FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1
Linguistica italiana
Introduzione: Programma
Il corso, che intende ripercorrere l’evoluzione della prosa italiana nelle sue principali
manifestazioni letterarie, si organizza in due moduli di 6 CFU ciascuno:
A) (lezioni 2-51) di carattere più istituzionale e generale, costituirà un excursus delle
espressioni letterarie in prosa dal Duecento al Settecento; attraverso l’analisi di esempi
concreti consentirà di assimilare gli strumenti tecnici per l’analisi linguistica e stilistica del
successivo modulo (stavolta limitata ad un singolo autore);
B) (lezioni 52-96) di carattere monografico, intende illustrare le dinamiche che si
instaurano fra usi sociali della lingua, usi letterari della tradizione e scelte stilistiche del
singolo autore e analizzerà nello specifico l’evoluzione della lingua e dello stile di Verga,
dai romanzi giovanili e dai romanzi mondani alle novelle e ai romanzi veristi, collocando
tale evoluzione all’interno del panorama linguistico del secondo Ottocento.
Lungo entrambi i moduli sono inseriti quiz, domande aperte, esercitazioni sul banche
dati, mediante le quali lo studente potrà verificare il proprio progressivo apprendimento
dei contenuti.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1/S1
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1
Introduzione: Programma
Qui di seguito sono indicati i principali nuclei tematici in cui si articola il corso di
Linguistica italiana:
Modulo A
Lezioni 2-8 Preliminari: lingua orale/lingua scritta, testi di carattere pratico/testi
letterari, lingua e stile, la stilistica
Lezioni 9-11: Ripasso di grammatica storica
Lezioni 12-20 La lingua del Duecento e la prosa di Bono Giamboni
Lezioni 21-26 La lingua del Trecento e la prosa di Iacopo Passavanti
Lezioni 27-33 La lingua del Quattrocento e la prosa di Agnolo Poliziano
Lezioni 34-39 La lingua del Cinquecento, la nascita della norma e la prosa di Niccolò
Machiavelli
Lezioni 40-41 Dal secondo Cinquecento al Seicento e il Vocabolario della Crusca
Lezioni 42-46 La lingua del Seicento e la prosa di Daniello Bartoli
Lezioni 47-51 La lingua del Settecento e la prosa di Alessandro Verri.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1/S1
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1
Introduzione: Programma
Modulo B
Lezioni 52-58: L’Ottocento (questioni politiche, la scuola, la lettura e la letteratura, le
polemiche e le posizioni linguistiche)
Lezioni 59-60: La formazione di Giovanni Verga
Lezioni 61-74: I romanzi catanesi di Giovanni Verga: I Carbonari della montagna, Sulle
lagune, Una peccatrice, Frine
Lezioni 75-77: Verga a Firenze e Storia di una capinera
Lezioni 78-80: Verga a Milano e Eva
Lezioni 81-83: Verga e la novella: Nedda
Lezioni 84-86: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Lezioni 87-92: La lingua de I Malavoglia
Lezioni 92-96: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1/S2
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1
Infine, gli studenti sono calorosamente invitati a partecipare (tramite il contatto con il
TOL) ai Seminari e alle lezioni tenute in aula virtuale, che affronteranno (a titolo di
esempio) i seguenti temi:
-- approfondimenti ed esercitazioni di grammatica storica
-- la questione della lingua nel Cinquecento
-- la questione della lingua nell’Ottocento
-- la lingua del Novecento.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1/S3
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1
Introduzione:
Bibliografia e modalità
d’esame
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1/S3
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1
Introduzione: Bibliografia
Lo studio degli argomenti del corso di Linguistica italiana sarà condotto tramite le
lezioni, le esercitazioni e i test di autovalutazione proposti durante il corso e tutte le
altre attività di didattica interattiva prevista tramite il sito d’Ateneo.
Per sostenere l’esame è necessario affiancare, allo studio del materiale
precedentemente indicato e alla partecipazione alle attività proposte durante il corso, lo
studio dei seguenti materiali:
in relazione al I modulo
---> Francesco Bruni, L’italiano letterario nella storia , Bologna, il Mulino,
2007
in relazione al II modulo
---> Gabriella Alfieri, Verga , Roma, Salerno Editrice, 2016 (limitatamente ai
capitoli I: La nuova Italia fra letteratura e politica, pp. 13-27; II: La vita di
Verga. Un vagabondaggio culturale tra Sicilia e Italia (1840-1922), pp. 28-75;
VII:Il “non grammatico” Verga tra idiomaticità e retorica, pp. 241-339) e
Per eventuali chiarimenti o approfondimenti si consigliano: C. MARAZZINI, La lingua
italiana. Storia, testi, strumenti, seconda edizione, Bologna, il Mulino, 2015 e L.
SERIANNI, Storia dell’italiano nell’Ottocento, Bologna, il Mulino, 2013.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1/S3
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1
Gli esami si svolgono in forma scritta in tutte le sedi di eCampus. Nelle sedi di
Novedrate e Roma è possibile inoltre sostenere solo l’orale, oppure lo scritto più
eventuale orale.
Si veda:
Preliminari
Le lezioni iniziali del corso avranno carattere introduttivo, volte a chiarire il significato e il
funzionamento di alcune opposizioni:
-- lingua orale / lingua scritta;
-- scritti di carattere pratico / scritti di carattere letterario;
-- lingua / stile;
-- stile di un’epoca / stile di un autore.
Per analizzare la prima opposizione (lingua orale / lingua scritta) sarà necessario da
un lato chiarire alcune caratteristiche del funzionamento di una lingua naturale desunte
dalla linguistica generale (il rapporto fra pensiero e espressione verbale, assi della
selezione e della combinazione, langue e parole), dall’altro alcune nozioni di
sociolinguistica (in particolare ricordando la pertinenza, nell’analisi di un atto linguistico,
oltre al fattore diacronico, dei fattori diatopico, diastratico, diafasico e diamesico).
La prospettiva sociolinguistica (di cui qui sopra abbiamo enunciato la nomenclatura
proposta negli anni Settanta da Eugenio Coseriu) sarà funzionale a chiarire le implicazioni
teoriche relative alla seconda opposizione fra produzione scritta di carattere pratico e
produzione scritta di carattere letterario.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 2
Titolo: Preliminari: lingua orale/lingua scritta
Attività n°: 1
Preliminari
Alla tradizione novecentesca della stilistica dovremo invece fare appello per chiarire la
nozione di stile (in opposizione a lingua tout court, alla norma o standard, valutata
nelle sue varianti di norma grammaticale e norma letteraria).
Solo successivamente saremo in grado di raffinare la nozione di stile per valutare la
distinzione fra stile di un’epoca e stile di un autore, distinzione tanto più necessaria
in quanto fra i testi letterari si incontrano testi ‘anonimi’, sia nel senso tutto storico che
l’autore è a noi sconosciuto (il che non esclude la volontà da parte del produttore di
esprimere la propria individualità stilistica), sia nel senso (più complesso dal punto di
vista socio-letterario) di testi che appartengono a generi e tipologie testuali in cui la
nozione di autore (indipendentemente che il suo nome sia noto) è tutt’altro che chiara
(si pensa in particolare alla tipologia dei volgarizzamenti).
Alle nozioni preliminari di carattere linguistico appena ricordate, dovremo poi aggiungere
ulteriori considerazioni che coinvolgono l’utilizzo propriamente letterario della
lingua, anche se su testi esclusivamente in prosa.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 2
Titolo: Preliminari: lingua orale/lingua scritta
Attività n°: 1
Preliminari
Tale scelta, come vedremo meglio più avanti nel dettaglio, è stata operata per
mantenere un apprezzabile livello di confrontabilità fra testi letterari (che prenderemo
in esame) e testi di carattere pratico (che, esclusi dalla nostra analisi, costituiranno
invece il termine di riferimento ‘basso’ dell’ analisi contrastiva, così come la poesia ne
costituirebbe il termine di riferimento ‘alto’).
Selezionata così dall’esterno la tipologia che prenderemo in esame (testi scritti, di
carattere letterario, in prosa, dal Duecento alla seconda metà
dell’Ottocento) sarà necessario prendere atto che entro questa ampia serie di testi
disposti lungo l’asse diacronico, esistono differenti strategie testuali e ‘linguistiche’ che
includono testi di carattere precettistico e didascalico, o narrativo, o argomentativo e
scientifico, o epistolare e così via, ciascuno dei quali è inseribile in ‘forme’ letterarie
che man mano vanno tipizzandosi all’interno dell’evoluzione della storia letteraria
italiana. Infatti, quanto più avanzeremo nell’evoluzione storica della lingua e della
letteratura italiana, tanto più la tradizione prenderà corpo e autonomia nazionale e i
condizionamenti letterari si faranno più forti tanto da avere riflessi specifici su registri
e scelte (sia di tipo linguistico sia stilistico) ormai non più imputabili esclusivamente
all’autonomia dell’autore, quest’ultimo sempre più condizionato dal ‘genere’ letterario
e dal canone di testi che in quel ‘genere’ sono stati redatti fino ad allora.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 2/S1
Titolo: Preliminari: lingua orale/lingua scritta
Attività n°: 1
Preliminari:
lingua orale / lingua scritta
Rispetto all’uso parlato della lingua, l’uso della lingua scritta rappresenta da un lato un
filtro selettivo e dall’altro una griglia ordinante ancora prima dello stabilirsi di qualsiasi
norma grammaticale. Per il solo fatto di essere scritta (e dunque affidata alle litterae,
nel senso originario di ‘caratteri dell’alfabeto’) la lingua, sottoposta nell’oralità ad una
‘spontaneità’ che almeno in parte prescinde da una consapevole pianificazione lessicale
e sintattica preventiva (o che si contenta di una pianificazione più approssimativa
rispetto al registro scritto), soggiace ad un primo livello di ‘riflessione’, che rompe la
contiguità / continuità meccanicamente stabilitasi fin dall’infanzia fra il pensiero e la sua
verbalizzazione. In realtà, come insegna il grande linguista ginevrino Ferdinand de
Saussure, il pensiero (di per sé indistinto) si chiarifica nel momento in cui diviene
parola; esiste dunque un procedimento mentale complesso che, dal cervello agli organi
fonatori, traduce l’indistinto del pensiero nella sua verbalizzazione in una lingua data (F.
de Saussure, Corso di linguistica generale [1922], introduzione, traduzione e commento
di T. De Mauro, Bari, Laterza, 199612, parte II, cap. IV, pp. 136-138 e parte I, cap. I,
pp. 83-85).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 2/S1
Titolo: Preliminari: lingua orale/lingua scritta
Attività n°: 1
Preliminari:
lingua orale / lingua scritta
L’assenza dei linguaggi non verbali e della presupposizione e deissi, tratti caratteristici
del linguaggio parlato, impone allo scritto una strategia meno ‘spontanea’ e
maggiormente ‘riflessa’ della lingua.
L’assenza di condivisione o la minore condivisione di conoscenze pregresse impone allo
scritto di agire in maniera strategicamente diversa su entrambi gli assi paradigmatico
(della selezione) e sintagmatico (della combinazione).
Fu Ferdinand de Saussure a introdurre la dicotomia fra rapporto (asse)
paradigmatico (che de Saussure chiamava associativo) e rapporto (asse)
sintagmatico della lingua.
Sull’asse paradigmatico (verticale) il parlante o lo scrivente sceglie fra elementi
linguistici che stabiliscono fra loro un rapporto appunto associativo (fra tutti gli articoli:
per es. in italiano lo, il, la, le etc.; fra tutti i nomi: in italiano per esempio: bambino,
ragazzo, studente etc.; fra tutti i verbi e al loro interno fra le loro forme coniugate),
disponendo poi gli elementi prescelti su un asse sintagmatico (orizzontale), in una
sequenza condizionata dalle scelte operate.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 2/S2
Titolo: Preliminari: lingua orale/lingua scritta
Attività n°: 1
dove l’identità di lei sarebbe chiarita dalle conoscenze condivise; il parlato inoltre
permette anche
insieme sua è salito lo macchina
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto
finale e gli studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un
esercizio di controllo dei contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto
fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad inviare i risultati del proprio test al
docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-portfolio; tali risultati
possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente
il numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del
test e ne darà conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul
risultato della prova finale, invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso
o singole lezioni o chiarendo ulteriormente quello che non è stato pienamente
compreso.
1) Quali sono i caratteri propriamente linguistici che oppongono la lingua
orale alla lingua scritta?
2) A cosa corrispondono nella linguistica saussuriana l’asse sintagmatico e
l’asse paradigmatico?
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 2/S3
Titolo: Preliminari: lingua orale/lingua scritta
Attività n°: 1
Affitti della badia di Coltibuono XII ex. tosc. colt. doc. giur.
Memoria d'un cambio di terra colla Badia di Coltibuono XII ex. tosc. colt. doc.
Declaratoria pistoiese XII ex. tosc. pist. doc. giur.
Decime d'Arlotto c. 1200 tosc. pist. doc. merc.
Libro di conti di banchieri fiorentini del 1211 (Frammenti d'un) 1211 tosc. fior. doc. merc.
Esercizio
Chiameremo stile quest’uso particolare della lingua da parte dell’autore / degli autori
e per lo più consapevolmente ricercato dall’autore, anche se, per la verità, le
definizioni tentate di questo concetto sono state molte e non sempre univoche.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 4/S3
Titolo: Preliminari: lingua / stile
Attività n°: 1
A noi interessa rimarcare che, nonostante le differenze nelle definizioni di cui rende
conto la Soletti, lo stile pare non poter essere definito se non per via di
comparazione.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 5
Titolo: Preliminari: stile 'plurale'
Attività n°: 1
In latino stilus era, nel significato proprio, il bastoncino acuminato con cui si scriveva
sulle tavolette cerate.
Nel senso traslato (per metonimia, cioè indicando la causa per il suo effetto) già in
latino significava ‘lo scrivere’, ‘la scrittura’ e dunque ‘il modo di esprimersi in una
composizione scritta’ e dunque ‘l’insieme di tratti formali attribuiti all’espressione
linguistica in sede letteraria’. Tale significato traslato poteva fare riferimento
1) tanto ai modi espressivi di un singolo scrittore
2) quanto alle modalità espressive codificate e riconoscibili (e dunque collettive)
trasmissibili per mezzo dell’insegnamento e della scuola.
Lo stile, nel contesto della retorica latina, è dunque al contempo variante
personale o di gruppo, modo personale di gestire la lingua e la grammatica e al
contempo modalità espressiva collettiva.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 5/S1
Titolo: Preliminari: stile 'plurale'
Attività n°: 1
“In generale, tutto è riportato al concetto di ornatus, sulla base di una distinzione tra
un contenuto originariamente disadorno, e l’aggiunta di ornamenti, o coloriture […]
che lo possono rendere più gradevole, più efficace ecc. Una concezione che deriva
necessariamente dalla prospettiva adottata: offrire un repertorio di procedimenti di
stile implica infatti la posteriorità cronologica e la natura additizia di tali procedimenti,
di fronte alla normatività senza eccezioni della grammatica” (Segre, Avviamento, pp.
308-309).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 5/S2
Titolo: Preliminari: stile 'plurale'
Attività n°: 1
Se già nell’antichità si parla di stile comico e stile tragico per indicare la forma (l’elocutio)
che deve accompagnare, nel modo più consono, argomenti e storie adatte alla commedia
e rispettivamente alla tragedia, è solo con la retorica medievale che, approfondendo
alcuni suggerimenti già presenti nei trattati latini, si giunge ad una stringente normatività
‘stilistica’ che individua tre stili principali, posti in gradazione reciproca (stile umile,
mediocre e alto o grave o sublime) all’interno dei quali sono indicate come tassative
anche le scelte pertinenti al livello sociale dei personaggi della storia, e tutto il mondo
reale che a quei personaggi fa da corredo (gli animali, gli attrezzi, l’ambientazione), come
è visualizzato nella rota Virgilii riprodotta nella slide successiva.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 5/S2
Titolo: Preliminari: stile 'plurale'
Attività n°: 1
200
100
Occorrenze in poesia
50
Occorrenze fuori della
poesia
0
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 6/S1
Titolo: Preliminari: stile, storia di una parola
Attività n°: 1
“Questo male d’imitare gli antichi deriva da più lontano principio. Le scuole tutte di
letteratura non trovarono sino ad ora prosa migliore di quella del Boccacci, e tutto
quello che non siegue il Boccacci, e sopra tutto nelle novelle, viene sentenziato come
barbarie. Essi vanno magnificando lo stile del Boccacci, perché credono che lo stile
tutto consista ne’ vocaboli della lingua, nella sintassi, nelle frasi e nel ritmo del
periodo. Ma queste non sono se non le apparenze dello stile: ma la sostanza dello
stile sta nella maniera di concepire i pensieri e di sentire gli affetti. Onde
l’autore che pensa fortemente, che vede i pensieri chiaramente e che sente con
veemenza le passioni, trova agevolmente parole nella sua lingua, quando egli la
abbia studiata, e sa senz’affettazione prevalersi de’ tesori di sintassi che i nostri
antichi ci lasciarono ne’ loro libri. E poiché tutti gli uomini hanno una maniera
diversa di concepire e di sentire, ne segue che prendendo le apparenze
dallo stile altrui si vestono di un abito che non è fatto al loro dosso” (Ugo
Foscolo, Saggio di novelle di Luigi Sanvitale, 1803).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 6/S3
Titolo: Preliminari: stile, storia di una parola
Attività n°: 1
Riepilogo
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto
finale e gli studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un
esercizio di controllo dei contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto
fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad inviare i risultati del proprio test al
docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-portfolio; tali risultati
possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare
esplicitamente il numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà
la correttezza del test e ne darà conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna
ricaduta sul risultato della prova finale, invitandolo magari ad approfondire alcune
parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente quello che non è stato
pienamente compreso.
3) Elencare e descrivere i livelli di analisi linguistica utilizzati nella teoria
variazionistica di Coseriu.
4) Proponete una definizione di stile e tracciate in sintesi l’evoluzione del
concetto.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 8/S2
Titolo: Test
Attività n°: 1
Riepilogo
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto
finale e gli studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un
esercizio di controllo dei contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto
fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad inviare i risultati del proprio test al
docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-portfolio; tali risultati
possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare
esplicitamente il numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà
la correttezza del test e ne darà conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna
ricaduta sul risultato della prova finale, invitandolo magari ad approfondire alcune
parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente quello che non è stato
pienamente compreso.
In questo caso la perdita della quantità latina è stata ‘compensata’ da una maggiore
articolazione timbrica, essendosi creata (a parziale risarcimento) un’opposizione
fonologica fra ɛ e e, da una parte e fra ɔ e o dall’altra (come coppie minime per tali
opposizioni fonologiche si ricordino pesca /peska/ ‘l’attività del pescare’ e pèsca /pɛska/ ‘il
frutto’ e bótte /botte/ ‘il contenitore per liquidi’ e bòtte /bɔtte/ ‘calci e pugni’.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 9/S1
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 1
Il latino inoltre conosceva un certo numero di dittonghi, cioè sequenze di due suoni
‘vocalici’ appartenenti ad una stessa sillaba (e che vanno tenuti distinti dagli iati,
sequenze di suoni a tutti gli effetti vocalici, appartenenti a due sillabe diverse). Ebbene i
dittonghi latini AE, OE, AU hanno precocemente subito un processo di monottongazione,
già all’interno del latino, evolvendo AE > è aperta, cioè /ɛ/, OE > e chiusa, cioè /e/, AU
in o chiusa /o/. Quest’ultimo processo di monottongazione però, iniziato nel latino,
all’interno del latino si è anche precocemente interrotto, mentre, su territorio italiano, più
tardi (verso l’VIII secolo) ha ripreso forza, ma in questo caso con un esito diverso, per
cui AU > o aperta /ɔ/. Mentre il monottongamento di AE e OE è comune alla Romània, il
monottongamento di AU > ɔ si presenta in maniera non uniforme sul territorio romanzo.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 9/S2
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 1
Fonetica: Il consonantismo
3) È un fenomeno che interessa tutta la Romania la palatalizzazione della occlusiva
velare sorda e sonora davanti a I e E che genera suoni (le affricate palatali) che non
esistevano in latino: COENAM /koenam/ > cena /ʧena/, CAESAREM /kaesarem/ > Cesare
/ʧesare/, CAELUM /kae-lum/ > cielo /ʧjɛlo/; GELUM /gelum/ (cioè pronunciato in latino
classico con l’identico suono iniziale di GALLUM) > gelo /ʤɛlo/. Nel Nord di Italia i suoni
palatali così formatisi subiscono ulteriori evoluzioni, ma rimangono tali in toscano.
4) La -U- intervocalica e la -B- intervocalica genera il suono v che in latino non esisteva
5) In toscano la sonorizzazione delle occlusive sorde intervocaliche è sporadica: LACUM >
lago, ma AMICUM > amico; RIPAM > *riβα > riva, ma CAPUT > capo.
6) I nessi di occlusiva + l > occlusiva + j: (EC)LESIAM > chiesa, BLASIUM > Biagio,
PLANUM > piano, FLOREM > fiore, VET(U)LUM > vecchio.
7) La -I- e la -U- semivocali provocano il raddoppiamento delle consonante precedente
(RABIES > rabbia, AQUA > acqua). A parte questo fenomeno generale la I semivocale
iniziale o interna è il motore di ulteriori cambiamenti:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 10
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 1
Il consonantismo
6a) La I- iniziale davanti ad altra vocale (semivocale palatale) > ʤ (affricata palatale:
IANUARIUM > *IENUARIUM > gennaio);
6b) l’effetto palatalizzante di I (semivocale già in latino o diventata tale) dopo una
consonante è verificabile in serie: DIURNUM > giorno; CUMINITIARE > cominciare;
FILIUM > figlio; VINEAM > *VINIAM > vigna; BLASIUM > Biagio
6c) in particolare i gruppi T+I semivocale e D+I semivocale, accanto all’esito palatale
già indicato) > ʦ (affricata dentale sorda: PUTEUM > potʦo) e rispettivamente ʣ
(affricata dentale sonora: MEDIUM > medʣo)
6d) in fiorentino il gruppo R+I semivocale > j (CORIUM > cuoio, AREAM > ARIA >
aia); a Firenze la sequenza -RIUM > -aio, fuori di Firenze l’esito di -RIUM è –ro così da
creare le varianti diatopiche macellaio / macellaro, pecoraio / pecoraro, danaio / danaro.
7) La labiovelare sorda iniziale di parola si riduce ad una occlusiva velare se davanti a
vocale diversa da -a- (nel qual caso si conserva): QUALEM > quale; QUADERNO >
quaderno, ma QUIS > chi, QUID > che, QUETUM > cheto; la labiovelare oggi esistente
davanti a vocali diverse da -a- (a parte casi di conservazione per latinismo) è secondaria:
quello < ECCU(M) ILLUM, questo < ECCU(M) ISTUM; la labiovelare sonora, inesistente in
latino, si forma come adattamento di germanismi (guerra, guarnacca, guastare).
FENOMENI FONETICI GENERALI
assimilazione (due suoni distinti, più o meno distanti dal punto di vista articolatorio
si trasformano in suoni identici o simili)
assimilazione progressiva: NOCTEM > notte, APTUM > atto, DIXIT > disse
assimilazione regressiva: MUNDUM > dial. centro-merid. munno, lat. tardo
GAMBAM ‘zampa di quadrupede’ > dial. centro-merid. gamma
dissimilazione (due suoni identici o simili si differenziano dal punto di vista
articolatorio o uno dei due cade):
PEREGRINUM > pellegrino, HABEBAT > aveva > avea
Morfologia
2) Assente come categoria grammaticale nel latino, l’articolo nasce da una
attenuazione semantica dei dimostrativi IPSUM (in Sardegna) e ILLUM (nel resto della
Romània).
Entro questa comune nascita romanza, quel che caratterizza il toscano è la formazione
precoce, accanto alla forma forte lo < (IL)LUM (la sillaba iniziale di ILLUM, posta fra
parentesi, cade, per il fenomeno della aferesi, l’esatto corrispondente in posizione
iniziale del fenomeno dell’apocope che già conosciamo) di una forma debole, creatasi
in contesti sintattici precisi, in particolare dopo parola uscente per vocale: per lo pane,
ma anche lo pane > anche ‘l pane.
Questa forma debole ‘l, apocopata (per la perdita della -o finale), ha avuto bisogno di
una vocale di appoggio che in tutta la Toscana è stata e (dando vita alla forma
dell’articolo el) tranne che a Firenze dove la vocale d’appoggio è stata i (dando vita alla
forma dell’articolo il, mentre il resto d’Italia o non conosce la forma debole, oppure
conosce forme deboli come el, ol, ul, al, ma mai il.
Sulle regole antiche, diverse da quelle attuali, che determinavano l’uso della forma forte
o viceversa della forma debole dell’articolo torneremo più avanti.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 10/S2
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 1
Morfologia
3) La nascita di forme verbali perifrastiche avviene:
a) per il passivo (le forme sintetiche latine si perdono, sostituite dalla
composizione dell’ausiliare ‘essere’ + participio passato);
b) per il futuro (le forme sintetiche latine sono sostituite dalla perifrasi di infinito
del verbo + presente del verbo ‘avere’); CANTARE + HABEO, propriamente
CANTARE + *AO > cantarò e poi a Firenze canterò);
c) per la nuova categoria morfologica del condizionale (assente come categoria
autonoma in latino); a parte residui del piucheperfetto latino in zone del
Meridione d’Italia, il condizionale toscano (comune ad altre lingue romanze) si
forma con la perifrasi dell’infinito seguito dal perfetto del verbo ‘avere’ (CANTARE
+ HABUI, o meglio CANTARE + *E(BU)I > CANTARE + *EI > cantarei e infine a
Firenze canterei). Nel sud d’Italia esiste però anche la formazione di infinito
seguito dall’imperfetto di ‘avere’ (CANTARE + HABĒBAM, che, in forza del
vocalismo siciliano, (dove Ē > i) > cantaria.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 10/S3
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 1
Riepilogo
© 2007 Università degli studi e-Campus - Via Isimbardi 10 - 22060 Novedrate (CO) - C.F. 08549051004
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Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 11
Titolo: Test
Attività n°: 2
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
Riepilogo
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
Bono Giamboni
Il nome di Bono Giamboni è già stato fatto più di una volta nella lezione precedente, sia
in quanto volgarizzatore direttamente dal latino, sia in quanto autore in proprio di opere
di carattere morale e comportamentale.
Della sua vita si sa ben poco, a parte il fatto che nacque, certamente prima del 1240, a
Firenze dove svolse la funzione di giudice; in tale veste compare in alcuni atti prodotti fra
i primi anni Sessanta e il 1292. Probabilmente morì non molto dopo la data del più
recente di tali documenti, in cui egli è menzionato come ancora vivente (7 agosto 1292).
La collocazione all’interno di una categoria sociale medio-alta, e il ruolo di giudice che lo
poneva in condizione di gestire il latino e al contempo di essere in quotidiano contatto
con il mondo cittadino volgare, ne fanno un esatto corrispondente del più noto Brunetto
Latini di cui è pressoché contemporaneo.
La scarsità dei dati biografici impedisce di assegnare date certe alla sua produzione di
scrittore e traduttore, che rimane ancorata all’unico terminus della data presunta della
morte (si può solo argomentare che la traduzione-rifacimento della Miseria dell’umana
condizione è anteriore al Libro; può essere che il Fiore di rettorica sia invece degli anni
Sessanta).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 13
Titolo: Bono Giamboni
Attività n°: 1
Bono Giamboni
L’elenco dettagliato delle opere ci consente di verificare la sua appartenenza a quel
mondo laico di cui si propone di soddisfare le esigenze di acculturazione. Traduce, dal
latino:
1) il De re militari di Publio Flavio Vegezio (metà del IV sec.-V sec.);
2) i sette libri delle Historie adversus Paganos di Paolo Orosio (375-420 d.C.), un
quadro, tracciato da una prospettiva cristiana, della storia universale;
3) il De miseria humanae conditionis o De contemptu mundi di Lotario di Segni (colui
che sarebbe poi diventato il papa Innocenzo III); la parzialità con cui Bono Giamboni
riduce in volgare questo trattato, amputandone le parti di più rigido ascetismo, trasforma
la cupa riflessione sulla debolezza della natura umana di Lotario in un nuovo testo
spendibile al di fuori dei conventi e dei monasteri.
4) Il caso della Miseria dell’umana condizione, in cui Bono agisce come traduttore e
manipolatore del testo di Lotario di Segni è affine a quello del Fiore di rettorica
(traduzione e rifacimento della Rhetorica ad Herennium): i manoscritti attribuiscono a
Bono una delle quattro redazioni di questo trattatello (fino a un ventennio fa assegnato a
Guidotto da Bologna), la cosiddetta redazione beta; nel 1994 però allo stesso Bono è
stata attribuita anche la redazione alfa, la più antica, proponendo dunque che Bono sia
l’autore e primo ideatore dell’iniziativa di rendere in volgare il testo retorico latino.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 13/S1
Titolo: Bono Giamboni
Attività n°: 1
Bono Giamboni
Bono Giamboni
Il Trattato è composto da 33 capitoletti in cui l’autore chiede alla Filosofia di
mostrargli:
“la via de’ buoni e piacevoli costumi laonde l’uomo è chiaro e grazioso al mondo
e grande e prezioso appo Dio”.
La Filosofia immediatamente risponde:
“Figliuolo mio caro, se ’ buoni costumi del mondo vuogli sapere fa bisogno che
conoschi prima quante sono le virtù e le loro vie e l’operazioni che per le dette
vie fanno, laonde i buoni e piace[vo]li costumi del mondo fanno la loro
operazione”.
La semplice elencazione fatta dalla Filosofia non basta al discepolo che chiede che la
Filosofia chiarisca nel dettaglio ciascuna virtù e ciascun vizio. Il Trattato consiste
appunto nella dettagliata spiegazione che la Filosofia offre in risposta.
Il Trattato si conclude con una breve descrizione dell’Inferno e del Paradiso cioè dei
due “paesi là dove le dette due vie delle virtù e vizî conducono l’anime a regnare
dopo la morte”, e con un ringraziamento dell’autore e con la benedizione di
quest’ultima.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 13/S2
Titolo: Bono Giamboni
Attività n°: 1
Bono Giamboni
Su questa asciutta ossatura di natura dottrinaria e didattica Bono Giamboni tornò a
distanza di tempo dalla primitiva scrittura del Trattato (che è conservato in un solo
manoscritto), per ampliare quell’esile resoconto in un’opera più complessa, il Libro de’
Vizî e delle Virtudi, che ebbe maggior fortuna (almeno undici manoscritti lo
conservano).
Anche il solo dato quantitativo è in grado si mostrare la radicalità della trasformazione
subìta dal testo, che da 33 capitoletti del Trattato passa a 76 del Libro, da 34 pagine a
stampa nell’edizione Segre a 118 pagine.
Il titolo del Libro nella sua completezza (Il libro de’ Vizî e delle Virtudi e delle loro
battaglie e ammonimenti) mostra però che non sono soltanto le dimensioni a tenere
separata la seconda versione dalla precedente. L’autore espone fin dal titolo la parte
più appariscente delle innovazioni introdotte nel passaggio dalla prima redazione alla
seconda: quella narrativa e riguardante il contenuto per la quale ora il testo ingloba la
descrizione della battaglia fra vizi e virtù a cui il personaggio del discente, alter ego
dell’autore, assisterà. Ma prima di affrontare questa novità di tipo narrativo fermiamoci
su alcune altre che riguardano la natura enunciativa del Libro.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 13/S2
Titolo: Bono Giamboni
Attività n°: 1
Bono Giamboni
Il personaggio che agisce nel testo, il disceppolo, è ora indicato come fattore
dell’opera; il nome di Bono Giamboni infine è menzionato nel Libro come nella
precedente versione nel Trattato. Perciò l’autore-personaggio assume i tratti
dell’autore implicito, che coincide solo in parte con l’autore storico; una presa di
distanza dalla visione pseudo-biografica del Trattato, importante sia dal punto di vista
letterario sia dal punto di vista dell’enunciazione linguistica. Questa scelta infatti ha
precisi riflessi testuali perché corrisponde alla differenza che esiste fra enunciato
(l’atto linguistico) e enunciazione (il prodotto dell’enunciazione).
Infatti l’autore storico ha a che fare con l’atto e dunque con l’enunciazione (di cui
è effettivamente l’attore), mentre l’autore implicito è consegnato all’enunciato cioè
al testo; l’autore implicito è anche detto destinatore (in analogia si distingue dal
lettore storico un lettore implicito, o destinatario). Si veda il seguente schema che
traggo dall’Avviamento al testo letterario di Cesare Segre(p. 14)
DESTINATORE DESTINATARIO
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 13/S3
Titolo: Bono Giamboni
Attività n°: 1
Bono Giamboni
Il Libro si caratterizza inoltre, rispetto al Trattato, per la moltiplicazione dei
personaggi; accanto a lui e con lui non parla e agisce solo la Filosofia, ma anche la
personificazione della Fede, all’esame della quale Bono si sottomette, e quelle delle
Virtù Cardinali che ammoniscono, ciascuna per proprio conto, il personaggio-autore.
Infine il punto di vista narrativo: la Filosofia conduce il suo valletto in un viaggio
durante il quale egli potrà assistere da una montagna alla battaglia fra i due eserciti
dei Vizi e delle Virtù, rappresentativo di uno scontro allegorico-morale, ma anche (con
evidenti richiami all’attualità) dello scontro fra Fede cristiana da una parte e, dall’altra,
antica fede pagana e più moderni ‘infedeli’ (Giudei, Musulmani, eretici). In questa
sequenza narrativa, di fronte allo schieramento di forze nella pianura sottostante che
prelude alla battaglia, prende il posto il nucleo dell’antico Trattato, quella didattica
spiegazione sulla natura e caratteristiche di virtù e vizi, che ora assume tutt’altra forza
visiva e una precisa collocazione nello spazio. La sequenza lineare del ‘domanda e
risposta’ che era del Trattato assume maggiore complessità per l’introduzione di nuovi
interlocutori e per l’inserimento di elementi narrativi e descrittivi; frammisto a questi
ultimi il dialogo è ora valutabile anche per contrasto con strategie enunciative diverse.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 13/S3
Titolo: Bono Giamboni
Attività n°: 1
Bono Giamboni
D’altro canto l’incremento di elementi narrativi trova piena corrispondenza anche sotto
il profilo del numero e delle modalità di riuso dei modelli della tradizione.
Abbiamo visto infatti come l’intervento della Filosofia, legittimato nel Libro dalla
situazione emotiva del personaggio che dice io, colleghi ancora più risolutamente la
nuova opera al modello boeziano già indicato per il Trattato, e come il nuovo testo,
proprio in conseguenza di quelle giustificazioni, si distacchi dal modello medievale del
dibattito fra discepolo e maestro.
Nel Libro però, a quel modello tardo-antico già usato e ora meglio sfruttato, si affianca
l’esempio archetipico dello scontro allegorico fra virtù e vizi, fra fede ed eresie,
consegnato alla Psychomachia, che il poeta Aurelio Prudenzio (348-413 circa) aveva
scritto su imitazione del poema epico virgiliano.
Muovendo da un’opera monotona e scialba (quale il Trattato era, finché era rimasto
confinato nella sola finalità didattica), il Libro si è trasformato in un testo che, oltre ad
assolvere al fine pedagogico e dottrinario per il quale era stato pensato, assume
colorazioni e toni senz’altro più originali.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 14
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
(da BONO GIAMBONI, Il libro de’ Vizî e delle Virtudi e il Trattato di virtù e di vizî, a cura di Cesare Segre, Torino,
Einaudi, 1968, pp. 3-8).
CAPITOLO I
Incominciasi il libro de’ Vizî e delle Virtudi e delle loro battaglie e
ammonimenti. Ponsi in prima il lamento del fattore dell’opera onde
questo libro nasce.
CAPITOLO II
La risponsione de la Filosofia.
1 Lamentandomi duramente nella profundità d’una oscura notte nel modo che 1
avete udito di sopra, e dirottamente piangendo e luttando, m’apparve sopra capo
una figura, che disse: – Figliuol mio, forte mi maraviglio che, essendo tu uomo,
fai reggimenti bestiali, in ciò che stai sempre col capo chinato, e guardi le scure
2 cose della terra, laonde se’ infermato e caduto in pericolosa malatia. Ma se 5
rizzassi il capo, e guardassi il cielo, e le dilettevoli cose del cielo considerassi,
come dee far l’uomo naturalmente, d’ogni tua malizia saresti purgato, e vedresti
3 la malizia de’ tuo’ riggimenti, e sarestine dolente. Or non ti ricorda di quello
che disse Boezio: «Con ciò sia cosa che tutti gli altri animali guardino la terra e
seguitino le cose terrene per natura, solo all’uomo è dato a guardar lo cielo, e le 10
celestiali cose contemplare e vedere»?
1
CAPITOLO III
Come la Filosofia si conobbe per lo fattore dell’opera.
1 Quando la boce ebbe parlato come di sopra avete inteso, si riposò una pezza, 1
aspettando se alcuna cosa rispondesse o dicesse; e veggendo che stava muto, e
di favellare neun sembiante facea, si rapressò inverso me, e pigliò il gherone de
le sue vestimenta, e forbimmi gli occhi, i quali erano di molte lagrime gravati
2 per duri pianti ch’avea fatti. E nel forbire che fece, parve che degli occhi mi si 5
levasse una crosta di sozzura puzzolente di cose terrene, che mi teneano tutto il
capo gravato.
3 Allora apersi li occhi, e guarda’mi dintorno, e vidi appresso di me una figura
4 tanto bellissima e piacente, quanto piú inanzi fue possibile a la Natura di fare. E
della detta figura nascea una luce tanto grande e profonda, che abagliava li 10
occhi di coloro che guardare la voleano, sicché poche persone la poteano
5 fermamente mirare. E de la detta luce nasceano sette grandi e maravigliosi
6 splendori, che alluminavano tutto ’l mondo. E io, veggendo la detta figura cosí
bella e lucente, avegna che avesse dal cominciamento paura, m’asicurai
tostamente, pensando che cosa ria non potea cosí chiara luce generare; e 15
cominciai a guardar la figura tanto fermamente, quanto la debolezza del mio
7 viso potea sofferire. E quando l’ebbi assai mirata, conobbi certamente ch’era la
Filosofia, ne le cui magioni era già lungamente dimorato.
8 Allora incominciai a favellare, e dissi: – Maestra delle Virtudi, che vai tu
9 faccendo in tanta profundità di notte per le magioni de’ servi tuoi? – Ed ella 20
disse: – Caro mio figliuolo, lattato dal cominciamento del mio latte, e nutricato
poscia e cresciuto del mio pane, abandoneret’io, ch’io non ti venisse a guerire,
10 veggendoti sí malamente infermato? Non sa’ tu che mia usanza è d’andare la
notte cu’ io voglio perfettamente visitare, acciò che le faccende e le fatiche del
11 dí non possan dare alcuno impedimento a li nostri ragionamenti? – E quando 25
udí’ dire che m’era venuta per guerire, suspirando dissi: – Maestra delle Virtudi,
se di me guerire avessi avuto talento, piú tosto mi saresti venuta a visitare;
perché tanto è ita innanzi la mia malizia, che m’hanno lasciato li medici per
disperato, e dicono che non posso campare.
12 Allora si levò la Filosofia, e puosesi a sedere in su la sponda del mio letto, e 30
cercommi il polso e molte parti del mio corpo; e poi mi puose la mano in sul
petto, e stette una pezza, e pensò, e disse: – Per lo polso, che ti truovo buono,
secondo c’hanno li uomini sani, certamente conosco che non hai male onde per
13 ragione debbi morire. Ma perché, ponendoti la mano al petto, truovo che ’l
cuore ti batte fortemente, veggio c’hai male di paura, laonde se’ fortemente 35
14 sbigottito ed ismagato. Ma di questa malattia ti credo a la speranza di Dio
tostamente guerire, purché meco non t’incresca di parlare, né ti vergogni di
15 scoprire la cagione de la tua malatia –. E io dissi: – Tostamente sarei guerito, se
per cotesta via potessi campare, perché sempre mi piacquero e adattârsi al mio
animo le parole de’ tuoi ragionamenti. 40
2
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 14/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
Il caso di cielo merita qualche commento. Sebbene oggi la pronuncia di questa parola
sia /ʧɛlo/, dunque senza alcuna traccia della <i> che costituisce un puro segno diacritico,
questa grafia testimonia l’antico dittongamento toscano, regolarmente proveniente da -
AE- latino (CAE-LUM > / ʧɛlo/ > /ʧjɛ-lo/); a un certo punto dell’evoluzione fonetica il
primo elemento semivocalico è stato assorbito dalla consonante precedente /ʧ/
anch’essa palatale, ma si è continuato a rendere graficamente la <i> del dittongo.
Apparentemente simile, il caso di cielo è dunque storicamente diverso dai casi in cui la
<i>, con esclusivo valore diacritico è usata davanti a vocali velari.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 14/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
Riepilogo
Verifichiamo a questo punto quanto la regolarità dei due fenomeni relativi al vocalismo
tonico, che abbiamo appena visto propria del nostro brano tratto dal Libro giamboniano,
sia attribuibile alla lingua del Duecento in genere.
A questo scopo utilizzeremo una banca dati che abbiamo già avuto occasione di
ricordare (Opera del Vocabolario Italiano, il cui acronimo è OVI) nel quale è indicizzato
un corpus cronologicamente coerente, compreso fra le Origini della lingua italiana e il
1375, consultabile sul sito dell’Istituto dell’Opera del Vocabolario Italiano
(http://www.ovi.cnr.it/).
Nella schermata iniziale (http://www.ovi.cnr.it/index.php/it/) cliccate sull’etichetta in
rosso Corpus testuale dell’italiano Antico, che vi consente di accedere al CORPUS OVI
DELL’ITALIANO ANTICO). Cliccate su questo titolo al centro della schermata.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 15
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
Si ricordi che ogni ricerca effettuata può essere salvata tramite il tasto SALVA nel
menu orizzontale in alto.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 15/S2
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
-- Qui e in seguito, sulla sinistra di ciascuna sono riferiti i dati della poesia,
sulla destra quelli relativi alla prosa
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 16
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
tosc.
poesia tosc.
prosa
fior.
poesia fior.
prosa
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 16/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
A Firenze insomma i tratti fonetici percepiti come locali subiscono in maniera molto
meno sensibile la pressione della lingua della poesia siciliana di quanto non avvenga
nel resto della Toscana, così come più sistematica è, nella lingua documentaria e
letteraria in prosa, l’attestazione dei tratti fonetici indigeni.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 16/S2
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
Sebbene non sia verificabile dalla natura scritta dei documenti di cui ci stiamo
occupando, nel Duecento e poi ancora molto avanti nei secoli successivi la
pronuncia della congiunzione e e della preposizione per era (coerentemente
con l’etimologia ĔT e PĔR) /ɛ/ (dunque nella pronuncia non c’era distinzione fra la
congiunzione e la III persona singolare del presente indicativo del verbo ‘essere’) e
rispettivamente /pɛr/. La protonia sintattica di queste due forme ha prodotto, ma
solo nel secolo XVIII, l’attuale pronuncia /e/ e /per/ con e chiusa (ce ne dà
testimonianza l’erudito settecentesco Anton Maria Salvini).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 17/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
Riguardo al primo argomento (la riduzione al solo primo elemento dei dittonghi
discendenti) si veda il seguente prospetto che raccoglie le attestazioni presenti nel
nostro brano di riferimento:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 17/S2
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
L’elenco dispone le occorrenze in base alla consistenza sillabica delle parole interessate al
fenomeno della riduzione; sulla colonna di destra i casi di mancata riduzione.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 17/S2
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
Se nel sito della Biblioteca italiana facciamo una ricerca per or ne possiamo verificare
l’altissima frequenza in tutto il corpus (la forma compare in 995 opere, con numerose
occorrenze in ciascuna di esse); se però limitiamo la ricerca alla sola tipologia testuale
dei DOCUMENTI, le opere si riducono a 22, tutte comprese fra il secolo delle Origini e il
Seicento.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 17/S3
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
L’apocope sillabica, oggi non più attiva, era invece in antico molto vitale: si pensi a po’ e,
altro caso di cui rimane traccia significativa nella lingua moderna, la riduzione dei nomi in
-ATEM, -UTEM (nel nostro brano attestato in profondità / profundità I 6, II 1, III 20, ma
non nei plurali Virtudi I tit. 1, III 19, III 26).
Dell’apocope infine vorremmo valutare il grado di opzionalità sulla base di fattori
intonativi e ritmici. Nel brano di Bono Giamboni (dove abbiamo messo in grassetto la
vocale con accento principale di frase) gli esempi sono:
buon I 2 ma buono III.32; la scelta di attuare o no l’apocope ha pertinenza intonativa
come si vede dai due contesti buon luogo a I 2 e ti truovo buono. a III 32;
figliuol II 3 ma figliuolo III 21 (Figliuol mio e, rispettivamente, Caro mio figliuolo, III 21);
far II 7 (come dee far l’uomo)
guardar II 10 (è dato a guardar lo cielo)
neun III 3 (di favellare neun sembiante facea)
possan III 25 (acciò che le faccende e le fatiche del dì non possan dare alcuno
impedimento).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 18
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
Sono infatti tutte forme composte con la preposizione a (< AD), talora rafforzata in ra- (<
RE+AD), che dunque, in forza della regola del raddoppiamento fonosintattico,
dovrebbero presentare tutte l’intensa.
Il raddoppiamento fonosintattico consiste in un fenomeno di rafforzamento della
consonante iniziale di parola che si verifica nella catena fonica fra parola e parola (per
esempio vado a casa /vado akkasa/, vengo da te /vɛŋgo datte/, va bene /vabbɛne/).
Le forme elencate sopra, composte con AD, dovrebbero dunque recare tutte l’indicazione
grafica del raddoppiamento avvenuto; ma nel Duecento, per influsso del francese, spesso
proprio i composti con AD presentano oscillazione fra rappresentazione intensa (secondo
la fonetica indigena) e rappresentazione scempia (per adesione al modello d’Oltralpe).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 18/S2
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
Riepilogo
Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui concetti
studiati nelle lezioni precedenti, dedicate all’analisi linguistica
(fonetica e morfologica) del brano di Bono Giamboni, lo
studente è invitato a compilare il test associato a
questa sessione di studio.
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Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 19
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1
Riepilogo
Riguardo alle frasi interrogative, secondo un modulo romanzo molto diffuso (e ancora
oggi tassativo in francese), va notato che il soggetto pronominale (se espresso) è
sistematicamente posposto al verbo:
I 7-8 perché mi facesti tu venire in questo misero mondo […]?
I 10-11 Facestilo tu per dare di me esemplo alle genti […]?
III 19-20 Maestra delle Virtudi, che vai tu faccendo […]?
III 21-22 Caro mio figliuolo, […] abandoneret’io […]?
III 23 Non sa’ tu che mia usanza è d’andare […]?
Nell’italiano contemporaneo (nel quale per lo più il soggetto pronominale viene omesso
che fai?) tale disposizione (che fai tu?) avrebbe particolare valore intonativo.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 20
Titolo: Bono Giamboni: lo stile
Attività n°: 1
espressione contenuto
A queste due occorrenze tratte dal brano che abbiamo stralciato dal Libro, si aggiungono:
in apertura dei capitoli
VIII: “Poscia che la Filosofia ebbe parlato come di sopra avete inteso”,
XVIII: “Quando la Fede m’ebbe domandato di tutte le cose che avete udito di sopra”,
XXIII: “Parlando a sollazzo per la via, come di sopra avete inteso”,
XLI: “Cacciata e spenta la Fede dell’idoli del mondo, come di sopra avete inteso”,
LXX: “Quando la Prudenzia ebbe parlato come di sopra avete inteso”,
LXXV: “Incontanente che la Prudenzia ebbe compiuto di dire come di sopra avete
inteso”;
inoltre alla fine del cap. XLIX: “come di sopra avete inteso che avieno ordinato”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 20/S2
Titolo: Bono Giamboni: lo stile
Attività n°: 1
Riepilogo
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
Test di autovalutazione
11) Indicare il significato di apocope e selezionare il nome del suo opposto
☐ caduta di un elemento iniziale di parola ☐ aferesi
☐ caduta di un elemento finale di parola☐ sincope
☐ aggiunta di un elemento iniziale di parola ☐ epitesi
Test di autovalutazione
14) Indicare il significato di aferesi e selezionare il nome del suo opposto
☐ caduta di un elemento iniziale di parola ☐ epitesi
☐ caduta di un elemento finale ☐ sincope
☐ aggiunta di un elemento iniziale di parola ☐ prostesi
15) Indicare quali dei seguenti tratti fonetici, morfologici e sintattici appartengono alla
prosa fiorentina del Duecento:
☐ prima persona dell’imperfetto in -o (io amavo)
☐ rispetto obbligatorio della legge Tobler-Mussafia
☐ riduzione del dittongo dopo consonante + r
☐ desinenza -aro nelle terze persone plurali del perfetto (essi mangiaro)
☐ art. maschile singolare el
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 20/S3
Titolo: Bono Giamboni: lo stile
Attività n°: 1
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
Ciò è vero anche per la poesia, a riprova del fatto che non si tratta solo o in prevalenza di
un cambiamento esclusivamente letterario, ma anche (se non soprattutto) di società e di
gusti socialmente condivisi. Quando Dante, nel XXV capitolo della Vita nova (quindi
ancora sullo scorcio del Duecento) indica brevemente i tratti della poesia in volgare,
accanto ai provenzali indicherà i poeti latini (Orazio, Ovidio, Lucano, Virgilio), ai quali
pretende siano paragonati i dicitori in rima indicando dunque già, molto prima dell’Uma-
nesimo, quanto il modello classico abbia funzionato in Italia.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21
Titolo: La prosa letteraria del Trecento
Attività n°: 1
Oltre che un incremento di tipo quantitativo la prosa trecentesca mostra una sempre
maggiore differenziazione nelle tipologie testuali.
Riguardo ai volgarizzamenti, quella che nel Duecento era l’eccezione (si ricordino i
volgarizzamenti di Bono Giamboni e di Brunetto Latini, che abbiamo ricordato), ora
diventa la norma e non solo per la più frequente scelta di tradurre dagli originali latini,
ma anche per la scelta degli autori da tradurre.
Brunetto e Bono avevano tradotto infatti solo autori in prosa: ora si tradurranno (in
prosa) anche i poeti: Virgilio prima di tutti, che viene volgarizzato e epitomato da
Andrea Lancia, da Ciampolo di Meo degli Ugurgeri; poi, e con grandissima fortuna,
l’Ovidio delle Metamorfosi (da Arrigo Simintendi e da Giovanni Buonsignori) e delle
Eroidi (da parte di Filippo Ceffi e anonimi), dell’Ars amandi e dei Remedia amoris (da
anonimi).
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21/S1
Titolo: La prosa letteraria del Trecento
Attività n°: 1
Così, accanto ai volgarizzamenti dei Moralia e dei Dialoghi di Gregorio Magno o alle
fortunatissime lettere di S. Girolamo, vengono tradotti di Cicerone il Somnium Scipionis
(da Zanobi da Strada e da un anonimo identificato in passato con il beato Giovanni
dalle Celle), varie volte il De amicitia (da Filippo Ceffi e da un anonimo), i Paradoxa
stoicorum (due volte, entrambi da parte di anonimi, ma uno dei quali in passato
attribuito a Giovanni dalle Celle), il De senectute e il De officiis (entrambi da anonimo);
di Seneca (di cui il monachesimo altomedievale si era già impossessato come “maestro
di spiritualità”, ma principalmente sulla base di opere spurie) vengono volgarizzate le
Epistulae morales, il De providentia, e le consolationes (Ad Elviam, Ad Marciam, Ad
Polibium).
Dell’integrazione della classicità nell’ambito culturale cristiano è prova il fatto che fra
questi volgarizzatori, oltre a notai (come Filippo Ceffi) troviamo uomini di chiesa e
monaci (Zanobi da Strada, Bartolomeo da San Concordio, lasciando da parte la
controversa attribuzione a Giovanni dalle Celle del Somnium Scipionis e dei Paradoxa).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21/S2
Titolo: La prosa letteraria del Trecento
Attività n°: 1
Anche per questi tramiti la tradizione classica entrò in circolo nella cultura letteraria
del Trecento, giacché, fra le frasi scelte ad ammaestramento, accanto a estratti dal
Vecchio e Nuovo Testamento o dai Padri, compaiono citazioni da Giovenale e Ovidio,
Seneca e Quintiliano, Sallustio e Orazio, etc..
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21/S2
Titolo: La prosa letteraria del Trecento
Attività n°: 1
Sarà sul modello della grande storiografia latina (e di Livio soprattutto) che si inaugu-
rerà la storiografia volgare con intenti d’arte (dalla Nuova cronica di Giovanni Villani
alla Cronica d’Anonimo Romano).
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21/S3
Titolo: La prosa letteraria del Trecento
Attività n°: 1
Per valutare che cosa intendessero per “fiorentino aureo” uomini come Leonardo Salviati
(1540-1582, uno dei massimi fautori della creazione dell’Accademia della Crusca e del
primo vocabolario dell’Accademia), ho scelto non di analizzare un testo di un grande
autore, bensì (seguendo l’assunto che la lingua e lo stile di un secolo si misurano
piuttosto sulla media della sua letteratura che non sulle sue emergenze) quello di un
‘modesto’ predicatore domenicano: Iacopo Passavanti.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 22
Titolo: Iacopo Passavanti e lo Specchio di vera penitenza
Attività n°: 1
1 Secondo che dice el venerabile dottore messere santo Ierolimo, Poenitentia est secunda
tabula post naufragium: la penitenzia è la seconda tavola dopo il pericolo della nave rotta.
Parla il santo dottore della penitenzia, per somiglianza di coloro che rompono in mare, de’
quali spesse volte interviene che, rotta la nave per grande fortuna e per tempestade che sia
5 commossa in mare, coloro che sono più accorti prendono alcuna delle tavole della rotta
nave, alla quale attegnendosi fortemente, soprastando all’acqua, non affondano; ma
giungono a riva o a porto, iscampati del periglio del tempestoso mare. Così avviene degli
uomini che vivono in questo mondo, il quale è appellato mare per lo continovo movimento
e inistabile istato, e per le tempestose avversitadi e gravi pericoli che ci sono, ne’ quali la
10 maggiore parte della gente perisce. Imperò che non ci si può notare, tra per la gravezza
della carne umana e per lo peso del peccato originale o attuale, ch’è in sulle spalle de’
figliuoli d’Adamo, e per la forza delle fortunose onde delle tentazioni, e delle temporali e
corporali tribolazioni. Solo Iesu Cristo salvatore, Iddio e uomo, sanza peso di peccato,
leggiermente notando, passò il mare di questo mondo. E ciò significò egli, quando, essendo
15 i discepoli suoi nella nave nel mare di Galilea, e avendo grande fortuna per la forza del
contrario vento, egli venne a loro andando leggiermente sovra l’onde del turbato mare. La
quale cosa non poté fare san Piero, anzi andava al fondo, se la virtuosa mano di Iesu Cristo
non lo avesse soccorso. Dove si dà ad intendere, che in questo periglioso mare ogni gente
anniega se l’aiuto della divina grazia non lo soccorre; la quale ha provveduto, per iscampo
20 della gente umana, d’una navicella lieve e salda, la quale Iesu Cristo fabbricò colle sue
mani del legno della santissima croce sua, cogli aguti chiovi della sua passione, colorandola
e adornandola col suo prezioso sangue. Questa navicella è la innocenzia battismale, nella
quale entrano tutti coloro che sono battezzati del battesimo di Iesu Cristo. E se si conduce e
si guida bene, porta sani e salvi al porto di vita eterna coloro che dentro vi perseverano,
25 siccome veri e diritti cristiani. In questa navicella intera e salda passò il mare di questo
mondo la benedetta Vergine Maria. Passòvvi san Giovanni Batista, e più altri Santi, i quali
furono santificati nel ventre della madre e furono preservati e guardati da speziale grazia
divina, che non cadessono nella vita loro in acconsentimento di mortale peccato. Passònvi
tutti coloro i quali si chiamano innocenti; cioè a dire, che innanzi che venissono a tale etade
30 che, discernendo il bene dal male, consentissono al male del peccato, al quale la nostra
natura corrotta è inchinevole più ch’al bene, furono tratti per morte naturale o isforzata
dalla presente vita corporale, avendo ricevuta la grazia del battesimo: i quali, non per loro
merito, però che né sapere né volere né potere hanno ancora del guardare o del conducere la
leggiere e bella navicella, ma per lo merito di quello padrone che la fabbricò, e per sua
35 presenzia e grazia la conduce e guida, sanza alcuno impedimento e’ pervengono al porto
sicuro e eterno, cioè quello della città superna. Questo fu bene significato nel santo
Vangelo, quando Iesu Cristo venendo a’ discepoli suoi ch’erano nella navicella nel mezzo
del mare, e aveano grande tempesta per lo vento contrario, contro al quale non si poteano
aiutare, egli, entrando nella navicella, comandò a’ venti e al mare che oltraggiavano e
40 soperchiavano la piccioletta navicella; e cessò la tempesta, e con bonaccia e tranquillitade
salvi giunsono a porto, non per loro operare, ma per la virtù e sapienza di Iesù Salvatore. Il
governo e la cura del movimento, e ’l conducimento della detta navicella, il celestiale
padrone Iddio in alcuno modo, tanto quanto si stende la potenzia e la facultade del libero
albitrio, commette e lascia all’uomo, e fallo nocchiere quando è venuto agli anni di tale
45 discrezione che possa e sappia e possa volere, col remo in mano, istudiosamente operando,
durare fatica nella guardia e nella condotta di sì nobile vasello in che Iddio l’ha allogato e
messo. Ma l’uomo, o per nigligenzia, o per ignoranza, o per vaghezza di vana dilettanza, o
per sensuale e viziosa concupiscenzia, o per presunziosa speranza, o per imprudenzia, o per
tracotanzia, ovvero per poca providenza, il lascia nell’alto mare tanto trascorrere,
50 abbandonando gli argomenti del savio e accorto reggimento, che per impeto di contrari
venti, o per percossa degli intraversati sassi, o per rintoppo delle rovinose onde, o per
rivolgimento delle ritrose acque, o per abbattimento de’ rigogliosi marosi, o per soperchio
del gonfiato mare, o per oltraggio dei rinfranti sprazzi, o per voraggine di pelago profondo,
o per iscurità di tenebrosa notte, o per ispaventamento delle fiere bestie, o per lo dolce canto
55 delle sirene vaghe, o per assalimento di crudeli piratti, o per inganno degli amici falsi, sanza
riparo sì si rompe e fiacca. Le quali cose dànno ad intendere le ragioni de’ vizi e de’
peccati, che fanno rompere e perdere la pura saldezza della innocenzia; che quanto più sono
gravi, tanto più la fiaccano e spezzano; e rimane l’uomo d’ogni bene e grazia privato: né
non ha rimedio cotale rompimento, per lo quale si possa risaldare la rotta navicella della
60 santa innocenzia; anzi rimane l’uomo così nabissato, abbandonato e ’gnudo nel mezzo del
tempestoso mare, sanza speranza di gnuno buono soccorso. Solamente d’uno refuggio ha
provveduto il misericordioso Iddio, il quale non vuole che l’uomo perisca e muoia, avvegna
che a sua colpa la navicella salda e lieve della quale Iddio gli avea provveduto acciò che per
quella iscampasse, sia fracassata e rotta. E questa è la penitenzia, alla quale conviene che
65 accortamente s’appigli o perseverantemente tegna qualunche vuole dopo la rotta innocenzia
iscampare. E questo vuole dire il dottore santo beato Ieronimo, per somiglianza parlando,
quando disse ch’ella era la seconda tavola dopo il pericolo della nave rotta, cioè il rimedio e
il sicuro rifuggio, poi che perduta e rotta era la prima innocenzia. Dove nota, che come a
coloro che rompono in mare, conviene che sieno molto accorti a dare di piglio e a
70 fortemente tenere alcuna tavola o legno della nave rotta, innanzi che l’onde del mare lo
traportino, non istante la paura, lo sbigottimento, il dibattimento, l’ansietade, l’affanno, lo
spaventamento e ’l conturbamento del capo, e gli altri gravi accidenti che hanno a sostenere
coloro a’ quali tale fortuna iscontra; così l’uomo che, mortalmente peccando, perde la
innocenzia, immantanente, sanza indugio, dee avere ricorso alla penitenzia, non istante
75 qualunque impedimento o ritraimento che ’nduca il commesso peccato. E come dee tosto,
sanza indugio, il rimedio della penitenzia prendere, così la dee con perseveranza tenere. E
di ciò parla la santa Iscrittura, che dice: Lignum vitae est his qui apprehenderint eam; et qui
tenuerit eam, beatus: Ella, cioè la penitenzia, è legno di vita a chi la prende; e chi la terrà,
sarà beato. Tale virtù ha questa tavola della penitenzia da quello medesimo da cui la
80 navicella della innocenzia, cioè da Iesu Cristo e dalla sua passione. Onde forse fu
significata per quella tavola la qual fu soprapposta al legno della croce, dove era iscritto –
Iesù Nazzareno Re de’ Iudei - in tre lingue, ebraica, greca e latina; a dare ad intendere che
nella tavola soprapposta alla croce, cioè nella penitenzia, che sopravviene alla innocenzia
ed è congiunta con la croce, cioè con la virtù e colla efficacia della passione di Cristo, si
85 contiene salute e salvamento, che dimostra e adopera Iesù Nazzareno. E questo non pure in
una gente né in una lingua, ma in tutte le genti e in tutte le lingue, secondo che Iesu Cristo
dopo la sua passione e la sua resurressione disse agli Apostoli: Euntes, docete omnes
gentes, baptizantes eos in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti: Andate, e ammaestrate
tutte le genti, e battezzategli nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo. E
90 santo Luca iscrive nel suo Vangelo, che Iesu Cristo apparendo a’ suoi discepoli dopo la
resuressione, disse loro, fra l’altre cose, ch’egli era bisogno di predicare nel nome suo la
penitenzia e la remissione de’ peccati in tutte le genti. Questa seconda tavola della
penitenzia, dove è lo scampo e la salute della maggiore parte della umana gente,
accortamente prese Maria Maddalena dopo la rotta innocenza. Presela san Piero, presela san
95 Pagolo, e generalmente tutti coloro che si salvano, giustificati del peccato per la grazia del
Redentore. Del quale novero ci dobbiamo ingegnare d’essere noi peccatori, acciò che non
periamo, non essendo nella intera e salda navicella della innocenzia, ma caduti nel mezzo
del profondo pelago del dubitoso e angoscioso mare del mondo, e nabissati nel peccato
mortale. E acciò che interamente, e con desiderio fervente della propia salute, ogni
100 negligenzia e ignoranzia da noi rimossa e tolta, stendiamo le mani a pigliare questa
necessaria e vittoriosa tavola della penitenzia, e perseverantemente la tegnamo, fino ch’ella
ci conduca alla riva del celestiale regno, al quale siamo chiamati; io Frate Iacopo Passavanti
da Fiorenza, de’ frati Predicatori minimo, pensai di comporre e ordinare certo e speziale
Trattato della Penitenzia; e a ciò mi mosse il zelo della salute dell’anime, alla quale la
105 professione dell’Ordine mio ispezialmente ordina i suoi frati. Provocòmmi l’affettuoso
priego di molte persone spirituali e divote, che mi pregorono che queste cose della vera
penitenzia, che io per molti anni, e spezialmente nella passata quaresima dell’anno presente,
cioè nel mille trecento cinquanta quattro, avea volgarmente predicato al popolo, a utilità e
consolazione loro e di coloro che le vorranno leggere, le riducessi a certo ordine per
110 iscrittura volgare, sì come nella nostra fiorentina lingua volgarmente l’avea predicate.
Onde, non volendo né dobbiendo negare quello che la carità fruttuosamente e debitamente
domanda, porgo la mano, e scriverrò per volgare, come fu principalmente chiesto per coloro
che non sono litterati, e per lettera e in latino per gli cherici, ai quali potrà essere utile, e per
loro, e per coloro i quali egli hanno a ammaestrare o predicando o consigliando o le
115 confessioni udendo: confidandomi sempre ne’ meriti del padre de’ Predicatori messere
santo Domenico, predicatore sovrano della penitenzia; e ancora ricorrendo divotamente al
dottore sommo messere santo Ieronimo, la cui vita e la cui dottrina sono essemplo e
specchio di vera penitenzia. Pregando nondimeno umilmente coloro che in questo libro
leggeranno, che facciano speziale orazione a Dio per me; che com’io ho assai tempo
120 predicato al popolo della penitenzia e ora ne scrivo non sanza gran fatica, così mi conceda
grazia ch’io viva e perseveri insino alla fine in verace penitenzia, acciò che nell’ora della
morte la divina misericordia mi riceva a salvamento: amen. E imperò che in questo libro si
dimostra quello che si richiede di fare e quello di che altri si dee guardare acciò che si
faccia vera penitenzia, convenevolemente e ragionevolemente s’appella Specchio della vera
125 Penitenzia.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 22/S2
Titolo: Iacopo Passavanti e lo Specchio di vera penitenza
Attività n°: 1
Riepilogo
Riepilogo
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
“Piú tosto forse e' prudenti mi loderanno s’io, scrivendo in modo che ciascuno
m’intenda, prima cerco giovare a molti che piacere a pochi, ché sai
quanto siano pochissimi a questi dí e’ litterati. […] Ben confesso quella
antiqua latina lingua essere copiosa molto e ornatissima, ma non però
veggo in che sia la nostra oggi toscana tanto d’averla in odio, che in
essa qualunque benché ottima cosa scritta ci dispiaccia. A me par assai
di presso dire quel ch’io voglio, e in modo ch’io sono pur inteso, ove
questi biasimatori in quella antica sanno se non tacere, e in questa moderna
sanno se non vituperare chi non tace. E sento io questo: chi fusse piú di me
dotto, o tale quale molti vogliono essere riputati, costui in questa oggi
commune troverrebbe non meno ornamenti che in quella, quale essi
tanto prepongono e tanto in altri desiderano. […]. E sia quanto dicono
quella antica apresso di tutte le genti piena d’autorità, solo perché in essa molti
dotti scrissero, simile certo sarà la nostra s’e’ dotti la vorranno molto con
suo studio e vigilie essere elimata e polita […].”
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 27/S2
Titolo: La prosa letteraria del Quattrocento
Attività n°: 1
Già nella prima metà del secolo si assiste ad una ricca serie di traduzioni latine di
originali greci, ma sarà con la seconda metà del secolo che prenderà avvio la
sistematica traduzione di Platone commissionata da Cosimo de’ Medici a Marsilio
Ficino.
Nonostante ciò la pratica del volgarizzamento dal latino non viene interrotta anche se
si fa più rara e condizionata da contingenze meno socialmente condivise: così per
esempio, con la richiesta del principe di Milano, Filippo Maria Visconti, si spiega la
traduzione delle opere di Giulio Cesare e dell’Historia Alexandri Magni di Curzio Rufo da
parte di Pier Candido Decembrio (1399-1477), che fu al contempo traduttore dal greco
di parte dell’Iliade, e di opere di Senofonte, Plutarco, Appiano e Platone.
Eppure, paradossalmente, la sempre maggiore conoscenza del greco come terza
lingua della cultura, anziché decretare la maggiore distanza fra letteratura in volgare e
letteratura colta, finisce per scompaginare l’equilibrio diglottico caratteristico della
prima metà del secolo. Fra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta,
anche per iniziativa del circolo di poeti che si stringono intorno a Lorenzo de’ Medici, le
quotazioni del volgare a scopo letterario riprendono a salire.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 27/S3
Titolo: La prosa letteraria del Quattrocento
Attività n°: 1
Il fiorentino “argenteo”
Trattando del Passavanti abbiamo preannunciato il termine di fiorentino “argenteo”
coniato da Arrigo Castellani a paragone del fiorentino “aureo” del Trecento il cui mito si
era formato nell’ambiente dell’Accademia della Crusca. In quella medesima occasione
abbiamo anche ricordato come la città di Firenze, come del resto l’intera Europa,
avesse subito il disastro della Peste Nera al quale fece seguito un notevole decremento
demografico, anche di Firenze, al quale lentamente pose rimedio l’inurbamento di
popolazione dalle campagne e dalle città vicine rispetto alle quali Firenze, ormai
avviata a organizzarsi su base regionale, costituiva un polo di attrazione economico e
culturale. Si ricordi per esempio che Firenze nel 1406 conquistò dopo anni di ostilità la
città di Pisa e che in quella occasione la Signoria fiorentina decretò il confino di
trecento nobili famiglie pisane proprio a Firenze.
Al conseguente ‘mescidamento’ dei tratti linguistici propriamente fiorentini con altri
tratti toscani extrafiorentini, si deve il nuovo volto del fiorentino del Quattrocento (al
quale propriamente si attribuisce l’epiteto di “argenteo”) sebbene il fenomeno
evolutivo abbia avuto i suoi prodromi nel secolo precedente.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 28
Titolo: Agnolo Poliziano e la Lettera proemiale alla Raccolta aragonese
Attività n°: 1
Il fiorentino “argenteo”
Fonetica.
1) Riduzione al secondo elemento vocalico dei dittonghi /wᴐ/ e /jɛ/ dopo consonante +
r: truovo /trwɔvo/ > trovo /trɔvo/; priego /prjɛgo/ > prego /prɛgo/
2) la l preconsonantica > u: altro > autro; il fenomeno comporta le forme ipercorrette:
lalde, altori, aldacia ‘laude, autori, audacia’);
3) alle forme etimologiche tegghia (TEGLA < TEGŬLA), ragghiare (*RAGLARE <
RAGŬLARE), vegghiare (VIGLARE < VĬGĬLARE) si sostituiscono le forme teglia,
ragliare, vegliare
4) nella seconda metà del Quattrocento si assiste all’evoluzione di /skj/ > /stj/: schiena
/skjɛna/ > stiena, schiaccia /skjatʧa/ > stiaccia;
5) nella seconda metà del Quattrocento si assiste all’evoluzione /ʤ/ > /gj/ > /d/:
giacere /ʤaʧere/ > ghiacere /gjaʧere/ e diacere /djaʧere/;
6) la /w/ iniziale si trasforma in /vw/: uova /wɔva/ > vuova /vwɔva/; uomini /wɔmini/ >
vuomini /vwɔmini/.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 28/S1
Titolo: Agnolo Poliziano e la Lettera proemiale alla Raccolta aragonese
Attività n°: 1
Il fiorentino “argenteo”
Morfologia nominale
1) I plurali in -lli si palatalizzano in -gli: begli, frategli etc.;
2) i nomi femminili pl. della III classe latina escono in -e: le parti > le parte;
3) l’articolo (e il pronome) il, i > el, e;
4) gliele > glielo, gliela, glieli, gliele;
5) gli indefiniti che terminano in -que > -che: dunche, qualunche;
6) al sistema di declinazione dei possessivi si sostituiscono a) gli invariabili mie, tuo, suo;
b) i plurali maschili e femminili mia, tua, sua;
7) numerali: a) due > duo o dua; b) diece >dieci; c) milia > mila.
Morfologia verbale
1) nel verbo essere: (tu) sè > sei; siete > sete; fossi > fussi; fosti > fusti;
2) il passato remoto di mettere (e composti) con -s- > -ss-: missi, promisse)
3) nel futuro e nel condizionale di avere -vr- > -r-: arò, arei;
4) dea e stea > dia e stia;
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 28/S1
Titolo: Agnolo Poliziano e la Lettera proemiale alla Raccolta aragonese
Attività n°: 1
Il fiorentino “argenteo”
5) riguardo alle desinenze personali:
a) si estende alla I coniugazione la desinenza -ono per la III persona plurale del
presente e dell’imperfetto: lavono, lavovono;
b) (io) aveva > avevo etc.;
c) la desinenza di I persona plurale del perfetto in -mm- > -m-: lavamo ‘lavammo’,
stemo ‘stemmo’);
d) la desinenza di III persona plurale del perfetto della I coniugazione –arono > -
orono o -orno;
e) il congiuntivo presente e imperfetto alla I persona singolare, e alla III per il solo
presente, escono in -i (abbi ‘io abbia, egli abbia’, avessi ‘io avessi’), alla III plurale
in -ino (abbino ‘abbiano’, avessino);
f) la desinenza di I persona plurale –mo > -no : laviano per ‘laviamo’;
g) la desinenza della II persona plurale -e >-i: (voi) lavasti, lavassi, laveresti;
h) nella II, III, IV coniugazione si estende la desinenza -eno per la III persona
plurale (ad esempio vedeno).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 28/S2
Titolo: Agnolo Poliziano e la Lettera proemiale alla Raccolta aragonese
Attività n°: 1
Ripensando assai volte meco medesimo, illustrissimo signor mio Federico, quale
in tra molte e infinite laudi degli antichi tempi fussi la più eccellente, una per certo sopra
tutte l’altre esser gloriosissima e quasi singulare ho giudicato: che nessuna illustre e
virtuosa opera né di mano né d’ingegno si puote immaginare, alla quale in quella prima
5 età non fussino e in publico e in privato grandissimi premi e nobilissimi ornamenti
apparecchiati. Imperocché, sì come dal mare Oceano tutti li fiumi e fonti si dice aver
principio, così da quest’una egregia consuetudine tutti i famosi fatti e le maravigliose
opere degli antichi uomini s’intende esser derivati.
L’onore è veramente quello che porge a ciascuna arte nutrimento; né da altra cosa
10 quanto dalla gloria sono gli animi de’ mortali alle preclare opere infiammati. A questo
fine adunque a Roma i magnifici trionfi, in Grecia i famosi giuochi del monte Olimpo,
appresso ad ambedue il poetico ed oratorio certame con tanto studio fu celebrato. Per
questo solo il carro ed arco trionfale, i marmorei trofei, li ornatissimi teatri, le statue, le
palme, le corone, le funebri laudazioni, per questo solo infiniti altri mirabilissimi
15 ornamenti furono ordinati; né d’altronde veramente ebbono origine li leggiadri ed alteri
fatti e col senno e con la spada, e tante mirabili eccellenzie de’ valorosi antichi, li quali
sanza alcun dubbio, come ben dice il nostro toscano poeta, non saranno mai senza fama,
Erano questi mirabili e veramente divini uomini, come di vera immortal laude
20 sommamente desiderosi, così d’un focoso amore verso coloro accesi, i quali potessino i
valorosi e chiari fatti delli uomini eccellenti con la virtù del poetico stile rendere
immortali; del quale gloriosissimo desio infiammato il magno Alessandro, quando nel
Sigeo al nobilissimo sepulcro del famoso Achille fu pervenuto, mandò fuori suspirando
quella sempre memorabile regia veramente di sé degna voce:
E sanza dubbio fortunato: imperocché, se ’l divino poeta Omero non fusse stato,
una medesima sepultura il corpo e la fama di Achille averebbe ricoperto. Né questo
poeta ancora, sopra tutti gli altri eccellentissimo, sarebbe in tanto onore e fama salito, se
30 da uno clarissimo ateniese non fusse stato di terra in alto sublevato, anzi quasi da morte a
sì lunga vita restituto. Imperocché, essendo la sacra opera di questo celebratissimo poeta
dopo la sua morte per molti e vari luoghi della Grecia dissipata e quasi dimembrata,
Pisistrato, ateniese principe, uomo per molte virtù e d’animo e di corpo prestantissimo,
proposti amplissimi premi a chi alcuni de’ versi omerici gli apportassi, con somma
35 diligenzia ed esamine tutto il corpo del santissimo poeta insieme raccolse, e sì come a
quello dette perpetua vita, così lui a se stesso immortal gloria e clarissimo splendore
acquistonne. Per la qual cosa nessun altro titulo sotto la sua statua fu intagliato, se non
quest’uno: che dell’insieme ridurre il glorioso omerico poema fussi stato autore. Oh
veramente divini uomini, e per utilità degli uomini al mondo nati!
40 Conosceva questo egregio principe li altri suoi virtuosi fatti, comeché molti e
mirabili fussino, tutti nientedimeno a quest’una laude essere inferiori, per la quale e a sé
1
e ad altri eterna vita e gloria partorissi. Cotali erano adunque quelli primi uomini, de’
quali li virtuosi fatti non solo ai nostri secoli imitabili non sono, ma appena credibili.
Imperocché, essendo già in tutto i premi de’ virtuosi fatti mancati, insieme ancora con
45 essi ogni benigno lume di virtute è spento, e, non facendo gli uomini alcuna cosa
laudabile, ancora questi sacri laudatori hanno al tutto dispregiati. La qual cosa se ne’
prossimi superiori secoli stata non fussi, non sarebbe di poi la dolorosa perdita di tanti e
sì mirabili greci e latini scrittori con nostro grandissimo danno intervenuta. Erano
similmente in questo fortunoso naufragio molti venerabili poeti, li quali primi il diserto
50 campo della toscana lingua cominciorono a cultivare in guisa tale, che in questi nostri
secoli tutta di fioretti e d’erba è rivestita.
Ma la tua benigna mano, illustrissimo Federico, quale a questi porgere ti sei
degnato dopo molte loro e lunghe fatiche, in porto finalmenti gli ha condotti. Imperocché
essendo noi nel passato anno nell’antica pisana città venuti in ragionare di quelli che
55 nella toscana lingua poeticamente avessino scritto, non mi tenne punto la tua Signoria il
suo laudabile desiderio nascoso: ciò era che per mia opera tutti questi scrittori le fussino
insieme in un medesimo volume raccolti. Per la qual cosa, essendo io come in tutte le
altre cose, così ancora in questo, desideroso alla tua onestissima volontà satisfare, non
sanza grandissima fatica fatti ritrovare gli antichi esemplari, e di quelli alcune cose meno
60 rozze eleggendo, tutti in questo presente volume ho raccolti, il quale mando alla Tua
Signoria, desideroso assai che essa la mia opera, qual ch’ella si sia, gradisca, e la riceva
sì come un ricordo e pegno del mio amore in verso di lei singulare.
Né sia però nessuno che questa toscana lingua come poco ornata e copiosa
disprezzi. Imperocché sì bene e giustamente le sue ricchezze ed ornamenti saranno
65 estimati, non povera questa lingua, non rozza, ma abundante e pulitissima sarà reputata.
Nessuna cosa gentile, florida, leggiadra, ornata; nessuna acuta, distinta, ingegnosa,
sottile; nessuna alta, magnifica, sonora; nessuna finalmente ardente, animosa, concitata
si puote immaginare, della quale non pure in quelli duo primi, Dante e Petrarca, ma in
questi altri ancora, i quali tu, signore, hai suscitati, infiniti e chiarissimi esempli non
70 risplendino.
Fu l’uso della rima, secondo che in una latina epistola scrive il Petrarca, ancora
appresso gli antichi romani assai celebrato; il quale, per molto tempo intermesso,
cominciò poi nella Sicilia non molti secoli avanti a rifiorire, e, quindi per la Francia
sparto, finalmente in Italia, quasi in un suo ostello, è pervenuto.
75 Il primo adunque, che dei nostri a ritrarre la vaga immagine del novello stile pose
la mano, fu l’aretino Guittone, ed in quella medesima età il famoso bolognese Guido
Guinizelli, l’uno e l’altro di filosofia ornatissimi, gravi e sentenziosi; ma quel primo
alquanto ruvido e severo, né d’alcuno lume d’eloquenzia acceso; l’altro tanto di lui più
lucido, più suave e più ornato, che non dubita il nostro onorato Dante, padre appellarlo
80 suo e degli altri suoi
2
sono adorne. Il quale, se in più spazioso campo si fusse esercitato, averebbe senza
dubbio i primi onori occupati; ma sopra tutte l’altre sue opere è mirabilissima una
canzona, nella quale sottilmente questo grazioso poeta d’amore ogni qualità, virtù e
accidente descrisse, onde nella sua età di tanto pregio fu giudicata, che da tre suoi
95 contemporanei, prestantissimi filosofi, fra li quali era il romano Egidio, fu
dottissimamente commentata. Né si deve il lucchese Bonagiunta e il notaro da Lentino
con silenzio trapassare: l’uno e l’altro grave e sentenzioso, ma in modo di ogni fiore di
leggiadria spogliati, che contenti doverebbono stare se fra questa bella masnada di sì
onorati uomini li riceviamo. E costoro e Piero delle Vigne nella età di Guittone furono
100 celebrati, il quale ancora esso, non senza gravità e dottrina, alcune, avvenga che piccole,
opere compose: costui è quello che, come Dante dice:
105 Risplendono dopo costoro quelli dui mirabili soli, che questa lingua hanno illuminata:
Dante, e non molto drieto ad esso Francesco Petrarca, delle laude de’ quali, sì come di
Cartagine dice Sallustio, meglio giudico essere tacere che poco dirne.
Il bolognese Onesto e li siciliani, che già i primi furono, come di questi dui sono
più antichi, così della loro lima più averebbono bisogno, avvenga che né ingegno né
110 volontà ad alcuno di loro si vede essere mancato. Assai bene alla sua nominanza
risponde Cino da Pistoia, tutto delicato e veramente amoroso, il quale primo, al mio
parere, cominciò l’antico rozzore in tutto a schifare, dal quale né il divino Dante, per
altro mirabilissimo, s’è potuto da ogni parte schermire. Segue costoro di poi più lunga
gregge di novelli scrittori, i quali tutti di lungo intervallo si sono da quella bella coppia
115 allontanati.
Questi tutti, signore, e con essi alcuni della età nostra, vengono a renderti immortal
grazia, che della loro vita, della loro immortal luce e forma sie stato autore, molto di
maggior gloria degno che quello antico ateniese di chi avanti è fatta menzione.
Perocché lui ad uno, benché sovrano, tu a tutti questi hai renduto la vita. Abbiamo
120 ancora nello estremo del libro (perché così ne pareva ti piacessi) aggiunti alcuni delli
nostri sonetti e canzone, acciò che, quelli leggendo, si rinnovelli nella tua mente la mia
fede e amore singulare verso la Tua Signoria; li quali, se degni non sono fra sì
maravigliosi scritti di vecchi poeti essere annumerati, almeno per fare alli altri paragone
e per fare quelli per la loro comparazione più ornati parere, non sarà forse inutile stato
125 averli con essi collegati.
Riceverà adunque la Tua illustrissima Signoria e questi e me non solamente nella
casa, ma nel petto e animo suo, sì come ancora quella nel core ed animo nostro
giocondamente di continuo alberga. Vale.
3
Agnolo Poliziano, Detti piacevoli
1 – Lorenzo de’ Medici, richiesto di favorire nella elezzione de’ Signori non so chi alquanto
sospetto allo stato, ma uomo a cui piaceva el succo della vite, e dicendogli chi gnene parlava: – Tu
gli farai fare ciò che tu vorrai con un bicchiere di vino –, rispuose: – Che se un altro gnene dessi un
fiasco, dove mi troverrei io? –
2 – Cosimo de’ Medici, padre della patria, avo del predetto, richiesto dallo arcivescovo Antonino di
favore circa a una proibizione che voleva fare, che i preti non giocassino, gli disse: – Cominciate a
fare un po’, prima, da voi ch’e’ non mettino cattivi dadi! –
3 – Cosimo predetto soleva dire che la casa loro di Cafaggiuolo in Mugello vedeva meglio che
quella di Fiesole, perché ciò che quella vedeva era loro, il che di Fiesole non avveniva.
4 – Cosimo predetto, essendoli menato innanzi Matteo del Tegghia, ancora garzone, dal Tegghia
suo padre, il quale, benché detto Matteo insino allora fussi sciocco, come egli è ancora al presente,
stimava, dall’amor paterno ingannato, che e’ fussi savissimo e molto introdotto nelli studi, ora,
dimandando Cosimo in che esso studiassi e rispondendo egli scioccamente che studiava in libris,
voltosi al padre, Cosimo disse: – Fallo studiare, ch’e’ n’ha bisogno! –
5 – Lorenzo di Piero di Cosimo predetto, ragionandosi in un cerchio di preti e dicendogli alcuno che
l’uomo non si potea guardare da loro, disse non essere maraviglia, perché, avendo essi i panni
lunghi, hanno dato prima il calcio che altri vegga loro muover la gamba.
6 – Braccio Martelli, volendo mostrare che Rinato de’ Pazzi era pauroso, non avendo egli voluto
giostrare ad una giostra ordinata, disse che lo faceva perché egli avea paura dell’elmo solo.
7 – Puccio d’Antonio Pucci, uomo nell’età di Cosimo prudentissimo, confortando non so che
cittadino ad accettare l’uficio del Gonfaloniere di Giustizia in tempo importante, e rispondendo egli
che non gli pareva esser tanto savio quanto a quell’uficio s’aspettava, gli dimandò se gli bastava
esser savio come Cosimo. E dicendo egli che se fussi la metà savio, che egli crederebbe assai bene
sodisfare, – Oh io t’insegnerò – disse Puccio – a essere più savio di lui. Non hai tu punto senno da
te? – E dicendo che ne pure credeva avere qualche poco, soggiunse Puccio: – Fa adunque ciò che
Cosimo ti dice, e arai a questo modo tutto el suo senno; il quale accozzando col tuo poco, verrai ad
avere il suo e sopra più il tuo, e così ad essere più savio che Cosimo. –
8 – Messer Matteo di Franco, essendo con Lorenzo de’ Medici in camino e sendogli all’osteria
posto innanzi non so che vinaccio, il quale l’oste diceva essere vino vecchio, disse: – A me pare egli
rimbambito! –
9 – El predetto, stando a vedere a Pisa una disputa la quale era condotta già al tardi, disse ch’e’
farebbon bene a lasciarla stare, ché, non si vedendo più lume, l’argumento si verserebbe fuori; e che
almeno sedessino, acciò che gl’argumenti non se n’andassino giù per le calze.
10 – Lorenzo de’ Medici predetto, essendo in Firenze Lionardo Benvoglienti, ambasciadore sanese,
il quale, trovatolo un dì per un certo andamento ch’era allora, gli toccò il polso domandando come
si sentissi, scosso el braccio, riprese il polso al detto Lionardo, dicendo: – Questo tocca a fare a me,
che sono de’ Medici, e lo infermo siate pur voi! –
[….]
4
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 28/S3
Titolo: Agnolo Poliziano e la Lettera proemiale alla Raccolta aragonese
Attività n°: 1
Riepilogo
Agli inizi, rappresentati dalla Scuola Siciliana (testi di Iacopo da Lentini e Pier delle
Vigne) e dai siculo-toscani (Bonagiunta Orbicciani) era dato poco spazio (per di più
essi erano collocati fra i minori in penultima posizione, fuori della seriazione su base
cronologica); la Raccolta invece si apriva sulla figura di Dante a cui era dato massimo
risalto: introdotto dalla Vita di Dante di Giovanni Boccaccio, vi era accolto il prosimetro
della Vita nova, le grandi canzoni dantesche, un certo numero di sonetti. A Dante
seguivano Guido Guinizzelli, Guittone d’Arezzo e Guido Cavalcanti; la cronologia poi
riprendeva la sua funzione ordinatrice con la sequenza di Cino da Pistoia e una
raccolta ampia di poeti trecenteschi (fra cui il Boccaccio delle rime) e primo-
quattrocenteschi. La Raccolta non comprende invece Petrarca. La Raccolta si
concludeva poi con una piccola antologia di Lorenzo de’ Medici poeta, di cui venivano
accolti nove sonetti, due canzoni e cinque ballate. Quest’ultima scelta dimostra
quanto, a considerazioni di tipo strettamente letterario, si coniugassero ragioni, dai
riflessi anche politici, di autopromozione del signore di Firenze.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 29/S1
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1
Lessico volgare:
focoso ‘ardente’ (in senso metaforico): 20;
ostello ‘casa, rifugio’: 74; dal francese antico ostel;
ruvido 78: da una neoformazione del latino volgare, RUGIDUM, a partire da RUGAM;
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 30
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1
Esclusivamente al volgare rimandano anche i termini attinenti alle arti figurative: colorita
‘colorata’ 84 e adombrata 84 (che qui vale ‘disegnata a chiaroscuro’) e intagliato 37
‘inciso’.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 30/S1
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1
-- la desinenza di III pers. sing. dell’imperfetto oscilla fra -e e -i: fusse 27, 30, 91, ma
fussi 2, 38, 47 (nei Detti 4,2 e 4,3, 7,4); apportassi 34, piacessi 120 (nei Detti: dessi
1,3; studiassi 4,4; sentissi 10,3); la III pl. è -ino: fussino 5, 41, 56, potessino 20,
avessino 55, giocassino a Detti 2,2, sedessino 9,3, andassino, 9,3.
Forme particolari
troverrei: Detti 1,4;
essendo : 31, 44, 54, 57 (nei Detti: 8,1 e 10,1; essendoli 4,1) / sendo : Detti piacevoli
8,1;
renduto : 119.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 30/S3
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1
la vitalità di nom inanza e renduto (in entrambi i casi la ricerca, per forma,
va fatta secolo per secolo).
In primo luogo si noterà l’alta frequenza di forme verbali composte in posizione finale di
periodo (forme non composte, rispettivamente passati remoti, presenti indicativi e
congiuntivi imperfetti, compaiono in fine di periodo a 42 partorissi, 94 descrisse e 101
compose; a 43 sono, 88 rassembra, 99 riceviamo; a 64 disprezzi e 70 risplendino).
Le forme verbali composte sono un’innovazione linguistica romanza e dunque sono
caratteristiche del volgare; numerosi umanisti, nel desiderio di modellare il proprio
volgare sul latino, tentarono di ridurne le occorrenze, sostituendo, laddove fosse
possibile, il passato remoto al passato prossimo (così fa per esempio Leon Battista
Alberti).
Il Poliziano invece non censura tali forme, ma piuttosto le ‘depotenzia’, separando di
frequente l’ausiliare dal participio passato (e dunque riducendo la visibilità del tempo
composto) e ponendo in evidenza in fine di periodo il participio passato (ottenendo in
tal modo un effetto latineggiante analogo a quello della posposizione dell’intero
sintagma verbale), come si può vedere dagli esempi seguenti:
5-6 “non fussino e in publico e in privato grandissimi premi e nobilissimi ornamenti
apparecchiati”
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 31/S2
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1
Aperta da un’allusione alla grande tradizione retorica latina (Ripensando […] meco
medesimo ricorda l’incipit del De oratore: “Cogitanti mihi saepe numero et memoria
vetera repetenti perbeati fuisse”), l’epistola polizianea rimanda, nelle righe 1-17, al tema,
spesso sfruttato in periodo umanistico, del premio come incoraggiamento alla virtù e
all’esercizio letterario.
In particolare i rr. 9-10 (L’onore è veramente quello che porge a ciascuna arte
nutrimento; né d’altra cosa quanto dalla gloria sono gli animi de’ mortali alle preclare
opere infiammati) sono traduzione esatta (pur con qualche minima amplificazione) di
Cicerone, Tusculanae disputationes I 4 “honos alit artes, omnesque incenduntur ad
studia gloria”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 32
Titolo: Agnolo Poliziano: lo stile
Attività n°: 1
che sono letteralmente tradotte a 106-107 (si veda l’esatta corrispondenza fra melius
/meglio e l’esatta traduzione di silere con tacere e parum dicere con poco dirne) e
rispettivamente a 71-74 (si confronti apud Siculos […], non multis ante seculis renatum
con nella Sicilia non molti secoli avanti a rifiorire e apud […] Latinorum vetustissimos
celebratum con appresso gli antichi romani assai celebrato).
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 32
Titolo: Agnolo Poliziano: lo stile
Attività n°: 1
“Quis doctior eisdem temporibus illis aut cuius eloquentia litteris instructior fuisse
traditur quam Pisistrati? Qui primus Homeri libros confusos antea sic disposuisse
dicitur, ut nunc habemus. Non fuit ille quidem civibus suis utilis, sed ita eloquentia
floruit, ut litteris doctrinaque praestaret”,
ma che Poliziano arricchisce con informazioni ricavate da autori greci (in particolare da
Eustazio, il commentatore di Omero) a questa data tutt’altro che diffusi e la cui
conoscenza dimostra il livello di erudizione del Poliziano.
La citazione di Pisistrato (esaltato già da Cicerone e Petrarca come esempio di dottrina
e di eloquenza) per la sua raccolta dei poemi omerici è funzionale a celebrare,
mediante il paragone con un esempio classico, il ruolo avuto da Federico d’Aragona nel
salvataggio degli antichi poeti volgari attuato mediante la Raccolta Aragonese.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 32/S1
Titolo: Agnolo Poliziano: lo stile
Attività n°: 1
D’altro canto la lunga descrizione fisica e letteraria di Guido Cavalcanti a 85-96 deve
molto alla descrizione che del poeta diede Boccaccio nella breve novella IX della VI
giornata del Decameron. L’attenzione alla produzione boccacciana è attestata inoltre
da la bella forma del nostro idioma (83) che riprende il Boccaccio del Trattatello in
laude di Dante: “mostrando la bellezza del nostro idioma” (il grecismo idioma,
introdotto in italiano per primo da Dante, è transitato poi soprattutto attraverso i
commentatori e imitatori della Commedia, fra i quali lo stesso Boccaccio).
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 32/S1
Titolo: Agnolo Poliziano: lo stile
Attività n°: 1
Questa doppia attenzione alla tradizione greca e latina e a quella volgare corrisponde,
a livello propriamente linguistico, a quel che abbiamo visto riguardo la diversa
penetrazione di elementi latini e volgari a seconda che ci si sia soffermati sugli aspetti
fonetici, o morfologici o sintattici o infine lessicale.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 32/S2
Titolo: Agnolo Poliziano: lo stile
Attività n°: 1
Un’ultima considerazione su quelle che sono le specificità di natura culturale del nostro
testo. La parte più innovativa dell’Epistola è quella storico-critica, nella quale Poliziano
elabora (o rielabora per il volgare) un lessico tecnico-critico: dalla tradizione classica
provengono i concetti di ornamento e di copia (con il sinonimo di abundantia e dunque
di ricchezza) o di rifinitura (polire): ornata e copiosa 63; ricchezze ed ornamenti 64;
abundante e pulitissima 65; ornatissimi 77; copioso e rilevato 89; più lucido, più suave
e più ornato 78-79. L’apporto di Poliziano alla formazione di un lessico critico nuovo si
misura invece su gentile, florida, leggiadra 66 o sull’associazione in dittologia di
nuovo e antico: ruvido e severo 78.
In questo stesso settore Poliziano adotta il campo metaforico delle arti visive per
descrivere lo stile dei poeti passati in rassegna nella seconda parte, secondo un
modello offertogli dalla retorica classica, nella quale non di rado erano invocati
paragoni con la pittura e con i pittori per illustrare alcuni precetti retorici. In questa
luce si comprende la pregnanza di formulazioni come le seguenti: 75: a ritrarre la
vaga im m agine del novello stile; 83: da cui la bella form a del nostro idioma fu
dolcemente colorita, quale appena da quel rozzo aretino era stata adom brata ; 89:
copioso e rilevato.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 33
Titolo: Test
Attività n°: 1
Riepilogo
la vitalità di lauda, laude , laudi rispetto a loda, lode, lodi (in entrambi i
casi la ricerca, per lemma o per forma va fatta secolo per secolo).
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
24) Illustrate la presenza e la natura dei latinismi nella scrittura di Agnolo Poliziano.
25) Analizzate dal punto di vista linguistico il seguente brano estratto dalla Lettera
proemiale alla Raccolta Aragonese:
“Imperocché, essendo la sacra opera di questo celebratissimo poeta dopo la sua morte per
molti e vari luoghi della Grecia dissipata e quasi dimembrata, Pisistrato, ateniese principe,
uomo per molte virtù e d’animo e di corpo prestantissimo, proposti amplissimi premi a chi
alcuni de’ versi omerici gli apportassi, con somma diligenzia ed esamine tutto il corpo del
santissimo poeta insieme raccolse, e sì come a quello dette perpetua vita, così lui a se stesso
immortal gloria e clarissimo splendore acquistonne”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 34
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 2
Nell’analizzare la prosa letteraria del Cinquecento non possiamo dunque dimenticare che
prassi e teoria, scrittura letteraria e riflessione linguistica vanno di concerto e sono
sempre costantemente legate. Legata a bisogni percepiti a livelli diversi (tipografi,
utenti, letterati, oltre che grammatici e lessicografi), la questione della lingua si affaccia
e si impone fin dai primi anni del secolo XVI.
Nel primo decennio del secolo, a stare alla affermazione dell’autore, Pietro Bembo
aveva iniziato a mettere su carta la propria riflessione sulla lingua da usarsi in
letteratura, mediante la stesura di regole di carattere grammaticale; in quello stesso
primo decennio del Cinquecento viene composta la prima grammatica volgare di
Giovan Francesco Fortunio (prescindendo dalla Grammatichetta vaticana dell’Alberti
che fu, come abbiamo detto, gesto precoce e geniale, ma senza fortuna, di un umanista
sui generis); in quello stesso giro d’anni vengono scritti i nove libri, ormai irrecuperabili,
della Volgar poesia di Vincenzo Calmeta (Vincenzo Colli detto il Calmeta, 1460-1508),
da datarsi almeno ante 1508, data della morte del loro autore, nei quali si patrocinava la
scelta della lingua cortigiana e dei quali ci rimane un resoconto e un giudizio,
certamente di parte, nelle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo (Prose, libro I,
capitoli XIII-XIV).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 34/S1
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 1
La comparsa nel 1525 delle Prose bembiane nel panorama letterario italiano non fu
importante soltanto per le teorie linguistiche espresse nelle Prose e per l’indicazione di
una precisa via maestra da seguire, ma soprattutto perché, a differenza delle Regole
dell’oscuro Giovan Francesco Fortunio, esse rappresentavano il punto di vista
(condivisibile o meno che esso fosse) di un intellettuale di primo piano, ormai autore
maturo e di prestigio indiscusso: nel 1524-1525 il Bembo aveva alle spalle una solida
preparazione filologica e umanistica, una buona produzione latina, una vita trascorsa
nelle corti di Ferrara (a più riprese) e di Urbino (fra il 1506 e il 1512) e, dal 1513 al
1520 era stato segretario del primo papa Medici (Leone X), più volte in procinto di
essere nominato cardinale (nomina che giunse invece molto tempo dopo, nel 1539);
questa vita a contatto con gli ambienti cortigiani e curiali aveva consentito a Pietro
Bembo di stabilire una serie di relazioni di amicizia e di colleganza da cui aveva ricavato
stima e fama indiscussa.
Insomma la presa di posizione di Bembo sulla questione linguistica, che si fosse o no
d’accordo con lui, non poteva passare inosservata.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 34/S3
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 1
“Egli par bene da una parte, - disse - messer Federigo, che per contento tener se ne
debba Giuliano, perciò che egli ha senza sua fatica quella lingua nella culla e nelle
fascie apparata, che noi dagli auttori il più delle volte con l'ossa dure disagiosamente
appariamo. Ma d'altra non so io bene, senza fallo alcuno, che dirmi; e viemmi
talora in openione di credere, che l'essere a questi tempi nato fiorentino, a
ben volere fiorentino scrivere, non sia di molto vantaggio. Perciò che, oltre
che naturalmente suole avenire, che le cose delle quali abondiamo sono da noi men
care avute, onde voi toschi, del vostro parlare abondevoli, meno stima ne fate che
noi non facciamo, sì aviene egli ancora che, perciò che voi ci nascete e crescete,
a voi pare di saperlo abastanza, per la qual cosa non ne cercate altramente
gli scrittori, a quello del popolaresco uso tenendovi, senza passar più avanti, il
quale nel vero non è mai così gentile, così vago, come sono le buone scritture. Ma gli
altri, che toscani non sono, da' buoni libri la lingua apprendendo, l’apprendono vaga
e gentile”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 35/S3
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 1
Non è però a questo o ad altri passaggi delle Prose che Machiavelli risponde con il
Discorso intorno alla nostra lingua; scritto all’incirca nel 1524, il Discorso testimonia
quel che si diceva in giro delle Prose, non ancora pubblicate né, dunque, lette nella
loro integrità. È però certo che le impostazioni di Bembo e Machiavelli sono
diametralmente opposte.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 36/S1
Titolo: Niccolò Machiavelli e la questione della lingua
Attività n°: 1
Ma tanto più scalpore aveva fatto e avrebbe continuato a fare l’interpretazione che del
De vulgari eloquentia (o, come lo si chiamava allora, De vulgari eloquio) aveva dato il
suo riscopritore, il vicentino Gian Giorgio Trissino (1478-1550) che fin dal 1513, durante
un soggiorno a Firenze, aveva fatto conoscere il testo dantesco nelle riunioni degli Orti
Oricellari (cioè nei giardini fiorentini di Cosimo Rucellai).
Solo più tardi, precisamente nel 1529, ormai dopo la morte di Machiavelli, alla
circolazione orale delle teorie dantesche in fatto di lingua patrocinata dal Trissino, fece
seguito la circolazione a stampa: in quell’anno “il Trissino pubblicò sotto altrui nome la
traduzione italiana dell’inedito De vulgari eloquentia di Dante, e insieme un dialogo, Il
Castellano, in cui fornì una compiuta illustrazione della sua dottrina linguistica,
conforme a quella di Dante, di una lingua letteraria comune a tutta Italia, e dunque
italiana, non soltanto fiorentina o toscana” (Carlo Dionisotti, Machiavelli e la lingua
fiorentina, p. 320).
Fra il 1513 e il 1529 però le teorie trissiniane di una lingua cortigiana o italiana furono
al centro di discussioni che, svoltesi a Roma, furono ben presto note e commentate a
Firenze.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 36/S2
Titolo: Niccolò Machiavelli e la questione della lingua
Attività n°: 1
Contrariamente a quel che si era creduto a lungo, nell’Ottocento e poi fino al 1970, il
Discorso intorno alla nostra lingua non va fatto risalire alla prima diffusione del De
vulgari eloquentia testimoniata dal soggiorno fiorentino del Trissino del 1513 (data
poco probabile per la stessa biografia machiavelliana, che vede Machiavelli coinvolto
in un’accusa di complotto, imprigionato e poi impegnato nella stesura del Principe),
ma ad un periodo che Dionisotti ha precisamente individuato fra il maggio 1524
(quando una lettera di Alessandro de’ Pazzi da Roma informa Francesco Vettori, amico
del Machiavelli, di discussioni romane suscitate dalle teorie ‘cortigiane’ del Trissino) e
l’ottobre dello stesso anno, mese nel quale il Trissino dette alle stampe la sua Epistola
de le lettere nuovamente aggiunte ne la lingua italiana (di cui non c’è menzione nel
Discorso), in cui il problema ortografico, che era stato centrale già nel decennio
precedente, veniva riaffrontato, introducendo nuovi segni per distinguere vocali
aperte e chiuse, consonanti sorde e sonore, suscitando repliche immediate.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 36/S3
Titolo: Niccolò Machiavelli e la questione della lingua
Attività n°: 1
Riepilogo
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
26) Quali problemi vengono affrontati e quali soluzioni vengono proposte nelle prime
grammatiche del volgare, in particolare nelle Regole del Fortunio e nelle Prose del
Bembo?
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1
Machiavelli e il P rincipe
Dalla teoria passiamo alla pratica che (come dice ancora il Dionisotti) per il Machiavelli
“facevano tutt’uno”. Dagli ultimi anni di vita di Machiavelli, a cui va datato il Discorso,
risaliamo ai primi dolorosi e impazienti anni di estromissione dalla politica: dopo il
quindicennio che lo aveva visto protagonista e lucido testimone della politica fiorentina
e italiana dall’interno dei suoi meccanismi (1498-1512), il rientro dei Medici a Firenze
causò la cancellazione del Machiavelli dall’ufficio fino allora ricoperto (novembre 1512),
la sua condanna al confino e l’accusa di esser coinvolto in una congiura filo-
repubblicana (febbraio 1513) che costò al Machiavelli prima la tortura e poi il carcere.
Anche la sua liberazione, avvenuta poco dopo in occasione di un’amnistia decretata per
celebrare a Firenze l’elezione a papa di Giovanni di Lorenzo de’ Medici (Leone X) non
servì a riammetterlo al centro di quella politica di cui era stato protagonista negli anni
precedenti. Senza prospettive di poter di nuovo mettere a servizio della propria città
l’esperienza politica maturata negli anni in cui era stato Segretario della Repubblica
fiorentina, Machiavelli affronta con nuova passione (come del resto non aveva mai
smesso di fare) lo studio dell’antico e la riflessione sulla storia passata che gli consente
(secondo una visione tutta umanistica) di leggere e interpretare il presente.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1
Machiavelli e il P rincipe
La riflessione sul passato, la lettura dei classici e l’esperienza politica passata inducono il
Machiavelli a scrivere il De principatibus che egli afferma all’amico Francesco Vettori di
aver terminato il 10 dicembre del 1513 e sul quale probabilmente continuò a lavorare fino
agli inizi dell’anno seguente quando lo dedicò a Lorenzo di Piero de’ Medici. A presiedere
all’opera non sta la volontà di creare uno speculum principis (come potrebbe indurre a
credere il titolo vulgato di Il principe e come potrebbe far credere la centralità della
figura, a suo modo ‘esemplare’, del principe Cesare Borgia, il Valentino, nel dilemma
fortuna e virtù di questo trattato), ma un’analisi serrata sulla natura, qualità e sorti de
principatibus, cioè del potere politico retto in signoria.
Nel file pdf allegato è riprodotto un brano del De principatibus (lettera dedicatoria e
capitoli I-III) secondo il testo edito criticamente da Giorgio Inglese nel 1994 (N.
MACHIAVELLI, De principatibus, testo critico a cura di Giorgio Inglese, Roma, Istituto
Storico Italiano per il Medio Evo, 1994; con commento Torino, Einaudi, 1994), di recente
aggiornato dallo stesso studioso (N. MACHIAVELLI, Il Principe, Nuova edizione a cura di G.
Inglese, Con un saggio di F. Chabod, Torino Einaudi, 2013, pp. 3-26).
N.B. La traduzione delle rubriche latine che intitolano ciascun capitolo (nel file poste fra
parentesi quadre) “riproduce con minimi aggiustamenti, quella procurata da Biagio
Buonaccorsi nel ms Parigino it. 709” (ivi, p. XLVIII).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1
[I] QUOT SINT GENERA PRINCIPATUUM ET QUIBUS MODIS ACQUIRANTUR. [Di quante ragioni sieno e’
principati e in che modo si acquistino]
[1] Tutti gli stati, tutti e’ dominii che hanno avuto e hanno imperio sopra gli uomini, sono stati e sono
o republiche o principati. [2] E’ principati sono o ereditari, de’ quali el sangue del loro signore ne sia suto
lungo tempo principe, o sono nuovi. [3] E’ nuovi, o e’ sono nuovi tutti, come fu Milano a Francesco
Sforza, o sono come membri aggiunti allo stato ereditario del principe che gli acquista, come è el regno di
Napoli al re di Spagna. [4] Sono questi dominii cosí acquistati o consueti a vivere sotto uno principe o usi
a essere liberi; et acquistonsi o con le armi d’altri o con le proprie, o per fortuna o per virtù.
1
dominio. [5] Perché el principe naturale ha minori cagioni e minore necessità di offendere, donde con-
viene ch’e’ sia più amato; e se estraordinarii vizi non lo fanno odiare è ragionevole che naturalmente sia
benevoluto da’ sua. [6] E nella antiquità e continuazione del dominio sono spente le memorie e le cagioni
delle innovazioni: perché sempre una mutazione lascia lo addentellato per la edificazione dell’altra.
2
campi e le case per darle a’ nuovi abitatori, che sono una minima parte di quello stato; [16] e quelli
ch’egli offende, rimanendo dispersi e poveri, non gli possono mai nuocere; e tutti li altri rimangono da
uno canto inoffesi – e per questo doverrebbono quietarsi –, da l’altro paurosi di non errare per timore che
non intervenissi a loro come a quelli che sono stati spogliati. [17] Concludo che queste colonie non co-
stono, sono più fedeli, offendono meno, e li offesi non possono nuocere, sendo poveri e dispersi, come è
detto. [18] Per che si ha a notare che gli uomini si debbono o vezzeggiare o spegnere: perché si vendicano
delle leggeri offese, delle gravi non possono; sí che la offesa che si fa all’uomo debbe essere in modo che
la non tema la vendetta. [19] Ma tenendovi in cambio di colonie gente d’arme, spende più assai, avendo a
consumare nella guardia tutte le intrate di quello stato, in modo che l’acquisto gli torna perdita; e offende
molto più, perché nuoce a tutto quello stato tramutando con li alloggiamenti il suo essercito: del quale di-
sagio ognuno ne sente e ciascuno gli diventa nimico, e sono nimici che gli possono nuocere, rimanendo
battuti in casa loro. [20] Da ogni parte adunque questa guardia è inutile, come quella delle colonie è utile.
[21] Debbe ancora chi è in una provincia disforme, come è detto, farsi capo e defensore de’ vicini mi-
nori potenti e ingegnarsi di indebolire e’ potenti di quella e guardarsi che per accidente alcuno non vi entri
uno forestiere potente quanto lui. E sempre interverrà ch’e’ vi sarà messo da coloro che saranno in quella
malcontenti o per troppa ambizione o per paura: come si vidde già che li etoli missono e’ romani in Gre-
cia, e, in ogni altra provincia che gli entrorno, vi furno messi da’ provinciali. [22] E l’ordine delle cose è
che, subito che uno forestieri potente entra in una provincia, tutti quelli che sono in essa meno potenti gli
aderiscono, mossi da una invidia hanno contro a chi è suto potente sopra di loro: tanto che respetto a que-
sti minori potenti lui non ha a durare fatica alcuna a guadagnargli, perché subito tutti insieme fanno uno
globo col suo stato che lui vi ha acquistato; [23] ha solamente a pensare ch’e’ non piglino troppe forze e
troppa autorità, e facilmente può con le forze sua e col favore loro sbassare quelli che sono potenti per ri-
manere in tutto arbitro di quella provincia; e chi non governerà bene questa parte perderà presto quello
che arà acquistato, e, mentre che lo terrà, vi arà drento infinite difficultà e fastidi.
[24] E’ Romani, nelle province che pigliorno, osservorno bene queste parte: e’ mandorno le colonie,
intrattennono e’ meno potenti sanza crescere loro potenza, abbassorno e’ potenti e non vi lasciorno pren-
dere riputazione a’ potenti forestieri. [25] E voglio mi basti solo la provincia di Grecia per essemplo:
furno intrattenuti da loro gli achei e gli etoli, fu abbassato il regno de’ macedoni, funne cacciato Antioco;
né mai e’ meriti degli achei o delli etoli feciono ch’e’ permettessino loro accrescere alcuno stato, né le
persuasioni di Filippo gli indussono mai a essergli amici sanza sbassarlo, né la potenza di Antioco possé
fare gli consentissino ch’e’ tenessi in quella provincia alcuno stato. [26] Perché e’ romani feciono in que-
sti casi quello che tutti e’ principi savi debbono fare, e’ quali non solamente hanno a avere riguardo alli
scandoli presenti ma a’ futuri, e a quelli con ogni industria ovviare; perché, prevedendosi discosto, vi si
rimedia facilmente, ma, aspettando ch’e’ ti si appressino, la medicina non è a tempo perché la malattia è
diventata incurabile; [27] e interviene di questa, come dicono e’ fisici dello etico, che nel principio del
suo male è facile a curare e difficile a conoscere, ma nel progresso del tempo, non la avendo nel principio
conosciuta né medicata, diventa facile a conoscere e difficile a curare. [28] Cosí interviene nelle cose di
stato: perché conoscendo discosto – il che non è dato se non a uno prudente – e’ mali che nascono in
quello si guariscono presto; ma quando per non gli avere conosciuti si lasciano crescere in modo che
ognuno gli conosce, non vi è più remedio.
[29] Però e’ romani, vedendo discosto gli inconvenienti, vi rimediorno sempre; e non gli lasciorno mai
seguire per fuggire una guerra, perché sapevano che la guerra non si lieva ma si differisce a vantaggio di
altri: però vollono fare con Filippo e Antioco guerra in Grecia, per non la avere a fare con loro in Italia; e
potevono per allora fuggire l’una e l’altra: il che non vollono. [30] Né piacque mai loro quello che è tutto
dí in bocca de’ savi de’ nostri tempi, di godere il benefizio del tempo, ma sí bene quello della virtù e pru-
denza loro: perché il tempo si caccia innanzi ogni cosa e può condurre seco bene come male e male come
bene.
[31] Ma torniamo a Francia e essaminiamo se delle cose dette ne ha fatte alcuna: e parlerò di Luigi, e
non di Carlo, come di colui che, per aver tenuta più lunga possessione in Italia, si sono meglio visti e’ sua
progressi: e vedrete come egli ha fatto il contrario di quelle cose che si debbono fare per tenere uno stato
in una provincia disforme. [32] El re Luigi fu messo in Italia da la ambizione de’ viniziani, che vollono
guadagnarsi mezzo lo stato di Lombardia per quella venuta. [33] Io non voglio biasimare questo partito
3
preso dal re: perché, volendo cominciare a mettere uno piè in Italia e non avendo in questa provincia
amici, anzi sendoli per li portamenti del re Carlo serrate tutte le porte, fu necessitato prendere quelle ami-
cizie che poteva; e sarebbegli riuscito el partito bene preso quando nelli altri maneggi non avessi fatto al-
cuno errore. [34] Acquistata adunque el re la Lombardia, subito si riguadagnò quella reputazione che gli
aveva tolta Carlo: Genova cedé; fiorentini gli diventorno amici; marchese di Mantova, duca di Ferrara,
Bentivogli, Madonna di Furlí, signore di Faenza, di Rimini, di Pesero, di Camerino, di Piombino, luc-
chesi, pisani, sanesi, ognuno se gli fece incontro per essere suo amico. [35] E allora poterno considerare
e’ viniziani la temerità del partito preso da loro, e’ quali per acquistare dua terre in Lombardia feciono si-
gnore el re de’ dua terzi di Italia.
[36] Consideri ora uno con quanta poca difficultà poteva el re tenere in Italia la sua reputazione se lui
avessi osservate le regule soprascritte e tenuti sicuri e difesi tutti quelli sua amici, e’ quali, per essere gran
numero e deboli e paurosi chi della Chiesia chi de’ viniziani, erano sempre necessitati a stare seco: e per il
mezzo loro poteva facilmente assicurarsi di chi ci restava grande. [37] Ma lui non prima fu in Milano che
fece il contrario, dando aiuto a papa Alessandro perché egli occupassi la Romagna; né si accorse, con
questa deliberazione, che faceva sé debole, togliendosi gli amici e quegli che se gli erano gittati in
grembo, e la Chiesa grande, aggiugnendo allo spirituale – che le dà tanta autorità – tanto temporale. [38]
E fatto uno primo errore fu constretto a seguitare: in tanto che, per porre termine alla ambizione di Ales-
sandro e perché non divenissi signore di Toscana, e’ fu constretto venire in Italia.
[39] Non gli bastò avere fatto grande la Chiesa e toltosi gli amici, che per volere il regno di Napoli lo
divise con il re di Spagna: e dove egli era prima arbitro di Italia, vi misse uno compagno, acciò che gli
ambiziosi di quella provincia e e’ malcontenti di lui avessino dove ricorrere; e dove poteva lasciare in
quel regno uno re suo pensionario, e’ ne lo trasse per mettervi uno che potessi cacciarne lui. [40] È cosa
veramente molto naturale e ordinaria desiderare di acquistare: e sempre, quando li uomini lo fanno che
possano, saranno laudati o non biasimati; ma quando non possono e vogliono farlo a ogni modo, qui è lo
errore e il biasimo. [41] Se Francia, adunque poteva con le sue forze assaltare Napoli, doveva farlo: se
non poteva, non doveva dividerlo; e se la divisione fece co’ viniziani di Lombardia meritò scusa, per
avere con quella messo el piè in Italia, questa merita biasimo per non essere scusata da quella necessità.
[42] Aveva dunque fatto Luigi questi cinque errori: spenti e’ minori potenti; accresciuto in Italia po-
tenza a uno potente; messo in quella uno forestiere potentissimo; non venuto ad abitarvi; non vi messo
colonie. [43] E’ quali errori ancora, vivendo lui, potevono non lo offendere s’e’ non avessi fatto il sesto,
di tòrre lo stato a’ viniziani. [44] Perché, quando non avessi fatto grande la Chiesa né messo in Italia Spa-
gna, era bene ragionevole e necessario abbassargli; ma avendo preso quegli primi partiti non doveva mai
consentire alla ruina loro: perché, sendo quegli potenti, sempre arebbono tenuti gli altri discosto da la im-
presa di Lombardia, sí perché e’ viniziani non vi arebbono consentito sanza diventarne signori loro, sí
perché li altri non arebbono voluto torla a Francia per darla a loro; e andare a urtarli tutti a dua non areb-
bono avuto animo.
[45] E se alcuno dicessi: el re Luigi cedé a Alessandro la Romagna e a Spagna il Regno per fuggire
una guerra; respondo, con le ragioni dette di sopra, che non si debbe mai lasciare seguire uno disordine
per fuggire una guerra: perché la non si fugge ma si differisce a tuo disavvantaggio. [46] E se alcuni altri
allegassino la fede che il re aveva data al papa di fare per lui quella impresa per la resoluzione del suo
matrimonio e il cappello di Roano, rispondo con quello che per me di sotto si dirà circa alla fede de’ prin-
cipi e come la si debbe osservare.
[47] Ha perduto adunque el re Luigi la Lombardia per non avere osservato alcuno di quelli termini os-
servati da altri che hanno preso province e volutole tenere; né è miraculo alcuno questo, ma molto ordina-
rio e ragionevole. [48] E di questa materia parlai a Nantes con Roano, quando el Valentino – che cosí era
chiamato popularmente Cesare Borgia, figliuolo di papa Alessandro – occupava la Romagna; perché, di-
cendomi el cardinale di Roano che gli italiani non si intendevano della guerra, io gli risposi che e’ fran-
zesi non si intendevano dello stato: perché, s’e’ se ne ’ntendessino, non lascerebbono venire in tanta
grandezza la Chiesa. [49] E per esperienza si è visto che la grandezza in Italia di quella e di Spagna è stata
causata da Francia e la ruina sua è suta causata da loro. [50] Di che si trae una regula generale, la quale
mai o raro falla, che chi è cagione che uno diventi potente, ruina: perché quella potenza è causata da colui
o con industria o con forza, e l’una e l’altra di queste dua è sospetta a chi è divenuto potente.
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Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37/S1
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1
Nella slide finale di questa sessione di studio troverete lo spoglio del nostro brano
relativamente all’articolo e pronome li / gli, ciascuno dei quali distinto secondo le
funzioni morfosintattiche: l’articolo isolato o in connessione con una preposizione, il
pronome a seconda che esprima un complemento oggetto maschile plurale o un
complemento di termine (si avverta che in questo caso li / gli può stare per il
maschile e il femminile, per il singolare e il plurale) e infine il frequente pronome o
aggettivo dimostrativo maschile quelli /quegli.
Noteremo (come già avvertito a suo tempo per Poliziano) che per quanto riguarda
l’articolo (e di conseguenza le preposizioni articolate) la variante li potrebbe essere
un arcaismo grafico e dunque di nessuna (o scarsissima) pertinenza fonetica,
alternandosi in maniera ‘casuale’ li uomini / gli uomini, li etoli / gli etoli, e la residua
forma forte dell’articolo distribuendosi (oltre che davanti a vocale), davanti a s +
consonante sia nella forma gli stati come nella forma alli scandoli (a proposito
dell’uso dell’articolo forte si veda il rispetto della legge Gröber in per li portamenti
(ma viceversa l’articolo debole singolare compare dopo consonante a III 36,3 per il
mezzo e a III 39, 2 con il re).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37/S1
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1
Nel prospetto seguente il numero romano (che manca per la lettera dedicatoria) indica il
capitolo, le cifre arabe il paragrafo e la riga.
Dall’elenco sono escluse le forme gli pronome personale soggetto (‘essi’) di cui
tratteremo sotto e che compare a III 1, 4 e III 21, 5.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37/S1
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1
Machiavelli e il P rincipe : il
quadro fono-morfologico
Avendo affrontato il tema degli articoli, esauriamolo, verificando la frequenza nella
prosa machiavelliana delle forme deboli dell’articolo maschile singolare il / el e plurale
i / e.
I numeri dicono che la nuova forma dell’articolo maschile singolare el ha un suo diritto
di cittadinanza nella prosa del Cinquecento, anche se (occorre ribadirlo di nuovo)
l’innovazione non riesce né a cancellare né a sopravanzare il concorrente e più antico
il.
La penetrazione è invece addirittura invasiva nelle forme del plurale giacché nel nostro
brano (ma il dato è confermato dal riscontro su tutto il testo del Principe) non
compare mai la forma i, soppiantata completamente da e’.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37/S2
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1
i (0)
e’ (38 occorrenze): 4, 2; 5, 2; 5, 3; I 1, 1; I 2, 1; I 3, 12; III 1, 3; III 1, 4; III 4, 4; III
5, 1; III 5, 2; III 5, 3; III 9, 6; III 13, 2; III 13, 3; III 15, 2; III 21, 2; III 21, 4; III
24, 1; III 24, 22; III 25, 3; III 26, 1; III 26, 22; III 27, 1; III 28, 2; III 29, 1; III 31,
2; III 35, 22; III 36, 2; III 39, 3; III 42, 1; III 43, 1; III 44, 4; III 48, 3.
A fronte dunque della scomparsa di i (peraltro momentanea, nella storia della lingua
italiana) e dunque a fronte dell’unicità della forma e’, ci possiamo chiedere quali sono (se
ci sono in effetti) delle specificità di distribuzione delle due forme del maschile singolare, i
cui rapporti numerici nel nostro testo rispecchiano quelli dell’intero trattato.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37/S2
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1
Per altro verso c’è la possibilità che, a determinare la scelta di volta in volta stiano
condizioni fonetiche o facilitanti o contestualmente preferite: delle 18 occorrenze di el, 7
sono precedute da parola che termina in -e, 5 da parola che termina in -o, 3 in -i, 1 in-a;
delle 25 occorrenze di il, 9 sono precedute da parola che termina in -o, 7 da parola che
termina in -e, 5 in -a, 1 in -i.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37/S3
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1
La forma indeclinabile dei possessivi è confermata dall’analogo dua (dua respetti III 10,
1; dua luoghi III 14, 1; dua terre III 35, 2; tutti a dua III 44, 5; queste dua IIII 50, 3),
che a sua volta conferma l’adesione all’innovazione quattrocentesca relativa ai numerali
proposta già da dieci (nel dieci II 4, 2).
Antitesi classificatoria:
1, 2 abbino più care o delle quali vegghino; 2, 3 quale io abbia più cara o tanto essistimi;
4, 1-2 né ripiena di clausule ample o di parole ampullose e magnifiche o di
qualunque altro lenocinio e ornamento; 4, 3-4 perché io ho voluto o che veruna
cosa la onori o che solamente la varietà della materia e la gravità del subietto la
facci grata.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 38/S2
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1
III 1, 1 M a nel principato nuovo consistono le difficultà; III 1, 1-2 s’e’ non è tutto
nuovo, m a come membro; III 11, 1 M a quando si acquista stati in una provincia
disforme di lingua, di costumi e di ordini, qui; III 19, 1 M a tenendovi in cambio di
colonie gente d’arme, spende più assai; III 26, 2-3 e’ quali non solamente hanno a
avere riguardo alli scandoli presenti m a a’ futuri; III 26, 3-4 prevedendosi discosto, vi si
rimedia facilmente, m a, aspettando ch’e’ ti si appressino, la medicina non è a tempo; III
27, 2 è facile a curare e difficile a conoscere, m a nel progresso del tempo; III 28, 3 m a
quando per non gli avere conosciuti si lasciano crescere; III 29, 2 perché sapevano che
la guerra non si lieva m a si differisce; III 30, 1.3 Né piacque mai loro quello che è tutto
dí in bocca de’ savi de’ nostri tempi, di godere il benefizio del tempo, m a sí bene quello
della virtù e prudenza loro; III 31, 1 M a torniamo a Francia e essaminiamo; III 37, 1-2
M a lui non prima fu in Milano che fece il contrario; III 40, 3 m a quando non possono e
vogliono farlo; III 44, 2 m a avendo preso quegli primi partiti non doveva; III 45, 3
perché la non si fugge m a si differisce a tuo disavvantaggio; III 47, 2-3 né è miraculo
alcuno questo, m a molto ordinario e ragionevole.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 38/S3
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1
Riepilogo
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Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 39/S3
Titolo: Test
Attività n°: 1
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
27) Parlato e scritto, tradizione e innovazione nella lingua di Niccolò Machiavelli.
28) Analizzate dal punto di vista linguistico il seguente brano estratto dal De
principatibus:
“[42] Aveva dunque fatto Luigi questi cinque errori: spenti e’ minori potenti;
accresciuto in Italia po- tenza a uno potente; messo in quella uno forestiere
potentissimo; non venuto ad abitarvi; non vi messo colonie. [43] E’ quali errori
ancora, vivendo lui, potevono non lo offendere s’e’ non avessi fatto il sesto, di tòrre
lo stato a’ viniziani”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 40
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1
“Termini più ragionevoli che gli anni secolari potrebbero essere per l’inizio quelli
che sono stati indicati delimitando il Cinquecento (1563, data della chiusura del
Concilio di Trento; 1582-83, fondazione e riforma salviatesca dell’Accademia della
Crusca), per la fine quella data del 1670 circa che segna un mutamento nella
filosofia, nella letteratura, nelle stesse mode; sintomatica è anche la data della
fondazione dell’Arcadia [1690]”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 40
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1
Fra il 1540 e il 1541, una Accademia di privati cittadini (l’Accademia degli Umidi, che
comprendeva spiriti indipendenti e politicamente non allineati alla riconquista del
potere in Toscana da parte della casa dei Medici) era stata trasformata (con un atto
politico tutt’altro che condiviso) in strumento ufficiale di promozione linguistica e
letteraria da parte del duca Cosimo I (l’Accademia Fiorentina). In tale Accademia aveva
avuto occasione di svilupparsi e meglio strutturarsi quel sentimento di orgoglio
municipale che, a stare alla testimonianza di Carlo Lenzoni, era stato espresso da
Machiavelli all’uscita delle Prose della volgar lingua di Bembo: la rivendicazione cioè
(oculatamente promossa e incoraggiata dal Duca, che vi scorgeva un’insostituibile
opportunità di autopromozione culturale, letteraria e linguistica) del “primato
fiorentino”, di cui l’opera di Carlo Lenzoni è un esempio concreto.
Nell’Accademia Fiorentina in verità si fronteggiarono istanze ‘classicheggianti’ e
filobembiane come quella di Benedetto Varchi (1503-1565) da una parte, e pretese di
superiorità del fiorentino (anche nella sua versione contemporanea, di lingua parlata e
mutevole nella diatopia e della diastratia) rispetto agli altri volgari, come quelle di
Giovan Battista Gelli (1498-1563) e Pier Francesco Giambullari (1495-1555), dall’altra.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 40/S1
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1
La citazione è tratta dalla voce che Nicoletta Maraschio ha dedicato nel 2011 al Salviati
nell’Enciclopedia dell’italiano, della casa editrice Treccani consultabile on line:
http://www.treccani.it/enciclopedia.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 40/S3
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
29) Tracciate un quadro dei rispettivi ambiti d’uso del latino, del volgare e del dialetto
nel secondo Cinquecento e nel Seicento.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 42
Titolo: Il barocco e la prosa di Daniello Bartoli
Attività n°: 1
Daniello Bartoli nacque a Ferrara nel 1608; è dunque il primo scrittore né fiorentino né
toscano di cui analizzeremo la prosa. Come avremo modo di verificare nel concreto
dell’analisi ciò non crea alcun sussulto rispetto a quel che siamo abituati ormai a
conoscere (e riconoscere) dell’evoluzione fono-morfologica dell’italiano, a testimonianza
di un’unificazione ormai raggiunta nello scritto, se non in tutti i registri o a tutti i livelli,
almeno nelle zone di massima educazione letteraria.
Il Bartoli, all’interno della Compagnia di Gesù nella quale fu educato fin dall’infanzia,
ottenne presto attestazioni di stima tali che, ventenne, lo condussero a diventar egli
stesso maestro di retorica. Nonostante ciò, dopo quattro anni, in vista di prendere gli
ordini superiori, manifestò la sua forte attitudine ad approfondire gli studi teologici per
completare i quali si trasferì a Milano e poi a Bologna.
Completato il corso di studi, nonostante avesse espresso a più riprese il desiderio di
essere impegnato nell’evangelizzazione missionaria, nella quale consisteva il principale
obiettivo dell’ordine gesuitico (secondo il voto del fondatore, sant’Ignazio di Loyola), fu
destinato prima all’insegnamento e poi alla predicazione in varie città dell’Italia
settentrionale (poi anche a Palermo, Napoli, Malta) per oltre un decennio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 42
Titolo: Il barocco e la prosa di Daniello Bartoli
Attività n°: 1
Dal 1646 l’attività predicatoria si diradò, essendo stato incaricato dal generale dell’Ordine
di diventare storiografo ufficiale della Societas Iesu, alla quale si dedicò in maniera stabile
e continuativa a partire dal 1648, risiedendo a Roma.
“Il B[artoli] si proponeva di narrare le vicende della Compagnia, seguendo la
partizione offerta spontaneamente dai quattro continenti in cui essa aveva operato:
Europa, Asia, Africa, America. L'opera fu pubblicata a mano a mano che il B[artoli]
l’andava componendo. Nel 1653 apparve L’Asia (ristampata nel ’56 e poi nel ’67); nel
’60 Il Giappone; nel ’63 La Cina; nel ’67 L’Inghilterra; nel ’73 L’Italia. Nel 1663,
separatamente, fu pubblicata La missione al Gran Mogor del p. Ridolfo d'Acquaviva,
che fu aggiunta all’Asia nell’edizione del ’67.
Accorgendosi verso la fine della vita che non avrebbe mai potuto compiere l’impresa
gigantesca dell’Istoria, il B[artoli] intraprese a darne una stesura più compendiosa
sotto forma annalistica, di cui nel 1684 aveva già composto 5 libri (Degli uomini e dei
fatti della Compagnia di Gesù - Memorie storiche)” (Alberto ASOR ROSA, Bartoli
Daniello, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia
Italiana, VI, 1964).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 42/S1
Titolo: Il barocco e la prosa di Daniello Bartoli
Attività n°: 1
Ai problemi linguistici del proprio tempo il Bartoli dedicò Il torto e ’l diritto del Non si
può e il Trattato dell’ortografia italiana (1670), considerata quest’ultima la “più
importante opera sull’ortografia del Seicento”, nella quale
“Daniello Bartoli precisa che l’interpunzione sfugge a principi normativi rigidi e
che, ancor più di altre parti dell’ortografia, è legata al gusto individuale. Bartoli
individua il principio di selezione nella chiarezza e la funzione nell’evitare gli errori
di comprensione, distinguendo e separando le parti del testo [...]. Quanto
all’elenco dei singoli segni, non sono in genere presi in considerazione il punto
esclamativo e il punto interrogativo e cadono anche le distinzioni tra i diversi tipi
di punto, che nel Cinquecento poteva essere fermo, trafermo, fermissimo e
trafermissimo. Rispetto all’ipertrofia di segni del secolo precedente si assiste ora a
una razionalizzazione teorica e nomenclatoria, che porta la maggior parte degli
autori a ritenere fondamentali i soli quattro segni con valore demarcativo (punto
semplice, due punti, punto e virgola e virgola) [...]” (sono parole di Luca Cignetti,
nella voce Punteggiatura della già più volte citata Enciclopedia dell’italiano, 2011).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 42/S3
Titolo: Il barocco e la prosa di Daniello Bartoli
Attività n°: 1
1
in sé stesso, ma sì che, senza uscir di sé, della sua virtù ogni cosa riempie; fonte di luce e di calore,
50 che figuran l’intendere e l’amare; obbietto da fare altrui beato veggendolo, e dator del lume senza
cui vano sarebbe il presumere di vederlo; universal principio da cui ogni cosa ha vita e spirito,
vigore e moto; non bisognoso di niuno, e ognun di lui; profusissimo nel donare, ma senza mai
perder nulla di quanto dà, o scemarglisi e impoverire: e così tutto inteso al particolar bene d’ogni
erbuccia, d’ogni piccolissimo verme, come all’universale di tutto insieme il mondo. Ah! ben fu
55 sciocco, e per ciò giustamente deriso, chi che si fosse colui che per trecento pezzi d’oro si comperò
la lucerna di Epitetto, imaginando ch’ella al suo lume gli scoprirebbe i tesori della più occulta
filosofia, come a quel grande ingegno. Ma non l’è già chi ben sa usare questa gran lucerna del
mondo, il Sole, a veder Dio, a cui egli col suo lume fa lume quanto più durevole e chiaro di quel
che già alla famosa Minerva d’Atene la lucerna d’oro che Callimaco lavorò, capevole d’olio
bastante ad arderle inanzi un anno intero: peroché il Sole mostra Dio alla mente, che è l’occhio
60
dell’anima, meglio di quel che le cose lucide e colorate faccia a quegli del corpo. E se così avesse
imparato a mirarlo Anassagora, in quel lungo durar che faceva con lo sguardo affissato nel Sole e
l’anima in estasi per maraviglia, egli sarebbe un’aquila tra’ filosofi, dove fermandosi nel solo bel
materiale di quel pianeta non passò la condizione di nottola, rimanendosi con la mente al buio della
verità; onde fu il rispondere a chi il dimandò per che fare egli fosse nato: “A null’altro, disse, che a
65 riguardare il Sole”. Quam vocem, soggiunge Lattanzio, admirantur omnes ac philosopho dignam
iudicant. Et ego hunc puto non invenientem quid responderet effudisse hoc passim ne taceret. Or io,
che in quest’opera m’ho proposto il ragionar delle creature solo in quanto elle son testimoni di Dio
e a lui come sue orme ci scorgono, mi ristringerò a dir del Sole sol quanto mi si confà
all'argomento: anzi in questo medesimo tanto meno, quanto le opere con che egli dà a conoscer Dio
70 non son meno sensibili che il suo calore, o men palesi che la sua luce. E primieramente, quanto di
ben ci dà il Sole, tutto il riceve da Dio, per darcelo come suo Gran Limosiniere: e la beneficenza,
che il fa tutto esser d’altrui, è il principal suo pregio e da raccordarsi sopra ogni altro.
Dello stampar che i prìncipi fanno nelle monete l’imagine de’ lor volti parlò vagamente il re
Teodorico per bocca di Cassiodoro suo segretario e sua lingua; e a chi punto il volesse, ne
75 sovverrebbono a dire altri non meno ingegnosi misteri. Ma quello a me par bellissimo (e l’accennò
il medesimo altrove), che così i prìncipi mostrano d’essere tutto il ben de’ lor sudditi, e sustentarli e
arricchirli e procacciarne, quasi in persona, ogni commodo particolare, intervenendo a ciò che
comprano e vendono, e dando a ogni cosa il valore, in quanto il metallo non è utile a contrattare se
non coniato dal principe. Per ciò egli: O magna inventa prudentium, dice, o laudabilia instituta
80 maiorum! Ut imago principum subiectos videretur pascere per commercium, quorum consilia
invigilare non desinunt pro salute cunctorum. Or così fa Iddio nel Sole, in cui per ciò io diceva aver
egli improntata l’effigie sua qual ve l’ho in poche linee disegnata. Il danaro, Potentia, come disse il
Filosofo, è ogni cosa, per ciò che chi ne ha, ha quanto aver si può per danaro, cioè ogni cosa. E ogni
cosa è il Sole, percioché qual ve n’è ch’egli non ce la dia? Togliete il Sole del mondo: il mondo,
85 toltogli il cuore e morta in lui la natura, si rimane un cadavero. Avrete in più occasioni ammirato
l’insuperabil valor delle machine per lo cui ministero non che ordinari pesi ma saldezze di marmi,
qual è la gran guglia a San Pietro che tutto è un sol corpo, con piccola levatura a qualunque altezza
si portano. Mercé della virtù motrice tante volte multiplicata e concorrente in uno, quanti vi sono
argani e taglie in opera: o, per più propriamente dire, quanto è l’andar de’ canapi che lavoran per
machina: sì fattamente che i lor moti grandissimi, con poca forza, aventi proporzion d'eccesso al
90
piccolissimo del mobile con molto peso, ne vincono la resistenza. Or tale appunto è l’operare di
Dio nel governo del mondo, disse il platonico Tirio. Sue machine sono i prìncipi, che per suo volere
si reggono: egli loro dà il primo moto, per cui questi muovono i lor ministri, ed essi di grado in
grado i subordinati, fin che si vien a’ semplici esecutori, che son mossi e non muovono. Così le
cose dell’universal governo del mondo, per virtù compartite ma procedenti da un solo primo
95 movitore non mosso, soavemente ed efficacemente si reggono. Tanto avvien nel civile; ma
nell'ordine naturale, che ha un non so che simile al perfettamente monarchico, il supremo, onde
tutte le machine prendon la forza dell’operare ed egli intra il medesimo ordine da niuno l'accatta, è
il Sole: ben anche in ciò rappresentante (come poco fa diceva il Teologo) nelle cose sensibili quel
che Iddio è nelle intelligibili; e tutto da lui sì fattamente dipende e nell'essere e nell'operare, che, lui
100
2
tolto del mondo, tutte l’altre nature si rimarrebbono a guisa di taglie e d’argani, senza moto, cioè
senza l’anima per cui sola son machine vive e operanti. Per mano dunque del Sole Iddio tutto ci
sumministra; e se il Giove degli antichi, come raccorda Lattanzio, per testimonianza d'Euemero e
d'Ennio, lasciò in una colonna d'oro, stampato alla memoria de' secoli avvenire, i giovamenti con
105 che avea migliorato il mondo, onde anche sortì il nome di Giove, hallo Iddio fatto in quella gran
colonna d’oro, il Sole, sì come Pindaro il chiama. Egli, al tramontar che fa in occidente, non ha mai
da rivolgersi indietro e dir, tutto in sembiante doglioso, la parola di Tito, amore e delicie del genere
umano, allora che recordatus super caenam quod eo die nihil cuiquam praestitisset, memorabilem
illam meritoque laudatam vocem edidit: amici, diem perdidi: perciò che il Sole non dà un passo,
110 che continuamente benefico tutto il mondo non riempia di beni. E ne gode indifferentemente
ognuno: ché non entra egli solo ne’ gran palagi, senza degnar le capanne e i rustici abituri. I
mendichi, gl’ignudi – dice san Giovanni Crisostomo – per la metà dell’anno si veston di tela d’oro,
cioè de’ raggi del Sole, che non li lascia aver bisogno d’altro vestito in riparo dal freddo. E vadano i
superbi re della Persia a caminare al lume d’un non so qual po’ di fuoco, caduto, credevano, giù dal
cielo, loro avanti portato dovunque andassero e con preziosi legni nutrito da’ sacerdoti dicentigli:
115
Ede, ignis Domine. Non è egli vero che ad ogni poverissimo viandante tutto il Sole, senza
richiederne l’alimento per sustentarsi, porta dinanzi la fiaccola e fa lume? Ed oh, s’egli avesse
anima intelligente, secondo il falso imaginare d’una sì gran parte eziandio de’ più savi filosofi
dell’antichità, continua in lui sarebbe la beatitudine che quel Timoteo ateniese, appresso Ebano,
confessò aver goduta una sola volta, e in quanto caminò cento passi: allora che entrando a far
120 mostra di sé e dar pruova del valor suo ne’ giuochi olimpici, quel gran teatro dov’era accolto il fiore
di tutta la Grecia rivoltò gli occhi in lui e curiosamente mirollo. Da quel punto egli non credé
potersi morir d’eccessiva allegrezza, altrimenti quello era l’ultimo dì di sua vita; e se nol fu, ciò fu
perché un beato non può morire: e l’era egli tanto in quell’ora, che glie ne durava il giubilo dopo
tanti anni, e il solo raccordarsene gli bastava a rifarsi poco men d’allora beato. Or non dà passo il
125 Sole ch’egli non salga sopra un nuovo orizzonte e di colà non vegga la metà della terra, e tutta in lei
la natura, mettere in esso gli occhi e a sé vegnente accoglierlo, ammirandone la maestà, lodandone
la bellezza, ricevendone il risuscitare al suo lume, il rinvigorire al suo caldo, il tutta mettersi in
opera all’impression del suo moto.
Ma quanto a ciò in particolare, ben merita d’esser qui udito il filosofo e oratore, l’uno e l’altro
130 eccellente, Temistio. Come noi, dice egli, a voce di banditore facciam le generali chiamate del
popolo nelle piazze, ne’ teatri, nel tempio, a promulgar gli editti del publico reggimento, non
altrimenti il Sole, salendo a tutti visibile e, mostrandosi ora in un segno or in un altro de’ dodici per
cui nell’annoval suo periodo si rivolge, tutte a sé chiama le nazioni del mondo, sian colte sian
barbare, e di qualunque istranio clima, e in un raccolte, e qua e là disperse per l’isole dell’oceano in
135 esilio della terra; e in voce intesa in ogni lingua denunzia ciò che ordina il tempo, ciò che
l’opportunità richiede, ciò che dispon la natura. Agricoltori, dice, ora son da trar fuori gli aratri e i
vomeri, gli erpici e le marre; or è da fendere, da rivolgere, da solcare utilmente la terra. Gittate le
sementi, sarchiatele già in erba, rinnettatele; mano alla falce e mietete. E voi costà, solleciti alle
piantagioni degli alberi, alla coltivazion delle viti: potare, rimettere, propagginare; via gl’inutil
sermenti, via i pampani ombreggianti; già son maturi i frutti, già le uve biondeggiano: ricoglietele,
140
vendemmiate. Marinai, ah per avarizia del danaro prodighi della vita, dove ora co’ legni in corso e
la vita in precipizio? Ricoglietevi dentro a’ porti: ammainate, traete vostre navi in terra a rimetterle,
a rimpalmarle. Non vi truovino in alto mare queste furiose stelle che meco insieme si lievano, né
quest’altre che, nascendo io, mi tramontano in faccia: elle son troppo ree, e orribili le fortune de’
venti che mettono in aria, e insuperabili le tempeste con che tutto dal fondo isconvolgono il mare:
145 non ne campereste per saldezza di nave, per industria d’arte, per valor di animo e di braccia, per
alte grida e voti in vano sparte all’aria. Non v’alletti il sereno ingannevole, né vi tragga a fidarvene
il tranquillo che vi lusinga. Non è pace questa, è tradimento. Dormono le tempeste, mentre in
silenzio si lavorano i turbini; al primo fischio di questi quelle si svegliano, e subito il mare alle
stelle, e voi giù al profondo. In tanto dian lor volte i cieli, e mia cura sarà da altro Segno avvisarvi,
150 quando a’ porti sia utile il riaprirsi e a voi sicuro il rimettervi alla vela. Io non do oracoli, di qua su,
scuri né ambigui. Pastori al trar le gregge a pascere, pellegrini a mettervi in camino, attendetemi.
3
Chi sol mi vede e m’osserva in oriente qual nasco e quale in occidente tramonto, nuvoloso e
torbido, o placido e sereno, mi sente profetizzar veritiero qual dé aspettarsi il dì presente e
155 l’avvenire. Così egli; e sallo perché il fa; e fallo perché tutta seco si muove, e tutte da lui riceve le
diverse impressioni con che si altera, la natura; come bene il significaron que’ savi della famosa
Ierapoli che il figuravano avente un’asta d’oro in mano e sopravi la vittoria in piè su la punta.
Quella additava i suoi raggi, questa diceva cuncta summitti huius sideris potestati. Per lo qual
medesimo fine il ritraevano ancora con molte braccia e molte mani, come quello che in tutto si
160 mesce e tutto opera. Né mai avviene ch’egli salga su l’orizzonte, che tutta in vederlo la natura di
quell’emisfero, com’io diceva, non si risenta: tal che quindi prese il Morale a ravvisar nel Sole il
principe, dicendo al suo Nerone non ancor trasformato in quella gran bestia che poi divenne;
Nostros motus pauci sentiunt. Prodire nobis et recedere et mutare habitum sine sensu publico licet.
Tibi non magis quam Soli latere contingit. Prodire te putas? Oriris.
Suo dunque è il bellissimo ordine delle stagioni: ch’egli le fa col passar dall’uno all’altro quarto
165
della sua eclittica, che è la ruota al cui moto il teatro di questa inferior natura cambia apparenza e
scena, e gli uomini abito e personaggio: di primavera tutta fiori e allegrezza; poi di state fervida e
faticante; indi d’autunno dilettevole in un medesimo e ubertoso; finalmente, di verno, pigro, orrido,
e ozioso. E non per tanto necessaria così l’una come l’altra, tutte con la lor propria dote; nel
rimanente diverse, in questo simili: che con la varietà rendono la natura più dilettevole, altrimenti il
170 continuo, qual che si sia, con sempre il medesimo sazia ed annoia. Eccole di mano del Nazianzeno
effigiate in piccolo, ma di bellissima invenzione. Quadam veluti in chorea (dice egli) partim se
invicem complectuntur, partim a se discedunt. Alterum amicitiae, alterum ordinis. Partim inter se
paulum miscentur, ac vicinitate sua tantum non nobis imponunt. Non si passa in un dì dalla state al
verno, né da questo a quella: ché gl’immediati estremi la natura non li soffera senza grandemente
175 patirne: ma vi s’intramezzan la primavera e l’autunno, che, partecipando degli estremi loro a lato,
tanto soavemente quanto insensibilmente dall’uno all’altro ci portano. Troppo anche più
intolerabile ci riuscirebbe se in un medesimo mese avessimo tutto insieme a mietere i grani e
spagliarli e riporli; e coglier da tutti gli arbori, e alla montagna e al piano, le tanto diverse maniere
di frutti che vi si producono; e al medesimo tempo vendemmiare e intendere a gli ulivi, con quanta
180 servitù e fatica richieggono il vino e l’olio che ne traiamo. Ma le stagioni così fra loro spartite dal
ben inteso andamento del Sole similmente a noi spartono le fatiche: e le Grazie, come dicevan gli
antichi, da lui ci vengono in compagnia delle Ore, cioè fatte a suo tempo, e per ciò il doppio
preziose.
Oltre alla varietà e al bell’ordine delle stagioni v’ha in che altro ammirare la discretezza del Sole,
185 e in lui di Dio che glie la diede e n’è degnamente lodato da’ Padri Basilio, Nazianzeno, Crisostomo,
Teodoreto, Ambrogio ed altri, de’ quali eccone in ristretto il meglio. La notte e ’l dì non sono fra
lor diversi fuor che nel colore del volto: quella è mora e questo è bianco, ma belli amendue sì, che
nel giudicarne v’ha parti: e a chi piace più l’uno a chi più l’altra: come gli Etiopi, al contrario di
noi, dipingon l’arcagnolo san Michele di fattezze e color fino moro e di capel corto, nerissimo e
190 ricciuto, e sotto a’ suoi piedi Lucifero, bianco e vermiglio e in lunga zazzera e bionda. Trattone
dunque il colore, in che solo discordano, il dì e la notte son sì d’accordo che la natura non ha altri
due gemelli che fra lor tanto convengano. Amendue al medesimo movimento del cielo superiore si
muovono col medesimo passo del Sole, e ad occidente veloce e ad oriente tardo caminano. Dove il
dì mette inanzi il piede, la notte il ritira, e dove questa s’allunga, questo altrettanto s’accorcia; e se
han diversi emisperi e van l’uno all’altro in contrario, questa non è contrarietà, è accordo e, se può
195
dirsi, amore: seguitandosi sempre l’un l’altro, già che non possono essere insieme. Similmente
nemici paiono d’operazioni e d’ufficio, e sono in ciò sì strettamente congiunti che l’un senza l’altra
non profitterebbe a nulla. Il dì ha per sue proprie le opere e la fatica, la notte l’ozio e la quiete. Ma
si fatica per riposare e si riposa per faticare; così l’un serve scambievolmente all’altro e amendue al
terzo, del viver nostro, che va continuo girandosi in questa ruota dell’avvicendare i contrari. Né è
200 storsione o furto quel che si van continuamente facendo la notte e ’l dì, con torsi l’uno all’altro le
ore, diminuendosi e ricrescendo. Anzi, questo altresì è effetto d’amicizia: darsi del suo o, per più
vero dire, dar di sé medesimo. La state ha mestieri di molte ore, per maturar co’ lunghi giri del Sole
le biade, le uve, i frutti: la notte glie le presta; e dico presta, non dona, che però il dì glie le va
4
205 rendendo, come appunto le ricevette, a minuto a minuto, fin che nel pieno del verno, quando non
v’è che fare nella natura, egli fa la notte sì grande, com’ella fe’ lui grande la state. Ed è ben
considerato quel di Crisostomo: che due volte l’anno, ne’ due punti dell’equinozio, saldan fra loro i
conti e pareggiano le partite, pesando l’autunno su la libbra le dodici ore e simile la primavera le
altrettante con che la notte e ’l dì si fanno, sino all’ultimo indivisibile, uguali.
210 Havvi altro che scrivere delle maraviglie di questi due legittimi figliuoli del Sole, eredi ciascuno
d’una metà del mondo e sempre ugualmente in opera di giovarlo? Udite. Potea parere il giorno
troppo più onorato con le opere della mano di che la notte è priva, se a questa non si davano, in
iscambio di quelle, le opere dell’ingegno. Il dì dunque ha le fatiche, la notte i pensieri: e,
convenienti all’uno e all’altro, quello lo strepito, questa il silenzio. E vagliami per ciò raccordare
215 una savia legge che Licurgo lasciò indispensabile a gli Spartani: che gli efori, cioè il maestrato della
republica non s’adunasse a giudicar delle cose publiche e gravi entro edifici dove la vaghezza
dell’architettura e delle statue con lo svagar degli occhi distraesse il pensiero, tanto meno inteso ad
uno quanto in molti oggetti diviso: ma in certo luogo aperto e ignudo si raccogliessero, dove
null’altro di riguardevole loro apparisse inanzi che quel solo di che venivano a consigliare. Or
questo fa a noi la notte, col tirar sopra mezza la terra il velo delle sue tenebre e torcene di veduta le
220
cose, che, apparendoci, tanto in sé men raccolta quanto a riguardarle diffusa ci renderebbon la
mente. Così tutta in un s’affissa: e miracolo a dire le belle e grandi opere che da questa ingegnosa
madre delle scienze e de’ più savi consigli provengono; ma l’argomento, a degnamente trattarlo, è
troppo più ampio di quel che alle angustie prefissemi si convenga; e sarebbe oltre numero la
moltitudine di quegli che, come Scopelliano nella più fina greca eloquenza così essi in diverse arti e
225 scienze fatti nelle tenebre della notte Soli del mondo, esclamerebbono come lui: O nox, tu dumtaxat
plurimum divinae es particeps sapientiae.
E già per ultimo a sé mi richiama il Sole, considerato non, come fin ora, solo all’operare, ma con
esso il ministerio della Luna, la quale però, com’è un riverbero di lui e conoscente d’esserlo,
haustum omnem lucis illo regerit, unde accepit: e così da lui riconosce quel che senza esso in vano
230 faticherebbe per operarlo. Or queste due sì, che son le due vere isole, Argira e Crise, quella tutta
argento e questa tutta oro, che i buoni antichi credettero essere alle foci del fiume Indo: percioché
indi si cavano i tesori di tutti i beni onde la terra è abbondante. Il re e la reina di quel grande
imperio della Cina, a quel che se ne conta nell’ambasceria d’ubbidienza che i re di Bungo ed Arima
e ’l signor d’Omura, giapponesi, inviarono alla Santa Sede di Roma, escono per miracolo una volta
235 l’anno in publico e, con quella solennità che mai in altro tempo simile non si vide, stendono
maestosamente la mano e toccano, il re un aratro, la reina una pianta di gelsi: il che fatto, si tornano
a chiudere ne’ lor palagi e si fanno invisibili. Ma ciò, per poco che sia, pur è tanto che
incredibilmente può a rinnovare in tutti la diligenza nella coltura de’ campi, per lo toccare che il re
fece l’aratolo, e nello studio delle sete per la pianta del gelso toccata dalla reina: e per l’uno e per
240 l’altro quell’ampissimo regno è per avventura il più fertile e ricco del mondo. Or fanno egli solo
altrettanto il Sole e la Luna, e non anzi, senza punto scemare della maestà, allungano fin qua giù
tante lor braccia e mani quanti da sé mandano raggi, e con essi invisibilmente lavorano ciò che
sopra e dentro la terra e nell’aria e per tutto il mare, fin giù al fondo, così ne’ viventi come ne’ misti
senz’anima, si produce? Per ciò anche la Luna fa ogni mese le sue proprie quattro stagioni,
proporzionate a quelle che il Sole compie in un anno: dal nascere, poiché ha dato volta per tutto il
245
primo quarto, la primavera; indi, fino all’empirsi posta rimpetto al Sole, la state; poi, a poco a poco
scemando, l’autunno; e dietrogli il verno, fin che del tutto si vuota di luce e di calore, quanto a quel
che ne vede e sente la terra. E rispondenti ad esse sono le alterazioni e i producimenti che ne
sieguono nella natura. E ben savio e necessario provedimento di Dio fu che le fredde notti e
lunghissime nella vernata non rimanessero senza questo secondo Sole, per non solamente
250 consolarne le tenebre, come parla S. Agostino, ma riscaldarla fredda e con nuovi spiriti ravvivar la
mezzo morta natura. Che direm poi della cura, veramente ammirabile, sopra gli uomini e le fiere,
divisa fra il Sole e la Luna, avvertita da David e ottimamente considerata dal Nazianzeno? Cio è,
che la Luna mette animo nelle fiere, ond’elle ardiscono d’uscir de’ loro covili e cacciando per le
foreste proveder di che vivere a sé e a gli ancor teneri lor figliuoli: e intanto, accioché non
255 s’abbattan negli uomini e li divorino, quanto d’ardire dà alle fiere la notte, tanto a noi di timore
5
infonde e quinci di sicurezza, per lo metterci che facciamo come in fortezza e in difesa,
chiudendoci nelle città tutti insieme, e ciascun nella propria casa. Ma nato il Sole, le sorti si
cambiano tutto in contrario: le fiere divengono timorose e gli uomini arditi: quelle si rintanano e
260 noi, liberi dallo scontrarle, usciamo. Se ciò non fosse, misera la nostra vita: ché chi potrebbe
ricacciar nelle selve e dentro le più cupe caverne de’ monti gli orsi, i lupi, le tigri, i lioni, se a
prender di loro anche un solo al dì chiaro tanto vi bisogna e d’uomini e d’armi, e sovente anco di
sangue? Ma senza noi in ciò punto affaticarci, col primo affacciarsi del Sole in oriente, le fiere, o
sia per non vederlo o per non esser da lui vedute, si tornano a nascondere ne’ lor covili: e allora,
265 exibit homo ad opus suum. Anzi, a dir vero, i lupi, gli orsi, i lioni sono la meno scelerata e dannosa
parte de’ malfattori dalla cui implacabil fierezza la salutifera luce del Sol nascente ci libera:
conciosiacosa che né tutti infestino ogni paese, e dove pur sieno, quantunque esser possano in
numero molti e in forza insuperabili, le mura delle città e delle case, senza noi stare in guardia, ce
ne assicurano. Non così un’altra, il dì tutta con noi dimentica, la notte tutta contro di noi selvaggia e
nocevolissima generazione di fiere, tanto peggiori quanto meno al sembiante si ravvisano per
270
nemiche, ed hanno, tutto insieme unite all’opprimerci, l’astuzia delle timorose e la violenza delle
ardite. Ma anch’elle, dice il Boccadoro, in sol vederle il Sole, le caccia: ché, come i raggi suoi
fossero saette d’oro infocato, non ne sofferan le punte che lor mette negli occhi, e cercano, via dal
publico, nascondigli e tane ove inchiudersi, fatte innocenti perché su gli occhi del Sole non osano
esser colpevoli. Orientibus Solis radiis – dice egli – et tenebrae fugantur, et ferae latitant foveisque
275 conduntur, et latrones recedunt et homicidae ad antra suffugiunt et amoventur pyratae et
sepulchrorum violatores fugantur et adulteri et fures et domorum perfossores, deprehensi a Sole et
redarguti, periclitantes abeunt seseque alicubi procul occultant. Lascio l’ammirabile signoria che
in parte il Sole, e più di lui in ciò possente la Luna, esercita sopra le vive correnti del mare, in
quello inesplicabil raccogliersi che vi fan l’acque in loro stesse e poi disciorsi e rispandere sopra i
280 liti: il qual flusso e riflusso, nel mettersi, pende dal toccar che la Luna fa, nell’intero corso d’un
giorno, i due punti dell’orizzonte, e nel crescere e scemare si contempera col salire della medesima
fino al sommo del cielo sul circolo meridiano e discendere fino all’opposto nell’inferior emispero,
tutto insieme traendo a ondeggiar con l’acque in continua perplessità i nostri ingegni: sì fattamente,
che misera e diserta la naturale filosofia, se chi di noi non comprende né il perché né il come di
285 questa incomprensibile agitazion del mare dovesse gittarvisi disperato ad annegare, come è fama o,
per meglio dire, favola, che Aristotele si gittasse nel famoso Euripo d’Eubea, il moto delle cui
correnti, sette volte al dì contrarie, gli aggirasse il cervello. Lascio l’universale e correttissimo
oriuolo che il Sole e la Luna compongono, organizzato di tante ruote volgentisi sopra diversi fusi e
centri e poli, quanti que’ due pianeti han circoli e spere congegnate con occultissimo legamento le
290 une sì strettamente con le altre, che mai non falliscono in accordarsi a mostrar misurato con
giustissimi spazi il tempo, diviso dall’uno in giorni ed anni, dall’altra in settimane e mesi.
Finalmente lascio il bel magistero della moral disciplina di che ci sono esemplare, col regolatissimo
andar che fanno, il Sole con imperio, la Luna con suggezione, considerati dal Pisida e dopo lui dal
teologo san Giovan Damasceno, e sol vi fo udir Platone, che vi torna in memoria perciò averci
Iddio addirizzati, ut spectandis admirandisque caelestium corporum motibus, anima nostra
amplecti condocefacta decorum et ordinem, odium conciperet incompositorum et vagorum motuum
levitatemque ac temeritatem casui fidentem fugeret, tamquam omnis vitii et erroris originem.
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Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 43/S1
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1
Morfologia nominale
Articolo (e pronome) masch. sing. Nel testo del Bartoli compare solo il (mai el) tanto
nella funzione di articolo, quanto in quella di pronome proclitico di III persona: il
chiamarono 7, il collocò 10, che il veste 42, il sublimò 46, il dimandò 64, il riceve da
Dio 71, che il fa tutto esser 71-72, a chi punto il volesse 74, come Pindaro il chiama
105, perché il fa 153, il significaron 154, il figuravano 155, il ritraevano 157, la notte
il ritira 192.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 43/S3
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1
Dalla recente attività lessicografica degli Accademici della Crusca il Bartoli ricava
evidenti sollecitazioni e, a ulteriore rinforzo di ampie letture di autori volgari antichi e
moderni, l’autorizzazione all’uso lessicale. Dice Luca Serianni a proposito del Bartoli e
del lessico da lui usato:
“I suoi ben noti indugi descrittivi, quasi nell’intento di adeguare la varietà dei
vocaboli alla molteplicità del reale, si attuano all’interno del patrimonio linguistico
tràdito, senza escursioni dialettali e neologiche” (Serianni, La prosa, p. 521).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 44/S2
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1
La posizione del Bartoli che pare di poter desumere dalle sue scelte lessicali sembra
insomma essere quella di accettazione sì dell’autorità e del prestigio del Vocabolario,
ma non di cieca sottomissione; troppo è urgente in lui dire le cose e usare parole per
esprimere figure, idee, concetti, che con abbondanza gli si affollano alla mente,
perché egli voglia selezionarne con rigore il lessico da usare in loro servizio.
Abbondanza e facilità sono infatti i termini adatti per indicare questa prosa fatta più di
oggetti, di cose reali, di immagini, piuttosto che di ragionamento e riflessione (e
dunque, dal punto di vista lessicale gremita di nomi concreti piuttosto che di astratti);
e per le cose e le immagini servono parole puntuali e appropriate, tanto più che il
discorso bartoliano, pur partendo da un nucleo etico e religioso che lo costringe ad
usare termini anche di ambito filosofico o teologico, per illustrare quell’ambito
concettuale adotta lessico e richiami di tipo figurativo (si veda l’accenno alle statue o
alla numismatica) o tecnico (dell’agricoltura, della nautica, della meccanica),
astronomico.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 44/S3
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1
Riepilogo
Riepilogo
© 2007 Università degli studi e-Campus - Via Isimbardi 10 - 22060 Novedrate (CO) - C.F. 08549051004
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Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 46/S2
Titolo: Test
Attività n°: 1
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
31) Utilizzando una voce o esempi tratti dalla banca dati della Lessicografia della Crusca
in rete (http://www.lessicografia.it/) tracciate l’evoluzione del Vocabolario degli
Accademici della Crusca dalla I alla IV edizione.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 47
Titolo: La prosa letteraria del Settecento
Attività n°: 1
Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
32) Illustrate e temi e le posizioni della querelle des anciens et des modernes e di
quella correlata fra Dominique Bouhours e Giovan Gioseffo Orsi.
33) Illustrate la posizione di Francesco Algarotti nei confronti della situazione linguistica
italiana a lui contemporanea e nei confronti dell’Accademia della Crusca in
particolare.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 49
Titolo: Alessandro Verri e la Rinunzia
Attività n°: 1
Il quadro culturale della Milano della prima metà del Settecento si esprime in alcuni
illuminati salotti aristocratici, aperti alle novità scientifiche, o nelle accademie, prime fra
tutte la colonia arcadica milanese e la Accademia dei Trasformati. In queste ultime si
manifestano scelte linguistico-letterarie improntate a fedeltà e rispetto nei confronti della
tradizione cinquecentesca, sebbene, alle cicalate e rime burlesche toscaneggianti si
affianchi una florida produzione in dialetto.
Nell’Accademia dei Trasformati un segnale di rinnovamento è introdotto dalla poesia civile
del Parini, ma nell’insieme si tratta di “un ambiente non certo d’avanguardia [quello nel
quale] si formano anche i Verri e il Beccaria” (Morgana, ivi).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 49
Titolo: Alessandro Verri e la Rinunzia
Attività n°: 1
Cum sit, che gli Autori del Caffè siano estremamente portati a preferire le idee alle parole, ed
essendo inimicissimi d’ogni laccio ingiusto che imporre si voglia all’onesta libertà de’ loro pensieri,
e della ragion loro, perciò sono venuti in parere di fare nelle forme solenne rinunzia alla purezza
della Toscana favella, e ciò per le seguenti ragioni.
1. Perché se Petrarca, se Dante, se Boccaccio, se Casa, e gli altri testi di Lingua hanno avuta la
facoltà d’inventar parole nuove e buone, così pretendiamo che tale libertà convenga ancora a noi:
conciossiacché abbiamo due braccia, due gambe, un corpo, ed una testa fra due spalle com’eglino
l’ebbero.
... quid autem?
Caecilio, Plautoque? dabit Romanus ademptum.
Virgilio, Varioque? ego cur adquirere pauca.
Si possum invideor? quum Lingua Catonis & Enni
Sermonem patrium ditaverit ac nova rerum
Nomina protulerit.
Horat. de Art. poet.
2. Perché, sino a che non sarà dimostrato, che una Lingua sia giunta all’ultima sua perfezione
ella è un’ingiusta schiavitù il pretendere che non s’osi arricchirla, e migliorarla.
3. Perché nessuna legge ci obbliga a venerare gli oracoli della Crusca, ed a scrivere o parlare
soltanto con quelle parole che si stimò bene di racchiudervi.
5. Consideriamo ch’ella è cosa ragionevole, che le parole servano alle idee, ma non le idee alle
parole, onde noi vogliamo prendere il buono quand’anche fosse ai confini dell’Universo, e se
dall’Inda, o dall’Americana lingua ci si fornisse qualche vocabolo ch’esprimesse un’idea nostra,
meglio che colla lingua Italiana noi lo adopereremo, sempre però con quel giudizio, che non muta a
capriccio la lingua, ma l’arricchisce, e la fa migliore.
Dixeris egregie notum si callida verbum
Reddiderit junctura novum. Si forte necesse est
1
Indiciis monstrare recentibus abdita rerum,
Fingere cinctutis non exaudita Cethegis
Continget: dabiturque licentia sumpta pudenter,
Et nova factaque nuper habebunt verba fidem.
Horat. eod.
6. Porteremo questa nostra indipendente libertà sulle squallide pianure del dispotico Regno
Ortografico e conformeremo le sue leggi alla ragione, dove ci parrà che sia inutile il replicare le
consonanti o l’accentar le vocali, e tutte quelle regole che il capriccioso Pedantismo ha introdotte, e
consagrate, noi non le rispetteremo in modo alcuno. In oltre considerando noi che le cose utili a
sapersi son molte, e che la vita è breve, abbiamo consagrato il prezioso tempo all’acquisto delle
idee, ponendo nel numero delle secondarie cognizioni la pura favella, del che siamo tanto lontani
d’arrossirne, che ne facciamo amende honorable avanti a tutti gli amatori de’ riboboli nojosissimi
dell’infinitamente nojoso Malmantile, i quali sparsi quà e là come giojelli nelle Lombarde cicalate,
sono proprio il grottesco delle belle Lettere.
7. Protestiamo che useremo ne’ fogli nostri di quella lingua che s’intende dagli uomini colti da
Reggio di Calabria sino alle Alpi; tali sono i confini che vi fissiamo, con ampia facoltà di volar
talora di là dal mare, e dai monti a prendere il buono in ogni dove.
A tali risoluzioni ci siamo noi indotti perché gelosissimi di quella poca libertà che rimane
all’uomo socievole dopo tante leggi, tanti doveri, tante catene ond’è caricato; e se dobbiamo sotto
pena dell’inesorabile ridicolo vestirci a mò degli altri, parlare ben spesso a mò degli altri, vivere a
mò degli altri, far tante cose a mò degli altri, vogliamo, intendiamo, protestiamo di scrivere e
pensare con tutta quella libertà, che non offende que’ principj che veneriamo.
E perché abbiamo osservato che bene spesso val più l’autorità che la ragione, quindi ci siamo
serviti di quella di Orazio per mettere la novità de’ nostri pensieri sotto l’Egida della veneranda
antichità, ben persuasi che le stesse stessissime cose dette da noi e da Orazio faranno una diversa
impressione su di coloro che non amano le verità se non sono del secolo d’oro.
Per ultimo diamo amplissima permissione ad ogni genere di viventi, dagli Insetti sino alle
Balene, di pronunciare il loro buono o cattivo parere su i nostri scritti. Diamo licenza in ogni
miglior modo di censurarli, di sorridere, di sbadigliare in leggendoli, di ritrovarli pieni di chimere,
di stravaganze, ed anche inutili, ridicoli, insulsi in qualsivoglia maniera. I quali sentimenti siccome
ci rincrescerebbe assaissimo qualora nascessero nel cuore de’ Filosofi, i soli suffragj de’ quali
desideriamo; così saremo contentissimi; e l’avremo per un isquisito elogio, se sortiranno dalle
garrule bocche degli Antifilosofi.
A[LESSANDRO VERRI]
2
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 49/S3
Titolo: Alessandro Verri e la Rinunzia
Attività n°: 1
La R inunzia : fono-morfologia
Il quadro fono-morfologico e ormai quello dell’italiano moderno, privo di accusati
fiorentinismi o arcaismi da un lato, quanto, d’altro lato, di latinismi.
Anche l’adozione, numericamente ridotta, di apocopi ormai appartenenti alla lingua
letteraria media, indica un registro linguistico sostenuto, ma non particolarmente
connotato in tal senso. Si vedano:
-- dopo -n: della ragion loro 0,2-3; buon grado 4,5 (che però è un sintagma fisso); le
cose utili a sapersi son molte 6, 4-5; parlare ben spesso 7,6; ben persuasi 7,11;
-- dopo -r: d’inventar parole nuove 1,2; l’accentar le vocali 6,3; di volar talora 7,2-3;
far tante cose 7,7; in ogni miglior modo 7,15;
-- dopo -l: val più l’autorità 7,9.
Rappresenta invece un’oscillazione che rimarrà a lungo tale nella lingua italiana quella
fra pronuncia di affricata palatale o di affricata dentale dei gruppi riconducibili al latino -
TI- / -CI- e che dipende da antichi incroci e sovrapposizioni (avvenuti nel latino e
recepiti in volgare fin dal Quattrocento). Il doppio esito costituirà motivo di incertezza
ancora per Manzoni nei momenti finali della correzione delle bozze della redazione
finale dei Promessi Sposi.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1
La R inunzia : il lessico
La posizione anticruscante e anti-arcaizzante di Alessandro Verri prende forza dalla
contrapposizione, fin dall’attacco della Rinunzia, delle idee alle parole (e del resto si veda
anche 6,4-7): le prime soltanto contano, indipendentemente dalla forma lessicale che le
veicola. La Rinunzia è dunque in primo luogo destinata a rivendicare per i collaboratori
del “Caffè” l’onesta libertà di esprimere pensieri e ragione; onesta, quella libertà, perché
come, l’autore dirà più avanti, nonostante che essi facciano professione di rinunciare alla
purezza della Toscana favella (0,3-4; cfr. anche 6,6), rivendicando il diritto sia di creare
parole nuove (2 e 3), sia di adottare e italianizzare qualunque parola straniera (4,1-2 e
5,2-4), tale libertà è frenata dal giudizio, dall’esame cioè del caso concreto, nella più
generale prospettiva che la lingua non vada innovata a capriccio, ‘arbitrariamente’, ma
solo nell’intento di arricchirla e migliorarla (2, 2 e 5, 5).
La libertà, rivendicata nel paragrafo iniziale, è giustificata con l’esempio della libertà
dimostrata dai padri fondatori della lingua (1,1-2): l’ordine delle Tre Corone (alle quali è
annesso in fine il nome di Giovanni della Casa) non corrisponde alla cronologia, perché è
invece stabilito sulla base della gerarchia vigente ancora XVIII secolo, prima che la
supremazia petrarchesca venisse scalzata dal rinnovato mito dantesco durante il
Risorgimento.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50/S1
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1
La Rinunzia : il lessico
La libertà, già esposta come obiettivo di un atto individuale, poi ratificata dai modelli
unanimemente condivisi dagli ambienti colti italiani è inoltre sancita, su base
antropologica, dalla convinzione della immutabilità della natura umana nei secoli (così
come gli uomini hanno, da sempre, la stessa identica conformazione fisica, così a tutti
loro è riconosciuta la medesima prerogativa esercitata dai grandi del passato):
affermazione che non è improprio accostare alla posizione sostenuta da Fontenelle nel
suo intervento nella querelle des anciens et des modernes. Questa continuità e
‘immutabilità’ della condizione antropologica è del resto manifestata dalla medesima
esigenza ‘liberatoria’ che i moderni condividono con un autore ‘antico’, quale Orazio che
nel brano riportato a 1,5-10, corrispondente ad Ars poetica, vv. 53-58 aveva detto:
“E che? A Virgilio e a Vario verrà negato ciò che è stato concesso a Cecilio e Plauto? Perché sono
oggetto di invidia se riesco a introdurre qualche nuovo vocabolo, quando Catone ed Ennio con la
loro lingua hanno arricchito la lingua della patria dando nuovi nomi per indicare le cose”.
La citazione (si veda anche 5,6-11), piuttosto che esibizione di cultura, risulta funzionale
all’efficacia della dimostrazione: nella Rinunzia, improntata alla figura retorica dell’ironia e
al sarcasmo, il Verri scende sullo stesso campo di battaglia dei propri antagonisti
cruscanti, abituati a dar maggior credito alla autorità degli antichi che non al proprio
modo di pensare.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50/S1
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1
La Rinunzia : il lessico
La libertà rivendicata significa dunque, prima di tutto liberazione: dal laccio ingiusto
(0,1) e dalla volontaria servitù (4,5) a cui i Grammatici, mediocri ingegni (4,5) hanno
voluto assoggettar se stessi e gli altri; liberazione da una fonetica (si scandalizzano di un
c, o d’un t di più o di meno 4,5-6) e da un’ortografia (6,1-4) fissate sulla base del
fiorentino del Trecento e, per volontà dei Grammatici, assurto a norma.
Infine, significa liberazione da un lessico del secol d’oro (7,12) invecchiato e stantio che
il Vocabolario (a differenza di quanto sostenuto da Francesco Algarotti) non si era
limitato a tesaurizzare, ma che, censurando ogni deviazione da quello in nome di una
presunta atavica purezza, aveva anche imbalsamato.
Liberazione significa allora rifuggire dai riboboli nojosissimi dell’infinitamente nojoso
Malmantile che nell’ambiente letterario (anche milanese: si veda nelle Lombarde
cicalate di 6,8) ‘adornava’ come speciali giojelli le insulse ‘chiacchiere’ di una letteratura
disimpegnate e per diporto. Liberazione significa rifuggire da una lingua, quella
fiorentina del Trecento, che è ormai sia municipale sia arcaica e che dunque, perché
appresa sui libri e dopo lungo studio, frena la libera e rapida espressione delle idee; tale
freno legittima il declassamento dello studio della pura favella al numero delle
secondarie cognizioni.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50/S2
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1
La R inunzia : il lessico
Se dalle affermazioni passiamo all’analisi del lessico della Rinunzia verifichiamo che la
liberazione dal laccio cruscante è rappresentata da un’assenza, dalla mancata adesione
cioè a quei fiorentinismi, talvolta anche popolari e popolareschi, esibiti dai puristi di
stretta osservanza. Nei pochi casi in cui si rintracciano eccezioni, si tratta di eccezioni
spiegabili di volta in volta o per volontà ‘citazionale’ o parodica o di eccezioni solo
apparenti (per la viva sopravvivenza di forme antiche nella scrittura del Settecento).
Si veda del resto come alcuni sintagmi fissi siano segnalati come citazione mediante il
corsivo: Toscana favella ( 0,4), pura favella (6,6); la locuzione sono venuti in parere
(0,3) segnala un arcaismo caratteristico della prosa di Paolo Sarpi.
È ‘citazionale’ infine l’uso di ribobolo (6,7), nelle due prime edizioni della Crusca
registrato con rinvio ad enigma (e dunque considerato sinonimo di ‘detto oscuro, che
sotto ’l velame delle parole, nasconde senso allegorico’), nella III e IV Crusca glossato
come ‘Sorta di dire breve, e in burla’ (in entrambi dunque i casi il termine veniva
connotato negativamente o per oscurità o per registro stilistico). Analoga diagnosi
possiamo emettere per isquisito (7,18) che, in tale forma con prostesi, si rintraccia per
esempio nel Galateo del Della Casa.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50/S2
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1
La Rinunzia : il lessico
La Rinunzia : il lessico
In fatto di neologismi Alessandro Verri proclama quanto vien facendo nella pratica
poiché è a lui che si deve la coniazione di Pedantismo. La IV edizione del Vocabolario
della Crusca aveva accolto (sulla base della Fiera del Buonarroti, delle Lettere di Annibal
Caro e delle Prose toscane di Anton Maria Salvini) il termine pedanterìa spiegato come
“Composizione, o Affettazione pedantesca”; ma il Dizionario etimologico della lingua
italiana (DELI) a cura di Manlio Cortelazzo e Paolo Zolli (Bologna, Zanichelli, 1985)
retrodata la prima attestazione avanti il 1556 e ne segnala un esempio in Pietro Aretino,
dove significa ‘caratteristica del pedante; minuzia o sottigliezza da pedante’.
La neoconiazione verriana (tanto più perché associata a capriccioso), adottando il
suffisso -ismo ad indicare più o meno spregiativamente una corrente di pensiero e di
comportamento, intende colpire non tanto un atteggiamento privato e isolato, ma un
comportamento sociale bollato negativamente. Ma si tenga anche conto che, durante il
Settecento,
“Per impulso dei modelli francesi [...] si incrementano serie in -ismo, -ista, e -istico,
un micro sistema suffissale fortunatissimo nel linguaggio astratto dell’illuminismo,
utilizzato nella denominazione di professioni, correnti o ideologie” (Matarrese, Storia
della lingua italiana. Il Settecento, p. 65).
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50/S3
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1
La R inunzia : il lessico
Il francese è esibito come lingua delle buone maniere e della socievolezza nella
‘citazione’ della formula amende honorable a 6,7, con provocatoria ostentazione proprio
nel momento in cui si chiede formale perdono (amende) di una cosa di cui Verri
dichiara in realtà di non vergognarsi (6,6-7: “del che siamo tanto lontani d’arrossirne”).
Analizzeremo partitamente i forestierismi, nel caso particolare francesismi, seguendo
l’ordine topografico, per verificarne la natura eventuale di calco o prestito.
“Nel caso del calco […] il termine forestiero viene ‘tradotto’ mediante parole
già esistenti nella lingua nazionale, le quali assumono un significato nuovo”;
sono calchi sia grattacielo, che traduce skyscraper (sky ‘cielo’, scraper ‘che gratta’),
sia realizzare ‘comprendere esattamente’, sebbene nel primo caso si tratti di un calco
formale (nonostante l’inversione dei componenti, è evidente la modellizzazione del
nuovo lessema, dal corrispondente inglese), nel secondo caso di un calco semantico
(la parola realizzare, nel senso di ‘concretizzare’, esisteva già in italiano, ma, sul
modello della parola inglese, ha assunto differente significato). Infine il calco
sintattico “risulta da più parole che dànno vita a una locuzione di significato stabile
(così i francesismi amare alla follia, colpo di fulmine, colpo di stato” (Claudio
Marazzini, in Dizionario di linguistica, s.v. calco).
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50/S3
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1
La Rinunzia : il lessico
Con prestito si intende invece “Una parola straniera, utilizzata in una lingua diversa da
quella di origine” o tramite l’adattamento, modalità con la quale “la lingua ricevente
modifica le unità linguistiche (fonemi, morfemi) della parola per acconciarle al proprio
sistema fonologico” (come nel caso di bistecca per l’inglese beefsteak) o tramite
l’acclimatamento (la pronuncia approssimata ad un termine che si vuol citare come
straniero: per esempio starter pronunciato [’starter] anziché [’sta:tə] (Marazzini, ivi, s.vv.
forestierismo e adattamento).
italianizzando (4,1): su influsso dei verbi francesi in -iser si intensificano nel Settecento i
tecnicismi composti con -izzare, appartenenti alla classe dei verbi fattitivi (che
indicano cioè il risultato dell’azione); riguardo scandalizzano (4,6), si ricordi che il
verbo è già attestato nel Trecento;
in ritrovarsi (4,4): l’assenza dell’articolo e l’utilizzo di in nella perifrasi avvicina la
costruzione verriana al francese se retrouver;
belle Lettere (6,9): è un calco dal francese belles Lettres, locuzione gemella di beaux
Arts; quest’ultima era penetrata in Italia dalla fine del XVI secolo, provocando non
poche ostilità perché sostitutiva della forma italiana precedente (arti belle), attestata
in Vasari e Baldinucci;
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50/S3
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1
La Rinunzia : il lessico
buon grado (la volontaria servitù) (4,5) ‘grazie alla, in conseguenza della (servitù
volontaria)’: in analogia con la costruzione francesizzante di malgrado con reggenza
diretta (senza preposizione) che sostituisce l’antica costruzione a malgrado di +
nome;
meglio che (colla lingua Italiana) (5,4): è la costruzione mieux que in luogo della
costruzione tradizionale in Italia meglio di;
indipendente (6,1): sarà da considerare un calco semantico giunto attraverso la Francia:
indipendente e indipendenza “sono all’origine termini teologici: solo Dio ha per
attributo l’indipendenza. Ma ecco che si comincia a usarlo (all’inizio, pare, in
Inghilterra) a proposito delle controversie ecclesiastiche, mentre la guerra
d’indipendenza americana gli dà il carattere politico, oggi predominante” (Migliorini,
cit. da Matarrese, Storia della linga italiana. Il Settecento, p. 200);
dispotico (6,1): il francesismo era già entrato nel XVII secolo in Italia, tramite il
viaggiatore Pietro Della Valle (dalla banca-dati della Biblioteca italiana si ricava una
abbastanza veloce diffusione), ma l’intero campo lessicale viene assunto solo nel
Settecento, quando nella lingua di Ludovico Antonio Muratori compare anche il
sostantivo dispotismo (1745). Nella III e nella IV Crusca l’aggettivo è registrato senza
esempi di scrittori (sebbene sia usato dai redattori del Vocabolario).
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50/S3
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1
La Rinunzia : il lessico
permissione (7,13): si tratta in verità di un arcaismo, ben attestato a partire dal Trecento,
probabilmente funzionale alla connotazione parodica dell’intera Rinunzia e di questo
paragrafo finale. Va notato però che nel Settecento la fortuna del termine aumentò
sulla scorta dell’analogo permission francese;
buono o cattivo (parere) (7, 14) ‘opinione positiva o negativa’: riproduce la locuzione
francese sembler bon;
in leggendoli (7,15): nella lingua antica la costruzione del gerundio preposizionale era ben
nota, ma nel Settecento l’opzione si riattiva, nella sola forma introdotta da in, per
influsso del francese (si tratta quindi di un calco sintattico); Tina Matarrese (Storia
della lingua italiana. Il Settecento, p. 66) elenca questa costruzione, fra altre, quale
esempio di come “il francese promuove la reintroduzione di arcaismi e di modi caduti
in disuso”;
Filosofi (7,17): nel senso ampio e generico assunto nel Settecento per influsso del
corrispondente lemma francese; “Filosofo e filosofico hanno un significato molto
generale, riferendosi non specificamente alla scienza dei primi principii, ma a ogni
attività che implichi riflessione” (Migliorini, Storia della lingua italiana, p. 546).
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 51
Titolo: Alessandro Verri: lo stile
Attività n°: 1
La R inunzia : lo stile
Il quadro lessicale della Rinunzia ci ha indica uno scrittore colto e linguisticamente
educato che, nel momento in cui si pone in antagonismo con la posizione puristica della
Crusca, sa usare gli elementi della tradizione (non importa se con finalità parodiche) e
che, nel momento in cui si dichiara disponibile al forestierismo, non vi indulge in maniera
parossistica, né vi si adegua a capriccio, sottomettendosi all’arbitrio della moda linguistica
dei suoi tempi.
A differenza di quanto ci saremmo potuti aspettare, alla rivendicazione teorica di libertà,
non corrisponde insomma l’anarchia o alcun tipo di oltranzismo linguistico.
Quanto verificato sul piano lessicale, si conferma sul piano sintattico.
Abbiamo visto come nella polemica Orsi-Bouhours si fosse individuato nell’ordine diretto
della sintassi francese un elemento di differenziazione rispetto all’ordine inverso della
tradizione italiana: alla libertà di collocare gli elementi sintattici in un ordine non
rigidamente strutturato, bensì dipendente da ragioni espressive variabili (caratteristica
della tradizione letteraria italiana) si contrapponeva la sequenza Soggetto + Verbo +
Complemento del francese, espressione della ragione e della razionalizzazione del reale,
ma dai fautori della variabilità sintattica dell’italiano percepita come rigida e aridamente
fissa.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 51
Titolo: Alessandro Verri: lo stile
Attività n°: 1
La Rinunzia : lo stile
Francesco Algarotti, Saggio sopra la lingua francese, continuando il paragone fra
l’Académie française e l’Accademia della Crusca, si esprimeva così a proposito delle
resistenze che anche in Francia erano state opposte alla ‘linearizzazione’ sintattica,
incoraggiata e infine normativizzata dalla riforma seicentesca dell’Académie:
“Quanto all’Accademia di Francia, furono per avventura più fondati i romori che contro ad
essa si levarono. Ciò che regolò la lingua francese fu non tanto l’uso, a cui non si badò
gran fatto, né tampoco l’autorità degli classici scrittori, a cui ricorrere non poteano, quanto
il gusto di coloro che sedeano a quel tempo nel tribunale dell'Accademia. [...] Troppo avea
dello strano che uomini tali esser dovessero i legislatori del bel parlare. Fu posto tra le altre
a sindacato quel loro decreto intorno all’uniformità della costruzione, per cui il
nominativo deve sempre aprir la marcia del periodo tenendo il suo addiettivo
per mano; séguita il verbo col fido suo avverbio, e la marcia è sempre chiusa
dall'accusativo, che per cosa del mondo non cederebbe il suo posto. Dicevano che
il costringer la lingua a camminar sempre di un modo, come fanno le camerate de’
seminaristi i più picciolini innanzi e dietro i più grandicelli di mano in mano col prefetto in
coda, che il privarla di ogni trasposizione è un renderla fredda e stucchevole, è un privarla
del miglior mezzo di allontanare le espressioni le più semplici dal comune parlare, è un
tagliarle la via di sostenersi sicché non dia nel basso”.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 51
Titolo: Alessandro Verri: lo stile
Attività n°: 1
La Rinunzia : lo stile
Alessandro Verri, coerente con la posizione di chiarezza e razionalità del suo ambiente e
della sua posizione intellettuale predilige l’ordine diretto. Nel dettaglio:
1) il soggetto è costantemente preposto al verbo, con le sole eccezioni di
“sarebbero stati depressi in maniera gl’ingegni, e le scienze” (4,8);
“né quant’altri beni mai ci procacciò l’industria, e le meditazioni degli uomini” (4,9);
in questo caso il verbo si accorda al solo primo soggetto posposto singolare e
non alla coppia dei due soggetti (il secondo dei quali plurale)
“che gli assegnano i Grammatici” (4,12);
“che bene spesso val più l’autorità” (7,9);
2) solo di rado il verbo è posposto ad un complemento indiretto:
“nelle opere più grandi si scandalizzano” (4, 5-6);
“dall’Inda, o dall’Americana lingua ci si fornisse qualche vocabolo” (5,3);
“A tali risoluzioni ci siamo noi indotti” (7,4); in questo caso inoltre il soggetto
pronominale si inserisce fra l’ausiliare e il participio passato;
3) In un caso il complemento oggetto è preposto al verbo:
“i soli suffragj de’ quali desideriamo” (7,17-18);
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 51
Titolo: Alessandro Verri: lo stile
Attività n°: 1
La Rinunzia : lo stile
4) al complemento oggetto, che nella sequenza analitica di marca francese dovrebbe
occupare la terza posizione, è premesso un complemento indiretto:
“di fare nelle forme solenne rinunzia” (0,3)
Infine la libertà sintattica della tradizione italiana si manifesta con inversioni che, oltre il
limite frasale, interessano il periodo:
5) la frase dipendente da un verbo modale può precedere il verbo reggente:
“che imporre si voglia” (0,2).
Ma anche questi episodi apparentemente indotti dalla ‘fantasia’ e lontani dalla ‘razionalità’
corrispondono ad un intento di chiarezza; come si vede di volta in volta:
a 4, 5-6 l’anticipazione di “nelle opere più grandi” permette di rendere più evidente la
contrapposizione logica con il vicino “que’ mediocri ingegni”;
a 0,3 l’anticipazione del complemento indiretto (“di fare nelle forme solenne rinunzia”) è
funzionale a mantenere legato a “solenne rinunzia” il complemento indiretto che ne
dipende.
Di marca stilistica è infine la tematizzazione (che occorre a 6,3-4) che ha evidente effetto
di mise en relief dell’oggetto dell’abiura:
“e tutte quelle regole che il capriccioso Pedantismo ha introdotte, e consagrate,
noi non le rispetteremo in modo alcuno”.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 51/S1
Titolo: Alessandro Verri: lo stile
Attività n°: 1
La R inunzia : lo stile
Dal punto di vista della costruzione del periodo la Rinunzia aderisce ad un modulo logico
ricorrente che, tramite una secondaria (costruita implicitamente con il modo gerundio o
esplicitamente, con valore causale) o un periodo ipotetico, espone la premessa a cui
consegue quanto espresso nella principale. Si vedano:
“Cum sit [...] ed essendo [...], perciò sono venuti in parere” (0,1-3); “se Petrarca [...],
così noi pretendiamo” (1,1-2); “sino a che non sarà dimostrato [...], ella è un’ingiusta
schiavitù” (2, 1-2); “se italianizzando [...], non ci asterremo” (4, 1-2), etc.
Tale struttura è comune ai §§ 0, 1-4 (aperti ritmicamente da Perché) e 5-7 (introdotti
invece da un verbo finito alla I persona plurale). I paragrafi 0, 1-3, sintatticamente poco
complessi, costituiti da un unico periodo di carattere assertivo, corrispondono a quello
che, per il Settecento, viene chiamato, style coupé (‘tagliato’, di fatto un sinonimo di
“favella intercisa” con cui si volle definire il tacitismo o laconismo del Seicento). Lo style
coupé stabilisce un rapporto di analogia con il laconismo seicentesco; ma, a fronte della
brevitas espressivamente ricercata nel Seicento, che lascia impliciti gli snodi logici per
provocare la reazione di spaesamento e sorpresa del lettore, lo stile coupé si avvantaggia
dell’ordine analitico dei componenti della frase e del periodo per facilitare la
comunicazione e rendere trasparente il messaggio.
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 51/S1
Titolo: Alessandro Verri: lo stile
Attività n°: 1
La Rinunzia : lo stile
Nel lungo periodo entrambi gli stili contribuiranno alla definitiva perdita del prestigio
detenuto nei secoli dal periodare solenne e complesso, classicamente atteggiato sulla
ipotassi latina, esemplificabile con la prosa di Giovanni Boccaccio. Ora l’ideale è quello
che riproduce il periodare “netto, chiaro, preciso, interrotto, e sparso d’immagini e di sali”
che Francesco Algarotti (citato in Serianni, La prosa, p. 528) dichiarava di aver perseguito
per il dialogo Il newtonianismo per le dame (1737) e che intendeva riprodurre la
conversazione colta ma non specialistica. L’ideale della “precisione delle idee”
“richiede, in termini di concreti istituti linguistici, riduzione del carico subordinativo,
abbandono dell’artificio topologico (inversione, tmesi, ecc.), espansione del nome
rispetto al verbo: tutti aspetti variamente preesistenti all’ondata gallicizzante del Sei-
Settecento, ma che solo ora si manifestano con larghezza e sistematicità. Era
inevitabile che queste caratteristiche, non sempre motivatamente, venissero
considerate intrinseche del francese, di una lingua ‘che a paragone dell’italiana
sembrava così priva di spessore, così docile a tutti i venti della storia’ e quindi più
adatta a farsi veicolo di contenuti, di idee, di ‘cose’, nell’apparente indifferenza per le
‘parole’ (Serianni, La prosa, p. 528 che a sua volta cita da Andrea Dardi, Uso e
diffusione del francese, in Teorie e pratiche linguistiche nell’Italia del Settecento, a
cura di L. Formigari, Bologna, 1984).
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Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 51/S1
Titolo: Alessandro Verri: lo stile
Attività n°: 1
La Rinunzia : lo stile
La posizione di Alessandro Verri (come dell’ambiente illuminista di cui è espressione),
riesce nei fatti a rompere i lacci che la tradizione aveva rappresentato, senza però
rinnegare la propria cultura per adottarne passivamente un’altra. Il francese lingua della
conversazione è per il Verri e per i suoi amici non una moda ma uno strumento (più
adatto della prosa boccacciana) alla circolazione delle idee; quanto questo sia vero lo si
può toccare con mano nella rifunzionalizzazione dello style coupé alla forma stessa della
Rinunzia, organizzata e frammentata in capitoletti che parafrasano la suddivisione in
articoli e commi di una legge. In effetti le “parole” corrispondono alle idee: perché la
storia continui basterà che le idee cambino e di conseguenza cambino le parole. Il che
avverrà tanto a livello biografico quanto a livello storiografico. Il trasferimento di lì a
qualche anno di Alessandro Verri da Milano alla Roma papalina, dalla città degli uffici e
dei commerci alla città delle rovine e delle testimonianze storiche, corrisponderà ad un
cambio di posizione ideologica ed estetica in senso archeologico se non addirittura
reazionario; e il cambio di posizionamento culturale porterà con sé il ritorno della prosa
verriana alla tradizione: ispirata ai miti della Grecia e della Roma antiche, la prosa dei
romanzi di Alessandro Verri recupererà nel lessico e nella sintassi la tradizione italiana
antica. E di lì a poco, il romanticismo italiano si intersecherà con il neoclassicismo perché
il sentimento e la passione si sostituiscano alla razionalità settecentesca.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 51/S2
Titolo: Alessandro Verri: lo stile
Attività n°: 1
Riepilogo
L’Ottocento: un panorama
Terminato, con l’analisi della Rinunzia di Alessandro Verri l’excursus sulla prosa italiana
dal Duecento al Settecento, a cominciare da questa lezione ci addentriamo
nell’Ottocento all’interno del quale collocheremo e analizzeremo da vicino la storia
linguistica di Giovanni Verga. Prima di tutto conviene, come del resto abbiamo fatto
secolo per secolo nel modulo precedente, tracciare una sintetica panoramica storico
politica del periodo in questione.
Come avviene in tanti altri casi, la periodizzazione per secoli risulta particolarmente
‘scomoda’ e poco efficace per ‘classificare,’ con una sola e sintetica etichetta, il XIX
secolo, tanto più sotto il profilo dell’evoluzione linguistica.
Il recente volume di Luca Serianni, Storia dell’italiano nell’Ottocento (Bologna, il Mulino,
2013) avverte, fin dall’Introduzione, di questa problematicità di periodizzazione,
segnalando l’utilità di parlare di un ‘lungo’ Ottocento (che non coincide con il limite
secolare) e che al suo interno vede una sostanziale bipartizione segnata dall’evento
dell’unificazione politica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1
L’Ottocento: un panorama
“L’Ottocento, nella sua dimensione di ‘secolo lungo’ (dall’età giacobina alla prima
guerra mondiale), coincide con la fase di più accentuato dinamismo della
storia linguistica italiana. Un dinamismo che è in parte condiviso dalle altre
lingue moderne e dipende dai grandi rivolgimenti sociali e tecnologici che
segnano il secolo: pensiamo solo alle conseguenze determinate dall’invenzione
del telegrafo e, più tardi, del telefono. Ma per l’Italia l’Ottocento è in primo
luogo il secolo dell’unificazione statale con le relative conseguenze
giuridiche (centralismo amministrativo e obsolescenza delle legislazioni
preunitarie; istituzione della leva obbligatoria), demografiche (spostamenti di
popolazione e incremento delle grandi aree urbane), economiche (sviluppo
industriale) e soprattutto culturali: scolarizzazione, riduzione
dell’analfabetismo, erosione del monolinguismo dialettale. Il 1861, l’anno
dell’Unità, rappresenta un naturale discrimine per la periodizzazione
del secolo in due parti di quasi corrispondente estensione” (Serianni,
Storia dell’italiano nell’Ottocento, p. 9).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1
L’Ottocento: un panorama
Da un lato dunque un ampliamento dei confini secolari: per il limite più basso a
buona ragione a contrassegnare la fine del ‘secolo’ Serianni indica l’evento storico
della Grande Guerra scoppiata nel 1914-1915, di così grande rilevanza anche
simbolica; per il limite cronologico superiore la Rivoluzione Francese nei suoi riflessi
italiani con il periodo giacobino in Italia (a partire dal 1796, ma con qualche
anticipazione già nel quadriennio precedente).
Dall’altro, entro questo ‘secolo lungo’, il riconoscimento di un primo Ottocento
marcato da elementi di continuità con il secolo precedente (cosmopolitismo che la
prima metà del XIX secolo eredita dal XVIII; influsso delle lingue straniere, in
particolare il francese e, in subordine l’inglese; frammentazione politica e
culturale) e un secondo Ottocento, inaugurato dalla svolta politica in senso
unitario, caratterizzato da quanto quella svolta politica impone (ripiegamento sui
fatti interni del nuovo stato; mobilità interna che sostituisce la precedente
mobilità verso l’estero; unificazione legislativa e dunque ricercata
omogeneizzazione delle differenti situazioni socio-economiche delle regioni italiane,
intenti di alfabetizzazione e scolarizzazione di massa, diffusione dell’italiano
come lingua parlata e non solo lingua scritta).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52/S1
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1
L’Ottocento: un panorama
Questa bipartizione dell’Ottocento in due spezzoni, condivisibile ed efficace in via
generale, è addirittura fondamentale nella storia della lingua italiana, tanto che ad
essa la disciplina si è adeguata fin da subito: il primo panorama complessivo
dell’evoluzione linguistica dell’italiano, cioè la Storia della lingua italiana di Bruno
Migliorini (1960) interrompeva la consueta scansione in capitoli secondo
l’andamento secolare proprio per l’Ottocento a cui dedicava due capitoli (l’XI e il
XII), intitolati rispettivamente Il primo Ottocento (1796-1861) e Mezzo secolo di
Unità nazionale (1861-1915).
In anni più recenti lo stesso Serianni ha pubblicato per la collana Storia della lingua
italiana della casa editrice il Mulino (diretta da Francesco Bruni) due distinti volumi
dedicati a Il primo Ottocento (1989) e rispettivamente Il secondo Ottocento
(1990), confermando dunque (con la concreta divisione della materia in due
volumi separati) quanto differente sia il quadro relativo a queste due tranches del
secolo XIX e le problematiche inerenti a ciascuna di esse.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52/S1
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1
L’Ottocento: un panorama
Per collocare in maniera opportuna l’intera esperienza linguistica e letteraria di Giovanni
Verga è indispensabile tracciare un quadro linguistico e linguistico-letterario del primo
Ottocento; sebbene la produzione letteraria dell’autore a cui ci dedicheremo in questo
secondo modulo del corso si svolga pressoché esclusivamente nel secondo Ottocento, il
giovane Verga nasce, si forma e si educa linguisticamente prima dell’unificazione italiana
e (come avremo modo di vedere nel concreto) da quel mondo primo-ottocentesco dovrà
e saprà sganciarsi (talora anche con difficoltà) proprio al momento di prendere atto dei
grandi cambiamenti sociali, ideali e culturali di cui è spettatore immediato.
Verga insomma, come tanti altri scrittori della sua stessa generazione, vive sulla propria
pelle la crisi di identità di un uomo nato cittadino di un piccolo stato regionale e morto
cittadino italiano, con tutte le sfaccettature che una crisi di questo tipo comporta:
politica (cittadino ora di uno stato nazionale), geografica (gli orizzonti e gli spazi aperti
alla propria mobilità sono cambiati), culturale (le abitudini e i comportamenti di un
piccolo spazio regionale devono misurarsi ora con quelli variamente condivisi o censurati
nello spazio nazionale), linguistica (la dinamica fra dialetto e lingua, prima esattamente
corrispondente ad una dinamica fra parlato e scritto, si fraziona ora in una serie di
opzioni diversificate: dialetto, lingua nazionale, italiano regionale) a seconda dei contesti
e degli usi.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52/S2
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1
L’Ottocento: un panorama
“Io nacqui veneziano ai 18 ottobre del 1775, giorno dell'evangelista san Luca; e morrò per
la grazia di Dio italiano quando lo vorrà quella Provvidenza che governa misteriosamente il
mondo.
Ecco la morale della mia vita. E siccome questa morale non fui io ma i tempi che l'hanno
fatta, così mi venne in mente che descrivere ingenuamente quest’azione dei tempi sopra la vita
d’un uomo potesse recare qualche utilità a coloro, che da altri tempi son destinati a sentire le
conseguenze meno imperfette di quei primi influssi attuati.
Sono vecchio oramai più che ottuagenario nell'anno che corre dell'era cristiana 1858; [...].
La mia indole, l’ingegno, la prima educazione e le operazioni e le sorti progressive furono, come
ogni altra cosa umana, miste di bene e di male: e se non fosse sfoggio indiscreto di modestia
potrei anco aggiungere che in punto a merito abbondò piuttosto il male che il bene. Ma in tutto
ciò nulla sarebbe di strano o degno da essere narrato, se la mia vita non correva a
cavalcione di questi due secoli che resteranno un tempo assai memorabile massime
nella storia italiana. [...] La circostanza, altri direbbe la sventura, di aver vissuto in
questi anni mi ha dunque indotto nel divisamento di scrivere quanto ho veduto sentito fatto e
provato dalla prima infanzia al cominciare della vecchiaia, quando gli acciacchi dell’età, la
condiscendenza ai più giovani, la temperanza delle opinioni senili e, diciamolo anche, l’esperienza
di molte e molte disgrazie in questi ultimi anni mi ridussero a quella dimora campestre dove
aveva assistito all’ultimo e ridicolo atto del gran dramma feudale. …
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52/S2
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1
L’Ottocento: un panorama
Né il mio semplice racconto rispetto alla storia ha diversa importanza di quella che
avrebbe una nota apposta da ignota mano contemporanea alle rivelazioni d’un
antichissimo codice.
L'attività privata d’un uomo che non fu né tanto avara da trincerarsi in se stessa contro le
miserie comuni, né tanto stoica da opporsi deliberatamente ad esse, né tanto sapiente o
superba da trascurarle disprezzandole, mi pare in alcun modo riflettere l’attività comune
e nazionale che la assorbe; come il cader d’una goccia rappresenta la direzione
della pioggia. Così l’esposizione de’ casi miei sarà quasi un esemplare di quelle
innumerevoli sorti individuali che dallo sfasciarsi dei vecchi ordinamenti politici al
raffazzonarsi dei presenti composero la gran sorte nazionale italiana. Mi sbaglierò
forse, ma meditando dietro essi potranno alcuni giovani sbaldanzirsi dalle pericolose lusinghe, e
taluni anche infervorarsi nell’opera lentamente ma durevolmente avviata, e molti poi fermare in
non mutabili credenze quelle vaghe aspirazioni che fanno loro tentar cento vie prima di trovare
quell'una che li conduca nella vera pratica del ministero civile. Così almeno parve a me in tutti i
nove anni nei quali a sbalzi e come suggerivano l’estro e la memoria venni scrivendo queste
note. Le quali incominciate con fede pertinace alla sera d'una grande sconfitta e condotte a
termine traverso una lunga espiazione in questi anni di rinata operosità, contribuirono alquanto
a persuadermi del maggior nerbo e delle più legittime speranze nei presenti, collo spettacolo
delle debolezze e delle malvagità passate”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52/S3
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1
L’Ottocento: un panorama
Nelle prossime lezioni abbozzeremo per grandi linee il panorama ottocentesco, a partire
dagli eventi storici che determinano lla situazione politica, ma soffermandoci poi nel
dettaglio su aspetti più strettamente funzionali al nostro discorso relativi a
1) la scuola (con i connessi problemi del sistema scolastico, della scolarizzazione e
dell’alfabetizzazione);
2) gli atteggiamenti e le polemiche linguistiche;
3) il panorama letterario
individuati come argomenti di snodo nel passaggio da primo a secondo Ottocento,
spesso intersecantisi gli uni con gli altri e comunque cruciali nel creare quel cittadino
della nuova Nazione di cui Massimo d’Azeglio lamentava l’assenza con la famosa frase:
“L’Italia è fatta, restano a fare gli italiani”.
Funzionale ad affrontare i singoli aspetti è il seguente sintetico prospetto che
permetterà di collocarli in una griglia cronologica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52/S3
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1
L’Ottocento: un panorama
Nel 1796 la Francia rivoluzionaria invade l’Italia: al di là della vicenda strettamente
militare, l’arrivo dei Francesi in Italia rappresenta una sorta di prima e preventiva
unificazione nazionale ottenuta (certo surrettiziamente) con l’assoggettamento
(diretto o indiretto) di tutta l’Italia peninsulare alla potenza francese: sono soggetti
direttamente alla Francia il Piemonte, la Toscana, e le città di Genova, Parma e
Roma; sono stati vassalli della Francia il Regno d’Italia (sugli stessi territori della
precedente Repubblica d’Italia [1802-1805] comprendente la Lombardia, l’Emilia
Romagna, il Veneto, le Marche) e il Regno di Napoli.
Alla caduta di Napoleone quella temporanea e surrettizia unità si scompagina
velocemente con la ‘restaurazione’ dell’ordine pre-rivoluzionario; ma l’esperienza e le
idee che l’avevano innervata costituiranno il retaggio ideologico che anima di lì a
poco i moti rivoluzionari del 1821, del 1831 e infine quelli siciliani e milanesi del
1848-49 che innescarono la cosiddetta prima guerra di indipendenza. Quest’ultima
decreta per il Piemonte e la casa di Savoia il ruolo di guida e di aggregazione
possibile per le istanze nazionali di indipendenza dall’Austria. La seconda guerra di
indipendenza (1859) consente l’unione di Piemonte e Lombardia, quest’ultima
sottratta all’Austria con l’aiuto della Francia.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52/S3
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1
L’Ottocento: un panorama
Poco dopo l’annessione al Piemonte della Toscana e delle ex legazioni pontificie di
Bologna, Ferrara, Ravenna e Forlì (il plebiscito avvenne nel marzo 1860), parte
l’impresa dei Mille (maggio): mentre Garibaldi risale dalla Sicilia lungo lo Stivale si
susseguono i plebisciti del Regno di Napoli e della Sicilia (ottobre 1860), delle Marche
e dell’Umbria (novembre 1860).
Il Regno d’Italia viene proclamato il 17 marzo 1861.
Il primo decennio dell’Unità è caratterizzato da numerosi episodi di assestamento: prima
lo spostamento della capitale del nuovo Regno da Torino a Firenze (1865-1870), poi
dal tentativo, finalmente coronato da successo, di conquistare Venezia e il Veneto (terza
guerra d’indipendenza: giugno-agosto 1866); infine la conquista di Roma (20
settembre 1870) che determinò la fine dello Stato Pontificio e permise di fissare la
capitale a Roma, luogo simbolo di un’identità nazionale raggiunta prima nelle idee che
nei luoghi.
Fin da questo primo decennio si avvia il tentativo di rendere uniforme la legislazione
civile, penale e militare, sancito dall’estensione dello Statuto Albertino (Statuto
Fondamentale della Monarchia di Savoia, promulgato del 4 marzo 1848) a tutto il Regno
d’Italia.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 53
Titolo: L'Ottocento: la scuola
Attività n°: 1
L’Ottocento: la scuola
A parte l’attività di maestri che esercitavano pubblicamente, ma senza l’egida e il
patrocinio di un’istituzione (e che per lo più adottavano un sistema di insegnamento
individuale o per classi non omogenee per età e livello di apprendimento), nel Sei e
nel Settecento la scuola è in gran parte in mano alla Chiesa, sia per quanto riguarda
l’insegnamento inferiore sia per il livello superiore.
L’insegnamento di base, da cui dipende il livello di alfabetizzazione dei cittadini di
uno stato, era per lo più affidato alle scuole di dottrina cristiana che avevano
come intento primario quello di insegnare il catechismo, ma esse “potevano anche
trasformarsi, in specie nei piccoli centri, in scuole stabili destinate anche
all’insegnamento della lettura, naturalmente in volgare”; inoltre nei “monasteri e
negli orfanatrofi si trovavano [...] maestre in grado di insegnare a leggere e in
qualche caso a scrivere” (Nicola De Blasi, L’italiano nella scuola, in Storia della lingua
italiana, a cura di Luca Serianni e Pietro Trifone, vol. I: I luoghi della codificazione,
Torino, Einaudi, 1993, pp. 397-398).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 53
Titolo: L'Ottocento: la scuola
Attività n°: 1
L’Ottocento: la scuola
Alla fine del XVI secolo (1597) era iniziata, in maniera più strutturata, l’opera didattica
delle Scuole Pie (fondate da Giuseppe Calasanzio)
“che segnò una svolta decisiva nel campo dell’istruzione popolare. In primo luogo
l’insegnamento della dottrina è stabilmente congiunto a quello del leggere,
obiettivo della scuola e punto di partenza per ulteriori studi, organizzati nei due
distinti settori dell’abaco [aritmetica, matematica e computisteria] e della
grammatica” (De Blasi, L’italiano nella scuola, p. 398).
Di lì a poco le Scuole Pie furono affidate dal Calasanzio all’ordine religioso degli Scolopi
(“chierici regolari poveri della Madre di Dio delle Scuole pie”), da lui fondato a Roma
nel 1617, il cui obiettivo principale era appunto l’educazione e l’istruzione della
gioventù.
All’ordine degli Scolopi si aggiunsero nella metà del Settecento l’ordine religioso dei
Redentoristi, fondato da Alfonso de’ Liguori a Napoli (ad Alfonso de’ Liguori si deve
addirittura una grammatica del volgare, stesa nel 1746 in risposta alle esigenze
individuate nella sua personale esperienza didattica) e quello dei Lasalliani o Fratelli
delle scuole cristiane (fondato da Giovan Battista de la Salle), che miravano soprattutto
ad un insegnamento pratico relativo all’istruzione tecnica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 53