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L'italiano lingua d'Europa e del Mediterraneo

Presentazione del modulo

Il modulo si prefigge di inquadrare l'italiano all'interno delle lingue d'Europa e del


Mediterraneo. A questo scopo, vengono fornite all'inizio una spiegazione del
concetto di "tipo linguistico" e alcune delle principali tipologie proposte. Si passa
successivamente ad illustrare il concetto di "lega linguistica", e si individuano
alcune delle principali caratteristiche delle lingue d'Europa e di quelle del
Mediterraneo condivise anche dall'italiano.

Per la caratterizzazione tipologica dell'italiano, vengono poi esaminati importanti


fenomeni della fonologia, della morfologia verbale e nominale nonché della
sintassi. Dal punto di vista diacronico, si mettono in rilievo i mutamenti più
importanti che sono intercorsi nel passaggio dal latino all'italiano. Infine, si
passano in rassegna i principali fenomeni di contatto con le altre lingue che hanno
riguardato l'italiano, specialmente dal punto di vista del lessico.

Indice delle unità didattiche

UD 1 - La linguistica tipologica

Questa unitΰ didattica mira a fornire alcuni concetti base di linguistica tipologica,
atti ad inquadrare correttamente la posizione specifica della lingua italiana
rispetto alle altre, in particolare rispetto alle lingue europee e mediterranee che le
sono geograficamente vicine.

1.1 - Cosa è un "tipo linguistico"

1.2 - Varie proposte di "tipi linguistici"

1.3 - La tipologia fondata sull'ordine degli elementi basici della


frase

1.4 - Il concetto di "lega linguistica"

UD 2 - L'Europa come area linguistica

Le nozioni generali esposte nell'unitΰ didattica 1 vengono riferite ad un'area


linguistica determinata: l'Europa

2.1 - Il concetto di "Europeo Medio Standard"

2.2 - Caratteristiche principali del SAE

2.3 - La distribuzione geografica di tali caratteristiche

2.4 - Le origini storiche del SAE


2.5 - Gli europeismi lessicali

UD 3 - Il Mediterraneo come area linguistica

Le nozioni generali esposte nell'unitΰ didattica 1 vengono riferite ad un'area


linguistica determinata: il Mediterraneo.

3.1 - Il quadro storico di riferimento

3.2 - Considerazioni metodologiche

3.3 - Tratti linguistici caratteristici dell'area mediterranea

3.4 - Il Mediterraneo costituisce un'"area linguistica"?

UD 4 - Lineamenti per una caratterizzazione tipologica generale


dell'italiano

In questa unità didattica alcuni tratti qualificanti dell'italiano, nei diversi livelli di
analisi (dalla fonologia alla sintassi) sono esaminati dal punto di vista della loro
maggiore o minore specificità rispetto a parametri tipologici generali.

4.1 - Fonologia

4.2 - Morfologia flessiva: il sistema verbale

4.3 - Morfologia flessiva: il sistema nominale

4.4 - L'articolo e l'espressione della definitezza

4.5 - Sintassi e organizzazione comunicativa del discorso

UD 5 - Alcuni tratti tipologicamente significativi dell'italiano come lingua


romanza

In questa unità didattica si descrivono alcuni fenomeni che l'italiano condivide


generalmente con la famiglia romanza nel suo complesso, e che caratterizzano
questa famiglia rispetto ad altri gruppi di lingue parlate in Europa.

5.1 - Il continuum delle varietà linguistiche romanze

5.2 - Un tratto peculiare della derivazione: il sistema degli alterati

5.3 - I pronomi clitici

5.4 - I diversi valori del pronome si


5.5 - La negazione

UD 6 - Dal latino all'italiano: mutamenti tipologicamente rilevanti

Questa unità didattica è consacrata al punto di vista diacronico: si mettono in


rilievo i mutamenti più importanti che sono intercorsi nel passaggio dal latino
all'italiano, evidenziando le sostanziali differenze tra le due lingue, malgrado
l'aspetto apparentemente conservativo dell'italiano.

6.1 - Generalità e fatti fonologici

6.2 - Il sistema verbale

6.3 - Il sistema nominale

6.4 - La struttura sintattica: il passaggio da SOV a SVO

6.5 - La nascita degli avverbi in –mente: un esempio di


grammaticalizzazione

UD 7 - Le componenti alloglotte nel lessico italiano

In questa unità didattica si presentano i fenomeni di contatto linguistico più


rilevanti che hanno riguardato l'italiano, specialmente dal punto di vista del
lessico. Dopo una definizione dei due concetti chiave di "prestito" e "calco", la
rassegna evidenzia situazioni storiche diverse e di conseguenza modalità di
contatto assai varie.

7.1 - Il contatto linguistico nel lessico: "prestiti" e "calchi"

7.2 - Il contatto con le lingue degli invasori germanici

7.3 - Altri contatti linguistici nell'Alto Medioevo: greco e arabo

7.4 - L'influsso delle altre lingue romanze: provenzale, francese e


spagnolo

7.5 - L'influsso dell'inglese contemporaneo

Guida al modulo

Scopo del modulo

Scopo del modulo è in primo luogo presentare due punti di vista complementari
per la comprensione della diversità linguistica, al di là di quello fondato sulla
parentela genetica: l'approccio areale e quello tipologico, e in secondo luogo
collocare l'italiano da questi due punti di vista:
1) arealmente, in quanto lingua da un lato profondamente inserita nella regione
mediterranea, e dall'altro partecipe di sviluppi comuni alle lingue di cultura
dell'Europa centrale;

2) tipologicamente, passandone in rassegna alcuni tratti tra i più rilevanti come


parametri classificatori nella ricerca tipologica.

Lista degli obiettivi

UD 1 - La linguistica tipologica

Obiettivo: presentazione generale dei problemi della linguistica tipologica, con


particolare riferimento alla tipologia dell'italiano.

Sottoobiettivo: esame di varie proposte di classificazione tipologica


(la prima fondamentalmente morfologica, la seconda
fondamentalmente sintattica).

Sottoobiettivo: il concetto di "lega linguistica" nella sua dimensione


tipologica.

UD 2 - L'Europa come area linguistica

Obiettivo: presentazione delle lingue d'Europa, come facenti parte di una "lega
linguistica", con particolare riguardo alla situazione dell'italiano.

Sottoobiettivo: illustrazione di alcune delle principali caratteristiche


delle lingue europee.

Sottoobiettivo: le origini storiche della "lega linguistica europea".


Gli "europeismi" lessicali.

UD 3 - Il Mediterraneo come area linguistica

Obiettivo: presentazione delle lingue mediterranee, con particolare riguardo alla


situazione dell'italiano.

Sottoobiettivo: presentazione di alcuni principali tratti linguistici


caratteristici dell'area mediterranea.

Sottoobiettivo: discussione circa l'esistenza di una lega linguistica


mediterranea. La prospettiva storica e quella tipologica. 

UD 4 - Lineamenti per una caratterizzazione tipologica generale


dell'italiano
Obiettivo: individuare i tratti fondamentali che caratterizzano tipologicamente
l'italiano nell'ambito nell'ambito delle lingue d'Europa.

Sottoobiettivo: individuare i tratti più caratterizzanti del sistema


fonologico italiano.

Sottoobiettivo: conoscere le categorie grammaticali realizzate nella


flessione verbale e nominale dell'italiano.

Sottoobiettivo: conoscere e descrivere le funzioni degli articoli


determinativi e indeterminativi come espressione della categoria
della definitezza.

Sottoobiettivo: comprendere le funzionalità discorsive derivanti


dalla relativa libertà sintattica dell'ordine dei costituenti in italiano.

UD 5 - Alcuni tratti tipologicamente significativi dell'italiano come lingua


romanza

Obiettivo: individuare alcuni tratti tipologicamente rilevanti che l'italiano condivide


con le altre lingue romanze.

Sottoobbiettivo: conoscere la caratteristiche semantiche e


discorsive del processo morfologico dell'alterazione.

Sottoobbiettivo: conoscere le caratteristiche formali e funzionali dei


pronomi clitici italiani e romanzi.

Sottoobbiettivo: distinguere la molteplicità delle funzioni


semantiche del pronome riflessivo.

Sottoobbiettivo: conoscere i meccanismi sintattici della negazione


di frase e la genesi diacronica della negazione postverbale.

UD 6 - Dal latino all'italiano: mutamenti tipologicamente rilevanti

Obiettivo: individuare i fatti diacronici che più nettamente hanno contribuito a


differenziare il latino dall'italiano.

Sottoobiettivo: esemplificare i casi di maggiore analiticità delle


lingue romanze rispetto al latino.

Sottoobiettivo: definire la portata del cambiamento sintattico


nell'ordine dei costituenti dal latino alle lingue romanze.

Sottoobiettivo: comprendere ed esemplificare il concetto di


grammaticalizzazione.

 
UD 7 - Le componenti alloglotte nel lessico italiano

Obiettivo: saper collocare geograficamente e storicamente i principali fenomeni di


contatto linguistico che hanno riguardato l'italiano.

Sottoobiettivo: comprendere e saper esemplificare la distinzione tra


"prestito" e "calco".

Contenuti del modulo

Il modulo è costituito dal testo delle lezioni.

Attività richieste

Lettura e studio del testo delle lezioni.

Svolgimento degli esercizi che accompagnano il modulo.

1.1 - Cosa è un "tipo linguistico"

L'approccio tipologico all'analisi delle lingue mira a individuare una serie di


caratteristiche costitutive importanti per definire una lingua. Ciò vale a tutti i
livelli della strutturazione linguistica: fonologia, morfologia, sintassi e lessico. Lo
scopo è anche quello di scoprire possibilmente i principii organizzativi sottostanti
a fenomeni linguistici diversi, eventualmente appartenenti anche a livelli diversi;
per esempio al livello morfologico e a quello lessicale. È evidente che questo
approccio prescinde da parentele genetiche fra le lingue. L'inglese mostra tratti
strutturali a livello morfologico e sintattico che in un certo senso lo avvicinano di
più al cinese che al latino, col quale tuttavia è imparentato geneticamente
(inglese e latino sono lingue della stessa famiglia indoeuropea; vedi 1.2).

Con "tipo linguistico" si intende pertanto un insieme di principii costitutivi


soggiacenti alla strutturazione linguistica, che dà ordine alla cooccorrenza di una
serie di caratteristiche. A seguito del loro sviluppo storico le lingue variano nel
tempo e possono non mostrarsi coerenti in modo assoluto col tipo linguistico cui
appartengono. Un tipo linguistico è dunque un costrutto teorico che non si trova
mai realizzato pienamente in alcuna lingua reale. Nelle lingue reali sono invece
compresenti caratteristiche appartenenti a tipi linguistici diversi.

Per poter individuare i vari tipi linguistici occorre mettere a confronto tra loro
lingue diverse: se tutte le lingue fossero fatte allo stesso modo la tipologia non
avrebbe motivo di esistere. È dunque propria dell'approccio tipologico la
dimensione comparativa, anche se in questo caso, a differenza di quanto si
verifica nella linguistica storica, la comparazione interlinguistica non mira a
ricostruire alberi di parentela genealogica. Oggi, grazie alla possibilità di gestire
grandi basi di dati in modo informatico, la comparazione interlinguistica avviene
su campioni di lingue altamente rappresentativi di tutte le famiglie linguistiche
esistenti al mondo.
1.2 - Varie proposte di "tipi linguistici"

La tipologia tradizionale, che risale all''800, distingue fondamentalmente tre tipi


linguistici sulla base della struttura morfologica: lingue isolanti, come il cinese;
lingue agglutinanti, come il turco; lingue flessive o fusive, come il latino (si
tralasciano qui altri possibili sottotipi, meno interessanti dal punto di vista
dell'italiano).

Nel tipo isolante le singole parole rimangono invariabili, senza affissi flessivi e la
loro funzione nella frase è data dalla posizione che occupano: in cinese ta zhao
shéi? ( = lui/lei cerca chi?) si differenzia da shéi zhao ta? ( = chi cerca lui/lei?; in
questo esempio non vengono segnati i toni).

Nel tipo agglutinante si hanno invece affissi (prefissi, infissi, suffissi) che
aggiungono alla base lessicale informazioni grammaticali in sequenza, in ragione
di una informazione per ogni singolo affisso: si veda il turco ev-ler-im-de in cui i
singoli elementi corrispondono a "casa - plurale - mio - locativo", cioè "nelle mie
case".

Infine, nel tipo flessivo, più informazioni grammaticali vengono fuse in un solo
affisso: latino bon-arum, aggettivo ( = delle buone, genitivo, plurale, femminile),
ama-t, verbo ( = ama, terza persona singolare, presente indicativo, attivo).

L'italiano è una lingua fondamentalmente flessiva: ragazz-i (maschile, plurale),


ma ragazz-e (femminile, plurale); ama-v-o (prima persona singolare, imperfetto
indicativo, attivo), ma ama-te (seconda persona plurale, presente indicativo,
attivo). Ma, come già accennato, si trovano anche caratteristiche del tipo
agglutinante: grande-mente con il suffisso avverbiale agglutinato alla base
aggettivale; e anche, al limite, ama-v-o e ama-v-a (dove -v- può essere
considerato il suffisso dell'imperfetto mentre -o e -a i suffissi di prima e,
rispettivamente, terza persona). Non mancano nemmeno esempi di struttura
isolante, come si vede già dalla traduzione del precedente esempio cinese. Si
veda anche Non te lo dico (impossibile *Non lo ti dico) dove il valore di "dativo"
del pronome di seconda persona è dato proprio dalla sua posizione sintattica (te
potrebbe essere di per sé anche un complemento oggetto diretto, per esempio lui
ama te).

Il linguista praghese Vladimir Skalicka elaborò per ciascun tipo linguistico "puro"
una serie di caratteristiche, alcune delle quali sono tra loro chiaramente correlate.
Per il tipo flessivo cui, si è detto, appartiene fondamentalmente l'italiano, si
osserva che le parole compaiono generalmente fornite di una desinenza che dà il
necessario inquadramento grammaticale: non esiste *ragazz ma solo ragazzo/-i/-
a/-e, dove fra l'altro l'opposizione fra maschile e femminile è affidata alla
cosiddetta "mozione", come in figli-o/figli-a ma non come in padre/madre. La
polifunzionalità delle desinenze (come in amavo) fa sì che le parole non siano
eccessivamente lunghe, come può avvenire nell'agglutinazione. Le desinenze
definiscono in genere anche la categoria cui una parola appartiene: grande-mente
non può essere altro che un avverbio. Alla chiara distinzione delle classi di parole,
marcate da suffissi che danno molteplici informazioni, è connesso il grande
sviluppo delle proposizioni subordinate: se corressero più velocemente…; credo
che correrebbero più velocemente…; sebbene corrano più velocemente…; quando
correranno più velocemente….

1.3 - La tipologia fondata sull'ordine degli elementi basici della frase


La tipologia fondata sull'ordine degli elementi basici della frase (Soggetto,
Verbo, Oggetto: SVO) promossa dal linguista americano Joseph Greenberg
prende in considerazione fattori relativi più alla sintassi che non alla
morfologia e mira più della precedente a stabilire delle connessioni
implicazionali fra fenomeni diversi, del tipo "se A allora, con frequenza di
gran lunga più che casuale, B". Per esempio, se una lingua come l'italiano ha
come ordine normale ("non marcato") SVO (Pierino ruba la marmellata),
allora avrà il complemento di specificazione ("genitivo") dopo il nome (la
"testa") cui si riferisce (Pierino ruba la marmellata della nonna e non *…la
della nonna marmellata).

Analogamente anche l'aggettivo verrà dopo la testa (…la marmellata gialla….


e non *…la gialla marmellata…) – anche se in questo caso i controesempi
Joseph Greenberg possono esser numerosi (la vera ragione è che…e la ragione vera è che…,
con un particolare effetto di enfasi retorica). Allo stesso modo la frase
relativa segue la sua testa: il libro che ho comprato ieri, e mai *che/il quale ho comprato ieri libro, così come
nel costrutto comparativo il secondo termine di paragone ("standard") segue l'aggettivo: più bianco della
neve, e mai *della neve più bianco.

Un legame profondo unisce questi fenomeni, apparentemente non collegati. Un ordine in cui V precede O
adotta la strategia "Determinato + Determinante": nel nostro esempio la marmellata specifica, determina ciò
che Pierino effettivamente ruba. Allo stesso modo il "genitivo" della nonna specifica, determina di quale
marmellata stiamo parlando. E così la frase relativa specifica la testa nominale cui si riferisce e lo standard
determina la comparazione.

In forma implicazionale si dirà allora che l'ordine Verbo+Oggetto implica la presenza di un ordine
Nome+Aggettivo, Nome+Genitivo, Nome+Relativa, Aggettivo+Standard. Come già detto, si tratta di
tendenze che si verificano con frequenza più che casuale, ma che non escludono la possibilità di
controesempi. Alcune delle caratteristiche ricordate si presentano con maggiore o minore rigidità nelle varie
lingue. Si è vista per l'italiano la possibilità che l'aggettivo preceda il nome, talvolta con differenze
semantiche consolidate dall'uso: un uomo buono non è un buon uomo!
1.4 - Il concetto di "lega linguistica"

Tralasciando altre possibili classificazioni tipologiche delle lingue, è evidente che


l'approccio tipologico non è condizionato né dall'eventuale parentela genealogica
delle lingue poste a confronto (vedi 1.1), né da una loro eventuale vicinanza
geografica. Lingue fusive o lingue SVO possono trovarsi in Sud America e in Asia,
senza alcuna parentela genealogica né contiguità geografica.

Tuttavia è ragionevole pensare che lingue appartenenti alla stessa famiglia


linguistica conservino caratteristiche tipologiche simili e anche che lingue
geograficamente vicine per secoli abbiano sviluppato dei tratti comuni. Italiano e
rumeno, italiano e portoghese, pur geograficamente distanti, mantengono chiare
caratteristiche tipologiche già proprie della lingua da cui derivano, come ad
esempio la flessione del verbo, l'accordo in genere e numero dell'aggettivo col
sostantivo: bravi ragazzi e brave ragazze.

Per contro il rumeno condivide una serie di caratteristiche tipologicamente


significative con altre lingue dell'area balcanica, ma non presenti in italiano e in
portoghese. Per citare un solo ma chiaro esempio il rumeno conosce, come il
bulgaro, il macedone, l'albanese, l'articolo posposto: om-ul ( = uomo - il, cioè
l'uomo). Si parla in questo caso di "lega linguistica". Il concetto di "lega
linguistica" si riferisce dunque alla prospettiva tipologica calata nella dimensione
geografica. Il linguista italiano Graziadio Isaia Ascoli la definiva come "parentela
acquistata". Occorre dunque distinguere tra caratteristiche condivise per comune
eredità genetica (caso dell'italiano e del rumeno in quanto lingue neolatine) e
caratteristiche condivise a seguito di contatti interlinguistici (vedi 2.1 e 3.1).
Esiste poi ovviamente anche la possibilità di coincidenze tipologiche dovute a
sviluppi paralleli, come può essere il caso delle forme perifrastiche nel sistema
verbale (ho detto, ho fatto accanto alle continuazioni delle forme non perifrastiche
latine: DIXI, FECI > dissi, feci), così come è avvenuto in inglese: I have said, I
have done accanto ai più antichi I said, I did).

Nel valutare gli aspetti tipologici di una lingua è dunque importante tener
presente la dimensione storica. Si vedrà ad esempio in 2.1 che alcune
caratteristiche condivise dalle lingue europee, tra cui l'italiano, non risalgono alla
comune origine indoeuropea di molte delle lingue d'Europa, ma sono il frutto di
sviluppi successivi, dovuti a contatti linguistici verificatisi in una determinata area,
cioè in una "lega linguistica".

2.1 - Il concetto di "Europeo Medio Standard"

Ponendo a confronto lingue indigene del Nord America con le lingue d'Europa,
l'etnolinguista statunitense Benjamin Lee Whorf creò verso la metà degli anni
Trenta l'espressione "Europeo Medio Standard", Standard Average European
(SAE). Con questa egli voleva sottolineare il fatto che le principali lingue
d'Europa, se confrontate con altre famiglie linguistiche, rivelano un'aria di
famiglia e rappresentano una sorta di "lega linguistica", condividendo molti
tratti fondamentali. Per esempio tutte le lingue d'Europa appartengono al tipo
che esige nella predicazione due termini, cioè un soggetto e un predicato
(Pierino mangia). Questa distinzione fondamentale tra le categorie di Nome e
Verbo non si riscontra, secondo Whorf, in molte lingue amerindiane, dove
concetti quali "fuoco", "lampo", "onda" e più in generale tutti quelli che si
riferiscono ad accadimenti rapidi e di breve durata vengono espressi da verbi,
non da nomi, come se in italiano accanto al verbo piove non esistesse il
sostantivo pioggia (vedi 1.4 e 4.4).

Benjamin Lee Whorf Whorf allude esplicitamente alla parentela genetica come fattore e
spiegazione di affinità tipologica: ed in effetti ciò è vero, in linea di principio:
lingue geneticamente imparentate avranno verosimilmente tratti strutturali significativi in comune (si veda
1.4). Si dà il caso che le principali lingue europee (romanze, germaniche, slave) appartengano tutte alla
famiglia linguistica indoeuropea.
Ma oltre la comune eredità indoeuropea le lingue d'Europa hanno sviluppato tratti tipologici peculiari dovuti a
lunghi secoli di contatti interlinguistici, sì che si può effettivamente parlare del SAE come una "lega
linguistica" (1.4). Se la distinzione tra NOME e VERBO risale senza dubbio alla comune origine indoeuropea,
lo sviluppo nelle varie lingue europee di un tratto tipologicamente significativo come l'articolo determinativo
(il, lo, i, gli, ecc., in inglese the, in tedesco der, die, das, die, ecc.) è di epoca decisamente posteriore. Il
latino non conosceva articolo, né lo conoscono ancora le lingue slave (tranne il bulgaro e il macedone che lo
hanno acquisito, posposto al nome, all'interno della lega linguistica balcanica).

2.2 - Caratteristiche principali del SAE

Diamo qui di seguito alcune delle principali caratteristiche proprie del SAE,
condivise dall'italiano (Haspelmath 1998: 274-281):

a. presenza di articolo definito (il, lo: si veda 2.1) e indefinito (un);

b. forme verbali perifrastiche costruite con l'ausiliare (avere o essere; vedi 1.4);

c. ordine SVO, più o meno rigido (vedi 1.3);

d. tipo linguistico fondamentalmente flessivo (vedi 1.2);

e. costruzione passiva con colui che compie l'azione espresso come complemento
d'agente e con il complemento oggetto della corrispondente frase attiva espresso
come soggetto (la marmellata è stata rubata da Pierino);

f. frase relativa, introdotta da una marca di relazione, dopo la testa nominale (il
libro che ho comprato ieri, il libro di cui ti parlavo ieri; vedi 1.3);

g. possibile posizione iniziale del verbo nelle "domande sì/no" (hanno telefonato i
Rossi?);

h. frase negativa con pronome indefinito negativo + verbo (nessuno viene,


benché in italiano sia possibile trovare la forma non viene nessuno; vedi 5.5);

Infine particolarmente importante per le ragioni che vedremo in seguito risulta la

i. capacità di costruire parole composte secondo determinate regole (del tipo:


astro-nauta, tele-fonia, tele-mania, xeno-fobo, ecc.).

Nessuna di queste caratteristiche è esclusiva del SAE, anche se alcune sono


piuttosto rare al di fuori di esso (per esempio l'uso di avere come ausiliare per
esprimere il perfetto: ho detto, ho fatto, vedi 1.4). Tuttavia, il fatto che esse
cooccorrano in una determinata area ma siano assenti nelle aree
immediatamente circostanti suggerisce l'ipotesi di una "lega linguistica europea".
Per restare all'esempio degli ausiliari, le lingue slave e quelle ugro-finniche
formano il perfetto con la copula essere+ participio attivo: sono dicente per "ho
detto".

2.3 - La distribuzione geografica di tali caratteristiche

In una visione eurocentrica le caratteristiche elencate qui sopra sembrano del


tutto ovvie; ma una comparazione tipologica su scala mondiale ci dice che le cose
non stanno affatto così. Molte lingue, per esempio, non permettono di esprimere
l'agente nella frase passiva: si può dire solo la marmellata è stata rubata, non …è
stata rubata da Pierino.
Queste e altre caratteristiche, tutt'altro che largamente diffuse su scala mondiale,
si addensano in un'area che è stata detta "di Carlo Magno" (van der Auwera
1998: 823-825), con un preciso riferimento non solo geografico, ma anche storico
(vedi 2.4). Appartengono al nucleo ristretto dell'area: francese, tedesco,
neerlandese. Man mano che ci si allontana da quest'area diminuisce il numero
delle caratteristiche condivise (isoglosse).

Assieme al polacco, l'italiano, specialmente nelle sue varietà settentrionali, si


colloca molto vicino a tale nucleo, ma non ne condivide tutte le caratteristiche
(per esempio in italiano non è obbligatorio esprimere col verbo il suo soggetto
pronominale: credo si oppone al franc. je crois, al ted. ich glaube, al neerl. ik
geloof). Contrariamente a quanto potrebbe sembrare a prima vista, l'inglese non
appartiene al nucleo centrale del SAE, così come non vi appartengono le varietà
romanze della penisola iberica, le lingue germaniche settentrionali e quelle slave
come ceco, sloveno, russo, ucraino ecc. Le lingue della "lega linguistica balcanica"
condividono una parte delle caratteristiche SAE. Nettamente al di fuori del SAE si
collocano, invece, le lingue celtiche, le ugro-finniche, il basco.

2.4 - Le origini storiche del SAE

Alcune delle caratteristiche sopra elencate (punti d., f., h.) sono eredità della
comune origine indoeuropea delle lingue SAE, più o meno ben conservata.
L'italiano, ad esempio, conserva molto più dell'inglese la flessione del verbo,
mentre nei sostantivi distingue solo singolare e plurale, come l'inglese: ragazzo/-
i, boy/boys; il tedesco, invece, e soprattutto le lingue slave conservano meglio
dell'italiano i casi della flessione nominale.

Tuttavia, visto il carattere non ereditario di alcuni fra i tratti tipici del SAE (per
esempio i punti a., b., c. dell'elenco precedente), è sensato supporre che la "lega
linguistica" europea si sia originata in tempi assai più recenti, e cioè proprio
all'epoca di Carlo Magno nelle aree di contatto tra le popolazioni germaniche e
quelle romanze. È quello, del resto, il momento decisivo per la nascita dei nuovi
volgari europei (ivi comprese le varietà italo-romanze) in cui prende corpo la
configurazione linguistica dell'Europa che nelle sue grandi linee si manterrà nei
secoli successivi fino ai nostri giorni. Si pensi ai famosi Giuramenti di Strasburgo
(842) tra i due nipoti di Carlo, Ludovico e Carlo, primo documento solenne e
ufficiale dei volgari di Francia e Germania.

I primi documenti dichiaratamente in volgare sono, in Italia, di epoca successiva,


forse per la maggiore vicinanza dell'italiano alla lingua d'origine (cosa che ha reso
difficile tracciare una netta linea di confine tra volgare e latino). Ma non c'è
dubbio che anche le vicende d'Italia seguono il modello di sviluppo sociolinguistico
e tipologico delle altre regioni europee (in particolare dell'"area di Carlo Magno").

2.5 - Gli europeismi lessicali

Un ruolo particolarmente importante dal punto di vista storico culturale ha avuto


la caratteristica i. del precedente elenco, cioè la capacità strutturale di costruire
composti, sia col primo membro che determina il secondo (filo-sofia = amore per
la scienza), sia viceversa (biblio-teca = scrigno per i libri). Sulla base di esempi
già forniti dalle lingue classiche (appunto casi quali filo-sofia, biblio-teca) le lingue
d'Europa si sono dotate di una impressionante serie di neologismi in grado di
esprimere i contenuti delle nuove scienze e tecnologie: basti pensare al periodo
umanista con biblio-filo, sceno-grafo e simili, oppure alla terminologia medica con
osteo-patia, odonto-iatria ecc., fino ai recenti astro-nauti in partenza da un
cosmo-dromo.
Questi termini si sono largamente diffusi tra le principali lingue d'Europa, come
prestiti di volta in volta dall'italiano nel periodo dell'Umanesimo, dal francese nel
periodo dell'Illuminismo (enciclo-pedia), oggi fondamentalmente dall'inglese. Essi
fanno parte del cosiddetto "lessico intellettuale europeo" e contribuiscono
fortemente a creare tra le lingue di cultura europee un'"aria di famiglia". Anche
lingue dotate, a differenza dell'italiano, di proprie regole per formare composti
hanno adottato la terminologia tecnica europea più diffusa: ted. Fern-sprecher,
Fern-sehen, ma oggi sempre più Tele-fon (e anche Tele-vision). L'italiano in
questo caso, non possedendo la regola di formazione dei composti come il
tedesco, non ha difficoltà ad adottare il prestito (d'origine, oggi, per lo più
inglese).

Tele- (di origine greca: = lontano) è uno dei tanti prefissi oggi comuni e
estremamente produttivi nelle lingue d'Europa come super-, mini-, euro- e
numerosi altri. Anch'essi fanno parte ormai del "lessico SAE".

Le lingue romanze non conoscono (o non conoscevano) il composto Nome


determinante+Nome determinato (del tipo inglese ferry-boat, ted. Auto-bahn):
l'ital. ferro-via è un calco sul ted. Eisen-bahn e l'espressione più propriamente
romanza sarebbe un costrutto analitico del tipo chemin-de-fer, come ferro-da-
stiro, ma ted. Bügel-eisen! (su ciò si veda anche 7.1). Ma ormai anche le lingue
romanze nell'ambito del SAE trovano comodo far uso di questa possibilità
strutturale: auto-strada, auto-lavaggio, auto-radio, dove la funzione di auto-,
parola di per sé autonoma, non è differente da quella di euro- in euro-mercato,
euro-deputato o di mini- in mini-bus, mini-gonna – né, del resto, da quella del più
antico filo- di filo-tedesco, filo-comunista o del classico filo-logo, oggi non più
analizzabile.

3.1 - Il quadro storico di riferimento

Molto meno indagato del problema trattato nella UD 2 è quello della possibile
esistenza di una "lega linguistica" nel bacino del Mediterraneo [Fig.1]. Come si è già
detto in 1.4, è d'altra parte plausibile immaginare che secoli e secoli di contatti
interlinguistici lungo le sponde di questo mare abbiano dato origine a interferenze e
somiglianze anche tra lingue appartenenti, dal punto di vista genealogico, a famiglie
linguistiche differenti. Sulle coste mediterranee si parlano oggi sostanzialmente
lingue di comune origine indoeuropea (romanze, slave, albanese, greco), lingue
semitiche (le diverse varietà di arabo, l'ebraico moderno), il turco. Un tempo si
affacciava sulle coste africane del Mediterraneo in misura decisamente superiore ad
oggi anche il berbero.

Fig. 1 Ben noti sono i casi di prestiti lessicali tra queste lingue. Un classico esempio è
rappresentato dal latino CASTRUM donde il greco to kástro ( = luogo fortificato,
cittadella) e l'arabo al qasr. A sua volta lo spagnolo ha preso a prestito il termine arabo incorporando nel
nome l'articolo al: alcázar ( = fortezza, palazzo, reggia); l'italiano càssero ( = castello di poppa sulle navi) ha
ristretto a un significato più tecnico il vocabolo arabo, preso a prestito senza articolo. Vi è quindi un intreccio
complicato che riflette complesse vicende storiche stratificate nel tempo. In altro momento storico il turco
divan ( = consiglio di stato) si è diffuso in tutta Europa col significato metonimico di "divano", il luogo dove
siede/si raduna il consiglio di stato, mentre in arabo e persiano (dīwān) esso vale "raccolta di poesie" (si
ricordi il Westöstlicher Diwan di Goethe!).

Ma il lessico è la parte della lingua più permeabile agli influssi provenienti dall'esterno, come si vedrà più
diffusamente in UD 7. Un valore molto maggiore per provare l'esistenza di una vera "lega linguistica"
rivestono fenomeni sintattici, morfologici e fonologici.

3.2 - Considerazioni metodologiche

In negativo si può osservare l'assenza in tutte le lingue dell'area di una delle


quattro strategie principali per esprimere la frase relativa: cioè quella in cui la
frase relativa contiene la testa nominale, ripetuta o ripresa pronominalmente
nella frase principale. In italiano sarebbe qualcosa come *Il quale uomo ha
acquistato il biglietto, quell'uomo (quello) si presenti allo sportello (per l'uomo
che ha acquistato il biglietto si presenti allo sportello) - costrutto che si trova
abbastanza frequentemente nelle lingue classiche con la cosiddetta anticipazione
del relativo.

Ma questa strategia è esclusa in molte altre lingue non mediterranee, come


inglese e russo. Per poter considerare un fenomeno come caratteristico delle
lingue mediterranee occorre poter delimitare in positivo un confine al di là del
quale il fenomeno stesso non si presenta.

Analogamente, tutte le lingue mediterranee, ad eccezione del turco, conoscono il


costrutto con una marca di relativo invariabile, cioè al di fuori della morfologia
flessiva (ital. che, greco pou, ecc.). L'uso di una marca di relativo invariabile è la
sola strategia possibile nella maggioranza delle lingue semitiche (ebreo, varietà
arabe, maltese) ed è una strategia diffusa nelle varietà substandard delle lingue
romanze, in sloveno, greco moderno, albanese: ital. l'uomo che gli ho dato
l'ombrello non è più tornato. Qui la marca di relativo è accompagnata da una
ripresa pronominale anaforica (gli), che chiarisce il ruolo della testa nella relativa.
Tuttavia, l'uso di una marca di relativo invariabile è notevolmente diffuso tra le
lingue del mondo. Conseguentemente anche a questo parametro non può essere
assegnato un alto indice di "mediterraneità".

3.3 - Tratti linguistici caratteristici dell'area mediterranea

In positivo possiamo citare alcune caratteristiche che non si estendono al di là di


lingue parlate attorno al Mediterraneo.

a. I suffissi aumentativi sono in generale più rari dei diminutivi. Vale anche per le
lingue mediterranee la generalizzazione implicazionale: se una lingua ha
l'aumentativo allora essa ha anche il diminutivo. I suffissi aumentativi
mediterranei formano derivati del tipo "grande X" ( palla > pallone, casa >
casone e anche amico > amicone) e nomi animati col significato di "uno che è/
ha/ fa X in grande misura/ in misura esagerata", donde il valore negativo
(mangione) che si è sviluppato nelle lingue romanze (e anche in greco moderno).
Questa duplice accezione sembra essere una peculiarità delle lingue parlate
attorno al Mediterraneo, assai poco frequente tra le lingue del mondo; oltre che
nel greco e nelle lingue romanze la ritroviamo a Malta e nell'arabo marocchino,
aree semitiche notoriamente esposte all'influsso romanzo dall'Italia (Sicilia) e,
rispettivamente, dalla Spagna. Inoltre si delinea un confine nella diffusione del
fenomeno che oppone le lingue che conoscono questo fenomeno a quelle con essa
confinanti, sia in Europa che in Africa e Medio Oriente: le lingue germaniche, il
polacco, il ceco, il russo, il turco e le varietà arabe tranne il marocchino non
conoscono l'aumentativo nella sua accezione peggiorativa;

b. L'iterazione, anche con i sostantivi, del tipo italiano piano piano (si veda in
siciliano li vidi jiri pri li strati-strati = lo vidi che andava strada dopo strada).
Questa caratteristica si trova in bulgaro, turco, rumeno, sefardita, greco, maltese,
georgiano, siciliano, corso, sardo, italiano, albanese, basco, aragonese,
portoghese, catalano, curdo, arabo colloquiale – e anche nella "lingua franca" che
serviva da veicolo di comunicazione basica fra le varie popolazioni costiere e che
certamente ha contribuito non poco alla creazione della possibile "lega linguistica"
mediterranea. In un testo del 1612 si legge: patron donar bona bastonada,
mucho mucho. È noto invece che le lingue dell'Europa centrale e settentrionale
(celtiche, germaniche, slave, ugro-finniche) non fanno uso di questa tecnica.
Quindi si individua un limite settentrionale di questa isoglossa, analogo a quello
degli aumentativi;
c. il complemento oggetto (O) marcato da una preposizione, tipico dei dialetti
italiani e dell'italiano regionale meridionali - in specie per complementi oggetto
animati e definiti (aiutare a Giovanni) - è un classico caso di diffusione di un
tratto romanzo: l'arabo classico marcava l'oggetto diretto mediante il caso
accusativo -a. Ora, invece, si riscontra l'uso di una preposizione a Malta e un
oggetto preposizionale si trovava anche nell'arabo di Spagna. Si configura così
una seconda linea di confine nel Mediterraneo, quella che oppone le varietà arabe
(e anche il berbero) senza preposizione ad alcune varietà di arabo occidentale
esposte al tipo romanzo, con preposizione. La configurazione storico-geografica di
questa isoglossa non si differenzia molto da quella vista nel precedente caso a. In
entrambi i casi si delinea un'area di influenza romanza su particolari varietà
arabe. La distribuzione geografica non è casuale, bensì il risultato di vicende
storiche, talvolta direttamente documentate, talvolta ricostruibili. La prospettiva
diacronica è ineliminabile nella nozione di "lega linguistica".

I fenomeni descritti in a., b. e c. costituiscono evidentemente solo degli esempi di


possibili isoglosse mediterranee, cui altri se ne potrebbero aggiungere, sia al
livello morfologico come a., sia al livello sintattico come b. e c. (per una isoglossa
fonetica si veda 3.4). Tutto ciò pone la domanda di fondo del successivo
paragrafo.

3.4 - Il Mediterraneo costituisce un'"area linguistica"?

Una lingua mediterranea possiede tipicamente le seguenti caratteristiche (Stolz,


in stampa):

a. reca le marche delle relazioni sintattiche sull'elemento dipendente (la


maratona di New York);

b. non ha la necessità di esprimere col verbo il suo soggetto pronominale (Ø


correrà la maratona di New York);

c. è di tipo accusativo, cioè il soggetto del verbo transitivo è codificato allo stesso
modo di quello del verbo intransitivo (quel ragazzo corre ogni giorno; quel
ragazzo correrà la maratona di New York);

d. ha come ordine dominante SVO (quel ragazzo[S] correrà[V] la maratona di


New York[O]);

e. marca la definitezza mediante elementi con funzione di articolo nel sintagma


nominale (la maratona di New York);

f. ha almeno due generi per alcuni sostantivi (il tavolo, la tavola).

L'italiano, dunque, presenta tutte e sei le caratteristiche. Ciascuna di queste può


essere di volta in volta condivisa da altre lingue non mediterranee. L'inglese, ad
esempio, ne condivide 4 (a., c., d., ed anche f. come "categoria nascosta", ma
non inesistente). Una lingua che possiede tutte e sei le caratteristiche potrà
dunque esser considerata come rappresentante prototipica del "tipo
mediterraneo". Per contro ad esempio il francese che oggi può esser considerato
lingua mediterranea pur se le sue origini sono nel nord della Francia, ha l'obbligo
di esprimere col verbo il soggetto: il court chaque jour (manca quindi della
caratteristica b., e pertanto è meno prototipicamente mediterranea dell'italiano).
È evidente sotto questo aspetto che il Mediterraneo non costituisce un'area
linguistica omogenea. Vi si distinguono in realtà due "subaree" maggiori: quella
semitica con tutte le varietà dell'arabo, ebreo e maltese, quella romanza con
castigliano, catalano, francese, italiano (compreso il sardo e le varietà dialettali,
specialmente quelle meridionali). A queste si aggiungono le lingue balcaniche
(albanese, greco, bulgaro e macedone, in parte serbo-croato) e il turco. Per
quanto riguarda in particolare l'italiano, possiamo concludere che esso, sia al
livello lessicale che a quello morfologico-sintattico, appartiene pienamente all'area
mediterranea. A livello fonologico caratteristica dell'area è anche quella di
presentare sistemi vocalici privi delle cosiddette "vocali turbate" ([æ],[ø],[y]): è
così del greco, del serbo e del croato, del bulgaro e del macedone, delle lingue
semitiche, di quelle romanze, compreso il rumeno, ma ad eccezione del francese,
delle cui origini non-mediterranee si è già detto, e dei dialetti italiani
settentrionali, per certi aspetti più vicini al francese che all'italiano standard e ai
dialetti meridionali, nonché dell'albanese e del turco, arrivato molto tardi ad
affacciarsi sul Mediterraneo.

In conclusione, per quanto concerne specificamente la posizione dell'italiano,


possiamo dire che esso da un lato partecipa molto intensamente alle principali
caratteristiche del SAE (vedi 2.2) - e ciò specialmente nelle sue varianti
settentrionali; dall'altro esso condivide - specialmente nelle sue varianti
meridionali - molti tratti che sono caratteristici dell'area mediterranea. E ciò
conferma quanto si diceva alla fine di 3.3 circa l'importanza della prospettiva
storico-diacronica per la comprensione dei fenomeni di tipologia areale.

.1 - Fonologia

Da un punto di vista tipologico, il sistema fonologico dell'italiano non


presenta tratti particolarmente "esotici". Il sistema vocalico è di sette
fonemi nella varietà standard (dove si oppongono la e mediobassa di
vènti ( = fenomeni atmosferici) e quella medioalta di vénti ( = numero),
così come la o mediobassa di bòtte ( = colpi) e quella medioalta di bótte
( = recipiente), disposti simmetricamente rispetto alle serie anteriore e
posteriore, con tre gradi di apertura ciascuna, più la a, centrale e di
massima apertura. Si tratta di un sistema di media complessità, in cui
non sono pertinenti né il tratto di lunghezza, né quello di arrotondamento
(deducibile da quello di posteriorità), né quello di nasalità, a differenza di
alcune delle lingue europee maggiori, come il francese, l'inglese e il
tedesco, che presentano sistemi vocalici molto complessi se considerati da un punto di vista tipologico
generale. Nel sistema consonantico, il tratto più peculiare è probabilmente il valore distintivo della lunghezza
(come in pala/palla), condiviso da ben 15 dei 21 fonemi consonantici italiani e assente in tutte le altre lingue
ascrivibili allo Standard Average European (2.1): in Europa, a parte l'italiano, si ritrova solo in alcune lingue
collocate arealmente ai margini, come l'ungherese, l'estone, il finnico, il maltese (in spagnolo è presente solo
per la vibrante r). Relativamente inconsueti nelle lingue d'Europa sono anche i fonemi nasale palatale (in
ragno) e laterale palatale (in paglia), che l'italiano condivide peraltro con altre lingue romanze, e
l'abbondanza di fonemi affricati – quattro, due dentali (costanza, pranzo) e due palato-alveolari (luce, legge)
– anche se, presi singolarmente, nessuno di essi può dirsi raro. Comune alla quasi totalità delle lingue
europee è invece la pertinenza generalizzata del tratto di sonorità (baro/paro, fasto/vasto ecc.), un fatto
tutt'altro che ovvio nelle lingue del mondo.

La struttura sillabica si conforma più a caratteristiche tipologiche generali che a quelle di molte lingue
europee. Al di là dei tipi di sillaba universalmente (o quasi) presenti, cioè i due più semplici V e CV (con la
vocale, V, preceduta al più da una consonante, C, e non seguita da nessuna), l'italiano fa infatti un uso
relativamente scarso di tipi più complessi, come VC, CVC (entrambi praticamente assenti in fine di parola),
CCV, CCVC, tutti molto più frequenti nelle altre grandi lingue di cultura europee.

4.2 - Morfologia flessiva: il sistema verbale

Come si è visto in 1.2, l'italiano appartiene fondamentalmente al tipo morfologico


flessivo o fusivo. La morfologia flessiva dell'italiano è particolarmente sviluppata
nel sistema del verbo, dove codifica almeno cinque distinte categorie
grammaticali: persona, numero, tempo, aspetto e modo. La voce o diatesi
(attivo/ passivo) è anch'essa una categoria grammaticale del verbo italiano, però
non è espressa con mezzi morfologici, bensì sintattici, cioè con ausiliari (che,
naturalmente, contribuiscono anche alla realizzazione di tempo, aspetto e modo).

Nel confronto con le altre lingue d'Europa, una variabile importante è data dal
maggiore o minore rilievo delle categorie temporali, che collocano l'evento nel
tempo rispetto al momento di enunciazione (come andò e andrà, rispettivamente
passato e futuro), rispetto a quelle aspettuali, che considerano l'evento rispetto
alla sua articolazione interna (come in mentre andava e ieri andò, rispettivamente
imperfettivo e perfettivo, anche se, in quest'ultimo caso, entrambi esprimono il
passato dal punto di vista del tempo). Le lingue slave danno un particolare rilievo
alle categorie aspettuali, mentre molte lingue dell'Europa centro-occidentale (in
particolare quelle germaniche) privilegiano nettamente le categorie temporali,
non dando affatto espressione grammaticale all'aspetto (come in tedesco) o
relegandolo per così dire ai margini della grammatica (cioè esprimendolo non
morfologicamente, ma con perifrasi non sempre obbligatorie, come l'inglese).
L'italiano si colloca da questo punto di vista in una posizione intermedia, che
condivide con le altre lingue romanze: infatti il contrasto aspettuale è
grammaticalizzato obbligatoriamente solo nei tempi passati.

Una categoria tipologicamente rilevante, ma marginale in Europa (salvo che in


alcune lingue balcaniche) è quella dell'"evidenzialità". In molte lingue del mondo,
è essenziale per la codifica grammaticale di un evento specificare se chi parla lo
ha visto direttamente, o lo ha sentito dire da altri, o lo deduce indirettamente da
altri fatti osservabili, e così via. Un uso italiano che si collega all'evidenzialità è il
cosiddetto "condizionale giornalistico", quando l'autore di un servizio vuole riferire
un fatto senza essere in grado di verificare in pieno la sua autenticità, e usa
espressioni come: ci sarebbero una dozzina di feriti, il rapinatore avrebbe preso
in ostaggio due donne ecc.

4.3 - Morfologia flessiva: il sistema nominale

Delle tre categorie lessicali maggiori (nome, verbo e aggettivo), le sole


identificabili come tali in una buona parte delle lingue del mondo (non in tutte!),
l'italiano tratta in modo sostanzialmentre parallelo nomi e aggettivi, opponendoli
nettamente dal punto di vista morfologico ai verbi. In questo non fa che seguire
un'eredità indoeuropea, che però non può essere generalizzata automaticamente
alle lingue del mondo: molte di queste, infatti, tendono a "sentire" le proprietà
espresse dagli aggettivi come più affini a quelle verbali, e a trattarli anche
morfologicamente di conseguenza.

La morfologia nominale e aggettivale dell'italiano è molto più semplice di quella


del verbo, riducendosi ad esprimere due categorie, il numero e il genere;
quest'ultimo ha in realtà carattere propriamente flessivo solo negli aggettivi,
essendo, nei nomi, piuttosto un tratto inerente, proprio di ciascuna parola ma non
sempre codificato morfologicamente. Vi si può aggiungere il grado, codificato
negli aggettivi con la marca del superlativo, che però per certi aspetti ha uno
status intermedio tra flessione e derivazione. Non sono espresse
grammaticalmente almeno tre categorie tipologicamente importanti: il caso (le
cui funzioni in italiano sono svolte in massima parte dalle preposizioni), il
possessore (codificato con mezzi lessicali e non morfologici, per esempio in
italiano la mia casa si differenzia dall'ungherese háza-m), e la definitezza
(espressa per mezzo degli articoli, vedi 4.4). Se le ultime due sono codificate
morfologicamente solo in poche lingue europee, quasi sempre esterne alla
famiglia indeoeuropea, il caso è invece una categoria tipica della flessione
nominale indoeuropea, che molte lingue europee moderne hanno però perduto o
robustamente ridimensionato (per l'italiano rispetto al latino, vedi 6.3). Il caso è
tuttora vitalissimo nelle lingue baltiche e slave, e in misura minore in quelle
germaniche, celtiche e nel greco (2.3). Essenziale nella morfologia del gruppo
nominale è il fenomeno dell'accordo con la testa nominale: in una frase come
tutte le tue simpatiche amiche sono arrivate stanche morte, la marca -e di
genere/numero ritorna sette volte a ribadire, con notevole ridondanza, i tratti
femminile e plurale associati al nome amiche. L'accordo è ben presente in molte
lingue d'Europa, ma forse in poche è così pervasivo come in italiano.

4.4 - L'articolo e l'espressione della definitezza

Un tratto comune alle lingue ascrivibili allo Standard Average European (2.1) è
l'espressione della categoria della definitezza per mezzo di parole grammaticali,
solo parzialmente libere e non dotate di autonomia accentuale: gli articoli. Non si
tratta di un'eredità indoeuropea, perché le lingue indoeuropee antiche (salvo il
greco) non possedevano articoli, né mezzi morfologici per codificare
esplicitamente la definitezza.

L'italiano partecipa pienamente di questa innovazione, con un articolo definito


(il/lo/la, pl. i/gli/le) che segnala il referente come noto o comunque identificabile
da parte dell'ascoltatore (si applica dunque anche ai referenti unici come il sole),
e un articolo indefinito (un/uno/una, pl. dei/degli/delle) con la duplice funzione di
marcare referenti identificabili dal parlante ma non dall'ascoltatore (ho preparato
una pietanzina che ti piacerà: uso indefinito specifico) e referenti non identificabili
da nessuno dei due (mi piacerebbe scrivere un libro di avventure: uso indefinito
non specifico).

Mentre l'articolo definito è applicabile sia a nomi numerabili (il tavolo) che non
numerabili (la sabbia), l'articolo indefinito è compatibile solo con nomi numerabili:
per quelli non numerabili subentra una terza forma, l'articolo partitivo del, o
talora l'assenza di articolo (c'è della sabbia/ c'è sabbia nelle tue scarpe).

Ai margini della regione centrale dell'Europa, l'innovazione dell'articolo non è


generalizzata: la maggioranza delle lingue slave non lo possiede, mentre altre lingue
hanno solo quello definito (ungherese, maltese) o quello indefinito (turco).

4.5 - Sintassi e organizzazione comunicativa del discorso

Si è detto (1.3) che l'italiano è una lingua di ordine basico SVO come l'inglese.
Rispetto all'inglese, però, l'italiano ha un ordine dei costituenti molto più libero.
L'ordine SVO, per esempio in Mario leggeva il giornale, va inteso solo come quello
più frequente e più neutrale rispetto all'organizzazione comunicativa del discorso;
sono certo possibili anche frasi come la torta l'ho fatta io (OVS), proprio questo
Gianni non capisce (OSV), recupera il pallone Maradona (VOS), ho preso io il
giornale (VSO), Mario solo questo voleva (SOV). Infatti, le lingue con un ordine
dei costituenti relativamente libero fanno spesso uso di questa libertà sintattica
per segnalare funzioni discorsive che in lingue dall'ordine più rigido sono
principalmente lasciate all'intonazione. Tra le costruzioni di questo tipo in italiano
vanno almeno menzionate:

(i) le dislocazioni a sinistra, come in le chiavi le ha prese Mario, per segnalare che
il costituente dislocato (le chiavi) è già stato menzionato o comunque è ben
presente all’ascoltatore; se poi, come in questo caso, il soggetto segue il verbo,
esso viene identificato al contrario come parte saliente, informativamente nuova
dell’enunciato;

(ii) Diversa funzione ha una frase solo apparentemente simile alla precedente
(sono entrambe OVS), cioè LE CHIAVI ha preso Mario, senza il pronome atono le
e con intonazione marcata su le chiavi: qui si tratta di contrastare, con valore di
rettifica, le chiavi con qualche diversa alternativa precedentemente fornita nel
discorso: le chiavi (non l'ombrello);

(iii) l'inversione Verbo-Soggetto, che tra le sue funzioni ha quella di presentare


l'intero evento descritto (soggetto incluso) come informazione nuova per
l'ascoltatore (arriva il tram! oppure Si è sentito male Gianni). Frasi di questo tipo
sono naturali come risposta a domande del tipo cosa è successo?, ma non a
domande che danno già il soggetto per noto (Cosa ha fatto Gianni? *Si è sentito
male Gianni).

5.1 - Il continuum delle varietà linguistiche romanze

Le lingue romanze, a cui appartiene l'italiano, sono una sottofamiglia di lingue


indoeuropee molto strettamente imparentate tra loro sul piano genetico (la loro
separazione dal comune progenitore, il latino, risale a meno di due millenni) e
non molto differenziate nemmeno sul piano tipologico. Quelle che mostrano più
caratteristiche devianti sono con ogni probabilità il romeno (separato anche
geograficamente dal continuum delle altre lingue fin dall'alto medioevo, ed
esposto a contatti linguistici molto diversi, in particolare con le lingue slave), il
francese (che ha una storia di intenso contatto con le lingue germaniche) e il
sardo (per i molti tratti arcaici che ha conservato in virtù del suo isolamento).

A parte il romeno e il sardo, le varietà linguistiche romanze non sono separate da


confini netti ma costituiscono un continuum. Le grandi lingue di cultura (italiano,
francese, spagnolo, portoghese, a cui va nuovamente aggiungendosi oggi il
catalano) sono il risultato di un processo di standardizzazione di particolari varietà
di prestigio e fungono per così dire da "lingue-tetto" per l'intera comunità di
parlanti: vale a dire, almeno una di esse è oggi nota praticamente a tutti i
parlanti dell'area romanza, che la utilizzano quanto meno per ricoprire le esigenze
comunicative "alte", cioè formali e ufficiali. Ma al di sotto di queste varietà
nazionali esiste ancora una gamma di varietà regionali e locali (con vitalità molto
diversa da regione a regione) che da un punto di vista storico non sono figlie,
bensì sorelle delle varietà maggiori, cioè al pari di esse discendono direttamente
dal latino. Questo vale particolarmente per i dialetti d'Italia, la cui diversità
linguistica è maggiore che in qualunque altra area della Romània (come si
designa il complesso delle regioni abitate dai parlanti di lingue romanze).

Non è quindi da aspettarsi che l'italiano, trovandosi all'interno del continuum, si


opponga di frequente con tratti propri all'insieme di tutte le altre lingue romanze;
da un punto di vista tipologico, è piuttosto il caso di illustrare alcuni tratti che
l'italiano possiede in quanto lingua romanza, ma che caratterizzano questo
gruppo all'interno delle lingue d'Europa.

5.2 - Un tratto peculiare della derivazione: il sistema degli alterati

Tutte le lingue romanze (con l'eccezione del francese moderno, dove gli impieghi
sono molto ridotti) hanno largamente sviluppato una possibilità già presente in
latino, quella dell'alterazione. In particolare, l'italiano possiede un'ampia gamma
di suffissi (i più comuni sono -ino, -etto, -ello, -uccio, -otto, -one, -accio, -astro
per nomi e aggettivi; per i verbi, -icchiare, -acchiare, -ucchiare, oltre ad -ettare,
-ottare, -(er)ellare) che modificano il significato delle basi a cui si applicano senza
però modificarne i tratti essenziali:

a. diminutivi/attenuativi (casetta = piccola casa, operazioncina = operazione di


poco conto, freddino = un po' freddo, calduccio = piacevolmente caldo);

b. accrescitivi (macchinone = grossa macchina);

c. peggiorativi (lavoraccio = lavoro sgradevole e faticoso; poetastro = poeta


scadente);

d. per i verbi, oltre che attenuativo, anche frequentativo (studiacchiare = studiare


poco e malamente, dormicchiare = dormire un po', a tratti).

Spesso formazioni di questo tipo si lessicalizzano, cioè si specializzano nel


designare oggetti diversi dalla base: si pensi a forchetta rispetto a forca, al
libretto d'opera, al panino o al recente telefonino.

Più importante è il fatto che la loro funzione non si limita a modificare il significato
della parola a cui si applicano, ma molto spesso è un modo per caratterizzare
diversamente l'intero enunciato, ad esempio per attenuare una comunicazione
sgradevole (dobbiamo fare il bagnetto, detto a un bambino) o addolcire una
richiesta (mi darebbe un aiutino?). In questo senso, è raro che le orette durino
meno delle ore, e le mammine possono tranquillamente pesare cento chili.

Formazioni dello stesso tipo, con funzioni almeno in parte analoghe, si ritrovano
in molte lingue slave, in greco e anche in alcune lingue germaniche (specialmente
in neerlandese e, meno pervasivamente, in tedesco); nell'italiano sono però
particolarmente salienti, sia per varietà di forme che per vastità e frequenza di
impieghi. Sulla diffusione degli accrescitivi/peggiorativi si veda anche 3.3.

5.3 - I pronomi clitici

Nell'ambito dei pronomi personali, le lingue romanze hanno generalizzato una


distinzione molto limitatamente presente in latino: quella tra pronomi tonici (in
italiano io, voi, lui ecc.) e pronomi atoni o clitici (in italiano mi, gli, le, lo ecc.). In
italiano, i pronomi clitici propriamente personali (incluso il riflessivo si, vedi 5.4)
esprimono le funzioni di complemento oggetto e di dativo, ma il sistema è
ulteriormente integrato da ci e ne, che ricoprono numerose altre funzioni
semantiche: il primo, stato/moto a luogo (come in viverci/andarci), e dativo
riferito a entità non animate (ci darò un'occhiata); il secondo, agente/causa
efficiente del passivo (ne è stato colpito), provenienza (ne verrà fuori), partitivo
(prendine pure), e vari complementi introdotti da di (ne parleremo, ne è fiero,
ne è l'autore ecc.). Quindi l'italiano dispone di un sistema di clitici che copre
praticamente tutti i ruoli più importanti nella frase, ad esclusione di quello di
soggetto. I dialetti dell'Italia settentrionale si sono spinti ancora più avanti,
sviluppando anche una serie di pronomi clitici soggetto.

I pronomi clitici possono anche cumularsi nella stessa frase, in gruppi di due
(gliene parlo, me lo dici) o, più raramente, di tre (ti ce lo porto). La loro
distribuzione sintattica è interessante: seguono il verbo ("enclitici") nelle forme
non finite e all'imperativo (andandoci, parlamene!), mentre lo precedono
("proclitici") negli altri casi.
Le funzioni dei clitici sono molteplici. In particolare, essi sono il mezzo più
frequente per riferirsi ad entità già menzionate nel discorso (è la funzione detta
anaforica, svolta per esempio da gli nella sequenza di frasi: C'è Gianni al
telefono. Gli vuoi parlare?), mentre i pronomi tonici si usano in questa funzione
solo in casi di particolare rilievo discorsivo: i clitici sono dunque gli strumenti
essenziali per garantire la coesione testuale. Inoltre, intervengono nella
costruzione di alcuni tipi di frasi con ordine marcato dei costituenti, in particolare
nelle dislocazioni a sinistra (le chiavi le prendo io, vedi 4.5). In altri casi, si
legano più strettamente al verbo modificandone sostanzialmente il significato (il
caso dei verbi pronominali, come andarsene, prendersela, farcela, piantarla). Per
ulteriori funzioni dei clitici riflessivi (non solo si, ma anche mi, ti, ci, vi per le altre
persone) si veda 5.4.

Anche i pronomi clitici non sono un'esclusività romanza in Europa: elementi con
funzioni analoghe si ritrovano in molte lingue slave (polacco, ceco, lingue slave
meridionali) e in greco.

5.4 - I diversi valori del pronome si

In latino, il pronome SĒ aveva essenzialmente la funzione riflessiva di riferirsi al


soggetto della frase. I discendenti romanzi di questa forma, accanto all'uso
ereditato, hanno sviluppato tutta una serie di ulteriori impieghi che non possono
più dirsi riflessivi in senso stretto, e l'italiano ne è particolarmente ricco. Un primo
caso si trova con soggetti plurali o coordinati: gli avversari si guardano, Gianni e
Maria si amano, dove la normale interpretazione non è riflessiva, ma reciproca
( = ciascuno guarda/ama l'altro).

Più importanti sono i casi come il vetro si è rotto, dove il si non può dirsi
riflessivo, perché l'azione non parte dal soggetto, che è inanimato: infatti la frase
non può parafrasarsi con "il vetro ha rotto se stesso". Il si qui funziona piuttosto
come un meccanismo grammaticale per trasformare un verbo transitivo come
rompere nel corrispondente verbo intransitivo: per questo motivo viene spesso
definito "anticausativo", dato che opera nel senso opposto alla perifrasi causativa
(per esempio far correre), che trasforma un verbo intransitivo in uno transitivo.
Una funzione in parte analoga (anche se le proprietà sintattiche di questo si sono
diverse) si trova in casi come si corre, dove il si trasforma un verbo intransitivo in
uno impersonale, cioè senza un soggetto identificabile. Affine al si impersonale è
poi il cosiddetto si "passivante", in costruzioni come qui non si vendono liquori
(parafrasabile con un passivo, "vengono venduti").

Importante è anche l'uso, frequente soprattutto nel parlato, che si trova in frasi
come Mario si è mangiato un bisteccone, dove il si non è ovviamente
parafrasabile con "a se stesso", ma segnala un coinvolgimento emotivo del
soggetto. Infine in casi come Mario si pente, il si non ha una funzione autonoma,
ma è parte integrante del verbo pronominale pentirsi: il verbo pentire, infatti, non
esiste. Questi ultimi due impieghi non sono propri del solo si, ma anche degli altri
clitici di prima e seconda persona con funzione riflessiva (mi mangio un gelato, vi
pentite).

L'interesse tipologico di queste evoluzioni del significato del riflessivo sta nel fatto
che non sono casuali, ma seguono meccanismi ricorrenti che si ritrovano
indipendentemente in lingue diverse. Anche in Europa, alcuni fenomeni paralleli si
ritrovano negli impieghi del riflessivo in alcune lingue slave e scandinave.

5.5 - La negazione
Il modo con cui una lingua esprime la negazione di frase è un altro parametro
tipologicamente rilevante. Normalmente in Europa la negazione viene espressa
con mezzi non morfologici, ma sintattici, cioè con una particella parzialmente
autonoma ma legata al verbo; una strategia molto diversa, ma del tutto
minoritaria, è l'impiego di una sorta di verbo ausiliare negativo, come in
finlandese e anche, in parte, nell'inglese moderno don't, doesn't.

La posizione della negazione rispetto al verbo diventa allora un parametro


significativo (Bernini, Ramat 1992). Alcune lingue associabili al SAE (vedi 1.2),
più altre dell'Europa settentrionale, hanno in comune la caratteristica di avere la
negazione dopo il verbo, come nel tedesco er spricht nicht, neerlandese hij praat
niet ( = lui non parla, ma letteralmente "parla - non"). Anche il francese parlato
contemporaneo si comporta nello stesso modo, perché mentre lo scritto presenta
una negazione discontinua pre- e post-verbale (il ne parle pas), nel parlato il ne
viene praticamente sempre omesso: [i paRl 'pa]. A parte il francese, le altre
lingue romanze principali, incluso l'italiano, hanno invece la negazione preverbale,
continuando lo stato di cose del latino.

La negazione postverbale è per lo più il risultato della reinterpretazione di un


elemento originariamente rafforzativo, indicante o l'indefinito niente o una piccola
quantità positiva (il francese pas in origine non è altro che passo), che col tempo
diventa il vero portatore del significato negativo, mentre l'originaria negazione
preverbale sparisce. Il processo (detto "ciclo di Jespersen") ha riguardato anche
molti dialetti dell'Italia settentrionale (piemontesi, lombardi ed emiliani), nei quali
l'attuale negazione postverbale risale – a seconda delle varietà – a niente o a una
tra diverse parole per briciola (come per l'italiano mica), goccia, punto ecc.

Caratteristico dell'italiano, e della maggioranza delle lingue romanze, è anche il


particolare comportamento degli indefiniti negativi, che richiedono la negazione di
frase se postverbali (non verrà nessuno), ma la rifiutano se preverbali (nessuno
verrà). Il comportamento è intermedio tra quello delle lingue germaniche, dove la
negazione di frase è sempre assente (come avveniva anche in latino), e quello delle
lingue slave, dove invece è sempre presente.

6.1 - Generalità e fatti fonologici VUOI IDENTIFICARTI?

Utente
Può apparire, a prima vista, che
l'italiano sia rimasto molto vicino al Password
suo progenitore latino, per lo meno
rispetto alle altre lingue romanze
principali. È però difficile dare un peso
scientifico a questa impressione, che
presumibilmente poggia soprattutto
sulla relativa stabilità del lessico.

Dimenticato la password?
In fonologia, è essenzialmente
l'aspetto conservativo dell'ortografia a
dare una illusione di stabilità nel
passaggio dal latino all'italiano. In REGISTRATI
realtà vanno registrati mutamenti di Potrai accedere alla
Biblioteca e partecipare ai
grande rilievo, come i seguenti: Forum!

a. la perdita del valore distintivo della Clicca qui!


quantità vocalica, per cui si veda il
latino vēnit ( = venne) che si oppone a
vĕnit ( = viene), fatto condiviso da
tutte lingue romanze (anche se il MAILING LIST
francese e alcune varietà minori hanno Per ricevere le notizie di ICoN
reintrodotto un'opposizione di quantità lascia la tua
e-mail
in alcune vocali);

b. l'acquisto di valore distintivo


dell'accento, divenuto non prevedibile
nella sua posizione, per cui àgito,
agìto, agitò sono parole diverse;
l'accento latino, invece, era mobile
(potendo cadere sulla penultima o
sulla terzultima sillaba), ma la sua
posizione era sempre prevedibile in
base a regole, quindi non poteva
essere distintivo; IL NOSTRO TEST
Quanto conosci la lingua
c. l'introduzione di nuovi modi e luoghi italiana?

di articolazione nel sistema


consonantico, in particolare le affricate
di costanza, pranzo, luce, legge, e le
palatali di scena, moglie, bagno;

d. rilevanti semplificazioni nella


struttura sillabica, con la perdita
pressoché completa delle sillabe con
finale consonantica in fine di parola
(rimangono solo alcune parole dal
significato grammaticale come non,
per, del, oltre naturalmente alle ormai
numerosissime parole di origine
straniera come bar, gas, gol, sport).

Quanto ai livelli di analisi più


propriamente grammaticali della
lingua (morfologia e sintassi), i
cambiamenti strutturali dal latino
all'italiano sono ancora più sensibili, e
senz'altro si può dire che l'italiano li
condivide in gran parte con le altre
lingue romanze. In altre parole, le
lingue romanze sono molto più simili
tipologicamente tra loro che non una
qualunque di esse rispetto al latino.
Tratti essenziali di questi mutamenti
condivisi sono:

1. tendenza a una crescente


analiticità, con semplificazioni
sostanziali nella morfologia nominale
(6.3) e ampio impiego di ausiliari in
quella verbale (6.2);

2. mutamento del principio di


costruzione sintattico da OV a VO
(6.4).

6.2 - Il sistema verbale

Nel passaggio dal latino all'italiano, il complesso delle categorie grammaticali


espresse dal verbo non è mutato radicalmente; però molti cambiamenti sono
intervenuti nei mezzi morfologici e sintattici impiegati per realizzarle.

Se le categorie rilevanti rimangono tempo, aspetto, modo e diatesi, nei paradigmi


si è registrata una sensibile espansione delle realizzazioni sintattiche (con forme
perifrastiche, cioè per mezzo di ausiliari) rispetto a quelle puramente
morfologiche. In latino, le forme perifrastiche si limitavano sostanzialmente alla
metà dei tempi/aspetti/modi nella diatesi passiva (qualcosa meno del 25% delle
forme); in italiano, si sono estese a tutta la diatesi passiva più metà circa delle
forme di quella attiva (circa il 75% delle forme). All'unico ausiliare latino ESSE
(continuato dall'italiano essere), si sono aggiunti avere e venire.

Una ulteriore diversificazione è nata nell'ambito dei modi, perché gli usi del
congiuntivo latino sono più o meno ripartiti tra due modi italiani, il congiuntivo e il
condizionale. Quest'ultimo è una creazione romanza che si è grammaticalizzata a
partire da un costrutto perifrastico "Infinito + perfetto/imperfetto di HABĒRE"
ipotizzabile per il latino tardo: la forma latina CANTĀRE HABUIT ha dato origine
all'italiano canterebbe, il latino CANTĀRE HABĒBAT diventa in spagnolo cantarìa.
Lo stesso meccanismo (a partire dal presente di HABĒRE) è responsabile della
formazione del futuro romanzo (romeno, sardo e dialetti dell'Italia meridionale
esclusi): il latino tardo CANTĀRE HABEŌ ha dato origine all'italiano canterò.

Ai margini dei veri e propri paradigmi, le lingue romanze fanno grande uso di
costruzioni perifrastiche, in particolar modo per esprimere nozioni di tipo
aspettuale: è il caso, per l'italiano, delle perifrasi stare, andare, venire +
gerundio, della perifrasi imminenziale stare per + infinito, del passivo modale
andare + participio passato e di altre più marginali. Costruzioni perifrastiche non
erano certo ignote al latino, si vedano il tipo ITURUS EST ( = sta per andare) e il
tipo LAUDANDUS EST ( = va lodato), ma le lingue romanze ne hanno molto
espanso l'uso, confermando la tendenza a una maggiore analiticità: il processo
può portare a sostituire nell'uso le forme espresse morfologicamente, come è
accaduto per il passato remoto del catalano, sostituito dal tipo perifrastico vaig
cantar ( = cantai), e come in parte sta accadendo con le perifrasi futurali di varie
lingue romanze (si veda il francese il va manger = mangerà, in concorrenza
spesso vincente con il futuro sintetico il mangera).

6.3 - Il sistema nominale

L'elemento saliente nell'evoluzione del sistema nominale dal latino all'italiano è


senz'altro la perdita completa della categoria del caso. Si tratta anche qui di un
fenomeno generalizzato nell'ambito romanzo, a parte il romeno, che ha
conservato un sistema a due casi (diretto/obliquo) mentre un diverso sistema
bicasuale (nominativo/accusativo) sopravviveva ancora in antico francese (prima
del Trecento). Resti di opposizione di caso si trovano in italiano nel sistema dei
pronomi personali, sia tonici (nominativo io, accusativo e obliquo me) che clitici
(accusativo lo, dativo gli/le). Naturalmente anche qui si ha a che fare con un
aumento di analiticità, perché la maggioranza delle funzioni dei casi latini viene
espressa in italiano da preposizioni; il contrasto tra le funzioni di soggetto e
oggetto è invece per lo più lasciato inespresso, tranne che, parzialmente, per
mezzo dell'ordine dei costituenti.

La categoria del genere è rimasta, ma si è semplificata in due soli valori, maschile


e femminile, con l'eliminazione del neutro. I resti etimologici di forme neutre
(come il plurale le uova opposto al singolare l'uovo) non vanno considerati un
genere a parte, perché non governano un diverso accordo degli aggettivi.
Limitatamente ad alcuni pronomi, è invece divenuto (o rimasto) significativo il
contrasto tra entità umane (eventualmente animate) e non umane: negli
interrogativi (chi si oppone a che, che cosa), negli indefiniti (nessuno/a si oppone
a niente; qualcuno si oppone a qualcosa; ognuno, chiunque sono usati solo per
entità umane; ciò solo per non animate). La stessa distinzione era stata
introdotta per i pronomi soggetto di terza persona (egli/ella per gli umani,
esso/essa per i non umani), ma è da tempo in crisi: oggi tutte e quattro le forme
sono largamente in disuso negli stili non formali.

Infine, la nascita dell'articolo a partire dal dimostrativo di lontananza latino ille


( = quello) ha introdotto una nuova parte del discorso nell'ambito del sistema
nominale (per le sue funzioni si veda 4.4). Si noti che lo stesso dimostrativo ha
dato anche origine ai clitici di terza persona (lo, gli ecc., vedi 5.3).

6.4 - La struttura sintattica: il passaggio da SOV a SVO

Si è visto in 1.3 il rilievo tipologico dell'ordine basico dei costituenti nella frase.
Proprio in quest'ambito si registra un sostanziale capovolgimento nel passaggio
dal latino all'italiano (e più in generale alle lingue romanze): queste ultime sono
infatti tutte SVO (Marco legge un libro), mentre il latino era SOV (MARCUS
LIBRUM LEGIT). I germi di questo passaggio erano già in latino, perché in questa
lingua l'ordine SOV era tutt'altro che rigido, e non tutti i sintagmi si conformavano
al principio costruttivo "Determinante + Determinato". In particolare, già in latino
le preposizioni erano molto più frequenti delle posposizioni. D'altra parte, si è
visto che a sua volta il principio costruttivo collegato all'ordine VO, cioè
"Determinato + Determinante", non è compiutamente realizzato in italiano, che
ammette in molti casi senza problemi la sequenza Aggettivo + Nome.

In ogni caso, l'inversione del principio costruttivo fondamentale è indiscutibile, e


se ne vedono le conseguenze anche nella composizione nominale. Mentre i
composti latini rispecchiavano l'ordine "Determinante + Determinato" (come
SANGUISŪGA, MAGNANIMUS ecc., ovviamente rimasti tali anche in italiano), i
nuovi composti di conio romanzo sono in grandissima parte del tipo "Determinato
+ Determinante", in particolare nei due tipi più produttivi: Nome + Nome
(capostazione, busta paga) e Verbo + Nome (portapenne, mozzafiato).

6.5 - La nascita degli avverbi in -mente: un esempio di


grammaticalizzazione

Il latino possedeva due suffissi diversi per gli avverbi di maniera, -Ē e -ITER, che
nella lingua classica si erano specializzati rispettivamente per gli aggettivi della
prima e della seconda classe: LENTĒ ( = lentamente), ma FORTITER ( =
fortemente). Entrambi questi processi di derivazione non hanno praticamente
lasciato tracce in italiano, che tuttavia si θ dato una nuova strategia per la
formazione degli avverbi: il suffisso -MENTE. L'identico processo si registra in
tutte le altre lingue di cultura romanze, tranne il romeno; è invece marginale o
assente nelle lingue minori, inclusi il sardo e i dialetti d'Italia. L'interesse di
questa formazione, che risale alla fase tardolatina come si vede dal parallelismo
delle diverse lingue, sta nel fatto che si tratta forse dell'unico suffisso
derivazionale romanzo che illustri inequivocabilmente il fenomeno della
grammaticalizzazione, cioè della formazione di nuovo materiale grammaticale a
partire dal lessico. Dal punto di vista diacronico, infatti, il suffisso derivazionale –
MENTE non è altro che l'ablativo singolare della parola latina MENS ( = mente,
animo, atteggiamento). L'avverbio deriva dall’agglutinazione in una sola parola di
quello che originariamente era un sintagma nominale, del tipo DĒVOTĀ MENTE
( = con animo devoto). Un comportamento non ancora completamente
grammaticalizzato θ attestato in italiano antico quando, nel caso di coordinazione,
poteva capitare (anche se di rado) che solo il secondo aggettivo ricevesse il
suffisso: umile e dolcemente (costruzione che è ancora possibile nello spagnolo
moderno). Come è tipico dei fenomeni di grammaticalizzazione, alla perdita di
autonomia formale di -mente si è accompagnata una perdita di concretezza del
suo significato, che gli ha permesso di estendere la sua applicabilità a basi
aggettivali del tutto incompatibili con il valore originario di "mente"
(abbondantemente, fortunatamente, annualmente ecc.).

Da un punto di vista sociolinguistico, è significativo che le attestazioni latine del


tipo DĒVOTĀ MENTE paiano concentrate in testi di carettere elevato (per esempio
giuridico e religioso). Il nuovo suffisso si sarebbe dunque diffuso non tanto
direttamente attraverso il parlato spontaneo, quanto con la mediazione di varietà
formali della lingua: il che concorda con la sua assenza in dialetti e lingue dal
minor prestigio culturale.

7.1 - Il contatto linguistico nel lessico: "prestiti" e "calchi"

Questa unità è dedicata ad illustrare le influenze sul lessico di una lingua che
derivano dal contatto con altre lingue, indipendentemente da eventuali rapporti di
parentela genetica. È nel lessico che il contatto linguistico si manifesta più
facilmente; perché una lingua influenzi sensibilmente un'altra in livelli più
grammaticali, come la sintassi e la morfologia, occorrono rapporti tra le
popolazioni molto più stretti e prolungati, presumibilmente con una rilevante
massa critica di parlanti bilingui. Per i fenomeni di contatto, relativamente
limitati, che riguardano l'italiano a questi livelli si vedano UD 2 e UD 3.

Il contatto lessicale si realizza in due forme diverse: i "prestiti" e i "calchi"


(Gusmani 1987). Si parla di prestito quando una lingua accoglie una parola di una
lingua diversa mantenendone il significante, cioè la forma fonetica (a parte
eventuali adattamenti al proprio sistema fonologico). Ad esempio, biberon, killer,
kitsch, sono prestiti da francese, inglese e tedesco rispettivamente, anche se in
italiano i primi due non sono pronunciati esattamente come lo sarebbero nelle
lingue d'origine. Quasi mai un prestito mantiene nella lingua che lo adotta tutta la
gamma di significati che ha nella lingua da cui proviene: go(a)l è un prestito
dall'inglese nel significato specifico relativo al calcio, ma non in quello più
generale di "scopo, traguardo". Qualche volta il significato del prestito è
addirittura sconosciuto nella lingua d'origine: si pensi al significato italiano di golf
e body.

Il calco è un procedimento più complesso che opera sul significato e non sul
significante. Per esempio, l'italiano ferrovia è un calco sul tedesco Eisenbahn
(vedi 2.4): ne copia la struttura di composto e ne traduce i due componenti,
Eisen ( = ferro) e Bahn ( = strada) con gli equivalenti italiani: usa cioè significanti
indigeni, organizzandoli secondo il modello di una parola straniera sinonima.
Analogamente, falchi e colombe sono parole italiane, ma il loro uso metaforico nel
lessico politico è un calco (semantico e non strutturale, in questo caso) diffuso a
partire dalla guerra del Vietnam sull'analogo impiego dei termini inglesi hawks e
doves, e non un'evoluzione semantica autonoma delle parole italiane. Il calco
richiede una maggiore interazione delle due lingue a contatto, perché la sua
formazione presuppone una certa conoscenza della lingua d'origine, altrimenti il
rapporto semantico non può stabilirsi.

7.2 - Il contatto con le lingue degli invasori germanici

In questo e nei prossimi paragrafi si passeranno in rassegna i fatti principali di


contatto linguistico che hanno riguardato le popolazioni d'Italia nel corso degli
ultimi due millenni. Naturalmente i contatti dell'epoca altomedioevale non si
realizzavano con una varietà di italiano come lo possiamo concepire oggi, ma con
le varietà romanze locali allora in formazione; qui ci se ne occupa in quanto i loro
riflessi sono ancora visibili nell'italiano contemporaneo.

Abbastanza superficiale è l'influsso sull'italiano da parte delle varie popolazioni di


lingua germanica che invasero e governarono ampie parti dell'Italia dopo la
caduta dell'Impero romano d'Occidente [Fig.1], soprattutto Goti (dal 489 al 555),
Longobardi (dal 568) e Franchi (dal 774). La cosa è comprensibile, data la piccola
consistenza numerica degli invasori e l'assenza di prestigio associabile alle loro
parlate. Tracce di un certo rilievo si ritrovano solo in ambiti lessicali specifici, che
possiamo ritenere essere stati tra i più usuali terreni di contatto con la
popolazione indigena: la sfera militare (guerra, tregua, schermire; spranga, elmo,
staffa; sgherro, spia ecc.); termini della quotidianità (balcone, fiasco, scarpa,
toppa), in particolare parti del corpo (anca, fianco, guancia, milza, schiena,
stinco); per motivi non del tutto chiari, nomi di colori (bianco, grigio, biondo,
Fig. 1 bruno). Si spiega intuitivamente anche la connotazione negativa presente in molti
di questi prestiti (schernire, sguattero, smacco, tanfo, ecc.; si confrontino in
particolare coppie di parole come bere/trincare, casa/stamberga, dente/zanna, gola/strozza,
prendere/arraffare, riso/ghigno, dove la seconda è di origine germanica).

7.3 - Altri contatti linguistici nell’Alto Medioevo: greco e arabo

Il rilievo del greco come lingua di contatto è naturalmente importantissimo per


tutta la latinità, anche per l'alto prestigio culturale da sempre associato a questa
lingua; con il tardo Impero si aggiunge la posizione simmetrica di greco e latino
come lingue ufficiali degli Imperi d'Oriente e d'Occidente. Un'ulteriore fonte di
prestigio deriva dall'affermarsi della Cristianità (il Nuovo Testamento è
originariamente scritto in greco: sono quindi prestiti greci parole cardine del
cristianesimo come chiesa, battezzare, martire, prete, vescovo ecc.; molte altre
sono calchi).

La massa di apporti lessicali giunti per queste vie ha peraltro raggiunto le lingue
romanze, e quindi l'italiano, attraverso la mediazione del latino e non per contatto
diretto. Alcuni ritengono però che certe importanti evoluzioni sintattiche che
oppongono le lingue romanze al latino (come l'uso dell'ausiliare avere nel tipo ho
fatto, vedi 6.2, e la formazione degli articoli, vedi 6.3) possano aver trovato
sostegno (anche senza arrivare ad essere veri e propri calchi) dalla presenza o
dall'espansione di strutture analoghe nel greco bizantino, che fu parlato a lungo in
parti dell'Italia meridionale.

Non troppo sostanzioso l'apporto dell'arabo, anche se la Sicilia fu per oltre due
secoli sotto controllo musulmano e una popolazione araba e islamica di una certa
consistenza vi rimase almeno fino al 1200. Difficile è separare l'apporto
imputabile alla colonizzazione siciliana (forse non pochi tra i nomi di piante
importate, come carciofo, albicocca, limone, zucchero) da quello probabilmente
più rilevante dovuto ai contatti commerciali col mondo arabo nei secoli successivi,
che si riflette tra l'altro nella frequenza di termini relativi ad ambiti tecnico-
scientifici (algebra, algoritmo, cifra) o mercantili (magazzino, fondaco, dogana,
tariffa, arsenale, darsena e molti altri).
7.3 - Altri contatti linguistici nell’Alto Medioevo: greco e arabo

Il rilievo del greco come lingua di contatto è naturalmente importantissimo per


tutta la latinità, anche per l'alto prestigio culturale da sempre associato a questa
lingua; con il tardo Impero si aggiunge la posizione simmetrica di greco e latino
come lingue ufficiali degli Imperi d'Oriente e d'Occidente. Un'ulteriore fonte di
prestigio deriva dall'affermarsi della Cristianità (il Nuovo Testamento è
originariamente scritto in greco: sono quindi prestiti greci parole cardine del
cristianesimo come chiesa, battezzare, martire, prete, vescovo ecc.; molte altre
sono calchi).

La massa di apporti lessicali giunti per queste vie ha peraltro raggiunto le lingue
romanze, e quindi l'italiano, attraverso la mediazione del latino e non per contatto
diretto. Alcuni ritengono però che certe importanti evoluzioni sintattiche che
oppongono le lingue romanze al latino (come l'uso dell'ausiliare avere nel tipo ho
fatto, vedi 6.2, e la formazione degli articoli, vedi 6.3) possano aver trovato
sostegno (anche senza arrivare ad essere veri e propri calchi) dalla presenza o
dall'espansione di strutture analoghe nel greco bizantino, che fu parlato a lungo in
parti dell'Italia meridionale.

Non troppo sostanzioso l'apporto dell'arabo, anche se la Sicilia fu per oltre due
secoli sotto controllo musulmano e una popolazione araba e islamica di una certa
consistenza vi rimase almeno fino al 1200. Difficile è separare l'apporto
imputabile alla colonizzazione siciliana (forse non pochi tra i nomi di piante
importate, come carciofo, albicocca, limone, zucchero) da quello probabilmente
più rilevante dovuto ai contatti commerciali col mondo arabo nei secoli successivi,
che si riflette tra l'altro nella frequenza di termini relativi ad ambiti tecnico-
scientifici (algebra, algoritmo, cifra) o mercantili (magazzino, fondaco, dogana,
tariffa, arsenale, darsena e molti altri).

7.5 - L'influsso dell'inglese contemporaneo

Come tutti sanno, il ruolo di lingua internazionale, che era prevalentemente del
francese nell'Ottocento, è oggi svolto dall'inglese, con ben maggiore diffusione e
intensità. L'inglese funziona universalmente come serbatoio di prestiti e modello
per calchi relativi alle nuove sfere lessicali che si accompagnano al progresso
tecnologico-scientifico, anche perché una frazione sempre crescente della
letteratura scientifica è ormai prodotta direttamente in questa lingua, da parlanti
nativi delle lingue più diverse. Quando poi alcune di queste tecnologie diventano
di dominio comune, anche i termini che le accompagnano entrano nel lessico
quotidiano (basta citare l'informatica, con prestiti come mouse, file e calchi come
salvaschermo, icona). A questo veicolo di contatto linguistico se ne affianca un
altro forse ancora più potente: quello dei mezzi di comunicazione di massa (film
americani doppiati, giornali costruiti su notizie d'agenzia prevalentemente redatte
in inglese, fino al dominio dell'inglese su Internet).

Se questo dato di fatto inquieta i puristi di tutto il mondo, non sembra però, da
un punto di vista più distaccato, che abbia mutato sostanzialmente la natura del
contatto linguistico per lo meno nei confronti di una lingua "solida" per numero di
parlanti e prestigio culturale come l'italiano: in definitiva, l'impatto dell'inglese è
rimasto in gran prevalenza di natura lessicale, senza intaccare per il momento in
profondità i livelli strutturali della lingua. In qualche caso si è pensato all'inglese
come alla sorgente di evoluzioni nella sintassi italiana recente: per esempio, per
la crescente frequenza dell'ordine Aggettivo-Nome, contrario al principio
costruttivo dominante in italiano (vedi 6.4), ma obbligatorio in inglese, o per
l'estendersi degli impieghi della perifrasi stare + gerundio (attribuito al modello
della analoga perifrasi inglese be + -ing, mutuato da traduzioni frettolose nei
media e nel doppiaggio cinematografico); ma sembra più prudente pensare tutt'al
più a un'azione esterna catalizzante di mutamenti già autonomamente in corso

Bibliografia

Giuliano Bernini e Paolo Ramat (1992), La frase negativa nelle lingue d'Europa,
Bologna, Il Mulino (trad. ingl., Berlin/New York, Mouton de Gruyter, 1996).

Roberto Gusmani (1987), Interlinguistica, in Linguistica storica, a cura di R.


Lazzeroni, Roma, La Nuova Italia Scientifica, pp. 87-114.

Martin Haspelmath (1998), How young is Standard Average European, in


"Language Sciences":, 20, 3, pp. 271-287.

Thomas Stolz (in stampa), Crosscurrents – The Mediterranean region as a


potential linguistic area.

Letture consigliate

Johan van der Auwera (1998), Revisiting the Balkan and Meso-American linguistic
areas, in "Language Sciences", 20, 3, pp. 259-270.

Bernard Comrie (1983), Universali del linguaggio e tipologia linguistica, trad. it.
Bologna, Il Mulino.

Paul J. Hopper and Elizabeth Closs Traugott (1993), Grammaticalization,


Cambridge, Cambridge University Press.

Bruno Migliorini (1960), Storia della lingua italiana, 2a ed., Firenze, Sansoni.

Paolo Ramat (1993), L'italiano lingua d'Europa, in Introduzione all'italiano


contemporaneo. Le strutture, a cura di A. A. Sobrero, Bari , Laterza, pp. 3-39.

Paolo Ramat and Thomas Stolz, (a cura di), (in stampa), Towards an areal
typology of Circum-Mediterranean languages, Berlin, Akademie.

Timothy Shopen, (a cura di) (1985), Language typology and syntactic description,
Cambridge, Cambridge University Press.

Raffaele Simone (1993), Stabilità e instabilità nei caratteri originali dell'italiano, in


Introduzione all'italiano contemporaneo. Le strutture, a cura di A. A. Sobrero,
Bari, Laterza, pp. 41-100.

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