Sei sulla pagina 1di 1012

Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR.

FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1

Introduzione: Presentazione del corso

Linguistica italiana

(Laurea Magistrale in Filologia


Moderna)
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1

Introduzione: Presentazione del corso

INSEGNAMENTO: Linguistica italiana


CFU: 12 (= 6 del modulo A + 6 del modulo B)
FACOLTÀ: Lettere
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE: Filologia Moderna (LM14)
NOME DOCENTE: Lucia Bertolini
Indirizzo mail: lucia.bertolini@uniecampus.it
ATTENZIONE: si ricorda che in base alla comunicazione di Segreteria del
12/12/2013 i docenti sono contattabili attraverso il sistema di messaggistica della
piattaforma.
ORARIO DI RICEVIMENTO NELL’AULA VIRTUALE: ogni lunedì dalle 10 alle 11 (ma il
docente è disponibile a concordare orari personalizzati sulla base delle esigenze degli
studenti).
Poiché il docente può occasionalmente essere occupato in altri impegni istituzionali, è
preferibile avvertire anticipatamente della propria intenzione di partecipare al
ricevimento.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1

Introduzione: Presentazione del corso


Obiettivi formativi e contenuti del corso: il corso è stato pensato per studenti
del curriculum magistrale, che abbiano già nel proprio bagaglio culturale un quadro
storico-letterario dell’Italia sufficientemente chiaro ed approfondito, da raffinare e
precisare dalla specola linguistica e storico-linguistica, anche facendo ricorso alle
nuove tecnologie di interrogazione dei corpora disponibili nelle principali banche dati.
L’intento è quello di mostrare in atto, nell’analisi di testi letterari, le dinamiche che si
stabiliscono fra l’uso sociale della lingua (nel suo evolversi lungo i secoli a livello
fonetico-morfologico, sintattico, lessicale) e l’uso stilistico.
Poiché l’insegnamento si colloca entro un percorso di laurea magistrale il docente
considera probabile che nel percorso curriculare della laurea triennale lo studente
abbia già frequentato un insegnamento di Linguistica italiana o Storia della lingua
italiana, per mezzo del quale siano già state acquisite alcune competenze di base in
fatto di grammatica storica. Nonostante ciò alcuni principali fenomeni, avvenuti nel
passaggio dal latino all’italiano, verranno descritti e illustrati ex novo in servizio
dell’analisi di testi in prosa di carattere letterario dal XIII al XVIII secolo (modulo A).
Alla prospettiva diacronica di lungo corso del modulo A si affianca, nel modulo B, di
carattere monografico, l’analisi dell’evoluzione linguistica di Giovanni Verga dai
romanzi giovanili fino al Mastro-don Gesualdo.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1

Introduzione: Presentazione del corso


Alla fine del corso lo studente avrà
-- piena padronanza della terminologia specifica;
-- buona padronanza dell’evoluzione della lingua italiana e piena conoscenza del
panorama linguistico e linguistico-letterario dell’Italia del XIX secolo, con particolare
riguardo al momento di unificazione politica e linguistica dell’Italia dell’Ottocento
-- buona conoscenza teorica delle principali prospettive linguistiche.

Inoltre lo studente saprà


-- utilizzare le principali banche dati di interesse linguistico o linguistico-letterario;
-- affrontare l’analisi fonetica, morfologica, sintattica e stilistica di un testo antico e/o
moderno
-- individuare gli elementi ‘sensibili’ (di carattere, fonetico, morfologico, sintattico etc.)
utili all’analisi linguistica di un’opera antica e moderna;
-- gestire autonomamente categorie di analisi linguistica e stilistica sulla lingua di un
autore, distinguendo usi sociali e ‘scarti’ stilistici;
-- riconoscere e utilizzare le categorie narratologiche che si intersecano con le scelte
linguistiche di uno scrittore.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1/S1
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1

Introduzione: Programma
Il corso, che intende ripercorrere l’evoluzione della prosa italiana nelle sue principali
manifestazioni letterarie, si organizza in due moduli di 6 CFU ciascuno:
A) (lezioni 2-51) di carattere più istituzionale e generale, costituirà un excursus delle
espressioni letterarie in prosa dal Duecento al Settecento; attraverso l’analisi di esempi
concreti consentirà di assimilare gli strumenti tecnici per l’analisi linguistica e stilistica del
successivo modulo (stavolta limitata ad un singolo autore);
B) (lezioni 52-96) di carattere monografico, intende illustrare le dinamiche che si
instaurano fra usi sociali della lingua, usi letterari della tradizione e scelte stilistiche del
singolo autore e analizzerà nello specifico l’evoluzione della lingua e dello stile di Verga,
dai romanzi giovanili e dai romanzi mondani alle novelle e ai romanzi veristi, collocando
tale evoluzione all’interno del panorama linguistico del secondo Ottocento.
Lungo entrambi i moduli sono inseriti quiz, domande aperte, esercitazioni sul banche
dati, mediante le quali lo studente potrà verificare il proprio progressivo apprendimento
dei contenuti.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1/S1
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1

Introduzione: Programma
Qui di seguito sono indicati i principali nuclei tematici in cui si articola il corso di
Linguistica italiana:

Modulo A
Lezioni 2-8 Preliminari: lingua orale/lingua scritta, testi di carattere pratico/testi
letterari, lingua e stile, la stilistica
Lezioni 9-11: Ripasso di grammatica storica
Lezioni 12-20 La lingua del Duecento e la prosa di Bono Giamboni
Lezioni 21-26 La lingua del Trecento e la prosa di Iacopo Passavanti
Lezioni 27-33 La lingua del Quattrocento e la prosa di Agnolo Poliziano
Lezioni 34-39 La lingua del Cinquecento, la nascita della norma e la prosa di Niccolò
Machiavelli
Lezioni 40-41 Dal secondo Cinquecento al Seicento e il Vocabolario della Crusca
Lezioni 42-46 La lingua del Seicento e la prosa di Daniello Bartoli
Lezioni 47-51 La lingua del Settecento e la prosa di Alessandro Verri.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1/S1
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1

Introduzione: Programma
Modulo B
Lezioni 52-58: L’Ottocento (questioni politiche, la scuola, la lettura e la letteratura, le
polemiche e le posizioni linguistiche)
Lezioni 59-60: La formazione di Giovanni Verga
Lezioni 61-74: I romanzi catanesi di Giovanni Verga: I Carbonari della montagna, Sulle
lagune, Una peccatrice, Frine
Lezioni 75-77: Verga a Firenze e Storia di una capinera
Lezioni 78-80: Verga a Milano e Eva
Lezioni 81-83: Verga e la novella: Nedda
Lezioni 84-86: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Lezioni 87-92: La lingua de I Malavoglia
Lezioni 92-96: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1/S2
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1

Introduzione: Attività richieste

Il docente, per poter guidare lo studente nell’analisi linguistica concreta, si


avvarrà di materiali aggiuntivi che saranno messi a disposizione dello
studente in allegato alle lezioni di riferimento.

Le attività di didattica erogativa (audiolezioni e slide di supporto) previste


nel corso sono dedicate alla presentazione, all’illustrazione e alla spiegazione
dei contenuti da parte del docente.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1/S2
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1

Introduzione: Attività richieste


Durante il corso sono proposte specifiche attività di didattica interattiva, sia sotto
forma di valutazione formativa, consistenti in test di autovalutazione a risposta
chiusa e a risposta aperta, volti a consolidare le capacità di apprendimento nel
discente sia esercizi di interrogazione autonoma sulle banche dati di interesse linguistico
(http://gattoweb.ovi.cnr.it/(S(ahc1xj55f0fb1d451hoqan55))/CatForm01.aspx presso
l’Opera del Vocabolario;
http://www.lessicografia.it/ presso il sito dell’Accademia della Crusca;
http://www.bibliotecaitaliana.it/ presso la “Sapienza” di Roma, etc.).
Affinché tali attività siano pienamente efficaci, è necessario che lo studente vi partecipi in
modo attivo: tramite il sistema dell’e-portfolio o eventualmente su I miei documenti, i
risultati dei test di autovalutazione e dell’interrogazione delle banche dati saranno
accessibili al docente, che dunque potrà monitorare costantemente la progressione
individuale degli apprendimenti. Lo studente è dunque calorosamente invitato a
svolgere tali attività man mano che esse gli vengono proposte, ricordando che
quest’ultime prove costituiscono uno strumento importante per misurare il livello della
propria preparazione.
Lo studente è inoltre invitato a partecipare alle aule virtuali, dedicate a specifici
argomenti e approfondimenti, anche a carattere seminariale, calendarizzate più volte
durante l’anno accademico).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1/S2
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1

Introduzione: Attività richieste


Nei Supporti didattici, lo studente potrà trovare:
- la scheda del corso;
- il paniere di domande (periodicamente aggiornato)

Infine, gli studenti sono calorosamente invitati a partecipare (tramite il contatto con il
TOL) ai Seminari e alle lezioni tenute in aula virtuale, che affronteranno (a titolo di
esempio) i seguenti temi:
-- approfondimenti ed esercitazioni di grammatica storica
-- la questione della lingua nel Cinquecento
-- la questione della lingua nell’Ottocento
-- la lingua del Novecento.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1/S3
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1

Introduzione:
Bibliografia e modalità
d’esame
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1/S3
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1

Introduzione: Bibliografia
Lo studio degli argomenti del corso di Linguistica italiana sarà condotto tramite le
lezioni, le esercitazioni e i test di autovalutazione proposti durante il corso e tutte le
altre attività di didattica interattiva prevista tramite il sito d’Ateneo.
Per sostenere l’esame è necessario affiancare, allo studio del materiale
precedentemente indicato e alla partecipazione alle attività proposte durante il corso, lo
studio dei seguenti materiali:
in relazione al I modulo
---> Francesco Bruni, L’italiano letterario nella storia , Bologna, il Mulino,
2007
in relazione al II modulo
---> Gabriella Alfieri, Verga , Roma, Salerno Editrice, 2016 (limitatamente ai
capitoli I: La nuova Italia fra letteratura e politica, pp. 13-27; II: La vita di
Verga. Un vagabondaggio culturale tra Sicilia e Italia (1840-1922), pp. 28-75;
VII:Il “non grammatico” Verga tra idiomaticità e retorica, pp. 241-339) e
Per eventuali chiarimenti o approfondimenti si consigliano: C. MARAZZINI, La lingua
italiana. Storia, testi, strumenti, seconda edizione, Bologna, il Mulino, 2015 e L.
SERIANNI, Storia dell’italiano nell’Ottocento, Bologna, il Mulino, 2013.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1/S3
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1

Introduzione: Modalità d’esame

Gli esami si svolgono in forma scritta in tutte le sedi di eCampus. Nelle sedi di
Novedrate e Roma è possibile inoltre sostenere solo l’orale, oppure lo scritto più
eventuale orale.
Si veda:

Regolamento per lo svolgimento degli esami di profitto


Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 1/S3
Titolo: Introduzione
Attività n°: 1

Introduzione: Modalità d’esame


METODI DI ACCERTAMENTO DEI RISULTATI DI APPRENDIMENTO E MODALITA’
DI VALUTAZIONE:
Nell’esame scritto, i risultati di apprendimento attesi verranno accertati tramite:
-- domande a risposta chiusa (allo scopo di valutare l’acquisizione di specifiche
conoscenze tramite le capacità di comprensione attese); ciascuna risposta corretta
sarà valutata da 0 a 1 punto e
-- domande a risposta aperta (allo scopo di valutare l’acquisizione di specifiche
conoscenze, delle capacità di comprensione applicate, ma anche eventualmente
dell’autonomia di giudizio, dell’abilità comunicativa e dell’abilità ad apprendere);
ciascuna risposta verrà valutata da 0 a 4, in considerazione: per i contenuti della
completezza e della pertinenza della risposta; per la forma della chiarezza espositiva,
dell’appropriatezza lessicale e, più in generale, della correttezza linguistica.
Nell’esame orale, i risultati di apprendimento attesi verranno accertati tramite un congruo
numero di domande, volte a valutare il livello di acquisizione da parte dello studente delle
conoscenze e delle capacità di comprensione attese, dei risultati raggiunti in
riferimento alla conoscenza e alla capacità di comprensione applicate, ma anche
eventualmente all’autonomia di giudizio, all’abilità comunicativa e all’abilità ad
apprendere.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 2
Titolo: Preliminari: lingua orale/lingua scritta
Attività n°: 1

Preliminari
Le lezioni iniziali del corso avranno carattere introduttivo, volte a chiarire il significato e il
funzionamento di alcune opposizioni:
-- lingua orale / lingua scritta;
-- scritti di carattere pratico / scritti di carattere letterario;
-- lingua / stile;
-- stile di un’epoca / stile di un autore.
Per analizzare la prima opposizione (lingua orale / lingua scritta) sarà necessario da
un lato chiarire alcune caratteristiche del funzionamento di una lingua naturale desunte
dalla linguistica generale (il rapporto fra pensiero e espressione verbale, assi della
selezione e della combinazione, langue e parole), dall’altro alcune nozioni di
sociolinguistica (in particolare ricordando la pertinenza, nell’analisi di un atto linguistico,
oltre al fattore diacronico, dei fattori diatopico, diastratico, diafasico e diamesico).
La prospettiva sociolinguistica (di cui qui sopra abbiamo enunciato la nomenclatura
proposta negli anni Settanta da Eugenio Coseriu) sarà funzionale a chiarire le implicazioni
teoriche relative alla seconda opposizione fra produzione scritta di carattere pratico e
produzione scritta di carattere letterario.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 2
Titolo: Preliminari: lingua orale/lingua scritta
Attività n°: 1

Preliminari
Alla tradizione novecentesca della stilistica dovremo invece fare appello per chiarire la
nozione di stile (in opposizione a lingua tout court, alla norma o standard, valutata
nelle sue varianti di norma grammaticale e norma letteraria).
Solo successivamente saremo in grado di raffinare la nozione di stile per valutare la
distinzione fra stile di un’epoca e stile di un autore, distinzione tanto più necessaria
in quanto fra i testi letterari si incontrano testi ‘anonimi’, sia nel senso tutto storico che
l’autore è a noi sconosciuto (il che non esclude la volontà da parte del produttore di
esprimere la propria individualità stilistica), sia nel senso (più complesso dal punto di
vista socio-letterario) di testi che appartengono a generi e tipologie testuali in cui la
nozione di autore (indipendentemente che il suo nome sia noto) è tutt’altro che chiara
(si pensa in particolare alla tipologia dei volgarizzamenti).

Alle nozioni preliminari di carattere linguistico appena ricordate, dovremo poi aggiungere
ulteriori considerazioni che coinvolgono l’utilizzo propriamente letterario della
lingua, anche se su testi esclusivamente in prosa.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 2
Titolo: Preliminari: lingua orale/lingua scritta
Attività n°: 1

Preliminari
Tale scelta, come vedremo meglio più avanti nel dettaglio, è stata operata per
mantenere un apprezzabile livello di confrontabilità fra testi letterari (che prenderemo
in esame) e testi di carattere pratico (che, esclusi dalla nostra analisi, costituiranno
invece il termine di riferimento ‘basso’ dell’ analisi contrastiva, così come la poesia ne
costituirebbe il termine di riferimento ‘alto’).
Selezionata così dall’esterno la tipologia che prenderemo in esame (testi scritti, di
carattere letterario, in prosa, dal Duecento alla seconda metà
dell’Ottocento) sarà necessario prendere atto che entro questa ampia serie di testi
disposti lungo l’asse diacronico, esistono differenti strategie testuali e ‘linguistiche’ che
includono testi di carattere precettistico e didascalico, o narrativo, o argomentativo e
scientifico, o epistolare e così via, ciascuno dei quali è inseribile in ‘forme’ letterarie
che man mano vanno tipizzandosi all’interno dell’evoluzione della storia letteraria
italiana. Infatti, quanto più avanzeremo nell’evoluzione storica della lingua e della
letteratura italiana, tanto più la tradizione prenderà corpo e autonomia nazionale e i
condizionamenti letterari si faranno più forti tanto da avere riflessi specifici su registri
e scelte (sia di tipo linguistico sia stilistico) ormai non più imputabili esclusivamente
all’autonomia dell’autore, quest’ultimo sempre più condizionato dal ‘genere’ letterario
e dal canone di testi che in quel ‘genere’ sono stati redatti fino ad allora.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 2/S1
Titolo: Preliminari: lingua orale/lingua scritta
Attività n°: 1

Preliminari:
lingua orale / lingua scritta
Rispetto all’uso parlato della lingua, l’uso della lingua scritta rappresenta da un lato un
filtro selettivo e dall’altro una griglia ordinante ancora prima dello stabilirsi di qualsiasi
norma grammaticale. Per il solo fatto di essere scritta (e dunque affidata alle litterae,
nel senso originario di ‘caratteri dell’alfabeto’) la lingua, sottoposta nell’oralità ad una
‘spontaneità’ che almeno in parte prescinde da una consapevole pianificazione lessicale
e sintattica preventiva (o che si contenta di una pianificazione più approssimativa
rispetto al registro scritto), soggiace ad un primo livello di ‘riflessione’, che rompe la
contiguità / continuità meccanicamente stabilitasi fin dall’infanzia fra il pensiero e la sua
verbalizzazione. In realtà, come insegna il grande linguista ginevrino Ferdinand de
Saussure, il pensiero (di per sé indistinto) si chiarifica nel momento in cui diviene
parola; esiste dunque un procedimento mentale complesso che, dal cervello agli organi
fonatori, traduce l’indistinto del pensiero nella sua verbalizzazione in una lingua data (F.
de Saussure, Corso di linguistica generale [1922], introduzione, traduzione e commento
di T. De Mauro, Bari, Laterza, 199612, parte II, cap. IV, pp. 136-138 e parte I, cap. I,
pp. 83-85).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 2/S1
Titolo: Preliminari: lingua orale/lingua scritta
Attività n°: 1

Preliminari: lingua orale / lingua scritta


Dopo l’infanzia, quando ormai la competenza nella lingua madre è diventata
sufficientemente scorrevole, il meccanismo mentale che lega il pre-verbale al verbale è
acquisito in una forma (a meno che non intervengano fattori patologici di disturbo)
sostanzialmente inconsapevole tanto da permetterci di parlare di contiguità /continuità
fra input cerebrale e fonazione. Questa meccanicità fra pensiero ed espressione
linguistica orale raggiunta con l’età, viene messa in discussione quando il pensiero (o la
formulazione orale) passa alla formulazione linguistica scritta. È ovvio che tale passaggio
sarà tanto meno spontaneo quanto meno lo scrivente sarà alfabetizzato e meno
parteciperà di una comunità alfabetizzata; ma anche nel caso di uno scrivente
perfettamente alfabetizzato, in qualunque società molto alfabetizzata egli si trovi a vivere
ed operare, la sua produzione scritta non sopravanzerà mai, per frequenza e pervasività,
la produzione linguistica orale. Anche la prospettiva quantitativa (relativa alla minore
frequenza della scrittura) conferma dunque la minore spontaneità della lingua scritta.
Ma alle considerazioni meramente quantitative, altre considerazioni, di tipo qualitativo, si
aggiungono a rafforzare la prima percezione di tipo intuitivo.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 2/S1
Titolo: Preliminari: lingua orale/lingua scritta
Attività n°: 1

Preliminari: lingua orale / lingua scritta


Caratteristiche (risorse) della lingua orale:
1) il linguaggio parlato è di solito coadiuvato da altri tipi di linguaggio (linguaggi non
verbali):
-- mimico
-- gestuale
-- prossemico;

2) il linguaggio parlato fa frequente ricorso alla


a) presupposizione
e alla
b) deissi.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 2/S2
Titolo: Preliminari: lingua orale/lingua scritta
Attività n°: 1

Preliminari:
lingua orale / lingua scritta
L’assenza dei linguaggi non verbali e della presupposizione e deissi, tratti caratteristici
del linguaggio parlato, impone allo scritto una strategia meno ‘spontanea’ e
maggiormente ‘riflessa’ della lingua.
L’assenza di condivisione o la minore condivisione di conoscenze pregresse impone allo
scritto di agire in maniera strategicamente diversa su entrambi gli assi paradigmatico
(della selezione) e sintagmatico (della combinazione).
Fu Ferdinand de Saussure a introdurre la dicotomia fra rapporto (asse)
paradigmatico (che de Saussure chiamava associativo) e rapporto (asse)
sintagmatico della lingua.
Sull’asse paradigmatico (verticale) il parlante o lo scrivente sceglie fra elementi
linguistici che stabiliscono fra loro un rapporto appunto associativo (fra tutti gli articoli:
per es. in italiano lo, il, la, le etc.; fra tutti i nomi: in italiano per esempio: bambino,
ragazzo, studente etc.; fra tutti i verbi e al loro interno fra le loro forme coniugate),
disponendo poi gli elementi prescelti su un asse sintagmatico (orizzontale), in una
sequenza condizionata dalle scelte operate.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 2/S2
Titolo: Preliminari: lingua orale/lingua scritta
Attività n°: 1

Preliminari: lingua orale / lingua scritta


In rosso la frase finale costruita in conseguenza dalle scelte operate: Il bambino ha preso
l’autobus con la mamma.

Lo bambino è salito lo macchina insieme sua mamma

Il ragazzo ha scelto il moto con lo amica


La infante hanno preso la autobus dopo la nonna
L’ giovani sono saliti l’ torpedone prima i zii
I studente ha preso i funivia una cugina

Questo meccanismo complesso, composto di processo selettivo e processo


combinatorio funziona, come è ovvio, tanto nello scritto quanto nel parlato, ma lingua
parlata e lingua scritta attuano la selezione e la combinazione secondo criteri non
esattamente coincidenti.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 2/S2
Titolo: Preliminari: lingua orale/lingua scritta
Attività n°: 1

Preliminari: lingua orale / lingua scritta


Infatti, sulla base di quel che abbiamo detto sulla presupposizione, nel parlato la frase
avrebbe potuto presentarsi anche come
è salito lo macchina insieme sua

ha scelto il moto con lo


hanno preso la autobus dopo lei
sono saliti l’ torpedone prima i
ha preso i funivia una

dove l’identità di lei sarebbe chiarita dalle conoscenze condivise; il parlato inoltre
permette anche
insieme sua è salito lo macchina

con lo ha scelto il moto


dopo lei hanno preso la autobus

prima i sono saliti l’ torpedone


una ha preso i funivia
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 2/S3
Titolo: Preliminari: lingua orale/lingua scritta
Attività n°: 1

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto
finale e gli studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un
esercizio di controllo dei contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto
fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad inviare i risultati del proprio test al
docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-portfolio; tali risultati
possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente
il numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del
test e ne darà conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul
risultato della prova finale, invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso
o singole lezioni o chiarendo ulteriormente quello che non è stato pienamente
compreso.
1) Quali sono i caratteri propriamente linguistici che oppongono la lingua
orale alla lingua scritta?
2) A cosa corrispondono nella linguistica saussuriana l’asse sintagmatico e
l’asse paradigmatico?
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 2/S3
Titolo: Preliminari: lingua orale/lingua scritta
Attività n°: 1

Preliminari: scritti di carattere


pratico / di carattere letterario
Fra le due opzioni che ci si offrivano (lingua parlata / lingua scritta) abbiamo scelto di
lavorare su testi scritti, caratterizzati da una maggiore esplicitezza (resa necessaria da
un uso limitato della presupposizione e dall’assenza di deissi) e da una maggiore
pianificazione del messaggio da parte del locutore. Il che si riflette nello scritto sia a
livello lessicale (con scelta maggiormente ponderata all’interno del lessico della lingua:
asse della selezione), sia a livello sintattico (possibilità di maggiore articolazione logica
delle frasi nel periodo) sia in genere in relazione all’ordine dei componenti frasali e dei
nuclei tematici (asse della combinazione).
La nostra scelta fra scritto o orale è stata una scelta svolta a livello diamesico, relativa
cioè al mezzo utilizzato dall’emittente per inviare il proprio messaggio al destinatario.
Il termine si inserisce nella serie di distinzioni che caratterizzano la teoria variazionistica
elaborata negli anni Settanta (1973) da Eugenio Coseriu (1921-2002), che propone di
analizzare la lingua non come un monolite fermo e statico, ma nei suoi aspetti di mobilità
a seconda dei mezzi, degli usi, dei contesti.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 2/S3
Titolo: Preliminari: lingua orale/lingua scritta
Attività n°: 1

Preliminari: scritti di carattere pratico / letterario


Sul modello dell’opposizione fra analisi diacronica (alla luce del variare del fattore tem-
po) / analisi sincronica (prescindendo dal fattore tempo, che analizza la lingua nel suo
funzionamento in un dato momento cronologico) Coseriu ha introdotto la seguente termi-
nologia per indicare “i differenti assi della variazione linguistica” (cfr. Dizionario di lingui-
stica e di filologia, metrica, retorica diretto da G.L. Beccaria, Torino, Einaudi, 1989, s.v.):
asse (di variazione) diafasico : riguarda ”le classi di varietà della lingua condizionate
dalla situazione comunicativa, dalla funzione del messaggio e dal contesto globale o
particolare (socioculturale, comunicativo, ecc.) in cui si verifica l’interazione linguistica
[…] soggette ai diversi domini della situazione comunicativa, al mezzo impiegato [cfr.
sotto diamesico], agli interlocutori e ai partecipanti all’interazione, all’intenzione
comunicativa, all’argomento, alla scelta espressiva e stilistica”;
asse (di variazione) diatopico : riguarda “la variazione nello spazio” della lingua;
asse (di variazione) diastratico : riguarda “le varietà della lingua selezionate da varia-
bili di tipo sociale o, per meglio dire, da variabili legate alla stratificazione in classi o
in gruppi sociali. Sono dunque da considerare diastratiche sia le varietà (o i tratti che
le caratterizzano) considerate come socialmente ‘alte’ […], sia quelle considerate
socialmente ‘basse’ […]”.
A tale terminologia A.M. Mioni ha aggiunto nel 1983 l’asse di variazione diam esico a designare
“il tipo di variazione condizionato dal mezzo (orale o scritto) impiegato nella comunicazione”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 3/S1
Titolo: Preliminari: testi di carattere pratico / testi di carattere letterario
Attività n°: 1

Preliminari: scritti di carattere


pratico / di carattere letterario
La terminologia della teoria variazionistica di Coseriu non serve solo a inquadrare la
tipologia scritta dei testi che analizzeremo, ma ci aiuta anche a chiarire la natura della
scelta a favore di testi di carattere letterario, escludendo i testi di carattere pratico.
Piuttosto che definire in termini teorici che cosa sia la lingua letteraria (concetto
sfuggente e complesso, se si vuole andare oltre il dato puramente descrittivo) può
essere utile chiarire in via empirica quali siano i testi scritti che utilizzano una data lingua
a scopo letterario in opposizione ai testi scritti di carattere pratico, che costituiranno
il termine di confronto “basso” per analizzare contrastivamente i brani che analizzeremo.
Sulla base di un volume che ha fatto scuola e che contiene la formula di “testo di
carattere pratico” fin dal titolo (La prosa italiana delle origini: I, Testi toscani di carattere
pratico, a cura di Arrigo Castellani, Bologna, Pàtron, 1982) possiamo verificare la natura
di questa tipologia di testi. L’elenco dei testi editi nel volume di Castellani (e che
trovate in allegato a questa lezione) è ricavato dal sito dell’Opera del Vocabolario
italiano (in sigla OVI), una banca dati che impareremo a consultare durante il corso:
http://gattoweb.ovi.cnr.it/(S(uelkkf552n2odkbqrr4mrbmn))/CatForm01.aspx.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 3/S1
Titolo: Preliminari: testi di carattere pratico / testi di carattere letterario
Attività n°: 1

Preliminari: scritti di carattere pratico / letterario


In tale indice si trova indicazione, nell’ordine, 1) del titolo editoriale, 2) della datazione
(per anno o secolo), 3) della localizzazione (tosc. pis. = toscano pisano, tosc. volt. =
toscano volterrano etc.) e infine, evidenziata in grassetto, 4) della natura testuale (doc.
= documento, doc. giur. = documento giuridico, doc. merc. = documento mercantile;
stat. = statuto; cron. st. = cronaca di carattere storico; lett. = lettera.
Alla luce di un tale corpus la prima definizione di testo di carattere pratico come: “il
testo che esaurisce la sua funzione nel momento e nel luogo della sua redazione” si
dimostrerebbe approssimativa. Considerare il testo di carattere pratico un esatto
sostituto dell’oralità infatti: a) annullerebbe la distinzione fra testo scritto e orale fatta
sopra, b) sarebbe in contraddizione con la ‘distanza’ fra emittente e destinatario di cui
abbiamo parlato sopra (assenza di isocronia e isotopia), ma soprattutto c) sarebbe
contraddetta dalla tipologia stessa dei testi raccolti nel corpus pubblicato da Arrigo
Castellani. Infatti ha carattere pratico anche uno statuto (che si rivolge, nel presente ma
anche nel futuro, ad una comunità), ha carattere pratico un trattato di pace (che oltre
che rivolgersi direttamente ai due belligeranti, si indirizza anche agli amici o nemici
comuni); hanno carattere pratico (almeno entro certi limiti legati ai tempi e ai contenuti)
le lettere (certamente quelle inviate a fini commerciali), per le quali se vale (almeno in
parte) la condivisione cronologica fra emittente e destinatario, non vale la condivisione
spaziale.
La prosa italiana delle origini: I, Testi toscani di carattere pratico, a cura di Arrigo Castellani, Bologna, Pàtron, 1982

Conto navale pisano XII pm. tosc. pis. doc. merc.

Testimonianze di Travale 1158 tosc. volt. doc. giur.

Affitti della badia di Coltibuono XII ex. tosc. colt. doc. giur.

Memoria d'un cambio di terra colla Badia di Coltibuono XII ex. tosc. colt. doc.
Declaratoria pistoiese XII ex. tosc. pist. doc. giur.
Decime d'Arlotto c. 1200 tosc. pist. doc. merc.

Libro di conti di banchieri fiorentini del 1211 (Frammenti d'un) 1211 tosc. fior. doc. merc.

Breve di Montieri del 1219 1219 tosc. montier. stat.

Inventario dei beni d'Orlando d'Ugolino 1221 tosc. sen. doc.


Tenuta nei beni di Sigieri Lupini data a messer Ruggieri Federighi da Ulignano, Arrigo Goizzi e Federico Micheli della Chianese da Ranieri messo del Comune di San Gimignano
1228 tosc. sang. doc. giur.
Promemoria riguardante beni e privilegi della Primaziale di Pisa 1230-31 tosc. pis. doc.
Carte in volgare della lira 2 di Siena 1231-32 tosc. sen. doc. merc.

Annotazioni di tesorieri sangimignanesi 1235 tosc. sang. doc.


Lira 3 di Siena 1235 tosc. sen. doc.
Appunti di Palmieri a. 1236 tosc. sang. doc.
Spese giudiziali del sindaco della badia di Passignano 1236 tosc. fior. doc. giur.
Elenco di cittadini sangimignanesi 1236 (2) tosc. sang. doc.
Tenuta data a Dietiguardi calzolaio nei beni di Mannuccio Bochelati 1236 (3) tosc. sang. doc. giur.
Elenco di contravventori alle norme sul peso del pane 1237 tosc. sang. doc.
Appunti di Acoppo a. 1238 tosc. sang. doc.
Affitti della badia di Santa Fiora d'Arezzo 1240 tosc. aret. doc. giur.
Ricordo d'imprese pisane p. 1246 tosc. mer.? cron. st.
Lira del Castellammontone XIII pm. tosc. sen. doc.
Lettera di Guiduccio al padre ser Guido a. 1253 tosc. sang. lett.
Lettera di Arrigo Accattapane da Spoleto a Ruggieri da Bagnuolo, in Siena
1253 tosc. sen. lett.
Lettera di Arrigo Accattapane da Perugia a Ruggieri da Bagnuolo in Siena
1253 (2) tosc. sen. lett.
Lettera di Aldobrandino Iacomi, da Perugia, a Ruggieri di Bagnuolo, in Siena
1253 (3) tosc. sen. lett.
Lettera di Aldobrandino Iacomi a Ruggieri di Bagnuolo. 1253 (4) tosc. sen. lett.
Memoria della vendita d'un cavallo 1254 tosc. sang. doc.
Decime mugellane XIII m. tosc. mug. doc. merc.
Dazio della lira di Calzolaria de' foretani (25 D.) XIII m. tosc. sen. doc. merc.
Dazio della lira di Calzolaria de' foretani (50 D.) XIII m. (2) tosc. sen. doc. merc.
Ricordo dell'olio dovuto dal Priore di Santa Maria da Peretola alla Chiesa di Santa Reparata
1256 tosc. fior. doc.
Quaderno dei capitali della Compagnia dei Boni di Pistoia 1259 tosc. pist. doc. merc.
Lettera di Vincenti di Aldobrandino Vincenti e compagni, da Siena, a Iacomo di Guido Cacciaconti
1260 tosc. sen. lett.
Lettera di Andrea de' Tolomei da Tresi a messer Tolomeo... e agli altri compagni de' Tolomei, in Siena (1262)
1262 tosc. sen. lett.
Dare e avere di Francia della Compagnia di Gentile Ugolini 1263 tosc. sen. doc. merc.
Ragione di Baldese Bonfiglioli 1264 tosc. fior. doc.
Descrizione di terre poste a Celaiano (Piviere di S. Casciano a Settimo, Pisa)
1264 (2) tosc. pis. doc. giur.
Trattato di pace fra i Pisani e l'emiro di Tunisi 1264 (3) tosc. pis. doc. giur.
Lettera di Andrea de' Tolomei da Tresi a messer Tolomeo e agli altri compagni de' Tolomei, in Siena (1265)
1265 tosc. sen. lett.
Inventario delle cose rubate a Ugolino di Ruggerotto 1266 tosc. sen. doc.
Lettera di Andrea de' Tolomei da Bari sull'Alba a messer Tolomeo e agli altri compagni de' Tolomei, al Castello della Pieve
1269 tosc. sen. lett.
Memoria di pagamenti alle "spie" del Comune di San Gimignano 1269 tosc. sang. doc.
Indicazioni per una ricerca 1270 tosc. sang. doc.
Lasciti (con cifre in bianco) di Bene Bencivenni agli spedali fiorentini1273 tosc. fior. doc. giur.
Ricordi di pagamenti 1274 tosc. fior. doc.
Libricciolo di crediti di Bene Bencivenni (Primo) 1262-75 tosc. fior. doc.
Spese del comune di Prato 1275 tosc. prat. doc.
Libro d'amministrazione dell'eredità di Baldovino Iacopi Riccomann 1272-78 tosc. fior. doc.
Ricordi rurali di casa Guicciardini 1274-84 tosc. fior. doc.
Ricordi di compere e cambi di terre in Val di Streda e dintorni 1255-90 tosc. fior. doc.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 3/S1
Titolo: Preliminari: testi di carattere pratico / testi di carattere letterario
Attività n°: 3

Esercizio

Utilizzando l’elenco dei testi di carattere pratico pubblicati da Arrigo


Castellani (allegato alla presente sessione di studio) ipotizzate per ciascuno
di essi (e per quanto è possibile desumere dal titolo e dagli altri dati
disponibili):

la natura del destinatario (unico o plurimo, contemporaneo o postero


[isocronia])
la isotopia fra emittente e destinatario.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 3/S2
Titolo: Preliminari: testi di carattere pratico / testi di carattere letterario
Attività n°: 1

Preliminari: scritti di carattere


pratico / di carattere letterario
Soffermiamoci dunque sugli elementi principali di ogni situazione comunicativa,
l’emittente e il destinatario, per chiarire la natura di ciascuno di essi e il loro rapporto
reciproco.
Destinatario: nonostante la distanza (cronologica e/o spaziale) che abbiamo detto
caratterizza la situazione comunicativa del testo scritto rispetto all’oralità, l’emittente del
testo di carattere pratico possiede un identikit abbastanza chiaro e definito del
proprio destinatario che può coincidere con un individuo singolo di cui l’emittente
conosce caratteristiche biografiche e/o culturali o anche soltanto le immagina oppure un
destinatario collettivo reso però riconoscibile per appartenenza ad una categoria sociale,
ad un gruppo familiare o per un ruolo specifico etc.
Nel testo di carattere letterario invece la natura del destinatario è più sfuggente e
meno definita, perché l’emittente può avere individuato un destinatario diretto,
immediato e privilegiato, ma può anche non averlo individuato, mentre ha di fronte e
immagina un destinatario più generico, un ‘pubblico’, un lettore, per definizione vago
perché sempre nuovo e differente nello spazio e nel tempo.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 3/S2
Titolo: Preliminari: testi di carattere pratico / testi di carattere letterario
Attività n°: 1

Preliminari: scritti di carattere pratico / letterario


Emittente: nel caso del testo di carattere pratico l’intenzione dell’emittente si
esaurisce nel contenuto del messaggio stesso, nel suo significato ‘letterale’; nel redigere
un testo letterario invece l’emittente non trasmette soltanto il contenuto, il significato
di quel messaggio, ma lascia in esso anche traccia di ciò che lo ha mosso alla scrittura, e
il testo reca sì dentro di sé un contenuto, ma anche porta su di sé l’intenzione del
suo autore (la retorica classica e medievale parlava, ma in termini che svariavano fra il
contenutistico e il formale, di intentio auctoris).
Una formulazione di questo tipo consente di prescindere da considerazioni di carattere
estetico e soggettivo inerenti al ‘valore’ letterario (che esulerebbero da un corso di
Linguistica italiana), e ci àncora piuttosto a dati concreti e verificabili: è il prodotto scritto
che, posto al centro del nostro discorso, ci consentirà di verificare come, tramite l’uso
della lingua, lo scrivente abbia voluto trasmetterci la propria intenzione .
La definizione del testo letterario come un testo che reca su di sé tracce dell’intenzione
dell’autore, non significa necessariamente che l’autore avesse intenzione di scrivere un
testo letterario. La letterarietà di un testo dipende dalla percezione del lettore e del
linguista, ed è decretata da questioni sociali e di gusto variabili nello spazio e nel tempo
che coinvolgono anche quei criteri estetici e valutativi che necessariamente saranno
esclusi dal nostro approccio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 3/S2
Titolo: Preliminari: testi di carattere pratico / testi di carattere letterario
Attività n°: 1

Preliminari: scritti di carattere pratico / letterario


Quel che conta per noi è invece che la traccia dell’intenzione dell’autore sopra il
testo che ha per noi valenza letteraria coinvolga il tipo di situazione comunicativa
stabilita fra emittente e destinatario.
Indipendentemente dalle scelte di tipo diastratico (“legate alla stratificazione in classi
o in gruppi sociali”; i documenti di carattere pratico utilizzano in genere una lingua più
vicina alla contingenza e all’uso quotidiano), quel che caratterizza la comunicazione
letteraria è la scelta di una situazione comunicativa che si attua a livello diafasico,
cioè dipendente ”dalla funzione del messaggio e dal contesto globale o particolare
(socioculturale, comunicativo, ecc.) in cui si verifica l’interazione linguistica”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 3/S3
Titolo: Preliminari: testi di carattere pratico / testi di carattere letterario
Attività n°: 1

Preliminari: scritti di carattere


pratico / di carattere letterario
Nel corso analizzeremo testi scritti che non abbiano evidente carattere pratico o documen-
tario, comprendendo invece ogni testo scritto che soggiaccia a quella particolare situazione
comunicativa stabilitasi fra emittente e destinatario che, sul corpo stesso del testo, lascia
tracce di un’intenzione che non è pienamente soddisfatta dal mero contenuto.
All’interno dell’ampio corpus appartenente alla tradizione italiana ho selezionato una tipo-
logia formale coesa : i testi in prosa, attribuendo a prosa un significato puramente forma-
le (‘non scritto secondo artifici metrici e rimici’; analogamente useremo poesia come sino-
nimo di ‘testo scritto secondo quegli artifici metrico-rimici’, sia che essi siano co-genti come
nella tradizione antica, oppure più ‘leni’ o addirittura assenti come nella poesia moderna).
Si parla spesso, per la lingua della poesia (cioè ‘scritta in versi’), di ‘lingua speciale’,
all’interno della quale le modalità di selezione del lessico (ma talvolta anche della fonetica
e della morfologia) e di combinazione (in relazione alla sintassi e più in generale all’ordine
delle parole) sono condizionate da una vischiosità modellizzante particolarmente forte,
determinata dalla pressione della tradizione precedente, ma anche da precisi intenti
autoriali.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 3/S3
Titolo: Preliminari: testi di carattere pratico / testi di carattere letterario
Attività n°: 1

Preliminari: scritti di carattere pratico / letterario


Già questa ‘specialità’ sarebbe sufficiente a giustificare l’esclusione della poesia dal nostro
discorso: l’introduzione della poesia nel corpus di testi prescelti per la nostra analisi am-
plierebbe infatti le differenze fra la lingua scritta di carattere pratico e documentario (ne-
cessariamente in prosa) e lingua letteraria, e complicherebbe (differenziandoli ulterior-
mente al loro interno) i testi di carattere letterario che analizzeremo invece solo alla luce
del variare dei ‘generi’ o delle tipologie testuali, insomma alla luce delle strategie enun-
ciative. In tal modo saremo in grado di porre al centro della nostra indagine la prosa nelle
sue differenti strategie espositive (argomentativa, narrativa, storiografica, scientifica etc.)
e nelle sue appartenenze a dei ‘generi’ letterariamente già formati o sul punto di formarsi
e stabilirsi; e ciò ci consentirà di lavorare fin da subito sugli aspetti stilistici di ogni caso
analizzato, per il quale potremo di volta in volta usufruire di termini di parago-ne,
cronologicamente coerenti, ma ulteriormente connotati dal punto di vista tipologico e dal
punto di vista diafasico: nel polo più basso il testo documentario, nel polo più alto il
testo poetico. Ancora una volta per ragioni didattiche rimarrà fuori dagli esempi che ana-
lizzeremo la variabile diatopica. Allo scopo di conservare come elemento guida della no-
stra analisi il fattore diacronico e dunque lo sviluppo dell’italiano nel tempo, di necessità
partiremo da testi antichi scritti in un volgare (il toscano) che costituisce la base fono-
morfologica dell’italiano, escludendo di esemplificare la prosa della tradizione italiana nella
sua frammentata variabilità geografica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 4
Titolo: Preliminari: lingua / stile
Attività n°: 1

Preliminari: lingua / stile


Per cercar di chiarire il concetto di stile partiamo da un’altra coppia oppositiva di origine
saussuriana (Corso di linguistica generale, Introduzione, cap. IV, pp. 28-30), quella
stabilita fra langue e parole .
Per Saussure il linguaggio è avanti tutto un atto di fonazione individuale (parole ).
Per funzionare efficacemente però l’atto linguistico individuale (parole ) deve essere
condiviso (langue ):
“la lingua [per chiarezza espositiva noi useremo, senza tradurlo, il termine francese
usato nella sua lingua dal ginevrino Saussure; dunque langue] è necessaria perché la
parole sia intelligibile e produca tutti i suoi effetti; ma la parole è indispensabile
perché la lingua si stabilisca” (p. 29).
Saussure aggiunge:
“La lingua esiste nella collettività sotto forma d’una somma di impronte depositate in
ciascun cervello, a un di presso come un dizionario del quale tutti gli esemplari,
identici, siano ripartiti tra gli individui […]. È dunque qualche cosa che esiste in
ciascun individuo pur essendo comune a tutti e collocata fuori della volontà dei
depositari. Questo modo d’esistere della lingua può essere rappresentato con la
formula: 1+1+1+1+1… = I (modello collettivo)” (p. 29).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 4
Titolo: Preliminari: lingua / stile
Attività n°: 1

Preliminari: lingua / stile


La lezione di Saussure è stata particolarmente feconda per la linguistica novecentesca
e la distinzione langue / parole è stata variamente interpretata; per es.
“Nella coppia oppositiva convergono e si sovrappongono varie distinzioni come
quella fra sociale e individuale, fra sistema e struttura, fra codice e messaggio, fra
paradigmatica e sintagmatica, fra potenza e atto”.

Ma per rimanere aderenti alla parola di de Saussure potremo sintetizzare il suo


pensiero in questo modo:
con langue si deve intendere il ‘repertorio’ di una lingua (che Saussure chiamava
dizionario), in certa misura, astratto o virtuale;
a questo repertorio attinge ogni parlante con il proprio concreto atto di parole , che
sarà dunque da intendere come atto linguistico che traduce in atto la
potenzialità del repertorio, la virtualità in realtà.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 4/S1
Titolo: Preliminari: lingua / stile
Attività n°: 1

Preliminari: lingua / stile


In quanto repertorio, la langue accoglie in sé tutte le possibilità di realizzazione:
1) per il lessico, per esempio, arcaismi e neologismi, turpiloquio o lessico scelto e
astratto,
2) per la sintassi o la morfologia soluzioni triviali e scontate oppure ricercate e connotate,
3) registri anche molto differenziati dal punto di vista diastratico o diafasico etc. etc.…
All’interno di tutte queste possibilità ciascuno di noi, nel parlare e nello scrivere, opera
una selezione a seconda del contesto in cui l’atto linguistico si produce.
Da un lato la somma delle preferenze individuali coincidenti in una data società
individua una lingua dell’uso , cioè una porzione del repertorio virtuale della lingua che
ha un alto grado di frequenza negli atti di parole: la lingua dell’uso corrisponde a scelte
per lo più meccaniche e ‘contagiose’ per ragioni di moda o sulla base di condizionamenti
storici, politici, sociali di varia natura esercitati in una data società in un determinato
periodo. E si potrà per esempio parlare di un italiano dell’uso odierno.
D’altro canto, però, ciascuno di noi, di quel potenziale repertorio della langue ‘preferisce’,
in maniera idiosincratica e peculiare, alcune ‘zone’, cui attinge inconsapevolmente più
di frequente e secondo abitudini meccaniche sue proprie (creando dunque un
idioletto).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 4/S1
Titolo: Preliminari: lingua / stile
Attività n°: 1

Preliminari: lingua / stile


Queste le loro definizioni, tratte dal Dizionario di linguistica già più volte citato:
Idioletto:
“Varietà individuale di un codice linguistico o, per meglio dire, somma delle caratteristiche
personali mediante le quali un individuo interpreta la lingua standard”;
Standard:
“una varietà di lingua parlata in modo uniforme e sostanzialmente indifferenziato
dall’intera comunità linguistica […]. [Nella lingua] si stabiliscono così rapporti di forza in
cui possono volta a volta essere dominanti le istanze centrifughe1 o quelle centripete:1
risultato tipico della dominanza di queste ultime sarà allora l’istituzionalizzazione di una
varietà e la sua imposizione, più o meno esplicita o coatta, come norma per l’intera
comunità, cioè come standard”
Norma:
“In Coseriu […] la norma, inserita tra i due termini dell’opposizione saussuriana langue /
parole, è la media delle realizzazioni accettate in una data comunità”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 4/S2
Titolo: Preliminari: lingua / stile
Attività n°: 1

Preliminari: lingua / stile


Ogni atto di parole, prodotto quindi sulla base del proprio idioletto dall’emittente,
diverge, tanto o poco dalla norma, dallo standard, dalla lingua dell’uso; e proprio
questo allontanamento può essere sottoposto ad un’analisi che ne valuti e ne identifichi
i luoghi, le caratteristiche di quella divergenza, di quello scarto.
Così dicePier Vincenzo Mengaldo (Prima lezione di stilistica, Roma-Bari, Laterza, 2001,
p. 3):
“Qualunque ‘testo’, scritto o anche orale, è aperto all’analisi stilistica.
Limitandoci ai linguaggi scritti, lo sono gli slogan politici o pubblicitari […]; lo è il
motto di spirito […]; lo è il linguaggio giornalistico […]; e così il linguaggio della
scienza […]; o quello politico […]”.
La lingua di un autore (cioè del redattore di un testo scritto di carattere letterario) è,
come la lingua di ciascuno di noi, un atto di parole, un atto linguistico concreto che
attua la astrattezza del repertorio. E come ciascuno di noi, anche uno scrittore si
inserisce nella dicotomia fra standard (o norma) e idioletto, fra adesione alla lingua
dell’uso e elaborazione di una lingua personale.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 4/S2
Titolo: Preliminari: lingua / stile
Attività n°: 1

Preliminari: lingua / stile


Ma nel momento in cui uno scrivente, con il proprio atto linguistico, si propone di redigere
un testo di natura letteraria (per meglio dire: si propone di scrivere e a noi oggi il suo
testo mostra caratteri di natura letteraria) egli si inserisce anche “in un sistema di
comunicazione fortemente formalizzato”, all’interno del quale opererà scelte non
necessariamente coincidenti con quelle che egli stesso opera per atti linguistici orali o per
scritti che abbiano scopi di carattere pratico.
L’inserimento consapevole o inconsapevole in quel “sistema di comunicazione” letteraria fa
sì che il ricorso al proprio idioletto e al massimo alla lingua dell’uso non sia più sufficiente
per lo scrittore:
-- in primo luogo perché l’inserimento in un genere dato, in una tradizione letteraria data,
attiva immediatamente la parole letteraria di altri autori, rendendola disponibile
per gesti di adesione o viceversa di rifiuto, che condizionano scelte puntuali o generali.
Inoltre l’autore sarà di volta in volta in condizione di tener conto o non tener conto
delle costrizioni del genere letterario entro il quale si inscrive, a tener conto o meno
delle attese del lettore o del pubblico (‘orizzonte di attesa’) in nome di un’istanza
comunicativa che (come abbiamo visto) non si esaurisce nella trasmissione del contenuto
(significato) del messaggio, ma che passa anche attraverso una forma considerata come
funzionale ad una particolare efficacia.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 4/S2
Titolo: Preliminari: lingua / stile
Attività n°: 1

Preliminari: lingua / stile


Nel proprio scritto dunque lo scrivente
-- potrà (se lo vorrà) attingere al repertorio della langue, o dello standard, in maniera
inconsueta, inedita, marcata, connotata, rispetto all’uso quotidiano che ne fanno
i parlanti (e addirittura rispetto all’uso che ne fa egli stesso nel proprio uso quotidiano
di parlante);
-- potrà, se lo vorrà, non accettare passivamente gli usi più quotidiani e diffusi, la
parte del ‘repertorio’ più banale e resa pronta per l’uso (preconfezionata) dalla
diffusione sulla bocca dei parlanti e degli scriventi del suo tempo, o, al contrario,
volutamente adeguarvisi.

Chiameremo stile quest’uso particolare della lingua da parte dell’autore / degli autori
e per lo più consapevolmente ricercato dall’autore, anche se, per la verità, le
definizioni tentate di questo concetto sono state molte e non sempre univoche.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 4/S3
Titolo: Preliminari: lingua / stile
Attività n°: 1

Preliminari: lingua / stile


Veniamo dunque a definire una volta per tutte il concetto di stile che noi abbiamo detto
essere quel modo con il quale l’autore utilizza in maniera personale la lingua dell’uso e
dell’uso letterario introducendovi consapevolmente degli elementi che non le sono
propri.
Per giungere in fine ad una definizione riporto qui sotto uno stralcio (ho omesso la storia
del concetto nella retorica classica e ho invece privilegiato la parte relativa alla linguistica
novecentesca) dalla voce stile contenuta nel Dizionario di linguistica e di filologia,
metrica, retorica, più volte citato (l’autrice della voce è Elisabetta Soletti):
“Gli studi […] hanno dato definizioni di stile sulla base del rapporto tra i fatti di stile
e l’insieme da cui questi si isolano che si possono così riassumere:
1) ‘deviazione’ o ‘scarto’ dai modelli o schemi (patterns) che costituirebbero la
‘norma’;
2) ‘aggiunta’ o sovrapposizione di tratti stilistici a un’espressione ‘neutra’ […];
3) ‘connotazione’: ogni tratto stilistico si precisa come tale in riferimento al contesto
linguistico e alla situazione comunicativa”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 4/S3
Titolo: Preliminari: lingua / stile
Attività n°: 1

Preliminari: lingua / stile


E l’autrice infine commenta così:
“In tutte centrale e problematica rimane la nozione di ‘scarto’ da un qualche
insieme assunto come ‘normale’ […] perché le prospettive comportano sempre
un’analisi di tipo comparativo. […] Alla luce delle proposte recenti si può definire
lo stile individuale come il risultato di una selezione, di inclusioni (o esclusioni)
compiute dal parlante o dallo scrivente all’interno della varietà linguistica che gli è
propria e in base al registro adottato. Per quanto riguarda la scrittura artistica lo
stile deve essere commisurato con la varietà letteraria e le sue codificazioni di
generi e di forme, i paradigmi retorici e stilistici, le scuole ecc. […] Segre […]
circoscrive il concetto di stile letterario alla valutazione delle ‘differenze’ (o
coincidenze) di un testo rispetto agli usi e ai documenti coevi”.

A noi interessa rimarcare che, nonostante le differenze nelle definizioni di cui rende
conto la Soletti, lo stile pare non poter essere definito se non per via di
comparazione.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 5
Titolo: Preliminari: stile 'plurale'
Attività n°: 1

Preliminari: lo stile ‘al plurale’


Nella lezione precedente abbiamo insistito sul significato di stile come scelta linguistica
individualizzante, come uso privato e personale della lingua da parte di ogni parlante e
scrivente, adeguandoci al significato prevalente che il termine ha assunto negli studi
linguistici e letterari della nostra epoca.
È evidente però che, nel momento stesso in cui stile è adoperato per definire le
caratteristiche formali della lingua adottata da un autore per opere che, nella normalità,
prevedono la pubblicazione, quel fatto privato e personale si riflette (con maggiore o
minor enfasi) anche sulla collettività, almeno in quanto direttamente rappresentata dal
pubblico dei lettori reali. La maggiore o minore fortuna di quello stile privato, o anche la
rivisitazione di quello stesso stile proprio di un autore presso suoi ammiratori o epigoni o
imitatori, comporta di per sé la possibilità che alcuni, o gran parte, dei tratti di quello stile
diventino non solo pubblici, ma anche a tal punto condivisi da consentire di parlare dello
stile di un gruppo, di una corrente, di un’epoca.
La possibilità che lo stile da fatto privato si trasformi in fatto pubblico e collettivo
consente di integrare al significato individuale del concetto di stile (nato, come vedremo,
fra Sette e Ottocento) il significato antico (valido grosso modo fino al periodo illuministico
compreso) e che ha caratterizzato gli studi retorici, letterari e linguistici per secoli.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 5
Titolo: Preliminari: stile 'plurale'
Attività n°: 1

Preliminari: lo stile ‘al plurale’


L’integrazione fra accezione antica e accezione più recente introduce la categoria di stile
di un’epoca o di stile di una corrente o di un gruppo, ed è propria della storia linguistica
dell’italiano così come della maggior parte delle lingue europee.
Per constatarlo basta verificare che nella lingua comune all’accezione linguistico-letteraria
di stile si affiancano significati più generici, che indicano appunto la coesistenza fra
accezione antica e recente:
-- nella lingua quotidiana possiamo sentir parlare di arredam ento in stile (cioè di un
‘arredamento che partecipa di un’attitudine, di una maniera riconoscibile di costruire gli
elementi di un arredamento uniformandosi a modelli generali e riconoscibili come tali,
dunque individualizzanti, ma non individuali’);
-- nella lingua settoriale relativa alla storia dell’arte e in particolare all’interno della storia
delle tecniche architettoniche si parla di stile rom anico , stile gotico etc.;
-- infine ancora oggi per la storia dell’arte (come per la storia letteraria) possiamo parlare
di stile neoclassico .
Se tali formule sono ancora oggi utilizzabili è perché il concetto antico di stile non è mai
stato definitivamente soppiantato dalla nuova accezione; e non è un caso che l’antico
significato si sia perpetuato all’interno di settori della lingua che hanno a che fare con la
critica d’arte (e ad un livello più basso della lingua dell’artigianato).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 5/S1
Titolo: Preliminari: stile 'plurale'
Attività n°: 1

Preliminari: lo stile ‘al plurale’

In latino stilus era, nel significato proprio, il bastoncino acuminato con cui si scriveva
sulle tavolette cerate.
Nel senso traslato (per metonimia, cioè indicando la causa per il suo effetto) già in
latino significava ‘lo scrivere’, ‘la scrittura’ e dunque ‘il modo di esprimersi in una
composizione scritta’ e dunque ‘l’insieme di tratti formali attribuiti all’espressione
linguistica in sede letteraria’. Tale significato traslato poteva fare riferimento
1) tanto ai modi espressivi di un singolo scrittore
2) quanto alle modalità espressive codificate e riconoscibili (e dunque collettive)
trasmissibili per mezzo dell’insegnamento e della scuola.
Lo stile, nel contesto della retorica latina, è dunque al contempo variante
personale o di gruppo, modo personale di gestire la lingua e la grammatica e al
contempo modalità espressiva collettiva.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 5/S1
Titolo: Preliminari: stile 'plurale'
Attività n°: 1

Preliminari: lo stile ‘al plurale’


La retorica classica, sviluppatasi per codificare prima di tutto il genere e la prassi
dell’oratoria, divideva la composizione letteraria in
inventio (gli argomenti, i contenuti)
dispositio (la loro collocazione)
elocutio (la verbalizzazione degli argomenti)
actio, quest’ultima legata alla performance (si direbbe oggi) della orazione pubblica (che
si trattasse di recitazione in un contesto processuale o di un intervento in assemblee
politiche).
Cioè: agli argomenti, ai contenuti (inventio) del proprio discorso l’oratore attribuiva una
collocazione reciproca (dispositio) considerata più efficace a fini dimostrativi o di
convinzione del pubblico; gli argomenti, disposti nella sequenza prescelta, dovevano poi
prendere forma verbale e linguistica (elocutio), resa ancora più accattivante perché
ornata mediante l’utilizzo di colores retorici (ornatus).
Come dice Cesare Segre (Avviamento all’analisi del testo letterario, Torino, Einaudi, 1985,
19992, Parte II, cap. 6: Stile, p. 308):
“È pertanto all’elocutio (greco λέξις) che corrisponde lo stile in senso stretto,
considerato variante personale, o di gruppo, o di epoca della elocutio stessa”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 5/S1
Titolo: Preliminari: stile 'plurale'
Attività n°: 1

Preliminari: lo stile ‘al plurale’


Accanto a formule del tipo stilus pressus demissusque (‘stile sobrio e semplice’) o stilo
maiore (‘con uno stile più elevato’), che possono ritrovarsi negli scrittori latini e adattarsi
tanto a scelte individuali quanto a scelte collettive, si trovano formule del tipo stilus
atticus, stilus asianus che denotano scelte retoriche condivise, fasci di elementi formali
comuni a interi gruppi di scritture. Nel periodo antico è questa seconda accezione, quella
collettiva, ad essere prevalente.
Ma una differenza ancora più profonda divarica la nozione antica di stilus da quella
moderna: se lo stile riguarda l’elocutio, successiva all’inventio degli argomenti e alla loro
dispositio, quello stile consiste in un’aggiunta dell’ornatus, cioè di figure e tecniche
retoriche, finale e avventizia al pensiero.

“In generale, tutto è riportato al concetto di ornatus, sulla base di una distinzione tra
un contenuto originariamente disadorno, e l’aggiunta di ornamenti, o coloriture […]
che lo possono rendere più gradevole, più efficace ecc. Una concezione che deriva
necessariamente dalla prospettiva adottata: offrire un repertorio di procedimenti di
stile implica infatti la posteriorità cronologica e la natura additizia di tali procedimenti,
di fronte alla normatività senza eccezioni della grammatica” (Segre, Avviamento, pp.
308-309).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 5/S2
Titolo: Preliminari: stile 'plurale'
Attività n°: 1

Preliminari: lo stile ‘al plurale’

Raramente, nel periodo classico, troviamo l’espressione di un approccio ai testi di tipo


descrittivo o interpretativo (con lo scopo cioè di dare una descrizione caratterizzante dei
testi e/o di fornirne un’interpretazione critica); prevalente invece il valore normativo e
precettivo (che è invece escluso e rigettato dalla rivisitazione romantica dello stile come
espressione massima dell’individuo e che quindi non ha possibilità di essere ‘esportata’).
L’atteggiamento precettivo che è della nozione antica di stile è caratteristico dei trattati
classici e poi medievali di retorica, nei quali si danno giudizi sul valore e sugli effetti di
certe scelte di ornatus che si è invitati ad adottare solo in certi contesti, o nei quali,
viceversa, si mette in guardia l’apprendista scrittore dall’uso di certe forme linguistiche
ed espressive; ma l’approccio normativo è soggiacente anche quando, al di fuori della
trattatistica vera e propria, si esprime un giudizio su un testo proprio o altrui, del quale
si esalta l’adeguamento (o si condanna viceversa il mancato adeguamento) ad uno ‘stile’
considerato adatto e consono all’argomento trattato.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 5/S2
Titolo: Preliminari: stile 'plurale'
Attività n°: 1

Preliminari: lo stile ‘al plurale’


Fin dall’antichità infatti era stata ribadita la necessità di una coerenza fra contenuto e
forma, si direbbe (per usare i termini antichi) fra inventio e dispositio da un lato e
elocutio; ma oltre che fare appello a indicazioni di tipo generale quella necessità aveva
cominciato ad assumere già in epoca classica, ma sempre più in periodo medievale,
implicazioni relative ai generi letterari, secondo indicazioni normative sempre più rigide e
tassative che coinvolgevano materia, stile, argomento, storia narrata, ambientazione etc.
in una griglia di opzioni ciascuna delle quali connessa all’altra.

Se già nell’antichità si parla di stile comico e stile tragico per indicare la forma (l’elocutio)
che deve accompagnare, nel modo più consono, argomenti e storie adatte alla commedia
e rispettivamente alla tragedia, è solo con la retorica medievale che, approfondendo
alcuni suggerimenti già presenti nei trattati latini, si giunge ad una stringente normatività
‘stilistica’ che individua tre stili principali, posti in gradazione reciproca (stile umile,
mediocre e alto o grave o sublime) all’interno dei quali sono indicate come tassative
anche le scelte pertinenti al livello sociale dei personaggi della storia, e tutto il mondo
reale che a quei personaggi fa da corredo (gli animali, gli attrezzi, l’ambientazione), come
è visualizzato nella rota Virgilii riprodotta nella slide successiva.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 5/S2
Titolo: Preliminari: stile 'plurale'
Attività n°: 1

Preliminari: lo stile ‘al plurale’


Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 5/S3
Titolo: Preliminari: stile 'plurale'
Attività n°: 1

Preliminari: lo stile ‘al plurale’


La normatività stilistica di stampo classico, fissatasi nelle forme che abbiamo visto in
epoca medievale e poi rivitalizzata con la sempre maggiore conoscenza della retorica
greca nel periodo umanistico-rinascimentale, ha avuto un grande peso nella nostra
cultura che in maniera periodica ha subìto il fascino della bellezza e della compostezza
formale della classicità. All’interno del lungo periodo della storia della cultura italiana si
riconoscono due periodi particolarmente significativi dal nostro punto di vista:
1) il Cinquecento, nel quale al classicismo letterario fa da pendant anche un classicismo
di natura linguistica e che nasce come momento di decantazione di un periodo (come
quello umanistico) tumultuoso per quanto riguarda il recupero onnivoro e poco
regolamentato della classicità;
2) il Settecento, e in particolare quella particolare manifestazione del Settecento che si
è soliti definire Neoclassicismo, in gran parte nata in reazione alla effervescente
produzione barocca.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 5/S3
Titolo: Preliminari: stile 'plurale'
Attività n°: 1

Preliminari: lo stile ‘al plurale’


1) Nel Cinquecento le riflessioni sulla retorica si rinnovano mediante la scoperta della
Poetica di Aristotele, opera ignota al periodo precedente e che invece viene pubblicata
nella traduzione latina di Giorgio Valla nel 1498, nell’originale greco nel 1508 da Aldo
Manuzio e infine volgarizzata fin dal 1549. La lettura del nuovo testo innescò un grande
dibattito soprattutto alla luce della teoria aristotelica delle tre unità (di tempo, luogo e
azione) della tragedia e che saranno esportate dai teorici del Cinquecento a norma per
ogni genere letterario (alla luce delle tre unità verrà letto il Furioso di Ariosto, e Tasso si
proporrà di rivisitare il poema eroico ottemperando alle unità aristoteliche). La lettura
della Poetica e il quadro controriformistico nel quale si colloca la fortuna di questo testo
fino ad allora sconosciuto collaborano ad attribuire al classicismo letterario il sapore di
un’ortodossia che fa da pendant all’ortodossia religiosa, incoraggiando il ritorno ad
visione fortemente normativa della scrittura letteraria.
2) Alla nascita del movimento neoclassico nel Settecento contribuisce, oltre alla reazione
alla sregolatezza letteraria e artistica del barocco, la grande riscoperta dell’arte antica
segnata in modo particolare dall’inizio del lavori di scavo di Pompei (1740) e
l’elaborazione di una corrente artistica, prima che letteraria che individua nella statuaria
greco-romana un modello che sarà riproposto in Italia da Antonio Canova.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 5/S3
Titolo: Preliminari: stile 'plurale'
Attività n°: 1

Preliminari: lo stile ‘al plurale’


Neoclassicismo e Romanticismo sono coevi e si potrebbe dire nati ad un parto perché
in entrambi la lezione illuministica ha lavorato nel profondo: quel che l’Illuminismo
proponeva a livello intellettuale (sottomissione alla Ragione, e dunque alla norma
razionale delle manifestazioni umane) il Neoclassicismo incarna con l’adeguamento a
norme di tipo formale che si uniformano ai canoni classici. Ultimo stadio di un lungo
percorso, il Neoclassicismo letterario finisce per adeguarsi ad un’idea per la quale lo
stile coincide con retorica, artificio e colore retorico, formulazione verbale artefatta e
non spontanea, normativizzata e non libera.

In contrapposizione a quest’ultima fase il Romanticismo recupererà il concetto di stile


ma elaborandolo in senso positivo, come manifestazione unica e irripetibile del
sentimento individuale, come espressione linguistica di un’individualità che chiede di
essere riconosciuta come tale e che rifiuta di essere ingabbiata entro norme e regole;
la rivendicazione di tale unicità e irripetibilità dello stile come espressione individuale
comporta anche la negazione in sede teorica e pratica della sua trasmissibilità
attraverso norme e regole retoriche.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 6
Titolo: Preliminari: stile, storia di una parola
Attività n°: 1

Stile: storia di una parola


Cogliamo l’occasione di tracciare la storia italiana della parola stile per prendere
dimestichezza con risorse on-line che utilizzeremo in seguito. In particolare, per
verificare la storia della parola stile possiamo provare a vedere quando e come (cioè
con quali significati) essa sia stata usata nella lingua letteraria italiana.
Collegatevi al sito http://www.bibliotecaitaliana.it/ e nella pagina iniziale cliccate su
Ricerca testuale (ultimo tasto entro la fascia rossa in alto). Nella pagina seguente,
all’interno della casella dedicata scrivete stil stile ; spuntando ALMENO UNA PAROLA
O SINTAGMA, ne ricaverete tutte le occorrenze in cui la parola, nella forma completa
(stile) o nella forma apocopata1 (stil) ricorre nel corpus di questa risorsa (che, se non
è esaustivamente rappresentativo della nostra tradizione letteraria, è certamente
molto ampio).
1 Con apocope si definisce la caduta della vocale finale (più raramente della sillaba finale:
per esempio po’ ‘poco’) di una parola; in italiano cadono per apocope di preferenza -o ed -e
(comunque mai -a, se non in rari casi in poesia) e solo se, in conseguenza dell’apocope,
rimane finale della parola una di queste consonanti (propriamente sonanti perché dal punto di
vista articolatorio molto simili a vocali): -n, -l (vedi stil), -r.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 6
Titolo: Preliminari: stile, storia di una parola
Attività n°: 1

Stile: storia di una parola


La nostra prima ricerca, così generica, ha dato 607 risultati (cioè 607 opere all’interno
delle quali compaiono una o più occorrenze), che, se manteniamo le impostazioni di
default, ci vengono presentati secondo un ordine in base alla rilevanza che per noi è
inutilizzabile (potremmo scegliere di impostare quella stessa sequenza per PERIODO, ma
l’ordinamento che ne verrebbe fuori non corrisponderebbe comunque all’ordinamento per
secoli che vorremmo).
Torniamo allora indietro e facciamo ricerche mirate per periodo: nella pagina delle
RICERCHE TESTUALI, scriviamo di nuovo stil stile nella casella delle ricerche, ma stavolta
spuntiamo uno alla volta un periodo particolare: Origini, 200, 300 etc.
Avremo così una serie di risultati parziali che ci danno una prima indicazione di tipo
quantitativo che riassumo nella tabella successiva: ai valori assoluti secolo per secolo si
affianca la specificazione di quante opere in poesia contengono la parola (il dato parziale
verrà utilizzato fra poco).

AVVERTENZA: Oltre a utilizzare la tabella ogni studente è invitato a eseguire per


proprio conto le operazioni indicate dal docente, perché, dovendo anche successivamente
tornare su questa banca dati, sarà bene che lo studente fin d’ora si impratichisca nella
gestione autonoma delle opzioni.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 6/S1
Titolo: Preliminari: stile, storia di una parola
Attività n°: 1

Stile: storia di una parola


I risultati della nostra ricerca sono i seguenti:
Origini: risultati 0 ======
Duecento: risultati 3-1 poesia 2/2
Trecento: risultati 42 poesia 24/42
Quattrocento: risultati 70 poesia 53/70
Cinquecento: risultati 210 poesia 110/210
Seicento: risultati 45 poesia 17/45
Settecento: risultati 69 poesia 16/69
Ottocento: risultati 150 poesia 32-2/150
Novecento: risultati 91 poesia 6+1/9
Legenda: dove ho indicato “3-1”, “32-2” oppure “6+1” ho ‘corretto’ dei dati o effettivamente errati
o dipendenti dal fatto che nella “Biblioteca Italiana” la tipologia ‘poesia’ è attribuita all’opera in
generale senza tener conto che al suo interno possono esserci anche parti in prosa (o viceversa). Si
tenga inoltre conto che in questa risorsa il dato relativo al Novecento non è affidabile, a causa del
bassissimo numero di testi che hanno potuto entrare nel corpus in quanto liberi da copyright.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 6/S1
Titolo: Preliminari: stile, storia di una parola
Attività n°: 1

Stile: storia di una parola


250

200

150 Occorrenze assolute

100
Occorrenze in poesia
50
Occorrenze fuori della
poesia
0
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 6/S1
Titolo: Preliminari: stile, storia di una parola
Attività n°: 1

Stile: storia di una parola


In effetti in poesia (e in parte in prosa) il significato di stile ha, fin dal Trecento, tre
significati diversi di cui quello retorico non è il prevalente:
1) ‘modo di comportarsi secondo un’abitudine inveterata’ (lo stesso significato che nel
parlare odierno stile ha nella frase: stile di vita); cfr. Petrarca, RVF (Rerum vulgarium
fragmenta) XXIII, v. 127: “Et se contra suo stile ella sostene / d’esser molto pregata, in
Lui si specchia, / et fal perché 'l peccar piú si pavente”;
2) ‘stilo’ con cui i pittori incidono su un supporto duro (è l’antico significato latino
originario); cfr. Petrarca RVF LXXVIII, v. 2: “Quando giunse a Simon [cioè il pittore
Simone Martini] l’alto concetto / ch' a mio nome gli pose in man lo stile, / s’avesse dato
a l’opera gentile / colla figura voce ed intellecto”;
3) ‘modo di scrivere’, con significato però molto generico e poco connotato, tanto da
coincidere con ‘scrittura’: cfr. Petrarca RVF I, v. 5: “Voi ch' ascoltate in rime sparse il
suono / di quei sospiri ond’io nutriva 'l core / in sul mio primo giovenile errore /
quand'era in parte altr’uom da quel ch’i' sono, / del vario stile in ch’io piango et
ragiono”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 6/S1
Titolo: Preliminari: stile, storia di una parola
Attività n°: 1

Stile: storia di una parola


La triplice accezione che è in Petrarca e la grande fortuna di cui la sua poesia gode, a
partire dalla fine del Trecento, su su fino al Quattrocento, per poi esplodere nel
Cinquecento, spiega l’andamento particolare che le occorrenze della parola assumono nei
secoli all’interno della poesia: una crescita esponenziale fino al Cinquecento e una
difficoltà a risalire dopo la caduta improvvisa nel Seicento perché a questa data il modello
Petrarca non è più assoluto.
Insomma la fortuna di stile in poesia come la si desume dal grafico corrisponde alla
fortuna di Petrarca.
Viceversa il grafico non ci dice niente su Dante, che usa due sole volte stile in poesia,
entrambe nella Commedia (nel primo caso con il significato, che abbiamo visto anche in
Petrarca al numero 2 della slide precedente, di ‘stilo’ del pittore, nel secondo nella
famosa, ma controversa, definizione di dolce stil novo):
Purg. XII v. 66: “Qual di pennel fu maestro o di stile / che ritraesse l’ombre e ’tratti ch’ivi
/ mirar farieno uno ingegno sottile?”;
Purg. XXIV, v. 55: ” ‘O frate, issa vegg’io’, diss’elli, ‘il nodo / che ’l Notaro e Guittone e me
ritenne / di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo!’ ”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 6/S2
Titolo: Preliminari: stile, storia di una parola
Attività n°: 1

Stile: storia di una parola


Riprendiamo ora la tabella ricavata dalla banca dati, ma sottraendo dai valori assoluti le
comparse in poesia; se ne desume questa nuova tabella.

Origini e Duecento: ====


Trecento: risultati 18
Quattrocento: risultati 17
Cinquecento: risultati 100
Seicento: risultati 28
Settecento: risultati 53
Ottocento: risultati 120
Novecento: risultati 2
e visualizziamo l’andamento per secoli nel seguente grafico:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 6/S2
Titolo: Preliminari: stile, storia di una parola
Attività n°: 1

Stile: storia di una parola


140
120
100
80
60
40 Stile nel corpus (sottratte
20 le opere in poesia)
0
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 6/S2
Titolo: Preliminari: stile, storia di una parola
Attività n°: 1

Stile: storia di una parola


Dai Discorsi dell’arte poetica di Torquato Tasso:
“Avendosi a trattare dell’elocuzione, si tratterà per conseguenza dello stile, perché, non
essendo quella altro che accoppiamento di parole, e non essend’altro le parole che imagini
e imitatrici de’ concetti, ché seguono la natura loro, si viene per forza a trattare dello stile,
non essendo quello altro che quel composto che risulta da’ concetti e dalle voci.
Tre sono le forme de’ stili: magnifica o sublime, mediocre e umile; delle quali la prima è
convenevole al poema eroico per due ragioni: prima, perché le cose altissime, che si piglia
a trattare l’epico, devono con altissimo stile essere trattate; seconda, perché ogni parte
opera a quel fine che opera il suo tutto; ma lo stile è parte del poema epico; adunque lo
stile opera a quel fine che opera il poema epico, il quale, come s’è detto, ha per fine la
meraviglia, la quale nasce solo dalle cose sublimi e magnifiche.
Il magnifico, dunque, conviene al poema epico come suo proprio: dico suo proprio perché,
avendo ad usare anco gli altri secondo l’occorrenze e le materie, come accuratissimamente
si vede in Virgilio, questo nondimeno è quello che prevale […]. Lo stile del Trissino, per
signoreggiare per tutto il dimesso, dimesso potrà esser detto; quello dell’Ariosto, per la
medesima ragione, mediocre. È da avvertire che, sì come ogni virtude ha qualche vizio
vicino a lei che l’assomiglia e che spesso virtude vien nominato, così ogni forma di stile ha
prossimo il vizioso, nel quale spesso incorre chi bene non avvertisce. Ha il magnifico il
gonfio, il temperato lo snervato o secco, l’umile il vile o plebeo”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 6/S3
Titolo: Preliminari: stile, storia di una parola
Attività n°: 1

Stile: storia di una parola


La posizione di Ugo Foscolo è esemplare del mutamento del significato di stile che si
elabora fra fine del XVIII e inizi del XIX secolo.

“Questo male d’imitare gli antichi deriva da più lontano principio. Le scuole tutte di
letteratura non trovarono sino ad ora prosa migliore di quella del Boccacci, e tutto
quello che non siegue il Boccacci, e sopra tutto nelle novelle, viene sentenziato come
barbarie. Essi vanno magnificando lo stile del Boccacci, perché credono che lo stile
tutto consista ne’ vocaboli della lingua, nella sintassi, nelle frasi e nel ritmo del
periodo. Ma queste non sono se non le apparenze dello stile: ma la sostanza dello
stile sta nella maniera di concepire i pensieri e di sentire gli affetti. Onde
l’autore che pensa fortemente, che vede i pensieri chiaramente e che sente con
veemenza le passioni, trova agevolmente parole nella sua lingua, quando egli la
abbia studiata, e sa senz’affettazione prevalersi de’ tesori di sintassi che i nostri
antichi ci lasciarono ne’ loro libri. E poiché tutti gli uomini hanno una maniera
diversa di concepire e di sentire, ne segue che prendendo le apparenze
dallo stile altrui si vestono di un abito che non è fatto al loro dosso” (Ugo
Foscolo, Saggio di novelle di Luigi Sanvitale, 1803).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 6/S3
Titolo: Preliminari: stile, storia di una parola
Attività n°: 1

Stile: storia di una parola


“La lingua è annessa allo stile, e lo stile alle facoltà intellettuali d’ogni individuo.
1o Non si parla e non si scrive se non perché si sente, s’immagina e si riflette;
ma perché tutti non sentono né riflettono ad uno stesso modo, dacché queste
facoltà derivano dalla costituzione fisica, modificata diversamente dalle varie educazioni in
ogni individuo, così tutti non possono avere lo stesso ordine e la stessa vita nel loro
pensiero.
2o Veder chiaramente con l’intelletto le idee che si vogliono esprimere, concatenarle
conseguentemente col raziocinio; ecco l'ordine del pensiero. Sentire nel cuore le passioni
eccitate da queste cose, e rappresentarsi le loro immagini; ecco la vita del pensiero.
3o Ordinare ed animare i pensieri per mezzo del raziocinio e delle passioni, e colorirli per
mezzo della lingua; ecco l’idea dello stile.
4o Così appunto nella pittura si disegna, si dà vita e grazia alle fisionomie, e si coloriscono.
Lo stile dunque non dipende dalla lingua, se non quanto la pittura dal colorito. Chi dunque
sa meglio disegnare ed animare i pensieri, quantunque non sappia ottimamente colorirli,
scriverà meglio di chi saprà colorirli senza saperli ben disegnare né animare. Quindi Rafaele
[cioè il pittore Raffaello], benché inferiore nel colorito a Tiziano, gli è superiore nel merito e
nella lode di egregio pittore, appunto perché col disegno conseguì l’arcana armonia delle
idee che lo scrittore consegue col raziocinio, perché col sentimento conseguì l’espressione
degli affetti che lo scrittore consegue sentendoli in sé stesso ed osservandoli negli altri.

Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 6/S3
Titolo: Preliminari: stile, storia di una parola
Attività n°: 1

Stile: storia di una parola



Ma i letterati per arte imitano l’altrui stile e formano regole per costringere che ciascun
altro lo imiti, poiché, mancando in essi l’intelletto ed il cuore capace di formarne uno
proprio, credono lo stile frutto delle regole. Ma le regole togliendo allo stile gli elementi
originali della ragione e della passione, che l’arte non può prescrivere, restò la lingua sola
predominante ed universale l’elemento dello stile. Quindi la poca originalità anche de’
grandi ingegni, corrotti dall’educazione delle scuole rettoriche.
Da questo sesto ed ultimo capo apparirà: 1o la ragione per cui le scuole sieno inutilmente
inondate da teorie sullo stile, poiché la sola natura può limitare la libertà intellettuale
dell’uomo, e perché i soli esempi possono dar norma ed eccitamento d’imitazione. 2o
Apparirà perché nel giudizio comune tutte le lodi ed i biasimi sopra lo stile di un libro
cominciano grammaticalmente dalla lingua e finiscono pedantescamente nella lingua. 3°
Apparirà in tutto il suo lume una sentenza poco osservata, ed anzi da niuno, ch’io sappia,
sino ad ora dimostrata, di Plutarco, il quale nel proemio alla vita di Nicia ci lasciò scritto:
«La gara e l’emulazione d’imitare lo scrivere e lo stile degli altri a me sembrano cose
proprie di persona che abbia un animo assai digiuno e sofistico; che se poi questa
imitazione e questa gara riguardano quegli scritti che sono inimitabili, l’intento non può
essere che di persona affatto stolida».
Ché stile oltre l’ingegno non si stende”
(Ugo Foscolo, Lezioni pavesi su la letteratura e la lingua, 1806-1809, Lezione I, capo VI)
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 7
Titolo: Preliminari: la stilistica
Attività n°: 1

La stilistica: storia di una


disciplina linguistica
“Non saranno in pochi a ricordare come la stilistica che si insegnava, anche nei
ginnasi, un tempo, prima cioè della riforma didattica introdotta dall’idealismo, fosse,
secondo una secolare tradizione retorico-umanistica, l’arte dello scrivere bene […].
I generi (lirico, epico, drammatico, bucolico, ecc.), gli stili (umile, mediocre,
sublime), le figure (di sintassi, di parola, o tropi, e di pensiero) gli elementi della
composizione ne costituivano le parti principali: un complesso, sottile, e talvolta
oscuro sistema di distinzioni e di classificazioni, codificate in un formulario via via
sempre più rigido e disseccato, che però veniva a costituire, respinta ogni pretesa
normativa, il legato secolare di un’analisi assai ricca del linguaggio umano e
dell’espressione letteraria” (D. ISELLA, La critica stilistica [1970], in Id. Le carte
mescolate vecchie e nuove, Torino, Einaudi, 2009, pp. 201-217).
Un sistema cioè che, sebbene tramandato stancamente nella scuola fino al 1923 (anno
della riforma scolastica introdotta da Giovanni Gentile ispirata all’idealismo allora
imperante), il Romanticismo aveva, se non distrutto, svuotato del suo supporto
ideologico costituito dalla fiducia nel modello classico.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 7
Titolo: Preliminari: la stilistica
Attività n°: 1

La stilistica: storia di una disciplina linguistica


Per un secolo circa, alla vecchia “stilistica che si insegnava nei ginnasi” e che solo lì
sopravviveva stancamente, niente fu sostituito.
“L’accento messo dalla rivoluzione romantica sul carattere individuale dello stile, sulla
sua natura psichica, aveva finito col tenerlo fuori dal campo di studio della linguistica
che andava proprio allora costituendosi come scienza”.
Sono ancora parole di Isella che nell’articolo citato traccia un resoconto degli eventi
culturali che fra fine del XIX e inizi del XX secolo portarono alla nascita della stilistica.
La perdita di fiducia nella retorica aveva corrisposto a due eventi concomitanti:
-- da un lato aveva incoraggiato una critica letteraria sbilanciata verso l’interpretazione
ideologica e contenutistica, con sempre minori agganci alla forma dell’opera letteraria,
dato che si negava alla vecchia retorica la capacità di analizzarla;
-- d’altro lato il colpo inferto dal Romanticismo alla retorica di stampo classico aveva
coinciso con la nascita della linguistica come scienza autonoma, improntata ad una
visione naturalistica e organicistica della lingua, vista cioè come un corpo naturale,
sottoposto a nascita, vita, morte, soggiacente a regole fisse e stabili (le leggi
linguistiche), meccanicamente attive, quasi epidemie patologiche che ne determinavano
l’invecchiamento e la morte. Una lingua dunque la cui variabilità era vista solo in termini
diacronici.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 7
Titolo: Preliminari: la stilistica
Attività n°: 1

La stilistica: storia di una disciplina linguistica


“Perché nascesse una stilistica moderna era dunque necessario che fossero
sottoposte a revisione critica le premesse naturalistiche della linguistica
ottocentesca: revisione che fra Otto e Novecento fu attuata dall’idealismo e
dall’avanguardia concettualmente più provveduta del positivismo” (ISELLA, La critica
stilistica, p. 202).
A mettere sotto attacco la visione meccanicistica e organicista della linguistica
ottocentesca furono, su due fronti diversi, due visioni contrapposte del mondo: sul
versante linguistico la nuova linguistica di Ferdinand de Saussure, sul versante filosofico
l’idealismo crociano.
Ferdinand de Saussure, ponendo al centro della propria indagine il funzionamento della
lingua come sistema in una prospettiva sincronica, metteva in discussione l’intera
tradizione linguistica ottocentesca; abbiamo già visto come la polarità saussuriana fra
langue e parole, fra lingua come codice sociale e parola come atto individuale fosse il
terreno di coltura adatto per l’elaborazione del concetto di stile. Ed è proprio dalla
scuola di Saussure che nasce la cosiddetta stilistica descrittiva, elaborata da Charles
Bally (1865-1947) che di Ferdinand de Saussure fu allievo (e curatore del Cours de
linguistique générale, costituito da appunti del maestro o da appunti presi da allievi
durante le sue lezioni).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 7/S1
Titolo: Preliminari: la stilistica
Attività n°: 1

La stilistica: storia di una


disciplina linguistica
La stilistica di Bally discende per via diretta dal magistero di Saussure per il quale la
lingua è un sistema di segni che ha come scopo principale la comunicazione del
pensiero; Bally però mette in guardia dall’attribuire al pensiero umano, trasmesso
tramite la lingua, una valenza puramente logica e razionale invitando a prendere in
carico della lingua l’aspetto ‘affettivo’ o espressivo.
“Poiché tutti i fenomeni della vita sono caratterizzati dalla presenza costante,
spesso dal predominio degli elementi affettivi e volontari della nostra natura,
l’intelligenza vi gioca soltanto un ruolo, peraltro importantissimo di ‘mezzo’; ne
consegue che tali caratteri, in quanto si riflettono nel linguaggio naturale, gli
impediscono e gli impediranno sempre di essere una costruzione puramente
intellettuale”.
Per Bally la lingua è un mezzo, uno strumento che non veicola solo la razionalità
dell’uomo, la sua intelligenza e la sua capacità di trasmettere significati, ma anche e
soprattutto comunica stati emotivi ed espressivi.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 7/S1
Titolo: Preliminari: la stilistica
Attività n°: 1

La stilistica: storia di una disciplina linguistica


Se ciascun parlante esprime a suo modo i propri stati d’animo (esercitando quello che i
seguaci di Bally chiameranno scelta stilistica), è perché la lingua mette a disposizione una
serie di opzioni specifiche (il che consente di individuare una stilistica propria di ogni
lingua), ma non altre (che magari sono presenti un’altra lingua), finendo con questo per
condizionare la sensibilità di quanti usano quella data lingua:
“La stilistica studia dunque i fatti d’espressione del linguaggio organizzato dal punto
di vista del loro contenuto affettivo, cioè l’espressione dei fatti della sensibilità per
mezzo del linguaggio e l’azione dei fatti di linguaggio sulla sensibilità” (Bally, 1909,
citato in Segre, Avviamento, p. 313).
L’atto di volizione (la scelta stilistica) fatta dall’utente fra soluzioni ‘affettive’ che la lingua
gli offre è valutato dal linguista ponendo a confronto il “modo di espressione intellettuale”
(il pensiero non ancora espresso verbalmente) con i “sinonimi” (cioè le varie soluzioni
sinonimiche che la lingua offre), i quali possono sottolineare l’‘affettività’ con
procedimenti a) di intensità, b) di valore, c) di bellezza. La scelta operata dal parlante
infine produce precisi effetti sul destinatario dell’atto linguistico (Bally chiama questi
ultimi “effetti per evocazione”). Come si vede, quello di Bally è un modo tutto linguistico
di intendere la stilistica, anche se la sua possibile utilizzazione in campo letterario non è
negata in via di principio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 7/S1
Titolo: Preliminari: la stilistica
Attività n°: 1

La stilistica: storia di una disciplina linguistica


La prospettiva strettamente linguistica e descrittiva di Charles Bally ha avuto una
notevole fortuna nel prosieguo degli studi, alla luce delle sollecitazioni primo-
novecentesche della psicanalisi, offrendo la possibilità di sviluppi verso la psicostilistica e
la sociostilistica. La stilistica di Bally fu invece indipendente, al suo inizio, dalla stilistica
cosiddetta interpretativa (o anche genetica), inaugurata da Karl Vossler, che per la
sua formazione di filologo romanzo e per la sua adesione all’idealismo e all’estetica
crociana si interessò non ad una lingua parlata ma ad una lingua scritta e di carattere
letterario. È questo il secondo fronte sul quale la linguistica storica ottocentesca venne
messa sotto attacco. Accanto al modo di intendere la lingua come oggetto
esclusivamente materiale che si manifestava in suoni e forme, erano state espresse,
soprattutto nella tradizione tedesca, visioni linguistiche che riconoscevano un ruolo
importante svolto nel linguaggio dagli elementi psicologici o, come si diceva allora,
spirituali.
Wilhelm von Humboldt (1767-1835) per esempio analizzava la lingua su posizioni distanti
dalla visione meccanicistica, ponendo, accanto alla “forma linguistica esterna” (il
linguaggio) una “forma linguistica interna” (il modo di vedere le cose di ciascuno di noi);
posizioni come questa vennero a coincidere, nella condanna della linguistica
ottocentesca, con quelle di Hugo Schuchardt (1842-1927), che rivendicava alla lingua una
mobilità (sociale e geografica) che la sottraeva alla meccanicità delle leggi linguistiche.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 7/S2
Titolo: Preliminari: la stilistica
Attività n°: 1

La stilistica: storia di una


disciplina linguistica
In Italia la visione humboldtiana fermentò la filosofia idealistica di Benedetto Croce (1866-
1952). La teoria linguistica dell’idealismo crociano è espressa soprattutto nell’Estetica
come scienza dell’espressione e linguistica generale (1902 e poi 1904), in cui si affermava
che la creazione estetica e dunque anche quella letteraria è un atto unico e indissolubile di
intuizione ed espressione (la teoria crociana dunque è ostile al modo classico di intendere
la scrittura come luogo in cui l’inventio precede l’elocutio, poiché l’espressione verbale, per
Croce, è tutt’uno con l’intuizione intellettuale).
In questo contesto ideologico nasce la cosiddetta stilistica genetica, il cui fondatore è
considerato Karl Vossler (1872-1949). Allievo a Roma di Ernesto Monaci, entrò in contatto
con Benedetto Croce, con il quale intrattenne un’ampia corrispondenza e di cui diffuse in
Germania i principi estetici. La sua attività critica su autori italiani è legata allo studio della
Commedia dantesca (Die Göttliche Komödie, uscito ad Heidelberg nel 1908, subito
tradotto in Italia con il titolo La Divina Commedia studiata nella sua genesi e interpretata,
Bari 1909-1913 e 19272) che Vossler tradusse in tedesco nel 1942.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 7/S2
Titolo: Preliminari: la stilistica
Attività n°: 1

La stilistica: storia di una disciplina linguistica


È però soprattutto in Positivismus und Idealismus in der Sprachwissenschaft (‘Positivismo
e idealismo in linguistica’, 1904) e in Die Sprache als Schöpfung und Entwicklung (‘La
lingua come creazione ed evoluzione’ 1905) che la stilistica di Vossler prese forma
esplicita alla luce della filosofia di Croce. In entrambe le opere la posizione di Humboltd e
la filosofia di Croce collaborano all’elaborazione teorica della stilistica genetica: dalle
caratteristiche di un’espressione linguistica propria di un autore o di una lingua letteraria,
il critico può risalire alla sua genesi spirituale, poiché “forma esterna” e “forma interna” di
quell’espressione (in termini humboldtiani) o “intuizione” e “espressione” (in termini
crociani) sono strettamente interdipendenti.
La stilistica vossleriana (interpretativa o genetica) e la stilistica di Bally (descrittiva)
sono state poi strettamente legate l’una all’altra da Leo Spitzer (1887-1960).
Filologo romanzo, di formazione linguistica, visse i suoi anni di apprendistato a Vienna, in
un momento di grande vitalità intellettuale (accanto a Meyer-Lübke insegnava in quella
città Hugo Schuchardt e in quegli stessi anni la città assistette alle prime applicazioni
psicanalitiche di Sigmund Freud). È agli studi di Spitzer, iniziati nel 1910, se la stilistica è
ormai considerata una disciplina autonoma (trasferitosi in America in seguito alle leggi
razziali antiebraiche, Spitzer continuerà lì le proprie ricerche alla luce delle sollecitazioni
della linguistica e della critica letteraria americana).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 7/S3
Titolo: Preliminari: la stilistica
Attività n°: 1

La stilistica: storia di una


disciplina linguistica
Il metodo di lavoro di Spitzer è illustrato dai suoi Stilstudien, due volumi pubblicati nel
1928 e rispettivamente sottotitolati Sprachstil e Stilsprachen: i due sottotitoli
riprendono una distinzione introdotta da Karl Vossler fra Sprachstil (‘stile della lingua’)
e Stilsprachen (che potremmo tradurre con ‘lingue d’autore’, letteralmente ‘lingue di
stile’) e che si dedicano il primo alle caratteristiche espressive delle lingue, in
particolare del francese (secondo sollecitazioni che provenivano a Spitzer da Bally e da
Vossler) e il secondo alle caratteristiche stilistiche della lingua di autori quali Jules
Romains, Jean-Louis Philippe, Peguy, Proust e Racine.
Il metodo è descritto da Spitzer stesso: una lettura lenta e auscultatoria del testo
letterario oggetto di studio metteva alla fine in rilievo (con un’illuminazione, con un
“clic”, come lo chiamava Spitzer) nella lingua del testo e del suo autore un elemento
caratterizzante che lo rendeva singolare rispetto alla lingua del suo tempo (rispetto
cioè alla norma o alla norma letteraria del suo tempo) e che chiedeva di essere
interpretato; era quest’interpretazione quello che Spitzer chiamava l’“etimo spirituale”,
la molla propulsiva dell’autore a quella particolare formulazione.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 7/S3
Titolo: Preliminari: la stilistica
Attività n°: 1

La stilistica: storia di una disciplina linguistica


L’individuazione dell’“etimo spirituale” da parte del critico (una sorta di ipotesi di
lavoro) veniva poi verificata di nuovo sul testo, alla ricerca di altri ‘segnali’, “spie” che
alleandosi a quel primo elemento caratterizzante, consentivano di emettere una e una
sola diagnosi interpretativa di carattere critico.
Accanto al metodo, l’uso e la definizione del concetto o categoria di stile.
Se si legge la definizione di stile data da Spitzer nella sua tesi di laurea poi pubblicata
nel 1910 (agli esordi della sua carriera di studioso) e dedicata alla creazione di
neologismi in Rabelais, noteremo una stringente analogia fra la stilistica di Bally e
quella di Spitzer. Secondo il giovane Spitzer lo stile è:
“l’impiego pianificato da parte dello scrittore dei materiali linguistici offertigli
dalla tradizione” (citato da Isella, La critica stilistica, p. 208).
In questa definizione si sottolinea il ruolo attivo dell’autore espresso con la formula
im piego pianificato che assomiglia all’atto (che i seguaci di Bally chiameranno
scelta) da parte dell’utente all’interno delle opzioni espressive offerte dalla lingua. Solo
più tardi Spitzer elaborerà la definizione ormai vulgata di stile come scarto, ‘deviazione
dalla norma linguistica’ (o anche deviazione dalla norma letteraria) che abbiamo visto
soggiacere alla illustrazione del suo metodo (e di cui abbiamo parlato in sede
definitoria).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 8
Titolo: Test
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui concetti studiati nelle lezioni


precedenti, dedicate ai Preliminari, lo studente è invitato a
compilare il test associato a questa sessione di studio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 8/S1
Titolo: Test
Attività n°: 1

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto
finale e gli studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un
esercizio di controllo dei contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto
fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad inviare i risultati del proprio test al
docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-portfolio; tali risultati
possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare
esplicitamente il numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà
la correttezza del test e ne darà conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna
ricaduta sul risultato della prova finale, invitandolo magari ad approfondire alcune
parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente quello che non è stato
pienamente compreso.
3) Elencare e descrivere i livelli di analisi linguistica utilizzati nella teoria
variazionistica di Coseriu.
4) Proponete una definizione di stile e tracciate in sintesi l’evoluzione del
concetto.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 8/S2
Titolo: Test
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui concetti studiati nelle lezioni


precedenti, dedicate ai Preliminari, lo studente è invitato a
compilare il test associato a questa sessione di studio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 8/S3
Titolo: Test
Attività n°: 1

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto
finale e gli studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un
esercizio di controllo dei contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto
fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad inviare i risultati del proprio test al
docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-portfolio; tali risultati
possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare
esplicitamente il numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà
la correttezza del test e ne darà conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna
ricaduta sul risultato della prova finale, invitandolo magari ad approfondire alcune
parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente quello che non è stato
pienamente compreso.

5) La stilistica descrittiva di Charles Bally e la stilistica genetica di Karl Vossler.


4) Illustrate la posizione teorica e il metodo stilistico di Leo Spitzer.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 9
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 2

Ripasso di grammatica storica


In questa lezione:
Dal latino all’italiano: fenomeni fonetici
a) vocalismo tonico:
vocalismi sardo, siciliano, panromanzo
dittongamento toscano
anafonesi
chiusura delle vocali toniche in iato
b) vocalismo atono:
chiusura delle vocali in protonia
trattamento di –ER- e -AR- postonico e intertonico
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 9
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 2

Fonetica: il vocalismo tonico


Vocalismi. Il sistema vocalico latino comprendeva dieci vocali: ciascun timbro (i e a o u)
essendo realizzabile sia nella variante breve (segno ˘) sia nella variante lunga (segno ¯).
Ī Ĭ Ē Ĕ Ā Ă Ŏ Ō Ŭ Ū
La distinzione fonetica latina fra variante lunga e variante breve di ciascuna vocale aveva
rilevanza fonologica, era cioè una differenza capace di distinguere, in virtù di quella
sola variazione fra vocale breve e vocale lunga del medesimo timbro, due parole di
significato diverso. Questo sistema vocalico latino molto articolato (a dieci fonemi), viene
fortemente semplificato nel passaggio dal latino alle lingue romanze o neolatine. In
particolare in tutta la Romània (con Romània si designa tutto il territorio romanizzato nel
quale il latino abbia attecchito dando luogo a lingue romanze) si perse la distinzione
fonologica fra realizzazione breve e lunga.
Nel vocalismo sardo alla perdita della distinzione di quantità non si associa nessun
elemento innovatore e il sistema vocalico tonico da dieci fonemi passa a cinque secondo
il seguente schema:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 9
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 2

Fonetica: il vocalismo tonico

Nel vocalismo siciliano invece la perdita della distinzione di quantità si associò ad un


cambio di timbro (evidentemente la Ē e la Ō venivano pronunciate molto chiuse tanto da
confondersi con i e rispettivamente con o) dando luogo al seguente schema:

* Si avverta che con i segni ɛ e rispettivamente ɔ si indicano (secondo il Sistema Fonetico


Internazionale) i suoni aperti delle vocali toniche e e o (quelli di bello /bɛllo/ e di botto
/bɔtto/); i corrispondenti suoni chiusi (le vocali toniche di seno /seno/ e solo /solo/)
vengono invece indicati con i segni tradizionali.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 9/S1
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 1

Ripasso di grammatica storica


Il vocalismo che sta alla base dell’italiano (ma che è proprio anche di tutto il resto della
Romania, con l’eccezione del vocalismo asimmetrico rumeno che qui non ci interessa, ma
che compare anche in una piccola zona della Basilicata, la cosiddetta zona Lausberg)
presenta invece una riduzione meno drastica perché in esso (definito vocalismo
panromanzo proprio per la sua ampia estensione sui territorio romanzo) passa da dieci
a sette vocali.

In questo caso la perdita della quantità latina è stata ‘compensata’ da una maggiore
articolazione timbrica, essendosi creata (a parziale risarcimento) un’opposizione
fonologica fra ɛ e e, da una parte e fra ɔ e o dall’altra (come coppie minime per tali
opposizioni fonologiche si ricordino pesca /peska/ ‘l’attività del pescare’ e pèsca /pɛska/ ‘il
frutto’ e bótte /botte/ ‘il contenitore per liquidi’ e bòtte /bɔtte/ ‘calci e pugni’.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 9/S1
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 1

Fonetica: il vocalismo tonico


Si badi bene però: secondo un criterio di economia che riguarda in generale tutte le
lingue (che conservano le distinzioni articolatorie in sede tonica, ma tendono viceversa a
ridurle in sede atona), fuori d’accento il vocalismo siciliano si riduce a soli tre gradi (i,
a, u) rispetto ai cinque presenti sotto accento, il vocalismo panromanzo si riduce a
cinque gradi di apertura (i, e, a, o, u), rispetto ai sette presenti sotto accento,
venendo meno la distinzione fra e aperta e chiusa, o aperta e chiusa.

Il latino inoltre conosceva un certo numero di dittonghi, cioè sequenze di due suoni
‘vocalici’ appartenenti ad una stessa sillaba (e che vanno tenuti distinti dagli iati,
sequenze di suoni a tutti gli effetti vocalici, appartenenti a due sillabe diverse). Ebbene i
dittonghi latini AE, OE, AU hanno precocemente subito un processo di monottongazione,
già all’interno del latino, evolvendo AE > è aperta, cioè /ɛ/, OE > e chiusa, cioè /e/, AU
in o chiusa /o/. Quest’ultimo processo di monottongazione però, iniziato nel latino,
all’interno del latino si è anche precocemente interrotto, mentre, su territorio italiano, più
tardi (verso l’VIII secolo) ha ripreso forza, ma in questo caso con un esito diverso, per
cui AU > o aperta /ɔ/. Mentre il monottongamento di AE e OE è comune alla Romània, il
monottongamento di AU > ɔ si presenta in maniera non uniforme sul territorio romanzo.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 9/S2
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 1

Ripasso di grammatica storica


Il diffondersi precoce del toscano e in particolare del fiorentino come lingua di prestigio
in sede letteraria consentirà a questa varietà volgare di identificarsi (almeno per
quanto riguarda i fenomeni costitutivi che prenderemo in esame) con l’italiano;
non si dimentichi però che, fino ad una certa data (variabile a seconda dei
contesti e dei luoghi), tali fenomeni costituiscono i caratteri di una varietà di
volgare (insomma di un dialetto) e dunque non si identificano con l’italiano del quale
faranno parte costitutiva solo più tardi. Se l’evoluzione del vocalismo latino nel vocalismo
panromanzo coinvolge tutta la Romània e dunque anche la massima parte dei volgari
italiani, se la riduzione dei dittonghi latini (così come descritta sopra) coinvolge tutto il
territorio che oggi definiamo italiano, compreso il toscano e il fiorentino(ma per AU anche
nella Penisola esiste qualche eccezione al generale monottongamento), le ulteriori
evoluzioni che ora tratteremo (riguardanti comunque il vocalismo tonico), sono invece
esclusive del toscano e, talvolta, all’interno dell’area toscana, del solo fiorentino.
Il fatto che quei fenomeni facciano ormai parte costitutiva del profilo fonetico dell’italiano
dipende da fattori storici e storico-culturali legati alla contingenza, che hanno
determinato che si possa dire che l’italiano deriva dal fiorentino del XIV secolo (su questa
ulteriore precisazione cronologica dovremo tornare più avanti).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 9/S2
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 1

Fonetica: il vocalismo tonico


Dittongamento toscano, detto anche dittongamento spontaneo o non condizionato;
le ɛ (da Ĕ come abbiamo visto nel vocalismo panromanzo) e le ɔ (da Ŏ) si dittongano
rispettivamente in /jɛ/ (una semivocale palatale seguita da e aperta) e in /wɔ/ (una
semivocale velare seguita da o aperta) se si trovano in posizione tonica e in sillaba
libera (cioè una sillaba che termina in vocale): dunque PĔ-DEM > pjɛde, BŎ-NUM >
bwɔno, ma LĔC-TUM > lɛtto e NŎCTEM > nɔtte (perché la sillaba in cui si trovano la ɛ e
la ɔ è chiusa); PŎ-TEST > pwɔ(te), ma PŎS-SUM > pɔsso e *PŎTERE (in luogo del
classico PŎSSE) > potére (perché fuori d’accento).
Anafonesi: il termine che significa ‘innalzamento’ (della lingua verso il palato) indica un
fenomeno fiorentino e di diffusione variabile all’interno degli altri dialetti toscani. Le e
chiuse (da Ĭ e Ē) e le o chiuse (da Ŭ e Ō) si chiudono rispettivamente in i e in u in
particolari contesti:
a) se seguite da un gruppo velare che inizia con -n- (cioè se seguite da una -n-
preconsonantica realizzata come velare /ŋ/: LĬNGUAM > lengua (secondo
l’evoluzione vocalica generale) > lingua (per anafonesi); FŬNGUM > fongo > fungo;
b) se seguite (ma soltanto le e chiuse provenienti da Ĭ e Ē) da una l o una n palatali (λ e
rispettivamente ɲ) derivanti da -LI- e -NI-: FAMĬLIA > fameglia (secondo l’evoluzio-
ne vocalica generale) > famiglia (per anafonesi); ORDĬNIUM > ordegno > ordigno.
.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 9/S2
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 1

Fonetica: il vocalismo tonico


Chiusura delle vocali toniche in iato: del significato di iato (da distinguere dal
dittongo) abbiamo già detto.
Come è noto in latino vocalis ante vocalem corripitur (‘una vocale davanti ad altra
vocale si abbrevia’); facile dunque decretare la quantità delle vocali toniche in parole
come MĔUM, MĔAM, TŬUM, SŬUM (e le forme declinate connesse), DĔUM, RĔUM e
così via. In tutte queste forme la prima vocale, breve come abbiamo detto, è
accentata, il che impedisce, che le sequenze -ĔU-, -ĔA- si trasformino in /jo/, /ja/
(con cambio di timbro della Ĕ in /i/ e successivamente il passaggio di questa da
vocale a semivocale secondo una tendenza generale che vedremo fra poco). Sulla
base nel vocalismo panromanzo MĔUM, MĔAM, TŬUM, SŬUM DĔUM, RĔUM si
sarebbero dovute evolvere in meo, mea etc., too e soo (queste magari con
semplificazione banale in to e so come in effetti avviene nei dialetti settentrionali),
toa e soa etc., Deo, reo.
Se ciò non è avvenuto è appunto in virtù del fenomeno della chiusura delle vocali
toniche in iato, in base al quale la -e- e la -o- toniche davanti ad altra vocale
appartenente ad altra sillaba si sono chiuse in i e rispettivamente in u dando luogo a
forme come mio, tuo, suo, Dio, rio (oggi però, per latinismo reo).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 9/S3
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 1

Ripasso di grammatica storica


Vocalismo atono
Chiusura delle vocali protoniche (chiusura in protonia)
Abbiamo già ricordato la tendenza generale secondo la quale sotto accento il sistema
vocalico è più ‘raffinato’ e più articolato, mentre fuori d’accento la lingua (non solo
quella italiana) tende a ridurre le distinzioni di timbro e di apertura. Questa tendenza
generale assume in fiorentino una notevole sistematicità e una propria caratteristica: in
posizione protonica (propriamente nella sillaba precedente alla sillaba tonica, ma più in
generale il fenomeno si riscontra in sillaba atona non finale) le /e/ diventano /i/ e,
meno sistematicamente, le /o/ diventano /u/. Così abbiamo NEPOTEM > nepote
(secondo l’evoluzione vocalica generale) > nipote (per chiusura in protonia); SENIOREM
> segnore > signore.
Tale fenomeno può verificarsi tanto all’interno di parola quanto in fonosintassi (cioè
all’interno di frase, nella stringa fonica che si crea fra parola e parola); nella sequenza
mi dici l’accento di frase è sul verbo, mentre la particella pronominale è protonica e
infatti ME > me > mi e analogamente TE, SE, DE etc. evolvono in ti, si, di etc.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 9/S3
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 1

Fonetica: il vocalismo atono


Trattamento di -ER- e -AR- postonico e intertonico.
Mentre in genere nel territorio italiano -AR- e -ER- atoni si conservano senza subire
ulteriori evoluzioni, e mentre in alcune zone della Toscana -AR- atono si conserva e -
ER- > -AR-, in fiorentino (e da lì il fenomeno è andato a far parte dell’italiano) -ER-
si conserva, ma -AR- si evolve in -er-.
Il fenomeno è ben esemplificabile con le forme perifrastiche del futuro e del
condizionale (si veda la lezione seguente) in base all’alternanza di coniugazione:
CANTARE + *AO > cantarò > canterò, BEVERE + *AO > bev(e)rò > berrò;
LAUDARE + *EI > lodarei > loderei; SCRIBERE + *EI > scriverei.
Fuori di Firenze, in Toscana, possiamo avere o l’opposizione cantarò / berrò, lodarei
/ scriverei (con conservazione dunque delle condizioni originarie) oppure (a Siena
per esempio) cantarò, bevarò, lodarei, scrivarei con trattamento dunque
esattamente inverso a quello caratteristico di Firenze.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 10
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 1

Ripasso di grammatica storica


In questa lezione:
Dal latino all’italiano: fenomeni fonetici
a) fenomeni consonantici:
caduta delle consonanti finali
assimilazione dei gruppi consonantici
palatalizzazione delle occlusive davanti a vocale palatale e crazione di nuovi
suoni consonantici sconosciuti al latino e effetti della j e della w
esiti della labiovelare latina
b) fenomeni morfologici:
riduzione della declinazione latina
nascita dell’articolo
nascita delle forma verbali perifrastiche
c) fenomeni sintattici:
formazione dei complementi indiretti con preposizione
irrigidimento della sequenza degli elementi frasali
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 10
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 1

Ripasso di grammatica storica


Consonantismo
Per quanto riguarda il consonantismo si ripeteranno velocemente fenomeni che
interessano intere serie tipologiche, senza entrare in dettagli che allungherebbero troppo
questo veloce ripasso.
1) A parte la perdita della aspirazione di H (che è un fenomeno che comincia già all’interno
del latino classico), si ricorda la generale caduta delle consonanti finali: LUPUM >
lupo, CANTAT > canta, fenomeno che, come si vede dagli esempi, si interseca, a livello
morfologico e sintattico, con la contemporanea perdita della declinazione latina e finisce
per caratterizzare l’italiano (nel panorama delle altre lingue romanze) come una lingua le
cui parole escono esclusivamente in vocale (le uniche eccezioni sono in, per, con e le
parole occasionalmente apocopate come bel [tempo], buon [livello], che escono nelle
sonanti r, l, n).
2) Con modalità diverse a seconda dei luoghi, i gruppi consonantici latini composti da due
occlusive (-ct-, -pt-) si evolvono; in Toscana l’ assimilazione regressiva produce il suono
intenso -tt-, mentre (per lo stesso fenomeno assimilativo X > -ss-; NOCTEM la cui
trascrizione fonetica è /noktem/ > notte, APTUM /aptum/ > atto, DIXIT /diksit/ > disse.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 10
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 1

Fonetica: Il consonantismo
3) È un fenomeno che interessa tutta la Romania la palatalizzazione della occlusiva
velare sorda e sonora davanti a I e E che genera suoni (le affricate palatali) che non
esistevano in latino: COENAM /koenam/ > cena /ʧena/, CAESAREM /kaesarem/ > Cesare
/ʧesare/, CAELUM /kae-lum/ > cielo /ʧjɛlo/; GELUM /gelum/ (cioè pronunciato in latino
classico con l’identico suono iniziale di GALLUM) > gelo /ʤɛlo/. Nel Nord di Italia i suoni
palatali così formatisi subiscono ulteriori evoluzioni, ma rimangono tali in toscano.
4) La -U- intervocalica e la -B- intervocalica genera il suono v che in latino non esisteva
5) In toscano la sonorizzazione delle occlusive sorde intervocaliche è sporadica: LACUM >
lago, ma AMICUM > amico; RIPAM > *riβα > riva, ma CAPUT > capo.
6) I nessi di occlusiva + l > occlusiva + j: (EC)LESIAM > chiesa, BLASIUM > Biagio,
PLANUM > piano, FLOREM > fiore, VET(U)LUM > vecchio.
7) La -I- e la -U- semivocali provocano il raddoppiamento delle consonante precedente
(RABIES > rabbia, AQUA > acqua). A parte questo fenomeno generale la I semivocale
iniziale o interna è il motore di ulteriori cambiamenti:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 10
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 1

Il consonantismo
6a) La I- iniziale davanti ad altra vocale (semivocale palatale) > ʤ (affricata palatale:
IANUARIUM > *IENUARIUM > gennaio);
6b) l’effetto palatalizzante di I (semivocale già in latino o diventata tale) dopo una
consonante è verificabile in serie: DIURNUM > giorno; CUMINITIARE > cominciare;
FILIUM > figlio; VINEAM > *VINIAM > vigna; BLASIUM > Biagio
6c) in particolare i gruppi T+I semivocale e D+I semivocale, accanto all’esito palatale
già indicato) > ʦ (affricata dentale sorda: PUTEUM > potʦo) e rispettivamente ʣ
(affricata dentale sonora: MEDIUM > medʣo)
6d) in fiorentino il gruppo R+I semivocale > j (CORIUM > cuoio, AREAM > ARIA >
aia); a Firenze la sequenza -RIUM > -aio, fuori di Firenze l’esito di -RIUM è –ro così da
creare le varianti diatopiche macellaio / macellaro, pecoraio / pecoraro, danaio / danaro.
7) La labiovelare sorda iniziale di parola si riduce ad una occlusiva velare se davanti a
vocale diversa da -a- (nel qual caso si conserva): QUALEM > quale; QUADERNO >
quaderno, ma QUIS > chi, QUID > che, QUETUM > cheto; la labiovelare oggi esistente
davanti a vocali diverse da -a- (a parte casi di conservazione per latinismo) è secondaria:
quello < ECCU(M) ILLUM, questo < ECCU(M) ISTUM; la labiovelare sonora, inesistente in
latino, si forma come adattamento di germanismi (guerra, guarnacca, guastare).
FENOMENI FONETICI GENERALI

assimilazione (due suoni distinti, più o meno distanti dal punto di vista articolatorio
si trasformano in suoni identici o simili)
assimilazione progressiva: NOCTEM > notte, APTUM > atto, DIXIT > disse
assimilazione regressiva: MUNDUM > dial. centro-merid. munno, lat. tardo
GAMBAM ‘zampa di quadrupede’ > dial. centro-merid. gamma
dissimilazione (due suoni identici o simili si differenziano dal punto di vista
articolatorio o uno dei due cade):
PEREGRINUM > pellegrino, HABEBAT > aveva > avea

aferesi (caduta di un elemento vocalico o sillabico all’inizio di parola):


(OB)SCURUM > scuro, (HI)STORIAM > storia, (HI)SPANIAM > Spagna
prostesi (aggiunta di un elemento vocalico o sillabico all’inizio di parola):
STUDIUM > istudio

sincope (caduta di un elemento fonetico all’interno di parola):


VEDERE + *AT > ved(e)rà > vedrà, VIR(I)DEM > verde
epentesi (o anaptissi) (inserimento di un elemento fonetico all’interno di parola):
PADUAM > Padova, GENUAM > Genova

apocope (caduta di un elemento vocalico o sillabico in fine di parola):


BONUM > buon(o) > buon, VIRTUTEM > virtu(te) > virtù
epitesi (o paragoge) (aggiunta di un elemento vocalico o sillabico in fine di parola):
MUTAUIT > MUTAU > mutò > mutòe

metatesi (spostamento di un elemento o l’inversione nella posizione reciproca di due


elementi):
CROCODYLIUM > coccodrillo, PALUDEM > padule


Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 10/S1
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 1

Ripasso di grammatica storica


Il sistema (orto)grafico italiano
Come abbiamo visto sopra la labiodentale sonora v , le affricate palatali sorda e
sonora (ʧ ʤ), la laterale palatale (λ) e la nasale palatale (ɲ) sono suoni nuovi
generatisi nel passaggio dal latino all’italiano. L’alfabeto latino, utilizzato per scrivere
l’italiano, era dunque insufficiente a rappresentare questi suoni assenti nella lingua
d’origine. A sanare questa deficienza sono stati tentate varie soluzioni nel corso della storia
della grafia dell’italiano, che con l’avvento della stampa prima (sec. XV), con la nascita
delle grammatiche poi (sec. XVI) e infine con la creazione di una scuola unitaria (sec. XIX)
si sono stabilizzate nel sistema ortografico italiano.
Per rappresentare la labiodentale sonora è stato specializzato un segno già esistente (in
latino il suono u veniva trascritto <V> nella serie maiuscola, <u> nella serie minuscola: la
soluzione è stata di creare un segno minuscolo <v> corrispondente alla maiuscola <V> e
un segno maiuscolo <U> corrispondente alla minuscola <u>).
Più complessa e macchinosa è stata la soluzione per segnare i nuovi suoni palatali, per i
quali in genere si è fatto ricorso a segni diacritici, cioè a segni grafici che non hanno
alcuna realtà fonetica corrispondente.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 10/S1
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 1

Il sistema (orto)grafico italiano


Per le affricate palatali ʧ e ʤ si è fatto ricorso al segno diacritico <i> ma solo davanti a
vocale velare
ciocco /ʧɔkko/ ciambella /ʧambella/ ciucciare /ʧutʧare/
gioco /ʤɔko/ giara /ʤara/ giunco /ʤunko/
ma cena /ʧena/ (non ciena), cima; questa asimmetria ha condotto alla necessità di
utilizzare il segno diacritico <h> per indicare il suono velare del segno c davanti a vocali
palatali:
secche /sekke/, china /kina/
seghe /sege/, ghirlanda /girlanda/
ma comprare /komprare/ (non chomprare), calare (non chalare) /kalare/, cupo (non
chupo) /kupo/.
Per segnare invece la nasale palatale ɲ (che in italiano è sempre intenso) si è fatto
ricorso ad un digramma (cioè a due segni grafici per indicare un unico suono) <gn>:
gnomo /ɲɲɔmo/, gnu /ɲɲu/, cagne /kaɲɲe/, stagni /staɲɲi/ ignaro /iɲɲaro/.
Infine per la laterale palatale λ (anche questo suono in italiano è sempre intenso) si
ricorre addirittura ad un trigramma <gli>: figlio /fiλλo/, figlia /fiλλa/, figli /fiλλi/, figlie
/fiλλe/.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 10/S2
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 1

Ripasso di grammatica storica


Dal punto di vista morfologico tre elementi principali e di portata tipologica
caratterizzano il toscano, così come tutte le lingue romanze, a testimonianza che il
mutamento è avvenuto in concomitanza di un collasso interno già al latino e prima che
la frammentazione romanza si manifestasse con le caratteristiche della diaspora: 1) la
perdita della declinazione delle forme nominali; 2) la nascita dell’articolo; 3) la creazione
di forme verbali perifrastiche.
1) La perdita della declinazione delle forma nominali si inserisce nella generale
caduta (di natura fonetica) delle consonanti finali, ma non si esaurisce in essa; per
esempio nella declinazione della prima classe dei nomi (il classico rosa, rosae, rosae,
rosam, rosa, rosa) solo l’accusativo rosam sarebbe stato interessato dal fenomeno della
caduta delle consonanti finali. In realtà tutto il sistema latino di declinazione collassa e,
prima della perdita definitiva, la declinazione a sei casi (nominativo, genitivo, dativo,
accusativo, vocativo, ablativo) si riduce ad una declinazione bicasuale che conserva
soltanto il nominativo e l’accusativo. Dopo questa fase (ben attestata nelle antiche
testimonianze linguistiche e letterarie galloromanze) si giunge ad una fase in cui solo
l’accusativo sopravvive (e in genere, pur con qualche eccezione, le parole italiane
derivano appunto dall’accusativo).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 10/S2
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 1

Morfologia
2) Assente come categoria grammaticale nel latino, l’articolo nasce da una
attenuazione semantica dei dimostrativi IPSUM (in Sardegna) e ILLUM (nel resto della
Romània).
Entro questa comune nascita romanza, quel che caratterizza il toscano è la formazione
precoce, accanto alla forma forte lo < (IL)LUM (la sillaba iniziale di ILLUM, posta fra
parentesi, cade, per il fenomeno della aferesi, l’esatto corrispondente in posizione
iniziale del fenomeno dell’apocope che già conosciamo) di una forma debole, creatasi
in contesti sintattici precisi, in particolare dopo parola uscente per vocale: per lo pane,
ma anche lo pane > anche ‘l pane.
Questa forma debole ‘l, apocopata (per la perdita della -o finale), ha avuto bisogno di
una vocale di appoggio che in tutta la Toscana è stata e (dando vita alla forma
dell’articolo el) tranne che a Firenze dove la vocale d’appoggio è stata i (dando vita alla
forma dell’articolo il, mentre il resto d’Italia o non conosce la forma debole, oppure
conosce forme deboli come el, ol, ul, al, ma mai il.

Sulle regole antiche, diverse da quelle attuali, che determinavano l’uso della forma forte
o viceversa della forma debole dell’articolo torneremo più avanti.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 10/S2
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 1

Morfologia
3) La nascita di forme verbali perifrastiche avviene:
a) per il passivo (le forme sintetiche latine si perdono, sostituite dalla
composizione dell’ausiliare ‘essere’ + participio passato);
b) per il futuro (le forme sintetiche latine sono sostituite dalla perifrasi di infinito
del verbo + presente del verbo ‘avere’); CANTARE + HABEO, propriamente
CANTARE + *AO > cantarò e poi a Firenze canterò);
c) per la nuova categoria morfologica del condizionale (assente come categoria
autonoma in latino); a parte residui del piucheperfetto latino in zone del
Meridione d’Italia, il condizionale toscano (comune ad altre lingue romanze) si
forma con la perifrasi dell’infinito seguito dal perfetto del verbo ‘avere’ (CANTARE
+ HABUI, o meglio CANTARE + *E(BU)I > CANTARE + *EI > cantarei e infine a
Firenze canterei). Nel sud d’Italia esiste però anche la formazione di infinito
seguito dall’imperfetto di ‘avere’ (CANTARE + HABĒBAM, che, in forza del
vocalismo siciliano, (dove Ē > i) > cantaria.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 10/S3
Titolo: Ripasso di grammatica storica
Attività n°: 1

Ripasso di grammatica storica


Alcuni dei fenomeni fonetici e morfologici già ricordati hanno ricadute anche sul piano
della sintassi e dell’ordine delle parole:
1) la nascita dell’articolo e la perdita della declinazione casuale che abbiamo già
ricordato concorrono a creare un’espressione logica improntata alla analisi (rispetto
alle forme sintetiche del latino): in particolare ora l’indicazione dei complementi
indiretti avviene tramite le preposizioni (eventualmente articolate);
2) in conseguenza della perdita della declinazione e della perdita delle consonanti finali
(che aveva avuto ricadute importanti nella distinzione delle persone della coniugazione
verbale), l’ordine delle parole si stabilizza in una sequenza relativamente fissa che
prevede l’ordine di soggetto + verbo + complemento diretto o indiretto (SVC). Si veda
come l’indicazione della ruolo logico dei componenti frasali fosse inequivoca nella frase
PETRUS (nominativo soggetto) AMAT PAULUM (accusativo, complemento oggetto) sia
che essa si esprimesse nell’ordine PETRUS AMAT PAULUM oppure nell’ordine PAULUM
AMAT PETRUS, laddove l’individuazione del soggetto nelle frasi Pietro ama Paolo o
Paolo ama Pietro sia esclusivamente delegata alla collocazione in prima posizione del
soggetto.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 11
Titolo: Test
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui concetti


studiati nelle lezioni precedenti, dedicate al Ripasso di
grammatica storica, lo studente è invitato a
compilare il test associato a questa sessione di
studio.

© 2007 Università degli studi e-Campus - Via Isimbardi 10 - 22060 Novedrate (CO) - C.F. 08549051004
Tel: 031/7942500-7942505 Fax: 031/7942501 - info@uniecampus.it
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 11
Titolo: Test
Attività n°: 2

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.

7) Chiarire la differenza fra fonetica e fonologia, il significato rispettivo di fono e


fonema, indicando almeno cinque coppie minime dell’ italiano.
8) Illustrate ed esemplificate i seguenti fenomeni fonetici: a) chiusura delle vocali
toniche in iato; b) evoluzione della labiovelare sorda latina.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 11/S2
Titolo: Test
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui concetti studiati nelle


lezioni precedenti, dedicate al Ripasso di grammatica storica, lo
studente è invitato a compilare il test associato a questa
sessione di studio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 11/S3
Titolo: Test
Attività n°: 1

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.

9) Chiarite il significato di segno diacritico e esemplificate tramite il sistema


ortografico italiano
10) Illustrate ed esemplificate i seguenti fenomeni morfosintattici: a) nascita
dell’articolo; b) creazione del futuro e del condizionale romanzi
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 12
Titolo: La prosa letteraria del Duecento
Attività n°: 2

La prosa letteraria del Duecento:


un panorama
Per quanto possa apparire strano le prime testimonianze in prosa letteraria giunte fino a
noi e redatte in un volgare italiano sono di molto posteriori alle testimonianze poetiche.
Il panorama della poesia delle Origini oggi ricostruibile ha per di più registrato alla fine
degli anni Novanta del XX secolo importantissime integrazioni (i testi della cosiddetta
Carta Ravennate, e il Frammento Piacentino) che sottraggono alla Scuola Poetica
Siciliana e alle Laudes creaturarum di San Francesco il diritto di primogenitura,
retrodatando alla fine del XII secolo le più antiche testimonianze poetiche in un volgare
italiano.
Se invece guardiamo alle testimonianze in prosa (esclusi, secondo il nostro assunto, i
testi pratici) non possiamo risalire a prima del quinto decennio del XIII secolo per
rintracciare testi di carattere letterario. Per non parlare in termini troppo generici rendo
conto (in sintesi) di un controllo fatto sulla banca dati del corpus testuale dell’Opera del
Vocabolario italiano (OVI), una banca dati che impareremo a consultare durante il corso.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 12
Titolo: La prosa letteraria del Duecento
Attività n°: 2

La prosa letteraria del Duecento: un panorama


Se dal catalogo dei testi duecenteschi desumibile da tale banca dati sottraiamo, oltre ai
testi in versi, i testi in prosa di carattere pratico in uno qualsiasi dei volgari italiani,
registriamo l’utilizzo letterario del volgare solo intorno al 1243 (ma è una data indicativa,
propriamente un terminus ante quem)1 a Bologna nella Gemma purpurea e nei
Parlamenti in volgare di Guido Faba (Bologna, 1190 ca.-1243 ca.); si tratta di due opere
di retorica in cui, accanto a esempi epistolari e oratori in latino, si danno anche, nella
Gemma “quindici formule epistolari (o, per meglio dire, esordi) in volgare, che il F[aba]
colloca, una per capitolo, in calce a quelle latine”, nei Parlamenta et epistole ventisei brevi
testi formulari in volgare. Per quanto in entrambe le opere Guido Faba connetta
fisicamente la prosa volgare a quella latina e dunque riconosca implicitamente la pari
dignità dei due strumenti linguistici (tanto più che nelle formule volgari vengono utilizzati
i medesimi artifici retorici usati per le formule in latino), è evidente che questo
affioramento non parla a favore di una raggiunta autonomia della prosa volgare che a
questa data (fatti salvi nuovi accertamenti) non ha ancora i titoli per esprimersi in
un’intera opera di natura letteraria.
1 Con terminus ante quem (‘termine prima del quale’) si indica una datazione relativa (che cioè non si
riferisce ad un anno preciso, ma a un periodo antecedente ad una data; tale periodo, delimitato dal
terminus ante quem ad uno degli estremi, sarebbe a rigore illimitato all’altro capo, se non intervenisse
un terminus post quem ‘termine dopo il quale’).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 12
Titolo: La prosa letteraria del Duecento
Attività n°: 2

La prosa letteraria del Duecento: un panorama


È invece interamente volgare (databile intorno agli stessi anni, 1240 circa) la cosiddetta
omelia volgare padovana, un breve volgarizzamento da un passo evangelico, analogo
dunque, sebbene diametralmente diverso dal punto di vista tematico, al volgarizzamento
in prosa veneziana della commedia elegiaca Pamphilus,1 ulteriore testimonianza della
vivacità letteraria del Veneto duecentesco.
Della metà del XIII secolo (entro il sesto decennio) sono i volgarizzamenti in romanesco
dei Mirabilia urbis Romae (Miracole de Roma) e del Liber ystoriarum (le Storie de Troya e
de Roma) che contendono al Pamphilus (un’anonima commedia latina di materia
ovidiana, scritta in distici elegiaci nel XII secolo in Francia) tradotto in veneziano la
priorità cronologica.
Gli anni Sessanta e Settanta vedono una crescita esponenziale dei volgarizzamenti anche
in area toscana, primo fra tutti (fra il 1260 e il 1261) il volgarizzamento del De inventione
ciceroniano di Brunetto Latini (La rettorica). Al 1268 sono datati i volgarizzamenti di
Andrea da Grosseto di alcuni trattati latini di carattere morale del giudice Albertano da
Brescia (questi trattati, particolarmente fortunati saranno di nuovo volgarizzati prima del
1275 da un anonimo fiorentino e, fra il 1287 e il 1288, da un pisano). Fra il 1271 e il
1275 è collocato il volgarizzamento di una sezione dello Speculum historiale di Vincenzo
di Beauvais, i cosiddetti Fiori e vita di filosofi.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 12/S1
Titolo: La prosa letteraria del Duecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Duecento:


un panorama
Solo negli anni Ottanta del Duecento si registra la prima prosa volgare originale di
carattere letterario: la Composizione del mondo con le sue cascioni di Restoro d’Arezzo
(1282), importante tentativo di creare un’enciclopedia volgare di carattere scientifico; la
Composizione del mondo precede di poco la Sommetta ad amaestramento di componere
volgarmente lettere, datata 1284-87, da alcuni attribuita a Brunetto Latini; è forse
contemporanea (ultimo ventennio del Duecento) la raccolta, da parte di un compilatore
fiorentino, delle novelle ed exempla che costituiscono il Novellino
Naturalmente la pratica dei volgarizzamenti, dal francese e dal latino, non viene
dismessa: oltre alle traduzioni dei trattati di Albertano da Brescia citate nella sessione
precedente, al 1287-88 viene fatto risalire il volgarizzamento toscano (forse senese) del
Reggimento de' principi di Egidio Romano (ma per il tramite di una versione francese del
testo latino).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 12/S1
Titolo: La prosa letteraria del Duecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Duecento: un panorama


Anteriore al 1292 (data presunta della morte) è l’attività di autore e di traduttore di Bono
Giamboni che scrive il Trattato di Virtù e di Vizi e, in seconda versione ampliata, il Libro
de’ vizi e delle virtudi, compone o rimaneggia il Fiore di rettorica (dalla Rhetorica ad
Herennium), traduce direttamente dal latino le Historie adversus Paganos (Storie contra i
Pagani) di Paolo Orosio e il De re militari (Arte della guerra) di Flavio Vegezio e infine
traduce e insieme riatta il De miseria humanae conditionis di Lotario da Segni. Anteriore
al 1294 (data presunta della morte) è la traduzione di Brunetto Latini delle orazioni
ciceroniane Pro Ligario, Pro Marcello, Pro rege Deiotaro, forse anche della prima
Catilinaria.
A questo ultimo decennio del XIII secolo risalgono, oltre alla scrittura della Vita nova di
Dante e alle Lettere (di spiccato contenuto e forma letteraria) di Guittone d’Arezzo i testi
anonimi non toscani Lo Compasso de navegare (1296, di origine settentrionale, ma
trasmesso da copisti centro-meridionali) e le cosiddette Questioni filosofiche (in volgare
mediano).
Il quadro così ricostruito si basa su datazioni abbastanza strette e che consentono di
avere dati cronologici sufficientemente affidabili. Entro questa griglia stabilita vanno però
inseriti numerosi testi databili entro il medesimo secolo o porzioni di esso, ma con
incertezze cronologiche maggiori.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 12/S1
Titolo: La prosa letteraria del Duecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Duecento: un panorama


Genericamente al Duecento sono ascritti il Bestiario moralizzato, i cosiddetti Sermoni
subalpini (scritti in una lingua franco-piemontese), il Regimen sanitatis napoletano.
Alla seconda metà del XIII secolo sono ricondotte le Arringhe di Matteo de’ Libri e il
Tristano cosiddetto forteguerriano; fra il 1260 e il 1295 si colloca la traduzione di un
compendio dell’Etica aristotelica a cura di Taddeo Alderotti
All’ultimo quarto del Duecento un Itinerario ai luoghi santi e i Conti di antichi Cavalieri.
Fra il 1270 e il 1290 è fissata la composizione dei Quindici segni del giudizio (un
trattatello escatologico sui segni che annunceranno il Giudizio Universale); all’ultimo
decennio del secolo il volgarizzamento dell’Antidotarium Nicolai, della Disciplina Clericalis,
di quattro capitoli di argomento mariano della Legenda Aurea, il volgarizzamento pisano
dell’Elucidarium, il volgarizzamento fiorentino del Trésor di Brunetto Latini, una cronica
fiorentina anonima e il volgarizzamento fiorentino della Historia destructionis Troie (Libro
della distruzione di Troia), il Bestiario toscano, il Tristano cosiddetto Riccardiano, i Conti
morali d'anonimo senese, i Fatti di Cesare, forse Il Libro dei Sette Savi di Roma; fuori di
Toscana una leggenda di santa Margherita.
Sullo scorcio del Duecento si pone il Palamedés pisano.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 12/S2
Titolo: La prosa letteraria del Duecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Duecento:


pubblico e produttori
Sintetizziamo, in base alle ricorrenze tematiche e alle tipologie testuali, la congerie dei
dati che su base cronologica abbiamo elencato nella sessione di studio precedente:
1) numerosi testi vanno ricondotti all’ambito retorico e oratorio;
2) sono ugualmente numerosi i volgarizzamenti che si connettono all’ambito etico-
morale e più in generale di comportamento nel contesto cittadino;
3) altri testi invece, sia opere originali sia volgarizzamenti, attengono all’ambito
scientifico;
4) il romanzo cavalleresco compare sia come volgarizzamento sia come rifacimento
di romanzi francesi;
5) diffusi sono inoltre i testi di materia storica.
Contrariamente a quanto ci saremmo potuti aspettare, la presenza di testi di carattere
spiccatamente o esclusivamente religioso è minoritaria.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 12/S3
Titolo: La prosa letteraria del Duecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Duecento:


pubblico e produttori
Guardiamo ora i dati elencati nelle sessioni di studio 1001 e 1011 dal punto di vista degli
ambiti culturali di riferimento, che sono
a) la letteratura contemporanea in francese
b) la cultura classica.
La lingua francese è considerata la “parleure […] plus délitable et plus commune a
tous langages (‘la lingua più piacevole e più diffusa fra tutti i linguaggi’) da Brunetto
Latini e Dante, che in De vulgari eloquentia I X 2 la dice “faciliorem ac delectabiliorem”
‘più facile e più piacevole’, esprimerà la sua ammirazione per la letteratura francese
cavalleresca (De vulgari eloquenta I X 2) menzionando le “Arturi regis ambages
pulcerrime”, ‘le bellissime storie labirintiche del re Artù’.
Il modello latino non tiene il passo nella competizione con il francese.
Pochissime sono le opere originali (per quanto farcite di auctoritates, che talora rendono
problematico il concetto di originalità): quelle di Guido Faba, di Restoro d’Arezzo, di Bono
Giamboni (almeno in parte), di Dante e Guittone.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 13
Titolo: Bono Giamboni
Attività n°: 1

Bono Giamboni
Il nome di Bono Giamboni è già stato fatto più di una volta nella lezione precedente, sia
in quanto volgarizzatore direttamente dal latino, sia in quanto autore in proprio di opere
di carattere morale e comportamentale.
Della sua vita si sa ben poco, a parte il fatto che nacque, certamente prima del 1240, a
Firenze dove svolse la funzione di giudice; in tale veste compare in alcuni atti prodotti fra
i primi anni Sessanta e il 1292. Probabilmente morì non molto dopo la data del più
recente di tali documenti, in cui egli è menzionato come ancora vivente (7 agosto 1292).
La collocazione all’interno di una categoria sociale medio-alta, e il ruolo di giudice che lo
poneva in condizione di gestire il latino e al contempo di essere in quotidiano contatto
con il mondo cittadino volgare, ne fanno un esatto corrispondente del più noto Brunetto
Latini di cui è pressoché contemporaneo.
La scarsità dei dati biografici impedisce di assegnare date certe alla sua produzione di
scrittore e traduttore, che rimane ancorata all’unico terminus della data presunta della
morte (si può solo argomentare che la traduzione-rifacimento della Miseria dell’umana
condizione è anteriore al Libro; può essere che il Fiore di rettorica sia invece degli anni
Sessanta).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 13
Titolo: Bono Giamboni
Attività n°: 1

Bono Giamboni
L’elenco dettagliato delle opere ci consente di verificare la sua appartenenza a quel
mondo laico di cui si propone di soddisfare le esigenze di acculturazione. Traduce, dal
latino:
1) il De re militari di Publio Flavio Vegezio (metà del IV sec.-V sec.);
2) i sette libri delle Historie adversus Paganos di Paolo Orosio (375-420 d.C.), un
quadro, tracciato da una prospettiva cristiana, della storia universale;
3) il De miseria humanae conditionis o De contemptu mundi di Lotario di Segni (colui
che sarebbe poi diventato il papa Innocenzo III); la parzialità con cui Bono Giamboni
riduce in volgare questo trattato, amputandone le parti di più rigido ascetismo, trasforma
la cupa riflessione sulla debolezza della natura umana di Lotario in un nuovo testo
spendibile al di fuori dei conventi e dei monasteri.
4) Il caso della Miseria dell’umana condizione, in cui Bono agisce come traduttore e
manipolatore del testo di Lotario di Segni è affine a quello del Fiore di rettorica
(traduzione e rifacimento della Rhetorica ad Herennium): i manoscritti attribuiscono a
Bono una delle quattro redazioni di questo trattatello (fino a un ventennio fa assegnato a
Guidotto da Bologna), la cosiddetta redazione beta; nel 1994 però allo stesso Bono è
stata attribuita anche la redazione alfa, la più antica, proponendo dunque che Bono sia
l’autore e primo ideatore dell’iniziativa di rendere in volgare il testo retorico latino.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 13/S1
Titolo: Bono Giamboni
Attività n°: 1

Bono Giamboni

L’attribuzione a Bono di entrambe le redazioni alfa e beta del Fiore di rettorica si


inquadra bene in quello che sappiamo essere stato il suo modo di lavorare anche per le
opere originali: dopo aver scritto un’opera ed averla messa in circolazione egli aveva
l’abitudine di tornarvi su per ampliarla, arricchirla fino addirittura a trasformarla in
qualcosa d’altro, nonostante che spezzoni della precedente siano ancora esattamente
riconoscibili.
Proprio per questo modo di lavorare parliamo, per le sue due opere originali, di due
testi, sebbene essi siano l’uno l’ampliamento dell’altro:
1) il Trattato di virtù e di vizî
2) il Libro de’ Vizî e delle Virtudi
entrambi editi criticamente da Cesare Segre (B. GIAMBONI, Il libro de’ Vizî e delle Virtudi e
il Trattato di virtù e di vizî, Torino, Einaudi, 1968); da questa edizione trarremo i brani
che saranno oggetto della nostra analisi.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 13/S1
Titolo: Bono Giamboni
Attività n°: 1

Bono Giamboni
Il Trattato è composto da 33 capitoletti in cui l’autore chiede alla Filosofia di
mostrargli:
“la via de’ buoni e piacevoli costumi laonde l’uomo è chiaro e grazioso al mondo
e grande e prezioso appo Dio”.
La Filosofia immediatamente risponde:
“Figliuolo mio caro, se ’ buoni costumi del mondo vuogli sapere fa bisogno che
conoschi prima quante sono le virtù e le loro vie e l’operazioni che per le dette
vie fanno, laonde i buoni e piace[vo]li costumi del mondo fanno la loro
operazione”.
La semplice elencazione fatta dalla Filosofia non basta al discepolo che chiede che la
Filosofia chiarisca nel dettaglio ciascuna virtù e ciascun vizio. Il Trattato consiste
appunto nella dettagliata spiegazione che la Filosofia offre in risposta.

Il Trattato si conclude con una breve descrizione dell’Inferno e del Paradiso cioè dei
due “paesi là dove le dette due vie delle virtù e vizî conducono l’anime a regnare
dopo la morte”, e con un ringraziamento dell’autore e con la benedizione di
quest’ultima.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 13/S2
Titolo: Bono Giamboni
Attività n°: 1

Bono Giamboni
Su questa asciutta ossatura di natura dottrinaria e didattica Bono Giamboni tornò a
distanza di tempo dalla primitiva scrittura del Trattato (che è conservato in un solo
manoscritto), per ampliare quell’esile resoconto in un’opera più complessa, il Libro de’
Vizî e delle Virtudi, che ebbe maggior fortuna (almeno undici manoscritti lo
conservano).
Anche il solo dato quantitativo è in grado si mostrare la radicalità della trasformazione
subìta dal testo, che da 33 capitoletti del Trattato passa a 76 del Libro, da 34 pagine a
stampa nell’edizione Segre a 118 pagine.
Il titolo del Libro nella sua completezza (Il libro de’ Vizî e delle Virtudi e delle loro
battaglie e ammonimenti) mostra però che non sono soltanto le dimensioni a tenere
separata la seconda versione dalla precedente. L’autore espone fin dal titolo la parte
più appariscente delle innovazioni introdotte nel passaggio dalla prima redazione alla
seconda: quella narrativa e riguardante il contenuto per la quale ora il testo ingloba la
descrizione della battaglia fra vizi e virtù a cui il personaggio del discente, alter ego
dell’autore, assisterà. Ma prima di affrontare questa novità di tipo narrativo fermiamoci
su alcune altre che riguardano la natura enunciativa del Libro.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 13/S2
Titolo: Bono Giamboni
Attività n°: 1

Bono Giamboni
Il personaggio che agisce nel testo, il disceppolo, è ora indicato come fattore
dell’opera; il nome di Bono Giamboni infine è menzionato nel Libro come nella
precedente versione nel Trattato. Perciò l’autore-personaggio assume i tratti
dell’autore implicito, che coincide solo in parte con l’autore storico; una presa di
distanza dalla visione pseudo-biografica del Trattato, importante sia dal punto di vista
letterario sia dal punto di vista dell’enunciazione linguistica. Questa scelta infatti ha
precisi riflessi testuali perché corrisponde alla differenza che esiste fra enunciato
(l’atto linguistico) e enunciazione (il prodotto dell’enunciazione).
Infatti l’autore storico ha a che fare con l’atto e dunque con l’enunciazione (di cui
è effettivamente l’attore), mentre l’autore implicito è consegnato all’enunciato cioè
al testo; l’autore implicito è anche detto destinatore (in analogia si distingue dal
lettore storico un lettore implicito, o destinatario). Si veda il seguente schema che
traggo dall’Avviamento al testo letterario di Cesare Segre(p. 14)

AUTORE OPERA LETTORE

DESTINATORE DESTINATARIO
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 13/S3
Titolo: Bono Giamboni
Attività n°: 1

Bono Giamboni
Il Libro si caratterizza inoltre, rispetto al Trattato, per la moltiplicazione dei
personaggi; accanto a lui e con lui non parla e agisce solo la Filosofia, ma anche la
personificazione della Fede, all’esame della quale Bono si sottomette, e quelle delle
Virtù Cardinali che ammoniscono, ciascuna per proprio conto, il personaggio-autore.
Infine il punto di vista narrativo: la Filosofia conduce il suo valletto in un viaggio
durante il quale egli potrà assistere da una montagna alla battaglia fra i due eserciti
dei Vizi e delle Virtù, rappresentativo di uno scontro allegorico-morale, ma anche (con
evidenti richiami all’attualità) dello scontro fra Fede cristiana da una parte e, dall’altra,
antica fede pagana e più moderni ‘infedeli’ (Giudei, Musulmani, eretici). In questa
sequenza narrativa, di fronte allo schieramento di forze nella pianura sottostante che
prelude alla battaglia, prende il posto il nucleo dell’antico Trattato, quella didattica
spiegazione sulla natura e caratteristiche di virtù e vizi, che ora assume tutt’altra forza
visiva e una precisa collocazione nello spazio. La sequenza lineare del ‘domanda e
risposta’ che era del Trattato assume maggiore complessità per l’introduzione di nuovi
interlocutori e per l’inserimento di elementi narrativi e descrittivi; frammisto a questi
ultimi il dialogo è ora valutabile anche per contrasto con strategie enunciative diverse.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 13/S3
Titolo: Bono Giamboni
Attività n°: 1

Bono Giamboni
D’altro canto l’incremento di elementi narrativi trova piena corrispondenza anche sotto
il profilo del numero e delle modalità di riuso dei modelli della tradizione.
Abbiamo visto infatti come l’intervento della Filosofia, legittimato nel Libro dalla
situazione emotiva del personaggio che dice io, colleghi ancora più risolutamente la
nuova opera al modello boeziano già indicato per il Trattato, e come il nuovo testo,
proprio in conseguenza di quelle giustificazioni, si distacchi dal modello medievale del
dibattito fra discepolo e maestro.
Nel Libro però, a quel modello tardo-antico già usato e ora meglio sfruttato, si affianca
l’esempio archetipico dello scontro allegorico fra virtù e vizi, fra fede ed eresie,
consegnato alla Psychomachia, che il poeta Aurelio Prudenzio (348-413 circa) aveva
scritto su imitazione del poema epico virgiliano.

Muovendo da un’opera monotona e scialba (quale il Trattato era, finché era rimasto
confinato nella sola finalità didattica), il Libro si è trasformato in un testo che, oltre ad
assolvere al fine pedagogico e dottrinario per il quale era stato pensato, assume
colorazioni e toni senz’altro più originali.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 14
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica


Nel file pdf allegato troverete la riproduzione dei primi tre capitoletti del Libro de’ Vizî
e delle Virtudi di Bono Giamboni, sul quale lavoreremo allo scopo di evidenziare, tramite
un esempio concreto, i principali caratteri fonetici, morfologici, sintattici e lessicali della
prosa letteraria del Duecento.
Durante l’audio lezione, in cui leggeremo insieme il brano, siete invitati a tenere davanti
a voi il file pdf.
In esso è riprodotto il testo dell’edizione Segre (da cui il testo è tratto: B. GIAMBONI, Il
libro de’ Vizî e delle Virtudi e il Trattato di virtù e di vizî, Torino, Einaudi, 1968), secondo
una paragrafatura editoriale che trovate indicata sulla sinistra della pagina; sulla destra
del testo però ciascun capitolo è numerato per linee, di cinque in cinque, il che
permette rinvii univoci (ciascuna forma sarà citata mediante numero romano per il
capitolo e cifra araba per il rigo; per es.: oscura II 1 farà riferimento alla parola che è
nel primo rigo del capitolo II; per le didascalie intitolative la formula sarà integrata
dall’abbreviazione tit.).
Si ricordi infine che nella successiva analisi linguistica un numeretto in apice segnala
quante volte la forma citata compare nello stesso rigo del medesimo capitolo.
BONO GIAMBONI, Il libro de’ Vizî e delle Virtudi e delle loro battaglie e ammonimenti

(da BONO GIAMBONI, Il libro de’ Vizî e delle Virtudi e il Trattato di virtù e di vizî, a cura di Cesare Segre, Torino,
Einaudi, 1968, pp. 3-8).

CAPITOLO I
Incominciasi il libro de’ Vizî e delle Virtudi e delle loro battaglie e
ammonimenti. Ponsi in prima il lamento del fattore dell’opera onde
questo libro nasce.

1 Considerando a una stagione lo stato mio, e la mia ventura fra me medesimo 1


esaminando, veggendomi subitamente caduto di buon luogo in malvagio stato,
seguitando il lamento che fece Iobo nelle sue tribulazioni, cominciai a
maladire l’ora e ’l dí ch’io nacqui e venni in questa misera vita, e il cibo che
2 in questo mondo m’avea nutricato e conservato. E piangendo e luttando con 5
guai e sospiri, li quali veniano della profondità del mio petto, contra Dio fra
me medesimo dissi: «Idio onnipotente, perché mi facesti tu venire in questo
misero mondo, acciò ch’io patisse cotanti dolori, e portasse cotante fatiche, e
3 sostenesse cotante pene? Perché non mi uccidesti nel ventre della madre mia,
4 o, incontanente ch’io nacqui, non mi desti la morte? Facestilo tu per dare di 10
me esemplo alle genti, che neuna miseria d'uomo potesse nel mondo piú
5 montare? Se cotesto fu di tuo piacimento, avessimi fatto questa misericordia,
che de’ beni de la Ventura non m’avessi fatto provare, e avessimi posto in piú
oscuro e salvatico luogo, e piú rimosso da genti, sicché di me non fossero fatte
tante beffe e scherne, le quali raddoppiano in molti modi le mie pene!». 15

CAPITOLO II
La risponsione de la Filosofia.
1 Lamentandomi duramente nella profundità d’una oscura notte nel modo che 1
avete udito di sopra, e dirottamente piangendo e luttando, m’apparve sopra capo
una figura, che disse: – Figliuol mio, forte mi maraviglio che, essendo tu uomo,
fai reggimenti bestiali, in ciò che stai sempre col capo chinato, e guardi le scure
2 cose della terra, laonde se’ infermato e caduto in pericolosa malatia. Ma se 5
rizzassi il capo, e guardassi il cielo, e le dilettevoli cose del cielo considerassi,
come dee far l’uomo naturalmente, d’ogni tua malizia saresti purgato, e vedresti
3 la malizia de’ tuo’ riggimenti, e sarestine dolente. Or non ti ricorda di quello
che disse Boezio: «Con ciò sia cosa che tutti gli altri animali guardino la terra e
seguitino le cose terrene per natura, solo all’uomo è dato a guardar lo cielo, e le 10
celestiali cose contemplare e vedere»?

  1  
CAPITOLO III
Come la Filosofia si conobbe per lo fattore dell’opera.
1 Quando la boce ebbe parlato come di sopra avete inteso, si riposò una pezza, 1
aspettando se alcuna cosa rispondesse o dicesse; e veggendo che stava muto, e
di favellare neun sembiante facea, si rapressò inverso me, e pigliò il gherone de
le sue vestimenta, e forbimmi gli occhi, i quali erano di molte lagrime gravati
2 per duri pianti ch’avea fatti. E nel forbire che fece, parve che degli occhi mi si 5
levasse una crosta di sozzura puzzolente di cose terrene, che mi teneano tutto il
capo gravato.
3 Allora apersi li occhi, e guarda’mi dintorno, e vidi appresso di me una figura
4 tanto bellissima e piacente, quanto piú inanzi fue possibile a la Natura di fare. E
della detta figura nascea una luce tanto grande e profonda, che abagliava li 10
occhi di coloro che guardare la voleano, sicché poche persone la poteano
5 fermamente mirare. E de la detta luce nasceano sette grandi e maravigliosi
6 splendori, che alluminavano tutto ’l mondo. E io, veggendo la detta figura cosí
bella e lucente, avegna che avesse dal cominciamento paura, m’asicurai
tostamente, pensando che cosa ria non potea cosí chiara luce generare; e 15
cominciai a guardar la figura tanto fermamente, quanto la debolezza del mio
7 viso potea sofferire. E quando l’ebbi assai mirata, conobbi certamente ch’era la
Filosofia, ne le cui magioni era già lungamente dimorato.
8 Allora incominciai a favellare, e dissi: – Maestra delle Virtudi, che vai tu
9 faccendo in tanta profundità di notte per le magioni de’ servi tuoi? – Ed ella 20
disse: – Caro mio figliuolo, lattato dal cominciamento del mio latte, e nutricato
poscia e cresciuto del mio pane, abandoneret’io, ch’io non ti venisse a guerire,
10 veggendoti sí malamente infermato? Non sa’ tu che mia usanza è d’andare la
notte cu’ io voglio perfettamente visitare, acciò che le faccende e le fatiche del
11 dí non possan dare alcuno impedimento a li nostri ragionamenti? – E quando 25
udí’ dire che m’era venuta per guerire, suspirando dissi: – Maestra delle Virtudi,
se di me guerire avessi avuto talento, piú tosto mi saresti venuta a visitare;
perché tanto è ita innanzi la mia malizia, che m’hanno lasciato li medici per
disperato, e dicono che non posso campare.
12 Allora si levò la Filosofia, e puosesi a sedere in su la sponda del mio letto, e 30
cercommi il polso e molte parti del mio corpo; e poi mi puose la mano in sul
petto, e stette una pezza, e pensò, e disse: – Per lo polso, che ti truovo buono,
secondo c’hanno li uomini sani, certamente conosco che non hai male onde per
13 ragione debbi morire. Ma perché, ponendoti la mano al petto, truovo che ’l
cuore ti batte fortemente, veggio c’hai male di paura, laonde se’ fortemente 35
14 sbigottito ed ismagato. Ma di questa malattia ti credo a la speranza di Dio
tostamente guerire, purché meco non t’incresca di parlare, né ti vergogni di
15 scoprire la cagione de la tua malatia –. E io dissi: – Tostamente sarei guerito, se
per cotesta via potessi campare, perché sempre mi piacquero e adattârsi al mio
animo le parole de’ tuoi ragionamenti. 40

  2  
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 14/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi


linguistica
Vocalismo tonico
Il dittongamento toscano è regolare. Nella serie velare troviamo: buon(o) I 2, III
32, luogo I 2, I 14, uomo I 11, II 3, II 7, II 10 e uomini III 33, Figliuol(o) II 3, III 21,
tuo’ / tuoi II 8, III 20, III 40, puose(si) III 30, III 31, truovo III 32, III 34, cuore III 35.
Nella serie palatale: cielo II62, II 10. Non dittonga beni, anche se la vocale tonica latina Ĕ
era in sillaba libera; è una delle eccezioni al dittongamento fiorentino.

Il caso di cielo merita qualche commento. Sebbene oggi la pronuncia di questa parola
sia /ʧɛlo/, dunque senza alcuna traccia della <i> che costituisce un puro segno diacritico,
questa grafia testimonia l’antico dittongamento toscano, regolarmente proveniente da -
AE- latino (CAE-LUM > / ʧɛlo/ > /ʧjɛ-lo/); a un certo punto dell’evoluzione fonetica il
primo elemento semivocalico è stato assorbito dalla consonante precedente /ʧ/
anch’essa palatale, ma si è continuato a rendere graficamente la <i> del dittongo.
Apparentemente simile, il caso di cielo è dunque storicamente diverso dai casi in cui la
<i>, con esclusivo valore diacritico è usata davanti a vocali velari.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 14/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica.


La forma truovo ci avverte che in antico il dittongamento compariva anche dopo
occlusiva + r (così dunque anche brieve, priega, pruova etc.). Queste forme hanno
cominciato a monottongarsi in fiorentino verso il XV secolo (come vedremo più avanti).
Diversa la cronologia del monottongamento dopo consonante palatale: nel nostro brano
troviamo figliuolo (< FI-LJŎ-LUM < FI-LĬ-ŎLUM), che mostra fin dal XIII secolo a
Firenze la tendenza, tanto nella lingua scritta di carattere letterario quanto
documentario, a monottongarsi in figliolo /fiʎʎᴐlo/).

Le forme puose e puosesi hanno giustificazione etimologica, poiché il verbo latino


PŌNO, che ha una -Ō- nel tema del presente, ha una Ŏ nel tema del perfetto (latino
classico PŎSUI, ma l’it. < *PŎSI). Oggi però non diciamo più né /pwᴐze/ né /pᴐze/,
bensì /poze/ con -o- chiusa; l’evoluzione successiva non è spiegabile con il fenomeno del
monottongamento bensì con la pressione analogica esercitata dalla /o/ del presente
(PŌNO, it. /poŋgo/) e dell’infinito (PŌN(Ĕ)RE > /porre/). Un’analoga considerazione può
essere fatta a proposito del verbo ‘levare’ (lat. LĔVARE, etimologicamente connesso a
LĔVEM > /ljɛve/). In antico (in maniera coerente con la base etimologica) sono normali
le forme verbali lievo, lieva (si veda del resto l’it. sollievo).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 14/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Vocalismo tonico


Nell’edizione del Libro, a fronte di un certo numero di occorrenze dell’agg. lieve e del
sostantivo rilievo compare solo una volta (leva nel cap. LI) il verbo ‘levare’ in una forma
rizotonica, con l’accento che cade cioè sulla radice (greco ῥίζα ‘radice’).
Invece le due forme del verbo ‘levare’ che compaiono nel nostro brano (levasse a III 6 e
levò a III 30) si sottraggono al dittongamento perché viene meno una delle condizioni
richieste per tale fenomeno (in nessuna delle due forme l’accento colpisce la /ɛ/ della
radice verbale: la forma è dunque rizoatona).
In antico infatti era ben tollerata, se non addirittura sistematicamente rispettata, la
regola del dittongo mobile che contemplava, all’interno dello stesso paradigma,
l’alternanza fra presenza o assenza di dittongo a seconda della posizione dell’accento
(tuona, ma tonò) o, più di rado data la rarità dei casi effettivamente riscontrabili, della
apertura o chiusura della sillaba (per esempio ancora oggi io voglio /vᴐʎ-ʎo/ ma egli
vuole /vwᴐ-le/).
Se oggi non diciamo più lieva, puose (e tendiamo a dire tuonò) è perché le forme
rizoatone (con accento che cade sulla desinenza: levasse, levò, levare etc.) hanno avuto
la meglio su quelle rizotoniche (nelle quali l’accento cade sulla radice: lieva) livellando
(ancora una volta possiamo parlare di pressione analogica) sulla forma monottongata
tutte le forme del verbo, indipendentemente dal variare della posizione dell’accento.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 14/S2
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi


linguistica.
Vocalismo Tonico
Nel brano che abbiamo davanti possiamo verificare la sistematica applicazione della
chiusura delle vocali toniche in iato: si vedano Dio (I 6, III 36) e Idio (I 7), mio e
mia (I 12, I 6, I 9, I 15 etc.), tua (II 7), sue (I 3, III 4), forme che sono anche
dell’italiano moderno, e infine ria (III.15), che oggi possiamo conoscere solo se
rammentiamo qualche verso della nostra tradizione poetica o qualche aria da
melodramma, ormai definitivamente sostituito dal più franco latinismo reo, rea.
Alla serie vanno aggiunti sia (II 9 < *SĬAT, in luogo del classico SĬT) e io (I 4, I 8, I 10):
per il pronome soggetto di I persona si ricordi che la base latina ĔGO (che si continua
solo nei dialetti più arcaici della Sardegna) deve essersi ridotta in *ĔO molto presto e
comunque prima della frammentazione linguistica romanza, poiché alla forma ridotta
risalgono anche il romeno éu, il francese ant. jo > fr. moderno je, spagnolo yo,
portoghese eu.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 14/S2
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Vocalismo tonico


All’illustrazione già fatta del fenomeno della chiusura delle vocali toniche in iato
va però aggiunto un dato che riguarda le forme declinabili a cui il fenomeno si applica
e che compaiono anche nel nostro testo.
Nel nostro brano abbiamo per il plurale maschile dell’aggettivo e pronome possessivi
tuo’ e tuoi (II 8, III 20, III 40, forma anche dell’italiano moderno come gli omologhi
miei e suoi per la I e III persona). Miei < MĔI dimostra che davanti a -I la chiusura
della vocale tonica in iato non è avvenuta, tanto che quella -Ĕ- si è regolarmente
dittongata. Per TŬI e SŬI, che non potrebbero in alcun modo aver dato luogo a tuoi e
suoi (ma al massimo a toi, soi, come in effetti abbiamo nei daletti settentrionali
italiani), dobbiamo supporre le basi etimologiche *TŎI, *SŎI, nelle quali, come per
MĔI, la chiusura della vocale in iato davanti a -I non è avvenuta, consentendo la
regolare dittongazione.
Sono dunque le particolari condizioni fonetiche in cui si attua la chiusura delle vocali
toniche in iato (presenza o assenza di una -i a contatto con la vocale tonica) che
determina l’‘irregolare’ declinazione di queste forme:
mio, mia, mie ma miei;
tuo, tua, tue ma tuoi etc.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 14/S3
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sulle informazioni relative al


panorama socio culturale del Duecento in cui si inscrive la figura di
Bono Giamboni e sui dati analizzati nella prima lezione dedicata
all’analisi linguistica del testo di Bono Giamboni, lo studente è
invitato a compilare il test associato a questa sessione di
studio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 15
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi


linguistica

Verifichiamo a questo punto quanto la regolarità dei due fenomeni relativi al vocalismo
tonico, che abbiamo appena visto propria del nostro brano tratto dal Libro giamboniano,
sia attribuibile alla lingua del Duecento in genere.
A questo scopo utilizzeremo una banca dati che abbiamo già avuto occasione di
ricordare (Opera del Vocabolario Italiano, il cui acronimo è OVI) nel quale è indicizzato
un corpus cronologicamente coerente, compreso fra le Origini della lingua italiana e il
1375, consultabile sul sito dell’Istituto dell’Opera del Vocabolario Italiano
(http://www.ovi.cnr.it/).
Nella schermata iniziale (http://www.ovi.cnr.it/index.php/it/) cliccate sull’etichetta in
rosso Corpus testuale dell’italiano Antico, che vi consente di accedere al CORPUS OVI
DELL’ITALIANO ANTICO). Cliccate su questo titolo al centro della schermata.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 15
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Verifiche sulle banche-dati


La prima opzione, che ci viene offerta in default nella schermata seguente

ci consentirebbe (e ci consentirà in altre occasioni) di effettuare ricerche veloci che in


questo caso non ci interessano. Infatti, per poter agire su un gruppo di testi
cronologicamente omogeneo al Libro di Bono Giamboni, abbiamo bisogno di sottrarre
dall’intero corpus messo a disposizione dalla banca-dati i testi del Trecento: all’interno
della serie di opzioni che ci vengono offerte sotto il titolo di questa pagina, selezioniamo
l’etichetta ALTRE FUNZIONI e, nella tendina che si apre, DEFINIZIONI DI
SOTTOCORPORA.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 15
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Verifiche sulle banche-dati

Nella schermata successiva avremo la possibilità di inserire alcuni criteri di selezione.


Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 15
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Verifiche sulle banche-dati


Sono criteri di tipo geografico e cronologico e relativi alla tipologia testuale. Nelle due
colonne centrali a) nella casella AREA GENERICA scriviamo tosc. (testo toscano); b) nella
casella FORMA scegliamo nella tendina che si apre la sigla V, cioè ‘testo in versi’; c) nella
colonna al margine sinistro relativa alla SELEZIONE CRONOLOGICA, lasciando l’opzione
PERIODO che compare in default scriviamo 1200 e 1300 rispettivamente nelle caselle
relative a ANNO INIZIALE e ANNO FINALE.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 15
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Verifiche sulle banche-dati

La stessa operazione (secondo il procedimento illustrato nella sessione di studio


precedente) dovrà essere ripetuta per selezionare un SOTTOCORPUS B di sola prosa
duecentesca (dunque si inserisca di nuovo tosc. nell’AREA GENERICA, ancora 1200 e
1300 per quanto riguarda il periodo, ma stavolta nella casella relativa alla FORMA si
selezioni P per ‘prosa’).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 15/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica


Individuati i due sottocorpora A (per la poesia duecentesca) e B (per la prosa duecen-
tesca) possiamo procedere a effettuare la ricerca specifica; selezionando CHIUDI PAGINA
torniamo alla pagina iniziale; qui selezioniamo RICERCHE DI CONTESTI e nel menu a ten-
dina PER FORME.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 15/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Verifiche sulle banche-dati


Nella schermata successiva, dopo aver cancellato la spunta a CORPUS, selezioniamo
SOTTOCORPUS A e scriviamo, in due delle caselle a nostra disposizione, uomo e,
rispettivamente, omo (ovviamente la stessa ricerca potrebbe essere ripetuta per buono /
bono, cuore / core, viene / vene, lieve / leve, piede / pede etc.) e premiamo AVVIA
RICERCA.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 15/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Verifiche sulle banche-dati


Otteniamo un primo dato quantitativo impressionante: 619 occorrenze di omo (non
dittongato), 55 occorrenze di uomo (con dittongamento). Spuntiamo il quadratino SEL.
per entrambe le forme e premiamo COPIA IN ACCUMULATORE;

nella schermata successiva di nuovo spun-


tiamo SEL. ma stavolta solo sul quadratino
relativo a omo e infine premiamo MOSTRA
CONTESTI.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 15/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Verifiche sulle banche-dati


Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 15/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Verifiche sulle banche-dati


Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 15/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Verifiche sulle banche-dati

Si ricordi che ogni ricerca effettuata può essere salvata tramite il tasto SALVA nel
menu orizzontale in alto.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 15/S2
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica


Va però fatta una controverifica sul SOTTOCORPUS B relativo alla prosa. Andiamo a VAI
A NUOVA RICERCA, e nella schermata iniziale che ormai conosciamo selezioniamo di
nuovo RICERCHE DI CONTESTI PER FORME; nella schermata successiva, dopo aver
disattivato SOTTOCORPUS A, spuntiamo SOTTOCORPUS B
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 15/S2
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Verifiche sulle banche-dati


Tramite AVVIA RICERCA ricaviamo il dato numericamente inverso a quello precedente
relativo alla poesia, poiché nel caso della prosa la forma dittongata (5633 occorrenze)
supera di gran lunga la forma non dittongata (1229).
Dopo aver copiato entrambe le forme in ACCUMU-
LATORE avremmo la possibilità di accedere di nuovo a
MOSTRA CONTESTI. Stavolta però usiamo una scorcia-
toia, selezionando MOSTRA LISTA TESTI e ripetendo
l’operazione separatamente per ciascuna forma.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 15/S2
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Verifiche sulle banche-dati


Dalla lista ricavata a seguito della selezione della forma omo possiamo verificare che fra
i testi che recano la forma non
dittongata un numero molto
basso è dichiarato propria-
mente fiorentino. Se volessimo
poi selezionare solo quei testi
che sono sicuramente fiorentini,
delle 1229 attestazioni della for-
ma senza dittongo ne rimar-
rebbero solo 44! Se viceversa
selezionassimo solo testi fioren-
tini per le occorrenze di uomo
avremmo ben 3072 occorrenze.
Possiamo insomma emettere la
diagnosi che la forma dittongata
è la forma più comune a Firenze
in prosa.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 15/S3
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

TEST: esercizio sulle banche dati


Lo studente verifichi nel corpus testuale dell’OVI la presenza
-- nel solo Duecento (dal 1201 al 1300)
-- delle forme lieva / leva e lievano / levano
-- verificando le differenze fra prosa e poesia.

I risultati della ricerca (dati quantitativi ed eventuali commenti) dovranno


essere inviati tramite eportfolio, avvertendo al contempo il docente sul
sistema di messaggistica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 16
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi


linguistica
Procediamo ora ad una nuova verifica (utilizzando i medesimi sottocorpora) per la
diffusione del fenomeno della chiusura della vocale tonica in iato, scegliendo le
coppie io / eo e dio / deo.

-- Qui e in seguito, sulla sinistra di ciascuna sono riferiti i dati della poesia,
sulla destra quelli relativi alla prosa
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 16
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Verifiche sulle banche-dati


Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 16
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Verifiche sulle banche-dati


Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 16
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Verifiche sulle banche-dati


Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 16/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica

tosc.
poesia tosc.
prosa

fior.
poesia fior.
prosa
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 16/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Verifiche sulle banche-dati


Dati percentuali
tosc. poesia mea / mia = 0,65%
tosc. prosa mea / mia = 2,80%
ma in area fiorentina mea compare in poesia una sola volta, in prosa scompare
completamente.
tosc. poesia meo (769) / mio (1084) = 70,94 / 100
tosc. prosa meo (242) / mio (1091) = 22,18 / 100.

fior. poesia meo = 53,14% rispetto a mio


fior. prosa meo = 3,98 rispetto a mio.

A Firenze insomma i tratti fonetici percepiti come locali subiscono in maniera molto
meno sensibile la pressione della lingua della poesia siciliana di quanto non avvenga
nel resto della Toscana, così come più sistematica è, nella lingua documentaria e
letteraria in prosa, l’attestazione dei tratti fonetici indigeni.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 16/S2
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi


linguistica
Dalle ricerche fin qui svolte sulla banca dati dell’OVI possiamo trarre alcune
riflessioni di carattere generale:

1) in primo luogo, la lingua (antica e moderna; l’italiano come le altre lingue)


risulta costituita da una serie di opzioni anche fonetiche (nel nostro caso
dittongo sì / no; chiusura delle vocali toniche in iato sì / no), all’interno delle
quali lo scrivente o lo scrittore può scegliere. Tocchiamo quindi con mano
l’immagine della lingua come strumento mobile, stratificato, suscettibile di
soggiacere a istanze differenti di tipo diafasico (oltre alla già nota opposizione
documento pratico / testo letterario anche l’opposizione fra prosa e poesia) e
diastratico (ma stavolta all’interno della letteratura, anche la distinzione fra poesia
lirica e poesia comica che abbiamo osservato analizzando le forme omo /uomo).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 16/S2
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Verifiche sulle banche-dati

2) la ricerca ci ha insomma fatto verificare l’utilità concreta (per analizzare fatti di


lingua) della teoria variazionistica, non solo per quanto riguarda i già citati assi diafasico
e diastratico, ma anche per quanto riguarda l’asse diatopico, alla luce del quale
abbiamo potuto leggere le differenze fra quanto pertiene al siciliano (e tramandato
dalla Scuola Siciliana) e quanto pertiene al toscano; a questa distinzione più marcata
foneticamente e geograficamente abbiamo potuto aggiungere anche considerazioni
sulla variabilità della lingua di tipo, per così dire, microgeografico, fra Firenze e il resto
della Toscana;
3) la lingua come strumento letterario subisce, per sua stessa natura, sollecitazioni di
tipo modellizzante (per esempio nella scelta fra forma dittongata e forma non
dittongata) che agiscono contemporaneamente per due tramiti:
a) uno propriamente letterario, cioè inscritto esclusivamente nella tradizione
letteraria, quando un gruppo letterario, una scuola (nel nostro caso la Scuola Siciliana)
influenzano gli usi linguistici di un’altra letteratura e di un’altra corrente letteraria;
b) uno più strettamente linguistico, dato che il mancato dittongo offerto alla
poesia toscana dalla Scuola Siciliana si faceva forte anche del sostegno fonetico e del
prestigio del latino.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 16/S3
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

TEST: esercizio sulle banche dati


Lo studente verifichi nel corpus testuale dell’OVI la presenza
-- nel solo Duecento (dal 1201 al 1300)
-- delle forme connesse al lemma tuo distinguendo le forme toscane (area
generica tosc. da selezionare per creare il sottocorpus) da quelle di
differenti aree geografiche (selezionando ancora tosc. ma spuntando su
ESCLUDI per creare il relativo sottocorpus).

I risultati della ricerca (dati quantitativi ed eventuali commenti) dovranno


essere inviati tramite eportfolio, avvertendo al contempo il docente sul
sistema di messaggistica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 17
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica.


Vocalismo atono: chiusura in protonia
Nel brano del Libro di Bono Giamboni che stiamo analizzando si vedano, prima di tutto i
monosillabi atoni proclitici ed enclitici:
mi < MĒ (mi I 9, I 10 etc., veggendomi I 2, avessimi I 12; forbimmi III 6, guarda’mi III
8), ti < TĒ (ti II 8), si < SĒ (si III tit.1, III 1, Incominciasi I tit.1, Ponsi I tit.2), le
preposizioni di < DĒ (I 10, I 12 etc.) e in < ĬN (I tit.2, I 4, I 5 etc.); per il prefisso
ri- < RĔ- si veda sotto.
All’interno di parola si vedano i casi di formazioni con di- (dilettevoli II 6 <
*DĒLECTABILEM; dimorato III 18 < DĒMORATUM) e con in- (infermato II 5, III 23
< ĬNFĬRMATUM, i(n)nanzi II 9, III 28 < ĬN *ANTEIS, inverso III 3 < ĬNVĔRSUM).
Per le formazioni con ri- (le basi etimologiche delle forme verbali coniugate sono
date nella forma dell’infinito) si vedano: rimosso I 14 < RĔ-MOVERE, ricorda II 8 <
RĔ-*CORDARE (composto con CŎR, CŎRDIS), riposò III 1 < RĔ-PAUSARE,
risponsione II tit.1 < RĔSPONSIONEM, rizzassi II 6 < RĒCTIARE (da RĒCTUM),
riggimenti II 8 (ma reggimenti II 4 < RĔGĔRE).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 17
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Chiusura in protonia


All’interno di parola, senza che sia interessato un prefisso o una preposizione,
compare nel nostro brano: virtudi (I tit.1, III 19, III 26) < VĬRTUTES.
Per la serie velare si veda profundità II I (accanto a profondità I 6 <
PROFŬNDĬTATEM) e suspirando III 26 (accanto a sospiri I 6 < SŬSPIRIUM,
SŬSPIRARE).

Sebbene non sia verificabile dalla natura scritta dei documenti di cui ci stiamo
occupando, nel Duecento e poi ancora molto avanti nei secoli successivi la
pronuncia della congiunzione e e della preposizione per era (coerentemente
con l’etimologia ĔT e PĔR) /ɛ/ (dunque nella pronuncia non c’era distinzione fra la
congiunzione e la III persona singolare del presente indicativo del verbo ‘essere’) e
rispettivamente /pɛr/. La protonia sintattica di queste due forme ha prodotto, ma
solo nel secolo XVIII, l’attuale pronuncia /e/ e /per/ con e chiusa (ce ne dà
testimonianza l’erudito settecentesco Anton Maria Salvini).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 17/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi


linguistica
Nel nostro brano, mentre sono frequenti casi di conservazione di -er- intertonico e
postonico (opera I tit. 2; considerando I 1 e considerassi II 6; misera I 4; generare
III 15) pochissimi sono gli esempi di -er- > -ar- : abandoneret’io III 22 (condizionale
di I pers. singolare del verbo abandonare) e (ma per queste ultime forme cfr. sotto)
guerire (III 22, III 26, III 27, III 37), guerito (III 38).
Abandonare è un francesismo (da abandonner), immediatamente accolto in italiano
nella I classe dei verbi in -are (e dunque la forma abandoneret’io testimonia il nostro
fenomeno -ar- > -er-); guarire / guerire è un germanismo (< *warjan ‘mettere
riparo, tener lontano’ e ‘difendere’) come dimostra la labiovelare sonora iniziale. In
quest’ultimo caso però è probabile che il germanismo sia giunto per il tramite (o
anche per il tramite) francese dove si ha guerir, cosicché il fenomeno di cui stiamo
parlando (-AR- > -ER-) in questo caso avrà interferito con il modello d’Oltralpe.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 17/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. -ar-/-er- protonico


Comunque sia l’italiano guarire non ha accolto la forma in -er- attestata in Bono. Fin
dal XIII secolo si alternano anche a Firenze le forme in -ar- a quelle in -er-; una ricerca
sulla solita banca-dati dell’OVI mostra che nell’intero corpus relativo a Firenze, le forme
declinate di guarire sono 100, quelle di guerire 87; eppure, elaborando i dati, solo
sette sono le attestazioni duecentesche di guarire, contro venti di guerire nello stesso
periodo; nel Trecento invece 93 occorrenze di guarire sopravanzano le 71 di guerire.
Un controllo sulla banca-dati della Biblioteca Italiana (già utilizzata nella lezione 6;
purtroppo questa banca-dati non consente ricerche su lemmi e dunque non possiamo
saggiare la presenza di ciascuna delle forme declinate) permette di verificare che
l’infinito guerire non ha più diritto di cittadinanza nella letteratura italiana
dall’Ottocento (nel Settecento una sola occorrenza), e che già nel Quattrocento contro
28 occorrenze di guarire non ce n’è nessuna di guerire; per guarirà abbiamo 27
occorrenze quattrocentesche, ma nessun guerirà; diciassette guarì, ma ancora una
volta nessuna di guerì.
Del resto si ricordi che nell’intera opera di Bono Giamboni compare solo una volta la
forma guarendo (nel volgarizzamento da Orosio), contro tredici forme del verbo
guerire.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 17/S2
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi


linguistica
Vocalismo atono finale.
Analizzeremo
1) il fenomeno della riduzione dei dittonghi discendenti (in questa sessione di studio)
e
2) l’apocope vocalica e sillabica (con qualche approfondimento rispetto a quanto già
detto, nella sessione successiva).

Riguardo al primo argomento (la riduzione al solo primo elemento dei dittonghi
discendenti) si veda il seguente prospetto che raccoglie le attestazioni presenti nel
nostro brano di riferimento:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 17/S2
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Vocalismo finale

L’elenco dispone le occorrenze in base alla consistenza sillabica delle parole interessate al
fenomeno della riduzione; sulla colonna di destra i casi di mancata riduzione.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 17/S2
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Vocalismo finale


Contestualizzando nella frase gli esempi, vediamo contrastivamente le occorrenze relative
all’aggettivo tuoi:
A)
1) la malizia de’ tuo’ riggimenti II 3;
2) per le magioni de’ servi tuoi. III 20;
3) le parole de’ tuoi ragionamenti. III 40

o quelle relative al coinvolgimento dei verbi forti monosillabici


B)
1) Non sa’ tu che mia usanza è d’andare III 23
2) che vai tu faccendo III 19.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 17/S3
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi


linguistica
Gli esempi di apocope che compaiono nel nostro brano confermano la preferenziale
caduta di -e e -o, raramente di -i, purché -e ed -i non siano marca di plurale. Queste
sono però le condizioni attuali; in antico invece, la -a (si veda Or non ti ricorda a II 8) e
la -i morfema di plurale eccezionalmente potevano cadere, anche nella prosa ‘alta’ nelle
quali successivamente sono state confinate.

Se nel sito della Biblioteca italiana facciamo una ricerca per or ne possiamo verificare
l’altissima frequenza in tutto il corpus (la forma compare in 995 opere, con numerose
occorrenze in ciascuna di esse); se però limitiamo la ricerca alla sola tipologia testuale
dei DOCUMENTI, le opere si riducono a 22, tutte comprese fra il secolo delle Origini e il
Seicento.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 17/S3
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Vocalismo finale

L’apocope sillabica, oggi non più attiva, era invece in antico molto vitale: si pensi a po’ e,
altro caso di cui rimane traccia significativa nella lingua moderna, la riduzione dei nomi in
-ATEM, -UTEM (nel nostro brano attestato in profondità / profundità I 6, II 1, III 20, ma
non nei plurali Virtudi I tit. 1, III 19, III 26).
Dell’apocope infine vorremmo valutare il grado di opzionalità sulla base di fattori
intonativi e ritmici. Nel brano di Bono Giamboni (dove abbiamo messo in grassetto la
vocale con accento principale di frase) gli esempi sono:
buon I 2 ma buono III.32; la scelta di attuare o no l’apocope ha pertinenza intonativa
come si vede dai due contesti buon luogo a I 2 e ti truovo buono. a III 32;
figliuol II 3 ma figliuolo III 21 (Figliuol mio e, rispettivamente, Caro mio figliuolo, III 21);
far II 7 (come dee far l’uomo)
guardar II 10 (è dato a guardar lo cielo)
neun III 3 (di favellare neun sembiante facea)
possan III 25 (acciò che le faccende e le fatiche del dì non possan dare alcuno
impedimento).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 18
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica


Consonantismo
In relazione al consonantismo segnaliamo solo quel che costituisce eccezione rispetto
al quadro tracciato nelle lezioni 9-10 e prima di tutto la presenza di alcuni latinismi
fonetici, cioè di quelle parole che non recano traccia di quei fenomeni fonetici che
avrebbero dovuto colpirli, evidentemente per recupero dotto della forma latina.
A I 3 compare la forma Iobo, in cui, per latinismo appunto, non ha luogo il passaggio
della semivocale iniziale I- > /ʤ/, che è attestato invece regolarmente nell’italiano
Giobbe /ʤᴐbbe/. La distanza di Iobo dalla forma oggi in uso si misura anche per il
vocalismo finale: il nome ebraico era stato assunto nel latino della Vulgata come un
indeclinabile, bisognoso di essere adattato per consentirne l’ingresso in italiano, lingua
nella quale non è tollerata una consonante bilabiale finale. In Giobbe abbiamo lo
stesso adattamento che ancora oggi in Toscana presiede all’ingresso dei prestiti inglesi
uscenti in consonante (l’ingl. bar è pronunciato /barre/, con raddoppiamento della
consonante finale e -e come vocale d’appoggio); nella versione del Libro di Bono
invece la vocale epitetica scelta si adegua alla II classe latina che assicurava una meno
ambigua caratterizzazione del genere maschile.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 18
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Consonantismo

Altro latinismo da segnalare è esemplo I 11 (EXEMPLUM), con conservazione di un nesso


che in condizioni normali si è evoluto in /pj/, come del resto mostrano più I 11, I 13 <
PLUS; piacimento I 12 < PLACERE; raddoppiano I 15 < RE+AD+DUPLUM; piangendo I 5,
II2 < PLANGERE etc.
Infine è un latinismo fonetico tribulazioni di I 3, oltre che per la conservazione di u < Ŭ,
per l’esito di -TJ-, che si adegua alla pronuncia ecclesiastica del latino. L’esito indigeno
fiorentino di -TJ- è l’affricata dentale sorda /ʦ/ (PALATIUM > palazzo), che non ha avuto
seguito neppure in stagione < STATIONEM, per la quale ci saremmo aspettati stazzone
(stagione, come palagio, è un francesismo, mentre il latinismo fonetico corrispondente è
l’it. stazione). Si avverta che magione < MA(N)SIONEM è analoga a stagione solo
nell’esito finale, al quale si arriva da differenti premesse etimologiche: -SJ- a Firenze,
oltre a evolversi nell’esito sordo /ʃ/, oggi reso in italiano come /ʧ/ (BASIUM > /baʧo/),
conosce anche il corrispondente sonoro (BLASIUM > /bjaʒo/, reso in italiano standard
come /bjaʤo/).
Non costituisce un’eccezione (sebbene distante dagli usi odierni) boce di III 1. Nel latino
classico VOCEM veniva pronunciato /wokem/ poiché, come già ricordato, non esistevano
in latino né il suono palatale /ʧ/, né la labiodentale sonora.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 18
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Consonantismo


Il passaggio dalla semivocale /w/ alla spirante /v/ avviene tramite il suono intermedio /β/
che è rimasto tale in varie zone della Romània, e in altre ha dato di volta in volta esiti
diversificati a seconda della situazione fonosintattica, venendo per lo più a coincidere con
gli esiti di sonorizzazione di -P- e la fricativizzazione di -B-. La realizzazione della fricativa
bilabiale /β/ come occlusiva bilabiale /b/, in controtendenza apparente con il passaggio di
-B-, -P- > /β/ > /v/ si spiega proprio con questa confusione nel suono /β/ di varie basi
originarie. La forma boce, -i è maggioritaria a Firenze nel Duecento (27 occorrenze,
contro 16 di voce, -i; dati ricavati dal corpus dell’OVI). Il fenomeno -B- > /β/ > /v/
conosce un ulteriore livello di indebolimento fino al dileguo negli imperfetti avea I.5,
III.5, facea III.3, teneano III.6, nascea III.10, voleano III.11, poteano III.11, nasceano
III.12, potea III.15, III.17, tutti appartenenti alla II o III coniugazione; per la IV si veda
veniano I.6. Il dileguo di -v- non è altrimenti noto al fiorentino: il fenomeno non ha
origine fonetica, ma va interpretato come dissimilazione a partire da aveva > avea (la
desinenza -ea si sarebbe poi estesa a tutti i verbi della II e III coniugazione latina e
successivamente alla IV con uscita -ia). Se oggi queste forme non hanno più corso è
dovuto al fatto che al modello di avea, cui si erano si erano uniformati i verbi di II, III e
IV coniugazione, non poteva adeguarsi la numerosissima classe dei verbi della I classe
per i quali un’evoluzione CANTABAT > cantava > *cantaa > *cantà non era possibile.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 18/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi


linguistica
Rispetto agli usi attuali verifichiamo anche alcuni casi di divergenza nella
registrazione delle consonanti intense.
Non sempre la divergenza rispetto agli usi moderni riguarda differenti fenomeni fonetici
diversamente attivi nei secoli:
si veda per esempio faccendo (divergente dall’it. moderno facendo, proprio per la
consonante intensa <cc> /tʧ/); la forma, come faccende III 24 (stavolta coincidente
con l’italiano moderno) è esito normale da < FACIENDO (e FACIENDA, quest’ultimo
gerundivo neutro plurale, assimilato morfologicamente ad un femminile), nei quali la -I-
semivocalica ha provocato il raddoppiamento della consonante precedente; mentre le
forme antiche, foneticamente regolari, erano anche confortate dalla I pers. sing. faccio
< FACIO (così come veggendomi I 2, III 2, III 13 etc. per influsso di veggio < VĬDEO
tramite *vedjo), il moderno facendo è una forma ricostruita sul modello di altre forme
del medesimo verbo (per esempio fac-eva).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 18/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Consonantismo

Di natura fonetica è invece l’alternanza di scempie e intense nelle forme:


ammonimenti I tit. 2, acciò I 8 e III 24, raddoppiano I 15, apparve II 2, appresso III
8, alluminavano III 13; rapressò III 3, abagliava III 10, avegna III 14, asicurai III 14,
abandoneret’io III 22.

Sono infatti tutte forme composte con la preposizione a (< AD), talora rafforzata in ra- (<
RE+AD), che dunque, in forza della regola del raddoppiamento fonosintattico,
dovrebbero presentare tutte l’intensa.
Il raddoppiamento fonosintattico consiste in un fenomeno di rafforzamento della
consonante iniziale di parola che si verifica nella catena fonica fra parola e parola (per
esempio vado a casa /vado akkasa/, vengo da te /vɛŋgo datte/, va bene /vabbɛne/).

Le forme elencate sopra, composte con AD, dovrebbero dunque recare tutte l’indicazione
grafica del raddoppiamento avvenuto; ma nel Duecento, per influsso del francese, spesso
proprio i composti con AD presentano oscillazione fra rappresentazione intensa (secondo
la fonetica indigena) e rappresentazione scempia (per adesione al modello d’Oltralpe).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 18/S2
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica


Morfologia
Nella morfologia nominale si segnala vestimenta a III 4, residuo del neutro latino
(VESTIMENTUM), il cui plurale ha assunto il genere femminile. Diverso il trattamento
riservato al già citato FACIENDA (simile per etimologia all’it. legenda, leggenda), neutro
plurale che però, non essendo accompagnato nella lingua dal corrispondente singolare, è
stato incasellato all’interno della I classe nominale divenendo a tutti gli effetti un
femminile (cui si adegua il nuovo plurale faccende; analogamente avviene per leggenda
/leggende).
Della nascita dell’articolo abbiamo già detto; qui verifichiamo la compresenza della forma
forte (lo < (IL)LUM) e della forma debole ’l del singolare.La distribuzione con cui queste
forme si alternano nel nostro testo corrisponde alla cosiddetta legge Gröber (che ha preso
il nome dallo studioso tedesco Gustav Gröber che l’ha individuata e descritta):
a) a parte i casi davanti a vocale (ed eventualmente si elide) l’articolo forte è usato solo
dopo parola che termina in consonante: II 10 (guardar lo cielo), III tit.1 (per lo fat-
tore), III 32 (Per lo polso); si veda però I 1 stagione lo stato, che anticipa la distri-
buzione moderna secondo la quale lo è usato s + consonante indipendentemente
dall’uscita della parola che precede;
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 18/S2
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Morfologia nominale


b) l’articolo debole compare solo dopo parola che termina in vocale, sia nella forma
originaria apocopata, ’l (I 4, III 13, III 35), sia in quella integrata con vocale
d’appoggio, il (I tit.12, I 3, I 4, II 62, III 3, III 6, III 31).
Il plurale della forma forte (che non soggiace alla distribuzione della legge Gröber) si
presenta nella forma originaria li (< (IL)LI) o nella evoluzione successiva palatalizzata, gli,
prodottasi davanti a parola iniziante per vocale: gli altri II 9, gli occhi III 4; questa forma
tuttavia non si è ancora generalizzata, almeno nella grafia: li occhi III 8, III 10, li uomini
III 33. Nel nostro brano compare un solo caso della forma moderna i (III 4).
Le preposizioni articolate hanno, nel brano che stiamo analizzando, di volta in volta la resa
editoriale staccata (per es. a la) o univerbata (alla) a seconda che la -l- si presenti
scempia o intensa. La distribuzione nel nostro testo è però casuale e non rispetta più
un’antica regola, che vigeva nella lingua delle Origini sia italiane sia romanze, secondo la
quale la preposizione si presentava con -ll- solo se davanti a vocale tonica (come qui
all’uomo II 10), ma con -l- se davanti a parola iniziante con consonante o vocale atona.
Il nostro testo testimonia una costante presenza delle forme apocopate nel, del, col, dal,
sul per la forma del maschile singolare; conferma, anche nelle preposizioni articolate, la
rarità di i (si veda viceversa a li nostri a III 25), che pure è richiesto in de’ (dove è poi
scomparso per riduzione del dittongo discendente).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 18/S3
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi


linguistica
Per la morfologia verbale, si rammenta che solo alla fine degli anni Novanta del XX
secolo ci si è resi conto che nella lingua antica la seconda persona singolare del presente
del verbo ‘essere’ non era sei (come oggi), ma sé. Prima di quella data si pensava che da
*SĔS (per il classico ĔS) si fosse prodotto sei (la -S si sarebbe trasformata in vocale
palatale come in PŎS(T) > poi) e che dunque la forma se che si trovava nei manoscritti
(priva di segni diacritici) andasse intesa come un ennesimo caso di riduzione del dittongo
discendente; per questo motivo troviamo stampato se’ a I 5 e III 35 nell’edizione (1968)
da cui è tratto il nostro brano (l’apostrofo sta indicare graficamente la presunta caduta di
–i); la scoperta si deve ad Arrigo Castellani che ne dette notizia nell’articolo Da sè a sei,
in “Studi linguistici italiani”, XXXV, 1999, pp. 3-15.

Naturalmente è regolare, perché etimologica (< -ABAM), l’uscita in -a della prima


persona singolare dell’imperfetto: stava III 2, facea III 3.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 18/S3
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Morfologia verbale


Abbiamo già detto che la forma fue alterna con fu, giustificando la -e come esito
legittimo della -Ĭ- di FŬĬT; occorre precisare ora che la -u- non deriva direttamente dalla -
Ŭ- (che avrebbe dovuto evolversi in -o-) ma dipende dall’influsso esercitato sulla III
persona singolare dalla prima (fui), esito regolare da FŪĪ (forma eccezionale e arcaica nel
latino classico, nel quale era la regola l’abbreviamento della vocale precedente altra
vocale).
Per la desinenza della III persona plurale del passato remoto abbiamo da un lato furono
(< *FURUNT, per il classico FUERUNT) che, dopo la caduta della consonante o delle
consonanti finali, ha avuto una vocale o una sillaba d’appoggio -o o -no; questa che è la
forma ormai stabilitasi nell’italiano si alterna nel Libro di Bono con fuorono (occore partire
da *FŎRUNT) e furo. Forme come furo, prive della ‘desinenza’ -no sono, ancora oggi,
normali per i verbi rizotonici (piacquero a III 30), ma in antico lo erano anche per i verbi
rizoatoni (adattârsi ‘si adattaro’ a III 39) ed esse sono maggioritarie nel Libro di Bono.
Infine, coerentemente con l’etimologia (ma a differenza dell’italiano moderno), la
desinenza di I pers. sing. del congiuntivo imperfetto (dal piucheperfetto congiuntivo
habuissem) è -e (-i una sola volta a III 39 potessi): ch’io patisse […] portasse […]
sostenesse I 8-9, rispondesse o dicesse III 2, avesse III 14, venisse III 22. La forma
etimologica assicura la distinzione rispetto alla II pers. (-i < -ES: avessimi I 12, I 13,
avessi I 13, rizzassi […] guardassi […] considerassi II 6, avessi III 27), ma coincide con la
III (-e < -ET): potesse I 11, levasse III 6.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 18/S3
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 2

Riepilogo
Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui concetti
studiati nelle lezioni precedenti, dedicate all’analisi linguistica
(fonetica e morfologica) del brano di Bono Giamboni, lo
studente è invitato a compilare il test associato a
questa sessione di studio.

© 2007 Università degli studi e-Campus - Via Isimbardi 10 - 22060 Novedrate (CO) - C.F. 08549051004
Tel: 031/7942500-7942505 Fax: 031/7942501 - info@uniecampus.it
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 19
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui concetti


studiati nelle lezioni precedenti, dedicate all’analisi
linguistica (fonetica e morfologica) del brano di Bono
Giamboni, lo studente è invitato a compilare il
test associato a questa sessione di studio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 19/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi


linguistica
Prima di passare alla sintassi, soffermiamoci sul lessico. L’ordine è topografico.
ammonimento (I tit. 2): il termine si inserisce in una serie particolarmente produttiva
di formazioni di sostantivi deverbali in -mento; a partire da modelli esistenti già
in latino classico (lamento I tit. 2 e I 3, vestimenta III 3, impedimento III 25) o
nel latino tardo (reggimenti / riggimenti II 4 e II 8; regimentum è in Ammiano
Marcellino), si formano piacimento I 12, cominciamento III 14, III 21,
ragionamenti III 25, III 40. È quasi certamente una neo-formazione volgare
anche ammonimento, perché (sebbene il lat. avesse già tratto, da MONĒRE,
monimentum, più spesso attestato come monumentum) la forma si spiega molto
bene alla luce di ammonire, per metaplasmo di MONĒRE dalla II coniugazione alla
IV e composizione con a- (AD)
a una stagione (I 1): ‘a un medesimo momento, contemporaneamente’; il significato
di stagione (francesismo fonetico) non è dunque quello di ‘una delle quattro parti
dell’anno’
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 19/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Commento


malvagio (I 2): ‘cattivo’, ‘sfortunato’, ma senza la specificazione odierna che non
attribuisce l’aggettivo a cose (qui invece l’aggettivo è riferito a stato); è il francese
mauvais, dal lat. popolare malifatius (< MALUM + FATUM), ‘che ha cattiva sorte’
maladire (I 4): come maledire deriva da MALE DI(CĔ)RE; la seconda -a- è frutto di
assimilazione (progressiva) alla -a- della sillaba precedente (tonica nell’avverbio male,
colpita da accento secondario nel composto)
luttando (I 5 e II 2): ‘piangendo’ (è dunque sinonimo del verbo che lo precede in
entrambe le occorrenze); delle nove attestazioni ricavabili dalla banca-dati dell’OVI,
quattro sono tratte da opere di Bono, sempre in questa dittologia (piangendo e
luttando); in altre forme verbali la dittologia piangere e luttare compare prima e dopo
Bono, certo resa necessaria dal poco diffuso latinismo lessicale (il verbo è formato
su LUCTUS, da LUGĒRE ‘piangere’)
salvatico: da SALVATICUM (attestato nel IV secolo) a sua volta da SĬLVATICUM (che abita
nella ‘foresta’, latino SĬLVAM) per assimilazione vocalica regressiva. Sebbene tale
assimilazione sia già avvenuta in latino e nonostante che il suffisso -ATICUM non
mostri nessuno degli esiti galloromanzi (affricata dentale nel provenzale salvatz,
affricata palatale nel francese sauvage), il fatto che la vocale della sillaba iniziale sia
caratteristica dell’area francofona lo candida a francesismo
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 19/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Commento


dirottamente (II 2): ‘in modo incontrollato, propriamente ‘con mente rotta (dal dolore)’
fai reggimenti bestiali (II 4): ‘ti comporti come un animale’, ‘ti comporti secondo regole
più consone alle bestie’
naturalmente (II 7): ‘secondo le leggi della natura’
ti ricorda (II 8): in antico ricordare è un verbo impersonale costruito pronominalmente
la Filosofia si conobbe per lo fattore (III tit. 1): ‘la Filosofia fu riconosciuta dall’autore’; il
passivo è espresso mediante verbo impersonale
una pezza (III 1, III 32): ‘per un po’ di tempo’, cioè ‘per un pezzo’; pezza deriva da
PĔTTIAM (da una voce di origine celtica) con evoluzione fonetica regolare. Il maschile
pezzo non è attestato prima della metà del Trecento
che stava muto e di favellare neun sembiante facea (III 2-3): ‘che stavo silenzioso e che
non davo nessun segno di voler parlare’; le due frasi relative coordinate dipendono
entrambe dal che che compare davanti alla prima (oggi, data la collocazione in fine di
facea, il che verrebbe ripetuto anche all’inizio della seconda)
sembiante (III 3): ‘viso, apparenza’, è un provenzalismo (semblan) entrato tramite la
poesia; qui è coinvolto nella locuzione far sembiante ‘dare a vedere la propria
intenzione tramite la faccia o i gesti’
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 19/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica


malizia (II 8, III 28): il senso non è quello (anche latino), giunto a noi per il tramite del
Cristianesimo, di ‘furbizia’, ma quello di ‘malvagità’ (forse più appropriato nel
contesto della prima occorrenza), oppure di ‘condizione miserevole’ (meglio adatto
al significato del contesto di III 28); cfr. sopra le precisazioni fatte a margine di
malvagio
gherone (III 3): ‘striscia triangolare di stoffa cucita ai lati di una veste. Parte inferiore di
una veste, falda’; deriva dal longobardo *gairo
tanto bellissima (III 9): frequente nella prosa del Duecento l’uso del superlativo dopo un
avverbio di quantità
viso (III 16): è il latino visus ‘la vista, l’atto del vedere’
magioni (III 18, III 20): (francesismo fonetico) ‘case, abitazioni’
dal cominciamento (III 21): ‘fin dall’inizio’
cu’ (III 24): ‘a chi, a colui che’; è il latino cui, intatto anche nella sua funzione di dativo
dell’indefinito (e dunque usato senza la preposizione a)
talento (III 27): nel significato di ‘voglia, desiderio’ è un termine di irradiazione
galloromanza; il significato di ‘attitudine naturale’, anch’esso attestato in maniera
episodica nel Duecento e nel Trecento acquisterà grande fortuna nel Rinascimento
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 19/S1
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Commento


più tosto (III 27): ‘più presto, più rapidamente’; l’avverbio italiano piuttosto
‘preferibilmente’ deriva, attraverso ‘più facilmente, più volentieri’, da questo senso
proprio
il polso (III 31, III 32): ‘il battito (del cuore)’ (latino PULSUM, participio passato di
PELLĔRE ‘battere’); l’attuale specificazione anatomica del significato è legata al fatto
che le pulsazioni si percepiscono meglio sull’attaccatura fra mano e avambraccio,
insomma sul nostro polso
per ragione (III 33-34): ‘secondo ragione’, ‘secondo una ragionevole induzione’
sbigottito (III 36): ‘turbato tanto profondamente da aver perso qualunque possibilità di
reagire’; di etimo incerto, ma assimilabile al francese antico ébahir ‘essere colpito da
stupore’ (che alcuni vorrebbero connettere al latino volgare *BATARE ‘aver la bocca
aperta (dallo stupore)’)
ismagato (III 36): ‘indebolito al punto di venire meno’, anche per la paura e dunque
‘impaurito’; dal germanico magan ‘privare qualcuno delle sue forze, indebolire’
tramite il basso latino *EXMAGARE, da cui il francese esmaier
a la speranza di Dio (III 36): ‘confidando in Dio’.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 19/S2
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi


linguistica
Per quanto riguarda la sintassi analizzeremo, sulla base di quel che il nostro brano ci
mette a disposizione,
1) la posizione dei pronomi clitici (legge Tobler-Mussafia)
2) la risalita del clitico
3) un caso particolare di costruzione del periodo ipotetico
4) un caso particolare di accordo del participio passato
5) la posizione del soggetto nelle frasi interrogative.
Vedremo come il rapporto antico fra libertà e costrizione relativamente alla sintassi non
indichi, rispetto al presente, un processo di evoluzione nell’un senso o nell’altro (da una
lingua rigida ad una lingua liberata o viceversa da una lingua anarchica ad una
regolata), ma piuttosto tratteggi processi di ridistribuzione di norma e liceità.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 19/S2
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Sintassi


La legge Tobler-Mussafia (che prende il nome dai due studiosi che per primi l’hanno
studiata, il primo riconoscendola nell’antico francese, il secondo verificandone la validità
anche nell’antico italiano) rende obbligatoria la posizione del clitico in alcune precise
situazioni, lasciandola invece libera nelle altre.
Oggi l’enclisi dei pronomi atoni è obbligatoria solo dopo modi infiniti del verbo (dopo il
gerundio, per es.: vedendoti, avendoti visto; dopo il participio passato, per es.:
superàtala; dopo l’infinito, per es.: esserle) e dopo l’imperativo (per es.: màngiane,
mangiàtene). In antico vigeva, come oggi, l’obbligo di enclisi nelle forme dei modi non
finiti, ma non quella che riguarda l’imperativo (l’enclisi obbligatoria in questo caso si fissa
solo fra XIV e XV secolo), perché questo modo seguiva anch’esso la regola generale della
legge Tobler-Mussafia.
Secondo tale norma l’enclisi dell’elemento atono era più o meno tassativamente
obbligatoria nei seguenti casi (l’ordine è decrescente in base al grado di obbligatorietà,
nel primo caso massima e via via decrescente):
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 19/S2
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Sintassi


1) in posizione iniziale assoluta di periodo (non era cioè possibile iniziare un periodo con
clitico), come in effetti avviene nel nostro testo a I tit.1: Incominciasi il libro; I tit. 2:
Ponsi in prima; I 10: Facestilo tu per dare; è una conferma alla regola l’enclisi a III
22 abandoneret’io, preceduto nel periodo da un vocativo (per quanto piuttosto
articolato) che la sintassi antica percepisce come un ‘a parte’ e non come primo
costituente effettivo della frase;
2) dopo e e ma; nel nostro brano si vedano: I 13 e avessim i posto; II 8 e sarestine ; III
4; e forbimm i ; III 8 e guarda’m i ; III 30 e puosesi ; III 31 e cercomm i ; III 39 e
adattârsi ; mancano invece esempi dopo ma;
3) all’inizio di una principale preceduta da una secondaria introdotta da se, quando, o da
un gerundio: nel nostro testo questa eventualità è rispettata in un caso dopo se a I
13: Se cotesto fu di tuo piacimento, avessim i fatto questa misericordia. Il fatto che
l’elemento atono sia proclitico al verbo negli altri casi è conseguente alla struttura
complessa della secondaria, che contiene al suo interno, a sua volta, una o più
subordinate di secondo grado (segnalate con il sottolineato): II 1-2 Lamentandomi
[…] nel modo che avete udito di sopra, e dirottamente piangendo e luttando,
m ’apparve; III 1 Quando la boce ebbe parlato come di sopra avete inteso, si riposò;
III 3 e veggendo che stava muto, e di favellare neun sembiante facea, si rapressò.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 19/S3
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica


Riguardo la posizione degli elementi pronominali atoni all’interno della frase va
menzionata anche la cosiddetta risalita del clitico: un elemento atono, che dipenda
semanticamente da un verbo all’infinito (al quale dunque dovrebbe congiungersi in
posizione enclitica), qualora l’infinito sia retto da verbo modale, si distacca dall’infinito a
cui si riferisce e risale all’indietro congiungendosi al verbo di modo (la scelta fra enclisi o
proclisi sarà poi dettata dalle costrizioni o libertà della legge Tobler-Mussafia).
La formula (esemplificabile con la devo vedere, anziché devo vederla) è vitale anche
oggi nel parlato, ma bandita dallo scritto, mentre in antico era tassativa. Si veda nel
nostro testo: III 11-12 sicché poche persone la poteano fermamente m irare
(‘potevano guardarla’).
Un’ulteriore specificazione di questa norma si trova a III 25 udì’ dire che m ’era venuta
per guerire , dove si assiste alla medesima risalita “con i verbi di movimento e
aspettuali, in costrutti in cui tra il verbo reggente e l’infinito è interposta una
preposizione” (da V. Formentin, Poesia italiana delle origini, Roma, Carocci, 2007, p.
113).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 19/S3
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Sintassi


A III 12 va segnalata la forma mista di costruzione del periodo ipotetico secondo il
canone della realtà (con l’indicativo) per la protasi (fu), mentre l’apodosi è costruita
secondo il modello dell’irrealtà nel passato (con il congiuntivo trapassato, avessimi
fatto):
Se cotesto fu di tuo piacimento, avessimi fatto questa misericordia […]
e che potremmo tradurre con una formula congiunta di principale con valore ottativo, e
una secondaria causale: ‘Giacché questo fu quello che ti piacque, avresti almeno dovuto
farmi questo atto di pietà’. Dal punto di vista semantico si veda come il massimo grado
di realtà venga attribuito al volere divino, il massimo di irrealtà ai desideri tutti umani e
irrealizzabili in quanto sottoposti al tempo ormai trascorso dell’uomo.
1 Per la costruzione del periodo ipotetico dell’irrealtà, riferisco quanto dice Gerhard Rohlfs,
Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti. III: Sintassi e formazione delle parole,
[1954], Torino, Einaudi, 1969, § 744): “In latino il periodo ipotetico dell’irrealtà suole avere
l’imperfetto congiuntivo per l’irreale del presente (si possem, facerem), il piucchepperfetto
congiuntivo per l’irreale del passato (si potuissem, facissem), nella protasi come nell’apodosi. Morto
l’antico imperfetto congiuntivo, il suo posto fu preso dal piuccheperfetto, mentre a sostituire il
piucchepperfetto veniva assunto il perfetto composto, sempre del congiuntivo (si habuissem
potutum, habuissem factum)”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 19/S3
Titolo: Bono Giamboni: analisi linguistica
Attività n°: 1

Bono Giamboni: analisi linguistica. Sintassi


Nell’apodosi del periodo precedente si sarà notata anche la relativa libertà con cui si attua
o meno l’accordo del participio passato di un verbo coniugato con ‘avere’ con
l’oggetto posposto al verbo (avessimi fatto questa misericordia ). Se l’oggetto fosse stato
espresso da un pronome proclitico (dunque precedente al verbo) l’accordo sarebbe
avvenuto (tipo: ‘me la avessi fatta’).

Riguardo alle frasi interrogative, secondo un modulo romanzo molto diffuso (e ancora
oggi tassativo in francese), va notato che il soggetto pronominale (se espresso) è
sistematicamente posposto al verbo:
I 7-8 perché mi facesti tu venire in questo misero mondo […]?
I 10-11 Facestilo tu per dare di me esemplo alle genti […]?
III 19-20 Maestra delle Virtudi, che vai tu faccendo […]?
III 21-22 Caro mio figliuolo, […] abandoneret’io […]?
III 23 Non sa’ tu che mia usanza è d’andare […]?
Nell’italiano contemporaneo (nel quale per lo più il soggetto pronominale viene omesso
che fai?) tale disposizione (che fai tu?) avrebbe particolare valore intonativo.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 20
Titolo: Bono Giamboni: lo stile
Attività n°: 1

Bono Giamboni. Lo stile


Proviamo ora a saggiare la prosa di Bono Giamboni dal punto di vista stilistico, per la quale
possiamo procedere secondo due prospettive:
1) analizzando il brano secondo gli strumenti dell’analisi retorica classica e medievale;
2) Verificando se attraverso la concretezza letterale del testo è ricavabile la singolarità
dello scrittore nell’utilizzo della lingua (lo ‘scarto’ dalla norma) se non addirittura
(secondo la formula spitzeriana) l’‘etimo spirituale’ dello scrittore e della sua scrittura.
Quest’ultimo modo richiederebbe una lettura completa dell’opera perché da un piccolo
brano come il nostro al massimo possiamo desumere suggestioni che andrebbero verificate
poi su tutta l’opera. Teniamo però presente che la prevalente caratterizzazione della lingua
italiana del Duecento è quella di una lingua incline alla paratassi (alla prevalenza cioè di
coordinazione delle frasi nel periodo), viceversa restia all’ipotassi (alla prevalenza cioè di
rapporti di subordinazione delle frasi nel periodo).
Partiamo dunque da questo aspetto e valutiamo la capacità dello scrittore di gestire
paratassi e ipotassi. Dal punto di vista sintattico il periodo iniziale (I 1-5, del quale nella
slide successiva vi propongo una schematizzazione grafica) non si eleva di molto dalla
media della prosa duecentesca, alla quale si imputa una piatta e ripetitiva preferenza per la
coordinazione.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 20
Titolo: Bono Giamboni: lo stile
Attività n°: 1

Bono Giamboni. Lo stile Lo schema riproduce la sequenza del testo


da sinistra verso destra, scalando ad ogni
cambio di grado di subordinazione.
Sono evidenziati con colori diversi la princi-
pale (in violetto), le subordinate di I grado (in
arancio pallido) e di II grado (in arancio più
intenso), in giallo e rispettivamente in arancio
scuro le coordinate a subordinate di grado
differente.

Considerando a una stagione lo stato mio,


e la mia ventura fra me medesimo esaminando
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 20
Titolo: Bono Giamboni: lo stile
Attività n°: 1

Bono Giamboni. Lo stile


In effetti Bono Giamboni ricorre di frequente alla coordinazione, sia per asindeto cioè
senza l’esplicitazione della congiunzione coordinativa):
Considerando […], veggendomi […], seguitando,
sia con l’esplicitazione della congiunzione: Considerando […] e […] esaminando e in
ch’io nacqui e venni,
sia per polisindeto cioè con la reiterazione della congiunzione (come avviene in I 8-9):
acciò ch’io patisse cotanti dolori, e portasse cotante fatiche, e sostenesse cotante pene?
e a III 7-8:
d’ogni tua malizia saresti purgato, e vedresti la malizia de’ tuo’ riggimenti, e sarestine
dolente).
Della subordinazione si rilevano due tipi:
1) con verbo finito, sempre mediante il che relativo che esprime il soggetto o l’oggetto
(che fece Iobo; che in questo mondo m’avea nutricato e conservato) o un complemento
indiretto (il dì ch’io nacqui);
2) con verbo ad un modo non finito: a) con il gerundio (Considerando, veggendomi,
seguitando, oltre a esaminando); b) con l’infinito (a maladire).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 20/S1
Titolo: Bono Giamboni: lo stile
Attività n°: 1

Bono Giamboni. Lo stile


In questa struttura apparentemente ripetitiva l’alternanza di gerundio e infinito per le
subordinate implicite che precedono e rispettivamente seguono il verbo della principale
può avere valore esclusivamente formale, di variatio, oppure, invece, anche un valore di
contenuto, cioè anche un valore relativo alla sostanza dell’espressione come avrebbe
detto Louis Hjelmslev, 1899-1965, che alla dicotomia significato / significante di origine
saussuriana propose di sostituirne una più articolata, che evitasse ogni ambiguità,
sostituendo a significato e significante rispettivamente contenuto e espressione ,
ciascuno dei quali ripartiti in forma e sostanza, così da poter distinguere fra sostanza del
contenuto e forma del contenuto e fra sostanza dell’espressione e forma dell’espressione
secondo lo schema
segno

espressione contenuto

forma sostanza forma sostanza


Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 20/S1
Titolo: Bono Giamboni: lo stile
Attività n°: 1

Bono Giamboni. Lo stile


Il Libro di Bono si apre su un momento intimo (fra me medesimo) in cui il tempo
esterno, che scorre, non esiste (a una stagione); tale condizione è rappresentata dalla
serie ostinata dei gerundi; la storia, il fluire del tempo, sarà annunciato da seguitando e
anticipato dal passato remoto di fece nella citazione di Giobbe, ma irromperà
effettivamente nel presente del protagonista e della sua storia solo con incominciai, che
innesca l’azione del personaggio (incominciai a maladire). A rappresentare il momento
iniziale di staticità funziona appunto il modo non finito, il gerundio, che in tutto il Libro è
adibito a rappresentare una condizione (essendo tu uomo II 3), o al massimo la
reiterazione di un’azione che però non muta lo stato (si vedano E piangendo e luttando I
5; Lamentandomi duramente II 1; dirottamente piangendo e luttando II 2; aspettando se
alcuna cosa rispondesse o dicesse; e veggendo che stava muto III 2; veggendo la detta
figura cosí bella e lucente III 13); queste le occorrenze nei primi tre capitoli, ma si
potrebbe continuare con citazioni da tutto il Libro. Mediante quei gerundi il personaggio
si accampa sulla scena; solo dopo averne rappresentato i pensieri e le riflessioni, Bono ci
introduce alle sue reazioni: prima una maledizione (espressa con l’infinito), poi l’annuncio
di suoni di cui si sottolinea mediante il gerundio la continuità (piangendo e luttando con
guai e sospiri), infine vere e proprie parole che, sebbene dette fra me medesimo, ci
conducono a vedere il personaggio mentre agisce e parla.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 20/S1
Titolo: Bono Giamboni: lo stile
Attività n°: 1

Bono Giamboni. Lo stile


Da un capo all’altro dell’intero Libro Bono si rivolge al pubblico in uno stesso modo,
analogo o identico al modo in cui gli si rivolge all’inizio del cap. II:
“Lamentandomi duramente nella profundità d’una oscura notte nel modo che avete
udito di sopra”
e all’inizio del cap. III:
“Quando la boce ebbe parlato come di sopra avete inteso, si riposò”.

A queste due occorrenze tratte dal brano che abbiamo stralciato dal Libro, si aggiungono:
in apertura dei capitoli
VIII: “Poscia che la Filosofia ebbe parlato come di sopra avete inteso”,
XVIII: “Quando la Fede m’ebbe domandato di tutte le cose che avete udito di sopra”,
XXIII: “Parlando a sollazzo per la via, come di sopra avete inteso”,
XLI: “Cacciata e spenta la Fede dell’idoli del mondo, come di sopra avete inteso”,
LXX: “Quando la Prudenzia ebbe parlato come di sopra avete inteso”,
LXXV: “Incontanente che la Prudenzia ebbe compiuto di dire come di sopra avete
inteso”;
inoltre alla fine del cap. XLIX: “come di sopra avete inteso che avieno ordinato”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 20/S2
Titolo: Bono Giamboni: lo stile
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sugli ulteriori contenuti


studiati nelle lezioni precedenti, dedicate all’analisi linguistica e
stilistica di Bono Giamboni, lo studente è invitato a compilare il
test associato a questa sessione di studio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 20/S2
Titolo: Bono Giamboni: lo stile
Attività n°: 3

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.

Rispondete alle seguenti domande:


Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 20/S2
Titolo: Bono Giamboni: lo stile
Attività n°: 3

Test di autovalutazione
11) Indicare il significato di apocope e selezionare il nome del suo opposto
☐ caduta di un elemento iniziale di parola ☐ aferesi
☐ caduta di un elemento finale di parola☐ sincope
☐ aggiunta di un elemento iniziale di parola ☐ epitesi

12) Indicare il significato di anaptissi e selezionare il nome del suo opposto


☐ caduta di un elemento iniziale di parola ☐ epitesi
☐ caduta di un elemento finale ☐ sincope
☐ aggiunta di un elemento interno di parola ☐ prostesi

13) Indicare il significato di epitesi e selezionare il nome del suo opposto


☐ caduta di un elemento iniziale di parola ☐ aferesi
☐ caduta di un elemento finale di parola☐ apocope
☐ aggiunta di un elemento finale di parola ☐ prostesi
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 20/S2
Titolo: Bono Giamboni: lo stile
Attività n°: 3

Test di autovalutazione
14) Indicare il significato di aferesi e selezionare il nome del suo opposto
☐ caduta di un elemento iniziale di parola ☐ epitesi
☐ caduta di un elemento finale ☐ sincope
☐ aggiunta di un elemento iniziale di parola ☐ prostesi

15) Indicare quali dei seguenti tratti fonetici, morfologici e sintattici appartengono alla
prosa fiorentina del Duecento:
☐ prima persona dell’imperfetto in -o (io amavo)
☐ rispetto obbligatorio della legge Tobler-Mussafia
☐ riduzione del dittongo dopo consonante + r
☐ desinenza -aro nelle terze persone plurali del perfetto (essi mangiaro)
☐ art. maschile singolare el
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 20/S3
Titolo: Bono Giamboni: lo stile
Attività n°: 1

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.

16) Tracciate un quadro della prosa letteraria del Duecento


17) Illustrate la figura di Bono Giamboni e fornite alcuni elementi linguistici e stilistici
della sua scrittura letteraria così come li abbiamo desunti dal brano analizzato
durante il corso.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21
Titolo: La prosa letteraria del Trecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Trecento


Rispetto al quadro tracciato in relazione alla prosa duecentesca, il quadro trecentesco
è infinitamente più variegato dal punto di vista quantitativo e qualitativo.

La maggiore articolazione corrisponde ad una sempre più crescente alfabetizzazione


di quella classe media, cittadina e comunale, prevalentemente mercantile a cui
avevamo assistito nel Duecento; a questa caratterizzazione sociale si vanno sempre
più aggiungendo strati di popolazione che fino a poco tempo prima avevano
guardato direttamente alla Francia e alla produzione in francese di romanzi
cavallereschi: soprattutto in ambito settentrionale la nuova letteratura coinvolge ora
anche la bassa feudalità e le piccole corti signorili, il che contribuisce ad aumentare la
domanda sempre più diversificata di scritture di carattere letterario.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21
Titolo: La prosa letteraria del Trecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Trecento

L’istanza di aggiornamento e di informazione produce ancora volgarizzamenti e prodotti


di scuola, ma, rispetto al Duecento, nel XIV secolo e tanto più quanto più si procede nel
Trecento, lo guardo rivolto alla contemporanea produzione francese diminuisce a favore
della riscoperta dei classici latini, non solo volgarizzati ma anche letti in originale e presi a
modello per opere originali. Ad una prospettiva di inferiorità rispetto alla letteratura
provenzale per la poesia, francese per la prosa, caratteristica del Duecento, si sostituisce
man mano la riscoperta di una tradizione autoctona che, sulla base dell’identità
geografica, assume dentro e su di sé la tradizione classica.

Ciò è vero anche per la poesia, a riprova del fatto che non si tratta solo o in prevalenza di
un cambiamento esclusivamente letterario, ma anche (se non soprattutto) di società e di
gusti socialmente condivisi. Quando Dante, nel XXV capitolo della Vita nova (quindi
ancora sullo scorcio del Duecento) indica brevemente i tratti della poesia in volgare,
accanto ai provenzali indicherà i poeti latini (Orazio, Ovidio, Lucano, Virgilio), ai quali
pretende siano paragonati i dicitori in rima indicando dunque già, molto prima dell’Uma-
nesimo, quanto il modello classico abbia funzionato in Italia.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21
Titolo: La prosa letteraria del Trecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Trecento


Dalla preistoria della letteratura volgare europea sono ormai passati anni di tirocinio let-
terario e ancora Dante, nel II libro del De vulgari eloquentia (dunque agli inizi del Tre-
cento), trattando della costruzione delle nuove forme metriche volgari (la canzone prima
di tutte), può addurre ad esempio di costruzione poetica modellizzante, accanto alla poe-
sia di Bertran de Born o di Arnaut Daniel, quella formalmente raffinata e ideologicamente
attraente di Guido Guinizzelli, Onesto da Bologna, Cino da Pistoia.
La comparsa di alcuni di questi poeti nel viaggio oltremondano della Commedia, il rap-
porto cordiale o deferente che si instaura fra Dante e questi personaggi alla presenza e
sotto lo sguardo attento della eccezionale guida di Virgilio-personaggio, risulta emblema-
tica dell’indicazione degli ascendenti della letteratura volgare: una tradizione che non si
esaurisce nella (anzi sempre meno fa riferimento alla) poesia provenzale e che le affianca
in maniera sempre più importante e imponente il modello della poesia latina come ele-
mento della tradizione poetica volgare.
Nonostante l’importanza fondativa di Dante e Petrarca per la poesia trecentesca, e nono-
stante che quantitativamente la poesia risulti ancora ben frequentata nel Trecento (con
precoci imitazioni della Commedia fuori e dentro la Toscana; più tarda sarà l’imitazione di
Petrarca), nel XIV secolo non assistiamo più alla preponderanza della poesia rispetto alla
prosa a cui avevamo assistito nel Duecento.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21/S1
Titolo: La prosa letteraria del Trecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Trecento

Oltre che un incremento di tipo quantitativo la prosa trecentesca mostra una sempre
maggiore differenziazione nelle tipologie testuali.

Riguardo ai volgarizzamenti, quella che nel Duecento era l’eccezione (si ricordino i
volgarizzamenti di Bono Giamboni e di Brunetto Latini, che abbiamo ricordato), ora
diventa la norma e non solo per la più frequente scelta di tradurre dagli originali latini,
ma anche per la scelta degli autori da tradurre.
Brunetto e Bono avevano tradotto infatti solo autori in prosa: ora si tradurranno (in
prosa) anche i poeti: Virgilio prima di tutti, che viene volgarizzato e epitomato da
Andrea Lancia, da Ciampolo di Meo degli Ugurgeri; poi, e con grandissima fortuna,
l’Ovidio delle Metamorfosi (da Arrigo Simintendi e da Giovanni Buonsignori) e delle
Eroidi (da parte di Filippo Ceffi e anonimi), dell’Ars amandi e dei Remedia amoris (da
anonimi).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21/S1
Titolo: La prosa letteraria del Trecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Trecento


La traduzione della Pharsalia di Lucano, forse dovuta a Arrigo Simintendi, si affianca
all’imponente traduzione degli storici in prosa.
Alla traduzione di autori tardo-antichi come Orosio e Vegezio, tradotti nel Duecento da
Bono, si affiancano ora storici classici della statura di Sallustio (sia il Bellum
Catilinarium sia il Bellum Iugurtinum entrambi da parte di Bartolomeo da San
Concordio), di Livio (da Filippo da Santa Croce, da anonimo, forse dallo stesso
Boccaccio) e parzialmente di Tacito (da un anonimo). Fortunatissima poi la tradizione
volgare di Valerio Massimo (tradotto varie volte a Firenze e fuori)
Alla tradizione retorica che già nel Duecento aveva visto come modello privilegiato
Cicerone, si aggiungono modelli oratori (la IV catilinaria) ed epistolari (la lettera al
fratello Quinto) dello stesso Cicerone, ma anche le Declamationes di Seneca il Retore e
le Declamationes dello pseudo-Quintiliano.
Ma quel che costituisce una grande rivoluzione è che ora i classici, oltre che
confermarsi maestri di arti tecniche (fra il 1330 e il 1340 viene tradotto il trattato di
agricoltura di Palladio) sono pienamente integrati all’interno di una moralità che non
rinunciando alla propria matrice cristiana, rilegge, alla luce del Cristianesimo, la lezione
degli antichi.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21/S1
Titolo: La prosa letteraria del Trecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Trecento

Così, accanto ai volgarizzamenti dei Moralia e dei Dialoghi di Gregorio Magno o alle
fortunatissime lettere di S. Girolamo, vengono tradotti di Cicerone il Somnium Scipionis
(da Zanobi da Strada e da un anonimo identificato in passato con il beato Giovanni
dalle Celle), varie volte il De amicitia (da Filippo Ceffi e da un anonimo), i Paradoxa
stoicorum (due volte, entrambi da parte di anonimi, ma uno dei quali in passato
attribuito a Giovanni dalle Celle), il De senectute e il De officiis (entrambi da anonimo);
di Seneca (di cui il monachesimo altomedievale si era già impossessato come “maestro
di spiritualità”, ma principalmente sulla base di opere spurie) vengono volgarizzate le
Epistulae morales, il De providentia, e le consolationes (Ad Elviam, Ad Marciam, Ad
Polibium).

Dell’integrazione della classicità nell’ambito culturale cristiano è prova il fatto che fra
questi volgarizzatori, oltre a notai (come Filippo Ceffi) troviamo uomini di chiesa e
monaci (Zanobi da Strada, Bartolomeo da San Concordio, lasciando da parte la
controversa attribuzione a Giovanni dalle Celle del Somnium Scipionis e dei Paradoxa).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21/S2
Titolo: La prosa letteraria del Trecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Trecento


I volgarizzamenti dei classici non consentono soltanto la migliore e più capillare
conoscenza della letteratura e del sapere antico; sono anche al contempo l’occasione per
produrre nuovi testi su suggestione degli antichi e per creare nuovi generi o
riadattare ad una diversa sensibilità i generi classici.
Si tratta insomma di uno scambio in cui il volgare non riveste un ruolo esclusivamente
passivo, di ricettore e fruitore; al contrario gli esempi classici innescano, a vari livelli di
arte e di capacità letterarie, ovviamente, la creazione di generi volgari nuovi.

Certo che il sapere antico viene anche parcellizzato e somministrato in pillole, in un


sapere pronto a tutti gli usi e organizzato per temi allo scopo di una pronta reperibilità;
come avviene per esempio negli Ammaestramenti degli antichi di Bartolomeo da San
Concordio (che abbiamo già citato come volgarizzatore), che giustifica così la propria
opera:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21/S2
Titolo: La prosa letteraria del Trecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Trecento


“Siccome dice Cassiodoro, lo senno umano, sed egli non è aiutato e restaurato per le
cose trovate d’altrui, tosto puote mancare del suo proprio: imperò al savio s’appartiene
ched e’ non sia contento di suo senno, ma studi diligentemente di cercare l’altrui. La
qual cosa chiaramente ci ’nsegna la scrittura di sopra proposta, che dice: Sapientiam
antiquorum exquiret sapiens. Come se apertamente dicesse, che molto saviamente fa,
chi la sapienzia degli antichi sollicitamente cerca. Ma perché la beata sapienzia degli
antichi in uno piccolo libro non si potea tutta comprendere; almeno per parte, cioè
alquanti loro ammaestramenti avemo curato di raccogliere e mettere in questa
Operetta, secondo ’l modo della nostra possibilità. E procederemo in questo ordine.
Che noi porremo in prima gli ammaestramenti d’intorno alle cose che sono da natura,
siccome sono le naturali disposizioni. Appresso intorno alle cose che sono da nostra
operazione, siccome sono virtudi, e vizi. Al di dietro diremo intorno alle cose che sono
da ventura, siccome prosperità, avversità, e simili cose. Onde in questo libro sono
quattro trattati”.

Anche per questi tramiti la tradizione classica entrò in circolo nella cultura letteraria
del Trecento, giacché, fra le frasi scelte ad ammaestramento, accanto a estratti dal
Vecchio e Nuovo Testamento o dai Padri, compaiono citazioni da Giovenale e Ovidio,
Seneca e Quintiliano, Sallustio e Orazio, etc..
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21/S2
Titolo: La prosa letteraria del Trecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Trecento


Certo la grande prosa del Trecento si misura su altri nomi.
Sarà sul modello delle Heroides ovidiane che Giovanni Boccaccio scriverà l’Elegia di
madonna Fiammetta (1343-44), testo che sancisce l’ingresso nel volgare del genere
elegiaco (per quanto rivisitato e non pienamente compreso, poiché mischia i fatti
formali con il contenuto e l’argomento).
Sarà la conoscenza della filosofia antica (non solo latina, ma anche greca, sebbene per
il tramite di traduzioni latine) a spiegare la sperimentazione nel Convivio dantesco di
una prosa di tipo argomentativo e di contenuto dottrinario, scritta ex professo per un
pubblico volgare di cui si intendono soddisfare i bisogni:
“Sì come dice lo Filosofo nel principio de la Prima Filosofia, tutti li uomini naturalmente
desiderano di sapere. La ragione di che puote essere ed è che ciascuna cosa, da
providenza di propria natura impinta è inclinabile a la sua propria perfezione; onde,
acciò che la scienza è ultima perfezione de la nostra anima, ne la quale sta la nostra
ultima felicitade, tutti naturalmente al suo desiderio semo subietti” (I 1).

Sarà sul modello della grande storiografia latina (e di Livio soprattutto) che si inaugu-
rerà la storiografia volgare con intenti d’arte (dalla Nuova cronica di Giovanni Villani
alla Cronica d’Anonimo Romano).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21/S3
Titolo: La prosa letteraria del Trecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Trecento


Ma non tutto avviene per il tramite della letteratura né tanto meno per il solo tramite
della letteratura classica.
Il dialogo con il mondo cittadino e con la vita reale e quotidiana informa di sé la nascita
della novella che con Boccaccio giunge a costituire un genere letterario nuovo ed
autonomo.
Anche se Boccaccio avesse conosciuto (e ciò è molto probabile) l’affascinante precursore
duecentesco dell’anonimo Novellino (più propriamente Libro di novelle e di bel parlar
gientile), quest’ultimo non poteva costituire un modello sufficiente a tutti gli effetti.
Il Novellino è una raccolta di ‘novità’, di ‘avvenimenti’ (ricordiamo che questo è il
significato primario di novella) e di motti, messa insieme da un compilatore con racconti
di provenienza diversa, precursore affascinante della novella trecentesca più per la sua
antichità che per la significatività della sua prosa, e comunque compagine slegata e
talora disomogenea.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21/S3
Titolo: La prosa letteraria del Trecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Trecento


A questo eventuale modello Boccaccio associa la tradizione classica dell’exemplum (un
personaggio e una storia esemplari quali erano raccolti nei Factorum et dictorum
memorabilium libri di Valerio Massimo, per fare un solo esempio famoso) e soprattutto
la tradizione omiletica medievale europea dell’exemplum, tramite il quale l’esortazione al
comportamento cristiano e la dissuasione dal peccato e dall’immoralità, in cui consisteva
lo scopo primario della predica, prendeva concretezza tramite l’immissione di racconti
(brevi, ma di grande efficacia) di peccatori e redenti, di disgrazie e miracoli.
Un contributo, quello dell’exemplum omiletico, alla nascita del Decameron, che non è
solo puntuale (per il transitare di singole storie dalla bocca dei predicatori alle carte
dell’opera boccaccesca), ma riguarda anche la raccolta stessa di quelle storie, insomma
l’idea del loro assemblaggio in un organismo coeso, poiché i cicli di prediche, soprattutto
quelle quaresimali, in cui il raduno in chiesa o sulle grandi piazze cittadine avveniva, per
periodi non sempre brevi, giorno dopo giorno, erano esperienza diretta di ogni uomo
medievale.
Insomma a differenza del Duecento, in cui abbiamo assistito all’inizio di questo
fenomeno, la cultura laica trascina entro di sé insieme alla cultura classica anche la
cultura religiosa.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21/S3
Titolo: La prosa letteraria del Trecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Trecento


A segnare la fortuna del Trecento non furono però soltanto le indubbie eccellenze delle
tre Corone; è noto che a partire dal Cinquecento, impostato su un discorso arcaizzante di
esclusivo modello letterario proposto per la prosa in Boccaccio e per la poesia in Petrarca
da Pietro Bembo, si inaugurerà, nei circoli fiorentini delle varie accademie e poi
dell’Accademia della Crusca, il mito non tanto di una letteratura eccellente, ma di una
lingua che, rozza nel Duecento, aveva nel Trecento raggiunto il proprio acme di purezza
(sui piani fonetico, morfologico e lessicale) e di scorrevolezza sintattica; un acme definito
“aureo” (per analogia ai secoli d’oro dei miti della storiografia classica), al quale era
destinata a succedere una fase di decadenza e di imbarbarimento, di mescidamento e di
impurità: il fiorentino quattrocentesco che, in analogia e per contrasto è stato chiamato
(più di recente, da Arrigo Castellani) fiorentino argenteo.

Per valutare che cosa intendessero per “fiorentino aureo” uomini come Leonardo Salviati
(1540-1582, uno dei massimi fautori della creazione dell’Accademia della Crusca e del
primo vocabolario dell’Accademia), ho scelto non di analizzare un testo di un grande
autore, bensì (seguendo l’assunto che la lingua e lo stile di un secolo si misurano
piuttosto sulla media della sua letteratura che non sulle sue emergenze) quello di un
‘modesto’ predicatore domenicano: Iacopo Passavanti.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 22
Titolo: Iacopo Passavanti e lo Specchio di vera penitenza
Attività n°: 1

Iacopo Passavanti e lo Specchio


di vera penitenza
Lo Specchio di vera penitenza è accolto fra i testi spogliati fin dalla prima edizione del
Vocabolario degli Accademici della Crusca (Venezia 1612), nel quale è citato secondo
l’edizione fiorentina del Sermartelli del 1585; l’anno dopo veniva pubblicata a Venezia
appresso Pietro Marinelli, un’altra edizione di iniziativa anch’essa fiorentina come
dimostra il titolo (Lo specchio di vera penitenzia, […]. Seconda edizione. Revista in Fi-
renze, e migliorata con un testo di Giovambattista Deti, e con uno di Bernardo Davanza-
ti. […]) e soprattutto la lettera prefatoria del già citato Leonardo Salviati, indirizzata al
cavaliere fiorentino Baccio Valori, il Salviati scrive:
“Questo libro del Passavanti, come sempre l’ho riputato per una delle più belle prose,
che fosse scritta ne’ tempi del Boccaccio, quando il nostro idioma era ancora
tutto puro: così poi che di esso mi venne in mano una copia, la qual fu già del
reverendo Don Vincenzio Borghini nostro comune amico, d’onoranda memoria, è
tanto cresciuto di concetto nella mia stima, che ho in tutto fermo di renderla comune
a tutti, e per gloria del volgar nostro, e per aiuto di chi procaccia di guadagnarne
lode”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 22
Titolo: Iacopo Passavanti e lo Specchio di vera penitenza
Attività n°: 1

Iacopo Passavanti e lo Specchio di vera penitenza

Della fortuna ‘linguistica’


di questo autore sono
prova tutte le cinque
edizioni del Vocabolario
che sono interrogabili in
linea all’indirizzo Accade-
mia della Crusca. Lessico-
grafia della Crusca in rete http://www.lessicografia.it/ricerca.jsp
Nella pagina iniziale si clicchi su RICERCA e poi su RICERCA ESPERTA; nella schermata
successiva si spunti DELLE FONTI nel TIPO DI RICERCA cliccando poi su APRI LA
SEZIONE DEI RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 22
Titolo: Iacopo Passavanti e lo Specchio di vera penitenza
Attività n°: 1

Iacopo Passavanti e lo Specchio di vera penitenza


Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 22
Titolo: Iacopo Passavanti e lo Specchio di vera penitenza
Attività n°: 1

Iacopo Passavanti e lo Specchio di vera penitenza


Nella nuova schermata si scriva Passavanti entro la casella della RICERCA RAPIDA e si
avvii CERCA:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 22
Titolo: Iacopo Passavanti e lo Specchio di vera penitenza
Attività n°: 1

Iacopo Passavanti e lo Specchio di vera penitenza


nell’elenco che ci viene mostrato si attivino i pulsanti relativi “Frate Iacopo Passavanti
Specchio di penitenza.” che compare nelle prime quattro edizioni e si prema RICERCA
ABBREVIAZIONI SELEZIONATE:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 22
Titolo: Iacopo Passavanti e lo Specchio di vera penitenza
Attività n°: 1

Iacopo Passavanti e lo Specchio di vera penitenza


ne avremo l’impressionante risultato che il nostro Passavanti (abbreviato in vario
modo, ma di preferenza come Pass. o come Passav.) è citato per 4678 voci, da A a
ZOPPO.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 22/S1
Titolo: Iacopo Passavanti e lo Specchio di vera penitenza
Attività n°: 1

Iacopo Passavanti e lo Specchio


di vera penitenza
Iacopo Passavanti (1300/1302-1357) fu fin dalla giovinezza frate domenicano e
all’interno dell’Ordine conquistò una solida preparazione teologica (anche mediante un
soggiorno parigino intorno al 1330). Questa preparazione gli consentì di insegnare a
Pisa, a Siena e a Roma, finché non tornò nella sua città, Firenze, dove fu priore di S.
Maria Novella (assistendo anche, in questa veste, all’ampliamento del convento il che
consente di attribuirgli almeno qualche nozione in materia architettonica).
Ma la sua appartenenza all’Ordine Domenicano lo caratterizza appunto come predicatore
e dalla pratica predicatoria esce proprio lo Specchio, il cui prologo ci dà informazioni
dirette sulla data e sulla genesi dell’opera. Avendo recitato negli anni precedenti e in
particolare nella quaresima del 1354 cicli quaresimali di prediche, il Passavanti mise a
frutto la propria esperienza precedente organizzando una piccola summa dedicata al
sentimento della contrizione e al sacramento della confessione (penitenza), per
illustrarne in prospettiva teologica i vantaggi spirituali, ma affrontando anche, con una
certa finezza psicologica, le remore comportamentali di quanti non si avvicinavano
spesso a questo sacramento.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 22/S1
Titolo: Iacopo Passavanti e lo Specchio di vera penitenza
Attività n°: 1

Iacopo Passavanti e lo Specchio di vera penitenza


Si veda quanto dice il Passavanti alle linee 103-110 del file pdf che avete in allegato
(utilizzo l’edizione a cura di F.-L. Polidori, Firenze Le Monnier, 1856, pp. 1-7, che citeremo
richiamando le righe segnate, di cinque in cinque, sul margine):
“io Frate Iacopo Passavanti da Fiorenza, de’ frati Predicatori minimo, pensai di comporre e
ordinare certo e speziale Trattato della Penitenzia; e a ciò mi mosse il zelo della salute dell’anime,
alla quale la professione dell’Ordine mio ispezialmente ordina i suoi frati. Provocòmmi l’affettuoso
priego di molte persone spirituali e divote, che mi pregorono che queste cose della vera
penitenzia, che io per molti anni, e spezialmente nella passata quaresima dell’anno presente, cioè
nel mille trecento cinquanta quattro, avea volgarmente predicato al popolo, a utilità e
consolazione loro e di coloro che le vorranno leggere, le riducessi a certo ordine per iscrittura
volgare, sì come nella nostra fiorentina lingua volgarmente l’avea predicate”.
A parte il prologo, il testo è suddiviso in cinque distinzioni (ciascuna ripartita in capitoli)
dedicate alla definizione del sacramento (Distinzione I), ai motivi per non rinviarne
l’esercizio (Distinzione II), ai sentimenti che se ne traggono (vergogna, paura, vana
speranza, disperazione; Distinzione III), all’atteggiamento richiesto per una buona
confessione (contrizione, Distinzione IV), e infine al rito della confessione (Distinzione V).
Quest’ultima parte, la più ampia, intende aiutare il confessore quanto il penitente a non
omettere nessun peccato, e ragiona di tipologie di peccato (originale e attuale,
quest’ultimo distinto in veniale e mortale) e descrive i peccati mortali.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 22/S1
Titolo: Iacopo Passavanti e lo Specchio di vera penitenza
Attività n°: 1

Iacopo Passavanti e lo Specchio di vera penitenza


In realtà quest’ultima parte (che corrisponde ad un terzo dell’opera conservata) si limita a
descrivere nel dettaglio la superbia (e il suo contrario, l’umiltà) e la vanagloria. Il testo
finisce così senza che l’intero programma venga portato a termine, molto probabilmente
perché lo Specchio, iniziato nel 1354, fu interrotto dalla morte del frate.
Nonostante che l’argomento possa apparire almeno in parte simile o affine al tema del
Libro di Bono, lo Specchio differisce profondamente dalla visione tutta laica e letteraria
del Giamboni, aderendo invece alla prassi casuistica propria dell’ambiente domenicano
(nella quale le situazioni concrete di comportamento morale o immorale venivano
analizzate per capirne la portata peccaminosa a seconda del contesto). Questo
atteggiamento, che potremmo dire dottrinario, in realtà è continuamente interrotto da
raccontini esemplari (gli exempla di cui abbiamo parlato sopra) che rendono godibile
ancora oggi l’operetta e che certo dovevano renderla facilmente fruibile ad un ampio
pubblico di contemporanei anche non particolarmente dotti.
Accanto a questo tipo di pubblico, quello stesso cioè che assisteva alle prediche e che
avrebbe ora potuto leggere con agio e distesamente quello che il frate predicatore aveva
ammonito in chiesa o sulla piazza, Iacopo Passavanti si proponeva però anche un altro
tipo di pubblico; quello dei confessori.
 
INCOMINCIA IL PROLAGO DEL LIBRO APPELLATO
LO SPECCHIO DELLA VERA PENITENZIA.

1 Secondo che dice el venerabile dottore messere santo Ierolimo, Poenitentia est secunda
tabula post naufragium: la penitenzia è la seconda tavola dopo il pericolo della nave rotta.
Parla il santo dottore della penitenzia, per somiglianza di coloro che rompono in mare, de’
quali spesse volte inte€rviene che, rotta la nave per grande fortuna e per tempestade che sia
5 commossa in mare, coloro che sono più accorti prendono alcuna delle tavole della rotta
nave, alla quale attegnendosi fortemente, soprastando all’acqua, non affondano; ma
giungono a riva o a porto, iscampati del periglio del tempestoso mare. Così avviene degli
uomini che vivono in questo mondo, il quale è appellato mare per lo continovo movimento
e inistabile istato, e per le tempestose avversitadi e gravi pericoli che ci sono, ne’ quali la
10 maggiore parte della gente perisce. Imperò che non ci si può notare, tra per la gravezza
della carne umana e per lo peso del peccato originale o attuale, ch’è in sulle spalle de’
figliuoli d’Adamo, e per la forza delle fortunose onde delle tentazioni, e delle temporali e
corporali tribolazioni. Solo Iesu Cristo salvatore, Iddio e uomo, sanza peso di peccato,
leggiermente notando, passò il mare di questo mondo. E ciò significò egli, quando, essendo
15 i discepoli suoi nella nave nel mare di Galilea, e avendo grande fortuna per la forza del
contrario vento, egli venne a loro andando leggiermente sovra l’onde del turbato mare. La
quale cosa non poté fare san Piero, anzi andava al fondo, se la virtuosa mano di Iesu Cristo
non lo avesse soccorso. Dove si dà ad intendere, che in questo periglioso mare ogni gente
anniega se l’aiuto della divina grazia non lo soccorre; la quale ha provveduto, per iscampo
20 della gente umana, d’una navicella lieve e salda, la quale Iesu Cristo fabbricò colle sue
mani del legno della santissima croce sua, cogli aguti chiovi della sua passione, colorandola
e adornandola col suo prezioso sangue. Questa navicella è la innocenzia battismale, nella
quale entrano tutti coloro che sono battezzati del battesimo di Iesu Cristo. E se si conduce e
si guida bene, porta sani e salvi al porto di vita eterna coloro che dentro vi perseverano,
25 siccome veri e diritti cristiani. In questa navicella intera e salda passò il mare di questo
mondo la benedetta Vergine Maria. Passòvvi san Giovanni Batista, e più altri Santi, i quali
furono santificati nel ventre della madre e furono preservati e guardati da speziale grazia
divina, che non cadessono nella vita loro in acconsentimento di mortale peccato. Passònvi
tutti coloro i quali si chiamano innocenti; cioè a dire, che innanzi che venissono a tale etade
30 che, discernendo il bene dal male, consentissono al male del peccato, al quale la nostra
natura corrotta è inchinevole più ch’al bene, furono tratti per morte naturale o isforzata
dalla presente vita corporale, avendo ricevuta la grazia del battesimo: i quali, non per loro
merito, però che né sapere né volere né potere hanno ancora del guardare o del conducere la
leggiere e bella navicella, ma per lo merito di quello padrone che la fabbricò, e per sua
35 presenzia e grazia la conduce e guida, sanza alcuno impedimento e’ pervengono al porto
sicuro e eterno, cioè quello della città superna. Questo fu bene significato nel santo
Vangelo, quando Iesu Cristo venendo a’ discepoli suoi ch’erano nella navicella nel mezzo
del mare, e aveano grande tempesta per lo vento contrario, contro al quale non si poteano
aiutare, egli, entrando nella navicella, comandò a’ venti e al mare che oltraggiavano e
40 soperchiavano la piccioletta navicella; e cessò la tempesta, e con bonaccia e tranquillitade
salvi giunsono a porto, non per loro operare, ma per la virtù e sapienza di Iesù Salvatore. Il
governo e la cura del movimento, e ’l conducimento della detta navicella, il celestiale
padrone Iddio in alcuno modo, tanto quanto si stende la potenzia e la facultade del libero
albitrio, commette e lascia all’uomo, e fallo nocchiere quando è venuto agli anni di tale
45 discrezione che possa e sappia e possa volere, col remo in mano, istudiosamente operando,
durare fatica nella guardia e nella condotta di sì nobile vasello in che Iddio l’ha allogato e
messo. Ma l’uomo, o per nigligenzia, o per ignoranza, o per vaghezza di vana dilettanza, o
per sensuale e viziosa concupiscenzia, o per presunziosa speranza, o per imprudenzia, o per
tracotanzia, ovvero per poca providenza, il lascia nell’alto mare tanto trascorrere,
50 abbandonando gli argomenti del savio e accorto reggimento, che per impeto di contrari
venti, o per percossa degli intraversati sassi, o per rintoppo delle rovinose onde, o per
rivolgimento delle ritrose acque, o per abbattimento de’ rigogliosi marosi, o per soperchio
del gonfiato mare, o per oltraggio dei rinfranti sprazzi, o per voraggine di pelago profondo,
o per iscurità di tenebrosa notte, o per ispaventamento delle fiere bestie, o per lo dolce canto
55 delle sirene vaghe, o per assalimento di crudeli piratti, o per inganno degli amici falsi, sanza
riparo sì si rompe e fiacca. Le quali cose dànno ad intendere le ragioni de’ vizi e de’
peccati, che fanno rompere e perdere la pura saldezza della innocenzia; che quanto più sono
gravi, tanto più la fiaccano e spezzano; e rimane l’uomo d’ogni bene e grazia privato: né
non ha rimedio cotale rompimento, per lo quale si possa risaldare la rotta navicella della
60 santa innocenzia; anzi rimane l’uomo così nabissato, abbandonato e ’gnudo nel mezzo del
tempestoso mare, sanza speranza di gnuno buono soccorso. Solamente d’uno refuggio ha
provveduto il misericordioso Iddio, il quale non vuole che l’uomo perisca e muoia, avvegna
che a sua colpa la navicella salda e lieve della quale Iddio gli avea provveduto acciò che per
quella iscampasse, sia fracassata e rotta. E questa è la penitenzia, alla quale conviene che
65 accortamente s’appigli o perseverantemente tegna qualunche vuole dopo la rotta innocenzia
iscampare. E questo vuole dire il dottore santo beato Ieronimo, per somiglianza parlando,
quando disse ch’ella era la seconda tavola dopo il pericolo della nave rotta, cioè il rimedio e
il sicuro rifuggio, poi che perduta e rotta era la prima innocenzia. Dove nota, che come a
coloro che rompono in mare, conviene che sieno molto accorti a dare di piglio e a
70 fortemente tenere alcuna tavola o legno della nave rotta, innanzi che l’onde del mare lo
traportino, non istante la paura, lo sbigottimento, il dibattimento, l’ansietade, l’affanno, lo
spaventamento e ’l conturbamento del capo, e gli altri gravi accidenti che hanno a sostenere
coloro a’ quali tale fortuna iscontra; così l’uomo che, mortalmente peccando, perde la
innocenzia, immantanente, sanza indugio, dee avere ricorso alla penitenzia, non istante
75 qualunque impedimento o ritraimento che ’nduca il commesso peccato. E come dee tosto,
sanza indugio, il rimedio della penitenzia prendere, così la dee con perseveranza tenere. E
di ciò parla la santa Iscrittura, che dice: Lignum vitae est his qui apprehenderint eam; et qui
tenuerit eam, beatus: Ella, cioè la penitenzia, è legno di vita a chi la prende; e chi la terrà,
sarà beato. Tale virtù ha questa tavola della penitenzia da quello medesimo da cui la
80 navicella della innocenzia, cioè da Iesu Cristo e dalla sua passione. Onde forse fu
significata per quella tavola la qual fu soprapposta al legno della croce, dove era iscritto –
Iesù Nazzareno Re de’ Iudei - in tre lingue, ebraica, greca e latina; a dare ad intendere che
nella tavola soprapposta alla croce, cioè nella penitenzia, che sopravviene alla innocenzia
ed è congiunta con la croce, cioè con la virtù e colla efficacia della passione di Cristo, si
85 contiene salute e salvamento, che dimostra e adopera Iesù Nazzareno. E questo non pure in
una gente né in una lingua, ma in tutte le genti e in tutte le lingue, secondo che Iesu Cristo
dopo la sua passione e la sua resurressione disse agli Apostoli: Euntes, docete omnes
gentes, baptizantes eos in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti: Andate, e ammaestrate
tutte le genti, e battezzategli nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo. E
90 santo Luca iscrive nel suo Vangelo, che Iesu Cristo apparendo a’ suoi discepoli dopo la
resuressione, disse loro, fra l’altre cose, ch’egli era bisogno di predicare nel nome suo la
penitenzia e la remissione de’ peccati in tutte le genti. Questa seconda tavola della
penitenzia, dove è lo scampo e la salute della maggiore parte della umana gente,
accortamente prese Maria Maddalena dopo la rotta innocenza. Presela san Piero, presela san
95 Pagolo, e generalmente tutti coloro che si salvano, giustificati del peccato per la grazia del
Redentore. Del quale novero ci dobbiamo ingegnare d’essere noi peccatori, acciò che non
periamo, non essendo nella intera e salda navicella della innocenzia, ma caduti nel mezzo
del profondo pelago del dubitoso e angoscioso mare del mondo, e nabissati nel peccato
mortale. E acciò che interamente, e con desiderio fervente della propia salute, ogni
100 negligenzia e ignoranzia da noi rimossa e tolta, stendiamo le mani a pigliare questa
necessaria e vittoriosa tavola della penitenzia, e perseverantemente la tegnamo, fino ch’ella
ci conduca alla riva del celestiale regno, al quale siamo chiamati; io Frate Iacopo Passavanti
da Fiorenza, de’ frati Predicatori minimo, pensai di comporre e ordinare certo e speziale
Trattato della Penitenzia; e a ciò mi mosse il zelo della salute dell’anime, alla quale la
105 professione dell’Ordine mio ispezialmente ordina i suoi frati. Provocòmmi l’affettuoso
priego di molte persone spirituali e divote, che mi pregorono che queste cose della vera
penitenzia, che io per molti anni, e spezialmente nella passata quaresima dell’anno presente,
cioè nel mille trecento cinquanta quattro, avea volgarmente predicato al popolo, a utilità e
consolazione loro e di coloro che le vorranno leggere, le riducessi a certo ordine per
110 iscrittura volgare, sì come nella nostra fiorentina lingua volgarmente l’avea predicate.
Onde, non volendo né dobbiendo negare quello che la carità fruttuosamente e debitamente
domanda, porgo la mano, e scriverrò per volgare, come fu principalmente chiesto per coloro
che non sono litterati, e per lettera e in latino per gli cherici, ai quali potrà essere utile, e per
loro, e per coloro i quali egli hanno a ammaestrare o predicando o consigliando o le
115 confessioni udendo: confidandomi sempre ne’ meriti del padre de’ Predicatori messere
santo Domenico, predicatore sovrano della penitenzia; e ancora ricorrendo divotamente al
dottore sommo messere santo Ieronimo, la cui vita e la cui dottrina sono essemplo e
specchio di vera penitenzia. Pregando nondimeno umilmente coloro che in questo libro
leggeranno, che facciano speziale orazione a Dio per me; che com’io ho assai tempo
120 predicato al popolo della penitenzia e ora ne scrivo non sanza gran fatica, così mi conceda
grazia ch’io viva e perseveri insino alla fine in verace penitenzia, acciò che nell’ora della
morte la divina misericordia mi riceva a salvamento: amen. E imperò che in questo libro si
dimostra quello che si richiede di fare e quello di che altri si dee guardare acciò che si
faccia vera penitenzia, convenevolemente e ragionevolemente s’appella Specchio della vera
125 Penitenzia.

FINITO IL PROLAGO DI QUESTO LIBRO.


 

 
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 22/S2
Titolo: Iacopo Passavanti e lo Specchio di vera penitenza
Attività n°: 1

Iacopo Passavanti e lo Specchio


di vera penitenza
È l’autore stesso che dichiara, alle linee 111-115, che oltre che ad un pubblico laico,
illetterato, egli intende rivolgersi anche ai propri confratelli, ai frati, ai confessori, ai
“cherici” dice il Passavanti, che potranno trarne vantaggio o personale (“per loro”, ‘per sé’)
o per svolgere correttamente la propria missione, in vantaggio dunque di
“coloro i quali egli hanno a ammaestrare o predicando o consigliando o le confessioni
udendo”.
In effetti lo Specchio di vera penitenza è tramandato nei manoscritti oltre che in volgare
anche in latino, anche se lo Specchio non è un volgarizzamento, appartenendo piuttosto a
una particolare categoria testuale, poco studiata fino a qualche anno fa, e che ormai
viene definita in italiano autotraduzione (in inglese selftranslation), secondo la quale
l’autore stesso propone due redazioni in lingue diverse della propria opera.
L’autotraduzione ha un significato preciso per quanto riguarda la percezione diglottica da
parte dei contemporanei.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 22/S2
Titolo: Iacopo Passavanti e lo Specchio di vera penitenza
Attività n°: 1

Iacopo Passavanti e lo Specchio di vera penitenza


La destinazione ad un doppio pubblico è desumibile del resto anche dal testo stesso. Pur
avendo un andamento didattico, lo Specchio ha un tono medio; né espunge argomenti di
tipo teologico dalla propria trattazione, né espunge i divertenti o tragici raccontini
esemplari che devono servire a tener desta l’attenzione di chi non è aduso a lunghe
disquisizioni filosofiche. Tanto che le storie letterarie hanno qualche incertezza nel
catalogare lo Specchio né trattato filosofico né semplice trascrizione di prediche
oralmente recitate.
È però lo stesso Passavanti ad indicare il genere di riferimento entro il quale inscrive la
propria opera: il titolo di Specchio si rifà alla ampia tradizione medievale e umanistica
degli specula (appunto ‘specchi’), che redatti per lo più in latino, erano trattati di
comportamento, morale o civile, in cui si illustrava il modello di costumi considerato come
preferibile. Gli specula più fortunati furono quelli destinati a signori e principi (gli specula
principum) nei quali si indicavano i comportamenti dei principi nei confronti dei sudditi, di
altri signori, della religione, delle arti e della guerra. Il trattato tratteggiava un modello
ideale di principe alla luce del quale il signore (se giovane) poteva educarsi e nel quale il
signore (maturo e ormai esperto) poteva specchiarsi per verificare la corrispondenza del
suo comportamento reale, concreto e quotidiano. Non esistono altre opere italiane che
traducano in volgare questo genere da adottarne il titolo tanto esplicitamente e
consapevolmente come fa il Passavanti alle righe 122-125 del Prolago.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 22/S3
Titolo: Iacopo Passavanti e lo Specchio di vera penitenza
Attività n°: 1

TEST: esercizio sulle banche dati


Allo scopo di valutare la differente natura e consistenza del Corpus testuale
dell’OVI (http://gattoweb.ovi.cnr.it/) e della Lessicografia della Crusca in rete
(http://www.lessicografia.it/)1 lo studente verifichi i entrambi i corpora la
presenza della parola
-- buffone
sintetizzando e commentando liberamente i dati ricavati.
1AVVERTENZA: per la ricerca sulla Lessicografia della Crusca in rete si utilizzi il tasto
RICERCA e, a seguire, RICERCA LIBERA.

I risultati della ricerca (dati quantitativi ed commenti) dovranno essere


inviati tramite eportfolio, avvertendo al contempo il docente sul sistema di
messaggistica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 23
Titolo: Iacopo Passavanti: analisi linguistica
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza .


Fonetica
Il Trecento a Firenze segna un punto di svolta importante dal punto di vista linguistico in
conseguenza di fattori che di linguistico hanno ben poco. Nel 1348 la città fu investita
dalla grande epidemia di Peste Nera che colpì l’intera Europa tra il 1347 e il 1353
uccidendo oltre un terzo della popolazione del continente, come è ben noto dalla cornice
del Decameron; morirono in quell’occasione per esempio Giovanni Villani e, ad Avignone,
la Laura del Petrarca. La grande morìa, il calo demografico che ne derivò, e il lento
ripopolamento di Firenze dalle campagne e dalle città dei dintorni negli anni successivi
influì anche sui connotati linguistici del fiorentino di città, che lentamente assunse tratti
fonetici e morfologici ‘provinciali’ che si manifesteranno nel loro pieno vigore solo
nell’ultimo quarto del Trecento e poi nel secolo successivo.
Il nostro testo (che abbiamo visto databile fra il 1354 e il 1357) è ancora indenne da
questi grandi mutamenti (come del resto lo sono la lingua di Boccaccio e di Petrarca). Per
questo può essere assunto come esempio dei cambiamenti endogeni cui il fiorentino
soggiace nel trapasso dal Duecento al Trecento.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 23
Titolo: Iacopo Passavanti: analisi linguistica
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza . Fonetica


Niente di particolare c’è da segnalare sul versante del dittongamento, regolare tanto
nella serie velare (uomo, uomini 8, 13, 44 etc.; Figliuolo, figliuoli 12, 89; suoi 15, 37, 90,
105; buono 61; vuole 62, 65, 66; muoia 62) quanto in quella palatale (interviene 4 e la
serie dei composti di venire: avviene 7, conviene 64, 69, sopravviene 83; Piero 17, 94;
anniega 19; lieve 20,63, fiere 54, contiene 85, priego 106). Si noteranno la
conservazione del dittongo dopo palatale (Figliuolo, -oli, nonostante che il fenomeno del
monottongamento in queste condizioni fosse iniziato molto precocemente) e, più
normale, il dittongo ancora intatto dopo consonante + r (priego).
La regola del dittongo mobile è perfettamente rispettata: da un lato anniega (19, <
AD-NĔCAT), dall’altra, a causa della posizione dell’accento sulla desinenza: notando 10 e
notare 14; nella serie già citata di composti con la terza persona di venire: -viene ma
pervengono 35 (questo nel paradigma diventato anche in sillaba chiusa); e il già
ricordato priego, ma pregorono 107.
Di natura un po’ particolare sono i dittonghi di leggiermente 14, 16 (in cui /jɛ/, si noti, è
fuori d’accento) e leggiere 34, e di nocchiere 44, nei quali il dittongo giunge dal francese
con l’intero suffisso -iere (< -ERIUM, -ARIUM).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 23
Titolo: Iacopo Passavanti: analisi linguistica
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza . Fonetica


Sul versante del vocalismo atono non è dato di verificare, per assenza di esempi nel nostro
brano, il passaggio -AR- > -er-, bensì solo la conservazione -ER- > -er-, esemplificabile
nei futuri scriverrò < SCRIBERE + *AO e leggeranno < LEGERE + *ANT (per il classico
HABENT).
Si veda poi il passaggio di -en - protonico e postonico> -an- (come già in Bono: in-
contanente a I 10 < INCONTĬNĔNTEM, dalla locuzione avverbiale IN CONTINENTI
[TEMPORE] ‘immediatamente’) in immantanente 74 (dalla locuzione IN MANU TENENTE ‘a
portata di mano’ e dunque ‘subito’, forse tramite il francese (maintenant) e in sanza (<
(AB)SENTIAM) 13, 35, 55, 61, 74, 76, 120.
Infine si segnalano:
-- la dissimilazione vocalica progressiva in prolago tit. 1 e 126 (< PROLOGUM)
-- la frequente prostesi di i - (15 casi) nelle parole che cominciano per s + cons.:
iscampati 7, istato 9, iscampo 19, isforzata 31, studiosamente 45, iscurità 54,
ispaventamento 54, iscampasse 64, iscampare 66, iscontra 73, Iscrittura e iscrittura 77 e
110, iscritto 81, iscrive 90, ispezialmente 105 contro alla sua assenza (22 casi) in
specchio tit. 2 e 118 e 124, spesse 4, spalle 11, speziale 27 e 103 e 119 e spezialmente
107, stende 43 e stendiamo 100, speranza 48 e 61, sprazzi 53, spezzano 58, sbigottimento
71, spaventamento 72, Spirito 89 e spirituali 106, scampo 93, scriverrò 112 e scrivo 120.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 23/S1
Titolo: Iacopo Passavanti: analisi linguistica
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza .


Fonetica
Nel settore del consonantismo, va segnalato l’uso delle soluzioni semivolgari -anzia, -
enzia (occasionalmente alternanti con l’esito interamente volgare -anza, -enza) delle
desinenze latine -ANTIAM e -ENTIAM; è un fenomeno la cui origine risiede nella
pronuncia ecclesiastica del latino e la cui frequenza caratterizza la prosa del
Passavanti in senso mediamente latineggiante (tenuto conto per di più che la natura
stessa dello Specchio richiede l’ampio uso dei nomi astratti appartenenti a questa
categoria).
Il dato è tanto più evidente se gli si associa la presenza contemporanea di latinismi
nell’esito di -TI-, -CI- in posizione intervocalica: grazia, tentazioni, tribolazioni,
discrezione, consolazione, orazione e gli aggettivi speziale (da cui spezialmente),
prezioso, viziosa e presunziosa.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 23/S1
Titolo: Iacopo Passavanti: analisi linguistica
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza . Fonetica


Nella serie delle parole appena citate si distinguono nomi della I classe latina (grazia),
nomi femminili imparisillabi della terza classe in -O, -ONEM (tentazioni, tribolazioni,
discrezione, consolazione, orazione) e aggettivi già latini ottenuti mediante suffisso -ALIS,
-ALEM (speziale, lat. specialis), o mediante il suffisso -OSUM (prezioso, viziosa e
presunziosa). In realtà, quest’ultima serie è disomogenea non solo per antichità della
formazione (pretiosus e vitiosus sono già del latino classico), ma anche per le modalità
della formazione: prezioso e viziosa infatti derivano da nomi della I classe,
rispettivamente da PRETIUM e VITIUM, mentre presunziosa è connesso con il sostantivo
PRAESUMPTIO, della III classe, che in latino classico non aveva prodotto un aggettivo in
-OSUM; l’avverbio PRAESUNTIOSE e l’aggettivo PRAESUNTIOSUS sono attestati solo a
partire da autori cristiani come Sidonio Apollinare (V sec.) o Cassiodoro (V-VI sec.) e
quindi non fanno parte del grande fiume del lessico latino entrato nelle lingue volgari per
via diretta, ma si caratterizzano come cultismi di secondo grado perché specializzati in
ambito dottrinario.
A conferma si veda nella banca-dati dell’Istituto dell’Opera del Vocabolario come la forma
presunzioso, -a compaia solo due volte nel corpus: una è quella del nostro Passavanti
(per presunziosa speranza o per imprudenzia 48), l’altra compare nella Cronica di Matteo
Villani in contesto analogo (mossi da presunziosa vanagloria).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 23/S1
Titolo: Iacopo Passavanti: analisi linguistica
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza . Fonetica


Ma torniamo alla serie dei nomi in -anzia, -enzia per verificarne la produttività e
l’eventuale specializzazione.
Per -enzia si vedano: penitenzia tit. 2, 2, 3, 64, 74, 76, 78, 79, 83, 92, 93, 101, 104, 107,
116, 118, 120, 121, 124, 125 (20 occorrenze complessive); innocenzia 22, 57, 60,
65, 68, 74, 80, 83, 97 (9); presenzia 35; potenzia 43; nigligenzia e negligenzia 47,
100; concupiscenzia 48; imprudenzia 48 (35);
-- per -anzia: tracotanzia 49, ignoranzia 100 (2).
Per -enza: innocenza 94; sapienza 41; providenza 59; Fiorenza 108;
-- per -anza: ignoranza 57, somiglianza 3, 66, dilettanza 57, speranza 58, 61,
perseveranza 76.
A fronte delle 37 occorrenze complessive di -enzia (35), -anzia (2), sono solo 10 quelle
dell’esito -anza (5), -enza (4). Inoltre va segnalata la maggiore produttività dell’esito
colto nella serie -enzia rispetto a -anzia e se ne potrà cogliere la ragione nel fatto che, a
differenza di -anzia, la terminazione -enzia non subiva, accanto alla concorrenza dell’esito
volgare indigeno, anche quella dell’esito galloromanzo che aveva travasato fin dal
Duecento una ricca serie di esiti -anza < francese -ance (è il caso nella nostra serie di
somiglianza e dilettanza).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 23/S2
Titolo: Iacopo Passavanti: analisi linguistica
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza .


Fonetica
Le due forme, entrambe dotte, refuggio 61, 68 e voraggine 53, sebbene presentino il
raddoppiamento ingiustificato della medesima consonante /ʤ/, esito legittimo di -GI,J-
(REFŬGIUM e VORAGĬNEM), si spiegano in via, almeno in parte, diversa.
Su refuggio (che non presenta la chiusura in protonia, dato re- e che da questo punto
di vista deve essere considerato un latinismo) ha agito l’accostamento etimologico con
FUGĔRE, il quale, prima di subire il metaplasmo dalla III alla IV coniugazione (fuggire)
ha subito il raddoppiamento della consonante seguente alla vocale tonica secondo un
fenomeno abbastanza diffuso nei proparossitoni (si pensi a FEMĬNA > femmina)
attestato anche in voraggine perché anch’essa parola proparossitona (con accento sulla
terz’ultima sillaba). Si tenga comunque conto che voraggine è attestato nel corpus
della banca dati dell’OVI solo con questo esempio del Passavanti. In entrambi i casi
l’immanenza del latino non ha consentito ampia diffusione nemmeno a refuggio /
rifuggio attestato solo undici volte nel solito corpus.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 23/S2
Titolo: Iacopo Passavanti: analisi linguistica
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza . Fonetica


Sono casi di epentesi (anaptissi) di v
continovo 8 (< CONTINŬŬM) contro ai cultismi attuale 11, sensuale 48, spirituali 106;
dalla banca dati dell’OVI, la forma continovo e declinati ha solo cinque
attestazioni, contro 146 di continuo e derivati, in tutto il Duecento; nel Trecento
la forma continovo e derivati ha 356 attestazioni
chiovi ‘chiodi’ 21 (< CLAVUM cioè /klauum/); L’italiano corrente chiodo comincia a
comparire nel Trecento (42 occorrenze, contro 156 occorrenze di chiovo, che è
anche duecentesco) e si spiega con l’interferenza paraetimologica con chiudere.
.
È un caso di di epentesi (anaptissi) di g
Pagolo 95 (< PAULUM); caratteristicamente fiorentina e trecentesca (delle 64
occorrenze ricavabili dalla solita banca dati dell’OVI solo una è aquilana, tredici
genericamente toscane o toscaneggianti).
In tutti i casi l’epentesi è spiegabile con il fenomeno cosiddetto dell’estirpazione di
iato.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 23/S3
Titolo: Iacopo Passavanti: analisi linguistica
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui contenuti studiati nelle


lezioni precedenti, dedicate alll’analisi fonetica del brano di Iacopo, lo
studente è invitato a compilare il test associato a questa
sessione di studio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 24
Titolo: Iacopo Passavanti: analisi linguistica
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza .


Morfologia
Articolo. A segnalare i cambiamenti della lingua non sono sufficienti forme isolate. Per
questo non ci siamo soffermati nel consonantismo su uno dei tratti che saranno
caratteristici del fiorentino quattrocentesco: il passaggio di -que a /-ke/ che è attestato
nel nostro brano una volta in qualunche 65 (qualunque invece a 75).
Allo stesso modo non è il caso di dare troppo valore all’unica attestazione dell’articolo
debole el a 1 (la forma debole senza vocale d’appoggio compare due volte, sempre
dopo la congiunzione e: e ’l conducimento 42 e e ’l conturbamento 72) contro 21
attestazioni di il. Vige la norma Gröber (per lo continovo 8, per lo peso 11, non lo
soccorre 19, per lo merito 34, per lo vento 38, per lo dolce canto 54, per lo quale 59),
ma si intravede la specializzazione di lo davanti a s + cons. (lo sbigottimento 71, lo
spaventamento 71-72, lo scampo 93). Compare infine davanti a affricata dentale sonora
il (il zelo 104).
L’articolo maschile plurale è i (i discepoli 15, i quali 26 e 29 e 32 e 114, i suoi frati 105);
scomparso li, la forma palatalizzata gli è usata davanti a vocale, condizione nella quale si
era prodotta (gli argomenti 50, gli altri gravi 72), e dopo consonante (per gli cherici).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 24
Titolo: Iacopo Passavanti: analisi linguistica
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza . Morfologia


Pronomi. Il pronome personale proclitico si adegua alle forme dell’articolo (il lascia ‘lo
lascia’ a 49). Gli è la forma del dativo singolare (gli avea provveduto 63 ‘aveva
provveduto per lui’ con il cosiddetto dativo di vantaggio), ma anche oggetto maschile
plurale (battezzategli 89) che dimostra la stretta correlazione che esiste fra articolo e
pronome. Per le forme toniche soggettive si nota egli per la III singolare maschile (14,
16, 39) e in funzione di impersonale (91); ella per la corrispondente femminile (78) e sia
e’ sia egli per la III plurale (e’ pervengono 35; egli hanno 114).
Sostantivi. nocchiere (< NAUCLĒRUM), caratterizzato dal suffisso gallicizzante -iere,
viene annesso alla III classe (singolare -e, plurale -i), ma in testi contemporanei non
sono ignote altre soluzioni. Il corpus OVI mostra che la forma analogica (che privilegia la
II classe perché morfologicamente chiara dal punto di vista del genere) è attestata una
volta già nel Duecento (contro sei di nocchiere), nel Trecento la forma in -o compare
ventisette volte contro centotre di nocchiere (cioè dal punto di vista percentuale
nocchiero è un sesto rispetto alle attestazioni di nocchiere nel Duecento, nel Trecento la
prima è poco meno di un quarto (3,8) rispetto alla seconda; dalla banca dati della
Biblioteca Italiana ricaviamo che nel Quattrocento nocchiero è attestato 9 volte contro 19
di nocchiere: per quanto quest’ultima ricerca non sia totalmente affidabile, data la non
esaustività del corpus, si noterà che il rapporto è passato a poco meno della metà).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 24
Titolo: Iacopo Passavanti: analisi linguistica
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza . Morfologia

Morfologia verbale. In generale si nota una marcata tendenza al livellamento e


all’estensione analogica delle desinenze personali o fra tempo e tempo o fra
coniugazione e coniugazione.
Per l’imperfetto è confermata la desinenza etimologica in -a nella I persona singolare
(avea a 108 e 110) e la tendenza alle forme dissimilate: a parte avea di I persona
singolare, si vedano avea per la III pers. a 63, aveano a 38 e poteano a 38.
Nel presente dell’indicativo la I persona plurale su base etimologica era variabile a
seconda della coniugazione di appartenenza (-amo, -emo, -imo); ora comincia ad
assumere una desinenza non etimologica derivata dal congiuntivo. Nel nostro testo è
sicuramente un presente siamo a 102, mentre per le altre forme (dobbiamo 96,
periamo 97, stendiamo 100, tegnamo 101) c’è il dubbio che si tratti di congiuntivi con
valore esortativo.
Nello medesimo presente indicativo la III persona plurale mantiene la distinzione fra I
coniugazione (-ano: entrano 23, perseverano 24, chiamano 29, fiaccano 58, spezzano
58, salvano 95) e le coniugazioni III-IV (nel nostro brano mancano esempi della II
coniugazione) in -ono: rompono 3, prendono 5, giungono 7, vivono 8, pervengono 35.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 24
Titolo: Iacopo Passavanti: analisi linguistica
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza . Morfologia


Non sono invece attestate le desinenze analogiche in -eno per la II-III coniugazione
che fuori di Firenze tentano di tutelare la vocale tematica; la situazione del nostro testo
mostra dunque quale sia stata la pressione di -ono che, nel presente e nell’imperfetto,
tenterà di intaccare nel secolo successivo anche la I coniugazione.
È proprio tale pressione desinenziale che spiega lo stabilizzarsi della desinenza -ono
tanto nella forma della III persona plurale dei perfetti rizotonici della III coniugazione
come giunsono 41 (< IUNXERUNT), tanto nei perfetti rizoatoni della I coniugazione
nella forma composita (pregorono 106 < PRECAVERUNT), condivisa anche da furono
(272, 31), e nella forma totalmente analogica Passònvi (‘passòno, passarono’) 28.
Coerente con questa tendenza alla generale estensione di -ono sono le forme del
congiuntivo imperfetto: cadessono 27, venissono 29, consentissono 30.
Riguardo al verbo essere va notata l’asimmetria sia 4, 64 / sieno 69 legata ad una
tendenza (fonetica), all’indebolimento cioè della a postonica se seguita da altra sillaba.
Infine l’analogia funziona anche per il futuro: accanto a sarà 79 (che già alle soglie del
Trecento aveva definitivamente sostituito la forma etimologica caratteristica del
Duecento serà), va segnalata l’analogia esercitata su scriverrò 113 dai verbi che recano
-rr- quale esito della sincope avvenuta sulla sillaba tematica: terrà 78 (tenrà < TENERE
+*AT), vorranno (< volranno < VOLERE + *ANT).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 24/S1
Titolo: Iacopo Passavanti: analisi linguistica
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza .


Formazione delle parole e lessico
Per quanto riguarda la formazione delle parole, si segnala la forte presenza dei composti
con -mento: si vedano movimento 8 e 42, acconsentimento 28, impedimento 35 e 75,
conducimento 42, reggimento 50, rivolgimento 52, abbattimento 52, ispaventamento 54,
assalimento 55, rompimento 59, sbigottimento 71, dibattimento 71, spaventamento 72,
conturbamento 72, ritraimento 75, salvamento 85 e 122.
A questa data gli avverbi in -mente non si sono ancora lessicalizzati; nelle forme che
ricorrono nel nostro brano troviamo una diversità di trattamento a seconda della classe a
cui appartiene l’aggettivo che si associa a mente:
Agg. della I classe: istudiosamente 45, Solamente 61, accortamente 65 e 94,
interamente 99, fruttuosamente 111, debitamente 111, divotamente 116
Agg. II classe parossitoni: fortemente 6 e 70, leggiermente 14, 16, perseverantemente
65 e 101, mortalmente 73, generalmente 95, (i)spezialmente 105 e 107, volgarmente
108 e 110, principalmente 112, umilmente 118
Agg. II classe proparossitoni : convenevolemente 124, ragionevolemente 124.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 24/S1
Titolo: Iacopo Passavanti: analisi linguistica
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza . Lessico


Lessico
rompono (in mare) 3 e passim: ‘naufragano’
fortuna 4, 15, 73 (cfr. anche fortunose 13): ‘fortunale, tempesta’ (e dunque
‘tempestose’); in antico fortuna ha valore ancipite fra ‘buona’ e ‘cattiva’ sorte
commossa 5: vale per il semplice ‘mossa’, ‘iniziata’
attegnendosi 6: vale per il semplice ‘tenendosi’
ogni gente (18): ‘ogni persona’
aiutare (39): ‘difendere’
comandò (39): è costruito intransitivamente (l’oggetto sottinteso è una frase oggettiva:
‘che cessassero’)
intraversati 51: ’che sono disposti di traverso’ (lo stesso senso nell’attraversato di Dante
Inf. XXIII 118: “Attraversato è, nudo, nella via” e Purg. XXXI 25: “quai fossi
attraversati o quai catene”)
pelago a 53, 98: il latinismo consente la variatio (a 53 e 90 mare, data la metafora della
vita dell’uomo come navicella, ricorreva a brevissima distanza)
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 24/S1
Titolo: Iacopo Passavanti: analisi linguistica
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza . Lessico


rintoppo 51: ‘ostacolo’
ritrose 52: ‘che tornano indietro’
rigogliosi 52: propriamente ‘orgogliosi, superbi’ e dunque ‘pieni di vigore’; dal provenzale
orgolh, con metatesi e dissimilazione, facilitata dall’interpretazione della sillaba
iniziale come prefisso
sassi 51: ‘scogli’
sprazzi 53: lo stesso che ‘spruzzi’ (dal longobardo spruzz(j)an)
fiere 54: ‘feroci’
fiacca 56 e fiaccano 58: da FLACCUM ‘privo di forze’, spesso utilizzato in ambito
marinaresco con il senso tecnico di ‘naufrago, naufragare’; fiaccare è dunque
sinonimo di rompere (con cui è in dittologia a 56 sì si rompe e fiacca)
per soperchio 52: ‘per eccesso’; è l’aggettivo SUPERCŬLUM (v. i moderni soverchio e
soperchieria), qui però usato come sostantivo; cfr. soperchiavano 40: ‘superavano’
dare di piglio 69: ‘afferrare’; piglio è un deverbale a suffisso zero di pigliare
porgo la mano 112: è la locuzione latina PORRĬGO MANUM ‘stendo, allungo la mano’.
Corso di Laurea: FILOLOGIA MODERNA
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21
Titolo: Lo Specchio di vera penitenza: analisi linguistica. Sintassi
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza .


Sintassi
Legge Tobler-Mussafia. L’erosione a cui soggiacciono, già nella metà del Trecento, le
condizioni dell’enclisi fissate dalla legge Tobler-Mussafia è ben illustrata dal nostro testo.
Nel brano che abbiamo a disposizione l’enclisi avviene in attegnendosi 6 e in colorandola e
adornandola 21-22 (che però riguardano lo statuto particolare dei modi infiniti) e in
battezzategli 89 (che coinvolge stavolta l’imperativo); al di fuori di questi casi la legge
sopravvive soltanto in iniziale assoluta di periodo (Passovvi 26; Passònvi 28; Presela san
Piero, presela san Pagolo 94; Provocòmmi 106).
Dopo e invece, accanto ad un rispetto dell’antica legge (e fallo nocchiere 44), abbiamo
anche il mancato rispetto a 23-24 (E se si conduce e si guida bene); manca infine l’enclisi
in tutti gli altri casi, anche all’inizio di principale preceduta da subordinata.
Per la collocazione dei pronomi atoni, verifichiamo la persistenza della risalita del
clitico in presenza di un verbo modale a 10: non ci si può notare (‘non si può nuotarvi’’),
a 38-39: non si poteano aiutare e a 76: così la dee con perseveranza tenere; 94: ci
dobbiamo ingegnare.
Corso di Laurea: FILOLOGIA MODERNA
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21
Titolo: Lo Specchio di vera penitenza: analisi linguistica. Sintassi
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza . Sintassi


Mancata ripetizione di un elemento nella seconda di due coordinate:
Omissione del pronome
per sua presenzia e grazia la conduce e guida (34-35);
sì si rompe e fiacca (56);
tanto più la fiaccano e spezzano (58)
conviene che accortamente s’appigli o perseverantemente tegna (74-75)
Viceversa:
E se si conduce e si guida bene (23-24)
quello che si richiede di fare e quello di che altri si dee guardare (123).
Omissione di che
ma per lo merito di quello padrone che la fabbricò, e per sua presenzia e grazia la
conduce e guida ‘[…] e che la conduce e guida con la propria presenza etc.’
(34-35)
ch’erano nella navicella nel mezzo del mare, e aveano grande tempesta per lo vento
contrario (‘ch’erano […], e che aveano […]’ (37-38).
Corso di Laurea: FILOLOGIA MODERNA
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21
Titolo: Lo Specchio di vera penitenza: analisi linguistica. Sintassi
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza . Sintassi


Frattura sintattica con anzi:
La quale cosa non poté fare san Piero, anzi andava al fondo 16-17
e rimane l’uomo d’ogni bene e grazia privato: né non ha rimedio cotale rompimento, per
lo quale si possa risaldare la rotta navicella della santa innocenzia; anzi rimane
l’uomo così nabissato, abbandonato e ’gnudo nel mezzo del tempestoso mare 58-
61
Accordo a senso
ogni gente anniega se l’aiuto della divina grazia non lo soccorre 18-19
ammaestrate tutte le genti, e battezzategli 88-89.
Dislocazione a sinistra
Provocòmmi l’affettuoso priego di molte persone spirituali e divote, che mi pregorono che
queste cose della vera penitenzia, che io per molti anni […] avea volgarmente
predicato al popolo, a utilità e consolazione loro e di coloro che le vorranno
leggere, le riducessi a certo ordine per iscrittura volgare, sì come nella nostra
fiorentina lingua volgarmente l’avea predicate 105-110.
Corso di Laurea: FILOLOGIA MODERNA
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21/S1
Titolo: Lo Specchio di vera penitenza: analisi linguistica. Sintassi
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza .


Sintassi
Più che esemplificare il dato evidente della prevalenza dell’ipotassi nella prosa del
Passavanti, val la pena illustrare l’ordine delle parole.
Rispetto alla attesa linearità della sintassi volgare che, a seguito della perdita delle
distinzioni dei casi, stabilizza (pur con le precisazioni che abbiamo fatto in precedenza) la
sequenza S(oggetto) + V(erbo) + C(omplemento), vanno segnalate scelte ancora possibili
e in contrasto con questo schema astratto. Indicheremo con C qualsiasi complemento
(diretto o indiretto) e proveremo a verificare 1) l’anteposizione del Verbo al Soggetto
espresso esplicitamente (dunque VS, anziché SV, ma anche VSC, CVS, VCS/CVCS); 2)
l’anteposizione del complemento alla serie attesa SV, dunque CSV.
1)
VS: 1 dice el venerabile dottore; 40 cessò la tempesta; 58 e 60: rimane l’uomo; e (con
concomitante anteposizione della parte nominale alla copula) 68 perduta e rotta era la
prima innocenzia
VSC: 3 Parla il santo dottore della penitenzia; 43-44 si stende la potenzia e la facultade
del libero albitrio
Corso di Laurea: FILOLOGIA MODERNA
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21/S1
Titolo: Lo Specchio di vera penitenza: analisi linguistica. Sintassi
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza . Sintassi


CVS: 14 E ciò significò egli; 61-62 d’uno refuggio ha provveduto il misericordioso Iddio;
16-17: La quale cosa non poté fare san Piero; 22-23: nella quale entrano tutti coloro;
62 d’uno refuggio ha provveduto il misericordioso Iddio; 66 questo vuole dire il
dottore santo beato Ieronimo; 77 di ciò parla la santa Iscrittura; 79: Tale virtù ha
questa tavola; 85 che dimostra e adopera Iesù Nazzareno; 92-94: Questa seconda
tavola […] prese Maria Maddalena; 96: Del quale novero ci dobbiamo ingegnare […]
noi; 104: a ciò mi mosse il zelo
VCS: 59 non ha rimedio cotale rompimento, e condizionata dalla legge Tobler-Mussafia 26
Passòvvi san Giovanni Batista; 28-29 Passònvi tutti coloro i quali si chiamano
innocenti; 94-95: Presela san Piero, presela san Pagolo; 105: Provocòmmi l’affettuoso
priego
CVCS: 25-26 In questa navicella intera e salda passò il mare di questo mondo la
benedetta Vergine Maria;
2)
CSVC: si veda l’artificiosa costruzione di 41-44: Il governo e la cura del movimento, e ’l
conducimento della detta navicella, il celestiale padrone Iddio […] commette e lascia
all’uomo.
Corso di Laurea: FILOLOGIA MODERNA
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21/S2
Titolo: Lo Specchio di vera penitenza: analisi linguistica. Sintassi
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza .


Sintassi
Le inversioni illustrate nell’ultima sessione della lezione precedente, invece, mettono in
luce la tecnica della prosa del Passavanti.
A questo scopo ricorderemo la distinzione fra tema (gli anglosassoni parlano di topic o
given) e rema (per gli anglosassoni comment o new), fra quanto cioè viene richiamato
come argomento di partenza del periodo (in quanto dato per conosciuto, sia esso
noto perché presupposto o perché esposto nella parte precedente del testo) e,
rispettivamente, l’argomento informativo nuovo in cui consiste dunque il nucleo
contenutistico del messaggio. In questa prospettiva un discorso mediamente complesso
può essere visto come una serie di periodi (o frasi) in cui il rema del periodo o della
frase X diventa il tema del periodo successivo; così (il colore indica l’identità di
contenuto):

PERIODO 1 PERIODO 2 PERIODO 3 PERIODO 4 ETC.


tema+rema  tema+rema  tema+rema  tema+rema etc.
Corso di Laurea: FILOLOGIA MODERNA
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21/S2
Titolo: Lo Specchio di vera penitenza: analisi linguistica. Sintassi
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza . Sintassi


Il passaggio di statuto da rema del periodo o frase X a tema del periodo o frase
successiva può avvenire in maniera sintatticamente inavvertita, lasciando solo al lettore o
all’ascoltatore il compito di comprendere l’avanzamento e lo svolgimento del discorso,
oppure, l’emittente può segnalare tale avanzamento, sottolineato mediante la
tematizzazione, cioè la messa in evidenza sintattica, in apertura del nuovo periodo, del
tema del nuovo periodo espresso mediante pronome anaforico che rinvia e riprende il
rema del periodo precedente.
Nella prosa del Passavanti la tematizzazione è il principale elemento di coesione
interfrasale che giustifica e regola le inversioni che abbiamo elencato nella sessione di
studio precedente.
Per esempio (rr. 13-18):
“Solo Iesu Cristo salvatore, Iddio e uomo, sanza peso di peccato, leggiermente
notando, passò il mare di questo mondo. E ciò significò egli, quando, essendo i
discepoli suoi nella nave nel mare di Galilea, e avendo grande fortuna per la forza del
contrario vento, egli venne a loro andando leggiermente sovra l’onde del turbato
mare. La quale cosa non poté fare san Piero, anzi andava al fondo, se la virtuosa
mano di Iesu Cristo non lo avesse soccorso”.
Corso di Laurea: FILOLOGIA MODERNA
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21/S2
Titolo: Lo Specchio di vera penitenza: analisi linguistica. Sintassi
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza . Sintassi


LEGAMI INTERFRASALI 1. pronomi e aggettivi dimostrativi:
22 Questa navicella è; 25 In questa navicella intera e salda; 36 Questo fu bene si-
gnificato; 92 Questa seconda tavola della penitenzia; si veda anche (così ‘per
questo, per ciò) 7-8 Così avviene degli uomini che vivono in questo mondo.
2. coniunctio relativa :
16-17 La quale cosa non poté fare san Piero; 56 Le quali cose dànno ad intendere;
96 Del quale novero ci dobbiamo ingegnare d’essere; il medesimo rapporto è
espresso tramite dove (come già poteva fare il latino ubi): 18 Dove si dà ad
intendere, che; 68-69 Dove nota, che come a coloro che rompono in mare.
3. congiunzioni (apparentemente) coordinanti:
14-15: E ciò significò egli, quando, essendo i discepoli suoi nella nave nel mare di
Galilea; 23-24: E se si conduce e si guida bene; 63: E questa è la penitenzia; 66: E
questo vuole dire; 75-76 E come dee tosto, sanza indugio, il rimedio della penitenzia
prendere, così la dee; 76-77 E di ciò parla la santa Iscrittura; 85-86 E questo non pure
in una gente; 89-90 E santo Luca iscrive; 99 E acciò che interamente, e con desiderio
fervente; 104 e a ciò mi mosse il zelo della salute; 122-123 E imperò che in questo
libro si dimostra;
47 M a l’uomo, o per nigligenzia, o per ignoranza.
Corso di Laurea: FILOLOGIA MODERNA
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21/S1
Titolo: Lo Specchio di vera penitenza: analisi linguistica. Sintassi
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza .


Lo stile
La tematizzazione, la frequenza di elementi anaforici e infine l’apparente
coordinazione si spiegano molto bene come una caratteristica sintattica residuale
dell’origine omiletica del testo, poiché la destinazione orale della predica chiede la
massima cura a tenere al massimo coeso il discorso e il suo andamento logico mediante la
ripresa anaforica. La coesione testuale invece non è ottenuta tramite l’iteratio (questi i
soli esempi che si rintracciano nel brano):
23-24: se si conduce e si guida bene rispetto a 35 la conduce e guida;
25: questa navicella intera e salda rispetto a 97 nella intera e salda navicella;
20: d’una navicella lieve e salda rispetto a 68 la navicella salda e lieve.
Collocazione degli aggettivi:
La posizione degli aggettivi nel Prologo allo Specchio di vera penitenza è di preferenza
quella prenominale; quando gli aggettivi seguono il sostantivo, la loro funzione
denotativa è evidente in serie in cui l’aggettivo svolge una funzione definitoria: 11 del
peccato originale o attuale; 22 la innocenzia battismale; 31 per morte naturale o isforzata.
Corso di Laurea: FILOLOGIA MODERNA
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 21/S1
Titolo: Lo Specchio di vera penitenza: analisi linguistica. Sintassi
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza . Stile


“Gli aggettivi attributivi hanno diverso significato nelle due posizioni in cui possono
occorrere a causa della diversa relazione che instaurano con il nome […]. A un livello più
generale, è stato osservato che gli aggettivi postnominali hanno una funzione per lo più
denotativa , mentre quelli prenominali ne hanno una connotativa […], associata cioè
ad «un valore qualificativo, affettivo o retorico» […]; è infatti possibile notare che
«[g]eneralmente la posizione non marcata dell’aggettivo è dopo il nome cui si riferisce.
Quando un aggettivo qualificativo precede il nome, esso indica di solito una maggiore
soggettività di giudizio in chi parla o scrive, una particolare enfasi emotiva o ricercatezza
stilistica» […]. Tale osservazione consente di cogliere la lieve differenza di significato che
gli aggettivi […] mostrano nelle loro due posizioni rispetto al nome” (da Francesca
Ramaglia, Aggettivi dell’Enciclopedia dell’italiano, http://www.treccani.it/enciclopedia/).
Dittologie aggettivali che si dispongono in tre sequenze possibili:
1) con formula interrotta dal sostantivo frapposto: 27-28 speziale grazia divina; 32 dalla
presente vita corporale;
2) con la congiunzione e: 12-13 delle temporali e corporali tribolazioni; 25 siccome veri e
diritti cristiani; 35-36 al porto sicuro e eterno; 48 per sensuale e viziosa concupiscenzia;
50 del savio e accorto reggimento;
3) con la disgiuntiva o: 11 del peccato originale o attuale; 31 per morte naturale o
isforzata.
Corso di Laurea: FILOLOGIA MODERNA
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 22/S2
Titolo: Lo Specchio di vera penitenza: analisi linguistica. Stile
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza .


Lo stile
Da un lato abbiamo visto la forte coesione sintattica ricercata dal Passavanti; dall’altro
abbiamo visto che Passavanti ottempera all’esigenza di coinvolgere l’uditorio. Entrambi i
dati rinviano ad una prassi predicatoria che piuttosto che al testo scritto rinvia alla recita
effettiva in chiesa e sulle piazze.
Dal punto di vista teorico richiamiamo in questa occasione che la dicotomia orale/scritto
conosce realizzazioni intermedie: come dice Gianfranco Folena, in riferimento alla nascita
delle lingue romanze, le situazioni che possono presentarsi sono:
“[1] uno scriptor e un lector comunicano usualmente per grammaticam, in latino,
lingua scritta di scuola; [2] un ‘locutore’ e un ‘interlocutore’ comunicano mediante la
lingua parlata, il volgare; ma si dà il caso che: [3] uno scriptor letterato registri un
discorso orale nella scrittura attraverso una serie di approssimazioni e di
adattamenti; o anche che: [4] uno scriptor e/o lector comunichi oralmente un testo
scritto a un illetterato attraverso una specie di ‘conversione orale’ del testo scritto”
(“Textus testis”: caso e necessità nelle origini romanze [1973], ora in Textus testis.
Lingua e cultura poetica delle origini, Torino, Bollati Boringhieri, 2002, p. 22).
Corso di Laurea: FILOLOGIA MODERNA
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 22/S2
Titolo: Lo Specchio di vera penitenza: analisi linguistica. Stile
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza . Stile


Accanto a uno stile omiletico ‘plurale’, quale lo stile della predicazione, o accanto a un più
generico stile di un’epoca, che abbiamo intravisto nel rifiuto della formularità duecentesca
e nella preferenza per l’ipotassi, esiste uno stile del Passavanti?
Domanda a cui è difficile rispondere con un assaggio così limitato quale quello del brano a
cui stiamo facendo riferimento, ma per la quale possiamo provare ad avanzare
suggerimenti analizzando da vicino un piccolo brano; proviamo a farlo con le rr. 47-56.
“Ma l’uomo, o per nigligenzia, o per ignoranza, o per vaghezza di vana dilettanza, o
per sensuale e viziosa concupiscenzia, o per presunziosa speranza, o per imprudenzia,
o per tracotanzia, ovvero per poca providenza, il lascia nell’alto mare tanto
trascorrere, abbandonando gli argomenti del savio e accorto reggimento, che per
impeto di contrari venti, o per percossa degli intraversati sassi, o per rintoppo delle
rovinose onde, o per rivolgimento delle ritrose acque, o per abbattimento de’
rigogliosi marosi, o per soperchio del gonfiato mare, o per oltraggio dei rinfranti
sprazzi, o per voraggine di pelago profondo, o per iscurità di tenebrosa notte, o per
ispaventamento delle fiere bestie, o per lo dolce canto delle sirene vaghe, o per
assalimento di crudeli piratti, o per inganno degli amici falsi, sanza riparo sì si rompe
e fiacca”.
Corso di Laurea: FILOLOGIA MODERNA
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 22/S3
Titolo: Lo Specchio di vera penitenza: analisi linguistica. Stile
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza .


Lo stile
Il periodo è costituito da una principale introdotta da collegamento interfrasale che
conosciamo
“Ma l’uomo […], il lascia”
il cui soggetto è separato dal verbo da una lunga serie di complementi di causa, fra loro
coordinati); il verbo modale della frase principale regge una oggettiva implicita (“nell’alto
mare tanto trascorrere”), da cui dipende una frase implicita causale (“abbandonando
[…] reggimento”), seguita da una consecutiva che si riallaccia con che al tanto
dell’oggettiva precedente (“che […] sanza riparo sì si rompe e fiacca”); tale
consecutiva ritarda l’arrivo del verbo finale con l’interposizione di una serie ancora più
densa di complementi di causa.
Dunque il periodo è formato da una principale ovviamente esplicita con cui esso
comincia e da una subordinata esplicita finale al cui centro stanno due subordinate
implicite (espresse con infinito e rispettivamente gerundio).
Corso di Laurea: FILOLOGIA MODERNA
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 22/S3
Titolo: Lo Specchio di vera penitenza: analisi linguistica. Stile
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza . Stile


I due verbi finiti lascia e fiacca concludono in entrambi i casi la frase a cui appartengono,
con effetto di assonanza. La sostanziale chiarezza di un tale schema non prende però in
carico la lunga serie di complementi di causa che affollano la frase principale all’inizio e la
consecutiva in fine. Due serie ciascuna delle quali coesa al suo interno (e ciascuna
all’altra) tramite la ripetizione di o per, elemento reiterato quasi ossessivamente e che
rivela la natura casuistica della predicazione del Passavanti.
Nella prima serie (“o per nigligenzia, o per ignoranza, […] ovvero per poca providenza”)
va rimarcato l’effetto finale di variatio introdotto da ovvero per, ma anche l’effetto di
crescendo e decrescendo ottenuto mediante la dilatazione dei singoli elementi della serie
(a “o per nigligenzia, o per ignoranza”, costituiti solo da nomi, segue “o per vaghezza di
vana dilettanza” con articolazione interna mediante un complemento di specificazione”, cui
sta dietro “o per sensuale e viziosa concupiscenzia” con articolazione dovuta alla dittologia
attributiva, che in “o per presunziosa speranza” si riduce ad un solo attributo, per
decrescere ancora in “o per imprudenzia, o per tracotanzia”, una coppia che mima la
stessa con cui la serie si era aperta. A questa modalità di amplificatio si associano
elementi allitterativi (per presunziosa), rimici (ignoranza, dilettanza, speranza; viziosa,
presunziosa) o l’isocolia (“o per nigligenzia, o per ignoranza” e “per vaghezza di vana
dilettanza” sono due endecasillabi) evidente frutto di un esercizio retorico non comune.
Corso di Laurea: FILOLOGIA MODERNA
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 22/S3
Titolo: Lo Specchio di vera penitenza: analisi linguistica. Stile
Attività n°: 1

Specchio di vera penitenza . Stile


L’effetto è ancora più marcato nella seconda serie di complementi che prelude al verbo
finale del periodo. Qui gli effetti allitterativi e rimici sono addirittura parossistici perché
gestiti oltre che sulla lunga distanza anche in serie nei singoli cola.
Per non allungare ulteriormente questa parte finale della lezione ho cercato di evidenziare
con escamotages tipografici le ricorrenze foniche e ho isolato settenari e endecasillabi
(segnalati mediante i numeretti in pedice 7 e 11) fra barre verticali in apice
“|per impeto di contrari venti,11| o per percossa degli intraversati sassi, o per
rintoppo delle rovinose onde, o per rivolgimento delle ritrose acque, o per
abbattimento de’ rigogliosi marosi, |o per soperchio del gonfiato mare,11| |o per
oltraggio dei rinfranti sprazzi,11| o per voraggine |di pelago profondo,7| |o per iscurità7|
|di tenebrosa notte, | |o per ispaventamento delle fiere bestie | |o per lo dolce
7 11
canto7| |delle sirene vaghe,7| |o per assalimento7| |di crudeli piratti,7| |o per inganno
degli amici falsi11|”.
È evidente che accanto alla attenzione per l’ortodossia dottrinaria propria dell’Ordine a cui
il nostro frate appartiene, accanto alla attenzione per la letteratura latina, il Passavanti (e
in questo sta forse anche il motivo della sua fortuna e la sua specificità stilistica) non
nasconda la propria attenzione per la letteratura volgare del proprio tempo.
Corso di Laurea: FILOLOGIA MODERNA
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 22
Titolo: Lo Specchio di vera penitenza: analisi linguistica. Stile
Attività n°: 1

TEST: esercizio sulle banche dati


Lo studente verifichi
a) nel corpus testuale dell’OVI (http://gattoweb.ovi.cnr.it/)
b) nella banca dati Biblioteca Italiana (http://www.bibliotecaitaliana.it/)
i dati quantitativi dei lemmi fiacco e fiaccare distinguendo in entrambe le
banche dati per secoli.
Infine estragga il significato dei due lemmi offerto
1) nelle diverse edizioni del Vocabolario della Crusca (attingendo alla banca dati
Lessicografia della Crusca in rete (http://www.lessicografia.it/)
2) nel Tesoro della lingua delle origini (nella pagina iniziale dell’OVI selezionando,
anziché Corpus testuale, l’etichetta rossa TLIO; http://tlio.ovi.cnr.it/TLIO/)
I risultati della ricerca (dati quantitativi ed commenti) dovranno essere
inviati tramite eportfolio, avvertendo al contempo il docente sul sistema di
messaggistica.
Corso di Laurea: FILOLOGIA MODERNA
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 22/S1
Titolo: Lo Specchio di vera penitenza: analisi linguistica. Stile
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui contenuti


studiati nelle lezioni precedenti dedicate all’analisi
linguistica del testo di Iacopo Passavanti, lo studente
è invitato a compilare il test associato a questa
sessione di studio.
Corso di Laurea: FILOLOGIA MODERNA
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 22/S2
Titolo: Lo Specchio di vera penitenza: analisi linguistica. Stile
Attività n°: 1

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.

18) Poesia, prosa, volgarizzamenti nel Trecento italiano.


19) Definite in che cosa consiste la tematizzazione e illustratene le modalità di
funzionamento nella prosa di Iacopo Passavanti.
Corso di Laurea: FILOLOGIA MODERNA
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 22/S3
Titolo: Lo Specchio di vera penitenza: analisi linguistica. Stile
Attività n°: 1

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.

20) Posizione degli aggettivi attributivi e ricadute stilistiche.


21) La sintassi e lo stile di Iacopo Passavanti.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 27
Titolo: La prosa letteraria del Quattrocento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del


Quattrocento
Il Quattrocento viene ricordato, nella storia della lingua italiana, come un secolo in cui il
confronto fra latino e volgare si fa aspro e contraddittorio.
La nascita di un maturo umanesimo (dopo le anticipazioni che hanno fatto parlare, a
proposito di Petrarca e Boccaccio e di loro sodali in ambito veneto, di preumanesimo)
va di pari passo con una sempre più approfondita conoscenza della letteratura latina e
delle specificità evolutive della lingua classica (la capacità di distinguere cioè, su basi
storiche e storico-linguistiche, varie fasi dell’evoluzione interna del latino: dal latino
arcaico delle commedie plautine, al classicismo del periodo repubblicano e imperiale per
giungere alla latinità tarda e poi medievale).
Tale maggiore conoscenza, coniugata alla consapevolezza storica, corrobora e rafforza il
prestigio di quella letteratura e di quella lingua, rispetto alla quale il volgare appare
privo di grammatica, privo cioè di regole e eslege.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 27
Titolo: La prosa letteraria del Quattrocento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Quattrocento


Rispetto al volgare il latino costituisce l’opzione alta, deputata alla letteratura e agli scopi
più formalizzati dello scambio intellettuale. Il volgare invece, agli occhi degli umanisti più
intransigenti, è uno strumento connotato dal punto di vista diastratico, perché
rappresenta il polo più basso delle opzioni a cui può attingere un intellettuale: il giudizio
deriva sia dal fatto che il volgare nella situazione diglottica contemporanea è legato e per
la gran parte limitato all’oralità (dunque il giudizio è di tipo diamesico), sia perché quello
strumento linguistico è condiviso da tutti, anche dalle fasce socialmente e culturalmente
meno elevate, capaci di usare una lingua priva di regole, ma che sarebbero incapaci
(senza l’apprendimento scolastico) di conoscere e usare una lingua come il latino che gli
umanisti sanno essere sottoposta a regole grammaticali precise attraverso le quali essi
l’hanno appresa.
Privi ancora della piena consapevolezza linguistica (che già nel Cinquecento attraverso la
nascita di una grammatica volgare si farà invece strada) che ogni lingua, orale o scritta
che sia, appresa come lingua materna o sui banchi di scuola, ha le proprie regole di
funzionamento, la connotazione diastratica alla luce della quale vengono letti
rispettivamente il latino e il volgare, da descrizione relativa agli usi della situazione
contemporanea diventa affermazione sanzionatoria, che definisce qualità e capacità delle
due lingue.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 27
Titolo: La prosa letteraria del Quattrocento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Quattrocento


Nel 1435 nell’anticamera di papa Eugenio IV (allora rifugiatosi a Firenze per sottrarsi alla
litigiosità e turbolenza dei baroni romani) un gruppo di intellettuali legati all’ambiente
della Curia pontificia assistono ad una disputa (che consegnata a testi scritti avrà lunghi
strascichi), nella quale si oppongono due tesi.
Da un lato Leonardo Bruni (1370-1444), famoso umanista e grecista cresciuto alla scuola
di Coluccio Salutati, sostiene che la situazione diglottica del suo tempo era stata
sostanzialmente identica anche nell’antica Roma. Bruni considerava impossibile che le
donne, alle quali normalmente era preclusa la scuola, avessero in antico saputo declinare
e coniugare secondo la grammatica il latino; per Bruni, anche nella Roma antica gli strati
meno acculturati della popolazione parlavano un volgare (la lingua del popolo, del vulgus;
il Bruni non chiarisce se, secondo lui, il volgare della Roma antica fosse lo stesso della
Firenze del XV secolo o qualcosa di diverso), mentre solo dello strato più ‘educato’ era la
capacità di gestire la lingua colta, il latino, lingua per eccellenza della letteratura.
Dall’altro lato Biondo Flavio (1392-1463) sosteneva che il volgare era l’esito
dell’evoluzione del latino entrato in contatto con i popoli barbari che avevano mescidato
usi linguistici propri a quelli della lingua romana, producendo una lingua nuova rispetto a
quel latino che in antico, seppure con registri stilistici diversi, era stato proprio della
scrittura e dell’oralità, strumento comune al popolo e agli intellettuali.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 27/S1
Titolo: La prosa letteraria del Quattrocento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del


Quattrocento
A parte la questione della maggiore correttezza della tesi di Biondo Flavio rispetto alla
posizione del Bruni, si vede bene come il riconoscimento del prestigio del latino si stesse
trasformando in un pregiudizio sul volgare.
Proprio per rispondere alla posizione del Bruni, che dichiarava l’anarchia morfologica e
sintattica del volgare, nacque in quel torno di anni la cosiddetta Grammatichetta
vaticana, una scheletrica grammatica della toscana lingua che, oltre ad anticipare di
quasi un secolo la grande grammatografia cinquecentesca, dimostra quali siano le regole
(e dunque la regolarità) del volgare.
L’autore di questa prima grammatica del volgare d’Italia fu Leon Battista Alberti (1402-
1472), ma purtroppo essa non ebbe alcuna circolazione (la grammatichetta è detta
vaticana perché conservata oggi in un solo manoscritto della Biblioteca Apostolica
Vaticana, il Reginense Latino 1370) e dunque non fu in grado di influire sul pensiero dei
contemporanei.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 27/S1
Titolo: La prosa letteraria del Quattrocento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Quattrocento


A questo umanista sui generis (non fu solo letterato, ma anche artista, architetto e
scienziato) si deve la rivendicazione delle intrinseche capacità del volgare, al quale era
solo necessario l’esercizio in ambito letterario per trasformarsi (come era successo al
latino) da lingua per tutti gli usi a lingua letteraria.
Oltre che con la Grammatichetta la promozione del volgare da parte dell’Alberti
avviene con una ricca produzione letteraria volgare (i Libri della famiglia, la scrittura di
trattati d’arte, in particolare del De pictura, poesie) e che non di rado trasporta in
volgare forme proprie della classicità (il dialogo, l’egloga e l’elegia etc.), alla quale
Alberti non disdegna di affiancare la composizione in latino (il trattato più noto a cui è
consegnato il nome di Alberti è il trattato architettonico, De re aedificatoria), ma anche
tramite iniziative pubbliche, in particolare con l’iniziativa del Certame Coronario del
1441, una gara poetica pubblica su tema dato (l’Amicizia) in cui le capacità del volgare
di affrontare un tema di carattere filosofico-morale (consegnato ad un classico del
calibro del De amicitia di Cicerone) avrebbero potuto essere dimostrate in un pubblico
spettacolo. La posizione di Alberti nei confronti del dilemma latino/volgare è ben
illustrata da una nota affermazione che egli consegnò (intorno al 1435, gli anni stessi
della disputa fra il Bruni e il Biondo e della Grammatichetta) al proemio del III libro dei
Libri della famiglia:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 27/S1
Titolo: La prosa letteraria del Quattrocento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Quattrocento

“Piú tosto forse e' prudenti mi loderanno s’io, scrivendo in modo che ciascuno
m’intenda, prima cerco giovare a molti che piacere a pochi, ché sai
quanto siano pochissimi a questi dí e’ litterati. […] Ben confesso quella
antiqua latina lingua essere copiosa molto e ornatissima, ma non però
veggo in che sia la nostra oggi toscana tanto d’averla in odio, che in
essa qualunque benché ottima cosa scritta ci dispiaccia. A me par assai
di presso dire quel ch’io voglio, e in modo ch’io sono pur inteso, ove
questi biasimatori in quella antica sanno se non tacere, e in questa moderna
sanno se non vituperare chi non tace. E sento io questo: chi fusse piú di me
dotto, o tale quale molti vogliono essere riputati, costui in questa oggi
commune troverrebbe non meno ornamenti che in quella, quale essi
tanto prepongono e tanto in altri desiderano. […]. E sia quanto dicono
quella antica apresso di tutte le genti piena d’autorità, solo perché in essa molti
dotti scrissero, simile certo sarà la nostra s’e’ dotti la vorranno molto con
suo studio e vigilie essere elimata e polita […].”
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 27/S2
Titolo: La prosa letteraria del Quattrocento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del


Quattrocento
Quanto era stato preconizzato da Alberti nel primo Quattrocento sarà realizzato nella
seconda metà del secolo e in particolare nell’ambiente mediceo, nel trapasso
dall’umanesimo latino e greco, sponsorizzato da Cosimo de’ Medici (1389-1464)
all’umanesimo volgare del nipote, Lorenzo il Magnifico. Nonostante ciò anche il primo
Quattrocento mostra una considerevole estensione degli ambiti d’uso del volgare per
scopi letterari e una buona permeabilità della produzione volgare alle conquiste
filologiche avvenute all’interno dell’umanesimo latino.
Per il primo ambito è una vera e propria conquista del volgare quattrocentesco l’accesso
alla scrittura della trattatistica d’arte prodotta dagli stessi artisti: dopo la prima prova un
po’ impacciata di Cennino Cennini (1370-1427), il cui Libro dell’arte assomiglia ancora ad
un ricettario di stampo medievale, è merito ancora una volta di Alberti la scrittura, fra il
1435 e il 1436, in volgare del De pictura (successivamente autotradotto in latino). In
questo testo ardue conquiste scientifiche (come la scoperta della prospettiva) e criteri
estetici e critici elaborati entro la cultura raffinata ed educata alla latinità vengono messi
a disposizione di quel ceto di artisti che fino ad allora erano rimasti estranei alla scrittura.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 27/S2
Titolo: La prosa letteraria del Quattrocento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Quattrocento


Il caso di Alberti rappresenta una svolta nella percezione che gli artisti vanno assumendo
di sé come intellettuali (e non come artigiani, condizione a cui li aveva tenuti stretti il
Medioevo); e quella svolta nasceranno, intorno al 1450, i Commentarii dello scultore
Lorenzo Ghiberti e, nella seconda metà del secolo, le scritture teoriche e tecniche di Piero
della Francesca a cui Leonardo da Vinci affiancherà anche prose letterarie.
D’altro canto la prosa letteraria del primo Quattrocento fa propria la rinascita del modello
classico del dialogo, nel Medioevo imitato superficialmente come scambio di battute fra
interlocutori (si ricorderà quanto abbiamo detto, a proposito di Bono Giamboni, del
dialogo fra maestro e discepolo a cui il Libro de’ Vizî e delle Virtudi si ispira), ma incapace
di riprodurre lo spirito del dialogo classico, ciceroniano e platonico, in cui posizioni
contrastanti si affrontano per giungere ad una superiore sintesi. Il dialogo platonico
soprattutto, nella sua componente psicologica e nella sua finalità filosofica, viene imitato
prestissimo nel Quattrocento in latino da Lorenzo Valla, ma al contempo viene riproposto
in volgare sia nella Vita civile di Matteo Palmieri (1406-1475), sia nei numerosi scritti
dialogici albertiani, primo fra tutti in ordine di tempo i Libri della famiglia (composto fra il
1433 circa e il 1441). Tale imitazione deve molto alla contemporanea prassi delle
traduzioni dal greco, terza lingua che ora si affianca alle due principali della diglossia dei
secoli precedenti.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 27/S3
Titolo: La prosa letteraria del Quattrocento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del


Quattrocento
La penetrazione del greco nella cultura umanistica avviene per gradi, ma il primo
decennio del Quattrocento stabilisce un discrimine per l’effettiva conoscenza di quella
lingua antica in Occidente, nel quale il greco era stato insegnato solo occasionalmente
in sedi pubbliche (a Firenze nel periodo fra il 1396 e il 1400 da Emanuele Crisolora). Nel
primo decennio del Quattrocento Guarino Guarini va in Oriente per imparare il greco:
poco dopo sarà imitato da Francesco Filelfo e da Giovanni Aurispa. Tutti torneranno
anche carichi di libri greci decretando la diffusione concreta di quella letteratura fino ad
allora mal nota e spesso per il tramite di latinizzazioni medievali.
Tappe di questo fecondo scambio con il mondo orientale grecofono saranno gli anni del
Concilio per l’Unione (1438-1439, al quale molti dotti bizantini prenderanno parte) e la
caduta di Costantinopoli sotto il dominio turco (1453), che oltre a gridi di dolore per il
rischio della perdita del sapere antico, comportò anche il trasferimento in Italia di
intellettuali che rivitalizzarono ulteriormente la conoscenza della filosofia e della poesia
in greco.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 27/S3
Titolo: La prosa letteraria del Quattrocento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Quattrocento

Già nella prima metà del secolo si assiste ad una ricca serie di traduzioni latine di
originali greci, ma sarà con la seconda metà del secolo che prenderà avvio la
sistematica traduzione di Platone commissionata da Cosimo de’ Medici a Marsilio
Ficino.
Nonostante ciò la pratica del volgarizzamento dal latino non viene interrotta anche se
si fa più rara e condizionata da contingenze meno socialmente condivise: così per
esempio, con la richiesta del principe di Milano, Filippo Maria Visconti, si spiega la
traduzione delle opere di Giulio Cesare e dell’Historia Alexandri Magni di Curzio Rufo da
parte di Pier Candido Decembrio (1399-1477), che fu al contempo traduttore dal greco
di parte dell’Iliade, e di opere di Senofonte, Plutarco, Appiano e Platone.
Eppure, paradossalmente, la sempre maggiore conoscenza del greco come terza
lingua della cultura, anziché decretare la maggiore distanza fra letteratura in volgare e
letteratura colta, finisce per scompaginare l’equilibrio diglottico caratteristico della
prima metà del secolo. Fra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta,
anche per iniziativa del circolo di poeti che si stringono intorno a Lorenzo de’ Medici, le
quotazioni del volgare a scopo letterario riprendono a salire.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 27/S3
Titolo: La prosa letteraria del Quattrocento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Quattrocento


In questi anni, accanto alla crescente fortuna di Petrarca come modello di poesia
amorosa, si assiste alla penetrazione sempre più sistematica e specialistica del volgare
in opere di carattere filosofico: se il pubblico medio di Firenze e dell’Italia non ha
ancora quelle competenze linguistiche che gli consentono di accedere alla filosofia
direttamente in latino o in greco, ciò non toglie che ora il pubblico volgare, a
differenza di quello creatosi nel Trecento, non si contenti più di materiale di
divulgazione o di brevi e sintetici precetti.
Ne sono una prova le altrimenti incomprensibili autotraduzioni operate dal filosofo
Marsilio Ficino di proprie opere (la più nota è quella del Libro dell’Amore,
autotraduzione del precedente Commentarium in Convivium Platonis de Amore), ne
sono una prova le autotraduzioni del grate predicatore Girolamo Savonarola (del
Triumphus Crucis e del Compendium revelationis).
A dimostrazione di quanto sempre più il pubblico volgare si stia diversificando e
ampliando, proprio in questa seconda metà del secolo abbiamo il più ricco epistolario
volgare prodotto da una donna, Alessandra Macinghi Strozzi, che tramite la pratica
della scrittura intrattiene contatti con i figli esuli a Napoli.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 28
Titolo: Agnolo Poliziano e la Lettera proemiale alla Raccolta aragonese
Attività n°: 1

Il fiorentino “argenteo”
Trattando del Passavanti abbiamo preannunciato il termine di fiorentino “argenteo”
coniato da Arrigo Castellani a paragone del fiorentino “aureo” del Trecento il cui mito si
era formato nell’ambiente dell’Accademia della Crusca. In quella medesima occasione
abbiamo anche ricordato come la città di Firenze, come del resto l’intera Europa,
avesse subito il disastro della Peste Nera al quale fece seguito un notevole decremento
demografico, anche di Firenze, al quale lentamente pose rimedio l’inurbamento di
popolazione dalle campagne e dalle città vicine rispetto alle quali Firenze, ormai
avviata a organizzarsi su base regionale, costituiva un polo di attrazione economico e
culturale. Si ricordi per esempio che Firenze nel 1406 conquistò dopo anni di ostilità la
città di Pisa e che in quella occasione la Signoria fiorentina decretò il confino di
trecento nobili famiglie pisane proprio a Firenze.
Al conseguente ‘mescidamento’ dei tratti linguistici propriamente fiorentini con altri
tratti toscani extrafiorentini, si deve il nuovo volto del fiorentino del Quattrocento (al
quale propriamente si attribuisce l’epiteto di “argenteo”) sebbene il fenomeno
evolutivo abbia avuto i suoi prodromi nel secolo precedente.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 28
Titolo: Agnolo Poliziano e la Lettera proemiale alla Raccolta aragonese
Attività n°: 1

Il fiorentino “argenteo”
Fonetica.
1) Riduzione al secondo elemento vocalico dei dittonghi /wᴐ/ e /jɛ/ dopo consonante +
r: truovo /trwɔvo/ > trovo /trɔvo/; priego /prjɛgo/ > prego /prɛgo/
2) la l preconsonantica > u: altro > autro; il fenomeno comporta le forme ipercorrette:
lalde, altori, aldacia ‘laude, autori, audacia’);
3) alle forme etimologiche tegghia (TEGLA < TEGŬLA), ragghiare (*RAGLARE <
RAGŬLARE), vegghiare (VIGLARE < VĬGĬLARE) si sostituiscono le forme teglia,
ragliare, vegliare
4) nella seconda metà del Quattrocento si assiste all’evoluzione di /skj/ > /stj/: schiena
/skjɛna/ > stiena, schiaccia /skjatʧa/ > stiaccia;
5) nella seconda metà del Quattrocento si assiste all’evoluzione /ʤ/ > /gj/ > /d/:
giacere /ʤaʧere/ > ghiacere /gjaʧere/ e diacere /djaʧere/;
6) la /w/ iniziale si trasforma in /vw/: uova /wɔva/ > vuova /vwɔva/; uomini /wɔmini/ >
vuomini /vwɔmini/.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 28/S1
Titolo: Agnolo Poliziano e la Lettera proemiale alla Raccolta aragonese
Attività n°: 1

Il fiorentino “argenteo”
Morfologia nominale
1) I plurali in -lli si palatalizzano in -gli: begli, frategli etc.;
2) i nomi femminili pl. della III classe latina escono in -e: le parti > le parte;
3) l’articolo (e il pronome) il, i > el, e;
4) gliele > glielo, gliela, glieli, gliele;
5) gli indefiniti che terminano in -que > -che: dunche, qualunche;
6) al sistema di declinazione dei possessivi si sostituiscono a) gli invariabili mie, tuo, suo;
b) i plurali maschili e femminili mia, tua, sua;
7) numerali: a) due > duo o dua; b) diece >dieci; c) milia > mila.
Morfologia verbale
1) nel verbo essere: (tu) sè > sei; siete > sete; fossi > fussi; fosti > fusti;
2) il passato remoto di mettere (e composti) con -s- > -ss-: missi, promisse)
3) nel futuro e nel condizionale di avere -vr- > -r-: arò, arei;
4) dea e stea > dia e stia;
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 28/S1
Titolo: Agnolo Poliziano e la Lettera proemiale alla Raccolta aragonese
Attività n°: 1

Il fiorentino “argenteo”
5) riguardo alle desinenze personali:
a) si estende alla I coniugazione la desinenza -ono per la III persona plurale del
presente e dell’imperfetto: lavono, lavovono;
b) (io) aveva > avevo etc.;
c) la desinenza di I persona plurale del perfetto in -mm- > -m-: lavamo ‘lavammo’,
stemo ‘stemmo’);
d) la desinenza di III persona plurale del perfetto della I coniugazione –arono > -
orono o -orno;
e) il congiuntivo presente e imperfetto alla I persona singolare, e alla III per il solo
presente, escono in -i (abbi ‘io abbia, egli abbia’, avessi ‘io avessi’), alla III plurale
in -ino (abbino ‘abbiano’, avessino);
f) la desinenza di I persona plurale –mo > -no : laviano per ‘laviamo’;
g) la desinenza della II persona plurale -e >-i: (voi) lavasti, lavassi, laveresti;
h) nella II, III, IV coniugazione si estende la desinenza -eno per la III persona
plurale (ad esempio vedeno).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 28/S2
Titolo: Agnolo Poliziano e la Lettera proemiale alla Raccolta aragonese
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale


alla R accolta Aragonese e i Detti
piacevoli
La lenta penetrazione anche a Firenze e soprattutto nelle scritture delle innovazioni
argentee comporta (dal nostro punto di vista didattico) la difficoltà di trovarle
testimoniate tutte o in gran parte in un medesimo testo; per vederle in azione
dovremmo poter esaminare molte tipologie testuali, tante essendo, nel diffuso
polimorfismo del XV secolo, le scelte possibili a disposizione di un autore.
Per questo ho scelto la Lettera proemiale (ormai attribuita al Poliziano) alla Raccolta
Aragonese come testo principale di analisi, ma affiancandole un testo d’altra natura,
sebbene del medesimo autore, come cartina di tornasole dei differenti registri
letterari possibili.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 28/S2
Titolo: Agnolo Poliziano e la Lettera proemiale alla Raccolta aragonese
Attività n°: 1

Il fiorentino argenteo, la sua fortuna e l’italiano


In allegato troverete la riproduzione in formato pdf dell’edizione della Lettera
proemiale (ormai attribuita a Agnolo Poliziano) secondo la lezione stabilita da Attilio
Simioni nel 1913 in Lorenzo de’ Medici il Magnifico, Opere, Bari, Laterza, 1913-1914,
volume I, pp. 3-8 (si noti che la data è anteriore a quella degli Studi sul canzoniere di
Dante di Michele Barbi che acclararono l’effettiva paternità della Lettera).
Nell’ultima pagina dell’allegato troverete una sezione dei Detti piacevoli dello stesso
Poliziano, una raccolta di motti e facezie (sul modello delle Facetiae di Poggio
Bracciolini) che l’umanista scrisse fra il 1477 e il 1482. Stesso autore, grosso modo
stesso periodo, ma diverso genere letterario e diverso registro (dall’epistola ‘ufficiale’
ad un principe e a nome di un signore, alla raccolta comica e talora ridanciana). Il
confronto sistematico delle soluzioni fonetiche e morfologiche, solo in parte sintattiche,
da un testo all’altro ci consentirà di valutare la mobilità della lingua letteraria e, nel
caso specifico, la polimorfia del fiorentino quattrocentesco.
 

ALLO ILLUSTRISSIMO SIGNORE FEDERICO D’ARAGONA


FIGLIOLO DEL RE DI NAPOLI

Ripensando assai volte meco medesimo, illustrissimo signor mio Federico, quale
in tra molte e infinite laudi degli antichi tempi fussi la più eccellente, una per certo sopra
tutte l’altre esser gloriosissima e quasi singulare ho giudicato: che nessuna illustre e
virtuosa opera né di mano né d’ingegno si puote immaginare, alla quale in quella prima
5 età non fussino e in publico e in privato grandissimi premi e nobilissimi ornamenti
apparecchiati. Imperocché, sì come dal mare Oceano tutti li fiumi e fonti si dice aver
principio, così da quest’una egregia consuetudine tutti i famosi fatti e le maravigliose
opere degli antichi uomini s’intende esser derivati.
L’onore è veramente quello che porge a ciascuna arte nutrimento; né da altra cosa
10 quanto dalla gloria sono gli animi de’ mortali alle preclare opere infiammati. A questo
fine adunque a Roma i magnifici trionfi, in Grecia i famosi giuochi del monte Olimpo,
appresso ad ambedue il poetico ed oratorio certame con tanto studio fu celebrato. Per
questo solo il carro ed arco trionfale, i marmorei trofei, li ornatissimi teatri, le statue, le
palme, le corone, le funebri laudazioni, per questo solo infiniti altri mirabilissimi
15 ornamenti furono ordinati; né d’altronde veramente ebbono origine li leggiadri ed alteri
fatti e col senno e con la spada, e tante mirabili eccellenzie de’ valorosi antichi, li quali
sanza alcun dubbio, come ben dice il nostro toscano poeta, non saranno mai senza fama,

se l’universo pria non si dissolve.

Erano questi mirabili e veramente divini uomini, come di vera immortal laude
20 sommamente desiderosi, così d’un focoso amore verso coloro accesi, i quali potessino i
valorosi e chiari fatti delli uomini eccellenti con la virtù del poetico stile rendere
immortali; del quale gloriosissimo desio infiammato il magno Alessandro, quando nel
Sigeo al nobilissimo sepulcro del famoso Achille fu pervenuto, mandò fuori suspirando
quella sempre memorabile regia veramente di sé degna voce:

25 Oh fortunato che sì chiara tromba


trovasti, e chi di te sì alto scrisse.

E sanza dubbio fortunato: imperocché, se ’l divino poeta Omero non fusse stato,
una medesima sepultura il corpo e la fama di Achille averebbe ricoperto. Né questo
poeta ancora, sopra tutti gli altri eccellentissimo, sarebbe in tanto onore e fama salito, se
30 da uno clarissimo ateniese non fusse stato di terra in alto sublevato, anzi quasi da morte a
sì lunga vita restituto. Imperocché, essendo la sacra opera di questo celebratissimo poeta
dopo la sua morte per molti e vari luoghi della Grecia dissipata e quasi dimembrata,
Pisistrato, ateniese principe, uomo per molte virtù e d’animo e di corpo prestantissimo,
proposti amplissimi premi a chi alcuni de’ versi omerici gli apportassi, con somma
35 diligenzia ed esamine tutto il corpo del santissimo poeta insieme raccolse, e sì come a
quello dette perpetua vita, così lui a se stesso immortal gloria e clarissimo splendore
acquistonne. Per la qual cosa nessun altro titulo sotto la sua statua fu intagliato, se non
quest’uno: che dell’insieme ridurre il glorioso omerico poema fussi stato autore. Oh
veramente divini uomini, e per utilità degli uomini al mondo nati!
40 Conosceva questo egregio principe li altri suoi virtuosi fatti, comeché molti e
mirabili fussino, tutti nientedimeno a quest’una laude essere inferiori, per la quale e a sé

  1
e ad altri eterna vita e gloria partorissi. Cotali erano adunque quelli primi uomini, de’
quali li virtuosi fatti non solo ai nostri secoli imitabili non sono, ma appena credibili.
Imperocché, essendo già in tutto i premi de’ virtuosi fatti mancati, insieme ancora con
45 essi ogni benigno lume di virtute è spento, e, non facendo gli uomini alcuna cosa
laudabile, ancora questi sacri laudatori hanno al tutto dispregiati. La qual cosa se ne’
prossimi superiori secoli stata non fussi, non sarebbe di poi la dolorosa perdita di tanti e
sì mirabili greci e latini scrittori con nostro grandissimo danno intervenuta. Erano
similmente in questo fortunoso naufragio molti venerabili poeti, li quali primi il diserto
50 campo della toscana lingua cominciorono a cultivare in guisa tale, che in questi nostri
secoli tutta di fioretti e d’erba è rivestita.
Ma la tua benigna mano, illustrissimo Federico, quale a questi porgere ti sei
degnato dopo molte loro e lunghe fatiche, in porto finalmenti gli ha condotti. Imperocché
essendo noi nel passato anno nell’antica pisana città venuti in ragionare di quelli che
55 nella toscana lingua poeticamente avessino scritto, non mi tenne punto la tua Signoria il
suo laudabile desiderio nascoso: ciò era che per mia opera tutti questi scrittori le fussino
insieme in un medesimo volume raccolti. Per la qual cosa, essendo io come in tutte le
altre cose, così ancora in questo, desideroso alla tua onestissima volontà satisfare, non
sanza grandissima fatica fatti ritrovare gli antichi esemplari, e di quelli alcune cose meno
60 rozze eleggendo, tutti in questo presente volume ho raccolti, il quale mando alla Tua
Signoria, desideroso assai che essa la mia opera, qual ch’ella si sia, gradisca, e la riceva
sì come un ricordo e pegno del mio amore in verso di lei singulare.
Né sia però nessuno che questa toscana lingua come poco ornata e copiosa
disprezzi. Imperocché sì bene e giustamente le sue ricchezze ed ornamenti saranno
65 estimati, non povera questa lingua, non rozza, ma abundante e pulitissima sarà reputata.
Nessuna cosa gentile, florida, leggiadra, ornata; nessuna acuta, distinta, ingegnosa,
sottile; nessuna alta, magnifica, sonora; nessuna finalmente ardente, animosa, concitata
si puote immaginare, della quale non pure in quelli duo primi, Dante e Petrarca, ma in
questi altri ancora, i quali tu, signore, hai suscitati, infiniti e chiarissimi esempli non
70 risplendino.
Fu l’uso della rima, secondo che in una latina epistola scrive il Petrarca, ancora
appresso gli antichi romani assai celebrato; il quale, per molto tempo intermesso,
cominciò poi nella Sicilia non molti secoli avanti a rifiorire, e, quindi per la Francia
sparto, finalmente in Italia, quasi in un suo ostello, è pervenuto.
75 Il primo adunque, che dei nostri a ritrarre la vaga immagine del novello stile pose
la mano, fu l’aretino Guittone, ed in quella medesima età il famoso bolognese Guido
Guinizelli, l’uno e l’altro di filosofia ornatissimi, gravi e sentenziosi; ma quel primo
alquanto ruvido e severo, né d’alcuno lume d’eloquenzia acceso; l’altro tanto di lui più
lucido, più suave e più ornato, che non dubita il nostro onorato Dante, padre appellarlo
80 suo e degli altri suoi

miglior, che mai


rime d’amore usâr dolci e leggiadre.

Costui certamente fu il primo, da cui la bella forma del nostro idioma fu


dolcemente colorita, quale appena da quel rozzo aretino era stata adombrata. Riluce
85 dietro a costoro il delicato Guido Cavalcanti fiorentino, sottilissimo dialettico e filosofo
del suo secolo prestantissimo. Costui per certo, come del corpo fu bello e leggiadro,
come di sangue gentilissimo, così ne’ suoi scritti non so che più che gli altri bello,
gentile e peregrino rassembra, e nelle invenzioni acutissimo, magnifico, ammirabile,
gravissimo nelle sentenzie, copioso e rilevato nell’ordine, composto, saggio e avveduto,
90 le quali tutte sue beate virtù d’un vago, dolce e peregrino stile, come di preziosa veste,

  2
sono adorne. Il quale, se in più spazioso campo si fusse esercitato, averebbe senza
dubbio i primi onori occupati; ma sopra tutte l’altre sue opere è mirabilissima una
canzona, nella quale sottilmente questo grazioso poeta d’amore ogni qualità, virtù e
accidente descrisse, onde nella sua età di tanto pregio fu giudicata, che da tre suoi
95 contemporanei, prestantissimi filosofi, fra li quali era il romano Egidio, fu
dottissimamente commentata. Né si deve il lucchese Bonagiunta e il notaro da Lentino
con silenzio trapassare: l’uno e l’altro grave e sentenzioso, ma in modo di ogni fiore di
leggiadria spogliati, che contenti doverebbono stare se fra questa bella masnada di sì
onorati uomini li riceviamo. E costoro e Piero delle Vigne nella età di Guittone furono
100 celebrati, il quale ancora esso, non senza gravità e dottrina, alcune, avvenga che piccole,
opere compose: costui è quello che, come Dante dice:

tenne ambe le chiavi


del cor di Federigo, e che le volse,
serrando e disserando, sì soavi.

105 Risplendono dopo costoro quelli dui mirabili soli, che questa lingua hanno illuminata:
Dante, e non molto drieto ad esso Francesco Petrarca, delle laude de’ quali, sì come di
Cartagine dice Sallustio, meglio giudico essere tacere che poco dirne.
Il bolognese Onesto e li siciliani, che già i primi furono, come di questi dui sono
più antichi, così della loro lima più averebbono bisogno, avvenga che né ingegno né
110 volontà ad alcuno di loro si vede essere mancato. Assai bene alla sua nominanza
risponde Cino da Pistoia, tutto delicato e veramente amoroso, il quale primo, al mio
parere, cominciò l’antico rozzore in tutto a schifare, dal quale né il divino Dante, per
altro mirabilissimo, s’è potuto da ogni parte schermire. Segue costoro di poi più lunga
gregge di novelli scrittori, i quali tutti di lungo intervallo si sono da quella bella coppia
115 allontanati.
Questi tutti, signore, e con essi alcuni della età nostra, vengono a renderti immortal
grazia, che della loro vita, della loro immortal luce e forma sie stato autore, molto di
maggior gloria degno che quello antico ateniese di chi avanti è fatta menzione.
Perocché lui ad uno, benché sovrano, tu a tutti questi hai renduto la vita. Abbiamo
120 ancora nello estremo del libro (perché così ne pareva ti piacessi) aggiunti alcuni delli
nostri sonetti e canzone, acciò che, quelli leggendo, si rinnovelli nella tua mente la mia
fede e amore singulare verso la Tua Signoria; li quali, se degni non sono fra sì
maravigliosi scritti di vecchi poeti essere annumerati, almeno per fare alli altri paragone
e per fare quelli per la loro comparazione più ornati parere, non sarà forse inutile stato
125 averli con essi collegati.
Riceverà adunque la Tua illustrissima Signoria e questi e me non solamente nella
casa, ma nel petto e animo suo, sì come ancora quella nel core ed animo nostro
giocondamente di continuo alberga. Vale.

  3
Agnolo Poliziano, Detti piacevoli
1 – Lorenzo de’ Medici, richiesto di favorire nella elezzione de’ Signori non so chi alquanto
sospetto allo stato, ma uomo a cui piaceva el succo della vite, e dicendogli chi gnene parlava: – Tu
gli farai fare ciò che tu vorrai con un bicchiere di vino –, rispuose: – Che se un altro gnene dessi un
fiasco, dove mi troverrei io? –
2 – Cosimo de’ Medici, padre della patria, avo del predetto, richiesto dallo arcivescovo Antonino di
favore circa a una proibizione che voleva fare, che i preti non giocassino, gli disse: – Cominciate a
fare un po’, prima, da voi ch’e’ non mettino cattivi dadi! –
3 – Cosimo predetto soleva dire che la casa loro di Cafaggiuolo in Mugello vedeva meglio che
quella di Fiesole, perché ciò che quella vedeva era loro, il che di Fiesole non avveniva.
4 – Cosimo predetto, essendoli menato innanzi Matteo del Tegghia, ancora garzone, dal Tegghia
suo padre, il quale, benché detto Matteo insino allora fussi sciocco, come egli è ancora al presente,
stimava, dall’amor paterno ingannato, che e’ fussi savissimo e molto introdotto nelli studi, ora,
dimandando Cosimo in che esso studiassi e rispondendo egli scioccamente che studiava in libris,
voltosi al padre, Cosimo disse: – Fallo studiare, ch’e’ n’ha bisogno! –
5 – Lorenzo di Piero di Cosimo predetto, ragionandosi in un cerchio di preti e dicendogli alcuno che
l’uomo non si potea guardare da loro, disse non essere maraviglia, perché, avendo essi i panni
lunghi, hanno dato prima il calcio che altri vegga loro muover la gamba.
6 – Braccio Martelli, volendo mostrare che Rinato de’ Pazzi era pauroso, non avendo egli voluto
giostrare ad una giostra ordinata, disse che lo faceva perché egli avea paura dell’elmo solo.
7 – Puccio d’Antonio Pucci, uomo nell’età di Cosimo prudentissimo, confortando non so che
cittadino ad accettare l’uficio del Gonfaloniere di Giustizia in tempo importante, e rispondendo egli
che non gli pareva esser tanto savio quanto a quell’uficio s’aspettava, gli dimandò se gli bastava
esser savio come Cosimo. E dicendo egli che se fussi la metà savio, che egli crederebbe assai bene
sodisfare, – Oh io t’insegnerò – disse Puccio – a essere più savio di lui. Non hai tu punto senno da
te? – E dicendo che ne pure credeva avere qualche poco, soggiunse Puccio: – Fa adunque ciò che
Cosimo ti dice, e arai a questo modo tutto el suo senno; il quale accozzando col tuo poco, verrai ad
avere il suo e sopra più il tuo, e così ad essere più savio che Cosimo. –
8 – Messer Matteo di Franco, essendo con Lorenzo de’ Medici in camino e sendogli all’osteria
posto innanzi non so che vinaccio, il quale l’oste diceva essere vino vecchio, disse: – A me pare egli
rimbambito! –
9 – El predetto, stando a vedere a Pisa una disputa la quale era condotta già al tardi, disse ch’e’
farebbon bene a lasciarla stare, ché, non si vedendo più lume, l’argumento si verserebbe fuori; e che
almeno sedessino, acciò che gl’argumenti non se n’andassino giù per le calze.
10 – Lorenzo de’ Medici predetto, essendo in Firenze Lionardo Benvoglienti, ambasciadore sanese,
il quale, trovatolo un dì per un certo andamento ch’era allora, gli toccò il polso domandando come
si sentissi, scosso el braccio, riprese il polso al detto Lionardo, dicendo: – Questo tocca a fare a me,
che sono de’ Medici, e lo infermo siate pur voi! –
[….]

  4
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 28/S3
Titolo: Agnolo Poliziano e la Lettera proemiale alla Raccolta aragonese
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui contenuti


studiati in questa lezione dedicata ai fenomeni
innovativi del fiorentino quattrocentesco, lo studente
è invitato a compilare il test associato a questa
sessione di studio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 29
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano e la Lettera proem iale


alla R accolta Aragonese
Ai primi di settembre del 1476 Federico d’Aragona (1451-1494) figlio del re di Napoli,
Ferrante, di ritorno da un viaggio in Borgogna si fermò a Pisa. Ad accoglierlo a Pisa c’era
Lorenzo de’ Medici (1449-1492), dal 1469 signore a tutti gli effetti di Firenze e delle
terre sottomesse dalla città.
Durante quell’incontro si parlò anche di letteratura e in particolare Federico d’Aragona si
dimostrò interessato a conoscere meglio la storia letteraria fiorentina e toscana, quella
letteratura che per il prestigio massimo dei nomi che aveva espresso nel Duecento e nel
Trecento (Dante, Petrarca e Boccaccio in primo luogo) aveva già a questa altezza
cronologica poste le basi per la creazione di una lingua letteraria italiana su base
fiorentina.
Al desiderio di Federico d’Aragona di vedere raccolti “insieme in un medesimo volume”
“quelli che nella toscana lingua poeticamente avessino scritto” Lorenzo rispose nel 1477,
un anno dopo l’incontro, con la cosiddetta Raccolta Aragonese.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 29
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano e la Lettera proem iale alla Raccolta Aragonese


Ordinata secondo un criterio prevalentemente cronologico la Raccolta costituisce un
primo bilancio della tradizione poetica in volgare, certo da un punto di vista fiorentino-
centrico.

Agli inizi, rappresentati dalla Scuola Siciliana (testi di Iacopo da Lentini e Pier delle
Vigne) e dai siculo-toscani (Bonagiunta Orbicciani) era dato poco spazio (per di più
essi erano collocati fra i minori in penultima posizione, fuori della seriazione su base
cronologica); la Raccolta invece si apriva sulla figura di Dante a cui era dato massimo
risalto: introdotto dalla Vita di Dante di Giovanni Boccaccio, vi era accolto il prosimetro
della Vita nova, le grandi canzoni dantesche, un certo numero di sonetti. A Dante
seguivano Guido Guinizzelli, Guittone d’Arezzo e Guido Cavalcanti; la cronologia poi
riprendeva la sua funzione ordinatrice con la sequenza di Cino da Pistoia e una
raccolta ampia di poeti trecenteschi (fra cui il Boccaccio delle rime) e primo-
quattrocenteschi. La Raccolta non comprende invece Petrarca. La Raccolta si
concludeva poi con una piccola antologia di Lorenzo de’ Medici poeta, di cui venivano
accolti nove sonetti, due canzoni e cinque ballate. Quest’ultima scelta dimostra
quanto, a considerazioni di tipo strettamente letterario, si coniugassero ragioni, dai
riflessi anche politici, di autopromozione del signore di Firenze.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 29/S1
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano e la Lettera proem iale


alla R accolta Aragonese
Nata da una situazione storica contingente (l’incontro del signore di Firenze con Federico
d’Aragona) Lorenzo de’ Medici risulta il raccoglitore della silloge. In realtà però, come è
stato dimostrato da Michele Barbi, la Lettera proemiale alla Raccolta è scritta in nome di
Lorenzo, ma non da Lorenzo. In un articolo intitolato La Raccolta Aragonese Michele
Barbi giunse a datare più precisamente la confezione della silloge al 1476-77 (fino ad
allora la raccolta era ricondotta al primo incontro fra Lorenzo e Federico avvenuto nel
1465).
Per quanto riguarda l’attribuzione in quell’articolo si legge (p. 222):
“Io credo che l’epistola premessa alla raccolta sia scrittura del Poliziano: c’è
un’erudizione che mi par più propria di lui, e uno stile che risente di quel fine
latinista ch’egli era; e a lui l’attribuisce un codice contemporaneo e molto
autorevole, con una rubrica così precisa da escludere che l’attribuzione sia dovuta al
caso o ad una delle solite ragioni d’errore nei titoli delle scritture contenute nei
codici miscellanei: Epistola di M. Angelo Politiano al sig. Federico insieme col
raccolto volgare mandatogli dal magnifico Lorenzo”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 29/S1
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano e la Lettera proem iale alla Raccolta Aragonese


Agnolo Ambrogini (1454-1494) prese il nome di Poliziano dalla cittadina (oggi in
provincia di Siena) di Montepulciano (Mons Politianus) dove era nato.
Fin dal 1469 il giovanissimo Poliziano si era trasferito a Firenze, dove iniziò subito a
frequentare gli ambienti eruditi e intellettuali, entrando già nel 1470 in casa Medici
come cancelliere di Lorenzo che poi lo incaricò dell’educazione del figlio Piero.
Grande erudito e filologo sommo, letterato raffinatissimo e poeta, scrittore in greco,
latino e volgare, il Poliziano era anche profondo conoscitore di tutte e tre le letterature
di cui sapeva maneggiare la lingua.

Questo mélange di erudizione, filologia, attività poetica in proprio anche in volgare, e


gusto critico sul piano letterario, è appropriatissimo all’estensore della Lettera
proemiale.
La dimostrazione barbiana che la scrittura di questo testo sia sua induce anche a
ritenere che, se a Lorenzo spetta senz’altro l’iniziativa e l’idea, gran parte del lavoro di
reperimento dei materiali nelle varie fonti manoscritte e la loro selezione per entrare a
far parte della Raccolta sia (previo assenso del signore di Firenze) imputabile a Agnolo
Poliziano.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 29/S2
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale e i


Detti piacevoli
Il quadro fonetico offerto dalla Lettera proemiale alla Raccolta Aragonese mostra in
genere una sostanziale fedeltà ai tratti del fiorentino trecentesco; per lo più, infatti,
gli elementi innovativi del fiorentino “argenteo”, a causa della connotazione ‘bassa’
che li caratterizza, non sono accolti, evidentemente perché di difficile
acclimatamento nella prosa ‘alta’ di questa epistola.
Il dittongamento (tanto nell’epistola quanto nel testo di riscontro dei Detti piacevoli)
compare, oltre che in condizioni ormai ben note: puote < PŎTEST, da cui per
apocope sillabica il nostro può 4, 68; uomo e uomini; fuori; luoghi; suoi; il già noto
rispuose in Detti piacevoli 1, 3 (= rigo 3 del primo detto) contro compose
dell’Epistola 101; muover in Detti piacevoli 5, 3; ancora dopo suono palatale in
giuochi 11 e, nei Detti piacevoli 3, 1, Cafaggiuolo; nel titolo però abbiamo figliolo.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 29/S2
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale e i Detti piacevoli


La regola del dittongo mobile non è contraddetta (trovasti 26, ritrovare 59; troverrei e
trovatolo in Detti piacevoli 1,4 e 10,2), ma he mancano esempi con la sillaba interessata
sotto accento, che ci avrebbero anche consentito di verificare se il dittongo dopo
consonante + r si sia effettivamente evoluto, anche nella lingua di Poliziano, nel
monottongo. Per affermare che il monottongamento quattrocentesco non sia avvenuto
infatti non è risolutivo drieto 106 (accanto a dietro 85): le due varianti fonetiche
dell’avverbio (D(E) RĔTRO > dietro per dissimilazione della sequenza r - r) dimostrano la
vitalità del fenomeno della metatesi, cioè dello spostamento di un suono, nel nostro
caso r, da una sillaba alla sillaba vicina (dunque dietro accanto a drieto), in cui il dittongo
viene conservato per solidarietà dell’una forma con l’altra.
Ancora dal punto di vista del vocalismo tonico va annotata la conservazione di -AU- latino
nelle varie forme riconducibili a LAUDEM: laudi 2, laude 19, 41, 106, laudazioni 14,
laudabile 46, 56, laudatori 46. Della natura consapevolmente latineggiante di questa
caratteristica fonetica è prova, insieme alla costanza, l’utilizzo di termini estratti
direttamente dal lessico latino (si veda laudazioni, cioè il latino LAUDATIONES, che dal
corpus della Biblioteca italiana troviamo attestato solo un’altra volta nel Quattrocento, in
un trattatello del medico di origine padovana Michele Savonarola).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 29/S2
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale e i Detti piacevoli


Nel vocalismo atono è frequente l’adesione al timbro delle vocali del corrispondente
termine latino (in contraddizione con l’esito vocalico normale del vocalismo panromanzo)
in:
singulare (SINGŬLAREM) 3, 62, 122;
sepulcro (SEPŬLCRUM) 23 e sepultura (SEPŬLTURAM) 28,
suspirando (SŬSPIRIO) 23,
sublevato 30 (SŬB-),
titulo (TITŬLUM) 37,
diserto (DĬSERTUM) 49,
cultivare (da CŬLTUM) 50,
abundante (ABŬNDANTEM) 65. La natura di latinismo di quest’ultima forma è verificabile
anche dal mancato raddoppiamento dell’occlusiva bilabiale sonora b che è nel moderno
abbondante, raddoppiamento in realtà non etimologico bensì frutto di reinterpretazione
della parola come fosse composta con AD-).
Viceversa il latino pulitissima 65 (< PŎLĪTUM) accusa la chiusura in protonia,
maggioritaria anche in di- e ri- (si sottraggono solo restituto 31, latinismo anche
morfologico; reputata 65. Nei Detti la chiusura in protonia colpisce anche Rinato cioè
‘Renato’ a 6,1.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 29/S3
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale e i


Detti piacevoli
Analogamente, per il consonantismo emergono, accanto al rifiuto delle innovazioni
quattrocentesche, il costante riferimento al latinismo fonetico, in particolare per
l’accoglienza di nessi di consonante + l conservati e indenni dalla palatalizzazione del
volgare: preclare 10, clarissimo 30 e 36 (ma chiari è a 21 e chiarissimi a 69) e (a parte
splendore 37, esemplari 59, risplendino 70 e Risplendono 105 che meno ci colpiscono
perché latinismi entrati nella lingua) amplissimi 34, esempli 69; infine florida 66.
Conservazione del nesso (ma con acclimatamento fonetico tramite il rotacismo di l in r)
è rassembra a 88, forma ben attestata già nel Due e Trecento, in poesia e in prosa.

Conservano la scempia del modello latino publico 5 e abundante 65 (già segnalato),


così come è conservato, almeno a livello grafico, un nesso consonantico non più
tollerato nel volgare e normalmente assimilato, in sublevato 30; estimati 65, senza
l’aferesi, si rifà, almeno in parte, al latino EXISTIMATUM.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 29/S3
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale e i Detti piacevoli


Anche in Poliziano compare l’esito semidotto di -TI- (già segnalato per Passavanti), non
solo in posizione intervocalica (a parte preziosa 90, spazioso 91, grazioso 93,
comparazione 124 si veda laudazioni 14), ma anche postconsonantica: oltre a silenzio 97,
eccellenzie 16, diligenzia 35, eloquenzia 78, sentenzie 89, che appartengono ad un
lessico, come si vede, astratto o connotato in senso critico-retorico, si veda anche
sentenziosi 77 e sentenzioso 97, invenzioni 88, menzione 118. D’altro canto prevedono
l’esito volgare autoctono nominanza 110 e il volgarismo fonetico (che collabora con la
novità volgare della cosa designata) canzona 93 e canzone 121 (in sanza, senza 172, 27,
59, 91, 100, la derivazione da (AB)SENTIA non era trasparente). Il vedere infine
alternarsi 46 dispregiati e disprezzi 64 (il primo esito francesizzante e ben acclimatato
tramite la poesia duecentesca, il secondo esito autoctono di -TI-), ci dà l’impressione che
quella dell’Epistola proemiale alla Raccolta Aragonese sia una scrittura colta, tramata
tanto di elementi latineggianti quanto di elementi della tradizione letteraria italiana
precedente, quanto infine di elementi ‘contemporanei’, che, pur nella qualificazione di
scrittura ‘alta’ non cede a parossismi e si connota piuttosto per una sostanziale misura.
Un’ultima considerazione: la forma notaro 96 in luogo del fiorentino ‘notaio’ dipende
dall’origine extra-fiorentina del poeta designato (Iacopo da Lentini).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 29/S3
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale e i Detti piacevoli


I latinismi fonetici segnalati per l’Epistola sono o meno frequenti o addirittura assenti nei
Detti, dove non compare alcun caso di conservazione di -AU- latino (pauroso e paura di
6,1 e 6,1 sono esiti volgari da PAU(O)REM con cambio di suffisso).
Analogamente non ci sono casi di conservazione di consonante + l (si vedano cerchio, più,
vecchio e soprattutto il nome proprio Tegghia e del Tegghia nel Detto 4, esito regolare da
TEGULAM).
A sublevato dell’Epistola fa da contraltare soggiunse in Detti 7,8; a estimati corrisponde
nei Detti 4,3 stimava.
Nei Detti piacevoli non mancano però gli esiti dotti di -TI-; si veda (oltre a proibizione 2,2
e Giustizia 7,2) elezzione 1,1 < ELECTIONEM (a proposito di questa ultima forma va
notato che la grafia -zz- corrisponde esattamente alla pronuncia antica che prevedeva
l’esito scempio da -TI- ma l’esito intenso da -CTI-; nell’italiano odierno invece il fonema
dell’affricata dentale sorda è sempre intenso).
I latinismi lessicali dei Detti sono però di ambito diverso da quello dei latinismi lessicali e
fonetici censiti nell’Epistola: dove quelli erano collegati all’ambito retorico, critico,
filosofico, implicando dunque un recupero più o meno evidente della tradizione classica,
questi rimandano ad un lessico latino di ambito giuridico-amministrativo che si era
tramandato anche e principalmente nel Medioevo.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 30
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale e i


Detti piacevoli
Latinismi lessicali
uno, una aggettivo e pronome ‘unico, solo’: 2 in tra molte e infinite laudi […], una per
certo sopra tutte l’altre esser gloriosissima, 7 così da quest’una egregia consuetu-
dine, 38 nessun altro titulo sotto la sua statua fu intagliato, se non quest’uno , 41
tutti nientedimeno a quest’una laude essere inferiori;
singulare ‘senza pari’, ‘unica’: 3, 62, 122;
fatti ‘imprese’: 7 i famosi fatti, 15-16 li leggiadri ed alteri fatti e col senno e con la
spada, 20-21 i valorosi e chiari fatti, 40 li altri suoi virtuosi fatti, 42-43 de’ quali li
virtuosi fatti, 44 in tutto i premi de’ virtuosi fatti mancati;
certame 12: ‘gara’; il forte latinismo era stato introdotto in volgare un venticinquennio
prima da Leon Battista Alberti con l’iniziativa del Certame coronario;
studio 12: ‘zelo, cura’;
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 30
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale e i Detti piacevoli


celebrato ’frequentato’ oppure ‘d’uso comune’ e infine ‘famoso’: 12, 72, celebratissimo 31,
celebrati 100;
funebri laudazioni ‘elogi funebri’: 14;
magno ‘grande’: 22 magno Alessandro;
dissipata e quasi dimembrata ‘dispersa in vari luoghi e quasi fatta a pezzi’: 32;
prestantissimo, -i ‘eccellente, -i’: 33, 86, 95;
ne’ prossimi superiori secoli ‘nei secoli passati più vicini a noi’: 46-47;
fortunoso naufragio ‘tempestoso naufragio’ e ‘rischiosa rovina’: 49;
primi 49 e primo 111 ‘per primo, -i’: uso e accezione possibili già per l’aggettivo latino;
intermesso ‘interrotto, sospeso’: 72;
lucido ‘splendente, chiaro’: 79.

Lessico volgare:
focoso ‘ardente’ (in senso metaforico): 20;
ostello ‘casa, rifugio’: 74; dal francese antico ostel;
ruvido 78: da una neoformazione del latino volgare, RUGIDUM, a partire da RUGAM;
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 30
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale e i Detti piacevoli


rassembra ‘si mostra’, ‘si dà a vedere’: 88;
masnada ‘manipolo, gruppo’: 98; è il francese antico masnée (dal latino parlato
*MANSIONATAM, propriamente ‘gli abitanti di una casa’, in particolare ‘i servi della
casa’);
nominanza ‘nomea, fama’: 118;
rozzore ‘rozzezza’ o forse meglio ‘una certa rozzezza’ con valore attenuativo del suffisso:
112;
schifare ‘schivare’: 112; dal francese antico eschif, risalente al francone skiujan ‘aver
riguardo; la forma con -f- rispetta la sorda intervocalica che era del modello.

Esclusivamente al volgare rimandano anche i termini attinenti alle arti figurative: colorita
‘colorata’ 84 e adombrata 84 (che qui vale ‘disegnata a chiaroscuro’) e intagliato 37
‘inciso’.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 30/S1
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale e


i Detti piacevoli
La renitenza riscontrata ad accogliere i tratti fonetici del fiorentino “argenteo”, non si
estende alla morfologia, tanto nominale quanto verbale, anche se con livelli di
penetrazione molto diversi.
Morfologia nominale: accanto a occasionali latinismi morfologici quali esamine 35
(l’attuale esame rispetta il genere neutro di examen; la forma di Poliziano è invece
ricostruita analogicamente sul neutro plurale examina ‘studio, analisi’) e restituto 31
(RESTITUTUM; il participio passato oggi adottato restituito è conseguente al metaplasmo
da III a IV coniugazione: da RESTITUERE a restituire) le forme del fiorentino argenteo
penetrano in maniera consistente nella lingua dell’Epistola proemiale.
Per i sostantivi si veda come pienamente volgare sia la nuova declinazione a cui
appartiene canzona (che dalla III classe passa alla I; a 93 e 121); più apertamente
aderente alle caratteristiche del volgare quattrocentesco è l’‘incerta’ la collocazione di
laude (così sempre al singolare; vera immortal laude 19; a quest’una laude 41), che al
plurale fa talora laudi (molte e infinite laudi 2) talaltra laude (delle laude 106)
adeguandosi dunque al tratto innovativo fiorentino.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 30/S1
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale e i Detti piacevoli


L’articolo singolare el non compare mai nella Epistola, dove occorre solo il (12, 13,
17, 22, 28, 35, 38, 49, 55, 60, 71, 72, 75, 76, 79, 83, 85, 91, 95, 962, 100, 108, 111,
112), mentre el è nei Detti piacevoli a 1,2; 7,7; 9,1; 10,3 contro il a 3,2; 4,2; 5,3, 7,7;
7,82; 8,2; 10,22; 10,3. Per il plurale abbiamo normalmente i davanti a consonante (11
occorrenze), ma anche (con leggero arcaismo) li fiumi 6, li leggiadri 15, li quali 16, 49,
95 e 122, li virtuosi 43, li siciliani 108; l’arcaismo però potrebbe essere solo grafico
(essendo cioè li grafia per la forma palatalizzata gli) dato che li compare anche davanti
a vocale: li ornatissimi 13, li altri 40, così come gli animi 10, gli altri 29 e 87, gli uomini
45, gli antichi 59 e 72. La forma e del plurale non compare né nell’Epistola né nei Detti
(dove è attestato solo i e gl’, quest’ultimo davanti a parola iniziante per vocale).
Che l’alternanza fra li e gli davanti a vocale sia solo di natura grafica (due grafie diffe-
renti per la pronuncia /ʎʎi/) pare essere confermato anche dalla medesima alternanza
nella forma del pronome personale atono in funzione di complemento indiretto (gli ap-
portassi 34, e nei Detti: dicendogli 1,2 e 5,1; Tu gli farai 1,3; gli disse 2,2; non gli pa-
reva 7,3; gli dimandò se gli bastava 7,3; sendogli 8,1; gli toccò 10,2 ma essendoli 4,1)
e in funzione di complemento oggetto (gli ha condotti 53, ma li riceviamo 99, averli
125) e nella analoga presenza nelle preposizioni articolate della forma grafica non pa-
latalizzata (delli uomini 21, delli nostri 120-121, alli altri 123; nei Detti 4,3 nelli studi).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 30/S1
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale e i Detti piacevoli


Il confronto fra Epistola e Detti dimostra (in analogia con alcuni sondaggi fatti su autori
coevi) che il è percepito come la forma della letteratura alta, e el come quella della
quotidianità orale o del registro letterario basso; ma altresì che, anche in quest’ultimo
caso di utilizzo, la penetrazione di el (e ancor più di e) fu lenta e tale da non sopprimere
mai in maniera definitiva le forme antiche: negli anni Settanta del Quattrocento, anche
nel registro ‘comico’ dei Detti, il è presente per un numero di volte maggiore del doppio
rispetto el.
Il pronome soggetto di III persona singolare, nell’Epistola è esso 100 come nei Detti
4,4; in questi ultimi però è presente anche tanto egli (4,2 e 4,4, 6,1 e 6,2, 7,2 e 7,42,
8,2) quanto e’, valido per il singolare e per il plurale (2,3 e 4,3). Né nella Epistola né nei
Detti troviamo attestata una tendenza di lungo corso, che periodicamente si è affacciata
nella storia della lingua italiana e che è ben documentata per il Quattrocento: l’adozione
cioè di lui e lei in funzione di soggetto e che lo stesso Poliziano adotta nelle Stanze per la
giostra. Riguardo alle formule di cortesia dice Bruno Migliorini nella sua Storia della lingua
italiana (Firenze, Sansoni, 1960, 19836), pp. 288-289:
“Incomincia in questo secolo l’uso del pronome di terza persona riferito a Vostra
Signoria: dapprima ella, essa, questa, quella, poi anche lei, che finì col diventare nel
secolo seguente il pronome allocutivo più frequentemente usato”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 30/S1
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale e i Detti piacevoli


Nel nostro testo il rapporto gerarchico fra il signore di una città (l’emittente) ed un
principe (il destinatario) è solo episodicamente rispettato, poiché Lorenzo (a cui nome il
Poliziano scrive) si rivolge a Federico con il tu diretto (ti sei degnato 52-53; tu, signore,
hai suscitati 69; Questi tutti, signore, […] vengono a renderti 116; tu a tutti questi hai
renduto 119; ne pareva ti piacessi 120; nella tua mente 121) e con il tu indiretto (la
tua Signoria 55; alla Tua Signoria 60-61; verso la Tua Signoria 122; Riceverà adunque la
Tua Signoria 126; e si veda anche la tua benigna mano 52; alla tua onestissima volontà
58); è da quest’ultimo che discende la terza persona di cortesia: il suo laudabile 55-56;
nel petto e animo suo 127, e in forma pronominale soggettiva essa […] gradisca e […]
riceva 61, in funzione di complemento indiretto preceduto da preposizione, lei (in verso
di lei 62), in funzione di complemento indiretto atono le fussino 57.
Il sistema dei pronomi e aggettivi possessivi non appare toccato dalla tendenza
“argentea” a sostituire la forma declinata con forme indeclinabili. Nei numerali invece
verifichiamo che nell’Epistola compare tanto duo primi 68 (forma imputabile anche a
latinismo) quanto dui mirabili 105 e questi dui 108, che tende (quasi in reazione alla
spinta della lingua coeva che proponeva dua) a contrassegnare il plurale maschile di due
con la desinenza -i, secondo una soluzione rintracciabile nella prosa quattrocentesca (dui
per il maschile, due per il femminile).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 30/S2
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale e i


Detti piacevoli

Ma è soprattutto nella morfologia verbale che la pressione del volgare contemporaneo


incide maggiormente sulla lingua di Poliziano.
In particolare per il verbo essere verifichiamo la presenza di sei (57-58 ti sei degnato) in
luogo dell’arcaico sè; è costante , nel perfetto dello stesso verbo, il tipo in -u-: fussi 2, 38,
47; fusse 27, 30, 91; fussino 5, 41, 56, tanto nell’Epistola quanto nei Detti (fussi 4,2; 4,3;
7,4; cfr. 2411).
Nell’Epistola non compaiono le forme del futuro di avere con riduzione del nesso -vr-
(arò, arei) che è invece dei Detti (a 7,7 arai), ma è altamente probabile che l’assenza di
questo tratto sia dovuto a consapevole ostracismo data la presenza delle forme
(ricostruite sulla forma completa dell’infinito) averebbe 28, 91 e averebbono 109 che
trascinano doverebbono 98.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 30/S2
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale e i Detti piacevoli


Per quanto riguarda le desinenze di modi e tempi notiamo per l’indicativo:
-- la desinenza di I persona plurale del presente è -iamo: riceviamo 99, Abbiamo 119
(nell’Epistola cioè non compaiono ormai più le forme in -amo, -emo, -imo, sostituite
dalla desinenza del congiuntivo);
-- mancano, nell’Epistola e nella porzione dei Detti che abbiamo antologizzato casi di -o
per la I persona singolare dell’imperfetto, ma una ricerca sui testi polizianei compresi
nella Biblioteca Italiana assicura che il nostro autore usa l’innovazione quattrocentesca;
-- vediamo anche nella prosa ‘alta’ dell’Epistola (mancano esempi nei Detti piacevoli) le
desinenze “argentee” -orono per la III persona plurale del perfetto rizoatono di verbi
della I coniugazione: cominciorono 50. Per i perfetti forti (rizotonici) si veda ebbono 15
e il condizionale doverebbono 98, averebbono 109.
Per il congiuntivo vanno segnalate:
-- la forma di II persona singolare del presente sie ‘che tu sia’ 117; si ricorderà l’alternanza
(di pertinenza fonetica) fra sia e sieno per le III pers. sing. e pl. del congiuntivo
presente. Una III persona singolare sie si spiegherebbe facilmente con l’analogia agita
dalla III persona plurale; meno facile spiegare sie per la II persona, in un momento in
cui le desinenze personali vengono rivoluzionate in questo modo verbale; ci saremmo
aspettati sii, per la pressione della desinenza di I persona singolare e di III persona
plurale (nell’Epistola infatti compare risplendino 70);
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 30/S2
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale e i Detti piacevoli

-- la desinenza di III pers. sing. dell’imperfetto oscilla fra -e e -i: fusse 27, 30, 91, ma
fussi 2, 38, 47 (nei Detti 4,2 e 4,3, 7,4); apportassi 34, piacessi 120 (nei Detti: dessi
1,3; studiassi 4,4; sentissi 10,3); la III pl. è -ino: fussino 5, 41, 56, potessino 20,
avessino 55, giocassino a Detti 2,2, sedessino 9,3, andassino, 9,3.

Forme particolari
troverrei: Detti 1,4;
essendo : 31, 44, 54, 57 (nei Detti: 8,1 e 10,1; essendoli 4,1) / sendo : Detti piacevoli
8,1;
renduto : 119.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 30/S3
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

TEST: esercizio sulle banche dati


Lo studente verifichi
a) nel corpus testuale dell’OVI (http://gattoweb.ovi.cnr.it/)
b) nella banca dati Biblioteca Italiana (http://www.bibliotecaitaliana.it/)

la vitalità di nom inanza e renduto (in entrambi i casi la ricerca, per forma,
va fatta secolo per secolo).

I risultati della ricerca (dati quantitativi ed commenti) dovranno essere


inviati tramite eportfolio, avvertendo al contempo il docente sul sistema di
messaggistica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 31
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale e i


Detti piacevoli
Nella sintassi dell’Epistola qualsiasi regola relativa all’enclisi del pronome atono in rispetto
della legge Tobler-Mussafia è scomparsa e a presiedere a tale eventuale posposizione al
verbo sono preferenze piuttosto di tipo stilistico o prosodico che non sintattico a tutti gli
effetti. La posizione preferenziale dei clitici è quella proclitica, anche quando l’antica
regola prevedeva l’enclisi (in particolare si veda dopo e: qual ch’ella si sia e la riceva a
61). Quest’ultima è limitata alle condizioni moderne: dopo infinito a 115 renderti e 125
averli; nei Detti piacevoli più frequente ma sempre dopo imperativo o modo non finito:
Fallo 4,5; dicendogli 1,2; essendoli 4,1; voltosi 4,5 etc. (si noterà semmai che anche
dopo modo non finito l’enclisi non è obbligatoria come oggi se è ancora possibile: non si
vedendo a Detti piacevoli 9,2).
Al di fuori di questi casi, che avvicinano la prosa del Quattrocento alle condizioni che so-
no anche della lingua moderna, compaiono due casi di enclisi che rispondono a esigenze
di tipo stilistico: acquistonne 37 (immortal gloria e clarissimo splendore acquistonne) e
partorissi 42 (ad altri eterna vita e gloria partorissi, ‘si partorì’, ‘nacque’, con costruzione
impersonale; è da escludere il congiuntivo imperfetto ‘partorisse’, pure possibile dal punto
di vista morfologico).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 31
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale e i Detti piacevoli


Entrambi i casi infatti sono finali di periodo e perciò pare opportuno interpretare l’enclisi
(altrimenti ignota alla Lettera) come volontario adeguamento ad un’esigenza prosodica
che se da un lato vuole evitare che il periodo si concluda su un elemento ossitono (in
entrambi i casi si trattava di due perfetti tronchi: acquistò e partorì), dall’altro vuole
adeguarsi al cosiddetto cursus , un modello di clausola catalogato secondo l’andamento
ritmico ottenuto mediante l’alternanza di parole piane e sdrucciole (in particolare il
cursus planus chiudeva il periodo con la sequenza di un bisillabo o trisillabo piano
seguito da un trisillabo piano; il cursus tardus con la sequenza di una bisillabo piano e
un quadrisillabo sdrucciolo; il cursus velox con un trisillabo sdrucciolo e un
quadrisillabo piano; il cursus trispondaicus con un bisillabo piano seguito da un
quadrisillabo piano):

glória partoríssi si adegua perfettamente al cursus trispondaicus;


claríssimo splendóre acquistónne è un trispondaicus seguito da planus o da altro
trispondaicus (a seconda che si esegua o no la sinalefe fra splendóre e
acquistónne).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 31
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale e i Detti piacevoli

Un caso di risalita del clitico è nell’Epistola a 113:


“né il divino Dante, per altro mirabilissimo, s’è potuto da ogni parte schermire” (‘ha
potuto schermirsi’);
viceversa la risalita manca in 116: “vengono a renderti”.
Particolarmente interessante, è il caso attestato nella porzione dei Detti piacevoli
prescelta, dove a 7,6 si legge:
“dicendo che ne pure credeva avere qualche poco” ‘dicendo che credeva
certamente (pure) di averne un po’.
Il clitico cioè, che avrebbe dovuto appoggiarsi per coerenza semantica a avere, è
risalito oltre il verbo reggente scavalcando anche l’avverbio pure che a quel verbo si
riferiva; la risalita dunque avviene con modalità tali da non infrangere l’unità semantica
di pure credeva.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 31/S1
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale e


i Detti piacevoli
Quel che caratterizza però maggiormente la sintassi dell’Epistola ponendola su un
piano ben diverso da quella dei Detti è una serie di richiami di varia natura alla
sintassi latina:
1) alcuni latinismi di costruzione, in particolare
a) la costruzione dei superlativi relativi;
b) l’uso di quale relativo;
c) la iterazione di e anche davanti al primo elemento delle dittologie
2) la posizione del verbo (finito o infinito) in fine di periodo o di frase con i connessi
casi di iperbato;
3) l’adeguamento alla costruzione latina delle oggettive o soggettive implicite con
infinito.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 31/S1
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale e i Detti piacevoli


A proposito di 1a) si veda la costruzione del superlativo relativo (che si affianca ai
superlativi assoluti, per noi più normali) di 86 del suo secolo prestantissimo ‘il più
eccellente del suo secolo’ e la perifrasi (insieme glossa dell’antico superlativo relativo
e formula enfatica) che compare a 2-3 sopra tutte l’altre esser gloriosissima; 29 sopra
tutti gli altri eccellentissimo; 92 sopra tutte l’altre sue opere è mirabilissima.
Di ancor più evidente adesione al modello latino è l’uso 1b) di quale, quali che, non
solo nella funzione di pronome interrogativo come è normale anche nell’italiano
moderno (si veda alle righe 1, 61), ma anche nella funzione di pronome relativo con
funzione di soggetto o complemento oggetto (dunque quando non sia preceduto da
preposizione) può occasionalmente comparire senza l’articolo che normalmente
dovrebbe accompagnarlo: accanto a il quale 60, 72, 91, 100, 111, (l)i quali 16, 20,
49, 69, 114, 122, le quali 90 si vedano
52-53 “Ma la tua benigna mano, illustrissimo Federico, quale [‘la quale’,
complemento ogg.] a questi porgere ti sei degnato”;
83-84 “la bella forma del nostro idioma fu dolcemente colorita, quale [‘la quale’,
complemento ogg.] appena da quel rozzo aretino era stata adombrata”.
Tale soluzione non è attestata nei Detti piacevoli.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 31/S1
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale e i Detti piacevoli


Infine si veda (1c) come, secondo un uso ben noto al latino, con effetto sia di messa in
rilievo di entrambi i termini della dittologia, sia di anafora al fine di maggiore coesione,
sia infine a tutela di chiarezza nei singoli contesti, la congiunzione coordinante sia iterata:
5 non fussino e in publico e in privato grandissimi premi e nobilissimi ornamenti
apparecchiati
16 né d’altronde veramente ebbono origine li leggiadri ed alteri fatti e col senno e con la
spada, e tante mirabili eccellenzie de’ valorosi antichi
33 uomo per molte virtù e d’animo e di corpo prestantissimo
41-42 per la quale e a sé e ad altri eterna vita e gloria partorissi
99 E costoro e Piero delle Vigne.
Nel primo e nel terzo caso la scelta di ripetere la congiunzione tutela l’unitarietà della
dittologia nel suo complesso, che correva il rischio di risultare ‘dispersa’ nell’iperbato che
separa, nel primo esempio, l’ausiliare dal participio passato del tempo composto fussino
[…] apparecchiati, nel terzo il sostantivo uomo dal suo aggettivo prestantissimo; nel
primo, secondo e quarto la dittologia andava rimarcata in quanto tale per distinguerla
dalle dittologie contigue (rispettivamente grandissimi premi e nobilissimi ornamenti, li
leggiadri ed alteri fatti e eterna vita e gloria); nel secondo caso inoltre l’unità di e col
senno e con la lancia andava ulteriormente salvaguardata in quanto dipendente da fatti
che qui conserva valore verbale.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 31/S2
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale e i


Detti piacevoli
La collocazione del verbo in fine di periodo o di frase si articola secondo due principali
modalità a seconda che il verbo posposto sia di modo finito o infinito.
Per il primo caso si vedano (l’esemplificazione è limitata solo alla prima pagina del file
pdf):
2-3: “una per certo sopra tutte l’altre esser gloriosissima e quasi singulare ho
giudicato”
10-12: “A questo fine […] il poetico ed oratorio certame con tanto studio fu celebrato”
12-15: “Per questo solo […] infiniti altri mirabilissimi ornamenti furono ordinati“
22-23: “quando nel Sigeo al nobilissimo sepulcro del famoso Achille fu pervenuto”
27-28: “se ’l divino poeta Omero non fusse stato, una medesima sepultura il corpo e
la fama di Achille averebbe ricoperto”
28-37 “Pisistrato, […] proposti amplissimi premi a chi alcuni de’ versi omerici gli
apportassi, […] tutto il corpo […] insieme raccolse, e […] così lui a se stesso
immortal gloria e clarissimo splendore acquistonne”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 31/S2
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale e i Detti piacevoli

In primo luogo si noterà l’alta frequenza di forme verbali composte in posizione finale di
periodo (forme non composte, rispettivamente passati remoti, presenti indicativi e
congiuntivi imperfetti, compaiono in fine di periodo a 42 partorissi, 94 descrisse e 101
compose; a 43 sono, 88 rassembra, 99 riceviamo; a 64 disprezzi e 70 risplendino).
Le forme verbali composte sono un’innovazione linguistica romanza e dunque sono
caratteristiche del volgare; numerosi umanisti, nel desiderio di modellare il proprio
volgare sul latino, tentarono di ridurne le occorrenze, sostituendo, laddove fosse
possibile, il passato remoto al passato prossimo (così fa per esempio Leon Battista
Alberti).
Il Poliziano invece non censura tali forme, ma piuttosto le ‘depotenzia’, separando di
frequente l’ausiliare dal participio passato (e dunque riducendo la visibilità del tempo
composto) e ponendo in evidenza in fine di periodo il participio passato (ottenendo in
tal modo un effetto latineggiante analogo a quello della posposizione dell’intero
sintagma verbale), come si può vedere dagli esempi seguenti:
5-6 “non fussino e in publico e in privato grandissimi premi e nobilissimi ornamenti
apparecchiati”
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 31/S2
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale e i Detti piacevoli

10 “sono gli animi de’ mortali alle preclare opere infiammati”


28-31 “Né questo poeta ancora […] sarebbe in tanto onore e fama salito, se da uno
clarissimo ateniese non fusse stato di terra in alto sublevato, anzi quasi da morte a sì
lunga vita restituto”
31-32 “essendo la sacra opera di questo celebratissimo poeta dopo la sua morte per
molti e vari luoghi della Grecia dissipata e quasi dimembrata”
44 “essendo già in tutto i premi de’ virtuosi fatti mancati”
46 “hanno al tutto dispregiati ”
47-48 “non sarebbe di poi la dolorosa perdita di tanti e sì mirabili greci e latini scrittori
con nostro grandissimo danno intervenuta”
56-57 “tutti questi scrittori le fussino insieme in un medesimo volume raccolti”
71-72 “Fu l’uso della rima […] ancora appresso gli antichi romani assai celebrato”
91-92 “averebbe senza dubbio i primi onori occupati”
114-115 “i quali tutti di lungo intervallo si sono da quella bella coppia allontanati”
119-120 “Abbiamo ancora nello estremo del libro (perché così ne pareva ti piacessi)
aggiunti alcuni delli nostri sonetti e canzone”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 31/S3
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale e


i Detti piacevoli
Si creano in questo modo ampie arcate sintattiche che vedono i due elementi del verbo
composto all’inizio e alla fine della frase (quasi come colonne), frammezzati da
complementi di varia natura.
Questa scelta da un lato comporta come conseguenza le figure retoriche dell’iperbato
e soprattutto dell’anastrofe (del distanziamento cioè nel discorso di elementi
sintatticamente e semanticamente congiunti), figure retoriche entrambe che sono in
effetti ricercate anche indipendentemente dalla dislocazione delle forme verbali, come
mostra per esempio l’anastrofe del r. 24:
“mandò fuori suspirando quella sempre memorabile regia veramente di sé degna
voce”,
cioè
‘sospirando disse (mandò fuori) quelle parole (quella […] voce), che saranno sempre
famose (sempre memorabile), regali (e dunque) veramente degne di lui’.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 31/S3
Titolo: Agnolo Poliziano: analisi linguistica
Attività n°: 1

Poliziano, la Lettera proem iale e i Detti piacevoli


Ma il contrassegno più evidente in senso latineggiante nella sintassi dell’Epistola è dato
dall’adeguamento alla costruzione latina delle oggettive o soggettive implicite con infinito,
in dipendenza di verbi di opinione o dichiarativi:
3 una per certo sopra tutte l’altre esser gloriosissima e quasi singulare ho giudicato;
6-7 tutti li fiumi e fonti si dice aver principio;
8-9 tutti i famosi fatti e le maravigliose opere degli antichi uomini s’intende essere
derivati;
40-41 Conosceva questo egregio principe li altri suoi virtuosi fatti […] tutti nientedimeno
a quest’una laude essere inferiori
107 meglio giudico essere tacere che poco dirne;
109-110 né ingegno né volontà ad alcuno di loro si vede essere mancato.
A 122-123 invece
“se degni non sono fra sì maravigliosi scritti di vecchi poeti essere annumerati
la costruzione dell’accusativo con l’infinito è in dipendenza da dignus, con omissione di
qualunque legame sintattico (nel Poliziano con omissione della preposizione di) secondo
un modulo possibile, ma non obbligatorio in latino (dove era possibile anche dignus ut +
congiuntivo, corrispondente al nostro ‘degno che’).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 32
Titolo: Agnolo Poliziano: lo stile
Attività n°: 1

La Lettera proem iale del


Poliziano: lo stile
Fin da una prima lettura della Lettera proemiale si mostra evidente la natura colta, di
forte impronta letteraria, che la caratterizza.

Aperta da un’allusione alla grande tradizione retorica latina (Ripensando […] meco
medesimo ricorda l’incipit del De oratore: “Cogitanti mihi saepe numero et memoria
vetera repetenti perbeati fuisse”), l’epistola polizianea rimanda, nelle righe 1-17, al tema,
spesso sfruttato in periodo umanistico, del premio come incoraggiamento alla virtù e
all’esercizio letterario.
In particolare i rr. 9-10 (L’onore è veramente quello che porge a ciascuna arte
nutrimento; né d’altra cosa quanto dalla gloria sono gli animi de’ mortali alle preclare
opere infiammati) sono traduzione esatta (pur con qualche minima amplificazione) di
Cicerone, Tusculanae disputationes I 4 “honos alit artes, omnesque incenduntur ad
studia gloria”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 32
Titolo: Agnolo Poliziano: lo stile
Attività n°: 1

La Lettera proem iale del Poliziano: lo stile


I richiami intertestuali dunque sono ben più importanti di quanto non potrebbe apparire
dalle sole citazioni esplicite da Sallustio (Bellum Iughurtinum XIX):
“Nam de Carthagine silere melius puto quam parum dicere”

e dal Petrarca latino (Familiares I 1 6):


“Et erat pars soluto gressu libera, pars frenis homericis astricta, quoniam ysocraticis
habenis raro utimur; pars autem, mulcendis vulgi auribus intenta, suis et ipsa
legibus utebatur. Quod genus, apud Siculos, ut fama est, non multis ante seculis
renatum, brevi per omnem Italiam ac longius manavit, apud Grecorum olim ac
Latinorum vetustissimos celebratum; siquidem et Athicos et Romanos vulgares
rithmico tantum carmine uti solitos accepimus”

che sono letteralmente tradotte a 106-107 (si veda l’esatta corrispondenza fra melius
/meglio e l’esatta traduzione di silere con tacere e parum dicere con poco dirne) e
rispettivamente a 71-74 (si confronti apud Siculos […], non multis ante seculis renatum
con nella Sicilia non molti secoli avanti a rifiorire e apud […] Latinorum vetustissimos
celebratum con appresso gli antichi romani assai celebrato).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 32
Titolo: Agnolo Poliziano: lo stile
Attività n°: 1

La Lettera proem iale del Poliziano: lo stile


Alle due citazioni che menzionano esplicitamente l’autore utilizzato va aggiunta la
leggenda di Pisistrato che Poliziano ricava dalla stessa opera ciceroniana già citata, il
De oratore III 137:

“Quis doctior eisdem temporibus illis aut cuius eloquentia litteris instructior fuisse
traditur quam Pisistrati? Qui primus Homeri libros confusos antea sic disposuisse
dicitur, ut nunc habemus. Non fuit ille quidem civibus suis utilis, sed ita eloquentia
floruit, ut litteris doctrinaque praestaret”,

ma che Poliziano arricchisce con informazioni ricavate da autori greci (in particolare da
Eustazio, il commentatore di Omero) a questa data tutt’altro che diffusi e la cui
conoscenza dimostra il livello di erudizione del Poliziano.
La citazione di Pisistrato (esaltato già da Cicerone e Petrarca come esempio di dottrina
e di eloquenza) per la sua raccolta dei poemi omerici è funzionale a celebrare,
mediante il paragone con un esempio classico, il ruolo avuto da Federico d’Aragona nel
salvataggio degli antichi poeti volgari attuato mediante la Raccolta Aragonese.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 32/S1
Titolo: Agnolo Poliziano: lo stile
Attività n°: 1

La Lettera proem iale del


Poliziano: lo stile
I richiami alla cultura classica (greca e latina) e umanistica, si accompagnano però a
precisi richiami intertestuali alla tradizione volgare.
Espliciti sono i richiami a Petrarca (a 18: “come ben dice il nostro toscano poeta […]”;
che rimanda a Petrarca, Rerum vulgarium fragmenta LIII, vv. 33-34: “di ta’ che non
saranno senza fama, / se l’universo pria non si dissolve”; e a 22-26 che rinvia a RVF
CLXXXVII, 1-4: “Giunto Alexandro a la famosa tomba / del fero Achille, sospirando disse: /
O fortunato, che sí chiara tromba / trovasti, et chi di te sí alto scrisse!”),
e a Dante (a 79-82: “non dubita il nostro onorato Dante […]” che cita Purg. XXVI 98-99 e
a 101-104 (“costui è quello che, come dice Dante […]” che cita Inf. XIII 58-60).
A queste citazioni esplicite alla tradizione letteraria volgare se ne aggiungono numerose
altre tacite o alluse.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 32/S1
Titolo: Agnolo Poliziano: lo stile
Attività n°: 1

La Lettera proem iale del Poliziano: lo stile


Per esempio tutta di fioretti e d’erba è rivestita di 51 occhieggia alla lontana alla
sestina dantesca “Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra”, vv. 7-12: “Similemente
questa nova donna / si sta gelata come neve a l’ombra: / ché non la move, se non
come petra, / il dolce tempo che riscalda i colli, / e che li fa tornar di bianco in verde /
perché li copre di fioretti e d'erba” e, più da vicino, alla fortuna di quella sestina
nell’ambito laurenziano, testimoniata dal sonetto LXXXVI (“Come ti lascio, o come
meco sei”, vv. 12-14) del Canzoniere di Lorenzo de’ Medici: “s’io son lontan, novella
Primavera / riveste i prati di fioretti e d'erba: / così bella la veggio e sì pietosa”.

D’altro canto la lunga descrizione fisica e letteraria di Guido Cavalcanti a 85-96 deve
molto alla descrizione che del poeta diede Boccaccio nella breve novella IX della VI
giornata del Decameron. L’attenzione alla produzione boccacciana è attestata inoltre
da la bella forma del nostro idioma (83) che riprende il Boccaccio del Trattatello in
laude di Dante: “mostrando la bellezza del nostro idioma” (il grecismo idioma,
introdotto in italiano per primo da Dante, è transitato poi soprattutto attraverso i
commentatori e imitatori della Commedia, fra i quali lo stesso Boccaccio).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 32/S1
Titolo: Agnolo Poliziano: lo stile
Attività n°: 1

La Lettera proem iale del Poliziano: lo stile


La citazione della canzone cavalcantiana “Donna me prega” induce Poliziano a
richiamare i commenti che fin dal Trecento ne erano stati fatti (il primo da parte di
Dino del Garbo in latino prima del 1327; il secondo, a cui Poliziano allude, è in realtà
un volgarizzamento della glossa di Dino, da parte di Iacopo Mangiatroia; il terzo è
quello del cosiddetto pseudo Egidio Colonna, attribuzione data come certa da
Poliziano, ma ormai non più accreditata).
Negli stessi anni della stesura dell’Epistola proemiale inoltre la medesima canzone del
Cavalcanti era stata citata e in parte commentata nel Commentarium in convivium
Platonis di Marsilio Ficino (1469; altri commenti seguiranno più tardi nel Quattrocento
e poi nel Cinquecento), a ulteriore testimonianza della doppia apertura di credito che
Poliziano fa alla tradizione classica e a quella volgare, passata e contemporanea.

Questa doppia attenzione alla tradizione greca e latina e a quella volgare corrisponde,
a livello propriamente linguistico, a quel che abbiamo visto riguardo la diversa
penetrazione di elementi latini e volgari a seconda che ci si sia soffermati sugli aspetti
fonetici, o morfologici o sintattici o infine lessicale.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 32/S2
Titolo: Agnolo Poliziano: lo stile
Attività n°: 1

La Lettera proem iale del


Poliziano: lo stile
Dato che abbiamo a disposizione un testo completo (a differenza degli spezzoni degli
autori che abbiamo analizzato in precedenza o che seguiranno), possiamo analizzarlo
nella sua costruzione globale.
Il testo si apre, come si conviene ad un’epistola, con l’allocuzione al destinatario (1:
illustrissimo signor mio Federico), ma subito dopo il tono si amplia in un discorso
complesso che comprende:
A) una prima parte argomentativa concentrata sui tempi antichi (rr. 1-51),
B) una seconda storico-critica concentrata sui tempi recenti (52-115),
C) un epilogo che raccorda le due parti precedenti (116-128).
Ciascuna di queste tre parti principali vede la menzione in apertura del dedicatario
della silloge e dell’Epistola proemiale e ognuna di esse è tripartita al suo interno.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 32/S3
Titolo: Agnolo Poliziano: lo stile
Attività n°: 1

La Lettera proem iale del


Poliziano: lo stile
I legami fra le differenti parti del ragionamento complessivo non sono particolarmente
insistiti e il trapasso da una sezione all’altra non è testualmente rimarcato.
La coesione testuale, assicurata mediante l’anafora, infatti non si appunta sui luoghi di
trapasso: a dimostrazione che l’atteggiamento del Poliziano non è di natura didattica,
simile a quella che avevamo intravisto per il Passavanti: si vedano
12-14 Per questo solo […], per questo solo che a loro volta si ricollegano a 11-12
A questo fine;
83-85 Costui certamente […]. Costui per certo […].
Il legami interfrasali con la coniunctio relativa (Per la qual cosa 37, La qual cosa 46,
Per la qual cosa 57) tematizzano di rado, e, rinunciando a condurre per mano il lettore
attualizzando il già detto, Poliziano preferisce rilanciare il discorso in avanti mediante la
congiunzione Imperocché (6, 27, 31, 44, 53, 64) che spiega ma soprattutto arricchisce
con ulteriori precisazioni e corollari quanto espresso in precedenza.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 32/S3
Titolo: Agnolo Poliziano: lo stile
Attività n°: 1

La Lettera proem iale del Poliziano: lo stile


Allo stesso desiderio di argomentare e precisare allude anche l’iterazione della
congiunzione e nelle dittologie, rafforzata dall’analoga iterazione di né … né, esatto
corrispondente di e … e nel contesto di una negazione: a 3-4 nessuna illustre e
virtuosa opera né di mano né d’ingegno; a 109-110 avvenga che né ingegno né
volontà ad alcuno di loro si vede essere mancato).
Tale volontà di messa a punto e precisazione è espressa anche mediante né iniziale di
frase, sia che specifichi ulteriormente una affermazione già espressa con la negazione
del suo contrario:
9-10 né da altra cosa quanto dalla gloria sono gli animi de’ mortali alle preclare
opere infiammati;
14-15 né d’altronde veramente ebbono origine li leggiadri ed alteri fatti;
sia che metta in guardia preventiva rispetto ad erronee posizioni:
28-29 Né questo poeta ancora […] sarebbe in tanto onore e fama salito;
63-64 Né sia però nessuno che questa toscana lingua come poco ornata e copiosa
disprezzi;
96-97 Né si deve il lucchese Bonagiunta e il notaro da Lentino con silenzio
trapassare.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 32/S3
Titolo: Agnolo Poliziano: lo stile
Attività n°: 1

La Lettera proem iale del Poliziano: lo stile

Un’ultima considerazione su quelle che sono le specificità di natura culturale del nostro
testo. La parte più innovativa dell’Epistola è quella storico-critica, nella quale Poliziano
elabora (o rielabora per il volgare) un lessico tecnico-critico: dalla tradizione classica
provengono i concetti di ornamento e di copia (con il sinonimo di abundantia e dunque
di ricchezza) o di rifinitura (polire): ornata e copiosa 63; ricchezze ed ornamenti 64;
abundante e pulitissima 65; ornatissimi 77; copioso e rilevato 89; più lucido, più suave
e più ornato 78-79. L’apporto di Poliziano alla formazione di un lessico critico nuovo si
misura invece su gentile, florida, leggiadra 66 o sull’associazione in dittologia di
nuovo e antico: ruvido e severo 78.
In questo stesso settore Poliziano adotta il campo metaforico delle arti visive per
descrivere lo stile dei poeti passati in rassegna nella seconda parte, secondo un
modello offertogli dalla retorica classica, nella quale non di rado erano invocati
paragoni con la pittura e con i pittori per illustrare alcuni precetti retorici. In questa
luce si comprende la pregnanza di formulazioni come le seguenti: 75: a ritrarre la
vaga im m agine del novello stile; 83: da cui la bella form a del nostro idioma fu
dolcemente colorita, quale appena da quel rozzo aretino era stata adom brata ; 89:
copioso e rilevato.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 33
Titolo: Test
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui contenuti


studiati nelle lezioni precedenti dedicate al panorama
linguistico del Quattrocento e all’analisi linguistica dei
testi di Agnolo Poliziano, lo studente è invitato a
compilare il test associato a questa sessione di
studio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 33/S1
Titolo: Test
Attività n°: 1

TEST: esercizio sulle banche dati


Lo studente verifichi
a) nel corpus testuale dell’OVI (http://gattoweb.ovi.cnr.it/)
b) nella banca dati Biblioteca Italiana (http://www.bibliotecaitaliana.it/)

la vitalità di lauda, laude , laudi rispetto a loda, lode, lodi (in entrambi i
casi la ricerca, per lemma o per forma va fatta secolo per secolo).

I risultati della ricerca (dati quantitativi ed commenti) dovranno essere


inviati tramite eportfolio, avvertendo al contempo il docente sul sistema di
messaggistica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 33/S2
Titolo: Test
Attività n°: 1

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.

22) Latino, greco e volgare nell’Umanesimo quattrocentesco.


23) Illustrate in che misura i tratti del fiorentino argenteo si manifestano nella prosa del
Poliziano esemplificando dalla Lettera proemiale alla Raccolta Aragonese e dai Detti
piacevoli.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 33/S3
Titolo: Test
Attività n°: 1

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
24) Illustrate la presenza e la natura dei latinismi nella scrittura di Agnolo Poliziano.
25) Analizzate dal punto di vista linguistico il seguente brano estratto dalla Lettera
proemiale alla Raccolta Aragonese:
“Imperocché, essendo la sacra opera di questo celebratissimo poeta dopo la sua morte per
molti e vari luoghi della Grecia dissipata e quasi dimembrata, Pisistrato, ateniese principe,
uomo per molte virtù e d’animo e di corpo prestantissimo, proposti amplissimi premi a chi
alcuni de’ versi omerici gli apportassi, con somma diligenzia ed esamine tutto il corpo del
santissimo poeta insieme raccolse, e sì come a quello dette perpetua vita, così lui a se stesso
immortal gloria e clarissimo splendore acquistonne”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 34
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 2

La prosa letteraria del


Cinquecento e la norma
Trattando della prosa letteraria del XV secolo abbiamo notato come, a differenza del
primo Quattrocento, nella seconda metà del secolo, alla maggiore diffusione del greco
e della letteratura greca corrisponda il conseguente specializzarsi di una cultura ‘alta’
che, per quanto riguarda il latino, si riflette nel recupero dell’evoluzione storica della
lingua di Roma e in una conoscenza e imitazione sempre più avvertite e
filologicamente attrezzate.
E il latino, proprio per la raffinatezza con cui viene recuperato e utilizzato in sede
letteraria si sottrae sempre di più a quegli usi sociali medio-bassi che ne avevano
assicurato la sopravvivenza orale in alcuni ambiti durante il Medio Evo, decretando o
la sanzione contro un suo uso non corretto o l’abbandono a favore del volgare.
Il raffinarsi e il processo di élitarizzazione della cultura alta, se non mette in
discussione il prestigio delle lingue di cultura, ne limita insomma ulteriormente
l’utilizzabilità sociale.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 34
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 2

La prosa letteraria del Cinquecento e la norma


Inoltre quel pubblico, che richiede sempre di più un’acculturazione non banalmente
divulgativa, alla cui nascita abbiamo assistito nella seconda metà del Quattrocento, è
in quello stesso torno di tempo accresciuto numericamente dalla maggiore
accessibilità ai testi attraverso lo strumento ‘democratico’ dei libri a stampa,
disponibili più facilmente e a sempre meno caro prezzo sul mercato, grazie alla
diffusione in tutta Italia di imprese tipografiche.
La stampa, che ha di fronte a sé un mercato tendenzialmente ‘nazionale’ (in termini
geografici e territoriali, naturalmente), piuttosto che cittadino o municipale, pone
progressivamente i tipografi e i letterati di fronte all’esigenza di una
normativizzazione di carattere ortografico, fonetico e più genericamente linguistico
che sollecita (laddove assente) o incoraggia quel fenomeno di convergenza che in
maniera occasionale aveva cominciato a prodursi con la diffusione e la fortuna delle
opere di Dante, Petrarca e Boccaccio già agli inizi del Quattrocento e che nella
seconda metà del Quattrocento aveva già condotto in alcuni ambienti (in particolare
nelle cancellerie dei comuni e delle signorie dell’Italia settentrionale) alla
konéizzazione (cioè la formazione di una lingua comune) in senso genericamente
toscano.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 34
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 2

La prosa letteraria del Cinquecento e la norma

Nell’analizzare la prosa letteraria del Cinquecento non possiamo dunque dimenticare che
prassi e teoria, scrittura letteraria e riflessione linguistica vanno di concerto e sono
sempre costantemente legate. Legata a bisogni percepiti a livelli diversi (tipografi,
utenti, letterati, oltre che grammatici e lessicografi), la questione della lingua si affaccia
e si impone fin dai primi anni del secolo XVI.
Nel primo decennio del secolo, a stare alla affermazione dell’autore, Pietro Bembo
aveva iniziato a mettere su carta la propria riflessione sulla lingua da usarsi in
letteratura, mediante la stesura di regole di carattere grammaticale; in quello stesso
primo decennio del Cinquecento viene composta la prima grammatica volgare di
Giovan Francesco Fortunio (prescindendo dalla Grammatichetta vaticana dell’Alberti
che fu, come abbiamo detto, gesto precoce e geniale, ma senza fortuna, di un umanista
sui generis); in quello stesso giro d’anni vengono scritti i nove libri, ormai irrecuperabili,
della Volgar poesia di Vincenzo Calmeta (Vincenzo Colli detto il Calmeta, 1460-1508),
da datarsi almeno ante 1508, data della morte del loro autore, nei quali si patrocinava la
scelta della lingua cortigiana e dei quali ci rimane un resoconto e un giudizio,
certamente di parte, nelle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo (Prose, libro I,
capitoli XIII-XIV).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 34/S1
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 1

La prosa letteraria del


Cinquecento e la norma
La prima grammatica ‘italiana’ ad uscire in stampa fu quella di Giovanni Francesco
Fortunio (1470 circa-1517): le Regole grammaticali della volgar lingua, Impresso in
Ancona, per Bernardin Vercellese, 1516 del mese di settembre.
A questa prima edizione fecero seguito due altre edizioni milanesi del 1517, un’altra
veneziana del 1518; la pubblicazione delle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo
nel 1525 non interruppe la fortuna di questa prima grammatica, ristampata a Venezia
di nuovo nel 1527 e nel 1529 e poi ancora varie volte fino al 1565.
Sebbene essa fosse stata pubblicata per la prima volta nel secondo decennio del XVI
secolo sappiamo però che essa era stata se non già tutta composta certo in fase di
avanzata composizione nel 1509, anno in cui il Fortunio chiedeva alla Signoria veneta il
privilegio di stampare delle
“regule gramaticali de la tersa vulgar lingua cum le sue ellegantie et hortografia”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 34/S1
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Cinquecento e la norma


La grammatica del Fortunio è incompiuta per la morte improvvisa dell’autore (ai due
primi libri pubblicati nel 1516 avrebbero dovuto seguirne altri tre, poi non composti):
quel che fu dato alle stampe, comunque, può illustrare bene quali erano agli inizi del
Cinquecento le esigenze alle quali la prima grammatica intendeva rispondere.
Le Regole del Fortunio dedicavano un intero libro (il secondo dei due pubblicati) al
problema ortografico, un problema particolarmente sentito nel Cinquecento: il
sistema di rappresentazione tramite l’alfabeto latino della lingua volgare e dei nuovi
suoni che essa aveva prodotto mostrava per certi versi ridondanze e deficienze alle
quali la tradizione precedente aveva posto rimedio in maniera contingente e, in
assenza di un centro normativo, senza alcuna direzione unitaria. La nascita della
stampa e l’apertura a tutto il pubblico italiano dei prodotti editoriali aveva evidenziato
ancora di più l’‘anarchia’ con cui singoli ambienti, singole tradizioni regionali o
cittadine, e infine singoli scriventi avevano affrontato la necessità di adattare un
sistema grafico antico a suoni ed esigenze fonetiche nuove. D’altro canto, a fronte
delle necessità di chiarezza, o della distinzione di omografi, stava la tentazione, sempre
rinascente, di edulcorare la novità fonetica del volgare facendo appello a usi latini non
rispondenti alla effettiva pronuncia.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 34/S1
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Cinquecento e la norma


L’opera del Fortunio impostava la questione della grammatica volgare facendo tesoro
della precedente convergenza linguistica in senso unitario che si era maturata nel secolo
precedente a fronte della fortuna degli autori toscani fuori della Toscana; è dunque una
grammatica scritta da un letterato per letterati e non può non esaltare o valorizzare
quelle basi letterarie che sole permettevano di parlare di una lingua volgare (e non di
molteplici varietà, spazialmente poco diffuse, geograficamente differenziate e
numericamente molto alte).
Non c’è da stupirsi allora che Fortunio faccia ricorso ad esemplificazioni scritte, di natura
letteraria, tratte dalle opere di Dante e Petrarca; una tendenza che, se corrispondeva al
prestigio dovunque riconosciuto a quei due modelli letterari, aveva per il Fortunio anche
precisi punti di riferimento nell’ambiente veneto e propriamente veneziano, con
altrettanto precisi bersagli polemici nelle due stampe della Commedia e dei Rerum
vulgarium fragmenta per le quali Pietro Bembo aveva collaborato con il grande editore e
umanista (romano, ma veneziano di adozione) Aldo Manuzio.
Le due caratteristiche delle Regole del Fortunio toccavano elementi sensibili e indicavano
linee di tendenza che la grammatografia immediatamente seguente riaffronterà; ma sul
modo di affrontare la questione letteraria e i modelli cui fare riferimento le Regole del
Fortunio rimarranno lettera morta.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 34/S2
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 1

La prosa letteraria del


Cinquecento e la norma
L’impostazione della grammatica del Fortunio, umanista già allievo di altri umanisti,
era di tipo filologico, e cercava di trasferire al volgare quella tradizione umanistica
che nei decenni precedenti era stata applicata al latino. Non solo il volgare era
descritto secondo categorie che ricalcavano la tradizione grammaticale latina (e non
poteva essere altrimenti), non solo analizzavano la lingua viva come la lingua morta
della classicità, ma anche (anziché seguire la linea maestra della didattica della
lingua) si soffermavano su questioni esegetiche, di corretta interpretazione dei
passi danteschi e petrarcheschi addotti nell’esemplificazione o su questioni
propriamente filologiche (lezioni buone e corrette o viceversa errori e
banalizzazioni) che difficilmente potevano appassionare un pubblico ampio e
variegato, tutto interessato piuttosto a (e desideroso di) ricevere indicazioni e
norme per un ‘corretto’ (o ‘più corretto’) uso del volgare.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 34/S2
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Cinquecento e la norma

Giovan Francesco Fortunio dunque, da un lato interpretava esigenze importanti e


ineludibili per chi volesse porsi la questione di una normazione del volgare (ortografia
e modelli di riferimento), ma d’altro canto rimaneva distante da quello che era il
pubblico di utenti: un pubblico di letterati e scriventi bisognoso di una norma sicura a
cui adeguare la propria produzione, che o non poteva o non sapeva contentarsi dei
richiami alla tradizione grammaticale latina o era disinteressato alla prospettiva
filologica di stampo umanistico che era del Fortunio. Quel pubblico aveva bisogno di
una grammatica che, destinata ai letterati, si impostasse su una prospettiva letteraria
e retorica in vista di nuova letteratura.
A questa esigenza ampiamente condivisa risposero le Prose di m. Pietro Bembo nelle
quali si ragiona della volgar lingua scritte al cardinale de Medici che poi è stato creato
a sommo pontefice et detto papa Clemente settimo divise in tre libri, Impresse in
Vinegia, per Giovan Tacuino, nel mese di settembre del 1525 (una seconda edizione
apparve a Firenze, poco dopo la morte dell’autore, nel 1549, per volontà di Carlo
Gualteruzzi, già segretario di Bembo, e per le cure di Benedetto Varchi).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 34/S2
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Cinquecento e la norma


Pietro Bembo (1470-1547) poteva giovarsi di un lungo tirocinio latino e greco secondo
un itinerario formativo e culturale largamente condiviso nel Quattrocento. Ma già nei
primi anni del Cinquecento, a questa formazione strettamente umanistica, il Bembo
aveva cominciato ad associare un’attività in campo volgare di varia natura: nel 1501 e
nel 1502 aveva collaborato con il grande editore veneziano Aldo Manuzio alla stampa di
-- Le cose volgari di messer Francesco Petrarcha, Impresso in Vinegia: nelle case d’Aldo
Romano, 1501 del mese di luglio
-- Le terze rime di Dante, Venetiis, in aedib. Aldi, men. Aug. 1502;
pochi anni dopo aveva fatto stampare dallo stesso editore i propri Asolani, (Impressi in
Venetia, nelle case d'Aldo romano, 1505 del mese di marzo), mentre circolavano
manoscritte le sue rime (stampate poi soltanto nel 1530).
E la questione di quale lingua e quale modello letterario proporre a sé e ai
contemporanei per la scrittura letteraria in volgare va fatta risalire all’indietro, a questa
stagione della biografia culturale del Bembo, molto prima dunque che le Prose
prendessero forma (una notizia della gestazione del testo è del 1513) o infine venissero
completate (1524).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 34/S3
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 1

La prosa letteraria del


Cinquecento e la norma
È dunque probabile, sulla base di quanto detto, che l’ideazione delle Prose sia
antecedente alla prima grammatica del Fortunio, priorità che il Bembo del resto
rivendicò in vari modi. Per esempio in una lettera privata ad un amico (“che gli riferiva
l’accusa che a lui Bembo veniva mossa di aver indebitamente messo a profitto […] le
Regole del suo predecessore”) rispondeva di aver comunicato il contenuto delle proprie
Prose in tempi non sospetti “‘a persone grandi e degnissime di fede molti e molti anni
innanzi che il Fortunio si mettesse ad insegnare altrui quello che egli non sapeva’” (cito
da Carlo DIONISOTTI, Niccolò Liburnio e la letteratura cortigiana, in Rinascimento europeo
e rinascimento veneziano, Firenze, Sansoni, 1967, pp. 26-27).
Inoltre l’autore collocava il dialogo fittizio fra Ercole Strozzi, Giuliano de’ Medici, Federico
Fregoso e il proprio fratello, Carlo Bembo, a proposito della lingua letteraria, nel 1502
circa, fingendo che il dedicatario dell’opera fosse stato individuato fra il 1513 e il 1523,
quando cioè Giulio de’ Medici, era ancora cardinale e non ancora papa con il nome di
Clemente VII.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 34/S3
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Cinquecento e la norma

La comparsa nel 1525 delle Prose bembiane nel panorama letterario italiano non fu
importante soltanto per le teorie linguistiche espresse nelle Prose e per l’indicazione di
una precisa via maestra da seguire, ma soprattutto perché, a differenza delle Regole
dell’oscuro Giovan Francesco Fortunio, esse rappresentavano il punto di vista
(condivisibile o meno che esso fosse) di un intellettuale di primo piano, ormai autore
maturo e di prestigio indiscusso: nel 1524-1525 il Bembo aveva alle spalle una solida
preparazione filologica e umanistica, una buona produzione latina, una vita trascorsa
nelle corti di Ferrara (a più riprese) e di Urbino (fra il 1506 e il 1512) e, dal 1513 al
1520 era stato segretario del primo papa Medici (Leone X), più volte in procinto di
essere nominato cardinale (nomina che giunse invece molto tempo dopo, nel 1539);
questa vita a contatto con gli ambienti cortigiani e curiali aveva consentito a Pietro
Bembo di stabilire una serie di relazioni di amicizia e di colleganza da cui aveva ricavato
stima e fama indiscussa.
Insomma la presa di posizione di Bembo sulla questione linguistica, che si fosse o no
d’accordo con lui, non poteva passare inosservata.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 34/S3
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Cinquecento e la norma

È comunemente noto che la proposta bembesca fu quella di indicare a modello


della scrittura letteraria dei propri contemporanei la lingua di Boccaccio per
la prosa e di Petrarca per la poesia, formulando al contempo giudizi molto
limitativi su Dante (ricordiamo quanto di Dante, a paragone di Cino da Pistoia, il
Poliziano già aveva detto nella Lettera proemiale alla Raccolta Aragonese, rr. 110-113:
“Assai bene alla sua nominanza risponde Cino da Pistoia, tutto delicato e veramente
amoroso, il quale primo, al mio parere, cominciò l’antico rozzore in tutto a schifare, dal
quale né il divino Dante, per altro mirabilissimo, s’è potuto da ogni parte schermire”).
Testimonianza di un cambio di gusto in cui la perdita d’aura di Dante, della Commedia
e delle rime, era andata e andava di pari passo con l’aumentare delle quotazioni
petrarchesche, quest’ultime in risalita a partire dalla metà del Quattrocento e destinate
a culminare con i primi decenni del Cinquecento nella moda conclamata del
petrarchismo, anche con il contributo determinante del Bembo poeta (le cui Rime
andarono a stampa per la prima volta come ‘canzoniere’ organizzato al modo di quello
del Petrarca, come già ricordato, solo nel 1530, ma che ebbero, prima di quella data,
notevole diffusione manoscritta).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 35
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 1

La prosa letteraria del


Cinquecento e la norma
La scelta di Pietro Bembo di proporre a modelli di lingua volgare solo due autori, uno
ciascuno per la prosa (Boccaccio) e per la poesia (Petrarca) corrisponde ad una posizione
ideologica che può essere pienamente intesa solo collegandola al più ampio problema
dell’imitatio (quali modelli imitare in letteratura) in ambito volgare e in ambito latino, ter-
reno sul quale si erano scontrati alla fine del Quattrocento Agnolo Poliziano e Paolo Cor-
tesi e nel secondo decennio del Cinquecento Giovan Francesco Pico e lo stesso Pietro
Bembo.
Si leggano le parole che Carlo Dionisotti (Pietro Bembo, in Dizionario Biografico degli
Italiani, VIII, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1966) dedica alla vicenda:
“Il 19 sett. 1512 G(iovan) F(rancesco) Pico indirizzò al B(embo) una epistola sulla questione dell'i-
mitazione, sostanzialmente riprendendo la tesi sostenuta vent'anni prima dal Poliziano in polemica
con P(aolo) Cortese, e adattandola alle esigenze e ai fini di un umanesimo riformatore, quale era
quello sviluppatosi fuori d'Italia. Il B(embo) rispose in data 1° genn. 1513, e questa sua epistola De
imitatione fu e restò il manifesto di un umanesimo latino e ciceroniano. All'improvvisazione
anarchica e al comodo eclettismo, e alle ragioni non letterarie del contenuto, il B(embo) preponeva,
in letteratura, la rigorosa disciplina e le ragioni propriamente letterarie dello stile”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 35/S1
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 1

La prosa letteraria del


Cinquecento e la norma
Il modello unico proposto dal Bembo aveva una valenza didattica che ne assicurava la
fortuna, al contrario del modello ‘contaminatorio’ proposto da Vincenzo Calmeta con
la ‘teoria cortigiana’. Leggiamo, seppur di parte, la voce di Bembo stesso che confuta
la teoria del Calmeta nei capp. XIII e XIV del l. I della Prose della vlgar lingua.
Dice Carlo Bembo a Ercole Strozzi:
“Egli si par bene - disse - che voi non abbiate un libro veduto, che il Calmeta compo-
sto ha della volgar poesia, nel quale egli, affine che le genti della Italia non istiano in
contesa tra loro, dà sentenza sopra questo dubbio, di qualità che niuna se ne può do-
lere”.
E poco dopo riprende lo stesso Carlo Bembo:
“È - rispose mio fratello - questa, che egli giudica e termina in favore della cortigia-
na lingua, e questa non solamente alla pugliese e alla marchigiana o pure alla mela-
nese prepone, ma ancora con tutte l'altre della Italia a quella della Toscana medesi-
ma ne la mette sopra, affermando a' nostri uomini, che nello scrivere e comporre
volgarmente niuna lingua si dee seguire, niuna apprendere, se non questa –”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 35/S1
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Cinquecento e la norma


Giuliano de’ Medici contesta immediatamente l’efficacia della posizione ‘cortigiana’
“con ciò sia cosa che parlare cortigiano è quello che s'usa nelle corti, e le corti sono
molte”.
E di nuovo Carlo Bembo riprende la parola:
“– Chiama, dico, quella lingua, […] che in corte di Roma è in usanza; non la spa-
gniuola o la francese o la melanese o la napoletana da sé sola, o alcun’altra, ma
quella che del mescolamento di tutte queste è nata, e ora è tra le genti della
corte quasi parimente a ciascuna comune. Alla qual parte, dicendogli non ha guari
messer Trifone Gabriele nostro […] come ciò potesse essere, che tra così diverse
maniere di favella ne uscisse forma alcuna propria, che si potesse e in-
segnare e apprendere con certa e ferm a regola sì che se ne valessino gli
scrittori, esso gli rispondea, che sì come i Greci quattro lingue hanno alquanto tra
sé differenti e separate, delle quali tutte una ne traggono, che niuna di queste è, ma
bene ha in sé molte parti e molte qualità di ciascuna, così di quelle che in Ro-ma,
per la varietà delle genti che sì come fiumi al mare vi corrono e allaganvi
d'ogni parte, sono senza fallo infinite, se ne genera et escene questa che io
dico, la quale altresì, come quella greca si vede avere, sue regole, sue leggi ha, suoi
termini, suoi confini, ne' quali contenendosi valere se ne può chiunque scrive”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 35/S2
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 1

La prosa letteraria del


Cinquecento e la norma
L’obiezione di Bembo contro la teoria cortigiana sta dunque principalmente nella sua
inefficacia ad essere guida reale e concreta, modello stabile e ‘immobile’, punto di
riferimento sicuro per chi, d’ogni parte d’Italia, volesse imparare a scrivere.
La teoria del Calmeta infatti buttava a mare non solo la supremazia del toscano, ma
anche il patrimonio storico e letterario di una tradizione che, a partire dai modelli
toscani, si era comunque man mano venuta creando. Nella posizione del Bembo
invece, nelle parole di Carlo Dionisotti (Pietro Bembo e la nuova letteratura, p. 59):

“Le fondamenta della lingua, e di una nuova letteratura, erano stabilite al di là


del capriccio, della moda effimera, in un patrimonio storico di grande poesia e
prosa trecentesca che, nel corso di circa due secoli, era divenuto comune e
proprio di tutta l’Italia”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 35/S2
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Cinquecento e la norma


Se l’obiettivo era quello di offrire a tutta l’Italia letteraria di allora una lingua certa e
stabile, se dietro quest’obiettivo stava l’ambizione di fornire alla lingua non classica, in
perfetto parallelismo con il latino, un numero ristretto di autori che si appaiasse al
binomio classico di Cicerone e Virgilio sul doppio versante di prosa e poesia, era sulla
tradizione pregressa che bisognava puntare nella ricerca di un modello per il volgare,
rivolgendosi ad un tempo passato che a maggior ragione avrebbe consentito a tutti
l’apprendimento riflesso e libresco su un numero finito di opere, su una lingua
immobilizzata nel monumento letterario, su un’eccellenza formale che avrebbe
garantito preventivamente la qualità del prodotto linguistico-letterario.
Nel desiderio di consentire anche a coloro cha a Firenze e in Toscana non erano nati
l’accesso ad una lingua letteraria comune, nel momento di riconoscere l’eccellenza del
toscano scritto da Petrarca e Boccaccio, il Bembo veniva a disconoscere la validità del
toscano contemporaneo come modello universale utile per stabilire un’unità su basi
letterarie.
A tale proposito il Bembo fa pronunciare ancora al fratello Carlo, nel XVI capitolo del
libro I delle Prose, le seguenti parole che esprimono in maniera quanto più netta
possibile la sua posizione:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 35/S2
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Cinquecento e la norma

“Egli par bene da una parte, - disse - messer Federigo, che per contento tener se ne
debba Giuliano, perciò che egli ha senza sua fatica quella lingua nella culla e nelle
fascie apparata, che noi dagli auttori il più delle volte con l'ossa dure disagiosamente
appariamo. Ma d'altra non so io bene, senza fallo alcuno, che dirmi; e viemmi
talora in openione di credere, che l'essere a questi tempi nato fiorentino, a
ben volere fiorentino scrivere, non sia di molto vantaggio. Perciò che, oltre
che naturalmente suole avenire, che le cose delle quali abondiamo sono da noi men
care avute, onde voi toschi, del vostro parlare abondevoli, meno stima ne fate che
noi non facciamo, sì aviene egli ancora che, perciò che voi ci nascete e crescete,
a voi pare di saperlo abastanza, per la qual cosa non ne cercate altramente
gli scrittori, a quello del popolaresco uso tenendovi, senza passar più avanti, il
quale nel vero non è mai così gentile, così vago, come sono le buone scritture. Ma gli
altri, che toscani non sono, da' buoni libri la lingua apprendendo, l’apprendono vaga
e gentile”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 35/S3
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 1

La prosa letteraria del


Cinquecento e la norma

L’autorevolezza del Bembo da un lato, la nettezza della sue posizioni in positivo


(a favore del modello arcaico trecentesco) e in negativo (quella contro la teoria
cortigiana prima e quella che segue a ruota contro i Toscani), fecero sì che la
sua parola dovesse essere presa in seria parte, sia da quanti erano in accordo,
sia da quanti erano in disaccordo con lui.
La figura e il prestigio dell’intellettuale, oltre che la raffinata erudizione e la
profonda conoscenza linguistica che Bembo dimostra dei due autori proposti
come modelli, fecero sì che chiunque, dopo il 1525 dovette fare i conti (espliciti
o impliciti che fossero, giocati cioè sulla prassi o sulla teoria), con la posizione
che Bembo aveva argomentata con tali e tante considerazioni nelle Prose della
volgar lingua.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 35/S3
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Cinquecento e la norma


Fu inevitabile insomma che nei primi decenni del Cinquecento (in cui le posizioni di
Bembo circolarono oralmente) e a maggior ragione dopo la pubblicazione delle Prose,
ogni letterato, esplicitamente o implicitamente, si arruolasse in una delle tre fazioni che si
andavano costituendo in reciproca concorrenza:
-- quella arcaizzante del Bembo, che come abbiamo visto proponeva un
‘ciceronianismo’ volgare, tradotto nei due modelli prosastico di Boccaccio e poetico del
Petrarca;
-- quella della lingua cortigiana, propriamente della corte romana secondo la
formulazione che fu verosimilmente di Vincenzo Calmeta, ma poi, con notevoli distinguo
pratici, espressa da Baldassar Castiglione e da Gian Giorgio Trissino, nella quale
trovava nuovo sfogo la libertà contaminatoria e l’estro linguistico già proposti sul versante
latino da Poliziano e Giovan Francesco Pico;
-- quella dei Fiorentini e Toscani in genere che si ribellarono con veemenza alla
posizione bembesca di tagliar fuori dalla storia letteraria il fiorentino contemporaneo,
riducendo l’eccellenza della lingua cittadina a niente più che un ricordo ormai superato di
cui tutti si potevano impossessare. Tale posizione, abbastanza diffusa in ambito toscano,
fu precocemente sostenuta da Niccolò Machiavelli nel Discorso intorno alla nostra
lingua (1524).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 35/S3
Titolo: La prosa letteraria del Cinquecento e la norma
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Cinquecento e la norma

Sarà proprio su Niccolò Machiavelli (1469-1527) che ci soffermeremo nell’analisi


linguistica concreta, nella lettura di un brano del Principe, ma, a definire meglio il
contesto culturale di un decennio che fu importante per la questione della lingua, e
altrettanto importante per l’esperienza biografica e culturale di Machiavelli (fra il
Principe del 1513 e la riflessione teorica con il Discorso intorno alla nostra lingua del
1524), ci soffermeremo prima dell’analisi, sulle posizioni espresse dal Segretario
Fiorentino nel Discorso, la cui attribuzione e datazione sono state a lungo discusse e
revocate in dubbio, ma ormai definitivamente chiarite da un risolutivo articolo di Carlo
Dionisotti (per quanto riguarda l’attribuzione si ricordi che non c’è motivo di dubitare
del nipote Giuliano de’ Ricci che adduce la testimonianza del figlio di Niccolò,
Bernardo).

Sarà interessante verificare come il problema linguistico fosse di vitale importanza e di


estrema serietà anche per uomini che accreditano la propria fama certo non sul conto
di questioni linguistiche, ma su quello della politica e della storia, del pensiero
filosofico e della teoria dello stato.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 36
Titolo: Niccolò Machiavelli e la questione della lingua
Attività n°: 1

Machiavelli e la questione della


lingua
Di una reazione di Niccolò Machiavelli all’uscita delle Prose della volgar lingua del
Bembo abbiamo notizia indiretta: egli ne avrebbe parlato in un giudizio a caldo,
espresso estemporaneamente a Firenze, nella tipografia dei Giunti, in risposta ad un
Veneziano che quelle Prose aveva lodato. L’aneddoto è riferito da Carlo Lenzoni
(1501-1551), membro della Accademia Fiorentina (di cui fu console fra il 1543-1544),
l’opera del quale (con il titolo In difesa della lingua fiorentina, et di Dante. Con le
regole da far bella et numerosa la prosa) uscì postuma a Firenze, presso l’editore
Torrentino, nel 1556 per le cure di due amici dell’autore, Cosimo Bartoli e Pier
Francesco Giambullari.
Nella lunga pagina riferita dal Lenzoni (e che qui mi limito a sintetizzare) si racconta
“d’un ragionamento havuto sin quando vennon fuori le prose del Bembo, su ’l
cartolaio de’ Giunti, da Niccolò Macchiavelli con un messer Maffio Veniziano”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 36
Titolo: Niccolò Machiavelli e la questione della lingua
Attività n°: 1

Machiavelli e la questione della lingua


Con un capovolgimento paradossale che inverte i termini della questione così come si
era data storicamente, il Machiavelli avrebbe chiesto al Veneziano, suo interlocutore a
Firenze, quale giudizio avrebbe quello potuto dare di un Fiorentino, fosse anche il più
dotto, che avendo imparato il dialetto veneziano fuori di Venezia soltanto dagli scritti, in
prosa e in poesia, di autori veneziani, pretendesse di farsi censore del modo di parlare e
scrivere dei Veneziani nativi; anzi addirittura
“volesse darvene precetti & sottoporvi religiosamente alle parole, modi di parlare, &
regole del Giustiniano [cioè Leonardo Giustinian, 1388-1446, il poeta veneziano di
maggior fama, autore di poesie popolareggianti, spesso accompagnate dalla musica]
e degl’altri antichi vostri […]”.
Di certo, avrebbe proseguito il Machiavelli, il messer Maffio avrebbe riso al sentire
questo fantomatico Fiorentino che,
“non havendo voluto esser prima paziente scolare che prosontuoso maestro”,
non era in grado di accorgersi di usare a sproposito parole e frasi e di emettere,
ugualmente a sproposito, “falsi giudizii”; tanto sarebbe stato il ridicolo di un tale
comportamento che non avrebbe potuto essere annullato neppure dal fatto che magari
quel personaggio “dicesse nelle sue regole molte & molte cose notabili & buone”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 36
Titolo: Niccolò Machiavelli e la questione della lingua
Attività n°: 1

Machiavelli e la questione della lingua


Il giudizio che secondo Lenzoni il Machiavelli avrebbe dato delle Prose della volgar lingua
potrebbe anche non corrispondere, nel dettaglio delle parole riferite, a verità (e
probabilmente non tutto in effetti sarà stato vero, a circa venticinque anni di distanza dai
fatti e dalla morte del Segretario); l’aneddoto però è sintomatico di un sentimento
diffuso, all’interno della questione della lingua, fra i fautori del fiorentino parlato (quel che
non fosse del Machiavelli, sarebbe comunque del Lenzoni e dell’ambiente dell’Accademia
Fiorentina, attraverso la quale Cosimo I de’ Medici si proponeva di emulare Lorenzo il
Magnifico nella promozione, anche politica, del fiorentino).
Un forte senso di identità cittadina (e un altrettanto forte senso di alterità nei confronti
delle città italiane diverse dalla propria) offusca la serenità del discorso linguistico nel
momento stesso in cui si va alla ricerca di una lingua comune e condivisa.
Ma ancora più importante è annotare che, nella tesi fiorentinista, è poco netta (se non
addirittura annullata) la distinzione fra parlato e scritto, fra competenza nativa
(nell’aneddoto infatti il Fiorentino pretende sia di parlare veneziano sia di dettar regole
sull’uso scritto) e uso della lingua a scopo letterario. È evidente che l’ironia sulle Prose del
Bembo (di colui che da Veneziano aveva preteso di insegnare a parlar toscano ai Toscani,
secondo il paradosso dell’aneddoto) si fonda su una sostanziale incomprensione della
proposta bembesca.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 36/S1
Titolo: Niccolò Machiavelli e la questione della lingua
Attività n°: 1

Machiavelli e il Discorso intorno


alla nostra lingua
Per Bembo l’eccellenza del toscano è un privilegio ottenuto sul campo della
letteratura da quella variante linguistica diatopica: il toscano non è migliore in sé e
per sé, ma perché eccellenti scrittori hanno impostato in letteratura le condizioni per
una lingua letteraria. Ed è proprio perché lo scopo è quello di perfezionare uno
strumento linguistico a fini artistici che i Toscani, secondo Bembo, partono
svantaggiati anziché avvantaggiati (si ricorderà il brano delle Prose, già letto nella
lezione precedente, sulla inutilità e anzi svantaggio a esser nati fiorentini).

Non è però a questo o ad altri passaggi delle Prose che Machiavelli risponde con il
Discorso intorno alla nostra lingua; scritto all’incirca nel 1524, il Discorso testimonia
quel che si diceva in giro delle Prose, non ancora pubblicate né, dunque, lette nella
loro integrità. È però certo che le impostazioni di Bembo e Machiavelli sono
diametralmente opposte.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 36/S1
Titolo: Niccolò Machiavelli e la questione della lingua
Attività n°: 1

Machiavelli e il Discorso intorno alla nostra lingua


Machiavelli, a differenza del Bembo, rivendica l’eccellenza di natura della lingua
parlata a Firenze. Nel Discorso, che a tratti assume la forma di dialogo fra l’autore e
Dante stesso, Machiavelli afferma non solo che Dante (anziché in volgare curiale o
‘cortigiano’) ha scritto in fiorentino, ma anche che la storia non ha potuto che svolgersi
così perché l’arte degli scrittori eccellenti ha trovato uno strumento (il fiorentino) che per
natura si offriva più adatto alla elaborazione letteraria.
“E che l’importanza di questa lingua nella quale e tu, Dante, scrivesti, e gli altri che
vennono prima e poi di te hanno scritto, sia derivata da Firenze, lo dimostra esser voi
stati fiorentini, e nati in una patria che parlava in modo, che si poteva meglio
che alcuna altra accommodare a scrivere in versi e in prosa. A che non si
potevano accommodare gli altri parlari d’Italia. Perché ciascuno sa come i Provenzali
cominciarono a scrivere in versi; di Provenza ne venne quest’uso in Sicilia, e di Sicilia
in Italia; e in tra le provincie d’Italia in Toscana; e di tutta Toscana in Firenze, non
per altro che per esser la lingua più atta. Perché non per commodità di sito, né
per ingegno, né per alcuna altra particulare occasione m eritò Firenze esser la
prim a e procreare questi scrittori, se non per la lingua com m oda a
prendere sim ile disciplina: il che non era nell’altre città ”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 36/S1
Titolo: Niccolò Machiavelli e la questione della lingua
Attività n°: 1

Machiavelli e il Discorso intorno alla nostra lingua


Tutto il Discorso di Machiavelli (sul quale non possiamo soffermarci oltre) stabilisce
questa solidarietà fra lingua data per natura e sua elaborazione attraverso l’arte, fra
lingua dell’oralità, lingua parlata, quotidiana e lingua della letteratura; gli scrittori non
possono essere eccellenti se a loro disposizione non è dato uno strumento linguistico tale
che consenta e faciliti l’esercizio dell’arte.
E verifichiamo dunque (nelle parole stesse di Machiavelli) quanto possa essere se non
vero almeno verisimile l’aneddoto riferito da Lenzoni; così come del resto il Discorso
conferma l’animus, il coinvolgimento emotivo (de Saussure l’avrebbe definito ‘spirito di
campanile’) che presiede alle discussioni filo-fiorentine dei Fiorentini intervenuti nella
questione della lingua.
Un atteggiamento che Carlo Dionisotti ha ben illustrato alla luce dell’ “isolamento in cui la
cultura fiorentina si era chiusa dopo la cacciata dei Medici, fra Quattro e Cinquecento” e
che “è ben visibile nel Dialogo del Machiavelli” (C. DIONISOTTI, Machiavelli e la lingua
fiorentina, in ID. Machiavellerie. Storia e fortuna di machiavelli, Torino, Einaudi, 1980, pp.
267-363. A questo articolo si deve la lucida risoluzione di tutti i dubbi di attribuzione e di
data che per secoli (dalla prima edizione del 1730) hanno circondato l’attribuzione al
Machiavelli e la data del Discorso intorno alla nostra lingua, che Dionisotti chiama ancora
Dialogo secondo un’abitudine ormai non più accettata).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 36/S2
Titolo: Niccolò Machiavelli e la questione della lingua
Attività n°: 1

Machiavelli e il Discorso intorno


alla nostra lingua
Il Discorso è un testo frammentario di natura polemica, nato per discutere quale sia il
nome da dare alla lingua della letteratura:
“La cagione perché io abbia mosso questo ragionamento è la disputa nata più
volte ne’ passati giorni se la lingua nella quale hanno scritto i nostri poeti e oratori
fiorentini è fiorentina, toscana o italiana”.
Una questione solo apparentemente nominalistica (e che Bembo non aveva affrontato,
dichiarando semplicemente volgare la lingua di cui discute) nata in conseguenza della
rimessa in circolazione del De vulgari eloquentia dantesco, fino al primo decennio del
XVI secolo rimasto ignoto e che, a causa di un erronea titolazione nel manoscritto
recuperato (De vulgari eloquio) era stato letto come un trattato di linguistica e come
una presa di posizione autorevole a favore della teoria cortigiana (così era stato
interpretato l’appellativo di curiale che Dante attribuisce al volgare illustre). Il testo
dantesco per il giudizio pesante e irriverente rivolto da Dante alla lingua della propria
città aveva fatto scalpore a Firenze.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 36/S2
Titolo: Niccolò Machiavelli e la questione della lingua
Attività n°: 1

Machiavelli e il Discorso intorno alla nostra lingua

Ma tanto più scalpore aveva fatto e avrebbe continuato a fare l’interpretazione che del
De vulgari eloquentia (o, come lo si chiamava allora, De vulgari eloquio) aveva dato il
suo riscopritore, il vicentino Gian Giorgio Trissino (1478-1550) che fin dal 1513, durante
un soggiorno a Firenze, aveva fatto conoscere il testo dantesco nelle riunioni degli Orti
Oricellari (cioè nei giardini fiorentini di Cosimo Rucellai).
Solo più tardi, precisamente nel 1529, ormai dopo la morte di Machiavelli, alla
circolazione orale delle teorie dantesche in fatto di lingua patrocinata dal Trissino, fece
seguito la circolazione a stampa: in quell’anno “il Trissino pubblicò sotto altrui nome la
traduzione italiana dell’inedito De vulgari eloquentia di Dante, e insieme un dialogo, Il
Castellano, in cui fornì una compiuta illustrazione della sua dottrina linguistica,
conforme a quella di Dante, di una lingua letteraria comune a tutta Italia, e dunque
italiana, non soltanto fiorentina o toscana” (Carlo Dionisotti, Machiavelli e la lingua
fiorentina, p. 320).

Fra il 1513 e il 1529 però le teorie trissiniane di una lingua cortigiana o italiana furono
al centro di discussioni che, svoltesi a Roma, furono ben presto note e commentate a
Firenze.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 36/S2
Titolo: Niccolò Machiavelli e la questione della lingua
Attività n°: 1

Machiavelli e il Discorso intorno alla nostra lingua

Contrariamente a quel che si era creduto a lungo, nell’Ottocento e poi fino al 1970, il
Discorso intorno alla nostra lingua non va fatto risalire alla prima diffusione del De
vulgari eloquentia testimoniata dal soggiorno fiorentino del Trissino del 1513 (data
poco probabile per la stessa biografia machiavelliana, che vede Machiavelli coinvolto
in un’accusa di complotto, imprigionato e poi impegnato nella stesura del Principe),
ma ad un periodo che Dionisotti ha precisamente individuato fra il maggio 1524
(quando una lettera di Alessandro de’ Pazzi da Roma informa Francesco Vettori, amico
del Machiavelli, di discussioni romane suscitate dalle teorie ‘cortigiane’ del Trissino) e
l’ottobre dello stesso anno, mese nel quale il Trissino dette alle stampe la sua Epistola
de le lettere nuovamente aggiunte ne la lingua italiana (di cui non c’è menzione nel
Discorso), in cui il problema ortografico, che era stato centrale già nel decennio
precedente, veniva riaffrontato, introducendo nuovi segni per distinguere vocali
aperte e chiuse, consonanti sorde e sonore, suscitando repliche immediate.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 36/S3
Titolo: Niccolò Machiavelli e la questione della lingua
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui contenuti


studiati nelle lezioni precedenti dedicate alla questione
della lingua nel Cinquecento e alla nascita delle prime
grammatiche, lo studente è invitato a compilare il
test associato a questa sessione di studio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 36/S3
Titolo: Niccolò Machiavelli e la questione della lingua
Attività n°: 3

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.

26) Quali problemi vengono affrontati e quali soluzioni vengono proposte nelle prime
grammatiche del volgare, in particolare nelle Regole del Fortunio e nelle Prose del
Bembo?
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe
Dalla teoria passiamo alla pratica che (come dice ancora il Dionisotti) per il Machiavelli
“facevano tutt’uno”. Dagli ultimi anni di vita di Machiavelli, a cui va datato il Discorso,
risaliamo ai primi dolorosi e impazienti anni di estromissione dalla politica: dopo il
quindicennio che lo aveva visto protagonista e lucido testimone della politica fiorentina
e italiana dall’interno dei suoi meccanismi (1498-1512), il rientro dei Medici a Firenze
causò la cancellazione del Machiavelli dall’ufficio fino allora ricoperto (novembre 1512),
la sua condanna al confino e l’accusa di esser coinvolto in una congiura filo-
repubblicana (febbraio 1513) che costò al Machiavelli prima la tortura e poi il carcere.
Anche la sua liberazione, avvenuta poco dopo in occasione di un’amnistia decretata per
celebrare a Firenze l’elezione a papa di Giovanni di Lorenzo de’ Medici (Leone X) non
servì a riammetterlo al centro di quella politica di cui era stato protagonista negli anni
precedenti. Senza prospettive di poter di nuovo mettere a servizio della propria città
l’esperienza politica maturata negli anni in cui era stato Segretario della Repubblica
fiorentina, Machiavelli affronta con nuova passione (come del resto non aveva mai
smesso di fare) lo studio dell’antico e la riflessione sulla storia passata che gli consente
(secondo una visione tutta umanistica) di leggere e interpretare il presente.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe
La riflessione sul passato, la lettura dei classici e l’esperienza politica passata inducono il
Machiavelli a scrivere il De principatibus che egli afferma all’amico Francesco Vettori di
aver terminato il 10 dicembre del 1513 e sul quale probabilmente continuò a lavorare fino
agli inizi dell’anno seguente quando lo dedicò a Lorenzo di Piero de’ Medici. A presiedere
all’opera non sta la volontà di creare uno speculum principis (come potrebbe indurre a
credere il titolo vulgato di Il principe e come potrebbe far credere la centralità della
figura, a suo modo ‘esemplare’, del principe Cesare Borgia, il Valentino, nel dilemma
fortuna e virtù di questo trattato), ma un’analisi serrata sulla natura, qualità e sorti de
principatibus, cioè del potere politico retto in signoria.
Nel file pdf allegato è riprodotto un brano del De principatibus (lettera dedicatoria e
capitoli I-III) secondo il testo edito criticamente da Giorgio Inglese nel 1994 (N.
MACHIAVELLI, De principatibus, testo critico a cura di Giorgio Inglese, Roma, Istituto
Storico Italiano per il Medio Evo, 1994; con commento Torino, Einaudi, 1994), di recente
aggiornato dallo stesso studioso (N. MACHIAVELLI, Il Principe, Nuova edizione a cura di G.
Inglese, Con un saggio di F. Chabod, Torino Einaudi, 2013, pp. 3-26).
N.B. La traduzione delle rubriche latine che intitolano ciascun capitolo (nel file poste fra
parentesi quadre) “riproduce con minimi aggiustamenti, quella procurata da Biagio
Buonaccorsi nel ms Parigino it. 709” (ivi, p. XLVIII).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe : il quadro fono-morfologico


L’analisi della fonetica e della morfologia della prosa del Principe conferma l’adesione di
Machiavelli al fiorentino vivo del Cinquecento consentendoci di verificare l’effettiva
vitalità di quei tratti argentei che ragioni diastratiche o diamesiche in sede letteraria non
avevano fatto affiorare nella prosa della Lettera proemiale alla Raccolta Aragonese.
Dei tratti fonetici del fiorentino quattrocentesco, possiamo ora verificare in positivo: 1) la
riduzione del dittongo da Ĕ e Ŏ dopo consonante + r e 2) il passaggio di /skj/ a /stj/.
1) Gli esempi nel nostro brano sono poco numerosi e solo relativi alla serie palatale:
accanto a uomo, uomini, luoghi, nuovo, -i, puoi, buoni, nuocere e nuoce abbiamo, per la
serie velare, solo casi fuori d’accento (trovato 2, 2 e trovandosi III 4, 3. Nella serie
palatale invece (oltre a viene e suoi composti: conviene, interviene; insieme, tiene, dieci
e il disusato lieva), dopo consonante + r troviamo, fuori d’accento brevissimo, ma sotto
accento prete ‘pietre’ (1, 3), indreto (II 1, 1) e dreto (III 2, 3), che pur presentando tutti
-tr-, -dr- conseguente a metatesi, mostrano una affidabile costanza nella riduzione del
dittongo.
Il riscontro sull’intero testo del Principe (che vi verrà proposto più avanti come
esercitazione) dimostra l’affidabilità della diagnosi riguardo un sostanziale squilibrio fra
serie velare (il cui il dittongo tende a conservarsi) e la serie palatale (in cui più frequente
è il monottongamento):
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe : il quadro fono-morfologico


Nell’ambito del dittongo dopo elemento palatale, la mancata riduzione testimoniata
dall’esempio di figliuolo a III 48, 2 è confermata su tutto il testo del trattato
machiavelliano (9 occorrenze di figliuolo, nessuna di figliolo; analogamente solo
spagnuolo, -i, -a, -e con 10 occorrenze complessive; mai spagnol-).

2) Verisimilmente è la coscienza etimologica a trattenere Machiavelli dall’accogliere casi di


velarizzazione di l preconsonantica (nel Principe sempre altro, non autro, e dunque
mancano i conseguenti ipercorrettismi; nel Principe sempre autorità: nel nostro brano III
23, 2; III 37, 4, laude), ma quando l’etimologia latina non soccorre in maniera evidente la
forma quotidiana e innovativa riguardante /skj/ > /stj/ compare a tratti.
Non ne abbiamo casi nel brano che avete a disposizione, ma nell’intero Principe
compaiono:
-- stiavo ‘schiavo’ (2) (la base etimologica non era del latino classico: il nesso SL- di
SLAVUM infatti si era uniformato, nel latino medievale, al più frequente SCL-, dando
luogo a SCLAVUM),
-- stiette ‘schiette, chiare’ (1) (la base etimologica è il gotico slaiths).
NICOLAUS MACLAVELLUS MAGNIFICO LAURENTIO MEDICI SALUTEM.
[1] Sogliono el più delle volte coloro che desiderano acquistare grazia appresso a uno principe
farsegli incontro con quelle cose che in fra le loro abbino più care o delle quali vegghino lui più di-
lettarsi; donde si vede molte volte essere loro presentati cavagli, arme, drappi d’oro, prete preziose e
simili ornamenti, degni della grandezza di quelli. [2] Desiderando io adunque offerirmi alla vostra
Magnificenzia con qualche testimone della servitù mia verso di quella, non ho trovato in tra la mia
supellettile cosa quale io abbia più cara o tanto essistimi quanto la cognizione delle azioni delli uo-
mini grandi, imparata da me con una lunga esperienza delle cose moderne e una continua lezione
delle antiche: le quali avendo io con gran diligenzia lungamente escogitate e essaminate e ora in
uno piccolo volume ridotte, mando alla Magnificenzia vostra. [3] E benché io iudichi questa opera
indegna della presenza di quella, tamen confido assai che per sua umanità gli debba essere accetta,
considerato come da me non gli possa essere fatto maggiore dono che darle facultà a potere in bre-
vissimo tempo intendere tutto quello che io in tanti anni e con tanti mia disagi e periculi ho cono-
sciuto e inteso. [4] La quale opera io non ho ornata né ripiena di clausule ample o di parole ampul-
lose e magnifiche o di qualunque altro lenocinio e ornamento estrinseco con e’ quali molti sogliono
le loro cose descrivere e ornare, perché io ho voluto o che veruna cosa la onori o che solamente la
varietà della materia e la gravità del subietto la facci grata. [5] Né voglio sia imputata prosunzione
se uno uomo di basso e infimo stato ardisce discorrere e regolare e’ governi de’ principi; perché
cosí come coloro che disegnano e’ paesi si pongono bassi nel piano a considerare la natura de’
monti e de’ luoghi alti, e per considerare quella de’ luoghi bassi si pongono alto sopr’a’ monti, si-
milmente, a conoscere bene la natura de’ populi bisogna essere principe et a conoscere bene quella
de’ principi conviene essere populare.
[6] Pigli adunque vostra Magnificenzia questo piccolo dono con quello animo che io ’l mando; il
quale se da quella fia diligentemente considerato e letto, vi conoscerà drento uno estremo mio desi-
derio, che lei pervenga a quella grandezza che la fortuna e l’altre sua qualità le promettono. [7] E se
vostra Magnificenzia da lo apice della sua altezza qualche volta volgerà li occhi in questi luoghi
bassi conoscerà quanto io indegnamente sopporti una grande e continua malignità di fortuna.

NICOLAI MACLAVELLI DE PRINCIPATIBUS AD MAGNIFICUM LAURENTIUM MEDICEM

[I] QUOT SINT GENERA PRINCIPATUUM ET QUIBUS MODIS ACQUIRANTUR. [Di quante ragioni sieno e’
principati e in che modo si acquistino]
[1] Tutti gli stati, tutti e’ dominii che hanno avuto e hanno imperio sopra gli uomini, sono stati e sono
o republiche o principati. [2] E’ principati sono o ereditari, de’ quali el sangue del loro signore ne sia suto
lungo tempo principe, o sono nuovi. [3] E’ nuovi, o e’ sono nuovi tutti, come fu Milano a Francesco
Sforza, o sono come membri aggiunti allo stato ereditario del principe che gli acquista, come è el regno di
Napoli al re di Spagna. [4] Sono questi dominii cosí acquistati o consueti a vivere sotto uno principe o usi
a essere liberi; et acquistonsi o con le armi d’altri o con le proprie, o per fortuna o per virtù.

[II] DE PRINCIPATIBUS HEREDITARIIS. [De’ principati ereditari]


[1] Io lascerò indreto il ragionare delle republiche perché altra volta ne ragionai a lungo. [2] Volte-
rommi solo al principato e andrò ritessendo gli orditi soprascritti, e disputerò come questi principati si
possino governare e mantenere.
[3] Dico adunque che nelli stati ereditari e assuefatti al sangue del loro principe sono assai minore dif-
ficultà a mantenergli che ne’ nuovi, perché basta solo non preterire gli ordini de’ sua antinati e di poi
temporeggiare con gli accidenti; in modo che, se tale principe è di ordinaria industria, sempre si manterrà
nel suo stato se non è una estraordinaria e eccessiva forza che ne lo privi: e privato che ne fia, quantunque
di sinistro abbi l’occupatore, lo riacquista.
[4] Noi abbiamo in Italia in exemplis el duca di Ferrara, il quale non ha retto alli assalti de’ viniziani
nell’ottantaquattro né a quelli di papa Iulio nel dieci per altre cagioni che per essere antiquato in quello

  1  
dominio. [5] Perché el principe naturale ha minori cagioni e minore necessità di offendere, donde con-
viene ch’e’ sia più amato; e se estraordinarii vizi non lo fanno odiare è ragionevole che naturalmente sia
benevoluto da’ sua. [6] E nella antiquità e continuazione del dominio sono spente le memorie e le cagioni
delle innovazioni: perché sempre una mutazione lascia lo addentellato per la edificazione dell’altra.

[III] DE PRINCIPATIBUS MIXTIS. [De’ principati misti]


[1] Ma nel principato nuovo consistono le difficultà. E prima, s’e’ non è tutto nuovo, ma come mem-
bro – che si può chiamare tutto insieme quasi misto –, le variazioni sue nascono in prima da una naturale
difficultà quale è in tutti e’ principati nuovi. Le quali sono che li uomini mutano volentieri signore cre-
dendo migliorare, e questa credenza li fa pigliare l’arme contro a quello: di che e’ s’ingannano, perché
veggono poi per esperienza avere piggiorato. [2] Il che depende da un’altra necessità naturale e ordinaria
quale fa che sempre bisogni offendere quegli di chi si diventa nuovo principe, e con gente d’arme e con
infinite altre ingiurie che si tira dreto il nuovo acquisto; [3] di modo che tu hai nimici tutti quegli che hai
offesi in occupare quello principato, e non ti puoi mantenere amici quelli che vi ti hanno messo, per non
gli potere satisfare in quel modo ch’e’ si erano presupposti e per non potere tu usare contro di loro medi-
cine forte, sendo loro obligato: perché sempre, ancora che uno sia fortissimo in su li esserciti, ha bisogno
del favore de’ provinciali a entrare in una provincia. [4] Per queste ragioni Luigi XII re di Francia occupò
subito Milano e subito lo perdé; e bastò a torgliene, la prima volta, le forze proprie di Lodovico: perché
quegli populi che gli avevano aperte le porte, trovandosi ingannati da la opinione loro e di quello futuro
bene che si avevano presupposto, non potevano sopportare e’ fastidi del nuovo principe.
[5] Bene è vero che, acquistandosi poi la seconda volta, e’ paesi ribellati si perdono con più difficultà:
perché el signore, presa occasione da la ribellione, è meno respettivo a assicurarsi con punire e’ delin-
quenti, chiarire e’ sospetti, provedersi nelle parte più debole. [6] In modo che, se a fare perdere Milano a
Francia bastò la prima volta uno duca Lodovico che romoreggiassi in su’ confini, a farlo di poi perdere la
seconda gli bisognò avere contro tutto il mondo e che gli esserciti sua fussino spenti o fugati di Italia: il
che nacque da le cagioni sopraddette. [7] Nondimanco, e la prima e la seconda volta gli fu tolto. Le ca-
gioni universali della prima si sono discorse; resta ora a dire quelle della seconda, e vedere che rimedi lui
ci aveva e quali ci può avere uno che fussi ne’ termini sua per potere meglio mantenersi nello acquisto
che non fece Francia.
[8] Dico pertanto che questi stati, quali acquistandosi si aggiungono a uno stato antico di quello che
acquista, o ei sono della medesima provincia e della medesima lingua o non sono. [9] Quando sieno, è fa-
cilità grande a tenerli, maxime quando non sieno usi a vivere liberi: e a possederli sicuramente basta avere
spenta la linea del principe che gli dominava, perché nelle altre cose mantenendosi loro le condizioni vec-
chie e non vi essendo disformità di costumi, gli uomini si vivono quietamente; come si è visto che ha
fatto la Borgogna, la Brettagna, la Guascogna e la Normandia, che tanto tempo sono state con Francia: e
benché vi sia qualche disformità di lingua, nondimeno e’ costumi sono simili e possonsi in fra loro facil-
mente comportare. [10] E chi le acquista, volendole tenere, debbe avere dua respetti: l’uno, che el sangue
del loro principe antico si spenga; l’altro, di non alterare né loro legge né loro dazi: talmente che in bre-
vissimo tempo diventa con loro il principato antiquo tutto uno corpo.
[11] Ma quando si acquista stati in una provincia disforme di lingua, di costumi e di ordini, qui sono le
difficultà e qui bisogna avere gran fortuna e grande industria a tenerli. [12] E uno de’ maggiori remedi e
più vivi sarebbe che la persona di chi acquista vi andassi a abitare; questo farebbe più sicura e più dura-
bile quella possessione, come ha fatto el Turco di Grecia: il quale, con tutti li altri ordini osservati da lui
per tenere quello stato, se non vi fussi ito a abitare non era possibile che lo tenessi. [13] Perché standovi si
veggono nascere e’ disordini e presto vi puoi rimediare: non vi stando, s’intendono quando sono grandi e
che non vi è più remedio; non è oltre a questo la provincia spogliata da’ tua offiziali; satisfannosi e’ sud-
diti del ricorso propinquo al principe, donde hanno più cagione di amarlo, volendo essere buoni, e, vo-
lendo essere altrimenti, di temerlo; chi delli esterni volessi assaltare quello stato vi ha più respetto – tanto
che abitandovi lo può con grandissima difficultà perdere.
[14] L’altro migliore remedio è mandare colonie in uno o in dua luoghi, che sieno quasi compedes di
quello stato: perché è necessario o fare questo o tenervi assai gente d’arme e fanti. [15] Nelle colonie non
si spende molto; e sanza sua spesa, o poca, ve le manda e tiene, e solamente offende coloro a chi toglie e’

  2  
campi e le case per darle a’ nuovi abitatori, che sono una minima parte di quello stato; [16] e quelli
ch’egli offende, rimanendo dispersi e poveri, non gli possono mai nuocere; e tutti li altri rimangono da
uno canto inoffesi – e per questo doverrebbono quietarsi –, da l’altro paurosi di non errare per timore che
non intervenissi a loro come a quelli che sono stati spogliati. [17] Concludo che queste colonie non co-
stono, sono più fedeli, offendono meno, e li offesi non possono nuocere, sendo poveri e dispersi, come è
detto. [18] Per che si ha a notare che gli uomini si debbono o vezzeggiare o spegnere: perché si vendicano
delle leggeri offese, delle gravi non possono; sí che la offesa che si fa all’uomo debbe essere in modo che
la non tema la vendetta. [19] Ma tenendovi in cambio di colonie gente d’arme, spende più assai, avendo a
consumare nella guardia tutte le intrate di quello stato, in modo che l’acquisto gli torna perdita; e offende
molto più, perché nuoce a tutto quello stato tramutando con li alloggiamenti il suo essercito: del quale di-
sagio ognuno ne sente e ciascuno gli diventa nimico, e sono nimici che gli possono nuocere, rimanendo
battuti in casa loro. [20] Da ogni parte adunque questa guardia è inutile, come quella delle colonie è utile.
[21] Debbe ancora chi è in una provincia disforme, come è detto, farsi capo e defensore de’ vicini mi-
nori potenti e ingegnarsi di indebolire e’ potenti di quella e guardarsi che per accidente alcuno non vi entri
uno forestiere potente quanto lui. E sempre interverrà ch’e’ vi sarà messo da coloro che saranno in quella
malcontenti o per troppa ambizione o per paura: come si vidde già che li etoli missono e’ romani in Gre-
cia, e, in ogni altra provincia che gli entrorno, vi furno messi da’ provinciali. [22] E l’ordine delle cose è
che, subito che uno forestieri potente entra in una provincia, tutti quelli che sono in essa meno potenti gli
aderiscono, mossi da una invidia hanno contro a chi è suto potente sopra di loro: tanto che respetto a que-
sti minori potenti lui non ha a durare fatica alcuna a guadagnargli, perché subito tutti insieme fanno uno
globo col suo stato che lui vi ha acquistato; [23] ha solamente a pensare ch’e’ non piglino troppe forze e
troppa autorità, e facilmente può con le forze sua e col favore loro sbassare quelli che sono potenti per ri-
manere in tutto arbitro di quella provincia; e chi non governerà bene questa parte perderà presto quello
che arà acquistato, e, mentre che lo terrà, vi arà drento infinite difficultà e fastidi.
[24] E’ Romani, nelle province che pigliorno, osservorno bene queste parte: e’ mandorno le colonie,
intrattennono e’ meno potenti sanza crescere loro potenza, abbassorno e’ potenti e non vi lasciorno pren-
dere riputazione a’ potenti forestieri. [25] E voglio mi basti solo la provincia di Grecia per essemplo:
furno intrattenuti da loro gli achei e gli etoli, fu abbassato il regno de’ macedoni, funne cacciato Antioco;
né mai e’ meriti degli achei o delli etoli feciono ch’e’ permettessino loro accrescere alcuno stato, né le
persuasioni di Filippo gli indussono mai a essergli amici sanza sbassarlo, né la potenza di Antioco possé
fare gli consentissino ch’e’ tenessi in quella provincia alcuno stato. [26] Perché e’ romani feciono in que-
sti casi quello che tutti e’ principi savi debbono fare, e’ quali non solamente hanno a avere riguardo alli
scandoli presenti ma a’ futuri, e a quelli con ogni industria ovviare; perché, prevedendosi discosto, vi si
rimedia facilmente, ma, aspettando ch’e’ ti si appressino, la medicina non è a tempo perché la malattia è
diventata incurabile; [27] e interviene di questa, come dicono e’ fisici dello etico, che nel principio del
suo male è facile a curare e difficile a conoscere, ma nel progresso del tempo, non la avendo nel principio
conosciuta né medicata, diventa facile a conoscere e difficile a curare. [28] Cosí interviene nelle cose di
stato: perché conoscendo discosto – il che non è dato se non a uno prudente – e’ mali che nascono in
quello si guariscono presto; ma quando per non gli avere conosciuti si lasciano crescere in modo che
ognuno gli conosce, non vi è più remedio.
[29] Però e’ romani, vedendo discosto gli inconvenienti, vi rimediorno sempre; e non gli lasciorno mai
seguire per fuggire una guerra, perché sapevano che la guerra non si lieva ma si differisce a vantaggio di
altri: però vollono fare con Filippo e Antioco guerra in Grecia, per non la avere a fare con loro in Italia; e
potevono per allora fuggire l’una e l’altra: il che non vollono. [30] Né piacque mai loro quello che è tutto
dí in bocca de’ savi de’ nostri tempi, di godere il benefizio del tempo, ma sí bene quello della virtù e pru-
denza loro: perché il tempo si caccia innanzi ogni cosa e può condurre seco bene come male e male come
bene.
[31] Ma torniamo a Francia e essaminiamo se delle cose dette ne ha fatte alcuna: e parlerò di Luigi, e
non di Carlo, come di colui che, per aver tenuta più lunga possessione in Italia, si sono meglio visti e’ sua
progressi: e vedrete come egli ha fatto il contrario di quelle cose che si debbono fare per tenere uno stato
in una provincia disforme. [32] El re Luigi fu messo in Italia da la ambizione de’ viniziani, che vollono
guadagnarsi mezzo lo stato di Lombardia per quella venuta. [33] Io non voglio biasimare questo partito

  3  
preso dal re: perché, volendo cominciare a mettere uno piè in Italia e non avendo in questa provincia
amici, anzi sendoli per li portamenti del re Carlo serrate tutte le porte, fu necessitato prendere quelle ami-
cizie che poteva; e sarebbegli riuscito el partito bene preso quando nelli altri maneggi non avessi fatto al-
cuno errore. [34] Acquistata adunque el re la Lombardia, subito si riguadagnò quella reputazione che gli
aveva tolta Carlo: Genova cedé; fiorentini gli diventorno amici; marchese di Mantova, duca di Ferrara,
Bentivogli, Madonna di Furlí, signore di Faenza, di Rimini, di Pesero, di Camerino, di Piombino, luc-
chesi, pisani, sanesi, ognuno se gli fece incontro per essere suo amico. [35] E allora poterno considerare
e’ viniziani la temerità del partito preso da loro, e’ quali per acquistare dua terre in Lombardia feciono si-
gnore el re de’ dua terzi di Italia.
[36] Consideri ora uno con quanta poca difficultà poteva el re tenere in Italia la sua reputazione se lui
avessi osservate le regule soprascritte e tenuti sicuri e difesi tutti quelli sua amici, e’ quali, per essere gran
numero e deboli e paurosi chi della Chiesia chi de’ viniziani, erano sempre necessitati a stare seco: e per il
mezzo loro poteva facilmente assicurarsi di chi ci restava grande. [37] Ma lui non prima fu in Milano che
fece il contrario, dando aiuto a papa Alessandro perché egli occupassi la Romagna; né si accorse, con
questa deliberazione, che faceva sé debole, togliendosi gli amici e quegli che se gli erano gittati in
grembo, e la Chiesa grande, aggiugnendo allo spirituale – che le dà tanta autorità – tanto temporale. [38]
E fatto uno primo errore fu constretto a seguitare: in tanto che, per porre termine alla ambizione di Ales-
sandro e perché non divenissi signore di Toscana, e’ fu constretto venire in Italia.
[39] Non gli bastò avere fatto grande la Chiesa e toltosi gli amici, che per volere il regno di Napoli lo
divise con il re di Spagna: e dove egli era prima arbitro di Italia, vi misse uno compagno, acciò che gli
ambiziosi di quella provincia e e’ malcontenti di lui avessino dove ricorrere; e dove poteva lasciare in
quel regno uno re suo pensionario, e’ ne lo trasse per mettervi uno che potessi cacciarne lui. [40] È cosa
veramente molto naturale e ordinaria desiderare di acquistare: e sempre, quando li uomini lo fanno che
possano, saranno laudati o non biasimati; ma quando non possono e vogliono farlo a ogni modo, qui è lo
errore e il biasimo. [41] Se Francia, adunque poteva con le sue forze assaltare Napoli, doveva farlo: se
non poteva, non doveva dividerlo; e se la divisione fece co’ viniziani di Lombardia meritò scusa, per
avere con quella messo el piè in Italia, questa merita biasimo per non essere scusata da quella necessità.
[42] Aveva dunque fatto Luigi questi cinque errori: spenti e’ minori potenti; accresciuto in Italia po-
tenza a uno potente; messo in quella uno forestiere potentissimo; non venuto ad abitarvi; non vi messo
colonie. [43] E’ quali errori ancora, vivendo lui, potevono non lo offendere s’e’ non avessi fatto il sesto,
di tòrre lo stato a’ viniziani. [44] Perché, quando non avessi fatto grande la Chiesa né messo in Italia Spa-
gna, era bene ragionevole e necessario abbassargli; ma avendo preso quegli primi partiti non doveva mai
consentire alla ruina loro: perché, sendo quegli potenti, sempre arebbono tenuti gli altri discosto da la im-
presa di Lombardia, sí perché e’ viniziani non vi arebbono consentito sanza diventarne signori loro, sí
perché li altri non arebbono voluto torla a Francia per darla a loro; e andare a urtarli tutti a dua non areb-
bono avuto animo.
[45] E se alcuno dicessi: el re Luigi cedé a Alessandro la Romagna e a Spagna il Regno per fuggire
una guerra; respondo, con le ragioni dette di sopra, che non si debbe mai lasciare seguire uno disordine
per fuggire una guerra: perché la non si fugge ma si differisce a tuo disavvantaggio. [46] E se alcuni altri
allegassino la fede che il re aveva data al papa di fare per lui quella impresa per la resoluzione del suo
matrimonio e il cappello di Roano, rispondo con quello che per me di sotto si dirà circa alla fede de’ prin-
cipi e come la si debbe osservare.
[47] Ha perduto adunque el re Luigi la Lombardia per non avere osservato alcuno di quelli termini os-
servati da altri che hanno preso province e volutole tenere; né è miraculo alcuno questo, ma molto ordina-
rio e ragionevole. [48] E di questa materia parlai a Nantes con Roano, quando el Valentino – che cosí era
chiamato popularmente Cesare Borgia, figliuolo di papa Alessandro – occupava la Romagna; perché, di-
cendomi el cardinale di Roano che gli italiani non si intendevano della guerra, io gli risposi che e’ fran-
zesi non si intendevano dello stato: perché, s’e’ se ne ’ntendessino, non lascerebbono venire in tanta
grandezza la Chiesa. [49] E per esperienza si è visto che la grandezza in Italia di quella e di Spagna è stata
causata da Francia e la ruina sua è suta causata da loro. [50] Di che si trae una regula generale, la quale
mai o raro falla, che chi è cagione che uno diventi potente, ruina: perché quella potenza è causata da colui
o con industria o con forza, e l’una e l’altra di queste dua è sospetta a chi è divenuto potente.

  4  
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37/S1
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe : il quadro


fono-morfologico
Di natura fonetica, ma come vedremo tangente al piano morfologico, è il tratto
quattrocentesco di -li > -gli (la palatalizzazione, creatasi davanti a parola che iniziava
per vocale, ha conosciuto poi un’estensione al di fuori di quel contesto fonetico per
analogia paradigmatica).
Nel nostro brano compare cavagli a 1, 3: si noti che in questo caso segue arme (una
parola cioè che comincia per vocale), ma nel testo dell’intero Principe, delle cinque
occorrenze di cavagli solo un’altra, oltre la nostra, presenta questa condizione
‘originaria’; cavalli compare invece nell’opera intera due volte, una delle quali davanti a
vocale.
È evidente insomma che forme con palatalizzazione e senza palatalizzazione convivono
ormai in maniera grosso modo indipendente dalle condizioni fonetiche che l’avevano
generata. Può dunque essere interessante verificare l’incidenza del fenomeno nella
lingua di Machiavelli non tanto su singole parole, ma su elementi morfologici che ne
consentono la verifica su grandi numeri.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37/S1
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe : il quadro fono-morfologico

Nella slide finale di questa sessione di studio troverete lo spoglio del nostro brano
relativamente all’articolo e pronome li / gli, ciascuno dei quali distinto secondo le
funzioni morfosintattiche: l’articolo isolato o in connessione con una preposizione, il
pronome a seconda che esprima un complemento oggetto maschile plurale o un
complemento di termine (si avverta che in questo caso li / gli può stare per il
maschile e il femminile, per il singolare e il plurale) e infine il frequente pronome o
aggettivo dimostrativo maschile quelli /quegli.
Noteremo (come già avvertito a suo tempo per Poliziano) che per quanto riguarda
l’articolo (e di conseguenza le preposizioni articolate) la variante li potrebbe essere
un arcaismo grafico e dunque di nessuna (o scarsissima) pertinenza fonetica,
alternandosi in maniera ‘casuale’ li uomini / gli uomini, li etoli / gli etoli, e la residua
forma forte dell’articolo distribuendosi (oltre che davanti a vocale), davanti a s +
consonante sia nella forma gli stati come nella forma alli scandoli (a proposito
dell’uso dell’articolo forte si veda il rispetto della legge Gröber in per li portamenti
(ma viceversa l’articolo debole singolare compare dopo consonante a III 36,3 per il
mezzo e a III 39, 2 con il re).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37/S1
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe : il quadro fono-morfologico


A parte il caso dell’articolo (e delle preposizioni articolate), per il quale conta la presenza,
accanto a queste forme forti, delle forme deboli su cui torneremo più avanti, nell’uso dei
pronomi diretto e indiretto verifichiamo la più alta percentuale della forma palatalizzata (9
occorrenze contro 4 per il complemento oggetto, 21 occorrenze del complemento di
termine gli contro 1 sola di li), il che da un lato accenna alla vitalità del fenomeno
fonetico di cui stiamo trattando, dall’altra alla generalizzazione delle forme palatalizzate
anche davanti a consonante e infine che la forma gli per il complemento di termine si sta
‘lessicalizzando’, si sta cioè fissando nella forma palatalizzata al fine di distinzione
dall’omofono complemento oggetto (14 delle 21 occorrenze di gli in questa funzione,
dunque il 66, 6%, ricorre davanti a consonante; a differenza di quanto avviene per gli
complemento oggetto, in cui delle 9 occorrenze solo 3 (cioè il 33%) sono davanti a
consonante.

Nel prospetto seguente il numero romano (che manca per la lettera dedicatoria) indica il
capitolo, le cifre arabe il paragrafo e la riga.
Dall’elenco sono escluse le forme gli pronome personale soggetto (‘essi’) di cui
tratteremo sotto e che compare a III 1, 4 e III 21, 5.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37/S1
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe : il quadro fono-morfologico


Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37/S2
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe : il
quadro fono-morfologico
Avendo affrontato il tema degli articoli, esauriamolo, verificando la frequenza nella
prosa machiavelliana delle forme deboli dell’articolo maschile singolare il / el e plurale
i / e.
I numeri dicono che la nuova forma dell’articolo maschile singolare el ha un suo diritto
di cittadinanza nella prosa del Cinquecento, anche se (occorre ribadirlo di nuovo)
l’innovazione non riesce né a cancellare né a sopravanzare il concorrente e più antico
il.
La penetrazione è invece addirittura invasiva nelle forme del plurale giacché nel nostro
brano (ma il dato è confermato dal riscontro su tutto il testo del Principe) non
compare mai la forma i, soppiantata completamente da e’.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37/S2
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe : il quadro fono-morfologico


el (18 occorrenze): 1, 1; I 2, 1; I 3, 2; II 4, 1; II 5, 1; III 5, 2; III 10, 1; III 12, 3; III
32, 1; III 33, 4; III 34, 1; III 35, 3; III 36, 1; III 41, 3; III 45, 1; III 47, 1; III 48, 1;
III 48, 3
il (25 occorrenze): 6, 1; II 1, 1; II 4, 1; III 2, 1; III 2, 3; III 6, 32; III 10, 3; III 12, 3;
III 19, 3; III 25, 2; III 28, 2; III 29, 4; III 30, 2; III 30, 3; III 31, 3; III 36, 3; III 37,
2; III 39, 1; III 39, 2; III 40, 4; III 43, 1; III 45, 1; III 46, 2; III 46, 3

i (0)
e’ (38 occorrenze): 4, 2; 5, 2; 5, 3; I 1, 1; I 2, 1; I 3, 12; III 1, 3; III 1, 4; III 4, 4; III
5, 1; III 5, 2; III 5, 3; III 9, 6; III 13, 2; III 13, 3; III 15, 2; III 21, 2; III 21, 4; III
24, 1; III 24, 22; III 25, 3; III 26, 1; III 26, 22; III 27, 1; III 28, 2; III 29, 1; III 31,
2; III 35, 22; III 36, 2; III 39, 3; III 42, 1; III 43, 1; III 44, 4; III 48, 3.

A fronte dunque della scomparsa di i (peraltro momentanea, nella storia della lingua
italiana) e dunque a fronte dell’unicità della forma e’, ci possiamo chiedere quali sono (se
ci sono in effetti) delle specificità di distribuzione delle due forme del maschile singolare, i
cui rapporti numerici nel nostro testo rispecchiano quelli dell’intero trattato.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37/S2
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe : il quadro fono-morfologico


Indicando in blu el e in rosso il verifichiamo che l’utilizzo dei due allotropi, pur essendo
per la gran parte legato alla loro libera disponibilità, paiono disporsi in addensamenti
inerziali, corrispondenti a momentanee insistenze sulla scelta già operata e
meccanicamente ripetuta fino alla saturazione, che innescando il senso di sazietà induce
al ricorso della variatio:
1, 1; 6, 1; I 2, 1; I 3, 2; II 1, 1; II 4, 1; II 4, 1; II 5, 1; III 2, 1; III 2, 3; III 5, 2; III 6,
32; III 10, 1; III 10, 3; III 12, 3; III 12, 3; III 19, 3; III 25, 2; III 28, 2; III 29, 4; III 30,
2; III 30, 3; III 31, 3; III 32, 1; III 33, 4; III 34, 1; III 35, 3; III 36, 1; III 36, 3; III 37,
2; III 39, 1; III 39, 2; III 40, 4; III 41, 3; III 43, 1; III 45, 1; III 45, 1; III 46, 2; III 46,
3; III 47, 1; III 48, 1; III 48, 3.

Per altro verso c’è la possibilità che, a determinare la scelta di volta in volta stiano
condizioni fonetiche o facilitanti o contestualmente preferite: delle 18 occorrenze di el, 7
sono precedute da parola che termina in -e, 5 da parola che termina in -o, 3 in -i, 1 in-a;
delle 25 occorrenze di il, 9 sono precedute da parola che termina in -o, 7 da parola che
termina in -e, 5 in -a, 1 in -i.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37/S3
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe : il quadro


fono-morfologico
Riprendendo la sequenza dei tratti del fiorentino quattrocentesco, verifichiamo, nella
morfologia nominale l’incidenza dei nomi femminili della III classe e degli aggettivi
della II con uscita in -e, anziché in -i: a parte arme (a 1, 3: cavagli, arme, drappi
d’oro; III 1, 4: li fa pigliare l’arme; III 2, 2: con gente d’arme; III 14, 2: assai gente
d’arme e fanti; III 19, 1: gente d’arme; di contro si veda armi a I 4, 2: con le armi
d’altri) e gente (III 2, 2; III 14, 2; III 19, 1 già citati) non del tutto sicuri, si vedano
(sono assai) minore (difficultà) II 3, 1-2;
(medicine) forte III 3, 4;
parte (III 5,3: provedersi nelle parte più debole; III 24, 1: osservorno bene queste
parte);
debole (III 5, 3 già citato)
e forse legge (III 10, 2: né loro legge né loro dazi).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37/S3
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe : il quadro fono-morfologico


Ancora più netto è l’uso delle forme indeclinabili per il plurale maschile e femminile dei
pronomi e aggettivi possessivi, per i quali si vedano:
tanti mia disagi 3, 4; l’altre sua qualità 6,3; de’ sua antinati II 3,2; benevoluto da’ sua II
5, 3; gli esserciti sua III 6, 3; ne’ termini sua III 7, 3; da’ tua offiziali III 13, 3; con le
forze sua III 23, 2, e’ sua progressi III 31, 2; quelli sua amici III 36, 2, ma anche III 1, 2
le variazioni sue e III 41, 1 con le sue forze.

La forma indeclinabile dei possessivi è confermata dall’analogo dua (dua respetti III 10,
1; dua luoghi III 14, 1; dua terre III 35, 2; tutti a dua III 44, 5; queste dua IIII 50, 3),
che a sua volta conferma l’adesione all’innovazione quattrocentesca relativa ai numerali
proposta già da dieci (nel dieci II 4, 2).

Conferme dell’accoglimento delle innovazioni quattrocentesche arrivano infine dalla


morfologia verbale (il campo nel quale anche la prosa del Poliziano si era dimostrata più
disponibile e ricettiva).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 37/S3
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe : il quadro fono-morfologico


-- Le forme del verbo essere in -u- sono le uniche attestate (cfr. fussino III 6, 3; fussi III
7, 3; III 12, 4 etc.);
-- normali le forme del verbo ‘avere’ con riduzione del nesso -vr- (arà III 24, 42;
arebbono III 44, 3; III 44, 4; III 44, 5; III 44, 5-6);
-- il passato remoto del verbo mettere conosce la forma in -ss- (cfr. III 21, 4: missono;
III 39, 2: misse);
e (nel campo delle desinenze personali):
-- per l’estensione della desinenza -ono (anziché -ano) alla III persona plurale del
presente indicativo dei verbi della I coniugazione si veda costono III 17, 1; per la
desinenza -ono nell’imperfetto si veda potevono III 29, 4 e III 43, 1;
-- la desinenza di III persona plurale del perfetto di I coniugazione è -orno: entrorno III
21, 5; pigliorno, osservorno e mandorno III 24, 1, abbassorno e lasciorno III 24, 2
etc.; per il verbo ‘essere’ furno III 21, 5; III 25, 2;
-- meno compatta l’uscita delle persone I, III singolare e III plurale del congiuntivo
presente e imperfetto: per la I persona del presente abbia 2, 3; per la III persona
debba 3, 2; possa 3, 3; pervenga 6, 3; spenga III 10, 2 e sempre sia, ma anche facci
4, 4; abbi II 3, 5; bisogni III 2, 2; per l’imperfetto fussi per la III singolare a III 7, 3
e abbino 1, 1; vegghino 1, 1; possino II 2, 3; fussino III 6, 3 etc.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 38
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe : la sintassi


Enclisi pronominale
La legge Tobler-Mussafia vige ancora
1) ad inizio assoluto di periodo: Volterommi II 2, 1-2; satisfannosi III 13, 3; funne III 25,
2;
2) dopo e: et acquistonsi I 4, 2; e possonsi III 9, 6; e sarebbegli III 33, 4.
Viceversa dopo m a e all’inizio di principale preceduta da subordinata l’enclisi non
compare: ma si differisce III 29, 2; III 45, 3 e, rispettivamente, non vi stando, s’intendono
III 13, 2; e mentre che lo terrà, vi arà drento III 23, 4; e dove egli era prima arbitro di
Italia, vi misse uno compagno III 39, 2.
In genere l’enclisi compare in condizioni analoghe a quelle moderne:
-- dopo infinito: farsegli 1, 2; dilettarsi 1, 2-3; offerirmi 2, 1 etc.
-- dopo gerundio: acquistandosi III 5, 1 e III 8, 1; mantenendosi III 9, 3; volendole III
10, 1 etc.)
-- dopo participio passato (toltosi III 39, 1 e volutole III 47, 2) purché non preceduto
dalla negazione, nel qual caso la proclisi è costante: non gli potere (III 3, 2-3), non gli
avere (III 28, 3), non la avere (III 20, 3), non lo offendere (III 43, 1); non vi essendo (III
9, 4), non vi stando (III 13, 2), non la avendo (III 27, 2); non vi messo (III 42, 2).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 38
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe : la sintassi


Risalita del clitico:
gli debba essere 3,2; non gli possa essere 3, 3; non ti puoi mantenere III 3, 2; non gli
potere satisfare III 3, 2-3; ci può avere III 7, 3; non gli possono mai nuocere III 16,
2; gli possono nuocere III 19, 4; la si debbe osservare III 46, 4,
anche se non esclusiva, come mostrano gli esempi contrari seguenti:
poteva assicurarsi III 36, 4; ma non possono e vogliono farlo III 40, 3; doveva farlo III
41, 1; doveva dividerlo III 41, 2; potevono non lo offendere III 43, 1; non arebbono
voluto torla III 44, 5.

Ordine dei pronomi atoni.


Nel Due- e Trecento l’ordine è compl. diretto (anche riflessivo + compl. indiretto
(anche particella locativa): lo mi, lo ti, lo ci;
la sequenza inversa compl. indiretto + compl. diretto inizia a comparire nel tardo
Trecento e man mano, a partire dal Quattrocento, guadagna terreno ed è questa la
sequenza che vige ormai nell’italiano moderno (la forma precedente si conserva fino al
Settecento con marcata connotazione letteraria e arcaizzante, secondo i dettami
bembeschi): me lo, te lo, ce lo.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 38
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe : la sintassi


Nel brano iniziale del Principe sono utilizzate entrambe le opzioni:
-- compl. ogg. + compl. indiretto: farsegli 1, 2; se gli fece III 34, 4; se gli erano gittati III
37, 3; la non si fugge III 45, 3; la si debbe osservare III 46, 4
-- compl. indiretto + compl. ogg.: ne lo privi II 3, 4; vi ti hanno messo III 3, 2; ve le
manda III 14, 3; ti si appressino III 26, 4; vi si rimedia III 26, 3-4; ne lo trasse III
39, 4; se ne ’ntendessino III 48, 4.
Ma con si impersonale:
a) compl. ogg. + compl. indiretto: la non si fugge III 45, 3; la si debbe osservare III
46, 4; b) compl. indiretto + compl. ogg.: vi si rim edia III 26, 3-4.
Ridondanza pronominale, in conseguenza di una dislocazione.
-- de’ quali el sangue del loro signore ne sia suto I 2, 1; del quale disagio ognuno ne
sente III 19, 3-4; in ogni altra provincia che gli entrorno, vi furno messi da’ provinciali
III 21, 5; essaminiamo se delle cose dette ne ha fatte alcuna III 31, 1.
Il fenomeno si presenta talora con forme al limite dell’anacoluto:
-- 6, 1-2 il quale se da quella fia diligentemente considerato e letto, vi conoscerà dren-
to; I 3, 1-2 nelli stati ereditari e assuefatti al sangue del loro principe sono assai minore
difficultà a mantenergli (compl. oggetto) che ne’ nuovi ; III 22, 3-4 tanto che respetto
a questi m inori potenti lui non ha a durare fatica alcuna a guadagnargli.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 38/S1
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe : la sintassi


L’urgenza della lingua parlata si ricava anche dall’accordo a senso (per attrazione nel
genere e numero ad un elemento sottinteso o più prossimo rispetto a quello al quale
dovrebbe accordarsi); come avviene a 1, 1-4 dove loro si accorda a senso a principe:
“Sogliono el più delle volte coloro che desiderano acquistare grazia appresso a uno
principe farsegli incontro con quelle cose che in fra le loro abbino più care o delle quali
vegghino lui più dilettarsi; donde si vede molte volte essere loro presentati cavagli, arme,
drappi d’oro, prete preziose e simili ornamenti, degni della grandezza di quelli”;
o a III 10, in cui l’accordo al femminile plurale è con la Borgogna, la Brettagna, la
Guascogna e la Normandia di III 9, più vicine rispetto a questi stati di III 8:
“Dico pertanto che questi stati, quali acquistandosi si aggiungono a uno stato antico di
quello che acquista, o ei sono della medesima provincia e della medesima lingua o non
sono. Quando sieno, è facilità grande a tenerli, maxime quando non sieno usi a vivere liberi:
e a possederli sicuramente basta avere spenta la linea del principe che gli dominava, perché
nelle altre cose mantenendosi loro le condizioni vecchie e non vi essendo disformità di
costumi, gli uomini si vivono quietamente; come si è visto che ha fatto la Borgogna, la
Brettagna, la Guascogna e la Normandia, che tanto tempo sono state con Francia: e benché
vi sia qualche disformità di lingua, nondimeno e’ costumi sono simili e possonsi in fra loro
facilmente comportare. E chi le acquista, volendole tenere, debbe avere dua respetti”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 38/S1
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe : la sintassi


Abbiamo visto che i pronomi tonici soggetto sono interessati nel Quattrocento da alcune
innovazioni. Nella prosa machiavelliana infatti troviamo attestato quel pronome soggetto
di III persona lui, che per scelta di registro letterario Poliziano aveva accolto nelle ottave
delle Stanze per la giostra, ma censurato nella lettera a Federico d’Aragona.
In Machiavelli troviamo vegghino lui più dilettarsi 1,2 (il caso particolare è però non
dirimente perché lui è contemporaneamente oggetto di vegghino e soggetto della
infinitiva che da vegghino dipende); vedere che rimedi lui ci aveva III 7, 2-3; tanto che
respetto a questi minori potenti lui non ha a durare fatica alcuna III 22, 3-4; fanno uno
globo col suo stato che lui vi ha acquistato III 22, 4-5; se lui avessi osservate le regule
III 36, 1-2; Ma lui non prima fu in Milano che fece il contrario III 37, 1-2; E’ quali errori
ancora, vivendo lui III 43, 1.
L’innovazione è dunque accolta in almeno sei casi; un numero di occorrenze addirittura
maggiore della forma egli (che compare complessivamente quattro volte): quelli ch’egli
offende III 16, 1-2; come egli ha fatto III 31, 3; perché egli occupassi la Romagna III 37,
2; dove egli era prima arbitro III 39, 2.
Una novità sporadicamente apparsa già nel Quattrocento è la forma aferetica dei
pronomi soggetto egli (con valore singolare e plurale) ed ella che dunque si riducono a
gli e la:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 38/S1
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe : la sintassi


Si vedano nel brano del Principe: III 18, 2-3: sí che la offesa che si fa all’uomo debbe
essere in modo che la (‘essa’) non tema la vendetta; III 21, 4-5: come si vidde già che li
etoli missono e’ romani in Grecia, e, in ogni altra provincia che gli (‘in cui essi’) entrorno,
vi furno messi da’ provinciali; III 25, 5: né la potenza di Antioco possé fare gli
consentissino ch’e’ tenessi in quella provincia alcuno stato.
Il sistema delle formule allocutive ‘reverenziali’ alla III persona (le moderne formule di
cortesia) è espresso a pieno nella lettera di dedica a Lorenzo de’ Medici. Dato che
Machiavelli si rivolge al destinatario con vostra Magnificenzia (2, 1-2; 6, 1; 7, 2) o con
Magnificenzia vostra (2, 6) la formula reverenziale comprende: -- la forma soggettiva: lei
6, 3 e, fra gli indiretti, l’espressione -- tramite il dimostrativo: di quella 2, 2; 3, 2; da
quella 6, 2 (si deve sottintendere Magnificenzia); -- tramite il pronome atono di III
persona (nel quale si alternano liberamente gli e le, entrambi adottati per la forma
femminile): gli debba 3,2; non gli possa 3,3; darle 3, 3; le promettono 6, 3.
Al sistema si adeguano poi senza contraddizioni interne gli aggettivi possessivi: per sua
umanità 3, 2; della sua altezza 7, 2.
La perfetta coerenza interna del sistema dimostra come esso si sia ormai codificato a
distanza di meno di un quarantennio rispetto alla Lettera del Poliziano, nella quale si
alternavano liberamente la II e la III persona.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 38/S2
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe : lo stile


Machiavelli esprime la propria posizione stilistica a Lorenzo di Piero de’ Medici (4, 1-4):
“La quale opera io non ho ornata né ripiena di clausule ample o di parole ampullose
e magnifiche o di qualunque altro lenocinio e ornamento estrinseco con e’ quali
molti sogliono le loro cose descrivere e ornare, perché io ho voluto o che veruna
cosa la onori o che solamente la varietà della materia e la gravità del subietto la
facci grata”.
Latinismi:
-- uso del latino nei titoli generale e dei capitoli, ma anche gli inserti latini nella
trattazione: tamen ‘tuttavia’ 3, 2; in exemplis ‘fra (altri) esempi’ II 4, 1; compedes
‘ceppi’ III 14, 1, quest’ultimo un esplicito rimando a Livio, ab Urbe condita, XXXII,
37, 2-4),
- latinismi fonetici: per il vocalismo facultà, clausule, ampullose, populi e populare e
popularmente, difficultà, regule e regula; per il consonantismo iudichi, ample,
subietto, republiche, provedersi, esserciti, antiquo, obligato, essemplo, (e per la
grafia si veda anche constretto);
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 38/S2
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe : lo stile


--- i latinismi lessicali: suppellettile ‘averi’, essistimi ‘stimi’, lezione ‘lettura’, escogitate
‘penetrate a fondo’, il già citato clausule, lenocinio (e dato il significato strettamente
retorico anche ornamento, varietà, gravità), estrinseco, preterire, accidenti (di precisa
ascendenza filosofica: ‘le circostanze’), ingiurie ‘danni, danneggiamenti’, offiziali
‘funzionari’, propinquo, globo ‘corpo compatto’, ovviare ‘contrastare’, differisce ‘rinvia’,
temerità ‘temerarietà’, pensionario ‘che paga il tributo’, raro, ‘raramente’;
-- e fra i latinismi sintattici la costruzione dell’infinito con l’accusativo (vegghino lui più
dilettarsi 1, 2-3) o la costruzione dei verbi di timore con la negazione (per timore che
non intervenissi III 16, 3-4) o infine l’omissione delle preposizioni davanti ad infinito
(constretto venire III 38, 3).

Antitesi classificatoria:
1, 2 abbino più care o delle quali vegghino; 2, 3 quale io abbia più cara o tanto essistimi;
4, 1-2 né ripiena di clausule ample o di parole ampullose e magnifiche o di
qualunque altro lenocinio e ornamento; 4, 3-4 perché io ho voluto o che veruna
cosa la onori o che solamente la varietà della materia e la gravità del subietto la
facci grata.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 38/S2
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe : lo stile


Con effetto razionalizzante e di categorizzazione del reale (nell’elenco seguente ho
contraddistinto con asterisco il modulo insistito o ... o:
*I 1, 1-2 e’ dominii [...] sono stati e sono o republiche o principati;
*I 2, 1-2 E’ principati sono o ereditari [...] o sono nuovi;
*I 4, 1-2 Sono questi dominii così acquistati o consueti a vivere sotto uno principe o usi a
essere liberi; et acquistonsi o con le armi d’altri o con le proprie, o per fortuna o per virtù;
III 6, 3 e che gli esserciti sua fussino spenti o fugati di Italia;
*III 8, 1-2 Dico pertanto che questi stati [...] o ei sono della medesima provincia e della
medesima lingua o non sono;
*III 14, 1-2 colonie in uno o in dua luoghi [...] perché è necessario o fare questo o tenervi assai
gente d’arme e fanti;
III 15, 2 e sanza sua spesa, o poca;
*III 18, 1 Per che si ha a notare che gli uomini si debbono o vezzeggiare o spegnere;
*III 21, 3-4 ch’e’ vi sarà messo da coloro che saranno in quella malcontenti o per troppa
ambizione o per paura;
III 25, 3 né mai e’ meriti degli achei o delli etoli;
III 40, 3 e sempre, quando li uomini lo fanno che possano, saranno laudati o non biasimati;
III 50, 2 la quale mai o raro falla;
*III 50, 2-3 da colui o con industria o con forza.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 38/S2
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe : lo stile


Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 38/S2
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe : lo stile


Il rigore definitorio, oltre che con la disgiuntiva si esprime anche attraverso l’avversativa:

III 1, 1 M a nel principato nuovo consistono le difficultà; III 1, 1-2 s’e’ non è tutto
nuovo, m a come membro; III 11, 1 M a quando si acquista stati in una provincia
disforme di lingua, di costumi e di ordini, qui; III 19, 1 M a tenendovi in cambio di
colonie gente d’arme, spende più assai; III 26, 2-3 e’ quali non solamente hanno a
avere riguardo alli scandoli presenti m a a’ futuri; III 26, 3-4 prevedendosi discosto, vi si
rimedia facilmente, m a, aspettando ch’e’ ti si appressino, la medicina non è a tempo; III
27, 2 è facile a curare e difficile a conoscere, m a nel progresso del tempo; III 28, 3 m a
quando per non gli avere conosciuti si lasciano crescere; III 29, 2 perché sapevano che
la guerra non si lieva m a si differisce; III 30, 1.3 Né piacque mai loro quello che è tutto
dí in bocca de’ savi de’ nostri tempi, di godere il benefizio del tempo, m a sí bene quello
della virtù e prudenza loro; III 31, 1 M a torniamo a Francia e essaminiamo; III 37, 1-2
M a lui non prima fu in Milano che fece il contrario; III 40, 3 m a quando non possono e
vogliono farlo; III 44, 2 m a avendo preso quegli primi partiti non doveva; III 45, 3
perché la non si fugge m a si differisce a tuo disavvantaggio; III 47, 2-3 né è miraculo
alcuno questo, m a molto ordinario e ragionevole.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 38/S3
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe : lo stile


Questo modo di procedere argomentativo (che dal punto di vista dell’autore si svolge per
antitesi e opposizioni allo scopo di razionalizzare filosoficamente la materia presa a
trattare), dal punto di vista dell’attore principale, dell’uomo cioè che nel caso specifico ha
i connotati del principe, rappresenta e mima la serie di scelte, di alternative, di decisioni,
di dilemmi di comportamento che gli si porranno di fronte nel suo strenuo tentativo di
conquistare il potere e mantenerlo.
Quanto infatti il ragionamento non proceda per sillogismi astratti, ma resti saldato alla
realtà che è sottoposta al ragionamento è dimostrato da una serie di opzioni stilistiche
che Machiavelli attua, tutte collaboranti ad un concretissimo ancoraggio alla mondo reale:
in particolare sono da segnalare i deittici, e prima di tutto l’uso di qui, che ha il valore di
forte richiamo alla concretezza della situazione storico-politica in cui il principe si trova ad
agire (e l’autore ad analizzare);
III 11, 1-2 Ma quando si acquista stati in una provincia disforme di lingua, di costumi e
di ordini, qui sono le difficultà e qui bisogna avere gran fortuna e grande industria a
tenerli;
III 40, 3-4 ma quando non possono e vogliono farlo a ogni modo, qui è lo errore e il
biasimo.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 38/S3
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe : lo stile


L’uso di qui, si associa all’altro deittico che rintracciamo in maniera inattesa in una prosa
altrimenti tendente, in ossequio al genere argomentativo, all’uso dell’impersonale: si veda
l’uso istante dell’allocutivo tu che si alterna in maniera brusca e attualizzante in momenti
in cui l’urgenza espressiva non pare potersi contentare dell’asetticità della prosa
scientifica:
III 2-3 Il che depende da un’altra necessità naturale e ordinaria quale fa che sempre
bisogni offendere quegli di chi si diventa nuovo principe, e con gente d’arme e con
infinite altre ingiurie che si tira dreto il nuovo acquisto; [3] di modo che tu hai nimici tutti
quegli che hai offesi in occupare quello principato, e non ti puoi mantenere amici quelli che
vi ti hanno messo, per non gli potere satisfare in quel modo ch’e’ si erano presupposti e
per non potere tu usare contro di loro medicine forte, sendo loro obligato: perché sempre,
ancora che uno sia fortissimo in su li esserciti, ha bisogno del favore de’ provinciali a
entrare in una provincia.
L’alternanza fra impersonale e seconda persona si ritrova a III 13, 3; III 26, 4; III 45, 3.
Come qui vuol dire sulla terra e ora, significando “verità effettuale della cosa”, così tu
trasforma il trattato in un potenziale dialogo con i contemporanei, trasforma il pubblico in
un preciso destinatario di consigli ricavati dall’esperienza, come se Machiavelli
continuasse sulla pagina a consigliare in qualità di segretario politico la Repubblica
fiorentina.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 38/S3
Titolo: Niccolò Machiavelli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1

Machiavelli e il P rincipe : lo stile


Alla concretezza del reale si rivolgono infine anche le metafore, che lungi dal costituire
un abbellimento retorico o un’amplificazione verbale, riconducono di continuo il discorso
alla concreta e quotidiana esperienza del lettore:
-- il discorso ragionativo è un ‘tessuto’: II 2, 1-2 Volterommi solo al principato e andrò
ritessendo gli orditi soprascritti;
-- l’azione umana è una ‘costruzione’ che pone le basi per azioni future: II 6, 2 perché
sempre una mutazione lascia lo addentellato per la edificazione dell’altra
-- il rischio dell’attività umana è ‘malattia’ che il saggio cura in anticipo: III 27, 1-2 e
interviene di questa, come dicono e’ fisici dello etico, che nel principio del suo male è
facile a curare e difficile a conoscere
e ancora più la metafora concretissima del pittore-geografo (nel paragrafo 5 della lettera
dedicatoria) che muta, proprio come fa il nostro autore, punto di vista a seconda del
panorama, alto e basso che intende disegnare e che diventa metafora sovraordinata della
stessa scrittura di storia.
Effettivamente non lenocinio e ornamento estrinseco presiedono alla lingua
machiavelliana, bensì l’urgenza della realtà che preme sul ragionamento e ne rende
necessitato lo svolgimento.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 39
Titolo: Test
Attività n°: 1

TEST: esercizio sulle banche dati


Lo studente verifichi
nella banca dati Biblioteca Italiana (http://www.bibliotecaitaliana.it/)
l’alternanza pruova / prova e brieve / breve nel De principatibus di
Machiavelli.
Si seguano le seguenti istruzioni per selezionare il testo: nella pagina iniziale si
clicchi sull’etichetta AUTORI sulla sinistra e si selezioni Machiavelli, Niccolò;
fra l’elenco delle opere si scelga Il principe cliccando sull’icona t sulla destra;
nella schermata successiva si introduca la parola cercata nella casella Cerca
testo).

I risultati della ricerca (dati quantitativi ed commenti) dovranno essere


inviati tramite eportfolio, avvertendo al contempo il docente sul sistema di
messaggistica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 39/S1
Titolo: Test
Attività n°: 1

TEST: esercizio sulle banche dati


Lo studente verifichi
nella banca dati Biblioteca Italiana (http://www.bibliotecaitaliana.it/)
l’alternanza figliuolo / figliolo e spagniuolo / spagnolo nel De
principatibus di Machiavelli.
Si seguano le seguenti istruzioni per selezionare il testo: nella pagina iniziale si
clicchi sull’etichetta AUTORI sulla sinistra e si selezioni Machiavelli, Niccolò;
fra l’elenco delle opere si scelga Il principe cliccando sull’icona t sulla destra;
nella schermata successiva si introduca la parola cercata nella casella Cerca
testo).

I risultati della ricerca (dati quantitativi ed commenti) dovranno essere


inviati tramite eportfolio, avvertendo al contempo il docente sul sistema di
messaggistica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 39/S2
Titolo: Test
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui contenuti


studiati nelle lezioni precedenti dedicate all’analisi
linguistica del brano di Machiavelli, lo studente è
invitato a compilare il test associato a questa
sessione di studio.

© 2007 Università degli studi e-Campus - Via Isimbardi 10 - 22060 Novedrate (CO) - C.F. 08549051004
Tel: 031/7942500-7942505 Fax: 031/7942501 - info@uniecampus.it
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 39/S3
Titolo: Test
Attività n°: 1

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.
27) Parlato e scritto, tradizione e innovazione nella lingua di Niccolò Machiavelli.
28) Analizzate dal punto di vista linguistico il seguente brano estratto dal De
principatibus:
“[42] Aveva dunque fatto Luigi questi cinque errori: spenti e’ minori potenti;
accresciuto in Italia po- tenza a uno potente; messo in quella uno forestiere
potentissimo; non venuto ad abitarvi; non vi messo colonie. [43] E’ quali errori
ancora, vivendo lui, potevono non lo offendere s’e’ non avessi fatto il sesto, di tòrre
lo stato a’ viniziani”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 40
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1

Dal secondo Cinquecento al


Seicento
Come avremmo potuto segnalare già per i secoli precedenti (è noto come la
scansione per secoli ponga non pochi problemi a che fa storia della cultura), ma in
maniera stavolta molto più evidente, l’abbreviata indicazione di ‘Seicento’ mal
corrisponde ad un periodo linguisticamente significativo coincidente con i limiti
meramente cronologici del secolo di cui ci occupiamo. Notava Bruno Migliorini nella
sua Storia della lingua italiana (Firenze, Sansoni, 1960, 19836, p. 429):

“Termini più ragionevoli che gli anni secolari potrebbero essere per l’inizio quelli
che sono stati indicati delimitando il Cinquecento (1563, data della chiusura del
Concilio di Trento; 1582-83, fondazione e riforma salviatesca dell’Accademia della
Crusca), per la fine quella data del 1670 circa che segna un mutamento nella
filosofia, nella letteratura, nelle stesse mode; sintomatica è anche la data della
fondazione dell’Arcadia [1690]”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 40
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1

Dal secondo Cinquecento al Seicento


Più di recente, all’interno della serie dedicata alla Storia della lingua italiana a cura di
Francesco Bruni, pubblicata dalla casa editrice il Mulino, le trattazioni relative al XVI e
XVII secolo sono organizzate in modo da tenere distinta la prima parte del Cinquecento
dalla seconda metà, quest’ultima annessa al Seicento (Paolo Trovato, Il primo
Cinquecento, 1994; Claudio Marazzini, Il secondo Cinquecento e il Seicento, 1993).
Anche Claudio Marazzini nel volume appena citato, per evidenziare le ragioni extra-
linguistiche e culturali (storico-politiche, letterarie e figurative) che inducono ad una netta
separazione dal primo Cinquecento della seconda parte del secolo (più coerente, sotto
vari punti di vista, con il secolo successivo), rimarca il valore di svolta della fine del
Concilio di Trento, che, oltre che una data epocale in fatto di costume e di ideologia
“ebbe effetti rilevanti nel campo della comunicazione sociale, della politica linguistica
della Chiesa, della predicazione” (pp. 9-10),
perché
“Il clero dovette rivedere le proprie abitudini ‘stilistiche’ relative alla predicazione. La
Chiesa, coinvolta profondamente nella comunicazione sociale, ambiva a raggiungere un
livello ‘alto’ di cultura anche in quei settori affidati tradizionalmente alla mescidanza
linguistica e alla dialettalità. La predicazione mistilingue e macheronica fu avvertita
allora come un grave difetto” (pp. 15-16).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 40
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1

Dal secondo Cinquecento al Seicento


D’altro canto la seconda metà del Cinquecento e il Seicento sono normalmente
associati a due categorie interpretative entrambe desunte dal mondo delle arti (il
Manierismo e rispettivamente il Barocco); ecco come si esprime ancora Claudio
Marazzini:
“Come è noto, il concetto di Manierismo è entrato nella storia dell’arte per indicare
tendenze e caratteri propri del secondo Cinquecento. La sua fortuna deriva dal
fatto che si tratta di un comodo raccordo tra due realtà apparentemente
incommensurabili, come sono il Rinascimento e il Barocco. È perfino banale
ricordare come la diffusione del concetto di Manierismo sia stata parallela ad un
riesame del giudizio sul Barocco [...] che da equivalente di deviazione e di
perversione del gusto, quale era stato reputato a partire dal Settecento e
dall’Illuminismo, venne interpretato come la cifra di una crisi del razionalismo
cinquecentesco, con sbocchi verso forme di soggettivismo accentuato e di
svuotamento della tradizione, tappa necessaria, insomma per lo sviluppo di quello
che si usa chiamare lo ‘spirito moderno’. Anche in questo senso è di importanza
determinante il richiamo al Manierismo come transizione tra due poli estremi (il
classicismo razionalista e il Barocco anticlassico” (p. 10).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 40/S1
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1

Dal secondo Cinquecento al


Seicento
Le altre due date indicate da Migliorini (quella della fondazione dell’Accademia
della Crusca e quella della fondazione dell’Accademia dell’Arcadia) delimitano in
maniera emblematica rispettivamente il tentativo di creare (o, a seconda del
punto di vista, di tutelare) una norma ponendo un freno (almeno linguistico) alla
‘sregolatezza’ del Barocco, del quale l’Arcadia, sulla fine del XVII secolo, si
dimostrerà poi antagonista vincente nell’ambito più generale del gusto e della
letteratura.
D’altra parte la nascita dell’Accademia della Crusca da un lato si volge all’indietro
per i rapporti di stretta continuità con eventi culturali fiorentini della metà del XVI
secolo, dall’altro proietta in avanti il proprio influsso su tutto il secolo XVII con le
tre edizioni del Vocabolario di cui parleremo più avanti.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 40/S1
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1

Dal secondo Cinquecento al Seicento

Fra il 1540 e il 1541, una Accademia di privati cittadini (l’Accademia degli Umidi, che
comprendeva spiriti indipendenti e politicamente non allineati alla riconquista del
potere in Toscana da parte della casa dei Medici) era stata trasformata (con un atto
politico tutt’altro che condiviso) in strumento ufficiale di promozione linguistica e
letteraria da parte del duca Cosimo I (l’Accademia Fiorentina). In tale Accademia aveva
avuto occasione di svilupparsi e meglio strutturarsi quel sentimento di orgoglio
municipale che, a stare alla testimonianza di Carlo Lenzoni, era stato espresso da
Machiavelli all’uscita delle Prose della volgar lingua di Bembo: la rivendicazione cioè
(oculatamente promossa e incoraggiata dal Duca, che vi scorgeva un’insostituibile
opportunità di autopromozione culturale, letteraria e linguistica) del “primato
fiorentino”, di cui l’opera di Carlo Lenzoni è un esempio concreto.
Nell’Accademia Fiorentina in verità si fronteggiarono istanze ‘classicheggianti’ e
filobembiane come quella di Benedetto Varchi (1503-1565) da una parte, e pretese di
superiorità del fiorentino (anche nella sua versione contemporanea, di lingua parlata e
mutevole nella diatopia e della diastratia) rispetto agli altri volgari, come quelle di
Giovan Battista Gelli (1498-1563) e Pier Francesco Giambullari (1495-1555), dall’altra.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 40/S1
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1

Dal secondo Cinquecento al Seicento


Se tali posizioni si trovavano contrapposte riguardo al modello linguistico da proporre,
esse erano però concordi nella necessità di rivendicare a Firenze il proprio ruolo di sede
privilegiata di lingua (nativa o letterariamente educata), e sulla necessità di recuperare
un ‘primato’ che, per quanto riguardava la redazione della grammatica del volgare era
stato sottratto a Firenze da i non fiorentini Fortunio e Bembo.
Già nel diploma ducale del 22 febbraio 1542 (istitutivo dell’Accademia Fiorentina) il Duca
Cosimo, ricordando come in passato “i favori e gli aiuti” di tutta la famiglia Medici
“abbiano giovato non solamente nella nobilissima patria loro, ma a tutto il mondo e
alla onoratissima memoria di sì dotte e celebrate lingue; e desiderando come ottimo
Principe della Città sua che i fedelissimi suoi popoli ancora si faccino ognora più
ricchi e si onorino di quel buono e bello che Domineddio ha dato loro cioè
l’eccellenza della propria lingua, la quale oggi da gran parte del mondo è tenuta in
grandissimo pregio, e per la bellezza, nobiltà e grazia sua molto desiderata”
esortava gli accademici a svolgere il loro debito
“interpretando, componendo e da ogni altra lingua ogni bella Scienza in questa
nostra riducendo”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 40/S2
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1

Dal secondo Cinquecento al


Seicento: Lionardo Salviati
A questo generale auspicio di promozione del volgare, si era affiancato poco più tardi
l’invito rivolto ancora dal Duca agli accademici a redigere una grammatica;
“Nel 1550 [...] l’Accademia fiorentina [...] aveva affidato a una commissione di cinque
membri (Varchi, Giambullari, Lenzoni, Torelli, Gelli) l’incarico di stabilire le regole
della lingua fiorentina”;
ma, a parte iniziative private come la grammatica del Giambullari (uscita nel 1552), il
desiderio non fu attuato se
“ancora nel 1572 il granduca Cosimo persisteva nella sua politica linguistica e
incaricava senza esito gli Accademici Baccio Bardadori, Bernardo Davanzati, Vincenzio
Alamanni, Giovan Battista Cini di compilare ‘le regole della lingua toscana’”
(Marazzini, p. 164 e p. 166).
Dell’Accademia Fiorentina era entrato a far parte giovanissimo Lionardo Salviati (1540-
1589).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 40/S2
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1

Dal secondo Cinquecento al Seicento: Lionardo Salviati


Autore di commedie e trattati e rappresentante di quella tradizione filologica fiorentina
che si era espressa soprattutto in ambito latino e greco (lui stesso fu traduttore e
commentatore della Poetica aristotelica), il Salviati svolse nell’Accademia un ruolo di
primo piano, divenendone il vero animatore tanto dal punto di vista teorico quanto dal
punto di vista delle iniziative editoriali.
Sul primo livello, fra il 1576 e il 1577 il Salviati redasse le Regole della toscana favella,
che, rimaste inedite in quanto tali (forse perché scritte in un’occasione contingente, in
particolare per l’ambasciatore estense presso la corte medicea Ercole Cortile, con la
speranza di essere accolto a Ferrara), confluirono poi nella sostanza negli Avvertimenti
della lingua sopra ’l Decamerone (1584-1586). Gli Avvertimenti, in due volumi, erano il
frutto della lunga consuetudine che il Salviati aveva dovuto intrattenere con il capolavoro
boccacciano in occasione della ‘rassettatura’ del Decameron (un’edizione purgata, uscita
nel 1582, in cui venivano cassati i luoghi condannati dalla censura post-tridentina e che
faceva seguito ad un precedente tentativo, considerato però insufficiente dalla censura,
attuato dieci anni prima da Vincenzio Borghini). Ma le idee linguistiche che animavano il
Salviati avevano avuto modo di essere rese pubbliche quando egli, appena
ventiquattrenne, aveva recitato in un’assemblea pubblica dell’Accademia l’Orazione in
lode della fiorentina favella (1564).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 40/S2
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1

Dal secondo Cinquecento al Seicento: Lionardo Salviati


“I nuclei dell’argomentazione salviatesca, svolti con lucidità e rigore [nell’Orazione],
sono i seguenti: (a) alle lingue per imporsi non bastano le virtù naturali né un’illustre
tradizione letteraria; (b) il fiorentino da questo punto di vista ha le carte in regola e
non teme rivali, essendo lingua viva e non morta come il greco e il latino, e avendo fra
i suoi autori «quello stupore e quel miracolo» che è Dante; (c) ma le lingue si
affermano solo se chi le parla è consapevole del loro valore e se quelli che hanno il
prestigio per farlo si impegnano per il loro riconoscimento e la loro diffusione; (d) il
fiorentino è stato risvegliato «dal sonno» agli inizi del Cinquecento dalla maggior
autorità di quel momento, Pietro Bembo, «tenuto il maggiore huomo che havesse
l’Italia in quel tempo»; (e) ma è necessario, perché non ricada proprio quando sta per
risorgere, che qualcuno altrettanto capace e autorevole si impegni nella stessa
direzione; (f) a Firenze c’è chi può assolvere a questo compito, la più importante
istituzione culturale della città: l’Accademia fiorentina, direttamente governata da
Cosimo de’ Medici, «uno dei maggiori Principi della Christianità»”.

La citazione è tratta dalla voce che Nicoletta Maraschio ha dedicato nel 2011 al Salviati
nell’Enciclopedia dell’italiano, della casa editrice Treccani consultabile on line:
http://www.treccani.it/enciclopedia.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 40/S3
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1

Dal secondo Cinquecento al


Seicento: Lionardo Salviati
Alla rivendicazione del “primato fiorentino” espressa nell’Orazione l’attività filologica sul
Decameron permise di aggiungere l’esperienza su questioni concrete di grafia, di
fonetica e di lessico che il Salviati “avrebbe ripreso e giustificato ampiamente negli
Avvertimenti”. Quest’ultima opera
“è una vera e propria summa, che procede analiticamente, partendo dall’edizione
decameroniana, per trattare molti aspetti importanti del dibattito intorno alla
lingua sviluppatosi lungo tutto il secolo e molte questioni grammaticali ancora
controverse. Nel primo volume [...] Salviati espone la propria teoria, riprendendo
dalle Prose del Bembo il modello arcaicizzante, scostandosene però nel
rivendicare non solo il valore di Dante, ma quello di tutte le scritture
trecentesche fiorentine di ogni genere e registro: ‘le regole del volgar
nostro doversi prendere dai nostri vecchi autori, cioè da quelli che scrissero
dall’anno milletrecento, fino al millequattrocento: perciocché innanzi non era ancor
venuto al colmo del suo bel fiorire il linguaggio: e dopo senza dubbio subitamente
diede principio a sfiorire‘”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 40/S3
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1

Dal secondo Cinquecento al Seicento: Lionardo Salviati


Come dice ancora Nicoletta Maraschio (da cui sono tratte anche le citazioni precedenti):
“Salviati si muove in un’ottica ‘naturalistica’, che lo porta a sostenere ‘la sovranità
popolare nell’uso linguistico, […] la priorità del parlato nel funzionamento della
lingua, […] la purezza linguistica come dato naturale del fiorentino’, e quindi a
riconoscere ‘implicitamente l’uso vivo e attuale come realtà importante alla dinamica
linguistica’ […]. L’ostilità al latinismo quattrocentesco, considerato artificiale e in
qualche modo inquinante l’originaria purezza della lingua, lo spinse a criticare Tasso e
uno stile in cui il ricorso ai cultismi è frequente e caratterizzante. Di particolare
importanza è il cap. XII, in cui è riportato l’elenco degli autori e delle opere
trecentesche da assumere a modello [...]. Il secondo volume [...] tratta invece di
questioni grammaticali, in particolare del nome, dell’aggettivo, dell’articolo e delle
preposizioni, in maniera più approfondita rispetto alle Regole della Toscana favella”.
(n.b.: Nella menzione del Tasso, la Maraschio fa riferimento ai “molti opuscoli polemici
contro Torquato Tasso, scritti [dal Salviati] sotto diversi pseudonimi (ma per lo più con il
nome accademico di Infarinato)” nei quali si esprime un giudizio limitativo in fatto di stile
e di lingua sulla Gerusalemme liberata che, posta a confronto con l’opera dell’Ariosto,
risultava “oscura”, scritta in una “favella troppo culta” mista di voci “latine, pedantesche,
straniere, lombarde, nuove, composte, improprie”).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 40/S3
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1

Dal secondo Cinquecento al Seicento: Lionardo Salviati


L’attività del Salviati dei maturi anni Ottanta del XVI secolo (e in particolare tutta la
polemica antitassesca) non si svolgeva ormai più entro l’Accademia Fiorentina. Nel 1582
era stata creata la Brigata dei Crusconi,
“costituita da un gruppo di amici, che si riunivano per cenare e conversare
piacevolmente. I loro argomenti leggeri, bizzarri e inconsueti, erano definiti
‘cruscate’ e il loro ‘leggere in crusca’ significava ‘leggere in burla’ con uno spirito
volutamente antipedantesco”.
Nella Brigata (di carattere privato) confluirono alcuni membri dell’Accademia ufficiale,
compreso il Salviati che, subito dopo aver aderito, “per alleggerire in parte le cure
noiose della vita” (ma forse anche per ragioni politiche, giacché dalla seconda metà
degli anni Settanta erano sorti motivi di contrasto con il Granduca Francesco I,
successore di Cosimo I) avanzò la proposta “di dar a questa nostra brigata nome
d’Accademia [...] e noi non più Crusconi ci facciamo chiamare ma Accademici della
Crusca” (le parole del Salviati, come anche la citazione precedente, sono riferite da
Nicoletta Maraschio-Teresa Poggi Salani, La prima edizione del Vocabolario degli
Accademici della Crusca, in Una lingua, una civiltà, il Vocabolario, Como, Era edizioni,
2008, pp. 28-29, in occasione della ristampa anastatica della prima edizione del
Vocabolario).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 41
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1

L’Accademia della Crusca e il


Vocabolario
Nella visione del Salviati la teoria di Bembo è accolta nei suoi termini arcaizzanti
eppure profondamente rivisitata. In primo luogo alle Tre Corone trecentesche viene
riannesso di pieno diritto Dante, che Bembo aveva escluso dal ruolo di modello
esemplare di stile, esclusivamente riservato a Petrarca e Boccaccio. In secondo luogo,
e soprattutto, marca la differenza della impostazione salviatesca da quella del
predecessore il fatto che, in buona sostanza, ad un modello di stile si sostituisce
un modello di lingua: in una prospettiva meno élitaria dal punto di vista stilistico e
letterario, si riconosce a tutto il Trecento una ‘purezza’ (poi deturpata dalla storia
linguistica successiva) che consente di affiancare ai due modelli letterari supremi, una
miriade di modelli di lingua, selezionati solo per l’attinenza secolare.
Ed è qui che si rilevano le influenze di quella parte dell’Accademia fiorentina che, con
Gelli e Giambullari, aveva recuperato alla lingua, accanto alla funzione di espressione
letteraria, il ruolo primario di strumento di interscambio orale.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 41
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1

L’Accademia della Crusca e il Vocabolario


Nei suoi scritti (sia in occasione dell’edizione purgata del Decameron, sia negli
Avvertimenti) il Salviati aveva approfondito gli aspetti lessicali, oltre che fonetici e
morfologici, del fiorentino trecentesco, facendo anche riferimento a più riprese ad un
Vocabolario toscano, del quale non rimane traccia documentaria. Da questa idea
embrionale, rimasta probabilmente allo stato di semplice aspirazione, nacque l’impresa
lessicografica più innovativa e di maggior impatto nei secoli a venire, contestata e
discussa, messa in ridicolo o osannata, ma strumento imprescindibile (anche simbolico,
nel bene e nel male) per l’unificazione della lingua che man mano da ‘fiorentina’ o
‘toscana’ si avviava a diventare (almeno nel sentimento comune) nazionale.
“Il Vocabolario, sopra il fondamento di una omogeneità idiomatica ormai
sufficientemente acquisita, fornì uno scelto repertorio lessicale e fraseologico di
elementi autorevolmente definiti e contestualizzati, cioè inseriti nelle loro reti
associative più proprie. Era un notevole passo avanti verso il requisito primario di una
lingua comune: la certezza dell’uso, al cui conseguimento, trattandosi di lingua scritta
e mancando il vivo confronto della conversazione, erano indispensabili strumenti dotti
e riflessi quali grammatiche e vocabolari” (Giovanni Nencioni, La Crusca e la lingua
italiana, in Saggi di lingua antica e moderna, Torino, Rosenberg & Sellier, 1989, pp.
395-406: p. 396).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 41
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1

L’Accademia della Crusca e il Vocabolario


Sulla base di quel progetto del Salviati (e fedeli alla sua impostazione) gli Accademici
della Crusca si impegnarono, dopo la sua morte, a redigere, con un lavoro di circa un
ventennio (1592-1612). il primo Vocabolario degli Accademici della Crusca uscito a
Venezia nel 1612.
“Nella Premessa ai lettori alla prima edizione del Vocabolario della Crusca, gli
accademici dichiarano di volersi attenere a Salviati per la grammatica e la grafia:
‘Quanto a regole, precetti, o minuzie gramaticali, non essendo questo luogo da
doverne trattare, ex professo, ce ne rimettiamo a quello, che n’ha scritto il Cavalier
Lionardo Salviati […]. Nell’ortografia abbiam seguitato quasi del tutto quella del
sopraddetto Salviati, parendoci di presente non ci avere, chi n’abbia più
fondatamente discorso (Vocabolario 1612, Premessa).
Ma lo seguono soprattutto nell’impostazione filologica del loro lavoro e nella scelta
degli autori e dei testi da sottoporre a spoglio. Pur con qualche differenza, infatti, la
Tavola degli autori citati nel Vocabolario coincide con l’elenco fornito da Salviati negli
Avvertimenti (I, cap. XII) e trova riscontro in un suo quaderno manoscritto
conservato alla Biblioteca Riccardiana” (Maraschio, voce Lionardo Salviati,
nell’Enciclopedia dell’italiano, cit.).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 41/S1
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1

L’Accademia della Crusca e il


Vocabolario
Se, come dice Claudio Marazzini,
“Il dizionario moderno risulta il frutto di aggiustamenti successivi che gli diedero
forma definitiva solo nel XVI secolo, se non all’inizio del XVII [e che] il dizionario
potrebbe essere visto come uno dei risultati della regolamentazione delle lingue
nazionali, anzi l’espressione compiuta del raggiungimento del loro equilibrio
normativo” (Claudio Marazzini, Lessicografia, della già citata Enciclopedia
dell’italiano)
si può comprendere non solo il valore intrinseco del risultato, ma anche la precocità
dell’impresa e lo sforzo che essa richiese, condotta per lo più da dilettanti linguisti e
lessicografi, le cui competenze nacquero e maturarono lungo il lavoro di spoglio dei
testi e degli autori selezionati; infatti “La squadra dei lessicografi fiorentini andò [...]
formandosi da sé e mantenne notevole collegialità nelle scelte” (ivi).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 41/S1
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1

L’Accademia della Crusca e il Vocabolario


Con l’impresa del Vocabolario Firenze recuperava davvero un ’primato’, che non poteva
più essergli disconosciuto né da quanti aderivano al modello linguistico che lo ispirava, sia
da quanti in quel modello non si riconoscevano; come è dimostrato nei fatti dalla rapida
diffusione e smercio di quella prima edizione, che, di poco mutata, fu ristampata di lì a un
decennio, nel 1623.
Paolo Beni ([1552 circa-1625], autore dell’Anticrusca [1612] e de Il Cavalcanti [1614]) e
di Alessandro Tassoni [1565-1635]) con le loro critiche indussero gli Accademici nella
terza edizione (nel 1691) a rendere meno rigido il paradigma di autori spogliati, che
accoglieva ora, oltre agli autori del Trecento, anche le opere di scrittori del Cinquecento e,
fra queste, con particolare riguardo alle opere tecniche e scientifiche; e, a ridimensionare
la prospettiva arcaizzante originaria, il Vocabolario del 1691 segnalava come V(oce)
A(ntiquata) le parole uscite dall’uso, registrate non più per essere riusate, ma quale
documento per la lettura degli antichi scrittori.
Il riproporsi fino all’Ottocento del modello ‘puristico’ (come d’altro canto il riapparire
ciclico dell’ostracismo, ma anche dell’incomprensione del valore ‘didattico’ della proposta
puristica) trova spiegazione nelle particolari caratteristiche della storia della lingua italiana
nel suo intero arco cronologico e delle particolari condizioni fra secondo Cinquecento e
Seicento.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 41/S1
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1

L’Accademia della Crusca e il Vocabolario


Non è un caso infatti che la concretizzazione del progetto cruscante prenda forma nel
Salviati dopo eventi storici che alla purezza di una lingua (che non c’era ancora se non
nella sua veste letteraria) attentavano in maniera pericolosamente vicina.
In primo luogo un evento storico di natura extralinguistica: la pace di Cateau-
Cambrésis del 1559, sancendo la presenza spagnola in Italia, autorizzava dal punto di
vista del parlato quella lenta ma inesorabile penetrazione dell’ispanismo che, se aveva
conosciuto i suoi prodromi fin dall’arrivo in Italia degli Aragonesi alla metà del XV
secolo, si era fatta sempre più prossima a Firenze durante il rientro dei Medici a
Firenze, al quale aveva offerto appoggio Carlo V e poi quando Cosimo I aveva sposato
Eleonora di Toledo.
Alla Spagna l’Italia letteraria poteva contrapporre solo l’autorità della propria
letteratura (su base fiorentina) con i modelli di Dante, Petrarca e Boccaccio; ma
l’ispanismo penetrava facilmente e soprattutto nella conversazione. Sul piano
dell’oralità l’Italia dei ceti colti poteva contrapporre l’esistenza di fatto di una koiné che
si era man mano venuta creando, antitetica o comunque divergente dalla letteratura
perché abbisognava di registri più quotidiani e colloquiali rispetto al modello della
poesia petrarchesca o alla prosa fortemente ipotattica di Boccaccio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 41/S2
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Seicento:


latino, volgare, dialetto
Il dialetto in letteratura
Già ampiamente usato nella mimesi del parlato nella commedia primo-cinquecentesca, nel
Seicento il dialetto viene usato nella traduzione di classici (la Commedia dantesca, la Ge-
rusalemme del Tasso) e per scritture narrative (Cunto de li cunti di Giovan Battista Basile)
ora configurandosi come ‘dialettalità riflessa’ (definizione che si deve a Benedetto Cro-
ce), cioè da un lato come recupero, ideologicamente cosciente, del dialetto in alternativa
alla lingua letteraria, d’altro canto come ribellione’ rispetto alla linea filo-toscana prima
bembesca e poi cruscante.
Latino-volgare: non tutti i campi della cultura sono stati investiti dall’avanzare a
macchia d’olio del volgare;
La Chiesa: mentre la predicazione si schiera sempre più a favore del volgare, i riti si
svolgono ancora in latino.
La scienza: registra un generale avanzamento del volgare.
L’università: si assiste ad avanzamento del volgare a macchia d’olio, a seconda delle
personalità degli insegnanti e delle materie e facoltà coinvolte.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 41/S3
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 1

TEST: esercizio sulle banche dati


Lo studente verifichi
sulla Lessicografia della Crusca in rete (http://www.lessicografia.it/)

la progressione quantitativa del numero di testi spogliati nelle quattro edizioni


indicizzate (I, II, III e IV) del Vocabolario.
(N.B. Nella pagina iniziale si clicchi su RICERCHE GUIDATE e nella pagina
seguente RICERCA DEI CITATI; nella schermata successiva si selezioni di volta
in volta su una soltanto delle quattro edizioni disponibili e si prema MOSTRA
TUTTI; il numero dei testi citati comparirà in basso alla pagina).

I risultati della ricerca (dati quantitativi ed commenti) dovranno essere


inviati tramite eportfolio, avvertendo al contempo il docente sul sistema di
messaggistica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 41/S3
Titolo: Dal secondo Cinquecento al Seicento
Attività n°: 2

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.

29) Tracciate un quadro dei rispettivi ambiti d’uso del latino, del volgare e del dialetto
nel secondo Cinquecento e nel Seicento.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 42
Titolo: Il barocco e la prosa di Daniello Bartoli
Attività n°: 1

Il barocco e la prosa di Daniello


Bartoli
A rappresentare la prosa del secolo XVII ho scelto un brano de La ricreazione del savio
di Daniello Bartoli (1608-1685); come ogni buon scrittore, più che di una corrente
letteraria (nel caso specifico del Barocco), il Bartoli è rappresentante di se stesso e di
un’epoca. Proprio per questo, forse, egli ha collezionato giudizi a dir poco contrastanti
se non addirittura diametralmente opposti, a seconda che sia stato assimilato o meno al
giudizio negativo che per secoli ha colpito il periodo barocco, o che invece ne sia stato
considerato rappresentante più o meno fedele nella rivalutazione a cui dalla metà del
Novecento si è assistito riguardo alla prosa e alla poesia del Seicento.
La scelta però, anziché dettata dal rapporto, stabilito dal Bartoli, con lo stile e la poetica
barocchi, è stata piuttosto determinata dalla capacità di questo scrittore di esprimere
una molteplicità di punti di vista (l’oratoria sacra e la predicazione, l’interesse per il
mondo naturale e la scienza, la pervicace presenza del classicismo anche in periodi di
anticlassicismo conclamato, l’interesse teorico per le questioni linguistiche e così via).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 42
Titolo: Il barocco e la prosa di Daniello Bartoli
Attività n°: 1

Il barocco e la prosa di Daniello Bartoli

Daniello Bartoli nacque a Ferrara nel 1608; è dunque il primo scrittore né fiorentino né
toscano di cui analizzeremo la prosa. Come avremo modo di verificare nel concreto
dell’analisi ciò non crea alcun sussulto rispetto a quel che siamo abituati ormai a
conoscere (e riconoscere) dell’evoluzione fono-morfologica dell’italiano, a testimonianza
di un’unificazione ormai raggiunta nello scritto, se non in tutti i registri o a tutti i livelli,
almeno nelle zone di massima educazione letteraria.
Il Bartoli, all’interno della Compagnia di Gesù nella quale fu educato fin dall’infanzia,
ottenne presto attestazioni di stima tali che, ventenne, lo condussero a diventar egli
stesso maestro di retorica. Nonostante ciò, dopo quattro anni, in vista di prendere gli
ordini superiori, manifestò la sua forte attitudine ad approfondire gli studi teologici per
completare i quali si trasferì a Milano e poi a Bologna.
Completato il corso di studi, nonostante avesse espresso a più riprese il desiderio di
essere impegnato nell’evangelizzazione missionaria, nella quale consisteva il principale
obiettivo dell’ordine gesuitico (secondo il voto del fondatore, sant’Ignazio di Loyola), fu
destinato prima all’insegnamento e poi alla predicazione in varie città dell’Italia
settentrionale (poi anche a Palermo, Napoli, Malta) per oltre un decennio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 42
Titolo: Il barocco e la prosa di Daniello Bartoli
Attività n°: 1

Il barocco e la prosa di Daniello Bartoli

Dal 1646 l’attività predicatoria si diradò, essendo stato incaricato dal generale dell’Ordine
di diventare storiografo ufficiale della Societas Iesu, alla quale si dedicò in maniera stabile
e continuativa a partire dal 1648, risiedendo a Roma.
“Il B[artoli] si proponeva di narrare le vicende della Compagnia, seguendo la
partizione offerta spontaneamente dai quattro continenti in cui essa aveva operato:
Europa, Asia, Africa, America. L'opera fu pubblicata a mano a mano che il B[artoli]
l’andava componendo. Nel 1653 apparve L’Asia (ristampata nel ’56 e poi nel ’67); nel
’60 Il Giappone; nel ’63 La Cina; nel ’67 L’Inghilterra; nel ’73 L’Italia. Nel 1663,
separatamente, fu pubblicata La missione al Gran Mogor del p. Ridolfo d'Acquaviva,
che fu aggiunta all’Asia nell’edizione del ’67.
Accorgendosi verso la fine della vita che non avrebbe mai potuto compiere l’impresa
gigantesca dell’Istoria, il B[artoli] intraprese a darne una stesura più compendiosa
sotto forma annalistica, di cui nel 1684 aveva già composto 5 libri (Degli uomini e dei
fatti della Compagnia di Gesù - Memorie storiche)” (Alberto ASOR ROSA, Bartoli
Daniello, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia
Italiana, VI, 1964).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 42/S1
Titolo: Il barocco e la prosa di Daniello Bartoli
Attività n°: 1

Il barocco e la prosa di Daniello


Bartoli
Alla redazione dell’Istoria della Compagnia di Gesù Bartoli dedicò poco meno di
quaranta anni, durante i quali però spesso interruppe il lavoro maggiore per
comporre altre opere.
Alcune di esse sono strettamente attinenti all’opera storiografica, come le biografie
di alcuni Gesuiti, missionari o Generali dell’Ordine, altre invece di carattere morale se
non francamente apologetiche e edificanti come La povertà contenta, descritta e
dedicata ai ricchi non mai contenti (1650), L’uomo al punto, cioè in punto di morte
(1667), Le grandezze di Cristo in se stesso e le nostre in lui (1675), L’eternità
consigliera, Dell’ultimo e beato fine dell’uomo (1670), ma occorre ricordare che il
tema etico-religioso non è mai completamente assente dalle scritture del Gesuita e
nelle opere citate è probabilmente confluita quell’attività omiletica di cui non ci è
rimasta traccia nella sua redazione originaria.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 42/S1
Titolo: Il barocco e la prosa di Daniello Bartoli
Attività n°: 1

Il barocco e la prosa di Daniello Bartoli


Altre opere ci permettono di tracciare, in maniera più ampia, la cultura e il genere di
formazione ricevuta dal Bartoli, a cui in momenti diversi si deve la scrittura di opere di
carattere retorico (almeno in parte L’uomo di lettere difeso ed emendato, 1645), o
propriamente linguistico (Il torto e ’l diritto del Non si può dato in giudicio sopra molte
regole della lingua italiana, 1655; Dell’ortografia italiana, 1670), o, infine, di varia
umanità (La geografia trasportata al morale, 1664; De’ simboli trasportati al morale,
1677); sono della maturità quelle di carattere scientifico (o, come dice Asor Rosa nella
voce già citata del Dizionario Biografico degli Italiani, ‘pseudoscientifico’): La Tensione e
la Pressione disputanti qual di loro sostenga l’argento vivo ne’ cannelli dopo fattone il
vuoto (1677), Del suono, de’ tremori armonici e dell’udito (1679), Del ghiaccio e della
coagulazione (1681).
Dice infatti Asor Rosa a proposito di queste ultime opere assimilabili all’ambito scientifico:
“In nessuna delle opere da lui dedicata all'osservazione naturale c'è mai, infatti, quello che
siamo abituati a considerare il fondamento di ogni ricerca scientifica: l'impulso fortissimo a
conoscere razionalmente e, attraverso la conoscenza, a penetrare le leggi oggettive del
meccanismo universale. Nel B[artoli] pseudo scienziato predomina viceversa il solito motivo
di esaltazione e di stupore, l'ormai ben noto desiderio, inesausto e un po’ infantile, di
trovare ovunque - ragioni d'ammirazione per la grandezza e l'onnipotenza divina”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 42/S2
Titolo: Il barocco e la prosa di Daniello Bartoli
Attività n°: 1

Il barocco e la prosa di Daniello


Bartoli
Prima di affrontare l’analisi diretta della lingua del Bartoli è utile soffermarci su
alcune idee di carattere stilistico espresse ne L’uomo di lettere difeso ed
emendato, e sulle posizioni linguistiche desumibili da Il torto e ’l diritto del Non si
può.
L’uomo di lettere, l’opera che inaugura la produzione a stampa del Bartoli, pur non
essendo un’opera retorica in senso stretto, ci informa della posizione dell’autore
riguardo alla moda imperante del Barocco. Nel capitolo Dello stile che chiamano
moderno concettoso, fra i due estremi stilistici propugnati dal Barocco (lo stile
‘fiorito’, corrispondente nella retorica classica greca allo stile asiano, e lo stile
laconico), il Bartoli assume una posizione intermedia che lo allontana, in nome
della tradizione classicista entro la quale si era formato, da ogni eccesso e
assenza di regola.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 42/S2
Titolo: Il barocco e la prosa di Daniello Bartoli
Attività n°: 1

Il barocco e la prosa di Daniello Bartoli


“Quando egli critica ‘lo stile moderno concettoso’, non lo fa per avversione
generalizzata ad un’arte adorna di tutti i possibili fiori dell’ornato, bensì per
l’immoderatezza con cui esso applica i precetti di una retorica giudicata
complessivamente assai preziosa. Una posizione di prudente empirismo
interviene là dove una teoria rigorosa non porterebbe probabilmente ad alcun
risultato, e la conclusione del discorso sta in una formula equilibrata, che più
bartoliana non potrebbe essere: ‘... de’ concetti e della maniera d’usarli,
giudichi ognuno conforme alle ragioni e ’l gusto che ne ha. Io, se ho a
dirne alcuna cosa per necessità dell’argomento, gli stimo come le gioie, e ne
prendo il pregio dalla natura e dall’uso: sì che non sieno falsi, ma reali, e
disordinati a tutta baldanza, ma posti a lor luogo’. Rifiutare lo stile
asiano e quello laconico non significa dunque per lui, in un certo senso,
proporne un terzo, distinto nelle qualità dello stile e, ancor più, dell’invenzione
retorica, ma arrivare ad una posizione mediana fra i due. Non a caso il B[artoli]
esalta uno stile ‘attico’, che, ‘come elettro, d’amendue si tempera e si
compone’” (Asor Rosa, cit.)
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 42/S2
Titolo: Il barocco e la prosa di Daniello Bartoli
Attività n°: 1

Il barocco e la prosa di Daniello Bartoli

Ai problemi linguistici del proprio tempo il Bartoli dedicò Il torto e ’l diritto del Non si
può e il Trattato dell’ortografia italiana (1670), considerata quest’ultima la “più
importante opera sull’ortografia del Seicento”, nella quale
“Daniello Bartoli precisa che l’interpunzione sfugge a principi normativi rigidi e
che, ancor più di altre parti dell’ortografia, è legata al gusto individuale. Bartoli
individua il principio di selezione nella chiarezza e la funzione nell’evitare gli errori
di comprensione, distinguendo e separando le parti del testo [...]. Quanto
all’elenco dei singoli segni, non sono in genere presi in considerazione il punto
esclamativo e il punto interrogativo e cadono anche le distinzioni tra i diversi tipi
di punto, che nel Cinquecento poteva essere fermo, trafermo, fermissimo e
trafermissimo. Rispetto all’ipertrofia di segni del secolo precedente si assiste ora a
una razionalizzazione teorica e nomenclatoria, che porta la maggior parte degli
autori a ritenere fondamentali i soli quattro segni con valore demarcativo (punto
semplice, due punti, punto e virgola e virgola) [...]” (sono parole di Luca Cignetti,
nella voce Punteggiatura della già più volte citata Enciclopedia dell’italiano, 2011).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 42/S3
Titolo: Il barocco e la prosa di Daniello Bartoli
Attività n°: 1

Il barocco e la prosa di Daniello


Bartoli
Una posizione di misurata presa di distanze è anche quella che regola l’intervento di
Daniello Bartoli a proposito delle scelte linguistiche ne Il torto e ’l diritto del Non si
può, che dopo la prima edizione del 1655 ebbe una seconda edizione ampliata nel
1668, in entrambi i casi però sotto lo pseudonimo di Ferrante Longobardi.
Come ricorda Claudio Marazzini nel suo volume Il secondo Cinquecento e il Seicento
della Storia della lingua edita da il Mulino, nel XVIII secolo l’opera fu ristampata con
le annotazioni critiche di Niccolò Amenta e di Giuseppe Cito, che, pur criticando la
posizione del Bartoli garantirono lunga vita alla sua opera linguistica.
Il torto e ’l diritto consiste per lo più, in considerazioni né sistematiche né omogenee
al loro interno, legate però insieme dal tema dell’opportunità e liceità di dichiarare
inammissibile o meno (appunto il non si può del titolo) l’una o l’altra delle forme
lessicali o fono-morfologiche autorizzate dal Vocabolario della Crusca.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 42/S3
Titolo: Il barocco e la prosa di Daniello Bartoli
Attività n°: 1

Il barocco e la prosa di Daniello Bartoli

La posizione del Bartoli non è di preconcetta o totale e dunque generica avversione


nei confronti del Vocabolario o del canone degli autori trecenteschi stabilito dagli
Accademici; piuttosto mette in guardia dai rischi di assolutizzare i precetti linguistici
che possono essere desunti da una scarsa o insufficiente documentazione o
informazione.
Uno degli esempi trattati dal Bartoli ne Il torto e ’l diritto (riferito da Claudio
Marazzini nel volume volte citato: p. 185) è quello che riguarda il genere di carcere
che il Vocabolario registrava solamente nella forma maschile, mentre il Bartoli ricorda
come il femminile la carcere sia ben documentato proprio in scrittori trecenteschi
spogliati dagli Accademici (nel caso specifico nell’opera storiografica di Giovanni e
Matteo Villani).
La precisazione intende sottolineare la variabilità di quel fiorentino trecentesco che,
immobilizzato nella sua funzione di modello, correva il rischio di essere appiattito
(anche se magari a scopo didattico): ne discende l’invito del Bartoli ad usare il divieto
grammaticale (appunto il non si può) con minor rigore, dato il rischio che di volta in
volta ci si trovi nel diritto o nel torto di farlo in maniera assoluta e rigida.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 42/S3
Titolo: Il barocco e la prosa di Daniello Bartoli
Attività n°: 1

Il barocco e la prosa di Daniello Bartoli


“Come scrive Bartoli nella prefazione Ai lettori, chi ha maggiori conoscenze, ‘ tanto va
più ritenuto in condannare’[cioè ‘tanto più è cauto nel condannare’]; e a coloro che
sono esperti di cose di lingua – egli continua – ‘non udirete uscir di bocca, se non se il
fallo sia inescusabile, un di que’ NON SI PUÒ, che in altri val quanto: NON MI PIACE [cioè
‘chi è esperto in fatto di lingua esprime il divieto nell’uso linguistico solo se l’errore è
palesemente tale, mentre altri condannano solo sulla base di impressioni’]” (Marazzini,
p. 186).
A queste due opere di interesse linguistico, pubblicate dal Bartoli stesso durante la sua
vita, va affiancato anche uno strumento di lavoro, rimasto inedito fino a un trentennio fa,
quando è stato pubblicato da Bice Mortara Garavelli col titolo di Selva delle parole (Parma,
Università di Parma - Regione Emilia-Romagna, 1982), probabilmente approntato come
dizionario personale in funzione della scrittura letteraria. Infatti :
“Si tratta di elenchi di vocaboli raggruppati secondo criteri di volta in volta diversi: da
quello ‘metodico’ (nomi di colori, di animali, ecc.) a quello per sinonimi, a quello
analogico procedente per associazioni d’idee” (Luca Serianni, La prosa, in Storia della
lingua italiana, a cura di L. Serianni e P. Trifone, I: I luoghi della codificazione, Torino,
Einaudi, 1993, pp. 451-577, a p. 522)
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 43
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : il quadro


fono-morfologico
Nelle prossime lezioni analizzeremo il capitolo X del I libro della Ricreazione del savio (se
ne veda la riproduzione nell’allegato), operetta bartoliana pubblicata una prima volta
nel 1659 e poi altre volte nel XVI secolo, finché nel 1684 fu sottoposta ad una radicale
revisione da parte dell’autore, che intervenne su aspetti formali e contenutistici; su
questa edizione, da considerarsi definitiva, è condotta l’edizione a cura di Bice Mortara
Garavelli (Parma, Guanda-Fondazione Pietro Bembo, 1992) dalla quale è estratto il brano
antologizzato.
Nella Ricreazione il Bartoli ha modo di coniugare il fine etico-morale e l’obiettivo
edificante, caratteristici (come abbiamo già segnalato) della sua attività di autore, con il
proprio gusto descrittivo, naturalistico e scientifico.
L’opera, divisa in due libri, infatti, intende trattare della natura e del mondo, con lo
scopo di una ricreazione dell’animo dell’autore (il savio) fino ad allora occupato in
increscevol fatica, probabilmente la stesura della Storia della Compagnia di Gesù che
così a lungo l’occupò.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 43
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : il quadro fono-morfologico


Come dice il Bartoli stesso alla fine del I capitolo del I libro, adottando la nota e
diffusissima metafora del viaggio per alludere alla scrittura:
“Chi viaggia di pura necessità, vadasi per la più brieve; chi per diporto, stornisi e
diverta [cioè: ‘devii dalla direzione principale’]: non però tanto che si trasporti a veder
ciò ch’è di riguardevole in tutta la terra. A una ricreazione lo svagarsi è dicevole; a
una ricreazione da savio, il farlo con quella salubri suavitate vel suavi salubritate che
disse sant’Agostino, definendo il miglior modo dell’insegnare”
rivendicando dunque a sé il diritto di svagarsi (che etimologicamente consente il ‘vagare’
da un argomento all’altro) pur entro i limiti del precetto classico (ma qui rivisitato in
chiave cristiana: salubri suavitate vel suavi salubritate) del miscere utile dulci e dunque di
insegnare piacevolmente.
I due libri, composti ciascuno di sedici capitoletti, si dispongono l’un l’altro in rapporto
ideologicamente chiastico o se vogliamo ‘ossimorico’ giacché, mentre nel primo il
processo è di tipo ‘speculativo’ (le opere del creato sono interpretate come metafore o
figure di Dio e dunque mezzo per salire a lui e afferrarne l’evidente presenza nella
creazione), nel secondo l’autore offre ragionamenti utili al vivere sulla terra di cui si
riconosce la finitezza con la quale l’uomo è costretto a misurarsi.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 43
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : il quadro fono-morfologico


Come l’autore stesso afferma alla fine del cap. I del II libro:
“Or come io nel libro antecedente v’ho di passo in passo condotto salendo per le
opere di Dio a Dio loro operatore, rifermandovi in questa indubitabile verità, e credo
anche evidente, ch’egli v'è e ciò ch’è fuor di lui è da lui; così ora da lui scenderò giù a
voi, e da questo principio, dell’esservi Iddio e dell’esser sua opera il mondo, ne andrò
traendo conseguenti già non più solo speculativi per istruzion della mente, ma, dirò
così, maneschi, e da usare al bisogno per quiete dell’animo, per moderazion degli
affetti, per regola della vita. Il che come mi sia per venir fatto sallo chi m’ha a dare
quel più o meno intendimento che gli sarà in piacere ch’io adoperi. Ben so io certo
che il saldamente apprendere le seguenti certissime verità è mettere il timone a una
nave, cioè al cuor d’un uomo che, senza esso, è costretto ubbidire ad ogni vento e
andare all’incerta qua e là fortunando, continuo su l’affondare e, con esso, a ogni
vento si fa ubbidire, naviga a termine disegnato e, sia tempesta sia calma, né
pericola né si trasvia”.
Come vedremo la stessa struttura della Ricreazione anticipa un elemento stilistico proprio
della scrittura di Daniello Bartoli.
Daniello Bartoli, La ricreazione del savio
CAPO DECIMO, Il Sole gran limosiniere di Dio.
Del Sole, e non dee tacersi, e non può mai dirsi tanto che non sia poco più che tacerne. Tutte le
corone di lode che gli si mettono in capo, al troppo da cinger che hanno troppo anguste, poco
abbracciano, nulla stringono, e da loro stesse ne cadono: e premutevi, come già le ghirlande alle
tempia di Scipione il maggiore, a forza si rompono: tal che, come a quel gran capitano di Roma,
5 così a questo gran re del mondo può dirsi da vero quel che Licinio Varo da giuoco: Noli mirari si
corona non convenit: caput enim magnum est.
I savi antichi il chiamarono occhio di Giove, imaginando ch’egli per lui vedesse ogni cosa: e
parea lor dire assai; ma che pro dell’esser egli occhio a vedere, se non è altresì mano da provedere a
ogni cosa? Più saggio dunque l’antichissimo Filolao, per dimostrare il Sole esser cuore della natura
10 e fucina del calore e degli spiriti vitali e, per così dire, anco animali ond’ella tutto opera, il collocò
in mezzo al mondo, immobile, e ogni cosa movente in cerchio attorno di sé: come tutte necessitose
di lui, e niuna a lui bisognevole: la quale è una verità fondata sopra un errore, come una bella
statua, ma che posa in falso: peroché falso è che il Sole posi: quello, della cui gagliardia nel corso
Iddio si gloria, somigliandolo a un gigante che tutto esulta per giubilo, mentre a que’ suoi gran
passi sormonta il cielo e misura il tempo, e giuntone al sommo del suo viaggio sul circolo
15
meridiano, indi, ove compie una carriera, un’altra con la primiera velocità e gagliardia ne
ricomincia. Quello, a cui comandato da Giosuè “Ne movearis”, stetit in medio caeli, et non
festinavit occumbere. Quello, che in pegno di sicurezza ad Ezechia infermo, retro rediit, et addidit
regi vitam. Quello che, secondo il sistema non di Salomone astronomo, ma di Dio che gli movea la
mano a descriverlo, oritur et occidit: non per ingannevole apparenza, ma come chi veramente, ad
20 locum suum revertitur ibique renascens gyrat per meridiem et flectitur ad aquilonem, lustrans
universa in circuitu; pergit spiritus et in circulos suos revertitur. Mal grado (stetti per dire) che se
ne abbiano que’ moderni a cui non cale far Dio bugiardo per far Copernico veritiere. Che se testi
delle divine Scritture sì chiaramente espressi ricevono interpretazione contradittoria e per ciò
affatto distruttiva del detto, che riman più di sicuro allo scritto verbo di Dio, tanto sol che
25 interpretandolo gli si usi la metà della violenza che qui, dove sì diffinitamente pronunzia? Se la
Terra, in guisa di turbine, senza mai cambiar luogo tutta intorno a sé medesima si convolge, o tanto
lungi dal centro dell’universo s’aggira in un ampissimo cerchio e descrive, movendosi
annovalmente, l’eclittica, perché ragionandone Iddio attribuisce al Sole quel ch’è di lei? Chi vel
costrinse? E perché non ne tacque, anzi che favellarne in maniera che, credendosi quel che suonano
30 le sue parole, si creda tutto dissonante dal vero? O usa egli in ciò d’un altro vocabolario, incognito
alla sua Chiesa, in cui ‘aggirarsi il Sole’ significhi star fermo, ‘star ferma la Terra’ significhi
aggirarsi? E non dovrà qui farsi sentire il vescovo S. Ilario? Che per simil cagione, avvegnaché in
differente materia, così parla: Aut forte qui verbum est significationem verbi ignoravit? et qui
veritas est loqui vera nescivit? et qui sapientia est in stultiloquio erravit? et qui virtus est in ea fuit
35 infirmitate, ut non posset eloqui quae vellet intelligi? Ben è vero del Sole quel rimanente
attribuitogli da Filolao, dell’essere egli il cuore e, si può dire, il tutto della natura, come più avanti
dimostreremo; e se pazzia di vanità fu quella del re Demetrio, il farsi un manto con sopravi dipinto
di prezioso ricamo a seta, ad oro e perle e gemme tutto per ordine il mondo, dal ciel supremo fino
all’ultimo elemento – opera, quanto da abbellire per lo miracoloso lavoro tanto da disformare per la
mostruosa arroganza chi se ne adornasse (tal che niun de’ Re macedoni succeduti nella corona a
40
Demetrio mai s’ardì a tanto di ricoprirsene) – già non è punto sconvenevole al Sole il dire di lui che
il bel manto d’oro filato de’ raggi della natia luce che il veste ha in sé tutto il mondo, non
vanamente rappresentato in imagine, ma veramente compreso in effetto, traendo egli ogni suo bene
da lui, come il corpo dal cuore.
Ciò sol di passaggio accennato. Se mai per alcuno si diè lode al Sole che ne adeguasse il merito,
45 altra non fu che quella con che il teologo san Gregorio Nazianzeno il sublimò sì, che più alto non si
potrebbe, ravvisando in lui, quanto una morta materia ne può esser capevole, espressa al vivo la più
natural effigie con che Iddio si rappresenti; essendo, dice egli, fra le cose sensibili il Sole quel che
fra le intelligibili è Iddio: in perfezion d’essere senza niun pari; senza niun simile in bellezza; tutto

  1  
in sé stesso, ma sì che, senza uscir di sé, della sua virtù ogni cosa riempie; fonte di luce e di calore,
50 che figuran l’intendere e l’amare; obbietto da fare altrui beato veggendolo, e dator del lume senza
cui vano sarebbe il presumere di vederlo; universal principio da cui ogni cosa ha vita e spirito,
vigore e moto; non bisognoso di niuno, e ognun di lui; profusissimo nel donare, ma senza mai
perder nulla di quanto dà, o scemarglisi e impoverire: e così tutto inteso al particolar bene d’ogni
erbuccia, d’ogni piccolissimo verme, come all’universale di tutto insieme il mondo. Ah! ben fu
55 sciocco, e per ciò giustamente deriso, chi che si fosse colui che per trecento pezzi d’oro si comperò
la lucerna di Epitetto, imaginando ch’ella al suo lume gli scoprirebbe i tesori della più occulta
filosofia, come a quel grande ingegno. Ma non l’è già chi ben sa usare questa gran lucerna del
mondo, il Sole, a veder Dio, a cui egli col suo lume fa lume quanto più durevole e chiaro di quel
che già alla famosa Minerva d’Atene la lucerna d’oro che Callimaco lavorò, capevole d’olio
bastante ad arderle inanzi un anno intero: peroché il Sole mostra Dio alla mente, che è l’occhio
60
dell’anima, meglio di quel che le cose lucide e colorate faccia a quegli del corpo. E se così avesse
imparato a mirarlo Anassagora, in quel lungo durar che faceva con lo sguardo affissato nel Sole e
l’anima in estasi per maraviglia, egli sarebbe un’aquila tra’ filosofi, dove fermandosi nel solo bel
materiale di quel pianeta non passò la condizione di nottola, rimanendosi con la mente al buio della
verità; onde fu il rispondere a chi il dimandò per che fare egli fosse nato: “A null’altro, disse, che a
65 riguardare il Sole”. Quam vocem, soggiunge Lattanzio, admirantur omnes ac philosopho dignam
iudicant. Et ego hunc puto non invenientem quid responderet effudisse hoc passim ne taceret. Or io,
che in quest’opera m’ho proposto il ragionar delle creature solo in quanto elle son testimoni di Dio
e a lui come sue orme ci scorgono, mi ristringerò a dir del Sole sol quanto mi si confà
all'argomento: anzi in questo medesimo tanto meno, quanto le opere con che egli dà a conoscer Dio
70 non son meno sensibili che il suo calore, o men palesi che la sua luce. E primieramente, quanto di
ben ci dà il Sole, tutto il riceve da Dio, per darcelo come suo Gran Limosiniere: e la beneficenza,
che il fa tutto esser d’altrui, è il principal suo pregio e da raccordarsi sopra ogni altro.
Dello stampar che i prìncipi fanno nelle monete l’imagine de’ lor volti parlò vagamente il re
Teodorico per bocca di Cassiodoro suo segretario e sua lingua; e a chi punto il volesse, ne
75 sovverrebbono a dire altri non meno ingegnosi misteri. Ma quello a me par bellissimo (e l’accennò
il medesimo altrove), che così i prìncipi mostrano d’essere tutto il ben de’ lor sudditi, e sustentarli e
arricchirli e procacciarne, quasi in persona, ogni commodo particolare, intervenendo a ciò che
comprano e vendono, e dando a ogni cosa il valore, in quanto il metallo non è utile a contrattare se
non coniato dal principe. Per ciò egli: O magna inventa prudentium, dice, o laudabilia instituta
80 maiorum! Ut imago principum subiectos videretur pascere per commercium, quorum consilia
invigilare non desinunt pro salute cunctorum. Or così fa Iddio nel Sole, in cui per ciò io diceva aver
egli improntata l’effigie sua qual ve l’ho in poche linee disegnata. Il danaro, Potentia, come disse il
Filosofo, è ogni cosa, per ciò che chi ne ha, ha quanto aver si può per danaro, cioè ogni cosa. E ogni
cosa è il Sole, percioché qual ve n’è ch’egli non ce la dia? Togliete il Sole del mondo: il mondo,
85 toltogli il cuore e morta in lui la natura, si rimane un cadavero. Avrete in più occasioni ammirato
l’insuperabil valor delle machine per lo cui ministero non che ordinari pesi ma saldezze di marmi,
qual è la gran guglia a San Pietro che tutto è un sol corpo, con piccola levatura a qualunque altezza
si portano. Mercé della virtù motrice tante volte multiplicata e concorrente in uno, quanti vi sono
argani e taglie in opera: o, per più propriamente dire, quanto è l’andar de’ canapi che lavoran per
machina: sì fattamente che i lor moti grandissimi, con poca forza, aventi proporzion d'eccesso al
90
piccolissimo del mobile con molto peso, ne vincono la resistenza. Or tale appunto è l’operare di
Dio nel governo del mondo, disse il platonico Tirio. Sue machine sono i prìncipi, che per suo volere
si reggono: egli loro dà il primo moto, per cui questi muovono i lor ministri, ed essi di grado in
grado i subordinati, fin che si vien a’ semplici esecutori, che son mossi e non muovono. Così le
cose dell’universal governo del mondo, per virtù compartite ma procedenti da un solo primo
95 movitore non mosso, soavemente ed efficacemente si reggono. Tanto avvien nel civile; ma
nell'ordine naturale, che ha un non so che simile al perfettamente monarchico, il supremo, onde
tutte le machine prendon la forza dell’operare ed egli intra il medesimo ordine da niuno l'accatta, è
il Sole: ben anche in ciò rappresentante (come poco fa diceva il Teologo) nelle cose sensibili quel
che Iddio è nelle intelligibili; e tutto da lui sì fattamente dipende e nell'essere e nell'operare, che, lui
100
  2  
tolto del mondo, tutte l’altre nature si rimarrebbono a guisa di taglie e d’argani, senza moto, cioè
senza l’anima per cui sola son machine vive e operanti. Per mano dunque del Sole Iddio tutto ci
sumministra; e se il Giove degli antichi, come raccorda Lattanzio, per testimonianza d'Euemero e
d'Ennio, lasciò in una colonna d'oro, stampato alla memoria de' secoli avvenire, i giovamenti con
105 che avea migliorato il mondo, onde anche sortì il nome di Giove, hallo Iddio fatto in quella gran
colonna d’oro, il Sole, sì come Pindaro il chiama. Egli, al tramontar che fa in occidente, non ha mai
da rivolgersi indietro e dir, tutto in sembiante doglioso, la parola di Tito, amore e delicie del genere
umano, allora che recordatus super caenam quod eo die nihil cuiquam praestitisset, memorabilem
illam meritoque laudatam vocem edidit: amici, diem perdidi: perciò che il Sole non dà un passo,
110 che continuamente benefico tutto il mondo non riempia di beni. E ne gode indifferentemente
ognuno: ché non entra egli solo ne’ gran palagi, senza degnar le capanne e i rustici abituri. I
mendichi, gl’ignudi – dice san Giovanni Crisostomo – per la metà dell’anno si veston di tela d’oro,
cioè de’ raggi del Sole, che non li lascia aver bisogno d’altro vestito in riparo dal freddo. E vadano i
superbi re della Persia a caminare al lume d’un non so qual po’ di fuoco, caduto, credevano, giù dal
cielo, loro avanti portato dovunque andassero e con preziosi legni nutrito da’ sacerdoti dicentigli:
115
Ede, ignis Domine. Non è egli vero che ad ogni poverissimo viandante tutto il Sole, senza
richiederne l’alimento per sustentarsi, porta dinanzi la fiaccola e fa lume? Ed oh, s’egli avesse
anima intelligente, secondo il falso imaginare d’una sì gran parte eziandio de’ più savi filosofi
dell’antichità, continua in lui sarebbe la beatitudine che quel Timoteo ateniese, appresso Ebano,
confessò aver goduta una sola volta, e in quanto caminò cento passi: allora che entrando a far
120 mostra di sé e dar pruova del valor suo ne’ giuochi olimpici, quel gran teatro dov’era accolto il fiore
di tutta la Grecia rivoltò gli occhi in lui e curiosamente mirollo. Da quel punto egli non credé
potersi morir d’eccessiva allegrezza, altrimenti quello era l’ultimo dì di sua vita; e se nol fu, ciò fu
perché un beato non può morire: e l’era egli tanto in quell’ora, che glie ne durava il giubilo dopo
tanti anni, e il solo raccordarsene gli bastava a rifarsi poco men d’allora beato. Or non dà passo il
125 Sole ch’egli non salga sopra un nuovo orizzonte e di colà non vegga la metà della terra, e tutta in lei
la natura, mettere in esso gli occhi e a sé vegnente accoglierlo, ammirandone la maestà, lodandone
la bellezza, ricevendone il risuscitare al suo lume, il rinvigorire al suo caldo, il tutta mettersi in
opera all’impression del suo moto.
Ma quanto a ciò in particolare, ben merita d’esser qui udito il filosofo e oratore, l’uno e l’altro
130 eccellente, Temistio. Come noi, dice egli, a voce di banditore facciam le generali chiamate del
popolo nelle piazze, ne’ teatri, nel tempio, a promulgar gli editti del publico reggimento, non
altrimenti il Sole, salendo a tutti visibile e, mostrandosi ora in un segno or in un altro de’ dodici per
cui nell’annoval suo periodo si rivolge, tutte a sé chiama le nazioni del mondo, sian colte sian
barbare, e di qualunque istranio clima, e in un raccolte, e qua e là disperse per l’isole dell’oceano in
135 esilio della terra; e in voce intesa in ogni lingua denunzia ciò che ordina il tempo, ciò che
l’opportunità richiede, ciò che dispon la natura. Agricoltori, dice, ora son da trar fuori gli aratri e i
vomeri, gli erpici e le marre; or è da fendere, da rivolgere, da solcare utilmente la terra. Gittate le
sementi, sarchiatele già in erba, rinnettatele; mano alla falce e mietete. E voi costà, solleciti alle
piantagioni degli alberi, alla coltivazion delle viti: potare, rimettere, propagginare; via gl’inutil
sermenti, via i pampani ombreggianti; già son maturi i frutti, già le uve biondeggiano: ricoglietele,
140
vendemmiate. Marinai, ah per avarizia del danaro prodighi della vita, dove ora co’ legni in corso e
la vita in precipizio? Ricoglietevi dentro a’ porti: ammainate, traete vostre navi in terra a rimetterle,
a rimpalmarle. Non vi truovino in alto mare queste furiose stelle che meco insieme si lievano, né
quest’altre che, nascendo io, mi tramontano in faccia: elle son troppo ree, e orribili le fortune de’
venti che mettono in aria, e insuperabili le tempeste con che tutto dal fondo isconvolgono il mare:
145 non ne campereste per saldezza di nave, per industria d’arte, per valor di animo e di braccia, per
alte grida e voti in vano sparte all’aria. Non v’alletti il sereno ingannevole, né vi tragga a fidarvene
il tranquillo che vi lusinga. Non è pace questa, è tradimento. Dormono le tempeste, mentre in
silenzio si lavorano i turbini; al primo fischio di questi quelle si svegliano, e subito il mare alle
stelle, e voi giù al profondo. In tanto dian lor volte i cieli, e mia cura sarà da altro Segno avvisarvi,
150 quando a’ porti sia utile il riaprirsi e a voi sicuro il rimettervi alla vela. Io non do oracoli, di qua su,
scuri né ambigui. Pastori al trar le gregge a pascere, pellegrini a mettervi in camino, attendetemi.

  3  
Chi sol mi vede e m’osserva in oriente qual nasco e quale in occidente tramonto, nuvoloso e
torbido, o placido e sereno, mi sente profetizzar veritiero qual dé aspettarsi il dì presente e
155 l’avvenire. Così egli; e sallo perché il fa; e fallo perché tutta seco si muove, e tutte da lui riceve le
diverse impressioni con che si altera, la natura; come bene il significaron que’ savi della famosa
Ierapoli che il figuravano avente un’asta d’oro in mano e sopravi la vittoria in piè su la punta.
Quella additava i suoi raggi, questa diceva cuncta summitti huius sideris potestati. Per lo qual
medesimo fine il ritraevano ancora con molte braccia e molte mani, come quello che in tutto si
160 mesce e tutto opera. Né mai avviene ch’egli salga su l’orizzonte, che tutta in vederlo la natura di
quell’emisfero, com’io diceva, non si risenta: tal che quindi prese il Morale a ravvisar nel Sole il
principe, dicendo al suo Nerone non ancor trasformato in quella gran bestia che poi divenne;
Nostros motus pauci sentiunt. Prodire nobis et recedere et mutare habitum sine sensu publico licet.
Tibi non magis quam Soli latere contingit. Prodire te putas? Oriris.
Suo dunque è il bellissimo ordine delle stagioni: ch’egli le fa col passar dall’uno all’altro quarto
165
della sua eclittica, che è la ruota al cui moto il teatro di questa inferior natura cambia apparenza e
scena, e gli uomini abito e personaggio: di primavera tutta fiori e allegrezza; poi di state fervida e
faticante; indi d’autunno dilettevole in un medesimo e ubertoso; finalmente, di verno, pigro, orrido,
e ozioso. E non per tanto necessaria così l’una come l’altra, tutte con la lor propria dote; nel
rimanente diverse, in questo simili: che con la varietà rendono la natura più dilettevole, altrimenti il
170 continuo, qual che si sia, con sempre il medesimo sazia ed annoia. Eccole di mano del Nazianzeno
effigiate in piccolo, ma di bellissima invenzione. Quadam veluti in chorea (dice egli) partim se
invicem complectuntur, partim a se discedunt. Alterum amicitiae, alterum ordinis. Partim inter se
paulum miscentur, ac vicinitate sua tantum non nobis imponunt. Non si passa in un dì dalla state al
verno, né da questo a quella: ché gl’immediati estremi la natura non li soffera senza grandemente
175 patirne: ma vi s’intramezzan la primavera e l’autunno, che, partecipando degli estremi loro a lato,
tanto soavemente quanto insensibilmente dall’uno all’altro ci portano. Troppo anche più
intolerabile ci riuscirebbe se in un medesimo mese avessimo tutto insieme a mietere i grani e
spagliarli e riporli; e coglier da tutti gli arbori, e alla montagna e al piano, le tanto diverse maniere
di frutti che vi si producono; e al medesimo tempo vendemmiare e intendere a gli ulivi, con quanta
180 servitù e fatica richieggono il vino e l’olio che ne traiamo. Ma le stagioni così fra loro spartite dal
ben inteso andamento del Sole similmente a noi spartono le fatiche: e le Grazie, come dicevan gli
antichi, da lui ci vengono in compagnia delle Ore, cioè fatte a suo tempo, e per ciò il doppio
preziose.
Oltre alla varietà e al bell’ordine delle stagioni v’ha in che altro ammirare la discretezza del Sole,
185 e in lui di Dio che glie la diede e n’è degnamente lodato da’ Padri Basilio, Nazianzeno, Crisostomo,
Teodoreto, Ambrogio ed altri, de’ quali eccone in ristretto il meglio. La notte e ’l dì non sono fra
lor diversi fuor che nel colore del volto: quella è mora e questo è bianco, ma belli amendue sì, che
nel giudicarne v’ha parti: e a chi piace più l’uno a chi più l’altra: come gli Etiopi, al contrario di
noi, dipingon l’arcagnolo san Michele di fattezze e color fino moro e di capel corto, nerissimo e
190 ricciuto, e sotto a’ suoi piedi Lucifero, bianco e vermiglio e in lunga zazzera e bionda. Trattone
dunque il colore, in che solo discordano, il dì e la notte son sì d’accordo che la natura non ha altri
due gemelli che fra lor tanto convengano. Amendue al medesimo movimento del cielo superiore si
muovono col medesimo passo del Sole, e ad occidente veloce e ad oriente tardo caminano. Dove il
dì mette inanzi il piede, la notte il ritira, e dove questa s’allunga, questo altrettanto s’accorcia; e se
han diversi emisperi e van l’uno all’altro in contrario, questa non è contrarietà, è accordo e, se può
195
dirsi, amore: seguitandosi sempre l’un l’altro, già che non possono essere insieme. Similmente
nemici paiono d’operazioni e d’ufficio, e sono in ciò sì strettamente congiunti che l’un senza l’altra
non profitterebbe a nulla. Il dì ha per sue proprie le opere e la fatica, la notte l’ozio e la quiete. Ma
si fatica per riposare e si riposa per faticare; così l’un serve scambievolmente all’altro e amendue al
terzo, del viver nostro, che va continuo girandosi in questa ruota dell’avvicendare i contrari. Né è
200 storsione o furto quel che si van continuamente facendo la notte e ’l dì, con torsi l’uno all’altro le
ore, diminuendosi e ricrescendo. Anzi, questo altresì è effetto d’amicizia: darsi del suo o, per più
vero dire, dar di sé medesimo. La state ha mestieri di molte ore, per maturar co’ lunghi giri del Sole
le biade, le uve, i frutti: la notte glie le presta; e dico presta, non dona, che però il dì glie le va

  4  
205 rendendo, come appunto le ricevette, a minuto a minuto, fin che nel pieno del verno, quando non
v’è che fare nella natura, egli fa la notte sì grande, com’ella fe’ lui grande la state. Ed è ben
considerato quel di Crisostomo: che due volte l’anno, ne’ due punti dell’equinozio, saldan fra loro i
conti e pareggiano le partite, pesando l’autunno su la libbra le dodici ore e simile la primavera le
altrettante con che la notte e ’l dì si fanno, sino all’ultimo indivisibile, uguali.
210 Havvi altro che scrivere delle maraviglie di questi due legittimi figliuoli del Sole, eredi ciascuno
d’una metà del mondo e sempre ugualmente in opera di giovarlo? Udite. Potea parere il giorno
troppo più onorato con le opere della mano di che la notte è priva, se a questa non si davano, in
iscambio di quelle, le opere dell’ingegno. Il dì dunque ha le fatiche, la notte i pensieri: e,
convenienti all’uno e all’altro, quello lo strepito, questa il silenzio. E vagliami per ciò raccordare
215 una savia legge che Licurgo lasciò indispensabile a gli Spartani: che gli efori, cioè il maestrato della
republica non s’adunasse a giudicar delle cose publiche e gravi entro edifici dove la vaghezza
dell’architettura e delle statue con lo svagar degli occhi distraesse il pensiero, tanto meno inteso ad
uno quanto in molti oggetti diviso: ma in certo luogo aperto e ignudo si raccogliessero, dove
null’altro di riguardevole loro apparisse inanzi che quel solo di che venivano a consigliare. Or
questo fa a noi la notte, col tirar sopra mezza la terra il velo delle sue tenebre e torcene di veduta le
220
cose, che, apparendoci, tanto in sé men raccolta quanto a riguardarle diffusa ci renderebbon la
mente. Così tutta in un s’affissa: e miracolo a dire le belle e grandi opere che da questa ingegnosa
madre delle scienze e de’ più savi consigli provengono; ma l’argomento, a degnamente trattarlo, è
troppo più ampio di quel che alle angustie prefissemi si convenga; e sarebbe oltre numero la
moltitudine di quegli che, come Scopelliano nella più fina greca eloquenza così essi in diverse arti e
225 scienze fatti nelle tenebre della notte Soli del mondo, esclamerebbono come lui: O nox, tu dumtaxat
plurimum divinae es particeps sapientiae.
E già per ultimo a sé mi richiama il Sole, considerato non, come fin ora, solo all’operare, ma con
esso il ministerio della Luna, la quale però, com’è un riverbero di lui e conoscente d’esserlo,
haustum omnem lucis illo regerit, unde accepit: e così da lui riconosce quel che senza esso in vano
230 faticherebbe per operarlo. Or queste due sì, che son le due vere isole, Argira e Crise, quella tutta
argento e questa tutta oro, che i buoni antichi credettero essere alle foci del fiume Indo: percioché
indi si cavano i tesori di tutti i beni onde la terra è abbondante. Il re e la reina di quel grande
imperio della Cina, a quel che se ne conta nell’ambasceria d’ubbidienza che i re di Bungo ed Arima
e ’l signor d’Omura, giapponesi, inviarono alla Santa Sede di Roma, escono per miracolo una volta
235 l’anno in publico e, con quella solennità che mai in altro tempo simile non si vide, stendono
maestosamente la mano e toccano, il re un aratro, la reina una pianta di gelsi: il che fatto, si tornano
a chiudere ne’ lor palagi e si fanno invisibili. Ma ciò, per poco che sia, pur è tanto che
incredibilmente può a rinnovare in tutti la diligenza nella coltura de’ campi, per lo toccare che il re
fece l’aratolo, e nello studio delle sete per la pianta del gelso toccata dalla reina: e per l’uno e per
240 l’altro quell’ampissimo regno è per avventura il più fertile e ricco del mondo. Or fanno egli solo
altrettanto il Sole e la Luna, e non anzi, senza punto scemare della maestà, allungano fin qua giù
tante lor braccia e mani quanti da sé mandano raggi, e con essi invisibilmente lavorano ciò che
sopra e dentro la terra e nell’aria e per tutto il mare, fin giù al fondo, così ne’ viventi come ne’ misti
senz’anima, si produce? Per ciò anche la Luna fa ogni mese le sue proprie quattro stagioni,
proporzionate a quelle che il Sole compie in un anno: dal nascere, poiché ha dato volta per tutto il
245
primo quarto, la primavera; indi, fino all’empirsi posta rimpetto al Sole, la state; poi, a poco a poco
scemando, l’autunno; e dietrogli il verno, fin che del tutto si vuota di luce e di calore, quanto a quel
che ne vede e sente la terra. E rispondenti ad esse sono le alterazioni e i producimenti che ne
sieguono nella natura. E ben savio e necessario provedimento di Dio fu che le fredde notti e
lunghissime nella vernata non rimanessero senza questo secondo Sole, per non solamente
250 consolarne le tenebre, come parla S. Agostino, ma riscaldarla fredda e con nuovi spiriti ravvivar la
mezzo morta natura. Che direm poi della cura, veramente ammirabile, sopra gli uomini e le fiere,
divisa fra il Sole e la Luna, avvertita da David e ottimamente considerata dal Nazianzeno? Cio è,
che la Luna mette animo nelle fiere, ond’elle ardiscono d’uscir de’ loro covili e cacciando per le
foreste proveder di che vivere a sé e a gli ancor teneri lor figliuoli: e intanto, accioché non
255 s’abbattan negli uomini e li divorino, quanto d’ardire dà alle fiere la notte, tanto a noi di timore

  5  
infonde e quinci di sicurezza, per lo metterci che facciamo come in fortezza e in difesa,
chiudendoci nelle città tutti insieme, e ciascun nella propria casa. Ma nato il Sole, le sorti si
cambiano tutto in contrario: le fiere divengono timorose e gli uomini arditi: quelle si rintanano e
260 noi, liberi dallo scontrarle, usciamo. Se ciò non fosse, misera la nostra vita: ché chi potrebbe
ricacciar nelle selve e dentro le più cupe caverne de’ monti gli orsi, i lupi, le tigri, i lioni, se a
prender di loro anche un solo al dì chiaro tanto vi bisogna e d’uomini e d’armi, e sovente anco di
sangue? Ma senza noi in ciò punto affaticarci, col primo affacciarsi del Sole in oriente, le fiere, o
sia per non vederlo o per non esser da lui vedute, si tornano a nascondere ne’ lor covili: e allora,
265 exibit homo ad opus suum. Anzi, a dir vero, i lupi, gli orsi, i lioni sono la meno scelerata e dannosa
parte de’ malfattori dalla cui implacabil fierezza la salutifera luce del Sol nascente ci libera:
conciosiacosa che né tutti infestino ogni paese, e dove pur sieno, quantunque esser possano in
numero molti e in forza insuperabili, le mura delle città e delle case, senza noi stare in guardia, ce
ne assicurano. Non così un’altra, il dì tutta con noi dimentica, la notte tutta contro di noi selvaggia e
nocevolissima generazione di fiere, tanto peggiori quanto meno al sembiante si ravvisano per
270
nemiche, ed hanno, tutto insieme unite all’opprimerci, l’astuzia delle timorose e la violenza delle
ardite. Ma anch’elle, dice il Boccadoro, in sol vederle il Sole, le caccia: ché, come i raggi suoi
fossero saette d’oro infocato, non ne sofferan le punte che lor mette negli occhi, e cercano, via dal
publico, nascondigli e tane ove inchiudersi, fatte innocenti perché su gli occhi del Sole non osano
esser colpevoli. Orientibus Solis radiis – dice egli – et tenebrae fugantur, et ferae latitant foveisque
275 conduntur, et latrones recedunt et homicidae ad antra suffugiunt et amoventur pyratae et
sepulchrorum violatores fugantur et adulteri et fures et domorum perfossores, deprehensi a Sole et
redarguti, periclitantes abeunt seseque alicubi procul occultant. Lascio l’ammirabile signoria che
in parte il Sole, e più di lui in ciò possente la Luna, esercita sopra le vive correnti del mare, in
quello inesplicabil raccogliersi che vi fan l’acque in loro stesse e poi disciorsi e rispandere sopra i
280 liti: il qual flusso e riflusso, nel mettersi, pende dal toccar che la Luna fa, nell’intero corso d’un
giorno, i due punti dell’orizzonte, e nel crescere e scemare si contempera col salire della medesima
fino al sommo del cielo sul circolo meridiano e discendere fino all’opposto nell’inferior emispero,
tutto insieme traendo a ondeggiar con l’acque in continua perplessità i nostri ingegni: sì fattamente,
che misera e diserta la naturale filosofia, se chi di noi non comprende né il perché né il come di
285 questa incomprensibile agitazion del mare dovesse gittarvisi disperato ad annegare, come è fama o,
per meglio dire, favola, che Aristotele si gittasse nel famoso Euripo d’Eubea, il moto delle cui
correnti, sette volte al dì contrarie, gli aggirasse il cervello. Lascio l’universale e correttissimo
oriuolo che il Sole e la Luna compongono, organizzato di tante ruote volgentisi sopra diversi fusi e
centri e poli, quanti que’ due pianeti han circoli e spere congegnate con occultissimo legamento le
290 une sì strettamente con le altre, che mai non falliscono in accordarsi a mostrar misurato con
giustissimi spazi il tempo, diviso dall’uno in giorni ed anni, dall’altra in settimane e mesi.
Finalmente lascio il bel magistero della moral disciplina di che ci sono esemplare, col regolatissimo
andar che fanno, il Sole con imperio, la Luna con suggezione, considerati dal Pisida e dopo lui dal
teologo san Giovan Damasceno, e sol vi fo udir Platone, che vi torna in memoria perciò averci
Iddio addirizzati, ut spectandis admirandisque caelestium corporum motibus, anima nostra
amplecti condocefacta decorum et ordinem, odium conciperet incompositorum et vagorum motuum
levitatemque ac temeritatem casui fidentem fugeret, tamquam omnis vitii et erroris originem.

  6  
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 43/S1
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : il quadro


fono-morfologico
La lettura del brano antologizzato conferma l’impressione già anticipata poco fa
riguardo il superamento nella pratica della scrittura delle polemiche teoriche suscitate
dai diversi tentativi di uniformazione e unificazione letteraria su base toscana e la
vittoria della linea toscana arcaizzante che da Bembo attraversa il Salviati e l’attività
della Crusca.
Dalla specola (certo limitata, ma rappresentativa) della lingua bartoliana, la posizione
fiorentinista del Cinquecento (rappresentata da Machiavelli) risulta nel Seicento ormai
definitivamente superata sotto il fuoco incrociato della posizione élitaria espressa dalle
Prose della volgar lingua e della posizione ‘democratica’ di Leonardo Salviati
A dispetto delle precisazioni e dei distinguo di Daniello Bartoli nei confronti dell’attività
vocabolaristica della Crusca, la sua adesione al modello di lingua proposto
dall’Accademia è evidente.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 43/S1
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : il quadro fono-morfologico


Per quanto riguarda i dittonghi toscani, riconosciamo il sapore ‘arcaizzante’ nella loro
conservazione
-- dopo consonante o semiconsonante palatale in giuoco 5, giuochi 119, figliuoli 207 e
251, oriuolo 284;
-- dopo consonante + r: pruova 119, truovino 142;
e, puntualmente negli evidenti arcaismi
-- lievano 142 e sieguono 246.
Fra i testi seicenteschi raccolti nella banca-dati della Biblioteca italiana si rintraccia un
solo esempio di lieva nella commedia L’inavertito (1629) di Nicolò Barbieri (1576-1641), a
fronte di poco più di sessanta occorrenze nel Cinquecento (fra lieva e lievano); per siegu-
trovo diciannove occorrenze nel Seicento (una ciascuno in Giovan Battista Marino e
Ludovico Zuccolo, ben diciassette invece nella Vita di Torquato Tasso di Giovan Battista
Manso; ma quest’ultimo dato andrà ascritto a caratteristiche specifiche di questo autore
napoletano, che da solo pareggia tutte le attestazioni dell’intero Cinquecento).
Quanto la competenza passiva (per educazione grammaticale e letture dei classici) e
attiva (per l’esercizio letterario in proprio) del modello toscano non siano improvvisati nel
Bartoli lo dimostra il controllo assoluto della regola del dittongo mobile.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 43/S1
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : il quadro fono-morfologico


Si vedano, sulla base delle occorrenze del nostro brano:
suonano 29, ma dissonante 30;
muovono 93 e 94 e 191, muove 113, ma movente 11, movea 19, movendosi 27,
movitore 95, movimento 90;
vien 94, avvien 96, avviene 158, ma sconvenevole 41, intervenendo 77, venivano 216;
fuoco 113, ma infocato 268;
lievano 142, ma levatura 87;
sieguono 246, ma seguitandosi 194.
Unica eccezione (in verità solo apparente) è costituita da primieramente 71, che è
autorizzato per un verso dalla piena consapevolezza del francesismo (primiera è a 16; e
in genere il dittongo -ie- nel suffisso -iere è meno sottoposto alla vitalità di lingua
rappresentata dal dittongo mobile), dall’altro dall’arcaismo ‘morfologico’ che prevedeva
nel Trecento la piena tonicità dell’aggettivo composto con -mente a formare l’avverbio.
Del resto primieramente è forma accolta nel Vocabolario della Crusca, sulla scorta di
esempi trecenteschi, fin dalla prima edizione.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 43/S2
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : il quadro


fono-morfologico
Riguardo al vocalismo atono è ormai normale l’adeguamento
alla chiusura in protonia di ascendenza toscana (solo qualche esempio: il diffuso
Signore, il più connotato, in senso toscano, ulivi 177; infine lioni 257, 261),
la forma sermenti 140 (per -ar - > -er -)
e la natura, ormai tutta letteraria e dunque piuttosto di pertinenza stilistica, delle
apocopi, funzionali alla messa in rilievo dell’elemento (parola o frase) che segue
(rispetto al quale il termine apocopato è proclitico):
2 da cinger che hanno; 4 tal che; 4 quel gran capitano; 5 gran re del mondo; 8 parea
lor dire assai; 8 esser egli occhio; 9 esser cuore etc. Particolarmente percepibile
come letteraria è l’apocope in gl’inutil sermenti 138-139, in cui cade il morfema di
plurale.
Meno aderente ai dettami linguistici della posizione salviatesca e cruscante è la peraltro
leggera (tanto da esser quasi inavvertibile) patina latineggiante che si sovrappone al
dettato bartoliano dal punto di vista del consonantismo.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 43/S2
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : il quadro fono-morfologico


Il modello latino induce a censurare i raddoppiamenti volgari in imaginando 7 e 56,
imagine 43 e 73, imaginare 117; caminò 118, camino 150, caminano 191; publico, -che
130, 213, 232, 270, republica 213; intolerabile 175; machina, -e 86, 90, 92, 98, 101;
viceversa l’adesione al latino regola la consonante intensa in commodo 78; il
raddoppiamento volgare è però in obbietto 50.
In questo il Bartoli non si adegua all’autorità del Vocabolario della Crusca nel quale :
-- imagine e imaginare compaiono come lemmi autonomi non prima della IV edizione
(1729-1738);
-- camino ‘cammino’ e le forme di caminare ‘camminare’ non saranno mai accolte dalla
Crusca, anche se sotto il lemma cammino fin dalla I edizione è ricordata l’omonimia
e l’omofonia con camino ‘caminetto’;
-- publico sarà solo nella IV edizione della Crusca, associato nel lemma a pubblico,
quest’ultima unica forma contemplata nelle edizioni precedenti; analogamente
avviene per repu(b)blica (ma in questo caso nella lingua degli Accademici compare
anche nella I e nella II edizione il latinismo fonetico);
-- intolerabile non è accolto dall’Accademia prima della Quinta edizione del Vocabolario
(dove a intolerabile e intolerando è inserito un rinvio alle corrispondenti forme con
la consonante intensa, le uniche accolte nelle edizioni precedenti);
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 43/S2
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : il quadro fono-morfologico


-- machina, riceverà un lemma autonomo (ma solo come rinvio a macchina) soltanto
nella V edizione del Vocabolario
-- commodo: a partire dalla III edizione del Vocabolario, la forma in -mm- fa la sua
comparsa (una sola volta) nella lingua degli Accademici; dalla IV compare negli
esempi riferiti da Giovanni Della Casa e da Benedetto Varchi; scomparirà dalla V
Crusca;
-- obbietto invece è la forma posta a lemma nel Vocabolario della Crusca nella I e nella II
edizione; solo nella IV il lemma si muterà nella doppia alternativa Obbietto e Obietto
con un rinvio da obietto a obbietto.
Altri latinismi fonetici si giustificano per la natura specifica del lessico interessato: così i
nessi di cons. + L si conservano solo nei latinismi integrali multiplicata 88, placido 152,
implacabil 262, inesplicabil 265, perplessità 279, disciplina 288, esemplare 288; i già cita-
ti publico, -che e republica, sublimò 46; clima 133, eclittica 164, esclamerebbono 223.
Sono latinismi accolti dalla lingua comune a seguito della tecnicizzazione cui sono sotto-
posti, come è evidente per clima e eclittica e come dimostra, viceversa, l’adesione all’esi-
to volgare in ampio 221 e ampissimo 27, 237 (si veda l’alternanza fra “ogni cosa movente
in cerchio” 11, “in un ampissimo cerchio” 27 da un lato e, dall’altro “sul circolo meri-
diano” 15-16, “sul circolo meridiano” 278, “que’ due pianeti han circoli e spere” 285.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 43/S3
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : il quadro


fono-morfologico
Nella morfologia le innovazioni alla cui prima comparsa avevamo assistito nel
Quattrocento e poi ampiamente attestate nella prosa machiavelliana (come
testimonianza del fiorentino parlato cinquecentesco) sono tutte rigettate, in coerenza con
lo sguardo rivolto alla realtà morfologica trecentesca.

Morfologia nominale
Articolo (e pronome) masch. sing. Nel testo del Bartoli compare solo il (mai el) tanto
nella funzione di articolo, quanto in quella di pronome proclitico di III persona: il
chiamarono 7, il collocò 10, che il veste 42, il sublimò 46, il dimandò 64, il riceve da
Dio 71, che il fa tutto esser 71-72, a chi punto il volesse 74, come Pindaro il chiama
105, perché il fa 153, il significaron 154, il figuravano 155, il ritraevano 157, la notte
il ritira 192.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 43/S3
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : il quadro fono-morfologico


La forma forte dell’articolo lo invece compare (anche come componente di preposizione
articolata) davanti a s + cons. (allo scritto 24, con lo sguardo 62, Dello stampar 73, lo
strepito 211, con lo svagar 214, nello studio 236, dallo scontrarle 256) e dopo parola
terminante per consonante (secondo l’antica legge Gröber): per lo miracoloso
39, per lo cui ministero 86, Per lo qual 156-157, per lo toccare 235, per lo metterci 253,
oltre ai già citati con lo sguardo 62 e con lo svagar 214. Inoltre, nella funzione
pronominale lo compare solo in posizione enclitica: somigliandolo 14, interpretandolo
25, mirarlo 62, darcelo 71, hallo Iddio 104, sallo 153, fallo 153, vederlo 158, 260.
Ristabilita, sul modello trecentesco, la netta opposizione fra uscite plurali dei nomi e
aggettivi femminili in -e e -i a seconda della loro appartenenza alla prima e terza classe
(e rispettivamente alla prima e seconda), scompaiono i possessivi indeclinabili (per
esempio nel nostro brano, a seconda del genere e del numero, sono distinti sua, sue,
suo, suoi) e il quattrocentesco dua (qui solo due 190, 2042, 207, 2272, 277, 285 e
amendue 185, 190, 197).
In questo riassetto complessivo non stupisca alle tempia 3-4, plurale che aderisce al
neutro plurale della base (lat. tempora).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 43/S3
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : il quadro fono-morfologico


Nella morfologia verbale la novità tre-quattrocentesca, di impatto funzionale (perché
utile a disambiguare gli omofoni) come l’uscita in -o della prima persona dell’imperfetto,
è rifiutata in nome dell’etimologia e della prassi trecentesca: com’io diceva 159, non a
caso contrassegnato dal soggetto esplicitato che sovviene alla chiarezza.
Le desinenze di III persona sono ordinatamente -ano e -ono per il presente indicativo di
I e rispettivamente II-IV coniugazione;
la desinenza del perfetto compare, nel nostro brano, solo per verbi della I coniugazione
(-arono)
la desinenza di III persona del condizionale è -ebbe al singolare, per il plurale -ebbono:
sovverrebbono 75, rimarrebbono 100, esclamerebbono 253 (manca nel nostro brano
per un riscontro la terza persona plurale del verbo avere, ma da un riscontro su
tutto il testo della Ricreazione risulta che il Bartoli adotta la forma ebbero, con la
quale, dunque, dal punto di vista desinenziale, il condizionale non concorda);
il congiuntivo della I coniugazione esce in -i(no): truovino 142, divorino 252, infestino
263; il corrispondente delle altre coniugazioni in -a(no): abbiano 22, vadano,
convengano 190, s’abbattan 252, possano 263.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 44
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : il lessico


Nella formazione delle parole, accanto a prezioso, -i, -e 38, 114, 181; miracoloso 39,
mostruosa 40, bisognoso 52, ingegnosi, -a 75, 218; furiose 142, nuvoloso 151,
ubertoso 161, ozioso 167, timorose 255, 267; dannosa 262, si segnala necessitose 11 e
doglioso 106, non tanto per valutarne l’arcaismo più o meno sensibile ai nostri orecchi,
ma soprattutto per indicare la ‘vitalità’ (sia pure di recupero dalla lingua trecentesca)
del suffisso -oso rispetto ad altri suffissi (si veda la doppia opzione ancora attiva fra il
bisognoso di 52 e il bisognevole della serie che segue)
All’esito propriamente volgare (-evole) di -ĬBILEM (bisognevole 12, ingannevole 20 e
146, sconvenevole 41, capevole 47 e 59, durevole 58, dilettevole 166 e 168,
riguardevole 216, colpevoli 271; e i derivati scambievolmente 196 e nocevolissima 266)
si affiancano con misura i latinismi (da -ABILEM) di insuperabil, -i 81, 144, 264,
intolerabile 175, indispensabile 212, ammirabile 258 e 273, implacabil 262, inesplicabil
265; (da -ĬBILEM) di sensibili 47, 70, 98; intelligibili 48, 99, visibile 131, orribili 142,
indivisibile 206, invisibili 234, incomprensibile 281.
Segue un elenco di termini bisognevoli di qualche commento:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 44
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : il lessico


da giuoco 5: ‘per gioco, per scherzo’; l’unità fraseologica non è a lemma (vi è invece a
giuoco), ma essa compare come glossa, per esempio di “GIOCOSAMENTE ‘Da giuoco,
per burla. Lat. iocose, iocò’” dalla I alla IV Crusca.
in falso 13: ‘in bilico’; dalla I alla III Crusca, s.v. falso: ‘Posare in falso, dicesi de’ membri
d’architettura, che stanno fuor de’ suo’ diritti’; la quarta edizione precisa ‘Posare in
falso, Essere in falso, o simili, dicesi de' membri d'architettura, che stanno fuori del
perpendicolo, e della parte destinata a reggergli’.
carriera 16: ‘corsa’; nella I Crusca non compare un lemma apposito, ma solo una
precisazione all’interno di “CORRERIA ‘[...] E CARRIERA un corso di cavallo determinato’”;
nella seconda Crusca un lemma dedicato rinvia da carriera a corrimento dove si dice
‘Parlandosi di corso di cavallo in giostre, o cose simili, si dice propriamente carriera’.
Si noti l’allusione implicita che così si viene a stabilire con l’immagine classica del
carro del Sole trainato dai cavalli.
annovalmente 28, annoval 132: ‘annualmente, annuale’ (per estirpazione di iato
mediante -v-; cfr. 1931); la I, II e III Crusca mettono a lemma “ANNUALE O ANNOVALE”
mentre le successive edizioni aggiungono un rinvio; nessuna però riporta
annovalmente che il Bartoli estrapola per analogia (dalla Biblioteca italiana si ricava
che la forma è riusata da Vincenzo Gioberti).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 44
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : il lessico


eclittica 28, 164: il tecnicismo astronomico (‘Traiettoria (circolo massimo) descritta
apparentemente dal Sole sulla sfera celeste nel suo corso annuale’) compare fin dalla I
edizione del Vocabolario, sulla base di un’occorrenza nel commentatore dantesco
Francesco da Buti.
punto 41, 238, 259 (in contesto negativo: ‘affatto’), 74 (in contesto positivo: ‘appena un
po’’): dalla II Crusca le due accezioni: “Dinota talora privazione di quantità, e vale,
nulla, niente, pure un minimo che. Latin. nihil” e “Dicesi anche, punto per, qualche
cosa, sì come, nulla. Lat. quidpiam, aliquid”. La IV Crusca riserverà a queste accezioni,
indicate come avverb., un lemma a parte.
nottola 64: ‘civetta’ dice la II edizione del Vocabolario della Crusca (il lemma manca nella
prima); come ‘pipistrello’ lo interpretano invece la III e la IV edizione (ma in tutte e tre
le quest’ultimo è registrato come significato secondario rispetto a quello propriamente
toscano, di ‘pomello per aprire la porta’; la Crusca lo definisce ‘il saliscendo’; solo nella
V Crusca il precedente rapporto fra significato primario e secondario si invertirà).
raccordarsi 72, raccorda 102, raccordarsene 123, raccordare 211: ‘ricordare’ etc.
L’etimologia RE-CORDARE ‘riportare al cuore, alla mente’) è stata reinterpretata come
RE-AD-CORDARE); la forma è registrata in tutte le edizioni del Vocabolario, sulla scorta
di un solo esempio boccacciano (che la banca dati dell’OVI incrementa).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 44/S1
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : il lessico


Levatura 87: ‘leva’; il significato particolare adottato qui dal Bartoli, nonché essere
desunto dal Vocabolario della Crusca, meritò di essere accolto (come esclusivo del
nostro autore) dalla V edizione che, citando il solo esempio dalla Ricreazione del
savio, così lo spiegava: ‘L’atto e L’effetto del levare, Lo sforzo del sollevare,
inalzare, e simili, checchessia’ (le edizioni precedenti registravano soltanto il senso
‘Di poca levatúra: si dice a Huomo leggieri, e agevole a esser persuaso. Latin.
homo levis’.
motrice 88: già autorizzato da Dante nel Convivio, e da lì citato nella II edizione della
Crusca; la III edizione aggiungerà un esempio da Galileo.
argani 89, 100: registrato nel Vocabolario della Crusca dalla II edizione sull’autorità di
un luogo ariostesco (Orlando Furioso, XI, 41), glossato ‘Strumento da levar pesi,
che si muove in giro, per forza di lieve’.
taglie 89, 100: ‘Per quella carrucola di metallo, con la qual si tiran su, o si calano i
pesi. Lat. trochlea’ secondo il I Vocabolario, con un solo esempio dal trecentesco
fra Giordano da Pisa, che la IV Crusca incrementerà con occorrenze da Filippo
Buonarroti il Giovane e Benvenuto Cellini.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 44/S1
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : il lessico


aratri 135 e aratolo 236: ‘aratro’; dalla I alla IV Crusca il lemma “ARATOLO”, glossato come
‘strumento, col quale, tirato da buoi, o altri animali, si lavora e fende la terra’, si
affianca ad ARATRO, quest’ultimo spiegato col primo, a dimostrazione che, per gli
Accademici, la forma adottata dal Bartoli è quella preferibile, considerata d’uso
comune; solo con la V Crusca il rapporto fra le due forme si invertirà.
rinnettatele: tutto il brano di 135-140 è caratterizzato da un linguaggio tecnico, preciso e
distinto, degli attrezzi e delle operazioni agricole connesse. Anche rinnettatele, dal
significato generale di ‘pulitele’, assume un significato particolare alla luce di un passo
di Luigi Alamanni citato dalla III Crusca: “Ma la sposa, il fratel, le figlie insieme / colle
lor marre in man non lunge sieno / al buon bifolco e rinettando i solchi [...]”.
propagginare 138: ‘Sotterrare i rami delle piante, e i tralci delle viti, senza tagliargli dal
loro tronco, acciocché germoglino per se stessi. Lat. propagare.’ indicato come
significato primario fin dalla I Crusca.
sermenti 140: ‘Ramo lungo e sottile della vite, più com. detto tralcio’; la forma sermento
è l’unica ad essere registrata dalla I alla IV Crusca, e solo a partire da quest’ultima un
lemma sarmento rinvia alla forma considerata comunque come principale in -er- (da
una ricerca sulla banca-dati della Biblioteca italiana si ricavano nel Cinquecento 7
occorrenze di serm-, ben 31 di sarm-; nel Seicento la forma in -er- è ancora in Galileo
Galilei.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 44/S1
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : il lessico


rimpalmarle 142: detto ‘De’ navili, e vale rimpeciare, ristoppare. Lat. picare, pice
illuere’; fin dalla I Crusca, sulla scorta di Dante, Inf. XXI 9.
soffera 172: si badi che è un indicativo, da un infinito di I coniugazione di cui dà conto
la Crusca, riferendo fin dalla I edizione un esempio boccacciano dal Decameron:
“Poiché a me non soffera il cuore di dare a me stessa la morte, dallami tu”; solo
nella IV edizione del Vocabolario la forma sofferare sarà indicata in apposito
lemma (con rinvio a sofferire).
spagliarli 176: ‘liberare il grano dalla paglia’; è lemma registrato dalla I Crusca e
successive (‘Levar la paglia. Lat. frumentum ventilare’, sempre corredato dall’unico
esempio tratto dal volgarizzamento dei Morali di San Gregorio: “Il ventilabro si è la
pala, con che si spaglia il grano”).
discretezza 182: ‘discrezione’; la forma compare nei vocabolari solo a partire dalla III
Crusca che riporta un passaggio di Francesco Redi; le edizioni successive
incrementano gli esempi tutti seicenteschi (nella V edizione anche un luogo del
famoso predicatore Paolo Segneri, 1624-1694, gesuita come il Bartoli).
parti 186: ‘fazioni, opinioni contrapposte’ (registrato fin dalla I Crusca).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 44/S1
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : il lessico


storsione 198: ‘estorsione’; la forma con aferesi (lat. EXTORQUERE, EXTORSIONEM) è
l’unica attestata nella I e nella II Crusca (dalla III edizione compare anche
estorsione).
indispensabile 212: ‘dalla quale non si può essere dispensati’; compare per la prima volta
nella III edizione del Vocabolario, con un esempio di Paolo Segneri.
maestrato 212: ‘magistrato’; la forma, sostenuta da un esempio di Boccaccio compare già
nella I Crusca, (nelle edizioni successive compaiono anche esempi cinquecenteschi).
di veduta 217: la I Crusca spiega “posto avverbial. vale, avendo visto: i legisti dicono in
lat. de visu”.
studio (delle sete) 236: ‘cura, diligenza (nel coltivar bachi da seta)’; il significato è
autorizzato dal latino.
producimenti 244: ‘l’atto del produrre’; compare con lemma autonomo a partire dalla III
Crusca.
vernata 247: ‘il periodo dell’inverno’; è nelle prime quattro edizioni della Crusca.
quello inesplicabil raccogliersi che vi fan l’acque in loro stesse e poi disciorsi e rispandere
sopra i liti: il qual flusso e riflusso 275-276: si noti la perifrasi descrittiva per indicare il
fenomeno delle maree.
pende 276: ‘dipende’; nella I Crusca “Per dependere. Lat. Pendere.”
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 44/S2
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : il lessico


L’impressione che deduciamo da questo riscontro (non sistematico ma relativamente
ampio) del lessico del nostro brano con la contemporanea attività lessicografica, è una
sostanziale fedeltà del Bartoli al lessico toscano registrato dalla Crusca, con alcune
punte di toscanismo ben marcate (si veda punto, annovale, raccordarsi, aratolo,
sermenti, storsione, maestrato).

Dalla recente attività lessicografica degli Accademici della Crusca il Bartoli ricava
evidenti sollecitazioni e, a ulteriore rinforzo di ampie letture di autori volgari antichi e
moderni, l’autorizzazione all’uso lessicale. Dice Luca Serianni a proposito del Bartoli e
del lessico da lui usato:
“I suoi ben noti indugi descrittivi, quasi nell’intento di adeguare la varietà dei
vocaboli alla molteplicità del reale, si attuano all’interno del patrimonio linguistico
tràdito, senza escursioni dialettali e neologiche” (Serianni, La prosa, p. 521).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 44/S2
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : il lessico


All’interno di questa diagnosi senz’altro condivisibile, non possiamo però far a meno di
registrare anche la sostanziale precocità con cui il Bartoli ‘anticipa’ esigenze di
aggiornamento di quel lessico selezionato che il Vocabolario della Crusca gli metteva a
disposizione. Così, se quasi tutto è già registrato nelle due prime edizioni, che per
motivi anagrafici sono le uniche che il nostro Gesuita ha potuto consultare, le
concordanze con il lessico che gli Accademici registrano solo a partire dalla terza
edizione (o nelle successive) dimostra la sollecitazione che a sua volta il mondo dei
letterati (compreso il Bartoli) esercita su quanti volevano imbalsamare il lessico (e in
parte la fonetica) della lingua (difficile invece dire, sulla base degli strumenti di indagine
a nostra disposizione quale sia stato l’influsso personale del Bartoli sullo sviluppo della
lingua dal punto di vista propriamente lessicale).
È evidente infatti che il nostro autore, nel rispetto generale dei dettami dell’Accademia,
non si preclude di lavorare sulla lingua, nei casi specifici, anche in maniera autonoma,
come nei casi di annovalmente (creato per analogia) e di levatura, anche aderendo (al
di fuori di quanto autorizzato dal Vocabolario) a innovazioni che dovettero circolare nel
suo ambiente, nel parlato, o nello scritto (si veda il caso di discretezza, del significato di
indispensabile, di producimento).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 44/S2
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : il lessico

La posizione del Bartoli che pare di poter desumere dalle sue scelte lessicali sembra
insomma essere quella di accettazione sì dell’autorità e del prestigio del Vocabolario,
ma non di cieca sottomissione; troppo è urgente in lui dire le cose e usare parole per
esprimere figure, idee, concetti, che con abbondanza gli si affollano alla mente,
perché egli voglia selezionarne con rigore il lessico da usare in loro servizio.

Abbondanza e facilità sono infatti i termini adatti per indicare questa prosa fatta più di
oggetti, di cose reali, di immagini, piuttosto che di ragionamento e riflessione (e
dunque, dal punto di vista lessicale gremita di nomi concreti piuttosto che di astratti);
e per le cose e le immagini servono parole puntuali e appropriate, tanto più che il
discorso bartoliano, pur partendo da un nucleo etico e religioso che lo costringe ad
usare termini anche di ambito filosofico o teologico, per illustrare quell’ambito
concettuale adotta lessico e richiami di tipo figurativo (si veda l’accenno alle statue o
alla numismatica) o tecnico (dell’agricoltura, della nautica, della meccanica),
astronomico.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 44/S3
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : la


sintassi
“Di respiro nobilmente classico il periodare, agli antipodi del gusto del Malvezzi; però,
a un esame accurato le affinità con la sintassi trecentesca si rivelano superficiali, anche
per l’importanza che ora assumono i costrutti nominali e per la tendenza del-l’infinito a
liberarsi dai legami formali di subordinazione” (Serianni, La prosa, p. 521).
Enclisi
-- (infinito) tacersi 1; dirsi 1, 5; tacerne 1; descriverlo 20; favellarne 30; aggirarsi 31, 32;
farsi 32, 37; ricoprirsene 41; scemarglisi 53; arderle 60; mirarlo 62; darcelo 71 etc. (60
occorrenze complessive)
-- (gerundio) somigliandolo 14; interpretandolo 26; movendosi 28; ragionandone 29; cre-
dendosi 30; veggendolo 50; fermandosi 63; ammirandone 125 etc. (16 occ.)
-- (part. pass.) premutevi 3; giuntone 15; attribuitogli 36; toltogli 85; trattone 188; pre-
fissemi 221 (6 occ.)
-- (part. pres.) dicentigli 114; volgentisi 285 (2 occ.)
-- (imperativo) sarchiatele 137; rinnettatele 137; ricoglietele 139; Ricoglietevi 141;
attendetemi 150 (5 occ.)
-- (avverbi) sopravi 37, 155; dietrogli 244 (2 occ.).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 44/S3
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : la sintassi


Legge Tobler-Mussafia
104 “e se il Giove degli antichi [...] lasciò in una colonna d'oro, stampato alla memoria de’
secoli avvenire, i giovamenti con che avea migliorato il mondo, [...], hallo Iddio
fatto in quella gran colonna d’oro”
121 “quel gran teatro dov’era accolto il fiore di tutta la Grecia rivoltò gli occhi in lui e
curiosamente mirollo”
1552 “Così egli; e sallo perché il fa; e fallo perché tutta seco si muove”
210 “Havvi altro che scrivere delle maraviglie di questi due legittimi figliuoli del Sole,
eredi ciascuno d’una metà del mondo e sempre ugualmente in opera di giovarlo?
214 “E vagliami per ciò raccordare una savia legge che Licurgo lasciò indispensabile a
gli Spartani”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 45
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : la


sintassi
Rimanendo ancora nel campo dei pronomi personali è degna di nota la razionalizzazione
a cui viene progressivamente sottoposta la referenza pronominale nel caso in cui il verbo
a cui il pronome si riferisce sia retto da verbo modale. In antico avevamo assistito alla
possibilità che, in base alla risalita del clitico, quest’ultimo potesse aggregarsi al verbo
modale reggente, scompaginando i rigorosi legami logici che avrebbero richiesto l’annes-
sione del clitico al verbo a cui esso si riferiva dal punto di vista semantico; un fenomeno
che rimane ancora oggi nella lingua di registro più spontaneo. La normazione a cui
l’italiano è stato sottoposto fra XVI e XVII secolo impone ora la quasi totale cancellazione
nella scrittura letteraria dell’antica possibilità sintattica sentita ora come elemento di
spontaneità, mentre le apparenti eccezioni rispondono a sfumature di tipo stilistico o
semantico. Si vedano:
-- dee tacersi 1; può mai dirsi 1; può dirsi 5; parea lor dire 8; dovrà qui farsi sentire 32
contro
-- si può dire 36; aver si può 83; potersi morir 122; si tornano a chiudere 234-235; si
tornano a nascondere 260.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 45
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : la sintassi


L’elenco ad una lettura attenta mostra disporsi secondo una distribuzione razionale di
natura sintattica a seconda che si tratti da un lato, di:
-- costruzione con sfumatura passiva (dee tacersi ‘deve essere taciuto’; può (mai) dirsi
‘può (mai) essere detto’) o di
-- costruzione latina della frase soggettiva dipendente da un verbo di opinione (parea lor
dire ‘pareva che dicessero’) o di
-- costruzione riflessiva (E non dovrà qui farsi sentire il vescovo S. Ilario? ‘E il vescovo S.
Ilario non dovrà qui far sentire le proprie parole’; oppure, con valore passivo ‘E non
dovrà qui essere fatto sentire (quanto dice) S. Ilario’)
e, dall’altro, di
-- costruzione impersonale (si può dire; aver si può; potersi morir ‘si potesse morire’),
magari con
-- sfumatura ‘emotiva’ (si tornano a chiudere; si tornano a nascondere ‘se ne tornano a
nasconder(si)’); a conforto di questa interpretazione si veda nell’uso bartoliano si
rimane ‘rimane, se ne rimane’ 85.
Costituisce un fenomeno ad alta frequenza (la quantità finisce per scaricarsi sulla qualità
della prosa) l’uso del modo infinito nel suo valore strettamente verbale, o sostantivato
(quello che Luca Serianni ha chiamato “la tendenza dell’infinito a liberarsi dai legami
formali di subordinazione”).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 45
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : la sintassi


In assenza di espliciti contrassegni non è sempre facile distinguere valore verbale e
nominale dell’infinito; possiamo però assumere come contrassegno della
nominalizzazione la presenza dell’articolo o della preposizione articolata, o dell’aggettivo
dimostrativo, eventualmente associati ad aggettivi qualificativi.
Si vedano:
dell’esser(e) 8, 36; il farsi 37; il dire 41; l’intendere e l’amare 50; il presumere 51; in
quel lungo durar 62; il rispondere 64; il ragionar 67; Dello stampar 73; l’andar 89;
l’operare 91; dell’operare 97; nell’essere e nell’operare 99; al tramontar 105; il
falso imaginare 117; il solo raccordarsene 123; il risuscitare [...], il rinvigorire [...],
il tutta mettersi 126; il riaprirsi [...] il rimettervi 149; al trar 150; col passar 163;
nel giudicarne 186; del viver nostro 197; dell’avvicendare 197; con lo svagar 214;
col tirar 217; all’operare 224; per lo toccare 235; dal nascere 242; all’empirsi 243;
per lo metterci 252; dallo scontrarle 256; col primo affacciarsi 259; all’opprimerci
267; in quello inesplicabil raccogliersi 274-275; dal toccar 276; nel crescere e
scemare 277; col salire 277; col regolatissimo andar 288-289.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 45
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : la sintassi


Fra categoria verbale e nominale oscilla anche il participio presente: a distinguere i due
livelli non giova il criterio semantico, ma la presenza di un elemento retto dal participio a
determinare di quest’ultimo il valore verbale, l’assenza di un elemento in dipendenza e/o
la coordinazione con altro elemento nominale per la funzione nominale del participio.
Si vedano, con valore pienamente verbale:
-- ogni cosa m ovente in cerchio attorno a sé 11; tutto dissonante dal vero 30;
capevole d’olio bastante ad arderle 59-60; tante volte multiplicata e concorrente in
uno 88; aventi proporzion d'eccesso 90; per virtù compartite ma procedenti da un
solo primo movitore 94-95; ben anche in ciò rappresentante 99; da’ sacerdoti
dicentigli 115; e a sé vegnente accoglierlo 126; il figuravano avente un’asta d’oro
157; convenienti all’uno e all’altro 214; conoscente d’esserlo 228; E rispondenti ad
esse 248; in ciò possente la Luna 278; tante ruote volgentisi sopra diversi fusi 188;
con valore nominale, di aggettivo o sostantivo che sia (e tralasciando i più comuni
differente, viandante, intelligente, oriente e occidente, presente, abbondante, innocenti,
correnti):
-- quel rim anente 35; son machine vive e operanti 102; i pampani om breggianti
139; di state fervida e faticante 168; nel rim anente 170; ne’ viventi 243; del Sol
nascente 266.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 45/S1
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : lo stile


A distanziare la prosa del Bartoli dal modello trecentesco è, come ci è stato detto da Luca
Serianni, lo stile nominale: la possibilità di omettere o evitare la ripetizione del verbo di
esistenza (è) o dell’ausiliare (ha, è) o di altri verbi facilmente integrabili mentalmente,
consegnando il messaggio a elementi solo nominali (aggettivo, sostantivo) o ‘nominalizza-
ti’ (participi passati e presenti). Sebbene si tratti di un fenomeno sintattico, lo ‘stile’ no-
minale (non a caso così denominato) ha preminenti ricadute sul piano stilistico, gre-
mendo l’enunciazione di cose e qualità, che, se concrete hanno diretto ed immediato im-
patto visivo, se astratte hanno rilievo dal punto di vista concettuale e ragionativo.
Nel brano della Ricreazione si vedano (fra parentesi la forma verbale omessa):
8-9 ma che pro (ne viene, c’è)
9 Più saggio dunque (fu) l’antichissimo Filolao
11-12 come tutte (sono) necessitose di lui, e niuna (è) a lui bisognevole
45 Ciò sol (è, sia) di passaggio accennato
49-54 in perfezion d’essere (è) senza niun pari; (è) senza niun simile in bellezza; tutto (è)
in sé stesso [...]; (è) fonte di luce e di calore [...]; (è) obbietto [...], e dator del lume [...];
(è) universal principio [...]; non (è) bisognoso di niuno, e ognun di lui; (è) profusissimo
nel donare [...]: e così (è) tutto inteso al particolar bene d’ogni erbuccia, d’ogni
piccolissimo verme, come all’universale di tutto insieme il mondo
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 45/S1
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : lo stile


88 Mercé (è) della virtù motrice
141-142 Marinai, ah per avarizia del denaro prodighi della vita, dove ora (andate) co’
legni in corso e la vita in precipizio?
148-149 e subito il mare (è) alle stelle, e voi (siete) giù al profondo
155 Così (dice) egli
167-170 di primavera (è) tutta fiori e allegrezza; poi di state (è) fervida e faticante; indi
d’autunno (è) dilettevole in un medesimo e ubertoso; finalmente, di verno, (è) pigro,
orrido, e ozioso. E non per tanto (è) necessaria così l’una come l’altra, tutte con la lor
propria dote; nel rimanente (sono) diverse, in questo (sono) simili
187 ma (sono) belli amendue
213-214 e, convenienti all’uno e all’altro, quello (ha) lo strepito, questa (ha) il silenzio
222 e (è) miracolo [cioè: ‘(è) cosa miracolosa, meravigliosa’] a dire le belle e grandi
opere
260 misera (sarebbe) la nostra vita.
Gli esempi riguardano mancata ripetizione del verbo già espresso in precedenza oppure
effettiva ellissi del verbo reggente; a parte l’omissione di ‘andare’ 141-142, di ‘dire’ 155 e
di ‘avere’ 213-214, si tratta del verbo ‘essere’, talora con valore di esistenza, più spesso
copula che introduce la predicazione in forma aggettivale o nominale.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 45/S2
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : lo stile


La coesione testuale viene assicurata soprattutto mediante l’adozione (raffinatamente
variata) di numerose figure retoriche.
In primo luogo l’anafora:
13 (quello, della cui gagliardia), 17 (Quello, a cui ), 18 (Quello, che ), 19 (Quello,
che );
49 senza niun pari; senza niun simile;
139-140 via gl’inutil sermenti, via i pampani ombreggianti; già son maturi i frutti, già le
uve biondeggiano
145-146 non ne campereste per saldezza di nave, per industria d’arte, per valor di
animo e di braccia, per alte grida e voti in vano sparte all’aria
277 (Lascio l’ammirabile signoria), 287 (Lascio l’universale e correttissimo oriuolo), 292
(Lascio il bel magistero)
che può, come nel caso di 49, coniugarsi con il chiasmo:
in perfezion d’essere senza niun pari; senza niun sim ile in bellezza.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 45/S2
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : lo stile


Meno percepibile, ma forse addirittura più pervasivo (perché ‘lega’ il discorso a livello
quasi subliminale con richiami di tipo fonico) è il meccanismo di iterazione nella
variazione attuata attraverso il poliptoto (che ripete il medesimo termine con funzioni
sintattiche diverse; se si tratta di un verbo in persona, tempi e modi differenti) e
l’accostamento etimologico o paraetimologico:
13 come una bella statua, ma che posa in falso: peroché falso è che il Sole posi ;
23-25 Che se testi delle divine Scritture sì chiaramente espressi ricevono
interpretazione contradittoria e per ciò affatto distruttiva del detto, che riman più di
sicuro allo scritto verbo di Dio ;
29-30 credendosi quel che suonano le sue parole, si creda tutto dissonante dal
vero;
191 dunque il colore, in che solo discordano, il dì e la notte son sì d’accordo ;
195 van l’uno all’altro in contrario, questa non è contrarietà ;
200-201 Né è storsione o furto quel che si van continuamente facendo la notte e ’l dì,
con torsi l’uno all’altro le ore
216-217 entro edifici dove la vaghezza dell’architettura e delle statue con lo svagar
degli occhi distraesse il pensiero.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 45/S2
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : lo stile


Più consueta è invece l’iterazione sinonimica o quasi sinonimica e più in generale
l’am plificatio che analizza e descrive il medesimo argomento sotto differenti punti di
vista ragionativi, ma anche contribuisce a creare l’impressione di un passo rallentato;
accanto a serie sostantivali o aggettivali come:
131 nelle piazze, ne’ teatri, nel tempio
136-137 gli aratri e i vomeri, gli erpici e le marre
204 le biade, le uve, i frutti
288 diversi fusi e centri e poli
si segnalano (a solo titolo d’esempio) alcune iterazioni verbali :
2-4 poco abbracciano, nulla stringono, e da loro stesse ne cadono: e premutevi [...] a
forza si rompono
207-208 saldan fra loro i conti e pareggiano le partite
248 quel che ne vede e sente la terra
279-280 quello inesplicabil raccogliersi che vi fan l’acque in loro stesse e poi disciorsi e
rispandere sopra i liti.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 45/S3
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : lo stile


Ancor più significativo è l’accostamento di elementi contrapposti che può corrispondere
a) ad un’antitesi di tipo contenutistico o b) ad un’antitesi formale mediante la litote.
Per a):
1 e non dee tacersi, e non può mai dirsi tanto che non sia poco più che tacerne ;
2 al troppo da cinger che hanno troppo anguste
5 può dirsi da vero quel che Licinio Varo da giuoco
8-9 dell’esser egli occhio a vedere, se non è altresì m ano da provedere a ogni cosa
11 im m obile e ogni cosa m ovente
11-12 tutte necessitose di lui, e niuna a lui bisognevole
12 verità fondata sopra un errore
22 far Dio bugiardo per far Copernico veritiere
39 quanto da abbellire [...] tanto da disform are
93-95 son m ossi e non m uovono [...] m ovitore non m osso
134 sian colte sian barbare [...] in un raccolte e qua e là disperse
154 nuvoloso e torbido, o placido e sereno
198 Il dì ha per sue proprie le opere e la fatica, la notte l’ozio e la quiete
199 si fatica per riposare e si riposa per faticare
264 per non vederlo o per non esser da lui vedute .
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 45/S3
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : lo stile


Dall’elenco sono state omesse le tradizionali antitesi funzionali alla definizione del divino,
per natura ineffabile e predicabile solo per via di negazione, tanto che, qualora di Dio si
affermi una qualità, alla affermazione deve necessariamente far seguito la precisazione
che ne escluda la limitatezza umana (in questo senso va letto tutto il brano di 49-54).
Per l’antitesi di due o più elementi di cui il secondo o i successivi, opposti al primo, sono
negati (tipologia b), si vedano:
42-43 non vanamente rappresentato in imagine, ma veramente compreso in effetto
148 Non è pace questa, è tradimento
195 questa non è contrarietà, è accordo
204 e dico presta, non dona.
Siamo, come si vede, al limite della categoria dell’ossimoro, a proposito del quale Bice
Mortara Garavelli nell’Introduzione alla Ricreazione del savio (pp. XLI-XLII) dice:
“l’ossimoro non è solo, con la sua insistenza, un’acutezza barocca analizzabile sul piano
microstrutturale del testo [...], ma impronta l’organizzazione concettuale, le macrostrutture
tematiche (il necessario e il contingente) ontologicamente opposti ma solidali in quanto
l’uno deducibile dall’altro, costituendone due dei motivi base: l’armonia del mondo
risultante dalla concordia oppositorum e la proiezione platonica del concreto nell’astratto”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 45/S3
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : lo stile


Infine la figura barocca per eccellenza, la metafora, è ovviamente ben presente, anche
se non tutte le metafore che si rintracciano nel brano sono ascrivibili direttamente
all’autore, che si fa forte delle antiche figurazioni del Sole come occhio di Giove (7), cuore
della natura e fucina del calore (9-10 e 35); accanto a queste stanno quelle propriamente
bartoliane per le quali la luce del sole è un bel manto d’oro filato di cui si veste [...] tutto il
mondo (42); il sole è gran lucerna del mondo (57-58), la mente è occhio dell’anima (60-
61), i filosofi antichi sono di volta in volta aquile o nottole (63 e 64), le cose create sono
orme che ci conducono verso Dio (69), Cassiodoro è segretario di Teodorico, ma anche
sua lingua (75), i principi sono machine di Dio (92) e via dicendo.
La prosa del Bartoli dunque, per tutto quel che abbiamo detto (a cui possiamo e
dobbiamo aggiungere la fitta adozione di detti e citazioni da autori greci, tradotti, e latini,
riferiti direttamente in originale) si connota come una prosa colta, retoricamente educata,
evidentemente destinata, per questi motivi, alla lettura.
Eppure l’opulenza della prosa del Bartoli, non è disgiunta da elementi del parlato che
rinviano alla pratica predicatoria del Seicento, certo ben diversa e difforme dal gusto
omiletico che abbiamo analizzato nel Trecento tramite la prosa del Passavanti.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 45/S3
Titolo: Daniello Bartoli: analisi linguistica e stilistica
Attività n°: 1

La ricreazione del savio : lo stile


Quanto quella prosa insegnava tramite la ripetizione e la monotematicità delle immagini
(si pensi alla ricorrenza della metafora del mare e della nave) e addottrinava con spirito
didattico nell’intento di condurre alla scelta di un comportamento morale coerente con il
dettame cristiano, tanto questa, pur nel raziocinio, tende a suscitare la meraviglia, lo
stupore, l’incanto, non della scrittura (come siamo abituati a riconoscere come caratteri-
stico del barocco), ma di Dio attraverso la scrittura (e in ciò in parte si misurerà la dif-
ferenza dell’omiletica barocca dalla letteratura barocca tout court).
Il livello di oralità più evidente è la citazione del discorso diretto del Sole alle rr. 136-155
introdotto da dice (Agricoltori, dice, ora son da trar fuori [...]) e chiuso da Così egli, con il
quale il quadro retorico del testo si arricchisce della figura della prosopopea; ma tale in-
cistamento del discorso diretto fa il paio con quella sorta di immanenza del destinatario
resa concreta dall’uso frequente di esclamative e interrogative.
Emblematico da questo punto di vista è il parlato, emotivamente connotato, che si tra-
duce in interiezioni e in frasi esclamative (si vedano le righe 54-57 e 141-142) o
nella creazione di un dialogo virtuale con il destinatario al quale sono rivolte (o che rivol-
ge egli stesso) frasi interrogative dirette (anche laddove si tratti domande retoriche,
la loro frequenza crea comunque una mobilità dialogica forte per quanto fittizia), come
mostrano, fra gli altri, i brani delle righe 84-85 e 210-211.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 46
Titolo: Test
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui contenuti


studiati nelle lezioni precedenti dedicate al panorama
linguistico della seconda metà del Cinquecento e del
Seicento, lo studente è invitato a compilare il
test associato a questa sessione di studio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 46/S1
Titolo: Test
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui contenuti


studiati nelle lezioni precedenti dedicate all’analisi
linguistica della prosa di Daniello Bartoli, lo studente
è invitato a compilare il test associato a questa
sessione di studio.

© 2007 Università degli studi e-Campus - Via Isimbardi 10 - 22060 Novedrate (CO) - C.F. 08549051004
Tel: 031/7942500-7942505 Fax: 031/7942501 - info@uniecampus.it
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 46/S2
Titolo: Test
Attività n°: 1

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.

30) Illustrate il contesto storico e storico-linguistico che porta dall’Accademia degli


Umidi all’Accademia Fiorentina e infine all’Accademia della Crusca. Tracciate infine
un profilo di Lionardo Salviati e il suo contributo alla creazione del Vocabolario degli
Accademici della Crusca.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 46/S3
Titolo: Test
Attività n°: 1

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.

31) Utilizzando una voce o esempi tratti dalla banca dati della Lessicografia della Crusca
in rete (http://www.lessicografia.it/) tracciate l’evoluzione del Vocabolario degli
Accademici della Crusca dalla I alla IV edizione.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 47
Titolo: La prosa letteraria del Settecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del


Settecento
Il predominio spagnolo in Italia ebbe fine ufficialmente con la pace di Utrecht (1713),
ma nei fatti esso era terminato già con la morte di Carlo II di Spagna nel 1700.
La guerra di successione spagnola, che per dodici anni contrappose la Francia (Filippo
d'Angiò, nipote di Luigi XIV era stato indicato come erede al trono spagnolo da Carlo
II) e la Spagna all’Austria, l’Inghilterra e i Paesi Bassi, si concluse con una ridistribu-
zione territoriale che toglieva alla Spagna, attribuendoli all’Austria, Milano, il regno di
Napoli, lo Stato dei Presidi in Toscana e infine la Sardegna. Pochi anni o decenni dopo
quella pace però, la Sardegna viene riacquistata dalla casa di Savoia (1718), a Napoli
nel 1731 si insedia un ramo della famiglia dei Borboni (la medesima dinastia che
sedeva sul trono francese), la Toscana nel 1737 veniva assegnata alla casata degli
Asburgo-Lorena.
A partire dagli anni Trenta del Settecento, dunque, si vengono man mano stabilendo
su territorio italiano dinastie francofone o francofile.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 47
Titolo: La prosa letteraria del Settecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Settecento


A determinare l’attrazione esercitata dalla Francia concorrevano però ragioni
sociolinguistiche, culturali e infine di pensiero, alle quali, solo in ultimo, sullo scorcio
del XVIII secolo, si aggiungeranno fattori riguardanti direttamente il predominio
sancito dalle guerre napoleoniche.
Per motivi diversi (e con maggiore o minore forza a seconda dei luoghi e dei
contesti) le abitudini francesizzanti si estesero a tutto il territorio italiano: incorag-
giate da motivi di contiguità geografica in Piemonte, da ragioni connesse allo smer-
cio librario a Venezia (che diventa il centro per l’attività traduttiva dalla lingua d’Ol-
tralpe), da esigenze dipendenti da contatti commerciali già da tempo stabiliti e ora
rafforzati in Toscana.
Al di là della moda momentanea, la sedimentazione di ispanismi nell’italiano si era
dimostrata nel lungo corso relativamente ridotta, sia per il prestigio che la cultura
spagnola del XV e XVI secolo aveva riconosciuto alla letteratura e cultura italiana
(ammirazione che il predominio politico non era riuscito ad invertire di segno), sia
perché già nel secondo Seicento si era andata sempre più concretizzando una
apertura internazionale (cosmopolita) dell’Italia nei confronti della cultura europea
con particolare riguardo alle letterature francese, inglese e, seppure in minor misura,
tedesca.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 47
Titolo: La prosa letteraria del Settecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Settecento


Così non avverrà nel XVII-XVIII secolo per l’influsso esercitato sull’italiano dal francese,
che preme come lingua di cultura, come lingua della conversazione, come lingua franca
(a livello diplomatico e politico, meno a livello commerciale, come invece era avvenuto
nel Duecento) su tutta l’Europa. Una pressione a cui l’Italia meno di altre nazioni sa o è
in grado di contrapporre una vera ed efficace resistenza, data la sua situazione politica
frammentata.
“L’egemonia che la Francia ha iniziato a esercitare su tutta Europa a partire dalla seconda
metà del sec. XVII, trova da noi un terreno particolarmente permeabile per la mancanza di
una salda compagine e coscienza nazionale e per il frazionamento politico-culturale” (Tina
Matarrese, Storia della lingua italiana. Il Settecento, Bologna, il Mulino, 1993, p. 53).
Sotto il lungo regno di Luigi XIV, il mitico Re Sole (1643-1715):
“la potenza politica della Francia, lo ‘spirito di unità e centralizzazione, l’eccezionale fio-
ritura letteraria e scientifica favorita da un mecenatismo ufficiale attentissimo alle esigenze
della propaganda e d’immagine del potere assoluto, il circolare rapido della cultura nel cor-
po del Paese: tutto doveva colpire l’immaginazione di un’Italia parcellizzata in stati e sta-
terelli debolmente comunicanti, in cui i letterati, privi d’incentivi, erano costretti negli spazi
angusti concessi dall’opprimente potere politico ed ecclesiastico’ ” (Matarrese, p. 53, che
cita Andrea Dardi, Dalla provincia all’Europa, Firenze, Le Lettere, 1992).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 47/S1
Titolo: La prosa letteraria del Settecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Settecento


Il “frazionamento politico-culturale” da sempre lamentato per l’Italia e ricordato sopra
per l’Italia del Settecento risulta agli uomini di quel secolo e del precedente ancora più
grave e manifesto se posto in confronto alla situazione delle grandi organizzazioni statali
inglese e soprattutto francese. Infatti
“Il cosmopolitismo di cui tanti si fanno un vanto vuol dire, in sostanza, un riconoscimento
che l’Italia ha perduto il primato culturale in Europa e che è necessario mettersi al passo
con gli altri paesi europei, e soprattutto con la Francia, accogliendone le opinioni e le u-
sanze. Ma questa corrente generale tocca direttamente soltanto le persone più colte, e in
modo tutt’altro che uniforme: agli strati inferiori della società ne giunge solo ciò che filtra
attraverso le classi colte” (Migliorini, Storia della lingua italiana, 1960, 19836, p. 498).
La “gallomania” si esercitò tanto a livello letterario e linguistico, quanto a livello del
costume, della moda, dei comportamenti:
“Si copiarono l’abbigliamento civile e militare, le abitudini gastronomiche, i passatempi, i
caratteri della comunicazione epistolare, le legature dei libri, la struttura e l’arredamento
delle abitazioni, lo stile dei giardini, i mezzi di trasporto” (Dardi, Dalla provincia all’Europa,
p. 40 citato da Matarrese, Storia della lingua italiana. Il Settecento, p. 54),
tanto che, al contempo,
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 47/S1
Titolo: La prosa letteraria del Settecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Settecento


“nel secolo dell’‘anglomania’, la norma è che anche i grandi capolavori della letteratura
inglese approdino in Italia attraverso il tramite della Francia” (Serianni, La prosa, cit., p.
530.
Infatti, oltre alle opere della letteratura francese, nella lingua originale o in traduzione, l’I-
talia si mostra estremamente attenta a quella circolazione di idee, di nozioni, di conquiste
scientifiche che, anche laddove non espresse in origine da scienziati francesi, passarono
per lo più per il tramite della lingua francese. Il fenomeno gallicizzante dunque che, a par-
tire dalla seconda metà del Seicento, interesserà con sempre maggiore forza l’intero seco-
lo XVIII, non è esclusivamente linguistico, né linguistico-letterario, sebbene questo sia
l’angolo visuale che più ci interessa. Per comprendere la pervasività della lingua e della
cultura scritta francesi nella cultura e nella lingua italiana settecentesche i due piani, lin-
guistico e letterario, non possono essere tenuti separati. È infatti impossibile decidere se,
a determinare la scelta del francese come lingua della conversazione delle classi colte per
esempio a Milano (dove si parlava francese anche in contesti familiari, come avviene nella
famiglia Verri nell’avanzato XVIII secolo), sia stata la penetrazione della cultura letteraria
della Francia (il teatro tragico del Seicento di Jean Racine [1639-1699] e Pierre Corneille
[1606-1684] o il teatro comico di Molière [1622-1673] o, più tardi, le idee dei philosophes
illuministi), o se, viceversa, il fatto che il francese sia divenuto una sorta di lingua franca
dell’Europa abbia facilitato la fortuna e la diffusione della letteratura di quel paese.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 47/S2
Titolo: La prosa letteraria del Settecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del


Settecento
Figura emblematica della cultura francese, a cui dall’Italia si guarderà come ad un
modello, è quella Bernard le Bovier de Fontenelle (1657-1757), che nella sua lunga vita
fu di volta in volta giornalista, romanziere, epistolografo e autore di dialoghi, polemista
e traduttore dal latino, drammaturgo e poeta, ma anche divulgatore di nozioni
scientifiche e di riflessioni filosofiche, in grado di sedere a pieno titolo tanto
nell’Académie française quanto nell’Académie des sciences, quanto infine nell’Académie
des Inscriptions et Belles-Lettres. I suoi Entretiens sur la pluralité des mondes (1686),
“in cui finge di spiegare a una dama, per i viali d'un parco e sotto un cielo stellato, le
nuove scoperte astronomiche”, furono tradotti in italiano a più riprese (Trattenimenti
sulla pluralità dei mondi, Arezzo 1711; Trattenimenti sulla pluralità dei mondi, con la
falsa indicazione del luogo: Parigi, chez Brunet, trad. dell'abate A. Antonini nel 1748).
Fontenelle è insomma l’esempio tipico di un intellettuale che non ha paragone nell’Italia
del XVII e XVIII secolo; un intellettuale che ha un ruolo all’interno dell’establishment
politico e un ruolo nella società in cui vive e della quale è voce ascoltata e autorevole.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 47/S2
Titolo: La prosa letteraria del Settecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Settecento


Nel 1688 Fontenelle interviene (con la Digression sur les anciens et les modernes)
nella cosiddetta querelle des anciens et des modernes, una polemica (già avviata
alla fine del secolo precedente) relativa al rapporto gerarchico da stabilirsi o da
riconoscere alla tradizione antica rispetto alla cultura e alla letteratura moderne.

A differenza di altri scrittori e intellettuali (per esempio lo stesso Racine, che si


dichiarò a favore della superiorità della cultura, della lingua e della letteratura
antiche) Fontenelle si fa assertore dell’uguaglianza di natura fra antichi e
moderni; è il tempo e il sovrapporsi delle epoche che però comporta l’incremento
continuo del sapere, il che determina, a dire di Fontenelle, la superiorità dei
moderni nella scienza e nella filosofia cosicché l’ingegno dell’uomo moderno
“è, per così dire, composto da tutti gli ingegni dei secoli precedenti”.
Fontenelle afferma dunque la superiorità dei moderni per quanto riguarda la scienza
e la filosofia; riguardo alla letteratura e alla poesia egli ammette invece che
gli antichi possano essere superiori o al massimo solo eguagliati.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 47/S2
Titolo: La prosa letteraria del Settecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Settecento


La polemica fra antichi e moderni, innescata alla fine del XVI secolo e giunta all’acme
alla fine del XVII, si concluse poi soltanto nel XVIII secolo quando alla visione statica
della condizione naturale (che secondo Fontenelle consentiva di affermare l’uguaglianza
delle capacità cognitive in antico e nei tempi più recenti) si sostituì la fiducia tutta
illuministica nella perfettibilità umana, nel momento stesso in cui l’attenzione si ampliava
dall’ambito strettamente culturale a quello sociale e politico. Se abbiamo ricordato
questa polemica, che ebbe grandissimo rilievo e udienza europea, è perché, anche
tramite essa, in Italia si mettono a fuoco i problemi di una cultura per lo più invecchiata
e stantia, di prevalente matrice retorica, che pare necessariamente star dalla parte degli
antichi e che sembra essere incapace di offrire risposte a quel desiderio di apertura nello
spazio e verso il nuovo scientifico o culturale. Per l’Italia, in cui la circolazione di idee, di
libri, di persone, è frenata all’interno stesso dello spazio geografico italiano dalla
divisione politica, la velocità della trasmissione del sapere e delle novità pare essere in
più di un caso un’utopia e la cultura italiana pare essere condannata a rimanere, per un
verso, arretrata e ritardataria, per l’altro confinata nelle università e nelle accademie,
separata dal contesto civile e priva di quel ruolo sociale e politico che nell’ambiente
francese ne esaltava la funzione in un progetto di crescita e completezza dell’essere
umano.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 47/S3
Titolo: La prosa letteraria del Settecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del


Settecento
La querelle des anciens et des modernes dunque in Italia assume connotati e sapore
particolari; non si tratta solo di decidere se la cultura antica sia migliore della
moderna o se viceversa, secondo la nota immagine coniata da Charles Perrault
(1628-1703) nel XVII secolo, i moderni superino gli antichi nonostante la loro
pochezza perché “nani sulle spalle dei giganti”; in Italia lo scontro è fra cultura
attuale (ma vecchia e invecchiata, tradizionalmente ancorata ai miti di un classicismo
impaludato) e cultura nuova (perché moderna, aggiornata, disponibile alle novità e
alla messa in discussione di schemi precostituiti).
Non è dunque un caso che negli stessi anni in cui, principalmente in Francia, si
discute di antichi e di moderni, una nuova polemica si innescasse fra letterati francesi
e letterati italiani. Nel 1671, e poi nel 1687 Dominique Bouhours (1628-1702) aveva
espresso giudizi ben poco lusinghieri sulla letteratura italiana che in realtà
intendevano colpire la bizzaria e l’artificiosità di certa prosa e poesia barocca.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 47/S3
Titolo: La prosa letteraria del Settecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Settecento


A quelle critiche, in difesa della tradizione letteraria italiana rispose Giovan Gioseffo
Felice Orsi (1652-1733) con
“le Considerazioni sopra un famoso libro franzese (Bologna 1703, ma 1704), in
sette dialoghi, pubblicate anonime, già morto Bouhours, [...]. La querelle, meglio
nota come polemica Orsi-Bouhours, ebbe larga risonanza nelle pagine del neonato
Giornale de’ letterati d’Italia”;
in appoggio all’Orsi scrissero lettere apologetiche, fra gli altri, Ludovico Antonio
Muratori, Eustachio Manfredi e Anton Maria Salvini, lettere poi stampate a Bologna nel
1707, e infine
“riunite insieme a tutti gli altri scritti relativi alla polemica nei due tomi dell’edizione
postuma delle Considerazioni, curata da Muratori a Modena nel 1735 per
Bartolomeo Soliani” (le citazioni provengono dalla voce dedicata all’Orsi da
Valentina Varano, nel Dizionario biografico degli Italiani, LXXIX, 2013).
Nella contrapposizione fra vecchio e nuovo, fra anciens e modernes infatti si celava (o
almeno così si intese da parte dei contemporanei) anche la contrapposizione fra italiano
e francese.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 47/S3
Titolo: La prosa letteraria del Settecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Settecento


L’italiano infatti rappresentava, suo malgrado, agli occhi della punta più avanzata della
cultura settecentesca, il vecchio, il contorto, l’artificiale, il formale, il retoricamente
atteggiato perché si trattava, per l’italiano, di una lingua per necessità misurata solo
sulla letteratura, giacché l’italiano della civile conversazione, la lingua comune
dell’oralità ad un livello diafasico alto o medio-alto non esisteva, agli affari pratici
essendo deputato il dialetto. Viceversa il francese è il nuovo, è lo strumento linguistico
svelto e vivace che tien dietro alla velocità dei moderni spostamenti geografici, che tien
dietro alla velocità con cui le notizie si diffondono e circolano per il tramite dei giornali,
che assicura al contempo la diffusione del sapere per scritto e nell’oralità.
Dominique Bouhours accusava la prosa barocca italiana di eccessiva innaturalezza sia a
causa della scrittura per immagini metaforiche sia, e soprattutto, a causa del ‘disordine’
e artificiosità sintattica, contrapponendo all’ordine inverso (la libertà sintattica ancora
viva nell’italiano letterario del Sei e Settecento riguardo la collocazione delle parole
all’interno della frase e del periodo) l’ordine naturale proprio del francese che disponeva
gli elementi sintattici secondo l’ordine ‘di natura’ oggetto, verbo, complemento oggetto.
Sebbene l’accusa del Bouhours fosse rivolta agli eccessi seicenteschi e barocchi, la
pronta risposta dell’Orsi e del gruppo che gli si affiancò assunse l’accusa come rivolta
all’intera tradizione italiana.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 48
Titolo: La prosa letteraria del Settecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del


Settecento
In difesa di della tradizione linguistica e letteraria italiana fu rivendicato ai due ordini lo
statuto di caratteristica espressiva propria di categorie linguistiche differenti.
“Le lingue vengono pertanto distinte [nella posizione dell’Orsi] in due categorie:
lingue propense alla costruzione inversa, più portate all’espressione della
immaginazione, e quelle propense alla costruzione diretta, portate all’espressione
dell’analisi, propria delle lingue più moderne, ed era il caso del francese” (Matarrese,
Storia della lingua italiana. Il Settecento, p. 120).
Mettendo per un momento da parte le questioni relative agli atteggiamenti linguistici
concreti e alle posizioni ideologiche favorevoli o censorie riguardo le strutture ‘moderne’
o antiche (quelle insomma dei fautori del francesismo lessicale e sintattico e quelle dei
rivalutatori del classicismo retorico della nostra lingua, dei tenaci fautori della tradizione
e dei vivaci denigratori della moda linguistica francesizzante) importa sottolineare come
la polemica Orsi-Bouhours attivasse una riflessione sulla natura delle lingue, sulle loro
caratteristiche intrinseche (di tipo sintattico e/o stilistico) che affinerà la sensibilità nei
confronti dello strumento linguistico.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 48
Titolo: La prosa letteraria del Settecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Settecento


Da un lato tale riflessione condurrà (con Giovan Battista Vico in Italia e con Etienne de
Condillac in Francia) ad una meditazione comparativa sui caratteri delle lingue antiche e
delle moderne, dall’altro all’elaborazione di un lessico che man mano si depura di
elementi ideologici: così, per esempio, la definizione di ordine naturale data da Bouhours
all’ordine diretto scomparirà, a seguito della rivalutazione della fantasia come propria
delle culture antiche (che conduce Vico e Condillac a considerare ‘naturale’ proprio
l’ordine inverso) contrapposta alla razionalità conquistata dalle culture moderne secondo
una visione linguistica che sarà poi condivisa anche da Leopardi.
La riflessione metalinguistica settecentesca, relativa alle categorie delle lingue e dunque
al loro ‘genio’ e alle loro caratteristiche intrinseche, e, d’altro lato, relativa alle ‘epoche’
del linguaggio e dunque alla maggiore o minore conservazione dei caratteri ‘primitivi’
della fantasia e della libertà o viceversa la maggiore o minore velocità ‘evolutiva’ delle
singole lingue verso procedimenti razionalizzanti e analitici, ha anche un effetto
dirompente sull’impasse in cui da secoli ormai si poneva la riflessione grammaticale
italiana. La prospettiva esclusivamente normativa e precettistica, tanto più statica in virtù
delle teorie arcaizzanti che erano risultate vincenti, viene scardinata al suo interno ed è
costretta ad aprirsi alla filosofia e ad inglobare prospettive socio-linguistiche e socio-
culturali.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 48
Titolo: La prosa letteraria del Settecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Settecento


Infatti:
“L’esempio della Francia stimola una riflessione sul legame tra condizioni linguistiche
e situazione politica, ricca di conseguenze per il futuro. Francesco Algarotti imputa
alla ‘picciolezza e divisione degli stati’ la decadenza letteraria italiana e oppone
l’opportunità di una capitale o di una corte ‘dove i comodi della vita, i piaceri, la
fortuna vi chiamino da ogni provincia il fiore di una gran nazione’, additando i
‘grandissimi vantaggi’ dei Francesi dall’essere ‘una nazione grande e unita’ dove il
sapere circola senza interruzione d’una in altra provincia, ogni cosa fa capo a Parigi, e
quivi s’affina’: ‘ci sarà allora un’arte della conversazione, si scriveranno lettere con
disinvoltura e con grazia, la lingua diverrà ricca senza eterogeneità, e pura senza
affettazione’ [...]. Al confronto risalta la conservatività dell’italiano, povero di
terminologia settoriale, e intralciato da una sintassi dal periodare complesso e ricco di
inversioni” (Matarrese, Storia della lingua italiana. Il Settecento, pp. 58-59).
Da un lato dunque il riconoscimento di condizioni socio-politiche che condizionano la vita
culturale di un paese, determinano la circolazione delle idee al suo interno e verso
l’esterno, dall’altro la piena percezione che parte integrante della vita culturale di una
nazione consiste nella lingua il cui sviluppo ed evoluzione è determinato in maniera
decisiva da quelle condizioni.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 48/S1
Titolo: La prosa letteraria del Settecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del


Settecento
Lo stato presente della lingua italiana, così come, viceversa, il corrispondente stato del
francese, collimano in maniera speculare con lo stato sociale in cui vivono e pensano i
parlanti.
È interessante dunque toccare con mano i modi con cui si guarda nel Settecento alla
lingua che (volenti o nolenti) ha i titoli per assurgere a modello della cultura europea
moderna, da parte degli intellettuali più rappresentativi di un mondo nuovo.
È interessante insomma verificare come un intellettuale ideologicamente aperto allo
svecchiamento della cultura italiana rifletta spassionatamente sulle caratteristiche del
francese e sulla sua storia, poste a confronto con le caratteristiche dell’italiano.
Il letterato, di origine veneziana, ma di formazione cosmopolita, Francesco Algarotti
(1712-1764) nel Saggio sopra la lingua francese pubblicato nel 1750, esprime appunto
questo sguardo spassionato che, con posizione moderata, cerca di tutelare il vecchio e
il nuovo.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 48/S1
Titolo: La prosa letteraria del Settecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Settecento


“Tale essendo allora lo stato delle lettere in Francia, non poté quell’Accademia, come fece la
nostra della Crusca, cogliere il più bel fiore degli scrittori che non aveano fiorito per ancora; ma
pensò di mondare, purificare e venir formando la lingua a benefizio degli scrittori che doveano
venire dipoi. Adunque ella si mise a purgarla di moltissime voci e maniere di dire, o come
troppo ardite, o come rancide, o come malgraziose o di tristo suono. Di moltissimi diminutivi e
superlativi la spogliò, di parecchi addiettivi che esprimevano la qualità delle cose, di alcuni
relativi che non poco facevano alla chiarezza. La volle meno contorta, nella locuzione più piana
ed agevole che non era dianzi, di un andamento sempre eguale, talmente che nel periodo la
collocazione delle varie particelle della orazione fosse sempre la istessa, e la venne
assoggettando alle regole più severe ed inesorabili della sintassi; e fu chi disse che l’Accademia
dando a’ Francesi la grammatica, avea loro levato la poesia e la rettorica [...]. Ad alcuni de’
nostri sembrò medesimamente che un qualche torto venisse fatto alla nostra favella col
Vocabolario singolarmente della Crusca; quasi che con esso siasi voluto fermare il corso di una
lingua vivente, e segnandone i limiti, siasi anche preteso assegnarne per sempre i confini. Ma
tale non è da credere sia stata la intenzione degli Accademici. Non avvisarono essi forse mai
che il contare le nostre ricchezze fosse uno sminuirle o impedire altrui il modo di accrescerle.
Pensarono piuttosto che, quantunque l'uso governi a suo talento le lingue, faccia invecchiare tal
voce e la metta fuori dal consorzio, a tale altra dia vita e fiore di gioventù, pur è ben fatto che ci
sia una generale conserva della lingua; e pensarono che nelle dubbietà ed incertezze
grammaticali l'autorità degli scrittori veramente classici dovesse esser quello che nella milizia è
la insegna a cui ricorrono i soldati, se per qualche accidente sieno posti in disordine”.
s
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 48/S2
Titolo: La prosa letteraria del Settecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Settecento


La polemica fra i fautori e i censori dei gallicismi si concentrò soprattutto su fenomeni
relativi ai piani lessicale e sintattico (il primo corrispondente alle idee che i nomi
veicolano, il secondo pertinente al piano pragmatico e eminentemente comunicativo del
messaggio); gli stessi due livelli sui quali l’influsso del francese era maggiore e dunque
maggiore l’ostilità di quanti alla moda francese si opponevano in nome della tradizione.
L’atteggiamento del “tipico letterato” settecentesco è, su entrambi i piani, quasi
pregiudizialmente antagonistico alle posizioni arcaizzanti della Crusca (e ciò sia detto
tanto che si tratti di un partigiano della gallomania, quanto che egli accetti posizioni
medie e sostanzialmente equilibrate come quelle dell’Algarotti): dice Luca Serianni:
“In un passo notissimo delle Prose, il Bembo addita nei posteri – nei ‘pochissimi
uomini di ciascun secolo [...] più dotti degli altri riputati’ – l’uditorio ideale dello
scrittore; più tardi, di un campione del purismo primo-ottocentesco come Carlo Botta
si sarebbe detto che aveva scritto le sue storie non per la posterità ma per gli
antenati. Il tipico letterato del primo e medio Settecento non guarda invece, né al
passato né al futuro ma al presente e avverte come esigenza primaria quella di farsi
capire dai contemporanei” (La prosa, cit., p. 526).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 48/S2
Titolo: La prosa letteraria del Settecento
Attività n°: 1

La prosa letteraria del Settecento


Se questo è l’atteggiamento del “tipico letterato del primo e medio Settecento” non ci
stupirà verificare che, a fronte del giudizio di Francesco Algarotti (come abbiamo visto
conciliante e sostanzialmente positivo sul ruolo esercitato dalla Crusca), altri giudizi e altre
prese di posizione si dimostrarono al contrario irridenti alla vecchia istituzione, accusata di
‘liberticidio’ nei confronti delle idee tramite la censura delle parole.
Dato il rilievo pubblico che ebbe (quasi una sorta di manifesto dell’illuminismo milanese) e
data la vis polemica che la anima, ho scelto di analizzare la Rinunzia avanti il Notaio degli
Autori del presente Foglio periodico al Vocabolario della Crusca, con la quale si aprì nel
1764 il primo numero de Il Caffé fondato Pietro Verri. Il brano, breve e brillante, dovuto
alla penna del fratello minore di Pietro, Alessandro Verri, organizzato a mo’ di moderna
‘autocertificazione’, esplicita le posizioni linguistiche di un intero gruppo di intellettuali
(l’Accademia dei Pugni) e avverte preventivamente i futuri lettori del foglio milanese.
La scelta di analizzare la Rinunzia come testo esemplare della prosa settecentesca ci
offrirà anche l’occasione per verificare: la corrispondenza fra teoria e prassi linguistica,
di accennare all’evoluzione linguistica di un autore lungo l’intero arco di un’intera
vita, di saggiare lo sveltimento della sintassi che caratterizza la lingua del nuovo
strumento giornalistico.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 48/S3
Titolo: La prosa letteraria del Settecento
Attività n°: 1

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.

32) Illustrate e temi e le posizioni della querelle des anciens et des modernes e di
quella correlata fra Dominique Bouhours e Giovan Gioseffo Orsi.
33) Illustrate la posizione di Francesco Algarotti nei confronti della situazione linguistica
italiana a lui contemporanea e nei confronti dell’Accademia della Crusca in
particolare.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 49
Titolo: Alessandro Verri e la Rinunzia
Attività n°: 1

Alessandro Verri e la R inunzia


“Nei primi decenni della dominazione austriaca la Lombardia è area ancora un po’
periferica rispetto ai più vivi centri di cultura, anche se la presenza del Muratori a
Milano aveva segnato una crescita di prestigio in ambito nazionale” (Silvia Morgana,
in Paolo Bongrani e Silvia Morgana, La Lombardia, in L’italiano nelle regioni. Lingua
nazionale e identità regionali, a cura di Francesco Bruni, Torino, UTET, 1992, p. 114).

Il quadro culturale della Milano della prima metà del Settecento si esprime in alcuni
illuminati salotti aristocratici, aperti alle novità scientifiche, o nelle accademie, prime fra
tutte la colonia arcadica milanese e la Accademia dei Trasformati. In queste ultime si
manifestano scelte linguistico-letterarie improntate a fedeltà e rispetto nei confronti della
tradizione cinquecentesca, sebbene, alle cicalate e rime burlesche toscaneggianti si
affianchi una florida produzione in dialetto.
Nell’Accademia dei Trasformati un segnale di rinnovamento è introdotto dalla poesia civile
del Parini, ma nell’insieme si tratta di “un ambiente non certo d’avanguardia [quello nel
quale] si formano anche i Verri e il Beccaria” (Morgana, ivi).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 49
Titolo: Alessandro Verri e la Rinunzia
Attività n°: 1

Alessandro Verri e la Rinunzia


Anche la famiglia in cui Pietro (1728-1797) e Alessandro Verri (1741-1816) nascono e
crescono, è rappresentativa di un ambiente legato alla tradizione e al passato, da cui i
due fratelli cercano di disancorarsi.
Il più anziano dei due, rientrato dal collegio in cui era stato educato, dopo essersi
laureato in giurisprudenza a Pavia, tentò l’esperienza militare; tornato a Milano nel 1761
si mostrò ormai “deciso ad aprirsi una via nuova verso le pubbliche carriere, diversa da
quella tradizionale della giurisprudenza che gli additava suo padre”. In effetti nel 1764 fu
nominato “membro di una Giunta incaricata di esaminare i problemi finanziari dello Stato
di Milano” dalle autorità austriache, mentre nell’anno seguente fu “consigliere di un
dicastero di nuova istituzione, il Supremo consiglio di economia e rappresentante regio
nella direzione della Ferma (o appalto) generale delle imposte dirette” (Carlo Capra,
Pietro e Alessandro Verri, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero, 2012). Il rientro
a Milano nel 1761 consente a Pietro di stabilire un legame e un’intesa profonda con il
fratello Alessandro, più giovane di lui di ben tredici anni e che a questa data è ormai
ventenne: da allora, e per più di trent’anni, i due intratterranno una fitta corrispondenza
bisettimanale che colmerà i distacchi e le separazioni, come quella legata al lungo viaggio
di Alessandro prima a Parigi e poi in Inghilterra nel 1766 o il definitivo allontanamento da
Milano del fratello più giovane che, dal 1767, risedette a Roma.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 49
Titolo: Alessandro Verri e la Rinunzia
Attività n°: 1

Alessandro Verri e la Rinunzia


“Attorno ai due cominciò a radunarsi, nell’inverno 1761-62, un gruppo di giovani
nobili, tutti in polemica contro il costume e il sapere dei padri, che si ritrovava la sera
in casa dei Verri per discutere, giocare, leggere in comune gli scrittori francesi e
inglesi. Di questa piccola società, battezzata dalla voce pubblica Accademia dei Pugni,
facevano parte Cesare Beccaria, Giuseppe Visconti di Saliceto, Luigi Lambertenghi, il
cremonese Giambattista Biffi e il lecchese Alfonso Longo. Fu Pietro Verri, il più
anziano e il leader riconosciuto del sodalizio, a suggerire a Beccaria il tema del suo
capolavoro, Dei delitti e delle pene (1764), a pilotarne la scrittura e poi a gestirne
l’enorme fortuna europea. E fu ancora lui a progettare e dirigere l’impresa del ‘Caffè’,
la rivista degli illuministi milanesi che si pubblicò per due anni, dal 1764 al 1766”
(Capra, Pietro e Alessandro Verri, cit.).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 49
Titolo: Alessandro Verri e la Rinunzia
Attività n°: 1

Alessandro Verri e la Rinunzia


Negli anni 1761-1767 il sodalizio intellettuale fra i due fratelli vede la leadership
indiscussa di Pietro, che
“profuse nei tardi anni Sessanta le sue migliori energie nella collaborazione con il
governo asburgico, in particolare per la progettazione e l’attuazione di due grandi
riforme, la liberalizzazione del commercio dei cereali, con la connessa riforma
annonaria, e il riscatto delle regalie alienate (cioè delle entrate dello Stato cedute nei
secoli a corpi o a privati che le riscuotevano per proprio conto” (Capra, ivi).
Delusioni nelle speranze di carriera corrisposero ad una perdita di interesse verso gli
impegni politici negli anni Settanta; nel 1780 però Pietro venne nominato presidente del
Magistrato camerale, nello stesso momento in cui saliva al trono asburgico Giuseppe II
“verso le cui incalzanti riforme, soprattutto in campo ecclesiastico, Pietro Verri
manifestò in un primo tempo pieno consenso” (Capra, ivi).
La messa a riposo nel 1786 determinò infine
“il definitivo abbandono da parte di Verri del modello dell’assolutismo illuminato,
premessa alla sua entusiastica adesione alle parole d’ordine rivoluzionarie di libertà e
uguaglianza. I suoi scritti più tardi delineano nel loro insieme un programma politico
repubblicano e costituzionale, con chiare aperture in direzione di un’Italia unita che fa
di Pietro Verri uno dei padri spirituali del Risorgimento liberale e democratico” (ivi).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 49/S1
Titolo: Alessandro Verri e la Rinunzia
Attività n°: 1

Alessandro Verri e la R inunzia


Ben diversa la vicenda biografica ed intellettuale di Alessandro; finita l’esperienza del
“Caffè” alla quale egli prese parte non certo nel ruolo di semplice gregario, ma senz’altro
sotto l’impulso e lo stimolo del fratello o almeno in stretta comunanza di intenti, viaggiò,
come già abbiamo ricordato, fra il 1766 e il 1767, soggiornando a Parigi (in compagnia di
Cesare Beccaria) e poi in Inghilterra. Di ritorno da tale viaggio passò per Roma dove si
innamorò di Margherita Sparapani Boccapaduli Gentili, alla quale restò legato per tutto il
resto della sua vita. E a Roma rimase fino alla morte, nonostante gli inviti del fratello a
rientrare a Milano.
“A Roma si dedicò allo studio dei classici greci e latini e alla composizione di opere
teatrali e di romanzi archeologici, in cui si riflette un atteggiamento conservatore
ormai agli antipodi rispetto alle posizioni di Pietro” (Capra, ivi).
A questa seconda ispirazione, tanto diversa da quella che aveva nutrito gli anni del
“Caffè”, risalgono i romanzi: Le avventure di Saffo (pubblicato nel 1781, ma poi rivisto dal
punto di vista linguistico negli anni successivi fino alla seconda edizione nel 1806) e le
Notti romane al sepolcro degli Scipioni (pubblicato una prima volta nel 1792 e poi nel
1804), che pure sono da considerarsi come l’atto di rifondazione del genere romanzesco
dopo la fantasiosa mescolanza di generi e livelli dei romanzi seicenteschi.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 49/S1
Titolo: Alessandro Verri e la Rinunzia
Attività n°: 1

Alessandro Verri e la Rinunzia


In essi Alessandro, che trae spunto da personali ricerche svolte in gioventù per il Saggio
sulla storia d’Italia (composto fra il 1764 e il 1766, ma poi lasciato interrotto), mostra
quanto mutato fosse il suo pensiero nel passaggio dalla Milano dell’Accademia dei Pugni e
del “Caffè” alla Roma dei papi Clemente XIV e Pio VI, ma anche quanto mutata fosse la
sua posizione rispetto a quella antipedante della giovanile Rinunzia pubblicata sul “Caffè”.
Nei due anni di pubblicazione del giornale, i due fratelli avevano contribuito al periodico
con numerosi saggi di natura economica, morale, giuridica o filosofica
“in cui, come era nel programma della rivista, si alternano il serio e il faceto, le
osservazioni di costume e le divagazioni fantastiche, i temi letterari e quelli
economici, scientifici e giuridici” (Capra).
Ben quarantaquattro sono gli articoli che Pietro pubblicò sul giornale da lui fondato e
diretto (ennesimo sforzo di creare un foglio periodico che Pietro aveva già tentato negli
anni Cinquanta con vari almanacchi); meno numerosi gli interventi del fratello Alessandro,
ma più spesso connessi a temi di letteratura e di lingua, temi questi ultimi non assenti
neppure dagli articoli di Pietro.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 49/S1
Titolo: Alessandro Verri e la Rinunzia
Attività n°: 1

Alessandro Verri e la Rinunzia


Accanto a scritti di critica dei comportamenti del mondo aristocratico e della mondanità,
in favore di un vivere sociale meno costretto dai rituali, accanto alla critica nei confronti di
legulei e professionisti presuntuosi ma incompetenti, e accanto a saggi di impegno contro
il contagio del vaiolo e a favore della vaccinazione, e infine, accanto a saggi di solido
impianto filosofico sulla libertà e sulla divisione dei poteri politici, non mancano fra gli
interventi del maggiore dei due fratelli interventi esplicitamente vertenti sulla letteratura e
sul suo significato sociale.
“In saggi come Pensieri sullo spirito della letteratura in Italia, Dell’onore che ottiensi
dai veri uomini di lettere, Ai giovani d’ingegno che temono i pedanti, [Pietro]
riprendeva la polemica del fratello contro i pedanti e i parolai, contro chi pretendeva
di dettare regole in materia di letteratura o di arte, e si pronunciava per una completa
libertà espressiva, per una ricerca del sublime anche non scevro di difetti” (Capra).
E Pietro interveniva anche di fatto su aspetti linguistici; legittimamente dunque è possibile
ritenere che quanto è espresso nella Rinunzia, scritta da Alessandro, fosse pienamente
condiviso anche da Pietro, della cui competenza e impegno in fatto di scelte linguistiche
ed espressive siamo informati anche per altra via.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 49/S2
Titolo: Alessandro Verri e la Rinunzia
Attività n°: 1

Alessandro Verri e la R inunzia


Abbiamo visto infatti che fu Pietro a incoraggiare l’amico Cesare Beccaria alla scrittura
del trattato Dei delitti e delle pene steso fra il 1763 e il 1764, anno quest’ultimo in cui fu
dato alle stampe, non prima però di essere passato sotto l’attenta revisione di Pietro
appunto. Il confronto fra la redazione manoscritta, corrispondente alla prima stesura, e la
stampa (successiva alla revisione verriana) mostra che
“Il Beccaria scrive come doveva riuscire spontaneo a un intellettuale non
particolarmente attento a problemi di lingua; vale a dire tessendo periodi
faticosamente ipotattici, accogliendo all’occorrenza forme auliche o libresche e
ricorrendo a latinismi crudi tolti di peso all’ancor vigorosa trattatistica latina. La
riscrittura del Verri, che intervenne riducendo gl’intrichi sintattici e smussando le
punte lessicali troppo tecniche o troppo culte – dunque in una direzione che
potremmo definire latamente illuministica – venne a proposito” (Serianni, La prosa,
cit., p. 530).
Nelle lezioni prossime affronteremo dal punto di vista ideologico, oltre che della forma
linguistica, la Rinunzia di Alessandro Verri; per quanto riguarda il primo aspetto essa è
infatti emblematica di un sentimento largamente condiviso.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 49/S2
Titolo: Alessandro Verri e la Rinunzia
Attività n°: 1

Alessandro Verri e la Rinunzia


“Il contenutismo professato da Alessandro Verri nella celebre Rinunzia al Vocabolario della Crusca
non è se non la manifestazione oltranzistica di un sentire diffuso. Ogni scrittore – aveva detto qual-
che tempo prima il Muratori – dovrebbe sempre dar la preferenza a quello ‘Stil puro e naturale che
spie-ga le Cose con evidente chiarezza e con parole proprie e nulla sente di studio’: uno stile che ha
‘il pregio di piacere a tutti’. Le pastoie grammaticali e la connessa preoccupazione del come dire
piuttosto che del cosa dire riescono insopportabili all’Algarotti, che invidia gl’inglesi, e al Baretti, che
invidia inglesi e francesi con toni che sembrano precorrere la sensibilità del Manzoni” (Serianni, La
prosa, p. 526).
Nel file pdf allegato a questa lezione, troverete la Rinunzia avanti il Notaio di
Alessandro Verri, riprodotta secondo il testo stampato da Giorgio Roverato nell’antologia
Il Caffè, Treviso, Canova, 1975, tomo I, foglio IV, pp. 141-145. Il testo è stato rivisto su Il
Caffè o sia Brevi e varj discorsi già distribuiti in fogli periodici, seconda edizione, tomo I,
in Venezia, Appresso Pietro Pizzolato, 1766, pp. 47-50. Si sono così recuperate tutte le
caratteristiche grafiche della fonte settecentesca (diverso uso delle maiuscole, il segno di
j, l’interpunzione) di cui si riproducono tutti gli accorgimenti tipografici. Non ho invece
riprodotto l’uso settecentesco di un solo accento di forma grave anche su vocale chiusa
(perché è reso con perché). La suddivisione in sette capitoletti (a cui Roverato aveva
aggiunto un’altra numerazione) è quella originaria; nei rimandi si indica il numero del
capitolo, seguito dal numero di linea (il capitolo iniziale, non numerato, sarà indicato
come 0).
Rinunzia avanti il Notaio degli Autori del presente Foglio
periodico al Vocabolario della Crusca

Cum sit, che gli Autori del Caffè siano estremamente portati a preferire le idee alle parole, ed
essendo inimicissimi d’ogni laccio ingiusto che imporre si voglia all’onesta libertà de’ loro pensieri,
e della ragion loro, perciò sono venuti in parere di fare nelle forme solenne rinunzia alla purezza
della Toscana favella, e ciò per le seguenti ragioni.

1. Perché se Petrarca, se Dante, se Boccaccio, se Casa, e gli altri testi di Lingua hanno avuta la
facoltà d’inventar parole nuove e buone, così pretendiamo che tale libertà convenga ancora a noi:
conciossiacché abbiamo due braccia, due gambe, un corpo, ed una testa fra due spalle com’eglino
l’ebbero.
... quid autem?
Caecilio, Plautoque? dabit Romanus ademptum.
Virgilio, Varioque? ego cur adquirere pauca.
Si possum invideor? quum Lingua Catonis & Enni
Sermonem patrium ditaverit ac nova rerum
Nomina protulerit.
Horat. de Art. poet.

2. Perché, sino a che non sarà dimostrato, che una Lingua sia giunta all’ultima sua perfezione
ella è un’ingiusta schiavitù il pretendere che non s’osi arricchirla, e migliorarla.

3. Perché nessuna legge ci obbliga a venerare gli oracoli della Crusca, ed a scrivere o parlare
soltanto con quelle parole che si stimò bene di racchiudervi.

4. Perché se italianizzando le parole Francesi, Tedesche, Inglesi, Turche, Greche, Arabe,


Sclavone noi potremo rendere meglio le nostre idee, non ci asterremo di farlo per timore o del Casa,
o del Crescinbeni, o del Villani, o di tant’altri, che non hanno mai pensato di erigersi in tiranni delle
menti del decimo ottavo secolo, e che risorgendo sarebbero stupitissimi in ritrovarsi tanto celebri,
buon grado la volontaria servitù di que’ mediocri ingegni che nelle opere più grandi si
scandalizzano di un c, o d’un t di più o di meno, di un accento grave in vece di un acuto. Intorno a
che abbiamo preso in seria considerazione, che se il Mondo fosse sempre stato regolato dai
Grammatici, sarebbero stati depressi in maniera gl’ingegni, e le scienze che non avremmo tuttora né
case, né morbide coltri, né carrozze, né quant’altri beni mai ci procacciò l’industria, e le meditazioni
degli uomini; ed a proposito di carrozza egli è bene il riflettere, che se le cognizioni umane
dovessero stare ne’ limiti strettissimi che gli assegnano i Grammatici, sapremmo bensì che Carrozza
va scritta con due erre, ma andremmo tuttora a piedi.

5. Consideriamo ch’ella è cosa ragionevole, che le parole servano alle idee, ma non le idee alle
parole, onde noi vogliamo prendere il buono quand’anche fosse ai confini dell’Universo, e se
dall’Inda, o dall’Americana lingua ci si fornisse qualche vocabolo ch’esprimesse un’idea nostra,
meglio che colla lingua Italiana noi lo adopereremo, sempre però con quel giudizio, che non muta a
capriccio la lingua, ma l’arricchisce, e la fa migliore.
Dixeris egregie notum si callida verbum
Reddiderit junctura novum. Si forte necesse est

  1  
Indiciis monstrare recentibus abdita rerum,
Fingere cinctutis non exaudita Cethegis
Continget: dabiturque licentia sumpta pudenter,
Et nova factaque nuper habebunt verba fidem.
Horat. eod.

6. Porteremo questa nostra indipendente libertà sulle squallide pianure del dispotico Regno
Ortografico e conformeremo le sue leggi alla ragione, dove ci parrà che sia inutile il replicare le
consonanti o l’accentar le vocali, e tutte quelle regole che il capriccioso Pedantismo ha introdotte, e
consagrate, noi non le rispetteremo in modo alcuno. In oltre considerando noi che le cose utili a
sapersi son molte, e che la vita è breve, abbiamo consagrato il prezioso tempo all’acquisto delle
idee, ponendo nel numero delle secondarie cognizioni la pura favella, del che siamo tanto lontani
d’arrossirne, che ne facciamo amende honorable avanti a tutti gli amatori de’ riboboli nojosissimi
dell’infinitamente nojoso Malmantile, i quali sparsi quà e là come giojelli nelle Lombarde cicalate,
sono proprio il grottesco delle belle Lettere.

7. Protestiamo che useremo ne’ fogli nostri di quella lingua che s’intende dagli uomini colti da
Reggio di Calabria sino alle Alpi; tali sono i confini che vi fissiamo, con ampia facoltà di volar
talora di là dal mare, e dai monti a prendere il buono in ogni dove.
A tali risoluzioni ci siamo noi indotti perché gelosissimi di quella poca libertà che rimane
all’uomo socievole dopo tante leggi, tanti doveri, tante catene ond’è caricato; e se dobbiamo sotto
pena dell’inesorabile ridicolo vestirci a mò degli altri, parlare ben spesso a mò degli altri, vivere a
mò degli altri, far tante cose a mò degli altri, vogliamo, intendiamo, protestiamo di scrivere e
pensare con tutta quella libertà, che non offende que’ principj che veneriamo.
E perché abbiamo osservato che bene spesso val più l’autorità che la ragione, quindi ci siamo
serviti di quella di Orazio per mettere la novità de’ nostri pensieri sotto l’Egida della veneranda
antichità, ben persuasi che le stesse stessissime cose dette da noi e da Orazio faranno una diversa
impressione su di coloro che non amano le verità se non sono del secolo d’oro.
Per ultimo diamo amplissima permissione ad ogni genere di viventi, dagli Insetti sino alle
Balene, di pronunciare il loro buono o cattivo parere su i nostri scritti. Diamo licenza in ogni
miglior modo di censurarli, di sorridere, di sbadigliare in leggendoli, di ritrovarli pieni di chimere,
di stravaganze, ed anche inutili, ridicoli, insulsi in qualsivoglia maniera. I quali sentimenti siccome
ci rincrescerebbe assaissimo qualora nascessero nel cuore de’ Filosofi, i soli suffragj de’ quali
desideriamo; così saremo contentissimi; e l’avremo per un isquisito elogio, se sortiranno dalle
garrule bocche degli Antifilosofi.

A[LESSANDRO VERRI]

  2  
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 49/S3
Titolo: Alessandro Verri e la Rinunzia
Attività n°: 1

La R inunzia : grafia e interpunzione


“Con la progressiva affermazione dello stato moderno – anche nel caso della
frammentata realtà politica italiana – di un apparato amministrativo burocratico
fondato su un ricorso sempre più massiccio allo scritto [...] cresce la domanda di
quella istruzione attraverso la quale si può fissare una norma standard per la lingua
scritta” (Matarrese, Storia della lingua italiana. Il Settecento, p. 27).
Usi grafici divergenti dalla ortografia moderna
1) uso di j che ricorre in nojosissimi 6, 7; nojoso 6, 8; giojelli 6, 8; principj 7,8; suffragj
7, 17, oltre a junctura nella seconda citazione da Orazio a 5,7.
2) relativa libertà nell’uso delle maiuscole: A) la maiuscola è usata a) per aggettivi
denotanti l’origine geografica (dunque Toscana 0,4 o Francesi, Tedesche, Inglesi etc.
a 4, 1; o Inda, Americana, Italiana a 5,3-4; Lombarde 6,8); b) per nomi che
indicano categorie sociali o gruppi (Autori 0,1; Grammatici 4,8; 4,11; Filosofi 7,17 e
Antifilosofi 7,19) e dunque anche specie animali (Insetti 6,13; Balene 6,14); c) per
categorie estetiche (belle Lettere 6,9); d) per nomi singolari confinanti, dal punto di
vista semantico, con nomi propri (Mondo 4,7, Universo 5,2; ma anche Lingua che a
1,1 vale ‘lingua italiana’ e a 2,1 ‘linguaggio’) o perché usati a mo’ di citazione (così
Carrozza a 4, 11).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 49/S3
Titolo: Alessandro Verri e la Rinunzia
Attività n°: 1

La Rinunzia : grafia e interpunzione


3) riguardo agli accenti si segnalano quà a 6,8, probabilmente influenzato dal vicino là);
manca la specializzazione rispettiva fra accento e apostrofo (cfr. mò che oggi
trascriveremmo mo’ < MODO a 7,6-7 dove occorre quattro volte.

Usi interpuntivi divergenti da quelli moderni


a) virgola davanti a e(d) e davanti a o (per esempio 0,1; 4,2-3) anche in coordinazione
ravvicinata (de’ loro pensieri, e della ragion loro 0,2-3; un corpo, ed una testa 1,3;
arricchirla, e migliorarla 2,2; gl’ingegni, e le scienze etc.; di un c, o d’un t 4,6); con
rilievo prosodico intonativo: Toscana favella, e ciò per le seguenti ragioni 0,4;
b) virgola davanti a che, sia dichiarativo (0,1; 2,1; 4,7; 5,1) sia in funzione di pronome
relativo (4,3; 5,4; 7,8);
c) punto e virgola (evidenziato dal grassetto) a 7, 16-19:
“I quali sentimenti siccome ci rincrescerebbe assaissimo qualora nascessero nel cuore
de’ Filosofi, i soli suffragj de’ quali desideriamo; così saremo contentissimi; e l’avremo
per un isquisito elogio, se sortiranno dalle garrule bocche degli Antifilosofi”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1

La R inunzia : fono-morfologia
Il quadro fono-morfologico e ormai quello dell’italiano moderno, privo di accusati
fiorentinismi o arcaismi da un lato, quanto, d’altro lato, di latinismi.
Anche l’adozione, numericamente ridotta, di apocopi ormai appartenenti alla lingua
letteraria media, indica un registro linguistico sostenuto, ma non particolarmente
connotato in tal senso. Si vedano:
-- dopo -n: della ragion loro 0,2-3; buon grado 4,5 (che però è un sintagma fisso); le
cose utili a sapersi son molte 6, 4-5; parlare ben spesso 7,6; ben persuasi 7,11;
-- dopo -r: d’inventar parole nuove 1,2; l’accentar le vocali 6,3; di volar talora 7,2-3;
far tante cose 7,7; in ogni miglior modo 7,15;
-- dopo -l: val più l’autorità 7,9.
Rappresenta invece un’oscillazione che rimarrà a lungo tale nella lingua italiana quella
fra pronuncia di affricata palatale o di affricata dentale dei gruppi riconducibili al latino -
TI- / -CI- e che dipende da antichi incroci e sovrapposizioni (avvenuti nel latino e
recepiti in volgare fin dal Quattrocento). Il doppio esito costituirà motivo di incertezza
ancora per Manzoni nei momenti finali della correzione delle bozze della redazione
finale dei Promessi Sposi.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1

La Rinunzia : grafia e fono-morfologia


Nel nostro testo si segnala il titolo stesso Rinunzia per ‘rinuncia’, ma nel Settecento l’oscil-
lazione riguarda anche beneficio / benefizio, commercio / commerzio, ufficio / uffizio etc.
Una ricerca svolta sulla banca-dati della Biblioteca italiana (limitata agli usi settecenteschi
in prosa e solo in rapporto a queste quattro parole scelte come campione) offre i seguen-
ti numeri: benefizio (64), -i (18) 82 / beneficio (95), -i (29) 124; commerzio (5), -i (22)
27 / commercio (209), -i (3) 212; uffizio (19), -i (5) 24 / ufficio (46), -i (39) 85; rinun-
zia (19), -e (3) 22 / rinuncia (9), -e (2) 11.
Una situazione, come si vede, estremamente variabile a seconda della parola coinvolta
dato che la prevalenza di -ci- su -zi- attestata da ‘beneficio’, ‘commercio’, ‘ufficio’ è con-
traddetta dalla prevalenza di -zi- su -ci- nel caso di ‘rinuncia’. Tale variabilità andrebbe mi-
surata anche sulle abitudini linguistiche dei singoli autori (le 22 attestazioni di commerzi
derivano tutte dagli scritti di Giovan Battista Vico), ma che non si spiega ormai più con la
sola provenienza geografica, dato che anche entro la prosa di un medesimo scrivente
possono presentarsi entrambe le forme (come avviene per esempio nella lingua di
Vincenzo Monti).
Si segnala infine la rigorosa alternanza fra ed davanti a vocale (ed essendo 0,1-2; ed una
testa 1,3; ed a scrivere 3,1; ed a proposito 4,10; ed anche inutili 7,16) e e davanti a pa-
rola che inizia per consonante (e della ragion loro 0,3; e ciò 0,4; e gli altri testi 1,1 etc.).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1

La Rinunzia : grafia e fono-morfologia


Uno sguardo comparativo fra quanto abbiamo detto a proposito di grafia e fono-morfologia
della Rinunzia e le scelte corrispondenti nelle Notti Romane dello stesso Alessandro Verri
consente di verificare tanto costanza quanto discontinuità. Permane l’uso di j di forma lunga
(vizj, migliaja, comizj, suffragj, sicarj2, esterminj; strazj); rimane l’uso delle maiuscole in
Consolo, -i, Pretore, Capitano, Tribuno (attinenti ai nomi di cariche), Cittadinanza Romana,
Cittadini, Sillani (designanti gruppi), Patria, Aquila, Rostri, ma nel complesso la maiusco-
lizzazione pare essere meno concentrata rispetto alla Rinunzia, rafforzando l’impressione
che in quella l’uso delle maiuscole avesse il compito di mostrare fittizia reverenza e contri-
buisse alla parodia. Le caratteristiche interpuntive segnalate per la Rinunzia rimangono
immutate: costante la virgola davanti a e (per esempio: pingue di membra, e infermo; nel
Ponto, e contendea; impossibile, e aborrito; magnanima ne’ pensieri, e trista) e davanti a
che (da plebe delirante, che ha). Scompare invece l’apocope che tanto dava l’impressione di
sveltezza al discorso della Rinunzia, quanto la sua assenza contribuisce alla solennità e
gravità nel romanzo. Ho verificato sulla Biblioteca italiana l’alternanza fra -ci-/-zi- nelle Av-
venture, nelle quali compaiono beneficio, -i, commercio, -i, ufficio, -i (quindici occorrenze),
ma anche, una volta ciascuno, uffizio e uffizi. Scompare l’alternanza fra ed + vocale / e +
consonante (sempre e: e per sei consolati; e infermo; e contendea etc.); ma alla distribu-
zione contestuale di e / ed a cui Verri tiene fede nelle Avventure di Saffo è presente anche
nella lingua del fratello Pietro.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50/S1
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1

La R inunzia : il lessico
La posizione anticruscante e anti-arcaizzante di Alessandro Verri prende forza dalla
contrapposizione, fin dall’attacco della Rinunzia, delle idee alle parole (e del resto si veda
anche 6,4-7): le prime soltanto contano, indipendentemente dalla forma lessicale che le
veicola. La Rinunzia è dunque in primo luogo destinata a rivendicare per i collaboratori
del “Caffè” l’onesta libertà di esprimere pensieri e ragione; onesta, quella libertà, perché
come, l’autore dirà più avanti, nonostante che essi facciano professione di rinunciare alla
purezza della Toscana favella (0,3-4; cfr. anche 6,6), rivendicando il diritto sia di creare
parole nuove (2 e 3), sia di adottare e italianizzare qualunque parola straniera (4,1-2 e
5,2-4), tale libertà è frenata dal giudizio, dall’esame cioè del caso concreto, nella più
generale prospettiva che la lingua non vada innovata a capriccio, ‘arbitrariamente’, ma
solo nell’intento di arricchirla e migliorarla (2, 2 e 5, 5).
La libertà, rivendicata nel paragrafo iniziale, è giustificata con l’esempio della libertà
dimostrata dai padri fondatori della lingua (1,1-2): l’ordine delle Tre Corone (alle quali è
annesso in fine il nome di Giovanni della Casa) non corrisponde alla cronologia, perché è
invece stabilito sulla base della gerarchia vigente ancora XVIII secolo, prima che la
supremazia petrarchesca venisse scalzata dal rinnovato mito dantesco durante il
Risorgimento.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50/S1
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1

La Rinunzia : il lessico
La libertà, già esposta come obiettivo di un atto individuale, poi ratificata dai modelli
unanimemente condivisi dagli ambienti colti italiani è inoltre sancita, su base
antropologica, dalla convinzione della immutabilità della natura umana nei secoli (così
come gli uomini hanno, da sempre, la stessa identica conformazione fisica, così a tutti
loro è riconosciuta la medesima prerogativa esercitata dai grandi del passato):
affermazione che non è improprio accostare alla posizione sostenuta da Fontenelle nel
suo intervento nella querelle des anciens et des modernes. Questa continuità e
‘immutabilità’ della condizione antropologica è del resto manifestata dalla medesima
esigenza ‘liberatoria’ che i moderni condividono con un autore ‘antico’, quale Orazio che
nel brano riportato a 1,5-10, corrispondente ad Ars poetica, vv. 53-58 aveva detto:
“E che? A Virgilio e a Vario verrà negato ciò che è stato concesso a Cecilio e Plauto? Perché sono
oggetto di invidia se riesco a introdurre qualche nuovo vocabolo, quando Catone ed Ennio con la
loro lingua hanno arricchito la lingua della patria dando nuovi nomi per indicare le cose”.
La citazione (si veda anche 5,6-11), piuttosto che esibizione di cultura, risulta funzionale
all’efficacia della dimostrazione: nella Rinunzia, improntata alla figura retorica dell’ironia e
al sarcasmo, il Verri scende sullo stesso campo di battaglia dei propri antagonisti
cruscanti, abituati a dar maggior credito alla autorità degli antichi che non al proprio
modo di pensare.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50/S1
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1

La Rinunzia : il lessico
La libertà rivendicata significa dunque, prima di tutto liberazione: dal laccio ingiusto
(0,1) e dalla volontaria servitù (4,5) a cui i Grammatici, mediocri ingegni (4,5) hanno
voluto assoggettar se stessi e gli altri; liberazione da una fonetica (si scandalizzano di un
c, o d’un t di più o di meno 4,5-6) e da un’ortografia (6,1-4) fissate sulla base del
fiorentino del Trecento e, per volontà dei Grammatici, assurto a norma.
Infine, significa liberazione da un lessico del secol d’oro (7,12) invecchiato e stantio che
il Vocabolario (a differenza di quanto sostenuto da Francesco Algarotti) non si era
limitato a tesaurizzare, ma che, censurando ogni deviazione da quello in nome di una
presunta atavica purezza, aveva anche imbalsamato.
Liberazione significa allora rifuggire dai riboboli nojosissimi dell’infinitamente nojoso
Malmantile che nell’ambiente letterario (anche milanese: si veda nelle Lombarde
cicalate di 6,8) ‘adornava’ come speciali giojelli le insulse ‘chiacchiere’ di una letteratura
disimpegnate e per diporto. Liberazione significa rifuggire da una lingua, quella
fiorentina del Trecento, che è ormai sia municipale sia arcaica e che dunque, perché
appresa sui libri e dopo lungo studio, frena la libera e rapida espressione delle idee; tale
freno legittima il declassamento dello studio della pura favella al numero delle
secondarie cognizioni.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50/S2
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1

La R inunzia : il lessico
Se dalle affermazioni passiamo all’analisi del lessico della Rinunzia verifichiamo che la
liberazione dal laccio cruscante è rappresentata da un’assenza, dalla mancata adesione
cioè a quei fiorentinismi, talvolta anche popolari e popolareschi, esibiti dai puristi di
stretta osservanza. Nei pochi casi in cui si rintracciano eccezioni, si tratta di eccezioni
spiegabili di volta in volta o per volontà ‘citazionale’ o parodica o di eccezioni solo
apparenti (per la viva sopravvivenza di forme antiche nella scrittura del Settecento).
Si veda del resto come alcuni sintagmi fissi siano segnalati come citazione mediante il
corsivo: Toscana favella ( 0,4), pura favella (6,6); la locuzione sono venuti in parere
(0,3) segnala un arcaismo caratteristico della prosa di Paolo Sarpi.
È ‘citazionale’ infine l’uso di ribobolo (6,7), nelle due prime edizioni della Crusca
registrato con rinvio ad enigma (e dunque considerato sinonimo di ‘detto oscuro, che
sotto ’l velame delle parole, nasconde senso allegorico’), nella III e IV Crusca glossato
come ‘Sorta di dire breve, e in burla’ (in entrambi dunque i casi il termine veniva
connotato negativamente o per oscurità o per registro stilistico). Analoga diagnosi
possiamo emettere per isquisito (7,18) che, in tale forma con prostesi, si rintraccia per
esempio nel Galateo del Della Casa.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50/S2
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1

La Rinunzia : il lessico

Al di là del rifiuto di fiorentinismi accusati, nella prosa della Rinunzia compaiono


elementi di origine fiorentina (e caratteristici del fiorentino trecentesco) che, in quanto
facenti parte di una lingua “che s’intende dagli uomini colti da Reggio Calabria sino alle
Alpi” (7,1-2), dunque entrati a far parte ormai di una lingua scritta condivisa sull’intero
territorio italiano, vengono accolti senza entrare in contraddizione con l’assunto
ideologico. Si veda per es. eglino (1,3), che la Crusca registra s.v. egli (‘[...], primo
caso del pronome corrispondente al Lat. ille. e vale quegli, colui, esso, e dicesi tanto
nel singular, quanto nel plurale, quantunque si dica anche, nel plurale, eglino’),
spesso riferito negli esempi che il Vocabolario desumeva da autori trecenteschi; forma
vitalissima nel Cinquecento, che di lì giunge alla lingua scritta della prima metà
dell’Ottocento (lo usano per es. Leopardi e Manzoni, che però lo cancellerà nel
passaggio dalle prime redazioni del romanzo all’edizione Quarantana dei Promessi
Sposi).
Ben altro discorso è quello riguardante l’esercizio in positivo della libertà conquistata
dopo l’atto di liberazione. Tale esercizio, come già visto, si concretizza per due vie: il
neologismo (1-3) e l’accettazione del forestierismo, o per adattamento alla fonetica e
alla morfologia dell’italiano (5-7) o per calco.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50/S2
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1

La Rinunzia : il lessico
In fatto di neologismi Alessandro Verri proclama quanto vien facendo nella pratica
poiché è a lui che si deve la coniazione di Pedantismo. La IV edizione del Vocabolario
della Crusca aveva accolto (sulla base della Fiera del Buonarroti, delle Lettere di Annibal
Caro e delle Prose toscane di Anton Maria Salvini) il termine pedanterìa spiegato come
“Composizione, o Affettazione pedantesca”; ma il Dizionario etimologico della lingua
italiana (DELI) a cura di Manlio Cortelazzo e Paolo Zolli (Bologna, Zanichelli, 1985)
retrodata la prima attestazione avanti il 1556 e ne segnala un esempio in Pietro Aretino,
dove significa ‘caratteristica del pedante; minuzia o sottigliezza da pedante’.
La neoconiazione verriana (tanto più perché associata a capriccioso), adottando il
suffisso -ismo ad indicare più o meno spregiativamente una corrente di pensiero e di
comportamento, intende colpire non tanto un atteggiamento privato e isolato, ma un
comportamento sociale bollato negativamente. Ma si tenga anche conto che, durante il
Settecento,
“Per impulso dei modelli francesi [...] si incrementano serie in -ismo, -ista, e -istico,
un micro sistema suffissale fortunatissimo nel linguaggio astratto dell’illuminismo,
utilizzato nella denominazione di professioni, correnti o ideologie” (Matarrese, Storia
della lingua italiana. Il Settecento, p. 65).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50/S3
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1

La R inunzia : il lessico
Il francese è esibito come lingua delle buone maniere e della socievolezza nella
‘citazione’ della formula amende honorable a 6,7, con provocatoria ostentazione proprio
nel momento in cui si chiede formale perdono (amende) di una cosa di cui Verri
dichiara in realtà di non vergognarsi (6,6-7: “del che siamo tanto lontani d’arrossirne”).
Analizzeremo partitamente i forestierismi, nel caso particolare francesismi, seguendo
l’ordine topografico, per verificarne la natura eventuale di calco o prestito.
“Nel caso del calco […] il termine forestiero viene ‘tradotto’ mediante parole
già esistenti nella lingua nazionale, le quali assumono un significato nuovo”;
sono calchi sia grattacielo, che traduce skyscraper (sky ‘cielo’, scraper ‘che gratta’),
sia realizzare ‘comprendere esattamente’, sebbene nel primo caso si tratti di un calco
formale (nonostante l’inversione dei componenti, è evidente la modellizzazione del
nuovo lessema, dal corrispondente inglese), nel secondo caso di un calco semantico
(la parola realizzare, nel senso di ‘concretizzare’, esisteva già in italiano, ma, sul
modello della parola inglese, ha assunto differente significato). Infine il calco
sintattico “risulta da più parole che dànno vita a una locuzione di significato stabile
(così i francesismi amare alla follia, colpo di fulmine, colpo di stato” (Claudio
Marazzini, in Dizionario di linguistica, s.v. calco).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50/S3
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1

La Rinunzia : il lessico
Con prestito si intende invece “Una parola straniera, utilizzata in una lingua diversa da
quella di origine” o tramite l’adattamento, modalità con la quale “la lingua ricevente
modifica le unità linguistiche (fonemi, morfemi) della parola per acconciarle al proprio
sistema fonologico” (come nel caso di bistecca per l’inglese beefsteak) o tramite
l’acclimatamento (la pronuncia approssimata ad un termine che si vuol citare come
straniero: per esempio starter pronunciato [’starter] anziché [’sta:tə] (Marazzini, ivi, s.vv.
forestierismo e adattamento).

italianizzando (4,1): su influsso dei verbi francesi in -iser si intensificano nel Settecento i
tecnicismi composti con -izzare, appartenenti alla classe dei verbi fattitivi (che
indicano cioè il risultato dell’azione); riguardo scandalizzano (4,6), si ricordi che il
verbo è già attestato nel Trecento;
in ritrovarsi (4,4): l’assenza dell’articolo e l’utilizzo di in nella perifrasi avvicina la
costruzione verriana al francese se retrouver;
belle Lettere (6,9): è un calco dal francese belles Lettres, locuzione gemella di beaux
Arts; quest’ultima era penetrata in Italia dalla fine del XVI secolo, provocando non
poche ostilità perché sostitutiva della forma italiana precedente (arti belle), attestata
in Vasari e Baldinucci;
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50/S3
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1

La Rinunzia : il lessico
buon grado (la volontaria servitù) (4,5) ‘grazie alla, in conseguenza della (servitù
volontaria)’: in analogia con la costruzione francesizzante di malgrado con reggenza
diretta (senza preposizione) che sostituisce l’antica costruzione a malgrado di +
nome;
meglio che (colla lingua Italiana) (5,4): è la costruzione mieux que in luogo della
costruzione tradizionale in Italia meglio di;
indipendente (6,1): sarà da considerare un calco semantico giunto attraverso la Francia:
indipendente e indipendenza “sono all’origine termini teologici: solo Dio ha per
attributo l’indipendenza. Ma ecco che si comincia a usarlo (all’inizio, pare, in
Inghilterra) a proposito delle controversie ecclesiastiche, mentre la guerra
d’indipendenza americana gli dà il carattere politico, oggi predominante” (Migliorini,
cit. da Matarrese, Storia della linga italiana. Il Settecento, p. 200);
dispotico (6,1): il francesismo era già entrato nel XVII secolo in Italia, tramite il
viaggiatore Pietro Della Valle (dalla banca-dati della Biblioteca italiana si ricava una
abbastanza veloce diffusione), ma l’intero campo lessicale viene assunto solo nel
Settecento, quando nella lingua di Ludovico Antonio Muratori compare anche il
sostantivo dispotismo (1745). Nella III e nella IV Crusca l’aggettivo è registrato senza
esempi di scrittori (sebbene sia usato dai redattori del Vocabolario).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 50/S3
Titolo: Alessandro Verri: analisi linguistica
Attività n°: 1

La Rinunzia : il lessico
permissione (7,13): si tratta in verità di un arcaismo, ben attestato a partire dal Trecento,
probabilmente funzionale alla connotazione parodica dell’intera Rinunzia e di questo
paragrafo finale. Va notato però che nel Settecento la fortuna del termine aumentò
sulla scorta dell’analogo permission francese;
buono o cattivo (parere) (7, 14) ‘opinione positiva o negativa’: riproduce la locuzione
francese sembler bon;
in leggendoli (7,15): nella lingua antica la costruzione del gerundio preposizionale era ben
nota, ma nel Settecento l’opzione si riattiva, nella sola forma introdotta da in, per
influsso del francese (si tratta quindi di un calco sintattico); Tina Matarrese (Storia
della lingua italiana. Il Settecento, p. 66) elenca questa costruzione, fra altre, quale
esempio di come “il francese promuove la reintroduzione di arcaismi e di modi caduti
in disuso”;
Filosofi (7,17): nel senso ampio e generico assunto nel Settecento per influsso del
corrispondente lemma francese; “Filosofo e filosofico hanno un significato molto
generale, riferendosi non specificamente alla scienza dei primi principii, ma a ogni
attività che implichi riflessione” (Migliorini, Storia della lingua italiana, p. 546).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 51
Titolo: Alessandro Verri: lo stile
Attività n°: 1

La R inunzia : lo stile
Il quadro lessicale della Rinunzia ci ha indica uno scrittore colto e linguisticamente
educato che, nel momento in cui si pone in antagonismo con la posizione puristica della
Crusca, sa usare gli elementi della tradizione (non importa se con finalità parodiche) e
che, nel momento in cui si dichiara disponibile al forestierismo, non vi indulge in maniera
parossistica, né vi si adegua a capriccio, sottomettendosi all’arbitrio della moda linguistica
dei suoi tempi.
A differenza di quanto ci saremmo potuti aspettare, alla rivendicazione teorica di libertà,
non corrisponde insomma l’anarchia o alcun tipo di oltranzismo linguistico.
Quanto verificato sul piano lessicale, si conferma sul piano sintattico.
Abbiamo visto come nella polemica Orsi-Bouhours si fosse individuato nell’ordine diretto
della sintassi francese un elemento di differenziazione rispetto all’ordine inverso della
tradizione italiana: alla libertà di collocare gli elementi sintattici in un ordine non
rigidamente strutturato, bensì dipendente da ragioni espressive variabili (caratteristica
della tradizione letteraria italiana) si contrapponeva la sequenza Soggetto + Verbo +
Complemento del francese, espressione della ragione e della razionalizzazione del reale,
ma dai fautori della variabilità sintattica dell’italiano percepita come rigida e aridamente
fissa.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 51
Titolo: Alessandro Verri: lo stile
Attività n°: 1

La Rinunzia : lo stile
Francesco Algarotti, Saggio sopra la lingua francese, continuando il paragone fra
l’Académie française e l’Accademia della Crusca, si esprimeva così a proposito delle
resistenze che anche in Francia erano state opposte alla ‘linearizzazione’ sintattica,
incoraggiata e infine normativizzata dalla riforma seicentesca dell’Académie:
“Quanto all’Accademia di Francia, furono per avventura più fondati i romori che contro ad
essa si levarono. Ciò che regolò la lingua francese fu non tanto l’uso, a cui non si badò
gran fatto, né tampoco l’autorità degli classici scrittori, a cui ricorrere non poteano, quanto
il gusto di coloro che sedeano a quel tempo nel tribunale dell'Accademia. [...] Troppo avea
dello strano che uomini tali esser dovessero i legislatori del bel parlare. Fu posto tra le altre
a sindacato quel loro decreto intorno all’uniformità della costruzione, per cui il
nominativo deve sempre aprir la marcia del periodo tenendo il suo addiettivo
per mano; séguita il verbo col fido suo avverbio, e la marcia è sempre chiusa
dall'accusativo, che per cosa del mondo non cederebbe il suo posto. Dicevano che
il costringer la lingua a camminar sempre di un modo, come fanno le camerate de’
seminaristi i più picciolini innanzi e dietro i più grandicelli di mano in mano col prefetto in
coda, che il privarla di ogni trasposizione è un renderla fredda e stucchevole, è un privarla
del miglior mezzo di allontanare le espressioni le più semplici dal comune parlare, è un
tagliarle la via di sostenersi sicché non dia nel basso”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 51
Titolo: Alessandro Verri: lo stile
Attività n°: 1

La Rinunzia : lo stile
Alessandro Verri, coerente con la posizione di chiarezza e razionalità del suo ambiente e
della sua posizione intellettuale predilige l’ordine diretto. Nel dettaglio:
1) il soggetto è costantemente preposto al verbo, con le sole eccezioni di
“sarebbero stati depressi in maniera gl’ingegni, e le scienze” (4,8);
“né quant’altri beni mai ci procacciò l’industria, e le meditazioni degli uomini” (4,9);
in questo caso il verbo si accorda al solo primo soggetto posposto singolare e
non alla coppia dei due soggetti (il secondo dei quali plurale)
“che gli assegnano i Grammatici” (4,12);
“che bene spesso val più l’autorità” (7,9);
2) solo di rado il verbo è posposto ad un complemento indiretto:
“nelle opere più grandi si scandalizzano” (4, 5-6);
“dall’Inda, o dall’Americana lingua ci si fornisse qualche vocabolo” (5,3);
“A tali risoluzioni ci siamo noi indotti” (7,4); in questo caso inoltre il soggetto
pronominale si inserisce fra l’ausiliare e il participio passato;
3) In un caso il complemento oggetto è preposto al verbo:
“i soli suffragj de’ quali desideriamo” (7,17-18);
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 51
Titolo: Alessandro Verri: lo stile
Attività n°: 1

La Rinunzia : lo stile
4) al complemento oggetto, che nella sequenza analitica di marca francese dovrebbe
occupare la terza posizione, è premesso un complemento indiretto:
“di fare nelle forme solenne rinunzia” (0,3)
Infine la libertà sintattica della tradizione italiana si manifesta con inversioni che, oltre il
limite frasale, interessano il periodo:
5) la frase dipendente da un verbo modale può precedere il verbo reggente:
“che imporre si voglia” (0,2).
Ma anche questi episodi apparentemente indotti dalla ‘fantasia’ e lontani dalla ‘razionalità’
corrispondono ad un intento di chiarezza; come si vede di volta in volta:
a 4, 5-6 l’anticipazione di “nelle opere più grandi” permette di rendere più evidente la
contrapposizione logica con il vicino “que’ mediocri ingegni”;
a 0,3 l’anticipazione del complemento indiretto (“di fare nelle forme solenne rinunzia”) è
funzionale a mantenere legato a “solenne rinunzia” il complemento indiretto che ne
dipende.
Di marca stilistica è infine la tematizzazione (che occorre a 6,3-4) che ha evidente effetto
di mise en relief dell’oggetto dell’abiura:
“e tutte quelle regole che il capriccioso Pedantismo ha introdotte, e consagrate,
noi non le rispetteremo in modo alcuno”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 51/S1
Titolo: Alessandro Verri: lo stile
Attività n°: 1

La R inunzia : lo stile
Dal punto di vista della costruzione del periodo la Rinunzia aderisce ad un modulo logico
ricorrente che, tramite una secondaria (costruita implicitamente con il modo gerundio o
esplicitamente, con valore causale) o un periodo ipotetico, espone la premessa a cui
consegue quanto espresso nella principale. Si vedano:
“Cum sit [...] ed essendo [...], perciò sono venuti in parere” (0,1-3); “se Petrarca [...],
così noi pretendiamo” (1,1-2); “sino a che non sarà dimostrato [...], ella è un’ingiusta
schiavitù” (2, 1-2); “se italianizzando [...], non ci asterremo” (4, 1-2), etc.
Tale struttura è comune ai §§ 0, 1-4 (aperti ritmicamente da Perché) e 5-7 (introdotti
invece da un verbo finito alla I persona plurale). I paragrafi 0, 1-3, sintatticamente poco
complessi, costituiti da un unico periodo di carattere assertivo, corrispondono a quello
che, per il Settecento, viene chiamato, style coupé (‘tagliato’, di fatto un sinonimo di
“favella intercisa” con cui si volle definire il tacitismo o laconismo del Seicento). Lo style
coupé stabilisce un rapporto di analogia con il laconismo seicentesco; ma, a fronte della
brevitas espressivamente ricercata nel Seicento, che lascia impliciti gli snodi logici per
provocare la reazione di spaesamento e sorpresa del lettore, lo stile coupé si avvantaggia
dell’ordine analitico dei componenti della frase e del periodo per facilitare la
comunicazione e rendere trasparente il messaggio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 51/S1
Titolo: Alessandro Verri: lo stile
Attività n°: 1

La Rinunzia : lo stile
Nel lungo periodo entrambi gli stili contribuiranno alla definitiva perdita del prestigio
detenuto nei secoli dal periodare solenne e complesso, classicamente atteggiato sulla
ipotassi latina, esemplificabile con la prosa di Giovanni Boccaccio. Ora l’ideale è quello
che riproduce il periodare “netto, chiaro, preciso, interrotto, e sparso d’immagini e di sali”
che Francesco Algarotti (citato in Serianni, La prosa, p. 528) dichiarava di aver perseguito
per il dialogo Il newtonianismo per le dame (1737) e che intendeva riprodurre la
conversazione colta ma non specialistica. L’ideale della “precisione delle idee”
“richiede, in termini di concreti istituti linguistici, riduzione del carico subordinativo,
abbandono dell’artificio topologico (inversione, tmesi, ecc.), espansione del nome
rispetto al verbo: tutti aspetti variamente preesistenti all’ondata gallicizzante del Sei-
Settecento, ma che solo ora si manifestano con larghezza e sistematicità. Era
inevitabile che queste caratteristiche, non sempre motivatamente, venissero
considerate intrinseche del francese, di una lingua ‘che a paragone dell’italiana
sembrava così priva di spessore, così docile a tutti i venti della storia’ e quindi più
adatta a farsi veicolo di contenuti, di idee, di ‘cose’, nell’apparente indifferenza per le
‘parole’ (Serianni, La prosa, p. 528 che a sua volta cita da Andrea Dardi, Uso e
diffusione del francese, in Teorie e pratiche linguistiche nell’Italia del Settecento, a
cura di L. Formigari, Bologna, 1984).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 51/S1
Titolo: Alessandro Verri: lo stile
Attività n°: 1

La Rinunzia : lo stile
La posizione di Alessandro Verri (come dell’ambiente illuminista di cui è espressione),
riesce nei fatti a rompere i lacci che la tradizione aveva rappresentato, senza però
rinnegare la propria cultura per adottarne passivamente un’altra. Il francese lingua della
conversazione è per il Verri e per i suoi amici non una moda ma uno strumento (più
adatto della prosa boccacciana) alla circolazione delle idee; quanto questo sia vero lo si
può toccare con mano nella rifunzionalizzazione dello style coupé alla forma stessa della
Rinunzia, organizzata e frammentata in capitoletti che parafrasano la suddivisione in
articoli e commi di una legge. In effetti le “parole” corrispondono alle idee: perché la
storia continui basterà che le idee cambino e di conseguenza cambino le parole. Il che
avverrà tanto a livello biografico quanto a livello storiografico. Il trasferimento di lì a
qualche anno di Alessandro Verri da Milano alla Roma papalina, dalla città degli uffici e
dei commerci alla città delle rovine e delle testimonianze storiche, corrisponderà ad un
cambio di posizione ideologica ed estetica in senso archeologico se non addirittura
reazionario; e il cambio di posizionamento culturale porterà con sé il ritorno della prosa
verriana alla tradizione: ispirata ai miti della Grecia e della Roma antiche, la prosa dei
romanzi di Alessandro Verri recupererà nel lessico e nella sintassi la tradizione italiana
antica. E di lì a poco, il romanticismo italiano si intersecherà con il neoclassicismo perché
il sentimento e la passione si sostituiscano alla razionalità settecentesca.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 51/S2
Titolo: Alessandro Verri: lo stile
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui contenuti


studiati nelle lezioni precedenti dedicate all’analisi
linguistica della prosa della Rinunzia di Alessandro
Verri, lo studente è invitato a compilare il test
associato a questa sessione di studio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 51/S3
Titolo: Alessandro Verri: lo stile
Attività n°: 1

TEST: esercizio sulle banche dati


Lo studente verifichi
nel Corpus testuale dell’OVI (http://gattoweb.ovi.cnr.it/)
nella Lessicografia della Crusca in rete (http://www.lessicografia.it/)
nella banca dati Biblioteca Italiana (http://www.bibliotecaitaliana.it/)

la diffusione nei secoli di perm issione /perm issioni

I risultati della ricerca (dati quantitativi ed commenti) dovranno essere


inviati tramite eportfolio, avvertendo al contempo il docente sul sistema di
messaggistica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1

L’Ottocento: un panorama
Terminato, con l’analisi della Rinunzia di Alessandro Verri l’excursus sulla prosa italiana
dal Duecento al Settecento, a cominciare da questa lezione ci addentriamo
nell’Ottocento all’interno del quale collocheremo e analizzeremo da vicino la storia
linguistica di Giovanni Verga. Prima di tutto conviene, come del resto abbiamo fatto
secolo per secolo nel modulo precedente, tracciare una sintetica panoramica storico
politica del periodo in questione.
Come avviene in tanti altri casi, la periodizzazione per secoli risulta particolarmente
‘scomoda’ e poco efficace per ‘classificare,’ con una sola e sintetica etichetta, il XIX
secolo, tanto più sotto il profilo dell’evoluzione linguistica.
Il recente volume di Luca Serianni, Storia dell’italiano nell’Ottocento (Bologna, il Mulino,
2013) avverte, fin dall’Introduzione, di questa problematicità di periodizzazione,
segnalando l’utilità di parlare di un ‘lungo’ Ottocento (che non coincide con il limite
secolare) e che al suo interno vede una sostanziale bipartizione segnata dall’evento
dell’unificazione politica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1

L’Ottocento: un panorama

“L’Ottocento, nella sua dimensione di ‘secolo lungo’ (dall’età giacobina alla prima
guerra mondiale), coincide con la fase di più accentuato dinamismo della
storia linguistica italiana. Un dinamismo che è in parte condiviso dalle altre
lingue moderne e dipende dai grandi rivolgimenti sociali e tecnologici che
segnano il secolo: pensiamo solo alle conseguenze determinate dall’invenzione
del telegrafo e, più tardi, del telefono. Ma per l’Italia l’Ottocento è in primo
luogo il secolo dell’unificazione statale con le relative conseguenze
giuridiche (centralismo amministrativo e obsolescenza delle legislazioni
preunitarie; istituzione della leva obbligatoria), demografiche (spostamenti di
popolazione e incremento delle grandi aree urbane), economiche (sviluppo
industriale) e soprattutto culturali: scolarizzazione, riduzione
dell’analfabetismo, erosione del monolinguismo dialettale. Il 1861, l’anno
dell’Unità, rappresenta un naturale discrimine per la periodizzazione
del secolo in due parti di quasi corrispondente estensione” (Serianni,
Storia dell’italiano nell’Ottocento, p. 9).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1

L’Ottocento: un panorama

Da un lato dunque un ampliamento dei confini secolari: per il limite più basso a
buona ragione a contrassegnare la fine del ‘secolo’ Serianni indica l’evento storico
della Grande Guerra scoppiata nel 1914-1915, di così grande rilevanza anche
simbolica; per il limite cronologico superiore la Rivoluzione Francese nei suoi riflessi
italiani con il periodo giacobino in Italia (a partire dal 1796, ma con qualche
anticipazione già nel quadriennio precedente).
Dall’altro, entro questo ‘secolo lungo’, il riconoscimento di un primo Ottocento
marcato da elementi di continuità con il secolo precedente (cosmopolitismo che la
prima metà del XIX secolo eredita dal XVIII; influsso delle lingue straniere, in
particolare il francese e, in subordine l’inglese; frammentazione politica e
culturale) e un secondo Ottocento, inaugurato dalla svolta politica in senso
unitario, caratterizzato da quanto quella svolta politica impone (ripiegamento sui
fatti interni del nuovo stato; mobilità interna che sostituisce la precedente
mobilità verso l’estero; unificazione legislativa e dunque ricercata
omogeneizzazione delle differenti situazioni socio-economiche delle regioni italiane,
intenti di alfabetizzazione e scolarizzazione di massa, diffusione dell’italiano
come lingua parlata e non solo lingua scritta).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52/S1
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1

L’Ottocento: un panorama
Questa bipartizione dell’Ottocento in due spezzoni, condivisibile ed efficace in via
generale, è addirittura fondamentale nella storia della lingua italiana, tanto che ad
essa la disciplina si è adeguata fin da subito: il primo panorama complessivo
dell’evoluzione linguistica dell’italiano, cioè la Storia della lingua italiana di Bruno
Migliorini (1960) interrompeva la consueta scansione in capitoli secondo
l’andamento secolare proprio per l’Ottocento a cui dedicava due capitoli (l’XI e il
XII), intitolati rispettivamente Il primo Ottocento (1796-1861) e Mezzo secolo di
Unità nazionale (1861-1915).
In anni più recenti lo stesso Serianni ha pubblicato per la collana Storia della lingua
italiana della casa editrice il Mulino (diretta da Francesco Bruni) due distinti volumi
dedicati a Il primo Ottocento (1989) e rispettivamente Il secondo Ottocento
(1990), confermando dunque (con la concreta divisione della materia in due
volumi separati) quanto differente sia il quadro relativo a queste due tranches del
secolo XIX e le problematiche inerenti a ciascuna di esse.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52/S1
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1

L’Ottocento: un panorama
Per collocare in maniera opportuna l’intera esperienza linguistica e letteraria di Giovanni
Verga è indispensabile tracciare un quadro linguistico e linguistico-letterario del primo
Ottocento; sebbene la produzione letteraria dell’autore a cui ci dedicheremo in questo
secondo modulo del corso si svolga pressoché esclusivamente nel secondo Ottocento, il
giovane Verga nasce, si forma e si educa linguisticamente prima dell’unificazione italiana
e (come avremo modo di vedere nel concreto) da quel mondo primo-ottocentesco dovrà
e saprà sganciarsi (talora anche con difficoltà) proprio al momento di prendere atto dei
grandi cambiamenti sociali, ideali e culturali di cui è spettatore immediato.
Verga insomma, come tanti altri scrittori della sua stessa generazione, vive sulla propria
pelle la crisi di identità di un uomo nato cittadino di un piccolo stato regionale e morto
cittadino italiano, con tutte le sfaccettature che una crisi di questo tipo comporta:
politica (cittadino ora di uno stato nazionale), geografica (gli orizzonti e gli spazi aperti
alla propria mobilità sono cambiati), culturale (le abitudini e i comportamenti di un
piccolo spazio regionale devono misurarsi ora con quelli variamente condivisi o censurati
nello spazio nazionale), linguistica (la dinamica fra dialetto e lingua, prima esattamente
corrispondente ad una dinamica fra parlato e scritto, si fraziona ora in una serie di
opzioni diversificate: dialetto, lingua nazionale, italiano regionale) a seconda dei contesti
e degli usi.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52/S2
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1

L’Ottocento: un panorama
“Io nacqui veneziano ai 18 ottobre del 1775, giorno dell'evangelista san Luca; e morrò per
la grazia di Dio italiano quando lo vorrà quella Provvidenza che governa misteriosamente il
mondo.
Ecco la morale della mia vita. E siccome questa morale non fui io ma i tempi che l'hanno
fatta, così mi venne in mente che descrivere ingenuamente quest’azione dei tempi sopra la vita
d’un uomo potesse recare qualche utilità a coloro, che da altri tempi son destinati a sentire le
conseguenze meno imperfette di quei primi influssi attuati.
Sono vecchio oramai più che ottuagenario nell'anno che corre dell'era cristiana 1858; [...].
La mia indole, l’ingegno, la prima educazione e le operazioni e le sorti progressive furono, come
ogni altra cosa umana, miste di bene e di male: e se non fosse sfoggio indiscreto di modestia
potrei anco aggiungere che in punto a merito abbondò piuttosto il male che il bene. Ma in tutto
ciò nulla sarebbe di strano o degno da essere narrato, se la mia vita non correva a
cavalcione di questi due secoli che resteranno un tempo assai memorabile massime
nella storia italiana. [...] La circostanza, altri direbbe la sventura, di aver vissuto in
questi anni mi ha dunque indotto nel divisamento di scrivere quanto ho veduto sentito fatto e
provato dalla prima infanzia al cominciare della vecchiaia, quando gli acciacchi dell’età, la
condiscendenza ai più giovani, la temperanza delle opinioni senili e, diciamolo anche, l’esperienza
di molte e molte disgrazie in questi ultimi anni mi ridussero a quella dimora campestre dove
aveva assistito all’ultimo e ridicolo atto del gran dramma feudale. …
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52/S2
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1

L’Ottocento: un panorama
Né il mio semplice racconto rispetto alla storia ha diversa importanza di quella che
avrebbe una nota apposta da ignota mano contemporanea alle rivelazioni d’un
antichissimo codice.
L'attività privata d’un uomo che non fu né tanto avara da trincerarsi in se stessa contro le
miserie comuni, né tanto stoica da opporsi deliberatamente ad esse, né tanto sapiente o
superba da trascurarle disprezzandole, mi pare in alcun modo riflettere l’attività comune
e nazionale che la assorbe; come il cader d’una goccia rappresenta la direzione
della pioggia. Così l’esposizione de’ casi miei sarà quasi un esemplare di quelle
innumerevoli sorti individuali che dallo sfasciarsi dei vecchi ordinamenti politici al
raffazzonarsi dei presenti composero la gran sorte nazionale italiana. Mi sbaglierò
forse, ma meditando dietro essi potranno alcuni giovani sbaldanzirsi dalle pericolose lusinghe, e
taluni anche infervorarsi nell’opera lentamente ma durevolmente avviata, e molti poi fermare in
non mutabili credenze quelle vaghe aspirazioni che fanno loro tentar cento vie prima di trovare
quell'una che li conduca nella vera pratica del ministero civile. Così almeno parve a me in tutti i
nove anni nei quali a sbalzi e come suggerivano l’estro e la memoria venni scrivendo queste
note. Le quali incominciate con fede pertinace alla sera d'una grande sconfitta e condotte a
termine traverso una lunga espiazione in questi anni di rinata operosità, contribuirono alquanto
a persuadermi del maggior nerbo e delle più legittime speranze nei presenti, collo spettacolo
delle debolezze e delle malvagità passate”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52/S3
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1

L’Ottocento: un panorama
Nelle prossime lezioni abbozzeremo per grandi linee il panorama ottocentesco, a partire
dagli eventi storici che determinano lla situazione politica, ma soffermandoci poi nel
dettaglio su aspetti più strettamente funzionali al nostro discorso relativi a
1) la scuola (con i connessi problemi del sistema scolastico, della scolarizzazione e
dell’alfabetizzazione);
2) gli atteggiamenti e le polemiche linguistiche;
3) il panorama letterario
individuati come argomenti di snodo nel passaggio da primo a secondo Ottocento,
spesso intersecantisi gli uni con gli altri e comunque cruciali nel creare quel cittadino
della nuova Nazione di cui Massimo d’Azeglio lamentava l’assenza con la famosa frase:
“L’Italia è fatta, restano a fare gli italiani”.
Funzionale ad affrontare i singoli aspetti è il seguente sintetico prospetto che
permetterà di collocarli in una griglia cronologica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52/S3
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1

L’Ottocento: un panorama
Nel 1796 la Francia rivoluzionaria invade l’Italia: al di là della vicenda strettamente
militare, l’arrivo dei Francesi in Italia rappresenta una sorta di prima e preventiva
unificazione nazionale ottenuta (certo surrettiziamente) con l’assoggettamento
(diretto o indiretto) di tutta l’Italia peninsulare alla potenza francese: sono soggetti
direttamente alla Francia il Piemonte, la Toscana, e le città di Genova, Parma e
Roma; sono stati vassalli della Francia il Regno d’Italia (sugli stessi territori della
precedente Repubblica d’Italia [1802-1805] comprendente la Lombardia, l’Emilia
Romagna, il Veneto, le Marche) e il Regno di Napoli.
Alla caduta di Napoleone quella temporanea e surrettizia unità si scompagina
velocemente con la ‘restaurazione’ dell’ordine pre-rivoluzionario; ma l’esperienza e le
idee che l’avevano innervata costituiranno il retaggio ideologico che anima di lì a
poco i moti rivoluzionari del 1821, del 1831 e infine quelli siciliani e milanesi del
1848-49 che innescarono la cosiddetta prima guerra di indipendenza. Quest’ultima
decreta per il Piemonte e la casa di Savoia il ruolo di guida e di aggregazione
possibile per le istanze nazionali di indipendenza dall’Austria. La seconda guerra di
indipendenza (1859) consente l’unione di Piemonte e Lombardia, quest’ultima
sottratta all’Austria con l’aiuto della Francia.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 52/S3
Titolo: L'Ottocento: un panorama
Attività n°: 1

L’Ottocento: un panorama
Poco dopo l’annessione al Piemonte della Toscana e delle ex legazioni pontificie di
Bologna, Ferrara, Ravenna e Forlì (il plebiscito avvenne nel marzo 1860), parte
l’impresa dei Mille (maggio): mentre Garibaldi risale dalla Sicilia lungo lo Stivale si
susseguono i plebisciti del Regno di Napoli e della Sicilia (ottobre 1860), delle Marche
e dell’Umbria (novembre 1860).
Il Regno d’Italia viene proclamato il 17 marzo 1861.
Il primo decennio dell’Unità è caratterizzato da numerosi episodi di assestamento: prima
lo spostamento della capitale del nuovo Regno da Torino a Firenze (1865-1870), poi
dal tentativo, finalmente coronato da successo, di conquistare Venezia e il Veneto (terza
guerra d’indipendenza: giugno-agosto 1866); infine la conquista di Roma (20
settembre 1870) che determinò la fine dello Stato Pontificio e permise di fissare la
capitale a Roma, luogo simbolo di un’identità nazionale raggiunta prima nelle idee che
nei luoghi.
Fin da questo primo decennio si avvia il tentativo di rendere uniforme la legislazione
civile, penale e militare, sancito dall’estensione dello Statuto Albertino (Statuto
Fondamentale della Monarchia di Savoia, promulgato del 4 marzo 1848) a tutto il Regno
d’Italia.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 53
Titolo: L'Ottocento: la scuola
Attività n°: 1

L’Ottocento: la scuola
A parte l’attività di maestri che esercitavano pubblicamente, ma senza l’egida e il
patrocinio di un’istituzione (e che per lo più adottavano un sistema di insegnamento
individuale o per classi non omogenee per età e livello di apprendimento), nel Sei e
nel Settecento la scuola è in gran parte in mano alla Chiesa, sia per quanto riguarda
l’insegnamento inferiore sia per il livello superiore.
L’insegnamento di base, da cui dipende il livello di alfabetizzazione dei cittadini di
uno stato, era per lo più affidato alle scuole di dottrina cristiana che avevano
come intento primario quello di insegnare il catechismo, ma esse “potevano anche
trasformarsi, in specie nei piccoli centri, in scuole stabili destinate anche
all’insegnamento della lettura, naturalmente in volgare”; inoltre nei “monasteri e
negli orfanatrofi si trovavano [...] maestre in grado di insegnare a leggere e in
qualche caso a scrivere” (Nicola De Blasi, L’italiano nella scuola, in Storia della lingua
italiana, a cura di Luca Serianni e Pietro Trifone, vol. I: I luoghi della codificazione,
Torino, Einaudi, 1993, pp. 397-398).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 53
Titolo: L'Ottocento: la scuola
Attività n°: 1

L’Ottocento: la scuola
Alla fine del XVI secolo (1597) era iniziata, in maniera più strutturata, l’opera didattica
delle Scuole Pie (fondate da Giuseppe Calasanzio)
“che segnò una svolta decisiva nel campo dell’istruzione popolare. In primo luogo
l’insegnamento della dottrina è stabilmente congiunto a quello del leggere,
obiettivo della scuola e punto di partenza per ulteriori studi, organizzati nei due
distinti settori dell’abaco [aritmetica, matematica e computisteria] e della
grammatica” (De Blasi, L’italiano nella scuola, p. 398).
Di lì a poco le Scuole Pie furono affidate dal Calasanzio all’ordine religioso degli Scolopi
(“chierici regolari poveri della Madre di Dio delle Scuole pie”), da lui fondato a Roma
nel 1617, il cui obiettivo principale era appunto l’educazione e l’istruzione della
gioventù.
All’ordine degli Scolopi si aggiunsero nella metà del Settecento l’ordine religioso dei
Redentoristi, fondato da Alfonso de’ Liguori a Napoli (ad Alfonso de’ Liguori si deve
addirittura una grammatica del volgare, stesa nel 1746 in risposta alle esigenze
individuate nella sua personale esperienza didattica) e quello dei Lasalliani o Fratelli
delle scuole cristiane (fondato da Giovan Battista de la Salle), che miravano soprattutto
ad un insegnamento pratico relativo all’istruzione tecnica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 53
Titolo: L'Ottocento: la scuola
Attività n°: 1

L’Ottocento: la scuola
Alla Compagnia di Gesù (fondata nel 1535 da Ignazio di Loyola e soppressa nel 1773) era
invece affidata l’istruzione superiore per lo più rivolta ai nobili e alle classi agiate o alla
erudizione della Compagnia stessa, che aveva istituito su vari territori nazionali un sistema
capillare di collegi. L’istruzione impartita dai Gesuiti si impostava sull’insegnamento del
latino, che sempre più fra XVII e XVIII secolo viene scalzato dal volgare:
“La formazione dei futuri Gesuiti e dei nobili che frequentavano i loro collegi era
fondata sullo studio del latino, l’unica lingua ammessa nelle aule, ma il volgare, come
in passato, continuò ad infiltrarsi nella didattica; riceveva inoltre attenzioni crescenti
nelle classi superiori dei collegi, e nei quotidiani esercizi di umanità e di retorica che
comprendevano narrazioni e amplificazioni, in specie dalla fine del secolo XVII, poteva
affiancarsi al latino” (De Blasi, L’italiano nella scuola, p. 397).
Scacciata prima dal Portogallo (1759), e negli anni seguenti dalla Francia, dalla Spagna,
dal Regno delle due Sicilie etc., la Compagnia di Gesù fu soppressa dal papa Clemente XIV
nel 1773, a causa di intricate questioni di ortodossia religiosa e di sottomissione del
potere politico al papa. Il sistema scolastico gesuitico, organizzato a quella data in ben
669 collegi, fu smantellato: una capillarità di strutture che non fu più raggiunta, neppure
dopo che la Compagnia di Gesù (che oggi conta 250 tra collegi e istituti) fu riammessa nel
1814 dal papa Pio VII.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 53/S1
Titolo: L'Ottocento: la scuola
Attività n°: 1

L’Ottocento: la scuola
Erano però questi gli anni in cui il modello della Francia rivoluzionaria (che nel 1794
aveva stabilito il diritto all’istruzione elementare obbligatoria e gratuita) si andava
estendendo oltre i confini francesi, diffondendo la rivalutazione dell’insegnamento laico,
l’esigenza del controllo dello stato sul sistema scolastico a tutela dell’uguaglianza dei
cittadini e delle loro opportunità, la necessità della formazione dei maestri e infine
l’elaborazione di criteri didattici e pedagogici attenti all’individualità dell’alunno.
Uno dei primi stati italiani ad affrontare, con legislazione propria, la questione
dell’insegnamento pubblico e in genere dell’istruzione era stato proprio il Piemonte, nel
1729 e di nuovo nel 1733, “in vista della formazione di un ceto intellettuale adeguato ad
affrontare le questioni giurisdizionali del tempo” (De Blasi, L’italiano nella scuola, p.
400). Per questa precisa esigenza ad essere coinvolta in prima battuta fu la scuola
superiore nella quale, laddove veniva indicato, si patrocinava l’uso di un italiano su base
letteraria secondo la vincente tradizione filo-toscana e arcaizzante. La riforma scolastica
piemontese e la parallela redazione di strumenti didattici, quali grammatiche e antologie
di modelli di bella prosa, fecero sì che l’italiano scritto alla fine del Settecento dai
Piemontesi fosse un italiano di marca letteraria, come inevitabile dati i presupposti, ma
sostanzialmente accettabile e per lo più scevro da interferenze con il dialetto.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 53/S1
Titolo: L'Ottocento: la scuola
Attività n°: 1

L’Ottocento: la scuola
In Lombardia, ad affrontare la questione scolastica era stata Maria Teresa d’Austria che
estese all’Italia il Methodenbuch für Lehrer der deutschen Schulen redatto da Johann
Ignaz von Felbiger (nel 1774 nominato commissario dell’istruzione dei territori di lingua
tedesca dell’impero).
“La riforma istituiva diversi ordini di scuole: la popolare, per l’istruzione di base; le
scuole principali, per l’avviamento professionale, che tra l’altro avviavano anche
all’attività di maestro; il ginnasio, che riprendeva l’impostazione delle tradizionali
scuole di umanità e di retorica ed avviava quindi agli studi universitari” (De Blasi,
L’italiano nella scuola, p. 402).
Il metodo, risultato efficace, si estese al Veneto, alla Sicilia e al Regno di Napoli, dove
a partire dagli anni Settanta del XVIII secolo l’aumento del numero delle scuole e la
loro diffusione capillare fu consistente.
“Le riforme non diedero dappertutto gli effetti sperati: si evidenziò ad esempio
una certa disparità tra Nord e Sud per quel che riguardava le condizioni
dell’istruzione. In ogni caso la nuova direzione della scuola delle riforme era
segnata; tra le novità più importanti era il nuovo ruolo dell’italiano riconosciuto
come ‘lingua-base’ dell’istruzione” (De Blasi, L’italiano nella scuola, p. 403).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 53/S1
Titolo: L'Ottocento: la scuola
Attività n°: 1

L’Ottocento: la scuola
Se l’italiano, a questa altezza, l’ha ormai avuta vinta sul latino, esso deve confrontarsi
con il dialetto, non solo negli affari quotidiani, ma anche all’interno della scuola dove,
non sempre e non dovunque allo stesso modo, il maestro stesso è in grado di gestire in
piena consapevolezza i due strumenti linguistici, e ancora meno di insegnarne l’uso.
Riguardo al
“nesso tra dialetto e didattica si sono di volta in volta prospettate due tendenze
opposte, spesso compresenti e contemporanee nella scuola italiana: l’una fondata
sull’opinione che l’acquisizione della lingua comporti l’inevitabile sacrificio
del dialetto; l’altra che tratta quest’ultimo come un punto di partenza utile, in
quanto patrimonio culturale già posseduto dagli scolari, dal quale
muovere, in un processo dal noto all’ignoto, verso la conquista
dell’italiano” (De Blasi, L’italiano nella scuola, p. 404).
La questione della dialettofonia era tanto più presente ai legislatori e agli insegnanti in
quanto il numero degli italofoni (che tali fossero per provenienza geografica come i
Toscani, oppure per cultura) era particolarmente ridotto. In una ricerca svolta negli anni
Settanta da Tullio De Mauro, tale numero è stato calcolato in circa 630.000 Italiani;
anche se tale conto è stato corretto negli anni Ottanta da Arrigo Castellani e innalzato a
2.200.000, si trattava comunque del 9,52% degli Italiani con età maggiore di tre anni.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 53/S2
Titolo: L'Ottocento: la scuola
Attività n°: 1

L’Ottocento: la scuola
Italiani diversi insomma, da città a città, da regione a regione, diversi per la diversa
formazione degli insegnanti, ma, connotata in senso letterario, tanto più ‘estranea’ dalla
realtà viva e concreta del parlato dialettale.
Forte dell’esperienza pregressa all’interno del Regno di Sardegna, il nuovo Regno d’Italia
era pronto a impostare una scuola unitaria valida nei programmi e negli obiettivi; scuola
tanto più necessaria perché le percentuali di scolarità (privata o pubblica) negli anni
preunitari oscillava da regione a regione da un minimo del 12% nel Regno delle Due
Sicilie ad un massimo del 42% nel Regno di Sardegna.
Il 13 novembre 1859 il Regno di Sardegna aveva emanato un decreto (entrato in vigore
poi nel 1860) con il quale il sistema scolastico veniva riorganizzato negli ordini e gradi (la
scuola elementare era organizzata in due bienni di cui solo il primo era obbligatorio; la
scuola media separata in due indirizzi, classico e tecnico-professionale) e nelle materie
d’insegnamento.
“I punti di forza della legge Casati stavano in alcuni principi applicati all’istruzione
primaria: l’obbligo, la gratuità, la parità dei sessi” (Serianni, Storia dell’italiano
nell’Ottocento, p. 29).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 53/S2
Titolo: L'Ottocento: la scuola
Attività n°: 1

L’Ottocento: la scuola
Dopo la proclamazione del Regno d’Italia tale decreto (noto appunto come legge
Casati) venne esteso a tutta la compagine nazionale, ma nonostante gli ottimi principi,
l’obbligatorietà alla frequenza scolastica per i primi due anni elementari fu spesso elusa
(le percentuali parlano del 43% di studenti frequentanti, rispettivamente 47% per i
maschi, 39% per le femmine nell’anno scolastico 1863-64) a causa della pratica del
lavoro minorile nel settore agricolo. Occasione mancata tanto più grave poiché i livelli di
analfabetismo nel 1861 erano spaventosi: il 75% degli uomini era analfabeta,
l’analfabetismo femminile raggiungeva l’84%, ma i dati erano ancora più impressionanti
al Sud dove si raggiungeva anche il 95%.
Si dovette attendere un governo della Sinistra perché, nel 1877, la legge Casati venisse
sostituita dalla cosiddetta Legge Coppino. Con essa l’obbligo di frequenza scolastica
veniva esteso alle tre prime classi della scuola elementare unificata che ora era
quinquennale: stavolta il deterrente di sanzioni esplicitamente indicate contro i genitori
inadempienti costituì un motivo importante per il rispetto dell’obbligo.
I frutti si cominciarono a vedere con il secolo successivo all’inizio del quale già risultavano
notevolmente diminuiti (comunque ancora altissimi in assoluto) i dati relativi
all’analfabetismo (il censimento del 1911 segnala il 40% di analfabeti sull’intero territorio
italiano; ma anche stavolta i dati sono molto diversificati da regione a regione).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 53/S2
Titolo: L'Ottocento: la scuola
Attività n°: 1

L’Ottocento: la scuola

Da numerose relazioni di ispettori scolastici posti a verificare l’applicazione dei


programmi scolastici siamo ben informati sulle differenti realtà che si verificavano sul
territorio nazionale: dalla necessità per i maestri di parlare dialetto (pena la totale
incomprensione da parte degli alunni), alle difficoltà di apprendimento dell’ortografia,
al pregiudizio che “la lingua usata in Toscana sia naturalmente pura, anzi che ancora
più pura sia quella delle campagne” (tanto da sconsigliare di mandare sulle montagne
pistoiesi maestrine di città, che non avrebbero potuto far altro che insegnare “tra quei
popoli gli errori (sia pur pochi) che si ascoltano nella pronunzia degli abitanti delle
città”).
Il nodo problematico continuava comunque a rimanere quello della gestione del
rapporto lingua/dialetto, che il grande glottologo Graziadio Isaia Ascoli (1829-1907)
proponeva di affrontare sulla base di un confronto continuo e vivo fra il dialetto e la
lingua; proposta che indicava una strada maestra, ma che era destinata a non essere
seguita per la difficoltà concreta di attuazione, che richiedeva “un’attenzione singolare
e nel libro e nel maestro che l’adopera”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 53/S3
Titolo: L'Ottocento: la scuola
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui contenuti


studiati nelle lezioni precedenti dedicate al panorama
ottocentesco, lo studente è invitato a compilare il
test associato a questa sessione di studio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 53/S3
Titolo: L'Ottocento: la scuola
Attività n°: 3

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.

34) Illustrate la situazione dell’insegnamento scolastico che il nuovo stato unitario si


trovò a riformare, la natura e i contenuti del sistema scolastico unitario, i problemi
linguistici affrontati.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 54
Titolo: L'OTTOCENTO: ATTEGGIAMENTI E POLEMICHE LINGUISTICHE
Attività n°: 1

L’Ottocento: atteggiamenti e
polemiche linguistiche
“Il primo Ottocento segna per molti aspetti una vistosa frattura con l’ideologia
settecentesca. All’illuminismo cosmopolitico succede, con la riscoperta delle radici
nazionali promossa dal romanticismo, la valorizzazione del patrimonio linguistico
tradizionale; alla sensibilità per la lingua cólta, letteraria, intellettuale si affianca
l’interesse per l’uso popolare, primitivo, ingenuo, sia esso depositato nelle
scritture trecentesche (secondo l’ideale dei puristi) o venga sorpreso sulle labbra
dei toscani contemporanei”.

Così si esprime Luca Serianni, in Storia dell’italiano nell’Ottocento (p. 95), ma lo


stesso studioso, dopo aver indicato le divergenze di natura generale e ideologica,
rammenta anche quegli elementi di continuità che, per il tramite di singoli personaggi,
correlano il XVIII al XIX secolo secondo quanto già segnalato in precedenza.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 54
Titolo: L'OTTOCENTO: ATTEGGIAMENTI E POLEMICHE LINGUISTICHE
Attività n°: 1

L’Ottocento: atteggiamenti e polemiche linguistiche


Uno degli indirizzi linguistici che caratterizzeranno il XIX secolo (il neotoscanesimo) è per
esempio anticipato dalla figura di Onofrio Branda “che nel 1759 pubblicò un dialogo
(Della lingua toscana) destinato a suscitare vaste polemiche nell’ambiente milanese,
ferito nel proprio legittimo orgoglio municipale” per la sua “ammirazione entusiastica per
il fiorentino parlato dell’epoca”; così come la valorizzazione ‘romantica’ del patrimonio
linguistico nazionale è anticipata dal “più grande linguista italiano del XVIII secolo, il
padovano Melchiorre Cesarotti” (1730-1808) che alla fine della seconda edizione del suo
Saggio sulla filosofia delle lingue (1800) auspicava l’istituzione di un’autorità centrale che
guidasse e coordinasse la ricerca e la regestazione di termini tecnici, scientifici, relativi ai
lavori sulla base della lingua parlata nelle diverse regioni.
Seguendo la falsariga del recente volume di Luca Serianni già citato, tracceremo le
correnti e gli atteggiamenti linguistici caratteristici dell’Ottocento, in particolare
soffermandoci su
1) purismo;
2) classicismo;
3) neotoscanesimo,
per poter collocare in un concreto panorama storico la più rilevante questione linguistica
del secolo, quella che oppose Alessandro Manzoni a Graziadio Isaia Ascoli.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 54/S1
Titolo: L'Ottocento: atteggiamenti e polemiche linguistiche
Attività n°: 1

L’Ottocento: il purismo

Sotto quest’unica etichetta, che assume l’idea di una lingua “pura” alle origini della
sua evoluzione e che si ispira perciò ad una visione arcaizzante, in realtà si
classificano posizioni, non sempre in tutto convergenti, di singole personalità, la
più nota delle quali è quella del veronese Antonio Cesari (1760-1828).

Oltre che in varie opere dedicate al problema della lingua da adottare nelle
scritture e da insegnare ai giovani (Dissertazione sopra lo stato presente della
lingua italiana del 1809; Le Grazie del 1813; Antidoto pe’ giovani studiosi contro le
novità in opera di lingua italiana, uscito postumo nel 1829), la posizione dell’abate
Cesari può ben essere illustrata nei suoi caratteri oltranzisti dalla vicenda che lo
indusse a pubblicare, fra il 1806 e il 1811, la cosiddetta Crusca veronese.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 54/S1
Titolo: L'Ottocento: atteggiamenti e polemiche linguistiche
Attività n°: 1

L’Ottocento: il purismo
“Durante i secoli XVII-XVIII l’Accademia della Crusca, con la terza [1691] e la
quarta [1729-1738] edizione del Vocabolario, si era dimostrata non insensibile a
caute esigenze di innovazione e di superamento dei criteri rigidamente trecentisti-
cinquecentisti [...]; il ‘fiorentinismo’ stesso non era più considerato soltanto quello
dei trecentisti grandi e minori, ma anche quello dell’uso contemporaneo, con un
timido precorrimento di idee manzoniane. Contro queste aperture, che pur erano
ancora molto limitate, insorse il Cesari. Valendosi anche di materiali raccolti dal
defunto [Clementino] Vannetti e da altri, egli pubblicò il Vocabolario dell'Accademia
della Crusca ... cresciuto d’assai migliaia di voci e modi de’ Classici..., dedicato a S.
A. Imperiale il principe Eugenio vice-re d’Italia (Verona 1806-11).
L’‘accrescimento’ consisteva in voci trecentesche: si trattava, come diceva il
manifesto divulgato in precedenza nel 1805 (Opuscoli linguistici..., p. 59), di
‘arricchir la lingua’ restituendole ‘la natural dote, e le native ricchezze, che il tempo,
o la negligenza degli uomini le aveva fatto perdere’. E nella prefazione al
Vocabolario (p. 96) il C[esari] polemizzava contro la ‘Firenze d’oggidì’, tralignata
linguisticamente da quella d’un tempo, e rivendicava a se stesso, ‘lombardo’, il
diritto di fare ciò che i Fiorentini più non sapevano o non volevano, così come quasi
tutti i più grandi scrittori latini non erano nati a Roma (p. 99)”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 54/S1
Titolo: L'Ottocento: atteggiamenti e polemiche linguistiche
Attività n°: 1

L’Ottocento: il purismo
Come si desume facilmente dalle parole citate (di Sebastiano Timpanaro, voce Cesari
Antonio, in Dizionario biografico degli italiani, XXIV, 1980), Antonio Cesari è favorevole
all’adozione e all’insegnamento della lingua del Trecento, dal quale devono essere
estromesse sia le novità del fiorentino dei secoli successivi, sia i forestierismi,
in nome di una tutela intransigente della purezza linguistica del secolo aureo. A
sostenere tale posizione è la fiducia ingenua e disarmante nella bellezza del fiorentino
trecentesco, bellezza percepita impressionisticamente e creduta condivisibile senza
alcuna dimostrazione:
“Ma che è questa bellezza di lingua? Ella è cosa che ben può esser sentita, non
diffinita, se non così largamente, che nella fine questa bellezza non torna ad altro,
che a un Non so che” (dalle Grazie, citato in Serianni, Storia dell’italiano
nell’Ottocento, p. 98).

Poiché la preminenza del toscano dipende per il Cesari da una bellezza di natura, per
lui l’esempio degli scrittori fiorentini del Trecento, Dante, Petrarca e Boccaccio, non ha
maggiore autorevolezza della lingua dei mercanti poiché “Tutti in quel benedetto
tempo del 1300 parlavano e scrivevano bene” (ivi).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 54/S2
Titolo: L'Ottocento: atteggiamenti e polemiche linguistiche
Attività n°: 1

L’Ottocento: il classicismo
“Nato una ventina d’anni dopo il Cesari, il napoletano Basilio Puoti (1782-1847)
fu il più significativo esponente del purismo meridionale. Più che per gli scritti
linguistici, il Puoti va forse ricordato per la scuola privata (lo ‘studio’, com’egli
amava dire) da lui creata a Napoli e che ebbe, tra i più illustri frequentatori,
Francesco De Sanctis” (Serianni, Storia dell’italiano nell’Ottocento).

Anch’egli era contrario ai forestierismi e ai neologismi, fautore di un insegnamento


linguistico improntato alla più rigida normatività, fiducioso anch’egli nella innata
bellezza del fiorentino; però, a differenza del Cesari, che non stabiliva alcun criterio di
selezione all’interno del repertorio trecentesco, il purismo del Puoti proponeva agli
studenti di imitare la naturalezza degli antichi, ma anche di evitarne i
registri bassi e comici, convinto che la lingua e lo stile si potessero imparare
e raffinare al paragone con quelli dei grandi scrittori del Cinquecento
considerato “il più glorioso e splendido secolo dell’Italiana letteratura”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 54/S2
Titolo: L'Ottocento: atteggiamenti e polemiche linguistiche
Attività n°: 1

L’Ottocento: il classicismo
Nel purismo di Basilio Puoti si intravede dunque la contemporanea presenza dell’elemento
che più caratterizza il classicismo linguistico dell’Ottocento: la fiducia, piuttosto che nelle
caratteristiche intrinseche della lingua, nell’affinamento stilistico e nella possibilità di
arricchirla e perfezionarla attraverso l’esercizio letterario;

“classicisti e puristi procedono entrambi da un indirizzo tipicamente retorico di origine


classica, incardinato sui principi dell’incorrupte loqui (‘parlare correttamente’),
dell’imitatio di modelli considerati eccellenti e della consuetudo (‘uso dei dotti’). I
classicisti [però] insistono sul carattere letterario, sulla qualità d’arte delle scritture
prese a modello e ammettono un margine di rinnovamento del sistema linguistico
attraverso l’arricchimento promosso soprattutto dall’analogia” (Serianni, Storia
dell’italiano nell’Ottocento, p. 101)

aspetto, quest’ultimo, rinnegato invece dai puristi stricto sensu, come il Cesari (ma non,
come abbiamo visto da Basilio Puoti).
Massimo esponente del classicismo linguistico primo-ottocentesco è Vincenzo Monti
(1754-1828) che a questioni di lingua si dedicò solo in età avanzata e in stretta
collaborazione con il genero Giulio Perticari (1779-1822).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 54/S2
Titolo: L'Ottocento: atteggiamenti e polemiche linguistiche
Attività n°: 1

L’Ottocento: il classicismo
Al loro sodalizio è legata la scrittura della Proposta di alcune giunte e correzioni al
Vocabolario della Crusca (Milano, 1817-1826), in cui alla posizione puristica di stretta
osservanza, rappresentata dal Vocabolario della Crusca (il cui contenuto viene tanto
sottoposto a rigorosa revisione filologica quanto a feroce sarcasmo) è contrapposta una
posizione letterariamente atteggiata, che rifiuta gli arcaismi registrati nel Vocabolario
o perché anacronistici per l’utilizzo letterario contemporaneo, o perché non di
rado provenienti da scritture popolareggianti e dunque da rifiutare
stilisticamente.
Tale posizione, che accoglie per intero lo sviluppo della letteratura successiva al
Trecento, consente a Monti di valorizzare anche l’apporto non fiorentino e non
toscano alla lingua italiana, la cui matrice fiorentina è messa in discussione dal
Perticari su basi filologiche e di teoria linguistica.
Su analoghe posizioni antipuriste (sia nel senso di una scelta meditata del modello
trecentesco e comunque sempre misurata dal punto di vista stilistico, sia nel senso della
valorizzazione della letteratura dei secoli successivi al XIV secolo) è anche Pietro
Giordani (1774-1848), amico ed estimatore di Giacomo Leopardi a cui lo lega l’idea che
la lingua trecentesca vada poi innervata su uno stile che imiti la classicità greca.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 54/S3
Titolo: L'Ottocento: atteggiamenti e polemiche linguistiche
Attività n°: 1

L’Ottocento: il neotoscanismo

Accanto ad altre differenze valutabili di volta in volta nei confronti del purismo, a
caratterizzare unitariamente la posizione del classicismo ottocentesco è dunque il
richiamo alla lingua come espressione di una cultura alta e selezionata, utilizzabile in
primo luogo in sede letteraria e che dunque rigetta sulla base di considerazioni di
stile il parlato, il comico, il demotico, il plebeo. Oltre che a livello retorico, il latino
funziona, in questa prospettiva, come modello linguistico, il cui repertorio è risorsa
continuamente disponibile (su base lessicale, fonetica o sintattica) per elevare
l’italiano letterario.
Ma il classicismo ottocentesco, proprio sulla base di questi elementi caratterizzanti si
pone in maniera antagonistica anche con un’altra posizione che in realtà ebbe la sua
massima fortuna nel secondo Ottocento, quella del neotoscanismo, rappresentata
emblematicamente dalla figura di Niccolò Tommaseo (1802-1874), a cui si affianca
anche Giovan Battista Niccolini (1782-1861).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 54/S3
Titolo: L'Ottocento: atteggiamenti e polemiche linguistiche
Attività n°: 1

L’Ottocento: il neotoscanismo
Originario di Sebenico, in Dalmazia (terra contesa fra la fine del Settecento e gli inizi
dell’Ottocento fra Venezia, la Francia e la dominazione asburgica), contraddistinto da un
fiero sentimento italiano che non gli impedì di scrivere anche in croato e di dedicare gran
parte delle sue energie alla raccolta dei Canti popolari toscani corsi e illirici e greci (1841-
1842), viaggiatore per piacere e per necessità, Niccolò Tommaseo è una figura complessa
e poliedrica in primo luogo come scrittore e letterato (fu poeta e romanziere, saggista e
commentatore della Commedia dantesca).
Sono tutt’oggi capisaldi della lessicografia italiana ottocentesca il suo Dizionario dei
sinonim i (1831) e il Dizionario della lingua italiana (pubblicato a dispense fra il
1861 e il 1879) in collaborazione con Bernardo Bellini (e perciò spesso designato con il
nome di Tommaseo-Bellini) e che ora è disponibile e liberamente interrogabile presso il
sito dell’Accademia della Crusca, all’indirizzo:
http://www.accademiadellacrusca.it/it/scaffali-digitali/tommaseo-online.

Nella prefazione al Dizionario dei sinonimi e nella Nuova proposta di correzioni e giunte al
Dizionario italiano (in palese polemica con la Proposta montiana) del 1841 è espressa la
posizione linguistica del Tommaseo.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 54/S3
Titolo: L'Ottocento: atteggiamenti e polemiche linguistiche
Attività n°: 1

L’Ottocento: il neotoscanismo
“La norma linguistica, secondo lo scrittore dalmata, risiede nell’uso toscano vivo. In
questa certezza il Tommaseo arriva a menzionare, tra i consulenti benemeriti del Di-
zionario dei sinonimi ‘una donna povera e ignota’ (per la storia: Geppina Catelli), da
cui ha attinto ‘dolcezza di nobili sentimenti e d’elegante linguaggio’ [Tommaseo, Nuo-
vo dizionario dei sinonimi]; e ad auspicare, per l’educazione linguistica degl’italiani, il
diretto contatto con toscani nativi, non necessariamente cólti: ‘O forse la spesa
d’un aio, d’un precettore, d’un servo toscano è più grave della spesa d’un maestro di
cembalo, di un servo inglese?’ [Tommaseo, Nuova proposta]. Sono entrambi tratti
che ritroveremo nell’atteggiamento linguistico del Manzoni. Tuttavia il toscanismo
del Tommaseo, a differenza della coerente costruzione manzoniana, è tut-
t’altro che compatto. Intanto è forte e dichiarato il legame con la tradizione lette-
raria portatrice di valori civili e culturali a cui si riconoscono ‘un peso e una incidenza
decisivi, e perciò non ricusabili, nell’esercizio della lingua’ [Vitale, La questione della
lingua]. Inoltre l’accoglimento del modello toscano è pur sempre subordinato a moti-
vazioni di gusto personale. Il Tommaseo, ad esempio, sa che il toscano coevo aveva
monottongato in o il dittongo uo dopo un suono palatale (in casi come figliola, fami-
gliola; ma preferisce i tipi tradizionali giacché le forme senza dittongo ‘ad occhio non
toscano riescono il più delle volte spiacevoli’ [Tommaseo, Nuova proposta]” (Serianni,
Storia dell’italiano nell’Ottocento, p. 106).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 55
Titolo: L'Ottocento: Manzoni e Ascoli
Attività n°: 1

L’Ottocento: Manzoni e Ascoli


Come già anticipato nella citazione dal volume di Serianni con cui abbiamo chiuso la
lezione precedente, la posizione neotoscanista di Niccolò Tommaseo presenta
notevoli analogie con quella propugnata da Alessandro Manzoni alla fine della lunga
ed estenuante elaborazione dei Promessi Sposi.
Fin dalla prima stesura (la cosiddetta Prima minuta) del romanzo, stesa fra il 1821 e
il 1823 (sebbene con un’interruzione dal maggio al novembre 1821 durante la quale
fu portato a termine l’Adelchi e il Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica
in Italia), Manzoni aveva preso atto del problema linguistico posto dal nuovo genere
del romanzo storico, importato dall’Inghilterra e destinato ad un pubblico ampio e
‘nazionale’.
Il problema principale individuato da Manzoni nella lingua utilizzata per il Fermo e
Lucia è quello dell’ibridismo (“un composto indigesto di frasi un po’ lombarde, un po’
toscane, un po’ francesi, un po’ anche latine”, come scriverà nella seconda
introduzione al romanzo).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 55
Titolo: L'Ottocento: Manzoni e Ascoli
Attività n°: 1

L’Ottocento: Manzoni e Ascoli


Appena terminata la prima stesura Manzoni si pone con passione alla revisione del
romanzo, convinto di saper presto condurla in porto, sebbene conscio del problema
linguistico già messo a fuoco; problema che in un primo tempo Manzoni risolverà (e
questo comporterà ritardi imprevisti nella conclusione del romanzo e della sua prima
stampa) aderendo alla soluzione che la storia letteraria dell’italiano dei secoli trascorsi gli
offriva più o meno bell’e pronta. Una soluzione appunto di stampo letterario e
libresco, di necessità filo-toscana e arcaizzante, che lo vede per mesi e mesi
piegato a leggere e postillare la Crusca veronese di Antonio Cesari e il Vocabolario
milanese-italiano di Francesco Cherubini. Laddove Manzoni vuole sfuggire al francesismo
o al lombardismo che gli verrebbero immediatamente nella bocca e sulla penna, egli
cerca, e spesso trova, soluzioni autorizzate dalla lessicografia settecentesca di
ascendenza cruscante o purista o dagli autori cinquecenteschi per lo più comici o
popolari.
Durante questo periodo di revisione, fin dal 1825, mentre ancora sta attendendo a
completare la revisione di alcuni capitoli in vista della prima edizione (la cosiddetta
Ventisettana, che era cominciata ad uscire fin dal 1825) e già ha cominciato a
correggerne le bozze, Manzoni progetta un viaggio a Firenze che proprio gli impegni della
stampa, che chiedono la sua presenza a Milano e dintorni, lo obbligheranno a rinviare.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 55
Titolo: L'Ottocento: Manzoni e Ascoli
Attività n°: 1

L’Ottocento: Manzoni e Ascoli


Ben noto è l’impatto che il contatto con il fiorentino parlato produsse nella posizione
linguistica di Manzoni: il suo modello, da toscano letterario e libresco che era, perché
conosciuto sui classici e sulle pagine della Crusca veronese, divenne il fiorentino
colloquiale e medio, vivo ma non plebeo, ascoltato e apprezzato sulla bocca
stessa degli amici e dei conoscenti incontrati durante il soggiorno fiorentino (Giovan
Battista Niccolini, Gaetano Cioni o la più modesta Emilia Luti) e che continuarono anche
a distanza, dopo il rientro a Milano, a fornire consigli e a sciogliere dubbi sugli usi e le
abitudini del fiorentino parlato dalle classi colte del suo tempo.
Ne sarebbe uscita (dopo altri interminabili anni di puntigliosa revisione linguistica e
stilistica) la seconda e definitiva edizione dei Promessi Sposi (la cosiddetta
Quarantana), che, a differenza della prima edizione (andata a ruba in pochi mesi e
ristampata a Livorno e Parigi nello stesso 1827), fu contrastata e censurata proprio a
causa della scelta linguistica ‘radicale’ adottata, espressione coraggiosa di una
‘democrazia’ linguistica che va oltre le posizioni politiche.
Come sempre per Manzoni (così era avvenuto per l’Adelchi e il Discorso sopra alcuni
punti della storia longobardica in Italia; così era avvenuto per i Promessi Sposi e la
Storia della colonna infame) alla scelta letteraria e stilistica si affiancò la riflessione
storica e teorica, stavolta in fatto di lingua.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 55/S1
Titolo: L'Ottocento: Manzoni e Ascoli
Attività n°: 1

L’Ottocento: Manzoni e Ascoli


Pubblicata nel 1840-42 l’edizione definitiva dei Promessi Sposi, il pensiero linguistico di
Manzoni (fino ad allora consegnato all’oralità o alla corrispondenza privata) esce allo
scoperto.
Nel 1846 il naturalista piemontese Giacinto Carena aveva riunito, nel primo volume del
suo Vocabolario domestico il lessico, tralasciato dalla Crusca, di uso quotidiano e legato
ai lavori, che egli aveva raccolto in Toscana e in particolare a Firenze. L’anno successivo
il Manzoni saluta l’uscita del Vocabolario domestico con la Lettera a Giacinto Carena in
cui espone seppure in forma concisa alcuni dei capisaldi del suo credo linguistico:
1) il fiorentino è la lingua italiana (“la lingua italiana è in Firenze, come la lingua
latina era in Roma, come la francese è in Parigi; non perché quella fosse, né questa sia
ristretta a una sola città [...] ma perché, conosciute bensì, e adoperate in parte, e
anche in gran parte, in una vasta estensione di paese [...] per trovar l’una tutt’intera, e
per trovarla sola, bisognava andare a Roma, come per trovare l’altra, a Parigi”); da ciò il
rimprovero al Carena di non aver esclusivamente raccolto il suo Vocabolario a Firenze,
ma anche in altre città toscane;
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 55/S1
Titolo: L'Ottocento: Manzoni e Ascoli
Attività n°: 1

L’Ottocento: Manzoni e Ascoli


2) la sinonimia, la pluralità di termini per indicare una medesima cosa, è
piuttosto una disgrazia che una ricchezza della lingua. È evidente che il
lombardo Manzoni privilegia il punto di vista di chi si pone ad imparare il fiorentino
come una lingua straniera quando scrive: “cosa ci giova, in questo caso, d’avere
un’abile e esperta guida, se ci conduce a un crocicchio, e ci dice: prendete per dove vi
piace?”; donde il rimprovero al Carena di aver offerto un “mezzo di sostituire l’unità
alla deplorabile nostra molteplicità se sostituisce una molteplicità a un’altra?”.
Più ampiamente questi medesimi capisaldi sarebbero stati espressi molto più avanti nel
tempo, nel 1868, quando ormai Manzoni è un nume tutelare della letteratura e della
cultura italiana, e annovera numerosi seguaci anche in fatto di lingua. Ammiratore di
Manzoni era anche Emilio Broglio, dal 1867 ministro della Pubblica Istruzione, che nel
1868 nominò una commissione (oltre a Manzoni Presidente, composta da Ruggiero
Bonghi, Giulio Càrcano, Raffaello Lambruschini, Giuseppe Bertoldi, Achille Mauri e Gino
Capponi) con l’incarico “di ricercare e proporre tutti i provvedimenti e i modi, coi quali
si possa aiutare a rendere più universale in tutti gli ordini del popolo la notizia della
buona lingua e della buona pronunzia”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 55/S1
Titolo: L'Ottocento: Manzoni e Ascoli
Attività n°: 1

L’Ottocento: Manzoni e Ascoli


In pochi mesi Manzoni completò la sua Relazione, intitolata Dell’unità della lingua e dei
mezzi per diffonderla, in cui ribadiva i due capisaldi già esposti nella Lettera a Giacinto
Carena.
Invece erano nuove le idee maturate per patrocinare la diffusione della lingua:
“in primo luogo la compilazione di un vocabolario rigorosamente esemplato sull’uso
vivo fiorentino; poi altri provvedimenti – in verità assai discutibili e addirittura
sospettabili d’incostituzionalità – quali: preferenza accordata ad insegnanti toscani ‘o
anche educati in Toscana’ [...]; sussidi statali ai comuni che ‘si provvedessero di
maestri nati od educati in Toscana’; conferenze di maestri toscani nelle scuole delle
varie province; borse di studio ad allievi di scuole magistrali che consentissero ‘di
passare un’annata scolastica in Firenze, per farci la pratica in una delle migliori scuole
primarie’ ecc.” (Serianni, Storia dell’italiano nell’Ottocento, p. 114).
La Relazione manzoniana entrò in radicale contrasto con la relazione stesa dalla
sottocommissione fiorentina (che mescidava tesi neotoscaniste con atteggiamenti
puristici) e il Manzoni si dimise. Ma l’ipotesi del vocabolario vide in effetti la luce nel Nòvo
vocabolario che dal ministro Broglio e dal suo coadiutore prende il nome di Giorgini-
Broglio (1870-1897).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 55/S2
Titolo: L'Ottocento: Manzoni e Ascoli
Attività n°: 1

L’Ottocento: Manzoni e Ascoli

A parte il sospetto di incostituzionalità avanzato da Luca Serianni riguardo i privilegi


che per diritto di nascita avrebbero dovuto essere assegnati alle maestrine toscane da
far circolare per tutta Italia allo scopo di diffondere ‘la buona novella’ del fiorentino
parlato, la proposta manzoniana non poteva non suscitare reazioni di varia natura: ci
fu chi sostenne inutile tanto dispendio di risorse dato che un italiano scritto comunque
c’era e c’era da secoli (Pietro Fanfani) o chi, con posizioni analoghe a quelle di
Raffaele Lambruschini (l’estensore della relazione della sottocommissione fiorentina)
rivendicava la possibilità di congiungere la superiorità del toscano letterario con la
purezza arcaica conservata sulle bocche dei parlanti meno colti.
Di certo la proposta manzoniana non poteva non apparire ingenua (oltre che
inefficace) a chi per costume e studio faceva il linguista di professione, come
Graziadio Isaia Ascoli.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 55/S2
Titolo: L'Ottocento: Manzoni e Ascoli
Attività n°: 1

L’Ottocento: Manzoni e Ascoli

Avvezzo a trattare la lingua (anzi le lingue) secondo un metodo scientifico reso


forte dalla comparatistica classica di cui erano maestri i tedeschi; abituato nel
parlare di lingua a maneggiare rigorosi strumenti metodologici approntati proprio in
quegli anni (il concetto di sostrato, l’ineluttabilità delle leggi fonetiche messa in
discussione soltanto dalla pressione analogica secondo il credo della scuola dei
Neogrammatici); sensibilissimo alla linguistica sul campo (magistrali sono ancora
oggi i suoi Saggi ladini) Graziadio Isaia Ascoli poteva guardare al problema dei modi
con cui diffondere o ‘creare’ una lingua nazionale solo con gli occhi dello scienziato,
non con quelli (ammirevoli nella fiducia, ma scarsamente attrezzati dal punto di
vista del funzionamento di una lingua) di un letterato come Alessandro Manzoni.

A distanza di qualche anno dalla proposta manzoniana consegnata alla Relazione,


Graziadio Isaia Ascoli fondava nel 1873 l’“Archivio glottologico italiano”, una rivista
specialistica di linguistica tuttora viva, il cui primo numero era introdotto da un
Proemio, in cui il fondatore prendeva posizione sulla questione dell’italiano e sulla
proposta avanzata da Manzoni. Il Proemio inizia come segue:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 55/S2
Titolo: L'Ottocento: Manzoni e Ascoli
Attività n°: 1

L’Ottocento: Manzoni e Ascoli


“Un vocabolario che si viene stampando in Firenze sotto auspicj gloriosissimi,
rappresenta un principio, o un’innovazione, di cui gli riesce far mostra nella prima
parola del suo frontispizio, poiché egli si annunzia per nòvo anziché nuovo, così
riproducendo la odierna pronuncia fiorentina, ch’egli trova urgente di rendere
comune a tutta l’Italia, siccome parte integrale dell’odierno linguaggio di Firenze, il
qual dev’essere, in tutto e per tutto, quello dell’Italia intiera. La medesima pronuncia
fiorentina gli suggerirà, ed egli dovrà accettare, sotto pena di non lieve incoerenza:
mòre per muore; sòla per suola; fòri per fuori; io nòto per nuoto; io sòno per suono;
còco per cuoco; òmini per uomini, e via discorrendo”.

Il punto di partenza (quasi un pretesto per esprimere le ragioni della propria presa di
distanza) era l’innovazione di novo per nuovo che campeggiava sul frontespizio
del’appunto Nòvo vocabolario Giorgini-Broglio (gli “auspicj gloriosissimi” di cui parla Ascoli
sono quelli del ministero della Pubblica Istruzione rappresentato dall’allora ministro
Broglio); fin da subito l’Ascoli imposta il discorso su un linguaggio tecnico, ma non ostico,
che si mostra nella distinzione fra pronuncia e linguaggio, nel richiamo alla incoerenza da
evitare qualora l’innovazione fonetica non fosse estesa a tutto il repertorio italiano.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 55/S3
Titolo: L'Ottocento: Manzoni e Ascoli
Attività n°: 1

L’Ottocento: Manzoni e Ascoli


Da questo punto di partenza, apparentemente marginale e contingente, Ascoli però
scuote dal fondo il presupposto stesso della proposta manzoniana; fatta una breve
lezione di grammatica storica, elogiato “l’interesse grande e pratico” che ha mosso i
due autori (quello di dare un’unica lingua ad una nazione che non ce l’ha, partendo
dalla lingua di “un municipio livellatore” paragonabile a quello che era Parigi per la
Francia), l’Ascoli prosegue:
“Ora il dialettologo non nega di certo il male, cioè la mancanza dell’unità di lingua
fra gli Italiani, e se ne risente, per ragioni che non monta confessare, più di
quanto altri mai possa; né, per conseguenza, egli sa imaginare opera più
meritoria di quella che valga a minorare questo male od a sanarlo. Ma le sue
abitudini lo fermano naturalmente, prima che ad ogni altra cosa, alle
considerazioni, che ognun sa fare, ma che a tutti forse non pajono di ugual
momento, sull’intima ragione del perché altri si abbiano questo gran bene della
sicurezza della lingua, che all’Italia manca”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 55/S3
Titolo: L'Ottocento: Manzoni e Ascoli
Attività n°: 1

L’Ottocento: Manzoni e Ascoli


Prima di avanzar rimedi, occorre insomma riflettere e aver chiare le cause dello stato
presente della lingua italiana: in Italia non c’è stato come in Francia, un centro culturale e
politico (“La Francia attinge da Parigi la unità della sua favella, perché Parigi è il gran
crogiuolo in cui si è fusa e si fonde l’intelligenza della Francia intera”) e Firenze non lo ha
rappresentato; in Italia non c’è stato un evento tale da determinare l’unità linguistica
quale è stata per la Germania la Riforma protestante e la conseguente capillare diffusione
della Bibbia tradotta e letta per ogni casa, senza che qui ci sia stata una sede originaria,
una localizzazione geografica di quella che è diventata la lingua tedesca.
Insomma la proposta di far assurgere Firenze e il fiorentino a lingua comune costringe
con leggi e dettami inefficaci quel che altrove è avvenuto sulla base di un’evoluzione che
prima che linguistica è stata politica e soprattutto culturale:
“Nessun paese, e in nessun tempo, supera o raggiunge la gloria civile dell’Italia, se
badiamo al contingente che spetta a ciascun popolo nella sacra falange degli uomini
grandi. Ma la proporzione fra il numero di questi e gli stuoli dei minori che li
secondino con l’opera assidua e diffusa, è smisuratamente diversa fra l’Italia ed altri
paesi civili, e in ispecie fra l’Italia e la Germania, e sempre in danno dell’Italia”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 55/S3
Titolo: L'Ottocento: Manzoni e Ascoli
Attività n°: 1

L’Ottocento: Manzoni e Ascoli


La ragione della divergenza fra la situazione linguistica italiana da una parte e quelle
francese e tedesca dall’altra consiste nel fatto che agli “uomini grandi” non ha fatto da
contorno una società civile, ampia e articolata, che consentisse la diffusione della cultura,
rimasta isolata su cime eccelse senza alcun contatto con la pianura.
“Ora, nella scarsità dei moto complessivo delle menti, che è a un tempo effetto e
causa del sapere concentrato nei pochi, e nelle esigenze schifiltose del delicato e
instabile e irrequieto sentimento della forma, s’ha, per limitarci al nostro proposito, la
ragione adeguata ed intiera del perché l’Italia ancora non abbia una prosa o una
sintassi o una lingua ferma e sicura”.
Non basta, per accettare la proposta di Manzoni, riconoscere che con i Promessi Sposi
egli è riuscito a eliminare la retorica dalle lettere italiane (“le squisite brame di quel
Grande, che è riuscito, con l’infinita potenza di una mano che non pare aver nervi, a
estirpar dalle lettere italiane, o dal cervello dell’Italia, l’antichissimo cancro della
retorica”), perché una soluzione ‘letteraria’ della questione linguistica non serve a niente,
(come ai tempi dell’Ascoli dimostrava la nuova retorica dei manzoniani). Bisognerà, ed è
parola ancora oggi valida, che anche in Italia si formi quella società civile che solo la
scuola e l’istruzione può creare; non dunque (secondo la frase attribuita a Massimo
d’Azeglio) “Fatta l’Italia, restano a fare gli Italiani”; bensì, fatti gli Italiani, ne discenderà
naturalmente la loro lingua.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 56
Titolo: L'Ottocento: lettura e letteratura
Attività n°: 2

L’Ottocento: lettura e letteratura


Le idee illuministiche, la Rivoluzione Francese e infine il dominio francese sul territorio
italiano per poco più di un quindicennio determinarono a cavallo di XVIII e XIX secolo il
diffondersi di una nuova idea di letteratura, innervata di sentimenti civili e di istanze
civilizzatrici, che comportarono anche la consapevolezza di un ruolo nuovo e attivo
dell’intellettuale nella società.
Da quest’idea sono animati i giornali, o meglio quella stampa periodica che, inaugurata
timidamente nel Seicento con caratteri sostanzialmente eruditi (dal francese “Journal des
Sçavants” alle inglesi “Philosophical Transactions” all’italiano “Giornale dei letterati”) nel
Settecento si era dato una periodicità più breve (ma non ancora quotidiana) e,
occasionalmente, un tono anticipatore del giornale moderno (così per esempio le
“Novelle letterarie” soprattutto dopo il 1770).
Come dice Giuseppe Ricuperati (Periodici eruditi, riviste e giornali di varia umanità dalle
origini a metà Ottocento, in Letteratura italiana, diretta da A. Asor Rosa, I: Il letterato e
le istituzioni, Torino, Einaudi, 1982, pp. 927 e 928), la natura erudita della stampa
periodica del Seicento e della prima metà del Settecento dipendeva dal fatto:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 56
Titolo: L'Ottocento: lettura e letteratura
Attività n°: 2

L’Ottocento: lettura e letteratura


“che si rivolgeva ad un pubblico specifico ed abbastanza ristretto: antiquari,
accademici, professori universitari [...]. Erudizione e scienza erano considerate due poli
di una stessa cultura, di una letteratura che era quasi sempre agevolmente controllata
da una stessa persona [...]. Ma nella seconda metà del Settecento cominciava a
delinearsi l’esigenza di una cultura diversa [...]. Se l’oggetto prevalente della cultura
era una pubblica felicità ottenuta attraverso le riforme, protagonisti di questa non
potevano essere gli antichi chierici chiusi nelle loro istituzioni separanti, ma soprattutto
i politici, gli uomini d’affari, i professionisti, quanti partecipavano a diversi livelli alla
gestione delle ricchezze, della cosa pubblica, del potere”.
A seconda che, di volta in volta, si guardi al tipico giornale inglese (come avviene con
l’esperienza di Gasparo Gozzi) o all’Encyclopédie (come avviene per il “Caffè” di Pietro Verri
e della sua Accademia dei Pugni) i modelli sono diversi; comune è però la
“caduta verticale di interesse verso l’erudizione, la teologia, il diritto canonico e
romano, mentre emergono, oltre alle discipline scientifiche ormai ben individuate (e
non nascoste da definizioni onnicomprensive come filosofia e matematica), economia,
agraria e politica”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 56
Titolo: L'Ottocento: lettura e letteratura
Attività n°: 2

L’Ottocento: lettura e letteratura


Negli anni del breve dominio napoleonico l’Italia vede decadere l’antica tipologia della
gazzetta, “uno strumento di informazione riguardante la politica interna, estera e la realtà
internazionale” (per lo più redatta in forma assolutamente neutrale), a favore della nuova
stampa periodica di marcata impronta politica e d’opinione. La fiammata rivoluzionaria fu
presto interrotta dal ritorno alla situazione precedente di frammentazione politica, anche se
lasciò differenti margini di manovra a seconda che ci si trovasse in Toscana e a Milano da
un lato o in ambiti più provinciali e meno sensibili al mutamento intervenuto dall’altro; ma
fu proprio la morte della vecchia forma della gazzetta a consentire, quando ce ne fossero
state le condizioni, la nascita del quotidiano politico e d’opinione.
Degli effetti di lunga durata lasciati dalla breve esperienza rivoluzionaria è testimonianza il
fatto che il primo periodico di cultura fosse ideato proprio dall’Austria e affidato, in un
primo momento (almeno nelle intenzioni) a Ugo Foscolo: si trattava della “Biblioteca
italiana”, fondata nel 1816 e diretta da Giuseppe Acerbi, aperta da un Proemio che fu
firmato, oltre che dal direttore, da uomini come Pietro Giordani e Vincenzo Monti e che
accolse nei primi anni gli interventi di Pietro Borsieri e Silvio Pellico che di lì a poco se ne
staccarono per dar vita a “Il Conciliatore”. Nel 1821 veniva infine fondata da Giovan Pietro
Vieusseux l’“Antologia”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 56/S1
Titolo: L'Ottocento: lettura e letteratura
Attività n°: 1

L’Ottocento: lettura e letteratura

In questa stampa periodica la parola


“Letteratura aveva ormai un significato duplice: da una parte significava ancora lo
scibile umano; dall’altra era soprattutto quanto rivelava più profondamente
l’anima individuale e quella collettiva, lo spirito dell’uomo e quello delle nazioni”
(Ricuperati, Periodici eruditi, riviste e giornali di varia umanità dalle origini a metà
Ottocento, p. 936).

Mettendo però da parte la stampa periodica di impronta più o meno latamente


letteraria, più in generale nel secolo XIX si assiste all’incremento nel numero delle
testate e alla diversificazione dell’utenza: dal giornale per la classe cólta (anche
ulteriormente specializzata in senso economico o agrario o filosofico o infine chimico),
al giornale politico, al giornale per signore, all’almanacco rivolto a singoli gruppi di
lavoratori (il contadino e l’artigiano).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 56/S1
Titolo: L'Ottocento: lettura e letteratura
Attività n°: 1

L’Ottocento: lettura e letteratura


Si tratta di un fenomeno che tocca, seppure in maniera quantitativamente diversa,
l’intera penisola, da Milano a Messina, il cui modello è europeo se nel 1824 Foscolo
poteva dire che l’Europa appariva:
“una grande assemblea nella quale molti espongono le loro opinioni e tutti le
ascoltano con avidità; il leggere, il pensare e il ragionare, son divenuti oggi mai
necessità irresistibili”.

Nella stessa occasione Foscolo però era anche costretto a constatare la notevole
disparità fra il numero dei lettori europei (e nella fattispecie inglesi) e quello degli
italiani, determinata dai livelli di analfabetismo a cui abbiamo accennato e che, d’altro
canto, rendevano tanto più urgente la diffusione, tramite la stampa periodica e i
manuali, di nozioni e di notizie.
Si tenga conto infatti che la pratica diffusa della lettura condivisa (se non
propriamente pubblica) del giornale in luoghi di aggregazione sociale consentiva
spesso la penetrazione delle notizie presso strati di pubblico che difficilmente
avrebbero potuto gestire in maniera autonoma la lettura.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 56/S1
Titolo: L'Ottocento: lettura e letteratura
Attività n°: 1

L’Ottocento: lettura e letteratura


Nella prima metà del XIX secolo all’incremento del numero dei giornali fa da contrappeso
non solo la scarsa acculturazione degli italiani, ma anche l’occasionalità delle iniziative
imprenditoriali (spesso singole testate avevano breve durata) e la loro dispersione
geografica che non di rado ne frenava la diffusione su un’area più ampia della singola
città e degli immediati dintorni.
Il quadro cambia con la seconda metà del secolo quando, in una prospettiva che si fa
sempre più ‘unitaria’, cominciano a comparire testate che ambiscono ad una diffusione
nazionale e la conquistano con un sistema meno artigianale di distribuzione (per
esempio: verso l’ultimo ventennio del secolo alla vendita del giornale tramite lo “strillone”
comincia a diffondersi il sistema degli edicolanti).
“Dopo la prima guerra d’indipendenza [...] compaiono – soprattutto per un rinnovato
interesse alla politica da parte dell’opinione pubblica – i primi giornali a grande
tiratura. La ‘Gazzetta del Popolo’ di Torino tocca nel 1852 i 10.000 abbonati e
diventa ben presto uno dei più efficaci sostenitori della politica di Cavour;
sull’opposto versante ideologico la rivista dei Gesuiti, ‘Civiltà cattolica’, nata a Napoli
nel 1850, raggiunge già tre anni dopo, anche grazie alla buona distribuzione
garantita dall’apparato ecclesiastico, gli 11.000 abbonati” (Serianni, Storia
dell’italiano nell’Ottocento, p. 46).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 56/S2
Titolo: L'Ottocento: lettura e letteratura
Attività n°: 1

L’Ottocento: lettura e letteratura

Il numero delle copie e il numero dei lettori saranno ulteriormente incrementati


dopo l’unificazione statale (in particolare nel periodo che dal 1870 giunge agli inizi
del Novecento), per effetto della sempre più diffusa scolarizzazione,
dell’ampliamento del diritto di voto, dell’industrializzazione dei sistemi tipografici.

Si tratta, in realtà, di un cambiamento che ha una duplice direzione; tanto il


giornalismo, rispondendo ad una domanda, crescente finisce per aumentare esso
stesso la domanda di notizie e dunque amplia il pubblico dei possibili lettori
(partecipando attivamente al cambiamento sociale e politico di quei decenni),
quanto la diversificazione del pubblico che il giornale intende raggiungere
determina una scrittura che, almeno in tendenza, deve proporsi un registro
linguistico capace di essere inteso da utenti di acculturazione molto varia.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 56/S2
Titolo: L'Ottocento: lettura e letteratura
Attività n°: 1

L’Ottocento: lettura e letteratura

“Ma quale era il grado di comprensione di un giornale per il lettore medio? A questo
problema erano sensibili i più avvertiti intellettuali dell’epoca: lo svecchiamento della
prosa tradizionale operato da Manzoni con la revisione dei Promessi Sposi procede di
pari passo con l’invenzione di uno ‘stile giornalistico’ che rinunci a termini peregrini,
ricorra a una sintassi prevalentemente coordinativa, povera di inversioni e di tmesi, si
rivolga al lettore non specializzato, assumendosi il compito di una seria divulgazione”.
Lo stesso Serianni (dal cui volume abbiamo tratto la citazione appena riportata, p. 44)
riferisce le seguenti dichiarazioni d’intenti in fatto di lingua, tratte rispettivamente dal
primo numero de “L’Ape delle cognizioni utili” (1833) e dal primo numero della seconda
annata del ben più famoso “Il Politecnico”, fondato e diretto da Carlo Cattaneo (1839):
“gli articoli saranno stesi con brevità, chiarezza e precisione per quanto possibile:
senza sbagliare al tutto il linguaggio scientifico a forza di voler esser popolare, ne
sarà conservata tutta quella parte che è all’intelligenza comune”;

“Negli argomenti scientifici studieremo la forma più semplice, più agevole, men
tediosa; cercheremo nella leggerezza della forma quella popolarità che altri giornali
preferiscono cercare nella leggerezza della materia”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 56/S2
Titolo: L'Ottocento: lettura e letteratura
Attività n°: 1

L’Ottocento: lettura e letteratura

In entrambi i casi (nonostante che la statura dei due produttori sia ben diversa e
altrettanto diversa sia l’utenza a cui essi si rivolgono) il cosiddetto “stile giornalistico”,
di necessità veloce e sintetico, caratterizzato da frasi nominali e da struttura
paratattica, è determinato anche dalla necessità di divulgazione di particolari
contenuti e cognizioni.
Eppure la tendenza generale (non priva di eccezioni) della prosa giornalistica ad una
scrittura meno paludata e meno letterariamente atteggiata sui classici non interessa il
solo ambito della stampa periodica.
L’apertura verso un pubblico ampio e meno monoliticamente collocato nella fascia
alta dell’utenza, l’esigenza sentita a vari livelli di una società civile che partecipi
sempre di più ai movimenti intellettuali e politici della nazione, la consapevolezza
che, dopo il Romanticismo, fare letteratura significa approfondire la conoscenza della
propria storia e della propria identità incarnando l’esigenza di esprimere sentimenti e
storie sempre più aderenti alla realtà (contemporanea o storica che sia) fanno
nascere la convinzione che anche l’educazione alla letteratura è il luogo per la
creazione di un sentire comune, nazionale e ‘popolare’.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 56/S3
Titolo: L'Ottocento: lettura e letteratura
Attività n°: 1

L’Ottocento: lettura e letteratura

Gli elementi di tangenza fra giornalismo e letteratura, fra notizia con prevalente
contenuto pratico-informativo e produzione di scritture ad alto tasso di finzione (e
dunque con finalità di ‘intrattenimento’), sono dati di fatto; non solo per il transitare
di singoli personaggi dal ruolo di giornalista a quello di romanziere o viceversa, ma
anche per il coinvolgimento di usi e pratiche di lettura socialmente diffusi; la
tangenza e la contiguità sono anche fisiche e concretissime, poiché il quotidiano
ottocentesco contiene sezioni di informazione e di intrattenimento, di cronaca e di
pubblicità, ma anche accoglie (su modello dei giornali francesi coevi che in questa
forma videro stampati alcuni romanzi di Alexandre Dumas, Honoré de Balzac e
Eugène Sue), anche il grande fenomeno dei cosiddetti romanzi d’appendice: i
romanzi cioè che uscivano a puntate in ‘appendice’ al giornale, spesso nel numero
domenicale, e che creavano un fenomeno di fidelizzazione del lettore.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 56/S3
Titolo: L'Ottocento: lettura e letteratura
Attività n°: 1

L’Ottocento: lettura e letteratura


“[...] già nel 1816 le Avventure letterarie di un giorno di Pietro Borsieri, uno dei
principali manifesti del nostro romanticismo, avevano provveduto a denunciare,
con pronta sollecitudine, la esigenza comune al settore responsabilmente più
attivo della nascente cultura romantica, che anche l’Italia, come le altre nazioni
romanze, avesse una buona volta la sua letteratura popolare. Una letteratura che,
insieme all’informazione giornalistica e agli spettacoli teatrali, potesse
vantaggiosamente contare su quel nuovo, moderno strumento di vita culturale
che è appunto il romanzo” (Renato Bertacchini, Il romanzo italiano dell’Ottocento.
Dagli scottiani a Verga, Roma, Edizioni Studium, 1961, 19913, p. 19).

Si tratta non di rado di produzione letteraria di consumo, quella che oggi potremmo
definire “letteratura di massa” o, con termine dispregiativo non sempre condivisibile,
di paraletteratura; eppure una produzione che coinvolse un’ampia fascia di pubblico,
intermedia fra i letterati di professione e gli strati sociali più bassi, una fascia di
pubblico che per di più comprendeva, come fattore di assoluta novità, il pubblico
femminile.
s
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 57
Titolo: L'Ottocento: la nascita del romanzo
Attività n°: 1

L’Ottocento: la nascita del


romanzo
Il bisogno di una letteratura di carattere ‘popolare’ (nel senso che essa si proponesse
di rivolgersi ad un pubblico ampio e diversificato, anziché ad un’élite di eruditi o di
uomini di cultura più o meno specializzata) è un sentimento che abita del resto le
stanze stesse dei letterati di tutta Europa, dove dalla fine del Settecento il genere del
romanzo ha cominciato a farsi strada in maniera sempre più significativa.
Dall’Europa la nuova forma era penetrata anche in Italia fin dalla fine del Settecento,
ma con caratteri solo in parte ‘popolari’ e in forme molto speciali.
Il romanzo seicentesco e primo-settecentesco aveva assunto le caratteristiche di un
prodotto di massa venendo ad occupare i margini della letteratura: misto di trame e
temi che svariavano dal fantastico al brutale, disomogeneo per scrittura, qualità
formali e verosimiglianza, aveva assunto agli occhi dei letterati i caratteri di un genere
screditato e ibrido da collocare in quella che oggi chiameremmo appunto
paraletteratura.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 57
Titolo: L'Ottocento: la nascita del romanzo
Attività n°: 1

L’Ottocento: la nascita del romanzo


Fra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento però, proprio in risposta ad istanze
europee, anche in Italia si erano avuti alcuni tentativi di ‘nobilitare’ il genere della
narrazione lunga di tipo romanzesco: tentativi molto diversi per forme e caratteristiche,
ma (indipendentemente dalla qualità e dai risultati) significativi in quanto esperimenti di
collocazione del romanzo nella letteratura italiana.
Fra il 1782 e il 1792 Alessandro Verri, a suo tempo animatore insieme al fratello Pietro
del milanese “Caffè”, ma ormai distante dall’esperienza illuministica della giovinezza,
aveva dato alle stampe prima Le avventure di Saffo poetessa di Mitilene, poi le Notti
romane al sepolcro degli Scipioni. I due romanzi, che costituiscono l’atto di rifondazione
‘nobilitante’ del genere in Italia, operano la rivalutazione del genere tramite il contenuto
e i personaggi (la storia della poetessa greca assume su di sé l’evoluzione letteraria del
tema, già utilizzato nella Roma antica dalle Heroides ovidiane; la vicenda degli eroi
romani è letta alla luce delle rovine degli antichi monumenti della città moderna) in una
visione neoclassica che progressivamente (fra prima e seconda edizione delle Avventure
e delle Notti romane) investe la lingua, sempre più debitrice della tradizione dei classici
italiani e della prosa di registro elevato.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 57
Titolo: L'Ottocento: la nascita del romanzo
Attività n°: 1

L’Ottocento: la nascita del romanzo


Fin dal 1796 Ugo Foscolo aveva progettato quel che sarebbe poi diventato Le ultime
lettere di Iacopo Ortis, uscito una prima volta a Bologna nel 1798; lasciato interrotto
dall’autore, e terminato da Angelo Sassoli, la forma di questa prima edizione fu poi
sconfessata dal Foscolo che lo dette in fine alle stampe solo nel 1816 (a Zurigo) e nel
1817 (a Londra) in una forma aggiornata dal punto di vista della forma e della sostanza
relativa alle vicende politiche di quegli anni: un romanzo epistolare, come è noto, che
coniugava le vicende private di carattere sentimentale del protagonista alle più ampie
vicende di un’Italia divisa fra aspirazioni libertarie e frustrazioni indotte dalla
Restaurazione.
Alla forma epistolare aderiva nel 1806 anche il napoletano Vincenzo Cuoco (1770-1823);
animatore della Repubblica Partenopea del 1799 (al resoconto di quell’esperienza Cuoco
dedicò poi il Saggio storico sulla rivoluzione napoletana, pubblicato a Milano nel 1801) e
direttore a Milano del Giornale italiano, Cuoco pubblicò in quel 1806 il Platone in Italia,
romanzo filosofico nel quale il pensatore napoletano, per il tramite di un fittizio dialogo
epistolare fra Platone e l’ateniese Cleobolo, mirava ad affermare la superiorità della
cultura italica rispetto alla greca, valorizzando le antiche civiltà preromane poste in
desolante contrasto con la decadenza presente.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 57/S1
Titolo: L'Ottocento: la nascita del romanzo
Attività n°: 1

L’Ottocento: la nascita del


romanzo
Verri, Foscolo, Cuoco, ciascuno a suo modo, agendo sulla forma o sui contenuti,
puntando sull’attualità o sull’antico, giocando la carta di modelli vecchi o nuovi (la
forma epistolare del romanzo godeva ormai di una fortuna indiscussa in ambito
europeo dopo gli esempi di Julie ou la nouvelle Héloïse di Jean-Jacques Rousseau,
uscito nel 1761 e del Werther di Johann Wolfgang Goethe, pubblicato nel 1774)
tentavano di trovare uno spazio per il romanzo nella cultura italiana, restia ad
accogliere generi che non fossero accreditati dalla tradizione autoctona, all’interno
della quale il genere narrativo di forma lunga era di necessità legato alla poesia e
dunque alla forma del poema, in particolare ai grandi modelli ariosteschi e tassiani del
poema cavalleresco.
A parte l’eccellenza e la significatività dell’esperimento foscoliano, non erano certo gli
esempi di Verri o di Cuoco, letterariamente poco incisivi, che potevano determinare la
sconfitta delle posizioni classicistiche di gran parte dei letterati italiani.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 57/S1
Titolo: L'Ottocento: la nascita del romanzo
Attività n°: 1

L’Ottocento: la nascita del romanzo


È invece con il terzo decennio dell’Ottocento, e entro la spinta rinnovatrice patrocinata dal
movimento romantico, che l’ostracismo decretato dal classicismo italiano alla nuova
forma, venne prima combattuto su più fronti e poi definitivamente vinto.
Al 1827 si data la nascita effettiva del romanzo italiano moderno, ma non solo perché a
quell’anno viene risale la prima edizione dei Promessi Sposi; nel 1827 infatti escono
anche romanzi certo meno qualificati ai nostri occhi, ma al loro tempo letti avidamente e
destinati a numerose ristampe:

Il castello di Trezzo di Giovan Battista Bazzoni (1803-1850), uscito prima, fra il 1826 e
il 1827 a puntate nel giornale “Il Nuovo Ricoglitore” (seguiranno dello stesso autore
nel 1828-29 il Falco della Rupe o la Guerra di Musso; nel 1830 La bella Celeste degli
Spadari, cronachetta milanese del 1666; fra la fine degli anni Trenta e gli anni
Quaranta Zagranella o una pitocca del 1500 (pubblicato, ma solo in parte, sulla
“Rivista Europea” del 1838, poi per intero nella stessa sede, nel 1845);
La Sibilla Odaleta di Carlo Varese (1793-1866), cui seguirono nel decennio successivo I
prigionieri di Pizzighettone, Folchetto Malaspina, Preziosa di Sanluri, Torriani e
Visconti.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 57/S1
Titolo: L'Ottocento: la nascita del romanzo
Attività n°: 1

L’Ottocento: la nascita del romanzo


Nello stesso anno vedeva la luce il primo dei quattro tomi de La battaglia di
Benevento. Storia del secolo XIII del giovanissimo Francesco Domenico
Guerrazzi (1804-1873); alla pubblicazione, conclusasi l’anno seguente, mentre il
Guerrazzi dirigeva il giornale “L’indicatore livornese” presto soppresso dalla
censura, seguirono L’assedio di Firenze scritto nel 1831, ma pubblicato solo nel
1836, Veronica Cybo nel 1838 e Isabella Orsini del 1844.
Infine, ancora in quel medesimo anno, vedevano la luce Cabrino Fondulo, frammento
della storia lombarda sul finire del secolo XIV e il principiare del XV di Vincenzo
Lancetti (1767-1851) e Alessio ossia Gli ultimi giorni di Psara di Angelica Palli
Bartolomei (1798-1875).

Un anno insomma, il 1827, nel quale a favore del romanzo storico scese in campo, al
fianco di colui che traghetterà d’autorità il romanzo nella cultura italiana alta, una
schiera di autori minori o minimi che lo coadiuvarono validamente nel diffondere nella
pratica della lettura e nelle attese del pubblico il nuovo genere del romanzo storico.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 57/S2
Titolo: L'Ottocento: la nascita del romanzo
Attività n°: 1

L’Ottocento: la nascita del


romanzo
Nel determinare la fortuna del romanzo storico in Italia la
“maturazione nelle ‘masse borghesi’ della sensibilità per la storia [...] si incontrava
con le esigenze e gli stati d’animo posti dal problema, allora davvero preminente,
del risorgimento nazionale” (Giuseppe Petronio, Appunti per una storia e tipologia
del romanzo italiano nel primo Ottocento, in I Romanzi catanesi di Giovanni
Verga, Atti del I convegno di studi, Catania, 23-24 novembre 1979, Catania,
Fondazione Verga, 1981, pp. 9-32: 11).
Quei primi titoli insomma, usciti in concomitanza cronologica con la prima edizione del
capolavoro manzoniano, rispondevano al successo riscosso in quegli anni dai romanzi
di Walter Scott (1771-1832), ma con un surplus di motivazioni interne.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 57/S2
Titolo: L'Ottocento: la nascita del romanzo
Attività n°: 1

L’Ottocento: la nascita del romanzo


Anche per questa via si spiega perché molti dei romanzi scottiani furono o prontamente
tradotti in Italia o destinati ad un ancor più duraturo successo per il tramite
dell’adozione delle loro storie come base dei libretti di opere liriche:
Kenilworth (tradotto in italiano da Gaetano Barbieri nel 1821),
Ivanhoe (tradotto ancora dal Barbieri l’anno seguente),
Legend of Montrose (tradotto nel 1822 da Vincenzo Lancetti),
Rob Roy, The Lady of the Lake, Waverlaey, The Heart of Midlothian (tradotto da Pietro
Borsieri nel 1823 con il titolo di Le prigioni di Edimburgo),
mentre
The Lady of the Lake diventò La donna del lago, il melodramma musicato nel 1819 da
Gioacchino Rossini e
The Bride of Lammermoor divenne la Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti (1835).
Oltre il 1827 del resto si susseguirono a stretto giro d’anni numerosi altri romanzi
(l’Ettore Fieramosca o La disfida di Barletta del 1833 e Nicolò de’ Lapi ovvero I Palleschi
e i Piagnoni del 1841 di Massimo d’Azeglio; il Marco Visconti di Tommaso Grossi; il Duca
d’Atene di Niccolò Tommaseo, scritto nel 1837), ma soprattutto la questione del
romanzo venne affrontata ex professo dal punto di vista della sua ricercata
‘legittimazione’.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 57/S2
Titolo: L'Ottocento: la nascita del romanzo
Attività n°: 1

L’Ottocento: la nascita del romanzo


Così si susseguirono le Avventure letterarie di un giorno di Pietro Borsieri (1816), il saggio
I romanzi di W. Scott e le opere di Rossini premesso da Carlo Varese all’edizione del
proprio secondo romanzo (La Preziosa di Sanluri ossia i montanari sardi, 1828),
l’intervento di Niccolò Tommaseo Del romanzo storico (pubblicato sulla “Antologia” di
Giovan Pietro Vieusseux nel settembre del 1830), il Discorso a modo di proemio sopra le
condizioni della odierna letteratura in Italia del Guerrazzi (premesso all’edizione del 1841
della Battaglia di Benevento), per giungere infine all’intervento più ampio e articolato, il
fondamentale discorso manzoniano Del romanzo storico e, in genere, de’ componimenti
misti di storia e d’invenzione (1830).

Ma accanto ai pareri favorevoli molti espressero motivi di dissenso, in un dibattito


“dove alle ragioni letterarie si mescolavano – e non sempre se ne distinguevano –
ragioni politiche (l’essere il critico un patriota o un austriacante), ideologiche (l’essere
il critico un progressista o un conservatore o un reazionario; l’essere un neoguelfo o
un neoghibellino), sociali (l’essere in sintonia o no con la società borghese
emergente, e perciò militare per una letteratura aulica o per una letteratura di
consumo” (Petronio, p. 15).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 57/S3
Titolo: L'Ottocento: la nascita del romanzo
Attività n°: 1

L’Ottocento: la nascita del


romanzo
I primi autori italiani di romanzi storici dell’Ottocento, provenienti da esperienze di forte
impegno civile e politico, aspirano ad una letteratura utile ed educatrice; la tematica
storica che ne contraddistingue le opere però non esaurisce in senso banalmente
didattico l’impegno educatore. Come ci dice il Guerrazzi nel 1841 :
“Il romanziero in certo modo è panteista, tutto reputa buono e dicevole purché sia in
natura e se rincresce colpa è di quelli che lo adoperano con mal garbo. Egli ritratta gli
uomini quali vivono e sentono e non quali li ha fatti l’arte con certe sue regole
statuarie. E se alcuno dicesse: ma a che giova la descrizione del grottesco, del tristo e
dello scellerato A che giova? Giova a farvi conoscere la umanità: giova a farvi
conoscere le malattie che la travagliano onde si possano con opportuni rimedi curarle.
E badate bene a quello che io dico: se le lettere devono tornare utili agli uomini
devono ancora coraggiosamente imprendere tutto quanto è capace a partorire un
simile effetto, e non spaventarsi a perdere un poco di lindezza, e trattare ulcere e
piaghe; se poi vogliono durare o diventare cose da museo, impagliate e messe in
iscaffale, si ostinino a riprodurre una formula consumata”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 57/S3
Titolo: L'Ottocento: la nascita del romanzo
Attività n°: 1

L’Ottocento: la nascita del romanzo

Nel romanzo il “vero”, l’ambientazione storica (ricostruita con maggiore o minor


puntiglio documentario) accoglie e si mescola al “verisimile”, alla storia dei
personaggi, alle loro vicende, ai loro affetti, una “forma di storia finta” che,
inserendosi nel vero, lascia spazio all’“umana fantasia” secondo le parole di Pietro
Borsieri.
È ben noto che quel che per il Borsieri risultava essere una risorsa del romanzo
moderno (rigore congiunto a fantasia) costituì invece un dilemma profondo,
cristianamente coinvolgente, per il Manzoni autore di Del romanzo storico.
Va però rammentato che la vivace discussione della prima metà dell’Ottocento,
vertente su una sola e particolare tipologia di romanzo, già nel 1857 era superata; e
non solo perché la vittoria era stata del nuovo genere letterario, ma perché a quella
data il genere si era anche emancipato dalla sua sottospecie.
Si legga quanto afferma Giuseppe Petronio (Appunti per una storia e tipologia del
romanzo italiano nel primo Ottocento, in I Romanzi catanesi di Giovanni Verga, Atti
del I convegno di studi, Catania, 23-24 novembre 1979, Catania, Fondazione Verga,
1981, p. 11):
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 57/S3
Titolo: L'Ottocento: la nascita del romanzo
Attività n°: 1

L’Ottocento: la nascita del romanzo


“Nel 1857 Giuseppe Rovani, uno scrittore già noto, comincia a pubblicare sulla
‘Gazzetta Ufficiale di Milano’ un lungo romanzo a puntate, i Cento anni. E vi premise
un Preludio, che è tutto una difesa ed esaltazione del romanzo, non solo di quello
‘storico’, che sembra ‘quasi scomparso dalla faccia del mondo’, ma del romanzo
semplicemente, in tutta la sua varietà: contemporaneo, intimo, di costume. E ne
esalta non solo la diffusione tra il pubblico, non solo la pratica da parte dei ‘più grandi
scrittori del secolo’, ma la capacità camaleontica e onnivora di esprimere tutti gli
affetti e venire incontro a tutte le esigenze”.
Lo studioso, citando oltre a Rovani, Guerrazzi e Ugo Iginio Tarchetti, mostra come
“tra il ’55 e il ’65 il dibattito intorno al romanzo è vivo, ma investe non più, in modo
specifico, un suo epifenomeno, il ‘romanzo storico’, quanto invece il romanzo” (ivi, p.
12).
Il romanzo è ormai anche alla coscienza degli uomini dell’Ottocento un prodotto
letterario, polimorfo e poliedrico, polifonico, pluridiscorsivo, dialogico e plurilingue (e
come tale percepito tanto dagli autori quanto dai lettori) come ormai sappiamo dai
numerosi lavori di Michail Bachtin (per citare un solo titolo si veda la raccolta di interventi
degli anni Venti del Novecento: Estetica e romanzo, introduzione di Rossana Platone,
Torino, Einaudi, 1979).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 58
Titolo: Test
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui contenuti


studiati nelle lezioni precedenti dedicate al panorama
ottocentesco, lo studente è invitato a compilare il
test associato a questa sessione di studio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 58/S1
Titolo: Test
Attività n°: 1

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.

35) Graziadio Isaia Ascoli e il problema della lingua nazionale.

36) Illustrate le differenti posizioni linguistiche che si fronteggiano nell’Ottocento.


Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 58/S2
Titolo: Test
Attività n°: 1

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.

37) Manzoni: illustrate l’evoluzione linguistica dello scrittore dei Promessi sposi.

38) Manzoni e le proposizioni teoriche in fatto di lingua: la Lettera a Giacinto Carena e


la relazione Dell’unità della lingua e dei mezzi per diffonderla.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 58/S3
Titolo: Test
Attività n°: 1

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.

39) Indicate quali furono i mezzi principali per una crescita dell’alfabetizzazione nel
nuovo stato unitario e quali categorie di lettori furono coinvolte nella nascita della
nuova stampa periodica.

40) Tracciate per sommi capi l’evoluzione del genere romanzo dal Seicento
all’Ottocento.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 59
Titolo: GIOVANNI VERGA: LA FORMAZIONE
Attività n°: 1

Giovanni Verga: la formazione


La prima produzione di Giovanni Verga è riassunta così da Giuseppe Petronio (Appunti
per una storia e tipologia del romanzo italiano nel primo Ottocento, in I Romanzi
catanesi di Giovanni Verga, Atti del I convegno di studi, Catania, 23-24 novembre 1979,
Catania, Fondazione Verga, 1981, pp. 9-32: 11):
“Verga era nato nel 1840; a sedici, diciassette anni scrisse un primo libro: un
romanzo storico mai pubblicato (Amore e Patria). Tra i ventuno e i ventidue ne
pubblicò un altro: ancora un romanzo storico (I carbonari della montagna); un
terzo, ancora storico o quasi (di un’età più vicina nel tempo), stampò l’anno
seguente, nel ’63 (Sulle lagune). Dunque una scelta precisa, senza dubbio
significativa. Non versi, in una fase di cultura in cui la lirica era ancora un genere
preminente, ma prosa narrativa; e romanzi, e un sottogenere, il ‘romanzo storico’,
quando altri sottogeneri narrativi erano già diffusi e fiorenti, presentati da
‘manifesti’ e accompagnati da discussioni: la ‘letteratura domestica’, il ‘genere
rusticale’“ (p. 9).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 59
Titolo: GIOVANNI VERGA: LA FORMAZIONE
Attività n°: 1

Giovanni Verga: la formazione


E risponde così:
“che cosa significava, nel 1860, cominciare la propria carriera letteraria imboccando
così decisamente la strada del romanzo storico? In che ambito di cultura poneva
l’autore? Che cosa diceva delle sue vere intenzioni? Che posto gli assegnava nello
schieramento letterario italiano: alla retroguardia o all’avanguardia? I giovani, di
solito, cominciano appunto così: intruppandosi nella retroguardia o precorrendo le
file, all’avanguardia. Imitando modelli ormai consolidati, procedendo perciò nel solco
della tradizione, o rifiutando tradizione e maestri”.
Infatti (pp. 9-10):
“non bisogna dimenticare che siamo a Catania, e nel 1860, non oggi. In un’area
italiana di cultura arretrata perché geograficamente laterale, dove le novità arrivano
tardi; dove il dibattito delle idee può essere acceso, ma si tormenta spesso su temi
che altrove sono già consumati: quando non ci sono ancora le strade ferrate, e
Firenze e Milano sono miraggi lontani; quando [...] le novità di Firenze e Milano, di
Parigi e di Londra arrivano, ma ci mettono tempo, e i nuovi scrittori un esordiente li
può conoscere solo più tardi, e non può che partire dai ‘maestri’: i soliti classici, i
classici della generazione precedente, i maestri viventi, del posto”
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 59/S1
Titolo: Giovanni Verga: la formazione
Attività n°: 1

Giovanni Verga: la formazione

Nato a Vizzini o a Catania alla fine di agosto o agli inizi di settembre del 1840,
Giovanni Verga apparteneva ad una famiglia di piccoli proprietari terrieri con
qualche grado di nobiltà per parte di padre, Giovanni Battista Catalano (1806-
1863), mentre la madre, Caterina Di Mauro Barbagallo (1817-1878), proveniva
dal ceto borghese catanese.
L’ambiente familiare, nelle persone dello zio Salvatore Verga Catalano (morto nel
1880), dello zio Salvatore Di Mauro e nella persona della madre, non dovette
essere (tenuto conto dei tempi e delle condizioni della Sicilia) particolarmente
depresso dal punto di vista culturale e comunque attento (almeno nella misura in
cui essa era richiesta dallo status sociale al quale la famiglia apparteneva) alle
esigenze di acculturazione dei tre figli maschi (Giovanni, Mario, Pietro; diverso
dovette essere l’atteggiamento nei confronti delle figlie: Rosa [1847-1877] e
Teresa [1854-1937]).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 59/S1
Titolo: Giovanni Verga: la formazione
Attività n°: 1

Giovanni Verga: la formazione


La storia dei letterati di casa Verga, fra Cinque e Settecento, anche se poco significativa,
è tracciata da Federico De Roberto (Casa Verga, in Casa Verga e altri saggi verghiani, a
cura di Carmelo Musumarra, Firenze, Le Monnier, 1964, pp. 35-38), mentre, fra i
contemporanei, lo zio paterno fu, pare, traduttore e autore di romanzi e appassionato di
numismatica.
La madre, a stare ancora alla testimonianza del De Roberto (e di Niccolò Niceforo, amico
di Verga) era, per i suoi tempi, un’intellettuale:
“Benché educata, come la maggior parte delle fanciulle di quel tempo, tra le suore, a
Santa Chiara – la badia che sporgeva quasi dirimpetto a casa Verga le grate panciute
delle sue finestre – Caterina Di Mauro possedeva un’intelligenza svegliata ed uno
spirito sgombro da pregiudizii: in una età nella quale le signorine e le stesse signore
del suo paese o non leggevano o si nutrivano delle storie di Santa Genoveffa o di
Sant’Agata, ella era andata sino alla Vita di Gesù”
(a proposito di quest’ultima notizia va notato che essa si riferisce almeno al 1863 se non
a qualche anno dopo poiché La vie de Jésus di Ernest Renan fu appunto pubblicata in
quell’anno; data l’eco suscitata fu subito tradotta in italiano e stampata a Genova e
Milano).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 59/S1
Titolo: Giovanni Verga: la formazione
Attività n°: 1

Giovanni Verga: la formazione

Anche sulla primissima educazione ricevuta da Giovanni è l’amico De Roberto ad


informarci con una sicurezza di cui è difficile dubitare (De Roberto, Il maestro di
Giovanni Verga, in Casa Verga e altri saggi verghiani, pp. 39-61: 38):
“In un vicolo che dalla via Ferdinanda, oggi Garibaldi, portava a Castello Ursino;
dietro quella Badia di Santa Chiara che doveva essere la scena della Storia di una
Capinera, e precisamente nella scuola tenuta da Francesco Carrara, il futuro
autore dei Malavoglia apprese a leggere, a scrivere e a far di conto. Quando poi si
trattò di iniziare gli studii che oggi si chiamano secondarii, in mancanza di pubblici
istituti, il fanciullo fu mandato presso un giovane non ancora trentenne,
lontanamente parente dei Verga e venuto di buon’ora in fama di ottimo
insegnante e d’ispirato poeta: Antonio Abate”.
Torneremo più avanti sulla qualità e le tecniche di insegnamento, soprattutto
linguistico, di Antonino Abate (1825-1888). Possiamo invece soffermarci sulla qualità
dell’italiano di Giovanni Verga nel primo anno di insegnamento del suo maestro di
“studii [...] secondarii”, grazie ad una lettera che l’undicenne allievo inviò nel 1851 allo
zio Salvatore Verga Catalano.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 59/S2
Titolo: Giovanni Verga: la formazione
Attività n°: 1

Giovanni Verga: la formazione


Nel 1851, ad appena undici anni, Giovanni Verga scrive la più antica lettera che ci sia
nota del suo epistolario: è indirizzata allo zio paterno Salvatore Verga Catalano che si
era interessato qualche giorno prima (in una lettera, inviata da Tebidi nel febbraio
dello stesso anno al fratello minore di Giovanni, Mario Verga, tramite il padre) dei
progressi negli studi di Mario e di Giovanni. In essa, dopo un divertito accenno agli
scarabocchi del più piccolo Mario (“Ho ricevuto per mezzo della Zia D.a Domenica i
tuoi primi caratteri, e sento i progressi nello studio. Lo spero mercé l’abilità del tuo
valente Maestro; ma la tua lettera per ora mi da a sospettare che prosiegui ad essere
pittore”), e dopo aver esortato i due nipoti allo studio (“Or se tu studj, lo che anche
raccomando a Giovannino [...]”), li avvertiva scherzosamente:
“[...] Vi abraccio intanto, e benedico, sperando fra brieve rivedervi, e se
osserverò non aver voi fatto profitto nello studio, allora non vi voglio più per
Nipoti, giacché i giovani ignoranti sono mal veduti da tutti, anche dai parenti, e
particolarmente poi, da [...]
Vostro Zio da padre
Salvadore Verga
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 59/S2
Titolo: Giovanni Verga: la formazione
Attività n°: 1

Giovanni Verga: la formazione


La lettera di “Giovannino” (come gli stralci già citati dalla lettera dello zio Salvatore), è tratta da G.
Verga, Lettere alla famiglia (1851-1880), a cura di G. Savoca e A. Di Silvestro, Acireale-Roma,
Bonanno, 2011, pp. 57-58).
Caro Sign.r Zio,
Ieri abbiamo ricevuto il suo gratissimo foglio nel quale avemmo rilevato l’amore che
V.E. nutre per noi; da canto mio La ringrazio della premura che V.E. si piglia per lo
studio nel quale dobbiamo fondare i nostri pensieri per la nostra riuscita.
Abbiamo inteso che V.E. verrà fra poco in questa, e desideriamo sapere il giorno della
di Lei venuta onde adempiere il nostro dovere venendoLa ad incontrare.
Intanto desidererei che con la venuta di V.E. porterà qualche libro di storia per
divertirmi, essendo quasi in fine della Storia romana di Rollin che mi ha favorito
questo mio Sig. Zio Don Salvadore.
Io studio la Lingua Latina, ed in due mesi che ho dimorato in questa incomincio a
spiegare tale Lingua.
Le baciamo le mani come pure alle Sign.r Zie alle quale non scrivo per farmi le cosi
della Scuola, non che alla Zia D.nna Francesca, mi dico
Suo nipote da figlio
Giovan Carmelo Verga
ai 12 marzo 1851.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 59/S2
Titolo: Giovanni Verga: la formazione
Attività n°: 1

Giovanni Verga: la formazione

Giovannino si adegua nel tono deferente al ruolo di nipote e figlio ben educato,
affermando di condividere le attese che la famiglia tutta ripone in lui e nel fratello
(“nel quale dobbiamo fondare i nostri pensieri per la nostra riuscita”); dopo una serie
di formule stereotipe che ci informano della possibilità che lo zio visiti presto a
Catania la famiglia Verga, il giovanissimo Verga si sofferma ad illustrare lo stato di
avanzamento dei propri studi.
Ha appena avviato, con gli studi secondari, lo studio del latino che ha accompagnato
con letture che possano collocare meglio la nuova materia, giacché dice di aver ormai
quasi terminato la lettura dell’Histoire romaine depuis la fondation de Rome jusqu’à
la bataille d’Actium pubblicata in cinque volumi fra il 1738 e il 1741 da Charles Rollin
(1661-1741), che fin dal 1761 era stata tradotta in italiano godendo di notevole
fortuna e di numerose ristampe; un testo dunque manualistico, ormai vecchio di un
secolo, che lo zio Salvatore Di Mauro (il fratello della madre) gli ha dato in prestito. È
necessario dunque che il destinatario della lettera ricordi, nella prossima visita
catanese, di rifornire il nipote di buoni e utili libri.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 59/S3
Titolo: Giovanni Verga: la formazione
Attività n°: 1

Giovanni Verga: la formazione


Della formularità delle buone maniere, adottata per sottolineare la deferenza verso
lo zio letterato, fanno parte le maiuscole per le formule allocutive di cortesia (“La
ringrazio”, “della di Lei venuta”, venendoLa), l’appellativo di “V(ostra) E(ccellenza)” e
soprattutto l’utilizzo del pluralis modestiae (“abbiamo ricevuto”, “avemmo rilevato”,
“per noi”, “nel quale dobbiamo”, “Le baciamo le mani” etc.), pressoché costante nei
primi due capoversi e nell’ultimo, al quale non si adeguano (o per distrazione o per
consapevole variatio), “da canto mio La ringrazio” e “alle quale non scrivo per farmi
[...] mi dico” (la prima persona singolare è invece adottata sistematicamente nei due
capoversi centrali, di pertinenza più autobiografica).
Dal punto di vista fono-morfologico tutto è adeguato alla ‘lingua’ e niente traspare
della provenienza siciliana del ragazzo, se non per due caratteristiche che ad un
primo sguardo potrebbero apparire due scorsi di penna o peggio refusi dell’edizione
di riferimento, entrambi concentrati nelle righe finali:
“Le baciamo le mani come pure alle Sig.r Zie alle quale non scrivo per farmi le
cosi della Scuola”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 59/S3
Titolo: Giovanni Verga: la formazione
Attività n°: 1

Giovanni Verga: la formazione


Entrambi gli ‘errori’ pagano lo scotto al vocalismo atono siciliano, che in posizione finale
è rigorosamente trivocalico (-u, -a, -i) e che in tale medesima posizione non conosce -
e. È dunque coerente con le abitudini articolatorie del dialettofono le cosi in luogo di le
cose; mentre alle quale per alle quali è un ipercorrettismo (nel timore di cadere
nell’errore di rendere con -i quel che la lingua richiedeva uscisse in -e, il giovane Verga
eccede nella correzione preventiva e restituisce come -e quello che invece doveva
legittimamente essere -i). Questo tipo di errore si rintraccia altre volte nel corpus
verghiano delle lettere familiari, soprattutto negli anni giovanili (per es. “altre relazioni
che quelli” in una lettera del 1864), ma anche in una lettera del 1874 (“delle istigazioni
malevoli”) certo facilitato vuoi dalla fretta vuoi dal registro poco formale.
Quel che invece colpisce di più è l’impaccio, se non addirittura le ‘aberrazioni’ sintattiche
che rintracciamo nella lettera del 1851.
“Ieri abbiamo ricevuto [...] nel quale avemmo rilevato [in luogo di ‘rilevammo’/’abbiamo
rilevato]”: Verga usa in maniera corretta il passato prossimo toscano (che il siciliano
non conosce) in abbiamo ricevuto, Abbiamo inteso, ha favorito, ho dimorato; ma al
momento di dover individuare un tempo che indichi la posteriorità rispetto a quel
passato prossimo, ricorre ad un trapassato remoto che risulta illogico e agrammaticale.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 59/S3
Titolo: Giovanni Verga: la formazione
Attività n°: 1

Giovanni Verga: la formazione


Errata anche la costruzione “desidererei che con la venuta di V.E. porterà”, formulazione
incerta e contaminata fra ‘desidererei che … portasse’ e ‘mi auguro / credo che …
porterà’, il tutto complicato dalla volontà (in luogo sintatticamente ingestibile) di esporre
ancora il titolo di “V(ostra) E(ccellenza)” che, da complemento di specificazione retto da
con la venuta, si fa impropriamente soggetto di porterà.
Improprio l’uso sintattico di spiegare per ‘aver chiara’ che avrebbe semmai richiesto la
forma passiva o riflessiva, mentre la locuzione toscana è ripresa in maniera
approssimativa in da canto mio (interferenza fra da parte mia e dal canto mio). È
senz’altro un toscanismo pigliare, anzi piuttosto il pronominale pigliarsi (premura), per
‘prendere, prendersi’; viceversa si adegua alla moda francesizzante, favorire per ‘mettere
a disposizione, prestare’. D’altro canto l’uso lessicale di divertirmi è un arcaismo (se non
un vero e proprio latinismo escogitato autonomamente dal latino divertere, ‘volgersi
altrove’ e dunque nel contesto con il significato di ‘sospendere temporaneamente lo
studio’, insomma ‘per svagarmi’); le diverse edizioni del Vocabolario della Crusca ne
riferiscono un solo esempio trecentesco e e alcuni cinquecenteschi.
Formule stereotipe di matrice libresca sono la perifrasi “(della) di Lei (venuta)” per
l’aggettivo possessivo, l’antiquato onde ‘affinché’, il formale adempiere; foglio per ‘lettera’
è a questa data limitato ormai all’uso poetico.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 60
Titolo: GIOVANNI VERGA: LA FORMAZIONE DI UNA LINGUA
Attività n°: 1

Giovanni Verga: la formazione di


una lingua
La lingua della letterina del Verga undicenne è una lingua italiana fatta di molte
anime e di modelli differenti e variegati, composita per necessità piuttosto che
eclettica per scelta consapevole; eclettismo e contaminazione che Verga, con ogni
verisimiglianza, assume dal contesto in cui sta apprendendo l’italiano.

La supposizione trova conforto in quel che dice Gabriella Alfieri tratteggiando il


panorama dell’insegnamento linguistico in Sicilia nella seconda metà del XIX secolo
(Gabriella Alfieri, La Sicilia, in L’italiano nelle regioni. Lingua nazionale e identità
regionali, a cura di Francesco Bruni, Torino, UTET, 1992, pp. 798-860: pp. 835-836;
si avverta che a citazione interna è al classico volume di Luigi Russo, Giovanni
Verga, la cui prima ed. è del 1920 cui seguì una nuova redazione del 1934,
ulteriormente ampliata nel 1941):
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 60
Titolo: GIOVANNI VERGA: LA FORMAZIONE DI UNA LINGUA
Attività n°: 1

Giovanni Verga: la formazione di una lingua


“L’educazione linguistica nella Sicilia del secondo Ottocento si articolava, senza lace-
ranti divisioni ma anzi con ambigue mescidanze, tra fiorentinismo manzonista e
strascichi di toscanismo purista. Il modello di lingua viva proposto dal Manzoni si
contemperava con il toscano cinquecentesco di commedie ed epistolari, o addirittura
con quello trecentesco, con risultati stridenti nella pratica linguistica. Sintomatica l’opi-
nione di un classicista ‘illuminato’ [come l’insegnante catanese Cavallaro, rivale di
Antonino Abate]:
Non potendo negarsi esser la lingua materna, quella per appunto in cui siamo obbligati di
esprimere i nostri bisogni, gli oggetti che ci circondano, le relazioni d’una persona ad un’al-
tra, a dir pieno le esigenze della società in che viviamo, è necessaria illazione che la deb-
b’essere studiata indubitabilmente a preferenza di ogni altra; e i giovanetti se ne vadano
istruendo per tempo e ne piglino affezione
La ben mimetizzata allusione alla teoria manzoniana dei bisogni comunicativi non deve
lasciare illusioni sul toscanismo di questo educatore, ancorato al rassicurante uso tre-
cinquecentesco, e titolare a Catania di una scuola privata che faceva concorrenza a
quella frequentata da Giovanni Verga, il cui maestro ‘per nulla cruschevole o grammati-
chevole’ (Russo 1974: 131) si mostrò incapace di proporre modelli linguistici alternativi
al toscanismo purista”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 60/S1
Titolo: Giovanni Verga: la formazione di una lingua
Attività n°: 1

Giovanni Verga: la formazione di


una lingua
Ma chi era Antonino Abate, “per dieci anni maestro privato del giovane Giovanni
Verga”? Un panorama intellettuale ci è offerto da Antonio Di Grado, nel saggio Il
maestro di Verga: gli ‘astratti furori’ di Antonino Abate, edito nel già citato volume
dedicato dalla Fondazione Verga a I romanzi catanesi di Giovanni Verga, pp. 67-80.
Al momento di diventare maestro di Verga, Antonino Abate aveva alle spalle (sebbene
non ancora trentenne) un passato ‘eroico’; repubblicano e carbonaro, aveva preso
parte diretta ai moti siciliani, durante i quali era rimasto ferito da “una pallottola che
gli perforò l’addome nel corso dei combattimenti del 6 aprile 1849, che lo videro
resistere fra i popolani del Battaglione Corso, alle truppe borboniche alla porta di Aci
[di Catania]” (Di Grado, pp. 68-69). Fuggito a Palermo, ma poi rientrato nella città
d’origine, nel 1850 aveva cominciato a pubblicare a dispense il romanzo storico Il
Progresso e la Morte, subito bloccato dalla censura che lo esautorò dall’insegnamento
pubblico che aveva da poco ottenuto in uno dei collegi cittadini.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 60/S1
Titolo: Giovanni Verga: la formazione di una lingua
Attività n°: 1

Giovanni Verga: la formazione di una lingua

“[...] nel giudicare Il Progresso e la Morte, i letterati catanesi [...] ne


notomizzarono spietatamente gli spropositi grammaticali, sintattici e perfino
ortografici e ne misero in luce i reboanti secentismi: e invero in quelle pagine
antitesi, bisticci e oscurità tali da far impallidire l’Anonimo manzoniano cooperano
a una rappresentazione magniloquente della storia umana in cui abbondano le
personificazioni e vengono mobilitati, senza risparmio di mezzi, vasti repertori
mitologici e storici: caratteristica, questa, di tutta la produzione dell’Abate, che a
quel repertorio non cessò mai d’attingere a piene mani, fosse pure per difendere
i privilegi del Collegio Cutelli o per osteggiare un progetto urbanistico da lui non
condiviso, vuoi nei suoi infuocati pamphlets vuoi sulle colonne dei giornali da lui
diretti o ispirati” (Di Grado, pp. 69-70).

Coerente con il suo carattere sanguigno l’Abate esercitava il suo insegnamento


privato travasando i propri sentimenti politici e patriottici nelle scelte letterarie che
comprendevano letture quotidiane agli scolari dell’Ortis foscoliano, dei versi di Byron
e dei romanzi di Alexandre Dumas.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 60/S1
Titolo: Giovanni Verga: la formazione di una lingua
Attività n°: 1

Giovanni Verga: la formazione di una lingua

Gli anni successivi, durante i quali Giovanni Verga frequentava ancora la sua scuola, lo
videro intento alla scrittura del suo poema, la Rigenerazione della Grecia a cui attese per
un quindicennio e della sua autobiografia Racconto di un esule, pubblicato nel 1860.
In quell’anno Garibaldi liberava Catania dall’esercito borbonico, ma Antonino Abate (a
differenza del giovane Verga che aderì a quelle giornate) si dissociò dall’attacco
garibaldino ritenuto un inutile spargimento di sangue, preludio all’ascesa di una nuova
classe dirigente moderata (la camerilla raccontata dall’Abate in La Camerilla in Catania,
pubblicata nel 1868). Non passarono molti anni perché l’Abate divenisse prima fautore
della Sinistra garibaldina, poi filo-governativo, continuando a scrivere sui giornali da lui
diretti, continuando a produrre, in un’anacronistica figura di Vate, poemi e tragedie
“altrettanto irrispettose delle unità aristoteliche che d’ogni verosimiglianza storica e
finanche scenica” (Di Grado, pp. 73-74).
Candidatosi invano alle elezioni politiche nel 1876, divenuto acrimonioso e ancor più di
prima battagliero almeno a parole, continuò a scrivere poemi e poemetti fino alla morte
prendendo spunto da fatti di cronaca o da vicende locali, senza mai abbandonare
l’armamentario della sua vena retorica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 60/S2
Titolo: Giovanni Verga: la formazione di una lingua
Attività n°: 1

Giovanni Verga: la formazione di


una lingua
Al profilo abatiano tracciato da De Grado possiamo aggiungere il seguente commento
di Gabriella Alfieri:
“[L’Abate] si era limitato infatti a rivendicare la libertà dalle pastoie filologiche, in
nome di una non meglio identificata scienza del Vero, del Bello e del Buono, che
‘appresta le note che compongono l’incomparabile armonia del nostro dolcissimo
idioma’, anch’esso non identificato nel tempo o nello spazio come toscano o
italiano” (Alfieri, La Sicilia, p. 836; la citazione interna deriva dalle Osservazioni di
A. Abate al nuovo disegno per riformare le scuole elementari nella città di Catania
del prof. F. De Felice, Catania, 1870);
mentre informazioni più vicine nel tempo, se non proprio di prima mano, ci
provengono da Federico De Roberto (Il maestro di Giovanni Verga poi raccolto in Casa
Verga e altri saggi verghiani, cit., pp. 38-61; le citazioni che seguono provengono da
pp. 44-46 e rispettivamente p. 41):
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 60/S2
Titolo: Giovanni Verga: la formazione di una lingua
Attività n°: 1

Giovanni Verga: la formazione di una lingua


“Narrava il poeta ai discepoli la storia dell’anno fortunoso e quello della precedente, più
breve, ma non meno sciagurata rivolta del ’37, complicata dalla prima invasione del colera;
descriveva i combattimenti, i bombardamenti, le fucilazioni [...]; declamava le pagine del
poemetto – per il momento inedito, anzi nascosto ‘nelle viscere della terra’ – che egli veniva
componendo intorno alla caduta della città: Il Venerdì santo del ’49 in Catania, dove cantava
la libertà [...]. È facile immaginare il piacere col quale i giovanetti frequentavano una scuola
consistente più che altro nella lettura di questi e di altri poe-mi, fatta con voce commossa
dallo stesso autore, via via che li veniva componendo. Egli leggeva e faceva leggere anche
poesie e prose di altri autori – più dei moderni e moder-nissimi che non dei classici – ma gli
scolari si interessavano molto più a quelle del maestro, dove trovavano unita l’osservazione
dei fatti accaduti quasi sotto i loro occhi con l’invenzione di certi particolari effetti
sentimentali e pittorici”.

“Quanto fosse a quei tempi trascurato lo studio dell’italiano in Sicilia, e segnatamente a


Catania, si può argomentare dal fatto che la scuola dell’Abate godeva di nuovo credito
perché questo maestro spiegava anche che cosa erano e quali erano i sinonimi! E
Giovanni Verga ne fece, come gli altri condiscepoli, un elenco trascritto poi in bello dal babbo
suo, che riponeva molte speranze su questo figlio [...]. Ma le differenze sinonimiche erano
spiegate dall’Abate come regole grammaticali: ad orecchio, senza autorità di testi, allo stesso
modo – bisogna aggiungere a sua discolpa – che le avevano insegnate a lui”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 60/S3
Titolo: Giovanni Verga: la formazione di una lingua
Attività n°: 1

Giovanni Verga: la formazione di


una lingua
Delle limitatezze della scuola dell’Abate non poteva accorgersi l’undicenne appena
entrato sotto le ali del maestro; ma è improbabile che Giovanni Verga non ne abbia
avuto il sentore o la certezza man mano che proseguiva gli studi in quella scuola,
tanto più quando i rapporti con il proprio insegnante si incrinarono all’arrivo di
Garibaldi a Catania: in quell’occasione il docente e il discente si trovarono su
posizioni opposte; negli stessi anni, alla posizione filo-sabauda del più giovane,
favorevole all’annessione della Sicilia al Piemonte, si contrappose la fede
repubblicana e antiunitaria del più anziano; infine, ancora nel 1860, il maestro
“strappò con un piccolo golpe redazionale il ‘Roma degli Italiani’ dalle mani dei
giovani [Niccolò] Niceforo e Verga”; quest’ultimo “non mancò di resistere al tentativo
e in una fiera lettera di protesta imputò al vecchio maestro l’intento di ‘assorbirci
interamente e ridurci veri fattorini di stamperia’ ” (Di Grado, pp. 72-73).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 60/S3
Titolo: Giovanni Verga: la formazione di una lingua
Attività n°: 1

Giovanni Verga: la formazione di una lingua

Insomma alla progressiva maturazione del futuro scrittore lungo quel decennio 1850-
1860 e alla palese autonomia dal maestro conseguita sul piano delle scelte politiche
alla fine di quel medesimo decennio dovette accompagnarsi anche la consapevolezza
verghiana che la padronanza linguistica dell’italiano, ormai indispensabile nello
scambio all’interno della nuova Nazione, e ancora più la conquista di una lingua che
potesse soddisfare l’intima vocazione di narratore, non poteva contentarsi della
scuola di Antonino Abate.
Quando questa consapevolezza interna sia stata raggiunta e come Verga abbia
tentato di porvi rimedio non sappiamo con assoluta certezza; possiamo però fare
delle ipotesi non inverosimili passando in rassegna gli strumenti linguistici che ancora
oggi sono conservati nella Biblioteca Verga (circa 2600 volumi) depositata presso la
Casa Museo Giovanni Verga di Via Sant'Anna a Catania (fondamentali per la
conoscenza di questo patrimonio librario sono i volumi: Giovanni Garra Agosta, La
biblioteca di Giovanni Verga, Catania, 1977 e Biblioteca di Giovanni Verga, catalogo, a
cura di C. Lanza, S. Giarratana, C. Reitano, introduzione di S.S. Nigro, Catania,
1985).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 60/S3
Titolo: Giovanni Verga: la formazione di una lingua
Attività n°: 1

Giovanni Verga: la formazione di una lingua


Nuovo dizionario dei sinonimi della lingua italiana di Niccolò Tommaseo; uscito una
prima volta nel 1830 a Firenze e in versione definitiva a Milano nel 1867; Verga ne
possedeva l’edizione, non autorizzata dall’autore, di Napoli 1855;
Saggio intorno ai sinonimi della lingua italiana di Giuseppe Grassi, uscito nel 1821 e poi
ristampato molto spesso (undici edizioni se ne contano fra il 1821 e il 1862); Verga
possedette l’edizione Con giunte ed osservazioni di G. Di Stefano, Napoli, 1856;
Istituzioni di rettorica e belle lettere tratte dalle lezioni di Ugo Blair dal padre Francesco
Soave, anche questo testo scolastico fortunatissimo, di cui Verga possedeva
l’edizione di Napoli 1850.
Manca invece nella biblioteca verghiana il Nuovo dizionario siciliano-italiano di V.
Mortillaro Marchese di Villarena, Palermo 1838-1844; Palermo 18532; edizione corretta e
accresciuta, Palermo 18623 che pure sappiamo essere stato compulsato dallo scrittore.
Senza voler trarre da questi pochi dati una conclusione definitiva, ci limiteremo a notare
che le copie possedute da Verga hanno la possibilità di essere state acquistate ancora
durante la frequentazione della scuola di Antonino Abate, come del resto pare
confermare la consultazione da parte di Verga del Dizionario del Tommaseo fin dalla
della stesura dei primi romanzi: Amore e patria e I carbonari della montagna.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 61
Titolo: Giovanni Verga: la prima produzione
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui contenuti


studiati nelle lezioni precedenti dedicate alla
formazione verghiana, lo studente è invitato a
compilare il test associato a questa sessione di
studio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 61/S1
Titolo: Giovanni Verga: la prima produzione
Attività n°: 1

TEST: esercizio sulle banche dati


Lo studente verifichi
-- nella Lessicografia della Crusca in rete (http://www.lessicografia.it/)
la presenza o meno, nelle diverse edizioni del Vocabolario della Crusca, del
lemma foglio nel significato di ‘lettera’;
-- infine, nella banca dati Biblioteca Italiana (http://www.bibliotecaitaliana.it/)
svolga la medesima ricerca del lemma foglio , limitando però il PERIODO
all’800, e distinguendo la ricerca fra PROSA e POESIA (nel campo SEZIONI
TESTUALI). Dei primi tre testi/occorrenze così ricavati si verifichi se e dove il
lemma ricercato assume il significato di ‘lettera’.

I risultati della ricerca (dati quantitativi ed commenti) dovranno essere


inviati tramite eportfolio, avvertendo al contempo il docente sul sistema di
messaggistica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 61/S2
Titolo: Giovanni Verga: la prima produzione
Attività n°: 1

La prima produzione verghiana


Ben poco si sa del primo romanzo che un Giovanni Verga appena diciassettenne compose
fra il 23 dicembre 1856 e il 26 agosto 1857: Amore e Patria, la cui trama prendeva
spunto dalla guerra d’indipendenza americana.
Di questo romanzo solo alcuni capitoli sono stati pubblicati da Lina Perroni nei suoi
Ricordi di D'Artagnan: la prima giovinezza di Giovanni Verga e due suoi romanzi
sconosciuti: Amore e patria; I carbonari della montagna (Palermo, Edizioni del Sud, 1929,
pp. 2-65) e a queste pagine tutti gli studiosi successivi hanno dovuto attingere per
avvicinarsi, per quel che era possibile, a questo primo romanzo di Verga.
L’autografo di Amore e Patria fino a poco tempo fa era andato disperso, ma alcune sue
caratteristiche ci sono testimoniate da Federico De Roberto che nel 1920 poté vederlo (e
leggere il romanzo nella sua integralità), dando indicazione, in un articolo di quell’anno,
delle due date già citate relative all’avvio e alla conclusione della stesura, del numero di
pagine, della divisione in trentacinque capitoli, delle didascalie intitolative di alcuni di essi
etc. (Federico De Roberto, Il primo romanzo di Giovanni Verga, “Giornale di Sicilia”, 28-29
agosto 1920 e poi ristampato con il titolo L’esordio di Giovanni Verga: “Amore e Patria” in
Casa Verga e altri saggi verghiani, cit., pp. 86-100).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 61/S2
Titolo: Giovanni Verga: la prima produzione
Attività n°: 1

La prima produzione verghiana


Il De Roberto rammenta l’occasione in cui Verga tornò a parlare di questo romanzo :
“Dell’Amore e Patria il Verga non parlò mai a nessuno se non quando fu giunto alla sera della sua
grande giornata, durante le feste del 1920; non distrusse però il manoscritto, lo custodì anzi fra le
sue carte più care, e consentì anche, in quella memorabile ricorrenza, che qualche suo intimo lo leg-
gesse. Il grosso volume si è ritrovato al suo luogo: sono 672 pagine ingiallite dal tempo, ricoperte da
una scrittura variamente sbiadita, ma grande e chiara come non fu mai più quella dell’artista pro-
vetto e illustre” (p. 89).
De Roberto racconta che l’autore aveva mostrato Amore e Patria ad Antonino Abate:
“Dopo aver letto il grosso manoscritto l’Abate tenne l’autore in nuova considerazione; ma qui si vide
improvvisamente, con la larghezza di maniche del maestro, la precoce serietà e la grande coscienza
del discepolo; il quale, benché si struggesse di dare alle stampe il suo romanzo, e vi fosse incorag-
giato dall’Abate, non s’acquetò a quel giudizio che sospettò dettato da soverchia indulgenza e
parzia-lità, e volle sottoporlo a riprova. Con quella dell’Abate, il giovanetto frequentava la scuola di
latino tenuta da un prete, don Mario Torrisi; il quale, sebbene distraesse anch’egli i suoi giovani dallo
stu-dio di Virgilio e di Orazio, con le letture di Ossian e di altri poeti moderni, par-ve nondimeno al
ro-manziere in erba un più sereno e severo giudice, capace di rivedere la sentenza del troppo
compia-cente cugino. E infatti il Torrisi, pure addolcendo la pillola con lo zucchero di molte lodi,
dichiarò al-l’immaturo autore che l’opera era più immatura di lui, e che gli avrebbe procurato in
avvenire penti-menti e rimorsi se non l’avesse messa da parte. E il Verga, pur soffrendone non poco
in cuor suo, seguì senz’altro il saggio consiglio” (pp. 87-88).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 61/S3
Titolo: Giovanni Verga: la prima produzione
Attività n°: 1

La prima produzione verghiana


La trama, esemplata su modelli tardo-romantici europei, e costellata di colpi di scena,
duelli alla pistola e all’arma bianca, incendi e incontri notturni, muove da un momento di
difficoltà degli Indipendentisti americani nella guerra contro l’esercito inglese:
“È già un’astuzia di artista esperto questo iniziare l’azione dal momentaneo
abbattimento degli eroi che la chiuderanno trionfalmente; la curiosità e la passione
non potrebbero essere più accortamente suscitate nell’animo del lettore. E la perizia
nel mandare avanti di pari passo la storia e il romanzo e le loro complicatissime
vicende, la spezzatura nell’interrompere un filo per seguirne un altro, la bravura
nell’avviamento dei singoli capitoli sono veramente superiori all’età dell’esordiente”
(De Roberto, L’esordio di Giovanni Verga, p. 90).
I personaggi impersonano in maniera contrapposta il bene e il male: Eduardo, amante
fedele, patriota e soldato coraggioso, non cede alle insidie di una donna scaltra e corrotta
(Clary) che vorrebbe strapparlo all’amore per Eugenia. Ai protagonisti si affianca la figura
del bandito Pierotto Wolff, fuorilegge per necessità, ma non per sentimenti ed ideali, che
salva Eduardo per ben due volte dalla ferocia dell’ufficiale inglese Butchilid e che alla fine
sarà egli stesso salvato da Eduardo che lo ha condannato inconsapevolmente alla pena
capitale.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 61/S3
Titolo: Giovanni Verga: la prima produzione
Attività n°: 1

La prima produzione verghiana


Alla “utilizzazione giovanilmente ed ingenuamente spericolata della mitologia romanzesca
contemporanea” (Enrico Ghidetti, Introduzione a G. VERGA, I Carbonari della montagna,
Sulle lagune, Una peccatrice, Firenze, Sansoni, 1983, p. X) corrisponde sul piano
linguistico “un rigurgito di enfasi oratoria e di compiacimento patetico” sufficienti a
dimostrare “il buon fiuto del Torrisi” che convinse “il giovane a chiudere il manoscritto
[...] in un cassetto”.
Ma, come dice Federico De Roberto in conclusione del suo saggio L’esordio di Giovanni
Verga (p. 100):
“Non è qui il luogo di vedere quali e quanti di questi effetti proprii dell’estremo e
boccheggiante romanticismo il giovinetto autore derivò dal Castorina [cioè Domenico
Castorina, cugino del Verga ma di lui più vecchio di una generazione; verseggiatore
famoso ai suoi tempi anche fuori della Sicilia], dall’Abate e dagli scrittori francesi a
quel tempo avidamente letti e incondizionatamente ammirati. Ma non sarà inutile
considerare da quale punto Giovanni Verga prese le mosse, perché in tal modo si
potrà misurare la grandezza dello sforzo che egli dovette compiere per liberarsi da
queste sinistre influenze, la serietà dell’impegno contratto con se stesso quando si
propose di divenire scrittore, e la forza del genio che gli schiuse un giorno la via per
la quale giunse all’arte immortale ed alla gloria imperitura”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 62
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

La prima produzione verghiana


All’incirca agli anni della scrittura di Amore e Patria (1856-1857) abbiamo
ipoteticamente fatto risalire il desiderio del giovane Verga di colmare (comprando libri
e strumenti attinenti alla lingua), le lacune di un insegnamento provinciale e
disattento, sopperendo con la consultazione di grammatiche e di lessici al bisogno di
impossessarsi di una lingua comune utile alla scrittura letteraria. Non sappiamo quali
siano stati i motivi che il maestro di latino addusse per distogliere lo scrittore
adolescente dalla pubblicazione della sua prima prova letteraria, ma non si può
escludere che proprio a quel primo negativo giudizio si debba la presa d’atto che
occorreva affiancare l’iniziativa personale all’insegnamento di Antonino Abate. Rimane
il fatto che unanime è il giudizio dei moderni sulla prosa del primo romanzo verghiano
(per lo più limitata agli stralci editi da Lina Perroni).
“Certo, chi volesse cogliere le inverosimiglianze dell’invenzione, le ingenuità della
psicologia e gli errori della forma in questo saggio troppo immaturo e ancora
tutto scolastico, ne formerebbe un grosso elenco” (De Roberto, L’esordio di
Giovanni Verga, p. 91).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 62
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

La prima produzione verghiana


“Amore e Patria, il primo romanzo del Verga, scritto a 16 anni, rimasto inedito per
consiglio dello stesso Abate [ma abbiamo visto che al contrario l’Abate fu, al dire di De
Roberto entusiasta e che fu invece il Torrisi a sconsigliarne la pubblicazione] è, per
quello che se ne conosce, un prolisso componimento di scuola, pieno d’imparaticci,
scritto in un italiano approssimativo e caratteristico per la sua enfasi patrittica e
civile, che poi non ritroveremo più, sia pure trasfigurata e domata, nell’opera più
adulta” (Luigi Russo, Giovanni Verga, p. 32)
che vanno ad aggiungersi a quello stilistico di Enrico Ghidetti (“un rigurgito di enfasi
oratoria e di compiacimento patetico”). Come afferma Giuseppe Petronio:
“Non è, si capisce, questione di ingegno o di doti, ché Verga ne aveva più di tanti altri,
e lo mostrò presto; è questione di cultura, e cultura significa anche possesso degli
strumenti moderni, possibilità di individuare i problemi dell’oggi e di analizzarli con i
mezzi più adatti. Infatti: basterà che Verga, subito dopo, si affacci a Firenze, e poi vi si
stabilisca, perché cambi registro: i romanzi degli anni seguenti – quelli che precedono
la sua adesione al naturalismo – potranno essere incerti, deboli, sbagliati: non
importa, sono ormai [...] all’unisono con la cultura del tempo; sono se si vuole
letteratura di consumo o di intrattenimento più che letteratura ‘alta’, ma sono però
‘moderni’, ‘italiani’, ‘europei’, non più ‘catanesi’”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 62/S1
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari


della m ontagna
Il giudizio di Giuseppe Petronio non fa riferimento al solo Amore e Patria, bensì ad
un’intera stagione letteraria del Verga esordiente che viene cumulativamente definita
‘catanese’.
Il primo scacco, rappresentato dal giudizio negativo del maestro di latino e dalla
conseguente decisione di chiudere Amore e Patria nel cassetto rinunciando alla sua
pubblicazione, non distoglierà Giovanni Verga dalla propria vocazione.
Nel 1858 il giovane si iscrive alla Facoltà di Legge dell’Università di Catania,
obbedendo al desiderio del padre, ma senza alcun interesse (abbandonerà
definitivamente gli studi nel 1861, quando ormai anche l’attività politica e giornalistica
hanno contribuito a distoglierlo dalla ventilata carriera d’avvocato); e durante gli anni
universitari, nel pieno fervore della passione risorgimentale che lo vede schierato a
favore dell’unificazione politica sotto la monarchia sabauda, Giovanni Verga, ancora
diciannovenne, comincia a scrivere I Carbonari della montagna.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 62/S1
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari della m ontagna


Stavolta il romanzo verrà pubblicato a spese dell’autore (mille lire dategli dal padre ormai
convinto che la laurea non ci sarà) nel 1861-1862, in quattro tomi (“quattro eleganti
volumetti d’un centinaio e mezzo di pagine ciascuno, venduti al prezzo di ‘italiane lire
2,60 per gli Abbonati’ e di lire cinque ‘pei non abbonati’ (De Roberto, I Carbonari della
montagna, in Casa Verga e altri saggi verghiani, pp. 101-117: p. 108); i primi tre usciti a
Catania nel 1861 dalla Tipografia di Crescenzio Galatola, l’ultimo l’anno successivo presso
la Tipografia dell’Ospizio di Beneficenza.
Federico De Roberto (ivi, p. 108) dice che della stampa originale “sopravvivono tre o
quattro copie – troppe, a giudizio dell’autore – il quale si rammarica ancora perché,
morto Don Mario Torrisi, l’Abate, a cui egli aveva dato a leggere il nuovo manoscritto, non
fu con esso tanto severo quanto era stato col primo l’altro suo maestro” e sul ‘rammarico’
dell’autore e sul giudizio che negli anni venturi il Verga esprimerà sulla propria produzione
giovanile torneremo a più riprese.
Prima di riassumerne in breve il contenuto, diamo uno sguardo all’organismo romanzesco
nel suo complesso. I Carbonari della montagna è, ancora una volta, un romanzo storico
(come esplicita lo stesso sottotitolo dell’edizione), organizzato in cinquantaquattro capitoli
(preceduti da un brano introduttivo, privo di titolazione autonoma, sul quale ci
soffermeremo più avanti, e da un Epilogo), ciascuno contraddistinto da un titolo
tematico.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 62/S1
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari della m ontagna


I capitoli XXIX-XLII però hanno un’ulteriore didascalia intitolativa sovraordinata: Memorie
di un carbonaro, e rappresentano un sottogenere del romanzo storico, il romanzo-
memoriale, corrispondente alla trascrizione (o, nella finzione romanzesca, alla lettura da
parte del personaggio femminile principale, Giustina di San-Gottardo) del libro di
memorie del protagonista Corrado. Oltre all’individuazione di un sottogenere romanzesco,
i capitoli delle Memorie rappresentano un cambio di strategia narrativa: in essi la voce
narrante, che ora dice io, è diversa dalla voce del narratore di primo grado, che si
nasconde dietro la I persona plurale e che gestisce il resto del romanzo; il narratore di
primo grado è onnisciente e etero-diegetico mentre nei capitoli delle Memorie chi parla è
un narratore di secondo grado omodiegetico e intradiegetico; al primo narratore si
tornerà con il capitolo XLIII.

Al di fuori delle Memorie di un carbonaro il narratore di primo grado gestisce una


narrazione opaca, nella quale l’immanenza del narratore è costantemente rimarcata da
interventi o commenti rivolti al lettore (“Poche parole sul paesaggio.”; “Il terzo monte [...]
ha più dritto al nome che gli abbiamo dato”; “La baronessa era vedova da pochi anni ; il
barone era l’unico figlio rimastole: ciò spiega tutto” nel I capitolo e così via).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 62/S2
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari


della m ontagna

La storia è ambientata nella Calabria del 1810 e racconta la lotta contro il governo di
Murat, condotta dei carbonari calabresi guidati dal protagonista Corrado, deluso dalla
parabola involutiva dell’esperienza napoleonica e disposto ad assecondare l’infido
governo borbonico (che li sfrutterà per poi combatterli come briganti) pur di scrollarsi
di dosso il giogo francese.
Si assiste dunque con I Carbonari della montagna al primo passo di quel viaggio di
progressivo avvicinamento alla contemporaneità, nello spazio e soprattutto nel tempo,
dei fatti narrati (avvicinamento in questo caso sensibile rispetto ai paesaggi ‘esotici’ e
agli anni della guerra d’indipendenza americana, su cui si era soffermato Amore e
Patria) secondo una tendenza che sarà poi confermata dai romanzi successivi e
definitivamente sancita con Una peccatrice.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 62/S2
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari della m ontagna

“Carbonari – è superfluo avvertirlo – sono gli affiliati alla Carboneria, i fautori


del libero reggimento dei popoli, i nemici di tutte le oppressioni, così di quella
esercitata a Napoli da Gioacchino Murat con una vernice di falso liberalismo,
come dell’altra, paesana più antica, che Ferdinando IV, riparato in Sicilia,
promette di far cessare nell’isola. Ma la promessa è mentita [...]; il Re [...] e
sua moglie Maria Carolina, che la leggenda dice associata per l’occasione alla
società segreta, incoraggiano l’insurrezione e la guerriglia calabrese
impegnandosi a largire la Costituzione, per poi abbandonare e tradire quanti
hanno creduto alla loro parola bugiarda” (De Roberto, I Carbonari della
montagna, pp. 104-105).

In questo contesto storico più ampio si inserisce la vicenda del protagonista del
romanzo, che paga il proprio tributo alle letture romanzesche del giovane Verga,
come ci ricorda in sintesi Enrico Ghidetti (Introduzione a Verga, I Carbonari della
montagna etc., p. XIII):
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 62/S2
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari della m ontagna


“Nessuno degli ingredienti fondamentali del genere manca infatti nella vicenda di
Corrado, il gran maestro della carboneria calabrese, e quanto egli debba agli
archetipi del titano romantico e del suo parente povero, il superuomo dei
romanzi d’appendice, appare evidente fin dalle prime pagine. Corrado infatti può
vantare una illustre genealogia: eredita il nome dal Corsaro di Byron [...]; la
guida di una compagnia di banditi e la sete di giustizia da Karl Moor, il
masnadiero di Schiller ed infine il pittoresco abito da brigante dai truci
protagonisti dell’epopea brigantesca calabrese (dal Brigante di Biagio Miraglia
all’Errico di Domenico Mauro) ed è certamente imparentato con altri fuorilegge
generosi [...]. Così la storia di Corrado, figlio illegittimo alla ricerca di una identità
sociale, di un risarcimento alla ‘vita condannata’ che gli è toccata in sorte, si
sviluppa parallelamente all’epopea di un popolo alla ricerca di una identità
nazionale [...]. Respinto dalla società, tradito dalla donna amata, costretto a
lasciare l’esercito, Corrado diventerà capo onnipotente e incontrastato di una
società segreta, la cui gerarchia si fonda non sul nome o il rango, ma sul valore e
la devozione all’ideale fino all’estremo sacrificio, e guiderà un esercito di
fuorilegge nella guerriglia senza quartiere contro il nemico francese”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 62/S3
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari


della m ontagna
Dietro lo spirito antifrancese del protagonista si cela il risentimento, del giovane Verga e
dell’Italia filo-sabauda, suscitato dall’armistizio di Villafranca dell’11 luglio 1859; con
esso, per iniziativa unilaterale di Napoleone III, la Francia determinava la fine della
guerra con l’Austria senza tener conto della volontà dell’alleato, il Regno di Sardegna
(che dalla guerra si aspettava la conquista dell’intero Lombardo-Veneto e che invece
ottenne, in seguito alla repentina interruzione della guerra, la sola Lombardia).
Se il senso di delusione conseguente all’armistizio aveva caratterizzato il momento
iniziale dell’ideazione del romanzo, durante i due anni circa della sua scrittura molti altri
avvenimenti nella storia politica italiana contemporanea erano venuti a mutare il quadro
di riferimento: le annessioni del marzo 1860 di Toscana e Romagna, l’impresa dei Mille,
la sconfitta dei Borboni e i plebisciti dell’ottobre (Napoli e Sicilia), infine l’annessione
plebiscitaria di Marche e Umbria del novembre dello stesso anno. E fra tutti questi le
battaglie catanesi fra Garibaldini e esercito borbonico di cui Verga fu diretto spettatore
nel centro della città intorno ai Quattro Canti.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 62/S3
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari della m ontagna

A dire dello stesso Verga (in quanto autore implicito, si ricordi) la scrittura del romanzo
era stata interrotta proprio dagli eventi del 1860 (“in mezzo alle ansie supreme
dell’aspettativa dell’aprile 1860”), insomma dall’impresa garibaldina in Sicilia e nel sud
dell’Italia; ma la definitiva cacciata dei Borboni l’aveva indotto poi a riprendere la
narrazione e a terminarla. Nell’attesa di pubblicare l’opera ormai terminata un altro fatto
di cronaca era infine intervenuto a renderla di maggiore attualità: le insurrezioni
popolari che assunsero le caratteristiche di moti di brigantaggio dopo l’unificazione nelle
ex province del Regno delle Due Sicilie e che, nella lettura che ne dà il Verga in questa
occasione, chiarirono quanto lontani negli ideali e nei comportamenti fossero gli antichi
‘briganti’ del 1810 dai loro omologhi moderni che mettendo in discussione e dunque
cercando di frenare il processo inarrestabile verso l’Unificazione, si alleavano con i
Borboni in nome di un’esterofobia (stavolta gli stranieri erano i Piemontesi) antiitaliana.
Tutto questo racconta l’autore implicito nel breve capitolo introduttivo (datato “Catania,
Novembre 1861”), premesso al romanzo, in cui il confronto (altrimenti affidato
all’acribia del lettore) fra i fatti del 1810 (l’anno in cui si svolgono gli avvenimenti del
romanzo), e quelli del 1859-1861 (della scrittura dei Carbonari) è reso esplicito.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 62/S3
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari della m ontagna


La testimonianza dell’autore circa le due fasi di scrittura è stata considerata non solo
verosimile, ma addirittura illuminante dal punto di vista interpretativo da Nicolò Mineo,
che ha riconosciuto come il primo dei “due moventi polemici” alla scrittura del romanzo,
cioè “l’animus indipendentistico-nazionale (che qui si esprime come odio antifrancese
per effetto della delusione di Villafranca” occupi, da solo, i capitoli dal I al XLVIII,
porzione di testo nella quale “non si trovano indizi che predispongano l’attesa del
tradimento borbonico e della deprecatoria condanna da parte del Verga”, tema
quest’ultimo che invece “si svolge distesamente solo a partire da uno degli ultimi
capitoli, il XLIX”:
“Si potrebbe presumere che l’intento iniziale fosse non la linea di collisione nei
confronti della monarchia napoletana, ma anzi il suo coinvolgimento nella
prospettiva nazionale e liberale” (Nicolò Mineo, Strutture narrative e orientamenti
ideologici ne I carbonari della montagna, in I romanzi catanesi di Giovanni Verga,
Catania, Fondazione Verga, 1981, pp. 86-87)
ipotesi scontratasi poi con la realtà dei fatti per il comportamento di Francesco II al
momento dello sbarco di Garibaldi in Sicilia, che avrebbe indotto il Verga ad introdurre la
polemica antiborbonica nei capitoli finali.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 63
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari


della m ontagna
Questo romanzo, che il Verga inviò, fra gli altri, a Domenico Guerrazzi e Alexandre Dumas,
“dovette [...] godere di un certo favore di pubblico, se due anni dopo la pubblicazione, per
quanto limitata ne potesse essere la tiratura, era del tutto introvabile” (Rita Verdirame,
Introduzione a Giovanni VERGA, I Carbonari della montagna, Sulle lagune, Edizione critica a
cura di R. Verdirame, Firenze, Le Monnier, 1988, p. XIV);
e, sebbene il Verga maturo preferisse dimenticarlo e farlo dimenticare, fu recensito sulla
stampa nazionale; Federico De Roberto riassume il contenuto delle recensioni che il
romanzo ricevette sulla “Nuova Europa” del 23 maggio 1862 (anonima), su “Il Lombardo”
dell’agosto 1862 (firmata Vincenzo Pagano), sulla “Rivista italiana” del 1° settembre 1862
(a firma Lodovico de Rosa, pseudonimo di Luisa Saredo). A proposito della lingua, il primo
recensore annotava:
“La lingua è buona in generale, ma non troppo pura”;
il secondo (addossando le critiche sulla lingua di Verga all’intera Sicilia):
“La Sicilia, sebbene sia stata la culla della lingua italiana, che poscia ebbe il suo
perfezionamento nella Toscana, pure è indietro alle altre provincie per la purità del
linguaggio e l’eleganza del dire”;
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 63
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari della m ontagna


il terzo:
“diviso in periodini, lo stile è gonfio, esagerato, talvolta affettato sino alla leccatura, o
trascurato sino al barbarismo. Dotato di animo indipendente, l’autore non vuole
dipendere nemmeno dalla grammatica”.
Per saggiare questa lingua definita “non troppo pura” e inelegante dai due primi recensori,
e per verificare la natura dello stile definito “gonfio, esagerato [...] affettato [...] o trascu-
rato” dal terzo, leggeremo il brano introduttivo in cui Verga racconta la storia della scrittura
del romanzo nel quale riflette la partecipazione emotiva con cui assisteva agli eventi con-
temporanei partecipando a suo modo, come egli stesso dice alla “battaglia morale ai
Borboni”.
Si ricordi che ogni analisi (di tipo fonetico, morfologico, sintattico, lessicale, cui seguirà
l’esame stilistico) avrà come scopo quello non soltanto di definire le caratteristiche
linguistiche del romanzo preso ad oggetto di volta in volta, ma anche quello di individuare
alcuni degli elementi caratterizzanti la lingua del Verga in un dato periodo.

Nel file pdf allegato troverete la riproduzione delle pp. 5-6 dell’edizione di riferimento
(Giovanni VERGA, I Carbonari della montagna, Sulle lagune, cit.). Si rinvia alle forme
mediante l’indicazione del rigo.
'ruolzelodod elsonb Ip IIBU
-otzeu aluoluell" Iluelunues rep €^oJd eprpualds +rd €l r^JeEEel Jed 'ldlual ilII
§€ -pln Ilsanb ry zznrqv rr8ep pl?J Ieu rsr€rluapp? e^els?q ernddg
'eJdruos olnlJsouoc orue^o^B olel oI{J "uedd?
'estezued ezzet elsanb e
aJercuel ep auozrpelerrr erurl1n eJlsou el ourqqe 'oyodod lonb ry polzerldsu
eJo^ ollns glqrsuerderrr ruBIIBlr '11u,ra1a qplds aqcue aJepnllr orBJ Bp IIIqIJJoI
oluel rJalleJec esunsse oÉEelueEuq olsenb opuen§
- aluoru uI ouoJeuJol
rc 'ezueprJuro, eueJls eun rad UDUnqJDC 7 pueElrq p glred rs opuen§
0t
'llrecllqqnd
red oluozr uonq I oure,relledse o 'eur3ed slr4qn.lle opuoJ uI 'alo1n? ruEo,p
ou8os 1eq 1r 'olocsnfeur auq pq un olue^e^IJcs odruel eqclenb e oduc u1
'orpesse.p o131s oflap llseJ
9Z -rrreru rop ruord 13eEeq roc elesreu8ps ella^op 'g 'g odop ruroÉ anp eyAl
'IJeIJ e a Iuoq
-rog rc el"Jorrr e11Ee11eq eJlsou €l eqJuu eJafleqtuoc 1p emrud 1c 'q1eq ouel
-ered rc puoruoru renb ur 'oleccad p ruoprad rs rc 'tod 3 "'olsuuls uoc tsenb
orursordrr IT '098I agrdy,lep B^lleuedsz(l1ep eurerdns olsue olle ozzaar u!
07, asaur aqclenb ep ouelrruJop aI{J 11o1rdec r orurserdtr B}Io^ eJlsou sllv
'?1i13 Ip ozzeled I3 IsJBrlsolu assa^op uou 'tuoluuC , Iep ouuellB,lls
oluarupleqruoc Iop ournJ II eU ol€lolueÀs eole aqc 'eretpueq u11onb rueru
-opq,l oqc ezresuad oun uou eap^ aqc eru i1s 'oilnl Ip ourorE un ounqqg
'olpass?(p o131s oI aJ
§I -"uurlnJ Ioc {urJ o 'ocrn1 un atuos Qlluue}seq 'o1srr3-r1ue un oluo, Qlcnrqqe
'a 's '81Ìir€d u1 qurorEEs IS
- uassap p oun Ir Qrrrsru o11oq 4rd p5
'eseds a1 qEed fte13 Inr Ip
ourlsoJ 1r ozzueEro g1eÉ rluenE q !ilop)ld tp ouEnd un g 'nplfld EP
eorg.l
-
OI
- IpleqlffD e es€c rp Irouo gE areg 1p eqc 4td ea.e11er1 Is uoN
'rrurJ313l33 rp BrJollI^ EI ouoJelzunuu€ L ,fie13 epreueE 1ap ruIllalloq I
'€lored {rd eJe uou ruoqJog Ip eqc oturulluas sJol[V
'elssJBW Ip ououu€c I ouflutpn €ucls Ip ruellBlJ IoN
'rssoJ IIo^eIp omlu Ions loc IppqIrcD
-JO3 ruorsseuuB 0lI€ €poc uI
"^ar
- Iuolssauus el oJlolp oJauuel ?cu?JJelll^ v
'0161 1p ollp Iep eleprnE oueulluluec Iuoz"u e1 'os1ndrut,1 olep 'e141
'BJu"I3BIII^ ry eced EI ol"urulnJ
€ozr€ 'ruorlru 97 1p osorSpord orcuels o11z 'e1pll,P azuereds Iluo^JaJ ollv
'aleuorzau ollnl 1p ourorE un ur uDuoqJDC I otulrlslsulluoJ
T CARBONARI DELLA MONTAGNA

Bastava vedere lo slancio con cui 22 battaglioni di Guardie mobili accor- Cerrrorc I
sero alla chiamata del prode cialdini; l'energia colla quale da ogni parte
40 si combattevano questi banditi feroci; I'eroismo affatto romanzesco di certi TL C.{STELLO
episodii; la spietata crudeltà con cui i briganti più che contro le truppe,
i Piemontesj, combattevano i popolani, Guardie Nazionali o no, liberali o
no...
Al 1861, come al 1810, i Borboni avevano sparso il sangue a torrenti;
45 più che il sangue avevano fulminato l'esacrazione universale su quei poveri
illusi che pervertivano col loro genio infernale.
I carbonari dopo la più nobile aspirazione, dopo i più grandi sagrifizii,
erano stati vilmente, ferocemente traditi dalla corte di Napoli, che avea fatto L'esrrena dir
sperare costituzione e Italia grande ed unita; e anche più tardi associava sfiag8e dr{la C.
50 i nomi di Pronio e Rodio a quello dei più illustri gentiluomini patriotti e cacoa superùa.
Carbonari. di Gcoova sino a
ci siamo ingannati. Il brigantaggio del 1861 ha fatto un passo dippiù, .i-re d di sopra
poichè è la negazione di ogni principio, di ogni partito politico; esso non mcridironali d'IU
ha nemmeno il triste orpello del 1810; esso non combatte per Francesco I suoi giothi
55 II, poichè uccide e ruba amici e nemici: Francesco II è il grido con cui ddle forme meo
si dicesse: Al sacco e al fuoco! aDoora sulle sue
In tutto ciò, fra carbonari accomunati ai briganti dal'infame genio dei di boschi, chc ai
Borboni, che vollero perderli, e i briganti di chiavone e di cipriani, noi Eabili, coprivan
non abbiamo veduto che questa tradizionale politica d'infernale egoismo. fino alle spiagg
60 I carbonari, fatta la pace con Bonaparte, non servivano più alla corte di Pr6so i conl
sicilia, e si fulminarono col brigantaggio. Il re, bambino solo nel senno cc,eapochem
politico, sfogliazzò forse nell'esilio le memorie sanguinose della sua dinastia a\uanto a form
e vide il brigantaggio di frà Diavolo e Mammone ultima sua speranza; egli di San4ottar&
non guardò a mezzi, tagliò dritto; sognò forse il cardinal Ruffo nel suo Pocbe parol
65 chiavone, poichè non l'avea potuto trovare nel cardinare Arcivescovo di Tre piccoli r
Napoli... Ma il suo disinganno fu amaro come il suo errore; i popoli che isolaro; in veriu
al l8l0 combatterono gli stranieri, avevano gridato al 186l insieme ai pie- che grandi colli
montesi, agli stranieri d'oggi: A queste du
- Italiae Una
oh, se dobbiamo benedire l'Austria
e Vittorio Emanuele!
i Borboni di averci fatto consegui- orientdi ava dz
70 re la nostra nazionalità; se dobbiamo benedire Antonelli e De Merode;)noi talchè generalmr
ringraziamo questi briganti che oggi hanno lanciata l'estrema maledizione no e La Hcrol
dei popoli anche più illusi, su questa razza fulminata daila giustizia di Dio! Si sa che.ì{r
po deCli ApPel
Catatia, Novembre, 1861. Il terzo mon
mo dato; una r'l

3 Appennini, I I
no l hno tC
carrto É sdn
Lace 17 ltlO I
runo al più ] rutl
-il /7sal
te, I monte i
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 63/S1
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari


della m ontagna
Nel brano a disposizione la fonetica pare inserirsi adeguatamente nelle caratteristiche
della lingua dell’Ottocento. Per esempio:
sagrifizii 47 (con sonorizzazione del nesso -cr- e esito culto dell’antico nesso latino -TI-
) è forma ben attestata nella lingua ottocentesca. Una ricerca mirata riguardo la sua
diffusione a paragone con l’allotropo sacrifizio, sacrifizi(i) dimostra però una ben
precisa connotazione in senso culto. Entro il corpus letterario del secolo XIX raccolto
nel sito della Biblioteca italiana (http://www.bibliotecaitaliana.it/) possiamo verificare
che le forme prive di sonorizzazione sono molto più consuete e diffuse delle
corrispondenti con sonorizzazione (sacrifizio 266 occorrenze, sacrifizii 12, sacrifizi 165
= 443 occorrenze complessive contro sagrifizio 40, sagrifizii 2, sagrifizi 5 = 47).
I dati appena riferiti dimostrano che anche il plurale in -ii è, in entrambe le serie, più
raro rispetto alla forma grafica che assorbe in un unico suono vocalico il dittongo
etimologico (e alla serie più caratterizzata in senso scritto aderisce episodii 41.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 63/S1
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari della m ontagna


Una ricerca estesa anche solo per brevi tratti al resto del romanzo ci darebbe conferma
di questo elemento cólto della lingua verghiana, evidentemente ricavato dalla
consuetudine scolastica sui classici della tradizione letteraria.
Riguardo al vocalismo tonico si segnalano le forme antiquate intieramente (in cui il
dittongo poteva essere mantenuto solo per fedeltà dell’antica separatezza fra i due
componenti dell’avverbio, ma che a questa data contraddiceva la regola del dittongo
mobile), e capriuolo (il dittongo dopo elemento palatale era scomparso dall’uso
fiorentino già in epoca antica). A proposito di quest’ultima forma va rammentato che,
nella scelta manzoniana a favore del fiorentino parlato dalle classi colte che aveva
caratterizzato la revisione linguistica imposta nel 1840 alla prima edizione dei Promessi
sposi, era stato coinvolto proprio il dittongamento toscano, non solo perché, in forma
misurata e con grande attenzione agli aspetti diastratici della lingua di Firenze, Manzoni
aveva aderito al monottongamento che nei secoli recenti aveva colpito l’antico dittongo
(bòno, nòvo rispetto a buono e nuovo), ma anche perché (e stavolta in maniera
sistematica) il monottongo era stato accolto appunto dopo suono palatale (come qui
capriuolo) in muricciolo, spagnolo, rispetto alle forme muricciuolo, spagnuolo che
Manzoni aveva adottato nell’edizione del 1827).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 63/S1
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari della m ontagna

Riguardo il consonantismo si segnalano nel resto del romanzo la sonorizzazione e


conseguente spirantizzazione (arcaica e letteraria) di coverte, coverto, covrirsi;
l’esito di natura originariamente francesizzante in cangiamenti o la forma
trecentesca e primo-quattrocentesca mugghiare (con esito l’esito normale di -GL-,
soppiantato dalla forma mugliare, reattiva ad innovazioni avvenute nel fiorentino
quattrocentesco).

Ma accanto a queste forme o letterarie o arcaiche o culte, va segnalato (stavolta nel


brano proposto), la forma dippiù 52 (estensione impropria del raddoppiamento
fonosintattico), che si inserisce in una più diffusa incertezza di Verga e dell’italiano di
Sicilia a gestire l’alternanza doppia/scempia del toscano (analogamente, ma
viceversa, nel romanzo ricorre per esempio sopranome).
L’anomala forma esacrazione 45 non dipende da fenomeno fonetico relativo al
vocalismo atono, ma piuttosto da (peraltro corretta) interpretazione etimologica con
sacro.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 63/S2
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari


della m ontagna
Nella fonetica segnaliamo avea 2, 18, 48, 65. Questa forma (come il corrispondente
plurale aveano) era nata in Toscana a seguito di dissimilazione a partire da contesti in
cui si dava la sequenza v-v (per esempio, anche: doveva, dovevano > dovea, doveano). A
partire da questi verbi (di uso frequente, il primo con funzione di ausiliare, il secondo utile
a definire l’aspetto del verbo che ne dipendeva) la desinenza -ea, -eano si era estesa co-
me opzione fonetica possibile a tutti i verbi della II coniugazione italiana e dunque anche
ai verbi della III (-ia, -iano). Entrambe le opzioni erano ancora disponibili nell’Ottocento,
sebbene nel corso dei secoli esse si fossero specializzate, l’una (-ea, -eano, -ia, -iano) nel-
la poesia, l’altra nella prosa. La grande diffusione ottocentesca dell’opzione ‘poetica’ era
stata incrementata poi dalla sua sistematica adozione nel melodramma, sempre disponibi-
le ad arcaismi e forme culte e letterarie. Dunque a metà Ottocento la scelta a favore di
avea non aveva rilievo fonetico, bensì stilistico come è confermato da combattevano 40,
42; pervertivano 46; servivano 60 e soprattutto da avevano 44, 45, 67. Avea (nella doppia
valenza di I e III persona singolare, come nel resto dei Carbonari anche potea, dovea) è
ormai un fossile, lo stigma di una lingua che si vuole alta e formale, modellata sulla
tradizione letteraria, e dunque una forma che guarda al passato.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 63/S2
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari della m ontagna


Sebbene manchino nel nostro brano attestazioni della I persona singolare, da una ricerca
appositamente condotta, si ricava che anche da questo particolare punto di vista (a
conferma di quel che avevamo dedotto riguardo alla riduzione del dittongo dopo
elemento palatale) la lingua del Verga ventenne non aderisce completamente alle scelte
manzoniane e si dimostra in bilico fra adesione alla rivoluzione della lingua proposta dai
Promessi sposi del 1840 e fedeltà alla tradizione precedente. Nel romanzo verghiano
infatti per lo più la prima persona dell’imperfetto è quella imposta dall’etimologia e
ratificata dalla tradizione: “io omai era abituato”, “io non avea conosciuto”, ma anche (e
spesso nel medesimo periodo e a brevissima distanza) “io portavo”, “io ero insultato”, “io
sentivo [...] ma io andava”. All’antica forma etimologica della prima persona
dell’imperfetto in -a (come la terza persona) si era affiancata a Firenze già alla fine del
Trecento la forma analogica in -o che aveva cercato di porre rimedio all’omofonia; tale
forma analogica non era stata però accolta dalla letteratura e dalla lingua scritta italiana
condizionata dalla prospettiva linguistico-letteraria arcaizzante di matrice bembiana.
La desinenza in -o per la prima persona singolare dell’imperfetto era apprezzata nella sua
capacità distintiva, ma stigmatizzata come tratto municipale; ancora nell’avanzato
Settecento Francesco Soave nella sua Gramatica ragionata della lingua italiana, diceva:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 63/S2
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari della m ontagna


“Ero, e avevo nella prima persona dell'imperfetto sebbene più regolari, percioc-
ché distinguono la prima persona dalla terza, pure dai migliori non
s’usano”)
L’ingresso dell’innovazione fiorentina nella lingua comune fu determinato dalla sua
adozione, con il fiorentino parlato dalla classi colte, nell’edizione Quarantana dei Promessi
Sposi e di conseguenza dai seguaci e imitatori (in fatto di lingua e di letteratura) di
Manzoni.
Fa contrasto con l’arcaismo e l’iperletterarietà di avea e simili, e con le forme in -a della I
persona dell’imperfetto, un tratto che connota la lingua verghiana in senso regionale.
Nella morfologia verbale colpisce la frequenza delle forme cosiddette forti (con accenta-
zione sulla radice, cioè rizotoniche) di I persona plurale dei perfetti del tipo: ebbimo 17,
33; ripresimo 20, 21. L’origine di tali forme è analogica, rifatte sulla I persona singolare
così da creare, mediante la desinenza personale –mo della II plurale, la coppia binaria io
ebbi, noi èbbimo; io ripresi, noi riprésimo. La presenza di forme di questo tipo (il cui uso
verificheremo costan-temente nella lingua verghiana per tutto il periodo di apprendistato
catanese) fu segnalata nella lingua giovanile di Verga da Luigi Russo (Giovanni Verga, p.
286), nel capitolo dedica-to a La lingua di Verga, a proposito del primo dei romanzi
analizzati dal Russo nel suo saggio (Una peccatrice):
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 63/S2
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari della m ontagna


“Fin dalle prime pagine incontriamo un ‘conobbimo’ e un ‘rimasimo’: la forma del
passa-to remoto segnata [cioè: condannata] nelle grammatiche dei puotiani, e
prediletta dai nostri padri che amavano ancora, nelle lettere familiari, lo stile aulico e
rigido”.
In effetti la Gramatica ragionata della lingua italiana di Francesco Soave diceva:
“Le qui notate sono le sole voci, che si debban usare di questi due verbi. | E perciò
fossimo, e avessimo, o ebbim o per fummo, e avemmo; che tu fosti, o avesti per
fossi, e avessi; saressimo, e avressimo per saremmo, e avremmo sono errori”.
Secondo il Russo, la forma, sull’autorità di episodiche attestazioni quattro-cinquecen-
tesche, era “prediletta dai nostri padri”, aveva cioè avuto fortuna nell’italiano di Sicilia
(quel che oggi diremmo italiano regionale). L’analogia che presiedeva alla creazione di tali
forme ne determinò però la fortuna anche al di fuori dei confini isolani. Per esempio que-
sti passati remoti sono presenti nelle Confessioni di un italiano di Nievo, dove troviamo
fecimo, giunsimo, scesimo, misimo, rimasimo; maggior fortuna riscosse ebbimo che è
attestato in Cuoco, Foscolo, Leopardi, Nievo, Cattaneo e Svevo.
Altre incertezze di flessione del passato remoto testimoniano costrusse (in cui evidente è
l’influsso dell’antonimo distrusse), svolse (cioè ‘svoltò’), create per la pressione analogica
esercitata dai perfetti sigmatici, i passati remoti cioè che, rispetto alla base tematica del
presente, presentano una base con -s- (riprendo, ma ripresi; distruggo, ma distrussi).
FENOMENI FONETICI GENERALI

dissimilazione (due suoni identici o simili si differenziano dal punto di vista


articolatorio o uno dei due cade):
PEREGRINUM > pellegrino, chirurgo > chilurgo, arbitro > albitro, purtroppo
> pultroppo; aveva > avea, doveva > dovea

assimilazione (due suoni distinti, più o meno distanti dal punto di vista articolatorio
si trasformano in suoni identici o simili)
assimilazione progressiva: in + ragionevole > irragionevole
assimilazione regressiva: MUNDUM > dial. centro-merid. munno, lat. tardo
GAMBAM ‘zampa di quadrupede’ > dial. centro-merid. gamma

aferesi (caduta di un elemento vocalico o sillabico all’inizio di parola):


(OB)SCURUM > scuro, (HI)STORIAM > storia, (HI)SPANIAM > Spagna
prostesi (aggiunta di un elemento vocalico o sillabico all’inizio di parola):
STUDIUM > istudio

sincope (caduta di un elemento fonetico all’interno di parola):


VIR(I)DEM > verde
epentesi (o anaptissi) (inserimento di un elemento fonetico all’interno di parola):
PADUAM > Padova, GENUAM > Genova, IOHANNEM > Giovanni,
VIDUAM > vedova

apocope (caduta di un elemento vocalico o sillabico in fine di parola):


BONUM > buon(o) > buon, VIRTUTEM > virtu(te) > virtù
Si ricordi però che in italiano (che in ciò deriva dal fiorentino) l’apocope avviene
secondo le seguenti regole: 1) cadono per apocope di preferenza -o ed -e (comunque
mai -a, se non in rari casi in poesia, mai -i ed -e se morfemi di plurale) e 2) l’apocope
avviene solo se, in conseguenza di essa, rimane finale della parola una di queste
consonanti (propriamente sonanti perché dal punto di vista articolatorio molto simili
a vocali): -n, -l, -r.
epitesi (o paragoge) (aggiunta di un elemento vocalico o sillabico in fine di parola):
MUTAUIT > MUTAU > mutò > mutòe

metatesi (spostamento di un elemento o l’inversione nella posizione reciproca di due


elementi):
CROCODYLIUM > coccodrillo, PALUDEM > padule
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 63/S3
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari


della m ontagna
Ma ancora una volta, fa contrasto con l’arcaismo e l’iperletterarietà di avea e simili, e
con le forme in -a della prima persona dell’imperfetto, un tratto che connota la lingua
verghiana in senso regionale. Nella morfologia verbale colpisce, come tratto
caratterizzante, la frequenza delle forme cosiddette forti (con l’accentazione sulla
radice, cioè rizotoniche) di I persona plurale dei perfetti del tipo: ebbimo 17, 33;
ripresimo 20, 21. L’origine di tali forme è analogica, rifatte come sono sulla I persona
singolare così da creare, mediante la desinenza personale -mo caratteristica della II
plurale, la coppia binaria io ebbi, noi èbbimo; io ripresi, noi riprésimo.
La presenza di forme di questo tipo (il cui uso verificheremo costantemente nella
lingua verghiana per tutto il periodo di apprendistato catanese) fu segnalata nella
lingua giovanile di Verga da Luigi Russo (Giovanni Verga, p. 286), nel capitolo dedicato
a La lingua di Verga, a proposito del primo dei romanzi analizzati dal Russo nel suo
saggio (Una peccatrice):
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 63/S3
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari della m ontagna


“Fin dalle prime pagine incontriamo un ‘conobbimo’ e un ‘rimasimo’: la forma del
passato remoto segnata [si intenda: condannata] nelle grammatiche dei puotiani, e
prediletta dai nostri padri che amavano ancora, nelle lettere familiari, lo stile aulico e
rigido”.
In effetti la Gramatica ragionata della lingua italiana di Francesco Soave, per esempio,
nella Parte II, cap. V, a proposito della coniugazione degli ausiliari diceva:
“Le qui notate sono le sole voci, che si debban usare di questi due verbi.
E perciò fossimo, e avessimo, o ebbim o per fummo, e avemmo; che tu fosti, o
avesti per fossi, e avessi; saressimo, e avressimo per saremmo, e avremmo sono
errori”.
Secondo quanto testimonia Luigi Russo, la forma, sull’autorità di episodiche attestazioni
quattro-cinquecentesche, era “prediletta dai nostri padri”, aveva cioè avuto singolare
fortuna nell’italiano di Sicilia (quel che oggi chiameremmo italiano regionale). Va notato
però che la ‘regolarità’ che aveva presieduto alla nascita di quelle forme per analogia
(creando le coppie ebbi-ebbimo di cui abbiamo parlato) ne determinò la fortuna anche al
di fuori dei confini isolani.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 63/S3
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari della m ontagna

È interessante verificare infatti che tali forme di passato remoto sono molto diffuse in un
altro scrittore ‘marginale’ (dal punto di vista geografico, si intenda) come Ippolito Nievo
(autore letto nella sua giovinezza da Verga), nelle cui Confessioni di un italiano troviamo
fecimo, giunsimo, scesimo, misimo, rimasimo; maggior fortuna e più ampia diffusione
riscosse ebbimo che è occasionalmente attestato negli scritti di Vincenzo Cuoco, Foscolo,
Leopardi, Nievo, Cattaneo e Svevo (ci limitiamo a indicare, fra quelli desumibili dal
corpus della Biblioteca Italiana, gli autori sette-ottocenteschi).

Altre incertezze di flessione del passato remoto testimoniano (nel resto del romanzo) per
esempio costrusse (in cui evidente è l’influsso dell’antonimo distrusse), svolse (cioè
‘svoltò’), create per la pressione analogica esercitata dai perfetti sigmatici, quei passati
remoti cioè che, rispetto alla base tematica del presente, presentano una base con -s-
(riprendo, ma ripresi; distruggo, ma distrussi).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 64
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari


della m ontagna
Francesco Branciforti, Alla conquista di una lingua letteraria, in I romanzi catanesi di
Giovanni Verga, Catania, Fondazione Verga, 1981, p. 271) parla, a proposito dell’uso dei
tempi verbali nell’intero romanzo di “alternanza del presente e dell’imperfetto nella
descrizione dei luoghi e dei personaggi, in un gioco di prospettiva vario e coordinato” e
segnala d’altra parte l’uso del presente storico:
“L’avvento del presente, in una relazione di fatti passati (avvenuti nel 1810 e narrati
nel 1860), ha una funzione o di necessità (panorama geografico immutabile) o di
tecnica rappresentativa (rapido avvicendamento ovvero connotazione affettiva del
paesaggio)”.
Nel nostro brano il presente compare in un’interrogativa retorica (17 che vale?) e poi
si concentra in due capoversi (rr. 52-56 e rr. 69-72);
il trapassato prossimo indica l’anteriorità rispetto al piano cronologico fissato dal
perfetto (avea fulminato 2-3; avea sventolato 18; avevamo conosciuto 34); l’imperfetto
ha il valore aspettuale della continuità dell’azione (correva 6-7; si trattava 11; pensava
17; dormivano 20; parevano [...] pareva 22-23 etc.).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 64
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari della m ontagna


Eppure particolarmente connotata risulta l’adozione dell’imperfetto di scrivevamo e di
aspettavamo alle rr. 27-28
“In capo a qualche tempo scrivevamo un bel Fine majuscolo [...] in fondo
all’ultima pagina, e aspettavamo il buon tempo per pubblicarli”
in luogo di scrivemmo … aspettammo; e di bastava al r. 35
“Eppure bastava appena addentrarsi nei fatti [...] per leggervi”
e al r. 38
“Bastava vedere lo slancio con cui 22 battaglioni di guardie mobili accorsero”
nei quali ci saremmo aspettati È bastato e rispettivamente Bastò.
Questo abuso dell’imperfetto avviene a svantaggio del passato remoto e del passato
prossimo (che è sostanzialmente assente: compare solo a 52 “Ci siamo ingannati [...]
ha fatto” e a 59 “noi non abbiamo veduto”).
Verga dimostra di essere cosciente della caratteristica del proprio dialetto che conosce
solo il passato remoto e al quale è ignoto il passato prossimo e censura l’eccesso dei
perfetti ricostruendo un sistema solo apparentemente a tre tempi cronologici.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 64/S1
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari


della m ontagna
Alla doppia componente, colta e dialettale, libresca e spontanea che abbiamo
verificato dal punto di vista fono-morfologico e sintattico (altri tratti avremmo potuto
aggiungere sul versante letterario, come ad esempio le forme dritto 64, ei che talora
nel resto del romanzo alterna con egli etc.; altri in effetti ne segnaleremo procedendo
nell’analisi) dobbiamo affiancarne una terza particolarmente evidente nel nostro
brano, caratterizzato da un andamento sincopato, franto, costituito da periodi di
estrema brevità, nella parte iniziale addirittura monofrasali, privi di legami logici fra
l’uno e l’altro, la cui separatezza reciproca è ulteriormente sottolineata dall’andata a
capo o dalla lineetta che accompagna o sostituisce il punto fermo; un periodare che
con ogni evidenza discende dal modello francese e settecentesco dello style coupé,
ma che, nel momento storico in cui Verga scrive, mima anche la stringatezza dei
proclami, dei dispacci di agenzia e insomma lo stile giornalistico della notizia
dell’ultim’ora.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 64/S1
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari della m ontagna


Dobbiamo però tener conto della natura particolare del capitolo proemiale, il cui
caratteristico andamento non può essere esteso all’intero romanzo che per sua natura
richiede una sintassi più distesa nei brani narrativi e descrittivi. Si veda ad esempio l’inizio
(cap. I: Il castello di San-Gottardo) di evidente sapore manzoniano: oltre l’avvio
paesaggistico, che potremmo al limite considerare poligenetico, si notino i richiami
lessicali diramazione (che rimanda alla lontana a “Quel ramo del lago di Como”),
prolunga (che richiama il manzoniano “in qualche parte boschi, che si prolungano su per
la montagna”), catena (“tra due catene non interrotte di monti”), richiami che si
estendono oltre il periodo iniziale citato qui sotto (estendendo la citazione potremmo
rintracciare gioghi sta al manzoniano giogaia, mentre ai tempi di cui scriviamo che
corrisponde a Ai tempi in cui accaddero i fatti che prendiamo a raccontare dei Promessi
sposi e così via):
“L’estrema diramazione degli Appennini, che si prolunga fino alle ultime spiagge della
Calabria, assume dei caratteri particolari; non è più quella catena superba, figlia delle
Alpi, che si copre di nevi perenni, e dalla riviera di Genova sino ai confini dell’Abruzzo
mostra ai due mari le sue cime ghiacciate al di sopra delle tempeste del cielo; poiché
accostandosi alle parti più meridionali d’Italia sembra sentire l’influenza di questo
cielo d’Oriente”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 64/S1
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari della m ontagna


Quest’ultimo brano, corrispondente all’attacco del romanzo mostra evidenti notevoli
differenze dallo stile spezzato, di ascendenza settecentesca, del capitolo introduttivo
che abbiamo preso ad esaminare:
-- un unico periodo costituito da una principale, arricchita da una relativa collocata al
suo interno: “L’estrema [...] particolari”);
-- una seconda principale (coordinata per asindeto alla precedente; il legame logico
sottinteso è ‘infatti’) ampliata da due relative coordinate fra loro (“Non è più [...]
del cielo”);
-- una causale che il punto e virgola precedente induce ad attribuire come sintatti-
camente collegata ad entrambe le principali che la precedono.
Una struttura dunque non più marcatamente paratattica come nel capitolo introduttivo,
ma che, viceversa, tenta di riprodurre il periodare lungo dell’attacco manzoniano, in
verità più con l’interpunzione (il punto e virgola dopo particolari avrebbe potuto a buon
diritto essere sostituito da un punto fermo anche per la scelta di sottintendere il
legame logico che abbiamo esplicitato qui sopra) che non con la varietà di soluzioni
sintattiche, qui ridotte alle subordinate relative e ad una causale.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 64/S2
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari


della m ontagna
Posposizione del soggetto al verbo:
“Alle ferventi speranze d’Italia [...] avea fulminato la pace di Villafranca” 2-3;
“A Villafranca tennero dietro le annessioni - In coda alle annessioni correva
Garibaldi” 5-6;
“Sul più bello mancò il vino al dessert” 14.
Inappropriatezza
1) nelle reggenze verbali (o più in generale nell’uso delle preposizioni);
a) “ci pareva di combattere anche la nostra battaglia morale ai Borboni e a
Clary” 23-24;
b) “Al 1861, come al 1810” 44 che sottintende Al (tempo del) 1861, come al
(tempo del) 1810, in luogo del più consueto nel.
2) nella costruzione del periodo, e in particolare nell’uso del congiuntivo:
“Francesco II è il grido con cui si dicesse: Al sacco e al fuoco!” 55-56 dove il
congiuntivo imperfetto sostituisce il presente congiuntivo, sconosciuto al Sud.
.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 64/S3
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari


della m ontagna
Tono retorico-oratorio:
1) formule fisse:
“le nazioni camminano guidate dal dito di Dio” 5, da confrontare con “su questa
razza fulminata dalla giustizia di Dio!” 72
“la nostra ultima maledizione da lanciare a questa razza perversa” 33-34, da
confrontare con “hanno lanciata l’estrema maledizione” 71;
“che pervertivano col loro genio infernale” 46, da confrontare con “noi non abbiamo
veduto che questa tradizionale politica d’infernale egoismo” 58-59;
2) uso dei puntini di sospensione
a) “Li ripresimo quasi con slancio ... e poi, ci si perdoni il peccato, in quei momenti
ci parevano belli” 22-23;
b) “combattevano i popolani, Guardie Nazionali o no, liberali o no ...” 42-43
3) frasi esclamative
“Oh, se dobbiamo [...] dalla giustizia di Dio!” 69-72.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 64/S3
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari della m ontagna


Inoltre
“l’eroismo affatto romanzesco” 40,
“i Borboni avevano sparso il sangue a torrenti” 44,
“I Carbonari [...] dopo i più grandi sagrifizii, erano stati vilmente, ferocemente traditi”
47-48 etc.
e l’aggettivazione enfatica: slancio prodigioso 3; ansie supreme 21 etc. con
prevalente collocazione prenominale: ferventi speranze 3; la più splendida
prova 36; la spietata crudeltà 41 etc.

Al registro formale della lingua scritta va ricondotto l’uso del noi in luogo dell’io, che
a) o maschera il dato biografico: Cominciammo 1; Ripresimo 20 e 241 scrivevamo 27;
aspettavamo 28 etc.
b) o ha funzione di plurale collettivizzante: “Noi Italiani di Sicilia udimmo” 8; “Ebbimo
un giorno di lutto” 17.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 65
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari


della m ontagna
Il lessico de I Carbonari della m ontagna

Forestierismi: dessert 15, e altrove nel romanzo Fox Hounds, Mylord, ma anche
berceau, cascemir, segretier, comfortable, groom, Steeple-Chasse, gutter, coupé
(l’elenco completo dei forestierismi dei Carbonari, è stato registrato da Branciforti, Alla
conquista di una lingua letteraria, p. 302).
aggiornò 15: ‘rinviare ad altra data’ che deriva dall’Inghilterra in Francia e da qui si
diffonde in Italia e nelle altre lingue europee;
sfogliazzò 62: è prestito dal francese feuilleter, in questi stessi anni usato anche da
Ippolito Nievo, (Confessioni di un italiano) con il medesimo significato di ‘sfogliare’.
Lessico tecnico e scientifico: equinoziale, osservatorio, diametro, bugnato; Branciforti
(Alla conquista di una lingua letteraria, pp. 298-300) lo interpreta come “il culmine
della sua puntigliosa curiosità di presentazione ambientale, ed insieme l’ornamento
più elaborato e in definitiva più genuino del suo linguaggio letterario”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 65
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: I Carbonari della m ontagna


Forme arcaiche e letterarie: errare, poltrone, villano ‘contadino’ etc. etc.
abbruciare 16, la forma prefissata con a(d) è di gran lunga preferita alla forma
bruciare nella prosa antica, tre-cinquecentesca, ed è ancora vitale nell’Ottocento.
Forme dialettali: Picciotti 12
Lessico colloquiale, formule moderne di conversazione, locuzioni fisse:
svignarsela coi bagagli 25; “Sul più bello mancò il vino al dessert. Si aggiornò la
partita” 14; bestemmiare come un turco 15.
fulminare 3-4, 15-16, 61, 72, nel significato di ‘colpire qualcosa con la rapidità di un
fulmine ponendovi fine, annientandolo’ o ‘decretare una condanna’. ). Si adeguano
alle differenti accezioni gli usi sintattici attestati nel brano:
-- intransitivo che regge un complemento di termine: avea fulminato a 3;
-- intransitivo che regge un complemento di mezzo: si fulminarono col brigantaggio
70;
--transitivo: fulminare lo stato d’assedio 17, nella forma passiva con indicazione
dell’agente fulminata dalla giustizia di Dio 72.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 65/S1
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

TEST: esercizio sulle banche dati


Lo studente verifichi
-- nella banca dati Biblioteca Italiana (http://www.bibliotecaitaliana.it/) la
presenza nel XIX secolo della forma con o senza sonorizzazione e successiva
spirantizzazione nel verbo ‘coprire’. Nella casella delle RICERCHE TESTUALI si
inseriscano cop* e rispettivamente cov* (l’asterisco funziona da carattere
jolly); per entrambe le ricerche si verifichino separatamente le comparse in
PROSA e in VERSI.

I risultati della ricerca (dati quantitativi ed commenti) dovranno essere


inviati tramite eportfolio, avvertendo al contempo il docente sul sistema di
messaggistica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 65/S2
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

TEST: esercizio sulle banche dati


Lo studente verifichi
-- nella Lessicografia della Crusca in rete (http://www.lessicografia.it/)
la tipologia di testi letterari citati per il lemma poltrone nelle diverse
edizioni della Crusca; ne verifichi infine la vitalità nel XIX secolo
-- nella banca dati Biblioteca Italiana (http://www.bibliotecaitaliana.it/.

I risultati della ricerca (dati quantitativi ed commenti) dovranno essere


inviati tramite eportfolio, avvertendo al contempo il docente sul sistema
di messaggistica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 65/S3
Titolo: I romanzi catanesi: i Carbonari della montagna
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui contenuti


studiati nelle lezioni precedenti dedicate all’analisi del
romanzo verghiano I Carbonari della montagna, lo
studente è invitato a compilare il test associato
a questa sessione di studio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 66
Titolo: I romanzi catanesi: Sulle lagune
Attività n°: 1

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite
e-portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema
di messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà
conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale,
invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente
quello che non è stato pienamente compreso.

41) Prendendo spunto da brani estratti da I Carbonari della montagna riportati nella
slide successiva, illustrate le differenti componenti della lingua verghiana così come
espressa in questo romanzo catanese.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 66
Titolo: I romanzi catanesi: Sulle lagune
Attività n°: 1

Test di autovalutazione

“L’estrema diramazione degli Appennini, che si prolunga fino alle ultime spiagge della
Calabria, assume dei caratteri particolari; non è più quella catena superba, figlia delle
Alpi, che si copre di nevi perenni, e dalla riviera di Genova sino ai confini dell’Abruzzo
mostra ai due mari le sue cime ghiacciate al di sopra delle tempeste del cielo; poiché
accostandosi alle parti più meridionali d’Italia sembra sentire l’influenza di questo cielo
d’Oriente”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 66/S1
Titolo: I romanzi catanesi: Sulle lagune
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Sulle lagune

Lo spirito patriottico che aveva animato Amore e Patria e poi I Carbonari della
montagna è alla base anche dell’invenzione di Sulle lagune che Verga compose ad un
dipresso nello stesso giro d’anni dei Carbonari e che cominciò ad uscire sulla “Nuova
Europa” del 1862.
Le prime due puntate furono pubblicate rispettivamente il 15 e il 19 agosto, ma poi la
pubblicazione si interruppe per ragioni ignote, che Federico De Roberto (Verga
ignorato: “Sulle lagune”, in Casa Verga e altri saggi verghiani, pp. 118-134) ha cercato
di spiegarsi con l’acceso clima politico di quell’anno a cui il giornale prese parte con
una esplicita campagna a favore di Garibaldi (propenso ad occupare militarmente
Roma), contro il moderatismo della classe politica del nuovo Regno.
Come che sia il giornale “cinque mesi dopo la pubblicazione delle due prime puntate,
e precisamente il 9 gennaio del 1863, lo riprese – naturalmente dal primo principio –
e lo condusse sino alla fine senza spiegare neanche allora il perché della lunghissima
interruzione (ivi, p. 128).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 66/S1
Titolo: I romanzi catanesi: Sulle lagune
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Sulle lagune

Il tema politico di Sulle lagune è quello della ‘redenzione’ di Venezia che, dopo la
delusione dell’armistizio di Villafranca e dopo la proclamazione del Regno, attendeva
ancora di ricongiungersi al resto dell’Italia (il che nella realtà storica avvenne soltanto nel
1866). L’azione si svolge esattamente nel 1861: si conferma quindi il progressivo
avvicinamento della storia narrata ai tempi della scrittura a cui avevamo assistito già nel
passaggio da Amore e Patria ai Carbonari e dunque il progressivo liberarsi del romanzo
dalla categoria di romanzo storico.
Sulle lagune è costituito da un Prologo e venti capitoli che alcune didascalie raggruppano
in sei sezioni narrative ciascuna intitolata ad un luogo (Al Caffè Nuovo comprendente i
capitoli I-IV, Al veglione dell’Apollo V-VIII, A San Giorgio Maggiore IX-XII, Sulla Riva degli
Schiavoni XIII-XV, Da Oderzo alla Giudecca XVI-XVIII e Sulle lagune XIX-XX); il capitolo
XX costituisce l’epilogo della storia e riferisce il commento dell’autore.
Il romanzo è molto più breve dei precedenti (solo per dare un’idea: Sulle lagune è meno
di un quarto dell’estensione dei Carbonari), a testimonianza di un tono meno effusivo e di
una ‘misura’ che il giovane Verga sa ora imporsi e che verrà confermata dai romanzi
successivi (Una peccatrice, sebbene più esteso di Sulle lagune, sarà un terzo circa dei
Carbonari).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 66/S1
Titolo: I romanzi catanesi: Sulle lagune
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Sulle lagune

La doppia suddivisione di Sulle lagune, in capitoli e in più ampie sezioni narrative che
li raggruppano, mostra che il romanzo è stato pensato come romanzo d’appendice,
destinato cioè ad una pubblicazione a puntate; le titolazioni tematiche servono infatti
a tenere legati i capitoli che corrispondono grosso modo, per estensione, alla misura
di una puntata (complessivamente queste ultime furono 22).
Continua anche in questo romanzo la tecnica della narrazione opaca che anche qui
(come ne I Carbonari della montagna) spesso si colora di istanze ‘spettacolari’:
“Un osservatore, se ve ne potevano essere in quel momento” (nel prologo);
“Alziamo la tela [...]. È Venezia che vi presentiamo” (nel cap. I);
“Alcuni mesi sono scorsi dall’ultima scena che abbiamo descritto. È l’autunno: noi
ritroviamo [...]” (nel cap. XVI riprodotto più avanti, rr. 1-2)
inserendo il “triangolo autore-protagonisti-lettori [...] in una dimensione
squisitamente teatrale” che coinvolge lo statuto del narratore, secondo quanto
rilevato da Francesco Branciforti (Alla conquista di una lingua letteraria, p. 289 e
seguenti).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 66/S2
Titolo: I romanzi catanesi: Sulle lagune
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Sulle lagune


Stefano de Keller è un giovane militare di origine ungherese che, nonostante le idee
libertarie che professa, è costretto a prestare servizio a Venezia nell’esercito asburgico;
un incontro casuale, durante il quale si è rifiutato di percuotere una giovane italiana che
partecipa ad una manifestazione a favore di Garibaldi, lo rende sospetto ai suoi superiori
e lo fa innamorare della giovane sconosciuta.
L’antefatto è narrato nel Prologo mentre con il I capitolo inizia l’azione vera e propria: la
conoscenza della situazione in cui vive Giulia (nella casa e sotto la torbida protezione
dell’anziano conte Giuseppe di Kruenn, nella quale è stata posta con l’intermediazione di
un viscido prete, spia della polizia asburgica), il duello di Stefano (che rimane ferito) con
il conte di Kruenn, la ritorsione di quest’ultimo contro la giovane, cacciata insieme alla
madre inferma dalla casa in cui l’aveva accolta interessatamente, il riconoscimento di
Giulia come la sorella del più fidato amico di Stefano, la decisione di Giulia di sfuggire al
suo persecutore (che non vuole rinunciare alla vendetta) raggiungendo Stefano e
concedendosi a lui prima (pare) di suicidarsi con l’amante.
A parte la proclamazione dei sentimenti antiasburgici dei personaggi positivi e la
caratterizzazione fosca degli austriacanti, il quadro politico entro cui si svolge la storia
resta in secondo piano e fa solo da sfondo al romanzo che iniziato con una
manifestazione antiasburgica e termina con una tirata patriottica:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 66/S2
Titolo: I romanzi catanesi: Sulle lagune
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Sulle lagune


“Quando ai liberi italiani sarà dato di spezzare le catene dei fratelli schiavi, quando
l’inno nazionale risuonerà sotto il Palazzo dei Dogi, si vedranno, forse, due giovani,
nelle prime file dell’avanguardia, che corrono a spezzare le porte delle prigioni, e
chiameranno un nome, e una voce fievole e tremante risponderà loro da dietro le
grate... [...]”.
L’enfasi romantica e romanzesca a cui l’autore dei Carbonari ci aveva abituato, in Sulle
lagune si scarica piuttosto sui sentimenti e sulle passioni dei personaggi e il romanzo si
avvia ad assumere connotati propri del romanzo psicologico e intimo. Accanto alla
tendenza già segnalata ad allontanarsi dal genere del romanzo storico a favore della
contemporaneità dei fatti narrati, con Sulle lagune si assiste all’intrusione nel genere
principale del romanzo epistolare (corrispondente alla sezione Da Oderzo alla Giudecca,
capitoli XVI-XVIII, durante i quali Stefano de Keller, ricercato dal conte di Kruenn, è
nascosto a Venezia, appunto alla Giudecca, mentre Giulia si è rifugiata nel paesello di
origine, Oderzo, luogo dal quale scrive all’amato). La sezione, che risente fortemente del
modello foscoliano dell’Ortis, dall’altro anticipa gli sfoghi epistolari della Capinera.
Proprio da questa sezione (Da Oderzo alla Giudecca) traiamo il cap. XVI (accluso in
formato pdf a questa lezione; pp. 446-448 della già citata edizione di riferimento)
quale saggio del romanzo in questa particolare tipologia narrativa.
i

Caprroro XVI prigione, e chi sa gt


di quando in quand,
DA ODERZO ALLA GIUDECCA è doloroso a dirsi. r
inchiodata a quella
giorno fa sempre u-n
io devo pensare ad
<<Ma no! io deto
re ha la generosità c
io non dovrei scrivet
rò!... Ho fatto ben
<<Sono triste, inti
zie di voi!... Ho nc
Alcuni mesi sono scorsi dall'ultima scena che abbiamo descritto. È l'au- al servizio del cont,
tunno: noi ritroviamo Stefano l'ungherese, che dal giorno del suo duello <<Quell'uomol---
è disertato per nascondersi alle ricerche del conte di Kruenn, il quale avea ro1o... ho tremato.i
scoperto gl'intrighi dei giovani, in una graziosa casina presso la Punta di ra in quella casa---
S. Biagio, ove vive nascosto, per quanto lo può, giacchè, attorniato da ogni ora agli occhi del I

parte dalle spie del conte, non può fuggire da Venezia. <<Queste Parole r
Gli ultimi raggi del sole scintillano sui vetri delle sue finestre verso po- ferirle e la mano a
10 nente; la laguna si stende lucida ed immobile ai suoi piedi dal terfazzo e «Che ci resra on
cinge il panorama di Venezia colla sua zona cerulea. che ho fatto... io.
Stefano, ancora leggermente pallido, in piedi presso il verone che si apre e non ne ho il cor
sul terrazzo, si occupa a classificare diverse lettere secondo la loro data in <<Ieri ricel'emmo
un grosso portafoglio di cui tiene appesa al collo la chiave; da uno dei com- di sperare, che nosn
l5 partimenti della busta trae un ritratto in fotografia, su cui a tergo è scritto e che fra breve. a <

colla matita: Lido, 25 ottobre - Albergo dells Gran Brettagna, 19 febbraio poveri prigionieri. d
- Teatro Apollo, 27 febbroio - Riva degli Schiovoni, 29 febbroio - Oderzo, spera! Sento che ci
I0 aprile. prime guide dei no
Quelle date dovevano molto parlare al cuore del giovane ungherese, poi- <<Stefano! io ho'
20 chè dopo aver baciato l'immagine, egli baciava ognuna di quelle date. to su quella Puna
Poscia cominciò a rileggere, forse per la ventesima volta, quelle lettere, ora da quella I'end
mentre insieme ad altre carte le andava ordinando dentro una grossa sopra- «Addio, Steian<
coperta, nella quale avea scritto in antecedenza l'indirizzo di Collini. devo farlo! Il gondc
tre volte.
Oderzo, 4 maggio.
25 <<Mio buon amico,
<<Vi scrivo la prima volta dal mio paesello nativo, seduta innanzi la mia
finestra, da cui un raggio allegro di sole si riflette sul mio tavolino, frasta- <<Ho pianto sulli
gliato dalle foglie del vecchio pergolato che incorona il davanzale. Ho di- mente doloroso Pe
nanzi a me quest'immenso orizzonte, inondato di luce splendida e cerulea, Stefano! risparmia
30 che si stende sino alla laguna, ove voi dovete essere a quest'ora... fors'anche ferto!...
affacciato alla vostra finestra e cogli occhi rivolti verso... «La mia Po\era
«Ah! il sole è tanto allegro oggi!... e il mio cuore?... me, mio padre, mit
«Non parliamone, amico mio; io sono debole, io ho le vertigini quando donna che adoro k
mi vengono queste idee... e sono tanto infelice!... fo altro che starle
35 <<Ascoltatemi, mio povero fratello di sventura... Mio padre è ancora in do... piangendo se
"'iaJduras opueEu"Id .''op uI BJocuB q arped
-uatuErd e 'ruBur al alopuaEurJls 'lzuBulp €leltlcJoulSul alJels eqJ oJlle oJ
uou a "'irs'BmEd oH "'elJ?p ossod uou or eqc 311^ 3l oJope eq, uuuop opuenb pÉ1Ua,r a1
?[anb m ajapuoJsBJl e rnb rarJo^ rA ol "'ial "'oIIel?JJ ollu'aJped oIuI 'alu '";4.
9L B orrrlrl p1nl raJJo^"'ouEJalS'qg "';e:otEEad arpeu erazrod ?Iru B'I» "'o
"' i o1r0J aqcu?.sJoJ "'?Jo.lsa
-JOs Olu?l Bq pa oluBl e{Jos iqo "'aronc ora,rod oIIu II elruJsdsu 1ouega15 'Balnrac e uplpualds
"'ruesued e e^rJJelle rru e o^rlues ol ol pqcrod'atu rod osoJolop aluetu -lp oH 'elEarE.lEp [
-erddop Q r^rJJs rtu eqc QIJ ir{O "'iou€Jels'era11e1 Enl EIIns oluetd o11>> -Elseq 'ouqoarl or
Erru EI rzusrrur slnpÉ
OL
'ou8nÉ 1
'oÉ?eur V 'ozJary
'allo^ arl
ol?ru?rr{J Bq.ru eJp€ru erazrod srru 3l e eluarzedtul.s eJellopuoE g io1re3 o,rap 'lulllof, w ozu
arndda'eyored elsenb aJo^rJcs e eloqap uos oI'qe "'oue;als 'oppv» -erdos essoÉ Eun o
lv'rap:ad red elds r^ aqJ opqeceldut suapua^ e11enb €p €lo 'era11ay a11anb'er1o.r
s9 ruSo pe olercreurur 'auorErrd eJlso^ BI Q aqJ EJJaI Ip elund e11enb ns o1 'a1ep a11anb rp zu
-Btueruue 'osoreuaE Is 'olrqou 1s 'apue:E 1s 'to,r e olesuod oq oI ioueJals» -1od 'asaraqEun arre.r
'rJol€Jaqll rJlsou rep epmE auud
allof, Erre^ rlEa aqc eJrO "'euaq ue:E un aqqaJEJ Iru QIo aqc oluag lerads 'ozrapo - olotqqa{
rfta.uor are.rads rssatod es'qO "'lJoqll ITIaIBJJ IJlsou IBp'rreruorEtrd rro,rod ontqqat 61 'ouSotn
Lrì rou runt auo3 'rnl aqJup oleJaqll eJBS 'ef,Ip IS aqc lanb € 'a^oJq BJJ oqo a ollrJos?oE;a1 umr
'ero r:d otessaud {rua.r 1p oloruad aJ-Iof, uou arped orlsou eqJ 'oJ?Jeds Ip -rrroJ rap oun Ep :a-r
a,rlrJs rf, qta lenearg E ? aqr oflate{ oFu ep BJallal Eun olulua^orlJ IJaI» ul 313p orol BI opu
"'1oÉEeroc I oq eu uou e erde rs oqo auora^ F
"'ossod uou e "'eeuro, ionu oIC'e:Etads IaJJo^ "'ls'ol "'ol1eJ oq eI{3
§! ollou raEuerd p qres 'orou o1lnl oEEel o1 eolu oJIruB 'Bro Blsar I3 eq)» a ozzeilel pp lpald
"'ro^ uoo assoJ uou os olJeJ yerlod uou oI "'alJa^IJJs B ouelu el a olJIJaJ -od osJo^ eJlsauu a
-yord e EJqqel ol oueronJq rtu esso "'ouzJels 'rltqtrro ouos alored elsan§>> 'e
"'ouon.ilenb p esec BIIUp oJso eqc ol "'opuou Iop r{coo gEe e.to ru8o ep oluruJoue'?
Blerouosrp oJo^^ep €rs uou es opusr.uop IIu oI ossads e "'Bs€3 e11anb ut ur Ip elund e1 ossard
0§ -oJua aJosso rp elered mr'19 "'ieuEoE:e,r lp e olua,reds Ip olelrraJl oq "'oloJ uele spnb Ir 'uuan{
-erreq orr{oce^ lenb olnpea,IJ oq opuenb oleruerl oq oI "'iouon,len}>» oflonp ons lap oILIo!
'aluoJ Iap ozr^Jes Ie -ne,l a 'ollrJrsap our
e^els eqc erellopuoE 1t'oue7 ep oJallal aJlso^ 3l oln^eclJ oH "'ilo^ Ip etz
-llou o^a^B uou €Jocue opuenb 'o1uel oluerd oq "'issllaJur 'a1su1 ouos»
9n aoru orrrue 'ouaq o1l"J oH "'iQJ
-e3sel ol e^ e eueruJspo^^? Bzues ol1eJ oq(l erndda "'olJe^IJcs IeJ^op uou oI
iqy iau nd "'aq41os ro^ "'olues ol oI Iruropuocseu Ip ?llsorouaE el Bq eJ
-onc oJlso^ I oqJ QrJ "'oue;els'elugyos Io^ "'I^Jesued orrep ol iou eIN»
"'llazerEsrp alue1 e ozzear uI oJlle pe e;usuad o^ap oI
0, "'ol pe "'o33el ol oI "'oJrlodes p osrea, qtd tp ossed un erdures u3 ourotE
ruEo arnd er{J Bru 'eAI^ oqc olgrrds ons olos II Q elpas elanb B Blepolqcul
ardruos ?ls BIuIIIBTU u:ozrod ?ilu ioJo^ ueru Q uou eru 'rsrrp e osoJolop ?
"T red
lara,rrl up ouEalsos aqclenb IcJeieJ rnb uls eJluo^ opuenb ut opuenb p
'uuedde gnd 'ollucsord 'o11e1erg oItr { i?Jlcsn eu opuenb Bs IqJ e 'euoÉ1rd
LW lINnOVl gllns
448 SULLE LAGUNE

<<Ora lo sento, amico mio... tutto il peso delle terribili parole di quell'uo- Clpnor,o XVII
mo... io lo sento!... Oh Dio! se mia madre morisse!...

I luglio.

«Mia madre va meglio, ti acchiudo un quaderno di scritto che mio fratel-


lo ti manda da Brescia.
85 «Dio!... Io ho serrato fra le mie mani la testa ed il cuore per non impaz-
zire a quel cheho letto... Quali trame, Dio mio!... io non ho potuto seguita-
re... e andarne perduta la mia famiglia e il mio onore!...
<<Non ho il coraggio di scrivere di più, amico mio... no! non posso,
perdonami... <<Amico mio,
«Ho ricevuto L
guarito perfe*tamo
mo, così sp€ro' ql
<<L'ultimo gbrr
di sapere chi fe
na! io I'ho saPuto
madre, te e mia t
«Ti ricordi chc
nico spione?
«Ebbene! doÉ
Oderzo, e qua&
duello, potei bcn
<<Avevo saPulo
vi avea celebrato n
pagnato da un sa
di loro; era un Pri
n6n aysads miSlir
«Ti scrivo hfir
ma importanza, ti
«Cominciai dtl
Stefano; asPetai «
dalla chiesa e no
«Finalmente r!
«Questa era vt
il loro turno al É
che si celebrava r
«Io aspettai co
aver molta ra!§on
Però non stimai P
tro il mausoleo d
«Aspettai il J}
faccia a faccia; q
riconobbi affatto:
<<Senza spenar
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 66/S3
Titolo: I romanzi catanesi: Sulle lagune
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Sulle lagune


Annotazioni fonetiche:
sopracoperta 22-23;
di più 40, 88 (ma dippiù si alternerà, come forma minoritaria rispetto a di più, ancora in
Storia di una capinera: 7 occorrenze, in Eros: 4, una sola occorrenza ciascuno in
Vita dei campi, Novelle rusticane, Per le vie, Novelle sparse, e I Malavoglia;
scempie/doppie: Brettagna 16, forma costante nel romanzo, è condivisa da altri scrittori
coevi; in Eros però Verga userà Bretagna;
uffiziale, -i si alterna a ufficiale;
ti acchiudo 83: è costante in Verga l’esito pienamente volgare nei composti con
chiudere; le forme latineggianti (con conservazione del nesso -CL-) oggi normali si
sono stabilizzate nella lingua solo nella seconda metà del XX secolo, mentre per
tutto l’Ottocento entrambe le forme sono legittime e concorrenti;
barcarolo 49-50: in Sulle lagune, nella prima occorrenza nel cap. II, barcarolo è
contraddistinto dal corsivo, ma altrove nel romanzo compare anche barcaiolo
(comunque non barcaiuolo che sarà adottato da Verga in Eros)
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 66/S3
Titolo: I romanzi catanesi: Sulle lagune
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Sulle lagune


Nella morfologia nominale: uniforme masch.; sciallo si assimila ai nomi della II classe;
ci/vi: Verga usa la forma letteraria ve, vi (io devo pensarvi 42, mi atterriva a pensarvi
72) per l’avverbio locativo; ce, ci in funzione di pronome di I persona plurale (37
recarci, 55 Che ci resta, 58 ci scrive).
Nella morfologia verbale: io lo sentivo e mi atterriva 72 conferma l’oscillazione fra for-
ma in -o e forma in -a della I pers. dell’imperfetto già riscontrata nei Carbonari; veggo
fa macchia in senso arcaico, mentre fo ‘faccio’ (77-78 “e non fo altro che starle inginoc-
chiata”) è fiorentino.
Uso dei tempi verbali: acquisizione del passato prossimo nella sezione epistolare
l’ho fatto [...]. Ho fatto bene 44-45, ho pianto 46, Ho ricevuto 47 etc., ma l’uso dialet-
tale del passato remoto riaffiora in 58 Ieri ricevemmo; mentre nel Prologo (“appena la
folla usciva dai giardini, numerose pattuglie di poliziotti irruppero [...]) compare l’esten-
sione d’uso dell’imperfetto già notata nella prosa dei Carbonari.
Uso dei tempi verbali: gestione dei piani cronologici nel primo capoverso il
presen-te (3-4 È l’autunno: noi ritroviamo, 7 vive nascosto, per quanto lo può, 8 non
può fug-gire) alterna con il pass. pross. (3 sono scorsi, 3 abbiamo descritto, 5 è
disertato) e con il trapass. pross. (5-6 avea scoperto). In seguito il presente prosegue
con valore di pre-sente storico fino a 18; in 19-20 si affaccia l’imperfetto (dovevano,
baciava), che a sua volta fa luogo al pass. rem. a 21 cominciò.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 67
Titolo: I romanzi catanesi: Sulle lagune
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Sulle lagune


Sintassi
Periodi brevi, costituiti da una principale e una subordinata di I grado:
“Alcuni mesi sono scorsi dall’ultima scena che abbiamo descritto” (r. 3)
o da una principale e una sua coordinata:
“Gli ultimi raggi del sole scintillano sui vetri delle sue finestre verso ponente;
la laguna si stende lucida ed immobile ai suoi piedi dal terrazzo e cinge il
panorama di Venezia colla sua zona cerulea” (rr. 9-11).
Raramente alla principale si accompagnano subordinate che superino il III
grado:
“noi ritroviamo Stefano l’ungherese, che dal giorno del suo duello è disertato
per nascondersi alle ricerche del conte di Kruenn, il quale avea scoperto
gl’intrighi dei giovani, in una graziosa casina presso la Punta di S. Biagio [...]”
(rr. 4-7)
“Vi scrivo la prima volta dal mio paesello nativo, seduta innanzi la mia finestra,
da cui un raggio allegro di sole si riflette sul mio tavolino, frastagliato dalle
foglie del vecchio pergolato che incorona il davanzale” (rr. 26-28)
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 67
Titolo: I romanzi catanesi: Sulle lagune
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Sulle lagune


Incertezze nelle reggenze preposizionali:
“la laguna si stende lucida ed immobile ai suoi piedi dal terrazzo” 10.

Sovrabbondanza di
-- aggettivi dimostrativi: quelle 19, 20, 21; questo, -a 29, 30
-- possessivi (sue 9, suoi 10, sua 11, loro 13).

Ripetizioni lessicali:
terrazzo 10 e 13;
lettere 13, 21;
data, -e 13, 19, 20;
finestra 30, 35
e con leggera variazione di natura sintattica
piedi 10 e in piedi 12.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 67/S1
Titolo: I romanzi catanesi: Sulle lagune
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Sulle lagune


Diversa dal punto di vista del tono e della sintassi è la sezione epistolare del capitolo
XVI. Rari sono i capoversi più ampi e distesi (rr. 26-31, 35-41, 49-52, 58-63), ma
anch’essi, come il resto di questa sezione, sono costituiti da allocuzioni, frasi esclamative
e interrogative, interiezioni, puntini di sospensione, a connotare il tono di sfogo e di
lamento; quest’ultimo si esprime tramite periodi brevi o brevissimi, di solito monofrasali,
o tramite frasi nominali (e dunque ellittiche) che, anziché legarsi per il mezzo di
connettivi logici (congiunzioni subordinanti), si affidano ad una sintassi paratattica e
slegata tenuta insieme sulla pagina dall’interpunzione marcata (punti interrogativi,
esclamativi e punti di sospensione), esplicito segnale di emotività.
Le allocuzioni rivolte da Giulia all’amante (Mio buon amico 28; amico mio 37, 52, 64, 91,
100; mio povero fratello di sventura 39; Stefano 48, 64, 74, 78, 81, 83, 85) segnano, nel
loro disporsi reciproco sulla pagina, insieme al desiderio di variatio, il progressivo
aumento di confidenza fra i due amanti: il nome proprio si concentra nella lettera del 7
giugno, mentre dal voi della lettera del 4 maggio (che si ricordi a questa data è la forma
normale e non marcata) si passa al tu nella lettera del 7 giugno); pur nel ricorrere della
medesima risorsa grafica, i puntini sospensivi rimarcano di volta in volta l’ineffabilità
dell’emozione, il pudore reticente, la vergogna, il dolore e l’apprensione.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 67/S1
Titolo: I romanzi catanesi: Sulle lagune
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Sulle lagune


Come si vede le risorse (ritmo sintattico sincopato, brevità frasale e del periodo; puntini
di sospensione, punti esclamativi e interrogativi) sono le stesse adottate dall’autore nei
Carbonari della montagna; ma mentre nei Carbonari esse erano adottate a scopo
enfatico-oratorio a esprimere posizioni ideologiche e politiche, nella sezione epistolare
del cap. XVI di Sulle lagune esse paiono rivitalizzate e comunque rifunzionalizzate.
Il cambiamento, determinato in certa misura anche dal diverso ambito semantico del
lessico, è indotto, più che dal genere della ‘voce’ che esprime l’emozione (da maschile a
femminile), dal differente statuto di quella voce: non più l’autore/narratore che parla
direttamente ad un lettore generico che con lo scrittore condivide idee politiche e
posizione ideologica, ma un personaggio che parla ad altro personaggio in un dialogo
effettivo (sebbene scritto) che, in quanto dialogo, incoraggia e giustifica il tentativo di
mimare l’oralità e il parlato, con un di più di tentata spontaneità linguistica che si
manifesta in volute e consapevoli scelte stilistiche, quali l’utilizzo cataforico del pronome
in un periodo altrimenti ridondante e ‘scorretto’:
“Ora lo sento, amico mio... tutto il peso delle terribili parole di quell’uomo... io lo
sento!...” 80-81.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 67/S1
Titolo: I romanzi catanesi: Sulle lagune
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Sulle lagune

Nel lessico compaiono (nell’interezza del brano) gli elementi già individuati della
miscela linguistica verghiana, che impasta il repertorio arcaico con il lessico fiorentino
e con quello francese; sebbene tali componenti non possano dirsi, nel complesso del
romanzo, consapevolmente coordinate in un insieme stilisticamente omogeneo o
aderente sempre e comunque ai differenti contesti e situazioni narrative, non si
assiste più in genere allo stridente contrasto di solennità e colloquialità, letterarietà e
formule orali che avevamo notato nei Carbonari. Anzi, in singole occasioni pare di
poter scorgere il proposito del giovane autore a tener separati e opportunamente
distribuiti i vari livelli lessicali e i registri in suo possesso.

Nel nostro brano, per esempio, si noti come appartengono alla voce dell’autore i
lemmi di sapore fortemente letterario come cerulea 12, 33, Poscia 24, verone 14 e
come, viceversa, appartengano alla voce di Giulia nel dialogo confidente con Stefano
il marcato fiorentinismo mamma 38 (che fa il paio con il già citato fo nel medesimo
contesto) o locuzioni toscane percepite come appartenenti alla lingua viva (“Mia
madre va meglio”).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 67/S2
Titolo: I romanzi catanesi: Sulle lagune
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Sulle lagune


Qualche annotazione sugli elementi lessicali:
verone 14: è caratteristico di tutta la produzione giovanile verghiana, nonostante la forte
connotazione, assunta dal lemma nell’Ottocento, di termine proprio della poesia e
del melodramma; a proposito di questa scelta lessicale Luigi Russo (La lingua di
Verga, in Giovanni Verga, p. 285) annotava: “Il balcone della donna amata è poi
sempre il verone di romantica memoria, proprio laggiù in Sicilia, dove, come a
Napoli, non si conoscono che balconi”. Dell’estraneità del termine alla competenza
attiva di Verga è testimonianza l’uso improprio testimoniato dall’intera frase del
nostro brano (“presso il verone che si apre sul terrazzo”) giacché verone è appunto
quello che a Firenze si chiama ‘Terrazzo, o Loggia’ secondo la definizione del
Vocabolario della Crusca (si veda http://www.lessicografia.it). Evidentemente qui
Verga attribuisce a verone il significato di ‘finestra, porta-finestra’; in questa
occasione, al verone (di origine antica e di sapore poetico, per di più mal
interpretato) Verga non affianca il balcone della sua Sicilia ma appunto il terrazzo di
diffusione tosco-fiorentina (diversa la situazione nel Mastro-don Gesualdo dove,
scomparso l’antiquato verone, terrazzo alternerà con balcone).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 67/S2
Titolo: I romanzi catanesi: Sulle lagune
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Sulle lagune


Di poscia (letterario e arcaico) Verga farà uso invece fino a Eva e Eros, così come ceruleo
sopravviverà nel lessico verghiano fino a Eva e Storia di una capinera (il ricorrere dei titoli
di questi romanzi, databili tutti fra la fine degli anni Sessanta e la prima metà degli anni
Settanta, anticipa quali siano stati i tempi dell’evoluzione del nostro autore in senso
antiletterario). Viceversa, fo e mamma, che ricorrono nelle lettere di Giulia a Stefano,
attribuiscono al fiorentino lo statuto di lingua viva, spontanea, e dunque in grado di
rispondere meglio all’espressione dei sentimenti e delle emozioni, come accenna anche
l’uso di modi dire toscani; si tenga presente però che mamma (che gode del supporto del
mammà siciliano) alterna con madre (la mia povera madre 75) e che l’uso della locuzione
toscana (evidentemente appresa sulla scorta dei lessici) attestata a 83 (“Mia madre va
meglio”) è improprio: il modo di dire, che in Toscana conosce solo l’uso neutro o
impersonale (va meglio) è contaminato con Mia madre sta meglio.
Come nei Carbonari, anche qui si rintraccia l’adozione di parole straniere (cap. I:
dandy; cap. III punch) cui si affiancano ora termini dialettali veneti (selizade, paron,
sior e l’intera citazione della canzoncina Ti xe bèlla, ti xe zovene nel cap. V, barcarolo) o
di parole esclusive dell’ambiente veneziano in cui si svolge la storia (per esempio
traghetto, -i) e neologismi semantici o locuzioni ‘alla moda’ e perciò segnalate
(come i dialettismi) mediante il corsivo (carattere, padrone della situazione).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 67/S2
Titolo: I romanzi catanesi: Sulle lagune
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Sulle lagune


Altre singole scelte hanno statuto molto vario:
garzone ‘cameriere’; è un antico francesismo che, nel significato di ‘Giovane che i
contadini tengono in casa perché accudisca ai lavori del podere’ o di ‘Quegli che va
con altrui per lavorare o che sta col padrone a bottega’ era entrato nel fiorentino
ottocentesco e di lì era stato desunto da Manzoni per i Promessi sposi; nel
significato più specifico (e qui adottato da Verga) di ‘cameriere che serve ai tavoli’ è
un francesismo recente;
scancellare: si connota (per l’uso di s- intensivo) come toscanismo; farà di nuovo la sua
comparsa in Storia di una capinera (accanto a cancellare), e in novelle e romanzi
successivi;
raccattare: altro toscanismo marcato (dalla Biblioteca Italiana risulta essere adottato
nell’Ottocento dai toscanissimi Giusti, Carducci, Collodi, De Amicis, Fucini o dal neo-
toscanista Tommaseo); in Verga comparirà fino a I Malavoglia, e al Mastro-don
Gesualdo (in alternanza sinonimica con raccogliere);
incrocicchiare (le braccia) ‘incrociare’; ad autorizzare l’arcaismo sta la prima edizione dei
Promessi sposi dove era usato nella formula fissa (poi eliminata nella Quarantana)
colle braccia incrocicchiate sul petto / incrocicchiò le braccia sul petto da confrontare
con incrocicchiò le braccia con la sciabola sul petto del Prologo di Sulle lagune;
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 67/S3
Titolo: I romanzi catanesi: Sulle lagune
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui contenuti


studiati nelle lezioni precedenti dedicate all’analisi del
romanzo verghiano Sulle lagune, lo studente è
invitato a compilare il test associato a questa
sessione di studio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 67/S3
Titolo: I romanzi catanesi: Sulle lagune
Attività n°: 3

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli studenti
non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei contenuti
affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad inviare i risultati del
proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-portfolio; tali risultati possono
essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di messaggistica), ma in questo secondo
caso si raccomanda di indicare esplicitamente il numero associato a ciascuna domanda. Il docente
verificherà la correttezza del test e ne darà conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul
risultato della prova finale, invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o
chiarendo ulteriormente quello che non è stato pienamente compreso.
42) Illustrate dal punto di vista sintattico (tenendo conto delle due parti narrativa e
epistolare che vi si alternano) il seguente brano tratto da Sulle lagune:
“Quelle date dovevano molto parlare al cuore del giovane ungherese, poichè dopo aver baciato l'immagine,
egli baciava ognuna di quelle date. | Poscia cominciò a rileggere, forse per la ventesima volta, quelle lettere,
mentre insieme ad altre carte le andava ordinando dentro una grossa sopracoperta, nella quale avea scritto in
antecedenza l'indirizzo di Collini.
[…] Mio buon amico, | Vi scrivo la prima volta dal mio paesello nativo, seduta innanzi la mia finestra, da cui un
raggio allegro di sole si riflette sul mio tavolino, frastagliato dalle foglie del vecchio pergolato che incorona il
davanzale. Ho dinanzi a me quest'immenso orizzonte, inondato di luce splendida e cerulea, che si stende sino
alla laguna, ove voi dovete essere a quest'ora... fors'anche affacciato alla vostra finestra e cogli occhi rivolti
verso…”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 68
Titolo: I romanzi catanesi: Una peccatrice
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Una peccatrice


Quattro anni dopo la pubblicazione di Sulle lagune Verga pubblica a Torino, presso
l’editore Federico Negro, Una peccatrice. L’edizione porta la data del 1866, ma la
scrittura risale almeno a due anni prima, poiché il 17 novembre 1864, in una lettera a
Adolfo Gujon, il Verga scriveva:
“Speravo di mandarle Sulle lagune, e Una peccatrice – per i quali romanzi mi trovo
in trattazione con un librajo di Torino, ma le pratiche non essendo ancora condotte
a termine aspetto che i due romanzi vengano pubblicati per sdebbitarmi in qualche
maniera della gentilezza che lei e il sig. Dumas mi hanno prodigata” (Verdirame,
Introduzione a G. Verga, I Carbonari della montagna. Sulle lagune, cit., p. XXXVI).
La distanza fra ideazione (compresa in un periodo tutto catanese) e pubblicazione
(avvenuta dopo il primo breve soggiorno fiorentino del 1865, di cui parleremo più
avanti), che comporta una gestazione lunga e riflessa, può giustificare l’unanime
giudizio dei critici che, pur riconoscendo nel romanzo moduli attardati della cultura
romantica del giovane Verga, vedono in Una peccatrice il blocco di partenza di un
percorso letterario più maturo.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 68
Titolo: I romanzi catanesi: Una peccatrice
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Una peccatrice


“Una peccatrice è il terzo romanzo pubblicato dal Verga [...], ma esso si deve
considerare come il primo tentativo di grande impegno in quanto vi si trovano ormai i
contorni di una tendenza prediletta che permarrà, variamente trasformata, nella
tavolozza verghiana per anni. Questa caratteristica si può meglio descrivere come
una tensione prolungata tra forze disuguali: l’una appariscente, sempre turbinosa e
seducente; l’altra in sordina, alquanto banale, ma insistente”
rappresentate da
“la scoperta di un nuovo mondo, pericoloso e travolgente che tende ad eclissare i
piccoli problemi domestici. Ma il modo stesso in cui questi ultimi vengono sommersi
nella narrazione rivela, curiosamente, la loro natura ineliminabile” (Raymond Petrillo,
Itinerario del primo Verga. 1864-1874, Catania, Fondazione Verga, 1987, pp. 20 e
19).
L’amico di Verga, Nicolò Niceforo, ha raccontato che la storia del romanzo prende spunto
da una vicenda di cronaca e che “i protagonisti di Una peccatrice esistettero veramente”.
Da questa notizia alcuni critici hanno desunto la possibilità che dietro la storia dei due
protagonisti del nuovo romanzo, Narcisa Valderi e Pietro Brusio, si nasconda una vicenda
autobiografica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 68
Titolo: I romanzi catanesi: Una peccatrice
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Una peccatrice


L’autore stesso insiste sul fatto che si tratta di storia vera e contemporanea (“Dirò come
mi sia pervenuta questa storia, che convenienze particolari mi obbligano a velare sotto la
forma del romanzo”; nel I capitolo: “ricorriamo al pseudonimo per questo come per quasi
tutti i nostri personaggi, viventi ancora la maggior parte e molto conosciuti”), mentre il
fatto che il protagonista maschile sia uno scrittore e che la vicenda si svolga a Catania
contribuisce a far intravedere nel romanzo qualche risonanza di tipo autobiografico. Certo
è che con Una peccatrice si manifestano chiaramente elementi sensibili della poetica
verghiana e temi che più tardi si svilupperanno a pieno:
1) la ‘riappropriazione’ (qui anticipata) del paesaggio siciliano (l’autore, dopo l’escursione
letteraria in America, in Calabria e infine a Venezia, sceglie un’ambientazione siciliana;
alla Sicilia egli tornerà con maggiore consapevolezza, dopo il soggiorno fiorentino con
Storia di una capinera e durante e dopo il soggiorno milanese con la svolta verista);
2) il rapporto, affascinante sulle prime, deludente poi, fra uomo e donna (che tornerà in
maniera emblematica in Eva);
3) la rappresentazione del giovane artista sul punto di perdere se stesso e la propria
vocazione al contatto con il mondo e con l’amore: poeta e pittore era anche Stefano
Keller in Sulle lagune, il pittore Enrico Lanti si perderà andando dietro alla ballerina
eponima di Eva.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 68/S1
Titolo: I romanzi catanesi: Una peccatrice
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Una peccatrice


Una peccatrice è costituito da nove capitoli ai quali è premesso un capitolo iniziale non
numerato che narra (con effetto di flash back) l’epilogo della vicenda: tre giovani (fra i
quali il futuro narratore) si imbattono, in una stradina di campagna fra Aci Castello e
Cannizzaro, nel funerale della bellissima contessa di Prato, Narcisa Valderi; fa parte del
corteo il medico che l’ha assistita nell’agonia (Raimondo Angiolini), amico dei tre giovani e
di Pietro Brusio, l’uomo per cui Narcisa è morta. Angiolini promette in quell’occasione un
dettagliato resoconto della vicenda, poi messo per iscritto dall’anonimo narratore.
L’autopresentazione nel capitoletto iniziale (dove parla in prima persona), non esime il
narratore dalla strategia di narrazione opaca che già conosciamo dai precedenti romanzi,
anche qui caratterizzata dall’assunzione del noi e dall’intervento commentante nel corpo
del romanzo. Infatti, se nel capitoletto iniziale il narratore può anche dire noi quando è
portavoce dei sentimenti del gruppetto di giovani che incontra il funerale della contessa:
“Giammai si è tanto umiliati dal contrasto come in simili casi” (9-10);
“giammai questo spaventoso mistero del nulla avea colpito siffattamente le noncuranti
immaginazioni dei nostri 23 anni” (55-57);
“Lo ripeto: giammai la morte ci era sembrata più imponente e più possibile nello
stesso tempo prima d’allora” (106-107)
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 68/S1
Titolo: I romanzi catanesi: Una peccatrice
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Una peccatrice


nel prosieguo del racconto il narratore adotta il noi nella funzione propriamente
narratologica; si veda, per esempio, nel cap. I:
“Noi cercheremo di delineare questi due personaggi, dei quali uno è destinato ad
avere la maggior parte negli avvenimenti che verranno in seguito”.
L’esposizione del narratore come personaggio nel capitoletto iniziale (e la dipendenza del-
le informazioni in suo possesso dal resoconto del medico e amico Raimondo Angiolini,
questo sì personaggio a tutti gli effetti della storia di Pietro e Narcisa), ‘giustifica’ e in
certa misura ‘delimita’ la sua ‘onniscienza’.
Con Una peccatrice si assiste inoltre ad una maggiore fiducia nella capacità di tenere in-
sieme la compagine romanzesca: per la prima volta mancano ad un romanzo verghiano i
titoli introduttivi dei capitoli, secondo un processo di progressivo allentamento dei segnali
paratestuali, che giungerà al massimo grado in Storia d’una capinera (nel quale le parti-
zioni sono dettate, dall’interno della storia, dalla lunghezza delle lettere; e si può perce-
pire appieno il grado di evoluzione se si fa mente locale a quanto esterno fosse stato il
motivo della doppia partizione, tematica e in capitoli, di Sulle lagune, destinato alla pub-
blicazione in appendice di un giornale) e in Eva (suddivisa in quelle che Giacomo Debe-
nedetti chiamerà “lasse narrative”, partizioni di misura diversa, non numerate progressi-
vamente e separate l’una dall’altra da una tripletta di asterischi).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 68/S2
Titolo: I romanzi catanesi: Una peccatrice
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Una peccatrice


Donnaiolo impenitente Pietro Brusio è un ventiduenne alla moda, avido lettore dei
romanzi di Eugène Sue, che insegue per proprio conto sogni di gloria letteraria come
drammaturgo; durante una passeggiata con l’amico Raimondo Angiolini incontra e poco
dopo si infatua di Narcisa Valderi; o meglio, piuttosto che della donna fisica, della sua
immagine pubblica, della sua eleganza, tanto affascinante finché rimane un desiderio e
un sogno frustrato di possesso:
“Io amo nella donna i velluti, i veli, i diamanti, il profumo, la mezza luce, il lusso...
tutto ciò che brilla ed affascina, tutto ciò che seduce e addormenta... tutto ciò che
può farmi credere, per mezzo dei sensi, che questo fiore delicato, del cui odore
m’inebbrio, che mi trastullo fra le mani, non nasconde un verme; che quest’essere
non è, come il mio, debole e creta”
e anche
“Io l’amo come un bel personaggio da dramma o da romanzo, come un bel
fiore...come una bella donna prima venuta insomma... che sa recare con grazia il
velo sul cappellino e sollevare con disinvoltura lo strascico della veste...”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 68/S2
Titolo: I romanzi catanesi: Una peccatrice
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Una peccatrice


L’innamoramento conduce Brusio a trascurare gli studi di legge, la famiglia, ad
abbrutirsi nel vino e nelle feste poiché a Narcisa, in quanto nobile e sposata, egli non
può e non sa avvicinarsi. Tornato temporaneamente sulla retta via però, a Napoli, dove
Pietro ha appena colto un modesto successo teatrale, egli viene presentato a Narcisa
che se ne innamora ora che Pietro è entrato a far parte (in virtù della gloria letteraria)
della società a cui la contessa appartiene. La corte assidua di Brusio induce il marito
della Valderi a sfidare a duello il rivale e allora Narcisa decide, contro i condizionamenti
imposti dalla società, di lasciare il marito e andare a vivere con Pietro.
La convivenza, felice per qualche mese, finché sopravvive il desiderio dell’uomo, si
trasforma presto in una prigione da cui il protagonista non riesce a sfuggire; la
delusione e la noia colte negli occhi dell’amante inducono Narcisa ad uccidersi con
l’oppio.
Alla fine della vicenda turbinosa di cui è stato protagonista, Pietro Brusio torna in seno
alla famiglia e alla città natale, rientro emblematico nel nido da cui l’amore e la
speranza di gloria l’avevano temporaneamente e pericolosamente allontanato. Ma la
storia vissuta non è trascorsa invano poiché ormai le energie giovanili e le grandi
speranze sono state interamente dissipate. Il romanzo si conclude così:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 68/S2
Titolo: I romanzi catanesi: Una peccatrice
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Una peccatrice


“Pietro rimase istupidito, come un pazzo; per un mese intiero.
Il secondo rivide sua madre; poi gli amici. Un anno dopo ricomparve in società...
Chi sa quante volte al giorno pensa a quest’ora a Narcisa, la donna ch’è morta
d’amore per lui?!...
Le splendide promesse del suo ingegno, che l’amore di un giorno aveva elevato sino
al genio nella sua anima fervente, erano cadute con quest’amore istesso. Pietro
Brusio è meno di una mediocrità, che trascina la vita nel suo paese natale rimando
qualche sterile verso per gli onomastici dei suoi parenti, e dissipando il più
allegramente possibile lo scarso suo patrimonio.
Misteri del cuore!”.
Il modello esplicito di Una peccatrice è la Dame aux camélias di Alexandre Dumas,
romanzo pubblicato nel 1848 e, un decennio avanti, utilizzato da Giuseppe Verdi (su
libretto di Francesco Maria Piave) per la Traviata (la cui prima rappresentazione era
andata in scena alla Fenice di Venezia nel 1853). Il Verga tiene presenti tanto l’originale,
di cui sono citati i nomi di Margherita e Armando (mutati in Violetta e Alfredo da Piave) e
dal quale dipende l’escamotage narrativo del flash back con cui è introdotta la storia di
Narcisa e Pietro, quanto la versione melodrammatica (a cui del resto allude il titolo stesso
del romanzo verghiano).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 68/S3
Titolo: I romanzi catanesi: Una peccatrice
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Una peccatrice


“Storia romanzesca, dove sono conservate tutte le frasi più accese e più
declamatorie di un ipotetico epistolario amoroso, e dove è celebrata la donna-tipo
che piaceva ai giovanotti di cinquanta o sessant’anni fa, la donna ‘silfide’, ‘maga’,
‘sirena’, e di cui l’autore a ogni passo celebra l’‘eleganza suprema, la molle e quasi
ingenua civetteria’, lo ‘sguardo limpido chiaro, noncurante’, e il suo ‘languente e
voluttuoso abbandono... di sultana’, e la ‘toletta’, i ‘profumi’, il ‘lusso’, ‘l’apparato
brillante e vaporoso in cui la farfalla... fa dimenticare il bruco’. Un vero e proprio
museo degli orrori romantici, radunato e custodito, con coraggioso cattivo gusto, da
un provinciale di ingegno. Fra l’altre, c’è la scena finale, in cui Narcisa Valderi, eroina
d’amore, muore, dopo un amplesso, ascoltando nella lenta e sognante agonia, le
note di un valzer caro alle sue memorie di amante. La Dame aux camelias ne è
l’ossessionante modello di vita” (Luigi Russo, Giovanni Verga, pp. 34-35).
L’armamentario romantico è in effetti quello stesso dei romanzi precedenti, descritto in
termini analoghi anche da Raymond Petrillo (Itinerario del primo Verga, p. 19):
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 68/S3
Titolo: I romanzi catanesi: Una peccatrice
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Una peccatrice


“Carrozze veloci, veroni oscuri, attese deliranti, mani bianche e affilate, voci dolci, carezze
irresistibili, immensi affetti, terrori affascinanti, pallori subitanei, lineamenti sbattuti,
singhiozzi soffocati, guanciali inzuppati di lacrime, lenzuola lacerate, palpiti e spasimi
sempre più nuovi e più arcani: ecco un’idea degli ‘orrori’ utilizzati dal giovane Verga nel
romanzo Una peccatrice. Un repertorio tardo-romantico che se non fosse stato sentito per i
suoi valori duplici, correlativi, lo si potrebbe addurre come esempio soltanto delle deficienze
linguistico-culturali dello scrittore”.
Luigi Russo (Giovanni Verga, nel capitolo La lingua di Verga, alle pp. 284-289)
accompagnò al giudizio stroncatorio su Una peccatrice già citato, un giudizio altrettanto
limitativo sulla lingua, di cui segnalava le numerose incertezze e il solito mescidamento
fra il siciliano, il “francese bastardo” e la lingua letteraria; giudizio senz’altro condivisibile
su base oggettiva, ma che non tiene conto delle prove precedenti del romanziere (come
Russo stesso diceva: “ho tralasciato i romanzi precedenti, perché si dovrebbe cadere
troppo nell’analisi scolastica”, ivi, p. 288).
Di Una peccatrice analizzeremo il capitolo iniziale del romanzo che ci permette di valutare
i vari aspetti della prosa verghiana: narrativa, descrittiva e dialogica e dunque affrontare
anche alcune scelte stilistiche. Il brano allegato a questa sessione di studio è tratto
da G. Verga, I Carbonari della montagna, Sulle lagune, Una peccatrice, Firenze, Sansoni,
1983, pp. 443-446) a cura di Enrico Ghidetti (ho inserito io la numerazione dei righi).
';;;;*
Ei" ;"ì-g?i=' ii- ii" ''lt;iE' !3t!
iI iiiEI , FliÉÈÈi {i {I ffii *iÈÉà
HE a;É *ffiÈ :rtÉÉi ; ti ;§iqÉ;:i:;
i1 r+ 1 ;È;àExiÉt;i 3e sEtliiÉiÈi; §
i* Èȧ {È ÉffiIìi{ÉrÈ ÉÉ sìsÈEàEigÉÉ
l1,1 *,tiltÉ* rul11*t llli tH*
*:r §,è ;*§ts§ *§EsÈglr,sh»*§s §§ §§ *i-; §É §i tl i i': 1i:; :
;irÈ;Èlrj;ÉlliÉEi§;ià3i
ÉÉ
E,,i i§ , §iÈÉ ;É=;E:;E::?;*= ,;.
ffi:te;
Ess :i; EE;H ;:r;fl;;sE+*:n §*É fÉEjÉ;
§eeE€E
§ I{; si{,[ §Fi§ 1*iÉ;:i§i ElÈÈ 3È; ,§;ÈiE{ §
È
itt*i§li,{Éig
r: ..E EE[gilgiillgÉgii
E
Èjl,lliil§i
*ÈslÈffs};fi§,!iE tlngɧ E il §!,§Eft liliÉ BEI
fi fÈ E*E: F$É *i [E g ] €EiTs::
:+;,:gi3
ÉE$ɧEE
;: Ef ; IiE iE Ei nEÉil}!1E[ii;!t
f;: ;È §sE: Ess §E
E,gErg*ÈE;il i
r:E§;$
fE s +àE"qss
$sF§[€Ei;3;gi

E iilàe; l it{
E lj :gEEì:EE ÈE& ,lE; §tIÉ*i,riiitii §
§
=
tlg;iii
; È:: i*:
;!.ff;.[{E [ à!{rEàif iii;I;ti ;§:$aE
!Èsfiì ;É1}*§ig!;*;, it §'*ii!i§i;ti
;;È3EÉ;
ffi?*ii3li§*Èi i=;Èsi. ÉE iil" ÌE j
E se i r?+ cÉr s s
y, N * g?,3; § -l:i!§q §E',B;'iil Y'133 r, ER§; ìuuc §$§s: ì:: * f ?x
csÈ,s €E:::a€ E; à€s elÈ+§: : rEE
[:;ri lt;:hE i; :sf È9§Èà* ; *EI
gi
fiÈ1l iffifiÉ tii 1I§Èii 1i* \
€' iii É;*l e; u [}Èà
àHE5; 1}§i§Et'
ggÌ
§sill iÈgligi i1 {ffgi§t; *g§É
:t§€ i- g g! ceìt gIà u§:t BIEEgɧI, uffi s
lÉ:ȧ{EÉtIijÈ;tjÉ{ÈìlBÉÉi
o t ?),qG'EU
.E +^ E6 5
È s ,5i :
ÈipH:"._g.tFgEÈgE;o
§E-qcÉr_,;#*8f;;ÈEjtAeef:
§ r,j+E
iÈ €l E
gÈgi+ì
§
: §ririÈgÉi€:t;§i3ij i§$§
€*:;; =,iF[#ÉÈEE§E3f;a;:E§;;; \c
\t
\t
IS È à FÈ#:lt:iisr§§H;fttei,E§
;uf ;ffil iÉlgi*EÉ;iÉÌ;lÉiiÉÈl?pe
ff ; §§+i=+i;3ttg; f l3iit;gigi;E
gEff
,
§?l+{ § i§ì tT iìì ì q {{§t ?ìi I rìi §ì'rY {! r
q
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 69
Titolo: I romanzi catanesi: Una peccatrice
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Una peccatrice

La maggiore approssimazione raggiunta con questo nuovo romanzo verso una lingua
comune, dall’andamento scorrevole, è evidente a prima lettura se si pone questo
capitolo a paragone con gli esperimenti precedenti; gli elementi siciliani o provinciali,
che pure qua e là rimangono (sia nel lessico, sia nella morfologia o nella consecutio
temporum), sono macchie isolate che nulla tolgono all’impressione di appropriatezza
lessicale ormai generalizzata e di ordinata chiarezza espositiva e sintattica.
Le scelte a favore del toscano sono misurate (tanto più perché autorizzate in ambito
letterario moderno), per lo più limitate al lessico, ben poco indulgenti al fiorentinismo
fonetico o sintattico. Le solite componenti dei romanzi precedenti (siciliano, toscano,
italiano letterario, francese), riconosciute da Luigi Russo anche in Una peccatrice,
associate come sono ad una maggiore padronanza e ad una più consapevole
distribuzione, contribuiscono a creare una lingua di gran lunga più omogenea delle
prove precedenti.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 69
Titolo: I romanzi catanesi: Una peccatrice
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Una peccatrice


Dal punto di vista morfologico non sono stati fatti però grandi passi in avanti. Nella
morfologia verbale soprattutto si concentrano forme o antiquate, o connotate
regionalmente oppure destinate a scomparire definitivamente dagli usi comuni:
-- rintracciamo la persistenza dei passati remoti forti: riconobbimo 33, rimasimo 55;
-- di sapore letterario è, nella coniugazione dei verbi, ricevei 137 (e più oltre credei),
forme che stabiliscono esatta analogia con i perfetti della prima coniugazione in -ai;
registrando tali forme (“regolari” dal punto di vista della coniugazione) anche nei
Carbonari, Francesco Branciforti (Alla conquista di una lingua letteraria, p. 270),
notava l’“assoluta assenza delle forme analogiche -ètti, -ètte, -ettero, sentite
probabilmente come forme del parlato”;
-- continua, anche in Una peccatrice, la compresenza più o meno casuale fra uscite in -o
e uscite in -a della prima persona dell’imperfetto indicativo.
Verga usa anche abbi (anziché abbia) per la seconda persona del congiuntivo presente
del verbo avere, ma si ricordi che tale forma (sebbene condannata da Francesco Soave
nella sua Gramatica: “Semo, sete, e avemo per siamo, siete, e abbiamo; eramo, eri, e
avevi per eravamo, eravate, e avevate; che io sii, o abbi , che essi siino, o abbino per sia,
abbia, siano, e abbiano; io saria, o avria per sarei, avrei; averò, averai ecc. per avrò,
avrai sono voci pur da guardarsene) era confortata dall’uso, letterario e non.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 69
Titolo: I romanzi catanesi: Una peccatrice
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Una peccatrice


Nella morfologia nominale va segnalato l’uso improprio (a livello più precisamente
morfo-sintattico) di quegli in funzione diversa da quella di soggetto in
“Allora cominciò un alterco fra quegli che non voleva cederle” 18.
Infatti quegli “vale Colui; ed è il primo caso [dunque in funzione di soggetto] di esso nel
numero del meno [nel singolare] del genere mascolino, dicendosi in tutti gli altri casi
Quello, quantunque qualche esempio antico faccia contro a questa regola”, come
avverte un vocabolario di poco successivo (Vocabolario della lingua italiana compilato da
Giuseppe Rigutini [...], Firenze, Barbèra, 1874.
Riguardo all’uso dei pronomi in Una peccatrice (e dunque a proposito di ella! ‘lei’ che nel
nostro brano ricorre ai rr. 38, 50, 62) Luigi Russo (Giovanni Verga, p. 286) commentava:
“L’uso dei pronomi di persona è ancora impressionantemente incerto: prevale il
gusto per le forme più togate, conforme alla gravità aristocratica dei gentiluomini di
laggiù! Il lei manzoniano gli pare forse troppo familiare e borghese, e ogni momento
vien fuori un ‘Ella!’ che talvolta lacera gli orecchi. Passa un corteo funebre e nella
bara giace la bella e fatale contessa di Prato. ‘Ella! esclamammo tutti ad una voce...’
e quell’Ella! è la traduzione di idda!, che in situazione sintattica analoga direbbe un
siciliano, discorrendo”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 69/S1
Titolo: I romanzi catanesi: Una peccatrice
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Una peccatrice


Eppure, nonostante queste incertezze e queste momentanee cadute, la scioltezza
linguistica del nostro brano è dimostrata, a livello del lessico dalla ricca variazione
sinonimica (per es. 25 convoglio funebre, 28 feretro, 36 convoglio, 44 mortorio, 82 bara,
101-102 quattro tavole), e anche dalla gestione accorta degli alterati, come si può
esemplificare con chiesa 46, 82, 97, 108, che, nei momenti di massima concentrazione,
alterna con chiesuola 89 e chiesetta 100.
La varietà lessicale è conseguita ancora una volta tramite la ricerca lessicografica (che
costituisce la risorsa di qualunque provinciale alla ricerca di uno strumento linguistico
‘nazionale’) o la lettura degli autori italiani contemporanei, oppure tramite la lettura di
romanzi stranieri da cui derivano i forestierismi alla moda (in particolare quelli attinenti
all’abbigliamento: pardessus reine-blanche, pince-nez, tarlatane, “cappellino ornato
cerise” etc.), questi ultimi, quando si tratti di prestiti non acclimatati, rimarcati dal corsivo.
Limitando l’approfondimento al brano che abbiamo sotto gli occhi, sono termini
lessicalmente connotati (o perché antiquati, o perché letterari, o perché scopertamente
fiorentini o di ascendenza siciliana) i seguenti termini che analizzeremo seguendo l’ordine
in cui essi compaiono nel capitolo iniziale:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 69/S1
Titolo: I romanzi catanesi: Una peccatrice
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Una peccatrice


rozze ‘cavalli di infima qualità’ 13: nella lessicografia della Crusca la parola viene
registrata (come lemma autonomo ma per rinviare a carogna) tanto nella I come
nella II edizione, edizioni nelle quali però il termine è usato nella definizione di
cavallaccio: ‘Cavallo cattivo, che noi diremmo ROZZA, pronunziata con Z. aspro’; a
partire dalla III edizione, pur glossato ancora come ‘carogna’, il termine viene
corredato da esempi tratti da Ariosto e da Firenzuola. Il Russo (Giovanni Verga, p.
286) annotò che “invero è parola estranea al dialetto” sostenendo che essa
appartiene a “quell’italiano letterario raccogliticcio che il Verga deve avere imparato
alla scuola di Antonino Abate”, ma sulla base di quanto detto sopra Verga potrebbe
averla piuttosto ricavata dai lessici contemporanei;
stradone 25-26: nonostante la convergenza apparente con la lingua (in cui non di rado
l’accrescitivo può implicare il cambio di genere: si pensi a donnone), il termine
corrisponde al siciliano stratuni ‘strada carrozzabile’ o, come è glossato dal
vocabolario siciliano di Vincenzo Mortillaro, ‘strada sterrata di campagna’ (il
vocabolario del Mortillaro fornirà la soluzione per le correzioni linguistiche che nel
1873 porteranno un capitolo di Frine ad essere inglobato in Eva, facendo sì che il
precedente stradone venga sostituito con stradale);
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 69/S1
Titolo: I romanzi catanesi: Una peccatrice
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Una peccatrice


a paro ‘al pari’ (qui in senso topografico e dunque ‘alla stessa altezza’) 31; il sintagma,
identico, compare nella prosa di Cesare Balbo e in Giacomo Leopardi (Discorso di un
italiano intorno alla poesia romantica, oltre che nei saggi di traduzione dei salmi); la
forma, autorizzata da Dante e Petrarca in poesia (in entrambi i casi a paro a paro
compare in rima), è a questa data un arcaismo; basta a verificarlo la glossa (‘del pari,
al pari, a un pari’) di cui era corredato fin dalla prima edizione della Crusca il lemma a
paro a paro;
mortorio 44 ‘funerale’ e più concretamente ‘Onoranza, o cirimonia nel seppellire i morti’
(come glossa il Vocabolario della Crusca dalla I alla IV edizione); è un marcato
toscanismo (e perciò adottato anche da Manzoni e nel Tommaseo-Bellini autorizzato
sulla scorta di uno dei proverbi toscani del Giusti) che Verga userà di nuovo in Il
mistero e Pane nero comprese nelle Novelle rusticane, in Eros (per di più in una frase
idiomatica) e infine nei Malavoglia;
discolo 64; sulla scorta di esempi trecenteschi il Vocabolario della Crusca lo registra oltre
che nel significato di ‘idiota’, cioè ‘ignorante’, anche nell’accezione più generale di
‘Huomo di costumi poco lodevoli, e riottoso, e incomportabile [cioè insofferente]’
(Verga userà di nuovo il toscanismo in Frine e in Vagabondaggio).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 69/S2
Titolo: I romanzi catanesi: Una peccatrice
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Una peccatrice

Nell’uso dei piani cronologici, e dunque nella gestione dei tempi verbali, il nostro brano
si adegua agli standard di lingua; stabilito che all’incontro dei tre giovani con il corteo
funebre si fa riferimento con il passato remoto (la cui connotazione dialettale non
siamo in grado di valutare poiché Verga è puntiglioso nel dichiarare giorno e mese, ma
omette di indicare l’anno né dà indicazioni relative al tempo intercorso fra gli eventi
narrati e la data della scrittura), il trapassato prossimo e l’imperfetto assolvono
rispettivamente all’esigenza di anteriorità e alla connotazione aspettuale di continuità
dell’azione.
Il passato prossimo invece indica la posteriorità rispetto al passato remoto (a 145:
“non ho fatto che coordinare i fatti [...] rapportandomi spesso alla nuda narrazione di
Angiolini e alle lettere che questi mi rimise”), mentre il presente o si riferisce al
momento della pubblicazione del romanzo (e dunque al contatto del narratore con il
lettore: r. 2 “mi obbligano”) oppure ha valore acronico e universale, adottato com’è a
9-10 per un commento valido per ogni tempo.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 69/S2
Titolo: I romanzi catanesi: Una peccatrice
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Una peccatrice


Nel dialogo abbiamo per lo più discorsi diretti legati, cioè introdotti da verbi dicendi:
gridò al cocchiere (11), fu la risposta (24), esclamammo (38), fu ripetuto (50), esclamò
(52) etc., ma non mancano, soprattutto in occasione di battute brevi e ravvicinate,
anche discorsi diretti liberi (privi cioè di tale introduzione), come si può vedere a 49, 53,
62, 84-85, 110, 124, 127, 128-129.
Alle domande riferite in discorso diretto si associano casi di domande riferite in maniera
indiretta; a seconda che il verbum dicendi sia espresso oppure no il Verga adotta o un
modulo estremamente colloquiale e spontaneo che rende il congiuntivo imperfetto con
il corrispondente indicativo (22-24 “domandammo che c’era”; 35 “domandammo chi era
morto”) oppure si adegua alla imposizione dell’uso del congiuntivo nelle interrogative
indirette (41 “Non sapevamo spiegarci per quali circostanze la contessa fosse morta in
quel luogo e Angiolini ne accompagnasse il feretro”; 65 “non arrivammo a comprendere
come la Prato, questa Margherita dell’aristocrazia, fosse giunta ad amarlo”).
In questo medesimo contesto del discorso riferito si possono rintracciare incertezze
sintattiche di un certo rilievo. Si veda infatti 134-136:
“però pei dettagli mi promise di comunicarmeli minuziosi e precisi, dopo che
avrebbe consultato certe lettere che aveva ricevuto da Brusio e dalla contessa”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 69/S2
Titolo: I romanzi catanesi: Una peccatrice
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Una peccatrice


Nel passo appena citato il ricorso al condizionale passato sostituisce il trapassato
congiuntivo (noi oggi meglio useremmo una subordinata implicita confidando nel dopo
che, per garantire la posteriorità rispetto alla subordinata implicita subito precedente:
comunicarmeli). Il caso particolare va ricondotto (piuttosto che a quanto Branciforti ha
segnalato per i Carbonari: “nelle proposizioni ipotetiche o ottative le forme dell’imperfetto
congiuntivo vengono sostituite da quelle del condizionale, sentite, soprattutto per
reazione inconscia all’uso dialettale, come forme della lingua ‘civile’, cioè aulica e
nazionale”; Alla conquista di una lingua letteraria, p. 282), a quel che Alfredo Stussi ha
segnalato nella lingua di De Roberto: “anche si riflette sulla prosa di De Roberto l’assenza
in siciliano del condizionale, non direttamente col cosiddetto abuso del congiuntivo (se
potessi facessi), ma con la comparsa di condizionali per ipercorrezione, al posto di
congiuntivi (Alfredo STUSSI, Appunti sulla lingua dei «Viceré», in Gli inganni del romanzo.
«I Viceré» tra storia e finzione letteraria, Catania, 1998, pp. 329-372: p. 349).
Riaffiora episodicamente l’incertezza (già segnalata nei Carbonari) fra presente e
imperfetto congiuntivo (il primo ignoto al siciliano); per esempio nel cap. I si legge:
“Raimondo è già laureato in medicina da quasi un anno, e Pietro studia legge per
studiare qualche cosa che non gli rendesse soltanto strette di mano dei comici”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 69/S3
Titolo: I romanzi catanesi: Una peccatrice
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Una peccatrice


Verga continua a prediligere, soprattutto in apertura, uno stile lineare, sintatticamente
poco complesso; è un periodo monofrasale tanto quello dei rr. 4-5
“Verso la metà di novembre avevamo progettato una partita di campagna con
Consoli e Pietro Abate”.
quanto il successivo dei rr. 6-7,
“Il 14, con una bella giornata, noi eravamo sulla strada di Aci.”
che costituiscono ciascuno un intero capoverso. Il capoverso successivo
“Verso Cannizzaro un elegante calesse signorile oltrepassò la nostra modesta
carrozza da nolo. Giammai si è tanto umiliati dal contrasto come in simili casi.
Consoli, ch'era forse il più matto della compagnia, gridò al cocchiere:
è costituito da tre periodi, i primi due anch’essi costituiti da una sola frase, il terzo è
costituito da una principale e una relativa incassata.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 69/S3
Titolo: I romanzi catanesi: Una peccatrice
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Una peccatrice


Rimangono improprietà o approssimazioni:
40 “quella fata, che aveva fatto il fascino di tutti”
92 “quando quel bel sole [...]”.
Ma si veda come ora Verga riesca a gestire il periodo dei rr. 91-105
“Io non so come ciò avvenga, ma nessuno di noi tre, in quel punto, quando quel
bel sole invernale animava quelle spiagge ridenti, con quel mare immenso che si
vedeva luccicare attraverso la porta, fra tutto quel sorriso di cielo e la vita che
sentivamo rigogliosa, fidente, espansiva, con il canto allegro dei pescatori che
lavoravano sul lido e il cinguettare dei passeri sul tetto della chiesa, a cui faceva un
triste contrapposto il silenzio funereo di quel recinto, interrotto solo dal mormorare
del prete che officiava, e la luce velata della chiesetta colle pallide fiammelle di
quelle torce, nessuno di noi tre, dicevo, poteva credere intieramente che quelle
quattro tavole racchiudessero quel corpo, meraviglia di grazia e di eleganza, che,
pochi giorni innanzi, quando si vedeva passare al trotto del suo brillante
equipaggio, faceva voltare tante teste”

che può essere schematizzato come si vede nella seguente slide:


Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 69/S3
Titolo: I romanzi catanesi: Una peccatrice
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: Una peccatrice


Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 70
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui contenuti


studiati nelle lezioni precedenti dedicate all’analisi del
romanzo verghiano Una peccatrice, lo studente è
invitato a compilare il test associato a questa
sessione di studio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 70
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 3

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-
portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il numero
associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà conto allo
studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale, invitandolo
magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente quello che
non è stato pienamente compreso.
43) Sull’esempio di quanto fatto dal docente nella sessione 6931 in relazione a Una peccatrice 91-105,
commentate dal punto di vista sintattico e schematizzate il brano riprodotto qui sotto (Una
peccatrice 145-152).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 70/S1
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

TEST: esercizio sulle banche dati


Utilizzando
-- la Lessicografia della Crusca in rete (http://www.lessicografia.it/) e
-- la banca dati Biblioteca Italiana (http://www.bibliotecaitaliana.it/

cercate quante più informazioni possibili (significato, ambito d’uso etc.)


della locuzione partita di cam pagna che compare ai rr. 4-5 del brano di
Una peccatrice analizzato durante il corso.

I risultati della ricerca (dati quantitativi ed commenti) dovranno essere


inviati tramite eportfolio, avvertendo al contempo il docente sul sistema
di messaggistica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 70/S2
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: l’inedito Frine

I romanzi cosiddetti catanesi corrispondono dunque ad un periodo di apprendistato


letterario e linguistico lungo il quale, anche se per episodi legati alla scelta di brevi
campioni testuali, abbiamo potuto saggiare i segni di movimento verso una sempre
maggiore padronanza e scioltezza linguistica.
Un periodo di esperimenti e di fallimenti ben presente allo scrittore maturo; il 5
novembre 1880 Giovanni Verga ormai sul punto di vedere a stampa il proprio
capolavoro (I Malavoglia erano conclusi il 27 giugno 1880 e il manoscritto era andato
in tipografia il successivo 29 agosto) rispondeva così a Ferdinando Martini (1841-
1928) che gli aveva chiesto di raccontare i propri esordi per una pubblicazione
(intitolata Il primo passo che uscì effettivamente nel 1881, ma senza il testo
verghiano; questa testimonianza è dunque consegnata solo alla corrispondenza
privata con il Martini):
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 70/S2
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: l’inedito Frine


“Giacché vuoi sapere come fu che mossi il primo passo, ti dirò che andò maluccio
parecchio per molto tempo. Cominciai dallo scrivere un romanzo storico che nessuno
rammenta e non sarò io certo che lo rammenterò; mio padre, che non voleva
saperne, e mi voleva avvocato, pagò mille lire per stamparlo e tutto finì lì. Poi ci
pensai a non spendere mille lire per ogni fantasia letteraria che mi passasse per la
testa. Il Negro di Torino, molto tempo dopo, mi prese un altro primo peccato di
gioventù, un volumetto di cui non seppi altro che queste due righe della ‘Nazione’ –
credo tue. ‘Di questo bel romanzetto parleremo in un prossimo articolo’. Beninteso
che non se ne parlò più, ma quelle due righe mi rimasero in cuore, mi parve di aver
ricevuto il battesimo dell’arte e per un anno lessi tutti i giorni la ‘Nazione’ [...]. Per
più di tre anni tempestai di lettere tutti gli editori che conoscevo di nome. Sonzogno
mi rimandò il manoscritto dell’Eva e Treves non mi rispose neppure. Nel 1869 scrissi
a Firenze la Storia di una capinera, che Dall’Ongaro raccomandò al pubblico con una
lettera e mi fece vendere al Lampugnani, editore milanese di giornali di mode; ne
ebbi 100 lire che mi parvero un tesoro, ma del libro si parlò poco: dopo circa due
anni ne lessi un giudizio sommario ma benevolo che ne dava il De Gubernatis in una
rassegna del movimento letterario italiano di quell’anno scritta per l’‘Athenaeum’ di
Londra”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 70/S2
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: l’inedito Frine


Ma anche prima, nel 1873, commentando la recensione a Eva che era uscita anonima,
ma attribuibile al Baseggio, sul quotidiano “La Perseveranza” del 14 settembre 1873, il
Verga scriveva all’editore Emilio Treves il 20 settembre successivo:

“Chi m’ha fatto il servizio poi d’andare a dissepellire quel mio aborto giovanile che
credevo, e desidero morto da un pezzo e seppellito, quella Peccatrice di cui nessuno
avea parlato e che tirano fuori adesso per gettarmela fra i piedi?”.

Il giudizio di condanna senza appello riguardo gli esiti artistici di Una peccatrice verrà
ribadito da Verga esplicitamente anche in altre occasioni (in particolare quando il
romanzo venne ripubblicato senza il consenso dell’autore nel 1893); ma nella lettera al
Martini l’intera produzione giovanile è ricordata, sommariamente e per accenni, con
evidente reticenza, senza mai citare un titolo, in una sorta di damnatio memoriae che
colpisce l’intero periodo che va dal 1856-1857 al 1866, da Amore e Patria a Una
peccatrice: non solo manca qualsiasi menzione del primo romanzo rimasto inedito, ma
anche qualsiasi accenno a Sulle lagune (che pure era stato stampato al pari dei
Carbonari, il “romanzo storico che nessuno rammenta”), mentre a Una peccatrice si
allude con la perifrasi “un altro primo peccato di gioventù”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 70/S3
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: l’inedito


Frine
Nella lettera del 1880 al Martini Verga designa invece con il loro titolo i romanzi
successivi, che corrispondono ad una svolta insieme stilistica e culturale e che dal
punto di vista biografico coincide con il secondo soggiorno fiorentino iniziato del 1869;
se ne deduce che l’intero primo periodo ‘catanese’ andrà esteso di qualche anno oltre
quel 1866 in cui Una peccatrice fu pubblicato.
Infatti la coincidenza di titolo non deve ingannare: in fine al brano citato della lettera a
Ferdinando Martini Verga dichiara di aver tempestato per i tre anni che vanno dal 1866
al 1869 gli editori perché accettassero di pubblicare Eva; siccome il romanzo omonimo
che noi conosciamo fu scritto o piuttosto riscritto a Milano negli anni Settanta (come ci
assicura l’autore stesso), e comunque dopo Storia di una capinera (sarà infine
pubblicato a Milano nel 1873), l’Eva che Verga propose agli editori nella seconda metà
degli anni Sessanta è cosa diversa (se non in toto per la massima parte, come
vedremo) dal romanzo successivo.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 70/S3
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: l’inedito Frine


Nel 1865 il venticinquenne Verga uscì per la prima volta dalla Sicilia per soggiornare per
poco più di un mese a Firenze, diventata da poco capitale del Regno.
Tale viaggio è stato talvolta messo in dubbio dai critici perché le testimonianze sono solo
indirette (per esempio ne riferisce di scorcio il De Roberto) e perché alcuni documenti
citati dai biografi sono oggi irreperibili: secondo Nino Cappellani infatti (Vita di Giovanni
Verga, Firenze, 1940, p. 59) fra le carte dello scrittore rimanevano al momento in cui egli
scriveva
“lettere del Verga alla nonna, donna Rosa Barbagallo, che morì l’11 luglio 1867,
lettere inviate da Firenze e datate dal 20 maggio 1865 in poi”
e
“un estratto conto del Grand Hotel New York - Florence che attesta una permanenza
del Verga per i giorni 11-15 giugno 1865”.
Non sarà casuale che proprio nell’albergo fiorentino “New York”, sul Lungarno, abiti il
narratore dell’inedito romanzo Frine (di cui ora parleremo), romanzo che, ad un certo
punto della sua storia elaborativa, prima di essere definitivamente lasciato in un cassetto,
assunse il titolo di Eva.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 70/S3
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: l’inedito Frine


Il primo soggiorno fiorentino di Verga nel 1865 fu troppo breve per determinare un
cambio di gusti, di poetica, di cultura, come vedremo sottolineando gli elementi di
contiguità di Frine-Eva con Una peccatrice; eppure l’impressione lasciata dalla nuova
capitale del Regno sul giovane provinciale dovette essere profonda se di lì a poco trovò
spazio in un romanzo nel quale l’autore fa continuo ed insistito riferimento alla topono-
mastica della città toscana (le Cascine, Borgo Ognissanti, il Lungarno Nuovo, Pitti e Bo-
boli, Fiesole), alle sue più rinomate botteghe (la Farmacia Inglese; le case di moda di
Sonnemann, di madame Besançon, di madama Delfini-Coda, di madame Lamarre; la sar-
toria Bicchi; il cappellaio Bossi [in realtà Bessi]; le gioiellerie Mellerio e Bigatti; il negozio
di carrozze di Paul et Maurice; i mobilieri Fontana e Seresco; e inoltre De Ferrari, Stella,
Castaldi, Iodi, Boni, Bozzanti, Becucci, Ginori di Doccia), ai suoi luoghi di ritrovo (il Caffè
d'Italia, il Caffè Doney in via Tornabuoni e l’omonimo restaurant alle Cascine, il Casino
Borghesi, il Jockey Club, il Caffè Michelangiolo per non parlare dei teatri e degli spettacoli
melodrammatici che vi si svolsero appunto nel 1865); Verga dimostra inoltre una
singolare conoscenza di Pitti, dei quadri ivi conservati e della loro collocazione nelle varie
sale della Galleria. Al momento della stesura di Frine, Verga è insomma un buon
conoscitore di Firenze e della vita mondana che vi si conduce, tanto da confermare il
soggiorno toscano del 1865.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 71
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: l’inedito Frine


I dati sia esterni (il soggiorno fiorentino di cui in Frine resta tangibile testimonianza) sia
interni (sulla base dei quali la scrittura di Frine va collocata poco dopo il maggio 1866)
coniugati con la cronologia della scrittura e poi della pubblicazione di Una peccatrice
confermano la stretta vicinanza cronologica, se non addirittura la parziale
contemporaneità, fra i due romanzi.
Della loro comune appartenenza ad un medesimo nucleo ispirativo sono testimonianza,
del resto, quelle che potremmo chiamare ossessioni giovanili del Verga quali l’abuso di
parole straniere (francesi ed inglesi) talora storpiate, l’attenzione un po’ maniacale per gli
abbigliamenti femminili, fatti oggetto in entrambi i romanzi di accurate ed insistite
descrizioni, la cultura musicale (del melodramma e della musica da salotto) spesso
ostentata tanto nell’uno quanto nell’altro romanzo, il riferimento sia esplicito sia implicito
e comunque ricorrente alla Dame aux camélias. Inoltre le didascalie apposte da Verga sul
manoscritto dell’uno e rispettivamente dell’altro romanzo classificano Una peccatrice fra i
“Bozzetti sul cuore”, Frine fra gli “Schizzi del cuore” (si aggiunga che nel manoscritto di
quest’ultimo si legge propriamente: “Schizzi del cuore | II° | Frine”, ad indicare
omogeneità ispirativa e posteriorità cronologica di questo nuovo romanzo rispetto al
precedente).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 71
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: l’inedito Frine


Luigi Deforti, giovane pittore catanese di più che modesta condizione sociale, conosce a
Firenze, dove gli è permesso di specializzarsi nella pittura grazie ad una sovvenzione del
Comune natale, Eva Manili, femme fatale che unisce alle bellezze esteriori la sensibilità,
ostentata, dell’artista dilettante. L’amore e l’interesse per l’arte, che serve alla Manili da
paravento per la sua condizione di mantenuta, fa breccia nel cuore del giovane artista,
pregiudizialmente ostile, in conseguenza della propria origine provinciale, alle cortigiane.
Innamorato, Deforti si allontana sempre più dal suo studio, s’indebita gravemente per
entrare in modo dignitoso negli ambienti lussuosi frequentati da Eva, che sapientemente,
di volta in volta, lo lusinga e lo respinge finché non gli preferisce un altro, il conte di
Fontanarossa. Deforti, schiaffeggiato dal conte, decide di vendicarsi.
Comincia così una discesa vertiginosa verso il degrado morale: Luigi, diventato baro per
vivere, è costretto da tale attività a girovagare per l’Italia e, ossessionato dalla sua ansia
di vendetta, sostituisce la spada al pennello, trasformandosi in un temibile spadaccino.
Acquistata tale funesta abilità, torna a Firenze, scommette con un gruppo di amici che il
conte di Fontanarossa non è l’amante di Eva, vince la scommessa dopo aver pagato
profumatamente la Manili perché faccia la commedia ed infine, dopo aver inseguito la
coppia sul lago Maggiore, sfida l’avversario a duello, ferendolo in modo grave.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 71
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: l’inedito Frine

Buona parte della storia è narrata da Luigi stesso ad un amico catanese che farà da
secondo a Deforti, che lo assisterà moribondo quando sarà rientrato in seno alla famiglia,
che infine ne difenderà la memoria contro il cinismo di Eva che fa ormai da ruffiana ad
una giovinetta. Secondo una tecnica narrativa frequentemente utilizzata dal giovane
Verga (si veda infatti Una peccatrice, ma tale rapporto rimarrà identico in Eva), l’anonimo
amico di Deforti, che ha preso parte diretta alla vicenda o l’ha sentita narrare dallo
sfortunato protagonista, diventa l'estensore del racconto.
Già dal breve sunto di Frine risultano evidenti i contatti fra quest’ultimo e il successivo
Eva: Luigi Deforti infatti assomiglia in maniera impressionante a Enrico Lanti, anch’egli
pittore, anch’egli al centro di una scommessa e di un duello. Inoltre, identica è
l’ambientazione fiorentina e, a parte la persistenza di alcuni altri antroponimi, rimane
costante nei due romanzi il nome della protagonista femminile che, per la sua
connotazione archetipica, nella storia successiva del testo assurgerà a titolo, anche se, a
dispetto della fissità del nome, il personaggio eponimo rinvia ad archetipi differenti nelle
due compagini narrative: mentre in Frine il modello è la donna tentatrice e seducente, in
Eva il personaggio è più complesso, meno lineare, rinviando in momenti diversi del
romanzo alla ballerina-tentatrice e alla donna-angelo del focolare che alla fine delude.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 71/S1
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: l’inedito Frine


Nonostante le analogie già ricordate, Frine è inconfrontabile con Eva che sarà
completamente riscritto, salvo il recupero (pur con numerose varianti formali e
linguistiche) di un capitolo, il XXX, che costituirà l’epilogo del romanzo di Eva dato alle
stampe.
Rimasto allo stato di abbozzo, e mai rivisto in maniera conclusiva dall’autore, Frine è
composto di 31 capitoli, numerati progressivamente, ma (come già in Una peccatrice)
privi di titolazione autonoma. Il romanzo desume il titolo dal nome della cortigiana amata
dallo scultore greco Prassitele; il richiamo, troppo dotto per essere compreso dal grande
pubblico, dovette ad un certo punto essere cancellato a favore del più trasparente Eva,
insieme nome del personaggio (Eva Manili) e nome simbolico dell’eterno femminino. Tale
cambio di titolo non è attestato dal manoscritto cui è possibile attingere, ma soltanto
dalla lettera al Martini del 1880 e da una lettera al Treves del 14 giugno 1869:
“Egregio sig. Treves,
Le offro per la sua Biblioteca Amena un mio nuovo romanzo intimo: Eva - Storia
di ieri: del genere dell'altro mio lavoro: Una peccatrice: stampato tempo fa a
Torino dal Negro Editore e che oggi stesso mi procuro di spedirle”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 71/S1
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: l’inedito Frine


Un’ultima considerazione sul manoscritto che fino a poco tempo fa risultava irreperibile;
esso poteva comunque essere letto grazie alla microfilmatura (conservata nell’Archivio
Mondadori: il microfilm del manoscritto di Frine è nella Bob. IV, ft. 473-698) di gran
parte dei materiali allora in possesso dei fratelli Perroni. Negli anni Cinquanta del
Novecento un lungo contenzioso contrappose Vito e Lina Perroni alla casa editrice
Mondadori poiché i due fratelli avevano ormai dimostrato di essere incapaci di gestire
l’edizione critica delle opere verghiane per le quali avevano sottoscritto un contratto
editoriale; poiché i Perroni continuavano a tenere in loro possesso il materiale autografo
sottraendolo alla consultazione di altri studiosi e immobilizzando la progettata edizione
critica, la casa editrice (per il diretto interessamento di Dante Isella) impose ai due
fratelli di poter microfilmare il materiale verghiano in loro temporaneo possesso. Solo
grazie a questa accorta e illuminata imposizione, l’inedito manoscritto verghiano è stato
finora consultabile.
Il sequestro giudiziario del materiale tenuto indebitamente dai Perroni, come ha
consentito di recuperare l’inedito giovanile Amore e Patria, ha permesso di recuperare
anche l’originale di Frine, attualmente depositato presso il Centro Manoscritti
dell’Università di Pavia.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 71/S1
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: l’inedito Frine


Prima di saggiare un brano dell’inedito, uniformandoci a quanto abbiamo fatto per i
romanzi precedenti, dobbiamo accennare alla natura particolare della testimonianza che
abbiamo a disposizione.
Si tenga presente infatti che Verga non rivide il romanzo in maniera definitiva per la
pubblicazione e dunque il caso di Frine diverge, dal punto di vista linguistico oltre che
testuale, da tutti i documenti presi in esame in precedenza. Dal primo punto di vista, che
è quello che a noi interessa, è infatti normale, per un autore (appartenente ad un’epoca
anteriore o posteriore che sia alla grande rivoluzione novecentesca della riproduzione
fotomeccanica e poi informatica), scrivere e trascrivere senza dare particolare importanza
a fatti grafico-fonetici, uniformati e corretti poi in extremis, nelle fasi successive e magari
addirittura sulle bozze di stampa.
Si tratta di una tendenza generale che per lo più scandisce la scrittura e la rielaborazione
secondo una gradazione che va dal macro-testuale al micro-testuale e che riserva la
definizione di fatti morfologici, fonetici e soprattutto grafici all’ultima fase correttiva
(anteriore è invece la definizione della sintassi, che più direttamente pertiene allo stile).
Tale tendenza generale è confermata anche per autori, come Manzoni, ossessionati dalla
questione linguistica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 71/S2
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: l’inedito Frine


Nel determinare il desiderio e/o la necessità di definire e uniformare la superficie
linguistica grafico-fonetica ha grande peso l’impatto dell’autore con il momento di
riproduzione del proprio testo a stampa, impatto che agisce sia a livello oggettivo sia a
livello psicologico. Per il primo livello si tenga infatti presente che, per tutto il periodo
in cui alla trasmissione tipografica si associa l’assenza di una comune
regolamentazione ortografica (ma, per altri motivi la considerazione può valere ancora
nel Novecento e fino ad oggi) mandare un manoscritto in tipografia significa entrare in
un rapporto dialogico con compositori, redattori, editori che in maggiore o minore
misura, a seconda dei casi, interferiscono con gli usi grafici e fonetici dell’autore e
interagiscono con le sue abitudini micro-linguistiche.
Sul piano psicologico invece il contatto con la stampa e con la correzione delle bozze
comporta una visione ‘straniata’ del testo, che ora si presenta agli occhi dell’autore con
una nuova distribuzione sulla pagina; anche in questo caso si tratta di una tendenza
generale alla quale il nostro autore non si sottrae, come ci informa Rita Verdirame a
proposito dei Carbonari (Verdirame, Introduzione, p. XX):
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 71/S2
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: l’inedito Frine


“Il confronto dell’edizione a stampa con il manoscritto è altamente significativo, e
per ragioni diverse. In primo luogo esso mette in evidenza le fasi diacroniche della
composizione del testo: la prima fase si conclude con la copiatura in bella; la
seconda è rappresentata dagli interventi nel manoscritto, ed è caratterizzata da
alcune categorie di correzioni grammaticali (grafiche, morfologiche, lessicali,
sintattiche) e narrative (aggiunte e soppressioni); la terza è costituita dalle
correzioni in bozze, e consente di registrare – tra l’altro – l’imponente occorrenza
di interventi d’ordine interpuntivo e grafemico: può ben dirsi che solo in presenza
del foglio stampato il Verga abbia sentito il richiamo ad un assetto ordinato (come
ordine logico) e pulito (come pulizia grammaticale) della sua scrittura”.
Ma la natura particolare (rispetto alle edizioni utilizzate per i precedenti romanzi) del
documento che abbiamo a disposizione per valutare la lingua di Frine, è desumibile
anche sulla base di un’altra considerazione. Il manoscritto di Frine al quale noi abbiamo
la possibilità di accedere e che costituisce l’unica testimonianza del romanzo, è infatti un
autografo che servì direttamente per l’elaborazione, spesso di getto, su cui Verga
intervenne poi per correzioni ed integrazioni; non è invece conservato il manoscritto
successivo, nel quale l’autore copiò in bella tale lavoro per poterlo mandare in tipografia.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 71/S2
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: l’inedito Frine


Che questa copia in pulito sia esistita possiamo desumerlo induttivamente dal fatto
che Verga “tempestò” per tre anni gli editori perché pubblicassero Frine; e a quegli
editori certo non poteva essere inviato il manoscritto di cui abbiamo la riproduzione
microfilmata nell’Archivio Mondadori, pieno di correzioni che si sovrappongono l’una
sull’altra, con una problematica numerazione dei capitoli, evidentemente per cambi
di progetto che intervennero durante la scrittura, con fogli aggiunti rispetto alla
prima numerazione delle pagine).
Che questa bella copia sia esistita lo sappiamo però anche per il fatto che essa
rimane un frammento (relativo al capitolo XXX di Frine) ora conservato nel
manoscritto di Eva, dove quel capitolo (dopo l’abbandono di Frine) fu riutilizzato.
Il manoscritto di Frine insomma ci dà testimonianza su come Verga scrivesse,
intorno al 1866-1869, in una forma semispontanea (nella misura in cui una tale
definizione può adattarsi alla scrittura di un romanzo e nella misura in cui a quella
scrittura si sono successivamente sovrapposte correzioni anche di tipo linguistico);
non ci dice invece come Verga intendesse consegnare al pubblico i propri testi né
quale lingua Frine avrebbe avuto qualora anche questo romanzo fosse andato in
stampa.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 71/S3
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: l’inedito Frine


La precisazione era necessaria per scrupolo filologico, ma anche per tenere in conto le
precise ricadute sulla valutazione dei risultati del nostro sondaggio linguistico: la
mancanza dell’ultima fase elaborativa (la bella copia) e l’assenza della pubblicazione potrà
infatti darci l’impressione (in parte spiegabile proprio con questa particolare natura del
documento utilizzato) di ritorni all’indietro in quel processo che avevamo fin qui
tratteggiato verso una lingua meno letteraria, più omogenea nella miscela delle sue
componenti o più scorrevole.
Nell’analisi di questo romanzo inoltre possiamo utilizzare una versione completamente
interrogabile del testo come finora non era stato possibile per altri romanzi verghiani. Nel
sito della Biblioteca Italiana il corpus verghiano è limitato a quattordici opere (in ordine
alfabetico di titolo: Don Candeloro e C., Eros, Eva, I Malavoglia, I ricordi del capitano
d'Arce, Mastro don Gesualdo, Nedda, Novelle rusticane, Novelle sparse, Per le vie,
Primavera e altri racconti, Storia di una capinera, Vagabondaggio, Vita dei campi),
nessuna delle quali appartenente al periodo catanese che abbiamo finora analizzato. Il
discorso sulla lingua di questo periodo è stato di necessità condotto per assaggi, per
campioni o per spogli parziali. Di Frine invece potremo utilizzare e interrogare il testo
completo e anche l’apparato di un’edizione critica in corso di stampa.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 71/S3
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: l’inedito Frine


In queste lezioni dedicate all’inedito avremo dunque non solo la possibilità di ridurre
l’episodicità della caratterizzazione linguistica che è stato finora giocoforza accettare, ma
anche di mettere a frutto (in maniera rapida, e senza ricorrere ad un faticoso confronto di
apparati cartacei) l’attività correttoria di Verga per quanto riguarda i fatti linguistici. È
questo un punto di vista speciale (non esperito fin qui nelle analisi dei romanzi
precedenti), che permetterebbe (se volessimo farlo) in maniera esaustiva di analizzare la
lingua dell’inedito non come quella di un testo dato e fissato una volta per tutte, ma nel
suo aspetto mobile, di lingua letteraria nel suo farsi, nel suo stabilirsi sulla pagina
concreta del testimone autografo, facendoci assistere in presa diretta alle scelte
linguistiche dello scrittore (non sappiamo se momentanee o destinate ad essere ratificate
nella fase finale che non è conservata).
Nella lezione seguente, come al solito, sottoporremo ad analisi linguistica un brano del
romanzo: nel caso particolare abbiamo scelto il cap. I di Frine (allegato in formato
pdf), di cui prenderemo in carico solo alcuni aspetti (in particolare il lessico e la sintassi),
ma stavolta verificandone la tenuta sull’intera compagine testuale.
Nella lezione successiva infine faremo il punto dei tratti caratteristici del periodo
‘catanese’, raccogliendo gli elementi evidenziati nei romanzi precedenti e verificandone la
persistenza o invece la decadenza sull’intero testo dell’inedito che rappresenta il momento
più tardo dell’intero periodo giovanile verghiano.
-Schizzi del cuore.-
-IIº-
Frine
[I]

1 Avevo incontrato due volte una donna di meravigliosa bellezza. Le diverse circostanze che
accompagnarono questi due incontri mi lasciarono una profonda impressione di lei.
La prima volta la vidi al Lungarno Nuovo. Mi trovavo in una di quelle tristi situazioni di
spirito che si provano spesso quando si è soli in paese forestiero; mi aggiravo disanimato e
5 stanco della mia stessa disoccupazione fra quella folla allegra che popola i passeggi di
Firenze i giorni di festa; un’elegante palichaisse, tirata a gran trotto da una doppia pariglia di
magnifici mecklenburgo, passandomi vicino, mi scosse improvvisamente; una bellissima
signora, dagli occhi arditi e sorridenti, dalla positura graziosamente audace e libertina, teneva
raccolte nella sua piccola mano, con un’inimitabile disinvoltura, le doppie redini degli
10 ardenti cavalli.
Ella passò come un lampo. In quel cocchio che mi ave[a] oltrepassato sì rapidamente non
c’era cosa alcuna che avesse dovuto colpirmi in un passeggio ove abbondavano le belle
donne e gli equipaggi sfarzosi; eppure io mi volsi a guardare quel bernous di tarlatane
bianca a pallottine rosse che svolazzava lontano in mezzo alla polvere sollevata dalle
15 carrozze.
Un’altra volta la vidi alle Cascine, in fondo al gran viale. Era quello per me uno dei giorni di
folle allegria che fanno belli i ventiquattro anni. Vittorina copriva coi suoi rumorosi scrosci
di risa lo stormire dei grandi alberi del boschetto; e se, qualche volta, avvertivamo il rumore
che faceva la nostra carrozza correndo per il viale, era perché quella leggiadra testolina si
20 trovava appoggiata sulla mia spalla. Noi non parlavamo certamente dell’Esposizione della
Società di Belle Arti, né dell’ultimo fascicolo dell’Antologia. Prima d’arrivare in capo al
viale incontrammo un’americaine ferma: un vero cocchio da duchessa. Passando accanto
allo sportello vedemmo in un angolo del legno una signora che leggeva un libro. Riconobbi
subito la leggiadra donna che avevo incontrato pel Lungarno.
25 Provai una vivissima sensazione che non seppi giustificare a me stesso. C’era il contrasto più
piccante, tra la lionne di elegante società che avevo visto guidare con mano sicura la sua
doppia pariglia, e la donna che incontravo preoccupata e quasi mesta, come nascosta in
fondo alla sua carrozza, in quel viale remoto ed ombreggiato ove i rumori della folla dei
passeggianti si perdevano nel grave stormire degli alberi e nel mormorio vicino dell’Arno.
30 C’era, direi, il distacco più completo fra [la] donna che pensa e fa pensare e la elegante
briosa e spensierata.
La prima volta avevo incontrato una di quelle ragazze folli, allegre, alla moda, che fanno
impallidire le duchesse colla mostra insultante del loro lusso e della loro bellezza; che
comprano a prezzo del cuore e della vita tre o quattro anni di quell’esistenza principesca; e
35 che si fanno perdonare la sfrontatezza del loro sguardo, l’audacia delle loro mode, l’onta del

1
loro nome colla grazia del loro sorriso, e lo sfarzo dei loro equipaggi.
Tutti a Firenze hanno conosciuto questa donna, di cui non si sapeva la vera età ed il vero
nome, e che si faceva aspettare al Caffè d’Italia per vederla solamente voltare il canto di
Santa Trinita al Lungarno nella sua bella victoria di Maurice. Tutti hanno incontrato lo
40 sguardo vivo, sorridente di quegli occhi; tutti hanno pensato qualche momento a quel
cappellino Don Carlos, a quei ricci di capelli nerissimi, tagliati corti con la moda un po’
ardita di cui pochissime, e delle più rinomate sacerdotesse del piacere e dell’eleganza, hanno
avuto il coraggio.
Ma quella stessa donna che incontravo in fondo al viale, vestita rigorosamente di nero, con
45 gli occhi fitti su di un libro, incorniciando il pallido contorno del suo bel viso del fondo quasi
verginale, di raso bianco della carrozza; quella stessa donna di cui avevo incontrato lo
sguardo ardito e che ora abbassava gli occhi con una tinta di melanconia ch’era quasi casta
mi si presentò all’imaginazione con mille incanti duplici, discordi spesso, che si
armonizzavano come per una magia sovrumana e che nell’allegra donna del piacere mi
50 facevano pensare all’amante appassionata, e nella giovanetta mesta e pensosa mi facevano
intravedere le ebbre seduzioni, le acri carezze della mantenuta.
Io non saprei giammai spiegare l’effetto di quella duplice impressione della donna di mondo
e della vergine, come non potei giammai analizzarla quantunque ne fossi stato colpito
profondamente.
55 Ella ci volse uno sguardo sbadato dei suoi bellissimi occhi neri e limpidi; quindi tornò a
chinarlo sul libro. Noi passammo oltre.
Vittorina si avvide certamente della impressione che mi aveva lasciato colei, poiché mi
domandò:
- Conoscevi madama Manili?
60 - Si chiama madama Manili quella signora?
- Scommetto che lo sappi anche troppo, soggettino!
- In fede mia è questa la seconda volta che l’incontro.
- E ci pensi tanto!...
- Che vuoi; ho visto pochissime donne che le somiglino.
65 - Cattivo! Esclamò ella corrucciata lasciando il mio braccio.
- Mi pare che non ci sia nulla poi da farne un casus belli ... Se non conosco neppure quella
signora!...
- Non sarebbe una conoscenza difficile a farsi!...
- Davvero?
70 - Davverissimo. E il primo biglietto di qualche centinaio di lire sarebbe un passaporto
valevolissimo.
Fui colpito da quelle parole; e rimasi alcuni istanti soprapensiero sebbene m’avvedessi che
c’era dell’esagerazione e della gelosia. Madama Manili, la sirena-vestale non era che una
mantenuta; celebre, se si voleva, ma ciò non era che quistione di denaro, di questo denaro
75 che forma il trono di simili avventuriere, ma che ammorba ed uccide il prestigio della donna.
Era qualche cosa di disgustoso.

2
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 72
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: l’inedito


Frine
Annotazioni fonetiche:
imaginazione 48: in Frine, a fronte di 22 occorrenze della forma con -m- scempia,
solo due (nel cap. XVIII) sono quelle con l’intensa, mentre in altri due casi (nel
cap. XV e nel cap. XXVIII) la forma con la doppia è corretta in scempia
dall’autore;
remoto 28: delle due occorrenze nel romanzo, quella del r. 28 è corretta su
precedente rimoto;
quistione 74: in Frine quistio- è l’unica forma attestata, ma la forma in -i- è
minoritaria nell’Ottocento (nel corpus della Biblioteca Italiana si rintracciano
419 attestazioni) rispetto a questio- (1757 occorrenze). Nella slide successiva
inoltre ho prodotto una tabella in cui sono riportate in ordine grosso modo
cronologico gli usi verghiani (limitatamente alle opere comprese nella banca
dati della Biblioteca Italiana).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 72
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: l’inedito Frine


Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 72/S1
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: l’inedito Frine


Forestierismi:
mezzi di trasporto: palichaisse / palichesse 6, americaine 22, victoria (su precedente
panier) 39; più oltre nel romanzo calèche;
razze animali: mecklenburgo 7 (fra le varianti al r. 30 anche poney shetland).
abbigliamento: francesismi bernous, tarlatane ‘tessuto di cotone molto leggero reso
rigido dall’apprettatura’ 13 e, nel resto del romanzo, fichu, bijouterie e bijou;
anglicismi cashemire / caschemire; esotismi boà etc.
modi e costumi di società e linguaggio alla moda: francesismi lionne 26
‘celebrità, donna elegante’, femminile di lion (che nel resto del romanzo compare
anche nella grafia lyon); al di fuori del cap. I anche tigresse, maîtresse, lansquenet
oppure chic, calembour (ma nella forma consueta nell’Ottocento: calembourg); bon
mot, bon-ton; anglicismi shoked/shocked, jockey, groom, miss; esotismi kaut e
ouris etc. etc.;
arredamento: duchesse, étagère, console, tabouret, boudoir;
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 72/S1
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: l’inedito Frine


bevande: oltre a champagne, absinthe-stout-alcool, punch bischoff, lunel etc.
Locuzioni, per lo più francesi: Question d’argent?, Á tout péché miséricorde, Lyon
cristofle!, Noblesse oblige.

L’ostentazione si coniuga
1) alla scorrettezza ortografica o fonetica: Á tout péché miséricorde; bon-ton; bernous
dovrebbe essere bournous o burnous;
2) alla variabilità e incertezza ortografica: palichaisse 6 e palichesse; boudoir corretto
su baudoir; shoked alterna con shocked; jockey con jokey; lion con lyon; cashemire
con caschemire.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 72/S2
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: l’inedito Frine


A questo stesso mondo appartiene il lessico alla moda stavolta acclimatato all’italiano:
passeggio, -i 5 (‘luogo dove si passeggia’), 12 (‘insieme delle persone che passeggiano’) e
passeggianti 29: come avverte la voce passare del DELI, mentre il significato di 5 è
attestato fin dal 1600, il significato di 12 è registrato per la prima dal Tommaseo-Bellini
(‘Della gente che ci va. Oggi c’era un bel passeggio – Passeggio di gala’) nel 1871 (a
cui risale la pubblicazione del III volume), che registra anche passeggiante;
equipaggio, -i 13, 36: è un francesismo (équipage) penetrato in Italia fin dal XVII secolo
nel significato primario di ‘complesso degli oggetti che servono per viaggiare’, che ha
assunto nel XVIII secolo anche il senso di ‘insieme del personale imbarcato su una
nave’, mentre al 1680 risale la prima attestazione dell’accezione: ‘carrozza signorile a
cavalli’ che è il significato delle occorrenze verghiane nel nostro brano (DELI).
Nonostante tale precoce ingresso nella lingua d’uso in Italia, il Vocabolario della lingua
italiana di Giuseppe Rigutini glossava equipaggio (si noti: senza far menzione del più
moderno significato usato da Verga): ‘Corredo, fornimento di cose necessarie a un
esercito in cammino, o a un naviglio. || Dicesi anche per tutto ciò che è necessario a
viaggiare, e più specialmente i vestimenti. È però voce prettamente francese, e
da evitarsi’;
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 72/S2
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: l’inedito Frine


elegante sost. 29 (il medesimo uso sostantivato occorre di nuovo in Frine nel cap. IX):
trattando dell’aggettivo, nel Tommaseo-Bellini si trova: ‘in senso affinissimo al
mod[erno] e come sost[antivo] l’usa Plinio’; il DELI data al 1927 elegantone oltre
che come agg. anche come sost. (quest’ultimo utilizzo presuppone del resto il nostro
elegante);
Al dato di superficie, a questa patina di modernità e alla moda, che, nata dalla lettura
dei romanzi francesi negli anni dell’infanzia e della giovinezza, in Frine si dispiega per
effetto del primo contatto con il mondo elegante della città capitale, va ricondotto anche
quanto Verga sottolinea mediante il corsivo, come, nel nostro I capitolo,
distacco 30 che non ha il significato proprio e tradizionale (grammaticalmente attivo) di
‘L’atto del separarsi da persone o luoghi diletti’ ma quello, nuovo e inedito (e di
valore medio) di ‘separatezza, inconciliabilità’.
D’altra parte Firenze lascia tracce anche come luogo concreto: così in voltare il canto di
Santa Trinita 38 ‘girare l’angolo (del Ponte) di Santa Trinita’, il fiorentinissimo canto, si
intromette per il tramite della citazione topografica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 72/S3
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: l’inedito


Frine
L’attacco del romanzo mira a creare un’aspettativa resa solenne e artificiosa tramite
1) la predominante anteposizione dell’aggettivo al nome cui si riferisce: “elegante
palichaisse [...] gran trotto da una doppia pariglia di magnifici mecklenburgo” 6-7;
“piccola mano con un’inimitabile disinvoltura le doppie redini degli ardenti cavalli” 9-
10; “folle allegria [...] rumorosi scrosci” 17; “grandi alberi” 18; “leggiadra testolina”
19; “leggiadra donna” 24; “vivissima sensazione” 25; “grave stormire” 29 etc.
2) le frequenti dittologie aggettivali: “disanimato e stanco” 4-5, “arditi e sorridenti [...]
audace e libertina” 8; “preoccupata e quasi mesta” 27; “briosa e spensierata” 31
etc.

L’espediente iterativo volto allo scopo di innalzare letterariamente la prosa del romanzo
è particolarmente evidente nelle coppie e nelle terne che costellano i rr. 32-36:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 72/S3
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: l’inedito Frine


“La prima volta avevo incontrato una di quelle ragazze folli, allegre, alla moda, che
fanno impallidire le duchesse colla mostra insultante del loro lusso e della loro
bellezza; che comprano a prezzo del cuore e della vita tre o quattro anni di
quell’esistenza principesca; e che si fanno perdonare la sfrontatezza del loro sguardo,
l’audacia delle loro mode, l’onta del loro nome colla grazia del loro sorriso, e lo sfarzo
dei loro equipaggi ”,
cui partecipa l’anafora successiva di tutti che scandisce al suo interno il seguente
capoverso (37, 39, 40)
A creare l’impressione di una notevole sostenutezza letteraria contribuiscono poi, a livello
lessicale, anche sì per ‘così’ 11, ove 12 e soprattutto fitti 45.
Una leggera incongruenza fra i piani cronologici si stabilisce fra Avevo incontrato di 1
(ripreso poi a 32) e il passato remoto che invece contraddistingue (a parte l’uso
dell’imperfetto con valore continuativo che lo accompagna) le rr. 2-36, nelle quali i due
incontri sono narrati, anche se a 32 avevo incontrato viene attribuito solo al primo
incontro e l’imperfetto invece al secondo (44 incontravo).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 72/S3
Titolo: I romanzi catanesi: l'inedito Frine
Attività n°: 1

I romanzi catanesi: l’inedito Frine


Incertezza relativa alla consecutio (uso del congiuntivo per indicare l’anteriorità nel modo
condizionale) si registra a 11-12:
“In quel cocchio che mi ave[a] oltrepassato sì rapidamente non c’era cosa alcuna
che avesse dovuto colpirmi”,
ambiguo fra ‘non c’era cosa alcuna che dovesse colpirmi’ e ‘non c’era cosa alcuna che
avrebbe dovuto colpirmi’.
Scommettere richiede il congiuntivo nella subordinata retta da che (“Scommetto che lo
sappi anche troppo”; sulla seconda persona del congiuntivo presente in -i si veda la
lezione successiva).
Impaccio sintattico (se non vero e proprio anacoluto) si ritrova in 44-46 nell’uso del
gerundio incorniciando, privo di soggetto (a meno che al verbo non si attribuisca un
valore medio, piuttosto che attivo, con soggetto quella stessa donna e con il valore
‘mentre il pallido contorno si incorniciava’):
“Ma quella stessa donna che incontravo in fondo al viale, vestita rigorosamente di
nero, con gli occhi fitti su di un libro, incorniciando il pallido contorno del suo bel viso
del fondo quasi verginale, di raso bianco della carrozza”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 73
Titolo: Il punto sulla lingua del periodo catanese
Attività n°: 1

Il punto sulla lingua del periodo


catanese
Riguardo al vocalismo tonico possiamo verificare ora, sull’interezza di Frine, se sia
rimasta (e in che misura) quella dittongazione estesa che nei romanzi precedenti
avevamo riconosciuto in intieramente e capriuolo, cioè in due soluzioni caratterizzate in
senso letterario e arcaizzante, nel primo caso per la atonia in cui ricade -ie- dal momento
in cui l’avverbio è percepito ormai come una sola parola (a lungo invece rimase la
percezione di entrambi i composti e in tale contesto intiera mente era foneticamente
giustificato), nel secondo per la conservazione del dittongo dopo suono palatale.
In Frine compare ancora in forma costante intieramente (10 occorrenze), ma anche
intiero, -a, -i, -e (7 occorrenze), a fronte di 1 occorrenza di intere; si aggiunga il
francesismo Primieramente).
Accanto a figliuolo, nel sintagma figliuol prodigo (un’altra volta figliuolo è poi cancellato a
favore di figlio), stanno anche camiciuola, barcaiuolo, -i, vaiuolo e via Legnaiuoli (poi
sostituito da Santa Trinita), spagnuola e infine anche giuoco e giuocare.

-o
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 73
Titolo: Il punto sulla lingua del periodo catanese
Attività n°: 1

Il punto sulla lingua del periodo catanese


Le due occorrenze appena citate assicurano che la dittongazione fiorentina è desunta per
via scritta, poiché non è rispettata la norma del dittongo mobile; e infatti compaiono
buonissima, come (ri)suonare e suonai, suonò, suonarono etc., infuocato, -a, nuotanti e
nuotavano, muovevano, vuotai e vuotate; la regola del dittongo mobile in realtà vige
nelle forme (composte con buono) abbonate(mi), abbonerò, abbonavo, nelle quali però
l’antica regola collabora a specializzare in senso tecnico il significato del composto. Sono
invece arcaiche le forme dittongate niega (una occorrenza nel cap. XXX) e tuono (tuono
di voce, tuono di quell’esclamazione etc. con numerose attestazioni).
Per il vocalismo atono, si veda quanto detto a proposito di remoto / rimoto e quistione /
questione nella precedente lezione (qui possiamo aggiungere che, dato il divergente
comportamento verghiano nei due casi, è evidente che la chiusura in protonia non è più
fenomeno fonetico attivo, e che la preferenza o l’accoglienza, idiosincratica o socialmente
condivisa, a favore dell’una o dell’altra variante fonetica, dipende in larga misura dalla
diffusione del termine interessato).
Infine, in rapporto al vocalismo atono finale (e dunque messi da parte i casi in cui nel
dittongo è coinvolta una vocale tonica del tipo udii, sentii, arrossii, sii, seguii, aprii etc.,
ma anche zii) si rintracciano delirii (2), desiderii (11), studii (1), gonfii (1), rinunzii (1),
tripudii (1), testimonii (6), esempii (1), servigii (1), avversarii (1), tutti senza alternativa.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 73
Titolo: Il punto sulla lingua del periodo catanese
Attività n°: 1

Il punto sulla lingua del periodo catanese


Elementi di continuità con quanto visto nella lingua dei romanzi precedenti esistono
anche nel consonantismo, a testimonianza, in genere, di una lingua antiquata e
connotata letterariamente.
In fatto di sonorizzazioni un’attestazione di scoverto non tiene il passo con le più
colloquiali forme di coprire (12); secreto, -i (2 attestazioni) contrasta con segreto (4), ma
sacrificio (6) è la nuova forma ora esclusiva (si ricorderà nei romanzi precedenti: sagrifizi,
sagrifizii) che evidentemente si certifica sul verbo sacrificare (sei forme), sebbene
compaia anche (1 sola attestazione) sagrifica; infine lagrima, -e (46 attestazioni) non ha
concorrenti.
Nonostante l’esito toscano adottato in sacrificio e denuncia, non mancano esiti culti in -zi-
come abbiamo già visto citando rinunzii, coerente con rinunziare, rinunziamo, al quale
possiamo aggiungere le forme dei verbi pronunziare e annunziare; in verità compare una
volta anche il participio passato annunciate, ma con il significato di ‘reclamizzate’ (e non
con il significato consueto di ‘segnalare il nome dell’ospite al padrone di casa prima di
ammetterlo alla sua presenza’).
Infine: cangiare (5 forme) alterna con cambiare (e in un caso cambiato è corretto in
cangiato); si conferma l’esito volgare in acchiusi (participio passato e II persona del
passato remoto).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 73/S1
Titolo: Il punto sulla lingua del periodo catanese
Attività n°: 1

Il punto sulla lingua del periodo


catanese
Con Frine abbiamo la possibilità di saggiare più da vicino i fenomeni di alternanza fra
scempie e doppie, pur dovendo fare anche qui dei distinguo.

Obligo, -ghi e obligato (4 occorrenze complessive) alternano con obbligato (2), ma


compaiono anche, nella prima stesura, poi cassati, obbligatoria, obbligava, e, cosa
che più conta, tutte le quattro occorrenze con scempia derivano da correzione
sulla precedente scrittura con -bb-; il tentativo, non completamente attuato, di
censurare la forma con consonante intensa, oltre che spiegabile come tendenza
francesizzante (abbiamo già riferito nella lezione precedente la citazione di
Noblesse oblige), si giustifica per l’adesione nella grafia (e forse nella pronuncia)
all’autorità del latino.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 73/S1
Titolo: Il punto sulla lingua del periodo catanese
Attività n°: 1

Il punto sulla lingua del periodo catanese


Anche per altri termini di cui l’etimo latino sia evidente, Verga dimostra di confidare nella
lingua classica come guida per la resa delle intense dell’italiano; così pubblica,
pubblicamente, pubblicato, pubblicità (4; un’altra occorrenza è poi cancellata) alternano
con publico, -a, -amente (5 occorrenze; un’altra occorrenza è stata poi cassata), ma in
due casi la forma scempia è instaurata sulla consonante intensa; abbietto, -a,
abbiettezza, -e (5 forme) alternano con abietta, abiettezza, -e e abiezione, -i (7
occorrenze complessive, quattro delle quali derivano da precedente abb-).
Costante la consonante intensa in ubbriaco, -one, ubbriacarsi e in inebbriante,
inebbriarsi e ebbrezza, -e (che pagano il dazio al volgare ebbro); e del resto il riscontro
con il latino non è sufficiente a scongiurare neppure obbliare (2) nonostante obliati (1) o
fibbre (1) nonostante fibre.
L’incidenza dell’oscillazione è ancor più evidente nei casi di composti; a dippiù (che
abbiamo già incontrato; in Frine l’avverbio dippiù compare 11 volte, cui andrebbero
aggiunte altre quattro occorrenze poi cancellate), possiamo aggiungere diggià (oltre una
ventina di casi) e soprattutto l’oscillazione sebbene (5 casi, di cui 4 corretti su scempia) /
sebene (3 casi evidentemente sfuggiti alla revisione); più efficace la correzione relativa a
ebene, che compariva due volte nel testo, entrambe corrette: ebbene ricorre 20 volte.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 73/S1
Titolo: Il punto sulla lingua del periodo catanese
Attività n°: 1

Il punto sulla lingua del periodo catanese


Riguardo alla morfologia nominale in Frine rimane ancora, per influsso del corrispondente
siciliano, sciallo adeguato ai nomi della II classe, e l’oscillazione fra i plurali labbra (44) e
labbri (8 occorrenze), dita (2) e diti (1) con una sperequazione (evidente nel caso di
labbra / labbri) a favore della forma colta e a svantaggio della più colloquiale (entrambe
le categorie morfologiche erano state segnalate nei Carbonari da Branciforti, Alla
conquista della lingua letteraria, p. 286 e rispettivamente p. 269).
Un’ultima considerazione riguardo le preposizioni articolate sintetiche e analitiche
composte da per e con:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 73/S2
Titolo: Il punto sulla lingua del periodo catanese
Attività n°: 1

Il punto sulla lingua del periodo


catanese
In Frine il presente monosillabico fo, così caratteristicamente fiorentino, compare 3
volte, dunque un numero maggiore di volte rispetto a faccio (1).
Meno sintomatica può essere la valutazione dell’incidenza quantitativa delle forme
dell’imperfetto, 1) sia per quanto riguarda le uscite di tipo colto -ea (per I e III persona
sing.) e -eano (per la III pl.), 2) sia per quanto riguarda l’uscita della I persona (in -o o
-a).
Questi i dati relativi alla prima categoria, che ci consente di verificare la forte resistenza
della forma antica solo per avea, confermando l’impressione di fossile che avevamo
diagnosticato già per questa forma:
avea 86 aveano 2 aveva 41 avevano 25
potea 2 poteano 0 poteva 11 potevano 5
dovea 10 doveano 0 doveva 6 dovevano 9.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 73/S2
Titolo: Il punto sulla lingua del periodo catanese
Attività n°: 1

Il punto sulla lingua del periodo catanese


La lettura del capitolo I di Frine (avevo 1, 24, 26, 32, 46; trovavo 3, aggiravo 4;
incontravo 27, 44) aveva presentato dal punto di vista della desinenza di I persona
dell’imperfetto una situazione compatta a favore dell’innovazione fiorentina, adottata da
qualche decennio da Manzoni per l’edizione fiorentina dei Promessi sposi; una situazione,
quella del capitolo iniziale del romanzo, che mostrava elementi di discontinuità nei
confronti delle prove narrative precedenti, nelle quali avevamo assistito ad una notevole
oscillazione.
Un puntuale riscontro su tutto il romanzo conferma che, non solo l’innovazione fiorentina
è accolta in maniera sistematica nella fase ultima dell’elaborazione attestata dal
manoscritto, ma che essa è già introdotta nella primitiva scrittura, tanto da poter
affermare con buon margine di sicurezza che Verga si è autoimposto di aderire alla
funzionalità della diversa desinenza fra I e III persona singolare, fra la scrittura di Una
peccatrice e la composizione di Frine.

Leggermente diversa è la data in cui Verga, reso avvertito della natura ‘siciliana’ della
desinenza del passato remoto di tipo forte, riesce a liberarsene definitivamente.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 73/S2
Titolo: Il punto sulla lingua del periodo catanese
Attività n°: 1

Il punto sulla lingua del periodo catanese


Nell’ultima fase di elaborazione di Frine troviamo solo un Dovettimo, ma nell’apparato,
che registra le fasi di scrittura precedenti all’ultima, incontriamo anche Vidimo (una volta
cassato, altre sei volte sostituito da Vedemmo), rimasimo (cinque volte corretto in
rimanemmo). Fra il 1866-1869 dunque Verga è ancora fedele alle precedenti modalità di
coniugazione del perfetto, ma nella fase di revisione di Frine inizia, sebbene non ancora
in maniera pienamente efficace, a eliminare le forme antiche per quelle della lingua
comune.
Nello stesso tempo verbale, inoltre, assistiamo alla prima penetrazione (pressoché
sistematica all’altezza di Frine) di quelle forme analogiche in -etti, -ette che invece, come
siamo stati informati dal saggio più volte citato di Branciforti, erano completamente
assenti nei Carbonari. In Frine troviamo ancora potei (23 occorrenze) e sedei (1 volta),
ma anche ricevetti 2, sedetti 3, dovetti 4, credetti 5, temetti 2, vendetti 3, mentre per la
III persona (e in perfetta analogia) abbiamo solo poté (6 volte), altrimenti sedette 2,
dovette 7, vendette (1), perdette (1), stridette (1).
Rimane la forma sigmatica volse, ma sono scomparse altre forme meno autorizzate dalla
tradizione letteraria. Per il congiuntivo presente la II persona sing. è abbi, sappi (una sola
volta nel cap. I, r. 61); la III plurale del verbo essere è, senza alternative, sieno (3 volte).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 73/S3
Titolo: Il punto sulla lingua del periodo catanese
Attività n°: 1

Il punto sulla lingua del periodo


catanese
Il coefficiente di letterarietà rimane alto anche in Frine, sebbene, nella morfologia verbale,
si sia assistito spesso alla sostanziale incrinatura della fiducia nella tradizione allo scopo di
creare quella lingua spontanea che vedremo essere (per esplicita dichiarazione
dell’autore) l’aspirazione del Verga romanziere.
La letterarietà vena ancora pesantemente la lingua verghiana in materia di uso dei
pronomi: al normale egli (43 occorrenze) si associa infatti occasionalmente l’ormai
disusato e letterario ei (3 occorrenze), ella (104 esempi), già segnalato da Russo in Una
peccatrice come strumento arrugginito e letterario, è incrementato da colei (24) e costei
(7), mentre solo occasionalmente affiora lei (ma solo nella formula di cortesia) in funzione
di soggetto; nel maschile compare accanto a quegli (1 volta, ma ora nella appropriata
funzione di soggetto) anche costui (2) e colui (7).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 73/S3
Titolo: Il punto sulla lingua del periodo catanese
Attività n°: 1

Il punto sulla lingua del periodo catanese


Uno sguardo alla sintassi consente di verificare che, nonostante l’acquisizione del passato
prossimo, anche in Frine l’uso del passato remoto tradisce talora la sicilianità dell’autore,
come in: “ieri feci le viste di non conoscere” o “Ieri mi lasciaste così bruscamente” che
però si affiancano a “Ieri tu mi hai veduto” o a “ieri tu mi ha[i] veduto giocare... m’hai
veduto vincere”.
Un elemento di congiunzione interfrasale impacciato e rigido nella sua fissità antiquata, e
che è attestato in tutti i romanzi catanesi (sebbene finora non avessimo trovato modo di
segnalarlo), consiste nella formula di cui + sostantivo articolato per esprimere
l’appartenenza: per esempio “per una donna di cui il nome correva” (‘il nome della quale,
il cui nome’), “c'era una scala di marmo, di cui gli ultimi scalini, che s'internavano sotto il
vestibolo, erano coperti da un bel tappeto e di cui le ringhiere erano tutte una mensola di
fiori”, “Sedetti accanto a lei di cui lo sguardo, che si era acceso di mille entusiasmi
indefinibili scendeva sino al fondo dell'anima mia” etc.
Elementi di sicilianità si intravedono ancora nella reggenza preposizionale dei verbi, come
nel caso di “- Oh signora, son galantuomo e non tocco alla roba altrui”, a proposito del
quale va rimarcato che il significato di galantuomo è piuttosto quello di ‘uomo da bene,
onorato’ che è comune al toscano e al siciliano.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 74
Titolo: Riepilogo
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui contenuti


studiati nelle lezioni precedenti dedicate a tracciare,
attraverso Frine, il punto sulla lingua di Verga in
relazione al periodo catanese, lo studente è invitato
a compilare il test associato a questa sessione
di studio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 74/S1
Titolo: Test
Attività n°: 1

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto finale e gli
studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un esercizio di controllo dei
contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad
inviare i risultati del proprio test al docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-
portfolio; tali risultati possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il numero
associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test e ne darà conto allo
studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato della prova finale, invitandolo
magari ad approfondire alcune parti del corso o singole lezioni o chiarendo ulteriormente quello che
non è stato pienamente compreso.
44) Filologia e analisi linguistica: in che modo la condizione di non finito di Frine
rappresenta una risorsa e/o una limitazione per l’analisi linguistica del romanzo
inedito?
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 74/S2
Titolo: Test
Attività n°: 1

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto
finale e gli studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un
esercizio di controllo dei contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto
fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad inviare i risultati del proprio test al
docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-portfolio; tali risultati
possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test
e ne darà conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato
della prova finale, invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole
lezioni o chiarendo ulteriormente quello che non è stato pienamente compreso.
45) Tracciate un quadro dell’evoluzione e delle persistenze della lingua
verghiana nel periodo catanese (da I Carbonari della montagna a Frine)

© 2007 Università degli studi e-Campus - Via Isimbardi 10 - 22060 Novedrate (CO) - C.F. 08549051004
Tel: 031/7942500-7942505 Fax: 031/7942501 - info@uniecampus.it
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 74/S3
Titolo: Test
Attività n°: 1

TEST: esercizio sulle banche dati


Utilizzando le opere verghiane interrogabili su

-- la banca dati Biblioteca Italiana (http://www.bibliotecaitaliana.it/

verificate la presenza delle seguenti coppie nella produzione verghiana:


oblig* / obblig*
lacrim * / lagrim *
esem pii / esem pi

I risultati della ricerca (dati quantitativi ed commenti) dovranno essere inviati


tramite eportfolio, avvertendo al contempo il docente sul sistema di messaggistica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 75
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di


una capinera
Le notizie biografiche relative al periodo che separa il rientro a Catania dopo il primo
viaggio del 1865 e il secondo importante soggiorno di circa quattro mesi che Verga
fece a Firenze nel 1869 sono particolarmente scarne tanto che (congiungendo
impropriamente il primo al secondo) Federico De Roberto supponeva per questi anni
un unico soggiorno interamente fiorentino “più volte interrotto dai ritorni presso la
madre” (Federico De Roberto, Storia della ‘Storia di una capinera’, in Casa Verga e
altri scritti verghiani, p. 140).
Agli inizi del Novecento, quando il De Roberto scriveva, poco si sapeva anche
dell’attività letteraria verghiana di quegli anni:
“Dopo l’apparizione di quel volumetto presso l’editore Federico Negro [cioè dopo
la pubblicazione di Una peccatrice] non si hanno per tre anni notizie di altri lavori.
È improbabile che [Verga] se ne stesse ozioso, sebbene distratto dalla nuova vita;
ma le cose abbozzate non dovettero contentarlo, se non ne serbò nessuna” (ivi).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 75
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di una capinera


Ora invece sappiamo che a questo periodo va ascritta non solo l’elaborazione di Frine
(diventata poi Eva) ma anche la composizione della commedia I nuovi tartufi nella quale
Giovanni Verga mise in scena (da un punto di vista anticlericale) l’acceso antagonismo
che caratterizzò la campagna elettorale in vista delle elezioni politiche dell’ottobre 1865;
gli autografi assicurano che la prima idea della commedia risale al dicembre 1865 e che
essa fu conclusa nella primavera dell’anno successivo, giacché essa fu presentata fra
aprile e luglio 1866 al fiorentino Concorso drammatico al premio governativo di
quell’anno senza neppure venir ammessa (cfr. Carmelo Musumarra, Introduzione
all’edizione Giovanni Verga, I nuovi tartufi, commedia in 4 atti, a cura di C. Musumarra,
Firenze, Le Monnier, 1980; riedita con il titolo I nuovi tartufi, in C. Musumarra, Di là dal
mare. Saggi di critica verghiana, Palermo, Palumbo, 1993, pp. 151-158).
L’interesse di Verga per il teatro, inaugurato da I nuovi tartufi, proseguirà negli anni
immediatamente successivi, anche se gli esiti pubblici tarderanno a venire. Del 1869 circa
è Rose caduche, anch’essa rimasta inedita a lungo (fino al 1928, quando fu riesumata da
Vito Nicolosi e edita sulla rivista catanese “Maschere”) nonostante fosse stata apprezzata
da Francesco Dall’Ongaro; degli stessi anni sono i progetti per L’onore, mai portato a
termine (gli abbozzi sono stati editi solo nel 1983 in Giovanni Verga, Prove d’autore, a
cura di Lina Jannuzzi e Ninfa Leotta, Lecce, Milella).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 75
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di una capinera


Del triennio 1866-1869 scarseggiano dunque quasi interamente le notizie, a parte
quella rammentata ancora una volta da De Roberto (Storia della ‘Storia di una
capinera’, pp. 142-144):
“Due anni innanzi durante la terribile epidemia di colera del 1867, egli si era ridotto
con tutti i suoi da Catania a Battiati, il primo villaggio sulla via dell’Etna, dove i
Verga possedevano una villetta; invaso poi dal morbo anche quel territorio, la
famiglia aveva cercato scampo più alto, a Trecastagni, uno dei paesetti etnei più
felicemente situati, fra antichi crateri spenti [...]. Nonostante la calamità di quei
giorni, anzi per reagire appunto contro lo spavento della morìa, il giovane se n’era
andato quotidianamente, a cavallo, presso una delle maggiori bocche inattive della
vecchia montagna di fuoco [...]. Ai piedi del grosso cratere [...] sorgeva fra tante
altre la villa d’una famiglia ospitale, intimissima dei Verga: i Perrotta”.

Paesaggio ed esperienza che Verga ebbe ben presente quando, durante il periodo
fiorentino, fra il giugno e l’agosto del 1869, scrisse la Storia di una capinera.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 75/S1
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di


una capinera
Se la visita del 1865 non aveva consentito a Verga di entrare nei salotti che
animavano la vita intellettuale di Firenze capitale, così non fu per il soggiorno del
1869, protrattosi dalla fine di aprile agli inizi di settembre.
Del tipo di frequentazioni che il giovane scrittore intrattenne in quei mesi siamo ben
informati dalle lettere alla madre (in realtà a tutta la famiglia) che Verga scrisse
regolarmente, di solito due a settimana, ma talora anche più spesso, in quei poco più
che quattro mesi; una corrispondenza iniziata il 29 aprile 1869 (una lettera del 27
maggio da Napoli aveva già avvertito la madre della “felicissima traversata”) e
conclusasi il 30 agosto successivo, per un totale di quaranta lettere (dopo
pubblicazioni sparse, sono ora tutte raccolte in Giovanni Verga, Lettere alla famiglia
(1851-1880), a cura di Giuseppe Savoca e Antonio Di Silvestro, Acireale-Roma, 2011,
pp. 83-188).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 75/S1
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di una capinera


Fin dalla missiva del 1° maggio alla madre, Verga menziona le lettere di presentazione
che dovevano introdurlo nell’ambiente fiorentino; e anche nelle successive,
all’apprensione per le spese che con tale soggiorno impone alla famiglia, fa da
contraltare il gradimento per la città e la speranza che il suo nome di scrittore ne possa
trarre vantaggio:
“Firenze è davvero il centro della vita politica e intellettuale d’Italia, qui si vive in
un’altra atmosfera, di cui non potrebbe farsi alcuna idea chi non l’avesse provato, e
per diventare qualche cosa bisogna vivere al contatto di queste illustrazioni, vivere
in mezzo a questo movimento incessante, farsi conoscere e conoscere, respirarne
l’aria insomma” (lettera del 7 maggio).
Dopo qualche ritardo, motivato dall’inadeguatezza del proprio guardaroba (ne fanno
parola le lettere dell’8 e del 12 maggio), Verga utilizzò i biglietti di presentazione che
l’amico Mario Rapisardi aveva indirizzato a Francesco Dall’Ongaro e a Rosa Ludmilla
Assing, i cui salotti (di orientamento politico opposto a quelli frequentati nei medesimi
anni da Edmondo De Amicis, per esempio quello di Urbano Rattazzi) erano il luogo di
ritrovo di numerosi altri letterati, fiorentini o residenti a Firenze.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 75/S1
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di una capinera


Francesco Dall’Ongaro (1808-1873), di origine friulana, ex sacerdote e “attivo
protagonista dei moti del ’48 e della repubblica romana”, a causa “della sua fede
mazziniana aveva subìto anni di esilio a Bruxelles e poi a Parigi, dove aveva
proseguito la già intensa attività poetica, drammaturgica, letteraria” per poi stabilirsi
“a Firenze al suo rientro in Italia nel 1859”, dove si manteneva insegnando letteratura
drammatica presso la Scuola di declamazione, e dove pubblicò le sue novelle (Viola
tricolor. Scene familiari nel 1846 e Novelle vecchie e nuove nel 1861) che
esprimevano, con una profonda simpatia,, seppure di marca paternalistica, “un
messaggio che di volta in volta era di documentazione, di denuncia o di
commiserazione” verso le classi umili.
L’ambiente democratico e repubblicano che caratterizzava la casa di Dall’Ongaro era
quello stesso del salotto della Assing (1821-1880) “che aveva al suo attivo [...]
interventi di carattere politico su giornali democratici italiani, e corrispondenze per
conto di alcune testate tedesche, [e] era nota in patria soprattutto per la sua attività
di biografa e letterata” (le sparse citazioni sono tratte da Irene Gambacorti, Verga a
Firenze. Nel laboratorio della ‘Storia di una capinera’, Firenze, Le Lettere, 1994, pp.
47-52).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 75/S2
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di


una capinera
Nella lettera alla madre del 22 maggio Verga ci informa del suo primo ingresso nel
salotto di Dall’Ongaro e della familiare accoglienza che l’anziano scrittore fece allo
scrittore più giovane; da quella data la menzione dell’illustre letterato nelle lettere
verghiane è pressoché continua. Verga infatti accettò con entusiasmo l’invito di
Dall’Ongaro a frequentare il suo salotto domenicale e quello del lunedì presso la
Assing, ai quali partecipò per tutto il mese di giugno; nei mesi di luglio e agosto
(quando ormai la città si era spopolata di gran parte della borghesia, che per sfuggire
al caldo dell’estate fiorentina si era rifugiata presso le stazioni termali toscane) gli
incontri con il Dall’Ongaro si intensificarono fino a diventare pressoché giornalieri.
Il Dall’Ongaro inoltre aveva proposto subito a Verga di fargli leggere i suoi lavori,
editi o in corso di elaborazione; il giovane scrittore lo fece, ricevendone in cambio
consigli ed incoraggiamento.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 75/S2
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di una capinera


“Io non saprei dirvi le mille attenzioni di cui sono stato colmato e in questa casa e in
quelle altre dove sono stato. Dall’Ongaro mentre eravamo in un crocchio numeroso
mi disse: Ho incominciato a leggere il vostro romanzo e mi piace, mi piace davvero.
Avete quel fare disinvolto che ci vuole. Non lasciatelo mai; bravo! Queste son sue
parole testuali, e una tale testimonianza di un uomo competentissimo e che non
saprebbe per tutto l’oro del mondo fingere un complimento per me fu prezioso. Vi
assicuro che fui quasi confuso del modo in cui mi furono dette queste parole, della
pubblicità che loro fu data, a cui il fare patriarcale di Dall’Ongaro e la riputazione
altissima di cui gode davano molta autorità e per conseguenza anche al mio
modestissimo lavoro. Fu allora che la signora Assing mi disse che Dall’Ongaro già
glie ne aveva parlato e che desiderava leggerlo. Domani ne darò anche una copia
alla signora Swanzberg” (lettera del 29 maggio).
Il romanzo oggetto di così lusinghiero giudizio era Una peccatrice; poiché l’elogio è rivolto
alla lingua e allo stile definito disinvolto, possiamo farci un’idea dei gusti tardo-romantici
del Dall’Ongaro; e per quanto la lode appaia infondata ai nostri occhi, è normale che il
Verga ne ricavasse motivo di vanto e di incitamento oltre che il sentimento di maggiore
autostima sulle proprie personali capacità (come in effetti fa nelle righe successive di
quella medesima lettera).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 75/S2
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di una capinera


Sempre nella stessa occasione, parlando di Frine-Eva, alludendo alla possibilità di
vendere il romanzo a editori milanesi (o, nel caso che ciò non potesse avvenire, a
editori fiorentini di giornali) il Verga aggiunge:
“Dall’Ongaro mi sarà di moltissimo aiuto per questa e per altre pubblicazioni”.
Come il Verga ricorderà anni più tardi (1880) nella lettera a Ferdinando Martini che
abbiamo avuto già occasione di citare: “Sonzogno gli rimandò il manoscritto e Treves
non gli rispose neppure”, ma l’aiuto di Dall’Ongaro, che non sortì alcun effetto positivo
nel caso di Frine, funzionò invece per Storia di una capinera, di cui si fa menzione per
la prima volta nella missiva alla madre del 23 giugno:
“Tra giorni aspetto risposta di E. Treves e C.i Editori da Milano pel manoscritto del
romanzo [Frine-Eva; risposta che come sappiamo non ci sarà]. Se mi riesce
quest’affare saranno 630 lire al foglio (il minimum) poiché si paga anche a lire 40
il foglio. Sto inoltre lavorando ad un romanzo che manderò a Sonzogno e spero di
guadagnare qualche altra cosa”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 75/S3
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di


una capinera
A partire da questa data i riferimenti alla scrittura di Storia di una capinera punteggiano
tutta la corrispondenza con la famiglia. Nella lettera del 26 giugno Verga dice:
“Sto lavorando ad un romanzo intimo di cui sono contento sino a quest’ora e che
spero mi frutterà qualche cosa. Ora mi bisognerebbero alcune informazioni pel mio
lavoro e le domando alla mamà. Vorrei sapere se è costume a Catania di andare a
dar parte di un matrimonio alle parenti strette che si trovano in un monastero; e se
a questa visita officiale deve andare anche lo sposo, quando i parenti sono della
sposa, o la sola sposa o i soli parenti”;
l’informazione servirà a scrivere la visita, che la protagonista Maria riceverà in
monastero, della sorella Giuditta e del promesso sposo Nino che vogliono informarla del
prossimo loro matrimonio, visita di cui Maria dà conto all’amica Marianna nella lettera
[XXIV] del 28 febbraio di Storia di una capinera.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 75/S3
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di una capinera


Nella lettera del 2 luglio Verga aggiunge:
“Io sto lavorando ad un romanzo che spero finire nel corrente mese e che venderò
con certezza nell’agosto prossimo”.
La previsione sui tempi, poi effettivamente rispettati, è ripetuta ancora l’8 e il 12 luglio,
mentre il 10 luglio aveva chiesto un’altra informazione, utile a scandire le lettere di Storia
di una capinera nella parte iniziale (lettere I-XVIII, scritte, nella finzione del romanzo, fra
il 3 settembre 1854 e gli inizi del 1855):
“Vorrei sapere con precisione in quali mesi principiò e finì il colera del 1854 –
prendetene informazioni e mandatemele”.
Infine il 14 luglio il Verga scrive:
“siccome [Dall’Ongaro] mi domandava che cosa scrivessi adesso io gli parlai del mio
nuovo romanzo che spero finire prima del 20 o al più tardi colla fine del mese. Egli mi
disse che voleva leggerlo e mi fece sperare quasi con certezza che me lo avrebbe
fatto vendere per suo mezzo all’Editore Civelli di qui, assicurandomi che me lo
avrebbe fatto pagare 60 franchi il foglio di stampa [...]. Il romanzo di cui ti parlo non
l’ho incominciato che il 23 Giugno: non mi costa adunque che poco più di un mese di
lavoro”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 75/S3
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di una capinera

La velocità di scrittura e la promessa di esser pagato a 60 lire a foglio di stampa dà


adito, nella medesima lettera, a fantasticherie su futuri ampi guadagni che il giovane
ora si ripromette e che prima mai avrebbe sperato di poter conseguire (analoghi a
quelli che Verga ripete, al medesimo proposito, nella lettera del 17 luglio).

Il 29 luglio ormai il romanzo è quasi terminato (“Fra tre o quattro giorni spero di finire
completamente il romanzo e di darlo a Dall’Ongaro per collocarlo presso Civelli o
qualche altro editore”); il 5 agosto si tratta solo di farne copia per sottoporlo al proprio
mèntore (“Intanto mi affretterò a dargli [cioè a Dall’Ongaro] la copia del mio romanzo
per farlo collocare da lui presso Civelli come mi promise prima della partenza”); infine la
lettera del 21 agosto riferisce:
“Dall’Ongaro mi disse avere già incominciato le pratiche per la vendita del mio
nuovo romanzo che mi dice piacergli assai e mi ha promesso fra due o tre giorni
dirmi qualche cosa dell’esito delle sue pratiche”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 76
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di


una capinera
In effetti pochi giorni prima (precisamente il 18 agosto 1869) Francesco Dall’Ongaro
aveva mandato a Emilio Treves la seguente letterina:

“Un mio amico di Catania, il Sig. Giovanni Verga, già conosciuto per un suo
racconto: – La peccatrice – ha un romanzetto per lettere, circa 60 fogli di stampa:
intitolato Istoria di una capinera. Sono lettere di una giovane monaca che prende
il velo e muore: argomento di attualità palpitante, e studio fisiologico e patologico
di un cuore che si spezza. Mi ha fatto piangere più volte leggendolo. Acquistereste
il manoscritto per una delle vostre collezioni? Fareste un buon negozio.
Il Verga sarà, credo, il migliore dei nostri romanzieri sociali”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 76
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di una capinera

Anche in questo caso, e nonostante la presentazione di Dall’Ongaro, il Treves (che in


futuro sarà invece uno dei principali editori della produzione verghiana matura) non
rispose e la Capinera uscì prima in quindici puntate (fra il 16 maggio e il 22 agosto
1870) sul “Corriere delle dame”, pubblicato a Milano da Alessandro Lampugnani, poi
presso il medesimo editore in volume nel 1871 con una lettera di Dell’Ongaro
indirizzata a Caterina Percoto (per ulteriori dettagli sulla vicenda editoriale della Storia
si può fare riferimento al già citato libro di Irene Gambacorti, Verga a Firenze, pp. 127-
133; per la lettera di Dall’Ongaro alla Percoto pubblicata in capo alla Storia del 1871,
ivi, p. 197).
La Storia di una capinera fu, per una serie di motivi non tutti di stretta pertinenza
letteraria, il primo grande successo di Giovanni Verga; Emilio Treves, quello stesso
editore che aveva rifiutato nel 1869 sia Frine sia la Capinera, nel 1873 si ravvide e, allo
stesso momento in cui pubblicava il successivo romanzo verghiano (Eva), ripubblicava
in rivista e in volume (inaugurando così la serie delle ristampe che presso il medesimo
editore continuarono fino al 1920) la Storia di una capinera di cui curava il battage
pubblicitario con grande avvedutezza commerciale.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 76
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di una capinera


L’edizione Lampugnani era stata recensita su un numero abbastanza alto di giornali, ma
a parte i casi di Vittorio Bersezio (sulla “Gazzetta piemontese”) e di Angelo De Guberna-
tis (sulla “Rivista europea” e sull’“Athenaeum”) si era trattato di giornali e nomi di pro-
vincia, secondari e poco diffusi (ne aveva scritto una recensione anche l’amico Capuana,
ma la recensione, proposta alla “Perseveranza” e alla “Nazione”, non uscì mai).
Quando la Storia di una capinera fu ceduta gratuitamente a Treves per cinque anni, nel
1873 (Verga in quella medesima occasione riceveva 300 lire per Eva), l’editore sollecitò
(e scrisse lui stesso) recensioni presso i principali giornali milanesi e nazionali, tanto che
Salvatore Farina, nel 1910, ricordava (con qualche malignità) quella inondazione
promozionale:
“Emilio Treves [...] lesse i romanzi di Verga, li annunziò con rumore insolito a quel
tempo, li pubblicò con alto strepito; dalla sua ditta partirono una mattina quaranta
articoli scritti da abili persone (questa è storia, e pare romanzo) diretti ai più
importanti giornali della penisola; e un’altra mattina tutta Italia fu desta al rumor
delle trombe a ricevere l’annunzio che v’era al mondo un altro uomo illustre. Così
Giovanni Verga, che per oltre trentatré anni era rimasto oscuro nel suo paese
siciliano da quel giorno fu celebre” (citato da Gambacorti, Verga a Firenze, p. 133).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 76/S1
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di


una capinera
Il tema della monacazione forzata, al centro del romanzo epistolare verghiano, era
stato inaugurato in Francia da Dénis Diderot con il romanzo-memoriale La Réligieuse,
terminato nel 1780 ma pubblicato postumo nel 1796; il tema poi era stato al centro
della vicenda della monaca di Monza nei Promessi sposi
“per tacere di testi minori, quali l’Ildegonda del Grossi, La suora del Carrer o La
monaca di Monza del Rosini [e] quelle memorie di una ex monaca benedettina
napoletana di nobile lignaggio, Elisabetta Caracciolo dei principi di Forino che,
pubblicate nel 1864 con il titolo I misteri del chiostro napoletano dal fiorentino
editore Barbèra, piacquero a Settembrini, De Sanctis, Aleardi e furono lette con
interesse dal vecchio Manzoni” (Enrico Ghidetti, Introduzione, a Giovanni Verga, I
carbonari della montagna, Sulle lagune, Una peccatrice, Firenze, Sansoni, 1983, p.
XXI. Per altri possibili modelli italiani e francesi e per la fortuna del tema nelle arti
figurative della seconda metà dell’Ottocento, si può vedere ancora il volume già
citato di Irene Gambacorti, pp. 173-195).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 76/S1
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di una capinera


Ma ciò che rendeva la storia di Maria-capinera “argomento di attualità palpitante” (per
usare le parole stesse con cui Francesco Dall’Ongaro proponeva il romanzo a Emilio
Treves) era il clima politico e le decisioni dei governi dell’Italia post-unitaria:
“forse mai quanto in quegli anni l’argomento si trovava, per il convergere di ragioni
politiche e culturali, al centro di un’attenzione tanto viva. L’accesa polemica che
accompagnò la promulgazione delle leggi sulla soppressione dei conventi e
l’incameramento dei beni ecclesiastici del luglio 1866 e dell’agosto 1867 aveva
posto all’ordine del giorno, intorno alla metà degli anni ’60, le tematiche di carattere
conventuale, che divennero nel quadro del generale inasprimento della tensione fra
Stato e Chiesa l’argomento prediletto della combattiva propaganda anticlericale del
momento” (Irene Gambacorti, Verga a Firenze, p. 179).

Non si trattava, insomma, soltanto di aderire a modelli ideologici e letterari di matrice


illuministica ravvivati dall’immaginario romantico, ma piuttosto di condurre una battaglia
al fianco di quei partiti anticlericali che avevano patrocinato la soppressione di conventi
e monasteri (con un successo che nella realtà attuativa fu limitato e di non lunga
durata).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 76/S1
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di una capinera


L’impegno sociale non fu né l’unico né il principale motivo di ispirazione di Verga (lo
scrittore, ormai distante dai proclami politici con cui aveva aperto all’inizio della sua
carriera I Carbonari, nella vicenda di Maria cercava semmai di tratteggiare il dramma
intimo e personale della protagonista); eppure la lettura ‘sociale’ e politica della Capinera
che l’attualità incoraggiava fu condivisa anche da lettori qualificati dal punto di vista
letterario. Caterina Percoto (1812-1887), esponente di spicco della letteratura
socialmente impegnata, destinataria della lettera pubblica di Dall’Ongaro edita in capo
alla Storia di una capinera, rispondeva così al un biglietto con il quale Verga le aveva
inviato una copia del romanzo:
“Pregiatissimo Signore,
La Sua bella Capinera deve la sua fortuna alla cara Sua penna, che mi fa vivere in
Sicilia, e che tocca con tanto cuore una delle più dolorose piaghe che affliggono nel
mio sesso la nostra società. Qui nel Veneto, grazie al codice Napoleone [cioè con la
soppressione delle corporazioni religiose voluta da Napoleone nel 1810] è sparita da
un pezzo la trista consuetudine di sacrificare alla vita monastica le povere nostre
giovinette; ma dura tuttavia il barbaro costume di educare le donne alla clausura.
Ella ch’è giovane e ch’ebbe in dono dal cielo una parola così simpatica, così vera e
così efficace, si faccia nostro campione [...]”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 76/S2
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di


una capinera
Abbiamo visto dalle lettere alla famiglia inviate da Firenze nel 1869, come Verga
ponesse alla madre alcune domande di carattere storico o relative agli usi dei
monasteri. La competenza della madre (e della zia Mamma Vanna) in tale specifico
settore è stata illustrata da Federico De Roberto in Storia della ‘Storia di una capinera’
(p. 147), in cui si ricorda come la zia fosse stata educata nel monastero di Santa
Maria dei Greci e la madre nella badia di Santa Chiara “la badia che egli [cioè Verga]
aveva continuamente sotto gli occhi, in città, dai balconi di casa sua; nella cui bella
chiesa rotonda andava tutte le domeniche a udire la messa; dalle cui grate del coro,
durante le cerimonie sacre, aveva visto biancheggiare i veli delle Clarisse”,
aggiungendo (p. 160) che laddove i “ricordi delle sue proprie impressioni e di quelle
riferitegli dalla mamma e dalle zie, a un certo punto non gli bastarono più [...] si
affidò a una sua giovane amica destinata a un educandato laico perché gli riferisse
l’effetto prodotto in lei dalla nuova vita di quel mondo nuovo”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 76/S2
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di una capinera


Quanto sia vera quest’ultima notizia non sappiamo: potrebbe anche essere stata, se non
inventata di sana pianta, almeno frutto di sola deduzione, certo per rafforzare il giudizio
complessivo (che il De Roberto intende riferire ai sentimenti di Maria, non alla lingua
dell’autore) sul romanzo:
“Grazie a questa diligenza nelle informazioni ed al naturale potere d’intuizione
psicologica, egli ottenne che la sua capinera pensasse e parlasse quasi sempre come
una vera educanda penserebbe e parlerebbe” (ivi).
La storia è nota: Maria è condannata dagli usi sociali a essere rinchiusa in convento; il
padre infatti si è risposato e dal secondo matrimonio ha avuto altri figli (Giuditta, Gigi) ai
quali sono destinati tutti i beni dotali della seconda moglie. A causa del colera del 1854-
55 Maria esce dal convento e, insieme alla famiglia, si rifugia nei dintorni di Catania, da
dove scrive all’amica Marianna comunicandole l’impressione di recuperata libertà.
L’incontro con Nino Valentini le fa scoprire l’amore, sul momento ricambiato. Basta che la
famiglia se ne accorga perché Maria venga segregata in casa fino a che la fine
dell’epidemia la riconduce in convento. Superata anche l’estrema prova di ricevere la
visita con cui le viene annunciato il matrimonio della sorella Giuditta proprio con Nino,
impazzisce nel tormentato contrasto fra necessaria e purificante rinuncia e desiderio
d’amore.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 76/S2
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di una capinera


Preceduto da una prefazione su cui torneremo, il romanzo consiste di cinquanta lettere
non numerate (la numerazione a cui faremo riferimento è introdotta solo per nostra
comodità e perciò fra parentesi quadre), tutte scritte da Maria all’amica tranne l’ultima
scritta da suor Filomena (“quella buona sorella laica che si è incaricata di trasmetterti
le mie lettere” di cui si fa parola nella lettera [XXI] e poi nella lettera XXIII: “Ora che
son ritornata presso alla mia buona Filomena, che ha pietà delle mie pene e mi
procura il conforto di scriverti e di ricevere le tue lettere, ti scriverò qualche altra volta
prima di profferire i voti solenni”). Quest’ultima, per ottemperare al desiderio che Maria
ha espresso in punto di morte, invia a Marianna, insieme alle lettere scritte dopo
l’ingresso definitivo in clausura e perciò mai spedite, alcuni piccoli oggetti che le erano
stati cari (un crocefisso, una ciocca di capelli, “alcune foglie di rosa”).
Tutte le lettere sono dunque (tranne l’ultima) espressione di una stessa voce narrante,
di un unico punto di vista, con evidente focalizzazione interna e fissa, caratteristiche
con le quali non interferiscono quelle di altri produttori, salvo appunto nell’ultima
lettera nella quale cambia la ‘voce’, il punto di vista e alla precedente focalizzazione se
ne sostituisce un’altra (per quest’ultimo intervento la focalizzazione diviene multipla nel
complesso del romanzo).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 76/S3
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di


una capinera
Solo la prima lettera, scritta da Monte Ilice, ha indicati tutti i dati, spaziale e cronologico
(quest’ultimo anche con l’indicazione dell’anno 1854); nelle seguenti compare solo,
nell’indicazione della data, il giorno e il mese (ma con l’eccezione delle lettere [XVIII]: 7
gennaio 1855 e [XXII]: 8 febbraio 1856) oppure, nelle ultime lettere, l’informazione:
senza data; ma talvolta si presentano anche elementi orari (nella lettera [XXIV] e
[XXVI]: mezzanotte) o i giorni della settimana (nelle lettere [XXVI]: Domenica, [XXVII]:
Sabato; [XXVIII]: Lunedì.
In genere manca il dato topico, fatta salva la lettera [I] (Monte Ilice), la lettera [XIX]
(Catania, 9 gennaio) e la [XXI] (Dal Convento, 30 gennaio). La prima lettera è introdotta
dal classico Mia cara Marianna, come nessun’altra delle lettere scritte da Maria, in cui
l’allocuzione o manca affatto o compare in forma più colloquiale; solo la lettera finale, e
giustificatamente dal punto di vista dell’emittente, è introdotta da Stimatissima signora
Marianna. Infine, nessuna lettera, tranne l’ultima di suor Filomena, reca la firma.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 76/S3
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di una capinera


Quella di Maria a rigore può essere definita appunto una ‘voce’ (sarebbe improprio
parlare di narratore in senso tecnico); è una ‘voce’ che proviene dal didentro della
vicenda e che vive nella storia (e per la storia) di cui è protagonista.
La presentazione dell’epistolario però reca traccia di una cura che saremmo tentati di
definire ‘editoriale’ (simile a quella esercitata da Lorenzo Alderani, destinatario delle
lettere di Jacopo Ortis nel romanzo epistolare foscoliano) nell’omissione (o nella
ricomparsa, narrativamente giustificata) nelle lettere successive alla prima di tutti quei
dati tecnici (allocuzione iniziale al destinatario, indicazioni relative al luogo e all’anno di
scrittura, firma). L’assenza della menzione del luogo, dell’anno, dell’allocuzione nella
forma canonica, e della firma è determinata dalla coscienza ‘editoriale’ che quei dati,
disposti sulla pagina di un volume, sarebbero parsi insieme ‘realistici’ ma anche ripetitivi;
il ricomparire dell’indicazione di luogo nelle lettere [XIX] e [XXI] avverte il lettore del
cambiamento, che è insieme di spazio e di contesto psicologico, della situazione in cui la
protagonista scrive; la ricomparsa dell’indicazione dell’anno nelle lettere [XVIII] e [XXII]
mira a rammentare al lettore l’estensione cronologica della vicenda.
Niente però ci viene detto esplicitamente su chi (e per quale congiuntura) abbia raccolto
queste lettere, anche se l’introduzione con cui si apre il romanzo lascia intendere che
proprio Marianna sia stata l’intermediaria di tale consegna.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 76/S3
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di una capinera


Nell’introduzione, scritta in prima persona, il narratore racconta di aver visto una
capinera imprigionata che muore per il desiderio di libertà; i due bambini “innocenti e
spietati”, che la volevano in gabbia, ne hanno decretato inconsapevolmente la morte.
La madre dei due bambini poi gli ha raccontato la storia di Maria e, a quel momento, la
corrispondenza fra la morte della capinera e quella della monaca gli è parsa evidente.
Senza che ciò venga detto, e dunque lasciando forte l’ambiguità che deriva dalla
mancata esplicitazione dei ruoli, il lettore può dare due interpretazioni: 1) una reale,
che identifica il narratore con l’autore implicito e 2) una letteraria e dunque ‘realistica’,
che distingue l’autore implicito dal narratore.
Nel primo caso risalta l’‘invenzione’ della storia da parte di un autore; ne discende
anche l’interpretazione sociale del romanzo nella costruzione del quale la parte
preponderante è svolta dal rapporto di quell’autore con il contesto storico in cui egli l’ha
inventata. Viceversa, nel secondo caso, il lettore accetta la convenzione del romanzo,
accetta di condividere la finzione di veridicità e, nel ‘realismo’ interpretativo che ne
consegue, collega il narratore dell’introduzione alla storia (e alle lettere che gliela fanno
conoscere) ipotizzando che la “madre dei due bambini” sia quella Marianna a cui Maria
scrive. In questa ambiguità si rimane anche quando nell’introduzione il narratore-autore
afferma di aver ‘intitolato’ la storia, averle cioè attribuito un’etichetta tutta letteraria.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 77
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di


una capinera
I fiorentinismi di Storia di una capinera
Fonetica. Vocalismo: conferma dei dittonghi dopo elemento palatale (muricciuolo e
donnicciuola, usignuolo, famigliuola e addirittura figliuoletto, giuocare, assiuolo); con-
ferma di intieramente e intieri. Ora tuono sta per l’evento atmosferico (manca nel sen-
so di ‘tono della voce’), mentre la regola del dittongo mobile è rispettata in rincorarmi
[IV]. Consonantismo: scompaiono (s)covrire, (s)coverto sostituite ora da (s)coprire
(5), (s)coperto (12); cambiamento (1) pareggia cangiata (1); una sola volta compare
sacrifizio (per -zi- per -ci- compaiono nella Storia rinunz-, uffizî, ma anche annunc-).
Resta dippiù (7) accanto a di più (4); abbietta (1) oscilla con abietta (1); isolato
obbligata (1).
Morfologia: Chieggo (1) non ha alternative, ma a veggo (11) si affianca anche vedo (2).
I pers. dell’imperfetto: nella prima coniugazione 47 uscite in -avo contro 5 in -ava. Di-
minutivi: -ino (scodellino, corpicino, testolina nell’introduzione; fiorellini, altarino, po-
verina, scatolino, cappellini, stanzino, risolino [I]); -etto (uccelletto, -i nell’introduzione;
uccelletto, casetta e casette, cameretta, deschetto, figliuoletto, maliziosetto [I]); -ello
(meschinella nell’introduzione; monticelli, grandicello [I]);-uccio (capannuc-cia2 in [I]).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 77
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di una capinera


Toscanismi (ma ora manca fo contro 7 occorrenze di faccio):
piccino (3 occorrenze + 1 la locuzione piccina piccina),
ruzzare (lettera [II]),
babbo (45 occorrenze),
desinare (verbo e sostantivo; 3 occorrenze nelle lettere II, III, V).
Cultismi: nel lessico castaldo, -a ‘fattore’, 12 occorrenze; fantesca 1; abbruciare 1
alterna con bruciare 1; mi fu d’uopo, IX); sul piano della sintassi permane di cui +
nome articolato: di cui le tende [XIII], di cui le pareti mi conoscevano [XXIX], di cui
le finestre sono velate [XL], di cui la sola idea [XLII].
Colloquialismi di marca toscana: forma impersonale per la I persona plurale (Rohlfs,
Grammatica storica, § 530):
“qual vita più beata di quella che si mena [cioè ‘meniamo’] qui?” [II];
“siamo insieme dal mattino alla sera; si passeggia, si chiacchiera, si giuoca, si fa
colazione e qualche volta anche si desina assieme” [III];
“Dopo si fece un po´ di musica” [IV];
“Si cantò, si rise, si stette molto allegri, si ballò anche... io no, sai!” [V];
“Per tornare a casa si doveva traversare la parte più fitta del castagneto” [IX] etc.
G. VERGA

MJIiiffllM

MILANO
FRATELLI TREVES, EDITORI
1873.
Avevo visto una povera capinera chiusa in gab -

bi'a : era timida, triste, malaticcia ; ci guardava con


occhio spaventato; si rifuggiva in un angolo della
sua gabbia, e allorché udiva il canto allegro degli
altri uccelletti che cinguettavano sul verde del
prato neir azzurro del cielo, li seguiva con uno
sguardo che avrebbe potuto dirsi pieno di lagrime.

Ma non osava ribellarsi, non osava tentare di

rompere il fi! di ferro che la teneva carcerata, la


povera prigioniera. Eppure i suoi custodi, le vole-
vano bene, cari bimbi che si trastullavano col suo
dolore e le pagavano la sua malinconia con miche
di pane e con parole gentili. La povera capinera
cercava rassegnarsi, la mesdiinella ; non era cat-
tiva; non voleva rimproverarli neanche col suo

dolore, poiché tentava di beccare tristamente quel

Storia di ima Capinera, l


miglio e quelle miche di pane ; ma non poteva in-
ghiottirle. Dopo due giorni chinò la testa sotto l'ala
e l'indomani fu trovata stecchita nella sua prigione.

Era morta, povera capinera ! Eppure il suo sco-


dellino era pieno. Era morta perchè in quel corpi-
cino e' era qualche cosa che non si nutriva sol-
tanto di miglio, e che soffriva qualche cosa oltre
la fame e la S9te.

Allorché la madre dei due bimbi , innocenti ^e

spietati carnefici del povero uccelletto, mi narrò la


storia di una infelice di cui le mura del chiostro

avevano imprigionato il corpo, e la superstizione


e l'amore avevano torturato lo spirito : una di quelle

ìntime storie, che passano inosservate tutti i giorni,

storia di un cuore tenero, timido, che aveva amato


e pianto e pregato senza osare di far scorgere le
sue lagrime o di far sentire la sua preghiera , che
infine si era chiuso nel suo dolore ed era morto;
io pensai alla povera capinera che guardava il cielo

attraverso le gretole della sua prigione, che non


cantava, che beccava tristamente il suo miglio, che
aveva piegato la testolina sotto l'ala ed era morta.
Ecco perchè l'ho intitolata: Storia di una capi-
nera
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 77/S1
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di


una capinera
Allego a questa sessione di studio la riproduzione in formato pdf delle prime pagine
dell’edizione Treves del 1873, contenenti l’introduzione dell’autore-narratore.

Organizzazione testuale dei capoversi: quattro paragrafi di differente lunghezza


(che indichiamo come A, B, C, D) distribuiti secondo un modulo di alternanza (ad un
paragrafo A più lungo, di 19 righe, ne segue uno più breve B, di 4 righe e mezzo; ad un
terzo capoverso C, di 14 righe, ne segue uno più breve D, di poco più di un rigo).

La coesione fra i capoversi e il parallelismo fra i due paragrafi più lunghi A e C è


ottenuta mediante la ripetizione di singoli elementi lessicali o di più ampi segmenti frasali
che rafforzano quanto, a livello semantico, viene affermato circa la correlazione fra
l’uccellino e Maria (segnaliamo i più evidenti e marcati):

© 2007 Università degli studi e-Campus - Via Isimbardi 10 - 22060 Novedrate (CO) - C.F. 08549051004
Tel: 031/7942500-7942505 Fax: 031/7942501 - info@uniecampus.it
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 77/S1
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di una capinera


-- timida del r. 2 (A) ribatte in timido del r. 30 (C)
-- e allorché del r. 4 (A) rilancia al primo rigo di C (r. 24)
-- uccelletti del r. 5 (A) è ripreso da uccelletto del r. 25 (C)
-- lagrime del r. 7 (A) ricorre di nuovo in C al r. 32
-- non osava ribellarsi, non osava tentare di A (r. 8) è parallelo a senza osare di far scorgere
di C (r. 31)
-- i suoi custodi, cari bimbi del r. 11 (A) è ripetuto, pur opposto di segno, ai rr. 24-25 due
bimbi, innocenti e spietati carnefici
-- il dolore della capinera è lo stesso dolore di Maria (A, r. 16; C, r. 33)
-- tentava di beccare tristamente quel miglio (rr. 16-17, in A) è ripreso in C, r. 36 come
beccava tristamente il suo miglio
-- chinò la testa sotto l’ala del r. 17 (A) è leggermente variato in C (r. 37): aveva piegato la
testolina sotto l’ala
-- prigione compare tanto in A (r. 18) quanto in C (r. 35).
Altri legami poi uniscono
A con B (Avevo visto una povera capinera al r. 1 e Era morta, povera capinera al r. 20;
Eppure al r. 10 e al r. 20, entrambi in apertura di periodo), e
C a D: storia al r. 26 e storie del r. 29 rinviano al titolo riferito ai rr. 38-39.

© 2007 Università degli studi e-Campus - Via Isimbardi 10 - 22060 Novedrate (CO) - C.F. 08549051004
Tel: 031/7942500-7942505 Fax: 031/7942501 - info@uniecampus.it
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 77/S1
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

L’esperienza fiorentina: Storia di una capinera

Piani cronologici:
A+B tutto all’imperfetto (salvo l’occasionale adozione del passato remoto al r. 17);
C+D al passato remoto e Allorché, con cui si apre C avverte dello cambiamento del livello
cronologico.

Compassione:
1) diminutivi: uccelletti, r. 5 (A), meschinella r. 14 (B), scodellino rr. 20-21(B), corpicino rr.
21-22 (B), uccelletto r. 25 (C), testolina r. 37 (C) (cui si può aggiungere anche malaticcia, r. 2
in A) alcuni dei quali a strettissimo contatto, come ai rr. 20-22
2) iterazioni: non osava [...] non osava, r. 8 (A), Era morta [...]. Era morta [...] qualche
cosa [...] qualche cosa, rr. 20-23, in B
3) commenti: rr. 9-10 (A): “Ma non osava ribellarsi, non osava tentare di rompere il fil di
ferro che la teneva carcerata, la povera prigioniera”
rr. 10-11 (A): “Eppure i suoi custodi, le volevano bene, cari bimbi che si trastullavano etc.
rr. 13-14 (A): “La povera capinera cercava rassegnarsi, la meschinella”
4) aggettivi: una povera capinera, r. 1; povera prigioniera, r. 10; la povera capinera, r. 13;
povera capinera, r. 18; povera capinera, r. 34 (si aggiunga l’aggettivo sostantivato la
meschinella al r. 14)

© 2007 Università degli studi e-Campus - Via Isimbardi 10 - 22060 Novedrate (CO) - C.F. 08549051004
Tel: 031/7942500-7942505 Fax: 031/7942501 - info@uniecampus.it
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 77/S2
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui contenuti


studiati nelle lezioni precedenti dedicate all’analisi
linguistica di Storia di una capinera, lo studente è
invitato a compilare il test associato a questa
sessione di studio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 77/S2
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 3

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto
finale e gli studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un
esercizio di controllo dei contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto
fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad inviare i risultati del proprio test al
docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-portfolio; tali risultati
possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test
e ne darà conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato
della prova finale, invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole
lezioni o chiarendo ulteriormente quello che non è stato pienamente compreso.

46) Illustrate il significato linguistico e stilistico che Storia di una capinera


rappresenta nel percorso verghiano
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 77/S3
Titolo: L'esperienza fiorentina: Storia di una capinera
Attività n°: 1

TEST: esercizio sulle banche dati


Utilizzando le opere verghiane interrogabili su
-- la banca dati Biblioteca Italiana (http://www.bibliotecaitaliana.it/
verificate la persistenza nella lingua verghiana dei seguenti toscanismi:
piccin*
babbo (da valutare numericamente in confronto con padre)
ruzzare
desinare

I risultati della ricerca (dati quantitativi ed commenti) dovranno essere


inviati tramite eportfolio, avvertendo al contempo il docente sul sistema
di messaggistica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 78
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 2

A Milano: da Frine a Eva


Sono solo quattro le lettere verghiane (note o conservate) del periodo intercorso fra il
rientro a Catania nel settembre 1869 e il 1872 (cfr. Giovanna FINOCCHIARO CHIMIRRI,
Regesto delle lettere a stampa di Giovanni Verga, Catania, Società di Storia patria per la
Sicilia Orientale, 1977, pp. 12-13); per l’esattezza una a Francesco Dall’Ongaro, una a
Caterina Percoto e una a Luigi Capuana (con il quale l’amicizia era iniziata proprio a
Firenze), infine una allo zio Salvatore (cfr. Verga, Lettere alla famiglia (1851-1880), cit.,
p. 189); tutte scritte da Catania.
Il 13 novembre del 1872 però Verga annuncia a Capuana:
“Mio caro Luigi,
Lunedì prossimo probabilmente partirò per Milano; son dolentissimo di non averti
meco, e più dolente di non poterti stringere la mano prima di partire. [...] Se sei nel
caso di presentarmi per lettera a qualche editore o direttore di giornale l’avrei assai
caro – e se per mezzo tuo potessi ottenere un’occupazione modestissima in qualche
giornale te ne sarei assai grato” (Giovanni Verga, Lettere a Luigi Capuana, a cura di
Gino Raya, Firenze, Le Monnier, 1975, pp. 28-29).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 78
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 2

A Milano: da Frine a Eva


Evidentemente il Capuana gli fornì una lettera di presentazione per Salvatore Farina
(1846-1918) allora già redattore della “Rivista musicale” e della “Rivista minima”, poiché
nella lettera del 7 febbraio 1873 Verga, da Milano, scrive all’amico, sindaco di Mineo:
“Mio caro Luigi,
Ho conosciuto il sig. Farina e ti son gratissimo di cotesta simpatica relazione che mi
hai procurata. Noi parliamo spesso di te, ed io mi sfogo con lui del dispetto che mi
fa la tua sindacatura” (VERGA, Lettere a Luigi Capuana, cit., p. 30)
e aggiunge (ivi, p. 31):
“Io ho finito ieri l’altro il mio nuovo romanzo Eva, ed il mio entusiasmo si è sbollito
dietro un editore che mi offriva 300 lire credendo di pagarmi profumatamente”.
Concluso dunque ai primi di quel mese il nuovo romanzo, il 21 febbraio successivo Eva
poteva essere promesso all’amico (p. 36): “Fra qualche mese spero mandarti il nuovo
mio lavoretto che ho finito adesso”. È però probabile che soltanto a ridosso del 5 aprile
fosse stata scritta la premessa che accompagna il romanzo a stampa, come si deduce
dalla lettera inviata da Verga a Capuana proprio quel giorno (pp. 37-39):
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 78
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 2

A Milano: da Frine a Eva


“Mio caro Luigi,
[...] La mia Eva dorme il sonno della sua omonima, prima del serpente: non che io sia
perfettamente sicuro della sua innocenza, anzi il beghinismo letterario dominante mi ha messo
in capo certi scrupoli sull’opportunità di metterla fuori così scollacciata come la verità, ché ho il
gravissimo torto di chiamare pane il pane, ed ho paura di scandalizzare le adultere e di farmi
lapidare dai ruffiani e dagli ipocriti. Vorrei averti qui per addossarti una parte di cotesto scandalo
letterario, e per domandare alla tua franchezza se l’arte abbia torto davvero a commoversi di
certi dolori che son frutto della nostra civiltà positiva ed avida di piaceri, e qual cosa sia più
onesta (dato che cotesta arte impressionabile e vagabonda si fermi a gettare uno sguardo sulle
miserie che giacciono in fondo ad una società, ch’è laboriosa solo per poter essere gaudente) se
inneggiare ad un arcadico sentimentalismo ch’è sempre sulle bocche degli epicurei, o
squadernare loro in faccia i dolori che frutta cotesto epicureismo, se non per farli piangere, se
non per farli arrossire, almeno per farli scuotere incolleriti.
Io esito ancora, e forse domanderò un parere al Farina. Se potessi avere anche il tuo mi
conforterebbe assai il pensiero, nel caso che sotto la vostra egida andrei ad affrontare gli urli ed
i sassi dei sullodati ruffiani, bordellieri e femmine di mondo, che c’è stata pure della gente
onesta che ha pensato come me che la verità non ha bisogno di essere ipocrita. Tu però sarai
convinto, non ne dubito, che il tuo amico è persuaso di essere nel vero, è almeno di buona fede,
e che soprattutto egli è uomo onesto almeno quanto vogliono sembrarlo gli ipocriti”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 78/S1
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

A Milano: da Frine a Eva

Eva uscì in effetti nell’estate del 1873, con una premessa (della quale è traccia, per
tono e contenuto, nella lettera appena citata) con la quale Verga sperava di prevenire
le obiezioni moralistiche sul romanzo.
Quella premessa interpretava (alla luce del nuovo ambiente scapigliato milanese
frequentato da Verga in quei mesi) la storia d’amore della ballerina Eva e del pittore
Enrico Lanti per tanti tratti narrativi e tematici affine alla storia raccontata in Frine.
L’autore stesso del resto percepiva la continuità fra l’antica idea che aveva presieduto
al romanzo poi abbandonato e la scrittura (o meglio a suo dire, riscrittura) nel nuovo.
Nel seguito della lettera al Martini del 5 novembre 1880, destinata a tracciare il
proprio esordio (ne abbiamo letto già uno stralcio nelle lezioni dedicate all’esperienza
catanese) il Verga racconta:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 78/S1
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

A Milano: da Frine a Eva


“Mi trovavo qui [Verga scrive da Milano] da poco, con poche speranze di riuscire a
fare qualche cosa che valesse la pena di essere stampato e letto, senza conoscer
nessuno, triste e sconfortato, e passavo le sere in un cantuccio del caffè Gnocchi, a
sentir la musica e a guardar la gente. [...] In quel tempo scrivevo Eva o piuttosto
la riscrivevo. Farina mi diede una lettera pel Treves, il quale mi accolse
freddamente, nicchiò un pezzo prima di prendere il romanzo, e me ne diede 300 lire.
Tu ne scrivesti un articolo, anzi due, che insieme con le 300 lire del Treves mi parvero
che assicurassero il mio avvenire letterario da tutti i lati. In conclusione, ho
cominciato come tanti altri, ma sono stato più fortunato di tanti altri” (Giovanni
VERGA, Lettere sparse, a cura di Giovanna Finocchiaro Chimirri, Roma, Bulzoni, 1979,
p. 102).
Gli articoli scritti dal Martini all’uscita di Eva erano due delle molte recensioni che l’editore
aveva sollecitato al momento dell’uscita congiunta della seconda edizione di Storia di una
capinera e di Eva; non meno di quattordici recensioni che avevano salutato, nel bene o
nel male, il nuovo romanzo. Perché il Martini (con lo pseudonimo di Fantasio) ne avesse
scritto addirittura due lo raccontava (con saporoso fare divertito) il Martini stesso nel
secondo suo intervento dal titolo Domando la parola (“Il Fanfulla”, a. IV, mercoledì 1
ottobre 1873, nr. 265, p. 2):
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 78/S1
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

A Milano: da Frine a Eva


“[...]. Dacché ho lodato nelle colonne del Fanfulla, e lodato en toute foi et
conscience il romanzo del signor Verga - EVA, - il postino mi porta tutti i giorni
un mucchio di lettere, nelle quali venti brave persone o si meravigliano dei miei
encomi, o ne domandano il perché, o cacciano le alte grida, perché ho detto
bene di un libro che viola, secondo loro, tutte le leggi dell’arte e della morale.
[...] «Dio buono! - mi scrive un padre di famiglia da Udine - se la mia figliuola,
di sedici anni, viste le raccomandazioni che il Fanfulla ha fatte del romanzo del
signor Verga, lo avesse letto, che sarebbe avvenuto?...» Quel che sarebbe
avvenuto io non sono proprio in grado di dirlo. Probabilmente nulla di male. Ad
ogni modo son lieto di cogliere questa occasione per avvertire i babbi d’Udine e
d’altri siti che io non ho mai preteso di far da educatore alle ragazze di sedici
anni, un ufficio arduo e, secondo l’opinione mia, non divertente. [...] Ma questa
pretesa immoralità nel libro del signor Verga non c’è. La rappresentazione del
brutto in arte non è di per se stessa immorale. [...] Tutte le volte che un
romanziere o un commediografo pigliano a trattare un argomento un tantino
scabroso non si sente che ripetere da ogni parte: - Le ragazze! le ragazze!
Benedette figliuole! non veggo l’ora che si maritino”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 78/S2
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

A Milano: da Frine a Eva


Tutte le recensioni che il romanzo ricevette toccarono la questione della trama e della
morale, ma talora affrontavano anche quello della lingua. Per esempio Carlo D’Ormeville,
su “Il Pungolo, giornale politico letterario” (Milano), a. XV, nr. 216 del giovedì 7 agosto
1873 diceva:
“Lo stile è facile; la lingua italianissima, ma di quella che tutti conoscono, di
quella che si parla dalle persone ammodo, non di quella che si pesca a
fatica nei vortici della Crusca”.
A parte quest’unico giudizio positivo, le riserve di lingua e di stile erano pesanti. L’anoni-
mo (probabilmente Salvatore Farina) che recensì Eva sulla “Rivista minima” (a. III, nr. 16,
del 17 agosto 1873, nella rubrica "Rivista letteraria", pp. 252-254) diceva:
“Tutte queste doti, che nel Verga ci fan salutare un buon novelliero, sono controbi-
lanciate da alcuni difetti che spariranno presto anch’essi. Il primo, assai grave, è
la forma scorretta; là dove il pensiero si eleva sulle ineleganze del lin-
guaggio parlato, siamo ancora a quelle ineleganze; lo stile è rotto, asma-
tico, abbondante di francesismi e di idiotismi; ed è pure povero; vi si ripe-
tono con molta frequenza in una pagina, in un periodo, in una linea, gli
stessi modi di dire, le stesse parole”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 78/S2
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

A Milano: da Frine a Eva


Angelo De Gubernatis (che già nel 1871 aveva recensito Storia di una capinera), su “La
Rivista Europea” (a. IV, vol. IV, fasc. I, 1873, pp. 172-173), puntava il dito tanto sullo
stile quanto sul lessico:
“Il signor Verga ha in Firenze rinnovato quasi intieramente il suo gusto letterario: al-
cuna traccia della prima sua forma alquanto acrobatica è pur tuttavia rimasta quà e
là, e ci pare gran peccato; vi sono ancora situazioni, emanazioni inebbrianti, scara-
bocchi inzuppati di lacrime, esplosione di tutte le ire, brani di cuore strappati da pe-
nose voluttà, brani di ragione torturati dal delirio, curiosità spasmodica, spasimo di
abbeverarsi di voluttà, fascino mordente che la lettera esercitava, l’occhio freddo e
scintillante di collera come una lama d’acciaio, realizzazione di castelli in aria, cervelli
che si atrofizzano ed altre espressioni conformi, o improprie o ineleganti, o
false o esagerate più contorte e forzate che energiche, le quali sentono
forse l’ebbrezza, la voluttà, lo spasimo, il delirio, il fascino o qualsiasi altra
consimile perturbazione dell’animo, ma più ancora l’assensio forestiero e
privano pertanto lo scritto di una parte della sua candida naturalezza italiana. Il Verga
ha fatto miracoli, recandosi a scrivere con la grazia e col vigore che notiamo in questi
suoi due racconti originali ed appassionati; ma, poich’egli seppe far tanto, non gli
incresca di adoperare le ultime sue cure, per recare le opere sue a quella maggior
perfezione che esse possono ancora ricevere”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 78/S2
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

A Milano: da Frine a Eva


Anche la stroncatura apparsa anonima nella “Nuova Antologia”, XXV, gennaio 1874, p.
248 (cominciava: “Questo libro infligge una turpe macchia in fronte alla società moderna.
Sono gli amorazzi di un pittore con una ballerina)”, concludeva sulla lingua:
“La narrazione procede rapida, viva, colorita assai; e, se ne togli forme e imma-
gini strampalate, e frasi e voci di cattiva lega, questo lavoro accenna vigoria di
mente e attitudine a trattare questo genere di letteratura”.
Infine Fantasio (cioè Ferdinando Martini), nel primo dei due articoli dedicati a Eva, che
pure dichiarava essere “uno dei più bei romanzi - secondo me - che sieno stati pubblicati
di recente in Italia”, (“Il Fanfulla”, a. IV, giovedì 11 settembre 1873, nr. 245, p. 2):
“Vorrei come della sostanza dir bene anche della forma del libro: ma in coscienza non
posso. - Perché tanta cruda realtà in quello, tanta vaga indeterminatezza in
questa?Cito queste frasi fra le altre: Nei suoi occhi c’erano sguardi affascinanti come
il corru-scare d’un esistenza procellosa che vuol dire? Che cos’è un sorriso di vergine
in cui lampeggia l’imagine d’un bacio? E quest’altra: Fra il chiasso e la calda
atmosfera s’in-dovinava come un fiore di salone che passava, al profumo, al fruscio
particolare della veste, e certe leggiadre esitazioni da uccelletto spaventato. Non
vede il signor Verga, come il disegno si perda per soverchia smania di colore?
come le immagini, accavallandosi l’una sull’altra in un barocchismo
inelegante, tolgano ogni evidenza al pensiero?”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 78/S3
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

A Milano: da Frine a Eva

Come Verga ricorda scrivendo al Treves, egli seguiva con molta attenzione le
recensioni che man mano uscivano su Eva; doveva essere da poco uscita quella
anonima sulla “Rivista Minima” quando, il 4 settembre 1873, lo scrittore inviava a
Treves questo biglietto:
“Io leggo attentamente tutte le critiche, e cerco di approfittare degli appunti; ma
in fatti di lingua, meno le imperfezioni che sono il primo a confessare, e che fo di
tutto per isfuggire, sono convinto di essere non del tutto fuori di via, e non
vorrei scrivere com e Fanfani, neanche se m i facessero accadem ico della
Crusca .
Del resto ti dirò come quell’autore, che se i critici trovano dei difetti in quelle sue
cosucce, io ce ne trovo assai più di loro, e cerco di far meglio” (Verga, Lettere
sparse, p. 46 oltre che in Gino Raya, Verga e i Treves, Roma, Herder, 1986).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 78/S3
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

A Milano: da Frine a Eva


Certo l’ideale verghiano in fatto di lingua non era quello puristico di Pietro Fanfani (1815-
1879), che, almeno nei primi anni “Aveva collaborato pure alla stesura del Vocabolario
Giorgini-Broglio”: un purismo, quello del Fanfani che patrocinava il modello dell’uso
toscano e fiorentino (a questa data egli aveva già pubblicato il Vocabolario della lingua
italiana, 1855 e 18652, il Vocabolario dell'uso toscano e il Vocabolario della pronunzia
toscana, entrambi del 1863, le Voci e maniere del parlar fiorentino, 1870), avverso ai
francesismi e ai forestierismi (di lì a poco avrebbe collaborato con Costantino Arlia per il
Lessico della corrotta italianità, Milano 1877, poi Lessico dell'infima e corrotta italianità,
1881), convinto dell’esistenza di fatto di una lingua italiana già esistente su base
fiorentina che rendeva inutili le lamentele di quanti, dietro Manzoni, rivendicavano la
necessità di interventi a favore di un’unità linguistica da conquistare che per Fanfani già
c’era nei fatti tanto da fargli pubblicare nel 1868 un volume il cui titolo non poteva essere
più esplicito: La lingua italiana c'è stata, c'è, e si muove. (Le parole fra virgolette sono
tratte da Edoardo Zamarra, Fanfani Pietro, in Dizionario biografico degli italiani, Roma,
Istituto della Enciclopedia Italiana, vol. XLIV, 1994.
La reazione di Verga alle critiche mosse alla lingua di Eva e la sua insofferenza nei
confronti di personaggi come il Fanfani è determinata dal fatto che per lui il problema
non è lessicale, morfologico, sintattico ma di stile.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 78/S3
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

A Milano: da Frine a Eva


Della difesa presa a suo nome sulla moralità di Eva, Verga ringraziò il Martini dalla Sicilia,
dove era nel frattempo rientrato, il 10 ottobre 1873 (Verga, Lettere sparse, p. 47) e da
quell’episodio nacquero reciproca stima e amicizia. In segno di stima, ai primi di febbraio
dell’anno seguente, il letterato toscano aveva fatto giungere allo scrittore una copia del
proprio Peccato e penitenza, scritto nel 1870, ma pubblicato a Firenze nel 1873. Il volu-
me era finito a Catania, mentre Verga era a Milano e solo quando alla fine del febbraio
1874, Verga ne entrò in possesso e poté leggerlo, commentò così presso il Martini:

“Mio Egregio Amico,


[...]. Ho divorato il suo libro prima, e l’ho riletto poi per mio conto esclusivo onde ten-
tare di rubarle il segreto di quella grazia disinvolta che sapete dare agli scritti voialtri
toscani, parlo dei toscani che scrivono come lei. [...] L’arte da noi, almeno cotesta
forma dell’arte, s’è un po’ troppo ammuffita negli stanzoni delle Accademie, mentre
altrove agitavasi colla vita rigogliosa di tutti i giorni. [...] cogli entusiasmi archeologici,
convenzionali e morali avremo sempre di quelle opere smascolinate che adornano la
letteratura fiacca, quando non è ipocrita, della Antologia. [...]” ( Verga, Lettere spar-
se, pp. 58-59; il riferimento all’Antologia è certo da connettere alla stroncatura che
era uscita su quel periodico).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 79
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

Eva
Le obiezioni fatte dai recensori alla lingua di Eva, riguardavano, come abbiamo visto,
vari aspetti: il lessico in primo luogo (forestierismi, povertà lessicale, inappropriatezza),
ma anche e soprattutto contorsione sintattica e (per usare il termine utilizzato da
Ferdinando Martini) ‘barocchismo’ di immagini in cui si riaffaccia l’enfasi romantica della
giovinezza, magari rinfocolata dalla rilettura di Frine al momento di riscriverlo in Eva.
La messa sotto il riflettore, da parte di De Gubernatis e Martini, di veri e propri piccoli
orrori, estratti come perle negative dalla prosa del romanzo, non rende giustizia
complessiva a Eva, nel quale, a parte momentanee cadute di rigore, di tono, di misura,
la critica ha riconosciuto uno snodo artistico importante, sia nella gestione sapiente dei
momenti di dinamicità e di stasi, sia nella piena percezione dell’autonomia dei tempi
della storia narrata e dei tempi del racconto, sia infine nella costruzione del discorso
riportato (Eva è il primo romanzo in cui il dialogo viene costruito con notevole scioltezza
anche per l’adozione, più frequente che in passato, del discorso diretto libero).

In effetti l’analisi linguistico-stilistica di un testo (nel nostro caso il romanzo Eva) può
procedere su due livelli:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 79
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

Eva
1) uno di carattere microtestuale, secondo il quale il testo viene valutato per le scelte
linguistiche puntuali, come per lo più abbiamo fatto finora, sia che lo si guardi in
maniera a) statica o b) dinamica; in tale prospettiva, del nuovo romanzo possia-
mo a) descrivere la lingua di Eva oppure b) individuare il percorso fatto da
Verga nel ‘riscrivere’ Frine in Eva . A questa seconda strategia, come più effica-
ce dal punto di vista didattico, faremo ricorso nella nostra descrizione del romanzo
del 1873, sia b1) in una prospettiva più generale, mettendo a confronto il
cap. I del vecchio romanzo (su cui abbiamo svolto l’analisi linguistica qualche le-
zione fa) e la prima partizione testuale di Eva potremo valutare la
differen-te efficacia narrativa di uno spezzone di testo (corrispondente per
la più par-te), sia b2) con un approccio più dettagliato, che metta a frutto il
movimento va-riantistico che è possibile ricostruire comparando il capitolo XXX di
Frine, riusato, in una più efficace collocazione narrativa, come epilogo in Eva;
2) uno macrotestuale, che analizzi le strategie narrative di Eva (a paragone con quelle
adottate in Frine e nei precedenti romanzi) e che analizzi a) il rapporto fra auto-
re e narratore/narratori e le modalità di narrazione, b) la gestione dei
tempi narrativi in rapporto al tempo della narrazione, c) il rapporto fra
discorso riportato, discorso riferito e narrazione vera e propria.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 79/S1
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

Eva
La presenza, anche in Eva, come già nei Carbonari e in Storia di una capinera di un
segmento testuale iniziale con funzione di introduzione o premessa, mostra i tentativi
verghiani di chiarire a se stesso (e mettere ordine) i diversi ruoli delle voci che si
intersecano nella polifonia del romanzo moderno. Che siano tutti quanti esperimenti, utili
a mettere alla prova punti di vista e ruoli narratologici diversi è provato proprio dalla
difformità dei tentativi.
A parlare nella premessa dei Carbonari è l’autore implicito, che si autorappresenta ap-
punto all’atto della scrittura, parziale e interrotta per un periodo e poi ripresa, coinvolto
negli eventi del suo tempo. Questa presenza ingombrante fa sì che si crea una certa am-
biguità fra l’autore che scrive la premessa e il narratore che gestisce la narrazione del ro-
manzo. La scarsa capacità di distinguere i ruoli reciproci delle due figure pare confermato
anche dall’assenza della premessa in Una peccatrice, nella quale campeggia solo quel
narratore, personaggio interno, che conduce una narrazione opaca, e che di fatto è ‘au-
tore’ della redazione scritta della storia d’amore di Narcisa Valderi e Pietro Brusio; l’onni-
scienza del narratore (limitata sulla carta dalla sua dipendenza dalle informazioni fornite-
gli da Angiolini) è tutelata dall’ambiguità del suo statuto (la dettagliata descrizione fisica
dei personaggi dipende dal fatto che anche il narratore è personaggio interno).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 79/S1
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

Eva
Se nei Carbonari avevamo visto una netta preponderanza del ruolo dell’autore a sfavore
del narratore, con una Peccatrice, ma anche con Storia di una capinera, assistiamo
all’oscillazione opposta verso l’altro polo. In entrambi centrale è la presenza del narratore,
sebbene con caratteristiche divergenti; nella Storia di una capinera infatti il narratore (o a
seconda dell’interpretazione che se ne dà, l’autore implicito) si rappresenta come
personaggio nella premessa, ma nel testo delega la conduzione della storia alla ‘voce’ di
Maria, a suo modo conseguendo (per quanto per ora in maniera tutto sommato
tradizionale) una sorta di ‘oscuramento’ del narratore a cui viene attribuito solo un ruolo
‘editoriale’ delle lettere della protagonista.
In Frine, infine, come già in Una peccatrice, il romanzo è gestito da un narratore-
personaggio interno (indistinto rispetto all’autore), amico del protagonista di cui riceve le
confidenze, ma egli stesso personaggio attivo stavolta, non solo perché anche in questo
caso egli conosce gli personaggi e dialoga con essi (come, per esempio, la Manili), ma
soprattutto perché egli prende parte all’azione sia accompagnando Deforti sul Lago
Maggiore e poi facendogli da secondo in occasione del duello, sia visitandolo quando
ormai è moribondo, sia infine difendendone la memoria dopo la morte
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 79/S1
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

Eva
La premessa a Eva, per la prima volta nella carriera verghiana, mette in chiaro la
differenza dei ruoli narratologici fra autore implicito e narratore; lo statuto del narratore
di Eva è grosso modo lo stesso di quello presente in Frine, ma quella premessa, di solito
valutata soltanto nei suoi contenuti (rivendicazione del diritto dell’arte a rappresentare
senza ipocrisie le situazioni in cui l’ideale del benessere entra in conflitto con gli ideali e
con l’amore) nella quale parla l’autore rappresenta anche uno sviluppo narratologico
importante, la assunzione (nella coscienza verghiana) della differenza di piani e di ‘attori’
nella gestione della narrazione.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 79/S2
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

Eva
Eva non ha partizioni interne, ma è sezionato tipograficamente da tre asterischi. A questo
proposito scrisse Giacomo Debenedetti (Verga e il naturalismo, p. 189):
“E qui dobbiamo notare quanto sia già matura, nel modo di composizione e nello scandire gli
episodi, l’arte del Verga narratore. Ha già trovato il suo respiro: a brevi e concisi e intensi
capitoletti, vere e proprie strofe o lasse narrative, che gli permettono di procedere per epi-
sodi essenziali, tutti midollo. Nel loro succedersi, ciascuna di queste porta il suo contributo,
aggiunge una cosa importante, fa andare avanti il romanzo. Gli stacchi netti lo costringono a
circoscrivere il nostro episodio, a risolverlo senza sbavature, in quella misura asciutta, in-
tensa e succinta del bozzetto, che per lui è la più favorevole e veramente congeniale. Gli
spazi bianchi tra l’una e l’altra strofe assorbono, quasi sostituiscono quel tempo amorfo, di
pura maturazione, o di pausa, senza eventi nuovi o significativi, dei quali pure il romanziere è
tenuto a dar conto, perché un romanzo è anche una durata, un’estensione nel tempo, e
nessun romanziere può esimersi dal renderne conto, sotto pena di inverosimiglianza, di in-
naturalezza [...]. Il discontinuo, cioè le accelerazioni e le crisi che fanno bello, emozionante,
drammatico, rivelatore un romanzo, si rileva proprio sulla continuità del tempo. Verga ha
trovato un modo elegantissimo e snello di darci l’equivalente di questa continuità evitando-ne
la molestia, quando attraversava zone infruttuose. Ce ne offre un surrogato, per così dire
spaziale: ce lo mette sotto l’occhio, simboleggiato in quelle isole di spazio bianco”
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 79/S2
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

Eva
Come quando, alla fine della ‘lassa’ in cui per la prima volta Enrico è entrato nella camera
di Eva, segue, improvviso, il racconto dell’amplesso:
“[...] Improvvisamente una luce più viva invase la camera, ed entrò Eva.
Ella corse verso di me; mi afferrò improvvisamente il capo, senza dire una parola, e mi
diede un bacio.
– Ecco il tuo thè! mi disse.
***
E quand’io la baciavo, quand’io la soffocavo di carezze deliranti, ella metteva un piccolo
grido – un grido pieno d’amore e di voluttà.
– Ahi! mi fai male! esclamava.
Si svincolò ridendo dalle mie braccia [...]”;
oppure come quando Enrico improvvisamente ricorda:
“[...] Come ti amo! mi diceva. Come ti amo!
***
Un giorno mi disse, quasi paurosa:
– Come farò a non amarti più?
***
E un’altra volta:
– Sai ch’è più di un mese che ti amo così! [...]”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 79/S2
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

Eva
A proposito di questa variabilità nella misura delle ‘lasse’ diceva ancora Debenedetti (p.
190):
“E bella ancora, funzionalmente bella, se vogliamo esprimere in modi tecnici quelli
che sono risultati artistici, l’elasticità di queste strofe: alcune brevissime, due righe,
una battuta, e hanno già soddisfatto al loro compito architettonico ed espressivo,
altre di varia lunghezza, ma con una estensione interna indipendente dalla loro
misura: sicché una potrà seguire tutto un dialogo bene innervato come una scena di
teatro che davvero getti nuova luce sui caratteri, o mandi avanti l’azione, altre
esaurire di scorcio, in un resoconto stringatissimo, ma esauriente, ma non cronistico,
la materia di un intero romanzo”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 79/S3
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

Eva
Infine la velocità e naturalezza del dialogo si può misurare sia nella dislocazione dei
verba dicendi che con varia disposizione si collocano, prima, al centro o dopo il
discorso diretto, sia nella tentata (anche se magari non sempre conquistata)
variazione lessicale per introdurlo (al banale dire si aggiungono esclamare,
soggiungere, mormorare, ripetere, ripigliare, rispondere etc.), sia infine (a
incrementare la differenza fra scelte obbligate) l’aggiunta di dettagli sulla ‘recitazione’
delle battute.
Ma soprattutto contribuisce a dare l’impressione di spontaneità dialogica l’alta
incidenza del discorso diretto libero, in cui il verbo introduttivo è omesso e lo scrittore
confida nei soli indicatori grafici per segnalare il cambio di emittente (la lineetta e/o
l’andata a capo).
Se ne veda un esempio nel brano successivo nel quale ho evidenziato con differenti
sottolineature la collocazione del verbo introduttivo, con colori differenti la diversa
scelta lessicale, e con il segno ∨ l’omissione del verbum dicendi.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 79/S3
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

Eva
“– Ahi! mi fai male! esclamava.
Si svincolò ridendo dalle mia braccia; mi guardò fiso, con quegli ardori negli occhi, stendendo le
mani per tenermi discosto, ed esclamò:
– Come sei bello! Come devi amar tu! – Vieni, soggiunse sottovoce, prendendomi per la mano.
Zitto! vien qui! accanto a me!
Lisciava i miei baffi, arruffava i miei capelli e li intrecciava coi suoi, mi prendeva la testa fra le
mani per guardarmi a lungo negli occhi, e mormorava:
– Bambino! bambino mio bello!
Ad un tratto si fece seria; mi affissò con certi occhi attoniti, e mi disse:
– Mi pare di amarti davvero – guarda!
Saltò dalle mia ginocchia come un uccello, corse all’uscio e girò la chiave.
– Buona notte, signori! disse, e volgendosi verso di me, con uno scroscio di riso infantile: – Se ci
vedessero!
Si udì uno scoppio di voci e di recriminazioni al di là dell’uscio.
– Ho sonno! ripeté Eva. Buona notte!
– Che imbecilli! soggiunse quindi, si credono in diritto di annojarmi anche quando son felice!
Stette ad ascoltare, e ripigliò dopo alcuni istanti:
– Se ne vanno; finalmente! Verrai domani, non è vero?
– Sì. ∨
– Alla stessa ora. Mi aspetterai in teatro? ∨
– Sì. ∨
...
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 79/S3
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

Eva
– Anzi fai così: m’aspetterai in fiacre, in piazza Santa Maria Nuova. Verrò a trovarti io stessa.
Prendi il fiacre numero nove; mi piace il numero nove; è la data del giorno in cui mi hai
conosciuta. Ora che farai? ∨
– Come vuoi ch’io te lo dica se non lo so... se non ho più testa, se ho la febbre!... ∨
Ella aveva i capelli disciolti, e me ne sferzava il viso con certi movimenti felini. – Ebbene, mi
disse, se hai la febbre vai a casa.
– No, starò a vederti dormire! ∨
– Eh?! ∨
– Starò a guardare le tue finestre, e ti vedrò dormire. ∨
Ella sorrise in modo inesprimibile, e mi avventò un bacio come un morso.
– Birbone! ∨
Scostò colle sue mani i capelli dalla mia fronte; mi guardò con certi lampi abbaglianti negli occhi
– mi guardò a lungo così, tenendomi la fronte fra le mani – e poscia, come rispondendo a se
stessa:
– Vattene! mi disse, vattene! e non mi lasciava, e sporgeva verso le mie le sue labbra sitibonde, e
chiudeva gli occhi.
Mi richiamò di nuovo, quand’ero sulla soglia dell’uscio. – Dammi qualche cosa di tuo, mi disse;
dammi il tuo fazzoletto.
E poscia un’altra volta:
– Aspetta! voglio che anche tu pensi a me”. ∨
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 80
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

Il primo tratto di Eva


Quanto si è appena detto riguardo alle novità narratologiche e dunque relative al piano
macrotestuale che intervengono in Eva rispetto ai romanzi precedenti in genere e
rispetto a Frine in particolare, ha una diretta correlazione sul livello microtestuale e con
le scelte linguistiche puntuali.
Per rendersene conto basta verificare cosa succede nel trapasso fra il I capitolo di Frine
e il primo tratto o ‘lassa’ di Eva (che trovate in allegato a questa sessione di
studio e che potrete paragonare con quanto è stato già distribuito trattando del
romanzo inedito): le due porzioni testuali, pur avendo precisa somiglianza anche
letterale in più punti e corrispondendosi tanto nella funzione di aprire i due romanzi, sia
nel tratteggiare una situazione analoga se non addirittura identica, sono profondamente
difformi per svarianti aspetti.
Intanto un primo dato quantitativo ci dice del ‘prosciugamento’ che Verga ha saputo
imporre alla propria prosa giovanile rivedendola a distanza di tempo; dalle 901 parole
che costituivano il cap. I di Frine si è passati a 712 parole nel corrispondente tratto di
Eva.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 80
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

Il primo tratto di Eva


È merito della forte riduzione delle dittologie, abusate in Frine, così come della maggiore
asciuttezza nell’aggettivazione rigogliosa e sovrabbondante del romanzo inedito e infine
della cancellatura dell’ostentata esposizione dei dettagli descrittivi che caratterizzavano la
redazione del romanzo giovanile (sono quasi del tutto scomparsi i forestierismi alla moda
e la ricca tipologia delle carrozze, ridotta ora al fiacre, al legno o legnetto e a carrozza) e
delle varie ripetizioni inutili alla progressione del racconto. Ma la maggiore concisione è
ottenuta anche tramite la cancellazione del dialogo finale fra il narratore e Vittorina e
delle considerazioni del narratore sulle proprie impressioni. Il brano è più ordinato,
organizzato com’è in Eva in quattro capoversi che descrivono la protagonista femminile
(in Frine la bellezza della donna era enunciata, ma mancava qualsiasi traccia della sua
concretezza fisica), ne forniscono i dati anagrafici, raccontano le condizioni del duplice
incontro e infine registrano il mutismo finale della compagna del narratore.
Quest’ultimo assume (rispetto all’ingenuità impressionabile del suo predecessore) un’aria
più scanzonata (Eva 1-2: ”non era più bella di tutte le altre, né più elegante, ma non
somigliava a nessun’altra” da paragonare con Frine 1: “una donna di meravigliosa
bellezza”); ne consegue che il giudizio piattamente moralistico espresso in Frine (72-76)
viene sostituito dal riconoscimento, oggettivo e a posteriori, con cui il narratore dichiara
di aver subito anche lui, come altri uomini della città, il fascino esercitato dalla donna.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 80
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

Il primo tratto di Eva


Quel giudizio, oggettivo e spassionato è raggiunto per l’assunzione di una divaricazione
temporale fra il momento della narrazione e il momento in cui si sono svolti i fatti narrati
(divaricazione che nel capitolo I di Frine era perlomeno non esplicitata); contrariamente
a chi dice io in Frine, il narratore di Eva scrive a distanza di tempo (“domeniche gioconde
dei venticinque anni che non tornano più” 32-33) e prende dunque le distanze da un
tempo in cui egli era altro da quello che è ora (Vittorina è ormai “larva” e “fantasma” che
solo per un attimo ha attraversato la sua vita) e dalla vicenda alla quale ha sì partecipato,
ma che egli non racconta più in presa diretta e che rianalizza alla luce di un’esperienza
maturata nel frattempo.
Dal punto di vista linguistico microtestuale va segnalato che Verga, nel primo tratto di
Eva, Verga
-- ha sanato le incongruenze temporali che avevamo notato nell’uso dei tempi nel cap. I
di Frine,
-- ha risolto la fatica sintattica di Frine 45-46: “incorniciando il pallido contorno del suo
bel viso del fondo quasi verginale, di raso bianco della carrozza” in Eva 43-44:
“incorniciata dall’imbottitura di seta della carrozza”,
-- ha esteso anche a Eva la formula pseudo-impersonale per esprimere la II persona
plurale che aveva imparato ad usare in Storia di una capinera (Frine 20: “Noi non
parlavamo certamente” diventa in Eva 40: “Noi non si parlava certamente”).
EVA
1 Avevo incontrato due volte quella donna – non era più bella di tutte le altre, né più elegante,
ma non somigliava a nessun’altra – nei suoi occhi c’erano sguardi affascinanti, come il
corruscare di un’esistenza procellosa ch’era piena di attrattive. – Tutti gli abissi hanno funeste
attrazioni, e quelle voragini che divorano la giovinezza, il cuore, l’onore, si maledicono
5 facilmente, ahimè! quando arriva la filosofia dei capelli bianchi. – Era bionda, delicata,
alquanto pallida, di quel pallore diafano che lascia scorgere le vene sulle tempie e ai lati del
mento come sfumature azzurrine; avea gli occhi cerulei, grandi, a volte limpidi, quando non
saettavano uno di quegli sguardi che riempiono le notti di acri sogni; aveva un sorriso che non
si poteva definire – sorriso di vergine in cui lampeggiava l’imagine di un bacio. Ecco che cosa
10 era quella donna, quale si rivelava in un baleno, fuggendovi dinanzi nella sua carrozza come
una leggiadra visione, raggiante di giovinezza, di sorriso e di beltà. – In tutta la sua persona
c’era qualcosa come una confidenza fatta al vostro orecchio con labbra tiepide e palpitanti, che
vi rendeva possibile il sognare le sue carezze, e farci su mille castelli in aria. Non era soltanto
una bella donna – certe altezze non attraggono appunto perché sono inaccessibili. –
15 L’ammirazione che ella destava assumeva la forma di un desiderio; c’era nei suoi occhi
qualche cosa come un sorriso e una promessa che faceva discendere la dea dal suo cocchio
superbo, o piuttosto vi metteva accanto a lei, e faceva correre il vostro pensiero alle cortine
della sua alcova, e ai viali più ombreggiati del suo giardino.
Si chiamava Eva, o almeno si faceva chiamare così, e quel nome era forse un
20 epigramma. Tutti conoscevano la sua vita un po’ più in là del palcoscenico della Pergola, e
forse meglio di tutti le dame del gran mondo che parlavano di lei celandosi dietro il ventaglio.
Nessuno ne sapeva più di un altro. Era l’apparizione di un astro in mezzo alla splendida società
fiorentina, una febbre di giovanotto fatta donna.
L’avevo incontrata due volte, e non mi era sembrata l’istessa donna, forse per le
25 diverse disposizioni d’animo in cui mi ero trovato, e forse anche per ciò era rimasta in me più
viva e profonda l’impressione di lei. La prima volta la vidi pel Lungarno, in un elegante
legnetto, e guidava una bella pariglia di cavalli inglesi; aveva il sorriso negli occhi più che
sulle labbra, ed una cert’aria graziosa ed ardita in tutta la sua persona che vedendola faceva
sorridere di piacere. Io ero triste, senza sapermi il perché, forse per non avere meglio da fare, e
30 macchinalmente la seguii cogli occhi e col pensiero, e il pensiero corse lontano verso tutte le
ridenti follie del cuore. Un’altra volta l’incontrai alle Cascine, in uno di quei viali che nessuno
frequenta. Quel mattino il mio cuore faceva festa – domeniche gioconde dei venticinque anni
che non tornano più! – Il sole splendeva, ed il sorriso brillava negli occhi di Vittorina – larva
di un di quei giorni in cui si prodiga tanta parte di cuore come se non dovessero tramontare
35 giammai, fantasma di un’ora felice che si dimentica prima ancora che sia trascorsa, nello
stesso modo che ella avrà dimenticato persino il mio nome, o lo rammenterà come io adesso
mi rammento del suo, a proposito di qualche cosa che allora ci passò sotto gli occhi senza che
ce ne avvedessimo. Il viale era deserto, gli uccelli cinguettavano fra gli alberi, e i rami
susurravano lieve lieve, intrecciando mollemente le loro ombre in bizzarri disegni sulla ghiaja
40 del viale. Noi non si parlava certamente dell’ultimo fascicolo dell’Antologia. Vittorina era
allegra, cantava, rideva, e il riso la faceva bella. Io guardavo e ascoltavo. Quando il nostro
fiacre passò accanto ad un bellissimo legno, che stava fermo in mezzo al viale, vidi, attraverso
il cristallo scintillante, una testolina bionda, come una rosea visione, incorniciata
dall’imbottitura di seta della carrozza. Ella ci volse uno sguardo, un solo sguardo limpido
45 come l’azzurro dei suoi occhi, ma disattento, anzi noncurante, uno di quegli sguardi che vi
affissano in volto senza vedervi, e tornò a chinare gli occhi sul libro.
Vittorina chinò il capo e ammutolì, come se quella bionda e leggiadra visione fosse
sempre lì, fra di noi, seduta sui cuscini della nostra carrozza.
*
* *
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 80/S1
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

Il tratto finale di Eva


Data la pesante riscrittura subita dal cap. I di Frine per trasformarlo nel tratto iniziale di
Eva il raffronto può esser fatto in maniera episodica a differenza di quel che avviene per
il tratto finale del nuovo romanzo (cfr. allegato).
La storia dell’ultima ‘lassa’ di Eva è lunga: scritta fra il 1866 e il 1869 come capitolo XXX e
penultimo di Frine, essa fu poi riutilizzata poi fra la fine del 1872 e i primi mesi del 1873.
Il confronto fra il manoscritto di Frine, il manoscritto di Eva e il testo di quest’ultimo
romanzo nell’edizione Treves consente di verificare (spesso anche datandole
precisamente) le modifiche imposte dall’autore alla propria narrazione. Si tratta di volta in
volta di modifiche lessicali e sintattiche, piuttosto che fono-morfologiche e che si
concentrano per lo più nel passaggio da Frine a Eva, ma che non mancano neppure
nell’ultima fase, quella cui già abbiamo fatto cenno, relativa alla correzione delle bozze.
Rispetto ai romanzi catanesi, o a Storia di una capinera, possiamo verificare il perdurare
sia dell’atteggiamento negativo e censorio nei confronti dei tratti dialettali che affiorano
nella lingua verghiana sia del ricorso alla tradizione letteraria: anche se non sempre le
risorse a sua disposizione lo sorreggono nell’impresa, è però evidente che Verga mira a
quella disinvoltura e spontaneità che ammirava, proprio in quegli stessi anni, negli scritti
di Ferdinando Martini.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 80/S1
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

Il tratto finale di Eva


Il percorso di avvicinamento alla lingua si conclude con Eva per quanto riguarda i passati
remoti flessi secondo la coniugazione dei verbi forti: usati nella prima scrittura di Frine, essi
erano stati per lo più cancellati lungo la revisione del romanzo; rimaneva Dovettimo, che
alla fine è mutato in Eva 14 in Bisognò. A parte questo vistoso, ma isolato intervento
morfologico, la censura nei confronti del siciliano si manifesta nel lessico: in Eva 200
stradone, è corretto in T(reves) con stradale giacché stradone, è percepito come
corrispondente, con fonetica toscana, del sic. stratuni che il vocabolario di Vincenzo
Mortillaro dichiara “strada sterrata di campagna, Stradale”. Ancora in T per due volte (a Eva
14 e 199) viottolo viene sostituito con viottola; alla primitiva scelta avrà contribuito il
genere maschile del corrispondente siciliano violu che il dizionario di Vincenzo Mortillaro
glossa con “piccola via, che si fa per li poderi, Viottola, Viottolo”. Tale aspetto negativo è
coerente con il costante atteggiamento antidialettale dello scrittore, mentre alcune
correzioni confermano le acquisizioni di toscanismi o fiorentinismi; nell’evoluzione da Frine
al manoscritto di Eva alla stampa Treves assistiamo all'introduzione di mamma, di figliuolo
o di rifinito, mica, cotesto, e altri ancora.
Mamma compariva in Frine con valore allocutivo e nello stesso uso viene inserito in Eva in
sostituzione di Madre mia! a 46; madre compare nove volte nel nostro capitolo e altre
cinque volte nel resto del romanzo, mentre mamma compare in Eva altre tre volte, sempre
con connotazione fortemente patetica e colloquiale.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 80/S1
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

Il tratto finale di Eva


La correzione di figliuolo su figlio è ricorrente, ma non sistematica; figliuol(o) è introdotto
sulla stampa a 20 e 175, ma era già stato usato, come allocutivo, a partire da Frine a 185;
altrove sempre figlio (38 e 44, 176 e 201); rifinito è introdotto a 111 in Eva su sfinito ma
rifinite appare anche in un brano poi cancellato in corrispondenza di Eva 113; mica,
introdotto in Frine 73 è stato poi cassato in Eva; anche l’adozione di cotesto risale a Eva
risultando coevo ad alcune della altre acquisizioni fiorentine: 105 (due volte), 132, 144.
Cotesto ricorre in Eva altre trentanove volte, frequenza molto alta come possiamo valutare
meglio confrontandola con quella di questo etc. (cinquantacinque volte). Dall’analisi dei
contesti si rileva un uso complessivamente improprio di cotesto etc. che non indica, come
in toscano, la contemporanea vicinanza dell’oggetto all’interlocutore e la sua lontananza
invece dall’emittente, ma sostituisce questo; perciò anche a 105 (“Tutta cotesta
robustezza, tutta cotesta forza...”), in cui l’uso di cotesto sarebbe corretto se riferito alla
sanità e alla robustezza dell’amico a cui Enrico Lanti si rivolge, andrà inteso come
meccanica ‘traduzione’ toscana di questa.
Ma all’adesione ad una lingua diatopicamente connotata, probabilmente appresa dalla viva
voce dei Fiorentini e concentrata nel passaggio dal manoscritto di Eva a T (a cui risalgono
anche le inserzioni di rimane 7, guanciali 18, dell'articolo in l'Agatina 50 e 65, di buttai
210) Verga associa l’aspirazione ad una precisione verbale che mira alla specializzazione
semantico-grammaticale dei termini, e a una denotatività del mezzo linguistico.
*
* *

1 Passarono alcuni mesi senza che io più rivedessi Enrico Lanti. Ero ritornato in Sicilia, ma non
ne avevo avuto più notizia. Un mattino, verso gli ultimi di ottobre, mi fu recapitata da un contadino
una lettera urgente in Sant’Agata-li-Battiati, ove mi trovavo.
Il carattere di quella lettera che veniva a cercarmi con urgenza mi era assolutamente
5 sconosciuto, e sembrava tracciato con mano tremante. Però non ci volle molto per correre alla
firma, giacché la lettera era brevissima: era di Enrico Lanti, e diceva:
«Amico mio, vorrei vederti, e siccome me ne rimane pochissimo tempo ti prego di affrettarti se
vuoi rendermi quest’ultimo servigio.»
Mi misi in viaggio immediatamente, facendomi guidare dal contadino che mi avea recato la
10 lettera.
Fuori Aci Sant’Antonio, dopo un cinque minuti di corsa per quella bella strada che svolge agli
occhi del viandante l’incantevole panorama della vallata di Aci, tutta seminata di ville e di villaggi,
fra le vigne e i boschi d’aranci, sino al mare, la mia guida mi additò una casetta elevata su di un
ciglione. Bisognò lasciare la carrozza e metterci per una viottola attraverso i campi.
15 Alla svolta del sentiero mi si presentò la casa ridente ed ariosa, ornata di viti e di rosai, con una
bella spianata sul davanti, e due magnifici castagni che le facevano ombra.
Sotto un di quegli alberi c’era una poltrona colla spalliera appoggiata al tronco; un mucchio di
guanciali le dava l’aspetto doloroso che hanno le poltrone degli infermi. Vidi una scarna e pallida
figura quasi sepolta fra quei guanciali, e accanto alla poltrona un’altra figura canuta e veneranda –
20 la madre accanto al figliuolo che moriva.
Corsi a lui con una commozione che non sapevo padroneggiare. Com’egli mi vide mi sorrise di
quel riso così dolce degli infermi, e fece un movimento per levarsi.
Si vedeva diggià il cadavere: il naso affilato, le labbra sottili e pallide, l’occhio incavernato.
Lo tenni stretto fra le mie braccia, ed egli mi baciò più volte; quel bacio era caldo di febbre;
25 tutta la sua epidermide era riarsa, e l’anelito frequente ed affannoso gli si sprigionava dal petto
come un sibilo.
Sedetti di faccia a lui; egli non volle abbandonare le mie mani, e cercava di sorridermi,
quantunque dovesse molto soffrire, a giudicarne dalla contrazione dei suoi lineamenti, che di tratto
in tratto non poteva dissimulare.
30 – Grazie! mi disse tutto commosso. Tu almeno non mi hai dimenticato!
Tacque subito, sopraffatto da un violento scoppio di tosse, che, ahimè!, non ebbe neanche la
forza di prorompere, ma si contentò di lacerare quel povero petto, facendolo sobbalzare
convulsivamente; poi si abbandonò sui cuscini cogli occhi chiusi, sfinito. Quali occhi! Le palpebre
nerastre si affondavano nell’occhiaja incavata, e quando si riaprivano scoprivano qualche cosa che
35 parlava dell’altro mondo; nell’impeto della tosse tutto quel poco sangue che gli rimaneva sembrava
aver corso, con rossori fuggitivi, sulla mortale pallidezza delle sue gote; poi quella pallidezza si era
fatta più mortale ancora. La madre teneva abbracciati quei cuscini dove si perdeva quasi il corpo
del figlio, e guardava quelle sembianze adorate, ove la morte sbatteva diggià la sua livida ala, con
l’occhio asciutto, come se il cuore avesse bevuto tutte le sue lagrime.
40 Feci un movimento per alzarmi; egli che possedeva la squisita percezione di tutto quello che si
faceva vicino a lui, come l’hanno tutti i moribondi di quel male, mi strinse le mani, senza riaprir
gli occhi, e mi fece cenno di non muovermi.
Dopo qualche secondo volse lentamente il capo, e fissò un lungo sguardo negli occhi di sua
madre. Negli occhi della madre e in quelli del figlio non c’erano lagrime: c’era una mutezza che
45 spezzava il cuore.
– Mamma! disse Enrico, e la sua voce fioca vibrava come una carezza in quella dolce parola.
Ecco un mio amico. Tu gli vuoi bene, non è vero?
La povera donna mi stese la mano, ed io la baciai religiosamente.
– Dove sono gli altri? domandò Enrico con la curiosità inquieta, particolare al suo stato.

1
50 – Tuo padre è andato ad accompagnare il medico, e l’Agatina è andata a coglierti una manata di
gelsomini che ti piacciono tanto.
– Il medico!... mormorò il moribondo con accento che stringeva il cuore.
Nessuno di noi ebbe il coraggio di rispondere.
– Ti ho disturbato forse? mi domandò dopo alcuni istanti.
55 – Oh, no!
– Avevo bisogno di vederti... e di parlarti.
Mi affissò col suo sguardo espressivo e lucidissimo, e soggiunse:
– Noi non fummo mai intimi; ma ci siamo incontrati in una tal epoca della mia vita che mi pare
di non avere altri amici che te. Eppoi – e sorrise dolorosamente – ho diritto alla tua indulgenza...
60 come tutti quelli che se ne vanno verso coloro che rimangono...
– Enrico! esclamai stringendogli le mani con dolce rimprovero, e rivolgendo involontariamente
uno sguardo alla madre di lui.
Anch’egli rivolse gli occhi su di lei, e dopo alcuni secondi di angosciosa contemplazione gli si
riempirono di lagrime.
65 – Mamma! le disse dopo una qualche esitazione, non vorresti dire all’Agatina di fare anche un
mazzolino pel nostro amico?
La povera madre si levò in silenzio, e si allontanò.
Rimasti soli ci guardammo senza aprir bocca. Nessuno di noi due trovava la prima parola, e
quel suo sguardo mi trafiggeva il cuore.
70 – Io muoio!... diss’egli finalmente, con un accento che non potrò mai dimenticare. Tu lo vedi!...
Non potei frenare le lagrime, e gli strinsi la mano con forza.
– Coraggio, povero amico mio!
– Credi dunque che mi rincresca di morire?... Io non avrei bisogno di coraggio... se non fosse
per quei poveri vecchi che mi spezzano il cuore!
75 I suoi occhi, ove soltanto sembrava essersi raccolta la vita, luccicavano di lagrime mentre li
volgeva su tanto sorriso di cielo, su tanto azzurro di mare, su tanto verde di giardini che gli stava
attorno. Il suo cuore d’artista, che possedeva la squisita suscettibilità d’idealizzare quelle
impressioni dei sensi, doveva grondar sangue parlando di morte fra tanta ricchezza di vita. Non
ebbe più a lungo la forza di dissimulare l’angoscia che doveva lacerarlo a quelle parole, e mormorò
80 con un sospiro a stento represso:
– Com’è bello tutto ciò!... Io solo posso sentirlo!...
Rimanemmo qualche tempo in silenzio. – L’hai veduta? mi domandò tutt’a un tratto, come se
non ci vedessimo soltanto da pochi giorni, o come se seguitasse un discorso incominciato.
– No! risposi con ripugnanza, poiché il ricordo di tal donna mi pareva una profanazione in quel
85 momento.
Egli capì, e sorrise ironicamente.
– Ah! voi altri puritani!... come siete sciocchi!
Si aprì la camicia sul petto per cercarvi un pacchetto di carte. – Le ossa sembravano forargli la
pelle gialla ed arida come cartapecora.
90 – Guardala! mi disse trionfante, svolgendo da quelle carte una piccola miniatura, e dimmi se il
vostro puritanismo vale il suo sorriso!
Quel disgraziato, diggià per tre quarti cadavere, faceva un ultimo sforzo onde delirare per quella
donna che gli sorrideva ancora nel ritratto, e che non si ricordava più di averlo amato.
– Quando sarai al punto in cui sono, mi disse Enrico, o quando sarai vecchio, il che è peggio!
95 maledirai la tua saviezza che ti ha fatto insensibile alla luce, ai profumi, alle dolcezze della
giovinezza!... – e c’era tanto calore nel paradosso di quel moribondo che lo rendeva, direi, solenne.
– Oh, povero amico mio! gli dissi. Interroga la tua coscienza, interrogala senza rimpianti e
senza collera, e non dirai più così.
– Che m’importa! saltò su a dire Enrico con tal vivezza come se un serpe l’avesse morsicato.
100 Che m’importa della mia coscienza, e di tutti quei fantasmi che voi altri avete creato a furia di
paroloni! Che m’importa del vero e del falso!... ho tempo di perderci la testa io?... e neanche voi
altri ce l’avete... voi che v’isterilite il cuore mentre la giovinezza fugge come un lampo! Tu, vedi,
sei giovane, sano, forte... tu mi guardi forse con maggior sorpresa che compassione, e domandi a te
stesso come mai sia possibile che la vitalità che senti in te rigogliosa e robusta possa giungere a
2
105 tanta miseria di deperimento... Eppure, tu lo vedi! Tutta cotesta robustezza, tutta cotesta forza... un
soffio... e se ne vanno!... e l’uomo... l’uomo che sente dentro di sé ancora intatto tutto questo
inesplicabile mistero di desiderii, di speranze, di gioie e di dolori, che la malattia non ha né
indebolito, né ucciso, l’uomo che lo sente più forte e tumultuoso per quanto più infiacchiscono le
sue forze, domanderà a se stesso, come te, cosa sia dunque questa vita, e questa incognita che
110 chiamano cuore!... Chi lo può dire?... Nessuno. E se nessuno lo sa, chi può dargli torto o ragione?
Tacque anelante, rifinito come un uomo che abbia fatto una lunga corsa, e dopo un triste
silenzio ripigliò con esaltazione morbosa:
– Ho visto tante mostruosità rispettate, tante bassezze cui si fa di cappello, tante contraddizioni
di quello che chiamate senso morale, che non so più dove stia la verità. Tu che mi parli di gioie
115 false dimmi quali sieno le vere: quelle che costano più lagrime, o quelle che lasciano più rimorsi?
– e perché rimorsi? – Qual è l’amor vero, quello che muore, o quello che uccide? – e qual è la
donna più degna d’amore, la più casta, o la più seducente? – dov’è l’infamia? nella donna che ama
per vivere, o nell’uomo che vive per godere? – o che tiene il sacco all’adulterio colla complicità
del silenzio – o che gli si inchina quando lo vede passare in carrozza? Chi sentenzia del bene e del
120 male? Il mondo! Che cos’è? Quali sono i suoi diritti? e non mentisce? o non s’inganna? o non è
ipocrita? o non ha altra scienza che quella di negare? – e quell’altra di biasimare?
Si arrestava di quando in quando, e agitava la testa sul cuscino come se i pensieri che gli
martellavano il cervello non potessero più irrompere. La parola gli usciva rotta, a sibili, a rantoli:
era uno spettacolo straziante.
125 – I pazzi son più felici di voi! – e ripeté due o tre volte questa frase. – Se vivete di menzogne, se
non avete di certo che le illusioni, perché le maledite quando son belle?... Voi altri savi... che vi
affannate dietro ad illusioni che non raggiungerete giammai... o che sconfesserete quando le avrete
raggiunte, chiamate pazzo colui che si vive beato nelle sue illusioni!... il pazzo come vi chiamerà,
voi altri savj?
130 – E l’arte? gli dissi.
Egli scrollò il capo: – Menzogna! esclamò – Menzogna!... o illusione!
Dopo coteste parole stette a lungo in silenzio, cogli occhi chiusi, come se la vita l’avesse
abbandonato intieramente. Era un lugubre silenzio. Poscia fissandomi in volto uno sguardo
relativamente calmo, ed ove c’era una tinta di sorpresa:
135 – È strano! mormorò; mi pareva che avessi bisogno di parlare di lei... e che tu mi dicessi che
ella ti ha parlato di me... Ora non lo desidero più... Ho pensato ad Eva... e alla mia giovinezza... e li
ho veduti lontan lontano... Sarà perché sono stanco!
E dopo un altro silenzio:
– Posso contare le ore che mi restano di vita; posso dire: Domani... fra due giorni... quando quel
140 bel sole farà scintillare l’immensa pianura d’acqua che si stende laggiù, e colorirà del suo
bell’azzurro questo cielo... quando lo stesso albero getterà la stessa ombra sulla mia povera casa, e
quegli uccelli schiamazzeranno fra le foglie... io sarò morto... non vedrò e non sentirò più nulla...
nemmeno i pianti desolati dei miei genitori che mi chiameranno... Che rimarrà di me? di tutta
cotesta immensità di pensiero che sento in così fragile involucro?... Non lo so! nessuno me lo sa
145 dire! ciò è ben triste!... Non è vero?
Volse gli occhi lentamente, con stanchezza, su tutto l’orizzonte che lo circondava, e con una
certa inesprimibile amarezza:
– La vita!... mormorò chiudendo gli occhi di nuovo, come se quella vista l’affaticasse, o gli
lacerasse l’anima, e dopo una lunga esitazione – Sì! sì!... c’è qualche cosa di vero nell’arte!...
150 Il dolore m’opprimeva. Non sapevo far altro che stringere fra le mie quelle povere mani scarne.
– Tu non muori, tu! mi diss’egli con una sublime e lacerante ingenuità… e forse la vedrai!
Prendi; soggiunse dopo qualche secondo d’esitazione consegnandomi quel pacchetto che non
aveva abbandonato. Se mai la rivedrai un giorno... se si rammenterà di me... dagliele... Se no...
fanne quello che vuoi... bruciale... Domani forse sarò morto, e mia madre, e mia sorella... non
155 devono saper nulla...
Ed esitò ancora lungamente prima di darmi il ritratto. In questo momento si udirono le voci dei
suoi parenti che si avvicinavano. – Maledetta! esclamò egli trasalendo e buttando il ritratto per
terra. Maledetta! Menzogna infame che mi hai rubato la felicità vera! maledetta! E maledetta anche
te, arte bugiarda! che c’inebbrii con tutte le follìe! Maledetta!
3
160 Un accesso di tosse sembrò soffocarlo; il corpo era troppo debole; ma lo spasimo lo faceva
sollevare sulla poltrona, agitando le braccia smaniosamente, e tentava quasi colle mani contratte di
strapparsi dalla bocca e dal petto quel dolore insoffribile. In quel momento temei sul serio che mi
morisse fra le braccia.
Allorché sopraggiunsero i suoi parenti era abbandonato sui cuscini, con un soffio di vita sulle
165 labbra, cogli occhi fissi e le lagrime che gli rigavano le guancie.
Qual più doloroso spettacolo di persone che si adorano, che hanno la terribile certezza di
doversi separare per sempre, che hanno il cuore a brani pel dolore, e che devono nasconderselo
reciprocamente! Nella madre quel dolore era sovrumano, ma rassegnato, quasi sacro, nel padre era
cupo e profondo, nell’ingenua e candida giovinetta era meno dissimulato, ma anche meno vivo,
170 forse perché a quell’età non si crede giammai intieramente alla sventura.
– Eccoti i tuoi gelsomini, Enrico! disse ella scuotendo il suo grembialino sulle ginocchia del
fratello; ed ecco per lei... aggiunse arrossendo con un grazioso sorriso e inchinandosi con bel
garbo.
La ringraziai commosso al vivo. Il desolato genitore venne a stringermi la mano.
175 Vidi la madre che si chinava sui cuscini del figliuolo e gli diceva qualche parola all’orecchio.
Dal triste sorriso con cui il figlio rispose indovinai che gli aveva domandato come si sentisse –
quella dolorosa domanda che si ripete più spesso quante minori sono le speranze di avere una
risposta rassicurante. Il padre che aveva lasciato il medico pochi momenti prima, non ebbe forse il
coraggio di domandargli.
180 Lo sguardo intelligente del moribondo si affissava con indefinibile espressione sui suoi cari,
come se volesse saziarsi della felicità di vederseli accanto mentre sentiva l’angoscia di
allontanarsene sempre più ogni secondo.
– Perché mi lasci così spesso? diss’egli al padre con accento che spezzava il cuore, stendendogli
la mano che ricadde senza forza.
185 – Accompagnai il dottore, figliuol mio... rispose il povero vecchio facendo sforzi sovrumani per
dissimulare le sue lagrime.
– Ah!... il dottore!... esclamò l’ammalato stringendosi nelle spalle.
Nessuno osò aprir bocca.
Mi alzai, poiché non mi sentivo le forze di assistere più a lungo a quello spettacolo, e perché mi
190 sembrava di dover rispettare il pudore di quelle angoscie.
– Te ne vai diggià? mi diss’egli stendendomi la mano.
– Si.
– Verrai domani?
– Verrò.
195 Credeva ancora al domani!
– Domani!... esclamò quindi tristamente. Chi lo sa?... Ad ogni modo, soggiunse stringendomi le
mani, baciamoci... come due amici che si lasciano per lungo tempo...
Quel bacio caldo, in cui si sentiva già l’anelito del moribondo, mi trafisse il cuore. Egli mi
seguiva con quello sguardo che strappava le lagrime finché svoltai l’angolo della viottola.
200 Il padre suo insisteva per accompagnarmi sino allo stradale. Mi parve un delitto il defraudarlo
di quegli ultimi e solenni momenti che poteva passare ancora presso il figlio che la morte gli
rapiva. Partii addolorato profondamente.
Tutta la notte non potei dormire. Sembravami di sentire al mio capezzale il rantolo di quel
moribondo, e di vedermi dinanzi agli occhi quello sguardo e quel sorriso nuotanti nel sudore
205 dell’agonia.
Il giorno dopo, di buon mattino, ritornai ad Aci Sant’Antonio. Sulla strada di Valverde incontrai
il contadino che mi avea recato la lettera di Enrico il giorno innanzi. Lessi tutta la verità
nell’occhiata che egli mi volse, e l’interrogai col solo sguardo.
– All’alba! mi rispose levandosi il cappello e segnandosi.
Ordinai al cocchiere di tornare indietro; mi buttai in fondo alla carrozza, e piansi.

4
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 80/S2
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

Il tratto finale di Eva

In alcuni casi la correttezza di tale diagnosi è tutt'altro che di indubitabile


evidenza, perché tale aspirazione è contemporanea ad altre spinte. Si veda il caso
dei sinonimi restare / rimanere: contro l'oscillazione attestata nella primitiva
stesura (che comunque mostrava una qualche preferenza per restare, con un
rapporto di 5 a 3 a vantaggio di quest'ultimo), il testo definitivo rivela il volontario
capovolgimento dei rapporti, recando restare in un solo caso (restano a 139), in
seguito a cassatura o a sostituzione con rimanere (7; 60; 143) o a introduzione di
quest’ultimo all’altezza in Eva.
Non c'è dubbio che per Verga abbia funzionato in prima istanza la volontà di
inserire un toscanismo concomitante però all'urgenza di eliminare un termine che
consuonava troppo da vicino con il sic. rristari, arristari.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 80/S2
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

Il tratto finale di Eva


Un'opzione in senso favorevole al toscano potrebbe sembrare anche l’insinuarsi nella
lingua del Verga di levarsi nel significato di ‘alzarsi in piedi’. L’intero testo di Eva mostra
una netta preferenza di levare (sei casi) contro alzare (due casi) quando significhi ‘tirar
su, sollevare’; la situazione si ribalta se consideriamo esclusivamente il significato di
‘alzarsi in piedi’; in questo senso la forma riflessiva alzarsi ricorre in otto casi (di cui due
nel nostro capitolo a 40 e a 189) mentre levarsi compare solo in tre casi, fra i quali i due
del nostro capitolo sono il risultato di correzione da alzarsi a 22 e 67. Che in questi casi il
Verga stia tentando di sganciarsi da scelte lessicali che gli sono più naturali, pare
confermato dall'incertezza con cui a 22 all’iniziale fece istintivamente un moto per levarsi
di Frine tiene dietro in Eva fece come un movimento per alzarsi, subito di nuovo corretto
in levarsi.
Ma accanto alle diagnosi emesse singolarmente per la cancellazione pressoché completa
di restare o per quella della specializzazione semantico-grammaticale di levare / alzarsi
occorrerà prendere in considerazione anche l’ipotesi esplicativa unificante, già accennata
sopra, che attribuisce quelle correzioni alla ricerca di una lingua sostanzialmente
asinonimica; si veda per esempio il caso seguente per il quale non è possibile invocare
differenti ragioni concomitanti.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 80/S2
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

Il tratto finale di Eva


A livello di Eva sono costantemente nel mirino del correttore i verbi dichiarativi (dire,
mormorare, aggiungere, soggiungere). Poco significativo, ovviamente, è il caso della
riduzione della forte occorrenza di dire, mentre più interessante è la sostituzione quasi
totale di aggiungere con soggiungere; dei cinque casi di aggiunse testimoniati in Fine, ne
rimane solo uno nella redazione finale (a 172); gli altri quattro o vengono sostituiti (da
soggiunse a 57 e 196; da sorrise a 59) o cassati (a 151). La preferenza accordata a
soggiungere (già iniziata, per quanto in maniera episodica all’interno di Frine) non può
essere altrimenti spiegata che con l’aspirazione dello scrittore ad una lingua puntuale ed
univoca. In questo medesimo senso va spiegata la correzione di dopo un momento a
dopo alcuni istanti a 54 e le cassature (dopo un momento di esitazione si trasforma in
dopo una qualche esitazione a 65, e La fatalità ci unì in momenti che diventa in una tal
epoca a 58). La censura di momento, -i non può spiegarsi con il solo aspetto lessicale,
data la parallela, ma inversa, correzione di 163 Vi fu un istante in cui temetti che fosse
per passare! che diventa In quel momento temei sul serio che mi morisse fra le braccia,
poco distante, per giunta, da In questo momento si udirono le voci di 156, introdotto
contemporaneamente. Si tratterà invece di censura semantica, che riserva a momento un
esclusivo valore temporale puntuale, mentre al concorrente istante è delegato il valore
durativo riservato anche a secondo.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 80/S3
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui contenuti


studiati nelle lezioni precedenti dedicate all’analisi
linguistica di Eva, lo studente è invitato a
compilare il test associato a questa sessione di
studio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 80/S3
Titolo: A Milano: da Frine a Eva
Attività n°: 3

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto
finale e gli studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un
esercizio di controllo dei contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto
fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad inviare i risultati del proprio test al
docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-portfolio; tali risultati
possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test
e ne darà conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato
della prova finale, invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole
lezioni o chiarendo ulteriormente quello che non è stato pienamente compreso.

47) Da Frine a Eva: interventi narratologici e modifiche linguistiche.


Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 81
Titolo: Verga e la novella: Nedda
Attività n°: 1

Verga e la novella: Nedda


La storia del bozzetto come genere letterario è stata fatta da Roberto Fedi (Bozzetto e
racconto nel secondo Ottocento, in La novella italiana. Atti del Convegno di Caprarola, 19-
24 settembre 1988, Roma, Salerno Editrice, 1989, pp. 587-606), che ne data la nascita:
“il campo almeno cronologicamente sembrerebbe restringersi al ventennio del dopo
Unità, e soprattutto al periodo tra la fine degli anni Sessanta e le prove mature del
Verga, fra prime avvisaglie naturalistiche (intorno al Settanta) e impellenti esigenze
pittoriche, quali quelle che nel giro degli anni di Firenze capitale avrebbero catalizzato
l’attenzione di artisti della figura e di letterati sensibili come Ferdinando Martini e, in
genere, dei suoi sodali raccolti poi intorno alla fiorentina e positivista ‘Rassegna
Settimanale’. Ancora imbevuti di ideologie risorgimentali, ma già attenti alla lezione dei
realisti d’Oltralpe, i pittori e gli intellettuali fiorentini sembrano rifiutare il troppo abusato
quadretto ‘di genere’ per una scelta figurativa meno sclerotizzata, più vivace (il
‘carattere locale’, come diceva Signorini), e soprattutto in un rapporto più organico con
la ‘verità’ “(Fedi, Bozzetto e racconto, p. 590).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 81
Titolo: Verga e la novella: Nedda
Attività n°: 1

Verga e la novella: Nedda


La caratterizzazione del bozzetto
“potrebbe riassumersi nella formula di un intrattenimento garbato, non esente da
ombre più marcate, dedito all’illuminazione ‘a macchia’ di un evento limitato, che non
ambisce all’universalità del romanzo né alla complessità strutturale del racconto o
della novella più tradizionale, e che si riveste di una lingua colloquiale, media, che non
disdegna gli sconfinamenti dialettali o scopertamente folklorici ed anzi li persegue
proprio per fini espressivi e più spesso espressionistici” (Fedi, Bozzetto e racconto, p.
594).
Un genere dunque ‘minore, che non può reggere al paragone con il romanzo:
“Sulla superiorità anche ideologica del romanzo nessuno, del resto, aveva mai avuto
dubbi, dal Tarchetti delle Idee minime agli scrittori intervistati, trent’anni più tardi, da
un giovane ed attentissimo Ugo Ojetti” (ivi, p. 589; i riferimenti sono a Idee minime
sul romanzo di Iginio Ugo Tarchetti [1839-1869] del 1865 e a Ugo Ojetti [1871-1946],
che aveva intervistato un certo numero di scrittori, fra i quali lo stesso Verga; le
inchieste furono poi pubblicate in Alla ricerca dei letterati, Milano, 1895).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 81/S1
Titolo: Verga e la novella: Nedda
Attività n°: 1

Verga e la novella: Nedda


Non v’è dubbio che, se Verga dilaziona al 1874 la scrittura della sua prima novella, è
proprio perché anche lui riconosce la “superiorità anche ideologica” al genere del
romanzo; come del resto potremo arguire anche dalla sottovalutazione reiterata che
egli stesso dette alla sua prima prova narrativa breve.
Rientrato a Catania dopo la pubblicazione di Eva, nella città di origine Verga si
trattenne fino al gennaio dell’anno successivo quando ripartì per Milano. La partenza
era stata all’insegna di grandi speranze collocate nella fiducia di una rapida
collocazione presso il Treves del romanzo appena concluso (Tigre reale); ma
all’editore, incontrato subito dopo l’arrivo a Milano, il romanzo non era piaciuto e
consigliò al giovane autore di non mettere a repentaglio il nome che si era fatto con
Eva e di posticipare la pubblicazione di Tigre reale a quella di un altro racconto che
fosse di più sicuro successo. Secondo quanto riferisce Verga in una lettera alla madre
del 20 gennaio del ’74, l’editore milanese gli aveva proposto di scrivere “qualche
racconto corto per i suoi giornali”, ipotesi che Verga metteva nel conto solo se le
condizioni economiche fossero state vantaggiose.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 81/S1
Titolo: Verga e la novella: Nedda
Attività n°: 1

Verga e la novella: Nedda


Del resto Tigre reale era solo accantonato e la sua pubblicazione rinviata ad un momento
successivo a quello in cui avesse concluso Aporeo (poi diventato Eros) a cui Verga si stava
dedicando e sul quale investiva speranze e aspettative a dir poco grandiose. Quando di lì
a poco (29 gennaio) Verga riferisce della proposta fattagli da Samuele Ghiron di
collaborare ad una nuova rivista con l’invio di racconti, egli parla di “novellett[e]” e, anche
a fronte del vantaggio economico certo, esprime la propria perplessità in questi termini:
“Vi confesso che da un canto mi rincresce sciupare il mio nome in piccole
pubblicazioni e di poco conto su per le Riviste e i giornali, e che vorrei riserbarmi
intero, anche col prestigio di un nome acquistatomi coll’Eva e non prodigato in cose
minime[,] per la pubblicazione dell’Aporeo, ma intanto quelle piccole pubblicazioni son
quelle che fruttano dippiù, e qualcosa, finché sarà stampato e venduto Aporeo,
bisogna guadagnarla” (Lettere alla famiglia, p. 211).
Ma la delusione per la mancata collocazione di Tigre reale e soprattutto le difficoltà
finanziarie del momento inducono Verga a prendere in più seria considerazione l’offerta di
pubblicare racconti brevi e il 1° febbraio del 1879 sembra ormai intenzionato ad assolvere
a quello che sente come un pedaggio da pagare alla realtà del commercio librario:
“Darò anche qualche scritto alla nuova Rivista Italiana e un 240 lire ci caverò”
(Lettere alla famiglia, p. 217).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 81/S1
Titolo: Verga e la novella: Nedda
Attività n°: 1

Verga e la novella: N edda


Che quelle parole non corrispondano ad una intenzione generica, ma ad un progetto
concreto che va maturando, è assicurato dalla precisa indicazione della rivista
destinata ad accogliere il nuovo prodotto e dal fatto che da lì a qualche giorno
(esattamente il 9 febbraio 1874) Verga può scrivere alla madre (Lettere alla famiglia,
p. 227):
“Ho già condotto a termine, in tre giorni, venerdì, sabato, e domenica, una
novella per la Rivista Italiana, che occuperà un tre fogli di stampa, domani e
dopodomani la correggerò e copierò, e vedete che questi cinque o sei giorni mi
hanno fruttato un 240 lire, che non c’è male davvero. Non so quando sarà
stampata perché pel primo numero di Marzo credo che non ci sia più spazio, e
perciò non so se mi verrà pagata alla consegna del manoscritto, o alla
pubblicazione. Ad ogni modo con Ghiron c’è da star tranquilli, perché non è un
Treves, e mi compiaccio nell’idea che in cinque o sei giorni mi son fatta la spesa
per un mese”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 81/S2
Titolo: Verga e la novella: Nedda
Attività n°: 1

Verga e la novella: Nedda


Le lettere seguenti (dei mesi da marzo a giugno) accennano in maniera più o meno
dettagliata alla pubblicazione della novella scritta in così breve tempo e così redditizia; fra
i numerosi accenni ne vanno ricordati almeno due, estratti rispettivamente da una lettera
del 19 marzo e del l’11 giugno.
In fine alla prima Verga scrive (Lettere alla famiglia, p. 270):
“Salutatemi tutti gli amici, e particolarmente lo zio Giovanni di Battiati, e ditegli che
l’ho messo nella novella – Bozzetti siciliani – che stamperò nella Nuova Rivista
Italiana”
passaggio nel quale si segnala l’accezione del termine bozzetto, nuova rispetto agli usi
giovanili (il titolo di Nedda compare per la prima volta nella lettera del 22 marzo
successivo); nella seconda si legge (Lettere alla famiglia, p. 358):
“La Nedda escirà a giorni. Ghiron mi disse che essendogli molto piaciuta rileggendola
desiderava farne tirare degli estratti da venderli a parte e me ne domandava il
permesso, promettendomi di darmene inoltre quel numero di copie che avrei voluto.
Trattandosi di una cosa di poco momento, ed anche perché con Ghiron passano
relazioni d’amicizia abbastanza intime [...] gli ho detto di sì”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 81/S2
Titolo: Verga e la novella: Nedda
Attività n°: 1

Verga e la novella: N edda


Nonostante la scarsa fiducia riposta da Verga in quello che considerò a lungo un
esercizio minore (abbiamo visto che Nedda è definita nella lettera dell’11 giugno “una
cosa di poco momento” e nelle lettere successive vi si farà riferimento con lavoretto,
cosettina, vera miseria, novelluccia da niente, cosa così modesta), il giudizio dato da
Samuele Ghiron preconizzava con fiuto il successo della novella.
Pubblicata nella “Rivista italiana di scienze, lettere ed arti”, appena inaugurata (e
perciò “pochissimo diffusa” come dirà lo scrittore in una lettera del 18 luglio) e
destinata a vita brevissima, il successo di Nedda fu tale da stupire lo stesso autore.

Dice Carla Riccardi nella nota al testo a Nedda (Giovanni Verga, Tutte le novelle,
Introduzione, testo e note a cura di Carla Riccardi, Milano, Mondadori, 1979, p. 1001):
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 81/S2
Titolo: Verga e la novella: Nedda
Attività n°: 1

Verga e la novella: Nedda


“Straordinaria la fortuna editoriale di Nedda: pubblicata per la prima volta nella
“Rivista italiana di scienze, lettere e arti”, il 15 giugno 1874, alla fine dello stesso
mese riappariva in volumetto presso l’editore Brigola di Milano (con il sottotitolo
‘Bozzetto siciliano’). Nel 1877 era ristampata al seguito dei racconti di Primavera
(Primavera, Milano, Brigola, 1877) e nel 1880 era collocata all’inizio dello stesso
volume ripubblicato dal Treves e ribattezzato Novelle, Nuova edizione riveduta
dall’autore. Tredici anni dopo, nel ’93, ricomparve nel ‘Numero speciale di Natale’ e
Capodanno’ dell’‘Illustrazione italiana’ insieme a Fantasticheria e Jeli il pastore con
disegni di Arnaldo Ferraguti. Nel 1897, pubblicando una edizione illustrata di Vita
dei campi, il Verga la recuperò definitivamente inserendola nel volume al terzo
posto, dopo Cavalleria rusticana e La lupa. Treves, tuttavia, continuò a ristamparla
nel volume Novelle, che nel 1887 era giunto alla quarta edizione, fino al 1914”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 81/S3
Titolo: Verga e la novella: Nedda
Attività n°: 1

Verga e la novella: Nedda


A parte l’esultanza per il successo insperatamente ottenuto, a parte la vanità che,
pudicamente, Verga esterna solo nelle lettere familiari, a parte il gusto per un
successo che oltretutto lo risarciva davanti a se stesso ma soprattutto davanti a
Treves della sconfitta di essersi visto rifiutare Tigre reale, dall’epistolario di questi
anni non traspare alcuna presa di coscienza di un cambio di rotta avvertito o anche
solo presentito.
Stupisce insomma vedere, come Verga, a ridosso della scrittura e della
pubblicazione di Nedda sul momento non tanto non fosse in grado di riconoscere il
valore intrinseco dell’esercizio appena terminato, ma neppure di intravedere la
fertilità di un tema e di un ambiente che affrontava per la prima volta.
È stupefacente insomma che (come sottolinea Carla Riccardi nella già citata nota al
testo a Nedda in Verga, Tutte le novelle, pp. 1000-1001) lo scrittore si ostinasse
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 81/S3
Titolo: Verga e la novella: Nedda
Attività n°: 1

Verga e la novella: Nedda


“nel sottovalutare la novella [...] e nel non intravederne i possibili sviluppi narrativi e
stilistici [...] se si pensa che il suo adeguarsi, quasi a malincuore, al successo
ottenuto lo porterà alla stesura del primo abbozzo dei Malavoglia che è assai
probabilmente da riconoscere in quel bozzetto progettato sin dal febbraio ’74 per il
‘Museo delle Famiglie’ (‘Se avrò tempo da perdere ne scriverò anche una pel Museo
di Famiglia per cui Treves mi ha pregato’, [alla famiglia] 26 febbraio) e inviato
parzialmente all’editore già dal 18 dicembre dello stesso anno: ‘Eccovi la Novella;
anzi una e mezza. Vi ho mandato anche il principio della seconda perché possiate
farvi un’idea del genere diverso e vedere liberamente se fa per voi. Il seguito della
seconda ve lo porterò io stesso, quando l’avrò finita, venendo fra breve a Milano’ (18
dicembre 1874). Circa un anno dopo il Verga scriveva al Treves: ‘Vi manderò presto
Un Sogno per l’Ill[ustrazion]e Un[iversal]e e in seguito Padron ’Ntoni, il bozzetto
marinaresco di cui conoscete il principio, per il Museo d[elle] F[amigli]e. Avrei potuto
finirlo e mandarvelo anche prima, ma vi confesso che rileggendolo mi è parso
dilavato, e ho cominciato a rifarlo di sana pianta, e vorrei riuscire più semplice,
breve ed efficace”.
Nel file pdf allegato a questa lezione troverete riprodotto il tratto iniziale della novella,
secondo il testo fissato da Carla Riccardi, in Verga, Tutte le novelle, cit.
Il focolare domestico era sempre ai miei occhi una figura rettorica, buona per incorniciarvi gli
affetti più miti e sereni, come il raggio di luna per baciare le chiome bionde; ma sorridevo
allorquando sentivo dirmi che il fuoco del camino è quasi un amico. Sembravami in verità un
amico troppo necessario, a volte uggioso e dispotico, che a poco a poco avrebbe voluto prendervi
5 per le mani o per i piedi, e tirarvi dentro il suo antro affumicato, per baciarvi alla maniera di
Giuda. Non conoscevo il passatempo di stuzzicare la legna, né la voluttà di sentirsi inondare dal
riverbero della fiamma; non comprendevo il linguaggio del cepperello che scoppietta dispettoso, o
brontola fiammeggiando; non avevo l’occhio assuefatto ai bizzarri disegni delle scintille correnti
come lucciole sui tizzoni anneriti, alle fantastiche figure che assume la legna carbonizzandosi, alle
10 mille gradazioni di chiaroscuro della fiamma azzurra e rossa che lambisce quasi timida, accarezza
graziosamente, per divampare con sfacciata petulanza. Quando mi fui iniziato ai misteri delle
molle e del soffietto, m’innamorai con trasporto della voluttuosa pigrizia del caminetto. Io lascio il
mio corpo su quella poltroncina, accanto al fuoco, come vi lascierei un abito, abbandonando alla
fiamma la cura di far circolare più caldo il mio sangue e di far battere più rapido il mio cuore; e
15 incaricando le faville fuggenti, che folleggiano come farfalle innamorate, di farmi tenere gli occhi
aperti, e di far errare capricciosamente del pari i miei pensieri. Cotesto spettacolo del proprio
pensiero che svolazza vagabondo intorno a voi, che vi lascia per correre lontano, e per gettarvi a
vostra insaputa quasi dei soffi di dolce e d’amaro in cuore, ha attrattive indefinibili. Col sigaro
semispento, cogli occhi socchiusi, le molle fuggendovi dalle dita allentate, vedete l’altra parte di
20 voi andar lontano, percorrere vertiginose distanze: vi par di sentirvi passar per i nervi correnti di
atmosfere sconosciute: provate, sorridendo, senza muovere un dito o fare un passo, l’effetto di
mille sensazioni che farebbero incanutire i vostri capelli, e solcherebbero di rughe la vostra fronte.
E in una di coteste peregrinazioni vagabonde dello spirito, la fiamma che scoppiettava, troppo
vicina forse, mi fece rivedere un’altra fiamma gigantesca che avevo visto ardere nell’immenso
25 focolare della fattoria del Pino, alle falde dell’Etna. Pioveva, e il vento urlava incollerito; le venti o
trenta donne che raccoglievano le olive del podere, facevano fumare le loro vesti bagnate dalla
pioggia dinanzi al fuoco; le allegre, quelle che avevano dei soldi in tasca, o quelle che erano
innamorate, cantavano; le altre ciarlavano della raccolta delle olive, che era stata cattiva, dei
matrimoni della parrocchia, o della pioggia che rubava loro il pane di bocca. La vecchia castalda
30 filava, tanto perché la lucerna appesa alla cappa del focolare non ardesse per nulla; il grosso cane
color di lupo allungava il muso sulle zampe verso il fuoco, rizzando le orecchie ad ogni diverso
ululato del vento. Poi, nel tempo che cuocevasi la minestra, il pecoraio si mise a suonare certa
arietta montanina che pizzicava le gambe, e le ragazze incominciarono a saltare sull’ammattonato
sconnesso della vasta cucina affumicata, mentre il cane brontolava per paura che gli pestassero la
35 coda. I cenci svolazzavano allegramente, e le fave ballavano anch’esse nella pentola, borbottando
in mezzo alla schiuma che faceva sbuffare la fiamma. Quando le ragazze furono stanche, venne la
volta delle canzonette: – Nedda! Nedda la varannisa! – sclamarono parecchie. – Dove s’è cacciata
la varannisa?
– Son qua – rispose una voce breve dall’angolo più buio, dove s’era accoccolata una ragazza su di
40 un fascio di legna.
– O che fai tu costà?
– Nulla.
– Perché non hai ballato?
– Perché son stanca.
45 – Cantaci una delle tue belle canzonette.
– No, non voglio cantare.
– Che hai?
– Nulla.
– Ha la mamma che sta per morire, – rispose una delle sue compagne, come se avesse detto che
50 aveva male ai denti.
La ragazza, che teneva il mento sui ginocchi, alzò su quella che aveva parlato certi occhioni neri,
scintillanti, ma asciutti, quasi impassibili, e tornò a chinarli, senza aprir bocca, sui suoi piedi nudi.

1
Allora due o tre si volsero verso di lei, mentre le altre si sbandavano ciarlando tutte in una volta
come gazze che festeggiano il lauto pascolo, e le dissero: – O allora perché hai lasciato tua madre?
55 – Per trovar del lavoro.
– Di dove sei?
– Di Viagrande, ma sto a Ravanusa –.
Una delle spiritose, la figlioccia del castaldo, che doveva sposare il terzo figlio di massaro Jacopo
a Pasqua, e aveva una bella crocetta d’oro al collo, le disse volgendole le spalle: – Eh! non è
60 lontano! la cattiva nuova dovrebbe recartela proprio l’uccello –.
Nedda le lanciò dietro un’occhiata simile a quella che il cane accovacciato dinanzi al fuoco
lanciava agli zoccoli che minacciavano la sua coda.
– No! lo zio Giovanni sarebbe venuto a chiamarmi! – esclamò come rispondendo a se stessa.
– Chi è lo zio Giovanni?
65 – È lo zio Giovanni di Ravanusa; lo chiamano tutti così.
– Bisognava farsi imprestare qualche cosa dallo zio Giovanni, e non lasciare tua madre, – disse
un’altra.
– Lo zio Giovanni non è ricco, e gli dobbiamo diggià dieci lire! E il medico? e le medicine? e il
pane di ogni giorno? Ah! si fa presto a dire! – aggiunse Nedda scrollando la testa, e lasciando
70 trapelare per la prima volta un’intonazione più dolente nella voce rude e quasi selvaggia: – ma a
veder tramontare il sole dall’uscio, pensando che non c’è pane nell’armadio, né olio nella lucerna,
né lavoro per l’indomani, la è una cosa assai amara, quando si ha una povera vecchia inferma, là
su quel lettuccio! –
E scuoteva sempre il capo dopo aver taciuto, senza guardar nessuno, con occhi aridi, asciutti, che
75 tradivano tale inconscio dolore, quale gli occhi più abituati alle lagrime non saprebbero esprimere.
– Le vostre scodelle, ragazze! – gridò la castalda scoperchiando la pentola in aria trionfale.
Tutte si affollarono attorno al focolare, ove la castalda distribuiva con paziente parsimonia le
mestolate di fave. Nedda aspettava ultima, colla sua scodelletta sotto il braccio. Finalmente ci fu
posto anche per lei, e la fiamma l’illuminò tutta.
80 Era una ragazza bruna, vestita miseramente; aveva quell’attitudine timida e ruvida che danno la
miseria e l’isolamento. Forse sarebbe stata bella, se gli stenti e le fatiche non ne avessero alterato
profondamente non solo le sembianze gentili della donna, ma direi anche la forma umana. I suoi
capelli erano neri, folti, arruffati, appena annodati con dello spago; aveva denti bianchi come
avorio, e una certa grossolana avvenenza di lineamenti che rendeva attraente il suo sorriso. Gli
85 occhi erano neri, grandi, nuotanti in un fluido azzurrino, quali li avrebbe invidiati una regina a
quella povera figliuola raggomitolata sull’ultimo gradino della scala umana, se non fossero stati
offuscati dall’ombrosa timidezza della miseria, o non fossero sembrati stupidi per una triste e
continua rassegnazione. Le sue membra schiacciate da pesi enormi, o sviluppate violentemente da
sforzi penosi, erano diventate grossolane, senza esser robuste. Ella faceva da manovale, quando
90 non aveva da trasportare sassi nei terreni che si andavano dissodando; o portava dei carichi in città
per conto altrui, o faceva di quegli altri lavori più duri che da quelle parti stimansi inferiori al
còmpito dell’uomo. La vendemmia, la messe, la raccolta delle olive per lei erano delle feste, dei
giorni di baldoria, un passatempo, anziché una fatica. È vero bensì che fruttavano appena la metà
di una buona giornata estiva da manovale, la quale dava 13 bravi soldi! I cenci sovrapposti in
95 forma di vesti rendevano grottesca quella che avrebbe dovuto essere la delicata bellezza muliebre.
L’immaginazione più vivace non avrebbe potuto figurarsi che quelle mani costrette ad un’aspra
fatica di tutti i giorni, a raspar fra il gelo, o la terra bruciante, o i rovi e i crepacci, che quei piedi
abituati ad andar nudi nella neve e sulle rocce infuocate dal sole, a lacerarsi sulle spine, o ad
indurirsi sui sassi, avrebbero potuto esser belli. Nessuno avrebbe potuto dire quanti anni avesse
100 cotesta creatura umana; la miseria l’aveva schiacciata da bambina con tutti gli stenti che
deformano e induriscono il corpo, l’anima e l’intelligenza. – Così era stato di sua madre, così di
sua nonna, così sarebbe stato di sua figlia. – E dei suoi fratelli in Eva bastava che le rimanesse quel
tanto che occorreva per comprenderne gli ordini, e per prestar loro i più umili, i più duri servigi.

2
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 82
Titolo: Verga e la novella: Nedda
Attività n°: 1

Verga e la novella: Nedda


Della sorprendente, in quanto inattesa, apparizione di Nedda fra i personaggi
verghiani dava testimonianza Luigi Capuana scrivendo nel 1880 una recensione a Vita
dei campi (ora in Luigi Capuana, Verga e D’Annunzio, a cura di Mario Pomilio,
Bologna, Cappelli, 1972, pp. 73-82: p. 73):
“Quando il Verga scrisse la Nedda forse non credeva d’aver trovato un nuovo
filone nella miniera quasi intatta del romanzo italiano. La povera raccoglitrice
d’ulive rimase un’eccezione nel suo lavoro d’artista e pareva stesse a disagio fra le
eleganti sue sorelle che portavano i nomi pieni di fascino d’Eva, d’Adele, di Velleda
e di Nata”.
La novità di Nedda (e la sorpresa legata alla sua improvvisa comparsa), se valeva per
l’autore, valeva dunque (e forse a maggior ragione) per i suoi critici; e ci fu chi volle
vedere in Nedda l’atto di nascita di una ‘conversione’.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 82
Titolo: Verga e la novella: Nedda
Attività n°: 1

Verga e la novella: Nedda


“Non hanno dunque torto i critici, a incominciare dal Capuana, che hanno visto in
questo racconto una data importante e decisiva, una svolta dell’arte verghiana”.
Così terminava Luigi Russo (Giovanni Verga, p. 84) il capitolo dedicato a Verga e il
verismo, capitolo cominciato sul termine conversione (“Così il Verga spiega la sua
conversione artistica, lasciamo pur correre questa espressione imprecisa”, p. 55) e
ruotante intorno a Nedda:
“Cambia la visione della vita, cambia anche il contenuto della nuova arte: non più
duelli, non più amori raffinati di artisti e di ballerine, ma passioni semplici, tragedie
silenziose e modeste di povere contadine; guerre sanguinose di uomini primitivi, che
chiudono in petto un vigoroso senso dell’onore e una barbara violenza di
passioni”(ivi, p. 73).
Ma accanto alle novità rilevate qui sopra da Russo, di carattere esclusivamente tematico e
contenutistico, il medesimo critico poco oltre aggiungeva (p. 82):
“Compiuta questa lettura rapsodica della novella, noi non ci vogliamo nascondere i
suoi vari difetti, che restano come sopravviventi squame di vecchie abitudini
letterarie, o sono dovuti alla penetrazione non ancora molto concentrata e
smaliziata del nuovo mondo”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 82
Titolo: Verga e la novella: Nedda
Attività n°: 1

Verga e la novella: Nedda


Quelli che Luigi Russo chiamava “difetti” sono per noi i segni che all’occasionale
adesione sentimentale alle classi umili dimostrata in Nedda non ha fatto seguito un
cambio di stile e di lingua.

Non a caso il Russo individuava quei “difetti”:


1) nelle strategie narrative (“Un artificio di impacciato narratore è l’esordio”), cioè
nella natura del punto di vista (“l’artista è ancora un uomo di un’altra società,
che si interessa alla vita dei poveri diavoli, e vuole come vederli in posa, per
farne la pittura completa. E la sua pietà per Nedda è ancora più filantropia
che umanità”) e nella tipologia di narrazione che ancora consente al
narratore di intervenire con commenti e prese di posizione (“Nedda
qui è difesa, non è rappresentata”)
2) in specifici fatti formali (per esempio la prolissità del ritratto di Nedda
“condotto alla maniera manzoniana”) e linguistici ancora fortemente
connotati in senso letterario.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 82/S1
Titolo: Verga e la novella: Nedda
Attività n°: 1

Verga e la novella: Nedda


Dice Giuseppe Lo Castro (Giovanni Verga. Una lettura critica, Soveria Mannelli,
Rubbettino, 2001, pp. 26-27), in un capitolo appositamente intitolato a La questione
della “conversione”:
“Lo stesso Benedetto Croce parlò di ‘spinta liberatrice’ esercitata dal verismo sull’arte
verghiana, a partire da questa novella, alludendo alla funzione di emancipazione da
tematiche più convenzionali e artificiose legata alla scoperta del mondo primitivo e
rusticano. [...] Se le tracce letterarie di un mutamento di prospettiva sono palpabili
nella novella dove l’abbassamento simpatetico al punto di vista di personaggi
umilissimi costringe il lettore ad immedesimarsi con bisogni e passioni elementari,
estraniandosi da una letteratura artificiosa e da un linguaggio che poteva apparire
scontato e costruito, occorre aggiungere che non siamo ancora in presenza di una
maturazione poetica tale da definire l’opera dentro i canoni codificati del verismo,
come nella novellistica verghiana di andrà configurando. [...] Quello che sembra
piuttosto il segnale di un mutamento di prospettiva appare soprattutto sul piano dei
contenuti. La svolta rappresentata da Nedda è prima di tutto una svolta tematica,
ciò che ha ingenerato alcune confusioni sull’itinerario del Verga verista, a lungo
interpretato unicamente come ‘poeta degli umili’ ”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 82/S1
Titolo: Verga e la novella: Nedda
Attività n°: 1

Verga e la novella: Nedda


L’adesione umana di Verga al mondo degli umili e l’ingresso letterario nel genere
“rusticale” che Nedda rappresenta non corrispondono a mutamenti sostanziali né nelle
strategie narrative messe in atto, né nelle scelte linguistiche del nostro autore, aspetti
complementari dal punto di vista stilistico: è infatti facile decretare (alla luce degli
sviluppi che verranno) come la presenza di un narratore e dunque l’assenza
dell’impersonalità e/o coralità, che verranno conquistate con le novelle e i romanzi
successivi, corrispondano in maniera pienamente giustificata ad una lingua governata
ancora da una personalità narrativa.
Nel caso specifico di Nedda poi si tratta di un narratore che si autorappresenta (nella
sezione proemiale della novella, alle rr. 1-26 del brano riprodotto in pdf) come
appartenente ad una classe sociale differente dal mondo narrato, appartenente ad un
luogo geograficamente distante da quello delle campagne siciliane in cui la vita di Nedda
si svolge, appartenente infine ad un milieu culturale e intellettuale che fin da subito viene
caratterizzato come superiore a quello cui appartiene la ragazza. La stessa idea del
camino che avvolge nel suo calore trasognante il narratore (che, proprio in tale
condizione di confortevole torpore ‘rammenterà’ un altro fuoco, consentendo dunque
attraverso il ricordo l’ingresso dell’ambiente siciliano nel suo appartamento riscaldato) è,
per quanto paradossale possa sembrare, antinomico alla scena di apertura della storia.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 82/S1
Titolo: Verga e la novella: Nedda
Attività n°: 1

Verga e la novella: Nedda


Da un lato un interno abitato da un unico personaggio borghese, maschile, scettico sui
piaceri che il caminetto (“amico troppo necessario”) può offrire, eppure disponibile a
farsene affascinare, con il corpo abbandonato comodamente sulla poltroncina, che si offre
pigramente al beneficio di una fiamma addomesticata dagli alari e dalle molle; dall’altro le
“venti o trenta” donne, raccoglitrici di olive, le cui vesti bagnate fumano al contatto di
“una fiamma gigantesca che avevo visto ardere nell’immenso focolare della fattoria del
Pino, alle falde dell’Etna”, il cui calore esse accettano in una condizione di inerzia forzata,
perché il maltempo impedisce loro di uscire a guadagnarsi la giornata (“Pioveva e il vento
urlava incollerito”). L’alterità del narratore rispetto all’ambiente di Nedda è del resto anche
culturale se fin dall’inizio egli si presenta come un personaggio educato alla lettura e alle
belle lettere o meglio, addirittura egli stesso letterato e scrittore:
“Il focolare domestico era per me una figura rettorica, buona per incorniciarvi gli
affetti più miti e sereni, come il raggio di luna per baciare le chiome bionde; ma
sorridevo allorquando sentivo dirmi che il fuoco del camino è quasi un amico”.
Le similitudini a cui egli sottopone il fuoco (le scintille “come lucciole sui tizzoni anneriti”,
le faville che “folleggiano come farfalle innamorate”) corrispondono ad un gusto
mistificante e edulcorante (appunto una figura rettorica) che in buona sostanza conferma
l’accusa che Enrico Lanti in Eva rivolge all’arte: “Menzogna!”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 82/S2
Titolo: Verga e la novella: Nedda
Attività n°: 1

Analisi linguistica di Nedda


Alla letteratura il narratore si rivolge non solo (come abbiamo visto denunciato da Luigi
Russo) nel ritratto di Nedda (rr. 80 e seguenti del brano riprodotto), ma anche nella
retorica costruzione di questo brano iniziale ritmato da tricola:
“Non conoscevo [...]; non comprendevo [...]; non avevo l’occhio assuefatto ai
bizzarri disegni [...], alle fantastiche figure [...], alle mille gradazioni [...]”;
così come è sapientemente gestita l’alternanza dei tempi (che tripartiscono il brano:
prima l’imperfetto, poi il passato remoto, infine il presente) e delle persone (che
dividono in due l’esordio: la prima persona vien sostituita nell’ultima parte dal voi che
apre un’esperienza solitaria alla condivisione con il lettore della storia che segue).
E letteraria è non solo la costruzione del brano, ma anche la sua lingua: più
precisamente letteraria è la lingua che il narratore adotta tanto nel brano d’esordio
quanto nella narrazione della novella, a dimostrazione che le caratteristiche del narratore
(e di conseguenza la distanza fra narratore e vicenda, stabilita come antinomica
nell’esordio), si conserva tale anche nel prosieguo del racconto.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 82/S2
Titolo: Verga e la novella: Nedda
Attività n°: 1

Analisi linguistica di N edda


La lingua della novella è caratterizzata
-- da enclisi pronominali a forme finite del verbo quali Sembravami nell’esordio e, nella
novella vera e propria: cuocevasi, stimansi, voltavasi, sembrolle, (si aggiunga
anche il cumulo pronominale enclitico in gonfiarlesi), sempre comunque in brani
descrittivi che possono essere attribuiti al narratore;
-- da forme ‘ingessate’ di participi presenti nella funzione grammaticale di
aggettivi in luogo di frasi relative e dunque con valore ancora pienamente
verbale: scintille correnti, faville fuggenti nell’esordio e più avanti “Gli occhi avea
neri, grandi, nuotanti in un fluido azzurrino” (nel quale è da rimarcare anche
l’anteposizione dell’oggetto al verbo), tutti nel brano antologizzato, ai quali nel
seguito si possono aggiungere terra bruciante, vacillanti chiaroscuri, fissò gli occhi
vitrei su quelli ardenti della madre;
-- da toscanismi di tradizione letteraria come cepperello (questo anche fonetico),
castaldo e castalda, cotesta, gragnuola, rezzo, concio ‘conciato’ (questo anche
morfologico, trattandosi di un participio passato forte) o da forme
foneticamente antiquate come tuono e intuonò (ma, a parte figliuolo, figliuola
e inferraiuolati, ora troviamo il monottongo in assiolo, muricciolo, da interpretarsi,
piuttosto che come adesione al parlato fiorentino, come manzonismi).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 82/S2
Titolo: Verga e la novella: Nedda
Attività n°: 1

Analisi linguistica di N edda


E non è neppure impossibile che la cultura del narratore (nel doppio registro della
letterarietà antiquata e del fiorentinismo di marca purista o manzoniana) penetri anche
nel dialogo riportato e finisca così sulla bocca dei poveri personaggi del bozzetto:
-- sebbene altrove la prima persona dell’imperfetto esca in -o, Nedda dice: “Pensava
alla mia povera mamma”;
-- scodella compare, oltre che nei brani riferibili alla voce del narratore, anche sulla
bocca dei personaggi;
-- “Quando avrò da banda [‘da parte’] quel po’ di quattrini” dice Janu a zio Giovanni e
Janu usa anche codesto (nello stesso uso improprio che ne fa il narratore);
-- infine ricorre spesso il modulo sintattico fiorentino di sottolineatura
dell’interrogazione mediante l’introduttivo O: O che fai tu costà?, O allora perché
hai lasciato tua madre?, O che fai qui?, O come?, O perché?, O quanto l’hai
pagato il tuo fazzoletto? e così via;
-- ed è ancora Nedda a mutuare dall’imitazione del fiorentino del narratore l’uso (ancora
una volta di memoria manzoniana) di reduplicare il soggetto in forma
pronominale (qui il fiorentinissimo femminile la) in posizione iniziale con valore
assertivo: la è una cosa assai amara.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 82/S3
Titolo: Verga e la novella: Nedda
Attività n°: 1

Analisi linguistica di Nedda


Sicilianismi: nomi propri (Nedda, Janu, zio Giovanni, Vinirannu) e comuni (Massaro, la
varannisa, le chiuse, tarì); elementi discorsivi Salutamu!, e la canzone di corteg-
giamento di Janu Picca cci voli ca la vaju’ a viju. – A la mi’ amanti di l’arma mia.
Strategie narrative. Narrazione opaca e narratore onnisciente: oltre a “Nella
giornata seguì anche una mesta funzione; venne il curato in rocchetto, il sagrestano col-
l’olio santo, e due o tre comari che borbottavano non so che preci”), si vedano i
commenti del narratore:
“Nessuno avrebbe saputo dire quanti anni avesse cotesta creatura umana; la miseria l’avea
schiacciata da bambina con tutti gli stenti che deformano e induriscono il corpo, l’anima e
l’intelligenza – così era stato di sua madre, così di sua nonna, così sarebbe stato di sua figlia
– e dell’impronta dei suoi fratelli in Eva bastava che le rimanesse quel tanto che occorreva
per comprenderne gli ordini e per prestar loro i più umili, i più duri servigi”
“A Bongiardo c’era proprio del lavoro per chi ne voleva. Il prezzo del vino era salito, e un ric-
co proprietario faceva dissodare un gran tratto di chiuse da mettere a vigneti. Le chiuse ren-
devano 1200 lire all’anno in lupini ed olio; messe a vigneto avrebbero dato, fra cinque anni,
12 o 13 mila lire, impiegandovene solo 10 o 12 mila; il taglio degli ulivi avrebbe coperto metà
della spesa. Era un’eccellente speculazione, come si vede, e il proprietario pagava, di buon
grado, una gran giornata ai contadini che lavoravano al dissodamento”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 82/S3
Titolo: Verga e la novella: Nedda
Attività n°: 1

Analisi linguistica di N edda


Primi affioramenti di discorso indiretto libero:
“La vendemmia, la messe, la raccolta delle olive per lei erano delle feste, dei giorni
di baldoria, un passatempo, anziché una fatica. È vero bensì che fruttavano appena
la metà di una buona giornata estiva da manovale, la quale dava 13 bravi soldi!”
“Ai primi albori il castaldo era venuto a spalancare l’uscio, per svegliare i pigri,
giacché non è giusto defraudare il padrone di un minuto della giornata lunga dieci
ore, che gli paga il suo bravo tarì, e qualche volta anche tre carlini (sessantacinque
centesimi!) oltre la minestra”
“– E lamentati per giunta, piagnucolona! gridò il fattore, il quale gridava sempre, da
fattore coscienzioso che difende i soldi del padrone!”
“– Tutti i proprietari del vicinato farebbero la guerra a voi e a me se facessimo delle
novità. | – Hai ragione! – rispose il figliuolo del padrone, che era un ricco proprieta-
rio, e avea molti vicini”.
“Alla messa le ragazze del villaggio poterono vedere il bel fazzoletto di Nedda, dove
c’erano stampate delle rose che si sarebbero mangiate”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 83
Titolo: Test
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui contenuti


studiati nelle lezioni precedenti dedicate all’analisi
linguistica di Nedda, lo studente è invitato a
compilare il test associato a questa sessione di
studio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 83/S1
Titolo: Test
Attività n°: 1

TEST: esercizio sulle banche dati


Utilizzando l’informatizzazione dei Promessi sposi nell’edizione Ventisettana
e Quarantana interrogabile su
-- la banca dati Biblioteca Italiana (http://www.bibliotecaitaliana.it/
verificate le eventuali coincidenze lessicali del seguente brano di Nedda
(“Tutte si affollarono attorno al focolare, ove la castalda distribuiva con
sapiente parsimonia le mestolate di fave. Nedda aspettava ultima, colla
sua scodelletta sotto il braccio”) con le scelte del capolavoro manzoniano.

I risultati della ricerca (dati quantitativi ed commenti) dovranno essere


inviati tramite eportfolio, avvertendo al contempo il docente sul sistema
di messaggistica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 83/S2
Titolo: Test
Attività n°: 1

TEST: esercizio sulle banche dati


Utilizzando
-- la Lessicografia della Crusca in rete (http://www.lessicografia.it/) e
-- la banca dati Biblioteca Italiana (http://www.bibliotecaitaliana.it/

cercate il significato e rispettivamente le attestazioni nell’Ottocento di


rezzo
e della locuzione da banda

I risultati della ricerca (dati quantitativi ed commenti) dovranno essere


inviati tramite eportfolio, avvertendo al contempo il docente sul sistema
di messaggistica.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 83/S3
Titolo: Test
Attività n°: 1

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto
finale e gli studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un
esercizio di controllo dei contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto
fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad inviare i risultati del proprio test al
docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-portfolio; tali risultati
possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test
e ne darà conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato
della prova finale, invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole
lezioni o chiarendo ulteriormente quello che non è stato pienamente compreso.

48) Illustrate il significato di Nedda nel percorso letterario e linguistico di Verga,


soffermandovi anche sull’interpretazione datane da Luigi Russo.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 84
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1

Le novelle di Vita dei cam pi


Insomma
“Se sul piano tematico Nedda apre la strada a una narrativa che si pone l’obiettivo di
indagare la realtà delle classi più basse del mondo siciliano, sul piano formale sono
presenti molte oscillazioni” (Lo Castro, Giovanni Verga, p. 25).
Ma Nedda inaugura anche il laboratorio novellistico verghiano, in quanto rappresenta la
scoperta di una misura breve, concentrata, in cui lo stile può essere sperimentato quasi in
vitro, e che potrebbe permettere, proprio per la sua misura, di tenere ancora dischiuso il
mondo elegante dei romanzi, mentre ci si avvicina nei bozzetti agli ambienti più bassi.
“Proprio la novella, vista come un lavoro distensivo e utile per riempire i vuoti
finanziari, si rivela immediatamente il nuovo banco di prova, il terreno delle
sperimentazioni stilistiche e tematiche più ardue, il passaggio obbligato per giungere
alle soluzioni rivoluzionarie dei romanzi. Alla svolta radicale il Verga si avvicina a
piccoli passi, riformando gradatamente le strutture narrative e prendendo con grande
sforzo le distanze dai moduli stilistici delle opere giovanili” (Carla Riccardi, nota al
testo a Primavera ed altri racconti, in Verga, Tutte le novelle, p. 1003).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 84
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1

Le novelle di Vita dei cam pi


Mentre continua ad impegnarsi nella redazione e nella riscrittura di Eros e Tigre reale,
nella seconda metà del 1874 e per tutto l’anno seguente Verga pubblica su varie riviste
alcune novelle che nel 1876 verranno riunite in volume con il titolo complessivo di
Primavera ed altri racconti, raccolta molto eterogenea e difforme tanto per la genesi dei
testi, quanto per la qualità artistica, quanto infine per l’ambientazione.
Fra il 1876 e il 1879 invece la dinamicità e la rapidità di invenzione e scrittura che
avevano caratterizzato fino ad allora la produzione verghiana si interrompono; sono anni
perlopiù di silenzio che solo in parte dipendono dal lutto per la perdita prima della
sorella (morta nell’aprile 1877) poi della madre (morta il 5 dicembre 1878).
Già nel 1875 aveva cominciato a riscrivere il “bozzetto marinaresco” Padron ’Ntoni
(rammentato in una lettera di quell’anno al Treves e giudicato ancora insoddisfacente),
ma il lavoro procedeva con grande lentezza tanto che nel 1877 aveva detto all’amico
Capuana “Io non faccio un bel nulla e mi dispero”; nell’aprile del 1878 invece
comunicava all’amico Salvatore Paola Verdura che non solo l’antico bozzetto era
diventato un romanzo, ma che quel romanzo si sarebbe inserito in un vero e proprio
ciclo “sotto il titolo della Marea”; il 17 maggio 1878 proponeva a Luigi Capuana il titolo
di I Malavoglia e cercava documentazione paremiologica siciliana per utilizzarla nel
romanzo:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 84
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1

Le novelle di Vita dei cam pi


“Io son contento del mio sacrificio incruento [della rinuncia cioè a proseguire sulla
strada della scrittura e riscrittura dell’antico bozzetto Padron ’Ntoni e della decisione
di trasformarlo nel romanzo di cui qui si propone per la prima volta il nuovo titolo],
che mi lascia meglio soddisfatto del mio lavoro e che mi fa sperare che riesca quale
l’ho vagheggiato in immaginazione. A proposito, mi hai trovato una ’ngiuria che si
adatti al mio titolo? Che ti sembra di I Malavoglia? Potresti indicarmi una raccolta di
Proverbi e Modi di dire siciliani? Io lavoro ancora; ma a giorni bene, delle volte però
malissimo e svogliatamente. Però non voglio precipitar nulla, purché cotesto lavoro
mi contenti prima di contentare gli altri” (Verga, Lettere a Luigi Capuana, pp. 92-93).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 84/S1
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1

Le novelle di Vita dei cam pi

Nella stessa lettera al Capuana che abbiamo appena citato Verga aggiunge (mettendo
a fuoco una delle costanti del proprio modo ‘dislocato’ di comporre, il solo in grado di
assicurargli la distanza prospettica):
“Pel Padron ’Ntoni penso d’andare una settimana o due, a lavoro finito, ad Aci
Trezza onde dare il tono locale. A lavoro finito però, e a te non sembrerà strano
cotesto, che da lontano in questo genere di lavori l’ottica qualche volta, quasi
sempre, è più efficace ed artistica, se non più giusta, e da vicino i colori son
troppo sbiaditi quando non son già sulla tavolozza [...]. Tu hai la nostalgia di
Milano ed io quella di Sicilia, così siam fati noi che non avremo mai posa e vera
felicità” (Verga, Lettere a Luigi Capuana, pp. 93-94).
Ma, mentre lo scrittore porta avanti l’elaborazione del romanzo maggiore, cominciano
a prendere forma le novelle che costituiranno la raccolta di Vita dei campi.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 84/S1
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1

Le novelle di Vita dei cam pi


La raccolta uscì come tale nel 1880, salutata dalla recensione di Capuana che proprio
sul silenzio intercorso fra Tigre reale e la nuova raccolta di novelle poneva l’accento:
“E quando il Verga, oppresso da lutti domestici, rinunziò per parecchi anni alle
dolcezze dell’arte, molti che domandavano di qua e di là: Ma il Verga? Ma che fa il
Verga? pareva avessero una convinzione di sconforto sull’avvenire dello scrittore.
Ma eccolo che rientra nella vita letteraria e trionfalmente, da pari suo.
Le otto novelle che formano questa Vita dei campi provano che la Nedda non fosse
un’eccezione quasi inesplicabile, e che l’ingegno dell’autore non sia punto esaurito.
Egli ricomparisce con tutta la potenza di disegno e di colorito da lui mostrato in
quel fortunato bozzetto, ma con una maestria più affinata, più vigorosa e più
progredita nei grandi segreti dell’arte” (Luigi Capuana, Verga e D’Annunzio, cit., p.
75)
Vita dei campi è infatti costituita, nell’ordine, da Fantasticheria, Jeli il pastore, Rosso
Malpelo, Cavalleria rusticana, La Lupa, L’amante di Gramigna, Guerra di Santi,
Pentolaccia, ma solo perché all’ultimo minuto (al momento di correggere le bozze) era
stata scartata la novella Il come, il quando ed il perché, che il Treves aveva voluto
introdurre nel volume giudicato “mingherlino”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 84/S1
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1

Le novelle di Vita dei cam pi

La prima edizione, subito esaurita, fu edita nuovamente nella primavera 1881, stavolta
però con la novella che un anno prima era stata scartata; alla compagine originaria
tuttavia si tornò nel 1897, quando ancora presso il Treves ne fu pubblicata un’edizione di
lusso completamente illustrata (corrispondente inoltre ad una fase redazionale, dal punto
di vista linguistico e stilistico, rielaborativa del testo di oltre un quindicennio prima).
Al momento della prima edizione in volume le novelle che compongono Vita dei campi
erano state già pubblicate separatamente in differenti riviste fra il 1878 e il 1880:
Fantasticheria “Fanfulla della domenica”, 24 agosto 1879
Jeli il pastore “La fronda”, 29 febbraio 1880 (ma in edizione parziale)
Rosso Malpelo “Fanfulla della domenica”, 2 e 4 agosto 1878
Cavalleria rusticana “Fanfulla della domenica” 14 marzo 1880
La Lupa “Rivista nuova di scienze, lettere e arti”, febbraio 1880
L’amante di Gramigna “Rivista minima” febbraio 1880 (ma con il titolo L’amante di Raja)
Guerra di Santi “Fanfulla della domenica” 23 maggio 1880
Pentolaccia “Fanfulla della domenica” 4 luglio 1880.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 84/S2
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1

Le novelle di Vita dei cam pi


Le dichiarazioni di poetica in Vita dei cam pi
Da L’amante di Gramigna:
“Intanto io credo che il trionfo del romanzo, la più completa e la più umana
delle opere d'arte, si raggiungerà allorché l'affinità e la coesione di ogni sua parte
sarà così completa che il processo della creazione rimarrà un mistero, come lo
svolgersi delle passioni umane; e che l'armonia delle sue forme sarà così
perfetta, la sincerità della sua realtà così evidente, il suo modo e la sua ragione
di essere così necessarie, che la mano dell'artista rimarrà assolutamente
invisibile, e il romanzo avrà l'impronta dell'avvenimento reale, e l'opera d'arte
sembrerà essersi fatta da sé, aver maturato ed esser sorta spontanea come un
fatto naturale, senza serbare alcun punto di contatto col suo autore; che essa
non serbi nelle sue forme viventi alcuna impronta della mente in cui germogliò,
alcuna ombra dell'occhio che la intravvide, alcuna traccia delle labbra che ne
mormorarono le prime parole come il fiat creatore; ch'essa stia per ragion
propria, pel solo fatto che è come dev'essere, ed è necessario che sia, palpitante
di vita ed immutabile al pari di una statua di bronzo, di cui l'autore abbia avuto il
coraggio divino di eclissarsi e sparire nella sua opera immortale”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 84/S2
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1

Le novelle di Vita dei cam pi


Da Fantasticheria:
“Vi siete mai trovata, dopo una pioggia di autunno, a sbaragliare un esercito di
formiche tracciando sbadatamente il nome del vostro ultimo ballerino sulla sabbia
del viale? Qualcuna di quelle povere bestioline sarà rimasta attaccata alla ghiera
del vostro ombrellino, torcendosi di spasimo; ma tutte le altre, dopo cinque minuti
di pànico e di viavai, saranno tornate ad aggrapparsi disperatamente al loro
monticello bruno. Voi non ci tornereste davvero, e nemmen io; ma per poter
comprendere siffatta caparbietà, che è per certi aspetti eroica, bisogna farci piccini
anche noi, chiudere tutto l'orizzonte fra due zolle, e guardare col microscopio le
piccole cause che fanno battere i piccoli cuori. Volete metterci un occhio anche voi,
a cotesta lente, voi che guardate la vita dall'altro lato del cannocchiale? Lo
spettacolo vi parrà strano, e perciò forse vi divertirà”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 84/S3
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1

Le novelle di Vita dei cam pi


Verga derivava dalle riflessioni e dagli esperimenti letterari francesi di quegli stessi anni
(di Gustave Flaubert, di Emile Zola e dei fratelli Goncourt) la teoria dell’impersonalità,
un’etichetta (piuttosto che una strategia ben delineata e univoca di tipo narrativo,
stilistico o linguistico) con la quale
“si voleva mettere l’accento sulla posizione dell’autore rispetto alla realtà narrata.
Compito dell’artista è registrare la natura del mondo e dei suoi eventi senza
intervenire a modificarli, senza soprattutto preoccuparsi di formulare un giudizio”
(Lo Castro, Giovanni Verga, p. 47),
ma che ogni autore poi interpretava, nel concreto della scrittura, a proprio modo.
“Zola concepiva l’impersonalità come un metodo di laboratorio [...]: la sua
impersonalità è l’atteggiamento distaccato e impassibile dello scrittore che si vuole
scienziato e osserva con rigore sperimentale e neutralità gli accadimenti del
racconto [...]. Flaubert, fedele ad un’idea di realismo come valore in sé [...] formula
il racconto su un narratore distante, una sorta di artefice muto, di ‘Dio creatore’ del
mondo narrato” (Lo Castro, Giovanni Verga, p. 48),
modelli che solo in parte Verga accoglie.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 84/S3
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1

Le novelle di Vita dei cam pi


Romano Luperini nel suo Pessimismo e verismo in Verga (Padova, Liviana, 1968, ora
Torino, UTET, 2009, pp. 21-48) individuò tracce fin nei romanzi giovanili di un
atteggiamento che, per non cadere in ambiguità terminologiche, potremmo definire di
impassibilità, piuttosto che di impersonalità; atteggiamento ben diverso da quello
che il Verga ‘impersonale’ teorizza. Come dice ancora Lo Castro (ivi, p. 49)
“L’impersonalità, in questa nuova versione [verghiana] diventa non tanto un metodo
per allontanare lo spettro del commento e del giudizio sui fatti che accadono, quanto
la possibilità di servirsi di narratori interni alla rappresentazione che di questa
condividano in parte la realtà e che, in quanto tali, siano lontanissimi dall’autore. In
questa formula c’è spazio per una scrittura fitta, al contrario dei modelli francesi, di
interventi e opinioni della voce narrante che attivano una certa cautela del lettore.
Quello che può essere definito il realismo in soggettiva di Verga è una narrazione che
programmaticamente si svolge dall’interno dell’universo narrato e sempre secondo
un’ottica partecipe e riconoscibile, senza pretese di universalità”.
Insomma a perdere la propria personalità è l’autore, che scompare in quanto tale, perché
da produttore quale era, diviene mero strumento, veicolo per quelle che (riprendendo il
titolo di una successiva novella verghiana, che De Sanctis assunse come cifra stilistica
dell’impersonalità) sono le lacrime delle cose (Lachrimae rerum).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 84/S3
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1

Le novelle di Vita dei cam pi


Per conseguire tale effetto Verga deve perdere la propria lingua, proprio quella lingua
faticosamente conquistata nei venti-venticinque anni della sua attività letteraria
precedente; deve perdere i propri connotati (di carattere, di cultura, di formazione, di
pensiero) per assumere la lingua degli altri. Si badi bene: le lingue degli altri, di volta in
volta strumenti diversi a seconda degli ambienti e degli strati sociali rappresentati (il che
costituirà un punto di crisi nel trapasso da I Malavoglia al Mastro-don Gesualdo e
soprattutto nel trapasso da quest’ultimo ai restanti romanzi progettati per il “Ciclo dei
vinti” e rimasti quale più quale meno in stato di abbozzo o di semplice ideazione).
Finché si rimane nell’ambiente relativamente unitario che lega Vita dei campi e I
Malavoglia (poi le Novelle rusticane), la lingua, la strategia narrativa, l’abbassamento del
punto di vista e la tecnica della regressione raggiungeranno una coesione stilistica
perfettamente funzionale.

Ho scelto per l’analisi, che verterà principalmente su fatti stilistici, la breve novella
Pentolaccia, una delle ultime della raccolta ad essere scritta e pubblicata e, in particolare,
quella scelta da Verga per chiudere Vita dei campi.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 85
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1

Vita dei cam pi : P entolaccia


La storia raccontata nella novella è estremamente lineare: un caso di tradimento
coniugale, continuato e a tutti ben noto tanto da esser pacificamente accettato dallo
stesso tradito, che alla fine però, in un accesso improvviso di gelosia, si vendica
uccidendo l’amante della moglie.

Allego a questa sessione di studio il testo di Pentolaccia riprodotto dell’edizione


critica di Vita dei campi fornita da Carla Riccardi, che mette a testo la prima stampa in
volume della raccolta (Treves, 1880), corredata:
-- da un primo apparato, nel quale sono registrate le varianti dell’autografo A e, qualora
esistano, quelle presenti nell’edizione in rivista,
-- da un secondo apparato, nel quale sono riferite le varianti introdotte da Verga al
momento di ristampare la raccolta in un’edizione di lusso e illustrata che considerava
definitiva.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 85
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1

Vita dei cam pi : P entolaccia

Nell’analisi faremo di preferenza riferimento al primo apparato perché coerente, dal


punto di vista cronologico, con il periodo verghiano che stiamo analizzando. Come di
consueto i rimandi vengono effettuati sulla base del rigo.

Come diceva il famoso storico dell’arte Aby Warburg “Dio sta nel dettaglio”. Non
sembri dunque inutile o strano partire, come faremo nella prossima sessione di studio,
da un dato microscopico come l’apocope e più in genere da ‘sintomi’ di carattere
fonetico o morfologico, per caratterizzare Pentolaccia dal punto di vista stilistico ed
espressivo, comunque utilizzando la risorsa degli apparati dell’edizione critica.
eqreq elle e^e^oq o B^Er8u€ru a
.e[8ou
ens e olo elulld 'lurolS i Illnl €uald elolued
-erBJ I'rs
e1 e.te,re pqc
.orrdord e^€lrJeru ol es orJceluou lonb rn1 'ens el ecrp 13 opuessed i{s
ounuSo e 'erer; €lle ouos eqc ellseq eluEl eU urn8rJ ens el BJ Ic o 'Inl oqÒuE al IP ,ta 'lronJ lp
-eu6rro,1eq un ?rqJ «?Icceloluod» Ip Bllo^ el euo$ ossopv I e^0^€ "' ?l4rler.D lZ-I
rp eJJ oprorre(p, ^!t
ardues oleilod Iodec "'ol€ulqr LI (ya7u1 '33n Ierocue) /J=zel ossetu ouuBq (r.cm- ns) orercJrlsl
euedde I e1 "' eurrd 9-91 otreJlrLzze I ouetqcceuueds fl = z o\p I olsenb
- | 'rre4ue1o,r o
aJo}lseru osouSoSre,r "' rad otuouuerdos I o1ou3
sI ,.{:. led [esoc 51 "'] eu e ns) gre:
retcsel 'opJocce.p a ajot
-Iuou ZI fl-- zesoa ellnrq eun 'ens e1 [ o1]8J "' I Z-II orelcs€l ns I
IIlitarur ,rf :, ESox a1 'nsds a 'ssz} Y - ete [esoc - 0I o11enb zs I olsenb 6 rsd ereure eccoq
odop 6-3 I ele 8 ,tf =,-lllenb I oroloc -otdos tnc a) rsoca
"33o [ :auoueloc
Iuellsyc rrlp 13 ouueJ eluo' I ouerlstrc "' lenb 9-9 0r0pe^ oJero^EI e (ouarp
èS I as ero I
Éro I ossepe € eJ
essod rs aqJ ouellslJc lp EIcteJ €solrnc 11d e1 an&as t e 'Bgodtut eu alu E
'eced "'?qcc€ID 9-I glenb uoc e'eue7
Is [ ?,J ourets r'.rcsds I ourercce; 1 'dns'&tow '33o [
es erlJ errp e ols
'{A[ sllnJued>>) 4A 'trl :INoI/'IIJS.qI
'vttr i(«ecrueuoq e[op >tep o11anb
- I 'lrnJ essrp 'e
- |
eupelloJJ§ eun uo
reg red ere{oJ lr o
oq, .è33d Bluss ur odsc II OJdTUOS Oleurqc Bq e 'olzl^ olsonb oln^e ISIu 8q 'epplrss osslp 'aln
uou oun opuenb eIN 'BIIsls sllau IrPc ou€Jeds IFIU I e 'BlsaJc el aJ311àu -recceds or13o,r (o
§I rp €Jooue euud orol rp BU ouelqcteuuods IS IllolleE t olssnb Jed e 'ouelu 'eJe.uroc ocJBU e
q etsolaE el eqo Es Is PID a 'olrren8 uos or.
H, {ld Iqc 'I11n1 oruelqq"(l eriJ ol}aJlp un'elades eqc €soJ BllnJq e1 rad I o]]n1 uoc 'eralo
oloqop Isoc< 'lrn
olou8ruou 1aq lanb osseu ou3^e^3 II3 Qqo 'Plpe,r ul o11"J ollnJq un 'ons
IIJOIU OToSSOJ aU
ol1BJ II qErtp ezuas «BIJJBIoluod)) Jelcsel gnd ts uou - iBueIIIIiles eflou epnbse4 ueso arl
OI ol13J I€q eqJ nI eo enl al rad euol^ 11 €soc - IJarluelo^ opuads
- :oJll?.llenb - ieleuroÉ
:olsenb e atlp eqc sJes oleqes II eJolleJ II BJ eluo, sJeJ e^op Is es a :euozeloc erdruos (o,repreni
odop 'eralqor€It{c ellep €Jo(llau 'em.Uou 'ps 1p erulred re; ry olsnE 1aq p 'o11ed g orluep er
oln^? ouusq eqc oJolos Illnl B Bzuolcso3 Ip sluese.l oJ€J 3 Bli IS es ?JO -pB.un r^BJqrues aq
'eced elues uI eued ons 1l rsrerEueur eqEozr slenb y ouellslJs un aJeJ e1 oqc (orelpdse (
e e11eu orzlpnÉ 1 o'tcsds) orelledse
Ions eqJ lenb rp olJeJluoc I o]lni oueJ ouueq 'eu8eop'
oln^" ouusq aqJ Il1€tu Iluel €r; ernErg BIIaq €J Ic e 'Inl eqcue apuÉuo o1
o IplBqIJeD oun
{aq un ?.qc «slcselo}uod)) auol^ ossapa 'elenueurg oIJollI^
p3 oun"pe eressed ouopo^ rs a 'ot1eA p olqSco.l e113lu IS SqC 'aSaed 1eu
elsoJ EI q,c opuenb 'suleloutsoc olilssoJ es aluoJ or[elcoeJ Qq'cBID
F aJèloc oJlle un B
'ourN Q
'oluelu?lsal Ieu el
-oddo pu 'rlodode
IcJe^e rp epnbse
€Joloc u euEedru
VISSVTOJN!Id UBS a oscou rrBS
116 VITA DEI CAMPI

sant'Isidoro c:e ne scampi, non si sa capire come abbia a infuriare tutt,a una quistione ogru
un tratto, al pari dì un toro nel mese di luglio, e faccia cose da matto, chè il figlio accors(
20 corne uno che non ci vegga più dagli occhi pel mal di denti; chè quelle tato il viatico, nol
cose lì sono appunto come i denti, che dànno un martoro da far p"id... di bocca alla morit
la ragione allorchè spuntano, ma dopo non dànno più noia, e servono a e il viso distatto. r
masticare il pane; e lui ci rnasticava così bene che aveva messo pancia, come e aveva vivi solam
un galantuomo, e pareva un canonico; per questo la gente lo chiamava «pen-
25 tolaccia>> perchè ci aveva la pentola al fuoco tutti i giorni, chè gliela mante-
cose.
- Eh?... El
Chi non rispetr
neva sua moglie Venera con don Liborio. La povera vecct
Egli aveva voluto sposare la venera per forza, sebbene non ci avesse fatto Ia moglie di sr
nè re nè regno, e anche lui dovesse far capitale sulle sue braccia per buscarsi da questo mondo.
il pane. Invano sua madre, poveretta, gli andava dicendo: Lascia star stomaco contro la
I

30 la venera, che non fa per te; porta ra manteninaamezzatesta, - e fa vedere cuore al figliuolo. ,
il piede quando va per la strada.
ascoltarli pel nostro meglio. - I vecchi ne sanno più di noi, e bisogna briglia sul collo. nr
chiamava altriment:
Ma lui ci aveva sempre pel capo quella scarpetta e quegli occhi ladri a sentirlo anche lù
che cercavano il marito fuori della mantellina; perciò se la prese senza volere ci credi? gli diceva
35 udir altro, e ia madre uscì di casa dopo trent'anni che ciera stata, perchè
suocera e nuora insieme ci stanno proprio come due mule selvaggie alla
stessa mangiatoia. La nuora, con quel suo bocchino melato, tanto disse
e
tanto fece che la povera vecchia brontorona dovette lasciarie il campo libero, e fra ... quistione I u-
e andarsene a morire in un tugurio; e fra marito e moglie succedeva anche fra marito e moglie :
pagare (spscr.a lui ne
... vecchiarella I r'orn
la testa bassa (spscr.a china) 2:771 18 si sa capire I si capisce (srz so capi- viatico I
Signore
re) come ... infuriare I perchè infwi 2:Trt 19 al pari di I eome 2=Tr1 Riv cavare I ca\.a
lel I del sa nel 20 vegga I veda occhi I segue dallo denti I den[ti]
2:Tr1
da non parlava piu. ir
21 chel segue quando spuntano da ] segue, nell'interl., rlon e gli occhi ancora rir.
dirle] 22 allorchè spuntano j ogg. interl. 22-3 nan... pane I servono a ma- spscr.a che incolla
sticare 23 messo I segue su 24 canonico; I canonico, e 24-s gentel se- casuccia I del tuguric
gue gli aveva messo nome 2 = zr1 25 tutti i giorni I agg. interl. 2g sulle
l
cominciava a fare Ri
su delle 29- poveretta, I agg. interl. 29-30 star ia I stare 30 te; porta Eh?... 1
l -Eh?...Eh
te. Ella pofiaz:Trt e fa I e lascia 2:Zr1 31 quando ... strada. ] mentre ajuta fa il ... e l
cammina.2:Tr1 ne] su lo 33 pel capol nella testa A Riv 34 ill fine. I segue Come la
un se I sa la 35 udir I sa udire lal segue vecchia dil d,alla2:Tr1 lo 49 accordato l
c'era stata I I'aveva allevato 36 insieme ci stanno I sono 2stanno insieme gliuolo. I senza *dire t
spscr. 36-7 arla stessa mangiatoia I nella stessa stalla 2: Tr1 3T-g tanto dis- con lui di tutto quello s
se e tanto fece ] sa tante ne disse e tante ne fece 38 dovette lasciarle
2 : Tr1 53-4 ormai
] le lascio (spscr.a oramu) 2:7/
= Trr 39 andarsene I se ne andò 2: ?.rr tugurio; I tugurio, ,4 Rlv
2
39-40
venturava I arrisc[hia

di compare don Liborio, meglio di un re di corona. I uno che non abbia mai avuto
il viziaccio della gelosia, e ha chinato sempre il capo in santa pace, che santo (Santo
Mn11 lsidoro ce ne scampi e liberi, se gii salta poi il ghiribizzo di fare il matto, liti e questioni, ogni r
la galera gli sta bene. I Aveva 2t braccial braccia, Tra 29 rnvano infine la povera vecciri
le andava dicendo I dicesse .i2 ascoltarli I ascoltarli, J4 mantellina; I Inuti-
l to il viatico, non potè
mantellina: J5 casa I casa, 36-7 due ... mangiatoia I cani e gatti ig ta I morì 51 e chr
fece I fece, T/ 39-42 e fra ... ricevere I fra marito e moglie erano anche sa, e ] casa, 56 Ch
eroll€ m'I'elseq g'Ial e^e3tp IÉ ['€^eper,
.'' 13 9§ 'esec I o'€s eqcue ouere arJio
I Isoc ls
-e) ereue^ [ uronu e1 'oron) [ eronc- 79 ot{J I eqc e 15 lJotu I er 8€ 111e3 e ruer
-towÉ:e g, ouIJ €llnrq el I oulJ "' loort lf aule^oclr elod uou'ocl]ul^ II 01 [ leurye1uetu 29
-e1rod oue,ra.te el arlc aJllues IE asJoc tn1 e 'e;eued Ip IUIJ elq3Joa erelod el ouIJuI -ltnul I ouetul 6
opuen§ 'orrn8nl lenb rp Blusoru el IsJBS€d e^o^op eqc ello^ tuSo 'tuorlsenb e Illl 'o11eu Jr aJeJ rp o
olueg) orues aqr .:
oJn^u rEru erqqe u
I e.neperc pA ']el I pe :ra1 el I it8 SS lJ: z [e.retq]cstrre I erernlue,t av-6e
-^E §§ r.U : z etuou I orcceurou 79 (reruu:o I reruro) fl: z (wtileto o'tcsds) V'o
olrJsl[ o{so IluetulJlle B^arII?IqJ >OI< UOU I O1IJEIX "' IBIUJO t-ۤ lJ:z
ol ^N
QrrsEI I elrelJsel
-sIP oluel
g-tt
euelp I eu gg ,.tf :, awo) [ eueddy 79 ,t1: , 'tcsds olenb o11n1 Ip InI uor àtuorsui ouuelsz or
rsreSogs*, olep eqqeia.e 1à odloc lenb e.tedes eqc ml e e1o;ud eun oJIp* e'zues [ 'o1on113
-lJ "'onnl Z-0§ '1n7ut'33o I rsopuelrod "'ep 0§ oneJ I aleplo$e 6l ol /J:refleP IP
-loc trns e113rrq e11oc e '€seo eyep uuorped PlseuilJ Bre eronu e1 awo3 an8as [ 'eug lUtC V e'
^tt ...
oJluotu [ .eperts
èu uou Iuou ,'tly 'ouueleru I ouuepuryalur '33o Ie "' II eJ e1n[e
"'aqE I eilod :oi 0C a
I elpdsrr 1y (e1o.red BIos Bun ur anSas I esoc) ,"l7:z "'iqg "'òqg
- [ I elps 97 .Farut
"'òqA "' oluel 9-s, (oluellos o'tc§ds I alueuelos oJ€J e elelrutruoc
^?dr -as fapa? 9-97
V $te! e e^€lJulluo3. rse,rece; p13 [ rsre; e e^elJultuoc orrn8nl 1ep I erccnsec -etueouo^Jes Ier
ellop p opuoJ wànZas I o11e;srp aTetns o'tcsds I e]ellocut etlc o'tcsds uou ''lDtut,llau ,a
e
I opnb eI) \q: , ]éd, tsenb oue.tesslJ ol e oue^€sslJ ol otlÒ IIIA erocue rqcco 113 lpluep I lruep
'ocuprq os1a Ioc (ereu erquro,llat o'tcsds) olau olronlu€c un uI '1td elelred uou ep
-uoqrroru €l ?qc I esselo,r "' eccoq p S-€, 'yaqut '33o olre^er I ere,rec Llt ,rf :, owo) [ p
-rdec os zs) ecsrdzr
V (V atnddau ouJa^oclJ tt'tcsds) ereÀeolJ e;nddou I ere.tectr erou8ts I ocqet.t
Zn fl -- z erpeut Bns B eqc r13rrp e l7§\re^ a&p ,?s' ou?ro eulot I elleretqcce'r "'
P lV 1i: elB§alu e1 (erc?ed eu rn1 z"tlsds) ere8ed
-[ , opuenb I qqcrolp 1-97 orlruB e^apoJJns a
rse^oÀop orrnEnt "' e^è^op 0, (eri aqc Ier; a) ,.r7:. eqEour a o]Ir€Iu e{
(euecs z'rasds) ouorlsrnb eun eqcue (erc,c o'tcsds) E^epoccns aqc I ouol]slnb "'Br3 o 'oreqq oduec yr ai
à SSSrp oluBl ,OleJa
e1e aÉEulyas alnu
ar{3Jad ,B1e1S era.r
'EnbsBd eun eruoc oluoluoJ 'e,repa.rc I3 uou g8e pe :I3l e^oclp gB itparc tc aJeJO^ szuos osaJd
§§ oq, nI elEour 3llo3 euesJ€UEBI 3 ?^BJnluA^^B IS a 'Inl OIISUe OIJIIu3S e rrp€J rq3ro q8anb
-
E^BArJJe opuenb e 'OlJoetuou Ienb UOC eqc OlIJsIu OnS IluolulJll€ z^eluglqc
uou reruJo elua8 el aqc '01u31 Iod a elu?l ellBJ e^o^s ou 'olloc Fs ellEIJq euEosrq a .rou rp nr
elloJ e 'esec eliep suoJped ElsEIIrlJ €Ja BJonu el Bueddv 'olonUEIJ IB eJonc oJope^ BJ O .31Se1 ?
J31s BrJSE-I :op
Ir eJeSuuld ollBJ oqqeJ^e qE eruoc ?^odBS eqJ e 'EJonu 3l oJluoc oJeluols
0§ ouau e^e^? r3 oI{J ollenb ollnl PI ry Opuolu Ie IsopuBlJod 'Opuour o§enb €p rsJecsnq Jed -ErsJEJq
euesJepue 1p evefi el olepJolJe B^e^€ el oI( e :oI8IJ ons Ip eqEou BI olleJ osseA€ IJ uou aueq
e^e^? eq3 €lItsnIJ EISUI Ellap orlJerulueJ IoJ €lJOIu eJe ?Ir{JCa^ ?Je^Od 3T
'eurJ Buonq 3J uou 3 ouuslslu ons II 3J IJOIIUoE I BlladslJ uou II{J -eluetu u1o1p pqc .ru
"'iqa "'eqa 'osoc -uad» e^?uerqJ ol e
- aIUO' .Brcu?d ossaru
9V eluBl IiSJrp esselo^ eI{3 BAoJed IIBnb Ioo 'rqcco tIE olueru?los I^I^ B^o^€ e
'o.rncs rsreS B B^€lcunuoo e^op Elscnseo sllap oloEus(lleu 'olleJslp osl^ I 0 e ouo^ros o .elou
'alJour Bgsp elBIIoJuI sJqqel ol PÉ e^a^B alsnb BI 'epuoqrroru slle mroq 1p eraprod JEJ Bp oJol,
EIoJBd €rullln(l otelex Qu 'auolzlpaueq ?I eJe^eoIJ ?}od uou 'oc1ler,r I 0131 e11anb pqc lr1uap rp
-rod oue^e^? al ellorBlqcce^ BIIe 3qc erlluas 1e 'o1e1a;er1 esrocc? ogEtJ p qqc 'o11utu Bp eso, erJt.
oq3 Bllo^ ruEo auollslnb eun 3.11n1 aJErJnJur 3 Br
0? -Jolle g 'otrnEnl Iep elesaru €l IsJEEed
"^e^op
LII VICCITIOINAd
118 YITA DEI CAMPI

Era fatto così poveretto, e sin qui non faceva male a nessuno. Se gliel'a- in cambio non gli
vessero fatta vedere coi suoi occhi, avrebbe detto che non era vero. O fosse botte, nè I'olio n
che per la maledizione della madre la Venera gli era cascata dal cuore, e sfoggiava scarpe r
60 non ci pensasse più; o perchè standosene tutto I'anno in campagna a lavora- le sue visite, e gli
re, e non vedendola altro che il sabato sera, ella si era fatta sgarbata e una casa sola, ed
disamorevole col marito, ed egli avesse finito di volergli bene; e quando con coscienza
a far prosperare-L
una cosa non ci piace più, ci sembra che non debba premere nemmeno agli
altri, e non ce ne importa più nulla che sia di questo o di quell'altro; insom- il suo vantaggio al
65 ma la gelosia non poteva entrargli in testa neanche a ficcarcela col cavicchio, lo non è brutto (
e avrebbe continuato per cent'anni ad andare lui stesso, quando ce lo man- Ora awenne d
dava sua moglie, a chiamare il medico, il quale era don Liborio. tutt'a un tratto in
Don Liborio era anche suo socio, tenevano una chiusa a mezzeria; ci che lavoravano ne
avevano una trentina di pecore in comune; prendevano insieme dei pascoli vespero, vennero l
70 in affitto, e don Liborio dava la sua parola in garenzia, quando si andava accorgersi che <<Pe

dinanzi al notaio. <<Pentolaccia» gli portava le prime fave e i primi piselli, no l'aveva visto, c
gli spaccava la legna per la cucina, gli pigiava I'uva nel palmento; a lui e quando parli gr
Stavolta parve
il quale dormiva, r

lui, e glieli ficcassr


segue più, > tutto< 57 Era I Insomma era = Trl gliel' I glielo sa -a 58
2
laccia!» dicevano,
fatta ] -o vero I su -a 58-64 O ... altro; I agg. interl. 59 per ... cuo- nel brago, e c'ing
re, I la maledizione della vecchia gli (srz gliela) avesse fatta cascare dal cuore la
(sa sua) moglie, 60. standosene ... anno ] se ne stava sempre '>lontano< la-
Allora egli si ri
vorare, I lavorare Rlu vedendola I la vedeva 6l-2 ella... egli I ed ella era
sempre sgarbata e disamorevole (spscr.a cattiva) con lui 62 volergli I Je 63-4
una cosa... ce ne] una cosa agg. interl, non ci preme più >di una cosa< non ciuolo, nè la lepa r
ci 64 sia ... altro I se la prenda questo o quell'altro 64'5 insomma la ,/ orciuolo. .Sua mq
gelosia I Insomma quella cosa = 7rr 65 ficcarcela col cavicchio ] colpi di cheRiv el
2
sest
martello = Trr 66-7 quando ... chiamare ] ogni cass. e spsq. giorno a chiama-
2
sperare la società oI
re zquando sua moglie lo mandava a chiamarle.qpscr. 67 il qualel >ogn[i] < I
col srz del p€rr
che 6E tenevano I avevano 2ci avevano insieme 3 = 2era 7r1 una I w pezzetto ne I si fl2:T/
di 70 sua parola in I manca andava I andava spscr. 71 notaio, ] casa del diavolo,
notajo ).Ele /, e gli riscr. avevabattezzato un bambino, cui< 72'81 cucina mentre .,. accorgersi
... dipinge I cucina. Don Liborio non si faceva pagare le sue visite, e gli avel'a mentre erano nell'ajt
battezzato un bambino: insomma facevano uha casa sola >. Lui chiamava don Li- gersi I prima saprrt
borio «signor Compare» < , sua moglie, tbianca e rossa come una mela, agg' interl' 87che1e2=f/
sfoggiava scarpe nuove efazzoletti di seta. Lui chiamava don Liborio <<signor com- quella) volta t9d
pare>> *e lavorava come un cane, contento come una pasqua, a fat (su fare) prospe- le parole che dicerr
2*non gli mancava nulla in casa, nè il grano nel
rare la società col signor compare e a ficcargliele nell'a
graticcio, nè il vino nella botte, nè l'olio nell'orciolo, nè la legna sotto la tettoia, interl.) 92 rosica
e lavorava come un cane e contento come una pasqua = Trr (gli pigiava .. . palmen-
3
ro majale! 94 N
to; I manca a lui in cambio I spscr-a in casa orciuolo; sua moglie I or-

ta, Tra 78 coscie


così, 58-68 vero ... socio, I vero, grazia di Santa Lucia benedetta. A che giova-
dir nulla a <<Pentoh
va guastarsi il sangue? C'era la pace, la prowidenza in casa, la salute per giunta,
chè compare don Liborio era anche medico; che si voleva d'altro, santo lddio?
tutti 83 tratto I
Cop don Liborio facevano ogni cosa in comune: 68 mezzeia; I mezzeria,
I
mangi, 88 parli I
beve nel brago!
f/ 69 pecore in comune; ] pecore, 70 garetzial -anzia 75 seta; I se- -
-as I ieps g7 e.
od€c Ied essed IIE oq3 i,euue^^B oqC I esoed "' ercilV S-16 - loEerq Iau e^eq
rc e elSueru Ic o
'euezzow lieutm
['o8erq "' el8ueu p e g-26'yed I Ilred 88't8uetu
I r8ueru rad - 'olsl^ [ red eqc 'o1syr 73 ,t1 'o11eg I o11er1 6:3 plnl I aoppt olu€s 'or{aJ
- e^epefl '«elrc€loluad» € €llnu rlp 'elunr8 red alnps e1
Ilueluoc ouele po I eSutdtp "' Isoc e /-r8 -e,ror3 oqc Y'ellepeue
eralod 1s 1p uou oprenEtr IB1 nS
'BzuelJsoc [ "'
- a{p ezva]csoc 8l vrJ 'el
-Jo I elEoru ens :o
ez1c lqzzrt 'tcsds etgr'.lasds e11oa etsen§. erg Iero11y 76 ;eleleru or -ueruled "' eau61d
fl
-art un g anaas I lepleu 96 ,t1 : , elaueur I e6ueur "' ecr§or Z6 (ya7u1 'e1o11e1 e1 o11os e@
'8Eo I opoqc un eruoc a1 anaas I oqccero) fl= z'eltrilIu]e,1eu eleg8reccrJ e o
leu ouurS Ir ?u 'Bsec
'orqcaero.Ileu (eleq8reccg o'tcsds) eyeg8reg;os e 'e[e,geu oue^ecrp eqc elored e1 -odsord (oreg ns) re; e
1oc [ 'opoJqc "' yE a 1-96 eqr Inl I apnb g «€rcc€loluad» 06-68 eqoir (e11enb -tuoc rouErs» oFoq-r-I
e 'ourolur as) e11en§ 'ourollB.p IBllo^B1S «'ourotle.p 6-88 fl=z e I eqc [8 'pa1ut '33o 'e1em eun
,rf =, erlc [ 0 o]€ssoJ Iou lts I edels q orprp 98 (andes ountd I lsre8 -J'I uop e^Eruer-qc m'I
-Jocc? 'ya|ut '33o I erquro,le) fl=ze'ouorzoloc e1 odop 'ele,1eu ouÉra orluoru e^o^e rld 0 'ells! alr
'Brouon puE e1p elrl BI oroE8ol € osec red oreslur 1s I aqc rsra8rocta "' oJluotu Eurrnc I8-uf, >Itr,
9-78 fl:s IlEz I [lr1l8 IIE '1ta|ur '33n [olos €8 'olo^Elp Iep BsBc [ 'orelou 11 zxù
un ur otlerl un e Ionerl "' q €-28 elyq an8as Ieqr ,rf =rrt! ts I eu ollozzed un I eun
-ua^ u V eluu.oc eto I erg Z8 (rpumb n'nsds I enrad Iep ns [loc
> [1]uEo< [ epnb g
6L olsaloc
^ttred
>eqc< [ opren8u 1e1 ns eredruoc rouErs 1oc pleroos e1 erereds -Brrrerqc e ourop '.a
-ord rug e an8as [€zuorcsoc 'enbsed Éun oruoc o]ueluor an8as I e Mt aqc rp rdloc I olqccrrec
-uDuoq I uop l[ ocuow I eqcup 9L 'tcsds a'ssac erlSoru enso 'olon]cro / el ?Iuluosur §-tg)
>'UaU!'33a olueurled Ieu e^n.l e^erErd IE< 'erollel el ollos euEel e1 ?u 'olonlc uou >esoc €un Ip<
Veg e1- [gEraloe
ere ello pe [ ffie "'q
aperp rs o 'olslqqBJJe auB, un osJotu esso^?.I 3s oIrIoJ QzzrJ Is IIEo EJOIIV
-q >oue1uo1< ard
BI eronc IBp ar?csE
ialer8ru un eruoJ ?sseJEuI.J e 'o8eJq I3u -onc "' red 69 'p
e^oq rJ e erEuBIrI IJ e iOIJoqIT uop ozzou sclsoJ Is aq, louB^oclp «ielccsl 8s e- zs olegE [.
-oluod» rp oJteq lanb g 'opoqc un eluo, Blulua.ilou assBcclJ IIoflE o 'ml
-
06 Ip ou?^e3rp eq, rlJadoJdun,lE otqrceJo.lleu ossBIJJos IIE a '?^Iuuop 3l"nb I
(€rcsBloluod» eJaclzznls 3 essBpuB olo^ery [ oqc olJdoJd orrred €llo^els
(<'ouJo}l€.p IIBpJBnE IIJBd Opu"nb o m1 e loluerupd pu
'orcsn,l 1pnqc IAuBrrI opuenb» aJIp Ions Is olsenb Jed oqc 'o1svr ?lale,1 ou 'Slesrdrurrrdreeael
eAEpuB rs opuenb !
-nssau e '3dels 3l oJlelp oJIuJop e otrellnq ?Jo.s «Blc3?loluad» oq, IsJoEJoJse
§8 ezuos 'aflEolu uns 3 a Inl B '31I^ e1 gEreEEel B osBc Jad oJeuuo^ 'otodsazr locsed rep euerflrr
rp ?Jo.lleu 'BJq{uo,lle ouB^BJeIqJseIq, eJlueru 'oseEEuur Ieu ou3^3Jo^31 oIIJ tJ :elJezzaut e ?silE
'orroqlT uop
rurpeluoc rr11e gE ouroc 'olueurolu un u1 'o1os ouJoIE un ut olleJl un 3(11n1
-ueru oI ac opuenb '
olo^?rp Iep €sB, Eun ul QlnrII IS ueEue [Eep aced elsanb oq3 ouue^^B EJo
'oEuIdIP IS sluoc ollnJq ? uou ol 'orqrcllec Io, eIsJJBt
-urosur lorlp,lonb p
08 -oÀBIp Ir ello^ aIIB QII' 'l$nl pualuoJ ouBre Isos e 'lnl aqcuu oÉEelue^ ons II
y qEu oueruruau aJerrÉl
e^a^B rJ qlcred elenb «eJudluoc JouEIs») Io3 B,1oI3os.B1 ereredsord ru; e
-
rs qE uou «"Icrelolued» oprunErr pl ns opuunb a :ouaq II8E
- o4p u,ralod - Bzuelcsoc uo,
Ia pe 'B1os us?c Bun e eleqreEs el4e! eÉ,
B^?JoÀul e «eJ"dluoc JouEIs» oIJoqIT qop
"^BIueIqo
ouB^ecBJ Bruruosul'ouIqIII€q un oqrus olezzetleq errezre qE o'eIsI^ ons 0l
-eJo^el e euEàdureJ
e 'oJonc IBp BlBcsE
SL ruEed eraceg Is uou oIJoqI'I uop :B1es Ip 'gplozze! o eÀonu adreJs e,ruÉEo;s
essoJ o 'oJe^ ?Je u(
'B1aru Bun auloc BssoJ e BcuBIq egEoru ens :olonlcJo.Ilau oIIo.I qu 'a11oq
-e,1aqE eS 'ounsserr B
elleu out,r p au 'orccllerE 1au ouerE g qu 'e1pu e^Ecuelu qE uou olqluuc uI
6II wccYl0J,Nad
120 VITA DEI CAMPI

95 a correre verso il più dagli occhi, che fin l'erba e i sassi


paese senza vederci d'imbrunire, ed e
gli sembravano rossi al pari del sangue. Sulla porta di casa sua incontrò farsi saldare i.l con
don Liborio, il quale se ne andava tranquillamente, facendosi vento col cap- denari, e per giun
pello di paglia. Sentite, <<signor compare)) gli disse lui; se vi vedo un'altra zarlo, e voleva m
-
volta in casa mia, com'è vero Dio! vi faccio la festa! si sentiva una spi
100 Don Liborio lo guardò negli occhi, quasi parlasse turco, e gli parve che tenendosi la bamb
gli avesse dato volta al cervello, con quel caldo, perchè dawero non si pote- e piagnuccolava, ;
va immaginare che a <<Pentolaccia>> saltasse in mente da un momento all'al- ra quella sera a§€
tro di esser geloso, dopo tanto tempo che aveva chiuso gli occhi, ed era sulla scala, non hn
la miglior pasta d'uomo e di marito che fosse al mondo. Don Liborio s
105 Cosa avete oggi, compare? gli disse. a far la sua panit
- Ho, che se vi vedo un'altra volta in casa mia, com'è vero Dio, vi tastare il polso, pt
-
faccio la festa. che ci aveva nella
Don Liborio si strinse nelle spalle e se ne andò ridendo. Lui entrò in dal suo posto. \l:
casa tutto stralunato, e ripetè alla moglie: qui un'altra volta del dottore che se
- Se vedo
ll0 «il signor compare» com'è vero Dio, gli faccio la festa! do pel caldo, e fa
Venera si cacciò i pugni sui fianchi, e cominciò a sgridarlo e a dirgli a prender Ia stangi
degli improperi. Ei si ostinava a dire sempre di sì col capo, addossato alla egli era di tropp<
parete, come un bue che ha la mosca, e non vuol sentir ragione. I bambini se ne accorse, p€r
strillavano al veder quelle cose insolite. La moglie infine prese la stanga, bracciata di lesna
lt5 e lo cacciò fuori dell'uscio per levarselo dinanzi, e gli disse che in casa sua ilpiede nella stan
era padrona di fare quello che le pareva e piaceva. capo e collo taì cc
<<Pentolaccia» non poteva più lavorare nel maggese, pensava sempre a co, nè di speziale
una cosa, ed aveva una faccia di basilisco che nessuno gli conosceva. Prima Così fu che "
... conosceva. era ]
se ... morso I agg. interl.
96 sembravano I su par[evano] al ... Sulla I alla (conosceva I
primo
vista, come se dappertutto ci fosse del sangue, e sulla 2come il sangue. ^qpscr. Sul- dendoselo I
come r
la 97 don I Don Àlv il quale j ctre 2 = Tr1 98 compare» I compa- prappiù era tornato
re»! 98-9 se ... mia, ] a casa mia non ci venite più, se no,2:77r 99 Dio! l 127-2 strapazzarlo. l
Dio, I00 quasi ] srz come se gli 101 al I srz il 102-3 da... altro I tutto gola.l il mal di gola.
a un tratto 103 dopo ... occhi, I mentre aveva chiuso gli occhi per tanto tempo poveretta,l elapic
2:Tr1 104 miglior I più buona 2:7r1 105 avete ... compare? ] vi è saltato faccia che non gli ar
(s, ti salta) in mente >quest'< oggi comparc? A avete oggi, compare, Riv 106 con quella faccia
Ho, ] Mi salta in mente vi vedo ... in I venite più a 109 stralunato, I stra- chiocciare, I chiocci
lunato Rlv ripetè I su di[sse] moglie I Venera 109-10 vedo ... compa- po I segue che s'era
re» I > Don Li[borio] < il signor <<Compare>> torna a venir qui, : 7r
2
111 Venera
2:7r1 dire I dicevaz:Trl
tolaccia>>, ]
«Pentol
si cacciò I La moglie (srz Venera) si mise 112 si ... tranquilla ] desena
113 un ... e I una bestia infuriata che ragione I sa ragioni 113-4 I ... piano 2:Trt lY
insolite. I agg. interl. 114 veder I vedere quelle I su altro insolite l prender I prendere
spscr.a che non avevano mai viste La moglie ] Venera 115 cacciò I spinse vdrchio 2:7rl al
z:Trt 116 le ] cli piaceva I su piacea 117 più f manca 118 aveva 137-8 una bracciata
Riv 139 stanga.
a «Pentolaccia»? Si rizzò a un tratto senza dir nulla, e prese a correre verso il paese
collo, 140-1 med
come se I'avesse morso la tarantola, 95 dagli I degli 98 gli disse lui; ] ,gli
disse, Tra ,
- gli disse - Mril 99 Dio!] Dio, 105 compare? ] compare? -
107 festa. I festa! 114 qtelle cose insolite I quella novità 115 e gli disse l
dicendogli
che
123 a
125 piagnuo

I
?qcc€I8 lqqtnd 191 -ocnu8etd I e,reloccnuSetd 967 aqc I essp q3 e 977 p:i
I epnb e1 y71 II Ip lsre^onu I eutcnc elpp ouosrepue €ZI lSopuectp -;erzduroc [ 6e:edu<
[3' [ !m1 essp rr8 96
eseed 1r osJa^ aJeJJoJ e
^?àr
U orlperu ['ocryetu 1-671 'o11oc
e odec er; 'odloc p1 ['odloc "' er3 0r-6tl eau€]s ['e8ue1s 691
^?dr ^!lI
U uo( [uop efeppc Iereplec 451 fl:z pd ut Iuletccerq eun 8-t€I e^o^e 8II D)uDul
'pa\ur '33o I eutcnc ur 1g1 'tcsds a',s§r, osru rs Iqtsodde rJJ:z olqcrB^ esurds I Qrcr€r sII
-os I oddorl '1ta1ut '33o I l3e g€t BI uoc I eloc erepuerd I repuerd I e111osur orjp ns
s€I QpuE n,e [ «elca€loluod>> 'pa\ut '33o I oppc Iod ,tI ,tf :, ouerd "' I p-EfI 1uor8e:
uerd I or8epe or8epe MI V e^n]é^ [ erue,r 961 fl: z eTrasep I e11mbuer1 ,r,[=relc,crp Ie:1p "'
ZEI fl:z'el]Ftue,recrp ['olsod "' Is Z-IEI ^?y«Blscelolued» ['«sl cÈlol eroue^ I[[ /J: _'
-ued» I€I lllossarl I elleser] o)uÙu [ €ns 6zI e]leJ €r3(s eqc anSas I od -edruoc "' ope^ 0I-60t
-opSzlessllueserdasIarepeccee.t.opopuenb^ldrualEi'colqc[.eretccotqc -erls [ 'o]eunprls 60I
Iep B^essoc rrs' I rp e^IuIJ LZI e11anb an&as l'ercu 971 ercce; e11enb uoc 9or d7à''or€dluoJ 'r
erned osseceg ffi oqqeq 1 rsenb e,reloccnu8erd oz elsr,r IeIu e^èAB 13 uou eqc BIcceJ otelles?m Ileredruor
e11enb uoc oqqeq I opuepo^ ['elcasJ "'e gzl fl:z €ulccld el o [ 'e11erea'od odruel o1ue1;ed rqcco
'epnb e1 p71 4?dr U ossow Is I euosrepue e11o.t 1a: r'e1o3 ry 1eu 1t ['e1o? o11u I ortle "' ep C-20
"' eun [e,re1]op e1 rs I eÀIlues Is f7t 'o1t1os 1e an8as f'olwzzede4s Z'lZl I iolo oo ,r.l : , ' o
tt'tcsds) olserdo qrrd oleurol ere prdderd -eduoc [ «eredruoc
,.{:. Q}sulluoJ olllos"' 1ep (ero,uonq nd:repvr
ios roà eqc Io.lonu red 171 ,rf ol os '§sm uou otuto) [ olasopuep 1ng '.rasds 'onSues p a
'pa1ut '33o [ 'oleqes uro pa 6I[ (o1svt etarc rtwttd I e'lecsouoc)
-e^ 0ZI
.'' e1p Ie1pg "'p [o
ga:r'lluoP I oJossolop IJUD nS rTB eso eruoc'ollo^uJls ollnl eJo ['e,recsouoc
'eJ3le3 uI oJIUIJ e Qpus «€Icculolued» aq3 nJ ISoJ SrurJd 'a^eSsouoS 116
'olBlzads Ip Qu 'oJ B eJdruos B^Bsuad 'a§
0fl -lporu Ip ousoslq Bzuos 'onq un etuoc QzzvuJu)eloq,'odloc P1 olloc o odec
€JJ aJep"c QICsÉl IT3 e 'EEu?ls eJ€dtuo3 ons II 'ezu?1s EIIaU apold I ?ns esEs ur oqJ assrp
esru orJoqrT uop €uaddv 'eÀITIoq "l Q^ol
eq3 sleplE3 €l ollos eu3e1 ry slelccEJq 'uEuels BI eseJd aurJu
ggn oJelleg 3 egr3n3 Ur elgpu€ EJ3 Olrr3tu6rg Ianb UI ?I{3Jed 'estocr€ ou es Iulqueq I 'auorEeJ Jn
uou eJeuo^ erzet1srp Jad 'ol3sn.l oJl3lp QlSOdde tS a 'oddorl rp ers qEa BIIB olessoppe 'odBJ
§gI opusnb
,esec rp rJonJ 3^3r3cecs o1 erlSour ?ns elenb BIIoc ?Euels EI JopusJd e gErrpeaolrepu8se
QpuB «elcoeloluod)) 'eqEed ry ofladdm Io3 o]uo^
Isopue3eJ e 'oplec Ied op iB1s3J
,orSepe oIE8p? UIUO^ au os aq, eJollop Iep BllO^ erll€(un rnb opi
-uBTJJOS ,elrSlt elep o3u31§ ,Od un
o1ue1 ossed I ellmbu€rl Blonl3clp€rls EI Jod Ipn Is aIIIoc eIN
'olsod ons I?p ur QJlua ml 'opusplr
B^eAOnru rs uou e ,ol7rz €^B1S 'lnl '«3lrC3l01uad» 'EIO8 sllou €^0^e L aqc
$ 'olc oJo^ ?.rrroJ '
0€l aleru Ienb Jed 'aJqqeJ EI elllues eJa IS ouJoIS I o1ln1 ?qoJad 'os1od II eJels?l
rsJBJ B^elo^ aqc s^eJlp €Ja{IeA sJeS sllanb e :e113ser1 Ip ellu"d ens el JeJ e
'opuou
'QJJBo I" oJepue.p BluIJd 'allsl^ ons al odop aJlua^ B^elos oIJoqI'I uog
.erzBJBSrpEun eJep€ccu a^ep opu€nb sluoJ 'eJelsf,olqo Ip e^ruIJ uou 'e1ecs e11ns BJe pa 'rqcco 113 osnr
eler?lload" 'ereu eutlle8 €l o 'ollad"3 Jed olo^eIp un e^e^B eJos BIIenb eJ -l3.ll3 olusruolu un Bp
-ouà^ '3I33BJ EIIenb uo3 €^ecBJ al oqqsq II aqr sJn?d BI Jad '€^elomnuEeld e -e1od rs uou oJe^^€p a
9Zl
.rSJeAOnru e^eso uou 'e11era,rod 'e1enb e1 'aqrueE al eJJ Éulqrueq el Isopueual ar{3 a^Jed rlE e 'o3Jn1
'eulcni ellup ouesJepue altro^ uou Ie utr§ 'elo8 €lleu eulds eun ?^Ilues Is iE1!
e
oqo 'olel?s eqEnlt3e etrlep elJ€Jdluox ul olJ?pueru e^alo^ a 'olJez
'ezzetd ?JllB.Un OpA^ rA eS :ml
,O13nSUO3 -dec 1oc olua^ rsopuaJ
-zedeJ§ e o^onu rp QuJol 1ap eurrrd aJo enp ElunIE Jod o'IJeuèp
0zl Bzuos aJe^rJJe olosopuopa^ 'sIIEou ?nS 'BuBtullles ellap oluoc aJeplss ISJBJ
I QJluotur ?ns emc rp
,o3los rssEs r e eqJe.l urJ aqJ
EZuAS QpUe eu es o Iou eddez sl Qiueld 'oluqes ?Je po 'errunrqutt,p
t7t VICSVTOINgd
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 85/S1
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1

Vita dei cam pi : P entolaccia


Apocopi
Introdotte da Verga sull’autografo al momento della revisione (tutte
interessano infiniti): 11 (lasciare > lasciar), 30 (stare Venera > star la Venera), 34-35
(volere udire altro > volere udir altro), 75-76 (pagare le sue visite > pagar le sue visite),
79 (a fare prosperare > a far prosperare), 114 (al vedere quelle > al veder quelle).
Presenti fin dalla prima scrittura sull’autografo:
in relazione ad infiniti: 8 di far parlare, 21 da far perdere, 28 far capitale, 103 di
esser geloso, 113 sentir ragione, 129 a far la sua partita
in relazione ad altre tipologie:
-- bel (8 bel gusto, 12 bel nomignolo) e quel agg. (54 quel nomaccio, 91 quel
becco, 101 quel caldo);
-- quel pron. (5 quel che), suol (5 suol fare, 87 suol dire), vuol (113 vuol sentir),
tal (78 tal riguardo, 140 tal colpo), sin /fin (57 sin qui, 95 fin l’erba), miglior
(104 la miglior pasta).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 85/S1
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1

Vita dei cam pi : P entolaccia


piagnuccolare / piagnucolare 125 (si veda il secondo apparato dell’edizione a cura di
Carla Riccardi)

imperfetti in -ia, -ea / -iva, -eva: in Pentolaccia si riscontra sempre la forma piena
(aveva, pareva, manteneva, succedeva, doveva, sapeva, diceva, credeva, faceva,
poteva, conosceva, voleva, soleva, muoveva; dormiva, sentiva, finiva, bolliva) con
due sole eccezioni: a 116 infatti piaceva risulta da una correzione sul precedente
piacea; viceversa a 133 il precedente veniva, presente nell’autografo e nella prima
edizione in rivista, viene mutato in venia.
Pentolaccia 133:
“Ma come si udì per la stradicciuola tranquilla il passo lento del dottore che se ne
venìa adagio adagio, un po' stanco delle visite, soffiando pel caldo, e facendosi
vento col cappello di paglia, […]”
Manzoni, I promessi sposi (edizione del 1827):
“Per una di queste stradicciuole, tornava bel bello dal passeggio verso casa, in sulla
sera del giorno 7 di novembre dell'anno 1628, don Abbondio, curato d'una delle terre
accennate di sopra”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 85/S2
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1

Vita dei cam pi : P entolaccia


Qualche altra annotazione relativa alla morfologia può essere ricavata dall’apparato e
dunque dai movimenti ‘consapevoli’ messi in atto dall’autore per giungere ad un testo
che lo soddisfacesse a pieno dal punto di vista linguistico e stilistico.
Sulla forma vegga 20: Luca Seranni (Le varianti fonomorfologiche dei Promessi sposi
1840 nel quadro dell’italiano ottocentesco, in Id., Saggi di storia linguistica italiana,
Napoli, Morano, 1989, pp. 203-205) ha diagnosticato con dovizia di riscontri la
diffusione (e ‘neutralità’ dal punto di vista diafasico) durante tutto il XIX secolo delle
forme del verbo vedere con tema in consonante velare; ma poiché per il presente Verga
in Vita dei campi usa vedo e non veggo, Daria Motta propone di giustificare la scelta di
vegga in questo luogo di Pentolaccia con il fatto che qui il verbo sia al congiuntivo.
Poiché le forme in -go (ben note nei romanzi precedenti) risultano ormai sostituite già
da Eva con le corrispondenti in -do (come alla fine del percorso conferma il Mastro, nel
quale compare anche il congiuntivo veda), ci sarà da chiedersi perché in questo luogo
di Pentolaccia l’autore (con movimento inverso a quello più generale) non solo adotti
vegga ma addirittura corregga il veda che aveva già scritto.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 85/S2
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1

Vita dei cam pi : P entolaccia


Pare insomma poco probabile che Verga abbia voluto coscientemente dissimilare il tema
del presente da quello del congiuntivo qui e soltanto qui. A fornire un’altra spiegazione
contribuisce il contesto (“e faccia cose da matto, come uno che non ci vegga più dagli
occhi”) che ha evidentemente abbia innescato un gioco linguistico con traveggole.
Il che avverte che talora forme percepite dall’autore stesso come arretrate all’interno della
personale acquisizione linguistica possono essere riusate con effetto marcato oppure
come forme appartenenti a livelli cronologici diversi dell’idioletto dell’autore possano
convivere.
È quest’ultimo il caso dei pronomi personali soggetto di III persona; in Pentolaccia per il
maschile si alternano egli (5 occorrenze), ei (3) e il colloquiale lui (7, più un’altra di
marcato valore intonativo): ei, pur nella sua connotazione letteraria e antiquata, è molto
diffuso nell’Ottocento, anche in testi di varia tipologia utilizzato da autori periferici (per un
sondaggio sulla prosa ottocentesca successiva a Manzoni, cfr. Serianni, Le varianti
fonomorfologiche dei Promessi sposi 1840 nel quadro dell’italiano ottocentesco, pp. 190-
192) e Verga se ne libererà solo nei tardi anni Ottanta, ma già qui si avverte la tendenza a
utilizzare con criteri di variatio tutte e tre le forme disponibili; lo stesso avviene per il
femminile: in Pentolaccia un ella è cancellato nel processo rielaborativo (al r. 30), un ella
rimane a testo nell’edizione del 1880 che però verrà espunto nell’edizione del 1897, a
fronte di un lei.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 85/S2
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1

Vita dei cam pi : P entolaccia

Dal punto di vista della sintassi si vede come lo scrittore cancelli due casi di enclisi a
forme verbali finite (a 40 dovevasi pagare > doveva pagarsi e già facevasi >
cominciava a farsi) rispondendo all’esigenza di eliminare forme percepite come
letterarie e ingessate (indipendentemente dal fatto che ai nostri orecchi doveva
pagarsi risulti molto formale a causa della mancata risalita del clitico).

L’espunzione dell’enclisi a forme verbali finite, sentita come arcaica, corrisponde, in


positivo, all’adesione ad una lingua parlata, caratterizzata da
1) che polivalente,
2) da un abuso di e in luogo di connettivi subordinanti,
3) da marcature attualizzanti,
4) reduplicazioni pronominali e avverbiali e ripetizioni lessicali, oltre che, a livello
semantico dal ‘non detto’ e da formulazioni allusive (in definitiva esprimenti
connivenza e complicità con l’interlocutore) che contribuiscono a caratterizzare la
scrittura e dunque il tipo di narrazione.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 85/S3
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1

Vita dei cam pi : P entolaccia


1) Per il che cosiddetto polivalente, in quanto utilizzato di volta in volta con valore
causale, temporale, conclusivo, di luogo o come connettivo di valore semantico
indistinto (corrispondente al siciliano ca), si vedano:
2 “quando c’è la festa nel paese, che [‘allorché’] si mette”
35 “la madre uscì di casa dopo trent’anni che [‘durante i quali’] c’era stata”
86-87 “e nessuno l’aveva visto, che [e appunto per questo’] si suol dire”.
2) Come l’uso del che polivalente sia cointeressato all’abuso di e, spesso usato per
esprimere la subordinazione (in una sorta di moderna paraipotassi) si veda:
103-104 “dopo tanto tempo che aveva chiuso gli occhi, ed era la miglior pasta del
mondo”
118-119 Prima d’imbrunire, ed era sabato, piantò la zappa nel solco”
e di nuovo 86-87 “e nessuno l’aveva visto, che si suol dire”, nel quale in un primo
tempo Verga aveva scritto: “che nessuno l’aveva visto, e si suol dire”.
Infine si aggiunga il cumulo di e e che in 50-51 “tutto quello che ci aveva nello
stomaco contro la nuora e che sapeva come [...]”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 85/S3
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1

Vita dei cam pi : P entolaccia


3) La sottolineatura attualizzante è ottenuta di frequente attraverso ci:
25 “perché ci aveva la pentola al fuoco”
27 “sebbene non ci avesse né re né regno”
33 “Ma lui ci aveva sempre pel capo”
68-69 “ci avevano una trentina di pecore”
79-80 “perciò ci aveva il suo vantaggio anche lui
che compare anche come locativo ridondante.
4) Per la ridondanza si veda in primo luogo proprio il caso di ci avverbio locativo:
4 “ci fa bella figura fra tanti matti”
20 “come uno che non ci vegga più dagli occhi”
36 “suocera e nuora insieme ci stanno proprio come due mule”
50-51 “quello che ci aveva nello stomaco”
92-93 “e ci mangia e ci beve nel brago, e c’ingrassa come un maiale”
95 “senza vederci più dagli occhi”;
ci non è propriamente pleonastico a 23 “e lui ci masticava così bene”, ma il luogo va
segnalato perché l’avverbio rinvia, allusivamente, a ‘con quelle cose’, cioè con quel tipo di
denti che sono le corna.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 85/S3
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1

Vita dei cam pi : P entolaccia


Ridondanze pronominali invece occorrono in occasione delle dislocazioni a destra o a
sinistra :
14 “la gelosia è un difetto che l’abbiamo tutti”
41 “alla vecchiarella le avevano dato”
51-52 “come gli avrebbe fatto piangere il cuore al figliuolo”
72-73 “a lui in cambio non gli mancava nulla”
85 “a leggergli la vita, a lui e a sua moglie” (in quest’ultimo caso si noti anche il
colloquialismo gli per ‘a loro’).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 86
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1

Vita dei cam pi : P entolaccia


Ripetizioni lessicali
18-23 “e faccia cose da matto, come uno che non ci vegga più dagli occhi pel mal
di denti; ché quelle cose lì sono appunto come i denti, che dànno un martoro
da far perdere la ragione allorché spuntano, ma dopo non dànno più noia e
servono a masticare; e lui ci masticava così bene”.
47 “Chi non rispetta i genitori fa il suo malanno e non fa buona fine”
49-50 “e Dio le aveva accordato la grazia di andarsene da questo mondo,
portandosi al mondo di là tutto quello che ci aveva nello stomaco”.
Abbassamento di tono
a) per eliminazione di elementi letterari o a favore di modi maggiormente espressivi:
65 neanche a colpi di martello > neanche a ficcarcela col cavicchio
123 le doleva il mal di gola > si sentiva una spina nella gola
127 come se presentisse > come quando deve accadere
136 quando egli era di soverchio > quando egli era di troppo
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 86
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1

Vita dei cam pi : P entolaccia


b) per scelte a favore di toscanismi: testa > capo a 17 e 33; finire ‘smettere’ 62, 127,
cascare 59 (Rigutini annota: “Lo stesso che Cadere nei suoi varj sensi, ma denota
alquanto più d’intensità, ed è più dell’uso familiare”)
c) di sicilianismi: galantuomo ‘signore’ 24
d) di forme tosco-siciliane: cristiano 6, buscarsi 27-28.
Frasi idiomatiche
4-5 avere il giudizio nelle calcagna; 6 mangiarsi il suo pane in santa pace; 27-28 non
avere né re né regno; 50-51 averci qualcosa nello stomaco; 52-53 avere la briglia sul
collo; 56 essere contento come una pasqua; 53 farne tante e poi tante; 74 essere
bianca e rossa come una mela; 82 pace degli angeli e casa del diavolo; 113 averci la
mosca etc. etc.
Proverbi
31-32 I vecchi ne sanno più di noi, e bisogna ascoltarli pel nostro meglio
47 Chi non rispetta i genitori fa il suo malanno e non fa buona fine
80-81 il diavolo non è brutto come si dipinge
87-88 quando mangi chiudi l’uscio, e quando parli guardati d’attorno.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 86/S1
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1

Vita dei cam pi : P entolaccia

Il narratore e i narratari di Pentolaccia


Il narratore dice noi fin dall’inizio:
“Giacché facciamo come se fossimo al cosmorama”;
la prima persona plurale di chi parla corrisponde alla seconda persona plurale di chi
ascolta:
“un brutto fatto in verità, ché gli avevano messo quel bel nomignolo per la brutta
cosa che sapete”.
Si veda la correzione “non si capisce” e infine “non si sa capire” introdotta da Verga al
rigo 18 in cui era stato scritto
“sant’Isidoro ce ne scampi, non so capire come abbia a infuriare”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 86/S1
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1

Vita dei cam pi : P entolaccia


Situazione comunicativa: oralità
“adesso viene ‘Pentolaccia’ ch’è un bello originale anche lui”
Situazione comunicativa: il ‘non detto’ (presupposizione)
“un brutto fatto in verità, ché gli avevano messo quel bel nomignolo per la brutta cosa
che sapete”;
“ché quelle cose lì sono appunto come i denti, che dànno un martoro da far perdere la
ragione allorché spuntano, ma dopo non dànno più noia, e servono a masticare il
pane”.
Situazione comunicativa: l’alternanza dei tempi
presente della narrazione rr. 1-23
imperfetto o passato remoto della vicenda narrata: dal r. 23 alla fine.

Situazione comunicativa: attacco in medias res (mancanza di pianificazione)


“Giacché facciamo”
“Ora se si ha a fare” 7, “Ora avvenne” 82.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 86/S2
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui contenuti


studiati nelle lezioni precedenti dedicate all’analisi
linguistica di Pentolaccia, lo studente è invitato a
compilare il test associato a questa sessione di
studio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 86/S3
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto
finale e gli studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un
esercizio di controllo dei contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto
fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad inviare i risultati del proprio test al
docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-portfolio; tali risultati
possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test
e ne darà conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato
della prova finale, invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole
lezioni o chiarendo ulteriormente quello che non è stato pienamente compreso.

49) Analizzate dal punto di vista linguistico il brano, estratto dalla novella
Pentolaccia, riportato nella slide seguente:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 86/S3
Titolo: Le novelle di Vita dei campi: Pentolaccia
Attività n°: 1
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 87
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

L’elaborazione de I M alavoglia

Alla lunga incubazione de I Malavoglia è stato già fatto cenno qua e là nelle lezioni
precedenti: ne recuperiamo qui gli snodi principali.

Subito dopo la fortunata pubblicazione di Nedda e il suo inatteso successo Verga


accede alla proposta di Treves di scrivere per le sue edizioni altri ‘bozzetti’ e novelle:
in una lettera all’editore del 18 dicembre 1874 sta l’accenno più antico (anche se non
esplicito) all’embrione del romanzo nella forma di una novella, anzi di un bozzetto di
argomento marinaresco che (dice Verga in un’altra lettera al Treves del 21 settembre
1875) “rileggendolo gli è parso dilavato”.
Il 18 febbraio 1876 il bozzetto aveva raggiunto una forma semidefinitiva poiché lo
scrittore dice di mandarne al suo editore la prima parte, che sta ricopiando in bella;
esso ha assunto il titolo di Padron ’Ntoni almeno il 28 ottobre 1876, quando con
questo titolo è citato ancora in una lettera al Treves
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 87
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

L’elaborazione de I M alavoglia
La novella (alla quale Verga attende fino ai primi mesi del 1878 quando l’autore la
promette in questa forma a Sidney Sonnino per la “Rassegna settimanale” da lui diretta)
sta però crescendo sempre più fra le sue mani come si può arguire dai frammenti
autografi e in particolare da quello che l’edizione critica di Ferruccio Cecco ha siglato M3.
In questa fase redazionale del testo, che pure non ha ancora alcuna distinzione in
capitoli, è già fissato lo sviluppo della storia principale che tende però ad accogliere
episodi che successivamente saranno resecati dalla vicenda (a questa fase elaborativa
corrisponde l’episodio del corteggiamento della gnà Pudda da parte di ’Ntoni, appena
tornato dal militare: episodio che più tardi verrà usato per costituire, mutati i nomi dei
personaggi, la novella Cavalleria rusticana).
La tarda primavera del 1878 segna una svolta decisiva. Come abbiamo già ricordato, il 17
maggio di quell’anno Verga annuncia a Luigi Capuana il “sacrificio incruento” a cui si è
deciso: il bozzetto verrà abbandonato in favore di un romanzo, il cui titolo potrebbe
essere I Malavoglia (ma la scelta non è ancora definitiva poiché anche in seguito il Verga
parlerà di Padron ’Ntoni e lo stesso contratto con l’editore sottoscritto nel gennaio 1880
porterà questo titolo che sarà definitivamente mutato solo in prossimità della
pubblicazione del volume, come dimostra la lettera a Emilio Treves del 9 agosto; cfr.
sotto).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 87
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

L’elaborazione de I M alavoglia
Nella stessa lettera al Capuana del 17 maggio, in cui Verga chiede consiglio sul nuovo
titolo, Verga mostra di essere alla ricerca di una raccolta di proverbi e modi di dire
(tornerà sull’argomento l’anno successivo):
“una richiesta significativa, perché oltre all’esigenza di una documentazione più
diretta, rivela come nella ricerca in atto che è soprattutto di linguaggio, la fonte
paremiologica sia sentita come indispensabile per la ricchezza di suggestioni che può
offrire, quale sintesi di saggezza, tramandata nel linguaggio che è l’espressione più
credibile delle categorie rappresentative e di pensiero del mondo popolare” (Ferruccio
Cecco, Introduzione a G. Verga, I Malavoglia, Torino, Einaudi, 1995, p. XXXII).
Della frattura ideologica e formale della primavera del 1878 Verga non dovette accorgersi
subito, se egli cercò in un primo momento di utilizzare ancora il manoscritto su cui aveva
lavorato in precedenza (M3) per adattarlo alla nuova prospettiva. Della nuova struttura
“riscrive ex novo, e ripetutamente le pagine iniziali e inizia a prefigurare, per la prima
volta, una divisione in capitoli (sono le pagine che costituiscono gli abbozzi M4 e
M4bis), ma al momento di riconnettersi con le pagine di M3, che intende assumere
all’interno della nuova stesura, si rende conto che l’operazione è impossibile; la
distanza che separa i due testi è tale da comportare non solo aggiustamenti, ma un
ripensamento completo della pagina!” (ivi, p. XXXIII).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 87/S1
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

L’elaborazione de I M alavoglia
Del resto quegli stessi mesi primaverili del ’78 sono centrali anche per la macrostruttura
in cui il bozzetto, divenuto romanzo, si inserisce, quel “ciclo” di cui Verga parla per la
prima volta in una lettera (datata Milano, 21 aprile 1878) all’amico Salvatore Paola
Verdura:
“Carissimo Salvatore,
Ti scrivo il giorno di Pasqua, giorno di pace, di perdono e soprattutto di riposo, per noi
poveri operai; ma come sempre ti sarà consegnata da Capuana, il quale ritorna a
Catania, e mi precede di un mese o poco più...
Ho in mente un lavoro, che mi sembra bello e grande, una specie di fantasmagoria
della lotta per la vita, che si estende dal cenciaiuolo al ministro e all’artista, e assume
tutte le forme, dalla ambizione all'avidità di guadagno, e si presta a mille
rappresentazioni del grottesco umano; lotta provvidenziale che guida l’umanità, per
mezzo e attraverso tutti gli appetiti alti e bassi, alla conquista della verità. Insomma
cogliere il lato drammatico, o ridicolo, o comico di tutte le fisionomie sociali, ognuna
colla sua caratteristica, negli sforzi che fanno per andare avanti in mezzo a quest'onda
immensa che è spinta dai bisogni più volgari o dall'avidità della scienza ad andare
avanti, incessantemente, pena la caduta e la vita, pei deboli e i maldestri.
...
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 87/S1
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

L’elaborazione de I M alavoglia
Mi accorgo che quando avrai letto questa lunga filastrocca, sarò riuscito a dirtene
ancora niente e ne saprai meno di prima. Il primo racconto della serie, che
pubblicherò fra breve, ti spiegherà meglio il mio concetto, se ci riesco. Per adescarti
dirò che i racconti saranno cinque, tutti sotto il titolo complessivo della Marea e
saranno: 1° Padron ‘Ntoni; 2° Mastro don Gesualdo; 3° La Duchessa delle Gargantas;
4° L’On. Scipioni; 5° L’uomo di lusso.
Ciascun romanzo avrà una fisionomia speciale, resa con mezzi adatti. Il realismo, io,
l’intendo così, come la schietta ed evidente manifestazione dell’osservazione
coscienziosa; la sincerità dell’arte, in una parola, potrà prendere un lato della
fisionomia della vita italiana moderna, a partire dalle classi infime, dove la lotta è
limitata al pane quotidiano, come nel Padron ‘Ntoni, e a finire nelle varie aspirazioni,
nelle ideali avidità de L’uomo di lusso (un segreto), passando per le avidità basse, alle
vanità del Mastro don Gesualdo, rappresentante della vita di provincia, all’ambizione
di un deputato.
Che te ne pare, se sei riuscito a raccapezzarti in questo labirinto schiccheratoti in una
breve lettera? Ma ti prego, acqua in bocca.
Salutami tanto tutti i tuoi e credimi tuo amico
G. Verga”
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 87/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

L’elaborazione de I M alavoglia
La lettera a Salvatore Paola (che abbiamo letto nella sua integralità) è significativa non so-
lo per quanto attiene all’aspetto letterario (la prima idea del ciclo dei vinti), né soltanto per
la dichiarazione di poetica che essa contiene (in cui la ‘coscienziosità’ dell’osservazione ri-
cercata da Verga corrisponde alla ‘necessità’ di un panorama quanto più possibile completo
“della vita italiana moderna” in tutti i suoi strati sociali, ricordando che il mancato com-
pimento del progetto complessivo ci priva del riscontro sull’effettiva realizzazione). Impor-
tante in questa lettera è anche la netta affermazione che l’operaio della letteratura, per
raggiungere quell’effetto di rappresentazione coscienziosa della realtà che si propone dovrà
di volta in volta in maniera differente misurarsi sulla forma (“Ciascun romanzo avrà una fi-
sionomia speciale, resa con mezzi adatti”). Proprio all’elaborazione dei mezzi adatti per
rappresentare il mondo dei pescatori di Trezza sono dedicati i due anni successivi; l’elabo-
razione della forma avviene sia all’interno del romanzo vero e proprio, con la sua scrittura
e riscrittura, sia nel cantiere, aperto in contemporanea, delle novelle, in cui il bisogno di
farsi “piccini”, enunciato a livello teorico nella novella Fantasticheria (scritta proprio nel
1878, pubblicata in rivista l’anno successivo e poi posta ad aprire il volume di Vita dei cam-
pi), prende forma con l’artificio della regressione nella scrittura contemporanea di Rosso
Malpelo (pubblicata in rivista nell’agosto 1878) e con altri assaggi per conseguire quel-
l’impersonalità dell’opera d’arte enunciata nella lettera prefatoria all’Amante di Gramigna.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 87/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

L’elaborazione de I M alavoglia
Ma se l’impostazione teorica è chiara, se il progetto complessivo entro il quale inserire il
romanzo ha già assunto nell’aprile del 1878 connotati ben definiti, il problema della
forma, sperimentata via via sulla misura breve della novella, per la necessità di
verificarne la tenuta nel respiro lungo del romanzo occuperà continuativamente quei
due anni che separano il 1878 dall’anno di pubblicazione del romanzo, due anni in cui,
anche per ragioni biografiche, si alternano momenti di creatività a momenti di pausa e di
inazione.
Il 7 novembre del ’78, per esempio, Verga scrive a Capuana da Catania:
“Anch’io ci ho avuto e ci ho delle angustie e assai più guai; motivo per cui Padron
’Ntoni dorme il sonno del giusto da 3 mesi, dopo un tratto di lavoro fatto a passo di
corsa a Battiati e riescitomi piuttosto bene. Mia madre è stata malata, e abbiamo
temuto assai più gravemente di quel che fosse in realtà. Figurati se ho avuto testa di
mettermi con Padron ’Ntoni o Padron Diavolo coi diavoli che avevo in capo. Ora
fortunatamente mia madre sta meglio, e conto rimettermi a lavorare di lena, giacché
sono infatuato del mio disegno, e quel po’ che ne ho cavato fuori mi fa molto ben
sperare del resto” (G. Verga, Lettere a Luigi Capuana, pp. 101-102)
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 87/S3
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

L’elaborazione de I M alavoglia

“La profondità dei mutamenti in atto ci permette di capire come fosse impossibile
un’assunzione all’interno di una nuova stesura delle carte che avevano costituito il
bozzetto Padron ’Ntoni. Esauritasi quindi la fase rappresentata dagli abbozzi M4 e
M4bis, che tale soluzione prevedevano, viene messa in cantiere la nuova stesura
costituita dall’abbozzo M5, che giunge fino alla fine del capitolo IV, non superando,
come succede del resto per tutti gli altri abbozzi, il ‘limite’ rappresentato dal capitolo
V. Sono infatti i capitoli iniziali, e lo saranno fino all’ultimo, a presentare le maggiori
difficoltà, tanto è vero che, risolti i problemi preliminari, per la seconda parte del
testo Verga si affidò a una stesura direttamente condotta sull’esemplare inviato in
tipografia” (Cecco, Introduzione a G. Verga, I Malavoglia, pp. XXXVIII-XXXIX).

Anche quando il romanzo era ormai in dirittura d’arrivo Verga non ne aveva ancora
definitivamente stabilito l’attacco, proponendo a Treves tre soluzioni:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 87/S3
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

L’elaborazione de I M alavoglia
“Oltre a quella che sarà definitiva, e che sembra essere stata anche la più antica, pre-
sente cioè fin dai primi abbozzi, Verga prevede un inizio con l’episodio della tempesta
(cioè con l’attuale capitolo III), quindi successivamente, uno con la sequenza delle
esequie di Bastianazzo, per tornare infine alla versione primitiva, che comunque viene
ancora sottoposta al giudizio di Treves, quando Verga invia in visione (il 25 aprile
1880) i primi capitoli del romanzo” (Cecco, Introduzione, p. XLIII).
Nella lettera del 25 aprile 1880 Verga diceva testualmente:
“Caro Treves,
Eccovi i primi capitoli de romanzo. Io preferisco tagliar via tutta la prima parte sino a
pagina 42 e cominciare subito colla pagina 1 dell’altro brano di manoscritto che vi
mando”.
Nella lettera al fratello Mario del 27 giugno 1880 Verga fissa precisamente la data in cui il
romanzo è stato terminato (Lettere alla famiglia, pp. 454-455):
“Io sto bene, ed ho finito proprio il 23 il romanzo, ci vorranno ancora una ventina di
giorni per ritoccarlo, ma intanto il lavoro principale, quello più importante e faticoso,
e che mi preoccupava di più è fatto”).
Contrariamente a quanto Verga prevedeva, la revisione occupò lo scrittore per qualche
mese.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 87/S3
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

L’elaborazione de I M alavoglia
La revisione si attuò sia sulle carte dell’autografo (introducendo in questa fase finale la
gran parte dei proverbi, desunti dai quattro volumi appena usciti di Giuseppe Pitrè,
Proverbi siciliani, raccolti e confrontati con quelli degli altri dialetti d’Italia) sia sulle bozze
di stampa che lo scrittore cominciò a correggere nell’ottobre 1880. In una lettera del 19
luglio 1880 Verga aveva scritto al suo editore:
“Quello che mi dite delle novelle m’incoraggia e mi fa lieto pel romanzo nel quale ho
cercato di estrinsecare quel concetto che l’arte per essere efficace vuol essere
sincera, e che tutta la questione e l’importanza del realismo sta in ciò che più si
riesce a rendere immediata l’impressione artistica, meglio questa sarà oggettiva,
quindi vera o reale come volete, ma bella sempre. Ci riescirò nei Malavoglia? L’ho
tentato, e certo non mi son preoccupato del giudizio del pubblico quando scrivevo;
ma a lavoro finito ci penso [...]. Quanto al ms. dei Malavoglia datemi ancora una
settimana o due, e ci guadagneremo tutti. Io non so quel che ne dirà il pubblico,
spero però che ci vedrà l’intendimento d’un tentativo veramente letterario”.
Il 9 agosto successivo l’autore mandava al Treves, sebbene solo in parte, il manoscritto
de I Malavoglia; nella lettera che accompagna l’invio si legge anche:
“Pel titolo resta adottato I Malavoglia, invece di Padron ’Ntoni. Colla seconda parte vi
mando pure due righe di prefazione”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 88
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

Le reazioni a I M alavoglia
Nella lettera al Treves del 9 agosto 1880 appena citata il Verga affermava anche:
“Spero che sarete contento di questo lavoro come, sinora, ne sono contento io. Mi
pare di esser riescito a dare il rilievo dovuto ai personaggi, e metterli nell’ambiente
vero, e aver reso realmente questo ambiente”.
La soddisfazione senza se e senza ma espressa in questa occasione dallo scrittore fa
parte di una strategia ‘commerciale’, spesso da lui utilizzata nel trattare con il proprio
editore. Certo che di tutt’altro tono sono le lettere che Verga scrisse pochi mesi dopo
all’amico Capuana; sia quella del 19 febbraio 1881, quando ormai il romanzo era stato
finito di stampare ma non ancora diffuso:
“Treves mi dice di averti mandato I Malavoglia prima ancora di metterli in
pubblicazione. L’hai ricevuto? Dimmene il tuo parere nudo e crudo e digli il fatto loro
francamente. Se non si reggono in gamba non c’è nessuna ragione di accarezzarli, e
di mettersi i guanti per acconciarli nel cataletto. Addio Luigi. Non ti nascondo però
che sono inquieto pel come saranno presi questi disgraziati Malavoglia; e si ha un
bel fare il bravo, ma non si possono abbandonare in mezzo alla strada questi
benedetti figliuoli, senza sentirsi commuovere le viscere paterne”;
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 88
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

Le reazioni a I M alavoglia
sia quella che, al rassicurante giudizio di Capuana, si manifestava con un vero e proprio
scarico di tensione (25 febbraio):
“Caro Luigi,
Per darti un’idea del piacere che mi ha fatto quel che mi dici del mio lavoro, ti dirò quel che ho
provato durante e dopo le correzioni. Mi pareva che avrei potuto dir meglio e in cento altri modi,
non ero contento più di quel che avevo scritto, ed ero assai inquieto sul risultato. Treves, che aveva
letto le bozze a spizzico, e con intervalli di 15 o 20 giorni, mi spiattellava che non ci trovava
interesse che dalla metà del volume in poi. Io avevo un bel fare la tara alla incontentabilità
interessata di Treves [...]. Avevo un bel dirmi che quella semplicità di linee, quell’uniformità di toni,
quella certa fusione dell’insieme che doveva servirmi a dare nel risultato l’effetto più vigoroso che
potessi, quella tal cura di smussare gli angoli, di dissimulare quasi il dramma sotto gli avvenimenti
più umani, erano tutte cose che avevo volute e cercate apposta e non erano certo fatte per destare
l’interesse ad ogni pagina del racconto, ma l’interesse doveva risultare dall’insieme a libro chiuso,
quando tutti quei personaggi si fossero affermati sì schiettamente da riapparirvi come persone
conosciute, ciascuno nella sua azione [...]. Tutte buone ragioni, o scuse di chi non si sente sicuro del
fatto suo; e sai che l’inferno è lastricato di buone intenzioni. Capirai dunque com’ero inquieto non
solo sul valore che avrebbe accordato il pubblico a queste intenzioni artistiche, giacché le intenzioni
non valgono nulla, ma sul risultato che avrei saputo cavarne nell’ottenere dal lettore l’impressione
che volevo [...]. Caro Luigi, se ho chiacchierato troppo, ed ho fatto anche la donnicciuola, è stato
perché due parole tue m’hanno levato un gran peso dal petto [...]” (G. Verga, Lettere a Luigi
Capuana, pp. 161-163).
...
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 88/S1
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

Le reazioni a I M alavoglia
I timori del Verga sulla accoglienza che il pubblico e i critici avrebbero riservato al
nuovo romanzo, espressi nella lettera al Capuana in termini letterari (ma la questione
formale e linguistica è presente anche se non esplicita) non erano infondati.
“I Malavoglia hanno fatto fiasco, fiasco pieno e completo. Tranne Boito e Gualdo,
che me ne hanno detto bene, molti, Treves il primo, me ne hanno detto male, e
quelli che non me l’hanno detto mi evitano come se avessi commesso una cattiva
azione. Dei giornali, all’infuori del Sole, della Gazzetta d’Italia della domenica,
della Rivista Europea o letteraria che sia e della Gazzetta di Parma, nessuno ne ha
parlato, anche i meglio disposti verso di me, e ciò vuol dire chiaro che non
vogliono spiattellarmi il deprofundis”
scrive amareggiato Verga all’amico di sempre l’11 aprile 1881 (G. Verga, Lettere a
Luigi Capuana, p. 168).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 88/S1
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

Le reazioni a I M alavoglia
Il panorama delle reazioni suscitate da I Malavoglia (e in parte anche il panorama dei
silenzi che accolsero l’uscita del romanzo) è stato tracciato con grande dettaglio da
Rossana Melis, La bella stagione del Verga, Catania, Fondazione Verga, 1991; dalla massa
dei dati raccolti dalla Melis selezioniamo quelli pertinenti all’aspetto formale e linguistico
(pp. 21-24).
La prima reazione fu quella di un amico, Tullo Massarani (1826-1905), in una lettera
del 22 febbraio 1881; a suo dire il romanzo era “meraviglioso d’osservazione e di fattura.
Non c’è un rigo che non porti il sigillo d’un artista; e il sigillo della sua coscienza, non
meno che del suo ingegno”, ma alla fine aggiungeva: “Per provarti la mia sincerità, mi
farò lecito un appunto, l’unico: troppi proverbi”.
Felice Cameroni, in una recensione del 25 febbraio pubblicata su “il Sole”, oltre a
censurare in modo garbato l’eccessiva presenza dei dialoghi e la scarsa presenza di
descrizioni (nei quali comunque riconosceva una precisa espressione di poetica), scriveva:
“poiché i suoi pescatori e contadini devono in un romanzo italiano parlare italiano e
non già siciliano, non poteva astenersi da certe espressioni, scorrette a bella posta
ed abusare un po’ meno dei proverbi?”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 88/S1
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

Le reazioni a I M alavoglia
Carlo Del Balzo (1853-1908), allora direttore della “Rivista nuova” nata all’ombra del
magistero critico di Francesco de Sanctis, il primo e più illustre estimatore in Italia
dell’Assomoir di Zola, recensì I Malavoglia nel numero del 5 marzo della sua rivista
esprimendo questo giudizio sulla lingua:
“I Malavoglia si incominciano a leggere di malavoglia per un non so che di leccato e
di studiato nello stile, per un abuso di certi che messi ad intralciare i periodi,
per un abuso di vi e di ci , per un ripetere continuo dell’oggetto dopo di
aver usato il pronome relativo, ma chi non si fa sgomentare da queste novità
non felici del Verga e prosegue, non si lamenterà al certo della sua buona volontà. Se
togliete questi appunti che imparzialmente io trovo a fare sullo stile, non per smania
di fare appunti, ma perché desidero ardentemente che il nostro valoroso romanziere
torni al suo stile facile, scorrevole, nervoso, e abbandoni quei detestabili che e
certi noiosi riboboli, questo romanzo de’ Malavoglia è un vero lavoro d’arte. [...] Il
Verga è un vero artista, i Malavoglia un vero lavoro d’arte, e sarebbero stati un
capolavoro senza quelle tali novità nello stile”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 88/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

Le reazioni a I M alavoglia
Certo era su questa base che Verga scriveva sconfortato a Capuana l’11 aprile dell’’81
nella lettera già citata parlando di fiasco; eppure proprio le obiezioni di carattere
linguistico che caratterizzarono dal più al meno le razioni a caldo dei lettori, ribadirono
in Verga la giustezza della propria scelta, che la espresse nel ringraziare i suoi
recensori.
Al Cameroni, che gli aveva contestato l’eccesso di proverbi e di dialogo rispetto alla
narrazione e prevedendo per I Malavoglia un insuccesso presso i lettori comuni, Verga
ribatteva (in una lettera del 27 febbraio 1881):
“So anch’io che il mio lavoro non avrà un successo di lettura, e lo sapevo quando
mi son messo a disegnare le mie figure col proposito artistico che tu approvi. Il
mio solo merito sta forse nell’avere avuto il coraggio e la coscienza di rinunziare
ad un successo più generale e più facile per non tradire quella forma che
sembrami assolutamente necessaria” (G. Verga, Lettere sparse, p. 106).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 88/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

Le reazioni a I M alavoglia
Ben più reciso il Verga si dimostra nel rispondere a Carlo Del Balzo da Milano, il 28 aprile
1881:
“Caro Del Balzo,
Vi ringrazio di quello che avete scritto intorno ai Malavoglia, ve ne ringrazio tanto più
per la franchezza con cui non avete dissimulato i difetti che ci avete trovato, accanto
al bene che ne avete detto. Questa dignitosa imparzialità mi rende più accetto il
vostro giudizio in complesso benevolo e lusinghiero. La vostra sincerità mi obbliga ad
essere egualmente schietto nello spiegarvi il proposito che mi fece adottare pei
Malavoglia la forma che criticate, piuttosto che un’altra. Se dovessi tornare a
scrivere I M alavoglia , li scriverei allo stesso modo, tanto mi pare
necessaria ed inerente al soggetto la forma. Non vi dico che non si possa fare
cento volte meglio, non vi dico che son riuscito a dare ai miei personaggi il colorito
giusto; ma è quel colorito che cerco, difficoltà immensa! – lo vedo allo
scontento che mi lascia la prova fatta, ma sino a quando non si sarà
superata, sino a quando ci culleremo nella solita nenia delle frasi lisciate
da 50 anni, non avremo una vera e seria opera d’arte in Italia – di questo
son convinto [...]” (Verga, Lettere sparse, pp. 109-110).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 88/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

Le reazioni a I M alavoglia
Due giorni prima (il 26 aprile 1881) Verga aveva scritto all’amico Capuana che gli aveva
parlato del suo progetto di recensire I Malavoglia:
“Le tue lodi mi farebbero insuperbire se non facessi la parte della pietosa amicizia che
t’ispira di confortarmi. Ma come vuoi che io abbia fiducia nel giudizio della critica,
quando la più benevola, quella che ne lascia correre una parola nei giornali che ti
mando, i soli che abbiano parlato del libro, è così vuota, così insignificante, così nulla
anche nelle lodi, da far cascare le braccia. Fortuna che la nostra critica e la nostra
forza l’abbiamo in noi stessi” (G. Verga, Lettere a Luigi Capuana, pp. 173-174).
Nei primi due mesi di circolazione del romanzo insomma erano solo piovute critiche o lodi
insignificanti. Ma il 29 maggio usciva sul “Fanfulla della domenica” la recensione di Luigi
Capuana che salutava il romanzo come il vertice dell’impersonalità a cui il naturalismo
francese aveva dato il via.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 88/S3
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

Le reazioni a I M alavoglia

Dalla recensione di Luigi Capuana uscita il 29 maggio sul “Fanfulla della domenica”:
“finora nemmeno lo Zola ha toccato una cima così alta in quell’impersonalità ch’è
l’ideale dell’opera d’arte. C’è voluto, senza dubbio, un’immensa dose di coraggio,
per rinunziare così arditamente ad ogni più piccolo artificio, ad ogni minimo orpello
rettorico e in faccia a questa nostra Italia che la rettorica allaga nelle arti, nella
politica, nella religione dappertutto.” (L. Capuana, Verga e D’Annunzio, p. 82; l’intera
recensione alle pp. 82-89).

L’evoluzione che aveva portato Verga a Nedda e Vita dei campi non era stata compresa
dal pubblico “assuefatto a manicaretti pepati di rettorica e di romanticismo” e i lettori
messi “faccia a faccia colla natura [...] pare amassero meglio vederla a traverso la
simpatica personalità dell’autore, con tutti i fiori, i fronzoli e il ciarpame delle forme
invecchiate” (ivi, p. 83); ma soprattutto, continuava il Capuana:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 88/S3
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

Le reazioni a I M alavoglia
“A proposito di forme, c’era anche la novità di quella che il Verga s’era creduto
obbligato d’usare, perché il difficile strumento di questa diabolica lingua italiana che ci
tiene, tutti, impacciati, potesse rendere limpidissimamente, con la più assoluta
trasparenza che l’arte della parola consenta, le più minute particolarità del suo
soggetto siciliano. E la felice intuizione d’artista con cui il Verga colava la lingua
comune e il dialetto isolano in un cavo straordinariamente lavorato, come
disse d’aver voluto fare lo Zola colla lingua francese e il gergo popolare parigino
nell’Assomoir, rompeva a un tratto tutte le nostre tradizioni letterarie
impastate, anzi che no, di pedanteria, tenaci, più di quello che paia, anche nei
meglio disposti verso le utili e necessarie novità e le arditezze ben riuscite.
Occorrerebbe assai meno di tutto questo per ispiegare facilmente l’accoglienza
freddina che ora ricevono I Malavoglia, benché non ci sia neppure da far confronti fra
il valore artistico d’essi, e quello di tutti i precedenti lavori del medesimo autore” (ivi,
pp. 83-84).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 88/S3
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

Le reazioni a I M alavoglia
Dalla recensione di Francesco Torraca pubblicata su “Il diritto” del 5 maggio:
“So che il Verga non ha scoperto l’America; so che in Francia, in Inghilterra, in
Germania e fino in Russia egli ha gloriosi precursori e maestri. Ma in Italia, dove le
marionette del Carcano e compagnia han tanto contribuito a impedire la cognizione
precisa delle classi povere; dov'è ancora frequente la maraviglia di non trovare, usciti
dalle città, un Renzo in ogni montanaro e una Lucia in ogni villana; dove i lazzaroni e i
camorristi del Mastriani somigliano così poco ai lazzaroni e camorristi veri del Basso
Porto e tanto agli eroi dei Mystères de Paris; io saluto come prova di vigore
intellettuale e di ardimento non comune i Malavoglia, che aiuteranno, al pari degli
scritti dei Franchetti e dei Sonnino, a far conoscere l[e] condizioni sociali della Sicilia”;
e aggiungeva:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 88/S3
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

Le reazioni a I M alavoglia
“Né l’Assommoir dev’essere rimasto estraneo alla concezione dei Malavoglia. Ve ne accorge-
te, non foss’altro, dal tentativo, che il Verga fa, di riprodurre sino il linguaggio degli abitanti di
Trezza. Tentativo ardito, in Italia, dove, per molt’altro tempo, sarà un pio desiderio dei cri-tici
che i romanzieri, seguendo l'esempio degli stranieri, pongano sulle labbra degli artigiani e dei
contadini, il gergo, il dialetto. Ora come ora, personaggi che parlassero alla maniera di
Coupeau e di Sam Weller, in un romanzo italiano sarebbero impossibili. Ci son tante difficol-
tà, tra le quali basta ricordare la mancanza di esempi autorevoli nostrani e d’una tradizione
indigena, e quel pregiudizio per cui si crede il gergo e il dialetto offendano il gusto e, anche
più, la convenienza, il Galateo. Il Verga lo sa, ma gli esempi d’oltr’alpe son così attraenti!
Allora ha preso una via di mezzo, e non è sceso sino al dialetto, ma ha dato quanto ha
potuto alla lingua l’andatura, le movenze del dialetto. Di qui i discorsi de' suoi personaggi a
frasi monche, arditamente intricate, o liberamente contorte, l'una impigliata
nell’altra, con una sintassi tanto semplice che pare scorretta. Tentativo ardito, ma
di difficile riuscita, specie per chi non è toscano. E come lo Zola, per meglio riprodurre
il milieu, per darne impressione più viva ai lettori, avvicina il suo stesso linguaggio,
quando parla a nome proprio, a quello de' suoi personaggi, così fa il Verga. È una
teoria come un'altra, ma ad un italiano avvezzo da tanto tempo a volere negli scrittori la
forbitezza e l'eleganza, non piace molto, almeno su le prime, che l’autore si esprima per via
di proverbi, d'immagini e traslati popolari e fin plebei, se deve raccontare, o fare una
osservazione per conto suo”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 89
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia

La massima originalità (intesa tanto come censurabile deviazione dalla norma, quanto
come liberatorio atto di indipendenza da formule invecchiate e stantie) che i
contemporanei rilevarono ne I Malavoglia riguardava dunque la forma linguistica
adottata.
Dal punto di vista dei modi con cui la scrittura era condotta, veniva in genere rilevato
il sovrabbondare del dialogo rispetto alla narrazione; la constatazione
largamente condivisa era che il romanzo, non più regolato da una voce narrante,
finiva per (o almeno tendeva ad) essere piuttosto una rappresentazione
mimetica che non una narrazione vera e propria: a seconda dei punti di vista
dei critici questo tratto della scrittura costituiva un impoverimento delle risorse
tradizionalmente attribuite al romanzo oppure il tentativo ardito e
variamente coronato dal successo di raggiungere il massimo
dell’impersonalità.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 89
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
Da un altro punto di vista ricorrono nelle prime recensioni l’imbarazzo o viceversa la
soddisfazione per un nuovo rapporto stabilito da un lato con la tradizione letteraria e
con la sua grammatica, dall’altro con il dialetto. In realtà nei due rilievi,
apparentemente contrapposti, si valutava (positivamente o negativamente)
l’esperimento, che Verga aveva azzardato con I Malavoglia, nel quale il dialetto
(anziché affiancarsi o giustapporsi alla lingua) la forzava, la penetrava
dall’interno scompaginandone l’assetto grammaticale, di lingua regolata.
Nella dinamica linguistica italiana il dialetto aveva sempre detenuto il ruolo del parlato
così come lo scritto aveva assunto veste letteraria; al più, dopo la svolta
cinquecentesca e dunque in un contesto linguistico di ‘dialettalità riflessa’, l’uso
letterario del dialetto era stato connotato in senso basso (diastraticamente), comico o
osceno, a vario titolo ‘carnevalesco’, o infine, a teatro, con effetto mimetico.
Qualche innovazione era avvenuta nella produzione narrativa dell’Ottocento proprio in
quel clima ‘bozzettistico’ e ‘pittoresco’ ricordato qualche lezione fa, in cui il dialetto
aveva fatto il suo ingresso per fornire il colore locale.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 89
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
Ne fa un sommario resoconto Luca Serianni in Storia dell’italiano nell’Ottocento, pp. 188-
189, ricordando il precoce esperimento (1857) di Cletto Arrighi nel romanzo Gli ultimi
coriandoli, e i successivi Demetrio Pianelli di Emilio De Marchi e Piccolo mondo antico di
Fogazzaro, nei quali il dialetto, anche quando entra nel romanzo, vi fa la sua comparsa
all’interno dei dialoghi, conservando dunque un ruolo relativamente tradizionale.
Ne I Malavoglia (e già in Vita dei campi) invece, il sicilianismo integrale compare solo
sporadicamente, come macchia lessicale (rimarcato di solito con il corsivo a sottolinearne
l’estraneità rispetto alla compagine ‘italiana’ nella quale si inserisce) e soltanto laddove
mancavano diretti e appropriati corrispondenti nell’italiano della realtà regionale e locale:
“termini economici (tarì, onza, cafisi ‘unità di misura per l’olio’) e geografici (sciara,
sommacco ‘tipo di arbusto’ o appellativi come gna, zio, massaro, curatolo, talvolta
‘usati senza articolo determinativo secondo la sintassi siciliana in cui queste forme si
comportano come nomi propri’ [Ambrosini 1977, 22]” (Serianni, Storia dell’italiano
nell’Ottocento, p. 192 che cita a sua volta da Riccardo Ambrosini, Proposte di critica
linguistica. La dialettalità nel Verga, “Linguistica e letteratura”, II, pp. 7-48).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 89/S1
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia

Le episodiche inserzioni di sicilianismi integrali, che si scaricano dunque


complessivamente sull’aspetto lessicale della lingua verghiana, sono quelle che
connotano il dialetto dei pescatori di Aci Trezza in senso diatopico; ma la maggiore e
più marcata presenza del ‘dialetto’ (non necessariamente siciliano) nella lingua de I
Malavoglia si riscontra sul piano sintattico, come elemento del parlato (laddove si
tratta di discorso dei personaggi, riferito in maniera diretta o indiretta) e, soprattutto
come espressione di pensiero, utile cioè a caratterizzare il modo di organizzare il
pensiero di quei medesimi personaggi e del loro mondo. E in tal senso la dialettalità
sintattica detiene una marcata connotazione diastratica.
Per questa diffusa ‘dialettalità’, dai tratti diatopici poco evidenti (si noti il paradosso
geniale di una tale innovazione, se per dialetto si intende una varietà della lingua
delimitata appunto su basi geografiche) si è parlato del dialetto come ‘forma interna’
della lingua di Verga.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 89/S1
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
La soluzione verghiana, assicurando piena leggibilità al romanzo sull’intero territorio
nazionale (leggibilità che l’utilizzo del siciliano avrebbe, se non impedito, limitato),
consentiva al contempo all’autore di assumere il punto di vista adatto ad esprimere il
pensiero dei personaggi (di cui sono manifestazione anche i proverbi). Ma tale soluzione
scompaginava i ruoli e gli ambiti d’uso dei due registri come di fatto confessava Felice
Cameroni (incapace di uscire dalla tradizionale polarità lingua/dialetto) dicendo appunto
nella sua recensione a I Malavoglia :
“poiché i suoi pescatori e contadini devono in un romanzo italiano parlare
italiano e non già siciliano, non poteva astenersi da certe espressioni,
scorrette a bella posta ed abusare un po’ meno dei proverbi?”.
Insomma, per dirla con Luigi Russo (Giovanni Verga, p. 14):
“A queste ragioni [che condannavano Verga all’isolamento e i Malavoglia “ad una
fredda ed instabile popolarità”], un’altra se ne alleava, fortissima in Italia, che è
una specie di terra santa del problema della lingua e della grammatica: la prosa del
Verga, appariva, nel suo fondo, di tipo dialettale, e non era certo un saggio di bello
scrivere”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 89/S1
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
La sintassi ‘dialettale’ del Verga non è diatopicamente connotata, bensì è costituita da
“tratti che si ritrovano nell’italiano dei semicolti di qualunque regione (ma anche nel
linguaggio orale informale di parlanti cólti)” (Serianni, Storia dell’italiano
nell’Ottocento, p. 193)
e che abbiamo già visto rilevati nelle recensioni uscite al momento della pubblicazione del
romanzo.
1) che polivalente usato per indicare qualunque rapporto di subordinazione e spesso
senza un solo e univoco valore logico-sintattico (il Del Balzo parlava di “un abuso di
certi che messi ad intralciare i periodi”);
2) la dislocazione a sinistra o a destra, e conseguente ripresa dell’elemento anticipato o
posticipato mediante un pronome anaforico o, rispettivamente, cataforico;
3) la ridondanza pronominale (il Del Balzo segnalava: “un ripetere continuo dell’oggetto
dopo di aver usato il pronome relativo”);
4) l’uso del ci attualizzante con il verbo avere (ancora il Del Balzo rimproverava alla lingua
de I Malavoglia: “per un abuso di vi e di ci”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 89/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
Se non accennando vagamente alla predominanza del dialogo i recensori non erano in
grado di segnalare la presenza di un istituto sintattico che solo la linguistica novecentesca
ha messo a fuoco: il cosiddetto discorso o stile indiretto libero, tecnica di discorso
sperimentata con varie soluzioni stilistiche da Flaubert e Zola e dunque caratteristica di
un humus culturale e ideologico specifico, ma non ignota anche ad autori precedenti e
non francesi.
Si tenga presente che nelle due etichette sopra riportate l’originaria è quella di discorso
indiretto libero (siglato anche DIL) in quanto di discorso si tratta (solo in quanto l’uso del
DIL diventa presso alcuni autori un fatto stilistico, come per esempio in Verga, è lecito
ricorrere alla definizione di stile indiretto libero).
Il termine discorso è polisemico, ma nel nostro ragionamento esso va assunto come ‘atto
di comunicazione linguistica’. Anche accettando tale limitazione un testo potrà essere
inteso tanto come ‘discorso’ fatto dall’autore al lettore, tanto come luogo entro il quale si
affiancano la narrazione e altri discorsi (quelli cioè dei personaggi).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 89/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
Una simile dicotomia narrazione / discorso si rivela però talvolta fallace al momento in
cui si voglia analizzare la concreta formulazione linguistica del testo.
Narrazione e discorso sono rigorosamente separati solo quando la narrazione si
interrompe per far spazio al discorso diretto, legato o libero che sia (soluzione di
continuità che nello scritto viene rimarcata da segnali quali i due punti, le virgolette o le
lineette).
Uno stacco netto fra narrazione e discorso non sussiste quando la narrazione accoglie al
suo interno il discorso, che però, nella forma indiretta legata, è segnalato da verbi del
dire o del ritenere (verba dicendi e putandi): mancano in questo caso, nello scritto,
segni grafici evidenti di separazione, il discorso soggiace a mutamenti determinati dal
nuovo rapporto sintattico stabilito con quanto lo circonda, problematico è determinare a
quale dei due poli appartengano gli elementi di congiunzione. I confini fra narrazione e
discorso sono poi ancora più labili quando la narrazione inglobi dentro di sé il discorso
senza segnalarne l’avvento mediante i verbi introduttori dicendi e putandi (appunto
discorso indiretto libero).
A partire da un esempio concreto, creo ad arte le varianti per rendere più semplice la
spiegazione.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 89/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
Discorso diretto legato: Gli parlai delle impressioni ricevute con tanto calore che egli volle
leggere il mio scritto, e lo trovò bello. « Dam m elo» , m i
disse, « voglio farti am are da quella donna.» (da Verga,
Eva)
Il discorso diretto avrebbe potuto presentarsi anche come libero, senza cioè l’indicazione
di mi disse, così:
Gli parlai delle impressioni ricevute con tanto calore che egli volle
leggere il mio scritto, e lo trovò bello. « Dam m elo, [ ],
voglio farti am are da quella donna.»
Il medesimo discorso avrebbe potuto presentarsi anche come indiretto legato:
Gli parlai delle impressioni ricevute con tanto calore che egli volle
leggere il mio scritto, e lo trovò bello e m i disse di darglielo
perché voleva farm i am are da quella donna
e infine, come discorso indiretto libero così:
Gli parlai delle impressioni ricevute con tanto calore che egli volle
leggere il mio scritto, e lo trovò bello e [ ] m i avrebbe fatto
am are da quella donna.» .
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 89/S3
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
Il discorso indiretto libero fu individuato negli scrittori francesi a lui contemporanei da
Adolf Tobler alla fine dell’Ottocento, ma fu analizzato per la prima volta in maniera
esauriente da Charles Bally (Le style indirect libre en français moderne, “Germanisch-
Romanische Monatsschrift” IV 1912), che vi riconobbe un procedimento letterario
finalizzato a rappresentare, in letteratura, l’oralità poiché,
“per l’assenza di segni esterni di subordinazione, lo stile indiretto libero offre
un’immagine della fluidità che si è soliti attribuire alla lingua parlata. Eppure
quest’ultima non conosce l’indiretto libero, il quale esprime dunque perfettamente
la specificità della forma scritta nel suo rapporto immaginario e convenzionale con
il parlato” (traduco da Bernard CERQUIGLINI, Le style indirect libre et la modernité,
“Langages”, XIX, 1984, pp. 7-16).
In quanto procedimento letterario lo stile indiretto libero è stato presto associato in
Francia al monologo interiore e pertanto è stato tradotto dalla stilistica tedesca come
erlebte Rede.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 89/S3
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
Prima di Bally e prima della stilistica di Vossler e Spitzer, della tecnica letteraria utilizzata
da Verga nelle novelle si era accorto Edoardo Scarfoglio (1860-1916) che ne Il libro di
Don Chisciotte (1883-1884) ne aveva dato un resoconto acre, ma acuto, affermando:
“che Verga cercasse ‘con effetti prospettici, di dare non già il dialogo, ma una
rappresentazione del dialogo’, facendo ‘uno strano abuso del dialogo indiretto,
per modo che le sue novelle ci offrono questo bizzarro spettacolo: il dialogo è
raccontato, il racconto invece è parlato’ ” (cito da Giovanni Nencioni, La lingua
dei “Malavoglia”, in I Malavoglia, Atti del Congresso Internazionale di Studi, Catania
26-28 novembre 1981, Catania, II, pp. 445-513 (poi in Id., La lingua dei
“Malavoglia” e altri scritti di prosa, poesia e memoria, Napoli, Morano, 1988, pp. 7-
89).

L’articolo di Nencioni traccia una storia dettagliata delle ricerche sull’indiretto libero nella
prosa verghiana e otto-novecentesca, ma soprattutto (sulla scorta di quanto era stato
fatto pochi anni prima da una sua allieva: Anna Danesi Bendoni, Grammaticalizzazione
del discorso indiretto libero nei “Malavoglia", “Studi di grammatica italiana”, IX, pp. 253-
271) egli indica le caratteristiche grammaticali ricorrenti che consentono il riconoscimento
dell’istituto linguistico.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 89/S3
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
“il discorso indiretto libero è individuabile mediante tratti pertinenti che si distin-
guono in rilevatori primari, cioè costanti grammaticali di natura formale, e rileva-
tori secondari, cioè elementi variabili e meno formalizzabili. Rilevatori primari sono
la trasposizione, che investe tempi, modi e persone del verbo, pronomi personali,
avverbi circostanziali, aggettivi e pronomi dimostrativi e possessivi, trasformandoli da
elementi formali del discorso diretto in elementi formali del discorso indiretto; e l’in-
dipendenza del costrutto dal verbum dicendi o putandi . Rivelatori secondari
sono tutti quegli elementi del parlato, principalmente di carattere enfatico o idioma-
tico, che collaborano al riempimento lessicale o sintattico del costrutto; essi da un la-
to sono legati al contenuto, dall’altro ricorrono con più o meno frequenza a seconda
che lo scrittore inclini più o meno al discorso diretto. Possono essere formule asseve-
rative, imprecative o esecrative, appellativi, frasi nominali, frasi interrogative o escla-
mative, topicalizzazioni, proverbi. Quanto alla sua contestualizzazione, cioè alle rela-
zioni sintagmatiche che il discorso indiretto libero contrae col piano della narrazione e
con le altre due modalità enunciative (discorso diretto e discorso indiretto), la Danesi
Ben-doni distingue un rapporto di frattura, cioè di passaggio netto, e un rapporto,
assai meno frequente, di fusione quando l’indiretto libero si inserisce nella narrazione
a cannocchiale, in modo da non potersi localizzare il punto di stacco” (ivi, pp. 24-25).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 90
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia

Individuate, tramite il saggio di Giovanni Nencioni, le caratteristiche (i rilevatori


secondo la terminologia di Nencioni) primarie e secondarie del discorso indiretto
libero, proviamo a saggiarne la concreta esecuzione in un brano de I Malavoglia.
A questo scopo ho scelto il capitolo XV e ultimo del romanzo, che allego a questa
lezione in formato pdf e che ci servirà come punto di riferimento anche per
successive considerazioni linguistiche. Il testo è quello fissato da Ferruccio Cecco
(Giovanni VERGA, I Malavoglia, Testo critico e commento di Ferruccio Cecco, Torino,
Einaudi, 1995) al quale si deve anche la numerazione in paragrafi (che nel file
allegato sono riportati nel numeretto in apice, evidenziato da sfondo grigio); nei
richiami al testo faremo seguire all’indicazione del numero di paragrafo il numero di
rigo al suo interno.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 90
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
Il XV capitolo de I Malavoglia è punteggiato da verba dicendi (o da verbi che esprimono
un’opinione) che reggono il discorso diretto e indiretto. Per quest’ultimo, oltre a dire
(diceva e dicevano 1,1; 1,5; 2,1; 4,1; 5,3; 11,2; 23,4; 23,5; 23,8; 35,3; 36,5; 63,3; disse
26,1; 39,1-2, con le perifrasi: tornò a dire 13,8; arrivava ... a dire 24,6) si incontrano:
domandava 1,4; 2,1; rispondeva 2,4; 22,3; chiedergli 4,5; rispose 10,2; credeva 4,4;
ribatteva 6,1; raccontò 10,1; raccontando 41,1; confermava 23,1; parlava 23,7; sparlava
28,1; strillando 30,4; predicava 32,1; 37,3; giurava 33,2; ripeteva 37,1; rammentar 47,4;
corse la notizia 49,1.
Se a questi esempi si aggiungono i casi di discorso diretto legato o libero (entro il quale
va inserito anche il monologo interiore: si veda a 75,3-4 “– Fra poco lo zio Santoro aprirà
la porta, pensò ’Ntoni, e si accoccolerà sull’uscio a cominciare la sua giornata anche lui. –
[...] riprese la sua sporta, e disse: – Ora è tempo d’andarmene, perché fra poco
comincierà a passar gente”) si ricava l’altissima incidenza dei discorsi dei personaggi
entro la narrazione. La pervasività del discorso è insomma tale da creare l’impressione
di una narrazione che si fa mero strumento di trasmissione dei discorsi o dei pensieri del
mondo raccontato, puro ‘canale’ (in senso linguistico) di trasferimento del messaggio dal
locutore-personaggio al lettore (si ricorderà il rilievo di Scarfoglio per cui nei Malavoglia, il
racconto era parlato e il dialogo raccontato).
Giovanni Verga, I Malavoglia, cap. XV
1
La gente diceva che la Lia era andata a stare con don Michele; già i Malavoglia non avevano più niente
da perdere, e don Michele almeno le avrebbe dato il pane. Padron ’Ntoni adesso era diventato del tutto un
uccellaccio di camposanto, e non faceva altro che andare intorno, rotto in due, e con quella faccia di pipa, a dir
proverbi senza capo e senza coda: «Ad albero caduto accetta! accetta!» – «Chi cade nell’acqua è forza che si
bagni» – «A cavallo magro, mosche». – E a chi gli domandava perché andasse sempre in giro, diceva che «la
fame fa uscire il lupo dal bosco», e «cane affamato non teme bastone»; ma di lui non volevano saperne, ora che
era ridotto in quello stato. 2 Ognuno gli diceva la sua, e gli domandava cosa aspettasse colle spalle al muro, lì
sotto il campanile, che pareva lo zio Crocifisso quando aspettava d’imprestare dei denari alla gente, seduto a
ridosso delle barche tirate in secco, come se ci avesse in mare la paranza di padron Cipolla; e padron ’Ntoni
rispondeva che aspettava la morte, la quale non voleva venire a prenderselo, perché «lo sfortunato ha i giorni
lunghi». Della Lia nessuno parlava più in casa, nemmeno Sant’Agata, la quale se voleva sfogarsi andava a
piangere di nascosto, davanti al lettuccio della mamma, quando in casa non c’era nessuno. 3 Adesso la casa era
grande come il mare, e ci si perdevano dentro. I denari se n’erano andati con ’Ntoni; Alessi era sempre lontano,
per guadagnarsi il pane, di qua e di là; e la Nunziata faceva la carità di venire ad accendere il fuoco, quando la
Mena doveva andare a prendere il nonno per mano, verso l’avemaria, come un bambino, perché di sera non ci
vedeva più, peggio di una gallina.
4
Don Silvestro, e gli altri del paese, dicevano che Alessi avrebbe fatto meglio a mandare il nonno
all’Albergo dei poveri, ora che non era più buono a nulla; ma questa era la sola cosa che facesse paura al
poveraccio. Ogni volta che la Mena andava a metterlo al sole, conducendolo per mano, e ci stava per tutta la
giornata ad aspettare la morte, credeva che lo portassero all’Albergo, talmente era diventato un cucco, e
balbettava: – La morte non viene mai! – tanto che certuni andavano a chiedergli ridendo dove fosse arrivata.
5
Alessi tornava a casa il sabato, e gli veniva a contare i denari della settimana, come se il nonno avesse
ancora giudizio. Egli rispondeva sempre di sì, col capo; e bisognava che andasse a nascondere il gruzzoletto
sotto la materassa, e gli diceva, per farlo contento, che ci voleva poco a mettere insieme un’altra volta i denari
della casa del nespolo, e fra un anno o due ci sarebbero arrivati.
6
Ma il vecchio scrollava il capo, colla testa dura, e ribatteva che adesso non avevano più bisogno della
casa; e meglio che non ci fosse mai stata al mondo la casa dei Malavoglia, ora che i Malavoglia erano di qua e
di là.
7
Una volta chiamò in disparte la Nunziata, sotto il mandorlo, nel momento in cui non ci era nessuno, e
pareva dovesse dirle qualcosa di grosso; però muoveva le labbra senza parlare, e stava cercando le parole,
guardando di qua e di là. – È vero quella cosa che hanno detto di Lia? chiese infine.
– No! rispondeva Nunziata, colle mani in croce, no! per la Madonna dell’Ognina, non è vero!
Egli si mise a tentennare il capo, col mento sul petto. – Allora perché se n’è fuggita anche lei? perché se
n’è fuggita?
E l’andava cercando per la casa, fingendo di aver perso il berretto; toccava il letto e il canterano, e si
metteva a sedere al telaio, senza dir nulla. – Lo sai? chiese infine; lo sai dove se n’è andata? – Ma alla Mena
non disse nulla.
La Nunziata non lo sapeva, in coscienza, né nessun altro del paese.
8
Una sera si fermò nella strada del Nero Alfio Mosca, col carro, che ci aveva attaccato il mulo adesso, e
per questo aveva acchiappato le febbri alla Bicocca, ed era stato per morire, tanto che aveva la faccia gialla e la
pancia grossa come un otre; ma il mulo era grasso e col pelo lucente.
– Vi rammentate quando sono partito per la Bicocca? diceva lui, che stavate ancora nella casa del
nespolo! Ora ogni cosa è cambiata, ché «il mondo è tondo, chi nuota e chi va a fondo». – Stavolta non potevano
dargli nemmeno un bicchiere di vino, pel ben tornato. 9 Compar Alfio lo sapeva dov’era Lia; l’aveva vista coi
suoi occhi, ed era stato come se avesse visto comare Mena quando stavano a chiacchierare da una finestra
all’altra. Perciò guardava di qua e di là i mobili e le pareti, come se ci avesse il carro carico sullo stomaco, e
sedette anche lui senza dire una parola accanto al desco dove non c’era nulla, e nessuno sedeva più a mangiare
la sera.
– Ora me ne vado, – ripeteva lui, vedendo che non gli dicevano nulla. – Quando uno lascia il suo paese è
meglio che non ci torni più, perché ogni cosa muta faccia mentre egli è lontano, e anche le faccie con cui lo
guardano son mutate, e sembra che sia diventato straniero anche lui.
10
Mena continuava a star zitta. Intanto Alessi gli raccontò che voleva pigliarsi la Nunziata, quando
avrebbe raccolto un po’ di denari, ed Alfio gli rispose che faceva bene, se la Nunziata aveva un po’ di denari

  1  
anche lei, ché era una buona ragazza, e tutti la conoscevano in paese. Così anche i parenti dimenticano quelli
che non ci sono più, e ognuno a questo mondo è fatto per pensare a tirare la carretta che gli ha data Dio, come
l’asino di compar Alfio, che adesso faceva chissà cosa, dopo che era andato in mano altrui.
11
La Nunziata ci aveva la sua dote anche lei, dacché i suoi fratellini cominciavano a buscarsi qualche
soldo, e non aveva voluto comprarsi né oro né roba bianca, perché diceva che quelle cose son fatte per i ricchi,
e la roba bianca non era bene di farsela intanto che cresceva ancora.
12
Era cresciuta infatti una ragazza alta e sottile come un manico di scopa, coi capelli neri, e gli occhi
buoni buoni, che quando si metteva a sedere sulla porta, con tutti quei monelli davanti, pareva che pensasse
ancora a suo padre nel giorno che li aveva piantati, e ai guai in mezzo ai quali aveva sgambettato sino allora,
coi suoi fratellini appesi alle gonnelle. Al vedere come se n’era tirata fuori dai guai, lei e i suoi fratellini, così
debole e sottile al pari di un manico di scopa, ognuno la salutava e si fermava volentieri a far quattro
chiacchiere con lei.
13
– I denari ce li abbiamo, disse a compar Alfio, il quale era quasi un parente, da tanto che lo
conoscevano. – A Ognissanti mio fratello entra garzone da massaro Filippo, e il minore prenderà il suo posto da
padron Cipolla. Quando avrò collocato anche Turi, allora mi mariterò; ma bisogna aspettare che io abbia gli
anni, e che mio padre mi dia il consenso.
– O che tuo padre pensa più che sei al mondo! disse Alfio.
– S’egli tornasse ora, – rispose Nunziata con quella voce dolce, e così calma, colle braccia sulle
ginocchia, – ei non se ne andrebbe più, perché adesso i denari li abbiamo.
Allora compar Alfio tornò a dire ad Alessi che faceva bene a prendersi la Nunziata, se ci aveva quel po’
di denari.
– Compreremo la casa del nespolo, aggiunse Alessi; e il nonno starà con noi. Quando torneranno gli altri
ci staranno pure; e se tornerà il padre della Nunziata ci sarà posto anche per lui.
Di Lia non fecero parola; ma ci pensavano tutti e tre, mentre stavano a guardare il lume, colle braccia sui
ginocchi.
14
Finalmente compare Mosca si alzò per andarsene, perché il suo mulo scuoteva la sonagliera, quasi
l’avesse conosciuta anch’esso colei che compar Alfio aveva incontrata per la strada, e che adesso non
l’aspettavano più nella casa del nespolo.
15
Lo zio Crocifisso invece aspettava da un pezzo i Malavoglia per quella casa del nespolo che nessuno la
voleva, come se fosse scomunicata, e gli era rimasta sulla pancia; sicché appena seppe che era tornato in paese
Alfio Mosca, quello cui voleva far rompere le ossa a bastonate, quand’era geloso della Vespa, andò a pregarlo
che s’intromettesse coi Malavoglia per fargli conchiudere il negozio. Adesso quando l’incontrava per le strade
lo salutava, e cercava di mandargli anche la Vespa per parlargli di quell’affare, chissà che non si fossero
rammentati dell’amore antico, nello stesso tempo, e compare Mosca non riescisse a levargli quella croce di su
le spalle. 16 Ma quella cagna della Vespa non voleva sentir parlare di compar Alfio, né di nessuno, adesso che ci
aveva il suo marito ed era padrona in casa, e non avrebbe cangiato lo zio Crocifisso con Vittorio Emanuele in
carne ed ossa, neanche se l’avessero tirata pei capelli. – Mi toccano tutte a me, le disgrazie! – si lamentava lo
zio Crocifisso; e andava a sfogarsi con compare Alfio, e si picchiava il petto come davanti al confessore, di
aver pensato a pagare dieci lire per fargli rompere le ossa a bastonate.
17
– Ah! compare Alfio! se sapeste che rovina è capitata nella mia casa, che non dormo né mangio più, e
non faccio altro che della bile, e non sono più padrone di un baiocco del fatto mio, dopo aver sudato tutta la vita
ed essermi levato il pan di bocca per raggranellarlo a soldo a soldo. Ora mi tocca vederlo in mano di quella
serpe, la quale fa e disfà come vuole lei! e non mi riesce nemmeno di levarmela d’addosso per via del giudice,
che non si lascerebbe tentare neanche da satanasso! e mi vuol tanto bene che non me la leverò d’addosso prima
di crepare, se non chiudo gli occhi dalla disperazione!
18
– Quello che stavo dicendo qui a compare Alfio, – seguitava lo zio Crocifisso vedendo accostarsi
padron Cipolla, il quale andava bighellonando per la piazza come un cane di macellaio, dacché gli era entrata in
casa quell’altra vespa della Mangiacarrubbe. – Non possiamo più stare nemmeno in casa per non schiattare
dalla bile! Ci hanno scacciato fuori di casa nostra, quelle carogne! hanno fatto come il furetto col coniglio. Le
donne son messe al mondo per castigo dei nostri peccati. Senza di loro si starebbe meglio. Chi ce l’avrebbe
detto, eh? padron Fortunato! Noi che avevamo la pace degli angeli! Guardate com’è fatto il mondo! C’è gente
che va cercando questo negozio del matrimonio colla lanterna, mentre chi ci si trova vorrebbe levarsene.
19
Padron Fortunato stette un po’ a fregarsi il mento, e poi lasciò andare: – Il matrimonio è come una
trappola di topi; quelli che son dentro vorrebbero uscire, e gli altri ci girano intorno per entrarvi.
– A me mi sembrano pazzi! Vedete don Silvestro, cosa gli manca? e s’è messo in testa di far cascare la
Zuppidda coi suoi piedi, vanno dicendo; e se comare Venera non trova di meglio, bisogna che la lasci cascare.

  2  
20
Padron Cipolla continuò a fregarsi il mento e non disse altro. – Sentite, compare Alfio, – seguitò
Campana di legno, – fatemelo conchiudere quel negozio della casa coi Malavoglia, finché ci hanno quei soldi,
che vi regalerò poi da comprarvi le scarpe, per i passi che farete.
21
Compare Alfio tornò a parlare ai Malavoglia; ma padron ’Ntoni ora scuoteva il capo, e diceva di no. –
Adesso della casa non abbiamo che farne, perché Mena non si può più maritare, e dei Malavoglia non ci è
nessuno! Io ci sono ancora perché gli sfortunati hanno i giorni lunghi. Ma quando avrò chiuso gli occhi, Alessi
piglierà la Nunziata e se ne andrà via dal paese.
22
Anch’egli stava per andarsene. Il più del tempo lo passava in letto, come un gambero sotto i ciottoli,
abbaiando peggio di un cane: – Cosa ci ho a far qui io? – balbettava; e gli pareva di rubare la minestra che gli
davano. Invano Alessi e la Mena cercavano di dissuaderlo. E’ rispondeva che rubava loro il tempo e la
minestra, e voleva che gli contassero i denari messi sotto la materassa, e se li vedeva squagliare a poco a poco,
borbottava: – Almeno se non ci fossi io non spendereste tanto. Ora non ho più niente da far qui, e potrei
andarmene.
23
Don Ciccio, il quale veniva a tastargli il polso, confermava che era meglio lo portassero all’ospedale,
perché lì dov’era si mangiava la carne sua e quella degli altri, senza utile. Intanto il poveraccio stava a vedere
quello che dicessero gli altri, cogli occhi spenti, e aveva paura che lo mandassero all’Albergo. Alessi non
voleva sentirne parlare di mandarlo all’Albergo, e diceva che finché ci era del pane, ce n’era per tutti; e la
Mena, dall’altra parte, diceva di no anch’essa, e lo conduceva al sole, nelle belle giornate, e si metteva accanto
a lui colla conocchia, a raccontargli delle fiabe, come ai bambini, e a filare, quando non aveva da andare al
lavatoio. Gli parlava pure di quel che avrebbero fatto quando arrivava un po’ di provvidenza, per fargli
allargare il cuore; gli diceva che avrebbero comprato un vitellino a San Sebastiano, ed ella bastava a procurargli
l’erba e il mangime per l’inverno. 24 A maggio si sarebbe venduto con guadagno; e gli faceva vedere pure le
nidiate di pulcini che aveva messo, e venivano a pigolare davanti ai loro piedi, al sole, starnazzando nella
polvere della strada. Coi denari dei pulcini avrebbe anche comperato un maiale, per non perdere le buccie dei
fichidindia, e l’acqua che serviva a cuocere la minestra, e a fin d’anno sarebbe stato come aver messo dei soldi
nel salvadanaio. Il vecchio, colle mani sul bastone, approvava del capo, guardando i pulcini. Ci stava così
attento, poveretto, che arrivava fino a dire che se avessero avuto la casa del nespolo si poteva allevarlo nel
cortile, il maiale, giacché quello era un guadagno sicuro con compare Naso. 25 Nella casa del nespolo c’era pure
la stalla pel vitello, e la tettoia pel mangime, e ogni cosa; se ne andava ricordando a poco a poco, cercando qua
e là cogli occhi morti e col mento sul bastone. Poi domandava sottovoce alla nipote: – Cosa ha detto don Ciccio
dell’ospedale? – Mena allora lo sgridava come si fa coi bambini, e gli rispondeva: – Perché pensate a quelle
cose? – Egli stava zitto, e ascoltava cheto cheto tutto quello che diceva la ragazza. Ma poi tornava a ripetere: –
Non mi ci mandate all’ospedale, perché non ci sono avvezzo.
26
Infine non si alzava più dal letto, e don Ciccio disse che era proprio finita, e non ci era più bisogno di
lui, che là in quel letto dove era, poteva starci anche degli anni, e Alessi o la Mena ed anche la Nunziata
dovevano perdere le loro giornate a far la guardia; se no se lo sarebbero mangiato i porci, come trovavano
l’uscio aperto.
27
Padron ’Ntoni intendeva benissimo quello che si diceva, perché guardava tutti in viso ad uno ad uno,
con certi occhi che facevano male a vedere; ed appena il medico se ne fu andato, mentre stava a parlare ancora
sull’uscio con Mena che piangeva, e Alessi il quale diceva di no e batteva i piedi, fece segno alla Nunziata di
accostarsi al letto, e le disse piano: – Se mi mandate all’ospedale sarà meglio: qui ve li mangio io i denari della
settimana. Mandami via quando non ci sarà in casa la Mena e Alessi. Direbbero di no perché hanno il buon
cuore dei Malavoglia; ma io vi mangio i soldi della casa, e poi il medico ha detto che posso starci degli anni qui
dove sono. E qui non ci ho più nulla da fare. Però non vorrei camparci degli anni, laggiù all’ospedale.
28
La Nunziata si metteva a piangere anch’essa e diceva di no, tanto che tutto il vicinato sparlava di loro,
che volevano fare i superbi senza aver pane da mangiare. Si vergognavano di mandare il nonno all’ospedale,
mentre ci avevano tutti gli altri di qua e di là, e dove poi!
29
E la Santuzza baciava la medaglia che portava sul petto, per ringraziare la Madonna che l’aveva
protetta dal pericolo dove era andata a cascare la sorella di Sant’Agata, come tante altre. – Quel povero vecchio
dovrebbero mandarlo all’ospedale, per non fargli avere il purgatorio prima che muoia, – diceva. Almeno lei non
gli faceva mancar nulla a suo padre, adesso che era invalido, e se lo teneva sull’uscio. – E vi aiuta anzi!
aggiungeva Piedipapera. – Quell’invalido lì vale tant’oro quanto pesa! Par fatto apposta per la porta di
un’osteria, così cieco e rattrappito com’è! E dovreste pregare la Madonna che vi campi cent’anni. Già cosa vi
costa?
30
La Santuzza aveva ragione di baciare la medaglia; nessuno poteva dire nulla dei fatti suoi; dacché don
Michele se n’era andato, massaro Filippo non si faceva veder più nemmeno lui, e la gente diceva che colui non

  3  
sapeva stare senza l’aiuto di don Michele. Ora la moglie di Cinghialenta veniva di tanto in tanto a fare il
diavolo davanti all’osteria, coi pugni sui fianchi, strillando che la Santuzza le rubava il marito, e perciò quando
costui tornava a casa ella si buscava delle frustate colle redini della cavezza, dopo che Cinghialenta aveva
venduto il mulo, e non sapeva più che farsene delle redini, che la notte i vicini non potevano chiuder occhio
dalle grida.
31
– Questo non va bene! diceva don Silvestro, la cavezza è fatta per il mulo. Compare Cinghialenta è un
uomo grossolano. – Egli andava a dire queste cose quando c’era comare Venera la Zuppidda, la quale dopo che
la leva si portava via i giovanotti del paese, aveva finito per addomesticarsi un po’ con lui.
– Ognuno sa gli affari di casa sua, rispondeva la Zuppidda; – se lo dite per ciò che vanno predicando le
male lingue, che io metto le mani addosso a mio marito, vi rispondo che non sapete un corno, tuttoché sapete di
lettera. Del resto ognuno in casa sua fa quel che gli pare e piace. Il padrone è mio marito.
– Tu lasciali dire, – rispondeva suo marito. – Poi lo sanno che se vengono a toccarmi il naso ne faccio
tonnina!
32
La Zuppidda adesso predicava che il capo della casa era suo marito, ed egli era il padrone di maritare la
Barbara con chi gli piaceva, e se voleva darla a don Silvestro voleva dire che gliela aveva promessa, e aveva
chinato il capo; e quando suo marito aveva chinato il capo, era peggio di un bue.
– Già! sentenziava don Franco colla barba in aria, – ha chinato il capo perché don Silvestro è di quegli
che tengono il manico del mestolo.
33
Dacché era stato al tribunale in mezzo a tutti quegli sbirri, don Franco era più arrabbiato di prima, e
giurava che non ci sarebbe tornato più neanche in mezzo ai carabinieri. Allorché don Giammaria alzava la voce
per discutere, ei gli piantava le unghie negli occhi, rizzandosi sulle gambette, rosso come un gallo, e lo cacciava
in fondo alla bottega. – Lo fate apposta per compromettermi! – gli sputava in faccia colla schiuma alla bocca; e
se due quistionavano nella piazza, correva a chiudere l’uscio acciò non lo chiamassero per testimonio. 34 Don
Giammaria era trionfante; quell’asparagio verde aveva del coraggio quanto un leone, perché ci aveva la tonaca
sulle spalle, e sparlava del Governo, pappandosi la lira al giorno, e diceva che se lo meritavano quel Governo,
giacché avevano fatto la rivoluzione, e ora venivano i forestieri a rapire le donne e i denari della gente. Ei
sapeva di chi parlava, che gli era venuta l’itterizia dalla collera, e donna Rosolina era dimagrita dalla bile,
massime dopo che se n’era andato don Michele, e s’erano sapute tutte le porcherie di quest’altro. Adesso non
faceva che andare a caccia di messe e di confessori, di qua e di là, sino all’Ognina e ad Aci Castello, e
trascurava la conserva dei pomidoro e il tonno sott’olio, per darsi a Dio.
35
Don Franco allora si sfogava mettendosi a ridere come una gallina, all’uso di don Silvestro, rizzandosi
sulla punta dei piedi, coll’uscio spalancato a due battenti, che per questo non c’era pericolo d’andare in
prigione; e diceva che finché ci sarebbero stati i preti era sempre la stessa cosa, e bisognava fare tavola rasa,
s’intendeva lui, trinciando colla mano in giro.
– Io per me li vorrei tutti arsi! rispondeva don Giammaria, che intendeva anche lui di chi parlava.
36
Ora lo speziale non teneva più cattedra; e quando veniva don Silvestro, andava a pestare i suoi unguenti
nel mortaio, per non compromettersi. Già tutti quelli che bazzicano col Governo, e mangiano il pane del re, son
tutta gente da guardarsene. E si sfogava soltanto con don Giammaria, e con don Ciccio il medico, quando
lasciava l’asinello alla spezieria per andare a tastare il polso a padron ’Ntoni, e ricette non ne scriveva, perché
diceva che erano inutili, con quella povera gente che non aveva denari da buttar via.
– Allora perché non lo mandano all’ospedale, quel vecchio? tornavano a dire gli altri, – e perché se lo
tengono in casa a farselo mangiare dalle pulci?
37
Tanto che, pesta e ripesta, il medico ripeteva che andava e veniva per niente, e faceva il viaggio del
sale, e allorché c’erano le comari davanti al letto del malato, comare Piedipapera, la cugina Anna o la Nunziata,
predicava sempre che se lo mangiavano le pulci. Padron ’Ntoni non osava più fiatare, colla faccia bianca e
disfatta. E come le comari cinguettavano fra di loro, e fino alla Nunziata cascavan le braccia, un giorno che
Alessi non c’era, disse infine: – Chiamatemi compare Mosca, che lui me la farà la carità di portarmi
all’ospedale sul suo carro.
38
Così padron ’Ntoni se ne andò all’ospedale sul carro di Alfio Mosca, il quale ci aveva messo la
materassa ed i guanciali, ma il povero malato, sebbene non dicesse nulla, andava guardando dappertutto,
mentre lo portavano fuori reggendolo per le ascelle, il giorno in cui Alessi era andato a Riposto, e avevano
mandato via la Mena con un pretesto, che se no non l’avrebbero lasciato partire. Sulla strada del Nero, nel
passare davanti alla casa del nespolo, e nell’attraversare la piazza, padron ’Ntoni continuava a guardare di qua e
di là per stamparsi in mente ogni cosa. Alfio guidava il mulo da una parte, e Nunziata, la quale aveva lasciato in
custodia a Turi il vitello, i tacchini, e le pollastre, veniva a piedi dall’altro lato, col fagotto delle camicie sotto il
braccio. 39 Al vedere passare il carro ognuno si affacciava sulla porta, e stava a guardare; e don Silvestro disse

  4  
che avevano fatto bene, per questo il Comune pagava la sua rata all’ospedale; e don Franco avrebbe anche
spifferata la sua predica, che ce l’aveva in testa bella e fatta, se non ci fosse stato lì presente don Silvestro. –
Almeno quel povero diavolo va a stare in pace, conchiuse lo zio Crocifisso.
40
– «Necessità abbassa nobiltà», rispose padron Cipolla; e la Santuzza disse un’avemaria pel poveretto.
Solo la cugina Anna e comare Grazia Piedipapera si asciugavano gli occhi col grembiule, come il carro se ne
andava lentamente sobbalzando sui sassi. Ma compare Tino rimbeccò alla moglie: – O perché mi fai il
piagnisteo? Che son forse morto io? A te che te ne importa?
41
Alfio Mosca, mentre guidava il mulo, andava raccontando alla Nunziata come e dove avesse vista la
Lia, ch’era tutta Sant’Agata, e ancora non gli pareva vero a lui stesso che l’avesse vista coi suoi occhi, tanto che
la voce gli mancava nella gola, mentre ne parlava per ingannare la noia, lungo la strada polverosa. – Ah
Nunziata! chi l’avrebbe detto, quando stavamo a chiacchierare da un uscio all’altro, e c’era la luna, e i vicini
discorrevano lì davanti, e si udiva colpettare tutto il giorno quel telaio di Sant’Agata, e quelle galline che la
conoscevano soltanto all’aprire che faceva il rastrello, e la Longa che la chiamava pel cortile, che ogni cosa si
udiva da casa mia come se fosse stato proprio là dentro! Povera Longa! 42 Adesso, vedi, che ci ho il mulo, e
ogni cosa come desideravo, che se fosse venuto a dirmelo l’angelo del cielo non ci avrei creduto, adesso penso
sempre a quelle sere là, quando udivo la voce di voialtre, mentre governavo l’asino, e vedevo il lume nella casa
del nespolo, che ora è chiusa, e quando son tornato non ho trovato più niente di quel che avevo lasciato, e
comare Mena non mi è parsa più quella. Uno che se ne va dal paese è meglio non ci torni più. Vedi, ora penso
pure a quel povero asino che ha lavorato con me tanto tempo, e andava sempre, sole o pioggia, col capo basso e
le orecchie larghe. Adesso chissà dove lo cacciano, e con quali carichi, e per quali strade, colle orecchie più
basse ancora, ché anch’egli fiuta col naso la terra che deve raccoglierlo, come si fa vecchio, povera bestia!
43
Padron ’Ntoni, disteso sulla materassa, non udiva nulla, e ci avevano messo sul carro una coperta colle
canne, sicché sembrava che portassero un morto. – Per lui è meglio che non oda più nulla, seguitava compare
Alfio. L’angustia di ’Ntoni già l’ha sentita, e un giorno o l’altro gli toccherebbe anche di sentire come è andata
a finire la Lia.
– Me lo domandava spesso, quando eravamo soli, rispose la Nunziata. – Voleva sapere dove fosse.
44
– È andata dietro a suo fratello. Noi poveretti siamo come le pecore, e andiamo sempre con gli occhi
chiusi dove vanno gli altri. Tu non glielo dire, né lo dire a nessuno del paese, dove ho visto la Lia, ché sarebbe
un colpo di coltello per Sant’Agata. Ella mi riconobbe di certo, mentre passavo davanti all’uscio, perché si fece
bianca e rossa nella faccia, ed io frustai il mulo per passare presto, e son certo che quella poveretta avrebbe
voluto piuttosto che il mulo le fosse camminato sulla pancia, e la portassero distesa sul carro come portiamo
adesso suo nonno. Ora la famiglia dei Malavoglia è distrutta, e bisogna rifarla di nuovo tu e Alessi.
45
– I denari per la roba ci sono già; a San Giovanni venderemo anche il vitello.
– Bravi! così, quando ci avrete i denari da parte, non c’è pericolo che vi sfumino in un giorno, come
accadrebbe se il vitello venisse a morire, Dio liberi! Ora siamo alle prime case della città, e tu potrai aspettarmi
qui, se non vuoi venire sino all’ospedale.
– No, voglio venire anch’io; così almeno vedrò dove lo mettono, ed egli pure mi vedrà sino all’ultimo
momento.
46
Padron ’Ntoni poté vederla sino all’ultimo momento, e mentre la Nunziata se ne andava via con Alfio
Mosca, adagio adagio, pel camerone che pareva d’essere in chiesa al camminare, li accompagnava cogli occhi;
poi si voltò dall’altra parte e non si mosse più. Compar Alfio e la Nunziata risalirono sul carro, arrotolarono la
materassa e la coperta, e se ne tornarono senza dir nulla, per la lunga strada polverosa.
Alessi si dava i pugni nella testa e si strappava i capelli, come non trovò più il nonno nel suo letto, e vide
che gli riportavano la materassa arrotolata; e se la prendeva colla Mena, quasi fosse stata lei a mandarlo via. Ma
compar Alfio gli diceva: – Che volete? La casa dei Malavoglia ora è distrutta, e bisogna che la facciate di
nuovo voi altri.
47
Egli voleva tornare a fargli il conto della roba e del vitello, di cui avevano chiacchierato lungo la strada
colla ragazza; ma Alessi e Mena non gli davano retta, colla testa nelle mani e gli occhi fissi e lucenti di lagrime,
seduti sulla porta della casa dove oramai erano soli davvero. Compar Alfio in questo mentre cercava di
confortarli col rammentar loro com’era prima la casa del nespolo, quando stavano a chiacchierare da un uscio
all’altro, colla luna, e si udiva tutto il giorno il colpettare del telaio di Sant’Agata, e le galline che chiocciavano,
e la voce della Longa che aveva sempre da fare. 48 Adesso tutto era cambiato, e quando uno se ne va dal paese, è
meglio che non ci torni più, perché la strada stessa non sembrava più quella, dacché non c’era più quel
passeggio per la Mangiacarrubbe, e don Silvestro non si faceva vedere nemmeno lui, aspettando che la
Zuppidda cascasse coi suoi piedi, e lo zio Crocifisso s’era chiuso in casa a guardarsi la sua roba, o ad
accapigliarsi colla Vespa, e persino non si udiva quistionar tanto nella spezieria, dacché don Franco aveva visto

  5  
la giustizia nel mostaccio, ed ora andava a rincantucciarsi per leggere il giornale, e si sfogava a pestare nel
mortaio tutto il giorno per passare il tempo. Anche padron Cipolla non ci stava più a schiacciare gli scalini
davanti la chiesa, dacché aveva perso la pace.
49
Un bel giorno corse la notizia che padron Fortunato si maritava, perché la sua roba non se la godesse la
Mangiacarrubbe, alla barba di lui; per questo non ci stava più a schiacciare gli scalini, e si pigliava la Zuppidda.
– E mi diceva che il matrimonio è come una trappola di topi! andava brontolando allora lo zio Crocifisso. – Ora
state a fidarvi degli uomini?
50
Le ragazze invidiose dicevano che la Barbara sposava suo nonno. Ma la gente di proposito, come Peppi
Naso, e Piedipapera, ed anche don Franco, mormoravano: – Questa l’ha vinta comare Venera contro don
Silvestro; è un gran colpo per don Silvestro, ed è meglio che se ne vada dal paese. Già i forestieri, frustali! e qui
non ci hanno messo mai radici i forestieri. Con padron Cipolla non ardirà mettercisi a tu per tu don Silvestro.
51
– O che credeva? sbraitava comare Venera colle mani sui fianchi, – di prendersi mia figlia colla
carestia? Stavolta comando io! e gliel’ho fatta capire a mio marito! Chi è buon cane mangia al trogolo;
forestieri non ne vogliamo per la casa. Una volta in paese si stava meglio, quando non erano venuti quelli di
fuori a scrivere sulla carta i bocconi che vi mangiate, come don Silvestro, o a pestare fiori di malva nel mortaio,
e ingrassarsi col sangue di quei del paese. Allora ognuno si conosceva, e si sapeva quel che faceva, e quel che
avevano sempre fatto suo padre e suo nonno, e perfino quel che mangiava, e quando si vedeva passare uno si
sapeva dove andava, e le chiuse erano di quelli che c’erano nati, e il pesce non si lasciava prendere da questo e
da quello. Allora la gente non si sbandava di qua e di là, e non andava a morire all’ospedale.
52
Giacché tutti si maritavano, Alfio Mosca avrebbe voluto prendersi comare Mena, che nessuno la voleva
più, dacché la casa dei Malavoglia s’era sfasciata, e compar Alfio avrebbe potuto dirsi un bel partito per lei, col
mulo che ci aveva; così la domenica ruminava fra di sé tutte le ragioni per farsi animo, mentre stava accanto a
lei, seduto davanti alla casa, colle spalle al muro, a sminuzzare gli sterpolini della siepe per ingannare il tempo.
Anche lei guardava la gente che passava, e così facevano festa la domenica: – Se voi mi volete ancora, comare
Mena, disse finalmente, io per me son qua.
53
La povera Mena non si fece neppur rossa, sentendo che compare Alfio aveva indovinato che ella lo
voleva, quando stavano per darla a Brasi Cipolla, tanto le pareva che quel tempo fosse lontano, ed ella stessa
non si sentiva più quella. – Ora sono vecchia, compare Alfio, rispose, e non mi marito più.
– Se voi siete vecchia, anch’io sono vecchio, ché avevo degli anni più di voi, quando stavamo a
chiacchierare dalla finestra, e mi pare che sia stato ieri, tanto m’è rimasto in cuore. Ma devono essere passati
più di otto anni. E ora quando si sarà maritato vostro fratello Alessi, voi restate in mezzo alla strada.
54
Mena si strinse nelle spalle, perché era avvezza a fare la volontà di Dio, come la cugina Anna; e
compare Alfio, vedendo così, riprese:
– Allora vuol dire che non mi volete bene, comare Mena, e scusatemi se vi ho detto che vi avrei sposata.
Lo so che voi siete nata meglio di me, e siete figlia di padroni; ma ora non avete più nulla, e se si marita vostro
fratello Alessi, rimarrete in mezzo alla strada. Io ci ho il mulo e il mio carro, e il pane non ve lo farei mancare
giammai, comare Mena. Ora perdonatemi la libertà!
55
– Non mi avete offesa, no, compare Alfio; e vi avrei detto di sì anche quando avevamo la Provvidenza
e la casa del nespolo, se i miei parenti avessero voluto, che Dio sa quel che ci avevo in cuore quando ve ne siete
andato alla Bicocca col carro dell’asino, e mi pare ancora di vedere, quel lume nella stalla, e voi che mettevate
tutta la vostra roba sul carretto, nel cortile; vi rammentate?
– Sì, che mi rammento! Allora perché non mi dite di sì, ora che non avete più nulla, e ci ho il mulo
invece dell’asino al carretto, e i vostri parenti non potrebbero dir di no?
56
– Ora non son più da maritare; tornava a dire Mena col viso basso, e sminuzzando gli sterpolini della
siepe anche lei. Ho ventisei anni, ed è passato il tempo di maritarmi.
– No, che non è questo il motivo per cui non volete dirmi di sì! ripeteva compar Alfio col viso basso
come lei. – Il motivo non volete dirmelo! – E così rimanevano in silenzio a sminuzzare sterpolini senza
guardarsi in faccia. Dopo egli si alzava per andarsene, colle spalle grosse e il mento sul petto. Mena lo
accompagnava cogli occhi finché poteva vederlo, e poi guardava al muro dirimpetto e sospirava.
57
Come aveva detto Alfio Mosca, Alessi s’era tolta in moglie la Nunziata, e aveva riscattata la casa del
nespolo.
– Io non son da maritare, aveva tornato a dire la Mena; – maritati tu che sei da maritare ancora; – e così
ella era salita nella soffitta della casa del nespolo, come le casseruole vecchie, e s’era messo il cuore in pace,
aspettando i figliuoli della Nunziata per far la mamma. Ci avevano pure le galline nel pollaio, e il vitello nella
stalla, e la legna e il mangime sotto la tettoia, e le reti e ogni sorta di attrezzi appesi, il tutto come aveva detto
padron ’Ntoni; e la Nunziata aveva ripiantato nell’orto i broccoli ed i cavoli, con quelle braccia delicate che non

  6  
si sapeva come ci fosse passata tanta tela da imbiancare, e come avesse fatti quei marmocchi grassi e rossi che
la Mena si portava in collo pel vicinato, quasi li avesse messi al mondo lei, quando faceva la mamma.
58
Compare Mosca scrollava il capo, mentre la vedeva passare, e si voltava dall’altra parte, colle spalle
grosse. – A me non mi avete creduto degno di quest’onore! le disse alfine quando non ne poté più, col cuore più
grosso delle spalle. – Io non ero degno di sentirmi dir di sì!
– No, compar Alfio! – rispose Mena la quale si sentiva spuntare le lagrime. – Per quest’anima pura che
tengo sulle braccia! Non è per questo motivo. Ma io non son più da maritare.
59
– Perché non siete più da maritare, comare Mena?
– No! no! – ripeteva comare Mena, che quasi piangeva. – Non me lo fate dire, compar Alfio! Non mi fate
parlare! Ora se io mi maritassi, la gente tornerebbe a parlare di mia sorella Lia, giacché nessuno oserebbe
prendersela una Malavoglia, dopo quello che è successo. Voi pel primo ve ne pentireste. Lasciatemi stare, che
non sono da maritare, e mettetevi il cuore in pace.
– Avete ragione, comare Mena! rispose compare Mosca; – a questo non ci avevo mai pensato. Maledetta
la sorte che ha fatto nascere tanti guai!
60
Così compare Alfio si mise il cuore in pace, e Mena seguitò a portare in braccio i suoi nipoti, quasi ci
avesse il cuore in pace anche lei, e a spazzare la soffitta, per quando fossero tornati gli altri, che c’erano nati
anche loro, – come se fossero stati in viaggio per tornare! – diceva Piedipapera.
61
Invece padron ’Ntoni aveva fatto quel viaggio lontano, più lontano di Trieste e d’Alessandria d’Egitto,
dal quale non si ritorna più; e quando il suo nome cadeva nel discorso, mentre si riposavano, tirando il conto
della settimana e facendo i disegni per l’avvenire, all’ombra del nespolo e colle scodelle fra le ginocchia, le
chiacchiere morivano di botto, che a tutti pareva d’avere il povero vecchio davanti agli occhi, come l’avevano
visto l’ultima volta che erano andati a trovarlo in quella gran cameraccia coi letti in fila, che bisognava cercarlo
per trovarlo, e il nonno li aspettava come un’anima del purgatorio, cogli occhi alla porta, sebbene non ci
vedesse quasi, e li andava toccando, per accertarsi che erano loro, e poi non diceva più nulla, mentre gli si
vedeva in faccia che aveva tante cose da dire, e spezzava il cuore con quella pena che gli si leggeva in faccia e
non la poteva dire. 62 Quando gli narrarono poi che avevano riscattata la casa del nespolo, e volevano portarselo
a Trezza di nuovo, rispose di sì, e di sì, cogli occhi, che gli tornavano a luccicare, e quasi faceva la bocca a riso,
quel riso della gente che non ride più, o che ride per l’ultima volta, e vi rimane fitto nel cuore come un coltello.
Così successe ai Malavoglia quando il lunedì tornarono col carro di compar Alfio per riprendersi il nonno, e
non lo trovarono più.
63
Rammentando tutte queste cose lasciavano il cucchiaio nella scodella, e pensavano e pensavano a tutto
quello che era accaduto, che sembrava scuro scuro, come ci fosse sopra l’ombra del nespolo. Ora, quando
veniva la cugina Anna a filare un po’ con le comari, aveva i capelli bianchi, e diceva che aveva perso il riso
della bocca, perché non aveva tempo di stare allegra, colla famiglia che aveva sulle spalle, e Rocco che tutti i
giorni bisognava andare a cercare di qua e di là, per le strade e davanti la bettola, e cacciarlo verso casa come
un vitello vagabondo. Anche dei Malavoglia ce n’erano due vagabondi; e Alessi si tormentava il cervello a
cercarli dove potevano essere, per le strade arse di sole e bianche di polvere, che in paese non sarebbero tornati
più, dopo tanto tempo.
64
Una sera, tardi, il cane si mise ad abbaiare dietro l’uscio del cortile, e lo stesso Alessi, che andò ad
aprire, non riconobbe ’Ntoni il quale tornava colla sporta sotto il braccio, tanto era mutato, coperto di polvere, e
colla barba lunga. Come fu entrato e si fu messo a sedere in un cantuccio, non osavano quasi fargli festa. Ei non
sembrava più quello, e andava guardando in giro le pareti, come non le avesse mai viste; fino il cane gli
abbaiava, ché non l’aveva conosciuto mai. Gli misero fra le gambe la scodella, perché aveva fame e sete, ed
egli mangiò in silenzio la minestra che gli diedero, come non avesse visto grazia di Dio da otto giorni, col naso
nel piatto; ma gli altri non avevano fame, tanto avevano il cuore serrato. Poi ’Ntoni, quando si fu sfamato e
riposato alquanto, prese la sua sporta e si alzò per andarsene.
65
Alessi non osava dirgli nulla, tanto suo fratello era mutato. Ma al vedergli riprendere la sporta, si sentì
balzare il cuore dal petto, e Mena gli disse tutta smarrita: – Te ne vai?
– Sì! rispose ’Ntoni.
– E dove vai? chiese Alessi.
– Non lo so. Venni per vedervi. Ma dacché son qui la minestra mi è andata tutta in veleno. Per altro qui
non posso starci, ché tutti mi conoscono, e perciò son venuto di sera. Andrò lontano, dove troverò da buscarmi
il pane, e nessuno saprà chi sono.
66
Gli altri non osavano fiatare, perché ci avevano il cuore stretto in una morsa, e capivano che egli faceva
bene a dir così. ’Ntoni continuava a guardare dappertutto, e stava sulla porta, e non sapeva risolversi ad

  7  
andarsene. – Ve lo farò sapere dove sarò; disse infine, e come fu nel cortile, sotto il nespolo, che era scuro,
disse anche:
– E il nonno?
Alessi non rispose; ’Ntoni tacque anche lui, e dopo un pezzetto:
– E la Lia, che non l’ho vista?
67
E siccome aspettava inutilmente la risposta, aggiunse colla voce tremante, quasi avesse freddo:
– È morta anche lei?
Alessi non rispose nemmeno; allora ’Ntoni che era sotto il nespolo, colla sporta in mano, fece per
sedersi, poiché le gambe gli tremavano, ma si rizzò di botto, balbettando:
– Addio! addio! Lo vedete che devo andarmene?
68
Prima d’andarsene voleva fare un giro per la casa, onde vedere se ogni cosa fosse al suo posto come
prima; ma adesso, a lui che gli era bastato l’animo di lasciarla e di dare una coltellata a don Michele, e di
starsene nei guai, non gli bastava l’animo di passare da una camera all’altra se non glielo dicevano. Alessi che
gli vide negli occhi il desiderio, lo fece entrare nella stalla, col pretesto del vitello che aveva comperato la
Nunziata, ed era grasso e lucente; e in un canto c’era pure la chioccia coi pulcini; poi lo condusse in cucina,
dove avevano fatto il forno nuovo, e nella camera accanto, che vi dormiva la Mena coi bambini della Nunziata,
e pareva che li avesse fatti lei. 69 ’Ntoni guardava ogni cosa, e approvava col capo, e diceva: – Qui pure il nonno
avrebbe voluto metterci il vitello; qui c’erano le chioccie, e qui dormivano le ragazze, quando c’era anche
quell’altra... – Ma allora non aggiunse altro, e stette zitto a guardare intorno, cogli occhi lustri. In quel
momento passava la Mangiacarrubbe, che andava sgridando Brasi Cipolla per la strada, e ’Ntoni disse: –
Questa qui l’ha trovato il marito; ed ora, quando avranno finito di quistionare, andranno a dormire nella loro
casa.
70
Gli altri stettero zitti, e per tutto il paese era un gran silenzio, soltanto si udiva sbattere ancora qualche
porta che si chiudeva; e Alessi a quelle parole si fece coraggio per dirgli:
– Se volessi anche tu ci hai la tua casa. Di là c’è apposta il letto per te.
71
– No! rispose ’Ntoni. Io devo andarmene. Là c’era il letto della mamma, che lei inzuppava tutto di
lagrime quando volevo andarmene. Ti rammenti le belle chiacchierate che si facevano la sera, mentre si
salavano le acciughe? e la Nunziata che spiegava gli indovinelli? e la mamma, e la Lia, tutti lì, al chiaro di luna,
che si sentiva chiacchierare per tutto il paese, come fossimo tutti una famiglia? Anch’io allora non sapevo
nulla, e qui non volevo starci, ma ora che so ogni cosa devo andarmene.
In quel momento parlava cogli occhi fissi a terra, e il capo rannicchiato nelle spalle. Allora Alessi gli
buttò le braccia al collo.
– Addio, ripeté ’Ntoni. Vedi che avevo ragione d’andarmene! qui non posso starci. Addio, perdonatemi
tutti.
72
E se ne andò colla sua sporta sotto il braccio; poi, quando fu lontano, in mezzo alla piazza scura e
deserta, che tutti gli usci erano chiusi, si fermò ad ascoltare se chiudessero la porta della casa del nespolo,
mentre il cane gli abbaiava dietro, e gli diceva col suo abbaiare che era solo in mezzo al paese. Soltanto il mare
gli brontolava la solita storia lì sotto, in mezzo ai fariglioni, perché il mare non ha paese nemmeno lui, ed è di
tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole, anzi ad Aci Trezza ha un modo
tutto suo di brontolare, e si riconosce subito al gorgogliare che fa tra quegli scogli nei quali si rompe, e par la
voce di un amico.
73
Allora ’Ntoni si fermò in mezzo alla strada a guardare il paese tutto nero, come non gli bastasse il
cuore di staccarsene, adesso che sapeva ogni cosa, e sedette sul muricciuolo della vigna di massaro Filippo.
74
Così stette un gran pezzo pensando a tante cose, guardando il paese nero, e ascoltando il mare che gli
brontolava lì sotto. E ci stette fin quando cominciarono ad udirsi certi rumori ch’ei conosceva, e delle voci che
si chiamavano dietro gli usci, e sbatter d’imposte, e dei passi per le strade buie. Sulla riva, in fondo alla piazza,
cominciavano a formicolare dei lumi. Egli levò il capo a guardare i Tre Re che luccicavano, e la Puddara che
annunziava l’alba, come l’aveva vista tante volte. Allora tornò a chinare il capo sul petto, e a pensare a tutta la
sua storia. 75 A poco a poco il mare cominciò a farsi bianco, e i Tre Re ad impallidire, e le case spuntavano ad
una ad una nelle vie scure, cogli usci chiusi, che si conoscevano tutte, e solo davanti alla bottega di Pizzuto
c’era il lumicino, e Rocco Spatu colle mani nelle tasche che tossiva e sputacchiava. – Fra poco lo zio Santoro
aprirà la porta, pensò ’Ntoni, e si accoccolerà sull’uscio a cominciare la sua giornata anche lui. – Tornò a
guardare il mare, che s’era fatto amaranto, tutto seminato di barche che avevano cominciato la loro giornata
anche loro, riprese la sua sporta, e disse: – Ora è tempo d’andarmene, perché fra poco comincierà a passar
gente. Ma il primo di tutti a cominciar la sua giornata è stato Rocco Spatu.

  8  
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 90/S1
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
A seconda della reggenza del verbo interessato, il discorso indiretto è legato al verbo
introduttore da che (dire, rispondere, credere, ribattere, raccontare, confermare, strillare,
predicare, giurare, ripetere) oppure da elementi variabili come perché , cosa , dove
(qualora si tratti di verbo di domanda) o di (retto da ‘parlare’ e ‘sparlare’ e da ‘dire’ nel
sintagma ‘dire di no’).
I connettori marcano il punto preciso a partire dal quale viene riferito il discorso diretto;
si assiste però non di rado all’omissione del connettore di massima ricorrenza, il che
dichiarativo, o alla sua sostituzione con e o con un elemento d’interpunzione.

Nei casi riferiti di seguito e nelle slide seguenti è segnalato con il grassetto il verbum
dicendi e con il segno ∨ l’omissione del che dichiarativo (in rosso anche l’eventuale e che
lo sostituisce o che lo riprende se già citato in precedenza e /o la punteggiatura
coinvolta):
I) 1,1-2: “La gente diceva che la Lia era andata a stare con don Michele; ∨ già i
Malavoglia non avevano più niente da perdere, e ∨ don Michele almeno le avrebbe dato il
pane.”;
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 90/S1
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
II) 1,5-7: “diceva che «la fame fa uscire il lupo dal bosco», e «cane affamato non teme
bastone»; ma ∨ di lui non volevano saperne, ora che era ridotto in quello stato.”;
III) 5,3-4: “gli diceva, per farlo contento, che ci voleva poco a mettere insieme un’altra
volta i denari della casa del nespolo, e ∨ fra un anno o due ci sarebbero arrivati.”;
IV) 6,1-2: “ribatteva che adesso non avevano più bisogno della casa; e ∨ meglio che
non ci fosse mai stata al mondo la casa dei Malavoglia”;
V) 11,2-3: “diceva che quelle cose son fatte per i ricchi, e ∨ la roba bianca non era bene
di farsela intanto che cresceva ancora.”;
VI) 26, 1-4: “don Ciccio disse che era proprio finita, e ∨ non ci era più bisogno di lui, che
là in quel letto dove era, poteva starci anche degli anni, e ∨ Alessi o la Mena ed anche
la Nunziata dovevano perdere le loro giornate a far la guardia; ∨ se no se lo sarebbero
mangiato i porci, come trovavano l’uscio aperto.”;
VII) 28, 1-3: “tutto il vicinato sparlava di loro, che volevano fare i superbi senza aver
pane da mangiare. ∨ Si vergognavano di mandare il nonno all’ospedale, mentre ci
avevano tutti gli altri di qua e di là, e dove poi!”;
VIII) 32, 1-2: “La Zuppidda adesso predicava che il capo della casa era suo marito, ed ∨
egli era il padrone di maritare la Barbara con chi gli piaceva, e ∨ se voleva darla a don
Silvestro voleva dire che gliela aveva promessa, e ∨ aveva chinato il capo; e ∨ quando suo
marito aveva chinato il capo, era peggio di un bue.”;
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 90/S1
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
IX) 41,1-2: “andava raccontando alla Nunziata come e dove avesse vista la Lia, ch’era
tutta Sant’Agata, e ∨ ancora non gli pareva vero a lui stesso che l’avesse vista coi suoi
occhi”;
X) 47,3-48,8: “Compar Alfio in questo mentre cercava di confortarli col rammentar loro
com’era prima la casa del nespolo, quando stavano a chiacchierare da un uscio all’altro,
colla luna, e si udiva tutto il giorno il colpettare del telaio di Sant’Agata, e le galline che
chiocciavano, e la voce della Longa che aveva sempre da fare. ∨ Adesso tutto era
cambiato, e quando uno se ne va dal paese, è meglio che non ci torni più, perché la
strada stessa non sembrava più quella, dacché non c’era più quel passeggio per la
Mangiacarrubbe, e don Silvestro non si faceva vedere nemmeno lui, aspettando che la
Zuppidda cascasse coi suoi piedi, e lo zio Crocifisso s’era chiuso in casa a guardarsi la sua
roba, o ad accapigliarsi colla Vespa, e persino non si udiva quistionar tanto nella
spezieria, dacché don Franco aveva visto la giustizia nel mostaccio, ed ora andava a
rincantucciarsi per leggere il giornale, e si sfogava a pestare nel mortaio tutto il giorno
per passare il tempo. Anche padron Cipolla non ci stava più a schiacciare gli scalini
davanti la chiesa, dacché aveva perso la pace.”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 90/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
Gli escamotages grafici, di cui abbiamo corredato gli esempi estratti dal XV capitolo
de I Malavoglia, hanno tentato di ricondurre la sintassi verghiana a modelli logici e
sintattici razionalizzanti e regolati, ai quali ci ha abituato la scuola e la scrittura; si
sarà però anche notato che non tutti i casi elencati sopra paiono spiegarsi con lo
stesso grado di persuasività come esempi di omissione di che dichiarativo.
A tale tentativo di spiegazione ci ha indotto la vicinanza di un verbum dicendi che a
tutta prima ci inviterebbe a distinguere tutti questi casi da vere e proprie
manifestazioni di discorso indiretto libero (che per definizione prescinde dal legame
con un verbo del dire); eppure una notevole differenza intonativa esiste fra quegli
esempi che separano il verbum dicendi dal discorso indiretto con una semplice
virgola e quelli invece in cui la frattura è eseguita mediante un segno forte di
interpunzione (punto e virgola o punto fermo), un segnale questo che l’autore ci
invita a raccogliere affinché si valuti più nello specifico, distinguendo caso per caso.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 90/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
Negli esempi III e V, nell’esempio VI (limitatamente alle due prime occorrenze),
nell’esempio VIII (soltanto le prime tre occorrenze) e nell’esempio IX il verbo reggente è
separato da quel che segue da una virgola; e sono questi i casi in cui l’ipotesi
dell’omissione del che dichiarativo pare più convincente (in essi la congiunzione e funge
da elemento di ripresa del che già espresso in precedenza).
Diversi gli altri casi nei quali la frattura interpuntiva forte provoca l’impressione che il
discorso indiretto sia introdotto ex abrupto come discorso diretto, dal quale è distinto
solo per il diverso utilizzo di modi e i tempi verbali e di persone grammaticali; in questi
casi a indirizzarci a favore dell’indiretto libero, stanno
1) gli elementi deittici che rimarcano nel tempo e nello spazio la concretezza e quasi
fisicità del parlante, non annullata dal filtro del narratore (si veda in I: già ‘ormai’, in II:
ora; in VII: di qua e di là; in X: Adesso ... quel passeggio ... ora)
oppure
2) la natura olofrastica (capace cioè di costituire da solo una frase, come sì, no)
dell’elemento su cui si regge il periodo (nel nostro caso meglio, d’intonazione
esclamativa): “meglio che non ci fosse mai stata al mondo la casa dei Malavoglia” di
IV
che costituiscono in entrambi i casi rilevatori secondari di cui parlava Nencioni.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 90/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
Sulla base della presenza di deittici, pur mancando il segno interpuntivo forte, si sarebbe
indotti ad avvicinare all’indiretto libero anche l’esempio IX, data la presenza di ancora,
mentre la presenza del punto e virgola nei casi II e VIII (che avevamo presentato come:
“ma ∨ di lui non volevano saperne, ora che era ridotto in quello stato” e rispettivamente
come “e ∨ quando suo marito aveva chinato il capo, era peggio di un bue”) indurrebbe a
intendere ma e rispettivamente e non come forme di ripresa del che precedente (e
dunque come connettori) ma piuttosto come elementi appartenenti a pieno titolo al
discorso indiretto secondo moduli di attacco caratteristici dell’oralità.
Del resto il medesimo attacco del discorso con e ricorre in
63, 3-6 “diceva che aveva perso il riso della bocca, perché non aveva tempo di stare
allegra, colla famiglia che aveva sulle spalle, e Rocco che tutti i giorni bisognava
andare a cercare di qua e di là, per le strade e davanti la bettola, e cacciarlo verso
casa come un vitello vagabondo.”
nel quale si passa senza soluzione di continuità dal discorso indiretto legato (retto da
diceva che) all’indiretto libero, quest’ultimo riportato ex abrupto con un effetto
pienamente mimetico. Infine il modo indicativo anziché condizionale denuncia l’indiretto
libero (indipendente dunque da diceva) in:
23,8-9 “gli diceva che avrebbero comprato un vitellino a San Sebastiano, ed ella
bastava a procurargli l’erba e il mangime per l’inverno”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 90/S3
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
Il discorso indiretto libero stabilisce con altri discorsi un rapporto dai confini fluidi; il
suo riconoscimento però ci consente di individuare il locutore.
In I il locutore è evidentemente quella gente con cui si apre il capitolo;
in II però è più difficile decidere se “ma di lui non volevano saperne” sono parole di
Padron ’Ntoni o di un eventuale altro personaggio;
in VIII “Si vergognavano di mandare il nonno all’ospedale, mentre ci avevano tutti gli
altri di qua e di là, e dove poi!”, solo l’esclamativo finale ci assicura che si tratta di
discorso del vicinato;
in X da “Adesso … perso la pace”, a ‘parlare’ è compare Alfio.
Meno problematica è invece l’individuazione dell’indiretto libero in
8,5-6: “Stavolta non potevano dargli nemmeno un bicchiere di vino, pel ben
tornato”;
15, 4-7: “Adesso quando l’incontrava per le strade lo salutava, e cercava di mandargli
anche la Vespa per parlargli di quell’affare, chissà che non si fossero rammen-
tati dell’amore antico, nello stesso tempo, e compare Mosca non riescis-
se a levargli quella croce di su le spalle.”;
;
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 90/S3
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
16, 2-3: “e non avrebbe cangiato lo zio Crocifisso con Vittorio Emanuele in carne ed
ossa, neanche se l’avessero tirata pei capelli”
24: “A maggio si sarebbe venduto [...] sicuro con compare Naso”;
29,3-4: “Almeno lei non gli faceva mancar nulla a suo padre, adesso che era invalido,
e se lo teneva sull’uscio”;
34,2-8: “quell’asparagio verde ... la lira al giorno”;
39,12: “e don Silvestro disse che avevano fatto bene, per questo il Comune pagava la sua
rata all’ospedale”
36,2-3 “Ora lo speziale non teneva più cattedra; e quando veniva don Silvestro, andava a
pestare i suoi unguenti nel mortaio, per non compromettersi. Già tutti quelli che bazzicano
col Governo, e mangiano il pane del re, son tutta gente da guardarsene”)
51: “– O che credeva? sbraitava comare Venera colle mani sui fianchi, – di prendersi mia figlia
colla carestia? Stavolta comando io! e gliel’ho fatta capire a mio marito! Chi è buon cane man-
gia al trogolo; forestieri non ne vogliamo per la casa. Una volta in paese si stava meglio,
quando non erano venuti quelli di fuori a scrivere sulla carta i bocconi che vi man-
giate, come don Silvestro, o a pestare fiori di malva nel mortaio, e ingrassarsi col
sangue di quei del paese. Allora ognuno si conosceva, e si sapeva quel che faceva,
e quel che avevano sempre fatto suo padre e suo nonno, e perfino quel che man-
giava, e quando si vedeva passare uno si sapeva dove andava, e le chiuse erano di
quelli che c’erano nati, e il pesce non si lasciava prendere da questo e da quello. Al-
lora la gente non si sbandava di qua e di là, e non andava a morire all’ospedale”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 91
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
Rilevatore primario dell’indiretto libero: la trasposizione

Il discorso diretto di Verga, I Malavoglia, X, 13, 1-4


“– I denari ce li abbiamo, disse a compar Alfio [...] – A Ognissanti mio fratello entra
garzone da massaro Filippo, e il minore prenderà il suo posto da padron Cipolla.
Quando avrò collocato anche Turi, allora mi mariterò; ma bisogna aspettare che io
abbia gli anni, e che mio padre mi dia il consenso.”
nel passare all’indiretto diventerebbe
‘Disse a compar Alfio che i denari ce li avevano [...] e che a Ognissanti suo fratello
sarebbe entrato garzone da massaro Filippo, e il minore avrebbe preso il posto del
fratello da padron Cipolla e che quando avesse collocato anche Turi, allora si sarebbe
maritata; ma che bisognava aspettare che ella avesse gli anni, e che suo padre le desse
il consenso’.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 91
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
La trasposizione coinvolge persone grammaticali e tempi verbali. In particolare:
1) le persone grammaticali I, II, III sing. → III sing.; I, II, III plur. → III plur-;
2) i tempi vengono rimodulati al piano cronologico di chi parla dunque al rapporto
cronologico fra narratore e fatti narrati (nel nostro caso passato remoto: Disse a compar
Alfio): in conseguenza di ciò
il presente indicativo → imperfetto indicativo (abbiamo → avevano; bisogna →
bisognava)
il futuro → condizionale passato (entra [presente in luogo di futuro] → sarebbe
entrato; prenderà → avrebbe preso); il futuro anteriore → trapassato
congiuntivo (avrò collocato → avesse collocato), data la sottintesa ipoteticità
il presente congiuntivo → imperfetto congiuntivo (abbia → avesse, dia → desse).
La frequenza dell’imperfetto, determinata dalla volontà verghiana di riferire il discorso sia
in forma mimetica (discorso diretto) sia raccontandolo (discorso indiretto) si aggiunge poi
alle normali funzioni dell’imperfetto, che esprime duratività, iteratività e imperfettività; la
prevalenza dell’imperfetto sul passato remoto nel cap. XV è valutabile in un rapporto di
oltre quattro volte superiore (circa 430 imperfetti rispetto a 97 passati remoti). La
disposizione del perfetto lungo i paragrafi del capitolo è visualizzabile dal grafico che
trovate nella slide successiva.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 91
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia

Passato remoto nel cap. XV de I Malavoglia


9
8
7
6
5
4
3
2
1
0
1 4 7 10 13 16 19 22 25 28 31 34 37 40 43 46 49 52 55 58 61 64 67 70 73
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 91
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
La caratteristica, condivisa anche da Vita dei campi, fu notata subito dai contemporanei e
censurata come
“abuso dell’imperfetto, che alle volte stanca e infastidisce. Quel continuo era, faceva,
aveva, alla lunga diventa come una cadenza fastidiosa, quasi una stonatura in mezzo
a tanta verità descrittiva e potenza d’analisi psicologica”
come ebbe a dire Filippo Filippi in una recensione a Vita dei campi (sulla “Perseveranza”
nel 1880), che dette luogo ad una lettera di risposta (11 ottobre 1880) in cui il Verga, fra
le altre cose, rivendicava consapevolmente proprio questa scelta:
“A questo proposito ti dirò che tutti quei passati imperfetti che mi critichi, sono voluti,
sono il risultato del mio modo di vedere, per rendere completa l’illusione della realtà
dell’opera d’arte, della non compartecipazione direi dell’autore”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 91/S1
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
“L’imperfetto, nella sua indefinita continuità, era certo il tempo più adatto a
rappresentare lo stagnante e desolato ripetersi della quotidianità di Trezza, solo
superficialmente inciso dai pochi eventi che segnano la via crucis della famiglia
Toscano”;
così Giovanni Nencioni sottolinea come l’alternanza del tempo grammaticale generi un
effetto prospettico che attribuisce il tempo durativo (l’imperfetto) allo sfondo corale e il
tempo perfettivo (il passato remoto) ai personaggi della famiglia Malavoglia (cfr. il
saggio già più volte citato, pp. 44-45). Il che corrisponde, in ultima analisi, all’ideologia
verghiana dell’intero ciclo dei vinti nel quale l’osservatore “travolto anch’esso dalla
fiumana” analizza per un verso il “cammino fatale, incessante, spesso faticoso e febbrile
che segue l’umanità per raggiungere la conquista del progresso [che] è grandioso nel
suo risultato, visto nell’insieme, da lontano”, ma dall’altro “guardandosi attorno, ha il
diritto di interessarsi ai deboli che restano per via, ai fiacchi che si lasciano sorpassare
dall’onda per finire più presto, ai vinti che levano le braccia disperate e piegano il capo
sotto il piede brutale dei sopravvegnenti [...]”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 91/S1
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
Quanto la scelta del tempo imperfetto in luogo del più raro passato remoto sia
stilisticamente connotata si può vedere considerando singoli casi. Nei paragrafi 16-22,
dopo l’assenza completa del passato remoto nei paragrafi 16, 17, 18 assistiamo ad un
piccolo picco (due occorrenze nel paragrafo 19, tre nel paragrafo 20, una nel paragrafo
21) che poi si annulla di nuovo nei successivi paragrafi. In tutto questo brano si racconta
come compare Alfio venga contattato indirettamente da Campana di legno perché si
faccia da intermediario presso i Malavoglia per rivendere loro la casa del nespolo. Le
battute di dialogo che interessano i paragrafi 17-20 si riferiscono necessariamente ad un
evento preciso (un singolo incontro fra Campana di legno e compare Alfio al quale si
aggiunge ad un certo momento compare Cipolla) che a rigor di grammatica avrebbe
dovuto essere tutto riferito al passato remoto, come dimostrano gli occasionali passati
remoti effettivamente eseguiti (stette, lasciò a 19; continuò, disse, seguitò a 20), e come
si evince dalla battuta di 18: “Quello che stavo dicendo qui a compare Alfio”
‘assurdamente’ legata da seguitava.
Altrettanto irrituale è la presenza dell’imperfetto a 26:
“Infine non si alzava più dal letto”
in cui la puntualità dell’evento è rimarcata, in apparente contraddizione con il tempo
imperfettivo, da Infine.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 91/S1
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
Indicativo della forzatura stilistica che Verga impone alla grammatica è ulteriore
testimonianza, subito dopo, nei paragrafi 26-28: alla diagnosi senza speranza data dal
medico don Ciccio (disse a 26) segue un “Padron ’Ntoni intendeva benissimo quello che
si diceva”, per ‘intese ... quel che si era detto’, tant’è vero che “fece segno alla Nunziata
[...] e le disse piano” al quale risponde in maniera stilisticamente connotata “La
Nunziata si metteva a piangere anch’essa e diceva di no” in luogo di ‘si mise’ (mentre
diceva potrebbe essere giustificato dalla iterazione del rifiuto di Nunziata).
Ma il grafico elaborato nella sessione di studio precedente mostra come il dato
grammaticale, stilistico e narrativo collaborino alla conclusione del romanzo. Il picco
massimo della presenza del passato remoto in 46 (l’episodio senza ritorno durante il
quale compare Alfio e la Nunziata consegnano Padron ’Ntoni all’Albergo dei poveri) è
reduplicato nel paragrafo 64, quando ’Ntoni rientra a casa. In entrambi i casi la famiglia
Malavoglia e i loro compagni di viaggio sono protagonisti assoluti della scena; ma
mentre prima e dopo 46 l’intera Trezza conserva il proprio posto sulla scena e dunque il
passato remoto è isolato a quel paragrafo, il picco di 64 è preparato da 58 e 62 e
confermato da tutti i paragrafi successivi con un andamento che sancisce la fine della
storia.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 91/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
Diceva Verga a Capuana in una delle lettere immediatamente successive all’uscita de I
Malavoglia:
“Avevo un bel dirmi [...] Che la confusione che dovevano produrvi in mente alle
prime pagine tutti quei personaggi messivi faccia a faccia senza nessuna
presentazione, come li aveste conosciuti sempre, e foste nato e vissuto in mezzo a
loro, doveva scomparire man mano col progredire nella lettura a misura che essi vi
tornavano davanti, e vi si affermavano con nuove azioni ma senza messa in scena,
semplicemente, naturalmente, era artificio voluto e cercato anch’esso, per evitare,
perdonami il bisticcio, ogni artificio letterario, per darvi l’illusione completa della
realtà”.
Verga era cosciente della assenza di descrizione dei personaggi come dei luoghi e degli
spazi in cui quei personaggi agiscono, anch’essi dati per noti e conosciuti come se il
lettore fosse “nato e vissuto in mezzo a loro”.
Questa sensazione di già noto e conosciuto è ottenuta mediante la deissi che si
manifesta in maniera reiterata e sistematica attraverso l’uso dell’aggettivo o pronome
dimostrativo questo e quello con valore ostensivo (il che coinvolge il piano dello spazio) o
con valore più generico di condivisione (talora anche del tempo).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 91/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
Per quello , di gran lunga più frequente:
3 con quella faccia di pipa; 3 ora che era ridotto in quello stato; 7 È vero quella cosa che
hanno detto di Lia?; 10 Così anche i parenti dimenticano quelli che non ci sono più;
11 perché diceva che quelle cose son fatte per i ricchi; 13 rispose Nunziata con quella
voce dolce; 15 per quella casa del nespolo; 15 per parlargli di quell’affare; 15 a
levargli quella croce; 16 Ma quella cagna della Vespa; 17 in mano di quella serpe; 18
quell’altra vespa della Mangiacarrubbe; 18 quelle carogne; 24 giacché quello era un
guadagno sicuro; 25 Perché pensate a quelle cose?; 25 ascoltava cheto cheto tutto
quello che diceva la ragazza; 27 intendeva benissimo quello che si diceva; 29
Quell’invalido lì vale tant’oro; 34 quell’asparagio verde aveva del coraggio; 36 Già
tutti quelli che bazzicano col Governo; 36 con quella povera gente che non aveva
denari; 41 e quelle galline che la conoscevano; 42 adesso penso sempre a quelle sere
là; 44 quella poveretta avrebbe voluto piuttosto; 48 la strada stessa non sembrava
più quella; 53 ed ella stessa non si sentiva più quella etc.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 91/S2
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

La lingua de I M alavoglia
Per questo aggettivo si vedano:
4 ma questa era la sola cosa; 11 a questo mondo; 18 questo negozio; 31 andava a dire
queste cose; 34 tutte le porcherie di quest’altro; 47 Compar Alfio in questo mentre;
49 Questa l’ha vinta comare Venera; 56 No, che non è questo il motivo; 58 non mi
avete creduto degno di quest’onore; 58 Per quest’anima pura che tengo sulle braccia!
Non è per questo motivo; 63 Rammentando tutte queste cose; 69 Questa qui l’ha
trovato il marito;
per quello pronome con valore neutro di ‘ciò’ (e dunque con effetto asseverativo,
funzionale alla affermazione della condivisione di situazioni e di conoscenze):
8 per questo aveva acchiappato le febbri; 31 Questo non va bene!; 35 per questo non
c’era pericolo; 39 per questo il Comune pagava; 49 per questo non ci stava più a
schiacciare gli scalini; 59 a questo non ci avevo mai pensato.
Se questo ribadisce la vicinanza affettiva o spaziale, quello conferma la condivisione,
talora ironica e irridente o distanziante (anche con funzione apotropaica), come si
potrebbe facilmente verificare controllando, di volta in volta, a quale ‘voce’ l’uno e l’altro
dimostrativo vengono attribuiti.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 91/S3
Titolo: La lingua de I Malavoglia
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui contenuti


studiati nelle lezioni precedenti dedicate all’analisi
linguistica dei Malavoglia, lo studente è invitato a
compilare il test associato a questa sessione di
studio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 92
Titolo: Le Novelle rusticane e il Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto
finale e gli studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un
esercizio di controllo dei contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto
fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad inviare i risultati del proprio test al
docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-portfolio; tali risultati
possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test
e ne darà conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato
della prova finale, invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole
lezioni o chiarendo ulteriormente quello che non è stato pienamente compreso.

50) Illustrate la categoria di discorso, distinguetene le particolari tipologie


soffermandovi in particolare sul discorso indiretto libero e sui suoi rilevatori
primari e secondari.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 92/S1
Titolo: Le Novelle rusticane e il Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto
finale e gli studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un
esercizio di controllo dei contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto
fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad inviare i risultati del proprio test al
docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-portfolio; tali risultati
possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test
e ne darà conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato
della prova finale, invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole
lezioni o chiarendo ulteriormente quello che non è stato pienamente compreso.

51-52) Analizzate, dal punto di vista del discorso, i seguenti brani dei
Malavoglia, individuando nell’indiretto libero i connettori , e illustrandone il
rilevatore primario della trasposizione e i rilevatori secondari (per es.
deissi, enfasi, formule idiomatiche, esclamative e interrogative).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 92/S1
Titolo: Le Novelle rusticane e il Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

Test di autovalutazione
a) “Alessi tornava a casa il sabato, e gli veniva a contare i denari della settimana, come se
il nonno avesse ancora giudizio. Egli rispondeva sempre di sì, col capo; e bisognava che
andasse a nascondere il gruzzoletto sotto la materassa, e gli diceva, per farlo contento,
che ci voleva poco a mettere insieme un’altra volta i denari della casa del nespolo, e fra
un anno o due ci sarebbero arrivati. | Ma il vecchio scrollava il capo, colla testa dura, e
ribatteva che adesso non avevano più bisogno della casa; e meglio che non ci fosse mai
stata al mondo la casa dei Malavoglia, ora che i Malavoglia erano di qua e di là”.

b) “Gli parlava pure di quel che avrebbero fatto quando arrivava un po’ di provvidenza,
per fargli allargare il cuore; gli diceva che avrebbero comprato un vitellino a San
Sebastiano, ed ella bastava a procurargli l’erba e il mangime per l’inverno. A maggio si
sarebbe venduto con guadagno; e gli faceva vedere pure le nidiate di pulcini che aveva
messo, e venivano a pigolare davanti ai loro piedi, al sole, starnazzando nella polvere
della strada. Coi denari dei pulcini avrebbe anche comperato un maiale, per non perdere
le buccie dei fichidindia, e l’acqua che serviva a cuocere la minestra, e a fin d’anno
sarebbe stato come aver messo dei soldi nel salvadanaio. Il vecchio, colle mani sul
bastone, approvava del capo, guardando i pulcini”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 92/S2
Titolo: Le Novelle rusticane e il Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

Le Novelle rusticane e il M astro-


don Gesualdo
“Dopo l’esperienza innovatrice dei Malavoglia si apre per la narrativa verghiana
un periodo estremamente fecondo: nel 1881-1882 il Verga inizia la stesura degli
abbozzi del Mastro-don Gesualdo, primo vero tentativo di impostare il secondo
romanzo del ‘Ciclo dei vinti’ seguendo uno schema di genere quasi picaresco, in
cui la vicenda si snoda attraverso tutte le principali tappe della vita del
protagonista, dall’infanzia in povertà all’adolescenza avventurosa, dalla maturità
appagata dal successo economico, ma fallita sul piano degli affetti domestici e
dei rapporti umani, fino alla morte di nuovo in miseria e solitudine” (Carla
Riccardi, “Mastro-don Gesualdo”, dagli abbozzi al romanzo, “Sigma” , X, 1-2, 1977,
numero monografico dal titolo complessivo di Verga inedito, pp. 13-43: p. 13).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 92/S2
Titolo: Le Novelle rusticane e il Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

Le N ovelle rusticane e il M astro-don Gesualdo


Sulla base degli abbozzi risalenti a questa fase ideativa del nuovo romanzo, che
sviluppano un progetto narrativo (nel suo complesso testimoniato da uno schema
autografo) che percorre la biografia del protagonista dai primi anni del secolo XIX fino al
1861, Carla Riccardi può affermare che:
“la narrazione è dispersiva e monotona, a causa del materiale sovrabbondante (si
pensi alla quantità di fatti e personaggi che allinea lo schema), manca un taglio sicuro
e netto della storia, il cui tema centrale non è ancora individuato, le soluzioni stilistiche
appaiono banali ed eccessivamente legate a un tipo di scrittura tradizionale. A livello di
sintassi, mentre manca del tutto il discorso indiretto libero e il discorso diretto è usato
con parsimonia, senza l’eliminazione delle consuete didascalie introduttive,
frequentissimo è l’indiretto tradizionale, strumento che non permette all’autore di
ottenere miglioramenti apprezzabili nonostante l’ostinato lavoro di rifacimento degli
stessi episodi (alcuni dei quali sono riscritti fino a sette volte [...]. A livello lessicale,
poi, si nota ad esempio il ritorno ad incertezze che erano tipiche della fase primitiva
della ricerca verghiana, in particolare della Nedda (1874), e che sconcertano a questa
altezza, come la dialettalità esteriore, nell’uso di nomi propri o di parole siciliane
inserite in una struttura sintattica normale, non deviante e in stridente convivenza con
forme e parole letterarie o toscane” (ivi, p. 14).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 92/S2
Titolo: Le Novelle rusticane e il Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

Le N ovelle rusticane e il M astro-don Gesualdo


E la medesima studiosa conclude (pp. 14-15):
“Il Verga, dunque, nel momento in cui si propone di superare la soluzione Malavoglia
non riesce a procedere nella sua ricerca, anzi retrocede a una maniera bozzettistica di
narrare tipicamente pre-Malavoglia e, per di più, senza trovare l’originalità e la
compattezza stilistica di Vita dei campi. [...]. Ma [...] i sette abbozzi rimasti incompiuti
costituiscono per noi la testimonianza preziosa e tangibile della crisi che investe il
sistema espressivo verghiano subito dopo i Malavoglia, e che determina nell’autore la
necessità di rinnovarsi radicalmente attraverso una ricerca continua, un lavoro
preparatorio incessante, portato avanti non senza sforzi e contraddizioni per sette
anni dall’82 all’89”.
Il problema del Mastro si pone al Verga sotto un duplice aspetto: 1) propriamente
narrativo, di sistemazione cioè dei materiali e degli episodi che negli abbozzi e dunque
nella prima fase ideativa si affollano e si accumulano senza distribuirsi armonicamente in
un organismo narrativo coerente; 2) propriamente stilistico e linguistico, che chiede
l’elaborazione di una lingua e di uno stile “adeguati” al nuovo ceto socioculturale
‘borghese’ ora rappresentato, secondo una poetica che Verga aveva espresso nella lettera
a Salvatore Paola Verdura del 21 aprile del 1878 (“Ciascun romanzo avrà una fisionomia
speciale, resa con mezzi adatti”).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 92/S3
Titolo: Le Novelle rusticane e il Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

Le Novelle rusticane e il M astro-


don Gesualdo
Come già era successo durante il lungo travaglio che aveva accompagnato
l’elaborazione de I Malavoglia, il Verga utilizza il laboratorio della novella per
sperimentare un nuovo stile e una nuova tecnica narrativa e per ‘riusare’ temi, nomi,
figure, storie originariamente ideati in servizio del Mastro, ma che egli decide di tagliar
via dal nuovo organismo:
“Agli stessi anni 1880-1882 risale la composizione delle Novelle rusticane, le quali
furono tutte pubblicate, tranne Di là del mare (scritta in funzione del volume come
riepilogo dei suoi tempi e dei suoi personaggi e aggiunta con lo scopo evidente di
accrescerne lo spessore, come era già avvenuto con Il Il come, il quando ed il
perché per l’edizione del 1881 di Vita dei campi), in varie riviste tra il dicembre
1880 e il marzo 1882 e nel 1883 (ma in realtà uscirono tra la fine di novembre e i
primi di dicembre del 1882) furono riunite in volume dall’editore Casanova di
Torino”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 92/S3
Titolo: Le Novelle rusticane e il Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

Le N ovelle rusticane e il M astro-don Gesualdo


Novelle rusticane è costituita da dodici novelle, nell’ordine: Il Reverendo, Cos’è il re, Don
Licciu Papa, Il Mistero, Malaria, Gli orfani, La roba, Storia dell’asino di S. Giuseppe, Pane
nero, I galantuomini, Libertà, Di là del mare.
Continua la Riccardi nell’articolo “Mastro-don Gesualdo”, dagli abbozzi al romanzo (pp.
15-16):
“Le novelle, mentre da un lato assorbono e quasi filtrano gli elementi tematici degli
abbozzi, dall’altro aggettano decisamente verso il Mastro-don Gesualdo, assumendo
sotto questo punto di vista, anche se pienamente indipendenti e funzionali di per sé,
l’identità di cartoni preparatori del disegno più vasto e complesso del romanzo, come
era già accaduto per Vita dei campi nei confronti dei Malavoglia, a riprova di un
metodo di lavoro tipicamente verghiano. [...]. E infatti si ha l’impressione che il Verga
raccolga il materiale, lo organizzi razionalmente in schede, ne saggi l’efficacia sul
piano narrativo nel medesimo momento in cui ne fa l’oggetto di sperimentazioni
stilistiche, lavori, insomma, in vista del romanzo, pur riuscendo a dare a ciascuna
novella una propria identità e indipendenza”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 92/S3
Titolo: Le Novelle rusticane e il Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

Le N ovelle rusticane e il M astro-don Gesualdo


E di seguito la medesima studiosa sottolinea l’evidente affinità di nomi e di situazioni che
fuoriescono dagli abbozzi del romanzo per dar vita alle novelle, prime fra tutte le Novelle
rusticane, ma anche quelle della successiva raccolta Vagabondaggio (che prende il titolo
dalla novella omonima e che raccoglie i frammenti dell’infanzia di Gesualdo immaginati
per il romanzo) e Mondo piccino (una novella che pubblicata nel 1884 non verrà poi
recuperata in alcuna raccolta).
Insomma (ivi, p. 19) dal punto di vista dell’elaborazione del romanzo:
“le Rusticane si presentano come il risultato di un’indagine svolta dall’autore prima
della grande prova del romanzo per individuare e mettere a fuoco le componenti e le
motivazioni di un sistema sociale complesso e in rapida evoluzione. Mazzarò, il
Reverendo, i rivoltosi di Libertà sono prefigurazioni di Gesualdo, del canonico Lupi,
della “folla ammutinata” che insorge sulla scia dei moti ottocenteschi, ma sono anche
insieme ai protagonisti di Pane nero, i primi elementi disgregatori dell’ordine della
società malavogliesca immutabile e chiusa all’avventura dei singoli, come i
“galantuomini” dell’omonima novella rappresentano quella classe nobiliare decaduta o
parassita, privata per la maggior parte del potere e del prestigio derivanti dalla
ricchezza, ma piena di boria aristocratica, che avrà un ruolo di grande rilievo nel
romanzo”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 93
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

L’elaborazione del M astro-don


Gesualdo
Il romanzo insomma viene incubato, tramite la produzione novellistica di Novelle
rusticane e con le novelle che, scritte magari negli stessi anni, vengono poi
rimaneggiate e raccolte in Vagabondaggio (raccolta pubblicata in volume nel 1887).
Il lavoro preparatorio per il romanzo, iniziato come abbiamo visto subito dopo l’uscita
de I Malavoglia era durato fra schemi e abbozzi fino al 1883:

“Ma nella prima metà del 1884 l’autore doveva già considerare conclusa questa
fase, se, scartato il vasto e dispersivo disegno iniziale, decideva di riutilizzare parte
di quanto si trovava ad avere già scritto per costruire la novella Vagabondaggio, la
cui prima redazione fu pubblicata nel “Fanfulla della domenica” in due puntate
successive: la prima il 22 giugno 1884, con il titolo Come Nanni rimase orfano, la
seconda il 6 luglio, con il titolo definitivo” (Carla Riccardi, Note ai testi, in Giovanni
Verga, Tutte le novelle, p. 1044)
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 93
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

L’elaborazione del M astro-don Gesualdo

La pubblicazione della novella Vagabondaggio corrisponde ad una più chiara messa a


fuoco dell’organizzazione tematica e narrativa del romanzo, ma si tratta di una presa
d’atto piuttosto in negativo (quel che il romanzo non deve essere e in effetti non sarà);
e infatti la crisi relativa al Mastro si protrae ben oltre quel 1884 che testimonia la
dismissione dell’antico progetto. Nonostante che un contratto fosse già stato firmato
con l’editore Casanova, nonostante proposte di sostituirlo, intorno al 1885, con un
contratto con l’editore Barbèra, Verga ricomincia a parlarne con l’antico editore,
quell’Emilio Treves che aveva assistito alla nascita de I Malavoglia e al quale manda nel
1887 un assaggio del nuovo romanzo ricevendone in cambio un giudizio poco
entusiasta.
Nella primavera del 1888 però Verga sceglie un’altra strada editoriale, proponendo a
Ferdinando Martini di pubblicare il Mastro in rivista, precisamente sulla fiorentina
“Nuova Antologia” promettendo il primo invio per il maggio successivo. Solo a causa di
vicende esterne (la morte improvvisa del proprietario della rivista, Francesco
Protonotari) la prima puntata del romanzo uscirà, anziché nel maggio, nel luglio 1888 e
proseguirà, con undici puntate complessive, fino al 16 dicembre dello stesso anno.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 93
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

L’elaborazione del M astro-don Gesualdo


La lettura dell’epistolario verghiano relativo a quest’anno induce a credere che quando il
romanzo cominciò ad uscire nel luglio 1888 esso non era ancora stato completato o
almeno non ne era completata la revisione; l’uscita quindicinale delle puntate (solo il
fascicolo XVIII della rivista, del 1 settembre, fu pubblicato senza la consueta tranche)
obbligò Verga a lavorare a ritmi serrati, sia che si trattasse di rivedere e riscrivere quanto
già preparato sia di scrivere ex novo intere parti del romanzo come del resto risulta
abbastanza chiaro da indizi sui vari fogli aggiunti al manoscritto in questa fase
elaborativa, da appunti sparsi contenenti calcoli sulla consistenza del romanzo e infine
da una lettera del 26 novembre a Giuseppe Protonotari (che aveva sostituito il fratello
nella direzione della “Nuova Antologia”) nella quale Verga chiede di poter “aggiungere le
poche cartelle che le mando ai capitoli che saranno pubblicati nel prossimo fascicolo (1°
dicembre)” così da render “più fitta e completa la prossima puntata [in modo che] non
resterebbe troppa roba pel fascicolo venturo del 15 dicembre, l’ultimo”. A questa data
cioè, secondo quanto è stato ricostruito da Carla Riccardi nell’edizione critica del Mastro
del 1888, viene riscritto e rimodulato nelle dimensioni il capitolo XIV, che avrebbe dovuto
essere l’ultimo, ma che, divenuto troppo ampio viene all’ultimo momento scisso in due
(la redazione in rivista è infatti costituita da sedici capitoli numerati in un’unica
sequenza).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 93/S1
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

L’elaborazione del M astro-don


Gesualdo
Per pubblicare in rivista prima che in volume il Mastro-don Gesualdo il Verga aveva
chiesto il permesso all’editore Casanova, cui lo teneva legato il vecchio contratto: una
serie di malintesi condussero nell’agosto 1888 alla rescissione di quell’accordo e alla
stipula di uno nuovo con Emilio Treves.
Nel mentre che la pubblicazione in rivista proseguiva Verga si apprestava a rivedere il
romanzo dal punto di vista stilistico per consegnare il Mastro all’editore milanese per
la prevista edizione in volume.
Ma contrariamente a quello che Verga aveva immaginato (e con lui il suo editore), la
revisione occupò il suo autore per un intero anno; il Mastro-don Gesualdo edito in
volume nel 1889 è cosa affatto diversa dal romanzo di medesimo argomento e titolo
uscito l’anno precedente in rivista, tanto profonda fu la revisione e la ristrutturazione
imposta dall’autore alla propria creatura.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 93/S1
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

L’elaborazione del M astro-don Gesualdo


La struttura, che nella redazione in rivista organizzava la materia in sedici capitoli
numerati progressivamente (come abbiamo già ricordato), viene ora rimeditata dando
vita a ventuno capitoli distribuiti in quattro parti, ciascuna delle quali corrispondente a
quattro fasi della vita di Gesualdo.
La differente misura consente anche il recupero e lo sviluppo di “motivi e [di] episodi
che nella prima redazione venivano brevemente enunciati in sintetiche didascalie”
(Carla Riccardi, Nota ai testi, in Giovanni Verga, I grandi romanzi. I Malavoglia. Mastro-
don Gesualdo, Prefazione di Riccardo Bacchelli, testo e note a cura di Ferruccio Cecco e
Carla Riccardi, Milano, Mondadori, 1972, p. 792).

Come ci informa ancora Carla Riccardi (ivi):


“La diversità tra il primo e il secondo Mastro-don Gesualdo fu avvertita anche dai
contemporanei: già l’editore nell’annunciare la pubblicazione del volume ne parlava
come di ‘un libro affatto nuovo’, perché l’autore aveva dedicato tutto l’anno ‘a rifarlo
e a completarlo’ ”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 93/S1
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

L’elaborazione del M astro-don Gesualdo


Ma furono in particolare i primi recensori a sottolineare questo aspetto: Raffaello Barbiera
sulla “Illustrazione italiana” dell’ 8 dicembre scriveva:
“La prima lezione di Mastro-don Gesualdo, comparsa sulla ‘Nuova Antologia’, l’anno
scorso, quasi nulla ha di comune con quella del libro: non si tratta di un lavoro
riveduto, ma d’un lavoro rifatto di pianta da un artista elevatissimo, che insegue e
vuol raggiungere l’ideale della perfezione possibile”
e Eugenio Cecchi, sul “Fanfulla della domenica” del 25 dicembre:
“Non è leggenda editoriale la notizia diffusa, che l’ultimo romanzo del Verga sia stato
scritto due volte... l’autore non ha dubitato di rifare da cima a fondo tutto il libro”.
Del resto, come ancora una volta ribadisce Carla Riccardi (Nota ai testi, in Giovanni
Verga, I grandi romanzi, p. 792):
“Anche un rapido confronto tra il testo del 1889 e i capitoli riportati dalla “Nuova
Antologia” permette di rilevare le sostanziali differenze stilistiche, e in particolare,
come la seconda redazione del Mastro-don Gesualdo si inserisca con maggior
coerenza nella linea narrativa iniziata con Vita dei campi e proseguita con i
Malavoglia”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 93/S2
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 2

Le reazioni al M astro-don Gesualdo

Oltre alle recensioni di Raffaello Barbiera e di Eugenio Cecchi (a cui abbiamo fatto
cenno in precedenza), e oltre un veloce accenno nella Letteratura dell’89 di Luigi
Lodi, scrissero recensioni al Mastro, Felice Cameroni, D. Lanza e Guido Mazzoni.
Della lingua del Mastro però parlano Policarpo Petrocchi in una recensione ulteriore
su “La Lombardia” del 18 febbraio 1890 e Luigi Pirandello nei due saggi Prosa
moderna. Dopo la lettura del “Mastro-don Gesualdo” e Per la solita questione della
lingua, usciti su “Vita Nuova”.
Quest’ultimo, riprendendo motivi che erano stati al centro della riflessione di
Graziadio Isaia Ascoli, nel saggio Prosa moderna affermava, dopo aver letto il
Mastro-don Gesualdo:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 93/S2
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 2

Le reazioni al M astro-don Gesualdo


“Se letteratura, o meglio tradizione letteraria ha mai fatto impedimento al libero
sviluppo d’una lingua, questa più d’ogni altra è l’italiana. Dirò di più, la lingua nostra,
che a volerla cercare, non si saprebbe dove trovarla, in realtà non esiste che
nell’opera scritta soltanto [...]. I letterati non conoscono altra lingua che quella dei
libri; mentre gl’illetterati continuano a parlar quella a cui sono abituati, la provinciale:
ossia i varii dialetti natali [...]. Ciascuno intende la lingua a suo modo, non per
sentimento naturale, ma per lo studio che ha fatto su questi o quegli autori d’epoche
differenti [...]. Ne nasce quindi un difetto di stile, una mancanza di individualità, di
carattere proprio, e una deficienza assoluta di colore storico in una pagina di prosa
[...] un’opera insomma di mostruosa contaminazione. [...] il siciliano e il piemontese
messi insieme a parlare, non faranno altro che arrotondare alla meglio i loro dialetti,
lasciando a ciascuno il proprio stampo sintattico, e fiorettando qua e là questa che
vuol essere la lingua italiana parlata in Italia delle reminiscenze di questo o di quel
libro letto. Da un pezzo, molti tra i novellieri e i romanzieri moderni, in cerca d’una
prosa viva e spontanea, non scrivono diversamente l’italiano. E il tentativo, fino a un
certo segno, meriterebbe lode, ove fosse attuato con più senno [...]. Poiché la gran
faccenda dovrebbe essere quella di fermare questo immenso ondeggiamento della
forma, del significato della parola, del valore delle espressioni; di promuovere l’unità
della lingua”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 93/S2
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 2

Le reazioni al M astro-don Gesualdo


In questa occasione Pirandello non menziona il Verga, ma che quelle riflessioni
prendessero spunto dall’italiano di Verga è reso esplicito in Per la solita questione della
lingua.
In questo articolo, Pirandello distingue fra italiano e fiorentino:
“Che il fiorentino sia poi l’italiano, lo dice ora il signor Mastri, perché veramente gli
altri si erano per l’addietro contentati di dire che dovrebbe essere; un pio desiderio,
una ricetta infallibile: i sognatori e i medici non mancano mai”
e, nel ribadire la sua diagnosi sulla situazione della lingua in Italia dice:
“un siciliano e un piemontese messi insieme a parlare, parleranno... proprio come
parlano, mio Dio! Il siciliano press’a poco come il Verga scrive i suoi romanzi; pel
piemontese mi manca il termine del paragone”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 93/S3
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

Le reazioni al M astro-don Gesualdo

Pirandello non libererà mai il Mastro-don Gesualdo delle perplessità manifestate


nel 1890, mentre il suo giudizio sui Malavoglia sarà al centro dell’elogio verghiano
recitato nel 1920 in occasione dei festeggiamenti per gli ottant’anni dello scrittore.
La dialettalità sintattica, scaricata sull’oralità e ‘primitività’ della lingua dei pescatori
di Trezza, aveva rotto con la tradizione letteraria rivoluzionandola dall’interno;
avvicinandosi al mondo borghese nel Mastro quella dialettalità era divenuta meno
marcata, la lingua aveva riassunto moduli letterari e proprio per ciò la lingua del
Mastro poteva non apparire una lingua consapevolmente elaborata a fini espressivi
e stilistici, ma al massimo un compromesso fra siciliano e lingua letteraria, o
addirittura una “mostruosa contaminazione”, per usare le parole stesse di
Pirandello, dunque assimilabile all’italiano regionale che i trent’anni trascorsi
dall’unificazione avevano prodotto.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 93/S3
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

Le reazioni al M astro-don Gesualdo


Luigi Capuana, già nel 1885, in Per l’arte, aveva dimostrato piena consapevolezza del
compromesso, della ‘confusionalità’ della lingua usata dai veristi :
“Pel nostro lavoro avevamo bisogno di una prosa viva, efficace, adatta a rendere
tutte le quasi impercettibili sfumature del pensiero moderno, e i nostri maestri non
sapevano consigliarci altro: studiate i trecentisti! Avevamo bisogno d’un dialogo
spigliato, vigoroso, drammatico, e i nostri maestri ci rispondevano: studiate i comici
del cinquecento! [...] Fu forza decidersi a cercare qualcosa da noi, a tentare, a
ritentare; quella prosa moderna, quel dialogo moderno bisognava, insomma,
inventarlo di sana pianta. [...] Dovevamo rimanere colle mani in mano, aspettando
la prosa nuova di là da venire? E ne abbiamo imbastita una pur che sia,
mezza francese, mezza regionale, mezza confusionale , come tutte le cose
messe su un fretta. I futuri vocabolaristi non la citeranno [...]; ma gli scrittori che
verranno dietro a noi ci accenderanno qualche cero, se non per altro, per
l’esempio di aver parlato scrivendo” (Luigi Capuana, Per l’arte, in L. Capuana,
Verga e D’Annunzio, a cura di Mario Pomilio, Bologna, Cappelli, 1972, p. 96).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 94
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

Le reazioni al M astro-don Gesualdo

In effetti i vocabolaristi non avevano alcuna intenzione di tesaurizzare la lingua dei


veristi; o almeno non quei vocabolaristi che continuavano a restare su posizioni
filomanzoniane e dunque filotoscane e fiorentinocentriche. Come quel Policarpo
Petrocchi (1852-1902), autore della recensione già citata al Mastro-don Gesualdo e al
contempo redattore di quel Nòvo dizionàrio universale della lingua italiana, pubblicato
a Milano fra il 1887 e il 1891, che fin dal titolo seguiva le direttive già tracciate dal
Nòvo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze di Giovan Battista
Giorgini e Emilio Broglio.
Seppure da fronti contrapposti l’antimanzoniano Pirandello e il manzoniano Petrocchi
concordavano nel censurare la lingua del Mastro-don Gesualdo, da entrambi
considerata non ‘italiana’ o perché regionale (secondo il pensiero di Pirandello) o
perché non tosco-fiorentina (Policarpo Petrocchi).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 94
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

Le reazioni al M astro-don Gesualdo


Le obiezioni che il Petrocchi rivolgeva alla prosa del Mastro erano di tipo logico
(riguardanti l’appropriatezza delle scelte verghiane) o di tipo sintattico (relative alle
reggenze preposizionali) o, infine, di carattere vocabolaristico (quando non autorizzate
dalla lessicografia di marca toscana).
Egli contesta per esempio al Verga la scrittura di L’alba che cominciava a schiarire,
commentando: “come si può dire se l’alba è già chiara, e quando la luce aumenta,
rosseggia, non schiarisce”, oppure disapprova Dei sorrisetti che volevano dire
proponendo un (molto più scialbo) “sorrisetti significativi”.
Sul piano delle reggenze preposizionali accusa per esempio il Verga di aver usato Sala
di ballo, o Vestite di casa, anziché “sala da ballo” e “vestite da casa”.
Ma è soprattutto sul piano delle scelte lessicali che il lessicografo Petrocchi si sofferma
in più di un caso, o contestando l’uso di termini generici in luogo di termini specifici, o
l’inappropriatezza della scelta nel contesto specifico in cui essa è adottata, facendo
ricorso alle risorse del vocabolario.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 94
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

Le reazioni al M astro-don Gesualdo


Per esempio la scure da far legna è al sentire di Petrocchi una perifrasi che denuncia
l’ignoranza verghiana dei termini tecnici (e propone in alternativa accetta o pennato);
rileva l’inappropriata adozione di venire nella frase verrebbero [...] lassù che è (dice
Petrocchi) “una contraddizione in termini nella nostra lingua, quando è una località
estranea ai due che parlano”; non è corretto dire Anelava come un mantice invece di
ansava, si rizzò sul busto anziché si rizzò sulla vita; è inappropriato usare il verbo
rimboccare a proposito di vestito e sottana (Petrocchi limita l’uso del verbo a maniche,
calzoni, lenzuola e coperte); censura l’espressivo “Donna Giovannina Margarone, un bel
pezzo di grazia di Dio anch’essa, cinghiata nel busto al pari della mamma” perché
appropriato solo se usato in riferimento ad animali; non comprende il punto di vista di
Gesualdo quando questi, elogiando la moglie Bianca, la definisce: “Buona, interessata,
ubbidiente”; infine il Petrocchi critica la resta di fichi secchi perché resta è utilizzabile,
secondo lui, solo per cipolle ed agli; propone sgrugnone in luogo di sgrugno, bruciore in
luogo di brucìo. Sul piano verbale contesta l’uso riflessivo di spurgare e sbiancare (nel
Mastro: si spurgò e si sbiancò in viso); per quanto riguarda le locuzioni infine contesta
dormire della grossa anziché dormire la grossa.
Se tutto questo riguarda l’adozione e l’uso corretto di termini toscani Petrocchi farebbe a
meno di locuzioni tratte poi dal siciliano.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 94/S1
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

Le reazioni al M astro-don Gesualdo

La recensione di Policarpo Petrocchi alla lingua del Mastro-don Gesualdo è stata studiata
da Francesco Bruni nel capitolo VI (intitolato: Sulla lingua del Mastro-don Gesualdo) del
suo volume Prosa e narrativa dell’Ottocento. Sette studi (Firenze, Cesati, 1999, pp. 235-
292) che ne ha puntualmente indicato le contraddizioni e le piccinerie e soprattutto
concludendo:
“è difficile sottrarsi all’impressione che la cruna del Petrocchi recensore sia più
stretta di quella del Petrocchi lessicografo”
poiché in più di un caso il Petrocchi censura delle forme o delle locuzioni che egli stesso
stava autorizzando proprio in quegli anni nel suo Nòvo dizionàrio universale della lingua
italiana (è il caso di sgrugno / sgrugnone o di rimboccare attribuito alle sottane).
Ma soprattutto, come ebbe a dire il Verga stesso, il fronte toscano dimostrava, proprio
con quella recensione, il suo frastagliamento interno e il rischio che i toscani (piuttosto
che proporre una soluzione unitaria per la lingua italiana) innalzassero a norma il proprio
idioletto, le proprie personali preferenze.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 94/S1
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

Le reazioni al M astro-don Gesualdo


Il Verga infatti, come già in passato, era ricorso per la scrittura del Mastro al Vocabolario
italiano della lingua parlata, di Giuseppe Rigutini e Pietro Fanfani (1875) che si era
aggiunto, nella sua biblioteca, al Tommaseo-Bellini e gran parte delle obiezioni che il
Petrocchi aveva indirizzato alla lingua del nuovo romanzo erano in contraddizione con
questi strumenti lessicografici utilizzati dal Verga, come ha puntualmente documentato il
Bruni e come del resto rivendicava Verga stesso in una nota lettera a Felice Cameroni
dell’8 aprile 1890 (cfr. Giovanni Verga, Lettere sparse, a cura di Giovanna Finocchiaro-
Chimirri, Roma, Bulzoni, 1979, pp. 239-242: 241-242):
“Hai letto l’articolo del Petrocchi sulla Lombardia a proposito del Mastro Don
Gesualdo? Il Petrocchi è manzoniano (lo sono anch’io meglio di lui) idealista – che so
io, il fatto è che malgrado le sue proteste ha una gran voglia di dir male del libro, e
pazienza. Ti dirò anzi che ciò malgrado, appunto per ciò, sono soddisfattissimo di
quel che ne dice, e vorrei sapere se sei stato tu a mandarmi il giornale, come
sembrami dall’indirizzo, oppure lo stesso Petrocchi, nel qual caso vorrei prenderne
occasione per ringraziarlo. Mi piacciono le sue parche censure e mi lusinga da lui
toscano, vocabolarista e pedante sentirmi lodare ‘la lingua studiata dall’autore con
coscienza tra quella viva toscana, e assimilata solitamente con gusto, ecc. [...]
...
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 94/S1
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

Le reazioni al M astro-don Gesualdo


[…] Mi son divertito poi a confrontare le scorrezioni da lui notate da dormire della
grossa, ecc. a si sbiancò in viso. Tutti, tutti i vocaboli, frasi, modi di dire appunti,
registrati, canonizzati dal Rigutini e Fanfani. Come si fa a mettere d’accordo almeno
fra di loro questi toscani che ci fanno i vocabolari e ci danno lezioni dalla cattedra e
dai libri. Petrocchi mi suggerisce di ricorrere a qualche fiorentino per farmi riveder le
bozze...
E con questa trovata che dimostra quanto ne capiscano i critici come quello lì della
forma che è così intima, necessaria cosa fusa col pensiero stesso, ti lascio e ti
abbraccio in Gesù Cristo”.
Il medesimo giudizio (fra l’irridente e l’infastidito) sul vocabolarista Petrocchi il Verga
ribadirà in una lettera al Capuana del 16 gennaio 1892 trattando di Malìa dell’amico:
“Malìa, Malìa, Malìa! Ah? a questo sei giunto, povero vecchio? Al Petrocchi?... Allora
sei proprio finito. [...] Io ci ho buttate 40 o 45 lire, ma non 40 minuti: ho speso i
denari e ho messo il vocabolario nòvo da parte. E mi tengo al Rigutini che scrive
Malìa, come ogni galantuomo, [...]. È un uomo senza coglioni, ti dico. Se ti metti con
costoro stai fresco. Almeno lui che si metta d’accordo con Rigutini, Fanfani e altre
barbe che vennero prima di lui, piuttosto che insegnarti a pronunciare hose e
hoglioni”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 94/S2
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

La lingua del M astro-don


Gesualdo
Abbandonato il mondo dei pescatori di Aci Trezza, con il Mastro-don Gesualdo Verga
entra in un ambiente urbano, socialmente diversificato (dai contadini agli artigiani alle
classi nobiliari), e geograficamente molto ben caratterizzato: sebbene il nome del
paese in cui la storia si situa non venga mai citato, la topografia (le strade, i palazzi, le
chiese), i dati culturali (il santo protettore: S. Gregorio Magno), gli antroponimi (i
nomi delle famiglie Sganci, La Gurna, Trao) sono indiscutibilmente quelli della
cittadina di Vizzini, cittadina nella quale la famiglia Verga aveva una casa nobiliare e
dei possedimenti.
Un ambiente e una vicenda, per di più, fortemente caratterizzati (al contrario della
vicenda e del mondo della famiglia Malavoglia) dalla mobilità sociale, di cui è
emblema la stessa figura del protagonista, divenuto don da mastro che era, e dagli
eventi storici che la sua vicenda biografica attraversa: i moti antiborbonici del 1820, i
moti risorgimentali del 1848.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 94/S2
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

La lingua del M astro-don Gesualdo


D’altra parte, come dirà il Verga al suo traduttore francese, Edouard Rod, nel 1899, a
proposito della progettata prosecuzione del ‘Ciclo dei vinti’ (ma con considerazioni che
valgono retrospettivamente anche per il travaglio che aveva condotto alla scrittura del
Mastro):
“le scene e le persone del popolo sono facili a ritrarsi, perché più caratteristici e
semplici – quanto complicati e tutti esprimentesi per sottintesi sono le classi più
elevate, massime se si deve tener conto di quella specie di maschera e di sordina
che l’educazione impone alla manifestazione degli stessi sentimenti, e alla vernice
quasi uniforme che gli usi, la moda, il linguaggio quasi uniforme nella stessa
società tendono a rendere pressoché internazionale in una data società. E massime
nel mio metodo – che Dio m’assista per questa Duchessa!”.
Si trattava in definitiva di tornare ad attingere ad un registro e ad un livello di lingua
‘uniforme’ (potremmo dire, con un anacronismo, globalizzato), secondo gli usi sociali dai
quali si era sottratta la lingua dei pescatori de I Malavoglia perché lontani dai centri
urbani, ad un livello di lingua ‘educata’ se si dà fede a quel che Verga scrive in una
lettera al Capuana del 5 giugno 1885:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 94/S2
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

La lingua del M astro-don Gesualdo


“Il metodo sarà sempre lo stesso e risponde ad una vecchia convinzione che mi son
fatta; come cioè l’educazione o quella che vuoi di simile, abbia smussato gli angoli,
tolto il rilievo, data una vernice uniforme al modo di manifestarsi dei sentimenti e
delle passioni”.
E lingua ‘uniforme’ (cioè comune in base agli usi sociali), ‘educata’ (e dunque
sottoposta alla grammatica e all’esercizio letterario) significa per l’autore rientrare su quel
percorso e riallinearsi a quella medesima direttrice che aveva condotto Verga dagli
impacciati primi tentativi di scrittura giovanile fortemente intrisi di sicilianità, di istanze
forestiere e di toscanismi, verso una lingua più spontanea ma comunque marcata di
letteratura, direttrice dalla quale era uscito con le ‘sgrammaticature’ de I Malavoglia.
Affrontare il tono medio della lingua di un ambiente medio in senso sociale significava
fare di nuovo i conti con quella lingua ‘compromissoria’ di cui parlava Pirandello, cioè
con la lingua ‘italiana’ come era e non come avrebbe dovuto essere nei sogni e nelle
ricette dei manzoniani. Studiare la lingua del Mastro-don Gesualdo significa rientrare nella
medesima dinamica nella quale è consentito, e necessario, misurare i coefficienti di
elementi del fiorentino e del toscanismo, dell’arcaismo recuperato per via lessicografica,
in una parola dell’elemento letterario della lingua di questo scorcio del secolo XIX.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 94/S3
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

La lingua del M astro-don Gesualdo

Tale ricerca è stata fatta appunto da Francesco Bruni nel saggio già citato che ha
condotto l’indagine sul doppio binario di uno spoglio, che registra i dati presenti
nell’opera (dunque con approccio descrittivo), ma da confrontarsi (per saggiarne il grado
di letterarietà) con gli usi verghiani degli stessi anni in sede epistolare, in particolare
nelle lettere a Luigi Capuana, “che sarà lecito supporre come scritte in modo
particolarmente confidenziale” (ivi, p. 253).
Ebbene, riguardo alla componente fiorentina, Francesco Bruni rileva come:
“Anche ad un esame sommario, risulta tutt’altro che scarsa, in Verga, l’incidenza del
fiorentino [...] l’‘ascolto’ [...] e naturalmente il soggiorno a Firenze (e in fondo anche
a Milano e, più tardi, a Roma) ottengono il risultato di sedimentare stabilmente,
nella competenza linguistica di Verga, un fondo relativamente compatto di
fiorentino; entro il quale è talora possibile distinguere un fiorentino libresco e uno
dell’uso” (ivi, p. 253).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 94/S3
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

La lingua del M astro-don Gesualdo


Nelle pagine seguenti il Bruni registra fra gli elementi fiorentini coevi il moderno
monottongamento in ovo e ova (che alternano con uovo: che è, nel percorso che
abbiamo tracciato fin qui, un elemento di novità caratteristico del Mastro), mentre
continuano ad essere utilizzati (come in precedenza) i dittonghi dopo consonante palatale
(figliuolo, legnaiuolo, fumaiuolo; piuolo alterna invece con piolo forse anche per la
presenza di pioletto). Ancora nel Mastro (come già nella lingua dei romanzi precedenti) la
regola del dittongo mobile è disattesa (alternano sonare e suonare, sono costanti suonò,
suonava e suonato).
“A uno strato decisamente più letterario e invecchiato dell’italiano di Verga appartiene
pel che, insieme con pei, è attestato nel M(astro)-d(on) G(esualdo) altrettanto che
nei Mal(avoglia).
Sporadicamente si ha in MdG (io) veniva [...], Io ve l’aveva detto [...]; in compenso,
non figura in MdG il tipo avea (per aveva) che s’incontra, per la terza persona, nei
Mal.” (ivi, p. 254).
Scompare nel Mastro la forma antiquata ei e la corrispondente e’ ‘egli’; cotesto e costì (il
primo usato anche in maniera inappropriata, come già visto a proposito di Eva) sono
usati tanto nelle lettere che nei Malavoglia, ma sono assenti nel Gesualdo.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 94/S3
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

La lingua del M astro-don Gesualdo


“Per il lessico, fiorentinismi evidenti sono usati anche quando sarebbe stata possibile
una scelta a favore di un sinonimo presente nel dialetto e, soprattutto, nell’italiano
regionale di Sicilia: basti ricordare l’uso intenso, accanto a porta, di uscio; e
analogamente di sasso (già nell’attacco dei Mal, e frequente poi in MdG) rispetto a
pietra, radicato nel dialetto siciliano e nell’italiano regionale meridionale. Da ricordare
fo [...], accanto a faccio, anche nello stesso contesto: ‘ma adesso ti fo vedere anche
l’amaro! Ti faccio arar diritto’; vo, [...] in un caso vò accentato [...] / vado [...];
l’alternanza, se non rivela particolari intenzioni espressive, manifesta però
un’avanzata del fiorentino, perché nei Mal. fo manca, e di vo c’è una sola
occorrenza”.

Affermazione quest’ultima che andrà mitigata (almeno per quanto riguarda il caso
specifico) alla luce di scelte stilistiche; il nostro precedente excursus sulla lingua
verghiana, infatti, ci assicura che fo faceva parte, già prima dei Malavoglia, almeno fin da
Storia di una capinera, della competenza linguistica del nostro autore: e la ridottissima
presenza dei presenti monosillabici nei Malavoglia andrà semmai imputata a una
consapevole censura, per quanto imperfettamente attuata, di un elemento sentito come
letterario perché fiorentino.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 95
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

La lingua del M astro-don Gesualdo

Il Bruni prosegue con un raffronto fra le scelte linguistiche nel Mastro e le tipologie delle
scelte manzoniane nel passaggio dai Promessi sposi del 1827 ai Promessi sposi del 1840.
Il confronto permette di stabilire che
“l’italiano di Verga è misto di forme del fiorentino moderno come di tratti arcaici della
lingua letteraria: una constatazione cui nulla toglie la considerazione che Verga (come
Pirandello) non appartiene alla serie degli scrittori che, come Manzoni, mostrano una
forte tendenza sistematica nelle correzioni di lingua e stile”.
La conclusione di Francesco Bruni è corroborata dalla constatazione che forme sentite
come letterarie ed ingessate da Manzoni, vengono invece utilizzate senza remore dal Verga
del Mastro; così onde (che Manzoni sistematicamente sostituisce con per, ma che,
viceversa talvolta Verga introduce nell’edizione in volume del romanzo muovendo da un
per dell’edizione in rivista); così avviene per poscia (che Manzoni sostituisce con poi); così
avviene per tosto (che Manzoni aveva corretto in subito).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 95
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

La lingua del M astro-don Gesualdo


Ricompare inoltre nel Mastro quell’elemento letterario costituito dall’enclisi pronominale
a forme finite del verbo e di cui avevamo notato la presenza persistente fino a Nedda.
A questo proposito Francesco Bruni (pp. 256-257) si limita a dichiarare “Largamente
presente nella prosa verghiana [...] l’enclisi del pronome” e sulla base della presenza
del fenomeno nel cap. IV della I parte del Mastro (nel quale l’enclisi si sussegue a
breve distanza per tre volte in riferimento a donna Bianca Trao, e una quarta in
rapporto ad una popolana presente nella stessa chiesa in cui si svolge la scena)
conclude:
“In un contesto di questo genere, si potrebbe pensare che l’enclisi ripetuta intenda
conferire una certa solennità alla pagina; la quarta e ultima occorrenza contraddice
però un giudizio simile, perché Verga avrebbe potuto mettere in contrasto i
turbamenti religiosi dell’illustre anche se decaduta Bianca Trao e dell’umile
popolana; ma il fatto che si continui ad usare l’enclisi anche per quest’ultima,
autorizza a concludere che la presenza o assenza del fenomeno equivalga a una
variante non marcata. Ci sono, nel romanzo, registri espressivi distinti in modo
consapevole, ma non sembra che vi rientri l’enclisi, la cui alterna presenza va
attribuita alla zona che chiamerei preterintenzionale della lingua di Verga”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 95
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

La lingua del M astro-don Gesualdo


Ad una diagnosi differente (se non opposta) induce invece il confronto fra la
situazione del Mastro e quella de I Malavoglia. In quest’ultimo romanzo l’enclisi aveva
conosciuto un netto ridimensionamento rispetto alle prove letterarie precedenti (se ho
ben visto rimangono solo spingevasi nel cap. II e dicevasi nel cap. VII), mentre nel
Mastro ho contato ben 98 occorrenze.
I dati appena rilevati rendono difficile, mi sembra, attribuire l’enclisi “alla zona [...]
preterintenzionale della lingua di Verga” se non a patto di precisazioni specifiche: è
evidente che questo elemento sintattico appartiene a pieno titolo all’italiano di Verga
così come il nostro autore è venuto man mano conquistandolo nel suo lento
avvicinamento per via letteraria alla lingua comune; ciò non significa che egli non ne
riconosca la sostenutezza di registro tanto da considerarlo inadatto al momento in cui
attinge ad un registro più basso della media e dunque a censurarlo nel momento in
cui aveva trattato del mondo degli abitanti di Trezza.
Se ne ricava dunque, per quanto attiene al livello diafasico percepito da Verga, una
connotazione dell’enclisi di registro medio (anziché alto, quale noi oggi
sentenzieremmo), ma certo non basso (e dunque inutilizzabile nei Malavoglia) e
tantomeno “preterintenzionale”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 95/S1
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

La lingua del M astro-don Gesualdo

L’analisi del Bruni prosegue (tenendo ancora una volta come termine di confronto i
movimenti redazionali dei Promessi sposi) con il lessico “privilegiando qualche voce di
alta frequenza con le sue combinazioni fraseologiche”: da alzar(si) / levar(si) (sulla
punta dei piedi, la testa), all’alternanza fra prendere e pigliare (la seconda opzione,
connotata in senso parlato, preferita da Verga, ma non da Manzoni).
Lo studioso mette in guardia dal rischio di concludere da tutta l’analisi “che la lingua
del Verga, misurata su quella dei Promessi Sposi [...] presenti il doppio svantaggio
dell’arcaismo e dell’incoerenza: credo infatti [...] che sarebbe ingiusto generalizzare, e
sostenere che alla conquista della lingua di Manzoni faccia riscontro un Verga
disomogeneo, diviso fra una modernità assimilata parzialmente e l’accettazione inerte
e compromissoria della lingua della tradizione: c’è anche questo, ma non solo questo
nella prosa di Verga” (ivi, p. 258).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 95/S1
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

La lingua del M astro-don Gesualdo


Ma a rendere disomogenea la lingua di Verga rispetto alla perseguita e conquistata
omogeneità della sistematica correzione dei Promessi sposi sta, oltre alla non
sistematicità delle scelte verghiane rispetto a quelle del Manzoni, anche l’aspetto del
regionalismo, non necessariamente del sicilianismo, come avverte ancora il Bruni (p.
272); rarissimi sono i sicilianismi lessicali nel Mastro-don Gesualdo (tre sole volte
compare gna’; acclimatati foneticamente sono mastro e compare), ancora più rari di
quanto essi non fossero ne I Malavoglia; meno rari sono invece
“alcuni elementi lessicali o sintattici che possono assegnarsi all’italiano regionale
della Sicilia o, più ampiamente, dell’Italia meridionale [...] assai posposto in ‘la
nostra casa andrà avanti... avanti assai!’ [...]; la determinazione di giù in ‘la
padrona di casa gridava a Barabba di scendere a dare il catenaccio giù al portone’
[...]; ‘devo scendere giù un momento’ [...], contesti accanto ai quali se ne possono
ricordare altri, che non sono marcati in senso regionale, ma fanno blocco, in certo
modo con quelli regionali: ‘si udì un baccano giù in istrada’ [...]; ‘C’è qui tutto il
paese!... giù in istrada, che stanno a vedere’ [...]; ‘Tutt’a un tratto scoppiò giù in
piazza un crepitìo indiavolato di di mortaletti’ ”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 95/S1
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

La lingua del M astro-don Gesualdo


E fra i regionalismi sintattici non può essere dimenticato (sebbene “assai raro”)
“il sicilianismo del passato remoto per il passato prossimo: ‘Se non era pel viatico
che vidi venire da queste parti’ [...]; ‘Le carte furono nelle mie mani’ (Bruni, p. 272-
273).
Accanto al regionalismo lessicale o sintattico, compare però anche nel Mastro quella
etnificazione della lingua (secondo la formula elaborata da Giovanni Nencioni per I
Malavoglia) che trae spunto e si rafforza tramite il richiamo a usi e pratiche
regionalmente connotati:
“Nella stampa del romanzo su rivista si leggeva di ‘donna Marianna che cercava
l’acqua di Colonia’ [...]; nell’edizione in volume Verga cercò un prodotto più intonato
al color locale, e scrisse, segnalando l’espressione con il corsivo, di ‘donna Agrippina
che cercava l’aceto dei sette ladri [...], che al Rod traduttore dei Mal. aveva spiegato,
alcuni anni prima, in questo modo: ‘Aceto dei sette ladri – intraducibile. Specie di
aceto aromatico molto rinomato nelle basse classi siciliane’; mentre in altri luoghi del
romanzo fu più generico, e parlò solo di ‘caraffina d’acqua d’odore’ [...], ‘boccetta
d’odore’ [...] ‘boccettina d’acqua d’odore’ [...], ‘boccettine d’acqua d’odore’ ” (p.
273).
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 95/S2
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

La lingua del M astro-don Gesualdo


Nonostante l’assunzione di un registro più sostenuto il Mastro-don Gesualdo conserva
tratti del parlato che Verga aveva utilizzato ne I Malavoglia. Proviamo in breve a
riconoscerli nella prima pagina del romanzo che vi accludo in formato pdf.
1) Ricorrente è, pur nel breve tratto prescelto, l’uso del ci attualizzante, che crea
ridondanza pronominale:
2 nei seminati ci si affondava; 44 Ci ho accanto la mia casa; 80 Ci abbiamo i magazzini
qui accanto!; 86-87 che ce l’aveva sempre con quello della finestra; 95 Ci ho la mia
casa accanto, capite?
Meriterebbe di essere verificato lungo tutto il romanzo il contesto di discorso in cui il ci
attualizzante compare: dal brano preso in esame vediamo che esso, tre volte su cinque,
compare nel discorso diretto, un’altra volta in un discorso indiretto (ce l’aveva di 86-87
riferisce la sostanza del discorso di Nanni l’Orbo). Se la preferenza del ci attualizzante nel
discorso fosse confermata, se ne ricaverebbe che il parlato dei personaggi tracima nella
narrazione con effetti non dissimili, tipologicamente, ma non quantitativamente, da quel
che avviene ne I Malavoglia. Infatti il primo esempio, non attribuibile al discorso di un
personaggio, è espresso in forma impersonale (ci si affondava) sull’uso e il significato
della quale dovremo tornare;
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 95/S2
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

La lingua del M astro-don Gesualdo


2) la ridondanza pronominale è percepibile anche, con tratti di parlato nell’uso del prono-
me personale a rafforzare la partecipazione (il cosiddetto dativo etico di memoria classi-
ca): 44 Se ne va in fiamme tutto il quartiere! 58 E me la mettono poi contro il mio muro
3) compare sporadicamente nel brano il fenomeno della dislocazione tematizzante (l’anti-
cipazione cioè di un elemento che si intende sottolineare, ripreso a suo luogo con un
pronome che risulta a rigore ridondante): 2 nei seminati ci si affondava (in questo caso
ci, riferito a seminati, ha funzione anaforica).
Verifichiamo la posposizione del soggetto al verbo, che denuncia la ricerca di spontaneità
e di distanziamento da una pianificazione propria dello scritto:
1 Suonava la messa; 2 s’udì un rovinìo; 6 ammiccava soltanto un lume; 8 diffondevasi
un uggiolare; 9 giunse il suono; 12 s’erano svegliate pure le campanelle; 22 arrivava
sempre gente etc.
4) è ancora una volta attribuibile al parlato l’interrogativa diretta introdotta da Che (26
Che siete tutti morti?; 94 Che scherzate?) o da Cosa (39 Cosa verrebbero a fare lassù?;
81-82 Cosa siete venuto a fare dunque?)
5) nel brano non compare invece alcun esempio di che polivalente, dall’indistinto valore
subordinante che mima il siciliano ca; si tratta di una casualità (il che polivalente è
effettivamente attestato nel Mastro), che pure allude ad una concentrazione quantitativa
meno alta di quel che era dato verificare ne I Malavoglia.
Giovanni Verga, Mastro-don Gesualdo, parte I, cap. I

1 Suonava la messa dell’alba a San Giovanni; ma il paesetto dormiva ancora della grossa, perché
era piovuto da tre giorni, e nei seminati ci si affondava fino a mezza gamba. Tutt’a un tratto,
nel silenzio, s’udì un rovinìo, la campanella squillante di Sant’Agata che chiamava aiuto, usci
e finestre che sbattevano, la gente che scappava fuori in camicia, gridando:
5 - Terremoto! San Gregorio Magno!
Era ancora buio. Lontano, nell’ampia distesa nera dell’Alìa, ammiccava soltanto un lume di
carbonai, e più a sinistra la stella del mattino, sopra un nuvolone basso che tagliava l’alba nel
lungo altipiano del Paradiso. Per tutta la campagna diffondevasi un uggiolare lugubre di cani.
E subito, dal quartiere basso, giunse il suono grave del campanone di San Giovanni che dava
10 l’allarme anch’esso; poi la campana fessa di San Vito; l’altra della chiesa madre, più lontano;
quella di Sant’Agata che parve addirittura cascar sul capo agli abitanti della piazzetta. Una
dopo l’altra s’erano svegliate pure le campanelle dei monasteri, il Collegio, Santa Maria, San
Sebastiano, Santa Teresa: uno scampanìo generale che correva sui tetti spaventato, nelle
tenebre.
15 - No! no! È il fuoco!... Fuoco in casa Trao!... San Giovanni Battista!
Gli uomini accorrevano vociando, colle brache in mano. Le donne mettevano il lume alla
finestra: tutto il paese, sulla collina, che formicolava di lumi, come fosse il giovedì sera,
quando suonano le due ore di notte: una cosa da far rizzare i capelli in testa, chi avesse visto da
lontano.
20 - Don Diego! Don Ferdinando! - si udiva chiamare in fondo alla piazzetta; e uno che
bussava al portone con un sasso.
Dalla salita verso la Piazza Grande, e dagli altri vicoletti, arrivava sempre gente: un
calpestìo continuo di scarponi grossi sull’acciottolato; di tanto in tanto un nome gridato da
lontano; e insieme quel bussare insistente al portone in fondo alla piazzetta di Sant’Agata, e
25 quella voce che chiamava:
- Don Diego! Don Ferdinando! Che siete tutti morti?
Dal palazzo dei Trao, al di sopra del cornicione sdentato, si vedevano salire infatti, nell’alba
che cominciava a schiarire, globi di fumo denso, a ondate, sparsi di faville. E pioveva dall’alto
un riverbero rossastro, che accendeva le facce ansiose dei vicini raccolti dinanzi al portone
30 sconquassato, col naso in aria. Tutt’a un tratto si udì sbatacchiare una finestra, e una vocetta
stridula che gridava di lassù:
- Aiuto!... ladri!... Cristiani, aiuto!
- Il fuoco! Avete il fuoco in casa! Aprite, don Ferdinando!
- Diego! Diego!
35 Dietro alla faccia stralunata di don Ferdinando Trao apparve allora alla finestra il berretto
da notte sudicio e i capelli grigi svolazzanti di don Diego. Si udì la voce rauca del tisico che
strillava anch’esso:
- Aiuto!... Abbiamo i ladri in casa! Aiuto!
- Ma che ladri! Cosa verrebbero a fare lassù? sghignazzò uno nella folla.
40 - Bianca! Bianca! Aiuto! aiuto!
Giunse in quel punto trafelato Nanni l’Orbo, giurando d’averli visti lui i ladri, in casa Trao.
- Con questi occhi!... Uno che voleva scappare dalla finestra di donna Bianca, e s’è cacciato
dentro un’altra volta, al vedere accorrer gente!...
- Brucia il palazzo, capite? Se ne va in fiamme tutto il quartiere! Ci ho accanto la mia casa,
45 perdio! - Si mise a vociare mastro-don Gesualdo Motta. Gli altri intanto, spingendo, facendo
leva al portone, riuscirono a penetrare nel cortile, ad uno ad uno, coll’erba sino a mezza
gamba, vociando, schiamazzando, armati di secchie, di brocche piene d’acqua; compare
Cosimo colla scure da far legna; don Luca il sagrestano che voleva dar di mano alle campane

  1  
un’altra volta, per chiamare all’armi; Pelagatti così com’era corso, al primo allarme, col
50 pistolone arrugginito ch’era andato a scavar di sotto allo strame.
Dal cortile non si vedeva ancora il fuoco. Soltanto, di tratto in tratto, come spirava il
maestrale, passavano al di sopra delle gronde ondate di fumo, che si sperdevano dietro il muro
a secco del giardinetto, fra i rami dei mandorli in fiore. Sotto la tettoia cadente erano
accatastate delle fascine; e in fondo, ritta contro la casa del vicino Motta, dell’altra legna
55 grossa: assi d’impalcati, correntoni fradici, una trave di palmento che non si era mai potuta
vendere.
- Peggio dell’esca, vedete! - sbraitava mastro-don Gesualdo. - Roba da fare andare in aria
tutto il quartiere!... santo e santissimo!... E me la mettono poi contro il mio muro; perché loro
non hanno nulla da perdere, santo e santissimo!...
60 In cima alla scala, don Ferdinando, infagottato in una vecchia palandrana, con un
fazzolettaccio legato in testa, la barba lunga di otto giorni, gli occhi grigiastri e stralunati, che
sembravano quelli di un pazzo in quella faccia incartapecorita di asmatico, ripeteva come
un’anatra:
- Di qua! di qua!
65 Ma nessuno osava avventurarsi su per la scala che traballava. Una vera bicocca quella casa:
i muri rotti, scalcinati, corrosi; delle fenditure che scendevano dal cornicione sino a terra; le
finestre sgangherate e senza vetri; lo stemma logoro, scantonato, appeso ad un uncino
arrugginito, al di sopra della porta. Mastro-don Gesualdo voleva prima buttar fuori sulla piazza
7'0 tutta quella legna accatastata nel cortile.
- Ci vorrà un mese! - rispose Pelagatti il quale stava a guardare sbadigliando, col pistolone
in mano.
- Santo e santissimo! Contro il mio muro è accatastata!... Volete sentirla, sì o no?
Giacalone diceva piuttosto di abbattere la tettoia; don Luca il sagrestano assicurò che pel
75
momento non c’era pericolo: una torre di Babele!
Erano accorsi anche altri vicini, Santo Motta colle mani in tasca, il faccione gioviale e la
barzelletta sempre pronta. Speranza, sua sorella, verde dalla bile strizzando il seno vizzo in
bocca al lattante, sputando veleno contro i Trao: - Signori miei... guardate un po’!... Ci
80 abbiamo i magazzini qui accanto! - E se la prendeva anche con suo marito Burgio, ch’era lì in
maniche di camicia: - Voi non dite nulla! State lì come un allocco! Cosa siete venuto a fare
dunque?
Mastro-don Gesualdo si slanciò il primo urlando su per la scala. Gli altri dietro come tanti
85 leoni per gli stanzoni scuri e vuoti. A ogni passo un esercito di topi che spaventavano la gente.
- Badate! badate! Ora sta per rovinare il solaio! - Nanni l’Orbo, che ce l’aveva sempre con
quello della finestra, vociando ogni volta: - Eccolo! eccolo! - E nella biblioteca, la quale
cascava a pezzi, fu a un pelo d’ammazzare il sagrestano col pistolone di Pelagatti. Si udiva
90 sempre nel buio la voce chioccia di don Ferdinando il quale chiamava: - Bianca! Bianca! - E
don Diego, che bussava e tempestava dietro un uscio, fermando pel vestito ognuno che
passava, strillando anche lui: - Bianca! mia sorella!...
- Che scherzate? - rispose mastro-don Gesualdo rosso come un pomodoro, liberandosi con
95 una strappata. - Ci ho la mia casa accanto, capite? Se ne va in fiamme tutto il quartiere!
Era un correre a precipizio nel palazzo smantellato; donne che portavano acqua; ragazzi che
si rincorrevano schiamazzando in mezzo a quella confusione, come fosse una festa; curiosi che
girandolavano a bocca aperta, strappando i brandelli di stoffa che pendevano ancora dalle
pareti, toccando gli intagli degli stipiti, vociando per udir l’eco degli stanzoni vuoti, levando il
100
naso in aria ad osservare le dorature degli stucchi, e i ritratti di famiglia: tutti quei Trao
affumicati che sembravano sgranare gli occhi al vedere tanta marmaglia in casa loro. Un va e
vieni che faceva ballare il pavimento.

  2  
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 95/S3
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

La lingua del M astro-don


Gesualdo
Ben diversa rispetto a I Malavoglia è la gestione dei tempi; non si tratta tanto di una
differenza quantitativa rispetto al precedente romanzo (assistiamo in realtà ad un
abbassamento percentuale dell’imperfetto e ad un innalzamento corrispondente del
passato remoto molto poco sensibile), ma di qualità nell’uso dei due tempi.
Dal punto di vista numerico infatti lo spoglio delle due paginette allegate consente di
ricavare i seguenti dati: 56 occorrenze di forme verbali di imperfetto indicativo, 14
occorrenze di forme verbali di passato remoto, che corrispondono rispettivamente
all’80% e rispettivamente il 20% del totale. Pur dovendo tener conto della differente
consistenza dei due campioni, il rapporto di 430 imperfetti contro 97 passati remoti
registrati nel cap. XV de I Malavoglia corrispondono ad un rapporto percentuale
dell’81,60% e rispettivamente del 18,4%.
Quel che colpisce è semmai la adibizione del passato remoto e dell’imperfetto per i
tradizionali usi ‘di lingua’.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 95/S3
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

La lingua del M astro-don Gesualdo


Con l’unica eccezione di 74 (Giacalone diceva piuttosto di abbattere la porta; ma
l’eccezione è tale solo per quanto si desume dal vicino don Luca il sagrestano assicurò) il
passato remoto è utilizzato per eventi di cui si vuole sottolineare la puntualità e l’unicità
eventiva (s’udì, giunse, parve, si udì, apparve, sghignazzò, giunse, si mise, riuscirono,
assicurò, slanciò, fu, rispose), mentre l’imperfetto è adibito a segnalare l’iteratività
(sbattevano 4, scappava 4; si udiva 20, bussava 21, chiamava 25, gridava 31 etc.) o la
continuità (suonava, dormiva, affondava, chiamava, Era, ammiccava, tagliava etc.). Se ne
trae la contrapposizione canonica fra narrazione di eventi tramite l’uso del passato
remoto e descrizione di stati tramite l’imperfetto, fra movimento e avanzamento della
storia e stasi, blocco dell’azione; contrapposizione particolarmente evidente quando alla
sequenza di imperfetti esprimenti esclusivamente la continuità di una condizione (magari
anche immutabile, come avviene con il dato paesaggistico) fa seguito all’improvviso
l’intromissione del dato temporale tramite il passato remoto.
Si veda il caso di 1-3, nel quale il dato temporale introdotto dal passato remoto, e
dunque l’immissione della narrazione nella descrizione, è rimarcato da Tutt’a un tratto:
“Suonava la messa dell’alba a San Giovanni; ma il paesetto dormiva ancora della
grossa, perché era piovuto da tre giorni, e nei seminati ci si affondava fino a
mezza gamba. Tutt’a un tratto, nel silenzio, s’udì un rovinìo”;
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 95/S3
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

La lingua del M astro-don Gesualdo


La stessa consapevole alternanza di modi testuali contrapposti si verifica a 6-11 dove il
trapasso dalla descrizione alla narrazione è sottolineato da subito
“Era ancora buio. Lontano, nell’ampia distesa nera dell’Alìa, ammiccava soltanto
un lume di carbonai, e più a sinistra la stella del mattino, sopra un nuvolone basso
che tagliava l’alba nel lungo altipiano del Paradiso. Per tutta la campagna
diffondevasi un uggiolare lugubre di cani. E subito, dal quartiere basso, giunse il
suono grave del campanone di San Giovanni che dava l’allarme anch’esso; poi la
campana fessa di San Vito; l’altra della chiesa madre, più lontano; quella di
Sant’Agata che parve addirittura cascar sul capo agli abitanti della piazzetta”.
o a 27-32 dove torna Tutt’a un tratto:
“Dal palazzo dei Trao, al di sopra del cornicione sdentato, si vedevano salire infatti,
nell’alba che cominciava a schiarire, globi di fumo denso, a ondate, sparsi di faville.
E pioveva dall’alto un riverbero rossastro, che accendeva le facce ansiose dei vicini
raccolti dinanzi al portone sconquassato, col naso in aria. Tutt’a un tratto si udì
sbatacchiare una finestra, e una vocetta stridula che gridava di lassù:
- Aiuto!... ladri!... Cristiani, aiuto!”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 96
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

La lingua del M astro-don Gesualdo

Verga dunque reintroduce con il Mastro nella propria prosa la netta distinzione che I
Malavoglia (con la pervasività dell’imperfetto) avevano affievolito fra narrazione e
descrizione.
Da un lato l’ingresso del passato remoto come segno grammaticale della narrazione
corrisponde all’ambiente e alla vicenda del Mastro-don Gesualdo, il cui maggiore
coinvolgimento con la storia contemporanea e la cui mobilità sociale abbiamo già
sottolineato a paragone con la fissità sociale de I Malavoglia; dall’altra però assistiamo
anche al recupero contrastivo della descrizione, che non viene solo trasmessa attraverso
il già citato uso dell’imperfetto, ma anche attraverso una tecnica espressiva e
grammaticale assolutamente nuova rispetto a I Malavoglia e che può allearsi con l’uso
dell’imperfetto che mira ad incrementarne il valore descrittivo.
Nei casi seguenti si assiste a periodi nominali nei quali la principale manca del verbo
reggente (o perché non ripetuto o perché non esplicitato) sebbene le subordinate
relative o implicite attestino il verbo alla forma dell’imperfetto o del gerundio:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 96
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

La lingua del M astro-don Gesualdo


3-4: “s’udì un rovinìo, la campanella squillante di Sant’Agata che chiamava aiuto, usci e
finestre che sbattevano, la gente che scappava fuori in camicia, gridando”;
9-14: “giunse il suono grave del campanone di San Giovanni che dava l’allarme
anch’esso; poi la campana fessa di San Vito; l’altra della chiesa madre, più lontano;
quella di Sant’Agata che parve addirittura cascar sul capo agli abitanti della piazzetta.
Una dopo l’altra s’erano svegliate pure le campanelle dei monasteri, il Collegio, Santa
Maria, San Sebastiano, Santa Teresa: uno scampanìo generale che correva sui tetti
spaventato, nelle tenebre”;
17: “tutto il paese, sulla collina, che formicolava di lumi”;
22-25: “un calpestìo continuo di scarponi grossi sull’acciottolato; di tanto in tanto un
nome gridato da lontano; e insieme quel bussare insistente al portone in fondo alla
piazzetta di Sant’Agata, e quella voce che chiamava”;
47-50: “compare Cosimo colla scure da far legna; don Luca il sagrestano che voleva dar
di mano alle campane un’altra volta, per chiamare all’armi; Pelagatti così com’era
corso, al primo allarme, col pistolone arrugginito ch’era andato a scavar di sotto allo
strame”
54-56: “e in fondo, ritta contro la casa del vicino Motta, dell’altra legna grossa: assi
d’impalcati, correntoni fradici, una trave di palmento che non si era mai potuta
vendere”;
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 96
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

La lingua del M astro-don Gesualdo


65-69: “Una vera bicocca quella casa: i muri rotti, scalcinati, corrosi; delle fenditure che
scendevano dal cornicione sino a terra; le finestre sgangherate e senza vetri; lo
stemma logoro, scantonato, appeso ad un uncino arrugginito, al di sopra della
porta”;
76-79: “Erano accorsi anche altri vicini, Santo Motta colle mani in tasca, il faccione
gioviale e la barzelletta sempre pronta. Speranza, sua sorella, verde dalla bile
strizzando il seno vizzo in bocca al lattante, sputando veleno contro i Trao”;
84-85: “Gli altri dietro come tanti leoni per gli stanzoni scuri e vuoti”;
86-87: “Nanni l’Orbo, che ce l’aveva sempre con quello della finestra, vociando ogni
volta”;
90-92: “E don Diego, che bussava e tempestava dietro un uscio, fermando pel vestito
ognuno che passava, strillando anche lui”;
96-102: “ragazzi che si rincorrevano schiamazzando in mezzo a quella confusione, come
fosse una festa; curiosi che girandolavano a bocca aperta, strappando i brandelli di
stoffa che pendevano ancora dalle pareti, toccando gli intagli degli stipiti, vociando
per udir l’eco degli stanzoni vuoti, levando il naso in aria ad osservare le dorature
degli stucchi, e i ritratti di famiglia: tutti quei Trao affumicati che sembravano
sgranare gli occhi al vedere tanta marmaglia in casa loro”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 96/S1
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

La lingua del M astro-don


Gesualdo
Se ne ricava una cascata di dettagli descrittivi che si sganciano talora dall’imperfetto
e che (con la giustapposizione di flash fotografici) danno l’impressione di una diretta
partecipazione all’evento, di assistere al fatto, tanto più fisicamente percepibile in
quanto il brano è punteggiato da verbi di percezione:
s’udì 3; parve 11; si udiva 20; si vedevano 27; si udì 30; apparve 35; si udì 36; si
vedeva 51; Si udiva 89
che si presentano sempre
1) o in forma attiva con soggetto inanimato (è la campana di Sant’Agata che
pare cadere sulla testa degli abitanti a 11; è il berretto di Don Diego che appare
dietro la faccia del fratello a 35)
2) o nella forma impersonale/pronominale.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 96/S1
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

La lingua del M astro-don Gesualdo


Quest’ultima scelta grammaticale risulta, oltre che frequente, particolarmente indicativa
della presenza di un filtro umano della narrazione.
Infatti s’udì un rovinìo 3 avrebbe potuto esser reso con ‘ci fu un rovinìo’; si udiva
chiamare 20 con ‘chiamavano’; si vedevano salire 27 con ‘salivano’; si udì sbatacchiare
una finestra con ‘una finestra sbatacchiò’; si udì la voce rauca del tisico che strillava 36
con ‘il tisico strillava con voce rauca’ o ‘la voce rauca del tisico strillava’; Si udiva sempre
nel buio la voce chioccia di don Ferdinando il quale chiamava 89 con ‘Don Ferdinando
con voce chioccia chiamava’ o ‘la voce chioccia di don Ferdinando chiamava’.
Le parafrasi proposte mettono in evidenza l’artificiosità di questa messa in primo piano
(non assoluta, ma frequente) di un filtro sensibile che si frappone fra l’evento e la sua
resa verbale e che dunque rende presente, anche se impalpabile, la figura di un
narratore.
Un narratore, lo abbiamo appena visto, che si maschera dietro la forma linguistica della
costruzione impersonale e che per tale tramite raggiunge (in maniera stilisticamente
divergente da quanto conseguito ne I Malavoglia) l’impersonalità narrativa.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 96/S1
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

La lingua del M astro-don Gesualdo


Un’impersonalità conseguita stavolta dunque non tanto tramite la perdita di personalità
del narratore e la contemporanea assunzione di identità, pensieri e parole dei personaggi
vari e molteplici del mondo di Trezza, come era avvenuto ne I Malavoglia; semmai
un’impersonalità raggiunta tramite l’anonimato del narratore, tramite la sua indistinzione,
il suo trasformarsi in un ‘uomo qualsiasi’ che però guarda e sente da una certa distanza il
mondo rappresentato. Piuttosto che l’impersonalità dell’opera d’arte Verga riesce qui a
raggiungere l’impersonalità del narratore, il quale, lungi dal rappresentare una persona in
carne ed ossa, riveste il ruolo di una persona grammaticale, quel si dell’impersonalità, o,
in maniera ancora più evidente quell’indistinto chi che fa capolino ai righi 18-19:
“una cosa da far rizzare i capelli in testa, chi avesse visto da lontano”.
Verga aveva scritto al Cameroni di essere più manzoniano di quanto non lo fosse il suo
recensore, Policarpo Petrocchi; il manzonismo di Verga sta infatti in impercettibili richiami
al capolavoro manzoniano; anche lì infatti un chi era diventato emblema del narratore,
suo occhio fisico, capace di discernere, dalle mura di Milano il Resegone:
“talchè non è chi, al primo vederlo, purché sia di fronte, come per esempio di su le
mura di Milano che guardano a settentrione, non lo discerna tosto, a un tal
contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome più oscuro e di
forma più comune”.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 96/S2
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

Riepilogo

Per ripassare, memorizzare ed esercitarsi sui contenuti


studiati nelle lezioni precedenti dedicate all’analisi
linguistica di Mastro-don Gesualdo, lo studente è
invitato a compilare il test associato a questa
sessione di studio.
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 96/S3
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

Test di autovalutazione
Avvertenza: La prova di autovalutazione non ha valore ai fini del voto di profitto
finale e gli studenti non sono tenuti a inviare le risposte al docente: si tratta solo di un
esercizio di controllo dei contenuti affrontati, il cui apprendimento è ritenuto
fondamentale. Tuttavia lo studente è invitato ad inviare i risultati del proprio test al
docente attraverso il sistema di messaggistica o meglio tramite e-portfolio; tali risultati
possono essere inviati in una sola occasione (e-portfolio) o a tappe (sistema di
messaggistica), ma in questo secondo caso si raccomanda di indicare esplicitamente il
numero associato a ciascuna domanda. Il docente verificherà la correttezza del test
e ne darà conto allo studente, senza che ciò abbia alcuna ricaduta sul risultato
della prova finale, invitandolo magari ad approfondire alcune parti del corso o singole
lezioni o chiarendo ulteriormente quello che non è stato pienamente compreso.

53) Analizzate dal punto di vista linguistico il brano, estratto dal Mastro-don
Gesualdo, riportato nella slide seguente:
Corso di Laurea: LETTERATURA, LINGUA E CULTURA ITALIANA - CURR. FILOLOGICO
Insegnamento: LINGUISTICA ITALIANA
Lezione n°: 96/S3
Titolo: La lingua del Mastro-don Gesualdo
Attività n°: 1

“Era un correre a precipizio nel palazzo smantellato; donne che portavano


acqua; ragazzi che si rincorrevano schiamazzando in mezzo a quella
confusione, come fosse una festa; curiosi che girandolavano a bocca
aperta, strappando i brandelli di stoffa che pendevano ancora dalle pareti,
toccando gli intagli degli stipiti, vociando per udir l’eco degli stanzoni vuoti,
levando il naso in aria ad osservare le dorature degli stucchi, e i ritratti di
famiglia: tutti quei Trao affumicati che sembravano sgranare gli occhi al
vedere tanta marmaglia in casa loro. Un va e vieni che faceva ballare il
pavimento”.

Potrebbero piacerti anche