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ANO XIII - NUMERO 157

“Il viaggio di una nazione:


lingua, politica e società”
Il viaggio di una nazione:
lingua, politica e società
Febbraio 2017
Editora Comunità
Rio de Janeiro - Brasil
www.comunitaitaliana.com
mosaico@comunitaitaliana.com.br
Direttore responsabile
Pietro Petraglia
Editori
Andrea Santurbano
Fabio Pierangeli
Patricia Peterle
Revisore È significativo che un nutrito gruppo di storici dell’italiano, rispondendo nel
Cleo Cirelli 2016 a un questionario della rivista «Nuovi Argomenti» sul tema Che lingua fa?,
Giovanna Vettraino abbia ribadito all’unisono l’importanza del nesso che lega la lingua alla cultura,
Grafico e abbia sottolineato in particolare la centralità dell’insegnamento dell’italiano
Wilson Rodrigues nella scuola. Considerato che questo nesso di lingua e cultura si manifesta con
maggiore evidenza quando entrano in gioco le scelte di fondo dell’intera co-
COMITATO Scientifico
munità nazionale, ho pensato di chiedere a quattro colleghi o allievi di ragiona-
Andrea Gareffi (Univ. di Roma “Tor re con me sui riflessi linguistici di alcuni fenomeni di notevole rilevanza politica
Vergata”); Andrea Santurbano (UFSC);
Andrea Lombardi (UFRJ); Cecilia Casini
e sociale, dall’Unità fino ai nostri giorni.
(USP); Cristiana Lardo (Univ. di Roma
“Tor Vergata”); Daniele Fioretti (Univ. Ne è emerso un quadro storico e linguistico in cui il rigore scientifico si fonde
Wisconsin-Madison); Elisabetta Santoro
(USP); Ernesto Livorni (Univ. Wisconsin-
con la passione civile, come accade spesso quando la ricerca investe momenti
Madison); Fabio Pierangeli (Univ. di cruciali o aspetti rilevanti di un travagliato processo che ha richiesto l’impegno
Roma “Tor Vergata”); Giorgio De Marchis attivo e, talvolta, il doloroso sacrificio personale di molti italiani appartenenti a
(Univ. di Roma III); Lucia Wataghin (USP); diverse generazioni successive.
Mauricio Santana Dias (USP); Maurizio
Babini (UNESP); Patricia Peterle (UFSC);
Paolo Torresan (Univ. Ca’ Foscari); Roberto L’itinerario prende il via dalla grave piaga dell’analfabetismo nell’Italia
Francavilla (Univ. di Genova); Sergio dell’Ottocento, aprendo peraltro qualche spiraglio in più sul livello di popola-
Romanelli (UFSC); Silvia La Regina (UFBA);
rità dell’italiano rispetto a stime severe del passato; mentre l’intero tragitto si
Wander Melo Miranda (UFMG).
conclude, nell’ormai avanzata età repubblicana, con la conquista di un livello
COMITATO EDITORIALE di acculturazione impensabile prima, che permette una larga diffusione della
Affonso Romano de Sant’Anna; Alberto
lingua comune e il suo uso disinvolto nella prosa giornalistica. I tre saggi cen-
Asor Rosa; Beatriz Resende; Dacia trali si soffermano, in sequenza, sui molteplici usi del dialetto – non riducibili
Maraini; Elsa Savino (in memoriam); alla sola funzione mimetico-realistica – nella poesia risorgimentale e in quella
Everardo Norões; Floriano Martins; ispirata dalla Grande Guerra; poi sull’accanimento contro le parole straniere
Francesco Alberoni; Giacomo Marramao;
Giovanni Meo Zilio; Giulia Lanciani; Leda
del regime fascista, con i suoi prodromi puristici e i suoi sviluppi neopuristici o
Papaleo Ruffo; Maria Helena Kühner; “glottotecnici”; infine sul posto riservato all’italiano nella Costituzione e nella
Marina Colasanti; Pietro Petraglia; legislazione in genere, oltre che su altri aspetti fondamentali del rapporto tra i
Rubens Piovano; Sergio Michele; Victor cittadini di oggi e la lingua nazionale.
Mateus

ESEMPLARI ANTERIORI Buona lettura!


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SI RINGRAZIAno
“Tutte le istituzioni e i collaboratori
che hanno contribuito in qualche modo
all’elaborazione del presente numero”

STAMPATORE
Editora Comunità Ltda.

ISSN 2175-9537

2
Indice
1861, gli italofoni crescono pag. 04
Pietro Trifone

Il dialetto di fronte alla Storia pag. 08


Silvia Capotosto

Quando il fascismo dichiarò guerra alle parole straniere pag. 13


Anna Maria Di Monaco

La Costituzione, l’italiano, gli italiani pag. 18


Sergio Marroni

Il movimento dell’italiano nei giornali contemporanei pag. 26


Gianluca Evangelista

3
1861,
gli italofoni crescono
Pietro Trifone

Un nuovo modello di analisi, prevedendo diversi gradi di competenza dell’italiano,


permette di rivedere i precedenti bilanci statistici sull’uso di lingua e dialetto negli anni
dell’unificazione nazionale.

Quanti erano gli italofoni nel spondente a circa 4 o 5 milioni fabeti; mentre continuerebbe ad
1861? In questa nota si illustre- di parlanti sugli oltre 20 milio- apparire provocatoriamente ec-
rà sinteticamente la tesi secondo ni totali. Risulterebbe così tra- cessiva, anche da questo punto
cui il numero di chi era in grado sferibile alle statistiche sull’uso di vista, la qualifica di «arcadi»
di usare l’italiano potrebbe esse- della lingua la famosa battuta di attribuita a tutti gli altri, cioè alle
re compreso entro un interval- Pasquale Villari intorno ai «17 differenti classi di alfabetizzati
lo statistico che va dal 10-15% milioni di analfabeti e 5 milioni che costituivano il nucleo princi-
al 30-35% della popolazione di di arcadi» della nuova Italia,1 in pale degli italofoni.
età superiore a tre anni, con un particolare per quanto riguar- Com’è noto, partendo dal pre-
valore medio che si aggirerebbe da i dialettofoni, in larghissima supposto che la mera alfabetizza-
quindi intorno al 20-25%, corri- misura sovrapponibili agli anal- zione di base non bastasse a ga-

1 P. Villari, Saggi di storia, di critica e di politica, Firenze, Tipografia Cavour, 1868, p. 104.

4
rantire una duratura padronanza
dell’italiano, nella Storia linguistica
dell’Italia unita De Mauro ha stima-
to che la percentuale della popola-
zione in grado di affrancarsi dall’u-
so del dialetto fosse pari al 2,5%,
una quota comprensiva di tutti
coloro che avevano frequentato la
scuola postelementare (meno dello
0,9%), oltre che dei 400.000 toscani
e dei 70.000 romani semplicemen-
te alfabetizzati, ammessi in consi-
derazione dell’affinità dei loro dia-
letti con la lingua comune. A questa
stima si è opposto Arrigo Castellani,
il quale in un articolo intitolato ap-
punto Quanti erano gli italofoni nel
1861? ha esteso ad altre zone del
Lazio, dell’Umbria e delle Marche il
criterio applicato da De Mauro per
la Toscana e per Roma, ha incluso
nel computo quasi tutti i toscani,
italofoni «per diritto di nascita», ha
fornito nuovi dati, più elevati dei
precedenti, sui livelli complessivi
dell’alfabetizzazione. Rifacendo i
calcoli su queste nuove basi, negli
anni dell’unificazione gli italofoni
sarebbero stati circa il 9,5% della
popolazione, ovvero circa 2 milioni
di parlanti, e anche qualcosa di più.2
Successivamente la tesi di una
diffusione ancora più ampia dell’i-
taliano parlato prima dell’Unità
è stata sostenuta da autori quali
Francesco Bruni, Luca Serianni,
Sandro Bianconi, Enrico Testa, Ni-
cola De Blasi. Sarebbe difficile non
concordare con questi studiosi ri-
guardo al fatto che la lingua comu-
ne e i vari dialetti sono in realtà i
termini estremi di un sistema più
articolato, nel quale si distinguo-
no con chiarezza diversi gradi di
approssimazione all’uno o all’al-
tro polo, vale a dire diversi italiani
locali o dialetti italianizzanti. Può
quindi sottoscriversi senza riser-
ve l’osservazione di Bruni, ripresa lerie, sui pulpiti dei predicatori e giante (semi-italofonia), potremmo
spesso da altri critici, secondo cui sui palchi dei cantastorie, avevano ipotizzare, con una buona dose di
«le relazioni [delle persone comu- certamente corso diversi tipi di ottimismo, che il gruppo dei par-
ni] con il prete, il medico, l’avvoca- lingua ibridata, una moltitudine di lanti alfabetizzati, pari al 20-25%
to dovevano avvenire oltre che in varietà alquanto instabili in cui l’i- della popolazione, fosse interamen-
dialetto anche in lingua, o meglio taliano tendeva a miscelarsi con gli te composto da italofoni o da semi-
in uno dei registri intermedi fra il idiomi peculiari di ciascuna area. italofoni. Se poi aggiungessimo a
dialetto e la lingua»3. In situazioni Se adottassimo una nozione più questo 20-25% un ulteriore 10%
del genere, così come nei discorsi flessibile dell’italiano parlato, tale di analfabeti, pervenuti al traguar-
tra parlanti di regioni differenti, da includere sia la lingua comune do della lingua comune o piuttosto
nella comunicazione con gli stra- (italofonia) sia una varietà di italia- di una sua varietà locale in quanto
nieri, nelle scuole e nelle cancel- no regionale o di dialetto italianeg- toscani o romani, oppure attraver-

2 T. De Mauro, Storia linguistica dell’Italia unita, Roma-Bari, Laterza, 1991 (I ed. 1963), pp. 36-45; A. Castellani, Quanti erano gl’italofoni nel 1861? [1982], in Id., Nuovi saggi di linguistica e
filologia italiana e romanza (1976-2004), a cura di V. Della Valle, G. Frosini, P. Manni, L. Serianni, 2 voll., Roma, Salerno Editrice, 2009, I, pp. 117-138.
3 F. Bruni, Introduzione, in Id. (a cura di), L’italiano nelle regioni. Storia della lingua italiana, 2 voll., Milano, Garzanti, 1996, I, p. LXIX.

5
gionale, con un grado crescente di rapporto con varietà linguistiche
marcatezza diatopica al decrescere diverse dal dialetto e con lo stes-
del grado di alfabetizzazione: nel so italiano: occorre infatti consi-
loro caso, quindi, si potrebbe par- derare anche i molteplici contatti
lare piuttosto di semi-italofonia. La che i parlanti potevano avere, per
massa degli incolti era costituita in ragioni lavorative o di altro tipo,
grande maggioranza da dialettofo- con persone provenienti da luoghi
ni, che peraltro non erano esclusi diversi dal proprio o appartenenti
del tutto dal processo di italianiz- a ceti sociali superiori. Segnalo un
zazione, ma vi prendevano parte in significativo caso del genere capi-
modo quantitativamente e qualita- tato nei primi anni Trenta del No-
tivamente modesto. vecento, ma sicuramente possibile
La cesura linguistica tra colti anche in età preunitaria, sebbene
e semicolti risulta certificata con in misura ridotta a causa della
evidenza dalle produzioni testua- maggiore arretratezza del paese,
li delle rispettive fasce di parlanti, con particolare riferimento allo
caratterizzate da vertiginose dif- stato della circolazione sul terri-
ferenze, a causa delle irregolarità torio e della mobilità sociale. Du-
ortografiche, grammaticali e sin- rante un’inchiesta che stava allora
tattiche degli scriventi meno istru- conducendo nel Lazio, il dialetto-
iti, incapaci per giunta di emanci- logo Raffaele Giacomelli si accorse
parsi completamente dall’influsso che il suo informatore di Tarqui-
del proprio dialetto nativo. Per nia, «un vecchio campagnolo anal-
quanto riguarda la sostanziale fabeta, di 82 anni, tale Giuseppe
dialettofonia della grande mag- Marini», mostrava «influenze della
gioranza degli incolti nel periodo lingua letteraria»; indagando sulla
indicato, si potrebbero far valere questione, il dialettologo venne a
molteplici indizi, ma l’argomento scoprire che l’anziano analfabeta
so gli avventurosi ma non trascura- più forte risiede indubbiamente era stato «per 10 anni guardia da-
bili sentieri dell’esperienza viva e nel fatto che lungo tutto l’Ottocen- ziaria nel paese e alle dipendenze
del contatto diretto con parlanti di to numerosi osservatori esprimo- d’un direttore del dazio che passa-
maggiore cultura, arriveremmo al no giudizi estremamente negativi va in paese per “molto istruito”».5
30-35% di italofoni o semi-italofoni. sulla circolazione dell’italiano par- Episodi simili, sporadici ma forse
Aderendo insomma a una visione lato, e lo fanno con l’automatismo non troppo rari, inducono a conteg-
abbastanza rosea e alquanto liberale di chi dice cose assolutamente giare tra gli italofoni (più precisa-
dell’italofonia, dovremmo comun- ovvie, evidenziando così in modo mente tra i semi-italofoni) dell’Otto-
que concludere che al momento non sospetto la sostanziale mar- cento anche una quota presuntiva di
dell’unificazione circa due terzi degli ginalità del contributo popolare al analfabeti. Sembra opportuno fissare
italiani, a dir poco, restavano emar- fenomeno. Mi limiterò qui a ricor- tale quota sotto il limite convenzio-
ginati dall’uso della lingua nazionale dare soltanto alcune di queste nu- nale del 10% dei parlanti, che sareb-
e, come è stato spesso ripetuto, qua- merose concordi testimonianze, bero comunque circa due milioni di
si stranieri nella nuova patria. selezionandole tra quelle più pe- italiani. Occorre infatti tenere conto
Non c’è dubbio che, in linea di rentorie e insieme più autorevoli, degli accurati calcoli sugli italofoni
massima, per tutto l’Ottocento e oltre che largamente conosciute «per cultura» e di quelli piuttosto
per i primi decenni del Novecento e frequentemente citate: Manzoni generosi sugli italofoni «per area di
la capacità di usare l’italiano parla- osserva che l’italiano «può quasi origine» forniti da Castellani: a giu-
to dipendeva fortemente, anche se dirsi lingua morta»; a giudizio di dizio dello studioso, come si è detto,
non esclusivamente, dalla parallela Leopardi «l’italiano non si parla» l’insieme di tutti coloro che nel 1861
capacità di usare l’italiano scritto, e fuori della Toscana; per Foscolo è possedevano una soddisfacente o
quindi tendeva ad aumentare o di- cosa risaputa che «la lingua italia- sufficiente competenza dell’italiano
minuire in rapporto proporzionale na non sia parlata neppur oggi»; parlato, appresa o nativa, si aggira-
con il grado di cultura del parlante. Stendhal afferma che in Italia, ec- va intorno al 10% della popolazione
Schematizzando, le non molte per- cettuando la Toscana e Roma, «ci nazionale. Tranne che in Toscana e
sone colte o comunque dotate di si serve sempre dell’antico dia- a Roma, dunque, gli italofoni erano
una solida alfabetizzazione appro- letto locale»; secondo Pirandello in netta minoranza, e perciò negli
davano effettivamente all’italofo- «l’uso della lingua italiana […] non scambi verbali con la massa dei dia-
nia, cioè a un soddisfacente italiano esiste», e così via.4 lettofoni preferivano generalmente
parlato, appena venato da qualche Va detto peraltro che la scuo- non servirsi della varietà di prestigio,
tratto locale. I più numerosi semi- la, pur svolgendo un ruolo di talmente rara e sofisticata da poter
colti riuscivano invece a scrivere e importanza fondamentale, non apparire – soprattutto nel parlato
parlare in una varietà di italiano re- era l’unico mezzo per entrare in ordinario – pretenziosa, astrusa e

4 Per precisazioni e approfondimenti si rinvia a P. Trifone, Pocoinchiostro. Storia dell’italiano comune, Bologna, Il Mulino, 2017.
5 R. Giacomelli, Controllo fonetico per diciassette punti dell’AIS nell’Emilia, nelle Marche, in Toscana, nell’Umbria e nel Lazio, in «Archivum Romanicum», 18, 1934, p. 182.

6
bizzarra. A questo riguardo, Foscolo si siano accresciuti e moltiplicati in mera capacità di disegnare la pro-
fa un’importante osservazione sull’i- misura rilevante grazie all’esempio pria firma, senza uno stabile contat-
nadeguatezza comunicativa della lin- di italofoni istruiti che normalmente to col testo scritto».7 Considerando
gua italiana e, paradossalmente, sulla comunicavano con loro in dialetto, e inoltre che quasi un quinto dei pre-
sua censurabilità sociale: «chiunque, che il numero dei primi potesse ad- sunti alfabeti dichiara di saper leg-
dimorando nella sua propria [pro- dirittura superare quello dei secondi, gere ma di non saper scrivere, una
vincia], si dipartisse appena dal dia- cioè circa il 10% di tutti i parlanti. stima che eleva fino al 30-35% del
letto del municipio, affronterebbe Le schede predisposte dagli uffi- totale la quota dei parlanti italofoni
il doppio rischio e di non lasciarsi ci ministeriali per il censimento del e semi-italofoni sembra imputabile
intendere per niente dal popolo, e di 1861 chiedevano a tutti gli italiani di piuttosto di un eccesso di larghez-
farsi deridere nel bel mondo per af- indicare se sapevano leggere e scri- za che del contrario. Naturalmente
fettazione di letteratura»6. vere, se sapevano soltanto leggere o – come si diceva già in apertura –
Persino nel «bel mondo», dun- se non sapevano né leggere né scri- questo valore del 30-35%, ottenuto
que, l’uso dell’italiano non godeva vere: risultò che il 17,8% della popo- attraverso uno straordinario en plein
di una particolare fortuna, almeno lazione rientrava nella prima catego- di previsioni favorevoli, si riferisce ai
nei normali discorsi tra conterra- ria, il 4,1% nella seconda e il 78,1% confini superiori del più ampio in-
nei. Di conseguenza si riducevano nella terza. La quota degli analfabeti tervallo statistico ipotizzabile, i cui
fortemente le opportunità, per chi scendeva al 75% sottraendo dal- confini inferiori possono collocarsi
conosceva l’italiano, di sostituirlo al la popolazione totale quella in età un po’ sopra del 10% indicato da Ca-
dialetto nell’uso colloquiale, e quindi prescolare; ma della natura dei ru- stellani, e quelli medi, di conseguen-
diminuivano in misura proporziona- dimenti di chi leggeva compitando za, intorno al 20-25%. Anche dalle
le anche le occasioni di trasmetterlo o tracciava a fatica la propria firma nuove più generose valutazioni,
efficacemente a chi non lo conosceva. sembra più che lecito diffidare. A tuttavia, emergerebbe che almeno
Sta proprio qui il motivo della limi- questo proposito, Serianni nota giu- due terzi degli italiani, per non dire
tata diffusione dell’italofonia tra gli stamente che «la qualifica di “alfabe- tre quarti, erano pressoché esclusi-
analfabeti: sembra difficile ipotizza- ta” quale risulta da un censimento di vamente dialettofoni, o non troppo
re, infatti, che gli italofoni analfabeti popolazione può corrispondere alla lontani da una simile condizione.

6 Si veda P. Trifone, Malalingua. L’italiano scorretto da Dante a oggi, Bologna, Il Mulino, 2007, pp. 39-42.
7 L. Serianni, Storia dell’italiano nell’Ottocento, Bologna, Il Mulino, 2013, p. 38.

7
Il dialetto di fronte alla Storia
Silvia Capotosto

Entusiasmo e delusione, propaganda e disincanto, rigenerazione e distruzione: i volti del Risorgimen-


to e della Grande guerra osservati attraverso gli occhi dei poeti in dialetto.

La recente pubblicazione dei


due volumi collettanei curati da
Massimiliano Mancini e dedicati
rispettivamente alla letteratura in
dialetto ispirata dal Risorgimento e
dalla Grande guerra ha ampliato su
un ulteriore piano della comunica-
zione il lavoro d’indagine intrapre-
so a cura di Rita Fresu sulle scritture
popolari e su quelle prodotte per il
popolo durante la Prima Guerra
Mondiale.1 Dai 33 saggi di vari au-
tori che complessivamente com-
pongono i due testi curati da Man-
cini emerge un’articolata indagine
delle diverse modalità con le quali
il processo risorgimentale, la sua
eredità nell’Italia Unita – non ulti-
mo il dramma delle terre irredente,
che animò la propaganda interven-
tista – e infine il conflitto, con le sue
tragiche conseguenze, vennero
percepiti e vissuti. A margine di una
selezione di autori e testi compiuta
all’interno del vasto excursus che i
due volumi propongono, vorrei qui
soffermarmi sull’uso che del dialet-
to è stato fatto per tratteggiare al-
cuni dei tanti volti che l’uno e l’altro
momento storico hanno manifesta-
to agli occhi dei poeti.

1. I due volti del Risorgimento nel-


la poesia in dialetto: la libertà dei
popoli, la delusione dei poveri

La poesia in dialetto prodotta


tra Ottocento e Novecento guarda
al Risorgimento, e alle sue conse-
guenze negli anni immediatamente
successivi l’unificazione nazionale,
in una prospettiva interna salda-
mente ancorata alle diverse realtà
politiche, sociali e culturali dell’Ita-
lia preunitaria. Attraverso i dialetti

1 M. Mancini (a cura di), I miti del Risorgimento e gli scrittori dialettali. Studi e testi, Roma, Il Cubo, 2014; Id. (a cura di), Una tragedia senza poeta. Poesia in dialetto sulla Grande guerra: testi
e contesti, Roma, Il Cubo, 2016; R. Fresu (a cura di), Questa guerra non è mica la guerra mia. Scritture, contesti, linguaggi durante la Grande Guerra, Roma, Il Cubo, 2015.

8
i poeti hanno restituito un’immagi- accrescere di conseguenza in loro
ne più articolata e «più crudamen- il consenso nei confronti del nuovo
te autentica di molti testi in lingua Stato unitario. Anche Pascarella
toscana, nei quali le consuete dina- si rivolge tanto alle masse quanto
miche di idealizzazione sono state alla borghesia, adottando a questo
declinate in direzione patriottica e scopo una lingua che entrambi po-
nazionalistica»,2 rivelando le due tessero sentire propria ma che, al
facce del processo risorgimentale. tempo stesso, potesse essere per-
Non mancano, come nella pro- cepita come familiare oltre i confini
duzione in lingua, opere in dialet- della città. Nel commosso ricordo
to animate da un sincero e acceso che si snoda nei sonetti pascarellia-
patriottismo, che hanno celebrato ni, infatti, il reduce si avvale di un
il Risorgimento sia nel corso dei romanesco borghese, una varietà
moti rivoluzionari, come le Canzo- che pur conservando diversi tratti
ni piemontesi di Angelo Brofferio belliani reca tuttavia un significati-
(1839) ricordate da Herbert Natta, vo incremento del tasso di italianiz-
sia poco dopo l’Unità, come Villa zazione rispetto al romanesco dei
Gloria di Pascarella (1886) su cui si Sonetti di Belli.5
sofferma Daniela Armocida.3 Nelle La declinazione patriottica e
Canzoni piemontesi, composte in nazionalista del tema risorgimen-
buona parte durante la prigionia tale, affidata essenzialmente ad
per cospirazione, Brofferio adotta una varietà poco marcata e di regi-
una varietà di koiné a base torine- stro medio, o a una di koiné, è però
se, di registro medio, attraverso la minoritaria nella produzione in dia-
quale può rivolgersi ai piemontesi letto. Più numerosi, infatti, sono i
di ogni località e di tutte le classi casi in cui i poeti si sono avvalsi de-
sociali. Intento del poeta è infatti gli idiomi locali, spesso ricorrendo telli» e manifesta tutta la delusione
cercare di trasmettere anche alle a varietà anche molto caratterizza- verso gli esiti dell’unificazione na-
masse popolari e alla piccola e te, per dare voce alle ragioni della zionale – che sembra aver sostitu-
media borghesia gli ideali e i valo- parte sconfitta – pur non essendo ito alle vessazioni perpetrate sulla
ri risorgimentali, per creare attra- necessariamente animati da uno plebe dai funzionari pontifici quelle
verso una solidarietà interclassista spirito reazionario – per testimo- operate, in altra forma, dalla mac-
un’adesione piena ad un processo niare la delusione nei confronti de- china burocratica e dal sistema fi-
che in Piemonte venne promosso gli esiti di una rivoluzione mancata, scale e giudiziario del nuovo Stato
essenzialmente dall’aristocrazia. per offrire nei loro testi il ritratto – in un romanesco ben più vicino a
Più tardi, a unificazione da poco di masse popolari sostanzialmente quello belliano rispetto alla varietà
avvenuta, nei 25 sonetti che com- estranee alle dinamiche del pro- di Pascarella, che molto risente an-
pongono Villa Gloria Pascarella ce- cesso risorgimentale e alle ragioni che delle ricerche compiute dallo
lebra il ruolo fondamentale svolto e ai valori che lo animarono. Del re- stesso Zanazzo in campo etnogra-
dalle battaglie e dagli eroi del Ri- sto, la percezione della frammen- fico e paremiologico. Attraverso
sorgimento per liberare i popoli tazione linguistica come uno dei questa lingua, il poeta conferma
dall’oppressione dei governi d’an- più grandi ostacoli all’Unità, che nell’Italia post-unitaria quello scet-
tico regime prendendo le mosse avrebbe dovuto essere di lingua e ticismo nei confronti di una possi-
dal racconto di un episodio ancora di nazione, e la conseguente facile bilità di riscatto dei più deboli che
vivo nella memoria dei romani: il identificazione delle varietà locali già Belli, in una Roma ancora pon-
tentativo di liberare la città guidato come residui delle piccole patrie tificia, aveva più volte manifestato
dai fratelli Cairoli nel 1867, sedato d’ancient régime, rendeva i dialetti nei Sonetti romaneschi attraverso
nel sangue dalle truppe pontificie il mezzo forse più naturale per te- le icastiche sentenze enunciate
a Villa Glori, che viene narrato dalla stimoniare le ombre e le contraddi- dai plebei romani; fra le tante che
voce di un fittizio romanesco re- zioni che fecero da controcanto ai si potrebbero citare, ricordo quella
duce dell’impresa. Attraverso una valori del riscatto nazionale. che compare nel sonetto L’Aposto-
straordinaria operazione poetica e Alla voce romana di Pascarella si li, composto nel 1831, in cui traspa-
pedagogica, Pascarella avvicina la oppone quella romanesca di sonet- iono efficacemente risentimento e
storia d’Italia alla memoria locale, ti come Tempacci boia (1878), Er 20 rassegnazione: «T’hai da capascità
trapiantando «in atmosfere meno settembre (1879) e Er ventre de vac- cche, o bbianco, o rrosso, / o nnero,
rarefatte il Carducci cantore delle ca o pe’ capisse mejo er Parlamento o ppavonazzo, te sfraggella», per-
glorie nazionali»4 per far sentire i (1897) di Giggi Zanazzo, che allude ciò «Bisoggna fasse mette la bbar-
suoi lettori più direttamente parte- alla breccia di Porta Pia come «sto della / e bbascià er culo che tte caca
cipi del processo di unificazione, ed morbo / d’avecce fatto piove’ li fra- addosso».6

2 F. Brevini, Prefazione, in M. Mancini (a cura di), I miti del Risorgimento, cit., p. 6.


3 H. Natta, Il discorso risorgimentale in piemontese e D. Armocida, Testimonianze pascarelliane, in M. Mancini (a cura di), I miti del Risorgimento, cit., rispettivamente pp. 31-48 e pp.
159-68.
4 F. Brevini (a cura di), La poesia in dialetto. Storia e testi dalle origini al Novecento, Milano, Mondadori, 1999, 3 voll., II, p. 2648.
5 T. De Mauro, Storia linguistica dell’Italia Unita, Roma-Bari, Laterza, 2011 (ma 19702), pp.157-8 e n. 15; P. Trifone, Un poeta tra italiano e romanesco: Cesare Pascarella, in M. Loporcaro et
alii (a cura di), Vicende storiche della lingua di Roma, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2012, pp. 251-60.
6 Per i Sonetti di Zanazzo si rimanda a G. Zanazzo, Poesie romanesche, a cura di G. Orioli, Roma, Newton Compton, 1976, pp. 29, 36 e 350; per Belli a G. G. Belli, Tutti i sonetti romane-
schi, a cura di M. Teodonio, Roma, Newton-Compton, 1998, 2 voll., vol. I, p. 285 e a M. Teodonio, Giuseppe Gioachino Belli e la rivoluzione nazionale, in M. Mancini (a cura di), I miti del
Risorgimento, cit., pp. 131-158.

9
rètena ’e frabutte / ca tradevano ’a pavame prime, e mmo…zappéme;
Patria».8 Nel discorso riportato dal / pizze prime, e mmo…pizze: pu’
marinaio e dal soldato, infatti, an- cambà’? / Ma nu’ ’sta lebbertà ne’
che re Ferdinando e re Francesco lla vulème!».10
parlano in napoletano, in sintonia
piena e totale col loro popolo. 2. Il dialetto di fronte alla Grande
Qualche decennio prima di Rus- guerra: da lingua del coro a lingua
so, nel decaduto Regno borbonico dell’io
la nostalgia per l’ancient régime e la
delusione per un’Italia unita identi- La volontà di fornire ai testi un
ficata essenzialmente con l’intro- ancoramento con la realtà a cui gli
duzione di un nuovo e più oneroso autori guardano, ricorrendo all’i-
sistema fiscale e con l’accentua- dioma che meglio vi corrisponda e
zione della disuguaglianza sociale in cui un pubblico locale, prima che
erano state affidate al dialetto an- nazionale, avrebbe potuto ricono-
che dal vastese Luigi Anelli, con la scersi, continua ad animare anche
coppia di sonetti Burboniche ‘Bor- parte della poesia novecentesca
bonico’ e Libbrale ‘Liberale’ conte- dedicata alla Grande guerra, sia in
nuti nella raccolta Fujj’ammëšche testi che traspongono nei versi la
(1892). I due testi sono composti propaganda irredentista e inter-
in una varietà molto marcata nella ventista, parallelamente diffusa a
fonetica – trasposta anche nella mezzo stampa attraverso volanti-
trascrizione del dialetto –, nella ni, opuscoli e giornali di trincea,11
morfologia (si pensi all’uso dei sia in testi dai quali si ergono inve-
plurali in -ora come in li pisìure ‘i ce le voci contrarie, che attraverso
Nelle terre dell’antico Regno pesi’) e nel lessico (per esempio ca- il dialetto denunciano le tragiche
delle due Sicilie, memorabili sono i pammânde, ‘sopra’, maštrijeve ‘co- conseguenze del conflitto. Non
ritratti dei vinti, umiliati dalla storia mandava’). L’operazione collega a mancano però esempi di componi-
e ormai ridotti in miseria, tracciati doppio filo il territorio vastese con menti in dialetto nei quali il legame
da Ferdinando Russo attraverso i i pensieri delle voci parlanti e lascia con la realtà si allenta, e la Guerra
dolorosi ricordi di due figure che in trasparire nel mimetismo lingui- viene osservata dalla prospettiva
gioventù erano state fedeli al gover- stico dei versi sia l’orientamento interna dell’io lirico; dal punto di
no borbonico, ’O luciano d’ ’o Rre, il verista di Anelli sia il suo profondo vista linguistico, in questi ultimi si
marinaio che rievoca gli ultimi giorni interesse per le ricerche dialetto- rinvengono chiaramente i segni
di Ferdinando II di Borbone, e ’O sur- logiche.9 Al quadro a tinte fosche della transizione del dialetto «da
dato ’e Gaeta, che ricorda la strenua dell’Italia unita tracciato dal no- lingua della realtà a lingua della
difesa del governo del re Francesco stalgico Burboniche nell’omonimo poesia» che connota la produzione
II, affettuosamente denominato sonetto, il Libbrale obietta che lo novecentesca.12
Franceschiello, durante l’assedio Stato unitario ha finalmente garan- Nelle opere che hanno affron-
che segnò definitivamente il crollo tito a tutti i cittadini i diritti e le li- tato la guerra in chiave interven-
del Regno delle due Sicilie.7 Nei due bertà fondamentali; di fatto, però, tista, è ricorrente – soprattutto
poemetti in cui il luciano e il soldato nella concreta quotidianità delle nella produzione settentrionale – il
ricordano il loro passato, il dialetto popolazioni rurali abruzzesi nulla tentativo di evidenziare un’idea-
napoletano si fa non solo mezzo è cambiato rispetto all’antico regi- le connessione tra storia locale,
per esprimere l’intima nostalgia del- me, sicché questa ‘libertà’ appare processo risorgimentale e sviluppi
le due voci parlanti verso un’epoca un mero concetto astratto di cui contemporanei, attraverso il qua-
ormai tramontata, nella consape- non si comprende né il valore né le dare credito alla partecipazione
volezza di un cambiamento ormai la portata. Lo stesso pensiero ver- dell’Italia ad una Grande guerra
irreversibile, ma assurge anche ad rà manifestato qualche anno più presentata come una quarta guer-
efficace simbolo di un’identità altra, tardi anche da lu cafone al quale ra d’indipendenza, necessaria per
preesistente allo Stato unitario, che Alfredo Luciani, in un dialetto che coronare il processo risorgimen-
porta a percepire l’Italia unita come già tende verso una varietà di koiné tale con l’annessione delle terre
un’entità estranea, frutto di una co- abruzzese, attribuirà un semplice e irredente. Se ne fanno rappresen-
lonizzazione dei piemontesi aiutati lucido raggiunamende: «ched’è ’sta tazione, tra i molti esempi possibili,
da cospiratori interni, ovvero da «‘na lebbertà, famme capì’?! / Nu’ zap- Le òmbre del Cidneo del bresciano

7 I poemetti ’O luciano d’ ’o Rre e ’O surdato ‘e Gaeta furono pubblicati rispettivamente nel 1910 e nel 1919. «Luciani» erano denominati i marinai del Borgo Santa Lucia di Napoli, tradi-
zionalmente fedelissimi ai Borbone.
8 Si cita dal passo di ’O surdato ‘e Gaeta riportato da F. Tuccillo, Russo e dintorni. Il Risorgimento nella prospettiva degli scrittori napoletani di fine Ottocento ed inizio Novecento, in M.
Mancini (a cura di), I miti del Risorgimento, cit., p. 192. Parlando di «Patria» il soldato fa riferimento al Regno borbonico.
9 Riprendo le forme citate dai due sonetti Burboniche e Libbrale dalla trascrizione che ne dà Brevini, La poesia in dialetto, cit. vol. II, p. 2848-9. Incompiuto rimase il progetto di un Voca-
bolario vastese, per il quale Anelli aveva raccolto diverse schede. Si veda L. Anelli, Vocabolario vastese, Vasto, Tip. Anelli, 1901, e poi L. Anelli, Vocabolario vastese (A-E), con introduzione
di E. Giammarco, nota bio-bibliografica di G. Oliva, Cannarsa Editore, 1980.
10 ‘Che cos’è questa libertà, fammi capire?! / Noi zappavamo prima, e adesso…zappiamo / focaccia gialla prima, e adesso…focaccia gialla: puoi vivere? / ma noi questa libertà non la
vogliamo!’. Traggo il passo e la traduzione del sonetto Lu raggiunamende de ’nu cafone, contenuto nella raccolta Stelle lucende (1913), da M. Del Prete, L’Unità e l’Abruzzo. Testimonianze
letterarie dialettali, in M. Mancini (a cura di), I miti del risorgimento, cit., p. 178-9.
11 Si veda al riguardo R. Fresu, Questa guerra non è mica la guerra mia, cit., in particolare per i saggi di S. Loi (pp. 225-44), M. Volpi (pp. 245-63), D. Pettinicchio (pp. 265-88).
12 Per riprendere il titolo del volume di M. Chiesa e G. Tesio (a cura di), Il dialetto da lingua della realtà a lingua della poesia: da Porta a Belli a Pasolini, Milano, Paravia, 1978, che a sua
volta trae spunto da una formula di Virgilio Giotti.

10
Angelo Rubagotti, pubblicata nella
raccolta Cansù dè Guèra (1915), in
cui il poeta attribuisce alle ombre
dei martiri delle Dieci giornate di
Brescia parole di ammirazione per
il conflitto in corso, che considera-
no la loro vendetta, e il componi-
mento A gran voxe de Zena, con cui
Carlo Malinverni celebra la voce del
popolo genovese, che si leva «pe-a
guaera, pe-a vittöia, pe l’önô» ai
piedi del monumento di Mazzini.13
Prima che al patriottismo nazio-
nale i componimenti che si rivolgo-
no ai soldati, e a coloro che restano
ad aspettarli, per dare un senso al
sacrificio di entrambi, fanno spes-
so appello all’orgoglio municipale.
Ricorrendo al loro dialetto, i poeti
ricordano a questo pubblico di pro-
venire da una città o da una terra
a cui la partecipazione al conflitto
avrebbe dato onore, e tentano così
di presentare l’evento bellico come
un’occasione per manifestare il va-
lore delle piccole patrie locali. L’ac-
corato invito che apre il componi-
mento Pe-a consegna da bandëa a-o
158 regg.to fanteria del poeta ligure
Luigi Tramaloni, ad esempio, si ri-
volge direttamente ai genovesi, nel
loro dialetto, perché si distinguano
piantando per primi lo stendardo sul
forte di San Giusto a Trieste («Fòrsa,
Zeneixi, ch’a ve sta à ammiâ», ‘For-
za, Genovesi, che [la bandiera] vi
sta guardando’), mentre «Coragg,
soma Monfrin!», ‘coraggio, siamo
Monferrini’ è l’esortazione che
chiude il sonetto La partenza di Lu-
igi Bovano, composto nel dialetto
di Acqui Terme; del resto, anche gli
stessi soldati al fronte si richiamava-
no spesso nei loro versi improvvisati
alle piccole identità, e col loro dialet-
voce alle conseguenze nefaste del Trilussa sa osservare la realtà della
to si facevano coraggio: «Coraggiu
conflitto. Le difficoltà della vita in guerra con occhio analitico, obiet-
sa brigata sardignola, / Ca su pius
trincea e quelle di reinserimento tivo e disincantato, guardando
de sardos est cumposta: / Issos àn
dei reduci, il dramma dei mutilati, il anche al di là del momento con-
imparatu donzi iscola / E pro gherra-
dolore di madri e spose e, ancora, tingente, tanto che i versi ispirati
re sun fattos apposta» ‘Coraggio o
l’odio verso il nemico, i disertori e dalla Grande guerra si possono in
brigata sarda / che per lo più di sardi
gli speculatori costituiscono infat- realtà riferire a ogni conflitto e a
è composta: / loro hanno imparato
ti i temi ricorrenti di buona parte ogni tempo, come mostra bene il
ogni scuola / e per combattere sono
della poesia di guerra. Su di essi si sapore ancora attualissimo de La
fatti apposta’, recitano ad esempio
soffermano ad esempio quasi tutti ninna-nanna de la guerra, compo-
le ottave in limba sarda cantate in
i poeti ricordati nell’ampia panora- sta nell’ottobre 1914:
trincea dal poeta-soldato Dionigio
mica tracciata da Marcello Teodo-
Sanna di Bitti, caduto nel conflitto.14
nio per la produzione romanesca,15 Ninna nanna, tu nun senti
Oltre a farsi potente cassa di ri-
in cui dunque emerge quasi isolata li sospiri e li lamenti
sonanza per gli appelli all’onore, al
la lucida riflessione di Trilussa, con- de la gente che se scanna
valore e alla gloria della ‘bella mor-
dotta con ironia amara e tagliente. per un matto che commanna.
te’ in battaglia, il dialetto ha dato

13 Si rimanda a M. Mancini, Una tragedia senza poeta, cit., e in particolare per Rubagotti a C. Demuru, Bagaj minga imboscaa: versi dialettali sulla Grande guerra in Lombardia, pp. 59-167,
alle pp. 127-33, per Malinverni a F. Toso, La ‘poesia di guerra’ in genovese e nei dialetti liguri, pp. 337-54, alle pp. 347-49.
14 Il componimento di Tramaloni è nella raccolta Menestron (1920), quello di Bovano in Guerra italo-austriaca (1915). I testi sono riportati in M. Mancini (a cura di), Una tragedia senza
poeta, cit., da F. Toso, La ‘poesia di guerra’, cit., pp. 337-54, alle pp. 341-2, e da D. Pasero, Lo spirito risorgimentale della poesia in piemontese sulla Grande guerra, pp. 35-57, a p. 56. Per le
ottave di Sanna si veda, nello stesso volume, D. Manca, I poeti sardi e la Grande guerra, pp. 491-507, a p. 496.
15 Cfr. M. Teodonio, «Va a la guera la più bella gioventù». Le poesie in romanesco sulla prima guerra mondiale, in M. Mancini (a cura di), Una tragedia senza poeta, cit., pp. 387-426.

11
La guerra si rivela un gioco di un battaglione durante il sonno è quale – come ha ben mostrato Luca
potere, strumento dei governi e dei vijaccheria se fatto dal nemico, ’na D’Onghia – Spallicci mette a frutto la
sovrani per conseguire i propri inte- brillante operazione se fatta dalla propria esperienza etnografica inse-
ressi personali, politici ed economici, parte per la quale si combatte; del rendo nei versi i nomi locali di piante,
sulle spalle di chi viene inviato a com- pari, nel primo caso la ritirata è disa- animali, strumenti di lavoro, il legame
battere imbevuto di propaganda. Da strosa, nel secondo va invece quali- tra il poeta e il suo piccolo universo
quest’ultima Trilussa prende le di- ficata come ripiegamento, e ancora rurale si fa ancora più intimo, e con
stanze con la sua ironia anche dopo esso diviene ancora più intensa la
il conflitto, quando con La cicatrice Quer tale che pe’ lucro o pe’ favore, percezione dell’atrocità della guerra
(1927) smaschera tutta la falsità laten- porta notizzie a li nemmichi mia, che i suoi versi trasmettono in una
te nella creazione del mito dell’eroe dato er caso specifico è ’na spia; sorta di «pascolismo bellico».18
di guerra, uno dei leitmotive dell’in- ma si li porta a me, è ’n’informatore.17 Nella poesia in dialetto del Nove-
terventismo che ricorrerà, accanto cento, dunque, anche svolgendo il
ai richiami alla “vittoria mutilata”, Ancora negli anni Venti del Nove- tema della guerra gradualmente «al
anche nell’ideologia fascista. Basta- cento, del tutto diversa è l’immagine personaggio evocato con movenze
no infatti una cicatrice sulla fronte, della guerra che traspare dei versi scenico-drammaturgiche a narrare
qualche vaga allusione al conflitto e contenuti nella silloge E’ canon drì da la sua storia, subentra il soggetto
un po’ di reticenza per consentire a la seva, ‘Il cannone dietro la siepe’, che si confessa; al racconto la sen-
un anziano professore di trarre tutti sezione centrale della raccolta La Ma- sazione e l’emozione»; in parallelo, il
in inganno, facendo credere di esse- dunê (1926) del forlivese Aldo Spal- dialetto viene vissuto «non più come
re un reduce di guerra, eroe di molte licci. Agli occhi del poeta la guerra lingua del coro, ma come lingua
battaglie; l’inganno, perpetrato negli si manifesta attraverso le ferite che dell’io», e nell’immagine del conflitto
anni, si disvela solo alla sua morte, ha lasciato col suo passaggio sulla si coglie il rifesso del paesaggio inte-
quando la moglie dell’uomo, ignara natura circostante, che rassegnata riore del poeta.19 Così in Montebelo
del mito che si era creato intorno al sopporta la distruzione; impietoso e del triestino Virgilio Giotti, compre-
professore, rivelerà di aver provoca- potente, il conflitto assume l’aspet- so nella raccolta Caprizzi, canzonete
to quella cicatrice con una bottiglia to del pioppo mutilato per costruire e stòrie (1928), soltanto un «1914»
durante un banale litigio.16 un cavallo di Frisia in Caval ’d Frisia, incastrato nel cemento allude alla
Originale è anche la modalità o dello squarcio lasciato sul terreno guerra, che ha interrotto la costru-
con la quale ironizza sulla propa- dallo scoppio di una granata in E’ bus zione della casa nel quartiere da cui il
ganda Giggi Spaducci, che nella dla granêda, mentre l’aratro abban- componimento prende il nome:
Nomenclatura guerresca (scritta nel donato che spunta dall’acqua in Un
1911, ma pubblicata nel 1921) disvela casp ad viöl assurge a potente simbo- e xe vignuda la guera, e se ga
con arguzia i trucchi linguistici che lo dell’interruzione al naturale flus- fermado tuto. In quela casa, abasso,
aiutano nell’esercizio del condizio- so della vita che il conflitto ha com- incastrà nel zimento, un «Mille nove zento
namento ideologico: l’assalto di portato. Attraverso il dialetto, nel quàtordise» per tera iera là.20

Nella poesia giottiana, la casa


è «il luogo armonico dove l’uomo
trova realizzazione e pienezza di si-
gnificato»,21 sicché nell’allusione al
conflitto che ne ferma la costruzione
si nasconde quella, più drammatica,
agli effetti che esso ha avuto sugli
uomini, privandoli della stabilità, del-
la sicurezza, e spesso della libertà di
imprimere una direzione personale e
un senso alla loro esistenza. La casa
dunque, come il quartiere stesso
di Montebello, più che luoghi fisici
sembrano farsi luoghi dell’anima,
descritti in un triestino che rifugge
da punte idiomatiche e si apre a con-
trassegni formali alti, una varietà che
appartiene soltanto al poeta e che
lo stesso Giotti qualifica come «lin-
gua della poesia»,22 enunciando pro-
grammaticamente la divaricazione
fra il codice utilizzato nell’interazio-
ne quotidiana e quello dei versi.

16 Trilussa, Tutte le poesie, a cura di C. Costa e L. Felici, Milano, Mondadori, 2004, pp. 69-70 e 1038-40. Cfr. inoltre M. Teodonio, «Va a la guera», cit., pp. 402-4 e 413-14.
17 G. Spaducci, Nomenclatura guerresca, in Id., Doppo li fochi: versi romaneschi proibiti dalla censura nel periodo di guerra (1921); cfr. M. Teodonio, «Va a la guera», cit., p. 401.
18 Cfr. L. D’Onghia, La Grande guerra nella poesia romagnola di AldoSpallicci, in M. Mancini (a cura di), Una tragedia senza poeta, cit., pp. 355-65, in particolare p. 361.
19 F. Brevini, La poesia in dialetto, cit., III, pp. 3169 e 3191.
20 ‘Ed è venuta la guerra, e si è / fermato tutto. In quella casa, dabbasso, / incastrato nel cemento c’era un «millenovecento / quattordici» per terra’. Testo e traduzione in D. Pettinicchio,
Dopo la Grande guerra. La lunga durata del conflitto nel Friuli-Venezia Giulia, in M. Mancini (a cura di), Una tragedia senza poeta, cit., pp. 269-309, a p. 277.
21 D. Pettinicchio, Dopo la Grande guerra, cit., p. 278.
22 Cfr. al riguardo P. P. Pasolini, La lingua della poesia, in Id., Passione e ideologia, Milano, Garzanti, 19732, pp. 276-94, a p. 281.

12
Quando il fascismo dichiarò
guerra alle parole straniere
Anna Maria Di Monaco

La querelle sull’uso dei forestierismi non si esaurisce con il tramonto dei regimi totalitari né con l’av-
vento della globalizzazione, ma è inscindibile dalla riflessione linguistica stessa, tanto più in periodi di
contatti intensi e prolungati come quello contemporaneo.

La guerra agli esotismi, uno dei punti cardi-


ne della politica linguistica messa in atto in Italia
durante il ventennio fascista, non fu un fulmine
a ciel sereno, ma si inserì nel solco tracciato dal
purismo ottocentesco, estremizzandone la por-
tata politica in senso identitario e “interventista”.
Alle riflessioni puristiche della prima metà del XIX
secolo, caratterizzate da una marcata estero-
fobia come reazione all’egemonia della cultura
francese, impostasi spesso in forme autoritarie
durante la dominazione napoleonica, seguirono
nel periodo che va dall’Unità d’Italia agli albori
del Fascismo provvedimenti atti a limitare l’uso
dei forestierismi, particolarmente nell’ambito del
commercio e della pubblicità. La disposizione che
inaugurò in Italia il controllo delle scritte commer-
ciali esotiche fu emanata nel 1864, non però dal
neonato Stato italiano ma dal pontefice Pio IX,
nel Regolamento edilizio e di pubblico ornato per
la città di Roma, in cui le iscrizioni su botteghe e
altri luoghi di commercio in lingua straniera erano
punite con una sanzione pecuniaria. Un decennio
dopo, il 14 giugno del 1874, vide la luce il primo
provvedimento legislativo dello Stato Italiano
unitario sull’uso dei forestierismi nelle insegne, in
cui si prevedeva il raddoppiamento delle imposte
sulle insegne scritte in lingua straniera. Il provve-
dimento era palesemente mosso «da due anime,
l’una idealmente puristica, l’altra esosamente fi-
scale»,1 in una fase di assestamento amministrati-
vo e finanziario del Regno d’Italia in cui la seconda
ebbe sicuramente un peso determinante. Anche
nella Relazione manzoniana del febbraio del 1868

1 Sergio Raffaelli, Le parole proibite. Purismo di stato e regolamentazione della pubblicità in Italia (1812-1945), Bologna, Il Mulino, 1983, p. 30.

13
in una sua recensione del 1905 all’I-
dioma Gentile di Edmondo De Ami-
cis, affermava fra l’altro che «una
lingua è il pensiero nazionale, è la
psiche e la psicologia di una nazio-
ne»; lo stesso Corradini interverrà
appunto nel 1913 al congresso della
Dante Alighieri per sostenere ener-
gicamente la condanna delle scrit-
te commerciali in lingua straniera.
Le posizioni dei puristi/nazio-
nalisti nei primissimi decenni del
Novecento erano del resto in linea
con l’orientamento dominante
negli stessi studi glottologici coe-
vi, che in quegli anni prendevano
le distanze dal positivismo e dal
crocianesimo per rivalutare la di-
mensione concreta della lingua,
inscindibile dai parlanti, la sua fun-
zione di omologazione e coesione
sociale. Il retroterra ideologico e
culturale su cui si innestò la poli-
tica linguistica fascista è dunque
ampio e strettamente connesso al
progressivo diffondersi dei nazio-
si suggeriva l’istituzione di com- tennio del Regno Italiano unificato nalismi in Europa e alla sempre più
missari nelle città capoluogo che era stato mosso prevalentemente condivisa identificazione di lingua
rivedessero le iscrizioni, gli avvisi e da interessi fiscali e motivato da ed ethnos, identificazione che, in
le insegne, nonché le informazioni blande giustificazioni puristiche, si una nazione giovane come l’Italia,
fornite dagli ufficiali ai giornalisti rianimò in età giolittiana, partico- non poteva che essere declinata
per le loro cronache, proposta che larmente nelle aree di confine, con come necessità, quasi disperata,
non deriva da una istanza puristica il progressivo crescere e diffonder- di sentimento unitario.
ed esterofoba, ma dalla necessità di si del clima ideologico di irredenti- Costante della politica lingui-
fissare un solo uso e di diffondere la smo e nazionalismo che avrebbe stica del fascismo fu la preoccupa-
lingua nazionale. Basta ricordare le portato al primo conflitto mondia- zione per la purezza della lingua,
bassissime percentuali di italofonia le. La cosiddetta “questione delle istanza che affonda le proprie
al momento dell’Unità per rendersi insegne esotiche” nel primo No- radici ideologiche nel mito dell’i-
conto di quanto la necessità di una vecento3 si aprì con la ripresa, nel talianità. Questa preoccupazione
lingua effettivamente condivisa nel 1903, della legge sulle insegne del accompagnò anche i provvedi-
Regno fosse determinante nella dif- 1874, seguita dal richiamo ministe- menti motivati dalla necessità di
fusione di un atteggiamento di «fe- riale al rigore nelle denominazioni diffondere l’italiano come lingua
deltà linguistica», cioè di quella «di- degli alberghi del 1905, dalla cam- standard ad una popolazione in
sposizione d’animo per cui la lingua pagna contro la germanizzazione larghissima parte dialettofona, in
(al pari della nazionalità), come en- del lago di Garda nel 1909, dalle primo luogo attraverso la rego-
tità intatta e in contrasto con le al- interrogazioni parlamentari sui fo- lamentazione dell’apprendimen-
tre lingue, assume un’alta posizione restierismi del 1910 e del 1912, non- to della lingua nazionale, con la
in una scala di valori, una posizione ché dal coinvolgimento di un’or- riforma Gentile della scuola del
che chiede di essere “difesa”».2 Non ganizzazione patriottico-culturale 1923 e la produzione di strumen-
stupisce dunque che questo atteg- come la Dante Alighieri, fino a quel ti normativi, quali grammatiche
giamento, che sta alla lingua come momento occupata perlopiù nella e dizionari. Nel 1929 fu fondata a
il nazionalismo sta alla nazione, si promozione della lingua italiana tal fine la Reale Accademia d’Ita-
sia diffuso particolarmente nel pe- all’estero, nella campagna xenofo- lia, massima istituzione culturale
riodo che va dalla nascita all’ascesa ba del 1913. In questo periodo si ha del regime, cui venne affidato nel
dei moderni stati nazionali e che sia la progressiva identificazione delle 1934 il compito di redigere un vo-
diventato tanto più forte e guidato istanze puristiche con una conce- cabolario completo e aggiornato
dall’alto durante la degenerazione zione nazionalistica della lingua, della lingua italiana, del quale si
autoritaria di questi. come emerge negli scritti di Enrico giunse a pubblicare nel 1941 solo
Il controllo delle parole stranie- Corradini, animatore del movimen- il primo volume (A-C), sotto la di-
re nelle insegne, che nel primo ven- to nazionalistico italiano, il quale, rezione di Giulio Bertoni.

2 Uriel Weinreich, Lingue in contatto (1963), a cura di Giorgio Raimondo Cardona e Vincenzo Orioles, Torino, UTET, 2008, p. 147.
3 Cfr. S. Raffaelli, Le parole proibite, cit., p. 39.

14
L’obiettivo di epurare la lingua proibì l’uso in pubblico delle paro- La guerra ai forestierismi investì
dagli elementi ritenuti estranei e le straniere, prevedendone la loro esclusivamente il livello del lessi-
inopportuni fu perseguito attraver- eventuale sostituzione. Per rende- co, in cui le forme straniere o i loro
so la guerra ai dialetti, alle minoran- re applicabile quest’ultima legge, sommari adattamenti erano pie-
ze alloglotte dell’Alto Adige e della si istituì all’interno dell’Accademia namente riconoscibili anche da chi
Venezia Giulia e ai forestierismi, d’Italia un’apposita «Commissione non avesse una preparazione spe-
in un vero e proprio progetto di per l’italianità della lingua», con cialistica: Tullio De Mauro fa notare,
“bonifica” della lingua italiana. Per incarico esplicito da parte del mini- ad esempio, come lo stesso Musso-
quanto riguarda quest’ultimo pun- stro dell’Interno di eliminare le pa- lini usasse nei suoi discorsi il nesso
to, le prime avvisaglie di una politi- role straniere proponendo efficaci - già presente in Manzoni e Collodi
ca linguistica fascista decisamente alternative italiane. ma condannato a lungo come fran-
orientata in senso esterofobo si eb- L’Accademia, presieduta da cesismo - è questo che («è l’aratro
bero con il decreto dell’11 febbraio Luigi Federzoni, pubblicò nel bien- che traccia il solco, ma è la spada
1923, che aggravava fortemente la nio 1941-1943 quindici elenchi di che lo difende»), al fine di conse-
tassa prevista dalla legge del 1903 sostituzioni italiane, per un totale guire l’immediatezza tipica della
per le insegne in lingua straniera, e di 1555 lessemi differenti. Va detto sua oratoria.5 Il Duce, del resto, non
la tendenza si accentuò negli anni che la Commissione annoverava al fu un purista scrupoloso: a livello
Trenta, trovando accesi sostenitori suo interno accademici quali Giu- lessicale, di deve ai suoi discorsi la
nelle classi più agiate e tra gli intel- lio Bertoni, Carlo Formichi, Alfre- diffusione del francesismo forgia-
lettuali. L’interventismo linguisti- do Schiaffini, Clemente Merlo, e re per foggiare, in seguito epurato
co contro i forestierismi coinvolse coinvolse nel dibattito altre figure dalla Commissione. I provvedimen-
periodici e quotidiani nazionali, di primo piano, tra le quali Bruno ti di politica linguistica autarchica
rivolgendosi a un pubblico molto Migliorini. Riunitosi per la prima ed esterofoba agirono prevalente-
ampio. Tra il 1932 e il 1933 venne volta nel febbraio del 1941, l’illustre mente nel campo del commercio,
pubblicata sulla “Gazzetta del Po- consesso di esperti si astenne dal della tecnologia e dell’industria,
polo” una rubrica in terza pagina respingere indiscriminatamente ambiti in cui i forestierismi erano
intitolata Una parola al giorno, cura- ogni parola straniera e, pur senza particolarmente diffusi e radicati, e
ta da Paolo Monelli, volta «a purga- abbandonare l’impostazione tra- raramente toccarono la vita quoti-
re la lingua italiana dai barbarismi», dizionale, non si allineò alle scelte diana della comunità, eccetto per
le cui note furono poi raccolte dallo di puristi intransigenti come Paolo il divieto dell’uso del pronome allo-
stesso Monelli nel volume Barbaro Monelli, preferendo un criterio che cutivo di cortesia lei, ritenuto erro-
dominio, che costituisce il primo tenesse conto «ad un tempo del- neamente un ispanismo, al cui po-
tentativo sistematico di elimina- le necessità pratiche e sostanziali sto venne sollecitato l’uso del voi.6
zione dei forestierismi attraverso della lingua e della opportuna e
concrete proposte di sostituzione. conveniente eleganza formale di
Nel 1932 il quotidiano “La Tribuna” essa». Tra le riflessioni del periodo,
formò una commissione per deci- spicca la lucidità del neopurismo
dere la sostituzione di 50 parole di Bruno Migliorini, la cui impo-
esotiche e bandì un concorso pub- stazione – ispirata ai principi della
blico, cui seguirono numerose pro- cosiddetta “glottotecnica” – è lon-
poste da parte dei lettori:4 spiccano tana tanto dal purismo ottocente-
fra tutte le proposte di sostituzioni sco quanto da quello autarchico
per bar, che vanno dalle forme po- del ventennio, ponendo l’accento
polari mescita e taverna all’espres- sull’esigenza di una valutazione
sione analitica qui-si-beve, fino alla sincronica dell’integrazione dei fo-
rielaborazione, semanticamente restierismi nella lingua italiana, in
trasparente, ber. senso sia strutturale (adeguamen-
Nella seconda metà degli anni to al sistema morfologico e fono-
Trenta, con l’inasprirsi delle relazio- logico) sia contestuale (efficienza
ni internazionali, gli interventi sui comunicativa e referenziale nei
forestierismi si intensificarono: nel vari ambiti). Migliorini raccomandò
1938 la tassazione aggiuntiva sulle una maggiore tolleranza per i fore-
insegne in lingua straniera divenne stierismi ormai radicati nell’uso e
divieto esplicito, e furono parimen- per quelli dei linguaggi settoriali,
ti vietate le denominazioni stranie- sospendendo il giudizio per le pa-
re di locali di pubblico spettacolo e role straniere dotate di una con-
l’uso di parole straniere nelle varie notazione di ricercata allusività e
forme pubblicitarie; in seguito la dunque motivate da un’intenzione
legge n. 2042 del 23 dicembre 1940 comunicativa.

4 Gabriella Klein, La politica linguistica del fascismo, Bologna, Il Mulino, 1986, p. 117.
5 Tullio De Mauro, Storia linguistica dell’Italia unita, Roma-Bari, Laterza, 1986, p. 364.
6 G. Klein, La politica linguistica del fascismo, cit., p. 116.

15
(beefsteek), alcole (alcool), ma- termini puericultrice e pidigienista
nichino (mannequin), groviera perché troppo tecnici, tata per-
(gruyère), toletta (toilette); come ché dialettale, badatrice d’infanzia
nota Gabriella Klein, alcuni di perché non era un nome ma una
questi «adattamenti», come al- definizione. La scelta dunque era
cole e festivale, non rappresen- motivata in prima istanza dal voler
tano un’italianizzazione reale.9 ancorare in modo più trasparen-
L’adattamento fu privilegiato te possibile la nuova forma alla
anche nel caso dei nomi propri e funzione, per garantirne la rapida
dei relativi nomi comuni derivati diffusione, adeguando il termine
(deonimici), come sciampagna sostitutivo all’uso collettivo, po-
(Champagne), mentre nel caso polare, e rifiutando di conseguen-
delle varietà americane di tabac- za i tecnicismi e, quando possibile,
co si optò curiosamente per la i composti, «estranei allo spirito
denominazione in base al luogo della lingua italiana». Nonostante
di produzione italiano, per cui il quest’ultimo assunto di fondo, ci
Burley divenne il Campano. sono diversi composti nelle sosti-
Nelle sostituzioni il lavoro della tuzioni proposte, quali motocar-
Commissione non mostrò un vero rozzetta per side-car, termosifone
e proprio criterio lessicografico di per chauffage central e antipasto
fondo, una sovrastruttura teorica per hors-d’oeuvre, più spesso resi
e metodologica, e attinse le voci graficamente come locuzioni po-
sostitutive prevalentemente da lirematiche, del tipo di fuori com-
due fonti: la «memoria storica», battimento per knock-out e corsa
cioè la «salda e capillare conoscen- campestre per cross-country.
za personale dei numerosi e talvol- Tra le strategie di traduzio-
ta notissimi repertori puristici di ne adottate dalla Commissione,
forestierismi, spesso dipendenti un primo livello è rappresentato
Per un’analisi dettagliata dei l’uno dall’altro»10 e le numerose, dall’integrazione dei prestiti nel
forestierismi e delle sostituzioni in molti casi autorevoli, rubriche sistema fono-morfologico dell’i-
proposte si può fare riferimento linguistiche nei periodici d’infor- taliano attraverso la suffissazione
ad un lavoro di Alberto Raffaelli,7 mazione. I suggerimenti per la so- con morfema italiano sulla base
da cui si ricaveranno qui alcuni stituzione o il mantenimento dei alloglotta. Questa strategia crea-
esempi utili per illustrare le stra- forestierismi vennero inoltre dalla va delle forme ibride e perciò era
tegie adottate dalla Commissione. collaborazione di enti e organiz- generalmente evitata, salvo nel
Furono mantenuti alcuni prestiti zazioni professionali, che elabora- caso dei derivati di forestierismi
ormai consolidati nell’uso, quali rono ricchi elenchi di proposte in ormai consolidati nell’uso (sporti-
film, bazar e sport. I prestiti adatta- merito. Qualche criterio emerge vo, tennista) e dei cosiddetti “pre-
ti alle caratteristiche fonologiche tuttavia nelle discussioni su singoli stiti di necessità”, ovvero termini
dell’italiano furono tendenzial- termini da sostituire, e le scelte ap- indicanti nuovi referenti, diffusi
mente accettati per le «parole po- paiono sostanzialmente orientate soprattutto dei linguaggi settoria-
polari e brevi», come bignè e ragù, verso l’uso corrente e il registro li (come carterino da carter nella
e rifiutati invece per parole «colte medio e, quando possibile, verso motoristica). Per quanto riguarda
e lunghe, cioè analizzabili», per le la trasparenza semantica: per coc- i neologismi veri e propri, con base
quali poteva prevalere «l’impres- ktail, ad esempio, si preferì arlec- italiana, la serie dei suffissati in
sione della storpiatura», come nel chino, volto a rendere l’immagine -ista è sicuramente la più produt-
caso di tirabusciò (tire-bouchon).8 di una mistura di colori e sapori, tiva: alcuni esempi sono velocista
Numerosi forestierismi subirono a zozza, connotato come socio- per sprinter, autista per chauffeur,
un adattamento puramente gra- linguisticamente basso. Quando, apprendista per débarrasseur. Mol-
fico, lasciando inalterata la fone- nel 1942, «La Nazione» indisse to utilizzato e anche il suffisso -ore:
tica della parola: cupé (coupé), uno «spontaneo referendum», pugilatore per boxeur, annunzia-
elisir (elixir), tè (the). In altri casi per sostituire l’anglicismo nurse, tore per speaker, raccoglitore per
si optò per un compromesso tra tra i suggerimenti del pubblico la file, anglicismo penetrato poi nuo-
il mantenimento della base fone- Commissione approvò soltanto vamente nell’italiano con la termi-
tica straniera e l’adattamento al bambinaia, escludendo i derivati nologia informatica. In alcuni casi
sistema fonologico e morfologico di madre (madretta, mammuccia) si scelsero termini a suffisso zero,
dell’italiano, come per bistecca perché «la madre è una sola», i come affollo per bagarre.

7 Alberto Raffaelli, Le parole straniere sostituite dall’Accademia d’Italia (1941-43), Roma, Aracne, 2010.
8 Bruno Migliorini, La lingua italiana del Novecento, a cura di Massimo L. Fanfani, Firenze, Le Lettere, 1990, p. 105.
9 G. Klein, La politica linguistica del fascismo, cit., p. 141.
10 S. Raffaelli, La vicenda dei neologismi a corso forzoso nell’Accademia d’Italia, in Che fine fanno i neologismi?, a cura di Giovanni Adamo e Valeria Della Valle, Firenze, Olschki, 2006, p. 98.

16
Le traduzioni sono realizzate
in linea di massima mediante l’e-
stensione semantica di una paro-
la italiana, ad esempio barra per
cloche e lista per menù, talora
rispolverando qualche arcaismo,
come allibratore, forma attesta-
ta nell’Ottocento con il valore di
“estimatore”, per bookmaker, fi-
nimento per parure e freccia per
baguette. Furono invece rifiutati
dalla Commissione altri arcaismi
proposti negli anni precedenti,
soprattutto dalla stampa, come
i quattrocenteschi bidetto (a cui
si preferì l’adattamento grafico
bidé) per bidet e liscio (sconfit-
to dal trasparente neologismo
belletto) per maquillage. A vol-
te si predilessero sostituti de-
cisamente popolareschi, come
taverna per cabaret, cencio per
crêpe, mescita (preferito ad altre
soluzioni proposte, quali qui-si-
beve, ber e bibe) per buvette, no-
nostante l’orientamento genera-
le delle sostituzioni privilegiasse
il registro medio.
La maggior parte delle italianiz-
zazioni proposte dall’Accademia
d’Italia e più in generale all’interno
del dibattito sui forestierismi, che
coinvolse largamente gli intellet-
tuali e i media nazionali durante il
ventennio fascista, non ebbe for-
tuna nel medio e lungo termine, a
causa del cambiamento repentino
delle contingenze storiche. Come
osserva Sergio Raffaelli «dall’esta-
te del 1943, saliva dietro i cannoni
su per la penisola l’avanguardia di
quella legione di parole straniere
che in breve avrebbe conquistato
la supremazia nelle scritte com-
merciali e soprattutto nelle inse-
gne. Quasi un contrappasso della nio dell’autarchia linguistica non è, anni Ottanta e i Novanta, solleci-
rigida xenofobia fascista appena in fin dei conti, così trascurabile. tata dall’introduzione massiva di
estinta».11 Alcune sostituzioni, tut- La querelle sulla “fedeltà lin- anglicismi non adattati in italiano,
tavia, sopravvivono nell’italiano guistica” e sui forestierismi non e l’attuale incessante e acceso di-
contemporaneo, come sottoveste si esaurisce, ad ogni modo, con battito in merito tra accademici,
(dessous), treruote (tricar), saggio il tramonto dei regimi totalitari e cultori o semplici parlanti, mo-
(performance), per citarne solo al- con l’avvento dell’era globale ma strano come quest’aspetto, nono-
cune; altre coesistono con il fore- è inscindibile dalla riflessione lin- stante assuma diverse declinazio-
stierismo ancora oggi, come rom- guistica stessa, particolarmente ni nei vari contesti storico-sociali,
picapo e puzzle, vestaglia e negligé, in periodi di contatti intensi e pro- sia in realtà un aspetto strutturale
spesso connotandosi di diverse lungati, come quello contempora- della coscienza linguistica moder-
sfumature semantiche, e il baga- neo. La ripresa del neopurismo da na, a livello del singolo e soprat-
glio lessicale mutuato dal venten- parte di Arrigo Castellani, tra gli tutto della società.12

11 S. Raffaelli, Le parole proibite, cit., pp. 228-29.


12 Arrigo Castellani, Morbus Anglicus, in «Studi linguistici italiani», 13, 1987, pp. 137-153; Claudio Giovanardi, Riccardo Gualdo, Alessandra Coco, Inglese-Italiano 1 a 1. Tradurre o non tradurre
le parole inglesi?, Lecce, Manni, 2008.

17
La Costituzione,
l’italiano, gli italiani
Sergio Marroni

La Costituzione rappresenta il quadro di riferimento democratico entro cui s’incardinano


il diritto degli italiani a raggiungere i più alti livelli di competenza nella propria lingua madre,
intesa come condizione di una cittadinanza piena, e il dovere delle istituzioni di comunicare a
tutti nella maniera più chiara possibile.

Nella nostra Costituzione non si


fa mai cenno della lingua italiana.
In nessun luogo si afferma che essa
sia la lingua ufficiale della Repubbli-
ca, a differenza di quanto si legge
in altre costituzioni. In quella fran-
cese, per esempio: «La langue de la
République est le français» (art. 2,
c. 1); o nella spagnola: «El castella-
no es la lengua española oficial del
Estado. Todos los españoles tienen
el deber de conocerla y el derecho
a usarla» (art. 3, c. 1); o nella porto-
ghese: «A língua oficial é o Portu-
guês» (art. 11, c. 3); o nella rumena:
«În România, limba oficială este lim-
ba română» (art. 13); o nell’austria-
ca: «Die deutsche Sprache ist [...]
die Staatssprache der Republik»
(art. 8); oppure nella polacca: «W
Rzeczypospolitej Polskiej językiem
urzędowym jest język polski» (art.
27); e si potrebbe continuare senza
uscire dai confini dell’Europa. Han-
no rango costituzionale, ovviamen-
te, le lingue degli stati bilingui o plu-
rilingui, come il Belgio, la Finlandia,
l’Irlanda, la Svizzera o il Canada.
L’Europa è un continente mul-
tilingue e nei confini dei suoi stati
risiedono spesso consistenti mi-
noranze linguistiche storiche. Le
costituzioni democratiche proteg-
gono queste minoranze in maniera
specifica. Anche i nostri costituenti
avvertirono la necessità di andare al
di là dell’art. 3, «Tutti i cittadini han-

18
no pari dignità sociale e sono eguali
davanti alla legge, senza distinzione
di sesso, di razza, di lingua, di religio-
ne, di opinioni politiche, di condizio-
ni personali e sociali», approvando
l’art. 6: «La Repubblica tutela con
apposite norme le minoranze lingui-
stiche». Analoghe tutele si ritrovano
in altre costituzioni, come, ad esem-
pio, quella spagnola, che all’articolo
terzo già citato prosegue così: «Las
demás lenguas españolas serán
también oficiales en las respectivas
Comunidades Autónomas de acuer-
do con sus Estatutos. La riqueza de
las distintas modalidades lingüísti-
cas de España es un patrimonio
cultural que será objeto de especial
respeto y protección».
Che la lingua si leghi intimamente
alla storia e alla cultura, che patrimo-
nio linguistico e patrimonio culturale
siano strettamente correlati è ribadi-
to costantemente nei trattati posti a
fondamento della costruzione euro-
pea: per esempio, l’art. 3 del Tratta-
to sull’Unione Europea afferma che
quest’ultima «rispetta la ricchezza gli analfabeti totali costituivano an- tes della Penisola uno dei simboli
della sua diversità culturale e lingui- cora circa il 13% della popolazione e più profondi dell’identità naziona-
stica e vigila sulla salvaguardia e sullo tutti coloro che avevano conseguito le e per il Risorgimento romantico
sviluppo del patrimonio culturale eu- una laurea o un diploma di scuola se- era emblema e pegno dell’ideale
ropeo»; e la Carta dei diritti fondamen- condaria superiore non arrivavano al unitario: «una gente che libera
tali dell’Unione Europea stabilisce che 5%; in un’Italia economicamente di- tutta, / o fia serva tra l’Alpe ed il
«[l]'Unione rispetta la diversità cultu- strutta dalla guerra, colpita nelle sue mare; una d’arme, di lingua, d’alta-
rale, religiosa e linguistica» (art. 22). già deboli infrastrutture, nella quale re, di memoria, di sangue e di cor»
Perché nella nostra Costituzione il mezzo di trasporto principale era (A. Manzoni, Marzo 1821, vv. 29-
non si afferma che la lingua italiana è l’asino o la bicicletta; in un’Italia in 32). Quella lingua in cui avevano
la lingua ufficiale dello stato? Si pos- cui si sarebbe ben presto riaffaccia- scritto gli intellettuali che avevano
sono avanzare diverse ipotesi. Fra to l’antico male dell’emigrazione ispirato la costruzione dello Stato
queste, probabilmente l’avversione sia verso l’esterno sia – negli anni italiano – caso raro d’un popolo
per interventi normativi in fatto di lin- del boom economico, caratterizza- che si costituisce in nazione per la
gua radicatasi nell’animo di coloro i to da forti squilibri – all’interno dei forza centripeta d’una civiltà co-
quali avevano combattuto una ditta- confini e chi avesse prefigurato un mune, prima ancora dell’esistenza
tura che aveva espulso i dialetti dalle rovesciamento del bilancio migra- d’una reggia –; quella lingua che
scuole, italianizzato i nomi propri nei torio sarebbe stato preso per un appartiene al patrimonio storico-
territori di confine, imposto l’uso del visionario; in un’Italia in cui l’unico culturale degli italiani al pari dei
voi e, soprattutto, in una cornice di mezzo di comunicazione di massa suoi monumenti e del suo paesag-
nazionalismo e xenofobia crescenti, moderno – a parte il cinema – era gio non è presente nella Costitu-
combattuto l’uso delle parole stra- rappresentato dalla radio ed erano zione perché semplicemente ne è
niere fino al punto di affidare, nei di là da venire la televisione, la rivo- il presupposto. Del resto, le mino-
primi anni di guerra, all’Accademia luzione informatica, la rete Internet ranze linguistiche tutelate dall’art.
d’Italia il compito di redigere liste di e quell’intreccio di fenomeni che va 6 sono tali in quanto esiste una
forestierismi da sostituire. Si può, sotto il nome di “globalizzazione”; maggioranza italofona.
inoltre, pensare alla formazione cro- insomma, nell’Italia appena uscita in Dal 1948 in poi, statuti speciali
ciana di molti costituenti; ma senza macerie dal secondo conflitto mon- delle Regioni autonome (i qua-
voler trascurare le precedenti, la mo- diale, per i costituenti, che l’italiano li hanno rango costituzionale in
tivazione più semplice e generale va fosse e sarebbe stato la lingua uffi- base all’art. 116 della Carta), sen-
cercata probabilmente altrove. ciale della nuova Repubblica era un tenze della Corte costituzionale e
In un contesto molto diverso ovvio e indiscutibile dato di fatto. leggi ordinarie hanno ribadito che
dall’attuale, in un’Italia ancora fon- La lingua aveva rappresentato, «[l]a lingua ufficiale della Repub-
damentalmente dialettofona, in cui almeno dal Cinquecento, per le éli- blica è l’italiano».1

1 Art. 1, comma 1, della legge 482 del 1999, recante Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche.

19
Che questa fosse la convinzione le, perché vivaddio la Costituzione parsa evidentemente tale a tutti gli
profonda dei costituenti traspare in afferma cose che possono essere intervenuti (fra cui Concetto Mar-
maniera particolarmente luminosa controverse, ma che è necessario chesi ed Emilio Lussu), è un indizio
da un passo del deputato Edoardo politicamente affermare come una di come fosse avvertita non solo la
Clerici, avvocato eletto a Milano novità, come una conquista; non correlazione fra cittadinanza, pro-
nelle liste della Democrazia Cristia- cose che sono pacifiche. Altrimen- cesso legislativo e lingua comune
na. Il 30 aprile 1947 il presidente ti, se dovessimo mettere nella Co- («la lingua che usiamo») ma l’appar-
dell’Assemblea costituente Um- stituzione tutto ciò che è evidente tenenza della lingua italiana al patri-
berto Terracini apre la discussione e pacifico, per quale ragione non do- monio storico-culturale della collet-
sull’art. 29: «I monumenti artistici vremmo dire che la lingua che usia- tività. Non è un caso che l’accenno
e storici, a chiunque appartengano mo è la lingua italiana, e che usiamo ad essa si affacci proprio nel pieno
ed in ogni parte del territorio nazio- le lettere latine e le cifre arabe?”4 della discussione su questo articolo,
nale, sono sotto la protezione dello La discussione portò in seguito conclusasi con l’approvazione d’un
Stato. Compete allo Stato anche la al cambiamento di collocazione, emendamento, firmato dall’autono-
tutela del paesaggio».2 L’on. Clerici caldeggiato in subordine da Cleri- mista Codignola, dal socialista Ma-
ne propone, a titolo personale, la ci, e alla riformulazione del testo. lagugini e dai comunisti Marchesi e
soppressione, poiché lo ritiene in- Nell’ambito del nostro discorso Nobile, a seguito del quale la prima
completo,3 ma soprattutto «inuti- un aspetto mi pare significativo: è frase divenne: «Il patrimonio artisti-
le, superfluo ed alquanto ridicolo». l’affermazione sulla lingua italiana, co e storico della Nazione è sotto la
Perché? Ascoltiamo Clerici: “È inuti- presentata come un’iperbole e ap- tutela della Repubblica».5

2 In una formulazione e in una collocazione precedenti, è il secondo comma dell’art. 9: «La Repubblica [...] [t]utela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione».
3 «[P]erché vi si trascurano tutte le cose artistiche che non sono immobili, come le statue, i quadri, i mobili, le oreficerie, i libri, cose che costituiscono una ingentissima massa artistica;
sembra che la Repubblica tuteli soltanto i monumenti» («Atti dell’Assemblea costituente. Assemblea plenaria, CVI, 30 aprile 1947», p. 3419).
4 Ibid. Corsivo nostro.
5 Non appena conclusa la votazione, i democristiani Colonnetti e Firrao e il comunista Nobile proposero d’inserire un art. 29-bis, così concepito: «La Repubblica promuove la ricerca
scientifica e la sperimentazione tecnica e ne incoraggia lo sviluppo». È l’embrione del primo comma dell’attuale art. 9: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca
scientifica e tecnica».

20
Tuttavia bisogna ammettere avevano conosciuto solo avanza-
che la consapevolezza del valore menti. Dal 2007-08 al 2014-15 gli
del nostro patrimonio linguistico, iscritti ai corsi universitari di laurea
ancor più di quello degli di altri triennale sono calati di circa il 10%
patrimoni culturali più visibili e e gli immatricolati di circa il 16%;6 la
tangibili, stenta a essere percepi- percentuale dei giovani tra i 15 e i
to, apprezzato, sostenuto. Se la 29 anni classificati come NEET (Not
lingua è stata uno dei perni ideali in Education, Employment or Trai-
e ideologici su cui s’è incardinato ning), che nel 2008 era del 19,3%,
il processo d’unificazione politica nel 2015 è salita al 25,7%,7 un dato
degli italiani, è pur vero che milio- che ci colloca al penultimo posto
ni d’italiani, fra cui molti apparte- nell’UE, davanti alla Grecia;8 infine,
nenti alle stesse classi dirigenti, il tasso di passaggio dalla scuola
nel parlato informale quotidiano, secondaria superiore all’università
ancora ai tempi della Costituente è sceso sotto il 50% nell’anno ac-
e oltre, adoperavano abitualmente cademico 2013-2014.9 Siamo all’ul-
il dialetto. Non solo l’Italia, ma an- timo posto per numero di laureati
che l’italiano è stato per la maggior nella fascia d’età fra i 30 e i 34 anni
parte del popolo, individualmente (23,9%), mentre ancora troppo alta
e collettivamente, un traguardo e è la percentuale degli abbandoni
non la culla in cui essere deposti scolastici (15% nel 2014; in Europa
alla nascita. numeri peggiori si registrano solo
La diffusione dell’italiano nel- in Portogallo, Romania, Malta e
le diverse fasce della popolazione Spagna).10
è sfasata e giunge a un instabile Quanto ai confronti internazio-
compimento in un’epoca in cui la nali sulle capacità di comprendere
penetrazione dei mezzi di comu- un testo scritto nella propria lingua
nicazione di massa – i vecchi e i madre, l’ultima indagine dell’OCSE
nuovi –, l’infittirsi delle relazioni PISA11 2015 sulle competenze di let-
internazionali, le crisi economico- tura dei quindicenni colloca l’Italia sentata dalla sola Jakarta). Inoltre,
finanziarie e il prestigio crescente al 33° posto fra tutti i 72 paesi ed il 5,5% degli adulti italiani è fermo al
della tecnologia e di alcune scien- economie partecipanti al Program- livello 1 e il 42,3% al livello 2; vale a
ze, da un lato, dei modelli di stam- ma e al 25° (ben al di sotto della dire che il 47,8% si pone al di sotto
po liberista, dall’altro, ridisegnano i media) se si resta all’interno dei pa- del livello 3, il livello «minimo indi-
rapporti fra le culture e le lingue su esi dell’OCSE; una situazione che spensabile per un positivo inseri-
scala planetaria. In un mondo sem- non mostra cenni significativi di mento nelle dinamiche sociali, eco-
pre più complesso e interconnesso miglioramento dal 2000.12 Il 21% dei nomiche e occupazionali».15
la capacità degli italiani di adopera- quindicenni italiani non raggiunge Perfino fra gli studenti univer-
re la chiave di ogni analisi, la lingua il livello 3, la soglia a partire dalla sitari, inclusi gli iscritti alle facoltà
madre, rimane problematico. Con- quale «les élèves commencent à umanistiche, non di rado le compe-
tinuano a essere deludenti, rispet- faire preuve des compétences en tenze linguistiche sono insufficien-
to agli altri paesi occidentali, i dati compréhension de l’écrit qui leur ti. Mentre i media si soffermano su
relativi ai livelli di scolarizzazione. permettront de participer de ma- fenomeni appariscenti ma super-
Il censimento nazionale della po- nière efficace et productive à la vie ficiali (come le grafie con x o k, i
polazione del 2011 registra un 11,2% de la société».13 tvb ecc.), o sulla pretesa morte del
in possesso d’un diploma universi- Passando alle competenze al- congiuntivo, che continua invece
tario di qualsiasi tipo, un 24,8% in fabetiche degli adulti fra i 16 e i 65 a godere nel complesso di buona
possesso d’un diploma di maturità anni, l’OCSE PIAAC14 2013 e 2016 salute, i problemi veri riguardano
e un 64,1% che si colloca a livelli più collocano l’Italia al terzultimo po- la difficoltà a comprendere testi ar-
bassi; in quest’ultima fascia persi- sto fra i 28 paesi dell’OCSE parteci- gomentativi d’una certa lunghez-
ste un 1,1% di analfabeti. panti al Programma (seguita dalla za, a costruire un’argomentazione,
La crisi economica ha frenato, Turchia e dal Cile) e al quartultimo a gestire le strutture avverbiali e
talvolta invertito, processi che dal fra tutti e 33 (ai due testé menzio- congiuntive, a rispettare le rela-
dopoguerra fino agli anni Duemila nati si accoda l’Indonesia, rappre- zioni logiche. Si osservano sfalda-

6 Elaborazione su dati Istat, Annuario statistico italiano 2013 e 2016.


7 Istat, Rapporto annuale 2016. Nello stesso a. a. il tasso d’iscrizione all’università dei giovani fra i 19 e i 25 anni è sceso al 38% (superava il 40% tre anni prima).
8 Eurostat, EU Labour Force Survey, dati 2014.
9 Istat, Annuario statistico italiano 2016.
10 Istat, Noi Italia, http://noi-italia.istat.it/.
11 All’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) aderiscono attualmente 35 nazioni. PISA sta per Programme for International Student Assessment.
12 Results from PISA 2015, Country Note – Italy, OECD, Paris, 2016.
13 Résultats du PISA 2015. L’excellence et l’équité dans l’éducation, vol. I, OCDE, Paris, 2016, p. 170
14 Programme for the International Assessment of Adult Competencies. La prima fase d’indagine, cui ha partecipato l’Italia insieme con altre 23 nazioni, si è svolta nel 2011-12, la seconda,
in cui sono stati coinvolti nove paesi che non avevano preso parte alla fase precedente, nel 2014-15 (L’importance des compétences. Nouveaux résultats de l’évaluation des compétences
des adultes, OCDE, Paris, 2016)
15 G. Di Francesco (a cura di), Le competenze per vivere e lavorare oggi. Principali evidenze dall’Indagine PIAAC, Isfol Research Paper, 2013 9, p. 16.

21
questo contesto mantiene intatta
la sua forza il monito contenuto
nell’art. 3 della Costituzione: «È
compito della Repubblica rimuove-
re gli ostacoli di ordine economico
e sociale, che, limitando di fatto la
libertà e l’uguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l’effettiva parte-
cipazione di tutti i lavoratori all’or-
ganizzazione politica, economica e
sociale del Paese». Fra gli ostacoli
fondamentali non si può non inclu-
dere un’istruzione e una formazio-
ne insufficienti e un possesso della
lingua italiana inadeguato.
I dati preoccupanti sopra ricor-
dati esigerebbero solidi program-
mi diuturni d’educazione lingui-
stica incentrati sull’italiano inteso
come strumento di comunicazione
fondamentale per qualsiasi comu-
nicazione colta, professionale o
specialistica rivolta alla comunità
nazionale; ma la frettolosità dell’at-
tuale agire politico e le paure, le
incertezze e le tensioni alimentate
dalla crisi che stiamo attraversan-
do dal 2008 si tramutano facilmen-
te in cattive consigliere. Governi,
amministrazioni pubbliche, perfino
certe formazioni politiche paiono,
per esempio, sfruttare ma al tem-
po stesso subire il pregiudizio posi-
tivo che circonda le nuove tecnolo-
gie, presentate di per sé come “la”
soluzione “semplice” alla crisi sia
economica sia sociale sia politica.
L’informatizzazione è un obiet-
tivo irrinunciabile per il quale biso-
gnerebbe investire molto di più.
Ma anche in quest’ambito, se si
ha davvero a cuore il «progresso
materiale [e] spirituale della so-
cietà»,16 oltre alle indispensabili in-
frastrutture contano formazione
menti della sintassi, fallimenti degli municazione pubblica, della comu- e competenze, un aspetto su cui
accordi e dei riferimenti prono- nicazione mediale, dell’esercizio la diagnosi dell’OCSE PIAAC 2013
minali, improprietà semantiche e delle professioni, degli atti ammi- è sconfortante. Nel 2011-12 solo il
lessicali più o meno gravi, in par- nistrativi, delle leggi, di cui sempre 58% degli adulti italiani intervistati
ticolare quando si varchi la soglia più spesso si lamentano vizi lingui- è stato in grado di svolgere attra-
del familiare e del quotidiano. stici ed espressivi, formali e sostan- verso un computer la prova som-
Affiora l’impreparazione con cui ziali, che alimentano oscurità, incer- ministrata a fronte d’una media
si affrontano compiti essenziali, tezza e ambiguità. Ma soprattutto OCSE del 77%. Il 24,4% degli adulti
quali gerarchizzare le informazio- rischia la democrazia, che si nutre italiani risulta totalmente privo di
ni, riassumere, prendere appunti, d’informazioni corrette e vive nel qualsiasi esperienza con il com-
individuare le fonti, gestire note, confronto e nel rispetto delle opi- puter contro una media del 9,3%:
citazioni e riferimenti. nioni; e informazioni e opinioni si il risultato peggiore17 (e non si di-
Prevedibili le conseguenze a esprimono, si comprendono, si mentichi che sono esclusi coloro
lungo termine sulla qualità della co- discutono attraverso la lingua. In che hanno oltrepassato i 65 anni,

16 Art. 4, c. 2 della Costituzione.


17 G. Di Francesco (a cura di), Le competenze per vivere e lavorare oggi, cit.

22
cioè il 22% della popolazione
italiana18). I dati dell’Eurostat rife-
riti al 2016 collocano l’Italia, con il
69%, al terzultimo posto per l’u-
so di Internet nella popolazione
fra i 16 e i 74 anni (alla pari con
la Grecia, davanti alla Romania e
alla Bulgaria; la media dei 28 paesi
dell’UE è 82%).19 Insomma, urgono
strategie volte a scongiurare il ri-
schio grave e concreto di produr-
re nuove ampie zone di esclusio-
ne, cui contribuisce il linguaggio
italiano dell’informatica, infarcito
di anglicismi, tecnicismi e sigle,
per il quale non si fa alcuno sfor-
zo di mediazione teso a renderne
la terminologia massimamente
comprensibile.
L’impressione, invece, è di es-
sere risucchiati in una spirale schi-
zofrenica in cui, da un lato, si sven-
tola un orgoglio fatto di cibo, arte
e paesaggi, di motori, moda e de-
sign, dall’altro si rincorrono miti e
modelli anglosassoni sentiti come
vincenti, e quindi affrettatamente
innestati nelle nostre istituzioni e
nel nostro patrimonio storico-cul-
turale (e linguistico) senza un’ade-
guata riflessione critica: più che un
salto in avanti, un maldestro salto
di lato, di cui si fece espressione
uno dei più suadenti slogan politici
recenti, le “tre i” di “Inglese, Inter-
net, impresa” (la triade ispiratrice
della scuola preconizzata da Silvio
Berlusconi), che continua a echeg-
giare nelle stanze in cui s’esercita
il potere; una formula tanto intrisa
d’ideologia quanto lontana dalla
prassi dei suoi stessi evocatori, pa-
lesi e occulti.
Le scuole, salvo rare eccezioni,
non sono attrezzate a insegnare
davvero l’informatica, una discipli- economicamente tese a rimediare e regimi transitori hanno dovuto
na che va ben oltre l’uso limitato al fallimento storico dell’insegna- ridimensionare le pretese, al pun-
e strumentale di qualche applica- mento delle lingue straniere nella to che viene da chiedersi quale
zione o di Internet. Si sottovaluta scuola italiana. Nel 2010 l’imposi- sia il livello di lingua cui i ragazzi
l’insegnamento dell’italiano (una zione dell’insegnamento in inglese vengono esposti, se non si rischi
i clamorosamente assente), che – d’una materia curricolare sbandie- di pregiudicare sia l’insegnamen-
sarà un caso? – viene via via estro- rata in favore dei media, noto con to dell’inglese sia quello della «di-
messo dai procedimenti che con- la sigla CLIL (Content Language sciplina non linguistica» impartita
tano nell’UE, come le procedure and Integrated Learning), avreb- da docenti che posseggono un
relative al brevetto o ai concorsi, be richiesto d’emblée legioni di livello B2 o addirittura, «sperimen-
mentre storici marchi del made in professori con una competenza talmente», B1, e soprattutto se
Italy vengono acquisiti da capitali linguistica pari al livello C1 del Qua- questa sia la strategia migliore per
stranieri. Quanto all’inglese, non dro Comune Europeo di Riferimen- raggiungere lo scopo nella situa-
sono state messe in atto strategie to per le Lingue. La realtà era ed è zione attuale e il modo migliore di
ponderate, durature e sostenute ben lontana. Così note ministeriali spendere gli scarsi finanziamenti

18 Istat, Annuario Statistico Italiano 2016.


19 Eurostat, Digital economy and society statistics - households and individuals. S’intende per utente di Internet chi abbia usato la rete almeno una volta nei tre mesi precedenti l’indagine.
20 Vd. Paolo Caretti, L’inglese all’università: un caso di discriminazione al contrario, e Paolo Grossi, Qualche conclusione da una premessa indiscutibile: il valore identitario di una lingua

23
pubblici destinati alla scuola. (si badi bene, non in alternativa) bipartisan, premier e premiership,
Desta preoccupazione anche la in inglese tutti gli insegnamenti di spoils system, spending review,
proliferazione di corsi di studio uni- tutti i corsi di laurea magistrale e di ticket, mission, vision, authority,
versitari in lingua inglese. Anche tutti i dottorati di ricerca: su que- planning, staff, team, briefing,
in questo caso ci si chiede quale sta scelta oltranzista dovrà decide- marketing, performance, city ma-
livello qualitativo possa raggiunge- re ormai la Corte costituzionale.20 nager, project manager, project
re una comunicazione fra docenti L’inglese si palesa agli occhi di financing, outsourcing, car sharing,
e discenti che hanno come ma- molti nelle vesti d’un re Mida che bike sharing, information desk e
dre lingua l’italiano e conoscono rende ipso facto ciò che nomina di- via continuando nell’assoluta in-
l’inglese inevitabilmente peggio namico, efficiente, professionale, differenza riguardo alla compren-
(esclusi ovviamente i rari bilingui) competente e competitivo. Sull’i- sibilità generale.
e con forti squilibri. Ma si deline- taliano, invece, si riverberano, Al contempo, con involonta-
ano pericoli ben più gravi a lun- spesso inconsciamente, i ritardi, ria ironia, s’invocano “amiche-
go termine: sul piano scientifico, la disorganizzazione, il pressappo- volezza”, trasparenza e sem-
l’indebolimento della capacità di chismo, il corporativismo, in breve plificazione. Ma queste ultime
sostenere e sviluppare la termino- gli stereotipi negativi che gli ita- parole, se prese sul serio, sono
logia specialistica italiana in settori liani percepiscono nel loro vivere impegnative. È più facile passa-
cruciali (se ne scorgono avvisaglie collettivo. Dispiace, allora, ma non re dal latinorum del conferire i
nei settori economici e scientifici); stupisce che non si parli più di ini- rifiuti, del ripetere un somma,
sul piano dei diritti costituzionali ziative volte a rendere più chiaro dell’ubicare, dell’obliterare, del
fondamentali, l’approfondimento il linguaggio delle amministrazioni de cuius, dell’ex lege, dell’in iti-
delle diseguaglianze sociocultu- pubbliche, le quali sembrano or- nere o dell’una tantum all’ingle-
rali fra cittadini italiani sulla base mai più affannate a nascondere sorum del briffare, dello staf-
d’una discriminazione linguistica le rughe del burocratese sotto il fare, del budget, del badge, del
e l’impossibilità di accedere pub- make-up d’un aziendalese tecno- part time, del full time, della
blicamente ai risultati della ricer- anglicizzante, che impegnate a partnership, del customer care,
ca scientifica da parte di chi paga rimettere in discussione il potere dello stackholder, o della policy
imposte e tasse con cui essa viene linguistico di cui si ammantano. implementation.
finanziata. Che siano in gioco valori Fioccano i front office, le card e le Qui non interessa una diatriba
costituzionali lo prova la vicenda tax d’ogni tipo (service tax, local superficiale fra inani appelli puri-
del Politecnico di Milano, che nel tax, carbon tax); e poi governance, stici ed entusiasmi corrivi verso le
2013 ha deciso d’impartire soltanto devolution, election day, exit poll, magnifiche sorti e progressive del-

per il singolo e per la collettività, in N. Maraschio e D. De Martino (a cura di), Fuori l’italiano dall’università? Inglese, internazionalizzazione, politica linguistica, Roma-Bari, Laterza, 2013.
21 Istat, L’uso della lingua italiana, dei dialetti e di altre lingue in Italia, Roma, 2014.

24
la “globalizzazione” anglofona. La al rapporto fragile e controverso i circa 60-80 milioni di discendenti di
questione vera, urgente e concreta che gli italiani hanno con la loro lin- emigrati italiani nel mondo molti co-
riguarda il modo di sostanziare un’i- gua madre, del quale sono sintomi noscono, studiano o nutrono un affet-
spirazione democratica che miri al luoghi comuni tante volte ripetuti, to speciale nei confronti della lingua
coinvolgimento e alla partecipazio- che mostrano come il problema avita.25 Gli oltre cinque milioni di stra-
ne di tutti i cittadini alla vita politica non sia l’inglese in sé e il suo indi- nieri residenti in Italia26 formano poi
e sociale, come impone la nostra scusso ruolo attuale, bensì la scar- un cospicuo bacino di nuovi italofoni.
Costituzione. Anche in questo caso sa consapevolezza della funzione “L’italiano è una lingua che ser-
i dati di fatto sono impietosi: in Ita- e del valore delle lingue, accompa- ve a poco”. Dipende dal fine. Come
lia dichiara di conoscere almeno gnata da una percezione ristretta ogni lingua, serve a sentire, a capi-
una lingua straniera solo il 58% della della varietà delle culture e delle re e a studiare ciò che costituisce
popolazione fra i 18 e i 74 anni, un lingue nel mondo. il patrimonio storico-culturale che
dato che non ha subito variazioni si- “L’italiano è una lingua parlata di quella lingua si è nutrito e con
gnificative dal 2000 al 2012 (nel Sud da poche persone”. L’italiano è la quella lingua si è manifestato; ser-
e nelle Isole si scende al 49,1%); l’in- seconda lingua dell’UE per numero ve a sentire, a capire e a studiare
glese è conosciuto dal 45% degli uo- di parlanti nativi (appaiata all’in- quel modo di organizzare e di ve-
mini e dal 42,5% delle donne; nella glese, la prima è il tedesco),22 e se- dere il mondo che grazie all’humus
popolazione oltre i 60 anni la lingua condo lo stesso parametro, la ven- di quella lingua s’intreccia con la
straniera più conosciuta è il france- tunesima al mondo su un totale di radice del pensiero di coloro che la
se. Inoltre, di quel 58% che conosce oltre 7000 lingue censite23. ricevono come lingua madre.
almeno una lingua straniera il 59,4% “L’italiano è una lingua parlata Da qualche tempo si ragiona mol-
o comprende soltanto poche paro- solo dagli italiani”. Milioni di stranieri to dell’Italia come paese della bel-
le, tutt’al più qualche frase, oppure studiano l’italiano, facendone la quin- lezza, e della bellezza come valore
arriva a intendere le espressioni più ta lingua straniera più studiata nel su cui può rinascere il nostro paese,
comuni e a usare una lingua di base mondo; la prima, quando si giunga a come già accadde in passato. In pro-
in situazioni familiari.21 imparare una terza lingua.24 Gli ultimi posito si producono argomentazioni
Nel paese del jobs act, i media, tre papi stranieri l’hanno usata e la molto serie e interessanti, ma il tema
che usano ampiamente quantita- usano costantemente in occasioni uf- è sdrucciolevole ed alto il rischio
tive easing, fiscal compact, spread, ficiali, non solo in Italia ma anche all’e- di cadere nella banalità, nel luogo
stepchild adoption, hub, compound stero, rivolgendosi sempre, com’è comune o in una sorta di revansci-
e foreign fighters, seguono la cor- ovvio, urbi et orbi. Oltre 4,5 milioni di smo. Ad ogni modo, è sintomatico
rente; che s’impone anche grazie italiani risiedono oltre frontiera e fra che non capiti facilmente di sentire
annoverata fra i beni immateriali
e le bellezze che l’Italia può vanta-
re la sua lingua. Eppure la bellezza
dell’italiano è un topos che all’estero
scorre da secoli in mille rivoli, uno
dei quali sfocia, venato d’ironia, nel-
le Confessioni del cavaliere d’industria
Felix Krull di Thomas Mann.27 Il prota-
gonista del romanzo, esibendo doti
di poliglotta nella speranza di essere
assunto come lift-boy, risponde così
alla domanda «Parla italiano?» posta-
gli dal direttore generale dell’alber-
go Saint James and Albany di Parigi:
«Ma signore, che cosa mi do-
manda? Sono veramente innamora-
to di questa bellissima lingua, la più
bella del mondo. Ho bisogno soltan-
to d’aprire la mia bocca e involon-
tariamente diventa il fonte di tutta
l’armonia di quest’idioma celeste.
Sì, caro signore, per me non c’è dub-
bio che gli angeli nel cielo parlano
italiano. Impossibile d’immaginare
che queste beate creature si serva-
no d’una lingua meno musicale...».
22 Eurostat, Les européens et leurs langues 2012.
23 Cfr. M. P. Lewis, G. F. Simons, C. D. Fennig (eds.), Ethnologue: Languages of the World, 19ª ed., Dallas, Usa, SIL International, 2016.
24 C. Giovanardi, P. Trifone, L’italiano nel mondo, Roma, Carocci, 2012.
25 Cfr. la Relazione del IV gruppo di lavoro sull’italofonia presentata agli Stati generali della lingua italiana, Firenze, 21-22 ottobre 2014 (www.esteri.it/mae/it/politica_estera/cultura/
promozionelinguaitaliana/archivio-2014.html).
26 Istat, Noi Italia 2016.
27 Lo ricorda P. Trifone in Il valore del binomio lingua-cultura, in N. Maraschio e D. De Martino (a cura di), Fuori l’italiano dall’università?, cit.

25
Il movimento dell’italiano
nei giornali contemporanei
Gianluca Evangelista

Un’analisi dei quotidiani mette in luce la crescente presenza di fenomeni linguistici innovativi
e lo sviluppo del loro livello di integrazione nell’italiano standard.

Il senso comune, oggi come


in passato, tende a ridurre il pa-
norama linguistico italiano ad
un’opposizione tra due varietà: la
lingua italiana e il dialetto locale.
Ad un’analisi più puntuale, però,
tale valutazione appare estrema-
mente semplicistica; a proposito
del repertorio dell’italiano, infat-
ti, sarebbe più corretto parlare di
un continuum linguistico, di cui le
tipologie menzionate non costi-
tuiscono altro che i due estremi.
L’italiano standard, normato dalle
grammatiche e dotato del massi-
mo grado di prestigio, rappresenta
la varietà linguistica a cui ciascun
parlante tende nelle proprie intera-
zioni; tuttavia, in quanto obiettivo
ideale, non si realizza mai piena-
mente. La comunicazione reale tra
i parlanti si muove costantemente
lungo il continuum linguistico indi-
viduato, e sono rari, se non assen-
ti, i casi in cui l’attinenza alla norma
sia totale.
Intorno alla metà degli anni
Ottanta, in particolare, è stata in-
dividuata una varietà linguistica
panitaliana e diffusa sia nel parlato
che nello scritto di media forma-
lità: si tratta dell’italiano dell’uso
medio, definito così da Francesco
Sabatini (L’«italiano dell’uso me-
dio»: una realtà tra le varietà lingui-
stiche italiane) e designato anche
con le denominazioni alternative

26
di italiano neo-standard (Gaetano sia dal punto di vista dell’impagina- pronome clitico dativale gli anche
Berruto), italiano tendenziale (Al- zione che da quello propriamente al femminile. Per gli altri fenomeni
berto Mioni), italiano medio (Luca linguistico; tra i cambiamenti intro- indagati, tra cui l’eliminazione della
Serianni) e italiano parlato moder- dotti si registra anche la diffusione -d eufonica, la sostituzione del pro-
no (Giovanni Nencioni). L’italiano di tratti tipici del parlato e attribu- nome dimostrativo ciò con questo
dell’uso medio sarebbe caratte- ibili all’italiano dell’uso medio. L’e- e quello, l’alternanza tra i pronomi
rizzato dal recupero di fenomeni voluzione del linguaggio giornali- interrogativi neutri che cosa, cosa e
presenti nella tradizione italiana stico è stata oggetto di un’indagine che, la sostituzione dell’aggettivo
fin dalle origini, ma osteggiati dal- di Ilaria Bonomi inserita nel volume interrogativo quale con che e l’uso
la codificazione cinquecentesca al L’italiano giornalistico. Dall’inizio di concordanze a senso, i giornali
punto da consentirne solo una vita del ‘900 ai quotidiani on line, che manifestavano una posizione in-
“sotterranea” nel parlato e nello fra l’altro ha preso in esame i feno- termedia tra una piena adesione
scritto meno controllato. Attual- meni neo-standard all’interno dei all’italiano dell’uso medio e una
mente questo rinnovato model- quotidiani italiani e ha valutato totale chiusura nei suoi confronti.
lo di lingua comune conosce una la loro frequenza, con un’analisi La situazione oggi appare am-
fase di progressiva inclusione nel comparativa tra i bienni 1990-1991 piamente mutata. L’introduzione
canone standard, e per la maggior e 2000-2001. I risultati della ricer- di tratti neo-standard nel linguag-
parte dei parlanti l’italiano dell’uso ca dimostrano che all’inizio degli gio giornalistico contemporaneo,
medio rappresenta già la principa- anni Duemila la stampa aveva già infatti, ha compiuto un ulteriore
le varietà di riferimento. ampiamente accolto i fenomeni avanzamento, e per alcuni di essi
Sebbene riguardino prevalen- poco marcati in diafasia o diastra- si può ormai parlare di comple-
temente il parlato, i tratti neo-stan- tia e quindi già accettati in contesti ta inclusione nel nuovo canone
dard sono ampiamente attestati di media formalità: si tratta della standard. Un’analisi effettuata nel
anche nelle scritture non eccessi- presenza di costruzioni marcate, mese di Novembre del 2015 su al-
vamente formali. In questo pano- dell’uso dei pronomi obliqui di ter- cune tra le principali testate italia-
rama il giornalismo occupa certa- za persona come soggetto e della ne (nello specifico, la Repubblica
mente una posizione di rilievo, in sostituzione del pronome clitico e Corriere della Sera del 9/11/2015
quanto storicamente ritenuto un locativo vi con il più colloquiale ci. e del 30/11/2015, La Stampa, Il Mes-
esempio dell’uso colto di livello Restavano, però, ancora esclusi i saggero, Il Giornale, Libero e il Fat-
medio. A partire dagli anni Settan- tratti percepiti come “popolari” to Quotidiano del 30/11/2015) ha
ta del Novecento, in particolare, è e troppo distanti dalla norma, in permesso di accertare una netta
stata individuata una fase di svol- particolare l’uso del che polivalen- estensione degli impieghi di for-
ta del giornalismo italiano, che ha te, la sostituzione del congiuntivo me linguistiche neo-standard; se
portato a innovazioni significative con l’indicativo e l’estensione del si considera la varietà di italiano

27
dell’uso medio nel suo complesso tuale scende persino al di sotto nel campione, segno evidente che
il processo di sostituzione non è del 5%. In particolare, la forma la forma obliqua è ormai consi-
ancora compiuto, ma, a confronto ad è ancora piuttosto frequente derata come standard; quanto al
con la rilevazione di Bonomi, è au- solo nelle espressioni ad esempio maschile singolare, le sole quattro
mentata l’incidenza di quasi tutti i e fino ad ora (forme praticamente occorrenze di egli appaiono estre-
singoli fenomeni. esclusive), quando seguita da un mamente sporadiche al confronto
La prima tendenza considerata, articolo indeterminativo, dai ter- con le 222 attestazioni del prono-
l’eliminazione della -d eufonica, è mini essere, ogni e ora oppure da me lui usato come soggetto. La
tra quelle che hanno manifestato parola cominciante per i + nasale; preferenza quasi esclusiva per le
una maggiore diffusione rispetto per la forma ed, invece, è stato ri- varianti neo-standard rilevata per
al passato. Nel campione esami- scontrato un numero di occorren- il singolare (sebbene per i soggetti
nato, infatti, la forma eufonica od ze lievemente superiore alla media inanimati si preferiscano ancora le
non è stata mai riscontrata e sem- quando è inserita nell’espressione forme esso/essa) si ripropone tut-
bra essere definitivamente uscita in carne ed ossa oppure nei casi in to sommato invariata anche per il
dall’uso. Le forme eufoniche ed e cui precede gli articoli determinati- plurale: le occorrenze del pronome
ad, invece, ricorrono con una fre- vi il e i, il termine ora o le sequenze loro in qualità di soggetto con valo-
quenza notevole (rispettivamente fonetiche i/u + nasale. re maschile sono 48, sovrastando
89% e 99% dei casi) solo nei conte- Altra tendenza largamente dif- in misura schiacciante la singola
sti di incontro con vocale identica; fusa è l’uso dei pronomi obliqui attestazione di essi, mentre per il
quando seguita da parola iniziante di terza persona lui/lei/loro in fun- femminile all’unica rilevazione di
con vocale diversa, la preposizione zione di soggetto, in sostituzione esse si contrappongono due impie-
ad ricorre con una frequenza me- delle forme canoniche egli/ella/ ghi della forma loro. Per di più, al
diamente inferiore al 50%, mentre essi/esse. Il pronome ella, in parti- plurale il pronome obliquo viene
per la congiunzione ed la percen- colare, non è stato mai riscontrato usato anche laddove non riferito

28
a persone (due casi), seppur con ciate: i casi in cui è stato preferito il scrittura giornalistica. Consideran-
frequenza ancora minore rispetto pronome tipico dell’italiano dell’u- do unicamente i casi in cui il cliti-
a essi e esse, usati rispettivamente so medio sono cinque, mentre le co ha una funzione locativa, sono
tre e quattro volte. forme dativali loro e a loro, più ri- state individuate solo otto occor-
L’unico fenomeno per il quale spondenti alla norma, sono state renze di vi, un’esigua minoranza al
è stata rilevata una regressione ri- rilevate rispettivamente diciotto confronto con le 833 di ci; per gli
spetto all’indagine di Bonomi è l’u- e quatto volte. Bisogna precisare, usi pronominali, invece, le attesta-
so estensivo del pronome dativale comunque, che all’interno del cam- zioni di ci sono 91 e quelle di vi 17
gli anche con valore femminile o pione di riferimento il pronome gli (circa il 16%). Escludendo gli impie-
plurale. Specialmente per il femmi- è stato utilizzato con valore plurale ghi come clitico locativo in unione
nile, infatti, la variante gli risulta es- solo nella forma enclitica in unione con essere, nei quotidiani analizzati
sere decisamente meno frequente con verbi all’infinito o al gerundio, il pronome vi presenta alternanza
(solo tre occorrenze) rispetto al considerazione che ridimensiona con ci solo con i verbi trovare, ag-
pronome standard le, impiegato ulteriormente l’incidenza di tale giungere e fare, mentre parrebbe
94 volte; inoltre le tre attestazioni fenomeno nel linguaggio giornali- essere ancora forma esclusiva con i
della variante neo-standard sono stico contemporaneo. verbi passare e partecipare (rispet-
tutte riferite a elementi inanimati e La sostituzione del pronome tivamente tre e due casi).
non a persone. L’estensione della clitico vi con la forma più colloquia- Il pronome dimostrativo neu-
forma gli anche al plurale, nono- le ci, sia con valore puramente lo- tro ciò ha visto ridurre il proprio
stante sia anch’essa poco diffusa, cativo che pronominale, si è quasi uso in favore delle forme questo e
presenta statistiche meno sbilan- del tutto affermata anche nella quello anche nella lingua dei gior-

29
nali. Nel campione esaminato la cosa e che. Rispetto ai 215 usi di un seguente, ad eccezione dell’indica-
forma standard ciò è stata utilizza- pronome interrogativo neutro, la tivo, in presenza del quale vengono
ta con una frequenza del 23%, con variante neo-standard cosa è risul- confermate le statistiche indicate
questo e quello che gli sono stati tata essere ampiamente maggio- per le interrogative indirette. La
preferiti rispettivamente nel 38% ritaria, con una frequenza del 64%; contiguità di un verbo al congiun-
e 39% dei casi (su un totale di 444 alle forme che cosa e che, invece, tivo sembra determinare una netta
dimostrativi neutri). In particola- sono riservati rispettivamente il preferenza per il pronome interro-
re, le due varianti neo-standard si 20% e il 16% delle attestazioni. Se si gativo cosa, impiegato l’87% delle
sono specializzate in base alla pre- prendono in considerazione esclusi- volte, mentre la forma che non è
senza o meno di un pronome rela- vamente le interrogative indirette, mai attestata in questo ambito; tut-
tivo successivo: se il dimostrativo è la prevalenza di cosa diventa anco- to sommato, la stessa prevalenza
seguito da relativa si usa quello, in ra più marcata, con una ricorsività della variante neo-standard riguar-
caso contrario si predilige questo. del 73%, mentre gli impieghi di che da anche i casi in cui sia presente
Distinguendo i due contesti, anche si abbassano fino al 9%; nelle inter- un verbo al condizionale, con una
la distribuzione dello standard ciò rogative dirette, al contrario, no- distribuzione paritaria dell’8% per i
si modifica: quando è seguito da nostante resti forma prevalente, la pronomi che cosa e che. La variazio-
un pronome relativo mantiene una frequenza di cosa scende al 57%, con ne più sensibile è quella riscontrata
frequenza del 31%, mentre in assen- un guadagno del pronome che fino in prossimità di un verbo all’infinito,
za di una relativa successiva il suo al 21% (la distribuzione della forma poiché in tale contesto l’uso delle
utilizzo si riduce al 13% dei casi, con che cosa non presenta oscillazioni ri- forme cosa e che appare pressoché
una netta prevalenza di questo. levanti nei due tipi di interrogative). paritario, con l’ultima specializzata
All’interno del sistema dei pro- In aggiunta, nel campione sono sta- nelle espressioni del tipo che dire?/
nomi si sta verificando anche la dif- te rilevate notevoli variazioni nelle che fare?.
fusione della forma interrogativa scelte fra le tre alternative in rela- L’uso di che come pronome
cosa rispetto alle alternative che zione al modo della forma verbale interrogativo potrebbe essere tra

30
le spiegazioni della tendenza a lo standard quali è più che solida gio del 2008 che Jorge era caduto
sostituire l’aggettivo interrogati- (82%), con 14 attestazioni contro le (“la Repubblica” 9/11, p. 35); quasi
vo quale/quali, per l’appunto, con 3 del neo-standard che. Un argine la metà di questi impieghi è costi-
il più colloquiale che; sovrapposi- alla diffusione di che sembra esse- tuita da strutture in cui è presente
zione che ha riguardato anche le re posto anche dalle interrogati- il sostantivo volta, in particolare la
espressioni esclamative, in cui gli ve indirette, nelle quali l’uso delle prima volta che, ogni volta che, l’ul-
aggettivi quale e quali non sono più forme standard resta leggermente tima volta che e una volta che. Sono
neppure attestati (nei giornali che maggioritario (52% dei casi, mentre piuttosto diffusi anche i sintagmi
è usato 19 volte come aggettivo nelle interrogative dirette la loro temporali ora che, oggi che e ades-
esclamativo). Tornando alle pro- frequenza scende al 40%). so che, rilevati in totale 16 volte. Il
posizioni interrogative, lo spoglio Uno dei fenomeni più marca- che polivalente è meno diffuso con
dei quotidiani ha evidenziato 38 ti in senso diafasico e diastratico funzione di connettivo generico
occorrenze di che nel tipo che inte- è l’uso del che polivalente, non a (16 casi), specialmente con valore
resse possono avere i privati? (“Cor- caso ancora uno dei tratti linguisti- causale e finale; sono solo quattro,
riere della Sera” 9/11, p. 9), con ci più inusuali tra quelli analizzati, infine, le occorrenze del che poli-
una leggera maggioranza rispetto senza differenze rilevanti neppure valente come relativo indeclinato
alle 30 dei tradizionali quale/quali; rispetto all’indagine di Bonomi. non temporale (quello che poi vor-
è opportuno, però, operare una Nel campione esaminato il che po- rò parlare con Mihajlovic, “Corriere
distinzione tra il singolare e il plu- livalente ricorre in media ogni 5 della Sera” 9/11, p. 40), percepito
rale, in quanto, mentre la percen- pagine (75 casi in totale), con una ancora come forma scorretta e
tuale di impiego dell’aggettivo che notevole prevalenza (73%) degli usi usato solo nel riportare i discorsi
con valore singolare si attesta al con valore di relativo indeclinato diretti.
69%, per il plurale la resistenza del- temporale, del tipo quel pomerig- La sostituzione del congiuntivo

31
con l’indicativo, uno dei fenomeni per quanto riguarda l’irrealtà nel gran numero di società sono presen-
più discussi dell’italiano contempo- passato (25 occorrenze, del tipo ti, “La Stampa”, p. 19, e il 22% de-
raneo, ha visto aumentare la pro- se doveva scegliere due avversarie, gli elettori di Sarkozy sono pronti a
pria diffusione anche nella lingua “Corriere della Sera” 9/11, p. 38), votare, “Corriere della Sera” 30/11,
della stampa: sono stati riscontra- e le proposizioni relative (15 casi p. 6). Altre tipologie di concordan-
ti, infatti, 117 casi di sostituzione, in totale, tra cui la storia forse più ze a senso rintracciate, ma meno
circa uno ogni tre pagine, che se- intensa e fedele che ho letto, “Cor- frequenti (complessivamente 16
gnalano un’evoluzione rispetto riere della Sera” 30/11, p. 36). casi), sono quelle tra un soggetto
alla solida resistenza del congiunti- All’interno dei quotidiani si la- multiplo e un verbo al singolare
vo appurata da Bonomi. Le propo- scia sempre più spazio anche alle (pesa molto di più la frenata della
sizioni in cui più frequentemente si concordanze a senso, rintracciate Cina e la caduta del Brasile, “Libe-
ricorre all’indicativo piuttosto che complessivamente 68 volte, in me- ro”, p. 2), un soggetto costituito
al congiuntivo sono le completive dia una ogni cinque pagine. In 23 da un nome collettivo e un verbo al
oggettive (40 occorrenze, del tipo occasioni si tratta di concordanze plurale (sarebbero finalmente sana-
ha pensato che esserci era strategi- errate rispetto al genere, spesso te una serie di ingiustizie, “Libero”,
co, “Corriere della Sera” 9/11, p. 2), dovute ad un accordo con il com- p. 18) e i casi in cui il verbo di una
mentre sono solamente sei i casi plemento di specificazione (le due relativa con soggetto plurale intro-
all’interno di completive soggetti- milioni di unità, “la Repubblica” dotta da un partitivo è concordato
ve, peraltro meno numerose. Altro 30/11, p. 44) oppure con il refe- con il sostantivo singolare reggen-
ambito particolarmente produtti- rente logico del soggetto gram- te piuttosto che con il pronome
vo per la sostituzione è quello delle maticale (l’ala del Sassuolo è stato relativo (la maggior parte delle per-
interrogative indirette, all’interno squalificato, “Corriere della Sera” sone che compra una finta borsa, “il
delle quali in 31 occasioni si sareb- 30/11, p. 45). Rispetto al numero, Fatto Quotidiano”, p. 18).
be potuto prevedere l’uso del con- la maggior parte dei casi è costitu- L’ultimo fenomeno preso in
giuntivo (ad esempio, non so cosa ita dalla concordanza tra un verbo considerazione è l’uso di costru-
è successo, “la Repubblica” 30/11, al plurale e un soggetto singolare zioni marcate, cioè proposizioni
p. 18). Gli ulteriori due contesti in indicante una quantità o una per- che non rispettano l’ordine cano-
cui il congiuntivo cede sempre più centuale, seguito da un comple- nico dei costituenti SVO; nel com-
spesso il posto all’indicativo sono mento partitivo o di specificazione plesso, tali strutture di impronta
il periodo ipotetico, specialmente al plurale (24 occorrenze, tra cui un colloquiale ricorrono spesso nel

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giornalismo contemporaneo: nel 14). Seguono le dislocazioni a sini- scissa (25 casi, ad esempio ciò che
campione analizzato ne sono state stra (226 casi), specialmente per conta è aggiudicarsi il Mondiale, “la
individuate in media più di sei per quanto riguarda l’oggetto diretto Repubblica” 30/11, p. 35).
ogni pagina esaminata. La tipolo- (un’idea ce l’abbiamo, “Il Giornale”, I risultati di questa indagine, in
gia più diffusa è certamente quella p. 10), il complemento di luogo (su conclusione, non permettono an-
della posposizione del soggetto ri- Facebook non ci vado, “la Repubbli- cora di considerare l’italiano dell’u-
spetto al verbo (se non mi candido ca” 9/11, p. 9) e intere proposizioni so medio come la varietà linguistica
io, “Libero”, p. 11), che nel corpus (che sia disponibile a candidarsi or- di riferimento per la stampa; biso-
di quotidiani è attestata ben 1536 mai lo ha fatto capire, “Corriere del- gna aggiungere, tuttavia, che l’in-
volte, di cui circa un terzo è rappre- la Sera” 30/11, p. 19). Meno utilizza- clusione nel linguaggio giornalistico
sentato da espressioni che intro- te, ma comunque più frequenti che di fenomeni neo-standard procede
ducono o concludono un discorso in passato, sono le strutture del c’è ad un ritmo piuttosto sostenuto,
diretto (del tipo dice l’avvocato, presentativo (80 casi, del tipo c’è come ha evidenziato il confronto
“la Repubblica” 9/11, p. 19). Ampia- un signore che mi voleva, “il Fatto con gli anni Novanta e i primi anni
mente utilizzate sono anche le fra- Quotidiano”, p. 14), della disloca- Duemila. La prosa dei quotidiani
si scisse (293 occorrenze), con una zione a destra (39 attestazioni), conferma che alcune forme neo-
netta prevalenza della forma impli- soprattutto per l’oggetto diretto standard possono ormai definirsi
cita (fu la Corte suprema a darmi ra- (bisogna provarlo il gelo, “Corriere alternative non tanto rispetto allo
gione, “la Repubblica” 30/11, p. 36) della Sera” 9/11, p. 27) e per inte- standard contemporaneo, nel qua-
rispetto a quella esplicita pseudo- re frasi (l’avevamo capito tutti che le tendono a integrarsi in misura
relativa (è la tv che ha distrutto il sarebbe morto, “la Repubblica” crescente, quanto rispetto alla nor-
cabaret, “il Fatto Quotidiano”, p. 30/11, p. 24), e della frase pseudo- ma tradizionale dell’italiano.

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