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La linguistica

• La linguistica è il ramo delle scienze umane che studia la lingua;

• Lo studio della lingua si può dividere in due categorie principali:

‣ La linguistica generale;

‣ La linguistica storica;

• 1. La linguistica generale, anche detta descrittiva/sincronica, si occupa di studiare come sono


fatte le lingue e come funzionano;

• È un termine nato ai primi del 900 diffondendosi grazie all’importanza del testo Cours de
linguistique générale (1916) di Ferdinand de Saussure, il quale ha posto i fondamenti di questa
disciplina;

• Ha due proprietà fondamentali:

1. Proprietà che si basano su rapporti di tipo genealogico > due lingue possono avere proprietà
comuni perché hanno una lingua da cui derivano che è la stessa - quando le somiglianze e le
differenze delle lingue sono di questo tipo dobbiamo individuare lo sviluppo storico della lingua;

2. Proprietà tipologiche > differenza di struttura che sono indipendenti dalla genealogia -
possono esserci delle lingue che non hanno una parentela ma presentano una struttura di
formazione delle parole simile tra di loro (sistema simile di organizzazione delle parole) - Es.
L’ordine delle parole in italiano > l’ordine con cui si presentano il soggetto, verbo ed oggetto; le
caratteristiche delle lingue figlie (italiano) non sono uguali alla lingua materna (latino - soggetto,
oggetto, verbo);

• Spesso si contrappone alla linguistica generale la “glottologia”, come ambito che copre la
linguistica storica e le studio comparato delle lingue antiche;

• 2. La linguistica storica si occupa dell’evoluzione delle lingue nel tempo e dei rapporti fra le
diverse lingue e fra lingua e cultura.

Linguistica generale vs. Linguistica storica

• Tra le due c’è una prospettiva molto diversa data proprio dai diversi ambiti che ricoprono.

Le lingue storico-naturali e il linguaggio verbale umano

• Oggetto della linguistica sono le cosiddette lingue storico-naturali, ovvero le lingue nate
spontaneamente lungo il corso della civiltà umana ed utilizzate dagli esseri umani ora e nel
passato;

• Tutte le lingue storico-naturali sono pressione di quello che viene chiamato linguaggio verbale
umano
• È una facoltà innata nell’homo sapiens ed è uno degli strumenti, dei modi e dei sistemi di
comunicazione che questi abbia a disposizione.

Dialetti

• Da questo punto di vista non c’è nessuna differenza tra le lingue e i dialetti, i quali sono
manifestazione del linguaggio verbale umano;

• La distinzione fra lingue e dialetti è basata unicamente su considerazioni sociali e storico-culturali


in funzione della distribuzione negli usi linguistici della comunità e del prestigio dei singoli sistemi
linguistici;

• Si apre qui il campo della sociolinguistica, che studia l’interazione fra lingua e società, la
variazione dei diversi comportamenti linguistici e come le lingue si articolano in varietà secondo
diverse dimensioni di variazione.

Il segno

• Per inquadrare il linguaggio verbale umano fra i tipi e modi di comunicazione può essere utile
partire da nozioni di segno;

• Un segno è qualcosa che serve per comunicare con qualcos’altro.

Nozione di comunicazione

• Si può avere una concezione molto larga oppure molto stretta di che cosa voglia dire comunicare/
comunicazione;

• Secondo una concezione molto larga tutto può comunicare qualcosa, ogni fatto culturale è
suscettibile di essere interpretato da qualcuno e quindi di dare qualche informazione e quindi
comunicazione vuol die “passaggio di informazione”;

• È più utile però intendere la comunicazione in un senso diverso > questo senso ha come punto
fondamentale l’intenzionalità: si ha comunicazione quando c’è un comportamento prodotto da
un emittente al fine di/con l’intenzione di far passare dell’informazione e che viene percepito da
un ricevente come tali; altrimenti, si ha un semplice passaggio di informazion.

Le tre categorie della comunicazione

• Con maggiore precisione, possiamo distinguere tre categorie della comunicazione, a seconda
del carattere di chi produce il messaggio (l’emittente) e hai lo riceve o interpreta (ricevente o
interprete) e dell’intenzionalità del loro comportamento:

Comunicazione in senso stretto:

a. Emittente intenzionale;

b. Ricevente intenzionale (es.: linguaggio verbale umano, gesti ecc.).

Passaggio di informazione:

a. Emittente non intenzionale;

b. Ricevente intenzionale (es.: parte della comunicazione non verbale umana: postura del
corpo ecc.).

Formulazione di inferenze:

a. Nessun emittente (ma solo: presenza di un ‘oggetto culturale’ che viene interpretato
come volto a fornire un’informazione);

b. Interpretante (es.: case dai tetti spioventi = ‘qui nevica’).

• Da A a C l’insieme delle conoscenze di riferimento (il ‘codice’) che permette di interpretare in


modo corretto l’informazione decodificando il valore dei segni diventa via via più debole e
indeterminato, e l’associazione fra un certo segnale e l’informazione che esso veicola è affidata
all’attività dell’ interpretante e possibili di fraintendimenti;

• Comunicazione è dunque intendere come trasmissione intenzionale di informazione;

• Nel quadro generale della comunicazione, la posizione del linguaggio verbale umano può essere
individuata come in uno schema dove le lingue sono una specificazione della comunicazione
umana naturale.

Segni e codice

• La singola entità che fa da supporto alla comunicazione è un ‘segno’;

• Sono caratterizzati da due piani:

‣ Espressione > significante | la parte o piano fisicamente percepibile del segno, quello
che cade sotto i nostri sensi.

‣ Contenuto > significato | la parte o piano non materialmente percepibile, l’informazione


veicolata dalla faccia percepibile ;

• In altre parole: il significante o espressione è ogni modificazione fisica a cui si può associare un
significato, ovvero un contenuto

• Quando andiamo a classificare i segni dobbiamo infatti notare se c’è contenuto ed espressione e
inoltre se c’è rapporto tra di due;

• ‘Segno’ è quindi l’unità fondamentale della comunicazione;

• Esistono diversi tipi di segni;

• Per capire la natura dei segni linguistici possiamo rifarci ad una classificazione;

• Una classificazione possibile è basata sui due criteri fondamentali dell’intenzionalità e della
motivazione relativa, (cioè dei gradi di rapporto naturale esistente tra le due facce del segno) e
potrebbe essere la seguente:

1. INDICI (sintomi): segni motivati naturalmente/non intenzionali (basati sul rapporto causa o
condizione scatenante > effetto | motivazione naturale - emittente non intenzionale); quando un
ricevente assume un indice agisce di conseguenza il rapporto causa - effetto. Es.: starnuto =
“avere il raffreddore”;

2. SEGNALI: segni motivati naturalmente/usati intenzionalmente (es.: sbadiglio volontario = “sono


annoiato” | l’emittente usa il segno in maniera | se utilizzo un indice per veicolare un messaggio
allora questo diventa un segnale);

3. ICONE: segni motivati analogicamente/intenzionali | somiglianza tra espressione e contenuto


(basati sulla similarità di forma o di struttura, riproducono proprietà dell’oggetto designato). Es.:
carte geografiche o mappe, fotografie ecc.;

4. SIMBOLI: segni motivati culturalmente/intenzionali (es.: ‘rosso del semaforo’ = “fermarsi”);

5. SEGNI: non motivati (totalmente immotivati)/intenzionali (es.: messaggi linguistici).

• Dalla prima all’ultima categoria la motivazione che lega, nei segni in senso lato, il ‘qualcosa’ o il
‘qualcos’altro’ che viene comunicato diventa sempre più convenzionale o meno diretta;

• Da 1 a 5 aumenta anche in maniera decisiva la specificità culturale dei segni in senso lato: mentre
gli indici, in quanto motivati naturalmente, sono di valore universale, uguali per tutte le culture in
ogni tempo, i simboli e i segni in senso stretto sono dipendenti da ogni singola tradizione
culturale;

• Però, per molti aspetti, non vi sarebbero ragioni forti per distinguere il tipo 4 dal tipo 5: sia i
simboli che i segni in senso stretto, in quanto motivabili solo culturalmente e convenzionalmente,
appartengono alla categoria dei simboli;

• Questa distinzione consente di identificare meglio la specificità dei segni linguistici;

• Dunque i segni linguistici sono segni in senso stretto, prodotti in maniera intenzionale per
comunicare (arbitrari);

• Nella comunicazione in senso stretto c’è quindi un emittente ce produce intenzionalmente un


segno per un ricevente;

Che cos’è che mette il ricevente nella posizione di interpretare il segno?

• Il fatto che esso si riconduce ad un codice di cui fa parte, cioè ad un insieme di conoscenze che
permette di attribuire un significato a ciò che succede;

• Per codice si intende l’insieme di corrispondenze, fissatesi per convenzione, fra qualcosa
(insieme manifestante) e qualcos’altro (insieme manifestato) che fornisce le regole di
interpretazione dei segni;

• Tutti i sistemi di comunicazione sono dei codici e i segni linguistici costituiscono il codice di
lingua.

Le proprietà della lingua

• Dobbiamo a questo punto chiederci quali proprietà rilevanti presenti il codice lingua - o il
linguaggio verbale umano, ovvero la lingua (ogni lingua storico-culturale) - quali di esse condivida
con altri codici, e quali invece sembri avere come caratterizzanti;

1. Biplanarità
• Ritorna, ed è necessario, il concetto di ‘significato’ e di ‘significante’;

• Tutti i segni sono costituiti dal piano del significante unito al piano del significato;

• Un codice si può quindi definire come un insieme di corrispondenze fra significanti e significato, e
un segno come l’associazione di un significante e un significato.

2. Arbitrarietà
• Consiste nel fatto che non c’è alcun legame naturalmente motivato, derivabile per osservazione
empirica o per via di ragionamento logico, fra il significante e il significato di un segno;

• Es.: il significante gatto non ha di per sé nulla a che vedere con l’animale “gatto” (significato);
nella natura di una cosa non c’è nulla che rimandi al suo nome, per fare in modo che quella cosa
si debba chiamare così;

• Questo non vuol dire che tra il significante e il significato di un segno, non esistano rapporti: bensì
vuol dire che i legami che ci sono non sono dati naturalmente, ma sono posti per convenzione e
quindi arbitrari;

• Se i segni linguistici non fossero arbitrari, le cose dovrebbero chiamarsi più o meno tutte allo
stesso modo in tutte le lingue;

• Il fatto che ovviamente non sia cosi implica che tra la natura di una cosa e la parola che la
designa non c’è alcun rapporto che non sia quello posto dalla convenzione del sistema
linguistico;

• Allo stesso modo se i segni linguistici non fossero arbitrari, parole simili alle diverse lingue
dovrebbero designare cose o concetti simili, il che è falso;

• La questione dell’arbitrarietà dei segni linguistici è molto più complessa di quanto sembra da
questa approssimazione;

• Approfondendo la questione L. Hjelmslev ha distinto quattro tipi o livelli diversi di arbitrarietà;

• Per affrontare il problema è utile specificare che nel funzionamento dei segni linguistici le entità in
gioco sono tre e non due;

• La cosa viene presentata sotto forma di un grafico, chiamato triangolo semiotico;


• Ai tre vertici abbiamo le tre entità in gioco: un significante, attraverso la meditazione di un
significato con cui è associato e che esso veicola, si riferisce ad un elemento della realtà esterna,
un referente;

• La linea di base dei triangolo è tratteggiata perché il rapporto fra significante e referente non è
diretto, ma è mediato dal significato;

• Possiamo allora distinguere i quattro tipi di arbitrarietà della lingua:

a. Rapporto tra segno e referente: ad un primo livello è arbitrario il rapporto tra segno nel suo
complesso e referente | non c’è alcun legame naturale e concreto fra un elemento della realtà
esterna e il segno a cui questo è eventualmente associato;

b. Rapporto fra significante e significato: ad un secondo livello è arbitrario il rapporto fra


significante e significato | il significante sedia, come sequenza di suoni, non ha in sé niente a che
vedere con il significato di “oggetto di arredamento che serve per sedersi ecc.” a cui è associato
nella lingua italiana;

c. Rapporto tra forma e sostanza del significato: ad terzo livello è arbitrario il rapporto tra forma -
struttura - e sostanza - materia - del significato; ogni lingua ritaglia in un modo che le è proprio un
certo spazio. Di significato distinguendo e rendendo pertinenti una o più entità;

d. Rapporto tra forma e sostanza del significante: ad un quarto livello è altrettanto arbitrario il
rapporto tra forma e sostanza del significante: ogni lingua organizza secondo propri criteri la scelta
dei suoni pertinenti, distinguendo in una certa maniera le entità rilevanti della materia fonica; a
questo proposito, il significante dei segni linguistici è di carattere fonico-acustico ed è costituito da
onde sonore che viaggiano nell’aria: queste rappresentano la sostanza su cui ogni lingua effettua le
sue pertinentizzazioni; un esempio di identica sostanza fonica organizzata in modo diverso in
diverse lingue può essere dato dalla quantità o durata delle vocali.

Le onomatopee

• Al principio dell’arbitrarietà radicale dei segni linguistici esistono alcune eccezioni;

• Ci sono alcuni segni linguistici che appaiono almeno parzialmente motivati: è il caso delle
onomatopee, che riproducono nel loro significante caratteri fisici di ciò che viene disegnato;

• Parole onomatopeiche come tintinnio, sussurrare, rimbombare ecc. imitano il suono o il rumore
che designano, e presentano quindi un aspetto più o meno iconico: sarebbero pertanto più icone
che simboli o segni in senso stretto;

• Va notato anche che le onomatopee e le voci imitative possiedono un certo grado di integrazione
nella convenzionalità arbitraria nel singolo sistema linguistico, nonostante il referente rimanga
identico.

Gli ideòfoni

• Più iconici sembrano essere gli ‘ideòfoni’, ovvero espressioni imitative che designano fenomeni
naturali o azioni, usate per esempio nei fumetti (es.: boom, zac ecc.);

Caratteri iconici del linguaggio verbale umano

• È stato notato che la formazione del plurale attraverso l’aggiunta del materiale linguistico la forma
del singolare è un dispositivo molto diffuso nelle lingue;

• Si è sostenuto che questo fatto obbedirebbe ad un principio di iconismo: l’idea di pluralità


sarebbe evocata o riprodotta nella lingua dal fatto che la forma plurale contiene più materiale
fonico rispetto alla forma al singolare;

• La lingua produrrebbe dunque in un certo senso coi suoi mezzi propri la realtà;

Il fonosimbolismo

• Un’altra prospettiva che tende a vedere nei segni linguistici più motivazione di quanto si crede è
ella che sostiene l’importanza del fonosimbolismo, affermando che certi suoni avrebbero per la
loro stessa natura associati a sé certi significati;

• Affermazioni del genere incorrono tuttavia in controesempi evidenti e numerosi da non poter
essere prese come argomenti contro il principio dell’arbitrarietà dei segni linguistici;

• Nonostante esistano eccezioni, al principio dell’arbitrarietà totale della lingua, esse non sono così
cruciali da mettere veramente in crisi lo statuto dell’arbitrarietà come una delle proprietà più
importanti del linguaggio verbale umano.

Approccio cognitivo e funzionalista

• Il problema del rapporto fra arbitrarietà e ostinazione ha tuttavia assunto una nuova dimensione
nei recenti sviluppi della teoria linguistica una nuova dimensione nei recenti sviluppi della teoria
linguistica in prospettiva cognitiva;

• Questo tipo di approccio nega l’autonomia strutturale interna fondata su principi di


organizzazione specifici dei sitemi linguistici;

• Vede la loro strutturazione come dipendente dalle proprietà della mente umana e delle
caratteristiche generali del modo in cui l’uomo percepisce e organizza la realtà;

• Le stesse categorie della lingua, le distinzione che essa attua e le strutture sintattiche
risulterebbero motivate, in quanto rappresenterebbero la manifestazione per gli scopi della
comunicazione di proprietà e attitudini già presenti nell’homo sapiens.

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