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FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1
Linguistica italiana
Introduzione: Programma
Il corso, che intende ripercorrere l’evoluzione della prosa italiana nelle sue principali
manifestazioni letterarie, si organizza in due moduli di 6 CFU ciascuno:
A) (lezioni 2-51) di carattere più istituzionale e generale, costituirà un excursus delle
espressioni letterarie in prosa dal Duecento al Settecento; attraverso l’analisi di esempi
concreti consentirà di assimilare gli strumenti tecnici per l’analisi linguistica e stilistica del
successivo modulo (stavolta limitata ad un singolo autore);
B) (lezioni 52-96) di carattere monografico, intende illustrare le dinamiche che si
instaurano fra usi sociali della lingua, usi letterari della tradizione e scelte stilistiche del
singolo autore e analizzerà nello specifico l’evoluzione della lingua e dello stile di Verga,
dai romanzi giovanili e dai romanzi mondani alle novelle e ai romanzi veristi, collocando
tale evoluzione all’interno del panorama linguistico del secondo Ottocento.
Lungo entrambi i moduli sono inseriti quiz, domande aperte, esercitazioni sul banche
dati, mediante le quali lo studente potrà verificare il proprio progressivo apprendimento
dei contenuti.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1/S1
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1
Introduzione: Programma
Qui di seguito sono indicati i principali nuclei tematici in cui si articola il corso di
Linguistica italiana:
Modulo A
Lezioni 2-8 Preliminari: lingua orale/lingua scritta, testi di carattere pratico/testi
letterari, lingua e stile, la stilistica
Lezioni 9-11: Ripasso di grammatica storica
Lezioni 12-20 La lingua del Duecento e la prosa di Bono Giamboni
Lezioni 21-26 La lingua del Trecento e la prosa di Iacopo Passavanti
Lezioni 27-33 La lingua del Quattrocento e la prosa di Agnolo Poliziano
Lezioni 34-39 La lingua del Cinquecento, la nascita della norma e la prosa di Niccolò
Machiavelli
Lezioni 40-41 Dal secondo Cinquecento al Seicento e il Vocabolario della Crusca
Lezioni 42-46 La lingua del Seicento e la prosa di Daniello Bartoli
Lezioni 47-51 La lingua del Settecento e la prosa di Alessandro Verri.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1/S1
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1
Introduzione: Programma
Modulo B
Lezioni 52-58: L’Ottocento (questioni politiche, la scuola, la lettura e la letteratura, le
polemiche e le posizioni linguistiche)
Lezioni 59-60: La formazione di Giovanni Verga
Lezioni 61-74: I romanzi catanesi di Giovanni Verga: I Carbonari della montagna, Sulle
lagune, Una peccatrice, Frine
Lezioni 75-77: Verga a Firenze e Storia di una capinera
Lezioni 78-80: Verga a Milano e Eva
Lezioni 81-83: Verga e la novella: Nedda
Lezioni 84-86: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Lezioni 87-92: La lingua de I Malavoglia
Lezioni 92-96: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1/S2
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1
Infine, gli studenti sono calorosamente invitati a partecipare (tramite il contatto con il
TOL) ai Seminari e alle lezioni tenute in aula virtuale, che affronteranno (a titolo di
esempio) i seguenti temi:
-- approfondimenti ed esercitazioni di grammatica storica
-- la questione della lingua nel Cinquecento
-- la questione della lingua nell’Ottocento
-- la lingua del Novecento.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1/S3
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1
Introduzione:
Bibliografia e modalità
d’esame
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1/S3
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1
Introduzione: Bibliografia
Lo studio degli argomenti del corso di Linguistica italiana sarà condotto tramite le
lezioni, le esercitazioni e i test di autovalutazione proposti durante il corso e tutte le
altre attività di didattica interattiva prevista tramite il sito d’Ateneo.
Per sostenere l’esame è necessario affiancare, allo studio del materiale
precedentemente indicato e alla partecipazione alle attività proposte durante il corso, lo
studio dei seguenti materiali:
in relazione al I modulo
---> Francesco Bruni, L’italiano letterario nella storia , Bologna, il Mulino,
2007
in relazione al II modulo
---> Gabriella Alfieri, Verga , Roma, Salerno Editrice, 2016 (limitatamente ai
capitoli I: La nuova Italia fra letteratura e politica, pp. 13-27; II: La vita di
Verga. Un vagabondaggio culturale tra Sicilia e Italia (1840-1922), pp. 28-75;
VII:Il “non grammatico” Verga tra idiomaticità e retorica, pp. 241-339) e
Per eventuali chiarimenti o approfondimenti si consigliano: C. MARAZZINI, La lingua
italiana. Storia, testi, strumenti, seconda edizione, Bologna, il Mulino, 2015 e L.
SERIANNI, Storia dell’italiano nell’Ottocento, Bologna, il Mulino, 2013.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1/S3
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1
Gli esami si svolgono in forma scritta in tutte le sedi di eCampus. Nelle sedi di
Novedrate e Roma è possibile inoltre sostenere solo l’orale, oppure lo scritto più
eventuale orale.
Si veda:
Preliminari
Le lezioni iniziali del corso avranno carattere introduttivo, volte a chiarire il significato e il
funzionamento di alcune opposizioni:
-- lingua orale / lingua scritta;
-- scritti di carattere pratico / scritti di carattere letterario;
-- lingua / stile;
-- stile di un’epoca / stile di un autore.
Per analizzare la prima opposizione (lingua orale / lingua scritta) sarà necessario da
un lato chiarire alcune caratteristiche del funzionamento di una lingua naturale desunte
dalla linguistica generale (il rapporto fra pensiero e espressione verbale, assi della
selezione e della combinazione, langue e parole), dall’altro alcune nozioni di
sociolinguistica (in particolare ricordando la pertinenza, nell’analisi di un atto linguistico,
oltre al fattore diacronico, dei fattori diatopico, diastratico, diafasico e diamesico).
La prospettiva sociolinguistica (di cui qui sopra abbiamo enunciato la nomenclatura
proposta negli anni Settanta da Eugenio Coseriu) sarà funzionale a chiarire le implicazioni
teoriche relative alla seconda opposizione fra produzione scritta di carattere pratico e
produzione scritta di carattere letterario.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 2
Titolo: Preliminari: lingua orale/lingua scritta
Attività n°: 1
Preliminari
Alla tradizione novecentesca della stilistica dovremo invece fare appello per chiarire la
nozione di stile (in opposizione a lingua tout court, alla norma o standard, valutata
nelle sue varianti di norma grammaticale e norma letteraria).
Solo successivamente saremo in grado di raffinare la nozione di stile per valutare la
distinzione fra stile di un’epoca e stile di un autore, distinzione tanto più necessaria
in quanto fra i testi letterari si incontrano testi ‘anonimi’, sia nel senso tutto storico che
l’autore è a noi sconosciuto (il che non esclude la volontà da parte del produttore di
esprimere la propria individualità stilistica), sia nel senso (più complesso dal punto di
vista socio-letterario) di testi che appartengono a generi e tipologie testuali in cui la
nozione di autore (indipendentemente che il suo nome sia noto) è tutt’altro che chiara
(si pensa in particolare alla tipologia dei volgarizzamenti).
Alle nozioni preliminari di carattere linguistico appena ricordate, dovremo poi aggiungere
ulteriori considerazioni che coinvolgono l’utilizzo propriamente letterario della
lingua, anche se su testi esclusivamente in prosa.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 2
Titolo: Preliminari: lingua orale/lingua scritta
Attività n°: 1
Preliminari
Tale scelta, come vedremo meglio più avanti nel dettaglio, è stata operata per
mantenere un apprezzabile livello di confrontabilità fra testi letterari (che prenderemo
in esame) e testi di carattere pratico (che, esclusi dalla nostra analisi, costituiranno
invece il termine di riferimento ‘basso’ dell’ analisi contrastiva, così come la poesia ne
costituirebbe il termine di riferimento ‘alto’).
Selezionata così dall’esterno la tipologia che prenderemo in esame (testi scritti, di
carattere letterario, in prosa, dal Duecento alla seconda metà
dell’Ottocento) sarà necessario prendere atto che entro questa ampia serie di testi
disposti lungo l’asse diacronico, esistono differenti strategie testuali e ‘linguistiche’ che
includono testi di carattere precettistico e didascalico, o narrativo, o argomentativo e
scientifico, o epistolare e così via, ciascuno dei quali è inseribile in ‘forme’ letterarie
che man mano vanno tipizzandosi all’interno dell’evoluzione della storia letteraria
italiana. Infatti, quanto più avanzeremo nell’evoluzione storica della lingua e della
letteratura italiana, tanto più la tradizione prenderà corpo e autonomia nazionale e i
condizionamenti letterari si faranno più forti tanto da avere riflessi specifici su registri
e scelte (sia di tipo linguistico sia stilistico) ormai non più imputabili esclusivamente
all’autonomia dell’autore, quest’ultimo sempre più condizionato dal ‘genere’ letterario
e dal canone di testi che in quel ‘genere’ sono stati redatti fino ad allora.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 2/S1
Titolo: Preliminari: lingua orale/lingua scritta
Attività n°: 1
Preliminari:
lingua orale / lingua scritta
Rispetto all’uso parlato della lingua, l’uso della lingua scritta rappresenta da un lato un
filtro selettivo e dall’altro una griglia ordinante ancora prima dello stabilirsi di qualsiasi
norma grammaticale. Per il solo fatto di essere scritta (e dunque affidata alle litterae,
nel senso originario di ‘caratteri dell’alfabeto’) la lingua, sottoposta nell’oralità ad una
‘spontaneità’ che almeno in parte prescinde da una consapevole pianificazione lessicale
e sintattica preventiva (o che si contenta di una pianificazione più approssimativa
rispetto al registro scritto), soggiace ad un primo livello di ‘riflessione’, che rompe la
contiguità / continuità meccanicamente stabilitasi fin dall’infanzia fra il pensiero e la sua
verbalizzazione. In realtà, come insegna il grande linguista ginevrino Ferdinand de
Saussure, il pensiero (di per sé indistinto) si chiarifica nel momento in cui diviene
parola; esiste dunque un procedimento mentale complesso che, dal cervello agli organi
fonatori, traduce l’indistinto del pensiero nella sua verbalizzazione in una lingua data (F.
de Saussure, Corso di linguistica generale [1922], introduzione, traduzione e commento
di T. De Mauro, Bari, Laterza, 199612, parte II, cap. IV, pp. 136-138 e parte I, cap. I,
pp. 83-85).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 2/S1
Titolo: Preliminari: lingua orale/lingua scritta
Attività n°: 1
Preliminari:
lingua orale / lingua scritta
L’assenza dei linguaggi non verbali e della presupposizione e deissi, tratti caratteristici
del linguaggio parlato, impone allo scritto una strategia meno ‘spontanea’ e
maggiormente ‘riflessa’ della lingua.
L’assenza di condivisione o la minore condivisione di conoscenze pregresse impone allo
scritto di agire in maniera strategicamente diversa su entrambi gli assi paradigmatico
(della selezione) e sintagmatico (della combinazione).
Fu Ferdinand de Saussure a introdurre la dicotomia fra rapporto (asse)
paradigmatico (che de Saussure chiamava associativo) e rapporto (asse)
sintagmatico della lingua.
Sull’asse paradigmatico (verticale) il parlante o lo scrivente sceglie fra elementi
linguistici che stabiliscono fra loro un rapporto appunto associativo (fra tutti gli articoli:
per es. in italiano lo, il, la, le etc.; fra tutti i nomi: in italiano per esempio: bambino,
ragazzo, studente etc.; fra tutti i verbi e al loro interno fra le loro forme coniugate),
disponendo poi gli elementi prescelti su un asse sintagmatico (orizzontale), in una
sequenza condizionata dalle scelte operate.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 2/S2
Titolo: Preliminari: lingua orale/lingua scritta
Attività n°: 1
dove l’identità di lei sarebbe chiarita dalle conoscenze condivise; il parlato inoltre
permette anche
insieme sua è salito lo macchina
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto
finale e gli studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un
esercizio di controllo dei contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto
fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad inviare i risultati del proprio test al
docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-portfolio; tali risultati
possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente
il numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del
test e ne darà conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul
risultato della prova finale, invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso
o singole lezioni o chiarendo ulteriormente quello che non è stato pienamente
compreso.
1) Quali sono i caratteri propriamente linguistici che oppongono la lingua
orale alla lingua scritta?
2) A cosa corrispondono nella linguistica saussuriana l’asse sintagmatico e
l’asse paradigmatico?
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 2/S3
Titolo: Preliminari: lingua orale/lingua scritta
Attività n°: 1
Affitti della badia di Coltibuono XII ex. tosc. colt. doc. giur.
Memoria d'un cambio di terra colla Badia di Coltibuono XII ex. tosc. colt. doc.
Declaratoria pistoiese XII ex. tosc. pist. doc. giur.
Decime d'Arlotto c. 1200 tosc. pist. doc. merc.
Libro di conti di banchieri fiorentini del 1211 (Frammenti d'un) 1211 tosc. fior. doc. merc.
Esercizio
Chiameremo stile quest’uso particolare della lingua da parte dell’autore / degli autori
e per lo più consapevolmente ricercato dall’autore, anche se, per la verità, le
definizioni tentate di questo concetto sono state molte e non sempre univoche.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 4/S3
Titolo: Preliminari: lingua / stile
Attività n°: 1
A noi interessa rimarcare che, nonostante le differenze nelle definizioni di cui rende
conto la Soletti, lo stile pare non poter essere definito se non per via di
comparazione.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 5
Titolo: Preliminari: stile 'plurale'
Attività n°: 1
In latino stilus era, nel significato proprio, il bastoncino acuminato con cui si scriveva
sulle tavolette cerate.
Nel senso traslato (per metonimia, cioè indicando la causa per il suo effetto) già in
latino significava ‘lo scrivere’, ‘la scrittura’ e dunque ‘il modo di esprimersi in una
composizione scritta’ e dunque ‘l’insieme di tratti formali attribuiti all’espressione
linguistica in sede letteraria’. Tale significato traslato poteva fare riferimento
1) tanto ai modi espressivi di un singolo scrittore
2) quanto alle modalità espressive codificate e riconoscibili (e dunque collettive)
trasmissibili per mezzo dell’insegnamento e della scuola.
Lo stile, nel contesto della retorica latina, è dunque al contempo variante
personale o di gruppo, modo personale di gestire la lingua e la grammatica e al
contempo modalità espressiva collettiva.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 5/S1
Titolo: Preliminari: stile 'plurale'
Attività n°: 1
“In generale, tutto è riportato al concetto di ornatus, sulla base di una distinzione tra
un contenuto originariamente disadorno, e l’aggiunta di ornamenti, o coloriture […]
che lo possono rendere più gradevole, più efficace ecc. Una concezione che deriva
necessariamente dalla prospettiva adottata: offrire un repertorio di procedimenti di
stile implica infatti la posteriorità cronologica e la natura additizia di tali procedimenti,
di fronte alla normatività senza eccezioni della grammatica” (Segre, Avviamento, pp.
308-309).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 5/S2
Titolo: Preliminari: stile 'plurale'
Attività n°: 1
Se già nell’antichità si parla di stile comico e stile tragico per indicare la forma (l’elocutio)
che deve accompagnare, nel modo più consono, argomenti e storie adatte alla commedia
e rispettivamente alla tragedia, è solo con la retorica medievale che, approfondendo
alcuni suggerimenti già presenti nei trattati latini, si giunge ad una stringente normatività
‘stilistica’ che individua tre stili principali, posti in gradazione reciproca (stile umile,
mediocre e alto o grave o sublime) all’interno dei quali sono indicate come tassative
anche le scelte pertinenti al livello sociale dei personaggi della storia, e tutto il mondo
reale che a quei personaggi fa da corredo (gli animali, gli attrezzi, l’ambientazione), come
è visualizzato nella rota Virgilii riprodotta nella slide successiva.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 5/S2
Titolo: Preliminari: stile 'plurale'
Attività n°: 1
200
100
Occorrenze in poesia
50
Occorrenze fuori della
poesia
0
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 6/S1
Titolo: Preliminari: stile, storia di una parola
Attività n°: 1
“Questo male d’imitare gli antichi deriva da più lontano principio. Le scuole tutte di
letteratura non trovarono sino ad ora prosa migliore di quella del Boccacci, e tutto
quello che non siegue il Boccacci, e sopra tutto nelle novelle, viene sentenziato come
barbarie. Essi vanno magnificando lo stile del Boccacci, perché credono che lo stile
tutto consista ne’ vocaboli della lingua, nella sintassi, nelle frasi e nel ritmo del
periodo. Ma queste non sono se non le apparenze dello stile: ma la sostanza dello
stile sta nella maniera di concepire i pensieri e di sentire gli affetti. Onde
l’autore che pensa fortemente, che vede i pensieri chiaramente e che sente con
veemenza le passioni, trova agevolmente parole nella sua lingua, quando egli la
abbia studiata, e sa senz’affettazione prevalersi de’ tesori di sintassi che i nostri
antichi ci lasciarono ne’ loro libri. E poiché tutti gli uomini hanno una maniera
diversa di concepire e di sentire, ne segue che prendendo le apparenze
dallo stile altrui si vestono di un abito che non è fatto al loro dosso” (Ugo
Foscolo, Saggio di novelle di Luigi Sanvitale, 1803).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 6/S3
Titolo: Preliminari: stile, storia di una parola
Attività n°: 1
Riepilogo
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto
finale e gli studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un
esercizio di controllo dei contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto
fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad inviare i risultati del proprio test al
docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-portfolio; tali risultati
possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare
esplicitamente il numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà
la correttezza del test e ne darà conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna
ricaduta sul risultato della prova finale, invitandolo magari ad approfondire alcune
parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente quello che non è stato
pienamente compreso.
3) Elencare e descrivere i livelli di analisi linguistica utilizzati nella teoria
variazionistica di Coseriu.
4) Proponete una definizione di stile e tracciate in sintesi l’evoluzione del
concetto.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 8/S2
Titolo: Test
Attività n°: 1
Riepilogo
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto
finale e gli studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un
esercizio di controllo dei contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto
fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad inviare i risultati del proprio test al
docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-portfolio; tali risultati
possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare
esplicitamente il numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà
la correttezza del test e ne darà conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna
ricaduta sul risultato della prova finale, invitandolo magari ad approfondire alcune
parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente quello che non è stato
pienamente compreso.
In questo caso la perdita della quantità latina è stata ‘compensata’ da una maggiore
articolazione timbrica, essendosi creata (a parziale risarcimento) un’opposizione
fonologica fra ɛ e e, da una parte e fra ɔ e o dall’altra (come coppie minime per tali
opposizioni fonologiche si ricordino pesca /peska/ ‘l’attività del pescare’ e pèsca /pɛska/ ‘il
frutto’ e bótte /botte/ ‘il contenitore per liquidi’ e bòtte /bɔtte/ ‘calci e pugni’.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 9/S1
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 1
Il latino inoltre conosceva un certo numero di dittonghi, cioè sequenze di due suoni
‘vocalici’ appartenenti ad una stessa sillaba (e che vanno tenuti distinti dagli iati,
sequenze di suoni a tutti gli effetti vocalici, appartenenti a due sillabe diverse). Ebbene i
dittonghi latini AE, OE, AU hanno precocemente subito un processo di monottongazione,
già all’interno del latino, evolvendo AE > è aperta, cioè /ɛ/, OE > e chiusa, cioè /e/, AU
in o chiusa /o/. Quest’ultimo processo di monottongazione però, iniziato nel latino,
all’interno del latino si è anche precocemente interrotto, mentre, su territorio italiano, più
tardi (verso l’VIII secolo) ha ripreso forza, ma in questo caso con un esito diverso, per
cui AU > o aperta /ɔ/. Mentre il monottongamento di AE e OE è comune alla Romània, il
monottongamento di AU > ɔ si presenta in maniera non uniforme sul territorio romanzo.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 9/S2
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 1
Fonetica: Il consonantismo
3) È un fenomeno che interessa tutta la Romania la palatalizzazione della occlusiva
velare sorda e sonora davanti a I e E che genera suoni (le affricate palatali) che non
esistevano in latino: COENAM /koenam/ > cena /ʧena/, CAESAREM /kaesarem/ > Cesare
/ʧesare/, CAELUM /kae-lum/ > cielo /ʧjɛlo/; GELUM /gelum/ (cioè pronunciato in latino
classico con l’identico suono iniziale di GALLUM) > gelo /ʤɛlo/. Nel Nord di Italia i suoni
palatali così formatisi subiscono ulteriori evoluzioni, ma rimangono tali in toscano.
4) La -U- intervocalica e la -B- intervocalica genera il suono v che in latino non esisteva
5) In toscano la sonorizzazione delle occlusive sorde intervocaliche è sporadica: LACUM >
lago, ma AMICUM > amico; RIPAM > *riβα > riva, ma CAPUT > capo.
6) I nessi di occlusiva + l > occlusiva + j: (EC)LESIAM > chiesa, BLASIUM > Biagio,
PLANUM > piano, FLOREM > fiore, VET(U)LUM > vecchio.
7) La -I- e la -U- semivocali provocano il raddoppiamento delle consonante precedente
(RABIES > rabbia, AQUA > acqua). A parte questo fenomeno generale la I semivocale
iniziale o interna è il motore di ulteriori cambiamenti:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 10
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 1
Il consonantismo
6a) La I- iniziale davanti ad altra vocale (semivocale palatale) > ʤ (affricata palatale:
IANUARIUM > *IENUARIUM > gennaio);
6b) l’effetto palatalizzante di I (semivocale già in latino o diventata tale) dopo una
consonante è verificabile in serie: DIURNUM > giorno; CUMINITIARE > cominciare;
FILIUM > figlio; VINEAM > *VINIAM > vigna; BLASIUM > Biagio
6c) in particolare i gruppi T+I semivocale e D+I semivocale, accanto all’esito palatale
già indicato) > ʦ (affricata dentale sorda: PUTEUM > potʦo) e rispettivamente ʣ
(affricata dentale sonora: MEDIUM > medʣo)
6d) in fiorentino il gruppo R+I semivocale > j (CORIUM > cuoio, AREAM > ARIA >
aia); a Firenze la sequenza -RIUM > -aio, fuori di Firenze l’esito di -RIUM è –ro così da
creare le varianti diatopiche macellaio / macellaro, pecoraio / pecoraro, danaio / danaro.
7) La labiovelare sorda iniziale di parola si riduce ad una occlusiva velare se davanti a
vocale diversa da -a- (nel qual caso si conserva): QUALEM > quale; QUADERNO >
quaderno, ma QUIS > chi, QUID > che, QUETUM > cheto; la labiovelare oggi esistente
davanti a vocali diverse da -a- (a parte casi di conservazione per latinismo) è secondaria:
quello < ECCU(M) ILLUM, questo < ECCU(M) ISTUM; la labiovelare sonora, inesistente in
latino, si forma come adattamento di germanismi (guerra, guarnacca, guastare).
FENOMENI FONETICI GENERALI
assimilazione (due suoni distinti, più o meno distanti dal punto di vista articolatorio
si trasformano in suoni identici o simili)
assimilazione progressiva: NOCTEM > notte, APTUM > atto, DIXIT > disse
assimilazione regressiva: MUNDUM > dial. centro-merid. munno, lat. tardo
GAMBAM ‘zampa di quadrupede’ > dial. centro-merid. gamma
dissimilazione (due suoni identici o simili si differenziano dal punto di vista
articolatorio o uno dei due cade):
PEREGRINUM > pellegrino, HABEBAT > aveva > avea
Morfologia
2) Assente come categoria grammaticale nel latino, l’articolo nasce da una
attenuazione semantica dei dimostrativi IPSUM (in Sardegna) e ILLUM (nel resto della
Romània).
Entro questa comune nascita romanza, quel che caratterizza il toscano è la formazione
precoce, accanto alla forma forte lo < (IL)LUM (la sillaba iniziale di ILLUM, posta fra
parentesi, cade, per il fenomeno della aferesi, l’esatto corrispondente in posizione
iniziale del fenomeno dell’apocope che già conosciamo) di una forma debole, creatasi
in contesti sintattici precisi, in particolare dopo parola uscente per vocale: per lo pane,
ma anche lo pane > anche ‘l pane.
Questa forma debole ‘l, apocopata (per la perdita della -o finale), ha avuto bisogno di
una vocale di appoggio che in tutta la Toscana è stata e (dando vita alla forma
dell’articolo el) tranne che a Firenze dove la vocale d’appoggio è stata i (dando vita alla
forma dell’articolo il, mentre il resto d’Italia o non conosce la forma debole, oppure
conosce forme deboli come el, ol, ul, al, ma mai il.
Sulle regole antiche, diverse da quelle attuali, che determinavano l’uso della forma forte
o viceversa della forma debole dell’articolo torneremo più avanti.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 10/S2
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 1
Morfologia
3) La nascita di forme verbali perifrastiche avviene:
a) per il passivo (le forme sintetiche latine si perdono, sostituite dalla
composizione dell’ausiliare ‘essere’ + participio passato);
b) per il futuro (le forme sintetiche latine sono sostituite dalla perifrasi di infinito
del verbo + presente del verbo ‘avere’); CANTARE + HABEO, propriamente
CANTARE + *AO > cantarò e poi a Firenze canterò);
c) per la nuova categoria morfologica del condizionale (assente come categoria
autonoma in latino); a parte residui del piucheperfetto latino in zone del
Meridione d’Italia, il condizionale toscano (comune ad altre lingue romanze) si
forma con la perifrasi dell’infinito seguito dal perfetto del verbo ‘avere’ (CANTARE
+ HABUI, o meglio CANTARE + *E(BU)I > CANTARE + *EI > cantarei e infine a
Firenze canterei). Nel sud d’Italia esiste però anche la formazione di infinito
seguito dall’imperfetto di ‘avere’ (CANTARE + HABĒBAM, che, in forza del
vocalismo siciliano, (dove Ē > i) > cantaria.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 10/S3
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 1
Riepilogo
© 2007 Università degli studi e-Campus - Via Isimbardi 10 - 22060 Novedrate (CO) - C.F. 08549051004
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Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 11
Titolo: Test
Attività n°: 2
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
Riepilogo
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
Bono Giamboni
Il nome di Bono Giamboni è già stato fatto più di una volta nella lezione precedente, sia
in quanto volgarizzatore direttamente dal latino, sia in quanto autore in proprio di opere
di carattere morale e comportamentale.
Della sua vita si sa ben poco, a parte il fatto che nacque, certamente prima del 1240, a
Firenze dove svolse la funzione di giudice; in tale veste compare in alcuni atti prodotti fra
i primi anni Sessanta e il 1292. Probabilmente morì non molto dopo la data del più
recente di tali documenti, in cui egli è menzionato come ancora vivente (7 agosto 1292).
La collocazione all’interno di una categoria sociale medio-alta, e il ruolo di giudice che lo
poneva in condizione di gestire il latino e al contempo di essere in quotidiano contatto
con il mondo cittadino volgare, ne fanno un esatto corrispondente del più noto Brunetto
Latini di cui è pressoché contemporaneo.
La scarsità dei dati biografici impedisce di assegnare date certe alla sua produzione di
scrittore e traduttore, che rimane ancorata all’unico terminus della data presunta della
morte (si può solo argomentare che la traduzione-rifacimento della Miseria dell’umana
condizione è anteriore al Libro; può essere che il Fiore di rettorica sia invece degli anni
Sessanta).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 13
Titolo: Bono Giamboni
Attività n°: 1
Bono Giamboni
L’elenco dettagliato delle opere ci consente di verificare la sua appartenenza a quel
mondo laico di cui si propone di soddisfare le esigenze di acculturazione. Traduce, dal
latino:
1) il De re militari di Publio Flavio Vegezio (metà del IV sec.-V sec.);
2) i sette libri delle Historie adversus Paganos di Paolo Orosio (375-420 d.C.), un
quadro, tracciato da una prospettiva cristiana, della storia universale;
3) il De miseria humanae conditionis o De contemptu mundi di Lotario di Segni (colui
che sarebbe poi diventato il papa Innocenzo III); la parzialità con cui Bono Giamboni
riduce in volgare questo trattato, amputandone le parti di più rigido ascetismo, trasforma
la cupa riflessione sulla debolezza della natura umana di Lotario in un nuovo testo
spendibile al di fuori dei conventi e dei monasteri.
4) Il caso della Miseria dell’umana condizione, in cui Bono agisce come traduttore e
manipolatore del testo di Lotario di Segni è affine a quello del Fiore di rettorica
(traduzione e rifacimento della Rhetorica ad Herennium): i manoscritti attribuiscono a
Bono una delle quattro redazioni di questo trattatello (fino a un ventennio fa assegnato a
Guidotto da Bologna), la cosiddetta redazione beta; nel 1994 però allo stesso Bono è
stata attribuita anche la redazione alfa, la più antica, proponendo dunque che Bono sia
l’autore e primo ideatore dell’iniziativa di rendere in volgare il testo retorico latino.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 13/S1
Titolo: Bono Giamboni
Attività n°: 1
Bono Giamboni
Bono Giamboni
Il Trattato è composto da 33 capitoletti in cui l’autore chiede alla Filosofia di
mostrargli:
“la via de’ buoni e piacevoli costumi laonde l’uomo è chiaro e grazioso al mondo
e grande e prezioso appo Dio”.
La Filosofia immediatamente risponde:
“Figliuolo mio caro, se ’ buoni costumi del mondo vuogli sapere fa bisogno che
conoschi prima quante sono le virtù e le loro vie e l’operazioni che per le dette
vie fanno, laonde i buoni e piace[vo]li costumi del mondo fanno la loro
operazione”.
La semplice elencazione fatta dalla Filosofia non basta al discepolo che chiede che la
Filosofia chiarisca nel dettaglio ciascuna virtù e ciascun vizio. Il Trattato consiste
appunto nella dettagliata spiegazione che la Filosofia offre in risposta.
Il Trattato si conclude con una breve descrizione dell’Inferno e del Paradiso cioè dei
due “paesi là dove le dette due vie delle virtù e vizî conducono l’anime a regnare
dopo la morte”, e con un ringraziamento dell’autore e con la benedizione di
quest’ultima.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 13/S2
Titolo: Bono Giamboni
Attività n°: 1
Bono Giamboni
Su questa asciutta ossatura di natura dottrinaria e didattica Bono Giamboni tornò a
distanza di tempo dalla primitiva scrittura del Trattato (che è conservato in un solo
manoscritto), per ampliare quell’esile resoconto in un’opera più complessa, il Libro de’
Vizî e delle Virtudi, che ebbe maggior fortuna (almeno undici manoscritti lo
conservano).
Anche il solo dato quantitativo è in grado si mostrare la radicalità della trasformazione
subìta dal testo, che da 33 capitoletti del Trattato passa a 76 del Libro, da 34 pagine a
stampa nell’edizione Segre a 118 pagine.
Il titolo del Libro nella sua completezza (Il libro de’ Vizî e delle Virtudi e delle loro
battaglie e ammonimenti) mostra però che non sono soltanto le dimensioni a tenere
separata la seconda versione dalla precedente. L’autore espone fin dal titolo la parte
più appariscente delle innovazioni introdotte nel passaggio dalla prima redazione alla
seconda: quella narrativa e riguardante il contenuto per la quale ora il testo ingloba la
descrizione della battaglia fra vizi e virtù a cui il personaggio del discente, alter ego
dell’autore, assisterà. Ma prima di affrontare questa novità di tipo narrativo fermiamoci
su alcune altre che riguardano la natura enunciativa del Libro.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 13/S2
Titolo: Bono Giamboni
Attività n°: 1
Bono Giamboni
Il personaggio che agisce nel testo, il disceppolo, è ora indicato come fattore
dell’opera; il nome di Bono Giamboni infine è menzionato nel Libro come nella
precedente versione nel Trattato. Perciò l’autore-personaggio assume i tratti
dell’autore implicito, che coincide solo in parte con l’autore storico; una presa di
distanza dalla visione pseudo-biografica del Trattato, importante sia dal punto di vista
letterario sia dal punto di vista dell’enunciazione linguistica. Questa scelta infatti ha
precisi riflessi testuali perché corrisponde alla differenza che esiste fra enunciato
(l’atto linguistico) e enunciazione (il prodotto dell’enunciazione).
Infatti l’autore storico ha a che fare con l’atto e dunque con l’enunciazione (di cui
è effettivamente l’attore), mentre l’autore implicito è consegnato all’enunciato cioè
al testo; l’autore implicito è anche detto destinatore (in analogia si distingue dal
lettore storico un lettore implicito, o destinatario). Si veda il seguente schema che
traggo dall’Avviamento al testo letterario di Cesare Segre(p. 14)
DESTINATORE DESTINATARIO
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 13/S3
Titolo: Bono Giamboni
Attività n°: 1
Bono Giamboni
Il Libro si caratterizza inoltre, rispetto al Trattato, per la moltiplicazione dei
personaggi; accanto a lui e con lui non parla e agisce solo la Filosofia, ma anche la
personificazione della Fede, all’esame della quale Bono si sottomette, e quelle delle
Virtù Cardinali che ammoniscono, ciascuna per proprio conto, il personaggio-autore.
Infine il punto di vista narrativo: la Filosofia conduce il suo valletto in un viaggio
durante il quale egli potrà assistere da una montagna alla battaglia fra i due eserciti
dei Vizi e delle Virtù, rappresentativo di uno scontro allegorico-morale, ma anche (con
evidenti richiami all’attualità) dello scontro fra Fede cristiana da una parte e, dall’altra,
antica fede pagana e più moderni ‘infedeli’ (Giudei, Musulmani, eretici). In questa
sequenza narrativa, di fronte allo schieramento di forze nella pianura sottostante che
prelude alla battaglia, prende il posto il nucleo dell’antico Trattato, quella didattica
spiegazione sulla natura e caratteristiche di virtù e vizi, che ora assume tutt’altra forza
visiva e una precisa collocazione nello spazio. La sequenza lineare del ‘domanda e
risposta’ che era del Trattato assume maggiore complessità per l’introduzione di nuovi
interlocutori e per l’inserimento di elementi narrativi e descrittivi; frammisto a questi
ultimi il dialogo è ora valutabile anche per contrasto con strategie enunciative diverse.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 13/S3
Titolo: Bono Giamboni
Attività n°: 1
Bono Giamboni
D’altro canto l’incremento di elementi narrativi trova piena corrispondenza anche sotto
il profilo del numero e delle modalità di riuso dei modelli della tradizione.
Abbiamo visto infatti come l’intervento della Filosofia, legittimato nel Libro dalla
situazione emotiva del personaggio che dice io, colleghi ancora più risolutamente la
nuova opera al modello boeziano già indicato per il Trattato, e come il nuovo testo,
proprio in conseguenza di quelle giustificazioni, si distacchi dal modello medievale del
dibattito fra discepolo e maestro.
Nel Libro però, a quel modello tardo-antico già usato e ora meglio sfruttato, si affianca
l’esempio archetipico dello scontro allegorico fra virtù e vizi, fra fede ed eresie,
consegnato alla Psychomachia, che il poeta Aurelio Prudenzio (348-413 circa) aveva
scritto su imitazione del poema epico virgiliano.
Muovendo da un’opera monotona e scialba (quale il Trattato era, finché era rimasto
confinato nella sola finalità didattica), il Libro si è trasformato in un testo che, oltre ad
assolvere al fine pedagogico e dottrinario per il quale era stato pensato, assume
colorazioni e toni senz’altro più originali.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 14
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
(da BONO GIAMBONI, Il libro de’ Vizî e delle Virtudi e il Trattato di virtù e di vizî, a cura di Cesare Segre, Torino,
Einaudi, 1968, pp. 3-8).
CAPITOLO I
Incominciasi il libro de’ Vizî e delle Virtudi e delle loro battaglie e
ammonimenti. Ponsi in prima il lamento del fattore dell’opera onde
questo libro nasce.
CAPITOLO II
La risponsione de la Filosofia.
1 Lamentandomi duramente nella profundità d’una oscura notte nel modo che 1
avete udito di sopra, e dirottamente piangendo e luttando, m’apparve sopra capo
una figura, che disse: – Figliuol mio, forte mi maraviglio che, essendo tu uomo,
fai reggimenti bestiali, in ciò che stai sempre col capo chinato, e guardi le scure
2 cose della terra, laonde se’ infermato e caduto in pericolosa malatia. Ma se 5
rizzassi il capo, e guardassi il cielo, e le dilettevoli cose del cielo considerassi,
come dee far l’uomo naturalmente, d’ogni tua malizia saresti purgato, e vedresti
3 la malizia de’ tuo’ riggimenti, e sarestine dolente. Or non ti ricorda di quello
che disse Boezio: «Con ciò sia cosa che tutti gli altri animali guardino la terra e
seguitino le cose terrene per natura, solo all’uomo è dato a guardar lo cielo, e le 10
celestiali cose contemplare e vedere»?
1
CAPITOLO III
Come la Filosofia si conobbe per lo fattore dell’opera.
1 Quando la boce ebbe parlato come di sopra avete inteso, si riposò una pezza, 1
aspettando se alcuna cosa rispondesse o dicesse; e veggendo che stava muto, e
di favellare neun sembiante facea, si rapressò inverso me, e pigliò il gherone de
le sue vestimenta, e forbimmi gli occhi, i quali erano di molte lagrime gravati
2 per duri pianti ch’avea fatti. E nel forbire che fece, parve che degli occhi mi si 5
levasse una crosta di sozzura puzzolente di cose terrene, che mi teneano tutto il
capo gravato.
3 Allora apersi li occhi, e guarda’mi dintorno, e vidi appresso di me una figura
4 tanto bellissima e piacente, quanto piú inanzi fue possibile a la Natura di fare. E
della detta figura nascea una luce tanto grande e profonda, che abagliava li 10
occhi di coloro che guardare la voleano, sicché poche persone la poteano
5 fermamente mirare. E de la detta luce nasceano sette grandi e maravigliosi
6 splendori, che alluminavano tutto ’l mondo. E io, veggendo la detta figura cosí
bella e lucente, avegna che avesse dal cominciamento paura, m’asicurai
tostamente, pensando che cosa ria non potea cosí chiara luce generare; e 15
cominciai a guardar la figura tanto fermamente, quanto la debolezza del mio
7 viso potea sofferire. E quando l’ebbi assai mirata, conobbi certamente ch’era la
Filosofia, ne le cui magioni era già lungamente dimorato.
8 Allora incominciai a favellare, e dissi: – Maestra delle Virtudi, che vai tu
9 faccendo in tanta profundità di notte per le magioni de’ servi tuoi? – Ed ella 20
disse: – Caro mio figliuolo, lattato dal cominciamento del mio latte, e nutricato
poscia e cresciuto del mio pane, abandoneret’io, ch’io non ti venisse a guerire,
10 veggendoti sí malamente infermato? Non sa’ tu che mia usanza è d’andare la
notte cu’ io voglio perfettamente visitare, acciò che le faccende e le fatiche del
11 dí non possan dare alcuno impedimento a li nostri ragionamenti? – E quando 25
udí’ dire che m’era venuta per guerire, suspirando dissi: – Maestra delle Virtudi,
se di me guerire avessi avuto talento, piú tosto mi saresti venuta a visitare;
perché tanto è ita innanzi la mia malizia, che m’hanno lasciato li medici per
disperato, e dicono che non posso campare.
12 Allora si levò la Filosofia, e puosesi a sedere in su la sponda del mio letto, e 30
cercommi il polso e molte parti del mio corpo; e poi mi puose la mano in sul
petto, e stette una pezza, e pensò, e disse: – Per lo polso, che ti truovo buono,
secondo c’hanno li uomini sani, certamente conosco che non hai male onde per
13 ragione debbi morire. Ma perché, ponendoti la mano al petto, truovo che ’l
cuore ti batte fortemente, veggio c’hai male di paura, laonde se’ fortemente 35
14 sbigottito ed ismagato. Ma di questa malattia ti credo a la speranza di Dio
tostamente guerire, purché meco non t’incresca di parlare, né ti vergogni di
15 scoprire la cagione de la tua malatia –. E io dissi: – Tostamente sarei guerito, se
per cotesta via potessi campare, perché sempre mi piacquero e adattârsi al mio
animo le parole de’ tuoi ragionamenti. 40
2
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 14/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
Il caso di cielo merita qualche commento. Sebbene oggi la pronuncia di questa parola
sia /ʧɛlo/, dunque senza alcuna traccia della <i> che costituisce un puro segno diacritico,
questa grafia testimonia l’antico dittongamento toscano, regolarmente proveniente da -
AE- latino (CAE-LUM > / ʧɛlo/ > /ʧjɛ-lo/); a un certo punto dell’evoluzione fonetica il
primo elemento semivocalico è stato assorbito dalla consonante precedente /ʧ/
anch’essa palatale, ma si è continuato a rendere graficamente la <i> del dittongo.
Apparentemente simile, il caso di cielo è dunque storicamente diverso dai casi in cui la
<i>, con esclusivo valore diacritico è usata davanti a vocali velari.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 14/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
Riepilogo
Verifichiamo a questo punto quanto la regolarità dei due fenomeni relativi al vocalismo
tonico, che abbiamo appena visto propria del nostro brano tratto dal Libro giamboniano,
sia attribuibile alla lingua del Duecento in genere.
A questo scopo utilizzeremo una banca dati che abbiamo già avuto occasione di
ricordare (Opera del Vocabolario Italiano, il cui acronimo è OVI) nel quale è indicizzato
un corpus cronologicamente coerente, compreso fra le Origini della lingua italiana e il
1375, consultabile sul sito dell’Istituto dell’Opera del Vocabolario Italiano
(http://www.ovi.cnr.it/).
Nella schermata iniziale (http://www.ovi.cnr.it/index.php/it/) cliccate sull’etichetta in
rosso Corpus testuale dell’italiano Antico, che vi consente di accedere al CORPUS OVI
DELL’ITALIANO ANTICO). Cliccate su questo titolo al centro della schermata.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 15
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
Si ricordi che ogni ricerca effettuata può essere salvata tramite il tasto SALVA nel
menu orizzontale in alto.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 15/S2
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
-- Qui e in seguito, sulla sinistra di ciascuna sono riferiti i dati della poesia,
sulla destra quelli relativi alla prosa
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 16
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
tosc.
poesia tosc.
prosa
fior.
poesia fior.
prosa
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 16/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
A Firenze insomma i tratti fonetici percepiti come locali subiscono in maniera molto
meno sensibile la pressione della lingua della poesia siciliana di quanto non avvenga
nel resto della Toscana, così come più sistematica è, nella lingua documentaria e
letteraria in prosa, l’attestazione dei tratti fonetici indigeni.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 16/S2
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
Sebbene non sia verificabile dalla natura scritta dei documenti di cui ci stiamo
occupando, nel Duecento e poi ancora molto avanti nei secoli successivi la
pronuncia della congiunzione e e della preposizione per era (coerentemente
con l’etimologia ĔT e PĔR) /ɛ/ (dunque nella pronuncia non c’era distinzione fra la
congiunzione e la III persona singolare del presente indicativo del verbo ‘essere’) e
rispettivamente /pɛr/. La protonia sintattica di queste due forme ha prodotto, ma
solo nel secolo XVIII, l’attuale pronuncia /e/ e /per/ con e chiusa (ce ne dà
testimonianza l’erudito settecentesco Anton Maria Salvini).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 17/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
Riguardo al primo argomento (la riduzione al solo primo elemento dei dittonghi
discendenti) si veda il seguente prospetto che raccoglie le attestazioni presenti nel
nostro brano di riferimento:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 17/S2
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
L’elenco dispone le occorrenze in base alla consistenza sillabica delle parole interessate al
fenomeno della riduzione; sulla colonna di destra i casi di mancata riduzione.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 17/S2
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
Se nel sito della Biblioteca italiana facciamo una ricerca per or ne possiamo verificare
l’altissima frequenza in tutto il corpus (la forma compare in 995 opere, con numerose
occorrenze in ciascuna di esse); se però limitiamo la ricerca alla sola tipologia testuale
dei DOCUMENTI, le opere si riducono a 22, tutte comprese fra il secolo delle Origini e il
Seicento.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 17/S3
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
L’apocope sillabica, oggi non più attiva, era invece in antico molto vitale: si pensi a po’ e,
altro caso di cui rimane traccia significativa nella lingua moderna, la riduzione dei nomi in
-ATEM, -UTEM (nel nostro brano attestato in profondità / profundità I 6, II 1, III 20, ma
non nei plurali Virtudi I tit. 1, III 19, III 26).
Dell’apocope infine vorremmo valutare il grado di opzionalità sulla base di fattori
intonativi e ritmici. Nel brano di Bono Giamboni (dove abbiamo messo in grassetto la
vocale con accento principale di frase) gli esempi sono:
buon I 2 ma buono III.32; la scelta di attuare o no l’apocope ha pertinenza intonativa
come si vede dai due contesti buon luogo a I 2 e ti truovo buono. a III 32;
figliuol II 3 ma figliuolo III 21 (Figliuol mio e, rispettivamente, Caro mio figliuolo, III 21);
far II 7 (come dee far l’uomo)
guardar II 10 (è dato a guardar lo cielo)
neun III 3 (di favellare neun sembiante facea)
possan III 25 (acciò che le faccende e le fatiche del dì non possan dare alcuno
impedimento).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 18
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
Sono infatti tutte forme composte con la preposizione a (< AD), talora rafforzata in ra- (<
RE+AD), che dunque, in forza della regola del raddoppiamento fonosintattico,
dovrebbero presentare tutte l’intensa.
Il raddoppiamento fonosintattico consiste in un fenomeno di rafforzamento della
consonante iniziale di parola che si verifica nella catena fonica fra parola e parola (per
esempio vado a casa /vado akkasa/, vengo da te /vɛŋgo datte/, va bene /vabbɛne/).
Le forme elencate sopra, composte con AD, dovrebbero dunque recare tutte l’indicazione
grafica del raddoppiamento avvenuto; ma nel Duecento, per influsso del francese, spesso
proprio i composti con AD presentano oscillazione fra rappresentazione intensa (secondo
la fonetica indigena) e rappresentazione scempia (per adesione al modello d’Oltralpe).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 18/S2
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
Riepilogo
Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui concetti
studiati nelle lezioni precedenti, dedicate all’analisi linguistica
(fonetica e morfologica) del brano di Bono Giamboni, lo
studente è invitato a compilare il test associato a
questa sessione di studio.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 19
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
Riepilogo
Riguardo alle frasi interrogative, secondo un modulo romanzo molto diffuso (e ancora
oggi tassativo in francese), va notato che il soggetto pronominale (se espresso) è
sistematicamente posposto al verbo:
I 7-8 perché mi facesti tu venire in questo misero mondo […]?
I 10-11 Facestilo tu per dare di me esemplo alle genti […]?
III 19-20 Maestra delle Virtudi, che vai tu faccendo […]?
III 21-22 Caro mio figliuolo, […] abandoneret’io […]?
III 23 Non sa’ tu che mia usanza è d’andare […]?
Nell’italiano contemporaneo (nel quale per lo più il soggetto pronominale viene omesso
che fai?) tale disposizione (che fai tu?) avrebbe particolare valore intonativo.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 20
Titolo: Bono Giamboni: lo stile
Attività n°: 1
espressione contenuto
A queste due occorrenze tratte dal brano che abbiamo stralciato dal Libro, si aggiungono:
in apertura dei capitoli
VIII: “Poscia che la Filosofia ebbe parlato come di sopra avete inteso”,
XVIII: “Quando la Fede m’ebbe domandato di tutte le cose che avete udito di sopra”,
XXIII: “Parlando a sollazzo per la via, come di sopra avete inteso”,
XLI: “Cacciata e spenta la Fede dell’idoli del mondo, come di sopra avete inteso”,
LXX: “Quando la Prudenzia ebbe parlato come di sopra avete inteso”,
LXXV: “Incontanente che la Prudenzia ebbe compiuto di dire come di sopra avete
inteso”;
inoltre alla fine del cap. XLIX: “come di sopra avete inteso che avieno ordinato”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 20/S2
Titolo: Bono Giamboni: lo stile
Attività n°: 1
Riepilogo
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
Test di autovalutazione
11) Indicare il significato di apocope e selezionare il nome del suo opposto
☐ caduta di un elemento iniziale di parola ☐ aferesi
☐ caduta di un elemento finale di parola☐ sincope
☐ aggiunta di un elemento iniziale di parola ☐ epitesi
Test di autovalutazione
14) Indicare il significato di aferesi e selezionare il nome del suo opposto
☐ caduta di un elemento iniziale di parola ☐ epitesi
☐ caduta di un elemento finale ☐ sincope
☐ aggiunta di un elemento iniziale di parola ☐ prostesi
15) Indicare quali dei seguenti tratti fonetici, morfologici e sintattici appartengono alla
prosa fiorentina del Duecento:
☐ prima persona dell’imperfetto in -o (io amavo)
☐ rispetto obbligatorio della legge Tobler-Mussafia
☐ riduzione del dittongo dopo consonante + r
☐ desinenza -aro nelle terze persone plurali del perfetto (essi mangiaro)
☐ art. maschile singolare el
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 20/S3
Titolo: Bono Giamboni: lo stile
Attività n°: 1
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
Ciò è vero anche per la poesia, a riprova del fatto che non si tratta solo o in prevalenza di
un cambiamento esclusivamente letterario, ma anche (se non soprattutto) di società e di
gusti socialmente condivisi. Quando Dante, nel XXV capitolo della Vita nova (quindi
ancora sullo scorcio del Duecento) indica brevemente i tratti della poesia in volgare,
accanto ai provenzali indicherà i poeti latini (Orazio, Ovidio, Lucano, Virgilio), ai quali
pretende siano paragonati i dicitori in rima indicando dunque già, molto prima dell’Uma-
nesimo, quanto il modello classico abbia funzionato in Italia.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21
Titolo: La prosa letteraria del Trecento
Attività n°: 1
Oltre che un incremento di tipo quantitativo la prosa trecentesca mostra una sempre
maggiore differenziazione nelle tipologie testuali.
Riguardo ai volgarizzamenti, quella che nel Duecento era l’eccezione (si ricordino i
volgarizzamenti di Bono Giamboni e di Brunetto Latini, che abbiamo ricordato), ora
diventa la norma e non solo per la più frequente scelta di tradurre dagli originali latini,
ma anche per la scelta degli autori da tradurre.
Brunetto e Bono avevano tradotto infatti solo autori in prosa: ora si tradurranno (in
prosa) anche i poeti: Virgilio prima di tutti, che viene volgarizzato e epitomato da
Andrea Lancia, da Ciampolo di Meo degli Ugurgeri; poi, e con grandissima fortuna,
l’Ovidio delle Metamorfosi (da Arrigo Simintendi e da Giovanni Buonsignori) e delle
Eroidi (da parte di Filippo Ceffi e anonimi), dell’Ars amandi e dei Remedia amoris (da
anonimi).
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21/S1
Titolo: La prosa letteraria del Trecento
Attività n°: 1
Così, accanto ai volgarizzamenti dei Moralia e dei Dialoghi di Gregorio Magno o alle
fortunatissime lettere di S. Girolamo, vengono tradotti di Cicerone il Somnium Scipionis
(da Zanobi da Strada e da un anonimo identificato in passato con il beato Giovanni
dalle Celle), varie volte il De amicitia (da Filippo Ceffi e da un anonimo), i Paradoxa
stoicorum (due volte, entrambi da parte di anonimi, ma uno dei quali in passato
attribuito a Giovanni dalle Celle), il De senectute e il De officiis (entrambi da anonimo);
di Seneca (di cui il monachesimo altomedievale si era già impossessato come “maestro
di spiritualità”, ma principalmente sulla base di opere spurie) vengono volgarizzate le
Epistulae morales, il De providentia, e le consolationes (Ad Elviam, Ad Marciam, Ad
Polibium).
Dell’integrazione della classicità nell’ambito culturale cristiano è prova il fatto che fra
questi volgarizzatori, oltre a notai (come Filippo Ceffi) troviamo uomini di chiesa e
monaci (Zanobi da Strada, Bartolomeo da San Concordio, lasciando da parte la
controversa attribuzione a Giovanni dalle Celle del Somnium Scipionis e dei Paradoxa).
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21/S2
Titolo: La prosa letteraria del Trecento
Attività n°: 1
Anche per questi tramiti la tradizione classica entrò in circolo nella cultura letteraria
del Trecento, giacché, fra le frasi scelte ad ammaestramento, accanto a estratti dal
Vecchio e Nuovo Testamento o dai Padri, compaiono citazioni da Giovenale e Ovidio,
Seneca e Quintiliano, Sallustio e Orazio, etc..
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21/S2
Titolo: La prosa letteraria del Trecento
Attività n°: 1
Sarà sul modello della grande storiografia latina (e di Livio soprattutto) che si inaugu-
rerà la storiografia volgare con intenti d’arte (dalla Nuova cronica di Giovanni Villani
alla Cronica d’Anonimo Romano).
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21/S3
Titolo: La prosa letteraria del Trecento
Attività n°: 1
Per valutare che cosa intendessero per “fiorentino aureo” uomini come Leonardo Salviati
(1540-1582, uno dei massimi fautori della creazione dell’Accademia della Crusca e del
primo vocabolario dell’Accademia), ho scelto non di analizzare un testo di un grande
autore, bensì (seguendo l’assunto che la lingua e lo stile di un secolo si misurano
piuttosto sulla media della sua letteratura che non sulle sue emergenze) quello di un
‘modesto’ predicatore domenicano: Iacopo Passavanti.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 22
Titolo: Iacopo Passavanti e lo Specchio di vera penitenza
Attività n°: 1
1 Secondo che dice el venerabile dottore messere santo Ierolimo, Poenitentia est secunda
tabula post naufragium: la penitenzia è la seconda tavola dopo il pericolo della nave rotta.
Parla il santo dottore della penitenzia, per somiglianza di coloro che rompono in mare, de’
quali spesse volte interviene che, rotta la nave per grande fortuna e per tempestade che sia
5 commossa in mare, coloro che sono più accorti prendono alcuna delle tavole della rotta
nave, alla quale attegnendosi fortemente, soprastando all’acqua, non affondano; ma
giungono a riva o a porto, iscampati del periglio del tempestoso mare. Così avviene degli
uomini che vivono in questo mondo, il quale è appellato mare per lo continovo movimento
e inistabile istato, e per le tempestose avversitadi e gravi pericoli che ci sono, ne’ quali la
10 maggiore parte della gente perisce. Imperò che non ci si può notare, tra per la gravezza
della carne umana e per lo peso del peccato originale o attuale, ch’è in sulle spalle de’
figliuoli d’Adamo, e per la forza delle fortunose onde delle tentazioni, e delle temporali e
corporali tribolazioni. Solo Iesu Cristo salvatore, Iddio e uomo, sanza peso di peccato,
leggiermente notando, passò il mare di questo mondo. E ciò significò egli, quando, essendo
15 i discepoli suoi nella nave nel mare di Galilea, e avendo grande fortuna per la forza del
contrario vento, egli venne a loro andando leggiermente sovra l’onde del turbato mare. La
quale cosa non poté fare san Piero, anzi andava al fondo, se la virtuosa mano di Iesu Cristo
non lo avesse soccorso. Dove si dà ad intendere, che in questo periglioso mare ogni gente
anniega se l’aiuto della divina grazia non lo soccorre; la quale ha provveduto, per iscampo
20 della gente umana, d’una navicella lieve e salda, la quale Iesu Cristo fabbricò colle sue
mani del legno della santissima croce sua, cogli aguti chiovi della sua passione, colorandola
e adornandola col suo prezioso sangue. Questa navicella è la innocenzia battismale, nella
quale entrano tutti coloro che sono battezzati del battesimo di Iesu Cristo. E se si conduce e
si guida bene, porta sani e salvi al porto di vita eterna coloro che dentro vi perseverano,
25 siccome veri e diritti cristiani. In questa navicella intera e salda passò il mare di questo
mondo la benedetta Vergine Maria. Passòvvi san Giovanni Batista, e più altri Santi, i quali
furono santificati nel ventre della madre e furono preservati e guardati da speziale grazia
divina, che non cadessono nella vita loro in acconsentimento di mortale peccato. Passònvi
tutti coloro i quali si chiamano innocenti; cioè a dire, che innanzi che venissono a tale etade
30 che, discernendo il bene dal male, consentissono al male del peccato, al quale la nostra
natura corrotta è inchinevole più ch’al bene, furono tratti per morte naturale o isforzata
dalla presente vita corporale, avendo ricevuta la grazia del battesimo: i quali, non per loro
merito, però che né sapere né volere né potere hanno ancora del guardare o del conducere la
leggiere e bella navicella, ma per lo merito di quello padrone che la fabbricò, e per sua
35 presenzia e grazia la conduce e guida, sanza alcuno impedimento e’ pervengono al porto
sicuro e eterno, cioè quello della città superna. Questo fu bene significato nel santo
Vangelo, quando Iesu Cristo venendo a’ discepoli suoi ch’erano nella navicella nel mezzo
del mare, e aveano grande tempesta per lo vento contrario, contro al quale non si poteano
aiutare, egli, entrando nella navicella, comandò a’ venti e al mare che oltraggiavano e
40 soperchiavano la piccioletta navicella; e cessò la tempesta, e con bonaccia e tranquillitade
salvi giunsono a porto, non per loro operare, ma per la virtù e sapienza di Iesù Salvatore. Il
governo e la cura del movimento, e ’l conducimento della detta navicella, il celestiale
padrone Iddio in alcuno modo, tanto quanto si stende la potenzia e la facultade del libero
albitrio, commette e lascia all’uomo, e fallo nocchiere quando è venuto agli anni di tale
45 discrezione che possa e sappia e possa volere, col remo in mano, istudiosamente operando,
durare fatica nella guardia e nella condotta di sì nobile vasello in che Iddio l’ha allogato e
messo. Ma l’uomo, o per nigligenzia, o per ignoranza, o per vaghezza di vana dilettanza, o
per sensuale e viziosa concupiscenzia, o per presunziosa speranza, o per imprudenzia, o per
tracotanzia, ovvero per poca providenza, il lascia nell’alto mare tanto trascorrere,
50 abbandonando gli argomenti del savio e accorto reggimento, che per impeto di contrari
venti, o per percossa degli intraversati sassi, o per rintoppo delle rovinose onde, o per
rivolgimento delle ritrose acque, o per abbattimento de’ rigogliosi marosi, o per soperchio
del gonfiato mare, o per oltraggio dei rinfranti sprazzi, o per voraggine di pelago profondo,
o per iscurità di tenebrosa notte, o per ispaventamento delle fiere bestie, o per lo dolce canto
55 delle sirene vaghe, o per assalimento di crudeli piratti, o per inganno degli amici falsi, sanza
riparo sì si rompe e fiacca. Le quali cose dànno ad intendere le ragioni de’ vizi e de’
peccati, che fanno rompere e perdere la pura saldezza della innocenzia; che quanto più sono
gravi, tanto più la fiaccano e spezzano; e rimane l’uomo d’ogni bene e grazia privato: né
non ha rimedio cotale rompimento, per lo quale si possa risaldare la rotta navicella della
60 santa innocenzia; anzi rimane l’uomo così nabissato, abbandonato e ’gnudo nel mezzo del
tempestoso mare, sanza speranza di gnuno buono soccorso. Solamente d’uno refuggio ha
provveduto il misericordioso Iddio, il quale non vuole che l’uomo perisca e muoia, avvegna
che a sua colpa la navicella salda e lieve della quale Iddio gli avea provveduto acciò che per
quella iscampasse, sia fracassata e rotta. E questa è la penitenzia, alla quale conviene che
65 accortamente s’appigli o perseverantemente tegna qualunche vuole dopo la rotta innocenzia
iscampare. E questo vuole dire il dottore santo beato Ieronimo, per somiglianza parlando,
quando disse ch’ella era la seconda tavola dopo il pericolo della nave rotta, cioè il rimedio e
il sicuro rifuggio, poi che perduta e rotta era la prima innocenzia. Dove nota, che come a
coloro che rompono in mare, conviene che sieno molto accorti a dare di piglio e a
70 fortemente tenere alcuna tavola o legno della nave rotta, innanzi che l’onde del mare lo
traportino, non istante la paura, lo sbigottimento, il dibattimento, l’ansietade, l’affanno, lo
spaventamento e ’l conturbamento del capo, e gli altri gravi accidenti che hanno a sostenere
coloro a’ quali tale fortuna iscontra; così l’uomo che, mortalmente peccando, perde la
innocenzia, immantanente, sanza indugio, dee avere ricorso alla penitenzia, non istante
75 qualunque impedimento o ritraimento che ’nduca il commesso peccato. E come dee tosto,
sanza indugio, il rimedio della penitenzia prendere, così la dee con perseveranza tenere. E
di ciò parla la santa Iscrittura, che dice: Lignum vitae est his qui apprehenderint eam; et qui
tenuerit eam, beatus: Ella, cioè la penitenzia, è legno di vita a chi la prende; e chi la terrà,
sarà beato. Tale virtù ha questa tavola della penitenzia da quello medesimo da cui la
80 navicella della innocenzia, cioè da Iesu Cristo e dalla sua passione. Onde forse fu
significata per quella tavola la qual fu soprapposta al legno della croce, dove era iscritto –
Iesù Nazzareno Re de’ Iudei - in tre lingue, ebraica, greca e latina; a dare ad intendere che
nella tavola soprapposta alla croce, cioè nella penitenzia, che sopravviene alla innocenzia
ed è congiunta con la croce, cioè con la virtù e colla efficacia della passione di Cristo, si
85 contiene salute e salvamento, che dimostra e adopera Iesù Nazzareno. E questo non pure in
una gente né in una lingua, ma in tutte le genti e in tutte le lingue, secondo che Iesu Cristo
dopo la sua passione e la sua resurressione disse agli Apostoli: Euntes, docete omnes
gentes, baptizantes eos in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti: Andate, e ammaestrate
tutte le genti, e battezzategli nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo. E
90 santo Luca iscrive nel suo Vangelo, che Iesu Cristo apparendo a’ suoi discepoli dopo la
resuressione, disse loro, fra l’altre cose, ch’egli era bisogno di predicare nel nome suo la
penitenzia e la remissione de’ peccati in tutte le genti. Questa seconda tavola della
penitenzia, dove è lo scampo e la salute della maggiore parte della umana gente,
accortamente prese Maria Maddalena dopo la rotta innocenza. Presela san Piero, presela san
95 Pagolo, e generalmente tutti coloro che si salvano, giustificati del peccato per la grazia del
Redentore. Del quale novero ci dobbiamo ingegnare d’essere noi peccatori, acciò che non
periamo, non essendo nella intera e salda navicella della innocenzia, ma caduti nel mezzo
del profondo pelago del dubitoso e angoscioso mare del mondo, e nabissati nel peccato
mortale. E acciò che interamente, e con desiderio fervente della propia salute, ogni
100 negligenzia e ignoranzia da noi rimossa e tolta, stendiamo le mani a pigliare questa
necessaria e vittoriosa tavola della penitenzia, e perseverantemente la tegnamo, fino ch’ella
ci conduca alla riva del celestiale regno, al quale siamo chiamati; io Frate Iacopo Passavanti
da Fiorenza, de’ frati Predicatori minimo, pensai di comporre e ordinare certo e speziale
Trattato della Penitenzia; e a ciò mi mosse il zelo della salute dell’anime, alla quale la
105 professione dell’Ordine mio ispezialmente ordina i suoi frati. Provocòmmi l’affettuoso
priego di molte persone spirituali e divote, che mi pregorono che queste cose della vera
penitenzia, che io per molti anni, e spezialmente nella passata quaresima dell’anno presente,
cioè nel mille trecento cinquanta quattro, avea volgarmente predicato al popolo, a utilità e
consolazione loro e di coloro che le vorranno leggere, le riducessi a certo ordine per
110 iscrittura volgare, sì come nella nostra fiorentina lingua volgarmente l’avea predicate.
Onde, non volendo né dobbiendo negare quello che la carità fruttuosamente e debitamente
domanda, porgo la mano, e scriverrò per volgare, come fu principalmente chiesto per coloro
che non sono litterati, e per lettera e in latino per gli cherici, ai quali potrà essere utile, e per
loro, e per coloro i quali egli hanno a ammaestrare o predicando o consigliando o le
115 confessioni udendo: confidandomi sempre ne’ meriti del padre de’ Predicatori messere
santo Domenico, predicatore sovrano della penitenzia; e ancora ricorrendo divotamente al
dottore sommo messere santo Ieronimo, la cui vita e la cui dottrina sono essemplo e
specchio di vera penitenzia. Pregando nondimeno umilmente coloro che in questo libro
leggeranno, che facciano speziale orazione a Dio per me; che com’io ho assai tempo
120 predicato al popolo della penitenzia e ora ne scrivo non sanza gran fatica, così mi conceda
grazia ch’io viva e perseveri insino alla fine in verace penitenzia, acciò che nell’ora della
morte la divina misericordia mi riceva a salvamento: amen. E imperò che in questo libro si
dimostra quello che si richiede di fare e quello di che altri si dee guardare acciò che si
faccia vera penitenzia, convenevolemente e ragionevolemente s’appella Specchio della vera
125 Penitenzia.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 22/S2
Titolo: Iacopo Passavanti e lo Specchio di vera penitenza
Attività n°: 1
Riepilogo
Riepilogo
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
“Piú tosto forse e' prudenti mi loderanno s’io, scrivendo in modo che ciascuno
m’intenda, prima cerco giovare a molti che piacere a pochi, ché sai
quanto siano pochissimi a questi dí e’ litterati. […] Ben confesso quella
antiqua latina lingua essere copiosa molto e ornatissima, ma non però
veggo in che sia la nostra oggi toscana tanto d’averla in odio, che in
essa qualunque benché ottima cosa scritta ci dispiaccia. A me par assai
di presso dire quel ch’io voglio, e in modo ch’io sono pur inteso, ove
questi biasimatori in quella antica sanno se non tacere, e in questa moderna
sanno se non vituperare chi non tace. E sento io questo: chi fusse piú di me
dotto, o tale quale molti vogliono essere riputati, costui in questa oggi
commune troverrebbe non meno ornamenti che in quella, quale essi
tanto prepongono e tanto in altri desiderano. […]. E sia quanto dicono
quella antica apresso di tutte le genti piena d’autorità, solo perché in essa molti
dotti scrissero, simile certo sarà la nostra s’e’ dotti la vorranno molto con
suo studio e vigilie essere elimata e polita […].”
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 27/S2
Titolo: La prosa letteraria del Quattrocento
Attività n°: 1
Già nella prima metà del secolo si assiste ad una ricca serie di traduzioni latine di
originali greci, ma sarà con la seconda metà del secolo che prenderà avvio la
sistematica traduzione di Platone commissionata da Cosimo de’ Medici a Marsilio
Ficino.
Nonostante ciò la pratica del volgarizzamento dal latino non viene interrotta anche se
si fa più rara e condizionata da contingenze meno socialmente condivise: così per
esempio, con la richiesta del principe di Milano, Filippo Maria Visconti, si spiega la
traduzione delle opere di Giulio Cesare e dell’Historia Alexandri Magni di Curzio Rufo da
parte di Pier Candido Decembrio (1399-1477), che fu al contempo traduttore dal greco
di parte dell’Iliade, e di opere di Senofonte, Plutarco, Appiano e Platone.
Eppure, paradossalmente, la sempre maggiore conoscenza del greco come terza
lingua della cultura, anziché decretare la maggiore distanza fra letteratura in volgare e
letteratura colta, finisce per scompaginare l’equilibrio diglottico caratteristico della
prima metà del secolo. Fra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta,
anche per iniziativa del circolo di poeti che si stringono intorno a Lorenzo de’ Medici, le
quotazioni del volgare a scopo letterario riprendono a salire.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 27/S3
Titolo: La prosa letteraria del Quattrocento
Attività n°: 1
Il fiorentino “argenteo”
Trattando del Passavanti abbiamo preannunciato il termine di fiorentino “argenteo”
coniato da Arrigo Castellani a paragone del fiorentino “aureo” del Trecento il cui mito si
era formato nell’ambiente dell’Accademia della Crusca. In quella medesima occasione
abbiamo anche ricordato come la città di Firenze, come del resto l’intera Europa,
avesse subito il disastro della Peste Nera al quale fece seguito un notevole decremento
demografico, anche di Firenze, al quale lentamente pose rimedio l’inurbamento di
popolazione dalle campagne e dalle città vicine rispetto alle quali Firenze, ormai
avviata a organizzarsi su base regionale, costituiva un polo di attrazione economico e
culturale. Si ricordi per esempio che Firenze nel 1406 conquistò dopo anni di ostilità la
città di Pisa e che in quella occasione la Signoria fiorentina decretò il confino di
trecento nobili famiglie pisane proprio a Firenze.
Al conseguente ‘mescidamento’ dei tratti linguistici propriamente fiorentini con altri
tratti toscani extrafiorentini, si deve il nuovo volto del fiorentino del Quattrocento (al
quale propriamente si attribuisce l’epiteto di “argenteo”) sebbene il fenomeno
evolutivo abbia avuto i suoi prodromi nel secolo precedente.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 28
Titolo: Agnolo Poliziano e la Lettera proemiale alla Raccolta aragonese
Attività n°: 1
Il fiorentino “argenteo”
Fonetica.
1) Riduzione al secondo elemento vocalico dei dittonghi /wᴐ/ e /jɛ/ dopo consonante +
r: truovo /trwɔvo/ > trovo /trɔvo/; priego /prjɛgo/ > prego /prɛgo/
2) la l preconsonantica > u: altro > autro; il fenomeno comporta le forme ipercorrette:
lalde, altori, aldacia ‘laude, autori, audacia’);
3) alle forme etimologiche tegghia (TEGLA < TEGŬLA), ragghiare (*RAGLARE <
RAGŬLARE), vegghiare (VIGLARE < VĬGĬLARE) si sostituiscono le forme teglia,
ragliare, vegliare
4) nella seconda metà del Quattrocento si assiste all’evoluzione di /skj/ > /stj/: schiena
/skjɛna/ > stiena, schiaccia /skjatʧa/ > stiaccia;
5) nella seconda metà del Quattrocento si assiste all’evoluzione /ʤ/ > /gj/ > /d/:
giacere /ʤaʧere/ > ghiacere /gjaʧere/ e diacere /djaʧere/;
6) la /w/ iniziale si trasforma in /vw/: uova /wɔva/ > vuova /vwɔva/; uomini /wɔmini/ >
vuomini /vwɔmini/.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 28/S1
Titolo: Agnolo Poliziano e la Lettera proemiale alla Raccolta aragonese
Attività n°: 1
Il fiorentino “argenteo”
Morfologia nominale
1) I plurali in -lli si palatalizzano in -gli: begli, frategli etc.;
2) i nomi femminili pl. della III classe latina escono in -e: le parti > le parte;
3) l’articolo (e il pronome) il, i > el, e;
4) gliele > glielo, gliela, glieli, gliele;
5) gli indefiniti che terminano in -que > -che: dunche, qualunche;
6) al sistema di declinazione dei possessivi si sostituiscono a) gli invariabili mie, tuo, suo;
b) i plurali maschili e femminili mia, tua, sua;
7) numerali: a) due > duo o dua; b) diece >dieci; c) milia > mila.
Morfologia verbale
1) nel verbo essere: (tu) sè > sei; siete > sete; fossi > fussi; fosti > fusti;
2) il passato remoto di mettere (e composti) con -s- > -ss-: missi, promisse)
3) nel futuro e nel condizionale di avere -vr- > -r-: arò, arei;
4) dea e stea > dia e stia;
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 28/S1
Titolo: Agnolo Poliziano e la Lettera proemiale alla Raccolta aragonese
Attività n°: 1
Il fiorentino “argenteo”
5) riguardo alle desinenze personali:
a) si estende alla I coniugazione la desinenza -ono per la III persona plurale del
presente e dell’imperfetto: lavono, lavovono;
b) (io) aveva > avevo etc.;
c) la desinenza di I persona plurale del perfetto in -mm- > -m-: lavamo ‘lavammo’,
stemo ‘stemmo’);
d) la desinenza di III persona plurale del perfetto della I coniugazione –arono > -
orono o -orno;
e) il congiuntivo presente e imperfetto alla I persona singolare, e alla III per il solo
presente, escono in -i (abbi ‘io abbia, egli abbia’, avessi ‘io avessi’), alla III plurale
in -ino (abbino ‘abbiano’, avessino);
f) la desinenza di I persona plurale –mo > -no : laviano per ‘laviamo’;
g) la desinenza della II persona plurale -e >-i: (voi) lavasti, lavassi, laveresti;
h) nella II, III, IV coniugazione si estende la desinenza -eno per la III persona
plurale (ad esempio vedeno).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 28/S2
Titolo: Agnolo Poliziano e la Lettera proemiale alla Raccolta aragonese
Attività n°: 1
Ripensando assai volte meco medesimo, illustrissimo signor mio Federico, quale
in tra molte e infinite laudi degli antichi tempi fussi la più eccellente, una per certo sopra
tutte l’altre esser gloriosissima e quasi singulare ho giudicato: che nessuna illustre e
virtuosa opera né di mano né d’ingegno si puote immaginare, alla quale in quella prima
5 età non fussino e in publico e in privato grandissimi premi e nobilissimi ornamenti
apparecchiati. Imperocché, sì come dal mare Oceano tutti li fiumi e fonti si dice aver
principio, così da quest’una egregia consuetudine tutti i famosi fatti e le maravigliose
opere degli antichi uomini s’intende esser derivati.
L’onore è veramente quello che porge a ciascuna arte nutrimento; né da altra cosa
10 quanto dalla gloria sono gli animi de’ mortali alle preclare opere infiammati. A questo
fine adunque a Roma i magnifici trionfi, in Grecia i famosi giuochi del monte Olimpo,
appresso ad ambedue il poetico ed oratorio certame con tanto studio fu celebrato. Per
questo solo il carro ed arco trionfale, i marmorei trofei, li ornatissimi teatri, le statue, le
palme, le corone, le funebri laudazioni, per questo solo infiniti altri mirabilissimi
15 ornamenti furono ordinati; né d’altronde veramente ebbono origine li leggiadri ed alteri
fatti e col senno e con la spada, e tante mirabili eccellenzie de’ valorosi antichi, li quali
sanza alcun dubbio, come ben dice il nostro toscano poeta, non saranno mai senza fama,
Erano questi mirabili e veramente divini uomini, come di vera immortal laude
20 sommamente desiderosi, così d’un focoso amore verso coloro accesi, i quali potessino i
valorosi e chiari fatti delli uomini eccellenti con la virtù del poetico stile rendere
immortali; del quale gloriosissimo desio infiammato il magno Alessandro, quando nel
Sigeo al nobilissimo sepulcro del famoso Achille fu pervenuto, mandò fuori suspirando
quella sempre memorabile regia veramente di sé degna voce:
E sanza dubbio fortunato: imperocché, se ’l divino poeta Omero non fusse stato,
una medesima sepultura il corpo e la fama di Achille averebbe ricoperto. Né questo
poeta ancora, sopra tutti gli altri eccellentissimo, sarebbe in tanto onore e fama salito, se
30 da uno clarissimo ateniese non fusse stato di terra in alto sublevato, anzi quasi da morte a
sì lunga vita restituto. Imperocché, essendo la sacra opera di questo celebratissimo poeta
dopo la sua morte per molti e vari luoghi della Grecia dissipata e quasi dimembrata,
Pisistrato, ateniese principe, uomo per molte virtù e d’animo e di corpo prestantissimo,
proposti amplissimi premi a chi alcuni de’ versi omerici gli apportassi, con somma
35 diligenzia ed esamine tutto il corpo del santissimo poeta insieme raccolse, e sì come a
quello dette perpetua vita, così lui a se stesso immortal gloria e clarissimo splendore
acquistonne. Per la qual cosa nessun altro titulo sotto la sua statua fu intagliato, se non
quest’uno: che dell’insieme ridurre il glorioso omerico poema fussi stato autore. Oh
veramente divini uomini, e per utilità degli uomini al mondo nati!
40 Conosceva questo egregio principe li altri suoi virtuosi fatti, comeché molti e
mirabili fussino, tutti nientedimeno a quest’una laude essere inferiori, per la quale e a sé
1
e ad altri eterna vita e gloria partorissi. Cotali erano adunque quelli primi uomini, de’
quali li virtuosi fatti non solo ai nostri secoli imitabili non sono, ma appena credibili.
Imperocché, essendo già in tutto i premi de’ virtuosi fatti mancati, insieme ancora con
45 essi ogni benigno lume di virtute è spento, e, non facendo gli uomini alcuna cosa
laudabile, ancora questi sacri laudatori hanno al tutto dispregiati. La qual cosa se ne’
prossimi superiori secoli stata non fussi, non sarebbe di poi la dolorosa perdita di tanti e
sì mirabili greci e latini scrittori con nostro grandissimo danno intervenuta. Erano
similmente in questo fortunoso naufragio molti venerabili poeti, li quali primi il diserto
50 campo della toscana lingua cominciorono a cultivare in guisa tale, che in questi nostri
secoli tutta di fioretti e d’erba è rivestita.
Ma la tua benigna mano, illustrissimo Federico, quale a questi porgere ti sei
degnato dopo molte loro e lunghe fatiche, in porto finalmenti gli ha condotti. Imperocché
essendo noi nel passato anno nell’antica pisana città venuti in ragionare di quelli che
55 nella toscana lingua poeticamente avessino scritto, non mi tenne punto la tua Signoria il
suo laudabile desiderio nascoso: ciò era che per mia opera tutti questi scrittori le fussino
insieme in un medesimo volume raccolti. Per la qual cosa, essendo io come in tutte le
altre cose, così ancora in questo, desideroso alla tua onestissima volontà satisfare, non
sanza grandissima fatica fatti ritrovare gli antichi esemplari, e di quelli alcune cose meno
60 rozze eleggendo, tutti in questo presente volume ho raccolti, il quale mando alla Tua
Signoria, desideroso assai che essa la mia opera, qual ch’ella si sia, gradisca, e la riceva
sì come un ricordo e pegno del mio amore in verso di lei singulare.
Né sia però nessuno che questa toscana lingua come poco ornata e copiosa
disprezzi. Imperocché sì bene e giustamente le sue ricchezze ed ornamenti saranno
65 estimati, non povera questa lingua, non rozza, ma abundante e pulitissima sarà reputata.
Nessuna cosa gentile, florida, leggiadra, ornata; nessuna acuta, distinta, ingegnosa,
sottile; nessuna alta, magnifica, sonora; nessuna finalmente ardente, animosa, concitata
si puote immaginare, della quale non pure in quelli duo primi, Dante e Petrarca, ma in
questi altri ancora, i quali tu, signore, hai suscitati, infiniti e chiarissimi esempli non
70 risplendino.
Fu l’uso della rima, secondo che in una latina epistola scrive il Petrarca, ancora
appresso gli antichi romani assai celebrato; il quale, per molto tempo intermesso,
cominciò poi nella Sicilia non molti secoli avanti a rifiorire, e, quindi per la Francia
sparto, finalmente in Italia, quasi in un suo ostello, è pervenuto.
75 Il primo adunque, che dei nostri a ritrarre la vaga immagine del novello stile pose
la mano, fu l’aretino Guittone, ed in quella medesima età il famoso bolognese Guido
Guinizelli, l’uno e l’altro di filosofia ornatissimi, gravi e sentenziosi; ma quel primo
alquanto ruvido e severo, né d’alcuno lume d’eloquenzia acceso; l’altro tanto di lui più
lucido, più suave e più ornato, che non dubita il nostro onorato Dante, padre appellarlo
80 suo e degli altri suoi
2
sono adorne. Il quale, se in più spazioso campo si fusse esercitato, averebbe senza
dubbio i primi onori occupati; ma sopra tutte l’altre sue opere è mirabilissima una
canzona, nella quale sottilmente questo grazioso poeta d’amore ogni qualità, virtù e
accidente descrisse, onde nella sua età di tanto pregio fu giudicata, che da tre suoi
95 contemporanei, prestantissimi filosofi, fra li quali era il romano Egidio, fu
dottissimamente commentata. Né si deve il lucchese Bonagiunta e il notaro da Lentino
con silenzio trapassare: l’uno e l’altro grave e sentenzioso, ma in modo di ogni fiore di
leggiadria spogliati, che contenti doverebbono stare se fra questa bella masnada di sì
onorati uomini li riceviamo. E costoro e Piero delle Vigne nella età di Guittone furono
100 celebrati, il quale ancora esso, non senza gravità e dottrina, alcune, avvenga che piccole,
opere compose: costui è quello che, come Dante dice:
105 Risplendono dopo costoro quelli dui mirabili soli, che questa lingua hanno illuminata:
Dante, e non molto drieto ad esso Francesco Petrarca, delle laude de’ quali, sì come di
Cartagine dice Sallustio, meglio giudico essere tacere che poco dirne.
Il bolognese Onesto e li siciliani, che già i primi furono, come di questi dui sono
più antichi, così della loro lima più averebbono bisogno, avvenga che né ingegno né
110 volontà ad alcuno di loro si vede essere mancato. Assai bene alla sua nominanza
risponde Cino da Pistoia, tutto delicato e veramente amoroso, il quale primo, al mio
parere, cominciò l’antico rozzore in tutto a schifare, dal quale né il divino Dante, per
altro mirabilissimo, s’è potuto da ogni parte schermire. Segue costoro di poi più lunga
gregge di novelli scrittori, i quali tutti di lungo intervallo si sono da quella bella coppia
115 allontanati.
Questi tutti, signore, e con essi alcuni della età nostra, vengono a renderti immortal
grazia, che della loro vita, della loro immortal luce e forma sie stato autore, molto di
maggior gloria degno che quello antico ateniese di chi avanti è fatta menzione.
Perocché lui ad uno, benché sovrano, tu a tutti questi hai renduto la vita. Abbiamo
120 ancora nello estremo del libro (perché così ne pareva ti piacessi) aggiunti alcuni delli
nostri sonetti e canzone, acciò che, quelli leggendo, si rinnovelli nella tua mente la mia
fede e amore singulare verso la Tua Signoria; li quali, se degni non sono fra sì
maravigliosi scritti di vecchi poeti essere annumerati, almeno per fare alli altri paragone
e per fare quelli per la loro comparazione più ornati parere, non sarà forse inutile stato
125 averli con essi collegati.
Riceverà adunque la Tua illustrissima Signoria e questi e me non solamente nella
casa, ma nel petto e animo suo, sì come ancora quella nel core ed animo nostro
giocondamente di continuo alberga. Vale.
3
Agnolo Poliziano, Detti piacevoli
1 – Lorenzo de’ Medici, richiesto di favorire nella elezzione de’ Signori non so chi alquanto
sospetto allo stato, ma uomo a cui piaceva el succo della vite, e dicendogli chi gnene parlava: – Tu
gli farai fare ciò che tu vorrai con un bicchiere di vino –, rispuose: – Che se un altro gnene dessi un
fiasco, dove mi troverrei io? –
2 – Cosimo de’ Medici, padre della patria, avo del predetto, richiesto dallo arcivescovo Antonino di
favore circa a una proibizione che voleva fare, che i preti non giocassino, gli disse: – Cominciate a
fare un po’, prima, da voi ch’e’ non mettino cattivi dadi! –
3 – Cosimo predetto soleva dire che la casa loro di Cafaggiuolo in Mugello vedeva meglio che
quella di Fiesole, perché ciò che quella vedeva era loro, il che di Fiesole non avveniva.
4 – Cosimo predetto, essendoli menato innanzi Matteo del Tegghia, ancora garzone, dal Tegghia
suo padre, il quale, benché detto Matteo insino allora fussi sciocco, come egli è ancora al presente,
stimava, dall’amor paterno ingannato, che e’ fussi savissimo e molto introdotto nelli studi, ora,
dimandando Cosimo in che esso studiassi e rispondendo egli scioccamente che studiava in libris,
voltosi al padre, Cosimo disse: – Fallo studiare, ch’e’ n’ha bisogno! –
5 – Lorenzo di Piero di Cosimo predetto, ragionandosi in un cerchio di preti e dicendogli alcuno che
l’uomo non si potea guardare da loro, disse non essere maraviglia, perché, avendo essi i panni
lunghi, hanno dato prima il calcio che altri vegga loro muover la gamba.
6 – Braccio Martelli, volendo mostrare che Rinato de’ Pazzi era pauroso, non avendo egli voluto
giostrare ad una giostra ordinata, disse che lo faceva perché egli avea paura dell’elmo solo.
7 – Puccio d’Antonio Pucci, uomo nell’età di Cosimo prudentissimo, confortando non so che
cittadino ad accettare l’uficio del Gonfaloniere di Giustizia in tempo importante, e rispondendo egli
che non gli pareva esser tanto savio quanto a quell’uficio s’aspettava, gli dimandò se gli bastava
esser savio come Cosimo. E dicendo egli che se fussi la metà savio, che egli crederebbe assai bene
sodisfare, – Oh io t’insegnerò – disse Puccio – a essere più savio di lui. Non hai tu punto senno da
te? – E dicendo che ne pure credeva avere qualche poco, soggiunse Puccio: – Fa adunque ciò che
Cosimo ti dice, e arai a questo modo tutto el suo senno; il quale accozzando col tuo poco, verrai ad
avere il suo e sopra più il tuo, e così ad essere più savio che Cosimo. –
8 – Messer Matteo di Franco, essendo con Lorenzo de’ Medici in camino e sendogli all’osteria
posto innanzi non so che vinaccio, il quale l’oste diceva essere vino vecchio, disse: – A me pare egli
rimbambito! –
9 – El predetto, stando a vedere a Pisa una disputa la quale era condotta già al tardi, disse ch’e’
farebbon bene a lasciarla stare, ché, non si vedendo più lume, l’argumento si verserebbe fuori; e che
almeno sedessino, acciò che gl’argumenti non se n’andassino giù per le calze.
10 – Lorenzo de’ Medici predetto, essendo in Firenze Lionardo Benvoglienti, ambasciadore sanese,
il quale, trovatolo un dì per un certo andamento ch’era allora, gli toccò il polso domandando come
si sentissi, scosso el braccio, riprese il polso al detto Lionardo, dicendo: – Questo tocca a fare a me,
che sono de’ Medici, e lo infermo siate pur voi! –
[….]
4
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 28/S3
Titolo: Agnolo Poliziano e la Lettera proemiale alla Raccolta aragonese
Attività n°: 1
Riepilogo
Agli inizi, rappresentati dalla Scuola Siciliana (testi di Iacopo da Lentini e Pier delle
Vigne) e dai siculo-toscani (Bonagiunta Orbicciani) era dato poco spazio (per di più
essi erano collocati fra i minori in penultima posizione, fuori della seriazione su base
cronologica); la Raccolta invece si apriva sulla figura di Dante a cui era dato massimo
risalto: introdotto dalla Vita di Dante di Giovanni Boccaccio, vi era accolto il prosimetro
della Vita nova, le grandi canzoni dantesche, un certo numero di sonetti. A Dante
seguivano Guido Guinizzelli, Guittone d’Arezzo e Guido Cavalcanti; la cronologia poi
riprendeva la sua funzione ordinatrice con la sequenza di Cino da Pistoia e una
raccolta ampia di poeti trecenteschi (fra cui il Boccaccio delle rime) e primo-
quattrocenteschi. La Raccolta non comprende invece Petrarca. La Raccolta si
concludeva poi con una piccola antologia di Lorenzo de’ Medici poeta, di cui venivano
accolti nove sonetti, due canzoni e cinque ballate. Quest’ultima scelta dimostra
quanto, a considerazioni di tipo strettamente letterario, si coniugassero ragioni, dai
riflessi anche politici, di autopromozione del signore di Firenze.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 29/S1
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1
Lessico volgare:
focoso ‘ardente’ (in senso metaforico): 20;
ostello ‘casa, rifugio’: 74; dal francese antico ostel;
ruvido 78: da una neoformazione del latino volgare, RUGIDUM, a partire da RUGAM;
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 30
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1
Esclusivamente al volgare rimandano anche i termini attinenti alle arti figurative: colorita
‘colorata’ 84 e adombrata 84 (che qui vale ‘disegnata a chiaroscuro’) e intagliato 37
‘inciso’.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 30/S1
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1
-- la desinenza di III pers. sing. dell’imperfetto oscilla fra -e e -i: fusse 27, 30, 91, ma
fussi 2, 38, 47 (nei Detti 4,2 e 4,3, 7,4); apportassi 34, piacessi 120 (nei Detti: dessi
1,3; studiassi 4,4; sentissi 10,3); la III pl. è -ino: fussino 5, 41, 56, potessino 20,
avessino 55, giocassino a Detti 2,2, sedessino 9,3, andassino, 9,3.
Forme particolari
troverrei: Detti 1,4;
essendo : 31, 44, 54, 57 (nei Detti: 8,1 e 10,1; essendoli 4,1) / sendo : Detti piacevoli
8,1;
renduto : 119.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 30/S3
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1
la vitalità di nom inanza e renduto (in entrambi i casi la ricerca, per forma,
va fatta secolo per secolo).
In primo luogo si noterà l’alta frequenza di forme verbali composte in posizione finale di
periodo (forme non composte, rispettivamente passati remoti, presenti indicativi e
congiuntivi imperfetti, compaiono in fine di periodo a 42 partorissi, 94 descrisse e 101
compose; a 43 sono, 88 rassembra, 99 riceviamo; a 64 disprezzi e 70 risplendino).
Le forme verbali composte sono un’innovazione linguistica romanza e dunque sono
caratteristiche del volgare; numerosi umanisti, nel desiderio di modellare il proprio
volgare sul latino, tentarono di ridurne le occorrenze, sostituendo, laddove fosse
possibile, il passato remoto al passato prossimo (così fa per esempio Leon Battista
Alberti).
Il Poliziano invece non censura tali forme, ma piuttosto le ‘depotenzia’, separando di
frequente l’ausiliare dal participio passato (e dunque riducendo la visibilità del tempo
composto) e ponendo in evidenza in fine di periodo il participio passato (ottenendo in
tal modo un effetto latineggiante analogo a quello della posposizione dell’intero
sintagma verbale), come si può vedere dagli esempi seguenti:
5-6 “non fussino e in publico e in privato grandissimi premi e nobilissimi ornamenti
apparecchiati”
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 31/S2
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1
Aperta da un’allusione alla grande tradizione retorica latina (Ripensando […] meco
medesimo ricorda l’incipit del De oratore: “Cogitanti mihi saepe numero et memoria
vetera repetenti perbeati fuisse”), l’epistola polizianea rimanda, nelle righe 1-17, al tema,
spesso sfruttato in periodo umanistico, del premio come incoraggiamento alla virtù e
all’esercizio letterario.
In particolare i rr. 9-10 (L’onore è veramente quello che porge a ciascuna arte
nutrimento; né d’altra cosa quanto dalla gloria sono gli animi de’ mortali alle preclare
opere infiammati) sono traduzione esatta (pur con qualche minima amplificazione) di
Cicerone, Tusculanae disputationes I 4 “honos alit artes, omnesque incenduntur ad
studia gloria”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 32
Titolo: Agnolo Poliziano: lo stile
Attività n°: 1
che sono letteralmente tradotte a 106-107 (si veda l’esatta corrispondenza fra melius
/meglio e l’esatta traduzione di silere con tacere e parum dicere con poco dirne) e
rispettivamente a 71-74 (si confronti apud Siculos […], non multis ante seculis renatum
con nella Sicilia non molti secoli avanti a rifiorire e apud […] Latinorum vetustissimos
celebratum con appresso gli antichi romani assai celebrato).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 32
Titolo: Agnolo Poliziano: lo stile
Attività n°: 1
“Quis doctior eisdem temporibus illis aut cuius eloquentia litteris instructior fuisse
traditur quam Pisistrati? Qui primus Homeri libros confusos antea sic disposuisse
dicitur, ut nunc habemus. Non fuit ille quidem civibus suis utilis, sed ita eloquentia
floruit, ut litteris doctrinaque praestaret”,
ma che Poliziano arricchisce con informazioni ricavate da autori greci (in particolare da
Eustazio, il commentatore di Omero) a questa data tutt’altro che diffusi e la cui
conoscenza dimostra il livello di erudizione del Poliziano.
La citazione di Pisistrato (esaltato già da Cicerone e Petrarca come esempio di dottrina
e di eloquenza) per la sua raccolta dei poemi omerici è funzionale a celebrare,
mediante il paragone con un esempio classico, il ruolo avuto da Federico d’Aragona nel
salvataggio degli antichi poeti volgari attuato mediante la Raccolta Aragonese.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 32/S1
Titolo: Agnolo Poliziano: lo stile
Attività n°: 1
D’altro canto la lunga descrizione fisica e letteraria di Guido Cavalcanti a 85-96 deve
molto alla descrizione che del poeta diede Boccaccio nella breve novella IX della VI
giornata del Decameron. L’attenzione alla produzione boccacciana è attestata inoltre
da la bella forma del nostro idioma (83) che riprende il Boccaccio del Trattatello in
laude di Dante: “mostrando la bellezza del nostro idioma” (il grecismo idioma,
introdotto in italiano per primo da Dante, è transitato poi soprattutto attraverso i
commentatori e imitatori della Commedia, fra i quali lo stesso Boccaccio).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 32/S1
Titolo: Agnolo Poliziano: lo stile
Attività n°: 1
Questa doppia attenzione alla tradizione greca e latina e a quella volgare corrisponde,
a livello propriamente linguistico, a quel che abbiamo visto riguardo la diversa
penetrazione di elementi latini e volgari a seconda che ci si sia soffermati sugli aspetti
fonetici, o morfologici o sintattici o infine lessicale.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 32/S2
Titolo: Agnolo Poliziano: lo stile
Attività n°: 1
Un’ultima considerazione su quelle che sono le specificità di natura culturale del nostro
testo. La parte più innovativa dell’Epistola è quella storico-critica, nella quale Poliziano
elabora (o rielabora per il volgare) un lessico tecnico-critico: dalla tradizione classica
provengono i concetti di ornamento e di copia (con il sinonimo di abundantia e dunque
di ricchezza) o di rifinitura (polire): ornata e copiosa 63; ricchezze ed ornamenti 64;
abundante e pulitissima 65; ornatissimi 77; copioso e rilevato 89; più lucido, più suave
e più ornato 78-79. L’apporto di Poliziano alla formazione di un lessico critico nuovo si
misura invece su gentile, florida, leggiadra 66 o sull’associazione in dittologia di
nuovo e antico: ruvido e severo 78.
In questo stesso settore Poliziano adotta il campo metaforico delle arti visive per
descrivere lo stile dei poeti passati in rassegna nella seconda parte, secondo un
modello offertogli dalla retorica classica, nella quale non di rado erano invocati
paragoni con la pittura e con i pittori per illustrare alcuni precetti retorici. In questa
luce si comprende la pregnanza di formulazioni come le seguenti: 75: a ritrarre la
vaga im m agine del novello stile; 83: da cui la bella form a del nostro idioma fu
dolcemente colorita, quale appena da quel rozzo aretino era stata adom brata ; 89:
copioso e rilevato.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 33
Titolo: Test
Attività n°: 1
Riepilogo
la vitalità di lauda, laude , laudi rispetto a loda, lode, lodi (in entrambi i
casi la ricerca, per lemma o per forma va fatta secolo per secolo).
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
24) Illustrate la presenza e la natura dei latinismi nella scrittura di Agnolo Poliziano.
25) Analizzate dal punto di vista linguistico il seguente brano estratto dalla Lettera
proemiale alla Raccolta Aragonese:
“Imperocché, essendo la sacra opera di questo celebratissimo poeta dopo la sua morte per
molti e vari luoghi della Grecia dissipata e quasi dimembrata, Pisistrato, ateniese principe,
uomo per molte virtù e d’animo e di corpo prestantissimo, proposti amplissimi premi a chi
alcuni de’ versi omerici gli apportassi, con somma diligenzia ed esamine tutto il corpo del
santissimo poeta insieme raccolse, e sì come a quello dette perpetua vita, così lui a se stesso
immortal gloria e clarissimo splendore acquistonne”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 34
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 2
Nell’analizzare la prosa letteraria del Cinquecento non possiamo dunque dimenticare che
prassi e teoria, scrittura letteraria e riflessione linguistica vanno di concerto e sono
sempre costantemente legate. Legata a bisogni percepiti a livelli diversi (tipografi,
utenti, letterati, oltre che grammatici e lessicografi), la questione della lingua si affaccia
e si impone fin dai primi anni del secolo XVI.
Nel primo decennio del secolo, a stare alla affermazione dell’autore, Pietro Bembo
aveva iniziato a mettere su carta la propria riflessione sulla lingua da usarsi in
letteratura, mediante la stesura di regole di carattere grammaticale; in quello stesso
primo decennio del Cinquecento viene composta la prima grammatica volgare di
Giovan Francesco Fortunio (prescindendo dalla Grammatichetta vaticana dell’Alberti
che fu, come abbiamo detto, gesto precoce e geniale, ma senza fortuna, di un umanista
sui generis); in quello stesso giro d’anni vengono scritti i nove libri, ormai irrecuperabili,
della Volgar poesia di Vincenzo Calmeta (Vincenzo Colli detto il Calmeta, 1460-1508),
da datarsi almeno ante 1508, data della morte del loro autore, nei quali si patrocinava la
scelta della lingua cortigiana e dei quali ci rimane un resoconto e un giudizio,
certamente di parte, nelle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo (Prose, libro I,
capitoli XIII-XIV).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 34/S1
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 1
La comparsa nel 1525 delle Prose bembiane nel panorama letterario italiano non fu
importante soltanto per le teorie linguistiche espresse nelle Prose e per l’indicazione di
una precisa via maestra da seguire, ma soprattutto perché, a differenza delle Regole
dell’oscuro Giovan Francesco Fortunio, esse rappresentavano il punto di vista
(condivisibile o meno che esso fosse) di un intellettuale di primo piano, ormai autore
maturo e di prestigio indiscusso: nel 1524-1525 il Bembo aveva alle spalle una solida
preparazione filologica e umanistica, una buona produzione latina, una vita trascorsa
nelle corti di Ferrara (a più riprese) e di Urbino (fra il 1506 e il 1512) e, dal 1513 al
1520 era stato segretario del primo papa Medici (Leone X), più volte in procinto di
essere nominato cardinale (nomina che giunse invece molto tempo dopo, nel 1539);
questa vita a contatto con gli ambienti cortigiani e curiali aveva consentito a Pietro
Bembo di stabilire una serie di relazioni di amicizia e di colleganza da cui aveva ricavato
stima e fama indiscussa.
Insomma la presa di posizione di Bembo sulla questione linguistica, che si fosse o no
d’accordo con lui, non poteva passare inosservata.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 34/S3
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 1
“Egli par bene da una parte, - disse - messer Federigo, che per contento tener se ne
debba Giuliano, perciò che egli ha senza sua fatica quella lingua nella culla e nelle
fascie apparata, che noi dagli auttori il più delle volte con l'ossa dure disagiosamente
appariamo. Ma d'altra non so io bene, senza fallo alcuno, che dirmi; e viemmi
talora in openione di credere, che l'essere a questi tempi nato fiorentino, a
ben volere fiorentino scrivere, non sia di molto vantaggio. Perciò che, oltre
che naturalmente suole avenire, che le cose delle quali abondiamo sono da noi men
care avute, onde voi toschi, del vostro parlare abondevoli, meno stima ne fate che
noi non facciamo, sì aviene egli ancora che, perciò che voi ci nascete e crescete,
a voi pare di saperlo abastanza, per la qual cosa non ne cercate altramente
gli scrittori, a quello del popolaresco uso tenendovi, senza passar più avanti, il
quale nel vero non è mai così gentile, così vago, come sono le buone scritture. Ma gli
altri, che toscani non sono, da' buoni libri la lingua apprendendo, l’apprendono vaga
e gentile”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 35/S3
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 1
Non è però a questo o ad altri passaggi delle Prose che Machiavelli risponde con il
Discorso intorno alla nostra lingua; scritto all’incirca nel 1524, il Discorso testimonia
quel che si diceva in giro delle Prose, non ancora pubblicate né, dunque, lette nella
loro integrità. È però certo che le impostazioni di Bembo e Machiavelli sono
diametralmente opposte.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 36/S1
Titolo: Niccolò Machiavelli e la questione della lingua
Attività n°: 1
Ma tanto più scalpore aveva fatto e avrebbe continuato a fare l’interpretazione che del
De vulgari eloquentia (o, come lo si chiamava allora, De vulgari eloquio) aveva dato il
suo riscopritore, il vicentino Gian Giorgio Trissino (1478-1550) che fin dal 1513, durante
un soggiorno a Firenze, aveva fatto conoscere il testo dantesco nelle riunioni degli Orti
Oricellari (cioè nei giardini fiorentini di Cosimo Rucellai).
Solo più tardi, precisamente nel 1529, ormai dopo la morte di Machiavelli, alla
circolazione orale delle teorie dantesche in fatto di lingua patrocinata dal Trissino, fece
seguito la circolazione a stampa: in quell’anno “il Trissino pubblicò sotto altrui nome la
traduzione italiana dell’inedito De vulgari eloquentia di Dante, e insieme un dialogo, Il
Castellano, in cui fornì una compiuta illustrazione della sua dottrina linguistica,
conforme a quella di Dante, di una lingua letteraria comune a tutta Italia, e dunque
italiana, non soltanto fiorentina o toscana” (Carlo Dionisotti, Machiavelli e la lingua
fiorentina, p. 320).
Fra il 1513 e il 1529 però le teorie trissiniane di una lingua cortigiana o italiana furono
al centro di discussioni che, svoltesi a Roma, furono ben presto note e commentate a
Firenze.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 36/S2
Titolo: Niccolò Machiavelli e la questione della lingua
Attività n°: 1
Contrariamente a quel che si era creduto a lungo, nell’Ottocento e poi fino al 1970, il
Discorso intorno alla nostra lingua non va fatto risalire alla prima diffusione del De
vulgari eloquentia testimoniata dal soggiorno fiorentino del Trissino del 1513 (data
poco probabile per la stessa biografia machiavelliana, che vede Machiavelli coinvolto
in un’accusa di complotto, imprigionato e poi impegnato nella stesura del Principe),
ma ad un periodo che Dionisotti ha precisamente individuato fra il maggio 1524
(quando una lettera di Alessandro de’ Pazzi da Roma informa Francesco Vettori, amico
del Machiavelli, di discussioni romane suscitate dalle teorie ‘cortigiane’ del Trissino) e
l’ottobre dello stesso anno, mese nel quale il Trissino dette alle stampe la sua Epistola
de le lettere nuovamente aggiunte ne la lingua italiana (di cui non c’è menzione nel
Discorso), in cui il problema ortografico, che era stato centrale già nel decennio
precedente, veniva riaffrontato, introducendo nuovi segni per distinguere vocali
aperte e chiuse, consonanti sorde e sonore, suscitando repliche immediate.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 36/S3
Titolo: Niccolò Machiavelli e la questione della lingua
Attività n°: 1
Riepilogo
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
26) Quali problemi vengono affrontati e quali soluzioni vengono proposte nelle prime
grammatiche del volgare, in particolare nelle Regole del Fortunio e nelle Prose del
Bembo?
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1
Machiavelli e il P rincipe
Dalla teoria passiamo alla pratica che (come dice ancora il Dionisotti) per il Machiavelli
“facevano tutt’uno”. Dagli ultimi anni di vita di Machiavelli, a cui va datato il Discorso,
risaliamo ai primi dolorosi e impazienti anni di estromissione dalla politica: dopo il
quindicennio che lo aveva visto protagonista e lucido testimone della politica fiorentina
e italiana dall’interno dei suoi meccanismi (1498-1512), il rientro dei Medici a Firenze
causò la cancellazione del Machiavelli dall’ufficio fino allora ricoperto (novembre 1512),
la sua condanna al confino e l’accusa di esser coinvolto in una congiura filo-
repubblicana (febbraio 1513) che costò al Machiavelli prima la tortura e poi il carcere.
Anche la sua liberazione, avvenuta poco dopo in occasione di un’amnistia decretata per
celebrare a Firenze l’elezione a papa di Giovanni di Lorenzo de’ Medici (Leone X) non
servì a riammetterlo al centro di quella politica di cui era stato protagonista negli anni
precedenti. Senza prospettive di poter di nuovo mettere a servizio della propria città
l’esperienza politica maturata negli anni in cui era stato Segretario della Repubblica
fiorentina, Machiavelli affronta con nuova passione (come del resto non aveva mai
smesso di fare) lo studio dell’antico e la riflessione sulla storia passata che gli consente
(secondo una visione tutta umanistica) di leggere e interpretare il presente.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1
Machiavelli e il P rincipe
La riflessione sul passato, la lettura dei classici e l’esperienza politica passata inducono il
Machiavelli a scrivere il De principatibus che egli afferma all’amico Francesco Vettori di
aver terminato il 10 dicembre del 1513 e sul quale probabilmente continuò a lavorare fino
agli inizi dell’anno seguente quando lo dedicò a Lorenzo di Piero de’ Medici. A presiedere
all’opera non sta la volontà di creare uno speculum principis (come potrebbe indurre a
credere il titolo vulgato di Il principe e come potrebbe far credere la centralità della
figura, a suo modo ‘esemplare’, del principe Cesare Borgia, il Valentino, nel dilemma
fortuna e virtù di questo trattato), ma un’analisi serrata sulla natura, qualità e sorti de
principatibus, cioè del potere politico retto in signoria.
Nel file pdf allegato è riprodotto un brano del De principatibus (lettera dedicatoria e
capitoli I-III) secondo il testo edito criticamente da Giorgio Inglese nel 1994 (N.
MACHIAVELLI, De principatibus, testo critico a cura di Giorgio Inglese, Roma, Istituto
Storico Italiano per il Medio Evo, 1994; con commento Torino, Einaudi, 1994), di recente
aggiornato dallo stesso studioso (N. MACHIAVELLI, Il Principe, Nuova edizione a cura di G.
Inglese, Con un saggio di F. Chabod, Torino Einaudi, 2013, pp. 3-26).
N.B. La traduzione delle rubriche latine che intitolano ciascun capitolo (nel file poste fra
parentesi quadre) “riproduce con minimi aggiustamenti, quella procurata da Biagio
Buonaccorsi nel ms Parigino it. 709” (ivi, p. XLVIII).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1
[I] QUOT SINT GENERA PRINCIPATUUM ET QUIBUS MODIS ACQUIRANTUR. [Di quante ragioni sieno e’
principati e in che modo si acquistino]
[1] Tutti gli stati, tutti e’ dominii che hanno avuto e hanno imperio sopra gli uomini, sono stati e sono
o republiche o principati. [2] E’ principati sono o ereditari, de’ quali el sangue del loro signore ne sia suto
lungo tempo principe, o sono nuovi. [3] E’ nuovi, o e’ sono nuovi tutti, come fu Milano a Francesco
Sforza, o sono come membri aggiunti allo stato ereditario del principe che gli acquista, come è el regno di
Napoli al re di Spagna. [4] Sono questi dominii cosí acquistati o consueti a vivere sotto uno principe o usi
a essere liberi; et acquistonsi o con le armi d’altri o con le proprie, o per fortuna o per virtù.
1
dominio. [5] Perché el principe naturale ha minori cagioni e minore necessità di offendere, donde con-
viene ch’e’ sia più amato; e se estraordinarii vizi non lo fanno odiare è ragionevole che naturalmente sia
benevoluto da’ sua. [6] E nella antiquità e continuazione del dominio sono spente le memorie e le cagioni
delle innovazioni: perché sempre una mutazione lascia lo addentellato per la edificazione dell’altra.
2
campi e le case per darle a’ nuovi abitatori, che sono una minima parte di quello stato; [16] e quelli
ch’egli offende, rimanendo dispersi e poveri, non gli possono mai nuocere; e tutti li altri rimangono da
uno canto inoffesi – e per questo doverrebbono quietarsi –, da l’altro paurosi di non errare per timore che
non intervenissi a loro come a quelli che sono stati spogliati. [17] Concludo che queste colonie non co-
stono, sono più fedeli, offendono meno, e li offesi non possono nuocere, sendo poveri e dispersi, come è
detto. [18] Per che si ha a notare che gli uomini si debbono o vezzeggiare o spegnere: perché si vendicano
delle leggeri offese, delle gravi non possono; sí che la offesa che si fa all’uomo debbe essere in modo che
la non tema la vendetta. [19] Ma tenendovi in cambio di colonie gente d’arme, spende più assai, avendo a
consumare nella guardia tutte le intrate di quello stato, in modo che l’acquisto gli torna perdita; e offende
molto più, perché nuoce a tutto quello stato tramutando con li alloggiamenti il suo essercito: del quale di-
sagio ognuno ne sente e ciascuno gli diventa nimico, e sono nimici che gli possono nuocere, rimanendo
battuti in casa loro. [20] Da ogni parte adunque questa guardia è inutile, come quella delle colonie è utile.
[21] Debbe ancora chi è in una provincia disforme, come è detto, farsi capo e defensore de’ vicini mi-
nori potenti e ingegnarsi di indebolire e’ potenti di quella e guardarsi che per accidente alcuno non vi entri
uno forestiere potente quanto lui. E sempre interverrà ch’e’ vi sarà messo da coloro che saranno in quella
malcontenti o per troppa ambizione o per paura: come si vidde già che li etoli missono e’ romani in Gre-
cia, e, in ogni altra provincia che gli entrorno, vi furno messi da’ provinciali. [22] E l’ordine delle cose è
che, subito che uno forestieri potente entra in una provincia, tutti quelli che sono in essa meno potenti gli
aderiscono, mossi da una invidia hanno contro a chi è suto potente sopra di loro: tanto che respetto a que-
sti minori potenti lui non ha a durare fatica alcuna a guadagnargli, perché subito tutti insieme fanno uno
globo col suo stato che lui vi ha acquistato; [23] ha solamente a pensare ch’e’ non piglino troppe forze e
troppa autorità, e facilmente può con le forze sua e col favore loro sbassare quelli che sono potenti per ri-
manere in tutto arbitro di quella provincia; e chi non governerà bene questa parte perderà presto quello
che arà acquistato, e, mentre che lo terrà, vi arà drento infinite difficultà e fastidi.
[24] E’ Romani, nelle province che pigliorno, osservorno bene queste parte: e’ mandorno le colonie,
intrattennono e’ meno potenti sanza crescere loro potenza, abbassorno e’ potenti e non vi lasciorno pren-
dere riputazione a’ potenti forestieri. [25] E voglio mi basti solo la provincia di Grecia per essemplo:
furno intrattenuti da loro gli achei e gli etoli, fu abbassato il regno de’ macedoni, funne cacciato Antioco;
né mai e’ meriti degli achei o delli etoli feciono ch’e’ permettessino loro accrescere alcuno stato, né le
persuasioni di Filippo gli indussono mai a essergli amici sanza sbassarlo, né la potenza di Antioco possé
fare gli consentissino ch’e’ tenessi in quella provincia alcuno stato. [26] Perché e’ romani feciono in que-
sti casi quello che tutti e’ principi savi debbono fare, e’ quali non solamente hanno a avere riguardo alli
scandoli presenti ma a’ futuri, e a quelli con ogni industria ovviare; perché, prevedendosi discosto, vi si
rimedia facilmente, ma, aspettando ch’e’ ti si appressino, la medicina non è a tempo perché la malattia è
diventata incurabile; [27] e interviene di questa, come dicono e’ fisici dello etico, che nel principio del
suo male è facile a curare e difficile a conoscere, ma nel progresso del tempo, non la avendo nel principio
conosciuta né medicata, diventa facile a conoscere e difficile a curare. [28] Cosí interviene nelle cose di
stato: perché conoscendo discosto – il che non è dato se non a uno prudente – e’ mali che nascono in
quello si guariscono presto; ma quando per non gli avere conosciuti si lasciano crescere in modo che
ognuno gli conosce, non vi è più remedio.
[29] Però e’ romani, vedendo discosto gli inconvenienti, vi rimediorno sempre; e non gli lasciorno mai
seguire per fuggire una guerra, perché sapevano che la guerra non si lieva ma si differisce a vantaggio di
altri: però vollono fare con Filippo e Antioco guerra in Grecia, per non la avere a fare con loro in Italia; e
potevono per allora fuggire l’una e l’altra: il che non vollono. [30] Né piacque mai loro quello che è tutto
dí in bocca de’ savi de’ nostri tempi, di godere il benefizio del tempo, ma sí bene quello della virtù e pru-
denza loro: perché il tempo si caccia innanzi ogni cosa e può condurre seco bene come male e male come
bene.
[31] Ma torniamo a Francia e essaminiamo se delle cose dette ne ha fatte alcuna: e parlerò di Luigi, e
non di Carlo, come di colui che, per aver tenuta più lunga possessione in Italia, si sono meglio visti e’ sua
progressi: e vedrete come egli ha fatto il contrario di quelle cose che si debbono fare per tenere uno stato
in una provincia disforme. [32] El re Luigi fu messo in Italia da la ambizione de’ viniziani, che vollono
guadagnarsi mezzo lo stato di Lombardia per quella venuta. [33] Io non voglio biasimare questo partito
3
preso dal re: perché, volendo cominciare a mettere uno piè in Italia e non avendo in questa provincia
amici, anzi sendoli per li portamenti del re Carlo serrate tutte le porte, fu necessitato prendere quelle ami-
cizie che poteva; e sarebbegli riuscito el partito bene preso quando nelli altri maneggi non avessi fatto al-
cuno errore. [34] Acquistata adunque el re la Lombardia, subito si riguadagnò quella reputazione che gli
aveva tolta Carlo: Genova cedé; fiorentini gli diventorno amici; marchese di Mantova, duca di Ferrara,
Bentivogli, Madonna di Furlí, signore di Faenza, di Rimini, di Pesero, di Camerino, di Piombino, luc-
chesi, pisani, sanesi, ognuno se gli fece incontro per essere suo amico. [35] E allora poterno considerare
e’ viniziani la temerità del partito preso da loro, e’ quali per acquistare dua terre in Lombardia feciono si-
gnore el re de’ dua terzi di Italia.
[36] Consideri ora uno con quanta poca difficultà poteva el re tenere in Italia la sua reputazione se lui
avessi osservate le regule soprascritte e tenuti sicuri e difesi tutti quelli sua amici, e’ quali, per essere gran
numero e deboli e paurosi chi della Chiesia chi de’ viniziani, erano sempre necessitati a stare seco: e per il
mezzo loro poteva facilmente assicurarsi di chi ci restava grande. [37] Ma lui non prima fu in Milano che
fece il contrario, dando aiuto a papa Alessandro perché egli occupassi la Romagna; né si accorse, con
questa deliberazione, che faceva sé debole, togliendosi gli amici e quegli che se gli erano gittati in
grembo, e la Chiesa grande, aggiugnendo allo spirituale – che le dà tanta autorità – tanto temporale. [38]
E fatto uno primo errore fu constretto a seguitare: in tanto che, per porre termine alla ambizione di Ales-
sandro e perché non divenissi signore di Toscana, e’ fu constretto venire in Italia.
[39] Non gli bastò avere fatto grande la Chiesa e toltosi gli amici, che per volere il regno di Napoli lo
divise con il re di Spagna: e dove egli era prima arbitro di Italia, vi misse uno compagno, acciò che gli
ambiziosi di quella provincia e e’ malcontenti di lui avessino dove ricorrere; e dove poteva lasciare in
quel regno uno re suo pensionario, e’ ne lo trasse per mettervi uno che potessi cacciarne lui. [40] È cosa
veramente molto naturale e ordinaria desiderare di acquistare: e sempre, quando li uomini lo fanno che
possano, saranno laudati o non biasimati; ma quando non possono e vogliono farlo a ogni modo, qui è lo
errore e il biasimo. [41] Se Francia, adunque poteva con le sue forze assaltare Napoli, doveva farlo: se
non poteva, non doveva dividerlo; e se la divisione fece co’ viniziani di Lombardia meritò scusa, per
avere con quella messo el piè in Italia, questa merita biasimo per non essere scusata da quella necessità.
[42] Aveva dunque fatto Luigi questi cinque errori: spenti e’ minori potenti; accresciuto in Italia po-
tenza a uno potente; messo in quella uno forestiere potentissimo; non venuto ad abitarvi; non vi messo
colonie. [43] E’ quali errori ancora, vivendo lui, potevono non lo offendere s’e’ non avessi fatto il sesto,
di tòrre lo stato a’ viniziani. [44] Perché, quando non avessi fatto grande la Chiesa né messo in Italia Spa-
gna, era bene ragionevole e necessario abbassargli; ma avendo preso quegli primi partiti non doveva mai
consentire alla ruina loro: perché, sendo quegli potenti, sempre arebbono tenuti gli altri discosto da la im-
presa di Lombardia, sí perché e’ viniziani non vi arebbono consentito sanza diventarne signori loro, sí
perché li altri non arebbono voluto torla a Francia per darla a loro; e andare a urtarli tutti a dua non areb-
bono avuto animo.
[45] E se alcuno dicessi: el re Luigi cedé a Alessandro la Romagna e a Spagna il Regno per fuggire
una guerra; respondo, con le ragioni dette di sopra, che non si debbe mai lasciare seguire uno disordine
per fuggire una guerra: perché la non si fugge ma si differisce a tuo disavvantaggio. [46] E se alcuni altri
allegassino la fede che il re aveva data al papa di fare per lui quella impresa per la resoluzione del suo
matrimonio e il cappello di Roano, rispondo con quello che per me di sotto si dirà circa alla fede de’ prin-
cipi e come la si debbe osservare.
[47] Ha perduto adunque el re Luigi la Lombardia per non avere osservato alcuno di quelli termini os-
servati da altri che hanno preso province e volutole tenere; né è miraculo alcuno questo, ma molto ordina-
rio e ragionevole. [48] E di questa materia parlai a Nantes con Roano, quando el Valentino – che cosí era
chiamato popularmente Cesare Borgia, figliuolo di papa Alessandro – occupava la Romagna; perché, di-
cendomi el cardinale di Roano che gli italiani non si intendevano della guerra, io gli risposi che e’ fran-
zesi non si intendevano dello stato: perché, s’e’ se ne ’ntendessino, non lascerebbono venire in tanta
grandezza la Chiesa. [49] E per esperienza si è visto che la grandezza in Italia di quella e di Spagna è stata
causata da Francia e la ruina sua è suta causata da loro. [50] Di che si trae una regula generale, la quale
mai o raro falla, che chi è cagione che uno diventi potente, ruina: perché quella potenza è causata da colui
o con industria o con forza, e l’una e l’altra di queste dua è sospetta a chi è divenuto potente.
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Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37/S1
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1
Nella slide finale di questa sessione di studio troverete lo spoglio del nostro brano
relativamente all’articolo e pronome li / gli, ciascuno dei quali distinto secondo le
funzioni morfosintattiche: l’articolo isolato o in connessione con una preposizione, il
pronome a seconda che esprima un complemento oggetto maschile plurale o un
complemento di termine (si avverta che in questo caso li / gli può stare per il
maschile e il femminile, per il singolare e il plurale) e infine il frequente pronome o
aggettivo dimostrativo maschile quelli /quegli.
Noteremo (come già avvertito a suo tempo per Poliziano) che per quanto riguarda
l’articolo (e di conseguenza le preposizioni articolate) la variante li potrebbe essere
un arcaismo grafico e dunque di nessuna (o scarsissima) pertinenza fonetica,
alternandosi in maniera ‘casuale’ li uomini / gli uomini, li etoli / gli etoli, e la residua
forma forte dell’articolo distribuendosi (oltre che davanti a vocale), davanti a s +
consonante sia nella forma gli stati come nella forma alli scandoli (a proposito
dell’uso dell’articolo forte si veda il rispetto della legge Gröber in per li portamenti
(ma viceversa l’articolo debole singolare compare dopo consonante a III 36,3 per il
mezzo e a III 39, 2 con il re).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37/S1
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1
Nel prospetto seguente il numero romano (che manca per la lettera dedicatoria) indica il
capitolo, le cifre arabe il paragrafo e la riga.
Dall’elenco sono escluse le forme gli pronome personale soggetto (‘essi’) di cui
tratteremo sotto e che compare a III 1, 4 e III 21, 5.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37/S1
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1
Machiavelli e il P rincipe : il
quadro fono-morfologico
Avendo affrontato il tema degli articoli, esauriamolo, verificando la frequenza nella
prosa machiavelliana delle forme deboli dell’articolo maschile singolare il / el e plurale
i / e.
I numeri dicono che la nuova forma dell’articolo maschile singolare el ha un suo diritto
di cittadinanza nella prosa del Cinquecento, anche se (occorre ribadirlo di nuovo)
l’innovazione non riesce né a cancellare né a sopravanzare il concorrente e più antico
il.
La penetrazione è invece addirittura invasiva nelle forme del plurale giacché nel nostro
brano (ma il dato è confermato dal riscontro su tutto il testo del Principe) non
compare mai la forma i, soppiantata completamente da e’.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37/S2
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1
i (0)
e’ (38 occorrenze): 4, 2; 5, 2; 5, 3; I 1, 1; I 2, 1; I 3, 12; III 1, 3; III 1, 4; III 4, 4; III
5, 1; III 5, 2; III 5, 3; III 9, 6; III 13, 2; III 13, 3; III 15, 2; III 21, 2; III 21, 4; III
24, 1; III 24, 22; III 25, 3; III 26, 1; III 26, 22; III 27, 1; III 28, 2; III 29, 1; III 31,
2; III 35, 22; III 36, 2; III 39, 3; III 42, 1; III 43, 1; III 44, 4; III 48, 3.
A fronte dunque della scomparsa di i (peraltro momentanea, nella storia della lingua
italiana) e dunque a fronte dell’unicità della forma e’, ci possiamo chiedere quali sono (se
ci sono in effetti) delle specificità di distribuzione delle due forme del maschile singolare, i
cui rapporti numerici nel nostro testo rispecchiano quelli dell’intero trattato.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37/S2
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1
Per altro verso c’è la possibilità che, a determinare la scelta di volta in volta stiano
condizioni fonetiche o facilitanti o contestualmente preferite: delle 18 occorrenze di el, 7
sono precedute da parola che termina in -e, 5 da parola che termina in -o, 3 in -i, 1 in-a;
delle 25 occorrenze di il, 9 sono precedute da parola che termina in -o, 7 da parola che
termina in -e, 5 in -a, 1 in -i.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37/S3
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1
La forma indeclinabile dei possessivi è confermata dall’analogo dua (dua respetti III 10,
1; dua luoghi III 14, 1; dua terre III 35, 2; tutti a dua III 44, 5; queste dua IIII 50, 3),
che a sua volta conferma l’adesione all’innovazione quattrocentesca relativa ai numerali
proposta già da dieci (nel dieci II 4, 2).
Antitesi classificatoria:
1, 2 abbino più care o delle quali vegghino; 2, 3 quale io abbia più cara o tanto essistimi;
4, 1-2 né ripiena di clausule ample o di parole ampullose e magnifiche o di
qualunque altro lenocinio e ornamento; 4, 3-4 perché io ho voluto o che veruna
cosa la onori o che solamente la varietà della materia e la gravità del subietto la
facci grata.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 38/S2
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1
III 1, 1 M a nel principato nuovo consistono le difficultà; III 1, 1-2 s’e’ non è tutto
nuovo, m a come membro; III 11, 1 M a quando si acquista stati in una provincia
disforme di lingua, di costumi e di ordini, qui; III 19, 1 M a tenendovi in cambio di
colonie gente d’arme, spende più assai; III 26, 2-3 e’ quali non solamente hanno a
avere riguardo alli scandoli presenti m a a’ futuri; III 26, 3-4 prevedendosi discosto, vi si
rimedia facilmente, m a, aspettando ch’e’ ti si appressino, la medicina non è a tempo; III
27, 2 è facile a curare e difficile a conoscere, m a nel progresso del tempo; III 28, 3 m a
quando per non gli avere conosciuti si lasciano crescere; III 29, 2 perché sapevano che
la guerra non si lieva m a si differisce; III 30, 1.3 Né piacque mai loro quello che è tutto
dí in bocca de’ savi de’ nostri tempi, di godere il benefizio del tempo, m a sí bene quello
della virtù e prudenza loro; III 31, 1 M a torniamo a Francia e essaminiamo; III 37, 1-2
M a lui non prima fu in Milano che fece il contrario; III 40, 3 m a quando non possono e
vogliono farlo; III 44, 2 m a avendo preso quegli primi partiti non doveva; III 45, 3
perché la non si fugge m a si differisce a tuo disavvantaggio; III 47, 2-3 né è miraculo
alcuno questo, m a molto ordinario e ragionevole.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 38/S3
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1
Riepilogo
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Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 39/S3
Titolo: Test
Attività n°: 1
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
27) Parlato e scritto, tradizione e innovazione nella lingua di Niccolò Machiavelli.
28) Analizzate dal punto di vista linguistico il seguente brano estratto dal De
principatibus:
“[42] Aveva dunque fatto Luigi questi cinque errori: spenti e’ minori potenti;
accresciuto in Italia po- tenza a uno potente; messo in quella uno forestiere
potentissimo; non venuto ad abitarvi; non vi messo colonie. [43] E’ quali errori
ancora, vivendo lui, potevono non lo offendere s’e’ non avessi fatto il sesto, di tòrre
lo stato a’ viniziani”.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 40
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1
“Termini più ragionevoli che gli anni secolari potrebbero essere per l’inizio quelli
che sono stati indicati delimitando il Cinquecento (1563, data della chiusura del
Concilio di Trento; 1582-83, fondazione e riforma salviatesca dell’Accademia della
Crusca), per la fine quella data del 1670 circa che segna un mutamento nella
filosofia, nella letteratura, nelle stesse mode; sintomatica è anche la data della
fondazione dell’Arcadia [1690]”.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 40
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1
Fra il 1540 e il 1541, una Accademia di privati cittadini (l’Accademia degli Umidi, che
comprendeva spiriti indipendenti e politicamente non allineati alla riconquista del
potere in Toscana da parte della casa dei Medici) era stata trasformata (con un atto
politico tutt’altro che condiviso) in strumento ufficiale di promozione linguistica e
letteraria da parte del duca Cosimo I (l’Accademia Fiorentina). In tale Accademia aveva
avuto occasione di svilupparsi e meglio strutturarsi quel sentimento di orgoglio
municipale che, a stare alla testimonianza di Carlo Lenzoni, era stato espresso da
Machiavelli all’uscita delle Prose della volgar lingua di Bembo: la rivendicazione cioè
(oculatamente promossa e incoraggiata dal Duca, che vi scorgeva un’insostituibile
opportunità di autopromozione culturale, letteraria e linguistica) del “primato
fiorentino”, di cui l’opera di Carlo Lenzoni è un esempio concreto.
Nell’Accademia Fiorentina in verità si fronteggiarono istanze ‘classicheggianti’ e
filobembiane come quella di Benedetto Varchi (1503-1565) da una parte, e pretese di
superiorità del fiorentino (anche nella sua versione contemporanea, di lingua parlata e
mutevole nella diatopia e della diastratia) rispetto agli altri volgari, come quelle di
Giovan Battista Gelli (1498-1563) e Pier Francesco Giambullari (1495-1555), dall’altra.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 40/S1
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1
La citazione è tratta dalla voce che Nicoletta Maraschio ha dedicato nel 2011 al Salviati
nell’Enciclopedia dell’italiano, della casa editrice Treccani consultabile on line:
http://www.treccani.it/enciclopedia.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 40/S3
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
29) Tracciate un quadro dei rispettivi ambiti d’uso del latino, del volgare e del dialetto
nel secondo Cinquecento e nel Seicento.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 42
Titolo: Il barocco e la prosa di Daniello Bartoli
Attività n°: 1
Daniello Bartoli nacque a Ferrara nel 1608; è dunque il primo scrittore né fiorentino né
toscano di cui analizzeremo la prosa. Come avremo modo di verificare nel concreto
dell’analisi ciò non crea alcun sussulto rispetto a quel che siamo abituati ormai a
conoscere (e riconoscere) dell’evoluzione fono-morfologica dell’italiano, a testimonianza
di un’unificazione ormai raggiunta nello scritto, se non in tutti i registri o a tutti i livelli,
almeno nelle zone di massima educazione letteraria.
Il Bartoli, all’interno della Compagnia di Gesù nella quale fu educato fin dall’infanzia,
ottenne presto attestazioni di stima tali che, ventenne, lo condussero a diventar egli
stesso maestro di retorica. Nonostante ciò, dopo quattro anni, in vista di prendere gli
ordini superiori, manifestò la sua forte attitudine ad approfondire gli studi teologici per
completare i quali si trasferì a Milano e poi a Bologna.
Completato il corso di studi, nonostante avesse espresso a più riprese il desiderio di
essere impegnato nell’evangelizzazione missionaria, nella quale consisteva il principale
obiettivo dell’ordine gesuitico (secondo il voto del fondatore, sant’Ignazio di Loyola), fu
destinato prima all’insegnamento e poi alla predicazione in varie città dell’Italia
settentrionale (poi anche a Palermo, Napoli, Malta) per oltre un decennio.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 42
Titolo: Il barocco e la prosa di Daniello Bartoli
Attività n°: 1
Dal 1646 l’attività predicatoria si diradò, essendo stato incaricato dal generale dell’Ordine
di diventare storiografo ufficiale della Societas Iesu, alla quale si dedicò in maniera stabile
e continuativa a partire dal 1648, risiedendo a Roma.
“Il B[artoli] si proponeva di narrare le vicende della Compagnia, seguendo la
partizione offerta spontaneamente dai quattro continenti in cui essa aveva operato:
Europa, Asia, Africa, America. L'opera fu pubblicata a mano a mano che il B[artoli]
l’andava componendo. Nel 1653 apparve L’Asia (ristampata nel ’56 e poi nel ’67); nel
’60 Il Giappone; nel ’63 La Cina; nel ’67 L’Inghilterra; nel ’73 L’Italia. Nel 1663,
separatamente, fu pubblicata La missione al Gran Mogor del p. Ridolfo d'Acquaviva,
che fu aggiunta all’Asia nell’edizione del ’67.
Accorgendosi verso la fine della vita che non avrebbe mai potuto compiere l’impresa
gigantesca dell’Istoria, il B[artoli] intraprese a darne una stesura più compendiosa
sotto forma annalistica, di cui nel 1684 aveva già composto 5 libri (Degli uomini e dei
fatti della Compagnia di Gesù - Memorie storiche)” (Alberto ASOR ROSA, Bartoli
Daniello, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia
Italiana, VI, 1964).
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 42/S1
Titolo: Il barocco e la prosa di Daniello Bartoli
Attività n°: 1
Ai problemi linguistici del proprio tempo il Bartoli dedicò Il torto e ’l diritto del Non si
può e il Trattato dell’ortografia italiana (1670), considerata quest’ultima la “più
importante opera sull’ortografia del Seicento”, nella quale
“Daniello Bartoli precisa che l’interpunzione sfugge a principi normativi rigidi e
che, ancor più di altre parti dell’ortografia, è legata al gusto individuale. Bartoli
individua il principio di selezione nella chiarezza e la funzione nell’evitare gli errori
di comprensione, distinguendo e separando le parti del testo [...]. Quanto
all’elenco dei singoli segni, non sono in genere presi in considerazione il punto
esclamativo e il punto interrogativo e cadono anche le distinzioni tra i diversi tipi
di punto, che nel Cinquecento poteva essere fermo, trafermo, fermissimo e
trafermissimo. Rispetto all’ipertrofia di segni del secolo precedente si assiste ora a
una razionalizzazione teorica e nomenclatoria, che porta la maggior parte degli
autori a ritenere fondamentali i soli quattro segni con valore demarcativo (punto
semplice, due punti, punto e virgola e virgola) [...]” (sono parole di Luca Cignetti,
nella voce Punteggiatura della già più volte citata Enciclopedia dell’italiano, 2011).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 42/S3
Titolo: Il barocco e la prosa di Daniello Bartoli
Attività n°: 1
1
in sé stesso, ma sì che, senza uscir di sé, della sua virtù ogni cosa riempie; fonte di luce e di calore,
50 che figuran l’intendere e l’amare; obbietto da fare altrui beato veggendolo, e dator del lume senza
cui vano sarebbe il presumere di vederlo; universal principio da cui ogni cosa ha vita e spirito,
vigore e moto; non bisognoso di niuno, e ognun di lui; profusissimo nel donare, ma senza mai
perder nulla di quanto dà, o scemarglisi e impoverire: e così tutto inteso al particolar bene d’ogni
erbuccia, d’ogni piccolissimo verme, come all’universale di tutto insieme il mondo. Ah! ben fu
55 sciocco, e per ciò giustamente deriso, chi che si fosse colui che per trecento pezzi d’oro si comperò
la lucerna di Epitetto, imaginando ch’ella al suo lume gli scoprirebbe i tesori della più occulta
filosofia, come a quel grande ingegno. Ma non l’è già chi ben sa usare questa gran lucerna del
mondo, il Sole, a veder Dio, a cui egli col suo lume fa lume quanto più durevole e chiaro di quel
che già alla famosa Minerva d’Atene la lucerna d’oro che Callimaco lavorò, capevole d’olio
bastante ad arderle inanzi un anno intero: peroché il Sole mostra Dio alla mente, che è l’occhio
60
dell’anima, meglio di quel che le cose lucide e colorate faccia a quegli del corpo. E se così avesse
imparato a mirarlo Anassagora, in quel lungo durar che faceva con lo sguardo affissato nel Sole e
l’anima in estasi per maraviglia, egli sarebbe un’aquila tra’ filosofi, dove fermandosi nel solo bel
materiale di quel pianeta non passò la condizione di nottola, rimanendosi con la mente al buio della
verità; onde fu il rispondere a chi il dimandò per che fare egli fosse nato: “A null’altro, disse, che a
65 riguardare il Sole”. Quam vocem, soggiunge Lattanzio, admirantur omnes ac philosopho dignam
iudicant. Et ego hunc puto non invenientem quid responderet effudisse hoc passim ne taceret. Or io,
che in quest’opera m’ho proposto il ragionar delle creature solo in quanto elle son testimoni di Dio
e a lui come sue orme ci scorgono, mi ristringerò a dir del Sole sol quanto mi si confà
all'argomento: anzi in questo medesimo tanto meno, quanto le opere con che egli dà a conoscer Dio
70 non son meno sensibili che il suo calore, o men palesi che la sua luce. E primieramente, quanto di
ben ci dà il Sole, tutto il riceve da Dio, per darcelo come suo Gran Limosiniere: e la beneficenza,
che il fa tutto esser d’altrui, è il principal suo pregio e da raccordarsi sopra ogni altro.
Dello stampar che i prìncipi fanno nelle monete l’imagine de’ lor volti parlò vagamente il re
Teodorico per bocca di Cassiodoro suo segretario e sua lingua; e a chi punto il volesse, ne
75 sovverrebbono a dire altri non meno ingegnosi misteri. Ma quello a me par bellissimo (e l’accennò
il medesimo altrove), che così i prìncipi mostrano d’essere tutto il ben de’ lor sudditi, e sustentarli e
arricchirli e procacciarne, quasi in persona, ogni commodo particolare, intervenendo a ciò che
comprano e vendono, e dando a ogni cosa il valore, in quanto il metallo non è utile a contrattare se
non coniato dal principe. Per ciò egli: O magna inventa prudentium, dice, o laudabilia instituta
80 maiorum! Ut imago principum subiectos videretur pascere per commercium, quorum consilia
invigilare non desinunt pro salute cunctorum. Or così fa Iddio nel Sole, in cui per ciò io diceva aver
egli improntata l’effigie sua qual ve l’ho in poche linee disegnata. Il danaro, Potentia, come disse il
Filosofo, è ogni cosa, per ciò che chi ne ha, ha quanto aver si può per danaro, cioè ogni cosa. E ogni
cosa è il Sole, percioché qual ve n’è ch’egli non ce la dia? Togliete il Sole del mondo: il mondo,
85 toltogli il cuore e morta in lui la natura, si rimane un cadavero. Avrete in più occasioni ammirato
l’insuperabil valor delle machine per lo cui ministero non che ordinari pesi ma saldezze di marmi,
qual è la gran guglia a San Pietro che tutto è un sol corpo, con piccola levatura a qualunque altezza
si portano. Mercé della virtù motrice tante volte multiplicata e concorrente in uno, quanti vi sono
argani e taglie in opera: o, per più propriamente dire, quanto è l’andar de’ canapi che lavoran per
machina: sì fattamente che i lor moti grandissimi, con poca forza, aventi proporzion d'eccesso al
90
piccolissimo del mobile con molto peso, ne vincono la resistenza. Or tale appunto è l’operare di
Dio nel governo del mondo, disse il platonico Tirio. Sue machine sono i prìncipi, che per suo volere
si reggono: egli loro dà il primo moto, per cui questi muovono i lor ministri, ed essi di grado in
grado i subordinati, fin che si vien a’ semplici esecutori, che son mossi e non muovono. Così le
cose dell’universal governo del mondo, per virtù compartite ma procedenti da un solo primo
95 movitore non mosso, soavemente ed efficacemente si reggono. Tanto avvien nel civile; ma
nell'ordine naturale, che ha un non so che simile al perfettamente monarchico, il supremo, onde
tutte le machine prendon la forza dell’operare ed egli intra il medesimo ordine da niuno l'accatta, è
il Sole: ben anche in ciò rappresentante (come poco fa diceva il Teologo) nelle cose sensibili quel
che Iddio è nelle intelligibili; e tutto da lui sì fattamente dipende e nell'essere e nell'operare, che, lui
100
2
tolto del mondo, tutte l’altre nature si rimarrebbono a guisa di taglie e d’argani, senza moto, cioè
senza l’anima per cui sola son machine vive e operanti. Per mano dunque del Sole Iddio tutto ci
sumministra; e se il Giove degli antichi, come raccorda Lattanzio, per testimonianza d'Euemero e
d'Ennio, lasciò in una colonna d'oro, stampato alla memoria de' secoli avvenire, i giovamenti con
105 che avea migliorato il mondo, onde anche sortì il nome di Giove, hallo Iddio fatto in quella gran
colonna d’oro, il Sole, sì come Pindaro il chiama. Egli, al tramontar che fa in occidente, non ha mai
da rivolgersi indietro e dir, tutto in sembiante doglioso, la parola di Tito, amore e delicie del genere
umano, allora che recordatus super caenam quod eo die nihil cuiquam praestitisset, memorabilem
illam meritoque laudatam vocem edidit: amici, diem perdidi: perciò che il Sole non dà un passo,
110 che continuamente benefico tutto il mondo non riempia di beni. E ne gode indifferentemente
ognuno: ché non entra egli solo ne’ gran palagi, senza degnar le capanne e i rustici abituri. I
mendichi, gl’ignudi – dice san Giovanni Crisostomo – per la metà dell’anno si veston di tela d’oro,
cioè de’ raggi del Sole, che non li lascia aver bisogno d’altro vestito in riparo dal freddo. E vadano i
superbi re della Persia a caminare al lume d’un non so qual po’ di fuoco, caduto, credevano, giù dal
cielo, loro avanti portato dovunque andassero e con preziosi legni nutrito da’ sacerdoti dicentigli:
115
Ede, ignis Domine. Non è egli vero che ad ogni poverissimo viandante tutto il Sole, senza
richiederne l’alimento per sustentarsi, porta dinanzi la fiaccola e fa lume? Ed oh, s’egli avesse
anima intelligente, secondo il falso imaginare d’una sì gran parte eziandio de’ più savi filosofi
dell’antichità, continua in lui sarebbe la beatitudine che quel Timoteo ateniese, appresso Ebano,
confessò aver goduta una sola volta, e in quanto caminò cento passi: allora che entrando a far
120 mostra di sé e dar pruova del valor suo ne’ giuochi olimpici, quel gran teatro dov’era accolto il fiore
di tutta la Grecia rivoltò gli occhi in lui e curiosamente mirollo. Da quel punto egli non credé
potersi morir d’eccessiva allegrezza, altrimenti quello era l’ultimo dì di sua vita; e se nol fu, ciò fu
perché un beato non può morire: e l’era egli tanto in quell’ora, che glie ne durava il giubilo dopo
tanti anni, e il solo raccordarsene gli bastava a rifarsi poco men d’allora beato. Or non dà passo il
125 Sole ch’egli non salga sopra un nuovo orizzonte e di colà non vegga la metà della terra, e tutta in lei
la natura, mettere in esso gli occhi e a sé vegnente accoglierlo, ammirandone la maestà, lodandone
la bellezza, ricevendone il risuscitare al suo lume, il rinvigorire al suo caldo, il tutta mettersi in
opera all’impression del suo moto.
Ma quanto a ciò in particolare, ben merita d’esser qui udito il filosofo e oratore, l’uno e l’altro
130 eccellente, Temistio. Come noi, dice egli, a voce di banditore facciam le generali chiamate del
popolo nelle piazze, ne’ teatri, nel tempio, a promulgar gli editti del publico reggimento, non
altrimenti il Sole, salendo a tutti visibile e, mostrandosi ora in un segno or in un altro de’ dodici per
cui nell’annoval suo periodo si rivolge, tutte a sé chiama le nazioni del mondo, sian colte sian
barbare, e di qualunque istranio clima, e in un raccolte, e qua e là disperse per l’isole dell’oceano in
135 esilio della terra; e in voce intesa in ogni lingua denunzia ciò che ordina il tempo, ciò che
l’opportunità richiede, ciò che dispon la natura. Agricoltori, dice, ora son da trar fuori gli aratri e i
vomeri, gli erpici e le marre; or è da fendere, da rivolgere, da solcare utilmente la terra. Gittate le
sementi, sarchiatele già in erba, rinnettatele; mano alla falce e mietete. E voi costà, solleciti alle
piantagioni degli alberi, alla coltivazion delle viti: potare, rimettere, propagginare; via gl’inutil
sermenti, via i pampani ombreggianti; già son maturi i frutti, già le uve biondeggiano: ricoglietele,
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vendemmiate. Marinai, ah per avarizia del danaro prodighi della vita, dove ora co’ legni in corso e
la vita in precipizio? Ricoglietevi dentro a’ porti: ammainate, traete vostre navi in terra a rimetterle,
a rimpalmarle. Non vi truovino in alto mare queste furiose stelle che meco insieme si lievano, né
quest’altre che, nascendo io, mi tramontano in faccia: elle son troppo ree, e orribili le fortune de’
venti che mettono in aria, e insuperabili le tempeste con che tutto dal fondo isconvolgono il mare:
145 non ne campereste per saldezza di nave, per industria d’arte, per valor di animo e di braccia, per
alte grida e voti in vano sparte all’aria. Non v’alletti il sereno ingannevole, né vi tragga a fidarvene
il tranquillo che vi lusinga. Non è pace questa, è tradimento. Dormono le tempeste, mentre in
silenzio si lavorano i turbini; al primo fischio di questi quelle si svegliano, e subito il mare alle
stelle, e voi giù al profondo. In tanto dian lor volte i cieli, e mia cura sarà da altro Segno avvisarvi,
150 quando a’ porti sia utile il riaprirsi e a voi sicuro il rimettervi alla vela. Io non do oracoli, di qua su,
scuri né ambigui. Pastori al trar le gregge a pascere, pellegrini a mettervi in camino, attendetemi.
3
Chi sol mi vede e m’osserva in oriente qual nasco e quale in occidente tramonto, nuvoloso e
torbido, o placido e sereno, mi sente profetizzar veritiero qual dé aspettarsi il dì presente e
155 l’avvenire. Così egli; e sallo perché il fa; e fallo perché tutta seco si muove, e tutte da lui riceve le
diverse impressioni con che si altera, la natura; come bene il significaron que’ savi della famosa
Ierapoli che il figuravano avente un’asta d’oro in mano e sopravi la vittoria in piè su la punta.
Quella additava i suoi raggi, questa diceva cuncta summitti huius sideris potestati. Per lo qual
medesimo fine il ritraevano ancora con molte braccia e molte mani, come quello che in tutto si
160 mesce e tutto opera. Né mai avviene ch’egli salga su l’orizzonte, che tutta in vederlo la natura di
quell’emisfero, com’io diceva, non si risenta: tal che quindi prese il Morale a ravvisar nel Sole il
principe, dicendo al suo Nerone non ancor trasformato in quella gran bestia che poi divenne;
Nostros motus pauci sentiunt. Prodire nobis et recedere et mutare habitum sine sensu publico licet.
Tibi non magis quam Soli latere contingit. Prodire te putas? Oriris.
Suo dunque è il bellissimo ordine delle stagioni: ch’egli le fa col passar dall’uno all’altro quarto
165
della sua eclittica, che è la ruota al cui moto il teatro di questa inferior natura cambia apparenza e
scena, e gli uomini abito e personaggio: di primavera tutta fiori e allegrezza; poi di state fervida e
faticante; indi d’autunno dilettevole in un medesimo e ubertoso; finalmente, di verno, pigro, orrido,
e ozioso. E non per tanto necessaria così l’una come l’altra, tutte con la lor propria dote; nel
rimanente diverse, in questo simili: che con la varietà rendono la natura più dilettevole, altrimenti il
170 continuo, qual che si sia, con sempre il medesimo sazia ed annoia. Eccole di mano del Nazianzeno
effigiate in piccolo, ma di bellissima invenzione. Quadam veluti in chorea (dice egli) partim se
invicem complectuntur, partim a se discedunt. Alterum amicitiae, alterum ordinis. Partim inter se
paulum miscentur, ac vicinitate sua tantum non nobis imponunt. Non si passa in un dì dalla state al
verno, né da questo a quella: ché gl’immediati estremi la natura non li soffera senza grandemente
175 patirne: ma vi s’intramezzan la primavera e l’autunno, che, partecipando degli estremi loro a lato,
tanto soavemente quanto insensibilmente dall’uno all’altro ci portano. Troppo anche più
intolerabile ci riuscirebbe se in un medesimo mese avessimo tutto insieme a mietere i grani e
spagliarli e riporli; e coglier da tutti gli arbori, e alla montagna e al piano, le tanto diverse maniere
di frutti che vi si producono; e al medesimo tempo vendemmiare e intendere a gli ulivi, con quanta
180 servitù e fatica richieggono il vino e l’olio che ne traiamo. Ma le stagioni così fra loro spartite dal
ben inteso andamento del Sole similmente a noi spartono le fatiche: e le Grazie, come dicevan gli
antichi, da lui ci vengono in compagnia delle Ore, cioè fatte a suo tempo, e per ciò il doppio
preziose.
Oltre alla varietà e al bell’ordine delle stagioni v’ha in che altro ammirare la discretezza del Sole,
185 e in lui di Dio che glie la diede e n’è degnamente lodato da’ Padri Basilio, Nazianzeno, Crisostomo,
Teodoreto, Ambrogio ed altri, de’ quali eccone in ristretto il meglio. La notte e ’l dì non sono fra
lor diversi fuor che nel colore del volto: quella è mora e questo è bianco, ma belli amendue sì, che
nel giudicarne v’ha parti: e a chi piace più l’uno a chi più l’altra: come gli Etiopi, al contrario di
noi, dipingon l’arcagnolo san Michele di fattezze e color fino moro e di capel corto, nerissimo e
190 ricciuto, e sotto a’ suoi piedi Lucifero, bianco e vermiglio e in lunga zazzera e bionda. Trattone
dunque il colore, in che solo discordano, il dì e la notte son sì d’accordo che la natura non ha altri
due gemelli che fra lor tanto convengano. Amendue al medesimo movimento del cielo superiore si
muovono col medesimo passo del Sole, e ad occidente veloce e ad oriente tardo caminano. Dove il
dì mette inanzi il piede, la notte il ritira, e dove questa s’allunga, questo altrettanto s’accorcia; e se
han diversi emisperi e van l’uno all’altro in contrario, questa non è contrarietà, è accordo e, se può
195
dirsi, amore: seguitandosi sempre l’un l’altro, già che non possono essere insieme. Similmente
nemici paiono d’operazioni e d’ufficio, e sono in ciò sì strettamente congiunti che l’un senza l’altra
non profitterebbe a nulla. Il dì ha per sue proprie le opere e la fatica, la notte l’ozio e la quiete. Ma
si fatica per riposare e si riposa per faticare; così l’un serve scambievolmente all’altro e amendue al
terzo, del viver nostro, che va continuo girandosi in questa ruota dell’avvicendare i contrari. Né è
200 storsione o furto quel che si van continuamente facendo la notte e ’l dì, con torsi l’uno all’altro le
ore, diminuendosi e ricrescendo. Anzi, questo altresì è effetto d’amicizia: darsi del suo o, per più
vero dire, dar di sé medesimo. La state ha mestieri di molte ore, per maturar co’ lunghi giri del Sole
le biade, le uve, i frutti: la notte glie le presta; e dico presta, non dona, che però il dì glie le va
4
205 rendendo, come appunto le ricevette, a minuto a minuto, fin che nel pieno del verno, quando non
v’è che fare nella natura, egli fa la notte sì grande, com’ella fe’ lui grande la state. Ed è ben
considerato quel di Crisostomo: che due volte l’anno, ne’ due punti dell’equinozio, saldan fra loro i
conti e pareggiano le partite, pesando l’autunno su la libbra le dodici ore e simile la primavera le
altrettante con che la notte e ’l dì si fanno, sino all’ultimo indivisibile, uguali.
210 Havvi altro che scrivere delle maraviglie di questi due legittimi figliuoli del Sole, eredi ciascuno
d’una metà del mondo e sempre ugualmente in opera di giovarlo? Udite. Potea parere il giorno
troppo più onorato con le opere della mano di che la notte è priva, se a questa non si davano, in
iscambio di quelle, le opere dell’ingegno. Il dì dunque ha le fatiche, la notte i pensieri: e,
convenienti all’uno e all’altro, quello lo strepito, questa il silenzio. E vagliami per ciò raccordare
215 una savia legge che Licurgo lasciò indispensabile a gli Spartani: che gli efori, cioè il maestrato della
republica non s’adunasse a giudicar delle cose publiche e gravi entro edifici dove la vaghezza
dell’architettura e delle statue con lo svagar degli occhi distraesse il pensiero, tanto meno inteso ad
uno quanto in molti oggetti diviso: ma in certo luogo aperto e ignudo si raccogliessero, dove
null’altro di riguardevole loro apparisse inanzi che quel solo di che venivano a consigliare. Or
questo fa a noi la notte, col tirar sopra mezza la terra il velo delle sue tenebre e torcene di veduta le
220
cose, che, apparendoci, tanto in sé men raccolta quanto a riguardarle diffusa ci renderebbon la
mente. Così tutta in un s’affissa: e miracolo a dire le belle e grandi opere che da questa ingegnosa
madre delle scienze e de’ più savi consigli provengono; ma l’argomento, a degnamente trattarlo, è
troppo più ampio di quel che alle angustie prefissemi si convenga; e sarebbe oltre numero la
moltitudine di quegli che, come Scopelliano nella più fina greca eloquenza così essi in diverse arti e
225 scienze fatti nelle tenebre della notte Soli del mondo, esclamerebbono come lui: O nox, tu dumtaxat
plurimum divinae es particeps sapientiae.
E già per ultimo a sé mi richiama il Sole, considerato non, come fin ora, solo all’operare, ma con
esso il ministerio della Luna, la quale però, com’è un riverbero di lui e conoscente d’esserlo,
haustum omnem lucis illo regerit, unde accepit: e così da lui riconosce quel che senza esso in vano
230 faticherebbe per operarlo. Or queste due sì, che son le due vere isole, Argira e Crise, quella tutta
argento e questa tutta oro, che i buoni antichi credettero essere alle foci del fiume Indo: percioché
indi si cavano i tesori di tutti i beni onde la terra è abbondante. Il re e la reina di quel grande
imperio della Cina, a quel che se ne conta nell’ambasceria d’ubbidienza che i re di Bungo ed Arima
e ’l signor d’Omura, giapponesi, inviarono alla Santa Sede di Roma, escono per miracolo una volta
235 l’anno in publico e, con quella solennità che mai in altro tempo simile non si vide, stendono
maestosamente la mano e toccano, il re un aratro, la reina una pianta di gelsi: il che fatto, si tornano
a chiudere ne’ lor palagi e si fanno invisibili. Ma ciò, per poco che sia, pur è tanto che
incredibilmente può a rinnovare in tutti la diligenza nella coltura de’ campi, per lo toccare che il re
fece l’aratolo, e nello studio delle sete per la pianta del gelso toccata dalla reina: e per l’uno e per
240 l’altro quell’ampissimo regno è per avventura il più fertile e ricco del mondo. Or fanno egli solo
altrettanto il Sole e la Luna, e non anzi, senza punto scemare della maestà, allungano fin qua giù
tante lor braccia e mani quanti da sé mandano raggi, e con essi invisibilmente lavorano ciò che
sopra e dentro la terra e nell’aria e per tutto il mare, fin giù al fondo, così ne’ viventi come ne’ misti
senz’anima, si produce? Per ciò anche la Luna fa ogni mese le sue proprie quattro stagioni,
proporzionate a quelle che il Sole compie in un anno: dal nascere, poiché ha dato volta per tutto il
245
primo quarto, la primavera; indi, fino all’empirsi posta rimpetto al Sole, la state; poi, a poco a poco
scemando, l’autunno; e dietrogli il verno, fin che del tutto si vuota di luce e di calore, quanto a quel
che ne vede e sente la terra. E rispondenti ad esse sono le alterazioni e i producimenti che ne
sieguono nella natura. E ben savio e necessario provedimento di Dio fu che le fredde notti e
lunghissime nella vernata non rimanessero senza questo secondo Sole, per non solamente
250 consolarne le tenebre, come parla S. Agostino, ma riscaldarla fredda e con nuovi spiriti ravvivar la
mezzo morta natura. Che direm poi della cura, veramente ammirabile, sopra gli uomini e le fiere,
divisa fra il Sole e la Luna, avvertita da David e ottimamente considerata dal Nazianzeno? Cio è,
che la Luna mette animo nelle fiere, ond’elle ardiscono d’uscir de’ loro covili e cacciando per le
foreste proveder di che vivere a sé e a gli ancor teneri lor figliuoli: e intanto, accioché non
255 s’abbattan negli uomini e li divorino, quanto d’ardire dà alle fiere la notte, tanto a noi di timore
5
infonde e quinci di sicurezza, per lo metterci che facciamo come in fortezza e in difesa,
chiudendoci nelle città tutti insieme, e ciascun nella propria casa. Ma nato il Sole, le sorti si
cambiano tutto in contrario: le fiere divengono timorose e gli uomini arditi: quelle si rintanano e
260 noi, liberi dallo scontrarle, usciamo. Se ciò non fosse, misera la nostra vita: ché chi potrebbe
ricacciar nelle selve e dentro le più cupe caverne de’ monti gli orsi, i lupi, le tigri, i lioni, se a
prender di loro anche un solo al dì chiaro tanto vi bisogna e d’uomini e d’armi, e sovente anco di
sangue? Ma senza noi in ciò punto affaticarci, col primo affacciarsi del Sole in oriente, le fiere, o
sia per non vederlo o per non esser da lui vedute, si tornano a nascondere ne’ lor covili: e allora,
265 exibit homo ad opus suum. Anzi, a dir vero, i lupi, gli orsi, i lioni sono la meno scelerata e dannosa
parte de’ malfattori dalla cui implacabil fierezza la salutifera luce del Sol nascente ci libera:
conciosiacosa che né tutti infestino ogni paese, e dove pur sieno, quantunque esser possano in
numero molti e in forza insuperabili, le mura delle città e delle case, senza noi stare in guardia, ce
ne assicurano. Non così un’altra, il dì tutta con noi dimentica, la notte tutta contro di noi selvaggia e
nocevolissima generazione di fiere, tanto peggiori quanto meno al sembiante si ravvisano per
270
nemiche, ed hanno, tutto insieme unite all’opprimerci, l’astuzia delle timorose e la violenza delle
ardite. Ma anch’elle, dice il Boccadoro, in sol vederle il Sole, le caccia: ché, come i raggi suoi
fossero saette d’oro infocato, non ne sofferan le punte che lor mette negli occhi, e cercano, via dal
publico, nascondigli e tane ove inchiudersi, fatte innocenti perché su gli occhi del Sole non osano
esser colpevoli. Orientibus Solis radiis – dice egli – et tenebrae fugantur, et ferae latitant foveisque
275 conduntur, et latrones recedunt et homicidae ad antra suffugiunt et amoventur pyratae et
sepulchrorum violatores fugantur et adulteri et fures et domorum perfossores, deprehensi a Sole et
redarguti, periclitantes abeunt seseque alicubi procul occultant. Lascio l’ammirabile signoria che
in parte il Sole, e più di lui in ciò possente la Luna, esercita sopra le vive correnti del mare, in
quello inesplicabil raccogliersi che vi fan l’acque in loro stesse e poi disciorsi e rispandere sopra i
280 liti: il qual flusso e riflusso, nel mettersi, pende dal toccar che la Luna fa, nell’intero corso d’un
giorno, i due punti dell’orizzonte, e nel crescere e scemare si contempera col salire della medesima
fino al sommo del cielo sul circolo meridiano e discendere fino all’opposto nell’inferior emispero,
tutto insieme traendo a ondeggiar con l’acque in continua perplessità i nostri ingegni: sì fattamente,
che misera e diserta la naturale filosofia, se chi di noi non comprende né il perché né il come di
285 questa incomprensibile agitazion del mare dovesse gittarvisi disperato ad annegare, come è fama o,
per meglio dire, favola, che Aristotele si gittasse nel famoso Euripo d’Eubea, il moto delle cui
correnti, sette volte al dì contrarie, gli aggirasse il cervello. Lascio l’universale e correttissimo
oriuolo che il Sole e la Luna compongono, organizzato di tante ruote volgentisi sopra diversi fusi e
centri e poli, quanti que’ due pianeti han circoli e spere congegnate con occultissimo legamento le
290 une sì strettamente con le altre, che mai non falliscono in accordarsi a mostrar misurato con
giustissimi spazi il tempo, diviso dall’uno in giorni ed anni, dall’altra in settimane e mesi.
Finalmente lascio il bel magistero della moral disciplina di che ci sono esemplare, col regolatissimo
andar che fanno, il Sole con imperio, la Luna con suggezione, considerati dal Pisida e dopo lui dal
teologo san Giovan Damasceno, e sol vi fo udir Platone, che vi torna in memoria perciò averci
Iddio addirizzati, ut spectandis admirandisque caelestium corporum motibus, anima nostra
amplecti condocefacta decorum et ordinem, odium conciperet incompositorum et vagorum motuum
levitatemque ac temeritatem casui fidentem fugeret, tamquam omnis vitii et erroris originem.
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Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 43/S1
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1
Morfologia nominale
Articolo (e pronome) masch. sing. Nel testo del Bartoli compare solo il (mai el) tanto
nella funzione di articolo, quanto in quella di pronome proclitico di III persona: il
chiamarono 7, il collocò 10, che il veste 42, il sublimò 46, il dimandò 64, il riceve da
Dio 71, che il fa tutto esser 71-72, a chi punto il volesse 74, come Pindaro il chiama
105, perché il fa 153, il significaron 154, il figuravano 155, il ritraevano 157, la notte
il ritira 192.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 43/S3
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1
Dalla recente attività lessicografica degli Accademici della Crusca il Bartoli ricava
evidenti sollecitazioni e, a ulteriore rinforzo di ampie letture di autori volgari antichi e
moderni, l’autorizzazione all’uso lessicale. Dice Luca Serianni a proposito del Bartoli e
del lessico da lui usato:
“I suoi ben noti indugi descrittivi, quasi nell’intento di adeguare la varietà dei
vocaboli alla molteplicità del reale, si attuano all’interno del patrimonio linguistico
tràdito, senza escursioni dialettali e neologiche” (Serianni, La prosa, p. 521).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 44/S2
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1
La posizione del Bartoli che pare di poter desumere dalle sue scelte lessicali sembra
insomma essere quella di accettazione sì dell’autorità e del prestigio del Vocabolario,
ma non di cieca sottomissione; troppo è urgente in lui dire le cose e usare parole per
esprimere figure, idee, concetti, che con abbondanza gli si affollano alla mente,
perché egli voglia selezionarne con rigore il lessico da usare in loro servizio.
Abbondanza e facilità sono infatti i termini adatti per indicare questa prosa fatta più di
oggetti, di cose reali, di immagini, piuttosto che di ragionamento e riflessione (e
dunque, dal punto di vista lessicale gremita di nomi concreti piuttosto che di astratti);
e per le cose e le immagini servono parole puntuali e appropriate, tanto più che il
discorso bartoliano, pur partendo da un nucleo etico e religioso che lo costringe ad
usare termini anche di ambito filosofico o teologico, per illustrare quell’ambito
concettuale adotta lessico e richiami di tipo figurativo (si veda l’accenno alle statue o
alla numismatica) o tecnico (dell’agricoltura, della nautica, della meccanica),
astronomico.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 44/S3
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1
Riepilogo
Riepilogo
© 2007 Università degli studi e-Campus - Via Isimbardi 10 - 22060 Novedrate (CO) - C.F. 08549051004
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Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 46/S2
Titolo: Test
Attività n°: 1
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
31) Utilizzando una voce o esempi tratti dalla banca dati della Lessicografia della Crusca
in rete (http://www.lessicografia.it/) tracciate l’evoluzione del Vocabolario degli
Accademici della Crusca dalla I alla IV edizione.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 47
Titolo: La prosa letteraria del Settecento
Attività n°: 1
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
32) Illustrate e temi e le posizioni della querelle des anciens et des modernes e di
quella correlata fra Dominique Bouhours e Giovan Gioseffo Orsi.
33) Illustrate la posizione di Francesco Algarotti nei confronti della situazione linguistica
italiana a lui contemporanea e nei confronti dell’Accademia della Crusca in
particolare.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 49
Titolo: Alessandro Verri e la Rinunzia
Attività n°: 1
Il quadro culturale della Milano della prima metà del Settecento si esprime in alcuni
illuminati salotti aristocratici, aperti alle novità scientifiche, o nelle accademie, prime fra
tutte la colonia arcadica milanese e la Accademia dei Trasformati. In queste ultime si
manifestano scelte linguistico-letterarie improntate a fedeltà e rispetto nei confronti della
tradizione cinquecentesca, sebbene, alle cicalate e rime burlesche toscaneggianti si
affianchi una florida produzione in dialetto.
Nell’Accademia dei Trasformati un segnale di rinnovamento è introdotto dalla poesia civile
del Parini, ma nell’insieme si tratta di “un ambiente non certo d’avanguardia [quello nel
quale] si formano anche i Verri e il Beccaria” (Morgana, ivi).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 49
Titolo: Alessandro Verri e la Rinunzia
Attività n°: 1
Cum sit, che gli Autori del Caffè siano estremamente portati a preferire le idee alle parole, ed
essendo inimicissimi d’ogni laccio ingiusto che imporre si voglia all’onesta libertà de’ loro pensieri,
e della ragion loro, perciò sono venuti in parere di fare nelle forme solenne rinunzia alla purezza
della Toscana favella, e ciò per le seguenti ragioni.
1. Perché se Petrarca, se Dante, se Boccaccio, se Casa, e gli altri testi di Lingua hanno avuta la
facoltà d’inventar parole nuove e buone, così pretendiamo che tale libertà convenga ancora a noi:
conciossiacché abbiamo due braccia, due gambe, un corpo, ed una testa fra due spalle com’eglino
l’ebbero.
... quid autem?
Caecilio, Plautoque? dabit Romanus ademptum.
Virgilio, Varioque? ego cur adquirere pauca.
Si possum invideor? quum Lingua Catonis & Enni
Sermonem patrium ditaverit ac nova rerum
Nomina protulerit.
Horat. de Art. poet.
2. Perché, sino a che non sarà dimostrato, che una Lingua sia giunta all’ultima sua perfezione
ella è un’ingiusta schiavitù il pretendere che non s’osi arricchirla, e migliorarla.
3. Perché nessuna legge ci obbliga a venerare gli oracoli della Crusca, ed a scrivere o parlare
soltanto con quelle parole che si stimò bene di racchiudervi.
5. Consideriamo ch’ella è cosa ragionevole, che le parole servano alle idee, ma non le idee alle
parole, onde noi vogliamo prendere il buono quand’anche fosse ai confini dell’Universo, e se
dall’Inda, o dall’Americana lingua ci si fornisse qualche vocabolo ch’esprimesse un’idea nostra,
meglio che colla lingua Italiana noi lo adopereremo, sempre però con quel giudizio, che non muta a
capriccio la lingua, ma l’arricchisce, e la fa migliore.
Dixeris egregie notum si callida verbum
Reddiderit junctura novum. Si forte necesse est
1
Indiciis monstrare recentibus abdita rerum,
Fingere cinctutis non exaudita Cethegis
Continget: dabiturque licentia sumpta pudenter,
Et nova factaque nuper habebunt verba fidem.
Horat. eod.
6. Porteremo questa nostra indipendente libertà sulle squallide pianure del dispotico Regno
Ortografico e conformeremo le sue leggi alla ragione, dove ci parrà che sia inutile il replicare le
consonanti o l’accentar le vocali, e tutte quelle regole che il capriccioso Pedantismo ha introdotte, e
consagrate, noi non le rispetteremo in modo alcuno. In oltre considerando noi che le cose utili a
sapersi son molte, e che la vita è breve, abbiamo consagrato il prezioso tempo all’acquisto delle
idee, ponendo nel numero delle secondarie cognizioni la pura favella, del che siamo tanto lontani
d’arrossirne, che ne facciamo amende honorable avanti a tutti gli amatori de’ riboboli nojosissimi
dell’infinitamente nojoso Malmantile, i quali sparsi quà e là come giojelli nelle Lombarde cicalate,
sono proprio il grottesco delle belle Lettere.
7. Protestiamo che useremo ne’ fogli nostri di quella lingua che s’intende dagli uomini colti da
Reggio di Calabria sino alle Alpi; tali sono i confini che vi fissiamo, con ampia facoltà di volar
talora di là dal mare, e dai monti a prendere il buono in ogni dove.
A tali risoluzioni ci siamo noi indotti perché gelosissimi di quella poca libertà che rimane
all’uomo socievole dopo tante leggi, tanti doveri, tante catene ond’è caricato; e se dobbiamo sotto
pena dell’inesorabile ridicolo vestirci a mò degli altri, parlare ben spesso a mò degli altri, vivere a
mò degli altri, far tante cose a mò degli altri, vogliamo, intendiamo, protestiamo di scrivere e
pensare con tutta quella libertà, che non offende que’ principj che veneriamo.
E perché abbiamo osservato che bene spesso val più l’autorità che la ragione, quindi ci siamo
serviti di quella di Orazio per mettere la novità de’ nostri pensieri sotto l’Egida della veneranda
antichità, ben persuasi che le stesse stessissime cose dette da noi e da Orazio faranno una diversa
impressione su di coloro che non amano le verità se non sono del secolo d’oro.
Per ultimo diamo amplissima permissione ad ogni genere di viventi, dagli Insetti sino alle
Balene, di pronunciare il loro buono o cattivo parere su i nostri scritti. Diamo licenza in ogni
miglior modo di censurarli, di sorridere, di sbadigliare in leggendoli, di ritrovarli pieni di chimere,
di stravaganze, ed anche inutili, ridicoli, insulsi in qualsivoglia maniera. I quali sentimenti siccome
ci rincrescerebbe assaissimo qualora nascessero nel cuore de’ Filosofi, i soli suffragj de’ quali
desideriamo; così saremo contentissimi; e l’avremo per un isquisito elogio, se sortiranno dalle
garrule bocche degli Antifilosofi.
A[LESSANDRO VERRI]
2
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 49/S3
Titolo: Alessandro Verri e la Rinunzia
Attività n°: 1
La R inunzia : fono-morfologia
Il quadro fono-morfologico e ormai quello dell’italiano moderno, privo di accusati
fiorentinismi o arcaismi da un lato, quanto, d’altro lato, di latinismi.
Anche l’adozione, numericamente ridotta, di apocopi ormai appartenenti alla lingua
letteraria media, indica un registro linguistico sostenuto, ma non particolarmente
connotato in tal senso. Si vedano:
-- dopo -n: della ragion loro 0,2-3; buon grado 4,5 (che però è un sintagma fisso); le
cose utili a sapersi son molte 6, 4-5; parlare ben spesso 7,6; ben persuasi 7,11;
-- dopo -r: d’inventar parole nuove 1,2; l’accentar le vocali 6,3; di volar talora 7,2-3;
far tante cose 7,7; in ogni miglior modo 7,15;
-- dopo -l: val più l’autorità 7,9.
Rappresenta invece un’oscillazione che rimarrà a lungo tale nella lingua italiana quella
fra pronuncia di affricata palatale o di affricata dentale dei gruppi riconducibili al latino -
TI- / -CI- e che dipende da antichi incroci e sovrapposizioni (avvenuti nel latino e
recepiti in volgare fin dal Quattrocento). Il doppio esito costituirà motivo di incertezza
ancora per Manzoni nei momenti finali della correzione delle bozze della redazione
finale dei Promessi Sposi.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1
La R inunzia : il lessico
La posizione anticruscante e anti-arcaizzante di Alessandro Verri prende forza dalla
contrapposizione, fin dall’attacco della Rinunzia, delle idee alle parole (e del resto si veda
anche 6,4-7): le prime soltanto contano, indipendentemente dalla forma lessicale che le
veicola. La Rinunzia è dunque in primo luogo destinata a rivendicare per i collaboratori
del “Caffè” l’onesta libertà di esprimere pensieri e ragione; onesta, quella libertà, perché
come, l’autore dirà più avanti, nonostante che essi facciano professione di rinunciare alla
purezza della Toscana favella (0,3-4; cfr. anche 6,6), rivendicando il diritto sia di creare
parole nuove (2 e 3), sia di adottare e italianizzare qualunque parola straniera (4,1-2 e
5,2-4), tale libertà è frenata dal giudizio, dall’esame cioè del caso concreto, nella più
generale prospettiva che la lingua non vada innovata a capriccio, ‘arbitrariamente’, ma
solo nell’intento di arricchirla e migliorarla (2, 2 e 5, 5).
La libertà, rivendicata nel paragrafo iniziale, è giustificata con l’esempio della libertà
dimostrata dai padri fondatori della lingua (1,1-2): l’ordine delle Tre Corone (alle quali è
annesso in fine il nome di Giovanni della Casa) non corrisponde alla cronologia, perché è
invece stabilito sulla base della gerarchia vigente ancora XVIII secolo, prima che la
supremazia petrarchesca venisse scalzata dal rinnovato mito dantesco durante il
Risorgimento.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50/S1
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1
La Rinunzia : il lessico
La libertà, già esposta come obiettivo di un atto individuale, poi ratificata dai modelli
unanimemente condivisi dagli ambienti colti italiani è inoltre sancita, su base
antropologica, dalla convinzione della immutabilità della natura umana nei secoli (così
come gli uomini hanno, da sempre, la stessa identica conformazione fisica, così a tutti
loro è riconosciuta la medesima prerogativa esercitata dai grandi del passato):
affermazione che non è improprio accostare alla posizione sostenuta da Fontenelle nel
suo intervento nella querelle des anciens et des modernes. Questa continuità e
‘immutabilità’ della condizione antropologica è del resto manifestata dalla medesima
esigenza ‘liberatoria’ che i moderni condividono con un autore ‘antico’, quale Orazio che
nel brano riportato a 1,5-10, corrispondente ad Ars poetica, vv. 53-58 aveva detto:
“E che? A Virgilio e a Vario verrà negato ciò che è stato concesso a Cecilio e Plauto? Perché sono
oggetto di invidia se riesco a introdurre qualche nuovo vocabolo, quando Catone ed Ennio con la
loro lingua hanno arricchito la lingua della patria dando nuovi nomi per indicare le cose”.
La citazione (si veda anche 5,6-11), piuttosto che esibizione di cultura, risulta funzionale
all’efficacia della dimostrazione: nella Rinunzia, improntata alla figura retorica dell’ironia e
al sarcasmo, il Verri scende sullo stesso campo di battaglia dei propri antagonisti
cruscanti, abituati a dar maggior credito alla autorità degli antichi che non al proprio
modo di pensare.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50/S1
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1
La Rinunzia : il lessico
La libertà rivendicata significa dunque, prima di tutto liberazione: dal laccio ingiusto
(0,1) e dalla volontaria servitù (4,5) a cui i Grammatici, mediocri ingegni (4,5) hanno
voluto assoggettar se stessi e gli altri; liberazione da una fonetica (si scandalizzano di un
c, o d’un t di più o di meno 4,5-6) e da un’ortografia (6,1-4) fissate sulla base del
fiorentino del Trecento e, per volontà dei Grammatici, assurto a norma.
Infine, significa liberazione da un lessico del secol d’oro (7,12) invecchiato e stantio che
il Vocabolario (a differenza di quanto sostenuto da Francesco Algarotti) non si era
limitato a tesaurizzare, ma che, censurando ogni deviazione da quello in nome di una
presunta atavica purezza, aveva anche imbalsamato.
Liberazione significa allora rifuggire dai riboboli nojosissimi dell’infinitamente nojoso
Malmantile che nell’ambiente letterario (anche milanese: si veda nelle Lombarde
cicalate di 6,8) ‘adornava’ come speciali giojelli le insulse ‘chiacchiere’ di una letteratura
disimpegnate e per diporto. Liberazione significa rifuggire da una lingua, quella
fiorentina del Trecento, che è ormai sia municipale sia arcaica e che dunque, perché
appresa sui libri e dopo lungo studio, frena la libera e rapida espressione delle idee; tale
freno legittima il declassamento dello studio della pura favella al numero delle
secondarie cognizioni.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50/S2
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1
La R inunzia : il lessico
Se dalle affermazioni passiamo all’analisi del lessico della Rinunzia verifichiamo che la
liberazione dal laccio cruscante è rappresentata da un’assenza, dalla mancata adesione
cioè a quei fiorentinismi, talvolta anche popolari e popolareschi, esibiti dai puristi di
stretta osservanza. Nei pochi casi in cui si rintracciano eccezioni, si tratta di eccezioni
spiegabili di volta in volta o per volontà ‘citazionale’ o parodica o di eccezioni solo
apparenti (per la viva sopravvivenza di forme antiche nella scrittura del Settecento).
Si veda del resto come alcuni sintagmi fissi siano segnalati come citazione mediante il
corsivo: Toscana favella ( 0,4), pura favella (6,6); la locuzione sono venuti in parere
(0,3) segnala un arcaismo caratteristico della prosa di Paolo Sarpi.
È ‘citazionale’ infine l’uso di ribobolo (6,7), nelle due prime edizioni della Crusca
registrato con rinvio ad enigma (e dunque considerato sinonimo di ‘detto oscuro, che
sotto ’l velame delle parole, nasconde senso allegorico’), nella III e IV Crusca glossato
come ‘Sorta di dire breve, e in burla’ (in entrambi dunque i casi il termine veniva
connotato negativamente o per oscurità o per registro stilistico). Analoga diagnosi
possiamo emettere per isquisito (7,18) che, in tale forma con prostesi, si rintraccia per
esempio nel Galateo del Della Casa.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50/S2
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1
La Rinunzia : il lessico
La Rinunzia : il lessico
In fatto di neologismi Alessandro Verri proclama quanto vien facendo nella pratica
poiché è a lui che si deve la coniazione di Pedantismo. La IV edizione del Vocabolario
della Crusca aveva accolto (sulla base della Fiera del Buonarroti, delle Lettere di Annibal
Caro e delle Prose toscane di Anton Maria Salvini) il termine pedanterìa spiegato come
“Composizione, o Affettazione pedantesca”; ma il Dizionario etimologico della lingua
italiana (DELI) a cura di Manlio Cortelazzo e Paolo Zolli (Bologna, Zanichelli, 1985)
retrodata la prima attestazione avanti il 1556 e ne segnala un esempio in Pietro Aretino,
dove significa ‘caratteristica del pedante; minuzia o sottigliezza da pedante’.
La neoconiazione verriana (tanto più perché associata a capriccioso), adottando il
suffisso -ismo ad indicare più o meno spregiativamente una corrente di pensiero e di
comportamento, intende colpire non tanto un atteggiamento privato e isolato, ma un
comportamento sociale bollato negativamente. Ma si tenga anche conto che, durante il
Settecento,
“Per impulso dei modelli francesi [...] si incrementano serie in -ismo, -ista, e -istico,
un micro sistema suffissale fortunatissimo nel linguaggio astratto dell’illuminismo,
utilizzato nella denominazione di professioni, correnti o ideologie” (Matarrese, Storia
della lingua italiana. Il Settecento, p. 65).
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50/S3
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1
La R inunzia : il lessico
Il francese è esibito come lingua delle buone maniere e della socievolezza nella
‘citazione’ della formula amende honorable a 6,7, con provocatoria ostentazione proprio
nel momento in cui si chiede formale perdono (amende) di una cosa di cui Verri
dichiara in realtà di non vergognarsi (6,6-7: “del che siamo tanto lontani d’arrossirne”).
Analizzeremo partitamente i forestierismi, nel caso particolare francesismi, seguendo
l’ordine topografico, per verificarne la natura eventuale di calco o prestito.
“Nel caso del calco […] il termine forestiero viene ‘tradotto’ mediante parole
già esistenti nella lingua nazionale, le quali assumono un significato nuovo”;
sono calchi sia grattacielo, che traduce skyscraper (sky ‘cielo’, scraper ‘che gratta’),
sia realizzare ‘comprendere esattamente’, sebbene nel primo caso si tratti di un calco
formale (nonostante l’inversione dei componenti, è evidente la modellizzazione del
nuovo lessema, dal corrispondente inglese), nel secondo caso di un calco semantico
(la parola realizzare, nel senso di ‘concretizzare’, esisteva già in italiano, ma, sul
modello della parola inglese, ha assunto differente significato). Infine il calco
sintattico “risulta da più parole che dànno vita a una locuzione di significato stabile
(così i francesismi amare alla follia, colpo di fulmine, colpo di stato” (Claudio
Marazzini, in Dizionario di linguistica, s.v. calco).
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50/S3
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1
La Rinunzia : il lessico
Con prestito si intende invece “Una parola straniera, utilizzata in una lingua diversa da
quella di origine” o tramite l’adattamento, modalità con la quale “la lingua ricevente
modifica le unità linguistiche (fonemi, morfemi) della parola per acconciarle al proprio
sistema fonologico” (come nel caso di bistecca per l’inglese beefsteak) o tramite
l’acclimatamento (la pronuncia approssimata ad un termine che si vuol citare come
straniero: per esempio starter pronunciato [’starter] anziché [’sta:tə] (Marazzini, ivi, s.vv.
forestierismo e adattamento).
italianizzando (4,1): su influsso dei verbi francesi in -iser si intensificano nel Settecento i
tecnicismi composti con -izzare, appartenenti alla classe dei verbi fattitivi (che
indicano cioè il risultato dell’azione); riguardo scandalizzano (4,6), si ricordi che il
verbo è già attestato nel Trecento;
in ritrovarsi (4,4): l’assenza dell’articolo e l’utilizzo di in nella perifrasi avvicina la
costruzione verriana al francese se retrouver;
belle Lettere (6,9): è un calco dal francese belles Lettres, locuzione gemella di beaux
Arts; quest’ultima era penetrata in Italia dalla fine del XVI secolo, provocando non
poche ostilità perché sostitutiva della forma italiana precedente (arti belle), attestata
in Vasari e Baldinucci;
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50/S3
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1
La Rinunzia : il lessico
buon grado (la volontaria servitù) (4,5) ‘grazie alla, in conseguenza della (servitù
volontaria)’: in analogia con la costruzione francesizzante di malgrado con reggenza
diretta (senza preposizione) che sostituisce l’antica costruzione a malgrado di +
nome;
meglio che (colla lingua Italiana) (5,4): è la costruzione mieux que in luogo della
costruzione tradizionale in Italia meglio di;
indipendente (6,1): sarà da considerare un calco semantico giunto attraverso la Francia:
indipendente e indipendenza “sono all’origine termini teologici: solo Dio ha per
attributo l’indipendenza. Ma ecco che si comincia a usarlo (all’inizio, pare, in
Inghilterra) a proposito delle controversie ecclesiastiche, mentre la guerra
d’indipendenza americana gli dà il carattere politico, oggi predominante” (Migliorini,
cit. da Matarrese, Storia della linga italiana. Il Settecento, p. 200);
dispotico (6,1): il francesismo era già entrato nel XVII secolo in Italia, tramite il
viaggiatore Pietro Della Valle (dalla banca-dati della Biblioteca italiana si ricava una
abbastanza veloce diffusione), ma l’intero campo lessicale viene assunto solo nel
Settecento, quando nella lingua di Ludovico Antonio Muratori compare anche il
sostantivo dispotismo (1745). Nella III e nella IV Crusca l’aggettivo è registrato senza
esempi di scrittori (sebbene sia usato dai redattori del Vocabolario).
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50/S3
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1
La Rinunzia : il lessico
permissione (7,13): si tratta in verità di un arcaismo, ben attestato a partire dal Trecento,
probabilmente funzionale alla connotazione parodica dell’intera Rinunzia e di questo
paragrafo finale. Va notato però che nel Settecento la fortuna del termine aumentò
sulla scorta dell’analogo permission francese;
buono o cattivo (parere) (7, 14) ‘opinione positiva o negativa’: riproduce la locuzione
francese sembler bon;
in leggendoli (7,15): nella lingua antica la costruzione del gerundio preposizionale era ben
nota, ma nel Settecento l’opzione si riattiva, nella sola forma introdotta da in, per
influsso del francese (si tratta quindi di un calco sintattico); Tina Matarrese (Storia
della lingua italiana. Il Settecento, p. 66) elenca questa costruzione, fra altre, quale
esempio di come “il francese promuove la reintroduzione di arcaismi e di modi caduti
in disuso”;
Filosofi (7,17): nel senso ampio e generico assunto nel Settecento per influsso del
corrispondente lemma francese; “Filosofo e filosofico hanno un significato molto
generale, riferendosi non specificamente alla scienza dei primi principii, ma a ogni
attività che implichi riflessione” (Migliorini, Storia della lingua italiana, p. 546).
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 51
Titolo: Alessandro Verri: lo stile
Attività n°: 1
La R inunzia : lo stile
Il quadro lessicale della Rinunzia ci ha indica uno scrittore colto e linguisticamente
educato che, nel momento in cui si pone in antagonismo con la posizione puristica della
Crusca, sa usare gli elementi della tradizione (non importa se con finalità parodiche) e
che, nel momento in cui si dichiara disponibile al forestierismo, non vi indulge in maniera
parossistica, né vi si adegua a capriccio, sottomettendosi all’arbitrio della moda linguistica
dei suoi tempi.
A differenza di quanto ci saremmo potuti aspettare, alla rivendicazione teorica di libertà,
non corrisponde insomma l’anarchia o alcun tipo di oltranzismo linguistico.
Quanto verificato sul piano lessicale, si conferma sul piano sintattico.
Abbiamo visto come nella polemica Orsi-Bouhours si fosse individuato nell’ordine diretto
della sintassi francese un elemento di differenziazione rispetto all’ordine inverso della
tradizione italiana: alla libertà di collocare gli elementi sintattici in un ordine non
rigidamente strutturato, bensì dipendente da ragioni espressive variabili (caratteristica
della tradizione letteraria italiana) si contrapponeva la sequenza Soggetto + Verbo +
Complemento del francese, espressione della ragione e della razionalizzazione del reale,
ma dai fautori della variabilità sintattica dell’italiano percepita come rigida e aridamente
fissa.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 51
Titolo: Alessandro Verri: lo stile
Attività n°: 1
La Rinunzia : lo stile
Francesco Algarotti, Saggio sopra la lingua francese, continuando il paragone fra
l’Académie française e l’Accademia della Crusca, si esprimeva così a proposito delle
resistenze che anche in Francia erano state opposte alla ‘linearizzazione’ sintattica,
incoraggiata e infine normativizzata dalla riforma seicentesca dell’Académie:
“Quanto all’Accademia di Francia, furono per avventura più fondati i romori che contro ad
essa si levarono. Ciò che regolò la lingua francese fu non tanto l’uso, a cui non si badò
gran fatto, né tampoco l’autorità degli classici scrittori, a cui ricorrere non poteano, quanto
il gusto di coloro che sedeano a quel tempo nel tribunale dell'Accademia. [...] Troppo avea
dello strano che uomini tali esser dovessero i legislatori del bel parlare. Fu posto tra le altre
a sindacato quel loro decreto intorno all’uniformità della costruzione, per cui il
nominativo deve sempre aprir la marcia del periodo tenendo il suo addiettivo
per mano; séguita il verbo col fido suo avverbio, e la marcia è sempre chiusa
dall'accusativo, che per cosa del mondo non cederebbe il suo posto. Dicevano che
il costringer la lingua a camminar sempre di un modo, come fanno le camerate de’
seminaristi i più picciolini innanzi e dietro i più grandicelli di mano in mano col prefetto in
coda, che il privarla di ogni trasposizione è un renderla fredda e stucchevole, è un privarla
del miglior mezzo di allontanare le espressioni le più semplici dal comune parlare, è un
tagliarle la via di sostenersi sicché non dia nel basso”.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 51
Titolo: Alessandro Verri: lo stile
Attività n°: 1
La Rinunzia : lo stile
Alessandro Verri, coerente con la posizione di chiarezza e razionalità del suo ambiente e
della sua posizione intellettuale predilige l’ordine diretto. Nel dettaglio:
1) il soggetto è costantemente preposto al verbo, con le sole eccezioni di
“sarebbero stati depressi in maniera gl’ingegni, e le scienze” (4,8);
“né quant’altri beni mai ci procacciò l’industria, e le meditazioni degli uomini” (4,9);
in questo caso il verbo si accorda al solo primo soggetto posposto singolare e
non alla coppia dei due soggetti (il secondo dei quali plurale)
“che gli assegnano i Grammatici” (4,12);
“che bene spesso val più l’autorità” (7,9);
2) solo di rado il verbo è posposto ad un complemento indiretto:
“nelle opere più grandi si scandalizzano” (4, 5-6);
“dall’Inda, o dall’Americana lingua ci si fornisse qualche vocabolo” (5,3);
“A tali risoluzioni ci siamo noi indotti” (7,4); in questo caso inoltre il soggetto
pronominale si inserisce fra l’ausiliare e il participio passato;
3) In un caso il complemento oggetto è preposto al verbo:
“i soli suffragj de’ quali desideriamo” (7,17-18);
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 51
Titolo: Alessandro Verri: lo stile
Attività n°: 1
La Rinunzia : lo stile
4) al complemento oggetto, che nella sequenza analitica di marca francese dovrebbe
occupare la terza posizione, è premesso un complemento indiretto:
“di fare nelle forme solenne rinunzia” (0,3)
Infine la libertà sintattica della tradizione italiana si manifesta con inversioni che, oltre il
limite frasale, interessano il periodo:
5) la frase dipendente da un verbo modale può precedere il verbo reggente:
“che imporre si voglia” (0,2).
Ma anche questi episodi apparentemente indotti dalla ‘fantasia’ e lontani dalla ‘razionalità’
corrispondono ad un intento di chiarezza; come si vede di volta in volta:
a 4, 5-6 l’anticipazione di “nelle opere più grandi” permette di rendere più evidente la
contrapposizione logica con il vicino “que’ mediocri ingegni”;
a 0,3 l’anticipazione del complemento indiretto (“di fare nelle forme solenne rinunzia”) è
funzionale a mantenere legato a “solenne rinunzia” il complemento indiretto che ne
dipende.
Di marca stilistica è infine la tematizzazione (che occorre a 6,3-4) che ha evidente effetto
di mise en relief dell’oggetto dell’abiura:
“e tutte quelle regole che il capriccioso Pedantismo ha introdotte, e consagrate,
noi non le rispetteremo in modo alcuno”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 51/S1
Titolo: Alessandro Verri: lo stile
Attività n°: 1
La R inunzia : lo stile
Dal punto di vista della costruzione del periodo la Rinunzia aderisce ad un modulo logico
ricorrente che, tramite una secondaria (costruita implicitamente con il modo gerundio o
esplicitamente, con valore causale) o un periodo ipotetico, espone la premessa a cui
consegue quanto espresso nella principale. Si vedano:
“Cum sit [...] ed essendo [...], perciò sono venuti in parere” (0,1-3); “se Petrarca [...],
così noi pretendiamo” (1,1-2); “sino a che non sarà dimostrato [...], ella è un’ingiusta
schiavitù” (2, 1-2); “se italianizzando [...], non ci asterremo” (4, 1-2), etc.
Tale struttura è comune ai §§ 0, 1-4 (aperti ritmicamente da Perché) e 5-7 (introdotti
invece da un verbo finito alla I persona plurale). I paragrafi 0, 1-3, sintatticamente poco
complessi, costituiti da un unico periodo di carattere assertivo, corrispondono a quello
che, per il Settecento, viene chiamato, style coupé (‘tagliato’, di fatto un sinonimo di
“favella intercisa” con cui si volle definire il tacitismo o laconismo del Seicento). Lo style
coupé stabilisce un rapporto di analogia con il laconismo seicentesco; ma, a fronte della
brevitas espressivamente ricercata nel Seicento, che lascia impliciti gli snodi logici per
provocare la reazione di spaesamento e sorpresa del lettore, lo stile coupé si avvantaggia
dell’ordine analitico dei componenti della frase e del periodo per facilitare la
comunicazione e rendere trasparente il messaggio.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 51/S1
Titolo: Alessandro Verri: lo stile
Attività n°: 1
La Rinunzia : lo stile
Nel lungo periodo entrambi gli stili contribuiranno alla definitiva perdita del prestigio
detenuto nei secoli dal periodare solenne e complesso, classicamente atteggiato sulla
ipotassi latina, esemplificabile con la prosa di Giovanni Boccaccio. Ora l’ideale è quello
che riproduce il periodare “netto, chiaro, preciso, interrotto, e sparso d’immagini e di sali”
che Francesco Algarotti (citato in Serianni, La prosa, p. 528) dichiarava di aver perseguito
per il dialogo Il newtonianismo per le dame (1737) e che intendeva riprodurre la
conversazione colta ma non specialistica. L’ideale della “precisione delle idee”
“richiede, in termini di concreti istituti linguistici, riduzione del carico subordinativo,
abbandono dell’artificio topologico (inversione, tmesi, ecc.), espansione del nome
rispetto al verbo: tutti aspetti variamente preesistenti all’ondata gallicizzante del Sei-
Settecento, ma che solo ora si manifestano con larghezza e sistematicità. Era
inevitabile che queste caratteristiche, non sempre motivatamente, venissero
considerate intrinseche del francese, di una lingua ‘che a paragone dell’italiana
sembrava così priva di spessore, così docile a tutti i venti della storia’ e quindi più
adatta a farsi veicolo di contenuti, di idee, di ‘cose’, nell’apparente indifferenza per le
‘parole’ (Serianni, La prosa, p. 528 che a sua volta cita da Andrea Dardi, Uso e
diffusione del francese, in Teorie e pratiche linguistiche nell’Italia del Settecento, a
cura di L. Formigari, Bologna, 1984).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 51/S1
Titolo: Alessandro Verri: lo stile
Attività n°: 1
La Rinunzia : lo stile
La posizione di Alessandro Verri (come dell’ambiente illuminista di cui è espressione),
riesce nei fatti a rompere i lacci che la tradizione aveva rappresentato, senza però
rinnegare la propria cultura per adottarne passivamente un’altra. Il francese lingua della
conversazione è per il Verri e per i suoi amici non una moda ma uno strumento (più
adatto della prosa boccacciana) alla circolazione delle idee; quanto questo sia vero lo si
può toccare con mano nella rifunzionalizzazione dello style coupé alla forma stessa della
Rinunzia, organizzata e frammentata in capitoletti che parafrasano la suddivisione in
articoli e commi di una legge. In effetti le “parole” corrispondono alle idee: perché la
storia continui basterà che le idee cambino e di conseguenza cambino le parole. Il che
avverrà tanto a livello biografico quanto a livello storiografico. Il trasferimento di lì a
qualche anno di Alessandro Verri da Milano alla Roma papalina, dalla città degli uffici e
dei commerci alla città delle rovine e delle testimonianze storiche, corrisponderà ad un
cambio di posizione ideologica ed estetica in senso archeologico se non addirittura
reazionario; e il cambio di posizionamento culturale porterà con sé il ritorno della prosa
verriana alla tradizione: ispirata ai miti della Grecia e della Roma antiche, la prosa dei
romanzi di Alessandro Verri recupererà nel lessico e nella sintassi la tradizione italiana
antica. E di lì a poco, il romanticismo italiano si intersecherà con il neoclassicismo perché
il sentimento e la passione si sostituiscano alla razionalità settecentesca.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 51/S2
Titolo: Alessandro Verri: lo stile
Attività n°: 1
Riepilogo
L’Ottocento: un panorama
Terminato, con l’analisi della Rinunzia di Alessandro Verri l’excursus sulla prosa italiana
dal Duecento al Settecento, a cominciare da questa lezione ci addentriamo
nell’Ottocento all’interno del quale collocheremo e analizzeremo da vicino la storia
linguistica di Giovanni Verga. Prima di tutto conviene, come del resto abbiamo fatto
secolo per secolo nel modulo precedente, tracciare una sintetica panoramica storico
politica del periodo in questione.
Come avviene in tanti altri casi, la periodizzazione per secoli risulta particolarmente
‘scomoda’ e poco efficace per ‘classificare,’ con una sola e sintetica etichetta, il XIX
secolo, tanto più sotto il profilo dell’evoluzione linguistica.
Il recente volume di Luca Serianni, Storia dell’italiano nell’Ottocento (Bologna, il Mulino,
2013) avverte, fin dall’Introduzione, di questa problematicità di periodizzazione,
segnalando l’utilità di parlare di un ‘lungo’ Ottocento (che non coincide con il limite
secolare) e che al suo interno vede una sostanziale bipartizione segnata dall’evento
dell’unificazione politica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1
L’Ottocento: un panorama
“L’Ottocento, nella sua dimensione di ‘secolo lungo’ (dall’età giacobina alla prima
guerra mondiale), coincide con la fase di più accentuato dinamismo della
storia linguistica italiana. Un dinamismo che è in parte condiviso dalle altre
lingue moderne e dipende dai grandi rivolgimenti sociali e tecnologici che
segnano il secolo: pensiamo solo alle conseguenze determinate dall’invenzione
del telegrafo e, più tardi, del telefono. Ma per l’Italia l’Ottocento è in primo
luogo il secolo dell’unificazione statale con le relative conseguenze
giuridiche (centralismo amministrativo e obsolescenza delle legislazioni
preunitarie; istituzione della leva obbligatoria), demografiche (spostamenti di
popolazione e incremento delle grandi aree urbane), economiche (sviluppo
industriale) e soprattutto culturali: scolarizzazione, riduzione
dell’analfabetismo, erosione del monolinguismo dialettale. Il 1861, l’anno
dell’Unità, rappresenta un naturale discrimine per la periodizzazione
del secolo in due parti di quasi corrispondente estensione” (Serianni,
Storia dell’italiano nell’Ottocento, p. 9).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1
L’Ottocento: un panorama
Da un lato dunque un ampliamento dei confini secolari: per il limite più basso a
buona ragione a contrassegnare la fine del ‘secolo’ Serianni indica l’evento storico
della Grande Guerra scoppiata nel 1914-1915, di così grande rilevanza anche
simbolica; per il limite cronologico superiore la Rivoluzione Francese nei suoi riflessi
italiani con il periodo giacobino in Italia (a partire dal 1796, ma con qualche
anticipazione già nel quadriennio precedente).
Dall’altro, entro questo ‘secolo lungo’, il riconoscimento di un primo Ottocento
marcato da elementi di continuità con il secolo precedente (cosmopolitismo che la
prima metà del XIX secolo eredita dal XVIII; influsso delle lingue straniere, in
particolare il francese e, in subordine l’inglese; frammentazione politica e
culturale) e un secondo Ottocento, inaugurato dalla svolta politica in senso
unitario, caratterizzato da quanto quella svolta politica impone (ripiegamento sui
fatti interni del nuovo stato; mobilità interna che sostituisce la precedente
mobilità verso l’estero; unificazione legislativa e dunque ricercata
omogeneizzazione delle differenti situazioni socio-economiche delle regioni italiane,
intenti di alfabetizzazione e scolarizzazione di massa, diffusione dell’italiano
come lingua parlata e non solo lingua scritta).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52/S1
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1
L’Ottocento: un panorama
Questa bipartizione dell’Ottocento in due spezzoni, condivisibile ed efficace in via
generale, è addirittura fondamentale nella storia della lingua italiana, tanto che ad
essa la disciplina si è adeguata fin da subito: il primo panorama complessivo
dell’evoluzione linguistica dell’italiano, cioè la Storia della lingua italiana di Bruno
Migliorini (1960) interrompeva la consueta scansione in capitoli secondo
l’andamento secolare proprio per l’Ottocento a cui dedicava due capitoli (l’XI e il
XII), intitolati rispettivamente Il primo Ottocento (1796-1861) e Mezzo secolo di
Unità nazionale (1861-1915).
In anni più recenti lo stesso Serianni ha pubblicato per la collana Storia della lingua
italiana della casa editrice il Mulino (diretta da Francesco Bruni) due distinti volumi
dedicati a Il primo Ottocento (1989) e rispettivamente Il secondo Ottocento
(1990), confermando dunque (con la concreta divisione della materia in due
volumi separati) quanto differente sia il quadro relativo a queste due tranches del
secolo XIX e le problematiche inerenti a ciascuna di esse.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52/S1
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1
L’Ottocento: un panorama
Per collocare in maniera opportuna l’intera esperienza linguistica e letteraria di Giovanni
Verga è indispensabile tracciare un quadro linguistico e linguistico-letterario del primo
Ottocento; sebbene la produzione letteraria dell’autore a cui ci dedicheremo in questo
secondo modulo del corso si svolga pressoché esclusivamente nel secondo Ottocento, il
giovane Verga nasce, si forma e si educa linguisticamente prima dell’unificazione italiana
e (come avremo modo di vedere nel concreto) da quel mondo primo-ottocentesco dovrà
e saprà sganciarsi (talora anche con difficoltà) proprio al momento di prendere atto dei
grandi cambiamenti sociali, ideali e culturali di cui è spettatore immediato.
Verga insomma, come tanti altri scrittori della sua stessa generazione, vive sulla propria
pelle la crisi di identità di un uomo nato cittadino di un piccolo stato regionale e morto
cittadino italiano, con tutte le sfaccettature che una crisi di questo tipo comporta:
politica (cittadino ora di uno stato nazionale), geografica (gli orizzonti e gli spazi aperti
alla propria mobilità sono cambiati), culturale (le abitudini e i comportamenti di un
piccolo spazio regionale devono misurarsi ora con quelli variamente condivisi o censurati
nello spazio nazionale), linguistica (la dinamica fra dialetto e lingua, prima esattamente
corrispondente ad una dinamica fra parlato e scritto, si fraziona ora in una serie di
opzioni diversificate: dialetto, lingua nazionale, italiano regionale) a seconda dei contesti
e degli usi.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52/S2
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1
L’Ottocento: un panorama
“Io nacqui veneziano ai 18 ottobre del 1775, giorno dell'evangelista san Luca; e morrò per
la grazia di Dio italiano quando lo vorrà quella Provvidenza che governa misteriosamente il
mondo.
Ecco la morale della mia vita. E siccome questa morale non fui io ma i tempi che l'hanno
fatta, così mi venne in mente che descrivere ingenuamente quest’azione dei tempi sopra la vita
d’un uomo potesse recare qualche utilità a coloro, che da altri tempi son destinati a sentire le
conseguenze meno imperfette di quei primi influssi attuati.
Sono vecchio oramai più che ottuagenario nell'anno che corre dell'era cristiana 1858; [...].
La mia indole, l’ingegno, la prima educazione e le operazioni e le sorti progressive furono, come
ogni altra cosa umana, miste di bene e di male: e se non fosse sfoggio indiscreto di modestia
potrei anco aggiungere che in punto a merito abbondò piuttosto il male che il bene. Ma in tutto
ciò nulla sarebbe di strano o degno da essere narrato, se la mia vita non correva a
cavalcione di questi due secoli che resteranno un tempo assai memorabile massime
nella storia italiana. [...] La circostanza, altri direbbe la sventura, di aver vissuto in
questi anni mi ha dunque indotto nel divisamento di scrivere quanto ho veduto sentito fatto e
provato dalla prima infanzia al cominciare della vecchiaia, quando gli acciacchi dell’età, la
condiscendenza ai più giovani, la temperanza delle opinioni senili e, diciamolo anche, l’esperienza
di molte e molte disgrazie in questi ultimi anni mi ridussero a quella dimora campestre dove
aveva assistito all’ultimo e ridicolo atto del gran dramma feudale. …
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52/S2
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1
L’Ottocento: un panorama
Né il mio semplice racconto rispetto alla storia ha diversa importanza di quella che
avrebbe una nota apposta da ignota mano contemporanea alle rivelazioni d’un
antichissimo codice.
L'attività privata d’un uomo che non fu né tanto avara da trincerarsi in se stessa contro le
miserie comuni, né tanto stoica da opporsi deliberatamente ad esse, né tanto sapiente o
superba da trascurarle disprezzandole, mi pare in alcun modo riflettere l’attività comune
e nazionale che la assorbe; come il cader d’una goccia rappresenta la direzione
della pioggia. Così l’esposizione de’ casi miei sarà quasi un esemplare di quelle
innumerevoli sorti individuali che dallo sfasciarsi dei vecchi ordinamenti politici al
raffazzonarsi dei presenti composero la gran sorte nazionale italiana. Mi sbaglierò
forse, ma meditando dietro essi potranno alcuni giovani sbaldanzirsi dalle pericolose lusinghe, e
taluni anche infervorarsi nell’opera lentamente ma durevolmente avviata, e molti poi fermare in
non mutabili credenze quelle vaghe aspirazioni che fanno loro tentar cento vie prima di trovare
quell'una che li conduca nella vera pratica del ministero civile. Così almeno parve a me in tutti i
nove anni nei quali a sbalzi e come suggerivano l’estro e la memoria venni scrivendo queste
note. Le quali incominciate con fede pertinace alla sera d'una grande sconfitta e condotte a
termine traverso una lunga espiazione in questi anni di rinata operosità, contribuirono alquanto
a persuadermi del maggior nerbo e delle più legittime speranze nei presenti, collo spettacolo
delle debolezze e delle malvagità passate”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52/S3
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1
L’Ottocento: un panorama
Nelle prossime lezioni abbozzeremo per grandi linee il panorama ottocentesco, a partire
dagli eventi storici che determinano lla situazione politica, ma soffermandoci poi nel
dettaglio su aspetti più strettamente funzionali al nostro discorso relativi a
1) la scuola (con i connessi problemi del sistema scolastico, della scolarizzazione e
dell’alfabetizzazione);
2) gli atteggiamenti e le polemiche linguistiche;
3) il panorama letterario
individuati come argomenti di snodo nel passaggio da primo a secondo Ottocento,
spesso intersecantisi gli uni con gli altri e comunque cruciali nel creare quel cittadino
della nuova Nazione di cui Massimo d’Azeglio lamentava l’assenza con la famosa frase:
“L’Italia è fatta, restano a fare gli italiani”.
Funzionale ad affrontare i singoli aspetti è il seguente sintetico prospetto che
permetterà di collocarli in una griglia cronologica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52/S3
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1
L’Ottocento: un panorama
Nel 1796 la Francia rivoluzionaria invade l’Italia: al di là della vicenda strettamente
militare, l’arrivo dei Francesi in Italia rappresenta una sorta di prima e preventiva
unificazione nazionale ottenuta (certo surrettiziamente) con l’assoggettamento
(diretto o indiretto) di tutta l’Italia peninsulare alla potenza francese: sono soggetti
direttamente alla Francia il Piemonte, la Toscana, e le città di Genova, Parma e
Roma; sono stati vassalli della Francia il Regno d’Italia (sugli stessi territori della
precedente Repubblica d’Italia [1802-1805] comprendente la Lombardia, l’Emilia
Romagna, il Veneto, le Marche) e il Regno di Napoli.
Alla caduta di Napoleone quella temporanea e surrettizia unità si scompagina
velocemente con la ‘restaurazione’ dell’ordine pre-rivoluzionario; ma l’esperienza e le
idee che l’avevano innervata costituiranno il retaggio ideologico che anima di lì a
poco i moti rivoluzionari del 1821, del 1831 e infine quelli siciliani e milanesi del
1848-49 che innescarono la cosiddetta prima guerra di indipendenza. Quest’ultima
decreta per il Piemonte e la casa di Savoia il ruolo di guida e di aggregazione
possibile per le istanze nazionali di indipendenza dall’Austria. La seconda guerra di
indipendenza (1859) consente l’unione di Piemonte e Lombardia, quest’ultima
sottratta all’Austria con l’aiuto della Francia.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52/S3
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1
L’Ottocento: un panorama
Poco dopo l’annessione al Piemonte della Toscana e delle ex legazioni pontificie di
Bologna, Ferrara, Ravenna e Forlì (il plebiscito avvenne nel marzo 1860), parte
l’impresa dei Mille (maggio): mentre Garibaldi risale dalla Sicilia lungo lo Stivale si
susseguono i plebisciti del Regno di Napoli e della Sicilia (ottobre 1860), delle Marche
e dell’Umbria (novembre 1860).
Il Regno d’Italia viene proclamato il 17 marzo 1861.
Il primo decennio dell’Unità è caratterizzato da numerosi episodi di assestamento: prima
lo spostamento della capitale del nuovo Regno da Torino a Firenze (1865-1870), poi
dal tentativo, finalmente coronato da successo, di conquistare Venezia e il Veneto (terza
guerra d’indipendenza: giugno-agosto 1866); infine la conquista di Roma (20
settembre 1870) che determinò la fine dello Stato Pontificio e permise di fissare la
capitale a Roma, luogo simbolo di un’identità nazionale raggiunta prima nelle idee che
nei luoghi.
Fin da questo primo decennio si avvia il tentativo di rendere uniforme la legislazione
civile, penale e militare, sancito dall’estensione dello Statuto Albertino (Statuto
Fondamentale della Monarchia di Savoia, promulgato del 4 marzo 1848) a tutto il Regno
d’Italia.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 53
Titolo: L'Ottocento: la scuola
Attività n°: 1
L’Ottocento: la scuola
A parte l’attività di maestri che esercitavano pubblicamente, ma senza l’egida e il
patrocinio di un’istituzione (e che per lo più adottavano un sistema di insegnamento
individuale o per classi non omogenee per età e livello di apprendimento), nel Sei e
nel Settecento la scuola è in gran parte in mano alla Chiesa, sia per quanto riguarda
l’insegnamento inferiore sia per il livello superiore.
L’insegnamento di base, da cui dipende il livello di alfabetizzazione dei cittadini di
uno stato, era per lo più affidato alle scuole di dottrina cristiana che avevano
come intento primario quello di insegnare il catechismo, ma esse “potevano anche
trasformarsi, in specie nei piccoli centri, in scuole stabili destinate anche
all’insegnamento della lettura, naturalmente in volgare”; inoltre nei “monasteri e
negli orfanatrofi si trovavano [...] maestre in grado di insegnare a leggere e in
qualche caso a scrivere” (Nicola De Blasi, L’italiano nella scuola, in Storia della lingua
italiana, a cura di Luca Serianni e Pietro Trifone, vol. I: I luoghi della codificazione,
Torino, Einaudi, 1993, pp. 397-398).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 53
Titolo: L'Ottocento: la scuola
Attività n°: 1
L’Ottocento: la scuola
Alla fine del XVI secolo (1597) era iniziata, in maniera più strutturata, l’opera didattica
delle Scuole Pie (fondate da Giuseppe Calasanzio)
“che segnò una svolta decisiva nel campo dell’istruzione popolare. In primo luogo
l’insegnamento della dottrina è stabilmente congiunto a quello del leggere,
obiettivo della scuola e punto di partenza per ulteriori studi, organizzati nei due
distinti settori dell’abaco [aritmetica, matematica e computisteria] e della
grammatica” (De Blasi, L’italiano nella scuola, p. 398).
Di lì a poco le Scuole Pie furono affidate dal Calasanzio all’ordine religioso degli Scolopi
(“chierici regolari poveri della Madre di Dio delle Scuole pie”), da lui fondato a Roma
nel 1617, il cui obiettivo principale era appunto l’educazione e l’istruzione della
gioventù.
All’ordine degli Scolopi si aggiunsero nella metà del Settecento l’ordine religioso dei
Redentoristi, fondato da Alfonso de’ Liguori a Napoli (ad Alfonso de’ Liguori si deve
addirittura una grammatica del volgare, stesa nel 1746 in risposta alle esigenze
individuate nella sua personale esperienza didattica) e quello dei Lasalliani o Fratelli
delle scuole cristiane (fondato da Giovan Battista de la Salle), che miravano soprattutto
ad un insegnamento pratico relativo all’istruzione tecnica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 53
Titolo: L'Ottocento: la scuola
Attività n°: 1
L’Ottocento: la scuola
Alla Compagnia di Gesù (fondata nel 1535 da Ignazio di Loyola e soppressa nel 1773) era
invece affidata l’istruzione superiore per lo più rivolta ai nobili e alle classi agiate o alla
erudizione della Compagnia stessa, che aveva istituito su vari territori nazionali un sistema
capillare di collegi. L’istruzione impartita dai Gesuiti si impostava sull’insegnamento del
latino, che sempre più fra XVII e XVIII secolo viene scalzato dal volgare:
“La formazione dei futuri Gesuiti e dei nobili che frequentavano i loro collegi era
fondata sullo studio del latino, l’unica lingua ammessa nelle aule, ma il volgare, come
in passato, continuò ad infiltrarsi nella didattica; riceveva inoltre attenzioni crescenti
nelle classi superiori dei collegi, e nei quotidiani esercizi di umanità e di retorica che
comprendevano narrazioni e amplificazioni, in specie dalla fine del secolo XVII, poteva
affiancarsi al latino” (De Blasi, L’italiano nella scuola, p. 397).
Scacciata prima dal Portogallo (1759), e negli anni seguenti dalla Francia, dalla Spagna,
dal Regno delle due Sicilie etc., la Compagnia di Gesù fu soppressa dal papa Clemente XIV
nel 1773, a causa di intricate questioni di ortodossia religiosa e di sottomissione del
potere politico al papa. Il sistema scolastico gesuitico, organizzato a quella data in ben
669 collegi, fu smantellato: una capillarità di strutture che non fu più raggiunta, neppure
dopo che la Compagnia di Gesù (che oggi conta 250 tra collegi e istituti) fu riammessa nel
1814 dal papa Pio VII.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 53/S1
Titolo: L'Ottocento: la scuola
Attività n°: 1
L’Ottocento: la scuola
Erano però questi gli anni in cui il modello della Francia rivoluzionaria (che nel 1794
aveva stabilito il diritto all’istruzione elementare obbligatoria e gratuita) si andava
estendendo oltre i confini francesi, diffondendo la rivalutazione dell’insegnamento laico,
l’esigenza del controllo dello stato sul sistema scolastico a tutela dell’uguaglianza dei
cittadini e delle loro opportunità, la necessità della formazione dei maestri e infine
l’elaborazione di criteri didattici e pedagogici attenti all’individualità dell’alunno.
Uno dei primi stati italiani ad affrontare, con legislazione propria, la questione
dell’insegnamento pubblico e in genere dell’istruzione era stato proprio il Piemonte, nel
1729 e di nuovo nel 1733, “in vista della formazione di un ceto intellettuale adeguato ad
affrontare le questioni giurisdizionali del tempo” (De Blasi, L’italiano nella scuola, p.
400). Per questa precisa esigenza ad essere coinvolta in prima battuta fu la scuola
superiore nella quale, laddove veniva indicato, si patrocinava l’uso di un italiano su base
letteraria secondo la vincente tradizione filo-toscana e arcaizzante. La riforma scolastica
piemontese e la parallela redazione di strumenti didattici, quali grammatiche e antologie
di modelli di bella prosa, fecero sì che l’italiano scritto alla fine del Settecento dai
Piemontesi fosse un italiano di marca letteraria, come inevitabile dati i presupposti, ma
sostanzialmente accettabile e per lo più scevro da interferenze con il dialetto.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 53/S1
Titolo: L'Ottocento: la scuola
Attività n°: 1
L’Ottocento: la scuola
In Lombardia, ad affrontare la questione scolastica era stata Maria Teresa d’Austria che
estese all’Italia il Methodenbuch für Lehrer der deutschen Schulen redatto da Johann
Ignaz von Felbiger (nel 1774 nominato commissario dell’istruzione dei territori di lingua
tedesca dell’impero).
“La riforma istituiva diversi ordini di scuole: la popolare, per l’istruzione di base; le
scuole principali, per l’avviamento professionale, che tra l’altro avviavano anche
all’attività di maestro; il ginnasio, che riprendeva l’impostazione delle tradizionali
scuole di umanità e di retorica ed avviava quindi agli studi universitari” (De Blasi,
L’italiano nella scuola, p. 402).
Il metodo, risultato efficace, si estese al Veneto, alla Sicilia e al Regno di Napoli, dove
a partire dagli anni Settanta del XVIII secolo l’aumento del numero delle scuole e la
loro diffusione capillare fu consistente.
“Le riforme non diedero dappertutto gli effetti sperati: si evidenziò ad esempio
una certa disparità tra Nord e Sud per quel che riguardava le condizioni
dell’istruzione. In ogni caso la nuova direzione della scuola delle riforme era
segnata; tra le novità più importanti era il nuovo ruolo dell’italiano riconosciuto
come ‘lingua-base’ dell’istruzione” (De Blasi, L’italiano nella scuola, p. 403).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 53/S1
Titolo: L'Ottocento: la scuola
Attività n°: 1
L’Ottocento: la scuola
Se l’italiano, a questa altezza, l’ha ormai avuta vinta sul latino, esso deve confrontarsi
con il dialetto, non solo negli affari quotidiani, ma anche all’interno della scuola dove,
non sempre e non dovunque allo stesso modo, il maestro stesso è in grado di gestire in
piena consapevolezza i due strumenti linguistici, e ancora meno di insegnarne l’uso.
Riguardo al
“nesso tra dialetto e didattica si sono di volta in volta prospettate due tendenze
opposte, spesso compresenti e contemporanee nella scuola italiana: l’una fondata
sull’opinione che l’acquisizione della lingua comporti l’inevitabile sacrificio
del dialetto; l’altra che tratta quest’ultimo come un punto di partenza utile, in
quanto patrimonio culturale già posseduto dagli scolari, dal quale
muovere, in un processo dal noto all’ignoto, verso la conquista
dell’italiano” (De Blasi, L’italiano nella scuola, p. 404).
La questione della dialettofonia era tanto più presente ai legislatori e agli insegnanti in
quanto il numero degli italofoni (che tali fossero per provenienza geografica come i
Toscani, oppure per cultura) era particolarmente ridotto. In una ricerca svolta negli anni
Settanta da Tullio De Mauro, tale numero è stato calcolato in circa 630.000 Italiani;
anche se tale conto è stato corretto negli anni Ottanta da Arrigo Castellani e innalzato a
2.200.000, si trattava comunque del 9,52% degli Italiani con età maggiore di tre anni.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 53/S2
Titolo: L'Ottocento: la scuola
Attività n°: 1
L’Ottocento: la scuola
Italiani diversi insomma, da città a città, da regione a regione, diversi per la diversa
formazione degli insegnanti, ma, connotata in senso letterario, tanto più ‘estranea’ dalla
realtà viva e concreta del parlato dialettale.
Forte dell’esperienza pregressa all’interno del Regno di Sardegna, il nuovo Regno d’Italia
era pronto a impostare una scuola unitaria valida nei programmi e negli obiettivi; scuola
tanto più necessaria perché le percentuali di scolarità (privata o pubblica) negli anni
preunitari oscillava da regione a regione da un minimo del 12% nel Regno delle Due
Sicilie ad un massimo del 42% nel Regno di Sardegna.
Il 13 novembre 1859 il Regno di Sardegna aveva emanato un decreto (entrato in vigore
poi nel 1860) con il quale il sistema scolastico veniva riorganizzato negli ordini e gradi (la
scuola elementare era organizzata in due bienni di cui solo il primo era obbligatorio; la
scuola media separata in due indirizzi, classico e tecnico-professionale) e nelle materie
d’insegnamento.
“I punti di forza della legge Casati stavano in alcuni principi applicati all’istruzione
primaria: l’obbligo, la gratuità, la parità dei sessi” (Serianni, Storia dell’italiano
nell’Ottocento, p. 29).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 53/S2
Titolo: L'Ottocento: la scuola
Attività n°: 1
L’Ottocento: la scuola
Dopo la proclamazione del Regno d’Italia tale decreto (noto appunto come legge
Casati) venne esteso a tutta la compagine nazionale, ma nonostante gli ottimi principi,
l’obbligatorietà alla frequenza scolastica per i primi due anni elementari fu spesso elusa
(le percentuali parlano del 43% di studenti frequentanti, rispettivamente 47% per i
maschi, 39% per le femmine nell’anno scolastico 1863-64) a causa della pratica del
lavoro minorile nel settore agricolo. Occasione mancata tanto più grave poiché i livelli di
analfabetismo nel 1861 erano spaventosi: il 75% degli uomini era analfabeta,
l’analfabetismo femminile raggiungeva l’84%, ma i dati erano ancora più impressionanti
al Sud dove si raggiungeva anche il 95%.
Si dovette attendere un governo della Sinistra perché, nel 1877, la legge Casati venisse
sostituita dalla cosiddetta Legge Coppino. Con essa l’obbligo di frequenza scolastica
veniva esteso alle tre prime classi della scuola elementare unificata che ora era
quinquennale: stavolta il deterrente di sanzioni esplicitamente indicate contro i genitori
inadempienti costituì un motivo importante per il rispetto dell’obbligo.
I frutti si cominciarono a vedere con il secolo successivo all’inizio del quale già risultavano
notevolmente diminuiti (comunque ancora altissimi in assoluto) i dati relativi
all’analfabetismo (il censimento del 1911 segnala il 40% di analfabeti sull’intero territorio
italiano; ma anche stavolta i dati sono molto diversificati da regione a regione).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 53/S2
Titolo: L'Ottocento: la scuola
Attività n°: 1
L’Ottocento: la scuola
Riepilogo
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
L’Ottocento: atteggiamenti e
polemiche linguistiche
“Il primo Ottocento segna per molti aspetti una vistosa frattura con l’ideologia
settecentesca. All’illuminismo cosmopolitico succede, con la riscoperta delle radici
nazionali promossa dal romanticismo, la valorizzazione del patrimonio linguistico
tradizionale; alla sensibilità per la lingua cólta, letteraria, intellettuale si affianca
l’interesse per l’uso popolare, primitivo, ingenuo, sia esso depositato nelle
scritture trecentesche (secondo l’ideale dei puristi) o venga sorpreso sulle labbra
dei toscani contemporanei”.
L’Ottocento: il purismo
Sotto quest’unica etichetta, che assume l’idea di una lingua “pura” alle origini della
sua evoluzione e che si ispira perciò ad una visione arcaizzante, in realtà si
classificano posizioni, non sempre in tutto convergenti, di singole personalità, la
più nota delle quali è quella del veronese Antonio Cesari (1760-1828).
Oltre che in varie opere dedicate al problema della lingua da adottare nelle
scritture e da insegnare ai giovani (Dissertazione sopra lo stato presente della
lingua italiana del 1809; Le Grazie del 1813; Antidoto pe’ giovani studiosi contro le
novità in opera di lingua italiana, uscito postumo nel 1829), la posizione dell’abate
Cesari può ben essere illustrata nei suoi caratteri oltranzisti dalla vicenda che lo
indusse a pubblicare, fra il 1806 e il 1811, la cosiddetta Crusca veronese.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 54/S1
Titolo: L'Ottocento: atteggiamenti e polemiche linguistiche
Attività n°: 1
L’Ottocento: il purismo
“Durante i secoli XVII-XVIII l’Accademia della Crusca, con la terza [1691] e la
quarta [1729-1738] edizione del Vocabolario, si era dimostrata non insensibile a
caute esigenze di innovazione e di superamento dei criteri rigidamente trecentisti-
cinquecentisti [...]; il ‘fiorentinismo’ stesso non era più considerato soltanto quello
dei trecentisti grandi e minori, ma anche quello dell’uso contemporaneo, con un
timido precorrimento di idee manzoniane. Contro queste aperture, che pur erano
ancora molto limitate, insorse il Cesari. Valendosi anche di materiali raccolti dal
defunto [Clementino] Vannetti e da altri, egli pubblicò il Vocabolario dell'Accademia
della Crusca ... cresciuto d’assai migliaia di voci e modi de’ Classici..., dedicato a S.
A. Imperiale il principe Eugenio vice-re d’Italia (Verona 1806-11).
L’‘accrescimento’ consisteva in voci trecentesche: si trattava, come diceva il
manifesto divulgato in precedenza nel 1805 (Opuscoli linguistici..., p. 59), di
‘arricchir la lingua’ restituendole ‘la natural dote, e le native ricchezze, che il tempo,
o la negligenza degli uomini le aveva fatto perdere’. E nella prefazione al
Vocabolario (p. 96) il C[esari] polemizzava contro la ‘Firenze d’oggidì’, tralignata
linguisticamente da quella d’un tempo, e rivendicava a se stesso, ‘lombardo’, il
diritto di fare ciò che i Fiorentini più non sapevano o non volevano, così come quasi
tutti i più grandi scrittori latini non erano nati a Roma (p. 99)”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 54/S1
Titolo: L'Ottocento: atteggiamenti e polemiche linguistiche
Attività n°: 1
L’Ottocento: il purismo
Come si desume facilmente dalle parole citate (di Sebastiano Timpanaro, voce Cesari
Antonio, in Dizionario biografico degli italiani, XXIV, 1980), Antonio Cesari è favorevole
all’adozione e all’insegnamento della lingua del Trecento, dal quale devono essere
estromesse sia le novità del fiorentino dei secoli successivi, sia i forestierismi,
in nome di una tutela intransigente della purezza linguistica del secolo aureo. A
sostenere tale posizione è la fiducia ingenua e disarmante nella bellezza del fiorentino
trecentesco, bellezza percepita impressionisticamente e creduta condivisibile senza
alcuna dimostrazione:
“Ma che è questa bellezza di lingua? Ella è cosa che ben può esser sentita, non
diffinita, se non così largamente, che nella fine questa bellezza non torna ad altro,
che a un Non so che” (dalle Grazie, citato in Serianni, Storia dell’italiano
nell’Ottocento, p. 98).
Poiché la preminenza del toscano dipende per il Cesari da una bellezza di natura, per
lui l’esempio degli scrittori fiorentini del Trecento, Dante, Petrarca e Boccaccio, non ha
maggiore autorevolezza della lingua dei mercanti poiché “Tutti in quel benedetto
tempo del 1300 parlavano e scrivevano bene” (ivi).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 54/S2
Titolo: L'Ottocento: atteggiamenti e polemiche linguistiche
Attività n°: 1
L’Ottocento: il classicismo
“Nato una ventina d’anni dopo il Cesari, il napoletano Basilio Puoti (1782-1847)
fu il più significativo esponente del purismo meridionale. Più che per gli scritti
linguistici, il Puoti va forse ricordato per la scuola privata (lo ‘studio’, com’egli
amava dire) da lui creata a Napoli e che ebbe, tra i più illustri frequentatori,
Francesco De Sanctis” (Serianni, Storia dell’italiano nell’Ottocento).
L’Ottocento: il classicismo
Nel purismo di Basilio Puoti si intravede dunque la contemporanea presenza dell’elemento
che più caratterizza il classicismo linguistico dell’Ottocento: la fiducia, piuttosto che nelle
caratteristiche intrinseche della lingua, nell’affinamento stilistico e nella possibilità di
arricchirla e perfezionarla attraverso l’esercizio letterario;
aspetto, quest’ultimo, rinnegato invece dai puristi stricto sensu, come il Cesari (ma non,
come abbiamo visto da Basilio Puoti).
Massimo esponente del classicismo linguistico primo-ottocentesco è Vincenzo Monti
(1754-1828) che a questioni di lingua si dedicò solo in età avanzata e in stretta
collaborazione con il genero Giulio Perticari (1779-1822).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 54/S2
Titolo: L'Ottocento: atteggiamenti e polemiche linguistiche
Attività n°: 1
L’Ottocento: il classicismo
Al loro sodalizio è legata la scrittura della Proposta di alcune giunte e correzioni al
Vocabolario della Crusca (Milano, 1817-1826), in cui alla posizione puristica di stretta
osservanza, rappresentata dal Vocabolario della Crusca (il cui contenuto viene tanto
sottoposto a rigorosa revisione filologica quanto a feroce sarcasmo) è contrapposta una
posizione letterariamente atteggiata, che rifiuta gli arcaismi registrati nel Vocabolario
o perché anacronistici per l’utilizzo letterario contemporaneo, o perché non di
rado provenienti da scritture popolareggianti e dunque da rifiutare
stilisticamente.
Tale posizione, che accoglie per intero lo sviluppo della letteratura successiva al
Trecento, consente a Monti di valorizzare anche l’apporto non fiorentino e non
toscano alla lingua italiana, la cui matrice fiorentina è messa in discussione dal
Perticari su basi filologiche e di teoria linguistica.
Su analoghe posizioni antipuriste (sia nel senso di una scelta meditata del modello
trecentesco e comunque sempre misurata dal punto di vista stilistico, sia nel senso della
valorizzazione della letteratura dei secoli successivi al XIV secolo) è anche Pietro
Giordani (1774-1848), amico ed estimatore di Giacomo Leopardi a cui lo lega l’idea che
la lingua trecentesca vada poi innervata su uno stile che imiti la classicità greca.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 54/S3
Titolo: L'Ottocento: atteggiamenti e polemiche linguistiche
Attività n°: 1
L’Ottocento: il neotoscanismo
Accanto ad altre differenze valutabili di volta in volta nei confronti del purismo, a
caratterizzare unitariamente la posizione del classicismo ottocentesco è dunque il
richiamo alla lingua come espressione di una cultura alta e selezionata, utilizzabile in
primo luogo in sede letteraria e che dunque rigetta sulla base di considerazioni di
stile il parlato, il comico, il demotico, il plebeo. Oltre che a livello retorico, il latino
funziona, in questa prospettiva, come modello linguistico, il cui repertorio è risorsa
continuamente disponibile (su base lessicale, fonetica o sintattica) per elevare
l’italiano letterario.
Ma il classicismo ottocentesco, proprio sulla base di questi elementi caratterizzanti si
pone in maniera antagonistica anche con un’altra posizione che in realtà ebbe la sua
massima fortuna nel secondo Ottocento, quella del neotoscanismo, rappresentata
emblematicamente dalla figura di Niccolò Tommaseo (1802-1874), a cui si affianca
anche Giovan Battista Niccolini (1782-1861).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 54/S3
Titolo: L'Ottocento: atteggiamenti e polemiche linguistiche
Attività n°: 1
L’Ottocento: il neotoscanismo
Originario di Sebenico, in Dalmazia (terra contesa fra la fine del Settecento e gli inizi
dell’Ottocento fra Venezia, la Francia e la dominazione asburgica), contraddistinto da un
fiero sentimento italiano che non gli impedì di scrivere anche in croato e di dedicare gran
parte delle sue energie alla raccolta dei Canti popolari toscani corsi e illirici e greci (1841-
1842), viaggiatore per piacere e per necessità, Niccolò Tommaseo è una figura complessa
e poliedrica in primo luogo come scrittore e letterato (fu poeta e romanziere, saggista e
commentatore della Commedia dantesca).
Sono tutt’oggi capisaldi della lessicografia italiana ottocentesca il suo Dizionario dei
sinonim i (1831) e il Dizionario della lingua italiana (pubblicato a dispense fra il
1861 e il 1879) in collaborazione con Bernardo Bellini (e perciò spesso designato con il
nome di Tommaseo-Bellini) e che ora è disponibile e liberamente interrogabile presso il
sito dell’Accademia della Crusca, all’indirizzo:
http://www.accademiadellacrusca.it/it/scaffali-digitali/tommaseo-online.
Nella prefazione al Dizionario dei sinonimi e nella Nuova proposta di correzioni e giunte al
Dizionario italiano (in palese polemica con la Proposta montiana) del 1841 è espressa la
posizione linguistica del Tommaseo.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 54/S3
Titolo: L'Ottocento: atteggiamenti e polemiche linguistiche
Attività n°: 1
L’Ottocento: il neotoscanismo
“La norma linguistica, secondo lo scrittore dalmata, risiede nell’uso toscano vivo. In
questa certezza il Tommaseo arriva a menzionare, tra i consulenti benemeriti del Di-
zionario dei sinonimi ‘una donna povera e ignota’ (per la storia: Geppina Catelli), da
cui ha attinto ‘dolcezza di nobili sentimenti e d’elegante linguaggio’ [Tommaseo, Nuo-
vo dizionario dei sinonimi]; e ad auspicare, per l’educazione linguistica degl’italiani, il
diretto contatto con toscani nativi, non necessariamente cólti: ‘O forse la spesa
d’un aio, d’un precettore, d’un servo toscano è più grave della spesa d’un maestro di
cembalo, di un servo inglese?’ [Tommaseo, Nuova proposta]. Sono entrambi tratti
che ritroveremo nell’atteggiamento linguistico del Manzoni. Tuttavia il toscanismo
del Tommaseo, a differenza della coerente costruzione manzoniana, è tut-
t’altro che compatto. Intanto è forte e dichiarato il legame con la tradizione lette-
raria portatrice di valori civili e culturali a cui si riconoscono ‘un peso e una incidenza
decisivi, e perciò non ricusabili, nell’esercizio della lingua’ [Vitale, La questione della
lingua]. Inoltre l’accoglimento del modello toscano è pur sempre subordinato a moti-
vazioni di gusto personale. Il Tommaseo, ad esempio, sa che il toscano coevo aveva
monottongato in o il dittongo uo dopo un suono palatale (in casi come figliola, fami-
gliola; ma preferisce i tipi tradizionali giacché le forme senza dittongo ‘ad occhio non
toscano riescono il più delle volte spiacevoli’ [Tommaseo, Nuova proposta]” (Serianni,
Storia dell’italiano nell’Ottocento, p. 106).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 55
Titolo: L'Ottocento: Manzoni e Ascoli
Attività n°: 1
Il punto di partenza (quasi un pretesto per esprimere le ragioni della propria presa di
distanza) era l’innovazione di novo per nuovo che campeggiava sul frontespizio
del’appunto Nòvo vocabolario Giorgini-Broglio (gli “auspicj gloriosissimi” di cui parla Ascoli
sono quelli del ministero della Pubblica Istruzione rappresentato dall’allora ministro
Broglio); fin da subito l’Ascoli imposta il discorso su un linguaggio tecnico, ma non ostico,
che si mostra nella distinzione fra pronuncia e linguaggio, nel richiamo alla incoerenza da
evitare qualora l’innovazione fonetica non fosse estesa a tutto il repertorio italiano.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 55/S3
Titolo: L'Ottocento: Manzoni e Ascoli
Attività n°: 1
Nella stessa occasione Foscolo però era anche costretto a constatare la notevole
disparità fra il numero dei lettori europei (e nella fattispecie inglesi) e quello degli
italiani, determinata dai livelli di analfabetismo a cui abbiamo accennato e che, d’altro
canto, rendevano tanto più urgente la diffusione, tramite la stampa periodica e i
manuali, di nozioni e di notizie.
Si tenga conto infatti che la pratica diffusa della lettura condivisa (se non
propriamente pubblica) del giornale in luoghi di aggregazione sociale consentiva
spesso la penetrazione delle notizie presso strati di pubblico che difficilmente
avrebbero potuto gestire in maniera autonoma la lettura.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 56/S1
Titolo: L'Ottocento: lettura e letteratura
Attività n°: 1
“Ma quale era il grado di comprensione di un giornale per il lettore medio? A questo
problema erano sensibili i più avvertiti intellettuali dell’epoca: lo svecchiamento della
prosa tradizionale operato da Manzoni con la revisione dei Promessi Sposi procede di
pari passo con l’invenzione di uno ‘stile giornalistico’ che rinunci a termini peregrini,
ricorra a una sintassi prevalentemente coordinativa, povera di inversioni e di tmesi, si
rivolga al lettore non specializzato, assumendosi il compito di una seria divulgazione”.
Lo stesso Serianni (dal cui volume abbiamo tratto la citazione appena riportata, p. 44)
riferisce le seguenti dichiarazioni d’intenti in fatto di lingua, tratte rispettivamente dal
primo numero de “L’Ape delle cognizioni utili” (1833) e dal primo numero della seconda
annata del ben più famoso “Il Politecnico”, fondato e diretto da Carlo Cattaneo (1839):
“gli articoli saranno stesi con brevità, chiarezza e precisione per quanto possibile:
senza sbagliare al tutto il linguaggio scientifico a forza di voler esser popolare, ne
sarà conservata tutta quella parte che è all’intelligenza comune”;
“Negli argomenti scientifici studieremo la forma più semplice, più agevole, men
tediosa; cercheremo nella leggerezza della forma quella popolarità che altri giornali
preferiscono cercare nella leggerezza della materia”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 56/S2
Titolo: L'Ottocento: lettura e letteratura
Attività n°: 1
In entrambi i casi (nonostante che la statura dei due produttori sia ben diversa e
altrettanto diversa sia l’utenza a cui essi si rivolgono) il cosiddetto “stile giornalistico”,
di necessità veloce e sintetico, caratterizzato da frasi nominali e da struttura
paratattica, è determinato anche dalla necessità di divulgazione di particolari
contenuti e cognizioni.
Eppure la tendenza generale (non priva di eccezioni) della prosa giornalistica ad una
scrittura meno paludata e meno letterariamente atteggiata sui classici non interessa il
solo ambito della stampa periodica.
L’apertura verso un pubblico ampio e meno monoliticamente collocato nella fascia
alta dell’utenza, l’esigenza sentita a vari livelli di una società civile che partecipi
sempre di più ai movimenti intellettuali e politici della nazione, la consapevolezza
che, dopo il Romanticismo, fare letteratura significa approfondire la conoscenza della
propria storia e della propria identità incarnando l’esigenza di esprimere sentimenti e
storie sempre più aderenti alla realtà (contemporanea o storica che sia) fanno
nascere la convinzione che anche l’educazione alla letteratura è il luogo per la
creazione di un sentire comune, nazionale e ‘popolare’.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 56/S3
Titolo: L'Ottocento: lettura e letteratura
Attività n°: 1
Gli elementi di tangenza fra giornalismo e letteratura, fra notizia con prevalente
contenuto pratico-informativo e produzione di scritture ad alto tasso di finzione (e
dunque con finalità di ‘intrattenimento’), sono dati di fatto; non solo per il transitare
di singoli personaggi dal ruolo di giornalista a quello di romanziere o viceversa, ma
anche per il coinvolgimento di usi e pratiche di lettura socialmente diffusi; la
tangenza e la contiguità sono anche fisiche e concretissime, poiché il quotidiano
ottocentesco contiene sezioni di informazione e di intrattenimento, di cronaca e di
pubblicità, ma anche accoglie (su modello dei giornali francesi coevi che in questa
forma videro stampati alcuni romanzi di Alexandre Dumas, Honoré de Balzac e
Eugène Sue), anche il grande fenomeno dei cosiddetti romanzi d’appendice: i
romanzi cioè che uscivano a puntate in ‘appendice’ al giornale, spesso nel numero
domenicale, e che creavano un fenomeno di fidelizzazione del lettore.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 56/S3
Titolo: L'Ottocento: lettura e letteratura
Attività n°: 1
Si tratta non di rado di produzione letteraria di consumo, quella che oggi potremmo
definire “letteratura di massa” o, con termine dispregiativo non sempre condivisibile,
di paraletteratura; eppure una produzione che coinvolse un’ampia fascia di pubblico,
intermedia fra i letterati di professione e gli strati sociali più bassi, una fascia di
pubblico che per di più comprendeva, come fattore di assoluta novità, il pubblico
femminile.
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Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 57
Titolo: L'Ottocento: la nascita del romanzo
Attività n°: 1
Il castello di Trezzo di Giovan Battista Bazzoni (1803-1850), uscito prima, fra il 1826 e
il 1827 a puntate nel giornale “Il Nuovo Ricoglitore” (seguiranno dello stesso autore
nel 1828-29 il Falco della Rupe o la Guerra di Musso; nel 1830 La bella Celeste degli
Spadari, cronachetta milanese del 1666; fra la fine degli anni Trenta e gli anni
Quaranta Zagranella o una pitocca del 1500 (pubblicato, ma solo in parte, sulla
“Rivista Europea” del 1838, poi per intero nella stessa sede, nel 1845);
La Sibilla Odaleta di Carlo Varese (1793-1866), cui seguirono nel decennio successivo I
prigionieri di Pizzighettone, Folchetto Malaspina, Preziosa di Sanluri, Torriani e
Visconti.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 57/S1
Titolo: L'Ottocento: la nascita del romanzo
Attività n°: 1
Un anno insomma, il 1827, nel quale a favore del romanzo storico scese in campo, al
fianco di colui che traghetterà d’autorità il romanzo nella cultura italiana alta, una
schiera di autori minori o minimi che lo coadiuvarono validamente nel diffondere nella
pratica della lettura e nelle attese del pubblico il nuovo genere del romanzo storico.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 57/S2
Titolo: L'Ottocento: la nascita del romanzo
Attività n°: 1
Riepilogo
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
37) Manzoni: illustrate l’evoluzione linguistica dello scrittore dei Promessi sposi.
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
39) Indicate quali furono i mezzi principali per una crescita dell’alfabetizzazione nel
nuovo stato unitario e quali categorie di lettori furono coinvolte nella nascita della
nuova stampa periodica.
40) Tracciate per sommi capi l’evoluzione del genere romanzo dal Seicento
all’Ottocento.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 59
Titolo: GIOVANNI VERGA: LA FORMAZIONE
Attività n°: 1
Nato a Vizzini o a Catania alla fine di agosto o agli inizi di settembre del 1840,
Giovanni Verga apparteneva ad una famiglia di piccoli proprietari terrieri con
qualche grado di nobiltà per parte di padre, Giovanni Battista Catalano (1806-
1863), mentre la madre, Caterina Di Mauro Barbagallo (1817-1878), proveniva
dal ceto borghese catanese.
L’ambiente familiare, nelle persone dello zio Salvatore Verga Catalano (morto nel
1880), dello zio Salvatore Di Mauro e nella persona della madre, non dovette
essere (tenuto conto dei tempi e delle condizioni della Sicilia) particolarmente
depresso dal punto di vista culturale e comunque attento (almeno nella misura in
cui essa era richiesta dallo status sociale al quale la famiglia apparteneva) alle
esigenze di acculturazione dei tre figli maschi (Giovanni, Mario, Pietro; diverso
dovette essere l’atteggiamento nei confronti delle figlie: Rosa [1847-1877] e
Teresa [1854-1937]).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 59/S1
Titolo: Giovanni Verga: la formazione
Attività n°: 1
Giovannino si adegua nel tono deferente al ruolo di nipote e figlio ben educato,
affermando di condividere le attese che la famiglia tutta ripone in lui e nel fratello
(“nel quale dobbiamo fondare i nostri pensieri per la nostra riuscita”); dopo una serie
di formule stereotipe che ci informano della possibilità che lo zio visiti presto a
Catania la famiglia Verga, il giovanissimo Verga si sofferma ad illustrare lo stato di
avanzamento dei propri studi.
Ha appena avviato, con gli studi secondari, lo studio del latino che ha accompagnato
con letture che possano collocare meglio la nuova materia, giacché dice di aver ormai
quasi terminato la lettura dell’Histoire romaine depuis la fondation de Rome jusqu’à
la bataille d’Actium pubblicata in cinque volumi fra il 1738 e il 1741 da Charles Rollin
(1661-1741), che fin dal 1761 era stata tradotta in italiano godendo di notevole
fortuna e di numerose ristampe; un testo dunque manualistico, ormai vecchio di un
secolo, che lo zio Salvatore Di Mauro (il fratello della madre) gli ha dato in prestito. È
necessario dunque che il destinatario della lettera ricordi, nella prossima visita
catanese, di rifornire il nipote di buoni e utili libri.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 59/S3
Titolo: Giovanni Verga: la formazione
Attività n°: 1
Gli anni successivi, durante i quali Giovanni Verga frequentava ancora la sua scuola, lo
videro intento alla scrittura del suo poema, la Rigenerazione della Grecia a cui attese per
un quindicennio e della sua autobiografia Racconto di un esule, pubblicato nel 1860.
In quell’anno Garibaldi liberava Catania dall’esercito borbonico, ma Antonino Abate (a
differenza del giovane Verga che aderì a quelle giornate) si dissociò dall’attacco
garibaldino ritenuto un inutile spargimento di sangue, preludio all’ascesa di una nuova
classe dirigente moderata (la camerilla raccontata dall’Abate in La Camerilla in Catania,
pubblicata nel 1868). Non passarono molti anni perché l’Abate divenisse prima fautore
della Sinistra garibaldina, poi filo-governativo, continuando a scrivere sui giornali da lui
diretti, continuando a produrre, in un’anacronistica figura di Vate, poemi e tragedie
“altrettanto irrispettose delle unità aristoteliche che d’ogni verosimiglianza storica e
finanche scenica” (Di Grado, pp. 73-74).
Candidatosi invano alle elezioni politiche nel 1876, divenuto acrimonioso e ancor più di
prima battagliero almeno a parole, continuò a scrivere poemi e poemetti fino alla morte
prendendo spunto da fatti di cronaca o da vicende locali, senza mai abbandonare
l’armamentario della sua vena retorica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 60/S2
Titolo: Giovanni Verga: la formazione di una lingua
Attività n°: 1
Insomma alla progressiva maturazione del futuro scrittore lungo quel decennio 1850-
1860 e alla palese autonomia dal maestro conseguita sul piano delle scelte politiche
alla fine di quel medesimo decennio dovette accompagnarsi anche la consapevolezza
verghiana che la padronanza linguistica dell’italiano, ormai indispensabile nello
scambio all’interno della nuova Nazione, e ancora più la conquista di una lingua che
potesse soddisfare l’intima vocazione di narratore, non poteva contentarsi della
scuola di Antonino Abate.
Quando questa consapevolezza interna sia stata raggiunta e come Verga abbia
tentato di porvi rimedio non sappiamo con assoluta certezza; possiamo però fare
delle ipotesi non inverosimili passando in rassegna gli strumenti linguistici che ancora
oggi sono conservati nella Biblioteca Verga (circa 2600 volumi) depositata presso la
Casa Museo Giovanni Verga di Via Sant'Anna a Catania (fondamentali per la
conoscenza di questo patrimonio librario sono i volumi: Giovanni Garra Agosta, La
biblioteca di Giovanni Verga, Catania, 1977 e Biblioteca di Giovanni Verga, catalogo, a
cura di C. Lanza, S. Giarratana, C. Reitano, introduzione di S.S. Nigro, Catania,
1985).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 60/S3
Titolo: Giovanni Verga: la formazione di una lingua
Attività n°: 1
Riepilogo
La storia è ambientata nella Calabria del 1810 e racconta la lotta contro il governo di
Murat, condotta dei carbonari calabresi guidati dal protagonista Corrado, deluso dalla
parabola involutiva dell’esperienza napoleonica e disposto ad assecondare l’infido
governo borbonico (che li sfrutterà per poi combatterli come briganti) pur di scrollarsi
di dosso il giogo francese.
Si assiste dunque con I Carbonari della montagna al primo passo di quel viaggio di
progressivo avvicinamento alla contemporaneità, nello spazio e soprattutto nel tempo,
dei fatti narrati (avvicinamento in questo caso sensibile rispetto ai paesaggi ‘esotici’ e
agli anni della guerra d’indipendenza americana, su cui si era soffermato Amore e
Patria) secondo una tendenza che sarà poi confermata dai romanzi successivi e
definitivamente sancita con Una peccatrice.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 62/S2
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1
In questo contesto storico più ampio si inserisce la vicenda del protagonista del
romanzo, che paga il proprio tributo alle letture romanzesche del giovane Verga,
come ci ricorda in sintesi Enrico Ghidetti (Introduzione a Verga, I Carbonari della
montagna etc., p. XIII):
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 62/S2
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1
A dire dello stesso Verga (in quanto autore implicito, si ricordi) la scrittura del romanzo
era stata interrotta proprio dagli eventi del 1860 (“in mezzo alle ansie supreme
dell’aspettativa dell’aprile 1860”), insomma dall’impresa garibaldina in Sicilia e nel sud
dell’Italia; ma la definitiva cacciata dei Borboni l’aveva indotto poi a riprendere la
narrazione e a terminarla. Nell’attesa di pubblicare l’opera ormai terminata un altro fatto
di cronaca era infine intervenuto a renderla di maggiore attualità: le insurrezioni
popolari che assunsero le caratteristiche di moti di brigantaggio dopo l’unificazione nelle
ex province del Regno delle Due Sicilie e che, nella lettura che ne dà il Verga in questa
occasione, chiarirono quanto lontani negli ideali e nei comportamenti fossero gli antichi
‘briganti’ del 1810 dai loro omologhi moderni che mettendo in discussione e dunque
cercando di frenare il processo inarrestabile verso l’Unificazione, si alleavano con i
Borboni in nome di un’esterofobia (stavolta gli stranieri erano i Piemontesi) antiitaliana.
Tutto questo racconta l’autore implicito nel breve capitolo introduttivo (datato “Catania,
Novembre 1861”), premesso al romanzo, in cui il confronto (altrimenti affidato
all’acribia del lettore) fra i fatti del 1810 (l’anno in cui si svolgono gli avvenimenti del
romanzo), e quelli del 1859-1861 (della scrittura dei Carbonari) è reso esplicito.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 62/S3
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1
Nel file pdf allegato troverete la riproduzione delle pp. 5-6 dell’edizione di riferimento
(Giovanni VERGA, I Carbonari della montagna, Sulle lagune, cit.). Si rinvia alle forme
mediante l’indicazione del rigo.
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T CARBONARI DELLA MONTAGNA
Bastava vedere lo slancio con cui 22 battaglioni di Guardie mobili accor- Cerrrorc I
sero alla chiamata del prode cialdini; l'energia colla quale da ogni parte
40 si combattevano questi banditi feroci; I'eroismo affatto romanzesco di certi TL C.{STELLO
episodii; la spietata crudeltà con cui i briganti più che contro le truppe,
i Piemontesj, combattevano i popolani, Guardie Nazionali o no, liberali o
no...
Al 1861, come al 1810, i Borboni avevano sparso il sangue a torrenti;
45 più che il sangue avevano fulminato l'esacrazione universale su quei poveri
illusi che pervertivano col loro genio infernale.
I carbonari dopo la più nobile aspirazione, dopo i più grandi sagrifizii,
erano stati vilmente, ferocemente traditi dalla corte di Napoli, che avea fatto L'esrrena dir
sperare costituzione e Italia grande ed unita; e anche più tardi associava sfiag8e dr{la C.
50 i nomi di Pronio e Rodio a quello dei più illustri gentiluomini patriotti e cacoa superùa.
Carbonari. di Gcoova sino a
ci siamo ingannati. Il brigantaggio del 1861 ha fatto un passo dippiù, .i-re d di sopra
poichè è la negazione di ogni principio, di ogni partito politico; esso non mcridironali d'IU
ha nemmeno il triste orpello del 1810; esso non combatte per Francesco I suoi giothi
55 II, poichè uccide e ruba amici e nemici: Francesco II è il grido con cui ddle forme meo
si dicesse: Al sacco e al fuoco! aDoora sulle sue
In tutto ciò, fra carbonari accomunati ai briganti dal'infame genio dei di boschi, chc ai
Borboni, che vollero perderli, e i briganti di chiavone e di cipriani, noi Eabili, coprivan
non abbiamo veduto che questa tradizionale politica d'infernale egoismo. fino alle spiagg
60 I carbonari, fatta la pace con Bonaparte, non servivano più alla corte di Pr6so i conl
sicilia, e si fulminarono col brigantaggio. Il re, bambino solo nel senno cc,eapochem
politico, sfogliazzò forse nell'esilio le memorie sanguinose della sua dinastia a\uanto a form
e vide il brigantaggio di frà Diavolo e Mammone ultima sua speranza; egli di San4ottar&
non guardò a mezzi, tagliò dritto; sognò forse il cardinal Ruffo nel suo Pocbe parol
65 chiavone, poichè non l'avea potuto trovare nel cardinare Arcivescovo di Tre piccoli r
Napoli... Ma il suo disinganno fu amaro come il suo errore; i popoli che isolaro; in veriu
al l8l0 combatterono gli stranieri, avevano gridato al 186l insieme ai pie- che grandi colli
montesi, agli stranieri d'oggi: A queste du
- Italiae Una
oh, se dobbiamo benedire l'Austria
e Vittorio Emanuele!
i Borboni di averci fatto consegui- orientdi ava dz
70 re la nostra nazionalità; se dobbiamo benedire Antonelli e De Merode;)noi talchè generalmr
ringraziamo questi briganti che oggi hanno lanciata l'estrema maledizione no e La Hcrol
dei popoli anche più illusi, su questa razza fulminata daila giustizia di Dio! Si sa che.ì{r
po deCli ApPel
Catatia, Novembre, 1861. Il terzo mon
mo dato; una r'l
3 Appennini, I I
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Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 63/S1
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1
assimilazione (due suoni distinti, più o meno distanti dal punto di vista articolatorio
si trasformano in suoni identici o simili)
assimilazione progressiva: in + ragionevole > irragionevole
assimilazione regressiva: MUNDUM > dial. centro-merid. munno, lat. tardo
GAMBAM ‘zampa di quadrupede’ > dial. centro-merid. gamma
È interessante verificare infatti che tali forme di passato remoto sono molto diffuse in un
altro scrittore ‘marginale’ (dal punto di vista geografico, si intenda) come Ippolito Nievo
(autore letto nella sua giovinezza da Verga), nelle cui Confessioni di un italiano troviamo
fecimo, giunsimo, scesimo, misimo, rimasimo; maggior fortuna e più ampia diffusione
riscosse ebbimo che è occasionalmente attestato negli scritti di Vincenzo Cuoco, Foscolo,
Leopardi, Nievo, Cattaneo e Svevo (ci limitiamo a indicare, fra quelli desumibili dal
corpus della Biblioteca Italiana, gli autori sette-ottocenteschi).
Altre incertezze di flessione del passato remoto testimoniano (nel resto del romanzo) per
esempio costrusse (in cui evidente è l’influsso dell’antonimo distrusse), svolse (cioè
‘svoltò’), create per la pressione analogica esercitata dai perfetti sigmatici, quei passati
remoti cioè che, rispetto alla base tematica del presente, presentano una base con -s-
(riprendo, ma ripresi; distruggo, ma distrussi).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 64
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1
Al registro formale della lingua scritta va ricondotto l’uso del noi in luogo dell’io, che
a) o maschera il dato biografico: Cominciammo 1; Ripresimo 20 e 241 scrivevamo 27;
aspettavamo 28 etc.
b) o ha funzione di plurale collettivizzante: “Noi Italiani di Sicilia udimmo” 8; “Ebbimo
un giorno di lutto” 17.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 65
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1
Forestierismi: dessert 15, e altrove nel romanzo Fox Hounds, Mylord, ma anche
berceau, cascemir, segretier, comfortable, groom, Steeple-Chasse, gutter, coupé
(l’elenco completo dei forestierismi dei Carbonari, è stato registrato da Branciforti, Alla
conquista di una lingua letteraria, p. 302).
aggiornò 15: ‘rinviare ad altra data’ che deriva dall’Inghilterra in Francia e da qui si
diffonde in Italia e nelle altre lingue europee;
sfogliazzò 62: è prestito dal francese feuilleter, in questi stessi anni usato anche da
Ippolito Nievo, (Confessioni di un italiano) con il medesimo significato di ‘sfogliare’.
Lessico tecnico e scientifico: equinoziale, osservatorio, diametro, bugnato; Branciforti
(Alla conquista di una lingua letteraria, pp. 298-300) lo interpreta come “il culmine
della sua puntigliosa curiosità di presentazione ambientale, ed insieme l’ornamento
più elaborato e in definitiva più genuino del suo linguaggio letterario”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 65
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1
Riepilogo
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
41) Prendendo spunto da brani estratti da I Carbonari della montagna riportati nella
slide successiva, illustrate le differenti componenti della lingua verghiana così come
espressa in questo romanzo catanese.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 66
Titolo: I romanzi catanesi: Sulle lagune
Attività n°: 1
Test di autovalutazione
“L’estrema diramazione degli Appennini, che si prolunga fino alle ultime spiagge della
Calabria, assume dei caratteri particolari; non è più quella catena superba, figlia delle
Alpi, che si copre di nevi perenni, e dalla riviera di Genova sino ai confini dell’Abruzzo
mostra ai due mari le sue cime ghiacciate al di sopra delle tempeste del cielo; poiché
accostandosi alle parti più meridionali d’Italia sembra sentire l’influenza di questo cielo
d’Oriente”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 66/S1
Titolo: I romanzi catanesi: Sulle lagune
Attività n°: 1
Lo spirito patriottico che aveva animato Amore e Patria e poi I Carbonari della
montagna è alla base anche dell’invenzione di Sulle lagune che Verga compose ad un
dipresso nello stesso giro d’anni dei Carbonari e che cominciò ad uscire sulla “Nuova
Europa” del 1862.
Le prime due puntate furono pubblicate rispettivamente il 15 e il 19 agosto, ma poi la
pubblicazione si interruppe per ragioni ignote, che Federico De Roberto (Verga
ignorato: “Sulle lagune”, in Casa Verga e altri saggi verghiani, pp. 118-134) ha cercato
di spiegarsi con l’acceso clima politico di quell’anno a cui il giornale prese parte con
una esplicita campagna a favore di Garibaldi (propenso ad occupare militarmente
Roma), contro il moderatismo della classe politica del nuovo Regno.
Come che sia il giornale “cinque mesi dopo la pubblicazione delle due prime puntate,
e precisamente il 9 gennaio del 1863, lo riprese – naturalmente dal primo principio –
e lo condusse sino alla fine senza spiegare neanche allora il perché della lunghissima
interruzione (ivi, p. 128).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 66/S1
Titolo: I romanzi catanesi: Sulle lagune
Attività n°: 1
Il tema politico di Sulle lagune è quello della ‘redenzione’ di Venezia che, dopo la
delusione dell’armistizio di Villafranca e dopo la proclamazione del Regno, attendeva
ancora di ricongiungersi al resto dell’Italia (il che nella realtà storica avvenne soltanto nel
1866). L’azione si svolge esattamente nel 1861: si conferma quindi il progressivo
avvicinamento della storia narrata ai tempi della scrittura a cui avevamo assistito già nel
passaggio da Amore e Patria ai Carbonari e dunque il progressivo liberarsi del romanzo
dalla categoria di romanzo storico.
Sulle lagune è costituito da un Prologo e venti capitoli che alcune didascalie raggruppano
in sei sezioni narrative ciascuna intitolata ad un luogo (Al Caffè Nuovo comprendente i
capitoli I-IV, Al veglione dell’Apollo V-VIII, A San Giorgio Maggiore IX-XII, Sulla Riva degli
Schiavoni XIII-XV, Da Oderzo alla Giudecca XVI-XVIII e Sulle lagune XIX-XX); il capitolo
XX costituisce l’epilogo della storia e riferisce il commento dell’autore.
Il romanzo è molto più breve dei precedenti (solo per dare un’idea: Sulle lagune è meno
di un quarto dell’estensione dei Carbonari), a testimonianza di un tono meno effusivo e di
una ‘misura’ che il giovane Verga sa ora imporsi e che verrà confermata dai romanzi
successivi (Una peccatrice, sebbene più esteso di Sulle lagune, sarà un terzo circa dei
Carbonari).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 66/S1
Titolo: I romanzi catanesi: Sulle lagune
Attività n°: 1
La doppia suddivisione di Sulle lagune, in capitoli e in più ampie sezioni narrative che
li raggruppano, mostra che il romanzo è stato pensato come romanzo d’appendice,
destinato cioè ad una pubblicazione a puntate; le titolazioni tematiche servono infatti
a tenere legati i capitoli che corrispondono grosso modo, per estensione, alla misura
di una puntata (complessivamente queste ultime furono 22).
Continua anche in questo romanzo la tecnica della narrazione opaca che anche qui
(come ne I Carbonari della montagna) spesso si colora di istanze ‘spettacolari’:
“Un osservatore, se ve ne potevano essere in quel momento” (nel prologo);
“Alziamo la tela [...]. È Venezia che vi presentiamo” (nel cap. I);
“Alcuni mesi sono scorsi dall’ultima scena che abbiamo descritto. È l’autunno: noi
ritroviamo [...]” (nel cap. XVI riprodotto più avanti, rr. 1-2)
inserendo il “triangolo autore-protagonisti-lettori [...] in una dimensione
squisitamente teatrale” che coinvolge lo statuto del narratore, secondo quanto
rilevato da Francesco Branciforti (Alla conquista di una lingua letteraria, p. 289 e
seguenti).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 66/S2
Titolo: I romanzi catanesi: Sulle lagune
Attività n°: 1
parte dalle spie del conte, non può fuggire da Venezia. <<Queste Parole r
Gli ultimi raggi del sole scintillano sui vetri delle sue finestre verso po- ferirle e la mano a
10 nente; la laguna si stende lucida ed immobile ai suoi piedi dal terfazzo e «Che ci resra on
cinge il panorama di Venezia colla sua zona cerulea. che ho fatto... io.
Stefano, ancora leggermente pallido, in piedi presso il verone che si apre e non ne ho il cor
sul terrazzo, si occupa a classificare diverse lettere secondo la loro data in <<Ieri ricel'emmo
un grosso portafoglio di cui tiene appesa al collo la chiave; da uno dei com- di sperare, che nosn
l5 partimenti della busta trae un ritratto in fotografia, su cui a tergo è scritto e che fra breve. a <
colla matita: Lido, 25 ottobre - Albergo dells Gran Brettagna, 19 febbraio poveri prigionieri. d
- Teatro Apollo, 27 febbroio - Riva degli Schiovoni, 29 febbroio - Oderzo, spera! Sento che ci
I0 aprile. prime guide dei no
Quelle date dovevano molto parlare al cuore del giovane ungherese, poi- <<Stefano! io ho'
20 chè dopo aver baciato l'immagine, egli baciava ognuna di quelle date. to su quella Puna
Poscia cominciò a rileggere, forse per la ventesima volta, quelle lettere, ora da quella I'end
mentre insieme ad altre carte le andava ordinando dentro una grossa sopra- «Addio, Steian<
coperta, nella quale avea scritto in antecedenza l'indirizzo di Collini. devo farlo! Il gondc
tre volte.
Oderzo, 4 maggio.
25 <<Mio buon amico,
<<Vi scrivo la prima volta dal mio paesello nativo, seduta innanzi la mia
finestra, da cui un raggio allegro di sole si riflette sul mio tavolino, frasta- <<Ho pianto sulli
gliato dalle foglie del vecchio pergolato che incorona il davanzale. Ho di- mente doloroso Pe
nanzi a me quest'immenso orizzonte, inondato di luce splendida e cerulea, Stefano! risparmia
30 che si stende sino alla laguna, ove voi dovete essere a quest'ora... fors'anche ferto!...
affacciato alla vostra finestra e cogli occhi rivolti verso... «La mia Po\era
«Ah! il sole è tanto allegro oggi!... e il mio cuore?... me, mio padre, mit
«Non parliamone, amico mio; io sono debole, io ho le vertigini quando donna che adoro k
mi vengono queste idee... e sono tanto infelice!... fo altro che starle
35 <<Ascoltatemi, mio povero fratello di sventura... Mio padre è ancora in do... piangendo se
"'iaJduras opueEu"Id .''op uI BJocuB q arped
-uatuErd e 'ruBur al alopuaEurJls 'lzuBulp €leltlcJoulSul alJels eqJ oJlle oJ
uou a "'irs'BmEd oH "'elJ?p ossod uou or eqc 311^ 3l oJope eq, uuuop opuenb pÉ1Ua,r a1
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9L B orrrlrl p1nl raJJo^"'ouEJalS'qg "';e:otEEad arpeu erazrod ?Iru B'I» "'o
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-erddop Q r^rJJs rtu eqc QIJ ir{O "'iou€Jels'era11e1 Enl EIIns oluetd o11>> -Elseq 'ouqoarl or
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arndda'eyored elsenb aJo^rJcs e eloqap uos oI'qe "'oue;als 'oppv» -erdos essoÉ Eun o
lv'rap:ad red elds r^ aqJ opqeceldut suapua^ e11enb €p €lo 'era11ay a11anb'er1o.r
s9 ruSo pe olercreurur 'auorErrd eJlso^ BI Q aqJ EJJaI Ip elund e11enb ns o1 'a1ep a11anb rp zu
-Btueruue 'osoreuaE Is 'olrqou 1s 'apue:E 1s 'to,r e olesuod oq oI ioueJals» -1od 'asaraqEun arre.r
'rJol€Jaqll rJlsou rep epmE auud
allof, Erre^ rlEa aqc eJrO "'euaq ue:E un aqqaJEJ Iru QIo aqc oluag lerads 'ozrapo - olotqqa{
rfta.uor are.rads rssatod es'qO "'lJoqll ITIaIBJJ IJlsou IBp'rreruorEtrd rro,rod ontqqat 61 'ouSotn
Lrì rou runt auo3 'rnl aqJup oleJaqll eJBS 'ef,Ip IS aqc lanb € 'a^oJq BJJ oqo a ollrJos?oE;a1 umr
'ero r:d otessaud {rua.r 1p oloruad aJ-Iof, uou arped orlsou eqJ 'oJ?Jeds Ip -rrroJ rap oun Ep :a-r
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"'ro^ uoo assoJ uou os olJeJ yerlod uou oI "'alJa^IJJs B ouelu el a olJIJaJ -od osJo^ eJlsauu a
-yord e EJqqel ol oueronJq rtu esso "'ouzJels 'rltqtrro ouos alored elsan§>> 'e
"'ouon.ilenb p esec BIIUp oJso eqc ol "'opuou Iop r{coo gEe e.to ru8o ep oluruJoue'?
Blerouosrp oJo^^ep €rs uou es opusr.uop IIu oI ossads e "'Bs€3 e11anb ut ur Ip elund e1 ossard
0§ -oJua aJosso rp elered mr'19 "'ieuEoE:e,r lp e olua,reds Ip olelrraJl oq "'oloJ uele spnb Ir 'uuan{
-erreq orr{oce^ lenb olnpea,IJ oq opuenb oleruerl oq oI "'iouon,len}>» oflonp ons lap oILIo!
'aluoJ Iap ozr^Jes Ie -ne,l a 'ollrJrsap our
e^els eqc erellopuoE 1t'oue7 ep oJallal aJlso^ 3l oln^eclJ oH "'ilo^ Ip etz
-llou o^a^B uou €Jocue opuenb 'o1uel oluerd oq "'issllaJur 'a1su1 ouos»
9n aoru orrrue 'ouaq o1l"J oH "'iQJ
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-onc oJlso^ I oqJ QrJ "'oue;els'elugyos Io^ "'I^Jesued orrep ol iou eIN»
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ruEo arnd er{J Bru 'eAI^ oqc olgrrds ons olos II Q elpas elanb B Blepolqcul
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lara,rrl up ouEalsos aqclenb IcJeieJ rnb uls eJluo^ opuenb ut opuenb p
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LW lINnOVl gllns
448 SULLE LAGUNE
<<Ora lo sento, amico mio... tutto il peso delle terribili parole di quell'uo- Clpnor,o XVII
mo... io lo sento!... Oh Dio! se mia madre morisse!...
I luglio.
Sovrabbondanza di
-- aggettivi dimostrativi: quelle 19, 20, 21; questo, -a 29, 30
-- possessivi (sue 9, suoi 10, sua 11, loro 13).
Ripetizioni lessicali:
terrazzo 10 e 13;
lettere 13, 21;
data, -e 13, 19, 20;
finestra 30, 35
e con leggera variazione di natura sintattica
piedi 10 e in piedi 12.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 67/S1
Titolo: I romanzi catanesi: Sulle lagune
Attività n°: 1
Nel lessico compaiono (nell’interezza del brano) gli elementi già individuati della
miscela linguistica verghiana, che impasta il repertorio arcaico con il lessico fiorentino
e con quello francese; sebbene tali componenti non possano dirsi, nel complesso del
romanzo, consapevolmente coordinate in un insieme stilisticamente omogeneo o
aderente sempre e comunque ai differenti contesti e situazioni narrative, non si
assiste più in genere allo stridente contrasto di solennità e colloquialità, letterarietà e
formule orali che avevamo notato nei Carbonari. Anzi, in singole occasioni pare di
poter scorgere il proposito del giovane autore a tener separati e opportunamente
distribuiti i vari livelli lessicali e i registri in suo possesso.
Nel nostro brano, per esempio, si noti come appartengono alla voce dell’autore i
lemmi di sapore fortemente letterario come cerulea 12, 33, Poscia 24, verone 14 e
come, viceversa, appartengano alla voce di Giulia nel dialogo confidente con Stefano
il marcato fiorentinismo mamma 38 (che fa il paio con il già citato fo nel medesimo
contesto) o locuzioni toscane percepite come appartenenti alla lingua viva (“Mia
madre va meglio”).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 67/S2
Titolo: I romanzi catanesi: Sulle lagune
Attività n°: 1
Riepilogo
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli studenti
non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei contenuti
affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad inviare i risultati del
proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-portfolio; tali risultati possono
essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di messaggistica), ma in questo secondo
caso si raccomanda di indicare esplicitamente il numero associato a ciascuna domanda. Il docente
verificherà la correttezza del test e ne darà conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul
risultato della prova finale, invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o
chiarendo ulteriormente quello che non è stato pienamente compreso.
42) Illustrate dal punto di vista sintattico (tenendo conto delle due parti narrativa e
epistolare che vi si alternano) il seguente brano tratto da Sulle lagune:
“Quelle date dovevano molto parlare al cuore del giovane ungherese, poichè dopo aver baciato l'immagine,
egli baciava ognuna di quelle date. | Poscia cominciò a rileggere, forse per la ventesima volta, quelle lettere,
mentre insieme ad altre carte le andava ordinando dentro una grossa sopracoperta, nella quale avea scritto in
antecedenza l'indirizzo di Collini.
[…] Mio buon amico, | Vi scrivo la prima volta dal mio paesello nativo, seduta innanzi la mia finestra, da cui un
raggio allegro di sole si riflette sul mio tavolino, frastagliato dalle foglie del vecchio pergolato che incorona il
davanzale. Ho dinanzi a me quest'immenso orizzonte, inondato di luce splendida e cerulea, che si stende sino
alla laguna, ove voi dovete essere a quest'ora... fors'anche affacciato alla vostra finestra e cogli occhi rivolti
verso…”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 68
Titolo: I romanzi catanesi: Una peccatrice
Attività n°: 1
La maggiore approssimazione raggiunta con questo nuovo romanzo verso una lingua
comune, dall’andamento scorrevole, è evidente a prima lettura se si pone questo
capitolo a paragone con gli esperimenti precedenti; gli elementi siciliani o provinciali,
che pure qua e là rimangono (sia nel lessico, sia nella morfologia o nella consecutio
temporum), sono macchie isolate che nulla tolgono all’impressione di appropriatezza
lessicale ormai generalizzata e di ordinata chiarezza espositiva e sintattica.
Le scelte a favore del toscano sono misurate (tanto più perché autorizzate in ambito
letterario moderno), per lo più limitate al lessico, ben poco indulgenti al fiorentinismo
fonetico o sintattico. Le solite componenti dei romanzi precedenti (siciliano, toscano,
italiano letterario, francese), riconosciute da Luigi Russo anche in Una peccatrice,
associate come sono ad una maggiore padronanza e ad una più consapevole
distribuzione, contribuiscono a creare una lingua di gran lunga più omogenea delle
prove precedenti.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 69
Titolo: I romanzi catanesi: Una peccatrice
Attività n°: 1
Nell’uso dei piani cronologici, e dunque nella gestione dei tempi verbali, il nostro brano
si adegua agli standard di lingua; stabilito che all’incontro dei tre giovani con il corteo
funebre si fa riferimento con il passato remoto (la cui connotazione dialettale non
siamo in grado di valutare poiché Verga è puntiglioso nel dichiarare giorno e mese, ma
omette di indicare l’anno né dà indicazioni relative al tempo intercorso fra gli eventi
narrati e la data della scrittura), il trapassato prossimo e l’imperfetto assolvono
rispettivamente all’esigenza di anteriorità e alla connotazione aspettuale di continuità
dell’azione.
Il passato prossimo invece indica la posteriorità rispetto al passato remoto (a 145:
“non ho fatto che coordinare i fatti [...] rapportandomi spesso alla nuda narrazione di
Angiolini e alle lettere che questi mi rimise”), mentre il presente o si riferisce al
momento della pubblicazione del romanzo (e dunque al contatto del narratore con il
lettore: r. 2 “mi obbligano”) oppure ha valore acronico e universale, adottato com’è a
9-10 per un commento valido per ogni tempo.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 69/S2
Titolo: I romanzi catanesi: Una peccatrice
Attività n°: 1
Riepilogo
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-
portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il numero
associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà conto allo
studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale, invitandolo
magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente quello che
non è stato pienamente compreso.
43) Sull’esempio di quanto fatto dal docente nella sessione 6931 in relazione a Una peccatrice 91-105,
commentate dal punto di vista sintattico e schematizzate il brano riprodotto qui sotto (Una
peccatrice 145-152).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 70/S1
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1
“Chi m’ha fatto il servizio poi d’andare a dissepellire quel mio aborto giovanile che
credevo, e desidero morto da un pezzo e seppellito, quella Peccatrice di cui nessuno
avea parlato e che tirano fuori adesso per gettarmela fra i piedi?”.
Il giudizio di condanna senza appello riguardo gli esiti artistici di Una peccatrice verrà
ribadito da Verga esplicitamente anche in altre occasioni (in particolare quando il
romanzo venne ripubblicato senza il consenso dell’autore nel 1893); ma nella lettera al
Martini l’intera produzione giovanile è ricordata, sommariamente e per accenni, con
evidente reticenza, senza mai citare un titolo, in una sorta di damnatio memoriae che
colpisce l’intero periodo che va dal 1856-1857 al 1866, da Amore e Patria a Una
peccatrice: non solo manca qualsiasi menzione del primo romanzo rimasto inedito, ma
anche qualsiasi accenno a Sulle lagune (che pure era stato stampato al pari dei
Carbonari, il “romanzo storico che nessuno rammenta”), mentre a Una peccatrice si
allude con la perifrasi “un altro primo peccato di gioventù”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 70/S3
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1
Buona parte della storia è narrata da Luigi stesso ad un amico catanese che farà da
secondo a Deforti, che lo assisterà moribondo quando sarà rientrato in seno alla famiglia,
che infine ne difenderà la memoria contro il cinismo di Eva che fa ormai da ruffiana ad
una giovinetta. Secondo una tecnica narrativa frequentemente utilizzata dal giovane
Verga (si veda infatti Una peccatrice, ma tale rapporto rimarrà identico in Eva), l’anonimo
amico di Deforti, che ha preso parte diretta alla vicenda o l’ha sentita narrare dallo
sfortunato protagonista, diventa l'estensore del racconto.
Già dal breve sunto di Frine risultano evidenti i contatti fra quest’ultimo e il successivo
Eva: Luigi Deforti infatti assomiglia in maniera impressionante a Enrico Lanti, anch’egli
pittore, anch’egli al centro di una scommessa e di un duello. Inoltre, identica è
l’ambientazione fiorentina e, a parte la persistenza di alcuni altri antroponimi, rimane
costante nei due romanzi il nome della protagonista femminile che, per la sua
connotazione archetipica, nella storia successiva del testo assurgerà a titolo, anche se, a
dispetto della fissità del nome, il personaggio eponimo rinvia ad archetipi differenti nelle
due compagini narrative: mentre in Frine il modello è la donna tentatrice e seducente, in
Eva il personaggio è più complesso, meno lineare, rinviando in momenti diversi del
romanzo alla ballerina-tentatrice e alla donna-angelo del focolare che alla fine delude.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 71/S1
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1
1 Avevo incontrato due volte una donna di meravigliosa bellezza. Le diverse circostanze che
accompagnarono questi due incontri mi lasciarono una profonda impressione di lei.
La prima volta la vidi al Lungarno Nuovo. Mi trovavo in una di quelle tristi situazioni di
spirito che si provano spesso quando si è soli in paese forestiero; mi aggiravo disanimato e
5 stanco della mia stessa disoccupazione fra quella folla allegra che popola i passeggi di
Firenze i giorni di festa; un’elegante palichaisse, tirata a gran trotto da una doppia pariglia di
magnifici mecklenburgo, passandomi vicino, mi scosse improvvisamente; una bellissima
signora, dagli occhi arditi e sorridenti, dalla positura graziosamente audace e libertina, teneva
raccolte nella sua piccola mano, con un’inimitabile disinvoltura, le doppie redini degli
10 ardenti cavalli.
Ella passò come un lampo. In quel cocchio che mi ave[a] oltrepassato sì rapidamente non
c’era cosa alcuna che avesse dovuto colpirmi in un passeggio ove abbondavano le belle
donne e gli equipaggi sfarzosi; eppure io mi volsi a guardare quel bernous di tarlatane
bianca a pallottine rosse che svolazzava lontano in mezzo alla polvere sollevata dalle
15 carrozze.
Un’altra volta la vidi alle Cascine, in fondo al gran viale. Era quello per me uno dei giorni di
folle allegria che fanno belli i ventiquattro anni. Vittorina copriva coi suoi rumorosi scrosci
di risa lo stormire dei grandi alberi del boschetto; e se, qualche volta, avvertivamo il rumore
che faceva la nostra carrozza correndo per il viale, era perché quella leggiadra testolina si
20 trovava appoggiata sulla mia spalla. Noi non parlavamo certamente dell’Esposizione della
Società di Belle Arti, né dell’ultimo fascicolo dell’Antologia. Prima d’arrivare in capo al
viale incontrammo un’americaine ferma: un vero cocchio da duchessa. Passando accanto
allo sportello vedemmo in un angolo del legno una signora che leggeva un libro. Riconobbi
subito la leggiadra donna che avevo incontrato pel Lungarno.
25 Provai una vivissima sensazione che non seppi giustificare a me stesso. C’era il contrasto più
piccante, tra la lionne di elegante società che avevo visto guidare con mano sicura la sua
doppia pariglia, e la donna che incontravo preoccupata e quasi mesta, come nascosta in
fondo alla sua carrozza, in quel viale remoto ed ombreggiato ove i rumori della folla dei
passeggianti si perdevano nel grave stormire degli alberi e nel mormorio vicino dell’Arno.
30 C’era, direi, il distacco più completo fra [la] donna che pensa e fa pensare e la elegante
briosa e spensierata.
La prima volta avevo incontrato una di quelle ragazze folli, allegre, alla moda, che fanno
impallidire le duchesse colla mostra insultante del loro lusso e della loro bellezza; che
comprano a prezzo del cuore e della vita tre o quattro anni di quell’esistenza principesca; e
35 che si fanno perdonare la sfrontatezza del loro sguardo, l’audacia delle loro mode, l’onta del
1
loro nome colla grazia del loro sorriso, e lo sfarzo dei loro equipaggi.
Tutti a Firenze hanno conosciuto questa donna, di cui non si sapeva la vera età ed il vero
nome, e che si faceva aspettare al Caffè d’Italia per vederla solamente voltare il canto di
Santa Trinita al Lungarno nella sua bella victoria di Maurice. Tutti hanno incontrato lo
40 sguardo vivo, sorridente di quegli occhi; tutti hanno pensato qualche momento a quel
cappellino Don Carlos, a quei ricci di capelli nerissimi, tagliati corti con la moda un po’
ardita di cui pochissime, e delle più rinomate sacerdotesse del piacere e dell’eleganza, hanno
avuto il coraggio.
Ma quella stessa donna che incontravo in fondo al viale, vestita rigorosamente di nero, con
45 gli occhi fitti su di un libro, incorniciando il pallido contorno del suo bel viso del fondo quasi
verginale, di raso bianco della carrozza; quella stessa donna di cui avevo incontrato lo
sguardo ardito e che ora abbassava gli occhi con una tinta di melanconia ch’era quasi casta
mi si presentò all’imaginazione con mille incanti duplici, discordi spesso, che si
armonizzavano come per una magia sovrumana e che nell’allegra donna del piacere mi
50 facevano pensare all’amante appassionata, e nella giovanetta mesta e pensosa mi facevano
intravedere le ebbre seduzioni, le acri carezze della mantenuta.
Io non saprei giammai spiegare l’effetto di quella duplice impressione della donna di mondo
e della vergine, come non potei giammai analizzarla quantunque ne fossi stato colpito
profondamente.
55 Ella ci volse uno sguardo sbadato dei suoi bellissimi occhi neri e limpidi; quindi tornò a
chinarlo sul libro. Noi passammo oltre.
Vittorina si avvide certamente della impressione che mi aveva lasciato colei, poiché mi
domandò:
- Conoscevi madama Manili?
60 - Si chiama madama Manili quella signora?
- Scommetto che lo sappi anche troppo, soggettino!
- In fede mia è questa la seconda volta che l’incontro.
- E ci pensi tanto!...
- Che vuoi; ho visto pochissime donne che le somiglino.
65 - Cattivo! Esclamò ella corrucciata lasciando il mio braccio.
- Mi pare che non ci sia nulla poi da farne un casus belli ... Se non conosco neppure quella
signora!...
- Non sarebbe una conoscenza difficile a farsi!...
- Davvero?
70 - Davverissimo. E il primo biglietto di qualche centinaio di lire sarebbe un passaporto
valevolissimo.
Fui colpito da quelle parole; e rimasi alcuni istanti soprapensiero sebbene m’avvedessi che
c’era dell’esagerazione e della gelosia. Madama Manili, la sirena-vestale non era che una
mantenuta; celebre, se si voleva, ma ciò non era che quistione di denaro, di questo denaro
75 che forma il trono di simili avventuriere, ma che ammorba ed uccide il prestigio della donna.
Era qualche cosa di disgustoso.
2
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 72
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1
L’ostentazione si coniuga
1) alla scorrettezza ortografica o fonetica: Á tout péché miséricorde; bon-ton; bernous
dovrebbe essere bournous o burnous;
2) alla variabilità e incertezza ortografica: palichaisse 6 e palichesse; boudoir corretto
su baudoir; shoked alterna con shocked; jockey con jokey; lion con lyon; cashemire
con caschemire.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 72/S2
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1
L’espediente iterativo volto allo scopo di innalzare letterariamente la prosa del romanzo
è particolarmente evidente nelle coppie e nelle terne che costellano i rr. 32-36:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 72/S3
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1
-o
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 73
Titolo: Il punto sulla lingua del periodo catanese
Attività n°: 1
Leggermente diversa è la data in cui Verga, reso avvertito della natura ‘siciliana’ della
desinenza del passato remoto di tipo forte, riesce a liberarsene definitivamente.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 73/S2
Titolo: Il punto sulla lingua del periodo catanese
Attività n°: 1
Riepilogo
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-
portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il numero
associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà conto allo
studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale, invitandolo
magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente quello che
non è stato pienamente compreso.
44) Filologia e analisi linguistica: in che modo la condizione di non finito di Frine
rappresenta una risorsa e/o una limitazione per l’analisi linguistica del romanzo
inedito?
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 74/S2
Titolo: Test
Attività n°: 1
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto
finale e gli studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un
esercizio di controllo dei contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto
fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad inviare i risultati del proprio test al
docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-portfolio; tali risultati
possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test
e ne darà conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato
della prova finale, invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole
lezioni o chiarendo ulteriormente quello che non è stato pienamente compreso.
45) Tracciate un quadro dell’evoluzione e delle persistenze della lingua
verghiana nel periodo catanese (da I Carbonari della montagna a Frine)
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Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 74/S3
Titolo: Test
Attività n°: 1
Paesaggio ed esperienza che Verga ebbe ben presente quando, durante il periodo
fiorentino, fra il giugno e l’agosto del 1869, scrisse la Storia di una capinera.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 75/S1
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1
Il 29 luglio ormai il romanzo è quasi terminato (“Fra tre o quattro giorni spero di finire
completamente il romanzo e di darlo a Dall’Ongaro per collocarlo presso Civelli o
qualche altro editore”); il 5 agosto si tratta solo di farne copia per sottoporlo al proprio
mèntore (“Intanto mi affretterò a dargli [cioè a Dall’Ongaro] la copia del mio romanzo
per farlo collocare da lui presso Civelli come mi promise prima della partenza”); infine la
lettera del 21 agosto riferisce:
“Dall’Ongaro mi disse avere già incominciato le pratiche per la vendita del mio
nuovo romanzo che mi dice piacergli assai e mi ha promesso fra due o tre giorni
dirmi qualche cosa dell’esito delle sue pratiche”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 76
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1
“Un mio amico di Catania, il Sig. Giovanni Verga, già conosciuto per un suo
racconto: – La peccatrice – ha un romanzetto per lettere, circa 60 fogli di stampa:
intitolato Istoria di una capinera. Sono lettere di una giovane monaca che prende
il velo e muore: argomento di attualità palpitante, e studio fisiologico e patologico
di un cuore che si spezza. Mi ha fatto piangere più volte leggendolo. Acquistereste
il manoscritto per una delle vostre collezioni? Fareste un buon negozio.
Il Verga sarà, credo, il migliore dei nostri romanzieri sociali”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 76
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1
MJIiiffllM
MILANO
FRATELLI TREVES, EDITORI
1873.
Avevo visto una povera capinera chiusa in gab -
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 77/S1
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1
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Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 77/S1
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1
Piani cronologici:
A+B tutto all’imperfetto (salvo l’occasionale adozione del passato remoto al r. 17);
C+D al passato remoto e Allorché, con cui si apre C avverte dello cambiamento del livello
cronologico.
Compassione:
1) diminutivi: uccelletti, r. 5 (A), meschinella r. 14 (B), scodellino rr. 20-21(B), corpicino rr.
21-22 (B), uccelletto r. 25 (C), testolina r. 37 (C) (cui si può aggiungere anche malaticcia, r. 2
in A) alcuni dei quali a strettissimo contatto, come ai rr. 20-22
2) iterazioni: non osava [...] non osava, r. 8 (A), Era morta [...]. Era morta [...] qualche
cosa [...] qualche cosa, rr. 20-23, in B
3) commenti: rr. 9-10 (A): “Ma non osava ribellarsi, non osava tentare di rompere il fil di
ferro che la teneva carcerata, la povera prigioniera”
rr. 10-11 (A): “Eppure i suoi custodi, le volevano bene, cari bimbi che si trastullavano etc.
rr. 13-14 (A): “La povera capinera cercava rassegnarsi, la meschinella”
4) aggettivi: una povera capinera, r. 1; povera prigioniera, r. 10; la povera capinera, r. 13;
povera capinera, r. 18; povera capinera, r. 34 (si aggiunga l’aggettivo sostantivato la
meschinella al r. 14)
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 77/S2
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1
Riepilogo
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto
finale e gli studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un
esercizio di controllo dei contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto
fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad inviare i risultati del proprio test al
docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-portfolio; tali risultati
possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test
e ne darà conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato
della prova finale, invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole
lezioni o chiarendo ulteriormente quello che non è stato pienamente compreso.
Eva uscì in effetti nell’estate del 1873, con una premessa (della quale è traccia, per
tono e contenuto, nella lettera appena citata) con la quale Verga sperava di prevenire
le obiezioni moralistiche sul romanzo.
Quella premessa interpretava (alla luce del nuovo ambiente scapigliato milanese
frequentato da Verga in quei mesi) la storia d’amore della ballerina Eva e del pittore
Enrico Lanti per tanti tratti narrativi e tematici affine alla storia raccontata in Frine.
L’autore stesso del resto percepiva la continuità fra l’antica idea che aveva presieduto
al romanzo poi abbandonato e la scrittura (o meglio a suo dire, riscrittura) nel nuovo.
Nel seguito della lettera al Martini del 5 novembre 1880, destinata a tracciare il
proprio esordio (ne abbiamo letto già uno stralcio nelle lezioni dedicate all’esperienza
catanese) il Verga racconta:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 78/S1
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1
Come Verga ricorda scrivendo al Treves, egli seguiva con molta attenzione le
recensioni che man mano uscivano su Eva; doveva essere da poco uscita quella
anonima sulla “Rivista Minima” quando, il 4 settembre 1873, lo scrittore inviava a
Treves questo biglietto:
“Io leggo attentamente tutte le critiche, e cerco di approfittare degli appunti; ma
in fatti di lingua, meno le imperfezioni che sono il primo a confessare, e che fo di
tutto per isfuggire, sono convinto di essere non del tutto fuori di via, e non
vorrei scrivere com e Fanfani, neanche se m i facessero accadem ico della
Crusca .
Del resto ti dirò come quell’autore, che se i critici trovano dei difetti in quelle sue
cosucce, io ce ne trovo assai più di loro, e cerco di far meglio” (Verga, Lettere
sparse, p. 46 oltre che in Gino Raya, Verga e i Treves, Roma, Herder, 1986).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 78/S3
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1
Eva
Le obiezioni fatte dai recensori alla lingua di Eva, riguardavano, come abbiamo visto,
vari aspetti: il lessico in primo luogo (forestierismi, povertà lessicale, inappropriatezza),
ma anche e soprattutto contorsione sintattica e (per usare il termine utilizzato da
Ferdinando Martini) ‘barocchismo’ di immagini in cui si riaffaccia l’enfasi romantica della
giovinezza, magari rinfocolata dalla rilettura di Frine al momento di riscriverlo in Eva.
La messa sotto il riflettore, da parte di De Gubernatis e Martini, di veri e propri piccoli
orrori, estratti come perle negative dalla prosa del romanzo, non rende giustizia
complessiva a Eva, nel quale, a parte momentanee cadute di rigore, di tono, di misura,
la critica ha riconosciuto uno snodo artistico importante, sia nella gestione sapiente dei
momenti di dinamicità e di stasi, sia nella piena percezione dell’autonomia dei tempi
della storia narrata e dei tempi del racconto, sia infine nella costruzione del discorso
riportato (Eva è il primo romanzo in cui il dialogo viene costruito con notevole scioltezza
anche per l’adozione, più frequente che in passato, del discorso diretto libero).
In effetti l’analisi linguistico-stilistica di un testo (nel nostro caso il romanzo Eva) può
procedere su due livelli:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 79
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1
Eva
1) uno di carattere microtestuale, secondo il quale il testo viene valutato per le scelte
linguistiche puntuali, come per lo più abbiamo fatto finora, sia che lo si guardi in
maniera a) statica o b) dinamica; in tale prospettiva, del nuovo romanzo possia-
mo a) descrivere la lingua di Eva oppure b) individuare il percorso fatto da
Verga nel ‘riscrivere’ Frine in Eva . A questa seconda strategia, come più effica-
ce dal punto di vista didattico, faremo ricorso nella nostra descrizione del romanzo
del 1873, sia b1) in una prospettiva più generale, mettendo a confronto il
cap. I del vecchio romanzo (su cui abbiamo svolto l’analisi linguistica qualche le-
zione fa) e la prima partizione testuale di Eva potremo valutare la
differen-te efficacia narrativa di uno spezzone di testo (corrispondente per
la più par-te), sia b2) con un approccio più dettagliato, che metta a frutto il
movimento va-riantistico che è possibile ricostruire comparando il capitolo XXX di
Frine, riusato, in una più efficace collocazione narrativa, come epilogo in Eva;
2) uno macrotestuale, che analizzi le strategie narrative di Eva (a paragone con quelle
adottate in Frine e nei precedenti romanzi) e che analizzi a) il rapporto fra auto-
re e narratore/narratori e le modalità di narrazione, b) la gestione dei
tempi narrativi in rapporto al tempo della narrazione, c) il rapporto fra
discorso riportato, discorso riferito e narrazione vera e propria.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 79/S1
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1
Eva
La presenza, anche in Eva, come già nei Carbonari e in Storia di una capinera di un
segmento testuale iniziale con funzione di introduzione o premessa, mostra i tentativi
verghiani di chiarire a se stesso (e mettere ordine) i diversi ruoli delle voci che si
intersecano nella polifonia del romanzo moderno. Che siano tutti quanti esperimenti, utili
a mettere alla prova punti di vista e ruoli narratologici diversi è provato proprio dalla
difformità dei tentativi.
A parlare nella premessa dei Carbonari è l’autore implicito, che si autorappresenta ap-
punto all’atto della scrittura, parziale e interrotta per un periodo e poi ripresa, coinvolto
negli eventi del suo tempo. Questa presenza ingombrante fa sì che si crea una certa am-
biguità fra l’autore che scrive la premessa e il narratore che gestisce la narrazione del ro-
manzo. La scarsa capacità di distinguere i ruoli reciproci delle due figure pare confermato
anche dall’assenza della premessa in Una peccatrice, nella quale campeggia solo quel
narratore, personaggio interno, che conduce una narrazione opaca, e che di fatto è ‘au-
tore’ della redazione scritta della storia d’amore di Narcisa Valderi e Pietro Brusio; l’onni-
scienza del narratore (limitata sulla carta dalla sua dipendenza dalle informazioni fornite-
gli da Angiolini) è tutelata dall’ambiguità del suo statuto (la dettagliata descrizione fisica
dei personaggi dipende dal fatto che anche il narratore è personaggio interno).
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 79/S1
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1
Eva
Se nei Carbonari avevamo visto una netta preponderanza del ruolo dell’autore a sfavore
del narratore, con una Peccatrice, ma anche con Storia di una capinera, assistiamo
all’oscillazione opposta verso l’altro polo. In entrambi centrale è la presenza del narratore,
sebbene con caratteristiche divergenti; nella Storia di una capinera infatti il narratore (o a
seconda dell’interpretazione che se ne dà, l’autore implicito) si rappresenta come
personaggio nella premessa, ma nel testo delega la conduzione della storia alla ‘voce’ di
Maria, a suo modo conseguendo (per quanto per ora in maniera tutto sommato
tradizionale) una sorta di ‘oscuramento’ del narratore a cui viene attribuito solo un ruolo
‘editoriale’ delle lettere della protagonista.
In Frine, infine, come già in Una peccatrice, il romanzo è gestito da un narratore-
personaggio interno (indistinto rispetto all’autore), amico del protagonista di cui riceve le
confidenze, ma egli stesso personaggio attivo stavolta, non solo perché anche in questo
caso egli conosce gli personaggi e dialoga con essi (come, per esempio, la Manili), ma
soprattutto perché egli prende parte all’azione sia accompagnando Deforti sul Lago
Maggiore e poi facendogli da secondo in occasione del duello, sia visitandolo quando
ormai è moribondo, sia infine difendendone la memoria dopo la morte
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 79/S1
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1
Eva
La premessa a Eva, per la prima volta nella carriera verghiana, mette in chiaro la
differenza dei ruoli narratologici fra autore implicito e narratore; lo statuto del narratore
di Eva è grosso modo lo stesso di quello presente in Frine, ma quella premessa, di solito
valutata soltanto nei suoi contenuti (rivendicazione del diritto dell’arte a rappresentare
senza ipocrisie le situazioni in cui l’ideale del benessere entra in conflitto con gli ideali e
con l’amore) nella quale parla l’autore rappresenta anche uno sviluppo narratologico
importante, la assunzione (nella coscienza verghiana) della differenza di piani e di ‘attori’
nella gestione della narrazione.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 79/S2
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1
Eva
Eva non ha partizioni interne, ma è sezionato tipograficamente da tre asterischi. A questo
proposito scrisse Giacomo Debenedetti (Verga e il naturalismo, p. 189):
“E qui dobbiamo notare quanto sia già matura, nel modo di composizione e nello scandire gli
episodi, l’arte del Verga narratore. Ha già trovato il suo respiro: a brevi e concisi e intensi
capitoletti, vere e proprie strofe o lasse narrative, che gli permettono di procedere per epi-
sodi essenziali, tutti midollo. Nel loro succedersi, ciascuna di queste porta il suo contributo,
aggiunge una cosa importante, fa andare avanti il romanzo. Gli stacchi netti lo costringono a
circoscrivere il nostro episodio, a risolverlo senza sbavature, in quella misura asciutta, in-
tensa e succinta del bozzetto, che per lui è la più favorevole e veramente congeniale. Gli
spazi bianchi tra l’una e l’altra strofe assorbono, quasi sostituiscono quel tempo amorfo, di
pura maturazione, o di pausa, senza eventi nuovi o significativi, dei quali pure il romanziere è
tenuto a dar conto, perché un romanzo è anche una durata, un’estensione nel tempo, e
nessun romanziere può esimersi dal renderne conto, sotto pena di inverosimiglianza, di in-
naturalezza [...]. Il discontinuo, cioè le accelerazioni e le crisi che fanno bello, emozionante,
drammatico, rivelatore un romanzo, si rileva proprio sulla continuità del tempo. Verga ha
trovato un modo elegantissimo e snello di darci l’equivalente di questa continuità evitando-ne
la molestia, quando attraversava zone infruttuose. Ce ne offre un surrogato, per così dire
spaziale: ce lo mette sotto l’occhio, simboleggiato in quelle isole di spazio bianco”
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 79/S2
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1
Eva
Come quando, alla fine della ‘lassa’ in cui per la prima volta Enrico è entrato nella camera
di Eva, segue, improvviso, il racconto dell’amplesso:
“[...] Improvvisamente una luce più viva invase la camera, ed entrò Eva.
Ella corse verso di me; mi afferrò improvvisamente il capo, senza dire una parola, e mi
diede un bacio.
– Ecco il tuo thè! mi disse.
***
E quand’io la baciavo, quand’io la soffocavo di carezze deliranti, ella metteva un piccolo
grido – un grido pieno d’amore e di voluttà.
– Ahi! mi fai male! esclamava.
Si svincolò ridendo dalle mie braccia [...]”;
oppure come quando Enrico improvvisamente ricorda:
“[...] Come ti amo! mi diceva. Come ti amo!
***
Un giorno mi disse, quasi paurosa:
– Come farò a non amarti più?
***
E un’altra volta:
– Sai ch’è più di un mese che ti amo così! [...]”.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 79/S2
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1
Eva
A proposito di questa variabilità nella misura delle ‘lasse’ diceva ancora Debenedetti (p.
190):
“E bella ancora, funzionalmente bella, se vogliamo esprimere in modi tecnici quelli
che sono risultati artistici, l’elasticità di queste strofe: alcune brevissime, due righe,
una battuta, e hanno già soddisfatto al loro compito architettonico ed espressivo,
altre di varia lunghezza, ma con una estensione interna indipendente dalla loro
misura: sicché una potrà seguire tutto un dialogo bene innervato come una scena di
teatro che davvero getti nuova luce sui caratteri, o mandi avanti l’azione, altre
esaurire di scorcio, in un resoconto stringatissimo, ma esauriente, ma non cronistico,
la materia di un intero romanzo”.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 79/S3
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1
Eva
Infine la velocità e naturalezza del dialogo si può misurare sia nella dislocazione dei
verba dicendi che con varia disposizione si collocano, prima, al centro o dopo il
discorso diretto, sia nella tentata (anche se magari non sempre conquistata)
variazione lessicale per introdurlo (al banale dire si aggiungono esclamare,
soggiungere, mormorare, ripetere, ripigliare, rispondere etc.), sia infine (a
incrementare la differenza fra scelte obbligate) l’aggiunta di dettagli sulla ‘recitazione’
delle battute.
Ma soprattutto contribuisce a dare l’impressione di spontaneità dialogica l’alta
incidenza del discorso diretto libero, in cui il verbo introduttivo è omesso e lo scrittore
confida nei soli indicatori grafici per segnalare il cambio di emittente (la lineetta e/o
l’andata a capo).
Se ne veda un esempio nel brano successivo nel quale ho evidenziato con differenti
sottolineature la collocazione del verbo introduttivo, con colori differenti la diversa
scelta lessicale, e con il segno ∨ l’omissione del verbum dicendi.
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Lezione n°: 79/S3
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1
Eva
“– Ahi! mi fai male! esclamava.
Si svincolò ridendo dalle mia braccia; mi guardò fiso, con quegli ardori negli occhi, stendendo le
mani per tenermi discosto, ed esclamò:
– Come sei bello! Come devi amar tu! – Vieni, soggiunse sottovoce, prendendomi per la mano.
Zitto! vien qui! accanto a me!
Lisciava i miei baffi, arruffava i miei capelli e li intrecciava coi suoi, mi prendeva la testa fra le
mani per guardarmi a lungo negli occhi, e mormorava:
– Bambino! bambino mio bello!
Ad un tratto si fece seria; mi affissò con certi occhi attoniti, e mi disse:
– Mi pare di amarti davvero – guarda!
Saltò dalle mia ginocchia come un uccello, corse all’uscio e girò la chiave.
– Buona notte, signori! disse, e volgendosi verso di me, con uno scroscio di riso infantile: – Se ci
vedessero!
Si udì uno scoppio di voci e di recriminazioni al di là dell’uscio.
– Ho sonno! ripeté Eva. Buona notte!
– Che imbecilli! soggiunse quindi, si credono in diritto di annojarmi anche quando son felice!
Stette ad ascoltare, e ripigliò dopo alcuni istanti:
– Se ne vanno; finalmente! Verrai domani, non è vero?
– Sì. ∨
– Alla stessa ora. Mi aspetterai in teatro? ∨
– Sì. ∨
...
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 79/S3
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1
Eva
– Anzi fai così: m’aspetterai in fiacre, in piazza Santa Maria Nuova. Verrò a trovarti io stessa.
Prendi il fiacre numero nove; mi piace il numero nove; è la data del giorno in cui mi hai
conosciuta. Ora che farai? ∨
– Come vuoi ch’io te lo dica se non lo so... se non ho più testa, se ho la febbre!... ∨
Ella aveva i capelli disciolti, e me ne sferzava il viso con certi movimenti felini. – Ebbene, mi
disse, se hai la febbre vai a casa.
– No, starò a vederti dormire! ∨
– Eh?! ∨
– Starò a guardare le tue finestre, e ti vedrò dormire. ∨
Ella sorrise in modo inesprimibile, e mi avventò un bacio come un morso.
– Birbone! ∨
Scostò colle sue mani i capelli dalla mia fronte; mi guardò con certi lampi abbaglianti negli occhi
– mi guardò a lungo così, tenendomi la fronte fra le mani – e poscia, come rispondendo a se
stessa:
– Vattene! mi disse, vattene! e non mi lasciava, e sporgeva verso le mie le sue labbra sitibonde, e
chiudeva gli occhi.
Mi richiamò di nuovo, quand’ero sulla soglia dell’uscio. – Dammi qualche cosa di tuo, mi disse;
dammi il tuo fazzoletto.
E poscia un’altra volta:
– Aspetta! voglio che anche tu pensi a me”. ∨
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 80
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1
1 Passarono alcuni mesi senza che io più rivedessi Enrico Lanti. Ero ritornato in Sicilia, ma non
ne avevo avuto più notizia. Un mattino, verso gli ultimi di ottobre, mi fu recapitata da un contadino
una lettera urgente in Sant’Agata-li-Battiati, ove mi trovavo.
Il carattere di quella lettera che veniva a cercarmi con urgenza mi era assolutamente
5 sconosciuto, e sembrava tracciato con mano tremante. Però non ci volle molto per correre alla
firma, giacché la lettera era brevissima: era di Enrico Lanti, e diceva:
«Amico mio, vorrei vederti, e siccome me ne rimane pochissimo tempo ti prego di affrettarti se
vuoi rendermi quest’ultimo servigio.»
Mi misi in viaggio immediatamente, facendomi guidare dal contadino che mi avea recato la
10 lettera.
Fuori Aci Sant’Antonio, dopo un cinque minuti di corsa per quella bella strada che svolge agli
occhi del viandante l’incantevole panorama della vallata di Aci, tutta seminata di ville e di villaggi,
fra le vigne e i boschi d’aranci, sino al mare, la mia guida mi additò una casetta elevata su di un
ciglione. Bisognò lasciare la carrozza e metterci per una viottola attraverso i campi.
15 Alla svolta del sentiero mi si presentò la casa ridente ed ariosa, ornata di viti e di rosai, con una
bella spianata sul davanti, e due magnifici castagni che le facevano ombra.
Sotto un di quegli alberi c’era una poltrona colla spalliera appoggiata al tronco; un mucchio di
guanciali le dava l’aspetto doloroso che hanno le poltrone degli infermi. Vidi una scarna e pallida
figura quasi sepolta fra quei guanciali, e accanto alla poltrona un’altra figura canuta e veneranda –
20 la madre accanto al figliuolo che moriva.
Corsi a lui con una commozione che non sapevo padroneggiare. Com’egli mi vide mi sorrise di
quel riso così dolce degli infermi, e fece un movimento per levarsi.
Si vedeva diggià il cadavere: il naso affilato, le labbra sottili e pallide, l’occhio incavernato.
Lo tenni stretto fra le mie braccia, ed egli mi baciò più volte; quel bacio era caldo di febbre;
25 tutta la sua epidermide era riarsa, e l’anelito frequente ed affannoso gli si sprigionava dal petto
come un sibilo.
Sedetti di faccia a lui; egli non volle abbandonare le mie mani, e cercava di sorridermi,
quantunque dovesse molto soffrire, a giudicarne dalla contrazione dei suoi lineamenti, che di tratto
in tratto non poteva dissimulare.
30 – Grazie! mi disse tutto commosso. Tu almeno non mi hai dimenticato!
Tacque subito, sopraffatto da un violento scoppio di tosse, che, ahimè!, non ebbe neanche la
forza di prorompere, ma si contentò di lacerare quel povero petto, facendolo sobbalzare
convulsivamente; poi si abbandonò sui cuscini cogli occhi chiusi, sfinito. Quali occhi! Le palpebre
nerastre si affondavano nell’occhiaja incavata, e quando si riaprivano scoprivano qualche cosa che
35 parlava dell’altro mondo; nell’impeto della tosse tutto quel poco sangue che gli rimaneva sembrava
aver corso, con rossori fuggitivi, sulla mortale pallidezza delle sue gote; poi quella pallidezza si era
fatta più mortale ancora. La madre teneva abbracciati quei cuscini dove si perdeva quasi il corpo
del figlio, e guardava quelle sembianze adorate, ove la morte sbatteva diggià la sua livida ala, con
l’occhio asciutto, come se il cuore avesse bevuto tutte le sue lagrime.
40 Feci un movimento per alzarmi; egli che possedeva la squisita percezione di tutto quello che si
faceva vicino a lui, come l’hanno tutti i moribondi di quel male, mi strinse le mani, senza riaprir
gli occhi, e mi fece cenno di non muovermi.
Dopo qualche secondo volse lentamente il capo, e fissò un lungo sguardo negli occhi di sua
madre. Negli occhi della madre e in quelli del figlio non c’erano lagrime: c’era una mutezza che
45 spezzava il cuore.
– Mamma! disse Enrico, e la sua voce fioca vibrava come una carezza in quella dolce parola.
Ecco un mio amico. Tu gli vuoi bene, non è vero?
La povera donna mi stese la mano, ed io la baciai religiosamente.
– Dove sono gli altri? domandò Enrico con la curiosità inquieta, particolare al suo stato.
1
50 – Tuo padre è andato ad accompagnare il medico, e l’Agatina è andata a coglierti una manata di
gelsomini che ti piacciono tanto.
– Il medico!... mormorò il moribondo con accento che stringeva il cuore.
Nessuno di noi ebbe il coraggio di rispondere.
– Ti ho disturbato forse? mi domandò dopo alcuni istanti.
55 – Oh, no!
– Avevo bisogno di vederti... e di parlarti.
Mi affissò col suo sguardo espressivo e lucidissimo, e soggiunse:
– Noi non fummo mai intimi; ma ci siamo incontrati in una tal epoca della mia vita che mi pare
di non avere altri amici che te. Eppoi – e sorrise dolorosamente – ho diritto alla tua indulgenza...
60 come tutti quelli che se ne vanno verso coloro che rimangono...
– Enrico! esclamai stringendogli le mani con dolce rimprovero, e rivolgendo involontariamente
uno sguardo alla madre di lui.
Anch’egli rivolse gli occhi su di lei, e dopo alcuni secondi di angosciosa contemplazione gli si
riempirono di lagrime.
65 – Mamma! le disse dopo una qualche esitazione, non vorresti dire all’Agatina di fare anche un
mazzolino pel nostro amico?
La povera madre si levò in silenzio, e si allontanò.
Rimasti soli ci guardammo senza aprir bocca. Nessuno di noi due trovava la prima parola, e
quel suo sguardo mi trafiggeva il cuore.
70 – Io muoio!... diss’egli finalmente, con un accento che non potrò mai dimenticare. Tu lo vedi!...
Non potei frenare le lagrime, e gli strinsi la mano con forza.
– Coraggio, povero amico mio!
– Credi dunque che mi rincresca di morire?... Io non avrei bisogno di coraggio... se non fosse
per quei poveri vecchi che mi spezzano il cuore!
75 I suoi occhi, ove soltanto sembrava essersi raccolta la vita, luccicavano di lagrime mentre li
volgeva su tanto sorriso di cielo, su tanto azzurro di mare, su tanto verde di giardini che gli stava
attorno. Il suo cuore d’artista, che possedeva la squisita suscettibilità d’idealizzare quelle
impressioni dei sensi, doveva grondar sangue parlando di morte fra tanta ricchezza di vita. Non
ebbe più a lungo la forza di dissimulare l’angoscia che doveva lacerarlo a quelle parole, e mormorò
80 con un sospiro a stento represso:
– Com’è bello tutto ciò!... Io solo posso sentirlo!...
Rimanemmo qualche tempo in silenzio. – L’hai veduta? mi domandò tutt’a un tratto, come se
non ci vedessimo soltanto da pochi giorni, o come se seguitasse un discorso incominciato.
– No! risposi con ripugnanza, poiché il ricordo di tal donna mi pareva una profanazione in quel
85 momento.
Egli capì, e sorrise ironicamente.
– Ah! voi altri puritani!... come siete sciocchi!
Si aprì la camicia sul petto per cercarvi un pacchetto di carte. – Le ossa sembravano forargli la
pelle gialla ed arida come cartapecora.
90 – Guardala! mi disse trionfante, svolgendo da quelle carte una piccola miniatura, e dimmi se il
vostro puritanismo vale il suo sorriso!
Quel disgraziato, diggià per tre quarti cadavere, faceva un ultimo sforzo onde delirare per quella
donna che gli sorrideva ancora nel ritratto, e che non si ricordava più di averlo amato.
– Quando sarai al punto in cui sono, mi disse Enrico, o quando sarai vecchio, il che è peggio!
95 maledirai la tua saviezza che ti ha fatto insensibile alla luce, ai profumi, alle dolcezze della
giovinezza!... – e c’era tanto calore nel paradosso di quel moribondo che lo rendeva, direi, solenne.
– Oh, povero amico mio! gli dissi. Interroga la tua coscienza, interrogala senza rimpianti e
senza collera, e non dirai più così.
– Che m’importa! saltò su a dire Enrico con tal vivezza come se un serpe l’avesse morsicato.
100 Che m’importa della mia coscienza, e di tutti quei fantasmi che voi altri avete creato a furia di
paroloni! Che m’importa del vero e del falso!... ho tempo di perderci la testa io?... e neanche voi
altri ce l’avete... voi che v’isterilite il cuore mentre la giovinezza fugge come un lampo! Tu, vedi,
sei giovane, sano, forte... tu mi guardi forse con maggior sorpresa che compassione, e domandi a te
stesso come mai sia possibile che la vitalità che senti in te rigogliosa e robusta possa giungere a
2
105 tanta miseria di deperimento... Eppure, tu lo vedi! Tutta cotesta robustezza, tutta cotesta forza... un
soffio... e se ne vanno!... e l’uomo... l’uomo che sente dentro di sé ancora intatto tutto questo
inesplicabile mistero di desiderii, di speranze, di gioie e di dolori, che la malattia non ha né
indebolito, né ucciso, l’uomo che lo sente più forte e tumultuoso per quanto più infiacchiscono le
sue forze, domanderà a se stesso, come te, cosa sia dunque questa vita, e questa incognita che
110 chiamano cuore!... Chi lo può dire?... Nessuno. E se nessuno lo sa, chi può dargli torto o ragione?
Tacque anelante, rifinito come un uomo che abbia fatto una lunga corsa, e dopo un triste
silenzio ripigliò con esaltazione morbosa:
– Ho visto tante mostruosità rispettate, tante bassezze cui si fa di cappello, tante contraddizioni
di quello che chiamate senso morale, che non so più dove stia la verità. Tu che mi parli di gioie
115 false dimmi quali sieno le vere: quelle che costano più lagrime, o quelle che lasciano più rimorsi?
– e perché rimorsi? – Qual è l’amor vero, quello che muore, o quello che uccide? – e qual è la
donna più degna d’amore, la più casta, o la più seducente? – dov’è l’infamia? nella donna che ama
per vivere, o nell’uomo che vive per godere? – o che tiene il sacco all’adulterio colla complicità
del silenzio – o che gli si inchina quando lo vede passare in carrozza? Chi sentenzia del bene e del
120 male? Il mondo! Che cos’è? Quali sono i suoi diritti? e non mentisce? o non s’inganna? o non è
ipocrita? o non ha altra scienza che quella di negare? – e quell’altra di biasimare?
Si arrestava di quando in quando, e agitava la testa sul cuscino come se i pensieri che gli
martellavano il cervello non potessero più irrompere. La parola gli usciva rotta, a sibili, a rantoli:
era uno spettacolo straziante.
125 – I pazzi son più felici di voi! – e ripeté due o tre volte questa frase. – Se vivete di menzogne, se
non avete di certo che le illusioni, perché le maledite quando son belle?... Voi altri savi... che vi
affannate dietro ad illusioni che non raggiungerete giammai... o che sconfesserete quando le avrete
raggiunte, chiamate pazzo colui che si vive beato nelle sue illusioni!... il pazzo come vi chiamerà,
voi altri savj?
130 – E l’arte? gli dissi.
Egli scrollò il capo: – Menzogna! esclamò – Menzogna!... o illusione!
Dopo coteste parole stette a lungo in silenzio, cogli occhi chiusi, come se la vita l’avesse
abbandonato intieramente. Era un lugubre silenzio. Poscia fissandomi in volto uno sguardo
relativamente calmo, ed ove c’era una tinta di sorpresa:
135 – È strano! mormorò; mi pareva che avessi bisogno di parlare di lei... e che tu mi dicessi che
ella ti ha parlato di me... Ora non lo desidero più... Ho pensato ad Eva... e alla mia giovinezza... e li
ho veduti lontan lontano... Sarà perché sono stanco!
E dopo un altro silenzio:
– Posso contare le ore che mi restano di vita; posso dire: Domani... fra due giorni... quando quel
140 bel sole farà scintillare l’immensa pianura d’acqua che si stende laggiù, e colorirà del suo
bell’azzurro questo cielo... quando lo stesso albero getterà la stessa ombra sulla mia povera casa, e
quegli uccelli schiamazzeranno fra le foglie... io sarò morto... non vedrò e non sentirò più nulla...
nemmeno i pianti desolati dei miei genitori che mi chiameranno... Che rimarrà di me? di tutta
cotesta immensità di pensiero che sento in così fragile involucro?... Non lo so! nessuno me lo sa
145 dire! ciò è ben triste!... Non è vero?
Volse gli occhi lentamente, con stanchezza, su tutto l’orizzonte che lo circondava, e con una
certa inesprimibile amarezza:
– La vita!... mormorò chiudendo gli occhi di nuovo, come se quella vista l’affaticasse, o gli
lacerasse l’anima, e dopo una lunga esitazione – Sì! sì!... c’è qualche cosa di vero nell’arte!...
150 Il dolore m’opprimeva. Non sapevo far altro che stringere fra le mie quelle povere mani scarne.
– Tu non muori, tu! mi diss’egli con una sublime e lacerante ingenuità… e forse la vedrai!
Prendi; soggiunse dopo qualche secondo d’esitazione consegnandomi quel pacchetto che non
aveva abbandonato. Se mai la rivedrai un giorno... se si rammenterà di me... dagliele... Se no...
fanne quello che vuoi... bruciale... Domani forse sarò morto, e mia madre, e mia sorella... non
155 devono saper nulla...
Ed esitò ancora lungamente prima di darmi il ritratto. In questo momento si udirono le voci dei
suoi parenti che si avvicinavano. – Maledetta! esclamò egli trasalendo e buttando il ritratto per
terra. Maledetta! Menzogna infame che mi hai rubato la felicità vera! maledetta! E maledetta anche
te, arte bugiarda! che c’inebbrii con tutte le follìe! Maledetta!
3
160 Un accesso di tosse sembrò soffocarlo; il corpo era troppo debole; ma lo spasimo lo faceva
sollevare sulla poltrona, agitando le braccia smaniosamente, e tentava quasi colle mani contratte di
strapparsi dalla bocca e dal petto quel dolore insoffribile. In quel momento temei sul serio che mi
morisse fra le braccia.
Allorché sopraggiunsero i suoi parenti era abbandonato sui cuscini, con un soffio di vita sulle
165 labbra, cogli occhi fissi e le lagrime che gli rigavano le guancie.
Qual più doloroso spettacolo di persone che si adorano, che hanno la terribile certezza di
doversi separare per sempre, che hanno il cuore a brani pel dolore, e che devono nasconderselo
reciprocamente! Nella madre quel dolore era sovrumano, ma rassegnato, quasi sacro, nel padre era
cupo e profondo, nell’ingenua e candida giovinetta era meno dissimulato, ma anche meno vivo,
170 forse perché a quell’età non si crede giammai intieramente alla sventura.
– Eccoti i tuoi gelsomini, Enrico! disse ella scuotendo il suo grembialino sulle ginocchia del
fratello; ed ecco per lei... aggiunse arrossendo con un grazioso sorriso e inchinandosi con bel
garbo.
La ringraziai commosso al vivo. Il desolato genitore venne a stringermi la mano.
175 Vidi la madre che si chinava sui cuscini del figliuolo e gli diceva qualche parola all’orecchio.
Dal triste sorriso con cui il figlio rispose indovinai che gli aveva domandato come si sentisse –
quella dolorosa domanda che si ripete più spesso quante minori sono le speranze di avere una
risposta rassicurante. Il padre che aveva lasciato il medico pochi momenti prima, non ebbe forse il
coraggio di domandargli.
180 Lo sguardo intelligente del moribondo si affissava con indefinibile espressione sui suoi cari,
come se volesse saziarsi della felicità di vederseli accanto mentre sentiva l’angoscia di
allontanarsene sempre più ogni secondo.
– Perché mi lasci così spesso? diss’egli al padre con accento che spezzava il cuore, stendendogli
la mano che ricadde senza forza.
185 – Accompagnai il dottore, figliuol mio... rispose il povero vecchio facendo sforzi sovrumani per
dissimulare le sue lagrime.
– Ah!... il dottore!... esclamò l’ammalato stringendosi nelle spalle.
Nessuno osò aprir bocca.
Mi alzai, poiché non mi sentivo le forze di assistere più a lungo a quello spettacolo, e perché mi
190 sembrava di dover rispettare il pudore di quelle angoscie.
– Te ne vai diggià? mi diss’egli stendendomi la mano.
– Si.
– Verrai domani?
– Verrò.
195 Credeva ancora al domani!
– Domani!... esclamò quindi tristamente. Chi lo sa?... Ad ogni modo, soggiunse stringendomi le
mani, baciamoci... come due amici che si lasciano per lungo tempo...
Quel bacio caldo, in cui si sentiva già l’anelito del moribondo, mi trafisse il cuore. Egli mi
seguiva con quello sguardo che strappava le lagrime finché svoltai l’angolo della viottola.
200 Il padre suo insisteva per accompagnarmi sino allo stradale. Mi parve un delitto il defraudarlo
di quegli ultimi e solenni momenti che poteva passare ancora presso il figlio che la morte gli
rapiva. Partii addolorato profondamente.
Tutta la notte non potei dormire. Sembravami di sentire al mio capezzale il rantolo di quel
moribondo, e di vedermi dinanzi agli occhi quello sguardo e quel sorriso nuotanti nel sudore
205 dell’agonia.
Il giorno dopo, di buon mattino, ritornai ad Aci Sant’Antonio. Sulla strada di Valverde incontrai
il contadino che mi avea recato la lettera di Enrico il giorno innanzi. Lessi tutta la verità
nell’occhiata che egli mi volse, e l’interrogai col solo sguardo.
– All’alba! mi rispose levandosi il cappello e segnandosi.
Ordinai al cocchiere di tornare indietro; mi buttai in fondo alla carrozza, e piansi.
4
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 80/S2
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1
Riepilogo
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto
finale e gli studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un
esercizio di controllo dei contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto
fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad inviare i risultati del proprio test al
docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-portfolio; tali risultati
possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test
e ne darà conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato
della prova finale, invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole
lezioni o chiarendo ulteriormente quello che non è stato pienamente compreso.
Dice Carla Riccardi nella nota al testo a Nedda (Giovanni Verga, Tutte le novelle,
Introduzione, testo e note a cura di Carla Riccardi, Milano, Mondadori, 1979, p. 1001):
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 81/S2
Titolo: Verga e la novella: Nedda
Attività n°: 1
1
Allora due o tre si volsero verso di lei, mentre le altre si sbandavano ciarlando tutte in una volta
come gazze che festeggiano il lauto pascolo, e le dissero: – O allora perché hai lasciato tua madre?
55 – Per trovar del lavoro.
– Di dove sei?
– Di Viagrande, ma sto a Ravanusa –.
Una delle spiritose, la figlioccia del castaldo, che doveva sposare il terzo figlio di massaro Jacopo
a Pasqua, e aveva una bella crocetta d’oro al collo, le disse volgendole le spalle: – Eh! non è
60 lontano! la cattiva nuova dovrebbe recartela proprio l’uccello –.
Nedda le lanciò dietro un’occhiata simile a quella che il cane accovacciato dinanzi al fuoco
lanciava agli zoccoli che minacciavano la sua coda.
– No! lo zio Giovanni sarebbe venuto a chiamarmi! – esclamò come rispondendo a se stessa.
– Chi è lo zio Giovanni?
65 – È lo zio Giovanni di Ravanusa; lo chiamano tutti così.
– Bisognava farsi imprestare qualche cosa dallo zio Giovanni, e non lasciare tua madre, – disse
un’altra.
– Lo zio Giovanni non è ricco, e gli dobbiamo diggià dieci lire! E il medico? e le medicine? e il
pane di ogni giorno? Ah! si fa presto a dire! – aggiunse Nedda scrollando la testa, e lasciando
70 trapelare per la prima volta un’intonazione più dolente nella voce rude e quasi selvaggia: – ma a
veder tramontare il sole dall’uscio, pensando che non c’è pane nell’armadio, né olio nella lucerna,
né lavoro per l’indomani, la è una cosa assai amara, quando si ha una povera vecchia inferma, là
su quel lettuccio! –
E scuoteva sempre il capo dopo aver taciuto, senza guardar nessuno, con occhi aridi, asciutti, che
75 tradivano tale inconscio dolore, quale gli occhi più abituati alle lagrime non saprebbero esprimere.
– Le vostre scodelle, ragazze! – gridò la castalda scoperchiando la pentola in aria trionfale.
Tutte si affollarono attorno al focolare, ove la castalda distribuiva con paziente parsimonia le
mestolate di fave. Nedda aspettava ultima, colla sua scodelletta sotto il braccio. Finalmente ci fu
posto anche per lei, e la fiamma l’illuminò tutta.
80 Era una ragazza bruna, vestita miseramente; aveva quell’attitudine timida e ruvida che danno la
miseria e l’isolamento. Forse sarebbe stata bella, se gli stenti e le fatiche non ne avessero alterato
profondamente non solo le sembianze gentili della donna, ma direi anche la forma umana. I suoi
capelli erano neri, folti, arruffati, appena annodati con dello spago; aveva denti bianchi come
avorio, e una certa grossolana avvenenza di lineamenti che rendeva attraente il suo sorriso. Gli
85 occhi erano neri, grandi, nuotanti in un fluido azzurrino, quali li avrebbe invidiati una regina a
quella povera figliuola raggomitolata sull’ultimo gradino della scala umana, se non fossero stati
offuscati dall’ombrosa timidezza della miseria, o non fossero sembrati stupidi per una triste e
continua rassegnazione. Le sue membra schiacciate da pesi enormi, o sviluppate violentemente da
sforzi penosi, erano diventate grossolane, senza esser robuste. Ella faceva da manovale, quando
90 non aveva da trasportare sassi nei terreni che si andavano dissodando; o portava dei carichi in città
per conto altrui, o faceva di quegli altri lavori più duri che da quelle parti stimansi inferiori al
còmpito dell’uomo. La vendemmia, la messe, la raccolta delle olive per lei erano delle feste, dei
giorni di baldoria, un passatempo, anziché una fatica. È vero bensì che fruttavano appena la metà
di una buona giornata estiva da manovale, la quale dava 13 bravi soldi! I cenci sovrapposti in
95 forma di vesti rendevano grottesca quella che avrebbe dovuto essere la delicata bellezza muliebre.
L’immaginazione più vivace non avrebbe potuto figurarsi che quelle mani costrette ad un’aspra
fatica di tutti i giorni, a raspar fra il gelo, o la terra bruciante, o i rovi e i crepacci, che quei piedi
abituati ad andar nudi nella neve e sulle rocce infuocate dal sole, a lacerarsi sulle spine, o ad
indurirsi sui sassi, avrebbero potuto esser belli. Nessuno avrebbe potuto dire quanti anni avesse
100 cotesta creatura umana; la miseria l’aveva schiacciata da bambina con tutti gli stenti che
deformano e induriscono il corpo, l’anima e l’intelligenza. – Così era stato di sua madre, così di
sua nonna, così sarebbe stato di sua figlia. – E dei suoi fratelli in Eva bastava che le rimanesse quel
tanto che occorreva per comprenderne gli ordini, e per prestar loro i più umili, i più duri servigi.
2
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 82
Titolo: Verga e la novella: Nedda
Attività n°: 1
Riepilogo
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto
finale e gli studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un
esercizio di controllo dei contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto
fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad inviare i risultati del proprio test al
docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-portfolio; tali risultati
possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test
e ne darà conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato
della prova finale, invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole
lezioni o chiarendo ulteriormente quello che non è stato pienamente compreso.
Nella stessa lettera al Capuana che abbiamo appena citato Verga aggiunge (mettendo
a fuoco una delle costanti del proprio modo ‘dislocato’ di comporre, il solo in grado di
assicurargli la distanza prospettica):
“Pel Padron ’Ntoni penso d’andare una settimana o due, a lavoro finito, ad Aci
Trezza onde dare il tono locale. A lavoro finito però, e a te non sembrerà strano
cotesto, che da lontano in questo genere di lavori l’ottica qualche volta, quasi
sempre, è più efficace ed artistica, se non più giusta, e da vicino i colori son
troppo sbiaditi quando non son già sulla tavolozza [...]. Tu hai la nostalgia di
Milano ed io quella di Sicilia, così siam fati noi che non avremo mai posa e vera
felicità” (Verga, Lettere a Luigi Capuana, pp. 93-94).
Ma, mentre lo scrittore porta avanti l’elaborazione del romanzo maggiore, cominciano
a prendere forma le novelle che costituiranno la raccolta di Vita dei campi.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 84/S1
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1
La prima edizione, subito esaurita, fu edita nuovamente nella primavera 1881, stavolta
però con la novella che un anno prima era stata scartata; alla compagine originaria
tuttavia si tornò nel 1897, quando ancora presso il Treves ne fu pubblicata un’edizione di
lusso completamente illustrata (corrispondente inoltre ad una fase redazionale, dal punto
di vista linguistico e stilistico, rielaborativa del testo di oltre un quindicennio prima).
Al momento della prima edizione in volume le novelle che compongono Vita dei campi
erano state già pubblicate separatamente in differenti riviste fra il 1878 e il 1880:
Fantasticheria “Fanfulla della domenica”, 24 agosto 1879
Jeli il pastore “La fronda”, 29 febbraio 1880 (ma in edizione parziale)
Rosso Malpelo “Fanfulla della domenica”, 2 e 4 agosto 1878
Cavalleria rusticana “Fanfulla della domenica” 14 marzo 1880
La Lupa “Rivista nuova di scienze, lettere e arti”, febbraio 1880
L’amante di Gramigna “Rivista minima” febbraio 1880 (ma con il titolo L’amante di Raja)
Guerra di Santi “Fanfulla della domenica” 23 maggio 1880
Pentolaccia “Fanfulla della domenica” 4 luglio 1880.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 84/S2
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1
Ho scelto per l’analisi, che verterà principalmente su fatti stilistici, la breve novella
Pentolaccia, una delle ultime della raccolta ad essere scritta e pubblicata e, in particolare,
quella scelta da Verga per chiudere Vita dei campi.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 85
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1
Come diceva il famoso storico dell’arte Aby Warburg “Dio sta nel dettaglio”. Non
sembri dunque inutile o strano partire, come faremo nella prossima sessione di studio,
da un dato microscopico come l’apocope e più in genere da ‘sintomi’ di carattere
fonetico o morfologico, per caratterizzare Pentolaccia dal punto di vista stilistico ed
espressivo, comunque utilizzando la risorsa degli apparati dell’edizione critica.
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116 VITA DEI CAMPI
sant'Isidoro c:e ne scampi, non si sa capire come abbia a infuriare tutt,a una quistione ogru
un tratto, al pari dì un toro nel mese di luglio, e faccia cose da matto, chè il figlio accors(
20 corne uno che non ci vegga più dagli occhi pel mal di denti; chè quelle tato il viatico, nol
cose lì sono appunto come i denti, che dànno un martoro da far p"id... di bocca alla morit
la ragione allorchè spuntano, ma dopo non dànno più noia, e servono a e il viso distatto. r
masticare il pane; e lui ci rnasticava così bene che aveva messo pancia, come e aveva vivi solam
un galantuomo, e pareva un canonico; per questo la gente lo chiamava «pen-
25 tolaccia>> perchè ci aveva la pentola al fuoco tutti i giorni, chè gliela mante-
cose.
- Eh?... El
Chi non rispetr
neva sua moglie Venera con don Liborio. La povera vecct
Egli aveva voluto sposare la venera per forza, sebbene non ci avesse fatto Ia moglie di sr
nè re nè regno, e anche lui dovesse far capitale sulle sue braccia per buscarsi da questo mondo.
il pane. Invano sua madre, poveretta, gli andava dicendo: Lascia star stomaco contro la
I
30 la venera, che non fa per te; porta ra manteninaamezzatesta, - e fa vedere cuore al figliuolo. ,
il piede quando va per la strada.
ascoltarli pel nostro meglio. - I vecchi ne sanno più di noi, e bisogna briglia sul collo. nr
chiamava altriment:
Ma lui ci aveva sempre pel capo quella scarpetta e quegli occhi ladri a sentirlo anche lù
che cercavano il marito fuori della mantellina; perciò se la prese senza volere ci credi? gli diceva
35 udir altro, e ia madre uscì di casa dopo trent'anni che ciera stata, perchè
suocera e nuora insieme ci stanno proprio come due mule selvaggie alla
stessa mangiatoia. La nuora, con quel suo bocchino melato, tanto disse
e
tanto fece che la povera vecchia brontorona dovette lasciarie il campo libero, e fra ... quistione I u-
e andarsene a morire in un tugurio; e fra marito e moglie succedeva anche fra marito e moglie :
pagare (spscr.a lui ne
... vecchiarella I r'orn
la testa bassa (spscr.a china) 2:771 18 si sa capire I si capisce (srz so capi- viatico I
Signore
re) come ... infuriare I perchè infwi 2:Trt 19 al pari di I eome 2=Tr1 Riv cavare I ca\.a
lel I del sa nel 20 vegga I veda occhi I segue dallo denti I den[ti]
2:Tr1
da non parlava piu. ir
21 chel segue quando spuntano da ] segue, nell'interl., rlon e gli occhi ancora rir.
dirle] 22 allorchè spuntano j ogg. interl. 22-3 nan... pane I servono a ma- spscr.a che incolla
sticare 23 messo I segue su 24 canonico; I canonico, e 24-s gentel se- casuccia I del tuguric
gue gli aveva messo nome 2 = zr1 25 tutti i giorni I agg. interl. 2g sulle
l
cominciava a fare Ri
su delle 29- poveretta, I agg. interl. 29-30 star ia I stare 30 te; porta Eh?... 1
l -Eh?...Eh
te. Ella pofiaz:Trt e fa I e lascia 2:Zr1 31 quando ... strada. ] mentre ajuta fa il ... e l
cammina.2:Tr1 ne] su lo 33 pel capol nella testa A Riv 34 ill fine. I segue Come la
un se I sa la 35 udir I sa udire lal segue vecchia dil d,alla2:Tr1 lo 49 accordato l
c'era stata I I'aveva allevato 36 insieme ci stanno I sono 2stanno insieme gliuolo. I senza *dire t
spscr. 36-7 arla stessa mangiatoia I nella stessa stalla 2: Tr1 3T-g tanto dis- con lui di tutto quello s
se e tanto fece ] sa tante ne disse e tante ne fece 38 dovette lasciarle
2 : Tr1 53-4 ormai
] le lascio (spscr.a oramu) 2:7/
= Trr 39 andarsene I se ne andò 2: ?.rr tugurio; I tugurio, ,4 Rlv
2
39-40
venturava I arrisc[hia
di compare don Liborio, meglio di un re di corona. I uno che non abbia mai avuto
il viziaccio della gelosia, e ha chinato sempre il capo in santa pace, che santo (Santo
Mn11 lsidoro ce ne scampi e liberi, se gii salta poi il ghiribizzo di fare il matto, liti e questioni, ogni r
la galera gli sta bene. I Aveva 2t braccial braccia, Tra 29 rnvano infine la povera vecciri
le andava dicendo I dicesse .i2 ascoltarli I ascoltarli, J4 mantellina; I Inuti-
l to il viatico, non potè
mantellina: J5 casa I casa, 36-7 due ... mangiatoia I cani e gatti ig ta I morì 51 e chr
fece I fece, T/ 39-42 e fra ... ricevere I fra marito e moglie erano anche sa, e ] casa, 56 Ch
eroll€ m'I'elseq g'Ial e^e3tp IÉ ['€^eper,
.'' 13 9§ 'esec I o'€s eqcue ouere arJio
I Isoc ls
-e) ereue^ [ uronu e1 'oron) [ eronc- 79 ot{J I eqc e 15 lJotu I er 8€ 111e3 e ruer
-towÉ:e g, ouIJ €llnrq el I oulJ "' loort lf aule^oclr elod uou'ocl]ul^ II 01 [ leurye1uetu 29
-e1rod oue,ra.te el arlc aJllues IE asJoc tn1 e 'e;eued Ip IUIJ elq3Joa erelod el ouIJuI -ltnul I ouetul 6
opuen§ 'orrn8nl lenb rp Blusoru el IsJBS€d e^o^op eqc ello^ tuSo 'tuorlsenb e Illl 'o11eu Jr aJeJ rp o
olueg) orues aqr .:
oJn^u rEru erqqe u
I e.neperc pA ']el I pe :ra1 el I it8 SS lJ: z [e.retq]cstrre I erernlue,t av-6e
-^E §§ r.U : z etuou I orcceurou 79 (reruu:o I reruro) fl: z (wtileto o'tcsds) V'o
olrJsl[ o{so IluetulJlle B^arII?IqJ >OI< UOU I O1IJEIX "' IBIUJO t-ۤ lJ:z
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-loc trns e113rrq e11oc e '€seo eyep uuorped PlseuilJ Bre eronu e1 awo3 an8as [ 'eug lUtC V e'
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V $te! e e^€lJulluo3. rse,rece; p13 [ rsre; e e^elJultuoc orrn8nl 1ep I erccnsec -etueouo^Jes Ier
ellop p opuoJ wànZas I o11e;srp aTetns o'tcsds I e]ellocut etlc o'tcsds uou ''lDtut,llau ,a
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I opnb eI) \q: , ]éd, tsenb oue.tesslJ ol e oue^€sslJ ol otlÒ IIIA erocue rqcco 113 lpluep I lruep
'ocuprq os1a Ioc (ereu erquro,llat o'tcsds) olau olronlu€c un uI '1td elelred uou ep
-uoqrroru €l ?qc I esselo,r "' eccoq p S-€, 'yaqut '33o olre^er I ere,rec Llt ,rf :, owo) [ p
-rdec os zs) ecsrdzr
V (V atnddau ouJa^oclJ tt'tcsds) ereÀeolJ e;nddou I ere.tectr erou8ts I ocqet.t
Zn fl -- z erpeut Bns B eqc r13rrp e l7§\re^ a&p ,?s' ou?ro eulot I elleretqcce'r "'
P lV 1i: elB§alu e1 (erc?ed eu rn1 z"tlsds) ere8ed
-[ , opuenb I qqcrolp 1-97 orlruB e^apoJJns a
rse^oÀop orrnEnt "' e^è^op 0, (eri aqc Ier; a) ,.r7:. eqEour a o]Ir€Iu e{
(euecs z'rasds) ouorlsrnb eun eqcue (erc,c o'tcsds) E^epoccns aqc I ouol]slnb "'Br3 o 'oreqq oduec yr ai
à SSSrp oluBl ,OleJa
e1e aÉEulyas alnu
ar{3Jad ,B1e1S era.r
'EnbsBd eun eruoc oluoluoJ 'e,repa.rc I3 uou g8e pe :I3l e^oclp gB itparc tc aJeJO^ szuos osaJd
§§ oq, nI elEour 3llo3 euesJ€UEBI 3 ?^BJnluA^^B IS a 'Inl OIISUe OIJIIu3S e rrp€J rq3ro q8anb
-
E^BArJJe opuenb e 'OlJoetuou Ienb UOC eqc OlIJsIu OnS IluolulJll€ z^eluglqc
uou reruJo elua8 el aqc '01u31 Iod a elu?l ellBJ e^o^s ou 'olloc Fs ellEIJq euEosrq a .rou rp nr
elloJ e 'esec eliep suoJped ElsEIIrlJ €Ja BJonu el Bueddv 'olonUEIJ IB eJonc oJope^ BJ O .31Se1 ?
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Ir eJeSuuld ollBJ oqqeJ^e qE eruoc ?^odBS eqJ e 'EJonu 3l oJluoc oJeluols
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LII VICCITIOINAd
118 YITA DEI CAMPI
Era fatto così poveretto, e sin qui non faceva male a nessuno. Se gliel'a- in cambio non gli
vessero fatta vedere coi suoi occhi, avrebbe detto che non era vero. O fosse botte, nè I'olio n
che per la maledizione della madre la Venera gli era cascata dal cuore, e sfoggiava scarpe r
60 non ci pensasse più; o perchè standosene tutto I'anno in campagna a lavora- le sue visite, e gli
re, e non vedendola altro che il sabato sera, ella si era fatta sgarbata e una casa sola, ed
disamorevole col marito, ed egli avesse finito di volergli bene; e quando con coscienza
a far prosperare-L
una cosa non ci piace più, ci sembra che non debba premere nemmeno agli
altri, e non ce ne importa più nulla che sia di questo o di quell'altro; insom- il suo vantaggio al
65 ma la gelosia non poteva entrargli in testa neanche a ficcarcela col cavicchio, lo non è brutto (
e avrebbe continuato per cent'anni ad andare lui stesso, quando ce lo man- Ora awenne d
dava sua moglie, a chiamare il medico, il quale era don Liborio. tutt'a un tratto in
Don Liborio era anche suo socio, tenevano una chiusa a mezzeria; ci che lavoravano ne
avevano una trentina di pecore in comune; prendevano insieme dei pascoli vespero, vennero l
70 in affitto, e don Liborio dava la sua parola in garenzia, quando si andava accorgersi che <<Pe
dinanzi al notaio. <<Pentolaccia» gli portava le prime fave e i primi piselli, no l'aveva visto, c
gli spaccava la legna per la cucina, gli pigiava I'uva nel palmento; a lui e quando parli gr
Stavolta parve
il quale dormiva, r
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Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 85/S1
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1
imperfetti in -ia, -ea / -iva, -eva: in Pentolaccia si riscontra sempre la forma piena
(aveva, pareva, manteneva, succedeva, doveva, sapeva, diceva, credeva, faceva,
poteva, conosceva, voleva, soleva, muoveva; dormiva, sentiva, finiva, bolliva) con
due sole eccezioni: a 116 infatti piaceva risulta da una correzione sul precedente
piacea; viceversa a 133 il precedente veniva, presente nell’autografo e nella prima
edizione in rivista, viene mutato in venia.
Pentolaccia 133:
“Ma come si udì per la stradicciuola tranquilla il passo lento del dottore che se ne
venìa adagio adagio, un po' stanco delle visite, soffiando pel caldo, e facendosi
vento col cappello di paglia, […]”
Manzoni, I promessi sposi (edizione del 1827):
“Per una di queste stradicciuole, tornava bel bello dal passeggio verso casa, in sulla
sera del giorno 7 di novembre dell'anno 1628, don Abbondio, curato d'una delle terre
accennate di sopra”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 85/S2
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1
Dal punto di vista della sintassi si vede come lo scrittore cancelli due casi di enclisi a
forme verbali finite (a 40 dovevasi pagare > doveva pagarsi e già facevasi >
cominciava a farsi) rispondendo all’esigenza di eliminare forme percepite come
letterarie e ingessate (indipendentemente dal fatto che ai nostri orecchi doveva
pagarsi risulti molto formale a causa della mancata risalita del clitico).
Riepilogo
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto
finale e gli studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un
esercizio di controllo dei contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto
fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad inviare i risultati del proprio test al
docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-portfolio; tali risultati
possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test
e ne darà conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato
della prova finale, invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole
lezioni o chiarendo ulteriormente quello che non è stato pienamente compreso.
49) Analizzate dal punto di vista linguistico il brano, estratto dalla novella
Pentolaccia, riportato nella slide seguente:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 86/S3
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 87
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
L’elaborazione de I M alavoglia
Alla lunga incubazione de I Malavoglia è stato già fatto cenno qua e là nelle lezioni
precedenti: ne recuperiamo qui gli snodi principali.
L’elaborazione de I M alavoglia
La novella (alla quale Verga attende fino ai primi mesi del 1878 quando l’autore la
promette in questa forma a Sidney Sonnino per la “Rassegna settimanale” da lui diretta)
sta però crescendo sempre più fra le sue mani come si può arguire dai frammenti
autografi e in particolare da quello che l’edizione critica di Ferruccio Cecco ha siglato M3.
In questa fase redazionale del testo, che pure non ha ancora alcuna distinzione in
capitoli, è già fissato lo sviluppo della storia principale che tende però ad accogliere
episodi che successivamente saranno resecati dalla vicenda (a questa fase elaborativa
corrisponde l’episodio del corteggiamento della gnà Pudda da parte di ’Ntoni, appena
tornato dal militare: episodio che più tardi verrà usato per costituire, mutati i nomi dei
personaggi, la novella Cavalleria rusticana).
La tarda primavera del 1878 segna una svolta decisiva. Come abbiamo già ricordato, il 17
maggio di quell’anno Verga annuncia a Luigi Capuana il “sacrificio incruento” a cui si è
deciso: il bozzetto verrà abbandonato in favore di un romanzo, il cui titolo potrebbe
essere I Malavoglia (ma la scelta non è ancora definitiva poiché anche in seguito il Verga
parlerà di Padron ’Ntoni e lo stesso contratto con l’editore sottoscritto nel gennaio 1880
porterà questo titolo che sarà definitivamente mutato solo in prossimità della
pubblicazione del volume, come dimostra la lettera a Emilio Treves del 9 agosto; cfr.
sotto).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 87
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
L’elaborazione de I M alavoglia
Nella stessa lettera al Capuana del 17 maggio, in cui Verga chiede consiglio sul nuovo
titolo, Verga mostra di essere alla ricerca di una raccolta di proverbi e modi di dire
(tornerà sull’argomento l’anno successivo):
“una richiesta significativa, perché oltre all’esigenza di una documentazione più
diretta, rivela come nella ricerca in atto che è soprattutto di linguaggio, la fonte
paremiologica sia sentita come indispensabile per la ricchezza di suggestioni che può
offrire, quale sintesi di saggezza, tramandata nel linguaggio che è l’espressione più
credibile delle categorie rappresentative e di pensiero del mondo popolare” (Ferruccio
Cecco, Introduzione a G. Verga, I Malavoglia, Torino, Einaudi, 1995, p. XXXII).
Della frattura ideologica e formale della primavera del 1878 Verga non dovette accorgersi
subito, se egli cercò in un primo momento di utilizzare ancora il manoscritto su cui aveva
lavorato in precedenza (M3) per adattarlo alla nuova prospettiva. Della nuova struttura
“riscrive ex novo, e ripetutamente le pagine iniziali e inizia a prefigurare, per la prima
volta, una divisione in capitoli (sono le pagine che costituiscono gli abbozzi M4 e
M4bis), ma al momento di riconnettersi con le pagine di M3, che intende assumere
all’interno della nuova stesura, si rende conto che l’operazione è impossibile; la
distanza che separa i due testi è tale da comportare non solo aggiustamenti, ma un
ripensamento completo della pagina!” (ivi, p. XXXIII).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 87/S1
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
L’elaborazione de I M alavoglia
Del resto quegli stessi mesi primaverili del ’78 sono centrali anche per la macrostruttura
in cui il bozzetto, divenuto romanzo, si inserisce, quel “ciclo” di cui Verga parla per la
prima volta in una lettera (datata Milano, 21 aprile 1878) all’amico Salvatore Paola
Verdura:
“Carissimo Salvatore,
Ti scrivo il giorno di Pasqua, giorno di pace, di perdono e soprattutto di riposo, per noi
poveri operai; ma come sempre ti sarà consegnata da Capuana, il quale ritorna a
Catania, e mi precede di un mese o poco più...
Ho in mente un lavoro, che mi sembra bello e grande, una specie di fantasmagoria
della lotta per la vita, che si estende dal cenciaiuolo al ministro e all’artista, e assume
tutte le forme, dalla ambizione all'avidità di guadagno, e si presta a mille
rappresentazioni del grottesco umano; lotta provvidenziale che guida l’umanità, per
mezzo e attraverso tutti gli appetiti alti e bassi, alla conquista della verità. Insomma
cogliere il lato drammatico, o ridicolo, o comico di tutte le fisionomie sociali, ognuna
colla sua caratteristica, negli sforzi che fanno per andare avanti in mezzo a quest'onda
immensa che è spinta dai bisogni più volgari o dall'avidità della scienza ad andare
avanti, incessantemente, pena la caduta e la vita, pei deboli e i maldestri.
...
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 87/S1
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
L’elaborazione de I M alavoglia
Mi accorgo che quando avrai letto questa lunga filastrocca, sarò riuscito a dirtene
ancora niente e ne saprai meno di prima. Il primo racconto della serie, che
pubblicherò fra breve, ti spiegherà meglio il mio concetto, se ci riesco. Per adescarti
dirò che i racconti saranno cinque, tutti sotto il titolo complessivo della Marea e
saranno: 1° Padron ‘Ntoni; 2° Mastro don Gesualdo; 3° La Duchessa delle Gargantas;
4° L’On. Scipioni; 5° L’uomo di lusso.
Ciascun romanzo avrà una fisionomia speciale, resa con mezzi adatti. Il realismo, io,
l’intendo così, come la schietta ed evidente manifestazione dell’osservazione
coscienziosa; la sincerità dell’arte, in una parola, potrà prendere un lato della
fisionomia della vita italiana moderna, a partire dalle classi infime, dove la lotta è
limitata al pane quotidiano, come nel Padron ‘Ntoni, e a finire nelle varie aspirazioni,
nelle ideali avidità de L’uomo di lusso (un segreto), passando per le avidità basse, alle
vanità del Mastro don Gesualdo, rappresentante della vita di provincia, all’ambizione
di un deputato.
Che te ne pare, se sei riuscito a raccapezzarti in questo labirinto schiccheratoti in una
breve lettera? Ma ti prego, acqua in bocca.
Salutami tanto tutti i tuoi e credimi tuo amico
G. Verga”
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 87/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
L’elaborazione de I M alavoglia
La lettera a Salvatore Paola (che abbiamo letto nella sua integralità) è significativa non so-
lo per quanto attiene all’aspetto letterario (la prima idea del ciclo dei vinti), né soltanto per
la dichiarazione di poetica che essa contiene (in cui la ‘coscienziosità’ dell’osservazione ri-
cercata da Verga corrisponde alla ‘necessità’ di un panorama quanto più possibile completo
“della vita italiana moderna” in tutti i suoi strati sociali, ricordando che il mancato com-
pimento del progetto complessivo ci priva del riscontro sull’effettiva realizzazione). Impor-
tante in questa lettera è anche la netta affermazione che l’operaio della letteratura, per
raggiungere quell’effetto di rappresentazione coscienziosa della realtà che si propone dovrà
di volta in volta in maniera differente misurarsi sulla forma (“Ciascun romanzo avrà una fi-
sionomia speciale, resa con mezzi adatti”). Proprio all’elaborazione dei mezzi adatti per
rappresentare il mondo dei pescatori di Trezza sono dedicati i due anni successivi; l’elabo-
razione della forma avviene sia all’interno del romanzo vero e proprio, con la sua scrittura
e riscrittura, sia nel cantiere, aperto in contemporanea, delle novelle, in cui il bisogno di
farsi “piccini”, enunciato a livello teorico nella novella Fantasticheria (scritta proprio nel
1878, pubblicata in rivista l’anno successivo e poi posta ad aprire il volume di Vita dei cam-
pi), prende forma con l’artificio della regressione nella scrittura contemporanea di Rosso
Malpelo (pubblicata in rivista nell’agosto 1878) e con altri assaggi per conseguire quel-
l’impersonalità dell’opera d’arte enunciata nella lettera prefatoria all’Amante di Gramigna.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 87/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
L’elaborazione de I M alavoglia
Ma se l’impostazione teorica è chiara, se il progetto complessivo entro il quale inserire il
romanzo ha già assunto nell’aprile del 1878 connotati ben definiti, il problema della
forma, sperimentata via via sulla misura breve della novella, per la necessità di
verificarne la tenuta nel respiro lungo del romanzo occuperà continuativamente quei
due anni che separano il 1878 dall’anno di pubblicazione del romanzo, due anni in cui,
anche per ragioni biografiche, si alternano momenti di creatività a momenti di pausa e di
inazione.
Il 7 novembre del ’78, per esempio, Verga scrive a Capuana da Catania:
“Anch’io ci ho avuto e ci ho delle angustie e assai più guai; motivo per cui Padron
’Ntoni dorme il sonno del giusto da 3 mesi, dopo un tratto di lavoro fatto a passo di
corsa a Battiati e riescitomi piuttosto bene. Mia madre è stata malata, e abbiamo
temuto assai più gravemente di quel che fosse in realtà. Figurati se ho avuto testa di
mettermi con Padron ’Ntoni o Padron Diavolo coi diavoli che avevo in capo. Ora
fortunatamente mia madre sta meglio, e conto rimettermi a lavorare di lena, giacché
sono infatuato del mio disegno, e quel po’ che ne ho cavato fuori mi fa molto ben
sperare del resto” (G. Verga, Lettere a Luigi Capuana, pp. 101-102)
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 87/S3
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
L’elaborazione de I M alavoglia
“La profondità dei mutamenti in atto ci permette di capire come fosse impossibile
un’assunzione all’interno di una nuova stesura delle carte che avevano costituito il
bozzetto Padron ’Ntoni. Esauritasi quindi la fase rappresentata dagli abbozzi M4 e
M4bis, che tale soluzione prevedevano, viene messa in cantiere la nuova stesura
costituita dall’abbozzo M5, che giunge fino alla fine del capitolo IV, non superando,
come succede del resto per tutti gli altri abbozzi, il ‘limite’ rappresentato dal capitolo
V. Sono infatti i capitoli iniziali, e lo saranno fino all’ultimo, a presentare le maggiori
difficoltà, tanto è vero che, risolti i problemi preliminari, per la seconda parte del
testo Verga si affidò a una stesura direttamente condotta sull’esemplare inviato in
tipografia” (Cecco, Introduzione a G. Verga, I Malavoglia, pp. XXXVIII-XXXIX).
Anche quando il romanzo era ormai in dirittura d’arrivo Verga non ne aveva ancora
definitivamente stabilito l’attacco, proponendo a Treves tre soluzioni:
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 87/S3
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
L’elaborazione de I M alavoglia
“Oltre a quella che sarà definitiva, e che sembra essere stata anche la più antica, pre-
sente cioè fin dai primi abbozzi, Verga prevede un inizio con l’episodio della tempesta
(cioè con l’attuale capitolo III), quindi successivamente, uno con la sequenza delle
esequie di Bastianazzo, per tornare infine alla versione primitiva, che comunque viene
ancora sottoposta al giudizio di Treves, quando Verga invia in visione (il 25 aprile
1880) i primi capitoli del romanzo” (Cecco, Introduzione, p. XLIII).
Nella lettera del 25 aprile 1880 Verga diceva testualmente:
“Caro Treves,
Eccovi i primi capitoli de romanzo. Io preferisco tagliar via tutta la prima parte sino a
pagina 42 e cominciare subito colla pagina 1 dell’altro brano di manoscritto che vi
mando”.
Nella lettera al fratello Mario del 27 giugno 1880 Verga fissa precisamente la data in cui il
romanzo è stato terminato (Lettere alla famiglia, pp. 454-455):
“Io sto bene, ed ho finito proprio il 23 il romanzo, ci vorranno ancora una ventina di
giorni per ritoccarlo, ma intanto il lavoro principale, quello più importante e faticoso,
e che mi preoccupava di più è fatto”).
Contrariamente a quanto Verga prevedeva, la revisione occupò lo scrittore per qualche
mese.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 87/S3
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
L’elaborazione de I M alavoglia
La revisione si attuò sia sulle carte dell’autografo (introducendo in questa fase finale la
gran parte dei proverbi, desunti dai quattro volumi appena usciti di Giuseppe Pitrè,
Proverbi siciliani, raccolti e confrontati con quelli degli altri dialetti d’Italia) sia sulle bozze
di stampa che lo scrittore cominciò a correggere nell’ottobre 1880. In una lettera del 19
luglio 1880 Verga aveva scritto al suo editore:
“Quello che mi dite delle novelle m’incoraggia e mi fa lieto pel romanzo nel quale ho
cercato di estrinsecare quel concetto che l’arte per essere efficace vuol essere
sincera, e che tutta la questione e l’importanza del realismo sta in ciò che più si
riesce a rendere immediata l’impressione artistica, meglio questa sarà oggettiva,
quindi vera o reale come volete, ma bella sempre. Ci riescirò nei Malavoglia? L’ho
tentato, e certo non mi son preoccupato del giudizio del pubblico quando scrivevo;
ma a lavoro finito ci penso [...]. Quanto al ms. dei Malavoglia datemi ancora una
settimana o due, e ci guadagneremo tutti. Io non so quel che ne dirà il pubblico,
spero però che ci vedrà l’intendimento d’un tentativo veramente letterario”.
Il 9 agosto successivo l’autore mandava al Treves, sebbene solo in parte, il manoscritto
de I Malavoglia; nella lettera che accompagna l’invio si legge anche:
“Pel titolo resta adottato I Malavoglia, invece di Padron ’Ntoni. Colla seconda parte vi
mando pure due righe di prefazione”.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 88
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
Le reazioni a I M alavoglia
Nella lettera al Treves del 9 agosto 1880 appena citata il Verga affermava anche:
“Spero che sarete contento di questo lavoro come, sinora, ne sono contento io. Mi
pare di esser riescito a dare il rilievo dovuto ai personaggi, e metterli nell’ambiente
vero, e aver reso realmente questo ambiente”.
La soddisfazione senza se e senza ma espressa in questa occasione dallo scrittore fa
parte di una strategia ‘commerciale’, spesso da lui utilizzata nel trattare con il proprio
editore. Certo che di tutt’altro tono sono le lettere che Verga scrisse pochi mesi dopo
all’amico Capuana; sia quella del 19 febbraio 1881, quando ormai il romanzo era stato
finito di stampare ma non ancora diffuso:
“Treves mi dice di averti mandato I Malavoglia prima ancora di metterli in
pubblicazione. L’hai ricevuto? Dimmene il tuo parere nudo e crudo e digli il fatto loro
francamente. Se non si reggono in gamba non c’è nessuna ragione di accarezzarli, e
di mettersi i guanti per acconciarli nel cataletto. Addio Luigi. Non ti nascondo però
che sono inquieto pel come saranno presi questi disgraziati Malavoglia; e si ha un
bel fare il bravo, ma non si possono abbandonare in mezzo alla strada questi
benedetti figliuoli, senza sentirsi commuovere le viscere paterne”;
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 88
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
Le reazioni a I M alavoglia
sia quella che, al rassicurante giudizio di Capuana, si manifestava con un vero e proprio
scarico di tensione (25 febbraio):
“Caro Luigi,
Per darti un’idea del piacere che mi ha fatto quel che mi dici del mio lavoro, ti dirò quel che ho
provato durante e dopo le correzioni. Mi pareva che avrei potuto dir meglio e in cento altri modi,
non ero contento più di quel che avevo scritto, ed ero assai inquieto sul risultato. Treves, che aveva
letto le bozze a spizzico, e con intervalli di 15 o 20 giorni, mi spiattellava che non ci trovava
interesse che dalla metà del volume in poi. Io avevo un bel fare la tara alla incontentabilità
interessata di Treves [...]. Avevo un bel dirmi che quella semplicità di linee, quell’uniformità di toni,
quella certa fusione dell’insieme che doveva servirmi a dare nel risultato l’effetto più vigoroso che
potessi, quella tal cura di smussare gli angoli, di dissimulare quasi il dramma sotto gli avvenimenti
più umani, erano tutte cose che avevo volute e cercate apposta e non erano certo fatte per destare
l’interesse ad ogni pagina del racconto, ma l’interesse doveva risultare dall’insieme a libro chiuso,
quando tutti quei personaggi si fossero affermati sì schiettamente da riapparirvi come persone
conosciute, ciascuno nella sua azione [...]. Tutte buone ragioni, o scuse di chi non si sente sicuro del
fatto suo; e sai che l’inferno è lastricato di buone intenzioni. Capirai dunque com’ero inquieto non
solo sul valore che avrebbe accordato il pubblico a queste intenzioni artistiche, giacché le intenzioni
non valgono nulla, ma sul risultato che avrei saputo cavarne nell’ottenere dal lettore l’impressione
che volevo [...]. Caro Luigi, se ho chiacchierato troppo, ed ho fatto anche la donnicciuola, è stato
perché due parole tue m’hanno levato un gran peso dal petto [...]” (G. Verga, Lettere a Luigi
Capuana, pp. 161-163).
...
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 88/S1
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
Le reazioni a I M alavoglia
I timori del Verga sulla accoglienza che il pubblico e i critici avrebbero riservato al
nuovo romanzo, espressi nella lettera al Capuana in termini letterari (ma la questione
formale e linguistica è presente anche se non esplicita) non erano infondati.
“I Malavoglia hanno fatto fiasco, fiasco pieno e completo. Tranne Boito e Gualdo,
che me ne hanno detto bene, molti, Treves il primo, me ne hanno detto male, e
quelli che non me l’hanno detto mi evitano come se avessi commesso una cattiva
azione. Dei giornali, all’infuori del Sole, della Gazzetta d’Italia della domenica,
della Rivista Europea o letteraria che sia e della Gazzetta di Parma, nessuno ne ha
parlato, anche i meglio disposti verso di me, e ciò vuol dire chiaro che non
vogliono spiattellarmi il deprofundis”
scrive amareggiato Verga all’amico di sempre l’11 aprile 1881 (G. Verga, Lettere a
Luigi Capuana, p. 168).
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 88/S1
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
Le reazioni a I M alavoglia
Il panorama delle reazioni suscitate da I Malavoglia (e in parte anche il panorama dei
silenzi che accolsero l’uscita del romanzo) è stato tracciato con grande dettaglio da
Rossana Melis, La bella stagione del Verga, Catania, Fondazione Verga, 1991; dalla massa
dei dati raccolti dalla Melis selezioniamo quelli pertinenti all’aspetto formale e linguistico
(pp. 21-24).
La prima reazione fu quella di un amico, Tullo Massarani (1826-1905), in una lettera
del 22 febbraio 1881; a suo dire il romanzo era “meraviglioso d’osservazione e di fattura.
Non c’è un rigo che non porti il sigillo d’un artista; e il sigillo della sua coscienza, non
meno che del suo ingegno”, ma alla fine aggiungeva: “Per provarti la mia sincerità, mi
farò lecito un appunto, l’unico: troppi proverbi”.
Felice Cameroni, in una recensione del 25 febbraio pubblicata su “il Sole”, oltre a
censurare in modo garbato l’eccessiva presenza dei dialoghi e la scarsa presenza di
descrizioni (nei quali comunque riconosceva una precisa espressione di poetica), scriveva:
“poiché i suoi pescatori e contadini devono in un romanzo italiano parlare italiano e
non già siciliano, non poteva astenersi da certe espressioni, scorrette a bella posta
ed abusare un po’ meno dei proverbi?”.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 88/S1
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
Le reazioni a I M alavoglia
Carlo Del Balzo (1853-1908), allora direttore della “Rivista nuova” nata all’ombra del
magistero critico di Francesco de Sanctis, il primo e più illustre estimatore in Italia
dell’Assomoir di Zola, recensì I Malavoglia nel numero del 5 marzo della sua rivista
esprimendo questo giudizio sulla lingua:
“I Malavoglia si incominciano a leggere di malavoglia per un non so che di leccato e
di studiato nello stile, per un abuso di certi che messi ad intralciare i periodi,
per un abuso di vi e di ci , per un ripetere continuo dell’oggetto dopo di
aver usato il pronome relativo, ma chi non si fa sgomentare da queste novità
non felici del Verga e prosegue, non si lamenterà al certo della sua buona volontà. Se
togliete questi appunti che imparzialmente io trovo a fare sullo stile, non per smania
di fare appunti, ma perché desidero ardentemente che il nostro valoroso romanziere
torni al suo stile facile, scorrevole, nervoso, e abbandoni quei detestabili che e
certi noiosi riboboli, questo romanzo de’ Malavoglia è un vero lavoro d’arte. [...] Il
Verga è un vero artista, i Malavoglia un vero lavoro d’arte, e sarebbero stati un
capolavoro senza quelle tali novità nello stile”.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 88/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
Le reazioni a I M alavoglia
Certo era su questa base che Verga scriveva sconfortato a Capuana l’11 aprile dell’’81
nella lettera già citata parlando di fiasco; eppure proprio le obiezioni di carattere
linguistico che caratterizzarono dal più al meno le razioni a caldo dei lettori, ribadirono
in Verga la giustezza della propria scelta, che la espresse nel ringraziare i suoi
recensori.
Al Cameroni, che gli aveva contestato l’eccesso di proverbi e di dialogo rispetto alla
narrazione e prevedendo per I Malavoglia un insuccesso presso i lettori comuni, Verga
ribatteva (in una lettera del 27 febbraio 1881):
“So anch’io che il mio lavoro non avrà un successo di lettura, e lo sapevo quando
mi son messo a disegnare le mie figure col proposito artistico che tu approvi. Il
mio solo merito sta forse nell’avere avuto il coraggio e la coscienza di rinunziare
ad un successo più generale e più facile per non tradire quella forma che
sembrami assolutamente necessaria” (G. Verga, Lettere sparse, p. 106).
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 88/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
Le reazioni a I M alavoglia
Ben più reciso il Verga si dimostra nel rispondere a Carlo Del Balzo da Milano, il 28 aprile
1881:
“Caro Del Balzo,
Vi ringrazio di quello che avete scritto intorno ai Malavoglia, ve ne ringrazio tanto più
per la franchezza con cui non avete dissimulato i difetti che ci avete trovato, accanto
al bene che ne avete detto. Questa dignitosa imparzialità mi rende più accetto il
vostro giudizio in complesso benevolo e lusinghiero. La vostra sincerità mi obbliga ad
essere egualmente schietto nello spiegarvi il proposito che mi fece adottare pei
Malavoglia la forma che criticate, piuttosto che un’altra. Se dovessi tornare a
scrivere I M alavoglia , li scriverei allo stesso modo, tanto mi pare
necessaria ed inerente al soggetto la forma. Non vi dico che non si possa fare
cento volte meglio, non vi dico che son riuscito a dare ai miei personaggi il colorito
giusto; ma è quel colorito che cerco, difficoltà immensa! – lo vedo allo
scontento che mi lascia la prova fatta, ma sino a quando non si sarà
superata, sino a quando ci culleremo nella solita nenia delle frasi lisciate
da 50 anni, non avremo una vera e seria opera d’arte in Italia – di questo
son convinto [...]” (Verga, Lettere sparse, pp. 109-110).
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 88/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
Le reazioni a I M alavoglia
Due giorni prima (il 26 aprile 1881) Verga aveva scritto all’amico Capuana che gli aveva
parlato del suo progetto di recensire I Malavoglia:
“Le tue lodi mi farebbero insuperbire se non facessi la parte della pietosa amicizia che
t’ispira di confortarmi. Ma come vuoi che io abbia fiducia nel giudizio della critica,
quando la più benevola, quella che ne lascia correre una parola nei giornali che ti
mando, i soli che abbiano parlato del libro, è così vuota, così insignificante, così nulla
anche nelle lodi, da far cascare le braccia. Fortuna che la nostra critica e la nostra
forza l’abbiamo in noi stessi” (G. Verga, Lettere a Luigi Capuana, pp. 173-174).
Nei primi due mesi di circolazione del romanzo insomma erano solo piovute critiche o lodi
insignificanti. Ma il 29 maggio usciva sul “Fanfulla della domenica” la recensione di Luigi
Capuana che salutava il romanzo come il vertice dell’impersonalità a cui il naturalismo
francese aveva dato il via.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 88/S3
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
Le reazioni a I M alavoglia
Dalla recensione di Luigi Capuana uscita il 29 maggio sul “Fanfulla della domenica”:
“finora nemmeno lo Zola ha toccato una cima così alta in quell’impersonalità ch’è
l’ideale dell’opera d’arte. C’è voluto, senza dubbio, un’immensa dose di coraggio,
per rinunziare così arditamente ad ogni più piccolo artificio, ad ogni minimo orpello
rettorico e in faccia a questa nostra Italia che la rettorica allaga nelle arti, nella
politica, nella religione dappertutto.” (L. Capuana, Verga e D’Annunzio, p. 82; l’intera
recensione alle pp. 82-89).
L’evoluzione che aveva portato Verga a Nedda e Vita dei campi non era stata compresa
dal pubblico “assuefatto a manicaretti pepati di rettorica e di romanticismo” e i lettori
messi “faccia a faccia colla natura [...] pare amassero meglio vederla a traverso la
simpatica personalità dell’autore, con tutti i fiori, i fronzoli e il ciarpame delle forme
invecchiate” (ivi, p. 83); ma soprattutto, continuava il Capuana:
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 88/S3
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
Le reazioni a I M alavoglia
“A proposito di forme, c’era anche la novità di quella che il Verga s’era creduto
obbligato d’usare, perché il difficile strumento di questa diabolica lingua italiana che ci
tiene, tutti, impacciati, potesse rendere limpidissimamente, con la più assoluta
trasparenza che l’arte della parola consenta, le più minute particolarità del suo
soggetto siciliano. E la felice intuizione d’artista con cui il Verga colava la lingua
comune e il dialetto isolano in un cavo straordinariamente lavorato, come
disse d’aver voluto fare lo Zola colla lingua francese e il gergo popolare parigino
nell’Assomoir, rompeva a un tratto tutte le nostre tradizioni letterarie
impastate, anzi che no, di pedanteria, tenaci, più di quello che paia, anche nei
meglio disposti verso le utili e necessarie novità e le arditezze ben riuscite.
Occorrerebbe assai meno di tutto questo per ispiegare facilmente l’accoglienza
freddina che ora ricevono I Malavoglia, benché non ci sia neppure da far confronti fra
il valore artistico d’essi, e quello di tutti i precedenti lavori del medesimo autore” (ivi,
pp. 83-84).
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 88/S3
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
Le reazioni a I M alavoglia
Dalla recensione di Francesco Torraca pubblicata su “Il diritto” del 5 maggio:
“So che il Verga non ha scoperto l’America; so che in Francia, in Inghilterra, in
Germania e fino in Russia egli ha gloriosi precursori e maestri. Ma in Italia, dove le
marionette del Carcano e compagnia han tanto contribuito a impedire la cognizione
precisa delle classi povere; dov'è ancora frequente la maraviglia di non trovare, usciti
dalle città, un Renzo in ogni montanaro e una Lucia in ogni villana; dove i lazzaroni e i
camorristi del Mastriani somigliano così poco ai lazzaroni e camorristi veri del Basso
Porto e tanto agli eroi dei Mystères de Paris; io saluto come prova di vigore
intellettuale e di ardimento non comune i Malavoglia, che aiuteranno, al pari degli
scritti dei Franchetti e dei Sonnino, a far conoscere l[e] condizioni sociali della Sicilia”;
e aggiungeva:
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 88/S3
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
Le reazioni a I M alavoglia
“Né l’Assommoir dev’essere rimasto estraneo alla concezione dei Malavoglia. Ve ne accorge-
te, non foss’altro, dal tentativo, che il Verga fa, di riprodurre sino il linguaggio degli abitanti di
Trezza. Tentativo ardito, in Italia, dove, per molt’altro tempo, sarà un pio desiderio dei cri-tici
che i romanzieri, seguendo l'esempio degli stranieri, pongano sulle labbra degli artigiani e dei
contadini, il gergo, il dialetto. Ora come ora, personaggi che parlassero alla maniera di
Coupeau e di Sam Weller, in un romanzo italiano sarebbero impossibili. Ci son tante difficol-
tà, tra le quali basta ricordare la mancanza di esempi autorevoli nostrani e d’una tradizione
indigena, e quel pregiudizio per cui si crede il gergo e il dialetto offendano il gusto e, anche
più, la convenienza, il Galateo. Il Verga lo sa, ma gli esempi d’oltr’alpe son così attraenti!
Allora ha preso una via di mezzo, e non è sceso sino al dialetto, ma ha dato quanto ha
potuto alla lingua l’andatura, le movenze del dialetto. Di qui i discorsi de' suoi personaggi a
frasi monche, arditamente intricate, o liberamente contorte, l'una impigliata
nell’altra, con una sintassi tanto semplice che pare scorretta. Tentativo ardito, ma
di difficile riuscita, specie per chi non è toscano. E come lo Zola, per meglio riprodurre
il milieu, per darne impressione più viva ai lettori, avvicina il suo stesso linguaggio,
quando parla a nome proprio, a quello de' suoi personaggi, così fa il Verga. È una
teoria come un'altra, ma ad un italiano avvezzo da tanto tempo a volere negli scrittori la
forbitezza e l'eleganza, non piace molto, almeno su le prime, che l’autore si esprima per via
di proverbi, d'immagini e traslati popolari e fin plebei, se deve raccontare, o fare una
osservazione per conto suo”.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 89
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
La massima originalità (intesa tanto come censurabile deviazione dalla norma, quanto
come liberatorio atto di indipendenza da formule invecchiate e stantie) che i
contemporanei rilevarono ne I Malavoglia riguardava dunque la forma linguistica
adottata.
Dal punto di vista dei modi con cui la scrittura era condotta, veniva in genere rilevato
il sovrabbondare del dialogo rispetto alla narrazione; la constatazione
largamente condivisa era che il romanzo, non più regolato da una voce narrante,
finiva per (o almeno tendeva ad) essere piuttosto una rappresentazione
mimetica che non una narrazione vera e propria: a seconda dei punti di vista
dei critici questo tratto della scrittura costituiva un impoverimento delle risorse
tradizionalmente attribuite al romanzo oppure il tentativo ardito e
variamente coronato dal successo di raggiungere il massimo
dell’impersonalità.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 89
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
Da un altro punto di vista ricorrono nelle prime recensioni l’imbarazzo o viceversa la
soddisfazione per un nuovo rapporto stabilito da un lato con la tradizione letteraria e
con la sua grammatica, dall’altro con il dialetto. In realtà nei due rilievi,
apparentemente contrapposti, si valutava (positivamente o negativamente)
l’esperimento, che Verga aveva azzardato con I Malavoglia, nel quale il dialetto
(anziché affiancarsi o giustapporsi alla lingua) la forzava, la penetrava
dall’interno scompaginandone l’assetto grammaticale, di lingua regolata.
Nella dinamica linguistica italiana il dialetto aveva sempre detenuto il ruolo del parlato
così come lo scritto aveva assunto veste letteraria; al più, dopo la svolta
cinquecentesca e dunque in un contesto linguistico di ‘dialettalità riflessa’, l’uso
letterario del dialetto era stato connotato in senso basso (diastraticamente), comico o
osceno, a vario titolo ‘carnevalesco’, o infine, a teatro, con effetto mimetico.
Qualche innovazione era avvenuta nella produzione narrativa dell’Ottocento proprio in
quel clima ‘bozzettistico’ e ‘pittoresco’ ricordato qualche lezione fa, in cui il dialetto
aveva fatto il suo ingresso per fornire il colore locale.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 89
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
Ne fa un sommario resoconto Luca Serianni in Storia dell’italiano nell’Ottocento, pp. 188-
189, ricordando il precoce esperimento (1857) di Cletto Arrighi nel romanzo Gli ultimi
coriandoli, e i successivi Demetrio Pianelli di Emilio De Marchi e Piccolo mondo antico di
Fogazzaro, nei quali il dialetto, anche quando entra nel romanzo, vi fa la sua comparsa
all’interno dei dialoghi, conservando dunque un ruolo relativamente tradizionale.
Ne I Malavoglia (e già in Vita dei campi) invece, il sicilianismo integrale compare solo
sporadicamente, come macchia lessicale (rimarcato di solito con il corsivo a sottolinearne
l’estraneità rispetto alla compagine ‘italiana’ nella quale si inserisce) e soltanto laddove
mancavano diretti e appropriati corrispondenti nell’italiano della realtà regionale e locale:
“termini economici (tarì, onza, cafisi ‘unità di misura per l’olio’) e geografici (sciara,
sommacco ‘tipo di arbusto’ o appellativi come gna, zio, massaro, curatolo, talvolta
‘usati senza articolo determinativo secondo la sintassi siciliana in cui queste forme si
comportano come nomi propri’ [Ambrosini 1977, 22]” (Serianni, Storia dell’italiano
nell’Ottocento, p. 192 che cita a sua volta da Riccardo Ambrosini, Proposte di critica
linguistica. La dialettalità nel Verga, “Linguistica e letteratura”, II, pp. 7-48).
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 89/S1
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
La lingua de I M alavoglia
La soluzione verghiana, assicurando piena leggibilità al romanzo sull’intero territorio
nazionale (leggibilità che l’utilizzo del siciliano avrebbe, se non impedito, limitato),
consentiva al contempo all’autore di assumere il punto di vista adatto ad esprimere il
pensiero dei personaggi (di cui sono manifestazione anche i proverbi). Ma tale soluzione
scompaginava i ruoli e gli ambiti d’uso dei due registri come di fatto confessava Felice
Cameroni (incapace di uscire dalla tradizionale polarità lingua/dialetto) dicendo appunto
nella sua recensione a I Malavoglia :
“poiché i suoi pescatori e contadini devono in un romanzo italiano parlare
italiano e non già siciliano, non poteva astenersi da certe espressioni,
scorrette a bella posta ed abusare un po’ meno dei proverbi?”.
Insomma, per dirla con Luigi Russo (Giovanni Verga, p. 14):
“A queste ragioni [che condannavano Verga all’isolamento e i Malavoglia “ad una
fredda ed instabile popolarità”], un’altra se ne alleava, fortissima in Italia, che è
una specie di terra santa del problema della lingua e della grammatica: la prosa del
Verga, appariva, nel suo fondo, di tipo dialettale, e non era certo un saggio di bello
scrivere”.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 89/S1
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
La sintassi ‘dialettale’ del Verga non è diatopicamente connotata, bensì è costituita da
“tratti che si ritrovano nell’italiano dei semicolti di qualunque regione (ma anche nel
linguaggio orale informale di parlanti cólti)” (Serianni, Storia dell’italiano
nell’Ottocento, p. 193)
e che abbiamo già visto rilevati nelle recensioni uscite al momento della pubblicazione del
romanzo.
1) che polivalente usato per indicare qualunque rapporto di subordinazione e spesso
senza un solo e univoco valore logico-sintattico (il Del Balzo parlava di “un abuso di
certi che messi ad intralciare i periodi”);
2) la dislocazione a sinistra o a destra, e conseguente ripresa dell’elemento anticipato o
posticipato mediante un pronome anaforico o, rispettivamente, cataforico;
3) la ridondanza pronominale (il Del Balzo segnalava: “un ripetere continuo dell’oggetto
dopo di aver usato il pronome relativo”);
4) l’uso del ci attualizzante con il verbo avere (ancora il Del Balzo rimproverava alla lingua
de I Malavoglia: “per un abuso di vi e di ci”.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 89/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
Se non accennando vagamente alla predominanza del dialogo i recensori non erano in
grado di segnalare la presenza di un istituto sintattico che solo la linguistica novecentesca
ha messo a fuoco: il cosiddetto discorso o stile indiretto libero, tecnica di discorso
sperimentata con varie soluzioni stilistiche da Flaubert e Zola e dunque caratteristica di
un humus culturale e ideologico specifico, ma non ignota anche ad autori precedenti e
non francesi.
Si tenga presente che nelle due etichette sopra riportate l’originaria è quella di discorso
indiretto libero (siglato anche DIL) in quanto di discorso si tratta (solo in quanto l’uso del
DIL diventa presso alcuni autori un fatto stilistico, come per esempio in Verga, è lecito
ricorrere alla definizione di stile indiretto libero).
Il termine discorso è polisemico, ma nel nostro ragionamento esso va assunto come ‘atto
di comunicazione linguistica’. Anche accettando tale limitazione un testo potrà essere
inteso tanto come ‘discorso’ fatto dall’autore al lettore, tanto come luogo entro il quale si
affiancano la narrazione e altri discorsi (quelli cioè dei personaggi).
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 89/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
Una simile dicotomia narrazione / discorso si rivela però talvolta fallace al momento in
cui si voglia analizzare la concreta formulazione linguistica del testo.
Narrazione e discorso sono rigorosamente separati solo quando la narrazione si
interrompe per far spazio al discorso diretto, legato o libero che sia (soluzione di
continuità che nello scritto viene rimarcata da segnali quali i due punti, le virgolette o le
lineette).
Uno stacco netto fra narrazione e discorso non sussiste quando la narrazione accoglie al
suo interno il discorso, che però, nella forma indiretta legata, è segnalato da verbi del
dire o del ritenere (verba dicendi e putandi): mancano in questo caso, nello scritto,
segni grafici evidenti di separazione, il discorso soggiace a mutamenti determinati dal
nuovo rapporto sintattico stabilito con quanto lo circonda, problematico è determinare a
quale dei due poli appartengano gli elementi di congiunzione. I confini fra narrazione e
discorso sono poi ancora più labili quando la narrazione inglobi dentro di sé il discorso
senza segnalarne l’avvento mediante i verbi introduttori dicendi e putandi (appunto
discorso indiretto libero).
A partire da un esempio concreto, creo ad arte le varianti per rendere più semplice la
spiegazione.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 89/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
Discorso diretto legato: Gli parlai delle impressioni ricevute con tanto calore che egli volle
leggere il mio scritto, e lo trovò bello. « Dam m elo» , m i
disse, « voglio farti am are da quella donna.» (da Verga,
Eva)
Il discorso diretto avrebbe potuto presentarsi anche come libero, senza cioè l’indicazione
di mi disse, così:
Gli parlai delle impressioni ricevute con tanto calore che egli volle
leggere il mio scritto, e lo trovò bello. « Dam m elo, [ ],
voglio farti am are da quella donna.»
Il medesimo discorso avrebbe potuto presentarsi anche come indiretto legato:
Gli parlai delle impressioni ricevute con tanto calore che egli volle
leggere il mio scritto, e lo trovò bello e m i disse di darglielo
perché voleva farm i am are da quella donna
e infine, come discorso indiretto libero così:
Gli parlai delle impressioni ricevute con tanto calore che egli volle
leggere il mio scritto, e lo trovò bello e [ ] m i avrebbe fatto
am are da quella donna.» .
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 89/S3
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
Il discorso indiretto libero fu individuato negli scrittori francesi a lui contemporanei da
Adolf Tobler alla fine dell’Ottocento, ma fu analizzato per la prima volta in maniera
esauriente da Charles Bally (Le style indirect libre en français moderne, “Germanisch-
Romanische Monatsschrift” IV 1912), che vi riconobbe un procedimento letterario
finalizzato a rappresentare, in letteratura, l’oralità poiché,
“per l’assenza di segni esterni di subordinazione, lo stile indiretto libero offre
un’immagine della fluidità che si è soliti attribuire alla lingua parlata. Eppure
quest’ultima non conosce l’indiretto libero, il quale esprime dunque perfettamente
la specificità della forma scritta nel suo rapporto immaginario e convenzionale con
il parlato” (traduco da Bernard CERQUIGLINI, Le style indirect libre et la modernité,
“Langages”, XIX, 1984, pp. 7-16).
In quanto procedimento letterario lo stile indiretto libero è stato presto associato in
Francia al monologo interiore e pertanto è stato tradotto dalla stilistica tedesca come
erlebte Rede.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 89/S3
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
Prima di Bally e prima della stilistica di Vossler e Spitzer, della tecnica letteraria utilizzata
da Verga nelle novelle si era accorto Edoardo Scarfoglio (1860-1916) che ne Il libro di
Don Chisciotte (1883-1884) ne aveva dato un resoconto acre, ma acuto, affermando:
“che Verga cercasse ‘con effetti prospettici, di dare non già il dialogo, ma una
rappresentazione del dialogo’, facendo ‘uno strano abuso del dialogo indiretto,
per modo che le sue novelle ci offrono questo bizzarro spettacolo: il dialogo è
raccontato, il racconto invece è parlato’ ” (cito da Giovanni Nencioni, La lingua
dei “Malavoglia”, in I Malavoglia, Atti del Congresso Internazionale di Studi, Catania
26-28 novembre 1981, Catania, II, pp. 445-513 (poi in Id., La lingua dei
“Malavoglia” e altri scritti di prosa, poesia e memoria, Napoli, Morano, 1988, pp. 7-
89).
L’articolo di Nencioni traccia una storia dettagliata delle ricerche sull’indiretto libero nella
prosa verghiana e otto-novecentesca, ma soprattutto (sulla scorta di quanto era stato
fatto pochi anni prima da una sua allieva: Anna Danesi Bendoni, Grammaticalizzazione
del discorso indiretto libero nei “Malavoglia", “Studi di grammatica italiana”, IX, pp. 253-
271) egli indica le caratteristiche grammaticali ricorrenti che consentono il riconoscimento
dell’istituto linguistico.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 89/S3
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
“il discorso indiretto libero è individuabile mediante tratti pertinenti che si distin-
guono in rilevatori primari, cioè costanti grammaticali di natura formale, e rileva-
tori secondari, cioè elementi variabili e meno formalizzabili. Rilevatori primari sono
la trasposizione, che investe tempi, modi e persone del verbo, pronomi personali,
avverbi circostanziali, aggettivi e pronomi dimostrativi e possessivi, trasformandoli da
elementi formali del discorso diretto in elementi formali del discorso indiretto; e l’in-
dipendenza del costrutto dal verbum dicendi o putandi . Rivelatori secondari
sono tutti quegli elementi del parlato, principalmente di carattere enfatico o idioma-
tico, che collaborano al riempimento lessicale o sintattico del costrutto; essi da un la-
to sono legati al contenuto, dall’altro ricorrono con più o meno frequenza a seconda
che lo scrittore inclini più o meno al discorso diretto. Possono essere formule asseve-
rative, imprecative o esecrative, appellativi, frasi nominali, frasi interrogative o escla-
mative, topicalizzazioni, proverbi. Quanto alla sua contestualizzazione, cioè alle rela-
zioni sintagmatiche che il discorso indiretto libero contrae col piano della narrazione e
con le altre due modalità enunciative (discorso diretto e discorso indiretto), la Danesi
Ben-doni distingue un rapporto di frattura, cioè di passaggio netto, e un rapporto,
assai meno frequente, di fusione quando l’indiretto libero si inserisce nella narrazione
a cannocchiale, in modo da non potersi localizzare il punto di stacco” (ivi, pp. 24-25).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 90
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
La lingua de I M alavoglia
Il XV capitolo de I Malavoglia è punteggiato da verba dicendi (o da verbi che esprimono
un’opinione) che reggono il discorso diretto e indiretto. Per quest’ultimo, oltre a dire
(diceva e dicevano 1,1; 1,5; 2,1; 4,1; 5,3; 11,2; 23,4; 23,5; 23,8; 35,3; 36,5; 63,3; disse
26,1; 39,1-2, con le perifrasi: tornò a dire 13,8; arrivava ... a dire 24,6) si incontrano:
domandava 1,4; 2,1; rispondeva 2,4; 22,3; chiedergli 4,5; rispose 10,2; credeva 4,4;
ribatteva 6,1; raccontò 10,1; raccontando 41,1; confermava 23,1; parlava 23,7; sparlava
28,1; strillando 30,4; predicava 32,1; 37,3; giurava 33,2; ripeteva 37,1; rammentar 47,4;
corse la notizia 49,1.
Se a questi esempi si aggiungono i casi di discorso diretto legato o libero (entro il quale
va inserito anche il monologo interiore: si veda a 75,3-4 “– Fra poco lo zio Santoro aprirà
la porta, pensò ’Ntoni, e si accoccolerà sull’uscio a cominciare la sua giornata anche lui. –
[...] riprese la sua sporta, e disse: – Ora è tempo d’andarmene, perché fra poco
comincierà a passar gente”) si ricava l’altissima incidenza dei discorsi dei personaggi
entro la narrazione. La pervasività del discorso è insomma tale da creare l’impressione
di una narrazione che si fa mero strumento di trasmissione dei discorsi o dei pensieri del
mondo raccontato, puro ‘canale’ (in senso linguistico) di trasferimento del messaggio dal
locutore-personaggio al lettore (si ricorderà il rilievo di Scarfoglio per cui nei Malavoglia, il
racconto era parlato e il dialogo raccontato).
Giovanni Verga, I Malavoglia, cap. XV
1
La gente diceva che la Lia era andata a stare con don Michele; già i Malavoglia non avevano più niente
da perdere, e don Michele almeno le avrebbe dato il pane. Padron ’Ntoni adesso era diventato del tutto un
uccellaccio di camposanto, e non faceva altro che andare intorno, rotto in due, e con quella faccia di pipa, a dir
proverbi senza capo e senza coda: «Ad albero caduto accetta! accetta!» – «Chi cade nell’acqua è forza che si
bagni» – «A cavallo magro, mosche». – E a chi gli domandava perché andasse sempre in giro, diceva che «la
fame fa uscire il lupo dal bosco», e «cane affamato non teme bastone»; ma di lui non volevano saperne, ora che
era ridotto in quello stato. 2 Ognuno gli diceva la sua, e gli domandava cosa aspettasse colle spalle al muro, lì
sotto il campanile, che pareva lo zio Crocifisso quando aspettava d’imprestare dei denari alla gente, seduto a
ridosso delle barche tirate in secco, come se ci avesse in mare la paranza di padron Cipolla; e padron ’Ntoni
rispondeva che aspettava la morte, la quale non voleva venire a prenderselo, perché «lo sfortunato ha i giorni
lunghi». Della Lia nessuno parlava più in casa, nemmeno Sant’Agata, la quale se voleva sfogarsi andava a
piangere di nascosto, davanti al lettuccio della mamma, quando in casa non c’era nessuno. 3 Adesso la casa era
grande come il mare, e ci si perdevano dentro. I denari se n’erano andati con ’Ntoni; Alessi era sempre lontano,
per guadagnarsi il pane, di qua e di là; e la Nunziata faceva la carità di venire ad accendere il fuoco, quando la
Mena doveva andare a prendere il nonno per mano, verso l’avemaria, come un bambino, perché di sera non ci
vedeva più, peggio di una gallina.
4
Don Silvestro, e gli altri del paese, dicevano che Alessi avrebbe fatto meglio a mandare il nonno
all’Albergo dei poveri, ora che non era più buono a nulla; ma questa era la sola cosa che facesse paura al
poveraccio. Ogni volta che la Mena andava a metterlo al sole, conducendolo per mano, e ci stava per tutta la
giornata ad aspettare la morte, credeva che lo portassero all’Albergo, talmente era diventato un cucco, e
balbettava: – La morte non viene mai! – tanto che certuni andavano a chiedergli ridendo dove fosse arrivata.
5
Alessi tornava a casa il sabato, e gli veniva a contare i denari della settimana, come se il nonno avesse
ancora giudizio. Egli rispondeva sempre di sì, col capo; e bisognava che andasse a nascondere il gruzzoletto
sotto la materassa, e gli diceva, per farlo contento, che ci voleva poco a mettere insieme un’altra volta i denari
della casa del nespolo, e fra un anno o due ci sarebbero arrivati.
6
Ma il vecchio scrollava il capo, colla testa dura, e ribatteva che adesso non avevano più bisogno della
casa; e meglio che non ci fosse mai stata al mondo la casa dei Malavoglia, ora che i Malavoglia erano di qua e
di là.
7
Una volta chiamò in disparte la Nunziata, sotto il mandorlo, nel momento in cui non ci era nessuno, e
pareva dovesse dirle qualcosa di grosso; però muoveva le labbra senza parlare, e stava cercando le parole,
guardando di qua e di là. – È vero quella cosa che hanno detto di Lia? chiese infine.
– No! rispondeva Nunziata, colle mani in croce, no! per la Madonna dell’Ognina, non è vero!
Egli si mise a tentennare il capo, col mento sul petto. – Allora perché se n’è fuggita anche lei? perché se
n’è fuggita?
E l’andava cercando per la casa, fingendo di aver perso il berretto; toccava il letto e il canterano, e si
metteva a sedere al telaio, senza dir nulla. – Lo sai? chiese infine; lo sai dove se n’è andata? – Ma alla Mena
non disse nulla.
La Nunziata non lo sapeva, in coscienza, né nessun altro del paese.
8
Una sera si fermò nella strada del Nero Alfio Mosca, col carro, che ci aveva attaccato il mulo adesso, e
per questo aveva acchiappato le febbri alla Bicocca, ed era stato per morire, tanto che aveva la faccia gialla e la
pancia grossa come un otre; ma il mulo era grasso e col pelo lucente.
– Vi rammentate quando sono partito per la Bicocca? diceva lui, che stavate ancora nella casa del
nespolo! Ora ogni cosa è cambiata, ché «il mondo è tondo, chi nuota e chi va a fondo». – Stavolta non potevano
dargli nemmeno un bicchiere di vino, pel ben tornato. 9 Compar Alfio lo sapeva dov’era Lia; l’aveva vista coi
suoi occhi, ed era stato come se avesse visto comare Mena quando stavano a chiacchierare da una finestra
all’altra. Perciò guardava di qua e di là i mobili e le pareti, come se ci avesse il carro carico sullo stomaco, e
sedette anche lui senza dire una parola accanto al desco dove non c’era nulla, e nessuno sedeva più a mangiare
la sera.
– Ora me ne vado, – ripeteva lui, vedendo che non gli dicevano nulla. – Quando uno lascia il suo paese è
meglio che non ci torni più, perché ogni cosa muta faccia mentre egli è lontano, e anche le faccie con cui lo
guardano son mutate, e sembra che sia diventato straniero anche lui.
10
Mena continuava a star zitta. Intanto Alessi gli raccontò che voleva pigliarsi la Nunziata, quando
avrebbe raccolto un po’ di denari, ed Alfio gli rispose che faceva bene, se la Nunziata aveva un po’ di denari
1
anche lei, ché era una buona ragazza, e tutti la conoscevano in paese. Così anche i parenti dimenticano quelli
che non ci sono più, e ognuno a questo mondo è fatto per pensare a tirare la carretta che gli ha data Dio, come
l’asino di compar Alfio, che adesso faceva chissà cosa, dopo che era andato in mano altrui.
11
La Nunziata ci aveva la sua dote anche lei, dacché i suoi fratellini cominciavano a buscarsi qualche
soldo, e non aveva voluto comprarsi né oro né roba bianca, perché diceva che quelle cose son fatte per i ricchi,
e la roba bianca non era bene di farsela intanto che cresceva ancora.
12
Era cresciuta infatti una ragazza alta e sottile come un manico di scopa, coi capelli neri, e gli occhi
buoni buoni, che quando si metteva a sedere sulla porta, con tutti quei monelli davanti, pareva che pensasse
ancora a suo padre nel giorno che li aveva piantati, e ai guai in mezzo ai quali aveva sgambettato sino allora,
coi suoi fratellini appesi alle gonnelle. Al vedere come se n’era tirata fuori dai guai, lei e i suoi fratellini, così
debole e sottile al pari di un manico di scopa, ognuno la salutava e si fermava volentieri a far quattro
chiacchiere con lei.
13
– I denari ce li abbiamo, disse a compar Alfio, il quale era quasi un parente, da tanto che lo
conoscevano. – A Ognissanti mio fratello entra garzone da massaro Filippo, e il minore prenderà il suo posto da
padron Cipolla. Quando avrò collocato anche Turi, allora mi mariterò; ma bisogna aspettare che io abbia gli
anni, e che mio padre mi dia il consenso.
– O che tuo padre pensa più che sei al mondo! disse Alfio.
– S’egli tornasse ora, – rispose Nunziata con quella voce dolce, e così calma, colle braccia sulle
ginocchia, – ei non se ne andrebbe più, perché adesso i denari li abbiamo.
Allora compar Alfio tornò a dire ad Alessi che faceva bene a prendersi la Nunziata, se ci aveva quel po’
di denari.
– Compreremo la casa del nespolo, aggiunse Alessi; e il nonno starà con noi. Quando torneranno gli altri
ci staranno pure; e se tornerà il padre della Nunziata ci sarà posto anche per lui.
Di Lia non fecero parola; ma ci pensavano tutti e tre, mentre stavano a guardare il lume, colle braccia sui
ginocchi.
14
Finalmente compare Mosca si alzò per andarsene, perché il suo mulo scuoteva la sonagliera, quasi
l’avesse conosciuta anch’esso colei che compar Alfio aveva incontrata per la strada, e che adesso non
l’aspettavano più nella casa del nespolo.
15
Lo zio Crocifisso invece aspettava da un pezzo i Malavoglia per quella casa del nespolo che nessuno la
voleva, come se fosse scomunicata, e gli era rimasta sulla pancia; sicché appena seppe che era tornato in paese
Alfio Mosca, quello cui voleva far rompere le ossa a bastonate, quand’era geloso della Vespa, andò a pregarlo
che s’intromettesse coi Malavoglia per fargli conchiudere il negozio. Adesso quando l’incontrava per le strade
lo salutava, e cercava di mandargli anche la Vespa per parlargli di quell’affare, chissà che non si fossero
rammentati dell’amore antico, nello stesso tempo, e compare Mosca non riescisse a levargli quella croce di su
le spalle. 16 Ma quella cagna della Vespa non voleva sentir parlare di compar Alfio, né di nessuno, adesso che ci
aveva il suo marito ed era padrona in casa, e non avrebbe cangiato lo zio Crocifisso con Vittorio Emanuele in
carne ed ossa, neanche se l’avessero tirata pei capelli. – Mi toccano tutte a me, le disgrazie! – si lamentava lo
zio Crocifisso; e andava a sfogarsi con compare Alfio, e si picchiava il petto come davanti al confessore, di
aver pensato a pagare dieci lire per fargli rompere le ossa a bastonate.
17
– Ah! compare Alfio! se sapeste che rovina è capitata nella mia casa, che non dormo né mangio più, e
non faccio altro che della bile, e non sono più padrone di un baiocco del fatto mio, dopo aver sudato tutta la vita
ed essermi levato il pan di bocca per raggranellarlo a soldo a soldo. Ora mi tocca vederlo in mano di quella
serpe, la quale fa e disfà come vuole lei! e non mi riesce nemmeno di levarmela d’addosso per via del giudice,
che non si lascerebbe tentare neanche da satanasso! e mi vuol tanto bene che non me la leverò d’addosso prima
di crepare, se non chiudo gli occhi dalla disperazione!
18
– Quello che stavo dicendo qui a compare Alfio, – seguitava lo zio Crocifisso vedendo accostarsi
padron Cipolla, il quale andava bighellonando per la piazza come un cane di macellaio, dacché gli era entrata in
casa quell’altra vespa della Mangiacarrubbe. – Non possiamo più stare nemmeno in casa per non schiattare
dalla bile! Ci hanno scacciato fuori di casa nostra, quelle carogne! hanno fatto come il furetto col coniglio. Le
donne son messe al mondo per castigo dei nostri peccati. Senza di loro si starebbe meglio. Chi ce l’avrebbe
detto, eh? padron Fortunato! Noi che avevamo la pace degli angeli! Guardate com’è fatto il mondo! C’è gente
che va cercando questo negozio del matrimonio colla lanterna, mentre chi ci si trova vorrebbe levarsene.
19
Padron Fortunato stette un po’ a fregarsi il mento, e poi lasciò andare: – Il matrimonio è come una
trappola di topi; quelli che son dentro vorrebbero uscire, e gli altri ci girano intorno per entrarvi.
– A me mi sembrano pazzi! Vedete don Silvestro, cosa gli manca? e s’è messo in testa di far cascare la
Zuppidda coi suoi piedi, vanno dicendo; e se comare Venera non trova di meglio, bisogna che la lasci cascare.
2
20
Padron Cipolla continuò a fregarsi il mento e non disse altro. – Sentite, compare Alfio, – seguitò
Campana di legno, – fatemelo conchiudere quel negozio della casa coi Malavoglia, finché ci hanno quei soldi,
che vi regalerò poi da comprarvi le scarpe, per i passi che farete.
21
Compare Alfio tornò a parlare ai Malavoglia; ma padron ’Ntoni ora scuoteva il capo, e diceva di no. –
Adesso della casa non abbiamo che farne, perché Mena non si può più maritare, e dei Malavoglia non ci è
nessuno! Io ci sono ancora perché gli sfortunati hanno i giorni lunghi. Ma quando avrò chiuso gli occhi, Alessi
piglierà la Nunziata e se ne andrà via dal paese.
22
Anch’egli stava per andarsene. Il più del tempo lo passava in letto, come un gambero sotto i ciottoli,
abbaiando peggio di un cane: – Cosa ci ho a far qui io? – balbettava; e gli pareva di rubare la minestra che gli
davano. Invano Alessi e la Mena cercavano di dissuaderlo. E’ rispondeva che rubava loro il tempo e la
minestra, e voleva che gli contassero i denari messi sotto la materassa, e se li vedeva squagliare a poco a poco,
borbottava: – Almeno se non ci fossi io non spendereste tanto. Ora non ho più niente da far qui, e potrei
andarmene.
23
Don Ciccio, il quale veniva a tastargli il polso, confermava che era meglio lo portassero all’ospedale,
perché lì dov’era si mangiava la carne sua e quella degli altri, senza utile. Intanto il poveraccio stava a vedere
quello che dicessero gli altri, cogli occhi spenti, e aveva paura che lo mandassero all’Albergo. Alessi non
voleva sentirne parlare di mandarlo all’Albergo, e diceva che finché ci era del pane, ce n’era per tutti; e la
Mena, dall’altra parte, diceva di no anch’essa, e lo conduceva al sole, nelle belle giornate, e si metteva accanto
a lui colla conocchia, a raccontargli delle fiabe, come ai bambini, e a filare, quando non aveva da andare al
lavatoio. Gli parlava pure di quel che avrebbero fatto quando arrivava un po’ di provvidenza, per fargli
allargare il cuore; gli diceva che avrebbero comprato un vitellino a San Sebastiano, ed ella bastava a procurargli
l’erba e il mangime per l’inverno. 24 A maggio si sarebbe venduto con guadagno; e gli faceva vedere pure le
nidiate di pulcini che aveva messo, e venivano a pigolare davanti ai loro piedi, al sole, starnazzando nella
polvere della strada. Coi denari dei pulcini avrebbe anche comperato un maiale, per non perdere le buccie dei
fichidindia, e l’acqua che serviva a cuocere la minestra, e a fin d’anno sarebbe stato come aver messo dei soldi
nel salvadanaio. Il vecchio, colle mani sul bastone, approvava del capo, guardando i pulcini. Ci stava così
attento, poveretto, che arrivava fino a dire che se avessero avuto la casa del nespolo si poteva allevarlo nel
cortile, il maiale, giacché quello era un guadagno sicuro con compare Naso. 25 Nella casa del nespolo c’era pure
la stalla pel vitello, e la tettoia pel mangime, e ogni cosa; se ne andava ricordando a poco a poco, cercando qua
e là cogli occhi morti e col mento sul bastone. Poi domandava sottovoce alla nipote: – Cosa ha detto don Ciccio
dell’ospedale? – Mena allora lo sgridava come si fa coi bambini, e gli rispondeva: – Perché pensate a quelle
cose? – Egli stava zitto, e ascoltava cheto cheto tutto quello che diceva la ragazza. Ma poi tornava a ripetere: –
Non mi ci mandate all’ospedale, perché non ci sono avvezzo.
26
Infine non si alzava più dal letto, e don Ciccio disse che era proprio finita, e non ci era più bisogno di
lui, che là in quel letto dove era, poteva starci anche degli anni, e Alessi o la Mena ed anche la Nunziata
dovevano perdere le loro giornate a far la guardia; se no se lo sarebbero mangiato i porci, come trovavano
l’uscio aperto.
27
Padron ’Ntoni intendeva benissimo quello che si diceva, perché guardava tutti in viso ad uno ad uno,
con certi occhi che facevano male a vedere; ed appena il medico se ne fu andato, mentre stava a parlare ancora
sull’uscio con Mena che piangeva, e Alessi il quale diceva di no e batteva i piedi, fece segno alla Nunziata di
accostarsi al letto, e le disse piano: – Se mi mandate all’ospedale sarà meglio: qui ve li mangio io i denari della
settimana. Mandami via quando non ci sarà in casa la Mena e Alessi. Direbbero di no perché hanno il buon
cuore dei Malavoglia; ma io vi mangio i soldi della casa, e poi il medico ha detto che posso starci degli anni qui
dove sono. E qui non ci ho più nulla da fare. Però non vorrei camparci degli anni, laggiù all’ospedale.
28
La Nunziata si metteva a piangere anch’essa e diceva di no, tanto che tutto il vicinato sparlava di loro,
che volevano fare i superbi senza aver pane da mangiare. Si vergognavano di mandare il nonno all’ospedale,
mentre ci avevano tutti gli altri di qua e di là, e dove poi!
29
E la Santuzza baciava la medaglia che portava sul petto, per ringraziare la Madonna che l’aveva
protetta dal pericolo dove era andata a cascare la sorella di Sant’Agata, come tante altre. – Quel povero vecchio
dovrebbero mandarlo all’ospedale, per non fargli avere il purgatorio prima che muoia, – diceva. Almeno lei non
gli faceva mancar nulla a suo padre, adesso che era invalido, e se lo teneva sull’uscio. – E vi aiuta anzi!
aggiungeva Piedipapera. – Quell’invalido lì vale tant’oro quanto pesa! Par fatto apposta per la porta di
un’osteria, così cieco e rattrappito com’è! E dovreste pregare la Madonna che vi campi cent’anni. Già cosa vi
costa?
30
La Santuzza aveva ragione di baciare la medaglia; nessuno poteva dire nulla dei fatti suoi; dacché don
Michele se n’era andato, massaro Filippo non si faceva veder più nemmeno lui, e la gente diceva che colui non
3
sapeva stare senza l’aiuto di don Michele. Ora la moglie di Cinghialenta veniva di tanto in tanto a fare il
diavolo davanti all’osteria, coi pugni sui fianchi, strillando che la Santuzza le rubava il marito, e perciò quando
costui tornava a casa ella si buscava delle frustate colle redini della cavezza, dopo che Cinghialenta aveva
venduto il mulo, e non sapeva più che farsene delle redini, che la notte i vicini non potevano chiuder occhio
dalle grida.
31
– Questo non va bene! diceva don Silvestro, la cavezza è fatta per il mulo. Compare Cinghialenta è un
uomo grossolano. – Egli andava a dire queste cose quando c’era comare Venera la Zuppidda, la quale dopo che
la leva si portava via i giovanotti del paese, aveva finito per addomesticarsi un po’ con lui.
– Ognuno sa gli affari di casa sua, rispondeva la Zuppidda; – se lo dite per ciò che vanno predicando le
male lingue, che io metto le mani addosso a mio marito, vi rispondo che non sapete un corno, tuttoché sapete di
lettera. Del resto ognuno in casa sua fa quel che gli pare e piace. Il padrone è mio marito.
– Tu lasciali dire, – rispondeva suo marito. – Poi lo sanno che se vengono a toccarmi il naso ne faccio
tonnina!
32
La Zuppidda adesso predicava che il capo della casa era suo marito, ed egli era il padrone di maritare la
Barbara con chi gli piaceva, e se voleva darla a don Silvestro voleva dire che gliela aveva promessa, e aveva
chinato il capo; e quando suo marito aveva chinato il capo, era peggio di un bue.
– Già! sentenziava don Franco colla barba in aria, – ha chinato il capo perché don Silvestro è di quegli
che tengono il manico del mestolo.
33
Dacché era stato al tribunale in mezzo a tutti quegli sbirri, don Franco era più arrabbiato di prima, e
giurava che non ci sarebbe tornato più neanche in mezzo ai carabinieri. Allorché don Giammaria alzava la voce
per discutere, ei gli piantava le unghie negli occhi, rizzandosi sulle gambette, rosso come un gallo, e lo cacciava
in fondo alla bottega. – Lo fate apposta per compromettermi! – gli sputava in faccia colla schiuma alla bocca; e
se due quistionavano nella piazza, correva a chiudere l’uscio acciò non lo chiamassero per testimonio. 34 Don
Giammaria era trionfante; quell’asparagio verde aveva del coraggio quanto un leone, perché ci aveva la tonaca
sulle spalle, e sparlava del Governo, pappandosi la lira al giorno, e diceva che se lo meritavano quel Governo,
giacché avevano fatto la rivoluzione, e ora venivano i forestieri a rapire le donne e i denari della gente. Ei
sapeva di chi parlava, che gli era venuta l’itterizia dalla collera, e donna Rosolina era dimagrita dalla bile,
massime dopo che se n’era andato don Michele, e s’erano sapute tutte le porcherie di quest’altro. Adesso non
faceva che andare a caccia di messe e di confessori, di qua e di là, sino all’Ognina e ad Aci Castello, e
trascurava la conserva dei pomidoro e il tonno sott’olio, per darsi a Dio.
35
Don Franco allora si sfogava mettendosi a ridere come una gallina, all’uso di don Silvestro, rizzandosi
sulla punta dei piedi, coll’uscio spalancato a due battenti, che per questo non c’era pericolo d’andare in
prigione; e diceva che finché ci sarebbero stati i preti era sempre la stessa cosa, e bisognava fare tavola rasa,
s’intendeva lui, trinciando colla mano in giro.
– Io per me li vorrei tutti arsi! rispondeva don Giammaria, che intendeva anche lui di chi parlava.
36
Ora lo speziale non teneva più cattedra; e quando veniva don Silvestro, andava a pestare i suoi unguenti
nel mortaio, per non compromettersi. Già tutti quelli che bazzicano col Governo, e mangiano il pane del re, son
tutta gente da guardarsene. E si sfogava soltanto con don Giammaria, e con don Ciccio il medico, quando
lasciava l’asinello alla spezieria per andare a tastare il polso a padron ’Ntoni, e ricette non ne scriveva, perché
diceva che erano inutili, con quella povera gente che non aveva denari da buttar via.
– Allora perché non lo mandano all’ospedale, quel vecchio? tornavano a dire gli altri, – e perché se lo
tengono in casa a farselo mangiare dalle pulci?
37
Tanto che, pesta e ripesta, il medico ripeteva che andava e veniva per niente, e faceva il viaggio del
sale, e allorché c’erano le comari davanti al letto del malato, comare Piedipapera, la cugina Anna o la Nunziata,
predicava sempre che se lo mangiavano le pulci. Padron ’Ntoni non osava più fiatare, colla faccia bianca e
disfatta. E come le comari cinguettavano fra di loro, e fino alla Nunziata cascavan le braccia, un giorno che
Alessi non c’era, disse infine: – Chiamatemi compare Mosca, che lui me la farà la carità di portarmi
all’ospedale sul suo carro.
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Così padron ’Ntoni se ne andò all’ospedale sul carro di Alfio Mosca, il quale ci aveva messo la
materassa ed i guanciali, ma il povero malato, sebbene non dicesse nulla, andava guardando dappertutto,
mentre lo portavano fuori reggendolo per le ascelle, il giorno in cui Alessi era andato a Riposto, e avevano
mandato via la Mena con un pretesto, che se no non l’avrebbero lasciato partire. Sulla strada del Nero, nel
passare davanti alla casa del nespolo, e nell’attraversare la piazza, padron ’Ntoni continuava a guardare di qua e
di là per stamparsi in mente ogni cosa. Alfio guidava il mulo da una parte, e Nunziata, la quale aveva lasciato in
custodia a Turi il vitello, i tacchini, e le pollastre, veniva a piedi dall’altro lato, col fagotto delle camicie sotto il
braccio. 39 Al vedere passare il carro ognuno si affacciava sulla porta, e stava a guardare; e don Silvestro disse
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che avevano fatto bene, per questo il Comune pagava la sua rata all’ospedale; e don Franco avrebbe anche
spifferata la sua predica, che ce l’aveva in testa bella e fatta, se non ci fosse stato lì presente don Silvestro. –
Almeno quel povero diavolo va a stare in pace, conchiuse lo zio Crocifisso.
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– «Necessità abbassa nobiltà», rispose padron Cipolla; e la Santuzza disse un’avemaria pel poveretto.
Solo la cugina Anna e comare Grazia Piedipapera si asciugavano gli occhi col grembiule, come il carro se ne
andava lentamente sobbalzando sui sassi. Ma compare Tino rimbeccò alla moglie: – O perché mi fai il
piagnisteo? Che son forse morto io? A te che te ne importa?
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Alfio Mosca, mentre guidava il mulo, andava raccontando alla Nunziata come e dove avesse vista la
Lia, ch’era tutta Sant’Agata, e ancora non gli pareva vero a lui stesso che l’avesse vista coi suoi occhi, tanto che
la voce gli mancava nella gola, mentre ne parlava per ingannare la noia, lungo la strada polverosa. – Ah
Nunziata! chi l’avrebbe detto, quando stavamo a chiacchierare da un uscio all’altro, e c’era la luna, e i vicini
discorrevano lì davanti, e si udiva colpettare tutto il giorno quel telaio di Sant’Agata, e quelle galline che la
conoscevano soltanto all’aprire che faceva il rastrello, e la Longa che la chiamava pel cortile, che ogni cosa si
udiva da casa mia come se fosse stato proprio là dentro! Povera Longa! 42 Adesso, vedi, che ci ho il mulo, e
ogni cosa come desideravo, che se fosse venuto a dirmelo l’angelo del cielo non ci avrei creduto, adesso penso
sempre a quelle sere là, quando udivo la voce di voialtre, mentre governavo l’asino, e vedevo il lume nella casa
del nespolo, che ora è chiusa, e quando son tornato non ho trovato più niente di quel che avevo lasciato, e
comare Mena non mi è parsa più quella. Uno che se ne va dal paese è meglio non ci torni più. Vedi, ora penso
pure a quel povero asino che ha lavorato con me tanto tempo, e andava sempre, sole o pioggia, col capo basso e
le orecchie larghe. Adesso chissà dove lo cacciano, e con quali carichi, e per quali strade, colle orecchie più
basse ancora, ché anch’egli fiuta col naso la terra che deve raccoglierlo, come si fa vecchio, povera bestia!
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Padron ’Ntoni, disteso sulla materassa, non udiva nulla, e ci avevano messo sul carro una coperta colle
canne, sicché sembrava che portassero un morto. – Per lui è meglio che non oda più nulla, seguitava compare
Alfio. L’angustia di ’Ntoni già l’ha sentita, e un giorno o l’altro gli toccherebbe anche di sentire come è andata
a finire la Lia.
– Me lo domandava spesso, quando eravamo soli, rispose la Nunziata. – Voleva sapere dove fosse.
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– È andata dietro a suo fratello. Noi poveretti siamo come le pecore, e andiamo sempre con gli occhi
chiusi dove vanno gli altri. Tu non glielo dire, né lo dire a nessuno del paese, dove ho visto la Lia, ché sarebbe
un colpo di coltello per Sant’Agata. Ella mi riconobbe di certo, mentre passavo davanti all’uscio, perché si fece
bianca e rossa nella faccia, ed io frustai il mulo per passare presto, e son certo che quella poveretta avrebbe
voluto piuttosto che il mulo le fosse camminato sulla pancia, e la portassero distesa sul carro come portiamo
adesso suo nonno. Ora la famiglia dei Malavoglia è distrutta, e bisogna rifarla di nuovo tu e Alessi.
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– I denari per la roba ci sono già; a San Giovanni venderemo anche il vitello.
– Bravi! così, quando ci avrete i denari da parte, non c’è pericolo che vi sfumino in un giorno, come
accadrebbe se il vitello venisse a morire, Dio liberi! Ora siamo alle prime case della città, e tu potrai aspettarmi
qui, se non vuoi venire sino all’ospedale.
– No, voglio venire anch’io; così almeno vedrò dove lo mettono, ed egli pure mi vedrà sino all’ultimo
momento.
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Padron ’Ntoni poté vederla sino all’ultimo momento, e mentre la Nunziata se ne andava via con Alfio
Mosca, adagio adagio, pel camerone che pareva d’essere in chiesa al camminare, li accompagnava cogli occhi;
poi si voltò dall’altra parte e non si mosse più. Compar Alfio e la Nunziata risalirono sul carro, arrotolarono la
materassa e la coperta, e se ne tornarono senza dir nulla, per la lunga strada polverosa.
Alessi si dava i pugni nella testa e si strappava i capelli, come non trovò più il nonno nel suo letto, e vide
che gli riportavano la materassa arrotolata; e se la prendeva colla Mena, quasi fosse stata lei a mandarlo via. Ma
compar Alfio gli diceva: – Che volete? La casa dei Malavoglia ora è distrutta, e bisogna che la facciate di
nuovo voi altri.
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Egli voleva tornare a fargli il conto della roba e del vitello, di cui avevano chiacchierato lungo la strada
colla ragazza; ma Alessi e Mena non gli davano retta, colla testa nelle mani e gli occhi fissi e lucenti di lagrime,
seduti sulla porta della casa dove oramai erano soli davvero. Compar Alfio in questo mentre cercava di
confortarli col rammentar loro com’era prima la casa del nespolo, quando stavano a chiacchierare da un uscio
all’altro, colla luna, e si udiva tutto il giorno il colpettare del telaio di Sant’Agata, e le galline che chiocciavano,
e la voce della Longa che aveva sempre da fare. 48 Adesso tutto era cambiato, e quando uno se ne va dal paese, è
meglio che non ci torni più, perché la strada stessa non sembrava più quella, dacché non c’era più quel
passeggio per la Mangiacarrubbe, e don Silvestro non si faceva vedere nemmeno lui, aspettando che la
Zuppidda cascasse coi suoi piedi, e lo zio Crocifisso s’era chiuso in casa a guardarsi la sua roba, o ad
accapigliarsi colla Vespa, e persino non si udiva quistionar tanto nella spezieria, dacché don Franco aveva visto
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la giustizia nel mostaccio, ed ora andava a rincantucciarsi per leggere il giornale, e si sfogava a pestare nel
mortaio tutto il giorno per passare il tempo. Anche padron Cipolla non ci stava più a schiacciare gli scalini
davanti la chiesa, dacché aveva perso la pace.
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Un bel giorno corse la notizia che padron Fortunato si maritava, perché la sua roba non se la godesse la
Mangiacarrubbe, alla barba di lui; per questo non ci stava più a schiacciare gli scalini, e si pigliava la Zuppidda.
– E mi diceva che il matrimonio è come una trappola di topi! andava brontolando allora lo zio Crocifisso. – Ora
state a fidarvi degli uomini?
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Le ragazze invidiose dicevano che la Barbara sposava suo nonno. Ma la gente di proposito, come Peppi
Naso, e Piedipapera, ed anche don Franco, mormoravano: – Questa l’ha vinta comare Venera contro don
Silvestro; è un gran colpo per don Silvestro, ed è meglio che se ne vada dal paese. Già i forestieri, frustali! e qui
non ci hanno messo mai radici i forestieri. Con padron Cipolla non ardirà mettercisi a tu per tu don Silvestro.
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– O che credeva? sbraitava comare Venera colle mani sui fianchi, – di prendersi mia figlia colla
carestia? Stavolta comando io! e gliel’ho fatta capire a mio marito! Chi è buon cane mangia al trogolo;
forestieri non ne vogliamo per la casa. Una volta in paese si stava meglio, quando non erano venuti quelli di
fuori a scrivere sulla carta i bocconi che vi mangiate, come don Silvestro, o a pestare fiori di malva nel mortaio,
e ingrassarsi col sangue di quei del paese. Allora ognuno si conosceva, e si sapeva quel che faceva, e quel che
avevano sempre fatto suo padre e suo nonno, e perfino quel che mangiava, e quando si vedeva passare uno si
sapeva dove andava, e le chiuse erano di quelli che c’erano nati, e il pesce non si lasciava prendere da questo e
da quello. Allora la gente non si sbandava di qua e di là, e non andava a morire all’ospedale.
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Giacché tutti si maritavano, Alfio Mosca avrebbe voluto prendersi comare Mena, che nessuno la voleva
più, dacché la casa dei Malavoglia s’era sfasciata, e compar Alfio avrebbe potuto dirsi un bel partito per lei, col
mulo che ci aveva; così la domenica ruminava fra di sé tutte le ragioni per farsi animo, mentre stava accanto a
lei, seduto davanti alla casa, colle spalle al muro, a sminuzzare gli sterpolini della siepe per ingannare il tempo.
Anche lei guardava la gente che passava, e così facevano festa la domenica: – Se voi mi volete ancora, comare
Mena, disse finalmente, io per me son qua.
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La povera Mena non si fece neppur rossa, sentendo che compare Alfio aveva indovinato che ella lo
voleva, quando stavano per darla a Brasi Cipolla, tanto le pareva che quel tempo fosse lontano, ed ella stessa
non si sentiva più quella. – Ora sono vecchia, compare Alfio, rispose, e non mi marito più.
– Se voi siete vecchia, anch’io sono vecchio, ché avevo degli anni più di voi, quando stavamo a
chiacchierare dalla finestra, e mi pare che sia stato ieri, tanto m’è rimasto in cuore. Ma devono essere passati
più di otto anni. E ora quando si sarà maritato vostro fratello Alessi, voi restate in mezzo alla strada.
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Mena si strinse nelle spalle, perché era avvezza a fare la volontà di Dio, come la cugina Anna; e
compare Alfio, vedendo così, riprese:
– Allora vuol dire che non mi volete bene, comare Mena, e scusatemi se vi ho detto che vi avrei sposata.
Lo so che voi siete nata meglio di me, e siete figlia di padroni; ma ora non avete più nulla, e se si marita vostro
fratello Alessi, rimarrete in mezzo alla strada. Io ci ho il mulo e il mio carro, e il pane non ve lo farei mancare
giammai, comare Mena. Ora perdonatemi la libertà!
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– Non mi avete offesa, no, compare Alfio; e vi avrei detto di sì anche quando avevamo la Provvidenza
e la casa del nespolo, se i miei parenti avessero voluto, che Dio sa quel che ci avevo in cuore quando ve ne siete
andato alla Bicocca col carro dell’asino, e mi pare ancora di vedere, quel lume nella stalla, e voi che mettevate
tutta la vostra roba sul carretto, nel cortile; vi rammentate?
– Sì, che mi rammento! Allora perché non mi dite di sì, ora che non avete più nulla, e ci ho il mulo
invece dell’asino al carretto, e i vostri parenti non potrebbero dir di no?
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– Ora non son più da maritare; tornava a dire Mena col viso basso, e sminuzzando gli sterpolini della
siepe anche lei. Ho ventisei anni, ed è passato il tempo di maritarmi.
– No, che non è questo il motivo per cui non volete dirmi di sì! ripeteva compar Alfio col viso basso
come lei. – Il motivo non volete dirmelo! – E così rimanevano in silenzio a sminuzzare sterpolini senza
guardarsi in faccia. Dopo egli si alzava per andarsene, colle spalle grosse e il mento sul petto. Mena lo
accompagnava cogli occhi finché poteva vederlo, e poi guardava al muro dirimpetto e sospirava.
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Come aveva detto Alfio Mosca, Alessi s’era tolta in moglie la Nunziata, e aveva riscattata la casa del
nespolo.
– Io non son da maritare, aveva tornato a dire la Mena; – maritati tu che sei da maritare ancora; – e così
ella era salita nella soffitta della casa del nespolo, come le casseruole vecchie, e s’era messo il cuore in pace,
aspettando i figliuoli della Nunziata per far la mamma. Ci avevano pure le galline nel pollaio, e il vitello nella
stalla, e la legna e il mangime sotto la tettoia, e le reti e ogni sorta di attrezzi appesi, il tutto come aveva detto
padron ’Ntoni; e la Nunziata aveva ripiantato nell’orto i broccoli ed i cavoli, con quelle braccia delicate che non
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si sapeva come ci fosse passata tanta tela da imbiancare, e come avesse fatti quei marmocchi grassi e rossi che
la Mena si portava in collo pel vicinato, quasi li avesse messi al mondo lei, quando faceva la mamma.
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Compare Mosca scrollava il capo, mentre la vedeva passare, e si voltava dall’altra parte, colle spalle
grosse. – A me non mi avete creduto degno di quest’onore! le disse alfine quando non ne poté più, col cuore più
grosso delle spalle. – Io non ero degno di sentirmi dir di sì!
– No, compar Alfio! – rispose Mena la quale si sentiva spuntare le lagrime. – Per quest’anima pura che
tengo sulle braccia! Non è per questo motivo. Ma io non son più da maritare.
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– Perché non siete più da maritare, comare Mena?
– No! no! – ripeteva comare Mena, che quasi piangeva. – Non me lo fate dire, compar Alfio! Non mi fate
parlare! Ora se io mi maritassi, la gente tornerebbe a parlare di mia sorella Lia, giacché nessuno oserebbe
prendersela una Malavoglia, dopo quello che è successo. Voi pel primo ve ne pentireste. Lasciatemi stare, che
non sono da maritare, e mettetevi il cuore in pace.
– Avete ragione, comare Mena! rispose compare Mosca; – a questo non ci avevo mai pensato. Maledetta
la sorte che ha fatto nascere tanti guai!
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Così compare Alfio si mise il cuore in pace, e Mena seguitò a portare in braccio i suoi nipoti, quasi ci
avesse il cuore in pace anche lei, e a spazzare la soffitta, per quando fossero tornati gli altri, che c’erano nati
anche loro, – come se fossero stati in viaggio per tornare! – diceva Piedipapera.
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Invece padron ’Ntoni aveva fatto quel viaggio lontano, più lontano di Trieste e d’Alessandria d’Egitto,
dal quale non si ritorna più; e quando il suo nome cadeva nel discorso, mentre si riposavano, tirando il conto
della settimana e facendo i disegni per l’avvenire, all’ombra del nespolo e colle scodelle fra le ginocchia, le
chiacchiere morivano di botto, che a tutti pareva d’avere il povero vecchio davanti agli occhi, come l’avevano
visto l’ultima volta che erano andati a trovarlo in quella gran cameraccia coi letti in fila, che bisognava cercarlo
per trovarlo, e il nonno li aspettava come un’anima del purgatorio, cogli occhi alla porta, sebbene non ci
vedesse quasi, e li andava toccando, per accertarsi che erano loro, e poi non diceva più nulla, mentre gli si
vedeva in faccia che aveva tante cose da dire, e spezzava il cuore con quella pena che gli si leggeva in faccia e
non la poteva dire. 62 Quando gli narrarono poi che avevano riscattata la casa del nespolo, e volevano portarselo
a Trezza di nuovo, rispose di sì, e di sì, cogli occhi, che gli tornavano a luccicare, e quasi faceva la bocca a riso,
quel riso della gente che non ride più, o che ride per l’ultima volta, e vi rimane fitto nel cuore come un coltello.
Così successe ai Malavoglia quando il lunedì tornarono col carro di compar Alfio per riprendersi il nonno, e
non lo trovarono più.
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Rammentando tutte queste cose lasciavano il cucchiaio nella scodella, e pensavano e pensavano a tutto
quello che era accaduto, che sembrava scuro scuro, come ci fosse sopra l’ombra del nespolo. Ora, quando
veniva la cugina Anna a filare un po’ con le comari, aveva i capelli bianchi, e diceva che aveva perso il riso
della bocca, perché non aveva tempo di stare allegra, colla famiglia che aveva sulle spalle, e Rocco che tutti i
giorni bisognava andare a cercare di qua e di là, per le strade e davanti la bettola, e cacciarlo verso casa come
un vitello vagabondo. Anche dei Malavoglia ce n’erano due vagabondi; e Alessi si tormentava il cervello a
cercarli dove potevano essere, per le strade arse di sole e bianche di polvere, che in paese non sarebbero tornati
più, dopo tanto tempo.
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Una sera, tardi, il cane si mise ad abbaiare dietro l’uscio del cortile, e lo stesso Alessi, che andò ad
aprire, non riconobbe ’Ntoni il quale tornava colla sporta sotto il braccio, tanto era mutato, coperto di polvere, e
colla barba lunga. Come fu entrato e si fu messo a sedere in un cantuccio, non osavano quasi fargli festa. Ei non
sembrava più quello, e andava guardando in giro le pareti, come non le avesse mai viste; fino il cane gli
abbaiava, ché non l’aveva conosciuto mai. Gli misero fra le gambe la scodella, perché aveva fame e sete, ed
egli mangiò in silenzio la minestra che gli diedero, come non avesse visto grazia di Dio da otto giorni, col naso
nel piatto; ma gli altri non avevano fame, tanto avevano il cuore serrato. Poi ’Ntoni, quando si fu sfamato e
riposato alquanto, prese la sua sporta e si alzò per andarsene.
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Alessi non osava dirgli nulla, tanto suo fratello era mutato. Ma al vedergli riprendere la sporta, si sentì
balzare il cuore dal petto, e Mena gli disse tutta smarrita: – Te ne vai?
– Sì! rispose ’Ntoni.
– E dove vai? chiese Alessi.
– Non lo so. Venni per vedervi. Ma dacché son qui la minestra mi è andata tutta in veleno. Per altro qui
non posso starci, ché tutti mi conoscono, e perciò son venuto di sera. Andrò lontano, dove troverò da buscarmi
il pane, e nessuno saprà chi sono.
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Gli altri non osavano fiatare, perché ci avevano il cuore stretto in una morsa, e capivano che egli faceva
bene a dir così. ’Ntoni continuava a guardare dappertutto, e stava sulla porta, e non sapeva risolversi ad
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andarsene. – Ve lo farò sapere dove sarò; disse infine, e come fu nel cortile, sotto il nespolo, che era scuro,
disse anche:
– E il nonno?
Alessi non rispose; ’Ntoni tacque anche lui, e dopo un pezzetto:
– E la Lia, che non l’ho vista?
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E siccome aspettava inutilmente la risposta, aggiunse colla voce tremante, quasi avesse freddo:
– È morta anche lei?
Alessi non rispose nemmeno; allora ’Ntoni che era sotto il nespolo, colla sporta in mano, fece per
sedersi, poiché le gambe gli tremavano, ma si rizzò di botto, balbettando:
– Addio! addio! Lo vedete che devo andarmene?
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Prima d’andarsene voleva fare un giro per la casa, onde vedere se ogni cosa fosse al suo posto come
prima; ma adesso, a lui che gli era bastato l’animo di lasciarla e di dare una coltellata a don Michele, e di
starsene nei guai, non gli bastava l’animo di passare da una camera all’altra se non glielo dicevano. Alessi che
gli vide negli occhi il desiderio, lo fece entrare nella stalla, col pretesto del vitello che aveva comperato la
Nunziata, ed era grasso e lucente; e in un canto c’era pure la chioccia coi pulcini; poi lo condusse in cucina,
dove avevano fatto il forno nuovo, e nella camera accanto, che vi dormiva la Mena coi bambini della Nunziata,
e pareva che li avesse fatti lei. 69 ’Ntoni guardava ogni cosa, e approvava col capo, e diceva: – Qui pure il nonno
avrebbe voluto metterci il vitello; qui c’erano le chioccie, e qui dormivano le ragazze, quando c’era anche
quell’altra... – Ma allora non aggiunse altro, e stette zitto a guardare intorno, cogli occhi lustri. In quel
momento passava la Mangiacarrubbe, che andava sgridando Brasi Cipolla per la strada, e ’Ntoni disse: –
Questa qui l’ha trovato il marito; ed ora, quando avranno finito di quistionare, andranno a dormire nella loro
casa.
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Gli altri stettero zitti, e per tutto il paese era un gran silenzio, soltanto si udiva sbattere ancora qualche
porta che si chiudeva; e Alessi a quelle parole si fece coraggio per dirgli:
– Se volessi anche tu ci hai la tua casa. Di là c’è apposta il letto per te.
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– No! rispose ’Ntoni. Io devo andarmene. Là c’era il letto della mamma, che lei inzuppava tutto di
lagrime quando volevo andarmene. Ti rammenti le belle chiacchierate che si facevano la sera, mentre si
salavano le acciughe? e la Nunziata che spiegava gli indovinelli? e la mamma, e la Lia, tutti lì, al chiaro di luna,
che si sentiva chiacchierare per tutto il paese, come fossimo tutti una famiglia? Anch’io allora non sapevo
nulla, e qui non volevo starci, ma ora che so ogni cosa devo andarmene.
In quel momento parlava cogli occhi fissi a terra, e il capo rannicchiato nelle spalle. Allora Alessi gli
buttò le braccia al collo.
– Addio, ripeté ’Ntoni. Vedi che avevo ragione d’andarmene! qui non posso starci. Addio, perdonatemi
tutti.
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E se ne andò colla sua sporta sotto il braccio; poi, quando fu lontano, in mezzo alla piazza scura e
deserta, che tutti gli usci erano chiusi, si fermò ad ascoltare se chiudessero la porta della casa del nespolo,
mentre il cane gli abbaiava dietro, e gli diceva col suo abbaiare che era solo in mezzo al paese. Soltanto il mare
gli brontolava la solita storia lì sotto, in mezzo ai fariglioni, perché il mare non ha paese nemmeno lui, ed è di
tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole, anzi ad Aci Trezza ha un modo
tutto suo di brontolare, e si riconosce subito al gorgogliare che fa tra quegli scogli nei quali si rompe, e par la
voce di un amico.
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Allora ’Ntoni si fermò in mezzo alla strada a guardare il paese tutto nero, come non gli bastasse il
cuore di staccarsene, adesso che sapeva ogni cosa, e sedette sul muricciuolo della vigna di massaro Filippo.
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Così stette un gran pezzo pensando a tante cose, guardando il paese nero, e ascoltando il mare che gli
brontolava lì sotto. E ci stette fin quando cominciarono ad udirsi certi rumori ch’ei conosceva, e delle voci che
si chiamavano dietro gli usci, e sbatter d’imposte, e dei passi per le strade buie. Sulla riva, in fondo alla piazza,
cominciavano a formicolare dei lumi. Egli levò il capo a guardare i Tre Re che luccicavano, e la Puddara che
annunziava l’alba, come l’aveva vista tante volte. Allora tornò a chinare il capo sul petto, e a pensare a tutta la
sua storia. 75 A poco a poco il mare cominciò a farsi bianco, e i Tre Re ad impallidire, e le case spuntavano ad
una ad una nelle vie scure, cogli usci chiusi, che si conoscevano tutte, e solo davanti alla bottega di Pizzuto
c’era il lumicino, e Rocco Spatu colle mani nelle tasche che tossiva e sputacchiava. – Fra poco lo zio Santoro
aprirà la porta, pensò ’Ntoni, e si accoccolerà sull’uscio a cominciare la sua giornata anche lui. – Tornò a
guardare il mare, che s’era fatto amaranto, tutto seminato di barche che avevano cominciato la loro giornata
anche loro, riprese la sua sporta, e disse: – Ora è tempo d’andarmene, perché fra poco comincierà a passar
gente. Ma il primo di tutti a cominciar la sua giornata è stato Rocco Spatu.
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Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 90/S1
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
A seconda della reggenza del verbo interessato, il discorso indiretto è legato al verbo
introduttore da che (dire, rispondere, credere, ribattere, raccontare, confermare, strillare,
predicare, giurare, ripetere) oppure da elementi variabili come perché , cosa , dove
(qualora si tratti di verbo di domanda) o di (retto da ‘parlare’ e ‘sparlare’ e da ‘dire’ nel
sintagma ‘dire di no’).
I connettori marcano il punto preciso a partire dal quale viene riferito il discorso diretto;
si assiste però non di rado all’omissione del connettore di massima ricorrenza, il che
dichiarativo, o alla sua sostituzione con e o con un elemento d’interpunzione.
Nei casi riferiti di seguito e nelle slide seguenti è segnalato con il grassetto il verbum
dicendi e con il segno ∨ l’omissione del che dichiarativo (in rosso anche l’eventuale e che
lo sostituisce o che lo riprende se già citato in precedenza e /o la punteggiatura
coinvolta):
I) 1,1-2: “La gente diceva che la Lia era andata a stare con don Michele; ∨ già i
Malavoglia non avevano più niente da perdere, e ∨ don Michele almeno le avrebbe dato il
pane.”;
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 90/S1
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
II) 1,5-7: “diceva che «la fame fa uscire il lupo dal bosco», e «cane affamato non teme
bastone»; ma ∨ di lui non volevano saperne, ora che era ridotto in quello stato.”;
III) 5,3-4: “gli diceva, per farlo contento, che ci voleva poco a mettere insieme un’altra
volta i denari della casa del nespolo, e ∨ fra un anno o due ci sarebbero arrivati.”;
IV) 6,1-2: “ribatteva che adesso non avevano più bisogno della casa; e ∨ meglio che
non ci fosse mai stata al mondo la casa dei Malavoglia”;
V) 11,2-3: “diceva che quelle cose son fatte per i ricchi, e ∨ la roba bianca non era bene
di farsela intanto che cresceva ancora.”;
VI) 26, 1-4: “don Ciccio disse che era proprio finita, e ∨ non ci era più bisogno di lui, che
là in quel letto dove era, poteva starci anche degli anni, e ∨ Alessi o la Mena ed anche
la Nunziata dovevano perdere le loro giornate a far la guardia; ∨ se no se lo sarebbero
mangiato i porci, come trovavano l’uscio aperto.”;
VII) 28, 1-3: “tutto il vicinato sparlava di loro, che volevano fare i superbi senza aver
pane da mangiare. ∨ Si vergognavano di mandare il nonno all’ospedale, mentre ci
avevano tutti gli altri di qua e di là, e dove poi!”;
VIII) 32, 1-2: “La Zuppidda adesso predicava che il capo della casa era suo marito, ed ∨
egli era il padrone di maritare la Barbara con chi gli piaceva, e ∨ se voleva darla a don
Silvestro voleva dire che gliela aveva promessa, e ∨ aveva chinato il capo; e ∨ quando suo
marito aveva chinato il capo, era peggio di un bue.”;
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 90/S1
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
IX) 41,1-2: “andava raccontando alla Nunziata come e dove avesse vista la Lia, ch’era
tutta Sant’Agata, e ∨ ancora non gli pareva vero a lui stesso che l’avesse vista coi suoi
occhi”;
X) 47,3-48,8: “Compar Alfio in questo mentre cercava di confortarli col rammentar loro
com’era prima la casa del nespolo, quando stavano a chiacchierare da un uscio all’altro,
colla luna, e si udiva tutto il giorno il colpettare del telaio di Sant’Agata, e le galline che
chiocciavano, e la voce della Longa che aveva sempre da fare. ∨ Adesso tutto era
cambiato, e quando uno se ne va dal paese, è meglio che non ci torni più, perché la
strada stessa non sembrava più quella, dacché non c’era più quel passeggio per la
Mangiacarrubbe, e don Silvestro non si faceva vedere nemmeno lui, aspettando che la
Zuppidda cascasse coi suoi piedi, e lo zio Crocifisso s’era chiuso in casa a guardarsi la sua
roba, o ad accapigliarsi colla Vespa, e persino non si udiva quistionar tanto nella
spezieria, dacché don Franco aveva visto la giustizia nel mostaccio, ed ora andava a
rincantucciarsi per leggere il giornale, e si sfogava a pestare nel mortaio tutto il giorno
per passare il tempo. Anche padron Cipolla non ci stava più a schiacciare gli scalini
davanti la chiesa, dacché aveva perso la pace.”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 90/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
Gli escamotages grafici, di cui abbiamo corredato gli esempi estratti dal XV capitolo
de I Malavoglia, hanno tentato di ricondurre la sintassi verghiana a modelli logici e
sintattici razionalizzanti e regolati, ai quali ci ha abituato la scuola e la scrittura; si
sarà però anche notato che non tutti i casi elencati sopra paiono spiegarsi con lo
stesso grado di persuasività come esempi di omissione di che dichiarativo.
A tale tentativo di spiegazione ci ha indotto la vicinanza di un verbum dicendi che a
tutta prima ci inviterebbe a distinguere tutti questi casi da vere e proprie
manifestazioni di discorso indiretto libero (che per definizione prescinde dal legame
con un verbo del dire); eppure una notevole differenza intonativa esiste fra quegli
esempi che separano il verbum dicendi dal discorso indiretto con una semplice
virgola e quelli invece in cui la frattura è eseguita mediante un segno forte di
interpunzione (punto e virgola o punto fermo), un segnale questo che l’autore ci
invita a raccogliere affinché si valuti più nello specifico, distinguendo caso per caso.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 90/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
Negli esempi III e V, nell’esempio VI (limitatamente alle due prime occorrenze),
nell’esempio VIII (soltanto le prime tre occorrenze) e nell’esempio IX il verbo reggente è
separato da quel che segue da una virgola; e sono questi i casi in cui l’ipotesi
dell’omissione del che dichiarativo pare più convincente (in essi la congiunzione e funge
da elemento di ripresa del che già espresso in precedenza).
Diversi gli altri casi nei quali la frattura interpuntiva forte provoca l’impressione che il
discorso indiretto sia introdotto ex abrupto come discorso diretto, dal quale è distinto
solo per il diverso utilizzo di modi e i tempi verbali e di persone grammaticali; in questi
casi a indirizzarci a favore dell’indiretto libero, stanno
1) gli elementi deittici che rimarcano nel tempo e nello spazio la concretezza e quasi
fisicità del parlante, non annullata dal filtro del narratore (si veda in I: già ‘ormai’, in II:
ora; in VII: di qua e di là; in X: Adesso ... quel passeggio ... ora)
oppure
2) la natura olofrastica (capace cioè di costituire da solo una frase, come sì, no)
dell’elemento su cui si regge il periodo (nel nostro caso meglio, d’intonazione
esclamativa): “meglio che non ci fosse mai stata al mondo la casa dei Malavoglia” di
IV
che costituiscono in entrambi i casi rilevatori secondari di cui parlava Nencioni.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 90/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
Sulla base della presenza di deittici, pur mancando il segno interpuntivo forte, si sarebbe
indotti ad avvicinare all’indiretto libero anche l’esempio IX, data la presenza di ancora,
mentre la presenza del punto e virgola nei casi II e VIII (che avevamo presentato come:
“ma ∨ di lui non volevano saperne, ora che era ridotto in quello stato” e rispettivamente
come “e ∨ quando suo marito aveva chinato il capo, era peggio di un bue”) indurrebbe a
intendere ma e rispettivamente e non come forme di ripresa del che precedente (e
dunque come connettori) ma piuttosto come elementi appartenenti a pieno titolo al
discorso indiretto secondo moduli di attacco caratteristici dell’oralità.
Del resto il medesimo attacco del discorso con e ricorre in
63, 3-6 “diceva che aveva perso il riso della bocca, perché non aveva tempo di stare
allegra, colla famiglia che aveva sulle spalle, e Rocco che tutti i giorni bisognava
andare a cercare di qua e di là, per le strade e davanti la bettola, e cacciarlo verso
casa come un vitello vagabondo.”
nel quale si passa senza soluzione di continuità dal discorso indiretto legato (retto da
diceva che) all’indiretto libero, quest’ultimo riportato ex abrupto con un effetto
pienamente mimetico. Infine il modo indicativo anziché condizionale denuncia l’indiretto
libero (indipendente dunque da diceva) in:
23,8-9 “gli diceva che avrebbero comprato un vitellino a San Sebastiano, ed ella
bastava a procurargli l’erba e il mangime per l’inverno”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 90/S3
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
Il discorso indiretto libero stabilisce con altri discorsi un rapporto dai confini fluidi; il
suo riconoscimento però ci consente di individuare il locutore.
In I il locutore è evidentemente quella gente con cui si apre il capitolo;
in II però è più difficile decidere se “ma di lui non volevano saperne” sono parole di
Padron ’Ntoni o di un eventuale altro personaggio;
in VIII “Si vergognavano di mandare il nonno all’ospedale, mentre ci avevano tutti gli
altri di qua e di là, e dove poi!”, solo l’esclamativo finale ci assicura che si tratta di
discorso del vicinato;
in X da “Adesso … perso la pace”, a ‘parlare’ è compare Alfio.
Meno problematica è invece l’individuazione dell’indiretto libero in
8,5-6: “Stavolta non potevano dargli nemmeno un bicchiere di vino, pel ben
tornato”;
15, 4-7: “Adesso quando l’incontrava per le strade lo salutava, e cercava di mandargli
anche la Vespa per parlargli di quell’affare, chissà che non si fossero rammen-
tati dell’amore antico, nello stesso tempo, e compare Mosca non riescis-
se a levargli quella croce di su le spalle.”;
;
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 90/S3
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
16, 2-3: “e non avrebbe cangiato lo zio Crocifisso con Vittorio Emanuele in carne ed
ossa, neanche se l’avessero tirata pei capelli”
24: “A maggio si sarebbe venduto [...] sicuro con compare Naso”;
29,3-4: “Almeno lei non gli faceva mancar nulla a suo padre, adesso che era invalido,
e se lo teneva sull’uscio”;
34,2-8: “quell’asparagio verde ... la lira al giorno”;
39,12: “e don Silvestro disse che avevano fatto bene, per questo il Comune pagava la sua
rata all’ospedale”
36,2-3 “Ora lo speziale non teneva più cattedra; e quando veniva don Silvestro, andava a
pestare i suoi unguenti nel mortaio, per non compromettersi. Già tutti quelli che bazzicano
col Governo, e mangiano il pane del re, son tutta gente da guardarsene”)
51: “– O che credeva? sbraitava comare Venera colle mani sui fianchi, – di prendersi mia figlia
colla carestia? Stavolta comando io! e gliel’ho fatta capire a mio marito! Chi è buon cane man-
gia al trogolo; forestieri non ne vogliamo per la casa. Una volta in paese si stava meglio,
quando non erano venuti quelli di fuori a scrivere sulla carta i bocconi che vi man-
giate, come don Silvestro, o a pestare fiori di malva nel mortaio, e ingrassarsi col
sangue di quei del paese. Allora ognuno si conosceva, e si sapeva quel che faceva,
e quel che avevano sempre fatto suo padre e suo nonno, e perfino quel che man-
giava, e quando si vedeva passare uno si sapeva dove andava, e le chiuse erano di
quelli che c’erano nati, e il pesce non si lasciava prendere da questo e da quello. Al-
lora la gente non si sbandava di qua e di là, e non andava a morire all’ospedale”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 91
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
Rilevatore primario dell’indiretto libero: la trasposizione
La lingua de I M alavoglia
La trasposizione coinvolge persone grammaticali e tempi verbali. In particolare:
1) le persone grammaticali I, II, III sing. → III sing.; I, II, III plur. → III plur-;
2) i tempi vengono rimodulati al piano cronologico di chi parla dunque al rapporto
cronologico fra narratore e fatti narrati (nel nostro caso passato remoto: Disse a compar
Alfio): in conseguenza di ciò
il presente indicativo → imperfetto indicativo (abbiamo → avevano; bisogna →
bisognava)
il futuro → condizionale passato (entra [presente in luogo di futuro] → sarebbe
entrato; prenderà → avrebbe preso); il futuro anteriore → trapassato
congiuntivo (avrò collocato → avesse collocato), data la sottintesa ipoteticità
il presente congiuntivo → imperfetto congiuntivo (abbia → avesse, dia → desse).
La frequenza dell’imperfetto, determinata dalla volontà verghiana di riferire il discorso sia
in forma mimetica (discorso diretto) sia raccontandolo (discorso indiretto) si aggiunge poi
alle normali funzioni dell’imperfetto, che esprime duratività, iteratività e imperfettività; la
prevalenza dell’imperfetto sul passato remoto nel cap. XV è valutabile in un rapporto di
oltre quattro volte superiore (circa 430 imperfetti rispetto a 97 passati remoti). La
disposizione del perfetto lungo i paragrafi del capitolo è visualizzabile dal grafico che
trovate nella slide successiva.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 91
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
La lingua de I M alavoglia
La caratteristica, condivisa anche da Vita dei campi, fu notata subito dai contemporanei e
censurata come
“abuso dell’imperfetto, che alle volte stanca e infastidisce. Quel continuo era, faceva,
aveva, alla lunga diventa come una cadenza fastidiosa, quasi una stonatura in mezzo
a tanta verità descrittiva e potenza d’analisi psicologica”
come ebbe a dire Filippo Filippi in una recensione a Vita dei campi (sulla “Perseveranza”
nel 1880), che dette luogo ad una lettera di risposta (11 ottobre 1880) in cui il Verga, fra
le altre cose, rivendicava consapevolmente proprio questa scelta:
“A questo proposito ti dirò che tutti quei passati imperfetti che mi critichi, sono voluti,
sono il risultato del mio modo di vedere, per rendere completa l’illusione della realtà
dell’opera d’arte, della non compartecipazione direi dell’autore”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 91/S1
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
“L’imperfetto, nella sua indefinita continuità, era certo il tempo più adatto a
rappresentare lo stagnante e desolato ripetersi della quotidianità di Trezza, solo
superficialmente inciso dai pochi eventi che segnano la via crucis della famiglia
Toscano”;
così Giovanni Nencioni sottolinea come l’alternanza del tempo grammaticale generi un
effetto prospettico che attribuisce il tempo durativo (l’imperfetto) allo sfondo corale e il
tempo perfettivo (il passato remoto) ai personaggi della famiglia Malavoglia (cfr. il
saggio già più volte citato, pp. 44-45). Il che corrisponde, in ultima analisi, all’ideologia
verghiana dell’intero ciclo dei vinti nel quale l’osservatore “travolto anch’esso dalla
fiumana” analizza per un verso il “cammino fatale, incessante, spesso faticoso e febbrile
che segue l’umanità per raggiungere la conquista del progresso [che] è grandioso nel
suo risultato, visto nell’insieme, da lontano”, ma dall’altro “guardandosi attorno, ha il
diritto di interessarsi ai deboli che restano per via, ai fiacchi che si lasciano sorpassare
dall’onda per finire più presto, ai vinti che levano le braccia disperate e piegano il capo
sotto il piede brutale dei sopravvegnenti [...]”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 91/S1
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
Quanto la scelta del tempo imperfetto in luogo del più raro passato remoto sia
stilisticamente connotata si può vedere considerando singoli casi. Nei paragrafi 16-22,
dopo l’assenza completa del passato remoto nei paragrafi 16, 17, 18 assistiamo ad un
piccolo picco (due occorrenze nel paragrafo 19, tre nel paragrafo 20, una nel paragrafo
21) che poi si annulla di nuovo nei successivi paragrafi. In tutto questo brano si racconta
come compare Alfio venga contattato indirettamente da Campana di legno perché si
faccia da intermediario presso i Malavoglia per rivendere loro la casa del nespolo. Le
battute di dialogo che interessano i paragrafi 17-20 si riferiscono necessariamente ad un
evento preciso (un singolo incontro fra Campana di legno e compare Alfio al quale si
aggiunge ad un certo momento compare Cipolla) che a rigor di grammatica avrebbe
dovuto essere tutto riferito al passato remoto, come dimostrano gli occasionali passati
remoti effettivamente eseguiti (stette, lasciò a 19; continuò, disse, seguitò a 20), e come
si evince dalla battuta di 18: “Quello che stavo dicendo qui a compare Alfio”
‘assurdamente’ legata da seguitava.
Altrettanto irrituale è la presenza dell’imperfetto a 26:
“Infine non si alzava più dal letto”
in cui la puntualità dell’evento è rimarcata, in apparente contraddizione con il tempo
imperfettivo, da Infine.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 91/S1
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
Indicativo della forzatura stilistica che Verga impone alla grammatica è ulteriore
testimonianza, subito dopo, nei paragrafi 26-28: alla diagnosi senza speranza data dal
medico don Ciccio (disse a 26) segue un “Padron ’Ntoni intendeva benissimo quello che
si diceva”, per ‘intese ... quel che si era detto’, tant’è vero che “fece segno alla Nunziata
[...] e le disse piano” al quale risponde in maniera stilisticamente connotata “La
Nunziata si metteva a piangere anch’essa e diceva di no” in luogo di ‘si mise’ (mentre
diceva potrebbe essere giustificato dalla iterazione del rifiuto di Nunziata).
Ma il grafico elaborato nella sessione di studio precedente mostra come il dato
grammaticale, stilistico e narrativo collaborino alla conclusione del romanzo. Il picco
massimo della presenza del passato remoto in 46 (l’episodio senza ritorno durante il
quale compare Alfio e la Nunziata consegnano Padron ’Ntoni all’Albergo dei poveri) è
reduplicato nel paragrafo 64, quando ’Ntoni rientra a casa. In entrambi i casi la famiglia
Malavoglia e i loro compagni di viaggio sono protagonisti assoluti della scena; ma
mentre prima e dopo 46 l’intera Trezza conserva il proprio posto sulla scena e dunque il
passato remoto è isolato a quel paragrafo, il picco di 64 è preparato da 58 e 62 e
confermato da tutti i paragrafi successivi con un andamento che sancisce la fine della
storia.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 91/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
Diceva Verga a Capuana in una delle lettere immediatamente successive all’uscita de I
Malavoglia:
“Avevo un bel dirmi [...] Che la confusione che dovevano produrvi in mente alle
prime pagine tutti quei personaggi messivi faccia a faccia senza nessuna
presentazione, come li aveste conosciuti sempre, e foste nato e vissuto in mezzo a
loro, doveva scomparire man mano col progredire nella lettura a misura che essi vi
tornavano davanti, e vi si affermavano con nuove azioni ma senza messa in scena,
semplicemente, naturalmente, era artificio voluto e cercato anch’esso, per evitare,
perdonami il bisticcio, ogni artificio letterario, per darvi l’illusione completa della
realtà”.
Verga era cosciente della assenza di descrizione dei personaggi come dei luoghi e degli
spazi in cui quei personaggi agiscono, anch’essi dati per noti e conosciuti come se il
lettore fosse “nato e vissuto in mezzo a loro”.
Questa sensazione di già noto e conosciuto è ottenuta mediante la deissi che si
manifesta in maniera reiterata e sistematica attraverso l’uso dell’aggettivo o pronome
dimostrativo questo e quello con valore ostensivo (il che coinvolge il piano dello spazio) o
con valore più generico di condivisione (talora anche del tempo).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 91/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
Per quello , di gran lunga più frequente:
3 con quella faccia di pipa; 3 ora che era ridotto in quello stato; 7 È vero quella cosa che
hanno detto di Lia?; 10 Così anche i parenti dimenticano quelli che non ci sono più;
11 perché diceva che quelle cose son fatte per i ricchi; 13 rispose Nunziata con quella
voce dolce; 15 per quella casa del nespolo; 15 per parlargli di quell’affare; 15 a
levargli quella croce; 16 Ma quella cagna della Vespa; 17 in mano di quella serpe; 18
quell’altra vespa della Mangiacarrubbe; 18 quelle carogne; 24 giacché quello era un
guadagno sicuro; 25 Perché pensate a quelle cose?; 25 ascoltava cheto cheto tutto
quello che diceva la ragazza; 27 intendeva benissimo quello che si diceva; 29
Quell’invalido lì vale tant’oro; 34 quell’asparagio verde aveva del coraggio; 36 Già
tutti quelli che bazzicano col Governo; 36 con quella povera gente che non aveva
denari; 41 e quelle galline che la conoscevano; 42 adesso penso sempre a quelle sere
là; 44 quella poveretta avrebbe voluto piuttosto; 48 la strada stessa non sembrava
più quella; 53 ed ella stessa non si sentiva più quella etc.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 91/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
La lingua de I M alavoglia
Per questo aggettivo si vedano:
4 ma questa era la sola cosa; 11 a questo mondo; 18 questo negozio; 31 andava a dire
queste cose; 34 tutte le porcherie di quest’altro; 47 Compar Alfio in questo mentre;
49 Questa l’ha vinta comare Venera; 56 No, che non è questo il motivo; 58 non mi
avete creduto degno di quest’onore; 58 Per quest’anima pura che tengo sulle braccia!
Non è per questo motivo; 63 Rammentando tutte queste cose; 69 Questa qui l’ha
trovato il marito;
per quello pronome con valore neutro di ‘ciò’ (e dunque con effetto asseverativo,
funzionale alla affermazione della condivisione di situazioni e di conoscenze):
8 per questo aveva acchiappato le febbri; 31 Questo non va bene!; 35 per questo non
c’era pericolo; 39 per questo il Comune pagava; 49 per questo non ci stava più a
schiacciare gli scalini; 59 a questo non ci avevo mai pensato.
Se questo ribadisce la vicinanza affettiva o spaziale, quello conferma la condivisione,
talora ironica e irridente o distanziante (anche con funzione apotropaica), come si
potrebbe facilmente verificare controllando, di volta in volta, a quale ‘voce’ l’uno e l’altro
dimostrativo vengono attribuiti.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 91/S3
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1
Riepilogo
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto
finale e gli studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un
esercizio di controllo dei contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto
fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad inviare i risultati del proprio test al
docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-portfolio; tali risultati
possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test
e ne darà conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato
della prova finale, invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole
lezioni o chiarendo ulteriormente quello che non è stato pienamente compreso.
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto
finale e gli studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un
esercizio di controllo dei contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto
fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad inviare i risultati del proprio test al
docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-portfolio; tali risultati
possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test
e ne darà conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato
della prova finale, invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole
lezioni o chiarendo ulteriormente quello che non è stato pienamente compreso.
51-52) Analizzate, dal punto di vista del discorso, i seguenti brani dei
Malavoglia, individuando nell’indiretto libero i connettori , e illustrandone il
rilevatore primario della trasposizione e i rilevatori secondari (per es.
deissi, enfasi, formule idiomatiche, esclamative e interrogative).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 92/S1
Titolo: Le Novelle rusticane e il Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1
Test di autovalutazione
a) “Alessi tornava a casa il sabato, e gli veniva a contare i denari della settimana, come se
il nonno avesse ancora giudizio. Egli rispondeva sempre di sì, col capo; e bisognava che
andasse a nascondere il gruzzoletto sotto la materassa, e gli diceva, per farlo contento,
che ci voleva poco a mettere insieme un’altra volta i denari della casa del nespolo, e fra
un anno o due ci sarebbero arrivati. | Ma il vecchio scrollava il capo, colla testa dura, e
ribatteva che adesso non avevano più bisogno della casa; e meglio che non ci fosse mai
stata al mondo la casa dei Malavoglia, ora che i Malavoglia erano di qua e di là”.
b) “Gli parlava pure di quel che avrebbero fatto quando arrivava un po’ di provvidenza,
per fargli allargare il cuore; gli diceva che avrebbero comprato un vitellino a San
Sebastiano, ed ella bastava a procurargli l’erba e il mangime per l’inverno. A maggio si
sarebbe venduto con guadagno; e gli faceva vedere pure le nidiate di pulcini che aveva
messo, e venivano a pigolare davanti ai loro piedi, al sole, starnazzando nella polvere
della strada. Coi denari dei pulcini avrebbe anche comperato un maiale, per non perdere
le buccie dei fichidindia, e l’acqua che serviva a cuocere la minestra, e a fin d’anno
sarebbe stato come aver messo dei soldi nel salvadanaio. Il vecchio, colle mani sul
bastone, approvava del capo, guardando i pulcini”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 92/S2
Titolo: Le Novelle rusticane e il Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1
“Ma nella prima metà del 1884 l’autore doveva già considerare conclusa questa
fase, se, scartato il vasto e dispersivo disegno iniziale, decideva di riutilizzare parte
di quanto si trovava ad avere già scritto per costruire la novella Vagabondaggio, la
cui prima redazione fu pubblicata nel “Fanfulla della domenica” in due puntate
successive: la prima il 22 giugno 1884, con il titolo Come Nanni rimase orfano, la
seconda il 6 luglio, con il titolo definitivo” (Carla Riccardi, Note ai testi, in Giovanni
Verga, Tutte le novelle, p. 1044)
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 93
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1
Oltre alle recensioni di Raffaello Barbiera e di Eugenio Cecchi (a cui abbiamo fatto
cenno in precedenza), e oltre un veloce accenno nella Letteratura dell’89 di Luigi
Lodi, scrissero recensioni al Mastro, Felice Cameroni, D. Lanza e Guido Mazzoni.
Della lingua del Mastro però parlano Policarpo Petrocchi in una recensione ulteriore
su “La Lombardia” del 18 febbraio 1890 e Luigi Pirandello nei due saggi Prosa
moderna. Dopo la lettura del “Mastro-don Gesualdo” e Per la solita questione della
lingua, usciti su “Vita Nuova”.
Quest’ultimo, riprendendo motivi che erano stati al centro della riflessione di
Graziadio Isaia Ascoli, nel saggio Prosa moderna affermava, dopo aver letto il
Mastro-don Gesualdo:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 93/S2
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 2
La recensione di Policarpo Petrocchi alla lingua del Mastro-don Gesualdo è stata studiata
da Francesco Bruni nel capitolo VI (intitolato: Sulla lingua del Mastro-don Gesualdo) del
suo volume Prosa e narrativa dell’Ottocento. Sette studi (Firenze, Cesati, 1999, pp. 235-
292) che ne ha puntualmente indicato le contraddizioni e le piccinerie e soprattutto
concludendo:
“è difficile sottrarsi all’impressione che la cruna del Petrocchi recensore sia più
stretta di quella del Petrocchi lessicografo”
poiché in più di un caso il Petrocchi censura delle forme o delle locuzioni che egli stesso
stava autorizzando proprio in quegli anni nel suo Nòvo dizionàrio universale della lingua
italiana (è il caso di sgrugno / sgrugnone o di rimboccare attribuito alle sottane).
Ma soprattutto, come ebbe a dire il Verga stesso, il fronte toscano dimostrava, proprio
con quella recensione, il suo frastagliamento interno e il rischio che i toscani (piuttosto
che proporre una soluzione unitaria per la lingua italiana) innalzassero a norma il proprio
idioletto, le proprie personali preferenze.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 94/S1
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1
Tale ricerca è stata fatta appunto da Francesco Bruni nel saggio già citato che ha
condotto l’indagine sul doppio binario di uno spoglio, che registra i dati presenti
nell’opera (dunque con approccio descrittivo), ma da confrontarsi (per saggiarne il grado
di letterarietà) con gli usi verghiani degli stessi anni in sede epistolare, in particolare
nelle lettere a Luigi Capuana, “che sarà lecito supporre come scritte in modo
particolarmente confidenziale” (ivi, p. 253).
Ebbene, riguardo alla componente fiorentina, Francesco Bruni rileva come:
“Anche ad un esame sommario, risulta tutt’altro che scarsa, in Verga, l’incidenza del
fiorentino [...] l’‘ascolto’ [...] e naturalmente il soggiorno a Firenze (e in fondo anche
a Milano e, più tardi, a Roma) ottengono il risultato di sedimentare stabilmente,
nella competenza linguistica di Verga, un fondo relativamente compatto di
fiorentino; entro il quale è talora possibile distinguere un fiorentino libresco e uno
dell’uso” (ivi, p. 253).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 94/S3
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1
Affermazione quest’ultima che andrà mitigata (almeno per quanto riguarda il caso
specifico) alla luce di scelte stilistiche; il nostro precedente excursus sulla lingua
verghiana, infatti, ci assicura che fo faceva parte, già prima dei Malavoglia, almeno fin da
Storia di una capinera, della competenza linguistica del nostro autore: e la ridottissima
presenza dei presenti monosillabici nei Malavoglia andrà semmai imputata a una
consapevole censura, per quanto imperfettamente attuata, di un elemento sentito come
letterario perché fiorentino.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 95
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1
Il Bruni prosegue con un raffronto fra le scelte linguistiche nel Mastro e le tipologie delle
scelte manzoniane nel passaggio dai Promessi sposi del 1827 ai Promessi sposi del 1840.
Il confronto permette di stabilire che
“l’italiano di Verga è misto di forme del fiorentino moderno come di tratti arcaici della
lingua letteraria: una constatazione cui nulla toglie la considerazione che Verga (come
Pirandello) non appartiene alla serie degli scrittori che, come Manzoni, mostrano una
forte tendenza sistematica nelle correzioni di lingua e stile”.
La conclusione di Francesco Bruni è corroborata dalla constatazione che forme sentite
come letterarie ed ingessate da Manzoni, vengono invece utilizzate senza remore dal Verga
del Mastro; così onde (che Manzoni sistematicamente sostituisce con per, ma che,
viceversa talvolta Verga introduce nell’edizione in volume del romanzo muovendo da un
per dell’edizione in rivista); così avviene per poscia (che Manzoni sostituisce con poi); così
avviene per tosto (che Manzoni aveva corretto in subito).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 95
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1
L’analisi del Bruni prosegue (tenendo ancora una volta come termine di confronto i
movimenti redazionali dei Promessi sposi) con il lessico “privilegiando qualche voce di
alta frequenza con le sue combinazioni fraseologiche”: da alzar(si) / levar(si) (sulla
punta dei piedi, la testa), all’alternanza fra prendere e pigliare (la seconda opzione,
connotata in senso parlato, preferita da Verga, ma non da Manzoni).
Lo studioso mette in guardia dal rischio di concludere da tutta l’analisi “che la lingua
del Verga, misurata su quella dei Promessi Sposi [...] presenti il doppio svantaggio
dell’arcaismo e dell’incoerenza: credo infatti [...] che sarebbe ingiusto generalizzare, e
sostenere che alla conquista della lingua di Manzoni faccia riscontro un Verga
disomogeneo, diviso fra una modernità assimilata parzialmente e l’accettazione inerte
e compromissoria della lingua della tradizione: c’è anche questo, ma non solo questo
nella prosa di Verga” (ivi, p. 258).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 95/S1
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1
1 Suonava la messa dell’alba a San Giovanni; ma il paesetto dormiva ancora della grossa, perché
era piovuto da tre giorni, e nei seminati ci si affondava fino a mezza gamba. Tutt’a un tratto,
nel silenzio, s’udì un rovinìo, la campanella squillante di Sant’Agata che chiamava aiuto, usci
e finestre che sbattevano, la gente che scappava fuori in camicia, gridando:
5 - Terremoto! San Gregorio Magno!
Era ancora buio. Lontano, nell’ampia distesa nera dell’Alìa, ammiccava soltanto un lume di
carbonai, e più a sinistra la stella del mattino, sopra un nuvolone basso che tagliava l’alba nel
lungo altipiano del Paradiso. Per tutta la campagna diffondevasi un uggiolare lugubre di cani.
E subito, dal quartiere basso, giunse il suono grave del campanone di San Giovanni che dava
10 l’allarme anch’esso; poi la campana fessa di San Vito; l’altra della chiesa madre, più lontano;
quella di Sant’Agata che parve addirittura cascar sul capo agli abitanti della piazzetta. Una
dopo l’altra s’erano svegliate pure le campanelle dei monasteri, il Collegio, Santa Maria, San
Sebastiano, Santa Teresa: uno scampanìo generale che correva sui tetti spaventato, nelle
tenebre.
15 - No! no! È il fuoco!... Fuoco in casa Trao!... San Giovanni Battista!
Gli uomini accorrevano vociando, colle brache in mano. Le donne mettevano il lume alla
finestra: tutto il paese, sulla collina, che formicolava di lumi, come fosse il giovedì sera,
quando suonano le due ore di notte: una cosa da far rizzare i capelli in testa, chi avesse visto da
lontano.
20 - Don Diego! Don Ferdinando! - si udiva chiamare in fondo alla piazzetta; e uno che
bussava al portone con un sasso.
Dalla salita verso la Piazza Grande, e dagli altri vicoletti, arrivava sempre gente: un
calpestìo continuo di scarponi grossi sull’acciottolato; di tanto in tanto un nome gridato da
lontano; e insieme quel bussare insistente al portone in fondo alla piazzetta di Sant’Agata, e
25 quella voce che chiamava:
- Don Diego! Don Ferdinando! Che siete tutti morti?
Dal palazzo dei Trao, al di sopra del cornicione sdentato, si vedevano salire infatti, nell’alba
che cominciava a schiarire, globi di fumo denso, a ondate, sparsi di faville. E pioveva dall’alto
un riverbero rossastro, che accendeva le facce ansiose dei vicini raccolti dinanzi al portone
30 sconquassato, col naso in aria. Tutt’a un tratto si udì sbatacchiare una finestra, e una vocetta
stridula che gridava di lassù:
- Aiuto!... ladri!... Cristiani, aiuto!
- Il fuoco! Avete il fuoco in casa! Aprite, don Ferdinando!
- Diego! Diego!
35 Dietro alla faccia stralunata di don Ferdinando Trao apparve allora alla finestra il berretto
da notte sudicio e i capelli grigi svolazzanti di don Diego. Si udì la voce rauca del tisico che
strillava anch’esso:
- Aiuto!... Abbiamo i ladri in casa! Aiuto!
- Ma che ladri! Cosa verrebbero a fare lassù? sghignazzò uno nella folla.
40 - Bianca! Bianca! Aiuto! aiuto!
Giunse in quel punto trafelato Nanni l’Orbo, giurando d’averli visti lui i ladri, in casa Trao.
- Con questi occhi!... Uno che voleva scappare dalla finestra di donna Bianca, e s’è cacciato
dentro un’altra volta, al vedere accorrer gente!...
- Brucia il palazzo, capite? Se ne va in fiamme tutto il quartiere! Ci ho accanto la mia casa,
45 perdio! - Si mise a vociare mastro-don Gesualdo Motta. Gli altri intanto, spingendo, facendo
leva al portone, riuscirono a penetrare nel cortile, ad uno ad uno, coll’erba sino a mezza
gamba, vociando, schiamazzando, armati di secchie, di brocche piene d’acqua; compare
Cosimo colla scure da far legna; don Luca il sagrestano che voleva dar di mano alle campane
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un’altra volta, per chiamare all’armi; Pelagatti così com’era corso, al primo allarme, col
50 pistolone arrugginito ch’era andato a scavar di sotto allo strame.
Dal cortile non si vedeva ancora il fuoco. Soltanto, di tratto in tratto, come spirava il
maestrale, passavano al di sopra delle gronde ondate di fumo, che si sperdevano dietro il muro
a secco del giardinetto, fra i rami dei mandorli in fiore. Sotto la tettoia cadente erano
accatastate delle fascine; e in fondo, ritta contro la casa del vicino Motta, dell’altra legna
55 grossa: assi d’impalcati, correntoni fradici, una trave di palmento che non si era mai potuta
vendere.
- Peggio dell’esca, vedete! - sbraitava mastro-don Gesualdo. - Roba da fare andare in aria
tutto il quartiere!... santo e santissimo!... E me la mettono poi contro il mio muro; perché loro
non hanno nulla da perdere, santo e santissimo!...
60 In cima alla scala, don Ferdinando, infagottato in una vecchia palandrana, con un
fazzolettaccio legato in testa, la barba lunga di otto giorni, gli occhi grigiastri e stralunati, che
sembravano quelli di un pazzo in quella faccia incartapecorita di asmatico, ripeteva come
un’anatra:
- Di qua! di qua!
65 Ma nessuno osava avventurarsi su per la scala che traballava. Una vera bicocca quella casa:
i muri rotti, scalcinati, corrosi; delle fenditure che scendevano dal cornicione sino a terra; le
finestre sgangherate e senza vetri; lo stemma logoro, scantonato, appeso ad un uncino
arrugginito, al di sopra della porta. Mastro-don Gesualdo voleva prima buttar fuori sulla piazza
7'0 tutta quella legna accatastata nel cortile.
- Ci vorrà un mese! - rispose Pelagatti il quale stava a guardare sbadigliando, col pistolone
in mano.
- Santo e santissimo! Contro il mio muro è accatastata!... Volete sentirla, sì o no?
Giacalone diceva piuttosto di abbattere la tettoia; don Luca il sagrestano assicurò che pel
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momento non c’era pericolo: una torre di Babele!
Erano accorsi anche altri vicini, Santo Motta colle mani in tasca, il faccione gioviale e la
barzelletta sempre pronta. Speranza, sua sorella, verde dalla bile strizzando il seno vizzo in
bocca al lattante, sputando veleno contro i Trao: - Signori miei... guardate un po’!... Ci
80 abbiamo i magazzini qui accanto! - E se la prendeva anche con suo marito Burgio, ch’era lì in
maniche di camicia: - Voi non dite nulla! State lì come un allocco! Cosa siete venuto a fare
dunque?
Mastro-don Gesualdo si slanciò il primo urlando su per la scala. Gli altri dietro come tanti
85 leoni per gli stanzoni scuri e vuoti. A ogni passo un esercito di topi che spaventavano la gente.
- Badate! badate! Ora sta per rovinare il solaio! - Nanni l’Orbo, che ce l’aveva sempre con
quello della finestra, vociando ogni volta: - Eccolo! eccolo! - E nella biblioteca, la quale
cascava a pezzi, fu a un pelo d’ammazzare il sagrestano col pistolone di Pelagatti. Si udiva
90 sempre nel buio la voce chioccia di don Ferdinando il quale chiamava: - Bianca! Bianca! - E
don Diego, che bussava e tempestava dietro un uscio, fermando pel vestito ognuno che
passava, strillando anche lui: - Bianca! mia sorella!...
- Che scherzate? - rispose mastro-don Gesualdo rosso come un pomodoro, liberandosi con
95 una strappata. - Ci ho la mia casa accanto, capite? Se ne va in fiamme tutto il quartiere!
Era un correre a precipizio nel palazzo smantellato; donne che portavano acqua; ragazzi che
si rincorrevano schiamazzando in mezzo a quella confusione, come fosse una festa; curiosi che
girandolavano a bocca aperta, strappando i brandelli di stoffa che pendevano ancora dalle
pareti, toccando gli intagli degli stipiti, vociando per udir l’eco degli stanzoni vuoti, levando il
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naso in aria ad osservare le dorature degli stucchi, e i ritratti di famiglia: tutti quei Trao
affumicati che sembravano sgranare gli occhi al vedere tanta marmaglia in casa loro. Un va e
vieni che faceva ballare il pavimento.
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Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 95/S3
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1
Verga dunque reintroduce con il Mastro nella propria prosa la netta distinzione che I
Malavoglia (con la pervasività dell’imperfetto) avevano affievolito fra narrazione e
descrizione.
Da un lato l’ingresso del passato remoto come segno grammaticale della narrazione
corrisponde all’ambiente e alla vicenda del Mastro-don Gesualdo, il cui maggiore
coinvolgimento con la storia contemporanea e la cui mobilità sociale abbiamo già
sottolineato a paragone con la fissità sociale de I Malavoglia; dall’altra però assistiamo
anche al recupero contrastivo della descrizione, che non viene solo trasmessa attraverso
il già citato uso dell’imperfetto, ma anche attraverso una tecnica espressiva e
grammaticale assolutamente nuova rispetto a I Malavoglia e che può allearsi con l’uso
dell’imperfetto che mira ad incrementarne il valore descrittivo.
Nei casi seguenti si assiste a periodi nominali nei quali la principale manca del verbo
reggente (o perché non ripetuto o perché non esplicitato) sebbene le subordinate
relative o implicite attestino il verbo alla forma dell’imperfetto o del gerundio:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 96
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1
Riepilogo
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto
finale e gli studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un
esercizio di controllo dei contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto
fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad inviare i risultati del proprio test al
docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-portfolio; tali risultati
possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test
e ne darà conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato
della prova finale, invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole
lezioni o chiarendo ulteriormente quello che non è stato pienamente compreso.
53) Analizzate dal punto di vista linguistico il brano, estratto dal Mastro-don
Gesualdo, riportato nella slide seguente:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 96/S3
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1