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FONDAMENTI DI LINGUISTICA MODULO 1

Sommario
• Cap. 1 IL LINGUAGGIO VERBALE
• Cap. 2 FONETICA (Trascrizione fonetica pp 54/64 libro)
• Cap 3. MORFOLOGIA
• Cap 4. SINTASSI
• Cap. 5 SEMANTICA, LESSICO, PRAGMATICA

Cap. 1 IL LINGUAGGIO VERBALE


La linguistica è il ramo che studia la lingua e si divide in due sotto campi: la linguistica generale che si
occupa di che cosa sono, come sono fatte e come funzionano le lingue, e la linguistica storica, che si occupa
dell’evoluzione delle lingue nel tempo e dei rapporti tra le lingue e fra lingua e cultura. Oggetto di studio
sono le lingue storico naturali ovvero le lingue nate spontaneamente lungo il corso della civiltà umana.
Tutte le lingue sono espressione del linguaggio verbale umano, facoltà innata dell’homo sapiens che è uno
degli strumenti e dei sistemi di comunicazione. Importante è inquadrare la nozione di segno ovvero
qualcosa che sta per qualcos’altro e serve per comunicare questo qualcos’altro. La comunicazione è un
comportamento prodotto da un’emittente al fine di far passare un’informazione e che viene percepito da
un ricevente come tale ed è caratterizzata dall’intenzionalità; altrimenti sia semplice passaggio
di informazione. La comunicazione si divide in tre categorie a seconda del carattere di chi produce il
messaggio, chi lo riceve E l’intenzionalità.
• Comunicazione in senso stretto: l’emittente e ricevente intenzionali
• Passaggio di informazione: emittente non intenzionale e ricevente intenzionale
• Formulazione di inferenze: nessun emittente ma solo presenza di un oggetto culturale che viene
interpretato come volto a fornire un’informazione e interpretante
L’entità che fa da supporto alla comunicazione al passaggio di informazione è il segno che quindi l’unità
fondamentale della comunicazione. Esistono diversi tipi di segni classificati in base a due criteri
fondamentali ovvero intenzionalità e motivazione relativa, quindi il grado di rapporto naturale esistente tra
le due facce del segno (qualcosa e qualcos’altro):
• Indici sono motivati naturalmente e non intenzionali
• Segnali sono motivati naturalmente usati intenzionalmente
• Icone sono motivati analogicamente e intenzionali, basati sulla similarità di forma o struttura e
riproducono l’oggetto designato
• Simboli sono motivati culturalmente intenzionali
• Segni non motivati e intenzionali
Mentre gli indici sono per definizione di valore universale, i simboli ancora di più i segni sono dipendenti da
ogni singola tradizione culturale. Per codice si intende l’insieme di corrispondenze, fissatesi per
convenzione, fra qualcosa e qualcos’altro, ovvero un insieme manifestante è l’insieme manifestato, che
fornisce le regole di interpretazione dei segni.
Proprietà della lingua
Le proprietà della lingua sono: Biplanarità, arbitrarietà, doppia articolazione, trasponibilità di mezzo,
linearità, discretezza, onnipotenza semantica, riflessività, produttività, ricorsività, distanziamento e libertà
da stimoli, trasmissibilità culturale, complessità sintattica, equivocità.
Biplanarità: in un segno ci sono due facce che sono il significante e il significato. Il significante è la parte
fisicamente percepibile del segno, quello che cade sotto i nostri sensi (il qualcosa che sta per qualcos’altro,
es. la parola gatto pronunciata o scritta) il significato è la parte non materialmente percepibile ovvero
l’informazione veicolata dalla faccia percepibile (il qualcos’altro, nell’esempio l’idea di gatto) un codice è
definibile quindi come un insieme di corrispondenze tra significati e significanti e un segno è l’associazione
di un significante e un significato.
Arbitrarietà: non c’è alcun legame naturalmente motivato fra il significante e il significato.i legami e
rapporti che ci sono tra di essi non sono dati naturalmente, ma posti per convenzione e quindi arbitrari. Se i
segni linguistici non fossero arbitrari, le parole delle diverse lingue dovrebbero essere tutte molto simili.
distinguiamo quattro livelli diversi di arbitrarietà spesso rappresentati nel triangolo semiotico. Ai tre vertici
abbiamo le tre entità in gioco ovvero un significante, un significato è un elemento della realtà esterna
quindi il referente. La linea di base del triangolo è tratteggiata perché rapporto fra significante e referente
non è diretto ma è mediato dal significato.
1. Primo livello: arbitrario il rapporto tra segno e referente
2. Secondo livello: arbitrario il rapporto fra significante e significato
3. Terzo livello: arbitrario il rapporto tra forma (struttura e organizzazione interna) e sostanza
(materia) del significato
4. Quarto livello: arbitrario il rapporto tra forma e sostanza del significante
Al principio dell’arbitrarietà dei segni linguistici esistono alcune eccezioni come le onomatopee, che
riproducono nel loro significante caratteri fisici di ciò che viene designato. Parole e voci onomatopeiche
imitano nella loro sostanza di significante il suono o rumore che designano e presentano quindi un aspetto
più o meno iconico. Più iconici ancora sono gli ideofoni, espressioni imitative che designano fenomeni
naturali o azioni come per esempio boom (fumetti).
Doppia articolazione: il significante di un segno linguistico è articolato a due livelli diversi. Il primo livello è
dove il significante di un segno linguistico è organizzato è scomponibile in unità che sono ancora portatrici
di significato e che vengono riutilizzate per formare altri segni. Questi elementi sono i morfemi, le unità
minime di prima articolazione e non sono ulteriormente articolati in elementi più piccoli. Il secondo livello e
dove queste unità sono allora volta scomponibili in unità più piccole che non sono più portatrici di
significato autonomo e che combinandosi insieme in successione danno luogo all’entità di prima
articolazione: questi elementi sono i fonemi, le unità minime di seconda articolazione, che non sono più
segni in quanto non hanno un significato. Attraverso i fonemi arriviamo al principio della combinatorietà
poiché la lingua funziona combinando unità minori prive di significato proprio per formare un numero
indefinito di unità maggiori che sono i segni.
Trasponibilità di mezzo: il significante dei segni linguistici può essere trasmesso sia attraverso il mezzo
d’aria quindi sottoforma di sequenza di suoni e rumori, sia attraverso il mezzo di luce quindi sottoforma di
segni. Il carattere orale è prioritario rispetto a quello visivo infatti si dice che è una delle proprietà del
linguaggio verbale è la fonicità. Il parlato è prioritario antropologicamente rispetto allo scritto poiché tutte
le lingue che hanno una forma e un uso scritti sono anche parlate, ma non tutte le lingue parlate hanno
anche una forma e un uso scritti. C’è una priorità ontogenetica del parlato poiché ogni individuo umano
impara prima parlare e poi a scrivere. C’è poi una priorità filogenetica per cui la scrittura si è sviluppata
molto tempo dopo il parlare.
Linearità: il significante viene prodotto in successione nel tempo e o nello spazio. Successione lineare tale
che non possiamo decodificare il segno e capirne completamente il messaggio se non dopo che siano stati
attualizzati l’uno dopo l’altro tutti gli elementi che lo costituiscono. Ci sono poi tipi di segni globali che
vengono percepiti come un tutto simultaneamente come ad esempio segnali stradali. L’ordine in cui si
susseguono le parti del segno è pertinente in modo fondamentale per il significato del segno.
Discretezza: la differenza fra gli elementi è assoluta, non quantitativa o relativa e che le unità della lingua
non costituiscono una materia continua, ma c’è un confine preciso fra un elemento è un altro e che sono
distinti e ben separabili l’uno dall’altro.
Onnipotenza semantica (plurifunzionalità): con la lingua è possibile dare un’espressione a qualsiasi
contenuto. Si parla anche di plurifunzionalità poiché la lingua permette di adempiere a una lista molto
ampia di funzioni diverse che sono: esprimere il pensiero, trasmettere informazioni, instaurare rapporti
sociali, manifestare i propri sentimenti e i propri stati d’animo, risolvere i problemi, creare mondi possibili.
Il modello di classificazione di Jacobson identifica sei classi di funzioni:
1. Funzione emotiva: esprime le sensazioni del parlante
2. Funzione metalinguisticamente: specifica aspetti del codice
3. Funzione referenziale: fornisce informazioni sulla realtà esterna
4. Funzione con attiva: fuggire in qualche modo il ricevente ottenendo da lui un certo comportamento
5. Funzione fatica: verifica e sottolinea i canali di comunicazione il contatto fisico psicologico fra i
parlanti
6. Funzione poetica: mette in rilievo e sfrutta le potenzialità insite nel messaggio i caratteri interni del
significante e del significato
Riflessività: con la lingua si può parlare della lingua stessa e si usa come terminologia metalingua.
Produttività: con la lingua è possibile produrre messaggi sempre nuovi in quanto combinano in una nuova
maniera significati e significanti ed è possibile associare i messaggi già usati a situazioni nuove. La
produttività e resa possibile dalla doppia articolazione che permette una combinatorietà illimitata di unità
più piccole.
Ricorsività: uno stesso procedimento è riapplicabile un numero teoricamente illimitato di volte
Distanziamento e libertà di stimoli: con distanziamento intendiamo la possibilità di poter formulare
messaggi relativi a cose lontane, distanti nel tempo, nello spazio dal momento dal luogo in cui si svolge
l’interazione comunicativa. Abbiamo poi la libertà da stimoli poiché la lingua è indipendente dalla
situazione immediata e dai suoi stimoli, gli atti esterni della situazione non sono causa né necessaria né
sufficiente dell’emissione di un determinato messaggio in un dato momento.
Trasmissibilità culturale: dal punto di vista antropologico ogni lingua è trasmessa per tradizione all’interno
di una società e di una cultura. Nel linguaggio verbale vi è una componente culturale e ambientale che
specifica quale lingua parliamo, è una componente innata, che ci fornisce la predisposizione a comunicare
mediante una lingua.
Complessità sintattica: i rapporti fra gli elementi o parti del segno danno luogo a una fitta trama
percepibile nella sintassi. Gli aspetti che hanno rilevanza sono l’ordine, le relazioni strutturali e le
dipendenze tra gli elementi, le incazzature, la ricorsività, la possibilità di discontinuità nella strutturazione
sintattica.
Equivocità: la lingua è un codice tipicamente equivoco poiché pone corrispondenze plurivoche fra gli
elementi di una lista e qui della lista questa associata. A un significato possono corrispondere più
significanti.
La lingua è un codice che organizza un sistema di segni dal significante primariamente fonico acustico,
arbitrarie ad ogni loro livello e doppiamente articolati, capaci di esprimere ogni esperienza esprimibile,
posseduti come conoscenza interiorizzata che permette di produrre infinite frasi a partire da un numero
finito di elementi.
Distinzioni da fare
Tra i principi generali per l’analisi della lingua abbiamo la sincronia e la diacronia. Con sincronia si intende la
considerazione delle lingue e degli elementi della lingua guardando come essi si presentano determinato
momento. La diacronia invece considera le lingue e i loro elementi lungo lo sviluppo temporale, nella loro
evoluzione storica.
È importante poi distinguere il sistema astratto e la realizzazione concreta. Questa distinzione può essere
rappresentata secondo tre terminologie principali: la coppia oppositiva langue e parole, l’opposizione tra
sistema e uso e l’opposizione fra competenze e esecuzione. Col primo termine di tutte e tre le coppie si
intende l’insieme di conoscenze mentali insite nel codice lingua, che costituiscono la nostra capacità di
produrre messaggi in una certa lingua. Col secondo termine si intende l’atto linguistico individuale, la
realizzazione concreta di un messaggio verbale in una certa lingua.
Infine dobbiamo distinguere l’asse paradigmatico dall’asse sintagmatico. L’asse paradigmatico riguarda le
relazioni a livello del sistema, mentre l’asse sintagmatico le relazioni a livello delle strutture che realizzano
le potenzialità del sistema. In poche parole la dimensione paradigmatica ci fornisce gli elementi con cui
costruire un discorso, ma queste parole vengono combinate secondo le regole della lingua attraverso l’asse
sintagmatico.
La lingua può essere analizzata sotto quattro punti di vista. Per la prima articolazione abbiamo morfologia e
sintassi. Per la seconda articolazione abbiamo fonetica e fonologia, e tutti questi riguardano il significante.
Per quanto riguarda il significato abbiamo poi la semantica. Per quanto riguarda l’organizzazione dei testi
abbiamo la pragmatica. La fonetica e la semantica rappresentano livelli più esterni, poiché sono le
interfacce del sistema linguistico con la realtà esterna; morfologia e sintassi rappresentano i livelli interni
poiché sono i principi secondo cui si organizza il sistema del linguaggio.

Cap. 2 FONETICA e FONOLOGIA


La fonetica si occupa della componente fisica, materiale della comunicazione verbale.

Si suddivide in tre campi principali: la fonetica articolatoria, che studia i suoni del linguaggio per come
vengono articolati e quindi prodotti dall’apparato fonatorie umano; la fonetica acustica che studia i suoni
del linguaggio per la loro consistenza fisica e per come vengono trasmessi; la fonetica uditiva che studia i
suoni per come vengono ricevuti e decodificati dal cervello.
Parlando di apparato fonatorio umano, i suoni del linguaggio normalmente sono prodotti attraverso
l’espirazione, con un flusso d’aria egressivo che dai polmoni va attraverso i bronchi e la trachea
raggiungendo poi la laringe. Esistono anche i suoni che si realizzano nel modo opposto, con un flusso
ingressivo, attraverso l’inspirazione. Alcuni suoni, prodotti senza l’uso dei polmoni, si chiamano
apneumonici.

Il meccanismo della fonazione si sviluppa così: il tratto vocale inizia nella laringe dove l’aria incontra le
corde vocali (la glottide è dove si trovano le corde). Durante la normale respirazione le corde vocali sono
rilassate e separate, mentre nella fonazione, quindi quando si produce un suono, possono incontrarsi e
tendersi, avvicinandosi o allontanandosi. Lo spazio tra di esse è chiamato rima vocale e può quindi essere
totalmente libero, parzialmente libero o completamente chiuso. Cicli rapidi di chiusure e aperture della
rima vocale creano le vibrazioni delle corde vocali. A questo insieme di fenomeni si dà il nome di
meccanismo laringeo che è il momento fondamentale della produzione dei suoni del linguaggio, poiché da
luogo alla voce. Il numero di cicli di chiusura apertura della rima vocale costituisce la frequenza
fondamentale, che è un parametro acustico misurato in Hertz. Dopodiché il flusso d’aria va nella faringe e
poi da qui nella cavità orale. Nella parte superiore della faringe, la parte posteriore del palato chiamato
anche velo, lascia poi aperto o chiuso il passaggio che collega la faringe con la cavità nasale. All’interno
della cavità orale ci sono degli organi che hanno un’importante funzione nel processo di fonazione, e
possono essere mobili o fissi: la lingua, divisa in radice che è la parte posteriore, dorso che è la parte
centrale, apice che è la punta, che insieme alla lamina costituisce la parte anteriore chiamata corona; il
palato, di cui fa parte il velo che è il palato molle; gli alveoli, ovvero la zona retrostante i denti; i denti; le
labbra. Anche la cavità nasale può partecipare al meccanismo di fonazione.

In base a quali organi si muovono e come si muovono per produrre il suono, troviamo i parametri
fondamentali per classificare identificare i suoni, ovvero il luogo e il modo di articolazione. Il luogo è dove
viene articolato il suono, mentre il modo è come gli organi si muovono e qual è il restringimento in un certo
punto del percorso che si frappone o meno al passaggio dell’aria. In base al modo di articolazione abbiamo
una prima grande divisione nei suoni del linguaggio: le vocali, quindi suoni prodotti senza la frapposizione di
ostacoli al flusso d’aria e con vibrazione delle corde vocali; le consonanti, suoni prodotti attraverso la
frapposizione di un ostacolo parziale o totale al passaggio dell’aria prodotti sia con presenza che con
assenza di vibrazione delle corde. I suoni prodotti con la vibrazione delle corde vocali sono detti sonori,
quelli senza vibrazione sono detti sordi. Le vocali sono sempre sonore, le consonanti possono essere sorde
o sonore.

• Vocali
Poiché le vocali sono suoni prodotti senza un ostacolo al flusso d’aria nel canale orale, le diverse tipologie di
vocali che abbiamo sono caratterizzate semplicemente dalla conformazione che assume la bocca a seconda
di quali organi si muovono, soprattutto la lingua. Parlando di essa possiamo classificare le vocali in un primo
momento a seconda della posizione della lingua, ovvero al suo grado di avanzamento o arretramento e
quello innalzamento o abbassamento. A seconda del primo parametro (avanzamento o arretramento)
possiamo avere vocali anteriori se articolate in posizione avanzata, posteriori se articolate in posizione
arretrata o centrali. A seconda dell’altro parametro invece (innalzamento o abbassamento) le vocali
possono essere alte, medie o basse. La posizione in cui vengono articolate le vocali secondo l’asse
orizzontale e verticale è rappresentata all’interno di un trapezio vocalico. Un altro parametro di
classificazione è la posizione delle labbra durante l’articolazione, che possono essere distese oppure tese.
Nel momento in cui le labbra sono tese e protruse, quindi sporgono in avanti dando luogo a una specie di
rotondità, le vocali si chiamano appunto arrotondate; se invece il suono viene prodotto senza protrusione o
arrotondamento delle labbra si chiamano vocali non arrotondate. Di solito le vocali anteriori sono non
arrotondate, mentre quelle posteriori sono arrotondate. Specifichiamo che se il suono vocalico è prodotto
con un passaggio dell’aria all’interno della cavità nasale avremo delle vocali nasali.

• Consonanti
Possono essere divise in due grandi classi, a seconda della tipologia di ostacolo che si pone al passaggio
dell’aria, che può essere totale o parziale. Le occlusive sono le consonanti create con un’occlusione totale
del passaggio dell’aria a causa del contatto di parti di organi; le fricative hanno invece un passaggio d’aria.
Diverse dalle fricative sono le approssimanti ovvero quelle dove l’avvicinamento degli organi articolatori
non porta ad una frizione tanto sensibile quanto nel caso delle vere fricative. Esistono anche le affricate che
sono consonanti di cui l’articolazione inizia come un’occlusiva e termina come una fricativa. Nel modo di
articolazione intervengono anche i movimenti, gli atteggiamenti della lingua e la partecipazione della cavità
nasale. Possiamo quindi distinguere consonanti di tipo: laterali, se l’aria passa solo ai lati della lingua;
vibranti quando ci sono rapidi contatti intermittenti tra la lingua e un altro organo; nasali se il passaggio
dell’aria e anche attraverso la cavità nasale.

In conclusione possiamo dire che, secondo del modo di articolazione, riconosciamo consonanti: occlusive,
fricative, approssimanti, affricate, laterali, vibranti e nasali.

La classificazione cambia invece se parliamo del luogo di articolazione ovvero il punto dell’apparato
fonatorio in cui sono articolate le consonanti. Troviamo le bilabiali che sono prodotte dalle labbra o tra le
labbra; le labiodentali, prodotte tra l’arcata dentaria superiore e labbro inferiore; dentali prodotte a livello
dei denti; alveolari, prodotte dalla lingua contro o vicino agli alveoli (parte posteriore dei denti, gengive);
palatali prodotte dalla lingua contro o vicino al palato duro; velari prodotte dalla lingua contro o vicino al
velo (parte molle del palato); ovulari prodotte dalla lingua contro o vicino all’ugola; fare in Ghali prodotte
tra la base della radice della lingua e la parte posteriore della faringe; glottide ali prodotte nella glottide
ovvero dove ci sono le corde vocali. in conclusione possiamo dire che, A seconda del luogo di articolazione,
riconosciamo consonanti: bilabiali, labiodentale, dentali, alveolari, palatali, velari, ovulari, faringali e
glottidali.

NB: APPROSSIMANTI: Sono suoni con modo di articolazione intermedio tra vocali e consonanti fricative,
prodotti quindi con un semplice inizio di restringimento del canale orale. Fra le approssimanti ci sono suoni
molto più vicini alle vocali di cui condividono anche la localizzazione articolatoria, e che vengono chiamati
semi vocali. Le semi vocali non possono mai costituire apice di sillaba e insieme alla vocale a cui sono
contigue nella catena fonica costituiscono un dittongo.
NB: le affricate dentali, la Fricativa palatale, la nasale laterale palatali ( ts, dz, (sh), (gn), (gl) sono in italiano
sempre lunghe o doppie se si trovano fra due vocali (pazzo -> già nella grafia; azione -> nella pronuncia)
Regole da ricordare:
La trascrizione fonetica è tra parentesi quadre, la trascrizione fonematica fra barre oblique;
l’accento è indicato soltanto sulle parole plurisillabica ponendo un apice prima della sillaba su cui cade;
la lunghezza viene fatta con: posti dopo il simbolo del fono;
le vocali toniche in sillaba aperta sono lunghe, sono brevi le vocali atone e le vocali toniche in sillaba chiusa
(sillaba che finisce con consonante);
le consonanti doppie si possono trascrivere raddoppiando il simbolo corrispondente oppure ponendo: dopo
il simbolo;
le consonanti affricate doppie si trascrivono ponendo: dopo il simbolo della parte occlusiva (es. [pat:so] per
pazzo);
quando la vocale tonica è preceduta da consonanti doppie, l’apice dell’accento si mette prima del suono
consonantico che viene raddoppiato con i : ;
se necessario rappresentare in trascrizione la costituzione sillabica di una parola si usa un puntino ogni fine
di sillaba

Fonologia
Ogni suono producibili e dall’apparato fonatorie umano rappresenta un suono del linguaggio, ovvero un
fono. Un fono è la realizzazione di un qualunque suono del linguaggio. Se i foni hanno valore distintivo,
ovvero si oppongono ad altri foni nel distinguere formare parole di quella lingua con significato diverso, si
chiamano fonemi. I foni sono le unità minime della fonetica, mentre i fonemi sono le unità minime della
fonologia, che studia l’organizzazione e il funzionamento dei suoni nel sistema linguistico. È importante
distinguere il fonema dall’allofono: il fonema è una classe astratta di foni dotata di valore distintivo; mentre
foni diversi che costituiscono realizzazioni foneticamente diverse di uno stesso fonema, ma prive di valore
distintivo, sono allofoni di un fonema. Ad esempio la N dentale e la N velare sono allofoni del fonema N,
ovvero il suono N può essere prodotto in modi diversi a seconda di esempio della cadenza regionale, ma
mantiene lo stesso significato la parola. Introduciamo quindi anche il significato di coppia minima, ovvero
coppia di parole uguali in tutto tranne che per un fonema al posto di un altro e una certa posizione che
quindi cambia il significato delle due parole (esempio belle e pelle).
vedi tratti distintivi p 66
Sillabe
Sono le minime combinazioni di fonemi che possono essere utilizzate per costruire la forma fonica delle
parole. Sono sempre costruite attorno ad una vocale e possono avere varie strutture (CV, V, VC, CCV, CVC,
CCCV, CC in coda solo se prese dall’inglese es sport)
La parte che precede la vocale è detta attacco, la vocale è il nucleo, la parte che segue la vocale è la coda.
Le sillabe con la coda sono definite chiuse, mentre le sillabe senza coda (che finiscono con una vocale) sono
aperte.
Tra le combinazioni di fonemi abbiamo poi dittonghi e trittonghi. Tra i dittonghi riconosciamo due tipi:
discendenti se la sequenza vocale più approssimante; ascendenti se la sequenza è approssimante più
vocale. I dittonghi sono la combinazione di un’approssimante e di una vocale che costituisce sempre l’apice
sillabico. Combinazioni di due semi vocali e una vocale sono chiamati trittonghi.
Fatti soprasegmentali/ prosodici
1. L’accento è la forza, l’intensità di pronuncia di una sillaba relativamente ad altre sillabe per cui in
parole plurisillabica e parole prodotte con una sola emissione di voce, una sillaba presenti una
prominenza fonica rispetto alle altre, diventando quindi sillaba tonica. In italiano l’accento è libero
e può trovarsi in varie posizioni ultima sillaba parole tronchi; penultima sillaba parola piana;
terzultima sillaba parola sdrucciola; quart’ultimasillaba parola bisdrucciola; ultima sillaba su parole
composte con pronomi critici e quindi trisdrucciole. I clitici sono gli elementi monosillabici che nella
catena fonica non possono rappresentare la sillaba prominente e avere accento proprio. L’accento
in italiano può avere carattere distintivo perché due parole che formano una coppia minima
possono essere distinte l’una dall’altra per l’accento (capitano e capitano).
2. il tono è l’altezza relativa di pronuncia di una sillaba e può avere valore distintivo a livello di parola
nelle lingue tonali. L’intonazione è l’andamento melodico con cui è pronunciato un gruppo tonale
ovvero un insieme di parole. In italiano un enunciato pronunciato con curva intonativa ascendente
è una domanda; intonazione costante rappresenta le affermazioni altro; un’intonazione
discendente può avere valore esclamativo.
3. La lunghezza riguarda l’estensione temporale. Ogni fono può essere breve o lungo e la quantità
delle vocali e delle consonanti può avere valore distintivo (in italiano solo consonano che diventano
doppie).

Cap. 3 MORFOLOGIA
La morfologia si occupa della struttura della parola, definita come la minima combinazione di elementi
minori dotati di significato, ovvero i morfemi.
Il morfema è l’unità minima di prima articolazione, il pezzo più piccolo di significante di una lingua che ha
significato proprio.
Diverso è il morfo, che è il morfema ma inteso come forma indipendentemente dalla sua analisi funzionale
e strutturale. L’allomorfo è invece la variante formale di un morfema, come si può presentare nelle diverse
forme (vedi esempi pag. 96)
È importante nominare il fenomeno del supplettivismo, ovvero quando le forme diverse di un morfema
hanno origini di provenienza diverse (es. acqua- latino, idrico-greco).
Morfemi: tipologie
Possono essere classificati in base alla funzione che svolgono, al valore che danno alle parole, oppure in
base alla posizione che assumono all’interno della parola.
Tipi funzionali:

• Morfemi lessicali: significato proprio, denotativo, concettuale; sono liberi


• Morfemi grammaticali: servono per formare la parola, ma non hanno significato proprio concreto.
Possono essere flessionali o derivazionali; sono legati (non possono apparire soli)
NB: parole funzionali: articoli, pronomi, preposizioni, congiunzioni…
Importante nella morfologia distinguere la flessione e la derivazione. Dal morfema lessicale deriviamo una
parola e poi applichiamo le flessioni (es. numero) quindi i morfemi flessionali saranno lontani dalla radice
rispetto a quelli derivazionali.
Tipi posizionali
I morfemi grammaticali possono essere chiamati affissi, ovvero che si collegano alla radice, e possono
essere:
• Prefissi, prima della radice
• Suffissi, dopo la radice
• Infissi, dentro la radice
• Circonfissi, divisi> pre-radice-suf es. ge-t in tedesco ge sag t
I suffissi con valore flessionale sono le desinenze.
Altri morfemi
• Sostitutivi, perchè sostituiscono un fono con un altro (es. in inglese foot-feet, si modifica la vocale
per il plurale)
• Zero, quando abbiamo una differenza tra due parole che peró non è visibile (es. le parole invariabili
in inglese come sheep-sheep)
• Comulativi, che rappresentano più informazioni (es. buone, la “e” rappresenta sia il plurale che il
femminile)
Derivazione e formazione delle parole
Parlando di derivazione abbiamo vari morfemi (con i relativi allomorfi) che hanno varie funzioni (vedi pag.
115-119)
Quando però incontriamo morfemi derivazionali che al tempo stesso sono lessicali, li chiamiamo prefissoidi
o suffissoidi.
Nelle parole composte abbiamo una testa, che assegna la classe di parola e conferisce le caratteristiche di
significato (es. capostazione “capo” è la testa, perchè è il capo della stazione). Quando c’è la testa sono
composti endocentrici; quando non c’è sono esocentrici (es. buttafuori)
Abbiamo poi parole chiamate “dvandva” che sono formate da due teste, come caffellatte, cassapanca…
I composti possono poi essere coordinativi se le due parole sono allo stesso livello (es. sordomuto, una
persona sia sorda che muta); subordinativi se c’è rapporto modificato-modificatore (es. pescespada, un
pesce che ha una spada ecc)
Tra i composti abbiamo anche le unità lessicali plurilessematiche, ovvero unità lessicali composte da
sintagmi che rappresentano un’unica entità di significato comportandosi come se fossero una parola unica
(es. fare il bucato).
Le unità lessicali bimembri sono a metà, ovvero due parole che non si sono fuse in un’unica parola
composta, ma che insieme rappresentano una determinata cosa (es. parola chiave).
Nei composti abbiamo infine le parole macedonia, ovvero quelle dove la prima parola ha subito un
troncamento (es. cantautore).
Tra i processi di derivazione abbiamo:
• Suffissazione, con morfemi come -zion -ment (verbo/nome), -ier- -tor (nome/nome), -ità
(aggettivo/nome), -os -al -an -evol -es -ic -ist (nome o verbo/aggettivo), -mente
(aggettivo/avverbio)
• Prefissazione: -in -s -dis per negazione, -a per assenza, -ri per nuovamente, -anti per anteriorità o
contro
• Alterazione
Tra le parole derivate abbiamo anche i verbi parasintetici, che nascono da forme aggettivali (es imbiancare
da bianco).
È importante differenziare la derivazione dalla conversione, chiamata anche derivazione zero. Quando ci
sono coppie di parole che hanno la stessa radice lessicale ed entrambi non hanno suffisso, È difficile
stabilire quale delle due è la parola derivata. Quando la coppia è costituita da verbo e da nome di solito la
base è il verbo, per cui il nome verrà formato con derivazione zero, quindi si passerà dal verbo a nome
senza l’uso di suffissi (es. cambiare-cambio).
Flessione e categorie grammaticali
I morfemi flessionali non modificano il significato della radice lessicale ma la attualizzano nel contesto di
enunciazione. Questi morfemi realizzano i valori delle categorie grammaticali: ogni categoria è l’insieme dei
valori che può assumere una dimensione semantica basilare. Le categorie flessionali si dividono in due
classi: quelle che operano sui nomi e quelle che operano sui verbi.
La morfologia nominale ha come categorie il genere (maschile/femminile) e il numero (o/i, a/e, e/i); anche
il caso, quindi la relazione tra la forma della parola e la funzione che ha nella frase. Se il verbo assegna il
caso al complemento si parla di reggenza.
Per gli aggettivi abbiamo il grado: comparativo e superlativo (-issim-).
Altre lingue hanno poi categorie come: Definitezza (la-una); Possesso.
La morfologia verbale ha cinque categorie:
1. Modo, come il parlante si pone verso ciò che viene detto. La modalità può essere: assertiva
(affermazion), dubitativa, epistemica (condizionale), deontica (imperativo), evidenziale (sottolinea
l’origine dell’informazione).
2. Tempo: presente, passato, futuro…
3. Aspetto: azione presentata in base al suo svolgimento (passato prossimo, imperfetto…)
4. Diatesi: rapporto azione-persona (attivo, passivo, medio)
5. Persona
A livello di parole le categorie grammaticali sono le cosiddette parti del discorso (anche classi lessicali):
nome/sostantivo, aggettivo, verbo, pronome, articolo, preposizione, congiunzione, avverbio, interiezione
(ahia, uffah…).
Le parole sono classificate in base a tre criteri: morfologico, sintattico e semantico.

Cap. 4 SINTASSI
La sintassi è l’analisi della struttura delle frasi, che sono le unità di misura. Una frase solitamente contiene
una predicazione ovvero un’affermazione riguardo a qualcosa. Di solito ogni verbo autonomo coincide con
una frase, ma possono anche esserci frasi senza verbo chiamate nominali.
Le parole formano delle frasi secondo i rapporti strutturali a volte complessi che vengono chiamate
proposizioni.
Nella struttura ad albero in sintassi vengono usate delle sigle, tra cui i determinanti che sono tutti gli
elementi che concorrono davanti ha un nome e svolgono la funzione di determinare il referente da esso
indicato. Possono essere articoli, aggettivi dimostrativi, ma anche altri elementi.
Dividiamo le frasi per sintagmi, le minime combinazioni di parole che funzionano come unità della struttura
frasale. Essi sono costruiti attorno ad una testa che è la classe di parole che rappresenta l’elemento minimo
che da solo può costituire un sintagma. I sintagmi nominali sono quelli costruiti attorno ad un nome, cioè la
testa del sintagma. Anche i pronomi possono sostituire il ruolo del nome nel sintagma nominale
diventandone la testa.
In sintassi usiamo gli schemi ad albero per rappresentare la struttura delle frasi e il principio generale è che
ogni elemento che sta sul ramo di destra di un nodo modifica o sta in relazione diretta con l’elemento che
sta alla sua sinistra sotto lo stesso nodo e rappresenta il costituente Fratello.
Importanti sono le funzioni sintattiche che costituiscono il ruolo che i sintagmi assumono nella struttura
della frase, per cui i sintagmi nominali possono valere dal soggetto o complemento oggetto, i sintagmi
preposizionali da oggetto indiretto o complemento, i sintagmi verbali da predicato. Soggetto, predicato
verbale e oggetto sono le tre funzioni sintattiche fondamentali. A essi si aggiungono vari complementi:
specificazione, termine, mezzo, modo, argomento, Tempo, stato o moto da/a/ in luogo, termine di
paragone…
Concentrandoci sul verbo parliamo di valenze o argomenti che sono implicate dal tipo di significato del
verbo. Ogni predicato rappresenta e codifica un quadro di elementi che sono le valenze. Secondo lo schema
valenziale i verbi possono essere monovalenti, bivalenti o trivalenti. I verbi monovalenti implicano una sola
entità, qualcuno che fa qualcosa; i verbi bivalenti implicano due entità qualcuno che fa qualcosa e qualcuno
che subisce quella cosa; i verbi trivalenti hanno qualcuno che fa qualcosa, qualcuno che subisce quella cosa
e qualcuno che riceve quella cosa. Esempi di verbi monovalenti sono camminare o piangere; lodare o
interrogare sono verbi bivalenti; dare e spedire sono verbi trivalenti. Esistono poi verbi zero valenti o
avalenti che sono i verbi meteorologici o atmosferici come piovere o nevicare che non hanno alcuna
valenza. Per quanto rari esistono anche verbi tetravalenti che hanno quattro valenze, come spostare,
tradurre o vendere. Il soggetto è la prima valenza di ogni verbo ed è l’argomento più saliente. La seconda
valenza è il complemento oggetto nel caso dei verbi transitivi, ma può anche consistere in un complemento
di luogo, un complemento predicativo del soggetto o dell’oggetto, ho ancora altri complementi. Nella
struttura sintattica della frase importanti sono i circostanziali che non fanno parte dello schema valenziale
ma che funzionano da modificatori a livello della frase nel suo complesso oppure del sintagma verbale/
nominale e solitamente sono degli avverbi di tempo o di modo.
Un altro ordine di principi sono quelli che concernono il modo in cui contribuisce e partecipa all’evento
rappresentato dalla frase queste funzioni sono chiamate ruoli semantici o anche ruoli tematici.
Tra essi riconosciamo:
1. Agente: parte attiva che provoca ciò che accade, soggetto
2. Paziente: entità coinvolta senza intervento attivo che subisce o interessata passivamente da ciò che
accade, complemento oggetto
3. Sperimentatore: entità toccata da un certo stato processo psicologico; es. A Luisa piacciono i gelati
4. Beneficiario: indica che trai beneficio dall’azione, a vantaggio della quale va a ricadere quanto
succede; es. Gianni regalo un libro a Luca
5. Strumento: entità inanimata attraverso cui avviene l’azione
6. Destinazione: entità verso la quale, la meta di uno spostamento
7. Località: entità in cui sono situati spazialmente l’azione, lo Stato, il processo
8. Provenienza: entità dalla quale un’entità si muove in relazione l’attività espressa dal predicato
9. Dimensione: entità che indica una determinata estensione nel tempo, nello spazio o nella massa
10. Commutativo: entità che partecipa all’attività svolta dall’agente (1)
È importante sottolineare che in una frase passiva è diversa distribuzione del rapporto fra ruoli semantici e
funzioni sintattiche: la gente, che normalmente è il soggetto, diventa complemento d’agente, mentre il
paziente, che normalmente è oggetto, diventa soggetto. Sono passivizzabili solo i verbi transitivi, mentre i
verbi in transitivi no. Come essi sono anche i cosiddetti verbi inaccusativi, quelli che richiedono essere come
ausiliare, o i verbi inergativi, che hanno come ausiliare il verbo avere.
Nella strutturazione del prodotto finale della sintassi c’è però un altro piano che l’organizzazione
pragmatico informativa. Ci si occupa del valore con cui le frasi possono essere usate nella comunicazione e
di ciò che il parlante vuole fare producendole. Distinguiamo cinque tipi di frase:
1. Frasi dichiarativa: affermazione generica
2. Frasi interrogative: pongono una domanda che è marcata in italiano dall’intonazione e da parole
particolari come chi, che cosa ecc.; si dividono in interrogative totali o polari, che hanno come
risposta solo si o no, e interrogative parziali o aperte, che prevede una risposta libera
3. Frasi esclamativi: esprimono un’esclamazione e anche se sono marcate dall’intonazione
4. Frasi iussive o imperative: esprimono un ordine e sono marcate da forme verbali particolari come
imperativo, congiuntivo, infinito preceduto da negazione
5. Frasi ottative: esprimono un desiderio, un auspicio e sono marcate dalla posizione iniziale del verbo
al congiuntivo, dall’intonazione o di elementi introduttivi come un che generico o un se
Poiché la frase può essere vista come un’affermazione fatta attorno a qualcosa, è importante dividere il
significato di tema e rema. Il tema è ciò su cui si fa un’affermazione, attorno a cui si predica qualcosa. Il
rema e la predicazione che viene fatta, l’informazione che viene fornita a proposito del tema. Un’altra
distinzione importante è quella tra dato e nuovo. Il dato è l’elemento della frase da considerare noto
perché introdotto nel discorso o perché facente parte delle conoscenze condivise. Nuovo è l’elemento
portate come informazione non nota. Spesso il dato coincide con il tema e il nuovo coincide con il tema.
Quindi da un lato si sceglie ciò di cui si vuole parlare (tema) e si afferma qualcosa a proposito di questo
(rema), dall’altro si tiene conto della differenza tra informazione conosciuta (dato) e informazione non nota
(nuovo).
Nelle frasi normali tema, soggetto e agente coincidono, ma se si vuole separare e cambiare le funzioni delle
parole, si usano metodi come:
• dislocazione a sinistra, che sposta davanti alla frase uno degli elementi che la costituisce: l’oggetto
diventa tema, il soggetto rema. Stesso processo viene fatto per le frasi passive che mutano anche il
rapporto fra i ruoli semantici.
• dislocazione a destra che isolano sulla destra un elemento ripreso da un clitico
• Frase scissa che divide la frase in due parti, portando all’inizio della frase un costituente introdotto
dal verbo essere e poi una frase relativa. Serve per mettere in luce un elemento della frase, detto
focus: elemento su cui si concentra l’interesse del parlante e che dà più informazioni
La grammatica è costituita da lessico e regole. Lessico: parole e il loro significato. Regole: descrivono
meccanismo di formazione delle frasi. Le regole sono regole di riscrittura a struttura sintagmatica, con
forma generale x>y+z. Sono ricorsive quando dopo la freccia (uscita della regola) troviamo l’elemento che la
precede (entrata). Le regole contestuali hanno le barre oblique perchè specificano il contesto in cui si può
applicare la regola. Nelle regole possono essere specificati i tratti come genere, numero, transitivo ecc…
che sono le sottocategorizzazioni.
Si è visto che il problema dell’italiano è che la stessa frase può avere interpretazioni diverse tra loro. Per
questo è stata introdotta la differenza tra struttura superficiale e profonda della frase. Quella superficiale è
la forma sintattica per come è rappresentata dagli indicatori sintagmatici; la profonda è l’organizzazione
strutturale astratta che è dietro ad ogni frase e rappresenta i ruoli semantici e sintattici che variano in base
all’interpretazione.
Analisi del periodo
Il periodo è una frase complessa con più predicati. Le proposizioni che lo formano possono essere legate tra
loro per coordinazione o subordinazione. Nel primo caso le frasi sono accostate sullo stesso livello,
indipendenti tra loro, legate con dei connettivi tipo congiunzioni coordinanti (e, ma, o…) Nel secondo caso
abbiamo una frase principale e altre frasi che dipendono o da esse o tra loro a catena, legate con dei
connettivi di subordinazione come congiunzioni subordinanti (che, perché, quando, mentre, benchè…); le
subordinate sono esplicite se il verbo è finito, implicite se il verbo è in un tempo infinito. Possono essere:
1. Avverbiali o circostanziali modificano la frase da cui dipendono
2. Completive o argomentali sostituiscono soggetto o parti nominali maggiori
3. Relative modificano un costituente nominale della frase e hanno sempre o un nome o un pronome
come testa
Testi
Un testo è una combinazione di frasi più il contesto in cui essa funziona da unità comunicativa. Il contesto
può essere sia linguistico che extra linguistico indicando quindi la situazione specifica in cui si produce la
combinazione di frasi. Ci sono dei casi in cui non si può comprendere il significato di una frase se non si
guarda il contesto testuale. È il caso della pronominalizzazione, quando si usa un pronome personale come
soggetto e per capire il nome che sostituisce bisogna guardare le frasi precedenti.
Questi fenomeni si chiamano anafore: presenza di elementi che si possono interpretare solo se si fa
riferimento al contesto linguistico precedente. Il caso opposto (contesto linguistico seguente) sono le
catafore. Entrambi sono elementi coreferenti, che rimandano a qualcosa. Abbiamo poi la deissi: proprietà
di alcuni segni linguistici di far riferimento a elementi presenti nella situazione extra linguistica nello spazio
o nel tempo per cui per interpretarli ci si deve riferire alla situazione in cui viene enunciata la frase (es. ieri
può essere qualsiasi giorno, dipende da quando viene detta la frase). Essa può essere:
• Personale: riferimento al parlante, all’interlocutore e alle terze persone
• Spaziale: riferimento alla posizione delle entità chiamate in causa
• Temporale: riferimento alla localizzazione nel tempo
Esiste poi la situazione delle ellissi ovvero la mancanza di elementi che sarebbero indispensabili per dare
luogo a una struttura fra sale completa e che sono recuperabili solo nel contesto linguistico (es. “dove vai?
A casa” è sottinteso vado a caso perchè già detto nella domanda). NB in italiano esisterebbero tanti casi di
ellissi perchè è una lingua a soggetto nullo, lingua pro-drop. Molto importanti nella strutturazione dei testi
sono i segnali discorsivi, elementi estranei alla strutturazione sintattica della frase che svolgono il compito
di articolare il discorso (allora, guardi, senti, scusa, in primo luogo…).

Cap. 5 SEMANTICA, LESSICO, PRAGMATICA


La semantica è la parte della linguistica che si occupa del piano del significato. Innanzitutto c’è una
concezione referenziale o concettuale del significato poiché esso è un concetto, un’immagine mentale,
un’idea creata dalla nostra mente corrispondente a qualcosa che esiste al di fuori della lingua. Vi è poi una
concezione operazionale del significato, secondo cui questo è funzione dell’uso che si fa dei segni, cioè
accomuna i contesti di impiego di un segno e ne permette l’uso appropriato. In questo caso il significato è
l’informazione veicolato da un segno o da un elemento linguistico. Può essere denotativo se è quello inteso
in senso oggettivo, ciò che il segno descrive e rappresenta. Oppure può essere connotativo se è indotto,
connesso alle sensazioni suscitate da un segno e alle associazioni a questo dà luogo. Il significato linguistico
è il significato di un termine in quanto elemento di un sistema linguistico, mentre il significato sociale è il
significato consegno può avere relazioni rapporti fra i parlanti.
I termini che rappresentano oggetti concreti o astratti, entità o concetti del mondo esterno hanno
significato lessicale; i termini che rappresentano concetti o rapporti interni al sistema linguistico e alle
categorie che questo prevede hanno significato grammaticale. I termini dal significato lessicale vengono
chiamati parole piene mentre quelli dal significato grammaticale parole vuote.
Dobbiamo specificare la differenza tra intensione ed estensione: con intensione indichiamo l’insieme delle
proprietà che costituiscono il concetto designato da un termine, mentre l’estensione è l’insieme
dell’individui a cui il termine si può applicare.
I nomi propri sono delle etichette a referente unico, perché designano un individuo e non una classe e
hanno solo estensione e non intensione.
Il lessico
L’unità di analisi basilare della semantica è il lessema che corrisponde a una parola considerata dal punto di
vista del significato. L’insieme dei lessemi di una lingua costituisce il suo lessico e lo studio di esso è la
lessicologia.
Rapporti di significato tra lessemi
Omonimia: sono omonimi lessemi che hanno lo stesso significante ma cui corrispondono significati diversi.
Polisemia: diversi significati associati a uno stesso significante sono imparentati fra loro e derivati o
derivabili uno dall’altro.
Se significati diversi dello stesso termine sono tra di loro in un rapporto di opposizione abbiamo
l’enantiosemia.
Rapporti di similarità
Lessemi diversi aventi lo stesso significato sono sinonimi.
Quando il significato di un lessema rientra nel significato più ampio e generico rappresentato da un altro,
abbiamo iponimia. Essa esiste fra due lessemi X e Y quando tutti gli X sono Y ma non tutti gli Y sono X (es. il
prosciutto è un salume ma non tutti i salumi sono prosciutto). In questo caso x è iponimo di y che è
iperonimo.
La meronimia è la relazione semantica basata sul rapporto fra la parte e il tutto (es. braccio, testa, piede
sono meronimi di corpo).
La solidarietà semantica è un rapporto di compatibilità semantica sull’asse sintagmatico. La selezione di un
termine dipendente dall’altro e la possibilità di essere usato in combinazione con altri lessemi è molto
ridotta. Il significato di un lessema risulta predeterminato dall’altro, visto che il lessema in questione può
riferirsi nel discorso solo a questo secondo significato (es. miagolare e gatto, leccare e lingua, raffermo e
pane).
Rapporti di opposizione
Antonimia: riguarda due lessemi di significato contrario che designano i poli opposti di una scala. X è
antonimo di Y se X implica non Y, ma non Y non implica X (esempio essere alto implica non essere basso,
ma non essere basso non implica essere alto).
Complementarietà: Riguarda due lessemi di cui uno è la negazione dell’altro poiché spartiscono uno stesso
spazio semantico in due sezioni opposte. X implica non Y e non Y implica X (esempio vivo è morto, maschio
e femmina, parlare e tacere).
Inversione: due lessemi di significato relazionale che esprimono la stessa relazione semantica vista da due
direzioni opposte (esempio dare e ricevere, marito e moglie, comprare e vendere).
Insiemi lessicali
Gli insiemi o sottosistemi lessicali sono gruppi di lessemi che costituiscono complessi organizzati in cui ogni
elemento è unito agli altri da rapporti di significato.
Il concetto più noto in questo ambito è quello di campo semantico: insieme dei lessemi che coprono le
diverse sezioni di un determinato spazio semantico.
Una nozione più generica è quella di sfera semantica che riguarda ogni insieme di lessemi che abbiano in
comune riferimento a un certo ambito semantico.
Una famiglia semantica è l’insieme di lessemi imparentati nel significato e imparentati nella stessa radice
lessicale.
Una gerarchia semantica è invece costituita da un insieme in cui ogni termine è una parte determinata di
un termine che nell’insieme lo segue in una certa scala di misura (esempio secondo, minuto, ora, giorno,
mese, anno, lustro, secolo). Il rapporto semantico che sta alla base di questo tipo di sottosistema lessicale è
quello della meronimia.
Molti lessemi sono suscettibili ad assumere significati traslati che si allontanano più o meno dal normale
significato primario. I processi di spostamento di significato fondamentali sono la metafora e la metonimia.
L’analisi del significato
Uno dei metodi più praticabili per l’analisi del significato dei lessemi è quello dell’analisi componenziale. Il
principio su cui essa si basa è quello di scomporre il significato de i lessemi comparando gli uni con gli altri e
cercando di cogliere in che cosa differisca il loro rispettivo significato in pezzi o unità di significato più
piccoli. In essa vengono indicate fra barre le proprietà di significato che costituiscono i pezzi di significati
minimi, chiamati componenti semantici.
I tratti semantici di solito sono binari, ovvero mettono i due valori più e meno, ma si possono utilizzare
anche tratti non binari a più valori. Anche i verbi si possono analizzare in questo modo sapendo che
abbiamo due elementi X e Y che sono l’agente e il paziente, X causa qualcosa a Y per cui Y diventa in un
certo modo.
Esiste poi la semantica prototipica per cui il significato di un lessema è concepito come prototipo. Esso
rappresenta l’immagine mentale immediata che per i parlanti di una certa cultura e società corrisponde più
tipicamente a un dato concetto. Il prototipo è il punto focale di questo concetto. I concetti hanno una
struttura interna prototipiche basata sulla gradualità e non soltanto sulla categoricità.
Esiste poi la semantica frasale che si occupa del significato delle frasi. L’enunciato è una frase considerata
dal punto di vista del suo impiego concreto in una situazione comunicativa, parte di un discorso in atto.
Importanti per l’interpretazione degli enunciati sono i connettivi (congiunzioni coordinanti e subordinanti) i
quantificatori e la negazione. Da notare bene è la questione della composizionalità del significato, ovvero
dell’importanza dell’interazione tra i significati e le proprietà semantiche dei singoli lessemi lento
enunciati.
Principi:
1. Composizione: il significato della frase e la somma dei significati di base di ogni singolo elemento
2. Cocomposizione: il significato degli argomenti di un verbo contribuisce a definire il significato del
verbo
3. Coercizione: il significato del verbo condiziona il significato di un suo argomento
4. Legamento selettivo: un nome selezione determina il valore di un aggettivo del significato uno
specifico
Pragmatica
Il significato pragmatico degli enunciati riguarda che cosa si fa con la produzione di un enunciato in un
determinato contesto situazionale e chiama direttamente in causa l’intenzionalità del parlante. In questo
caso la lingua è studiata come modo di agire. Gli enunciati prodotti nella normale interazione verbale sono
atti linguistici che l’unità di base dell’analisi pragmatica. Essi si sviluppano in tre livelli distinti:
1. Atto locutivo: consiste nel formare una frase in una data lingua, una proposizione con la sua
struttura fonetica, grammaticale, lessicale
2. Atto illocutivo: consiste nell’intenzione con la quale e per la quale si produce la frase, l’azione che
si intende compiere proferendo quello enunciato
3. Atto perlocutivo: consiste nell’effetto che si vuole provocare nel destinatario del messaggio, nel
risultato concreto ottenibile da un enunciato prodotto in una determinata situazione
L’aspetto centrale degli atti linguistici è l’atto illocutivo che definisce il tipo dell’atto linguistico. Sono atti
illocutivi: l’affermazione, la richiesta, la promessa, la minaccia, l’ordine, l’invito, il rifiuto, la constatazione, la
felicitazione, il divieto, la confessione. Ci sono poi verbi particolari chiamati verbi performativi che se usati
alla prima persona del presente indicativo annullano la distinzione fra contenuto referenziale e atto
illocutivo compiuto.
Quando un certo atto illocutivo è realizzato mediante atti locutivi che sono la forma tipica di realizzazione
di un altro atto illocutivi, o mediante indicatori propri di atti illocutivi di altro tipo, si parla di atti linguistici
indiretti. Importante qui è la manifestazione della cortesia linguistica, basata sul principio generale di non ti
imporre il tuo interlocutore. Se l’atto linguistico è formulato con troppa cortesia e diventa molto indiretto,
tende ad assumere valori ironici.
Un’altra nozione importante è quella del significato implicito non esplicitato verbalmente, ma fatto
assumere da quanto viene detto. Esso non fa parte del significato letterale ma è ricavato da ciò che viene
detto e come lo si dice. Esistono regole della conversazione note come “massime di Grice” mediante le
quali si può dar conto dei meccanismi con cui i parlanti attuano significati impliciti. Esse sono riunibili in
quattro categorie:
• Quantità: dare un contributo tanto informativo quanto richiesto
• Qualità: dare un contributo che sia vero
• Relazione: essere pertinenti
• Modo: esprimersi chiaramente
La violazione di uno o più massime genera implicature conversazionali che trasmettono comunque il
significato voluto. Un tipo particolare di significato implicito dato è la presupposizione: la parte del
significato di una frase che rimane vera o valida negando la frase (es. Gianni legge presuppone che esiste
Gianni, e questa preso posizione rimane vera anche se Gianni non legge).
La frase “il gatto insegue un topo” ha come presupposizione che esiste un gatto noto al parlante, mentre la
presupposizione di esistenza di un topo è più problematica, in quanto dipende dal dominio su cui agisce la
negazione. La frase il gatto non insegue un topo può infatti essere intesa come il gatto non insegue un topo,
ma fa qualcos’altro, e quindi come negante dell’intero sintagma verbale, oppure può essere intesa come il
gatto non insegue un topo, ma fa qualcos’altro nei confronti del topo, e quindi nega solo il predicato
verbale. In questo secondo caso sarebbe valida la presupposizione che esiste un topo x. I verbi che
veicolano automaticamente la preso posizione di verità della proposizione che reggono si chiamano verbi
fattivi (finire, sapere, confessare, rimpiangere).

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