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Quaderni Italiani di RION 8

Di nomi e di parole.
Studi in onore
di Alda Rossebastiano
a cura di Elena Papa e Daniela Cacia
ISBN 978-88-89291-52-8

Di nomi e di parole. Studi in onore di Alda Rossebastiano


a cura di Elena Papa e Daniela Cacia

In copertina: Placido Caloiro e Oliva, Carta del Mar Mediterraneo (1631), Bibliothèque
nationale de France, Département Cartes et Plans.

1ª edizione 2017

Stampato con il contributo dell’Università degli Studi di Torino, Dipartimento


di Lingue e Letterature Straniere e Culture Moderne

© SER (Società Editrice Romana) ItaliAteneo


piazza Cola di Rienzo 85, I-00192 Roma
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Episodi e forme di diffusione della lingua italiana
nel mondo (con qualche considerazione
sull’italiano in patria)*
Rosario Coluccia (Lecce)

1. Il 21 e il 22 ottobre 2014 si sono celebrati a Firenze gli «Stati Generali della


Lingua Italiana». L’iniziativa, varata dal Ministero degli Affari Esteri (MAE) in
collaborazione con i Ministeri dell’Istruzione e dei Beni culturali, mira a pro-
muovere riflessioni “di alto livello” sullo stato dell’italiano nel mondo e a de-
finire opzioni strategiche per la sua promozione; in essa risultano coinvolti in
primo luogo gli Istituti Italiani di Cultura, le Ambasciate e i Consolati, insie-
me ai Lettorati, alle cattedre di Italianistica e agli Enti gestori dei corsi per le
comunità italiane all’estero. L’incontro fiorentino è stato preparato dalla atti-
vità di cinque gruppi di lavoro di varia composizione e impostazione.

Gruppo 1. Nuove sfide e nuovi strumenti della comunicazione linguistica (apprendi-


mento digitale, cinema, teatro, audiovisivo, ruolo del libro).
Gruppo 2. Strategie di promozione linguistica per le diverse aree geografiche e per
paesi prioritari (Mediterraneo, Cina, USA, America Latina).
Gruppo 3. Ruolo delle università con particolare attenzione alle cattedre di «Italiani-
stica».
Gruppo 4. Ruolo degli italofoni e delle comunità italiane all’estero.
Gruppo 5. Gestione e strumenti della promozione della lingua italiana.

L’organizzazione è complessa e rivela una strategia di vasto respiro. Sono chia-


mate in causa competenze che operano in Italia e all’estero, vengono presi in
considerazione fattori culturali, economici, sociali in grado di allargare lo spa-
zio di diffusione nel mondo della nostra lingua; vengono inoltre esaminati
aspetti giuridici e strategie di insegnamento e, opportunamente, analizzati gli

* Una versione ridotta di questo testo è stata presentata a San Paolo e a Rio de Janeiro nell’ot-
tobre 2014, in occasione della “Settimana della lingua italiana nel mondo”. La presente re-
dazione mantiene tratti dell’oralità originaria.

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strumenti di comunicazione informatica e digitale, mezzo privilegiato di


scambio presso le nuove generazioni. Non si rinvengono riferimenti espliciti a
proposito di un aspetto cruciale, che richiede particolare oculatezza: riguarda
il modello di italiano da proporre, scelta non semplice considerate l’ampiezza
e la varietà delle trasformazioni che attraversano attualmente la lingua italiana
e ne mettono in crisi il concetto tradizionale di standard. Forse si vedrà sul
campo, concretamente: ma la pratica senza indirizzi precisi, per quanto meri-
toria, potrebbe non essere sufficiente.
Accantonando quest’ultimo punto, possiamo convenire (senza tema di esa-
gerare) che il progetto del MAE rappresenti la più compiuta e ambiziosa strate-
gia mirante a favorire, in questo momento storico, il «bisogno di italiano all’e-
stero». Potremmo avvalerci di questa formula1 per indicare, nel complesso, le
circostanze e gli episodi che hanno segnato e segnano la diffusione della nostra
lingua fuori dai recinti geografici dell’italofonia peninsulare,2 comprese dira-
mazioni linguisticamente identitarie talora embrionali o timide, sovente più
precoci della stessa unità politica nazionale.

2. Una prima, elementare domanda, riguarda il numero delle lingue raggiunte


dagli italianismi e, di conseguenza, il numero degli elementi lessicali trasferiti
dall’italiano in altri idiomi. La risposta, apparentemente banale, è invece assai
complicata perché deve tener conto dei differenti criteri adottati negli studi di
riferimento, della qualità delle fonti utilizzate, della vitalità della forma presa in
esame, delle modalità del prestito, ecc. In effetti «i conti cambiano radicalmen-
te a seconda che si tenga conto solo degl’italianismi diretti o anche [...] di quelli

1 Adatto al caso nostro il titolo di uno scritto di SABATINI 2007, documento indirizzato dal-
l’Accademia della Crusca al Ministro dell’Università e della Ricerca e a quello della Pubblica
Istituzione. La lettera aperta discute e contesta, dal punto di vista linguistico e normativo, la
tendenza (da quella data ulteriormente cresciuta) ad adottare in vari corsi universitari l’inse-
gnamento in lingua inglese in sostituzione di quello in italiano (sul tema cfr. oltre, 3.2.).
2 All’inizio della sequenza bibliografica significativa, poi divenuta fitta, piace collocare (anche
per il ruolo che ebbe il compianto Serge Vanvolsem) VANVOLSEM / VERMANDERE / D’HULST
/ MUSARRA 2000. La XV Giornata REI (Rete per l’eccellenza dell’italiano istituzionale), orga-
nizzata dalla DG “Traduzione” della Commissione Europea con il patrocinio della Camera
dei Deputati, svoltasi a Roma il 1° dicembre 2014, è stata dedicata a «L’italiano nel mondo
globalizzato: quale presente e quale futuro? La prospettiva europea» (con la presenza, tra gli
altri, di F. Sabatini, N. Maraschio e G. Patota). Una tavola rotonda su «L’italiano all’estero»
si è tenuta a conclusione dell’XI Convegno ASLI (Associazione per la Storia della Lingua Ita-
liana) «L’italiano della politica e la politica per l’italiano» (Napoli, 20-22 novembre 2014.
Partecipanti: R. Librandi, H. Haller, E. Pirvu, L. Tomasin, R. Coluccia, C. Giovanardi, M.
Mancini, C. Marazzini), cfr. LIBRANDI / PIRO 2016.

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Episodi e forme di diffusione della lingua italiana nel mondo

sicuramente indiretti; solo di quelli già acclimatati o anche di quelli recentissi-


mi, ma vivi nella conversazione orale [...]; solo delle basi [...] o anche dei deri-
vati; solo dei prestiti o anche dei calchi semantici [...]» (SERIANNI 2008: 30).
Basterà un solo esempio. Alcuni anni addietro, nel 2008, è stato pubblicato
un importante Dizionario di italianismi in francese, inglese, tedesco (DIFIT). Il
censimento dei lemmi viene effettuato sulla base di testi scritti, repertori delle
tre lingue riceventi e singoli articoli dedicati a qualche aspetto specifico del te-
ma generale; si esclude programmaticamente il ricorso a fonti orali. Con questi
criteri si contano circa 2.700 italianismi in tedesco, 2.300 in inglese, 2.000 in
francese (STAMMERJOHANN 2010b: 711). Ampliare la schedatura attraverso la
viva voce degli informatori (come proposto da MARAZZINI / MARELLO 2011)
avrebbe sicuramente aumentato il numero complessivo dei lemmi repertoriati
ma per altri versi avrebbe complicato le cose: quante attestazioni della medesi-
ma forma si dovrebbero accertare ai fini dell’accoglimento nel DIFIT? come giu-
dicare la qualità della fonte? quale forma preferire in presenza di più varianti? Il
ricorso ai dizionari garantisce invece una sorta di vidimazione ufficiale, pur nel-
la consapevolezza che anche l’opera dei redattori di dizionari soggiace a feno-
meni di variabilità3 e addirittura a opzioni personali, spesso non di poco conto.
Nelle pagine seguenti verranno indicati fondamenti storici (fin da manife-
stazioni remote) e qualche tappa del bisogno di italiano all’estero.
2.1. La ricostruzione può iniziare ricordando l’espansione della nostra grande
letteratura, dotata di notevole forza propulsiva anche in fasi di grande concor-
renza esterna. Giustamente si è spesso rilevato che tra Due e Trecento la lingua
dell’internazionalità per l’epica e per la trattatistica enciclopedica non è una
varietà italoromanza ma il francese, come dichiara esplicitamente Brunetto
Latini, maestro di Dante, il quale in francese scrive il suo Tresor, enciclopedia
medievale presto volgarizzata, già alla fine del Duecento: il francese è «la par-
leure [...] plus delitable et plus commune a touz languaiges»4; analogamente si

3 A mo’ di esempio, si legga la comunicazione di DE BLASI 2016. La ricerca dei francesismi è


condotta attraverso l’edizione digitale di quattro tra i principali vocabolari dell’uso: GRADIT,
Zingarelli, Devoto-Oli e Sabatini-Coletti. I risultati dello spoglio sono differenti persino nei
dati numerici complessivi, con variazioni quantitativamente piuttosto ragguardevoli; varia-
no anche la data di prima attestazione, l’etimologia, l’ambito d’uso. Il confronto tra fonti di-
verse (tra le più autorevoli a disposizione!) consente di individuare gli elementi di soggetti-
vità presenti in ogni opera e indurrebbe a confrontare e integrare giudiziosamente i risultati
di diversa provenienza.
4 Il «notissimo passo» di Brunetto è ricordato da MIGLIORINI 1988: I, 120 e n. 18 (ivi anche
per la cronaca di Martino da Canale, il Milione, ecc.). Ora si legge in BELTRAMI / SQUILLA-
CIOTI / TORRI / VATTERONI 2007: I, 7.

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comportano altri italiani che scelgono di scrivere in quella lingua. Negli stessi
decenni, internazionale per la poesia amorosa è il provenzale, lingua nella qua-
le si cimentano non pochi poeti dell’Italia settentrionale e centrale (si contano
ventisette trovatori italiani o di possibile origine italiana, tra cui Sordello da
Goito, Percivalle Doria [che poetò anche in siciliano], Lanfranco Cigala, Bo-
nifacio Calvo, Bartolomeo Zorzi). Ma, nella prospettiva che stiamo conside-
rando, di un certo peso è la constatazione che un personaggio come Federico
II di Svevia, con evidenti ambizioni sovralocali (non oseremmo certo dire so-
vranazionali), scelga per la scuola poetica da lui istituita il volgare indigeno
(nella forma linguisticamente mescidata adottata dai poeti di corte) e rifiuti il
provenzale, pur avendo a disposizione zelanti trovatori pronti ad offrire i loro
servigi poetici all’imperatore.5
La grande stagione della nostra letteratura comincia con il successo delle
tre corone.

I capolavori del Medioevo italiano circolano all’estero, inevitabilmente, attraverso le


traduzioni, come quelle castigliane e catalane della Divina Commedia ai primi del
Quattrocento. Le traduzioni si moltiplicano, specie quelle di Petrarca, dal XVI secolo
in poi, quando l’italiano di cultura conosce forse la sua massima fortuna europea con
la circolazione, oltre ai consacrati Petrarca e Boccaccio (e in parte anche Dante), di
minori come Sannazaro per la sua Arcadia e di interi generi letterari, dal petrarchismo
alla favola pastorale. Per non dire del successo del poema cavalleresco con l’Orlando
furioso (tradotto in francese già nel 1543 e in inglese a fine secolo) e di quello epico
con la Gerusalemme liberata (tradotta in inglese e in spagnolo già a fine Cinquecento)
o della novellistica con Bandello, amato da Shakespeare, e con lo spregiudicato Areti-
no (COLETTI 2012: 15).

Non avrebbe senso citare singolarmente fatti, autori, opere, che nel corso dei
secoli hanno decretato il successo della nostra letteratura fuori dai confini del-
la penisola: troppo lungo sarebbe l’elenco, e tutto sommato inutile ai fine della
comprensione generale del fenomeno, che perdura fino ai nostri giorni con
apprezzabile fortuna. Ne è riprova la serie di scrittori stranieri in lingua, tra cui
figurano figure eccellenti del passato e più vicine a noi: Montaigne, Quevedo,
Milton fino ai più recenti Joyce e Pound, fino a Murilo Mendes, poeta brasi-
liano tra i più importanti del Novecento che, divenuto professore universitario
a Roma, scrive poesie in italiano (BRUGNOLO 2009: 114-19).6

5 Cfr. vari punti delle Introduzioni ai tre volumi di PSs.


6 Lo stesso Brugnolo torna più discorsivamente sull’argomento in due interventi alla «Piazza
della lingue» 2010 e 2011. La spinta è lungi dall’esaurirsi e non va necessariamente in tutti

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Episodi e forme di diffusione della lingua italiana nel mondo

L’Accademia della Crusca, con il sostegno della Federazione delle Banche,


delle Assicurazioni e della Finanza (FeBAF), ha intitolato Italiano per il mondo
un bel volume collettivo; la preposizione per del titolo potrebbe alludere, nello
stesso tempo, alla proiezione spaziale della lingua e alla meravigliosa qualità
del nostro idioma, quasi un dono elargito al mondo (CERCHIAI 2012). Nel vo-
lume si passano in rassegna diversi fattori che hanno determinato l’espansione
all’estero dell’italiano, favorendone i contatti con altre lingue. Oltre al domi-
nio letterario e più latamente culturale che abbiamo appena ricordato, si esa-
minano i riflessi linguistici della diffusione all’estero di finanza e commercio
(MANNI 2012), arti (BIFFI 2012), musica (D’ACHILLE 2012), cucina e alimen-
tazione, moda (MATTARUCCO 2012) propri della tradizione e della storia ita-
liane. In questi campi la nostra civiltà ha raggiunto posizioni di eccellenza am-
piamente riconosciute; ne risulta inoltre confermata nei fatti la «positività del
contatto [che la lingua italiana ha stabilito nel corso dei secoli] con le altre lin-
gue del mondo» (MARASCHIO / SABATINI 2012: 11).
A scopo esemplificativo, ecco pochi esempi. In assenza di diversa indicazione,
per una campionatura più estesa e per informazioni e contenuti generali, si rinvia
ai diversi contributi appena citati (con qualche integrazione, ove opportuno).
Attraverso il mondo dei mercanti, protagonisti di una straordinaria epopea
che marca i secoli finali del Medioevo, si realizza «la prima significativa proie-
zione dell’Italia oltre le Alpi» (VARVARO 2005: 81). Ne sono testimonianza al-
cuni lemmi di origine peninsulare che in quell’epoca assumono una dimensio-
ne internazionale protratta fino ai nostri giorni, talora sviluppando nuovi si-
gnificati sconosciuti in patria. L’antico italiano lombardo indica per antono-
masia il mercante italiano che svolge la sua attività all’estero, dove diventa pre-
valente il valore di ‘prestatore’ e ‘prestatore a usura’ (senza traccia nell’italiano
contemporaneo): si spiegano così il fr.a. lombard ‘usuraio’ e ‘rapace, avido’, at-
testato già nella seconda metà del sec. XII,7 e maison de lombard ‘monte di
pietà’, l’anglonormanno lombard (e poi in inglese con lo stesso senso, attestato
ancor oggi a Londra da una Lombard Street), il ted. lombard kredit ‘obbligazio-
ne’, il russo (e anche ceco, ungherese) lombard ‘prestito su pegno’, il neerland.

i casi legata a circostanze esistenziali, come dimostrano le diverse biografie di due autrici al-
banesi che scrivono nella nostra lingua: Anilda Ibrahimi vive da diversi decenni in Italia e si
ritiene a buon diritto una vera e propria cittadina italiana; Elvira Dones ha adottato l’italia-
no come lingua per i suoi romanzi, nonostante abbia trascorso gran parte della sua vita in
Svizzera e risieda attualmente negli Stati Uniti d’America (le opere di Dones e Ibrahimi sono
oggetto della tesi di laurea magistrale, di cui sono stato relatore, di LICHERI 2012-2013).
7 DI, II. Derivati da nomi geografici: F-L, 751 40-765 19: 757 n. 1, s.v. Lombardia.

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lommerd ‘luogo dove si cambia e si presta denaro’; per altre vie il vocabolo as-
sume ulteriori accezioni, nel cat. ‘muratore o capomastro’ (GOMEZ GANE
2012, s.v. lambart),8 nel port. e nello spagn. del Messico ‘tipo di cavolo’ (SE-
RIANNI 2011: 227-28) (sarebbe interessante ricostruire nei dettagli la trafila
storica che porta a questi significati particolari).
L’ascesa economica di Firenze genera il fiorino, nome adottato per la mone-
ta olandese (fino all’avvento dell’euro) e tuttora in corso per quella ungherese
(CANETTIERI 2014). La lira (< libra) italiana non è più in vigore nel nostro
Paese a partire dall’euro, ma il nome viene adottato (e la moneta ancora circo-
la) in altri paesi come la Turchia e l’Egitto. L’originario germanismo banco
(< bank semplicemente ‘panca, sedile’)9 assume in Italia il significato tecnico
di ‘banco di prestatore o cambiatore di denaro’ e successivamente di ‘istituto
di credito’; da qui si trasmette poi al fr. banque, all’ingl. bank, al ted. Bank
(classico “cavallo di ritorno”), al neerland. bank, allo sp. banco, al port. banco;
analoga sorte tocca all’italiano banchiere > fr. banquier, ingl. banker, ted.
Banker, neerland. bankier, ecc.
Per almeno tre secoli, a partire dal Cinquecento fino alla progressiva perdita
d’influenza che si verifica nel Settecento avanzato, l’italiano è la lingua della
comunicazione artistica e architettonica in Europa. Il contributo italiano alla
formazione del lessico europeo in questi campi riguarda tra l’altro alcune pa-
role chiave, indicative di uno specifico modo di lavorare, di qualificare attività
o tecniche particolari nate o sviluppate nel nostro paese: artista, chiaroscuro,
fresco, schizzo, tempera, maniera, sveltezza; architetto, ordine (architettonico);
bassorilievo, cannellatura, cavetto, cornicione, stucco.10
Il primato italiano in campo musicale comporta che lemmi italiani o mo-
dellati sull’italiano entrino tra Cinque e Settecento nelle grandi lingue di cul-
tura, che musicisti stranieri (Haydn, Mozart, Gluck) adottino l’italiano per le
loro composizioni e che il melodramma (opere di Metastasio e di altri) trionfi
nelle corti e nei teatri d’Europa, facendo dell’italiano una vera e propria “lin-

8 Il lemma, documentato dal 1381, è etichettato come «desueto»; non sono definibili, allo sta-
to, le circostanze e le modalità della trafila. Ringrazio Yorick Gomez Gane per avermi tra-
smesso alcuni materiali e una lunga lettera sulle ricorrenze della voce nella lessicografia cata-
lana (e vedi GOMEZ GANE 2016).
9 «Sembra probabile che le forme con la sonora iniziale, che nell’Italoromania costituiscono il
superstrato francone, siano state irradiate dall’area galloromanza attraverso il latino carolin-
gio» (LEI. Germanismi, s.v. longob. *panc ‘sedile’; franc.a. banc; lat. mediev. bancus ‘sedile’,
vol. I, 361 9 – 516 27: 515 7-11 [voce di Gallo; Vòllono; Pfister]).
10 MOTOLESE 2012: 206. Per una discussione su varie voci dell’elenco (e altre), cfr. anche MO-
TOLESE 2011.

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Episodi e forme di diffusione della lingua italiana nel mondo

gua per la musica”,11 all’interno del territorio nazionale, nel continente e nel
mondo. Con l’inizio dell’Ottocento l’opera lirica italiana subisce la concor-
renza delle rivali francese e tedesca e si attenua (ma non svanisce) il predomi-
nio della lingua italiana, sfavorito (ma non annullato) dalla crescente abitudi-
ne di eseguire le opere nella lingua del paese ospitante.12 È rivelatrice della per-
durante fortuna della nostra lingua, ancora ai nostri giorni, la padronanza
dell’italiano che dimostrano cantanti e musicisti stranieri, non solo nella pro-
fessione ma anche nella vita quotidiana.13
In moltissimi casi hanno diffusione internazionale italianismi non adattati.
Si pensi alla terminologia inglese (e internazionale) di movimenti musicali
(adagio, andante, allegro, accelerando, crescendo, forte, fortissimo, lento, maesto-
so); o di composizioni (ballabile, concertino, sinfonietta); o di protagonisti
dell’opera (baritono, basso, contralto, mezzosoprano, tenorino); o di strumenti
(pianoforte, pianola, tuba, viola, violoncello).14 Nel XX secolo e in questo l’av-
vento di nuovi generi musicali sposta verso altri paesi (Stati Uniti e mondo an-
glosassone, America latina) il baricentro delle innovazioni linguistiche; ma
non per questo l’Italia viene declassata a un ruolo ancillare. Basti pensare al
successo che nella prima metà del Novecento riscuote all’estero la canzone tra-
dizionale napoletana (favorito dall’eccellenza di interpreti come Caruso, Buti,
Gigli, che cantano con straordinari risultati anche in lingua) o all’emersione
nel secondo dopoguerra di nuove voci e nuovi stili che segnano il successo nel
mondo di molti artisti italiani, i cui nomi è perfino inutile elencare. La diffu-
sione di testi in italiano comporta che sporadici italianismi entrino nei testi di
canzoni in lingua straniera: ma si tratta di lessico elementare e di primo soc-
corso, quasi sempre espressioni stereotipate: addio, arrivederci, buongiorno,

11 La formula, fortunatissima e variamente ripresa negli studi successivi, è di FOLENA 1983:


l’intero cap. III, 219-355 (che riunisce saggi composti in tempi diversi) è intitolato «Una lin-
gua per la musica». Il medesimo titolo del libro di Folena ritorna nella terza edizione della
«Piazza della lingue», dedicata al maestro, cfr. MARASCHIO / DE MARTINO / STANCHINA
2012; in quest’ultimo volume il saggio di LESO 2012: 17, elenca vari contributi dedicati alla
lingua della musica che da quello di Folena esplicitamente prendono le mosse. Di un vero e
proprio filone nel quale si inseriscono indagini di vari studiosi successivi parla COVINO
2014: 41.
12 Fondamentale BONOMI 1998. Vedi inoltre BONOMI 2009 e 2010 e ROSSI 2011.
13 Ne fornisce copiosa documentazione GOLDIN FOLENA 2012; e ne abbiamo dimostrazioni
ripetute attraverso interviste radiofoniche e televisive, dichiarazioni, interventi di vario
genere.
14 TURCHETTA 2005: 134 (con una cospicua lista di italianismi nel New Oxford Dictionary of
English del 1998).

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ciao (fortunatissimo e ormai sostitutivo delle formule di saluto autoctone nella


conversazione di molte lingue), amore, bacio, bella, ecc.15
Il settore della cucina e dell’alimentazione forse più di ogni altro segna l’e-
spansione all’estero dello stile di vita e della capacità produttiva italiani e insie-
me del lessico che a questi tratti si accompagna. La diffusione estera di alcuni
lemmi è assai precoce (lasagne a partire dal XVI secolo; successivamente alea-
tico, panettone, pappardelle); ma la grande maggioranza è di epoca recente e re-
centissima, in collegamento con la crescente globalizzazione dei consumi: piz-
za (che pare sia la parola italiana più diffusa al mondo, cfr. D’ACHILLE 2017),
pasta, spaghetti, cannelloni, cappuccino, espresso, mortadella, salame, tiramisù, e
tanti altri si espandono in moltissime lingue dei cinque continenti, con vari
adattamenti che talora modificano grafia, fonetica, morfologia e perfino se-
mantica delle forme originarie. Per fare un solo esempio, il Deutsches Univer-
salwörterbuch registra 64 italianismi gastronomici (lemmi e brevi sintagmi, da
«Al dente, Antipasto...» fino a «...Zabaglione, Zucchino») che, data la fonte, si
possono considerare di fatto appartenenti al patrimonio del lessico comune,
compresi e usati dal parlante tedesco di media istruzione.16 La presenza stessa
di un lemma nel dizionario, nel bene e nel male, è significativa; gli italianismi
del Deutsches Universalwörterbuch ne costituiscono una dimostrazione concre-
ta, pur in una prospettiva particolare.
A volte all’estero si inventano nomi inesistenti, che pretendono di richiama-
re il mondo italiano con accostamenti linguistici più o meno fantasiosi: si veda-
no invenzioni italoamericane come Lobster Fra Diavolo, Shrimp Fra Diavolo,
Chicken Scarpariello che campeggiano sui menu di ristoranti italiani a New
York.17 Non mancano casi di neoconiazioni italianizzanti create allo scopo di

15 Ampie informazioni sulla diffusione all’estero della canzone novecentesca italiana fornisce
TELVE 2012: 35, 38, 41, 224. Ricchissima la carrellata di COLETTI / COVERI 2016.
16 Eccone la lista: «al dente, antipasto, balsamico (aceto balsamico), barista, bel paese, broccoli,
bruschetta, calamari, cannelloni, cappuccino, carpaccio, cassata, chianti, ciabatta, cinzano,
espresso, farfalle, focaccia, frascati, frutti di mare, gnocchi, gorgonzola, grappa lambrusco, la-
sagne, latte macchiato, makkaroni, maraschino, mascarpone, minestra, minestrone, morta-
della, mozzarella, osteria, pancetta, panettone, pannacotta, pasta, pecorino, pesto, pizza, piz-
zeria, polenta, prosecco, radicchio, ravioli, risotto, ristorante, rucola, scampi, spaghetti/
spagetti, spumante, stracciatella, tartufo (gelato), taverne, tiramisu (sic), tortellino, tortellone,
trattoria, tuttifrutti (gelato), zabaglione, zucchino». Cfr. RIEGER 2012: 250 (e 257-58 per l’e-
lenco delle 41 marche tedesche con nome italianeggiante di cui si parla subito dopo).
17 HALLER 2009; significativa la presenza, variabile nel tempo e non uniforme nelle diverse
fonti lessicografiche, di italianismi (e perfino di pseudoitalianismi) gastronomici in alcuni
dizionari inglesi quali l’Oxford English Dictionary, il Collins English Dictionary, il Bloomsbury
English Dictionary, il New Oxford Dictionary of English.

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Episodi e forme di diffusione della lingua italiana nel mondo

attrarre compratori poco smaliziati alla ricerca del prodotto italiano: il caso for-
se più noto è quello del parmesan in Germania (evidentemente ricalcato su par-
migiano) cui si affianca nello stesso Paese l’inedito (e meno accattivante) freddo-
cino ‘sorta di cappuccino freddo’.18 Il modello evidentemente funziona. Nei su-
permercati e nei discount tedeschi si trovano marche di pasta etichettate Com-
bino e Fioccini (marchio tedesco con fono-morfologia allusivamente italiana),
analogamente marche di caffè etichettate Bellarom, Caffeciao e Tizio, per un to-
tale di ben 41 casi:19 qui il travestimento non è innocente gioco linguistico,
punta a ingannare il consumatore inconsapevole. Non è una pratica solo tede-
sca: allo stesso modo, a quanto pare, ci si comporta negli Stati Uniti.20
Il successo mondiale della moda italiana è fenomeno relativamente recente,
spesso più affidato ai prodotti che alla lingua, anche se non mancano gli italia-
nismi diffusi oltre confine: dolcevita, ballerina, capri pants.21 In questo campo, va
segnalata la diffusione internazionale di notissimi marchionimi di origine italia-
na e l’adozione di insegne in italiano per negozi di abbigliamento, calzature, pro-
fumerie di molti paesi anche extraeuropei: Punto Italia, Profilo Italiano, Bella
moda, Via Veneto (a Rio de Janeiro, pronunziato dai locali Via Venèto), ecc.
2.2. I campi di letteratura, economia, arti, musica, gastronomia, moda, segna-
no storicamente i percorsi privilegiati per l’espansione della nostra cultura

18 VEDOVELLI 2005 (ricordato da COLETTI 2012: 20-21).


19 Ecco altri casi in cui, per ottenere il cosiddetto «country-of-origin effect» (anglicismo non
per tutti trasparente), ditte tedesche ricorrono per i loro prodotti a nomi che richiamano l’I-
talia senza averne l’origine: «acentino», «alberto» [pizza e piatti pronti a base di pasta surge-
lati], «baresa» [sughi pronti], «casale» [mozzarella], «casa moderna» [pizza], «costa delicata»
[frutti di mare], «cucina» [linea di prodotti vari “all’italiana”], «cucina originale italiana» [li-
nea di prodotti vari “all’italiana”], «Don Camillo» [piatti a base di pasta], ecc.
20 Un articolo di Federico Rampini su «la Repubblica», 5 dicembre 2014: 29, informa sulla si-
tuazione negli USA. «Gli americani [...] non hanno mai riconosciuto i marchi locali, come
la denominazione del prosciutto di Parma: per loro esistono solo marchi aziendali. Fino alla
“circonvenzione d’incapace”, che è l’uso del cosiddetto «Italian Sounding»» (ecco un altro
anglicismo, servirà anche questo a mascherare il fenomeno? O a renderlo quasi attraente?),
cioè nomi che suonano italiani, assomigliano agli originali, e traggono in inganno la massa
dei consumatori meno avveduti». Il giornalista conclude: «Ma ci sono cascato anch’io, con-
fesso: nella fretta mi è capitato di scambiare l’infame “Parmeggiano” per il prodotto vero».
21 CATRICALÀ 2011. A direzione invertita, il linguaggio italiano della moda si caratterizza per
l’uso frequente di anglicismi (baby doll, body, patchwork, pullover, slip, T-shirt, e inoltre
fashion, outfit, trend, must, mood, look, oversize, alla faccia del Made in Italy [come osserva
puntualmente Annamaria Testa, <http://nuovoeutile.it/lingua-italiana>]) e, in misura ridot-
ta, di prestiti da altre lingue (francese in testa: haute couture, mannequin, défilé, gilet), spesso
non adattati.

483 QUIRION 8 (2017)


Rosario Coluccia

fuori dai confini nazionali, ma non esauriscono il panorama nel quale si riflet-
te la diffusione planetaria del nostro idioma.
Ai precedenti possono aggiungersi altri settori di predominanza linguistica
italiana o nei quali, per lo meno in alcuni periodi, altre lingue (soprattutto
quelle europee) sono risultate tributarie dell’italiano. Potremmo citare le tec-
niche militari che, in collegamento con i conflitti che hanno contrassegnato la
storia politica d’Europa per secoli, generano nuovi tipi di armi, di fortificazio-
ni, di qualifiche, di tecniche: allarme, battaglione, capitano (STAMMERJOHANN
2010b: 719; SERIANNI 2008: 37 e n. 61). Alcune parole circolano nelle lingue
del continente seguendo percorsi intricati, per cui a volte risulta difficile stabi-
lire quale sia la lingua d’origine e quale quella che riceve il prestito, le evoluzio-
ni morfologiche e di significato assunte nei diversi contesti, ecc.22
Anche il lessico sportivo e ricreativo di matrice italiana ha conosciuto una
certa diffusione in grandi lingue: nell’inglese (e anglo-americano), nel france-
se, nel tedesco e nello spagnolo (e ispano-americano). Il riferimento interessa
in modo particolare la scherma e l’equitazione tra gli sport (maneggiare ‘adde-
strare un cavallo, fargli compiere esercizi’, maneggio ‘pratiche di addestramen-
to del cavallo’, pallio ‘drappo di tessuto pregiato che si assegna al vincitore di
una gara podistica o ippica’), i giochi da tavolo e d’azzardo tra gli intratteni-
menti (trucco ‘tipo di gioco somigliante al biliardo’, tressette ‘giuoco di carte’)
(ARCANGELI 2007: 198-99, 228, 231).
Almeno andrà ricordato il ruolo internazionalizzante svolto dalla Chiesa
cattolica, che in italiano stampa la grande maggioranza dei suoi scritti e pub-
blica un quotidiano a diffusione universale (al quale negli ultimi anni si sono
affiancate edizioni settimanali o mensili in altre lingue), svolge l’insegnamento
nelle proprie università e nei collegi pontifici che attraggono studenti di varia
nazionalità, assicura le comunicazioni tra prelati di diversa origine e in genere

22 Si vedano le considerazioni svolte da CASTELLANI [1983] 2009 (un indice delle voci citate
nell’art. [487-89], rende possibile il reperimento delle occorrenze). Altrettanto prudente il
comportamento del LEI: «il grido all’arme mostra riflessi europei, cfr. fr. alarme [...] (dal
1307, DELI), col verbo fr. alarmer ‘mettere in agitazione’ (dal Cotgr 1611, FEW 25, 242a)
e spagn. alarmar» (LEI s.v. arma, 3.1 1200-1235: 1234 46 – 50 [voce di Coluccia]); per bat-
taglia ‘combattimento’ «cfr. rumeno bataie (1563, Tiktin-Miron), friul. batàe PironaN,
batàje ib., grigion. battaglia (DRG 2, 250), fr. bataille (dal 1148ca., Roland, TLF 4, 261b),
occit.a. batailla (1160ca., BernVent, Rn 2, 197), cat. batalla (dal 1204, DCVB 2, 363b), ba-
taya (sec. XIII, Llull, ib.), spagn. batalla (dal 1140ca., Cid, DCECH 1, 541), port. batalha
(dal sec. XIII, LorenzoTraducción 2, 231seg.; DELP 1, 401b), sardo logud. battádza (DES
1, 186b)» (LEI s.v. battualia, 5 320 14 – 353: 342 7 – 343 3 [voce di Bianchi De Vecchi;
Pfister]). Le abbreviazioni sono quelle adottate dal LEI.

QUIRION 8 (2017) 484


Episodi e forme di diffusione della lingua italiana nel mondo

tra coloro che hanno contatti con la vita ecclesiale, diffonde lemmi relativi
all’abbigliamento e ai titoli ecclesiastici: confessionale, conclave, monsignore,
nunzio, papalina, ecc. (ROSSI / WANK 2010; PIERNO 2010; LIBRANDI 2010).
Perfino nelle occasioni ufficiali e pubbliche i pontefici (al di là della loro na-
zionalità originaria) usano quasi esclusivamente l’italiano come lingua della
comunicazione veicolare, orale e scritta; anche in occasioni di visite all’estero
quando non si adopera la lingua del luogo, come vediamo di consueto e come
ha fatto nel 2014 papa Francesco in Corea del Sud e più recentemete in altri
Paesi (numerosi interventi del pontefice sulla lingua in SGROI 2016).
Infine va segnalata la circolazione dell’italoromanzo nei Paesi del Mediter-
raneo.23 In contesti e in momenti storici vari, la nostra lingua (o specifiche va-
rietà di essa) ha rappresentato un fondamentale strumento di interconnessio-
ne e intercomprensione tra i popoli mediterranei, con connotazioni eminente-
mente strumentali e veicolari legate ai commerci e ai rapporti di vario genere;
prevalgono modalità orali per il contatto, pur se ovviamente l’intera docu-
mentazione del passato a noi pervenuta è di tipo scritto.
Approfittando della debolezza dell’impero bizantino, le repubbliche mari-
nare di Venezia e (in misura ridotta) di Genova si insediano nelle isole dell’E-
geo sin dai primi secoli del secondo millennio e vi restano a lungo, anche dopo
la presa di Costantinopoli da parte dei Turchi nel 1453: Genova è estromessa
definitivamente dall’Egeo nel 1566, Venezia mantiene pezzi del suo dominio
ancora per qualche tempo, sia pure tra difficoltà crescenti. La lingua che i con-
quistatori trasmettono non è l’italiano letterario di matrice toscana ma, a se-
conda dei casi, una sorta di italiano regionale a base veneziana o genovese. Può
essere inserita in questa linea, pur se si tratta di un episodio marginale, la visto-
sa interazione tra salentino e veneziano documentata in una lettera spedita da
Lecce il 5 novembre 1404 da parte di Giovanni Bolani vice (con)sul Venet(orum)
in Litio (cioè Lecce), a Tomaso Mocenigo duca di Candia (l’odierna Creta),
giunta a noi attraverso la trascrizione eseguita da un funzionario del Mocenigo
e conservata in un registro custodito nell’Archivio di Stato veneziano (STUSSI
1982-1983: in particolare 170 per la citazione successiva). Siamo di fronte a
un’iniziativa mercantile: un ebreo salentino che commercia fuori dalla sua re-
gione utilizza l’italoromanzo per trattare i propri affari. Sono significativi nu-
merosi elementi linguistici attribuibili con sicurezza da un lato al salentino-
leccese, dall’altro al veneziano, ibridismo sicuramente originario. Tale ibridi-
smo strutturale si spiega con il fatto che «il veneziano usato nelle colonie com-

23 Fondamentale è la sistemazione storica offerta da BANFI 2014, nella quale si possono inserire
alcuni episodi allegati nelle righe che seguono.

485 QUIRION 8 (2017)


Rosario Coluccia

merciali assorbiva elementi delle parlate indigene dando luogo a varietà peri-
feriche in diverso modo impastate»: si tratta, in conclusione, di un campione
del veneziano «de là da mar» usato come lingua dei commerci nel bacino del
mediterraneo durante il lungo periodo di egemonia della Serenissima (FOLE-
NA [1968-1970] 1990; il tema ritorna in altri studi dello stesso, che ometto di
citare). Sorti analoghe, pur se in dimensione minore, toccano anche al genove-
se (TOSO 2008).
Le due varietà, veneziano e genovese, depositano vari elementi lessicali nel
neogreco: abbondano i venetismi, ma non mancano i prestiti dal genovese. Ve-
nez. mezar(i)òla ‘clessidra’, ‘misura di tempo rispondente a un quarto d’ora’ >
neogreco mešarolli (isola di Chalki), meddzarolli (isola di Simi); venez. zonta ‘ag-
giunta, pezzo che si aggiunge’, ‘giunta di tessuto’, ‘guadagno estemporaneo, ar-
rotondamento’ > neogreco tsonda ‘id.’; varie forme con i suffissi -ésos (frandzésos,
englésos, kinésos), -áδa (lemonáδa ‘limonata’, portokaláδa ‘aranciata’, katsáδa ‘sgri-
data, lavata di capo’), -aδóros (avandaδóros ‘complice in un furto’, fumaδóros ‘fu-
matore’, dzoγaδóros ‘giocatore (accanito)’) che per la fonetica vanno ricondotte al
venez., non all’it. Al gen. fugún ‘grossa cassa quadra usata sulle navi per accen-
dervi il fuoco e fare la cucina’ va ricondotto il neogr. fufú ‘fornello portatile’, ‘for-
nello del venditore di caldarroste’ (FANCIULLO 2011a: 182-85; ID. 2011b: 94).
Hanno matrice differente e non sono riconducibili a una specifica varietà
dialettale né collegabili a fasi di predominio di una particolare potenza territo-
riale i documenti che testimoniano l’uso, esteso per secoli, dell’italiano nell’im-
pero ottomano:24 «nelle transazioni economiche e nella comunicazione politi-
ca» l’italiano costituisce lo strumento privilegiato di scambio tra diversi gruppi
etnici conviventi nell’impero (inglesi, francesi, olandesi, italiani, oltre ai locali
naturalmente), in un contesto di mistilinguismo quotidiano e persistente. Si
tratta di una lingua «di base toscana non ortodossa», che testimonia la circola-
zione internazionale del nostro idioma fuori dalle cerchie dei letterati, all’ester-
no anche rispetto agli altri settori più o meno specializzati che abbiamo ricorda-
to prima. Nell’impero ottomano l’italiano è lingua sovranazionale nella quale si
redigono trattati (anche nei casi, più d’uno, in cui non è coinvolta alcuna parte
italiana), si stendono strumenti ufficiali e privilegi, si trasmettono documenti
di cancelleria. È stata rilevata una certa differenza di livello tra la lingua in uso
nella capitale dell’impero e quella adottata per la redazioni degli atti nelle peri-

24 Cfr. BRUNI 1999: 78 per le citazioni a testo. A questo lavoro sono seguiti altri dello stesso au-
tore; mi limito a ricordare solo BRUNI 2007. I due citati e altri studi sull’argomento conflui-
scono nella raccolta BRUNI 2013. È impossibile riferire in dettaglio sugli studi (G. Cartago,
L. Minervini, ecc.) che hanno trattato vari ulteriori aspetti e sfaccettature del tema.

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Episodi e forme di diffusione della lingua italiana nel mondo

ferie, «nessuna delle quali poteva permettersi un nutrito staff di traduttori pro-
fessionisti come nella capitale» (BAGLIONI 2011: 11).
Peculiare la situazione della regione africana settentrionale e in particolare
di Tunisi, ripetutamente studiata.25 Nonostante la concorrenza spagnola e ca-
talana, l’italoromanzo a Tunisi è vitale, sicuramente conosciuto e apprezzato
nella seconda metà del Quattrocento. Anche circostanze del genere conferma-
no l’antica vocazione mediterranea della nostra lingua, in qualche modo nota
a milioni di uomini e donne non italiani che abitano i Paesi dell’area.26 La ten-
denza, di origine remota, continua fino ai nostri giorni, affidata a veicoli di-
versi (in primo luogo il mezzo televisivo, come ho potuto personalmente con-
statare, sentendo emissioni della televisione italiane risuonare nelle abitazioni
di città nordafricane e maltesi [cfr. subito dopo]); questo testimoniano le frasi
incerte, a volte speranzose, più spesso dolorose, che sentiamo pronunziare da
coloro che con mezzi di fortuna e a rischio della vita da anni sbarcano sulle co-
ste meridionali della penisola per sfuggire a sofferenze e morte.
Costituisce un unicum il caso di Malta, dove l’italiano è stato fino al 1936
lingua ufficiale: ininfluente linguisticamente la conquista da parte dei Nor-
manni nel 1091, l’introduzione dell’italiano nell’isola è probabilmente quat-
trocentesca, legata alla presenza dei cavalieri dell’Ordine di San Giovanni (i
cavalieri di Malta), religioso, militare e ospedaliero. Oggi nelle scuole maltesi
l’italiano è la lingua opzionale più studiata (inglese e maltese sono invece ob-
bligatori, essendo entrambi lingue nazionali), conosciuto dal 57% della popo-
lazione; i programmi televisivi in prima serata registrano un ascolto medio del
25% (BRINCAT 2011: 866). Ma le previsioni, per quanto possano valere nei
movimenti di lunga durata, non paiono positive: nell’isola al centro del Medi-
terraneo l’italiano sembra in arretramento (BRINCAT 2012).
Limitata a un periodo particolare della nostra storia, pur se qualche forma di
contatto privilegiato continua sino ad oggi, è la diffusione della lingua italiana
nei territori delle ex colonie africane, Etiopia, Eritrea, Somalia (RICCI 2005).

3. La situazione che abbiamo per sommi capi ricostruito sembrerebbe indurre


a valutazioni ottimistiche. Le fortune all’estero della nostra lingua vantano tra-
dizioni solide e anche oggi paiono, nel complesso, in buona salute. Se così fos-
se davvero, il piano del Ministero degli Affari Esteri che abbiamo evocato al-
l’inizio godrebbe di tutte le condizioni per potersi realizzare.

25 Cfr. CREMONA 1996. A questo lavoro sono seguiti altri dello stesso autore; mi limito a ricor-
dare solo CREMONA 2006. E si veda il panorama d’insieme tracciato da BAGLIONI 2010.
26 Dati e anche aneddoti vengono riferiti da GIOVANARDI / TRIFONE 2012: 57.

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Rosario Coluccia

In realtà ostacoli insidiosi si nascondono all’interno stesso della società ita-


liana e risiedono nella scarsa fiducia degli italiani nella propria lingua: lo si
può constatare da comportamenti concreti e diffusi che riguardano il rapporto
dell’italiano con le lingue straniere, in primo luogo con l’inglese. Per sintetiz-
zare: tali comportamenti rientrano in una sfera che potremmo definire della
“passività spensierata”, caratterizzata da arrendevolezza eccessiva nei confronti
dei forestierismi.27 Si possono considerare vari aspetti della questione, da valu-
tare secondo ottiche diverse. Il primo riguarda la presenza di anglicismi scarsa-
mente motivati e spesso inutili nell’italiano corrente, il secondo le scelte lin-
guistiche prevalenti all’interno della comunità scientifica, il terzo il ruolo as-
sunto dalla nostra lingua nel contesto europeo, nel confronto quotidiano e
inevitabile con le altre lingue dell’Unione.
3.1. Colpisce l’incremento di anglicismi nell’uso quotidiano della nostra lin-
gua e l’incapacità (o il disinteresse) a contrastare il fenomeno da parte dei par-
lanti e degli scriventi, troppo spesso addirittura inavvertiti. Un referto degli
anni scorsi, frettolosamente trascurato e talvolta oggetto di ironie fuori luogo,
assicurava che l’italiano è affetto da morbus anglicus (CASTELLANI [1987]
2009): sfrondato dagli oltranzismi, quel referto è condivisibile negli obiettivi
sostanziali. Intendiamoci: nessuno sogna di riassumere le vesti di puristi come
l’abate Cesari o il marchese Puoti, né vuole ripercorrere le vie dell’autarchia
lessicale del periodo fascista, né praticare la strada della xenofobia linguistica
indiscriminata; è incontrovertibile che decine, anzi centinaia di parole inglesi
(o anglo-americane) siano diventate patrimonio correntemente usato dagli
italiani nella comunicazione, facciano ormai parte della nostra lingua28 e ven-
gano dilatate (in forma quasi inavvertita) dai media (DARDANO / FRENGUELLI

27 Nelle righe immediatamente seguenti riprendo, talora alla lettera, considerazioni già espres-
se in COLUCCIA 2006; la ripetitività è intenzionale, la situazione complessiva non si è modi-
ficata, anche se sul tema si registrano (per fortuna) numerosi interventi, anche da parte di
non addetti ai lavori e di intellettuali che non sono linguisti di professione ma si rivelano
sensibili al tema e assumono spesso posizioni di grande equilibrio. Un condivisibile bilancio
è in LUBELLO 2014; troppo ottimistiche (praticamente poggiate su un solo esempio) le con-
clusioni sulla tenuta dell’italiano formulate da VIVIANI 2010.
28 Benché, come è naturale, l’inglese accolga al suo interno molti forestierismi (latinismi, prestiti
da grandi lingue contemporanee) allo stato attuale detiene il ruolo di «più grande esportatore
di lessico» nei confronti delle varie lingue del continente europeo (e del mondo), comprese
quelle che in un tempo non troppo lontano hanno contribuito ad incrementarne il patrimo-
nio lessicale. Il fenomeno non riguarda solo l’Italia, anche se in Italia (come vedremo) assume
connotazioni un po’ particolari. Per una introduzione non ideologizzata al tema, considerato
su base continentale, cfr. FURIASSI / PULCINI / RODRÍGUEZ GONZÁLEZ 2012.

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Episodi e forme di diffusione della lingua italiana nel mondo

/ PUOTI 2008). Ma è discutibile se tutti gli anglicismi tanto spesso usati siano
davvero necessari e andrebbe verificato se davvero la lingua italiana non pos-
sieda in sé stessa le risorse necessarie a comunicare nelle diverse situazioni.
Si resta disorientati di fronte all’abuso di drink (come se in italiano non esi-
stesse bevanda), di coffee break (e pausa caffé?), di meeting point (e punto d’in-
contro?), di body guard (e guardia del corpo?), ecc. E si registra con una certa
perplessità che le università italiane (scimmiottando le aziende) si muniscano
di student service o addirittura che attraverso un customer service tendano a mi-
surare la customer satisfaction (come se gli studenti fossero dei clienti!). Una se-
rie di istituti di garanzia si chiama authority (per l’energia, per le comunicazio-
ni), esiste un garante della privacy, la RAI (la Radiotelevisione italiana [italia-
na, appunto!]) dà vita a trasmissioni come Rai educational e ha un segmento
operativo chiamato Rai fiction, il ministero delle politiche sociali si autodefini-
sce del welfare, i politici dei diversi schieramenti propongono di istituire Tax
day, USA day, Sport day, Election day (e, con ibrido senza commento, vaffa-
day). Negli ultimi tempi in Italia si fa un gran parlare di spending rewiew, ricet-
ta più o meno miracolosa per risanare la compromessa situazione economica;
al medesimo scopo il Presidente del Consiglio sostiene il varo del Jobs Act (in
cui -s non è refuso, ma non è chiaro quanti italiani siano in grado di capire se-
mantica e morfologia corretta dell’espressione inglese).29 Come si fa a pro-
muovere l’esportazione dei prodotti italiani (il Made in Italy!), parlando di
food, beverage, fashion, glamour, nello stesso momento in cui (come poco fa
abbiamo visto) gli imitatori dei nostri prodotti sparsi nel mondo si danno no-
mi che sembrino italiani proprio per attrarre compratori incauti? Al contrario,
l’uso promozionale dell’italiano potrebbe avere valenza economica e commer-
ciale in molti mercati e potrebbe aiutare il mondo produttivo nazionale a mi-
surarsi con le sfide della globalità.30

29 Jobs Act (espressione di matrice americana, diffusa negli Stati Uniti), acronimo di Jumpstart
Our Business Startups Act, è destinato «to increase American job creation and economic
growth by improving access to the public capital markets for emerging growth companies»
che qualcuno ha tradotto “far partire il business delle nostre startup”. Le Startup sono quelle
attività imprenditoriali appena lanciate, in fase di avvio, soprattutto se costituite da giovani
under 35, che le recenti leggi stanno incentivando con agevolazioni (ad esempio forma giu-
ridica più vantaggiosa ai giovani under [sic] 35: si pensi alla costituzione di una s.r.l.s. – ov-
vero società a responsabilità limitata semplificata – ma anche mediante l’erogazione di pre-
stiti agevolati ed in parte a fondo perduto). Il Jobs Act americano è una legge destinata a fa-
vorire il finanziamento delle piccole e medie imprese americane semplificando regolamenti
e procedure di avvio. Per quanti italiani l’espressione è perspicua?
30 La pubblicità di «Costa Crociere 2015» chiede perché dire «good morning» quando puoi di-
re «buongiorno»? o fare «breakfast» se puoi fare «colazione»?, proseguendo con domande

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Rosario Coluccia

La questione è relativamente semplice nella sua drammaticità: in questa fa-


se della globalizzazione alcuni popoli, tra cui l’italiano, stanno perdendo la fi-
ducia nella propria lingua. Parlare l’inglese o l’angloamericano è in molti set-
tori utilissimo, quasi indispensabile, per fare carriera. Ma questo non compor-
ta che la lingua quotidiana debba intridersi così massicciamente di anglicismi.
Non possiamo continuare così: una lingua non è solo un insieme di parole re-
golate da una grammatica, ma esprime i modi di vivere e di sentire, di pensare,
di concepire le relazioni tra le persone, i rapporti sociali, economici, giuridici,
i sogni, i progetti di vita, i valori, il bene e il male. La lingua, il suo uso e la sua
continua creatività sono indispensabili per continuare ad esistere. Un popolo
che rinuncia alla lingua perde l’identità.
La lingua non si governa a colpi di decreti legge, senza dubbio. Ma, accanto
alle perplessità, esistono segni che inducono a ben sperare. Intellettuali, scien-
ziati, insegnanti, giornalisti, politici, semplici parlanti, fino a ieri poco sensibi-
li al tema, manifestano oggi una certa preoccupazione, o comunque uno stato
di vivace allerta, per l’incremento di parole straniere e l’incapacità di contra-
starle da parte della nostra lingua. Istituzioni importanti come l’Accademia
della Crusca e la Società Dante Alighieri, associazioni scientifiche come l’As-
sociazione per la Storia della Lingua Italiana, la Società di Linguistica Italiana
e altre richiamano l’attenzione sui temi che stiamo trattando. Spetta alle classi
culturalmente più attrezzate del Paese, secondo la lezione che viene dai grandi
del passato, cercare di incanalare le spinte e le controspinte cui è sottoposta
ogni lingua viva. La lingua va difesa attraverso l’impegno delle istituzioni e il
contributo dei singoli, insieme.
Non è una battaglia di retroguardia, e abbiamo a un passo esempi a cui
guardare. Paesi vicinissimi a noi come la Francia, la Germania, la Spagna, il
Portogallo si misurano con le stesse questioni e lo fanno in maniera enorme-
mente più efficace.31 Non so dire se questo dipenda da una più avvertita co-
scienza della propria identità di quei Paesi, o da orgoglio nazionale, o da altro.
Nel Congresso della Société de Linguistique Romane (Nancy 2013), la più

analoghe che riguardano le coppie «diving» ~ «immersione», «break» ~ «pausa», «brunch» ~


«pranzo», «gentleman» ~ «cavaliere», «tour» ~ «giro», «show» ~ «spettacolo», «happy hour» ~
«aperitivo», «party» ~ «festa», per concludere con la domanda «perché non goderti il bello
dell’Italia nei posti più belli del mondo?», che precede la sollecitazione finale «Costa. Il mo-
do italiano di goderti il mondo».
31 CASTELLANI [1996] (2009): 241: «Tra le quattro grandi lingue neolatine (francese, italiano,
portoghese e spagnolo), la nostra è quella che meno vigorosamente s’oppone all’invadenza
dell’inglese. Si tratta, in sostanza, d’una questione d’atteggiamento». Sulla politica linguisti-
ca di alcuni stati europei nei confronti dell’inglese cfr. GUIGLIA 2006.

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Episodi e forme di diffusione della lingua italiana nel mondo

antica, numerosa e prestigiosa società scientifica di quella disciplina, Danielle


Candel e Teresa Cabré hanno trattato del ruolo che lo Stato francese assume a
proposito della terminologia ufficiale, scientifica, tecnica, istituzionale, pro-
manante dalle strutture centrali e periferiche. Una sola prescrizione vorrei ri-
cordare, che potrebbe essere adottata con semplicità anche per l’italiano:

Nous ne faisons place aux mots étrangers qu’autant qu’ils sont vraiment installés dans
l’usage, et qu’il n’existe pas déjà un h o n n ê t e [spaziato mio] mot français pour dési-
gner la même chose ou exprimer la même idée (CANDEL / CABRÉ 2016: 656).

Se a questa indicazione ci conformassimo, molte o n es te [spaziato mio] paro-


le italiane rimpiazzerebbero senza difficoltà gli anglicismi funzionalmente inu-
tili, specie i meno radicati nella nostra lingua.
3.2. In alcuni settori della comunicazione scientifica, scritta e parlata, quasi
completamente anglicizzati, l’inglese è divenuto una sorta di “lingua fran-
ca”: studiosi di fisica, di informatica, di biologia, di medicina e di altre ma-
terie comunicano e pubblicano prevalentemente in inglese. Più in là si spin-
ge una contestata decisione del Politecnico di Milano, secondo la quale inte-
ri corsi magistrali e di dottorato dovrebbero svolgersi esclusivamente in ingle-
se (per la verità c’è anche qualche altro caso, anche nei settori umanistici, le
cattive pratiche allignano): accanto a quelle linguistiche la decisione com-
porta evidenti implicazioni sociali e addirittura costituzionali sulle quali i
proponenti potrebbero riflettere adeguatamente.32
L’uso di una lingua unica facilita la diffusione internazionale delle conoscenze
e, dal punto di vista specificamente italiano, costituisce una spinta indubbia alla
internazionalizzazione della ricerca. Accanto a questi vantaggi, si profila il ri-
schio di un abbandono irragionevole della lingua nazionale, culturalmente pre-
stigiosa: le sorti della lingua italiana sarebbero segnate nel momento in cui essa
non trovasse più spazio negli usi scientifici e tecnici. E inoltre, ancor più: l’uso

32 Sembrerebbero ancora in attesa di risposta le questioni sollevate da SABATINI 2007. Cfr. inol-
tre il ventaglio di tesi e posizioni raccolte in MARASCHIO / DE MARTINO 2013. La recente
importantissima sentenza nº 42/2017 della Corte Costituzionale, con il riferimento costan-
te al principio dell’ufficialità della lingua italiana, ne sancisce il primato costituzionalmente
indefettibile. L’insegnamento in italiano, lungi dall’essere formale difesa di un retaggio del
passato, inidonea a cogliere i mutamenti della modernità, diventa decisivo per la perdurante
trasmissione del patrimonio storico e dell’identità della Repubblica, oltre che garanzia di sal-
vaguardia e valorizzazione dell’italiano come bene culturale in sé (lucidissime considerazioni
al riguardo esprime il giurista Paolo Caretti in un intervento del marzo 2017, «tema del me-
se» dell’Accademia della Crusca, consultabile nel sito dell’Accademia).

491 QUIRION 8 (2017)


Rosario Coluccia

della lingua materna migliora la qualità dell’insegnamento, perché consente


duttilità e sottigliezze espressive che una lingua straniera, per quanto bene appre-
sa, non può garantire. Una soluzione equa e ragionevole sarebbe quella di affian-
care, nelle attività scientifiche, nei congressi e nelle riviste, all’inglese una rosa di
lingue di grande tradizione, lasciando ai singoli libertà di scelta: oltre all’italiano,
il francese, il tedesco, lo spagnolo, il portoghese, ecc. Questa strada è percorsa
già (e la pratica si estende) da molte riviste di linguistica, di storia della lingua, di
filologia; diffusa è anche la consuetudine di aggiungere riassunti bilingui (italia-
no e inglese [ma a volte l’italiano è assente]), sovente denominati solo Abstracts
o Summaries con la consueta anglofilia, talvolta corredati di Keywords, che infor-
mano in poche righe sul contenuto degli articoli stampati nelle riviste. Una sorta
di contrappasso stabiliscono le regole operanti nei congressi di Linguistica e Fi-
lologia Romanza che con cadenza triennale riuniscono gli iscritti alla Société de
Linguistique Romane, considerata nelle articolazioni contenutistiche e metodo-
logiche proprie di essa: negli interventi, negli atti dei congressi e in tutte le pub-
blicazioni della Société si possono usare tutte le lingue romanze (anche le meno
diffuse, come ad esempio il ladino) ma non l’inglese (per l’ottimo motivo che
non si tratta, fino a prova contraria, di una lingua romanza).
3.3. L’Unione Europea conta oggi 28 paesi membri e 24 lingue ufficiali; com’è
noto il Regno Unito è in uscita e potrebbe trattarsi di un evento foriero di im-
portanti conseguenze (difficilmente prevedibili) anche dal punto di vista stret-
tamente linguistico. Questa situazione di plurilinguismo è regolata da un com-
plesso di norme che, in linea di principio, dovrebbe garantire egualitarismo e
pari dignità a tutti gli idiomi riconosciuti dall’Unione.33 Nella realtà non è così,
nelle riunioni di commissioni, nei bandi, negli atti e negli incontri di istituzioni
e di agenzie europee, nella comunicazione interna ed esterna e in genere nelle
attività routinarie dell’Unione la lingua di lavoro di gran lunga prevalente è
l’inglese, al quale saltuariamente si affiancano (ma in posizione minoritaria)
francese e tedesco. Di fatto una situazione di prevalente monolinguismo, che a
volte si stempera in trilinguismo; tutte le altre lingue hanno un ruolo obiettiva-
mente subalterno, quasi inesistente. Una simile situazione di disparità non può
essere affrontata semplicemente rivendicando le buone ragioni (che certo non
mancano) dell’italiano, altre lingue avrebbero titolo per analoghe rivendicazio-
ni; né con interventi estemporanei, giorno per giorno. Per promuovere il pluri-

33 Trattano il tema molti numeri del foglio «La Crusca per voi» (segnalo in particolare il nº 37,
ottobre 2008). Una rassegna dettagliata (e storicamente disposta) delle disposizioni legisla-
tive europee è in TURCHETTA 2005: 41-71.

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Episodi e forme di diffusione della lingua italiana nel mondo

linguismo degli abitanti d’Europa occorrono progetti mirati,34 che agiscano su


diversi fronti, nelle istituzioni, nella scuola e nella società; andrebbe elaborata
una strategia educativa che consolidi la diversità linguistica e la radichi nelle
abitudini, partendo da un’idea semplice: oggi ciascuno ha bisogno di almeno
tre lingue. La prima, la lingua identitaria; la seconda, l’inglese come lingua vei-
colare; la terza, una seconda lingua straniera liberamente scelta, sulla base dei
valori che il singolo individuo attribuisce alla lingua scelta, in base ai suoi inte-
ressi e ai suoi rapporti con altri Paesi e altre culture. Nel futuro dell’Europa uni-
ta, sempre più plurilingue e multiculturale, costituirà un serio svantaggio non
conoscere l’inglese; ma costituirà un altrettanto serio svantaggio conoscere solo
l’inglese, anche per coloro che hanno come lingua materna l’inglese.35

4. Torniamo al tema principale: qual è attualmente lo stato di salute dell’italiano


nel mondo? È piuttosto recente un’indagine,36 che affronta globalmente le com-
plesse dinamiche che hanno coinvolto gli emigrati italiani all’estero, ricostruendo
gli aspetti linguistici del fenomeno migratorio, diversamente articolati (come è
ovvio) nelle diverse zone del mondo. Il progetto Italiano 2010. Lingua e cultura
italiana all’estero, varato pochi anni fa dal Ministero degli Affari Esteri rappresen-
ta la più aggiornata e ricca disamina diretta a «studiare, attraverso una ricerca su
scala planetaria, l’interesse che l’italiano suscita fuori dai confini nazionali e gli
strumenti messi in campo per favorirne la diffusione e l’apprendimento».37

34 Se ne veda l’esposizione, assai più articolata di quanto non sia possibile in questa sede, di SA-
BATINI [2005] 2011. Alcuni concetti ritornano in SABATINI 2008.
35 Leszek Borysiewicz, vice cancelliere dell’università di Cambridge, medico, lancia un appello
a favore del bilinguismo nelle scuole inglesi, ritenendo necessario per lo sviluppo intellettua-
le e per il futuro inserimento nel mondo del lavoro che gli studenti apprendano una seconda
lingua, oltre all’inglese (<www.theguardian.com/education/2014/jun/02/cambridge-uni-
versity-boss-wants-languages-pushed-in-uk-classrooms?>). L’incoraggiamento al
bi(/pluri)linguismo tanto più appare sensato e ragionevole se si considera che le condizioni
odierne potrebbero mutare in un futuro più o meno prossimo. Consapevole della aleatorietà
dei pronostici (tanto più quando si ha che fare con le lingue) riporto (traendola dalla Premes-
sa. La lingua si difende da sé di M. Dardano a DARDANO / FRENGUELLI / PUOTI 2008: 11-14,
a p. 12) le seguenti affermazioni: «Secondo un centro studi [...] le cinque maggiori tendenze
linguistiche dei prossimi anni saranno [/sarebbero?]: la rinascita del francese, la fine dell’anglo-
americano come lingua egemonica della modernità, l’uso crescente del russo nell’Europa
centro-orientale, la crescita a livello internazionale dello spagnolo».
36 VEDOVELLI 2011. La lista degli autori, la presentazione dei contenuti del volume, la discus-
sione di alcuni temi fornisce VEDOVELLI 2013.
37 GIOVANARDI / TRIFONE 2012: 7 (i dati riferiti subito dopo si trovano alle pp. 27-28, 33).
Cfr. anche, degli stessi autori, GIOVANARDI / TRIFONE 2011; e ancora GIOVANARDI 2012 (a

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Rosario Coluccia

Un’inchiesta di dieci anni prima (di cui Italiano 2010 riproduce l’impianto) con-
sente di istituire un prezioso raffronto tra le due indagini, distanziate di un decen-
nio l’una dall’altra. La conclusione è palmare e collima con quanto in forma
frammentaria è emerso nei discorsi fatti finora: nel mondo c’è un crescente biso-
gno di italiano, cresce la domanda, crescono la qualità e la intensità delle risposte
che la nostra nazione riesce a dare, pur a volte con difficoltà.38
Le motivazioni che spingono i non italofoni all’apprendimento della nostra
lingua, tra le più insegnate al mondo,39 si dispongono complessivamente se-
condo le seguenti percentuali: tempo libero e interessi vari 55,8%, studio
21%, lavoro 12,8%, motivi personali e familiari 10,4%. Naturalmente i nu-
meri mutano a seconda del variare dei contesti storici e geografici. È legato alla
storia e ai flussi migratori, alla volontà di rinsaldare le proprie radici, il fatto
che in America Latina le percentuali delle motivazioni all’apprendimento
dell’italiano siano diversamente distribuite rispetto a quelle globali che abbia-
mo richiamato prima: motivi personali e familiari (esplicitamente indicata “la
famiglia di origine italiana”) 37%, tempo libero e interessi vari 27%, studio
27%, lavoro 9%. Il ribaltamento non è casuale, si tratta delle nazioni dove il
legame dei gruppi migranti con la lontana terra d’origine è particolarmente
avvertito e l’intensità del fenomeno migratorio quantitativamente rilevante.
Se per un momento abbandoniamo il dato numerico della attuale rilevazio-
ne e ci spostiamo sul terreno dei giudizi intuitivi, non fondati su fatti scienti-
fici, che parlanti di altre lingue hanno emesso nei secoli scorsi sull’italiano, no-
tiamo che anche in questo caso prevalgono fattori che potremmo definire la-
tamente culturali: l’italiano è una lingua musicale (e torna in mente la formula
della “lingua per musica”), è di facile apprendimento e soprattutto, senza trop-
pe spiegazioni, è bellissima, la più bella del mondo.40 Tale collegamento tra l’I-

p. 15 si riproduce la lettera in italiano [compresa qualche sbavatura] che una studentessa


universitaria di Rio de Janeiro indirizza da Milano a una sua amica).
38 Di contenuto non specificamente linguistico è il DEMIM. Tra le appendici tematiche dell’o-
pera, due sono dedicate a lingua e onomastica (le altre riguardano il viaggio, le statistiche, la
corrispondenza, l’alimentazione, la genealogia, l’emigrazione interna, la letteratura, la musi-
ca, il cinema, la fotografia, la devozione, l’associazionismo).
39 Una tabella delle quattordici lingue più insegnate al mondo (inglese a parte, ecco le altre:
spagnolo 51,7%, francese 12,9%, tedesco 5,7%, ASLb [American Sign Language] 5,5%,
italiano 4,8%, giapponese 4,4%, ... coreano 0,5%) produce VEDOVELLI 2014: 297. Nono-
stante la buona posizione nella classifica generale, è oggettiva la distanza che separa l’italiano
rispetto allo spagnolo e anche al francese.
40 STAMMERJOHANN 2010a: 630, per il passo seguente tratto da THOMAS MANN, Confessioni
del cavaliere d’industria Felix Krull, Milano, Mondadori 1965, p. 141 (qui dall’ediz. italia-

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Episodi e forme di diffusione della lingua italiana nel mondo

talia, la sua lingua e il “bello” (nelle diverse manifestazioni) richiama alla men-
te il successo crescente che il modo di vivere “all’italiana” (di cui la cucina e la
moda sono ingredienti fondamentali) ha oggi nel mondo. Naturalmente non
si intende affermare che gli stereotipi abbiano un fondamento scientifico, solo
rilevare coincidenze.

5. Qualche considerazione finale. L’allestimento intelligente e coordinato di


attività rivolte a favorire la diffusione nel mondo della nostra lingua è, come
abbiamo visto, fondamentale. Perché il piano dispieghi tutte le sue opportu-
nità, a queste azioni pratiche è necessario affiancare il continuo affinamento
delle conoscenze, produrre studi di ampio respiro, senza timore che appaiano
poco dotati di risvolti immediatamente operativi, quasi “inutili”. Senza stabi-
lire alcun ordine di priorità vanno citate due ricerche di vasto respiro in atto,
entrambe nate nel seno dell’Accademia della Crusca:

– VIVIT (Vivi Italiano). Archivio digitale integrato di materiali didattici, testi e docu-
mentazioni iconografiche e multimediali per la conoscenza all’estero del patrimonio
linguistico e storico-culturale italiano, con particolare riguardo e destinazione a italia-
ni all’estero di seconda e terza generazione (<www.accademidellacrusca.it>)
– OIM (Osservatorio degli italianismi nel mondo). Nasce dall’esperienza del DIFIT,
che si intende allargare ad altre lingue, alla ricerca del comune sostrato linguistico,
creato nel corso del tempo dalla circolazione di uomini e donne, di prodotti diversi, di
libri e strumenti (come grammatiche e vocabolari) (<www.italianismi.org>).

Ricerca di base e ricerca applicata (qui diremmo operativa) sono due facce del-
la stessa medaglia, come spesso si sente ripetere. Se saremo capaci di mettere in
pratica questo binomio renderemo un servigio alla nostra lingua e alle comu-
nità italofone orgogliosamente operanti ai quattro angoli del pianeta.

na): «Ma Signore, che cosa mi domanda? Son veramente innamorato di questa bellissima
lingua, la più bella del mondo [...] Sì, caro signore, per me non c’è dubbio che gli angeli nel
cielo parlano italiano. Impossibile d’immaginare che queste beate creature si servano d’una
lingua meno musicale». E vedi anche STAMMERJOHANN 2013: 270. Una estesa citazione del
brano, con articolato commento, in GIOVANARDI / TRIFONE 2012: 11-12.

495 QUIRION 8 (2017)


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L’italiano nel mondo moderno. Saggi scelti dal 1969 al 2009, a cura di V. COLETTI /
R. COLUCCIA / P. D’ACHILLE / N. DE BLASI / D. PROIETTI, Napoli, Liguori, 3 voll.,
vol. III, pp. 273-86.
SABATINI 2007 = F. Sabatini, Bisogno di italiano nell’Università. Lettera aperta ai Mini-
stri dell’Università e dell’Istruzione, «La Crusca per voi», 35 (ottobre 2007), pp. 1-3.
SABATINI 2008 = F. Sabatini, Il patrimonio linguistico comune dei Popoli d’Europa, rela-
zione introduttiva al Convegno 3-4 luglio 2007 Le lingue d’Europa patrimonio
comune dei cittadini europei, atti a cura di C. ROBUSTELLI / M. BENEDETTI, Firenze/
Bruxelles, Accademia della Crusca – Commissione Europea, Direzione Generale
dell’interpretazione, pp. 29-33.
SERIANNI 2008 = L. Serianni, Gli italianismi nelle altre lingue romanze: prime riflessio-
ni, in Italianismi e percorsi dell’italiano nelle lingue latine. Atti del Convegno di Tre-
viso (28 settembre 2007), Treviso, Fondazione Cassamarca. Monti Musoni ponto
dominorque Naoni, pp. 19-41.
SERIANNI 2011 = L. Serianni, L’italiano nel mondo, in V. COLETTI (a cura di) con la
collaborazione di S. Iannizzotto, L’italiano dalla nazione allo stato, Firenze, Le Let-
tere, pp. 227-31.
SGROI 2016 = S. C. Sgroi, Il linguaggio di Papa Francesco. Analisi, creatività e norme
grammaticali, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana.

QUIRION 8 (2017) 500


Episodi e forme di diffusione della lingua italiana nel mondo

SIMONE 2010-2011 = R. Simone (a cura di), Enciclopedia dell’Italiano, direttore R.


Simone, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, vol. I (A-L ) 2010, vol. II
(M-Z) 2011 [numeraz. continua].
STAMMERJOHANN 2010a = H. Stammerjohann, Immagine dell’italiano, in SIMONE
2010-2011: I, 627-30.
STAMMERJOHANN 2010b = H. Stammerjohann, Italianismi, in SIMONE 2010-2011: I,
708-11.
STAMMERJOHANN 2013 = H. Stammerjohann, La lingua degli angeli. Italianismo, ita-
lianismi e giudizi sulla lingua italiana, Firenze, Accademia della Crusca (l’intero III
cap. del volume è dedicato a Giudizi sulla lingua italiana, pp. 135-73).
STUSSI 1982-1983 [ma 1985] = A. Stussi, Un nuovo documento di veneziano coloniale,
«Studi Mediolatini e Volgari», XXIX, pp. 165-73.
TELVE 2012 = S. Telve, That’s amore! La lingua italiana nella musica leggera straniera,
Bologna, il Mulino.
TOSO 2008 = F. Toso, Per una storia linguistica del genovese d’oltremare [2000], in Lin-
guistica di aree laterali ed estreme. Contatto, interferenza, colonie linguistiche e «isole»
culturali nel Mediterraneo occidentale, Recco, Le Mani, pp. 13-23.
TURCHETTA 2005 = B. Turchetta in collaborazione con L. Mori / E. Ranucci, Il mon-
do in italiano. Varietà e usi internazionali della lingua, Roma/Bari, Laterza.
VANVOLSEM / VERMANDERE / D’HULST / MUSARRA 2000 = S. Vanvolsem / D. Ver-
mandere / V. D’Hulst / F. Musarra (a cura di), L’italiano oltre frontiera, V Convegno
internazionale Leuven, 22-25 aprile 1998, 2 voll., Leuven/Firenze, Leuven Univer-
sity Press – Franco Cesati.
VARVARO 2005 = A. Varvaro, La diffusione della lingua e della cultura italiana tra XIII
e XV secolo, nel vol. L’Italia fuori d’Italia. Tradizione e presenza della lingua e della
cultura italiana nel mondo. Atti del Convegno di Roma, 7-10 ottobre 2002, Roma,
Salerno Editrice, pp. 75-102.
VEDOVELLI 2005 = M. Vedovelli, L’italiano nel mondo da lingua straniera a lingua
identitaria: il caso freddocino, «Studi Italiani di Linguistica Teorica e Applicata»,
XXXIV, 3, pp. 585-609.
VEDOVELLI 2011 = M. Vedovelli (a cura di), Storia linguistica dell’emigrazione italiana
nel mondo, Roma, Carocci.
VEDOVELLI 2013 = M. Vedovelli, Lingue e emigrazione italiana nel mondo: per uno spa-
zio linguistico italiano globale, in I. TEMPESTA / M. VEDOVELLI (a cura di), Di lin-
guistica e di sociolinguistica. Studi offerti a Norbert Dittmar, Roma, Bulzoni, pp.
299-321.
VEDOVELLI 2014 = M. Vedovelli, L’italiano nel mercato delle lingue: prospettive, poten-
zialità, criticità, in D. LICATA (a cura di), Rapporto italiani nel mondo, progetto del-
la Fondazione Migrantes della Conferenza Episcopale Italiana, Roma, Editrice
Tau, pp. 289-97.
VIVIANI 2010 = A. Viviani, Itangliano, in SIMONE 2010-2011: I, 734-35.

501 QUIRION 8 (2017)


Rosario Coluccia

SINTESI. Il contributo costituisce una rappresentazione dettagliata dello “stato di salu-


te” dell’italiano, nel mondo e in patria. Si esaminano, in successione: 1. Le forme, le
fasi e la diffusione degli italianismi nelle lingue straniere con le quali, in occasioni e
per motivazioni diverse (soprattutto culturali e commerciali), la nostra lingua ha avu-
to rapporti, in passato e nel presente. 2. Il rapporto tra italiano e lingue straniere in pa-
tria, in particolare il rapporto tra italiano e inglese, sia nella comunicazione quotidia-
na sia nell’ambito scientifico e dell’insegnamento universitario. 3. Il ruolo dell’italiano
nel contesto europeo, con particolare riferimento alla politica linguistica dell’Unione
Europa e alla necessità di interventi specifici. Il lavoro si chiude con l’individuazione
di iniziative e di attività (alcune già in svolgimento) rivolte a favorire la diffusione nel
mondo della nostra lingua.

QUIRION 8 (2017) 502


Indice

Premessa (DANIELA CACIA / ELENA PAPA) V


Pubblicazioni di Alda Rossebastiano XI

Di nomi...

MARIA GIOVANNA ARCAMONE, Aramengo 3


PAOLO BERTINETTI, I nomi di Ben Jonson 19
DANILO BERTOLI, Soprannomi di briganti pugliesi 25
PIERRE-HENRI BILLY, Les institutions seigneuriales médiévales
dans la toponymie nord-pyrénéenne 45
ANA I. BOULLÓN AGRELO, Influenze antroponimiche dell’Italia
in Galizia 65
DONATELLA BREMER, Quando il nome è un gioco. L’esempio
di Robert Gernhardt 81
GIUSEPPE BRINCAT, Santi patroni, nomi di battesimo e nomi delle case
nelle parrocchie a Malta 97
ENZO CAFFARELLI, I cinquecento cognomi del pranzo immaginario, scherzo
lepido e bizzarro di Giuseppe Mani (1832) 109
ANA MARÍA CANO GONZÁLEZ, Algunos antropónimos en -ín en la
onomástica asturiana 119
PASQUALE CARATÙ, Macrotoponomastica e microtoponomastica
del Gargano 143
EMILI CASANOVA, Apellidos valencianos de origen patronímico aragonés:
el caso de Vicent 157
SILVIA CORINO ROVANO, Introduzione alle fonti per l’antroponimia
conservate presso l’Archivio di Stato di Torino 175
PAOLO D’ACHILLE, La storia di Madre Coraggio, dalla letteratura
ai giornali (e ai dizionari) 185
DAIANA FELECAN, Official and Unofficial Naming of Pet Cats 209

639 QUIRION 8 (2017)


Di nomi e di parole. Studi in onore di Alda Rossebastiano

OLIVIU FELECAN, The typology of Romanian firms in urban areas 231


ANNA FERRARI, La torre della Bell’Alda in Val di Susa: un toponimo
fra letteratura e storia 247
JEAN GERMAIN, Cheramy, Carofiglio et autres noms délocutifs composés
avec l’adjectif fr. cher, it. caro 259
RENATO GRIMALDI, Cognomi, nomi di vie e strade in una comunità
di Langa a metà del 1800 275
DIETER KREMER, Sintagmi linguistici – un approccio 289
GIOVANNI LAERA, Nomi di mestiere nei secondi nomi del Medioevo barese 307
MARIA ANGELA LEOCI, La microtoponomastica rurale del territorio
del Sud Barese 319
OTTAVIO LURATI, Cervino e altri enigmi piemontesi 331
CARLA MARELLO, Antroponimi in un corpus di apprendenti
di italiano L2 343
FABIO MARRI, Deonomastici dal carteggio muratoriano 351
FRANCO QUACCIA, Anna e Giuseppe: attestazioni cultuali e toponimiche
sul territorio della diocesi di Ivrea 363
MARIA SEMERARO, Briganti, renitenti e manutengoli a Martina Franca:
considerazioni onomastiche 375
XULIO SOUSA, Alcune riflessioni sulle geonomastica personale 387
PIETRO TRIFONE, La guerra santa dei nomi 401
FEDERICO VICARIO, Appellativi rimarchevoli in carte friulane antiche
della Biblioteca Civica di Udine 409

Di parole...

BENEDICT BUONO, Giovanni Agostino Caccia, un poeta cinquecentesco


«mezo toscano e mezo da Novara» 429
DANIELA CACIA, Bochincani e cocomar. Contributo allo studio del lessico
della moda e dell’arredamento nel Seicento 445
IVANNA CASASOLA, Intrecci linguistici nella denominazione di una
celebrazione montana 463

QUIRION 8 (2017) 640


Indice

ROSARIO COLUCCIA, Episodi e forme di diffusione della lingua italiana


nel mondo (con qualche considerazione sull’italiano in patria) 475
GIANCARLO DEPRETIS, Abakiskoi o quadrelli dalle tinte decise: la poetica
epistolare di Vicente Aleixandre 503
ANTONIETTA DETTORI, Dalla braga alla bustica. Influssi piemontesi
sul lessico sardo di sentimenti e comportamenti umani 519
RENATO GENDRE, Due problemi di fonologia iberica 527
CLAUDIO GIOVANARDI, «Caro amico lontano». Lettere di bambini
della periferia romana a sessantacinque anni di distanza 539
ELENA PAPA, Gatteau e oziadre per la principessa «qual viene di Fiandra»:
varietà linguistica in tavola alla corte di Carlo Emanuele I 553
MAIR PARRY, La negazione nelle farse di Giovan Giorgio Alione 575
MARCO PICCAT, Lessico famigliare piemontese nelle lettere di Carlo Felice
al fratello minore 589
LAURA RAMELLO, Piemontese e italiano nelle suppliche a Sua Maestà 601
LUCA SERIANNI, Aliga ‘alga’ nell’italiano letterario 615
JOSÉ VAN DER HELM, Istruzioni per imparare l’italiano attestate
in due guide di viaggio neerlandesi 621

641 QUIRION 8 (2017)

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