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CONSERVATORIO DI MUSICA G.

VERDI MILANO
SCUOLA DI DIDATTICA DELLA MUSICA Dispensa di PSICOLOGIA ANNO ACCADEMICO 2010/2011
I) La percezione. II) Simbolizzazione e linguaggio. III) Il pensiero come attivit strutturante. IV) Lintelligenza. V) La creativit. VI) Il gioco. VII) Lo sviluppo cognitivo, affettivo, sociale e morale. VIII) Lapprendimento. IX) La personalit. X) Le emozioni. XI) Il S. XII) Gruppi, comportamento sociale e abilit sociali. XIII) La vita scolastica e la conduzione della classe. XIV) Lorganicit delle conoscenze e il curricolo. Linsegnante. Legenda: BD = M. R. Baroni, V. D'Urso, Psicologia generale, Einaudi, Torino 2004 DV = N. Dazzi e G. Vetrone (cur), Psicologia. Introduzione per le scienze umane, Carocci, Roma 2000 F= D. Fontana, Psicologia per gli insegnanti, Zanichelli, Bologna, 1996 (nuova ed.: Erickson, Trento, 1996). H= Aa. Vv., Hilgard's Introduzione alla psicologia, Piccin, Padova, 1999 L= G. R. Lefranois, Psicologia per insegnare, Armando, Roma, 1999. Pe = G. Petter, La preparazione psicologica degli insegnanti, La Nuova Italia, Scandicci (Firenze), 1992. Po = C. Pontecorvo (cur), Manuale di psicologia delleducazione, Il Mulino, Bologna, 1999. Questa dispensa sussidio didattico alle lezioni tenute da Francesco Gatta.

La percezione
La percezione: ricostruzione interna, via daccesso alla conoscenza.
Meglio dire attivit di percezione: essa il risultato dell'organizzazione mentale dei dati sensoriali. Tre sono gli elementi indispensabili perch si abbia una percezione (catena psicofisica): 1. lo stimolo distale, un oggetto animato o inanimato da cui proviene un qualche tipo di energia che colpisce gli organi di senso; 2. lo stimolo prossimale, la modificazione che ha luogo in prossimit dell'osservatore provocata dall'azione dello stimolo distale sugli organi di senso; 3. il percetto, la rappresentazione mentale che ne risulta a livello di consapevolezza. L'insieme dei percetti costituisce il mondo fenomenico (si distingue dal mondo fisico perch un prodotto della mente umana; diverso per ciascuna delle specie viventi a causa del loro diverso sistema sensoriale). La percezione lo studio di come noi integriamo l'informazione sensoriale in percetti degli oggetti e di come poi usiamo questi percetti per spostarci nel mondo. Il sistema percettivo deve stabilire: a) di quali oggetti si tratta; b) dove sono questi oggetti. Nella visione, il determinare che cosa siano gli oggetti viene riferito come processo di riconoscimento del modello (che avviene soprattutto grazie alla sua forma); il determinare dove sono gli oggetti visivi riferito come localizzazione spaziale (separazione, determinazione della distanza e del movimento). Tutto ci presuppone la nozione di attenzione (che implica selettivit). Un'altra funzione del nostro sistema percettivo quella della costanza della percezione. Queste tre funzioni sembrano applicarsi a tutte le modalit sensoriali.
Sviluppo percettivo

L'acuit visiva, fondamentale per il riconoscimento, aumenta rapidamente nei primi 6 mesi, poi aumenta pi lentamente. La percezione della profondit comincia a comparire a circa 3 mesi, ma non si stabilizza del tutto fino a 6 mesi. Le costanze cominciano a svilupparsi gi a 6 mesi. Gli studi fatti fanno a pensare all'esistenza, nei primi tempi della vita, di un periodo critico, durante il quale la mancanza di stimolazione provoca la perdita di una capacit percettiva innata. La coordinazione percettivo-motoria deve essere appresa (occorre movimento attivo).
Condizioni per una ricostruzione interna completa e fedele

Apparati sensoriali adatti: possiamo ricevere solo certi stimoli (qualit), che siano sufficientemente intensi (intensit). Vi sono grandi differenze interindividuali (mondi percettivi diversi). Nel percepire, cio nell'attribuire spontaneamente caratteristiche di realt al mondo fenomenico, possiamo compiere due errori complementari: l'errore dello stimolo (non accogliendo il fenomeno, ma attribuendo allo stimolo distale le caratteristiche fenomeniche che sappiamo essere del percetto) e l'errore dell'esperienza (attribuendo agli stimoli distali o prossimali quello che invece il prodotto fenomenico dell'organizzazione percettiva). Realismo ingenuo: credere che il mondo sia effettivamente come ci appare (v. le illusioni ottiche, reali o costruite dagli studiosi).
Principi della percezione e fattori di organizzazione ad azione automatica

Presenza, nel nostro sistema nervoso centrale, di fattori di organizzazione che agiscono in modo automatico; ci che noi viviamo, normalmente, solo il risultato di questo processo di organizzazione. Separazione degli oggetti (v. sopra: localizzazione) = distinzione in figura e sfondo: il primo elemento che ci permette di vedere un oggetto esterno la presenza di un margine che lo contorna (il nostro sistema visivo sensibile alla discontinuit della stimolazione). Come funziona il margine nelle figure a tratto? Una linea chiusa diventa una forma definita (una figura), mentre il resto 1

dello spazio assume lo stato indifferenziato di sfondo (anche le immagini bidimensionali assumono una specifica stratificazione; inoltre, nelle figure chiuse si osserva il fenomeno della funzione unilaterale dei margini: la discontinuit di chiarezza che costituisce fisicamente il confine fra le due zone sembra segnare il confine soltanto della figura, mentre lo sfondo appare sottostante e scorrere al di sotto; oltre alla chiusura, altri fattori che fanno s che una parte del campo visivo abbia pi probabilit di emergere come figura rispetto a uno sfondo sono il colore, la convessit dei margini, la minore grandezza). Vediamo non solo gli oggetti contro lo sfondo, ma anche un particolare raggruppamento di oggetti. A Wertheimer, uno dei fondatori della Psicologia della Gestalt, dobbiamo il primo studio sistematico dei fattori di unificazione formale (1922) = Vicinanza (a parit di altre condizioni, elementi vicini tendono ad unirsi fra loro per costituire strutture di ordine superiore e a separarsi da altre); somiglianza (a parit di altre condizioni, tendono a unificarsi in una struttura di ordine superiore elementi del campo percettivo che presentano qualit comuni); chiusura (a parit di altre condizioni, tendono a unirsi fra loro elementi che danno origine a una figura chiusa); pregnanza (anche: massima omogeneit, equilibrio, simmetria, buona forma; tendiamo a privilegiare, nella percezione, le figure equilibrate, simmetriche, regolari, rispetto ad altri tipi di figure); continuazione (anche: buona continuit di direzione, destino comune; nella percezione di pi segmenti, che potrebbero essere considerati incompleti o seminascosti, privilegiamo una interpretazione che colleghi pi tratti, conservando una direzione continuata, una forma completa) [v. esempi in Appendice 1]. Nella realt quotidiana, pi complessa dei nostri schemi esemplificativi, solitamente ci troviamo di fronte a pi fattori che operano contemporaneamente [v. anche la Gestalt in musica; per es. in: Aa. Vv., La percezione musicale, Guerini, 37-55: Appendice 2; e I. Bent, W. Drabkin, Analisi musicale, Edt, 46-47: Appendice 3].
Impostazione soggettiva e esperienza passata come fattori di strutturazione

Limpostazione soggettiva si aggiunge ai fattori prima considerati; impostazione soggettiva, anche nel senso di sforzarsi di realizzare una strutturazione percettiva diversa, ed anche nel senso di una capacit di analisi percettiva. Lesperienza passata va ad aggiungersi a quanto visto sopra; una strutturazione percettiva che ha gi avuto occasione di realizzarsi almeno una volta (esperienza percettiva pregressa), si realizza pi facilmente in seguito. Importanza didattica della ripresentazione frequente di una stessa situazione percettiva [v. il principio metodologico della continuit], naturalmente fornendo motivazioni specifiche ad ogni rivisitazione e centrando lattenzione su aspetti di volta in volta diversi [v. il principio metodologico della ricorsivit].

Altri aspetti dellattivit percettiva didatticamente rilevanti


Gli isomorfismi

Particolari somiglianze strutturali fra diverse modalit percettive (per es. tkete/malma con figure appuntite/tondeggianti...). Importanza didattica dellisomorfismo [v. W. Khler , La psicologia della Gestalt, Feltrinelli, 148150: Appendice 4].
Le qualit espressive e fisiognomiche

Non ci sono (pi) qualit primarie (che non dipendono dall'osservatore: peso, grandezza...) e secondarie (che dipendono in qualche misura dall'osservatore: colore sapore...), ma soltanto qualit fenomeniche che si presentano come appartenenti agli oggetti. Si continua tuttavia a parlare di qualit "primarie" e "secondarie". Gli psicologi sono per ora consapevoli anche dell'esistenza di una terza specie di qualit: le qualit espressive. Si tratta di qualit percettive (fondate in parte sugli isomorfismi) che hanno il potere di suscitare certe impressioni, e talvolta anche certe emozioni (a volte vengono definite qualit terziarie). Certe qualit espressive hanno ricevuto da H. Werner la denominazione di qualit fisiognomiche [fisionomiche in M. De Natale], cio descrittive dell'indole, e riguardano limpressione che un oggetto sia l l per fare qualcosa. Quanto detto, vale per gli oggetti, ma anche per gli eventi, e per i movimenti. Vi infine da considerare anche una espressivit sociale: la distribuzione di stimoli statici nel campo visivo pu cio essere veicolo delle relazioni interpersonali esistenti tra gli elementi del campo.
Le propriet materiali e funzionali

Vanno poste accanto alle qualit espressive (imparentate con esse). Insieme alla forma di qualcosa, ne vediamo anche certe propriet materiali, e certi utilizzi.

Percezione e didattica
Innumerevoli situazioni in cui bambini e ragazzi vengono invitati ad osservare direttamente certi oggetti o eventi; altrettanto numerose situazioni in cui la percezione di un oggetto o evento la fase iniziale di un processo psicologicamente pi complesso; in molti altri casi la percezione solo un avvio di un processo ancor pi indiretto di conoscenza della realt. Gli insegnanti, oltre a conoscere le caratteristiche dei processi percettivi, dovrebbero riservare una posizione di rilievo allattivit percettiva: utilizzarla proficuamente, favorirne lo sviluppo e laffinamento.

Principali teorie sulla percezione visiva


L'idea che la percezione si limiti solo a riflettere la realt esterna, cos come essa oggettivamente , risulta priva di fondamento. viceversa necessaria una teoria per spiegare perch il mondo ci appare cos come noi lo vediamo. Teoria della Gestalt (primo Novecento; Germania 1922, Usa 1929, 1935...) = Nega una visione frammentaria, frutto di giustapposizione di elementi distinti, per affermare al contrario la globalit della conoscenza del mondo esterno: si percepiscono solo degli insiemi nei quali ogni singolo elemento acquista significato (il tutto diverso dalla somma delle parti). L'esperienza un processo dinamico per cui lo stimolo percettivo costituisce un campo di forze in movimento (ogni elemento dello stimolo assume una funzione). Isomorfismo: la nostra percezione consapevole rifletterebbe i pro2

cessi cerebrali sottostanti; ci che vedono i nostri occhi corrisponde (ha la "forma") di ci che avviene nel nostro cervello [per approfondire: v. anche B. Vicario, Psicologia generale. I fondamenti, Laterza 2001, 88-92]. Origine innata dei principi di organizzazione del sistema visivo: se vero che i principi di organizzazione del campo visivo sono applicati in modo diretto, non mediato da interferenze e deduzioni, allora tali principi dovrebbero essere innati. Teoria ecologica di James Gibson (met Novecento; Boston 1960, 1979) = In generale la percezione consiste semplicemente nella lettura diretta della realt esterna (accento sull'ambiente esterno piuttosto che sul soggetto percipiente). A differenza dell'impostazione gestaltista, secondo la prospettiva ecologica tutte le informazioni necessarie a percepire la realt sono gi contenute nell'oggetto che presenta numerose disponibilit (affordances); queste vengono percepite direttamente grazie alla luce, nello stesso modo diretto con cui si percepisce la luminosit. Questo principio poggia sull'approccio filosofico del funzionalismo e della teoria evolutiva della specie: si assume che il processo evolutivo abbia avuto come esito una modalit di conoscenza adatta all'ambiente circostante. Ogni sistema conoscitivo quindi pu essere compreso solo in un'ottica di adeguamento alle propriet dell'ambiente, per cui la percezione umana risulta adeguata alle caratteristiche e agli scopi prevalenti della specie umana nel suo particolare ambiente. Teoria computazionale di David Marr (San Francisco 1982) = L'attenzione posta alle procedure: il processo di elaborazione visiva utilizza le conoscenze implicite del mondo fisico allo scopo di dare senso e concretezza all'immagine retinica; questa conoscenza innata e riguarda alcune propriet generali del nostro mondo fisico. L'idea chiave del suo approccio il concetto di rappresentazione dell'immagine (rappresentazione = correlato mentale dello stimolo esterno, immagine = insieme delle stimolazioni che colpiscono la retina; l'elaborazione di queste informazioni ha come risultato la rappresentazione della scena percepita): l'informazione rilevante non distribuita in modo uniforme sull'immagine, e dunque il compito del processo percettivo di usare le regolarit dell'immagine per costruire la rappresentazione. Costruire una rappresentazione significa mettere in relazione un'immagine bidimensionale con una rappresentazione tridimensionale degli oggetti e dello spazio; gli elementi percepiti come simili (per colore, forma, luminosit...) tendono a essere raggruppati in unit, mentre gli elementi dissimili vengono visti come separati (somiglianze con la Gestalt). Si possono vedere anche la teoria cognitivista modulare (Neisser e altri, anni '60 e '70) e i geoni di Biederman (che approfondisce Marr; fine anni '80).

La fenomenologia
Tre motivi per parlarne: I) un'intera comunit di studiosi, che fa capo idealmente ed anche istituzionalmente a Franz Brentano (1838-1917), considera la fenomenologia il principale strumento di indagine; II) le spiegazioni dei fatti mentali presenti nella coscienza non si possono trovare nella descrizione degli stimoli e dei fatti fisiologici corrispondenti (necessit di un approccio fenomenologico); III) esiste una importante metodologia di ricerca chiamata fenomenologia sperimentale. Diceva Husserl: Si torni alle cose stesse!; e Metzger (1941): Lasciar parlare le cose stesse. 1) In primo luogo abbiamo l'analisi di un fatto, che procede secondo le modalit messe in luce da Koffka (1931): scoprire quali parti date in natura appartengono, in quanto parti, a degli interi funzionali, precisare le loro posizioni in questi interi, il loro grado di indipendenza relativa e l'articolazione di interi pi grandi in sottointeri. Sono qui caratteristici due aspetti complementari: l'assunzione di quei soli elementi del fatto che sono direttamente esperibili, e il rifiuto implicito di prendere in considerazione elementi estranei al fatto (come cose conosciute appartenenti a livelli gerarchicamente inferiori o superiori al fatto in esame). 2) In secondo luogo, l'attenta analisi di un fatto, se condotta senza pregiudizi, mostra non soltanto le caratteristiche delle parti, ma anche la loro connessione, come se la spiegazione del fatto fosse l, sotto gli occhi, e si trattasse soltanto di coglierla al volo (come nel caso dell'insight: v. p.13).
[BD 59-85; DV 121-136; v. 121-173 per una sintesi delle teorie; H 153-188; Pe, 11, 18-36; G. B. Vicario, Psicologia generale. I fondamenti, Laterza, 2001, 148-175, 307-319]

Simbolizzazione e linguaggio
I limiti della percezione vengono superati grazie allattivit rappresentativa.

La simbolizzazione
Molto spesso lattivit rappresentativa viene avviata e sostenuta dalla percezione di certi elementi della realt che assumono il ruolo di richiamarne alla mente altri non percettivamente presenti, o che non lo sono in forma piena; percezione e rappresentazione mentale sono zone estreme di un continuum: 1. percezione; 2. percezione amodale (percezione che si "prolunga" in una attivit rappresentativa); 3. presenza di indici (prime forme di simbolizzazione, indizi); 4. presenza di significanti (che rimandano a significati) simboli (motivati) o segni (arbitrari)1 [v. Appendice 1]. Distinzione fra simbolizzazione non linguistica e simbolizzazione linguistica (a sua volta distinguibile in significantisimboli e significanti-segni). Differenze fra simboli e segni: anche didatticamente (simboli pi facili e diretti); distinzione comunque non rigida: dipende dal processo psicologico in gioco; crescente isomorfismo verbale e grafico.
Simbolizzazione e linguaggio

Simbolizzazioni non linguistiche: gioco simbolico [v. p.29]; fantasticheria; sogno.

Secondo Peirce, invece: segno iconico (rappresenta loggetto per similitudine o analogia), segno indexicale (legame causale, esistenziale tra segno e interpretante; es.: banderuola, barometro, fumo che indica lesistenza del fuoco), segno simbolico (rapporto convenzionale).

Simbolizzazione mediante il linguaggio: quando un significante viene intenzionalmente utilizzato, in modo sufficientemente stabile e anche generalmente condiviso, per esprimere o comunicare un certo significato.

Linguaggio e comunicazione
I linguaggi sono a loro volta inclusi nella pi ampia area della comunicazione, termine che designa ogni scambio di informazione sia fra esseri viventi sia fra sistemi pi o meno complessi. Meglio allora parlare di linguaggi: verbale, grafico, mimico, gestuale, sonoro, dei fiori, degli oggetti...; diversissimi per il numero dei significanti, per il grado di flessibilit e analiticit, per il grado di standardizzazione.

Livelli
L'uso del linguaggio ha due aspetti: la produzione e la comprensione. Il linguaggio un sistema a pi livelli (unit grammaticali, che comprendono sintagmi e frasi; parole, prefissi e suffissi; suoni del linguaggio) per collegare il pensiero all'espressione verbale per mezzo di parole ed unit grammaticali (Chomsky, 1965). Ogni linguaggio umano possiede due fondamentali propriet: 1- strutturato a molteplici livelli; 2 produttivo (le regole consentono di combinare le unit di un livello in un numero infinitamente pi grande di unit al livello successivo).

Unit e processi
Sembra che l'elaborazione del linguaggio implichi la riorganizzazione e l'integrazione del segnale fisico in entrata per creare l'esperienza percettiva unificata che tutti conosciamo (infatti /d/ e /a/ esibiti separatamente sono percepiti diversamente dalla sillaba "da"). Sembrerebbe inoltre che la percezione dei suoni linguistici sia "categorica": un fonema (l'inglese divide tutti i suoni della lingua parlata in circa quaranta) una categoria, nel senso che suoni fisicamente diversi possono essere percepiti come uno stesso fonema (es.: la /p/ di "pin" e di "spin" in inglese, che per nella lingua Hindi corrispondono a due fonemi diversi; in giapponese i suoni inglesi che corrispondono a /r/ e /l/ sono trattati con uno stesso fonema). Quando i fonemi sono combinati nel modo giusto, formano delle parole. Queste sono portatrici di un significato (ma anche suffissi o prefissi hanno un significato). Qualunque piccola unit linguistica che veicoli un significato viene detta morfema. Alcune parole servono soprattutto per rendere grammaticalmente corrette le frasi; tali parole grammaticali o morfemi grammaticali, includono ci che passa comunemente sotto il nome di articoli e preposizioni (anche alcuni prefissi e suffissi giocano soprattutto un ruolo grammaticale). Qualunque frase pu essere scomposta in sintagmi (nominali e verbali). Quando la gente sente una frase, sembra che per prima cosa la divida in sintagmi nominali e verbali, e poi da questi sintagmi estragga delle proposizioni. Ogni sintagma agisce come un'unit nella memoria. L'analisi di una frase in sintagmi e successiva divisione in unit pi piccole (nomi, verbi e aggettivi) si chiama analisi sintattica.
Fonetica e fonologia

La fonetica studia i suoni linguistici intesi come eventi fisici e psicologici (propriet acustiche del linguaggio, rapporti di queste e il modo in cui l'essere umano percepisce ed ha esperienze del linguaggio stesso; modo in cui i suoni linguistici vengono prodotti dall'apparato fonatorio); la fonologia si occupa invece delle rappresentazioni astratte e delle regolarit contrastive dei suoni linguistici (studia il modo in cui i suoni linguistici interagiscono tra di loro all'interno di specifiche lingue). Alcuni sostengono che la fonologia non dovrebbe esistere come disciplina a s e che le generalizzazioni scoperte dai fonologi devono essere spiegate esclusivamente in termini fisici e psicofisici (approccio epigenetico: v. p.9); altri sostengono che la fonologia costituisca un livello di analisi completamente indipendente, le cui leggi non possono essere ricondotte a nessuna combinazione di eventi fisici (approccio nativista: v. p.9)
Semantica

Si occupa dello studio del significato e viene suddivisa tradizionalmente in semantica lessicale (studia i significati associati ai singoli elementi lessicali) e semantica proposizionale (si occupa delle relazioni di significato che si stabiliscono fra le parole all'interno di una frase).
Grammatica

Tradizionalmente si divide in due parti: morfologia (la cui unit di analisi il morfema) e sintassi (l'insieme dei principi che governano il modo in cui le parole e altri morfemi sono ordinati per formare una frase possibile in una data lingua). Chomsky e i suoi seguaci hanno definito la Grammatica Universale come l'insieme di possibili forme che la grammatica di una lingua naturale pu assumere. Chomsky ha sempre sostenuto (1957, 1965) che la Grammatica Universale innata in una forma peculiare propria del linguaggio; ma nel corso degli anni ha cambiato idea circa il modo in cui queste conoscenze innate si realizzano in lingue specifiche. Oggi (1988) egli ritiene che i bambini nascano con un insieme di opzioni innate che definisce il modo in cui gli oggetti linguistici come nomi e verbi possono essere messi insieme. Il bambino non impara realmente la grammatica, ma l'ambiente linguistico funge da "innescatore" che permette di scegliere alcune opzioni e fa s che altre vengano meno; questo processo viene chiamato "fissazione dei parametri" (diverso dall'apprendimento, che svolgerebbe un ruolo limitato, forse addirittura marginale, nello sviluppo della grammatica). Gli empiristi per sostengono che la fissazione dei parametri non altro che una forma comune di apprendimento (cio, i bambini ricevono nuove cose dall'ambiente, non semplicemente scegliendo tra le opzioni innate). I sostenitori dell'approccio epigenetico, infine, pensano che alcune combinazioni di caratteristiche grammaticali sono pi convenienti da elaborare rispetto ad altre (v. p.9).

Pragmatica

Studia i meccanismi che permettono a parlanti ed ascoltatori di interpretare il linguaggio nel contesto verbale e non verbale. Sono aspetti pertinenti di quest'area di studi: la deissi (il modo in cui le diverse lingua fanno riferimento al contesto: le persone, il tempo e il luogo, il discorso precedente); gli atti linguistici (gli atti socialmente riconosciuti che compiamo attraverso una enunciazione linguistica: v. p.6); le presupposizioni (le informazioni implicite necessarie perch un determinato atto linguistico funzioni); i postulati e le implicature conversazionali (i principi che governano la conversazione come attivit sociale: v. p.6). La pragmatica include anche lo studio del discorso che, a sua volta, comprende lo studio dei tipi di discorso e della coesione testuale (il modo in cui utilizziamo i singoli dispositivi linguistici come congiunzioni, pronomi, articoli definiti e addirittura intere frasi o proposizioni per legare insieme frasi, distinguere tra informazioni vecchie e nuove e mantenere l'identit di singoli elementi nell'intero testo le relazioni di coreferenza ).

Effetti del contesto su comprensione e produzione


UNIT GRAMMATICALI (sintagmi e frasi) MORFEMI (parole, prefissi e suffissi) FONEMI (suoni del linguaggio)

Questo schema per una semplificazione: non considera il contesto nel quale avviene l'elaborazione del linguaggio. Spesso il contesto rende prevedibile ci che sta per essere detto. Invero, ci sono caso nei quali la comprensione del linguaggio pressoch impossibile in assenza di un contesto. Forse la parte pi rilevante del contesto l'altra persona (o persone) con cui state comunicando: per capire una frase dovete cio comprendere anche: chi parla, dove parla, a chi parla e perch parla nel momento in cui formula quella particolare frase. Quando si parla, cos come quando si interpreta, deve essere stabilito come ci che viene

comprensione di una frase

detto si adatta al contesto.

Comunicazione verbale e non verbale


ormai accertato che nella comunicazione interpersonale si utilizza molto pi di quanto non si pensasse in passato un sistema di comunicazione integrato di verbale e non verbale, di linguistico e di non linguistico. In seguito a studi condotti sulle videoregistrazioni si giunti a importanti conclusioni circa il peso dell'aspetto non verbale sulla comunicazione. Sono stati accertati diversi casi: 1. Quando gli aspetti prosodici contraddicono il senso delle parole, sono i primi a prevalere. 2. Quando il messaggio verbale si accompagna a indici non verbali incongruenti, sono gli indici non verbali ad avere pi spesso il sopravvento (sembra che i messaggi pi primitivi ed emotivi cio i primi a svilupparsi e a essere compresi dagli infanti abbiano la meglio sui contenuti delle parole). 3. Una comunicazione di tipo emotivo viene trasmessa in media nel 7 % dei contenuti linguistici, nel 38 % da modalit paralinguistiche o prosodiche, nel 55 % dalla mimica del viso, dai gesti, dalla vicinanza del corpo, dai movimenti...
canali Comunicazione faccia a faccia sistemi sottosistemi parole, frasi, periodi, discorsi, atVERBALE ti linguistici ritmo intonazione forza vocale PROSODICO velocit di eloquio durata enfasi interruzioni dell'eloquio PARALINGUISTICO suoni non-verbali prossemica (dislocazione spaziale e distanza interpersonale) aspetto esteriore orientazione (CINESICO) postura gesti e mimica espressioni del viso sguardi

produzione di una frase

UDITIVO-VOCALE

VISIVO-CINESICO

Funzioni del linguaggio e atti linguistici


Nella comunicazione interpersonale sono presenti due piani intrinsecamente legati nel messaggio: il piano del contenuto (report) che corrisponde alla funzione rappresentativa, e il piano del rapporto (rapport) che corrisponde alla funzione interazionale: nel momento stesso in cui diamo o chiediamo informazioni (report) instauriamo un certo rapporto (rapport). Nell'ambito dello stesso messaggio queste due funzioni si influenzano vicendevolmente. Vi sono altre importanti funzioni: regolativa: si usa il linguaggio per agire sugli altri (si parla in questi casi anche di funzione strumentale del linguaggio: con le parole si possono fare cose, come dice il filosofo J. Searle); identitaria: si usa il linguaggio per esprimere la consapevolezza di s come soggetto attivo, giudicante; euristica: si usa il linguaggio per svolgere, modulare, approfondire e dare forma al pensiero (nell'infanzia il linguaggio serve a scoprire e descrivere la realt, a dare a s stessi delle indicazioni, a innescare l'azione; nell'et adulta il pensiero pu essere innescato dalle parole, o le parole si adoperano per mettere a fuoco elementi della realt che sembrano sfuggenti); ludica: si usa il linguaggio come strumento o scopo di un gioco. Altre classificazioni delle funzioni del linguaggio verbale: evocativa (distinzione fra denotazione e connotazione); espressiva; analitica (cui ineriscono, in qualche modo, i linguaggi settoriali e i sinonimi); sintetica; comunicativa [v. anche le funzioni di Jakobson del 1963: Appendice 2, precedute da quelle di K. Bhler del 19332; v. eventualmente anche U. Volli, Il libro della comunicazione, Il Saggiatore, 1994, passim].
2

Io, tu, egli = espressiva, appellativa, informativa.

Il filosofo inglese J. L. Austin (1962) ha affermato e argomentato la seguenti tesi: usare il linguaggio equivale a compiere un'azione, che ha una forza specifica e pu assumere forme diverse. Gli atti linguistici sono ci che si fa quando si parla, e sono riconducibili al lessico di una determinata lingua, in particolare ai verbi; essi non descrivono un'azione, ma la compiono. Atti locutivi: sono il livello basilare dell'azione, e si compiono per il fatto stesso di parlare in modo intelligibile in una determinata lingua; il livello di cui si occupa la grammatica, del dire qualcosa: il proferimento di espressioni appartenenti a un certo lessico e assemblate secondo una sintassi. Atti illocutivi (o illocuzioni) definiscono un'azione che si compie attraverso il parlare, quindi ci che si fa, o si intende fare, quando si parla; possono esprimere un parere (penso, credo), esercitare una funzione (domando, licenzio, promuovo); non tutti hanno valore: dipende dalle effettive potenzialit di chi pronuncia le parole; alcuni impegnano chi li pronuncia (una promessa, una minaccia); ve ne sono poi di espressivi, che effettuano una manifestazione di stati d'animo, fanno agire le emozioni (mi rallegro, condoglianze). Atti perlocutivi (o perlocuzioni): l'atto di produrre, attraverso il dire, degli effetti sugli interlocutori, intenzionalmente o no (es.: Quando verr a Parigi Pietro?, con lo scopo di mettere in imbarazzo il destinatario della domanda, costringendolo a confessare di non essere al corrente di quel che fa Pietro; in questo caso il locutore interroga atto illocutorio e mette in imbarazzo atto perlocutorio il destinatario). Un enunciato ha non solo un significato ma anche una forza, una certa funzione comunicativa su cui gli interlocutori sono chiamati a negoziare: a livello locutivo, sar espressa dal volume della voce, dal ritmo dell'enunciato; a livello illocutivo, risiede nel significato delle parole, in particolare dei verbi impiegati; a livello perlocutivo, corrisponde al diverso impatto sulla realt degli effetti perlocutori di un atto linguistico. In sintesi, l'emissione della voce pu essere pi o meno energica, il contenuto pi o meno impegnativo, le conseguenze pi o meno importanti e durature.

La conversazione
Vi sono regole fisse che organizzano questo tipo di scambi verbali, regole di cui talvolta i parlanti non sono consapevoli e che ci nonostante rispettano. Regole formali: I. alternanza del turno; II. necessit di feedback; III. interruzioni ( apparentemente vietato interrompere, ma normale che accada; si tratta per di un meccanismo regolato da un sistema sensibile di segnali). Regole contenutistiche: I. restare in argomento, i partecipanti ripetono cio pi volte frasi e concetti gi detti, e ci l'indizio pi convincente che la funzione della conversazione tipica non tanto quella di scambiare informazioni nuove quanto di mantenere un rapporto attraverso lo scambio linguistico; ma restare in argomento va inteso in senso pi ampio; a proposito segnala spesso i cambi di argomento; si viola il principio di collaborazione di contenuto quando si introducono argomenti "specialistici", mentre al contrario nell'ambito di una conversazione fra colleghi di lavoro sarebbe un'infrazione parlare di problemi privati (la scelta di un argomento adeguato dunque il primo elemento di una buona conversazione); II. confermare il valore illocutorio degli atti linguistici, accettando le parole degli altri come autorizzate, veritiere, pertinenti. III. partecipare con propri contributi, facendo domande e rispondendo alle domande poste da altri. un buon conversatore anche chi sa ampliare i temi sul tappeto, fornire dettagli pertinenti, dare al proprio intervento stile e misura ottimali, senza intimidire glia altri con la propria sapienza n banalizzare lo scambio con osservazioni risapute. Il filosofo e linguista Paul Grice (1967) ha stilato quattro massime conversazionali che compongono il principio di cooperazione relativamente al contenuto delle conversazioni (Partecipa alla conversazione nel momento e nel modo opportuno, considerati gli scopi della conversazione specifica a cui partecipi): 1. quantit: sii informativo quanto necessario; 2. qualit: di' ci che ritieni vero (se ci sono dubbi, rendili espliciti); 3. relazione: di' ci che pertinente all'argomento; 4: modo: sii chiaro e ordinato nell'esposizione. L'equivalente psicologico del principio di cooperazione e delle massime che lo compongono il superamento dell'egocentrismo cognitivo, cio la rappresentazione della mente di chi riceve il messaggio come diversa dalla mente di chi lo emette: perch si effettui un buono scambio linguistico, chi parla deve tener presente che l'ascoltatore applicher automaticamente le quattro massime. considerando ogni contributo esauriente, veritiero, pertinente e chiaro (tutti i giochi di omissioni, implicazioni menzognere e "bugie bianche" sono possibili proprio perch tali massime sono considerate vigenti, e chi vuole imbrogliare senza mentire esplicitamente si serve maliziosamente di queste regole).

Sviluppo del linguaggio


Lo sviluppo avviene a tutti e tre i livelli del linguaggio: inizia al livello dei fonemi, prosegue al livello delle parole e degli altri morfemi e quindi prosegue al livello delle unit grammaticali, o sintassi. La percezione categorica probabilmente innata (gli infanti risultano sensibili alle demarcazioni del contrasto tra le sillabe "pa" e "ba"), ma non specie specifica; non si sviluppa al servizio del linguaggio, ma, piuttosto, il linguaggio umano che si sviluppato traendo vantaggio dalle distinzioni gi presenti nel sistema uditivo dei mammiferi. straordinario che i bambini vengano al mondo capaci di discriminare i diversi suoni che corrispondono a diversi fonemi in qualsiasi lingua. Ci che cambia nel primo anno di vita che i bambini imparano quali fonemi sono validi nella loro lingua, e perdono la capacit di discriminare i suoni che nella stessa lingua corrispondono allo stesso fonema.
Fattori innati

Tutti i bambini, indipendentemente dal loro contesto culturale e dalla loro lingua, sembrano passare per la medesima sequenza di sviluppo del linguaggio; ci indica che la nostra conoscenza innata del linguaggio molto ricca. In verit, essa cos ricca che i bambini possono percorrere il normale processo di acquisizione del linguaggio anche se intorno a loro non vi sono persone che usano il linguaggio e che possono servire da modelli. Come altri comportamenti innati, anche l'apprendimento del linguaggio ha dei periodi critici: abbia gi visto che i primi mesi di vita sono un periodo critico per sviluppare correttamente i fonemi della propria lingua nativa; sembra esser6

ci un periodo critico anche nell'apprendere il sistema fonologico di una seconda lingua; studi recenti indicano che vi un periodo critico anche quando si studia la sintassi (fra i 4-6 anni, comunque prima dei 12).

Gli inizi del linguaggio verbale


L'et di 8-10 mesi pu essere considerata uno spartiacque nello sviluppo fonetico e fonologico, che si manifesta anche nella produzione linguistica. Nei primi due mesi di vita i neonati producono "suoni riflessi" (come il pianto, suscitato da stati di disagio) e "suoni vegetativi" (come ruttini e gorgoglii, legati a processi fisiologici). Tra i 2 e i 6 mesi di vita allincirca compaiono spontaneamente suoni vocalici (vocalizzazione e giochi vocalici, connessi a stati di benessere e prodotti in risposta a sorrisi e vocalizzazioni materne [considerabili forse anche come giochi desercizio: v. p.29]); la cosiddetta lallazione canonica o reduplicata comincia intorno ai 6-8 mesi nella maggior parte dei bambini (si pu considerare uno stadio prelinguistico [v. anche il musical babbling: 6-9 mesi, in F. Gatta, Lo sviluppo musicale Appunti 1989, p.2]); segue la lallazione variata, in cui il bambino arriva a ripetere in modo sempre pi consistente i pattern sonori tipici della propria lingua materna. Il bambino piccolo diventa consapevole che alcuni suoni che emette quando produce i vocalizzi corrispondono ai suoni che emettono altre persone; poi li memorizza e li ripete, eliminando dal suo repertorio i suoni non uditi intorno a s (problemi: lapprendimento di lingue che utilizzano taluni di questi suoni [e la sperimentazione sonoro-musicale]; la sordit dalla nascita). Durante lo stadio dei vocalizzi infantili in genere il bambino aggiunge dei suoni nuovi al suo repertorio in successione fissa. Questa pietra miliare della acquisizione linguistica correlata ad altri importanti fenomeni dello sviluppo (a sostegno dell'ipotesi che la capacit di usare il linguaggio pu dipendere da fattori non linguistici): cambiamenti fondamentali in molte aree cognitive e sociali, relative per es. all'uso di strumenti, alla categorizzazione e alla memoria degli oggetti, all'imitazione e alla comunicazione intenzionale; si verificano anche impressionanti cambiamenti a livello cerebrale: l'apparizione della "sinaptogenesi" (esplosione nella crescita sinaptica che inizia intorno agli 8 mesi e raggiunge l'apice tra i 2 e i 3 anni di et), cambiamenti nell'attivit metabolica dei lobi frontali, ed un incremento del controllo frontale su altre funzioni corticali e subcorticali. Intorno ai 10 mesi di et alcuni infanti cominciano a produrre "suoni simili a parole", utilizzati in maniera relativamente consistente in particolari contesti. Numerosi studi hanno dimostrato che c' continuit fra lallazione prelinguistica e prime parole: queste ultime tendono a contenere i "suoni preferiti" dai bambini durante il periodo della lallazione (ci contraddice l'ipotesi opposta avanzata da Jakobson). Capacit di riproduzione dei suoni tramite condizionamento operante; ma i bambini sembrano avere una capacit innata di imitare i suoni. Oltre che copiare, il bambino commette errori grammaticali mai sentiti (fa esperimenti spontanei con la lingua). Secondo Chomsky i bambini possiedono un innato apparato di acquisizione della lingua (LAD); ma alcuni studiosi sostengono che le strutture grammaticali del bambino scaturiscano dalla errata applicazione che egli fa delle regole grammaticali che ha gi appreso ascoltando gli adulti (mancano risposte esaustive). Lessico del bambino: passivo (parole comprese; pi ampio); attivo (parole che possono essere utilizzate; accuratamente registrato dagli psicologi).

Prospetto dello sviluppo medio del lessico attivo


15 mesi 18 mesi 2 anni Prime parole riconoscibili; sostantivi. Venti parole; verbi. Cinquanta parole.

2/2,5anni Pronomi semplici (molto importante: distingue io che sta per me da io che significa tu...). 2 anni e mezzo 3 anni Duecento parole; pronomi interrogativi (che cosa? chi?); conosce il proprio nome. Parla in maniera sciolta, tanto che difficile quantificare il suo vocabolario attivo; aggettivi e avverbi (deve afferrare lidea che sono relativi); avverbi interrogativi (dove? perch?); plurali; altri pronomi; preposizioni semplici; ripete a memoria brevi poesiole e canzoncine.

3 anni e Conosce propri indirizzo e giorno del compleanno; scompaiono quasi tutte le costruzioni grammaticali infanmezzo / 4 tili; sa dare resoconti di avvenimenti; sa indicare per nome i colori fondamentali; dimostra qualche comprensione di concetti linguistici complessi quali passato e futuro. 4 anni ca. Padronanza della lingua quotidiana corrispondente, in pratica, a quella delladulto. 5 / 6 anni A scuola i suoi orizzonti linguistici si allargano rapidamente. Si registrano ampie variazioni in casi singoli; queste variazioni non ci dicono gran che sui progressi futuri del bambino (procedimento per sbalzi, come per altri aspetti) [v. Appendice 3; v. anche: Appendici 4 e 5; eventualmente anche R. Vianello, Psicologia dello sviluppo, Juvenilia, 159-168 e M. Battacchi, Trattato enciclopedico di psicologia dellet evolutiva, Vol. I tomo II, Piccin, 309ss. Per le fasi di concettualizzazione della lingua scritta v. Appendice 6; per i livelli di sviluppo del contare v. Appendice 7. V. anche: R. Vianello, Psicologia dello sviluppo: infanzia, adolescenza, et adulta, et senile, Junior, 2004: pp. 149-152].

Stimolare per tempo lapprendimento della lingua


Fra linguaggio e pensiero i rapporti sono stretti e circolari. Un mondo senza linguaggio sarebbe un mondo senza pensiero complesso. La capacit di parlare dei bambini (come gran parte del loro apprendimento) risponde allincoraggiamento e agli stimoli offerti dagli adulti: pi stimoli, migliore sviluppo (crescita del vocabolario; pi opportunit di usare le parole nello sviluppare il pensiero, quindi ulteriore evoluzione linguistica). Cruciale far capire ai bambini la necessit oggettiva di utilizzare le parole.

La lingua e la scuola
Il bambino partecipa attivamente allo sviluppo delle proprie capacit linguistiche (allargamento delle interazioni sociali; poi tentativo intenzionale di scoprire cose del suo ambiente immediato e suo padroneggiamento). La risposta degli adulti per determinante per il grado di successo che corona i suoi sforzi. I bambini tendono con maggior facilit ad acquisire la padronanza di singoli elementi linguistici se questi sono in rapporto con la vita di ogni giorno (quindi anche: ambiente stimolante = maggior esigenza di acquisizione di padronanza linguistica). Durante i primi stadi dello sviluppo linguistico il bambino usa spesso forme di transizione della sintassi (parti di strutture sintattiche gi note ma scorrette nel nuovo contesto); se gli vengono offerti spesso esempi corretti, il bambino finisce presto per abbandonare queste strutture in favore di altre pi avanzate e adeguate; errato disapprovarlo. Ecco cinque regole da tenere presenti: 1. inserire ogni nuova struttura verbale in strutture gi familiari agli alunni; 2. rispondere alle domande relative alla lingua con precisione e pertinenza (anche al di l dello stretto necessario); 3. fornire ai bambini utili e adeguati riscontri circa il loro modo di parlare per chiarire se loro si stanno esprimendo correttamente o no; 4. ampliare i temi linguistici ogni qual volta sia possibile, sollecitando i bambini a dare ulteriori contributi e replicando ad essi; 5. ha grande valore insegnare ai bambini le regole della lingua. I bambini devono poter sperimentare, toccandoli con mano, i vantaggi di una crescente padronanza della lingua. Le interazioni linguistiche tra insegnante e alunno sembrano assumere la forma di domande poste dallinsegnante in una percentuale che oscilla tra il 40 e il 60 % dei casi; gli insegnanti pongono domande ogni 70 ca. (in maggioranza di tipo mnemonico; poche le domande trampolino); spesso (ca. il 40 %) linsegnante stesso a rispondere [v. Psicologia e Scuola nn. 77-80/1995-96, Giunti O.S., e dispensa relativa di F. Gatta]. Il linguaggio dellinsegnante deve essere familiare, ma al tempo stesso stimolante [v. anche la dissonanza cognitiva]. Speso, invece, linsegnante rigido. Altre volte presuppone che lalunno conosca una data parola, attribuendole lo stesso significato che ha per lui. Lincapacit di espressione verbale, poi, non significa necessariamente incomprensione. Attenzione anche allabuso di verbalismo (e al conseguente misconoscimento di altre forme espressive). Importanza dellaiutare i bambini a riflettere criticamente sul linguaggio. Accettare dialetti ed inflessioni particolari dei bambini, spingendo allesigenza di apprendimento anche delle forme corrette.

Promuovere le capacit linguistiche


Tutti gli insegnanti sono insegnanti anche di lingua. Il metodo migliore per insegnare la lingua quello che si applica nel contesto di lezioni che non hanno questa per oggetto specifico. Il buon insegnante ascolta con attenzione i suoi alunni. Utilissimo anche registrare e riascoltare il proprio linguaggio. Nonch organizzare giochi linguistici.

La lettura e la scrittura
[V. anche Po 145-171;173-193] Linsegnamento della lettura segue principi molto simili a quelli dellinsegnamento della lingua: 1. fornire al bimbo il giusto ambiente di lettura (in particolare con genitori lettori); 2. presentar loro un metodo specifico di lettura (pausa, di almeno 5, di fronte a parole sconosciute, per dar loro la possibilit di pronunciarle - suggerimento se non riescono da soli - lode quando ripetono la parola; oltre a pazienza, entusiasmo e libro di lettura adeguato). Linsegnamento della scrittura segue la stessa metodologia: 1. ladulto fornisce al bambino parole e lettere semplici da ricalcare o copiare; 2. che pi avanti verranno riprodotte a memoria; 3. sino a formare parole di propria iniziativa. Il bambino padrone della lingua avvantaggiato quando deve ragionare su problemi e risolverli.

Leducazione multiculturale
Nel 1982, quasi il 75 % dei bambini in et scolare degli Stati Uniti erano bianchi; i bambini ispanici erano solo il 10 %. Oggi, in alcuni stati come la California, la minoranza divenuta la maggioranza: il 52 % degli studenti appartengono attualmente a categorie minoritarie Le lingue comprese, parlate e lette dalla stragrande maggioranza delle persone sono dette lingue standard: sono considerate le forme linguistiche corrette ed accettabili alle quali poter confrontare altre forme della stessa lingua. Poich listruzione scolastica si basa sullitaliano standard, e poich i successi scolastici richiedono una comprensione ed unespressione dellitaliano standard, molti bambini si trovano in una posizione di svantaggio. C chi propone di enfatizzare, a casa e a scuola, litaliano standard; chi, invece, di consentire ai bambini che parlano una lingua minoritaria di usare i loro dialetti, almeno nella maggior parte delle ore di scuola. Sebbene il multiculturalismo esista di fatto in molti Paesi, durante la loro storia di studenti molti giovani sono stati incoraggiati verso una omogeneit linguistica: il mito dellomogeneit presente sino a ieri in un po tutte le scuole anche italiane. La seconda met del 1900 stata testimone di rapidi cambiamenti demografici e di un sempre maggiore 8

riconoscimento ed apprezzamento degli aspetti multiculturali della societ. Di conseguenza, molte istituzioni scolastiche hanno iniziato ad assumersi la responsabilit della crescita e dei rendimenti scolastici di tutti gli studenti: nata cos leducazione multiculturale. Poich molto difficile separare la cultura dal linguaggio, nella maggioranza dei casi leducazione multiculturale anche multilinguistica: essa prevede cio linsegnamento di pi di una lingua. Secondo Banks, tra gli scopi principali di questa nuova ottica ci devono essere: 1. riformare il sistema scolastico cos che tutti i bambini, a prescindere dal loro background culturale e linguistico, siano trattati equamente nelle scuole; 2. liberare il sistema educativo da qualsiasi trattamento iniquo tra maschi e femmine. Spesso molti insegnanti sono portati a giudizi erronei rispetto alleducazione multiculturale: 1. le culture sarebbero statiche ed immutabili, facilmente descrivibili in base ad elementi quali larte, labbigliamento, la danza e la musica popolare; 2. le culture minoritarie sarebbero altamente omogenee, e gli individui ad esse appartenenti uguali; 3. una data cultura di solito quella dominante e maggioritaria realmente migliore delle altre e quindi dovrebbe essere presa come modello per i membri di altre culture. Leducazione multiculturale tipicamente anche multilinguistica, o pi precisamente bilingue.

Teorie La psicolinguistica
Generalmente si ritiene che l'origine della psicolinguistica risalga alla critica di Chomsky (1959) al libro di Skinner Verbal Behavior; in realt, essa nasce "ufficialmente" agli inizi degli anni Cinquanta ad opera di un seminario promosso negli USA dalla Social Science Research Council di cui facevano parte linguisti, psicologi e antropologi (il termine intende proprio sottolineare l'interdisciplinarit della materia).

Il dibattito teorico
Riassumiamo gli aspetti pi rilevanti del dibattito attuale: 1 posizione = empirismo: la conoscenza ha origine dall'ambiente ed arriva all'individuo attraverso i sensi (comportamentismo, associazionismo; Aristotele, S. Agostino, Skinner). 2 = nativismo: la conoscenza nasce dalla natura umana (Platone, Kant, Chomsky: specificit di dominio, autonomia, modularit da Fodor ). 3 = interazionismo, costruttivismo, approccio epigenetico (interazionismo semplice: il nero e il bianco fanno il grigio; forme emergenti: il nero e il bianco si uniscono e succede qualcosa di totalmente nuovo e differente; connessionismo, elaborazione parallela, reti neurali, teoria dello sviluppo ispirata ai sistemi dinamici non lineari della fisica moderna): il risultato di un processo di soluzione di un problema si ottiene da uno qualsiasi degli input del sistema di elaborazione, per ragioni che possono non essere ovvie o prevedibili (perch le bolle di sapone sono tonde? perch il nido d'ape in un alveare esagonale?); Piaget sosteneva che la logica e la conoscenza emergono esattamente in questo stesso modo, da interazioni successivi fra attivit sensomotoria e un mondo strutturato. Un'argomentazione simile stata presentata per spiegare la nascita delle grammatiche, che rappresentano la classe di soluzioni possibili al problema di dover fare corrispondere un ricco insieme di significati ad un limitato strumento comunicativo, fortemente condizionato dai limiti della memoria, della percezione e della programmazione motoria: i principi astratti della grammatica, che non si possono estrapolare dalla realt fisica ma non sono nemmeno iscritti nei geni, sono stati scoperti dagli esseri umani perch rappresentavano la migliore soluzione possibile ai problemi specifici di cui le altre specie non si curavano e che, comunque, non avrebbero potuto risolvere; nel cervello umano c' qualcosa di innato che rende possibile l'emergere del linguaggio, ma questo "qualcosa" non pu essere un dominio specializzato e dominio specifico che si sviluppato esclusivamente per il linguaggio; il linguaggio invece pu essere qualcosa che possiamo realizzare grazie ad un cervello grande e sofisticato che si sviluppato per far fronte ai molti e complessi obiettivi della societ e della cultura umana: una macchina nuova costruita con parti vecchie e ricostruita con tali componenti da ogni bambino umano.

Teoria generativo-trasformazionale
Secondo Chomsky (1957) la grammatica non soltanto un elenco di regole che ammettono le frasi corrette ed escludono quelle sbagliate, ma piuttosto una teoria della lingua, una "formula" per la produzione di frasi, un meccanismo che permette di generare e di comprendere tutti i possibili testi in una data lingua. L'idea che esista una struttura profonda comune a frasi che sono diverse nella loro realizzazione linguistica, cio nelle parole e nella sintassi. Una trasformazione un'operazione linguistica che agisce sulla struttura superficiale della frase, che pu aggiungere altri elementi di informazione al nucleo originarle di significato (ad es.: una frase pu essere attiva pi semplice o passiva, entrambe trasformazioni di una stessa struttura profonda). Gli elementi cruciali della teoria sono i due seguenti concetti: competence (competenza) = conoscenza che deve essere posseduta per padroneggiare determinati comportamenti ( implicita, intuitiva, si sviluppa in qualunque individuo normale che segue uno sviluppo normale, proprio come si sviluppa la capacit di camminare o di avere rapporti sociali); performance (esecuzione) = comportamenti linguistici realmente osservati (parlando, scrivendo, ascoltando frasi spezzate che completiamo non facciamo altro che utilizzare questa competenza spesso non concettualizzata che cresciuta dentro di noi per il fatto stesso di interagire linguisticamente con gli altri). a questo punto che la teoria linguistica di Chomsky differisce dalle osservazioni e dai risultati della psicologia del linguaggio. La teoria postula una corrispondenza reale fra processi psicologici e trasformazioni sintattiche. Gli psicologi hanno confermato che i tempi per elaborare una frase dichiarativa attiva sono pi brevi di 9

quelli per elaborare una frase passiva. Ma non era chiaro il ruolo della semantica: secondo Noam Chomsky incide poco, mentre Dan Slobin (1968) dimostr che essa pu essere cruciale (tempi uguali per elaborare frasi dichiarative attive e frasi passive che non avevano senso corretto).

Teoria di Vigotskij
Le prime forme di linguaggio, secondo Vigotskij, sono soprattutto centrate sul parlante stesso: il bambino cio non tiene conto del punto di vista dell'ascoltatore e la sua locuzione una manifestazione dell'interesse per il mondo e una forma di commento delle proprie azioni (linguaggio egocentrico [v. p.40]). Il processo di internalizzazione del linguaggio (passaggio da un linguaggio pubblico a un linguaggio mentale) si pu osservare durante tutto il periodo dell'infanzia e dell'adolescenza, ma il linguaggio egocentrico non scompare mai del tutto (la frustrazione, lo sforzo o altre circostanze insolite inducono l'adulto a un ritorno alla funzione egocentrica del linguaggio, sollevando il velo di privacy che protegge il pensiero). Progressivamente al linguaggio egocentrico si affianca il linguaggio sociale (il linguaggio ha come scopo precipuo la comunicazione con gli altri). Il linguaggio egocentrico per non scompare, ma si affranca dalla sua realizzazione fonetica e diventa linguaggio interno, cio una delle forme del pensiero. Una delle funzioni del linguaggio interno quella della pianificazione delle operazioni cognitive e talvolta anche dei comportamenti; esso gioca un ruolo importante nella regolazione del pensiero. Sue caratteristiche sono la condensazione (sintesi di significati che non segue le regole grammaticali, ma esprime direttamente il nocciolo) e la mancanza di ridondanza (vengono saltati tutti quei passaggi necessari o opportuni quando si parla a chi non conosce bene l'argomento della conversazione). Il linguaggio interno veloce, allusivo, come quello di due persone che si conoscono molto bene e che comunicano solo per punti essenziali; linguaggio silenzioso che permarr per tutta la vita come modalit di analisi, progettazione, considerazioni, ecc., indipendente dal linguaggio esterno.

Aree cerebrali e afasie


A riprova del carattere innato delle capacit linguistiche, sono state individuate alcune zone del cervello umano dove il linguaggio viene elaborato: l'emisfero specializzato nella comprensione e produzione del linguaggio quello sinistro, in particolare una zona nel lobo frontale sinistro (area di Broca), l'altra nella regione temporo-occipitale (area di Wernicke). I pazienti con danni nell'area di Broca sono affetti da un'afasia che ostacola l'eloquio e rende difficile trovare la parola giusta; anche se le parole usate hanno significato, la sintassi quasi completamente assente (sembra il linguaggio di un bambino molto piccolo). Il linguaggio del tipo afasico di Wernicke, invece, molto fluente, rispetta la sintassi, ma usa termini privi di significato. L'esistenza di questi due principali tipi di afasie dimostra che le diverse propriet del linguaggio sono elaborate da parti diverse della corteccia e in modo indipendente; in particolare, le capacit sintattiche sono elaborate nell'area di Broca, mentre le capacit semantiche dipendono dal buon funzionamento dell'area di Wernicke. Relativamente invece alla comprensione del linguaggio, sembrerebbe che possa entrare in gioco anche l'emisfero destro (specializzato a elaborare immagini). Poeppel (1996) ha messo in seria discussione l'ipotesi dell'esistenza di un unico "centro di elaborazione fonologica". Altri studiosi hanno inoltre messo in evidenza che alcune aree coinvolte nella produzione linguistica vengono attivate anche durante compiti non linguistici, di tipo motorio (movimenti semplici e complessi della bocca e delle dita). I modelli di localizzazione o di attivazione cerebrale sembrano variare non tanto in funzione del "dominio", quanto in relazione a fattori quali la quantit ed il tipo di memoria richiesta da un dato compito, il suo relativo grado di difficolt e di familiarit per il soggetto, l'attenzione richiesta, la presenza o l'assenza della necessit di sopprimere una risposta conflittuale, e cos via.

Pensiero e linguaggio
Il pensiero pu essere inteso come un "linguaggio della mente". Un modo di pensare corrisponde al flusso delle frasi che ci sembra di "sentire nella testa" (pensiero propositivo: esprime una proposizione o una richiesta); un altro modo corrisponde alle immagini, particolarmente quelle visive, che noi possiamo "vedere" nella mente (pensiero immaginativo); C' infine un terzo modo (pensiero motorio) che corrisponde alle sequenze dei movimenti mentali [v. p.12; v. anche BD 184-225 e DV 287-313].

Concetti e categorizzazioni
Possiamo pensare ad una proposizione come ad una frase che esprime un'affermazione concreta; i pensieri consistono di concetti combinati in modo particolare. Un concetto rappresenta un'intera classe ( un insieme di propriet associate ad una classe). L'attribuire un oggetto ad un concetto viene chiamato categorizzazione. I concetti: -favoriscono l'economia cognitiva dividendo il mondo in unit che possono essere manipolate; -permettono di predire l'informazione che non immediatamente percepita, andando oltre l'informazione ricevuta (quando categorizziamo un oggetto, lo trattiamo come se avesse molte delle propriet associate al concetto, incluse le propriet che non abbiamo percepito direttamente); -permettono di comunicare rapidamente sulle esperienze che accadono di frequente (possediamo concetti di attivit, di stati, di astrazioni..., generalmente associati ad una parola: mangiare, essere vecchio, verit...); -possono facilitare la progettazione (possiamo costruire concetti in funzione di uno scopo preciso; ad es., in vista di una gita, il concetto cose da portare in campeggio).

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Le propriet associate ad un concetto sembrano ricadere in due gruppi: il prototipo del concetto (l'insieme di quelle caratteristiche che descrivono i migliori esempi del concetto; di solito viene in mente quando pensiamo al concetto; sono indicatori importanti, ma non perfetti); il nucleo (propriet che sono importanti per essere un membro del concetto, ma che non sono contenute nel prototipo; indicatori pi sintomatici). Ci sono concetti ben definiti (es.: scapolo) e concetti sfuocati (es.: uccello).
Acquisizione di concetti

L'insegnamento esplicito probabilmente il mezzo con cui impariamo il nucleo dei concetti, mentre l'esperienza sembra essere il mezzo comune con cui impariamo i prototipi. I bambini ci impiegano un po' per imparare che il nucleo un indicatore migliore di appartenenza ad un concetto di quanto non sia il prototipo: fino a 10 anni, i bambini mostrano un evidente spostamento dal prototipo al nucleo come criterio definitivo delle decisioni sui concetti. Ci sono almeno tre diversi modi in cui si pu imparare un concetto per mezzo degli esempi che vengono dall'esperienza: 1- Strategia degli esemplari: il bambino si imbatte in un esemplare noto e ne immagazzina la rappresentazione; quando pi tardi deve decidere l'appartenenza o meno di un nuovo esemplare a quel concetto, stabilisce la somiglianza del nuovo oggetto con gli esemplari immagazzinati (strategia molto usata dai bambini, funziona meglio con gli esemplari tipici). 2- Verifica dei ipotesi: esaminiamo gli esempi noti di un concetto, ricercando le caratteristiche che sono abbastanza comuni fra loro, e ipotizziamo che queste siano ci che caratterizza il concetto; quindi analizziamo i nuovi oggetti in relazione a queste caratteristiche critiche, confermando la nostra ipotesi oppure riaggiustandola (la strategia si focalizza quindi su astrazioni, ed messa a punto dagli adulti per trovare le caratteristiche del nucleo, che sono quelle comuni alla maggior parte degli esempi). Sono, queste due, strategie dal basso all'alto (sono guidate esclusivamente dallo stimolo, e non si fa molto uso delle conoscenze precedenti). 3- Strategie dall'alto al basso: si usa la conoscenza precedente insieme con gli esempi noti per determinare le caratteristiche critiche di un concetto (la precedente conoscenza pu influenzare ogni aspetto dell'acquisizione di concetti).

Ragionamento
Quando pensiamo in termini di proposizioni la sequenza dei nostri pensieri organizzata. Talvolta i nostri pensieri sono organizzati secondo la struttura della MLT (possiamo organizzare il pensiero per associazione di ricordi); ma spesso, invece, cerchiamo di ragionare: in tal caso la sequenza dei nostri pensieri prende spesso la forma di un ragionamento, in cui una proposizione corrisponde ad una affermazione, o conclusione, che stiamo cercando di trarre; le restanti proposizioni sono le ragioni dell'affermazione, o le premesse per la conclusione.
Ragionamento deduttivo

Secondo i logici, i ragionamenti pi forti sono validi da un punto di vista deduttivo, il che significa che impossibile che la conclusione di un ragionamento sia falsa se le sue premesse sono vere (v. per es. il sillogismo). Alcune teorie del ragionamento deduttivo sostengono che noi operiamo secondo una logica intuitiva e usiamo le regole della logica nel cercare di dimostrare che la conclusione di un ragionamento deriva dalle premesse. Non sempre, per, usiamo regole logiche quando dobbiamo risolvere problemi deduttivi; talvolta usiamo regole meno astratte e pi pertinenti ai problemi quotidiani: le cosiddette regole pragmatiche. Oltre alle regole, i soggetti possono risolvere un problema allestendo una rappresentazione concreta della situazione: si tratta del modello mentale. Regole pragmatiche e modello mentale sono entrambe determinate dal contenuto del problema; ci in contrasto con l'applicazione delle regole della logica, che non dovrebbero esserne influenzate. Di conseguenza, la nostra sensibilit al contenuto spesso ci impedisce di operare come dei logici intuitivi.
Ragionamento induttivo ed euristica

I logici hanno osservato che un ragionamento pu essere accettabile anche se non valido da un punto di vista deduttivo; simili ragionamenti sono induttivamente forti, il che significa che improbabile che la conclusione sia falsa (la forza induttiva cio una questione di probabilit, non di certezze). Due valide regole della probabilit che dovrebbero essere guide razionali al ragionamento induttivo: 1- regola della probabilit primaria: la probabilit che qualcosa faccia parte di una classe tanto maggiore quanto pi numerosi sono i membri di quella classe; 2- regola della congiunzione: la probabilit di una proposizione non pu essere inferiore alla probabilit di quella stessa proposizione unita a un'altra. Nel disordinato ragionare di tutti i giorni, per, la gente frequentemente viola queste regole. Molte volte si valuta la somiglianza con il prototipo di un concetto, usandola come un'euristica al posto della valutazione delle probabilit: l'euristica della somiglianza (es.: a. tutti i pettirossi hanno ossa sesamoidi, b. quindi tutti gli struzzi hanno ossa sesamoidi; in contrapposizione a: a. tutti i pettirossi hanno ossa sesamoidi, b. quindi tutti gli uccelli hanno ossa sesamoidi; soggetti di uno studio hanno giudicato il primo ragionamento il pi valido, presumibilmente perch i pettirossi sono pi simili al prototipo degli uccelli di quanto non lo siano agli struzzi). Altre volte la gente valuta la probabilit di una situazione dalla forza delle connessioni causali fra gli eventi della connessione stessa: l'euristica della causalit (es.: a. nell'anno 2050 ci sar una fortissima alluvione in Italia, nella quale annegheranno pi di 1000 persone, b. nel 2050 ci sar un terremoto nel Lazio che provocher una fortissima alluvione in cui annegheranno pi di 1000 persone; la genta giudica la seconda affermazione pi probabile della prima). Cos la nostra fiducia nell'euristica ci porta spesso ad ignorare alcune fondamentali regole razionali; anche se non bisogna dimenticare che l'euristica della somiglianza e quello della causalit presumibilmente portano a decisioni corrette nella maggior parte dei casi [v. anche il problem solving: p.12].
[BD 258-292; DV 239-276, utile anche per un primo approfondimento delle teorie; F,60-75; H 307-331; L,42-44; Pe,37-41 e 43-47]

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Il pensiero come attivit strutturante


Il pensiero produce strutture di vario tipo
Il pensiero produce strutture di vario tipo quando interviene per: a. linterpretazione = il pensiero interviene sui fatti per dar loro un significato (pi evidente quando la percezione ci offre un dato che potrebbe avere pi significati), sia in modo libero sia razionalmente (utilizzando il contesto...); b. la simbolizzazione = vi pensiero simbolico nel momento in cui, essendo assente una cosa, ce ne formiamo unimmagine mentale (che sta al posto di unimmagine percettiva che non c) o, con attivit pi complessa, facciamo intervenire il linguaggio; c. la classificazione o la collocazione spazio-temporale o la causalizzazione o la previsione o la ricostruzione = il pensiero elabora dati percettivi ed i significati ad essi collegati, inserendo questi ultimi in strutture pi complesse e gi presenti: di tipo classificatorio, o spazio-temporale, o nel senso dellipotizzazione di rapporto causa-effetto, o nel senso della previsione di un certo evento, o nel senso di una ricostruzione di una situazione sulla base di un certo indizio; d. il collegamento di contenuti rappresentativi, lelaborazione di prospettive e lorganizzazione continua del sapere = lattivit strutturante opera poi sui contenuti rappresentativi della percezione: collegandoli insieme, elaborando quadri pi ampi (prospettive quantitative e numeriche, scientifiche, storiche, linguistiche...) in cui trovano posto concetti, rapporti e sistemi di rapporti che formano nel loro insieme il nostro sapere; sapere che il nostro pensiero organizza e riorganizza continuamente via via che introduce in esso nuovi dati di conoscenza acquisiti... (costruzione del sapere e delle sue strutture portanti: gli schemi di Piaget, gli script dei cognitivisti); e. formulare e risolvere problemi [problem solving; v. anche: Appendice 1; v. anche Pensiero e linguaggio: p.10].

Pensiero in azione Il problem solving


Nel problem solving noi lottiamo per conseguire un obiettivo, ma non abbiamo a disposizione i mezzi per raggiungerlo; dobbiamo suddividere il nostro obiettivo finale in obiettivi parziali e magari suddividere ulteriormente questi ultimi obiettivi ancor pi limitati finch non abbiamo i mezzi per raggiungere lo scopo. Il problema uninsoddisfazione cognitiva. Pu essere posto dalle cose stesse, o da altre persone, oppure possiamo formularlo noi stessi. Scoprire un problema gi svolgere unattivit strutturante (il nostro pensiero organizza certi dati in modo da porre in evidenza una contraddizione e una lacuna). Gi la scoperta e la chiara formulazione di un problema un atto dintelligenza (Claparde). Allinsoddisfazione si accompagna di solito la curiosit [v. anche la dissonanza cognitiva], il pensiero diviene attivo, la tensione cessa quando la struttura cognitiva da problemica diviene risolutoria. Risolvere un problema significa raggiungere una soluzione all'interno di un set di vincoli. Anche un tema di italiano , in sostanza, un problema (e lo anche quello che affronta lo scrittore quando decide di scrivere un nuovo racconto [problemi espressivi]) [v. anche Po 195-219]. Problemi [temi] che possiamo collocare in un continuum, con i mezzi [attivit didattiche] per risolverli (Claparde):
MIN MAX

grado di definizione dell'obiettivo da raggiungere


continuum di problemi

MAX MIN

grado di definizione dei mezzi a disposizione

tenendo presente che il tipo di analisi pi appropriata a partire dal basso (dai materiali a disposizione) nel caso di scarsa definizione dell'obiettivo, e dall'alto (dall'obiettivo) nel caso contrario (Dunker). Molti problemi di matematica e geometria proposti nella scuola si collocano in un punto intermedio del continuum (ben definiti sia gli obiettivi sia i mezzi), mentre sarebbe opportuno proporre anche problemi con dati mancanti o con dati sovrabbondanti o in cui si tratta di utilizzare un dato insieme (di numeri, figure...) per costruire qualcosa di significativo; possiamo anche proporre problemi storici, anche specifici (tecnici, culturali, sociali), ed epistemici (non soltanto esplicativi).
Strategie e rappresentazioni

Secondo il modello HIP (Human Information Processing), due sono le componenti essenziali del problem solving (umano e simulato): la rappresentazione del problema e la ricerca della soluzione, all'interno dello spazio del problema. Per risolvere problemi ben definiti esiste sempre una modalit che porta alla soluzione corretta, seguendo le procedure note, prendendo in esame sistematicamente tutte le opzioni e percorrendo le tappe: si chiama algoritmo, ed tipico del programmi dei calcolatori che, in poco tempo, scandagliano tutte le eventualit per giungere con certezza alla soluzione. Gli esseri umani non usano di solito metodi algoritmici, salvo nei casi semplici nei quali il campo del problema di dimensioni limitate; usano invece pi spesso la procedura euristica: utilizzano l'esperienza passata e le informazioni percettive per eliminare le mosse che appaiono poco produttive. Per alcuni problemi, infine, vi sono modalit di pensiero che permettono di giungere alla soluzione in modo efficiente combinando aspetti di entrambi i metodi. Queste che seguono sono strategie euristiche generali, che non poggiano su alcuna conoscenza specifica e possono essere perfino innate (metodi deboli); si pu fare affidamento su questi metodi specialmente quando si viene a conoscere per la prima volta un certo campo e si lavora su problemi di contenuto sconosciuto. 1) Ridurre la differenza tra la con12

dizione di partenza (in una situazione problematica) e la condizione di arrivo (nella quale si raggiunge una soluzione): l'idea che ci sta dietro di fissare dei sotto-obiettivi i quali, una volta raggiunti, ci pongono in una condizione che pi vicina a quella di arrivo. 2) Analisi dei mezzi e dei fini: confrontiamo la condizione di partenza con quella di arrivo, allo scopo di scoprire le principali differenze fra di loro; l'eliminazione di queste differenze diventa il principale sottoobiettivo: cerchiamo allora un mezzo o una procedura per conseguire questo sotto-obiettivo; se lo troviamo ma scopriamo che qualcosa nella nostra condizione di partenza ci impedisce di metterlo in pratica, allora introduciamo il nuovo sotto-obiettivo di eliminare questo ostacolo. 3) Operare all'incontrario partendo dalla meta (particolarmente utile per la soluzione di problemi matematici): ragioniamo procedendo dall'obiettivo finale ad un sotto-obiettivo, da quel sotto-obiettivo ad un altro, e cos via, finch arriviamo ad un sotto-obiettivo per raggiungere il quale disponiamo dei mezzi necessari. Quando ci si impratichisce di un settore si sviluppano delle procedure e rappresentazioni pi valide nel campo specifico, che finiscono per avere la meglio sui metodi deboli. L'essere capaci di risolvere un problema non dipende solo dalla nostra strategia per scomporlo, ma anche dal modo in cui lo rappresentiamo. Talvolta un metodo di rappresentazione verbale ottiene i migliori risultati; altre volte, una rappresentazione o un'immagine visiva sono pi efficaci; alcuni problemi si possono risolvere rapidamente manipolando le proposizioni o le immagini. Oltre al problema di proposizioni piuttosto che immagini, ce ne sono altri su che cosa viene rappresentato: abbiamo spesso difficolt con un problema perch non includiamo qualcosa di importante nella rappresentazione, oppure perch vi includiamo qualcosa che non una parte importante del problema.
Il pensiero produttivo

Nell'ambito della psicologia della Gestalt, lo psicologo tedesco Max Wertheimer ha studiato con metodi qualitativi un particolare tipo di intelligenza che ha chiamato pensiero produttivo (1945): un modo di vedere e ripensare (ristrutturare) i dati proposti inventando dei percorsi innovativi che portano alla soluzione, pi adatti alla struttura della situazione problemica, contrapposto al pensiero riproduttivo, che tende invece a percorsi lineari, gi altre volte utilizzati, che raggiungono la soluzione senza alcuna modificazione della struttura dei dati. In sostanza la soluzione produttiva comporta un cambiamento attivo sia del materiale proposto sia, di conseguenza, del compito: non si serve solo delle operazioni tradizionali, ma di una logica di relazione, che porta a ristrutturare completamente i dati di un problema scoprendo sotto la struttura superficiale, che spesso un aggregato frammentario, una struttura profonda pi appropriata perch spiega pi fatti e permette nuove previsioni; le operazioni sono guidate dalla scoperta di un'anomalia, una lacuna, una difficolt, che spinge il soggetto a cercare di vedere la cosa in modo nuovo, con una nuova forma "buona" che spesso anche trasferibile ad altre situazioni e ordini di fenomeni. Questo momento di intuizione stato chiamato dagli psicologi (Khler, 1917) Einsicht (insight: guardare dentro), ed in opposizione con le teorie che basate sul presupposto che la comprensione dei legami esistenti tra elementi diversi del campo sia frutto dell'esperienza passata (empiristi, comportamentisti). A grandi linee cos descrivibile: -la soluzione si presenta improvvisamente (non il risultato di prove ed errori); -l'apprendimento non graduale ma si instaura immediatamente, dopo un solo tentativo coronato da successo; -l'apprendimento trasferibile (pu essere utilizzato in situazioni simili); -si rimane in apparente inattivit davanti al problema di cui non vediamo la soluzione, poi improvvisamente (dopo una rappresentazione mentale dei possibili cambiamenti della situazione, dopo una ristrutturazione dell'ambiente, ci si muove verso la soluzione; - un legame, una connessione non casuale, sensata, adeguata, tra due elementi del campo totale (come quando, agendo, abbiamo l'impressione di fare la cosa "giusta"); -esperienza che si ha tanto nel campo emotivo e motivazionale, quanto nel campo dei processi cognitivi; -secondo alcuni studiosi (Vicario), pi che un processo tipico del pensiero o della soluzione di problemi, sembra un meccanismo fondamentale di attribuzione, cio di creazione di legami tra parti del campo (oggetti o eventi) tra i quali non esiste alcun "ponte" fatto di stimoli o di processi fisiologici nominabili. [v. anche p.22].
Esperti e principianti

In un ambito specifico, gli esperti risolvono i problemi in modo qualitativamente diverso dai principianti: differenze dovute a diversit nelle rappresentazioni e nelle strategie messe in pratica dagli uni e dagli altri. Gli esperti hanno immagazzinato nella loro memoria un numero molto maggiore di rappresentazioni specifiche che possono utilizzare in riferimento a un certo problema; persino quando si trovano di fronte a un problema nuovo, se lo rappresentano in modo diverso dai principianti (questi ultimi tendono a rappresentarsi un problema in termini delle caratteristiche apparenti piuttosto che fare riferimento, come fanno invece gli esperti, a principi). Esperti e principianti differiscono anche quanto alle strategie messe in pratica: i primi cercano di formulare un piano di attacco al problema, mentre i secondi incominciano subito a compiere operazioni; gli esperti tendono inoltre a ragionare dai dati di un problema verso la soluzione, mentre i principianti tendono a lavorare nella direzione contraria (la strategia dell'operare all'incontrario).
Condizioni che ostacolano la soluzione o la comprensione

1. Implicazioni parassite: tendenza a prendere per buono il primo significato che una certa parola fa venire in mente, introducendo magari interpretazioni limitative. 2. Fissit funzionale (Dunker): tendenza a utilizzare certi oggetti solo per le loro propriet funzionali abituali (il contrario il ricentramento) . 3. Perdere di vista il fuoco: lasciandosi fuorviare da particolari vistosi ma non realmente importanti, ci si pu allontanare dal fuoco di problemi o spiegazioni.
Condizioni che facilitano la scoperta o la comprensione

Oltre a quanto gi visto (problemi bene o mal definiti da affrontare dall'alto/dal basso; algoritmo, procedure euristiche e rappresentazioni; pensiero produttivo e insight): 1. Semplificazione dei dati: mantenere inalterata la struttura di un problema o di una spiegazione, semplificandone per i dati. 2. Facilitazione visiva: pu essere ottenuta, in molti casi, 13

dando agli elementi di un problema o di una spiegazione una veste visiva. 3. Comprensioni parziali (Dunker): ristrutturazione di una parte dei dati, che offre indicazioni su come procedere, su che cosa ancora cercare per giungere alla comprensione totale; sino ad arrivare a riformulazioni del problema in termini pi definiti. 4. Brainstorming: lasciar correre le idee, permettendo cos anche che si affaccino alla mente ipotesi strane, o assurde... [v. A. F. Osborn, Larte della creativity, Angeli, in partic. p.1313, C. Bezzi, I. Baldini, Il brainstorming, Angeli, e Appendice 2 (brainstorming e nominal group); v. p.112: modelli (o mappe) concettuali di Mayer e p.27].

Scoprire e capire
I processi psicologici ai quali d avvio la presenza di un problema e che portano alla soluzione danno luogo ad una ristrutturazione, consistente nella scoperta di nuovi rapporti fra dati di conoscenza gi noti, o fra questi e altri dati che vengono cercati o introdotti. Lindividuo pu cercare tale soluzione interamente con le proprie forze, oppure ascoltando una spiegazione che un altro gli d; nel primo caso si usa il termine scoprire (o lespressione pensiero produttivo), nel secondo il termine capire [v. anche scoperta autonoma/ricezione, p. 61]. C anche una situazione intermedia: quella in cui un insegnante, posto il problema, ne sollecita la soluzione attraverso una discussione di gruppo [v. p.112].

Razionalit e fantasia
Oltre alla costruzione di strutture formulando e risolvendo problemi, seguendo ragionamenti e spiegazioni (muovendosi cio sul piano della razionalit), importante anche una seconda modalit fondamentale del pensiero in quanto attivit strutturante: la fantasia. Sue prerogative sono: a) il lasciar correre le idee; b ) un uso molto pi libero, trasgressivo, di quei rapporti che la razionalit utilizza invece in modo molto rigoroso (violando i rapporti spaziali, temporali, causali); c) la mancanza, nei suoi prodotti, di un marchio di realt. Razionalit e fantasia (tanto importante quanto la prima) non sono da contrapporsi, ma si sviluppano (e vanno sollecitate ed irrobustite) insieme [v. O. Liverta Sempio (cur), Vygotskij, Piaget, Bruner, Cortina, 1998, 269-270, dove Bruner considera importanti sia la mano destra che la mano sinistra (cio lemisfero sinistro e lemisfero destro), che rappresentano la mentalit razionale e il pensiero creativo, entrambi da coltivare].

Lindividuazione di formulazioni chiare ed efficaci


Linsegnante pu introdurre nel proprio lavoro delle forme di sperimentazione: 1. col metodo delle formulazioni parallele: forme diverse di una stessa attivit (o spiegazione) in varie classi, per stabilire la pi efficace; 2. col mettere in atto, con eventuali variazioni, per ogni attivit (o spiegazione) ripetuta, quelle semplificazioni dei dati che lasciando inalterata la struttura la rendono per pi evidente e permettono un ritorno ai dati pi complessi una volta che tale struttura sia stata colta; 3. col ricercare, per ogni attivit (o spiegazione) complessa, un equivalente percettivo adatto; 4. con lutilizzo didattico dellerrore: addestrando allintraprendenza cognitiva, e facendo leva sulle parti positive del processo di soluzione per correggere quelle erronee.
[BD 242-257; DV 121-136; v. 277-317 e 344 (insight); H (331-)334-340; Pe 49-69; G. B. Vicario, Psicologia generale. I fondamenti, Laterza, 2001, 293-307 (insight)]

Lintelligenza
La misurazione dellintelligenza
Qualunque misurazione possibile dellintelligenza ci d la misura non tanto di ci che una persona ha, quanto di quello che fa. Coloro che progettano test di intelligenza specificano le condizioni nelle quali si presume che si manifesti un comportamento intelligente. Alcuni psicologi definiscono lintelligenza semplicemente come la capacit di superare i test di intelligenza... Secondo Das (1992), non dovremmo tanto cercare la definizione di intelligenza in generale, ma guardare invece a tre suoi aspetti: processi e componenti del comportamento intelligente, competenza individuale in rapporto a cultura ed et, e possibilit di migliorare la competenza attraverso la preparazione e lesperienza. Binet e Wechsler (v. sotto I test di intelligenza) diedero due differenti definizioni dell'intelligenza; per Binet l'intelligenza la tendenza a prendere e mantenere una certa direzione, la capacit di fare adattamenti per lo scopo di raggiungere un fine desiderato, e il potere di autocritica (1903); per Wechsler invece l'aggregato o la capacit globale di un individuo di agire intenzionalmente, di pensare razionalmente e di affrontare efficientemente il suo ambiente (1939). L'impostazione per entrambi globalistica e funzionalistica, in linea con il pensiero evoluzionistico; tuttavia vi in Wechsler il riconoscimento esplicito che l'intelligenza composta di abilit che, sebbene non siano interamente indipendenti, sono qualitativamente differenziabili e vanno perci misurate separatamente.

I test di intelligenza
Le origini

[V. anche: Appendice 1 e 1bis] Il primo laboratorio di psicologia sperimentale venne fondato a Lipsia nel 1879 da Wilhelm Wundt (1832-1920). Uno degli studenti di Wundt, James McKeen Cattel (1860-1944), fu colpito dalla variabili3

Dove si evidenziano i 4 principi base: 1. la critica esclusa (giudizio differito), 2. la corsa in folle bene accetta (incoraggiare idee audaci), 3. si cerca la quantit (che pu produrre qualit), 4. si cercano combinazioni e miglioramenti (idee proprie, ma anche trasformazioni di idee altrui)

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t che osservava tra i soggetti sottoposti agli esperimenti (sui processi sensoriali elementari), e fu il primo ad utilizzare, una volta rientrato negli Stati Uniti, lespressione mental test, nel 1890, per designare alcune piccole situazioni sperimentali ispirate ai compiti di laboratorio che gli permettevano di studiare tali differenze interindividuali. Nello steso periodo, in Gran Bretagna, Francis Galton (1822-1911) utilizzava situazioni di questo tipo per misurare lacutezza sensoriale e i tempi di reazione. Ma i metodi di valutazione tratti dalla psicologia scientifica nascente si rivelarono incapaci di rispondere alla richiesta sociale dellepoca: la richiesta, cio, di predire ed orientare gli studenti nel loro percorso di studi, cercando relazioni tra efficienza nei mental test e successo scolastico. Fu Alfred Binet (1857-1911) che trover la soluzione del problema. A. Binet e T. Simon nel 1905 (modifiche nel 1908 e 1911) ricevettero dalle autorit scolastiche parigine linvito ad elaborare metodi che servissero a individuare i bambini che presentavano una debolezza mentale eccessiva per poter essere inseriti nelle scuola normali. Binet saggi la capacit di comprensione, il ragionamento, il giudizio e ladattamento (che dovevano essere affrontati meglio dai pi grandi e da quelli che gli insegnanti giudicavano pi dotati); stabil punteggi standardizzati, dimodoch fosse possibile confrontare il punteggio ottenuto di ciascun soggetto con quello ottenuto di norma da soggetti della stessa et. Ci condusse al concetto di EM (et mentale, anche MA: mental age): let cronologica alla quale i bambini ottenevano punteggi per lo pi simili tra loro. Nel 1916 (modifiche nel 1937, 1960, 1972 e 1986) il concetto di EM venne ulteriormente modificato da L. Terman (scala di intelligenza Standford-Binet), che lo trasform, su suggerimento di W. Stern, in QI (quoziente di intelligenza): EM / EC (et cronologica, anche CA: chronological age) X 100. In tal modo a tutti i soggetti che avessero manifestato corrispondenza tra et mentale ed et cronologica sarebbe sempre stato attribuito un QI di 100 (intelligenza media). Lesperienza mostr che dopo i 15 anni lEM non va pi incontro a sensibili miglioramenti (dal punto di vista di queste misurazioni); dato per che lEC continua a crescere, il punteggio ottenuto dopo i 15 anni si abbasserebbe continuamente. Al giorno doggi, di conseguenza, si usa il QI per deviazione, che esprime il punteggio di un soggetto semplicemente nei termini della sua deviazione dai punteggi ottenuti normalmente dai coetanei (100 ancora considerato, per comodit, la norma). Il test di intelligenza Binet-Simon stato sottoposto a diverse accurate revisioni. Uno dei principi alla base dei nuovi test deriva dallipotesi che lintelligenza sia distribuita normalmente nella popolazione allo stesso modo in cui lo sono la maggior parte di altri attributi. Distribuzione normale significa: curva a campana (v. figura). Ci significa che, quando vengono somministrati i test di intelligenza a un campione ampio e rappresentativo di soggetti, i punteggi risultanti si distribuiscono secondo lo schema di questa curva a campana (curva normale); se cos non accade, vengono corretti i test. Ma non per nulla scontato che lintelligenza sia davvero distribuita normalmente tra la popolazione; necessaria molta cautela. Lideale interpretare i test alla luce dei risultati di tutta una serie di altre prove. La deviazione standard (o scarto quadratico medio) una misura della dispersione (variabilit), che ci dice qual la probabile distribuzione dei punteggi per i soggetti di un campione rappresentativo. In linea con la concezione corrente dell'intelligenza come un insieme di capacit diverse, la revisione della scala di intelligenza Standford-Binet del 1986 raggruppa i test in quattro grandi aree di capacit intellettive: ragionamento verbale, ragionamento astratto/visivo, ragionamento aritmetico, memoria a breve termine. David Wechsler svilupp invece un test per et diverse (WAIS: Wechsler Adult Intelligence Scale, 1939, 1955, 1981), perch riteneva che lo Standford-Binet non fosse adatto per gli adulti e che dipendesse in modo troppo consistente dalle abilit lessicali. suddiviso in due parti (scala verbale e scala di performance), che producono punteggi separati come pure un punteggio QI totale. Pi tardi (1959, 1974, 1991), fu messo a punto un test analogo per bambini (WISC). Sia la Standford-Binet che la WAIS hanno i requisiti di un buon test (mostrano cio un buon grado di attendibilit e validit: v. sotto); entrambi sono predittori piuttosto validi di apprendimento scolastico.
Test individuali e collettivi

Le scale Standford-Binet e Wechsler sono test di abilit individuali: vengono somministrati individualmente, richiedono pi tempo allesaminatore, ma hanno il vantaggio di non basarsi sulla capacit del bambino di leggere le domande o di scrivere le risposte; i test di abilit collettivi, invece, sono essenzialmente test carta e matita e possono venir somministrati a molte persone da un singolo esaminatore (famoso il SAT: Scholastic Assesment Test, revisionato nel 1995 e tuttora adottato per la selezione ai corsi universitari statunitensi).
Caratteristiche di un buon test

Attendibilit: deve fornire risultati riproducibili (attendibilit "test-retest", cio stabilit temporale; attendibilit "di forme equivalenti") e coerenti (coerenza interna: grado in cui gli item diversi di un test misurano tutti la stessa cosa; "accordo dei valutatori" o della "attendibilit dei giudici"). Validit: deve misurare effettivamente ci che si vuole esso misuri (validit "di criterio" o empirica: pu essere valutata correlando il punteggio del test con criteri esterni).

Modelli e teorie dell'intelligenza

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Negli anni in cui Binet diede inizio alle sue ricerche, C. Spearman formul la teoria bifattoriale dellintelligenza. Spearman avanz lidea dellesistenza di unintelligenza generale (fattore g) e di una serie di capacit specifiche (fattori s): in ogni atto di intelligenza interverrebbe il fattore g pi il fattore o i fattori s inerenti a tale atto specifico; le capacit specifiche sono autonome, ed il fattore g che rende conto di tutte le correlazioni esistenti tra le capacit cognitive. Non sembra esserci alcun modo per giungere a misurare il fattore g da solo. Lanalisi fattoriale una tecnica che analizza una serie di punteggi per stabilire se esistano gruppi di punteggi che presentano una correlazione pi alta fra di loro che non con tutti gli altri gruppi. Il principio generale su cui si basa si pu applicare tanto a dati biologici quanto a dati psicologici: se applichiamo due test, o comunque due serie di misure a un gruppo di individui, avremo una coppia di punteggi per ogni individuo, e ci interesser valutare qual la relazione tra i due risultati cos ottenuti (coefficiente di correlazione r; correlazione positiva se i due risultati variano nella stessa direzione, negativa nel caso opposto, tendente allo zero se i punteggi sono distribuiti a caso). Recenti ricerche condotte utilizzando lanalisi fattoriale fanno pensare che tali modelli si avvicinino alla realt pi del modello g e s di Spearman e degli altri modelli cosiddetti gerarchici che su di esso si basano in maggiore o minor misura. Vengono chiamati multifattoriali i modelli che mettono al posto del fattore g una serie di capacit diverse luna dallaltra. Nonostante tutto, lidea di g continua ad esercitare una sua influenza. Piaccia o no, il QI consente un buon livello di previsione di riuscita scolastica. Inoltre vengono criticati modelli multifattoriali come quello di Guilford, che postula non meno di 120 fattori mentali che singolarmente o in combinazione fra loro interverrebbero in qualunque atto di intelligenza, con lobiezione che sono notevolmente complicati e raramente presentano un interesse immediato per gli insegnanti (v. figura precedente). In pratica, luso del concetto g da parte degli insegnanti dipender in buona parte dallet degli alunni con cui si ha a che fare; Vernon avanza lipotesi che si manifesti una crescente differenziazione tra le varie capacit via via che il bambino cresce.

possibile migliorare il QI?


Secondo unopinione condivisa da genetisti e psicologi, tra due bambini che possiedono un bagaglio genetico simile potrebbe evidenziarsi allepoca della maturit una differenza di QI che pu arrivare fino a 25 punti se gli ambienti di provenienza sono rispettivamente luno molto stimolante e laltro scarsamente stimolante. Grazie alla sperimentazione di programmi particolari, si riusciti a mantenere sugli stessi livelli il QI di bambini svantaggiati (che generalmente tende a deteriorarsi, soprattutto negli anni successivi al primo ciclo della scuola elementare); ma non stato raggiunto lobiettivo di eliminare tutte le differenze di QI legate allambiente di provenienza. Con esercizi sistematici si pu arrivare a migliorare il punteggio dei QI fino al 10 % (soprattutto con bambini pi capaci). I test di intelligenza, malgrado i loro difetti, rimangono uno degli strumenti pi precisi (se non lo strumento pi preciso) per prevedere i livelli di riuscita scolastica. Funzionano meglio i test individuali, nelle mani di un esperto.

Migliorare lintelligenza
Gli elementi fondamentali del modello multifattoriale dellintelligenza di Guilford hanno un valore notevole per gli insegnanti. Dalle sue ricerche emerge che in ogni atto di intelligenza sono ravvisabili tre elementi: al soggetto vengono prima presentati i contenuti di un problema, che diventano loggetto delle sue operazioni (o processi) mentali, che a loro volta danno luogo a determinati prodotti. Guilford (1967) divide le tre categorie in sottocategorie:
Contenuti Operazioni Prodotti

figurativo semantico simbolico comportamentale

unit classi relazioni sistemi trasformazioni implicazioni Le varie categorie possono tutte interagire tra di loro, per un totale di 120 possibili fattori mentali. Quando un alunno non riesce a risolvere un problema, il suo insuccesso pu essere ricondotto alluna o allaltra delle suddette sottocategorie o allinterazione tra di loro. Un modello di questo genere ha il pregio di dirigere lattenzione dellinsegnante verso le variabili che probabilmente determinano le difficolt poste da un problema intellettuale, e pertanto aiutarlo a prendere le decisioni migliori sul tipo di assistenza da fornire. Secondo Jensen le operazioni che coinvolgono la memoria non richiedono grandi sforzi di ragionamento (abilit di livello I); Le abilit di II livello invece comportano operazioni che effettivamente richiedono ai bambini di sottoporre a una qualche forma di trattamento le informazioni acquisite, e in genere conducono a generare dei prodotti anzich semplicemente a far uscire di nuovo le informazioni nella

conoscenza ricordo pensiero divergente pensiero convergente valutazione

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identica forma in cui sono state assimilate (capacit di ordine superiore o apprendimento ad apprendere [v. la metacognizione, p.58]).
De Bono

Pone un accento particolare sulle capacit che i bambini devono avere per modificare o ristrutturare le informazioni che ricevono, per risolvere problemi complessi. Il bambino si sforza di esaminare un simile problema utilizzando uno schema sequenziale; spesso scopre tuttavia che ogni volta che segue questo schema arriva ad un punto in cui la sequenza si spezza. Quello che occorre allora al bambino un metodo che serva a rompere la sequenza in modo tale che sia possibile costruirne unaltra: il metodo del pensiero laterale, contrapposto al pensiero verticale. Queste due forme di pensiero svolgono ciascuno un proprio ruolo nel comportamento intelligente; troppo spesso per utilizziamo il primo laddove sarebbe pi opportuno il secondo; nelle scuole, poi, si insegna quasi esclusivamente il pensiero verticale. Il bambino dovrebbe essere aiutato a capire che quando arriva al punto in cui una sequenza di pensiero verticale si spezza, ha bisogno di spostarsi a lato, e di prendere un altro binario verticale che conduca in una direzione diversa. Ne deriver gradatamente una comprensione sempre pi generalizzabile. Si tratta di imparare ad accogliere e di prendere in considerazione, le une a fianco delle altre, idee che non hanno nessun evidente nesso logico o sequenziale fra di loro [v. Il pensiero laterale: Appendice 2; v. anche p.27 La creativit e la scuola].
Hebb (1966)

Invece di parlare di intelligenza in senso generale conviene parlare dellintelligenza A (potenzialit innate, non misurabile) e dellintelligenza B (che si sviluppa concretamente grazie allinfluenza dellambiente). Secondo Vernon, dal momento che i test dintelligenza sono strumenti imperfetti dovremmo parlare anche di unintelligenza C, quella parte della B che riusciamo concretamente a misurare.
Cattel

Parla invece di intelligenza fluida (rispecchia linfluenza dei fattori biologici sullo sviluppo intellettuale) e intelligenza cristallizzata (rispecchia lesito delle esperienze ambientali): si potrebbero misurare entrambe; e tale misurazione metterebbe in evidenza un deterioramento dellintelligenza fluida con let, mentre quella cristallizzata pu continuare a svilupparsi.

Teorie
Invece di analizzare lintelligenza in termini di fattori (anni '60), alcuni studiosi hanno proposta di analizzarla in termini di unit o componenti (psicologia cognitiva: approccio dell'elaborazione dell'informazione): i fattori definiscono gli aspetti strutturali, le componenti, invece, descrivono gli aspetti processuali. Siamo dunque di fronte a concezioni dellintelligenza come attivit, in netto contrasto con le teorie che tendevano a considerarla una qualit (o magari una caratteristica misteriosa riservata ai pi fortunati).
La teoria Pass di Das (1994)

Das riconosce tre unit separate coinvolte nel funzionamento intellettuale: I. La prima di base in tutti i processi mentali: lattenzione o la stimolazione. II. La seconda la reale elaborazione cognitiva: i processi con cui lindividuo riconosce, organizza, interpreta o risponde alla stimolazione (unit, dunque, responsabile della ricezione, elaborazione e ritenzione delle informazioni). Questa unit coinvolge due tipi distinti di processi: (a) lelaborazione simultanea, che avviene quando almeno alcuni degli elementi di una situazione possono ricevere risposte contemporanee (quando, ad es., il bambino riconosce una figura geometrica, che dipende dal riconoscimento delle intercorrelazioni tra i vari elementi); (b) lelaborazione successiva, che coinvolge unelaborazione sequenziale delle informazioni (necessaria quando gli elementi di un problema formano una serie, come nella maggior parte dei compiti motori). III. La terza quella che consente allindividuo di creare piani, di metterli in pratica e di valutare la loro efficacia ( un po laspetto intenzionale o cosciente dellintelligenza): la pianificazione, che corrisponde alle strategie metacognitive. Lacronimo PASS ricorda, appunto: Pianificazione Attenzione elaborazione Successiva e Simultanea. Das e colleghi hanno pure elaborato il programma correttivo PREP: i bambini vengono prima valutati per quanto riguarda i loro deficit nellelaborazione simultanea o successiva; poi viene loro somministrata una serie di 8-10 compiti specificamente designati per fornire strategie correttive (compiti che coinvolgono tipicamente quelle procedure relative ai processi cognitivi come la ripetizione, la categorizzazione, la previsione, la performance di controllo, e cos via).
Le teorie di Sternberg (1980-1997)

Viene talvolta definita come una teoria contestuale, empirica e componenziale dellintelligenza. Contestuale: in quanto definisce lintelligenza in termini di adattamento ad un particolare ambiente (lintelligenza la selezione e ladattamento finalizzato allambiente del mondo reale rilevante per la vita). Definizione che enfatizza il controllo dellindividuo sullambiente. Sternberg sostiene che possiamo misurarla semplicemente chiedendo alle persone cos giudicato intelligente o stupido nella loro cultura (dopo tutto si tratta di un tipo di intelligenza pratica): poich lintelligenza unindicazione del livello di adattamento di una persona in un ambiente specifico, ci si pu aspettare che gli individui che vivono in tale ambiente siano le migliori fonti di informazione su ci che necessario per un adattamento efficace. Fra le popolazioni nord-americane, alla domanda Che cos che rende un comportamento intelligente? emergono tre ampie categorie di capacit che meglio descrivono le persone intelligenti: capacit pratica di problem solving, abilit verbale e competenza sociale (in altre culture, le risposte possono essere diverse). Questa visione dellintelligenza mette in luce limportanza del successo individuale nel far fronte alle pressioni ordinarie della 17

vita in campo sociale e fisico. Gli svantaggi sono: troppo inclusiva (quasi tutti i comportamenti, alla fine, sono considerabili intelligenti, in quanto tesi alladattamento); e non descrive adeguatamente i processi e le strutture che sottostanno allintelligenza, ma la descrivono in termini di caratteristiche ed effetti del comportamento. Empirica (o a due facce): la capacit di far fronte a nuovi compiti e di automatizzare queste nuove risposte, in modo che le cose difficili diventino facili; permette di trattare con successo situazioni molto complesse (es.: la lettura, laritmetica, la guida dellautomobile). Una situazione familiare consente agli individui di usare quelli che Sternberg chiama concetti ben delimitati (concetto che ci appare come naturale, di facile uso); una situazione non familiare, oppure del tutto nuova, pu invece richiedere luso di concetti mal delimitati (che ci appaiono come non naturali, artificiali). La capacit di ragionare per mezzo di concetti innaturali rivela un importante aspetto dellintelligenza. Negli esperimenti escogitati da Sternberg, la tendenza a rispondere velocemente e correttamente a problemi di questo tipo (per es.: valutare la coerenza in differenti descrizioni di oggetti relative al confronto fra come sono allo stato attuale e come potranno essere in futuro) viene correlata con il rendimento ottenuto in compiti di ragionamento induttivo. Il fatto che il rendimento dei soggetti nei compiti che richiedono luso di concetti mal delimitati sia simile al rendimento dei soggetti nei compiti di ragionamento induttivo suggerisce che la capacit di apprendere e ragionare per mezzo di nuovi concetti costituisce un importante aspetto dellintelligenza. Componenziale: corrisponde al tradizionale concetto di intelligenza; identifica varie componenti separate (Sternberg sostiene che chi si sottopone ad un test in possesso di un insieme di processi mentali, che egli chiama componenti, che operano in modo organizzato per produrre le risposte osservate in un test di intelligenza.). Metacomponenti: componenti coinvolte nella metacognizione (processi di controllo di ordine pi elevato usati per la pianificazione esecutiva e per prendere decisioni della soluzione di problemi); di solito le misure convenzionali dellintelligenza non li valutano. Componenti della performance: processi che danno esecuzione ai programmi ed attuano le decisioni selezionate dai metacomponenti; appaiono relativamente indipendenti dallesperienza e pi dipendenti da fattori innati; un certo numero di test di intelligenza convenzionali che misurano lintelligenza fluida (secondo la definizione data da Cattel) possono servire anche da ottime misurazioni di queste componenti. Componenti dellacquisizione: processi implicati nell'apprendere nuove informazioni (separare le informazioni rilevanti da quelle irrilevanti, combinare le informazioni selezionate con altre informazioni cos da renderle significative, trarre significato dalle nuove informazioni rapportandole allapprendimento precedente). Componenti mnestici: processi implicati nel ritrovare le informazioni precedentemente immagazzinate nella memoria. Componenti di trasferimento: processi implicati nel trasferire le informazioni conservate da una situazione ad un'altra. Lo stesso Sternberg, proseguendo le sue ricerche, ha poi fornito una nuova elaborazione, ed una serie di principi per tradurla in pratica, di quella che ha definito teoria triarchica dellintelligenza efficace (1997), che implica tre aspetti che sono interconnessi bench molto diversi: il pensiero analitico, quello creativo e quello pratico [per questa pi recente tripartizione dellintelligenza, v. R. J. Sternberg e L. Spear-Swerling, Le tre intelligenze (analitica, creativa, pratica), Erickson, 1997; e R. J. Sternberg, La teoria triarchica dellintelligenza efficace: come tradurla in pratica, in Psicologia dellEducazione e della Formazione n 1, Erickson, 1999, 9-24, in Appendice 2 bis]. Un approccio fattoriale ed uno basato sull'elaborazione dell'informazione offrono delle interpretazioni complementari del rendimento nei test di intelligenza: i test a struttura fattoriale sono utili ad identificare vaste aree di punti di forza e debolezza (forza nella facilit di parola e nella comprensione verbale, debole nel ragionamento); ulteriori test secondo l'approccio dell'elaborazione dell'informazione potrebbero offrire un profilo diagnostico dei processi che sono responsabili della deficienza osservata (difetti a livello di metacomponenti o delle componenti mnestiche o di quelle di trasferimento...).
Le intelligenze multiple di Gardner (1983-1993)

Dal punto di vista dellinsegnante, anche importante riconoscere non solo che lintelligenza coinvolge diversi processi cognitivi, ma anche che la competenza e il talento possono manifestarsi in alcune, ma non necessariamente in tutte le aree della vita umana. Gardner ha considerato il suo approccio come uno sviluppo della frenologia del XIX secolo (specifiche aree del cervello assolverebbero funzioni specifiche). vero, infatti, che se anche varie parti del cervello possono essere coinvolte nellesecuzione di un compito complesso, anche vero che non tutte le parti del cervello sono coinvolte in eguale misura in ciascun compito intelligente. Altri criteri adottati da Gardner per stabilire lesistenza di distinte forme di intelligenza: unintelligenza separata: richiede un sistema simbolico (le conoscenze vengono rappresentate per mezzo di qualche forma di linguaggio); sembra poter essere identificata in presenza di individui eccezionali (i prodigi non possono essere spiegati da una teoria generale che fa riferimento a diversi stadi di sviluppo intellettuale); caratterizzata da una forma di sviluppo specifica (inizialmente non ci sono differenze tra gli individui, ma poi ci deve essere un percorso evolutivo particolare per mezzo del quale gli esperti raggiungono il livello di competenza che li caratterizza). Secondo Gardner noi abbiamo non una, ma sette tipi correlati di intelligenza, che, pur essendo indipendenti luno dallaltro, possono interagire tra di loro, e poggiare luno sullaltro, fin dalla pi tenera et: Logico-matematica: sensibilit e capacit di discernere modelli logici o numerici; capacit di gestire lunghe catene di ragionamento. Linguistica: sensibilit ai suoni, ai ritmi e ai significati delle parole; sensibilit alle diverse funzioni del linguaggio.

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Musicale: capacit di produrre ed apprezzare il ritmo, il tono e il timbro; apprezzamento delle forme dellespressivit musicale. Spaziale: capacit di percepire il mondo visivo-spaziale in modo accurato e di manipolare le rappresentazioni mentali conseguenti. Corporeo-cinestetica: capacit di controllare i movimenti del proprio corpo e di manipolare con abilit gli oggetti. Interpersonale (Personale A): capacit di discernere e rispondere in maniera appropriata agli umori, al temperamento, alle motivazioni e ai desideri di altre persone. Intrapersonale (Personale B): accesso ai propri sentimenti e capacit di discriminarli e di attingere da essi per guidare il comportamento; conoscenza dei propri punti di forza e di debolezza, dei propri desideri e delle proprie intelligenze [ma: v. anche l'intelligenza emotiva, p. 97]. La maggior parte delle nostre esperienze di misurazione dellintelligenza coinvolgono compiti matematici, linguistici e logici; questo perch nelle culture occidentali sono questi i compiti che si suppone siano pi strettamente correlati al comportamento intelligente. dunque necessario sviluppare una gamma di nuovi compiti per sfruttare competenze precedentemente trascurate. Oggi, poi, ci chiaro che lintelligenza non pu essere facilmente separata dalla cultura e dal background; di conseguenza, la valutazione di queste intelligenze multiple richiede la considerazione dei grado in cui il background sociale influenza la competenza, gli interessi e persino la volont del bambino in una data situazione [per le intelligenze multiple, v. H. Gardner, Form mentis. Saggio sulla pluralit dellintelligenza, Feltrinelli, 19935; per un utilizzo di questa teoria in ambito musicale, v. gli scritti di Franco Vaccaroni, in partic.: Musica e movimento: alcune riflessioni in rapporto alleducazione musicale di base, in Pedagogia e didattica del movimento corporeo nelleducazione musicale di base Atti del XX Convegno europeo C. A. Seghizzi, Gorizia 10-12 luglio 1989; Implicazioni percettivo-motorie del simbolismo musicale, in Dallatto motorio alla interpretazione musicale Atti del II colloquio internazionale di psicologia della musica, Ravello 1990 - I0/17, 1992; Analisi musicale e processi cognitivi, in Analisi n. 13, Ricordi 1994; v. Aa. Vv., Psicologia I, Il Mulino 1993, 395-397; J. G. Benjafield, Psicologia dei processi cognitivi, Il Mulino 1995, 334-357].

Lintelligenza si eredita?
Non tuttora chiaro se la (o le) capacit cui diamo il nome di intelligenza sia dovuto pi allapprendimento o alle doti innate. Importante comunque linterazione tra i due tipi di fattori.

Le ricerche sui gemelli


Sembrano avvalorare la tesi dellimportanza dei fattori genetici. Probabile che, della differenza di intelligenza tra i singoli bambini risultante ai test, l80 % sia dovuto alle differenze di ereditariet e soltanto il 20 % circa alle differenze di ambiente (ma qualcuno parla di circa il 50 % ereditato: v. Aa. Vv., Hilgard's Introduzione alla psicologia, Piccin 1999, 448-449; ed altri del 40 %: v. M. R. Baroni, V. D'Urso, Psicologia generale, Einaudi 2004, 236-237; v. anche N. Dazzi e G. Vetrone (cur), Psicologia. Introduzione per le scienze umane, Carocci 2000, 329, secondo il quale l'influenza dei fattori genetici si aggirerebbe intorno tra il 40 e il 60 %). In realt, tuttavia, la questione non in definitiva cos chiara; i dati rilevati sono stati duramente contestati. Inoltre, le correlazioni sono pi alte quando lambiente simile.

Altre ricerche
Le ricerche sugli animali vanno applicate al comportamento umano con moltissima cautela. Anche certe forme di handicap, direttamente legate a fattori genetici, sono di qualche utilit. Secondo Vernon i sostenitori pi accaniti del primato dei fattori ambientali devono ancora spiegare le marcate differenze di intelligenza che spesso si notano tra i bambini di una stessa famiglia. Conclude che, per quanto lambiente svolga un ruolo molto importante, il QI misurato dai test sembra dipendere pi dal patrimonio genetico che non dalle opportunit ambientali e dallapprendimento, per lo meno nella cultura dei bianchi. Ma natura e cultura sono reciprocamente complementari: nel caso dellistruzione scolastica, luna non ha senso senza laltra.

Lintelligenza e i gruppi etnici


Storicamente, gruppi etnici diversi si sono sempre scontrati con problemi diversi, per cui scorretto (e ingiusto) che un dato gruppo voglia imporre lidea secondo cui i suoi test dintelligenza sarebbero il modo corretto di misurare la capacit intellettuale in qualunque parte del mondo: i nostri concetti dellintelligenza e i nostri metodi per misurarla sono espressione della nostra particolare cultura. Non ci sono elementi definitivi che autorizzino a credere che in fatto di intelligenza esitano differenze genetiche tra le razze. Per ovviare ai pi grossi limiti culturali di alcuni test di intelligenza, verso la met del Novecento si cerc di metter a punto dei test culture-fair, cio rispettosi delle differenze culturali: erano composti soprattutto da prove di performance, oppure si basavano su serie di figure semplici da mettere in sequenza (v. le Matrici di Raven). In tal modo si evitava di far riferimento a conoscenze legate all'appartenenza a un gruppo o a una determinata classe sociale, anche se non si potevano superare quei limiti di familiarit con l'esecuzione di compiti presentati attraverso l'uso di carta e penna.

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Lintelligenza e i fattori socioeconomici


Dal punto di vista dellistruzione probabile che le differenze pi importanti tra i gruppi quanto a intelligenza misurata dai test siano quelle associate al livello di condizione socioeconomico. Dalle ricerche emerge: quanto pi ci si sposta verso lalto, tanto pi elevato risulta il QI, e questo vale sia per i genitori sia per i figli. Condizione economica inferiore = meno materiali che stimolano lattivit intellettuale; meno libri a loro letti; meno stanze tranquille e silenziose; meno strutture verbali complesse intorno a loro; meno motivazioni ambiziose da parte dei genitori. C chi parla anche di fattori genetici = i soggetti di intelligenza pi scarsa tenderebbero a collocarsi nel gruppo degli operai non qualificati e a trasmettere potenzialit pi basse ai figli... Si deve tener conto del fenomeno chiamato regressione dei figli alla media = esprime la tendenza a evidenziare, in unampia serie di caratteristiche determinate da fattori genetici, valori che si avvicinano pi di quelli dei genitori ai valori medi della popolazione complessiva, e questo nei casi in cui i valori delle caratteristiche dei genitori in rapporto alla media generale siano o eccezionalmente alti o eccezionalmente bassi....

Differenze di intelligenza tra abitanti di citt e di campagna


Si riscontrato che al momento di iniziare la scuola la differenza tra i QI di due gruppi di circa 5,7 punti in favore dei bambini di citt, per poi salire a 10,4 verso i 10-11 anni di et e a 12,2 al termine della scuola. Fattori genetici e ambientali = fin dal XVIII secolo, abbandono della tranquilla vita di campagna alla ricerca di fortuna da parte forse dei pi capaci; maggiori stimoli ambientali, migliori strutture scolastiche e maggior motivazione nella citt; o forse la gente di campagna d meno importanza alle capacit che vengono misurate con i test di intelligenza (quelle verbali in primo luogo), e preferisce una vita meno frenetica e magari pi profonda, maggiormente in sintonia con il genere di problemi che si presentano in un ambiente rurale.

Differenze di intelligenza tra i sessi


La tipizzazione sessuale ha inizio molto presto: una delle prime dimensioni sociali che i bambini notano. Gi a 2 anni i bambini iniziano ad approvare i comportamenti tipici per uno dei due sessi, mostrando di avere gi una certa qual conoscenza degli stereotipi sulla mascolinit/femminilit propri della cultura di appartenenza. Alcune differenze maschio/femmina pare siano in gran parte biologiche (laggressivit, per esempio, diffusa in quasi tutte le societ umane ed anche tra la maggior parte delle specie animali), ma linfluenza dei ruoli e delle aspettative sociali non pu, neanche in questi casi, essere ignorata. Da parte degli stessi bambini, poi, maschi e femmine, pare esservi accordo sulla preferenza per il ruolo maschile. Ma nessuna differenza generale decisiva si riscontra tra il QI dei maschi e quello delle femmine, mentre qualche differenza sembra emergere per alcune specifiche capacit intellettuali. Lettura = ritardi in numero doppio presso i maschi (USA) rispetto alle femmine (in un primo tempo, inoltre, le femmine tendono a fare un maggior uso del linguaggio verbale e ad esprimersi con maggior chiarezza; differenze che svaniscono intorno ai 16 anni); potrebbe trattarsi di una situazione culturalmente indotta: nelle societ occidentali le femmine passano pi tempo in casa, e pi dei maschi aspirano ad ottenere lapprovazione dei genitori; hanno meno accesso alle attivit fisiche (pi tempo alla lettura?). Quando ai maschi vengono presentati testi di lettura dai contenuti notevolmente interessanti, le differenze di capacit tendono a scomparire. Matematica = situazione capovolta. Di nuovo, forse, una situazione culturalmente indotta: le capacit matematiche e spaziali vengono tradizionalmente associate al mondo e alle scelte professionali maschili... Attenzione alle aspettative da parte dellinsegnante: molto influenti!.

Malintesi circa l'ereditabilit


Il ricorrente dibattito ufficiale sui problemi riguardanti il rapporto natura-educazione rivela grandi equivoci circa il concetto di ereditabilit; quindi importante chiarire alcuni punti. L'ereditabilit: non una misura individuale (ci si riferisce alle differenze fra individui all'interno di una popolazione e non alle proporzioni di un tratto all'interno di un individuo); non l'attributo fisso di un tratto (ci si riferisce ad un attributo di un tratto in una popolazione particolare, in un particolare momento; se, per es., ad ogni membro della nostra societ venissero improvvisamente offerte eguali opportunit educative, la varianza del profitto intellettivo della societ diminuirebbe, i punteggi individuali su misure standardizzate della capacit intellettiva si assomiglierebbero maggiormente, e giacch l'ereditabilit la proporzione della varianza fra gli individui dovuta alle differenze ereditate, l'ereditabilit aumenterebbe perch la proporzione della varianza dovuta ad un importante fattore ambientale sarebbe diminuita); non dice nulla sull'origine delle differenze medie fra gruppi (v. l'es. dei due sacchi di semi proporzionalmente uguali coltivati in ambienti diversi); non chiarisce gli effetti dei cambiamenti ambientali sul livello medio di un tratto (l'ereditabilit riguarda le varianze, non le medie ). I fattori genetici: non devono essere intesi come caratteri immutabili, poich sono suscettibili all'azione di fattori ambientali preperi-post-natali (si pensi all'effetto delle diete o della fame sulla maturazione del cervello; all'effetto di farmaci, droghe e danni lavorativi durante la gravidanza e il parto); non sono fissi, ma si riferiscono a un programma che interagisce con l'ambiente e si sviluppa con l'et;

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variano con l'et cos come varia con l'et il peso dell'ambiente, e le differenti abilit hanno spesso periodi critici diversi, in cui l'influenza dell'ambiente determinante. L'influenza dell'ambiente: massima nella specie umana, che ha un lungo periodo di sviluppo e richiede molte cure parentali (ci porta a una serie di condizionamenti sulla formazione dei sistemi di motivazione e valori che a loro volta incidono fortemente sull'uso delle abilit e sul rendimento); non agisce solo come ostacolo o limite della potenzialit ereditaria, ma anche in modo interattivo, modificando e arricchendo gli schemi delle risposte innate (Piaget, 1975); inoltre l'adattamento ha una doppia direzione, perch anche il soggetto tende a modificare o a scegliere il suo ambiente (irritabilit, umore, ecc. della prima infanzia, che hanno basi ereditarie, possono portare al "bambino difficile" o al "bambino socievole" a seconda delle risposte dei genitori).

Effetti culturali dei media


Sappiamo ancora troppo poco sull'argomento: l'uso della scrittura e della stampa, la televisione, l'informatica, certamente hanno prodotto o produrranno nel lungo periodo mutamenti importanti nel nostro pensiero e probabilmente anche nel nostro sistema nervoso (Olson, 1986). L'enorme bombardamento di messaggi persuasivi e la velocit delle comunicazioni potrebbero mutare, oltre ad atteggiamenti e opinioni, i sistemi di motivazioni e di valori, alterando o annullando le differenze trans-culturali, promovendo la collaborazione o la competizione. L'uso delle tecnologie da parte di una certa cultura, da un lato influenza le nostre valutazioni dell'intelligenza, dall'altro modifica le nostre capacit; le alterazioni dell'ambiente prodotte dalle nuove tecnologie si riflettono anche in cambiamenti delle abilit di base (pensiero visivo e logico, uso dei linguaggi simbolici).

Origini sociali dell'intelligenza


Vigotskij (1896-1934) fu il primo a formulare una teoria della sviluppo delle funzioni mentali superiori basate sulla influenze culturali che si esprimono soprattutto nella mediazione linguistica esercitata dall'adulto (psicologia storicoculturale). Come gli strumenti agiscono sul mondo fisico, cos i segni linguistici agiscono sul comportamento, influenzando l'azione e il pensiero; ma ci avviene sempre in un certo contesto culturale, in cui gli adulti regolano il comportamento del bambino attraverso le indicazioni gestuali, l'imitazione unite al linguaggio: l'esperienza culturale e la comunicazione sociale permettono il passaggio dalle operazioni esterne al linguaggio interiore, costruiscono concetti, relazioni e sistemi astratti (attivit concreta e pensiero sono due sistemi collegati in continua interazione dinamica: le influenze sociali non sono soltanto una trasmissione di conoscenze, di regole o di valori, ma generano le stesse strutture di pensiero, fornendo una mediazione tra l'attivit pratica e le funzioni superiori). La mediazione culturale consente di appropriarsi dei mezzi tecnici costruiti dalle generazioni precedenti e di strumenti psicologici che permettono la rappresentazione dell'attivit stessa, il controllo dell'esecuzione e dei processi, e infine la trasformazione dell'attivit attraverso nuovi sistemi di segni. L'autogenesi delle funzioni psichiche superiori coincide con la sociogenesi delle pratiche di comunicazione sociale. [v. anche p.40].

La psicologia culturale
Da un punto di vista teorico l'apporto pi organico agli sviluppi della concezione vygotskijana dell'intelligenza stato dato da Bruner, che ha coniato i termini di format (struttura di interazione standardizzata, inizialmente microcosmo fra adulto e bambino, con ruoli definiti e delimitati, ma che poi divengono reversibili: adulto e bambino fanno cose l'uno all'altro e l'uno con l'altro) e scaffolding4 (l'adulto offre un sostegno all'attivit del bambino e progressivamente lo riduce fino a toglierlo, quando il bambino in grado di svolgere da solo l'attivit) per indicare le forme standardizzate di azione congiunta e i processi di regolazione degli scambi con cui gli adulti aiutano il bambino a fare o costruire qualcosa, a raggiungere uno scopo, indicandogli le caratteristiche determinanti del compito e i modi di eseguirlo, riducendo gli ostacoli, consolandolo e sorreggendolo di fronte alle difficolt o ai primi insuccessi [v. anche p.41, Lo sviluppo cognitivo, affettivo, sociale e morale, e le relative Appendici 3-5].
Costruzione di strumenti e trasmissione delle conoscenze

Secondo Norman (1993) ci che caratteristica specifica dell'intelligenza umana la sua capacit di interazione sociale, cio il cooperare in attivit intenzionali e pianificate, la capacit di servirsi di strumenti per costruirne altri anche di tipo intellettuale (tecnologici, strategici, tecnici) che egli chiama artefatti cognitivi; e infine la capacit di trasmettere conoscenze e abilit attraverso un'istruzione formale. Ci che permette al bambino, anche piccolissimo, di adattare gli schemi innati ai cambiamenti, sono l'aiuto e l'insegnamento degli adulti, trasmessi non solo mediante l'imitazione, ma anche attraverso il linguaggio, che permette di andare oltre la realt percettiva, di rappresentare situazioni non presenti, di anticipare conseguenze: cio di dar forma e consolidare le rappresentazioni interne, che non vengono pi interiorizzate come azioni proprie o di altri, ma possono venir trasmesse anche a distanza. Oltre agli artefatti cognitivi, sono tipiche dell'uomo anche le cognizioni distribuite che si trasmettono in tutte le situazioni di lavoro di squadra, in cui la comunicazione sociale fluida, efficiente, e il canale di comunicazione condiviso non solo aumenta la produttivit, ma serve anche come addestramento attraverso l'interazione tra processi mentali da una parte, oggetti ed eventi dell'ambiente fisico dall'altra: infatti gli eventi nuovi, gli ostacoli, i limiti richiedono un adattamento continuo, che reso pos-

Termine introdotto per primo da Wood et alii (1976).

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sibile dalla trasmissione culturale in forma narrativa o descrittiva o procedurale, ma anche dal ricordo di esperienze personali che passano dalla forma di memoria episodica e script alle forme di categorizzazione e previsione.
[BD 226-242; DV 319-337; F 78-106; H 427-438; L 32-33, 56-59, 191-197]

La creativit
Che cos la creativit?
Si tratta di un'attitudine presente in tutti gli individui, ove pi, ove meno, che pu intervenire in qualsiasi attivit e che va tenuta distinta dall'intelligenza, almeno da quella comunemente misurata coi test per la determinazione del QI. stata definita come: L'insieme della fluidit, rapidit ideazionale, sensibilit ai problemi [...]; flessibilit della mente, abilit sintetiche e analitiche, abilit di riorganizzazione e di ridefinizione, capacit di complessit delle strutture concettuali e infine valutazione (Guilford, 1950). [...] la capacit di mettere insieme in modo utile idee di solito lontane l'una dall'altra (Mednick, 1962). Combinazione di elementi considerati comunemente indipendenti e dissimili (Getzels e Jackson, 1962). [...] un modo di operare cognitivo, estetico ed emotivo che enuclea i problemi presenti in una situazione o in un materiale e tenta di risolverli (Watson, 1957). [...] la capacit di trovare (produrre) nuove soluzioni (risposte innovative) a problemi definiti. Tutto questo senza fare ricorso a un processo strettamente logico, ma stabilendo dei legami non usuali tra i fatti [...]. Tuttavia la creativit anche la capacit di dare risposte elaborate ad hoc a problemi nuovi, emergenti. , quindi, anche un processo mentale che consente di collegare delle informazioni in maniera imprevedibile con il fine di produrre una soluzione (Cocco, 1988). La creativit consentirebbe, dunque, l'adattamento di un organismo complesso e mutevole a una realt altrettanto complessa e mutevole; ecco evidenziata cos una delle funzioni principali di questo strumento e meccanismo psicologico: consentire all'uomo di affrontare il continuo mutamento attraverso un ininterrotto processo di aggiustamento, detto anche apprendimento. Proprio quest'ultimo sarebbe lo strumento principale che ogni essere vivente utilizza per affrontare il cambiamento. La creativit consiste fondamentalmente nella capacit di produrre qualcosa di nuovo (originale, inatteso) e appropriato (utile, adattabile al compito prefissato). Essa richiede la confluenza di sei risorse distinte, ma interrelate: le capacit intellettive (capacit di sintesi: si pone l'obiettivo di poter vedere il problema in un modo nuovo, rifuggendo dal pensiero convenzionale; capacit analitica: capacit di dare un valore alle idee proposte; abilit praticocontestuale: capacit di comunicare le proprie idee, persuadendo gli altri in rapporto alla loro validit); la conoscenza (permette di scoprire il contesto nel quale ci si muove: quanto di creativo proposto non necessariamente innovativo, inoltre l'applicabilit di ci che si progetta legata a una serie di fattori di cui non si pu ignorare l'esistenza); lo stile di pensiero (considera sia gli aspetti particolari, sia quelli generali, permettendo al soggetto di porsi le domande rilevanti in quel particolare contesto); la personalit (la volont di superare gli ostacoli e la predisposizione a tollerare l'ambiguit); la motivazione (sia intrinseca, legata principalmente a quanto il soggetto riesce ad essere coinvolto nel problema trattato, sia sociale, legata alle dinamiche di gruppo e culturali di inserimento); l'ambiente (incide sostanzialmente sulle possibilit che vengono fornite al soggetto di esprimere la propria creativit e sulle occasioni offerte di comunicarla agli altri) (Sternberg e Lubart, 1996). Si pu dunque definire come: capacit di trovare modi nuovi e fluidi di affrontare i problemi e di organizzare il materiale. Possiamo considerare la creativit un genere del tutto speciale di pensiero, caratterizzato da originalit e fluidit. In questottica si pu far rientrare: il pensiero laterale (contrapposto al pensiero verticale) di E. de Bono [v. L'intelligenza, p. 17 e relativa Appendice 2]. il pensiero divergente (la capacit di trovare una serie di possibili soluzioni diverse per un dato problema, in particolare un problema per il quale non vi sia ununica risposta esatta; contrapposto al pensiero convergente, pi facile da misurarsi con test di QI) di Guilford: opportuno, comunque, considerarli complementari luno allaltro; ma nella scuola abbiamo finito per privilegiare quello convergente. Non ancora chiaro quanto siano correlati la capacit di superare test sul pensiero divergente (a domande aperte, solitamente; e in cui specialmente i bambini pi piccoli ottengono risultati migliori quando il clima non ansiogeno) e la capacit di avere successo in attivit creative; n se si tratti di due modi di operare autonomi, come sostiene Guilford, o parte integrante dello stesso gruppo di capacit mentali. Il legame tra le capacit di pensiero convergente e le capacit di pensiero divergente appare pi forte nei bambini con un QI modesto o basso; al di sopra di una soglia di QI che pu variare tra 110 e 120, invece, il rapporto diventa molto pi complesso e addirittura casuale. Fino a che non si supera questa soglia, dunque, unintelligenza maggiore sembra in genere accompagnarsi a maggiori capacit di pensiero divergente; oltre, invece, unintelligenza superiore non si accompagna necessariamente a maggiori capacit di pensiero divergente. Non si dimentichi che certe attivit esigono sia un QI elevato sia una notevole capacit di pensiero divergente (scienza, arte). Da una recente ricerca emerge che gli adolescenti pi creativi si sentono maggiormente in grado di incidere sugli avvenimenti e, pertanto, si percepiscono pi capaci di controllarli attivamente (locus of control interno; v. pp. 75 e 87). Tali risultati stanno a indicare che una struttura di personalit creativa correlata con la capacit di conoscere il mondo circostante, grazie alla presenza di alcuni specifici tratti quali la curiosit, l'immaginazione produttiva, una maggiore pro22

pensione ad affrontare i rischi e a trovare alternative per ristrutturare le situazioni complesse. Sono emerse anche alcuni tratti che caratterizzano in modo specifico la personalit creativa: chi si percepisce creativamente curioso, immaginativo e disposto ad accettare rischi nell'affrontare la realt anche aperto verso le novit di idee, valori e sentimenti che gli altri propongono, stimolato da molteplici interessi ed aperto a esperienze e a usanze diverse. Inoltre il tipo creativo, che con curiosit esplorativa cerca alternative alle situazioni esterne, anche energico, dinamico e attivo, e si descrive come estroverso e dominante. Infine, i soggetti creativi che tendono a esporsi alle condizioni di rischio anche in situazioni destrutturate sono emotivamente pi stabili, quindi hanno bassi livelli di ansia, poca vulnerabilit e impulsivit, essendo persone molto meno emotive e irritabili. Questi risultati permettono di ipotizzare che alcune competenze creative possono essere notevolmente influenzate dalla qualit delle esperienze educative proposte e dall'ambiente in cui la persona vive. Infatti, alcuni fattori relativi alla struttura della personalit dell'individuo (quali l'apertura mentale, l'energia e la stabilit emotiva) possono facilitare e migliorare la capacit creativa. Ci specialmente vero per gli adolescenti che sono particolarmente sensibili a queste dimensioni nel loro processo di crescita e di evoluzione.

Creativit e ingegno I plus-dotati


Lo sviluppo degli studi sul pensiero "divergente" risale al famoso discorso di Guilford nel 1950 (Creativty, in American Psychologists, V, pp. 444-454), ma esplode negli anni Sessanta con le ricerche di Barron, Torrance, Getzels e Jackson, porta gli americani a riscoprire gli autori europei nei due filoni classici della Gestalt e della psicoanalisi e produce un rinnovamento nelle concezioni dell'intelligenza, nei modi per valutarla, con una ricaduta immediata sulle tematiche educative. Infatti Torrance (1980) e Taylor (1988) dopo aver esaminato vari studi longitudinali rilevano che le personalit creative, oltre a fluidit, flessibilit e originalit, presentano coraggio, autonomia di pensiero, curiosit per il nuovo, attaccamento al compito, perseveranza nello sforzo; queste ricerche sono state poi confermate da un'ampia serie di ricerche longitudinali che hanno prodotto recenti modelli (Renzulli, 1985; Urban, 1995), quest'ultimo comprendente tre componenti cognitive (pensiero divergente, conoscenze generali e specifiche) e tre di personalit (dedizione al compito, motivazione, apertura all'esperienza). Anche studi italiani (Calvi, 1965; Andreani Dentici e Orio, 1972) hanno contribuito alla questione, confermando le osservazioni fatte da molti autori: i soggetti dotati appaiono come il prodotto dell'interazione tra due gruppi di fattori, genetici ed ambientali, particolarmente favorevoli; essi sono frequentemente i primogeniti di famiglie piccole, di buon livello culturale, sono stati stimolati da genitori giovani, fortemente motivati al successo, e sono cresciuti in famiglie ricche di affetti che offrono un sostegno sicuro senza essere troppo protettive; hanno per un grado maggiore di autonomia e indipendenza dalla famiglia e molti di loro mostrano un atteggiamento di distacco e di critica verso insegnanti e genitori, che pu condurre, specie nell'adolescenza, ad anticonformismo o ribellione aperta. Il profilo intellettuale presenta una configurazione armoniosa di funzioni cognitive elevate, che si manifesta in memoria, articolazione percettiva, velocit e precisione, ragionamento logico, verbale e matematico (con diverse accentuazioni personali), nella fluidit e flessibilit del pensiero che mostra buon potenziale creativo; hanno variet e ricchezza di interessi, hobbies e letture che mostrano curiosit e apertura intellettuale, ma anche abbondanza di giochi e sport che manifestano vitalit ed dinamismo. La personalit, come emerge dai test di Rorschach e dai colloqui individuali, mostra una crescita pi precoce, con un profilo pi simile agli adolescenti e agli adulti che hai coetanei; vi sono segni di empatia umana, ricca vita interiore con segni di forti pulsioni aggressive e sessuali, generalmente ben controllate; in genere c' un buon adattamento, nonostante alcune note di ansiet, eccesso di intellettualizzazione e molti segni di anticonformismo possano condurre i dotati a comportamenti di opposizione agli adulti e alle norme sociali. Vi per il pericolo che questo quadro cos attraente si modifichi nella cosiddetta "sindrome del plus-dotato", che accentua troppo i tratti intellettuali e la vita interiore, porta ad eccessiva astrazione e persino a pensiero autistico, oppure esagera la reattivit emotiva conducendo verso un comportamento ansioso oppure impulsivo. Anche la variet e la ricchezza di interessi possono evolvere in direzione negativa, trasformandosi in una dispersione eccessiva e mancanza di concentrazione; e persino le condizioni favorevoli di piccole famiglie possono essere trasformate in fattori di stress a causa delle eccessive aspettative che convergono sui bambini, particolarmente quando i genitori tentano di compensare le loro ambizioni frustrate col successo dei figli e perci alimentano atteggiamenti perfezionistici e ansiet (sono molti gli studiosi che hanno messo in rilievo l'importanza delle aspettative e delle reazioni degli adulti nel determinare la presenza o assenza di problemi nei bambini pi dotati). I risultati di questi ed altri studi sottolineano l'importanza dei fattori di motivazione e dell'incontro con le situazioni e le persone che permettano l'individuazione e l'arricchimento delle doti personali. Riguardo al problema educativo, sono molte le differenze tra i vari paesi: gli USA (ma anche, fino a ieri, i paesi comunisti e oggi i paesi i n via di sviluppo) seguono una politica di precoce identificazione dei talenti, di accelerazione scolastica o di particolari programmi di arricchimento; il sistema europeo in genere si affida di pi alle iniziative degli insegnanti o della famiglia. Tuttavia anche in Europa ricerche psicologiche e interventi educativi per i plus-dotati sono stati promossi recentemente dall'European Council for Higt Ability (ECHA) fondato nel 1987; ricordiamo al proposito le sperimentazioni di vari centri, fra i quali il vasto programma messo in atto dall'Ungheria, che sostiene una serie di iniziative interessanti nel campo della musica. Meno vivace e coordinata sembra l'attivit dell'area latina.

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Caratteri, processi e modelli della creativit


Bartlett

Bartlett (1958) aveva individuato, nelle strategie di ricerca che hanno portato a scoperte scientifiche, la presenza di un'esplorazione attiva della situazione, di un'analisi della struttura e delle relazioni che spesso porta a ristrutturazioni improvvise e alla rottura di sistemi chiusi (con ricerca di nuove informazioni e un pensiero amante dell'avventura, disposto a tentare nuove strade). Le condizioni per il pensiero originale si hanno quando due o pi filoni di ricerca possono convergere ed essere combinati, generando nuove direzioni, mostrando che le unit di base e i processi di un settore hanno propriet non sospettate prima, che aprono nuovi problemi da esplorare. Il pensiero comincia a muoversi con maggior libert quando, dopo aver proceduto passo per passo alla soluzione di singole fasi di un problema, comincia a liberarsi dei dettagli e a vedere una struttura di insieme che permette di allargare il problema ad altri campi, cogliendone l'analogia e le possibilit di generalizzazione; spesso questo processo facilitato dall'uso di nuovi metodi e strumenti che vengono applicati a nuovi gruppi di fatti e campi di studio [v. anche p.12].
Cognitivisti

Anche gli psicologi cognitivisti riprendono e sviluppano alcune idee della psicologia della Gestalt, che sottolineava l'importanza dell'intuizione (insight: v. p.13) nel pensiero creativo, considerandola come una ristrutturazione piuttosto che come un processo di crescita cumulativa. Smith, Ward e Finke (1995) ed altri studiosi cercano di fondere il meglio degli approcci sperimentali derivati dalla tradizione associazionista, gestaltista e computazionale. La scoperta scientifica avviene quando una mente preparata ristruttura un approccio tradizionale a un problema; ricordo episodico, memoria semantica, memoria implicita, soluzione di problemi e scoperta creativa si possono spiegare con un unico modello che include fasi simili di fissazione, incubazione e insight (v. sotto: L'atto creativo). Un contributo particolare agli studi sul pensiero creativo viene da due recenti filoni di ricerca sperimentale, quelli sull'immagine e sulla metafora. Le immagini sono una forma di rappresentazione che pu essere generata in ogni fase dei processi cognitivi: nella fase iniziale in cui anticipano il riconoscimento dello stimolo; nella MDL quando codificano il materiale secondo il codice visivo-spaziale; nella MLT quando riattivano il codice visivo o verbale; nel ragionamento analogico che coglie la somiglianza tra oggetti e sistemi di relazioni; nel pensiero metaforico che capace di generare modelli; nell'immaginazione che permette di costruire nuovi mondi. Alcune caratteristiche delle immagini: economia (permette di presentare in parallelo molte unit integrate in una struttura unica), flessibilit e possibilit di trasformazioni (che a loro volta possono essere simbolizzate in formule, diagrammi e rappresentazioni astratte, possibilit di esplorare nuove combinazioni (che spesso conducono a forme pre-inventive e quindi al pensiero creativo). Molti studiosi hanno ricostruito le biografie di inventori, artisti o anche scienziati, trovando spesso nella fase iniziale di una scoperta la produzione di immagini che hanno permesso di visualizzare sinteticamente delle relazioni, della analogie, dei modelli che permettevano di spiegare una serie complessa di fenomeni. chiaro per che il processo di "giocare con le idee", costruire immagini, metafore, analogie in modo creativo deve essere sostenuto da conoscenze precedenti in uno o pi domini, da conoscenze tecniche e da strategie cognitive: tutti possono generare forme pre-inventive ed esplorarne le possibilit, ma certamente solo un esperto in un certo campo pu realizzare degli oggetti, costruire degli edifici, sviluppare un nuovo concetto di fisica o un nuovo modo di cura (il caso favorisce la mente preparata, aveva gi osservato Pasteur). Gli elementi essenziali per lo sviluppo del pensiero creativo ad alto livello sono: la curiosit, il desiderio di esplorare le varie possibilit, la capacit di applicare le nuove strutture a un altro argomento o settore, di trasformarle in modelli che si applicano a pi campi e infine l'alta motivazione a perseguire uno scopo nonostante le difficolt.
Psicoanalisi e psichiatria

Freud (1908) [v. p.85] stato il primo a tentare una spiegazione psicologica delle radici della creativit, che ha considerato come un tentativo di risolvere un conflitto generato da pulsioni istintive biologiche non scaricate: i desideri insoddisfatti sarebbero la forza motrice della fantasia, ed alimenterebbero i sogni notturni, quelli a occhi aperti e anche le opere creative che hanno la funzione di scaricare le emozioni risultanti dal conflitto. Ne viene l'importanza enorme, quasi esclusiva, attribuita all'esperienza infantile, che diventa la chiave per esplorare le motivazioni intorno a cui si struttura una personalit normale, neurotica o creativa. Freud ha dato importanza soprattutto alle motivazioni inconsce della creativit, che vista in termini di spostamento della carica energetica: se la carica libidica primitiva viene repressa da restrizioni sociali ed educative, si ha la rimozione oppure il ricorso a difese razionali [v. p.85], oppure, nei caso pi fortunati, la sublimazione per cui la curiosit sessuale del bambino diretta all'esplorazione del proprio corpo si trasforma nella curiosit che conduce alla creativit. Kris (1952) ha riformulato la teoria spiegando la creativit come una regressione al servizio dell'ego, che si serve di processi primari operanti nel preconscio regolando in maniera autonoma la capacit di allentare il controllo e riprenderlo, lasciando che le catexi dell'id (investimenti dell'Es) affluiscano al preconscio e sviluppino i processi tipici della fantasia e del sogno: questo spiegherebbe la capacit di giocare con le idee, di accettare pulsioni sessuali e aggressive, di usare l'umorismo come scarico di emozioni. Anche Kubi (1958) accetta l'ipotesi della creativit come prodotto del preconscio, osservando che la flessibilit creativa possibile solo per l'azione libera, continua e concorrente (se non esclusiva) dei processi preconsci perch la prevalenza esclusiva dei processi consci porta a rigidit, ancorando il pensiero a dati percettivi e concettuali ben determinati, mentre d'altra parte la prevalenza dell'inconscio porta a rigidit ancor maggiore, perch i nuclei conflittuali e pulsionali sono inaccessibili alle correzioni del reale. Arieti (1979) come Schachtel e i neofreudiani ha sostanzialmente abbandonato il modello omeostatico: il processo creativo sarebbe un processo speciale che trascende la solita formula S-R e determina un'auspicabile espansione dell'esperienza umana; egli attinge esplicitamente il concetto di "espansione" dalla teoria del sistema di Von Bertalanffy che non regolato solo dall'omeostasi, ma anche dall'attivit autonoma del sistema ner24

voso e accentua il fatto che il comportamento naturale, anche degli animali, va al di l dello schema stimolo-risposta, e comprende molte attivit autonome che passano dall'attivit esplorativa, al gioco, all'attivit creativa e non si possono spiegare solo con la necessit di ridurre la tensione. A differenza di tutti gli altri autori che continuano ad occuparsi del problema delle motivazioni che generano la creativit, Arieti concentra la sua attenzione sui meccanismi formali che operano nel processo creativo ed ottiene uno schema valido analizzando i processi estetici, quelli del pensiero scientifico e quello dell'umorismo; questo risulta dall'interazione dei meccanismi del processo secondario con quelli del processo primario5 ed unisce quindi in una combinazione del tutto nuova (processo terziario) i caratteri logici del processo secondario e i caratteri paleologici del processo primario.
Psicologie umanistiche

C. R. Rogers e A. H. Maslow hanno sostenuto anch'essi, come gli psicoanalisti freudiani, che la creativit legata alla liberazione di spinte e motivazioni profonde dell'individuo; tuttavia non fanno riferimento all'inconscio, ma al bisogno di autorealizzazione (self-actualization) dell'uomo cui si oppongono condizionamenti di vario tipo, dalle pressioni sociali alle false difese, agli squilibri di personalit. Sulla stessa linea Fromm, per il quale i condizionamenti pi importanti che si oppongono all'autorealizzazione individuale sono quelli storico-sociali e politici: l'artista sarebbe uno che in qualche modo riesce a realizzarsi in un mondo avverso, dando libero sfogo al suo bisogno di affermare il s senza per questo rompere l'armonia sociale, anzi facendosi stimare. Sia nella psicoanalisi che nelle psicologie umanistiche comunque evidenziato un dato di fatto: nel soggetto creativo c' una vivace e ricca interiorit, che di per s problematica, perch contrasta con la passivit corrente con cui la gente si adatta alla vita e all'assetto sociale, ma che trova nell'attivit creativa uno spazio di espressione e di legittimazione. Il tratto emotivo pi interessante della persona creativa sembra essere allora proprio la capacit di gestire la propria interiorit, mediando continuamente tra s e il mondo esterno.
Aspetti sociali

Gli studi antropologici mostrano che in tutte le culture, anche le pi semplici, sebbene in minor misura che nelle complesse, all'apparire di individui creativi e di atti creativi la civilt reagisce ponendo freni. Per Weber la modernizzazione si accompagna al disincantamento del mondo, cio al fatto che la vita sociale diviene sempre pi razionale e prevedibile, che trova la sua espressione pi evidente nell'avvento della burocrazia. chiaro che in un mondo dove tutto prevedibile e dove si pretende che tutto sia prevedibile c' poco spazio per la creativit, che invece tende all'originalit e all'insolito. Marx ha messo in evidenza che col capitalismo e con l'organizzazione industriale del lavoro l'individuo perde il controllo delle proprie attivit, non avendo pi modo di seguire per intero i processi lavorativi e di coprire l'intero arco che va dalla progettazione al prodotto finito. D'altra parte, creativit e assetto sociale sono anche in accordo: in ogni epoca e in ogni popolo le opere creative assumono le forme tipiche di quella cultura; la creativit rispecchia il clima intellettuale e la vita sociale in cui fiorisce. Tutto fa credere che siano molte le persone potenzialmente creative che vivono in una data epoca e in una data cultura, ma che solo poche superino il filtro della repressione sociale; queste ultime sono quelle che riescono a interpretare il clima culturale del momento e a mediare tra le proprie istanze rivoluzionarie e le tendenze della cultura in cui vivono.
Pensiero creativo e personalit

L'approccio di Sternberg (v. p.17) che, insieme a quello delle intelligenze multiple di Gardner (v. p.18), considera l'intelligenza come il risultato di un'interazione sistemica tra fattori di abilit e fattori culturali, pone l'accento non tanto sulla valutazione dell'intelligenza quanto al suo sviluppo, nonch sui processi pi che sui risultati, per cui essi possono essere usati come stimolo all'apprendimento piuttosto che come misura rilevante anche rispetto al problema dei gifted, perch sposta l'attenzione dalle tecniche di identificazione a quelle di insegnamento e suggerisce implicitamente di usare le procedure di testing collettivo in funzione di un insegnamento adattato a livelli di abilit e agli stili individuali: infatti si pu dire che le politiche culturali ed educative nei confronti dei dotati si fondano pi o meno consapevolmente su teorie implicite dell'intelligenza oltre che su scelte di tipo politico. Gli stili di pensiero [v. Lo stile cognitivo a p.83] sono un'interfaccia tra intelligenza e personalit: uno stile non un'abilit, mala preferenza per un modo di esprimere o usare un'abilit, che si forma attraverso l'educazione e il successo/insuccesso incontrato da un certo modo di risolvere i problemi, modo che dipende sia da caratteristiche innate sia dalle risposte ambientali che rinforzano o scoraggiano certi comportamenti. Ogni sistema di valutazione basato esclusivamente su certi metodi privilegia o penalizza alcuni soggetti, incoraggia o scoraggia erti stili di pensiero: riflette cio l'ideologia del sistema educativo che li usa; e l'efficacia dei metodi educativi dipende anche dalla corrispondenza tra lo stile degli insegnanti [v. p.129] e quello degli allievi. In altri termini, la valutazione dei prodotti creativi legata al contesto storico-culturale in cui si attua, e conseguentemente il sistema educativo privilegia i metodi che modellano Intelligenza Personalit l'intelligenza verso forme convenzionali e standard prefissati, oppure a) Operazioni mentali di base Processi affettivi e metodi che orientano verso forme individualizzate e ricercano la flessibimotivazioni di base lit, l'apertura mentale, la capacit di cambiamento. b) Abilit e conoscenze Strutture di personaliChi-yue Chin, Young-Y Hong e Carol Dweck della Columbia Universit, atteggiamenti, ty (1994) hanno proposto un modello che cerca di integrare personalit e credenze intelligenza partendo dall'analogia che si pu riscontrare nel funzionac) Livelli di comportamento Comportamento atmento intellettuale e nello sviluppo del sistema di motivazioni e di com- attualizzato nell'esecuzione, tualizzato in forme pi o meno adattive portamento. Essi descrivono tre livelli (v. tabella). Bench le operazioni soluzione di problemi
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Nella teoria psicoanalitica: processo primario = funzionamento mentale operante nell'Es, inconscio, irrazionale, governato dal principio del piacere-dolore; processo secondario = funzionamento mentale operante nell'Io, conscio, razionale e logico, governato dal principio della realt.

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mentali di base si possano distinguere dai processi affettivi e motivazionali al livello pi basso, man mano che si sale verso le conoscenze, le abilit, i comportamenti di adattamento ai diversi compiti richiesti dalle situazioni fisiche e sociali, gli intrecci aumentano e le distinzioni sono quasi impossibili (si pensi per es. al ruolo della perseveranza nell'esecuzione di un compito e all'influenza delle competenze precedenti nelle situazioni sociali).
Creativit, conoscenza e motivazione

La societ in generale e la ricerca psicologica hanno attribuito un valore eccessivo agli aspetti intellettuali e dato scarsa attenzione alle difficolt che i soggetti dotati e creativi incontrano nell'affrontare le loro inibizioni personali che bloccano la produzione e la diffusione di nuove idee (un'atmosfera di classe e lo stile di insegnamento rigido, la societ dogmatica e conformistica, la comunit scientifica o artistica ancorata a vecchi metodi e paradigmi...). Questi fattori dirigono la nostra attenzione verso l'importanza di una forte motivazione intrinseca [v. p.76]che necessaria per sviluppare nuove idee, persistenza nello sforzo che permette di elaborarne passo per passo le implicazioni, di correggere gli errori possibili, capacit di assumere rischi, di provare la validit di un'ipotesi e di prevedere le conseguenze pratiche e le implicazioni etiche delle novit. Quali sono le origini del bisogno di conoscenza? Qual la fonte da cui la corrente del pensiero nasce e raggiunge il suo impeto, la sua forza, la sua profondit? Oggi sia gli studi etologici sia quelli psicologici hanno dimostrato che il bisogno di conoscenza una motivazione primaria, radicata nel funzionamento del sistema nervoso, che ha bisogno di stimoli e di attivit, nella curiosit ed esplorazione dell'ambiente e nel bisogno di competenza che spinge l'animale e il bambino a esercitare la loro abilit, ad allargare gli schemi d'azione, ad applicarli a nuove situazioni, a scoprire nuove propriet delle cose e nuove possibilit di azione. Fondamentale a questo proposito stato il contributo dello psicologo canadese Berlyne (modello di epistemic behavior, 1950): la situazione completamente nuova spesso non produce attenzione o addirittura provoca evitamento e paure; ma la situazione in cui soltanto alcuni elementi sono nuovi produce attivazione del sistema reticolare e di aree corticali che pu essere rilevata con metodi neurofisiologici e che genera vari tentativi di soluzione del conflitto [v. anche la dissonanza cognitiva]: questi potrebbero essere la ristrutturazione, la conciliazione oppure la modifica dell'attrazione di una delle alternative (in ogni modo, la soluzione del conflitto epistemico guidata e sostenuta da una motivazione intrinseca che non richiede incentivi esterni). Da un punto di vista differente Piaget (1975) arriva ad un modello simile attraverso l'osservazione analitica e sistematica di bambini dai 4 ai 18 mesi: egli descrive lo sviluppo dal semplice esercizio di schemi innati attraverso la variazione e il coordinamento fino alla costruzione di nuovi schemi di azione e pensiero (i sistemi cognitivi sono sempre in moto, tendono verso l'equilibrio, ma quando lo raggiungono lo rompono e formano nuove organizzazioni, nuove strutture [v. anche p.33]). Bandura (1977) ha costruito un solido modello che integra diversi fattori di autoregolazione della motivazione e dell'azione in un sistema di scopi basato su standard interni [v. p.74]; egli distingue due larghe classi di motivazioni: una che si sviluppa su basi biologiche, l'altra che si svolge attraverso processi cognitivi: teoria dell'attribuzione (v. p.75) = le persone che attribuiscono il loro successo alle capacit personali e il loro insuccesso ad un impegno insufficiente sono pronte ad intraprendere compiti pi difficili, in cui persisteranno anche se rischiano di affrontare il fallimento; teoria del valore di attesa = la forza della motivazione non regolata solo dall'attesa di un certo risultato da una certa azione, ma anche e soprattutto dal valore che ha il risultato: pi alto il suo valore, pi alta l'attesa che un certo comportamento pu produrre quel risultato e pi alta sar la motivazione ad agire e ad ottenere il successo; teoria degli scopi = scopi che rappresentano una sfida possono sostenere intense motivazioni, ma essi operano soprattutto attraverso processi di auto-riferimento: una serie di fattori comparativi (standard personali, generali ed ideali) regolano la motivazione provvedendo la definizione degli scopi, gli incentivi per l'azione e la valutazione degli effetti (ci spiegherebbe perch i soggetti ad alta abilit spesso sono motivati nel loro sforzo dalla semplice conoscenza dei risultati). Ci confermato dalle autobiografie di persone creative e anche da studi longitudinali sui dotati. Possiamo dire che la relazione conoscenza/motivazione non causale ma bidirezionale: esperienza e conoscenze precedenti producono curiosit per altri argomenti, originano nuovi problemi che richiedono nuove tecniche e strategie; questi nuovi sistemi di rappresentazione e metodi permettono di ridurre lacune e contraddizioni dai precedenti modelli mentali, portando alla costruzione di nuove strutture nel bambino, di nuove teorie nell'adulto; infine l'intero processo produce nuovi scopi e motivazioni che fanno da mediatori tra l'immagine di s, le abilit, i risultati delle azioni.

Latto creativo
Dalle ricerche (Wallas, 1926 e sviluppi) emerge che in un atto creativo intervengono generalmente quattro (o, secondo alcuni, cinque) stadi: - preparazione: presa di coscienza del fatto che un determinato problema merita di essere studiato... - incubazione: si continua a rimuginare sul tema preso in considerazione o sul problema da risolvere (forse si continua a livello inconscio, senza il ricorso al tipo di logica che caratterizza il pensiero conscio; unapparente illogicit che pu dare man forte al pensiero laterale di cui s detto). - illuminazione (o ispirazione o intuizione [v. anche einsicht o insight, p.13]): allimprovviso si affaccia con chiarezza alla mente la possibile soluzione del problema o un fiume di idee per il libro, il quadro... - verifica (o implementazione; che qualcuno distingue dalla esecuzione): la soluzione intuitiva viene messa alla prova o le idee emerse vengono sperimentate. Ciascuno di questi stadi importante [v. Appendice 1 bis].

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La creativit e la scuola Identificare la creativit e l'ingegno


Molti sistemi scolastici, purtroppo, mettono insieme le varie categorie di creativo, dotato e dingegno in ununica etichetta (come particolarmente dotato) e forniscono criteri specifici per lidentificazione degli studenti che appartengono a questo gruppo. Il criterio pi usato, senza sorprese, lintelligenza espressa sotto forma di QI (130 o pi = particolarmente dotato). Un approccio interessante alla definizione di creativit dato da Gardner (1983) che parla di sette tipi di intelligenza non correlati tra loro [v. p.18]. La creativit (o il talento) pu aver luogo in uno qualsiasi di questi campi; esso rappresenta il pi alto livello di funzionamento. dunque possibile essere particolarmente dotati in unarea ma non in altre. Tale opinione (creativit dominio-specifica) non condivisa da tutti. Spesso gli insegnanti perdono gli allievi pi creativi (si calcola una perdita di ca. il 20%). Un modo per identificare la creativit luso di test, i pi comuni dei quali sono test sul pensiero divergente: prove verbali e non, chiedendo al bambino di pensare tutti i modi corretti di risolvere un problema; punteggi per la fluidit (numero risposte corrette), loriginalit (elementi di novit presenti; si confrontano le risposte del bambino con quelle date dal resto della classe), la flessibilit (variet di soluzioni; si raggruppano le risposte in categorie differenti, contando il numero di categorie che ogni soggetto ha proposto) [v. anche: Appendice 1].

Creativit in classe
In generale gli adulti creativi, durante linfanzia, hanno goduto di una ricca variet di esperienze e sono vissuti in ambienti nei quali venivano incoraggiati a fare domande, a mettere alla prova le proprie idee mediante sperimentazioni attive, e a perseguire i propri interessi attraverso passatempi e il perfezionamento di determinate doti e abilit. dunque opportuno curare prima di tutto lapproccio generale degli insegnanti al proprio compito. Qualunque sia la materia che si insegna, attenzione a cogliere le opportunit di incoraggiare il pensiero divergente. Nella scuola tendiamo a premiare solo le risposte esatte e a penalizzare quelle sbagliate... Bisogna incoraggiare e premiare lo scatto di immaginazione, la ricerca di risposte diverse da quelle pi conformiste, la disponibilit a correre rischi cognitivi (persino linsuccesso dopo la fase di verifica potrebbe dare origine a nuove idee interessanti). Questo non significa, naturalmente, che non si debba avere alcun riguardo per la scrupolosit e la precisione. Lallievo divergente scomodo... Gli insegnanti che hanno personalmente vasti interessi, che amano farne partecipi gli alunni sia durante le ore di lezione sia al di fuori, che hanno loro stessi una mente vivace e incline allesplorazione e al gioco con le idee, e che soprattutto hanno il piacere sia di fare domande sia di ascoltarle, sono probabilmente insegnanti che riescono a stimolare la creativit nei loro alunni molto pi di quanto non facciano gli insegnanti stereotipati e rigidi. Torrance avanza la proposta che gli insegnanti incoraggino gli alunni a lasciarsi liberamente andare a congetture del tipo: Che cosa accadrebbe se...? o Che cosa sarebbe accaduto se...? e insegnino loro che tutti possiedono potenzialit creative non solo poche persone eccezionali. Sia Osborn sia Parnes propongono il brainstorming [v. p.14]. Gordon propone varianti al brainstorming: si tratta di presentare ai partecipanti lastrazione di un problema piuttosto che un problema completo e dettagliato (es.: invece del problema parcheggio, si proporr di discutere di come riporre le cose). Osborn e Arnold (1957 e 1962) propongono lanalisi morfologica: essa prevede la divisione di un problema in un certo numero di variabili indipendenti, il pensare a diverse soluzioni potenziali per ognuna di esse e quindi la combinazione dei risultati in tutti i modi possibili. Un esempio nella figura (problema: elaborare un nuovo tipo di veicolo), dove sono evidenziate, tra le mille possibili, 180 potenziali soluzioni. Per potenziare gli studenti nella loro creativit, Mayer (1989) propone luso di modelli (o mappe) concettuali: si tratta di una presentazione verbale o grafica designata ad assistere lo studente nellelaborare una rappresentazione chiara ed utile di qualsiasi cosa viene studiata. Sono una sorta di organizzatori anticipati (o organizzatori dapproccio) di Ausubel [v. p.63]. Come gli organizzatori dapproccio di Ausubel, i modelli concettuali offrono allo studente importanti concetti che organizzano lapprendimento precedente e che forniscono elementi essenziali della struttura cognitiva cui il nuovo materiale pu essere riportato. Mayer descrive un certo numero di caratteristiche di buoni modelli concettuali; sar un modello: I) completo, che contiene tutti gli aspetti essenziali di un sistema; II) conciso, che non opprime con i dettagli, e III) coerente, ha un senso; IV) concreto, affronta eventi e situazioni familiari per lo studente, ma anche V) concettuale, ha a che fare con idee significative; VI) corretto; VII) cauto, tiene in considerazione la sofisticazione e il livello di comprensione dello studente. Un miglior apprendimento, suggerisce Papert (1993), non verr dalla scoperta di modi migliori di istruire, ma dando allo studente migliori opportunit di costruire. Molto importante risulta pure il contesto familiare (e il clima di classe): i soggetti pi creativi pare provengano spesso da famiglie molto colte che incoraggiano lesplorazione, lindipendenza, il successo e lambizione. Anche gli insegnanti dotati di un atteggiamento che riconosca ed incoraggi lindividualit e la creativit degli studenti, e da una cultura 27

che gratifichi piuttosto che punire, nonch disponibili ad atteggiamento caldo e ricettivo, possono esser molto utili nel promuovere la creativit. Limportanza di approcci in cui latmosfera sia aperta e sgombra da qualsiasi giudizio critico stata ulteriormente evidenziata da Davis: a tre gruppi di alunni che dovevano risolvere uno stesso problema, furono presentati rispettivamente un elenco di esempi specifici risolutivi, un certo numero di strategie generali, una matrice che consentiva di disporre una serie di variabili lungo il primo asse ed unaltra serie lungo il secondo asse, rendendo possibili nuove modalit di combinazione delle variabili; furono i componenti di questo terzo gruppo a proporre il maggior numero di idee in assoluto, e quelli del primo a proporne il numero minore. Linsegnante deve guardarsi dalla tentazione di chiudere la situazione proponendo costantemente le proprie sintesi o soluzioni personali; anche al termine di una discussione di classe bene sottrarsi alla tentazione di proporre sempre i propri giudizi sulla bont delle idee che sono state avanzate. essenziale aiutare gli alunni ad afferrare la distinzione tra i diversi tipi di pensiero e a saper decidere quale sia quello pi opportuno in ogni dato contesto. Spesso le cose che non riusciamo ad ottenere dagli alunni dipendono non solo dalle loro capacit personali, ma anche dalla nostra abilit nel formulare domande [v. anche p.12 Il pensiero come attivit strutturante e p.16 Migliorare lintelligenza, nonch come formulare domande, su Psicologia e scuola nn. 77-80 e relativi appunti di F. Gatta].
[DV 337-354; F 110-121; L 195, 208-209 e 224-228; A. Bianchi, P. Di Giovanni, La ricerca socio-psicopedagogica, Paravia Bruno Mondadori, 1997-2000, 181-197; G. Crea, G. Guerrieri, Personalit creativa e locus of control in adolescenza, in Orientamenti pedagogici, LIV, 1, 2007, pp. 77-90]

Il gioco
Il gioco un'attivit proteiforme, ma l'analisi strutturale rivela alcuni tratti comuni alle varie attivit ludiche: improduttivit, piacevolezza, spontaneit, stacco dalla routine, tranquillit, regolamentazione unita a libert d'azione, incertezza, finzione. Il gioco sfuma nei comportamenti esplorativi da un lato e nello sport dall'altro.

Le finalit del gioco


[V. anche: Appendice 1] Il gioco sembra avere importanti implicazioni per tutti gli aspetti della vita psicologica del bambino; dal suo punto di vista, la finalit del gioco il semplice divertimento. scorretto che linsegnante veda linfanzia semplicemente come un periodo di preparazione allet adulta anzich come una fase della vita da gustare in s e per s. Del resto, lesperienza della contentezza procura benefici sia fisiologici sia psicologici a chiunque la viva. Se il bambino impara che il gioco unesperienza apprezzata dagli adulti, alla quale si pu tranquillamente abbandonare senza provare costanti sensi di colpa per tutte le altre cose pi serie che non fa, egli viene aiutato a sviluppare atteggiamenti positivi nei confronti del ruolo dello svago nella vita, atteggiamenti che potranno essergli di giovamento nella vita (lindividuo sano colui che in grado di lavorare, giocare e amare: Allport). Per Huizinga il declino del gioco nellet adulta uno degli elementi pi inquietanti della civilt occidentale.

La natura del gioco


I cuccioli di molte specie animali intraprendono attivit che sembrano avere le qualit non serie del gioco. Pi la specie si trova in alto nella cosiddetta scala dellevoluzione, pi queste attivit di gioco diventano evidenti e intenzionali; ma in tutte le specie animali, con la sola eccezione di quella umana, il gioco consiste soprattutto in un intenso movimento fisico, e in genere diretto verso i coetanei o verso altri oggetti animati (raramente nellanimale questa forma di gioco coinvolge oggetti inanimati, e sembra subire evidenti modificazioni nellarco della crescita). Negli esseri umani, invece, si osserva che durante il gioco il bambino, via via che cresce, ricorre sempre di pi ad oggetti fisici, molti dei quali rappresentano simbolicamente altri oggetti (ci evidenzia sia le capacit di manipolazione consentite agli esseri umani dalluso delle dita e dei pollici sia la presenza dellimmaginazione); il gioco, inoltre, va incontro a una serie di cambiamenti visibili, caratterizzati da una crescente complessit (e ci mette in evidenza lo sviluppo delle capacit cognitive e il crescente uso del linguaggio verbale sia nella comunicazione con gli altri sia nellattivit di pensiero). Il gioco infantile [R. H. Largo, Primi anni primi passi, RCS Libri (Fabbri) 2005, 187] varia a seconda dell'et, cio corrisponde allo stadio evolutivo del momento. La sequenza di comportamenti ludici uguale per tutti i bambini; le varie forme ludiche compaiono per a et diverse e si sviluppano con intensit differente. Durante i primi due anni di vita, il gioco dei maschietti non diverso da quello delle femminucce. I bambini giocano per: -allenare comportamenti innati; -accumulare esperienze riguardo alle caratteristiche fisiche dell'ambiente concreto; -imparare le azioni e l'uso funzionale degli oggetti; -acquisire capacit sociali e linguistiche tramite l'imitazione; -scoprire le leggi spaziali, causali e categoriche. Secondo Piaget: in pochi anni si assiste al passaggio dal gioco a carattere palesemente fisico del bambino piccolo a una forma di gioco caratterizzata da molti dei processi mentali pi complessi che contribuiscono a rendere la specie umana nettamente diversa dalle altre specie; non solo le crescenti capacit di pensiero del bambino lo aiutano a elaborare metodi di gioco pi complessi, ma gli stessi metodi di gioco lo aiutano a sviluppare modalit pi complesse di pensiero (nei bambini mentalmente handicappati il gioco purtroppo presenta solo possibilit di evoluzione limitate, e spesso rimane ripetitivo e stereotipato). Sul piano sociale: si assiste al passaggio dal gioco solitario del bambino piccolissimo al gioco parallelo del bambino di 3 anni, fino al gioco realmente sociale del bambino di 4 o 5 anni (fino a quando non raggiunge lo stadio del gioco sociale, il bambino si limita, anche con adulti che intervengono nel gioco, a reagire a questi o ad imitarlo anzich a interagire con lui in quello che si potrebbe definire una compartecipazione ludica). 28

Bhler e Piaget

Secondo Bhler possiamo distinguere quattro categorie principali di gioco: gioco dellesercizio delle funzioni (appare per primo, e consiste nellesercizio di una particolare funzione o capacit); gioco di fantasia (compare di solito nel corso del secondo anno, ed caratterizzato da attivit di fantasia o di finzione in cui il bambino assegna a se stesso o agli oggetti con cui gioca un ruolo particolare); gioco ricettivo (compare poco dopo o nello stesso periodo del precedente, e consiste nellascolto di racconti o nellosservazione di storie illustrate [attivit ludiformi]); gioco della costruzione (compare in genere entro la fine del secondo anno, e consiste nel giocare con mattoncini, nel disegnare, e nel giocare con la sabbia e altri materiali naturali). A queste va aggiunta una quinta categoria: il gioco con regole (compare negli anni della scuola materna, ed basato su delle regole precise - games - che tutti devono osservare6). Le prime quattro forme di gioco tendono a raggiungere la loro massima intensit verso i 7-8 anni di et e in seguito perdono gradualmente importanza; lultima forma, invece, assume unimportanza crescente, e sotto la forma dello sport pu anche diventare un interesse che dura per tutta la vita. Ma con lavvento della competizione, progressivamente sempre pi presente, il gioco perde alcune delle sue caratteristiche non serie, e consapevolmente finisce per svolgere funzioni psicologiche diverse da quella edonistica. Ricordiamo che Piaget distingue le seguenti forme di gioco: gioco desercizio (compare da subito, e ricorda lanaloga forma indicata da Bhler: Consiste nel ripetere per puro divertimento delle attivit acquisite altrove a scopo dadattamento), simbolico (rimanda al bhleriano gioco di fantasia, tutto incentrato sulla finzione, sullutilizzo di simboli, appunto: indispensabile al suo equilibrio affettivo e intellettuale chegli [il bambino] possa disporre di un settore dattivit la cui motivazione non sia ladattamento al reale, ma al contrario lassimilazione del reale allio, senza costrizioni ne sanzioni dunque in dispensabile che il bambino possa disporre ugualmente dun proprio mezzo despressione, cio dun sistema di significanti costruiti da lui e docili ai suoi voleri trova il suo apogeo tra i 2-3 e 5-6 anni), con regole (di cui s detto poco sopra: si trasmettono socialmente da bimbo a bimbo e aumentano quindi dimportanza con il progresso della vita sociale infantile) e di costruzione (da Piaget, invero, poco citato, ma rintracciabile, esso pure, nella classificazione bhleriana: inizialmente ancora impregnati di simbolismo ludico, ma che tendono in seguito a costruire veri e propri adattamenti costruzioni meccaniche, ecc. o soluzioni di problemi e creazioni intelligenti [v. J. Piaget e B. Inhelder, La psicologia del bambino, Einaudi 1970, 56-57. Altre classificazioni di gioco sono in: Appendice 2 e 2 bis]).

Problemi, definizioni e teorie


Il gioco non soltanto un modo per conoscere il mondo, ma anche una forma di comunicazione, di esperienza emotiva, di azione trasformativa sulla realt; tuttavia, le nostre conoscenze su di esso sono ancora lacunose, anche perch l'interesse degli studiosi per questo aspetto dello sviluppo infantile sembra essersi arrestato intorno alla fine degli anni Ottanta.
Caratteristiche descrittive

Rubin, Fein e Vanderberg (1983) propongono una definizione di gioco basata su tre diversi caratteri distintivi: il gioco pu essere inteso: I) come una disposizione psicologica, II) come un insieme di comportamenti osservabili, III) come un contesto all'interno del quale osservare il verificarsi di particolari fenomeni. I) Sono sei le componenti di questa definizione di gioco: motivazione intrinseca (si gioca per il piacere di farlo); priorit dei mezzi sul fine (il procedimento pi importante del risultato; spesso vi addirittura pi piacere nella fase preparatoria che non nell'esecuzione; il gioco mette al riparo dalle frustrazioni); dominanza dell'individuo rispetto alla realt esterna (nei comportamenti esploratori la domanda che cos' quest'oggetto?, nel gioco invece che cosa posso fare io con quest'oggetto?; sia per il bambino sia per i cuccioli di altre specie animali il gioco pu verificarsi quando le condizioni ambientali sono benevole e supportive, mentre raro osservarlo in situazioni che provocano insicurezza o ansia); non letteralit (il bambino pu esplorare nuovi possibili significati trattando gli oggetti come se fossero qualcosa d'altro; la non letteralit dell'azione non data una volta per tutte, ma oggetto di continue verifiche e negoziazioni: i bambini sono ben consapevoli di muoversi in una zona dai confini molto labili); libert dai vincoli (le regole, quando ci sono, non sono gi date ma vengono negoziate); coinvolgimento attivo (in linea generale, ogni tipo di gioco richiede un impegno da parte del giocatore, anche se di livello variabile; il gioco "attivo", a differenza dell'ozio, del fantasticare o del ciondolare). II) J. Piaget (1945; da Bhler: v. sopra) classifica i giochi secondo uno schema evolutivo, con forme accomunate dal processo sottostante dell'assimilazione [v. p.33]: gioco d'esercizio, simbolico, con regole; C. Garvey (1977) fa riferimento ai "materiali": giochi con oggetti, con le parole, con materiali sociali; Hutt (1979): distingue tra esplorazione (comportamento epistemico) e gioco (comportamento ludico, simbolico-creativo o ripetitivo; con la crescita del bambino, il tempo dedicato all'esplorazione diminuisce e aumenta il tempo di gioco); Belsky e Most (1981) superano il precedente schema dicotomico con modelli che includono in un'unica sequenza evolutiva entrambe le attivit: attivit con gli oggetti (1. esplorazione orale; 2. manipolazione semplice: manipola per almeno 5" controllando visivamente; 3. manipolazione funzionale: manipola in modo appropriato e specifico in funzione delle caratteristiche degli oggetti; 4. manipolazione relazionale: mette insieme due oggetti in modo inappropriato; 5. manipolazione funzionale/relazionale: mette insieme due oggetti in modo appropriato; 6. denominazione rappresentativa: mete in atto comportamenti per finta incompleti; 7. attivit di finzione rivolta verso s stesso: compie azioni per finta rivolte verso la propria persona; 8. atti6

Ecco come Piaget descrive la comprensione e luso delle regole da parte dei bambini: prima dei 3 anni = nessuna comprensione delle regole (non giocano secondo delle regole); 5 anni ca. = credono che le regole provengano da Dio (o da qualche altra autorit) e non possano essere modificate (non cambiano le regole, aderiscono rigidamente ad esse); 11-12 anni = comprendono la natura sociale delle regole e che possono essere cambiate (infrangono e cambiano le regole continuamente); dopo gli 11-12 anni = completano la comprensione delle regole (cambiano le regole in base ad un consenso reciproco).

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vit di finzione verso gli altri: compie azioni per finta rivolte verso altre persone; 9. sostituzione: usa gli oggetti in modo originale e creativo; 10. sequenze di attivit di finzione: ripete azioni per finta con piccole variazioni; 11. sostituzione in sequenze di attivit di finzione: ripete azioni per finta inserendo delle sostituzioni simboliche nella sequenza; 12. doppia sostituzione: trasforma simbolicamente due oggetti nell'ambito della stessa azione); considerazione della complessit cognitiva, del parametro della socialit, del grado di condivisione sociale. III) Il gioco stato interpretato come contesto (che non fattore esterno al gioco, ma ne costituisce una componente intrinseca) in un duplice senso: a) come situazione all'interno della quale leggere specifici fenomeni (ad es. particolari processi cognitivi o competenze sociali); b) in rapporto alle circostanze nell'ambito delle quali le condotte ludiche hanno luogo (l'attenzione viene focalizzata sulle condizioni in cui il gioco si verifica, assumendo che tali condizioni esercitino effetti decisivi sui comportamenti di gioco di cui necessario tenere conto).
Alcune teorie

Al pari di altri fenomeni quali l'intelligenza, il linguaggio, l'aggressivit o l'altruismo, il gioco pu essere definito pi facilmente a livello comportamentale che non teoretico (Rubin et alii). Jean Piaget (1945) colloca il gioco nella teoria dello sviluppo cognitivo e pi precisamente nel processo di "formazione del simbolo" = tramite il gioco i bambini fanno pratica di un'attivit mentale che consiste nel creare simboli per evocare eventi o situazioni non presenti nella realt; governato dall'assimilazione; svolge nello sviluppo due funzioni: a) serve a consolidare capacit gi acquisite attraverso la ripetizione e l'esercizio; b) rafforza nel bambino il sentimento di poter agire efficacemente sulla realt. Lev Vygotskij (1966) considera limitante una visione del gioco in termini essenzialmente cognitivi e rivolge la propria attenzione agli affetti, alle motivazioni e alle circostanze interpersonali che vi sono all'origine = nel passaggio dall'infanzia all'et prescolare, il gioco permette al bambino di affrontare la tensione tra i suoi desideri e l'impossibilit di soddisfarli immediatamente (rappresenta dunque una risposta originale a bisogni non soddisfatti); le cose perdono il loro potere vincolante, giocando possibile emanciparsi dalle costrizioni situazionali giacch nel gioco il pensiero separato dagli oggetti e l'azione nasce dalle idee pi che dalle cose, esso rappresenta dunque una fase di transizione nel processo di separazione del significato dall'oggetto reale; dal punto di vista delle funzioni evolutive, collocandosi nell'ambito del possibile, apre una zona di sviluppo prossimale [v. p.37]: giocando, un bambino si comporta sempre al di sopra del suo comportamento quotidiano perch il gioco contiene tutte le tendenze evolutive in forma condensata ed esso stesso una fonte principale di sviluppo; il gioco per il bambino piccolo, cos come per l'adolescente, un'attivit "seria" e tale seriet o verit consiste per entrambi nei nuovi rapporti che vengono creati tra le situazioni nel pensiero e le situazioni reali. Donald Winnicot (1971), che parla di bambini "perduti" nel gioco e definisce lo spazio-tempo del giocare un'area che non pu essere facilmente lasciata e che non ammette intrusioni, approda al gioco attraverso lo studio degli oggetti transizionali7 = questi si collocano, cos come il gioco, in un'area intermedia di esperienza, reale per il bambino, che non deve essere messa in dubbio dagli adulti e che nasce dal bisogno di conciliare il mondo interno con i vincoli della realt esterna; fin dalla nascita l'essere umano impegnato in questa impresa: le risposte vengono cercate nel gioco, nella creativit, nella cultura, attivit che si trovano in un campo di esperienza, quello dell'illusione, che non interno n esterno al soggetto, ma nasce da una relazione di fiducia tra il bambino e la madre (quando l'esperienza del bambino nei primi mesi di vita stata rassicurante e quando egli ha dentro di s l'amore materno, pu iniziare a sperimentare il distacco e attraverso il gioco pu fare esperienza della propria capacit di creare autonomamente). George Mead (1934), fa riferimento in particolare al gioco simbolico e ai processi di assunzione di ruolo (che non sono altro che un modo per immaginare s stesso come se fosse un altro) = giocando, il bambino si confronta con gli altri e identifica le differenze e le somiglianze; due sono i processi sociocognitivi implicati: assunzione di ruolo (riguarda l'azione) e assunzione di prospettiva (consiste nel vedere le cose dal punto di vista del personaggio immaginario di cui si assunto il ruolo); si viene a creare un processo di azione e reazione attraverso il quale si consolidano le nozioni di S (che rappresenta il centro delle diverse prospettive e la funzione che svolge quella di dare senso ai diversi ruoli e agli scenari immaginari che si vengono a creare; [v. p.89]) a di Altro. Gregory Bateson (1972) individua nel gioco una specie di palestra per l'esercizio delle abilit metacomunicative = tutto quello che viene detto o fatto nell'ambito del contesto "questo un gioco" assume un significato non letterale che consiste nel comunicare su qualcosa che non esiste (lo stesso paradosso si pu rintracciare nella minaccia, nell'inganno, nel comportamento istrionico): il giocatore, come l'attore o l'ingannatore, si muovono in una "zona crepuscolare" in cui si incontrano fenomeni molto diversi tra loro quali il gioco, l'arte, la magia, la religione. Bruner, Jolly e Sylva (1976) hanno esaminato il rapporto tra il gioco e le strategie di soluzione dei problemi [v. p.12] = le attivit strutturate presentano un grado maggiore di complessit cognitiva e possono essere efficacemente proposte ai bambini al fine di motivarli alla ricerca e all'esercizio di strategie di soluzione dei problemi; invece le attivit meno strutturate, quali la manipolazione o la lotta per finta, richiedono abilit sociali quali la coordinazione dei ruoli e l'alternanza dei turni e sono quindi pi indicate al fine di rafforzare la competenza sociale.

Il gioco e lapprendimento
Per il bambino di et prescolare non esiste una vera differenza tra il gioco e ci che ladulto potrebbe considerare lavoro; solamente quando diventa pi grande e comincia ad associare certi tipi di attivit a certi tipi di ricompensa che comincia a vedere lazione compiuta in un dato momento come qualcosa che ha fatto non tanto in vista di una gratificazione immediata quanto per procurarsi benefici futuri. Sono ormai molti gli studiosi secondo i quali il gioco rappre7

Fazzoletti, lembi di lenzuolino, peluche, ecc., che permettono al bambino di affrontare i sentimenti di ansia, connessi alla separazione, e vissuti in alcune situazioni particolari, ad es. nel momento di addormentarsi.

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senta semplicemente il metodo di apprendimento del bambino; ritengono di aver individuato quello che si potrebbe definire un impulso del gioco e vedono questo impulso, insieme allimpulso della fame e ad altri impulsi finalizzati alla sopravvivenza, come il meccanismo innato che porta i bambini ad interagire con lambiente circostante e ad imparare per questa via il modo in cui funziona lambiente. Certo, almeno nei primi mesi di vita il gioco sembra proprio unattivit innata. Il gioco, inoltre, chiaramente un forte promotore di attivit, e in questo senso pone il bambino in una posizione tale per cui facile che un apprendimento abbia luogo. Come segnala Piaget, il gioco pu anche aiutare il bambino a sviluppare forme pi complesse di pensiero quando egli comincia a sforzarsi di riflettere sul modo in cui le cose si comportano mentre interagiscono con lui, e per di pi pu essere uno stimolatore di apprendimento sociale a mano a mano che il bambino arriva a scoprire che cosa sia accettabile e che cosa non lo sia per le persone con cui gioca. Pi sono numerose le opportunit che vengono offerte al bambino nel corso del gioco, pi probabile che abbia luogo un apprendimento di cose nuove; un ambiente stimolante ideale, in questo senso (ricco di oggetti naturali - ma non pericolosi - che il bambino possa esplorare, smontare e rimontare a suo piacimento e utilizzare in modo fantasioso, materiali naturali da poter mescolare, plasmare e versare senza timore; magari con un genitore che provi piacere a stare in compagnia del bambino e che si diverta realmente a sedersi sul pavimento accanto al figlio e a rientrare in un mondo magico che un tempo era familiare anche a lui!) [v. anche M. Francipane (cur), La scuola in gioco, IRRSAE Lombardia, Milano 1993, passim]. Nei programmi scolastici: alla scuola materna (e in buona parte anche al primo ciclo delle elementari) il gioco dovrebbe essere la componente principale, con lobiettivo di offrire ai bambini il tipo di esperienze che possano al tempo stesso promuovere forme auspicabili di apprendimento (sia cognitivo sia sociale). In certi casi sar linsegnante a dare inizio a particolari attivit, mentre in altri casi si limiter ad osservare le attivit che i bambini hanno scelto; importante che linsegnante incoraggi i bambini a verbalizzare quanto stanno facendo. Strutturare il gioco dei bambini: secondo una certa scuola di pensiero, nel caso di bambini piccolissimi il gioco deve rimanere libero e spontaneo, mentre il compito dellinsegnante di fornire un arco di possibilit tra le quali il bambino possa scegliere a seconda delle sue inclinazioni e del suo livello di sviluppo; secondo unaltra scuola di pensiero, invece, mediante lintroduzione di un elemento di strutturazione nel gioco (purch non troppo invadente), linsegnante rende lapprendimento dei bambini meno casuale e pertanto pi efficiente. Ovviamente, a mano a mano che il bambino cresce diminuisce limportanza data al gioco: alcuni sostengono che si tratta di una cosa negativa, e che lideale sarebbe non fare troppa distinzione tra lavoro e gioco per tutta la vita; ma persino riguardo alla scuola materna la linea che attualmente sembra riscuotere i maggiori consensi quella orientata a un aumento del grado di strutturazione delle attivit e allutilizzo di materiali ludici strutturati gi pronti e reperibili in commercio concepiti per lapprendimento di svariate abilit importanti per linfanzia; purch non si perda di vista lintrinseco valore del gioco come esperienza che rende felice il bambino e il bisogno del bambino di avere libert di scelta e di iniziativa in buona parte delle cose che fa. Linsegnante pu apprendere a sua volta dallosservazione del modo in cui il bambino reagisce alle esperienze ludiche (eventuale presenza di segni di ritardo; capacit di distinguere e classificare oggetti in base a diversi parametri; capacit di riconoscere oggetti e simboli familiari; di individuare nessi tra causa ed effetto; di utilizzare e modificare le conoscenze gi acquisite ai fini della soluzione di nuovi problemi; di acquisire le capacit di manipolazione essenziali...); altrettanto importante che linsegnante riesca a farsi unidea della personalit del bambino e del suo livello di sviluppo sociale (di pi difficile interpretazione luso dei ruoli da parte del bambino quando impegnato nel gioco in famiglia). Nei ragazzi pi grandi: laccento sui giochi con regole (games), piuttosto che sul gioco libero e spontaneo (play). I giochi con regole favoriscono lapprendimento in molte materie scolastiche, ed anche nel mondo del lavoro e dellindustria (apprendimento di tecniche di gestione aziendale) [v. Appendice 3]. Ci che si riesce ad insegnare e ad apprendere nellambiente artificiale della classe piuttosto limitato: grazie alluso di giochi attentamente organizzati e pianificati, si riesce a mettere in grado i ragazzi di cogliere la concreta e diretta attinenza di quanto vanno imparando con i problemi che dovranno risolvere nella loro futura attivit lavorativa, con i compiti che devono affrontare nella vita sociale di ogni giorno, o con i problemi ai quali devono far fronte la societ e la civilt occidentale nel loro complesso. La situazione in cui sono maggiori le probabilit che lapprendimento si realizzi quella in cui lalunno in grado di verificare lapplicabilit immediata delle cose che sta imparando, o perch riesce a utilizzarle concretamente o perch pu metterle in relazione con i problemi che ha gi riconosciuto importanti.
Lo sport

Siamo di fronte ad un evidente declino del gioco nella societ moderna, e molto dubbi sono i valori che muovono gran parte del mondo dello sport organizzato.
[F 29-38; E.Baumgartner, Il gioco dei bambini, Carocci 2002, passim]

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Lo sviluppo cognitivo, affettivo, sociale e morale


Accrescimento somatico e sviluppo motorio
[ v. Appendice 0]

Lo sviluppo cognitivo La dinamica dello sviluppo


Gran parte degli insuccessi didattici deriva dal fatto che si esigono dai bambini strutture di pensiero che essi non sono in grado di organizzare [F,43]. Linsegnante deve conoscere le funzioni mentali pi rilevanti; ma anche le fasi attraverso le quali esse si sviluppano. Ci si riferisce in particolare allo sviluppo del pensiero come attivit strutturante, e pi specificamente allo sviluppo delle capacit mentali di base, grazie alle quali il pensiero costruisce schemi di elaborazione e organizzazione delle informazioni. Le conoscenze specifiche relative alle singole discipline divengono accessibili quando le capacit mentali di base, e gli schemi di strutturazione a cui esse danno origine, si sono ormai sviluppate (conoscenze pi o meno numerose a seconda delle esperienze culturali che la famiglia e la scuola offrono, delle osservazioni che il bambino ha modo di compiere, delle conversazioni che ascolta o alle quali partecipa, dei libri che legge...). Le posizioni teoriche pongono laccento: - sul ruolo che la maturazione avrebbe nel rendere via via pi esplicite certe potenzialit gi tutte iscritte nel nostro patrimonio ereditario; - sul ruolo che giocherebbe lambiente, esercitando sullorganismo e sulla sua componente psicologica una sorta di progressivo modellamento; - sembra pi aderente ai fatti osservabili una posizione intermedia, interazionista (Piaget, completabile con Vygotskij) [Ma: v. gli studi pi recenti su Piaget, e il Piaget degli ultimi anni: la conoscenza non n preformata nel soggetto (apriorismo o innatismo), n fissata nel reale da cui ricavarla (empirismo), n unentit trascendentale (realismo trascendentale), ma una costruzione (costruttivismo) dovuta ai processi di astrazione che il soggetto compie non tanto sugli oggetti quanto piuttosto sulle azioni e coordinazioni di azioni, fino ad assumere come oggetto la stessa attivit cognitiva (astrazione riflettente): v. Vygotskij, Piaget, Bruner cit., p.7; v. anche la psicologia culturale dellultimo Bruner, che fa tesoro fra gli altri di Vygotskij; Pe,101-102].

Una linea ascendente con tre momenti di crisi


Lo sviluppo del pensiero come attivit strutturante rappresentabile schematicamente come nella figura. La linea ascendente non retta: i tratti pi ripidi sono momenti di crisi (passaggio da un certo piano dellattivit mentale ad uno superiore, grazie alla comparsa di una capacit nuova e di carattere molto generale); i tratti di crescita lenta rappresentano periodi durante i quali la capacit nuova si consolida, e viene anche utilizzata in modo sempre pi ampio per acquisire ed organizzare le conoscenze. Ogni periodo va collocato nel quadro complessivo dello sviluppo psicologico [Pe,115-117].

Lopera di Piaget
In oltre trenta libri e centinaia di articoli, Piaget (1896-1980) studi la formazione dei concetti da parte del bambino con una teoria essenzialmente dello sviluppo: i bambini sviluppano modalit di pensiero via via pi complesse in conseguenza soprattutto della maturazione, e secondo sia un modello fisso sia un programma pi o meno stabile. Egli si avvicin allo studio dei bambini ponendosi le domande base di un biologo evolutivo (quali caratteristiche dellorganismo consentono di adattarsi al proprio ambiente, quale il modo pi preciso ed utile di classificare gli organismi viventi) [F,43-44; L,62-63]. [v. Dazzi, Vetrone, p.327s]
Metodologia delle ricerche

Nelle sue ricerche, utilizz in particolare tre diversi metodi, spesso adottando procedure sperimentali del tutto o in parte originali: losservazione guidata, osservazione molto attiva e partecipe, praticamente quotidiana, del comportamento dei suoi tre figli, predisponendo la situazione sperimentale e modificandola in funzione delle proprie ipotesi e delle risposte dei bambini; il metodo clinico, conversando con i bambini a partire da domande formulate spontaneamente da loro stessi, seguendo quindi il loro pensiero, senza forzarlo, ma allo stesso tempo conducendolo verso i nuclei problematici che interessano (clinico per le analogie con i colloqui clinici condotti dagli psichiatri o dagli psicanalisti con i loro pazienti); il metodo critico, ponendo il bambino di fronte a una situazione sperimentale basata sullutilizzo di materiali e oggetti ed invitandolo a manipolarli o a utilizzarli direttamente seguendo le istruzioni date dallo sperimentatore (critico perch gli esperimenti presentano sempre uno sviluppo e unarticolazione interna, e culminano in una fase critica, che il soggetto pu affrontare in modi diversi, a seconda del suo livello di sviluppo) [v. Vygotskij, Piaget, Bruner cit., pp.132-143].
Caratteristiche del neonato

Probabilmente il bambino non pensa nel senso in cui normalmente definiamo questi termini. Non ha un magazzino di ricordi, una base di informazioni sulle quali e con le quali pensare. Ci che ha questa piccola macchina sensoriale sono le caratteristiche necessarie per acquisire informazioni. Il bambino, dice Flavell (1985), deve essere predisposto ad elaborare una quantit straordinaria di informazioni, deve essere un sistema soprattutto motivato intrinsecamente (v. p.72); deve essere programmato per focalizzarsi sugli aspetti pi informativi dellambiente (deve quindi rispondere in 32

maniera pi forte alle novit, alle sorprese e alle incongruenze, cercando linaspettato). Secondo Piaget il neonato un sistema cos fatto: esso cerca continuamente e risponde alle stimolazioni, e nel far questo costruisce gradualmente un repertorio di comportamenti e capacit. Inizialmente il sistema limitato ad un certo numero di semplici comportamenti riflessivi; rapidamente, tuttavia, questi comportamenti diventano sempre pi complessi, sempre pi coordinati, ed alla fine finalizzati [L,63].
Invarianti-funzionali

Secondo Piaget necessario distinguere aspetti funzionali e strutturali. Il funzionamento cognitivo definisce il nucleo essenziale e invariante del comportamento intelligente. Si tratta di un processo organizzato e attivo, le cui caratteristiche rimangono identiche a tutte le et, pur applicandosi a contenuti fra loro diversissimi; lesistenza di strutture cognitive ipotizzata da Piaget come il risultato di tale funzionamento. Alla nascita il bambino non possiede strutture cognitive preformate, ma semmai modalit di funzionamento intellettivo, peculiari e immutabili nel corso dellesistenza. Sono queste che, regolando il rapporto fra il bambino e lambiente, permettono la progressiva costituzione di una grande variet di strutture cognitive. Le pi importanti modalit di funzionamento (che Piaget chiama, appunto, invarianti funzionali) sono conosciuti come accomodamento e assimilazione (che realizzano ladattamento) e organizzazione (modo in cui gli atti cognitivi vengono raggruppati e disposti cos da formare sequenze o schemi), caratteristiche distintive non solo del funzionamento intelligente, ma del funzionamento biologico in generale di qualsiasi essere vivente [v. Vygotskij, Piaget, Bruner cit., pp.143-144. F,49-50]. Schema Struttura mentale unitaria, nellambito della quale certi elementi di carattere percettivo, o motorio, o cognitivo, sono saldamente connessi fra loro, nel senso che alcuni di essi ne richiamano, o sono collegati, con altri in un modo ben definito; gli schemi sono strutture flessibili, che possono modificarsi, o duplicarsi, per lazione esercitata dagli elementi di novit. Assimilazione Sinonimo di generalizzazione di uno schema a realt nuove e un po diverse da quella (o da quelle) con cui esso viene abitualmente impiegato. Accomodamento Lo schema si sdoppia, nel senso che accanto ad uno vecchio, che resta valido per casi in cui esso risulta idoneo, se ne forma uno nuovo, valido per situazioni diverse. Equilibrio dinamico Assimilazione e accomodamento non esistono, in realt, come atti distinti luno dallaltro: Laccomodamento delle strutture mentali alla realt implica lesistenza di schemi assimilatori E, inversamente, la costituzione degli schemi da parte dellassimilazione implica lutilizzazione delle realt esteriori alle quali necessario accomodarsi Lassimilazione e laccomodamento sono dunque i due poli di uninterazione tra lorganismo e lambiente (v. La costruzione del reale nel bambino di J. Piaget, La Nuova Italia, p.398). Il meccanismo dello sviluppo, psicomotorio e cognitivo, pu essere dunque descritto come un equilibrio dinamico fra i due processi fondamentali dellassimilazione (della realt a schemi gi posseduti) e dellaccomodamento (di tali schemi ad aspetti nuovi che la realt presenta); lequilibrio dinamico nel senso che spesso si rompe per ricostruirsi ad un livello pi elevato, caratterizzato da un migliore adattamento dellorganismo alla realt, fondato su un maggior numero di schemi, adatti alle diverse situazioni [v. Vygotskij, Piaget, Bruner cit., p.148; Pe,102-105].
Gli elementi che consentono di formare e manipolare i concetti si modificano

Secondo la teoria di Piaget, ci accade mano a mano che dallinfanzia si procede verso ladolescenza. Il pensiero del bambino non dunque una versione immatura del pensiero adulto, ma se ne differenzia per aspetti sostanziali e importanti; questi aspetti posso essere classificati secondo i vari stadi attraverso cui il bambino presumibilmente passa lungo la strada che dalle modalit di pensiero del bambino piccolo porta a quelle delladulto pienamente sviluppato. La velocit di passaggio da uno stadio allaltro, per quanto influenzata dallambiente e dalla ricchezza o meno delle esperienze che esso offre, fondamentalmente governata dai processi maturativi determinati da fattori biologici. Ciascuno di questi stadi si caratterizza per una determinata struttura cognitiva (o pi strutture), ossia per la particolare strategia (o pi strategie) adottata dal bambino nel suo sforzo di organizzare lesperienza e di comprenderla [F,43-44].
Il concetto di stadio

Nasce in psicologia alla fine dellOttocento, come tentativo di trasferire le concezioni embriologiche, neurologiche e antropologiche dellepoca ad un campo ancora privo di bagaglio empirico o sperimentale su cui basarsi. I primi modelli di sviluppo sono quelli di Romanes (1889), Baldwin (1895 e 1915), Sechenov (1935). La posizione di Piaget al riguardo la seguente: per poter parlare di stadio devono essere rispettati i seguenti criteri: 1. gerarchizzazione: lordine con il quale si succedono i diversi stadi deve essere costante ed invariante (il che non determina let alla quale avviene il passaggio da uno stadio al successivo, n esclude accelerazioni o ritardi dovuti ad influenze ambientali) 2. integrazione: il passaggio da uno stadio al successivo comporta sempre unintegrazione gerarchica (ci avviene come risultato di due processi: la ristrutturazione, in cui i contenuti di conoscenza o le operazioni vengono ristrutturati per funzionare a un livello superiore pi differenziato, e la coordinazione, dove loperazione mentale acquisita viene gradualmente applicata a campi diversi conducendo a unintegrazione dei contenuti concettuali stessi) 3. strutture dinsieme e non aspetti isolati: le azioni o le operazioni di un dato stadio non sono semplicemente aggiunte a quelle dello stadio precedente, ma vengono organicamente interconnesse in strutture unitarie, caratterizzate da legami di interdipendenza reciproca (lapparizione di una struttura dinsieme di un determinato stadio dovrebbe 33

quindi permettere di generalizzare un comportamento o unoperazione particolare a tutti i comportamenti o le operazioni dello stesso tipo) 4. consolidamento: in ogni periodo o stadio si possono enucleare due momenti distinti e successivi, il primo in cui vengono acquisiti i nuovi comportamenti; il secondo in cui vi il pieno raggiungimento dello stadio, comprensivo della preparazione per i comportamenti e le operazioni dello stadio successivo (si spiegano cos i dcalages) 5. equilibrazione: la successione degli stadi si caratterizza fondamentalmente per una successione di livelli diversi di equilibrio fra lassimilazione e laccomodamento (sviluppo come transizione fra successivi livelli di equilibrio: lequilibrazione un fattore interno al soggetto, che gli permette di compensare le modificazioni della realt esterna attraverso regolazioni del proprio comportamento) [v. Vygotskij, Piaget, Bruner cit., p.148; Pe,160-163].

Stadio 1. Intelligenza sensomotoria (approssimativamente dalla nascita ai 2 anni)


la forma di comportamento pi semplice e primitiva [per la suddivisione in sotto-stadi: Appendice 1]. Prime settimane di vita: lattivit del bambino sembra avere puramente la caratteristica del riflesso (non si manifesta alcuna attivit di pensiero). Nei primi tempi questi riflessi hanno per oggetto il corpo stesso del bambino. In seguito (48 mesi): questi riflessi sono sempre pi determinati anche da oggetti esterni (interviene un elemento finalistico; il bambino sembra utilizzare sequenze di movimenti volti al raggiungimento di scopi precisi - schemi, che proverebbero la presenza nel bambino di strutture cognitive che gli consentono di collegare le azioni tra loro in unit stabili e ripetibili ). Tra i 12 e i 18 mesi: questi schemi diventano sempre pi complessi. Durante questo periodo: gli schemi utilizzati dal bambino consistono principalmente in reazioni circolari (ripetizioni di unazione originariamente eseguita per caso che ha prodotto risultati piacevoli o interessanti): primarie (periodo iniziale, con scoperta e riproduzione di azioni compiute sul proprio corpo), secondarie (quando il bambino inizia unattivit pi complessa, esercitando azioni anche sullambiente esterno) e terziarie (quando lattivit diventa anche intenzionale e si assiste ad originali sperimentazioni). Le reazioni del bambino continuano ad avere un evidente carattere fisico (non pensa ad una data azione, ma si limita a compierla). Il bambino ora in grado di inventare nuove condotte, non solo di scoprirle; e non procede pi soltanto per tentativi a carattere sensomotorio, ma attraverso una vera e propria rappresentazione (connessione fra significanti e significati: funzione simbolica o semiotica, grazie al quale il bambino apprende luso di indici, segni e simboli [v. p.3]) della situazione. Lintelligenza ormai prossima a impadronirsi del linguaggio. Grazie allimitazione, il bambino impara i luoghi (imitando i movimenti delle altre persone e seguendole), i comportamenti sociali e familiari (copiando i comportamenti di coetanei ed adulti), nuovi comportamenti sociali (come il linguaggio, osservandolo gli altri).

Stadio 2. Il pensiero pre-operatorio (approssimativamente dai 2 ai 7 anni)


Lo sviluppo cognitivo sempre pi dominato dallemergere dellattivit simbolica (si apre la possibilit di interiorizzare le azioni; gioco simbolico [v. p.29]). Con lo sviluppo delle capacit linguistiche i bambini entrano in possesso anche di quelli che Piaget chiama segni (per Piaget la distinzione tra simboli e segni importante: il bambino in grado di utilizzare i simboli che sono motivati prima dei segni che sono invece arbitrari ; pertanto non dobbiamo considerare equivalenti lo sviluppo dellattivit simbolica e quella del linguaggio verbale, anche se vero che le due cose tendono a collegarsi sempre pi via via che il bambino cresce). Sotto-stadio pre-concettuale (2-4 anni ca.): il bambino non sa formare correttamente concetti generali (non in grado di individuare classi di oggetti in modo corretto, e neppure di trarre inferenze transitive, come ad es.: A>B e B>C:allora A>C ); fa invece uso di preconcetti: concetti ancora incompleti e talvolta illogici, per cui il bambino non ancora in grado n di operare inclusioni gerarchiche, n di garantire la permanenza degli oggetti oltre il campo prossimo dellazione (lequilibrio tra assimilazione e accomodamento rimane incompleto e instabile, poich lassimilazione incentrata come nel gioco e non generalizzata, mentre laccomodamento alloggetto-prototipo rimane immaginato come nellimitazione invece di estendersi a tutti gli elementi). La forma di ragionamento utilizzata nota come ragionamento trasduttivo, poich va dal particolare ad altri casi particolari (che scorretto, ma costituisce una prova degli sforzi fatti dal bambino per comprendere la realt). Sotto-stadio intuitivo (4-7 anni ca.): la fase pi studiata da Piaget e collaboratori. Il bambino si muove in direzione di un decentramento e di una maggiore coordinazione, che lo condurranno gradualmente al possesso delle operazioni vere e proprie; per ancora dominato dalla percezione, ed incapace di classificare. Il problem solving soprattutto intuitivo piuttosto che logico (per produrre risposte vengono usate delle immagini mentali anzich regole o principi). Il gioco e limitazione si evolvono in direzione di una loro integrazione: nel gioco simbolico, alla trasformazione assimilativa della realt si associa sempre pi strettamente la sua espressione; mentre limitazione utilizza significanti via via sempre pi adeguati e meno deformati rispetto alla realt. Egocentrismo: incapacit di vedere la realt da un altro punto di vista che non sia quello soggettivo e centrato su se stessi (il bambino incapace di pensare in maniera critica, logica e realistica; non si tratta di egoismo). Accentramento: concentrare lattenzione su uno soltanto degli aspetti di una situazione e nellignorare gli altri, a prescindere da quanto siano attinenti (i bambini si concentrano su un solo aspetto del problema). Fenomenismo: induce il soggetto a rilevare, del mondo esterno, soltanto gli aspetti superficiali e immediatamente evidenti (per es., non riconoscono la conservazione del valore totale di una superficie di cui stata modificata la forma, in quanto a una prima analisi superficiale le superfici appaiono diverse). Realismo: tendenza a dare pi valore ai dati percettivi che a quelli rappresentativi ed a considerare come unica realt quella visibile e materiale; tendenza ad attribuire esistenza reale e attributi materiali a fatti ed eventi psicologici (per 34

es., bambini fino a 6 anni ritengono che si pensi con la bocca o con le orecchie, oppure, poco pi grandi, che al pensiero corrisponda una realt materiale situata nella testa, fatta di aria o sangue). Animismo: tendenza, opposta al realismo, ad attribuire ai fatti e agli oggetti della realt fisica caratteristiche psicologiche (per es., bambini fino a 6-7 anni tendono a ritenere che gli oggetti materiali siano in grado di percepire il loro proprio movimento o la loro distruzione). Finalismo: interpreta gli eventi naturali come mossi da una casualit psicologica; visione "provvidenziale" della natura, per cui tutto tende ad avvenire secondo un certo ordine, in modo armonico, grazie anche all'influenza delle stesse leggi morali che regolano la vita umana. Artificialismo: tendenza a ritenere che tutto ci che ci circonda nel mondo fisico sia stato creato dalluomo per raggiungere propri fini (per es., bambini fino ai 7 anni ritengono che tutte le cose siano state costruite direttamente da Dio o dai primi uomini; anche certi elementi naturali, come le montagne o i fiumi, o certi fenomeni atmosferici, come le nubi, sono dovute all'azione fabbricatrice dell'uomo). Giustapposizione: tendenza ad avvicinare un contenuto mentale allaltro, senza riconoscere i legami logici o causali che li legano (per es., bambini ancora a 7-8 anni tendono ad usare termini come perch o pertanto per abbinare frasi diverse o come semplice collegamento privo di significato causale). Sincretismo: tendenza ad assimilare gli eventi in schemi globali e non strutturati (comprensione globale, indifferenziata, indistinta: la percezione della struttura d'insieme ostacola l'enucleazione e l'individuazione delle singole parti, il tutto resiste alla scomposizione alla quale lo si vorrebbe sottoporre). Irreversibilit: incapacit del pensiero di ripercorrere a ritroso un evento o una situazione percepita, annullandone gli effetti della percezione stessa (per es., un bambino di 4-5 anni non in grado di riconoscere linvarianza del liquido versato da un contenitore stretto e alto a uno basso e largo) [v. p.38].

Stadio 3. Le operazioni concrete (approssimativamente dai 7 agli 11 anni)


Piaget usa il termine operazioni per indicare processi mentali altamente organizzati e particolarmente sofisticati; ne distingue due tipi: quelle logico-matematiche (addizione, sottrazione), e quelle infralogiche (sovrintendono alla capacit di utilizzare le nozioni quantitative e spazio-temporali). Il bambino approda a un sistema simbolico di pensiero organizzato e coerente che lo mette in grado di raffigurarsi lambiente che lo circonda e di intervenire attivamente su di esso; ma si tratta di un sistema ancora strettamente ancorato alle esperienze concrete (nonostante sappia formulare ipotesi anche non avendo sotto gli occhi i concreti dati percettivi sui quali ragiona, e nonostante sia in grado di ovviare a tale mancanza facendo ricorso in modo ridotto al ragionamento astratto, non riesce ancora, tuttavia, a formulare le sue ipotesi se di quei dati non ha gi fatto prima esperienza in un modo o nellaltro). Il bambino tende a descrivere il proprio ambiente piuttosto che a spiegarlo; gli riesce difficile anche verificare correttamente la validit di unipotesi a fronte della realt, e spesso modifica una visione perfettamente corretta della realt in modo da farla quadrare piuttosto che modificare unipotesi. Tuttavia, il pensiero diventa meno egocentrico; il bambino sviluppa sia la capacit di effettuare il decentramento (che il contrario dellegocentrismo) sia la capacit di effettuare loperazione mentale della reversibilit. Al decentramento si accompagna lacquisizione del concetto di conservazione. Aggruppamento operatorio: si realizza adesso un equilibrio mobile (e non pi centrazioni parziali) in cui il pensiero in grado di seguire e coordinare i diversi punti di vista; in tal modo si realizza un effettivo equilibrio fra lassimilazione delle cose allazione del soggetto e laccomodamento degli schemi soggettivi alle modificazioni degli oggetti. Cos, azioni successive vengono coordinate in una unica (transitivit), gli schemi dazione vengono compiuti anche a ritroso (reversibilit), uno stesso risultato pu essere raggiunto attraverso strade diverse (associativit), unazione viene lasciata immutata da unazione che non modifica gli elementi in gioco (identit), unazione ripetuta o resta invariata (tautologia logica) o costituisce una nuova azione (identit numerica). Fra le operazioni logico-matematiche, la prima a comparire linclusione di classi (riesce a considerare contemporaneamente e a confrontare numericamente fra loro un insieme e linsieme superiore di cui fa parte); il bambino costruisce poi tutte le altre: la transitivit (se A=B e B=C allora A=C), la seriazione qualitativa (capacit di costruire serie corrispondenti di oggetti), la corrispondenza biunivoca (a ogni elemento di una prima classe corrisponde uno, e uno solo, degli elementi della seconda). La conquista di tali operazioni consente la comprensione (non pi soltanto intuitiva) dei numeri (il numero riguarda la raccolta di oggetti propriet cardinale e lordinamento in rapporto a numeri pi grandi e pi piccoli propriet ordinale ). Fra quelle infralogiche compaiono le operazioni relative alla strutturazione spaziale: ordine di successione spaziale, inclusione di intervalli e distanze, conservazione di lunghezze, superfici e volume, costituzione delle coordinate spaziali, capacit di elaborare prospettive e sezioni. I progressi realizzati, dal punto di vista logico, sul numero, vengono trasferiti, dal punto di vista infralogico, sulla misura. Le capacit operatorie del bambino si applicano infine anche ai sistemi materiali: vengono cos raggiunte la conservazione della sostanza (7-8 anni), del peso (9-10 anni), del volume (11-12 anni). Siamo di fronte al pi classico esempio di dcalage orizzontale, che Piaget e Inhelder spiegano rilevando che le diverse caratteristiche della sostanza, del peso e del volume sono in grado di influire sullintuizione del bambino, facilitando o ritardando lapplicazione delle operazioni.

Stadio 4. Le operazioni formali (approssimativamente dai 12 anni in avanti)


[v. anche Le problematiche adolescenziali a p.104] La costruzione del pensiero formale consiste sostanzialmente nella ricostruzione delle operazioni concrete a un livello superiore. La differenza consiste nella capacit, da parte 35

delladolescente, di ragionare su ipotesi puramente teoriche per ricavarne conclusioni basate non su dati di realt ma sulla necessit intrinseca del ragionamento stesso. Mentre le operazioni concrete operano sullazione o sulla realt, quelle formali operano sulle operazioni stesse: operazioni di secondo grado. Il pensiero formale ripercorre quindi le stesse tappe percorse dal pensiero concreto operando per a un livello non-verbale, o ipotetico-deduttivo. In virt del nuovo orientamento verso il possibile, e non pi soltanto verso il reale, ladolescente, ogniqualvolta si trova a dover affrontare un problema, cerca di valutare tutti i fattori che possono influire su di esso. Egli ora in grado di procedere sistematicamente a valutare tutte le variabili significative una per una. Questo modo di procedere viene chiamato analisi combinatoria, e permette di valutare tutte le possibili relazioni che intercorrono fra due o pi variabili implicate in un determinato fenomeno. Il pensiero formale consiste quindi in una tendenza generalizzata a organizzare i dati (analisi combinatoria), a isolare e controllare le variabili, a formulare ipotesi, a sviluppare la giustificazione e la dimostrazione logica (Flavell 1963). Questa capacit di pensiero resa possibile anche dalla comparsa di una nuova struttura di pensiero, detta gruppo INRC (trasformazione Identica, Negazione, trasformazione Reciproca, trasformazione Correlativa cio linverso della reciproca ) o delle due reversibilit. Es.: prendiamo la conservazione della sostanza, comprenderla attraverso il pensiero formale significa impiegare tutte le possibilit offerte dal gruppo delle operazioni INRC. Grazie alla Reciprocit (R), il soggetto comprende che l'aumento della larghezza di una certa quantit di plastilina compensato dalla diminuzione della lunghezza. Attraverso la Negazione (N), possibile comprendere che se non si modifica una dimensione, non si ottiene un cambiamento nella quantit di plastilina; la negazione di un'azione, il non agire. L'eventualit di una non-azione pu essere solo pensata, perch non si pu agire una non-azione: per questo che Piaget parla di primato delle affermazioni sulle negazioni, come caratteristica del pensiero concreto che lo diversifica dal pensiero formale. Attraverso la Correlativt (C), possibile comprendere che una palla di plastilina pu essere allungata o riappallottolata senza che la quantit totale sia variata; la messa in relazione fra queste operazioni e lIdentit (I) (che lascia la palla di plastilina come era all'inizio di tutte le trasformazioni) permette di comprendere la conservazione della quantit di sostanza, di peso e di volume della plastilina. Altro es.: i bambini del periodo operatorio concreto, di fronte a un dispositivo come la bilancia a due bracci (esperimento della ricerca del raggiungimento di equilibrio attraverso compensazione), si limitano a riconoscere leffetto di una delle due operazioni (aumentare il peso oppure aumentare la distanza su un solo braccio) e intervengono su una di esse generalmente utilizzando la negazione; i soggetti pi grandi sono invece in grado di individuare tutte e quattro le operazioni (aumentare o diminuire il peso o la distanza su entrambi i bracci della bilancia); soprattutto sono in grado di connettere tutte queste operazioni in un sistema complessivo (al di l di una piena consapevolezza del gruppo INRC), di cui colgono le diverse relazioni [v. anche: R. Vianello, Psicologia dello sviluppo..., cit.: pp. 98-125].

E dopo ladolescenza?
stato dimostrato che in et adulta sono possibili degli importanti cambiamenti (contrariamente al modello dominante della psicologia evolutiva, che ha sempre sostenuto che, dopo ladolescenza, si assiste ad una lunga stasi seguita da graduale declino nella terza et). In realt, persino il pensiero operatorio formale non caratteristico di tutti gli adolescenti, n di tutti gli adulti. Lo sviluppo cognitivo continua anche dopo ladolescenza (Basseches 1984; Labouvie-Vief 1980), ma, invece di diventare pi logico, il pensiero diventa pi relativo, pi propenso al conflitto e pi sensibile alle realt morali, etiche, sociali e politiche. Talvolta, la soluzione pi logica pu essere inadeguata; un ragionamento maturo richiede una pragmatica concreta, che tenga conto di ci che funzioner e di cosa accettabile. Il pensiero della persona veramente saggia considera le implicazioni e scompone in fattori le realt sociali e morali; pi sensibile e tollerante nei confronti di ambiguit e contraddizioni, ed disposto a mettere in gioco una variet di fattori, oltre alla semplice logica. Insomma, il modello piagetiano (ed altri simili) non adeguato per descrivere il pensiero adulto [v. Vygotskij, Piaget, Bruner cit., p.155-158 e 167-186; L,66-75; F,44-50].

Situazioni anomale
Iniziale povert di schemi

Bambini provenienti da ambienti socioculturali depressi, o portatori di handicap... Attivit di apprendimento che possono richiedere iperaccomodamento, svantaggio che rischia di determinare un secondo svantaggio (minor possibilit di trarre profitto dalle esperienze scolastiche).
Primato dellassimilazione

Prevale lassimilazione sullaccomodamento: ci sono momenti in cui ci utile (gioco simbolico, visioni poetiche della realt...), ma ve ne sono molte altre in cui tale primato dellassimilazione rappresenta invece un ostacolo allo sviluppo (rigidit del pensiero, che tende ad inserire forzatamente realt nuove in schemi gi esistenti e non flessibili, deformandole e impoverendole; riguarda sia lalunno sia linsegnante: rigidit cognitiva, pregiudizi).
Primato dellaccomodamento

Prevale laccomodamento sullassimilazione: ci sono momenti in cui ci utile (attivit di imitazione), ma ve ne sono molte altre in cui tale primato dellaccomodamento rappresenta invece un ostacolo allo sviluppo (situazioni in cui vi totale appiattimento sul modello; tendenza ad aderire a modelli del momento) [Pe,105-108].

Riflessi sul piano educativo


Vi possibilit di accelerare i progressi dei bambini attraverso i vari stadi, a condizione che il materiale venga presentato nel modo adeguato [F,54] 36

Spazi allassimilazione, allaccomodamento: come gi detto, importante dare spazio al gioco simbolico e allelaborazione fantastica; ma anche allimitazione. Evitando comunque situazioni estreme. Partire dai prerequisiti esistenti: prendere sempre, come punti di partenza per introdurre conoscenze o abilit nuove, degli schemi percettivo-motori o cognitivi che gli allievi possiedono gi. Anche valorizzando, e poi mettendo in crisi, le interpretazioni spontanee errate (problematizzando); tutto ci vale ancor pi per gli allievi in difficolt o in ritardo (importante, comunque, identificare, procedendo a ritroso, gli schemi cognitivi gi posseduti) [Pe,108-110]. Let cronologica di ciascun bambino fa in un certo senso da guida: occorre che linsegnante tenga presente il livello di pensiero proprio di questa et e poi si domandi se i bambini dimostrano di pensare a questo livello e se il materiale da apprendere viene presentato loro in una forma adeguata. Anche se al bambino devono essere offerte opportunit di elaborare concetti a livelli pi alti di quello proprio della sua et cronologica, non bisogna mai lasciare che egli si senta confuso o senta di dover essere biasimato se il problema consiste nellincompatibilit tra il materiale presentato e il livello di pensiero del bambino steso. Quando si elaborano dei metodi didattici occorre tener conto del livello di sviluppo concettuale del bambino (prima delle operazioni formale, per es., egli ha bisogno di fare concrete esperienze dei problemi da risolvere). Ai bambini devono essere garantiti i benefici di un ambiente ricco di stimoli soprattutto linguistici, e linsegnante deve far s che i suoi alunni comprendano il significato corretto delle parole utilizzate in classe. Lo stesso vale per gli altri segni (matematici...). Il ritardo scolastico legato al livello di pensiero al quale il bambino si trova: i cosiddetti bambini ritardati si trovano a un livello di pensiero inferiore a quello corrispondente alla loro et cronologica; linsegnante di recupero deve garantire che il materiale didattico venga presentato ai bambini in una forma adeguata. Si ipotizza che la litigiosit manifestata da certi bambini giunti alladolescenza sia in parte determinata dal fatto che concetti astratti quali libert, giustizia, verit, altruismo e cos via ora cominciano ad assumere per loro un significato nuovo e pi profondo, e spesso li conducono a giudicare e a rifiutare i valori dei pi grandi. Le et cronologiche assegnate ai vari stadi individuati da Piaget sono soltanto delle approssimazioni; inoltre lo sviluppo dei bambini pu essere diseguale; pu anche capitare che, di fronte a un problema difficile in una situazione ansiogena o carica di tensione, finiscano per tornare temporaneamente a un precedente stadio di ragionamento. Gli errori dei bambini vanno pertanto studiati con molta attenzione [F,55-56].

Fattori dellaccomodamento
Alla semplice assimilazione si sostituisce laccomodamento quando: a) le cose stesse, resistendo a un certo trattamento, obbligano alla produzione di un nuovo schema; b) le persone inducono ad accomodare i propri schemi (un maestro pu intervenire per correggere; un avversario di gioco pu far notare una certa mossa...); c) unattenta riflessione pu portare a scoprire un errore di ragionamento che n le cose n le persone hanno ancora segnalato. Compito dellinsegnante quello di promuovere processi di accomodamento seguendo tutte e tre le vie ora vedute. In altri casi laccomodamento, pi che necessario, pu essere opportuno, o semplicemente possibile: una dimostrazione geometrica sbagliata, limpiego di una metafora non molto felice; a proposito di un giudizio estetico: al fine di rendere consapevole gli allievi di una molteplicit di punti di vista, e della necessit di confrontarsi... [Pe,110-112].

Il rapporto fra sviluppo e apprendimento. La zona di sviluppo prossimale


stato spesso inteso come unidirezionale (solo dopo aver raggiunto un certo livello si possono presentare certe attivit di apprendimento...). Tesi fondamentalmente corretta, ma incompleta. Vygotskij ha messo in luce che questo rapporto invece circolare: non solo il fatto di aver raggiunto un certo livello nello sviluppo rende possibili certi apprendimenti, ma il fatto di presentare al bambino delle attivit di apprendimento che richiedono per essere svolte un livello lievemente superiore a quello che egli ha raggiunto, lo sollecita a passare al nuovo livello, stimola cio lo sviluppo. Perch questo accada per necessario che la distanza fra i due livelli non sia eccessiva: il concetto vygotskijano di zona di sviluppo prossimale (o prossimo) o area di sviluppo potenziale o Zo-ped = Zone of Proximal Development (quei livelli diversi da allievo ad allievo, ma presente in tutti che un allievo non ha ancora raggiunto ma potrebbe raggiungere facilmente se stimolato da compiti ancora un po difficili per lui e se aiutato adeguatamente ad affrontarli). Vygotskij rivaluta, insomma, limitazione: Per imitare bisogna possedere qualche possibilit di passare da ci di cui sono capace a ci di cui non sono capace, scrive lo psicologo russo; dunque la collaborazione un contesto utile per lavanzamento delle proprie capacit: Nella collaborazione il bambino si rivela pi forte e pi intelligente che non nel lavoro individuale e ascende verso un livello superiore di potenzialit intellettive nella soluzione di problemi. Tuttavia c sempre una distanza, regolarmente definita, che segna il divario tra la capacit di lavoro individuale e quella del lavoro in collaborazione. Questo significa che non tutto si pu imitare, ma soltanto qualcosa a cui il bambino potenzialmente gi vicino (apprendimento, questo, specifico del bambino e non di qualsiasi organismo animale). Lapprendimento, per essere fruttuoso, deve quindi certamente agganciarsi nel suo limite inferiore ai cicli dello sviluppo gi conclusi, ma fa leva, poi, sulle funzioni che sono in corso di maturazione. Importante pure il conseguente concetto di impalcatura di sostegno (scaffolding, v. p.64), traduzione operativa sul versante psicoeducativo dellintuizione vygotskijana da parte di Bruner [v. anche p.70 Lapprendimento: Linterazionismo socio-culturale]: nei primi stadi dellapprendimento, essa essenziale (per es.: il bambino in et prescolare, che non sa niente sulla importanza delle lettere dellalfabeto, difficilmente scopre da solo o inventa i diversi suoni che esse rappresentano; parlando, dimostrando, indicando, correggendo, leducatore costruisce per lui delle impalcature); via via che il bambino inizia ad imparare, la natura dellimpalcatura richiede dei cambiamenti. La zona di sviluppo prossimale descrive quei 37

compiti in cui il bambino richiede unimpalcatura (dimostrare come fare le cose, spiegare procedure, fornire modelli, formulare domande, correggere errori, motivare) [v.Vygotskij, Piaget, Bruner, cit.,pp.55,61-65,97,257-258,304 e Appendice 2; L,82; Pe,112-113].

La relativa maturit dei tre anni


[V. tavole allegate a Trattato enciclopedico di psicologia dellet evolutiva Vol. I tomo II, cit.] Psicomotricit: ha saldamente acquisito due schemi fondamentali, quello della prensione e quello della deambulazione (per entrambi i casi ha dato avvio da tempo a una differenziazione dello schema-base in tanti schemi psicomotori distinti; la differenziazione e laffinamento continueranno negli anni successivi, giungendo a combinarsi fra loro e con altri schemi). Percezione: riesce a cogliere delle somiglianze e delle differenze (purch abbastanza vistose) fra gli oggetti, o gli animali, o le persone che vede per la prima volta, e distingue molto bene luno dallaltro oggetti o animali o persone che gli sono abbastanza familiari. Ha anche appreso che certi indizi preannunciano certi eventi. Le manipolazioni di oggetti e materiali compiute durante il secondo e terzo anno, gli hanno permesso di scoprire una grande variet di propriet materiali e funzionali, le quali si sono poi incorporate nellimmagine percettiva degli oggetti, cos che ora gli basta guardare gli oggetti per coglierli direttamente. Capacit rappresentativa: diviene capace di farsi tornare alla mente ricordi di luoghi veduti, di cose fatte, limmagine di oggetti osservati altrove ed ora non pi visibili; diviene anche capace di immaginare situazioni future. Tutto ci ha riflessi su molte altre capacit o attivit. Linguaggio verbale: conosce un numero notevole di parole; riesce a pronunciare frasi semplici ma sintatticamente abbastanza corrette, anche se poi le collega fra loro quasi solo nella forma della coordinazione e non ancora in quella, psicologicamente e linguisticamente pi complessa, della subordinazione. Dopo i 18 mesi compare anche una funzione evocativa; e passa da espressioni costituite da una sola parola (con valore olofrastico) a frasi composte da almeno due parole, in cui una delle due riguarda ormai solo loggetto (il significante, che pu servire ad evocarlo qualora manchi). Imitazione: dopo i 18 mesi limitazione, da immediata, si fa anche differita. Gioco: ora diviene simbolico [Pe,117-120].

Scuola per linfanzia


Rafforzare la nuova capacit: 1) Si dovrebbe dare largo spazio al gioco simbolico, sia individualmente sia collettivamente. Allelemento ludico si mescolano un elemento imitativo e una buona dose di fantasia, che si traduce spesso in una fabulazione linguistica (il bambino dichiara la situazione che sta ludicamente vivendo - Io ero... -, esprime a parole ci che sta pensando, o commenta ci che sta facendo, talvolta parlando solo con se stesso o con i propri giocattoli). 2) Bisognerebbe dare larghissimo spazio al racconto e alla lettura di fiabe, o di altre storie ove si parla di bambini, e di animali o di personaggi della vita quotidiana che il bambino conosce bene (raccontando o leggendo lentamente, il bambino riesce, nei momenti di sospensione, a raffigurarsi a proprio modo i luoghi, e ad anticipare il possibile andamento della vicenda narrata, verificando subito dopo se le cose sono andate come ha sperato o temuto); alternando alle fiabe le filastrocche, poi, si fanno compiere ai bambini esperienze relative alla rima, al ritmo, alla musicalit delle parole e dei versi. Importante anche saper distinguere lattivit del leggere da quella del raccontare... 3) Il bambino dovrebbe essere circondato da libri di immagini e da libri-gioco, da sfogliare insieme alladulto, e pi tardi da utilizzare anche da solo. 4) Massima libert di produrre egli stesso delle immagini, e di disporre con facilit dei vari materiali necessari per farlo. Il disegno figurativo appassiona i bambini; compare verso i tre anni e, secondo Luquet, attraversa varie fasi (1 fase, del realismo fortuito: scarabocchio, magari completato, a cui viene attribuito un significato, giungendo ad elaborare in modo fortuito i primi modelli interni; 2 fase, del realismo mancato: disegni con i quali i bambini cercano intenzionalmente di riprodurre certi elementi del reale, senza per riuscire ancora a farlo in maniera soddisfacente - dal punto di vista adulto, giacch per il bambino quei disegni rendono bene quanto egli riuscito a leggere negli oggetti, quanto lo ha particolarmente colpito di una corretta rappresentazione della realt; 3 fase, del realismo intellettuale - che riguarda la scuola elementare -, caratterizzata dal tentativo del bambino di raffigurare le cose come le conosce) [Per approfondire v. Appendice 3]. Favorire la nuova crisi di crescita: non bisogna trascurare di favorire lo sviluppo ulteriore di altre capacit che sono gi presenti ma in forma ancora solo germinale (come quella di esplorare e analizzare oggetti e luoghi, o quella di stabilire dei confronti e cogliere somiglianze e differenze) [Pe,120-124].

Dal pensiero intuitivo al pensiero operatorio e reversibile


Pensiero intuitivo: un pensiero che ancora largamente dominato dalle sue radici percettive. Il bambino tiene conto soprattutto dellaspetto attuale di un oggetto e sembra dimenticare laspetto precedente una trasformazione subita; o, se sollecitato, riesce a immaginarselo ma a condizione allora di non tener conto dellaspetto attuale (a 4-5 anni il pensiero ancora irreversibile, mentre a 8 il bambino in grado di tornare col pensiero ad una prima fase di un esperimento senza perdere mai di vista lultima). Il pensiero irreversibile anche pre-operatorio: a 4 anni i bambini non riescono a mettere attivamente in rapporto aspetti lontani, che non tendono a richiamarsi (il pensiero operatorio si rivela pienamente nelle situazioni del comporre e scomporre una totalit ove le parti non richiamino il tutto, e viceversa: come per es. nell'addizione) [Pe,124-127]. 38

Scuola primaria
La seconda crisi di crescita, iniziata al termine della scuola materna, prosegue e si conclude nel primo ciclo della scuola elementare; essa si verifica prima e pi facilmente per certi aspetti della realt (ad es. la conservazione del peso dellacqua travasata), e invece dopo e con pi difficolt per altri (ad es. quando sono richiesti pi di due dati da tenere mentalmente presenti e da mettere in rapporto). Gran parte degli apprendimenti della scuola primaria (come gi una parte di quelli dellultimo periodo della scuola per linfanzia) favoriscono lo sviluppo, il rafforzamento e la generalizzazione del pensiero reversibile e operatorio. Ci non significa che il pensiero intuitivo precedente del tutto abbandonato: il bambino resta ancora capace di pensare per immagini di oggetti, per scene isolate. Ma non v dubbio che le attivit di apprendimento richiedono in genere che pi contenuti vengano tenuti mentalmente presenti, e messi fra loro in rapporto in vario modo (nellaritmetica e nella geometria; nella lettura, dove le parole vanno tenute in rapporto tra loro e magari pluri-contestualizzate per scoprirne il significato, nonch cercate nel vocabolario dove sono definite per genere e specie; nella storia e nella geografia; nelle scienze; nel disegno [e nella musica? v. De Natale e Della Casa, per es.]) [Pe,128-131].

La terza crisi di crescita e il pensiero ipotetico-deduttivo


Il pensiero ipotetico-deduttivo, o complesso, si verifica verso i 12 anni. Ipotetico: il ragazzo diviene capace di sviluppare ragionamenti che hanno come punto di partenza delle situazioni ipotetiche (che iniziano con un se...). Deduttivo: la capacit di trarre da tali premesse ipotetiche conseguenze (...allora...) compiendo delle affermazioni, o formulando delle previsioni. Complesso: tali situazioni ipotetiche sono generalmente due, o pi, e le conseguenze si possono trarre solo coordinandole fra loro. Siamo di fronte a un pensiero col doppio se (o con un se plurimo). Bambini di 8-9 anni riescono a immaginare due ipotetiche situazioni, ma solo una dopo laltra. La capacit di pensiero ipotetico una conquista che si delinea nellet della scuola media, ma va rafforzata ed estesa nel periodo successivo, in modo che risulti applicabile a situazioni via via pi complesse (pena la permanenza di errori logici anche in et adulta). La scuola secondaria dovrebbe, quindi, fornire frequenti occasioni di esercizio, e sensibilizzare ai possibili errori logici che si possono commettere (del tipo: a implica b, allora b implica a; a = ragazzo poco dotato; b = andar male a scuola... tendenza di molti adulti a rovesciare i rapporti di implicazione) [Pe,131-133].

Scuola media
Molti dei contenuti dellinsegnamento medio richiedono, per essere compresi, appunto un ragionamento col doppio se: lalgebra (una lettera pu essere rivestita di innumerevoli valori possibili, pu soddisfare cio innumerevoli ipotesi, nellambito di un rapporto che resta inalterato); la geografia astronomica; la biologia (con il se ed il se non); lo studio di eventi storici, di fenomeni economici; la lingua; le scienze (nellacquisizione delle capacit di progettare ed eseguire in forma rigorosa un esperimento; la conoscenza di s e degli altri; le probabilit) [Pe,133-135].

Mutamenti nei rapporti con gli insegnanti


Nel preadolescente: comparsa di (nuovi) interessi epistemici (per le conoscenze, ed anche per il modo in cui gli uomini hanno operato per entrarne in possesso: non casuale, a questa et, linteresse anche per i racconti polizieschi; maggior interesse per vari lavori). Importanza del dare a tutte le discipline una dimensione storica. Gusto del ragionare (non basta presentare le cose, bisogna anche dimostrarle); desiderio di discutere (ma alla pari; importanza della discussione di gruppo, e della pazienza rispetto ai modi adolescenziali un po astratti e poco vari di ragionare) [Pe,135-136].

Anche per la fantasia vi sviluppo


La fantasia si manifesta con lapparire dellattivit rappresentativa; trova nuove possibilit quando il pensiero diviene reversibile; e altre ancora ne trova quando il pensiero raggiunge il livello ipotetico-deduttivo. Va favorita: dando ampio spazio ad attivit, specifiche dei vari livelli, che introducono il soggetto in un mondo fabulato ove la necessit di immaginare per proprio conto quanto viene solo accennato, e i possibili processi di identificazione, lo portano via via a divenire qualcosa di pi di un semplice fruitore. Ma anche dando largo spazio a quelle attivit che fin dallinizio lo possono vedere protagonista (gioco simbolico, disegno, brevi storie da costruire, sceneggiature...). Occorre ovviamente tener conto dellevoluzione degli interessi cognitivi nellarco di vita che va dalla prima infanzia alladolescenza: evoluzione che va dal mondo familiare a quello degli amici e al pi ampio mondo sociale; dai paesaggi vicini e noti a quelli esotici e lontani; dagli eventi naturali direttamente percettibili a quelli che richiedono unattivit rappresentativa complessa. E vede diventare sempre pi centrale il problema dellelaborazione del senso della propria identit [v. anche La creativit, p.22; Pe,137-138].

Critiche mosse a Piaget


stato accusato di non aver utilizzato dei campioni di popolazione sufficientemente ampi, analisi sofisticate e controlli adeguati. Sembra avere sottovalutato le capacit del bambino piccolo (e sovrastimato le capacit operatorie formali degli adolescenti). Decentramento: esistono oggi dati che dimostrano che persino i bambini che si trovano allo stadio pre-operatorio riescono a compiere questa operazione, purch vengano prima sottoposti a una prova che rifletta unattivit in cui si sono 39

gi personalmente impegnati (per es.: il nascondere...). Dovremmo quindi affermare che in genere il pensiero dei bambini di tipo egocentrico. Bruner in merito allegocentrismo infantile piagetiano: gli studi sullattenzione condivisa tra madre e bambino, mostrando come questi gi intorno ai 12 mesi utilizzi lo sguardo materno come costante feedback rispetto agli stimoli forniti dallambiente, suggeriscono di rivedere lassunto relativo allincapacit infantile di assumere il punto di vista altrui. Piuttosto, come sottolinea anche Nelson (1989), il bambino a questa et, e per un paio danni ancora, non possiede un sufficiente numero di script, scenari, o strutture schematiche di eventi tale da permettergli di fronteggiare ogni situazione. Il problema, quindi, non tanto a livello di competenza, quanto di performance in situazioni non note. A proposito dei sistemi antecedenti la comparsa del linguaggio, poi, Bruner fa notare come lacquisizione del linguaggio richieda come prerequisito la presenza sistematica di scambi e di transazioni fra adulto e bambino. Infine, una serie di studi sul soggetto conoscente in rapporto al suo mondo sociale ha permesso di evidenziare come gi in et prescolare il bambino arrivi a comprendere che le azioni umane sono guidate da stati mentali quali credenze (corrette o meno), desideri, intenzioni e stati affettivi. possibile che i problemi posti ai bambini nelle prove impediscano o rendano difficile una loro risposta corretta in quanto i bambini tendono a interpretare le parole ivi utilizzate non nel loro significato generale, ma allinterno di quello che per loro il senso della situazione. Il fatto che non siano in grado di dare risposte corrette, sarebbe dunque per lo pi da attribuire al frequente uso, in tali prove, di espressioni come diverso da, lo stesso che, meno, pi lungo, pi corto, e cos via: espressioni di questo tipo possono essere interpretate dai bambini come riferite allapparenza di un oggetto piuttosto che alle sue dimensioni effettive. Vygotskij sul linguaggio: secondo Piaget, il pensiero autistico rappresenta la forma iniziale del pensiero, la logica compare relativamente tardi e il pensiero egocentrico occupa il posto intermedio, livello transitorio nello sviluppo del pensiero dallautismo alla logica. Dopo varie ricerche sperimentali, Vygotskij sostiene che il linguaggio prima di tutto sociale, poi egocentrico (con la funzione di render cosciente a se stesso la situazione), quindi interno (rappresenta il trapianto sul piano interiore della funzione di pianificazione e controllo del proprio comportamento, svolta in precedenza da quella forma transitoria che il linguaggio chiamato egocentrico, che si presenta sul piano esterno [v. anche p.10). Conservazione: la apparente mancanza di questo concetto nel bambino potrebbe essere causata dal suo modo particolare di tentare di risolvere il problema (associazione nella loro mente tra il pi e lapparenza mutata e allungata del liquido). Concetti: se invece di materiale verbale si utilizza materiale iconico con bambini che si trovano nel sottostadio del pensiero pre-concettuale, essi appaiono capaci di elaborare concetti non solo specifici, ma anche generali. Ragionamento transitivo: i bambini allo stadio pre-concettuale sono capaci di comprendere ragionamenti transitivi a patto che venga fornita loro una preparazione preliminare e che vengano prese misure per impedire cadute della memoria mentre essi eseguono vari raffronti. Gelman e colleghi (1982, 1986) descrivono due tipi di conoscenze numeriche che appaiono durante il periodo prescolastico: I) Le capacit di astrazione dei numeri = offrono al bambino la comprensione dei numeri o della quantit, e sono regolate da alcuni principi, tra i quali: il principio uno-ad-uno (bisogna assegnare un solo numero ad ogni elemento che viene contato), di ordine stabile (lordine corretto per contare uno-due-tre), di ordine cardinale (lultimo numero assegnato quello che indica la quantit della collezione), di astrazione (tutto pu essere contato), e di irrilevanza dellordine (lordine del conteggio irrilevante per lesito finale delloperazione di conteggio). I bambini di 2-3 anni spesso si comportano come se conoscessero questi principi, anche se possono fare ancora degli errori (spesso sistematici) nel loro conteggio. II) Ragionamento numerico = consente al bambino di ragionare e prevedere lesito di semplici operazioni numeriche. Questi due tipi di attivit cognitive, complesse ed importanti, illustrano le conquiste cognitive del bambino in et prescolare, in contrasto con la descrizione piagetiana del bambino intuitivo, prelogico e preoperatorio. Le ricerche di Piaget hanno posto le basi per tutte le ricerche successive; egli entrato nel mondo del bambino cercando di comprenderlo dal punto di vista del bambino stesso. Nessuno ha contestato la scoperta fondamentale di Piaget secondo cui la capacit di comprensione dei bambini determinata dal loro grado di capacit di elaborare del concetti e di costruirsi un modello interno di rappresentazione della realt esterna che ad essa si avvicini. La teoria piagetiana, come altre teorie, semplicemente una metafora: una metafora filosofica/biologica intesa a spiegare ladattamento intellettuale attraverso la crescita delle capacit e funzioni intellettive. Alcune delle critiche mosse a Piaget nascono da un fraintendimento della metafora e delle intenzioni di base della teoria, e da unapplicazione troppo ristretta dei suoi principi [v. Vygotskij, Piaget, Bruner cit., pp.81-87, 327, 286, 335; F,50-52; L,75-77].

Altri approcci allo sviluppo cognitivo


Vygotskij

[v. anche p.21] Lo sviluppo ontogenetico consiste nello sviluppo del comportamento culturale o comportamento mediato dai segni. Si tratta della trasformazione dei processi psichici naturali in processi superiori o culturali, ossia come passaggio dellindividuo dal sapere semplicemente dispiegare, usare la sua dotazione naturale (dimensione biologica) al saperla controllare e dominare grazie allinnesto su di essa dei segni, prodotti storici delluomo, mediatori dellinterazione sociale (dimensione culturale). Si ipotizza un cambiamento di origine comunicativo-culturale: le funzioni psichiche culturali sorgono solo nei processi di comunicazione e di attivit degli uomini tra loro. Le forme di comunicazione e di organizzazione sociale (i segni) che gli adulti impiegano nellinterazione con il bambino, guidandone e regolandone il comportamento, vengono dal bambino interiorizzati e utilizzati per regolare da se stesso il suo com40

portamento. Ogni funzione psichica superiore rappresenta una relazione sociale interiorizzata; i segni, nel corso dello sviluppo individuale, sono inizialmente mezzi dinterazione e di funzionamento sociale e, successivamente, trasferendosi allinterno del sistema psicologico del bambino, diventano mezzi di organizzazione e di funzionamento psichici individuali. Il paradigma evolutivo, secondo Vygotskij, quello esposto in occasione delle critiche mosse a Piaget in merito al linguaggio (v. p.40): la legge generale quella stessa che definisce il passaggio da funzioni interpsichiche, cio condivise inizialmente tra persone, a funzioni intrapsichiche, proprie della persona sul piano individuale. Non una socializzazione progressiva, apportata al bambino dallesterno, ma unindividualizzazione progressiva, nata sulla base della socialit intrinseca del bambino. Cos per il linguaggio. E lattenzione: in una prima fase sono gli altri che agiscono intorno al bambino, prendendolo come riferimento; poi si instaura uninterazione reciproca tra il bambino e gli altri che lo circondano, e su questa base il bambino comincia a esercitare la sua azione nei confronti degli altri; da ultimo, il bambino comincia a esercitare unazione nei confronti di se stesso. Similmente procede lastrazione, che diviene mediata e teorica quando il sistema dei simboli numerici si sostituisce alle forme esteriori di valutazione a occhio: se si d al bambino di 4-5 anni un certo numero di cubetti e gli si chiede di distribuirli in parti uguali, il bambino sar messo in condizioni di confrontare le quantit di cubetti che avr diviso; non possedendo ancora procedimenti di calcolo astratto, dar ai cubetti una certa configurazione e confronter questa, in base a caratteristiche puramente percettive, tra i vari mucchi; verso i 9-10 anni riuscir invece ad adoperare forme di calcolo astratto che prescindono interamente dalle caratteristiche percettive degli insiemi dei cubetti (sar in grado di contare la quantit astrattamente, servendosi della serie di numeri come mezzi per organizzare la quantit concreta; e di valutare astrattamente la nozione di pari e dispari). Infine, lo sviluppo dei concetti. Vygotskij progett, con alcuni collaboratori, una serie di blocchi di legno che potevano essere raggruppati in quattro categorie costituenti i concetti polidimensionali (il nesso criteriale doveva essere svolto da sillabe senza senso, da cui partire per abbinare i vari blocchi i quali, oltre che da sillabe, erano caratterizzati da forme, dimensioni e colori diversi). Fase dei mucchi sincretici = dapprima il bambino procede per tentativi ed errori e costruisce dei mucchi sincretici, poi adotta come criterio principale il campo visivo (posizione che i blocchi occupano nello spazio), quindi la decisione attuata in base alle organizzazioni sincretiche dei blocchi gi presenti davanti al bambino. Fase dei complessi-pseudoconcetti = i complessi sono costruiti a partire dallastrazione di un nesso oggettivo: prima si osserva un tipo di complesso in cui si ha un criterio associativo tra due casi specifici (due blocchi messi assieme per qualche loro aspetto che lui accomuna), poi abbiamo le collezioni (insiemi di oggetti collegati per la complementarit di qualche aspetto), successivamente vi il complesso-catena (unificazione di singoli anelli in base a un attributo che varia da anello ad anello, si arriva cos al complesso diffuso (caratterizzato dalla fluidit dellattributo che viene scelto per la sua costruzione), infine prima del concetto propriamente detto c lo pseudo-concetto, una riunione composita di oggetti concreti che per laspetto esteriore coincide con il concetto, ma per la sua natura genetica non affatto un concetto (il bambino accosta al blocco campione delle figure che potrebbero essere scelte e accostate in base a forme di pensiero concettuale, per es. scegliendo tutte le figure triangolari, ma nella dinamica dellesperimento mostra delle generalizzazioni limitate a un certo punto da nessi evidenti e concreti). Fase dei concetti = prima di tutto si presentano delle dinamiche di discriminazione, scomposizione analitica e composizione attuate in base a impressioni di somiglianza pi che non a reale comunanza di tratti; poi abbiamo concetti potenziali, con presenza di astrazione isolante che individua il tratto criteriale o definiente, ma nella loro potenzialit non divengono effettivi concetti perch nella definizione del tratto restano legati a caratteristiche funzionali (es.: chiedendo al bambino che cosa la ragione, ci si sente rispondere con un esempio pratico concreto: quando fa caldo e non bevo.); si arriva la concetto vero e proprio quando una serie di propriet astratte sono sintetizzate ulteriormente e quando la sintesi astratta ottenuta in questo modo diventa la forma fondamentale del pensiero mediante cui il bambino coglie e concettualizza la realt circostante. attraverso la parola che il bambino centra la attenzione sui tratti definienti il concetto, li sintetizza e al tempo stesso li simbolizza. Soltanto nelladolescenza il ragazzo diventa capace di usare la forma pi elevata di pensiero concettuale e spesso, sia nelladolescente sia nelladulto, nella vita quotidiana non si riscontrano queste forme [v. Vygotskij, Piaget, Bruner cit., pp.3-4,61,73,85,87-94; F,53].
Bruner (n. 1915)

Distinguiamo tre centrature tematiche della vita dello studioso. Periodo di formazione e fase del New Look: limpegno soprattutto nel campo della percezione (memoria, influenze dellintenzionalismo euristico di Tolman; contrasti con il behaviorismo imperante e influenza della Gestalt, con approdo al New Look di Harvard dopo 1945). Periodo dello studio del pensiero (dal 1952-53): Progetto-cognizione e studio dei concetti, confronto con le posizioni di Piaget e, pi influente, Vygotskij, esperienza di Woods Hole del 1959 e principio del learn to learn, tre tipi di sistemi di rappresentazione delle conoscenze [v. p.61] e interesse sempre pi evidente per la zona di sviluppo prossimale e gli amplificatori culturali di Vygotskij). Dimensione culturale: interesse per il linguaggio e la trasmissione culturale (filosofia del linguaggio di Oxford, enfasi sugli aspetti pragmatici, osservazioni a Chomsky, concetto di format). Appartiene alla prima delle tre centrature evidenziate lidea dei tre sistemi di rappresentazione delle conoscenze. Bruner sostiene che gli individui passano attraverso tre stadi principali nella loro acquisizione dei processi tipici del pensiero maturo delladulto: sistema attivo (legato allaspetto sensomotorio, al contatto e alla manipolazione dellambiente: nei primi anni di vita si impara facendo e lazione viene poi interiorizzata), sistema iconico (legato alle percezioni di vista e udito, apprendimento che si genera dallosservazione del fare, osservando e imitando modelli), sistema simbolico (legato alle capacit linguistiche: avviene attraverso il linguaggio, che un sistema di simboli per in41

terpretare i quali necessario conoscere il codice). Di ogni capacit o conoscenza esiste unadeguata versione che pu venire impartita a qualsiasi et si desideri cominciare con linsegnamento, per quanto iniziale e preparatoria questa versione possa essere [v. anche p.60 e altri testi sullargomento: Guida alla didattica per concetti di Damiano E., Juvenilia, in partic. pp.225-237; Appendice 4]. Si differenzia nettamente da Piaget affermando che, anche se acquisiamo questi stadi in ordine cronologico, li conserviamo e utilizziamo tutti e tre tutta la vita. Appartiene invece allultima centratura bruneriana il concetto qui di seguito esposto, chiaramente interazionista, di sviluppo infantile (fenomeno sociale/fenomeno culturale): lo sviluppo infantile consiste sostanzialmente nella realizzazione delle potenzialit presenti nelle capacit del neonato: mentre la capacit di attuare un comportamento intelligente ha radici profonde, lesercizio di tale capacit dipende dal fatto che lindividuo si appropri di strumenti e di tecniche che non esistono nel patrimonio genetico, ma nella cultura. Ci significa che lo sviluppo infantile non pu essere esclusivamente un fenomeno individuale, bens deve essere sociale, poich solo nel rapporto interattivo il bambino in grado di appropriarsi delle tecniche e degli strumenti della sua cultura di riferimento [v. Appendice 5]. Linterazione fra madre e bambino non svolge soltanto la funzione di promuovere lo sviluppo delle capacit e delle competenze del bambino in quanto soggetto psichico, ma anche quella dintrodurlo progressivamente nel sistema culturale di riferimento [v. Appendice 6; v. Vygotskij, Piaget, Bruner cit., p.232-272, 275; F,52-53; v. anche p.21. V. anche: R. Vianello, Psicologia dello sviluppo..., cit.: pp. 161-208].

Lo sviluppo affettivo
[V. anche: Il S, p.89; Emozioni e sviluppo, p.98].

La natura dei rapporti affettivi


La valenza positiva che caratterizza la figura dellinsegnante si estende anche alle cose che dice, alle attivit che propone. Vi sono poi situazioni di insuccesso scolastico parziale che riguardano ragazzi peraltro dotati e studiosi, le quali si risolvono solo quando ha luogo un cambiamento dellinsegnante. Qualcosa di analogo ha luogo anche per quanto riguarda la formazione della personalit, il piano pi propriamente educativo. Che significa, in termini psicologici, che un bambino o un ragazzo vuole bene a un certo adulto, ovvero legato a lui da un rapporto affettivo positivo? Significa: che tale adulto gli appare connotato da una valenza positiva abbastanza stabile; che esso appare al bambino o al ragazzo come una sorta di prolungamento e completamento della sua personalit, come una parte sostitutiva del suo io psicologico [Pe,139-141].

Come si stabilisce un rapporto affettivo


Sviluppo affettivo: graduale formarsi nellindividuo di rapporti sempre pi numerosi, che riguardano dapprima solo la figura materna, poi anche altri familiari, e pi tardi anche persone esterne alla famiglia (insegnanti, amici, coetanei dellaltro sesso, ma anche animali, oggetti, luoghi). Nel caso dei genitori: si manifesta molto precocemente (anche negli animali superiori) il meccanismo dellattaccamento (il bambino nel primo anno di vita cerca di trattenere o di richiamare accanto a s, con il sorriso che compare gi allet di due mesi - e il pianto, la figura o le figure che gli stanno intorno e si occupano di lui; quando diventa capace di muoversi, cerca di stare vicino a loro, di seguirle [v. anche: M. G. Contini, Per una pedagogia delle emozioni, La Nuova Italia, 1992, 147-153ss]), che dal punto di vista biologico garantisce una maggiore protezione contro i pericoli, una pi alta probabilit di sopravvivenza, e perci si via via fissato attraverso la selezione naturale [v. p.45 e Appendice 6 bis]. Nel caso degli insegnanti, invece si manifesta un altro meccanismo, negli anni successivi e fino allet adulta: il bambino o il ragazzo stabilisce rapporti affettivi positivi nei confronti di quelle persone che concorrono, in modo significativo e costante, a soddisfare i suoi bisogni di crescita (laltro diviene un prolungamento della propria personalit, o addirittura una parte essenziale). Che questo rapporto di stabilisca e poi via via si rinsaldi, dipende dagli atteggiamenti che quotidianamente assumono i genitori e da ci che concretamente fanno per aiutare il loro figlio a crescere psicologicamente (bisogna: parlare spesso col bambino e offrirgli stimoli percettivi; aiutarlo a camminare, a salire o a scendere le scale e ad andare sul triciclo; raccontargli fiabe, fornirgli materiali di gioco - e giocare con lui - e materiali figurati - e guardarli con lui -; soddisfare le sue curiosit, e non limitare la sua libert di fare esperienze nuove - come quando si iperprotettivi -, essendo sempre disponibili a dare una mano o un consiglio, se richiesto; mostrare interesse per tutto quanto il figlio fa, valorizzando i suoi tentativi e i suoi prodotti, e sviluppando in lui un senso di fiducia in se stesso, di autostima, promuovendone lautonomia) [Pe,141-142].

Stima e affetto per linsegnante


Importante che linsegnante: sia in grado di proporre le cose giuste al momento giusto; abbia una buona capacit di cogliere i problemi dei singoli allievi; abbia una costante disponibilit a dare loro un consiglio, una rassicurazione, e un aiuto a conquistare gradualmente una capacit di autonomia. Scuola dinfanzia : i bisogni di crescita si esprimono soprattutto come desiderio di muoversi, di giocare e soprattutto di sviluppare giochi simbolici, di sentir leggere o raccontare (fiabe, favole, filastrocche), di guardare delle immagini e di produrne (attraverso il disegno, luso dei colori, i materiali plastici, la ricostruzione di un puzzle); come interesse per losservazione diretta di oggetti, luoghi, fenomeni nuovi [e suoni e musica?].

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Scuola primaria: permangono alcuni dei desideri ed interessi di prima; si aggiungono linteresse per i giochi sociali in genere, per la conoscenza anche di certe realt non direttamente (o non interamente) osservabili (eventi della storia, vita degli animali, modi in cui luomo ha affrontato e risolto certi problemi). Il periodo dai 6 ai 12 anni un periodo doro per lo sviluppo cognitivo (il bambino non pi turbato, come invece a 4-5 anni, da tensioni emotivo-affettive che riguardano la sua cerchia familiare e che formano il complesso di Edipo; n gi alle prese con i problemi personali della seconda-terza media). Scuola media: cresce via via il bisogno di indipendenza (linsegnante si conquista stima e affetto se, oltre a favorire lo sviluppo delle conoscenze in maniera idonea, lascia ampio spazio alla discussione di gruppo condotta alla pari, mostra rispetto per le opinioni degli allievi e interesse per i loro problemi, li rassicura con valutazioni positive rivolte alla loro persona); si fa acuta la ricerca della propria identit; viene avvertito sempre pi fortemente anche il bisogno di prendere una posizione personale nei confronti dei grandi problemi di carattere ideologico, politico, sociale (e qui linsegnante dovrebbe aiutare i propri allievi a conoscere sempre meglio se stessi e il mondo, e ad orientarsi di fronte al loro futuro ed ai problemi esistenziali). In certi casi gli insegnanti si trovano a dover svolgere anche una funzione di compensazione e vicarianza [Pe,143-145].

Lambivalenza affettiva
Anche quando il rapporto fra adulti ed allievi molto buono, la situazione non quasi mai univoca, soprattutto in determinati momenti dello sviluppo (come quello che corrisponde al dispiegarsi del complesso di Edipo, e quello adolescenziale). Accanto a sentimenti positivi di affetto, convivono nel bambino o nel ragazzo, nei confronti della medesima persona, anche sentimenti opposti (timore, insofferenza, risentimento); prova ammirazione e affetto per ladulto, e tuttavia lo vive anche come una fonte di limitazione del suo desiderio di indipendenza. Linsegnante pu fare in modo che la componente negativa sia ridotta al minimo: limitando allo stretto necessario quegli atteggiamenti o interventi nei quali essa trova alimento. E pu altres assumere atteggiamenti che manifestano rispetto per lindividualit del bambino, attenzione ai suoi bisogni di crescita, disponibilit a dargli aiuto tutte le volte che ne sente il bisogno, offrendo continuo alimento a i suoi interessi, esprimendo una valutazione positiva per le cose che fa, aiutandolo a sviluppare fiducia in se stesso. In qualche caso, e soprattutto nel periodo adolescenziale, lammirazione - superando anche lidentificazione parziale o totale - si traduce in un vero e proprio innamoramento, generalmente di breve durata (infatuazione): si manifesta pi spesso nelle ragazze nei confronti di un loro insegnante. In questi casi, linsegnante dovrebbe evitare di dare allallieva limpressione che si reso conto della situazione (lallieva tende a tenere nascosti questi suoi sentimenti, per lambivalenza ed il timore del ridicolo), mantenendo nei suoi confronti lidentico comportamento di prima, e limitandosi ad attendere che linfatuazione si attenui fino a scomparire [Pe,145-146].

Lo sviluppo sociale e morale Il rapporto affettivo gi una forma di socialit


Vi sicuramente una socialit familiare, sulla quale si innestano altre forme di socialit. Gi dalla scuola elementare pu avere inizio il rapporto affettivo con lamico del cuore, tipico comunque delladolescenza: - caratterizzato da un bisogno di confidenza piena, da un desiderio di reciprocit, da unesigenza di esclusivit; - permette di vivere un rapporto paritario in un periodo in cui comincia a sentire con qualche insofferenza la sua dipendenza dagli adulti e la disparit della sua situazione rispetto alla loro; - lamico, ascoltando i suoi problemi o i suoi sfoghi o condividendo con lui certe esperienze, costituisce un sostegno importante nei primi tentativi di vita indipendente; - spesso poi tale amico si pone anche come complementare a lui per certi tratti della personalit, e i tentativi di imitazione reciproca portano allora per entrambi ad un arricchimento della personalit; - lamico del cuore, attraverso i confronti che sollecita e le conversazioni quotidiane, aiuta largamente un ragazzo nella elaborazione di una propria idea di s [Pe,147-148].

Socializzazione come acculturazione


Vi socializzazione: 1) Anzitutto nel senso di una adesione a certe abitudini o a certe regole o forme di comportamento presenti in un certo ambiente. Importanza dellimitazione: un bambino fa propri i gesti comunicativi che vede compiere, le modalit di espressione delle emozioni, e soprattutto il linguaggio (sia dal punto di vista fonetico, che da quello semantico e grammaticale). Acculturazione: apprendendo la lingua materna, e proprio con le inflessioni con cui parlata dalle persone del suo ambiente, egli si inserisce gradualmente in una realt sociale e in una cultura (fenomeno simile a quello che si verifica quando degli individui anche adulti migrano stabilmente in una cultura diversa da quella di origine [inculturazione la prima, acculturazione questultima]). 2) Questa socializzazione pu aver luogo non solo per imitazione, ma anche per imposizione. Qualcosa del genere accade anche a scuola, dove regole, norme ed insegnamenti possono venir recepiti attraverso attivit osservativo-imitativa o per mezzo di pressioni esterne. Importante: - evitare che la convergenza si verifichi in assenza di un sufficiente spirito critico e semplicemente sulla base del rispetto dellautorit delladulto; - evitare pure che certi interventi impositivi considerati come inevitabili, venendo attuati senza un sufficiente ricorso alle spiegazioni ed

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una certa ricerca del consenso, accrescano il peso della componente negativa nellambivalenza; - garantire anche ampi spazi ai processi di pensiero divergente [Pe,148-149].

Socializzazione come capacit di capire gli altri


3) Unaltra forma di socializzazione consiste nello sviluppo della capacit di porsi nei panni degli altri, superando legocentrismo infantile: una capacit largamente in rapporto con la reversibilit del pensiero (si tratta di mantenere la propria opinione e nello stesso tempo di entrare nellopinione dellaltro, di metterla a confronto con la propria e di tentare di renderla simile alla propria [?]). A scuola: - creare condizioni frequenti (anche di tipo ludico) che stimolino il bambino a decentrarsi, a guardare le cose anche secondo prospettive diverse dalla propria, a chiedersi se gli altri sanno le cose che sa lui; - abituare il bambino a cercare con frequenza una verifica della validit e anche della generalit di certe impressioni personali; - aiutarlo a comprendere che vi sono situazioni in cui impressioni disparate sono conciliabili in quanto i punti di vista diversi sono intercambiabili o riducibili ad uno solo, e che vi sono invece altre volte in cui la disparit delle impressioni destinata a restare, in quanto si tratta di valutazioni personali [Pe,149-151].

Socializzazione come capacit di collaborare con gli altri


4) Sviluppo della capacit di collaborare con gli altri al conseguimento di un obiettivo comune: forma pi matura, dove collaborazione comprende sia le situazioni in cui vi divisione del lavoro, sia le situazioni in cui vi competizione. Una difficolt pu essere la corretta comprensione della funzione delle regole: - sino ai 5-6 anni, a causa del realismo, i bambini colgono pi facilmente, e spesso esclusivamente, gli aspetti puramente esteriori di una regola, piuttosto che la sua basilare funzione di porre tutti nelle stesse condizioni affinch la maggior abilit di alcuni possa emergere; - a 45 anni vi una tendenza a centrarsi ancora soprattutto sulladulto, a sopravvalutarne le capacit, a ritenere che ci che ladulto decide sia giusto e vada fatto; - dai 7-8 anni in avanti i bambini cominciano anche a comprendere che lorigine delle regole si fonda su un accordo fra coloro che partecipano al gioco o alla gara, e che esse potrebbero dunque venire cambiate se vi un generale consenso; - dai 12 anni (ma gi prima acquista rilevanza) il gruppo dei coetanei, come luogo di giochi sociali e di attivit collaborative, diviene un punto di riferimento essenziale, accanto a quello ancora rappresentato dagli adulti preminenti (gruppi di ricerca nella scuola, gruppi di gioco, banda - preadolescenti -, compagnia - adolescenti -). A scuola: - abituare gli allievi alla collaborazione (porsi obiettivi comuni, oltre a quelli individuali); - dare spazio anche alla competizione leale (ognuno indotto a dare il meglio di s; situazioni che mettono a fuoco il problema delle regole sociali e del loro rispetto; alla competizione si pu collegare una pi intensa collaborazione allinterno del gruppo); - abituare alla democrazia (stabilire insieme delle regole, delle convenzioni democratiche); - ottenere il rispetto delle regole, sempre [Pe,151-153].

Lo sviluppo morale e i suoi due piani


Socializzazione e sviluppo morale sono in stretto rapporto. Rispettare una regola costituisce un valore: - criteri a cui ci si pu riferire in caso di conflitti; - riferimento alla lealt come un valore stabile della propria visione del mondo e della propria immagine di s; - riferimenti a disvalori da evitare: la slealt, limbroglio. Educazione morale significa: aiuto a comprendere che esistono dei valori generalmente condivisi, o anche universali, che vanno anzitutto conosciuti (per es. attraverso conversazioni, situazioni paradigmatiche, discussioni di gruppo, presentazione di altre situazioni come verifica) e poi anche rispettati (livello pi profondo, di ordine affettivo-emotivo: non bastano le pur utili conversazioni e discussioni, ma occorrono anche lidentificazione con modelli positivi adulti che abbiano fascino e prestigio, perch i valori presentati con le parole e soprattutto col comportamento vengano poco alla volta interiorizzati - ci che la psicoanalisi indica come Super-io, e che il linguaggio comune definisce coscienza morale; processo che in famiglia prende avvio al tempo del complesso di Edipo, e comunque quando nel bambino vi una forte ammirazione per dei modelli adulti; a scuola pu invece esserci forte ammirazione per un insegnante; quando questo processo di interiorizzazione ha avuto luogo in modo soddisfacente, il rispetto dei valori anche in condizioni di solitudine assicurato da potenti forze interne, e da sanzioni positive esse pure interne - coerenza - o negative - senso di colpa). Lo sviluppo morale riguarda oltre al modo di comportarsi nei confronti degli altri anche: - il comportamento nei confronti di se stessi : programmazione della propria vita secondo prospettive positive; difesa della propria integrit psicofisica; arricchimento del proprio patrimonio di conoscenze e abilit [ed altro; Pe,153-156].

Le prime fasi dello sviluppo sociale


Il modo in cui noi percepiamo la nostra vita in gran parte determinato dal modo in cui pensiamo di apparire agli occhi degli altri (siamo praticamente programmati ad essere gregari).

Il bambino in famiglia
Come sottolinea Bruner, i bambini sono attrezzati gi nel periodo neonatale a rispondere alla voce umana, al viso umano, allazione e al gesto umano. Pertanto, fin dallinizio il neonato non un individuo isolato e passivo, bens vive inserito in una rete sociale. Infatti molto rapidamente si sviluppa fra madre e bambino uno scambio reciproco, che egli giunge ad anticipare. Grazie a tale scambio si creano ben presto forme di intersoggettivit e di attenzione reciproca. In 44

tale scambio ognuno dei due partner trova nellaltro lo stimolo e il rinforzo per il proprio comportamento [v. Vygotskij, Piaget, Bruner cit., p.276]. La voce della figura materna (attorno ai due mesi di vita) e il suo viso (attorno ai tre mesi) sono tra le prime cose che il bambino riconosce, insieme al modo particolare in cui questa persona lo tratta. Attaccamento: questo primo legame sociale che il bambino instaura con la figura adulta che pi si prende cura di lui; segni che ne indicano lo sviluppo in corso: - il bambino confortato da tale figura adulta pi che da qualsiasi altra; - meno turbato, in presenza di cose o persone sconosciute, quando insieme a tale adulto che non con altri; - si dimostra pi contento quando vede apparire tale persona adulta e fa pi movimenti verso di lei che non verso gli altri. I bambini che vengono tenuti in casa e trattati in modo pi severo dalla figura adulta che si prende cura di loro manifestano comportamenti che denotano un attaccamento pi intenso di quello dei bambini che frequentano lasilo e che in genere godono di una maggiore libert (lattaccamento, di per s, non automaticamente indicativo di una buona qualit dello sviluppo sociale e personale nei primi anni dellinfanzia; certi bambini, che pure appartengono a famiglie che vivono in condizioni estremamente difficili e svantaggiate e trascurati o trattati con crudelt, manifestano tuttavia un forte legame con i genitori, per lo meno nei primi anni di vita). Alcuni studiosi avanzano lidea che questo fenomeno di attaccamento per motivi di sopravvivenza a chiunque fornisca delle cure sia analogo a quello dellimprinting descritto dagli etologi (pericoloso, comunque, applicare al comportamento umano conclusioni tratte dalle osservazioni condotte su animali). Conclusioni dal punto di vista dello psicologo: - lattaccamento sembra costituire una fase necessaria nello sviluppo del bambino; - ha luogo principalmente tra il bambino e ladulto che maggiormente si prende cura di lui; - il primo passo sulla via dellapprendimento sociale del bambino [v. p.42]. Affinch si verifichi uno sviluppo sociale soddisfacente, essenziale che il primo rapporto tra bambino e genitore sia buono. Agli effetti negativi provocati sul bambino dalla carenza di cure genitoriali o dai maltrattamenti nei primi anni di vita si pu anche rimediare, entro certi limiti, fornendo al bambino adeguate cure compensatorie negli anni successivi; ci non toglie, per, che le prime esperienze esercitino uninfluenza particolarmente forte sulla crescita successiva (sembra ragionevole ritenere che nei primi due anni di vita del bambino la carenza di cure genitoriali e i maltrattamenti possano interferire con la capacit del bambino, in seguito, di instaurare buoni rapporti con gli altri). Insomma, la prima infanzia sembra essere un periodo critico per lapprendimento sociale. Si pu venire a creare il ciclo delle carenze, ben noto agli assistenti sociali: i genitori che trascurano i figli o li maltrattano allevano bambini che a loro volta diventano poi genitori che trascurano i figli e li maltrattano. Lattaccamento [v. p.42]non una cosa che si manifesta soltanto nei primi anni di vita. Qualora il bambino formi un legame di eccessiva dipendenza con adulti che non sono i genitori, il motivo pu essere che la sua spinta innata a formare attaccamenti non stata pienamente soddisfatta in famiglia [F,3-7].

La natura dellapprendimento sociale nei primi anni


Se i genitori incoraggiano il figlio a socializzare liberamente con gli altri, egli impara a sentirsi a proprio agio con gli altri (gli individui che con la crescita diventano esageratamente timidi, o freddi, od ostili, o aggressivi sono quelli cui stata negata loccasione di apprendere che lesperienza dello stare insieme agli altri unesperienza che porta reciproco arricchimento, che migliora la qualit della propria vita e la qualit della vita di coloro con cui si in rapporto). Erikson afferma che il senso di queste prime vicende dellapprendimento sociale si pu riassumere con la parola fiducia: se da bambino imparo che posso fidarmi delle persone intorno a me, che mi amano, allora posso sentirmi libero di ricambiare... In questa prima lezione di fiducia essenziale la qualit della comunicazione che ha luogo tra i genitori e i figli (gesti, carezze, sguardi, tono della voce...). Grazie allo strumento della lingua il bambino si forma un quadro molto pi chiaro dellatteggiamento dei genitori nei suoi confronti, un quadro sempre pi completo del modo in cui gli altri lo vedono, e prende coscienza del tipo di considerazione di cui gode in famiglia e allinterno del gruppo sociale di cui fa parte. Lo sviluppo iniziale del bambino, pertanto, dipende in gran parte dal suo grado di padronanza della lingua.
Ruoli sessuali

[V. anche L,56-59, sintetizzato a p.20] In quasi tutti i mammiferi la femmina tende ad essere meno aggressiva del maschio fin dai primi mesi di vita. Nella societ occidentale alle donne viene assegnato un ruolo subalterno; in parte spiegabile con la funzione femminile della maternit. Vi comunque una meno spiegabile incapacit della societ di tener conto del ruolo materno della donna e di garantirle non solo il riconoscimento del valore di questo suo ruolo, ma anche le necessarie opportunit di compensazione. La discriminazione contro le donne ha inizio sin dalla nascita, e si protrae per tutto larco dellinfanzia (sono spesso la madre in famiglia e linsegnante donna a scuola che insegnano alla bambina gli elementi fondamentali del suo ruolo femminile). Nei primi anni di scuola le bambine tendono ad utilizzare lespressione verbale pi dei maschi e a incontrare minori difficolt nella lettura, mentre i maschi ottengono risultati migliori nei problemi di tipo matematico e spaziale. Fattori innati o ambientali? (le bambine passano pi tempo in famiglia e hanno maggiori occasioni di apprendimento della lingua; i bambini passano invece pi tempo fuori casa e fanno un maggior numero di esperienze spaziali). Queste differenze perdono progressivamente importanza via via che cresce lesperienza scolastica. A tutte le et, rispetto alle femmine, i maschi presentano una maggiore incidenza sia di casi di ritardo scolastico sia di successi eccezionali (pu darsi che genitori e insegnanti siano pi propensi a lasciare che i maschi con ritardo scolastico si arrangino da soli [?] e che, viceversa, diano maggiori incoraggiamenti ai maschi eccezionali che alle femmine eccezionali [forse si aspettano di pi dai maschi]).
Gruppi etnici

Pu darsi che ai bambini di culture notevolmente diverse da quelle dellinsegnante siano stati insegnati modi di intrattenere i rapporti con lautorit e di mostrare rispetto e cordialit che divergono sensibilmente da quelli che linsegnante considera adeguati... Questo stesso tipo di problema pu emergere anche quando sono in ballo difficolt di apprendi45

mento (in merito, per es., allinterpretazione di parole, o a risposte ai test - di solito culturalmente di parte -). Quando aumentano la comprensione e la tolleranza delle differenze culturali, diminuiscono notevolmente i rischi di diagnosi errate di disadattamento o di ritardo scolastico (la societ nel suo insieme ancora imperfettamente preparata alla vita in una collettivit multiculturale).
Classi sociali

Analoghi problemi si possono incontrare con bambini che fanno parte di certi gruppi sociali. Le ricerche mostrano che sono tendenzialmente molto pi numerosi gli alunni di condizioni socioeconomica superiore, rispetto a quelli di condizione socioeconomica inferiore, che superano con successo gli esami di maturit e proseguono gli studi fino alluniversit. Non dobbiamo generalizzare troppo, ma nel complesso i bambini di condizione socioeconomica inferiore, quando iniziano la scuola, hanno minori conoscenze sui rapporti da intrattenere con linsegnante, sul tipo di comportamento da adottare e sui limiti da imporsi, nonch sulle modalit di condotta considerate accettabili dal sistema scolastico (se poi il bambino proviene da un ambiente in cui gli unici tipi di comportamento che portano a qualche risultato sono laggressivit e la durezza...). La povert verbale conduce spesso alla povert cognitiva. In buona parte le scuole si orientano sugli stili di comportamento e di pensiero tipici dei gruppi di condizione socioeconomica superiore, e spesso hanno difficolt a capire la realt del bambino di condizione socioeconomica inferiore. Spesso i bambini di classe socioeconomica inferiore non dispongono nemmeno di uno spazio in casa in cui poter leggere con tranquillit o fare i compiti, non si vedono proporre dei libri dalla famiglia, hanno scarse possibilit di utilizzare campi da gioco e centri sportivi, biblioteche ed altri servizi culturali come musei e teatri; si trovano a vivere, inoltre, in un ambiente sociale che facilmente sottovaluta limportanza della formazione culturale, che offre loro scarsa istruzione professionale, e che per lo pi si trova in conflitto con gli obiettivi e il sistema di valori della scuola [F,7-14].

La famiglia
Nello sviluppo sociale del bambino lunit in assoluto pi importante sicuramente la famiglia. Dobbiamo prima di tutto distinguere tra la cosiddetta famiglia nucleare e la famiglia estesa: la prima composta dalle persone tra le quali esiste un legame di parentela di primo grado; la seconda, oltre ai componenti della famiglia nucleare, comprende i parenti di secondo e terzo grado ed eventuali altre persone. Nei paesi industrializzati tanto la prima quanto la seconda, come istituzioni, sono andate incontro a importanti cambiamenti negli ultimi anni. Nel caso della famiglia nucleare questi cambiamenti sono stati soprattutto strutturali, e la tradizionale unit familiare non pi la norma generale; lo sgretolamento della famiglia e la crescente incidenza del fenomeno dei bambini concepiti al di fuori del matrimonio hanno condotto a un massiccio aumento del numero delle famiglie con un solo genitore (anche la regola che vedeva il padre uscire di casa per andare al lavoro e la madre restare in casa vale attualmente solo per una minoranza di casi). Nel caso della famiglia estesa il cambiamento pi importante che si verificato il declino della sua importanza: con lavvento della mobilit sociale molti giovani abbandonano le zone in cui sono cresciuti (sgretolamento della famiglia estesa, disintegrazione delle piccole comunit in precedenza molto legate, rilassamento dei costumi e minor rispetto della legge e dellordine). anche facile che genitori inadeguati dispongano oggi di meno sostegni che mai, sicch i loro figli finiscono per essere sempre pi trascurati e magari sempre pi esposti alla crudelt. Attualmente desta notevole attenzione la terapia della famiglia: il terapeuta lavora non solo con il bambino difficile, ma con lintera famiglia nucleare (pu cos osservare le modalit di interazione di ciascuno con gli altri); tale terapia pu essere utile anche nei casi in cui il problema iniziale sia manifestato da uno dei genitori anzich dal bambino. Linsegnante che abbia una vita familiare felice pu non rendersi conto delle tensioni che generano in un bambino le continue discordie; pu anche non rendersi conto di quali pretese avanzino nei confronti dei figli certi genitori tirannici o emotivamente squilibrati... I problemi di comportamento a scuola possono essere semplicemente lesaurimento fisico o lassenza di motivazione, ma possono anche assumere la forma dellisolamento dagli altri quando il bambino, sopraffatto dalle preoccupazioni che lo affliggono in famiglia, non in grado di chiedere aiuto agli altri e di partecipare alle attivit della scuola. La comprensione e la sensibilit dimostrata dagli insegnanti nei confronti dei bambini a scuola pu aiutarli ad affrontare meglio i problemi esistenti in famiglia. Occorre anche che i genitori si interessino attivamente allistruzione scolastica del figlio (ci incide positivamente sui suoi progressi scolastici); cos facendo, mostrano al figlio sia limportanza che attribuiscono ai buoni risultati scolastici sia il valore che attribuiscono a lui stesso come persona, e inoltre li porta in genere ad offrire aiuto al figlio per i compiti che gli vengono assegnati per casa, nonch a prendere parte alle attivit scolastiche e a conoscere sempre meglio la scuola con i suoi valori e i suoi metodi. Alcune scuole organizzano persino incontri di tombola e di ballo come sistema per coinvolgere i genitori nelle attivit della scuola e per stabilire il tipo di contatti informali che possano condurre a una futura partecipazione agli incontri periodici fra genitori e insegnanti. Tra il fattore dimensioni della famiglia e i risultati scolastici sembra esistere un rapporto di correlazione inversamente proporzionale: a prescindere dalla classe sociale di appartenenza i bambini di famiglie numerose tendono ad avere risultati pi scadenti di figli unici e di bambini che hanno uno o due fratelli in matematica, nelle capacit verbali e nella creativit (forse conseguenza del fatto che nelle famiglie numerose i genitori hanno normalmente meno tempo da dedicare ai loro figli); in genere sembra sia il figlio maggiore a risentirne di pi (presumibilmente perch man mano che in famiglia arrivano fratelli pi piccoli e portatori di maggiori esigenze, i primogeniti vengono lasciati sempre pi ad arrangiarsi da soli). I bambini provenienti da un ambiente familiare che trasmette valori decisamente diversi da quelli insegnati a scuola si trovano quasi inevitabilmente a vivere un conflitto concettuale ed emotivo. Per risolvere il conflitto tra i valori della famiglia e quelli della scuola il bambino ha due sole possibilit: o adottare un doppio sistema di valori (andando incontro a problemi di identit personale), oppure rifiutare o la scuola o la famiglia (finendo per passarsela male a casa come a scuola). Gli in46

segnanti facciano conoscenza dellambiente da cui vengono i bambini, evitino di imporre loro regole e valori palesemente incompatibili con tale ambiente, e al tempo stesso li introducano in modo graduale e assennato a quelle regole e a quei valori che considerano irrinunciabili [F,14-20].

Questioni che riguardano specificamente la classe scolastica


Ogni bambino un individuo e reagisce agli altri in modo unico. A quasi tutti i genitori riesce ovviamente pi facile stabilire un buon rapporto con un bambino soddisfatto e di buon umore che non con un bambino pi difficile e irritabile, fin dalle prime settimane di vita: inevitabile che qualcosa di questo stato danimo venga comunicato al bambino stesso. La stessa cosa accade agli insegnanti... Possono venire a crearsi circoli viziosi: ostilit dei genitori (e/o degli insegnanti) suscitata da particolari bambini, e conseguente aumento di problemi per i bambini... Il bambino che viene da un ambiente familiare verbalmente ricco ed espressivo gode di enormi vantaggi nei confronti del bambino di ambiente verbalmente povero: grazie allo strumento linguistico che i bambini acquisiscono la capacit di elaborare un pensiero complesso, di comunicare pienamente con coloro che li circondano, e di esprimere con chiarezza le cose che preferiscono e quelle che detestano. Soprattutto nei primi anni di scuola, pu capitare di vedersi classificare da un insegnante come afflitti da ritardo generale quando in realt il loro problema principale magari semplicemente il fatto di venire da un ambiente che non offre stimoli verbali (bambini che, facilmente, appaiono fisicamente pi aggressivi rispetto alla norma, proprio perch trovano molte difficolt ad instaurare rapporti verbali adeguati; inoltre, sembrano meno educati negli incontri sociali con gli adulti e meno portati ad acquisire capacit legate alla parola; infine, la faccenda si aggrava col fatto che, durante lintero arco della loro vita, tali bambini tendono a frequentare principalmente bambini che presentano le loro stesse lacune verbali). opportuno che linsegnante possa: - offrir loro occasioni di prendere parte a scambi verbali che possono migliorare le loro capacit; - incoraggiarli sia a giocare e lavorare insieme ai bambini dotati di buone capacit verbali sia a dare il loro legittimo contributo alle discussioni e ai dibattiti che si svolgono in classe; - cogliere ogni occasione per parlare col bambino usando un linguaggio adeguato e disponibile ad ascoltare le sue risposte con pazienza e atteggiamento incoraggiante. I bambini non solo si identificano con il genitore dello stesso sesso, ma acquisiscono dal genitore dellaltro sesso il concetto di ci che maschile o di ci che femminile. Notevoli pure le influenze che esercitano i personaggi della televisione o delle riviste per bambini e adolescenti; ma anche gli stessi adulti in generale; e gli amici del bambino. I bambini amano sentirsi accettati dai coetanei e rapidamente apprendono che tale accettazione spesso legata alla condizione che ci si comporti come tutti gli altri (problema del conformismo). Tutte le attivit scolastiche dovrebbero essere ugualmente accessibili a entrambi i sessi. Linsegnante eviti ogni comportamento che sottintenda contrapposizione tra i due sessi. Si deve compiere ogni sforzo per far s che le femmine puntino in alto come i maschi e si orientino verso unidentica libert di scelta in merito alle possibilit lavorative future. Molte differenze etniche sono preziose, arricchenti la societ. I bambini sono per tendenzialmente intolleranti, soprattutto quando diventano pi grandi: la scuola deve perci svolgere la sua parte. Importante lesempio; ma occorrono anche strategie di insegnamento specifiche, finalizzate ad aiutare i bambini a mettersi nei panni di coloro che fanno parte di minoranze etniche e a prendere piena coscienza dei loro eventuali sentimenti di estraneit e di rifiuto. Quando si ha a che fare con lo sviluppo sociale, i bambini possono essere compresi pienamente soltanto se vengono visti nel contesto sia dellambiente familiare sia della scuola [F,21-26].

I valori e lo sviluppo morale


Secondo molti psicologi utile distinguere, nella moralit, laspetto soggettivo (norme personali) e laspetto oggettivo (atteggiamenti e comportamenti generalmente pi apprezzati dal gruppo culturale al quale lindividuo appartiene. Fichte). Il secondo aspetto quello pi indagato dagli psicologi [F,212].

Le origini dei sistemi di valori


Si ritiene che la morale e i valori siano in gran parte strutture apprese (prima dai genitori; successivamente dagli insegnanti, dal gruppo dei coetanei, dai mass-media e pi in generale dalla societ).
Secondo Freud

[V. anche La Personalit: p.80] La formazione degli atteggiamenti e dei comportamenti morali avviene per opera del Super-io, che in gran parte riflette linteriorizzazione delle norme e dei divieti morali trasmessi dai genitori, ma che il bambino fa propri a tal punto da non rendersi spesso pi conto di quale ne sia stata lorigine. Un Super-io troppo forte pu finire per creare problemi psicologici quali ad esempio sentimenti di colpa, di inadeguatezza, di mancanza di valore personale e persino, in casi estremi, di gravi nevrosi. Ma sarebbe una cosa buona: se non ci fosse, il bambino si comporterebbe bene solo in presenza dei genitori o di altri adulti. Le idee di Freud sono attualmente oggetto di numerose critiche ( comunque interessante ricordare come il Super-io per Freud si articolasse in due diversi aspetti: la Coscienza morale, che genera nel bambino sentimenti di colpa che sbaglia - funzione punitiva dei genitori -; e lIdeale dellio, che procura al bambino sentimenti di soddisfazione ogni volta che si comporta bene).
Secondo Piaget

Il bambino passa da un pensiero di tipo egocentrico a una modalit di pensiero che gli consente di mettersi nei panni degli altri; soltanto quando comincia ad essere in grado di utilizzare questa seconda forma di pensiero acquisisce anche la capacit di esprimere veri e propri giudizi morali [v. anche nota 6].

47

Modello di Kohlberg

Un modello pi esauriente, anchesso legato al livello di evoluzione del pensiero del bambino, stato proposto da Kohlberg: il bambino, nel corso del suo sviluppo morale, passa attraverso sei stadi fondamentali (raggruppati in tre livelli pi generali legati agli stadi di Piaget):
S
T A D I D I

O H L B E R G

Modalit pre-convenzionale 1. Obbedienza o pre-morale (legata allo sviluppo cognitivo) 2. Egoismo ingenuo Modalit convenzionale 3. Tendenza a fare (legata allo sviluppo cogni- il bravo bambitivo) no 4. Tendenza al rispetto dellautorit

Non ha un vero e proprio senso morale, ma il suo comportamento pu essere condizionato con il semplice rinforzo. Unazione giusta unazione funzionale al bambino stesso. Si sforza (sempre pi regolarmente) di dare una buona immagine di s ai pi grandi di lui. Aderisce alle idee morali non solo in vista di vantaggi personali; acquisisce un senso del dovere verso lautorit e l aspirazione alla conservazione dell ordine sociale. Il senso di giustizia e legalit diventa ben pi importante dellaspirazione alla pura conservazione dello status quo; le norme vigenti vengono viste sempre pi come arbitrarie. Sistema unitario, filosofia di vita; capacit di tener conto di tutte le variabili del caso; in grado di andare al di l della giustizia e della legalit di superficie.

ET (CA.) 2-7 anni

STADI

DI

PIAGET

Pensiero preoperatorio

8-11 anni Operazioni concrete

Modalit post5. Legalit e senso convenzionale (pi legata sociale alla cultura di appartenenza) 6. Principi morali universali (dettati dalla coscienza)

dai 12 anni in avanti

Operazioni formali

Esempio di Kohlberg (1969): La moglie di Heinz sta per morire. Un farmaco speciale, scoperto da un farmacista del luogo, potrebbe salvarla, ma il farmacista disposto a venderlo solo ad un prezzo esorbitante. Cos Heinz, dopo aver cercato invano dei soldi in prestito, supplica il farmacista di vendergli la medicina ad un prezzo pi basso o a rate. Ma il farmacista si rifiuta. Heinz dovrebbe arrivare a rubare la medicina per salvare la vita della moglie? Perch?. Stadio 1: Se lui ruba la medicina, potrebbe finire in prigione. Stadio 2: Lui pu rubare la medicina e salvare la moglie, e poi torner con lei quando esce dalla prigione. Stadio 3: Le persone ti capiranno se rubi la medicina per salvare la vita di tua moglie, ma penseranno che sei crudele e codardo se non lo fai. Stadio 4: dovere del marito salvare la vita della moglie anche se si sentir in colpa per aver rubato il farmaco. Stadio 5: Il marito ha il diritto di avere la medicina anche se non pu pagarla subito. Se il farmacista non se ne incarica, dovrebbe farlo il governo. Stadio 6: Anche se legalmente sbagliato rubare, il marito farebbe una cosa moralmente sbagliata se non rubasse la medicina per salvare la vita di sua moglie. Una vita pi preziosa del denaro. La velocit con cui si procede pu variare da bambino a bambino; alcuni soggetti possono anche non arrivare mai a raggiungere livelli di maturit elevati (sembra che il raggiungimento del livello di pensiero proprio di una certa et sia un requisito indispensabile ai fini del conseguimento del corrispondente livello di sviluppo morale). Nessuno dei soggetti di Kohlberg ha mai raggiunto lo Stadio 6; tuttavia esso viene ancora descritto come stadio potenziale (Kohlberg suggerisce come esempio un martire morale come Martin Luter King). Gli stadi di Kohlberg sono da considerarsi pi come indicazioni di massima da tenere presenti che non come categorie rigide. Inoltre, il bambino pu tornare ad un livello inferiore dopo aver risolto problemi ad un certo livello; pu anche modificare i propri giudizi di valore di volta in volta a seconda delle circostanze (pu cio avere difficolt ad applicare il proprio codice morale a tutte le situazioni); e pu pure passare sopra al proprio codice morale se subentrano motivazioni per lui pi importanti (pu ad esempio comportarsi male se ci lo rende pi accettabile al gruppo dei coetanei). Critiche mosse a Kohlberg Quello che molte prove suggeriscono che i giudizi morali dipendono non solo dallet dei soggetti, ma anche da una serie di altre variabili, comprese le intenzioni del trasgressore, le precedenti esperienze in situazioni simili e le conseguenze sociali, materiali o personali del comportamento. Emerge la necessit di guardare con riserva al carattere di universalit di questi stadi (Kohlberg stesso non ha trovato nessuna prova dello stadio 6 in soggetti di nazionalit turca, e propone lo stadio 6 come possibile forma evoluta del 5); c chi ipotizza la possibilit che in certi casi venga saltato questo o quello stadio. Alcuni studiosi hanno differenziato gli stadi morali adulti e femminili. Una delle differenze importanti tra moralit maschile e femminile che nei maschi la progressione tende verso il riconoscimento e luso di principi etici universali, mentre le donne rispondono pi a considerazioni di giustizia ed equit per s e per gli altri (moralit di cura per gli altri piuttosto che di giustizia astratta). Ma quasi nessuno avanza dubbi sul fatto che la teoria di Kohlberg costituisca un valido punto di partenza per la creazione di programmi di educazione morale da proporre ai bambini [L,48-51; F,212-217].

Il ruolo dellinsegnante
Con i bambini piccoli le razionalizzazioni che sottolineano loggetto (Il giocattolo potrebbe rompersi) sono pi efficaci delle razionalizzazioni pi astratte (Non dovresti giocare con dei giocattoli che appartengono ad altri). Allo stesso modo, il tipo di razionalizzazione pi adatto ad un adolescente pu essere alquanto diverso da quello offerto ad 48

un bambino. Inoltre, le razionalizzazioni pi significative per le ragazze sottolineano di solito i rapporti sociali, lempatia e la responsabilit, mentre quelle dei ragazzi esaltano i diritti legali e lordine sociale. Enorme importanza dellesempio dato personalmente dallinsegnante. Ogni volta che gli capiti di osservare una buona condotta morale, linsegnante deve saper cogliere loccasione e rinforzare tale condotta: nel periodo dei primi tre stadi di Kohlberg, le risposte e i riscontri dellambiente sono di vitale importanza al fine di rassicurarlo sul fatto che sta davvero imparando e applicando con successo le norme morali). In ogni caso: -dobbiamo prima di tutto ricercare le cause di fondo della condotta degli alunni che violano in modo grave le norme morali; -qualunque cosa abbiano fatto, si deve chiarire ai bambini che, in quanto persone, essi continuano a ricevere sostegno e comprensione da parte della scuola [F,217-221; L,51].

Linsegnamento della condotta morale


Dato che lo sviluppo morale, visto nella prospettiva proposta da Kohlberg, dipende in larga misura dalla capacit di tener conto del punto di vista dellaltro, buona parte delle attivit svolte in classe deve essere finalizzata alla conquista di tale capacit. A questo proposito si pu riconoscere limportanza di due processi: la solidariet (esprimere ad unaltra persona il dispiacere o il dolore che si prova per la sua situazione di difficolt) e lempatia (sperimentare, sentire lo stesso tipo di emozioni, stati danimo e sentimenti che tale persona sta provando; esige pi della solidariet il possesso di una fine sensibilit, che non pu essere insegnata: ma possono essere daiuto alcuni tipi di attivit, quali il roleplaying in drama lessons, e linvito alluso dellimmaginazione nel dare semplici descrizioni del tipo di emozioni che presumibilmente provano gli altri). Almeno una parte dellimpatto che una forma di educazione morale pu esercitare finisce per andare perduto se lintero corpo insegnante non manifesta coerenza di principi nei rapporti quotidiani con gli alunni [F,221-222].

Lapprendimento
In che cosa consiste lapprendimento?
Concetto di apprendimento Vi apprendimento tutte le volte che una certa esperienza che compiamo concretamente o mentalmente lascia in noi tracce che ci permettono, quando ci troviamo nella condizione di ripeterla, di viverla in modo pi analitico, o di dominarla meglio. Tale traccia ci permette anche di vivere analiticamente e di dominare meglio altre analoghe esperienze (generalizzazione, transfer - o transfert - dapprendimento) [Pe,71-72]. un cambiamento relativamente duraturo nel comportamento potenziale dellindividuo per effetto dellesperienza. Lapprendimento deve cambiare lindividuo in qualche modo; questo cambiamento si verifica per effetto dellesperienza [v. anche l'apprendimento per insight: p.13; F,124-126; L,90-91]. Dimensioni dellapprendimento Possono anche esserci importanti cambiamenti non evidenti, ma comunque fondamentali: -la disposizione: linclinazione del soggetto a fare o non fare certe cose; questi cambiamenti hanno a che fare con la motivazione; -la capacit: cambiamenti nelle abilit o conoscenze necessarie per fare qualcosa [v. p.71 La natura del soggetto che apprende]. Lavvenuto cambiamento nella disposizione o nella capacit lavvenuto apprendimento, cio si baser sempre sulla performance [L,91].

Teorie dellapprendimento
Teoria comportamentista

Vede lapprendimento in termini di connessioni (associazioni) tra stimolo e risposta (S-R) o tra risposta e rinforzo, e attribuisce grande importanza al ruolo svolto dallambiente. Lenfasi, dunque, viene posta sulle condizioni esterne che influenzano il comportamento; il tacito assunto che tutti coloro che apprendono sono inizialmente uguali, mentre variano le condizioni a cui sono esposti.
Teoria cognitiva

Considera importante non solo lambiente, ma anche il modo in cui il soggetto lo interpreta e cerca di comprenderlo; vede lindividuo non come un prodotto dellambiente in senso pi o meno meccanicistico, ma come un soggetto attivo nel processo dellapprendimento (che si impegna intenzionalmente a elaborare e a classificare il flusso di informazioni che riceve dal mondo esterno). Grande importanza alla metacognizione (conoscenza della conoscenza). Lenfasi principale, dunque, viene posta sulle condizioni interne, sulla struttura mentale di chi apprende; il tacito assunto che i soggetti in procinto di apprendere non sono affatto tutti uguali. la preesistente rete di concetti, di strategie e di comprensioni del soggetto che rende significative le esperienze.
Teoria umanistica

Si preoccupa principalmente dellindividualit ed unicit delluomo, piuttosto che scoprire regole generali che spieghino le risposte umane. Si focalizza sullo sviluppo emozionale piuttosto che sullelaborazione delle informazioni o sugli stimoli e le risposte. Enfatizza due cose: lunicit dello studente e gli atteggiamenti dellinsegnante nei suoi confronti; e il S rappresenta il concetto centrale.

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Teoria socio-culturale

Assume centralit lattivit precipuamente umana di attribuire un significato (Bruner 1990) agli eventi, in quanto incontri con il mondo e scambi con gli altri. La cultura linsieme di significati di sfondo condivisi da un gruppo umano (Geertz 1973), che si manifesta essenzialmente nella conversazione quotidiana; diventano oggetto rilevante di studio le interazioni discorsive che hanno luogo in famiglia (sede di prima socializzazione), a scuola, nel mondo del lavoro (sedi secondarie, ma importanti, di socializzazione). Lapprendimento visto come costruzione sociale che si produce nei soggetti che apprendono attraverso la mediazione dellinsegnamento in contesti specifici e attraverso sistemi di segni e simboli, di amplificatori culturali diversi (tra i quali oggi molto importante il computer) 8. Queste teorie non sempre si escludono a vicenda (in particolare, non si escludono le prime due n, tanto meno, seconda, terza e quarta; mentre la prima e la terza mostrano spesso incompatibilit) [F,126; L,91-93, 128, 256; Po,15-18].
Teoria Comportamentismo Focus principale Comportamento Variabili e concetti chiave Stimoli Risposte Rinforzo Punizione Modifica comportamentale Decision-making Comprensione Struttura cognitiva Percezione Processi informativi Memoria Teorici pi rappresentativi Watson, Guhtrie, Thorndike, Skinner Ausubel, primo e secondo Bruner, Gagn, Piaget, Sternberg Maslow, Rogers Utilit principali per gli insegnanti Spiega apprendimento di abilit e atteggiamenti. Enfatizza il rinforzo Spiega lo sviluppo della comprensione (significato). Enfatizza limportanza del significato e della organizzazione Si focalizza sullo sviluppo affettivo. Enfatizza adattamento e benessere Si focalizza su comunicazione e mediatori culturali. Enfatizza limportanza del significato.

Cognitivismo

Conoscenza

Umanesimo

Persona

Interazionismo Socio- Interazione fra inculturale dividuo, ambiente, societ e cultura

Concetto di s Autorealizzazione Autostima Societ Cultura Interazioni discorsive

Vygotskij, lultimo Bruner, Olson

[Per approfondire: v. Appendice 1; v. anche Po,pp.41-65].

Il condizionamento
Alcune semplici forme di apprendimento richiedono una scarsa elaborazione o comprensione delle informazioni. Esse possono aver luogo inconsciamente, e si applicano a certe forme di apprendimento animale, oltre che a quello umano.
Pavlov e Watson

Condizionamento classico di Pavlov Uno stimolo o una situazione che prontamente produce una risposta pu essere associato ad uno stimolo neutrale per instaurare il condizionamento. Ambientalismo di Watson Le differenze delle persone sono semplicemente una funzione delle loro esperienze (alla nascita siamo tutti uguali, dotati di un certo numero di riflessi). Il condizionamento classico, soprattutto delle reazioni emotive, avviene praticamente sempre e in tutte le scuole a prescindere dagli altri tipi di apprendimento che hanno luogo nello stesso momento. Ed principalmente attraverso questi processi inconsci che gli studenti arrivano a disprezzare o ad amare la scuola, le materie, gli insegnanti e i relativi stimoli (nuova materia scolastica = stimolo neutrale; insegnante o classe o altro stimolo distintivo nellambiente immediato dello studente, ripetutamente associato alla materia = stimolo incondizionato, che pu essere associato a risposte piacevoli un banco comodo, un insegnante simpatico o con reazioni pi negative). Gli studenti imparano i vari atteggiamenti nei confronti delle materie, dellapprendimento, della scuola e cos via, soprattutto per mezzo del condizionamento classico.
Contiguit / Rinforzo

Pavlov e Watson spiegano la formazione di rapporti tra gli stimoli sostenendo che laccadimento simultaneo di eventi sufficiente a produrre un apprendimento (spiegazione di contiguit); Thorndike e Skinner, invece, spiegano tale formazione riferendosi agli effetti del comportamento (approccio di rinforzo): sono le conseguenze di una risposta che portano al suo apprendimento o non apprendimento.
Thorndike (1898)

Connessionismo Nel puzzle box di Thorndike (gabbia da cui si pu uscire eseguendo tre azioni: tirare una cordicella per liberare una serratura, salire su una leva per liberarne una seconda, far scattare verticalmente un chiavistello per aprire la porta), un gatto affamato, a cui giungeva il profumo di un pesce morto collocato in prossimit delluscita, dopo vari tentativi tipici quanto improduttivi (schiacciarsi tra le sbarre, graffiare sulla porta e miagolare), continua a provare molte azioni diverse fin quando, per puro caso, non indovina la soluzione giusta e riesce ad uscire dalla gabbia. Se mettiamo il gatto nella stessa situazione una seconda volta, riuscir ad uscire pi velocemente, e sempre pi velocemente la terza volta, e
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Si troveranno, qua e l, parziali accavallamenti e doppioni fra parti teorico-pratiche dellapprendimento umanistico e dellapprendimento interazionista socio-culturale (lo stesso si pu dire per le concezioni della motivazione).

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cos via. Si tratta di un apprendimento per prove ed errori. Secondo Thorndike (1913), Questi semplici fenomeni semi-meccanici che lapprendimento animale svela, rappresentano gli elementi fondamentali anche dellapprendimento umano: in una data situazione, una persona metter in pratica un certo numero di risposte diverse fin quando una di queste non porter ad una soluzione; questa risposta viene dunque appresa (impressa). Lapprendimento coinvolge dunque limpressione di connessioni tra stimoli e risposte (connessionismo). Leggi dellapprendimento Thorndike affronta poi le condizioni che portano alla impressione di legami (= connessioni); i dettagli delle quali vengono espressi in una serie di leggi dellapprendimento: Legge delleffetto: le risposte che hanno luogo subito prima di uno stato di cose soddisfacente tendono ad essere impresse (apprese); quelle che hanno luogo subito prima di uno stato insoddisfacente, tendono ad essere spente (dimenticate o non apprese). Dopo sperimentazione, nel 1931 Thorndike modific cos tale legge: mentre i fenomeni soddisfacenti portano ad un apprendimento, quelli insoddisfacenti non provocano un annullamento, ma semplicemente inducono chi apprende a fare qualcosaltro. Legge dellesercizio: i legami vengono rafforzati quanto pi spesso vengono ripetuti (o esercitati). Questa scoperta psicologica ebbe una fortissima influenza sulleducazione americana (e non solo) per molti decenni di questo secolo; ma fu anche la legge sullapprendimento che Thorndike rinneg con pi enfasi dopo il 1930: stabil infatti attraverso sperimentazioni che la ripetizione da sola non provoca apprendimento. Legge della prontezza: certe risposte hanno maggiori o minori probabilit rispetto ad altre di essere apprese, a seconda della prontezza di chi le deve apprendere. Questa importante legge fornisce la base della definizione thorndikiana di ricompensa e punizione: uno stato di cose piacevole (ricompensa) risulta quando una persona pronta a fare qualcosa e le si permette di farla; allo stesso modo, non avere la possibilit di fare qualcosa quando si pronti a farla, o lessere costretti a fare qualcosa quando non si ancora pronti, produce una situazione spiacevole (punizione). Legge delle risposte multiple: quando si trovano di fronte ad un problema difficile per il quale non hanno delle soluzioni pronte, gli individui si impegnano in una variet di risposte diverse fin quando una di esse non produce un effetto soddisfacente (processo per prove ed errori). Legge della tendenza o dellatteggiamento: lapprendimento in parte una funzione di atteggiamenti o tendenze predeterminate con cui reagire in certi modi; gli atteggiamento sono fortemente influenzati dalla cultura. Legge della dominanza degli elementi: gli organismi reagiscono tipicamente agli elementi pi significativi (o dominanti) di una situazione. Legge della risposta per analogia: quando ci troviamo in una data situazione, tendiamo a reagire in un modo che sarebbe appropriato in situazioni simili (analoghe); e cio, trasferiamo le risposte da una situazione allaltra (capacit estremamente importante per il nostro adattamento: generalizzazione o transfert).
Skinner e il condizionamento operante

Skinner ammette lesistenza e la validit del condizionamento classico, e sostiene che molte risposte, definite risposte provocate, possono essere causate da uno stimolo e possono essere condizionate da altri stimoli nel modo descritto da Pavlov e Watson (condizionamento che egli definisce rispondente, in quanto ha luogo in risposta a uno stimolo). Ma esiste una seconda classe di comportamenti, pi grande e importante, che non sono provocati da uno stimolo conosciuto, ma che rappresentano semplicemente delle risposte emesse. Queste sono dette operanti, in quanto, in un certo senso, rappresentano delle operazioni eseguite dallorganismo. Nel caso di un comportamento rispondente: lorganismo reagisce allambiente; nel caso di un comportamento operante: lorganismo agisce sullambiente. Inoltre, i rispondenti appaiono ampiamente involontari (automatismi), mentre gli operanti sono pi volontari (deliberati e intenzionali). Skinner dichiara che non solo di solito lo stimolo sconosciuto, ma anche che, in ogni caso, esso irrilevante ai fini dellapprendimento. Il legame che si forma tra risposta e rinforzo, piuttosto che tra stimolo e risposta. Nella Skinner box (scatola che poteva contenere una leva, una luce, una griglia elettrica sul pavimento ed un vassoio per il cibo, il tutto sistemato in modo tale che premendo la leva, la luce si accende e viene rilasciata una pallina di cibo sul vassoio), la maggior parte dei topi impara presto a premere la leva, e continuer a farlo per lunghi periodi di tempo anche se non riceveranno una pallina di cibo ogni volta che azioneranno la leva; analogamente, i topo possono essere istruiti ad evitare la leva nel caso in cui questa produca una leggera scarica elettrica nella griglia posta sul pavimento (ma se la corrente elettrica costante, e cessa solo quando viene premura la leva, il topo imperer presto ad azionarla). Latto di premere la leva da parte del topo un operante; le palline di cibo servono da rinforzo. Il condizionamento operante rappresenta un aumento nella probabilit che una risposta avvenga di nuovo, essendo questo aumento una conseguenza del rinforzo. Per di pi, il modello skinneriano sostiene che la ricompensa, insieme a qualunque stimolo discriminato (Sd: uno stimolo percepito dallorganismo) sia presente al momento del rinforzo, sono stimoli che, dopo lapprendimento, possono produrre un operante (la visione e lodorato del topo allinterno della scatola alla fine possono servire da stimolo per provocare lazionamento della leva). Principi del condizionamento operante Rinforzatore (reinforcement): un fenomeno (uno stimolo qualsiasi che aumenta la probabilit di una risposta) il cui effetto il rinforzo. Qualsiasi situazione pu essere altamente rinforzante per una persona ed estremamente spiacevole per unaltra. I rinforzatori possono essere primari (stimoli naturalmente rinforzanti, che non c bisogno di apprendere; positivi aumenta la probabilit di una risposta e negativi hanno lo stesso effetto di un risultato che viene rimosso da una situazione ) o generalizzati (stimoli precedentemente naturali che, attraverso ripetute associazioni 51

con un certo numero di altri rinforzatori in varie situazioni, ha generalmente assunto una valenza di rinforzo per molti comportamenti). Rinforzo (reinforce): positivo (ricompensa) e negativo (sollievo). Punizione: I tipo (castigo): presentazione di uno stimolo nocivo, di solito nel tentativo di eliminare un comportamento indesiderabile; II tipo (penalit): rimozione di uno stimolo piacevole. Il rinforzo porta spesso a dei cambiamenti nel comportamento, cambiamenti che definiscono lapprendimento; che la punizione abbia un effetto uguale, anche se opposto, non altrettanto ovvio (gi Thorndike, nel 1931, ammetteva che il piacere molto pi potente nellimprimere delle risposte che un dolore ad annullarle). Oltre a considerazioni etiche o umanitarie, vi sono altre ragioni per cui luso della punizione non risulta un mezzo completamente soddisfacente per controllare il comportamento: -la punizione non illustra n enfatizza un comportamento desiderabile, ma dirige semplicemente lattenzione verso risposte indesiderabili (dunque non molto utile in apprendimento); - spesso accompagnata da effetti collaterali altamente indesiderabili; -non sempre porta alleliminazione di una risposta, ma spesso solo alla sua repressione; -spesso, poi, semplicemente non funziona. Meglio, dunque, il controllo positivo (ricompensa dei comportamenti buoni) del controllo dissuasivo (punizioni e rinforzi negativi, le cui conseguenze sono spesso lapprendimento di evitamento e di fuga, nonch laumento di comportamenti aggressivi). Programmi di rinforzo Attraverso esperimenti con piccioni e topi, Skinner tent di scoprire (1) il rapporto tra il tipo e la quantit di rinforzo usato e la qualit dellapprendimento ottenuto e (2) il rapporto tra il modo in cui il rinforzo viene somministrato e lapprendimento. (1) Il tipo e la quantit di rinforzo sembrano influenzare gli individui in modo imprevedibile; (2) il rapporto tra il programma di rinforzo ed il comportamento conseguente pu essere indagato direttamente. I programmi utilizzano il rinforzo continuato (una ricompensa per ogni risposta corretta). Oppure possono utilizzare il rinforzo intermittente (detto anche rinforzo parziale), con due possibilit: il programma a rapporto (rinforzo di una certa parte di prove) ed il programma ad intervallo (basando il programma sul trascorrere del tempo); in ogni caso, possono scegliere un programma fisso (assegnando il rinforzo in modo predeterminato) o un programma casuale o variabile (assegnando il rinforzo in modo pi fortuito). possibile anche combinare un certo numero di programmi , usando un programma combinato o misto (ed esiste anche un programma superstizioso: fornisce un rinforzo regolare a prescindere da quello che fa chi apprende!). Percentuale di apprendimento: Nei primi stadi dellapprendimento, sembra che un rinforzo continuo sia pi efficace. Percentuale di ritenzione: La percentuale di estinzione per il comportamento che stato rinforzato continuamente notevolmente pi rapida di quella relativa ad un comportamento che stato rinforzato ad intermittenza. Percentuale di risposte: Se un piccione viene rinforzato su una base a rapporto casuale, la sua percentuale di risposta sar uniformemente alta e costante. Il programma migliore sembrerebbe quindi costituito inizialmente da un rinforzo continuo, seguito successivamente da un rinforzo intermittente; tra i programmi intermittenti, un arrangiamento a rapporto casuale di solito produce la percentuale pi bassa di estinzione. I comportamenti presentati da bambini piccoli che desiderano lattenzione dei propri genitori tendono ad essere rinforzati casualmente (e, di conseguenza, sono altamente persistenti). Questo ed altri studi compiuti, suggeriscono che anche luomo in buona parte influenzabile dai programmi di rinforzo. Modellamento = un modo molto efficace per insegnare agli animali: prevede il rinforzo dellanimale per ogni comportamento che si avvicina al comportamento desiderato. detto anche rinforzo differenziale delle approssimazioni successive. Anche gran parte del comportamento umano viene modellato attraverso il rinforzo. Generalizzazione e discriminazione = Generalizzazione: trasferimento di una risposta da una situazione ad unaltra simile; discriminazione: il trattenersi dal dare una risposta a causa di alcune differenze tra questa situazione ed altre ma in cui la risposta era palesemente pi appropriata.
Implicazioni educative dei principi operanti

[V. La vita scolastica e la conduzione della classe: p.119] Una classe in qualche modo come una gigantesca Skinner box, costruita in modo tale che certe risposte sono pi probabili di altre. Facendo uso del rinforzo e della punizione, a volta in maniera deliberata e pianificata, a volte inconsciamente, linsegnante modella il comportamento degli studenti. Al di l di inutili allarmismi orwelliani, bisogna ammettere che linsegnante pu spesso trarre un immenso profitto dalle scoperte degli psicologi sperimentali. Uno dei primi risultati diretti dellapplicazione della teoria skinneriana all insegnamento prevede luso delle tecniche di condizionamento operante nellofferta sistematica di informazione per mezzo di programmi scritti (una forma di istruzione programmata). Unaltra applicazione ha assunto la forma di una forte enfasi sui metodi di controllo positivo (per es. il rinforzo positivo) piuttosto che sul controllo dissuasivo (il rinforzo negativo e la punizione). Skinner un forte sostenitore del rinforzo positivo, oltre che di approcci piacevoli ed atti ad attirare la attenzione applicati allinsegnamento; per di pi, egli presenta numerosi suggerimenti per lo sviluppo si una tecnologia dellinsegnamento (1968). Lapplicazione specifica e sistematica dei principi del condizionamento operante alla educazione richiede che gli insegnanti si trasformino in analisti del comportamento: che si dedichino sia alla identificazione e creazione di ambienti che portino a comportamenti desiderabili, sia allofferta di contingenze di rinforzo che servano a mantenere questi comportamenti. I pi importanti principi: Il rinforzo criticamente importante nel determinare lapprendimento e il comportamento. 52

La punizione non molto efficace per eliminare un comportamento indesiderabile. Linteresse per il lavoro e per il miglioramento conduce allapprendimento. La significativit delle materie scolastiche e latteggiamento dello studente sono variabili importanti nella scuola. La ripetizione senza rinforzo non favorisce lapprendimento [v. anche Appendice 2]. Un altro punto di vista Esistono innumerevoli esempi in cui i principi comportamentistici non possono essere applicati. Raramente gli insegnanti controllano alcuni dei rinforzatori pi potenti (laccettazione e lelogio dei compagni, lapprovazione dei genitori). Inoltre, la maggior parte dei nostri problemi educativi non coinvolgono la creazione di un programma di rinforzo atto a mantenere una risposta desiderabile, ma in primo luogo la produzione della risposta. Infine, lapplicazione dei principi operanti ha spesso delle serie limitazioni: le tecniche di modificazione del comportamento applicate ai problemi comportamentali ignorano le cause del comportamento sbagliato, attribuiscono poca enfasi alla prevenzione e spesso non presentano benefici a lungo termine (tecniche efficaci, che linsegnante deve conoscere, ma insufficienti). Unargomentazione filosofica Se la maggior parte dei comportamenti umani significativi sono controllati dal rinforzo o dalla sua assenza, ne segue che siamo controllati dai nostri ambienti: che la libert di cui godiamo solo unillusione. Skinner (1971) sostiene infatti che la persona autonoma un mito: noi siamo controllati dal nostro ambiente, ma si tratta di un ambiente del quale abbiamo il controllo quasi totale. Egli descrive anche (1961) il modo in cui la pubblicit utilizza il rinforzo positivo presentando donne seducenti nei loro spot commerciali, ed il modo in cui il controllo motivazionale viene raggiunto creando dei rinforzi generalizzati; parla di una societ che controlla attraverso il rinforzo positivo sotto forma di stipendi, di regali o di mance, o che controlla attraverso le droghe, come i riduttori di paura per i soldati o gli steroidi e la cocaina per gli atleti. Ma tutto questo iniziato prima di Skinner, come egli stesso nota. Ci nonostante la sua descrizione della condizione umana sub forti attacchi, in particolare dagli psicologi umanistici [per approfondire il primo connessionismo, v. Lapprendimento di Hill W. F., Zanichelli, 2000, pp.29-82; per le teorie skinneriane, ib., pp.83117].

La teoria sociale cognitiva di Bandura


Lessere umano, a differenza dellanimale, comprende le conseguenze del proprio comportamento: pu anticipare e ragionare e decidere di agire o non agire. I comportamentisti come Skinner ritengono sia inutile e dispendioso includere i concetti mentali imprecisi e spesso non osservabili in una scienza dellapprendimento e del comportamento umano. Tuttavia, alcuni psicologi, come Albert Bandura (1963, 1977), hanno tentato di riconoscere e comprendere queste attivit mentalistiche pur rimanendo fedeli allenfasi comportamentistici sugli eventi osservabili. Concettualmente, la sua teoria assolve al compito di importante transizione tra gli approcci comportamentistici e quelli cognitivi, e viene spesso definita teoria sociale cognitiva.
Lapprendimento sociale

Lapprendimento sociale pu riferirsi al modo in cui lapprendimento ha luogo (il processo: attraverso uninterazione sociale) o a cosa viene appreso (il prodotto: i comportamenti accettabili). Il prodotto = Un comportamento accettabile varia sia in base alla cultura sia in base al gruppo appartenente ad una data cultura. Analogamente, un comportamento socialmente accettabile spesso una funzione dellet e del sesso di appartenenza. Probabilmente uno dei compiti pi importanti dellambiente domestico nei primi anni di vita di un bambino, e pi tardi della scuola, quello di promuovere lo sviluppo di comportamenti appropriati: un processo chiamato socializzazione. Questo processo prevede la trasmissione della cultura di una societ e linsegnamento di comportamenti appropriati al sesso ed alle circostanze sociali (oppure, in un mondo pi ideale, linsegnamento del fatto che ladeguatezza dei comportamenti non dipende dal sesso di appartenenza). Il processo = Secondo Bandura, lapprendimento sociale ha luogo soprattutto attraverso limitazione, un processo detto anche apprendimento frutto di osservazioni (emulazione di un modello: modeling; apprendimento vicario). Esso prevede lacquisizione di nuove risposte o la modificazione di risposte vecchie in conseguenza della visione di un modello che mette in atto determinati comportamenti. Bandura (1969) sostiene che i processi coinvolti nellimitazione sono fra i metodi fondamentali con cui vengono acquisiti nuovi modelli comportamentali e modificati i modelli gi esistenti. principalmente attraverso il processo dellapprendimento sociale e delimitazione che mode ed espressioni attraversano i paesi.
Panoramica della teoria sociale cognitiva

La teoria di Bandura si basa in parte su un modelli di condizionamento operante. Molto dellapprendimento umano una funzione dellosservazione ed imitazione del comportamento di altri o di modelli simbolici (in termini skinneriani: i comportamenti imitativi possono essere considerati come degli operanti). Noi impariamo ad imitare venendo rinforzati nel nostro apprendimento; un rinforzo continuo mantiene il comportamento imitativo. Taluni aspetti dellimitazione (o dellapprendimento frutto di osservazione) possono essere dunque spiegati in termini di condizionamento operante. La teoria di Bandura (detta anche determinismo reciproco) riconosce limportanza fondamentale della nostra capacit di simbolizzare, immaginare, di scoprire i rapporti di causa-effetto e di anticipare le conseguenze dei nostri comportamenti. Lambiente influisce chiaramente sulle nostre azioni; ma il rinforzo non ci controlla ciecamente: i suoi effetti dipendono largamente dalla nostra consapevolezza del rapporto esistente tra il nostro comportamento e le sue conse53

guenze. Lenfasi principale sulle capacit di informazione che guidano il comportamento di un individuo. Non il rinforzo che produce o influenza direttamente il nostro comportamento, ci fa notare Bruner (1985), in quanto il rinforzo avviene dopo il comportamento; piuttosto lanticipazione delle conseguenze di una certa azione da parte dellindividuo che influisce immediatamente sullapprendimento ed il comportamento. La nostra capacit di simbolizzare ed anticipare si riflette non solo nella nostra capacit di immaginare i risultati delle nostre azioni e quindi di governare noi stessi di conseguenza, ma anche nella nostra abitudine di sistemare deliberatamente lambiente per controllare alcune conseguenze delle nostre azioni. Gli effetti dei modelli sono soprattutto una conseguenza di ci che Bandura (1977) definisce come la loro funzione informativa: osservando i modelli noi impariamo cognitivamente non solo come fare certe cose, ma anche quali potrebbero essere le conseguenze delle nostre azioni.
Nellapprendimento frutto di osservazioni sono coinvolti quattro processi distinti

Processi dellattenzione: oltre al valore affettivo e funzionale del comportamento assunto come modello, molti altri fattori influiscono sui processi dellattenzione; ad es.: lunicit, la complessit e la prevalenza degli stimoli, ma anche alcune caratteristiche di chi apprende, compreso linteresse (motivazione), la situazione percettiva (prontezza nellosservare) e la storia di rinforzi precedenti. Processi della ritenzione: poich gli effetti dellimitazione sono solitamente differiti, abbiamo la necessit di simbolizzare, comprendere ed organizzare le nostre osservazioni. Bandura prevede due tipi di sistemi rappresentazionali: quello visivo (immaginale) [e lauditivo?] e quello verbale; egli suggerisce che il modo migliore per imparare da un modello quello di organizzare e riprovare cognitivamente il comportamento osservato e poi metterlo in atto (per es.: studi dimostrano che la ripetizione mentale di una complessa sequenza motoria pu migliorare significativamente la performance). Processi di riproduzione motoria: trasformazione di azioni simbolicamente rappresentate (mentalmente visualizzate o immaginate) in movimento fisici. Laccurata riproduzione motoria di un comportamento osservato dipende (oltre che da capacit fisiche essenziali) anche dalla capacit dellindividuo sia di monitorare le proprie riproduzioni sia di usare un feedback motorio per correggere gli errori (riproduzioni ripetute, attentamente modellate, che vengono valutate e modificate in funzione di un feedback). Processi motivazionali: molto di quello che viene osservato e presumibilmente acquisito non viene mai eseguito; se il comportamento preso a modello verr mai messo in atto dipende dal rinforzo oppure, pi precisamente, dal rinforzo anticipato. Prevalenza dellimitazione Copiare il comportamento altrui un fenomeno ampiamente diffuso, forse pi ovvio nelle societ non-tecnologiche.
Modelli

Il termine modello pu riferirsi ad una persona reale il cui comportamento serve da stimolo per la risposta di un osservatore, oppure, come accade pi di frequente nelle nostre societ, pu riferirsi a modelli simbolici: istruzioni orali e scritte, immagini mentali, personaggi di film, figure religiose, contenuti e personaggi di libri e televisione. Per alcuni bambini i modelli simbolici possono essere importanti quanto i modelli della vita reale.
Fattori di rinforzo dellimitazione

Rinforzo diretto: il pi evidente nel primo apprendimento del bambino. Conseguenze del comportamento: soprattutto se si tratta di un comportamento socialmente accettabile efficace nel raggiungere un obiettivo. Rinforzo vicario: prevede la creazione di un rinforzo di seconda mano dallosservazione di qualcuno che si comporta in un certo modo ( come se losservatore decidesse che il modello fa qualcosa perch ottiene un rinforzo da tale comportamento). Nella logica dellosservatore, chiunque intraprenda lo stesso comportamento ricever lo stesso rinforzo. Studi hanno dimostrato che la somministrazione di una ricompensa o di una punizione ad un modello ha un certo effetto sul comportamento dellosservatore, effetto simile a quello che avrebbe la somministrazione diretta di una ricompensa o di una punizione.
Effetti dellimitazione

Esistono tre diverse categorie di comportamento imitativo (Bandura e Walters 1963): Effetto modellante: prevede lacquisizione di un nuovo comportamento in conseguenza della visione di un modello che attua tale comportamento. Studi dimostrano che bambini esposti a modelli aggressivi (reali, ma anche simbolici: film, tv) mostrano un comportamento pi violento rispetto ai gruppi di controllo (e le loro risposte sono solitamente imitative in modo alquanto preciso). Non chiaro se la violenza televisiva, documentata da studi, pu avere realmente un significativo impatto a lungo termine. Un esempio di effetto modellante anche lapprendimento del linguaggio. Effetto inibitorio-disinibitorio: rappresenta la repressione di un comportamento deviante in un osservatore, di solito dopo aver visto un modello punito per aver intrapreso un comportamento analogo (inibizione); ovvero lopposto, quando un osservatore intraprende un comportamento deviante precedentemente appreso, di solito dopo aver visto un modello ricompensato (o almeno non punito) per un comportamento analogo (disinibizione). Particolarmente importante per gli insegnanti quando si trovano ad affrontare comportamenti devianti. Studi documentano che le risposte aggressive di bambini dopo la visione di film, non erano nuove, ma apprese precedentemente e poi represse. I risultati di varie ricerche indicano che lesposizione a modelli aggressivi pu avere un effetto disinibitorio sui giovani osservatori; mentre la punizione di chi sbaglia spesso non riesce a scoraggiare altri trasgressori (se un soggetto riceveva degli incentivi affinch si comportasse in modo aggressivo, lesempio del modello non contava pi). Effetto alone: prevede il comportamento di un modello che produce delle risposte che non corrispondono necessariamente con quelle del modello, ma che appartengono alla stessa classe (losservatore non imita direttamente il com54

portamento del modello, ma emette una risposta ad esso correlata). Un esempio anche il comportamento gregario spesso evidente nelle folle che assistono ad eventi sportivi (applausi o fischi contagiosi).
Implicazioni educative

Lapprendimento imitativo ha il vantaggio di fornire una completa sequenza comportamentale per chi apprende; non c alcun bisogno di successive approssimazioni, di prove ed errori o di associazioni di contiguit. Molti dei fattori associati ai processi dellattenzione (la particolarit degli stimoli, il livello di stimolazione di chi apprende, la storia dei rinforzi passati) sono almeno in parte sotto il controllo dellinsegnante. Analogamente, il docente pu offrire direzione ed opportunit per le attivit coinvolte nella ritenzione e nella riproduzione. E poich gli effetti del rinforzo dipendono dalla nostra consapevolezza della connessione tra il nostro comportamento e le sue conseguenze, linsegnante pu esercitare anche una notevole influenza sui processi motivazionali [per la cosiddetta gestione del comportamento v. anche La vita scolastica e la conduzione della classe: p.119]. Pi recentemente (Bandura 1993), la teoria sociale cognitiva ha preso una piega nuova, ancor pi cognitiva, avendo a che fare con quello che viene definito pensiero referente (un pensiero, cio, che riguarda i nostri processi mentali e lidea che abbiamo della nostra efficacia personale, la cosiddetta auto-efficacia): Le convinzioni relative allefficacia influenzano il modo in cui le persone si sentono, pensano, motivano se stesse e si comportano [v. anche p.74].

Il cognitivismo
Il cognitivismo abbonda di metafore (Bruner, 1990); questo perch gran parte di ci che esso affronta non pu essere descritto con precisione: deve essere dedotto pi che visto. Una metafora non pu essere guardata in base alla sua precisione, ma solo in base alla sua utilit (o interesse). La metafora dominante del cognitivismo quella dellelaborazione dati, nata insieme ai computer, e strettamente correlata alla branca della scienza informatica interessata allintelligenza artificiale. Questa metafora sostiene che utile guardare al funzionamento cognitivo umano come se funzionasse come un computer. Ma esistono altri approcci, che ricorrono ad etichette come base conoscitiva, strategia cognitiva o metacognizione, per le proprie metafore: si tratta di astrazioni, invenzioni della teoria cognitiva, che nessuno ha mai visto, ma che, una volte descritte, consentono di dire che chi apprende si comporta come se avesse una base conoscitiva (il deposito di informazioni, concetti ed associazioni che noi costruiamo negli anni) e delle strategie cognitive (i processi con cui linformazione diventa parte della nostra base conoscitiva, viene recuperata da essa, o usata); si definisce invece metacognizione la consapevolezza individuale del s come conoscitore ed elaboratore di informazioni.

Un modello base di elaborazione dati


Il modello base di elaborazione dati attualmente pi usato come metafora nella scienza cognitiva essenzialmente un modello di memoria umana. Questo modello (Atkinson e Shiffrin, 1968) distingue: memoria a breve termine (o memoria operante o memoria di lavoro: MBT o MDL) e memoria a lungo termine (MLT), e talvolta anche una memoria sensoriale (o memoria [onomatopeica?] ecoica per gli stimoli uditivi e iconica per quelli visivi ). Ogni tipo di immagazzinamento si distingue principalmente in base alla natura e al livello di elaborazione delle informazioni. Lelaborazione processuale si riferisce ad attivit quali lorganizzazione, lanalisi, la sintesi, la ripetizione e cos via; in pi, i tre tipi di immagazzinamento differiscono nella capacit e nel livello di accessibilit dei loro contenuti.
Funzione Atti cognitivi (pensare, problem solving, creare) Software (operazioni programmate) Uomo R Computer Input Output Sensori (tastiera) Hardware (chip, rel, impianto) Stampante, schermo Sensi Sistema nervoso Struttura Sistema di risposte

Memoria sensoriale

letichetta usata per descrivere gli effetti immediati e inconsci della stimolazione. La ricerca indica che molta della stimolazione cui non facciamo attenzione comunque disponibile per essere elaborata, forse per una frazione di secondo (es.: fenomeno del cocktail party). La memoria sensoriale altamente limitata, sia in termini di durata nel tempo durante il quale linformazione-stimolo disponibile allelaborazione, sia in termini di quantit assoluta di informazioni disponibili (tranne, forse, nel caso delle immagini eidetiche).
Memoria a breve termine (MBT)

costituita da ci che nella nostra coscienza immediata in un dato momento. Precede lattenzione: quando il soggetto osserva uno stimolo (ne diventa cosciente), questo passa alla MBT. La sua capacit altamente limitata (Miller, nel 1956, giunse alla conclusione che la sua capacit media di circa 7 2 elementi separati; adulti e adolescenti ricordano infatti normalmente 6 o 7 item talvolta 9 o pi mentre i bambini di 6 anni sono in grado di ripeterne solo 2 o 3): se arrivano informazioni nuove, devono essere necessariamente fatti uscire dati vecchi (come nel buffer del computer). Sebbene luomo non possa fare attenzione a pi 7 elementi per volta, un processo detto raggruppamento aumenta notevolmente la capacit della MBT (un raggruppamento semplicemente lunione di elementi correlati fra loro). Le informazioni che riceviamo tramite i sensi e alle quali prestiamo attenzione fanno dunque ingresso nella MBT, dove per possono essere mantenute solo per breve tempo (20 secondi circa), dopodich o vengono dimenticate oppure vengono trasferite nella memoria a lungo termine. Questo trasferimento una condizione essenziale per lapprendimento. Si ri55

tiene che questo processo implichi una qualche forma di consolidamento, in genere una breve pausa durante la quale le informazioni vengono trattenute a livello conscio nella mente, ovvero vengono continuamente ripetute. Recentemente sempre pi prove dimostrano che possibile insegnare certi aspetti delle strategie cognitive come la ripetizione, ed altre strategie di metamemoria fondamentali nella MBT. La grande utilit della MBT che essa ci consente di tenere a mente delle informazioni per un tempo sufficientemente lungo per dare un senso alle conseguenze di parole e direzione, per risolvere i problemi e per prendere delle decisioni.
Memoria a lungo termine (MLT)

Comprende tutte le informazioni relativamente stabili sul nostro mondo, tutto quello che conosciamo ma che non si trova nella nostra coscienza immediata. A differenza della MBT, che pu essere facilmente disturbata dagli eventi esterni, la MLT non pu essere disgregata con facilit. Noi trasferiamo le informazioni dal magazzino sensoriale a quello a breve termine soprattutto attraverso i processi dellattenzione, e le manteniamo nella MBT principalmente attraverso la ripetizione; ma il trasferimento del materiale dalla MBT alla MLT coinvolge qualcosa di pi della semplice ripetizione: esso prevede la codificazione, un processo con cui viene tratto il significato di unesperienza. Cermak, Craik e Lockhart (1972, 1979) autori del modello dei livelli di elaborazione, suggeriscono che la memoria deriva specificamente dal livello in cui vengono elaborate le informazioni: le informazioni non elaborate lasciano solo una momentanea impressione sensoriale (memoria sensoriale), quelle semplicemente ripetute sono disponibili per qualche secondo (MBT) e quelle elaborate pi in profondit trovano spazio nella MLT. Ma non tutto il materiale nella MLT viene elaborato allo stesso livello: una parola pu, per es., essere elaborata ad un livello molto superficiale facendo attenzione alla sua sola apparenza fisica, oppure meno superficialmente si pu fare attenzione alla pronuncia, o ancor pi in profondit si pu tener conto del suo significato (codificazione semantica). importante notare che i nostri ricordi a lungo termine non sono sempre delle esatte riproduzioni di ci che abbiamo vissuto: i ricordi cambiano notevolmente con passare del tempo, spesso in modo prevedibile; essi tendono ad essere generativi piuttosto che puramente riproduttivi (secondo Loftus 1979 molto di ci che ricordiamo viene modificato da eventi intercorrenti e appannati dal passare del tempo). Tipi di MLT memoria non-dichiarativa (o memoria procedurale o implicita): conoscenze che non possono essere tradotte in parole; memoria conscia di fatti ed eventi memoria dichiarativa (o memoria esplicita): conoscenze stabili che possiamo tradurre in parole memoria semantica: conoscenza generale e astratta del mondo memoria episodica: reminiscenze personali su ci che abbiamo detto o fatto, sulle esperienze che abbiamo avuto (piccoli episodi della nostra vita) Processi della MLT Lobiettivo del sistema di elaborazione dati che abbiamo descritto semplicemente quello di dare un significato alle sensazioni pi importanti e ignorare o scartare le questioni pi banali. Per raggiungere tale obiettivo, il sistema utilizza diversi processi. Attenzione: uno dei processi pi importanti, il mezzo con il quale le informazioni vengono trasferite dal magazzino sensoriale a quello a breve termine. Ripetizione: enumerazione continua del nome del materiale che deve essere appreso, fin quando sentiamo che difficilmente potr sfuggirci; serve non solo a mantenere le informazioni nella MBT, ma anche a trasferire il materiale grezzo dal magazzino a breve termine a quello a lungo termine. La maggior parte dei bambini inferiori ai 5 anni non sanno ripetere spontaneamente e difficilmente possono impararlo. Elaborazione: processo cognitivo per mezzo del quale il materiale viene esteso o aggiunto per renderlo pi facile al ricordo. Per es.: associare immagini mentali agli item da ricordare (Higbee suggerisce che, poich i nostri ricordi sono altamente visivi, luso delle immagini mentali un aspetto importante della maggior parte dei sistemi mnemonici), formare associazioni tra un materiale nuovo ed uno gi noto (la ricerca suggerisce che le elaborazioni relative al significato sono facili da ricordare). I bambini inferiori ai 12 anni non sanno elaborare deliberatamente per migliorare il ricordo. Organizzazione: si riferisce al raggruppare e collegare le informazioni. Per es.: talvolta si possono correlare tra loro alcuni nomi di una liste raggruppandoli per categorie uniformi, e cos migliorarne il ricordo (i bambini piccoli non hanno le capacit necessarie per attivare questi processi). Posso essere strategie estremamente semplici o estremamente complesse; ci che hanno in comune che si basano su analogie e differenze (gli esseri umani e forse anche altri animali sembrano avere la tendenza a notare analogie e differenze cos come altri rapporti e a generalizzare partendo da esse). Noi tendiamo ad estrarre elementi comuni dalle varie esperienze, arrivando in questo modo a concetti o idee che possiamo ricordare; ed stato dimostrato che molte delle nostre organizzazioni di concetti o idee in relazione tra loro risultano dallapplicazione delle strategie che abbiamo appreso. Inoltre, quando diventiamo consapevoli delle varie strategie che possiamo usare per dare senso al nostro mondo (e per imparare a ricordare), diventiamo consapevoli anche di noi stessi come organismi in grado di apprendere e ricordare. Impariamo le cose, ed impariamo ad imparare: sviluppiamo, cio, abilit metacognitive. Fattori che interferiscono con la MLT Ansia [v. 72]. Teoria della dissolvenza (o teoria del decadimento): il materiale che non viene utilizzato dalla mente abbastanza spesso tende a dissolversi dalla memoria. Molti psicologi non giudicano molto interessante questa teoria; sostengono 56

che il tempo da solo non causa loblio pi di quanto non faccia arrugginire un metallo o erodere una montagna: sono gli altri eventi che avvengono durante il passare del tempo che spiegano questi fenomeni. Distorsione: quei ricordi che non si dissolvono completamente vengono spesso distorti. Rimozione: sembra che le persone tendano a dimenticare gli eventi per loro particolarmente spiacevoli (i freudiani ritengono che i ricordi dolorosi vengono filtrati dal subconscio, dove lindividuo non ne consapevole, anche se possono continuare ad avere una profonda influenza sulla vita [v. anche p.85]). Interferenza (o inibizione) retroattiva: si manifesta quando il materiale appreso di recente sembra inibire il ricordo di ci che si appreso in precedenza. Interferenza (o inibizione) proattiva: si manifesta quando le cose appresa in precedenza sembrano bloccare il ricordo di quelle apprese dopo. Si pu fare ben poco a scuola; si manifesta comunque di pi quando si studiano due argomenti somiglianti; si tratta in ogni modo di un problema non grave, tendente a sparire via via che il materiale nuovo diventa familiare. Fallimento del recupero: alcuni psicologi sostengono che loblio pu essere spiegato dalla incapacit di recuperare dalla memoria, pi che dai motivi sopra citati. Implicazioni educative Un materiale significativo e ben organizzato viene appreso pi facilmente e ricordato per periodi di tempo pi lunghi rispetto ad un materiale insignificante; gli eventi forti tendono ad essere ricordati con maggiore facilit e chiarezza; una ripetizione frequente migliora il ricordo a lungo termine; il materiale visivo ha un maggiore impatto sulla memoria rispetto al materiale verbale.
Strategie per favorire il consolidamento ed aumentare lefficienza della MLT in generale

Utilizzare la ripetizione: contro la teoria della dissolvenza, le scuole offrono agli studenti una variet di opportunit per esercitarsi e ripetere ci che hanno appreso; per di pi, un buon insegnante attento ad enfatizzare gli aspetti pi importanti e distintivi (pi facili da ricordare) di una situazione (per opporsi alla teoria della distorsione). Utilizzo di analogie e differenze: per contrastare gli effetti della interferenza, importante la generalizzazione (o trasferimento positivo: lapprendimento precedente facilita quello nuovo, fenomeno evidente nellapprendimento di una seconda lingua, praticamente opposto dellinterferenza proattiva, considerabile una sorta di trasferimento negativo). Pu dunque essere utile associare materiale nuovo a quello vecchio, enfatizzando analogie (che facilitano il trasferimento positivo) e differenze (che minimizzano il trasferimento negativo). Fare una pausa, ripetere, e porre domande: azioni che stimolano gli alunni a restare sul materiale didattico quel tanto da rendere possibile il trasferimento. Attinenza ed interesse: le cose che i bambini ricordano meglio sono quelle che hanno attinenza concreta con le loro esperienze e che li coinvolgono personalmente. Durata dellattenzione: con una classe normale e in qualunque momento dato, linsegnante pu aspettarsi di riuscire a tener desta lattenzione della classe per non pi di un minuto/un minuto e mezzo per ogni anno di et degli alunni. Utilizzazione pratica: il materiale utilizzato concretamente tende ad essere ricordato meglio. Significato: il materiale che si capisce pi facile da ricordare. Sovrapprendimento: materiale sovrappreso (esercizio e ripasso anche dopo apprendimento perfettamente avvenuto) si conserva nella memoria meglio (in particolare ci vale per materiali che occorre ricordare in situazione ansiogena). Associazione: il materiale non familiare si ricorda meglio se associato a qualcosa di familiare (dal noto allignoto...); particolarmente utile lassociazione visiva. Riconoscimento e ricordo: il primo ha luogo pi facilmente del secondo (linsegnante, dunque, quando pu, aiuti la capacit di ricordo offrendo indicazioni utili al riconoscimento). Esercitare la memoria: non esistono dati che confermino che imparare a memoria lunghe poesie si rinforzi la memoria; i risultati, semmai, si possono avere imparando determinate strategie di memorizzazione. Alcune tecniche mnemoniche possono aiutare: dai pi elementari stratagemmi, sino allassociare ogni numero da memorizzare a una parola che con esso fa rima, e quindi associando le stesse associazioni a fatti da imparare a memoria, ma ricorrendo preferibilmente a immagini visive (utilit comunque limitata). Specifici aiuti mnemonici (stratagemmi mnemonici): per le informazioni dichiarative (semantiche) Tulving sostiene che i metodi di recupero pi efficaci sono quelli che coincidono con il tipo di ricordo in questione (per le parole migliore lenfatizzazione dei significati, per lortografia delle parole sono invece pi efficaci gli indizi che enfatizzano le lettere). Esiste una grande variet di altri specifici metodi e tecniche di recupero che possono esser insegnati e appresi e che sono potenzialmente molto utili in ambito scolastico. Rime a altri detti: rime, schemi, acronimi ed acrostici rappresentano comuni stratagemmi mnemonici (Trenta giorni ha Novembre); laiuto mnemonico del raggruppamento fa uso di schemi (cinque milioni, cinquecentocinquantunmila duecentododici pi difficile da ricordare di 555-1212). Gli acronimi sono indizi letterari che aiutano a ricordare (acronimo molto famoso: ONU); gli acrostici, invece, ricorrono a frasi in cui la prima lettera di ogni parola rappresenta un item di informazione da ricordare. Sistema dei collegamenti: prevede che il soggetto visualizzi litem da ricordare e formi una forte associazione visiva (legame) tra di esso ed altri elementi da ricordare. Funziona sorprendentemente bene, ma presenta degli svantaggi, tra i quali: (1) spesso difficile ricordare il primo item della lista (si pu allora formare unassociazione visiva tra 57

il primo elemento ed una situazione che facilita il ricordo dellelemento in questione); (2) se non si pu ricordare uno qualsiasi degli elementi, difficile ricordarsi uno degli elementi successivi. Sistema dei luoghi (o dei loci): supera il succitato svantaggio (2) , giacch in questo sistema si formano semplicemente delle associazioni tra gli elementi da ricordare e luoghi familiari (che quindi sono facili da visualizzare). Il vantaggio consiste soprattutto nel fatto che, se si dimentica il primo elemento (poniamo associato allingresso della propria casa), si pu sempre partire da un altro (magari associato al bagno). Sistema fonetico: sicuramente il pi potente, anche se richiede uno sforzo notevolmente maggiore. I- Associare numeri e consonanti (di solito l1 viene rappresentato con una lettera come t o l; il 2 con n, 3 con m e 9 con p; le vocali sono escluse), II- formare una forte immagine visiva di ognuna delle parole che corrispondono ai numeri. Es.: se abbiamo davanti una lista di cose da ricordare ed il ventunesimo elemento una scarpa, possiamo visualizzare un nuotatore con su una scarpa (nuoto = nt = 21). Le buone abitudini di studio Lavorare in un ambiente privo di distrazione; sovrapprendimento (v. 57); obiettivi di lavoro realistici (meglio esplicitare gli obiettivi davanti ad altri); premi (programma che preveda piccoli premi-rinforzo); puntualit (prevenendo complicate strategie per rimandare); apprendimento per parti e apprendimento globale (leggere prima interamente, per comprenderne il senso generale; successivamente spezzare in piccole unit, apprendendo metodicamente); organizzazione del materiale (prendere appunti e riorganizzare in forma pi gradevole, mettere ordine, essere completi di rimandi...); memoria orale, non solo visiva (registrare su nastro, anche, e riascoltare); ripasso (scaglionato in fasi graduali quello lampo produce interferenze retroattive; il ripasso migliore quello che si fa prima di aver dimenticato il materiale: ripasso di mantenimento) [F,127-129; L,128-142].

La metacognizione
utile distinguere tre diversi aspetti: a- la consapevolezza, pi o meno esplicita, delle conoscenze e capacit (processi e strategie cognitivi) possedute (per es.: la convinzione personale sullefficacia della sottolineatura per facilitare lapprendimento); b- la capacit di autoregolazione o di controllo dei processi e delle strategie cognitive implcate nel compito da affrontare (per es.: il tentativo di stimare la difficolt di un capitolo o di un passaggio, e la decisione di prendere o meno delle note, di sottolineare o semplicemente di leggere); c- la consapevolezza e la competenza autoregolativa dei processi di natura affettiva, motivazionale e volitiva [Po,234]. Lo sviluppo della metacognizione I bambini piccoli non hanno ancora sviluppato le capacit della metacognizione (conoscenza della conoscenza) o della metamemoria (conoscenza della memoria), inclusa nella metacognizione. Ci non significa che essi non fanno uso di strategie cognitive, ma semplicemente che non ne sono consapevoli e non le applicano coscientemente (per lo meno sino agli 8-9 anni). Semplici strategie specifiche possono essere insegnate anche ai bambini piccoli, ma essi hanno anche bisogno che venga loro insegnato quando usarle. Le strategie della cognizione Sembra che luomo abbia una tendenza naturale ad estrarre dei concetti generici dallesperienza, cos come ad imparare come imparare e come ricordare. Storicamente, la maggior parte delle strategie cognitive o di insegnamento (e apprendimento) avvengono casualmente mentre si insegnano altre cose. Recentemente, per, sono stati fatti dei tentativi per sviluppare programmi designati specificamente ad insegnare strategie cognitive.
Strategie educative di apprendimento/pensiero

Rappresentano gli strumenti di elaborazione/pensiero delle informazioni da parte di chi apprende.


Categorie di strategie di apprendimento/pensiero Strategie semplici di ripetizione Ripetizione semplice (es.: pugna, pugn, pugn, pugnam, pugna, pugna) Strategie complesse di ripetizione Sottolineatura di tutti gli aspetti importanti di un testo Strategie semplici di elaborazione Creazione di immagini mentali o altre associazioni (come acronimi, acrostici) Strategie complesse di elaborazione Creazione di analogie, parafrasi, riassunti e rapporti Strategie semplici di organizzazione Raggruppamento, classificazione, ordinamento Strategie complesse di organizzazione Identificazione delle idee principali; elaborazione di tabelle riassuntive (come questa) Strategie di controllo della comprensione Porre domande a se stessi; recitare i punti principali; porsi obiettivi e verificare i progressi Strategie affettive e motivazionali Anticipazione delle conseguenze dei successi scolastici; respirazione profonda ed altre tecniche di rilassamento

Applicazioni educative Recentemente, sono stai messi a punti molti programmi designati specificamente allo sviluppo di abilit cognitive; sono programmi che appoggiano una variet di approcci educativi, compresi lapprendimento di gruppo (es.: lapprendimento cooperativo), listruzione individuale (es.: le domande dellinsegnante designate a promuovere specifiche abilit di pensiero), le procedure di modellamento (in cui, ad es., viene verbalizzata una strategia cognitiva mentre viene eseguita), e vari programmi in cui gli studenti vengono preparati alluso di strategie specifiche. I vari programmi enfatizzano abilit diverse, che a loro volta portano allo sviluppo di una variet di programmi per linsegnamento del pensiero; questi assumono tipicamente forme diverse: la forma solitaria (le abilit cognitive vengono insegnate come una materia separata), la forma inserita (le abilit cognitive vengono insegnate allinterno del contesto di altre materie; ha il vantaggio di apparire pi rilevante agli occhi degli studenti, ed di pi facile applicazione in quanto parte di un normale programma scolastico; inoltre, non richiedendo una lezione a parte, meno costosa e pi 58

facile da programmare), la forma dellimmersione (simile alla inserita, ma con maggior enfasi sulle idee pi che sulle capacit e sui processi) [v. Appendice 3].

Le condizioni dellapprendimento e dellinsegnamento: la teoria di Gagn


Robert Gagn presenta una teoria dellapprendimento che sia comportamentista sia cognitiva. Lapprendimento sequenziale descritto dalla teoria cognitiva pu essere, secondo Gagn, cos riassunto = la stimolazione influenza i ricettori sensoriali di chi apprende (percezione selettiva), le informazioni vengono immagazzinate momentaneamente nella MBT, dove rimangono coscienti finch vengono ripetute; in uno stadio successivo, il materiale pu essere nuovamente modificato attraverso un processo di codificazione semantica (si stabilisce il significato del materiale), dopo il quale vengono quindi immagazzinate nella MLT. Diverse procedure di ricerca e recupero possono quindi consentire a chi apprende di richiamare queste informazioni dal magazzino a lungo termine, dove sono rilevanti per il comportamento; ed un altro processo (organizzazione della risposta) pu servire a combinare e modificare le informazioni recuperate ed usarle nella guida del comportamento. Gagn riassume dunque quello che definisce un atto di apprendimento in nove processi od eventi (1992): a- Ricezione degli stimoli b- Registrazione delle informazioni da parte dei registri sensoriali c- Percezione o attenzione selettiva ed immagazzinamento momentaneo nella MBT d- Ripetizione che conserva le informazioni nella MBT e- Codificazione semantica che trasferisce le informazioni nella MLT f- Recupero dalla MLT g- Produzione della risposta h- Performance reale da parte di chi apprende i- Uso di strategie per controllare tutti questi processi. Lapprendimento, dice Gagn, spesso coinvolge il rinforzo, la ripetizione, la contiguit ed altre condizioni esterne che sono state ampiamente indagate dagli psicologi comportamentisti; ma pu coinvolgere anche una variet di altre condizioni interne, evidenti nello stato mentale di chi apprende. Esse sono definite da elementi come la motivazione e gli obiettivi di chi apprende, cos come dallapprendimento precedente; se linsegnamento vuole essere efficace al massimo della sua potenzialit, gli insegnanti devono tener conto di tutte le condizioni dellapprendimento, sia interne sia esterne. Gagn sugger lesistenza di nove distinte attivit educative o eventi che linsegnante dovrebbe impiegare = Stimolare per ottenere lattenzione (poich la stimolazione cui il soggetto non fa attenzione non sar disponibile per un tempo superiore ad una frazione di secondo) Informare gli studenti sugli obiettivi dellistruzione, cos che essi sviluppino aspettative appropriate [v. anche il principio metodologico di direzione] Ricordare agli studenti il materiale pi rilevante precedentemente appreso Presentare il materiale in modo chiaro e distinto Guidare lapprendimento guidando la codificazione semantica Promuovere la performance dello studente che utilizza nuovi apprendimenti Fornire un feedback sullapprendimento Valutare la performance dello studente (e lefficacia dellistruzione) Organizzare la pratica futura per aiutare il ricordo e la generalizzazione. Gli obiettivi del processo educativo sono quelli di produrre un nuovo apprendimento, nuove capacit. Esistono cinque aree principali di queste capacit apprese (1985): 1- abilit intellettive (rappresenta il come dellapprendimento) 2- informazioni verbali (rappresenta, insieme ai prossimi punti, il cosa dellapprendimento) 3- atteggiamenti 4- abilit motorie 5- strategie cognitive. Queste cinque aree rappresentano tutti i possibili esiti del processo di apprendimento: 1. Abilit intellettive: rappresentano, in un certo senso, gli esiti dei semplici processi di apprendimento descritti precedentemente (condizionamento classico e operante, ad es.). Includono anche conseguenze pi complesse (come lapprendimento di discriminazioni, regole, concetti); questi comprendono tutte le abilit coinvolte nella acquisizione delle informazioni, nel problem solving, nella scoperta di regole e, tra le altre cose, nellapprendimento dellapprendimento. Come tali, le abilit intellettive non possono esser apprese semplicemente guardandole, studiandole e memorizzandole; devono invece essere apprese, ricordate ed applicate in situazioni appropriate. Gagn distingue otto diversi tipi di abilit intellettive [v. Appendice 4]. 2. Informazioni verbali: una loro caratteristica peculiare che possono essere espresse sotto forma di frase oppure possono implicare una frase (anche se molte delle nostre informazioni verbali derivano da figure, illustrazioni). Esse sono comunque essenziali per lacquisizione di ulteriori informazioni; per di pi , rendono possibile il pensiero. Gagn cita (similmente ad Ausubel), nelle condizioni esterne desiderabili per la loro acquisizione, gli organizzatori dapproccio (o anticipati o preliminari [v. p.63]) e un contesto significativo. Le informazioni verbali possono essere rese pi significative anche utilizzando fotografie, grafici, illustrazioni ed altre rappresentazioni visive. Utili pure la variazione del tono e dellenfasi di una presentazione orale e luso di sussidi didattici per catturare lattenzione (diapositive, filmati). 3. Atteggiamenti: un atteggiamento rappresenta una reazione affettiva (emozionale) personale e, come tale, non una cosa facile da insegnare; una predisposizione positiva o negativa che presenta importanti componenti motivazionali. Gli atteggiamenti sono chiaramente influenzati dal rinforzo: se si vuole che gli studenti abbiano degli atteggiamenti positivi nei confronti di tutto ci che si sta insegnando loro, imperativo che essi conoscano il successo piuttosto che il fallimento, sopratutto nei primi incontri con linsegnante e con la materia. Gagn si riferisce alla descrizione che Bandura fa dellapprendimento imitativo [v. p.54] come ad uno dei principali metodi indiretti con cui insegnare gli atteggiamenti. I passi di questa sequenza educativa prevedono la scelta di un modello appropriato con cui lo studente si identifichi (gli insegnanti sono dei modelli potenti), facendo s che il modello mostri scelte personali che riflettono gli atteggiamenti desiderati e attirando lattenzione sul conseguente rinforzo del modello. 59

4. Abilit motorie: sono le attivit principali del nostro repertorio in cui coinvolta lesecuzione di sequenze di movimenti muscolari controllati. Possono essere insegnate attraverso appropriate istruzioni verbali e dimostrazioni, e vengono perfezionate soprattutto attraverso la pratica. Come le altre abilit, sono molto suscettibili al rinforzo: non solo questo coinvolto nel determinare se un soggetto avr probabilit di acquisire una data abilit, ma intimamente coinvolto anche nel determinare quanto bene e rapidamente labilit in questione verr appresa e perfezionata. 5. Strategie cognitive: governano il modo in cui facciamo attenzione, studiamo, ci organizziamo, analizziamo, sintetizziamo e ricordiamo. Purtroppo, le strategie cognitive tendono ad essere ampiamente auto-apprese anzich insegnate deliberatamente. Una delle condizioni importante per il loro sviluppo che il soggetto venga esposto a problemi nuovi e stimolanti; inoltre, stato dimostrato che gli insegnanti possono fare molto per rendere gli studenti consapevoli delle proprie strategie cognitive e dellutilit di sviluppare, praticare e monitorare il loro uso [v. Appendice 5]. Nonostante la stretta somiglianza con i modelli cognitivi, luso di questo modello da parte di Gagn pi pratico, molto pi orientato allinsegnamento; il suo obiettivo non tanto quello di descrivere lapprendimento umano in senso astratto, quanto piuttosto di descrivere specificamente le condizioni in ci lapprendimento ha luogo e le procedure educative pi efficaci perch ci avvenga. Listruzione semplicemente la manipolazione delle condizioni di apprendimento.
Cognitivismo: credenze comuni

Alcuni concetti comuni condivisi da Gagn, Bruner ed Ausubel = Lapprendimento attuale costruito sullapprendimento precedente: quello che Gagn definisce capacit precedentemente acquisite; a differenza del comportamentismo, il cognitivismo enfatizza il fatto che spesso traiamo diversi significati dalle esperienze, soprattutto perch costruiamo il significato, anzich limitarci a scoprirlo. Lapprendimento prevede una elaborazione delle informazioni: chi apprende una sorta di elaboratore delle informazioni; termini come schema o copioni (script) vengono spesso usati per descrivere la struttura cognitiva, che rappresenta il contenuto della mente (e che comprende concetti, rapporti stabiliti tra concetti, strategie usate nella astrazione dei concetti stessi e nella loro organizzazione nella MLT). Il significato dipende dai rapporti: la conoscenza non esiste nel vuoto. Tutta la conoscenza dichiarativa di una persona pu essere concettualizzata come una vasta rete di proposizioni intercorrelate, dice Gagn; essa opposta alla conoscenza procedurale, anchessa che deriva il proprio significato dai rapporti interpersonali. Il pensiero prevede la formazione e manipolazione dei rapporti tra gli item dellinformazioni (per es.: unillustrazione pu a volte fornire una cornice schema entro la quale comprendere un passo verbale altrimenti oscuro). Gli schemi sono le metafore della struttura e del funzionamento cognitivi; sono come gruppi di item conoscitivi correlati tra loro che definiscono i concetti; sono ci che conosciamo delle cose. Un aspetto degli schemi fondamentale per lapprendimento e il ricordo della cose della vita quotidiana il copione (script): una parte di struttura cognitiva che ha a che fare con le routine e le sequenze. I copioni, come gli schemi, hanno a che fare con i rapporti: un copione , in un certo senso, unespressione di rapporti sequenziali. Copioni e schemi hanno chiaramente degli usi propri; ci nonostante si tratta solo di metafore che devono essere rese pi concrete per i nostri scopi. Le applicazioni educative dovrebbero enfatizzare i rapporti e le strategie: gli approcci cognitivi guardano al modo in cui traiamo le informazioni dallambiente; il modo in cui organizziamo e interpretiamo queste informazioni, analizzando i nostri rapporti allo scopo di astrarre un significato dalle nostre esperienze; il modo in cui organizziamo ed immagazziniamo i significati; e il modo in cui i nostri processi di pensiero fanno uso di ci che abbiamo immagazzinato. Dal punto di vista delleducatore, queste preoccupazioni suggeriscono due cose: 1- il programma scolastico deve essere organizzato per rilevare e sottolineare i rapporti pi importanti; 2- la scuola dovrebbe dedicare unattenzione sistematica e deliberata per elaborare strategie che siano coinvolte nella percezione, interpretazione, organizzazione, analisi, valutazione, immagazzinamento e recupero delle informazioni.

Il primo e il secondo Bruner


Il concettualismo strumentale

[v. anche p.41] (1973) Pur senza negare la potenziale importanza dello stimolo e del rinforzo nel paradigma S-C-R, ritiene che non si sia prestata sufficiente attenzione allelemento che interviene fra S e R (a C). Questo comportamento non semplicemente qualcosa che viene provocato (elicitato) da uno stimolo e consolidato dal tipo di rinforzo che lo segue, ma anzi unattivit notevolmente complessa in cui intervengono tre processi fondamentali: -lacquisizione di informazioni; -la trasformazione o manipolazione di queste informazioni in una forma adatta a mettere in grado il soggetto di affrontare il problema in questione; -la verifica e il controllo delladeguatezza di questa trasformazione. Lalunno codifica e trasforma le informazioni che riceve (le fa rientrare nelle categorie che gi possiede, anche talvolta modificando queste ultime); questa classificazione consiste, pertanto, in un processo interno di mediazione dal quale viene a dipendere lo stesso comportamento manifesto. Con let lalunno acquisisce progressivamente la capacit di trasformare lo stimolo e di acquisire una crescente libert dallinfluenza dello stimolo. Lungi dallessere una risposta puramente meccanica, lo stimolo pu venire completamente ignorato se viene giudicato fuori luogo, oppure pu essere utilizzato per aiutarsi a costruire ipotesi e modelli personali (categorie di previsione) che consentono di avanzare previsioni sugli eventi futuri, e che a loro volta influiscono sul modo in cui gli stimoli vengono percepiti e trasformati. Analogamente, il soggetto che apprende pu anche acquisire una progressiva indipendenza dal rinforzo immediato (R) e lavorare in vista di obiettivi lontani nel tempo, dato che tali obiettivi sono essenzialmente le categorie di previsione che in prospettiva il soggetto ritiene gli procureranno le soddisfazioni maggiori. 60

In che modo lalunno trasforma le informazioni che riceve? Questa trasformazione legata a tre metodi di rappresentazione (sistemi, cio, che servono a rappresentare le esperienze del passato nella memoria e a utilizzarle per affrontare il presente); la persona matura capace di servirsi di tutti e tre i sistemi, e li acquisisce uno per uno nel corso dellinfanzia, a unet che dipende sia dalle possibilit offerte dallambiente sia dalla maturazione. Sono chiamati (Bruner, Goodnow e Austin, 1965) sistemi dellazione, iconico e simbolico [v. anche p.41]: -il primo sistema di tipo altamente manipolativo, opera attraverso lazione e si rende evidente nelle abilit che si apprendono tramite il fare e risulterebbero difficili da rappresentare mentalmente sotto forma di parole o immagini; -il secondo maggiormente evoluto, si serve di immagini che dipendono dallorganizzazione visiva o comunque sensoriale, e rappresentano un concetto pur senza definirlo compiutamente; -il terzo va oltre, caratterizzato da una forma di rappresentazione che si serve del linguaggio verbale, e conduce a un tipo di pensiero e di apprendimento molto pi astratto e flessibile (che permette al soggetto di impegnarsi in un pensiero riflessivo, di prendere in esame sia proposizioni sia esempi concreti, e di organizzare i concetti secondo una struttura gerarchica), e pu servirsi - naturalmente - di sistemi simbolici diversi da quello linguistico. Ladulto, a seconda del grado di conoscenze che possiede e della sua padronanza dei tre metodi, in grado di utilizzare luno o laltro per elaborare le proprie esperienze di apprendimento e per comunicare i risultati agli altri; il bambino piccolo, invece, possiede in generale la sola modalit dellazione, e acquisisce la modalit iconica e poi quella simbolica soltanto pi avanti. Il modello di Skinner, secondo Bruner, pu forse spiegare adeguatamente il modo in cui ha luogo lapprendimento quando il soggetto che apprende opera in base alla modalit dellazione, ma ci dice ben poco sulle modalit iconica e simbolica.
Lapprendimento-scoperta

La teoria cognitiva di Bruner descrive lapprendimento e la percezione come delle attivit di elaborazione dati che riflettono il nostro bisogno di semplificare e dare un senso allambiente. Queste attivit prevedono la formazione di concetti (categorie), che derivano dallastrazione di elementi comuni tra gli eventi e le esperienze; da queste astrazioni, noi traiamo le regole implicite che ci consentono di categorizzare (concettualizzare) il mondo e di scoprire una ricchezza di rapporti tra i concetti. La metafora di Bruner per indicare questi rapporti detta sistema di codificazione: una organizzazione gerarchica dei concetti di sempre maggiore (o minore) generalit. I nostri magazzini a lungo termine possono in questo modo essere visti come sistemazioni complesse e altamente associazionistiche di categorie (concetti) e sistemi di codificazione. Tutte le materie scolastiche (cos come gli argomenti allinterno di queste) possono essere considerate dotate di una struttura simile. La struttura di una materia riflette i rapporti e le idee pi basilari del settore: per impararne veramente una e per essere in grado di pensare ad essa, chi apprende deve sviluppare un proprio sistema di codificazione, ed il modo migliore per farlo quello di scoprirlo piuttosto che vederselo presentare in forma definitiva da un insegnante. Lapprendimento-scoperta nelle scuole Ia teoria di Bruner si basa sulla stessa convinzione di base piagetiana di costruzione della conoscenza attraverso linterazione con lambiente (approccio costruttivista): siamo noi a costruire la nostra versione della realt (1986), noi scopriamo i nostri significati (1990); e la funzione della scuola dovrebbe essere quella di offrire quelle condizioni che facilitano la scoperta dei rapporti. La scoperta, per Bruner, la formazione di categorie o, pi spesso, la formazione di sistemi di codificazione, che vengono definiti in termini di rapporti (analogie e differenze) che esistono tra oggetti ed eventi. La mediazione dellinsegnante si adatta continuamente a studenti ed obiettivi diversi (con direzione minima). Molto spesso il processo di scoperta in una classe assume la forma di unesecuzione sistematica di un certo numero di passi logici che guidano la ricerca di conclusioni generalizzabili, come nelle indagini scientifiche (ma questi metodi possono essere usati anche in varie altre materie): Formulazione e chiarificazione di una domanda o di un problema Raccolta di esempi e formulazione di osservazioni rilevanti Arrivo ad ipotesi (supposizioni intelligenti e basate sullosservazione) Organizzazione e conduzione di test, esperimenti ed altre osservazioni per confermare o confutare le ipotesi Applicazione, estensione, generalizzazione e superamento delle nuove informazioni. Secondo Bruner, ci sono quattro serie di condizioni che contribuiscono allapprendimento-scoperta: 1. Inclinazione: predisposizione a reagire in un certo modo. Un modo per influenzarla, attraverso certe istituzioni; per es. si pu incoraggiare uno studente a memorizzare una materia come se fosse costituita da pezzi isolati di informazioni semplicemente dicendoglielo, oppure testandolo solo per la conoscenza di item isolati di informazioni ( quello che Marton e Saljo 1984 chiamano approccio superficiale nellinsegnamento e nellapprendimento: ci si focalizza sulla memorizzazione di fatti, sul completamento di compiti e sul superamento di test). Come alternativa, gli studenti possono essere incoraggiati a cercare i rapporti tra i vari elementi dellinformazione, sia invitandoli a far questo, sia avvertendoli del fatto che pi avanti saranno esaminati proprio sulla loro comprensione di questi rapporti (approccio profondo: si focalizza sui rapporti e sulla comprensione). 2. Stato di bisogno: il livello di stimolazione, eccitazione o attenzione di chi apprende. Bruner suggerisce che un moderato livello di stimolazione contribuisce di pi allapprendimento-scoperta rispetto ad un livello troppo alto o troppo basso; gli studenti devono quindi essere vigili piuttosto che assonnati, eccitati ed interessati piuttosto che spaventati o presi dal panico. 3. Padronanza di conoscenze specifiche: si riferisce al livello di conoscenza di informazioni specifiche e rilevanti da parte di chi apprende. Bruner sostiene che la scoperta non accidentale: molto pi probabile che avvenga quando lindividuo ben preparato. 61

4. Diversificazione della preparazione: il soggetto esposto alle informazioni in una miriade di circostanze ha pi probabilit di elaborare dei sistemi di codificazione con cui organizzare linformazione stessa; anche per questo motivo Bruner si raccomanda che la stessa materia venga insegnata agli studenti pi duna volta, ma con diverse quantit di dettagli e a diversi livelli di astrazione in base ai diversi interessi, alle diverse capacit e alla diversa conoscenza di base del soggetto [ricorda la spirale di Comenio; v. anche i principi metodologici di continuit e ricorsivit].
Specifiche raccomandazioni educative

Correlato allapproccio costruttivista cui s fatto prima cenno, abbiamo anche il movimento per il cambiamento concettuale (Vosniadou e Saljo, 1994): i programmi cos orientati presentano idee che sfidano chi apprende, che contengono problemi ed enigmi e che alla fine producono una riorganizzazione della conoscenza (e quindi del cambiamento concettuale). La ricerca ha rivelato che questi approcci sono particolarmente adatti allinsegnamento scientifico, ma che possono essere usati anche in altre materie (come gli studi sociali). Bruner sostiene che alcune raccomandazioni ed osservazioni specifiche sono particolarmente importanti nelle classi scolastiche orientate alla scoperta, come quelle che fanno uso di programmi di cambiamento concettuale; tra essi: 1. Il programma di una materia dovrebbe essere determinato dalla comprensione fondamentale dei principi sottostanti che strutturano tale materia (1961): la conoscenza dei principi sottostanti e della struttura di una materia facilitano la scoperta, in quanto la costruzione della conoscenza richiede la conoscenza dei principi organizzativi. 2. Qualsiasi materia pu essere insegnata a chiunque a qualunque et in una forma che sia onesta (1961; 1983): dovremmo guardare alla possibilit di insegnare certi aspetti di una qualsiasi materia a qualsiasi livello di et: la forma pu essere semplificata e il modello di presentazione pu essere adattato ai pi semplici sistemi di rappresentazione disponibili. Poich i bambini passano da una rappresentazione motoria o sensoriale (pratica) ad immagini relativamente concrete (iconica) e infine ad una rappresentazione astratta (simbolica), ne segue che la sequenza dellinsegnamento dovrebbe essere la stessa [v. p.61]. 3. Un programma scolastico a spirale [v. principi metodologici di continuit e reversibilit] che elabora e rielabora gli argomenti a diversi livelli ideale per lacquisizione di codici genetici (1961, 1966): un programma a spirale (sul modello dei curricoli europei): 3.1. organizza le materie in base a dei principi, di solito presentandoli in maniera sistematica, dal pi semplice al pi complesso; questa progressione parallela allo sviluppo di un sistema di codificazione; 3.2. coinvolge quel tipo di ripetizione che utile nella costruzione della conoscenza; allinizio i soggetti vengono esposti ad unidea pi generale ed inclusiva e poi ad una serie di semplici esempi specifici di concetti; quando scoprono i rapporti esistenti tra questi concetti, essi costruiscono la conoscenza (i sistemi di codificazione) che pi di altre facilita il trasferimento, il ricordo e la scoperta. 4. Uno studente dovrebbe ricevere una certa preparazione per riconoscere la plausibilit delle ipotesi (1961): Bruner parla a questo proposito di salto intuitivo, lipotesi fondata che qualcosa di pi di un cieco tentativo, ma che meno di una inferenza o previsione basata su ci che si conosce circa certi esempi; scoraggiare la formazione di ipotesi significa soffocare il processo della scoperta. 5. Dovrebbero essere usati degli aiuti allinsegnamento (sussidi): gli aiuti audiovisivi offrono agli studenti esperienze dirette o vicarie, facilitando cos la formazione di concetti [v. anche Vygotskij, Piaget, Bruner, cit., p.259].

Lapprendimento ricettivo: Ausubel


Non tutti gli educatori sostengono che la scoperta sia lapproccio migliore: la maggior parte delle persone impara facilmente attraverso un apprendimento ricettivo, e nella stragrande maggioranza delle situazioni scolastiche la scoperta inefficace e soprattutto una perdita di tempo, sostiene Ausubel.
La teoria cognitiva di Ausubel

intesa principalmente ad affrontare quello che egli definisce apprendimento verbale significativo. Egli ricerca le leggi dellapprendimento significativo in classe. Secondo Ausubel, perch uno stimolo o un concetto abbia un significato deve esserci qualcosa nella struttura cognitiva di chi apprende (idee e conoscenze preesistenti) alla quale possa essere associato. Lapprendimento significativo richiede che chi apprende abbia gi appreso dei concetti relativi a cui poter associare nuovo materiale. Lapprendimento prevede dunque una classificazione, della quale abbiamo due tipi: la classificazione derivata (quando il nuovo materiale cos simile a quello gi conosciuto che potrebbe derivare da esso) e la classificazione correlativa (coinvolge un materiale sufficientemente nuovo da richiedere un certo cambiamento nella struttura cognitiva esistente). La struttura cognitiva costituita da concetti (o idee) pi o meno organizzati e stabili nella coscienza di chi apprende; questa organizzazione gerarchica (similmente alla metafora bruneriana), con allapice i concetti pi inclusivi, e con concetti via via meno specifici scendendo verso la base (ricorda il bruneriano insegnamento a spirale; la differenza che, secondo Ausubel, allo studente dovrebbero essere offerte delle informazioni organizzate).

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Riassunto della teoria dellapprendimento verbale significativo di Ausubel 1. La classificazione pu essere derivata o Lapprendimento (classificazione) prevede o lassociazione del nuovo correlativa materiale con altro materiale molto simile precedentemente appreso (classificazione derivata) o lestensione di una conoscenza precedente a del materiale simile ma nuovo (classificazione correlativa) 2. La classificazione porta ad una organiz- Lapprendimento evidente nelle nuove informazioni e nei cambiamenti zazione gerarchica della conoscenza, dalla nella consapevolezza di chi apprende dei rapporti esistenti tra gli elepi generale alla pi specifica menti dellinformazione 3. Il ricordo una classificazione dissoIl ricordo richiede la capacit di separare il nuovo apprendimento da ciativa quello vecchio 4. Loblio implica una dissociabilit zero Loblio ha luogo quando del materiale non pu pi essere differenziato o una classificazione obliterativa da ci che gi abbiamo nella mente Linsegnamento espositivo rappresenta la tecnica educativa corrispondente allapprendimento ricettivo: un metodo educativo in cui linsegnante, che ha la responsabilit principale di scoprire ed organizzare le informazioni per gli studenti, presenta tali informazioni in una forma relativamente definita. Ausubel e Robinson (1969), in seguito ad una rassegna sulla letteratura relativa allapprendimento-scoperta, concludono che la ricerca a sostegno di tale apprendimento praticamente inesistente. In ogni caso, lapprendimento espositivo non passivo, non soffoca la creativit, n incoraggia un apprendimento meccanico: prevede infatti lassociazione del nuovo materiale con la struttura gi esistente, e non la assimilazione di pezzi isolati di informazione. Ausubel avanza alcune raccomandazioni generali per la pianificazione e presentazione delle materie nellapprendimento espositivo: Organizzatori dapproccio (o anticipati o preliminari): sono delle serie complesse di idee o concetti offerti allo studente prima che venga presentato il materiale da imparare. Funzioni: vogliono fornire una struttura cognitiva a cui il nuovo apprendimento possa esser ancorato, nonch aumentare il ricordo (prevenire la perdita di dissociabilit). Uso: sono necessari quando lo studente non ha alcuna informazione rilevante cui rapportare il nuovo apprendimento, e quando importanti informazioni classificanti sono gi presenti ma difficilmente riconosciute come tali dallo studente. Caratteristiche: vengono presentati prima della lezione; sono progettati per portare alla mente una conoscenza precedente particolarmente rilevante per la lezione; vengono presentati ad un pi alto livello di astrazione rispetto al materiale che segue; rendono esplicita la connessione tra conoscenza precedente e lezione da presentare. Tipi: organizzatore espositivo, quando presenta una descrizione o esposizione di concetti rilevanti; organizzatore comparativo, quando fa uso di analogie e differenze tra nuovo materiale e struttura cognitiva gi esistente. Ricerche: alcuni ricercatori hanno scoperto che gli organizzatori non offrono alcun vantaggio misurabile, altri riportano invece effetti positivi significativi [v. anche Psicologia dellapprendimento scolastico di P.Boscolo, Utet, Torino 1986, pp.135-144, in cui si segnalano, oltre agli organizzatori, altre modalit di presentazione del testo, quali la stessa struttura del testo, le domande e le illustrazioni]. Discriminabilit: le informazioni che ricordano da vicino la conoscenza precedente vengono rapidamente dimenticate, mentre materiale decisamente diverso tende ad essere ricordato pi a lungo; ne consegue che le tecniche didattiche che mettono in luce le differenze tra materiale vecchio e nuovo produrranno una ritenzione maggiore; nello stesso tempo tuttavia necessario correlare il vecchio e il nuovo per poter facilitare la classificazione lapprendimento. Dare significato allapprendimento: il tipo di apprendimento pi desiderabile quello significativo, opposto a quello meccanico (questo non significa che anche gli approcci orientati alla scoperta non portino ad un apprendimento significativo). Lapprendimento significativo quando esiste un chiaro rapporto tra il nuovo materiale e la struttura cognitiva esistente, quindi il significato deriva direttamente dalle associazioni che si formano tra le idee, gli eventi o gli oggetti: ma non ci sar alcun significato se chi apprende non consapevole di queste associazioni. Notiamo che nessun concetto od oggetto significativo di per s, ma solo in rapporto di chi apprende e ad altre idee presenti nella struttura cognitiva del soggetto. Il docente, dunque, non dovrebbe presentare alcun materiale fin quando non sia sicuro che lo studente pronto a comprenderlo; molti degli sforzi del docente dovrebbero essere diretti ad offrire agli studenti delle informazioni di base, magari attraverso luso di organizzatori dapproccio.

Scoperta o ricezione?
Lapprendimento per scoperta e quello per ricezione non sono inconciliabili: per es., il primo pu essere utilizzato con i bambini piccoli, che non hanno ancora un grande magazzino di informazioni; od anche nel problem solving, e in generale nelle situazioni nuove; senza contare che una forma di apprendimento pi motivante, in generale. Ma Ausubel sostiene che, dopo gli 11-12 anni di et, chiedere a uno studente di scoprire soprattutto una perdita di tempo, visto che possiedono sufficienti informazioni di base per comprendere chiaramente molti nuovi concetti, se spiegati semplicemente. La ricerca, dal canto suo, non in grado di supportare con consistenza un approccio piuttosto che laltro: in parte perch sono stati speso usati criteri diversi di valutazione (una volta guardando la rapidit di apprendimento, laltra la ritenzione; unaltra volta ancora il transfert, o i cambiamenti affettivi e motivazionali), e in parte perch spesso impossibile controllare gli approcci usati in diversi studi (studenti e insegnanti differenti). Ecco alcune conclusioni ricavate da studi fatti: -dei buoni organizzatori sono sicuramente efficaci nella maggior parte dei casi; -pare siano pi efficaci gli organizzatori che (1) consentono allo studente di produrre tutti o la maggior parte dei rapporti logici nel materiale da imparare, (2) indicano dei chiari rapporti tra materiale familiare e meno familiare, (3) sono relativamente semplici da apprendere ed usare, e (4) vengono usati in situazioni in cui chi apprende non li utilizzerebbe spontanea63

mente (forse a causa della inesperienza o della incapacit a ricordare informazioni rilevanti); -si ammette che, in genere, i sistemi orientati alla scoperta possono essere altamente efficaci in diverse circostanze, in particolare sotto il giusto tipo di guida. Un buon insegnante, dunque, opter per entrambe le proposte: lapprendimento quello che gli studenti fanno, e linsegnamento quello che gli insegnanti fanno: in base a cosa decider di enfatizzare, linsegnante proceder ad organizzare la situazione insegnamento/apprendimento in modo da incoraggiare gli studenti a sperimentare-pensareraccogliere informazioni organizzandole a modo loro; ovvero a organizzare le informazioni in modo ottimale perch diventino significative per gli studenti stessi [per approfondire la proposta di Ausubel, v. Educazione e processi cognitivi di Ausubel D. P., Angeli, Milano 19904, passim; v. anche Progettazione didattica di M. Pellerey, Sei, Torino 19942, pp.88-93, e gli appunti di Metodologia di Gatta F., anche per approfondire il confronto scoperta/ricezione].

Altri modelli didattici cognitivi


Lapprendistato cognitivo

Tenta di mettere insieme le due diverse enfasi (scoperta e ricezione). un modello che considera lo studente come un apprendista; gli esperti sono: genitori, fratelli e sorelle, coetanei o adulti e, soprattutto, gli insegnanti. Ruolo del docente = oltre a dare informazioni, anche fornire esempi, invitare allesplorazione, offrire guida e incoraggiamento, preoccupandosi di sviluppare una variet di strategie cognitive cos da consentire ai giovani di esplorare, organizzare, scoprire ed imparare da soli. Questo approccio si dimostrato molto efficace anche nel caso di soggetti che presentano bisogni particolari, e nel caso di studenti adulti. Metodi dellapprendistato cognitivo Modellamento = un insegnante mostra allo studente come deve essere fatto qualcosa; lobiettivo di far sviluppare allapprendista dei modelli concettuali di un compito ( dunque appropriato per compiti sia cognitivi sia motori). necessario che i passi e le procedure coinvolte in un compito esemplificato siano rese esplicite ed evidenti, descrivendo tra laltro il modo in cui vengono usate specifiche strategie cognitive (come la ripetizione o lorganizzazione). Coaching = prevede la guida di specifici aspetti della performance dello studente; anche qui si utilizza il modellamento per dimostrare la performance di un compito cognitivo. Linsegnante pu utilizzare una qualsiasi tra le tecniche destinate allinsegnamento del pensiero (elaborare strategie cognitive e metacognitive, come quelle viste sopra e in Appendice 5). Impalcatura = prevede unofferta di sostegno che consenta allo studente di portare a termine dei compiti che altrimenti sarebbero troppo difficili per lui [v. p.37: la impalcatura di sostegno (scaffolding) di Vygotskij-Bruner]. Procedure o tecniche descritte da Bruner et alii (1976) che possono essere usate nellimpalcatura: Reclutamento: ottenere lattenzione del bambino e focalizzarla sulle richieste del compito. Riduzione della libert: ridurre i compiti a dei sottocompiti pi semplici. Mantenimento della direzione: mantenere lo studente motivato e aggiornato. Segnalazione delle caratteristiche critiche: attirare lattenzione verso gli aspetti pi rilevanti del compito. Controllo della frustrazione: alleviare la frustrazione associata alle difficolt che il bambino pu incontrare. Dimostrazione: imitare i tentativi del bambino, per modificandoli leggermente in modo da renderli pi appropriati e tali che possano essere a loro volta imitati dal bambino. Dissolvenza = mentre limpalcatura prevede lofferta di guida e sostegno, cos che lo studente possa eseguire dei compiti che si trovano allinterno della sua zona di sviluppo prossimale [v. p.37], la dissolvenza prevede la rimozione di questi sostegni via via che il soggetto diventa sempre pi abile nelleseguire un determinato compito senza assistenza, cos che lo studente si assuma la responsabilit dellapprendimento e della risoluzione dei problemi. Articolazione = incoraggia chi apprende a tradurre in parole le conclusioni, le descrizioni e i principi che ha scoperto; la verbalizzazione deliberata costringe lo studente a pensare pi chiaramente ai propri processi cognitivi, ed spesso una tecnica importante nei programmi designati a promuovere lo sviluppo di strategie cognitive (il dialogo socratico pu contribuire alla realizzazione di tale metodo). Riflessione = richiede come prima che chi apprende pensi e verbalizzi lesecuzione e i risultati dei compiti cognitivi; ma, in questo caso, mentre riflette il soggetto incoraggiato a pensare in modo pi astratto, e magari a confrontare la propria attivit cognitiva con un modello concettuale, o talvolta con un modello fisico reale. Esplorazione = il passo finale nel processo educativo dellapprendistato cognitivo (e nella maggior parte degli approcci educativi): prevede la generalizzazione di ci che stato appreso o compiuto, ed analogo a ci che i comportamentisti definiscono transfer o generalizzazione. Sequenza nellapprendistato cognitivo Tre principi guidano la sequenza del materiale i questo modello educativo: 1. Globale prima di locale: a chi apprende dovrebbe essere offerta una visione generale di ci che deve essere appreso o eseguito prima che egli inizi a lavorare nello specifico. Laspetto globale dellistruzione deve assumere la forma di u riassunto, una panoramica (ricorda dunque gli organizzatori dapproccio di Ausubel). 2. Il materiale dovrebbe essere presentato secondo un ordine di complessit crescente, dal facile al difficile (in linea col concetto bruneriano secondo cui chi apprende dovrebbe iniziare dagli esempi pi semplici per poi procedere a concetti pi generali ed inclusivi). 3. Per aumentare transfert e significativit dellapprendimento: una volta acquisite, conoscenze e abilit dovrebbero essere applicate in una diversit di situazioni sempre maggiore. 64

Con lapprendistato cognitivo, siamo di fronte ad una metafora dellinsegnante come guida e maestro e dello studente come novello apprendista: metafora che si presta bene per linsegnante che intenda dedicarsi allanalisi dei propri comportamenti educativi e dei progressi cognitivi dei suoi studenti.
Risultati di alcune ricerche. Linsegnamento efficace

Qual il metodo educativo pi efficace? Il sistema tutoriale personale, afferma Bloom (1984), seguendo unestesa letteratura sullargomento: grazie alla buona guida di un tutore, possiamo aspettarci che lo studente medio raggiunga pi o meno il 98% in pi dei risultati rispetto ad uno studente collocato in una classe convenzionale! Ne consegue che una delle sfide pi importanti per la ricerca in campo educativo sia quella di scoprire ed organizzare delle procedure didattiche in grado di offrire ad una classe le stesse opportunit finora possibili solo nel caso di un rapporto personale fra tutore e studente. Che cosa dice la ricerca sugli effetti di specifiche procedure educative? 1. Quanto pi lo studente sa di una materia specifica, tanto meglio comprender e ricorder: viene sottolineata lovvia importanza di conoscenze specifiche (opposto a quelle generiche); ma viene pure enfatizzata la natura cumulativa e gerarchica di gran parte del nostro apprendimento, ed offre sostegno alla tesi secondo cui sia le lezioni sia i programmi scolastici dovrebbero presentare le informazioni in modo tale che la nuova comprensione sia costruita su una ferma base conoscitiva. Non fa differenza se usiamo il linguaggio di Bruner (numerosi e diversi esempi di concetti cos che lo studente possa scoprire da solo quei sistemi di codificazione che gli permetteranno di andare oltre le informazioni ricevute) o di Ausubel (lo studente deve ricevere concetti classificanti stabili e importanti cos che nella sua struttura cognitiva ci sar qualcosa che dar significato al nuovo apprendimento e a cui il nuovo apprendimento potr fermamente ancorarsi) o di Gagn (il contenuto della materia deve essere presentato gerarchicamente cos che siano disponibili le abilit e le comprensioni subordinate essenziali): la comprensione dipende soprattutto da ci che gi conosciamo. 2. Gli studenti pi abili nel monitorare e controllare le proprie attivit cognitive producono i risultati migliori: i docenti devono dunque dedicare pi tempo ed energie allinsegnamento delle capacit e strategie di pensiero e di apprendimento, adottando metodi e filosofie che riflettano non solo il loro ruolo fondamentalmente importante di guide e mentori, ma anche la responsabilit che ha lo studente nei confronti del proprio apprendimento. 3. Opportunit di enfatizzare la natura attiva dellapprendimento, in contrasto con una visione passiva che sottolinea limportanza delle conseguenze della risposta. 4. Opportunit di preoccuparsi per la comprensione, piuttosto che solo per la performance. 5. Importanza di non ignorare il ruolo dei concetti pregiudizievoli e spesso scorretti dello studente: sembra che molti studenti (e molti insegnanti) trovino spesso difficile comprendere quelli che invece potrebbero essere dei concetti e dei principi relativamente semplici solo perch hanno appreso, e quindi incorporato nelle loro strutture cognitive, certi equivoci duri a morire che interferiscono nellapprendimento (conoscenze alternative o scienza dei bambini o misconcetti). 6. possibile preparare gli insegnanti a seguire specifiche procedure educative, e gli studenti esposti a certi programmi sperimentali possono produrre risultati migliori. 7. Un insegnamento efficace caratterizzato da un certo numero di comportamenti, che possono essere insegnati ed incoraggiati nellinsegnante, e che possiamo cos sintetizzare (Rosenshina e Stevens, 1986): a. Inizia la lezione con un brevissimo riassunto di quello che lapprendimento necessario. b. Introduce gli obiettivi della lezione. c. Presenta il materiale a piccoli passi, permettendo agli studenti di fare pratica tra un passo e laltro. d. Offre istruzioni e spiegazioni esplicite e dettagliate. e. Consente a tutti gli studenti di partecipare attivamente alla lezione. f. Formula molte domande per verificare la reale comprensione degli studenti e per ottenere da tutti delle risposte. g. Fornisce agli studenti una guida immediata per la pratica iniziale. h. Fornisce un feedback sistematico e corregge gli errori degli studenti. i. Presenta istruzioni chiare ed esplicite per il lavoro al banco e, se necessario, controlla le performance degli studenti. Rosenshine e Stevens ci avvertono pr che queste procedure didattiche non si applicano a tutti gli studenti e in ogni situazione: quando la lezione verte su contenuti astratti e poco strutturati (moralit, etica, creativit, politica) saranno necessari degli approcci didattici diversi [F,130-139; L,142-182].

Approcci umanistici allinsegnamento


La scienza non sarebbe equipaggiata per affrontare aspetti della vita delluomo. Storicamente, abbiamo cos assistito ad un conflitto continuo tra umanesimo ed approcci comportamentisti e cognitivisti; ci a cui obiettano gli umanisti quellorientamento tecnologico tipico di approcci come il comportamentismo, che essi giudicano troppo focalizzati sulle tecniche che dovrebbero essere praticate dagli insegnanti e sui risultati misurabili del processo di insegnamento/apprendimento (soprattutto in termini di punteggi nei test standardizzati). Linsegnamento umanistico vuole rispettare e cercare di favorire la storia, la cultura e le diverse prospettive di ogni singolo studente.

La teoria fenomenologica di Rogers


particolarmente importante nel campo della psicoterapia e del counseling, dove continua ad avere unenorme influenza. Carl Rogers verific il concetto secondo cui un ambiente sicuro e di sostegno consente ad ogni persona 65

(compresi i bambini) di viaggiare gi per il sentiero dellauto-scoperta, dellautostima e dellapprendimento autodiretto (N. Rogers e Freiberg, 1994). Diversi termini vengo usati per descrivere le varie enfasi della teoria rogersiana: 1. Terapia centrata sul cliente (o sulla persona): dunque una terapia, mette in luce la differenza principale tra questo ed altri approcci nei confronti del counseling (ruota attorno alla persona), propone una terapia opposto alle terapie diretive (il terapeuta, invece di dare consigli o risolvere problemi, prepara lambiente in cui il cliente steso definir i problemi, reagir ad essi e muover i primi passi verso la loro soluzione). 2. Fenomenologia: linteresse per il mondo cos come viene percepito da un individuo, piuttosto che come realmente. 3. Umanesimo: lo sviluppo del potenziale umano tende ad essere enormemente apprezzato, mentre viene deenfatizzato il raggiungimento di obiettivi materiali. Rogers descrive lautorealizzazione come il fine verso cui tendono tutti gli esseri umani; il suo incoraggiamento compatibile con lenfasi umanistica sullautodeterminazione (analogamente a come, in letteratura, filosofia e psicologia, si storicamente caratterizzato lumanesimo). In particolare su questultimo aspetto si sviluppato un dibattito Rogers vs. Skinner. Questultimo studioso sostiene la necessit di abbandonare le tecniche di controllo dissuasivo [v. sopra] a favore di tecniche di controllo positivo al fine di migliorare la societ; Rogers ritiene invece che Skinner (che oltretutto non specifica gli obiettivi di questa tecnologia comportamentale) sottovaluti il problema del potere formulando il falso assunto secondo cui le tecniche di controllo sociale verranno usate nellinteresse della societ: gli obiettivi di una societ precisa Rogers dovrebbero riguardare principalmente il processo del divenire, il raggiungimento del valore e della dignit, la creativit in breve, il processo di autorealizzazione. Ecco le alternative proposte da Rogers al controllo del comportamento skinneriano: 1- possibile per noi scegliere di valorizzare lumanit come un processo di autorealizzazione del divenire, ed anche apprezzare la creativit e i processi con cui acquisiamo la conoscenza. 2- La scienza pu aiutarci a scoprire le condizioni che portano allo sviluppo di questi processi, e pu fornire strumenti migliori con cui raggiungere questi obiettivi. 3- possibile per gli individui o i gruppi stabilire le condizioni della crescita senza fare ricorso a troppo controllo o potere esterno; le conoscenze attuali suggeriscono che lunica autorit necessaria lautorit con cui stabilire certe qualit dei rapporti interpersonali. 4Esposti a queste condizioni, gli individui diventano pi auto-responsabili, fanno progressi nella loro autorealizzazione, diventano pi flessibili e pi creativi. 5- La scelta di questi valori umanistici porta agli inizi di un sistema sociale in cui i valori, le conoscenze, le capacit di adattamento e persino il concetto di scienza saranno in continuo cambiamento e in continua crescita; lenfasi sar sugli esseri umani come un processo in divenire. un dibattito che sottolinea il conflitto tra chi predica il controllo umano (a nostro beneficio) attraverso la mediata applicazione di una scienza del comportamento e chi ritiene che la scienza non dovrebbe essere usata per cambiarci o controllarci, ma semplicemente per migliorare la nostra capacit di auto-controllo e di autodeterminazione.
Principi della teoria rogersiana

1. I nostri mondi sono privati; la realt fenomenologica (ogni individuo al centro di un mondo di esperienze personali in continua mutazione): gli aspetti significativi della realt consistono nel mondo delle esperienze private; le nostre realt sono quindi completamente individualistiche, esse possono essere intuite, ma non conosciute dagli altri. 2. La nostra realt una coscienza immediata e personale: le nostre esperienze private determinano la nostra realt; il nostro campo fenomenico (ci che percepiamo e sentiamo) crea la nostra coscienza immediata; ci che reale per una persona non lo necessariamente per un altra. 3. Lobiettivo dellesistenza umana lautorealizzazione: Autorealizzazione = diventare tutto ci che si pu diventare attraverso le attivit determinate da se stesso (Maslow, 1970); un processo direzionale in due sensi: -tende verso la maturazione, una maggiore competenza, la sopravvivenza, la riproduzione, e si muove verso un aumento dellautogoverno, dellautoregolazione e dellautonomia; -si allontana dal controllo eteronomo, o dal controllo delle forze esterne (da qui lincompatibilit di base con il controllo comportamentale skinneriano). Ognuno di noi ha la tendenza di base a diventare un individuo completo, sano, creativo e competente attraverso un processo caratterizzato da autogoverno, autoregolazione e autonomia (non quindi necessario n utile elencare una serie di bisogni od impulsi per spiegare il comportamento umano); le persone sono essenzialmente buone e sempre alla ricerca di uno stato migliore. 4. Il comportamento pu essere compreso solo dal punto di vista dellindividuo: poich il comportamento avviene allinterno del contesto della realt della persona, il modo migliore per capire la condotta di una persona cercare di adottare il suo punto di vista; per questo lumanesimo enfatizza limportanza di una comunicazione aperta (molta della nostra incapacit di comprendere il comportamento deriva dallincapacit di riconoscere che le risposte sono significative solo dal punto di vista individuale). 5. Noi costruiamo i nostri S: S = modello coerente di idee che abbiamo sui nostri io e me [v. p.89: Il S]. Noi scopriamo chi siamo in base alle esperienze dirette ed alle convinzioni e ai valori che incorporiamo nei nostri autoconcetti dalle informazioni fornite dalle persone che ci comunicano chi siamo. 6. I comportamenti sono coerenti con i concetti del S: in generale, noi scegliamo ei comportamenti che non contraddicono chi e cosa pensiamo di essere. Lapproccio rogersiano chiaramente e altamente soggettivo e poco scientifico; ci nonostante, i suoi meriti nel progresso della scienza possono essere giudicati notevoli. La teoria di Rogers ha e continua ad avere un fortissimo impatto sul counseling e sullinsegnamento; ora la questione corretta non deve essere se quella rogersiana una visione corretta dellumanit, quanto se si tratta di un mezzo utile con cui guardare alle persone. E lo . 66

Lumanesimo in classe
Linsegnamento centrato sullo studente (Rogers e Maslow; Combs) predica una filosofia educativa in cui agli studenti viene assegnato un ruolo molto importante riguardo alle decisioni relative ai programmi scolastici; linsegnante dovrebbe fungere da facilitatore dellapprendimento piuttosto che da istruttore didattico, e, per essere un buon facilitatore dellapprendimento, deve essere preparato ad un atteggiamento sensibile e premuroso, genuino ed empatico. Gli approcci umanistici raccomandano con forza di fornire agli studenti esperienze di successo piuttosto che di fallimento, e il loro orientamento verso un apprendimento-scoperta piuttosto che verso un apprendimento ricettivo; accettano lindividuo per quello che , rispettando i suoi sentimenti e le sue aspirazioni e sostenendo che ogni persona ha il diritto alla autodeterminazione. Se siamo genuini, attenti, empatici e congruenti come insegnanti, genitori o consulenti, favoriremo la crescita e le capacit di apprendimento degli altri (N. Rogers e Freiberg, 1994). Ma la scuola centrata sul bambino non si preoccupa solamente dello sviluppo emozionale e personale del bambino; la maggior parte dei programmi umanistici sono sensibili alle importanti esigenze della programmazione scolastica: anche lindividuo autorealizzato ha bisogno di saper leggere-scrivere-far di conto, nonch della ricchezza di strategie cognitive e metacognitive usate dalle nostre nuove scienze cognitivo-educative per costruire i loro programmi. Il pensiero esemplificato nella teoria umanistica entrato a far parte della cosiddetta psicologia della terza forza (cio: n comportamentismo S-R, n teoria freudiana), un movimento pervaso da (1) una fede nellunicit e nellimportanza dellessere umano e (2) una forte reazione contro gli approcci meccanicisti e presumibilmente deumanizzanti.
Principi delleducazione umanistica

1. Affettivit: la scuola pone una maggiore enfasi sui sentimenti e sul pensiero rispetto allacquisizione delle informazioni. 2. Concetto di s: uno degli obiettivi educativi pi importanti lo sviluppo di concetti di s positivi nei bambini. Bisogna identificare gli interessi degli studenti in modo tale che possano esser raggiunti come individui, toccati o motivati come esseri umani, e che tuttavia venga insegnato loro in un modo sistematico compatibile con le scuole tradizionali (Borton, 1970). Utile pure la distinzione che fa Purkey (1984) fra comportamenti dellinsegnante invitanti e scoraggianti: ci sono pi studenti scoraggiati che svantaggiati; scoraggiamento spesso comunicato ai bambini attraverso lapparente indifferenza dellinsegnante e attraverso un mancato riconoscimento dello studente come persona; un insegnante invita gli studenti comunicando loro (in modi alquanto diversi) degli atteggiamenti positivi (facendoli sentire capaci, auto-diretti ed apprezzabili, ed aspettandosi da loro comportamenti e rendimenti compatibili con il loro valore). 3. Comunicazione: agli insegnanti dovrebbero essere insegnati i principi e le capacit di un rapporto umano efficace, di unonesta comunicazione interpersonale, di una risoluzione costruttiva del conflitto (T. Gordon, 1974). 4. Valori personali: la scuola riconosce limportanza dei valori personali e cerca di facilitare lo sviluppo di valori positivi; gli studenti sono incoraggiati a conoscere se stessi e ad esprimersi, ad aspirare a sentimenti di auto-identit, a realizzare se stessi. 5. Anche gli approcci orientati al processo di gruppo, radicati nei movimenti per il gruppo di sensibilit e del gruppo di incontro (spesso definiti collettivamente gruppi di crescita) rappresentano tipologie dellorientamento umanistico: nel gruppo gli studenti possono essere incoraggiati ad esprimere apertamente i propri sentimenti, a scoprirli e chiarirli, ad esplorare i rapporti interpersonali e ad articolare il proprio sistema di valori.
Tre approcci umanistici in classe

La classe aperta (o educazione aperta) Obiettivi principali: crescita individuale, pensiero critico, fiducia in se stessi, cooperazione e coinvolgimento per un apprendimento duraturo. Contatto insegnante-studente centrato sul secondo, intenso ma rilassato (reso possibile da una proporzione insegnante-studente molto bassa). Non aderisce allo stesso sistema scolastico legato ai programmi, alle et e ai voti della scuola tradizionale, ma molto meno formale. La scuola abolisce le convenzionali routine di classe, giungendo cos ad importanti intuizioni sul ruolo delle emozioni e delle altre caratteristiche della condizione umana; superamento della impraticabile centralizzazione e dellavidit di controllo che permeano ogni istituzione burocratica (Dennison, 1969). Leducazione aperta oggi assai rara un po dovunque, sebbene alcuni elementi di essa siano presenti in alcune forme di educazione a distanza, dove gli interessi degli studenti sono decisivi nel determinare il contenuto del corso, la consegna dei lavori, le valutazioni e il ritmo. Gli studenti esposti ad una classe aperta presentano dei migliori concetti di s e sono pi creativi e cooperativi; ma questi successi vengono solitamente raggiunti a scapito del rendimento accademico, cos come esso viene definito dalle misure tradizionali (il sistema aperto non gode perci, oggi, di molta popolarit). Lapproccio orientato agli stili dapprendimento [v. anche Lo stile cognitivo, p.83]. (Dunn e Griggs, 1988) Ogni studente possiede uno stile di apprendimento personale e unico; purtroppo, le scuole tradizionali non li tengono quasi mai in considerazione: esse tendono a gratificare gli studenti il cui stile personale coincide con quello per cui era designato il metodo scolastico (e puniscono chi non riesce ad adattarsi al loro ritmo). Le scuole dovrebbero stilare un profilo dello stile di apprendimento di ogni studente (a questo scopo sono disponibili un certo numero di strumenti). Dunn e Griggs visitarono dieci scuole in cui lattenzione per gli stili individuali di apprendimento era diventato il fattore determinante delle loro strategie educative; una loro descrizione , in un certo senso, la descrizione idealizzata di una scuola umanistica. Questa scuola offre allo studente un assortimento di opzioni quasi sconcertante: i ragazzi possono lavorare da soli su morbidi tappeti o in gruppi riuniti attorno a un tavolo, le lezioni possono essere altamente strutturate o consistere in insegnamento reciproco tra compagni, si pu passare dallistruzione programmata e compu67

terizzata allauto-apprendimento, viene ruotata la presentazione delle materie fondamentali cos da poterle offrire in qualunque momento del giorno, lo studente pu eseguire esami ed attuare progetti nei momenti pi compatibili ai suoi ritmi biologici. Rispetto alla scuola tradizionale, essa sottolinea molto di pi il coinvolgimento dello studente in tutti gli stadi dellapprendimento, ed enfatizza il problem solving e la creativit; la tecnica pi comunemente adottata un approccio a piccoli gruppi altamente partecipativo e cooperativo (definito anche circolo di conoscenza). Una prima valutazione di Dunn e Griggs che gli studenti mostravano risultati eccezionalmente buoni in base a diverse misurazioni di performance accademiche; la maggior parte, poi, dicevano di amare la scuola. In generale, la ricerca indica che uno studente pu ottenere ottimi rendimenti scolastici a prescindere dal proprio stile di apprendimento; ma anche che tendono a far meglio quando gli approcci educativi cui vengono esposti consentono loro di usare i punti di forza del proprio stile personale. Bisogna per tenere presente che gli stili di apprendimento, che gli insegnanti devono ben considerare, sono solo un fattore, ed il loro impatto pu essere sopravvalutato nellentusiasmo che spesso accompagna i movimento educativi. Apprendimento cooperativo (o collaborativo) (Johnson e Johnson, 1994) Gli insegnanti possono strutturare le lezioni secondo (1) una scelta competitiva, (2) una scelta individualistica, (3) una scelta cooperativa. La maggior parte degli studenti vede purtroppo la scuola in senso competitivo (cos vengono assegnati i voti), e quando le scuole non sono competitive sono individualistiche; raramente le esperienze scolastiche sono veramente cooperative (lavoro in gruppi abbastanza piccoli da consentire a tutti di partecipare ad un compito collettivo chiaramente assegnato, dove ci si aspetta che gli studenti eseguano i propri compiti senza la supervisione diretta e immediata dellinsegnante). In una situazione di apprendimento cooperativo (3) lindividuo viene ricompensato in proporzione agli altri membri del gruppo; in una situazione (1) le ricompense individuali sono invece inversamente proporzionali a quelle ricevute dagli altri; e in una situazione (2) non c alcun rapporto tra le ricompense individuali. Lapprendimento cooperativo combina gli aspetti cognitivi ed affettivi dellapprendimento, ed enfatizza la partecipazione e il coinvolgimento attivi; ma forse ancor pi degli altri approcci esplicitamente umanistici, sottolinea anche il rendimento accademico e gli specifici obiettivi del programma scolastico (gli studenti, inoltre, non ricevono la libert tipica di una classe aperta, e le loro idee e preferenze non ricevono la stessa attenzione di quella offerta da una scuola orientata ad un apprendimento individualistico). Perch imparare a collaborare? 1- Potrebbe essere la nostra unica speranza di salvezza: se non impariamo a cooperare, noi e il nostro pianeta saremo spacciati. 2- La cooperazione la prima pietra della democrazia moderna: essenziale per la sopravvivenza politica ed economica. 3- Linsegnamento della cooperazione pu far molto per ridurre la dipendenza degli studenti e per diminuire le divisioni e i pregiudizi tra gli studenti. 4- Esso pu risolvere due importanti crisi: il declino delle performance accademiche e i sentimenti pervasivi di alienazione, di isolamento, di inutilit e di disagio sociale tra gli studenti. 5- E poi, funziona: dimostrata la sua efficacia nel raggiungere obiettivi cognitivi, promuovendo pure un atteggiamento pi positivo nei confronti della scuola, una maggiore autostima tra gli studenti e migliori rapporti tra studenti di estrazione diversa. 6- Infine: certo che gli studenti preferiscono generalmente gli approcci cooperativi. Caratteristiche: 1. Gli studenti lavorano insieme per raggiungere un obiettivo comune. 2. Le ricompense dipendono non da una performance migliore rispetto a quelle degli altri, ma dal fare bene insieme a qualcun altro. 3. Si richiede uninterazione faccia-a-faccia tra i membri del gruppo (di solito 4-6 studenti). 4. Il rapporto tra i membri del gruppo pu essere descritto come un rapporto di interdipendenza positiva (cooperazione nel distribuire le risorse, nellassegnare i ruoli e nel dividere il lavoro). 5. Di solito si assegna un certo grado di responsabilit nella condivisione, nella cooperazione e nellapprendimento (vengono usate diverse tecniche per assicurare la contingenza di obiettivi e ricompense sulla performance e il contributo di ogni membro del gruppo). 6. previsto luso di abilit interpersonali e tipiche dei piccoli gruppi, come quelle coinvolte nel turnover, nella facilitazione, nella collaborazione Le scuole hanno elaborato ed utilizzato un ampio numero di attivit cooperative, con nomi diversi ma spesso inclusi nelletichetta generica di circoli di conoscenze o circoli di apprendimento.
Lapprendere insieme

Elaborata da Johnson e Johnson (1984). A gruppi di 4-6 studenti viene data una lezione o un compito scritto che essi devono imparare o completare insieme; i membri devono aiutarsi reciprocamente per far s che ognuno impari la lezione o completi il compito; ogni membro anche incoraggiato ad aiutare gli altri gruppi una volta completato il proprio lavoro. La cooperazione e ladempimento del lavoro viene gratificato con elogi; non esiste competizione tra i gruppi. Sono enfatizzati: a- uninterazione faccia-a-faccia, b- una interdipendenza individuale (gli studenti lavorano insieme per raggiungere un obiettivo comune), c- la responsabilit individuale (tutti gli studenti devono successivamente dimostrare che ognuno ha compreso ed ha acquisito la padronanza del compito), d- abilit interpersonali e a piccoli gruppi (agli studenti viene insegnato come lavorare insieme e come valutare il funzionamento del proprio gruppo).
STAD (Student Teams-Achievement Divisions)

I gruppi di studenti rappresentano delle squadre che competono tra loro (Slavin, 1995). Gli studenti vengono divisi in squadre eterogenee di 4-6 elementi; idealmente, ogni squadra comprende soggetti dalla capacit bassa e alta, provenienti da diversi background e di entrambi i sessi. La tecnica prevede cinque livelli: 1- Presentazione: materiale presentato tradizionalmente, con lezione, discussione o video. 2- Lavoro di squadra: viene consegnato il materiale da stu68

diare ed un compito scritto da completare; si pu lavorare individualmente, a coppie o in gruppo; incoraggiamento allaiuto reciproco e perch ognuno comprenda ed acquisisca il materiale, con enfasi sulla performance di squadra. 3Quiz: alla fine del periodo di studio, che dura solitamente una settimana, gli studenti compilano quiz basati sul materiale della settimana (individualmente e senza aiutarsi fra di loro). 4- Punteggi di miglioramento individuale: sebbene venga dato un riconoscimento alla squadra che ottiene il punteggio migliore, la squadra vincente quella i cui individui hanno migliorato di pi (cos gli studenti pi scarsi possono contribuire al punteggio finale della squadra tanto quanto i soggetti pi bravi). 5- Riconoscimento della squadra: ricompense con certificati, gettoni, premi ed elogi (i punteggi di squadra possono essere usati anche come fattore per determinare i voti individuali). Secondo Slavin, lo STAD produce cambiamenti drastici nella classe (le attivit diventano sociali, divertenti e sotto il controllo degli studenti, con aumento dellaiuto reciproco).
TGT (Teams-Games-Tournaments)

Linizio come quello dello STAD, ma alla fine gli studenti devono impegnarsi in tornei piuttosto che nella compilazione di quiz. In questo tornei, i membri della squadra vengono assegnati ad un tavolo non come un gruppo, ma come individui; ogni tavolo costituito da tre concorrenti pi o meno dello stesso livello. I giochi vengono svolti simultaneamente ad ogni tavolo, con estrazione di carte numerate e il tentativo di dare risposte alla domanda corrispondente al numero della carta e il mettere in dubbio le risposte sbagliate degli altri. Alla fine del gioco (o della lezione), i punti vengono assegnati in base al numero di carte in possesso di ogni giocatore (che trattengono la carta ad ogni risposta o dubbio espresso corretti, e la perdono quando sbagliano), e per ogni squadra viene calcolato il numero totale di punti ottenuti nel torneo.
Il Puzzle (e il Puzzle II)

(Aronson et alii, 1978) Il materiale da apprendere viene diviso in diverse unit; ad ogni membro della squadra vengono quindi assegnate delle parti separate e differenti della totalit che deve essere appresa, ed ognuno deve insegnare agli altri ci che ha imparato. A nessun membro vengono date sufficienti informazioni per risolvere immediatamente il problema o per completare il compito in questione, ma quando tutte le informazioni vengono messe insieme, il puzzle completo. Nel Puzzle II, agli studenti viene dato lo stesso materiale narrativo da leggere, eliminando cos il bisogno di preparare una quantit di materiali diversi; ad ogni studente viene quindi assegnata la responsabilit di gestire diversi argomenti, per poi tornare alla propria squadra ed insegnare ai propri compagni ci che hanno appreso (vi quindi interdipendenza dei membri delle squadre, e un buon rendimento dipender da quanto ogni individuo riuscir ad imparare ed insegnare bene il proprio argomento). Come nello STAD, quiz e ricompense sulla base della performance di squadra, tenendo conto dei miglioramenti individuali.
Lindagine di gruppo

(Sharan e Sharan, 1992) Combina la cultura accademica con unindagine sui principi della cooperazione. Gli studenti di una classe selezionano unarea di studio; larea viene divisa in sotto-argomenti, e la classe viene divisa in piccoli gruppi di investigatori sulla base di un interesse comune per un certo argomento. Ogni gruppo formula quindi un piano per mezzo del quale investigare, ed assegna le responsabilit; a questo punto i membri possono lavorare individualmente, in coppie o a gruppi. Dopo aver completato lindagine (dopo qualche settimana) i membri del gruppo si incontrano e si dividono i frutti delle rispettive indagini, e decidono inoltre come presentare le proprie informazioni integrate agli altri compagni di classe; infine tutti i gruppi si incontrano per la condivisione finale delle informazioni. Gli insegnanti sono sempre coinvolti nella guida degli studenti, aiutandoli sia per quanto riguarda le capacit accademiche necessarie per unindagine, sia per quanto riguarda le abilit sociali utili nel processo di gruppo.
Alcune considerazioni e valutazioni

Lapprendimento cooperativo, diversamente dagli stili di apprendimento, non richiede una ristrutturazione di base della giornata scolastica o un riordinamento dei programmi. I metodi cooperativi, poi, coinvolgono tutti gli studenti simultaneamente, e promuovono la cooperazione fra studenti dotati di diversi punti di forza e di debolezza, magari provenienti da diversi background etnici, di et e di sesso diversi. In una situazione tipica, essi vengono usati per 60-90 minuti al giorno; ma i pi loro forti sostenitori raccomandano almeno il 70% del tempo scolastico, assegnando il 20% ad approcci individualistici e il 10% alle attivit di tipo competitivo. La loro applicazione richiede unattenta preparazione dei materiali. Lapprendimento cooperativo produce risultati maggiori praticamente a tutti i livelli di classe e di et e per tutti gli studenti. I membri delle squadre cooperative mostrano tipicamente risultati migliori rispetto alle situazioni competitive, a prescindere dal fatto che il rendimento venga misurato in termini di performance verbale o non-verbale e dal fatto che i problemi usati per valutare il rendimento fossero molto strutturati e chiari o pi scarsamente definiti. Lapprendimento cooperativo produce quasi sempre performance accademiche superiori, una motivazione pi forte, un maggior interesse per la scuola, e migliori rapporti tra gli studenti. Tuttavia alcuni degli effetti accademici positivi sono dovuti pi al fatto che le lezioni sono tipicamente pi strutturate e pi sistematiche che allinterazione tra studenti. Infatti, quello di dividere la classe in gruppi non sempre il metodo didattico pi efficace: in certe occasioni e per certi approcci non funziona; anche possibile che gli studenti lavorino in gruppi ma non come gruppi. Due cose sono essenziali se vogliamo che lapprendimento cooperativo funzioni: (1) incentivi alla cooperazione e (2) responsabilit individuale; a cui si pu aggiungere, traendo suggerimenti dalla teoria di Vygotskij: (3) lapprendimento dipende moltissimo dallinterazione sociale, dipende soprattutto dalle interazioni con altri che sono pi informati; inoltre, apprendimento e processi mentali in genere dipendono dal linguaggio: uno dei grandi contributi dellapprendimento cooperativo che

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esso promuove lo sviluppo e lesercizio delle capacit linguistiche. Lapprendimento cooperativo migliora anche lautostima e il senso di finalit e di autonomia dello studente. Gli approcci cooperativi nascondono per anche degli svantaggi: per es., gli studenti meno brillanti sono spesso imbarazzati dalle loro performance, e si vergognano di ottenere i punteggi pi bassi del gruppo (anche se luso del miglioramento della performance come base di calcolo dei punteggi, come accade nello STAD e nel TGT, pu fare molto per ridurre gli svantaggi). Inoltre, sostenendo che le tecniche cooperative dovrebbero essere la caratteristica dominante dellattivit di classe, rischiamo di ignorare la possibilit che una delle ragioni per cui questi approcci hanno successo proprio perch presentano un chiaro contrasto con le procedure scolastiche convenzionali: lo spostamento dellattenzione e delle procedure serve ad aumentare la concentrazione, a motivare e in ultima analisi a migliorare la performance. Infine, sebbene sia importante che i bambini imparino a cooperare tra loro, importante anche che apprendano abilit competitive ed individualistiche (senza contare che esistono certe situazioni che non si prestano ad un approccio cooperativo). Poi bisogna anche ammettere che le prove su cui i sostenitori delle riforme umanistiche basano le proprie argomentazioni non sono sempre convincenti. Forse, per, la critica pi significativa mossa agli approcci umanistici che la maggior parte di essi dipendono dallinsegnante. Ad ogni modo, queste critiche si applicano soprattutto agli approcci globali delleducazione umanistica (tipo scuole aperte o libere), e forse non sorprende il fatto che la maggior parte di queste scuole abbiano chiuso. Insomma, queste critiche mosse alleducazione umanistica non sono rilevanti rispetto alle due espressioni dellinteresse umanistico descritte sopra: le scuole orientate agli stili di apprendimento e lapprendimento cooperativo. Comunque, lumanesimo non rappresenta una specifica tecnica educativa, bens una filosofia educativa caratterizzata da una serie di atteggiamenti ammirevoli nei confronti degli studenti e degli obiettivi educativi, atteggiamenti che dovrebbero essere presenti in ogni insegnante [su C. R. Rogers e su il s, v. anche, a p.89, Il S; per approfondire Rogers, v. i suoi La terapia centrata sul cliente, Martinelli, 1970-73-86-89, passim, e Libert nellapprendimento, Giunti Barbra, 1973, passim; per approfondire linsegnamento cooperativo, v. Apprendimento cooperativo in classe di Aa. Vv., Erickson, 1996, e Il cooperative learning: teoria e prassi del metodo di insegnamento attraverso la cooperazione di Aa. Vv., in Psicologia e Scuola nn. 86-90 Giunti O.S., 1997-1998; per le implicazioni pedagogiche delle psicologie umanistiche, v. anche Modelli psicopedagogici dellapprendimento di Titone R., Armando, 19882, in partic. pp.7-23; v. anche nota 8; L,256-276].

Linterazionismo socio-culturale
Risultano centrali i significati assegnati dagli esseri umani al mondo in cui vivono e le interpretazioni negoziate e condivise che vengono prodotte nei diversi contesti di vita. Lo sviluppo nasce dallinterazione tra individuo e ambiente (Piaget: ambiente come realt naturale e artificiale, visto per lo pi nei suoi aspetti fisici e matematici; Vygotskij: ambiente come mondo sociale e culturale, in cui entrano le relazioni umane e sociali, le mediazioni linguistico-discorsive, gli artefatti culturali, materiali e astratti)9 [v. Appendice 6]. Apprendimento e collaborazione Un orientamento di apprendimento collaborativo prevalente nella matrice anglosassone stato quello della suddivisione preordinata di compiti o di preorganizzazione di subcompiti: ciascun partecipante studia un aspetto diverso del problema comune, e i contributi vengono poi messi insieme (modalit tipica tra adulti nel lavoro, nella ricerca, nella scrittura). Un primo impulso allimportanza dellinterazione tra pari venuto dalla ricerca piagetiana e post-piagetiana che ha centrato lattenzione sul ruolo del conflitto cognitivo e sociocognitivo tra punti di vista diversi; dal conflitto o anche dal semplice confronto si produce un successivo cambiamento della prospettiva dei due interlocutori che non possono pi restare sulle loro posizioni [es. in Po,pp.44-47]. Apprendimento e contesto Contesto = quadro culturale entro cui ha luogo un particolare evento interattivo e che offre risorse (e vincoli) per la sua realizzazione e interpretazione ed a sua volta arricchito e cambiato dalle azioni e dalle parole di tutti i partecipanti. Ogni apprendimento o conoscenza sono situati, in quanto non esistono indipendentemente dal modo in cui i partecipanti (adulti e bambini, sperimentatori e soggetti, insegnanti e studenti) la contestualizzano. Apprendimento come partecipazione In questi anni si parlato sempre pi di partecipazione come nuova metafora di un apprendimento che assomiglia sempre pi ad un apprendistato, in quanto riguarda apprendimenti complessi, che hanno diverse componenti, che possono includere anche componenti elementari, isolabili, ma che sono poi inseriti dentro lo svolgimento di un mestiere, di una professione o di un profilo particolare; la metafora della partecipazione comporta che la situazione di apprendimento sia organizzata in modo tale da consentire ai discenti di partecipare in forma progressivamente pi centrale ad un sistema di attivit. Oltre ad apprendere conoscenze, tecniche e procedure, si instaurano anche delle reti interpersonali di comunicazione, si apprendono anche modi e relazioni sociali, oltrech pratiche di lavoro collaborativo, molto rilevanti per qualsiasi professione attuale (sono anche i contesti tipici in cui si impara a lavorare con gli altri [v. anche Lapprendistato cognitivo: p.64]). La competenze trasversali Listruzione obbligatoria deve oggi riuscire a far raggiungere a tutti, qualunque sia la scelta successiva, le competenze che seguono: -comprendere testi, formulari diversi; -comunicare ad altri idee e dati, in diverse forme parlate o scritte,
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V. nota 8.

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organizzando linformazione (quasi mai sotto forma di temi!); -elaborare e interpretare dati quantitativi usando tecniche di tipo matematico; -impostare e risolvere problemi usando le mani, gli strumenti e i mezzi tecnologici del nostro tempo, organizzando le risorse disponibili, anche ragionando in termini di sistema; -lavorare e collaborare con gli altri, in modo produttivo, critico e non conformistico, valorizzando le proprie e altrui competenze, anche per assumere decisioni consapevoli; -disporre di strumenti e pratiche di fruizione (e produzione) di arte, musica, teatro, cinema, poesia, letteratura: in altri termini saper fruire della cultura alta per riqualificare la cultura popolare del tempo libero, affinch si possa scegliere e non subire linfimo livello di molta televisione; -imparare a imparare, a voler continuare a imparare e a insegnare ad altri in diversi contesti sociali. Sistemi di attivit e conoscenza situata Prima ancora di parlare di situazioni organizzate in vista dellapprendimento, opportuno riferirsi ad una impostazione pi generale che possa servire come riferimento per qualsiasi attivit umana allinterno della quale sono quasi sempre possibili modalit di apprendimento: limpostazione che deriva dalla teoria dellattivit di Leontev (1975: unattivit situata quella in cui sono presenti dispositivi, materiali, forme di conoscenza storicamente costituite e socialmente distribuite, processi di interazione sociale e modi di azione sociale che essi producono, oltrech rappresentazioni mentali congruenti). Per questo oggi si considera sempre lapprendimento come situato, in quanto avviene sempre in una particolare situazione contestuale ed distribuito perch si distribuisce su di una serie di supporti e di strumenti (anche la conoscenza scientifica considerata come unattivit situata10). Significato e prospettiva dialogica In questa prospettiva di condivisione di azione e pensiero, cambia la visione del significato, che acquista una caratterizzazione fortemente intersoggettiva; ci vale in riferimento: allinterazione diadica tra adulto e bambino, i quali hanno in partenza una definizione diversa della situazione e che progressivamente ne costruiscono una definizione intersoggettiva in cui possono incontrarsi; alla situazione scolastica, in cui la creazione di una intersoggettivit collettiva (in modo che insegnanti e studenti possano condividere loggetto del discorso problematico) la condizione necessaria affinch si possa creare una situazione di reale insegnamento-apprendimento. Pertanto il significato non risiede nella mente del singolo individuo, ma il risultato di una negoziazione sociale e culturale. Una tale concezione, arricchita dalla dimensione culturale, presenta una caratterizzazione fortemente sociale, strumentale ed esterna di tutta lattivit cognitiva e offre quindi modalit di conoscere da cui le attivit di apprendimento scolastico possono prendere esempi che adattano bene al modello di apprendistato di cui si detto prima; fa capire come lattivit di conoscenza e di apprendimento ha bisogno di situazioni sociali concrete in cui svolgersi e comporta sempre il rapporto con gli altri, la negoziazione di significati, luso di artefatti, strumenti, procedure e quadri concettuali. Identit ed eticit Si apprende e si ricorda solo ci che funzionale alla costruzione della propria identit personale; il senso che ogni individuo ha di s il prodotto dinamico emergente dalle sue relazioni interpersonali: lidentit personale viene dunque continuamente elaborata, ridefinita, negoziata nello scambio con laltro (in questa costruzione svolge un ruolo determinante lidentit di genere). Gli insegnanti sono figure identitarie importanti per bambini/e e ragazze/i, i quali trascorrono a scuola la maggior parte del loro tempo in et evolutiva; essi costituiscono (in particolare nella fase affiliativi che corrisponde alla scuola di base) non solo modelli per lapprendimento, ma anche delle figure di identificazione, aggiuntive e in qualche caso alternative a quelle genitoriali. Narrazione e discorso quotidiano assumono un ruolo fondamentale, in ogni occasione di interazione sociale, familiare, scolastica, lavorativa; sono le narrazioni e i discorsi quotidiani la malta con cui gli individui co-costruiscono la conoscenza, lidentit, la realt stessa. Lidentit oggetto di costruzione e di ricostruzione narrativa, in cui gli scambi con gli altri significativi, e il contesto culturale e relazionale in cui avvengono, giocano un ruolo determinante, in una prospettiva di notevole interdipendenza; una tale interdipendenza interpersonale anche quella che sta alla base della costruzione della propria eticit. Il fatto che i nostri diversi s abbiano sempre bisogno degli altri per essere ridefiniti la base per realizzare la collaborazione, lo scambio e la convivenza tra diversi; a tal fine la scuola pu creare occasioni per la realizzazione di questi principi e modalit di funzionamento conseguenti fin dalle prime fasi di scolarit [v. anche Il S: p.89; Po,14-38]. Bruner e Anglin [ed altri: per es. Pellerey] sono dellavviso che, quando si pianificano le esperienze di apprendimento degli alunni, e sicuramente quando riflettiamo su qualsiasi attivit di apprendimento, dobbiamo tenere presenti tre variabili importanti: la natura del soggetto che apprende, la natura del materiale da apprendere, e la natura del processo di apprendimento [F,139].

La natura del soggetto che apprende


Esistono diversi fattori negli alunni stessi che incidono sulla loro capacit di apprendere.

I fattori affettivi
A rigor di termini, laggettivo affettivo si riferisce soltanto alle emozioni, ma gli psicologi tendono a usarlo in un senso pi generale, che abbraccia tutto quanto si riferisce alla personalit.
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Cos, nellambito della sociologia e della retorica della scienza la conoscenza non pi definita come verit assoluta ma come credenza localmente accettata, spostando cos il banco di prova delle teorie dallambio chiuso ed astratto della logica a quello pi contestuale e contingente delle modalit di produzione e di accettazione da parte di una comunit con peculiarit socioculturali.

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Lansia

A livelli moderati lansia pu essere un utile aiuto allapprendimento, mentre in misura eccessiva pu avere un effetto di inibizione sullapprendimento e interferire con esso; pi difficile il compito, pi probabile che un grado di ansia elevato costituisca un fattore di interferenza. I bambini abitualmente ansiosi, quando si trovano in una classe scolastica organizzata in modo piuttosto informale, dove spesso non sono sicuri di quello che ci si aspetta da loro, possono sentirla maggiormente ansiogena di un ambiente pi formale e meno ambiguo. Ansia da test Lansia relativa alla somministrazione di test (ansia da test; Hembree, 1988), oltre a causare una scarsa performance, correlata ad una bassa autostima; le femmine tendono ad avere un atteggiamento in qualche modo pi ansioso rispetto ai maschi, sebbene la loro maggiore ansia non si manifesti in una performance pi bassa. Inoltre, gli studenti particolarmente ansiosi non traggono il massimo profitto dallinsegnamento; alcuni, tra questi, hanno semplicemente delle capacit pi basse in fatto di test (lansia sembra dunque avere un effetto negativo anche sullapprendimento). Tuttavia gli studenti particolarmente ansiosi tendono ad imparare meglio con degli approcci educativi pi strutturati, in cui non ci si aspetta n si richiede linterazione dello studente. Per ridurre lansia sono state messe a punto molte tecniche: la maggior parte delle quali hanno lo scopo di modificare latteggiamento dello studente nei confronti della propria competenza personale e di focalizzare lattenzione sui compiti da eseguire piuttosto che sulla preoccupazione ad essi relativa [v. anche, pi sotto, la teoria dellarousal, e p.82].
Lautostima

I bambini che hanno unautostima elevata ottengono regolarmente risultati migliori di quelli dei bambini che hanno capacit analoghe ma scarsa autostima; inoltre si prefiggono obiettivi pi ambiziosi, manifestano minore esigenza di approvazione da parte degli adulti, sono meno scoraggiati dagli insuccessi e hanno una visione pi realistica delle proprie capacit. Lautostima che dimostrano sembra dovuto in larga misura al comportamento dei genitori nei loro confronti, caratterizzato da attenzione, incoraggiamento, calore fisico, coerenza e comportamento democratico; anche linsegnante, comunque, pu contribuire a promuovere nei suoi alunni la fiducia nelle proprie capacit offrendo loro occasioni di riuscita, incoraggiandoli anzich censurandoli quando sperimentano un insuccesso, e dimostrando di avere personalmente fiducia nelle loro capacit.
Estroversione e introversione

[v. anche p.81] Lestroverso in genere un soggetto che predilige il cambiamento e la variet, proiettato verso il mondo esterno, le esperienze e i rapporti con la gente, mentre lintroverso tende maggiormente alla stabilit ed pi concentrato sul mondo interno dei pensieri e dei sentimenti. Si ritiene che nella scuola elementare (dove si privilegiano il lavoro di gruppo e le attivit sociali) la riuscita possa essere legata in una certa misura allestroversione, ma che questa tendenza si sposti a favore dellintroversione (pi rapidamente per le femmine che per i maschi) nella scuola secondaria, e in modo ancora pi pronunciato alluniversit (dove assumono pi importanza le abitudini di studio individuali). Pare che gli estroversi preferiscano ambienti di apprendimento non strutturati e gli introversi ambienti di apprendimento strutturati; il valore dellintroversione per lapprendimento e il successo scolastici, inoltre, dovrebbe essere massimo quando si accompagna a livelli di intelligenza elevati. In conclusione: proprio come linsegnante adotta approcci differenti con alunni di capacit cognitive diverse, altrettanto dovrebbe fare con alunni di personalit diversa [F,130131; L,286-287].

La motivazione
Dalle ricerche di Keith e Cool sui fattori che pi hanno determinato il successo nei risultati ottenuti da 25.000 studenti (1992), risult al primo posto la capacit, poi la motivazione, quindi la qualit dellistruzione. Se manca una sufficiente motivazione ad apprendere ben difficile che lapprendimento scolastico risulti soddisfacente. La ricerca pi recente indica che diverse variabili hanno un effetto diretto sulla motivazione dello studente (variabili relative allorganizzazione e al clima di classe, compresa la struttura dei lavori, la loro complessit, le pratiche di gruppo, le tecniche di valutazione, la responsabilit dellapprendimento, e la qualit del rapporto insegnante-studente e studentestudente: Matthews, 1991) [F,131; L,281].
Teoria dellarousal

La quantit di impegno che uno studente disposto a mettere nella scuola (il suo grado di motivazione) dipende da tre cose (Brehm e Self, 1989): gli stati interni come i bisogni o i desideri, le potenziali conseguenze, e la stima da parte di una persona sulla probabilit che uno specifico comportamento porter ad un dato esito. La motivazione risulta cos sia fisiologica (che pu dunque essere misurata) sia psicologica. I cambiamento fisiologici che accompagnano laumento della motivazione sono quindi cambiamenti del sistema nervoso simpatico, evidenti in un aumento dellarousal. Larousal : da un punto di vista psicologico, il livello di vigilanza di un individuo (livelli pi bassi = sonno o coma; livelli pi alti = panico o shock); dal punto di vista fisiologico: sono cambiamenti sottostanti, concomitanti con questi stati psicologici, evidenti nel sistema nervoso simpatico (con laumentare dellarousal, aumentano anche ritmo respiratorio, e cardiaco, attivit cerebrale, conduttivit elettrica delle pelle). Principali fonti dellarousal sono i ricettori a distanza (udito e vista, principalmente), ma esso pu essere innescato anche da qualsiasi altra forma di stimolazione, compresa lattivit cerebrale (tipiche forme di stimolazione: significativit, intensit, sorpresa, novit e complessit). Probabilmente meno critica la quantit della qualit degli stimolatori. Un aumento dellarousal pi o meno equivalente ad un aumento della motivazione. La legge di Yerkes-Dodson [v. p.82: dove tra laltro, invece di arousal, Fontana o il traduttore? parla di ansia] indica che la motivazione (e lefficacia del comportamento) aumenta con 72

laumentare dellarousal fin quando non viene raggiunto un livello ottimale; in seguito, un ulteriore aumento dellarousal produrr una diminuzione della motivazione e dellefficacia del comportamento. Riassumendo il rapporto tra arousal e motivazione: 1- per qualsiasi attivit e per qualsiasi individuo esiste un livello di arousal in cui la performance sar ottimale; 2- un individuo si comporta in modo tale da mantenere il livello di arousal pi ottimale al comportamento in atto. Uno studente molto annoiato ha poche probabilit di apprendere efficacemente; bassi livelli di arousal sono caratterizzati da scarsa attenzione (e da apprendimento meno efficace). Una manifestazione di aumento dellarousal lansia [v. p.72: lansia, e p. 82]. Idealmente, tutti gli studenti di una data classe dovrebbero lavorare ad un livello moderato di arousal; linsegnante controlla una parte significativa della stimolazione cui gli studenti sono esposti [L,284-288].

Concezioni della motivazione


Concezione comportamentistica

Enfatizza le motivazioni estrinseche (compensi, elogi). Ledonismo psicologico il principio del dolore/piacere, riassunto del principio motivazionale comportamentistico pi importante: noi ci comportiamo in un certo modo per ottenere piacere ed evitare il dolore. Ma si tratta di valutazioni soggettive, che violano la presunta obiettivit del comportamentista. Questi, infatti, tenta di identificare quegli stimoli che abbiano leffetto di aumentare le probabilit di un comportamento, i cosiddetti rinforzatori (elogi ed ammonimenti, voti alti e bassi, sorrisi ed arrabbiature dellinsegnante). Se usato con giudizio e sistematicamente, il rinforzo pu avere effetti profondi sul comportamento. Ma se guardiamo una classe, vedremo che il comportamento non spinto semplicemente da ricompense esterne; il comportamento viene piuttosto educato, cio spinto da cognizioni ed emozioni. Ad ogni modo, i rinforzatori pi potenti per gli studenti sono gli stimoli come lelogio, lefficacia dei quali dipende chiaramente dalle interpretazioni del comportamento dellinsegnante da parte dello studente (Stipek, 1988). Lelogio ed anche la sua assenza ci offre informazioni fondamentali con cui costruire i concetti del s, ci dice quanto siamo meritevoli e competenti (concetti essenziali nella motivazione umana). Ma gli insegnanti non sempre usano bene lelogio (Brophy, 1981; Hitz e Driscoll, 1994): un elogio usato troppo poco non riesce ad essere efficace, mentre se usato troppo spesso diventa insignificante; lelogio usato da solo non sempre molto efficace, ma pu diventarlo quando designato ad aumentare lautostima dello studente (ad esempio, quando accompagnato da un incoraggiamento costruttivo, esercitando dei potenti effetti a breve e a lungo termine; lincoraggiamento dovrebbe per essere specifico anzich vago o generico, focalizzandosi sullimpegno dello studente piuttosto che solo sugli esiti di tale impegno); lelogio dovrebbe anche essere sincero, e gli insegnanti dovrebbero evitare di etichettare gli studenti o di fare confronti tra loro. Lelogio, quindi, deve essere: non troppo frequente, contingente a qualche comportamento specifico, credibile ed informativo, focalizzato sullimpegno dello studente, non casuale e disorganizzato, n quale ricompensa alla mera partecipazione ma alla qualit della performance. Alcuni insegnanti obiettano alluso deliberato e sistematico del rinforzo, sostenendo che lapplicazione sistematica di ricompense e punizioni (rinforzatori estrinseci) per formare il comportamento ha qualcosa di meccanicistico e deumanizazante; altri temono che, se gli studenti sono preparati a rispondere troppo prontamente a dei rinforzatori esterni, potrebbero diventare troppo dipendenti da essi; ed alcuni umanisti temono che questi studenti non impareranno mai ad ascoltare le proprie motivazioni (bisogni intrinseci e fondamentali di eccellere, realizzarsi e diventare qualcosa di apprezzabile).
Concezione umanistica
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Enfatizza limportanza delle motivazioni intrinseche (motivi interni: bisogno di autonomia, competenza, realizzazione). Lelogio alquanto diverso dalle ricompense esterne (dai voti, per es.), essendo ad un livello complesso molto informativo e con molto da dire anche sul valore e lunicit dello studente stesso: pu quindi fare molto per aumentare laffidamento dello studente su motivazioni intrinseche. Maslow propone due sistemi di bisogni generali: i bisogni fondamentali e i metabisogni [v. pi sotto La personalit]. R. W. White (1959) sostiene che uno dei nostri bisogni intrinseci pi importanti la motivazione alla competenza: si manifesta nella lotta del bambino per una performance competente e nei sentimenti di sicurezza e valore che accompagnano una performance di successo, e pu essere vista come un aspetto dellautorealizzazione. White ritiene che essa particolarmente importante per capire specie come la nostra in cui gli individui nascono con cos poche competenze innate: i nostri neonati non solo non possono correre o nascondersi, non possono nutrirsi da soli e non riconoscono nemici e pericoli, ma non conoscono nemmeno quei segnali (gesti, suoni) necessari per comprendere il mondo e per comunicare con competenza. Insomma, la motivazione alla competenza la spinta verso la competenza la padronanza che spiega la curiosit e il comportamento mirato allacquisizione di informazioni ( evidente anche nelle reazioni ripetitive e circolari del neonato di Piaget [v. p.34], e spiega anche perch i bambini in et scolare esercitino le proprie capacit fin quando non raggiungono la giusta competenza). Il maggior contributo degli approcci umanistici alla pratica educativa forse meno incarnato nelle specifiche raccomandazioni per una buona gestione della classe e pi negli atteggiamenti degli insegnanti nei confronti degli studenti: leducatore umanistico attribuisce grande valore allo sviluppo personale dello studente, e lautorealizzazione di conseguenza uno degli obiettivi pi importanti dellistruzione umanistica.
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V. nota 8.

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Concezioni cognitive

Enfatizza le motivazioni intrinseche (il bisogno della persona di conoscere e comprendere). Alcuni aspetti della teoria della motivazione alla competenza sono tanto cognitivi quanto umanistici, e in un certo senso sono anche comportamentistici (e talvolta socio-culturali: il mondo reale pi complesso delle nostre categorizzazione psicologiche!). La prima psicologia ha descritto un organismo molto reattivo ma notevolmente poco attivo; gli approcci pi recenti sono invece palesemente pi cognitivi e sociali. Bolles (1974), concordando in questo con Freud, sostiene che non esistono comportamenti non motivati: la motivazione non sarebbe dunque una forza speciale che dovrebbe essere isolata e classificata. Berlyne (1960) ha focalizzato il ruolo della curiosit nellorientare lattivit degli individui e nello spingerli a continuarle; in particolare: quando un individuo posto in una situazione che pu prevedere risposte conflittuali, si attua un impulso di curiosit (motivazione esplorativa) per il quale lindividuo si impegna nella ricerca di ulteriori informazioni per soddisfare tale impulso. White (1959) parla di motivazione alla competenza, con ci intendendo un bisogno fondamentale negli esseri umani di controllare il proprio ambiente (tale caratteristica stata addirittura vista come uno dei fattori che ha permesso la sopravvivenza della specie, poich proprio questo desiderio ha consentito agli individui di impegnarsi anche in attivit faticose per sentirsi padroni del proprio destino); White sostiene che la motivazione vada ridefinita in termini di effectance (produrre effetti), perch si pu dar conto di tutti quei comportamenti esplorativi, di bisogno di controllo, di padronanza e di manipolazione che caratterizzano gli esseri umani quando sono motivati. Deci e Ryan (1985; 1992) propongono la teoria dellautodeterminazione: il bisogno di competenza la ragione principale per cui gli individui ricercano il livello ottimale di stimolazione e di attivit, infatti la motivazione intrinseca si riduce se si ha la sensazione di un controllo esterno e/o di rinforzi negativi sulla propria competenza; gli studiosi superano poi la distinzione dicotomica fra motivazione intrinseca ed estrinseca [v. p.76] ed indicano diversi livelli attraverso cui si realizza il processo di interiorizzazione, che va dalla regolazione esterna (che proviene da contingenze esterne) alla regolazione interna (che si fonda sullutilit del comportamento autoregolato) alla regolazione per identificazione che basata sullautonomo riconoscimento da parte dellindividuo di ci che ha valore e importanza. Forse la caratteristica pi importante della motivazione umana la nostra capacit di rimandare la gratificazione; il nostro comportamento cos fortemente motivato dalle nostre anticipazioni di esiti futuri che lanalisi del comportamento umano in termini di condizioni che appaiono rilevanti per il comportamento di ogni bambino spesso infruttuoso se applicata ad adolescenti e adulti. Abbiamo imparato a posticipare la gratificazione in virt di qualche capacit umana coinvolta nel pensiero, nellimmaginazione e nella verbalizzazione. attraverso lo studio di questi processi cognitivi in atto che i teorici cognitivi sociali come Bandura cercano di comprendere e spiegare il comportamento umano [v. anche p.26]. Lauto-efficacia Riguarda la valutazione che noi diamo sulla nostra efficacia (Bandura, 1986 a 1991). Le persone pi efficaci sono quelle che riescono ad affrontare meglio le situazioni (quelle pi competenti, in altre parole); di conseguenza, lautoefficacia ha due componenti relative: la prima riguarda le abilit (le competenze reali) necessarie per una performance di successo, la seconda riguarda lidea che ognuno di noi ha sulla competenza (numerosi studi hanno dimostrato che gli studenti dotati di un alto senso di efficacia accademica mostrano una maggiore perseveranza, un maggior impegno ed un maggiore interesse intrinseco per il proprio apprendimento). Bandura identifica quattro importanti influenze dei giudizi che una persona emette sul concetto di auto-efficacia (o competenza personale): 1. Influenze pratiche = il successo o linsuccesso abituale di una persona in un dato compito influenzano chiaramente i suoi giudizi personali di competenza: chi non ha mai successo ha molte pi probabilit di sviluppare delle valutazioni negative sulla propria auto-efficacia rispetto a chi riesce sempre in ci che fa (non detto, comunque, che il successo venga invariabilmente attribuito alla competenza personale e quindi produca alti giudizi di auto-efficacia: v. pi avanti le teorie dellattribuzione). 2. Influenze vicarie (di seconda mano) = hanno a che fare con losservazione delle performance altrui, e sono particolarmente importanti nelle situazioni competitive scolastiche: i bambini che ricevono i voti pi bassi o pi alti subiranno delle informazioni altamente strumentali nel determinare i loro giudizi di valore personale; Bandura suggerisce che i confronti pi importanti relativamente ai giudizi di competenza personale sono quelli che il bambino fa con i propri coetanei. 3. Influenze persuasive = chi manca di fiducia in se stesso e quindi ha giudizi di auto-efficacia presumibilmente bassi pu essere persuaso a fare cose che altrimenti si rifiuterebbe di fare; implicito nella persuasione (Su, Emily, suona la tua chitarra per noi) un giudizio positivo (Suoni la chitarra cos bene, Emily). 4. Influenze emotive = un arousal alto pu influire sui nostri auto-giudizi in diversi modi (una grande paura, per es., pu portare a giudizi di bassa competenza personale). Bandura (1993) sostiene che le misure di auto-efficacia sono spesso un mezzo di previsione del comportamento migliore rispetto alle abilit pi rilevanti, dato che nella maggior parte delle circostanze i bambini e gli adulti non tentano di fare cose che si aspettano di non poter fare bene: Le convinzioni sulla propria efficacia influenzano il modo in cui le persone sentono, pensano, motivano se stesse e si comportano. I giudizi di auto-efficacia si sono dimostrati correlati anche agli obiettivi: gli studenti si pongono certi obiettivi in base ai concetti di auto-efficacia rispetto al rendimento accademico; gli obiettivi sono particolarmente importanti, dice Bandura (1986), in quanto stabiliscono i criteri del fallimento o del successo personale: raggiungerli o mancarli quindi un evento accompagnato da forti reazioni emozionali. I giudizi di efficacia motivano anche i nostri comportamenti influenzando i nostri pensieri e le nostre emozioni: chi ha giudizi di competenza personale bassi ha maggiore probabilit di valutare negativamente se stesso e di 74

soffrire di scarsa autostima; una ricerca di Coopersmith con ragazzi adolescenti (1967) indica che i concetti di s positivi sono strettamente correlati al successo sia scolastico sia interpersonale. Diverse ricerche effettuate fanno ritenere che dei giudizi altamente favorevoli di competenza personale (alta auto-efficacia) insieme a concomitanti valutazioni positive del s (autostima positiva) possono avere unenorme influenza sul rendimento scolastico di un bambino (ed anche sulla sua felicit). Teorie dellattribuzione Noi non reagiamo necessariamente ai nostri successi o ai nostri fallimenti esattamente allo stesso modo. La teoria dellattribuzione riconosce queste differenza nellattribuzione del nostro comportamento a determinate cause; le nostre attribuzioni dipendono molto dalla nostra personalit, nello specifico, da un aspetto della nostra personalit: il locus of control, che si riferisce alle cause cui attribuiamo i nostri comportamenti [v. p.87]. Sono stati elaborati ed analizzati molti programmi di cambiamento delle attribuzioni: il principale loro obiettivo quello di muovere gli studenti in direzione di una attribuzione di impegno, tentando di portare lo studente a capire che i suoi successi e i suoi fallimenti dovrebbero essere attribuiti ai suoi sforzi personali. I docenti possono esercitare un certo controllo sulle tre categorie principali cui vengono attribuite le conseguenze delle performance (impegno o sforzo, capacit o abilit, difficolt del compito), ma la fortuna (molte volte chiamata in causa spesso a sproposito dagli studenti) pu essere solo lasciata al caso. In generale, gli studenti che ritengono che gli esiti del proprio comportamento derivino dallimpegno personale tendono a sviluppare degli obiettivi di padronanza (che si focalizzano sul valore intrinseco dellapprendimento); sono obiettivi associati ad un alto bisogno di successo, con il rischio e con atteggiamenti positivi nei confronti dellapprendimento. Gli studenti che, invece, ritengono che gli esiti del proprio comportamento siano in funzione della loro capacit piuttosto che dellimpegno, sviluppano degli obiettivi di performance (il loro punto focale su un rendimento migliore di quello degli altri, sul raggiungimento di un riconoscimento pubblico, sul successo in base a norme esterne, lapprendimento e la comprensione sono secondari); sono obiettivi associati allevitamento di compiti particolarmente difficili, alluso di strategie di apprendimento a breve termine e ad un effetto negativo conseguente il fallimento. Questi due orientamenti sono fortemente influenzati dal fatto che gli studenti percepiscano o meno la classe come unentit orientata alla conoscenza; e tale percezione influenzata da almeno tre aspetti dellesperienza di classe: Compito = implicite nel compito vi sono le informazioni che gli studenti usano per emettere giudizi sulla propria capacit, sulla loro disponibilit di applicare strategie e sui loro sentimenti di soddisfazione; esistono altre importanti dimensioni motivazionali del compito: variet (associata a motivazione prolungata), sfida (quando il compito viene definito in termini di specifici obiettivi a breve termine, pi probabile che gli studenti decidano di poterlo eseguire con un ragionevole impegno per verificare la propria efficacia) e significativit (i compiti personalmente coinvolgenti hanno minori probabilit di portare gli studenti a confrontare la propria performance con quella degli altri, e di portare ad obiettivi di performance). Valutazione = uno dei modi pi sicuri di elaborare un orientamento verso la performance quello di usare le procedure di valutazione che enfatizzano la capacit e che sottolineano il confronto fra studenti (quando in classe il punto focale sui prodotti degli studenti e sulla correttezza della memorizzazione, piuttosto che sui processi di apprendimento e sulla comprensione, ben presto gli studenti si orientano verso la performance). I confronti sociali sono fra le procedure di valutazione orientate alla performance pi ovvie (come rendere pubblici i punteggi pi alti e pi bassi, selezionare gli scritti e le performance degli studenti mostrando i loro successi con effetti devastanti sugli studenti pi scarsi). Autorit = il grado di scelta, di significative opportunit di autonomia che gli insegnanti offrono agli studenti direttamente correlato al loro orientamento verso la conoscenza; gli insegnanti pi tesi al controllo e che prendono le tutte le decisioni importanti incoraggiano degli obiettivi di performance [L,288-300; Po,275-279; v. anche Po,279-280].
Concezioni socio-culturali

La motivazione in prospettiva neo-vygotskijana va considerata come la trama che sostiene lo svolgimento di attivit significative a cui il soggetto prende parte: non pi perci caratteristica individuale del soggetto, variabile da individuo a individuo, ma indicatore dellavvenuto riconoscimento di senso di quello che si fa da parte di un soggetto o di un gruppo. Strutturazione degli obiettivi e apprendimento cooperativo Sono state identificate tre diverse strutturazioni del lavoro in classe corrispondenti a tre diversi obiettivi generali che incidono sullaffettivit degli studenti, sullautostima e sulla motivazione (ma nella pratica ci si pu facilmente trovare di fronte a situazioni pi sfumate e miste): 1- la struttura individualizzata in cui ciascun allievo valutato in base alle sue singole prestazioni, senza paragone con quelle degli altri e il successo di ciascuno collegato allimpegno personale; 2- la struttura competitiva che corrisponde alla situazione in cui se uno vince laltro perde e si persegue costantemente il confronto con gli altri rispetto a cui si anche valutati; 3- la struttura cooperativa in cui il gruppo condivide premi e punizioni e si valuta la prestazione del gruppo, indipendentemente da quella di ciascun suo membro [v. p.68]. [V. anche pi avanti Rapporti fra pari: p.77] I ricercatori ad orientamento neo-vygotskijano sostengono che lapprendimento e lo sviluppo cognitivo sono essenzialmente una questione di assorbimento appropriato di cultura pratica mediante una partecipazione sostenuta (scaffolded) in attivit importanti nella societ; lattivit sociale, dunque, non lespediente per coinvolgere gli allievi, o il setting per facilitare le loro relazioni reciproche affinch stiano bene a scuola e sviluppino un senso di appartenenza, quanto piuttosto costituisce la trama che sostiene lintero impianto 75

educativo: lapprendimento va visto nella sua relazione subordinata alle attivit che sono tutte peraltro socialmente connotate. Tutto ci significa che: -la connotazione pratica e sociale delle attivit educative dovrebbe essere immediatamente riconoscibile e quindi non ridotta ad espediente motivazionale [Po,274,287-288,292].
Il problema della disponibilit dellenergia

Un insegnante dovrebbe partire dallidea che lenergia di cui vi necessit per le attivit dapprendimento generalmente presente negli allievi (anche se in quantit diverse); tale energia, per, non sempre ugualmente disponibile per qualsiasi attivit (volont dellallievo, ma anche qualit dellesperienza) [Pe,87-88].

Le motivazioni intrinseche ed estrinseche


Stando alla teoria della valutazione cognitiva delle motivazioni, in particolare alla distinzione di E. L. Deci (1975), il comportamento intrinsecamente motivato la condotta che una persona mette in atto sotto la spinta del bisogno di sentirsi competente e autodeterminante in relazione al suo ambiente; tale bisogno sarebbe innato. Una persona intrinsecamente motivata se svolge unattivit senza ricevere rinforzi, in quanto lattivit stessa che agisce da rinforzo (1972); la percezione del locus of control rimane allinterno della persona (Deci et alii, 1974), e la ricompensa insita nel comportamento stesso [ma: v. supra la teoria dellautodeterminazione di Deci e Ryan]. Con M. Csikszentmihalyi (1989) si pu aggiungere: la ricompensa intrinseca consiste in unesperienza diretta, in uno stato della coscienza che cos piacevole da essere autotelico (cio ha il suo scopo in se stesso); piacere soddisfazione, divertimento, godimento rappresentano la ricompensa di queste esperienze autoteliche. Invece un comportamento estrinsecamente motivato quello messo in atto al fine di ricevere un rinforzo esterno, che si presenta come elemento differenziato rispetto allazione intrapresa; la percezione del locus of control esterno alla persona. E Csikszentmihalyi: quando la sola ragione per fare una cosa raggiungere qualcosa che vada oltre lattivit stessa, la motivazione estrinseca (1989). Inevitabile che si presentino occasioni nelle quali le motivazioni interne degli alunni sono insufficienti; si ricorre cos a: voti, pagelle, compiti, interrogazioni, esami, manifestazioni di approvazione da parte dellinsegnante. Il successo del bambino contribuisce a migliorare il suo prestigio ai propri occhi e agli occhi degli insegnanti, dei coetanei e dei genitori, e in tal modo lo aiuta ad alimentare la cosiddetta motivazione alla riuscita, a volte chiamata desiderio di riuscire (gratificato dai successi, il bambino si forma aspettative che richiedono da parte sua sempre maggior impegno per potervi corrispondere). A scuola c il rischio che le motivazioni esterne possano condurre a un aumento dellansia fino a determinare fattori inibenti; e sollevano le seguenti questioni: -Invece del successo, certi bambini sperimentano soltanto insuccessi, e ci tende ad abbassare lautostima o a provocare il rifiuto della scuola (per difesa): bisogna offrire la possibilit di riuscita anche a livelli molto bassi (lalunno si costruisce una nuova immagine di s, e pu essere incoraggiato a prefiggersi obiettivi progressivamente pi ambiziosi). -A volte incide negativamente il fatto che lalunno deve attendere troppo a lungo prima di vedere i risultati del proprio lavoro (condizionamento operante: intervalli pi lunghi = apprendimento meno efficace, interesse meno vivo). -La competizione pu essere fonte di motivazione, ma se diventa troppo intensa finisce facilmente per determinare sensazioni negative ed effetti nocivi nei casi di insuccesso: spesso pi proficua una situazione in cui gli alunni competono con se stessi e riescono ad ottenere costanti miglioramenti (proficuo anche lo spirito di collaborazione in cui gli alunni adottano norme di gruppo e lavorano insieme per costruirle). -Ogni qualvolta le motivazioni esterne si facciano troppo pressanti, pu capitare che gli alunni ricorrano a strategie (copiare, assenteismo, simulazione di malattia...) per evitare le conseguenze di un insuccesso. importante, dunque, evitare che lutilizzazione di motivazioni estrinseche abbia luogo a scapito delle altre (quelle intrinseche): la quantit di energia che un allievo in grado di utilizzare in attivit per le quali prova un vivo interesse maggiore, il coinvolgimento pi profondo e la traccia lasciata pi marcata; il manifestarsi di un interesse anche per lattivit strumentale, oltre che per lobiettivo, connota positivamente lintera situazione di apprendimento. Quando si voglia ricorrere a motivazioni estrinseche, importante tenere presente i riflessi psicologici diversi che pu avere luso di voti positivi o invece negativi: i primi (cos come la lode) caratterizzano positivamente la situazione controbilanciando leventuale spiacevolezza dellattivit dapprendimento che ha permesso la loro conquista; i secondi (o il rimprovero) possono invece aggiungere la loro spiacevolezza a quella dellattivit dapprendimento (determinando anche atteggiamenti di allontanamento o rifiuto). Meglio, dunque, sostituire questi ultimi con: considerazioni relative al lavoro che occorre ancora fare perch il risultato sia soddisfacente; rinvio a una prova successiva da sostenere in condizioni di migliore preparazione; lanalisi degli eventuali errori compiuti nella preparazione e dei modi per evitarli [v. Psicologia e Scuola n 85/1997, Giunti O.S., Firenze, pp.11-12; F,131-133; Pe,95-96].
Motivazioni dirette, fondate sulla qualit dellattivit (intrinseche)

Presenti nel caso di attivit ludiche o ludiformi. Come fare? In molti casi basta proporre tali attivit; in altri, occorre invece assumere liniziativa di trascinare i ragazzi in attivit che non conoscono.
Motivazioni dirette, fondate sul prestigio (intrinseche)

Dipendono dal fascino di cui un insegnante gode (sono quindi indotte); importanza della qualit del rapporto personale. Come fare? La via maestra quella di acquistare prestigio nei confronti degli allievi [v. Le atmosfere educative: p. 117]; ma gi efficace il fatto stesso di attribuire esplicitamente importanza a certe attivit dapprendimento, o di mostrare per esse entusiasmo.
Motivazioni indirette, legate a progetti e a problemi (intrinseche)

Sono legate al fatto che una certa attivit di apprendimento, magari in s priva di interesse, viene posta in rapporto con un certo obiettivo che invece carico di interesse (il rapporto deve essere di mezzo-fine). 76

Come fare? Con la strategia dei progetti (un progetto affascinante: spettacoli, gite...). Con la strategia dei problemi, di cui Bruner stato tra i primi teorizzatori, e che presenta - rispetto alla precedente - i vantaggi di unapplicabilit assai pi generale e di unutilizzazione pi agevole (un problema, dal momento in cui un individuo lo fa proprio, richiama energia, e mette in movimento il pensiero): vi sono problemi con i quali sufficiente modificare la struttura dinsieme dei dati gi a disposizione per ottenere la soluzione, ed altri - pi numerosi - in cui per giungere alla soluzione occorre mettere in gioco anche altri dati di conoscenza che non sono gi presenti nella situazione problemica iniziale [v. anche p.79]; sono questi ultimi i pi vantaggiosi, soprattutto quando intorno ad essi viene avviata una discussione di gruppo (si crea a poco a poco un interesse sempre pi vivo per dati che ancora non si conoscono, in quanto strumentali alla soluzione), e per il fatto che il rapporto che hanno con i dati gi noti un rapporto di complementarit (sono una risposta a una domanda; carattere organico [v. Lorganicit delle conoscenze e il curricolo p.124].

Talvolta lenergia se ne va altrove


A causa di stimoli distraenti, ovvero di eventi che per il loro carattere di novit o la loro qualit, presentano (sul momento almeno) un interesse maggiore di quello dellattivit di apprendimento (meglio lasciare che lo stimolo distraente prenda per un certo tempo il campo fino ad esaurimento del suo interesse; ma si pu anche cercare di trarne profitto: per osservazioni, prove, formulazione di problemi, socializzazione di informazioni...). A causa dellessersi soffermati troppo a lungo in attivit sia pure interessanti (saturazione psichica: cambiamento graduale della valenza di una certa attivit o anche di una certa persona con cui si sta o di un luogo in cui ci si trova): pu venir evitata, o molto ritardata, se si introducono delle variazioni nel modo in cui unattivit viene svolta; o alternando una certa attivit con unaltra molto diversa. A causa dellinsorgere in un allievo di qualche grave problema personale (lepoca doro per le attivit di apprendimento il periodo che comprende la scuola elementare sino al primo anno di scuola media [la freudiana fase di latenza], cui fa seguita la pi problematica preadolescenza [la pubert]) [Pe,88-98]

Et, sesso e fattori sociali


Concetto di disponibilit

Il soggetto non in grado di realizzare determinate forme di apprendimento fino a quando i suoi processi cognitivi non abbiano raggiunto il livello di maturazione di volta in volta corrispondente. Bruner ritiene che gli stadi evolutivi si acquisiscono in ordine fisso e si continua ad utilizzarli per tutta la vita; Piaget convinto che in generale si pervenga a uno stadio sulla base di quello che lo precede. Importante che linsegnante presenti il materiale da apprendere in una forma adeguata al livello di pensiero dei suoi alunni [ma: v. la zona di sviluppo prossimale di Vigotskij, p.37].
Rapporti fra pari

Rapporti di amicizia = la sensazione di essere sostenuti socialmente e ben voluti dai pari e dagli adulti alla base di un maggiore coinvolgimento nellapprendimento e di un generale senso di appartenenza alla scuola; la qualit delle relazioni di amicizia inoltre un fattore chiave nel passaggio alladolescenza che pu ripercuotersi positivamente sul rendimento scolastico. Comunit di apprendimento12 = autenticit dellimpegno nelle attivit, responsabilit condivisa, conoscenza distribuita, appropriazione reciproca e negoziazione dei significati (costrutti di derivazione neovygotskijana che costituiscono la struttura dellorganizzazione della classe come comunit di apprendisti) favoriscono il processo di apprendimento sulla base di un coinvolgimento pi profondo e diretto degli allievi, incentivando la motivazione. Aiuto reciproco = il lavoro insieme per la comprensione del materiale, la discussione e lelaborazione condivisa influenzano positivamente le aspettative di riuscita degli alunni, la valutazione delle attivit e la focalizzazione sul processo di apprendimento piuttosto che sullesito tout court della prestazione; in particolare, gli allievi a diversi livelli di et risultano partecipanti a pieno titolo a quel che fanno e il loro coinvolgimento, in particolare nelle discussioni, produce livelli di elaborazione cognitiva pi elevati e non ancora acquisiti stabilmente dai singoli componenti del gruppo.
Femmine e maschi in et scolare

I maschi tendono a sovrastimare la propria competenza per prestazioni future, mentre le donne sottostimano invece le loro capacit anche quando raggiungono esiti scolastici eccellenti. Le ragazze tendono meno ad attribuire i successi alle proprie abilit, mentre pi facilmente riconducono gli insuccessi alle proprie incapacit; tali attribuzioni comunque sono pi spesso collegate alla natura dei compiti quando sono di tipo maschile o poco familiari. Le ragazze tendono inoltre ad avere un alto livello di locus of control interno per la responsabilit sia di eventi positivi che negativi e tale senso aumenta con il crescere dellet; al contrario, nei ragazzi il senso di responsabilit interno diminuisce con laumentare dellet, cos essi tendono ad attribuire gli esiti delle proprie azioni al potere degli altri o a cause esterne sconosciute, sia per gli ambiti cognitivi che per quelli sociali. Le femmine ricorrono maggiormente allespressione verbale, hanno minori difficolt a leggere e a parlare, e tendono ad avere minori problemi di ritardo scolastico; i maschi fanno invece maggiori progressi in matematica e nello sport. La ampiezza di tale differenze si incrementa nella fase pre-adolescenziale e adolescenziale (mentre le differenze nella capacit di parlare tendono a scomparire verso i 16 anni di et); tra i 5 e i 10 anni, inoltre, nei maschi raddoppia la ten12

Con questa locuzione si intende unorganizzazione della classe in gruppi, ciascuno dei quali responsabile di un settore o di un ambito di competenza e fa da tutor agli altri compagni di classe; lo scopo quello di impegnare gli allievi in attivit autentiche di acquisizione di conoscenza in campi disciplinari diversi, disponendo di strumenti e materiali e della possibilit di mettersi in contatto con esperti, mentre linsegnante svolge un ruolo di facilitatore.

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denza a manifestare un aumento di intelligenza nei test e a raggiungere cos i livelli delle femmine. Lungo tutta la vita scolastica, tuttavia, le femmine tendono a raggiungere risultati migliori in tutte le materie, mentre i maschi le superano nelle materie che prediligono, anche se poi rifiutano le materie che detestano (si tenga presente che in famiglia alle femmine si insegna ad essere pi dipendenti; inoltre, nella maggior parte dei casi linsegnamento a scuola viene svolto da donne, sicch i maschi finiscono per associare la scuola a valori femminili). Tutte le volte che si rilevano differenze di genere nelle misure di valutazione della motivazione, queste si riconducono a stereotipi di ruoli e di genere e a comportamenti e scelte di impegno in campi specifici che risultano anchessi fortemente connotati per genere; anche la valutazione delle attivit scolastiche risente di una stereotipica connotazione di genere [v. anche p.20]. Dai risultati di molte ricerche emerge che le ragazze di successo avvertono il conflitto fra il fare del loro meglio per riuscire e apparire femminili e premurose con gli altri.
Motivazione e identit

Scuola primaria = lapprendere dalladulto pu fondarsi su una motivazione affiliativa di piena adesione ai modelli proposti dagli adulti, genitori e insegnanti: il sentirsi grandi perch si imparato qualcosa ragione di soddisfazione e costituisce una spinta a continuare ad apprendere. Scuola media = si passa ad una motivazione orientata alla realizzazione del s: linteresse prevalente dei ragazzi e delle ragazze rivolto a tutte quelle manifestazioni che rendono possibili la scoperta di parti di s, la riflessione sulle proprie emozioni e complessivamente aiutano questi soggetti a guardarsi come in uno specchio per meglio comprendersi e costruire la propria identit in trasformazione. 13-15 anni ca. = crescita di autonomia e di responsabilit, sapendo bene che in questepoca della vita, per i maschi in particolare, si verifica una modalit fortemente conflittuale di rapportarsi alladulto di cui si percepisce spesso in maniera esasperata la dimensione di potere, come autoritarismo senza autorevolezza.
Bambini di condizione sociale svantaggiata

Rimangono indietro in ogni aspetto dellapprendimento scolastico rispetto a bambini di ambiente maggiormente elevato. Dal momento che le scuole, nel bene e nel male, propugnano i cosiddetti valori della classe media (risparmio, rispetto per lautorit, ambizione professionale, buone maniere e rinvio delle gratificazioni), possibile che abbiano maggior facilit di riuscita i bambini che si sentono a proprio agio con questi valori [F,133-135; Po,282-284,289-295].

La natura del materiale da apprendere


Bruner: lo scopo ultimo dellinsegnamento di una materia quello di aiutare gli alunni a comprenderne la struttura (i principi di fondo che aiutano a definirla, e che consentono di ricollegarla in modo significativo ad altri argomenti). Grazie a una comprensione piena della materia, linsegnante pu ricavarne materiale adatto alla classe; tale materiale pu poi essere espresso in termini di chiari ed espliciti obiettivi didattici [v. i principi metodologici]. Gli obiettivi devono essere espressi nel linguaggio dei comportamenti, consentendoci di osservare gli avvenuti o non avvenuti cambiamenti nellalunno [v. la programmazione per obiettivi, in appunti di F. Gatta]. Una guida alla preparazione degli obiettivi proviene da Bloom et alii (1956 e 1964): tassonomie della sfera cognitiva ed affettiva [v. anche altre tassonomie, in appunti di F. Gatta; F,139-143].

La valutazione
[F,143-145; v. materiali vari sullargomento Valutazione: in appunti di F. Gatta, comprendente anche L,368-398, dedicato ad Obiettivi didattici e valutazioni scolastiche].

Varie forme di apprendimento


Possiamo distinguere diverse forme di apprendimento, in rapporto con la qualit dellesperienza che ne parte costitutiva (quindi anche con la qualit delle tracce che essa lascia in noi). Non si tratta tuttavia di distinzioni rigide, nette.
Gli apprendimenti precettivo-motori

Lesperienza che lascia tracce , in questo caso, quella di un insieme di percezioni e di movimenti che attraverso la ripetizione tendono a collegarsi sempre pi strettamente, formando una sequenza unitaria (schema percettivomotorio); la quale, da un certo momento in avanti, si dispiega in modo fluido e automatico, pur restando suscettibile di modulazioni di vario tipo. Due componenti, dunque, intimamente fuse: una percettiva (S), e laltra motoria (R; segue S e modifica la situazione, dando luogo ad altre percezioni che alimentano nuove risposte motorie o correggono quelle in atto). Occorre distinguere fra apprendimenti percettivo-motori normali e apprendimenti percettivo-motori che invece sono il risultato di esperienze specifiche. Problemi psicologici relativi: -capire il meccanismo di formazione dei vari schemi (in genere nascono per differenziazione, o combinazione [v. Lo sviluppo: p.32); -programmare in modo adeguato le ripetizioni dellesperienza (esercizi, loro gradualit, presenza in essi di elementi di novit).
Lapprendimento di dati di conoscenza

Attraverso esperienze cognitive, acquisiamo tracce che vengono poi organizzandosi in strutture di varia estensione e articolazione (mappa mentale, suo arricchimento o rielaborazione; elementi percettivi relativi a pi sensi). Origine delle tracce lasciate, dunque, di varia natura; cosa questa che marchia tali tracce in vario modo e condiziona anche le modalit con le quali giungiamo a riattivarle, a trasformarle in ricordi coscienti (attivazione di ricordo diretto, poi schema mentale unitario...). Problemi psicologici: - distinzione tra MBT e MLT (trasferimento tracce da MBT a MLT [v. sopra, pp.40ss]); - condizioni che favoriscono la formazione di tracce e la loro organizzazione in strutture cognitive (grado di nitidezza della prima esperienza, struttura forte - ben congegnata - della spiegazione o del racconto, ripe78

tizione dellesperienza [v. principi metodologici continuit e ricorsivit; e La percezione p.1] in vari modi, e presentificazione dellesperienza) [Per lapprendimento dei concetti, v. Po,pp.243-269, oltre ai testi di Damiano sulla didattica per concetti].
Lapprendimento di procedure tecniche

Riguarda i modi in cui si deve procedere per ottenere un certo risultato gi noto nelle sue linee dinsieme: il cosiddetto know how (sapere come fare per ottenere un certo prodotto). Problemi psicologici: quello di una piena fusione fra componenti cognitive e componenti di ordine percettivo-motorio.
Lapprendimento di procedure euristiche

[v. anche p.12: Il pensiero come attivit strutturante]. Procedure utilizzabili per far scaturire da conoscenze gi possedute dati non ancora noti, o per raccogliere in modo attivo e sistematico dati di conoscenza nuovi (algoritmi; acquisizione di strategie generali; tecnica della discussione di gruppo volta a scoprire e a mettere a fuoco problemi, a formulare delle ipotesi, a progettare ricerche, a valutare e a interpretare in senso nuovo risultati di ricerche gi compiute). Problemi psicologici: - riconoscimento dei limiti di generalizzabilit delle regole delle strategie euristiche (importante procedere per gradi); - assicurare una crescente padronanza di un algoritmo o di una strategia attraverso il loro ripetuto e frequente uso (prestando attenzione anche qui al fattore motivazione), che li fissi nella MLT, anche nella forma di una loro pi o meno completa automatizzazione (altro conseguente problema: - il posto che pu essere lasciato, nei processi di alfabetizzazione, agli automatismi cognitivi: questi permettono al pensiero di mantenersi libero e di occuparsi degli aspetti generali di un problema o di una condotta - importanza del fatto che la formazione dellautomatismo sia sempre preceduta o accompagnata da un processo di comprensione dei rapporti in gioco).
Lapprendimento di modalit di simbolizzazione

[v. Simbolizzazione e linguaggi: p.3] Problemi psicologici: - rilevanza del ruolo del gioco simbolico (che va favorito in ogni modo, soprattutto nellet della Scuola dinfanzia); - acquisizione del linguaggio (aspetti: semantico lacquisizione o la scoperta di parole nuove, favorite dallostensione, dalla definizione, dalluso del contesto; grammaticale-sintattico - prime imitazioni delle strutture della lingua degli adulti, favorite da specifici interventi di questi ultimi per sostenere tali tentativi e per favorirne il progressivo perfezionamento, sino alla presa di coscienza riflessa delle strutture sintattiche in quanto modalit tipiche di collegare insieme le parole in proposizioni aventi un senso, e queste ultime in periodi; fonetico; il bilinguismo - precoce o tardivo, equilibrato o no; la trasponibilit di un certo contenuto da un registro allaltro, o da una lingua allaltra); - apprendimento della lettura e della scrittura (processi di decodificazione o codificazione ad uno o a due livelli; - acquisizione di linguaggi specifici (il carattere convenzionale dei segni non temperato da un uso precoce che faccia loro assumere il carattere di simboli).
Lapprendimento di tecniche comunicative

Strettamente collegato al precedente. Problemi psicologici: - apprendimento di regole conversazionali (alternanza dei turni, presenza nel tono, nel gesto, o nelle parole di elementi che comunicano che si sta per abbandonare il proprio turno o che si intende invece intervenire; capacit di porsi dal punto di vista dellosservatore; capacit di fornire e di richiedere adeguati elementi di feedback; capacit di cogliere nei messaggi eventuali sovrascopi; capacit di usare in modo accorto una certa ridondanza per garantire una migliore comprensione del messaggio [v. altri testi sul tema comunicazione]; capacit di organizzare la comunicazione in una forma che la renda anche persuasiva).
Altri possibili apprendimenti

Altri apprendimenti da promuovere: creativit e fantasia; sensibilit estetica; atteggiamenti (curiosit, solidariet, ascolto...); regole, norme e valori (riguardanti i rapporti interpersonali, fondamentali per la formazione sociale e morale) [Pe,72-85].

La natura del processo di apprendimento


Il pensiero riflessivo

[V. anche p.59: latto di apprendimento di Gagn, e lapprendimento per scoperta/ricezione: p.61] Quale che sia la natura della lezione, gli insegnanti possono impegnarsi a fare in modo che tra le domande rivolte alla classe ce ne sia un giusto numero di quelle che servono a stimolare le modalit di pensiero riflessivo che conducono alla scoperta. Le domande che stimolano la riflessione (o domande-trampolino) contengono in genere un elemento di conflittualit o di contraddizione; stimolano lallievo a cercare una risposta che sia pi personale e originale; contengono spesso la parola perch, o anche asserzioni implicitamente del tipo vero o falso?. Loro caratteristica principale che, inducendo gli alunni a riflettere su qualche aspetto critico della materia oggetto di studio, li aiutano a capire i modi sottili in cui la materia si articola, il rapporto tra causa ed effetto, e i metodi di lavoro e di indagine. Gli allievi giungono cos ad acquisire non solo conoscenze, ma anche la comprensione del modo in cui tali conoscenze si generano e del modo in cui possibile estenderne la validit, cos da riuscire a risolvere nuovi problemi [v. anche come formulare domande, su Psicologia e scuola nn. 77-80 e relativi appunti di F. Gatta; nonch la dissonanza cognitiva; v. anche altri importanti argomenti in appunti vari di F. Gatta sui modi di lavorare in classe, comprendenti pure L,348-363 su La tecnologia informatica ed altri approcci verso listruzione individualizzata e 368-398 su Obiettivi didattici e valutazioni scolastiche; F,145-149].

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La gestione del processo di apprendimento


Lalunno lento

Lesperienza di costanti insuccessi ha di per s leffetto di mettere lalunno in condizioni di svantaggio (lede la sua autostima e la stima da parte dei compagni e degli insegnanti). Nel caso di soggetti definiti lenti, compito della scuola sottoporre a verifica la validit di questa definizione. Necessario distinguere tra alunno con QI basso o molto basso (improbabile un suo diventare dotato) e alunno con ritardo nel profitto (se aiutati in modo opportuno, senzaltro capaci di recuperare il terreno perduto).
Linsegnamento e gli alunni con QI basso

di fondamentale importanza che linsegnante tenga presente che a questi bambini occorre offrire possibilit di riuscita anche a livelli molto bassi; la cosa importante lesperienza della riuscita in s (traggono cos benefici in termini di sicurezza di s, e vengono gradualmente incoraggiati a puntare pi in alto). Si tratta di bambini che operano in genere a livelli concettuali inferiori a quelli abituali per la loro et cronologica. Traggono particolare beneficio dalle attivit pratiche; provano piacere quando possono realizzare prodotti concreti (anche in campo musicale). Possono divertirsi allaperto con animali e piante. Importante eliminare lansia degli esami e un pi favorevole rapporto numerico insegnante/alunni; nonch fare in modo che possano godere di maggiori opportunit di comunicazione linguistica con adulti preparati.
Bambini che presentano un ritardo nel profitto

Le cause: 1. Problemi fisici (lunghe assenze da scuola, limiti motori...). 2. Problemi personali (frequenti cambiamenti di scuola o classe, limitata capacit attenzionale, elevata tendenza a distrarsi, iperattivismo - che pu certamente diminuire con la crescita, se non si procurano loro troppe frustrazioni e non li si colpevolizza eccessivamente). 3. Problemi ambientali (provenienza da ambiente povero o svantaggiato in cui il bambino non incoraggiato a leggere e/o parlare, privazioni di cibo o sonno, violenze, rifiuto fisico per separazione o etilismo...). 4. Problemi emotivi (sia causati dai precedenti motivi, sia perch il bambino si sente detestato o rifiutato, o perch comincia ad avvertire una profonda avversione per un particolare insegnante - tipico delladolescenza - o al contrario un esagerato attaccamento). I genitori, delusi dalla mancanza di progressi scolastici, possono aggravare la situazione. Si possono aiutare i bambini che presentano un ritardo nel profitto: registrando su cassetta (audio, meglio ancora se audiovideo) unintera lezione o una sua parte, linsegnante a conoscenza di ci che in classe avviene realmente tra lui stesso e ciascuno dei suoi alunni, e pu cos valutare il proprio grado di responsabilit e prendere eventualmente misure per porre rimedio ad eventuali lacune ed errori. comunque un problema di tutta la scuola [F,149-158].

La personalit
Le origini della personalit
[V. anche l'Appendice 1 bis de L'intelligenza] Per rispondere alla domanda se la personalit dipende anche A dallereditariet o se invece dipende del tutto dallambiente, i pediatri americani Thomas, Chess e Birch (1970; 1977) presero in esame un campione iniziale di 141 bambini dellet di 12 settimane; emerse che il 65 % dei questi bambini poteva essere collocato, gi a quella tenera et, in uno dei tre gruppi che seguono: - il gruppo dei bambini facili (40 %), caratterizzato da: regolarit delle funzioni fisiologiche; alto livello di adattabilit; umore generalmente positivo e ben disposto; reazione normale agli stimoli. - il gruppo dei bambini difficili (10 %), caratterizzato da: irregolarit delle funzioni fisiologiche; scarsa adattabilit; risposte negative a persone e situazioni nuove; generale disposizione allirritabilit (malumore); eccessiva reazione agli stimoli (tendenza a lamentarsi se non fila tutto alla perfezione. - il gruppo dei bambini lenti a scaldarsi (15 %), caratterizzato da: scarsi livelli di attivit e adattabilit; inclinazione a opporre una sorta di resistenza passiva alle situazioni nuove di qualsiasi tipo; tono generale dellumore lievemente negativo; blanda reazione agli stimoli. Questi bambini vennero seguiti con cura fino alladolescenza; emerse che: - ciascuno dei tre gruppi rimase notevolmente costante; - allepoca delladolescenza il 70 % dei bambini difficili aveva sviluppato evidenti problemi di comportamento, contro il 18 % del gruppo dei bambini facili; - al momento di iniziare la scuola i facili si erano adattati rapidamente alla nuova situazione, partecipavano volentieri e con allegria a tutte le attivit, e manifestavano la generale affettuosit e socievolezza che era gi evidente nelle loro prime settimane di vita; i difficili e i lenti a scaldarsi, invece, presentavano un maggior numero di problemi, e spesso manifestavano una notevole riluttanza ad adattarsi alla nuova situazione, a fare amicizia con gli altri e a prendere parte alle varie attivit. Esaminando gli ambienti in cui i bambini venivano allevati, i ricercatori scoprirono che non esistevano significative differenze fra i tre gruppi. Si poteva presumere che questi bambini avessero ricevuto la materia prima della loro personalit (temperamento) alla nascita. Tuttavia, si mise in evidenza che i genitori esercitavano una marcata influenza sul grado in cui i figli si adattavano al proprio temperamento. In particolare i bambini appartenenti al gruppo dei soggetti difficili e a quello dei soggetti lenti a scaldarsi avevano molto pi successo nel far fronte alla propria natura potenzialmente disagevole se godevano della fortuna di avere genitori dotati di maggiore pazienza, coerenza e obiettivit. Soprattutto i difficili tendevano a creare problemi e difficolt ancora maggiori quando si trovavano ad avere genitori 80

rigidi, punitivi, e che agli scoppi di collera dei figli reagivano con sfuriate a propria volta. Essi manifestavano anche i comportamenti migliori in risposta a genitori affettuosi ma fermi, che si dimostravano pronti a ragionare insieme a loro e a dare spiegazioni, genitori che avevano principi chiari, ma preferivano guadagnarsi la collaborazione del figlio piuttosto che ricorrere alla forza e alle punizioni. Anche i lenti a scaldarsi traevano beneficio da atteggiamenti di calore affettivo e di disponibilit di questo tipo; le risposte migliori le manifestavano coloro ai quali i genitori offrivano unampia serie di stimoli e di interessi, facendo nel contempo ricorso allincoraggiamento e al sostegno piuttosto che alla minaccia di punizioni. Il dato riscontrato da Thomas, Chess e Birch ha trovato conferma in diverse altre ricerche. Maccoby e Jacklin (1974), partendo da un approccio simile, hanno messo in luce lesistenza di differenze di temperamento fra i sessi: i maschi tendono ad essere pi attivi, aggressivi e intraprendenti delle femmine, mentre le femmine sono pi sensibili, attente e inclini alluso della parola. Ma facile che a queste differenze si sovrappongano caratteristiche apprese [v. Ruoli sessuali: p.20]. Ma almeno la superiore incidenza dellaggressivit nei maschi sembra, tuttavia, in parte di origine genetica, in quanto osservabile anche in altri primati [F,165-168].

Le teorie della personalit


La complessit della crescita, dovuta alle interazioni del temperamento con lambiente, i fattori cognitivi ed altre variabili quali la costituzione fisica e laspetto, ci spinge a porci unaltra domanda: se la personalit sia qualcosa di relativamente stabile o instabile. Il grado di stabilit o instabilit influenza il modo in cui effettuiamo la misurazione e le nostre interpretazioni delle misure ottenute. Possiamo procedere con unanalogia con il regolo, che misura oggetti fissi, ed il termometro, che misura una qualit che oscilla continuamente: per certi aspetti della personalit (i tratti, che possono essere legati a fattori di temperamento) occorre un regolo, mentre per altri (gli stati, che hanno a che fare con i cambiamenti di umore e con i vissuti che di momento in momento gli individui hanno di se stessi e degli altri) necessario il termometro); i tratti possono influenzare gli stati, ma la conoscenza dei tratti di una persona non ci d modo di sapere quale stato viva questa persona in ogni singolo momento [F,168-169].

I tratti della personalit


Gli psicologi chiamano cos certe caratteristiche di fondo comuni della personalit. Allport (1961) individu oltre 4500 termini della lingua inglese che vengono spesso usati per descrivere la personalit; da allora, tuttavia, le ricerche hanno evidenziato che nella grande maggioranza dei casi questi termini si possono ricollegare a un numero sorprendentemente piccolo di tratti di fondo della personalit (per mezzo dellanalisi fattoriale si pu individuare, nelle risposte date, tutte quelle variabili che presentano una correlazione, in modo tale da permettere lemergere di determinati gruppi di domande alle quali i soggetti tendono a rispondere nello stesso modo).
H.J. Eysenck

Tre suoi questionari di personalit (MPI, 1959; EPI, 1964; EPQ, 1975) vengono da tempo usati in numerosi ambiti nel mondo della scuola e della psicologia. Ne esistono anche diverse varianti (JEPI per soggetti da7 a 15 anni il pi utile per linsegnante). Dalle ricerche condotte nel corso dellelaborazione di questi test emersa lesistenza di tre principali tratti della personalit (o dimensioni): estroversione (valori alti indicano che il soggetto prevalentemente proiettato verso il mondo esterno, le esperienze e i rapporti con la gente; valori bassi rivelano invece chiusura e pi attenzione ai propri stati danimo e ai propri pensieri e sentimenti introversione [v. anche p.72]); nevroticismo (valori alti indicano che il soggetto incline allansia e alle relative reazioni e paure, mentre valori bassi sono indice di un buon equilibrio psicologico stabilit); psicoticismo (valori alti denotano un individuo che relativamente autonomo, pragmatico, aggressivo e freddo, mentre valori bassi sono segno di dipendenza e idealismo). Generalmente vengono usate le prime due scale (E ed N), che non sono correlate luna allaltra, e quindi si possono utilizzare per distinguere quattro tipi diversi di personalit: lestroverso instabile (alti valori E ed N); lestroverso stabile (bassi valori N e alti valori E); lintroverso instabile (alti valori N e bassi valori E); lintroverso stabile (valori bassi N ed E). I soggetti con valori intermedi a entrambe le scale vengono a volte definiti ambiversi. Queste tipologie corrispondono in notevole misura ai quattro tipi individuati dagli antichi Greci e Romani: il collerico, lottimista, il melanconico, il flemmatico. Inoltre offrono indizi riguardo al modo in cui le due suddette dimensioni della personalit interagiscono.
R.B. Cattel

Ha costruito diversi test di personalit per specifiche fasce di et, i quali misurano fino a 16 fattori relativamente distinti (emotivit, forza del Super-io, coscienziosit, timidezza, individualit, predisposizione ai sensi di colpa...). Come per fa osservare Eysenck, i fattori di Cattel sono solo relativamente distinti, e anzi presentano gruppi di correlazioni reciproche: tali fattori, pertanto, andrebbero considerati tratti di superficie che traggono origine da alcune categorie di tratti pi generali (i tratti di fondo), i pi importanti dei quali appaiono molto vicini alle dimensioni E ed N di Eysenck.
I pro e i contro delle teorie dei tratti

I tratti consentono di distinguere aspetti specifici della personalit, di individuarli con cura e di esporli poi in relazione ad altre variabili. Gli svantaggi derivano in parte da questa sua stessa versatilit: fin troppo facile includere nelle batterie di test dei questionari di personalit senza alcuna giustificazione teorica che non sia la vaga speranza di veder emergere un qualche genere di correlazione; difficile dimostrare la realt di un qualsiasi modello coerente di correlazione fra i tratti della personalit e molte delle altre variabili alla luce delle quali sono stati studiati. Un altro svantaggio che persino nei casi in cui tali modelli di correlazione finiscono per emergere, le correlazioni che effettivamente si ottengono sono spesso molto modeste; questo induce a pensare che i vari aspetti della personalit che si riassumono nei tratti sono talmente numerosi ed eterogenei che i tratti medesimi sono sempre troppo generici per risultare davvero uti81

li nel momento in cui si indaga su ipotesi circostanziate. Infine, labitudine di dare molta importanza ai tratti della personalit pu indurci a perdere di vista il fatto che la personalit probabilmente molto meno immutabile di quanto crediamo; i costruttori dei testi conservano solamente quelle domande che corroborano la loro aspettativa che le caratteristiche della personalit siano relativamente stabili [F,169-173].

I tratti della personalit e lapprendimento


La dimensione estroversione/introversione

Elliott (1972) servendosi dellJEPI ha scoperto che nei bambini di 8 anni si riscontra una correlazione statisticamente positiva tra estroversione e successo scolastico; dieci anni dopo il rapporto si invertito: la riuscita positivamente correlata con lintroversione. Tuttavia, lentit di questo effetto piuttosto modesta. Unipotesi plausibile sembra essere questa: lambiente socievole, espansivo e attivo della normale scuola elementare congeniale alle abitudini di studio dellestroverso, mentre lambiente accademico pi individuale, persino solitario, al cui interno deve lavorare lo studente universitario congeniale alle abitudini di studio dellintroverso; nella scuola secondaria, dove lambiente pu variare da materia a materia, si potrebbe sostenere che in certi casi il favorito lestroverso e in altri casi lintroverso (alcuni dati tuttavia indicano che lintroversione sarebbe vantaggiosa per le femmine fin dagli inizi dellesperienza della secondaria). Bisogna per anche considerare unaltra, pi sottile ipotesi: nella maggior parte delle persone lestroversione aumenta fino allet di 14 anni circa, dopodich inizia a diminuire costantemente a favore dellintroversione per tutto il resto della vita; potrebbe darsi, pertanto, che i bambini intellettualmente precoci siano precoci anche sul piano della personalit, e che presentino una punta massima di estroversione gi nel periodo della scuola elementare (quando, cio, si rivela pi utile). Da allora in poi questi bambini diventano sempre pi introversi, e rispetto ai coetanei fanno registrare valori di introversione pi alti nella scuola secondaria superiore e allepoca delluniversit (dove lintroversione di rivela preziosa).
La dimensione nevroticismo/stabilit

[Su apprendimento, ansia e arousal v. anche pp.72 e 72] Una manifestazione di aumento dellarousal lansia, un sentimento caratterizzato da veri gradi di paura e preoccupazione. Certi bambini manifestano abitualmente livelli di ansia pi elevati degli altri, al punto che questa caratteristica pu essere considerata una dimensione stabile della personalit. Possiamo ricorrere alla legge di Yerkes-Dodson [v. p.72] per cercare di spiegare la complessa situazione inerente il rapporto tra ansia e riuscita scolastica: livelli di ansia moderati agiscono da fonti di motivazione e migliorano il rendimento, mentre alti livelli di ansia hanno leffetto di inibire il rendimento e di condurre a un suo deterioramento; questo fa pensare che i soggetti che ottengono valori alti in N tendono a conseguire i risultati migliori in ambienti relativamente non ansiogeni, mentre i soggetti con punteggi inferiori tendono a sentirsi motivati in modo ottimale in ambienti nei quali le fonti di ansia hanno unintensit decisamente maggiore. Secondo certi dati, per, i soggetti con valori elevati di nevroticismo tendono a raggiungere risultati migliori, rispetto ai coetanei con valori bassi, alluniversit, dove i fattori ansiogeni (esami) sono di notevole intensit; e questo vale specialmente per gli studenti di lettere: cos che stata avanzata lipotesi che in questo caso possa intervenire una variabile inerente alle particolarit delle discipline studiate (richiesta di sensibilit maggiore in questo tipo di studi; lansia che inibisce meno agli esami di lettere, meno preoccupanti dal punto di vista delle nozioni e dei fatti da ricordare). I dati disponibili non portano comunque a risposte chiare e definitive. La conclusione pi importante che si pu trarre questa: quando si tratta di valutare limpatto che le variabili della personalit esercitano sullapprendimento, non si possono considerare queste variabili separatamente luna dallaltra, ma al contrario necessario inquadrarle nel contesto di tutta una serie di altre variabili che con esse interagiscono in ogni momento. Bennet (1976) ha scoperto che i soggetti estroversi ben motivati in realt riescono meglio nelle scuole elementari formali che in quelle informali; riscontr inoltre che gli alunni con valori elevati di nevroticismo conseguivano risultati migliori nelle scuole elementari formali che non in quelle informali, e in queste ultime, di fatto, dedicavano ai compiti scolastici solo la met del tempo che vi dedicavano gli alunni con valori bassi di nevroticismo. plausibile ipotizzare che nelle classi formali gli alunni ansiosi si sentano meno preoccupati perch viene loro fornita unatmosfera maggiormente strutturata in cui lavorare, e pertanto sono maggiormente a conoscenza di quello che ci si attende da loro. Nelle classi informali questi alunni tendono ad evitare lesecuzione dei compiti probabilmente perch sono meno sicuri di quali siano le attese nei loro confronti. Lynn (1971) ha dimostrato che lungo lintero periodo dellistruzione formale le femmine tendono a evidenziare valori di nevroticismo pi alti dei maschi (questo forse uno dei motivi per cui le femmine tendono a rifuggire le materie scientifiche e a dedicarsi preferibilmente alle materie umanistiche e letterarie).
Le differenze tra gli individui

Di recente stata richiamata lattenzione in modo crescente anche su quella che Eysenck considera la terza dimensione della personalit, lo psicoticismo, e si stanno accumulando dati che proverebbero lesistenza di un possibile legame tra valori alti in rapporto a questa dimensione e la creativit. Ma i risultati ottenuti, anche se possono essere statisticamente significativi quando si esaminano grandi gruppi di alunni, non ci dicono necessariamente granch sulla posizione dei singoli allinterno dei gruppi [F,173-177; L,286].
La modificazione dei tratti della personalit

Esiste per linsegnante la possibilit di modificare i tratti della personalit dei suoi alunni valutati per dimensioni dai test? C da dubitarne. Realisticamente, potremmo cercare di aiutare certi bambini a smettere di preoccuparsi tanto, nella speranza che questo li renda meno nevrotici e li porti a punteggi pi bassi in N. Ma in pratica questi bambini, anche se consapevoli, non riescono a por fine alle loro preoccupazioni. Tra i motivi potrebbero esserci fattori fisiologici: 82

la persona nevrotica potrebbe infatti avere un sistema nervoso autonomo pi facilmente attivabile rispetto a quello degli individui pi stabili. probabile che mediante le tecniche di biofeedback (una procedura in cui ai partecipanti vengono date informazioni dirette circa il funzionamento del proprio sistema nervoso simpatico ad es. sulla loro attivit cerebrale sul battito cardiaco o sulla conduttivit elettrica della pelle con lobiettivo di far s che il soggetto riesca a controllare, utilizzando il principio del condizionamento operante, il funzionamento del proprio cervello ed aumentare il numero di onde alfa) e mediante certi metodi di rilassamento le persone nevrotiche possano imparare a dominare la frequenza di attivazione del proprio sistema nervoso autonomo. Compito principale dellinsegnante quello cercare di capire i loro problemi, di mostrarsi sensibile in proposito, e di dare concretamente prova di questa sensibilit evitando di esporli inutilmente a situazioni ansiogene; deve anche cercare di far acquisire a questi bambini le abilit necessarie per affrontare in modo efficace i problemi che probabilmente incontreranno, e deve aiutarli ad acquisire fiducia in se stessi offrendo loro possibilit di fare esperienza di riuscita. Sembra che la personalit sia in un complesso rapporto con diverse altre variabili, come il tipi di materiale insegnato, i metodi dinsegnamento utilizzati, le abitudini di studio del singolo alunno e la personalit degli insegnanti medesimi. Linsegnante deve dunque essere lui stesso una sorta di ricercatore, che sa prestare attenzione alla personalit individuale di ogni alunno della sua classe e allinterazione tra la personalit individuale di ogni alunno e le altre variabili in gioco [v. anche Lapprendimento pp.34ss; F,177-179; L.287].

Lo stile cognitivo
Il legame tra lintelligenza e i vari tratti della personalit ben documentato dalle ricerche. I bambini che evidenziano un aumento significativo del QI tra i 6 e i 10 anni sono pi indipendenti, competitivi e verbalmente aggressivi dei bambini che nello stesso arco di anni presentano invece una diminuzione del QI. Pare inoltre che i primi tendano ad impegnarsi di pi dei secondi nello studio, che prestino un maggiore desiderio di padroneggiare i problemi intellettuali e che mostrino una minore tendenza a tirarsi indietro di fronte alle difficolt. Si riscontrato (1947) che i bambini che pi facilmente facevano buon uso delle loro capacit presentavano alti livelli di sicurezza di s, di perseveranza, di interesse ad impegnarsi, e avevano obiettivi ben integrati, realistici e coerenti; inoltre, i bambini che presentavano i maggiori livelli di riuscita si dimostravano socialmente meglio inseriti e pi equilibrati, e avevano maggiori probabilit, in seguito, di costruire un matrimonio soddisfacente e di ottenere soddisfazioni nella vita personale e professionale. Si anche potuto desumere (1969) che i bambini con QI pi elevato erano generalmente pi alti, con un aspetto migliore, meno ansiosi, pi apprezzati e fisicamente pi forti, oltre che in grado di esprimere giudizi pi validi sulle altre persone, di quelli con QI pi basso. Se sia unelevata intelligenza a determinare i tratti pi apprezzabili della personalit o se sia vero linverso un problema ancora aperto alla discussione; probabilmente i due fattori interagiscono costantemente. Possiamo dire che probabilmente determinati tipi di tratti della personalit sono pi adatti di altri a mettere in grado i bambini di fare luso migliore della loro intelligenza; dal canto suo lelevata intelligenza consente ai bambini di essere pi indipendenti, sicuri di s, competitivi e cos via. Sembra che la creativit interagisca con i tratti della personalit in modi analoghi: le persone creative si dimostrano pi autonome, autosufficienti e inventive della media; appaiono altres pi introverse e maggiormente consapevoli dei propri impulsi, nonch disposte ad ammettere con se stesse le proprie componenti irrazionali; inoltre appaiono maggiormente inclini a dedicarsi al pensiero astratto e pi capaci di tollerare lincertezza. Alcuni tendono cos a considerare il pensiero divergente uno stile cognitivo; e, al pari dellintelligenza, da vedersi come una dimensione della personalit.
Le teorie degli stili cognitivi

Mediante la codificazione, assegniamo pi o meno importanza agli stimoli ambientali. In genere il modo in cui assegniamo le cose alle diverse categorie in gran parte determinato dalle esperienze precedenti. Gli alunni imparano che lesperienza dellinsegnante che sta parlando deve essere collocata in una categoria di importanza elevata ed esige attenzione. Ma tale assegnazione pu essere influenzata anche da fattori innati, compreso il modo in cui ciascuno percepisce concretamente le cose. Alcune persone, a quanto sembra, sono congenitamente pi sensibili a certi stimoli che non ad altri. Di fronte ad un problema, solitamente il bambino presta attenzione agli aspetti del problema che considera importanti, classifica le informazioni relative ed esegue una ricerca nel proprio archivio interno finch non trova dei dati codificati in una categoria simile che lo aiutino a formulare delle ipotesi utili in vista di una soluzione. Secondo i teorici degli stili cognitivi si riscontra unevidente regolarit nel modo in cui ciascuno di noi realizza questo processo di codificazione, e i metodi che adottiamo non subiscono modifiche drastiche nel passaggio da problema a problema; essi considerano lo stile cognitivo parte integrante della personalit di ciascuno, applicabile tanto a problemi di studio quanto a problemi del quotidiano. Questi teorici hanno individuato dimensioni ben definite lungo le quali poter collocare ciascuno di noi; ce ne sono tre che interessano chiaramente la scuola: Strategia della messa a fuoco (focusing) / strategia dellesame (scanning) (Bruner et alii, 1956) = I soggetti che ricorrono prevalentemente alla strategia della messa a fuoco, quando si trovano di fronte a un problema rimandano caratteristicamente la formulazione di unipotesi fino a quando non hanno raccolto una quantit sufficiente di elementi, mentre coloro che fanno ricorso per lo pi alla strategia dellesame azzardano unipotesi con estrema rapidit, sicch in genere devono ripartire da capo se tale ipotesi finisce per rivelarsi priva di fondamento. Gli alunni che adottano la prima strategia aspettano talora pi a lungo del necessario prima di formulare delle ipotesi, e pertanto possono apparire eccessivamente cauti e lenti nello svolgimento delle attivit; gli alunni che invece adottano la strategia dellesame tendono a compiere le scelte troppo in fretta, e a trovarsi quindi in condizioni di svantaggio qualora vengano loro presentati dei problemi in forma orale. 83

Dipendenza dal campo (stile cognitivo globale) / indipendenza dal campo (stile analitico) (Witkin, 1965) = Le persone che adottano lo stile globale appaiono meno capaci delle altre nel separare e distinguere accuratamente, in una data situazione, gli stimoli pertinenti da quelli non pertinenti; esse risultano anche meno capaci di ricordare dettagli, e appaiono meno percettive e pi facilmente influenzabili delle altre. Nei test che misurano il QI, nelle prove analitiche i soggetti del primo tipo ottengono risultati pi scarsi degli altri soggetti, mentre nelle prove verbali non si osservano differenze. possibile che elevate capacit verbali nascondano inadeguate capacit analitiche, e quindi allinsegnante potrebbero rivelarsi utili, pi che test di intelligenza, dei test per la valutazione dello stile cognitivo. Riflessivit/impulsivit (Kagan, 1966) = I bambini riflessivi tendono a commettere meno errori di quelli impulsivi, soprattutto nei compiti difficili e impegnativi, in quanto manifestano un forte desiderio di giungere alla soluzione corretta al primo colpo, e appaiono capaci di tollerare lincertezza costituita, ad esempio, da un lungo silenzio di fronte alla classe mentre riflettono a fondo sulla risposta giusta da dare prima di rispondere. I bambini impulsivi, al contrario, adottano un approccio del tipo fucile da caccia, sparando pi risposte nella speranza che almeno una sia quella giusta e che in ogni caso linsegnante fornisca loro gli opportuni riscontri in merito agli errori commessi. Tutti i teorici degli stili cognitivi sottolineano che idealmente dovremmo essere in grado, a seconda delle circostanze, di lavorare a ciascuno dei due poli di una dimensione. Il bambino riflessivo potrebbe negare a se stesso le preziose opportunit di apprendimento che derivano dal fatto di commettere degli errori; lapproccio di chi ha uno stile estremamente analitico potrebbe rivelarsi inopportuno in situazioni sociali in cui sia necessario non solo rispondere alle cose che una persona sta cercando di comunicare, ma anche dimostrare particolare sensibilit nei confronti di quella persona in quanto essere umano; e il soggetto estremamente focalizzatore potrebbe trovarsi in condizioni di svantaggio in situazioni nelle quali necessario formulare ipotesi e prendere decisioni pur non avendo a disposizione che dati limitati. Pu esserci una certa coincidenza o sovrapposizione tra queste varie dimensioni. In particolare, il soggetto che adotta la strategia della focalizzazione sembra avere molto in comune con la persona che ha uno stile riflessivo, ma le due dimensioni non sono necessariamente la stessa cosa. Perlopi le persone tendono a raggrupparsi attorno al centro: tendono, in altre parole, a prendere le decisioni in un intervallo di tempo che non porta a classificarle n tra le persone estremamente impulsive n tra quelle estremamente riflessive. possibile che alcuni aspetti importanti dello stile cognitivo siano appresi e che altri derivino invece da fattori emotivi e di temperamento, perci probabile che linsegnante sia in grado di modificare e incoraggiare i primi. Scarsi sono del resto gli sforzi che dedichiamo ad aiutare gli alunni a capire e a plasmare i loro modelli personali di pensiero e di classificazione [F,179-185].

Gli stati della personalit


[V. anche la teoria sugli stati di Kelly: p.100].
Argomento contro lidea di tratti della personalit permanenti

La nozione di tratti fissi da alcuni considerata deleteria, in quanto ci induce a rapportarci con le persone come se la personalit di ognuno fosse una struttura permanente, e pertanto resistente al cambiamento. Dovremmo invece impegnarci a stabilire quali siano le condizioni comportamentali di partenza affettive (e cognitive) di cui i bambini hanno bisogno per poter affrontare con successo un determinato compito (Bloom, 1983). Una volta stabilito questo, dobbiamo incoraggiare tale stato emotivo (e tali conoscenze) e passare direttamente al compito di apprendimento. Apter (1982) ritiene che la personalit sia definibile pensando a svariate dimensioni, come i teorici dei tratti, ma diversamente da loro convinto che non esistono posizioni fisse lungo queste dimensioni: anzi, possiamo spostarci da un polo allaltro a seconda delle circostanze (e il modo migliore di favorire lequilibrio psicologico quello che si rende possibile se siamo in grado di passare senza difficolt da un polo allaltro).
Comportamenti finalizzati (telic) e comportamenti non finalizzati (paratelic)

Delle dimensioni di Apter, la meglio indagata. Nello stato finalizzato abbiamo in mente una meta, usiamo lattivit presente principalmente come mezzo per raggiungere un preciso obiettivo; nello stato non finalizzato, invece, siamo in una modalit ludica, nella quale lattivit presente la sola cosa importante, e lobiettivo concreto (ammesso che ce ne sia uno) semplicemente un pretesto per intraprendere lattivit. Secondo Apter gli individui, bench in genere preferiscano uno dei due poli, normalmente sono in grado di spostarsi tra i due poli a seconda delle necessit; quando invece manchi questa capacit, si pu supporre che siano presenti dei problemi psicologici (chi non riesce mai a rilassarsi ad una festa; o chi non riesce mai ad essere serio ad un funerale). Spesso, tuttavia, gli individui non riescono a muoversi agevolmente tra i due poli semplicemente perch non comprendono in modo adeguato la situazione in cui si trovano. Fenomeno che assume particolare importanza nel contesto della scuola: linsegnante o lalunno che non sono capaci di distinguere tra le due cose e di spostarsi lungo la dimensione finalizzato/non finalizzato a seconda delle necessit, sono seriamente svantaggiati; come lo linsegnante che cerchi di far passare gli alunni troppo bruscamente da uno stato allaltro. Serie incomprensioni possono inoltre sorgere tra un insegnante che preferisce lo stato finalizzato e una classe che preferisce lo stato ludico, o viceversa.
La teoria degli stati e i problemi di comportamento

Se gli insegnanti non sanno in quale dei due stati si trova il bambino, probabile che i loro tentativi di aiutarlo non approdino a molto. Un bambino che sia diventato ansioso perch i genitori o gli insegnanti non hanno fatto che insistere con lui affinch prenda dei bei voti pu tornare a rilassarsi e conseguire risultati molto migliori se linsegnante capace di presentare le attivit in classe pi nella forma di giochi non finalizzati; un bambino che invece appaia incapace di prendere qualunque cosa sul serio pu essere aiutato ad assumere una condotta finalizzata se linsegnante sa prospettargli ricompense che il bambino possa vedere come obiettivi da raggiungere e per le quali si senta motivato ad 84

impegnarsi. Se lo si interpreta correttamente, lapproccio degli stati ci segnala che una caratteristica propria dei sistemi viventi quella di essere soggetti a costanti mutamenti. E dato che nei loro singoli aspetti questi mutamenti non si verificano tutti con la stessa rapidit, questo fa s che ognuno di noi sia in grado di riconoscere se stesso anche a distanza di un giorno o un mese. Se accettiamo questi mutamenti, possiamo guidarli nelle direzioni desiderate, invece di assegnare alla personalit etichette e categorie fisse che possono soltanto impedirci di comprenderla [F,185-188].

La teoria psicodinamica
Secondo gli psicologi di orientamento psicodinamico possibile comprendere il presente solo se ci voltiamo indietro ad analizzare i fattori che in passato hanno influito sullo sviluppo e la formazione della personalit; essi si spingono sino ad affermare che la personalit plasmata dallinterazione tra questi fattori e le dinamiche psicologiche innate, cio le forti pulsioni psicologiche congenite come la pulsione sessuale e quelle di autoconservazione. I sostenitori della teoria dei tratti dichiarano che i modelli della personalit avanzati dagli psicologi di questo orientamento sono assolutamente privi di scientificit, talmente vaghi da poter essere usati per spiegare praticamente qualsiasi aspetto del comportamento umano. Dal canto loro i paladini della teoria psicodinamica asseriscono che le teorie dei tratti non tengono conto del fatto che ciascun individuo unico; e non si preoccupano minimamente di effettuare misurazioni, proponendo invece un modello di sviluppo della personalit alla luce del quale sia possibile studiare individualmente ogni persona.

Sigmund Freud (1856-1939)


il pi noto tra gli psicologi di questo orientamento; fondatore della scuola psicoanalitica. Nella sua concezione gli anni cruciali per la formazione della personalit sono quelli che vanno dalla nascita ai 6-7 anni: in questo periodo sono le persone che circondano il bambino coloro che socializzano le sue pulsioni innate; se il bambino patisce frustrazioni e dure punizioni, cresce carico di sentimenti di colpa e di conflitti interiori. La nevrosi, dal punto di vista di Freud, essenzialmente il risultato dellaver impedito alla persona di fare quello che fortemente motivata a fare, senza permetterle di capire le ragioni di questa proibizione e senza offrirle strade alternative nelle quali incanalare le sue energie psicologiche frustrate.
LEs

il primo dei tre livelli che compongono la personalit: le energie istintive con le quali il bambino nasce. Queste energie sono importanti per la sopravvivenza, e obbediscono al principio del piacere; loro obiettivo il procurare allindividuo il soddisfacimento dei fondamentali bisogni animali. LEs totalmente egoistico e inconscio, e non assolutamente consapevole dei bisogni degli altri o delle conseguenze delle sue azioni.
LIo

Il secondo livello comincia a formarsi verso la fine del primo anno di vita; lIo opera a livello conscio, e obbedisce al principio della realt: ospita la crescente mole di conoscenze che il bambino acquisisce sul mondo nonch sui comportamenti e le reazioni degli altri. Con il formarsi dellIo ha inizio lapprendimento sociale del bambino; di pari passo emerge uniniziale consapevolezza dei limiti che il mondo pone alle richieste dellEs. LIo in quanto tale non ha unenergia psicologica propria: tutta lenergia disponibile proviene dalle pulsioni istintuali dellEs. Finch lIo riesce a procurare lappagamento delle sue esigenze, lEs disponibile a incanalare la sua energia nellIo; se invece lIo non riesce, lEs esige lespressione diretta, e a quel punto abbiamo scoppi di rabbia o di aggressivit o di avidit incontrollata (o di altre manifestazioni emotive). Ai fini di un soddisfacente sviluppo della personalit essenziale che si arrivi a un corretto equilibrio fra lEs e lIo, dove il secondo riesca a fare in modo che vengano soddisfatte le esigenze del primo, il quale a sua volta trasferisce energia al secondo.
Il Super-io

Verso i 6 anni di et si forma questo terzo livello della personalit: in parte conscio, in parte inconscio, il risultato della interiorizzazione delle convinzioni, censure e proibizioni morali trasmesse al bambino dai genitori, e obbedisce al principio di moralit. Esso racchiude sia la coscienza morale (che genera sensi di colpa) sia lIdeale dellIo (che genera ambizione quando il bambino si forma unimmagine del tipo di persona che vorrebbe diventare). Anche il Super-io non ha energia psicologica propria, e come lIo pu venire sopraffatto dallEs qualora le richieste avanzate da questultimo vengano costantemente frustrate. Dalla nascita in avanti, per Freud, il bambino una creatura intensamente sessuale, e le diverse zone erogene del suo corpo sono alla ricerca di gratificazioni sessuali (principalmente la bocca, lano e i genitali). Per Freud la personalit sana quella in cui si verifica un ordinato trasferimento di energia tra Es, Io e Super-io: lIo dovrebbe essere in grado di riconoscere, comprendere e accettare le esigenze e le pressanti richieste emotive dellEs (dalla rabbia alla sessualit), e di indirizzarle e incanalarle, consciamente, verso condotte accettabili invece di rimuoverle rigidamente o di rimanere in loro bala; lIo dovrebbe conoscere e saper riconoscere anche il valore dei princpi morali che sottendono il Super-io, sapendo fare ci che giusto perch giusto, e non perch fare diversamente provocherebbe sensi di colpa tormentosi.
I meccanismi di difesa dellIo

Si creano, secondo Freud, qualora la personalit non sia in grado di dar vita a un adeguato equilibrio tra Es, Io e Superio: - rimozione: lIo allontana emozioni, sentimenti, ricordi e pensieri sgradevoli spingendoli nellEs, al di fuori della consapevolezza: lenergia emotiva che preme dietro questo materiale pu diventare cos forte da riuscire a riemergere 85

alla coscienza in forme mascherate, pi accettabili; ma pu diventare anche fonte di conflitti interiori. - formazione reattiva: il soggetto mantiene operante la rimozione adottando comportamenti di senso esattamente contrario alle tendenze rimosse. - razionalizzazione: si manifesta quando una persona adduce una ragione socialmente accettabile per spiegare un comportamento che in realt deriva da atteggiamenti o motivazioni meno nobili di cui riluttante ad ammettere lesistenza persino a se stessa. - negazione: il soggetto, pur manifestando determinate motivazioni o emozioni, continua a negare con decisione che gli appartengano, in quanto sono proprio quelle che pi gli creano angoscia. proiezione: il soggetto continua ad accusare altre persone di avere le caratteristiche che teme dentro di s. - regressione: si torna indietro a forme precedenti di comportamento infantile che si erano rivelate capaci di difendere lIo dalle paure e dalla frustrazione
Tre tipi di angoscia

Angoscia nevrotica (causata principalmente dallenergia emozionale rimossa nellEs): il soggetto ha costantemente paura di qualche cosa, anche se molto spesso non sa di che cosa si tratti. In realt, secondo Freud, la paura proviene dalla paura di se stessi, di quelle potenti forze che si trovano sotto il livello conscio della propria vita psicologica e che costringono il soggetto a mantenere un rigido controllo su tutte le proprie azioni ed emozioni. Angoscia di fronte a una situazione reale (causata principalmente da fatti che hanno luogo nellambiente del soggetto): si manifesta a livello dellIo. Angoscia morale: ha origine da un Super-io punitivo e generatore di sensi di colpa. LIo, pertanto, deve combattere potenzialmente su tre fronti. Nei soggetti le cui energie sono gi quasi tutte impegnate a lottare con langoscia nevrotica e con langoscia morale, anche un livello relativamente modesto di angoscia pu determinare un esaurimento nervoso. Accese polemiche divampano da tempo in merito allintero impianto teorico che porta a distinguere tra Es, Io e Super-io; ci non toglie che questa tripartizione offra utili modi di definire concettualmente la personalit [F,188-193 e 204].

Personalit e motivazione
Il punto da cui in genere si muovono le teorie della motivazione [v. anche p.72] costituito dalle spinte fondamentali alla sopravvivenza con cui tutti nasciamo. Vengono spesso chiamate pulsioni; lidea di fondo che queste determinano tensioni che cerchiamo di alleviare mediante lazione che si rivela pi idonea a seconda dei casi. Oggi per le pulsioni di sopravvivenza (ad eccezione della pulsione sessuale), nonostante tutta la loro ovvia importanza, hanno direttamente scarsa influenza sulle strutture motivazionali che concorrono a definire la personalit dei bambini pi grandi e degli adulti. Una possibile spiegazione dei sistemi motivazionali che essi si formano in risposta a fattori che svolgono una notevole funzione di rinforzo. Ovviamente il modello del rinforzo pu spiegare molte delle motivazioni, ma non tutte. Quello delle motivazioni rimane uno di quegli ambiti problematici della psicologia in cui non si registra un consenso generale sulla adeguatezza o meno di questo e quel modello esplicativo. Un altro modo, meno ambizioso, di affrontare largomento quello di cercare semplicemente di descrivere le motivazioni.
Maslow

Il modello descrittivo pi noto quello di Maslow (1970; v. figura). Una scala gerarchica che parte dai bisogni fondamentali (detti anche bisogni di carenza, in quanto motivano la persona) e sale sino ai metabisogni (detti anche bisogni di crescita, in quanto motivano il comportamento che deriva dalla naturale tendenza umana verso la crescita). I livelli fisiologici e di sicurezza sono in gran parte innati, mentre gli altri livelli sociali consistono in fattori innati che si combinano sempre pi con risposte apprese (non sino ad ora chiaro in che modo avvenga questo processo di combinazione, ma Maslow non esclude che i fattori innati possano continuare a svolgere il ruolo pi importante persino a livello intellettuale). Secondo Maslow, per, possiamo interessarci ai gradini pi alti della gerarchia solo se sono stati soddisfatti i bisogni appartenenti ai livelli pi bassi; ma ci non significa che tali appagamenti ci conducano automaticamente a pensieri pi elevati. La scala di Maslow, pertanto, induce a ipotizzare che gli individui, se riescono a soddisfare i loro bisogni fisiologici, insieme al bisogno di protezione dagli aggressori, possono cominciare a preoccuparsi principalmente di essere accettati dalla famiglia e dal gruppo sociale di cui fanno parte. Una volta assicurata questa accettazione, gli individui passano a preoccuparsi dei bisogni dellIo (autostima); appagati anche questi bisogni, ci si rivolge alle esigenze di autonomia, e infine allesigenza di autorealizzazione (sviluppando, cio, quelle caratteristiche proprie delle persone mature e ben inserite nella societ). 86

Maslow lamenta che le persone veramente autorealizzato sono relativamente poche: perch? Una delle ragioni che la crescita richiede sforzi e spesso anche molti sacrifici; e molti di noi soffrono quello che Ma slow stesso definisce complesso di Jonah, evitando deliberatamente limpegno e lo sforzo richiesto per la nostra crescita e il nostro sviluppo e scegliendo, invece, di limitarci a lottare per avere cibo e acqua e per soddisfare i nostri bisogni fondamentali, diventando, alla fine, un po meno umani di quanto avremmo potuto essere.
Teorie dellattribuzione

Rotter [v. anche p.75] Ciascuno di noi tende ad affrontare i problemi in questione in maniere diverse. Secondo Rotter (1954) un modo importante in cui si esprimono queste differenze tra i singoli evidenziato, in ciascuno di noi, dalle personali opinioni sulla provenienza dei fattori responsabili del proprio comportamento (locus of control). Ci sono persone che tendono ad attribuire il risultato dei propri comportamenti allintervento di fattori esterni (e in genere preferiscono lavorare in condizioni dove il caso svolge una parte importante); altre persone, invece, tendono ad attribuire lesito dei propri comportamenti allazione di fattori interni (e preferiscono circostanze nelle quali i fattori decisivi sono le capacit personali). Sembra che nella scuola e nel mondo dellistruzione in generale latteggiamento preferibile sia quello di attribuire lesito dei propri comportamenti allazione di fattori interni. Weiner Weiner (1979, 1994) ha elaborato una teoria dellattribuzione, secondo la quale ha effettuato studi che danno i seguenti risultati: i soggetti pi motivati in assoluto sono quelli che: -preferiscono situazioni in cui le conseguenze delle loro azioni possono essere attribuite a loro stessi; -hanno imparato ad attribuire gli esiti positivi allimpegno personale; sono sensibili e ricettivi a tutti i segni che evidenziano limportanza del mettere impegno in qualsiasi tipo di compito. Weiner considera pietre miliari della motivazione questi tre fattori: locus of control (orientamento: interno = mi porta ad attribuire il mio successo o il mio fallimento alla mia capacit, ai miei sforzi o ad una combinazione fra i due; esterno = attribuisco le mie performance a fattori quali la fortuna o la difficolt dellimpresa), responsabilit personale (in base allattribuzione a cause pi o meno sotto il mio controllo delle conseguenze del mio comportamento ad es. linterferenza di amicizie o la fortuna mi sentir, rispettivamente, pi o meno responsabile) e stabilit (se attribuisco le causa di un fallimento a cause stabili, riterr poco probabile un possibile miglioramento; al contrario, se le cause sono da me considerate instabili, potr sperare di migliorare la situazione). Le tre dimensioni delle cause possibili cui possono essere attribuiti i nostri successi e i nostri fallimenti danno luogo ad otto diverse possibilit (interne-instabilicontrollabili = alta responsabilit, interne-instabili-incontrollabili = bassa responsabilit, interne-stabili-controllabili = alta responsabilit); similmente, possiamo ottenere le attribuzioni possibili di successo e fallimento [v. anche p.87]. Sviluppo delle tendenze attributive Soltanto verso i 9-10 anni il bambino inizia a considerare la capacit come un fattore separato che contribuisce al successo; ma persino a questa et, la bravura viene ancora confusa con un forte impegno. Verso gli 11 anni, per, possiamo dire che il bambino condivide ormai i nostri concetti intuitivi circa le distinzioni fra capacit, fortuna, impegno e difficolt del compito. Attualmente non siamo in grado di dire con certezza se le convinzioni menzionate siano innate o acquisite, ma sembrerebbe che dei due ordini di fattori sia lapprendimento a svolgere il ruolo pi importante. Obiettivi di performance / obiettivi di padronanza Dweck (1986) sostiene che i bambini sembrano comportarsi come se sottoscrivessero intuitivamente una o due visioni dellintelligenza: Teoria dellentit: si comportano come se ritenessero che lintelligenza sia un elemento fisso ed immutabile; i loro obiettivi saranno obiettivi di performance (cercando di ottenere giudizi favorevoli sulla loro competenza ed evitare quelli sfavorevoli). Teoria incrementale: si comportano come se ritenessero che lintelligenza sia un elemento malleabile; i loro obiettivi saranno obiettivi di padronanza detti anche di apprendimento (focalizzandosi sullimpegno e tentando di aumentare la loro competenza). La ricerca di Dweck suggerisce che gli studenti dotati di un orientamento di base del primo tipo devono avere una fiducia estremamente alta nella propria capacit se vogliono accettare le sfide; gli studenti dotati di una fiducia pi bassa saranno caratterizzati con pi probabilit da incompetenza, soprattutto perch vedono il fallimento come un riflesso diretto della loro incapacit. Per contro, gli studenti dotati di un orientamento del secondo tipo saranno anche pi tesi alla sfida e alla persistenza. Attribuzioni e motivazioni al successo La ricerca indica che le persone che ottengono punteggi pi alti nella misurazione della motivazione al successo tendono anche ad essere degli studenti migliori (Atkinson e Raynor, 1978). Questi studenti, inoltre, accettano di correre dei rischi di livello moderato, offrendo a se stessi una sfida pur mantenendo alta la probabilit di riuscita (rischio moderato = attribuzione del successo o del fallimento alla propria capacit/incapacit o allimpegno adeguato/inadeguato); al contrario, gli studenti poco motivati al successo tendono a corre rischi o molto alti o molto bassi (se provo unimpresa difficile e fallisco, posso sempre attribuire il mio fallimento allestrema difficolt, fattore sul quale non ho alcun controllo; se invece avr successo, anche qui ci sar una scarsa influenza positiva, in quanto la mia riuscita non sar dovuta a fattori sui quali ho un certo controllo, ma a fattori esterni). Appare dunque ragionevole supporre che i soggetti altamente motivati al successo tenderanno ad essere internamente orientati, mentre chi poco motivato al successo pi

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facile che attribuisca la propria performance a fattori esterni [v. Lapprendimento p.49; F,193-198; L,290-292 e 296300].

Le reazioni degli insegnanti


Uno degli aspetti pi importanti del ruolo dellinsegnante la sua reazione ai successi e agli insuccessi degli alunni. Di fronte a una scarsa motivazione, le prime domande che linsegnante deve porsi sono queste: Qual stata fino ad oggi lesperienza di insuccessi di questo bambino?, e In quali modi questa esperienza ha inciso sulla sua motivazione generale ad apprendere? [F,198-199].

Lumore
Lo possiamo definire come uno stato emotivo di durata variabile. Sembra che sia frutto in parte dellereditariet e in parte dellambiente. Gli individui che vivono uninfanzia sicura e felice finiscono pi facilmente per vedere il mondo con ottimismo rispetto alle persone di ambiente pi difficile; persone che fanno esperienza di costanti fallimenti mostrano pi spesso sentimenti di abbattimento e di apatia (o rabbia) rispetto alle persone che fanno prevalentemente esperienza di successi; i bambini che vengono incoraggiati a discutere dei loro problemi e sentimenti con i genitori in modo pieno e aperto, e che non sperimentano la paura del rifiuto, di rado si abbandonano a un cupo rimuginare, come invece fanno pi facilmente i bambini che hanno sempre dovuto soffocare i propri sentimenti e tenere la bocca chiusa. Secondo molti studiosi, il momento in cui lumore pi labile corrisponde al periodo delladolescenza [v. anche Le problematiche adolescenziali a p.104]. possibile che svolgano un ruolo le modificazioni fisiologiche; tuttavia ha una sua importanza anche lambiente: spesso gli adolescenti avvertono come particolarmente irritanti o ingiuste le restrizioni che la societ continua a imporre loro, restrizioni che li fanno sentire relegati nel ruolo subalterno e dipendente del bambino quando sul piano fisico appartengono palesemente al mondo degli adulti. Gli adolescenti fanno anche esperimenti con la propria personalit, sia per vedere come reagiscono gli altri sia per vedere che tipo di persone sono veramente e che tipo di persone vorrebbero diventare. Anche gli insegnanti possono essere di cattivo umore: specie verso la fine di un trimestre o quadrimestre, essi avvertono quello che viene chiamato tributo di affaticamento (la stanchezza del giorno prima non si dissolve pienamente con il riposo di una sera e la dormita di una notte). Gli insegnante, oltre a prender coscienza della variabilit del proprio umore, non pu permettersi il lusso di manifestare frequenti e imprevedibili mutamenti di umore: gli alunni imparano a rispettare linsegnante dal quale sanno che cosa possono aspettarsi. Meglio dunque mettere al corrente la classe del proprio stato danimo, qualora ci si senta sovraffaticati o di cattivo umore (purch non capiti spesso, per) [F,199201].

Gli interessi
Il formarsi degli interessi dipende da un certo numero di fattori correlati: i bambini tendono ad interessarsi di quelle cose che li aiutano ad affrontare i problemi e le difficolt della loro vita quotidiana; sembrano manifestare una naturale inclinazione ad attivit di tipo edonistico; in risposta ai rinforzi dei genitori pu manifestarsi in loro anche un interesse per passatempi e materie scolastiche; possono svolgere un ruolo anche i fattori innati. Il ruolo dellinsegnante si articola essenzialmente nei seguenti punti: - offrire agli alunni opportunit mirate; - dimostrare loro come le attivit proposte abbiano agganci concreti con i loro stessi interessi; - astenersi dal trinciare giudizi sulla competenza degli alunni nelle abilit relative allinteresse in questione finch non siano state fornite loro le occasioni necessarie per poter sviluppare tali abilit; - manifestare il proprio entusiasmo e coinvolgimento nei confronti dellinteresse in questione; - non reagire con rabbia se gli alunni, una volta offerte loro le opportunit del caso, dimostrano di non provare nei confronti dellinteresse in questione gli stessi identici sentimenti che prova linsegnante stesso [F,201-203].

Gli atteggiamenti
Gli psicologi li definiscono come quegli orientamenti relativamente stabili che gli individui acquisiscono nei confronti delle varie situazioni e dei vari problemi che incontrano nel corso della loro vita, e che manifestano verbalmente sotto forma di opinioni; esprimono quindi chiaramente sia componenti valutative e legate alle convinzioni sia conoscenze fattuali a vari livelli (o conoscenze che vengono considerate tali da chi li possiede). Possono essere in parte consci e in parte inconsci e questi due aspetti si trovano talvolta in conflitto (i freudiani attribuiscono grande importanza a questo conflitto).
Atteggiamenti e difese dellio

Non abbiamo strumenti che ci consentano di misurare con precisione gli atteggiamenti inconsci o di valutare quanto sia importante nella vita normale il conflitto fra tali atteggiamenti inconsci e le posizioni sostenute a livello conscio. V. anche la razionalizzazione [p.69], meccanismo di difesa strettamente legato alla formazione reattiva. Esortiamo gli insegnanti ad impegnarsi nella conoscenza di s e ad esaminare i propri convincimenti e le proprie posizioni...
La dissonanza cognitiva

[v. anche la dissonanza cognitiva come tecnica di insegnamento] Secondo Festinger (1962) si manifesta quando una persona prende una determinata posizione, ma poi scopre che la propria condotta (o unaltra presa di posizione) in contraddizione con la prima; tale contraddizione pu generare una tensione (dissonanza) che diviene fonte di disagio. A quel punto il soggetto tenta di ridurre la dissonanza modificando una delle variabili in gioco (distorsioni di tale variabile; modificazione delle proprie idee, con conseguente puntellamento della nuova posizione - anche falsando 88

linterpretazione di ogni elemento nuovo; bugie, e modificazioni di ricordi per convincersi che non si tratta di bugia specie nel caso la bugia riguardi cose di scarsa importanza...).
La modificazione degli atteggiamenti

Un altro comportamento che spesso conduce a modificazioni negli atteggiamenti dei bambini quello che consiste nel premiarli per i cambiamenti di condotta di cui hanno dato prova. Altri punti da tenere presenti Gli atteggiamenti nei confronti di una particolare attivit migliorano se i bambini hanno occasione di vedere una persona che stimano dare loro una dimostrazione concreta dellesecuzione di tale attivit. Gli atteggiamenti dei bambini traggono beneficio anche dallesempio dato dagli insegnanti, specialmente in fatto di condotta sociale. Sar opportuno fare attenzione a tutti i mutamenti di condotta che si presentano in conseguenza dei nuovi atteggiamenti incoraggiati, cogliendo immediatamente ogni opportunit di rinforzarli. Spesso linsegnante avr anche il desiderio di offrire ai suoi alunni opportunit mirate e concrete di mettere in pratica i nuovi comportamenti che ha appena visto adottare (quanto prima lo far, tanto pi avr successo). I bambini, come gli adulti, rispondono prontamente allentusiasmo manifestato dagli altri. Lo stesso si pu dire quando assistono a un successo: dimostrano spesso di voler emulare limpresa mediante la partecipazione attiva in prima persona. Sono qualit dellinsegnante capace (sulle quali molti concordano) la capacit di suscitare entusiasmo per la propria materia, trascinando i bambini fino a che il loro stesso entusiasmo si rinforzi autonomamente; e il saper dare un esempio che susciti negli alunni il desiderio di emularlo (le abilit e le tecniche di cui linsegnante d prova sono tali da suscitare nei suoi alunni il desiderio di arrivare a possederle in prima persona) [F,203-208].

Le emozioni
Nonostante le attenzioni mostrate dalla poesia e dall'arte, dalla filosofia e dalla scienza, dal nostro quotidiano interesse per esse, le emozioni sono oggetto di ricerca assidua e sistematica soltanto negli ultimi trent'anni. Le emozioni sono esperienze complesse, in cui si pu distinguere un aspetto mentale di consapevolezza, delle modificazioni fisiologiche, dei comportamenti espressivi sia involontari che intenzionali. Si distinguono dagli stati d'animo, o stati dell'umore, in base alla presenza o assenza di specifici "antecedenti", cio di eventi che ne costituiscono l'occasione scatenante: un'emozione genuina sorge infatti bruscamente in relazione a un accadimento che riveste particolare significato per l'individuo e dura per un tempo piuttosto breve; mentre l'umore pu cambiare senza che si abbia la consapevolezza di cosa abbia causato il cambiamento, pu durare a lungo immutato e non comporta modificazioni fisiologiche; un'altra tipica conseguenza di uno stato emotivo l'instaurarsi di una specifica tendenza all'azione (pi o meno accentuata, pi o meno univoca, n sempre necessariamente la pi adeguata alla situazione), correlata con ciascuna delle emozioni principali, preparata e favorita dalle modificazioni fisiologiche in atto.

Concetto e componenti dell'emozione Il concetto di emozione


Per la conoscenza preteorica ordinaria (o psicologia del senso comune: folk psychology) = le emozioni sono costituite innanzitutto da esperienze soggettive: ciascuno di noi vive un'esperienza, un sentire (un feeling), comprendente di regola anche la percezione di alterazioni corporee caratteristiche; nel caso delle emozioni altrui percepiamo delle alterazioni caratteristiche della mimica facciale, della gesticolazione, della postura, della voce e del corpo, nonch dei comportamenti strumentali: ma piuttosto che percepire queste espressioni, afferriamo direttamente il loro significato, che appunto l'emozione (Marleau-Ponty, 1945). Oltre che come qualit fisiognomica [v. p.2], l'emozione vissuta come nostra esperienza, analoga (empatia, contagio emotivo) o reciproca (ad es. la paura di fronte alla collera altrui), o addirittura l'espressione emotiva altrui induce nell'osservatore la riproduzione degli stessi movimenti espressivi (le persone tendono a riprodurre l'espressione facciale degli altri in tempi cos rapidi da escludere che si tratti di un'imitazione consapevole13). Per la psicologia scientifica = dall'emozione come vissuto e come stato si passati a concettualizzarla come risposta emotiva, un insieme di risposte (sindrome reattiva multidimensionale, Reisenzein 1983), a sua volta analizzata in componenti. Da parte di alcuni studiosi (Brady, 1975), l'emozione non pi vista come un evento (uno stato o una risposta o anche un insieme di risposte), ma come un processo (un microprocesso) che nello scorrere dinamico delle sue componenti assolve diverse funzioni; tale microprocesso appare a sua volta come l'elemento centrale di un macroprocesso, in cui la valutazione della situazione scatena l'evento emozione, seguito da un terzo momento del far fronte (coping) alle emozioni, che comprende l'identificarle e il riflettervi sopra per "farsene una ragione". Una visione processuale ancor pi ampia quella presentata da Plutchik (1980, 1993, 1994) nella teoria delle funzioni adattive delle emozioni, sfruttando la nozione di reazione emotiva a catena come sequenza di eventi. Questa sequenza di eventi d'altra parte costituisce un'unit funzionale, sicch i linguaggi con cui si descrivono i vari tipi di eventi non sono che diversi linguaggi con cui parlare delle emozioni: il linguaggio soggettivo, al livello degli eventi affettivi; il linguaggio comportamentale, al livello degli eventi motori; il linguaggio funzionale, al livello degli effetti.
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La stessa cosa succede ai neonati che tendono a imitare l'espressione facciale dell'adulto che stanno guardando.

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Componenti delle emozioni


A) Componente esperienziale, soggettiLa sequenza di eventi connessa allo sviluppo di alcune emozioni (Plutchik, 1980) va (vissuto o feeling); B) componente evento stimolante cognitivo affettivo comportamentale effetto fisiologica; C) componente comportaMinaccia "Pericolo" Paura, terrore Fuggire Protezione mentale o motoria (C1: movimenti espressivi: mimica, vocalizzazioni, atOstacolo "Nemico" Collera, rabbia Mordere, colpire Distruzione teggiamenti tonico-posturali, gesti; C2: Potenziale compagno "Possesso" Gioia, estasi Corteggiare, accopRiproducomportamenti strumentali o adattivi, o sessuale piarsi zione quantomeno una predisposizione o Perdita di un conspe- "Separazione" Tristezza, cor- Piangere, chiedere Reintegraprontezza dell'organismo ad agire in cifico significativo doglio aiuto zione forma appropriata); altri aggiungono Membro del gruppo "Amico" Accettazione, Fare toeletta, condiAffiliaziouna componente cognitiva (che va corfiducia videre ne rettamente inclusa nella componente Oggetto disgustoso "Veleno" Disgusto, schi- Vomitare, cacciar via Rifiuto esperienziale). Altra possibile classififo cazione delle componenti delle emoNuovo territorio "Che cosa c' Anticipazione Indagare, rappresenOrientazioni: 1) L'esperienza soggettiva l" tare mento dell'emozione stessa: lo stato affettivo o i sentimenti associati con quell'emozione ( la componente che pi frequentemente riconosciamo in un'emozione). 2) La reazione interna del nostro corpo, in particolare quelle che coinvolgono il sistema nervoso autonomo. 3) L'insieme di pensieri e di opinioni che accompagna l'emozione e che sembra venirci in mente automaticamente (quello che sappiamo sull'emozione e le situazioni ad essa collegate). 4) L'espressione del viso. 5) Le reazioni globali all'emozione (ad es., un'emozione negativa pu rendere buia la giornata). 6) Le tendenze all'azione associate con l'emozione, ossia l'insieme dei comportamenti che la gente portata a mettere in pratica allorch sperimenta una certa emozione (per es., l'ira pu portare alla aggressivit). Nessuna di queste componenti di per s un'emozione; tutte si riuniscono per dar vita ad una particolare emozione. Ognuna di queste componenti pu influenzare le altre. I teorici dell'emozione si muovono verso una prospettiva sistemica dell'emozione, nella quale si ritiene che le componenti di un'emozione abbiano effetti reciproci le une sulle altre.

Razionalit o irrazionalit delle emozioni


Una certa diffidenza per le emozioni considerate fonte di comportamenti irrazionali ci viene, prima che dalla tradizione cristiana, dall'antichit classica, soprattutto dallo stoicismo; tuttavia, nel pensiero di Platone e Aristotele le emozioni hanno una funzione imprescindibile: esse dovevano essere controllate e subordinate alla ragione, ma costituivano una componente essenziale dell'anima (v. per es. il mito dell'anima nel Fedro di Platone). stato certamente Darwin (1872) che, nel quadro della sua teoria della evoluzione, ha introdotto un radicale mutamento di prospettiva su questo tema: se intendiamo "razionalit" nel senso di razionalit secondo lo scopo, cio di funzionalit, inevitabile concludere che le emozioni hanno un valore adattivo (basti pensare che, salendo per la scala zoologica, aumenta la quantit di comportamenti non costituiti da schemi fissi d'azione ed aumenta il repertorio emozionale). Palesemente le emozioni servono alla sopravvivenza della specie. Il criterio di funzionalit [v. sotto] applicabile alle emozioni in quanto esse hanno una componente di azione o sono causa di azioni, e da questo punto di vista possono essere irrazionali, nel senso di disfunzionali. D'altra parte esseri senza emozioni, e quindi immuni da influenze irrazionalizzanti di natura emotiva (a meno che non si tratti di sistemi meccanicistici come le formiche), non sarebbero in grado n di reagire n di pensare: non avrebbero scopi, non saprebbero selezionare problemi e dati pertinenti su cui pensare e per cui agire. La separazione della ragione dalla passione stato l'errore di Cartesio (A. e H. Damasio, 1994): il coinvolgimento dell'affettivit nella pianificazione delle azioni, nel trarre profitto dall'esperienza e decidere che cosa fare e agire di conseguenza, mostra che si pensa non solo con la mente, ma con tutto il corpo (per l'azione ragionevole occorre l'intelletto, ma anche la parte desiderante: Aristotele, Etica nicomachea).

Tipologia delle emozioni e dei fenomeni affettivi


Le emozioni si inseriscono, sia a livello psicologico che neurofisiologico, in un complesso processo di cui fanno parte attivazione, emozione, risposte di orientamento, attenzione e coscienza. L'emozione pure una risposta condizionabile e decondizionabile, ed ha funzione di segnalazione, sia intrasoggettiva sia, attraverso la componente espressiva, intersoggettiva; di quest'ultima funzione gli etologi hanno messo in rilievo il valore adattivo: i movimenti espressivi informano i conspecifici delle intenzioni del soggetto agente, suscitano in essi emozioni simili, stimolano e rafforzano legami sociali (ad es. i segnali infantili, che inducono i comportamenti parentali di cura), e questa funzione di segnalazione diventa una vera e propria funzione comunicativa con l'uso intenzionale dei movimenti espressivi fino alla simulazione delle emozioni. Si comprende cos il fondamento dell'appassionata rivalutazione delle emozioni operata da Wallon (1934), che vedeva in esse l'origine stesa della societ e dei sentimenti e la cerniera fra l'organico, lo psichico e il sociale (hanno la funzione che per Cartesio aveva la ghiandola pineale: in esse mente e corpo pi intimamente e misteriosamente interagiscono: de Sousa, 1987).
Distinzione fra emozioni primarie e secondarie

Primarie o semplici o fondamentali = quelle la cui espressione, particolarmente mediante la mimica facciale, universale, spontanea e quindi innata (per descriverle, non occorrono parole denotanti altre emozioni): felicit, paura, tristez90

za, collera, interesse, a cui alcuni studiosi aggiungono anche: sorpresa, disgusto e disprezzo. Secondarie o complesse = quelle che, per comparire nello sviluppo, richiedono una forma di autocoscienza, o una prima forma sensomotoria di autoconoscenza (per descriverle, occorrono parole denotanti altre emozioni): imbarazzo, vergogna, senso di colpa e orgoglio (ma queste appaiono pi come emozioni interpersonali, in quanto richiedono anche il riferimento all'altro) [v. anche l'Appendice 1]. A

Attivazione ed emozione
Caratteristico di un'intensa emozione lo stato di attivazione (arousal: v. p.72), che comporta la modificazione di numerosi parametri fisiologici. La maggior parte dei cambiamenti fisiologici che hanno luogo durante un'attivazione emozionale deriva dal settore simpatico del sistema nervoso autonomo, che serve a preparare il corpo all'azione in caso di emergenza (aumento pressione sanguigna e battito cardiaco, respirazione pi rapida, dilatazione pupille, aumento sudorazione e diminuzione salivazione e muco, aumento zuccheri nel sangue, aumento velocit coagulazione sangue, deviazione sangue da stomaco e intestino a cervello e a muscoli scheletrici, pelle d'oca). Durante emozioni come il dolore o la pena, per, alcuni processi corporei possono essere ridotti o rallentati.
Intensit delle emozioni

Da studi fatti su pazienti con lesioni al midollo spinale (quando interrotto o lesionato, le sensazioni che si originano al di sotto del punto danneggiato non possono raggiungere il cervello), sembra che quanto minore il feedback del sistema nervoso autonomo al cervello (quanto pi alta, cio, la lesione al midollo spinale), tanto minore l'intensit dell'emozione (paura, ira, eccitazione sessuale e dolore).

Struttura delle emozioni Aspetti anatomo-fisiologici


Le strutture anatomiche che sono pi strettamente implicate nel vissuto emotivo e nella manifestazione delle emozioni, nonch nella comprensione delle emozioni altrui, sono situate nel sistema limbico, in particolare nell'amigdala (che qualcuno ha definito un "computer emotivo"): danni o disconnessione dell'amigdala producono gravi disturbi nella valutazione di stimoli piacevoli o minacciosi, nonch gravi anomalie nei comportamenti emotivo-istintuali e in quelli legati alla motivazione. Il sistema limbico interagisce a sua volta con il sistema ipotalamico: l'ipotalamo coordina il sistema nevoso autonomo e regola, tramite una complessa attivit ormonale, funzioni diverse all'interno dell'organismo (metabolismo dei glucidi e dei lipidi, equilibrio della temperatura corporea, ecc.). La maggior parte delle ricerche di neuropsicologia sono concordi nel considerare l'emisfero destro specializzato nell'interpretazione e nella manifestazione di stati emotivi, mentre l'emisfero sinistro implicato in modo assai marginale. Sembra che la met sinistra del viso sia in media pi espressiva della met destra. Sembra anche che l'intonazione del linguaggio parlato venga elaborata da emisferi diversi a seconda di quale funzione essa assolva: in particolare, quando la prosodia serve a esprimere informazioni di tipo emotivo (dubbio, tenerezza...), queste informazioni vengono elaborate prevalentemente dall'emisfero destro; quando invece esprime informazioni di carattere sintattico (interrogazioni...), vengono elaborate dall'emisfero sinistro, tradizionalmente deputato alla comunicazione linguistica. Sembra che anche nel riconoscimento e nella comprensione dei segnali dell'emotivit l'emisfero destro sia dominante, sia quando si tratta di riconoscere espressioni facciali delle emozioni sia quando si tratta di individuare tratti prosodici del linguaggio parlato che esprimono stati emotivi. Tuttavia, alcune ricerche hanno rilevato una certa superiorit dell'emisfero sinistro nell'identificare emozioni a tonalit positiva (gioia, sorpresa), mentre l'emisfero destro restava dominante per l'elaborazione di emozioni a tonalit negativa (tristezza, paura).

Dimensioni che concorrono a formare la risposta emotiva totale


Se le emozioni sono "sindromi reattive multidimensionali" (Reisenzein, 1983), ovvero sistemi di risposte distinti, interagenti ma separabili (Brady, 1975), abbastanza agevole identificare le distinte componenti o dimensioni che possono concorrere a formare la risposta emotiva totale. Risposte fisiologiche = attivazione dei sistemi nervoso autonomo, endocrino e immunitario che produce risposte fisiologiche caratteristiche (alterazione della frequenza cardiaca e respiratoria, della pressione sanguigna, ecc.). Risposte tonico-posturali = tensione o rilassamento del corpo nel suo complesso. Risposte motorie strumentali = mordere, colpire, scappare, ecc.; assieme alle azioni effettive bisogna includere queste stesse azioni appena abbozzate, o uno stato di prontezza o tendenza ad attuarle, o una preparazione ad attuarle, anche ad un livello puramente mentale. Risposte motorie espressive = mimica facciale, gesti, vocalizzazioni come gridi, sospiri..., indici paralinguistici. Risposte linguistiche espressive = varianti stilistiche del discorso della persona in preda ad emozione (scelte lessicali e sintattiche). Componente esperienziale soggettiva (cio il vissuto feeling o tono fenomenologico, che non pu esser descritto se non rimandando a ci che ciascuno di noi prova quando felice, spaventato, irato, ecc.) = il vissuto determinato dalla percezione dello stato interno, a cui contribuiscono, oltre a processi che hanno sede in strutture del sistema nervoso centrale, la percezione degli effetti dell'attivazione fisiologica, e la percezione delle qualit totali espressive o fisiognomiche [v. sopra e p.2]; la componente esperienziale pu essere analizzata in diversi aspetti, fra cui vanno particolarmente sottolineate la qualit edonica (emozioni piacevoli o spiacevoli), l'intenzionalit (nel senso fenomenologico: un'esperienza emotiva sempre esperienza di qualcosa, anche se non appare alla coscienza alcuna causa oggettiva), la focalizzazione attentiva (le emozioni amplificano le informazioni mobilitando l'attenzione su di esse; selezionano le informazioni rilevanti fra la sterminata massa di informazioni disponibili) e 91

la coscienza (qui intesa nel senso di percezione interna, ovvero di autocoscienza soggettiva o pre-oggettiva: ci che rappresentato coscientemente l'oggetto temuto, desiderato, ecc.).

Funzioni delle emozioni


Le diverse dimensioni emozionali concorrono ad esercitare varie funzioni delle emozioni. Azione = in essa vanno incluse l'azione vera e propria (risposte strumentali), la preparazione dell'organismo all'emergenza (realizzata dalle risposte fisiologiche e tonico-posturali), la prontezza ad agire e la preparazione ad agire (anche ad un livello solo mentale); le emozioni sono azioni automotivate (lo scappare parte costitutiva della paura). Segnalazione intersoggettiva = le emozioni hanno l'effetto di comunicare all'esterno lo stato dell'organismo (se spontanea e non intenzionale, ha effetti di comunicazione, ma non un atto di comunicazione); secondo molti autori (Wallon, 1949; Trevarthen, 1984; Emde, Buchsbaum, 1989) l'espressione emotiva costituisce la comunicazione primaria fra l'infante e chi presta le cure materne (emozioni come segnali sociali, intersoggettivit primaria); secondo Trevarthen, anzi, lo sviluppo della regolazione delle relazioni sociali tramite le emozioni indipendente e in anticipo rispetto allo sviluppo cognitivo. Segnalazione intrasoggettiva attraverso la dimensione esperienziale = informa in maniera globale e immediata l'organismo del suo stato rispetto ai suoi bisogni, desideri, scopi ed aspettative (le emozioni, dunque, sono anche un linguaggio, poich esercitano una duplice funzione informativa, e questa a sua volta comporta una funzione rappresentativa). Motivazione ad agire attraverso al dimensione di esperienza = non si attuano dati comportamenti per sfuggire ad un pericolo soltanto come parte della risposta di paura: la sensazione penosa di paura d la spinta per escogitare comportamenti che allontanino o prevengano il pericolo. Focalizzazione attentiva = v. sopra. Espansione della coscienza = v. sopra. Facilitazione mnestica = il ricordo influenzato dalla somiglianza dello stato affettivo del soggetto al momento dell'esperienza e al momento della rievocazione (ricordo stato-dipendente) e dalla congruenza fra lo stato affettivo (umore) di chi ricorda e la tonalit affettiva delle cose da ricordare (congruenza dell'umore).

Valore funzionale delle emozioni


Livello evolutivo individuale

Molte teorie socioemotive dello sviluppo sottolineano come le conquiste cognitive contribuiscano a fare emergere e padroneggiare le emozioni complesse (ad es., l'insorgere delle emozioni di autovalutazione come la vergogna e il senso di colpa sarebbero conseguenza della crescente autoconsapevolezza e della capacit di rappresentazione di s). vero anche il rapporto inverso: le emozioni infatti giocano un ruolo fondamentale nell'acquisizione di importanti tappe cognitive e compiti evolutivi. Sebbene tutte le emozioni abbiano funzioni adattive e motivazionali durante tutto il corso della vita, alcune possono divenire preminenti in differenti fasi dello sviluppo perch servono processi evolutivi specifici (Differntial Emotions Theory, C. E. Izard, 1977 e 1991): le emozioni possono stimolare l'acquisizione di specifiche mete sociali e cognitive in molti modi. Innanzitutto stimolando le interazioni sociali: la gioia e l'interesse facilitano le interazioni madre-bambino durante l'infanzia, la fantasia e il gioco di imitazione nella prima fanciullezza, il gioco con regole e le interazioni fra pari nella tarda fanciullezza, la formazione di relazioni intime nell'adolescenza. Inoltre, le emozioni possono indurre una persona a rivalutare le sue aspettative e i suoi comportamenti (la rabbia che insorge quando un desiderio viene frustrato pu portare a riflettere su ci che pi legittimo e realistico domandare; la vergogna e il senso di colpa possono costringerci a valutare meglio il nostro comportamento). Infine, le esperienze emotive stimolano lo sviluppo sociale e cognitivo: le rappresentazioni mentali che un bambino si forma delle emozioni proprie e altrui favoriscono la capacit di considerare gli altri come soggetti diversi e autonomi, nonch la comprensione che la stessa situazione pu provocare differenti sensazioni affettive in persone diverse.
Livello intrapersonale

Le emozioni possono essere definite come efficaci modelli di adattamento alle richieste dell'ambiente. A livello psicologico: -favoriscono lo spostamento dell'attenzione sugli eventi rilevanti; -attivano reti associative che collegano a eventi pertinenti; -modificano le gerarchie di risposta portando in primo piano il comportamento pi adeguato. A livello fisiologico: organizzano rapidamente le risposte di differenti sistemi biologici (espressione del volto, tono muscolare, tono della voce, attivit del sistema nervoso autonomo, attivit endocrina), in modo da produrre lo stato fisiologico pi adeguato alla risposta da fornire. Di fronte all'improvvisa necessit di fronteggiare un evento esterno che richiede una veloce modificazione del nostro stato fisiologico, l'emozione funge da temporaneo attacco all'omeostasi, mettendo l'organismo in grado di prepararsi al comportamento pi adatto alla sua sopravvivenza (la paura predispone alla fuga, la rabbia all'attacco, il disgusto al rifiuto di un cibo nocivo...). Un simile modello di spiegazione funzionale diretta e "fisiologica" delle emozioni pu essere applicato per soltanto a una ristretta gamma di emozioni di base; inoltre, se vero che le modificazioni fisiologiche indotte dalle emozioni sono adattive, altrettanto evidente come, a lungo andare, queste possano cronicizzarsi producendo seri effetti negativi sull'organismo. Per le emozioni pi sfumate o con minori risposte di azione (rimpianto, sensi di colpa), la funzione a livello intrapersonale va ricercata nel riflesso sull'immagine di s, o anche nelle dinamiche di sanzione o di approvazione interna, che costituiscono degli incentivi positivi o negativi autosomministrati. Un'ulteriore complementare funzione delle emozioni svolta principalmente dalle emozioni positive mediante il ritorno all'omeostasi (annullando l'arousal): le emozioni positive possono infatti avere effetto lenitivo rispetto a eventi stressanti e circostanze spiacevoli (per es.: quando il bambino piange ed a disagio, i genitori riescono a calmarlo suscitando in lui emozioni positive cullandolo, cantandogli una ninna nanna o facendolo ridere). Un'altra funzione primaria della nostra esperienza emotiva soggettiva quella di servire da segnale che eliciti comportamenti adattivi volontari: una volta che 92

l'iniziale ondata emotiva si placa, il vissuto interno aiuta a chiarirci ci che abbiamo provato, a ripensare agli eventi che hanno suscitato l'emozione, a condividere le nostre sensazioni con gli altri, in modo da ottenere supporto da loro o da far s che modifichino il loro comportamento.
Livello interpersonale

Le emozioni hanno anche una funzione sociale: possono essere definite come risposte involontarie, relativamente automatiche e rapide, che aiutano gli individui a regolare e mantenere le loro relazioni interpersonali. Nelle interazioni a due: la comunicazione delle emozioni fornisce al ricevente importanti informazioni su chi le trasmette, l'espressione delle emozioni aiuta quindi l'individuo a comprendere vissuti, intenzioni e convinzioni altrui in modo da coordinare rapidamente l'interazione stessa; oltre che suscitare per empatia un'emozione simile, l'espressione di un'emozione pu evocarne una complementare e reciproca, che a sua volta elicita un opportuno comportamento di risposta; infine, le emozioni servono da incentivi o da deterrenti al comportamento altrui. Nelle interazioni di gruppo: le emozioni aiutano gli individui che condividono scopi comuni a riconoscersi in questi scopi e in quelli sovraordinati del gruppo; sono inoltre molto importanti nel definire l'appartenenza e nell'identificare i membri del gruppo (esperienze collettive di estasi o di timore reverenziale possono fornire ai membri un senso di identit comune, mentre l'odio o il disgusto verso i non membri rafforza i legami di gruppo); infine, le emozioni svolgono importanti funzioni anche a livello culturale, innanzitutto perch giocano un ruolo centrale nell'assunzione di una identit culturale da parte dell'individuo; hanno inoltre un grande peso nell'acquisizione, da parte dei bambini, delle norme e dei valori della cultura: le reazioni emotive dei genitori li aiutano infatti a definire e a riconoscere i valori morali della comunit di appartenenza.

Le teorie delle emozioni Teorie classiche


L'attivazione del sistema nervoso autonomo contribuisce all'intensit dell'esperienza emotiva; ma differenzia le emozioni? Secondo la teoria di James-Lange (tardo Ottocento, teoria periferica) noi ci sentiamo tristi perch piangiamo, spaventati perch tremiamo, arrabbiati perch attacchiamo; inoltre, poich la percezione dell'attivazione del sistema nervoso autonomo (e forse di altri cambiamenti corporei) costituisce l'esperienza di un'emozione, e poich differenti emozioni si provano in modi differenti, ci deve essere un distinto schema di attivazione del sistema nervoso autonomo per ogni emozione. Dopo gli attacchi a questa teoria da parte di W. Cannon ed altri (1927, teoria centrale: le modificazioni del corpo e l'esperienza soggettiva hanno luogo contemporaneamente ma in base a meccanismi separati), uno studio condotto da Levenson, Ekman e Friesen (1990) offre per una prova sicura che ci sono schemi autonomi distinti per le diverse emozioni. Tuttavia, molti psicologi ritengono tuttora che, nel differenziare le emozioni, debba essere coinvolto qualcosa di diverso dall'attivazione autonomica; quel qualcosa d'altro (o parte di esso) si pensa comunemente essere la valutazione cognitiva che si ha della situazione stessa.

Attivit cognitiva ed emozioni


Quando sperimentiamo un fatto o un'azione, interpretiamo la situazione in rapporto ai nostri scopi personali ed al nostro benessere; questa interpretazione nota come valutazione cognitiva. chia- a) TEORIA DI JAMES-LANGE (1884...) Attivazione fisiologica e comportamenti attivi Esperienza soggetro che la nostra valutazione di una situaStimolo specifici per un certo tipo di emozione tiva dell'emozione zione pu contribuire all'intensit della b) TEORIA DI SCHACHTER-SINGER (1962) nostra esperienza emotiva. La valutazioAttivazione fisiologica Valutazione cognitiva Esperienza soggetStimolo ne cognitiva pu anche essere pesantegenerale dell'attivazione tiva dell'emozione mente responsabile della differenziazioc) TEORIE DELLA VALUTAZIONE (1980...) ne delle emozioni; talvolta pu essere Stimolo + ValutaEsperienza sogget sufficiente a determinare la qualit zione dello stimolo tiva dell'emozione dell'esperienza emotiva. Secondo la teo- d) IPOTESI DEL FEEDBACK FACCIALE (1962) Esperienza soggetria di Schachter-Singer (1962, teoria biEspressione facciale tiva dell'emozione fattoriale o attribuzionale) i sintomi fisici che non possono venire attribuiti a un fatto estraneo vengono interpretati come segno di attivazione emotiva; la qualit e il tipo di emozione vengono poi specificate sulla base di circostanze esterne. Ma queste componenti, cio l'attivazione del sistema nervoso autonomo e la valutazione cognitiva, sono esse stesse fatti complessi che implicano dei sottocomponenti, che non si presentano contemporaneamente: sono fatti che si estendono nel tempo ed i loro sottocomponenti possono procedere in parallelo. Secondo le teorie della valutazione, il modo in cui le persone valutano le situazioni che porta all'esperienza soggettiva dell'emozione ed all'attivazione fisiologica che associata con le emozioni. Alcuni psicologi, fra cui il pi autorevole Ron Harr (1986, costruzione sociale delle emozioni o costruttivismo), sostengono che le emozioni non sono risposte naturali provocate dalle circostanze oggettive, bens risposte apprese che includono le regole, le credenze e i valori sociali di una determinata cultura; in questo quadro il linguaggio e la struttura etica di una societ sono determinanti nel costruire sia il vissuto interno delle emozioni sia lo schema tipico delle espressioni e dei comportamenti che ad esse si associano (v. l'es. singolare dell'emozione chiamata amae presente fra i giapponesi, definibile come l'accettazione gradita e piacevole di uno stato di dipendenza sia materiale che emotiva, incoraggiata dalla cultura giapponese nei confronti del gruppo familiare e anche delle grandi strutture industriali del paese). Ma ci possono essere due diversi tipi di esperienze emotive: quelle basate sulla 93

valutazione cognitiva, e quelle che la precedono (emozioni precognitive: connessioni dirette fra canali sensoriali e amigdala). Infine, l'espressione facciale (ma anche altre espressioni emozionali: battito cardiaco, temperatura dell'epidermide...), che da Darwin in poi (1872) stata considerata dal punto di vista della sua funzione comunicativa delle emozioni, oggi presa in esame anche per il suo contribuire all'esperienza soggettiva dell'emozione, proprio come l'attivazione e la valutazione (ci implica che, se vi mettete a sorridere e mantenete il sorriso per parecchi secondi, incomincerete a sentirvi pi felici; se mettete il broncio, vi sentirete tesi ed arrabbiati): la contrazione di certi muscoli facciali pu influire sul flusso sanguigno nei vasi confinanti; ci a sua volta pu influire sul flusso sanguigno cerebrale, che pu determinare la temperatura del cervello, che a sua volta pu facilitare o inibire la liberazione di numerosi neurotrasmettitori (e quest'ultima pu ben essere parte dell'attivit corticale che alla base dell'emozione). Questo percorso dall'espressione all'emozione sostenuto da esperimenti recenti (1989).
Alcune implicazioni cliniche

Il fatto che la valutazione cognitiva possa differenziare le emozioni ci aiuta a dare un senso ad una valutazione clinica sconcertante: talvolta un paziente sembra stia vivendo un'emozione senza rendersene conto (non ha cio alcuna esperienza soggettiva dell'emozione, eppure vi reagisce in modo coerente); Freud pensava che questo fenomeno implicasse la rimozione di idee dolorose, ed il moderno lavoro sulla valutazione e l'emozione compatibile con la sua ipotesi. Il lavoro clinico suggerisce anche che le sensazioni di piacere e di dolore che uno prova cambiano poco se si passa dall'infanzia all'et adulta: ci che cambia sono le idee associate con le sensazioni (la natura dell'attivazione autonomica pu non mutare molto nel corso della vita; al contrario si sviluppano normalmente le idee associate con le sensazioni, essendo esse semplicemente delle credenze emotive). Infine, il lavoro sulla valutazione si accorda con un fenomeno che familiare a noi tutti: la misura di una situazione provoca un'emozione che dipenda dall'esperienza precedente (la nostra esperienza passata influisce sulle nostre credenze riguardo la situazione attuale, e in seguito queste credenze influiscono sull'emozione che sperimentiamo).

Il dibattito
dominato dal problema dei rapporti fra emozioni e attivit cognitiva ( persino nata la rivista internazionale Cognition and Emotion). Posizione di Lazarus (1980-1984) e Averill (1980): primato della conoscenza = la risposta emotiva la conseguenza della valutazione cognitiva della situazione (si avverte che c' un pericolo e quindi si ha paura); all'origine vi la teoria attivazionale-cognitivistica (Schachter, 1964; Mandler, 1980), che sostiene che la valutazione cognitiva interviene due volte: sia a produrre un'attivazione fisiologica aspecifica, sia ad interpretare come emozione specifica gli effetti percepiti dell'attivazione. Altra posizione sostenuta da Leventhal (1982), Zajonc (1980, 1984) e Buck (1984-1991): parziale indipendenza dell'emozione = la percezione di stimoli emotivi scatena la risposta emotiva, che viene ulteriormente elaborata cognitivamente come valutazione cognitiva della situazione (si ha paura e quindi si avverte il pericolo); da notare che la risposta emotiva gi una valutazione della situazione. La posizione pi radicale sostenuta da Zajonc e Markus (1984): le risposte fisiologiche e soprattutto quelle motorie sono la rappresentazione affettiva = costituiscono quindi la valutazione della situazione (rappresentazione "dura"), a prescindere dalla percezione dei loro effetti, da cui dipende l'esperienza emotiva (rappresentazione "soffice"), che invece influenzata dall'attivit cognitiva. Si pu contribuire a fare un poco di chiarezza nelle tre posizioni, distinguendo tre momenti in cui l'attivit cognitiva coinvolta nelle emozioni ma che invece, nella trattazione del problema, risultano quasi sempre tra loro confusi. I e II): bisogna distinguere fra evento e processo emotivo: l'attivit cognitiva nel primo momento della valutazione cognitiva della situazione parte indispensabile, a qualunque grado di complessit, del processo emotivo, ma non fa parte dell'evento emozione; l'attivit cognitiva interviene poi a costituire la componente esperienziale della risposta emotiva come percezione dello stato interno dell'organismo, percezione fisiognomica dell'oggetto e della situazione, focalizzazione attentiva e autocoscienza pre-oggettiva. L'attivit cognitiva insieme determinante delle emozioni e costituente dell'esperienza emotiva, ovvero ha un ruolo causale (nello scatenamento della risposta emotiva) e insieme, con la esperienza emotiva, d immediatamente la ragione dell'emozione (Frijda, 1988). L'intervento dell'attivit cognitiva, sia come determinante che come costituente, fa s che il prodotto dell'attivit cognitiva determinante dell'emozione venga a far parte dell'oggetto vissuto dell'emozione. III): vi infine il momento cognitivo posteriore all'evento-emozione, che pu essere designato con l'espressione "pensare le emozioni" (Bion, 1962): momento che include l'identificare le emozioni (dar loro un nome), riflettere sullo stato emotivo vissuto e sui suoi antecedenti situazionali per capirne la motivazione (livello di autocoscienza oggettiva). Un possibile passo ulteriore quello di concepire il processo emotivo come un particolare tipo di processo di valutazione cognitiva (appraisal) dello stato dell'organismo rispetto a uno standard (bisogno, desiderio, scopo, aspettative, livello omeostatico): soluzione insoddisfacente, perch non propone una intrinseca necessit della connessione fra processo cognitivo di valutazione e risposta emotiva. Una soluzione suggestiva appare invece se si considera, come si gi visto, la funzione delle emozioni di segnalazione intra- e inter-soggettiva: i processi di valutazione sono tutti e comunque cognitivi, ci che varia il modo di rappresentare l'esito della valutazione. Quella che chiamata "valutazione affettiva" sarebbe invece, propriamente, la rappresentazione immediata, globale, non proposizionale, mediante le risposta emotiva, della valutazione cognitiva (messaggio di controllo: Oatley, 1992), in opposizione ad una valutazione strettamente cognitiva, che sarebbe piuttosto la rappresentazione simbolica, proposizionale (messaggio semantico: Oatley). Si potrebbe anche dire che la conoscenza espressa per mezzo delle emozioni una conoscenza procedurale, in contrasto alla conoscenza dichiarativa dell'attivit cognitiva "fredda"; oppure che le emozioni (in tutte le loro compo94

nenti, e non solo in quella esperienziale), esprimono ma non riferiscono la valutazione cognitiva. Questa funzione informativa al centro della teoria appetitiva (Dahl, 1979, che si rif a de Rivera, 1977): le emozioni sono dei messaggi al soggetto sui suoi obiettivi o desideri, messaggi relativi all'oggetto, cio a cosa l'oggetto per la persona (IT emotions, o emozioni oggettuali), o messaggi relativi al soggetto, cio a "come vanno le cose" rispetto agli obiettivi (ME emotions, o emozioni egoiche). Questi due tipi di emozioni si bipartiscono ciascuno in due classi (positiva e negativa), ciascuna delle quali si bipartisce a sua volta in due forme (attiva e passiva); la combinazione sistematica di queste tre dimensioni bipolari d luogo a otto emozioni primarie. Per es.: emozioni oggettuali negative, spiacevoli, caratterizzate dalla tendenza comportamentale alla repulsione = forma attiva: corrispondono al liberarsi dell'oggetto, si manifestano con la collera e la persona pu dirsi irata, sprezzante, indignata; forma passiva: corrispondono al fuggire, si manifestano nella paura e la persona descrivibile come spaventata, allarmata; emozioni egoiche negative = forma passiva: segnalano che l'obiettivo stato mancato, si manifestano nella depressione e la persona descrivibile come depressa, disperata; forma attiva: segnalano che il raggiungimento dell'obiettivo compromesso, si manifesta nell'angoscia e la persona descrivibile come angosciata, sconfortata; emozioni oggettuali positive, caratterizzate dall'attrazione = forma attiva: l'amore; forma passiva: la sorpresa; emozioni egoiche positive = forma attiva: la gioia; forma passiva: la contentezza. Oltre a quella di segnalazione, le emozioni hanno altre funzioni, in particolare quella di motivazione. L'emozione un meccanismo di feedback che, oltre a dire se un nostro scopo soddisfatto o no, pu fornirci un motivo in pi per perseguirlo, diventando a sua volta uno stato che il sistema tende ad evitare o realizzare (Castelfranchi e Poggi, 1988). Con il concetto di scopo si riformula quanto la psicologia precognitivistica avrebbe espresso in termini motivazionali: le emozioni presuppongono uno stato motivazionale, sono automotivate e possono avere valore motivante. Ribaltamento del principio cognitivistico: ci che fa di uno scopo uno scopo il coinvolgimento emotivo, e la scelta fra scopi diversi non fondata unicamente su di una improbabile analisi razionale, ma anche sulle qualit e intensit delle emozioni coinvolte (bilancio emotivo); l'emozione costituisce una vera spinta ad agire poich le emozioni, come sindrome reattiva multidimensionale, comprendono una componente d'azione. L'assegnazione di un ruolo fondamentale alle emozioni nella motivazione ad agire costituisce una reinterpretazione in chiave di psicologia generale del concetto psicoanalitico di investimento libidico e contiene anche una risposta alla domanda posta da Platone nell'Eutifrone, e cio quella data da Spinoza nell'Ethica, per cui non si brama qualcosa perch buono, ma qualcosa buono perch lo si brama.

La dimensione sociale delle emozioni


Tema centrale di una psicologia sociale delle emozioni quello delle emozioni come fenomeno sociale, ovvero, come invalso dire, della costruzione sociale delle emozioni: 1. Le condizioni sociali (come del resto la fase evolutiva) determinano gli oggetti delle emozioni (improbabile che pastori africani o bimbi di due anni si spaventino della caduta dell'indice Dow Jones alla Borsa di New York). 2. Anche se bisogna distinguere fra oggetti delle emozioni e cause, o antecedenti situazionali, oggetto e causa sono strettamente connessi, e quindi ci che si detto in 1. dipende dal fatto che le condizioni sociali (come il livello evolutivo) determinano gli antecedenti situazionali delle emozioni (nella societ occidentale postmoderna non ci si vergogna pi dell'intimit corporea; ci si vergogna per di non essere belli, ricchi, giovani, "qualcuno"...). 3. Le componenti espressiva e comportamentale delle emozioni vengono in grandissima parte controllate secondo regole culturali con lo sviluppo e l'educazione 14. 4. Culture diverse danno un diverso valore alle emozioni (in certe societ vergognarsi ritenuto una caratteristica che distingue gli uomini dagli animali; nella societ industriale postmoderna, invece, vergognarsi considerato una resa, e si pu arrivare a vergognarsi di vergognarsi). 5. Le condizioni sociali offrono e insieme limitano le modalit per far fronte alle emozioni (in una comunit della Nuova Guinea rigidamente regolata dalla vergogna, la cosa pi opportuna da fare se si prova vergogna quella di esibirla vistosamente facendo con ci vergognare gli altri membri della comunit, che si adopereranno per riparare l'umiliazione e reintegrare l'umiliato). 6. Vi sono emozioni che sono intrinsecamente sociali: vergogna, imbarazzo, senso di colpa, orgoglio (le emozioni della consapevolezza); perch si diano tali emozioni occorre un insieme di condizioni, tutte di carattere sociale (ad es., per la vergogna: l'essere esposti all'altro, smascherati o svelati, l'attribuire importanza al giudizio dell'altro, il condividere con l'altro i criteri di giudizio). La pi estensiva indagine transculturale sulle emozioni (Scherer e coll., 1988) ha tuttavia mostrato che vi sono pi differenze nei loro vari aspetti fra le emozioni che, per ciascuna emozione, fra i paesi considerati. L'ipotesi di una relativa universalit di almeno alcune emozioni sostenuta anche da altre considerazioni: a) se non ci fosse una sostanziale somiglianza transculturale delle risposte emotive, almeno per alcune emozioni, non ci sarebbe alcuna possibilit di comprensione inter-etnica e quindi le ricerche etnologiche non avrebbero alcun fondamento; b) la continuit funzionale e comportamentale fra gli esseri umani e gli animali (in particolare i primati) fa ritenere implausibile una radicale discontinuit fra il repertorio di risposte emotive umane e quello delle risposte emotive animali, scarsamente sensibili alle influenze culturali; c) la natura componenziale della risposta emotiva, le cui componenti sono relativamente indipendenti, fa ritenere che le condizioni sociali incidano diversamente sulle varie componenti, molto meno sulla componente fisiologica che sull'espressione e l'esperienza.

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Le regole culturali differenziano anche, all'interno di una stessa cultura, fra ruoli culturali diversi; ad es., le femmine sono pi espressive dei maschi, ma questa differenza diventa marcata solo fra i 3 anni e mezzo e i 6; questa differenza facilmente interpretabile come frutto di un apprendimento da parte dei maschi ad inibire l'espressione facciale.

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Espressione ed emozione
Un'importante componente delle emozioni l'espressivit, in particolare le diverse configurazioni che assume il viso, con apertura o chiusura degli occhi e delle pupille, cambiamenti del colore della pelle, i movimenti dei 44 muscoli facciali che fanno muovere la bocca, corrugare la fronte, ecc. Certe espressioni visive sembrano avere un significato universale (l'ira, per es.); ci di supporto all'affermazione di Darwin, secondo cui molti dei modi in cui esprimiamo un'emozione sono modelli ereditati che in origine avevano un qualche valore per la sopravvivenza. Mentre alcune espressioni del volto ed alcuni gesti sembrano essere associati in modo innato ad emozioni particolari, altri vengono appresi dalla cultura. Ogni cultura ha il proprio complesso di regole di esibizione: esse precisano i tipi di emozioni che si dovrebbero provare in determinate situazioni, e di comportamenti appropriati ad una certa emozione. Alle espressioni fondamentali dell'emozione, che sembrano essere universali, quindi, sono sovrapposte delle forme espressive convenzionali: una specie di linguaggio dell'emozione riconosciuto dagli altri all'interno di una stessa cultura, ma spesso male interpretato da persone appartenenti ad una diversa cultura.

Reazioni al trovarsi in uno stato emotivo


Alcune reazioni sono specifiche dell'emozione sperimentata (ad es. l'avvicinarsi a qualcuno quando felice ed il ritirarsi quando spaventato), altre reazioni sembrano applicarsi alle emozioni in generale. In particolare, l'essere in uno stato emozionale: a) Pu darci energia o scombussolarci: un medio livello di attivazione emozionale tende a produrre vigilanza ed interesse per la situazione in atto, quando per le emozioni piacevoli o spiacevoli diventano intense di solito determinano una certa disorganizzazione del pensiero e del comportamento (v. figura, Hebb 1972: il livello ottimale e la forma della curva differiscono per i diversi compiti: un lavoro abituale, semplice e ben conosciuto, sar molto meno suscettibile alla disorganizzazione provocata dall'attivazione emozionale di quanto non lo sia un'attivit pi complessa che dipende dall'integrazione di numerosi processi mentali); per la precisione, ci che determina un livello eccessivo di attivazione emozionale dipende dall'individuo (Tyhurst, 1951). Talvolta tensioni emozionali intense non vengono rapidamente scaricate, ma continuano a rimanere irrisolte (uno stato cronico di intensa attivazione pu dunque essere dannoso per la salute dell'individuo). b) Determina ci a cui rivolgiamo l'attenzione o che impariamo:quando sperimentiamo un'emozione, tendiamo a prestare pi attenzione ai fatti che si accordano con il nostro umore che non a quelli che non si accordano; come conseguenza, impariamo di pi sui fatti che corrispondono al nostro umore. Sappiamo che possiamo imparare meglio contenuti nuovi se li possiamo riferire a informazioni che abbiamo gi in memoria; l'umore in cui ci si trova durante l'apprendimento pu aumentare la disponibilit di ricordi che si adattano a quello stato d'animo e tali ricordi saranno pi facilmente collegabili ai contenuti nuovi che pure si adattano al medesimo stato d'animo (Brower, 1981; Isen, 1985). c) Determina il nostro giudizio sul mondo: il nostro umore pu influenzare la nostra valutazione degli altri. L'umore influisce anche sulla valutazione degli oggetti inanimati; influenza anche la nostra valutazione della frequenza dei rischi che possono capitare (Insen et al., 1978; Johnson & Tversky, 1983; Keltner, Ellsworth & Edwards, 1993) [v. anche Appendici 2 e 3].

Competenza emotiva
Nella nostra vita quotidiana sappiamo bene che la nostra esperienza intessuta di stati d'animo; il saper tener conto delle qualit emotive in molti aspetti della nostra vita si rivela quindi un aspetto di grande importanza nei rapporti interpersonali ma anche intrapsichici (ideale di s, motivazione, desideri, sensi di colpa...). Alcuni studiosi hanno cos deciso di introdurre fra le nostre competenze anche la competenza emotiva, come in particolare negli studi di Carolyn Saarni (1990 e 1999). Riportiamo in sintesi le dieci sottocategorie della competenza emotiva messe a fuoco da questa autrice, su cui vi un accordo di massima fra molti studiosi. 1. Consapevolezza dei propri stati emotivi: sia di emozioni semplici e sfumate sia di emozioni complesse, o della presenza contemporanea di emozioni diverse. 2. Capacit di individuare le emozioni altrui sulla base dei vari indizi espressivi, tenendo conto delle circostanze e le norme della propria cultura. 3. Competenza linguistica in campo emotivo: laspetto attivo comprende la capacit di descrivere a parole stati emotivi anche complessi, distinguendo i vari gradi della stessa tonalit emotiva; laspetto passivo consiste nella comprensione piena dei termini del linguaggio emotivo. In altre parole, questa competenza si identifica con la ricchezza del lessico emotivo. 4. Capacit di coinvolgimento empatico 5. Capacit di rendersi conto che i propri stati emotivi interni non devono necessariamente corrispondere a espressioni esterne e questo sia riguardo a se stessi sia riguardo agli altri: ci richiede la capacit di monitoraggio e controllo del proprio comportamento. nelle esperienze emotive altrui: lempatia infatti si sviluppa con let e con la maturit affettiva. 96

6.

Conoscenza delle regole culturali di manifestazione delle emozioni: si tratta di distinguere le regole di esibizione dalle regole di sentimento, e nel sapere modulare le manifestazioni delle emozioni a seconda della propria strategia di presentazione di s. 7. Capacit di utilizzare le informazioni che si possiedono sulle persone, in modo da inferire correttamente i loro stati emotivi: una competenza che incrocia la conoscenza delle persone (esempio, Maria impaziente) con quella delle conseguenze (Maria irritata perch deve aspettare). 8. Capacit di capire che il proprio comportamento emotivo pu avere effetti sugli altri e capacit di modellare il proprio comportamento in tal senso. 9. Capacit di fronteggiare in modo adattivo emozioni pericolose o disturbanti, mettendo in atto strategie di autoregolazione atte a migliorare lintensit o la durata di tali stati emotivi (capacit di coping). Ad esempio, capacit di alleviare o disinnescare la propria ansia attraverso comportamenti di routine come lavorare a maglia o fare delle riparazioni domestiche. 10. Capacit di accettare le proprie esperienze emotive, sia quando si tratta di stati unici e insoliti sia quando questi sono prevedibili e convenzionali. Ad esempio, una persona con questa capacit continuerebbe ad avere una buona autostima e senso di integrit personale anche provando emozioni proibite come ad esempio gioia per le disgrazie di qualcuno. La competenza emotiva stata applicata in modo approfondito dalla Saarni al modello dello sviluppo socioaffettivo segnando cos le tappe che un individuo normale raggiunge nel processo di crescita.

Intelligenza emotiva
Un altro gruppo di psicologi ha elaborato invece il concetto di intelligenza emotiva, un concetto fondato scientificamente e basato su abilit che possono essere misurate, che variano fra gli individui e che prevedono dei comportamenti specifici. Gli studi che hanno contribuito a formare questo concetto sono stati portati a termine principalmente da Peter Salovey (1990), mentre David Goleman (1995) ha divulgato lidea presso il grande pubblico. Il principio fondamentale, che differenzia lintelligenza emotiva dalla competenza emotiva, che esista unintelligenza emotiva che pu essere misurata scientificamente con gli strumenti gi usati per misurare altre forme di intelligenza (v. la teoria di Gardner: p. 18) e che pu essere definita come la capacit di riconoscere il significato delle emozioni e la loro relazione reciproca, di ragionare sulle emozioni e di risolvere problemi che coinvolgono emozioni. Il modello di intelligenza su cui si lavorato composto da quattro ambiti, e precisamente: a) percepire le emozioni; b) usare le emozioni per facilitare il pensiero; c) capire le emozioni; d) gestire le emozioni in modo da favorire la crescita personale e i rapporti sociali. Questa impostazione teorica ha dato origine a degli strumenti di misura dei quali uno dei pi recenti si chiama Mayer-SaloveyCaruso Emotional Intelligence Test (MSCEIT; San Francisco, 2000). Oltre ai suoi usi applicativi, questo test ha la funzione teorica di definire chiaramente e di rendere operativo il concetto di intelligenza emotiva. Questo test ha anche un buon valore predittivo, nel senso che a un alto punteggio di intelligenza emotiva corrisponde, ad esempio, un buon adattamento in classe; oppure a un punteggio basso una maggiore frequenza nelluso di droghe. Per chiarire meglio questo punto, che aiuta a uscire da una certa vaghezza che talvolta aleggia intorno al discorso sulle emozioni, illustreremo qui il modello a quattro ambiti dellintelligenza emotiva, insieme con esempi di item tratti dal test MSCEIT. Primo ambito: Percepire le emozioni. Abilit coinvolte: identificare le proprie emozioni a partire dai propri stati fisici e psicologici; identificare le emozioni altrui; esprimere accuratamente le proprie emozioni; discriminare fra emozioni accurate/corrette ed emozioni confuse/scorrette (esempi di item: facce: identificazione di emozioni facciali raffigurate; figure: identificazione di emozioni suggerite da fotografie di panorami e disegni astratti. Secondo ambito: Usare le emozioni per facilitare il pensiero. Abilit coinvolte: dirigere e dare delle priorit ai pensieri sulla base dei sentimenti associati; generare emozioni per facilitare la memoria e il giudizio; approfittare dei cambiamenti di umore per vedere le cose da molti punti di vista; usare gli stati emotivi per facilitare il problem solving e la creativit (esempi di item: sensazioni: combinare nomi di colori, sensazioni tattili e gustative con emozioni specifiche; facilitazione: indicare come lumore e lemozione influenzino i processi cognitivi, come pensare, ragionare, risolvere problemi ed essere creativi). Terzo ambito: Capire le emozioni. Abilit coinvolte: capire la relazione fra le varie emozioni; percepire le cause e le conseguenze delle emozioni; capire i sentimenti complessi, le emozioni fuse e quelle contraddittorie; capire le trasformazioni delle emozioni (esempi di item: fusioni: identificare le emozioni incluse in uno stato emotivamente complesso; cambiamenti: sapere come sentimenti ed emozioni si evolvono, oppure si trasformino passando da uno stato allaltro). Quarto ambito: Gestire le emozioni. Abilit coinvolte: essere aperti ai sentimenti, sia positivi sia negativi; osservare le emozioni e riflettervi su; coinvolgersi in uno stato emotivo, prolungarlo o interromperlo; gestire le proprie emozioni; gestire le emozioni altrui (esempi di item: gestione: valutare lefficacia delle varie strategie che possono modificare i propri sentimenti; relazioni: valutare le conseguenze di varie strategie sulle reazioni emotive degli altri). Secondo gli autori del modello di intelligenza emotiva e del test MSCEIT, i quattro ambiti formano una gerarchia, con alla base la percezione delle emozioni e al vertice la gestione delle emozioni; infatti la capacit di regolare le emozioni in se stessi e negli altri basata sulle capacit richieste per gli altri tre ambiti [v. anche: D. Goleman, Intelligenza emotiva, RCS Libri, Milano 1996; Appendice 3bis]. 97

Emozioni e sviluppo
A differenza di quanto si pensava i passato (ad es.: Bridges, 1932), vi oggi la prova che i neonati mostrano disgusto per sostanze nocive e piacere per sostanze saporite; hanno espressioni sorprendentemente ben schematizzate di sorpresa, paura, interesse e forse anche di altre emozioni fondamentali. Il comportamento emotivo pu cambiare nel corso della vita a causa delle modificazioni: 1) delle situazioni che causano le emozioni; 2) del comportamento strumentale volontario motivato dalle emozioni; 3) delle reazioni espressive che indicano l'emozione; 4) degli stati emotivi stessi che divengono pi elaborati con lo sviluppo; 5) delle convenzioni sociali in mutamento rispetto a ci che appropriato provare o esprimere come emozione. 1 = Le emozioni si sviluppano attraverso le modificazioni dell'efficacia delle varie circostanze scatenanti, che risultano dallo sviluppo della percezione, della cognizione e dell'apprendimento. Queste modificazioni possono aumentare bruscamente la prevalenza di una data emozione nel repertorio di risposta di una emozione, ma un errore assumere, sulla base di questi slittamenti di prevalenza, che il processo di risposta stia cambiando o che l'espressione emotiva non sia osservabile in precedenza. Ad es.: la risposta del sorriso fiorisce tra le 4 e le 8 settimane di et, ma in certe condizioni osservabile molto prima (in neonati ciechi, sonnolenti, prematuri...), sembra che il generarsi del sorriso a questa et risulti dal modo nuovo di vedere il viso e dall'emergere di nuove capacit di memoria; molti autori ritengono che la paura emerga tra 7 e 9 mesi perch la paura degli estranei, l'angoscia di separazione, la paura dell'altezza e altri stimoli sono subito osservabili a quell'et, ma essa osservabile molto prima anche in risposta ad altri eventi: ci che emerge a 7 mesi pu dunque non essere una nuova emozione, quanto una nuova capacit cognitiva, come l'abilit di prevedere un pericolo futuro anche in assenza di precedenti esperienze di apprendimento con uno stimolo specifico; si ritiene che anche la tristezza sia un altro stato emotivo non osservabile prima dei 6-8 mesi, quando la perdita di un oggetto amato compresa per la prima volta dal neonato, ma recentemente stato dimostrato che la tristezza osservabile gi a 3 mesi e mezzo in condizioni di grave abuso e negligenza parentali). Le modificazioni nell'efficacia delle circostanze scatenanti le emozioni costituiscono quindi un criterio per determinare lo sviluppo. 2 = Lo sviluppo emotivo si verifica anche attraverso le modificazioni delle reazioni individuali di auto-affermazione. Quando il neonato acquista una migliore competenza motoria e cognitiva, si sviluppano nuove capacit di risposta che permettono nuovi modi di reagire ai vecchi stimoli stressanti (ad es.: quando il neonato acquisisce la capacit di camminare carponi, pu controllare ci che accade quando un estraneo entra nella stanza o la madre ne esce; cos un neonato che poteva essere turbato da un estraneo pu non solo evitare la preoccupazione, ma anche mostrare amicizia). Con il continuare dello sviluppo, le reazioni di auto-affermazione divengono sempre pi interiorizzate e i meccanismi di difesa appropriati iniziano a giocare un ruolo nella regolazione delle emozioni. Crescendo, alcune capacit di autoaffermazione possono andar perse, portando a sensazioni di impotenza o depressione. Un'altra importante reazione di auto-affermazione che influenza lo sviluppo emotivo il prestare attenzione ai segnali sociali: quando i neonati ed i bambini si trovano di fronte a circostanze ambigue, essi guardano altre persone importanti per ottenere informazioni emotive che li aiutino a valutare l'evento (e quindi a reagire emotivamente ad esso); questo permette che le emozioni siano socialmente trasmesse, rendendo capaci gli individui di imitare le risposte emotive senza provare direttamente gli effetti negativi o positivi delle circostanze in cui quelle risposte si verificano. 3 = Le espressioni emotive possono cambiare con lo sviluppo (un modo di evolversi delle espressioni emotive , per es., quello di diventare meno "rumorose"). 4 = Gli stati emotivi subiscono trasformazioni evolutive: essi devono differire notevolmente nelle diverse et per ci che riguarda il grado di modificazione della stima, delle reazioni di interazione e degli schemi di espressione che si verificano nel corso dello sviluppo e il grado in cui questi processi influenzano la prevalenza della qualit degli stati emotivi; inoltre, gli stessi stati di sensazione si combinano e si sintetizzano in un modo gerarchico notevole: le emozioni fondamentali si intercoordinano in emozioni emergenti di ordine superiore e le emozioni emergenti si combinano in stati anche pi complessi (il senso di colpa un esempio di emozioni di ordine superiore e richiede vaste capacit rappresentative, pu essere osservato tra i 18 e i 24 mesi di et; anche la depressione e l'ansia sono emozioni complesse, cos come la vergogna, l'invidia e la gelosia). 5 = Le espressioni emotive diventano socializzate: ogni cultura ha mostrato regole che governano la manifestazione dell'espressione delle emozioni. Le emozioni divengono socializzate anche attraverso la selezione di canali appropriati per l'espressione [J. J. Campos, K. S. Caplovitz, R. N. Emde, Emozioni (psicologia dell'et evolutiva), in: R. Harr, R. Lamb, L. Mecacci, Psicologia. Dizionario enciclopedico, Laterza, 1986, pp. 312-315. V. anche: M. Contini, Per una pedagogia delle emozioni, La Nuova Italia, 1992. V. anche: R. Vianello, Psicologia dello sviluppo..., cit.: pp. 215-225].
[BD 325-380; DV 361-403; H 392-423; A. Bianchi, P. Di Giovanni, La ricerca socio-psicopedagogica. Temi, metodi e problemi, Paravia Bruno Mondadori 2000, 27-98; G. B. Vicario, Psicologia generale. I fondamenti, Laterza, 2001, 319-331; Neuroscienze...; Goleman; Borgna; Oatley]

Il S
Modi di definire il S
In realt non sappiamo gran che di noi stessi. Il corpo, i pensieri e le emozioni mutano in continuazione. In capo a otto anni circa nessuno di noi si ritrova pi con una sola cellula di tutte quelle che possedeva in precedenza. E i pensieri mutano ancor pi rapidamente. Cosa succederebbe se io perdessi la memoria? Cesserei di essere me stesso? Alla nostra memoria mancano molti pezzi In genere si comincia, allora, a descrivere se stessi ricorrendo a delle definizionietichette; ma sono pure descrizioni di me, non di espressioni di quei vissuti profondi e sfuggenti che stanno alla base della mia vita. Nonostante tali limiti, i giudizi che le persone danno di se stesse assumono grande importanza 98

nellambito di uno studio del S, in quanto ci dicono in che modo le persone vivono la propria esistenza. proprio questa immagine di s, questo insieme di concetti di s che interessa allo psicologo, dal momento che sono molto profondi gli effetti che tale immagine ha sul comportamento e la salute psicologica di ognuno.
Da che cosa determinato il S?

Da dove nasce limmagine che ognuno ha di s? Nessuno nasce con questa immagine gi costruita: il bambino molto piccolo (che ha una vita mentale fatta verosimilmente di un fiume di percezioni; consapevoli del mondo che li circonda e delle sensazioni che provengono dallinterno del loro corpo) non consapevole di se stesso come soggetto distinto e come unico titolare di tanti vissuti diversi. La presa di coscienza di un io distinto e integrato ha luogo non prima del terzo anno di vita (uno dei motivi per cui tanti bambini, in questo periodo, attraversano una fase particolarmente difficile: arrivati a scoprire di essere soggetti autonomi, avvertono un forte desiderio di cominciare a far valere la propria autonomia).
Limportanza dellapprendimento nella formazione del concetto di S

I bambini molto piccoli sanno s di esistere, ma sanno ben poco della propria esistenza. Sostanzialmente, limmagine che un bambino ha di se stesso unimmagine appresa, ricavata dalle descrizioni fatte di lui da altre persone (uno stesso bambino, allevato in due famiglie molto diverse, finirebbe per avere due immagini di s, una del tutto diversa dallaltra). importante osservare che non basta dire a un bambino che cattivo perch egli diventi buono, e viceversa; i bambini piccoli sono in bala di emozioni molto intense, e il controllo che sono in grado di esercitare sui loro comportamenti ancora molto scarso. Essi, poi, vivono molto intensamente il presente, senza pensare al futuro e alle possibili conseguenze concrete di una determinata condotta. Nel momento in cui iniziano la scuola, i bambini incontrano nuovi adulti dotati dautorit pronti ad affibbiare loro delle etichette. A volte tali etichette (quelle degli insegnanti, per esempio) vanno a rafforzare quelle che sono state loro attribuite in famiglia; in altri casi sono presenti dei contrasti. I bambini che in famiglia sono oppressi da unimmagine di S negativa finiscono per soffrire ancora di pi se questa immagine viene confermata dalla scuola; e quelli che ricevono una determinata immagine di s in famiglia e una completamente diversa a scuola incontrano molte difficolt a decidere chi realmente sono.
possibile conoscere il proprio vero S?

Kant ha detto che la conoscenza di s lorigine di ogni vera conoscenza: e aveva ragione. G. H. Mead (1925) ci propone di immaginare il s come unentit divisa in soggetto e oggetto: io (soggetto) sono consapevole di me (oggetto); lio pura consapevolezza, e il me costituito dalle cose di me stesso di cui sono consapevole [F,225-229].

Carl Rogers
Lattenzione degli psicologi si rivolge essenzialmente al s come oggetto: questo, infatti, laspetto del s che possibile conoscere, esplorare e modificare. La teoria di Rogers piuttosto articolata, ma la parte che qui pi interessa quella relativa ai suoi concetti di organismo, s e congruenza. Lorganismo la persona nella sua totalit, che racchiude tutti i bisogni fondamentali innati, quali i bisogni inerenti alla sopravvivenza, le emozioni e i sentimenti, le sensazioni, i bisogni sociali; tra questi ultimi il pi importante, secondo Rogers, quello che lui stesso definisce bisogno di considerazione positiva. Il bambino nasce appunto con questo bisogno di considerazione positiva da parte di altri (ossia di accettazione e valorizzazione). tale esigenza, afferma Rogers, il fondamentale e pi forte stimolo alla socializzazione del bambino, ed proprio questa esigenza, in definitiva, che lo rende obbediente con i genitori e gli insegnanti; senza una valutazione positiva da parte degli altri, infatti, il bambino non pu sviluppare un atteggiamento positivo di stima nei propri confronti. Se i diversi bisogni dellorganismo trovano appagamento in modo soddisfacente, lindividuo sviluppa un s che in stato di congruenza con lorganismo; in caso contrario si determina un certo grado di incongruenza tra il S e lorganismo, ed proprio tale incongruenza, secondo Rogers, la fonte dei disturbi psicologici. Rogers introduce un altro concetto, quello del s ideale: la nostra immagine del tipo di persona che vorremmo essere. Se vi congruenza tra s e s ideale allora siamo di fronte a una persona equilibrata e integrata; in caso contrario, abbiamo una situazione di squilibrio e di disintegrazione della persona. E dal momento che non sempre possibile che venga a crearsi un rapporto armonico tra organismo, s e s ideale, secondo Rogers si deve ammettere la presenza di un certo grado di incongruenza in tutti noi; ne deriva come conseguenza che uno dei compiti principali della scuola precisamente quello di aiutare i bambini a fare i conti con tale limite. Per il bambino di importanza decisiva imparare che le esigenze del suo organismo possono entrare in conflitto con le esigenze dellorganismo degli altri (si rendono necessari compromessi). Se al fianco dei bambini vi sono adulti equilibrati, che li aiutano a capire che non vi nulla di fondamentalmente sbagliato nel voler soddisfare le esigenze dellorganismo, ma che in un mondo fatto di rapporti sociali occorre nel contempo imparare a rispettare anche le analoghe esigenze degli altri, questo tipo di apprendimento e di socializzazione pu aver luogo senza eccessiva incongruenza. In queste condizioni il bambino gode della possibilit di conoscere e accettare il proprio organismo, e di incanalare le proprie esigenze in forme socialmente approvate; in grado, inoltre, di formarsi unimmagine di s positiva, di persona stimata e capace che possiede una buona conoscenza di se stesso e la padronanza di s. In questo modo si crea anche uno stato di congruenza tra il s e il s ideale, in quanto il bambino sente di non essere lontano dalla persona che vorrebbe essere [F,229-231].

Bruner
Il nostro s si costruisce grazie allinteriorizzazione dei significati culturali e alla condivisione di nuove visioni del mondo negoziate con altri soggetti. Secondo lultimo Bruner (quello della psicologia culturale: dalla seconda met degli anni Ottanta ai nostri giorni), noi raccontiamo e mettiamo in storia i nostri s, nel tentativo di dare senso alla pro99

pria ed altrui realt, cos concorrendo a ricostruire il sistema culturale di riferimento. Ecco le congetture formulate da Bruner circa i processi psicologici che supportano lo sviluppo e lelaborazione del s (attraverso tali elementi processuali lindividuo costruisce il proprio s in base alle condizioni culturali in cui si trova a esistere e a interagire con gli altri): 1. Differenziazione dinamica: progressiva autonomia dagli stimoli contestuali e capacit di produrre azioni intenzionali e progettate; regolazione del controllo dellazione mediante il confronto tra risultati e intenzioni. 2. Metacognizione: processo di ordine pi elevato, inerente alla capacit di raggruppare e classificare azioni e intenzioni, che progredisce con lacquisizione e il consolidamento del linguaggio. 3. Riconoscimento reciproco: possibilit di produrre segni comunicabili che rendano riconoscibili e visibili le intenzioni inerenti alle azioni. 4. Invarianza-continuit: elementi di continuit soggettiva interna ed esterna pur nella variazione e molteplicit delle circostanze casuali e delle versioni assunte dal s. 5. Ingresso nella cultura: connessione tra la natura intenzionale della nostra azione e i canoni culturali di riferimento. Bruner sottolinea la dimensione sociale del s e la circolarit dinamica tra natura del s, costruzione del significato e contesto culturale di riferimento; i nostri atti autobiografici, trasformando la nostra vita in un testo, ci consentono di individuarci personalmente e contemporaneamente ci collocano culturalmente: il s si costruisce come esito complesso di una memoria selettiva, i cui criteri vanno dal recupero di sedimentazioni legate a stati intenzionali, desideri, credenze, alla tendenza al consenso rispetto ad aspettative di comportamento canonico, ordinario di fronte a situazioni comuni, alla differenziazione in rapporto alla diversit di interlocutori, ruoli, situazioni. Prende cos corpo unidea dialogica e drammaturgica del s [v. Vygotskij, Piaget, Bruner cit., pp.303, 309-310, 326-331].

Misurare il s
La tecnica del Q-sorting

Utilizzata da Rogers. Vengono preparate diverse carte, su ciascuna delle quali scritta una frase di autodescrizione; ai bambini viene chiesto di disporre le carte in cinque mazzi separati, da quello contenente le frasi in cui mi riconosco di pi fino al mazzo contenente le frasi in cui mi riconosco di meno. Vi una certa tendenza a piazzare la maggior parte delle carte in un paio di mazzi soltanto, ma possibile contrastare questa tendenza fissando il numero massimo di carte che ciascun mazzo pu contenere (in genere si vuol tendere ad una distribuzione normale). Indicativamente, 25 carte sono la quantit ottimale quando si esegue la prova con alunni delle scuole secondarie, mentre opportuno ridurre il numero delle carte utilizzate quando si effettua la stessa prova con alunni delle scuole elementari. Ci si pu cos fare unidea di come un alunno vede se stesso.
Il differenziale semantico

Metodo ancor pi versatile: su di una scheda intitolata Che tipo di persona sono io, elenchiamo sotto alcune coppie di aggettivi, ciascuno separato dal suo contrario da cinque posizioni (gentile - - - - - cattiva; debole - - - - - forte; intelligente - - - - - poco sveglia; stimata - - - - - non stimata; bruttina - - - - - carina). Ogni soggetto viene invitato a mettere un segno di spunta, allinterno dello spazio che separa un aggettivo dal suo contrario, scegliendo quella posizione che a suo parere meglio rappresenta la distanza della sua immagine di s da ognuno dei due aggettivi di ciascuna coppia. Se poi vogliamo confrontare limmagine di s di un bambino con limmagine che di lui hanno gli altri, possiamo chiedere ai suoi insegnanti e ad altre persone che lo conoscono bene di compilare un modulo analogo pensando a lui... [F,231232].

George Kelly
[v. anche Gli stati della personalit p.84] Lipotesi di partenza che lessere umano sia per natura curioso: desidera comprendere il mondo e dare un senso alla propria esistenza, e nella vita di tutti i giorni procede in modo molto simile a quello dello scienziato (esplora, sperimenta, costruisce ipotesi sulla realt, avanza previsioni sul futuro, elabora strategie e procedure). Kelly definisce costrutti personali ciascuno di questi modi con i quali ognuno si sforza di orientarsi nel mondo. Questi costrutti, che noi tutti possediamo per ogni aspetto della nostra vita, sono essenzialmente i mezzi attraverso cui definiamo e comprendiamo lesistenza, e una volta formatisi influenzano il modo in cui interpretiamo gli avvenimenti futuri. Non esistono due persone che abbiano costrutti identici: appartiene esclusivamente a noi, e inevitabilmente permea le nostre reazioni. Anche i costrutti dei singoli alunni relativi alla scuola e a tutto ci che con essa ha a che fare influiscono profondamente sulla loro riuscita scolastica: essi possiedono costrutti riguardo a tutte le materie del programma, agli insegnanti, alle proprie capacit, agli obiettivi che si prefiggono, alla classe di cui fanno parte e ai compagni di classe. Kelly ha individuato tutta una serie di tipologie di costrutti personali;. Eccone alcune: costrutti generici: vengono utilizzati in maniera generalizzata; costrutti rigidi: hanno unapplicazione specifica, e franano completamente se non sono sorretti da valide prove; costrutti elastici: possono variare a seconda delle circostanze; costrutti chiusi: sono decisamente resistenti al cambiamento; costrutti circoscritti: hanno unapplicazione ben delimitata; costrutti centrali: riferiti al s, sono di vitale importanza al fine di preservare lidentit personale. Naturalmente maggiore la capacit del bambino di formarsi costrutti positivi in merito alla scuola (specialmente quando si tratta di costrutti chiusi o generici), maggiori sono la sua capacit di ottenere buoni risultati nelle attivit scolastiche e la probabilit di trarne soddisfazione. Ma la scuola di solito non si rende conto di come limpegno a inco100

raggiare negli alunni la formazione di costrutti maggiormente positivi costituisca un aspetto metodologico che ha la stessa importanza delleffettiva trasmissione e verifica delle conoscenze inerenti alle materie di insegnamento.
La griglia del repertorio

un metodo che serve a far emergere le somiglianze e le differenze che ogni individuo osserva tra le persone e tra le cose che incontra nella sua vita. Se siamo, ad esempio, interessati a conoscere le caratteristiche del costrutto centrale S in un determinato bambino, possiamo iniziare col chiedergli chi sono nella sua vita le persone pi importanti; man mano che egli le nomina, noi scriviamo il nome di ciascuna persona su una carta diversa, e poi aggiungiamo al mazzo una carta intitolata me stesso. Il passo successivo consiste nel mescolare le carte e nellestrarre poi dal mazzo tre carte a caso: si invita il bambino a guardare il nome scritto sopra le carte e a dire in che cosa una delle tre persone in oggetto differisce dalle altre due. Dopo aver accolto la sua risposta (senza obiezioni), assieme a lui andiamo a vedere tutti gli altri nomi, applicando a ciascuno la distinzione prima rilevata. Fatto questo, rimettiamo queste tre prime carte nel mazzo, mescoliamo ed estraiamo altre tre carte; invitiamo nuovamente il bambino a dirci in che cosa una di queste persone diversa dalle altre due. Come prima, poi, applichiamo la distinzione fatta dal bambino a tutti gli altri nomi, dopodich rimettiamo le tre carte nel mazzo, rimescoliamo, estraiamo altre tre carte e ripetiamo il gioco. Non ha importanza se uscir pi volte la stessa combinazione di tre nomi: continuiamo a porre la stessa domanda fino a quando il bambino ha esaurito la elencazione di tutti gli aspetti per i quali le persone che ha riconosciuto come importanti per lui si somigliano e si differenziano (dopodich inizia a ripetersi). A questo punto conosciamo tutte le somiglianze e le differenze in questione, pertanto conosciamo tutti i modi in cui il bambino percepisce le persone importanti della sua vita e tutti i modi in cui vede se stesso. I risultati ottenuti si possono rappresentare in una griglia (unentrata per i nomi; laltra per gli eventi, le risposte, cio, date dal bambino a proposito degli aspetti da descrivere), e dallosservazione di questa griglia possiamo capire a colpo docchio il modo in cui ogni singolo bambino vede se stesso e le persone per lui pi importanti (o altri aspetti). Thomas e Harri-Augstein (1985) ritengono che le possibilit di questa griglia del repertorio siano praticamente infinite (anche da utilizzarsi su computer).
I costrutti si possono modificare

Kelly afferma che ciascuno di noi percepisce la realt in modo personale, e che questa visione personale essenzialmente una conseguenza dellapprendimento. Pi riusciamo a prendere coscienza dei nostri costrutti, pi si rafforza la nostra capacit sia di scoprire i cambiamenti auspicabili sia di attuarli concretamente. E maggiore la nostra conoscenza dei costrutti degli altri, migliora diviene la nostra capacit di aiutare loro stessi a modificarli. Il s semplicemente un costrutto appreso come tutti gli altri... [F,232-236].

Lautostima Come si forma


Le ricerche di Stanley Coopersmith

Ha studiato un campione di bambini di 10 anni, e ha continuato a seguirli nel loro percorso evolutivo fino allinizio dellet adulta. In base a test psicologici e di autovalutazione, ha suddiviso il suo campione in gruppi: con autostima elevata, media e bassa. I soggetti di autostima elevata sembravano possedere quella che Rogers chiama congruenza: mostravano di possedere una visione positiva e realistica di se stessi e delle proprie capacit, erano sicuri di s, non eccessivamente preoccupati dalle critiche, ed esprimevano soddisfazione nel partecipare alle varie attivit; manifestavano creativit e spirito di iniziativa in tutto quello che facevano, e in generale ottenevano successo sia negli studi sia nei rapporti sociali. I soggetti di autostima media mostravano di possedere molte delle stesse qualit, ma erano pi conformisti, meno sicuri del proprio valore e pi ansiosi di essere accettati dagli altri. I soggetti con un basso livello di autostima venivano invece descritti da Coopersmith come un gruppo di bambini malinconici, isolati, paurosi, riluttanti a unirsi agli altri nelle attivit, insicuri e ipersensibili alle critiche; tendevano regolarmente a sottovalutarsi, a rendere meno dei compagni di classe nelle attivit scolastiche, e passavano buona parte del tempo a rimuginare sui propri problemi personali. I bambini di tutti e tre i gruppi appartenevano a famiglie della classe media; e non vi erano differenze significative, tra i vari soggetti, per nessuna di altre variabili importanti (intelligenza, attraenza fisica...). Lunica differenza sostanziale fra i tre gruppi, invece, riguardava le situazioni di rapporto tra i bambini e i loro genitori: i bambini con spiccata autostima provenivano da ambienti familiari nei quali erano considerati persone importanti e interessanti, e le loro opinioni e i loro punti di vista erano rispettati (godevano, cio, di quella considerazione positiva la cui importanza stata ben evidenziata da Rogers); i genitori di questi bambini possedevano modelli pi elevati e pi coerenti dei genitori dei bambini degli altri due gruppi, e i loro metodi di disciplina erano meno incostanti (escludevano le punizioni corporali, senza tuttavia sconfinare nel permissivismo, per affidarsi invece alle ricompense per i buoni comportamenti e al ritiro dellapprovazione per i cattivi comportamenti). Questi genitori conoscevano molte cose dei figli, manifestavano nei loro confronti un affetto tangibile e facevano capire loro con chiarezza, in tutti i modi possibili, che li consideravano persone importanti; e questi bambini dichiaravano di sentirsi trattati in modo giusto dai loro genitori. Il contrario accadeva presso le famiglie dei bambini con scarso livello di autostima. Le conseguenze di tutto ci sui risultati scolastici di questi bambini erano notevoli.

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Il valore degli alunni agli occhi dellinsegnante

I genitori hanno di solito sui figli uninfluenza maggiore di quanta non ne abbiano gli insegnanti, ma il bambino tende a interiorizzare e a fare propria limmagine che di lui ha linsegnante allo steso modo in cui interiorizza e fa propria limmagine che di lui hanno i genitori.
Altri fattori che influiscono sullautostima

Un limite rintracciabile nelle ricerche di Coopersmith consiste nel fatto di non aver preso in esame linfluenza esercitata sullautostima dalle condizioni socioeconomiche e dal sesso. infatti accertato che i bambini appartenenti a famiglie di classe operaia hanno generalmente un livello di autostima inferiore a famiglie di condizioni socioeconomiche pi elevate: i primi tendono a trovare continue conferme della propria presunta inferiorit nelle condizioni di degrado del loro ambiente, nella scarsit delle strutture di cui possono disporre, nello stato di incuria o di abbandono degli edifici scolastici in cui si recano abitualmente e cos via. Naturalmente genitori e insegnanti possono fare molto per contrastare la ingiustificata sensazione di questi bambini di valere meno dei coetanei di famiglia pi agiata, ma certo non un compito facile. Nei componenti dei gruppi delinquenziali tendono a prevalere bassi livelli di autostima, e spesso gli atteggiamenti da duri e i comportamenti antisociali tipici di chi appartiene a questi gruppi appaiono dettati dal tentativo di migliorare (e difendere) lautostima... In genere i livelli di autostima delle bambine sono inferiori a quelli dei maschi: ci sembra in gran parte dovuto allazione di fattori culturali e alla condizione generale delle donne nella societ (bench possano influire anche la muscolatura pi forte e la maggior altezza che raggiungono i maschi al culmine della crescita) [F,237-241].

Come incoraggiarla
importante anche stimolare tutti gli alunni a sforzarsi di esplicitare la loro immagine di s: come sottoporre ad analisi critica un concetto negativo di se stessi se non si riesce prima a definirlo? Linsegnante farebbe bene ad essere sempre attento a cogliere i momenti nei quali possibile osservare il modo in cui gli alunni stessi vedono i propri successi e insuccessi; spesso i bambini sanno essere molto abili nel celare i propri sentimenti, persino a se stessi. essenziale assegnare sempre a ciascuno compiti proporzionati alle sue reali possibilit, mettere in evidenza i buoni risultati ottenuti anzich continuare a insistere sugli insuccessi, riconsegnare personalmente agli alunni un compito ogni qual volta sia possibile, e con pacate parole di incoraggiamento. importante anche aiutare gli alunni a capire i loro errori e a trarne beneficio, scegliere con cura le parole ogni volta che si intende rivolgere delle critiche a un alunno, e impegnarsi a fare in modo che tali parole di critica riguardino il tipo di lavoro che lalunno ha svolto e non lui in quanto persona; occorre inoltre sottolineare sempre, sia con il proprio comportamento sia con le proprie parole, che ogni alunno, in qualunque circostanza, conserva immutati il rispetto e la stima dellinsegnante [F,241-242].

La valutazione dellautostima
Linsegnante pu notare se gli alunni partecipano o meno alle attivit scolastiche, se sono eccessivamente intimoriti dalle critiche, se manifestano un insolito bisogno di attenzione, se si arrendono di fronte agli insuccessi o se invece accettano la sfida, se posseggono una visione realistica delle proprie capacit e dei traguardi che si prefiggono di raggiungere in futuro, se dimostrano, insomma, di saper riconoscere correttamente il proprio valore e i propri diritti fondamentali di esseri umani. Si possono incoraggiare gli alunni a tradurre in parole i vissuti che hanno di se stessi (usando magari la terza persona, o facendo ricorso a recitazioni [e burattini o altro...]). Bisogna naturalmente evitare di spingere lalunno a rivelare troppi aspetti della propria vita intima di fronte ai compagni; e bisogna pure non voler trarre troppe conclusioni da una cosa che a un alunno capita di dire. Si pu ricorrere al metodo del differenziale semantico, al metodo del Q-sorting, alla griglia del repertorio [v. p.100]. per facile cadere nelleffetto alone [v. appunti di Gatta F. sulla Valutazione], o nel suo opposto, leffetto demonizzazione. Unulteriore fonte di informazioni costituita dallosservazione del rapporto di un alunno con i suoi coetanei: appare fiducioso e sicuro di s? capace di difendere i propri punti di vista, di farsi valere quando necessario, di manifestare spirito diniziativa e di dirigere gli altri? affronta con entusiasmo il lavoro di gruppo? lo ascoltano i compagni quando parla? ottiene laiuto dei compagni in caso di bisogno? o i compagni tendono invece a canzonarlo, ad ingannarlo, ad ignorarlo? che posizione occupa agli occhi degli altri? Molto spesso coloro che vengono sottovalutati dai coetanei si sottovalutano a loro volta; queste due forme di sottovalutazione si influenzano e si alimentano a vicenda [v. leffetto Pigmalione: appunti sulla Valutazione di Gatta F.]. necessario stare attenti a quei bambini che sono esageratamente aggressivi nei rapporti con gli altri, o che in generale si rendono insopportabili: spesso i tentativi messi in atto da questi bambini per ottenere la supremazia, o per far colpo sugli altri, deriva dal loro bisogno di migliorare lautostima. Ogni qual volta un alunno manifesti il desiderio, sproporzionato alle reali necessit di quel dato momento, di imporsi ad ogni costo allattenzione degli altri, linsegnante pu supporre di trovarsi di fronte a un problema avente a che fare con la stima di s [F,242-244].

La maturit personale
La visione che un individuo ha di s subisce continue modificazioni, soprattutto nellet evolutiva. Possiamo pensare ai cambiamenti come a dei passi compiuti in direzione della maturit personale: cio verso un concetto di S insieme realistico e improntato allaccettazione di se stessi, e contenente una valutazione del S complessivamente in sintonia con la valutazione espressa dagli altri. Esistono svariate teorie psicologiche in proposito, ma una delle pi utili per linsegnante quella formulata da Erik Erikson (1959): egli sostiene che ognuno, per tutto larco della propria vita, deve affrontare diversi compiti di apprendimento, ciascuno dei quali deve essere risolto e portato a termine in modo sod102

disfacente prima di passare ad affrontare il successivo. Se quando si affronta uno di questi compiti lesito linsuccesso, levoluzione successiva viene compromessa, sicch, per poter raggiungere la piena maturit, prima o poi ci si trover a dover tornare indietro per risolvere quello che non si risolto a suo tempo [v. anche Lo sviluppo in generale: p.32; in partic. Lo sviluppo affettivo: p.42].

Gli otto stadi di Erikson


1. Prima infanzia = Fiducia/sfiducia (Freud: Stadio orale, 018 mesi): il bambino piccolo ha bisogno di imparare che pu fidarsi degli altri, e che pu contare su di loro per il soddisfacimento dei suoi bisogni fisici ed emotivi; tale fiducia costituisce per lui una solida base che gli consente di muoversi alla scoperta del mondo con una buona sicurezza di s. Importante linfluenza della madre; necessarie interazioni calde e amorevoli. 2. Tarda infanzia = Autonomia/dubbio e vergogna (Freud: Stadio anale, 18 mesi2-3 anni): le crescenti capacit fisiche e psicologiche consentono una prima forma di indipendenza dagli altri; via via che cresce, il bambino avverte lesigenza di una progressiva libert di esprimere i propri desideri e di compiere scelte autonome. Se gli capita di avere a che fare con adulti che in questa ricerca di autonomia non vedono nullaltro che testardaggine e trasformano tutto in uno scontro di volont diverse o in una prova di forza, il bambino finisce per sentirsi confuso e pieno di dubbi su di s, e pu persino arrivare a vergognarsi del suo stesso desiderio di conquistare una maggiore indipendenza. Anche la fase negativa dei tre anni segno salutare degli inizi dellautonomia, e deve essere accolta con comprensione, sensibilit e paziente fermezza: il bambino impara cos che la sua autonomia ben accetta, e insieme si rende conto che esistono limiti ragionevoli che deve rispettare. Importanti il sostegno dei genitori, limitazione. 3. Prima fanciullezza = Iniziativa/senso di colpa (Freud: Stadio fallico, 2-36 anni): lo spirito di iniziativa aggiunge allautonomia la pi specifica qualit dellintraprendere: il bambino ora in grado di prendere delle iniziative e di intraprendere determinate attivit ogni volta che sente di esserne capace, e se ne assume la responsabilit. Se gli adulti contrastano e ostacolano le iniziative del bambino facendogli sentire per qualche verso inaccettabile questa sua aspirazione, il bambino finisce per ritrovarsi con sentimenti di colpa e di dubbio su se stesso, e con la sensazione che in questi suoi desideri e aspirazioni ci sia qualcosa di seriamente sbagliato. Importanti il sostegno dei genitori, lidentificazione. 4. Media fanciullezza = Industriosit/inferiorit (Freud: Stadio di latenza, 6-11 anni): il bambino deve imparare a fare le cose con cura e a sviluppare le capacit necessarie per risolvere i problemi immediati; se non vi riesce, compaiono allora sentimenti di inferiorit e di scarsa autostima. Importanti di scuola e insegnanti, lapprendimento e leducazione, lincoraggiamento. 5. Adolescenza = Identit/diffusione didentit (Freud: Stadio genitale, 11 anni ed oltre): stadio caratterizzato dalla ricerca di identit. Importanti i coetanei e i modelli di ruolo, le pressioni sociali. 6. Inizio et adulta = Intimit/isolamento (Freud: Stadio genitale, prima et adulta): ricerca di un legame profondo con unaltra persona o con altre persone. Importanti coniuge, colleghi, partner, societ. 7. Fase intermedia dellet adulta = Generativit/egocentrismo (Freud: Stadio genitale, et adulta): aspirazione a svolgere ruoli creativi e appaganti. Importanti coniuge, figli, amici, colleghi, comunit. 8. Tarda et adulta = Integrit/disperazione (Freud: Stadio genitale, terza et): conquista dellaccettazione di s: discende dal rendersi conto di aver fatto del proprio meglio nel corso della propria vita e di aver sfruttato il pi possibile le occasioni e le opportunit che via via si sono presentate. Importanti amici, parenti, figli, coniuge, comunit, sostegno religioso. Erikson non preciso circa le et in cui sono collocabili gli stadi della maturit personale, e riconosce lesistenza di ampie differenze tra gli individui [F,244-247; L,59-61].

La maturit personale e la scuola


Il lavoro di psicologi come Erikson, Rogers e Maslow ci offre un quadro di ci che nel complesso caratterizza una persona matura: essa possiede un insieme di qualit che la rende un essere umano equilibrato e capace, consapevole del proprio valore, che sa mettersi nei panni degli altri ed essere franco e cordiale nei rapporti con loro, anzich usarli per il proprio tornaconto o come strumenti di compensazione delle proprie inadeguatezze. In molti casi il compito dellinsegnante quello di incoraggiare le qualit che sono gi presenti negli alunni piuttosto che tentare di crearne di nuove da zero: se si vuole che i bambini manifestino la loro maturit e agiscano responsabilmente verso se stessi e verso gli altri, necessario offrire loro il giusto tipo di opportunit.
Una definizione della personalit matura

Secondo Gordon Allport, lindividuo, a mano a mano che percorre i vari stadi dello sviluppo della personalit in direzione della maturit, diventa una persona progressivamente pi integrata e coerente. I bambini, infatti, ai primi stadi di questo percorso evolutivo, posseggono un certo numero di tratti della personalit piuttosto diversi tra loro che magari mettono in gioco in modi contraddittori nei rapporti con gli altri; con progredire dellet questi tratti della personalit si riuniscono formando quelli che Allport chiama i S, che in una fase successiva si integrano in ununica personalit. Nel modello di Allport, un segno indicante che non si ancora raggiunta la maturit personale il fatto che una persona si comporti in modi contraddittori, che cambi comportamento, in altre parole, a seconda delle circostanze. La persona matura, oltre a distinguersi per questa linea di condotta unitaria e coerente nelle diverse situazioni della vita, possiede anche, secondo Allport (1961), le seguenti caratteristiche: una coscienza di s non angusta (capacit di immedesimarsi nelle preoccupazioni e nelle difficolt degli altri come nelle proprie, nonch di offrire comprensione e solidariet): 103

capacit di altruismo e di calore affettivo; sicurezza emotiva; conoscenza di s (capacit di osservare, valutare e giudicare se stessi in modo realistico); un atteggiamento realistico verso il mondo (capacit di formulare giudizi equilibrati e di prendere le decisioni necessarie); una filosofia di vita unitaria (visione armonica e coerente del senso della vita, che aiuta a risolvere i problemi inerenti ai valori e a definire le mete della propria vita). Non si deve dimenticare linfluenza che pu esercitare il temperamento sul percorso evolutivo individuale nella conquista della maturit; ma in complesso molte delle qualit sopra descritte sembrano dipendere in gran parte dallapprendimento. Allport, beninteso, non ci dice che dobbiamo aspettare di essere adulti per possedere una delle qualit che caratterizzano la maturit personale; queste qualit possono anche formarsi in tempi diversi e in gradi differenti [F,247-250].

Lidentit personale
Lidentit personale (che ha a che fare con uno stadio di sviluppo associato soprattutto alladolescenza) , fondamentalmente, la somma totale delle idee che ciascuno ha di s; in questo senso si pu anche dire che un abbozzo di sentimento di identit personale presente gi nella prima infanzia, oltre che in tutti quegli stadi precedenti ladolescenza nei quali ci si trova ad affrontare i compiti descritti da Erikson. Tuttavia, quando parliamo di identit personale intendiamo pi precisamente unidentit nella quale le suddette diverse idee di S siano giunte a fondersi in una forma armonica e coerente in modo da offrire allindividuo unimmagine ragionevolmente completa del tipo di persona che sta diventando, e questo tipo di coerenza (stabile ma non immobile) inizia ad emergere, in genere, non prima delladolescenza. Nel periodo delladolescenza la ricerca dellidentit personale spesso accompagnata da molta sperimentazione (varie forme di comportamento). Per aiutarsi i questo processo, spesso ladolescente si ispira a delle figure che adotta come modelli di comportamento, il cui stile di vita e i cui valori ritiene degni di imitazione; poich spesso lidentit si esprime attraverso il gruppo di persone di cui fa parte, diventa molto importante anche il gruppo dei coetanei, al punto che ladolescente pu arrivare a cambiare il proprio comportamento pur di essere accettato dal suo gruppo (e pu anche adottare comportamenti che considera sessualmente attraenti).
Imparare ad essere adulti

Nella nostra complessa societ industrializzata manteniamo i giovani in un ruolo subalterno per molto tempo dopo che hanno raggiunto la maturit fisica, e lo facciamo perch ci sembra che siano tantissime le cose da imparare; in questo modo, per, imponiamo spesso degli sforzi eccessivi ai giovani. Inoltre, nonostante la loro maturit fisica, le loro intense pulsioni sessuali e altri cambiamenti emotivi, gli adolescenti si vedono in realt offrire ben scarso aiuto ai fini della comprensione di che cosa significhi essere adulti. Nelle societ meno complesse delle nostre i bambini apprendono lavorando a fianco dei genitori, e via via che crescono prendono coscienza di cosa vuol dire essere adulti e di quali sono i diritti e le responsabilit che la condizione di adulto comporta. A un certo punto, nel corso del periodo puberale, viene loro conferito lo statuto di adulti, spesso nel contesto di un preciso rito di iniziazione, e da quel momento in poi essi vengono riconosciuti membri della comunit a pieno titolo. C chi ha avanzato la tesi secondo cui quella che nelle societ industriali avanzate chiamiamo adolescenza sarebbe essenzialmente un fenomeno culturale, e a creare ladolescente ribelle non sarebbero affatto lo scatto di crescita adolescenziale e i cambiamenti fisiologici che laccompagnano, bens la societ stessa con i metodi artificiali che adotta nel rapportarsi ai giovani. Secondo Erikson, la conseguenza della mancata formazione dellidentit la confusione dei ruoli: non vi una chiara idea del tipo di persona che si n del proprio ruolo nella vita. In persone di questo tipo si possono osservare i diversi S menzionati da Allport, o la scarsa autostima e linsicurezza dei soggetti studiati da Coopersmith, o il senso di incertezza, i dubbi su se stessi e le continue auto-accuse che caratterizzano certe forme di condotta nevrotica. Ma secondo Erikson non detto che nella vita di una persona questi aspetti siano destinati inevitabilmente a tradursi in altrettanti insuccessi [F,250251,253].

Sapere ed essere
In tutti i gradi di scuola possiamo riconoscere due sfere principali reciprocamente legate: sfera del sapere e sfera dellessere: la prima riguarda dati, fatti, tecniche, strategie e modelli di pensiero che entrano in gioco nellapprendimento del complesso delle conoscenze relative alle diverse materie di studio (si indaga con gli esami), mentre la seconda riguarda il tipo di vissuto che ciascuno ha della propria vita ( la sfera dei sentimenti, ed innanzitutto qui che si pu conquistare il benessere psicologico). Entrambe le sfere sono importanti, ma listruzione formale si occupa quasi soltanto della sfera del sapere: che deve nutrire lessere per poter avere realmente valore per lindividuo [F,253-254].

Le problematiche adolescenziali
Sul piano cognitivo ladolescente ha in genere raggiunto lo stadio delle operazioni formali [v. lo sviluppo in generale: p.32]; di conseguenza, molti dei concetti inerenti alla religione, alla politica e ai rapporti sociali iniziano ad assumere per il giovane significati pi profondi e pi complessi, e spesso accade che ladolescente metta in discussione i comportamenti e le scelte della generazione degli adulti in ordine a queste sfere cos importanti. Ladolescenza viene spes104

so descritta come un periodo di idealismo: che pu anche riflettersi nel tipo di obiettivi che a un certo punto ladolescente sceglie di darsi per la sua vita. Ne consegue spesso una caduta di comprensione tra ladulto e ladolescente, che si rende evidente anche tutte quelle volte in cui ci dimostriamo incapaci di renderci conto che esso, al di l della grande fiducia in se stesso che magari ostenta, in realt spesso in balia dellinsicurezza. Fino a quando nel pieno della sua ricerca di identit, ladolescente non ha mai la sicurezza che nel mondo degli adulti la persona che sta diventando sar accettata e sapr dimostrarsi capace. Bench ladolescente possa dare limpressione che ai suoi occhi genitori e insegnanti ormai non contino pi, nondimeno il loro sostegno e la loro buona opinione continuano ad avere per lui grande importanza [F,251-252].

Il periodo della preadolescenza


Inizia allincirca verso la seconda media, occupa gli altri due anni della scuola media e si estende anche al primo anno della scuola superiore. Durante tale periodo si presentano, quasi tutti insieme, molti problemi personali che investono il ragazzo provocando in lui disorientamento e talvolta anche un vero e proprio sconvolgimento, per il senso che prova di non essere in grado di fronteggiarli, di esserne travolto.

Il periodo successivo, delladolescenza vera e propria


Vede il presentarsi di nuovi e rilevanti problemi (ad esempio, quelli delle scelte di vita), ed caratterizzato da una crescente capacit di far fronte ai problemi personali, di riflettere su di essi, e quindi di un atteggiamento generalmente pi costruttivo.

La crescita fisica
Laccelerazione dello sviluppo fisico una prima novit: si verificano ora, in breve tempo, modificazioni ben visibili nellaltezza, nel peso, nelle proporzioni fra le sue varie parti. Ci determina una temporanea rottura dei coordinamenti [v. anche la muta della voce], e una sorta di impigrimento a livello mentale (Claparde parlava di principio dellalternanza: quando il corpo cresce rapidamente la mente sembra addormentarsi, e viceversa). Un corpo in rapida trasformazione richiama su di s lattenzione del ragazzo, che comincia a confrontarsi con gli altri, a viversi come diverso da loro, come fuori dalla norma; comincia ad osservarsi di pi allo specchio, scoprendo una quantit di particolari che non gli piacciono, che lo fanno soffrire.

La maturazione puberale
Pi graduale nei maschi, pi improvvisa nelle ragazze, in quanto caratterizzata dallapparire del flusso mestruale. Ne deriva, per queste ultime, oltre a una temporanea situazione di nervosismo e di maggiore affaticabilit (sindrome premestruale), una serie di preoccupazioni per un fenomeno che, nella perdurante assenza di ogni forma sistematica di informazione sessuale, presenta lati oscuri, preoccupanti (con ansia, e certa resistenza ad apparire in pubblico). Nei ragazzi pu essere presente la preoccupazione che lingrossamento dei genitali appaia sotto gli abiti attillati, soprattutto in caso di erezione. Situazioni di ansia sono poi causate, negli uni e nelle altre, da un ritardo rispetto ai coetanei nella maturazione puberale (spesso vissuto come segno di inadeguatezza).

Il ritorno della pulsione sessuale


Dopo il lungo periodo di latenza, si manifesta come sessualit etero-centrata, e hanno luogo i primi innamoramenti le cotte). Si manifesta tuttavia anche come sessualit auto-centrata: la masturbazione, fenomeno assai generale, che riguarda in misura maggiore i ragazzi (spesso generatrice di sensi di colpa).

I rapporti con i genitori


Col riapparire della sessualit, riemerge anche il complesso di Edipo, che ladolescente vive ora come una cosa sgradevole, come una minaccia per lIo a causa della sua connotazione incestuosa. Uno dei compiti delladolescenza allora il definitivo superamento di questo complesso, col trasferimento degli investimenti emotivi di carattere erotico su persone diverse da quelle dei genitori, e con una temporanea svalutazione delle figure dei genitori, con i contrasti e i sensi di colpa che ci comporta, e che si attenueranno verso il termine delladolescenza quando generalmente ha luogo un riavvicinamento ai genitori, una loro rivalutazione.

I rapporti con gli insegnanti


Si determinano situazioni di conflitto quando gli insegnanti non sono disposti ad accettare discussioni alla pari, tendono a non dare peso alle opinioni personali degli allievi, a non riconoscere n il loro bisogno di autonomia, n il rilievo che possono avere certe esperienze culturali intraprese da questi ultimi al di fuori dei programmi scolastici. Un problema in pi quello dellimpiego dellenergia in larga misura in direzioni diverse da quella del lavoro scolastico (generale caduta dellimpegno nello studio, con conseguenti ansie relative ad insuccessi, brutti voti, bocciature). Gli insegnanti si vedono costretti a trovare metodi efficaci per richiamare nella direzione delle attivit scolastiche lenergia: la via maestra quella di fare in modo che le varie aree dei problemi personali, dei bisogni di crescita pi profondi ed essenziali, ove affluisce in continuit energia, vengano direttamente o indirettamente posti in comunicazione con le attivit di apprendimento che la scuola propone. Gi il dare un ampio spazio, nella trattazione di un certo argomento, a una discussione di gruppo alla pari viene incontro a un bisogno personale profondo. Inoltre, vi sono molti contenuti

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dei programmi che, a unattenta analisi, presentano rapporti diretti o indiretti con le problematiche adolescenziali, rapporti che devono essere evidenziati.

Il gruppo dei coetanei


Ulteriore elemento di novit il ruolo di punto di riferimento essenziale che assume a questa et il gruppo dei coetanei [v. anche p.107]: il gruppo soddisfa molti bisogni.
I gruppi omogenei della preadolescenza

La banda dei ragazzi, il club delle ragazze, rassicurano, in una situazione di conflitto con gli adulti; vi poi il bisogno di discutere in condizioni di reale parit, e di compiere esperienze di luoghi e situazioni nuove (essere in tanti facilita ci).
I gruppi misti delladolescenza

Le compagnie forniscono, oltre a quanto visto sopra, una risposta al bisogno di conoscere e di interagire concretamente con coetanei dellaltro sesso, e la possibilit di sperimentare le proprie capacit sociali e di conoscere meglio se stessi. Tuttavia la vita allinterno del gruppo suscita anche problemi, ansie, preoccupazioni: gelosie, incompatibilit di carattere, il sentirsi rifiutati da alcuni membri del gruppo, lansia di non saper assolvere a certe funzioni o di fare brutta figura nei confronti di coetanei dellaltro sesso, i genitori che disapprovano o ostacolano [Pe,158-166].

Gruppi, comportamento sociale e abilit sociali


Linsegnamento e lapprendimento si realizzano in buona parte attraverso le interazioni sociali. Sotto la spinta di diverse forze (attrattivo-repulsive, gerarchiche, disgregatrici...), la classe acquisisce gradualmente una propria personalit sociale che la rende nettamente diversa da tutte le altre classi analoghe [F,259-260].

Il comportamento sociale e le abilit sociali


Sembra che la maggior parte di noi non sia in grado di analizzare le esperienze sociali e di migliorare le proprie abilit sociali; n sembra che listruzione formale, per altro, faccia granch per insegnarci queste capacit.

Le interazioni diadiche
Due persone comunicano tra di loro parlando e ascoltando, ma anche attraverso segnali non verbali, intenzionali e spontanei. Questi segnali non verbali, che nel loro insieme sono chiamati sincronismo comunicativo, contribuiscono in modo rilevante alla trasmissione del senso dei messaggi che vengono scambiati in qualsiasi interazione diadica. Questo sincronismo comunicativo esprime il fatto che la persona con cui stiamo parlando ci ascolta e risponde, offrendoci indizi su quanto sta accadendo nella sua mente. Pare sia una caratteristica innata dellessere umano: i bambini iniziano fin dalle prime settimane di vita a muovere i muscoli (prima i grandi muscoli di braccia e gambe, ben presto anche i muscoli facciali) in risposta ai messaggi sonori che gli adulti inviano loro. Molte persone, quando si incontrano per la prima volta, si sentono insicure: ansiose di fare buona impressione, e desiderose di farsi unidea complessiva della persona che hanno di fronte. Possiamo presumere che nella fase iniziale della conoscenza di unaltra persona gli introversi siano pi attenti a se stessi, e che gli estroversi siano invece pi attenti allaltro. Probabilmente gli introversi nevrotici sono quelli che provano maggiore disagio e hanno lattenzione per lo pi rivolta al proprio comportamento, mentre gli estroversi stabili sono in genere pi proiettati verso il comportamento dellaltro [v. anche pp.72 e 81]. Gli psicologi sociali hanno segnalato come nelle interazioni diadiche si riscontrino varianti di comportamento che dipendono da fattori come let, il sesso e la condizione sociale dei soggetti dellinterazione. Spesso nei rapporti sociali il significato preciso delle singole parole assume unimportanza minore dellinterpretazione che ne diamo: pi importante il tipo di rapporto che esiste fra le persone in questione. Linterazione sociale in gran parte un processo di contrattazione; in ogni momento la risposta di ciascuno viene influenzata da ci che laltro ha appena detto. In nessun altro luogo questo vale come a scuola [F,261-264].
Linterazione sociale nel rapporto tra insegnante e alunno

Le persone socialmente inadeguate, specialmente i bambini, sono pessimi conversatori. Grazie allanalisi delle interazioni diadiche che hanno luogo in classe, linsegnante pu scoprire in quali modi pu aiutare gli alunni ad ampliare e a migliorare le loro interazioni verbali con gli altri (per es. ricorrendo alla mossa proattiva nella conversazione, e proseguendo, dopo la risposta alla domanda di un alunno, rivolgendogli a sua volta una domanda) [F,264].

La posizione sociale
Le persone fanno valere la propria posizione sociale anche attraverso il modo di parlare (ad es. con la pacca sulla spalla e chiamando per cognome: esclusive del superiore verso linferiore). Strategie, queste, utilizzate spesso anche a scuola. Interessanti anche le strategie adottate per salvaguardare e far valere la propria posizione da parte di coloro che nellambiente di lavoro sono circondati da colleghi che occupano una posizione elevata (come ad es. custodi e simili, a volte deliberatamente scortesi nei rapporti con i colleghi, rivendicando il diritto di imporre loro stupide restrizioni nelluso delle strutture di cui sono responsabili, per dimostrare cos il loro grado di potere ed il prestigio che si possiede pur essendo di bassa posizione sociale; o lanziano che accentua la disparit con il nuovo arrivato mediante comportamenti volutamente bruschi e sbrigativi). Le cose si complicano quando due soggetti che occupano unidentica po106

sizione cercano entrambi di affermare la propria superiorit sullaltro. Ma chi possiede unautentica accettazione e stima di s non ha alcun bisogno di ricorrere a chiss quali strategie per far colpo sugli altri o per innalzare se stesso a scapito del prossimo [F,265-267].
La posizione sociale e la scuola

La questione della posizione sociale presente in tutte le istituzioni sociali, specialmente nelle istituzioni a struttura gerarchica, scuola compresa. Ma: a) il rispetto che ci si guadagna con il proprio comportamento ha ben pi valore del rispetto imposto unicamente in virt della carica che si ricopre; b) deplorevole che gli alunni siano automaticamente relegati nel punto pi basso della gerarchia scolastica (la scuola al servizio degli alunni). Linsegnante che si arrocchi su una posizione di superiorit e di difesa della propria autorit fornisce a molti alunni proprio quelloccasione di sfida di cui questi sono alla ricerca.
Quando linsegnante fa pesare la propria autorit in modo ingiustificato

utile che ogni insegnante impari a riconoscere le piccole strategie che ha eventualmente elaborato per far valere la propria autorit senza reali necessit (attenzione a: ignorare una legittima richiesta di attenzione o di informazione, dare per scontato che essi debbano sopportare scomodit e disagi che nessun adulto tollererebbe, trattare con disprezzo un oggetto personale di qualcuno, interrompere gli alunni senza alcuna necessit prima che abbiano finito di parlare, rifiutarsi di ascoltare lesposizione motivata delle loro ragioni e giustificazioni, abbandonarsi a commenti sgarbati sui loro compiti, rivolgere agli alunni appellativi ed espressioni offensive, fare del sarcasmo, dimostrarsi scortesi, privi di tatto, di sensibilit e di comprensione). Come i singoli insegnanti, utile che anche ogni scuola esamini con attenzione le sue concrete modalit di funzionamento [F,267-269].

Il conformismo sociale
[V. anche La teoria cognitiva sociale di Bandura p.53] Gli insegnanti si attendono dagli alunni un certo grado di conformismo; che pu essere di tipo formale (accettazione di regolamenti) o informale (adesione a valori non scritti), senza del quale sarebbe impossibile far funzionare le scuole. Anche gli insegnanti devono conformarsi [F,269-270].
Il non conformismo

Studiato da esperimenti quale quello di Asch (1955) e Milgram (1974) [F,270-272].


Il gruppo dei coetanei

Fin dallet in cui frequentano la scuola elementare, ma soprattutto nel periodo delladolescenza, i ragazzi sono molto influenzati da quello che fanno i coetanei. Lesigenza di essere accettati e di sentirsi parte di un gruppo molto forte, e spesso il gruppo mette in atto dei comportamenti tipici a cui ogni membro deve uniformarsi in quanto costituiscono una sorta di distintivo dellappartenenza al gruppo. Le pressioni esercitate dal gruppo dei coetanei sono talmente forti che ciascun membro se ne lascia condizionare, nelle sue concrete scelte di comportamento, persino nei casi in cui le sue inclinazioni personali sono in netto contrasto con quelle del gruppo. Coloro che prendono posizione contro le pressioni esercitate dal gruppo e si rifiutano di adeguarvisi quando si trovano in disaccordo sono in genere persone che possiedono indipendenza di pensiero, sicurezza di s ed elevata autostima; e viceversa, con in pi un atteggiamento rigido e piuttosto intollerante. Ci sono per diversi casi (ad es. quando il gruppo composto da adulti responsabili e tolleranti), in cui non si corrono rischi a opporsi alle decisioni del gruppo; in questi casi, pertanto, spesso chi lo fa dimostra in realt, con il suo comportamento, di essere alla ricerca di attenzione [F,272-273].
La scuola e il conformismo

La scuola ha importanti responsabilit per quanto riguarda il conformismo. Il miglior sistema di insegnamento quello che mette in grado ciascuno di riconoscere sia il valore del conformismo sia il valore del non conformismo, e di saper capire quando si rende opportuno il primo e non il secondo, o viceversa [F,273].

La lezione come interazione sociale


La lezione pu essere intesa come una serie di scambi sociali che hanno luogo tra linsegnante e la classe: 1. I saluti: primo contatto; riconoscimento della reciproca presenza, interazione sociale (alcune ricerche dimostrano che latto del saluto ha un ruolo di grande importanza nel determinare la qualit del rapporto che si stabilisce in seguito). 2. Si stabilisce un rapporto: linsegnante si rivolge alla classe, riferisce ci che da loro si aspetta, ascolta (fase tanto pi breve quanto pi linsegnante conosce e comprende gli alunni e quanto pi a sua volta accettato dalla classe); durante questa fase i soggetti che prendono parte allinterazione si formano unopinione luno dellaltro, fanno deduzioni sulle reciproche intenzioni e cos via. 3. Si affronta il compito della lezione: la classe si concentra sul proprio lavoro; interazioni tra insegnante e alunni. 4. Si pone termine al rapporto: linsegnante richiama nuovamente su di s lattenzione, esprime valutazioni, assegna altri compiti. 5. Congedo: reciproco. Ogni fase influenza la successiva. Questo ciclo completo di scambi incide poi a sua volta sulla percezione che linsegnante e la classe hanno luno dellaltra durante lintervallo che segue la lezione; questa percezione influenzer le reciproche modalit di saluto allinizio della lezione successiva, modalit che a loro volta influenzano inevitabilmente il ciclo successivo Nel corso di questa sequenza, linsegnante e la classe danno vita a una serie di interazioni sociali di vario tipo: Lo sguardo (durante la lezione linsegnante e gli alunni dedicano gran parte del tempo a osservarsi e a valutare le reciproche reazioni, controllando e regolando cos buona parte del loro rapporto); la gestualit; prossemica 107

e movimenti dellinsegnante nellaula (osservandoli, gli alunni raccolgono grande quantit di informazioni sul suo conto, informazioni che influenzano il comportamento degli stessi alunni, il quale a sua volta manda segnali verbali e non verbali che linsegnante pu captare); stile di abbigliamento, di acconciatura; quantit di libri, documenti e altri materiali che linsegnante porta con s; persino una cravatta nuova, la giacca, la camicia o le scarpe preferite sono spesso oggetto di una particolare attenzione da parte della classe [v. anche Il lavoro in classe, disp. di Gatta F.; F,273-274, 276-277].
La consapevolezza delle interazioni sociali nellinsegnante

Il buon insegnante solitamente consapevole di tutte queste sottigliezze delle interazioni sociali, e quindi in grado di comunicare inviando i corretti segnali sociali (segnali di cordialit e accoglienza, ma anche segnali indicatori di un certo grado di coesione sociale). Per il ruolo stesso che ricopre, linsegnante non si confonde mai con il gruppo sociale costituito dalla classe, ma se vuole ottenere dei risultati dal suo lavoro, questa separazione non deve essere troppo netta. Sottolineando in ogni istante attraverso linguaggio, abbigliamento e modo di fare estranei al contesto sociale degli alunni la sua distanza sociale dalla classe, pu persino dare limpressione che stia esprimendo un preciso giudizio sugli alunni; ma lo stesso risultato negativo ottiene anche linsegnante che punti a inserirsi in modo attivo nella vita sociale del gruppoclasse con atteggiamenti deliberatamente seduttivi, scimmiottando il linguaggio, lo stile e le abitudini dei suoi alunni, cercando di colmare la distanza tra insegnante e alunni dovuta allet o allambiente di provenienza (i ragazzi si aspettano che gli insegnanti abbiano una personalit propria, che dimostrino di avere qualcosa di proprio da offrire loro, che siano sicuri di quello che fanno e dei propri valori) [F,275-276].
La natura della comunicazione

La comunicazione pu essere: egocentrica = rivolta a se stessi; rivolta agli altri = pu consistere di varie categorie, tra cui gli ordini, le domande [v. le tecniche per fare domande: appunti di Gatta F.], la presentazione di nozioni, luso di un linguaggio informale, la manifestazione di emozioni, gli enunciati performativi, i convenevoli, i messaggi latenti [v. anche i tipi di parlato dellinsegnante: ib.]. Interrogativi che linsegnante dovrebbe porsi: 1. I miei scambi sociali con la classe assumono pi spesso la forma di ordini e di presentazione di nozioni anzich di domande? 1.1. Se cos, significa che troppo spesso mi comporto con gli alunni in modo direttivo anzich stimolarli a riflettere, a svolgere delle analisi e a giungere a delle deduzioni? 2. Utilizzo un linguaggio informale in modo da favorire unatmosfera pi rilassata e cordiale? 2.1. Se non lo faccio, non sto forse creando inutili barriere tra me stesso e i miei alunni, magari con lunico risultato di inibire le loro richieste di aiuto e di guida? 3. O viceversa, non sto esagerando nelluso del linguaggio informale, inducendo i miei alunni a non riconoscere pi il mio ruolo di autorit qualora io volessi riaffermarlo? 4. Incoraggio la libera espressione delle emozioni quando pu essere utile ai miei alunni e giovare al loro apprendimento? 4.1. Ho la tendenza a liquidare le emozioni dei miei alunni giudicandole inopportune? 5. Comunico spesso ai miei alunni messaggi latenti, magari soprattutto messaggi di tipo negativo? [F,277-278].
Lanalisi delle interazioni

Linsegnante potr avvalersi di uno dei tanti sistemi attualmente disponibili di codificazione e classificazione delle interazioni che hanno luogo in classe (normalmente sono impiegati da un osservatore, che siede in fondo alla classe e osserva attentamente ci che succede ogni qual volta linsegnante comunica con la classe o con i singoli alunni). Il pi noto di questi sistemi quello di Flanders (1970) (v. pi sotto), che prevede che losservatore individui gli interventi verbali che hanno luogo in classe, e che ogni tre secondi li codifichi siglandoli con il numero della categoria in cui ciascun intervento rientra. Attualmente esistono pi di 100 sistemi a basso contenuto di inferenze (che consentono, cio, di registrare soltanto quello che avvenuto): vanno bene per scopi come la registrazione della durata temporale (in percentuale) degli interventi verbali. Altri sistemi sono ad alto contenuto di inferenze o di giudizi (permettono di registrare la propria opinione): vanno bene per sapere, per es., se linsegnante si comporta con i maschi in modo diverso che con le femmine, o se utilizza segnali non verbali. Alcuni sistemi, inoltre, consentono di annotare le caratteristiche dellalunno con il quale linsegnante interagisce. Ancora, altri sistemi permettono di isolare un particolare aspetto, prendendo in esame una certa domanda posta, il modo in cui viene espressa e la persona a cui la domanda si rivolge: vanno bene se si desidera analizzare una specifica abilit dellinsegnante. Infine, con la videoregistrazione di un esempio specifico di interazioni, fatta visionare allinsegnante e allalunno separatamente, chiedendo al primo che cosa si aspettava dallalunno e se ritiene che la risposta data da questultimo sia corretta e soddisfacente, e invitando il secondo a fornire la sua personale versione dei fatti, si pu appurare che cosa linsegnante si aspettava da una singola interazione con un dato alunno e che cosa pensava lalunno che linsegnate si aspettasse da lui. Di fronte ai risultati dellinterazione, linsegnante sar spesso sorpreso nel constatare quanto tempo ha dedicato a far lezione (parlare alla classe), quanto di rado ha lodato o incoraggiato gli alunni, o quanto spesso i ragazzi hanno dovuto chiedergli spiegazioni in merito ad aspetti che avrebbero dovuto essere chiariti gi allinizio della lezione. Esiste tutta una serie di interazioni sottili e sfuggenti che non siamo ancora affatto in grado di cogliere e misurare Si deve tener presente che gli alunni rispondono allinsegnante non solo in conseguenza di quanto linsegnante dice o fa durante la lezione in corso

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Schema di Flanders per lanalisi delle interazioni, adattato da Fontana:

GLI INTERVENTI VERBALI DELLINSEGNANTE: Quando linsegnante parla in risposta

1.

2.

3.

4.

Quando linsegnante a parlare per primo

5. 6. 7.

GLI INTERVENTI VERBALI DELLALUNNO. Quando lalunno parla in risposta Quando lalunno a parlare per primo

8.

Accetta i sentimenti degli alunni: li accetta e ne chiarisce la tonalit affettiva senza creare angosce (sentimenti positivi o negativi); formula previsioni sui sentimenti che potrebbero manifestarsi o invita a rammentare stati emotivi manifestatisi in precedenza. Loda o incoraggia: il comportamento dellalunno; qui rientrano anche le battute di spirito che allentano la tensione, i cenni del capo di assenso, le brevi espressioni vocali usate per annuire, e le frasi del tipo continua pure. Accetta o utilizza le idee dellalunno: chiarisce, sviluppa o ampia idee proposte da un alunno (pi linsegnante introduce idee proprie, pi sfuma nella categoria 5.). Pone domande: fa una domanda, partendo da idee proprie relative a contenuti o metodi, con lintento di ottenere la risposta da un alunno. Fa lezione: presenta fatti e nozioni, o espone opinioni su contenuti o metodi; esprime le proprie idee, fa domande retoriche. Impartisce direttive: istruzioni, ordini o comandi, e pretende che lalunno obbedisca. Critica lalunno o giustifica la propria autorit: fa dichiarazioni che hanno lo scopo di correggere il comportamento inaccettabile dellalunno (sgrida qualcuno; giustifica il proprio comportamento; fa molto spesso riferimento a se stesso). Risposta: lalunno d una risposta prevedibile all insegnante; linsegnante che d inizio allo scambio verbale o che sollecita lintervento dellalunno (quando lalunno che introduce idee proprie, si passa alla categoria 9.).

Parla di propria iniziativa: lalunno parla per primo; fa affermazioni non prevedibili in risposta allinsegnante. 10. Silenzio o stato di confusione: pause, brevi intervalli di silenzio e di stato di confusione, durante i quali la comunicazione risulta incomprensibile allosservatore. 9.

[V. anche Po,69; v. altri schemi danalisi delle interazioni in: Appendice 1; F,278-281].

I ruoli sociali
Le figure modello (role model), positive o negative, sono persone i cui comportamenti nellambito di un determinato ruolo sociale costituiscono un esempio per gli altri. Sono di due tipi: persone che occupano un ruolo che vorremmo un giorno poter avere noi, oppure persone che occupano una data posizione che semplicemente ci capita di incontrare spesso (come, il pi delle volte, gli insegnanti). Limmagine che gli alunni hanno di quello che un insegnante viene plasmata dagli specifici modelli di comportamento di cui essi sono testimoni in classe. Linsegnante influisce notevolmente anche sulla predisposizione degli alunni verso la scuola stessa; inoltre un modello del tipo di adulto che i ragazzi stessi potrebbero diventare in futuro (ma non sempre gli insegnanti sono consapevoli di quanta influenza abbiano sugli alunni) [F,281-282].
Il conflitto tra i ruoli

Il ruolo di insegnante prevede un certo numero di sotto-ruoli (promotore anche di apprendimento formale, amministratore, responsabile della gestione di distretto scolastico, coordinatore di attivit extrascolastiche, rappresentante di autorit scolastiche, impegni per la carriera professionale e per le prospettive di promozione, ruoli familiari); questi possono a volte entrare nettamente in contrasto gli uni con gli altri. essenziale che ogni singolo insegnante riconosca lesistenza del problema stesso e il fatto che possa essere una delle maggiori fonti di stress; bisogner porsi prospettive realistiche, darsi delle priorit, fare attenzione ai conflitti a livello personale e anche alle diverse percezioni che gli alunni hanno di lui, rimanere fondamentalmente coerenti con se stessi nel passaggio da un ruolo a un altro [F,282-284].
Lapprendimento sociale e le figure modello

Linsegnante, di fronte ai suoi alunni, dovrebbe incarnare quei modelli di condotta che desidera far acquisire loro. Bandura [v. p.53] ha riscontrato una tendenza generale a sottovalutare limportanza dellapprendimento per osservazione e imitazione (modeling), specialmente per quanto riguarda lapprendimento delle abilit sociali. Egli sostiene che il rinforzo, bench importante, non sempre essenziale; il bambino ha uninnata tendenza a imitare il comportamento degli altri, specialmente quando si tratta di persone che godono di un certo prestigio o ricoprono una determinata posizione sociale. Limitazione spesso inconscia. Quando limitazione assume proporzioni notevoli, e riguarda specificatamente quei ruoli che investono la vita del bambino nel suo complesso (come ad es. il ruolo maschile o quello femminile), il modello da imitare diventa allora un modello di ruolo. Le teorie di Bandura inducono a ritenere che i contatti sociali generino di per se stessi apprendimento, a prescindere dal tipo di abilit in gioco. Questo studioso ha dimostrato che lespressione delle emozioni notevolmente influenzata dai contatti sociali: i bambini, dopo esser stati testimoni di atti di violenza degli adulti per es. tendono con maggiore facilit a comportarsi loro stessi in maniera aggressiva; e ci sembra sia dovuto soprattutto al fatto che ai loro occhi questi comportamenti legittimano lespressione dei sentimenti di aggressivit che tali bambini provano gi dentro di s. Anche assistere a spettacoli televisivi violenti pu avere leffetto sembra di legittimare le inclinazioni analoghe gi presenti in loro; maggiore la popolarit di cui gode il personaggio televisivo che commette atti violenti, pi probabile che questo avvenga (ma i bambini che abbiano 109

ereditato un solido sistema di valori dai genitori e dagli insegnanti sapranno resistere alla tentazione di adottare nuovi modelli che vanno contro questo sistema) [F,284-286].
Limitazione delle figure modello

Da alcune ricerche risulta che i bambini meno autonomi appaiono pi inclini a imitare qualsiasi figura di prestigio in confronto ai bambini pi autonomi. Bambini timidi o ansiosi, poi, imitano le reazioni di paura degli altri pi facilmente di quanto non facciano i bambini sicuri di s e fiduciosi nelle proprie capacit; mentre i bambini inclini allaltruismo imitano i comportamenti altruistici pi spesso di quanto non facciano i bambini meno inclini allaltruismo. Pare, cio, che il bambino, una volta che inizi ad avere un repertorio di comportamenti sociali pi stabile, tende a imitare modelli che confermano quanto gi sta facendo per conto proprio piuttosto che modelli che presentano modalit di comportamento meno familiari. Inoltre, i bambini che hanno appreso in passato a rispondere positivamente a particolari figure modello si rivelano pi disposti a prendere nuovamente a modello queste stesse figure in confronto a bambini che in passato hanno invece appreso a rifiutarle. Infine, in generale il bambino imita pi facilmente il comportamento di persone che ha gi visto ottenere dei successi in passato che non il comportamento di chi ha visto collezionare insuccessi. Bench lapprendimento sociale non sia determinato dalla presenza del rinforzo, ne viene tuttavia notevolmente consolidato [F,286].

Tipi di amicizia nella classe


I gruppi tendono nella maggior parte dei casi a dividersi in sottogruppi pi piccoli; ogni sottogruppo, una volta che si costituito, stabilisce norme proprie, la cui accettazione la condizione imprescindibile per poter far parte del sottogruppo. Criteri di suddivisione di un sottogruppo: - divisione per sesso uno dei pi comuni criteri di suddivisione; altro criterio il livello di capacit individuale; - un altro ancora la classe sociale dappartenenza; - altri fattori di rilievo sono gli interessi e le opinioni personali. Si pu voler appartenere a un sottogruppo per: - la sensazione di sicurezza e di appartenenza che d ai suoi membri; - il prestigio particolare che lappartenenza a un determinato sottogruppo pu conferire; - scopi e obiettivi personali che il sottogruppo contribuisce a dare a chi si sforza di emulare gli altri membri. Il gruppo pu diventare talmente importante, per i suoi membri, da indurli ad abbandonare convinzioni e comportamenti radicati pur di uniformarsi alle norme del gruppo. Tutto questo avviene soprattutto nelladolescenza [v. anche Le problematiche adolescenziali a p.104; F,287].
I sottogruppi nella classe

Il buon insegnante sta attento a non screditare limmagine sociale di un alunno agli occhi dei compagni del suo gruppo (pericoli legati al bisogno di ripristinare la propria immagine agli occhi del gruppo, magari vendicandosi); fa attenzione anche a non inimicarsi il gruppo (minaccia esterna = maggior coesione del gruppo; accettazione dellinsegnante come figura modello positiva). A volte pu essere necessario separare fisicamente membri di un sottogruppo che agiscono allopposto di un altro gruppo che collabora con linsegnante; ma, prima di ricorre a tali misure, meglio cercare di persuadere il gruppo a comportarsi in modo pi conforme alle regole (gli alunni dalle capacit superiori tendono a lavorare meglio nei gruppi omogenei ai quali essi stessi danno vita spontaneamente, nei quali la coesione elevata; lo stesso pu dirsi, probabilmente, per i gruppi di alunni dalle capacit inferiori, se alle prese con compiti non troppo difficili, tali da spingerli alla ricerca della distrazione). Linsegnante capace pu far funzionare questo sistema ricorrendo a una sorta di contratto informale con la classe e i suoi vari sottogruppi. Lo stesso discorso vale per le coppie di amici (anchessi da non separarsi, salvo eccezioni); magari accettando un certo discorrere a volume contenuto di ci che fanno insieme (molte volte il silenzio in ambiente sociale come la classe innaturale e fuorviante) [F,287-289].
Le amicizie inopportune e gli alunni senza amici

Molti sottogruppi si strutturano secondo uno schema gerarchico che vede al vertice uno o pi membri in posizione dominante, e allultimo posto il bambino che ha la sventura di essere il bersaglio (zimbello o capro espiatorio) dellintero gruppo; la stessa appartenenza al gruppo dipende, per questo malcapitato, dalla sua disponibilit ad accettare tale ruolo. Ma linsegnante non pu sostituirsi agli alunni nella scelta dei compagni con i quali stringere amicizie; pu per cercare di fare il possibile, con tatto e discrezione, per tenere separati gli alunni legati da un rapporto di amicizia inopportuno (meglio per non vietare frequentazioni e legami: poche cose rinsaldano unamicizia come una minaccia esterna). Pu intervenire con diplomazia per far loro considerare quanto poco abbiano in comune lun laltro; e cercare anche di incoraggiare chi sta pagando le conseguenze negative del rapporto ad avere maggiore fiducia in se stesso, perch diventi pi autonomo nelle sue scelte future. Bisogna ricordarsi che il bambino vittima di angherie e prepotenze da parte di compagni offre loro continue occasioni di provare sensazioni di potere o di superiorit. Il bambino senza amici, dal canto suo, possibile che offra decisamente meno ai suoi compagni; anzi, chi viene visto insieme a lui rischia di vedere seriamente compromessa la propria immagine allinterno del gruppo: Linsegnante pu soltanto cercare di aiutare questi alunni incoraggiandoli a migliorare la loro autostima e offrendo loro occasioni per apprendere determinate abilit sociali; prima ancora, deve far loro capire chiaramente che ai suoi occhi essi hanno lo stesso valore di tutti gli altri [F,289-290].
Gli alunni apprezzati dai compagni

Tali ragazzi sembra che dedichino agli altri unattenzione non inferiore a quella rivolta a se stessi, che ispirino in qualche modo fiducia e che soddisfino le esigenze del gruppo. Sono capaci di offrire incoraggiamento e sostegno, o di rianimare latmosfera, danno prova di competenza in certi campi particolarmente apprezzati, sanno magari prendere le difese di compagni che vengono minacciati, o propongono dei modelli che riscuotono lapprovazione della classe. Spesso finiscono per diventare leader ufficiosi di un gruppo. Le ricerche dimostrano che coloro che facilmente divente110

ranno poi dei leader hanno di solito anche la capacit di definire il gruppo in qualche modo, dandogli una precisa identit e riconoscendone ed esaltandone quegli aspetti che gli altri membri del gruppo sentono importanti; possiedono inoltre una qualche qualit sociale (carisma, prestigio) che permette a chi gode della loro amicizia o della loro attenzione di sentirsi investito di un ruolo di prestigio agli occhi degli altri. Sembra, infine, che questi ragazzi abbiano in genere un livello dintelligenza leggermente superiore alla media del gruppo, dimostrino attitudine per la risoluzione dei problemi e sappiano prendere liniziativa per risolvere concretamente un problema che si presenta [F,290-291].
La sociometria

Consiste nel chiedere a ciascun alunno di mettere per iscritto il nome del compagno di classe che vedrebbe volentieri come responsabile del gruppo di cui fa parte (volendo anche specificando di quale tipo di gruppo si tratta); oppure possiamo chiedere agli alunni di indicare chi vedrebbero meno volentieri come loro leader [v. anche la coesione e la dinamica di gruppo, pp.114 e 115]. Un impiego tipico della sociometria nelle ricerche sui vari tipi di amicizia. Si chiede ad ogni bambino di indicare chi preferirebbe avere per amico; si arriva cos a stabilire chi sono gli idoli e chi gli emarginati o isolati; si pu rappresentare la ricerca sotto forma di sociogramma. Una volta identificati i tipi di risposta, possiamo studiare quella serie di circostanze che fanno s che alcuni alunni siano designati come idoli e altri come emarginati, o le condizioni che favoriscono la formazione dei sottogruppi (un idolo, ad es., potrebbe essere tale solamente grazie al prestigio di cui godono nella scuola un fratello o una sorella che frequentano una classe superiore). Si tenga presente che gli idoli non sono necessariamente i leader della classe (anche se spesso lo sono), e che la loro particolare posizione (come quella, del resto, degli emarginati e dei sottogruppi) soggetta ad alterne fortune. Un insegnante attento e sensibile ai rapporti sociali della classe pu fare molto per impedire la formazione di sottogruppi indesiderati se solo non dimentica che lamicizia dipende in gran parte dalla frequenza delle interazioni [F,291-292].

Le abilit sociali
La promozione delle abilit sociali dovrebbe essere un aspetto essenziale di uneducazione rivolta alla sfera dellessere [v. p.104]. Limmagine che abbiamo di noi stessi dipende in gran parte dalle reazioni che gli altri manifestano nei nostri confronti, e queste reazioni sono a loro volta notevolmente influenzate dal nostro modo di comportarci nei rapporti sociali. Molti dei successi che otteniamo nella vita dipendono in gran parte dalla nostra capacit di padroneggiare e utilizzare al meglio le abilit sociali necessarie. Lo stesso discorso vale per quanto riguarda la nostra capacit di avere rapporti soddisfacenti in famiglia, con gli amici e con i colleghi di lavoro. Per avviare un qualsiasi programma di insegnamento delle abilit sociali, un buon punto di partenza quello di invitare gli alunni a dare una valutazione delle loro competenze sociali attuali (la consapevolezza del nostro scarso livello di riuscita in una determinata competenza ci motiva ad apprenderla). Questionari standardizzati (come quello di Trower, Bryant e Argyle, o come il test di Spence) sono in pratica un elenco di situazioni sociali; vanno adattati allet e alla provenienza degli alunni, e sottoposti alla classe insieme a domande. Lo scopo di valutare fino a che punto ogni alunno in grado di affrontare le situazioni sociali prospettate [F,293].
Laffermazione di s

Che cosa deve essere in grado di fare concretamente una persona per poter essere assertiva? Ai fini della affermazione di s sono necessarie, fra le altre, le capacit di: dire di no quando occorre; fare richieste, chiedere aiuto o domandare favori; esprimere sia i sentimenti positivi sia quelli negativi; avviare, sostenere e concludere una conversazione. Tutte capacit, queste, che corrispondono ad altrettanti comportamenti che spesso si cerca di scoraggiare nei bambini. Pur non potendo permettere ai bambini di ignorare le consuetudini sociali condivise, se riteniamo che in determinate situazioni la capacit di autoaffermazione abbia un suo valore, e se riteniamo che sia un aspetto importante dellautonomia individuale, della fiducia in se stessi, dellautostima, nonch della partecipazione attiva alla vita sociale, allora dobbiamo insegnare ai bambini i modi migliori per apprendere queste capacit e per imparare a capire quando opportuno servirsene. I metodi di insegnamento delle abilit sociali pongono laccento sulla capacit non sulla sua forza; pi probabile che riusciremo a conseguire obiettivi ragionevoli imparando a osservare le reazioni altrui, acquistando maggiore coscienza dei diritti e dei legittimi bisogni del prossimo, e imparando a utilizzare le opportune tecniche di comunicazione anzich lasciandoci andare a imprudenti comportamenti aggressivi. Un programma di insegnamento delle abilit sociali deve quindi saper offrire indicazioni su come farsi un quadro valutativo delle varie situazioni sociali. Perch il nostro interlocutore reagisce in un dato modo? La nostra posizione ragionevole? Che cosa hanno fatto e detto fino a questo punto entrambi gli interlocutori? Utile disporre di materiali videoregistrati (appositamente registrati, o anche spezzoni di commedie televisive famose). Come si sarebbe comportato ciascun ragazzo se si fosse trovato in quella data situazione? Quali parole avrebbe usato? Quale tono di voce? Quali messaggi non verbali? Pu essere opportuno invitare ciascun alunno a mettere in scena le risposte che ha scelto (rappresentazione con pubblico di compagni, che diranno la loro in proposito). Seguono esercizi di interpretazione di ruoli, a coppie (linsegnante consegna un breve copione che offre una traccia iniziale da cui i ragazzi possono prendere le mosse per mettere in scena la situazione tratteggiata), tipo colloquio di lavoro, decisione di protestare con un vicino per problemi condominiali (attenti a non privilegiare troppo laspetto delle capacit di recitazione; o a proporre situazioni troppo lontane dalle esperienze personali degli alunni). Tutto deve svolgersi in un clima rilassato e informale, integrando videocassette ed esercitazioni con giochi ed altro. Naturalmente opportuno preparare gli alunni prima di ogni esercitazione o gioco di ruoli; nonch informarli sugli obiettivi effettivi del lavoro che si intende svolgere. Tali esercizi permettono ai partecipanti, inoltre, di rendersi conto del fatto che numerose interazioni sociali assumono in qualche modo la forma di un rapporto contrattuale [F,293-299]. 111

Limportanza del calore umano nei rapporti sociali

Nellinsegnamento delle competenze sociali, al secondo posto dopo lautoaffermazione sociale viene limportante variabile del calore umano. Molte persone trovano pressoch impossibile esprimere calore umano nei rapporti sociali. Ancora una volta leducazione che abbiamo ricevuto nei primi anni di vita svolge un ruolo importante; spesso i bambini si sentono ripetere che esprimere una qualsiasi di queste emozioni una cosa che semplicemente non si deve fare, e anche quando il messaggio non cos esplicito limbarazzo con il quale gli adulti reagiscono a tali espressioni di sentimenti convince rapidamente il bambino che meglio nascondere i sentimenti di schiettezza e di calore umano, smettere di essere spontaneo, evitare di mostrare lattrazione che prova per altri, trattenersi dal confortare qualcuno anche se prova dispiacere per lui e desidererebbe farlo. La predisposizione, probabilmente innata, a dare e a ricevere calore umano varia da persona a persona [F,299].
Aprirsi agli altri

Quanta parte di noi stessi, e della nostra vita interiore, siamo disposti a condividere con gli altri? Fino a che punto aprirci agli altri ci fa sentire vulnerabili? O al contrario, fino a che punto tendiamo ad eccedere, rivelando agli altri aspetti di noi stessi che potrebbero annoiarli o addirittura indisporli nei nostri confronti? probabile che gli estroversi siano pi inclini degli introversi ad aprirsi [v. pp.72 e 81]. Un programma di insegnamento delle competenze sociali che si proponga di promuovere la capacit di aprirsi allaltro aiuta i soggetti a capire in che misura, e in quali circostanze, la disponibilit ad aprirsi opportuna. Li aiuta altres ad analizzare le motivazioni che sono alla base della loro personale riluttanza ad aprirsi. Favorisce inoltre la presa di coscienza del fatto che gli altri hanno problemi molto simili ai nostri, e che condividere questi problemi pu essere daiuto a entrambi. Ma soprattutto, un programma di questo tipo aiuta a diventare buoni ascoltatori: se desideriamo aprirci agli altri dobbiamo lasciare loro la libert di fare altrettanto con noi. La capacit di essere un buon ascoltatore, fra tutte le abilit sociali, forse quella che pi ci rende graditi ai nostri interlocutori [F,300].

La discussione di gruppo
Nella scuola la discussione di gruppo importante ad ogni et. Ma a partire dalla preadolescenza che i ragazzi, con la maturazione del pensiero ipotetico-deduttivo, sviluppano il gusto del discutere (desiderio di vedersi mostrate le cose, di essere trattati alla pari, di vedere prese seriamente in considerazione opinione elaborate in modo personale e al di fuori di ogni tutela) [Pe,237-238].

Uno strumento dai molti usi


Nelle mani dellinsegnante la discussione di gruppo pu assolvere molte funzioni: a una delle sedi in cui si possono porre dei problemi. b la sede in cui, attraverso lanalisi delle varie proposte avanzate, si procede alla elaborazione del problema. c la sede in cui si progettano delle ricerche di vario tipo. d la sede in cui si valutano i risultati di tali ricerche. e unoccasione periodica per socializzare le conoscenze. f Rappresenta unoccasione preziosa per conoscere i ragazzi [Pe,238-239].

La tecnica della discussione di gruppo


Alcuni principi: 1. Partire ogni volta da un problema che non solo sia significativo, ma faccia anche presa sui ragazzi. 2. Fare in modo che tutti prendano parte alla discussione (magari ricorrendo al giro di opinioni). 3. Fare in modo che non si imponga subito in modo plateale la proposta o soluzione vincente. 4. Far progredire lelaborazione, salvando le proposte pi significative, mettendole in evidenza e mostrando che, se per certi aspetti costituiscono una soluzione generica del problema iniziale, per altri contengono a loro volta dei problemi (chi guida il gruppo, di tanto in tanto faccia il punto della situazione, ricapitolando, rendendo evidenti i progressi compiuti e precisando i problemi ancora aperti). 5. Valorizzare tutti gli interventi, evitando che qualche membro del gruppo li ridicolizzi, mettendo in luce tutti i possibili aspetti positivi delle proposte, anche se non sono pertinenti [Pe,239-242; v. anche Appendice 2].

Il Brainstorming
Si tratta di decidere per un tempo determinato di comunicare ad alta voce tutte le idee, anche le pi vaghe o approssimative o fantasiose o apparentemente assurde, che a proposito del problema in discussione possono venire in mente. Oltre a far correre le idee, il brainstorming favorisce lo sviluppo di un atteggiamento creativo, di una capacit di elaborazione anche fantastica dei dati di esperienza (e si presenta poi anche, nellambito della discussione di gruppo, come un piacevole intermezzo) [v. anche p.14, e il testo relativo di Osborn, cit., in partic. p.131, nonch C. Bezzi, I. Baldini, Il brainstorming, Angeli, passim; Pe,242-244].

Insegnare a discutere
Sviluppare o rafforzare: 1. Labitudine di fissare con chiarezza prima di dare inizio alla discussione largomento o gli argomenti di cui si discuter. 2. Il coraggio di prendere la parola davanti agli altri. 112

3. Labitudine a rispettare i turni. 4. Labitudine a tenere il proprio turno solo per il tempo necessario, senza prevaricare sugli altri. 5. Labitudine ad ascoltarsi lun laltro. 6. Labitudine di restare al tema che si sta discutendo, evitando di mettersi a parlare di cose che non hanno a che fare col nucleo intorno al quale ruotano gli altri interventi, ma riguardano solo particolari privi di importanza. 7. Labitudine di prepararsi una scaletta, ovvero qualche appunto molto schematico [Pe,244-247].

I gruppi e la loro struttura Vari tipi di gruppo, nella scuola e fuori


Linsegnante ha a che fare anzitutto con il gruppo-classe; che a sua volta pu articolarsi in sottogruppi, che si formano sulla base di varie ragioni: sesso (nella scuola elementare, e in parte anche nella scuola media), rapporti damicizia, provenienza, appartenenza degli allievi a vari gruppi (scoutistici, parrocchiali, di volontariato; banda di preadolescenti o compagnia di adolescenti). Altri gruppi di interesse per linsegnante: quello dei colleghi, quello formato dai genitori, quelli che si formano in varie situazioni (organi collegiali) [Pe,169-170].

Le propriet generali di un gruppo


Formazione non volontaria o volontaria

Il gruppo-classe si forma indipendentemente dalla volont dei partecipanti, anche se poi questi possono organizzarsi liberamente in sottogruppi; lo stesso si pu dire per linsieme dei colleghi, e per linsieme dei genitori. Gruppi di formazione volontaria sono invece i gruppi associativi professionali. Rispetto ai gruppi del primo tipo, vi in essi una maggiore omogeneit (di interessi e orientamenti); e la possibilit di lasciare il gruppo quando si vuole garantisce a ciascuno un senso di indipendenza e una possibilit di sfuggire agli effetti di saturazione che il dover stare per lungo tempo con le stesse persone pu provocare [Pe,171].
Gruppo primario e secondario

Un gruppo primario formato da persone che si conoscono tutte, e possono tutte direttamente interagire (in genere, dunque, costituito da un numero limitato di membri). Un gruppo secondario pi ampio, e comprende persone che non si conoscono tutte n interagiscono tutte fra loro, perch risiedono in posti diversi, o perch non hanno occasione di incontrarsi (esempio tipico lassociazione) [Pe,172].
La struttura del gruppo

a- Un gruppo pu non avere una struttura definita (perch formato in maniera occasionale, e ha una breve durata). b- Un gruppo pu essere invece strutturato senza per che tale sua struttura assuma carattere formale, esplicito (ad es. in una classe scolastica formata da ragazzi in condizione di parit, in cui cio non sono stati stabiliti formalmente n ruoli n responsabilit specifiche; ma al cui interno, tuttavia, esiste una struttura, nel senso che esistono sottogruppi in base ad affinit di interessi, o ad amicizie). Questa struttura informale pu essere evidenziata mediante il test sociometrico (Moreno [v. La sociometria: p.111]): se ne ricava un sociogramma che permette di cogliere il sistema di amicizie presente nel gruppo, e gli eventuali sottogruppi; permette anche di identificare certi soggetti che sono popolari, e certi che sono invece isolati, o anche rifiutati dagli altri (nel caso dellallievo isolato, occorre fare in modo che egli venga considerato meglio dai compagni, anche affidandogli responsabilit; nel caso dellallievo rifiutato, occorre renderlo consapevole di certi suoi comportamenti o tratti di carattere che determinano negli altri un atteggiamento di rifiuto, e indurlo a modificarli). Attraverso un test sociometrico o una serie di colloqui anche possibile giungere ad identificare chi di fatto svolge una funzione di leader nel gruppo. Altro concetto utile quello di distanza sociale, definibile come la maggiore o minore facilit con cui un certo individuo A sceglie un certo individuo B, o scelto da lui, come compagno in una certa attivit. Per Proctor e Lomis sono sei le possibilit che si possono presentare (distanza min. = 1, max = 6): 1. A sceglie B e B sceglie A; 2. A sceglie B e B ignora A (o viceversa); 3. A sceglie B e B rifiuta A (o vicev.); 4. A ignora B e B ignora A; 5. A ignora B e B rifiuta A (o viceversa); 6. A rifiuta B e B rifiuta A (3. e 4. si equivalgono quanto a distanza sociale; differiscono per per il grado di tensione che implicano, peggiore in 3.) . La struttura informale di un gruppo pu essere favorita, oltre che da simpatie o antipatie personali, anche da affinit di interessi, o da complementarit nelle capacit; possono per entrare in gioco anche fattori di ordine tecnico o ambientale (per es. la difficolt di comunicare rapidamente; o la distribuzione delle stanze in un collegio). Festinger ha mostrato come si stabilivano legami damicizia tra famiglie di studenti sposati, a ciascuna delle quali era stata assegnata, in base al semplice ordine alfabetico dei cognomi, una casetta prefabbricata: le amicizie si formavano soprattutto fra case adiacenti e fra case che si fronteggiavano. c- Un gruppo invece a struttura formale quando vi divisione di posizioni e di ruoli esplicitamente riconosciuta e relativamente stabile (come in una squadra di calcio). In certi casi vi una adesione a un modello gi codificato, in altri la decisione discende dalla convinzione che una struttura di gruppo esplicita, formalizzata, rende possibili migliori prestazioni (esistono addirittura per lo meno nei gruppi secondari degli specialisti della specializzazione, la cui funzione principale proprio quella di curare la distribuzione dei ruoli: posizioni, accertamento di funzionamento della corrispondenza ruolo/funzione, fissaggio chiaro di ruoli ed individui nel cui confronto ci si deve sentire responsabili o sui quali si ha autorit, fare in modo che ogni membro sia inserito in un punto ben definito di una rete di comunicazione; in un gruppo primario questi compiti spettano di solito al leader). La strutturazione formale poi favorita dalla pre113

senza di forti differenze individuali: guida, seguaci, mediatori, informatori, elaboratori di progetti, esecutori di progetti [Pe,172-176].
La circolazione delle notizie

In merito alla circolazione delle informazioni allinterno di un gruppo si possono creare le seguenti situazioni (v. figura). Le informazioni, come si pu notare, non circolano con la stessa facilit nelle tre situazioni. Utile, a questo riguardo, il concetto di distanza dentro un sistema di comunicazione, calcolabile sommando il numero di passaggi necessari perch un messaggio inviato da un membro giunga a un altro membro o a tutti: la distanza di uno dei membri nei confronti di tutti gli altri pari alla somma dei passaggi che sono necessari perch egli giunga ad inviare messaggi differenziati a tutti (catena aperta: A B = 1, A C = 2, A D = 3, A E = 4, A tutti = 10; B tutti = 7; C tutti = 6); disuguaglianza che pu essere ritrovata, con valori diversi, nella catena centralizzata, ma non nella catena chiusa ( tutti gli altri = 6). La tavola rotonda (o lassemblea) invece una struttura la cui distanza fra 5 individui ancora minore: la struttura di comunicazione assume un carattere pentagonale-stellare, in cui la distanza fra ogni membro e tutti , per ciascun membro, pari a 4 (v. seconda figura). Questa una delle ragioni della maggiore efficienza comunicativa delle situazioni in cui i membri sono tutti presenti, o possono comunque entrare ciascuno in comunicazione diretta con gli altri. Unaltra ragione importante la possibilit di un feedback immediato e completo. In molti casi, per, il tipo di rete comunicativa pu essere legato a ragioni non obiettive ma soggettive (soggezione, antipatie). Il fatto che la rete sia omogenea e paritaria (catena chiusa, tavola rotonda) o invece con posizioni differenziate, ha sulla vita del gruppo due altri effetti: - pi facile, a parit di altre condizioni, che assuma la funzione di leader del gruppo colui che, in una rete di comunicazione disomogenea, occupa una posizione centrale (facilit di avere informazioni); -il grado di soddisfazione per lappartenenza al gruppo e per la partecipazione alle sue attivit risulta maggiore in coloro che occupano, in una rete comunicativa disomogenea, posizioni relativamente centrali, ed significativamente minore in coloro che si trovano in posizioni periferiche [v. Appendice 2 bis; Pe,176-179].

La coesione di gruppo Forze costrittive e propulsive nella formazione di un gruppo


K. Lewin indica il gruppo come una regione delimitata da una frontiera, in cui i membri, attraverso una locomozione sociale, fanno ingresso nel gruppo, si muovono al suo interno, labbandonano. Perch la locomozione sociale abbia luogo necessario che esista una forza psicologica che sospinge lindividuo in una certa direzione. Forza che pu essere vissuta come costrittiva, se il gruppo non a formazione volontaria: in tal caso, per evitare la sanzione negativa, esiste correlativamente anche una forza opposta, che tenderebbe a portarci lontano da quel gruppo (o da quella situazione o attivit); forza centrifuga che entra in funzione non appena vengono meno le forze costrittive. Se il venir meno delle forze costrittive ha un carattere generale, lintero gruppo si disgrega. La situazione del tutto diversa nel caso dei gruppi a formazione volontaria: qui la forza che induce un individuo a entrare nel gruppo, e a restarvi, non costrittiva, ma propulsiva; il gruppo pertanto permane senza disgregarsi finch questa sua valenza positiva resta alta. Possiamo dunque dire che un gruppo a formazione volontaria ha di solito notevole grado di coesione [Pe,181-183].

Il problema della coesione


Per coesione di gruppo possiamo intendere la somma delle forze propulsive centripete che sono presenti nei singoli membri e tendono a mantenere questi ultimi allinterno del gruppo. Grado di coesione che pu aumentare o diminuire o anche cessare. Dovremo dunque guardarci dal contrapporre nettamente, per quanto riguarda la coesione, i gruppi non volontari a quelli volontari, come se la coesione fosse una prerogativa solo di questi ultimi (anche nei gruppi a formazione non volontaria possono operare anche forze propulsive). La coesione una propriet (molto importante, perch si riflette direttamente sulla qualit del lavoro, sul grado di soddisfazione, sul comportamento del gruppo nel caso di difficolt o attacchi esterni) di tutti i tipi di gruppo [Pe,183-184].

Gli indici di coesione


a Il rapporto fra la frequenza del pronome io e quella del noi nel corso di discussioni che riguardano lattivit del gruppo (Lippit e White). b Indice di amicizia, rappresentato dal rapporto fra il numero delle scelte fatte allinterno di un gruppo e il numero di quelle fatte allesterno quando viene chiesto a ciascun membro di indicare dieci amici (Dimock). c Il grado in cui presente il desiderio di cambiare gruppo. 114

d Lassenteismo nelle riunioni e nelle attivit del gruppo ( stata accertata una correlazione significativa fra il numero delle assenze e il grado di soddisfazione nei confronti dei membri del gruppo o del suo leader). e La prontezza con cui un membro del gruppo assume responsabilit per il gruppo, o lo difende quando questo, in sua presenza, viene attaccato da persone esterne ad esso. f La misura in cui il gruppo si mostra capace di resistere alle difficolt e alle frustrazioni senza disgregarsi (molto importante sul piano educativo). Non costituisce invece un indice significativo di mancanza di coesione la frequenza con cui allinterno di un gruppo si verificano piccoli scontri, scoppiano polemiche, vengono espresse critiche da parte di uno o pi membri nei confronti di altri, se questi comportamenti non sono accompagnati da una rottura profonda e durevole. I gruppi con buona coesione persistono pi a lungo nel tentativo di portare a termine il compito prescelto, disorganizzandosi momentaneamente di fronte allinsuccesso, con critiche reciproche, accuse, eccetera, ma riprendendo poi quasi subito il tentativo con maggior impegno, anche se qualche membro del gruppo pu abbandonare temporaneamente lattivit. Nei gruppi con scarsa coesione si formano invece con pi frequenza, a seguito di insuccesso, fazioni contrapposte, con vera rottura del gruppo, con abbandono permanente dellattivit da parte di alcuni. Le manifestazioni di aggressivit rivolte alle persone sono, generalmente, molto maggiori nei gruppi con buona coesione rispetto a quelli con scarsa coesione. La resistenza allinsuccesso , dunque, in rapporto col grado di coesione; e la frequenza di critiche reciproche, piccoli litigi, manifestazioni moderate di aggressivit non sono da s soli un segnale di scarsa coesione [Pe,184-186].

Lorigine delle forze di coesione


La valenza positiva di un gruppo (il potere di attrazione): 1. Cresce se cresce nei membri la convinzione che il gruppo realmente in grado di soddisfare i bisogni di carattere generale o personali. Il leader del gruppo che vuol mantenere alta la coesione deve dunque preoccuparsi, presentando il programma del gruppo, di mettere bene in luce le concrete possibilit di realizzarlo, e sottolineare ogni volta nelle riunioni i progressi, anche piccoli, che il gruppo ha compiuto. 2. pi alta l dove linterazione collaborativa fra i membri maggiore; infatti pi facile chiarire equivoci e malintesi prima che la tensione da essi provocata diventi cos forte da rendere spiacevole ad alcuni la permanenza nel gruppo; inoltre, tale interazione garantisce una maggiore circolazione delle notizie, e una maggiore omogeneit per quanto riguarda laccesso alle informazioni, con effetti benefici sul morale del gruppo. Il leader dovrebbe dunque creare occasioni di interazioni frequenti, e circolazione rapida e omogenea delle informazioni; e dovrebbe proporre obiettivi di gruppo che possano essere accettati da tutti e sulla cui base la divergenza di opinioni possa configurarsi non come contrapposizione competitiva, bens come uno stimolo e un arricchimento per tutto il gruppo. 3. Pu aumentare quando il gruppo viene attaccato dallesterno, soprattutto se ingiustamente; oppure viene lodato. Aggiungiamo che spesso non basta, per provocare luscita da un gruppo, il fatto che la sua valenza sia diminuita sino ad azzerarsi: per una sorta di inerzia, o perch risulta faticoso o spiacevole giustificare agli altri la propria decisione di lasciarlo, si pu continuare a restare nel gruppo, magari senza pi partecipare a tutte le sue riunioni o attivit. Talvolta la causa che induce a prender anche formalmente la decisione di uscire da un gruppo non un fatto avvenuto al suo interno, ma un mutamento di situazione generale in cui esso si muove che di riflesso ne cambia anche il significato [Pe,186-188].

La dinamica di gruppo
Con questa espressione si suole indicare un insieme di fenomeni che riguardano sia linfluenza che il gruppo pu avere sui singoli componenti, sia quella che un singolo membro con una posizione preminente pu avere sul gruppo stesso , ma anche lappartenenza di un individuo a due o pi gruppi, la dinamica fra maggioranza e minoranze, le forme di aggressivit collettiva, e cos via [Pe,189].

La pressione di gruppo
Famoso e significativo lesperimento di S. Asch [Pe,189ss; v. anche Asch/Merenda: Pe,191). I risultati dimostrano limportanza che, in un gruppo, possono avere le minoranze anche piccole, purch siano unanimi, e limportanza di non trovarsi in isolamento in un gruppo che la pensa in modo diverso, ma di avere almeno un compagno che ha opinioni identiche (perci importante mandare almeno due rappresentanti a trattare questioni con un altro gruppo). Dati che contribuiscono anche a spiegare la tendenza a conformarsi agli atteggiamenti, alle abitudini e alle opinioni del gruppo che mostrano i preadolescenti e gli adolescenti; e che suggeriscono che opportuno evitare linserimento di un ragazzo che presenta sintomi di devianza in una classe ove ci sia gi un altro ragazzo che presenta gli stessi problemi e che potrebbe diminuire di molto la pressione (benefica) che il gruppo pu esercitare su di lui. Suggeriscono pure la strategia da seguire quando si voglia tentare di cambiare certi atteggiamenti o certe opinioni prevalenti in un gruppo [a questo proposito, v. anche la ricerca di K. Lewin: Pe,192-193; Pe,189-193].

Il problema della leadership


Occorre distinguere due tipi di leader. Il leader designato quello che un gruppo si trova ad avere senza averlo potuto scegliere (per una classe: un insegnante; per un gruppo di insegnanti: un direttore). Il leader emergente si ha invece quando un membro del gruppo assume la leadership solo grazie al possesso di certe qualit personali che gli permettono di imporsi agli altri o di avere comunque dagli altri attenzione, consenso, collaborazione (in classe: qualcuno 115

fra gli allievi che ha particolare influenza sugli altri); esso pu esserci anche in gruppi nei quali esiste gi un leader designato, ma che non gode molto prestigio: accanto ad esso pu delinearsi una figura-ombra alla quale gli altri guardano con attenzione per averne indicazioni (in classe: un allievo nelle ore in cui presente un insegnante che non gode di molta stima; un vicepreside, o un insegnante che goda la fiducia degli altri e faccia da tramite con un direttore vissuto come u po distante). Per quanto riguarda le qualit che rendono adatto un individuo a svolgere la funzione di leader, le indagini si sono svolte secondo due diverse direzioni: a) da una parte concentrandosi solo sulla persona del leader per individuarne le qualit personali, cercando di individuare i tratti di personalit pi intensi e frequenti; b) dallaltra, tenendo conto contemporaneamente sia della persona del leader sia della natura del gruppo in cui opera (alla base vi lidea di Cattel, secondo la quale va considerato leader chiunque, in un dato gruppo, eserciti una larga influenza sugli altri e concorra in misura sensibile a determinare le caratteristiche dinsieme e le attivit generali del gruppo). La prima posizione ha portato a stabilire che certe qualit fisiche o psicologiche possono costituire condizioni favorevoli, ma non indispensabili per lassunzione e lesercizio della leadership: i leader sono, in media, un poco pi alti dei non leader (ma talvolta accade il contrario); hanno, in media, una migliore salute e una maggiore disponibilit di energia per le attivit sociali; anche il grado di intelligenza superiore, ma non deve esserlo troppo (unintelligenza troppo diversa pu produrre giudizi e considerazioni, interessi intellettuali e pratici anchessi troppo diversi). Infine, la fiducia in s, una certa socialit, un atteggiamento di dominanza, la capacit di dare agli altri delle informazioni o di ottenerne da loro e la tendenza a dare pi spesso degli altri una interpretazione delle situazioni sarebbero da collocare fra i tratti tipici del leader. Ma tali qualit non sono quasi mai risultate tutte presenti nei leader studiati; inoltre, risulta anche che vi sono persone che hanno tutte o quasi tali qualit ma non assumono la leadership.Ci pu significare che certi tratti di personalit che sono efficaci in un dato gruppo e in una data situazione possono essere diversi da quelli che risultano necessari ed efficaci in altri gruppi ed in altre situazioni. La seconda posizione, secondo la definizione di Cattel, intende la leadership come una qualit scalare, dato che linfluenza sul gruppo pu essere maggiore o minore a seconda del tipo di gruppo, della sua struttura, degli obiettivi che persegue, dellatmosfera che vi prevale, delle circostanze in cui viene a trovarsi. Essa appare poi come una funzione che pu essere esercitata contemporaneamente, sia pure in misura diversa, da pi membri del gruppo (e pu essere fatta oggetto di rilevazioni psicometriche) [Pe,193-196].

Interazione fra qualit personali e qualit del gruppo


Il fatto che un membro del gruppo giunga ad assumere il ruolo di leader determina, nei rapporti psicologici fra i membri, delle modificazioni importanti: provoca una concentrazione dellattenzione di tutti sulle opinioni e sul comportamento del leader; diminuisce la possibile resistenza nei confronti di certe idee o decisioni che egli esprime. Il leader ha cos maggiore possibilit di manifestare tutti gli aspetti della sua personalit (talvolta vero che la funzione rivela pienamente luomo). Tuttavia un leader emergente deve pi del leader designato far ricorso, per conservare la sua posizione, alle qualit personali che gli hanno permesso di emergere, e che possono permettergli di conservare quel ruolo. Importanti anche, fra le qualit personali del leader, una certa adattabilit alla natura del gruppo e la capacit di capirne e interpretarne gli umori. poi da tener presente limportanza che ha il tipo di attivit che caratterizza il gruppo; inoltre, un gruppo pu aver bisogno di un certo bene, il possesso del quale pu essere assimilato alle qualit personali, ed condizione favorevole per lassunzione della leadership.Anche una struttura di comunicazione non omogenea una condizione di gruppo che interagisce con le qualit personali, nel senso che, se chi gi per suo conto capace di dare e ottenere informazioni occupa anche, nella struttura comunicativa, una posizione relativamente centrale, le possibilit che egli divenga un leader sono maggiori; lassunzione della leadership, poi, lo porr in una posizione ancor pi centrale nella struttura comunicativa. Unaltra condizione di gruppo costituita dagli atteggiamenti dei diversi membri del gruppo in rapporto alla funzione di guida: in un gruppo dove molti aspirano ad esercitare un compito direttivo, le probabilit di ciascuno di diventare effettivamente il leader principale sono minori di quelle che esistono in un gruppo nel quale la maggior parte dei membri non aspira alla leadership [Pe,196-197].

Tre funzioni fondamentali del leader


[V. anche: Manuale di organizzazione, di Pfiffner e Sherwood, Angeli, p.377]. 1. Locomozione del gruppo nella direzione di un obiettivo = un leader contribuisce pi di altri a definire lobiettivo di gruppo e ad elaborarne un programma per conseguirlo. Spetta soprattutto a lui rendere disponibili le informazioni utili, dare inizio allazione, valutare la qualit del lavoro compiuto, invitando anche altri a farlo; e deve rendersi conto prima degli altri se un certo obiettivo non pu essere raggiunto e prendere liniziativa del mutamento di tale obiettivo comune. 2. Conservazione del gruppo = il leader deve fare in modo che le relazioni fra i membri siano buone, intervenendo per appianare le divergenze e per svolgere nelle dispute la funzione di arbitro imparziale; deve pure fare in modo che il grado di interdipendenza fra i membri sia alto, contribuendo cos ad aumentare la coesione del gruppo. Stimola e incoraggia allautodirezione gli eventuali sottogruppi e fornisce un aiuto concreto in questo senso insegnando tecniche mediante le quali si pu giungere a una decisione comune. D alla minoranza la possibilit di essere ascoltata e fa da mediatore tra essa e la maggioranza, riducendo anche per questa via le tensioni interne e le spinte centrifughe. Favorisce la crescita di collaboratori che possono aiutarlo e sostenerlo. Provvede a una di queste funzioni anche attraverso laltra (per es.: mantiene la coesione conservazione grazie al successo e al senso di avvicinamento nel conseguimento dellobiettivo locomozione ). 116

3. Rappresentare il gruppo allesterno = nei confronti sia di gruppi sia di singoli (in molti casi si tratta anche di suscitare verso il gruppo interesse e attenzione, o di difenderlo, o di trovare delle alleanze e degli spazi di attivit) [Pe,197198].

La natura del prestigio


Attraverso il prestigio acquisito, un leader pu largamente influire sui membri del gruppo. Talvolta si parlato di suggestione da prestigio, fenomeno reale e per nulla misterioso, anche se i meccanismi del suo verificarsi non sono semplici. Interessante, al riguardo, lesperimento di Lorge (1924), che mise in luce un fenomeno che possiamo considerare come valenza indotta [v. il capitolo di Pe sulla motivazione, qui sintetizzato alle pp.76ss], nonch un meccanismo di desiderio di consonanza; da considerarsi, inoltre, un fattore di contesto (Asch ha poi ripreso lesperimento, proprio in relazione a questultimo meccanismo). Questi tre meccanismi su cui si fonda la suggestione da prestigio incontrano dei limiti quando la modificazione di unopinione o di un atteggiamento sollecitata da un leader risulta troppo grande rispetto al sistema di valori di un membro del gruppo; in tal caso, la dissonanza pu risolversi con un pi o meno graduale mutamento del modo in cui viene vissuta la figura del leader, con diminuzione della stima che si prova per lui (linsegnante ne tragga adeguate conseguenze) [Pe,199-202].

La vita scolastica e la conduzione della classe


Le atmosfere educative
Rispetto a un gruppo-classe un insegnante pu svolgere una funzione di guida, assumere il ruolo di leader. Ma in quale modo pu essere esercitata questa leadership? Quale tipo di rapporto pu stabilire un insegnante con la classe? Quale atmosfera educativa dovrebbe creare al suo interno? [Pe,203].

Tre possibili stili di guida e le relative atmosfere


Lewin a aggiunto ai tradizionali stili di guida autoritario e non autoritario gli stili permissivo e democratico. ormai classico lesperimento condotto da Lewin, Lippit e White, in cui quattro gruppi di bambini di 10 anni passavano, nello spazio di tre mesi, attraverso gli stili di direzione autoritaria, democratica e permissiva. Nella prima, tutte le decisioni relative alla disciplina venivano prese dal leader, nellattivit di gruppo tecnica del lavoro e passaggi esecutivi venivano insegnati uno alla volta, ruoli dei singoli e compagni di lavoro erano fissati dal leader; questi restava fuori da una attiva partecipazione, e nella valutazione lodi e rimproveri erano rivolti ad personam. Nella direzione con stile permissivo il gruppo era abbandonato a se stesso, il leader si limitava a consegnare ai bambini il materiale, e ad ognuno era permesso scegliersi il ruolo che voleva, mentre la valutazione veniva data solo se richiesta. In quella democratica, invece, le decisioni venivano prese attraverso discussioni di gruppo, incoraggiate dal leader, veniva data una visione complessiva di tutta lattivit da svolgersi, e la distribuzione dei ruoli veniva essa pure discussa e decisa in comune, mentre ognuno era libero di scegliersi il compagno di lavoro; questi prendeva parte attiva al lavoro, e nella valutazione assumeva un atteggiamento constatativo, orientato sulle cose e sulle difficolt. Risultati: i leader avevano saputo effettivamente differenziare il loro comportamento; latmosfera democratica e quella permissiva non si equivalgono: nella prima il tempo dedicato al lavoro era il 50% del tempo complessivo, contro il 33% in atmosfera permissiva, con la quale il lavoro inoltre era svolto meno bene e con notevole disordine. Con una leadership autoritaria il tempo dedicato al lavoro era maggiore (74%), ma quando il leader lasciava temporaneamente la stanza il lavoro diminuiva in maniera molto pi sensibile (dal 74% al 29%) nel gruppo con guida autoritaria, rispetto al gruppo con guida democratica (dal 50% al 46%). Nella situazione a guida autoritaria, uno dei quattro gruppi di bambini reag alla leadership con un atteggiamento di indipendenza (manifestazioni di ostilit 30 volte pi numerose qui che nel gruppo con atmosfera democratica), i bambini si rivolsero con tono aggressivo al leader per chiedere attenzione con frequenza 12 volte maggiore; pi frequenti risultarono anche la distruzione del proprio lavoro e lapparire di capri espiatori (assenti completamente durante la leadership democratica). Gli altri tre gruppi reagirono invece con un atteggiamento di sottomissione. Lo scontento fu molto maggiore durante il periodo autoritario, e quattro bambini che abbandonarono lattivit lo fecero tutti durante tale periodo; inoltre, 19 bambini su 20 interrogati a conclusione dellesperimento, dichiararono di aver preferito il leader democratico [Pe,202-206].

Le caratteristiche di un rapporto educativo democratico


Risulta dunque la superiorit della leadership democratica [?], bench pi difficile da assumere e, forse per questo, meno presente delle altre due. Perch difficile stabilire un rapporto democratico nei confronti di un ragazzo o nei confronti di un gruppo? Occorre sviluppare, e conciliare luno con laltro, due atteggiamenti di fondo solo apparentemente contrastanti: un atteggiamento di ascolto e un atteggiamento propositivo.
Latteggiamento di ascolto

latteggiamento di un insegnante che cerca di decentrarsi negli allievi, di cogliere attraverso molti possibili indici, di tipo verbale o comportamentale, i loro bisogni profondi di crescita, cos come i loro stati danimo del momento, i loro interessi, la loro disponibilit ad accogliere con favore certe sue proposte, a svolgere con impegno certe attivit. latteggiamento di chi pensa che gli allievi possano sempre dirgli qualcosa che ancora non sapeva. Non consiste solo

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nellaspettare che altri ci dicano le cose, ci rivelino se stessi, ma anche nel cercare attivamente di raccogliere indizi, di sollecitare risposte ponendo delle domande adatte, di formulare ipotesi sugli altri per poi tentare di verificarle.
Latteggiamento propositivo, di guida

Sulla base dei dati e delle impressioni raccolte attraverso lascolto, un insegnante pu poi assumere anche laltro atteggiamento, quello propositivo, di iniziativa e di guida. Pu cio proporre ai bambini e ai ragazzi una certa attivit che, da un lato in armonia con tali loro bisogni e aspettative e quindi destinata a fare presa, e dallaltro da lui considerata come educativamente e culturalmente importante. Pu anzi, in certi casi, fare anche di pi, e cio proporre un certo numero di attivit affini, che sono tutte valide, e tutte in armonia con certe attese gi spontaneamente presenti o preliminarmente suscitate da lui, invitando i bambini o i ragazzi a scegliere quella che pi di altre riscuote il loro interesse [Pe,206-209].

Una forma specifica di prestigio


Un insegnante un leader sui generis, che non deve solo guidare un gruppo verso certi obiettivi e assicurarne la conservazione, ma anche aiutare i suoi membri a crescere, ponendosi alternativamente proprio al loro livello ma poi anche pi in alto. Egli, oltre a possedere le seguenti qualit: avere una cultura ampia ed organica, possedere la capacit di presentare con chiarezza le cose che si sanno rendendole interessanti anche collegandole con i problemi che i ragazzi possono facilmente sentire come propri, saper elaborare tali problemi attraverso la discussione di gruppo, saper stabilire collegamenti interdisciplinari, evidenziando sempre i rapporti diretti o indiretti che i vari contenuti possono avere con gli interessi ed i problemi esistenziali degli allievi; oltre a ci, dovrebbe ance esser capace di allegria, di ottimismo, di entusiasmo, di curiosit, di apertura a i problemi dei giovani e ai grandi problemi del mondo doggi, di flessibilit, di senso dellumorismo, e di capacit di riconoscere senza troppe remore una propria lacuna o un proprio sbaglio [Pe,209].

Tutti uguali e tutti diversi


Le diseguaglianze

Possiamo considerare la diseguaglianza come differenza nei livelli di alfabetizzazione e di formazione. Diseguaglianze attuali che possono essere riflesso di: lesser cresciuti in famiglie di livello socioculturale piuttosto alto o invece basso, in grado o invece non in grado di fornire stimoli; laver frequentato la scuola in modo regolare o invece discontinuo. Ci si manifesta nel: possedere maggiore o minore ampiezza del vocabolario, primato dellitaliano sul dialetto o viceversa, preparazione pregressa completa o lacunosa nei vari settori disciplinari; presenza o assenza di un ventaglio ampio o ristretto di interessi, di un rapporto pi o meno di amicizia col libro, di atteggiamenti di curiosit e di impegno o, invece, di indifferenza, resistenza, rifiuto. Queste disuguaglianze vanno attenuate ed eliminate, stimolando processi di convergenza.
La diversit

Cos indichiamo una particolare disuguaglianza, relativa ai mezzi a disposizione dellallievo, che non riesce a togliere, e con la quale dunque bisogna fare i conti: la presenza di handicap (percettivi, motori, mentali). Sappiamo che la mancanza di certi canali per la comunicazione interpersonale, si riflette anche su tutti gli altri aspetti della personalit. Si pone qui il problema di utilizzare al massimo gli eventuali residui dai canali danneggiati, e di potenziare e sviluppare in funzione compensatoria altri canali. Occorre promuovere lalfabetizzazione culturale, oltre che garantire un buon inserimento; ci richiede ancor pi che sia un intervento sia individualizzato e in parte affidato a colleghi specialisti.
Le differenze personalizzanti

Si tratta di differenze che hanno un carattere positivo, in quanto riguardano il modo di atteggiarsi di fronte alla realt, o di esprimersi, o di comunicare, e riguardano anche certi interessi di base (e che, manifestandosi, porteranno via via alla formazione di personalit inconfondibili, uniche). Queste differenze vanno rispettate perch hanno un valore positivo per il singolo e costituiscono inoltre un arricchimento per il gruppo; vanno favorite, cosa che pu essere fatta nellambito di tutte le discipline (anche se risulta pi agevole nellambito di alcune). Possiamo anche qui dire che latmosfera pi favorevole ai processi di divergenza, allo sviluppo di differenze caratterizzanti, di tipo democratico.
Divergenza e devianza

Possiamo parlare di devianza quando un individuo si scosta dagli altri soprattutto per quanto riguarda laccettazione di norme di comportamento e di valori socialmente condivisi. La prevenzione pi efficace quella che ha luogo, molto precocemente, nella famiglia, attraverso quel comportamento affettuoso, di attenzione ai bisogni dei figli, di interesse per ci che fanno, di valorizzazione, di cui s gi parlato. Ma uninfluenza molto importante hanno anche gli insegnanti: che possono dare agli allievi un vero aiuto a crescere culturalmente e psicologicamente, a conoscere se stessi, a sviluppare un senso positivo di s, a reagire bene a un insuccesso [v. anche Appendice 1 bis; Pe,210-215].

La conduzione della classe e la disciplina Comportamenti problematici negli alunni


Una definizione dei comportamenti problematici

Si possono definire tali quei comportamenti che risultano inaccettabili allinsegnante (in un certo senso, essi stanno negli occhi di chi li guarda). La prima cosa che un insegnante deve fare per sapere come regolarsi di fronte a questo tipo di comportamenti quella di chiedersi perch li viva come un problema [F,323-325]. 118

Modelli di gestione della classe


La ricerca dedica sempre maggiore attenzione alle strategie preventive: metodi con cui gli insegnanti possono prevenire linsorgere di problemi disciplinari. Interessante notare che: 1) il livello di ordine in una classe dipende non tanto dalla frequenza e dallinsistenza con cui linsegnante agisce per mantenerlo o ripristinarlo, quanto piuttosto dalla natura dellattivit in corso in quel momento: gli insegnanti pi bravi nel gestire la classe sono quelli che elaborano lezioni interessanti e coinvolgenti, che comunicano chiaramente obiettivi ed aspettative agli studenti e che utilizzano tecniche non invadenti n subdole per mantenere la loro attenzione e il loro impegno; 2) i pi abili gestori di classe sono quelli che sembrano anticipare nel modo pi esatto un comportamento scorretto ed intervengono prima per prevenirlo; gli interventi efficaci sono inoltre sottili, brevi e spesso quasi privati, e di conseguenza non interferiscono con le attivit in corso (Black, 1994) [per una serie di modelli di gestione della classe La libert di imparare (Carl Rogers), Aver cura dei bambini (Michael Marland), Linsegnante aggiornato e gli inviti a desistere (Jacob Kounin), Le procedure democratiche (Staten Webster), Le conseguenze logiche (Rudolf Dreikurs), Modifica del comportamento (Barrhus F. Skinner), La disciplina assertiva (Lee Canter), La modifica comportamentale cognitiva (Donald Meichenbaum) e per Strategie pi generali, v. Appendice 1; L,312-339; v. files relativi a comunicazione e gestione della classe].

Le tecniche di modificazione del comportamento


[V. anche Lapprendimento p.52 e Appendice 1] Si ispirano essenzialmente al modello di apprendimento proprio del condizionamento operante. Poggiano sulla seguente tesi: il comportamento che viene rinforzato o premiato probabile che si ripresenti, mentre il comportamento che non viene rinforzato tende a scomparire. Ci significa che i singoli comportamenti problematici e persistenti individuati dallinsegnante vengono in qualche modo rinforzati dallambiente circostante. proprio questa azione di rinforzo che spiega la loro persistenza; senza questa azione tali comportamenti si estinguerebbero gradualmente. invece possibile che i comportamenti opposti, quelli che linsegnante vorrebbe prendessero il posto dei comportamenti problematici, non ricevano alcun rinforzo positivo, la qual cosa potrebbe spiegare la loro mancata comparsa. La prima strategia da seguire quella di compilare un elenco dei singoli comportamenti di un alunno che crea dei problemi; a fianco di ognuno di questi comportamenti-bersaglio (target behaviours), linsegnante annoter quella che al riguardo la propria risposta abituale (o, in certi casi, quella degli altri alunni). Occorre essere molto precisi nella descrizione del comportamento che disapproviamo.
Le cause dei comportamenti-bersaglio indesiderati

Allinsegnante risulter probabilmente chiaro che le sue risposte, ben lungi da costituire una punizione, fungono in realt da rinforzo per quegli stessi comportamenti che ci si proponeva di eliminare. Potrebbe darsi che gli alunni provengano da un ambiente dove fin dai primi anni di vita hanno appreso, attraverso forme di condizionamento operante, che lunico modo di ottenere un qualsiasi tipo di attenzione da parte degli altri consisteva nel rendersi insopportabili. Allora, anche se il tipo di attenzione che si procurano comportandosi in modo turbolento magari lattenzione di una persona furibonda, per loro comunque preferibile rispetto al rischio di essere ignorati del tutto; in virt di tale rinforzo, la loro condotta turbolenta finisce per diventare parte integrante del loro repertorio di comportamenti. Non detto, comunque, che esista consapevolezza di questo processo. I comportamenti di questo tipo vengono definiti comportamenti di ricerca dellattenzione, e sono riconosciuti come una delle cause principali dei problemi della classe. Alle volte pu capitare che lalunno ricerchi costantemente, in svariati modi per niente turbolenti, la vicinanza dellinsegnante; anche in questi casi si tratta di spie di un bisogno di aiuto, il cui appagamento, per, non fa che peggiorare la situazione. Altre volte lattenzione che questi alunni ricercano quella dei compagni pi che dellinsegnante, e magari si sono accorti di poter riscuotere un certo successo in classe facendo ridere un po tutti, o mostrando comportamenti da duri disobbedendo allinsegnante.
Prendere coscienza di entrambi i lati del problema

Il primo passo sempre quello di stilare un elenco dei singoli comportamenti di un alunno che nellinsieme costituiscono il problema, e di annotare a fianco le risposte abituali date a ciascuno. Il passo successivo consiste nel redigere un secondo elenco, contenente questa volta tutti quei comportamenti dellalunno che vanno invece incoraggiati, i comportamenti-meta, annotando di nuovo, a fianco, la risposta data abitualmente dallinsegnante nei casi in cui questi comportamenti si siano verificati; si potr cos notare come la risposta data dallinsegnante consista nel non prestare alcuna attenzione allalunno: il comportamento buono, cio, anzich ricevere un rinforzo (attenzione dellinsegnante), riceve la punizione di venire ignorato. Il comportamento problematico non esiste come fatto isolato, bens il punto centrale di una matrice di forze che agiscono in modo tale da crearlo e alimentarlo. Se desideriamo modificarlo, pertanto, la prima cosa che dobbiamo fare produrre dei cambiamenti in queste forze (invertire il tipo di risposte date finora, prima di tutto).
Obiezioni alle tecniche di comportamento

1 obiezione = Pu capitare che un alunno non esibisca nessuno di quei comportamenti opposti che gradiremmo. Si pu allora ricorrere alla tecnica chiamata modellamento o modellaggio (shaping) o delle approssimazioni successive, che consiste nel rafforzare il comportamento che pi si avvicina a quello che in realt desideriamo: gradualmente, i comportamenti si avvicinano sempre pi agli specifici comportamenti desiderati [v. p.52]. 2 obiezione = Vi sono alcuni comportamenti inaccettabili che non possiamo limitarci a ignorare. Linsegnante, daltronde, ha dei doveri anche nei confronti del resto della classe; e neppure desidera che lalunno difficile divenga modello per i compagni pi influenzabili. Ma: lalunno difficile diventer modello soltanto se agli occhi dei compagni il suo comportamento otterr 119

dei risultati; qualora linsegnante mostri chiari segni di frustrazione e di nervosismo o finisca per arrabbiarsi, i rischi sono molto maggiori rispetto al caso in cui egli porti avanti serenamente il lavoro in classe senza dare limpressione di irritarsi. Nei casi limite, invece, possibile ricorrere alla tecnica nota come sospensione (o sottrazione) del rinforzo positivo: una volta che un alunno sia stato allontanato dallaula, svaniscono tutte le sue possibilit di ricevere rinforzi positivi sotto forma di attenzione da parte dellinsegnante o dei compagni. In linea generale, tale tecnica orami da tempo dalle scuole disapprovata , sulla base dei seguenti motivi: a) Lalunno obbligato a restar fuori perde la lezione; b) nel caso laula abbia una porta a vetri lalunno che fuori si divertir a distrarre i compagni; c) lalunno potrebbe semplicemente decidere di tornarsene a casa. Le ricerche dicono che questi problemi sono superabili se la scuola dotata di unaula apposita (aula di sospensione del rinforzo), dove essi devono stare seduti in silenzio sotto la sorveglianza di un membro del personale scolastico. Risulta sia sufficiente in genere far rimanere gli alunni nellaula per un massimo di dieci minuti prima di farli rientrare in classe, consentendo loro, in questo modo, di non perdere che una piccola parte della lezione; nel caso si comportino nuovamente male, li si far tornare nellaula di sospensione del rinforzo. Naturalmente tale decisione deve rientrare nel quadro di una politica scolastica appoggiata da tutti i membri del corpo insegnante. In casi in cui risulti discutibile tale soluzione, non resta che ricorrere ancora alla compilazione dellelenco dei comportamenti inaccettabili, decidendo quali fra questi possano essere ignorati, impegnandosi pure a sorprendere lalunno a fare il bravo, cio a premiare tutti i comportamenti positivi. Una volta ottenuti i primi successi, linsegnante potr mostrare indifferenza anche ad altri comportamenti indesiderati Ai comportamenti indesiderati degli alunni che solitamente sono invece collaborativi linsegnante potr rispondere semplicemente nel modo pi opportuno: talvolta astenendosi dal proferire giudizi, altre volte prendendo da parte lalunno al termine della lezione e facendogli rimprovero o rivolgendogli parole pacate 3 obiezione = C chi accusa le tecniche di modificazione di essere in qualche modo disumanizzanti (manipolazione del comportamento degli alunni da parte di persone investite di autorit). La maggior parte degli insegnanti, infatti, preferisce trovare il modo di far ragionare gli alunni in questione e di convincerli a cambiamenti anche per il proprio bene. Ma i fautori pi oltranzisti delle tecniche di modificazione del comportamento ci dicono invece che sprechiamo il nostro tempo ogni volta che decidiamo di fare appello agli alunni stessi che danno problemi: che piaccia o no, se vogliamo riuscire a modificare comportamenti che per tutta la vita sono stati costantemente sottoposti a programmi di rinforzo sbagliati, dobbiamo sostituire questi programmi con altri che prevedono modalit di rinforzo pi adeguate. Naturalmente, per fortuna, , nella maggior parte dei casi i metodi del ragionamento e della persuasione funzionano (e il motivo di ci starebbe, secondo i fautori delle tecniche di modificazione del comportamento, nel fatto che questi alunni provengono per lo pi da famiglie che con i figli hanno sempre applicato programmi di rinforzo corretti, con la conseguenza che questi si sentono indotti a ricercare a scuola non lattenzione dellinsegnante ma la sua approvazione).
Leconomia simbolica

La cosiddetta economia simbolica, o economia dei buoni (token economy) un metodo che viene impiegato positivamente in alcune scuole speciali, allinterno di comunit chiuse. Gli alunni ricevono dei buoni (tokens) che possono consistere in veri e propri gettoni, o in voti segnati sul registro, o in qualsiasi altra cosa concordata ogni volta danno prova di comportarsi nei modi desiderati, mentre perdono dei buoni ogni volta che manifestano i comportamenti indesiderati. Al termine di un periodo di tempo convenuto gli alunni cedono i propri buoni in cambio di una qualche concessione speciale (lautorizzazione a guardare di pi la TV). In questo modo gli alunni vengono ad avere una prova tangibile delle ricompense che procura loro il fatto di aver migliorato il comportamento; grazie al comportamento operante, inoltre, questo comportamento dovrebbe entrare a far parte del repertorio di comportamenti di ciascuno di loro in modo integrante. Leconomia simbolica essenzialmente una forma di contratto sulle prestazioni. stato dimostrato che tali forme funzionano bene anche nelle scuole normali. Un esempio la scheda di registrazione dei comportamenti: lalunno concorda di comportarsi bene durante ciascuna lezione; alla fine della lezione linsegnante annota i comportamenti che ha osservato sulla scheda personale dellalunno e al termine della settimana lalunno pu scambiare la propria scheda con una sorta di certificato di buona condotta. Difetti principali: la ricompensa a fine settimana non ha un sufficiente impatto positivo sugli alunni che presentano gravi problemi di comportamento; la scheda non mette sufficientemente a fuoco i singoli comportamenti specifici. Ci nonostante dalle ricerche emerge che nelle scuole normali il contratto sulle prestazioni pu essere daiuto agli alunni difficili, soprattutto se riusciamo a convincere genitori e comunit locale nel suo complesso a erogare ricompense. Pu essere utile, per evitare che il contratto si protragga allinfinito, fare in modo che gli alunni ricevano non solo la ricompensa pattuita, ma anche ogni altro genere di rinforzi accidentali. A un certo punto gli alunni si accorgeranno che da quando hanno iniziato a comportarsi meglio linsegnante reagisce in modo pi favorevole nei loro confronti, che cominciano ha ottenere voti pi alti, che i genitori sono pi contenti, che i compagni hanno con loro un atteggiamento pi amichevole, che le lezioni sono pi interessanti, che la propria autostima si accresce A mano a mano che il loro orizzonte si amplia, sono questi rinforzi accidentali che vanno a consolidare, dopo la conclusione del contratto, il loro nuovo modo di comportarsi.
Considerazioni generali sulla modificazione del comportamento

Queste tecniche non hanno un impiego esclusivo con gli alunni che rendono la vita difficile agli altri (del resto, il Rapporto Underwood 1955 definisce disadattato il bambino che si sviluppa secondo modalit che hanno un effetto negativo su se stesso o sui compagni). Nel caso del bambino che si isola, i sostenitori della modificazione del comportamento affermano che spesso siamo noi, sia pure senza rendercene conto, a rinforzare questo suo isolamento nei primi anni di scuola: non appena otteniamo una sua partecipazione alla varie attivit, tendiamo a dirottare lattenzione sugli altri alunni che hanno bisogno di noi, rinforzando cos positivamente senza volerlo la condotta di autoisola120

mento dellalunno (con il rivolgerci a lui) e punire il suo comportamento di segno sociale (con il togliergli lattenzione non appena abbiamo ottenuto che lavori insieme agli altri) [F,325-336].

Altri aspetti della conduzione della classe


Anche la classe pi diligente pu essere in certe occasioni turbolenta. Il miglior modo di esaminare questi problemi quello di delineare un certo numero di regole fondamentali di natura generale che siano valide per la maggior parte delle situazioni che vengono a crearsi in classe. Eccone alcune: 1. Sollecitare linteresse della classe. 2. Evitare i modi affettati. 3. Siate giusti (interessante sapere che gli alunni, a qualsiasi et, considerano il comportamento giusto una delle caratteristiche pi apprezzabili di un insegnante). 4. Abbiate il senso dellumorismo (ridendo anche di voi stessi, qualche volta; spesso per gli alunni il senso dellumorismo secondo soltanto alla capacit di essere giusti nelle graduatorie delle qualit dellinsegnante). 5. Evitate le minacce inutili (nelle occasioni in cui si reputino inevitabili, occorre fare in modo che tali minacce siano proporzionate al fatto commesso e insieme realistiche; una volta lanciate, poi, bisogna anche metterle in atto). 6. Siate puntuali (anche per quanto riguarda il termine delle lezioni). 7. Evitate di arrabbiarvi. 8. Evitate di dare eccessiva confidenza (allinizio meglio latteggiamento formale, aumentando poi gradualmente la familiarit: un po come quando si fanno nuove amicizie; insegnanti con carattere debole si comportano, di solito, in modo opposto). 9. Offrite agli alunni occasioni di assumersi delle responsabilit. 10. Focalizzate lattenzione della classe (pi che invitare al silenzio o allordine, molto pi utile chiamare per nome gli alunni pi direttamente coinvolti; imparare, dunque, al pi presto i nomi di tutti gli alunni). 11. Evitare di umiliare gli alunni (a prescindere dai danni psicologici, le umiliazioni danneggiano limmagine dellalunno agli occhi della classe; il sarcasmo spesso avvertito dagli alunni come unumiliazione, spingendo inoltre a replicare con altrettanta irriverenza). 12. Siate vigili (mantenere la disciplina con vista acuta e mobilit fisica). 13. Usate un linguaggio costruttivo (porre sempre laccento su ci che si desidera gli alunni facciano piuttosto che su quello che devono astenersi dal fare; meglio dire Entra in silenzio che Non fare tutto quel chiasso, dato che il linguaggio negativo porta gli alunni a pensare ad attivit che prima non erano nemmeno passate loro per la testa). 14. Mostratevi sicuri di voi stessi. 15. Siate ben organizzati (date chiarimenti prima di iniziare unattivit, mentre gli alunni sono attenti; gli alunni sappiano dove vengono custoditi gli oggetti duso della classe, ognuno di loro abbia precisi doveri e responsabilit). 16. Fate capire agli alunni che li sostenete [F,336-341; v. files relativi a comunicazione e gestione della classe].

Il ricorso alle punizioni


a) In linea di massima qualsiasi forma di punizione comporta i seguenti rischi: a) Lutilizzo di qualunque tipo di punizioni pu compromettere i rapporti tra alunno e insegnante, forse anche in modo permanente (specialmente se la punizione sentita come ingiusta o vista come mezzo per umiliare). b) Lalunno potrebbe adottare delle strategie, come labitudine a mentire, per evitare le punizioni. c) La punizione insegna allalunno una cattiva lezione: che ai pi forti consentito punire i pi deboli di loro.
Le sanzioni efficaci

a) Lutilizzo oculato del rinforzo positivo insieme ad alcune sanzioni spesso sufficiente a determinare le trasformazioni desiderate nel comportamento della maggior parte degli alunni [v. le tecniche di modificazione del comportamento a p.119]. b) Il genere di punizione maggiormente usato, e spesso anche il pi efficace con gli alunni collaborativi, il rimprovero verbale. La ragione per cui questo metodo cos efficace che gli alunni sembrano avere bisogno (C. Rogers lo considera un bisogno innato) dellapprovazione degli adulti. Probabilmente si tratta di unesigenza riconducibile al bisogno di essere accettati socialmente e al bisogno di autostima. c) Molto efficace il sistema di informare i genitori del fatto che la scuola disapprova il comportamento dei figli (timore da parte degli alunni di disapprovazione anche in famiglia). Una buona strategia anche quella che prevede che il Preside prepari una lettera indirizzata ai genitori, che convochi gli alunni e gliela legga (eventualmente archiviandola, dopo aver ottenuto modifiche di comportamento da parte degli alunni interessati). Importante, comunque, che la lettere descriva dettagliatamente il tipo di comportamento che la scuola disapprova. Una variante il momento di consegnare alle famiglie le schede di valutazione degli alunni, posto che tali schede siano accompagnate da dettagli precisi, nonch da indicazioni chiare sul modo di rimediare ai vari problemi. d) Molto utile coinvolgere i genitori in qualit di collaboratori nellistruzione formale dei figli. Importanti gli incontri periodici tra genitori e insegnanti (nonostante le comprensibili critiche: spesso proprio i genitori meno interessati sono quelli pi difficili da coinvolgere). e) Rousseau la definiva la legge delle conseguenze naturali: le conseguenze scaturiscono dallambiente nel suo complesso (anzich dallinsegnante, come nel condizionamento operante). S. Isaacs negli anni 30 ne dimostr lefficacia, specialmente sui bambini pi piccoli. Ad es.: quando si chiamavano i bambini per il pranzo poteva succedere che alcuni di loro continuassero a giocare; si permetteva loro di rimanere doverano se lo desideravano, solo che quando infine 121

decidevano di andare a mangiare scoprivano o che il cibo era freddo o che i secondi piatti erano finiti Ovvio che in diverse occasioni (specie quando in gioco la sicurezza fisica) il bambino deve essere salvaguardato dalle conseguenze naturali delle sue azioni, ma in linea di massima tale strategia si dimostra molto utile, poich consente agli alunni di verificare il nesso causale tra le azioni compiute e i risultati indesiderati che a volte ne conseguono. I bambini pi piccoli hanno per bisogno di considerare azioni e risultati molto vicini nel tempo. Altra cautela: fare in modo che i bambini non sperimentino troppo a lungo le conseguenze naturali (abitudine alla privazione prima, valutazione del gesto degli insegnanti come atto vendicativo poi). f) Non sono invece efficaci il sottrarre agli alunni lintervallo per la ricreazione o la possibilit di fare determinati giochi o il farli restare in classe oltre il normale orario scolastico: spesso passa un intervallo di tempo troppo lungo tra lemissione di tali comportamenti e la somministrazione delle punizioni (pi efficacia se fossero gli alunni stessi a procurarsi punizioni, come conseguenze naturali) [341-345].

I problemi di comportamento nei gruppi di alunni


A volte le difficolt nel mantenere la disciplina della classe derivano dal comportamento di determinati gruppi. Primo compito dellinsegnante, ancora una volta, il compilare un elenco dei comportamenti scolastici osservati; anche qui possibile che siano le risposte degli insegnanti ad alimentare tali comportamenti, o almeno a creare le precondizioni della loro comparsa (ad es.: carenze organizzative, eccessiva confidenza, atteggiamenti troppo contegnosi). Oltre al modificare il comportamento proprio dellinsegnante, esistono altre utili strategie generali: Innanzitutto individuate il membro o i membri del gruppo che esercitano maggiore influenza sugli altri [a proposito dei leader e degli idoli, v. p.111]. Una volta individuati (Lewin li chiama i guardiani), linsegnante potr concentrare i propri sforzi su di essi, ben sapendo che se riuscir ad aver ragione di loro il resto del gruppo probabilmente seguir lesempio dei leader. Quando possibile, dividete il gruppo che si comporta male (posti separati, attivit lavorative diverse in classe e per i compiti a casa). Linsegnante deve contribuire a spezzare la coesione interna del gruppo e incoraggiare i singoli componenti a crearsi nuove amicizie al di fuori del gruppo (lideale sarebbe, ovviamente, che tutto ci rimanesse al di fuori della consapevolezza degli alunni in questione). Interagite il pi possibile con gli alunni individualmente: cos si aiuta ogni singolo alunno a instaurare un rapporto personale con linsegnante (e si contribuisce a spezzare la coesione interna). Trascorrete la maggior quantit di tempo possibile con gli alunni, sempre individualmente, al di fuori della classe: ci indebolisce la loro tendenza ad associare limmagine dellinsegnante esclusivamente alla vita della classe. Quando possibile evitate il conflitto diretto con i singoli membri di un gruppo di fronte a tutti gli altri: lesigenza del singolo di salvaguardare il proprio prestigio e la propria posizione agli occhi degli altri membri del gruppo rende molto pi difficile trattare con i singoli alunni quando sono insieme che non quando sono da soli; perci occorre anche fare il possibile per sdrammatizzare la situazione e affrontarla in un momento pi propizio. Non volendo applicare le tecniche di modificazione del comportamento in maniera sistematica, linsegnante pu per es. gentilmente dire allalunno che si comporta in modo insolente che ha si rende conto che c qualcosa che lo indispone, aggiungendo che si rende disponibile alla fine della lezione ad ascoltare con calma tutte le sue ragioni.
Gli scontri fisici

In questi casi occorre che linsegnante agisca rapidamente e con determinazione, mostrando una sicurezza che potrebbe in realt non avere: attraversando laula con passo deciso e dividendo fisicamente gli alunni, tenendo saldamente fermo laggressore. Dopodich si rivolge con calma ad entrambi gli alunni e, servendosi della formula che abbiamo gi visto, fa sapere loro di rendersi conto che per un qualche motivo sono agitati (o arrabbiati), aggiungendo che ascolter volentieri, quando si saranno calmati, le ragioni di entrambi in proposito (non affatto opportuno che linsegnante reagisca arrabbiandosi: la calma e un pizzico di umorismo portano decisamente a risultati migliori) [F,345-3347].

Rifiuto della scuola e mancata frequenza scolastica


Gli alunni che fanno continue assenze da scuola senza giustificati motivi ci segnalano in modo chiaro che dal loro punto di vista i vantaggi ricavati non andando a scuola sono maggiori di quelli che otterrebbero frequentando le lezioni. La prima domanda da porsi, al solito, : perch le cose vanno in questo modo? Le risposte possono essere le seguenti: Lalunno pu essere vittima della prepotenza di altri alunni. Lalunno pu aver timore di un certo insegnante o di un qualche genere di punizione. Lalunno potrebbe associare la scuola a tal punto con linsuccesso personale, che il non andare a scuola risulta un modo per salvaguardare la propria autostima. Potrebbero esistere problemi in famiglia che impediscono allalunno di frequentare la scuola. possibile che i genitori, impedendo al figlio di frequentare la scuola, sentano di poter cos dare espressione a una sorta di oscuro rancore nei confronti della societ. Pu darsi che il ragazzo assuma alcool o droghe, e che il suo stato di salute sia tale da non consentirgli di frequentare la scuola. Lalunno potrebbe essere coinvolto in qualche genere di attivit delinquenziale. anche possibile semplicemente che lalunno abbia del tutto a noia la scuola e che sia alla ricerca di qualcosa di pi stimolante da fare.

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Anche il rifiuto della scuola non un problema esclusivo dellalunno. Possono svolgere un ruolo importante i compagni, i genitori, gli insegnanti, lorganizzazione scolastica o gruppi di coetanei devianti. Naturalmente, pi diventano numerose le assenze, pi gli alunni rimangono indietro nello studio; questa situazione finisce per indurli a crearsi una rete sempre pi fitta di bugie e di inganni a scopi autoprotettivi, il che, a sua volta, rende loro sempre pi difficile avere fiducia negli altri e chiedere aiuto. In questi casi, comunque, punire gli alunni un provvedimento immotivato, addirittura controproducente. Bisogna invece cercare di far capire a questi ragazzi che la scuola ha proprio lo scopo di comprendere le paure e le ansie generate in loro dai problemi che magari si trovano ad affrontare nella loro vita, che la scuola pi che disponibile ad aiutarli. E: tentare di capire insieme a questi ragazzi perch la scuola li annoi tanto e perch la sentano cos lontana dai loro interessi. Le scuole che organizzano corsi speciali per i meno capaci, solitamente riescono nellintento di ridurre il fenomeno. Comunque, la mancata frequenza scolastica non sicuramente un problema affrontabile con le pi comuni tecniche di modificazione del comportamento [F,347-349].

La comunicazione educativa Atmosfere educative e qualit della comunicazione


La comunicazione educativa una specifica forma di comunicazione. Il rapporto comunicativo che si instaura in classe rispecchia il tipo di atmosfera che vi regna [Pe,219-220; v. anche La lezione come interazione sociale: p.107].

Che cosa si comunica?


Possiamo cos raggruppare i contenuti della comunicazione educativa: a) Dati di conoscenza (strutture cognitive pi o meno complesse, modi particolari di operare su certi dati; ma anche ci che di rilevante sta accadendo nellambiente extrascolastico, le esperienze dei singoli allievi, certi temi toccati dai giornali o dalla tv, certi problemi generali che riguardano sia la vita presente degli allievi sia la loro vita futura); linsegnante pu far sapere agli allievi ci che pensa intorno a un certo fatto, oppure pu riuscire anche a persuadere. b) Sentimenti ed emozioni (certezza e dubbio circa le cose che si stanno dicendo, gioia, dolore, curiosit); comunicazione che pu aver luogo rendendo noto agli altri ci che si sta provando, o trasmettendo, suscitando la compartecipazione di chi ascolta. c) Atteggiamenti e valori (atteggiamenti di curiosit, di entusiasmo, di ascolto, di obiettivit, di collaborazione invece che di competizione); possiamo far conoscere agli altri che si sono assunti certi atteggiamenti e ci si ispira a certi valori, oppure possiamo giungere a far assumere agli altri tali atteggiamenti e valori. Si educa attraverso ci che si dice, ma anche soprattutto attraverso ci che si fa [Pe,220-223].

Con quali mezzi si comunica?


Il linguaggio verbale orale il pi consueto (la lezione, la conversazione, la discussione, la lettura ad alta voce), il cui limite pu consistere nella diversit di codici fra chi lo usa e i suoi ascoltatori. Un insegnante dovrebbe collocarsi a un livello di scelta di vocaboli per lo meno intermedio, e utilizzare certi accorgimenti [v. appunti di Gatta F. sulla lezione]. Il linguaggio verbale scritto (dobbiamo tener conto di una molteplicit di codici, e persino dellassenza di codici). Le immagini permettono di superare molte difficolt che si incontrano con le due forme di comunicazione sopra citate. Il gesto, essenziale nelle situazioni in cui non possibile usare i tre precedenti. opportuno, nel comportamento comunicativo, combinare insieme ciascuno di questi mezzi. Ed importante che questi mezzi si integrino bene fra loro, e che il dosaggio sia ogni volta anche in rapporto con il contenuto della comunicazione [v. anche il principio di trasferibilit linguistica]. Anche il silenzio pu essere un mezzo per comunicare Infine, il comportamento concreto pure uno strumento per comunicare: soprattutto quando si comunicano emozioni, atteggiamenti, valori [Pe,223-225].

In quali modi si comunica?


a) Si pu comunicare in modo esplicito, oppure implicito. b) In forma suggestiva, ovvero facendo sorgere negli altri opinioni e convinzioni senza che si rendano conto che sono state suggerite da noi. c) In forma diretta, o tramite terza persona. d) La comunicazione pu essere univoca, oppure pu trasmettere due messaggi, magari contraddittori. e) Si pu comunicare sotto forma di indottrinamento (presentare certi atteggiamenti o valori come i soli esistenti, o gli unici validi) o di analisi critica (invito al confronto, ad una scelta consapevole). f) Si pu motivare allascolto (preoccupazione da parte di chi d avvio ad un atto comunicativo: verificando la presenza negli interlocutori di un interesse per ci che si sta per dire; suscitando un problema a partire dalla concreta esperienza degli ascoltatori, o da conoscenze da essi gi possedute [v. anche la dissonanza cognitiva]. g) Nella comunicazione vi pu essere unidirezionalit (quando allinterlocutore non viene dato molto spazio per intervenire) o circolarit (garantita da un feedback frequente, spontaneo o sollecitato). Una comunicazione pienamente circolare quando vi un continuo passaggio di informazioni dallinsegnante agli allievi e anche dagli allievi allinsegnante, generalmente con un messaggio principale e un feedback spontaneo, e con situazioni in cui in certi casi linsegnante che produce il messaggio principale, in altre sono invece gli allievi a produrlo, con un continuo passaggio dalluno agli altri. Si tratta di una situazione pi complessa di una comunicazione fondamentalmente unidirezionale [Pe,225-229]. 123

Difficolt nella comunicazione


Perdita di informazione e ruolo della ridondanza

Una prima causa di perdita dellinformazione pu essere individuata nel canale. Bisogna: - evitare la cancellazione di una parte del messaggio, assicurandosi che il canale non sia interrotto in qualche suo punto; - fare un uso sapiente della ridondanza (esemplificativa, semplificativa, complicativa, introduttiva, riassuntiva; con illustrazioni, didascalie, domande).
Carenza di feedback

Il feedback efficace, ai fini di un orientamento e aggiustamento del comportamento comunicativo, quando: giunge in tempo utile, completo o vario [Pe,229-235; v. files relativi a comunicazione e gestione della classe].

Le attivit di orientamento e di consulenza nella scuola Lattivit di consulenza


Ogni insegnante, oltre a essere una persona che insegna abilit sociali, un consigliere [sul counseling, v. ledizione pi recente di F Manuale di psicologia per gli insegnanti, Erickson, 1996, pp.359-380; F,304-308].
Conflitti e forze di natura sociale

Secondo Lewin (1936) lo spazio sociale in cui lindividuo si muove pu essere suddiviso in un certo numero di regioni, ovvero valenze (per un alunno, per es., lambiente familiare, la scuola, un gruppo giovanile). Lideale sarebbe che ognuno di noi, nella propria vita, fosse in grado di spostarsi da una valenza allaltra senza dover apportare cambiamenti eccessivi al proprio comportamento sociale e a modelli e valori che lo informano: le barriere che dividono una valenza dallaltra dovrebbero essere basse. Lindividuo sarebbe cos in grado di condurre una vita sociale relativamente armonica; in caso contrario possono nascere conflitti e sensi di colpa [F,308-315].

Lorientamento professionale
Un altro tipo di consulenza quella relativa allorientamento professionale. Prima di giungere a compiere una scelta professionale definitiva ogni studente passa attraverso diversi stadi.
Gli stadi del percorso che conduce a una scelta professionale matura

Super (1957), sulla base di una precedente ricerca di Ginzberg, ha proposto il seguente modello di definizione di tali stadi (si tenga per presente che alcuni soggetti attraversano ciascuno stadio molto pi tardi rispetto ad altri): Stadio 1. Stadio della fantasia (primi anni dellinfanzia, di solito sino ai primi anni delle elementari): i bambini fantasticano di essere qualsiasi cosa attragga la loro immaginazione; scarsa attenzione alla concreta realt delle attivit lavorative per le quali provano interesse. Stadio 2. Stadio dellinteresse (ultimi anni delle elementari): la fantasia inizia a lasciare il posto allinteresse; attrazione per quelle attivit lavorative che paiono rispecchiare le cose che si trovano interessanti. Stadio 3. Stadio della capacit (anni centrali delladolescenza): comincia ad assumere importanza un altro fattore: la capacit; si sviluppa la tendenza a scartare le attivit lavorative considerate al di sopra o al di sotto dei propri livelli di capacit. Stadio 4. Stadio delle prime scelte (ultimi anni delladolescenza): si compiono le prime scelte di prova riguardanti la futura attivit lavorativa; si cominciano a presentare domande di lavoro e a conoscere la realt del mondo del lavoro. Stadio 5. Stadio della sperimentazione (poco dopo i 20 anni): lindividuo prova diverse esperienze e pu anche cambiare speso lavoro. Stadio 6. Stadio della specializzazione (mezza et): di solito lindividuo impegnato stabilmente in una determinata professione. Stadio 7. Stadio della decelerazione (dai 60 anni in poi): in genere, la persona non pi interessata a ottenere promozioni e ulteriori avanzamenti di carriera. Stadio 8. Stadio del pensionamento. Si tenga presente che Super aveva concepito questo schema quando le donne per lo pi non ambivano a intraprendere una professione; fra laltro, negli anni 50 le persone di mezza et non cambiavano spesso lavoro [F,315-319].

Lorganicit delle conoscenze e il curricolo


Lorganicit delle conoscenze I caratteri di un sapere organico
[V. anche Lapprendimento, in part. La natura del materiale da apprendere: p.78] Un gruppo di conoscenze ha un carattere organico quando esse sono collegate fra loro in modo da completarsi a vicenda dando origine a una struttura unitaria ove ogni parte ha un chiaro rapporto con le altre e con la totalit che esse formano. Lorganicit di una struttura si fonda essenzialmente su rapporti di evidente complementarit fra le sue parti, una complementarit che rende possibile la formazione di una totalit a carattere fortemente unitario. I vantaggi che presentano i gruppi di conoscenze a carattere fortemente organico sono: - esse soddisfano quel bisogno di capire che bisogno di cogliere dei rapporti 124

che rendano significativo un insieme di dati, e suscitano quel piacere di capire e quella abitudine a cercar di capire molto importanti sul piano motivazionale e su quello della formazione della personalit; - restano a lungo nella memoria perch le loro parti si sostengono a vicenda; - se una parte di una struttura cognitiva di questo tipo viene dimenticata le parti residue ne facilitano la ricostruzione [v. anche il principio metodologico di integrazione; Pe,249251].

Come nasce lorganicit


a) Nella mente dei ragazzi certe conoscenze assumono un carattere organico, anzitutto, perch (come ha sottolineato Ausubel) allatto della loro prima presentazione esse gi avevano tale carattere (importante dunque allenarsi alla chiarezza espositiva, trovando per ogni tema la forma espositiva ottimale). b) Lorganicit pu essere raggiunta in occasione di una spiegazione, o di una discussione di gruppo, quando certi dati di esperienza o di conoscenza gi presenti, ma ancora in ordine sparso, vengono collegati fra loro, disposti secondo un certo ordine. c) La strategia dei problemi una terza via molto importante [Pe,251-253].

Organicit ed interdisciplinarit
Abbiamo situazioni intradisciplinari (i dati di conoscenza che vengono organizzati in una struttura nuova appartengono tutti alla stessa area disciplinare). Ma abbiamo anche situazioni in cui lorganicit ha un respiro pi ampio, investendo pi campi disciplinari (interdisciplinarit). Ecco varie posizioni assunte nel tempo da studiosi e scuole diverse: a) I centri dinteresse [v. Decroly]: consistono nello scegliere un certo tema che si suppone desti negli allievi un interesse spontaneo e piuttosto vivo, per assumerlo come punto di riferimento per conversazioni, analisi, ricerche, o altre forme di attivit le quali permettano di affrontarlo o riaffrontarlo secondo prospettive diverse (limiti pi evidenti: la cosiddetta piramide rovesciata, in cui il soffermarsi troppo a lungo su un certo tema la punta pu ridurre gradualmente linteresse, e determinare alla fine saturazione; inoltre, il passaggio da una prospettiva allaltra assume spesso carattere un po meccanico, artificioso). b) La strategia dei progetti: rimette la piramide sulla sua base, ponendo al suo vertice un certo obiettivo particolarmente stimolante, per conseguire il quale tuttavia necessario affrontare attivit che riguardano diversi campi disciplinari, e risultano tra loro collegate dal comune denominatore costituito appunto dallessere tutte orientate ad un medesimo fine (il limite pu essere che ci si pu applicare solo in un limitato numero di casi, quelli appunto rappresentati da progetti concretamente realizzabili attraverso un lavoro comune che complesso, richiede un certa quantit di tempo e unaccurata programmazione). c) Linterdisciplinarit dinamica: strettamente legata alla strategia dei problemi, consiste nel cogliere tutte le occasioni favorevoli per sollevare, nellambito di una certa area disciplinare, dei problemi che possano trovare la loro soluzione solo attraverso dati di conoscenza e attivit di strutturazione che riguardano unarea diversa (o anche pi aree diverse). d) [Pe,253-257].
Tre forme di interdisciplinarit dinamica

Vediamo ora in che modo possono essere affrontati i problemi interdisciplinari che si ha occasione di sollevare. 1) Dare loro soluzione immediata richiamando semplicemente delle conoscenze relative ad altri campi di esperienza che gli allievi gi hanno. 2) Qualora non basti il semplice richiamo di cose gi note, si pu decidere di aprire una parentesi nel discorso che si sta svolgendo nellambito di una certa disciplina, per affrontare brevemente (ma in maniera ben articolata), ponendoci nella prospettiva dellaltra disciplina, il problema sollevato, e dargli una soluzione. 3) Si pu sollevare i problema e lasciarlo aperto, facendo notare la sua esistenza, e rinviandolo ad altri momenti o ad altro insegnante. Si crea cos unaspettativa, una tensione, che resta viva fino al momento in cui si verificher unoccasione adatta, quando il ripresentarsi del problema in un contesto diverso richiamer alla mente conoscenze ormai familiari, o quando certe conoscenze nuove potranno venire riconosciute come la risposta a un problema rimasto aperto [Pe,257259].
Organicit aperta

Questa organicit, frutto della strategia dei problemi, pu a sua volta produrre nuovi problemi [Pe,259-260].

La programmazione
[V. materiali di Gatta F. su programmazioni; Pe,261-279; v. anche il curriculum script: Appendice 1].

Gli insegnanti e le tecnologie multimediali


Lavvento dei personal computer e la loro prima introduzione nelle scuole negli anni 70 ha segnato linizio di un modo nuovo di pensare e fare didattica; ed ora si parla, dalle materne alle superiori, di multimedialit. Il programma ministeriale di sviluppo delle tecnologie didattiche nel sistema scolastico (1995) si propone di modificare e integrare la didattica, tradizionalmente imperniata sulla parola orale e sul libro di testo (integrazione tra libro di testo, oralit dellinsegnante, attivit con le tecnologie, learning by doing); tecnologie didattiche che possono favorire nuove forme di dialogo fra scuola e realt giovanile, rompendo lisolamento della classe e della scuola con il mondo esterno.
Breve excursus storico

Comportamentismo = I primi ad entrare nelle scuole sono stati i programmi di tipo CAI (Computer Aided Instruction) che si rifanno alle tecniche dellistruzione programmata: scopo delleducazione la trasmissione di conoscenze da un esperto a un novizio, e per trasmetterle necessario operare in modo scientifico definendo obiettivi e mezzi per il loro 125

raggiungimento; cos questi programmi propongono sequenze didattiche basate sul meccanismo del rinforzo, e non vi spazio per liniziativa dellallievo. Dal Cognitivismo al Costruttivismo sociointerazionista = Sono programmi di tipo ICAI (Intelligent Computer Assisted Instruction) o ITS (Intelligent Tutoring System), pi flessibili dei loro predecessori e in grado di imparare, modificando il loro comportamento in base allesperienza. Verso gli anni 70 si afferma anche un nuovo modo di utilizzare il computer: accanto alla funzione di tutor, appaiono anche gli usi del computer come strumento e come discente ( il caso, ad es., del Logo, ma anche di sperimentazioni sulluso dellelaboratore come strumento di educazione alla riflessione metalinguistica).
Le attese della multimedialit

Si pu parlare di multimedialit: ad un I livello = ambiente informatico capace di gestire audio e video oltre che testi ed immagini statiche; ad un II livello = ci che va pi propriamente sotto il nome di ipertesto, cio di organizzazione reticolare di informazioni multimediali. Non certo una cosa nuova lintroduzione nella scuola di mezzi di comunicazione audio e video, la novit sta nel fatto che, almeno nelle indicazioni ministeriali, non ci si trova oggi davanti allintroduzione di nuovi sussidi, ma si intende far penetrare nella scuola un nuovo modo di intendere la didattica: la didattica multimediale si esprime dentro gli spazi dei nuovi media, cos come la didattica tradizionale si esprime dentro gli spazi del libro, della lavagna e del quaderno. Radio, cinema e televisione fino agli anni 60 sono stati forme comunicative, tecnologiche e sociali che avevano una loro specificit, ben differenziabili fra loro, inoltre il sistema della comunicazione di massa era fortemente caratterizzata dalla centralizzazione della trasmissione e quindi dalla unidirezionalit della comunicazione; a partire dagli anni 80 assistiamo ad una ibridazione tecnologica dei media; i sistemi audio e video possono essere sottoposti a processi di digitalizzazione ed essere cos letti da un computer: un elaboratore riesce cos a gestire suoni e immagini, consentendo anche una maggiore interattivit rispetto alle forme di comunicazione tradizionali. Ogni mezzo di comunicazione d un contributo specifico allo sviluppo umano, ed fondamentale in educazione poter utilizzare tutti i media nella loro specificit e complementariet (Olson, 1979); una didattica multimediale pu dunque aiutare a sviluppare aspetti diversi della mente ed insegnare ai ragazzi ad aprirsi a prospettive diverse. Linterattivit data principalmente da ci che unisce e gestisce i diversi linguaggi, il mezzo computer, la cui caratteristica principale proprio quella di consentire allutente di intervenire e condizionare il processo in corso (il controllo pu passare dal computer allutente e viceversa, come nei videogiochi, appartenenti al I livello di multimedialit).
Ipertesti e ambienti ipermediali

Appartengono al II livello di multimedialit. Nel 1945 Vannevar Bush il primo ad immaginare un sistema ipertestuale, e nel 1965 Theodor Nelson conia il termine ipertesto per riferirsi a forme non sequenziali di scrittura congiunta tramite collegamenti. Ipertesto = ambiente in cui un autore o utente pu creare un percorso ramificato definendo legami fra vari tipi di informazioni, e viene ad offrirsi come mezzo per pensare e per comunicare. Impermedia = sistema che applica metodi e tecniche ipertestuali alla gestione di informazioni di natura multimediale: le associazioni avvengono non solo con elementi linguistici, ma anche con altri sistemi simbolici; dunque una forma di organizzazione non lineare di informazioni provenienti da diversi media. Comunemente costituito da nodi (unit informative aventi autosufficienza comunicativa: una videata, ma anche unimmagine, una parola, una frase, un filmato, uno schema grafico) collegati fra loro attraverso legami o collegamenti che definiscono le relazioni logiche che esistono fra queste unit informative (links, comandi riconoscibili e facilmente utilizzabili, che forniscono anche informazioni circa le relazioni esistenti fra i nodi; possono essere referenziali, se pongono in relazione due punti qualsiasi dellipertesto che presentino fra loro una associazione di qualsiasi tipo, e organizzativi, se hanno natura gerarchica ed esprimono relazione di subordinazione o sovraordinazione fra concetti e informazioni). Si parla di ipertesti = non strutturati: una fittissima rete di legami collega ogni nodo a un altro ed ogni nodo pu rappresentare laccesso alla base dati; strutturati: presente unesplicita organizzazione dei nodi e dei legami, e in essi solitamente linformazione strutturata in insiemi di nodi fra loro legati, che possono dare accesso ad altri insiemi; gerarchica: le pagine ipermediali sono collegate fra loro attraverso una struttura ad albero, in cui un nodo principale si discende via via verso nodi subordinati. Lesplorazione di un documento ipertestuale viene chiamata navigazione, e il perdersi allinterno del mare di conoscenze viene considerato un naufragare. Problemi Da parte dello studente-lettore sono possibili: disorientamento, sovraccarico cognitivo, distrazione. importante che la navigazione sia sostenuta da un compito dotato di significato, che sostenga la motivazione degli studenti, ne incoraggi il coinvolgimento e dia senso al loro esplorare; lapplicazione deve inoltre fornire un supporto alla collaborazione, proponendo attivit che possano essere condivise con lintera classe, favorendo il confronto e la costruzione comune di significati, e che non si esauriscano nel lavoro al computer ma si aprano verso altre fonti di informazione e nuove ricerche. Potenzialit educative per attivit di studio Dinamicit e plasticit: le applicazioni ipermediali, organizzando una rete complessa di informazioni articolata in nodi e connessioni non lineari, usando diversi linguaggi e media, possono operare come amplificatori culturali e favorire un modo di pensare associativo, complesso, personale. Tecnologie ipertestuali ed ipermediali si prestano ad assecondare il modo in cui luomo naturalmente pensa: ci avviene soprattutto grazie allassociare le informazioni e al far interagire insieme diversi codici linguistici; le ricerche dimostrano che la memorizzazione ed il richiamo delle informazioni avviene in modo pi efficiente quando le proposizioni che rappresentano linformazione vengono proposte in una forma ed una successione tali da consentire sempre al destinatario di costruire reti di proposizioni piuttosto che propo126

sizioni isolate, e che le immagini mentali facilitano la memorizzazione delle conoscenze, che risultano dunque maggiormente efficienti in occasione dellimpiego del doppio registro, verbale e iconico. Realizzano una maggiore trasparenza delle forme di comunicazione: gli ipermedia dovrebbero offrire un isomorfismo fra struttura della conoscenza e struttura della comunicazione, tale da consentire ad un lettore inesperto di ricostruire la struttura della conoscenza (il modo in cui strutturato un certo campo di conoscenza nella mente di un esperto del dominio); sicch lapprendimento si realizzerebbe attraverso una modalit implicita, non dichiarativa, contestualizzata, pi vicina, dunque, allapprendimento di abilit anche per quei contenuti che sono stati sempre oggetto di apprendimento esplicito (dichiarativo, non contestualizzato). Possibilit di raccogliere in poco spazio grande e varia quantit di informazioni e di accedervi con facilit e rapidit. Lipertesto un ambiente non direttivo: mette in gradi chi apprende di prendere decisioni rispetto al proprio percorso, mantenendo sempre il controllo del proprio apprendimento. Un ipertesto offre non soltanto nuovi modi di apprendere contenuti, ma anche nuovi modi di imparare ad imparare: la possibilit di scegliere la propria rotta favorisce la personalizzazione dei percorsi di apprendimento. A scuola possiamo non soltanto fruire delle applicazioni ipermediali presenti in commercio, ma anche progettare e costruire applicazioni multimediali: ottima occasione per lallestimento di ambienti di apprendimento costruttivo e cooperativo, oltre che di sollecitazioni di abilit di organizzazione e di capacit di creare collegamenti di concetti; inoltre chi progetta e costruisce ipertesti deve creare a priori una precisa struttura di riferimento. La rete internet un enorme ipertesto, e viene considerata una potente risorsa per laccesso allinformazione, oltre che un magnifico strumento per la comunicazione interpersonale. La quantit di documenti presenti sulla rete enorme, e la facilit di accesso rende stimolante e divertente lattivit di raccolta di informazioni; per necessario avere una forte motivazione, pazienza e capacit di selezionare. unattivit riservata agli studenti dalla scuola media in poi, guidati da insegnanti che utilizzino quel tipo di attivit anche per stimolare capacit critiche; luso dei motori di ricerca, poi, pu rappresentare una palestra per lo sviluppo di abilit logiche. Ma una direzione forse pi interessante per la didattica utilizzare la rete per mettere in atto attivit di comunicazione e collaborazione a distanza fra scuole (scambio interpersonale attraverso la posta elettronica, ma anche esperienze di apprendimento cooperativo, costituendo comunit di apprendimento a distanza).
Gli insegnanti e il computer

necessario che gli insegnanti abbiano loccasione di riflettere sui cambiamenti che luso educativo della multimedialit pu e deve arrecare alla didattica; ma: sar la multimedialit a trasformare la scuola o sar la scuola ad integrare la multimedialit nella vecchia impostazione didattica? Deve cambiare prima di tutto il ruolo dellinsegnante: egli non pi lunico esperto di riferimento, ma esiste una comunit, e linsegnante diviene colui che sollecita, sostiene ed orchestra le attivit degli studenti. Cambia lorganizzazione degli spazi e dei tempi e svanisce la netta differenziazione fra discipline; unattivit di progettazione e costruzione di oggetti multimediali per sua natura va oltre i rigidi confini delle discipline, e gli studenti si muovono trasversalmente ad esse, passando attraverso connessioni, nessi, legami da un blocco di sapere ad un altro [Po,339-359].

Linsegnante
Professionalit degli insegnanti e psicologia Le componenti della professionalit dellinsegnante
La componente culturale

a) Conoscere bene le cose significa conoscerle in modo problemico: in un modo cio che permetta di far scaturire certe conoscenze da problemi proposti agli allievi con riferimento alle loro esperienze o alle conoscenze che essi gi possiedono e che vengano messe in crisi con domande opportune, che stimolano a riflettere, discutere, cercare. b) Importante avere interessi transdisciplinari ed essere aperte a collaborazioni con i colleghi. c) Importante conoscere in modo organico e problemico almeno alcune cose che nella struttura di un certo sapere occupano una posizione strategica, essere disponibili ad impararne altre cammin facendo, dichiarando quando il caso la propria limitata conoscenza di certi temi (sottolineando per la propria intenzione di colmare la lacuna, e indicando i metodi adatti per farlo). d) Conoscere le cose in profondit, nelle loro radici sia epistemologiche sia storiche.
La componente pedagogico-didattica

1. Quali obiettivi porre allintervento educativo? Che tipo di uomo ci si propone di formare? E che tipo di allievo si vuole avere durante tutti gli anni in cui un ragazzo sta con noi? 2. Come fare per raggiungere gli obiettivi pedagogici di fondo? Come programmare a lungo termine lintervento educativo, e come aggiornare periodicamente la programmazione in rapporto ai risultati parziali? Come coordinare il proprio intervento con quello dei colleghi, o di altri agenti educativi? Come valutare i progressi compiuti dagli allievi nei vari campi? Che spazio dare ai vari tipi di attivit? Come ottenere linteresse degli allievi e il loro coinvolgimento nelle attivit proposte? Che tipo di struttura dare alla classe? 3. Come insegnare quella particolare cosa-regola-principio? [Pe,1-8]. 127

Le qualit umane

Linsegnante dovrebbe possedere: a) un carattere allegro, umore costante, ottimismo (pur con visione realistica), entusiasmo, coerenza, disponibilit; b) un reale interesse per gli allievi, capacit di compartecipare ai loro problemi, calore umano, atteggiamento di ascolto, capacit di decentrarsi sugli allievi e di indurli ad esprimersi; c) accessibilit (atteggiamento che incoraggia gli allievi a confidare i loro dubbi, le loro difficolt, a comunicare esperienze, a chiedere consiglio, a formulare proposte senza timori; d) un atteggiamento di fiducia nelle capacit degli allievi, pazienza, rispetto per le loro individualit e per il loro bisogno di indipendenza, capacit di valorizzare le loro prestazioni anche se modeste e, nel caso di errori o mancanze, tendenza ad analizzare con loro la natura dellerrore o della mancanza pi che a rimproverarli o a punirli; imparzialit [v. anche La personalit: Le reazioni dellinsegnante e Lumore p.88; Pe,8-11].

Personalit e caratteristiche dellinsegnante Saper fare linsegnante


Dalle ricerche emerge un dato deludente: piuttosto scarsa la correlazione tra buoni risultati ottenuti da allievi insegnanti nel corso del periodo di tirocinio e livelli di soddisfazione e riuscita professionale osservati a distanza di cinque anni.
Insegnanti esperti e insegnanti novizi

Nellambito degli studi sulle pratiche di acquisizione delle competenze un settore particolarmente ricco quello che studia le differenze tra esperti e novizi in diversi contesti professionali e lavorativi; tale settore si pu articolare in due linee di ricerca principali: I- la prima centrata sulla nozione di expertise comprende gli studi condotti per lo pi in contesti non naturali (laboratorio) e centrati sulla descrizione della competenza esperta di un singolo individuo (unit e oggetto di analisi sono rispettivamente lindividuo e le sue attivit e competenze cognitive); II- la seconda che ha come nucleo la conoscenza situata comprende gli studi che hanno analizzato la competenza esperta in azione nei contesti lavorativi reali, considerando anche il peso dei fattori sociali e discorsivi nella costruzione e uso di tale competenza (unit e oggetto di analisi sono rispettivamente il sistema di attivit situata e le pratiche sociali e discorsive di uso delle competenze). I- ha evidenziato che: -la differenza fra esperti e novizi non risiede tanto nel numero o nella qualit delle conoscenze possedute, ma piuttosto nella loro organizzazione (gli esperti hanno rappresentazioni pi complesse della situazione educativa, con interconnessioni e organizzazione degli aspetti rilevanti); -le competenze degli esperti sono pi contestualizzate (ad esempio intermini di alternative di istruzione); -le competenze e le pratiche degli esperti sono pi flessibili. II- ha confermato tali risultati, aggiungendo ad essi una caratterizzazione delluso delle pratiche cognitive esperte. Scribner (1986) fornisce una sistematizzazione di quelle che sono le specificit cognitive delle pratiche di pensiero esperto: a) impostazione di problemi: non sanno solo contribuire alla soluzione di problemi, ma sono in grado soprattutto di permettere di vederne di nuovi; b) soluzioni flessibili: sono caratterizzate da un alto grado di flessibilit cognitiva (lo stesso problema viene risolto ora in un modo ora in un altro, tenendo conto delle specificit temporali, spaziali, di importanza del contesto di soluzione); c) integrazione del contesto nel sistema di soluzione di problemi: incorporano e utilizzano gli elementi caratteristici del contesto (le altre persone, i vincoli, gli strumenti) in cui il compito si svolge allinterno del processo di definizione/soluzione di problemi (i novizi fanno invece pi riferimento alle competenze nella loro testa); d) ottimizzazione dellenergia: privilegiano modalit economiche di soluzione dei problemi, che permettono di risparmiare energia cognitiva e/o fisica (metastrategia); e) dipendenza da conoscenze specifiche e particolari: usano conoscenze altamente specifiche, particolarmente importanti, da un punto di vista funzionale, allo svolgimento delle attivit (abilit di discriminare tra informazioni rilevanti e rumore di sfondo allinterno di un campo di attivit) [v. anche le comunit di pratiche: Appendice 1].
Le caratteristiche del buon insegnante

Ryans (1960) rilev che linsegnante che ha successo nella professione in genere affettuoso, comprensivo, amichevole, responsabile, sistematico, ricco di immaginazione e di entusiasmo; ma nel contempo osserv che gli alunni delle scuole secondarie si rivelano pi capaci degli alunni delle scuole elementari di adattarsi a insegnanti poveri di tali qualit (di solito lalunno, crescendo, diviene pi capace di assumersi in prima persona la responsabilit del proprio lavoro e di comportarsi con maggior flessibilit nei rapporti con gli adulti). Le ricerche di Ryans hanno per lo pi trovato conferma in studi pi recenti; bisogna per osservare che egli non prese in esame limportanza della competenza nelle specifiche materie dinsegnamento, che potrebbe avere un peso maggiore proprio con gli alunni delle scuole secondarie. Ma dalla ricerca emerse pure che anche insegnanti di scuola elementare che non risultavano ricchi delle qualit summenzionate ottenevano comunque risultati soddisfacenti ( anche possibile che gli insegnanti esaminati possedessero altre qualit, non prese in considerazione). Ricerche condotte da Rosenshine (1970) e da altri sui rapporti tra genitori e figli e tra insegnanti e alunni inducono a ritenere che una di queste qualit potrebbe consistere in un atteggiamento alieno da critiche eccessive nei confronti del lavoro svolto dagli alunni. Altri studi mettono inoltre in evidenza che in genere gli insegnanti pi capaci, rispetto ai colleghi meno capaci, preparano meglio le lezioni, dedicano pi tempo alle attivit che svolgono fuori dalle mura scolastiche e manifestano maggiore interesse per i loro alunni in quanto persone.
La sicurezza emotiva nellinsegnante

Altra buona qualit del buon insegnante la maturit emotiva. La sicurezza emotiva strettamente legata a quella che in psicologia viene chiamata forza dellIo. La forza dellIo un insieme di autostima e sicurezza di s in grado realisti128

camente elevato, unitamente a una serenit emotiva di fondo che permette di affrontare con pazienza e obiettivit i problemi pi diversi; questi problemi, nel caso dellinsegnante, non sono solo quelli che si presentano quotidianamente in classe, ma anche le tante altre situazioni impegnative che accompagnano la sua vita professionale. La forza dellIo permette inoltre allinsegnante di non lasciarsi scoraggiare dagli insuccessi e dalle delusioni che, insieme a realizzazioni e successi, fanno inevitabilmente parte della vita scolastica. La forza dellIo lo mette anche in grado di analizzare gli insuccessi e le delusioni, e di imparare da queste esperienze senza tormentarsi con sentimenti di colpa e di inadeguatezza, di provare soddisfazione per i successi ottenuti pur senza perdere di vista il senso delle proporzioni. Dalle ricerche non emergono prove sistematiche dellesistenza di una correlazione tra riuscita nellinsegnamento e grado elevato di estroversione o viceversa di introversione (il buon senso induce a ritenere che insegnanti troppo introversi non se la caverebbero bene in classe).
Gli atteggiamenti dellinsegnante

Dai dati disponibili si pu trarre la conclusione che i buoni insegnanti possiedono, oltre a quanto gi detto, quello che viene spesso definito un auspicabile atteggiamento professionale. Linsegnante che lo possiede ha un atteggiamento convinto nei confronti delle proprie responsabilit e dellimpegno professionale che lo attende ogni giorno, sa che il proprio ruolo richiede una disponibilit che va oltre il semplice compito di insegnare agli alunni una o pi materie specifiche e che va oltre lorario scolastico canonico, e possiede un atteggiamento sicuro in merito alla materia che insegna e nei confronti del proprio ruolo sociale. Dalle ricerche condotte con lutilizzo di varie scale che misurano gli aspetti pi evidenti degli atteggiamenti dellinsegnante (valutandolo in rapporto a: realismo, radicalismo e idealismo), emerge che gli allievi insegnanti tendono a ottenere punteggi sempre pi elevati in tutte e tre le dimensioni durante gli anni della loro formazione e a ottenere invece punteggi pi bassi non appena iniziano a esercitare. La capacit di mediare tra le varie esigenze (condizioni ambientali, punti di vista diversi dei colleghi) pu rivelarsi una qualit importante in un buon insegnante. Cortis (1973, 1985) ha rilevato che si mostrano maggiormente soddisfatti della carriera e capaci di realizzare i migliori progressi professionali quegli insegnanti che non drammatizzano i contrasti di poco conto con i colleghi e sanno anteporre la scuola alle loro esigenze personali allo scopo di far s che nella scuola prevalgano politiche e linee di condotta coerenti e solide, tali da permettere agli alunni di provare sicurezza e fiducia. I cattivi insegnanti, invece, tendono a occuparsi maggiormente dei propri problemi, a essere pi autoritari, diffidenti e aggressivi.
Gli stili di insegnamento

Si tratta delle tecniche di insegnamento preferite dai diversi insegnanti. I metodi formali privilegiano limportanza della materia da insegnare (qualit relativamente elevata di interventi verbali e di lavoro individuale degli alunni), mentre quelli informali privilegiano limportanza degli alunni (maggiore ricorso a ricerche e ad attivit di gruppo, offrendo agli allievi molte opportunit di scelta e di assunzione di responsabilit personali). Distinzione che semplifica fin troppo la realt concreta (probabile ricorso alla combinazione dei due metodi). Flanders ha elaborato i termini non direttivo (accetta i sentimenti degli alunni, fa leva sulla lode e sullincoraggiamento, utilizza le idee degli alunni) e direttivo (fa lezione, impartisce ordini e direttive, biasima e critica gli alunni). Diverse ricerche dimostrano che il comportamento non direttivo favorisce negli alunni risultati scolastici migliori e assunzione di atteggiamenti costruttivi, soprattutto nel caso di alunni pi capaci. Alcuni studi, comunque, inducono a ritenere che una pi elevata frequenza di interventi verbali da parte dellinsegnante favorisca negli alunni un maggior sviluppo di creativit non verbale [v. Le atmosfere educative: p.117].
Il valore degli interventi verbali dellinsegnante

Negli ultimi anni si manifestata la tendenza, specie alle elementari, a scoraggiare interventi verbali dellinsegnante in quanto tali e a privilegiare limportanza degli interventi verbali degli alunni. Meglio porre laccento su ci che effettivamente dice linsegnante (contenuti, forma, flessibilit del parlare dellinsegnante). Ecco dunque unaltra qualit dellinsegnante capace: essere un buon oratore (possedere un pensiero disciplinato, una mente capace di concentrarsi creativamente su un insieme di idee pertinenti; capire quando il momento di dare una risposta esauriente e quando invece il momento di lasciarla incompleta, usare la voce in modo chiaro ed espressivo, dare ai propri pensieri la formulazione verbale pi adeguata al livello della classe con cui si sta lavorando; e soprattutto capire quando necessario fermarsi, cos da dirigere lattenzione degli alunni sulle attivit pratiche in un momento in cui essi desidererebbero stare ancora ad ascoltare). Ma anche se un insegnante non giungesse mai ad apprendere larte oratoria, non c per motivo perch non possa imparare larte dellascolto
Introdurre la variet nei metodi di insegnamento

Bennett (1976) presenta dati che dimostrano in modo pi che evidente come nel complesso, per lo meno nella scuola elementare, i progressi nella lettura, in matematica e nella lingua materna risultano pi rapidi quando si usano metodi formali, mentre Haddon e Lytton (1971) mostrano che la creativit generale, per come viene misurata dai test di pensiero divergente (strumenti non infallibili), tende ad essere pi spiccata negli alunni delle scuole elementari che utilizzano metodi informali che non negli alunni delle scuole dove sono in uso metodi formali e che le differenze permangono anche dopo il passaggio alle scuole secondarie. Sappiamo per anche che gli alunni finiscono per stancarsi delle situazioni in cui non hanno la certezza di che cosa ci si aspetta da loro e di quelle situazioni in cui il loro lavoro viene continuamente interrotto dalle attivit degli altri (circostanze pi tipiche del contesto informale).
La flessibilit

Altra qualit del buon insegnante: la capacit di adattare i propri metodi alla materia che si insegna e agli alunni ai quali tale materia viene insegnata [F,352-360; Po,325-329].

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Lo stress dellinsegnante
Linsegnamento per sua natura unattivit stressante. In sostanza una risposta fisiologica a un eccesso di pressioni provenienti dallesterno; il corpo cerca di adattarsi, e se lo stress si prolunga si produce un crollo. In generale il processo di adattamento e di crollo ha luogo in tre fasi: 1. una reazione di allarme seguita da uno stato di shock e dalla diminuzione della capacit di resistenza, cui seguono la mobilitazione di meccanismi di difesa e una rinnovata capacit di resistenza; 2. una fase di resistenza caratterizzata da oscillazioni del grado di adattamento; 3. una fase di esaurimento delle forze, causato da collasso della risposta adattiva e dal crollo fisico o psicologico. Attacchi di panico che determinano stati di insonnia, bruschi cambiamenti nello stile di vita, un aumento del consumo di alcool, agitazione, irrequietezza, depressione, irritabilit sono tutti segni di un crescente stato di stress. Ci sono persone che riescono a tener testa allo stress per lunghi periodi. Lo stress ha comunque un suo prezzo. Accade spesso di apprendere con stupore che linsegnante apprensivo o che crede poco in se stesso meno soggetto a stress dellinsegnante dal carattere estremamente ambizioso che dedica troppo tempo e impegno al lavoro e prende le cose troppo seriamente. Superimpegno e seriet sono spesso sintomo di un modo di essere esigentissimo e inflessibile, che espone a grandi frustrazioni di fronte agli ostacoli o ai ritardi (la letteratura medica le definisce personalit di Tipo A, talvolta messa in relazione con forme di collasso fisico quali ad esempio le malattie coronariche).
Come far fronte allo stress

1. Cercare di capire se facciamo parte della categoria dei superambiziosi: non si tratta in questo di caso di ridurre latteggiamento di dedizione e il carico di lavoro, ma di ridimensionare le proprie aspettative e il proprio giudizio su cosa realisticamente possibile o impossibile fare in ogni data situazione; ugualmente importante imparare a ridere, soprattutto di se stessi, quando le cose vanno storte (favorisce laccettazione di s). 2. Esaminare le proprie reazioni: cercare di capire perch certe cose ci rendano tesi, contrariati o irritati (mi sento ferito nel mio orgoglio professionale? Mi sento diminuito ai miei stessi occhi? Sento messe in pericolo la mia immagine del mondo e le mie valutazioni sulle possibilit degli allievi?). 3. Provare a esaminare gli altri con un po pi di attenzione, e di frenarsi prima di attribuire loro la responsabilit dei nostri problemi. Corre sicuramente problemi anche chi ha una personalit caratterizzata da continui stati di tensione e nervosismo; altrettanto si pu dire di chi ha scarsa autostima e fiducia in s, come pure della persona pacifica che detesta la minima situazione di conflitto con gli altri. In tutti i casi, comunque, un atteggiamento realistico di fronte alla vita e una buona conoscenza di s e degli altri sono tra i fattori fondamentali che servono a ridurre lo stress. Altrettanto preziose, a questo fine, sono anche le semplici tecniche di rilassamento, che aiutano a diventare consapevoli delle tensioni del proprio corpo e ad apprendere i modi per scioglierle. Molto utili si rivelano anche le tecniche di meditazione, che mirano a distendere sia il corpo sia la mente [v. materiali in proposito: dispense, appunti; F,360-364].

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Indice generale
LA PERCEZIONE ......................................................................................................................................................... 1 LA PERCEZIONE: RICOSTRUZIONE INTERNA, VIA DACCESSO ALLA CONOSCENZA............................................................... 1 Sviluppo percettivo.....................................................................................................................................................................1 Condizioni per una ricostruzione interna completa e fedele .......................................................................................................1 Principi della percezione e fattori di organizzazione ad azione automatica ...............................................................................1 Impostazione soggettiva e esperienza passata come fattori di strutturazione .............................................................................2 ALTRI ASPETTI DELLATTIVIT PERCETTIVA DIDATTICAMENTE RILEVANTI ........................................................................ 2 Gli isomorfismi...........................................................................................................................................................................2 Le qualit espressive e fisiognomiche ........................................................................................................................................2 Le propriet materiali e funzionali .............................................................................................................................................2 PERCEZIONE E DIDATTICA.................................................................................................................................................. 2 PRINCIPALI TEORIE SULLA PERCEZIONE VISIVA .................................................................................................................. 2 LA FENOMENOLOGIA ......................................................................................................................................................... 3 SIMBOLIZZAZIONE E LINGUAGGIO ..................................................................................................................... 3 LA SIMBOLIZZAZIONE ........................................................................................................................................................ 3 Simbolizzazione e linguaggio .....................................................................................................................................................3 LINGUAGGIO E COMUNICAZIONE .................................................................................................................................... 4 LIVELLI.............................................................................................................................................................................. 4 UNIT E PROCESSI ............................................................................................................................................................. 4 Fonetica e fonologia ...................................................................................................................................................................4 Semantica ...................................................................................................................................................................................4 Grammatica ................................................................................................................................................................................4 Pragmatica ..................................................................................................................................................................................5 EFFETTI DEL CONTESTO SU COMPRENSIONE E PRODUZIONE ............................................................................................... 5 COMUNICAZIONE VERBALE E NON VERBALE ...................................................................................................................... 5
UDITIVO-VOCALE..................................................................................................................................................................................... 5 VISIVO-CINESICO ..................................................................................................................................................................................... 5

FUNZIONI DEL LINGUAGGIO E ATTI LINGUISTICI .................................................................................................................. 5 LA CONVERSAZIONE .......................................................................................................................................................... 6 SVILUPPO DEL LINGUAGGIO ............................................................................................................................................ 6 Fattori innati ...............................................................................................................................................................................6 GLI INIZI DEL LINGUAGGIO VERBALE .................................................................................................................................. 7 Prospetto dello sviluppo medio del lessico attivo ............................................................................................................. 7 STIMOLARE PER TEMPO LAPPRENDIMENTO DELLA LINGUA ............................................................................................... 8 LA LINGUA E LA SCUOLA ................................................................................................................................................. 8 PROMUOVERE LE CAPACIT LINGUISTICHE ........................................................................................................................ 8 LA LETTURA E LA SCRITTURA ............................................................................................................................................ 8 LEDUCAZIONE MULTICULTURALE..................................................................................................................................... 8 TEORIE ............................................................................................................................................................................. 9 LA PSICOLINGUISTICA ........................................................................................................................................................ 9 IL DIBATTITO TEORICO ....................................................................................................................................................... 9 TEORIA GENERATIVO-TRASFORMAZIONALE ....................................................................................................................... 9 TEORIA DI VIGOTSKIJ....................................................................................................................................................... 10 AREE CEREBRALI E AFASIE .............................................................................................................................................. 10 PENSIERO E LINGUAGGIO .............................................................................................................................................. 10 CONCETTI E CATEGORIZZAZIONI ...................................................................................................................................... 10 Acquisizione di concetti ...........................................................................................................................................................11 RAGIONAMENTO .............................................................................................................................................................. 11 Ragionamento deduttivo ...........................................................................................................................................................11 Ragionamento induttivo ed euristica ........................................................................................................................................11 IL PENSIERO COME ATTIVIT STRUTTURANTE ........................................................................................... 12 IL PENSIERO PRODUCE STRUTTURE DI VARIO TIPO ...................................................................................................... 12 PENSIERO IN AZIONE ..................................................................................................................................................... 12 IL PROBLEM SOLVING ....................................................................................................................................................... 12 Strategie e rappresentazioni ......................................................................................................................................................12 Il pensiero produttivo ...............................................................................................................................................................13 131

Esperti e principianti ................................................................................................................................................................13 Condizioni che ostacolano la soluzione o la comprensione .....................................................................................................13 Condizioni che facilitano la scoperta o la comprensione .........................................................................................................13

SCOPRIRE E CAPIRE .......................................................................................................................................................... 14 RAZIONALIT E FANTASIA................................................................................................................................................ 14 LINDIVIDUAZIONE DI FORMULAZIONI CHIARE ED EFFICACI.............................................................................................. 14 LINTELLIGENZA ...................................................................................................................................................... 14 LA MISURAZIONE DELLINTELLIGENZA........................................................................................................................ 14 I TEST DI INTELLIGENZA ................................................................................................................................................... 14 Le origini ..................................................................................................................................................................................14 Test individuali e collettivi .......................................................................................................................................................15 Caratteristiche di un buon test ..................................................................................................................................................15 MODELLI E TEORIE DELL'INTELLIGENZA .................................................................................................................... 15 POSSIBILE MIGLIORARE IL QI? ...................................................................................................................................... 16 MIGLIORARE LINTELLIGENZA ......................................................................................................................................... 16
Contenuti ............................................................................................................................................................................................ 16

De Bono ...................................................................................................................................................................................17 Hebb (1966)..............................................................................................................................................................................17 Cattel ........................................................................................................................................................................................17

TEORIE ............................................................................................................................................................................ 17 La teoria Pass di Das (1994) ....................................................................................................................................................17 Le teorie di Sternberg (1980-1997) ..........................................................................................................................................17 Le intelligenze multiple di Gardner (1983-1993) .....................................................................................................................18 LINTELLIGENZA SI EREDITA? ...................................................................................................................................... 19 LE RICERCHE SUI GEMELLI ............................................................................................................................................... 19 ALTRE RICERCHE ............................................................................................................................................................. 19 LINTELLIGENZA E I GRUPPI ETNICI .................................................................................................................................. 19 LINTELLIGENZA E I FATTORI SOCIOECONOMICI ............................................................................................................... 20 DIFFERENZE DI INTELLIGENZA TRA ABITANTI DI CITT E DI CAMPAGNA ........................................................................... 20 DIFFERENZE DI INTELLIGENZA TRA I SESSI ....................................................................................................................... 20 MALINTESI CIRCA L'EREDITABILIT ................................................................................................................................. 20 EFFETTI CULTURALI DEI MEDIA ........................................................................................................................................ 21 ORIGINI SOCIALI DELL'INTELLIGENZA......................................................................................................................... 21 LA PSICOLOGIA CULTURALE............................................................................................................................................. 21 Costruzione di strumenti e trasmissione delle conoscenze .......................................................................................................21 LA CREATIVIT ........................................................................................................................................................ 22 CHE COS LA CREATIVIT? ......................................................................................................................................... 22 CREATIVIT E INGEGNO ................................................................................................................................................ 23 I PLUS-DOTATI ................................................................................................................................................................. 23 CARATTERI, PROCESSI E MODELLI DELLA CREATIVIT ..................................................................................................... 24 Bartlett ......................................................................................................................................................................................24 Cognitivisti ...............................................................................................................................................................................24 Psicoanalisi e psichiatria...........................................................................................................................................................24 Psicologie umanistiche .............................................................................................................................................................25 Aspetti sociali ...........................................................................................................................................................................25 Pensiero creativo e personalit .................................................................................................................................................25 Creativit, conoscenza e motivazione .......................................................................................................................................26 LATTO CREATIVO ........................................................................................................................................................... 26 LA CREATIVIT E LA SCUOLA........................................................................................................................................ 27 IDENTIFICARE LA CREATIVIT E L'INGEGNO ..................................................................................................................... 27 CREATIVIT IN CLASSE .................................................................................................................................................... 27 IL GIOCO ..................................................................................................................................................................... 28 LE FINALIT DEL GIOCO ................................................................................................................................................... 28 LA NATURA DEL GIOCO .................................................................................................................................................... 28 Bhler e Piaget .........................................................................................................................................................................29 PROBLEMI, DEFINIZIONI E TEORIE .................................................................................................................................... 29 Caratteristiche descrittive .........................................................................................................................................................29 Alcune teorie ............................................................................................................................................................................30 132

IL GIOCO E LAPPRENDIMENTO......................................................................................................................................... 30 Lo sport ....................................................................................................................................................................................31 LO SVILUPPO COGNITIVO, AFFETTIVO, SOCIALE E MORALE ................................................................. 32 ACCRESCIMENTO SOMATICO E SVILUPPO MOTORIO ................................................................................................... 32 LO SVILUPPO COGNITIVO .............................................................................................................................................. 32 LA DINAMICA DELLO SVILUPPO ........................................................................................................................................ 32 UNA LINEA ASCENDENTE CON TRE MOMENTI DI CRISI ...................................................................................................... 32 LOPERA DI PIAGET ......................................................................................................................................................... 32 Metodologia delle ricerche .......................................................................................................................................................32 Caratteristiche del neonato .......................................................................................................................................................32 Invarianti-funzionali .................................................................................................................................................................33
Schema........................................................................................................................................................................................................... 33 Assimilazione ................................................................................................................................................................................................ 33 Accomodamento ............................................................................................................................................................................................ 33 Equilibrio dinamico ....................................................................................................................................................................................... 33

Gli elementi che consentono di formare e manipolare i concetti si modificano .......................................................................33 Il concetto di stadio ..................................................................................................................................................................33

STADIO 1. INTELLIGENZA SENSOMOTORIA (APPROSSIMATIVAMENTE DALLA NASCITA AI 2 ANNI)..................................... 34 STADIO 2. IL PENSIERO PRE-OPERATORIO (APPROSSIMATIVAMENTE DAI 2 AI 7 ANNI) ...................................................... 34 STADIO 3. LE OPERAZIONI CONCRETE (APPROSSIMATIVAMENTE DAI 7 AGLI 11 ANNI) ...................................................... 35 STADIO 4. LE OPERAZIONI FORMALI (APPROSSIMATIVAMENTE DAI 12 ANNI IN AVANTI) ................................................... 35 E DOPO LADOLESCENZA? ............................................................................................................................................... 36 SITUAZIONI ANOMALE ..................................................................................................................................................... 36 Iniziale povert di schemi .........................................................................................................................................................36 Primato dellassimilazione .......................................................................................................................................................36 Primato dellaccomodamento ...................................................................................................................................................36 RIFLESSI SUL PIANO EDUCATIVO ...................................................................................................................................... 36 FATTORI DELLACCOMODAMENTO .................................................................................................................................. 37 IL RAPPORTO FRA SVILUPPO E APPRENDIMENTO. LA ZONA DI SVILUPPO PROSSIMALE................................................... 37 LA RELATIVA MATURIT DEI TRE ANNI ............................................................................................................................ 38 SCUOLA PER LINFANZIA .................................................................................................................................................. 38 DAL PENSIERO INTUITIVO AL PENSIERO OPERATORIO E REVERSIBILE ............................................................................... 38 SCUOLA PRIMARIA ........................................................................................................................................................... 39 LA TERZA CRISI DI CRESCITA E IL PENSIERO IPOTETICO-DEDUTTIVO ............................................................................. 39 SCUOLA MEDIA ................................................................................................................................................................ 39 MUTAMENTI NEI RAPPORTI CON GLI INSEGNANTI ............................................................................................................. 39 ANCHE PER LA FANTASIA VI SVILUPPO .......................................................................................................................... 39 CRITICHE MOSSE A PIAGET .............................................................................................................................................. 39 ALTRI APPROCCI ALLO SVILUPPO COGNITIVO ................................................................................................................... 40 Vygotskij ..................................................................................................................................................................................40 Bruner (n. 1915) .......................................................................................................................................................................41 LO SVILUPPO AFFETTIVO .............................................................................................................................................. 42 LA NATURA DEI RAPPORTI AFFETTIVI ............................................................................................................................... 42 COME SI STABILISCE UN RAPPORTO AFFETTIVO ................................................................................................................ 42 STIMA E AFFETTO PER LINSEGNANTE .............................................................................................................................. 42 LAMBIVALENZA AFFETTIVA............................................................................................................................................ 43 LO SVILUPPO SOCIALE E MORALE ................................................................................................................................. 43 IL RAPPORTO AFFETTIVO GI UNA FORMA DI SOCIALIT ................................................................................................ 43 SOCIALIZZAZIONE COME ACCULTURAZIONE .................................................................................................................... 43 SOCIALIZZAZIONE COME CAPACIT DI CAPIRE GLI ALTRI.................................................................................................. 44 SOCIALIZZAZIONE COME CAPACIT DI COLLABORARE CON GLI ALTRI .............................................................................. 44 LO SVILUPPO MORALE E I SUOI DUE PIANI ........................................................................................................................ 44 LE PRIME FASI DELLO SVILUPPO SOCIALE .................................................................................................................... 44 IL BAMBINO IN FAMIGLIA ................................................................................................................................................. 44 LA NATURA DELLAPPRENDIMENTO SOCIALE NEI PRIMI ANNI........................................................................................... 45 Ruoli sessuali............................................................................................................................................................................45 Gruppi etnici .............................................................................................................................................................................45 Classi sociali .............................................................................................................................................................................46 LA FAMIGLIA ................................................................................................................................................................... 46 QUESTIONI CHE RIGUARDANO SPECIFICAMENTE LA CLASSE SCOLASTICA......................................................................... 47 I VALORI E LO SVILUPPO MORALE ................................................................................................................................ 47 LE ORIGINI DEI SISTEMI DI VALORI ................................................................................................................................... 47 133

Secondo Freud ..........................................................................................................................................................................47 Secondo Piaget .........................................................................................................................................................................47 Modello di Kohlberg ................................................................................................................................................................48


Critiche mosse a Kohlberg ............................................................................................................................................................................. 48

IL RUOLO DELLINSEGNANTE ........................................................................................................................................... 48 LINSEGNAMENTO DELLA CONDOTTA MORALE ................................................................................................................ 49 LAPPRENDIMENTO................................................................................................................................................. 49 IN CHE COSA CONSISTE LAPPRENDIMENTO?.................................................................................................................... 49
Concetto di apprendimento ............................................................................................................................................................................ 49 Dimensioni dellapprendimento ..................................................................................................................................................................... 49

TEORIE DELLAPPRENDIMENTO .................................................................................................................................... 49 Teoria comportamentista ..........................................................................................................................................................49 Teoria cognitiva ........................................................................................................................................................................49 Teoria umanistica .....................................................................................................................................................................49 Teoria socio-culturale ...............................................................................................................................................................50
Teoria ................................................................................................................................................................................................. 50

IL CONDIZIONAMENTO ..................................................................................................................................................... 50 Pavlov e Watson .......................................................................................................................................................................50


Condizionamento classico di Pavlov.............................................................................................................................................................. 50 Ambientalismo di Watson .............................................................................................................................................................................. 50

Contiguit / Rinforzo ................................................................................................................................................................50 Thorndike (1898) ......................................................................................................................................................................50


Connessionismo ............................................................................................................................................................................................. 50 Leggi dellapprendimento .............................................................................................................................................................................. 51

Skinner e il condizionamento operante ....................................................................................................................................51


Principi del condizionamento operante .......................................................................................................................................................... 51 Programmi di rinforzo.................................................................................................................................................................................... 52
Implicazioni educative dei principi operanti ............................................................................................................................................................... 52

Un altro punto di vista ................................................................................................................................................................................... 53 Unargomentazione filosofica ........................................................................................................................................................................ 53

LA TEORIA SOCIALE COGNITIVA DI BANDURA .................................................................................................................. 53 Lapprendimento sociale ..........................................................................................................................................................53 Panoramica della teoria sociale cognitiva .................................................................................................................................53
Nellapprendimento frutto di osservazioni sono coinvolti quattro processi distinti ..................................................................................................... 54

Prevalenza dellimitazione ............................................................................................................................................................................. 54


Modelli ........................................................................................................................................................................................................................ 54 Fattori di rinforzo dellimitazione ............................................................................................................................................................................... 54 Effetti dellimitazione.................................................................................................................................................................................................. 54

Implicazioni educative ..............................................................................................................................................................55

IL COGNITIVISMO ............................................................................................................................................................. 55 Un modello base di elaborazione dati ............................................................................................................................. 55 Memoria sensoriale ..................................................................................................................................................................55 Memoria a breve termine (MBT) ..............................................................................................................................................55 Memoria a lungo termine (MLT) ..............................................................................................................................................56
Tipi di MLT ................................................................................................................................................................................................... 56 Processi della MLT ........................................................................................................................................................................................ 56 Fattori che interferiscono con la MLT ........................................................................................................................................................... 56 Implicazioni educative ................................................................................................................................................................................... 57
Strategie per favorire il consolidamento ed aumentare lefficienza della MLT in generale ......................................................................................... 57

Le buone abitudini di studio........................................................................................................................................................................... 58

La metacognizione .......................................................................................................................................................... 58
Lo sviluppo della metacognizione.................................................................................................................................................................. 58 Le strategie della cognizione.......................................................................................................................................................................... 58
Strategie educative di apprendimento/pensiero ........................................................................................................................................................... 58

Applicazioni educative .................................................................................................................................................................................. 58

Le condizioni dellapprendimento e dellinsegnamento: la teoria di Gagn ................................................................... 59 Cognitivismo: credenze comuni ...............................................................................................................................................60 Il primo e il secondo Bruner ........................................................................................................................................... 60 Il concettualismo strumentale ...................................................................................................................................................60 Lapprendimento-scoperta ........................................................................................................................................................61
Lapprendimento-scoperta nelle scuole ......................................................................................................................................................... 61
Specifiche raccomandazioni educative ........................................................................................................................................................................ 62

Lapprendimento ricettivo: Ausubel ............................................................................................................................... 62 La teoria cognitiva di Ausubel..................................................................................................................................................62 Scoperta o ricezione? ...................................................................................................................................................... 63 Altri modelli didattici cognitivi ...................................................................................................................................... 64 Lapprendistato cognitivo .........................................................................................................................................................64 134

Metodi dellapprendistato cognitivo .............................................................................................................................................................. 64 Sequenza nellapprendistato cognitivo........................................................................................................................................................... 64

Risultati di alcune ricerche. Linsegnamento efficace ..............................................................................................................65

APPROCCI UMANISTICI ALLINSEGNAMENTO .................................................................................................................... 65 La teoria fenomenologica di Rogers ............................................................................................................................... 65 Principi della teoria rogersiana .................................................................................................................................................66 Lumanesimo in classe .................................................................................................................................................... 67 Principi delleducazione umanistica .........................................................................................................................................67 Tre approcci umanistici in classe ..............................................................................................................................................67
La classe aperta (o educazione aperta) ........................................................................................................................................................... 67 Lapproccio orientato agli stili dapprendimento ........................................................................................................................................... 67 Apprendimento cooperativo (o collaborativo) ............................................................................................................................................... 68
Lapprendere insieme .................................................................................................................................................................................................. 68 STAD (Student Teams-Achievement Divisions) ......................................................................................................................................................... 68 TGT (Teams-Games-Tournaments) ............................................................................................................................................................................. 69 Il Puzzle (e il Puzzle II)................................................................................................................................................................................................ 69 Lindagine di gruppo ................................................................................................................................................................................................... 69 Alcune considerazioni e valutazioni ............................................................................................................................................................................ 69 LINTERAZIONISMO SOCIO-CULTURALE ........................................................................................................................... 70

Apprendimento e collaborazione ................................................................................................................................................................... 70 Apprendimento e contesto.............................................................................................................................................................................. 70 Apprendimento come partecipazione ............................................................................................................................................................. 70 La competenze trasversali .............................................................................................................................................................................. 70 Sistemi di attivit e conoscenza situata .......................................................................................................................................................... 71 Significato e prospettiva dialogica ................................................................................................................................................................. 71 Identit ed eticit............................................................................................................................................................................................ 71

LA NATURA DEL SOGGETTO CHE APPRENDE ................................................................................................................ 71 I FATTORI AFFETTIVI ........................................................................................................................................................ 71 Lansia ......................................................................................................................................................................................72
Ansia da test................................................................................................................................................................................................... 72

Lautostima ...............................................................................................................................................................................72 Estroversione e introversione ...................................................................................................................................................72

LA MOTIVAZIONE............................................................................................................................................................. 72 Teoria dellarousal ...................................................................................................................................................................72 Concezioni della motivazione ......................................................................................................................................... 73 Concezione comportamentistica ...............................................................................................................................................73 Concezione umanistica .............................................................................................................................................................73 Concezioni cognitive ................................................................................................................................................................74
Lauto-efficacia ............................................................................................................................................................................................. 74 Teorie dellattribuzione .................................................................................................................................................................................. 75

Concezioni socio-culturali ........................................................................................................................................................75


Strutturazione degli obiettivi e apprendimento cooperativo ........................................................................................................................... 75

Il problema della disponibilit dellenergia ..........................................................................................................................76

Le motivazioni intrinseche ed estrinseche ...................................................................................................................... 76 Motivazioni dirette, fondate sulla qualit dellattivit (intrinseche) .........................................................................................76 Motivazioni dirette, fondate sul prestigio (intrinseche) ............................................................................................................76 Motivazioni indirette, legate a progetti e a problemi (intrinseche) ...................................................................................76 Talvolta lenergia se ne va altrove .............................................................................................................................. 77 ET, SESSO E FATTORI SOCIALI ........................................................................................................................................ 77 Concetto di disponibilit ..........................................................................................................................................................77 Rapporti fra pari .......................................................................................................................................................................77 Femmine e maschi in et scolare ..............................................................................................................................................77 Motivazione e identit ..............................................................................................................................................................78 Bambini di condizione sociale svantaggiata .............................................................................................................................78 LA NATURA DEL MATERIALE DA APPRENDERE ............................................................................................................. 78 LA VALUTAZIONE ............................................................................................................................................................ 78 VARIE FORME DI APPRENDIMENTO .................................................................................................................................. 78 Gli apprendimenti precettivo-motori ........................................................................................................................................78 Lapprendimento di dati di conoscenza ....................................................................................................................................78 Lapprendimento di procedure tecniche ...................................................................................................................................79 Lapprendimento di procedure euristiche .................................................................................................................................79 Lapprendimento di modalit di simbolizzazione ....................................................................................................................79 Lapprendimento di tecniche comunicative ..............................................................................................................................79 Altri possibili apprendimenti ....................................................................................................................................................79 LA NATURA DEL PROCESSO DI APPRENDIMENTO .......................................................................................................... 79 Il pensiero riflessivo .................................................................................................................................................................79 LA GESTIONE DEL PROCESSO DI APPRENDIMENTO ............................................................................................................ 80 Lalunno lento .......................................................................................................................................................................80 135

Linsegnamento e gli alunni con QI basso ...............................................................................................................................80 Bambini che presentano un ritardo nel profitto ........................................................................................................................80

LA PERSONALIT ..................................................................................................................................................... 80 LE ORIGINI DELLA PERSONALIT ...................................................................................................................................... 80 LE TEORIE DELLA PERSONALIT ...................................................................................................................................... 81 I TRATTI DELLA PERSONALIT ...................................................................................................................................... 81 H.J. Eysenck .............................................................................................................................................................................81 R.B. Cattel ................................................................................................................................................................................81 I pro e i contro delle teorie dei tratti .........................................................................................................................................81 I tratti della personalit e lapprendimento ..................................................................................................................... 82 La dimensione estroversione/introversione ..............................................................................................................................82 La dimensione nevroticismo/stabilit .......................................................................................................................................82 Le differenze tra gli individui ...................................................................................................................................................82 La modificazione dei tratti della personalit.............................................................................................................................82 LO STILE COGNITIVO ........................................................................................................................................................ 83 Le teorie degli stili cognitivi .....................................................................................................................................................83 GLI STATI DELLA PERSONALIT ................................................................................................................................... 84 Argomento contro lidea di tratti della personalit permanenti ............................................................................................84 Comportamenti finalizzati (telic) e comportamenti non finalizzati (paratelic) ........................................................................84 La teoria degli stati e i problemi di comportamento .................................................................................................................84 LA TEORIA PSICODINAMICA .......................................................................................................................................... 85 SIGMUND FREUD (1856-1939) ........................................................................................................................................ 85 LEs ..........................................................................................................................................................................................85 LIo ...........................................................................................................................................................................................85 Il Super-io .................................................................................................................................................................................85 I meccanismi di difesa dellIo ..................................................................................................................................................85 Tre tipi di angoscia ...................................................................................................................................................................86 PERSONALIT E MOTIVAZIONE......................................................................................................................................... 86 Maslow .....................................................................................................................................................................................86 Teorie dellattribuzione ............................................................................................................................................................87
Rotter ............................................................................................................................................................................................................. 87 Weiner ........................................................................................................................................................................................................... 87 Sviluppo delle tendenze attributive ................................................................................................................................................................ 87 Obiettivi di performance / obiettivi di padronanza......................................................................................................................................... 87 Attribuzioni e motivazioni al successo .......................................................................................................................................................... 87

LE REAZIONI DEGLI INSEGNANTI ...................................................................................................................................... 88 LUMORE ......................................................................................................................................................................... 88 GLI INTERESSI .................................................................................................................................................................. 88 GLI ATTEGGIAMENTI ........................................................................................................................................................ 88 Atteggiamenti e difese dellio...................................................................................................................................................88 La dissonanza cognitiva ...........................................................................................................................................................88 La modificazione degli atteggiamenti.......................................................................................................................................89 LE EMOZIONI............................................................................................................................................................. 89 CONCETTO E COMPONENTI DELL'EMOZIONE............................................................................................................... 89 IL CONCETTO DI EMOZIONE .............................................................................................................................................. 89 COMPONENTI DELLE EMOZIONI........................................................................................................................................ 90 RAZIONALIT O IRRAZIONALIT DELLE EMOZIONI ........................................................................................................... 90 TIPOLOGIA DELLE EMOZIONI E DEI FENOMENI AFFETTIVI.................................................................................................. 90 Distinzione fra emozioni primarie e secondarie .......................................................................................................................90 ATTIVAZIONE ED EMOZIONE ............................................................................................................................................ 91 Intensit delle emozioni ............................................................................................................................................................91 STRUTTURA DELLE EMOZIONI ...................................................................................................................................... 91 ASPETTI ANATOMO-FISIOLOGICI....................................................................................................................................... 91 DIMENSIONI CHE CONCORRONO A FORMARE LA RISPOSTA EMOTIVA TOTALE................................................................... 91 FUNZIONI DELLE EMOZIONI .......................................................................................................................................... 92 VALORE FUNZIONALE DELLE EMOZIONI ........................................................................................................................... 92 Livello evolutivo individuale....................................................................................................................................................92 Livello intrapersonale ...............................................................................................................................................................92 Livello interpersonale ...............................................................................................................................................................93 LE TEORIE DELLE EMOZIONI ........................................................................................................................................ 93 TEORIE CLASSICHE .......................................................................................................................................................... 93 136

ATTIVIT COGNITIVA ED EMOZIONI.................................................................................................................................. 93 Alcune implicazioni cliniche ....................................................................................................................................................94 IL DIBATTITO ................................................................................................................................................................... 94 LA DIMENSIONE SOCIALE DELLE EMOZIONI ................................................................................................................. 95 ESPRESSIONE ED EMOZIONE.......................................................................................................................................... 96 REAZIONI AL TROVARSI IN UNO STATO EMOTIVO ............................................................................................................. 96 COMPETENZA EMOTIVA ................................................................................................................................................ 96 INTELLIGENZA EMOTIVA .................................................................................................................................................. 97 EMOZIONI E SVILUPPO................................................................................................................................................... 98 IL S .............................................................................................................................................................................. 98 MODI DI DEFINIRE IL S ................................................................................................................................................... 98 Da che cosa determinato il S? ..............................................................................................................................................99 Limportanza dellapprendimento nella formazione del concetto di S ...................................................................................99 possibile conoscere il proprio vero S? .................................................................................................................................99 CARL ROGERS ................................................................................................................................................................. 99 BRUNER .......................................................................................................................................................................... 99 MISURARE IL S ............................................................................................................................................................. 100 La tecnica del Q-sorting .........................................................................................................................................................100 Il differenziale semantico .......................................................................................................................................................100 GEORGE KELLY ............................................................................................................................................................. 100 La griglia del repertorio ..........................................................................................................................................................101 I costrutti si possono modificare .............................................................................................................................................101 LAUTOSTIMA .............................................................................................................................................................. 101 COME SI FORMA............................................................................................................................................................. 101 Le ricerche di Stanley Coopersmith ........................................................................................................................................101 Il valore degli alunni agli occhi dellinsegnante .....................................................................................................................102 Altri fattori che influiscono sullautostima .............................................................................................................................102 COME INCORAGGIARLA ................................................................................................................................................. 102 LA VALUTAZIONE DELLAUTOSTIMA .............................................................................................................................. 102 LA MATURIT PERSONALE .......................................................................................................................................... 102 GLI OTTO STADI DI ERIKSON .......................................................................................................................................... 103 LA MATURIT PERSONALE E LA SCUOLA ........................................................................................................................ 103 Una definizione della personalit matura ...............................................................................................................................103 LIDENTIT PERSONALE .............................................................................................................................................. 104 Imparare ad essere adulti ........................................................................................................................................................104 SAPERE ED ESSERE ........................................................................................................................................................ 104 LE PROBLEMATICHE ADOLESCENZIALI ...................................................................................................................... 104 IL PERIODO DELLA PREADOLESCENZA ............................................................................................................................. 105 IL PERIODO SUCCESSIVO, DELLADOLESCENZA VERA E PROPRIA ..................................................................................... 105 LA CRESCITA FISICA....................................................................................................................................................... 105 LA MATURAZIONE PUBERALE ........................................................................................................................................ 105 IL RITORNO DELLA PULSIONE SESSUALE......................................................................................................................... 105 I RAPPORTI CON I GENITORI ............................................................................................................................................ 105 I RAPPORTI CON GLI INSEGNANTI.................................................................................................................................... 105 IL GRUPPO DEI COETANEI ............................................................................................................................................... 106 I gruppi omogenei della preadolescenza .................................................................................................................................106 I gruppi misti delladolescenza ...............................................................................................................................................106 GRUPPI, COMPORTAMENTO SOCIALE E ABILIT SOCIALI .................................................................... 106 IL COMPORTAMENTO SOCIALE E LE ABILIT SOCIALI ............................................................................................... 106 LE INTERAZIONI DIADICHE ............................................................................................................................................. 106 Linterazione sociale nel rapporto tra insegnante e alunno ....................................................................................................106 LA POSIZIONE SOCIALE .................................................................................................................................................. 106 La posizione sociale e la scuola ..............................................................................................................................................107 Quando linsegnante fa pesare la propria autorit in modo ingiustificato ..............................................................................107 IL CONFORMISMO SOCIALE ............................................................................................................................................ 107 Il non conformismo ................................................................................................................................................................107 Il gruppo dei coetanei .............................................................................................................................................................107 La scuola e il conformismo ....................................................................................................................................................107 LA LEZIONE COME INTERAZIONE SOCIALE...................................................................................................................... 107 La consapevolezza delle interazioni sociali nellinsegnante...................................................................................................108 137

La natura della comunicazione ...............................................................................................................................................108 Lanalisi delle interazioni .......................................................................................................................................................108

I RUOLI SOCIALI ............................................................................................................................................................. 109 Il conflitto tra i ruoli ...............................................................................................................................................................109 Lapprendimento sociale e le figure modello .........................................................................................................................109 Limitazione delle figure modello ..........................................................................................................................................110 TIPI DI AMICIZIA NELLA CLASSE ..................................................................................................................................... 110 I sottogruppi nella classe ........................................................................................................................................................110 Le amicizie inopportune e gli alunni senza amici ...................................................................................................................110 Gli alunni apprezzati dai compagni ........................................................................................................................................110 La sociometria ........................................................................................................................................................................111 LE ABILIT SOCIALI ....................................................................................................................................................... 111 Laffermazione di s ...............................................................................................................................................................111 Limportanza del calore umano nei rapporti sociali ...............................................................................................................112 Aprirsi agli altri ......................................................................................................................................................................112 LA DISCUSSIONE DI GRUPPO ........................................................................................................................................ 112 UNO STRUMENTO DAI MOLTI USI.................................................................................................................................... 112 LA TECNICA DELLA DISCUSSIONE DI GRUPPO ................................................................................................................. 112 IL BRAINSTORMING ....................................................................................................................................................... 112 INSEGNARE A DISCUTERE .............................................................................................................................................. 112 I GRUPPI E LA LORO STRUTTURA................................................................................................................................. 113 VARI TIPI DI GRUPPO, NELLA SCUOLA E FUORI................................................................................................................ 113 LE PROPRIET GENERALI DI UN GRUPPO ........................................................................................................................ 113 Formazione non volontaria o volontaria .................................................................................................................................113 Gruppo primario e secondario ................................................................................................................................................113 La struttura del gruppo ...........................................................................................................................................................113 La circolazione delle notizie ...................................................................................................................................................114 LA COESIONE DI GRUPPO ............................................................................................................................................. 114 FORZE COSTRITTIVE E PROPULSIVE NELLA FORMAZIONE DI UN GRUPPO ......................................................................... 114 IL PROBLEMA DELLA COESIONE ..................................................................................................................................... 114 GLI INDICI DI COESIONE ................................................................................................................................................. 114 LORIGINE DELLE FORZE DI COESIONE ........................................................................................................................... 115 LA DINAMICA DI GRUPPO ............................................................................................................................................. 115 LA PRESSIONE DI GRUPPO .............................................................................................................................................. 115 IL PROBLEMA DELLA LEADERSHIP .................................................................................................................................. 115 INTERAZIONE FRA QUALIT PERSONALI E QUALIT DEL GRUPPO.................................................................................... 116 TRE FUNZIONI FONDAMENTALI DEL LEADER .................................................................................................................. 116 LA NATURA DEL PRESTIGIO ............................................................................................................................................ 117 LA VITA SCOLASTICA E LA CONDUZIONE DELLA CLASSE ...................................................................... 117 LE ATMOSFERE EDUCATIVE ........................................................................................................................................ 117 TRE POSSIBILI STILI DI GUIDA E LE RELATIVE ATMOSFERE .............................................................................................. 117 LE CARATTERISTICHE DI UN RAPPORTO EDUCATIVO DEMOCRATICO .............................................................................. 117 Latteggiamento di ascolto .....................................................................................................................................................117 Latteggiamento propositivo, di guida ....................................................................................................................................118 UNA FORMA SPECIFICA DI PRESTIGIO ............................................................................................................................. 118 TUTTI UGUALI E TUTTI DIVERSI ...................................................................................................................................... 118 Le diseguaglianze ...................................................................................................................................................................118 La diversit .............................................................................................................................................................................118 Le differenze personalizzanti..................................................................................................................................................118 Divergenza e devianza ............................................................................................................................................................118 LA CONDUZIONE DELLA CLASSE E LA DISCIPLINA...................................................................................................... 118 COMPORTAMENTI PROBLEMATICI NEGLI ALUNNI ........................................................................................................... 118 Una definizione dei comportamenti problematici ..................................................................................................................118 MODELLI DI GESTIONE DELLA CLASSE ........................................................................................................................... 119 LE TECNICHE DI MODIFICAZIONE DEL COMPORTAMENTO ............................................................................................... 119 Le cause dei comportamenti-bersaglio indesiderati ................................................................................................................119 Prendere coscienza di entrambi i lati del problema ................................................................................................................119 Obiezioni alle tecniche di comportamento .............................................................................................................................119 Leconomia simbolica ............................................................................................................................................................120 Considerazioni generali sulla modificazione del comportamento ..........................................................................................120 ALTRI ASPETTI DELLA CONDUZIONE DELLA CLASSE ....................................................................................................... 121 IL RICORSO ALLE PUNIZIONI ........................................................................................................................................... 121 138

Le sanzioni efficaci ................................................................................................................................................................121

I PROBLEMI DI COMPORTAMENTO NEI GRUPPI DI ALUNNI ............................................................................................... 122 Gli scontri fisici ......................................................................................................................................................................122 RIFIUTO DELLA SCUOLA E MANCATA FREQUENZA SCOLASTICA...................................................................................... 122 LA COMUNICAZIONE EDUCATIVA ................................................................................................................................ 123 ATMOSFERE EDUCATIVE E QUALIT DELLA COMUNICAZIONE ........................................................................................ 123 CHE COSA SI COMUNICA? .............................................................................................................................................. 123 CON QUALI MEZZI SI COMUNICA?................................................................................................................................... 123 IN QUALI MODI SI COMUNICA? ....................................................................................................................................... 123 DIFFICOLT NELLA COMUNICAZIONE ............................................................................................................................. 124 Perdita di informazione e ruolo della ridondanza ...................................................................................................................124 Carenza di feedback ...............................................................................................................................................................124 LE ATTIVIT DI ORIENTAMENTO E DI CONSULENZA NELLA SCUOLA......................................................................... 124 LATTIVIT DI CONSULENZA .......................................................................................................................................... 124 Conflitti e forze di natura sociale ...........................................................................................................................................124 LORIENTAMENTO PROFESSIONALE ............................................................................................................................... 124 Gli stadi del percorso che conduce a una scelta professionale matura ...................................................................................124 LORGANICIT DELLE CONOSCENZE E IL CURRICOLO........................................................................... 124 LORGANICIT DELLE CONOSCENZE .......................................................................................................................... 124 I CARATTERI DI UN SAPERE ORGANICO ........................................................................................................................... 124 COME NASCE LORGANICIT.......................................................................................................................................... 125 ORGANICIT ED INTERDISCIPLINARIT .......................................................................................................................... 125 Tre forme di interdisciplinarit dinamica ...........................................................................................................................125 Organicit aperta ....................................................................................................................................................................125 LA PROGRAMMAZIONE ................................................................................................................................................ 125 GLI INSEGNANTI E LE TECNOLOGIE MULTIMEDIALI .................................................................................................. 125 Breve excursus storico ............................................................................................................................................................125 Le attese della multimedialit .................................................................................................................................................126 Ipertesti e ambienti ipermediali ..............................................................................................................................................126
Problemi....................................................................................................................................................................................................... 126 Potenzialit educative per attivit di studio.................................................................................................................................................. 126 La rete internet ............................................................................................................................................................................................. 127

Gli insegnanti e il computer ...................................................................................................................................................127

LINSEGNANTE ........................................................................................................................................................ 127 PROFESSIONALIT DEGLI INSEGNANTI E PSICOLOGIA ............................................................................................... 127 LE COMPONENTI DELLA PROFESSIONALIT DELLINSEGNANTE ...................................................................................... 127 La componente culturale ........................................................................................................................................................127 La componente pedagogico-didattica .....................................................................................................................................127 Le qualit umane .................................................................................................................................................................128 PERSONALIT E CARATTERISTICHE DELLINSEGNANTE............................................................................................ 128 SAPER FARE LINSEGNANTE ........................................................................................................................................... 128 Insegnanti esperti e insegnanti novizi .....................................................................................................................................128 Le caratteristiche del buon insegnante ....................................................................................................................................128 La sicurezza emotiva nellinsegnante .....................................................................................................................................128 Gli atteggiamenti dellinsegnante ...........................................................................................................................................129 Gli stili di insegnamento .........................................................................................................................................................129 Il valore degli interventi verbali dellinsegnante ....................................................................................................................129 Introdurre la variet nei metodi di insegnamento ...................................................................................................................129 La flessibilit ..........................................................................................................................................................................129 LO STRESS DELLINSEGNANTE ....................................................................................................................................... 130 Come far fronte allo stress ......................................................................................................................................................130 INDICE GENERALE................................................................................................................................................. 131 a cura di Francesco Gatta

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