scilipoti,

durante un intervento in parlamento parla di stepchild association, a conferma che

spesso l’anglicismo ostacola l’intercomprensione. In questo caso una buona manovra di

soccorso è stata adottata dal professor Francesco Sabatini, che ha proposto l’uso di

“adozione del configlio”17, termine che rende molto più chiaro agli italiani il concetto

che si vuole esprimere. Poiché la lingua italiana, come del resto tutte le altre lingue,
15 SABATINI, F. (2012) TGtg -- Telegiornali a confronto: [https://www.youtube.com/watch?
v=nYFI8ofr0Cc 23/10/2020]
16 CONTI, P. (2017) Provate a dire «feedback» in italiano. Sezione di «pronto soccorso linguistico» per
i 50 anni del Devoto-Oli. Così si evitano gli anglicismi
[http://www.corriere.it/cronache/17_settembre_17/devoto-oli-anglicismi-feedback-pronto-soccorso-
linguistico-0c35e384-9bea-11e7-99a4-e70f8a929b5c.shtml 23/10/2020]
possiede numerose risorse per la creazione di nuove parole, sarebbe opportuno evitare

l’uso dei prestiti di lusso a favore di un arricchimento linguistico endogeno, mentre sui

prestiti di necessità si potrebbe quantomeno adattare tale forestierismo a livello fonetico.

Per fare ciò è necessario un duro impegno non solo da parte delle istituzioni che

promuovono la lingua italiana, prima fra tutte l’Accademia della Crusca, ma è

fondamentale anche l’azione propagatrice dei media, principali responsabili della

diffusione della lingua. Non si tratta solo di promuovere (e non imporre) la lingua

italiana, ma anche ridare ai parlanti maggior fiducia nella propria cultura e di risvegliare

il senso di identità nazionale attraverso l’uso dell’italiano.

2. Cosa ne pensate di questa affermazione di E. Perruzzi?

“La lingua italiana è stata soltanto una lingua ideale con un vocabolario nazionale per

discutere dell’immortalità dell’anima, per esaltare il valore civile, per descrivere un

tramonto, per sciogliere un lamento su un amore perduto, ma non un vocabolario

comunemente accettato per parlare delle mille piccole cose della vita di tutti i giorni”.

A mio giudizio, per esprimere un’opinione sull’affermazione di Perruzzi è necessario

partire dall’idea che la lingua è lo strumento di classificazione della realtá delle

popolazioni, pertanto ogni popolo interpreta e si riferisce al mondo utilizzando il

proprio codice (Bartolotta, S. 2010: 37). Aggiungerei, inoltre, che se pensiamo anche a

concetti come l’idioletto, ossia quella “particolare varietà d’uso del sistema linguistico

di una comunità che è propria di ogni singolo parlante” 18, possiamo renderci conto di

come “la lingua non è solo espressione, o meglio realizzazione del pensiero, ma è

17 Accademia della Crusca per TG2000 (2016): limitare termini tecnici inglesi nella comunicazione di
massa [https://www.youtube.com/watch?v=3jsskgi25B8; 23/10/2020]
18 Treccani Vocabolario online [https://www.treccani.it/vocabolario/idioletto/; 23/10/2020]
strumento di interazione sociale. Si tratta della lingua, per cosí dire, in atto, cioè nell’uso

quotidiano che ne fanno gli individui in rapporto a diversi tipi di situazione, per

raggiungere determinati scopi”19. La lingua, insomma, è il risultato di scelte individuali

che dipendono da molteplici fattori sociali, cambia nel tempo e nello spazio, e le sue

parole sono per questo motivo “portatrici dei segni delle cose nuove che via via si sono

introdotte e conosciute, dei segni lasciati dai popoli con cui si è venuti in contatto per

rapporti commerciali, culturali o di sudditanza politica o tecnologica” 20. Fatta questa

dovuta premessa, sembra che Perruzzi attribuisca alla lingua italiana un valore

esclusivamente letterario e non quotidiano, poiché la definisce come una lingua ideale

utilizzata per discutere dell’immortalitá dell’anima o per descrivere un tramonto. In

parte la sua affermazione trova le sue ragioni nel fatto che “la lingua letteraria italiana è

quella data da tutti i prodotti letterari, in prosa e in versi, letti o recitati, che

costituiscono quella letteratura che fin dalle origini prende il nome di italiana. Essa è

centrale non solo per la storia della letteratura, ma anche per quella della lingua. In

effetti, le lingue allo stato originario, anche l’italiana (quando ancora si chiamava

volgare), debbono alla letteratura la prima tendenza alla normalizzazione e la prima

grande forza di diffusione fuori dal centro in cui venivano parlate.” 21 La lingua

letteraria, pertanto, sin dai tempi delle tre Corone trecentesche ha dimostrato una forte

pulsione volta alla ricerca di un sistema grammaticale e lessicale che servisse non solo

come modello per gli scrittori, ma anche come guida della lingua comune. Il proposito,

peró, secondo quanto afferma Perruzzi sembra avere avuto poco riscontro nell’uso

quotidiano dell’italiano, poiché afferma che la lingua italiana non ha un vocabolario


19 BARTOLOTTA, S. (2010) pag. 39
20 Ibidem, pag. 38
21 COLETTI, V. (2010) Enciclopedia Treccani – Lingua letteraria
[https://www.treccani.it/enciclopedia/lingua-letteraria_(Enciclopedia-dell'Italiano)/ 23/10/2020]
comunemente accettato per parlare delle cose di tutti i giorni. In effetti fino

all’unificzione nazionale nel 1861 l’italiano fu una lingua usata prevalentemente nello

scritto e nel Novecento pochi possedevano una competenza attiva sia nel parlato che

nello scritto, pertanto la maggior parte parlava uno dei dialetti formatosi nella nostra

penisola22. Successivamente, con la diffusione della comunicazione di massa, l’taliano

ha ampliato i suoi ambiti di uso togliendo spazio ai dialetti e diventando dunque lingua

di uso quotidiano di grandi masse popolari. Possiamo dunque dedurre che

l’affermazione di Perruzzi è fondata, poiché la lingua della tradizione letteraria ha

influito ben poco nel parlato e ad oggi l’italiano contemporaneo è ben lontano dal

modello standard del passato, convive con i vari dialetti regionali e al suo interno si puó

individuare una gamma di varietá che dipende da una serie di variabili denominate assi

di variazione.23

3. Segnalate i principali dizionari italiani usati nell’attualità e le sue principali

caratteristiche.

In linea generale, dobbiamo sfatare il mito secondo il quale esiste un solo tipo di

dizionario. In realtá, a seconda di ció che stiamo cercando, utilizzeremo un tipo di

vocabolario, che sará etimologico se si vuole ricercare il momento della nascita di una

parola, storico se si vuole ricostruire la storia di una parola e vedere il suo cambiamento

nel corso degli anni. Per quanto riguarda la ricerca delle informazioni sul significato,

possiamo avere due tipi di dizionari che variano a seconda del criterio di raccolta delle

parole: quelli semasiologici o d’uso, che hanno la funzione di riportare i lessemi della

22 D’ACHILLE, P. (2003) pagg. 26-27


23 Si fa riferimento alla variabile diamèsica, diacrònica, diatòpica, diastràtica e diafàsica. Questi assi
sono fondamentali per capire le differenze all’interno del repertorio linguistico italiano. Per maggiori
delucidazioni si rimanda al libro di testo D’ACHILLE, P. (2003) L’Italiano contemporaneo. Milano:
Il Mulino, 31-35
lingua comune in ordine alfabetico e di spiegarli con una definizione, e quelli che

riflettono il criterio usato dalla mente per assimilare le parole, ossia i dizionari

analogici, come il Dizionario analogico della lingua italiana di L. Terzolo, Thea Utet,

Torino, 1991, i quali raccolgono le parole che hanno a che fare con una parola lemma e

formano un insieme di parole denominato campo semantico (Bartolotta 2010: 33). Una

delle attivitá lessicografiche piú intense in Italia venne avviata dall’accademia della

Crusca che tra il 1612 e il 1728-39 pubblicó quattro edizioni del Vocabolario degli

Accademici della Crusca (Enciclopedia Treccani). Ovviamente si trattava di un’opera

lessicografica di tipo semasiologico, poiché i lemmi erano ordinati alfbeticamente e

ognuno di essi era accompagnato da una definizione ed una classificazione di tipo

grammaticale. Secondo l’Enciclopedia Treccani e la linguista Vera Gheno24, i principali

dizionari d’uso sono lo Zingarelli, il Devoto Oli e il De Mauro, i quali possiedono anche

una versione online o su CD-ROM sono pertanto di facile accessibilitá. Il loro scopo

non è solo la raccolta e classificazione delle parole, bensí la completezza della

documentazione, ovverosia la presa in considerazione del lessico di tutti i settori della

vita e di tutti i livelli d’uso, comprese le voci piú colloquiali, oltre alle informazioni

riguardanti l’etimologia, la grammatica, le modalitá d’uso, sinonimi, antonimi e

derivati. Possiamo dunque dedurre che al giorno d’oggi il dizionario semasiologico non

costitutisce semplicemente una raccolta di lemmi con le sue definizioni, ma si

caratterizza da una “mascrostruttura alfabetica e una microstruttura onomasiologica o

analogica, perché buona parte dei lemmi sono corredati di espressioni sintagmatiche,

modi di dire, sinonimi e contrari” (Bartolotta 2010: 33-34). Un esempio di dizionario

semasiologico con caratteristiche analogiche è il dizionario dell’italiano contemporaneo


24 GHENO, V. per rtv38 (2017) A lezione di italiano: Il vocabolario [https://www.youtube.com/watch?
v=uXD25ePnFzI;23/10/2020]
Grande dizionario italiano dell’uso di Tullio de Mauro, che comprende oltre 250.000

lemmi. Il volume, pubblicato nel 1999, registra anche voci letterarie, termini

specialistici, varianti formali, regionalismi, parole straniere, voci gergali, latinismi, sigle

e abbreviazioni. Si tratta, dunque, di un dizionario che fornisce un’amplia descrizione

delle entrate ed è in continuo aggiornamento rispetto alle parole italiane che nel tempo

hanno sviluppato significati nuovi25.

4. Commentate il testo di Italo Calvino, L’Antilingua

Prima di addentrarci nell’analisi del testo, è opportuno ricordare che “Il codice

linguistico è solo uno dei fattori che determina la buona riuscita dello scambio

comunicativo. Infatti, il messaggio non puó essere compreso se viene isolato dalle

complesse relazioni in cui è inserito” (Bartolotta 2010: 39-40). È essenziale, dunque,

contestualizzare quest’opera per capirne a fondo il significato. Il testo è stato scritto da

Calvino e pubblicato sul quotidiano “Il Giorno”nel 1965 ossia circa cento anni dopo

dell’Unitá d’italia. Se facciamo un salto indietro nel passato e ci troviamo, pertanto, in

un contesto linguistico, quello del sel diciassettesimo secolo, in cui i parlanti usavano i

vari dialetti regionali per comunicare tra loro, mentre la lingua scritta rimaneva il

volgare fiorentino che ricordiamo affondava le sue radici nelle opere letterarie, prime

fra tutte quelle di Dante, Boccaccio e Petrarca. C’era dunque, un divario tra la lingua

parlata e quella scritta. Con la seconda metá dell’Ottocento, la situazione linguistica

italiana inizió un graduale superamento della frantumazione grazie all’intervento di

25 Interessanti sono gli esempi delle parole pianista e cucchiaio riportato nel manuale di D’ACHILLE,
P. (2003) L’Italiano contemporaneo. Milano: Il Mulino, 68: “Altre parole italiane di recente hanno
sviluppato significati nuovi che il GRADIT ha registrato nel II volume di aggiornamento, uscito nel
2007, fra i quali: il particolare, ma forse occasionale, valore di pianista, nella cronaca politica del
2002, con riferimento ai parlamentari che votano anche per gli assenti allungando il braccio sulla
tastiera del vicino […] o ancora l’accezione calcistica di cucchiaio ‘pallonetto’, la cui fortuna si lega
al nome del giocatore romanista Francesco Totti.”
Alessandro Manzoni, il quale, con l’uso del fiorentino parlato ne I Promessi Sposi,

mirava ad una lingua che fosse uniforme sia nello scritto che nell’orale. Le proposte

manzoniane insieme alla raggiunta unità politica e amministrativa dell’Italia; il

diffondersi dell’istruzione scolastica obbligatoria e l’affermarsi di nuovi mezzi di

comunicazione e d’informazione promossero quella unificazione linguistica a livello

medio che si diffuse in diversi campi come il giornalismo, la politica e le relazioni

mercantili.26 Con l’unità nazionale, inoltre, si creó un’amministrazione pubblica

centralizzata che se da un lato garantí l’unificazione di procedure e regolamenti,

dall’altro rafforzó il cosidetto burocratese poiché tale unificazione amministrativa venne

attuata da funzionari che avevano dovuto abbandonare le loro abitudini linguistiche

originarie, pertanto utilizzavano il modello linguistico scritto caratterizzato da termini

burocratici.27 In questo contesto, inseriamo il testo di Calvino, che costituisce una vera e

propria denuncia contro l’oscuritá del burocratese. L’autore esordisce con il racconto di

un caso che si potrebbe definire pratico, pertanto in linea con la sua concezione della

lingua. Ci troviamo di fronte ad un interrogato che rilascia una deposizione ad un

brigadiere il quale “batte veloce sui tasti la sua fedele trascrizione”, e da qui inizia una

deposizione verbale che agli occhi del lettore appare quasi ridicola per il fatto, ad

esempio, di interpretare dei fiaschi di vino dietro la cassa del carbone come

quantitativo di prodotti vinicoli situati in posizione retrostante al recipiente adibito al

contenimento del combustibile. Successivamente lo scrittore inizia a commentare il

linguaggio scritto del brigadiere, definendolo “antilingua” e mettendo in risalto la sua


26 NENCIONI, G. La nuova questione della lingua - File PDF (39 KB) [lezione tenuta il 12 ottobre
1979 nel Liceo “Ariosto” di Ferrara], in G. Nencioni, Saggi di lingua antica e moderna, Torino,
Rosenberg & Sellier, 1989, pp. 209-219.
27 Fonte delle informazioni riportate: PROIETTI, D. (2010) Enciclopedia dell’Italiano Treccani -
Burocratese [https://www.treccani.it/enciclopedia/burocratese_(Enciclopedia-dell'Italiano)/
25/10/2020]
principale caratteristica, ovverosia il terrore semantico, che rappresenta la paura dei

burocrati di fronte alle parole comunemente usate dai parlanti per riferirsi alla realtá. Da

notare, inoltre, che Calvino parla di un processo automatico, quello della traduzione

della lingua comune all’antilingua, che dura da cent’anni a questa parte, pertanto

riconosce che il fenomeno ha come punto di partenza il periodo dell’ Unitá d’Italia. A

mio giudizio, il tratto piú interessante di questo articolo è costituito non tanto dalle

caratteristiche dell’antilingua (“nell’antilingua i significati sono costantemente

allontanati, relegati in fondo a una prospettiva di vocaboli che di per se stessi non

vogliono dire niente o vogliono dire qualcosa di vago e sfuggente.”) ma quanto dalle

ragioni che spingono i parlanti ad usare il burocratese. Egli infatti dice che “chi parla

l’antilingua ha sempre paura di mostrare familiarità e interesse per le cose di cui parla,

crede di dover sottintendere: «io parlo di queste cose per caso, ma la mia ‘funzione’ è

ben più in alto delle cose che dico e che faccio, la mia ‘funzione’ è più in alto di tutto,

anche di me stesso»”. Come possiamo notare, il parlante non è interessato a trasmettere

un messaggio chiaro all’interlocutore per ricevere uno scambio comunicativo, detto in

altre parole manca la volontá di interazione. Calvino attribuisce questo rifiuto ad una

chiusura verso la vita che porta alla morte della lingua stessa: “La motivazione

psicologica dell’antilingua è la mancanza d’un vero rapporto con la vita, ossia in fondo

l’odio per se stessi […] dove trionfa l’antilungua –l’italiano di chi non sa dire ho

«fatto» ma deve dire «ho effettuato»- la lingua viene uccisa.” Possiamo dunque

constatare che Calvino denuncia la presenza di due lingue, una utilizzata da tutti per

riferirsi alla realtá e l’altra, quella burocratica, che usa parole distanti, lontane, astratte.

Una lingua, insomma, che impedisce all’italiano di evolversi provocandone pertanto la

morte. Questa sterilitá causata dal burocratese non puó essere peró attribuita al
linguaggio tecnico di cui parló Pasolini poiché secondo Calvino “Se il linguaggio

«tecnologico» di cui ha scritto Pasolini (cioè pienamente comunicativo, strumentale,

omologatore degli usi diversi) si innesta sulla lingua non potrà che arricchirla,

eliminarne irrazionalità e pesantezze, darle nuove possibilità.” L’autore dell’antilingua

ci fa dunque riflettere sul fatto che se la lingua tecnologica viene usata per riferirsi a

nuove categorie lessicali o per precisare categorie giá esistenti, non impedirá

l’evoluzione e l’arricchimento della lingua italiana, “mentre se è una nuova provvista di

sostantivi astratti da gettare in pasto all’antilingua, il fenomeno non è positivo né nuovo,

e la strumentalità tecnologica vi entra solo per finta.” Interessante è notare come sia

Pasolini che Calvino coincidono nell’idea che la lingua tecnologica è uniforme in tutto

il Paese: “In tutta Italia ogni pezzo della macchina ha un nome e un nome solo” dice

Calvino, mentre Pasolini, in un’intervista televisiva28 mandata in onda su Raitre,

afferma che “il centro linguistico italiano non è piú letterario, non è piú Firenze, ma è

tecnico, tecnologico, ed è Milano. L’italiano è unito dal linguaggio tecnico: prendiamo

la parola frigorifero, è una parola che tutti gli italiani adoperano, dalla massaia di

Milano a quella di Palermo. Le parole tecniche sono una specie di cemento che sta

livellando e unificando tutto l’italiano.” Sebbene i due autori siano d’accordo sul fatto

che il linguaggio tecnico sia un elemento di unificazione della lingua italiana a discapito

dell’antilingua che, invece, la rende sterile, possiamo dire che Calvino mostra una

fiducia piú ampia verso i tecnicismi argomentandola con le seguenti parole: più la

lingua si modella sulle attività pratiche, più diventa omogenea sotto tutti gli aspetti, non

solo, ma pure acquista «stile». La lingua tecnologica è, dunque, rispetto a quella

burocratica, pratica e funzionale, pertanto puó contribuire allo sviluppo dell’italiano.


28 PASOLINI, P. in un’intervista alla Rai. [Fonte: Pier Paolo Pasolini parla della lingua italiana:
https://www.youtube.com/watch?v=wkqoc8blFvI 25/10/2020]
Quando a Pasolini viene chiesto se reputa il linguaggio della tecnologia migliore o

peggiore rispetto a quello letterario, egli replica: “non è né migliore né peggiore, io

tendo ad amare di piú alla guida di una lingua nazionale una lingua letteraria ma se

questa lingua è tecnologica invece che letteraria non posso far altro che prenderne

atto”29. Sembra, insomma, che quella di Pasolini sia esattamente l’obiezione di cui lo

stesso Calvino parla nel suo testo e a cui risponde sostenendo che la lingua pratica,

quella tecnica, quella operativa, guiderá le sorti generali della lingua nazionale, con il

contributo delle lingue straniere, poiché “L’italiano si definisce in rapporto alle altre

lingue con cui ha continuamente bisogno di confrontarsi, che deve tradurre e in cui deve

essere tradotto” Ed è su questo punto finale che possiamo ricollegarci all’inizio di

questo testo. Torniamo infatti ad osservare il comportamento del Brigadiere, che sente il

bisogno di tradurre le parole dell’interrogato. L’istinto traduttivo sembra essere un

atteggiamento presente non solo nel personaggio di questa storia, ma anche in tutti i

parlanti. Se pensiamo ad esempio a uno studente di lingue straniere, nelle fasi di

apprendimento scopriremo che c’è un’alta tendenza alla traduzione da e verso la L2. È

proprio su questo principio, quello della traduzione, che si basa la parziale realizzazione

di una delle previsioni di Calvino. Oggigiorno, infatti, possiamo osservare come

l’italiano sia ricco di prestiti esogeni, proprio perché, come diceva Calvino “L’italiano si

definisce in rapporto alle altre lingue con cui ha continuamente bisogno di confrontarsi”

Sicuramente siamo ben lontani da ció che l’autore definiva essere un’interlingua

mondiale ad alto livello, ma possiamo altresì affermare che l’italiano si sia salvato

dall’antilingua e si sia modernizzata grazie anche al rapporto con le altre lingue,

realizzando pertanto la propria essenza.

29 Ibidem
5. Commentate il testo di Tullio De Mauro, Il linguaggio televisivo e la sua

influenza.

Ci troviamo di fronte all’analisi della lingua sul piano diamesico, poiché stiamo

analizzando la sua evoluzione sulla base dei mezzi utilizzati per la sua trasmissione, in

questo caso televisione e radio. In questo testo di Tullio de Mauro viene messa in risalto

l’importanza della televisione e della radio, i due alleati che, in maniera diversa, hanno

contribuito negli anni ‘50-’70 alla diffusione e unificazione della lingua. In linea

generale, si afferma che l’italiano della televisione, pur presentando aspetti simili a

quelli della radio, ha avuto una maggiore incidenza nel rendere l’italiano parlato

formale e informale familiare a tutta la popolazione italiana: da un lato, infatti, ha

introdotto l’uso della lingua italiana tra coloro che erano relegati nel ghetto dei dialetti,

imposti loro come unico idioma, dall’altro, invece, ha portato i ceti piú colti

all’abbandono del dialetto nel parlato orale. Lo stesso de Mauro definisce la televisione

come una scuola di usi linguistici italiani. Ma qual era, dunque, la differenza tra la

lingua diffusa dalla radio e quella televisiva? I telespettatori erano esposti al parlato

autentico con tutte le sue varietá: gli annunciatori televisivi, sopratuttutto coloro che

lavoravano presso la sede RAI a Roma e la sede Mediaset a Milano 30 mantenevano il

loro accento romano o milanese, mentre la ricchezza dei generi televisivi come i

documentari, i programmi di intrattenimento e le fiction, permetteva di assimilare un

vocabolario che spaziava da espressioni colloquiali a parole piú formali. Inoltre, come

afferma de Mauro, i costi di fruizione degli spettacoli era basso pertanto la diffusione

dei programmi era omogenea in tutte le regioni e a tutti i livelli socio-economici. A

differenza del linguaggio radiofonico definito da De Mauro come monocorde, il


30 D’ACHILLE, P. (2003) p.250
linguaggio televisivo dunque si apriva al parlato autentico con tutte le sue varietá,

facendo del dialogo il genere testuale predominante. Lo studioso Paolo D’Achille,

sottolinea inoltre una volontá da parte dei personaggi televisivi di avvicinarsi il piú

possibile ai telespettatori con l’uso della prima persona plurale (voltiamo pagina,

cambiamo decisamente argomento, passiamo ora, ci dice tutto X)31, per cercare di

coinvolgere piú direttamente il pubblico e penetrare maggiormente nella quotidianitá dei

telespettatori. Possiamo dunque concludere dicendo che con la televisione, ancora più

che con la radio, la lingua nazionale è entrata nelle case di tutti, si è estesa in maniera

omogenea ed è diventata più famigliare perché si è introdotta nell’uso della lingua

parlata. La televisione ha quindi agito in modo duplice. Da una parte sui singoli

parlanti, innalzandone notevolmente la competenza passiva, ossia la capacità di

comprensione, dall’altra ha agito sull’italiano stesso poiché ha proposto nuovi modelli

normativi di uso. Radio e televisione sono dunque state tra i fattori che più hanno

contato nel processo di unificazione linguistica nazionale e tutt’ora svolgono questa

funzione poiché siamo quotidianamente esposti a una enorme quantitá di input

linguistici provenienti da questi mezzi di comunicazione.

6. Cosa ne pensi del testo di S. I. Hayakawa?

L’autore espone uno dei grandi problemi che genera l’apprendimento di una lingua

straniera: la paura di commettere un errore di grammatica. Questo timore, secondo

l’autore, provoca una frustrazione poiché lo studente rimane convinto dell’idea che una

lingua corretta sia qualcosa di irraggiungibile e che la concezione di

correttezza/scorrettezza grammaticale provoca ció che l’autore descrive come nevrosi

31 Ibidem, pag. 251


linguistiche. Personalmente riengo che questo testo sia oggi piú che mai appropriato per

descrivere la realtá che vivono gli studenti di una qualsiasi lingua straniera. Il fattore

principale che influisce nell’approccio piú o meno positivo di un parlante ad una L2,

infatti, è il giudizio esterno su un qualsiasi testo scritto o parlato prodotto in L2

attraverso parametri basati sulla dicotomia corretto/scorretto. Credo sia importante

chiedersi da dove proviene questo atteggiamento e soprattutto che alternativa puó offrire

un insegnate a questa visione. L’nsegnamento del’italiano sta attraversando un periodo

di crisi perché i suoi metodi tradizionalisti sono ormai rifiutati dai docenti. Nel manuale

Introducción a la didáctica del italiano si afferma che “il quadro generale dello stato

dell’insegnamento linguistico è purtroppo caratterizzato ancora da un forte permanere di

tendenze tradizionaliste”. Tale approccio si caratterizza dalla centralitá della

grammatica, concetto che a sua volta evoca cose molto diverse tra loro. Serianni scrive

che “l’accezione tradizionale si fonda sull’identificazione della grammatica con la

cultura scritta (attraverso il latino, la parola risale al greco techne grammatiké – scienza

del leggere e del scrivere) e dunque sulla contrapposizione tra il grammatico, la persona

cólta depositaria del sapere, e il profano, soggetto dell’errore e bisognoso di una

guida”32 Secondo questa accezione, che vede il realizzarsi dell’opposizione

corretto/sbagliato, si è basato in passato l’insegnamento delle lingue ed ha posto così le

basi per questo terrore di cui parla Hayakawa. Una definizione di grammatica piú

contemporanea, invece, parla di “insieme delle regole che ne governano i sistemi

fonologico, morfosintattico e lessicale, alla cui complessa interazione si deve il

funzionamento della lingua stessa intesa come codice semiotico deputato alla

32 SERIANNI, L. (2008) Prima lezione di grammatica. Bari: Editori Laterza pag. 4


comunicazione interpersonale”33. Se si analizzano le cose da questa prospettiva e si

pensa alla grammatica come un insieme di norme grazie alle quali la lingua funziona in

tutti i suoi aspetti, iniziamo giá ad uscire dall’idea della lingua corretta e si intravede la

possibilitá di un sistema che funziona secondo regole il cui scopo è il raggiungimento di

un’efficace comunicazione interpersonale. Nonostante ció, piú che di norme sarebbe

opportuno parlare di descrizione, poiché l’idea di legge rievoca inevitabilmente la

dicotmia giusto/sbagliato, corretto/scorretto. Inoltre, è fondamentale a mio giudizio

ricordare che lo scopo della lingua è quello dell’interazione e non della correttezza.

Partendo da questi due presupposti, quello della grammatica intesa come descrizione

degli aspetti di una lingua e dell’interazione come funzione predominante di una lingua,

credo che un insegnante, per allontanare la ”paura degli errori di grammatica” e curare

le “nevrosi linguistiche piú o meno gravi sofferte da un gran numero di persone”

dovrebbe innanzitutto promuovere l’idea che l’errore è parte del processo di

apprendimento di una qualsiasi lingua e che bisogna imparare a capire le ragioni insite a

esso per poter avere una maggiore consapevolezza del rapporto tra la propria lingua

materna e la L2. Successivamente, si dovrebbe ristabilire un approccio piú

comunicativo rispetto alla lingua, ovverosia focalizzare l’attenzione sulla funzione di

una lingua e cercare di utilizzare un metodo deduttivo, che analizzi cioè un campione di

lingua e attraverso di esso ne descriva le caratteristiche. Concludo con una citazione

riportata da Serianni in Prima lezione di Grammatica (2008, Laterza): “La grammatica

s’impara non sopra un libro ma sopra molti libri: non cioè crogiolandosi nel

ripensamento di una regolistica ma leggendo, leggendo, leggendo e intanto parlando,

parlando, parlando.” Bisognerebbe, insomma, avere una concezione piú dinamica della

33 Ibidem, pag. 4
norma linguistica, capire che una lingua va descritta e non rispettata come se fosse un

insieme di leggi, poiché essa stessa è sensibile al cambiamento lungo l’asse del tempo.

TEMA 3

1.Il bilinguismo in Val d’Aosta e in Alto-Adige.

Per bilinguismo si intende la compresenza in un parlante di due lingue considerate alla

pari in quanto a competenze e uso. Questo concetto si distingue dalla diglossia, che è

invece l’alternanza di lingua e dialetto a seconda della situazione comunicativa dove si

vede l’uso della prima in contesti piú formali e l’uso del secondo nella comunicazione

informale, poiché alla lingua italiana viene attribuito un valore di prestigio rispetto al

dialetto34. Fatta questa premessa, si analizzeranno le principali caratteristiche del

bilinguismo nei territori della Val d’Aosta, dove si parlano l’italiano e il francese e

dell’Alto Adige, dove coesistono l’italiano e il tedesco e poi si identificheranno le

ragioni storiche della presenza del bilinguismo in queste due regioni. Un’importante

aspetto da notare è innanzitutto la differenza del tipo di bilinguismo presente in Val

D’Aosta e in Alto Adige. Secondo l’Enciclopedia Treccani, il bilinguismo in Valle

D’Aosta è di tipo monocomunitario, ossia il francese e l’italiano convivono con diversi

gradi di competenze e di uso, mentre in Alto Adige il bilinguismo è di tipo

bicomunitario, e ci si trova pertanto di fronte a due comunitá linguistiche riconosciute a

livello istituzionale e autorizzate pertanto ad esprimersi nello scritto e nell’orale con la

propria lingua. Questo ovviamente significa che non tutti i parlanti sono bilingui, poiché

sia il tedesco che l’italiano condividono lo stesso territorio d’uso ma possono di fatto

34 BARTOLOTTA, S.; GONZÁLEZ DE SANDE, E.; GONZÁLEZ DE SANDE, M.; MARTÍN


CLAVIJO, M. (2010)
non essere compresenti nelle competenze e dei parlanti 35. Le ragioni della compresenza

dell’italiano con il francese in Val D’Aosta e il tedesco in Alto Adige si basano su

fenomeni legati all’immigrazione, per cui piccoli gruppi di emigrati in cerca di lavoro

arrivarono nel nostro paese e si stabilirono nei centri della Penisola, nei casi riportati al

nord italia36. Si potrebbe pensare che la presenza di lingue straniere nel territorio

nazionale possa aver minato all’unitá nazionale del Paese, in effetti la politica

linguistica fascista proibí non solo l’uso dei dialetti, ma anche di tutte le lingue

minoritarie presenti nel paese: vennero ad esempio soppresse tutte le insegne francesi in

Val D’Aosta (1924), e venne proibito l’insegnamento del francese presso le scuole

(1925). Anche in Alto Adige venne imposto l’italiano per la pubblicazione di manifesti,

segnali e annunci, pertanto il tedesco venne proibito in tutti i contesti, amministrativi e

scolastici compresi37. Successivamente, grazie agli articoli della Costituzione 38 del 1948,

si istituí un modello di politica linguistica che mirava a tutelare le diversitá linguistiche.

A tal proposito, le prime traduzioni dei principi costituzionali si ebbero proprio nelle

lingue straniere delle regioni a statuto speciale sebbene, come ci segnala la D’Agostino,

docente di linguistica presso l’Universitá di Palermo: “In materia di tutela delle

35 DAL NEGRO, S. (2010) Enciclopedia Treccani: Bilinguismo e diglossia


[https://www.treccani.it/enciclopedia/bilinguismo-e-diglossia_(Enciclopedia-dell'Italiano)/
26/10/2020]
36 D’ACHILLE, P. (2003) pag.20
37 D’AGOSTINO, M. (Saggio pubblicato 2015 nell’Enciclopedia Treccani) Sociolinguistica
dell’italiano contemporaneo
38 Art. 3 Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso,
di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito
della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la
libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. [...] Art.
6 La Repubblica salvaguarda con apposite norme le minoranze linguistiche. [...] Art. 21 Tutti hanno
diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di
diffusione. Estratti ripresi dal saggio di D’AGOSTINO, M. (2015) Sociolinguistica dell’italiano
contemporaneo
minoranze linguistiche storiche, la l. 15 dic. 1999 nr. 482 [la Costituzione] interverrà

molti anni dopo in maniera più organica sull’intera questione39. Interessanti sono i dati

riportati dall’autrice del saggio Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, che

analizza il tasso di multilinguismo in Italia e il modo in cui un parlante gestisce l’uso

delle lingue che conosce a seconda del contesto comunicativo in cui si trova.

Soffermiamoci sull’analisi dei dati riportati nelle regioni di nostro interesse: in Valle

D’Aosta, “l’84% degli individui si dichiara bilingue (italiano + francese) o trilingue

(italiano + francese + francoprovenzale)”40. Possiamo notare sin da subito che si tratta di

una percentuale di bilinguismo molto alta, che trova le sue radici nel ruolo del francese

nella regione valdostana. . Questo idioma, infatti, fu espressione della cultura e

dell’amministrazione nella regione, funzione che venne ribadita nel 1561, con la

concessione da parte di Emanuele Filiberto continuare a utilizzarlo 41. L’uso scritto,

come giá accennato, venne poi riconfermato dalla regione stessa che in virtú delle leggi

costituzionali decise di redigere i documenti istituzionali sia in francese che in italiano.

Nonostante questa politica linguistica volta a favore del mantenimento del francese, la

realtá bilingue della Valle d’Aosta dimostra di essere ben lontana dal bilinguismo

perfetto, come dimostra la D’Agostino in un’indagine sociolinguistica42 riportata nel suo


39 Ibidem. Nell’art.2, la Costituzione sancisce che “in attuazione all’articolo 6 della Costituzione e in
armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela
la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di
quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo.”
40 Ibidem
41 Ibidem
42 Questi i dati dell’indagine riportata nel saggio della D’Agostino: ”In particolare nel 2000 è stata
effettuata un’inchiesta dal titolo Plurilinguismo scolastico e amministrativo in Valle d’Aosta, curata
dalla Fondation Chanoux. Attraverso un questionario appositamente predisposto sono stati intervistati
7200 informatori in 79 unità territoriali. I risultati di tale indagine autovalutativa mostrano che
l’italiano è conosciuto dal 96% della popolazione valdostana, il francese dal 75%, i patois dal 56%, il
piemontese dal 27%. Se andiamo però a verificare la percentuale di soggetti monolingui e plurilingui
scopriamo che nessuno dichiara di parlare solo francese, mentre il 15% dichiara di essere italofono
monolingue; bilingue (italiano + francese) si dichiara il 25% degli intervistati e trilingue (italiano +
saggio da cui deduce che “L’asimmetria fra italiano e francese è inoltre chiaramente

visibile se si analizzano i risultati alla classica domanda relativa ai domini comunicativi

(«in quale lingua parli con...?»), dove il francese appare del tutto marginale in tutti i

contesti, anche quelli formali (per es. negli uffici dell’amministrazione regionale).”

Sembra, dunque, che il francese non venga usato né in contesti famigliari, né in quelli

formali ma è abbastanza chiaro che, come dice Berruto: “«conoscere» – non «usare», si

badi – il francese risulta assai importante per sentirsi membri a pieno titolo della

comunità locale”43. Ci spostiamo adesso in Alto Adige dove, in seguito allo statuto di

autonomia del 1972 le istituzioni locali hanno acquisito un certo potere amministrativo e

hanno fatto della provincia di Bolzano una realtá del tutto autonoma. Secondo i dati

ISTAT riportati nel saggio della D’Agostino, “risulta che nella Provincia autonoma di

Bolzano il 65,5% degli intervistati ha dichiarato di parlare un’altra lingua rispetto

all’italiano”44. Un’indagine piú dettagliata45 ci rivela inoltre che l’82% della popolazione

che dichiara di appartenere al gruppo italiano indica come seconda lingua il tedesco,

mentre chi appartiene al gruppo tedesco indica per la quasi totalità l’italiano. Questo ci

dimostra che nonostante il bilinguismo in Alto Adige sia di tipo bicomunitario, esiste un

alto tasso di plurilinguismo individuale che si riflette anche in altri dati riportati

dall’inchiesta: “La percentuale di quanti dichiarano di avere vissuto in situazioni di

plurilinguismo fin dall’infanzia appare altissima in tutti i gruppi. Con in testa ancora

una volta il gruppo tedesco che, oltre ad avere avuto per il 96,5% contatto con il dialetto
francese + francoprovenzale) il 51%.” Cfr. D’AGOSTINO, M. (2015) Sociolinguistica dell’italiano
contemporaneo
43 Citazione tratta dal saggio della D’Agostino (2015)
44 Ibidem (le lingue in questione sono il tedesco e il latino)
45 Inchiesta campionaria del 2004 su 1300 individui a partire dai 19 anni di età, dal titolo Barometro
linguistico dell’Alto Adige. Uso della lingua e identità linguistica in provincia di Bolzano (dati ripresi
dal saggio D’Agostino (2015)
tedesco e il 69,8% con il dialetto standard, ha avuto contatti anche con l’italiano (nella

varietà standard 74,2% e dialettale 15,5%) e in proporzioni decisamente assai più

contenute con il ladino e l’inglese”. Per concludere, in Italia possiamo osservare che le

leggi tutelano le situazioni bilingue del paese e che se in Val D’Aosta il francese è

considerata una lingua di conoscenza e non di uso, che denota semplicemente prestigio

e istruzione, il tedesco è di fatto una realtá ben presente nel territorio della provincia di

Bolzano, poiché entrambe le comunitá italiane e tedesche affermano di essere

plurilingui.

2.Parlate delle “isole” linguistiche di Sicilia occidentale e Calabria.

Con il termine “isola linguistica” si intende una comunitá la cui varietá linguistica usata

è completamente diversa rispetto alla lingua del territorio circostante. Tale lingua

caratterizzata da un numero esiguo di parlanti è presente in quel territorio per vari

motivi storici, tra cui l’immigrazione o il rifiuto di adattarsi a strati linguistici giunti

dopo il loro insediamento.46 L’articolo 6 della Costituzione, ricordiamo, tutela le lingue

minoritarie parlate nel territorio attraverso l’intervento di enti regionali e nonostante

l’obiettiva discesa nell’uso di queste lingue da parte delle comunitá alloglotte, gli

abitanti delle “isole” dichiarano per lo meno la conoscenza della lingua minoritaria. 47

Per quanto riguarda la Calabria, l’isola linguistica per eccellenza è costituita da quella

grecofona, risalente al 1880 circa e spalmata su tre aree geografiche prossime tra loro

46 TOSO, F. (2010) Enciclopedia Treccani, Le isole linguistiche


[https://www.treccani.it/enciclopedia/isole-linguistiche_(Enciclopedia-dell'Italiano)/ 27/10/2020]
47 MINNITI GONIAS, D. (2019) Sezione Magazine del portale Treccani Lingue sotto il tetto d'Italia.
Le minoranze alloglotte da Bolzano a Carloforte - 12. Le isole grecofone in Calabria e in Puglia
[https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/scritto_e_parlato/Toso12.html; 27/20/2020]
che si localizzano nella zona meridionale dell’Aspromonte. 48 Per quanto riguarda l’uso

del greco nell’isola linguistica della Calabria, alcuni studi hanno messo in evidenza che

sebbene la maggior parte della popolazione sia bilingue, in realtá predilige l’uso del

dialetto o dell’italiano standard come prima lingua e il greco è rilegato ad un uso

strettamente famigliare.49 Nonostante ció, la regione Calabria ha approvato una legge

riguardante la tutela della lingua e del contesto in cui è parlata (Legge regionale 30

ottobre 2003, n. 15)50 allo scopo di favorirne il mantenimento, promuoverne l’uso e

fomentare la coscienza della presenza di lingue minoritarie nel territorio. Ma come si

spiega la presenza e la conservazione del greco nel versante dell’Aspromonte? Minniti

Gonias parla di due teorie, quella “romaica”, secondo la quale “il greco fu introdotto

nell’Italia meridionale nel 10-11 sec., durante il flusso migratorio che fece seguito alle

vicende storiche in Oriente.”51 La seconda teoria, sostiene che si tratta di un greco

presente fin dalle prime colonizzazioni avenute nell’ottavo secolo a.C., sopravvissuto

alle intemperie del latino dominante e ancor oggi vivo grazie alle caratteristiche ostili

dell’ambiente e allo stile di vita della popolazione che si dedica principalmente alla

pastorizia. Ci spostiamo adesso nell’isola linguistica della Sicilia Occidentale, dove è

presente la comunitá albanese, la cui presenza risale alle invasioni turche del XV secolo

nel Nord dell’impero romano, che spinse le popolazioni dei Balcani a cercare rifugio in

Italia, e in particolare nella zona meridionale e centrale. 52 La convivenza della comunitá

48 Per maggiori dettagli sulle aree geografiche, si fa riferimento all’opera di MINNITI GONIAS, D.
(2009)
49 Cfr. Ibidem
50 Cfr. ANNALI DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE (2006) Le minoranze linguistiche in Italia nella
prospettiva dell’educazione plurilingue La legge n. 482/1999 sulle minoranze linguistiche nel settore
scolastico Bilancio dei primi sei anni di attuazione
51 Ibidem
52 Ibidem
albanese nel territorio italiano in generale e siculo nello specifico non è sempre stata

facile, poiché era costituita da forti tensioni che possono essere riassunte con il seguente

detto popolare: Si vidi nu jejju e nu lupu, spara aru jejju e lassa u lupu “Se incontri un

albanese e un lupo, spara all’albanese e lascia il lupo” 53.Sebbene al giorno d’oggi non

esistono piú tracce di confittualitá dovute alle differenze linguistiche e culturali, si

assiste a un declino demografico e a uno spopolamento di questi territori che

minacciano la sopravvivenza della lingua e cultura minoritaria, quella albanese, a favore

del sopravvento della lingua dominante. Per la salvaguardia della comunitá albanese, è

intervenuta la legge 9 ottobre 1998 n. 26, recante «Provvedimenti per la salvaguardia e

la valorizzazione del patrimonio storico, culturale e linguistico delle comunità siciliane

di origine albanese e delle altre minoranze linguistiche» 54. Nonostante l’impegno della

regione per la salvaguardia della minoranza albanese in Sicilia, la professoressa di

lingua e letteratura albanese dell’Universitá del Salento Monica Genesin afferma che

“Le risorse finanziarie fornite [...] hanno permesso di avviare alcune attività nei comuni

minoritari [...] ma i fondi sono troppo scarsi e molto resta affidato alla buona volontà dei

singoli e all’impegno dei due principali centri di albanologia attivati presso le Università

della Calabria e di Palermo.”55

3.Spiegate il progetto di unificazione linguistica nel programma manzoniano.

53 GENESIN, M. e MATZINGER, J. (2019) Sezione Magazine del portale Treccani Lingue sotto il tetto
d'Italia. Le minoranze alloglotte da Bolzano a Carloforte - 11. La minoranza linguistica italo-
albanese (arbëreshe) [https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/scritto_e_parlato/
Toso11.html; 27/10/2020]
54 Cfr. ANNALI DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE (2006) Le minoranze linguistiche in Italia nella
prospettiva dell’educazione plurilingue La legge n. 482/1999 sulle minoranze linguistiche nel settore
scolastico Bilancio dei primi sei anni di attuazione
55 GENESIN, M. e MATZINGER, J. (2019)
Ci troviamo nella seconda metá dell’Ottocento, periodo in cui la situazione linguistica

italiana vide un superamento graduale della divisione che da sempre l’aveva

caratterizzata vista la numerosa presenza di dialetti locali utilizzati nella lingua parlata

anche dalle persone colte. La spinta verso l’unificazione linguistica era giá presente da

tempo, poiché intellettuali e scrittori, incamminati dai tre padri della lingua Dante,

Boccaccio e Petrarca, avevano aspirato alla trasmissione di una lingua unica attraverso i

canali della letteratura. Ma l’evento storico piú significativo del reale percorso di

unificazione linguistica fu il processo del Risorgimento che, tra la fine del Settecento e

l’Ottocento, vide non solo una serie di trasformazioni economiche e sociali, ma anche

un nuovo atteggiamento letterario e culturale, che trova massima espressione nell’Unitá

d’Italia poiché a livello politico vennero proposti progetti unitari in tutti gli ambiti,

anche quello linguistico. La discussione sulla questione della lingua, quindi, non era piú

solo teorica, ma trovava riscontro nell’azione politica. Basti pensare, infatti, che il

Ministro Emilio Broglio affidó l’incarico a Manzoni di “ricercare e di proporre tutti i

provvedimenti e i modi coi quali si possa aiutare e rendere più universale in tutti gli

ordini di popolo la notizia della buona lingua e della buona pronunzia” 56 e fu proprio a

seguito di questa richiesta che Manzoni pubblicó nel 1868 la propria Relazione

sull’unità della lingua, che suscitó non poche polemiche57. Sta di fatto che questo

evento risultó essere “un’azione educativa efficace e diffusa in ordine all’unificazione

56 MARAZZINI, C. (2011) Enciclopedia Treccani, La questione della lingua


[https://www.treccani.it/enciclopedia/questione-della-lingua_%28Enciclopedia-dell%27Italiano%29/
27/10/2020]
57 Si legge nell’Encilopedia Treccani: “La Relazione del 1868 provocò un dibattito vivace, perché
proponeva l’adozione del fiorentino vivo come lingua da divulgare attraverso l’insegnamento
scolastico. Le obiezioni richiamavano le annose polemiche sul tema: chi difendeva i diritti della
lingua letteraria, chi voleva estendere la funzione di lingua nazionale al toscano (andando oltre al solo
fiorentino). Si noti che Firenze era allora capitale provvisoria, in attesa di Roma, ancora sotto i papi.”
[https://www.treccani.it/enciclopedia/questione-della-lingua_%28Enciclopedia-dell%27Italiano%29/
27/10/2020]
linguistica progettata su base fiorentina”58 un concreto intervento linguistico, dunque,

che agiva a livello nazionale e la cui iniziativa proveniva dalle autoritá politiche in

collaborazione con i letterati del tempo. Tornando alla questione della lingua unitaria, la

scelta rimaneva sempre proiettata verso il fiorentino, poiché godeva giá di una buona

reputazione nel mondo degli intellettuali e degli scrittori. Lo stesso Manzoni arrivó poco

a poco alla consapevolezza che il fiorentino parlato dalle persone colte costituisse la

grande rivoluzione linguistica. Secondo Giacomo Devoto, questo grande cambió maturó

nello scrittore attraverso diverse fasi: “prima quella di una generica lingua

sopradialettale, arieggiante la visione dantesca, poi quella di una lingua genericamente

toscana; infine quella di una visione fiorentina rigorosa: non piú nel senso dei puristi,

imbalsamati nella contemplazione di una fiorentinitá arcaica, ma in quella integrale,

palpitante, immersa nei modelli vivi del suo tempo” 59 Una lingua d’uso, dunque, viva e

immersa nella societá. Questa sensibilitá fiorentina trova la sua piena realizzazione nella

stesura definitiva60 dei Promessi Sposi, e getta cosí le basi della lingua nazionale unitaria

ancor prima dell’unitá d’Italia. È importante sottolineare che il romanzo ebbe tre

stesure, quella del ‘21-’23 con il titolo Fermo e Lucia, il cui quadro, secondo Devoto,

“era paragonabile a un campo di concentramento per quello che riguardava le scelte

lessicali […] volgarismi dialettismi e banalitá lessicali, l’uno piú infelice degli altri” 61.

Nella successiva revisione, quella del ‘25-’27 col titolo I Promessi Sposi, l’autore non si

allontana troppo dallo stile della prima versione ed è solo durante il soggiorno a Firenze,

58 BARTOLOTTA, S.; GONZÁLEZ DE SANDE, E.; GONZÁLEZ DE SANDE, M.; MARTÍN


CLAVIJO, M. (2010) pag. 60
59 DEVOTO, G. (1995) Il linguaggio d’Italia. Milano: Rizzoli
60 Il romanzo definitivo risale al 1840
61 Ibidem
dove si reca per “poter risciacquar i suoi panni nell’Arno” 62 che Manzoni ha la “crisi

decisiva”63 rigenera radicalmente il suo vocabolario che si manifesterá nella sua

completezza nell’ultima e definitiva versione, quella del 1840 con lo stesso titolo,

costituita da una prosa libera di barbarismi, lombardismi e da altre impuritá

linguistiche.64 Oltre al romanzo manzoniano, espressione viva della lingua unificatrice

trasmessa al popolo italiano, ci furono altre opere che insieme alla giá citata Relazione

sull’unitá della lingua furono espressione della teoria fiorentinista che sosteneva l’uso

orale del fiorentino parlato dai ceti alti e si allontanava dalla lingua letteraria in virtú di

un codice comunicativo piú vivo e vicino alla realtá sociale. Tali opere che esprimevano

questo pensiero furono la lettera a Giacinto Carena Sulla lingua italiana (1845) e le

due lettere al ministro Bonghi Intorno al libro «De vulgari eloquio» e Intorno al

vocabolario. Insomma, a detta di Devoto “Nessun autore, né scrittore, né grammatico,

nemmeno Dante, centró il problema del linguaggio d’Italia come Alessandro

Manzoni”65. Un vero e proprio unificatore linguistico, capace di far parlare la stessa

lingua italiana di estrazione fiorentina sia ai personaggi di alto ceto sociale che a quelli

analfabeti presenti nei Promessi Sposi, capace di realizzare concretamente il progetto di

unitá linguistica.

4.Commentate il testo di Luisa Murano, Norma grammaticale e norma sociale.

Nel testo della Murano viene messa in evidenza la grande crisi che affligge

l’insegnamento delle lingue, costituito da un sistema didattico ancora impregnato di

62 GIACALONE, G. (2003) Introduzione storica ai Promessi Sposi. Napoli: Editrice Ferraro


63 Ibidem
64 GIACALONE, G. (2003) Introduzione storica ai Promessi Sposi. Napoli: Editrice Ferraro
65 Ibidem
tradizionalismo. Questo modello intende trasmettere la lingua attraverso un sistema di

norme e le sue applicazioni ma ció si rivela fallimentare perché, come afferma l’autrice

“la lingua è un sistema aperto, che non ha una regola o una norma per tutto”. Spiega

inoltre che dove esiste la regola, non esiste nella coscienza di molti maestri e alunni la

possibilitá di poterle trasgredire. Questa concezione della lingua intesa come insieme di

norme da rispettare ci riporta alle riflessioni di Hayakawa, il quale parlava di “paura

degli errori di grammatica”. In effetti, l’idea dell’impossibilitá di violare le regole

linguistiche suscita nello studente una sensazione di frustrazione perché si crea un

effetto che la Murano definisce “una corrispondenza tra correttezza grammaticale e

corretta visione delle cose”, cioè l’idea per cui se si rispettano le regole grammaticali si

è anche in grado di esprimere una correttezza di pensiero moralmente giusto. Questa

visione non tiene in conto che la lingua è un sistema in continuo cambiamento, “che non

comanda piú il modo di formazione delle frasi”, cioè non puó essere interamente

gerarchizzato come se fossero norme sociali. Anche Serianni, al Convegno nazionale La

forza delle parole66 sostiene che è necessario eliminare quelle categorie che sono vane,

come il complemento di causa efficiente o il complemento di compagnia e unione,

chiari esempi di categorizzazione forzata della lingua. Lo studioso sostiene in linea

generale che bisogna evitare distinzioni di superficie ed è pertanto necessario un

rinnovamento della gerarchizzazione linguistica volto alla semplificazione. Tornando al

testo della Murano, viene presentata la polemica didattica tra la posizione del linguista,

che lascia agli alunni massima libertá di espressione ed è pertanto tollerante all’errore e

il maestro, in cerca di un equilibro tra la tradizione e l’innovazione. A tal proposito

66 Intervento di Luca Serianni al Convegno nazionale "La forza delle parole", organizzato da Pearson
Italia e tenutosi a Roma il 6 marzo 2014. [https://www.youtube.com/watch?v=bZbAvY_72XI
28/10/2020]
Serianni fa notare che lo stato dell’insegnamento delle lingue, seppur ancorato alla

tradizione, si affaccia verso un cambiamento poiché recentemente ha visto l’inserimento

nella didattica di due correnti della linguistica novecentesca quali la sociolinguistica con

l’attenzione ai registri e la linguistica testuale con lo studio della coesione e della

coerenza . Per concludere, credo che il testo della Murano ci aiuta a comprendere che il

concetto di norma da rispettare non è applicabile allo studio linguistico: quando si

intraprende un percorso di apprendimento di una lingua, bisogna sempre ricordare che

essa “si è sempre piegata alle nuove esigenze dei parlanti e ha sempre riflettuto il corso

delle vicende umane, ciò vuol dire che la lingua è veramente un’istituzione regolata

dalla societá”67. Non un approccio prescrittivo, dunque, ma descrittivo. Bisogna inoltre

modificare il nostro atteggiamento verso gli errori: essi sono opportunitá di riflessione,

processi inevitabili dell’apprendimento e spie di contatto tra la lingua madre e quella

straniera. Un approccio del genere potrebbe sicuramente migliorare il rapporto tra gli

studenti e le lingue straniere, e curare una volta per tutte quelle “nevrosi linguistiche” di

cui parla Hayakawa, causate dalla vecchia grammatica a due facce corretto/scorretto.

Allo stesso tempo, potranno vedere l’insegnante non come un giudice, ma come un

parlante curioso ed interessato alle interferenze linguistiche.

5. Commentate la canzone “La nostra lingua italiana” di Riccardo Cocciante.

Questa canzone, scritta dal cantautore Riccardo Cocciante ed uscita nel 1993, presenta

un importante piano formale. Il testo, infatti, si è diviso in sei strofe, di cui quattro

perfettamente ottave e due (la terza e la quinta strofa) ipermetre, mentre è un distico a

chiudere l’opera. L’adozione di una struttura lirica tipicamente italiana lascia intendere

67 BARTOLOTTA, S.; GONZÁLEZ DE SANDE, E.; GONZÁLEZ DE SANDE, M.; MARTÍN


CLAVIJO, M. (2010) pag. 60
la volontá da parte dell’autore di dare dignitá al tema e ai contenuti trattati, ancor piú

messa in rilievo dalla ripetizione in alcune strofe (prima, seconda e quarta) e nel distico

conclusivo del titolo della canzone “La nostra lingua italiana”. In questa cornice metrica

si inquadra anche il senso delle varie anafore, per cui si ripete per ben ventidue volte la

parola lingua, scandendo cosí il ritmo musicale del testo insieme alle poche rime sparse

in assonanza e consonanza (nella strofa 1, versi 1-3-7: cattedrale/mare/ospitale; nella

strofa 3, versi 1-3: gente/allegramente; nella strofa 4, versi 1-2: fontane/puttane).

Potremmo dire che la scelta della struttura metrica e rimica dell’opera ha una stretta

correlazione con l’accordo musicale scelto, da cui ovviamente non si puó prescindere

nell’analisi di una canzone. Per quanto riguarda i contenuti e le immagini presenti nel

testo, osserviamo come Cocciante dipinge la bellezza della lingua italiana che è

mediatrice di arte, cultura e amore nazionale; le strofe diventano quindi capitoli di un

racconto, di una testimonianza artistica, storica, folcloristica e sociale che parla della

gente e dei luoghi dove si usa questa lingua. Se ci addendriamo nell’analisi dei

significati, scopriamo che sin da subito l’autore parla di una “lingua di marmo antico di

una cattedrale/lingua di spada e pianto di dolore”: ci offre un’immagine di una lingua

che narra la storia di un popolo d’arte (il marmo), di religione (la cattedrale), di

battaglie (spada) per poi passare alla rappresentazione della lingua nei paesaggi in cui

essa è parlata (“lingua di mare”, “lingua di monti esposta a tutti i venti/ che parla di

neve bianca agli aranceti”). Nella seconda strofa, poi, prosegue ricordando che la lingua

di oggi è frutto e volontá del lavoro di un fiorentino, del suo essersi battuto per la

nobiltá del volgare per far si che la lingua potesse essere del popolo. Interessante è il

riferimento implicito a Dante per antonomasia: “uomo di Firenze che parla del cielo agli

architetti”. Potremmo ipotizzare che l’autore usa questa metafora per riferirsi alla
Divina Commedia, viaggio attraverso i mondi ultraterreni (cielo) raccontato in un’opera

monumentale dalla complessa struttura architettonica (da qui il riferimento agli

architetti). Nella terza strofa continua l’excursus e la “nostra lingua italiana” diventa il

codice di comunicazione per ed in ogni contesto: dallo stadio alla trattoria, al bar,

diventa persino lingua dei luoghi dell’amore. Si passa poi, nella quarta strofa, dove

torna l’immagine della lingua legata all’arte che si nutre di essa e anche della vita.

Sembra che Cocciante ci stia ricordando come la nostra lingua sia aulica, pura, poetica,

colta, ma allo stesso tempo è anche la lingua della vita quotidiana, quella degli strati

sociali piú bassi: a questo proposito è significativo il rapporto rimico tra le parole

“fontane/puttane” che mette in evidenza questo contrasto di elementi appartenenti

all’italiano. L’idea della lingua come patrimonio di tutti gli strati sociali si intreccia con

il tema giá citato della lingua dolce, che nella strofa 4, verso 4 diventa bella da sentire

ed esportare “fino alla sabbia del continente americano”. Si apre qui, con l’immagine

dell’areoplano della quinta strofa, il tema del rapporto tra la lingua italiana con il resto

del mondo, la lingua che esce fuori dai confini e arriva in terre lontane ed esotiche (versi

1-3) per poi viaggiare attraverso la lingua degli attori e del grande patrimonio

cinematografico italiano ed entrare nell’opera come “lingua del bel canto” (strofa 6,

versi 1-2). Essa sa, inoltre, coniugarsi anche con altre lingue, perché sa prendere presititi

dall’inglese e dal francese (strofa 6, versi 4-5). Ma è nella conclusione del testo, degli

ultimi 3 versi della sesta ottava e nel distico finale che il cantautore trova la definizione

ultima per la “nostra lingua italiana”: nei versi 6-8, canta: “lingua di pace, lingua di

cultura, lingua dell’avanguardia internazionale” una lingua, dunque che attraverso il

dolce suono porta la pace, rappresenta un patrimonio culturale che spazia dall’arte alla

letteratura, ma non rimane ancorata al passato poiché è innovativa ed in rapporto con le


altre lingue. Una lingua che vuole riconoscere la sua ricchezza intrinseca, che ci

racconta quanto si sia diffusa e possa diffondersi portanto messaggi positivi di unione e

concordia. Se usciamo dal testo e ascoltiamo la canzone sul canale YouTube68, lo

sguardo non puó non scorrere sui commenti degli stessi stranieri: da russi a finlandesi,

agli stessi ispanoparlanti. Questo conferma che la lingua italiana possiede una bellezza

estetica ed intrinseca, fatta dalla sua storia, dal suo patrimonio artistico e dalla sua

societá, in grado di affascinare il mondo intero.

68 COCCIANTE, R. La nostra lingua italiana [https://www.youtube.com/watch?v=t4W0U7aLyHw


29/10/2020]
BIBLIOGRAFIA

BARTOLOTTA, S.; GONZÁLEZ DE SANDE, E.; GONZÁLEZ DE SANDE, M.;

MARTÍN CLAVIJO, M. (2010): Introducción a la Didáctica del Italiano. Sevilla:

ArCiBel Editores

DEVOTO, G. (1995) Il linguaggio d’Italia. Milano: Rizzoli

D’ACHILLE, P. (2003) L’Italiano contemporaneo. Milano: Il Mulino

GIACALONE, G. (2003) Introduzione storica ai Promessi Sposi. Napoli: Editrice

Ferraro

SERIANNI, L. (2008) Prima lezione di grammatica. Bari: Editori Laterza

SITOGRAFIA

Accademia della Crusca: https://accademiadellacrusca.it

Almalaurea Edizioni: https://www.almaedizioni.it

Corriere della Sera: https://www.corriere.it/

Diciamolo in italiano: https://diciamoloinitaliano.wordpress.com

Enciclopedia Treccani: https://www.treccani.it

Italiano RAI: http://www.italiano.rai.it/

You Tube (Per interviste, inchieste, conferenze e programmi televisivi):

https://www.youtube.com
ARTICOLI

ANNALI DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE (2006) Le minoranze linguistiche in

Italia nella prospettiva dell’educazione plurilingue. La legge 482/1999 sulle

minoranze linguistiche nel settore scolastico

NENCIONI, G. La nuova questione della lingua - File PDF (39 KB) [lezione tenuta

il 12 ottobre 1979 nel Liceo “Ariosto” di Ferrara], in G. Nencioni, Saggi di lingua

antica e moderna, Torino, Rosenberg & Sellier, 1989

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