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UD 1 - La linguistica tipologica
Questa unitΰ didattica mira a fornire alcuni concetti base di linguistica tipologica,
atti ad inquadrare correttamente la posizione specifica della lingua italiana
rispetto alle altre, in particolare rispetto alle lingue europee e mediterranee che le
sono geograficamente vicine.
In questa unità didattica alcuni tratti qualificanti dell'italiano, nei diversi livelli di
analisi (dalla fonologia alla sintassi) sono esaminati dal punto di vista della loro
maggiore o minore specificità rispetto a parametri tipologici generali.
4.1 - Fonologia
Guida al modulo
Scopo del modulo è in primo luogo presentare due punti di vista complementari
per la comprensione della diversità linguistica, al di là di quello fondato sulla
parentela genetica: l'approccio areale e quello tipologico, e in secondo luogo
collocare l'italiano da questi due punti di vista:
1) arealmente, in quanto lingua da un lato profondamente inserita nella regione
mediterranea, e dall'altro partecipe di sviluppi comuni alle lingue di cultura
dell'Europa centrale;
UD 1 - La linguistica tipologica
Obiettivo: presentazione delle lingue d'Europa, come facenti parte di una "lega
linguistica", con particolare riguardo alla situazione dell'italiano.
UD 7 - Le componenti alloglotte nel lessico italiano
Attività richieste
Per poter individuare i vari tipi linguistici occorre mettere a confronto tra loro
lingue diverse: se tutte le lingue fossero fatte allo stesso modo la tipologia non
avrebbe motivo di esistere. È dunque propria dell'approccio tipologico la
dimensione comparativa, anche se in questo caso, a differenza di quanto si
verifica nella linguistica storica, la comparazione interlinguistica non mira a
ricostruire alberi di parentela genealogica. Oggi, grazie alla possibilità di gestire
grandi basi di dati in modo informatico, la comparazione interlinguistica avviene
su campioni di lingue altamente rappresentativi di tutte le famiglie linguistiche
esistenti al mondo.
1.2 - Varie proposte di "tipi linguistici"
Nel tipo isolante le singole parole rimangono invariabili, senza affissi flessivi e la
loro funzione nella frase è data dalla posizione che occupano: in cinese ta zhao
shéi? ( = lui/lei cerca chi?) si differenzia da shéi zhao ta? ( = chi cerca lui/lei?; in
questo esempio non vengono segnati i toni).
Nel tipo agglutinante si hanno invece affissi (prefissi, infissi, suffissi) che
aggiungono alla base lessicale informazioni grammaticali in sequenza, in ragione
di una informazione per ogni singolo affisso: si veda il turco ev-ler-im-de in cui i
singoli elementi corrispondono a "casa - plurale - mio - locativo", cioè "nelle mie
case".
Infine, nel tipo flessivo, più informazioni grammaticali vengono fuse in un solo
affisso: latino bon-arum, aggettivo ( = delle buone, genitivo, plurale, femminile),
ama-t, verbo ( = ama, terza persona singolare, presente indicativo, attivo).
Il linguista praghese Vladimir Skalicka elaborò per ciascun tipo linguistico "puro"
una serie di caratteristiche, alcune delle quali sono tra loro chiaramente correlate.
Per il tipo flessivo cui, si è detto, appartiene fondamentalmente l'italiano, si
osserva che le parole compaiono generalmente fornite di una desinenza che dà il
necessario inquadramento grammaticale: non esiste *ragazz ma solo ragazzo/-i/-
a/-e, dove fra l'altro l'opposizione fra maschile e femminile è affidata alla
cosiddetta "mozione", come in figli-o/figli-a ma non come in padre/madre. La
polifunzionalità delle desinenze (come in amavo) fa sì che le parole non siano
eccessivamente lunghe, come può avvenire nell'agglutinazione. Le desinenze
definiscono in genere anche la categoria cui una parola appartiene: grande-mente
non può essere altro che un avverbio. Alla chiara distinzione delle classi di parole,
marcate da suffissi che danno molteplici informazioni, è connesso il grande
sviluppo delle proposizioni subordinate: se corressero più velocemente…; credo
che correrebbero più velocemente…; sebbene corrano più velocemente…; quando
correranno più velocemente….
Un legame profondo unisce questi fenomeni, apparentemente non collegati. Un ordine in cui V precede O
adotta la strategia "Determinato + Determinante": nel nostro esempio la marmellata specifica, determina ciò
che Pierino effettivamente ruba. Allo stesso modo il "genitivo" della nonna specifica, determina di quale
marmellata stiamo parlando. E così la frase relativa specifica la testa nominale cui si riferisce e lo standard
determina la comparazione.
In forma implicazionale si dirà allora che l'ordine Verbo+Oggetto implica la presenza di un ordine
Nome+Aggettivo, Nome+Genitivo, Nome+Relativa, Aggettivo+Standard. Come già detto, si tratta di
tendenze che si verificano con frequenza più che casuale, ma che non escludono la possibilità di
controesempi. Alcune delle caratteristiche ricordate si presentano con maggiore o minore rigidità nelle varie
lingue. Si è vista per l'italiano la possibilità che l'aggettivo preceda il nome, talvolta con differenze
semantiche consolidate dall'uso: un uomo buono non è un buon uomo!
1.4 - Il concetto di "lega linguistica"
Nel valutare gli aspetti tipologici di una lingua è dunque importante tener
presente la dimensione storica. Si vedrà ad esempio in 2.1 che alcune
caratteristiche condivise dalle lingue europee, tra cui l'italiano, non risalgono alla
comune origine indoeuropea di molte delle lingue d'Europa, ma sono il frutto di
sviluppi successivi, dovuti a contatti linguistici verificatisi in una determinata area,
cioè in una "lega linguistica".
Ponendo a confronto lingue indigene del Nord America con le lingue d'Europa,
l'etnolinguista statunitense Benjamin Lee Whorf creò verso la metà degli anni
Trenta l'espressione "Europeo Medio Standard", Standard Average European
(SAE). Con questa egli voleva sottolineare il fatto che le principali lingue
d'Europa, se confrontate con altre famiglie linguistiche, rivelano un'aria di
famiglia e rappresentano una sorta di "lega linguistica", condividendo molti
tratti fondamentali. Per esempio tutte le lingue d'Europa appartengono al tipo
che esige nella predicazione due termini, cioè un soggetto e un predicato
(Pierino mangia). Questa distinzione fondamentale tra le categorie di Nome e
Verbo non si riscontra, secondo Whorf, in molte lingue amerindiane, dove
concetti quali "fuoco", "lampo", "onda" e più in generale tutti quelli che si
riferiscono ad accadimenti rapidi e di breve durata vengono espressi da verbi,
non da nomi, come se in italiano accanto al verbo piove non esistesse il
sostantivo pioggia (vedi 1.4 e 4.4).
Benjamin Lee Whorf Whorf allude esplicitamente alla parentela genetica come fattore e
spiegazione di affinità tipologica: ed in effetti ciò è vero, in linea di principio:
lingue geneticamente imparentate avranno verosimilmente tratti strutturali significativi in comune (si veda
1.4). Si dà il caso che le principali lingue europee (romanze, germaniche, slave) appartengano tutte alla
famiglia linguistica indoeuropea.
Ma oltre la comune eredità indoeuropea le lingue d'Europa hanno sviluppato tratti tipologici peculiari dovuti a
lunghi secoli di contatti interlinguistici, sì che si può effettivamente parlare del SAE come una "lega
linguistica" (1.4). Se la distinzione tra NOME e VERBO risale senza dubbio alla comune origine indoeuropea,
lo sviluppo nelle varie lingue europee di un tratto tipologicamente significativo come l'articolo determinativo
(il, lo, i, gli, ecc., in inglese the, in tedesco der, die, das, die, ecc.) è di epoca decisamente posteriore. Il
latino non conosceva articolo, né lo conoscono ancora le lingue slave (tranne il bulgaro e il macedone che lo
hanno acquisito, posposto al nome, all'interno della lega linguistica balcanica).
Diamo qui di seguito alcune delle principali caratteristiche proprie del SAE,
condivise dall'italiano (Haspelmath 1998: 274-281):
b. forme verbali perifrastiche costruite con l'ausiliare (avere o essere; vedi 1.4);
e. costruzione passiva con colui che compie l'azione espresso come complemento
d'agente e con il complemento oggetto della corrispondente frase attiva espresso
come soggetto (la marmellata è stata rubata da Pierino);
f. frase relativa, introdotta da una marca di relazione, dopo la testa nominale (il
libro che ho comprato ieri, il libro di cui ti parlavo ieri; vedi 1.3);
g. possibile posizione iniziale del verbo nelle "domande sì/no" (hanno telefonato i
Rossi?);
Alcune delle caratteristiche sopra elencate (punti d., f., h.) sono eredità della
comune origine indoeuropea delle lingue SAE, più o meno ben conservata.
L'italiano, ad esempio, conserva molto più dell'inglese la flessione del verbo,
mentre nei sostantivi distingue solo singolare e plurale, come l'inglese: ragazzo/-
i, boy/boys; il tedesco, invece, e soprattutto le lingue slave conservano meglio
dell'italiano i casi della flessione nominale.
Tuttavia, visto il carattere non ereditario di alcuni fra i tratti tipici del SAE (per
esempio i punti a., b., c. dell'elenco precedente), è sensato supporre che la "lega
linguistica" europea si sia originata in tempi assai più recenti, e cioè proprio
all'epoca di Carlo Magno nelle aree di contatto tra le popolazioni germaniche e
quelle romanze. È quello, del resto, il momento decisivo per la nascita dei nuovi
volgari europei (ivi comprese le varietà italo-romanze) in cui prende corpo la
configurazione linguistica dell'Europa che nelle sue grandi linee si manterrà nei
secoli successivi fino ai nostri giorni. Si pensi ai famosi Giuramenti di Strasburgo
(842) tra i due nipoti di Carlo, Ludovico e Carlo, primo documento solenne e
ufficiale dei volgari di Francia e Germania.
Tele- (di origine greca: = lontano) è uno dei tanti prefissi oggi comuni e
estremamente produttivi nelle lingue d'Europa come super-, mini-, euro- e
numerosi altri. Anch'essi fanno parte ormai del "lessico SAE".
Molto meno indagato del problema trattato nella UD 2 è quello della possibile
esistenza di una "lega linguistica" nel bacino del Mediterraneo [Fig.1]. Come si è già
detto in 1.4, è d'altra parte plausibile immaginare che secoli e secoli di contatti
interlinguistici lungo le sponde di questo mare abbiano dato origine a interferenze e
somiglianze anche tra lingue appartenenti, dal punto di vista genealogico, a famiglie
linguistiche differenti. Sulle coste mediterranee si parlano oggi sostanzialmente
lingue di comune origine indoeuropea (romanze, slave, albanese, greco), lingue
semitiche (le diverse varietà di arabo, l'ebraico moderno), il turco. Un tempo si
affacciava sulle coste africane del Mediterraneo in misura decisamente superiore ad
oggi anche il berbero.
Fig. 1 Ben noti sono i casi di prestiti lessicali tra queste lingue. Un classico esempio è
rappresentato dal latino CASTRUM donde il greco to kástro ( = luogo fortificato,
cittadella) e l'arabo al qasr. A sua volta lo spagnolo ha preso a prestito il termine arabo incorporando nel
nome l'articolo al: alcázar ( = fortezza, palazzo, reggia); l'italiano càssero ( = castello di poppa sulle navi) ha
ristretto a un significato più tecnico il vocabolo arabo, preso a prestito senza articolo. Vi è quindi un intreccio
complicato che riflette complesse vicende storiche stratificate nel tempo. In altro momento storico il turco
divan ( = consiglio di stato) si è diffuso in tutta Europa col significato metonimico di "divano", il luogo dove
siede/si raduna il consiglio di stato, mentre in arabo e persiano (dīwān) esso vale "raccolta di poesie" (si
ricordi il Westöstlicher Diwan di Goethe!).
Ma il lessico è la parte della lingua più permeabile agli influssi provenienti dall'esterno, come si vedrà più
diffusamente in UD 7. Un valore molto maggiore per provare l'esistenza di una vera "lega linguistica"
rivestono fenomeni sintattici, morfologici e fonologici.
a. I suffissi aumentativi sono in generale più rari dei diminutivi. Vale anche per le
lingue mediterranee la generalizzazione implicazionale: se una lingua ha
l'aumentativo allora essa ha anche il diminutivo. I suffissi aumentativi
mediterranei formano derivati del tipo "grande X" ( palla > pallone, casa >
casone e anche amico > amicone) e nomi animati col significato di "uno che è/
ha/ fa X in grande misura/ in misura esagerata", donde il valore negativo
(mangione) che si è sviluppato nelle lingue romanze (e anche in greco moderno).
Questa duplice accezione sembra essere una peculiarità delle lingue parlate
attorno al Mediterraneo, assai poco frequente tra le lingue del mondo; oltre che
nel greco e nelle lingue romanze la ritroviamo a Malta e nell'arabo marocchino,
aree semitiche notoriamente esposte all'influsso romanzo dall'Italia (Sicilia) e,
rispettivamente, dalla Spagna. Inoltre si delinea un confine nella diffusione del
fenomeno che oppone le lingue che conoscono questo fenomeno a quelle con essa
confinanti, sia in Europa che in Africa e Medio Oriente: le lingue germaniche, il
polacco, il ceco, il russo, il turco e le varietà arabe tranne il marocchino non
conoscono l'aumentativo nella sua accezione peggiorativa;
b. L'iterazione, anche con i sostantivi, del tipo italiano piano piano (si veda in
siciliano li vidi jiri pri li strati-strati = lo vidi che andava strada dopo strada).
Questa caratteristica si trova in bulgaro, turco, rumeno, sefardita, greco, maltese,
georgiano, siciliano, corso, sardo, italiano, albanese, basco, aragonese,
portoghese, catalano, curdo, arabo colloquiale – e anche nella "lingua franca" che
serviva da veicolo di comunicazione basica fra le varie popolazioni costiere e che
certamente ha contribuito non poco alla creazione della possibile "lega linguistica"
mediterranea. In un testo del 1612 si legge: patron donar bona bastonada,
mucho mucho. È noto invece che le lingue dell'Europa centrale e settentrionale
(celtiche, germaniche, slave, ugro-finniche) non fanno uso di questa tecnica.
Quindi si individua un limite settentrionale di questa isoglossa, analogo a quello
degli aumentativi;
c. il complemento oggetto (O) marcato da una preposizione, tipico dei dialetti
italiani e dell'italiano regionale meridionali - in specie per complementi oggetto
animati e definiti (aiutare a Giovanni) - è un classico caso di diffusione di un
tratto romanzo: l'arabo classico marcava l'oggetto diretto mediante il caso
accusativo -a. Ora, invece, si riscontra l'uso di una preposizione a Malta e un
oggetto preposizionale si trovava anche nell'arabo di Spagna. Si configura così
una seconda linea di confine nel Mediterraneo, quella che oppone le varietà arabe
(e anche il berbero) senza preposizione ad alcune varietà di arabo occidentale
esposte al tipo romanzo, con preposizione. La configurazione storico-geografica di
questa isoglossa non si differenzia molto da quella vista nel precedente caso a. In
entrambi i casi si delinea un'area di influenza romanza su particolari varietà
arabe. La distribuzione geografica non è casuale, bensì il risultato di vicende
storiche, talvolta direttamente documentate, talvolta ricostruibili. La prospettiva
diacronica è ineliminabile nella nozione di "lega linguistica".
c. è di tipo accusativo, cioè il soggetto del verbo transitivo è codificato allo stesso
modo di quello del verbo intransitivo (quel ragazzo corre ogni giorno; quel
ragazzo correrà la maratona di New York);
.1 - Fonologia
La struttura sillabica si conforma più a caratteristiche tipologiche generali che a quelle di molte lingue
europee. Al di là dei tipi di sillaba universalmente (o quasi) presenti, cioè i due più semplici V e CV (con la
vocale, V, preceduta al più da una consonante, C, e non seguita da nessuna), l'italiano fa infatti un uso
relativamente scarso di tipi più complessi, come VC, CVC (entrambi praticamente assenti in fine di parola),
CCV, CCVC, tutti molto più frequenti nelle altre grandi lingue di cultura europee.
Nel confronto con le altre lingue d'Europa, una variabile importante è data dal
maggiore o minore rilievo delle categorie temporali, che collocano l'evento nel
tempo rispetto al momento di enunciazione (come andò e andrà, rispettivamente
passato e futuro), rispetto a quelle aspettuali, che considerano l'evento rispetto
alla sua articolazione interna (come in mentre andava e ieri andò, rispettivamente
imperfettivo e perfettivo, anche se, in quest'ultimo caso, entrambi esprimono il
passato dal punto di vista del tempo). Le lingue slave danno un particolare rilievo
alle categorie aspettuali, mentre molte lingue dell'Europa centro-occidentale (in
particolare quelle germaniche) privilegiano nettamente le categorie temporali,
non dando affatto espressione grammaticale all'aspetto (come in tedesco) o
relegandolo per così dire ai margini della grammatica (cioè esprimendolo non
morfologicamente, ma con perifrasi non sempre obbligatorie, come l'inglese).
L'italiano si colloca da questo punto di vista in una posizione intermedia, che
condivide con le altre lingue romanze: infatti il contrasto aspettuale è
grammaticalizzato obbligatoriamente solo nei tempi passati.
Un tratto comune alle lingue ascrivibili allo Standard Average European (2.1) è
l'espressione della categoria della definitezza per mezzo di parole grammaticali,
solo parzialmente libere e non dotate di autonomia accentuale: gli articoli. Non si
tratta di un'eredità indoeuropea, perché le lingue indoeuropee antiche (salvo il
greco) non possedevano articoli, né mezzi morfologici per codificare
esplicitamente la definitezza.
Mentre l'articolo definito è applicabile sia a nomi numerabili (il tavolo) che non
numerabili (la sabbia), l'articolo indefinito è compatibile solo con nomi numerabili:
per quelli non numerabili subentra una terza forma, l'articolo partitivo del, o
talora l'assenza di articolo (c'è della sabbia/ c'è sabbia nelle tue scarpe).
Si è detto (1.3) che l'italiano è una lingua di ordine basico SVO come l'inglese.
Rispetto all'inglese, però, l'italiano ha un ordine dei costituenti molto più libero.
L'ordine SVO, per esempio in Mario leggeva il giornale, va inteso solo come quello
più frequente e più neutrale rispetto all'organizzazione comunicativa del discorso;
sono certo possibili anche frasi come la torta l'ho fatta io (OVS), proprio questo
Gianni non capisce (OSV), recupera il pallone Maradona (VOS), ho preso io il
giornale (VSO), Mario solo questo voleva (SOV). Infatti, le lingue con un ordine
dei costituenti relativamente libero fanno spesso uso di questa libertà sintattica
per segnalare funzioni discorsive che in lingue dall'ordine più rigido sono
principalmente lasciate all'intonazione. Tra le costruzioni di questo tipo in italiano
vanno almeno menzionate:
(i) le dislocazioni a sinistra, come in le chiavi le ha prese Mario, per segnalare che
il costituente dislocato (le chiavi) è già stato menzionato o comunque è ben
presente all’ascoltatore; se poi, come in questo caso, il soggetto segue il verbo,
esso viene identificato al contrario come parte saliente, informativamente nuova
dell’enunciato;
(ii) Diversa funzione ha una frase solo apparentemente simile alla precedente
(sono entrambe OVS), cioè LE CHIAVI ha preso Mario, senza il pronome atono le
e con intonazione marcata su le chiavi: qui si tratta di contrastare, con valore di
rettifica, le chiavi con qualche diversa alternativa precedentemente fornita nel
discorso: le chiavi (non l'ombrello);
Tutte le lingue romanze (con l'eccezione del francese moderno, dove gli impieghi
sono molto ridotti) hanno largamente sviluppato una possibilità già presente in
latino, quella dell'alterazione. In particolare, l'italiano possiede un'ampia gamma
di suffissi (i più comuni sono -ino, -etto, -ello, -uccio, -otto, -one, -accio, -astro
per nomi e aggettivi; per i verbi, -icchiare, -acchiare, -ucchiare, oltre ad -ettare,
-ottare, -(er)ellare) che modificano il significato delle basi a cui si applicano senza
però modificarne i tratti essenziali:
Più importante è il fatto che la loro funzione non si limita a modificare il significato
della parola a cui si applicano, ma molto spesso è un modo per caratterizzare
diversamente l'intero enunciato, ad esempio per attenuare una comunicazione
sgradevole (dobbiamo fare il bagnetto, detto a un bambino) o addolcire una
richiesta (mi darebbe un aiutino?). In questo senso, è raro che le orette durino
meno delle ore, e le mammine possono tranquillamente pesare cento chili.
Formazioni dello stesso tipo, con funzioni almeno in parte analoghe, si ritrovano
in molte lingue slave, in greco e anche in alcune lingue germaniche (specialmente
in neerlandese e, meno pervasivamente, in tedesco); nell'italiano sono però
particolarmente salienti, sia per varietà di forme che per vastità e frequenza di
impieghi. Sulla diffusione degli accrescitivi/peggiorativi si veda anche 3.3.
I pronomi clitici possono anche cumularsi nella stessa frase, in gruppi di due
(gliene parlo, me lo dici) o, più raramente, di tre (ti ce lo porto). La loro
distribuzione sintattica è interessante: seguono il verbo ("enclitici") nelle forme
non finite e all'imperativo (andandoci, parlamene!), mentre lo precedono
("proclitici") negli altri casi.
Le funzioni dei clitici sono molteplici. In particolare, essi sono il mezzo più
frequente per riferirsi ad entità già menzionate nel discorso (è la funzione detta
anaforica, svolta per esempio da gli nella sequenza di frasi: C'è Gianni al
telefono. Gli vuoi parlare?), mentre i pronomi tonici si usano in questa funzione
solo in casi di particolare rilievo discorsivo: i clitici sono dunque gli strumenti
essenziali per garantire la coesione testuale. Inoltre, intervengono nella
costruzione di alcuni tipi di frasi con ordine marcato dei costituenti, in particolare
nelle dislocazioni a sinistra (le chiavi le prendo io, vedi 4.5). In altri casi, si
legano più strettamente al verbo modificandone sostanzialmente il significato (il
caso dei verbi pronominali, come andarsene, prendersela, farcela, piantarla). Per
ulteriori funzioni dei clitici riflessivi (non solo si, ma anche mi, ti, ci, vi per le altre
persone) si veda 5.4.
Anche i pronomi clitici non sono un'esclusività romanza in Europa: elementi con
funzioni analoghe si ritrovano in molte lingue slave (polacco, ceco, lingue slave
meridionali) e in greco.
Più importanti sono i casi come il vetro si è rotto, dove il si non può dirsi
riflessivo, perché l'azione non parte dal soggetto, che è inanimato: infatti la frase
non può parafrasarsi con "il vetro ha rotto se stesso". Il si qui funziona piuttosto
come un meccanismo grammaticale per trasformare un verbo transitivo come
rompere nel corrispondente verbo intransitivo: per questo motivo viene spesso
definito "anticausativo", dato che opera nel senso opposto alla perifrasi causativa
(per esempio far correre), che trasforma un verbo intransitivo in uno transitivo.
Una funzione in parte analoga (anche se le proprietà sintattiche di questo si sono
diverse) si trova in casi come si corre, dove il si trasforma un verbo intransitivo in
uno impersonale, cioè senza un soggetto identificabile. Affine al si impersonale è
poi il cosiddetto si "passivante", in costruzioni come qui non si vendono liquori
(parafrasabile con un passivo, "vengono venduti").
Importante è anche l'uso, frequente soprattutto nel parlato, che si trova in frasi
come Mario si è mangiato un bisteccone, dove il si non è ovviamente
parafrasabile con "a se stesso", ma segnala un coinvolgimento emotivo del
soggetto. Infine in casi come Mario si pente, il si non ha una funzione autonoma,
ma è parte integrante del verbo pronominale pentirsi: il verbo pentire, infatti, non
esiste. Questi ultimi due impieghi non sono propri del solo si, ma anche degli altri
clitici di prima e seconda persona con funzione riflessiva (mi mangio un gelato, vi
pentite).
L'interesse tipologico di queste evoluzioni del significato del riflessivo sta nel fatto
che non sono casuali, ma seguono meccanismi ricorrenti che si ritrovano
indipendentemente in lingue diverse. Anche in Europa, alcuni fenomeni paralleli si
ritrovano negli impieghi del riflessivo in alcune lingue slave e scandinave.
5.5 - La negazione
Il modo con cui una lingua esprime la negazione di frase è un altro parametro
tipologicamente rilevante. Normalmente in Europa la negazione viene espressa
con mezzi non morfologici, ma sintattici, cioè con una particella parzialmente
autonoma ma legata al verbo; una strategia molto diversa, ma del tutto
minoritaria, è l'impiego di una sorta di verbo ausiliare negativo, come in
finlandese e anche, in parte, nell'inglese moderno don't, doesn't.
Utente
Può apparire, a prima vista, che
l'italiano sia rimasto molto vicino al Password
suo progenitore latino, per lo meno
rispetto alle altre lingue romanze
principali. È però difficile dare un peso
scientifico a questa impressione, che
presumibilmente poggia soprattutto
sulla relativa stabilità del lessico.
Dimenticato la password?
In fonologia, è essenzialmente
l'aspetto conservativo dell'ortografia a
dare una illusione di stabilità nel
passaggio dal latino all'italiano. In REGISTRATI
realtà vanno registrati mutamenti di Potrai accedere alla
Biblioteca e partecipare ai
grande rilievo, come i seguenti: Forum!
Una ulteriore diversificazione è nata nell'ambito dei modi, perché gli usi del
congiuntivo latino sono più o meno ripartiti tra due modi italiani, il congiuntivo e il
condizionale. Quest'ultimo è una creazione romanza che si è grammaticalizzata a
partire da un costrutto perifrastico "Infinito + perfetto/imperfetto di HABĒRE"
ipotizzabile per il latino tardo: la forma latina CANTĀRE HABUIT ha dato origine
all'italiano canterebbe, il latino CANTĀRE HABĒBAT diventa in spagnolo cantarìa.
Lo stesso meccanismo (a partire dal presente di HABĒRE) è responsabile della
formazione del futuro romanzo (romeno, sardo e dialetti dell'Italia meridionale
esclusi): il latino tardo CANTĀRE HABEŌ ha dato origine all'italiano canterò.
Ai margini dei veri e propri paradigmi, le lingue romanze fanno grande uso di
costruzioni perifrastiche, in particolar modo per esprimere nozioni di tipo
aspettuale: è il caso, per l'italiano, delle perifrasi stare, andare, venire +
gerundio, della perifrasi imminenziale stare per + infinito, del passivo modale
andare + participio passato e di altre più marginali. Costruzioni perifrastiche non
erano certo ignote al latino, si vedano il tipo ITURUS EST ( = sta per andare) e il
tipo LAUDANDUS EST ( = va lodato), ma le lingue romanze ne hanno molto
espanso l'uso, confermando la tendenza a una maggiore analiticità: il processo
può portare a sostituire nell'uso le forme espresse morfologicamente, come è
accaduto per il passato remoto del catalano, sostituito dal tipo perifrastico vaig
cantar ( = cantai), e come in parte sta accadendo con le perifrasi futurali di varie
lingue romanze (si veda il francese il va manger = mangerà, in concorrenza
spesso vincente con il futuro sintetico il mangera).
Si è visto in 1.3 il rilievo tipologico dell'ordine basico dei costituenti nella frase.
Proprio in quest'ambito si registra un sostanziale capovolgimento nel passaggio
dal latino all'italiano (e più in generale alle lingue romanze): queste ultime sono
infatti tutte SVO (Marco legge un libro), mentre il latino era SOV (MARCUS
LIBRUM LEGIT). I germi di questo passaggio erano già in latino, perché in questa
lingua l'ordine SOV era tutt'altro che rigido, e non tutti i sintagmi si conformavano
al principio costruttivo "Determinante + Determinato". In particolare, già in latino
le preposizioni erano molto più frequenti delle posposizioni. D'altra parte, si è
visto che a sua volta il principio costruttivo collegato all'ordine VO, cioè
"Determinato + Determinante", non è compiutamente realizzato in italiano, che
ammette in molti casi senza problemi la sequenza Aggettivo + Nome.
Il latino possedeva due suffissi diversi per gli avverbi di maniera, -Ē e -ITER, che
nella lingua classica si erano specializzati rispettivamente per gli aggettivi della
prima e della seconda classe: LENTĒ ( = lentamente), ma FORTITER ( =
fortemente). Entrambi questi processi di derivazione non hanno praticamente
lasciato tracce in italiano, che tuttavia si θ dato una nuova strategia per la
formazione degli avverbi: il suffisso -MENTE. L'identico processo si registra in
tutte le altre lingue di cultura romanze, tranne il romeno; è invece marginale o
assente nelle lingue minori, inclusi il sardo e i dialetti d'Italia. L'interesse di
questa formazione, che risale alla fase tardolatina come si vede dal parallelismo
delle diverse lingue, sta nel fatto che si tratta forse dell'unico suffisso
derivazionale romanzo che illustri inequivocabilmente il fenomeno della
grammaticalizzazione, cioè della formazione di nuovo materiale grammaticale a
partire dal lessico. Dal punto di vista diacronico, infatti, il suffisso derivazionale –
MENTE non è altro che l'ablativo singolare della parola latina MENS ( = mente,
animo, atteggiamento). L'avverbio deriva dall’agglutinazione in una sola parola di
quello che originariamente era un sintagma nominale, del tipo DĒVOTĀ MENTE
( = con animo devoto). Un comportamento non ancora completamente
grammaticalizzato θ attestato in italiano antico quando, nel caso di coordinazione,
poteva capitare (anche se di rado) che solo il secondo aggettivo ricevesse il
suffisso: umile e dolcemente (costruzione che è ancora possibile nello spagnolo
moderno). Come è tipico dei fenomeni di grammaticalizzazione, alla perdita di
autonomia formale di -mente si è accompagnata una perdita di concretezza del
suo significato, che gli ha permesso di estendere la sua applicabilità a basi
aggettivali del tutto incompatibili con il valore originario di "mente"
(abbondantemente, fortunatamente, annualmente ecc.).
Questa unità è dedicata ad illustrare le influenze sul lessico di una lingua che
derivano dal contatto con altre lingue, indipendentemente da eventuali rapporti di
parentela genetica. È nel lessico che il contatto linguistico si manifesta più
facilmente; perché una lingua influenzi sensibilmente un'altra in livelli più
grammaticali, come la sintassi e la morfologia, occorrono rapporti tra le
popolazioni molto più stretti e prolungati, presumibilmente con una rilevante
massa critica di parlanti bilingui. Per i fenomeni di contatto, relativamente
limitati, che riguardano l'italiano a questi livelli si vedano UD 2 e UD 3.
Il calco è un procedimento più complesso che opera sul significato e non sul
significante. Per esempio, l'italiano ferrovia è un calco sul tedesco Eisenbahn
(vedi 2.4): ne copia la struttura di composto e ne traduce i due componenti,
Eisen ( = ferro) e Bahn ( = strada) con gli equivalenti italiani: usa cioè significanti
indigeni, organizzandoli secondo il modello di una parola straniera sinonima.
Analogamente, falchi e colombe sono parole italiane, ma il loro uso metaforico nel
lessico politico è un calco (semantico e non strutturale, in questo caso) diffuso a
partire dalla guerra del Vietnam sull'analogo impiego dei termini inglesi hawks e
doves, e non un'evoluzione semantica autonoma delle parole italiane. Il calco
richiede una maggiore interazione delle due lingue a contatto, perché la sua
formazione presuppone una certa conoscenza della lingua d'origine, altrimenti il
rapporto semantico non può stabilirsi.
La massa di apporti lessicali giunti per queste vie ha peraltro raggiunto le lingue
romanze, e quindi l'italiano, attraverso la mediazione del latino e non per contatto
diretto. Alcuni ritengono però che certe importanti evoluzioni sintattiche che
oppongono le lingue romanze al latino (come l'uso dell'ausiliare avere nel tipo ho
fatto, vedi 6.2, e la formazione degli articoli, vedi 6.3) possano aver trovato
sostegno (anche senza arrivare ad essere veri e propri calchi) dalla presenza o
dall'espansione di strutture analoghe nel greco bizantino, che fu parlato a lungo in
parti dell'Italia meridionale.
Non troppo sostanzioso l'apporto dell'arabo, anche se la Sicilia fu per oltre due
secoli sotto controllo musulmano e una popolazione araba e islamica di una certa
consistenza vi rimase almeno fino al 1200. Difficile è separare l'apporto
imputabile alla colonizzazione siciliana (forse non pochi tra i nomi di piante
importate, come carciofo, albicocca, limone, zucchero) da quello probabilmente
più rilevante dovuto ai contatti commerciali col mondo arabo nei secoli successivi,
che si riflette tra l'altro nella frequenza di termini relativi ad ambiti tecnico-
scientifici (algebra, algoritmo, cifra) o mercantili (magazzino, fondaco, dogana,
tariffa, arsenale, darsena e molti altri).
7.3 - Altri contatti linguistici nell’Alto Medioevo: greco e arabo
La massa di apporti lessicali giunti per queste vie ha peraltro raggiunto le lingue
romanze, e quindi l'italiano, attraverso la mediazione del latino e non per contatto
diretto. Alcuni ritengono però che certe importanti evoluzioni sintattiche che
oppongono le lingue romanze al latino (come l'uso dell'ausiliare avere nel tipo ho
fatto, vedi 6.2, e la formazione degli articoli, vedi 6.3) possano aver trovato
sostegno (anche senza arrivare ad essere veri e propri calchi) dalla presenza o
dall'espansione di strutture analoghe nel greco bizantino, che fu parlato a lungo in
parti dell'Italia meridionale.
Non troppo sostanzioso l'apporto dell'arabo, anche se la Sicilia fu per oltre due
secoli sotto controllo musulmano e una popolazione araba e islamica di una certa
consistenza vi rimase almeno fino al 1200. Difficile è separare l'apporto
imputabile alla colonizzazione siciliana (forse non pochi tra i nomi di piante
importate, come carciofo, albicocca, limone, zucchero) da quello probabilmente
più rilevante dovuto ai contatti commerciali col mondo arabo nei secoli successivi,
che si riflette tra l'altro nella frequenza di termini relativi ad ambiti tecnico-
scientifici (algebra, algoritmo, cifra) o mercantili (magazzino, fondaco, dogana,
tariffa, arsenale, darsena e molti altri).
Come tutti sanno, il ruolo di lingua internazionale, che era prevalentemente del
francese nell'Ottocento, è oggi svolto dall'inglese, con ben maggiore diffusione e
intensità. L'inglese funziona universalmente come serbatoio di prestiti e modello
per calchi relativi alle nuove sfere lessicali che si accompagnano al progresso
tecnologico-scientifico, anche perché una frazione sempre crescente della
letteratura scientifica è ormai prodotta direttamente in questa lingua, da parlanti
nativi delle lingue più diverse. Quando poi alcune di queste tecnologie diventano
di dominio comune, anche i termini che le accompagnano entrano nel lessico
quotidiano (basta citare l'informatica, con prestiti come mouse, file e calchi come
salvaschermo, icona). A questo veicolo di contatto linguistico se ne affianca un
altro forse ancora più potente: quello dei mezzi di comunicazione di massa (film
americani doppiati, giornali costruiti su notizie d'agenzia prevalentemente redatte
in inglese, fino al dominio dell'inglese su Internet).
Se questo dato di fatto inquieta i puristi di tutto il mondo, non sembra però, da
un punto di vista più distaccato, che abbia mutato sostanzialmente la natura del
contatto linguistico per lo meno nei confronti di una lingua "solida" per numero di
parlanti e prestigio culturale come l'italiano: in definitiva, l'impatto dell'inglese è
rimasto in gran prevalenza di natura lessicale, senza intaccare per il momento in
profondità i livelli strutturali della lingua. In qualche caso si è pensato all'inglese
come alla sorgente di evoluzioni nella sintassi italiana recente: per esempio, per
la crescente frequenza dell'ordine Aggettivo-Nome, contrario al principio
costruttivo dominante in italiano (vedi 6.4), ma obbligatorio in inglese, o per
l'estendersi degli impieghi della perifrasi stare + gerundio (attribuito al modello
della analoga perifrasi inglese be + -ing, mutuato da traduzioni frettolose nei
media e nel doppiaggio cinematografico); ma sembra più prudente pensare tutt'al
più a un'azione esterna catalizzante di mutamenti già autonomamente in corso
Bibliografia
Giuliano Bernini e Paolo Ramat (1992), La frase negativa nelle lingue d'Europa,
Bologna, Il Mulino (trad. ingl., Berlin/New York, Mouton de Gruyter, 1996).
Letture consigliate
Johan van der Auwera (1998), Revisiting the Balkan and Meso-American linguistic
areas, in "Language Sciences", 20, 3, pp. 259-270.
Bernard Comrie (1983), Universali del linguaggio e tipologia linguistica, trad. it.
Bologna, Il Mulino.
Bruno Migliorini (1960), Storia della lingua italiana, 2a ed., Firenze, Sansoni.
Paolo Ramat and Thomas Stolz, (a cura di), (in stampa), Towards an areal
typology of Circum-Mediterranean languages, Berlin, Akademie.
Timothy Shopen, (a cura di) (1985), Language typology and syntactic description,
Cambridge, Cambridge University Press.