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Di nomi e di parole.
Studi in onore
di Alda Rossebastiano
a cura di Elena Papa e Daniela Cacia
ISBN 978-88-89291-52-8
In copertina: Placido Caloiro e Oliva, Carta del Mar Mediterraneo (1631), Bibliothèque
nationale de France, Département Cartes et Plans.
1ª edizione 2017
* Una versione ridotta di questo testo è stata presentata a San Paolo e a Rio de Janeiro nell’ot-
tobre 2014, in occasione della “Settimana della lingua italiana nel mondo”. La presente re-
dazione mantiene tratti dell’oralità originaria.
1 Adatto al caso nostro il titolo di uno scritto di SABATINI 2007, documento indirizzato dal-
l’Accademia della Crusca al Ministro dell’Università e della Ricerca e a quello della Pubblica
Istituzione. La lettera aperta discute e contesta, dal punto di vista linguistico e normativo, la
tendenza (da quella data ulteriormente cresciuta) ad adottare in vari corsi universitari l’inse-
gnamento in lingua inglese in sostituzione di quello in italiano (sul tema cfr. oltre, 3.2.).
2 All’inizio della sequenza bibliografica significativa, poi divenuta fitta, piace collocare (anche
per il ruolo che ebbe il compianto Serge Vanvolsem) VANVOLSEM / VERMANDERE / D’HULST
/ MUSARRA 2000. La XV Giornata REI (Rete per l’eccellenza dell’italiano istituzionale), orga-
nizzata dalla DG “Traduzione” della Commissione Europea con il patrocinio della Camera
dei Deputati, svoltasi a Roma il 1° dicembre 2014, è stata dedicata a «L’italiano nel mondo
globalizzato: quale presente e quale futuro? La prospettiva europea» (con la presenza, tra gli
altri, di F. Sabatini, N. Maraschio e G. Patota). Una tavola rotonda su «L’italiano all’estero»
si è tenuta a conclusione dell’XI Convegno ASLI (Associazione per la Storia della Lingua Ita-
liana) «L’italiano della politica e la politica per l’italiano» (Napoli, 20-22 novembre 2014.
Partecipanti: R. Librandi, H. Haller, E. Pirvu, L. Tomasin, R. Coluccia, C. Giovanardi, M.
Mancini, C. Marazzini), cfr. LIBRANDI / PIRO 2016.
comportano altri italiani che scelgono di scrivere in quella lingua. Negli stessi
decenni, internazionale per la poesia amorosa è il provenzale, lingua nella qua-
le si cimentano non pochi poeti dell’Italia settentrionale e centrale (si contano
ventisette trovatori italiani o di possibile origine italiana, tra cui Sordello da
Goito, Percivalle Doria [che poetò anche in siciliano], Lanfranco Cigala, Bo-
nifacio Calvo, Bartolomeo Zorzi). Ma, nella prospettiva che stiamo conside-
rando, di un certo peso è la constatazione che un personaggio come Federico
II di Svevia, con evidenti ambizioni sovralocali (non oseremmo certo dire so-
vranazionali), scelga per la scuola poetica da lui istituita il volgare indigeno
(nella forma linguisticamente mescidata adottata dai poeti di corte) e rifiuti il
provenzale, pur avendo a disposizione zelanti trovatori pronti ad offrire i loro
servigi poetici all’imperatore.5
La grande stagione della nostra letteratura comincia con il successo delle
tre corone.
Non avrebbe senso citare singolarmente fatti, autori, opere, che nel corso dei
secoli hanno decretato il successo della nostra letteratura fuori dai confini del-
la penisola: troppo lungo sarebbe l’elenco, e tutto sommato inutile ai fine della
comprensione generale del fenomeno, che perdura fino ai nostri giorni con
apprezzabile fortuna. Ne è riprova la serie di scrittori stranieri in lingua, tra cui
figurano figure eccellenti del passato e più vicine a noi: Montaigne, Quevedo,
Milton fino ai più recenti Joyce e Pound, fino a Murilo Mendes, poeta brasi-
liano tra i più importanti del Novecento che, divenuto professore universitario
a Roma, scrive poesie in italiano (BRUGNOLO 2009: 114-19).6
i casi legata a circostanze esistenziali, come dimostrano le diverse biografie di due autrici al-
banesi che scrivono nella nostra lingua: Anilda Ibrahimi vive da diversi decenni in Italia e si
ritiene a buon diritto una vera e propria cittadina italiana; Elvira Dones ha adottato l’italia-
no come lingua per i suoi romanzi, nonostante abbia trascorso gran parte della sua vita in
Svizzera e risieda attualmente negli Stati Uniti d’America (le opere di Dones e Ibrahimi sono
oggetto della tesi di laurea magistrale, di cui sono stato relatore, di LICHERI 2012-2013).
7 DI, II. Derivati da nomi geografici: F-L, 751 40-765 19: 757 n. 1, s.v. Lombardia.
lommerd ‘luogo dove si cambia e si presta denaro’; per altre vie il vocabolo as-
sume ulteriori accezioni, nel cat. ‘muratore o capomastro’ (GOMEZ GANE
2012, s.v. lambart),8 nel port. e nello spagn. del Messico ‘tipo di cavolo’ (SE-
RIANNI 2011: 227-28) (sarebbe interessante ricostruire nei dettagli la trafila
storica che porta a questi significati particolari).
L’ascesa economica di Firenze genera il fiorino, nome adottato per la mone-
ta olandese (fino all’avvento dell’euro) e tuttora in corso per quella ungherese
(CANETTIERI 2014). La lira (< libra) italiana non è più in vigore nel nostro
Paese a partire dall’euro, ma il nome viene adottato (e la moneta ancora circo-
la) in altri paesi come la Turchia e l’Egitto. L’originario germanismo banco
(< bank semplicemente ‘panca, sedile’)9 assume in Italia il significato tecnico
di ‘banco di prestatore o cambiatore di denaro’ e successivamente di ‘istituto
di credito’; da qui si trasmette poi al fr. banque, all’ingl. bank, al ted. Bank
(classico “cavallo di ritorno”), al neerland. bank, allo sp. banco, al port. banco;
analoga sorte tocca all’italiano banchiere > fr. banquier, ingl. banker, ted.
Banker, neerland. bankier, ecc.
Per almeno tre secoli, a partire dal Cinquecento fino alla progressiva perdita
d’influenza che si verifica nel Settecento avanzato, l’italiano è la lingua della
comunicazione artistica e architettonica in Europa. Il contributo italiano alla
formazione del lessico europeo in questi campi riguarda tra l’altro alcune pa-
role chiave, indicative di uno specifico modo di lavorare, di qualificare attività
o tecniche particolari nate o sviluppate nel nostro paese: artista, chiaroscuro,
fresco, schizzo, tempera, maniera, sveltezza; architetto, ordine (architettonico);
bassorilievo, cannellatura, cavetto, cornicione, stucco.10
Il primato italiano in campo musicale comporta che lemmi italiani o mo-
dellati sull’italiano entrino tra Cinque e Settecento nelle grandi lingue di cul-
tura, che musicisti stranieri (Haydn, Mozart, Gluck) adottino l’italiano per le
loro composizioni e che il melodramma (opere di Metastasio e di altri) trionfi
nelle corti e nei teatri d’Europa, facendo dell’italiano una vera e propria “lin-
8 Il lemma, documentato dal 1381, è etichettato come «desueto»; non sono definibili, allo sta-
to, le circostanze e le modalità della trafila. Ringrazio Yorick Gomez Gane per avermi tra-
smesso alcuni materiali e una lunga lettera sulle ricorrenze della voce nella lessicografia cata-
lana (e vedi GOMEZ GANE 2016).
9 «Sembra probabile che le forme con la sonora iniziale, che nell’Italoromania costituiscono il
superstrato francone, siano state irradiate dall’area galloromanza attraverso il latino carolin-
gio» (LEI. Germanismi, s.v. longob. *panc ‘sedile’; franc.a. banc; lat. mediev. bancus ‘sedile’,
vol. I, 361 9 – 516 27: 515 7-11 [voce di Gallo; Vòllono; Pfister]).
10 MOTOLESE 2012: 206. Per una discussione su varie voci dell’elenco (e altre), cfr. anche MO-
TOLESE 2011.
gua per la musica”,11 all’interno del territorio nazionale, nel continente e nel
mondo. Con l’inizio dell’Ottocento l’opera lirica italiana subisce la concor-
renza delle rivali francese e tedesca e si attenua (ma non svanisce) il predomi-
nio della lingua italiana, sfavorito (ma non annullato) dalla crescente abitudi-
ne di eseguire le opere nella lingua del paese ospitante.12 È rivelatrice della per-
durante fortuna della nostra lingua, ancora ai nostri giorni, la padronanza
dell’italiano che dimostrano cantanti e musicisti stranieri, non solo nella pro-
fessione ma anche nella vita quotidiana.13
In moltissimi casi hanno diffusione internazionale italianismi non adattati.
Si pensi alla terminologia inglese (e internazionale) di movimenti musicali
(adagio, andante, allegro, accelerando, crescendo, forte, fortissimo, lento, maesto-
so); o di composizioni (ballabile, concertino, sinfonietta); o di protagonisti
dell’opera (baritono, basso, contralto, mezzosoprano, tenorino); o di strumenti
(pianoforte, pianola, tuba, viola, violoncello).14 Nel XX secolo e in questo l’av-
vento di nuovi generi musicali sposta verso altri paesi (Stati Uniti e mondo an-
glosassone, America latina) il baricentro delle innovazioni linguistiche; ma
non per questo l’Italia viene declassata a un ruolo ancillare. Basti pensare al
successo che nella prima metà del Novecento riscuote all’estero la canzone tra-
dizionale napoletana (favorito dall’eccellenza di interpreti come Caruso, Buti,
Gigli, che cantano con straordinari risultati anche in lingua) o all’emersione
nel secondo dopoguerra di nuove voci e nuovi stili che segnano il successo nel
mondo di molti artisti italiani, i cui nomi è perfino inutile elencare. La diffu-
sione di testi in italiano comporta che sporadici italianismi entrino nei testi di
canzoni in lingua straniera: ma si tratta di lessico elementare e di primo soc-
corso, quasi sempre espressioni stereotipate: addio, arrivederci, buongiorno,
15 Ampie informazioni sulla diffusione all’estero della canzone novecentesca italiana fornisce
TELVE 2012: 35, 38, 41, 224. Ricchissima la carrellata di COLETTI / COVERI 2016.
16 Eccone la lista: «al dente, antipasto, balsamico (aceto balsamico), barista, bel paese, broccoli,
bruschetta, calamari, cannelloni, cappuccino, carpaccio, cassata, chianti, ciabatta, cinzano,
espresso, farfalle, focaccia, frascati, frutti di mare, gnocchi, gorgonzola, grappa lambrusco, la-
sagne, latte macchiato, makkaroni, maraschino, mascarpone, minestra, minestrone, morta-
della, mozzarella, osteria, pancetta, panettone, pannacotta, pasta, pecorino, pesto, pizza, piz-
zeria, polenta, prosecco, radicchio, ravioli, risotto, ristorante, rucola, scampi, spaghetti/
spagetti, spumante, stracciatella, tartufo (gelato), taverne, tiramisu (sic), tortellino, tortellone,
trattoria, tuttifrutti (gelato), zabaglione, zucchino». Cfr. RIEGER 2012: 250 (e 257-58 per l’e-
lenco delle 41 marche tedesche con nome italianeggiante di cui si parla subito dopo).
17 HALLER 2009; significativa la presenza, variabile nel tempo e non uniforme nelle diverse
fonti lessicografiche, di italianismi (e perfino di pseudoitalianismi) gastronomici in alcuni
dizionari inglesi quali l’Oxford English Dictionary, il Collins English Dictionary, il Bloomsbury
English Dictionary, il New Oxford Dictionary of English.
attrarre compratori poco smaliziati alla ricerca del prodotto italiano: il caso for-
se più noto è quello del parmesan in Germania (evidentemente ricalcato su par-
migiano) cui si affianca nello stesso Paese l’inedito (e meno accattivante) freddo-
cino ‘sorta di cappuccino freddo’.18 Il modello evidentemente funziona. Nei su-
permercati e nei discount tedeschi si trovano marche di pasta etichettate Com-
bino e Fioccini (marchio tedesco con fono-morfologia allusivamente italiana),
analogamente marche di caffè etichettate Bellarom, Caffeciao e Tizio, per un to-
tale di ben 41 casi:19 qui il travestimento non è innocente gioco linguistico,
punta a ingannare il consumatore inconsapevole. Non è una pratica solo tede-
sca: allo stesso modo, a quanto pare, ci si comporta negli Stati Uniti.20
Il successo mondiale della moda italiana è fenomeno relativamente recente,
spesso più affidato ai prodotti che alla lingua, anche se non mancano gli italia-
nismi diffusi oltre confine: dolcevita, ballerina, capri pants.21 In questo campo, va
segnalata la diffusione internazionale di notissimi marchionimi di origine italia-
na e l’adozione di insegne in italiano per negozi di abbigliamento, calzature, pro-
fumerie di molti paesi anche extraeuropei: Punto Italia, Profilo Italiano, Bella
moda, Via Veneto (a Rio de Janeiro, pronunziato dai locali Via Venèto), ecc.
2.2. I campi di letteratura, economia, arti, musica, gastronomia, moda, segna-
no storicamente i percorsi privilegiati per l’espansione della nostra cultura
fuori dai confini nazionali, ma non esauriscono il panorama nel quale si riflet-
te la diffusione planetaria del nostro idioma.
Ai precedenti possono aggiungersi altri settori di predominanza linguistica
italiana o nei quali, per lo meno in alcuni periodi, altre lingue (soprattutto
quelle europee) sono risultate tributarie dell’italiano. Potremmo citare le tec-
niche militari che, in collegamento con i conflitti che hanno contrassegnato la
storia politica d’Europa per secoli, generano nuovi tipi di armi, di fortificazio-
ni, di qualifiche, di tecniche: allarme, battaglione, capitano (STAMMERJOHANN
2010b: 719; SERIANNI 2008: 37 e n. 61). Alcune parole circolano nelle lingue
del continente seguendo percorsi intricati, per cui a volte risulta difficile stabi-
lire quale sia la lingua d’origine e quale quella che riceve il prestito, le evoluzio-
ni morfologiche e di significato assunte nei diversi contesti, ecc.22
Anche il lessico sportivo e ricreativo di matrice italiana ha conosciuto una
certa diffusione in grandi lingue: nell’inglese (e anglo-americano), nel france-
se, nel tedesco e nello spagnolo (e ispano-americano). Il riferimento interessa
in modo particolare la scherma e l’equitazione tra gli sport (maneggiare ‘adde-
strare un cavallo, fargli compiere esercizi’, maneggio ‘pratiche di addestramen-
to del cavallo’, pallio ‘drappo di tessuto pregiato che si assegna al vincitore di
una gara podistica o ippica’), i giochi da tavolo e d’azzardo tra gli intratteni-
menti (trucco ‘tipo di gioco somigliante al biliardo’, tressette ‘giuoco di carte’)
(ARCANGELI 2007: 198-99, 228, 231).
Almeno andrà ricordato il ruolo internazionalizzante svolto dalla Chiesa
cattolica, che in italiano stampa la grande maggioranza dei suoi scritti e pub-
blica un quotidiano a diffusione universale (al quale negli ultimi anni si sono
affiancate edizioni settimanali o mensili in altre lingue), svolge l’insegnamento
nelle proprie università e nei collegi pontifici che attraggono studenti di varia
nazionalità, assicura le comunicazioni tra prelati di diversa origine e in genere
22 Si vedano le considerazioni svolte da CASTELLANI [1983] 2009 (un indice delle voci citate
nell’art. [487-89], rende possibile il reperimento delle occorrenze). Altrettanto prudente il
comportamento del LEI: «il grido all’arme mostra riflessi europei, cfr. fr. alarme [...] (dal
1307, DELI), col verbo fr. alarmer ‘mettere in agitazione’ (dal Cotgr 1611, FEW 25, 242a)
e spagn. alarmar» (LEI s.v. arma, 3.1 1200-1235: 1234 46 – 50 [voce di Coluccia]); per bat-
taglia ‘combattimento’ «cfr. rumeno bataie (1563, Tiktin-Miron), friul. batàe PironaN,
batàje ib., grigion. battaglia (DRG 2, 250), fr. bataille (dal 1148ca., Roland, TLF 4, 261b),
occit.a. batailla (1160ca., BernVent, Rn 2, 197), cat. batalla (dal 1204, DCVB 2, 363b), ba-
taya (sec. XIII, Llull, ib.), spagn. batalla (dal 1140ca., Cid, DCECH 1, 541), port. batalha
(dal sec. XIII, LorenzoTraducción 2, 231seg.; DELP 1, 401b), sardo logud. battádza (DES
1, 186b)» (LEI s.v. battualia, 5 320 14 – 353: 342 7 – 343 3 [voce di Bianchi De Vecchi;
Pfister]). Le abbreviazioni sono quelle adottate dal LEI.
tra coloro che hanno contatti con la vita ecclesiale, diffonde lemmi relativi
all’abbigliamento e ai titoli ecclesiastici: confessionale, conclave, monsignore,
nunzio, papalina, ecc. (ROSSI / WANK 2010; PIERNO 2010; LIBRANDI 2010).
Perfino nelle occasioni ufficiali e pubbliche i pontefici (al di là della loro na-
zionalità originaria) usano quasi esclusivamente l’italiano come lingua della
comunicazione veicolare, orale e scritta; anche in occasioni di visite all’estero
quando non si adopera la lingua del luogo, come vediamo di consueto e come
ha fatto nel 2014 papa Francesco in Corea del Sud e più recentemete in altri
Paesi (numerosi interventi del pontefice sulla lingua in SGROI 2016).
Infine va segnalata la circolazione dell’italoromanzo nei Paesi del Mediter-
raneo.23 In contesti e in momenti storici vari, la nostra lingua (o specifiche va-
rietà di essa) ha rappresentato un fondamentale strumento di interconnessio-
ne e intercomprensione tra i popoli mediterranei, con connotazioni eminente-
mente strumentali e veicolari legate ai commerci e ai rapporti di vario genere;
prevalgono modalità orali per il contatto, pur se ovviamente l’intera docu-
mentazione del passato a noi pervenuta è di tipo scritto.
Approfittando della debolezza dell’impero bizantino, le repubbliche mari-
nare di Venezia e (in misura ridotta) di Genova si insediano nelle isole dell’E-
geo sin dai primi secoli del secondo millennio e vi restano a lungo, anche dopo
la presa di Costantinopoli da parte dei Turchi nel 1453: Genova è estromessa
definitivamente dall’Egeo nel 1566, Venezia mantiene pezzi del suo dominio
ancora per qualche tempo, sia pure tra difficoltà crescenti. La lingua che i con-
quistatori trasmettono non è l’italiano letterario di matrice toscana ma, a se-
conda dei casi, una sorta di italiano regionale a base veneziana o genovese. Può
essere inserita in questa linea, pur se si tratta di un episodio marginale, la visto-
sa interazione tra salentino e veneziano documentata in una lettera spedita da
Lecce il 5 novembre 1404 da parte di Giovanni Bolani vice (con)sul Venet(orum)
in Litio (cioè Lecce), a Tomaso Mocenigo duca di Candia (l’odierna Creta),
giunta a noi attraverso la trascrizione eseguita da un funzionario del Mocenigo
e conservata in un registro custodito nell’Archivio di Stato veneziano (STUSSI
1982-1983: in particolare 170 per la citazione successiva). Siamo di fronte a
un’iniziativa mercantile: un ebreo salentino che commercia fuori dalla sua re-
gione utilizza l’italoromanzo per trattare i propri affari. Sono significativi nu-
merosi elementi linguistici attribuibili con sicurezza da un lato al salentino-
leccese, dall’altro al veneziano, ibridismo sicuramente originario. Tale ibridi-
smo strutturale si spiega con il fatto che «il veneziano usato nelle colonie com-
23 Fondamentale è la sistemazione storica offerta da BANFI 2014, nella quale si possono inserire
alcuni episodi allegati nelle righe che seguono.
merciali assorbiva elementi delle parlate indigene dando luogo a varietà peri-
feriche in diverso modo impastate»: si tratta, in conclusione, di un campione
del veneziano «de là da mar» usato come lingua dei commerci nel bacino del
mediterraneo durante il lungo periodo di egemonia della Serenissima (FOLE-
NA [1968-1970] 1990; il tema ritorna in altri studi dello stesso, che ometto di
citare). Sorti analoghe, pur se in dimensione minore, toccano anche al genove-
se (TOSO 2008).
Le due varietà, veneziano e genovese, depositano vari elementi lessicali nel
neogreco: abbondano i venetismi, ma non mancano i prestiti dal genovese. Ve-
nez. mezar(i)òla ‘clessidra’, ‘misura di tempo rispondente a un quarto d’ora’ >
neogreco mešarolli (isola di Chalki), meddzarolli (isola di Simi); venez. zonta ‘ag-
giunta, pezzo che si aggiunge’, ‘giunta di tessuto’, ‘guadagno estemporaneo, ar-
rotondamento’ > neogreco tsonda ‘id.’; varie forme con i suffissi -ésos (frandzésos,
englésos, kinésos), -áδa (lemonáδa ‘limonata’, portokaláδa ‘aranciata’, katsáδa ‘sgri-
data, lavata di capo’), -aδóros (avandaδóros ‘complice in un furto’, fumaδóros ‘fu-
matore’, dzoγaδóros ‘giocatore (accanito)’) che per la fonetica vanno ricondotte al
venez., non all’it. Al gen. fugún ‘grossa cassa quadra usata sulle navi per accen-
dervi il fuoco e fare la cucina’ va ricondotto il neogr. fufú ‘fornello portatile’, ‘for-
nello del venditore di caldarroste’ (FANCIULLO 2011a: 182-85; ID. 2011b: 94).
Hanno matrice differente e non sono riconducibili a una specifica varietà
dialettale né collegabili a fasi di predominio di una particolare potenza territo-
riale i documenti che testimoniano l’uso, esteso per secoli, dell’italiano nell’im-
pero ottomano:24 «nelle transazioni economiche e nella comunicazione politi-
ca» l’italiano costituisce lo strumento privilegiato di scambio tra diversi gruppi
etnici conviventi nell’impero (inglesi, francesi, olandesi, italiani, oltre ai locali
naturalmente), in un contesto di mistilinguismo quotidiano e persistente. Si
tratta di una lingua «di base toscana non ortodossa», che testimonia la circola-
zione internazionale del nostro idioma fuori dalle cerchie dei letterati, all’ester-
no anche rispetto agli altri settori più o meno specializzati che abbiamo ricorda-
to prima. Nell’impero ottomano l’italiano è lingua sovranazionale nella quale si
redigono trattati (anche nei casi, più d’uno, in cui non è coinvolta alcuna parte
italiana), si stendono strumenti ufficiali e privilegi, si trasmettono documenti
di cancelleria. È stata rilevata una certa differenza di livello tra la lingua in uso
nella capitale dell’impero e quella adottata per la redazioni degli atti nelle peri-
24 Cfr. BRUNI 1999: 78 per le citazioni a testo. A questo lavoro sono seguiti altri dello stesso au-
tore; mi limito a ricordare solo BRUNI 2007. I due citati e altri studi sull’argomento conflui-
scono nella raccolta BRUNI 2013. È impossibile riferire in dettaglio sugli studi (G. Cartago,
L. Minervini, ecc.) che hanno trattato vari ulteriori aspetti e sfaccettature del tema.
ferie, «nessuna delle quali poteva permettersi un nutrito staff di traduttori pro-
fessionisti come nella capitale» (BAGLIONI 2011: 11).
Peculiare la situazione della regione africana settentrionale e in particolare
di Tunisi, ripetutamente studiata.25 Nonostante la concorrenza spagnola e ca-
talana, l’italoromanzo a Tunisi è vitale, sicuramente conosciuto e apprezzato
nella seconda metà del Quattrocento. Anche circostanze del genere conferma-
no l’antica vocazione mediterranea della nostra lingua, in qualche modo nota
a milioni di uomini e donne non italiani che abitano i Paesi dell’area.26 La ten-
denza, di origine remota, continua fino ai nostri giorni, affidata a veicoli di-
versi (in primo luogo il mezzo televisivo, come ho potuto personalmente con-
statare, sentendo emissioni della televisione italiane risuonare nelle abitazioni
di città nordafricane e maltesi [cfr. subito dopo]); questo testimoniano le frasi
incerte, a volte speranzose, più spesso dolorose, che sentiamo pronunziare da
coloro che con mezzi di fortuna e a rischio della vita da anni sbarcano sulle co-
ste meridionali della penisola per sfuggire a sofferenze e morte.
Costituisce un unicum il caso di Malta, dove l’italiano è stato fino al 1936
lingua ufficiale: ininfluente linguisticamente la conquista da parte dei Nor-
manni nel 1091, l’introduzione dell’italiano nell’isola è probabilmente quat-
trocentesca, legata alla presenza dei cavalieri dell’Ordine di San Giovanni (i
cavalieri di Malta), religioso, militare e ospedaliero. Oggi nelle scuole maltesi
l’italiano è la lingua opzionale più studiata (inglese e maltese sono invece ob-
bligatori, essendo entrambi lingue nazionali), conosciuto dal 57% della popo-
lazione; i programmi televisivi in prima serata registrano un ascolto medio del
25% (BRINCAT 2011: 866). Ma le previsioni, per quanto possano valere nei
movimenti di lunga durata, non paiono positive: nell’isola al centro del Medi-
terraneo l’italiano sembra in arretramento (BRINCAT 2012).
Limitata a un periodo particolare della nostra storia, pur se qualche forma di
contatto privilegiato continua sino ad oggi, è la diffusione della lingua italiana
nei territori delle ex colonie africane, Etiopia, Eritrea, Somalia (RICCI 2005).
25 Cfr. CREMONA 1996. A questo lavoro sono seguiti altri dello stesso autore; mi limito a ricor-
dare solo CREMONA 2006. E si veda il panorama d’insieme tracciato da BAGLIONI 2010.
26 Dati e anche aneddoti vengono riferiti da GIOVANARDI / TRIFONE 2012: 57.
27 Nelle righe immediatamente seguenti riprendo, talora alla lettera, considerazioni già espres-
se in COLUCCIA 2006; la ripetitività è intenzionale, la situazione complessiva non si è modi-
ficata, anche se sul tema si registrano (per fortuna) numerosi interventi, anche da parte di
non addetti ai lavori e di intellettuali che non sono linguisti di professione ma si rivelano
sensibili al tema e assumono spesso posizioni di grande equilibrio. Un condivisibile bilancio
è in LUBELLO 2014; troppo ottimistiche (praticamente poggiate su un solo esempio) le con-
clusioni sulla tenuta dell’italiano formulate da VIVIANI 2010.
28 Benché, come è naturale, l’inglese accolga al suo interno molti forestierismi (latinismi, prestiti
da grandi lingue contemporanee) allo stato attuale detiene il ruolo di «più grande esportatore
di lessico» nei confronti delle varie lingue del continente europeo (e del mondo), comprese
quelle che in un tempo non troppo lontano hanno contribuito ad incrementarne il patrimo-
nio lessicale. Il fenomeno non riguarda solo l’Italia, anche se in Italia (come vedremo) assume
connotazioni un po’ particolari. Per una introduzione non ideologizzata al tema, considerato
su base continentale, cfr. FURIASSI / PULCINI / RODRÍGUEZ GONZÁLEZ 2012.
/ PUOTI 2008). Ma è discutibile se tutti gli anglicismi tanto spesso usati siano
davvero necessari e andrebbe verificato se davvero la lingua italiana non pos-
sieda in sé stessa le risorse necessarie a comunicare nelle diverse situazioni.
Si resta disorientati di fronte all’abuso di drink (come se in italiano non esi-
stesse bevanda), di coffee break (e pausa caffé?), di meeting point (e punto d’in-
contro?), di body guard (e guardia del corpo?), ecc. E si registra con una certa
perplessità che le università italiane (scimmiottando le aziende) si muniscano
di student service o addirittura che attraverso un customer service tendano a mi-
surare la customer satisfaction (come se gli studenti fossero dei clienti!). Una se-
rie di istituti di garanzia si chiama authority (per l’energia, per le comunicazio-
ni), esiste un garante della privacy, la RAI (la Radiotelevisione italiana [italia-
na, appunto!]) dà vita a trasmissioni come Rai educational e ha un segmento
operativo chiamato Rai fiction, il ministero delle politiche sociali si autodefini-
sce del welfare, i politici dei diversi schieramenti propongono di istituire Tax
day, USA day, Sport day, Election day (e, con ibrido senza commento, vaffa-
day). Negli ultimi tempi in Italia si fa un gran parlare di spending rewiew, ricet-
ta più o meno miracolosa per risanare la compromessa situazione economica;
al medesimo scopo il Presidente del Consiglio sostiene il varo del Jobs Act (in
cui -s non è refuso, ma non è chiaro quanti italiani siano in grado di capire se-
mantica e morfologia corretta dell’espressione inglese).29 Come si fa a pro-
muovere l’esportazione dei prodotti italiani (il Made in Italy!), parlando di
food, beverage, fashion, glamour, nello stesso momento in cui (come poco fa
abbiamo visto) gli imitatori dei nostri prodotti sparsi nel mondo si danno no-
mi che sembrino italiani proprio per attrarre compratori incauti? Al contrario,
l’uso promozionale dell’italiano potrebbe avere valenza economica e commer-
ciale in molti mercati e potrebbe aiutare il mondo produttivo nazionale a mi-
surarsi con le sfide della globalità.30
29 Jobs Act (espressione di matrice americana, diffusa negli Stati Uniti), acronimo di Jumpstart
Our Business Startups Act, è destinato «to increase American job creation and economic
growth by improving access to the public capital markets for emerging growth companies»
che qualcuno ha tradotto “far partire il business delle nostre startup”. Le Startup sono quelle
attività imprenditoriali appena lanciate, in fase di avvio, soprattutto se costituite da giovani
under 35, che le recenti leggi stanno incentivando con agevolazioni (ad esempio forma giu-
ridica più vantaggiosa ai giovani under [sic] 35: si pensi alla costituzione di una s.r.l.s. – ov-
vero società a responsabilità limitata semplificata – ma anche mediante l’erogazione di pre-
stiti agevolati ed in parte a fondo perduto). Il Jobs Act americano è una legge destinata a fa-
vorire il finanziamento delle piccole e medie imprese americane semplificando regolamenti
e procedure di avvio. Per quanti italiani l’espressione è perspicua?
30 La pubblicità di «Costa Crociere 2015» chiede perché dire «good morning» quando puoi di-
re «buongiorno»? o fare «breakfast» se puoi fare «colazione»?, proseguendo con domande
Nous ne faisons place aux mots étrangers qu’autant qu’ils sont vraiment installés dans
l’usage, et qu’il n’existe pas déjà un h o n n ê t e [spaziato mio] mot français pour dési-
gner la même chose ou exprimer la même idée (CANDEL / CABRÉ 2016: 656).
32 Sembrerebbero ancora in attesa di risposta le questioni sollevate da SABATINI 2007. Cfr. inol-
tre il ventaglio di tesi e posizioni raccolte in MARASCHIO / DE MARTINO 2013. La recente
importantissima sentenza nº 42/2017 della Corte Costituzionale, con il riferimento costan-
te al principio dell’ufficialità della lingua italiana, ne sancisce il primato costituzionalmente
indefettibile. L’insegnamento in italiano, lungi dall’essere formale difesa di un retaggio del
passato, inidonea a cogliere i mutamenti della modernità, diventa decisivo per la perdurante
trasmissione del patrimonio storico e dell’identità della Repubblica, oltre che garanzia di sal-
vaguardia e valorizzazione dell’italiano come bene culturale in sé (lucidissime considerazioni
al riguardo esprime il giurista Paolo Caretti in un intervento del marzo 2017, «tema del me-
se» dell’Accademia della Crusca, consultabile nel sito dell’Accademia).
33 Trattano il tema molti numeri del foglio «La Crusca per voi» (segnalo in particolare il nº 37,
ottobre 2008). Una rassegna dettagliata (e storicamente disposta) delle disposizioni legisla-
tive europee è in TURCHETTA 2005: 41-71.
34 Se ne veda l’esposizione, assai più articolata di quanto non sia possibile in questa sede, di SA-
BATINI [2005] 2011. Alcuni concetti ritornano in SABATINI 2008.
35 Leszek Borysiewicz, vice cancelliere dell’università di Cambridge, medico, lancia un appello
a favore del bilinguismo nelle scuole inglesi, ritenendo necessario per lo sviluppo intellettua-
le e per il futuro inserimento nel mondo del lavoro che gli studenti apprendano una seconda
lingua, oltre all’inglese (<www.theguardian.com/education/2014/jun/02/cambridge-uni-
versity-boss-wants-languages-pushed-in-uk-classrooms?>). L’incoraggiamento al
bi(/pluri)linguismo tanto più appare sensato e ragionevole se si considera che le condizioni
odierne potrebbero mutare in un futuro più o meno prossimo. Consapevole della aleatorietà
dei pronostici (tanto più quando si ha che fare con le lingue) riporto (traendola dalla Premes-
sa. La lingua si difende da sé di M. Dardano a DARDANO / FRENGUELLI / PUOTI 2008: 11-14,
a p. 12) le seguenti affermazioni: «Secondo un centro studi [...] le cinque maggiori tendenze
linguistiche dei prossimi anni saranno [/sarebbero?]: la rinascita del francese, la fine dell’anglo-
americano come lingua egemonica della modernità, l’uso crescente del russo nell’Europa
centro-orientale, la crescita a livello internazionale dello spagnolo».
36 VEDOVELLI 2011. La lista degli autori, la presentazione dei contenuti del volume, la discus-
sione di alcuni temi fornisce VEDOVELLI 2013.
37 GIOVANARDI / TRIFONE 2012: 7 (i dati riferiti subito dopo si trovano alle pp. 27-28, 33).
Cfr. anche, degli stessi autori, GIOVANARDI / TRIFONE 2011; e ancora GIOVANARDI 2012 (a
Un’inchiesta di dieci anni prima (di cui Italiano 2010 riproduce l’impianto) con-
sente di istituire un prezioso raffronto tra le due indagini, distanziate di un decen-
nio l’una dall’altra. La conclusione è palmare e collima con quanto in forma
frammentaria è emerso nei discorsi fatti finora: nel mondo c’è un crescente biso-
gno di italiano, cresce la domanda, crescono la qualità e la intensità delle risposte
che la nostra nazione riesce a dare, pur a volte con difficoltà.38
Le motivazioni che spingono i non italofoni all’apprendimento della nostra
lingua, tra le più insegnate al mondo,39 si dispongono complessivamente se-
condo le seguenti percentuali: tempo libero e interessi vari 55,8%, studio
21%, lavoro 12,8%, motivi personali e familiari 10,4%. Naturalmente i nu-
meri mutano a seconda del variare dei contesti storici e geografici. È legato alla
storia e ai flussi migratori, alla volontà di rinsaldare le proprie radici, il fatto
che in America Latina le percentuali delle motivazioni all’apprendimento
dell’italiano siano diversamente distribuite rispetto a quelle globali che abbia-
mo richiamato prima: motivi personali e familiari (esplicitamente indicata “la
famiglia di origine italiana”) 37%, tempo libero e interessi vari 27%, studio
27%, lavoro 9%. Il ribaltamento non è casuale, si tratta delle nazioni dove il
legame dei gruppi migranti con la lontana terra d’origine è particolarmente
avvertito e l’intensità del fenomeno migratorio quantitativamente rilevante.
Se per un momento abbandoniamo il dato numerico della attuale rilevazio-
ne e ci spostiamo sul terreno dei giudizi intuitivi, non fondati su fatti scienti-
fici, che parlanti di altre lingue hanno emesso nei secoli scorsi sull’italiano, no-
tiamo che anche in questo caso prevalgono fattori che potremmo definire la-
tamente culturali: l’italiano è una lingua musicale (e torna in mente la formula
della “lingua per musica”), è di facile apprendimento e soprattutto, senza trop-
pe spiegazioni, è bellissima, la più bella del mondo.40 Tale collegamento tra l’I-
talia, la sua lingua e il “bello” (nelle diverse manifestazioni) richiama alla men-
te il successo crescente che il modo di vivere “all’italiana” (di cui la cucina e la
moda sono ingredienti fondamentali) ha oggi nel mondo. Naturalmente non
si intende affermare che gli stereotipi abbiano un fondamento scientifico, solo
rilevare coincidenze.
– VIVIT (Vivi Italiano). Archivio digitale integrato di materiali didattici, testi e docu-
mentazioni iconografiche e multimediali per la conoscenza all’estero del patrimonio
linguistico e storico-culturale italiano, con particolare riguardo e destinazione a italia-
ni all’estero di seconda e terza generazione (<www.accademidellacrusca.it>)
– OIM (Osservatorio degli italianismi nel mondo). Nasce dall’esperienza del DIFIT,
che si intende allargare ad altre lingue, alla ricerca del comune sostrato linguistico,
creato nel corso del tempo dalla circolazione di uomini e donne, di prodotti diversi, di
libri e strumenti (come grammatiche e vocabolari) (<www.italianismi.org>).
Ricerca di base e ricerca applicata (qui diremmo operativa) sono due facce del-
la stessa medaglia, come spesso si sente ripetere. Se saremo capaci di mettere in
pratica questo binomio renderemo un servigio alla nostra lingua e alle comu-
nità italofone orgogliosamente operanti ai quattro angoli del pianeta.
na): «Ma Signore, che cosa mi domanda? Son veramente innamorato di questa bellissima
lingua, la più bella del mondo [...] Sì, caro signore, per me non c’è dubbio che gli angeli nel
cielo parlano italiano. Impossibile d’immaginare che queste beate creature si servano d’una
lingua meno musicale». E vedi anche STAMMERJOHANN 2013: 270. Una estesa citazione del
brano, con articolato commento, in GIOVANARDI / TRIFONE 2012: 11-12.
Bibliografia
Di nomi...
Di parole...