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Sergio Lubello

0 Introduzione
Non è stato semplice allestire un Manuale – nel senso groeberiano di Grundriss – di
linguistica italiana in uno spazio relativamente contenuto, come prevede la collana
dei Manuals of Romance Linguistics. Il IV volume del Lexikon der Romanistischen

Linguistik (LRL) dedicato all’italiano (da integrare almeno con LRL II/2 del 1995 per i
volgari antichi) è stato pubblicato nel 1988, anno che qui può essere utilmente
adottato come terminus a quo anche per la sorprendente coincidenza con la pubblica-
zione in contemporanea di tre importanti e diverse grammatiche dell’italiano (Serian-
ni 1988, il primo tomo di Renzi/Salvi/Cardinaletti 1988–1995 e Schwarze 11988: per
inciso, è l’annus mirabilis salutato da Harro Stammerjohann con la dichiarazione
«habemus grammaticam»). Da allora sono stati realizzati strumenti fondamentali
(anche nel settore lessicografico, dal completamento del GDLI al GRADIT, dal TLIO,
che ha superato le 32000 voci, al LEI, giunto a poco meno di 20 volumi considerate le
diverse sezioni) e ottime presentazioni d’insieme, specialistiche e di alto profilo: da
numerosi manuali universitari e collane di linguistica (uscite soprattutto per il Muli-
no, Carocci e Laterza; da ultimo Palermo 2015) alla più recente Enciclopedia dell’italia-
no diretta da Raffaele Simone (2010–2011) e ai sempre più poderosi atti di convegni
dell’ASLI, della SLI e della SILFI (per citare solo alcune delle più importanti associa-
zioni linguistiche che in diverse prospettive si occupano dell’italiano), e in diacronia
dalla Storia della lingua italiana Einaudi (Serianni/Trifone 1993–1994) alla più recente
Storia dell’italiano scritto (Antonelli/Motolese/Tomasin 2014; con altri tre volumi in
preparazione); dovizia di strumenti e di ricerche di alta qualità testimoniata peraltro
dalle sempre più voluminose rassegne decennali della SLI (l’ultima, Iannàccaro 2013,
in due tomi, abbraccia quasi 1500 pagine).
Né va taciuto il fatto che è cambiato molto, anche in un solo quarto di secolo,
l’italiano stesso come emerge in alcuni contributi di Lorenzo Renzi (raccolti in un
volume del 2012), così come, del resto, è mutato lo scenario sociolinguistico e demo-
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grafico in cui trovano posto i nuovi italiani, milioni di cittadini stranieri che costitui-
scono una parte sempre più cospicua della nostra società, l’Italia essendo diventata
da tempo meta di nuove immigrazioni, ma anche – e il saldo è in negativo, stando ai
dati recenti – di significative emigrazioni (di molti laureati e dei cosiddetti cervelli in
fuga); da una parte, fuori d’Italia, l’italiano è la quarta lingua più studiata (cf.
l’indagine del 2010 in Giovanardi/Trifone 2012) ed è variamente diffuso «lungo la via
non colta di molti paesaggi urbani del mondo» (Bagna/Barni 2007; Barni/Vedovelli
2013), mentre in casa è ormai da tempo lingua di tutti, anche se gli italiani, purtroppo,
si distinguono in molte indagini internazionali per il tasso altissimo, tra i più alti nei
paesi OCSE, di analfabetismo funzionale (De Mauro 2014, 102–103).
Pur con la difficoltà di separare in modo netto alcuni temi trasversali, il volume si
presenta tripartito. La prima parte, L’italiano nella storia, ha come punto di partenza

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obbligatorio il processo ben studiato ma ancora dibattuto della formazione delle


varietà italoromanze e dell’affiorare delle prime testimonianze scritte (↗1 Dal latino
alle scriptae italoromanze). La storia linguistica interna è affidata a due capitoli in cui
si descrivono l’assetto fonomorfologico dei volgari italoromanzi nella fase medievale
(↗2 Storia linguistica interna: profilo dei volgari italiani) e la sintassi antica – il cui
studio ha conosciuto una stagione recente ricca di lavori (si vedano due opere diverse
e complementari: Salvi/Renzi 2010 e Dardano 2012) – in molti tratti differente rispetto
a quella di oggi e di cui si tratteggiano i fenomeni più significativi in base ai dati
del fiorentino del Duecento e dell’inizio del Trecento (↗3 Sintassi dell’italiano antico).
Alle sue origini medievali, del resto, l’italiano è tra le grandi lingue moderne di
cultura la più legata, caratterizzata, allora come ora, per la sua complessa articolazio-
ne, nel policentrismo dell’Italia comunale e, mutatis mutandis, in quello della Repub-
blica: l’ampio capitolo che funge da trait d’union delle due parti (↗4 Storia linguistica
esterna: fattori unificanti) segue, tenendo saldo sullo sfondo il disegno sempre valido
di De Mauro (1963), gli snodi fondamentali e i fattori culturali e istituzionali su cui si è
fondata la progressiva affermazione dell’italiano, in epoca pre- e postunitaria. Inutile
dire che il capitolo della storia linguistica esterna offre ampio spazio, in quanto
costitutiva della storia dell’italiano, alla lingua scritta e letteraria, fattore unificante
per eccellenza, mentre si sofferma, via via più rapidamente man mano che si avvicina
alle vicende di oggi, sui fattori più recenti (TV in primis) che sono approfonditi in
alcuni capitoli della seconda parte. E d’altra parte in quella storia fatta di continuità e
di fratture, di elementi unitari e identitari, ma anche di elementi eccentrici e disaggre-
ganti, nello scenario pluridialettale che caratterizza la storia linguistica italiana dal
Cinquecento al primo Novecento, le ricerche degli ultimi trent’anni hanno disseppeli-
to testi di diversa natura e tipologia, soprattutto non letterari, tentando di rintracciare
una «lingua comune» preunitaria: il tema è trattato con giusto equilibrio (↗6 Varietà
di lingua nel passato) e distante tanto da un paradigma storiografico ormai superato e
non più sostenibile che riduceva a ben poco l’esperienza di una lingua comune prima
del Novecento, quanto dal rischio di vederne troppo facilmente la presenza e la
circolazione nelle epoche e nei luoghi più disparati.
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Linea feconda di studi (da ultimi Bruni 2013 e Banfi 2014) si è dimostrata la ricerca
dell’italiano (e delle sue varietà) fuori d’Italia (↗5 L’italiano fuori d’Italia: dal Medio-
evo all’Unità), che restituisce il quadro di quella «lingua senza impero», più sorpren-
dentemente diffusa di quanto non si potesse sapere fino a un ventennio fa, da un lato
nell’Europa continentale e in Inghilterra grazie a un prestigio letterario e artistico,
dall’altro nel Mediterraneo, dove diverse varietà italoromanze furono vitali grazie alla
diplomazia sovranazionale e al commercio. Tale storia continua, in modi diversi,
anche dopo l’Unità (↗20 L’italiano degli stranieri; l’italiano fuori d’Italia [dall’Unità]),
ma con nuovi problemi, tra i quali l’assenza, fin dalla formazione dello Stato unitario,
di considerazione dell’italiano come lingua seconda nelle scelte di politica linguistica.
Nella seconda parte del volume (L’italiano contemporaneo: strutture e varietà) al
capitolo centrale (↗7 Architettura dell’italiano di oggi e linee di tendenza) è affidato il

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Introduzione 3

compito di un disegno a grandi linee che, tenendo sullo sfondo alcuni fatti di carattere
generale che hanno ricadute anche sul piano linguistico (i fenomeni immigratori, la
diffusione della comunicazione sul web, l’espansione dell’inglese), tratteggia il cosid-
detto «movimento» dell’italiano, da una parte riprendendo, con pochi ritocchi, l’ar-
chitettura dell’italiano contemporaneo fornita da Berruto nel 1987, dall’altra soffer-
mandosi sulle principali linee di tendenza attuali e su quei fenomeni che consentono
di individuare possibili mutamenti, endogeni o esogeni, sul piano delle strutture
linguistiche; al quadro d’insieme dei vari livelli di lingua manca la morfologia, a cui è
riservato un capitolo a sé (↗8 Morfologia e formazione delle parole), data l’abbondan-
za di ricerche e di strumenti fondamentali (per tutti Grossmann/Rainer 2004), ma
anche considerate le importanti innovazioni e interessanti linee di sviluppo nella
formazione delle parole dell’italiano contemporaneo.
Affiancano tale architettura due capitoli riguardanti le dimensioni che si sono
enormemente sviluppate nell’ultimo trentennio, quella testuale e quella pragmatica
(↗9 La dimensione testuale e ↗10 Le «facce» della pragmatica nella ricerca italiana):
mette conto almeno qui di ricordare che in Italia le prime riflessioni organiche di
linguistica testuale sono quelle della compianta Maria-Elisabeth Conte (1977) che
peraltro si intrecciano con la pragmatica, anche agli esordi in quegli anni in Italia (cf.
Conte 1983).
Allo schizzo sui volgari antichi si collega come naturale continuazione la configu-
razione attuale dei dialetti italoromanzi (↗12 L’Italia dialettale) di cui si tratteggiano
la distribuzione areale e le principali caratteristiche strutturali; accanto, nello stesso
spazio linguistico, le lingue altre parlate sul territorio italiano, la cui presentazione è
accompagnata da alcune riflessioni sulle specificità della legislazione italiana in
materia di minoranze all’interno del quadro di riferimento europeo (↗21 Lingue di
minoranza, comunità alloglotte).
L’Italia sociolinguistica che emerge dai molti studi compresi tra Berruto (1987) e
D’Agostino (2012) è, si è detto, profondamente mutata: lo rivelano i nuovi scenari
urbani (cf. LinCi), con nuove lingue di immigrazione e nuovi italiani di apprendimen-
to, anche se il dato più interessante – rispetto alla prognosi sbagliata, di pochi
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decenni fa, sulla morte dei dialetti – riguarda senza dubbio la recente rivalorizzazione
sociale dei dialetti in seguito alla rivoluzione dei nuovi media, non solo nella scrittura
informale e familiare (↗11 Profilo sociolinguistico).
Sempre più articolato (e studiato) si configura il quadro variazionale: in diatopia,
gli italiani regionali (↗13 Gli italiani regionali) sono presentati come frutto della
«nuova dialettizzazione» avvenuta nel secolo e mezzo postunitario nella fase di
apprendimento della lingua italiana di base toscana; in diastratia, le produzioni dei
semicolti (↗14 L’italiano dei semicolti) sono inquadrate in sintonia con la ricerca più
recente, all’interno di una gradualità di competenze scrittorie di cui si mettono in luce
non soltanto le devianze, ma anche i prelievi dalle varietà alte e di prestigio, senza
trascurare la presenza della substandardità anche nel repertorio linguistico contem-
poraneo e neppure la fisionomia dei nuovi semicolti; si affiancano i gerghi, vecchi e

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nuovi, insieme al linguaggio giovanile e alle problematiche connesse al rapporto


lingua e genere e al sessismo linguistico (↗15 Gerghi. Lingua e giovani. Lingua e
genere).
Il tema delle relazioni fra lingua scritta e lingua parlata ha avuto un ruolo centrale
negli sviluppi della linguistica italiana da Mioni (1983) in poi, trovando applicazione
nello studio diacronico e sincronico dell’italiano, fino agli sviluppi della Comunica-
zione Mediata dal Computer (CMC): il contributo di riferimento (↗19 Aspetti diamesi-
ci) fornisce una visione problematica delle etichette dominanti nello studio della
lingua italiana, partendo dal concetto stesso di diamesia intesa come dimensione di
variazione autonoma.
Sul versante diafasico al quarto capitolo si agganciano due contributi (↗17
L’italiano e i media e ↗18 Usi pubblici e istituzionali dell’italiano): il primo si sofferma
sulle tendenze più recenti dell’italiano nei mass media, con particolare riferimento ai
fenomeni della crossmedialità e dell’interazione degli utenti, soprattutto sulle reti
sociali; il secondo, partendo dal ritardo di una lingua della comunicazione pubblica e
istituzionale in Italia, arriva al parziale fallimento dei molti sforzi messi in atto per la
semplificazione del linguaggio burocratico e alla recente massiccia incursione dell’in-
glese nello spazio della comunicazione pubblica in italiano. Sempre alle varietà
diafasiche attiene un profilo della ricerca italiana sui linguaggi specialistici e settoriali
dal 1988 al 2015, che presta attenzione anche alla definizione delle principali tipologie
testuali e agli effetti che la variazione diamesica produce sulla comunicazione specia-
listica (↗16 Linguaggi specialistici e settoriali).
Infine, nella terza parte (I luoghi della codificazione / le questioni / gli sviluppi
recenti della ricerca), trovano spazio, accanto ai capitoli d’obbligo sui luoghi classici
della codificazione (↗23 La grammaticografia e ↗22 La lessicografia), gli sviluppi
nuovi di discipline più antiche, come la geolinguistica (↗24 La geografia linguistica),
che dagli albori con Gilliéron arriva alla dialettometria salisburghese (DMS), ma anche
di discipline più recenti in rapida crescita: la linguistica dei corpora, che in Italia si è
sviluppata dopo il LIF del 1972 e che mette a disposizione della comunità scientifica
una mole considerevole di dati (↗25 La linguistica italiana dei corpora), e la Lingua dei
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Segni italiana (LIS), di cui si ripercorre una storia ormai trentennale rispondendo
anche ad alcune questioni cruciali, per es. se la LIS possa essere considerata una
lingua storico-naturale, quindi da studiare in relazione ai tratti distintivi e universali
del linguaggio umano, ma anche in rapporto alle caratteristiche socio-culturali della
comunità che la usa (↗30 La Lingua dei Segni italiana). Trasversale è il capitolo sulla
linguistica applicata e cognitiva, che assieme alla psicolinguistica e alla neurolingui-
stica formano un campo d’interesse ancora giovane, ampiamente segnato da collabo-
razioni interdisciplinari (↗28 La linguistica applicata e la linguistica cognitiva); alcuni
paragrafi del capitolo, riguardanti in particolare gli studi sul bilinguismo e sul pluri-
linguismo, si saldano bene con quello dedicato alla didattica che illustra le direzioni
prese nell’insegnamento dell’italiano, le utili interazioni fra didattica dell’italiano a
stranieri e didattica dell’italiano a italofoni e, inoltre, il rinnovato interesse per la

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formazione dei futuri insegnanti e per l’aggiornamento di quelli in servizio che ha


prodotto una serie di interessanti sperimentazioni (↗29 La didattica dell’italiano).
È parso utile, in questa parte del volume, anche un capitolo sull’importanza
fondativa per l’italiano degli studi filologici e dell’attenzione al testo (non solo per
storici della lingua) e sulla stretta relazione che intercorre fra la filologia (intesa come
pratica editoriale del testo antico) e la linguistica, nelle sue accezioni di storia della
lingua, grammatica storica, lessicografia (↗26 Linguistica e filologia).
Infine, per le questioni, dalla tradizionale «questione della lingua», così come è
stata dibattuta in Italia, si passa a un esame complessivo della politica linguistica
nell’Italia repubblicana inclusi i dibattiti recenti, come per es. quello riguardante l’uso
dell’inglese nell’insegnamento universitario (e non solo, cf. Marazzini/Petralli 2015)
(↗27 Questioni linguistiche e politiche per la lingua).
Concludo con alcuni ringraziamenti: in primis ai due direttori della collana dei
Manuals of Romance Linguistics, Günter Holtus e Fernando Sánchez Miret, per la
fiducia che mi hanno accordato e per l’attenzione con cui hanno seguito l’allestimento
del volume; a tutti gli autori, che hanno generosamente accettato di collaborare; alla
redazione della casa editrice de Gruyter, in particolare a Ulrike Krauß e a Christine
Henschel, per la costante disponibilità. Infine, ma non ultimo, un ringraziamento
sincero a Giuseppe Zarra per l’aiuto prezioso nella lettura delle bozze. Dedico questo
volume a mio padre, in memoriam.

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