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Linguistica Generale
Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro
32 pag.
La linguistica storica studia l’evoluzione delle lingue nel tempo e i rapporti fra lingue e fra lingua e
cultura.
La linguistica generale studia cosa sono, come sono fatte e come funzionano le lingue. Essa si
contrappone alla glottologia la quale copre la linguistica storica e lo studio comparato delle lingue
antiche.
L’oggetto di studio della linguistica sono le lingue storico-naturali, cioè le lingue nate spontaneamente
nel corso dell’umanità. Le lingue storico-naturali sono l’espressione del linguaggio verbale umano, la
facoltà innata nell’homo sapiens.
Il segno è qualcosa che sta per qualcos’altro. Serve per comunicare il qualcos’altro. (comunicare, cioè
mettere in comune). Tutto può comunicare qualcosa. Comunicare equivale a “passaggio di
informazioni”.
Per passare le informazioni bisogna avere l’intenzionalità: c’è comunicazione quando c’è un
comportamento di un emittente per far passare un’informazione percepita poi da un ricevente. Se non
è così non c’è passaggio di informazioni.
Ci sono tre categorie di comunicazione:
1. Comunicazione in senso stretto: (gesti, lingua verbale) c’è un emittente intenzionale e un
ricevente intenzionale.
2. Passaggio di informazioni: (comunicazione non verbale, posture del corpo) c’è un emittente
intenzionale e un ricevente intenzionale.
3. Formulazione di inferenze: non c’è emittente (oggetto culturale) e c’è un interpretante (modi
di vestire).
Le inferenze sono un sinonimo di deduzione, processo con cui da una proposizione vera si passa ad
una la cui verità è derivata dal contenuto della prima (trarre una conclusione).
• Segni, codice:
Il segno è l’unità fondamentale della comunicazione. Ci sono diversi tipi:
1. Indici (sintomi): motivati naturalmente/non intenzionali (basati su causa/effetto es. starnuto =
avere il raffreddore). Sono uguali per tutte le culture.
2. Segnali: motivati naturalmente/usati intenzionalmente (es. sbadiglio volontario = annoiarsi).
3. Icone (dal greco eikón = immagine): motivati analogicamente/intenzionali (basati sulla SNI
similarità di forma, riproducono proprietà dell’oggetto designato es. carte geografiche,
onomatopee).
4. Simboli: motivati culturalmente/intenzionali (es. semaforo rosso = fermarsi).
5. Segni (in senso stretto): non motivati (basati su convenzione, arbitrari) /intenzionali (es.
messaggi linguistici, suono del telefono della linea occupata).
I simboli e i segni sono diversi in ogni cultura ed entrambi appartengono alla categoria dei simboli.
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Esistono 4 livelli: ci sono tre entità in gioco nel funzionamento dei segni linguistici (triangolo
semiotico)
Es: sedia = significante s-e-d-i-a, significato oggetto su cui ci si siede e referente realtà esterna.
• Arbitrario rapporto tra segno e referente; nessun legame naturale e concreto fra elemento
della realtà esterna e segno a cui è associato.
• Arbitrario rapporto tra significante e significato; nessun legame.
• Arbitrario rapporto tra forma (struttura, organizzazione interna) e sostanza (materia, fatti
concettualizzabili) del significato: ogni lingua ritaglia in un modo che le è proprio un certo
spazio di significato.
• Arbitrario rapporto tra forma e sostanza del significante: ogni lingua organizza secondo
propri criteri la scelta dei pertinenti.
Ci sono delle eccezioni come le onomatopee che riproducono o richiamano nel loro significante
caratteri fisici di ciò che viene designato. Parole e voci onomatopeiche imitano il suono o rumore del
che designano e presentano un aspetto più o meno nettamente iconico: sarebbero più come simboli o
segni in senso stretto. Una loro specificità è che sono diverse in parte da lingua a lingua. Es:
chicchirichì in italiano; cocoricò in francese; kikerikì in tedesco.
Ideòfoni: sono iconici. Sono espressioni imitative o interiezioni descrittive che designano fenomeni
naturali o azioni, frequentemente usate nei fumetti. Sono immediatamente percepibili. Es: boom/bum;
zac; gluglu. Però che gli ideòfoni abbiano lo statuto di parole è dubbio.
Principio di iconismo: l’idea della pluralità sarebbe evocata o suggerita o riprodotta nella lingua dal
fatto che la forma plurale contiene più materiale fonico, linguistico, che non la forma del singolare.
Ex: bambino/bambini.
Fonosimbolismo: afferma che certi suoni avrebbero associati a sé certi significati. Il suono
“i” (vocale chiusa) (fonema tipicamente “piccola”) sarebbe connesso a “cose” piccole e le parole che
contengono “i” designerebbero la proprietà di essere piccole, come per esempio: piccino, minimo,
little o suffissi diminutivi –ino, -y.
3. Doppia articolazione: (dualità di strutturazione). Consente alla lingua una grande economicità
di funzionamento: con un numero limitato di unità di due articolazioni si può costruire un
numero teoricamente illimitato di unità dotate di significato. Il significante di un segno
linguistico è articolato a due livelli divisi:
• Il significante del segno è organizzato e scomponibile in unità che sono portatrici di
significato e vengono riutilizzate per formare altri segnali (Prima articolazione) es: gatto
→diviso in gatt- e –o. tali pezzi costituiscono le unità minime della prima articolazione e
non sono ulteriormente scomponibili in elementi più piccoli senza perdere il significato. Le
unità minime di prima articolazione sono i morfemi.
• (Seconda articolazione) Le unità minime sono scomponibili in unità più piccole senza
significato autonomo. Es: gatt- è scomponibile in g-a-t-t-. tali elementi vengono chiamati
fonemi e sono le unità minime di seconda articolazione.
• Le due unità a volte possono coincidere come in s- di sforna.
Combinatorietà: la lingua funziona combinando unità minori prive di significato proprio per
formare un numero indefinito di unità maggiori (segni). Tale principio permette alla lingua la
produttività illimitata.
Proprietà ontogenica: (relativa al singolo individuo) del parlato. Ogni individuo impara prima a
parlare e poi a scrivere.
Proprietà filogenica: (relativa alla specie umana) del parlato. La scrittura si è sviluppata molto
dopo il parlato. Le prime attestazioni risalgono a 5000 anni prima di Cristo (scritture pittografiche) e
presso i Sumeri (scrittura cuneiforme) circe nel 3500 a. C. la scrittura alfabetica nasce forse presso i
Fenici nel 1300 a. C. (senza uso di vocali) come sviluppo della scrittura ugaritica attestata dal XIV
secolo a. C. a Ugarit (Siria). Dalla scrittura fenicia derivano l’alfabeto ebraico, aramaico, greco.
Sistemi di scrittura:
• Sistemi semasiografici: non c’è uso di simboli linguistici (es: pittografie, deografie).
• Non fonetici: (logografici) non ci sono basi fonetiche: più significante e meno significato. Si
usano morfemi. I sistemi logografici sono la morfografia.
• Fonetici: (fonografici) uso di fonemi. I sistemi fonografici sono la sillabografia, lo aljad (uso
di consonanti), lo abugida (alfabetico-sillabica), la grafia dei tratti e l’alfabeto.
Origini del linguaggio: paleontologia. Forse presente nell’homo habilis e poi nell’homo erectus.
Era sicuro nell’homo neanderthalensis e nell’homo sapiens sapiens.
• Il messaggio è evanescente.
Anche gli animali sono discreti, soprattutto gli uccelli; le scimmie addestrate alla lingua dei segni
hanno discretezza.
Lo scritto ha una proprietà sociale: è indispensabile per una lingua evoluta; è veicolo fondamentale di
istruzione scolastica e uno strumento di fissazione e trasmissione di tradizione culturale e letteraria; ha
validità giuridica. Non tutto ciò che è parlato può avere un corrispondente nello scritto e viceversa.
• Esprimere il pensiero.
• Risolvere problemi.
• Atti performativi.
Secondo Jakobson ci sono 6 funzioni:
■ Emotiva: esprimere sensazioni.
■ Metalinguistica: specificare aspetti di un codice o calibrare il messaggio sul codice.
■ Referenziale: o denotativa. Fornire informazioni sulla realtà esterna.
■ Conativa: ottenere dal ricevente un certo comportamento.
■ Fàtica: verificare e sottolineare un canale di comunicazione e/o contatto fisico o
psicologico fra i parlanti.
■ Poetica: mettere in rilievo e sfruttare le potenzialità del messaggio e i caratteri interni
del significante e del significato.
Sono sempre presenti nella comunicazione. Una delle sei è sempre predominate.
7. Produttività e ricorsività: la produttività è quando con la lingua è sempre possibile creare
nuovi messaggi, mai prodotti prima e parlare di nuove esperienze e cose, mai sperimentate
prima, o di cose inesistenti. È resa possibile dalla doppia articolazione. Prende la forma di
creatività regolare cioè produttività infinita basata su un numero limitato di principi e regole.
Con la ricorsività uno stesso procedimento è riapplicabile un numero teoricamente illimitato di
volte. La regola di suffissazione è ricorsiva come anche la congiuntività aggettivale, la
riflessività ecc.
8. Distanziamento e libertà da stimoli: il distanziamento riguarda il modo di significazione della
lingua. È la possibilità di poter formulare messaggi relativi a cose lontane, distanti nel tempo e
nello spazio dal momento e il luogo in cui si svolge l’interazione comunicativa o viene
prodotto il messaggio. È la possibilità di parlare di un’esperienza in assenza di tale esperienza,
anche di cose inesistenti. La libertà da stimoli è quando i segni linguistici rimandano ad
un’elaborazione concettuale della realtà. La lingua è indipendente dalla situazione immediata.
Distingue il linguaggio da quello animale. Nell’emissione di messaggi nel linguaggio verbale
umano non c’è alcun aspetto deterministico. Se un uomo vuole parlare, lo fa altrimenti non lo
fa.
9. Trasmissibilità culturale: ogni lingua è trasmessa per tradizione. Insegnamento/
apprendimento spontaneo, non attraverso informazioni generiche, ereditarie. Vale anche per gli
animali (alcuni); la loro lingua funziona per apprendimento. Nel linguaggio verbale c’è una
componente culturale-ambientale e una innata che fornisce la predisposizione a comunicare
mediante la lingua. Il linguaggio è universale.
Prepubertà linguistica: se entro 11-12 anni un essere umano non è esposto a stimoli linguistici, lo
sviluppo della lingua è bloccato. Entro tale età lo sviluppo della lingua avviene velocemente.
10. Complessità sintattica: i messaggi linguistici possono presentare un alto grado di elaborazione
strutturale. I rapporti fra gli elementi o parti del segno danno luogo a una fitta trama plurima,
percepibile nella sintassi del messaggio. Gli aspetti sono:
• Relazioni strutturali e dipendenze fra elementi non contigui. Es: le guardie a cavallo della
regina.
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• Presenza di parti del messaggio che danno informazioni sulla sua strutturazione sintattica.
(Proprietà specifiche del linguaggio umano, esclusive dei segni linguistici: No→ bi planarità,
arbitrarietà, linearità, discretezza, ricorsività, trasmissibilità culturale, equivocità. Sì→ doppia
articolazione, trasponibilità di mezzo, onnipotenza, plurifunzionalità, riflessività, produttività,
distanziamento r libertà da stimoli, complessità sintattica.).
11. Equivocità: la lingua è un codice equivoco. Mentre un codice non equivoco pone rapporti
biunivoci, la lingua pone corrispondenze doppiamente plurivoche fra la lista dei significati e
quelli dei significanti. A un significante possono corrispondere più significati e viceversa.
Contribuisce a consentire la flessibilità e l’adattabilità ad esprimere contenuti ad esperienze
nuove.
Lingua solo umana?: le opinioni degli studiosi non sono concordi; prevalente è la considerazione
che la facoltà verbale sia specie-specifica dell’uomo. Solo l’uomo possiede le condizioni anatomiche
e neurofisiologiche per l’elaborazione del linguaggio:
• Adeguato volume del cervello.
• Conformazione del canale fonatorio “a due canne” con un angolo, un cambiamento di
direzione, fra una “canna”, il cavo orale, e l’altra, la laringe e con una cavità intermedia, la
faringe.
La prima condizione rende possibile la memorizzazione, l’elaborazione e la pro cessazione del
linguaggio; la seconda consente le sottili distinzioni articolato rie e sfumature nella produzione
fonetica necessarie per la comunicazione orale. In nessun linguaggio animale si sono riscontrate tutte
o anche solo gran parte delle proprietà della lingua. Sono stati fatti molti esperimenti per far imparare
ai primati la lingua. Però è impossibile anatomicamente riprodurre più di una dozzina di suoni. Si è
cercato invece di insegnare la lingua dei segni, ma i risultati sono scarsi. Le loro capacità risultano
ridotte se paragonate a quelle di un bimbo di 3 anni. Il loro comportamento è privo di vera
intenzionalità comunicativa e sarebbe frutto dell’imitazione.
Definizione di lingua: la lingua è un codice che organizza un sistema di segni dal significante
primariamente fonico-acustico fondamentalmente arbitrari ad ogni livello doppiamente articolati
capaci di esprimere ogni esperienza esprimibile, posseduti come conoscenza interiorizzata che
permette di produrre infinite frasi a partire da un numero finito di elementi.
2. Langue e parole: si fa una distinzione fra sistema astratto e realizzazione concreta (fra
potenza e atto, fra enérgeia, attività virtuale e érgon, messa in opera). Ci sono 3 terminologie
principali:
Livelli di analisi : esistono 4 livelli stabiliti secondo bi planarità e doppia articolazione, che
identificano 3 stati del segno:
• Strato del significante.
• Strato del significante in quanto portatore di significato.
• Strato di significato.
Tre livelli sono relativi al piano del significante: uno per la seconda articolazione (fonetica e
fonologia) e due per la prima articolazione (morfologia e sintassi); un ulteriore livello è relativo al
piano del significato (semantica).
Fonetica, fonologia e semantica sono le più esterne in quanto interfacce della realtà esterna. Da un lato
la fonetica che fa da supporto e veicolo fisico della comunicazione, dall’altro la semantica con la
concettualizzazione e categorizzazione cognitiva che l’uomo compie del mondo in cui vive.
Morfologia e sintassi sono interne (il sistema si organizza secondo i principi che governano la facoltà
di linguaggio in quanto competenza specifica dell’uomo).
Capitolo 2:
• Fonetica: (dal greco phôné, voce, suono) tratta la componente fisica, materiale della
comunicazione verbale. Esistono 3 campi:
• Fonetica articolatoria: suoni del linguaggio in base al modo in cui vengono prodotti
dall’apparato fonatorio.
• Fonetica acustica: suoni in base alla loro consistenza fisica e modalità di trasmissione.
• Fonetica uditiva: suoni in base al modo in cui vengono ricevuti, percepiti dall’apparato
uditivo.
Consonanti: suoni senza frapposizione di ostacoli che creino perturbazioni al flusso d’aria fra la
glottide e il termine del percorso.
Consonanti retroflesse: articolate flettendo all’indietro la punta della lingua. Sono la k = occlusiva
velare sorda; g = occlusiva velare sonora; ƞ = nasale velare; s = fricativa alveolare sorda; z = fricativa
alveolare sonora; ts = affricata dentale sorda; dz = affricata dentale sonora; m = nasale labiale; j =
semiconsonante anteriore.
• Centrali.
• Alte.
• Basse.
Trapezio vocalico: schema della posizione in cui vengono articolate le vocali secondo il duplice asse
orizzontale e verticale.
Trascrizione fonetica: nelle lingue europee un suono equivale ad un simbolo. Nelle grafie sillabiche
una sillaba è un simbolo. Nelle grafie iconografiche i caratteri corrispondono a morfemi o parole.
Nelle grafie alfabetiche allo stesso suono possono corrispondere più simboli (grafemi) e viceversa. Un
suono può corrispondere a più grafemi combinati. Ad uno o più grafemi in una parola può
corrispondere nessun suono (es: h). Nel 1888 fu inventato il primo Alfabeto Fonetico Internazionale
(IPA). La trascrizione si fa tra le parentesi quadre [ ]; l’accento è indicato con un apice prima della
sillaba in cui cade; i due punti indicano un allungamento vocale. Es: C = [ k ] o [ t 08 23]; E = [ e ] o [ 09 10];
G = [ d 0B 17 ] o [ g ]; I = [ i ] o [ j ]; N = [ n ], [ 09 1E ] o [ 07 21 ]; O = [ o ] oppure [ 05 24]; S = [ s ] o [ z ]; U = [ u
] o [ w ]; Z = [ ts ] o [ dz ]; GN = [ 07 22]; GL = [ 08 2E]; SC = [ 08 23].
Consonanti:
• Occlusive → bilabiali [ p ], [ b ]; dentali [ t ], [ d ] (o alveolari); velari [ k ], [ g ]; uvulari [ q ]
es: Iraq [ 09 25i’raq ]; glottidali [ 04 21] es: ein Apfel [ 04 21ajn ‘ 04 21apf 0D 1Dl].
• Fricative → bilabiali [ 07 28 ] es: in fiorentino “tipo” [ ‘ti 07 28o ], [ ß ] es: [ ka’ße 09 1Fa]; labiodentali
[ f ], [ v ]; dentali [ 09 1F ] es: think [ 09 1Fi 09 1Ek ], [ ð ] es: that [ ðæt ], [ s ], [ z ]; palatali [ 08 23 ], [ 0B 17 ]
es: jour [ 0B 17u 08 21 ]; velari [ x ] es: buch in tedesco [ bux ], [ 06 23] es: agua [ ‘a 06 23wa ]; uvulari [ χ ]
es: shaykh in arabo [ 08 23æjχ ], [ 08 21 ] es: jour [ ju 08 21 ]; faringali [ 09 25 ] es: Iraq [ 09 25i’raq ]; glottidali
[ h ] es: have [ hæv ], haben [ ‘hab 0D 1Dn ].
• Nasali → sono tutte nasali. Bilabiali [ m ]; labiodentali [ 07 21 ] es: invito [ i 07 21’vito ]; dentali (o
alveolari) [ n ]; palatali [ 07 22]; velari [ 09 1E].
• Vibranti → sono tutte sonore. Dentali (o alveolari) [ r ] es: matter [ ‘mæ 07 2E0D 1D]; uvulari [ R ] es:
rose in francese [ Roz ], rot in tedesco [ Rot ].
Vocali e semivocali:
• Anteriori → semivocali [ j ] es: piano [ ‘pjano ]; erre moscia padre [ ‘pad 08 2Be ]; vocali [ i ], [ 06 2A
] es: bit [ b 06 2At ], [ e ], [ 09 10 ], [ æ ] es: bad [ bæd ], [ y ] es: mur in francese [ my 08 21 ], in tedesco
fresco = kühl [ kyl ], [ Ø ] es: peu [ pØ ], [ œ ] es: peur [ pœ 08 21].
• Centrali → medio-alta [ 01
DD ] es: je [ 0 10 1
B 7D D ], the [ ð 0D 1D], [ a ].
Fono: suono del linguaggio riproducibile dall’apparato fonatorio. È l’unità minima della fonetica.
Fonemi: sono le unità minime in fonologia. Quindi sono le unità minime di seconda articolazione.
Non sono segni perché non hanno significato. Si tratta di una classe di foni, dotata di valore distintivo.
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Prova di commutazione: si fa per confrontare un’unità in cui compaia il fono di cui vogliamo
dimostrare se è o meno un fonema con altre unità della lingua.
Coppia minima: coppia di parole uguali tranne che per la presenza di un fonema al posto di un altro
in posizione. Es: mare, pare.
Per dimostrare che un fono è un fonema bisogna trovare delle coppie minime.
• Sonorante: fonemi prodotti con passaggio d’aria libero e vibrazione delle corde vocali. Es:
vocali, semivocali e consonanti nasali, laterali e vibranti.
• Continuo: fonemi con costruzione on cavità ora. Es: fricative, laterali, vibranti e semivocali.
• Rilascio ritardato: fonemi realizzati in due momenti; uno in cui l’aria è trattenuta nella cavità
orale e uno in cui è rilasciata. Es: affricate.
• Arretrato: fonemi con la lingua ritratta. Es: velari, semivocale posteriore e vocali a, 05 24, o, u.
• Anteriore: fonemi con costrizione in alveoli o prima. Es: bilabiali, labiodentali e dentali.
• Coronale: fonemi con la parte anteriore della lingua sollevata. Es: dentali, alveolari e alcune
palatali.
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Fonemi dell’italiano: L’italiano standard ha 30 fonemi (28 senza semivocali). Per trascrivere
bisogna guardare la fonia e non la grafia. (l’inglese ha 34 fonemi o 44 con i dittonghi; il francese 36; il
tedesco 38; il russo 38; lo spagnolo 24; il cinese 31).
02 02 02
Consonanti lunghe: Sono le consonanti doppie . Ts, dz, ,
83 ,
72 8E sono sempre doppie se
intervocaliche.
Fatti prosodici: Concernono l’aspetto melodico della catena parlata e ne determinano l’andamento
ritmico. I principali sono l’accento, il tono e l’intonazione, la durata o lunghezza intontiva.
Tono: È l’altezza relativa alla pronuncia di una sillaba, dipendente dalla tensione delle corde vocali e
della laringe. Le vibrazioni delle corde vocali determinano la frequenza fondamentale che è il
principale parametro dei fonemi di tonalità.
Lingue tonali: Il tono può distinguere da solo parole foneticamente uguali. Es: svedese, cinese.
Intonazione: È l’andamento melodico con cui è pronunciata una frase. In italiano in molti casi è
l’elemento principale.
Lunghezza: riguarda l’estensione temporale con cui i foni e le sillabe sono prodotti. In italiano le
consonanti doppie sono considerate lunghe. In IPA la lunghezza si esprime con due punti (:). Per le
consonanti si può anche ripetere le lettere. Es: pazzo [ pat:so ]. Per le vocali la durata in italiano non è
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Parola: minima combinazione di elementi minori dotati di significato ( morfemi) costruita attorno a
una base lessicale, che funzioni come entità autonoma.
Criteri di distinzione della parola:
• Dentro la parola i morfemi sono ordinati in modo fisso.
• Tipi di morfemi:
Classificazione funzionale:
• Lessicali: formano una classe aperta.
• Grammaticali: formano una classe chiusa e a loro volta si suddividono in :
• Derivazionali: derivano da altre parole.
• Flessivi: o flessionali. Danno luogo a diverse forme di una parola.
Parole funzionali: sono parole vuote, come articoli, pronomi personali, preposizioni, congiunzioni
(formano classi chiuse, ma non si possono definire morfemi grammaticali). Sono semiliberi, liberi
(lessicali) e legati (grammaticali. Non possono mai comparire in isolamento, ma solo in
combinazione con altri morfemi).
• Derivazione: dà luogo a parole regolandone i processi di formazione. Agisce prima della
flessione. Non è obbligatoria.
Flessione: dà luogo a forme di una parola regolandone il modo in cui si utilizzano nelle frasi. È
obbligatoria.
I morfemi flessionali stanno più lontani dalla radice lessicale, rispetto ai morfemi derivazionali.
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Trascrizione morfematica: viene scritta tra {}, indicando sotto se sono flessionali lessicali,
semiliberi, o derivazionali.
• Morfemi zero: una distinzione in grammatica non è rappresentata nel significante. Es: sheep/
sheep; città/città.
• Soprasegmentati: un determinato valore morfologico si manifesta con un tratto
soprasegmentale come l’accento o il tono. Es: record [ ‘r 09 10k 05 24:d ] registrazione; [ r 06 2A’k 05 24:d ]
registrare.
Reduplicazione: ripetizione della radice lessicale. Es: samoano moe → dorme; moe moe →
dormono.
• Cumulativi: morfemi grammaticali con più di un significato o valore. Un caso di questo tipo è
il morfema amalga: fusione di due morfemi in modo che non si possano più distinguere.
Vocale tematica: vocale iniziale della desinenza dell’infinito dei verbi: vedere, mangiare, sentire.
Prefissoidi: morfemi che si comportano come prefissi, che, attaccandosi a una radice lessicale, ne
modifica il significato.
Unità lessicali plurilessematiche: costituite da sintagmi fissi che rappresentano un’unica entità di
significato e non la somma dei significati delle parole.
Unità lessicali bimembri: il rapporto tra le due parole costitutive non ha raggiunto il grado di
fusione tipico delle vere e proprie parole composte e i due elementi vengono rappresentati
separatamente nello scritto. Es: parola chiave, sedia elettrica.
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Per quanto riguarda la posizione della testa, in italiano è a sinistra tranne con parole di origine latina o
frutto di contatto con altre lingue, in cui è a destra. Ci sono composti anche senza testa. Es:
bagnasciuga,buttafuori, scolapasta. I composti con la testa sono endocentrici, senza; egocentrici, con
due teste → dvandva: es: cassapanca, agrodolce.
Prefissazione: non muta la classe grammaticale di appartenenza della parola. Prefissi più comuni:
in-, s-, dis- con valore di negazione; ad- con valore di “verso”; con- con valore di “insieme”; a- con
valore di “senza”; ri- con valore di “di nuovo”; anti- con valore di anteriorità o contro.
Alterazione: rientra nella categoria della derivazione suffissale. Si creano parole che aggiungono al
significato della base un valore valutativo. Es: diminutivo, accrescitivo, peggiorativo.
Verbi parasintetici: verbo con prefissazione e suffissazione nella desinenza di una delle
coniugazioni.
Le parole derivate si possono definire in maniera da tener conto del procedimento di derivazione, della
classe lessicale della base da cui derivano e della classe lessicale a cui appartiene il risultato.
Conversione: coppie di parole aventi la stessa radice lessicale ed entrambi privi di suffisso fra le
quali non è possibile stabilire qual è la parola primitiva e quella derivata. Quando la coppia è un verbo
e un nome spesso la base è il verbo, in quanto il nome designa l’atto indicato dal verbo. Questa è la
derivazione zero. Quando la coppia è un verbo e un aggettivo il termine primitivo è l’aggettivo.
• Flessione e categorie grammaticali:
i morfemi flessionali non modificano il significato della radice; la attualizzano nel contesto di
enunciazione specificandone la concretizzazione. Intervengono solo nelle parole che possono
assumere diverse forme.
Categorie grammaticali:
• Genere: maschile e femminile;
• Numero: singolare e plurale;
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Reggenza: il verbo assegna il caso al suo complemento. Nelle lingue che hanno il caso anche le
preposizioni possono assegnare il caso.
Grado: gli aggettivi possono essere marcati per grado: comparativo e superlativo. L’italiano affida
alla flessione solo il superlativo.
Alcune lingue marcano anche la definitezza e il possesso.
Categorie verbo:
• Modo: la maniera in cui il parlante si pone nei confronti del contenuto.
• Tempo: tempo in cui si parla.
• Aspetto: maniera in cui vengono osservati e rappresentati l’azione o l’evento espressi dal
verbo.
• Diatesi: (voce) rapporto in cui viene rappresentata l’azione o l’evento rispetto ai partecipanti e
in particolare rispetto al soggetto.
• Persona: chi compie l’azione. (il soggetto del verbo).
Parti del discorso:
• Nome o sostantivo.
• Aggettivo.
• Verbo.
• Pronome.
• Articolo.
• Preposizione.
• Congiunzione.
• Avverbio.
• Interiezione.
Le categorie che considerano le parole in isolamento sono categorie grammaticali sull’asse
paradigmatico.
Ci sono altre categorie che considerano le parole nel loro rapporto con altre parole all’interno di un
messaggio. Queste sono sul piano sintagmatico.
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Concordanza: relativa all’accordo delle forme verbali con elementi nominali, in particolare con il
soggetto.
Capitolo 4
• Sintassi: si occupa della struttura delle frasi. L’oggetto di studio è come si combinano fra loro
le parole e come sono organizzate in frasi.
Coordinabilità: consente di riconoscere quando due o più gruppi di parole rappresentano sintagmi di
uno stesso tipo.
Teoria X – barra: (grammatica generativa) individua i diversi ranghi di complessità del sintagma
con l’indicazione di barre o apici. Ogni apice indica un sottolivello.
Proiezione massimale: rappresentazione di un sintagma che realizzi tutte le sue posizioni previste.
• Funzioni sintattiche: ruolo che i sintagmi assumono nella struttura sintattica della frase. (SN
→ soggetto o oggetto ; S. Prep. → oggetto indiretto o complemento; SV → predicato).
Soggetto, predicato verbale e oggetto sono le tre funzioni sintattiche fondamentali.
Schemi valenziali: costituiscono l’embrione iniziale della strutturazione delle frasi. Per formulare
una frase partiamo prima dalla selezione del verbo che è associato a valenze (elementi chiamati in
causa). Ogni verbo stabilisce numero e natura delle valenze che richiede.
I verbi sono monovalenti (es: camminare), bivalenti (es: lodare), o trivalenti (es: spedire). Esistono
verbi anche zero valenti (verbi meteorologici) e verbi tetravalenti (spostare, tradurre ecc.).
Valenze omesse: quando possono non essere espresse.
Soggetto: è la prima valenza di un verbo. È l’argomento verbale più saliente.
Seconda valenza: è il complemento oggetto (in caso di verbi transitivi, cioè che hanno forma anche
passiva).
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Dislocazione a sinistra: costruzioni che spostano a sinistra (davanti alla frase) un elemento. Si può
mandare nella posizione di tema l’oggetto e mandare a rema il soggetto. Es: il topo lo (tema) insegue
un gatto (rema). Un suo effetto è quello di far diventare la frase passiva.
Dislocazione a destra: isolare a destra un costituente riprendendolo con un pronome clitico sul
verbo e attuando un’inversione tema, rema. Es: lo vuole un caffè?
Frase scissa: spezzare in due parti una frase, portando all’inizio un costituente introdotto dal verbo
essere e facendolo seguire da una frase relativa. Es: è il getto che insegue il topo. Se è il soggetto ad
essere spostato in prima posizione allora la relativa può essere introdotta anche da “a”. Es: è Gianni ad
aver rubato la marmellata.
Focus: (fa parte della frase scissa) punto di maggior salienza comunicativa della frase. In genere fa
parte del rema. È l’elemento della frase che può essere contrastato.
Le lingue tendono ad essere SOV/SVO perché di solito è il soggetto ad essere tema.
Nella dislocazione a sinistra, qualunque costituente rematico può essere spostato. In italiano solo il
soggetto non può essere dislocato, per la mancanza di clitici soggetto. Il tema può essere sospeso
(costituente senza legame con la frase da cui è estrapolato): questo è l’anacoluta.
Nella dislocazione a destra tutti i costituenti (anche il soggetto) possono essere dislocati.
Enunciati tetici: senza tema. Sono usati per annunciare un evento, aprire un discorso o una sequenza
narrativa, con “c’è”. Es: c’è qualcuno che manca.
Quattro prospettive per l’analisi della struttura della frase:
1. Prospettiva configurazionale, relativa alla struttura in costituenti;
3. Agente, azione;
4. Tema, rema.
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Gli elementi che eventualmente realizzano coordinazione e subordinazione sono chiamati connettivi.
Testo: combinazioni di frasi più il contesto in cui esse funzionano da unità comunicative.
Contesto: sia linguistico (comunicazione verbale che precede o segue il testo in oggetto), sia
extralinguistico (situazione specifica in cui la combinazione di frasi è prodotta).
Anafore: elementi per la cui interpretazione è necessario far riferimento al contesto linguistico
precedente, cioè rimandano a un’identica entità designata.
Deissi: proprietà di una parte dei segni linguistici di indicare cose o elementi presenti nella situazione
extralinguistica e in particolare nello spazio o nel tempo in cui essa si situa.
Ellissi: mancanza o omissione di elementi che sarebbero indispensabili per dare luogo a una struttura
frasale completa. Es: dove vai? A casa.
Segnali discorsivi: servono ad esplicitare l’articolazione interna del discorso, come allora, senti,
no?, cioè, sai, basta, scusa, diciamo ecc.
Capitolo 5
• Semantica: è il piano del significato.
Concezione referenziale: o concettuale. Il significato è visto come un concetto creato dalla nostra
mente, corrispondete a qualcosa che esiste al di fuori della lingua.
Concezione operazionale: o contestuale del significato. Esso è funzione dell’uso che si fa dei
segni; ciò che accomuna i contesti d’impiego di un segno e ne permette l’uso appropriato.
Significato: informazione veicolata da un segno o elemento linguistico.
Significato denotativo: o denotazione. Inteso nel senso oggettivo, di ciò che il segno descrive e
rappresenta; è il valore di identificazione di un elemento della realtà esterna, un referente.
Significato connotativo: o connotazione. È soggettivo, connesso alle sensazioni suscitate da un
segno e alle associazioni a cui esso dà luogo e da queste sensazioni inferibile. Es: gatto ha come
denotazione “felino domestico di piccole dimensioni” e come connotazione “animale, grazioso, furbo,
pigro”.
Significato linguistico: significato che un termine ha in quanto elemento di un sistema linguistico
codificante una rappresentazione mentale.
Significato sociale: significato che un segno può avere in relazione ai rapporti fra parlanti. Es:
buongiorno ha come significato linguistico “auguro una buona giornata”, quello sociale è “riconosco
colui, colei, coloro a cui indirizzo il saluto come persona; instauro un’atmosfera cooperativa di
possibile interazione”.
Distinzione interna al significato denotativo:
Significato lessicale: termini che rappresentano oggetti concreti o astratti, entità o concetti della
realtà esterna.
Significato grammaticale: termini che rappresentano concetti o rapporti interni al sistema
linguistico.
I termini del significato lessicale vengono chiamati parole piene; quelli del significato grammaticale
parole vuote.
Polisemia: i diversi significati associati a uno stesso significante sono imparentati tra loro. Es:
linguistico “relativo alla lingua” o “relativo alla linguistica”. È un unico lessema avente più
significati.
Enantiosemia: si ha quando significati diversi dello stesso termine sono tra di loro in un rapporto di
opposizione. Es: tirare può avere due sensi “trarre”, “attrarre verso di sé” o “lanciare”.
Sinonimia: lessemi diversi aventi lo stesso significato. Es: urlare/gridare, pietra/sasso, cortese/
gentile. Si parla di quasi sinonimia.
Collocazioni: rapporti fra lessemi fondati su cooccorrenze regolari nel discorso, ma meno
semanticamente determinate. Es: bandire/concorso, porta/scorrevole.
Antonimia: due lessemi di significato contrario nel senso che designano i poli opposti di una scala,
i due estremi di una dimensione graduale. Es: alto/basso, buono/cattivo.
Complementarità: due lessemi di cui uno è la negazione dell’altro. Es: vivo /morto, maschio/
femmina.
Inversione: due lessemi di significato relazionale che esprimono la stessa relazione semantica vista
da due direzioni opposte. Es: comprare/vendere, marito/moglie, sotto/sopra.
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Famiglia semantica: insieme di lessemi imparentati nel significato e imparentati nel significante.
Parole derivate da una stessa radice lessicale.
Gerarchia semantica: insieme in cui ogni termine è una parte determinata di un termine che
nell’insieme lo segue in una certa scala di misura. Es: misura del tempo → secondo, minuto, ora,
giorno, mese, anno, lucro, secolo.
Metafora: fondata sulla somiglianza concettuale.
Metonimia: fondata sulla contiguità concettuale.
• Analisi componenziale: scomporre il significato dei lessemi, comparandoli gli uni con gli
altri e cercando di cogliere in che cosa differisca il loro significato.
/umano/ /adulto/ /maschio/
Uomo + + +
Donna + + -
Bambina + - -
bambino + - +
Es:
• Semantica proto tipica: una categoria è intesa come entità, definita sia da un nucleo di
proprietà di carattere categorico, necessarie e sufficienti, sia di proprietà di carattere graduale,
non essenziali, delimitata da confini sfumati, in sovrapposizione con quelli di altre categorie e
costituita da membri più tipici e altri meno rappresentativi. (teoria dei prototipi)
Prototipo: immagine mentale immediata che per i parlanti di una certa cultura corrisponde a un dato
concetto, l’immagine mentale a cui si pensa subito se non vengono fornite indicazioni ulteriori per
l’identificazione. Il prototipo occupa il punto focale.
Alcuni tratti rappresentano criteri necessari a definire l’apparenza a una data categoria e devono perciò
essere condivisi da tutti i suoi membri.
I concetti hanno una struttura interna basata sulla gradualità e non solo sulla categoricità.
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Categoricità: presenza di categorie predefinite nelle quali gli elementi sono inscritti o meno.
Gradualità: definisce dei gradi a livello degli oppositori. Termini che sono meno tipici per una
categoria e stanno quindi al confine di essa possono essere considerati contemporaneamente membri di
un’altra categoria.
Una conseguenza della semantica proto tipica è rendere sfumati e in sovrapposizione i confini delle
categorie.
• Enunciato: frase considerata dal punto di vista del suo concreto impiego in una situazione
comunicativa come segmento di discorso in atto.
Connettori: elementi cruciali per l’interpretazione del valore degli enunciati. Es: molte congiunzioni
coordinanti e subordinanti che hanno spesso anche il valore di operatori logici. Funzionano da
operatori logici i quantificatori e la negazione.
Atti linguistici: enunciati prodotti nella normale interazione verbale. Sono le unità basevedo .
dell’analisi pragmatica.
• Atto illocutivo: intenzione con e per la quale si produce la frase, nell’azione che si intende
compiere proferendo quell’enunciato. Es: Gianni scappa, nel suo valore di “dare
un’informazione, descrivere, fare un’affermazione”.
• Atto perlocutivo: effetto che si vuole provocare nel destinatario del messaggio, nel risultato
concreto ottenibile da un enunciato prodotto in una determinata situazione. Es: Gianni scappa,
può avere l’effetto di “allarme alla polizia”, “chiamata di discorso”, “annuncio di sollievo”.
L’aspetto centrale degli atti linguistici è l’atto illocutorio che definisce la natura e il tipo dell’atto
linguistico messo in opera. Sono atti illocutivi la richiesta, la promessa, la minaccia, l’ordine, l’invito
ecc.
Verbi performativi: verbi come prometto, autorizzo, condanno ecc. che (se usati in prima persona
dell’indicativo) annullano la distinzione fra contenuto referenziale e atto illocutivo compiuto.
Il valore illocutivo di divieto, proibizione, di fare qualcosa coincide con la realizzazione di “ti
proibisco di”. Normalmente i verbi hanno un valore descrittivo di un'azione, mentre ora non
costituiscono l’azione designata: compiere l’azione di vedere non consiste nel dire “vedo”.
Usati non alla prima persona o non nel presente, i verbi performativi hanno valore descrittivo: “Luisa
proibì a Gianni di uscire” non costituisce un atto illocutivo. Possono avere valore performativo
espressioni non con un verbo alla prima persona: vietato fumare, divieto di accesso ecc.
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Politeness: “cortesia linguistica”. Si basa sul principio generale “non ti imporre al tuo interlocutore,
lasciagli aperte alternative”.
Teoria degli atti linguistici: descrive le condizioni che devono essere soddisfatte perché un
determinato atto illocutivo valga come tale.
Presupposizione: è il tipo più rilevante di significato non detto; rientra nella casistica dell’implicito.
Massime di Grice: “regole della conversazione”. Si può dar conto dei meccanismi con cui i
parlanti attuano significati impliciti del genere.
Tali massime sono basate sull’assunzione che fra i partecipanti a un’interazione comunicativa viga un
“principio di cooperazione” e sono riunibili in quattro categorie dette della Quantità, della Qualità,
della Relazione e del Modo. La violazione di uno o più massime genera implica ture conversazionali
che trasmettono il significato voluto.
La presupposizione è la parte del significato di una frase che rimane vera negando la frase.
Capitolo 6
• il sito www.etnolingue.com censisce circa 6900 lingue. Tuttora certe arre linguistiche sono
insufficientemente studiate.
L’Italia usa l’italiano; bisogna tener conto anche delle lingue delle minoranze. Per cui in Italia ci sono
più di 10 lingue. È dubbio lo statuto dei vari dialetti italiani che avrebbero le carte in regola per essere
considerati sistemi linguistici a sé stanti, autonomi rispetto all’italiano e non sue varietà. Se li
calcoliamo, contiamo una trentina di lingue “indigene”.
Le lingue romanze (neolatine) vengono considerate lingue vere e proprie.
• Lingue pidgin e creole: nate dall’incontro e mescolanza di lingue tra loro assai diverse e distanti.
Un pidgin si sviluppa in un creolo quando diventa lingua materna in una comunità. Fra i pidgin più
noti vi sono il tok pisin (parlato in Papua Nuova Guinea, in parte creoalizzato), il WAPE (Wæst
African Pidgin English, parlato in Nigeria, Camerun, Ghana), il Chinese Pidgin English (parlato un
tempo in Cina meridionale), il russenorsk (coste del Mare Artico), il fanakalo o fanagalò
(Sudamerica, Namibia, Zimbawe). Fra i creoli: lo sranan (Suriname), il krio (Sierra Leone), il
giamaicano (Giamaica), il papiamento (isole Curacao, Aruba, Bomaires), il creolo haitiano (Haiti),
il mauriziano (isole Muritius), il seicellese (Seychelles).
Grandi lingue: solo alcune decine di lingue, appoggiate a una tradizione culturale di ampio
prestigio.
Molte lingue si stanno estinguendo: si calcola che a inizio del Terzo Millennio circa il 20% delle
lingue esistenti al mondo siano in imminente pericolo di scomparsa.
In Europa sono tradizionalmente parlate lingue di 5 diverse famiglie linguistiche:
Lingue indoeuropee:
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3. Tutte le lingue hanno un inventario di fonemi vocalici costituiti da /i/, /a/, /u/;
6. Tutte le lingue hanno un sistema proporzionale composto da tre persone e due numeri;
8. Tutte le lingue hanno costruzioni che permettono di disporre i costituenti di frase secondo
ordine tema – rema;
9. Tutte le lingue hanno termini specifici per “occhio”, “bocca”, “naso”, ecc.;
Universali implicazionali:
10. Se una lingua ha vocali nasali, ha sempre vocali orali;
19. Se una lingua ha ordine prevalente VSO, la forma flessa di ausiliare precede sempre il verbo
principale. Se una lingua ha ordine SOV, la forma flessa di un ausiliare segue sempre il verbo
principale;
20. Se il pronome complemento oggetto segue il verbo, anche il pronome complemento oggetto
segue il verbo;
Gerarchie implicazionali:
21. Gerarchia del numero: singolare, plurale, duale, triale, paucale;
23. Gerarchia di accessibilità del sintagma nominale per la frase relativa: soggetto, oggetto
diretto, oggetto indiretto, obliquo, genitivo, oggetto di comparazione;
24. Gerarchia di animatezza: pronome prima e seconda persona, pronome terza persona, nomi
propri, nomi comuni umani, nomi comuni animati, nomi comuni inanimati;
25. Gerarchia dei termini di colore: “bianco” e “nero”, “rosso”, “giallo” o “verde”, “giallo” e
“verde”, “blu”, “marroni”, “viola”, “rosa”, “arancione”, “grigio”.
4 tipi di morfogici fondamentali:
• Isolante: la struttura della parola è la più semplice possibile. Ogni parola è costituita da un solo
morfema. Il rapporto morfemi:parola (indice di sintesi) è 1:1. Le lingue isolanti presentano
morfologia e hanno poca o nulla morfologia derivazionale. Spesso le parole sono
monosillabiche. Es: vietnamita (una parte dei significati è affidata al lessico. Per marcare il
plurale di un sostantivo si usano numerali o nomi classificatori), cinese, thailandese, yorùba,
hawaiano ecc. l’inglese ha alcuni tratti isolanti grazie alla poca morfologia flessionale (10).
• Agglutinante: le parole hanno struttura complessa, accostamento di più morfemi. I morfemi
hanno valore univoco e una sola funzione. Ogni affisso marca bi univocamente solo una
categoria grammaticale. All’interno della parola i morfemi sono facilmente individuabili e ben
separabili. Es: turco, ungherese, basco, finlandese, giapponese, swahili e lingue bantu, kannada.
Le parole possono essere anche molto lunghe; sono costituite da una radice lessicale a cui sono
attaccati più affissi.
• Flessiva: parole abbastanza complesse, con una base lessicale semplice o derivata e uno o più
affissi flessionali che spesso sono morfemi cumulativi. Le parole hanno una struttura meno
complessa e sono composte da una catena meno lunga di morfemi. Ci sono molti fenomeni di
allomorfia e fusione. Es: lingue indoeuropee, greco, latino, russo, lingue romanze. C’è un
sottotipo: introflessiva: i fenomeni di flessione avvengono anche dentro la radice lessicale. Es:
arabo.
• Polisintetica: struttura della parola più complessa. La parola è formata da più morfemi
attaccati assieme; in una stessa parola compaiono due o più radici lessicali. Es: molte lingue
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L’italiano sostanzialmente è flessiva, ma con altri tipi morfologici, cioè isolante, agglutinante e
polisintetica.
Ordine basico: sintassi dei costituenti principali della frase. I costituenti principali sono quelli che
realizzano il soggetto, il verbo e il complemento oggetto. Sono possibili 6 ordini: SVO, SOV, VSO,
VOS, OVS, OSV. L’SOV è il più frequente, poi c’è l’SVO, il VSO (11-15%; si ha in malgascio,
America Centrale ecc.), OVS (1-5%; es: l’hixkaryana, lingue caraibiche come Apalai), OSV (1% es:
dyirbal, lingua australiana, yamamadi e apurina, lingue del Sudamerica).
L’italiano, come tutte le lingue romanze, l’inglese e altre lingue germaniche, le lingue slave, il greco, il
finlandese, l’ebraico moderno, il vietnamita, l’indonesiano, il swahili, lo hausa, lo yorùba, il guaranì, è
lingua SVO. Il tedesco può essere sia SVO che SOV, a seconda che si prenda frasi principali o
subordinate; comunque fondamentalmente è una lingua “verb-second”.
Sono SOV: turco, giapponese, coreano, ungherese, curdo, persiano, hindi, pashto, bengali, tamil,
kannada, tibetano, somali, quechua.
Sono VSO: arabo, ebraico classico, gaelico, gallese, maori, tongano, samoano.
Perché gli ordini di gran lunga predominanti sono SOV e SVO, seguiti da un terzo tipo relativamente
importante, VSO? Se non ci sono buoni motivi perché sia diversamente, il soggetto coincide con un
tema e il tema sta in prima posizione. Entrambi i due ordini predominanti hanno il soggetto in prima
posizione. Inoltre sembrano agire due principi:
1. Principio di precedenza: fra i costituenti nominali il soggetto deve precedere l’oggetto;
SOV e SVO obbediscono ad entrambe e VSO è la terza possibilità che realizza il primo ma non il
secondo principio.
Universali implicazionali: principi che collegano tra loro le posizioni di diversi elementi nella frase e
nei sintagmi. Es: se una lingua ha ordine SOV e se nel sintagma nominale l’aggettivo precede il nome,
allora il genitivo precederà certamente il nome che gli fa da testa.
Tralasciando il soggetto e guardando verbo e oggetto sono riconosciuti due tipi fondamentali:
• Lingue VO: costruiscono a destra, con l’ordine operando/operatore.
• Lingue OV: costruiscono a sinistra, con l’ordine operatore/operando.
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Ergatività: riguarda l’organizzazione dei sistemi di casi che traducono in superficie i ruoli semantici
connessi al verbo. Esistono lingue che assegnano una marcatura diversa di caso al soggetto a seconda
che esso sia soggetto di un verbo transitivo o un verbo intransitivo. Queste lingue si chiamano ergative
perché attribuiscono una rilevanza particolare alla funzione o ruolo semantico di “agente”.
Le lingue ergative pongono allo stesso caso il complemento oggetto di frasi transitive e il soggetto di
frasi intransitive e ad un caso diverso il soggetto di frasi transitive. I primi vanno al cosa assolutivo, il
secondo va al caso ergativo. Si dice allora anche che queste lingue contrappongono un sistema di casi
“assolutivo - ergativo” a un sistema “nominativo - accusativo”. I sistemi di caso ergativo riflettono più
direttamente in superficie il rapporto tra ruoli semantici e funzioni sintattiche. Sono lingue ergative: il
basco, le lingue caucasiche, il dyirbal, molte lingue indigene dell’Australia, l’eschimese, il ciurkcio, il
togano, l’avaro (lingua caucasica della Georgia sudorientale).
Certe lingue strutturano la frase in base alle funzioni sintattiche; altre lingue possono strutturare la
frase sia in base alla sintassi che in base alla struttura informativa e altre lingue strutturano la frase solo
o primariamente in base alle funzioni della struttura informativa.
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