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Psicologia generale, le scienze della mente e del pensiero – riassunti di Laura Pagani, anno 2016/2017

CAP. 1  LA SCIENZA DELLA PSICOLOGIA:

1.1 la natura della psicologia:

psicologia: studio scientifico del comportamento (azioni e risposte direttamente osservabili) e della mente (stati interiori e processi
deducibili da risposte osservabili e misurabili).

1.1.1 la psicologia come scienza di base e come scienza applicata:

la psicologia è una scienza, ciò comporta due tipi di ricerca:

 ricerca di base (ricerca della conoscenza per se stessa)  come e perché le persone si comportano, pensano e sentono in un
certo modo
 ricerca applicata (risolve problemi specifici e pratici)  conoscenza scientifiche di base per progettare, implementare e
determinare programmi di intervento

Studi classici, Robbers Cave e la classe a puzzle:

come nascono i pregiudizi tra gruppi e come ridurli? Nel mondo multiculturale di oggi è importante capirlo  ricerche di base sui fattori
che incrementano o riducono queste ostilità.

Un’ipotesi era che la competizione favorisse l’ostilità tra gruppi  dopo aver fatto nascere competizione tra due gruppi di ragazzi, si
propongono attività piacevoli di gruppo che però aumentano le ostilità, mentre porre ai due gruppi uno scopo che da soli non
potrebbero raggiungere determina dipendenza e collaborazione riducendo le ostilità.

Nella vita reale: a scuola creazione di gruppi multietnici di bambini, ogni bambino deve imparare una parte e per superare l’esame tutti i
bambini devono mettere assieme le loro parti  tecnica a puzzle = apprendimento cooperativo ha fornito risultati incoraggianti.

L’esperimento di Cave fornisce le basi per programmi di intervento.

1.1.2 gli obiettivi della psicologia:

5 obiettivi della psicologia:

 descrivere come si comportano persone e altre specie


 comprendere le cause dei comportamenti
 prevedere i comportamenti in determinate situazioni
 influenzare il comportamento controllandone le cause
 applicare le conoscenze per migliorare la vita

1.1.3 il vasto campo della psicologia, la struttura dei livelli di analisi:

livelli di analisi: comportamento e le sue cause possono essere analizzati a

 livello biologico (processi mentali, influenze genetiche)


 livello psicologico (pensieri, sentimenti, motivazioni)
 livello ambientale (ambienti fisici e sociali)

es. Cannon e la morte da maledizione: le vittime sono convinte di essere condannate (livello psicologico), la convinzione è supportata da
famiglia, società, cultura (livello ambientale), risposta degli ormoni dello stress che provocano uno shock psicologico (livello biologico).

Le interazioni tra corpo e mente e tra natura ed educazione:

il lavoro di Cannon illustra le interazioni corpo-mente: rapporto tra processi mentali e funzionamento dei sistemi del corpo (interazioni
tra livello psicologico e biologico).

Le ricerche recenti hanno sottolineato l’interazione tra educazione e natura  l’educazione può influenzare le capacità biologiche, il
comportamento è determinato da natura, educazione e fattori psicologici.

1.2 prospettive sul comportamento:

1.2.1 le radici della psicologia:

molti filosofi antichi credevano nel dualismo mente-corpo: mente è un’entità spirituale non soggetta alle leggi fisiche e interagisce con il
corpo attraverso la ghiandola pineale (Cartesio)  nessuna ricerca su corpo o cervello può spiegare la mente.

Altra posizione: monismo ovvero mente e corpo sono una cosa sola  gli eventi della mente sono prodotto di eventi fisici che
avvengono nel cervello (Hobbes) = apre la strada alla psicologia sostenendo che si poteva studiare la mente misurando processi fisici.

Locke e l’empirismo: le idee e le conoscenze sono acquisite in modo empirico quindi attraverso i sensi  favorisce lo sviluppo della
scienza moderna
Riassunto di Laura Pagani
Anno 2016/2017
Scoperte nel campo della fisiologia e medicina favoriscono anch’esse il nascere della psicologia.

La possibilità di studiare i processi mentali attraverso le risposte sensoriali a stimoli fisici fa nascere la psicofisica.

Darwin con la sua teoria ribadisce che la mente non era un’entità spirituale ma il prodotto di una continuità biologica con specie diverse
e quindi si potevano studiare altre specie per capire l’umano.

Tutti questi impulsi a fine 800 fanno nascere la psicologia.

1.2.2 la relazione mente cervello, un’idea giusta ma un metodo sbagliato:

frenologia (Gall): relazione tra funzione mentale e area mentale  ogni capacità mentale (facoltà) corrispondeva a una determinata
zona del cranio e misurando la morfologia del cranio si potevano individuare le caratteristiche attitudinali, di personalità e intellettuali.

La frenologia è pioniera del localizzazionismo delle funzioni cerebrali, sviluppato con la neuropsicologia e neuroscienze e le tecniche di
neuroimmagine  alcune aree sono specializzate in determinate funzioni, ma si dibatte ancora sul grado di specializzazione possibile, in
ogni caso si sa che una zona non può essere la sola responsabile di una funzione mentale.

1.2.3 la concezione localizzazionistica, prime evidenze in pazienti con lesioni:

neurologi dell’800 scoprono la possibile localizzazione di funzioni mentali:

 Broca: autopsia rivela una lesione alla parte anteriore dell’emisfero sx (area di Broca) in un paziente con difficoltà di
produzione verbale  afasia di Broca: incapacità di articolare parole seppure la comprensione è preservata
 Wernike: lesione nella prima circonvoluzione del lobo temporale dell’emisfero sx (area di Wernike) che permetteva di parlare
ma non di comprendere le parole  una lesione può interferire con le connessioni tra aree compromettendo funzioni
complesse

1.2.4 le prime scuole, strutturalismo e funzionalismo:

Wundt = psicologia come scienza grazie all’uso del metodo sperimentale (metodo scientifico)

La psicologia come scienza nasce nel 1879 con Wundt che fonda il laboratorio sperimentale di psicologia a Lipsia.

Wundt e Titchener (allievo di W.) credono che la mente si possa studiare dividendola nei suoi componenti base  strutturalismo:
analisi della mente nei suoi elementi costitutivi.

Strutturalismo usava il metodo dell’introspezione: la cavia doveva descrivere ciò che provava a un determinato stimolo sensoriale. Con il
tempo questo metodo scompare e agli strutturalisti subentrano i funzionalisti.

Funzionalismo: studio delle funzioni della mente  prime ricerche si dedicano all’apprendimento e soluzione dei problemi.

Leader del funzionalismo: James  funzioni mentali sono in continuo adattamento e interazione con l’ambiente, fu il primo a proporre
una teoria psicologica delle emozioni.

L’eredita del funzionalismo si trova nella psicologia cognitiva (studia i processi mentali) e psicologia evoluzionistica (evidenzia
l’adattabilità del comportamento).

1.2.5 la prospettiva psicodinamica, le forze dentro di noi:

la prospettiva psicodinamica cerca le cause del comportamento nei meccanismi interni della personalità ed evidenzia il ruolo dei
processi inconsci  Freud primo psicanalista, seguito da Klein.

La psicanalisi, la grande sfida di Freud:

Freud con la psicanalisi si concentra sulle cause psicologiche e inconsce dei comportamenti, basa la sua analisi su ipnosi, libera
associazione (descrizione di cosa viene in mente e scoperta di ricordi spesso repressi dalla coscienza perché dolorosi)  esiste un
inconscio che influenza il nostro comportamento.

Esistono negli uomini pulsioni sessuali e aggressive considerate pericolose e quindi represse  meccanismi di difesa (tecniche
psicologiche che aiutano ad affrontare l’ansia e il dolore delle esperienze traumatiche) come la repressione.

Ogni comportamento per Freud è frutto del conflitto tra difese e impulsi intimi.

Jung, studente di Freud non ne condivide l’attenzione verso la libido, ma si concentra sulla costruzione di concetti e sull’idea di complesso
(formazione di sentimenti nel subconscio, responsabile di comportamenti strani, che l’analisi può identificare)

La moderna teoria psicodinamica:

la moderna teoria psicodinamica si concentra meno sulle motivazioni sessuali e aggressive e più su come i primi rapporti famigliari, fattori
sociali, senso di sé incidono sulla personalità.

Teorie relative all’oggetto: come le prime esperienze con i famigliari costruiscono l’opinione di sé e degli altri.

Riassunto di Laura Pagani


Anno 2016/2017
La teoria psicodinamica ha influenzato molte branche della psicologia: scienziati cognitivi (alcuni aspetti dell’elaborazione delle
informazioni avvengono fuori dalla consapevolezza), psicologi orientati alla biologia (meccanismi cerebrali che producono reazioni
emotive inconsce)  alcuni comportamenti possono essere scatenati da processi inconsci.

1.2.6 la prospettiva comportamentale, il potere dell’ambiente:

ruolo dell’ambiente come guida delle nostre azioni  comportamento determinato da abitudini apprese e da stimoli ambientali.

Le origini della prospettiva comportamentale:

le origini della prospettiva comportamentale si ritrovano nell’empirismo (Locke: mente alla nascita è una tabula rasa, l’esperienza e
l’ambiente forgiano la natura umana).

Pavlov: ambiente influenza il comportamento con il modello stimolo-risposta, Thorndike: l’uomo impara dalle conseguenze delle sue
azioni (effetto Thorndike).

È l’apprendimento che spiega come l’esperienza modella il comportamento.

Il comportamentismo:

Watson si opponeva a strutturalismo e funzionalismo, l’oggetto della psicologia doveva essere il comportamento osservabile 
comportamentismo cerca di spiegare l’apprendimento, che, d’accordo con l’evoluzionismo di Darwin, ha le stesse basi per tutte le specie
(Skinner studia i topi per capire come le conseguenze cambiano il comportamento).

Skinner: comportamentismo radicale  attenzione al modo in cui le forze ambientali potrebbero essere usate per il benessere dell’uomo.

Il comportamentismo ispira tecniche come le modificazioni comportamentali, per diminuite i problemi comportamentali manipolando i
fattori ambientali e diminuisce la sua influenza dopo gli anni 70.

Il comportamentismo cognitivo:

anni 60-70 i processi cognitivi come attenzione e memoria iniziano a essere studiati con esperimenti = comportamentismo cognitivo:
esperienze di apprendimento e ambiente influenzano aspettative e pensieri, e i pensieri influenzano il comportamento.

1.2.7 la prospettiva umanistica, autorealizzazione e psicologia positiva:

metà XX secolo: prospettiva umanistica (umanismo)  evidenzia il libero arbitrio, la crescita personale e la ricerca del significato della
propria esistenza.

Maslow: ognuno possiede una forza innata alla autorealizzazione.

L’umanismo ha avuto meno influenza delle altre correnti, ma ha ispirato comunque ricerche successive:

Rogers pioniere dello studio scientifico della psicoterapia fu il primo a registrare le sedute e analizzarne il contenuto identificando i
processi che portano a cambiamenti costruttivi nei pazienti.

L’autorealizzazione la troviamo anche nella psicologia positiva che esamina come incoraggiare il meglio delle persone e della società per
migliorare la vita.

1.2.8 la prospettiva cognitiva, l’uomo pensante:

prospettiva cognitiva: esamina la natura della mente e il modo in cui processi mentali possono influenzare il comportamento  gli umani
sono elaboratori le cui azioni sono governate dal pensiero.

Le origini della prospettiva cognitiva:

anni 20: psicologia della Gestalt  esamina come gli elementi dell’esperienza sono organizzati in insiemi = l’insieme è più grande della
somma delle sue parti. La Gestalt stimola l’attenzione verso percezione e risoluzione dei problemi.

Un rinnovato interesse per la mente:

Piaget: processi cognitivi diventano sempre più sofisticati con l’età.

Vygotskij: linguaggio e pensiero sono collegati, e l’ambiente in cui cresce un bambino, i fattori sociali e culturali influenzano il loro sviluppo.

Anni 50: metafora della mente come sistema che elabora, archivia e reperisce informazioni.

Negli stessi anni un dibattito su come i bambini acquisiscono il linguaggio: i comportamentisti (Skinner) sostenevano l’apprendimento, i
linguisti (Chomsky) sostenevano la predisposizione biologica.

La moderna prospettiva cognitiva:

psicologia cognitiva: studio dei processi mentali e della natura della conoscenza e della competenza , dell’attenzione e della coscienza, e
dei processi inconsci.
Riassunto di Laura Pagani
Anno 2016/2017
Le neuroscienze cognitive esaminano l’attività cerebrale quando le persone svolgono attività cognitive e uniscono quindi psicologia
cognitiva e prospettiva biologica.

Costruttivismo sociale (prospettiva cognitiva): la realtà è in gran parte una creazione della nostra mente derivante dal modo comune di
pensare.

1.2.9 la prospettiva socioculturale, l’uomo integrato:

la prospettiva socioculturale esamina in che modo l’ambiente sociale e l’apprendimento culturale influenzano il comportamento, i pensieri
e i sentimenti.

Apprendimento culturale e diversità:

cultura: valori, comportamenti, credenze e tradizioni durevoli condivise da un gruppo di persone e trasmesse alle generazioni successive.

Norme: regole che specificano quale sia il comportamento accettabile che ci si aspetta in quel gruppo culturale.

Socializzazione: processo in cui la cultura viene trasmessa ai nuovi membri che la interiorizzano.

Per gran parte del XX secolo la ricerca si occupava solo delle culture occidentali, in seguito la ricerca si è allargata = psicologia
interculturale: esplora come la cultura è trasmessa ai nuovi membri e le affinità psicologiche e le differenze tra persone di culture diverse.

Una differenza è l’essere individualistiche (culture occidentali) o collettiviste (culture orientali, africane, sudamericane).

1.2.10 la prospettiva biologica, cervello, geni ed evoluzione:

prospettiva biologica: in che modo i processi e altre funzioni del corpo regolano il comportamento.

Le neuroscienze comportamentali:

neuroscienze comportamentali: processi cerebrali e altre funzioni fisiologiche all’origine del comportamento, di esperienze sensoriali,
emozioni e pensieri.

Pionieri Hebb e Lashley: studiano il ruolo del cervello nell’apprendimento  Hebb: cambiamenti nelle connessioni tra cellule nervose
come base biologica di apprendimento, memoria e percezione  porta alla scoperta dei neurotrasmettitori (sostanze chimiche rilasciate
dalle cellule nervose per comunicare tra loro).

La genetica del comportamento:

genetica del comportamento: studio dell’influenza dei fattori genetici sul comportamento.

La psicologia evolutiva:

Psicologia evolutiva: come l’evoluzione ha forgiato il comportamento umano, attraverso la selezione naturale le capacità della mente
umana e le tendenze comportamentali si sono evolute assieme al corpo. Vogliono spiegare anche l’evoluzione dei comportamenti sociali
umani.

1.3 utilizzare i livelli di analisi per integrare le prospettive:

il comportamento può essere interpretato a livello biologico, psicologico e ambientale. Si può iniziare analizzando le sue cause in termini
di funzionamento del cervello e ormoni, e fattori genetici (livello biologico di analisi), poi si può analizzare il pensiero, la memoria, la
pianificazione che influenzano il comportamento (livello psicologico), infine gli stimoli ambientali e sociali (livello ambientale).

1.3.2 riassunto dei temi principali:

 In quanto scienza, la psicologia è empirica: osservazione diretta


 Gli psicologi riconoscono che la esperienza del mondo è soggettiva
 Il comportamento è determinato da vari fattori: dotazione biologica, ambiente, esperienze di apprendimento, fattori psicologici
tra cui pensieri e motivazioni
 Il comportamento è un mezzo per adattarsi all’ambiente
 Il comportamento e i processi cognitivi

CAP. 2 STUDIARE IL COMPORTAMENTO IN MODO SCIENTIFICO:

2.1 i principi scientifici in psicologia:

2.1.1 gli atteggiamenti scientifici:

2.1.2 la raccolta delle prove, le fasi del processo scientifico:

caso Kitty Genovese: assassinata mentre rientra dal lavoro, tutti i vicini la videro ma nessuno intervenne per salvarla, perché?

Fase 1, la curiosità fa compiere il primo passo:

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nessuno ha aiutato K. Genovese, perché? Ogni vicino che guardava sapeva che anche qualcun altro stava guardando, quindi anche se
preoccupati pensavano che sarebbe stato un altro a lanciare l’allarme o a intervenire.

Fase 2, raccogliere informazioni e formulare un’ipotesi:

gli scienziati cercarono altri studi o informazioni che potessero aiutarli e formularono una prima ipotesi: diffusione di responsabilità che
riduce la probabilità che qualcuno intervenga sentendosi responsabile  se sono presenti molti spettatori allora si riduce la probabilità
che uno di loro intervenga.

Fase 3, verificare l’ipotesi mediante una ricerca:

si creò in laboratorio una emergenza e si osservarono le reazioni della gente: ogni persona che osservava era sola ma veniva portata a
credere di essere sola con la vittima, assieme ad un altro, con altri 4 spettatori.

Fase 4, analizzare i dati, trarre conclusioni provvisorie e riferire le conclusioni:

i dati vengono raccolti e analizzati: i partecipanti che pensavano di essere soli intervenivano entro tre minuti, più spettatori vi erano più
si allungava il tempo e diminuiva la % di gente che interveniva.

Fase 5, costruire un corpus di conoscenze, fare ulteriori domande, condurre ulteriori ricerche, sviluppare emettere alla prova le teorie:

con nuove ricerche si possono formare nuove teorie (insieme di dichiarazioni formali che spiegano come e perché alcuni eventi sono
correlati tra loro)  teoria dell’impatto sociale.

Le teorie sono usate per fare altre ipotesi sperimentate da altre ricerche in un processo autocorrettivo.

2.1.3 due approcci per comprendere il comportamento:

II senno del poi (la comprensione successiva del fatto):

la psicologia viene considerata come semplice buon senso, in realtà la comprensione dei fatti secondo il “buon senso” o con il senno di poi
può condurre in errore e non è il metodo della psicologia.

Interpretare mediante la previsione, il controllo e la costruzione di una teoria:

se comprendiamo le cause di un comportamento, dovremmo poter prevedere in quali condizioni si manifesterà in futuro.

Costruire una teoria è il metodo usato per generare previsioni, e una teoria ha delle caratteristiche:

 Combina conoscenze esistenti in un contesto ampio, organizzando le informazioni


 È verificabile
 Le previsioni fatte in teoria sono supportate da scoperte della ricerca
 Si conforma alla legge della parsimonia: tra due teorie si preferisce la più semplice

Una teoria non è mai una verità assoluta  progresso scientifico.

2.1.4 definire e misurare le variabili:

gli psicologi studiano le variabili (caratteristica o fattore che può variare) e i rapporti tra esse.

Durante una ricerca, poiché esse possono essere soggettive, gli scienziati definiscono le variabili a livello operativo. Una definizione delle
procedure definisce una variabile in termini di procedure specifiche utilizzate per produrla o misurarla = traduce i termini astratti in
qualcosa di osservabile e misurabile  per definire un concetto a livello di procedura dobbiamo poterlo misurare.

Le autovalutazioni e le valutazioni di terzi:

le misure di autovalutazione chiedono alle persone di valutarsi riguardo, spesso, argomenti sensibili  possono essere distorte dal fattore
di desiderabilità sociale (tendenza a rispondere in modo socialmente accettabile).

Si possono ottenere informazioni su una persona anche con rapporti compilati da terzi, ovvero persone che conoscono il soggetto.

Le osservazioni del comportamento:

un altro approccio è osservare e registrare il comportamento manifesto (direttamente visibile)  gli psicologi hanno sistemi di
codificazione per registrare diverse categorie di comportamento.

Esseri umani e animali possono comportarsi diversamente se sanno di essere osservati, per questo spesso gli psicologi cercano di
mimetizzarsi o usare procedure non intrusive per non far sapere di essere osservati.

Gli psicologi raccolgono le informazioni usando anche fonti d’archivio (dati o documenti già esistenti).

I test psicologici:

i test misurano varie variabili: per es. test di personalità, test di intelligenza, o test neuropsicologici.
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Le misurazioni fisiologiche:

le risposte fisiologiche possono essere registrate per valutare quello che le persone stanno percependo o provando = ci possono essere
problemi di interpretazione.

2.2 i principi etici nella ricerca:

per salvaguardare i diritti dei partecipanti, i ricercatori hanno standard etici fissati da regolamenti governativi e delle associazioni
nazionali degli psicologi (organi professionali), questo sia per gli umani che per le altre specie.

I principi adottati da tutti gli organi professionali del mondo sono anche: competenza, responsabilità , integrità e rispetto.

2.2.1 gli standard etici nella ricerca umana:

codici etici per fornire linee guida nelle operazioni di psicologia:

Il consenso informato:

prima di accettare di partecipare alla ricerca le persone devono essere informate dello scopo e delle procedure dello studio, dei potenziali
benefici o rischi, del diritto di rifiutarsi, e come verrà tutelata la privacy.

L’angoscia, lo stigma e il danno:

in una ricerca non si dovrebbe procurare angoscia, o sentimento di essere stigmatizzati.

L’inganno:

l’inganno viola il principio del consenso informato, ma i suoi sostenitori pensano che sia l’unico modo per ottenere risposte naturali e
spontanee in alcune situazioni.

La privacy e la riservatezza:

i dati collegati alle persone non dovrebbero essere diffusi, un sistema per garantire la privacy può essere usare acronimi o numeri di
identificazione.

Il debriefing:

il debriefing è un documento dove si spiegano ai partecipanti i retroscena della ricerca, aiuta i ricercatori a capire se il partecipante ha
subito danni, e serve per riportarlo allo stato in cui era prima della ricerca.

2.2.2 gli standard etici nella ricerca animale:

90% roditori o uccelli, 5% primati non umani  la ricerca sugli animali è considerata da molti utile per il progresso scientifico nella
psicologia tuttavia vi sono dibattiti su come la ricerca debba essere eseguita e vi sono per questo organi per garantire il benessere degli
animali cavie.

2.3 i metodi di ricerca:

2.3.1 la ricerca descrittiva, registrare gli eventi:

la ricerca descrittiva vuole capire in che modo si comportano uomini e animali nell’ambiente naturale.

Lo studio di casi:

lo studio di caso è una analisi approfondita di un individuo, gruppo o evento nella speranza di trovare comportamenti che possano essere
validi in generale, fenomeni rari o nuove idee per altre ricerche.

L’osservazione naturalistica, gli scimpanzé, l’uso degli strumenti e l’apprendimento culturale:

nell’osservazione naturalistica il ricercatore osserva il comportamento in ambiente naturale  Goodall e Boesch e gli scimpanzé africani:
osservarono in essi comportamenti prima ritenuti solo umani come la realizzazione e l’uso di strumenti (es. martello e incudine) e
l’insegnamento ai più piccoli della specie di queste tecniche.

L’osservazione non può spiegare tutte le variabili che influenzano il comportamento, inoltre potrebbe subentrare una distorsione nelle
interpretazioni personali del ricercatore di ciò che vede, e la presenza del ricercatore può influenzare il comportamento anche se con il
passare del tempo insorge la abituazione (abituarsi all’osservatore).

Il metodo del sondaggio:

metodo del sondaggio: informazioni su un argomento ottenute somministrando questionari o intervistando. Due concetti chiave sono
popolazione (individui rispetto cui siamo interessati trarre conclusioni) e campione (sottoinsieme di individui estratti dalla popolazione),
il campione deve essere rappresentativo per trarre conclusioni valide, può essere campione casuale o casuale stratificato.

2.3.2 lo studio di correlazione, misurare le associazioni fra eventi:


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studi di correlazione: misura una variabile x, misura una variabile y e determina dal punto di vista statistico se x e y sono correlati  gli
studi comportano una misurazione e non una manipolazione delle variabili.

Correlazione e causalità:

negli studi di correlazione si deve considerare la possibilità che x abbia causato y, che y abbia causato x o che si influenzano a vicenda 
problema della bidirezionalità. Oppure una terza variabile z potrebbe causarle  problema della terza variabile: z è responsabile del
presunto rapporto tra x e y.

Quindi non si possono trarre conclusioni causali da uno studio di correlazione.

Il coefficiente di correlazione:

coefficiente di correlazione: in statistica indica direzione e forza del rapporto tra due variabili. Una correlazione positiva significa che i
punteggi più elevati di una variabile sono associati a punteggi più elevati nell’altra. Se è negativa la prima è elevata la seconda è bassa.

La correlazione come base per la previsione:

gli studi di correlazione possono aiutare a stabilire se i rapporti rilevati in laboratorio generalizzino il mondo esterno, possono essere
condotti prima degli esperimenti per scoprire associazioni che in seguito possono essere studiate in laboratorio, inoltre alcune domande
non possono essere studiate con esperimenti ma possono essere esaminate con studi di correlazione e possono fare previsioni.

2.3.3 gli esperimenti, esaminare causa ed effetto:

un esperimento parte sempre da un gruppo di persone nelle stesse condizioni, tutti trattati allo stesso modo ad eccezione della variabile
che viene manipolata e poi si misurano le risposte.

Le variabili dipendenti e indipendenti:

la variabile indipendente indica il fattore che viene manipolato (causa), quella dipendente è il fattore misurato dallo sperimentatore e che
può essere influenzato dalla variabile indipendente (effetto).

I gruppi sperimentali e di controllo:

gruppo sperimentale è il gruppo che riceve la cura o una data condizione della variabile indipendente, gruppo di controllo non viene
esposto alla cura ne alla variabile indipendente.

Due semplici modi per realizzare un esperimento:

il gruppo preso per l’esperimento è scelto secondo assortimento casuale: ciascun partecipante ha uguali probabilità di vedersi assegnato
a un gruppo di un esperimento  l’assortimento casuale aiuta a diminuire le differenze personali in un esperimento.

Altrettanto efficace è esporre la stessa persona a tutte le condizioni dei vari gruppi per capire come rende nelle situazioni diverse.

2.3.4 la ricerca qualitativa:

la ricerca qualitativa esplora, va in cerca di modelli per rivelare motivazioni delle decisioni mentre quella quantitativa è più conclusiva dal
momento che è più frequente che porti a stabilire nessi causa effetto. La qualitativa comporta l’analisi di parole in discorsi e interviste, la
quantitativa di numeri, nella qualitativa il ricercatore ha idea del campo che vuole studiare ma potrebbe non sapere cosa sta cercando
quando inizia una esplorazione, nella quantitativa i ricercatori sanno esattamente cosa cercare e non ammettono niente che vari il
rapporto tra le variabili.

La natura soggettiva del materiale disponibile per le analisi e quindi la difficile interpretazione è sia un punto di forza che una debolezza
della ricerca qualitativa. In essa i ricercatori sono parte integrante della analisi, decidono nel mentre che dati raccogliere e con che metodi.
Negli ultimi anni importante è stata la ricerca di metodi che fissino standard oggettivi per il procedimento della ricerca.

2.3.5 l’approccio con modelli misti:

in uno studio si possono utilizzare sia modello qualitativo che quantitativo: approccio a metodo misto.

2.4 le minacce alla validità della ricerca:

l’approccio sperimentale è uno strumento valido per esaminare la causalità, ma bisogna evitare gli errori: la validità interna è il grado al
quale un esperimento supporta conclusioni causali chiare  se un esperimento contiene vari errori avrà una bassa validità interna perchè
non potremo essere certi di cosa ha provocato le differenze nella variabile dipendente.

2.4.1 la confusione tra variabili:

la confusione tra variabili indica che due variabili sono intrecciate e quindi non possiamo determinare quale delle due abbia influenzato
la variabile dipendente: la variabile che si intreccia alla variabile indipendente si chiama variabile interveniente  impedisce di trarre
conclusioni causali chiare rovinando la validità interna (es. negli studi di correlazione la confusione è data dalla variabile z) .

2.4.2 le caratteristiche del compito richiesto:


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le caratteristiche del compito richiesto sono gli indizi che i partecipanti raccolgono sull’ipotesi di uno studio a cui partecipano o su come
si presume dovrebbero comportarsi. Questo può influenzare il loro comportamento per cui i ricercatori cercano di adottare sistemi per
evitare il problema.

2.4.3 l’effetto placebo:

placebo: sostanza priva di effetti farmacologici  negli esperimenti ci sono due gruppi: gruppo di trattamento (assume farmaci) e gruppo
placebo di controllo (assume il placebo). I pazienti non sanno quale dei due assumono, e se c’è un miglioramento nelle condizioni del
gruppo di controllo si hanno le prove dell’effetto placebo: cambiamento sulle basi delle aspettative e non grazie al farmaco. L’effetto
placebo diminuisce la validità interna.

2.4.4 gli effetti delle aspettative dello sperimentatore:

l’effetto delle aspettative dello sperimentatore si riferisce ai modi in cui il ricercatore può influenzare i partecipanti perché rispondano in
modo coerente con l’ipotesi della ricerca  soluzioni: tenere all’oscuro chi interagisce con i partecipanti perché non sviluppi aspettative,
oppure procedura in doppio cieco: sia partecipanti che sperimentatore sono all’oscuro per minimizzare effetto placebo e aspettative.

2.4.5 replicare e generalizzare i risultati:

validità esterna: fino a che punto i risultati di uno studio possono essere generalizzati ad altre popolazioni, ambienti, condizioni  validità
esterna del principio sotteso a un esperimento.

Per determinare la validità esterna serve la replicabilità (ripetizione di uno studio per capire se le conclusioni possono essere replicate):
se lo studio è replicabile la validità esterna sarà maggiore.

Meta analisi: analisi dei dati interculturali di diversi studi per determinare modelli comuni  la somiglianza tra culture aumenta la fiducia
nella possibilità di generalizzare le conclusioni.

2.4.6 scienza, percezione extra-sensoriale e fenomeni paranormali:

psicologia anomalistica: area di studi che comprende indagini su fenomeni come la telepatia mentale e la precognizione. Anche qui la
replicabilità delle conclusioni e esperienze è molto importante.

Non è mai stata dimostrata l’esistenza di vere persone con capacità paranormali: per concluderne l’esistenza bisognerebbe escludere tutte
le spiegazioni fisiche o psicologiche tra cui anche il controllo dell’ambiente e la manipolazione delle variabili.

Bisogna approcciarsi anche a questa scienza con scetticismo ragionato e critico che necessita prove scientifiche e non con uno scetticismo
cieco o una fiducia non fondata.

2.5 analizzare e interpretare i dati:

2.5.1 usare le statistiche per descrivere i dati:

statistica descrittiva: riassume e descrive caratteristiche di un gruppo di dati (es. coefficiente di correlazione). Altri due tipi sono:

Le misure di tendenza centrale:

calcola qual è il punteggio più comune: una misura è la moda (punteggio che compare più spesso), una è la mediana (punteggio a metà
dell’elenco dei punteggi), infine la media (somma dei punteggi diviso il numero dei punteggi stessi)  non esiste una procedura
decisionale che stabilisce quale delle tre misure sia la più adeguata.

Le misure di variabilità:

colgono il grado di variazione (spread) in una distribuzione di punteggi.

La misura più semplice ma meno informativa è l’intervallo (differenza tra punteggio più alto e più basso), il dato più importante è la
deviazione standard (quanto ciascun punteggio differisce dalla media).

2.5.2 usare le statistiche per trarre inferenze:

statistica descrittiva riassume i dati ma i ricercatori vogliono anche trarre inferenze (conclusioni) dai dati  statistica inferenziale: trarre
inferenze su una popolazione partendo dai dati forniti da un campione di quella distribuzione = dice se le conclusioni sono statisticamente
significative (= significatività statistica: improbabile che i risultati siano frutto del caso).

2.5.3 la meta-analisi, combinare i risultati di più studi:

meta-analisi: procedura statistica che serve a combinare i risultati di studi diversi che esaminano lo stesso argomento  utile per trarre
conclusioni da vari studi e raggiungere conclusioni generali sul comportamento.

2.6 il pensiero critico nella scienza e nella vita quotidiana:

soprattutto nei media popolari è presente la disinformazione pseudoscientifica, la capacità di pensiero critico serve per evitare di essere
fuorviati da affermazioni (come quelle delle pubblicità) spesso formulate in modo da sembrare scientifiche.
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CAP. 3 GENI, AMBIENTE E COMPORTAMENTO:

3.1 gli effetti della genetica sul comportamento:

negli anni 60 del XIX secolo Mendel conduce esperimenti riguardo le varianti di una stessa specie di piselli, con la fertilizzazione incrociata
combinava diverse caratteristiche fisiche e scoprì la complicatezza dell’ereditarietà: da una generazione all’altra si trasmettono fattori
organici alcuni visibili subito nella prima generazione, altri rimanevano latenti per rendersi manifesti successivamente.

Nel XX si introduce il concetto di genotipo (corredo genetico presente fin dal concepimento) e fenotipo (caratteristiche osservabili
nell’individuo risultato dell’interazione tra genotipo e ambiente).

3.1.1 i cromosomi e i geni:

i fattori organici erano i geni, responsabili della trasmissione delle caratteristiche ereditarie, sono segmenti di DNA. Le molecole di DNA
sono organizzate in cromosomi. Il DNA è costituito da nucleotidi, le triplette di nucleotidi sono codoni.

Caratteri dominanti, recessivi e poligenici:

le forme alternative di un gene che determinano caratteristiche diverse sono alleli: nel fenotipo si esprime l’allele dominante, il carattere
recessivo si esprime solo se ci sono due alleli con quel carattere altrimenti si esprime il carattere dominante.

In molti casi varie coppie di geni combinano i propri effetti per determinare una caratteristica fenotipica: trasmissione poligenica.

3.1.2 la genetica comportamentale:

genetica comportamentale: come l’ereditarietà e i fattori ambientali influenzano le caratteristiche psicologiche (comportamento).

Se una caratteristica ha una concordanza più elevata in persone strettamente legate tra loro, questo suggerisce una contribuzione genetica
al comportamento, soprattutto se le persone vivevano in ambienti diversi.

Gli studi di adozione e gli studi sui gemelli:

studio di adozione: soggetti adottati nella prima infanzia vengono confrontati con i genitori biologici e quelli adottivi per capire l’influenza
dei geni  in molti studi è stato confermata l’influenza genetica.

Studi sui gemelli: confrontano affinità tra gemelli omozigoti ed eterozigoti  tra gemelli allevati in ambienti diversi sin dalla nascita, per
alcune caratteristiche i tassi di concordanza sono più alti tra gemelli omozigoti.

L’ereditabilità, stimare l’influenza genetica:

coefficiente di ereditabilità: stima la misura in cui la varianza di una caratteristica fenotipica in un gruppo di persone si può attribuire alla
differenza genetica.

Geni e ambiente non possono essere separati, rientrano in un sistema integrato: l’espressione dei geni viene influenzata dall’ambiente, la
genetica predispone a certe caratteristiche o malattie, ma è l’ambiente che influisce anche sulla comparsa o meno della malattia.

3.2 adattarsi all’ambiente, il ruolo dell’apprendimento:

gli uomini nascono con capacità biologiche che permettono di reagire al mondo in modo adattivo. L’apprendimento può essere un processo
di adattamento personale alle circostanze della vita, permette all’uomo di usare l’eredità biologica per trarre profitto dall’esperienza e
adattarsi all’ambiente.

3.2.1 come si impara? Alla ricerca dei meccanismi:

lo studio dell’apprendimento per molti anni si divideva tra comportamentismo ed etologia: il comportamentismo affermava che le leggi
dell’apprendimento si potevano applicare a qualunque specie e si basavano su premi e punizioni. Considerano la mente una tabula rasa
in cui l’esperienza di apprendimento scrive. E valutano l’apprendimento solo da eventi osservabili direttamente.

3.2.2 perché si impara? Alla ricerca delle funzioni:

l’etologia è una branca della biologia e studia il comportamento animale in ambiente naturale: grazie all’evoluzione ogni specie è
biologicamente predisposta ad agire secondo certe modalità, non è negato però il ruolo dell’apprendimento. Gli etologi si concentrano
sulla rilevanza adattiva ovvero come un comportamento incide sulla sopravvivenza e riproduzione dell’individuo. Studiano anche il
comportamento istintivo ovvero la risposta automatica (reazione spontanea innescata da uno stimolo): queste risposte automatiche
possono essere modificate dall’esperienza o essere frutto di apprendimento.

3.2.3 l’apprendimento, la cultura e l’evoluzione:

comportamentismo e etologia si sono incontrate dimostrando come l’ambiente influenzi il comportamento in due modi: con l’adattamento
della specie e con quello personale che avviene con l’apprendimento e le interazioni con l’ambiente, anche la cultura incide su ciò che
apprendiamo.

3.3 la genetica comportamentale, l’intelligenza e la personalità:


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l’intelligenza e la personalità sono rilevanti e i fattori genetici e ambientali che le influenzano sono stati ampiamente studiati.

3.3.1 i geni, l’ambiente e l’intelligenza:

quanto conta la genetica sulle differenze di livello intellettivo?

L’ereditabilità dell’intelligenza:

i fattori genetici possono determinare una somiglianza intellettiva e di QI: la correlazione per i gemelli omozigoti cresciuti separatamente
e quelli cresciuti assieme è simile, in entrambi i casi i QI sono simili.

Più geni hanno in comune le persone più i loro QI sono simili.

Le determinanti ambientali:

per determinare il contributo dell’ambiente sull’intelligenza si sono studiati ambienti famigliari e scolastici.

L’ambiente famigliare condiviso:

fratelli e sorelle che crescono assieme sono più simili tra loro, un 30% delle differenze intellettive tra membri di una popolazione si
possono attribuire a fattori ambientali tra cui soprattutto l’ambiente famigliare.

Le differenze relative all’ambiente famigliare si notano di più in condizioni sociali medio-basse rispetto alle superiori.

Le esperienze educative:

anche le esperienze educative hanno un impatto: la frequenza scolastica può innalzare il QI, l’esposizione a un ambiente in cui si esercita
la mente consolida le capacità intellettive.

3.3.2 lo sviluppo della personalità:

L’ereditabilità dei tratti di personalità:

la diversità di personalità è stata interpretata con il modello Big five, cinque dimensioni della personalità che ne determinano le variazioni:

 Estroversione/introversione
 Disponibilità
 Coscienziosità
 Nevroticità
 Apertura a nuove esperienze

Dagli studi emerge che il 40% circa delle differenze di personalità è attribuibile alle differenze nel genotipo, anche se la personalità è meno
ereditaria dell’intelligenza.

L’ambiente e lo sviluppo della personalità:

per molto tempo si è creduto che l’ambiente fosse molto rilevante all’interno della personalità, tuttavia studi sui gemelli hanno evidenziato
come i tratti principali della personalità rimanessero simili anche se allevati in famiglie diverse.

Più della famiglia, sono importanti alcune esperienze specifiche o l’interazione con determinate persone ma in generale l’ambiente ha
meno influenza sulla personalità rispetto all’intelligenza.

3.4 le interazioni tra geni e ambiente:

geni e ambiente influenzano l’intelligenza, la personalità e altre caratteristiche ma non operano mai in modo indipendente  ambiente
influenza il fenotipo, i geni influenzano il modo in cui una persona sperimenta l’ambiente e vi reagisce.

3.4.1 come l’ambiente può influenzare l’espressione dei geni:

range di reazione: intervallo di possibilità consentite dal codice genetico in cui può variare una caratteristica  es. l’individuo eredita un
range di intelligenza potenziale, gli effetti ambientali poi stabiliscono dove si colloca la persona nei limiti possibili geneticamente.

Pare impossibile però che vi sia un range genetico per la personalità.

3.4.2 come i geni possono influenzare l’ambiente:

il range di reazione è un esempio di come l’ambiente può incidere su una caratteristica con base genetica. Altre modalità: le caratteristiche
a base genetica potrebbero influenzare diversi aspetti dell’ambiente oppure l’influenza evocativa (comportamenti di origine genetica che
il bambino manifesta suscitano determinate reazioni che rinforzano quelle tendenze già presenti, oppure possono cercare di scoraggiarle),
infine siamo noi stessi che non reagiamo solo agli stimoli ma cerchiamo in prima persona determinati ambienti.

In questo modo lo sviluppo della persona è influenzato dall’esperienza e dalla biologia.

3.5 la manipolazione genetica:


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3.5.1 l’epigenetica:

epigenetica: studio dei cambiamenti nell’espressione dei geni che non dipendono dal DNA ma sono causati da fattori ambientali.
L’espressione del gene non dipende solo dal DNA ma anche dall’ambiente in cui si esprime.

Le procedure knock-out e knock-in:

knock-out: si rimuove una porzione di DNA quindi viene rimossa una funzione del gene, knock-in: viene inserito nuovo materiale genetico
quindi viene inserita una funzione del gene.

Screening genetico: benefici? Può fornire informazioni utili per la salute delle persone, il rilevamento precoce di una patologia può salvare
una vita, potrebbe indirizzare le scelte riproduttive evitando la riproduzione di persone con malattie genetiche. Uno screening però non
può produrre un risultato certo al 100%, ci sono possibilità di falso positivo o negativo, inoltre i test stabiliscono una probabilità di
sviluppo di una malattia ma non assicurano che essa si manifesterà. Infine chi accede a questi screening deve essere informato e seguito
da un consulente.

3.6 l’evoluzione e il comportamento, i retaggi del passato remoto:

gli uomini nascono con meccanismi biologici innati che permettono e predispongono a percepire, comportarsi, sentire e pensare in certi
modi. Gli studiosi della teoria evolutiva sono convinti che aspetti del comportamento sociale siano influenzati da questi meccanismi e si
sono evoluti nel tempo.

3.6.1 l’evoluzione dei meccanismi adattivi:

l’evoluzione è un cambiamento che interviene nel tempo nella frequenza in cui determinati geni si manifestano in una popolazione
ibridata. Alcune variazioni genetiche insorgono tramite mutazione (eventi casuali che avvengono durante la riproduzione dei geni), che
fanno evolvere caratteristiche fisiche e determinano l’evoluzione.

La selezione naturale:

selezione naturale: le caratteristiche che aumentano la probabilità di sopravvivenza e riproduzione in una ambiente sono conservate nella
popolazione, con il cambiare dell’ambiente servono nuove caratteristiche che si devono adattare. Esistono anche varianti neutre, ovvero
rumore evolutivo, che potrebbero diventare importanti per la soddisfazione di future esigenze ambientali per cui sopravvivono alla
selezione naturale.

Gli adattamenti evolutivi:

i prodotti della selezione naturale sono adattamenti, ovvero cambiamenti che consentono di sopravvivere nell’ambiente accrescendo la
propria capacità riproduttiva e di trasmettere i propri geni. Il concetto di selezione naturale e adattamento all’evoluzione si basa sull’idea
che la biologia di un organismo ne determina capacità comportamentali, e che esse determinano la sopravvivenza.

L’evoluzione del cervello:

i mutamenti evolutivi intervenuti nel comportamento sembrano aver contribuito allo sviluppo del cervello, cosi come la crescita del
cervello ha contribuito all’evoluzione del comportamento umano.

La cultura evocata:

cultura evocata: le culture potrebbero essere frutto di meccanismi biologici evoluti nel tempo per adattarsi. Una volta adattata, una cultura
viene trasmessa ai membri tramite apprendimento sociale.

Attraverso il comportamento gli uomini possono creare ambienti che influenzano la selezione naturale dei tratti biologici adatti a
quell’ambiente.

3.6.2 l’evoluzione e la natura umana:

per gli psicologi evolutivi, la natura umana è l’espressione di tendenze biologiche innate che si sono evolute attraverso la selezione
naturale.

Sessualità e preferenze nella scelta del partner:

lo scopo dell’evoluzione è continuare la specie e per questo serve la riproduzione  attenzione degli psicologi alla sessualità, alla scelta
del partner e alle differenze uomo-donna.

Nella ricerca del partner gli uomini rispetto alle donne preferiscono più rapporti e più brevi, pensano più spesso al sesso, desiderano più
spesso rapporti sessuali, interpretano la cordialità femminile come disponibilità. Nonostante ciò a un certo punto della vita entrambi i
sessi decidono di instaurare una relazione duratura e seria: gli uomini preferiscono donne più giovani (le donne uomini più maturi),
guardano di più all’aspetto e le capacità domestiche (le donne al reddito, lo status e l’ambizione)  secondo la teoria delle strategie
sessuali (e la teoria dell’investimento genitoriale) queste differenze provengono da tendenze ereditarie sviluppatesi negli anni per le
diverse esigenze adattive tra i due sessi.

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La teoria della struttura sociale invece afferma che uomini e donne sono diversi perché la società impone loro ruoli diversi, quindi non è
la genetica ma l’apprendimento a determinare la diversità.

Gli approcci evoluzionistici allo sviluppo e all’espressione della personalità:

teoria evoluzionistica della personalità: origine di tratti della personalità universali cercata nei bisogni adattivi che si sono determinati
durante l’evoluzione.

I tratti universali sono riconosciuti nei Big five (precedentemente spiegati) perché si ritrovano in quasi tutte le culture  sono
sopravvissuti probabilmente perché hanno aiutato a raggiungere due obiettivi: la sopravvivenza fisica e il successo riproduttivo. Essi sono
stati selezionati dalla selezione naturale fino a entrare a far parte della natura umana.

La selezione naturale filtra certe caratteristiche, ma esiste anche il pluralismo strategico ovvero che ci siano più strategie comportamentali
che possono essere adattive in certi ambienti per cui vengono mantenute dalla selezione anche se contradditorie.

CAP. 4  CERVELLO E COMPORTAMENTO:

4.1 i neuroni:

neuroni: cellule alla base del sistema nervoso, sono interconnessi con circuiti elettrici, avvolti da una membrana cellulare che regola gli
scambi tra interno ed esterno.

I neuroni hanno:

 Corpo cellulare: contiene il nucleo e strutture necessarie al metabolismo cellulare


 Dendriti: unità che ricevono i messaggi da altri neuroni e li inviano al corpo cellulare
 Assone: trasmette impulsi elettrici dal corpo cellulare ad altri neuroni, muscoli, ghiandole e si dirama in terminali assonici
 Cellule gliali: attorno al neurone, forniscono impalcatura strutturale e funzione metabolica

4.1.1 l’attività elettrica dei neuroni:

i neuroni comunicano con segnali elettrochimici con delle fasi:

 Quiete: il neurone ha un potenziale di riposo elettrico


 Se stimolato, un flusso di ioni passa attraverso la membrana e si inverte la carica elettrica del potenziale di riposo  potenziale
di azione o impulso nervoso
 Ripristino della situazione iniziale e stato di riposo

Ruolo della membrana cellulare: permeabile a certe sostanze di cui regola l’ingresso con i canali ionici. L’ambiente chimico interno ed
esterno al neurone è diverso = polarizzazione del neurone.

Gli impulsi nervosi: il potenziale d’azione:

stimolando l’assone del neurone il differenziale di voltaggio interno passava da negativo a positivo, questa variazione della carica elettrica
è il potenziale di azione (pda) o impulso nervoso  il meccanismo di innesco sono i canali per il sodio e potassio sulla membrana cellulare,
quando si aprono innescano una depolarizzazione e l’interno diventa positivo rispetto l’esterno (pda), chiudendosi ripristinano il
potenziale negativo di riposo.

In seguito all’attivazione di un pda c’è un periodo refrattario assoluto in cui la membrana non è eccitabile e non è in grado di scaricare un
altro impulso.

Tutto o nulla:

legge del tutto o nulla: i pda o si determinano alla potenza massima o non si determinano affatto.

I cambiamenti nel potenziale negativo di riposo che non raggiungono la soglia di attivazione del pda sono potenziali graduati (certe
volte si sommano per raggiungere la soglia di attivazione del pda).

La guaina mielinica:

guaina mielinica: ricopre alcuni assoni, è interrotta dai nodi di Ranvier, permette una trasmissione elettrica più veloce (conduzione
saltatoria) da un nodo all’altro.

La guaina in molti neuroni si forma nel tempo dopo la nascita e questo spiega l’incremento di efficienza della trasmissione neuronale e
quindi alcuni progressi mostrati dai bambini piccoli.

I danni alla guaina provocano compromissione della trasmissione degli impulsi nervosi ai muscoli.

4.2 come comunicano i neuroni, la trasmissione sinaptica:

i neuroni comunicano tramite spazio sinaptico: vuoto tra l’assone di un neurone e il neurone successivo.

4.2.1 i neurotrasmettitori:
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i neuroni producono neurotrasmettitori (NT): sostanze chimiche che trasmettono messaggi a neuroni, muscoli, ghiandole attraverso lo
spazio sinaptico  5 fasi:

 Sintesi: produzione dei NT


 Immagazzinamento: nelle vescicole sinaptiche al termine dell’assone
 Rilascio: con il potenziale di azione le vescicole sono rilasciate nello spazio tra assone del neurone presinaptico e membrana
del neurone postsinaptico
 Legame: attraversano lo spazio sinaptico e si legano ai recettori
 Disattivazione: NT (eccitatore o inibitore) si lega al recettore che fa aprire o chiudere i canali del sodio dopodiché NT viene
disattivato (es. ri-captazione = richiamo nel terminale assonico presinaptico)

4.2.2 sistemi di trasmettitori specializzati:

i NT sono diversi tra loro e creano sistemi diversi e indipendenti tra loro, ogni sostanza chimica ha un diverso effetto su un determinato
neurone: es. acetilcolina (ACh) è un NT coinvolto in attività muscolare e memoria: una carenza è tra le cause del morbo di Alzheimer
(problemi di memoria ma anche motori), e provoca difficoltà motorie, una sovrapproduzione causa contrazioni, convulsioni muscolari e
a volte morte.

I NT provocano effetti solo su neuroni che hanno appositi ricettori per quel tipo di NT, altre sostanze (neuromodulatori) hanno
un’influenza più estesa e modulano la sensibilità dei neuroni ai loro NT: es. endorfine.

4.3 il sistema nervoso:

SN è il centro di controllo del corpo, ha tre categorie di neuroni:

 Sensoriali: portano gli input degli organi sensoriali a cervello e midollo spinale
 Motori: portano ai muscoli e organi gli output di cervello e midollo spinale
 Interneuroni: funzioni connettive o associative nel SN

Il SN si divide in sottosistemi tra cui: SN centrale e SN periferico

4.3.1 il sistema nervoso periferico:

sistema nervoso periferico: fatto da strutture nervose che si trovano fuori da cervello e midollo spinale, i suoi neuroni svolgono funzioni
di input (percezione di ciò che accade dentro e fuori il corpo) e output (rispondere con muscoli e ghiandole agli input).

Ha due sottoinsiemi: sistema nervoso somatico e autonomo:

Il sistema nervoso somatico:

sistema nervoso somatico: fatto da neuroni sensoriali (trasmettono messaggi delle strutture recettoriali) e neuroni motori (trasmettono
messaggi del cervello e del midollo spinale ai muscoli)  gli assoni dei due tipi di neuroni si raggruppano in nervi sensitivi e nervi
motori.

Il sistema nervoso autonomo:

sistema nervoso autonomo: controlla ghiandole, muscolatura cardiaca, vasi sanguigni, rivestimento di stomaco e intestini  governa
funzioni involontarie tra cui motivazione, comportamento emotivo e risposte allo stress

 SN simpatico: attivazione o stimolazione e agisce unitariamente


 SN parasimpatico: più specifico nelle funzioni, rallenta i processi e mantiene lo stato di quiete

Insieme i due sistemi mantengono l’omeostasi.

4.3.2 il sistema nervoso centrale:

sistema nervoso centrale (SNC) comprende cervello e midollo spinale.

Il midollo spinale:

quasi tutti i nervi che entrano ed escono dal SNC passano per il midollo spinale.

Il midollo è formato da corpi cellulari grigi e dalle loro interconnessioni all’interno, e all’esterno un rivestimento bianco formato da
assoni mielinizzati che collegano i livelli del midollo tra loro e con i centri superiori del cervello.

Dal midollo partono anche riflessi spinali che si innescano senza coinvolgimento del cervello riducendo così i tempi di reazione.

Il cervello:

il cervello è il più grande consumatore di energia, il suo metabolismo energetico è costante e attivo sia di giorno che di notte.

4.3.3 svelare i segreti del cervello:

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ci sono vari metodi per studiare le strutture e le attività del cervello, tra cui:

I test neuropsicologici (comportamentali):

test neuropsicologici: misurare comportamenti verbali e non e stabilire relazioni tra funzionalità cerebrale e comportamento.

Le tecniche di ablazione e stimolazione:

studi di ablazione (distruzione): produrre lesioni selettive nel sistema nervoso per valutare le funzionalità cerebrali.

Stimolazione chimica o elettrica di una parte di cervello o di singoli neuroni sempre per studiare le funzionalità cerebrali.

La registrazione elettrica:

elettrodi possono registrare l’attività dei singoli neuroni o di gruppi  elettroencefalografo (EEG)  diagnosi e monitoraggio di
sindromi epilettiche e altre condizioni patologiche.

L’imaging cerebrale:

le tecniche di imaging cerebrali forniscono una immagine dettagliata delle strutture del SNC:

 TAC: fascio focalizzato di raggi x che fotografa piccole sezioni di cervello, il computer analizza le sezioni e individua le lesioni,
cosi si possono stabilire relazioni tra danno cerebrale e funzionalità psicologica
 RMN: crea immagini delle strutture cerebrali basate sulla risposta degli atomi di idrogeno a un campo magnetico
o RMfunzionale: produce immagini del flusso sanguigno cerebrale in tempo reale, per cui misura l’attivazione delle
aree
 Scansioni PET: misura l’attività cerebrale (metabolismo, flusso sanguigno, attività dei NT), fornisce una immagine a colori del
cervello e dalla distribuzione del glucosio si capisce quali parti sono più attive
 NIR: usa una regione limitata dello spettro elettromagnetico, i materiali naturali assorbono lunghezze d’onda e regioni
specifiche di queste radiazioni NIR e quelli ad ampio contenuto proteico ne assorbono di più  lo spettro NIR da informazioni
sul contenuto del campione, studia le strutture profonde del cervello e non è invasivo

I danni cerebrali e la funzione cognitiva:

un approccio per valutare le funzionalità cerebrali è studiare l’effetto di una lesione su una parte di cervello.

La stimolazione magnetica transcranica (TMS):

la TMS consiste nella disattivazione di una parte del cervello attraverso un circuito magnetico, produce quindi una lesione temporanea e
reversibile per studiarne gli effetti.

L’optogenetica:

optogenetica: tecnica che usa la luce nello studio del funzionamento di parti selezionate del cervello  vuole capire come le attività dei
neuroni possono determinare comportamenti e condizioni complessi.

La dissociazione semplice e doppia:

la neuroscienza cognitiva somma neuroscienza e psicologia cognitiva per studiare le funzioni del cervello: importante la dissociazione 

 Semplice: gruppo di controllo e gruppo di pazienti con la stessa lesione a una parte del cervello  se il gruppo di controllo fa
bene sia l’esercizio di comprensione che produzione del linguaggio, mentre il gruppo di pazienti ne fa bene solo uno si
suppone che l’area del cervello lesionata sia responsabile di quella funzione. Questa tecnica può portare a errori di
attribuzione di funzioni a un’area che magari è solo indirettamente responsabile della funzione.
 Doppia: due gruppi di pazienti con due diverse lesioni e uno di controllo  porta ad una conclusione più sicura sul
coinvolgimento delle diverse aree nei compiti dati.

4.4 il cervello gerarchico, strutture e funzioni comportamentali:

le strutture di base del cervello governano le funzioni fisiologiche primarie che ci tengono in vita e le condividiamo con gli animali,
l’evoluzione ci ha fatto sviluppare sistemi nuovi per funzioni sempre più complesse, consolidati dalla selezione naturale per la
sopravvivenza.

Le strutture principali del cervello sono: romboencefalo, mesencefalo e prosencefalo e l’elemento chiave è la corteccia cerebrale:

4.4.1 il romboencefalo:

È il livello più basso e primitivo del cervello. Ne fanno parte cervelletto, midollo allungato e ponte.

Il tronco encefalico, sistemi di sopravvivenza:

tronco encefalico: controlla le funzioni essenziali per la vita, formato da

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 midollo allungato: prima struttura soprastante il midollo spinale, controlla funzioni vitali, il suo danneggiamento provoca quasi
sempre morte o esigenza di rimanere attaccati a respiratori, è anche un passaggio per i tratti nervosi sensoriali e motori
 ponte: sopra il midollo allungato, struttura di passaggio per fibre nervose, contribuisce nella regolazione del sonno, controlla
funzioni vitali, una lesione può causare la morte
 mesencefalo

Il cervelletto, centro del coordinamento motorio:

cervelletto: attaccato alla parte posteriore del tronco encefalico, ha una corteccia prevalentemente di corpi cellulari grigi, presiede al
coordinamento muscolare (tempi e coordinamento dei muscoli e movimenti complessi) e anche alla memoria, le lesioni provocano
disturbi motori.

4.4.2 il mesencefalo:

mesencefalo: parte più breve e anteriore del tronco dell’encefalo, coinvolto in funzioni visive e uditive e nell’elaborazione delle
sensazioni dolorose, è anche diviso in due strutture: peduncoli cerebrali, laterali e il tetto tra essi interposto.

La formazione reticolare, custode del cervello:

formazione reticolare: all’interno del mesencefalo, sistema con una parte ascendente che manda input alle regioni superiori del cervello
per allertarlo e parte discendente attraverso cui il cervello ammette o rifiuta l’input sensoriale. Ha un ruolo nella coscienza, nel sonno e
nell’attenzione (in questa funzione la formazione reticolare è come un cancello: alcuni impulsi vengono ammessi mentre altri no)

4.4.3 il prosencefalo:

porzione più avanzata del cervello, la sua struttura principale è il cerebrum (comunemente chiamato cervello) ed è diviso in emisfero
destro e sinistro, avvolti attorno al tronco encefalico e rivestito dalla corteccia.

Il talamo, la centrale sensoriale del cervello:

talamo: sopra il mesencefalo, diviso in destro e sinistro e in più zone, organizza gli input sensoriali e li indirizza nelle aree del cervello
giuste, le lesioni al talamo provocano stato confusionale.

L’ipotalamo, motivazione ed emozione:

ipotalamo: gruppi di cellule neuronali con ruolo nella motivazione e nelle emozioni (comportamento sessuale, regolazione temperatura
corporea, sonno, appetito, sete, aggressività, piacere e dispiacere). Ha connessioni con il sistema endocrino (composto da ghiandole che
producono ormoni) attraverso la ipofisi per cui controlla anche alcune secrezioni ormonali.

Psicofisiologia dell’emozione:

l’emozione è una risposta psicofisiologica, e come tale si può misurare e monitorare  test della verità, misura queste risposte ma ha un
livello di attendibilità pari al 60% poiché a volte le persone non rispondono come ci si potrebbe aspettare agli stimoli che attivano delle
emozioni.

Il sistema limbico, memoria, emozione e comportamento guidato dall’obiettivo:

sistema limbico: coordina i comportamenti necessari per soddisfare bisogni motivazionali e emotivi nati nell’ipotalamo e coinvolto nella
memoria. Due sue strutture fondamentali: ippocampo (formazione e conservazione dei ricordi) e amigdala (organizza i modelli di
risposta motivazionale ed emotiva, e le risposte emotive inconsce, aiuta la creazione di ricordi emotivi).

La corteccia cerebrale, la parte più evoluta del cervello:

corteccia cerebrale: rivestimento esterno del cervello, prodotto finale della evoluzione (altre specie ne sono prive), non è essenziale per
la sopravvivenza ma per l’espressione delle peculiarità psichiche umane. È molto circonvoluta e molta parte sta nelle fessure

 fessura longitudinale divide in emisfero dx e sx


 negli emisferi: fessura centrale di Rolando che divide in metà anteriore e posteriore
 fessura (scissura di Silvio) sulla superfice laterale del cervello in direzione antero-posteriore

su queste basi si dividono gli emisferi in 4 lobi: frontale, parietale, occipitale e temporale ognuno associato a funzioni sensoriali e
motorie.

Le aree non collegate a funzioni sensoriali o motorie sono corteccia associativa.

La corteccia motoria:

controlla muscoli e movimenti volontari, parte posteriore del lobo frontale, ogni emisfero controlla la parte opposta del corpo, la
quantità di corteccia dedicata a una area del corpo dipende dalla ricchezza di movimenti eseguiti dalla parte

La corteccia sensoriale:

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corteccia somatosensoriale: origina la percezione di caldo, tatto, freddo, senso dell’equilibrio e del movimento, sta nella parte anteriore
del lobo parietale, la grandezza della corteccia dedicata a un’area è proporzionata alla sensibilità dell’area.

In ogni area sensoriale i neuroni rispondono solo a determinati aspetti dello stimolo sensoriale.

La corteccia sensoriale ha sia una predisposizione a percepire gli stimoli ma è anche sensibile all’esperienza e quindi si adatta.

La comprensione e la produzione del linguaggio:

Area di Wernike: lobo temporale, comprensione del linguaggio.

Area di Broca: lobo frontale, produzione del linguaggio.

La corteccia associativa:

varie funzioni mentali importanti come percezione, linguaggio e pensiero, la sua flessibilità ha permesso di acquisire nuove capacità
mentali funzionali all’adattamento molto più rapidamente a come sarebbe potuto accadere solo attraverso selezione naturale.

I lobi frontali, le differenze tra gli esseri umani e le altre specie animali:

il lobo frontale è frutto dell’evoluzione, tanto che alcune specie non lo hanno o è molto ridotto.

I lobi frontali sono predisposti per attività come autoconsapevolezza, pianificazione, iniziativa, e responsabilità, esperienza emotiva, una
lesione provoca incapacità di pianificare ed eseguire una serie di azioni.

Corteccia prefrontale: sede delle funzioni esecutive come pianificazione strategica mentale e controllo degli impulsi che servono per
avere un comportamento adattivo.

4.5 la lateralizzazione emisferica, l’emisfero destro e l’emisfero sinistro:

emisfero dx e sx sono collegati tramite corpo calloso: ponte neuronale di fibre mieliniche bianche che consente di operare unitariamente
ai due emisferi.

La lateralizzazione si riferisce alla localizzazione relativamente maggiore di una funzione in un emisfero o nell’altro.

I due emisferi differiscono non solo nelle funzioni cognitive che vi risiedono ma anche nei collegamenti con emozioni positive o negative.

4.5.1 il cervello diviso, disconnettere gli emisferi:

il cervello funziona come un tutt’uno grazie al corpo calloso che lo unisce, cosa accade se il corpo calloso non c’è? Esperimenti di Sperry
su persone in cui il corpo calloso era reciso: gli input visivi raggiungono un solo emisfero alla volta a seconda di dove è posizionato
l’oggetto:

 se le parole compaiono nel campo dx (e quindi li vede l’emisfero sx) i pazienti sanno descrivere verbalmente ciò che vedono
 se le parole compaiono nel campo sx (attivando l’emisfero dx) i pazienti non sapevano descrivere ciò che vedevano, ma questo
non implica che l’emisfero dx non riconosce gli oggetti (se chiedevi di prendere l’oggetto visto prendevano quello giusto).
L’emisfero dx inoltre è superiore nel riconoscimento delle configurazioni spaziali di stimoli complessi.

4.6 la plasticità del cervello, il ruolo dell’esperienza e il recupero della funzione:

la plasticità neuronale è la capacità dei neuroni di modificarsi nella struttura e nella funzione.

4.6.1 come influisce l’esperienza sullo sviluppo del cervello:

lo sviluppo del cervello è scritto nei geni, ma il modo in cui si esprimono questi comandi genetici può essere influenzato dall’ambiente.

Il cervello di ogni individuo segue un suo processo evolutivo specifico, si modifica e si adatta in funzione delle esperienze di vita.

Da piccoli abbiamo più sinapsi, poi le sinapsi inutilizzate o deboli si deteriorano con l’età e il cervello perde di plasticità. La morte delle
cellule è programmata in ogni neurone dai geni, quindi gli adulti hanno meno sinapsi anche se hanno più capacità cognitive e motorie.

I neuroni che restano comunque formano nuove connessioni dopo esperienze e la formazione di ricordi.

Plasticità e formazione di connessioni nuove possono essere influenzate dall’ambiente.

4.6.2 guarire il sistema nervoso:

se il tessuto nervoso è lesionato o muoiono dei neuroni, i neuroni presenti possono ripristinare le funzionalità strutturalmente e
biochimicamente.

La produzione di nuovi neuroni è la neurogenesi, e finora nel cervello adulto è stata accertata solo nell’ippocampo.

Riassunto di Laura Pagani


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Una tecnica rivoluzionaria è l’impianto di cellule staminali neuronali (cellule immature che si può trasformare in qualunque tipo di
neurone o cellula gliale)  il fatto che possano raggiungere qualunque area del cervello fa prevedere un possibile trattamento per
malattie degenerative o di disfunzioni neuronali.

4.7 il sistema nervoso interagisce con i sistemi endocrino e immunitario:

SN interagisce con sistema endocrino e immunitario, che influenzano comportamento e benessere psicologico e fisico.

4.7.1 le interazioni con il sistema endocrino:

sistema endocrino: formato da ghiandole ormonali, passa informazioni da un organo all’altro usando però gli ormoni = le cellule del
corpo hanno molecole ricettive che reagiscono a ormoni specifici emessi da ghiandole endocrine  come sistema di trasmissione è più
lento del SN perché dipende dal flusso sanguigno.

Gli ormoni influenzano il nostro sviluppo, capacità, comportamento già prima della nascita, e un’area dell’ipotalamo continua a
influenzare il rilascio di ormoni da adulti come avviene per il ciclo mestruale.

Gli ormoni influiscono anche su caratteristiche come differenze in aggressività e longevità tra uomo e donna.

Le ghiandole surrenali sono strutture gemelle sopra i reni che producono ormoni.

4.7.2 le interazioni con il sistema immunitario:

quando sostanze estranee (antigeni) entrano nel corpo inducono una risposta biochimica da parte del sistema immunitario per
combatterle.

Il sistema immunitario ha molta memoria, e una volta che conosce un antigene lo riconosce successivamente producendo subito
anticorpi adatti a distruggerlo.

Il sistema immunitario ha capacità anche di ricevere, interpretare e rispondere a forme specifiche di stimolazione e comunica con il
sistema nervoso  stimolazione o distruzione elettrica di aree dell’ipotalamo o corteccia cerebrale causano incremento o decremento
dell’attività immunitaria.

Sono connessi anche chimicamente: cellule del sistema immunitario contengono recettori legati a NT specifici, e possono produrre
ormoni e NT che influenzano il cervello e il sistema endocrino.

CAP. 5  SENSAZIONE:

sensazione: processo di rilevazione dello stimolo attraverso il quale i nostri organi sensoriali rispondono agli stimoli ambientali e li
traducono in impulsi nervosi inviati al cervello.

Percezione: attribuire un senso a quello che ci dicono i nostri sensi, è il processo attivo di organizzare gli input e attribuirgli significati.

5.1 i processi sensoriali:

i sistemi sensoriali sono fatti per estrarre informazioni dall’ambiente per sopravvivere  sensori specializzati per rilevare stimoli con
sensibilità = psicofisica: studia il rapporto tra le caratteristiche fisiche degli stimoli e le capacità sensoriali e si occupa di due tipi di
sensibilità:

 limiti assoluti della sensibilità


 sensibilità alle differenze tra stimoli

5.1.1 la rilevazione dello stimolo, la soglia assoluta:

soglia assoluta: intensità più bassa alla quale uno stimolo si può rilevare per il 50% delle volte, più è bassa la soglia maggiore è la
sensibilità.

5.1.2 la teoria della detenzione del segnale:

la sensibilità apparente di ogni persona fluttua di molto, non esiste un punto preciso sull’intensità della scala che separa la non
rilevazione dalla rilevazione di uno stimolo  margine di incertezza e ognuno ha un criterio di decisione (standard per quanto devono
essere certi della presenza di uno stimolo per affermare di rilevarlo).

Teoria della detenzione del segnale: fattori che influenzano i giudizi sensoriali  le persone decidono se uno stimolo si è presentato o
meno anche in base all’importanza che ha  per es. un militare che deve individuare un segnale in un radar è più probabile che lo veda
in una situazione di guerra che in una situazione di calma.

La percezione è anche una decisione.

5.1.3 la soglia differenziale:

distinguere tra i vari stimoli è importante quanto rilevarli  soglia differenziale/soglia appena percepibile: differenza minima tra due
stimoli che le persone riescono a percepire per il 50% delle volte.
Riassunto di Laura Pagani
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Legge di Weber: la soglia differenziale è direttamente proporzionale alla grandezza dello stimolo con il quale viene raffrontato e si può
esprimere con la frazione di Weber  legge che non vale per livelli molto bassi o molto alti.

Fechner ha sfruttato questa legge per misurare differenze di percezione appena rilevabili.

5.1.4 l’adattamento sensoriale:

per la sopravvivenza è importante sapere quando uno stimolo ambientale richiede attenzione i sistemi sensoriali sono in sintonia con
i cambiamenti negli stimoli e la diminuzione di sensibilità verso uno stimolo che rimane invariato è detta adattamento sensoriale.

L’adattamento fa parte della vita quotidiana e avviene in tutti i sensi, compresa la visione: per es. con gli occhi produciamo tre
movimenti volontari:

 movimenti saccadici: brevi, esaminano il campo visivo intorno a noi


 movimenti di inseguimento: movimenti di rilevamento
 movimenti coniugati: permettono di mantenere la stessa immagine sulle zone corrispondenti della retina di ciascun occhio.

5.2 i sistemi sensoriali:

i sensi di ogni specie sono frutto dell’adattamento all’ambiente in cui vive.

La trasduzione è il processo con cui le caratteristiche di uno stimolo sono convertite in impulsi nervosi.

5.2.1 la vista:

la luce viaggia in onde di energia elettromagnetica, l’occhio umano è sensibile a lunghezze d’onda tra i 700 e i 400 nanometri.

L’occhio umano:

le onde luminose entrano attraverso la cornea, dietro la quale si trova la pupilla che può dilatarsi (poca luce) o restringersi (molta luce)
grazie ai muscoli dell’iride (parte colorata). Dietro la pupilla c’è il cristallino, struttura elastica che diventa sottile per mettere a fuoco
(accomodazione) le immagini sulla retina, che si trova sul retro del bulbo oculare. Il cristallino rovescia l’immagine e il cervello la
rovescia di nuovo.

I problemi di accomodazione determinano:

 miopia: difficoltà a vedere oggetti lontani, il cristallino mette a fuoco le immagini davanti la retina
 ipermetropia: difficoltà a vedere oggetti vicini, il cristallino mette a fuoco dietro al retina

I fotorecettori, bastoncelli e coni:

la retina contiene due fotorecettori:

 bastoncelli: luce scarsa, bianco e nero, in tutta la retina (non nella fovea)
 coni: luce intensa, a colori, raggruppati nella fovea (piccola zona al centro della retina)

questi fotorecettori hanno collegamenti sinaptici con cellule bipolari, che formano sinapsi con cellule gangliari i cui assoni si riuniscono
formando il nervo ottico.

La nostra acuità visiva (capacità di vedere i particolari più piccoli) è maggiore se l’immagine è proiettata direttamente sulla fovea.

Il nervo ottico esce dal retro dell’occhio, vicino alla fovea, creando un punto cieco dove non ci sono fotorecettori  il nostro sistema
percettivo riempie la parte mancante del campo visivo.

La trasduzione visiva, dalle onde luminose agli impulsi nervosi:

bastoncelli e coni traducono le onde luminose in impulsi nervosi attraverso molecole proteiche dette fotopigmenti che rilasciano una
sostanza chimica che varia il rilascio di NT, più varia il rilascio più forte è il segnale dato a cellule bipolari e gangliari (nervo ottico)  se
lo stimolo attiva risposte nervose in bastoncelli/coni, cellule bipolari e gangliari il messaggio è inviato nel talamo e alla corteccia visiva
del cervello.

La visione alla luce e l’adattamento al buio:

adattamento al buio: miglioramento progressivo nella sensibilità alla luminosità che avviene nel tempo quando c’è poca luce  esposto
a una luce forte l’occhio riduce i fotopigmenti, durante l’adattamento al buio essi si ricreano e la sensibilità dei recettori aumenta.

I coni ci mettono circa 5/10 minuti al buio a raggiungere il massimo della sensibilità, i bastoncelli ci mettono mezz’ora.

5.2.2 l’udito:

gli stimoli sonori sono onde pressorie, una forma di energia meccanica e hanno due caratteristiche: frequenza (numero di onde sonore o
cicli al secondo, misurata in hertz) e ampiezza (dimensione verticale delle onde, profondità fra alti e bassi dell’onda, misurata in
decibel).
Riassunto di Laura Pagani
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La trasduzione uditiva, dalle onde pressorie agli impulsi nervosi:

l’orecchio è fatto da parte esterna, media, interna:

 orecchio esterno: padiglione auricolare e condotto uditivo  raccoglie i suoni e aiuta la localizzazione
 orecchio medio: tre ossicini (martello, incudine, staffa)  adattamento dell’impedenza
o il suono varia nell’aria che ha una bassa impedenza, l’orecchio interno (coclea) è molto sensibile e i tre ossicini
traslano il suono riducendolo a energia e trasferendolo all’interno in modo da evitare danni: adattano l’impedenza
dell’aria a quella della coclea
 orecchio interno: coclea che contiene la membrana basilare, su cui poggia l’organo del Corti rivestito di cellule ciliate(veri
recettori del suono) che contengono le cilia (che sono sotto la membrana tettoria)  il piegamento della membrana basilare
(provocato dalle onde sonore che colpiscono timpano e ossicini) fa muovere le cellule ciliate che trasmettono informazioni
attraverso i neuroni del nervo acustico, che invia impulsi attraverso il talamo alla corteccia uditiva del lobo temporale.

La codificazione dell’altezza e del volume del suono:

una ampiezza elevata del suono provoca un piegamento maggiore delle cellule ciliate e quindi una attivazione maggiore del nervo
acustico  suono alto.

Teoria della periodicità di percezione dell’altezza del suono: impulsi nervosi inviati al cervello sono pari alla frequenza dell’onda sonora
= teoria poco completa, quindi viene abbinata alla teoria posizionale di percezione dell’altezza del suono: il punto specifico della coclea
dove l’onda di fluido (un suono ad alta frequenza produce un’onda di fluido maggiore) è più alta e piega maggiormente le cellule ciliate
serve da segnale di codificazione della frequenza  sapendo dove vengono ricevuti gli impulsi nervosi sappiamo le altezze del suono.

La localizzazione del suono:

la sopravvivenza può essere determinata dalla capacità di capire da dove arriva un suono  per farlo il SN usa informazioni su tempo e
differenze di intensità dei suoni che arrivano alle due orecchie (es. suono a destra arriva più forte all’orecchio destro)  la capacità
binaurale di localizzare il suono è molto sensibile.

L’orecchio esterno fornisce anche il senso dell’altezza, dell’elevazione di un suono e sono le pieghe dell’orecchio a darlo.

La perdita dell’udito:

sordità di conduzione: problemi con il sistema meccanico che trasmette onde sonore alla coclea  risolvibile spesso con apparecchi
acustici.

Sordità neurale: danno ai recettori dell’orecchio interno o danno al nervo acustico  tra le cause, ripetuta esposizione a suoni alti.

5.2.3 il gusto e l’olfatto, i sensi chimici:

gusto e olfatto sono sensi chimici,, i recettori sono sensibili alle molecole chimiche e sono sensi connessi.

Il senso del gusto:

sentiamo 4 qualità + 1: dolce, aspro, salato, amaro e umami  ogni esperienza combina queste qualità con tatto, odore e temperatura.

La lingua possiede anche recettori tattili e di temperatura, mentre le papille gustative sono i recettori chimici del gusto localizzate sulla
punta, i lati e in fondo alla lingua.

Ogni papilla gustativa ha cellule di recettori che hanno un poro gustativo, ovvero un apertura da cui escono strutture capillari stimolate
dalla soluzione chimica che si forma quando un cibo entra in bocca interagendo con la saliva.

Il gusto ci dà piacere ma anche discriminazione tra nutrienti e tossine (reagiamo con allarme ai gusti amari perché molte sostanze
velenose in natura sono amare: risposta fisiologica innata)

L’olfatto, il senso dell’odorato:

i recettori dell’olfatto sono lunghe cellule che escono dall’epitelio della parte superiore della cavità nasale e si inseriscono nella
membrana mucosa. I recettori che si attivano inviano l’input al bulbo olfattivo, una struttura del prosencefalo sopra la cavità nasale
(ogni sostanza chimica odorosa eccita una parte specifica del bulbo olfattivo).

I feromoni sono segnali chimici che si trovano negli odori naturali del corpo e possono influenzare sottilmente il comportamento umano
 sebbene negli animali provochino attrazione sessuale, negli umani l’effetto non è cosi evidente.

Anosmia: perdita del senso dell’olfatto.

5.2.4 la pelle e i sensi del corpo:

comprendono il tatto, la cinestesia (senso del movimento muscolare) e l’equilibrio: questi ultimi due formano la propriocezione e ci
informano su posizione e movimenti del corpo.

I sensi tattili:
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il tattoo permette di sfuggire ai pericoli esterni, avverte di problemi del corpo, è fonte di piacere  4 sensazioni: pressione, dolore, caldo
e freddo  sono trasmesse dai recettori della pelle e degli organi interni.

Valutare l’importanza dei sensi della nostra pelle:

la pelle è l’organo più grande del corpo, ha molti recettori:

 recettori primari del dolore e temperatura: terminazioni nervose libere (cellule nervose sotto lo strato superficiale di pelle)
 basket cells: situate alla base dei follicoli piliferi sono recettori del tocco e della lieve pressione

il cervello capisce da dove arriva la sensazione perché i recettori inviano messaggi alla zona della corteccia somatosensoriale che
corrisponde alla zona dove sono i recettori  a volte il cervello percepisce sensazioni che non possono essere presenti: sindrome
dell’arto fantasma.

I sensi del corpo:

propriocezione: senso della cinestesia (informazioni su posizione di muscoli, giunture e movimenti)  recettori cinestetici:
terminazioni nervose in muscoli, tendini e giunture alla base del coordinamento dei movimenti.

Con la cinestesia collabora i sistema vestibolare: senso dell’orientamento del corpo, equilibrio e postura  recettori vestibolari:
apparato vestibolare dell’orecchio interno (tre canali semicircolari con recettori del movimento della testa: pieni di liquido e rivestiti di
cellule ciliate) = con il movimento della testa si sposta il fluido che stimola le cellule ciliate e manda messaggi al cervello. Alla base dei
canali ci sono i sacchi vestibolari per la posizione del corpo.

Labirintite: virus che attacca la struttura a labirinto che sostiene e alloggia le componenti vestibolari.

CAP. 6  PERCEZIONE:

6.1 la percezione del mondo, l’analisi e la ricostruzione di scene visive:

esiste una corrispondenza tra regioni della retina e gruppi di neuroni nella corteccia visiva  mappatura retinotopica (ce ne sono
diverse, per integrare l’input visivo o come ricambi se una si danneggia).

Rivelatori di caratteristiche: si attivano in modo distinto in risposta agli stimoli visivi con specifiche caratteristiche  ci sono varie classi
di rivelatori e suddividono una scena visiva nelle dimensioni delle sue componenti (colore, forma, distanza…) e le elaborano
simultaneamente.

Infine una volta analizzata e ricombinata dalla corteccia visiva primaria, una informazione viene inoltrata alla corteccia visiva
associativa dove viene interpretata alla luce dei ricordi e delle conoscenze.

6.1.1 il riconoscimento visivo degli oggetti:

come riconosciamo gli oggetti? Due approcci: modello computazionale di Marr e teoria del riconoscimento per componenti di
Biederman.

Un modello computazionale di percezione visiva:

visione divisa in tre stadi  da visione bidimensionale a rappresentazione 3D

 abbozzo primario: luci e ombre ci danno informazioni sui contorni


 abbozzo 2½ D: informazioni sulle distanze relative da noi delle diverse parti dell’oggetto  è il punto di vista
 modello tridimensionale: interiorizziamo il modello visivo e capiamo come è fatto l’oggetto visto da un altro punto di vista

Il riconoscimento per componenti:

riconoscimento per componenti (Biederman): tutti gli oggetti sono formati da forme basilari volumetriche = geoni.

Quando vediamo un oggetto: lo scomponiamo in geoni grazie ai bordi (che hanno 5 proprietà: parallelismo, curvatura, coterminazione,
simmetria, colinearità), spesso basta una parte di bordo per ricostruire anche le parti che non vediamo (poco importante il punto di
vista).

Tarr e Bulthoff: l punto di vista è importante  errori nel riconoscimento di oggetti familiari se presentati da un punto di vista inusuale.

Critica alla teoria di Marr: è un processo bottom-up che non tiene conto del ruolo dell’aspettativa (componente top-down).

Critica alla teoria di Biederman: il punto di vista è importante.

Critica a entrambe: nessuna delle due permette di fare distinzioni sottili.

6.2 la percezione, la creazione dell’esperienza:

la percezione è un processo attivo e creativo che organizza dati sensori e attribuisce significato  due elaborazioni:

Riassunto di Laura Pagani


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 elaborazione bottom-up (basso-alto): il sistema ricevei singoli elementi dello stimolo e li combina in una percezione
 elaborazione top-down (alto-basso): le informazioni dei sensi sono interpretate in base a conoscenze, concetti, idee e
aspettative esistenti

6.2.1 le percezioni hanno organizzazione e struttura:

percepiamo le scene come composte da oggetti separati  serve una elaborazione alto-basso dell’organizzazione della percezione che
avviene automaticamente

I principi della Gestalt sull’organizzazione percettiva:

la Gestalt sostiene l’elaborazione alto-basso e affermano che gli insiemi che percepiamo sono qualcosa di più della somma delle parti.

Importanti le relazioni figura-sfondo: tendenza a organizzare gli stimoli in figura centrale (primo piano) e sfondo  a volte non è
semplice, possono nascere due percezioni nelle immagini ingannevoli.

Come percepiamo stimoli separati come parte di un insieme? Leggi di percezione organizzata della Gestalt:

 legge della somiglianza: elementi simili sono percepiti insieme


 legge della vicinanza: elementi vicini sono percepiti come parte della stessa configurazione
 legge della chiusura: tendenza a chiudere o completare un’immagine incompleta
 legge della continuità: colleghiamo singoli elementi in modo da formare linee continue o modelli sensati

6.2.2 la percezione comporta la verifica dell’ipotesi:

rappresentazione percettiva: immagine che contiene caratteristiche fondamentali e distintive di una persona, oggetto, fenomeno
percettivo  utile a riconoscere uno stimolo.

La percezione è quindi un tentativo di dare senso all’input di uno stimolo grazie a conoscenza ed esperienza  ipotesi sul significato di
un informazione scegliendo l’interpretazione che meglio si addice ai dati sensoriali

6.2.3 la percezione è influenzata dalle aspettative, il set percettivo:

le aspettative e il contesto possono influenzare la percezione: set percettivo  facilità a percepire stimoli in un certo modo

6.2.4 gli stimoli sono riconoscibili in condizioni di mutamento, le costanze percettive:

costanze percettive: permettono di riconoscere stimoli familiari in condizioni variabili, ci sono diverse costanze:

 costanza della forma: riconoscere persone e oggetti da angolazioni diverse


 costanza della luminanza: illuminazione relativa degli oggetti rimane uguale in condizioni diverse di illuminazione
 costanza delle dimensioni: percezione che le dimensioni rimangono uguali anche se con il variare della distanza variano sulla
nostra retina

6.3 la percezione della profondità, della distanza e del movimento:

la capacità di adattarsi a un mondo spaziale richiede di distinguere le distanze e i movimenti degli oggetti.

6.3.1 la percezione di profondità e distanza:

la retina riceve informazioni solo su lunghezza e larghezza di un oggetto ma il cervello traduce queste informazioni in percezioni 3D con
le indicazioni monoculari e binoculari.

Le indicazioni monoculari di profondità:

valutare le distanze relative degli oggetti serve per percepire la profondità: indicazioni monoculari 

 giochi di luce e ombra: creano la percezione di profondità


 prospettiva lineare: percezione delle linee che convergono allontanandosi
 interposizione: oggetti più vicini possono celare la visione di parte di quelli più lontani
 altezza sul piano orizzontale
 texture: più definita se l’oggetto è vicino
 chiarezza
 dimensione relativa: più piccolo se lontano
 parallasse di movimento: spostandoci gli oggetti vicini si muovono più velocemente in direzione opposta

Le indicazioni binoculari di profondità:

percezioni di profondità che sfruttano entrambi gli occhi  stereoscopio: principio della disparità binoculare (due occhi vedono due
immagini diverse) = gli input visivi dei due occhi provenienti da rilevatori di caratteristiche sono uniti dal cervello per produrre la
profondità.

Riassunto di Laura Pagani


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Es. occhiali 3D: lenti diverse, due immagini separate sono combinate per creare profondità  polarizzazione

Altra indicazione binoculare  convergenza: prodotta da feedback dei muscoli che fanno ruotare l’occhio all’interno per vedere un
oggetto vicino.

6.3.2 la percezione del movimento:

percezione del movimento: processo complesso che integra informazioni di sensi diversi  indicazioni per percepire il moto:

 moto dello stimolo attraverso la retina


 moto relativo di un oggetto su uno sfondo strutturato

si può produrre l’illusione di un movimento facendo comparire due o più stimoli in modo sequenziale: movimento stroboscopico
(Wertheimer, Gestalt) = movimento illusorio prodotto quando si accende brevemente una luce nel buio e qualche millisecondo dopo se
ne accende un’altra vicino alla prima  principio per creare i film: immagini in successione.

6.4 la percezione dei colori:

6.4.1 la teoria tricromatica:

qualsiasi colore dello spettro può essere prodotto dalla combinazione di lunghezze d’onda = mescolanza additiva  teoria della visione
a colori tricromatica: percezione del colore risulti dalla mescolanza additiva dei coni sensibili a blu, verde, rosso.

Mescolando pigmenti si producono nuovi colori per sottrazione, eliminando altre lunghezze d’onda = mescolanza sottrattiva (colori
primari blu, giallo, rosso).

Teoria tricromatica: nella retina ci sono tre tipi di recettori del colore  i singoli coni sono sensibili massimamente alle lunghezze
d’onda di blu, verde o rosso: la percentuale di attività nei tre tipi di coni ci permette di vedere il singolo colore.

Eppure alcuni sono ciechi al rosso-verde ma vedono il giallo, e non spiega neanche il fenomeno dell’immagine residua (appare
un’immagine di colore diverso dopo che lo stimolo di un colore è stato fissato e poi ritirato)

6.4.2 la teoria dei processi opponenti:

teoria dei processi opponenti: ciascuno dei tre tipi di coni risponde a due lunghezze d’onda (bianco-nero, blu-giallo, rosso-verde) ed a
seconda della lunghezza d’onda dello stimolo i recettori possono funzionare in due modi.

Spiega anche il fenomeno dell’immagine residua.

6.4.3 la teoria della doppia analisi nella trasduzione del colore:

teoria dei doppi processi: unisce la teoria tricromatica e quella dei processi opposti per spiegare la trasduzione del colore.

La teoria tricromatica aveva ragione sui coni, la teoria dei processi opposti era corretta a parte il fatto che i processi opposti non
avvengono a livello dei coni ma sono le cellule gangliari della retina e i neuroni che rispondono come nel processo opposto alterando il
tasso di frequenza di attivazione.

6.4.4 il daltonismo:

una persona che vede bene è tricromatica, in mancanza di un fotopigmento sensibile alle sfumature in alcuni tipi di coni si diventa:
dicromatici (non vedi blu-giallo o rosso-verde) o monocromatici (vedi solo bianco-nero).

6.5 le illusioni, false ipotesi percettive:

illusioni: percezioni inesatte, ipotesi percettive erronee sulla natura dello stimolo  molte illusioni derivano da costanze percettive che
di norma ci aiutano a percepire in modo più accurato.

Lo studio delle costanze percettive evidenzia che le ipotesi percettive sono influenzate dal contesto in cui si verifica uno stimolo.

6.6 i processi di riconoscimento specifici, i volti:

c’è chi ritiene che l’elaborazione di un volto sia un processo speciale, a cui è dedicata anche un’area cerebrale distinta (FFA) più sensibile
ai volti  non tutti concordano: la specificità dei volti potrebbe derivare dal fatto che vi siamo esposti dalla nascita e costantemente,
quindi l’area cerebrale non è specifica per i volti ma per gli stimoli di cui siamo esperti in generale.

Vi è una sindrome specifica però, la prosopoagnosia acquisita o congenita che impedisce il riconoscimento dei volti familiari.

Modello di aree neurali interconnesse per elaborare e riconoscere i volti:

 caratteristiche percettivo/strutturali (identità, età, genere, etnia)  parte posteriore del cervello
 caratteristiche emotive (espressioni, stato d’animo)  solco temporale superiore (espressioni ma anche direzione sguardo)
 caratteristiche sociali (attrattività, fiducia, direzione dello sguardo)  parte frontale corteccia (attrattiva) e amigdala (fiducia)

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6.6.1 l’importanza delle caratteristiche:

teoria delle caratteristiche: caratteristiche delle espressioni facciali sono processate e poi memorizzate in un modello di volto che
quando rivediamo riconosciamo attivando l’unità di riconoscimento facciale.

Alcune caratteristiche sono più rilevanti:

 volto senza alcuni elementi ma con le sopracciglia è riconoscibile


 riconoscere il genere da una caratteristica, senza presentare il volto, è facile se ci forniscono gli occhi
 genere si identifica con la posizione di occhi, sopracciglia e per lunghezza e forma del naso

6.6.2 l’emozione:

da un volto possiamo capire le emozioni  donne più brave degli uomini.

Durante il ciclo cambia la preferenza per i volti maschili: nello stadio follicolare (in cui c’è più probabilità che a un rapporto segua un
concepimento) preferiamo volti più mascolini  desiderio di avere un padre con attributi positivi (ovviamente anche il comportamento
maschile ha effetti diversi nei diversi stadi del ciclo)

6.6.3 l’attrattività:

l’attrattività è soggettiva, e potrebbe non dipendere dalla cultura come si è sempre pensato. Studi interculturali: persone attraenti sono
trattate meglio, giovinezza, tratti più femminili, buona salute rendono più attraenti le persone, migliorando alcune caratteristiche come
occhi più grandi e zigomi più alti si aumenta l’attrattività.

Altri studi hanno rilevato che sono le caratteristiche medie a essere più attrattive e non quelle pronunciate.

6.7 la sinestesia:

sinestesia: mescolanza dei sensi, percepire suoni come colori, o gusti come sensazioni tattili…

cause: sfrondamento delle connessioni neurali infantile non avviene come negli altri e quindi le regioni cerebrali mantengono
connessioni che sono assenti negli altri oppure oltre alla sinestesia ci sia un deficit nei processi inibitori neurali del cervello che di solito
impedisce che un imput stimoli anche le altre zone sensorie non coinvolte.

6.8 l‘esperienza, i periodi critici e lo sviluppo percettivo:

lo sviluppo dei sistemi sensori e percettivi dipende da fattori biologici (geni) ma in gran parte dall’esperienza: esempi

 diventando ciechi, la zona somatosensoriale dedicata alle punte delle dita si allarga quando impariamo a leggere il Braille
 i bambini che gattonano, collocati su un precipizio visivo che da impressione di profondità, non lo attraversano: frutto di
interazione di capacità innate di percezione della profondità e esperienze precedenti
 vivere una vita in un ambiente che offre limitati stimoli a capacità percettive innate: pigmei nella foresta, vivono sempre in
spazi chiusi  non sviluppano la capacità di valutare oggetti a grande distanza

6.8.1 la ricerca interculturale sulla percezione:

gli esseri umani nascono con le stesse capacità percettive, la cultura può determinare il tipo di esperienze di apprendimento percettivo
che avranno  le somiglianze tra culture sono superiori alle differenze, ma le differenze dimostrano che la percezione può essere
influenzata dalla esperienza.

L’apprendimento culturale può influenzare la percezione visiva (interpretazione del significato, della prospettiva di un’immagine,
sensibilità alle illusioni), ma anche la percezione di gusti, odori, texture (piacevoli o spiacevoli a seconda della cultura).

6.8.2 i periodi critici, il ruolo dell’esperienza precoce:

periodi critici: periodi dello sviluppo nei quali devono avvenire certi tipi di esperienze perché si sviluppino bene le abilità percettive ei
meccanismi cerebrali che le governano  esempi:

 corteccia visiva ha dei rivelatori di caratteristiche che rispondono solo alle linee poste in una certa angolazione: gli animali
cresciuti in un ambiente con sole righe orizzontali non avevano rivelatori di caratteristiche per gli stimoli verticali e
sembravano non vederli
 crescere in ambienti con sole luci monocromatiche: deficit nella percezione dei colori e nella costanza del colore
 crescere in ambienti privi di forme: difficoltà a distinguere tipi di oggetti diversi e forme geometriche

6.8.3 la ripristinata capacità sensoriale:

recuperare ad es. la vista in età adulta non comporta una vista come quella normale: percepire i rapporti figura-sfondo, esaminare
visivamente oggetti, seguire un oggetto con lo sguardo sono capacità innate che ritornano ma identificare visivamente oggetti
(conosciuti al tatto), distinguere semplici figure geometriche e valutare le distanze risulta difficile, va le costanze visive rimangono
scarse e anche con l’esercizio non si recuperano tutte le capacità.

Riassunto di Laura Pagani


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CAP. 7  ATTENZIONE E COSCIENZA:

7.1 l’enigma della coscienza:

alla fine dell’800 nasce la psicologia, con l’intento di svelare i misteri della coscienza:

7.1.1 le caratteristiche della coscienza:

coscienza: consapevolezza di noi stessi e del nostro ambiente  soggettiva e privata, in continuo cambiamento (flusso continuo di
attività mentale), autoriflessiva, la mente è consapevole della sua coscienza, connessa con il processo di attenzione selettiva (= processo
che focalizza la consapevolezza su alcuni stimoli escludendone altri)

7.1.2 misurare gli stati di coscienza:

Misure di autovalutazione o self reports: chiedono di descrivere proprie esperienze interiori, difficili da ottenere.

Misure comportamentali: performance di determinate attività, oggettive ma dobbiamo desumere lo stato mentale della persona.

Misure fisiologiche: corrispondenza tra processi fisici e stati mentali (EEG riflette l’attività elettrica di gruppi di neuroni, tecniche di
imaging per le attività dei vari stati fisici e le regioni del cervello), sono utili per capire i meccanismi interni della mente.

7.1.3 i livelli di coscienza:

molta parte di ciò che accade nel cervello è al di là della coscienza, cosa c’è al di fuori della consapevolezza?

Il punto di vista freudiano:

Freud: mente umana a tre livelli di consapevolezza:

 conscia: pensieri, percezioni di cui siamo consapevoli


 preconscia: al di fuori della consapevolezza attuale ma si possono ricordare
 inconscia: non si possono portare alla consapevolezza in situazioni ordinarie  repressi: tenuti inconsci perché provocano
dolore, ansia  possono influenzare i comportamenti.

Psicologi comportamentisti, cognitivi, psicodinamici contestano Freud.

Il punto di vista cognitivo:

rifiuto dell’idea di una mente inconscia guidata da istinti e bisogni repressi  vita mentale conscia e inconscia come forme
complementari di elaborazione delle informazioni:

 elaborazione controllata: conscia/esplicita, uso consapevole dell’attenzione/impegno, processo più lento ma più aperto al
cambiamento, in molte attività però può portare a danneggiare la performance sotto la pressione dei pensieri
 elaborazione automatica: inconscia/implicita, usata quando svolgiamo compiti automatici, impedisce però di trovare nuovi
approcci ai problemi, facilita l’attenzione divisa (capacità di seguire più attività contemporaneamente)

7.1.4 la percezione inconscia e la sua influenza:

gli stimoli si possono percepire senza consapevolezza e possono influenzare il comportamento

L’agnosia visiva:

agnosia visiva: non percepisce consapevolmente la forma, le dimensioni e l’orientamento spaziale ma non ha difficoltà ad attraversare
una stanza senza urtare oggetti  il cervello elabora informazioni sugli oggetti ma a livello inconscio.

Prosopoagnosia: riconosce gli oggetti ma non le facce, tuttavia il cervello riconosce e reagisce alle differenze tra estranei e famigliari ma
non a livello conscio.

Ci sono situazioni in cui l’elaborazione degli oggetti è parzialmente disponibile anche se non si vedono = visione cieca.

La visione cieca:

i pazienti non vedono una parte del campo visivo ma reagiscono agli stimoli proiettati in quel campo pur dichiarando di non vederli.

Si divide in tipo 1 (discriminazione degli oggetti è possibile nell’area cieca e il paziente dice di non percepire nulla) e 2 (il movimento
rapido o i cambiamenti vengono percepiti nel campo cieco).

Il priming:

priming: esposizione a uno stimolo influenza il modo in cui si reagisce dopo a quello stimolo o a un altro (una pre esposizione a
immagini subliminali per es. di marsupi o case, ci faranno rispondere al test successivo di completare le parole ma… e ca... con marsupio
e casa).

L’inconscio emotivo:
Riassunto di Laura Pagani
Anno 2016/2017
anche i processi emotivi e motivazionali operano a livello inconscio e influenzano il comportamento  esperimento: esporre
subliminalmente a nomi molto positivi o molto negativi e poi chiedere l’umore del giorno: chi aveva ricevuto messaggi subliminali
positivi era di buon umore e viceversa.

7.1.5 perché abbiamo la coscienza?

Koch: la coscienza ha funzione di sintesi tra i numerosi stimoli esterni e interni che il cervello elabora e mette questa sintesi a
disposizione delle aree di cervello con funzioni di pianificazione e processi decisionali (pianificare reazioni). La autoconsapevolezza
abbinata alla comunicazione permette di esprimere i bisogni e coordinare le azioni con e agli altri.

La mancata autoconsapevolezza compromette la capacità di reprimere comportamenti pericolosi o sconvenienti governati dagli
impulsi/elaborazione automatica.

7.1.6 le basi neurali della coscienza:

base neurale della coscienza = stato neurologico correlato a un determinato livello di coscienza.

Funzionalità cerebrale di persone con agnosia visiva, visione cieca o altro  imaging cerebrale: corteccia visiva primaria è intatta, ma ci
sono più vie per processare le informazioni visive

 via che trasporta informazioni che supportano la direzione inconscia dei movimenti
 via che trasporta informazioni che supportano il riconoscimento consapevole degli oggetti  parti di questa via sono
danneggiate

altra procedura per studiare la coscienza: masking  imaging cerebrale mentre sottoposti a stimoli masked e unmasked per capire
come differisce l’attività cerebrale se gli stessi stimoli sono percepiti consciamente o inconsciamente  stimoli emotivamente
minacciosi sono elaborati in due percorsi neurali:

 conscio coinvolge la corteccia prefrontale e altre zone del cervello


 inconscio bypassa quelle zone del cervello

La coscienza come spazio operativo globale:

non esiste un punto preciso della mente che origina la coscienza, la coscienza è uno spazio operativo globale che rappresenta l’attività
unificata di più moduli situati in diverse aree del cervello. I moduli che creano il pensiero cosciente possono variare man mano che
variano gli stimoli a cui reagisce il cervello. Molti fattori influenzano questi moduli cosi alterando la nostra coscienza.

Gli stati neurali di coscienza,, una visione alternativa:

teoria enattiva: premettono che la coscienza sia qualcosa che creiamo, quindi mettono in discussione la base neurale della coscienza 
non è il cervello che fornisce la coscienza ma siamo noi con le azioni e il comportamento che la generiamo.

7.2 l’attenzione:

7.2.1 l’attenzione focalizzata:

in un ambiente rumoroso sappiamo focalizzare la attenzione in modo automatico per ascoltare e tenere una determinata conversazione,
ma come? Lo descrive Cherry con il fenomeno del cocktail party:

Il fenomeno del cocktail party:

capacità di focalizzare la propria attenzione in una situazione particolarmente caotica come un party affollato e di spostare la propria
attenzione in modo immediato sentendo una parola saliente come il nostro nome.

I modelli basati sul filtro:

Broadbent: ascolto dicotico  presentare simultaneamente due fonti di informazioni una per orecchio, l’esperimento chiede di seguirne
una ripetendo il messaggio e poi per quanto possibile ripetere anche l’altro messaggio: se il discorso è presentato all’orecchio destro è
più facile riferirlo (perché usiamo l’emisfero sx), inoltre alcuni aspetti dello stimolo si ricordavano, anche se i dettagli semantici e il
significato del messaggio erano persi  su ciò si basano le teorie del filtraggio successive.

Il modello del filtro iniziale:

la teoria del filtro di Broadbent cerca di spiegare perché alcune parole catturano la nostra attenzione  filtro iniziale: mantiene
l’attenzione decidendo in fase precoce cosa far passare (ad es. un argomento che ci interessa attira la nostra attenzione)  non spiega lo
spostamento rapido di attenzione: deve esistere un filtro o un canale inconscio.

Il materiale subliminale:

il modello del filtro iniziale non spiega la percezione di materiale subliminale: informazioni presentate rapidamente o a livello basso in
modo da non renderle a livello conscio  serve un canale non governato da un filtro conscio.

Il modello della selezione tardiva (Deutsch e Deutsch1967):


Riassunto di Laura Pagani
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il filtro potrebbe attivarsi in una fase successiva del processo di sviluppo dell’attenzione  poco prima che la persona reagisca allo
stimolo. Bisogna processare quindi tutte le informazioni: questa visione comporta un dispendio alto in termini di economia cognitiva.

Il modello dell’attenuazione (Treisman 1964):

invece di bloccare tutto il materiale in ingresso con il filtro iniziale, esso viene attenuato limitando l’attenzione: si processano quindi solo
le informazioni non attenuate  al cocktail party le informazioni indesiderate sono attenuate e risalta il materiale che vogliamo seguire.

Ognuno dei flussi di informazioni che vengono processati può essere attenuato diversamente creando diversi livelli di attenzione:
questo può spiegare come mai possiamo spostare rapidamente la nostra attenzione attirati da un altro stimolo.

La capacità di attenzione e il collo di bottiglia dell’attenzione:

Treisman parte dal presupposto che l’attenzione sia limitata, bisogna controllare la quantità di informazioni da gestire: analogia con il
collo di bottiglia che costituisce il sistema di controllo della capacità, la larghezza del collo è flessibile in base a quante informazioni
vogliamo processare.

L’attenzione selettiva e la ricerca visiva:

Attenzione selettiva: mantenere l’attenzione focalizzata su un oggetto specifico ignorando le distrazioni. È difficile trovare un obiettivo
se molto simile ai fattori di distrazione, ma se ha caratteristiche diverse emerge da solo  spiega perché l’attenzione si focalizza
immediatamente automaticamente quasi quando sentiamo pronunciare il nostro nome o riconosciamo una faccia amica in mezzo alla
folla.

L’attenzione selettiva e il modello del riflettore:

teoria dell’integrazione delle caratteristiche per spiegare come vengono processati i campi visivi che contengono obiettivi e fattori di
distrazione e lo spiega in due fasi:

 si processa la scena complessiva analizzando le componenti individuali degli elementi, quelli con caratteristiche totalmente
diverse dall’obiettivo sono scartati
 gli elementi rimasti sono riassemblati e confrontati con il materiale in memoria per identificare l’obiettivo

successivamente teorie del riflettore attenzionale o dello zoom sostengono che si illumini la parte che vogliamo analizzare o che si
ingrandisca la scena per dare attenzione a una zona più ristretta.

Oggetti o posizioni?

Modello del riflettore e della visualizzazione allargata o ristretta con lo zoom indica che l’attenzione si focalizza sulle posizioni e non
sugli oggetti. Altri studi sostengono il contrario  visione di due immagini sovrapposte, una si sposta lentamente: il livello di attenzione
viene misurato quando ci si focalizza su un oggetto o sull’altro = maggiore attività cerebrale quando ci si concentra sull’oggetto fermo
rispetto a quando ci si focalizza sulla posizione.

L’automatismo, la pratica conduce alla perfezione:

automatismo: esecuzione di un compito non richiede più un controllo conscio grazie all’esperienza ripetuta  i processi automatici si
possono eseguire in parallelo con altre cose.

L’elaborazione controllata invece è sottoposta al controllo conscio.

Tutte le routine sono fatte di automatismi, difficili da cambiare perché bisogna reimparare il processo di cui fanno parte.

7.2.2 l’attenzione divisa:

attenzione divisa: processo con cui possiamo fare più cosa in una volta  facile se entrambi i compiti sono automatici o sono facili.

Il ripasso, l’esercizio e la difficoltà:

la ripetizione continua di un compito facilita il passaggio da elaborazione controllata a automatica. Con la ripetizione la performance in
compiti svolti in simultanea migliora  le competenze crescono con la pratica (ma sono influenzate anche dalla difficoltà del compito).

I compiti con risorse limitate ad es sono difficili da eseguire perché richiedono un impegno cognitivo importante (es. scrivere un libro e
ascoltare una commedia: assieme è difficile)

La somiglianza:

la performance in simultanea è influenzata anche da quanto si assomigliano i compiti da svolgere: se uno è visivo e l’altro uditivo non
competono per le risorse specifiche della modalità. Se entrambi richiedono la stessa risorsa o la stessa modalità peggiora il risultato.

Il controllo endogeno e il controllo esogeno:

fenomeno del cocktail party esemplifica il controllo esogeno: attenzione attirata da uno stimolo esterno.

Riassunto di Laura Pagani


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Il controllo endogeno è il suo equivalente interno: se ci aspettiamo che qualcosa accada in un determinato posto tendiamo a spostare
l’attenzione verso quella direzione.

Gli effetti intermodali nell’attenzione:

effetto ventriloquo: le labbra del manichino sono lo stimolo endogeno (attenzione visiva attratta sulle labbra e informazioni uditive per
localizzare la provenienza del suono sono attirate sullo stesso oggetto)  sentiamo la voce del ventriloquo come se venisse dal
manichino = attenzione visiva e uditiva si integrano in un effetto multi modale  l’allocazione involontaria dell’attenzione può
influenzare ciò che cerchiamo di seguire.

7.2.3 la cecità inattentiva e la cecità al cambiamento:

cecità inattentiva: incapacità di notare un elemento inatteso in una scena visuale.

Cecità al cambiamento: non riusciamo a capire se un oggetto si è modificato in qualche modo.

Illusionisti sanno sfruttare l’inganno visivo e la cecità al cambiamento per far apparire magico il trucco.

L’utilizzo dei potenziali correlati all’evento per misurare l’attenzione:

ERP: onda cerebrale, registrata con elettrodi in testa, con due picchi di onde = negativo e positivo  quando i soggetti si aspettano o
focalizzano l’attenzione su stimoli gli ERP sono più consistenti e forti rispetto a quando non lo facciamo.

7.3 i ritmi circadiani, i nostri orologi biologici quotidiani:

animali e umani sono adattati a un ciclo giorno-notte di 24 ore.

Il ritmo circadiano è un andamento ritmico costante di 24 ore in cui le nostre funzioni corporali e cerebrali cambiano in modo ritmico e
incidono sulla nostra vigilanza predisponendo al passaggio da veglia a sonno e viceversa.

7.3.1 tenere il tempo, il cervello e l’ambiente:

ritmi circadiani sono regolati dai nuclei soprachiasmatici (SCN)  SCN sono neuroni nell’ipotalamo collegati con la ghiandola pineale
(produce melatonina, un ormone rilassante):

 giorno: SCN attivi, riducono la melatonina mantenendo la vigilanza


 notte: SCN inattivi, aumenta la melatonina favorendo sonnolenza

i neuroni SCN hanno un ciclo geneticamente programmato, biologico, ma sono influenzati anche da stimoli ambientali come il ciclo
giorno-notte. In mancanza di un ciclo giorno-notte (es. vivere in un laboratorio in cui non si sa l’ora ne se è giorno o notte) si attiva un
ritmo circadiano spontaneo che dura più di 24 ore.

I mattutini e i serotini:

i mattutini sono coloro che vanno a letto presto e si svegliano presto, al contrario dei serotini.  comportamento influenzato dalla
ereditarietà, dalla propria fisiologia ma anche dalla cultura e dall’ambiente.

7.3.2 l’alterazione dei ritmi circadiani per cause ambientali:

alterazioni causate da mutamenti improvvisi e graduali 

 jet lag: mutamento circadiano dovuto all’attraversamento di più fusi orari in un giorno  il corpo si adegua naturalmente alle
variazioni di fuso orario
 lavoro notturno: sovvertimento ambientale dei ritmi circadiani più problematico per la società, peggiora se i turni sono a
rotazione, ovvero a volte si lavora di giorno a volte di notte  adeguare l’orologio biologico è molto difficile, causa spesso
incidenti sul lavoro e problemi
 disturbo affettivo stagionale (SAD): tendenza ciclica a deprimersi in certe stagioni, soprattutto autunno e inverno, in quanto
meno luce naturale comporta ritardo dell’avvio dell’orologio biologico  clima, genetica, contesto socioculturale influenzano il
SAD

7.4 il sonno e i sogni:

il sonno si può studiare a livello biologico, psicologico e ambientale.

7.4.1 le fasi del sonno:

i ritmi circadiani favoriscono il sonno ma non lo regolano, ci sono delle fasi, più o meno ogni 90 minuti, in cui attività cerebrale e risposte
fisiologiche si modificano.

L’elettroencefalogramma mostra onde beta da svegli, quando siamo assonnati subentrano le onde alfa più lente.

Dalla fase 1 alla fase 4:

Riassunto di Laura Pagani


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 inizia il sonno, le onde cerebrali sono irregolari e più lente (onde theta): fase 1 sonno leggero
 sonno più profondo, appaiono i fusi del sonno (accessi periodici di attività cerebrale rapida), muscoli rilassati, respiro e battito
cardiaco più lenti: fase 2
 sonno ancora più profondo, presenza di onde delta lentissime e sempre più frequenti: fase 3
 quando le onde delta dominano l’elettroencefalogramma si entra in fase 4

fase 3 e 4 = sonno a onde lente

 dopo mezz’ora in fase 4 si ritorna alla fase 3 e poi 2 poi inizia una fase di sonno REM

Il sonno REM:

sonno REM: forte eccitazione, movimenti rapidi degli occhi (la risposta fisiologica sembra arrivare a livelli diurni)  sonno paradossale:
forte eccitazione ma sembra di dormire un sonno tranquillo.

Se svegliati ci ricordiamo dei sogni (indipendentemente dalla loro natura si verificano erezione o lubrificazione vaginale), la contrazione
dei muscoli volontari è più difficile = paralisi da sonno REM.

Con il passare delle ore le fasi REM si allungano

7.4.2 il riposo notturno, dal cervello alla cultura:

il cervello non possiede un centro del sonno, vari meccanismi cerebrali ne controllano i diversi aspetti attivando sistemi separati che
promuovono il sonno:

 aree alla base del prosencefalo e nel tronco encefalico regolano l’addormentamento
 zone del tronco encefalico come la formazione reticolare regolano il sonno REM
 sistema limbico, amigdala hanno ruoli nel sonno REM
 corteccia motoria primaria e le aree vicino alla corteccia visuale primaria sono attive
 corteccia prefrontale riduce la attività

anche i fattori ambientali possono influenzare il sonno: si dorme di più in autunno/inverno, lo stress può ridurre la qualità del sonno, la
cultura può variare tempi e durata e abitudini del sonno.

7.4.3 quanto dormiamo?

La quantità di sonno varia anche per differenze personali ed età, dai neonati (16 ore e metà in fase REM), ai giovani adulti (circa otto
ore) agli adulti (quasi 6 ore), dopo la prima infanzia il sonno REM diminuisce molto e poi resta stabile, negli adulti e anziani le fasi 3 e 4
si accorciano.

Dormire 8 ore è davvero necessario?

Il detto: tutti devono dormire almeno 8 ore, non è fondato. Le differenze nella durata del sonno dipendono dai geni, dallo stile di vita, il
lavoro, gli ambienti in cui dormiamo, e altri fattori.

7.4.4 la deprivazione del sonno:

per molti studenti e adulti la deprivazione del sonno è uno stile di vita  esperimenti:

 deprivazione totale per periodo lungo o breve


 deprivazione parziale

misurazione dell’umore, delle reazioni a stimoli mentali e prove di coordinazione fisica  tutte e tre le forme di deprivazione hanno
effetti negativi, sull’umore in primis, e poi sulla performance cognitiva e infine su quella fisica.

Generalmente ci vogliono diverse notti per riprendersi dalla deprivazione, e non si recupera mai tutto il sonno.

Sia deprivati che chi dorme normalmente mantengono le stesse funzionalità di base, ma i deprivati diminuiscono la velocità di
processazione delle informazioni, hanno più difficoltà nei compiti di memoria in particolare se operativa, hanno deficit delle facoltà
cognitive e necessitano di una motivazione più elevata per continuare una performance rispetto a chi dorme regolarmente.

7.4.5 perché dormiamo?

Il sonno e la rigenerazione fisica:

modello del recupero: il sonno ricarica il corpo e permette di riprenderci dalla fatica fisica e mentale  se questo è vero, chi fa attività
fisica durante il giorno dovrebbe dormire di più = una meta analisi ha dimostrato che chi fa esercizio durante il giorno dorme solo 10
minuti in più.

Come si ricarica il corpo? Coinvolta forse l’adenosina, si produce perché le cellule bruciano carburante cerebrale, e si accumula
segnalando a un certo punto che si è bruciato troppo carburante e bisogna diminuire il consumo  il sonno diminuisce la attività e il
livello di adenosina diminuisce.
Riassunto di Laura Pagani
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Il sonno come adattamento evolutivo:

modelli evolutivi/circadiani del sonno: lo scopo del sonno è accrescere la probabilità di sopravvivenza  ogni specie ha sviluppato un
ritmo circadiano sonno-veglia adatto alla sua condizione di predatore o preda, ai bisogni alimentari, di difesa.

Con l’evoluzione il sonno può essere diventato metodo per risparmiare energia  il tasso metabolico complessivo rallenta del 10-25%
durante il sonno

Il sonno e il consolidamento della memoria:

funzioni delle fasi del sonno: l’elevata attività cerebrale durante il sonno REM potrebbe servire da consolidamento della memoria 
ricordare gli eventi importanti trasferendo informazioni alla memoria a lungo termine = teoria controversa infatti chi assume
antidepressivi (eliminano quasi del tutto il sonno REM) non ha difficoltà a memorizzare nuove informazioni/esperienze.

Altre teorie parlano di funzione biologica del sonno REM: l’attivazione cerebrale durante il sonno REM tiene in buona salute il cervello
compensando i periodi di scarsa attività cerebrale (sonno a onde lente).

7.4.6 i disturbi del sonno:

L’insonnia:

insonnia: difficoltà cronica ad addormentarsi, restare addormentati o dormire bene  problemi che rovinano la qualità del sonno.

È il disturbo del sonno più comune, alcuni però soffrono di insonnia paradossale: si dichiarano insonni, ma studiati in laboratorio
dormono benissimo.

L’insonnia può essere causata da predisposizione genetica, farmaci, malattie, disturbi psicologici  per curarla si usa per es. il controllo
dello stimolo: condizionamento del corpo per associare certi stimoli (come il letto) solo al sonno, oppure tecniche di rilassamento,
controllo delle abitudini relative al sonno, limitazione del sonno per stancarsi e addormentarsi naturalmente.

Alcol e sonno, una differenza di genere:

l’alcol peggiora il sonno più alle donne che agli uomini, appesantisce il sonno all’inizio ma poi lo attenua nelle ore successive, questo è
dovuto anche al modo diverso di metabolizzare l’alcool.

La narcolessia:

narcolessia: estrema sonnolenza durante il giorno, accessi improvvisi e incontrollabili di sonno che durano da un minuto a un’ora (in cui
si può entrare anche subito in fase REM), attacchi di cataplessia (perdita improvvisa di tono muscolare innescata da eccitazione o forte
emozione = versione anomala della paralisi da sonno REM).

Può esserci predisposizione genetica, è una malattia autoimmune, non ci sono cure, sembra coinvolgere una zona dell’ipotalamo che
produce un NT, la ipocretina, che diminuisce nei narcolettici.

I disturbi comportamentali del sonno REM (RBD):

disturbo comportamentale del sonno REM: assenza della perdita di tono muscolare che causa la paralisi da sonno REM (scalciare,
alzarsi, muoversi)  potrebbe essere causato da disturbi cerebrali che interferiscono con i segnali del tronco encefalico che inibiscono il
movimento, associarsi al morbo di Parkinson, ma spesso le cause sono ignote

Il sonnambulismo:

il sonnambulismo si verifica in fase 3 o 4, chi ne soffre ha comportamenti diversi, e spesso torna a letto e si sveglia senza ricordare nulla.

Circa il 20% dei bambini ne ha sofferto ma passa con l’età.

Cause: ereditario, stress diurno, alcol, alcune patologie e farmaci lo rendono più intenso, soprattutto nei soggetti deprivati dal sonno.

Gli incubi e i terrori notturni:

gli incubi sono sogni spaventosi, i terrori notturni (fase 3 o 4 del sonno) sono incubi ancora peggiori che inducono a stato di panico, chi
ne soffre può anche alzarsi, gridare, correre via = intensa risposta fisiologica: battito anche triplicato. Al mattino non c’è memoria di ciò.
Fino al 6% dei bambini ne ha sofferto.

L’apnea notturna:

apnea notturna: interruzione ripetuta del respiro durante il sonno, dura dai 20 ai 40 secondi, fino a 3 minuti = alla fine intervengono i
riflessi per riattivare il respiro  provocata spesso da una ostruzione delle vie respiratorie superiori, diffusa nei soggetti di mezza età e
sovrappeso, si può intervenire chirurgicamente o con mascherine che pompano aria continuamente.

7.4.7 la natura del sogni:

Quando sogniamo?

Riassunto di Laura Pagani


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L’attività mentale è presente durante tutto il ciclo del sonno, i sogni sono più frequenti in fase REM ma sono presenti anche nelle altre
fasi anche se meno nitidi o ricchi e più brevi,

Cosa sogniamo?

Hall e Castle: la maggior parte dei sogni coinvolge ambienti e persone conosciuti, e la maggior parte sono sogni negativi, con emozioni
negative, azioni aggressive o disgrazie, le donne poi sognano sia uomini che donne, gli uomini sognano maggiormente altri uomini  il
contenuto dei sogni può essere influenzato da tradizione culturale, esperienze di vita, preoccupazioni del momento (quasi metà dei
sogni riflette esperienze recenti).

Perché sogniamo?

Teoria evolutiva: funzione dei sogni  predisporci ad affrontare un ambiente ostile  spesso i sogni hanno un contenuto emozionale,
potrebbero permetterci di sperimentare ambienti negativi nella sicurezza del sogno.

La teoria psicanalitica di Freud:

Freud: funzione del sogno  appagamento dei desideri e bisogni (spesso sessuali e aggressivi).

Freud divide contenuto manifesto (vicenda che il sognatore racconta) e contenuto latente (significato psicologico traslato) di un sogno.

La dinamica del sogno è il processo in cui il contenuto latente si trasforma in manifesto.

In questo modo si possono soddisfare bisogni inconsci che rimangono celati nel sogno.

Molti contestano queste teorie: psicologi psicodinamici  alla processazione inconscia si aggiungono processi emotivi e motivazionali
che influenzano il nostro comportamento (processi inconsci possono avere base motivazionale e emotiva)

La teoria dell’attivazione-sintesi:

teoria dell’attivazione-sintesi: base fisiologica dei sogni = i sogni non hanno nessuna funzione particolare, sono solo un sottoprodotto
dell’attività neuronale della fase REM che non corrisponde a nessun evento sensoriale perché stiamo dormendo ma la corteccia
cerebrale continua a lavorare per interpretare e crea cosi i sogni (sintesi)  le esperienze, i desideri, i ricordi influenzano i temi dei
sogni.

Le teorie cognitive:

modelli del problem solving onirico: i sogni non attenendosi alla realtà possono aiutare a trovare soluzioni creative a problemi  in
realtà molti sogni non centrano nulla con i problemi personali, quindi è una teoria poco stabile.

Teorie dei processi cognitivi onirici: i sogni e i pensieri durante la veglia sono prodotti dagli stessi sistemi cerebrali  sogni e processi
mentali della veglia si assomigliano: es. nei sogni il contenuto può cambiare rapidamente, come da svegli la nostra attenzione può
spostarsi rapidamente.

Verso l’integrazione:

modelli che integrano varie prospettive: il sogno comporta processi percettivi, emozionali, motivazionali e cognitivi messi in atto da
diversi moduli del cervello 

 modelli neurocognitivi (modello attivazione-sintesi): uniscono prospettive cognitiva e biologica per spiegare la corrispondenza
tra aspetti soggettivi del sogno e cambiamenti fisiologici durante il sonno.
Modelli che ammettono che fattori motivazionali possano intervenire sui meccanismi con cui il cervello da significato
all’attività neuronale alla base dei sogni.

7.4.8 sogni a occhi aperti e fantasie da svegli:

I sogni ad occhi aperti fanno parte della coscienza vigile, coloro che hanno una personalità incline alla fantasia vivono spesso in un
mondo parallelo sognato su cui hanno il controllo e sono prevalentemente donne, essi possono vivere queste fantasie in modo molto
reale.

Chi sogna ad occhi aperti ha una maggiore immaginazione visuale.

C’è affinità tra i temi dei sogni notturni e quelli ad occhi aperti quindi collegamento tra attività mentale diurna e sogni.

7.5 l’ipnosi:

7.5.1 lo studio scientifico dell’ipnosi:

ipnosi: stato di maggiore suggestionabilità in cui alcuni possono vivere situazioni immaginarie come fossero vere  alterazione
deliberata della coscienza, diverso tipo di coscienza

induzione ipnotica: processo in cui una persona mette un’altra persona in stato di ipnosi  metodi: fissazione dello sguardo,
rilassamento progressivo e immaginazione, induzione rapida (comandi autoritari e convincenti)
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scale di sensibilità all’ipnosi: serie standardizzata di comportamenti che vengono suggeriti al soggetto ipnotizzato  il punteggio si basa
su quanti comportamenti vengono eseguiti. La sensibilità potrebbe avere base genetica.

7.5.2 comportamenti ed esperienze di origine ipnotica:

Controllo involontario e comportamenti in contrasto con la propria volontà:

le persone ipnotizzate percepiscono soggettivamente le proprie azioni come se fosse involontarie, anche se sono eseguite
volontariamente, infatti non è possibile indurre una persona ipnotizzata ad agire contro la sua volontà  una figura legittima di autorità
può indurre invece persone a commettere atti impropri o pericolosi senza ipnosi.

La tolleranza del dolore:

gli esperimenti dimostrano che l’ipnosi può accrescere la tolleranza del dolore e che non consiste in un effetto placebo  imaging
cerebrale: ipnosi modifica l’attività neuronale nelle aree del cervello che processano gli stimoli dolorosi (anche tecniche non ipnotiche
come la costruzione di immagini mentali o lo svolgimento di compiti cognitivi distraenti può farlo però).

Test dell’immersione a freddo: le persone ipnotizzate reggono meglio il dolore rispetto a quando sono normali, ma anche persone molto
motivate possono sopportare cosi bene il dolore.

Non sono certi i meccanismi con cui l’ipnosi riduce il dolore.

L’amnesia ipnotica:

due tipi di amnesia: durante la sessione (amnesia ipnotica) e dopo (amnesia post ipnotica)  esperimento su studenti ipnotizzati: il
25% può essere portato all’amnesia temporanea.

Si dibatte sulle cause: evitamento di riflessione su determinate informazioni o indebolimento della memoria dovuto alla alterazione di
coscienza.

Ipnosi, rafforzamento della memoria e testimonianza oculare:

nonostante occasionali successi, è dimostrato che l’ipnosi non migliora il ricordo in modo affidabile. Alcuni ricordi evocati sotto ipnosi
possono essere pseudoricordi, false memorie create durante l’ipnosi da suggerimenti dell’esaminatore (vedi cap. 9)  molti tribunali
vietano o limitano le testimonianze sotto ipnosi.

7.5.3 le teorie sull’ipnosi:

studi sulla fisiologia del cervello rivelano che l’ipnosi non ha attinenza con il sonno.

Le teorie della dissociazione:

teorie della dissociazione: ipnosi = stato di alterazione basato su una divisione della coscienza, si vivono simultaneamente due flussi di
coscienza (uno reagisce agli stimoli dell’ipnotizzatore, l’altro rimane sullo sfondo ma è consapevole di ciò che accade = osservatore
occulto).

La dissociazione può spiegare perché comportamenti sotto ipnosi sembrano involontari al soggetto.

Le teorie cognitive sociali:

teorie cognitive sociali: esperienza ipnotica deriva dalle aspettative di persone che vogliono essere ipnotizzate, per questo sono più
disponibili a eseguire ordini dell’ipnotizzatore e percepire queste azioni come reali e involontarie.

Quando le persone sono nel ruolo ipnotico hanno reazioni reali e alterate  le aspettative influenzano molto il modo il cui il cervello
organizza le informazioni sensoriali, l’attenzione è focalizzata sull’ipnotizzatore e il comando ipnotico.

7.5.4 il cervello ipnotizzato:

imaging cerebrale durante un esperimento: due tavole (una scala di colori l’altra scala di grigi), 1) il soggetto deve visualizzare la tavola
a colori e cercare di immaginarla senza colore (grigia) poi 2) guardare quella grigia e cercare di aggiungere colore. Esegue il compito sia
da ipnotizzato che da normale  con o senza ipnosi una zona dell’emisfero dx che processa informazioni sul colore si attiva di più nel
compito 2 rispetto al compito 1, nell’emisfero sx il compito 2 attivava una regione del cervello maggiormente solo se ipnotizzati.

In conclusione imaging cerebrale e altri rilievi fisiologici rilevano che le persone ipnotizzate vivono davvero una alterazione di attività
cerebrale e possono percepire meno dolore perché si riduce anche l’attività delle zone cerebrali che processano i segnali dolorosi.

CAP. 8  APPRENDIMENTO: IL RUOLO DELL’ESPERIENZA:

l’apprendimento è una modificazione del comportamento duratura e adattiva prodotta dall’esperienza  differenza tra apprendimento
e performance: non tutte le modificazioni comportamentali implicano un nuovo apprendimento.

8.1 l’adattamento all’ambiente:

Riassunto di Laura Pagani


Anno 2016/2017
l’apprendimento è un processo di adattamento personale all’ambiente  cambiamenti comportamentali a fronte di stimoli ambientali
incontrati nella propria vita.

Tramite l’apprendimento ognuno impara: quali eventi sono/non sono importanti per la sopravvivenza, quali stimoli precedono e
segnalano questi eventi, se le reazioni che si producono sono o meno efficaci.

Tipi di apprendimento:

 Abituazione e sensibilizzazione: cambiamenti frutto della reiterata esposizione a uno stimolo


 Apprendimento associativo o condizionamento: apprendimento di una associazione di eventi
 Apprendimento per osservazione: imitazione di un modello

8.2 l’abituazione e la sensibilizzazione:

 Abituazione: calo progressivo di intensità della risposta a uno stimolo ripetuto


 Sensibilizzazione: incremento progressivo di intensità della risposta a uno stimolo ripetuto

Thompson e Groves: avvengono in base al contesto, il comportamento è il risultato della competizione tra i due meccanismi  se uno
stimolo ripetuto provoca allerta vince la sensibilizzazione, viceversa abbiamo la abituazione.

Entrambe hanno una funzione adattiva: con la abituazione possiamo conservare energie per fare attenzione ad altri stimoli importanti,
con la sensibilizzazione riconosciamo e manteniamo una attenzione alta verso stimoli pericolosi.

8.3 il condizionamento classico, associare uno stimolo all’altro:

condizionamento classico: processo di apprendimento in cui si impara ad associare due stimoli, in modo che uno stimolo susciti la
reazione che in origine era innescata dall’altro stimolo.

8.3.1 le pioneristiche ricerche di Pavlov:

esperimento sui cani: campanello da solo = nessuna reazione, campanello + cibo = salivazione, campanello da solo = salivazione 
condizionamento classico.

Questo condizionamento ha una funzione adattiva, pone in allarme gli organismi in presenza di stimoli che segnalano l’imminenza di un
evento importante.

8.3.2 i principi di base:

 Campanello = stimolo neutro


 Cibo = stimolo incondizionato (SI) che induce una risposta innata e quindi incondizionata (RI)
 Abbinando cibo e campanello si effettuano prove di apprendimento durante cui il campanello diviene stimolo condizionato
(SC)
 SC suscita una risposta condizionata (RC)

Nel condizionamento è rilevante l’intensità di SI  se SI è sufficientemente forte può avvenire il condizionamento dopo un solo
abbinamento SC-SI = apprendimento per prova unica.

L’apprendimento di RC è più veloce se c’è un abbinamento anticipato con lieve ritardo: SC presentato per primo e persiste anche quando
compare SI.

L’estinzione e la ripresa spontanea:

estinzione: avviene quando SC viene presentato ripetutamente senza SI facendo indebolire e scomparire RC  non è disapprendimento
ma inibizione di RC.

Anche quando RC si estingue, non lo fa del tutto: ripresa spontanea  ricomparsa di RC dopo un periodo di sospensione e senza nuove
prove di apprendimento.

La generalizzazione e la discriminazione:

Pavlov: acquisita una RC, l’organismo reagisce non solo allo SC originario ma anche a stimoli simili  generalizzazione dello stimolo 
ha una funzione adattiva.

Allo stesso tempo serve imparare a distinguere tra stimoli simili quelli pericolosi e quelli irrilevanti  discriminazione  RC si
manifesta ad uno stimolo ma non a un altro simile.

Il condizionamento di ordine superiore:

condizionamento di ordine superiore = uno stimolo neutro diventa SC dopo l’abbinamento con uno SC già acquisito  produce RC più
deboli e meno durature.

8.3.3 le applicazioni del condizionamento classico:

Riassunto di Laura Pagani


Anno 2016/2017
Watson ha rivisto le teorie di Freud sulle fobie, guardandole nell’ottica del condizionamento  esperimento di Watson e Rayner su un
bambino:

 associando la vista di un topo (prima stimolo neutro) a un rumore spaventoso il bambino piangeva  alla fine il bambino
piange anche alla sola vista del topo
 per studiare generalizzazione e discriminazione: la vista di conigli o barba di babbo natale lo spaventano mentre altri elementi
no

secondo Watson le fobie quindi si apprendono, per cui si possono anche disapprendere.

Jones: decondizionamento dalle fobie  esperimento su un bambino spaventato dai conigli = terapia di esposizione  esporre il
soggetto allo SC che induce paura senza la SI consentendo l’estinzione.

Approcci:

 desensibilizzazione sistematica: tecniche di rilassamento e poi esposizione allo SC


 flooding: esporre il soggetto allo stimolo fobico subito
 tecnologia della realtà virtuale: contatto con la fobia virtualmente per affrontare la paura

L’attrazione e l’avversione:

il condizionamento classico influenza ciò che ci attira e stimola piacevolmente, ma può anche ridurre l’attrazione verso determinati
stimoli  principio usato nella terapia di avversione: abbinamento di SI sgradevole per condizionare l’avversione a uno stimolo che
induce a un comportamento indesiderato (cambiamento temporaneo)

abbinare un SC a uno stimolo piacevole o spiacevole ripetutamente influenza il nostro atteggiamento verso quel SC  strategia usata nel
marketing: un prodotto diventa lo SC che può indurre un atteggiamento favorevole nel consumatore.

Malattia e salute:

La reazione allergica:

abbinando uno stimolo neutro a una sostanza che provoca naturalmente una reazione allergica, quello stimolo neutropuò diventare un
SC che provoca allergia.

Nausea e vomito anticipatori:

chemioterapia e radioterapia causano spesso nausea e vomito, i pazienti finiscono per sviluppare nausea e vomito anticipatori: sentirsi
male già minuti o ore prima della cura.

Il sistema immunitario:

Ader: topi bevendo acqua zuccherata (stimolo neutro) assieme a farmaci per sopprimere il processo immunitario (SI), l’acqua diventa
poi SC che sopprime l’attività immunitaria. Viceversa avviene anche per aumentare l’attività immunitaria con altri tipi di farmaci.

8.4 il condizionamento operante, apprendere dalle conseguenze:

il condizionamento classico non spiega come si apprendono nuovi comportamenti, perché consiste solo nel traferire una risposta già
esistente a un nuovo stimolo = non sono comportamenti autodeterminati ma reazioni indotte innescate automaticamente o per riflesso
a uno stimolo.

Il condizionamento operante lavora su reazioni emesse o volontarie.

8.4.1 la legge dell’effetto Thorndike:

Thorndike crea la puzzle box che si apre dall’interno premendo una leva per es.  vi chiude un gatto affamato e mette il cibo fuori  il
gatto casualmente schiaccia la leva e giunge al cibo, ogni volta che verrà rinchiuso imparerà a schiacciare la leva per mangiare 
processo di apprendimento strumentale.

Legge dell’effetto: se in una situazione, la risposta genera conseguenze soddisfacenti, diventerà più probabile e viceversa meno
probabile se ha conseguenze spiacevoli.

8.4.2 Skinner, l’analisi del condizionamento operante:

condizionamento operante: apprendimento che viene influenzato dalle conseguenze che esso produce, ha una funzione adattiva.

Skinner crea la Skinner box, in cui schiacciando una leva esce il cibo  con il tempo il topo schiaccia sempre più spesso la leva 

 rinforzo: risposta operante è rafforzata (incremento della frequenza della risposta) dai risultati che ne derivano  risultato
come fattore rinforzante
 punizione: reazione viene indebolita dai risultati che ne derivano  es. scossa elettrica al premere della leva = scossa è il
fattore punitivo

Riassunto di Laura Pagani


Anno 2016/2017
lo studio del condizionamento operante coinvolge tre tipi di eventi:

 antecedenti: stimoli presenti prima della messa in atto del comportamento


 comportamenti messi in atto
 conseguenze del comportamento

la relazione tra conseguenza e comportamento è la contingenza certa.

La distinzione tra condizionamento operante e condizionamento classico:

differenze:

 condizionamento classico:
o una risposta preesistente si lega a un nuovo stimolo
o presenti stimoli e risposte
o governa apprendimento di risposte involontarie  focus su comportamenti automatici
 condizionamento operante:
o si impara un nuovo comportamento
o presenti stimoli, risposte e evento rinforzante o punitivo
o governa l’apprendimento di risposte volontarie  focus su comportamenti indotti

molti apprendimenti coinvolgono entrambi i condizionamenti.

8.4.3 le condizioni antecedenti e le conseguenze:

es. topo nella Skinner box (condizione antecedente), se preme la leva quando la luce è accesa esce il cibo (stimolo discriminatorio: luce)
se è spenta no  gli stimoli discriminatori creano l’occasione per risposte operanti.

Anche il comportamento operante è indebolito dall’estinzione.

Il rinforzo positivo:

rinforzo positivo: stimolo che segue una risposta potenziandola  da non confondere con la ricompensa, che spesso non funge da
rinforzo positivo.

Rinforzi primari e secondari:

rinforzi primari: stimoli come cibo e acqua considerati naturalmente rinforzanti perché soddisfano bisogni biologici.

Rinforzi secondari (condizionati): stimoli (come il denaro) che diventano rinforzanti tramite l’associazione con rinforzi primari 
dimostrano che il comportamento dipende sia dal condizionamento classico che da quello operante

Il rinforzo negativo:

rinforzo negativo: risposta potenziata dall’eliminazione o prevenzione di uno stimolo negativo, lo stimolo negativo rimosso è l’elemento
rinforzante negativo da non confondere con la punizione.

L’estinzione operante:

estinzione operante: indebolimento di una risposta non più rinforzata  se le risposte non rinforzate persistono si chiama resistenza
all’estinzione e la resistenza può essere più o meno alta in base a quanto si protrae nel tempo.

La punizione positiva:

punizione ha due forme: una è l’applicazione di stimoli negativi (es. sberla, scossa) = punizione positiva/applicativa  risposta
indebolita dalla presentazione successiva di uno stimolo. Ha risultati rapidi ma è controversa.

Il dibattito sulle punizioni corporali:

l’uso delle punizioni corporali nell’educazione infantile è un tema controverso: molti paesi hanno abolito questa pratica per legge 
studio di Durrant ha rilevato una diminuzione della criminalità, delle violenze sessuali e del consumo di droghe e suicidi nel ventennio
successivo all’abolizione in Svezia.

Gershoff: meta-analisi sulle punizioni corporali  efficace per sopprimere temporaneamente un comportamento improprio: risposta
positiva nel complesso ma solo in 3 studi su 5. Ha anche conseguenze negative: peggioramento della relazione genitore-figlio, minore
interiorizzazione degli standard morali, rischio di ricorso alla violenza da adulti.

Alcuni psicologi ritengono ancora utile il supporto delle maniere forti nell’educazione di bambini con problemi di disciplina.

Il costo della risposta:

seconda forma di punizione è il costo della risposta: togliere qualcosa ritenuto gratificante = punizione negativa/tramite rimozione 
risposta indebolita dalla rimozione successiva di uno stimolo.
Riassunto di Laura Pagani
Anno 2016/2017
Usare il costo della risposta o ignorare un comportamento improprio potrebbe essere una valida alternativa alle punizioni fisiche.
Punizione positiva e negativa indicano cosa non fare, ma non ciò che bisogna fare  importanza del rinforzo positivo per facilitare il
comportamento corretto.

8.4.4 il rimodellamento e la concatenazione, un passo alla volta:

rimodellamento (modellamento per approssimazioni successive): basato sul rinforzo di approssimazioni successive in direzione della
riposta finale  accelera i tempi di acquisizione anche dei comportamenti appresi per tentativi.

Concatenazione (rimodellamento per sequenze successive): usata per sviluppare una sequenza di risposte rinforzando ciascuna per
mettere in atto quella successiva.

8.4.5 la generalizzazione e la discriminazione:

generalizzazione operante: risposta operante fa seguito a un nuovo stimolo antecedente o a una situazione simile a quella originaria.

Con l’esperienza impariamo a discriminare tra condizioni antecedenti  discriminazione operante: risposta operante si attiva in
presenza di uno stimolo antecedente ma non di un altro. Un comportamento influenzato da stimoli discriminatori è sottoposto al
controllo dello stimolo.

8.4.6 i programmi di rinforzo:

programmi di rinforzo hanno effetti sull’apprendimento, l’estinzione e la performance  per manipolare un programma si può

 variare l’intervallo di tempo tra risposta e conseguenza (più è breve più è forte la conseguenza = per gli umani è meno vero,
per es. nelle tossicodipendenze la conseguenza piacevole che viene subito dopo l’assunzione della droga è più forte dei benefici
che potremmo trarre dopo tempo se smettiamo di assumerla)
 rinforzo continuo (rinforzare tutte le risposte di un tipo) o parziale (solo una parte delle risposte di un tipo)
o programmi a distribuzione percentuale: una % di risposte viene rinforzata, più risposte = più rinforzi
o programmi a intervalli prestabiliti: ogni tot di tempo un rinforzo
o programmi fissi: rinforzo avviene dopo un tot di tempo o di risposte
o programma variabile: numero di risposte tra un rinforzo e l’altro è casuale

Programmi di rinforzo, apprendimento ed estinzione:

rinforzo continuo = apprendimento più rapido ma estinzione più rapida

rinforzo parziale = apprendimento più lento ma estinzione più lenta (non capisci subito se il rinforzo non viene più dato)

miglior apprendimento = inizio con rinforzo continuo e poi proseguire con quello parziale (variabile).

8.4.7 il condizionamento di fuga e il condizionamento evitante:

condizionamento di fuga: risposta per mettere fine a uno stimolo negativo  si acquisisce/mantiene con il rinforzo negativo.

Condizionamento evitante: risposte per evitare uno stimolo negativo.

Teoria bifattoriale di apprendimento dell’evitamento: nelle risposte di evitamento sono coinvolti sia condizionamento classico che
operante

 es. gabbia con due stanze composte da una luce e un pavimento che trasmette scosse: quando si accende la luce in una stanza si
attiva la scossa  associando i due stimoli il topo impara a correre nella altra stanza quando si accende la luce
(condizionamento classico)  il riflesso di fuga viene rinforzato dalla fine della paura quando entra nell’altra stanza (c.
operante)
se blocchiamo le scosse, la risposta di evitamento impedisce al topo di capire che la scossa non viene più data anche se si
accende la luce, perché scappa dalla stanza prima di sperimentarlo  l’evitamento è rinforzato negativamente

l’esempio sopra dimostra perché le terapie di esposizione sono efficaci nella cura delle fobie: esponendo il paziente ad uno SC senza SI
disimparano la paura.

8.4.8 le applicazioni del condizionamento operante:

Skinner: tecnologia del comportamento  lo ritroviamo per es. nell’istruzione a computer, basata su due principi di Skinner: feedback
immediato sulla performance e apprendimento autoregolamentato.

Anche le procedure di rimodellamento e addestramento create da Skinner sono usate oggi per insegnare agli animali.

Il condizionamento operante ha quindi un ruolo importante nell’evoluzione del comportamento.

8.5 le obiezioni al comportamentismo:

8.5.1 i vincoli biologici, l’evoluzione e la predisposizione:

Riassunto di Laura Pagani


Anno 2016/2017
non sempre gli animali condizionati rispondevano come gli sperimentatori si aspettavano  predisposizione: tramite l’evoluzione, gli
animali sono biologicamente predisposti a imparare alcune associazioni più facilmente che altre, in particolare quelle che vanno contro
le tendenza naturali saranno difficili da imparare.

I vincoli al condizionamento classico, avversioni apprese per determinati sapori:

quando un cibo è seguito da nausea o vomito diventa lo SC che innesca una avversione condizionata al gusto.

Garcia dimostra come il condizionamento non dipendesse solo dalla lunghezza dell’intervallo tra SC e SI infatti gli animali apprendevano
l’avversione al gusto anche se SI si manifestava dopo ore o un giorno dal SC.

Sempre Garcia dimostra come la predisposizione biologica influenza le avversioni apprese  es. i topi di fronte a tre stimoli (suono,
gusto e vista) se si ammalano per predisposizione biologica sono portati a considerare il gusto come SC che li ha fatti ammalare e quindi
lo evitano, mentre se vengono colpiti da scossa elettrica sono portati a considerare vista e suono come SC.

Siamo predisposti biologicamente a temere certe cose?

Seligman ipotizza che come gli animali, anche noi siamo biologicamente predisposti ad acquisire certe paure più facilmente di altre: il
più delle volte temiamo stimoli che sembrano avere una maggiore rilevanza sul piano evoluzionistico  es. bambina che vede un
serpente e poco dopo si schiaccia la mano nella porta: sviluppa una fobia per i serpenti.

Siamo anche evoluzionisticamente predisposti a imparare dall’osservazione del comportamento altrui.

8.5.2 la cognizione e il condizionamento:

il comportamentismo sostiene la psicologia S-R (stimolo-risposta), alcuni studiosi hanno messo in dubbio questo modello proponendo il
modello S-O-R dove O è la rappresentazione cognitiva del mondo = modello cognitivo (S-O-R)

Le prime obiezioni al comportamentismo, intuito e mappe cognitive:

Kohler fu il primo a mettere in dubbio le teorie di Thorndike: non esiste solo l’apprendimento per tentativi ma anche l’intuito (=
percezione istantanea di una relazione utile che contribuisce a risolvere un problema).

Tolman: studia l’apprendimento spaziale nei topi e ipotizza che si sviluppino delle mappe cognitive (= rappresentazioni mentali del
layout spaziale). Per questo sviluppo serve l’apprendimento che fornisce conoscenze in base alle quali sviluppiamo delle aspettative
(rappresentazione cognitiva di cosa conduce a cosa).

L’apprendimento latente:

Secondo Tolman queste mappe si potevano apprendere. Durante un esperimento elabora il concetto di apprendimento latente:
apprendimento che si determina ma viene dimostrato solo più avanti quando c’è un incentivo alla performance  es. topi nel labirinto:
trovano la soluzione(l’uscita) anche senza avere il cibo come incentivo, ma quando viene fornito il cibo esso fa da fattore scatenante che
rende evidente un apprendimento latente.

La cognizione nel condizionamento classico:

L’aspettativa nel condizionamento classico:

i modelli basati sull’aspettativa affermano che il fattore determinante nel condizionamento classico non è la frequenza con cui
abbiniamo SC e SI ma l’attendibilità con cui SC predice SI.

Rescorla: l’apprendimento non è dato dalla frequenza di abbinamento: es. abbino luce e scossa tot volte, il topo impara ad aver paura
della luce, in un altro gruppo abbino tot volte luce e scossa e altre volte do solo la scossa: il topo non impara ad aver paura perché SC non
è attendibile.

La cognizione ha un ruolo nel condizionamento classico.

Il blocco:

effetto di blocco: Kamin scopre che un abbinamento precedente (es. tra luce e scossa) può bloccare l’acquisizione di un’altra
associazione (per es. se dopo aver abbinato luce e scossa inizio ad abbinare luce-suono e scossa al solo suono l’animale non ha paura).

La teoria di Rescorla-Wagner del condizionamento classico:

teoria di Rescorla-Wagner: se SI (scossa) è sorprendente o inattesa si associa più fortemente a un SC (rumore), se la scossa è attesa
perché già annunciata da un evento precedente, non si sviluppa una associazione abbastanza forte da indurre una nuova RC.

Le teorie del condizionamento che si basano sull’inibizione latente e sul livello di attenzione:

Lubow e Moore e l’inibizione latente: indebolirsi del condizionamento classico dovuto a una precedente esposizione allo SC = presentare
uno stimolo da solo prima, impedisce una associazione tra quello stimolo e un nuovo SI (scossa).

L’inibizione latente ha senso adattivo: ci aiuta a non apprendere associazioni inutili.


Riassunto di Laura Pagani
Anno 2016/2017
Come spiegare l’inibizione latente: livello di attenzione dedicato a uno SC determina il livello di apprendimento dell’associazione con un
nuovo stimolo (se pre-esposti allo stimolo vi faremo meno attenzione dopo), questo livello di attenzione è determinato da fattori come
la novità o l’attendibilità con cui predice SI  teorie attenzionali del condizionamento classico (si possono usare anche per spiegare il
blocco)

8.5.3 l’apprendimento cognitivo e comportamentale nelle terapie psicologiche:

assieme agli approcci cognitivi all’apprendimento nascono anche terapie cognitivo-comportamentali (TCC)

8.6 l’apprendimento osservazionale, quando sono gli altri a mostrare la via:

apprendimento osservazionale: apprendere osservando il comportamento di un modello  si apprendono sia risposte desiderabili che
comportamenti indesiderabili, ha un ruolo adattivo.

La capacità di apprendere osservando degli umani è detta modelling ed è superiore alle altre creature.

8.6.1 la teoria socio-cognitiva di Bandura:

teoria socio-cognitiva di Bandura è detta teoria dell’apprendimento sociale: le persone imparano osservando il comportamento dei
modelli e acquisendo la convinzione di poter mettere in atto comportamenti che influenzano eventi della loro vita.

Il processo di modellizzazione e l’autoefficacia:

la modellizzazione avviene in 4 fasi che includono vari fattori cognitivi:

 attenzione: verso il comportamento del modello


 ritenzione: delle informazioni nella memoria
 riproduzione: del comportamento del modello
 motivazione: a riprodurre quel comportamento

autoefficacia: convinzione delle persone di poter mettere in atto comportamenti che produrranno un esito desiderato  fattore
importante per l’apprendimento osservazionale.

Esperimento sui bambini: film con violenza su Bobo (clown di plastica): in un film il bambino era punito, in uno elogiato e nel terzo
neutro  i bambini mettono meno in atto comportamenti aggressivi se vedono le violenze su Bobo punite, ma se lo sperimentatore offre
un premio a chi riproduce il comportamento aggressivo su Bobo tutti imitano il modello del filmato.

L’imitazione dell’aggressione e il comportamento pre-sociale:

visione di scene di violenza: riduce la preoccupazione verso la sofferenza altrui, abitua alla vista della violenza, fornisce modelli
aggressivi da seguire.

Allo stesso modo la visione dii scene pro-sociali aumenta il comportamento caritatevole delle persone.

8.6.2 le applicazioni dell’apprendimento osservazionale:

8.7 il cervello adattivo:

l’apprendimento è adattamento del singolo alle situazioni incontrate durante la vita  la capacità di apprendere non dipende solo dal
network delle strutture e dei circuiti cerebrali ma anche dalla capacità del cervello di adattarsi/modificarsi in base all’esperienza.

8.7.1 imparare attraverso le connessioni:

apprendimento avviene attraverso una modifica della forza delle connessioni tra cellule nervose: cambiamento di forza che dipende
dalla attività svolta su una sinapsi o connessione = regola di Hebb.

Come l’apprendimento e i ricordi si iscrivono nei neuroni e nelle sinapsi? Costruiscono modelli di network (connessioni) neuronali che
apprendono nuove informazioni con cambiamenti delle connessioni tra neuroni (o nodi)

8.7.2 dove avviene l’apprendimento nel cervello?

Non c’è una sola parte predisposta all’apprendimento: per es. ipotalamo, cervelletto, amigdala influenzano l’apprendimento.

La biologia influenza l’apprendimento, e l’apprendimento influenza il funzionamento del cervello e lascia impronte nella struttura fisica
del cervello.

Esiste anche l’apprendimento offline o consolidamento: il cervello consolida durante il sonno ciò che abbiamo appreso durante la veglia.

Il cervello si adatta continuamente e si evolve, le reti neuronali e i modelli di attività sono influenzati non solo dalla base genetica ma
anche dalle esperienze di apprendimento.

CAP. 9  MEMORIA:

Riassunto di Laura Pagani


Anno 2016/2017
memoria: processi che ci permettono di registrare, immagazzinare e recuperare esperienze e informazioni  imparare dall’esperienza e
adattarsi agli ambienti in cambiamento.

9.1 la memoria come elaborazione delle informazioni:

anni 60: idea di mente come sistema di elaborazione che

 Codifica: inserimento di informazioni nel sistema mediante la traduzione in un codice neuronale processato dal cervello
 Immagazzina: conservazione delle informazioni nel tempo
 Recupera: processi che accedono alle informazioni archiviate

le informazioni = la memoria umana è molto dinamica.

9.1.1 un modello a tre stadi:

Atkinson e Shiffrin: memoria divisa in tre componenti  memoria sensoriale, di lavoro/breve termine, a lungo termine.

La memoria sensoriale:

la memoria sensoriale recepisce brevemente informazioni sensoriali in arrivo, incorpora vari sottosistemi detti registri sensoriali
(processori iniziali delle informazioni)

 Registro sensoriale visivo = magazzino iconico  esperimento di Sperling nel ’60 dimostra che le informazioni complete in
forma visuale si conservano per una frazione di secondo
 Registro sensoriale uditivo = magazzino ecoico  trattiene informazioni sui dettagli di un suono per alcuni secondi

La memoria di lavoro o a breve termine:

le informazioni recepite dalla memoria sensoria svaniscono rapidamente, alcune di esse entrano nella memoria a breve termine =
magazzino mnemonico che conserva temporaneamente un numero limitato di informazioni.

I codici di memoria:

le informazioni sono rappresentate sotto forma di codici  codici di memoria: rappresentazioni mentali di informazioni o stimoli di
vario tipo che possono prendere varie forme

 Codici visuali: immagini mentali


 Codici fonologici: suoni
 Codici semantici: significato di uno stimolo
 Codici motori: movimenti

Capacità e durata:

la memoria a breve termine trattiene un numero limitato di informazioni, Miller ha stabilito il limite al numero 7 più o meno 2  si
conservano da 5 a 9 unità significative, lo dimostra con il digit-span test.

Utilizzando il chunking (combinazione di elementi singoli in unità più grandi) si ricorda meglio: es. ricordare tante lettere casuali è
difficile, se le riunisco in una o più parole è più facile.

La memoria a breve termine è limitata anche nella durata: generalmente dura 20 secondi, solo ripetendo le informazioni possiamo
allungare la durata.

Far lavorare la memoria a breve termine:

la memoria a breve termine è vista come memoria di lavoro = sistema a capacità limitata che immagazzina e elabora temporaneamente
le informazioni e supporta funzioni cognitive come il problem solving o la pianificazione.

Le componenti della memoria di lavoro:

diverse componenti della WM:

 Loop fonologico: archivia brevemente le rappresentazioni mentali dei suoni, è attivo quando si ascolta o si pronuncia una
parola
o Baddeley e Hitch: loop fonologico formato da due componenti  archivio fonologico e sistema articolatorio di
ripetizione (usato per ripetere mentalmente informazioni che cerchiamo di mantenere nell’archivio fonologico)
o Natura fonologica della memorizzazione: ricordare lettere dal suono simile è più difficile che quelle diverse, la
lunghezza delle parole influisce quindi parole più brevi sono più facili da ricordare
o Loop fonologico è implicato anche nell’apprendimento del linguaggio da piccoli e della seconda lingua da grandi
 Taccuino visuo-spaziale: archivia brevemente informazioni visive e spaziali, può essere attivo anche assieme al loop fonologico
 Episodic buffer: spazio temporaneo di archiviazione in cui le informazioni che vengono dalla memoria a lungo termine, dai
sottosistemi fonologico e visuo-spaziale si integrano, elaborano e mettono a disposizione per la consapevolezza
o Si usa durante il chunking
Riassunto di Laura Pagani
Anno 2016/2017
o Baddeley: il fatto che si riesca a ripetere frasi di 15-16 parole si spiega con l’episodic buffer: parole si aggregano in
frasi e rimangono archiviate
 Esecutivo centrale: dirige il processo complessivo, pianifica e controlla la sequenza di azioni da eseguire, gli altri sottosistemi e
integra le informazioni nell’episodic buffer
o loop fonologico e taccuino visuo-spaziale sono sistemi subordinati ad esso e controllati da esso

Cowan ha proposto una memoria di lavoro la cui capienza era limitata a 4 aggregati di informazioni in un sistema attenzionale, invece
che i 7 tradizionali  somiglianza con il modello di Baddeley su cosa sia l’episodic buffer.

La memoria a lungo termine:

la MLT è una vastissima biblioteca di ricordi più duraturi  la capacità di archiviazione è illimitata, e un ricordo può durare tutta la vita.

MLT e MBT sono separate: ci possono essere danni ad una e non all’altra.

Effetto di posizione seriale: in un elenco di 15 parole ricorderemo

 le prime: effetto primacy  le parole vengono ripetute ed entrano nella MLT


 le ultime: effetto recency  le parole permangono per un po’ nella MBT

quelle in mezzo accumulandosi non hanno tempo per essere ripetute ed entrare nella MLT  Glanzer e Cunitz:

 intervallo più lungo tra una parola e l’altra facilita l’ingresso nella MLT e il ricordo
 velocizzando la presentazione delle prime parole diminuisce l’effetto primacy
 se passa del tempo tra l’elencazione delle parole e la ripetizione diminuisce l’effetto recency

9.2 la codifica, acquisire le informazioni:

i contenuti della MLT sono organizzati in due tipi di codifiche principali.

9.2.1 l’elaborazione volontaria e l’elaborazione automatica:

elaborazione volontaria: codifica intrapresa intenzionalmente che richiede attenzione conscia;

elaborazione automatica: codifica che avviene involontariamente e richiede attenzione minima.

9.2.2 i livelli di elaborazione, quando più profondo vuol dire migliore:

livelli di elaborazione: più in profondità processiamo le parole meglio le ricordiamo  codifica semantica impiega una elaborazione più
profonda, è più efficace quindi della codifica fonemica o strutturale.

9.2.3 l’esposizione e la ripetizione:

l’esposizione a uno stimolo è una processazione superficiale: migliaia di esposizioni a uno stimolo non lo fanno ricordare meglio.

La ripetizione implica elaborazione delle informazioni:

 ripetizione manutentiva: ripetizione a memoria, meno efficace per trasferire informazione nella MLT
 ripetizione elaborativa: processazione più profonda, più efficace nel trasferire informazioni nella MLT

9.2.4 l’organizzazione e le immagini visuali:

gli schemi organizzativi sono fondamentali per aiutare la memoria.

Le gerarchie e il chunking:

principio di associazione tra concetti  organizzare i concetti in gerarchia logica facilita la loro comprensione: ogni categoria di concetti
rimanda alle voci sottostanti  organizzazione visuale, le immagini possono essere usate come codice mnemonico supplementare.

Chunking: combinazione di singole voci in unità mnemoniche più grandi più facili da ricordare e trasferire nella MLT.

Le immagini visuali:

Paivio: informazioni archiviate nella MLT in due modi  codici verbali e visuali = teoria della doppia codifica.

La doppia codifica migliora il ricordo: almeno uno dei due codici sarà disponibile al momento di ricordare.

Tecnica di memorizzazione: metodo dei loci  associare informazioni a immagini mentali di luoghi fisici.

L’effetto rappresentazione:

il ricordo di un compito messo in atto (SPT) dura di più di quello della stessa operazione spiegata a parole  negli SPT l’informazione
viene codificata in diversi modi (visuale, motorio, fonico…), mentre nell’esercitazione verbale in un solo modo.

Riassunto di Laura Pagani


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La gestualità associata al materiale durante la codifica è importante e aumenta il ricordo.

Altri supporti mnemonici:

supporto mnemonico: tutto ciò che agevola il ricordo  organizzano le informazioni in unità significative, forniscono spunti per
recuperare le informazioni.

Supporti sono il chunking, metodo dei loci, gerarchie, immagini visuali e anche acronimi (combinare una o più lettere di ciascun
elemento da ricordare) e la rima (mettere in rima ciò che dobbiamo ricordare aiuta).

9.2.5 l’influenza delle conoscenze pregresse sulla codifica:

quando leggiamo, ascoltiamo, partecipiamo ad un evento codifichiamo quasi sempre la sostanza/senso generale delle informazioni.

Gli schemi, i nostri organizzatori mentali:

i temi estratti dagli eventi per codificarli sono organizzati attorno a schemi = quadri di riferimento mentale che riguardano un aspetto
del mondo.

Schemi, codifica ed expertise:

l’acquisizione dell’expertise è lo sviluppo di schemi che aiutano a codificare informazioni in modelli significativi  studio di Chase e
Simon: giocatori esperti, intermedi e principianti di scacchi quante pedine ricordano vedendo pochi secondi una scacchiera? Se le pedine
sono posizionate in posizioni significative che rientrano in schemi di gioco, gli esperti ne ricordano molti di più degli altri, se sono
disposte in modo casuale ne ricordano poche come gli altri.

9.2.6 la codifica e la memoria straordinaria:

Ericsson e colleghi: la memoria eccezionale non è solo innata (come ritenevano Thompson e collaboratori) ma è una competenza
appresa che richiede conoscenze pregresse, associazioni significative, efficienza nell’archiviazione e recupero delle informazioni ed
esercizio costante.

Gli mnemonisti (persone con memoria eccezionale) sfruttano le tecniche descritte in precedenza: ripetizione elaborativa ad es.

9.3 l’archiviazione, trattenere le informazioni:

9.3.1 la memoria come network:

il principio generale che la memoria comporta associazioni è alla base dell’approccio del network o rete.

Le reti associative:

la MLT può essere rappresentata come una rete associativa, ovvero un network di idee e concetti correlati. Ogni concetto è
rappresentato da un nodo e le linee tra i nodi sono le associazioni tra concetti (linee più brevi = associazioni più forti). Concetti
appartenenti a una stessa categoria sono uniti da linee più brevi.

Una rete associativa è un tipo di schema: quadro di riferimento mentale che rappresenta il modo in cui vediamo il mondo e
organizziamo le informazioni.

Sviluppando un concetto, l’attivazione si estende a tutti i concetti correlati nel network  priming: attivazione espansiva di un concetto
da parte di un altro concetto.

La rete associativa evidenzia perché i supporti mnemonici possono stimolare il ricordo.

Le reti neuronali:

altra spiegazione per le cause dell’attivazione espansiva e del priming = rete neuronale.

I modelli di reti neuronali sono modelli informatici simili al sistema nervoso: ogni nodo della rete non contiene un sono concetto ma una
unità di processazione delle informazioni, i nodi hanno connessioni con molti nodi, sono programmati per ricevere e trasmettere segnali
eccitatori e inibitori, e si attivano quando l’input supera una certa soglia di potenza.

Le reti neuronali fanno esperienza processando vari tipi di informazioni (suoni, immagini), intanto le connessioni tra nodi diventano più
forti o deboli e il network impara a distinguere i diversi tipi di stimoli.

Ogni ricordo è rappresentato da un tratto specifico di nodi interconnessi e attivati simultaneamente  modelli di elaborazione parallela
distribuita o PDP.

9.3.2 i tipi di memoria a lungo termine:

il cervello ha vari tipi di memoria a lungo termine.

La memoria dichiarativa e la memoria procedurale:

Riassunto di Laura Pagani


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memoria dichiarativa: coinvolge delle conoscenze fattuali e include due sottocategorie: memoria episodica (magazzino per esperienze
personali, si riferisce a eventi con collocazione spazio-temporale) e memoria semantica (conoscenze generali sul mondo e il linguaggio)

memoria procedurale (non dichiarativa): si riflette nelle competenze e nelle azioni, una componente sono le competenze che si
esprimono in determinate situazioni (risposte classicamente condizionate rientrano nella memoria procedurale)

Il ricordo esplicito e il ricordo implicito:

ricordo esplicito: recupero consapevole e intenzionale del ricordo  riconoscimento: stabilire se uno stimolo è familiare, negli esercizi
di riconoscimento sono presentati stimoli tra cui scegliere, il richiamo alla mente consiste nel recupero spontaneo degli stimoli o
informazioni; il ricordo facilitato fornisce spunti per agevolare il recupero delle informazioni.

Ricordo implicito: la memoria influenza il nostro comportamento senza che ce ne rendiamo conto  es. andare in bicicletta comporta un
ricordo implicito, sappiamo come si fa e non dobbiamo pensare mentre lo facciamo.

9.4 il recupero, accedere alle informazioni:

indizio per il recupero: stimolo interno o esterno che attiva delle informazioni conservate nella MLT.

Priming: esempio di come un indizio per il recupero può attivare elementi associati presenti nella memoria attraverso la attivazione
della rete semantica.

9.4.1 il valore degli indizi multipli:

esperimenti di Mantyla: è utile avere più indizi per il recupero delle informazioni nella MLT

 generare associazioni con l’informazione da ricordare aiuta perché comporta una elaborazione più profonda
 generare più di una associazione aiuta nel caso una non funzioni da stimolo per il ricordo
 una associazione generata da sé è molto più efficace che una generata da altri perché ha una valenza personale

9.4.2 il valore della differenziazione:

gli stimoli differenziati si ricordano meglio di quelli non differenziati  gli eventi distintivi o differenziati suscitano ricordi più chiari e
duraturi.

9.4.3 l’attivazione, l’emozione e il ricordo:

le esperienze di vita che coinvolgono anche il piano emotivo si ricordano meglio  stimoli ad alta valenza emotiva aumentano la
produzione di ormoni dello stress, che inducono i neuroni ad intensificare la attività della amigdala (struttura che codifica gli aspetti
emozionali delle esperienze in ricordi duraturi).

Il coinvolgimento emotivo promuove i ricordi autobiografici.

Con il tempo l’intensità emozionale dei ricordi svanisce, quella dei ricordi piacevoli in modo quasi sempre più lento che per i ricordi
spiacevoli.

9.4.4 i ricordi fotografici, istantanee fedeli?

Ricordi fotografici: ricordi così chiari da sembrare istantanee  per la formazione di ricordi fotografici servono sorpresa e
coinvolgimento personale = eventi scioccanti o importanti (sia per il mondo che per noi) imprimono nella memoria un segno più
definito rispetto a normali ricordi quotidiani.

9.4.5 la fiducia nella memoria e l’accuratezza dei ricordi:

fiducia nella memoria e accuratezza dei ricordi sono debolmente correlate, spesso ricordiamo eventi passati mostrando molta fiducia
nella nostra memoria, che però spesso sbaglia.

Generalmente ricordiamo meglio eventi emotivamente coinvolgenti e distintivi.

9.4.6 gli effetti del contesto, dello stato psicologico e dell’umore sulla memoria:

la capacità di recuperare un ricordo è data da natura dello stimolo originario, da fattori ambientali, fisiologici e psicologici.

Principio di specificità della codifica: il ricordo è potenziato quando le condizioni nel recupero sono simili a quelle durante la codifica 
stimoli associati a un evento che viene codificato possono diventare spunti per ricordare.

Il ricordo dipendente dal contesto, tornare sulla scena:

ricordo dipendente dal contesto: più facile ricordare qualcosa nell’ambiente in cui è stato codificato  esperimento di Godden e
Baddeley.

Il ricordo dipendente dallo stato psicologico, eccitazione, droghe e umore:

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ricordo dipendente dallo stato psicologico: recupero delle informazioni più semplice se lo stato psicologico durante il recupero coincide
con quello durante l’apprendimento.

Il ricordo dipendente dall’umore non è un fenomeno attendibile, anche se è vero il ricordo congruente con l’umore: ovvero la tendenza a
ricordare informazioni o eventi in sintonia con il nostro umore (ricordi felici se siamo felici…)

9.5 dimenticare:

9.5.1 il processo di oblio dei ricordi:

il pioniere degli studi sull’oblio fu Hebbinghaus che studiò se stesso: cercò di memorizzare liste di sillabe senza senso  misura la
memoria con il metodo del riapprendimento ovvero calcola quanto ci mette a imparare una lista la prima volta, e quanto ci mette a
impararla una settimana dopo: i tentativi di memorizzazione si dimezzavano, la ritenzione era quindi del 50%. Il processo di oblio
all’inizio era molto più rapido, poi rallenta sensibilmente.

Negli studi successivi è emerso che se il materiale appreso è significativo si ricorda più a lungo a differenza di materiali come liste di
sillabe senza senso.

9.5.2 perché dimentichiamo?

Il processo di oblio evidenzia difficoltà di codifica, archiviazione e recupero delle informazioni.

La codifica inadeguata:

molti vuoti di memoria derivano dalla mancata codifica delle informazioni  la maggior parte di ciò che percepiamo non viene
elaborata cosi profondamente da entrare nella MLT.

In un esperimento vengono fatti vedere video sessualmente espliciti, violenti o neutri intervallati da spot  codifica inadeguata: chi ha
visto i video sessualmente espliciti e violenti ricorda meno spot di chi ha visto video neutri poiché l’attenzione era rivolta al video e non
agli spot.

Il deterioramento della traccia mnemonica:

una spiegazione dell’oblio inizialmente derivava dalla teoria del deterioramento: nel tempo la traccia fisica del ricordo impressa nel
sistema nervoso si affievolisce  con il tempo viene smentita perché non si trovò nessuna traccia fisica del ricordo misurabile, con i
nuovi studi sui neuroni era rientrata in voga.

La previsione della teoria era che più lungo l’intervallo tra apprendimento e ricordo è, meno ci si ricorda  smentito dal fenomeno della
reminiscenza (ricordare cose passate anche a distanza di tempo)

L’interferenza:

teoria dell’interferenza: dimenticare informazioni perché altri elementi immagazzinati nella MLT limitano la capacità di recuperarle

 interferenza proattiva: materiale appreso in passato interferisce con il ricordo di nuovo materiale
 interferenza retroattiva: informazioni acquisite di recente interferiscono con il ricordo di informazioni apprese in passato

le interferenze non avvengono tra materiali molto diversi tra loro.

Perché avviene l’interferenza? Eventi nuovi possono impedire che informazioni nella MBT entrino nella MLT, ricordi diversi possono
essere associati a spunti per il ricordo simili (ricordiamo il ricordo sbagliato), gli spunti possono essere inefficaci o troppi pochi.

Esiste anche il fenomeno ricordo sulla punta della lingua: non riuscire a ricordare qualcosa ma sapere di saperla.

L’oblio motivato:

a volte le persone hanno un motivo (consapevole o no) per dimenticare: Freud lo spiega con la rimozione, ovvero il processo
motivazionale che ci protegge bloccando il richiamo consapevole di ricordi che generano ansia.

Tuttavia a volte si dimenticano anche eventi piacevoli, quindi questa teoria è stata messa in discussione.

9.5.3 dimenticarsi di fare le cose, la memoria prospettica:

la memoria retrospettiva fa riferimento al ricordo di eventi passati, la memoria prospettica invece consiste nel ricordo di attività che
dovremo fare nel futuro  si fonda su capacità cognitive come pianificazione e allocazione dell’attenzione mentre svolgiamo altri
compiti.

Nella vita quotidiana le persone adulte e anziane non manifestano una memoria prospettica peggiore dei giovani.

9.5.4 l’amnesia:

amnesia: perdita di memoria dovuta a condizioni particolari (lesione cerebrale, malattia, trauma psicologico)

L’amnesia retrograda e anterograda:


Riassunto di Laura Pagani
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amnesia retrograda: perdita di memoria di eventi precedenti all’insorgere dell’amnesia.

Amnesia anterograda: perdita di memoria di eventi successivi all’insorgere dell’amnesia.

La demenza e il morbo di Alzheimer:

demenza: perdita della memoria, deficit cognitivi, degenerazione del cervello che impediscono il normale funzionamento  vari tipi e
cause.

Morbo di Alzheimer: decadimento progressivo del cervello e causa principale di demenza  diffuso tra gli anziani soprattutto.

 Primi sintomi: smemoratezza (ne risente la memoria di eventi recenti ed è il primo sintomo), illogicità, confusione,
disorientamento
 Intacca prima le aree vicine all’ippocampo e poi l’ippocampo stesso (che converte ricordi di breve termine in lungo termine) e
si estende dai lobi temporali a quelli frontali
 Placche e nodi danneggiano e fanno morire i neuroni, il tessuto cerebrale si restringe, la comunicazione tra neuroni è
compromessa (neurotrasmettitori danneggiati)
 Nel tempo peggiorano la memoria operativa, e a lungo termine, amnesia retrograda e anterograda, memoria procedurale,
semantica, episodica e prospettica, si possono perdere la capacità di apprendere nuove cose, svolgere attività quotidiane e
riconoscere parenti  alla fine: difficoltà di linguaggio, non organizzano il pensiero, mutamenti di umore e personalità, infine
incapacità di parlare, camminare, controllare vescica e sfinteri.
 Cause parzialmente sconosciute: forma ereditaria per la malattia manifestata precocemente, fattore genetico di rischio tra le
cause della malattia.

L’amnesia infantile:

amnesia infantile: incapacità di ricordare eventi della prima infanzia (precedenti ai 3-4 anni)  perché?

 Immaturità delle aree del cervello in cui risiede la memoria episodica a lungo termine
 Codificazione sbagliata delle esperienze o spunti inefficaci al recupero delle esperienze
 Assenza di un quadro di riferimento personale attorno a cui organizzare ricordi strutturati da piccoli

9.6 la memoria come processo di costruzione:

spesso costruiamo un ricordo mettendo assieme pezzi di informazioni immagazzinate nella MLT, ma queste informazioni potrebbero
essere imprecise  molti ricordano il passato molto più bello di come non fosse nella realtà.

La costruzione dei ricordi può avere conseguenze gravi per gli individui e la società.

9.6.1 la distorsione dei ricordi e gli schemi mnemonici:

Bartlett: le persone hanno idee generalizzate/schemi su come si svolgono gli eventi e le utilizzano per organizzare informazioni e
costruire ricordi. Gli schemi spesso distorcono i ricordi inducendoci a codificare o recuperare informazioni in modo che si allineino con i
nostri assunti preesistenti sul mondo.

La costruzione dei ricordi si estende al modo in cui vediamo il mondo  estensione dei confini: guardando una foto per es. ricordiamo
una scena più ampia di quella che abbiamo visto.

9.6.2 gli effetti di disinformazione e la testimonianza oculare:

se i ricordi sono costruiti possono essere influenzati da informazioni successive all’evento  effetto di disinformazione: distorsione del
ricordo causata da informazioni successive fuorvianti.

Es. testimoni oculari riconoscono un rapinatore in un prete  il vero colpevole era un altro, un ladro che si distingueva per i suoi modi
gentili = fuorviati dai modi gentili del ladro (che si associano allo schema che abbiamo dei preti come persone gentili) e dal fatto che i
poliziotti avevano reso noto che forse il colpevole era un prete.

La confusione tra le fonti:

altro effetto della disinformazione è la confusione tra le fonti: tendenza a ricordare qualcosa e riconoscerne la familiarità ma non
ricordare quando la si è vista.

Es. testimone oculare di un delitto: gli si mostrano immagini di persone tra cui non riconosce il colpevole, giorni dopo gli si fanno vedere
persone dal vivo tra cui uno di loro era in foto  viene riconosciuto come colpevole = il testimone riconosce di averlo visto, ma la
confusione tra le fonti non gli permette di ricordare quando e che lo ha visto in foto e non durante il delitto.

Per risolvere ciò i ricercatori hanno provato a usare tecniche di imaging cerebrale per capire quando falsi ricordi si sviluppano ma il
dibattito è ancora aperto.

9.6.3 il bambino come testimone oculare:

spesso nei presunti abusi sessuali su minori non vi sono evidenze medico-legali confermative e il bambino è l’unico testimone.
Riassunto di Laura Pagani
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L’accuratezza e la suggestionabilità:

le domande tendenziose se ripetute generano nei bambini ricordi falsi, anche perché i bambini sono più sensibili di altri alle indicazioni
fuorvianti.

Negli esperimenti si è scoperto che si poteva creare un falso ricordo nei bambini semplicemente aggiungendo informazioni false su un
avvenimento (a cui i bambini hanno assistito) e a distanza di tempo ponendo domande tendenziose a cui i bambini, suggestionati dalle
informazioni false e dalle domande, rispondevano creando ricordi falsi.

9.6.4 il ricordo di eventi traumatici:

i bambini ricordano gli eventi traumatici, ma più sono piccoli e meno accurato sarà il ricordo, infatti se si pongono domande tendenziose
e fuorvianti essi tendono a costruire ricordi falsi.

Le informazioni più accurate e sicure si ottengono con il ricordo libero (bambino racconta un’esperienza spontaneamente) e l’aiuto di
domande (quando? Come? Dove?) per stimolare il ricordo di ciò che è stato detto dal bambino.

Mentre invece domande chiuse portano a una accuratezza minore perché spesso influenzano le risposte, che a volte vengono anche
inventate.

i resoconti veri e falsi, i professionisti sono veramente in grado di distinguerli?

I professionisti non sono in grado di distinguere quando un bambino genera ricordi falsi o se ne comunica di veri, forse perché spesso il
bambino non mente consapevolmente  la ricerca psicologica oggi permette a funzionari di polizia, psicoterapeuti, operatori del diritto
di dedicare più attenzione alle procedure di interrogatorio per evitare domande che suggeriscono le risposte e i ricordi falsi.

Le false confessioni:

Kassin ha diviso in tre categorie le false confessioni:

 Spontanee: rese per attirare l’attenzione o per qualche ragione patologica


 Estorte: rese pur di mettere fine all’interrogatorio o per avere qualcosa come il sonno, il cibo o la fine dei maltrattamenti
 Interiorizzate: confessione di un crimine non commesso ma dietro la convinzione di averlo commesso (spesso nasce quando la
polizia convince l’accusato di avere prove determinanti a suo carico…)  è possibile indurre in laboratorio false confessioni
interiorizzate

9.6.5 la cultura e la costruzione dei ricordi:

cultura e memoria sono interconnesse: la sopravvivenza culturale è determinata anche dalla trasmissione di conoscenze tra generazioni,
e senza memoria non ci sarebbe cultura. Anche la cultura poi influenza la memoria: la formazione culturale influenza gli schemi che
usiamo per percepire noi stessi e il mondo  es. culture nordamericane/europee sono individualistiche, le culture
asiatiche/africane/sudamericane sono collettivistiche: alla richiesta di ricordare le primissime esperienze di vita i
nordamericani/europei ricordano esperienze individuali, mentre gli altri ricordano esperienze legate alla famiglia o alla comunità.

9.7 la memoria e il cervello:

Lashey ha cercato per anni l’engramma, ovvero la traccia fisica lasciata nel cervello alla formazione di un ricordo, ma non l’ha mai
trovato e ha concluso che il ricordo è immagazzinato nell’intero cervello.

McConnell ha cercato di dimostrare il trasferimento del ricordo, tuttavia anche se nei suoi esperimenti ha avuto parziale successo, gli
scienziati successivi non sono riusciti a replicarli.

9.7.1 dove si formano e dove si archiviano i ricordi?

Per rispondere si studia come incide la lesione di determinate regioni del cervello sulla memoria e la fisiologia di un cervello sano nei
test di memoria.

La memoria sensoriale e la memoria operativa:

la memoria sensoriale dipende dai sistemi visuali, uditivi e da altri sensi che rilevano, trasformano le informazioni in codici neuronali
processati nelle aree sensoriali della corteccia cerebrale.

Coinvolgendo anche la memoria operativa aumenta l’attività in una rete di aree corticali situate nei lobi del cervello. Lobi frontali,
corteccia prefrontale hanno un ruolo importante e si attivano nella memoria operativa, sono anche attivi nel supporto alle funzioni
dell’esecutivo centrale, se danneggiati possono compromettere le funzioni dell’esecutivo centrale; queste funzioni però possono essere
indebolite anche dai danni ad altre parti del cervello.

La memoria a lungo termine:

sono coinvolte più aree del cervello nella formazione di ricordi a lungo termine ma ippocampo e zone adiacenti hanno un ruolo
predominante.

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La memoria dichiarativa:

l’ippocampo non è il luogo in cui si immagazzinano i ricordi a lungo termine ma contribuisce a convertire i ricordi a breve termine in
ricordi permanenti  le diverse componenti di un’esperienza sono processate in diverse parti della corteccia e poi associate
nell’ippocampo = consolidamento dei ricordi, una volta consolidato le parti sono immagazzinate in varie aree anche se il ricordo è
recuperato come unificato.

Quindi sono coinvolti ippocampo, parti di corteccia prefrontale, e altre aree del cervello.

Altre parti: talamo  il danneggiamento può compromettere codifica di nuovi ricordi o recupero di vecchi o amnesia retrograda
permanente, amigdala  coinvolta nella codifica di ricordi emotivamente coinvolgenti, se danneggiata fa perdere il vantaggio di
ricordare eventi emozionanti.

La memoria procedurale:

il cervelletto ha un ruolo nella formazione di ricordi procedurali: es. nell’apprendimento di una risposta condizionata il cervelletto
manifesta una attività maggiore, se rimuoviamo parte del cervelletto il comportamento condizionato appreso rimane anche se non
ricordiamo di averlo appreso.

9.7.2 come si formano i ricordi?

La risposta potrebbe risiedere in mutamenti fisici e chimici nei circuiti neuronali del cervello.

Il mutamento sinaptico e la memoria:

Kandel e collaboratori: esperimento sulle lumache  formazione di memoria procedurale dovuta a eventi biochimici tra neuroni
sensoriali e motori e nei neuroni stessi, la durata degli eventi influenza la conversione da ricordo a breve termine a ricordo permanente,
se ripetuti a lungo formano i ricordi a lungo termine. Durante il condizionamento, avvengono mutamenti strutturali che facilitano la
trasmissione sinaptica, questa potrebbe essere la base per il consolidamento dei ricordi.

Per alcuni ricercatori la attività cerebrale durante il sonno REM è dovuta in gran parte al processo di consolidamento dei ricordi.

Il potenziamento a lungo termine:

altre ricerche sostengono l’ipotesi che i mutamenti sinaptici possano essere la base per il consolidamento della memoria  incremento
prolungato del legame sinaptico (in laboratorio) chiamato potenziamento a lungo termine, studiato in regioni dell’ippocampo (dove è
più presente il glutammato, un neurotrasmettitore), ha luogo quando accadono una serie di eventi biochimici complessi sia tra i neuroni
che dentro i neuroni stessi.

Se i percorsi neuronali sono stimolati a sufficienza i neuroni sinaptici possono modificare la loro struttura diventando più recettivi al
glutammato  la formazione di una MLT sembra comportare dei cambiamenti nell’efficienza sinaptica grazie a connessioni nuove o
potenziate tra neuroni pre e post sinaptici.

CAP. 10  LINGUAGGIO:

rispetto agli animali, gli uomini sanno pensare e comunicare meglio, trasmettere il linguaggio alle generazioni successive, creare
rappresentazioni mentali ed elaborarle in linguaggio, pensiero, ragionamento e risoluzione dei problemi. La maggior parte dei processi
cognitivi implica l’uso del linguaggio.

Linguaggio: funzione cognitiva che consente di acquisire e usare una lingua.

Lingua: sistema di simboli e regole per combinarli cosi da poter generare un numero infinito di possibili messaggi e significati.

Psicolinguistica: studio scientifico degli aspetti psicologici del linguaggio.

10.1 le funzioni adattive del linguaggio:

i teorici evoluzionisti credono che il linguaggio si sia sviluppato quando gli uomini si riunirono in unità sociali più grandi: più complesso
l’ambiente sociale e quindi necessità di un linguaggio per adattarsi a tale ambiente.

Gli uomini si sono evoluti in creature sociali a cui serve comunicare e servono caratteristiche fisiche specifiche per ciò.

In forma orale o scritta il linguaggio permette di imparare e trasmettere costumi, conoscenze accumulate nel tempo.

10.2 le proprietà delle lingue:

10.2.1 le lingue umane sono simboliche e strutturate:

ogni lingua utilizza simboli, suoni, caratteri in modo arbitrario = arbitrarietà.

Ogni lingua possiede una struttura retta da regole = grammatica: insieme delle regole che dettano come si possono combinare i simboli
per creare unità di comunicazione dotate di significato  le grammatiche di tutto il mondo hanno proprietà comuni ma seguono
comunque il principio di arbitrarietà e quindi variano.
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10.2.2 i messaggi verbali trasmettono un significato:

una volta applicati simboli o regole grammaticali permettono di formare e trasmettere rappresentazioni mentali = comprendere la
semantica (ciò che attiene al significato delle diverse parti del discorso) non è una cosa semplice.

10.2.3 le lingue umane sono generative e consentono la dislocazione:

generativismo: possibilità di combinare simboli della lingua per generare un numero infinito di messaggi con significati nuovi.

Dislocazione: possibilità di parlare di eventi o oggetti che non sono fisicamente presenti.

10.3 la struttura delle lingue:

la struttura delle lingue è gerarchica, ogni lingua ha poi una struttura superficiale e una profonda.

10.3.1 la struttura gerarchica:

 Fonemi (unità minima di suono che viene riconosciuta come distinta in una lingua): variano da lingua a lingua, presi da soli non
hanno significato in sé
 Morfemi (unità più piccola della lingua dotata di significato): deriva dalla combinazione di fonemi
 Parole: formate da morfemi
 Frasi: formate dalle parole
 Discorso: formato da frasi combinate in paragrafi, articoli, conversazioni…

10.3.2 la struttura superficiale e la struttura profonda:

 struttura superficiale: formata da simboli che vengono utilizzati e dal loro ordine (stabilito da regole dettate dalla sintassi della
lingua)
o può far nascere due strutture profonde: es. frasi ambigue
 struttura profonda: significato sotteso ai simboli combinati (rimanda alla semantica)

leggendo o ascoltando passiamo dalla struttura superficiale a quella profonda (ascolto una frase e ne comprendo il significato), per
esprimersi invece si passa da struttura profonda a superficiale (trasformo il significato che voglio comunicare in un linguaggio chiaro
per gli altri)

10.4 comprendere e produrre il discorso:

il contesto ha un ruolo importante nella comprensione del discorso.

10.4.1 il ruolo dell’elaborazione bottom-up:

l’elaborazione bottom-up analizza i singoli elementi di uno stimolo (le singole parti della struttura gerarchica del linguaggio: fonemi,
morfemi) per poi combinarli e formare una percezione unificata (morfemi che creano parole).

A ogni passaggio del bottom-up la comprensione del discorso viene influenzata dall’elaborazione top-down.

10.4.2 il ruolo dell’elaborazione top-down:

nell’elaborazione top-down le informazioni sensoriali vengono interpretate alla luce di conoscenze, idee e aspettative esistenti. Ogni
comunicazione linguistica passa per questa elaborazione perché attivano le nostre conoscenze, e attingono dalla nostra conoscenza del
vocabolario, della grammatica presente nella memoria a lungo termine.

Es. di top-down: la segmentazione del parlato  nella nostra lingua capiamo subito dove inizia e finisce una parola, grazie all’esperienza
e anche al contesto in cui è inserita = esperimento di Pollack e Pickett sottolinea come il contesto sia importante per capire le singole
parole

10.4.3 il riconoscimento delle parole:

psicolinguistica: branca della psicologia che comprende i processi che coinvolgono la percezione e produzione linguistica, e i processi
coinvolti nel riconoscimento delle parole sia in forma orale che scritta.

Es. una volta imparato a leggere, quando si vede una parola l’unica opzione è leggerla, lo dimostra l’effetto Stroop: se scrivo la parola
“verde” con un inchiostro rosa, i tempi in cui riesco a dire di che colore è l’inchiostro si allungano, perché siamo portati a leggere la
parola per prima cosa e non a pronunciare il colore  il processo di lettura si attiva in modo automatico una volta appreso.

Misurare i tempi di reazione è importante come anche misurare il tasso di errore (con che frequenza sbagliano)  tra i compiti più
comuni: decisioni lessicali (se una sequenza di lettere sia o meno una parola), denominazione (pronunciare ad alta voce la parola
presentata), compito semantico (scegliere la categoria semantica di una parola)

10.4.4 la frequenza delle parole:

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dagli studi sulla velocità di riconoscimento delle parole è emersa la frequenza delle parole come fattore critico (quanto spesso una
parola si presenta in una lingua orale o scritta)  la frequenza cambia tra i paesi con la stessa lingua e nel corso del tempo.

Nei compiti di decisione lessicale le parole più frequenti sono riconosciute in minor tempo, e nel compito di denominazione vengono
nominate più rapidamente.

Sebbene prima si considerasse la frequenza come il fattore principale di influenza sulla rapidità del riconoscimento, ora si conoscono
molti più fattori anche più importanti, tra cui: l’età di acquisizione.

10.4.5 l’età di acquisizione:

età di acquisizione: età in cui si apprende una parola  ha un effetto sulle latenze di risposta sia nelle decisioni lessicali che nella
denominazione. Anche se molte parole apprese da piccoli sono parole ad alta frequenza, e quindi i due fattori sono correlati, alcuni studi
dimostrano gli effetti indipendenti dei due fattori.

Morris ed Ellis hanno calcolato la età di acquisizione in modo diretto: esaminando a che età i bambini imparano a dare un nome agli
oggetti e dimostrando che le parole acquisite da giovani si riconoscono e nominano più in fretta.

10.4.6 la pragmatica, il ruolo del contesto sociale:

per comprendere un messaggio serve, oltre il vocabolario e la sintassi, la pragmatica: conoscenza degli aspetti pratici dell’utilizzo del
linguaggio  altro esempio dell’influenza dell’elaborazione top-down.

Per comunicare si seguono regole sociali come trasmettere messaggi che siano chiari, o adeguare il linguaggio all’interlocutore ed al
contesto sociale.

10.4.7 le funzioni del linguaggio, il cervello e le differenze di genere:

area di Broca (giro frontale inferiore emisfero sinistro): produzione e articolazione delle parole;

area di Wernike (parte postero-superiore lobo temporale): comprensione del discorso;

le lesioni a una delle due zone si chiamano afasie, e comportano un impedimento nella comprensione o produzione del linguaggio, questi
sintomi dipendono dalla localizzazione del danno.

I deficit afasici per lesioni nell’emisfero sinistro sono peggiori nei maschi rispetto le femmine, questo suggerisce che le funzioni verbali
nelle donne siano più distribuite tra i due emisferi le ricerche di brain imaging di Rossel e collaboratori sostengono questa teoria
(durante compiti linguistici mentre negli uomini si attivava maggiormente l’emisfero sinistro, nelle donne entrambi).

10.5 l’acquisizione della lingua madre:

l’acquisizione del linguaggio rappresenta l’influenza di biologia/natura e ambiente/cultura: gli umani hanno una predisposizione
biologica a riconoscere e produrre una lingua.

10.5.1 i fondamenti biologici:

la base biologica dell’apprendimento del linguaggio è suggerita per esempio dal fatto che i bambini iniziano a imparare una lingua senza
insegnamenti formali, inoltre le varie lingue hanno in comune alcune caratteristiche strutturali di base  l’apprendimento della lingua
può essere lo sviluppo di un processo di base biologico in un ambiente di apprendimento sociale.

Linguista Chomsky: dispositivo di acquisizione linguistica (LAD)  meccanismo biologico innato che fornisce regole generali della
grammatica comuni a tutte le lingue, successivamente la grammatica universale si calibra su quella della lingua specifica con
l’insegnamento.

10.5.2 il processo di apprendimento sociale:

l’apprendimento sociale è importante: madre e padre parlano con i figli fin da piccoli in un tono maternese, un tono alto che sembra
usato in tutto il mondo.

Comportamentista Skinner: acquisizione di competenze linguistiche attraverso il condizionamento operante:

 lo sviluppo del linguaggio è condizionato dal rinforzo positivo di un linguaggio corretto e il mancato rinforzo di quello sbagliato

psicolinguisti moderni: smentiscono Skinner 

 i genitori spesso non correggono i bambini nella grammatica, ma nel significato di ciò che vogliono esprimere con una frase
 la lingua dei bambini è diversa da quella dei genitori: improbabile un apprendimento per imitazione

psicologo Bruner: sistema di supporto all’acquisizione delle competenze linguistiche (LASS)  fattori dell’ambiente sociale che
facilitano l’apprendimento di una lingua. LAD e LASS interagiscono.

10.5.3 le tappe di sviluppo e i periodi sensibili:

Riassunto di Laura Pagani


Anno 2016/2017
l’acquisizione del linguaggio è corretta quando fattori biologici e esperienziali si combinano e procede in modo simile in tute le culture:

 2 anni: frasi telegrafiche


 Aggiunta di parole, vocabolario più ricco, frasi più corrette
 In 5 anni: capacità di produrre, comprendere un sistema di comunicazione complesso

Esiste un periodo sensibile: infanzia-pubertà in cui il cervello risponde al massimo agli input linguistici.

10.5.4 gli animali possono apprendere le lingue umane?

Le specie non umane comunicano in modi diversi, tuttavia la capacità di usare un codice linguistico pienamente sviluppato è rimasta
prerogativa degli esseri umani.

Recentemente si sono fatti esperimenti per insegnare il linguaggio agli animali.

Washoe, i primi segni di successo:

Allen e Gardner: insegnarono la lingua americana dei segni a uno scimpanzé (Washoe)  in 5 anni impara 160 segni ed a usarli in modo
nuovo.

Il gorilla Koko ne imparò 600, e lo scimpanzé Lena riusciva a comunicare con simboli visivi su una tastiera apposita.

progetto Nim, dissenso dall’interno:

comportamentista Terrace: insegna la lingua dei segni allo scimpanzé Nim Chimpsky  imitava i segni precedentemente illustrati
dall’addestratore, o faceva segni finchè non otteneva ciò che voleva, faceva segni spontaneamente solo se voleva qualcosa = secondo
Terrace non vuol dire aver imparato un vero sistema di comunicazione simbolico.

Tra altri ricercatori c’era chi invece sosteneva che le scimmie potessero sviluppare tipi di comunicazione: per es. notando come tra loro,
in assenza di umani, usassero i segni per comunicare, o come il figlio di Washoe, senza aver ricevuto insegnamenti dagli umani, avesse
imparato 50 segni.

Kanzi, scimpanzé contro bambino:

bonobo Kanzi: a 4 anni impara 80 simboli e produce comunicazioni formate da due o tre parole, si verifica anche la sua capacità di
comprendere frasi poco familiari e sembrava comprendere anche la sintassi  con un test si conclude chele capacità di Kanzi potevano
essere simili a quelle di un bambino piccolo.

si tratta di lingua?

Ogni lingua umana è simbolica, comunica un significato (e queste caratteristiche sembrano riscontrarsi anche negli animali, però non è
chiaro se gli animali intendono la lingua nel senso umano), è strutturata (gli animali sia seguono che violano le regole grammaticali),
generativa e consente la dislocazione (poco presenti negli animali)

10.6 il bilinguismo:

il bilinguismo consiste nell’uso di due lingue nella vita quotidiana.

10.6.1 il bilinguismo influenza le altre capacità cognitive?

Il bilinguismo è correlato a una flessibilità maggiore di pensiero e un rendimento migliore nei test di intelligenza non verbale  i
bambini bilingue rendono meglio nei compiti percettivi che richiedono di inibire l’attenzione verso una caratteristica irrilevante per
prestare attenzione a un’altra perché, quando parlano in una lingua, devono inibire la tendenza a usare parole dell’altra lingua grazie
alla attenzione selettiva.

Il bilinguismo può anche rallentare il declino cognitivo e agisce sulla capacità di attenzione di giovani adulti migliorando le prestazioni
nei compiti di attenzione. Inoltre aiuta a percepire meglio la grammatica della propria lingua madre.

Bambini immigrati in paesi anglofoni che non parlano inglese: risultati migliori se inseriti in classi dove l’istruzione è bilingue = più
autostima, risultati accademici migliori, migliore padronanza della lingua inglese.

10.6.2 il cervello bilingue:

afasia  pazienti bilingui: la capacità linguistica può essere danneggiata solo in una delle due lingue o in entrambe, e il recupero della
menomazione può avvenire in entrambe o solo per una.

Studi di brain imaging  Perani e collaboratori:

 Persone che imparano la seconda lingua da piccoli, o da grandi ma la padroneggiano perfettamente: le due lingue usano una
rete neurale comune (anche se alcune regioni del cervello si attivano di più usando la seconda lingua)  elaborazione della
seconda lingua richiede uno sforzo più cosciente
 Persone che imparano la seconda lingua in età adulta e la padroneggiano meno: più variabilità nel livello di attivazione neurale,
specifiche aree del cervello che elaborano ciascuna lingua sono distinte
Riassunto di Laura Pagani
Anno 2016/2017
10.7 linguaggio e pensiero:

esiste un rapporto tra linguaggio e pensiero?

Linguista Whorf: ipotesi sul relativismo linguistico  le nostre conoscenze linguistiche influenzano e determinano quello che siamo in
grado di pensare

 Contro: studi di Rosch sui Dani della Nuova Guinea  hanno solo due parole per indicare i colori, ma sono in grado di
distinguere e ricordare una vasta gamma di sfumature come chi parla lingue dove esistono molte parole per indicare i colori
 Pro: inglese prevede 11 parole per i colori base, lingua Himba ne prevede 5  i bambini Himba facevano distinzioni meno
precise di quelli inglesi tra i colori

Molti non sono d’accordo con Whorf ma riconoscono che il linguaggio può influenzare il modo in cui pensiamo, percepiamo, le decisioni
che prendiamo e le conclusioni che traiamo, può influenzare anche quanto bene pensiamo in un determinato campo (es. lingua asiatica
facilita lo sviluppo delle abilità matematiche a differenza di quella inglese).

CAP. 11  PENSIERO:

11.1 il pensiero, il cervello e la mente:

i pensieri consci nascono dall’attività unificata di diverse aree cerebrali, anche se non è certo come nasce il pensiero, è chiaro che non
può prescindere dall’attività neurale.

Il pensiero assume forme diverse, le tre forme concorrono alla nostra capacità di ragionare, risolvere problemi, attuare comportamenti
intelligenti:

 Pensiero proporzionale: esprime una proposizione o dichiarazione


 Pensiero per immagini: immagini che possiamo vedere, ascoltare o percepire nella mente
 Pensiero motorio: rappresentazione mentale di movimenti motori

11.2 i concetti e le proposizioni:

gran parte del pensiero prende la forma di proposizioni (dichiarazioni che esprimono idee), che sono formate da concetti (unità basilari
della memoria semantica, categorie mentali in cui collochiamo oggetti, attività, astrazioni con caratteristiche essenziali in comune)
combinati in modo particolare.

E. Rosch: molti concetti sono definiti prototipi (elementi più tipici e familiari appartenenti a una categoria/classe), in base a quanto un
oggetto assomiglia al prototipo appartiene a una determinata classe.

11.3 il ragionamento:

capacità di ragionare e pensare in modo logico: aiuta ad acquisire conoscenze, prendere decisioni valide, risolvere problemi.

11.3.1 il ragionamento deduttivo:

ragionamento deduttivo: partire da principi generali per arrivare a conclusioni relative a una situazione specifica (partire da premesse,
e determinare cosa implicano le premesse rispetto alla situazione)  applicato soprattutto in logica formale e matematica.

Una forma di ragionamento deduttivo è il ragionamento condizionale (se…allora)  studiato con il test delle 4 carte di Wason: in questo
test, anche se la soluzione è abbastanza intuitiva, solo il 10% delle persone risponde correttamente, tuttavia non dimostra l’incapacità di
ragionare logicamente, infatti lo stesso test, riproposto in una versione diversa da Cheng e Holyoak porta il 90% delle persone a
rispondere giustamente  il contenuto di un test influenza la nostra capacità di ragionare efficacemente.

11.3.2 il ragionamento induttivo:

ragionamento induttivo: partire da casi specifici e sviluppare un principio generale. La differenza con il ragionamento deduttivo è
quest’ultimo porta a conclusioni sicuramente vere (se le premesse sono vere) mentre quello induttivo porta a probabilità ma non
certezze assolute.

Spesso i due ragionamenti si completano: uno studioso osservando dei fenomeni può ipotizzare una spiegazione (induttivo), per poi
creare esperimenti per verificare le ipotesi se…allora (deduttivo)

11.3.3 gli errori di ragionamento:

la capacità di ragionare in modo efficace è un fattore chiave del pensiero critico, tuttavia vari fattori possono impedirci di ragionare in
modo corretto.

la distrazione dovuta a informazioni irrilevanti:

spesso le persone non riescono a risolvere i problemi perché non si concentrano sulle informazioni rilevanti, ma si fanno distrarre da
informazioni irrilevanti che le portano fuori strada.

la distorsione da credenza:
Riassunto di Laura Pagani
Anno 2016/2017
tendenza ad abbandonare le regole della logica in favore delle nostre credenze personali:

 Es. tutto quello che si fuma fa bene, le sigarette si fumano, quindi fanno bene  tutti credono che le sigarette facciano male,
quindi giudicano il ragionamento sbagliato. In realtà il ragionamento logico è giusto, è solo la premessa che è errata  molte
persone confondono la correttezza dei fatti con la correttezza della logica.

le emozioni e l’effetto cornice (framing):

a volte abbandoniamo il ragionamento logico per seguire l’istinto (lasciandoci guidare dalle emozioni), spesso le emozioni si infiltrano
anche quando vogliamo ragionare in modo logico  effetto cornice (framing): una informazione/problema può essere presentata in
modi diversi, e il modo può influenzare il ragionamento.

Es. presentare un esito in termini positivi o negativi cambia la nostra percezione: sentire di avere il 50% di possibilità di vita mette più
tranquillità rispetto all’avere 50% di possibilità di morte.

11.4 la soluzione dei problemi e i processi decisionali:

11.4.1 le fasi della risoluzione dei problemi:

la risoluzione dei problemi avviene in 4 fasi, ciascuna deve essere ben eseguita per determinare il successo finale.

comprendere o inquadrare il problema:

la comprensione corretta del problema è fondamentale, la capacità di inquadrare efficacemente i problemi in modi che differiscono dalle
aspettative convenzionali è chiamata abilità di pensare fuori dagli schemi.

generare potenziali soluzioni:

una volta inquadrato il problema si formulano potenziali soluzioni/spiegazioni.

verificare le soluzioni:

una difficoltà comune è applicare le soluzioni trovate al problema.

Luchins: es. delle brocche d’acqua per dimostrare come un set mentale (tendenza a usare soluzioni già provate in passato) possa portare
a risolvere problemi in modo meno efficace.

I set mentali inducono a fissarsi su determinati approcci che hanno funzionato in passato per risolvere problemi  soluzione di nuovi
problemi più difficile.

valutare i risultati:

le soluzioni che hanno successo non sono necessariamente le migliori.

11.4.2 il ruolo degli schemi nella risoluzione dei problemi:

gli schemi di risoluzione dei problemi sono strategie utili a selezionare informazioni e risolvere determinate classi di problemi.

gli algoritmi e l’euristica:

algoritmi e euristica sono strategie di risoluzione dei problemi:

 Algoritmi: formule/procedure che generano automaticamente soluzioni corrette


 Euristica: strategie generali per risolvere problemi che applichiamo a determinate classi di situazione
o Es. analisi mezzi-fini: identifichiamo le differenze tra situazione attuale e obiettivo e provvediamo a cambiare per
ridurre tali differenze  per fare ciò è utile usare anche la analisi dei sotto-obiettivi (dividere il lavoro in fasi
intermedie per arrivare alla soluzione)

11.4.3 incertezza, euristica e decisioni:

quando prendiamo una decisione speriamo che abbia molte possibilità di avere un esito positivo, tendiamo ad applicare l’euristica per
valutare le probabilità.

L’euristica è alla base di molte decisioni induttive (trarre conclusioni dai fatti) e il suo cattivo uso porta ad errori di pensiero: come?

l’euristica della rappresentatività:

come ci appare/sembra? Questa è la prima decisione che deve prendere il sistema percettivo quando elabora stimoli in ingresso.

Usando l’euristica della rappresentatività possiamo stimare quanto qualcosa/qualcuno che ci appare assomiglia al prototipo di un
concetto/classe particolare e quindi quanto sia probabile che appartenga a quella classe  l’uso della rappresentatività però può
condurre a risposte errate, e spesso questo errore è dovuto al confondere la rappresentatività con la probabilità.

l’euristica della disponibilità:


Riassunto di Laura Pagani
Anno 2016/2017
l’euristica della disponibilità ci porta a giudicare e prendere decisioni sulla base della quantità di informazioni disponibili nella memoria,
gli eventi più importanti poi si ricordano meglio di altri, e per questo potremmo sovrastimare le probabilità che qualcosa accada solo
perché lo ricordiamo bene = es. un evento memorabile (caduta delle torri gemelle) può portare a credere che vi siano molte probabilità
che riaccada (calo delle vendite dei biglietti aerei, turismo e del lavoro in luoghi storicamente noti).

11.4.4 la distorsione della conferma e l’eccessiva sicurezza:

quando si prende una decisione è importante verificarla, e il modo migliore è cercare prove che la smentiscono: se troviamo una prova
che smentisce la soluzione, la decisione è sbagliata sicuro, se troviamo solo prove che la sostengono non possiamo essere certi che sia
giusta sicuro (può essere che in futuro si trovi qualcosa che smentisce)  difficile, perché

 Distorsione della conferma (tendenza a cercare prove a sostegno e non contro le nostre credenze)
 Eccessiva sicurezza (tendenza a sovrastimare la correttezza della propria conoscenza dei fatti)

Questi due elementi possono rendere difficile la ricerca di decisioni corrette.

11.5 la conoscenza, la competenza e la saggezza:

competenza e saggezza si fondano sulla conoscenza, trasmessa nelle culture di generazione in generazione e che si pone alla base della
capacità di ragionare, prendere decisioni, risolvere problemi.

11.5.1 acquisire conoscenze, schemi e script:

schema: struttura mentale, modello organizzato di pensiero riguardo qualche aspetto del mondo 

 concetti e categorie sono tipi di schemi e aiutano a costruire una struttura mentale del nostro mondo
 algoritmi ed euristica sono tipi di schemi che forniscono strutture mentali per risolvere alcuni tipi di problemi
 script è un tipo di schema: struttura mentale che riguarda una sequenza di eventi che in genere si svolgono in ordine regolare e
standardizzato
o gli script forniscono conoscenze utili per agire  accresce la conoscenza, i concetti e altri tipi di schemi = più schemi,
più complessi, collegamenti tra essi.

11.5.2 la natura della competenza:

gli schemi aiutano a spiegare cosa significa essere esperti  gli esperti sviluppano numerosi schemi che guidano la soluzione dei
problemi nel loro ambito in modo più efficace rispetto ai novizi che riconoscono con meno facilità quando va applicato ciascuno schema.

Williams e Hodges: non importa quanto talento innato abbia un giocatore, è la continua pratica a creare la abilità.

11.5.3 schemi esperti e memoria:

gli schemi risiedono nella memoria a lungo termine, le persone esperte analizzano un problema con il metodo deduttivo, ritrovano nella
memoria lo schema adatto alla situazione e lo applicano al problema per risolverlo.

I novizi che non hanno ancora appreso schemi specializzati devono risolvere i problemi utilizzando metodi generali presenti nella
memoria di lavoro.

Sviluppando l’esperienza il funzionamento del cervello cambia aumentando l’efficienza di elaborazione.

11.5.4 cos’è la saggezza?

Psicologo Baltes e colleghi: la saggezza è un bagaglio di conoscenze sul significato e il modo di condurre la vita, ed ha 5 componenti
principali:

 ricca conoscenza fattuale della vita


 ricca conoscenza procedurale della vita (strategie per prendere decisioni)
 comprensione dei contesti nell’arco della vita
 consapevolezza del relativismo dei valori e delle priorità

esperienza e saggezza non sono la stessa cosa, la saggezza è molto difficile da conseguire.

11.6 le immagini mentali:

oltre alle modalità di pensiero verbale, esistono le immagini mentali  rappresentazione di uno stimolo che ha origine nel cervello e
non deriva da input sensoriali esterni = es. sogno.

Le immagini mentali più comuni sono quelle visive.

11.6.1 la rotazione mentale:

compito di rotazione mentale: ruotare un oggetto nella mente (per es. per capire se è uguale ad un altro oggetto ruotato in modo
diverso).

Riassunto di Laura Pagani


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L’esperimento di Shepard e Metzler conferma che si può studiare un’immagine mentale con dati oggettivi e non solo basandosi
sull’autovalutazione soggettiva  coppie di oggetti ruotati, definire quali sono uguali: i soggetti affermano di saper ruotare gli oggetti
mentalmente, ma la velocità è limitata, più sono diverse le rotazioni più tempo ci vuole.

11.6.2 le immagini mentali sono quadri nella mente?

Le immagini mentali funzionano in modo simile alle vere immagini visive.

L’immagine mentale come percezione:

Kosslyn: natura percettiva delle immagini mentali  come nel mondo reale la scansione visiva tra due oggetti distanti è più lunga anche
nella mente maggiore è la distanza tra due oggetti presenti su una mappa mentale maggiore è il tempo di scansione = le immagini
mentali comportano una rappresentazione spaziale

11.6.3 le immagini mentali e il cervello:

le immagini mentali sono connesse alla percezione  pazienti cerebrolesi con difficoltà percettive trovano spesso difficile formulare
immagini mentali.

Studi di brain imaging in persone sane rivelano che le regioni del cervello attive durante la percezione di un oggetto, si attivano anche
formando una immagine mentale, inoltre rivelano la presenza di neuroni dell’immaginazione che si attivano rispondendo a stimoli reali
o immaginati.

Lobo parietale sinistro: generazione di immagini, lobo parietale destro: comparazione di immagini  emisfero destro: funzioni visuo-
spaziali, può compensare i compiti di manipolazione delle immagini di solito eseguiti dall’emisfero sinistro.

CAP. 12  INTELLIGENZA:

l’intelligenza non è una cosa concreta, ma un concetto socialmente costruito. Ognuno differisce dall’altro per efficacia in cui impara,
ricorda, pensa e agisce. Una definizione univoca di intelligenza non esiste, ma la più nota è = capacità di acquisire conoscenze, di
pensare, di ragionare efficacemente per interagire adattivamente con l’ambiente

12.1 l’intelligenza in una prospettiva storica:

Galton e Binet aprono la strada ai tentativi di misurare l’intelligenza e scoprirne le origini

12.1.1 sir Francis Galton, quantificare le capacità intellettive:

sostenitore della teoria evoluzionista, credeva nell’ereditarietà del carattere del genio: persone discendenti da persone intelligenti
ereditano costituzioni mentali che li predispongono a pensare meglio.

Cerca di sostenere anche la base biologica dell’intelligenza grazie a una migliore efficienza del sistema nervoso.

Infine sostiene che le dimensioni del cranio riflettano il volume del cervello e quindi dell’intelligenza.

12.1.2 i test mentali di Alfred Binet:

i test di intelligenza moderni iniziano nel XX secolo: Binet parte da due presupposti teorici

 Capacità mentali si sviluppano con l’età


 Ritmo con cui si sviluppano le capacità sono proprie dell’individuo e costanti nel tempo

Il test di Binet è una sorta di intervista standard per stabilire se il livello intellettivo coincide con quello previsto dall’età  risultato è
l’età mentale

 Età mentale: concetto ripreso dallo psicologo Stern  trova un punteggio relativo per persone di diversa età anagrafica = Q.I
(quoziente intellettivo) ovvero rapporto tra età mentale e anagrafica moltiplicato per 100
 Età mentale funziona per i bambini ma non per gli adulti, per gli adulti si misura il QI basato però sulla performance di una
persona rispetto a quella di altre persone di età uguale, e il punteggio 100 corrisponde alla performance media del gruppo

12.1.3 il lascito di Binet, il business dei test di intelligenza:

L. Terman adatta il test di Bine agli Stati Uniti: test Stanford-Binet  (1916 entrata in guerra degli USA) diventa il prototipo dell’Army
Alpha (test per scegliere tra le reclute capaci di leggere) e dell’Army Beta (per le reclute incapaci di leggere).

Dopo il successo di questi test, ne nascono molti altri adatti anche per bambini: più famosi sono i test di Wechsler per misurare sia
capacità verbali che non verbali, e sia per bambini che per adulti  l’ultima versione risale al 2008 e sono i test più usati ad oggi.

12.2 la natura dell’intelligenza:

cos’è l’intelligenza? Due approcci

 Psicometrico: definisce la struttura dell’intelletto e le competenze mentali alla base del risultato del test
Riassunto di Laura Pagani
Anno 2016/2017
 Dei processi cognitivi: studia i processi di pensiero alla base delle competenze mentali

12.2.1 l’approccio psicometrico, la struttura dell’intelletto:

identificare le abilità mentali  si ottengono varie misure di abilità mentali e si correlano tra loro, se risultano simili derivano da una
stessa competenza mentale, se non si correlano riflettono differenti abilità mentali.

l’analisi fattoriale:

Per semplificare le cose si usa la analisi fattoriale: le molte misure sono ridotte a fattori, ogni fattore contiene variabili che si correlano
fortemente tra loro e meno con variabili di altri fattori. L’analisi fattoriale può solo identificare gli aggregati.

Anche se meno correlate, le variabili dei fattori diversi hanno qualcosa in comune = capacità mentale più generale.

il fattore g, l’intelligenza come capacità mentale generale:

psicologo Spearman: teoria psicometrica dell’intelligenza come abilità generale  la performance intellettiva è determinata anche da un
fattore g (intelligenza generale) oltre che da abilità specifiche necessarie al determinato compito, quindi il fattore g è il nucleo
fondamentale dell’intelligenza.

l’intelligenza come sommatoria di abilità mentali specifiche:

Thurstone, University of Chicago: correlazioni tra punteggi delle diverse abilità mentali non erano perfette  la performance mentale
non dipende solo da un fattore generale ma anche da abilità specifiche = abilità mentali primarie.

Gli educatori preferiscono il modello multifattoriale dell’intelligenza rispetto a quello della abilità generale, esso infatti può rilevare
punti di forza e di debolezza degli studenti permettendo di migliorare le abilità più scarse.

l’intelligenza cristallizzata e l’intelligenza fluida:

Cattell e Horn: nuovo modello di intelligenza che divide l’intelligenza generale di Spearman in due sottotipi di fattore g:

 intelligenza cristallizzata (gc): capacità di applicare conoscenze pregresse a problemi attuali  dipende dalla capacità di
recuperare dalla memoria a lungo termine (MLT) informazioni e schemi di soluzione dei problemi, è frutto di apprendimento e
pratica
 intelligenza fluida (gf): capacità di affrontare nuovi problemi  serve ragionamento deduttivo e capacità di problem solving
creativo, di ragionare in astratto, di pensare logicamente, di gestire informazioni archiviate nella memoria di lavoro (WM)
o memoria a breve termine (MBT) e WM sono diverse: la prima archivia informazioni, la seconda oltre ad archiviarle
contribuisce a elaborarle

Engle et al. hanno studiato le relazioni tra memoria (MBT misurata con semplici test, WM con test più complessi) e gf (misurata con test
standard)  connessione tra gf e WM, non rilevata con la MBT = questo perché sia gf che WM usano sistemi attenzionali e di
elaborazione durante i test.

Cattell e Horn: più si avanza di età e più la gf svanisce per diventare più dipendenti dalla gc.

La MLT rimane efficace anche da adulti, quindi la performance nei test della gc è più soddisfacente da adulti. I test di gf hanno risultati
migliori nella fascia 25-35 anni.

il modello a tre strati di Carroll, una sintesi aggiornata:

Carrol: analisi fattoriale che ha portato a un modello di intelligenza che integra Spearman, Thurstone e Cattell-Horn  teoria a tre strati
delle abilità cognitive = tre livelli di capacità mentali organizzate gerarchicamente

 generali: terzo strato  fattore g (su cui si basa tutta la attività mentale)
 ampio spettro: 8 fattori intellettivi (ordinati per correlazione con g)
 ristrette: 70 abilità cognitive molto specifiche

12.2.2 gli approcci che si basano sui processi cognitivi, la natura del pensiero intelligente:

le teorie psicometriche non spiegano perché l’intelligenza varia tra le persone: a ciò rispondono le teorie cognitive  analisi delle
variazioni nel modo in cui le persone recepiscono ed elaborano le informazioni.

Sternberg: teoria triarchica dell’intelligenza  tre tipi di intelligenza e tre componenti dei processi cognitivi (su cui si basa
l’intelligenza)

Componenti:

 metacomponenti: processi intellettivi necessari per la performance operativa  necessarie capacità di problem solving
o differenze tra componenti determinano le differenze nella gf
o persone più intelligenti riflettono di più sui problemi, quelle meno intelligenti agiscono subito

Riassunto di Laura Pagani


Anno 2016/2017
 componenti della performance: processi mentali usati effettivamente per svolgere un compito  include elaborazione
percettiva, recupero di ricordi da MLT, generazione di risposte
 componenti di acquisizione delle conoscenze: imparare dalle nostre esperienze, immagazzinare informazioni, unire nuove
intuizioni con conoscenze pregresse
o queste due componenti determinano le differenze nella gc

Intelligenza:

 analitica: capacità di problem solving di tipo accademico


 pratica: competenze per affrontare la vita quotidiana
 creativa: capacità mentali per risolvere adattivamente problemi originali

tutte e tre hanno un fattore g comune modesto e sono distinte tra loro.

12.2.3 l’intelligenza intesa in senso più ampio, al di là delle capacità mentali:

intelligenza considerata in senso più ampio come pluralità di intelligenze relativamente indipendenti che rispondono a esigenze adattive
diverse.

le intelligenze multiple di Gardner:

Gardner: teoria delle intelligenze multiple  8 tipi di abilità adattive (+1)

 intelligenza linguistica (padroneggiare la lingua)


 logico matematica (ragionamento logico e risolvere problemi matematici)
 visuospaziale (problemi spaziali)
 musicale (capire e produrre musica)
 corporale cinestetica (controllare i movimenti)
 interpersonale (capire e interagire con gli altri)
 intrapersonale (capire se stessi)
 naturalistica (rilevare e comprendere fenomeni naturali)
 +1 intelligenza esistenziale (porsi domande sull’esistenza, la vita, la morte)

Le prime tre si possono testare, le altre no  ma sono tutte intelligenze (non talenti, come suggerito da altri) e richiedono il
funzionamento di moduli separati ma interattivi del cervello.

La forma di intelligenza più apprezzata in una cultura dipende dalle esigenze adattive di quella cultura.

L’intelligenza emotiva:

Mayer e Salovey: intelligenza emotiva (riconoscere le emozioni altrui e proprie, reagire correttamente, auto motivarsi, regolare le
proprie risposte emozionali) ha 4 componenti:

 Percezione delle emozioni = misurata in base alla capacità di riconoscere le espressioni emotive e riferire emozioni provate
 Uso delle emozioni per facilitare il pensiero = conoscere quali emozioni favorirebbero un certo tipo di pensiero
 Comprensione delle emozioni = sapere le condizioni in cui le emozioni si modificano
 Gestione delle emozioni = come si possono modificare le proprie e altrui emozioni per facilitare successo e armonia con sé

Le componenti si misurano grazie al test di Mayer e Salovey MSCEIT.

L’intelligenza emotiva ha vantaggi adattivi e un significato evoluzionistico: chi sviluppa l’intelligenza emotiva ha più successo nelle
relazioni, nel lavoro, nell’educazione e nella vita.

Come misurare le differenze individuali dell’intelligenza?

12.3 la misurazione dell’intelligenza:

test più popolari: scale di Wechsler:

 WAIS-III = composto da subtest che si dividono in due categorie: verbali e di performance  QI verbale, QI di performance e QI
complessivo: le differenze forniscono informazioni utili
 WISC-IV

12.3.1 aumentare il ritorno informativo dei test di intelligenza:

 WISC-IV = valuta intelligenza di bambini tra 6 e 17 anni  QI complessivo, QI comprensione verbale, organizzazione
percettiva, capacità di resistere alle distrazioni, velocità di elaborazione = utile per pianificare interventi formativi ad hoc
rispetto i punti di forza o debolezza dei ragazzi

12.3.2 i test di intelligenza e le teorie di riferimento:

Riassunto di Laura Pagani


Anno 2016/2017
Cattell e Horn con gf e gc  nuovi test che misurano componenti delle due intelligenze

 Test di Kaufman: tre sottoscale per gf e tre per gc  QI separati e uno complessivo

Sternberg e il modello triarchico dell’intelligenza  nuovi test

 STAT: misura le tre forme di intelligenza  aiuta a predisporre programmi scolastici individualizzati per ottimizzare
apprendimento e profitto

12.3.3 dovremmo misurare l’attitudine o i risultati raggiunti?

 Test di livello: scopre quanto si è appreso nella vita


o Pro = fattore predittivo valido per la futura performance in una situazione simile
o Contro = premettono che tutti abbiano avuto le stesse possibilità di apprendere il materiale in oggetto, cosa non
sempre vera
 Test attitudinale: prescinde dall’apprendimento pregresso e misura il potenziale di apprendimento
o Pro = più equi, dipendono dalla capacità di reagire ai problemi
o Contro = è difficile costruire test che siano indipendenti davvero dalle conoscenze pregresse e non è un valido fattore
predittivo per il futuro

12.3.4 gli standard psicometrici per i test di intelligenza:

test psicologico = metodo per misurare le differenze individuali rispetto a un determinato costrutto psicologico, si basa sull’analisi del
comportamento messo in atto in una situazione strutturata e controllata.

Nei test di intelligenza il costrutto è l’intelligenza, i punteggi ne rappresentano la definizione operativa.

Per progettare un test: decidere i comportamenti che faranno da indicatori, e i quesiti che misurino le capacità in esame, poi va
somministrato a un campione in condizioni standardizzate.

Tre principi fondamentali: affidabilità, validità, standardizzazione.

l’affidabilità:

affidabilità  coerenza della misurazione

 Coerenza nel tempo: punteggi ottenuti stabili nel tempo  affidabilità test-retest = anche se le competenze cognitive da
bambini ad adulti si sviluppano rapidamente, i QI sono stabili
 Coerenza interna: nei vari subtest i quesiti misurano la stessa competenza
 Affidabilità intergiudici: diversi valutatori osservano uno stesso evento e producono punteggi simili (servono istruzioni per
assegnazione di punti molto chiare)

la validità:

precisione con cui un test misura ciò che dovrebbe misurare  diversi tipi

 Validità del costrutto: test misura il costrutto psicologico che dovrebbe misurare  non si realizza mai, ci sono altri fattori che
influenzano i punteggi (motivazione, livello di istruzione)
 Validità del contenuto: quesiti misurano tutte le conoscenze e competenze che dovrebbero supportare il costrutto  se misura
ciò che deve misurare, il QI prodotto dai test dovrebbe farci prevedere altri comportamenti influenzati dall’intelligenza =
misure del criterio
 Validità riferita al criterio: capacità dei punteggi di correlarsi con misure significative del criterio

Il test di intelligenza dovrebbe prevedere tipi di risultati come performance scolastica o lavorativa.

il Q.I e la performance accademica:

un buon risultato nei test di solito indica una buona riuscita anche nella scuola, le valutazioni delle abilità verbali o matematiche al liceo
può prevedere l’andamento universitario.

performance lavorativa, reddito e longevità:

abilità mentale può predire il livello occupazionale e la performance all’interno dell’occupazione  individui più intelligenti accedono a
professioni più prestigiose, guadagnano di più, fanno meglio nel loro lavoro.

La intelligenza predice anche vita e morte  elevata intelligenza porta a una sopravvivenza più lunga (forse perché un basso QI può
essere determinato da problemi pre o post natali che influiscono negativamente sulla salute, o forse l’intelligenza è legata al pieno
sviluppo degli organi, forse l’intelligenza porta a condurre una vita più sana in luoghi più sicuri)

la standardizzazione:

due significati:
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 Sviluppo delle norme: raccolta di punteggi derivati da un vasto campione che mettono a disposizione una base per interpretare
il punteggio del singolo  durante la raccolta i punteggi formano una distribuzione normale: al centro la media (QI 100 per
convenzione) e ai lati i punteggi inferiori o superiori
 Definizione di procedure

effetto Flynn, stiamo diventando più intelligenti?

Gran parte della popolazione mondiale fa sempre meglio i test  spostamento della curva o effetto Flynn (es. Stati Uniti e Regno Unito
incremento di 20 punti dal 1919 e dal 1942, in Occidente tre punti per decennio).

Le motivazioni dell’effetto Flynn non sono chiare: migliore nutrizione, ambienti di apprendimento più ricchi e quindi maggiore sforzo
adattivo, processi tecnologici, televisione, media aiutano a innalzare il QI  necessità di ricalibrare verso l’alto la distribuzione dei
punteggi.

12.3.5 misurare l’intelligenza nelle culture non occidentali:

test di intelligenza tradizionali si basano su competenze cognitive e apprendimento in contesti educativi occidentali  non possono
misurare efficacemente l’intelligenza impiegata in contesti culturali che richiedono diverso tipo di comportamento adattivo.

Sternberg riteneva che per agire in ogni cultura servivano delle capacità mentali di base, tuttavia differiscono i problemi a cui si
applicano queste capacità di base  diversi modi di affrontare i problemi.

Due approcci:

 Scegliere problemi che prescindano dalla cultura specifica  riflettono la capacità di valutare e analizzare determinati stimoli
(es. test di Raven: misura la capacità mentale generale)
 Creare indicatori su misura per le competenze richieste nelle varie culture  può predire il successo in una determinata
cultura

12.4 ereditarietà, ambiente e intelligenza:

geni e ambiente influenzano l’intelligenza e si influenzano a vicenda.

L’intelligenza ha una componente genetica (vedi cap.3): più geni hanno in comune le persone più i loro QI sono simili, i fattori genetici
diventano più rilevanti man mano che invecchiamo. Non esiste tuttavia un gene dell’intelligenza, anche se sono stati identificati geni che
potrebbero associarsi ad essa.

Il genotipo è importante, ma anche l’ambiente, che pesa 30-50% sui punteggi dei test, in particolare l’ambiente famigliare. Spesso i
punteggi si correlano alla condizione socio economica della famiglia in cui cresce il soggetto  effetto Flynn: ambiente in cui viviamo è
più idoneo allo sviluppo delle capacità mentali, la scolarizzazione aumenta il QI.

12.5 le differenze di intelligenza tra gruppi:

esistono differenze presenti tra classi sociali, tra generi che hanno generato un dibattito.

12.5.1 le differenze di genere nelle abilità cognitive:

uomini e donne differiscono nei test di intelligenza, non nella intelligenza generale ma nelle competenze cognitive specifiche (es. uomini
migliori nelle competenze spaziali, motorie dirette a un obiettivo, ragionamento matematico, e donne migliori nella velocità percettiva,
capacità verbale, calcolo matematico, attività motoria di precisione)  i QI di uomini e donne non differiscono significativamente (studi
di Deary et al. e di Strand et al).

esistono delle differenze tra generi (come i migliori esiti negli esami di stato delle ragazze rispetto ai ragazzi) e sono spiegate attraverso
fattori

 Biologici: effetti degli ormoni sullo sviluppo e l’organizzazione del cervello, sui comportamenti (come aggressività o approcci
diversi ai problemi)  gli ormoni sono importanti nel determinare il QI ma ancora non è certo il loro ruolo.
 Ambientali: esperienze di socializzazione, attività tipiche diverse  ruoli dei due sessi derivanti dal passato hanno favorito lo
sviluppo di abilità specifiche femminili e maschili.

12.5.2 convinzioni, aspettative e performance cognitiva:

le convinzioni influiscono sulle performance: cambiano il modo in cui interagiamo con gli altri  es. sapere che un alunno ha particolari
doti o lacune ci porta a aumentare o diminuire l’attenzione e l’impegno didattico verso esso influenzando il suo rendimento e lo sviluppo
delle abilità cognitive. Anche la convinzione riguardo noi stessi può influenzare la nostra performance.

Gli stereotipi sulle capacità di minoranze o donne influenzano la performance di questi.

12.6 i valori estremi dell’intelligenza:

ci sono persone con abilità mentali insolite che si trovano ai lati della curva di distribuzione dell’intelligenza.

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12.6.1 i soggetti intellettivamente dotati:

con un QI sopra il 130, sono molto bravi in un’area delle competenze mentali ma nella media nelle altre aree.

Alcuni pensano che i bambini dotati ragionino come quelli normali solo in modo più efficace, altri ritengono che abbiano un diverso
approccio mentale che comporta intuito e passione in un determinato ambito. Solo pochi bambini dotati arrivano a fare grandi cose in
età adulta.

Secondo Renzulli il successo dei geni dipende da tre fattori interconnessi: possesso di capacità mentali particolarmente sviluppate,
capacità di impegnarsi nel problem solving creativo, motivazione e impegno.

I bambini intellettivamente dotati richiedono particolari opportunità educative che li stimolino (es. programma gifted and talented in
Gran Bretagna per dare ulteriori stimoli oltre al tradizionale insegnamento), spesso però sono stati de-enfatizzati i programmi per
bambini dotati in nome di un uguaglianza che porta anche a mettere nelle classi normali i bambini ritardati.

il ritardo mentale:

sistema a quattro livelli per classificare il ritardo mentale in lieve, moderato, severo o grave sulla base dei punteggi per il QI.

La maggioranza si trova nella fascia lieve, e con supporti sociali ed educativi adeguati può vivere da adulto una vita normale. Questi
bambini hanno (vedi cap.4) carenze nelle funzioni esecutive: ragionamento, pianificazione, valutazione del feedback relativo ai loro
sforzi.

Cause del ritardo:

 Genetiche: ritardi dovuti a incidenti genetici più che al genotipo ereditato, quindi coinvolgono patologie
 Biologiche: problemi perinatali, malattie contratte dalla madre durante la gravidanza, droghe o alcool durante la gestazione
 Ambientali

Politiche educative per il ritardo mentale: pratica del mainstreaming ovvero programmi di inclusione dei bambini ritardati nelle classi
normali, con l’aiuto di corsi individualizzati.

CAP. 13  MOTIVAZIONE:

motivazione ed emozione sono collegati, quando le nostre motivazioni sono minacciate o soddisfatte proviamo emozioni; le emozioni
poi possono costituire delle motivazioni per agire. Motivazioni ed emozioni derivano da una combinazione di fattori biologici, psicologici
e ambientali.

13.1 prospettive sulla motivazione:

la motivazione è il processo che influenza direzione, persistenza e vigore di un comportamento diretto a uno scopo.

13.1.1 evoluzione, istinti e geni:

teoria evoluzionista di Darwin: è l’istinto (caratteristica ereditaria che produce una risposta automatica a uno stimolo) che motiva gran
parte dei comportamenti  ormai scomparsa come teoria.

Studi sui contributi genetici alle motivazioni: effetti sulla motivazione della modificazione di alcuni geni specifici (vedi cap.3).

Studi sull’influenza dell’ereditarietà: analisi di gemelli e figli adottati.

Oggi gli psicologi evoluzionisti ritengono che molte motivazioni abbiano basi evoluzionistiche espresse attraverso l’azione dei geni

13.1.2 l’omeostasi e le pulsioni:

1932 W. Cannon: omeostasi = stato di equilibrio fisiologico interno che cerchiamo di mantenere  serve:

 Meccanismo sensoriale: rileva i cambiamenti del corpo e invia informazioni


 Centro di controllo: riceve informazioni e regola la risposta
 Sistema di risposta: ripristina l’equilibrio

1943 C. Hull: teoria delle pulsioni nella motivazione = alterazioni fisiologiche dell’omeostasi producono pulsioni:

 = stati di tensione interna che motivano a comportamenti per ridurre tali tensioni
 Comportamenti che riducono tali pulsioni vengono rafforzati (vedi cap.8)
 Oltre le pulsioni esistono anche incentivi esterni per la motivazione

La motivazione però non può sempre spiegarsi con impulsi biologici interni.

1955 Hebb: approcci sull’attivazione ottimale = l’approccio si basa sul fatto che l’ambiente influenza l’attivazione del cervello, e il
cervello influenza il comportamento

 Approccio
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 Evitamento

1975 Seligman: impotenza appresa: rapporto tra comportamento ed esiti del comportamento  impotenza nasce quando non c’è
relazione tra i due

 Esperimento Seligman e Maier: tre condizioni (una in cui non si ha nessun controllo sullo stimolo, una in cui si ha totale
controllo e un gruppo senza stimoli)  quando non si ha alcun controllo sugli esiti, le motivazioni calano

13.1.3 la motivazione all’approccio e all’evitamento:

1991 J. Gray:

 sistema di attivazione comportamentale (BAS) stimolato ad agire da segnali di potenziale ricompensa = massimizzare il
piacere
 sistema di inibizione comportamentale (BIS) che risponde a stimoli che segnalano potenziali punizioni = minimizzare il dolore

studi elettrofisiologici e con FMri (vedi cap.4): area prefrontale emisfero sinistro fa parte del BAS, strutture del sistema limbico e lobo
frontale destro fanno parte del BIS.

Tali sistemi collegano emozione e motivazione: BAS collega le motivazioni della scelta di un approccio e gli incentivi a emozioni positive,
BIS collega i motivi dell’evitamento a emozioni negative.

13.1.4 i processi cognitivi: gli incentivi e le aspettative:

incentivi e aspettative = stimoli ambientali che attirano un organismo verso un obiettivo.

Approccio cognitivo = teoria aspettativa-valore: comportamento rivolto a un obiettivo è determinato dalla aspettativa di raggiungere un
obiettivo con quel comportamento e dal valore incentivante dato all’obiettivo.

Distinzione tra motivazioni estrinseche (attività svolta per ottenere ricompense o evitare punizioni) e intrinseche (attività svolta per il
piacere di farla)

13.1.5 i punti di vista psicodinamici e umanistici:

motivazioni considerate nel contesto dello sviluppo personale.

Modello del doppio istinto di Freud ha stimolato teorie psicodinamiche che sottolineano come ci siano diverse motivazioni: desiderio di
autostima e appartenenza, che siamo guidati da processi mentali consci e inconsci (non sempre si è consapevoli dei fattori che motivano
a comportarsi in un certo modo)

la gerarchia dei bisogni di Maslow:

1954 Maslow: teorico umanista = modello motivazionale  alla base desiderio di crescita personale  gerarchia dei bisogni = piramide
dei bisogni

 base: bisogni fisiologici


 vertici: bisogni di crescita personale

soddisfacendo i bisogni alla base possiamo poi soddisfare quelli ai vertici.

L’autorealizzazione (necessità di soddisfare il nostro potenziale) è la motivazione ultima: miglioramento di se e di tutti.

la teoria dell’autodeterminazione:

E. Deci e R. Ryan: teoria umanistica dell’autodeterminazione: tre bisogni psicologici (competenza, autonomia, relazioni)

 motivazione della competenza: bisogno di nuove sfide e perfezionarsi  il comportamento diventa ricompensa e trova
motivazioni in sé
 bisogno di autonomia: libertà, regolamentarsi da soli, porta a controllo personale, autorealizzazione
 bisogno di relazioni: desiderio di creare legami (complementare a quello di autonomia)

13.2 la fame e la regolazione del peso:

numerosi fattori biologici, psicologici e ambientali influenzano la assunzione del cibo

13.2.1 la fisiologia della fame:

metabolismo: tasso di utilizzazione energetica del corpo  meccanismi fisiologici mantengono in omeostasi energetica il corpo
regolando la assunzione di cibo.

intervengono però anche altri fattori, per cui fame e sazietà non sono legate solo a bisogni energetici.

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Set point: standard biologicamente determinato che regola la nostra massa grassa mantenendola costante  limiti: non ci mantiene
necessariamente allo stesso peso seppure rende difficile la perdita o la assunzione eccessiva di peso rispetto al set point.

i segnali che indicano l’inizio e la fine di un pasto:

la fame non dipende dal nostro stomaco (chi ha subito la asportazione dello stomaco continua a provare sazietà e fame).

Mangiando gli enzimi della digestione riducono il cibo in glucosio, quando il livello di glucosio scende, il fegato converte i nutrienti
immagazzinati in glucosio. I cambiamenti nel rifornimento di glucosio disponibile mandano segnali al cervello che regola la fame.

Quando il cibo arriva all’intestino tenue esso rilascia colecistochinina, un peptide che arrivando al cervello stimolano la sazietà.

i segnali che regolano l’appetito generale e il peso:

la leptina è un ormone secreto dalle cellule adipose che diminuisce l’appetito e aumentala spesa energetica  livelli carenti possono
indurre eccesso di fame, ingestione eccessiva di cibo, tuttavia la leptina non fa sentire sazi come la colecistochinina.

Sugli umani: esperimenti su gemelli obesi entrambi  quello che si è sottoposto a una cura di leptina è dimagrito  importante la
leptina nel regolare il peso umano.

i meccanismi cerebrali:

 nucleo ipotalamico laterale: centro fame attivata  stimoli portano a mangiare, lesioni portano al rifiuto del cibo
 nucleo ipotalamico ventromediale: centro fame disattivata  stimoli portano a smettere di mangiare, lesioni a un aumento del
peso  aumenta perché aumenta la produzione di insulina (immagazzina più cibo come grasso)

questi due centri non sono realmente centri di attivazione e disattivazione della fame.

 Nucleo paraventricolare: neuroni con recettori dei vari trasmettitori che stimolano o riducono l’appetito.

Psicologo Blundell: cerca di combinare tutti i fattori  interazione tra vari livelli: aspetti psicologici, comportamentali associati, livello
metabolico e fisiologico, neurotrasmettitori e eventi metabolici nel cervello.

13.2.2 gli aspetti psicologici della fame:

ingestione di cibo regolata anche da atteggiamenti, abitudini, bisogni psicologici:

 Riduzione del cibo: deriva dalla pressione sociale che spinge a conformarsi a standard di bellezza  da anni ’50 a ’90 tendenza
a corpo ideale sempre più magro
 Donne: sempre meno soddisfatte del proprio corpo rispetto gli uomini  tuttavia se le donne si ritengono spesso troppo
grasse, gli uomini si ritengono spesso troppo magri e poco muscolosi.
 Differenze tra peso ideale e reale minori nelle culture con meno esposizione al valore positivo della magrezza tipicamente
occidentale

13.2.3 i fattori ambientali e culturali:

regolatori dell’alimentazione:

 Disponibilità di cibo  scarsità o abbondanza producono il consumo o meno di cibo


 Varietà e sapore del cibo  molta varietà e buon sapore aumentano il consumo
 Odori e aspetto del cibo associato al sapore  un odore può scatenare la fame
 Compagnia  mangiare assieme aumenta il consumo
 Norme culturali

13.2.4 l’obesità:

l’indice di massa corporea (IMC) dimostra che l’obesità varia da paese a paese.

L’obesità è un rischio per chi ne soffre e oggetto di stereotipi e pregiudizi (non è necessariamente vero che l’obesità si colleghi a scarsa
forza di volontà, sensibilità maggiore agli stimoli esterni, disturbi emotivi, modi disfunzionali di affrontare lo stress)

i geni e l’ambiente:

 Ereditarietà: influenza il metabolismo basale e la tendenza a immagazzinare energia come grasso o tessuto magro
 Fattori genetici: pesano tra il 40-70% nella variazione dell’IMC
 Fattori ambientali:
o Cibi poco costosi ma saporiti e con molti grassi
o Importanza del buon affare: porzioni più grandi
o Tecnologia che rende superflua l’attività fisica
o Elevati livelli di dopamina rendono più sensibili alle proprietà rinforzanti del cibo

le diete e la perdita di peso:


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spesso essere grassi è uno stimolo a rimanerlo: livelli di insulina più elevati, difficoltà nella ginnastica.

L’aumento di libri e pubblicità per dimagrire fa notare l’interesse crescente nel voler perdere peso: per motivi di salute o per
preoccupazioni psicologiche e pressioni sociali  donne spesso possono generare disturbi.

 Anoressia nervosa: ridurre il cibo fino alla morte per paura di ingrassare  peso inferiore dell’85% rispetto alla norma,
cessazione delle mestruazioni, osteopenia, affaticamento del cuore, rischio di morte
 Bulimia nervosa: paura di ingrassare ma assunzione di cibo incontrollata seguita da purghe (vomito, lassativi)  erosione dei
denti, problemi gastrici

90% delle persone affette da bulimia o anoressia sono donne, gli uomini hanno più successo nelle cure perché passa poco tra
manifestazione e remissione.

le cause di anoressia e bulimia:

fattori combinati ambientali, psicologici

 Anoressia e bulimia comuni nelle culture industrializzate

Fattori della personalità

 Perfezionismo, obiettivo del successo con standard elevati  anoressia come battaglia per il controllo tra cibo e persona
(spesso deriva dal rapporto cn i genitori che non approvano e impostano standard alti: modo per punire i genitori)
 Depressione, ansia, scarso controllo, mancato senso di identità personale  bulimia: mangiare per calmare lo stress e poi
purgarsi per i sensi di colpa

Fattori biologici:

 Fattori genetici: neurotrasmettitori e squilibri ormonali influenzano l’alimentazione


 Cambiamenti chimici = risposta iniziale a modelli anormali di alimentazione che poi perpetrano il disturbo

13.3 la motivazione sessuale:

motivazione al sesso: riproduzione e piacere, ma anche per esprimere amore, intimità, adempiere a doveri coniugali, conformarsi alla
pressione sociale.

13.3.1 la fisiologia del sesso:

1953 Masters e Johnson: studio sulle risposte sessuali di uomini e donne in laboratorio.

il ciclo di risposta sessuale:

ciclo in 4 fasi:

 Eccitamento: flusso sanguigno si concentra nelle zone erogene e negli organi genitali
 Plateau: continuo finche non raggiunge la tensione muscolare sufficiente
 Orgasmo
 Risoluzione: negli uomini segue all’orgasmo una risoluzione e un periodo refrattario in cui non può avere altri orgasmi, nella
donna possono esserci più orgasmi di fila

le influenze ormonali:

ipotalamo: controlla la ghiandola pituitaria che regola la secrezione di ormoni gonadotropine, questi ormoni influenzano la secrezione di
androgeni (testosterone) nelle gonadi e di estrogeni (es. estradiolo).

Questi ormoni hanno

 Effetto organizzativo: controllano lo sviluppo delle caratteristiche sessuali maschili o femminili durante la formazione
dell’embrione e durante la pubertà
 Effetto di attivazione: stimolano e influenzano il desiderio sessuale e il comportamento  il desiderio non varia a ogni
cambiamento di livello di ormoni nel sangue

In uomini e donne sono gli androgeni a influenzare maggiormente il desiderio sessuale.

13.3.2 la psicologia del sesso:

fantasia sessuale: processi mentali influenzano il funzionamento psicologico.

Fattori fisiologici possono scatenare o inibire l’eccitazione sessuale.

Disfunzioni sessuali: attività sessuale cronicamente menomata che angoscia una persona  ferite, malattie, effetti di droghe, ansia da
prestazione, conseguenza psicologica dii aggressioni o abusi.

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13.3.3 le influenze ambientali e culturali:

cultura può influenzare il comportamento sessuale, il significato del sesso dipende dal contesto culturale (es. alcune società vietano il
sesso prematrimoniale, altre lo considerano opportuno).

Anche gli stimoli ambientali possono influenzare il desiderio e li troviamo nella vita quotidiana e nei media.

Studi sulla pornografia: può indurre allo stupro? Risultati ambigui:

 Chi visiona pornografia violenta aumenta temporaneamente la tendenza a essere aggressivi con le donne, ma non con gli
uomini
 Gli uomini che già da prima manifestavano tendenze simili sono più influenzati

13.3.4 l’orientamento sessuale:

orientamento sessuale: preferenze emotive ed erotiche verso un determinato sesso, ha tre dimensioni: identità del sé, attrazione
sessuale, comportamento sessuale reale.

le determinanti dell’orientamento sessuale:

in dall’infanzia gli omosessuali sentono di essere diversi dai compagni dello stesso sesso ed è probabile che abbiano comportamenti non
conformi al genere.

 Anni ’90: teorie sulle differenze anatomiche del cervello di eterosessuali e omosessuali
 studi sull’ereditarietà e la genetica dell’orientamento sessuale (più è stretta la parentela più è alta la percentuale di
concordanza sull’orientamento)  ereditarietà influenza la personalità di base che indirizza i soggetti ad attività conformi o
meno al proprio sesso
 Modello neurale che predispone a preferire uomini o donne: attività prenatale dell’ormone sessuale, se segue percorsi maschili
o femminili
 Influenze ambientali
 Predisposizione biologica ed esperienze di socializzazione

13.4 la motivazione sociale:

il bisogno di appartenenza è una motivazione fondamentale

13.4.1 perché ci affiliamo?

I rapporti sociali positivi sono un contributo importante per una vita soddisfacente: aiutano a isolare gli elementi stressanti della vita
(es. stringere la mano a qualcuno in un momento angosciante diminuisce l’eccitazione psicologica).

1987 C. Hill: 4 motivi di affiliazione

 ottenere stimoli positivi


 ricevere sostegno emotivo
 ottenere attenzione
 consentire il confronto sociale  raffrontare le nostre credenze, sentimenti, comportamenti con quelli altrui

modello omeostatico del bisogno di affiliazione: fascia ottimale di contatti sociali  porta a cercare o meno compagnia o solitudine.

Altri fattori che influenzano l’affiliazione: paura porta a voler compagnia, l’esclusione porta il desiderio di riallacciare rapporti sociali,
ostracismo in giochi online può portare effetti negativi.

13.5 la motivazione al successo:

bisogno di realizzazione: desiderio positivo di riuscire in un compito e competere con successo negli standard di eccellenza.

13.5.1 la motivazione al successo e la paura di fallire:

McClelland e Atkinson: il comportamento deriva dalla motivazione al successo (positivo, parte BAS) o dalla paura di fallire (negativo,
parte BIS)  il bisogno di realizzazione è l’orientamento positivo al successo.

Test psicologico per misurare la motivazione la successo: bisogno di realizzazione e paura di fallire non sono correlati, possono esistere
entrambi nelle persone con livelli diversi.

 Entrambi sono a livelli alti: ansia della paura di fallire vanifica l’effetto del bisogno di realizzazione e ostacola il rendimento
 Obiettivi elevati e scarsa paura: fortemente motivati al successo, in un compito impegnativo rende meglio

Una persona molto motivata al successo sceglie compiti a difficoltà media, le persone scarsamente motivate scelgono compiti molto
facili o molto difficili per avere successo o non avere aspettative in partenza  conta la percezione del singolo dell’incertezza dell’esito

13.5.2 la teoria del conseguimento dell’obiettivo:

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motivazione al successo  obiettivi da conseguire  teoria del conseguimento dell’obiettivo: modo in cui il successo è definito dal
singolo e nella situazione

 Livello individuale: orientamento alla padronanza (miglioramento personale) o all’ego (rendere meglio di altri)
 Livello situazionale: clima motivazionale (incoraggia o meno un approccio orientato alla padronanza o all’ego)

13.5.3 orientamenti verso il conseguimento dell’obiettivo:

motivazione al successo: obiettivi da conseguire

 obiettivi di approccio basati sulla padronanza: imparare nuove conoscenze e abilità  negli studenti porta a risultati migliori
 obiettivi di approccio basati sull’ego: competizione per essere giudicati favorevolmente dagli altri  negli studenti alto
rendimento ma scarsa motivazione intrinseca
 obiettivi di evitamento basati sulla padronanza: paura di non rendere all’altezza dei propri standard  pochi rapporti con il
rendimento
 obiettivi di evitamento basati sull’ego: evitare di fare meno bene di altri  negli studenti risultati peggiori

formano una struttura 2x2  teoria del conseguimento degli obiettivi 2x2: ciascuno può essere descritto in funzione di un profilo
motivazionale verso l’obiettivo

il clima motivazionale:

fattori situazionali influenzano come definire il successo  clima motivazionale

 clima che coinvolge l’ego: persone spinte a competere


o rinforza la convinzione che sia la capacità e non il lavoro a portare il successo, trova soddisfazione nella competizione
e non nel miglioramento personale
 clima che coinvolge la padronanza: sforzi, godimento della attività, miglioramento personale in rilievo
o stimola la motivazione intrinseca, il godimento dell’ambiente, rafforza l’autostima, aumenta le prestazioni

13.5.4 la famiglia, la cultura e il bisogno di successo:

come si sviluppa la motivazione al successo?

 Un clima motivazionale di padronanza incoraggia un orientamento alla padronanza


 Norme culturali: culture individualistiche valorizzano il successo personale, culture collettiviste risalta il desiderio di essere
accettati, e lavorare per gli obiettivi del gruppo
 Trascendendo la cultura, in modo individuale: es. chi voleva emigrare era più motivata al successo degli studenti che volevano
rimanere in patria

13.5.5 il conflitto motivazionale:

obiettivi motivazionali in conflitto:

 approccio-approccio: due alternative allettanti


 evitamento-evitamento: due alternative indesiderabili
 approccio-evitamento: attratti e respinti dallo stesso obiettivo

le tendenze all’approccio o evitamento si fanno più intense più ci avviciniamo all’obiettivo.

Le persone dominate dal sistema BAS sono più sensibili agli stimoli positivi, mentre coloro BIS ai risvolti negativi.

CAP. 14  EMOZIONE:

L’emozione:

- È uno stato/vissuto personale che provoca reazioni fisiologiche, comportamentali e cognitive agli eventi.
- Ha una funzione di adattamento (emozioni negative come paura e allarme = sopravvivenza, emozioni positive = creare
rapporti, ampliare pensieri e comportamenti per raggiungere obiettivi)
- È una forma di comunicazione sociale (e. negative o positive influenzano il comportamento altrui nei nostri confronti)
- È legata alla motivazione: abbiamo reazioni emotive quando la nostra motivazione viene gratificata o delusa (= R. Lazarus

La capacità di autoregolare le proprie emozioni è un indice di stato psicologico sano.

14.1 pensare all’emozione:

Terminologia:

- Emozione: risposte provocate da uno stimolo, brevi e molto intense (es. rabbia, gioia)
- Umore: stato meno intenso, più stabile

Come concepire le emozioni?


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- Ekman: le emozioni derivano da un numero ristretto di emozioni di base innate e universali
- Approccio dimensionale espresso nel modello circonflesso: emozioni si collocano tra due dimensioni ovvero valenza (da
piacere a disgusto) e attivazione (da attivata a disattivata)

14.2 la natura delle emozioni:

4 caratteristiche delle emozioni:

- Sono scatenate da stimoli elicitanti esterni o interni


- Derivano dalle valutazioni che facciamo degli stimoli
- Il corpo risponde fisiologicamente alle valutazioni
- Comprendono tendenze comportamentali espressive o strumentali

Queste 4 componenti si influenzano a vicenda in un processo dinamico in cui i 4 elementi possono cambiare nel corso di un episodio
emotivo (es. pensieri influiscono sulle sensazioni, le sensazioni influenzano le valutazioni, e possono entrare in gioco anche ricordi,
motivazioni idee, tendenze all’azione…)

14.2.1 gli stimoli elicitanti:

gli stimoli elicitanti:

- Sono interni o esterni


- Sono influenzati da fattori biologici innati
- Sono influenzati anche dall’apprendimento: un’esperienza pregressa può trasformare determinate persone o cose in stimoli
elicitanti (a livello generale: ogni cultura ha un’idea di bene, male, bello, brutto… diversa che influenza le nostre valutazioni e
come rispondiamo agli stimoli)

14.2.2 la componente cognitiva:

le valutazioni cognitive:

- Sono le interpretazioni e i significati che attribuiamo agli stimoli sensoriali


- Ci permettono di rispondere adeguatamente a una situazione emotiva (la risposta comprende intenzioni comportamentali ed
espressioni facciali) = Scherer
- Coinvolgono processi inconsci e consci  es. le emozioni forti si scatenano in modo automatico e solo dopo vengono valutate
razionalmente

Il fatto che una emozione sia scatenata da valutazioni cognitive giustifica la diversità delle reazioni alla stessa situazione.

Ambito della ricerca interculturale: studio condotto su 27 paesi  ci sono analogie interculturali rispetto valutazioni di emozioni come
gioia, paura, rabbia… ma nonostante alcune costanti interculturali nelle valutazioni, esiste una diversità culturale nell’interpretazione,
valutazione e reazione a situazioni analoghe.

14.2.3 la componente fisiologica:

le strutture cerebrali e i neurotrasmettitori:

le emozioni coinvolgono sistema limbico (tra cui amigdala e ipotalamo) e corteccia cerebrale (dove risiedono meccanismi del linguaggio
e del pensiero complesso).

La capacità di regolare l’emozione dipende molto dalle funzioni esecutive della corteccia prefrontale (dietro la fronte).

Psicologo J. LeDoux  talamo riceve input dai sensi e invia messaggi attraverso la via alta (arriva alla corteccia) o bassa (arriva alla
amigdala). La via bassa permette di generare risposte emotive prima che la corteccia interpreti cosa ha generato la reazione. È un
meccanismo primitivo utile alla sopravvivenza. La amigdala funziona anche come sistema di allarme anticipato a stimoli sociali
minacciosi.

Neuroscienziata C. Pert  le sostanze di neurotrasmissione attivano i programmi emozionali (es. dopamina o endorfine causano
emozioni gradevoli, serotonina causa emozioni negative).

L’attivazione degli emisferi e l’emozione:

in seguito a trattamenti clinici con elettroshock si era notato che l’attivazione dell’emisfero sinistro poteva originare emozioni positive
mentre il destro negative. R. Davidson e N. Fox verificano queste affermazioni confermandole e pensano che questo sia un modello
innato, inoltre studiano le reazioni degli emisferi a riposo, in condizioni emotivamente neutre: chi presenta maggiore attività
nell’emisfero destro tenderà per es. a piangere se neonati, o a rischiare depressione se adulti.

I processi autonomi e ormonali:

tra le varie emozioni di base si verificano solo lievi differenze autonome, il modello di attivazione generale di una risposta varia da
persona a persona anche di fronte alla stessa emozione, quindi le emozioni di base non hanno manifestazioni fisiologiche distintive e
universali.
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14.2.4 la componente comportamentale:

i comportamenti espressivi (manifestazioni emotive osservabili) ci permettono di capire le emozioni che prova una persona e a volte
suscitare in noi risposte simili (empatia).

L’evoluzione e l’espressione delle emozioni:

Da dove derivano le espressioni:

- Darwin “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali” 1999  prodotte dall’evoluzione e utili alla sopravvivenza.
Sostiene la somiglianza delle espressioni tra animali e uomini. D. pensava che molte espressioni fossero innate.
- Teorici dell’evoluzione moderni:
o confermano il valore adattivo delle espressioni
o al sistema nervoso sono collegate risposte emotive fondamentali e innate simili in tutte le culture  base universale
biologica
o emozioni si basano su una combinazione di quelle innate (non tutte sono innate, anche quelle innate possono
modificarsi con l’apprendimento sociale)

L’espressione delle emozioni sul volto: le espressioni facciali:

Elkman e Friesen hanno elaborato il FACS (Facial Action Coding System) per studiare meglio le espressioni del volto.

Tuttavia spesso le persone imparano a esprimere le stesse emozioni in modi diversi, in questo caso conoscere la situazione che ha
generato l’emozione può aiutare.

In molte culture le donne si sono dimostrate migliori a riconoscere le espressioni emotive rispetto agli uomini.

Secondo Darwin alcune espressioni indicano specifiche emozioni e uno studio ha confermato che c’è concordanza sulle foto che
esprimono emozioni di base sottoposte a culture diverse, anche se non mancano variazioni.

Ekman compie uno studio sulle somiglianze e differenze culturali nell’espressione delle emozioni e conclude che i fattori biologici innati
e le regole di comportamento culturale si combinano per dar vita all’espressione delle emozioni nelle diverse culture (es. film violento:
giapponesi e americani hanno le stesse reazioni, ma di fronte alle telecamere i giapponesi mascherano il turbamento mentre gli
americani no).

I comportamenti strumentali:

le risposte emotive richiedono una azione, una risposta alla situazione che ha determinato l’emozione  comportamenti strumentali,
finalizzati a raggiungere un obiettivo rilevante rispetto alle emozioni (dimostrano il legame tra emozioni e motivazione).

Il rapporto tra attivazione emotiva e rendimento assume una forma a u rovesciata e dipende non solo dal livello di attivazione ma anche
dalla complessità del compito: una attivazione estrema migliora il rendimento per compiti motori semplici, mentre interferisce con
compiti mentali o fisici complessi che richiedono quindi una attivazione minore.

14.3 le teorie delle emozioni:

14.3.1 le teorie fisiologiche dell’emozione:

da dove provengono le esperienze emotive? Ci sono due teorie classiche principali:

la teoria somatica di James-Lange:

nel 1890 lo psicologo W. James giunge a una teoria simile a quella elaborata nello stesso periodo dallo psicologo C. Lange. Queste teorie
sono conosciute come teoria di James-Lange ovvero: sono le reazioni fisiologiche, comportamentali del nostro corpo a determinare
l’emozione che proviamo, l’emozione è quindi la consapevolezza di questi cambiamenti fisiologici.

Questa teoria esercita un’influenza ancora oggi ad esempio sulla teoria somatica dell’emozione.

La teoria di Cannon-Bard:

nel 1927 il fisiologo W. Cannon e il collega Bard elaborano la teoria di Cannon-Bard, non accettano l’idea di James-Lange, ma pensano
che l’emozione e l’attivazione fisiologica non fossero una causa dell’altra bensì fossero due risposte indipendenti ad una situazione: il
talamo riceve informazioni sensoriali che vengono inviate alla corteccia cerebrale (emozione) e agli organi del corpo (risposta
fisiologica).

Il ruolo del feedback automatico:

è necessario il feedback automatico del corpo per provare emozioni (come sosteneva la teoria James-Lange)?

Cannon conduce uno studio sugli animali recidendo i nervi che inviano i feedback dagli organi al cervello e scoprì che provavano
comunque emozioni, sostenendo la sua teoria che fossero i messaggi sensori diretti al cervello a scatenare una emozione.

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Ci sono stati anche studi su pazienti con lesioni al midollo spinale che non possono quindi ricevere feedback nelle parti del corpo colpite
e i risultati sono contrastanti:

- Hohmann: i pazienti provano emozioni di intensità minore


- Studio che si è avvalso di FMri: ci sono differenze nella attività cerebrale e alcuni pazienti hanno problemi emotivi
- Dopo le lesioni c’è chi continua a provare emozioni allo stesso modo, alcuni perfino con maggiore espressività.

Il ruolo dei comportamenti espressivi:

oltre al feedback di attivazione è importante il feedback facciale, ovvero quello inviato dai muscoli del viso al cervello (impulso sensorio
 aree subcorticali del cervello  muscoli facciali, feedback dai muscoli  corteccia cerebrale  esperienza conscia dell’emozione).

Di questa teoria ci sono due versioni:

- Forte: le espressioni del viso causano la risposta emotiva


- Debole: l’espressione intensifica la risposta emotiva

Il feedback dei muscoli facciali può attivare reazioni emotive e le intensifica: studio di F. Strack: tenere una matita tra i denti attiva i
muscoli usati per sorridere e favorisce quindi il sorgere di emozioni positive, al contrario tenere la matita tra le labbra attiva i muscoli
usati per emozioni negative.

Un ulteriore studio sull’embodiment (incorporazione) ha stabilito che quando pensiamo ad un concetto emotivo, riviviamo l’emozione,
forse in modo inconscio.

Le teorie successive hanno unito l’approccio fisiologico di James-Lange con i processi cognitivi.

Il ruolo della valutazione:

la valutazione di un evento emotivo può essere influenzata a livello di attivazione. Valutazione ed eccitazione si influenzano a vicenda
quindi si potrebbe influenzare l’attivazione psicologica manipolandole valutazioni, e viceversa influenzare la valutazione cognitiva della
situazione manipolando l’attivazione.

 Box approfondimento di ricerca: i rapporti tra cognizione e attivazione in due esperimenti classici:
esperimenti di Lazarus e Schachter che diedero impulso all’idea che attivazione e valutazione si influenzano reciprocamente.
o Lazarus: in che modo le differenze nella valutazione cognitiva influenzano l’attivazione fisiologica?
 Stimolo elicitante = film di antropologia in cui si mostra il doloroso rito di passaggio alla pubertà degli
aborigeni
 Variabile: colonna sonora (traumatica, di diniego, intellettuale o il silenzio)
Al variare della colonna sonora variava anche il livello di attivazione: la colonna traumatica ha provocato il livello di
attivazione più alto seguita dal silenzio, mentre più bassi erano i livelli con le altre due colonne sonore.
o Schachter: il livello di attivazione può influenzare la valutazione di uno stimolo elicitante?
Viene detto ai ragazzi dello studio che testeranno una nuova vitamina per la percezione visiva, ad un gruppo viene
somministrata adrenalina, a uno un tranquillante e ad un gruppo una soluzione innocua. A tutti viene fatto vedere un
film comico.
I livelli di attivazione diversi nei tre gruppi influenzano la valutazione del film/stimolo: più divertente per chi aveva
preso adrenalina, meno per chi aveva preso tranquillanti e nel mezzo chi aveva la soluzione neutra.

14.3.2 le teorie cognitive dell’emozione

L’approccio di Lazarus:

l’attivazione può essere influenzata alla valutazione della situazione, e la valutazione deve precedere la risposta emotiva = non può
esistere emozione senza cognizione.

R. Zajonc contesta Lazarus sostenendo che le emozioni sono troppo veloci e che quindi esse precedono la cognizione. E lo sostiene
attraverso l’effetto di esposizione ripetuta: teoria per cui se mostri dei simboli sconosciuti una volta, la seconda volta ne mostri alcuni
già fatti vedere e altri nuovi, i soggetti non riconoscono quelli che hanno già visto ma li scelgono comunque in modo inconscio. Manca
quindi una elaborazione a livello cognitivo, però c’è una risposta affettiva verso ciò che è famigliare.

La teoria evoluzionista:

le emozioni hanno un fine adattivo: questa teoria è sostenuta da Chang, Wilson e Blanchette.

N. Frijda, psicologo, propone una teoria evoluzionista dell’emozione: ciò che distingue le emozioni vere da semplici sensazioni di
gradevolezza o sgradevolezza è la tendenza ad agire. Valutazioni diverse portano a tendenze all’azione diverse che portano a emozioni
diverse. Queste valutazioni sull’ambiente confermano che stiamo cercando di sopravvivere al meglio, di analizzare l’ambiente cercando
fattori dannosi per gestirli perché tutti desideriamo essere felici.

14.4 La felicità:

la felicità, o benessere soggettivo, è:

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- Insieme delle risposte emotive soggettive delle persone e il grado di soddisfazione per i vari aspetti della vita
- Condizione positiva e sostenibile caratterizzata da vitalità, appagamento, interesse, impegno, affetto, sensazione di crescita
personale

Entrambe le visioni concordano sul fatto che non significa assenza di emozioni negative o momenti difficili.

14.4.1 quanto sono felici le persone?

Diener e Diener hanno analizzato un campione di mille persone in 43 nazioni industrializzate: punteggio medio di felicità 6,33 in una
scala da 0 a 10, ovvero felicità blanda. Questa felicità è presente sia nei paesi occidentalizzati che non, ad eccezione di due paesi poveri
(India e Repubblica Dominicana) che erano nel range dell’infelicità.

14.4.2 che cosa rende felici le persone?

Analisi delle risorse (contesti)che potrebbero contribuire alla felicità (avvenenza, intelligenza, salute, relazioni, processi psicologici
interni)

Le risorse personali:

- Salute: per essere felici non serve una buona salute: i due terzi dei disabili ha una vita felice o molto soddisfacente
- Ricchezza: solo debolmente correlata alla felicità: un incremento di ricchezza provoca una felicità solo temporanea.

Entrambi gli aspetti causano infelicità se estremi, poiché non si può provvedere ai bisogni basilari, una volta raggiunto un livello
adeguato, ulteriori incrementi non influenzano la felicità duratura.

- Intelligenza: debolmente correlata. Una buona istruzione favorisce un buon lavoro: la disoccupazione è uno dei fattori di
infelicità
- Relazioni intime: chi ha una relazione soddisfacente è più felice (dubbi: chi è più felice riesce a mantenere relazioni migliori, o
le relazioni migliori rendono gli uomini più felici?), non ci sono differenze tra i due sessi riguardo il livello di felicità (le donne
però vivono le emozioni più intensamente)
- Fattore genetico: l’influenza genetica sulla felicità è condizionata da fattori ambientali

Le risorse personali e le circostanze esterne influiscono sul benessere circa il 15-20% del totale.

I processi psicologici:

i fattori biologici possono predisporre alcuni alla felicità più di altri: es. gemelli simili nel benessere soggettivo anche in circostanze
diverse.

- I fattori genetici possono contribuire alla attivazione dell’emisfero destro o sinistro o influire sui sistemi neurotrasmettitori
alla base di emozioni positive o negative.
- Influenze legate alla felicità nell’infanzia: Davidson e Rickman: genitori, esperienze di vita, fattori ambientali hanno un ruolo
cruciale per determinare l’attivazione degli emisferi successivamente.
- Fattori della personalità: predispongono alcune persone ad essere più o meno felici  tratti (temperamento emotivo insito in
noi) e stati (umore del momento) sono correlati.
- Processi sociali: le sensazioni di soddisfazione si basano su come confrontiamo noi stessi con gli altri: confronto verso il basso
(aumento di soddisfazione, ci vediamo migliori degli altri) o verso l’alto (diminuzione di soddisfazione, ci riteniamo inferiori
agli altri).
- Cultura di appartenenza: nelle società individualistiche i successi personali sono motivo di felicità, nelle società collettiviste il
benessere del gruppo prevale, gli obiettivi raggiunti in gruppo aumentano la felicità.

Importante per la crescita della felicità è l’intervento psico-educativo della consapevolezza:

- Migliora le risorse interiori e la capacità di affrontare la vita quotidiana.


- Promuove una accettazione benevola dei propri pensieri e sentimenti come sono.
- Può avere effetti positivi sul miglioramento della depressione e promuovere il benessere in bambini, adolescenti e adulti.

14.5 una nuova prospettiva: le neuroscienze affettive e sociali:

L’uomo è un animale sociale e vive in ambienti popolati da altre persone, il cervello si è specializzato per adattarci all’ambiente e
sviluppare un comportamento sociale adeguato. Emozioni, cognizione sociale e processi cognitivi interagiscono tra loro.

La ricerca tenta di comprendere come il nostro cervello genera, interpreta le emozioni e i comportamenti conseguenti  capire il
funzionamento delle emozioni e il comportamento sociale aiuterà anche nelle forme di psicopatologia che hanno questi aspetti alla base
del malfunzionamento.

14.5.1 il cervello emotivo:

il cervello emotivo è l’insieme delle aree neurali, corticali e sottocorticali coinvolte nelle emozioni:

- Amigdala: lobo temporale mediale vicino all’ippocampo


o Ruolo nell’elaborazione delle emozioni, apprendimento e memoria di stimoli emotigeni
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o Interagisce con altre aree neurali (corteccia del cingolo, corteccia orbitofrontale, insula
o Attiva meccanismi di risposta immediata
o Le informazioni passano dall’amigdala alla corteccia prefrontale dove avviene la valutazione conscia del pericolo: le
due strutture collaborano per attivare una risposta adeguata al contesto
o Le lesioni possono provocare incapacità di riconoscere le espressioni facciali e di reagire agli stimoli negativi
- Solco temporale superiore: coinvolto nel riconoscimento delle espressioni facciali e della direzione dello sguardo
- Insula: tra lobo temporale e frontale
o Controlla le sensazioni viscerali e di dolore
o Coinvolta nelle dipendenze e nella emotività sociale
o Una lesione provoca mancanza di libido, apatia, disgusto

Principio edonico: teoria secondo cui siamo motivati a provare piacere ed evitare il dolore.

- Nucleus accumbens: struttura che riceve connessioni che rilasciano dopamina, responsabile della sensazione di piacere
- Corteccia anteriore del cingolo: a ridosso della corteccia prefrontale
o Struttura coinvolta nella valutazione degli stimoli, nel monitoraggio del comportamento e nel rilevamento di pericoli
problemi a cui vengono date risposte inadeguate.
- Corteccia orbitofrontale: punto di incontro di informazione sensoriale, reazioni emotive e processi cognitivi, ha la funzione
primaria di valutare gli stimoli stimando il piacere che possono procurare

Esperienza emotiva:

- Prima fase: attivi collicolo superiore, amigdala, corteccia orbitofrontale


- Seconda fase: operazioni per riconoscere lo stimolo e quindi solco temporale superiore
- Terza fase: valutazione cognitiva del valore emotivo dello stimolo, insula e sensazioni dal corpo

14.5.2 il cervello sociale:

amigdala e corteccia prefrontale collaborano anche per elaborare stimoli con valenza sociale  neuroscienze sociali  studiare il
cervello sociale (= basi cerebrali delle interazioni sociali e dell’interpretazione delle informazioni che provengono da altri).

Importante riconoscere, interpretare e rispondere adeguatamente agli stimoli sociali: amigdala e corteccia orbitofrontale sono le
principali responsabili della rapida valutazione del contenuto emotivo e motivazionale.

Importante comprendere gli stati d’animo, le intenzioni altrui: le aree neuronali deputate sono amigdala e corteccia mediale prefrontale
che partecipano al senso morale, alla cooperazione e all’empatia.

Amigdala responsabile di risposte emotive rapide, mentre l’elaborazione più approfondita si ha a livello frontale.

L’uomo è un animale sociale, esposto al giudizio altrui: essere guardati può influenzare i comportamenti.

Es. amigdala fa da sentinella per le emozioni, altre aree servono per provare empatia, i neuroni specchio simulano le azioni altrui per
comprenderle.

14.5.3 l’interazione tra emozione e cognizione:

cognizioni: processi mentali quali memoria, attenzione, linguaggio, pensiero, pianificazione.

La corteccia prefrontale riceve informazioni da tutte le aree sensoriali e integra informazioni per generare comportamenti complessi
(collabora con amigdala e ippocampo) , riceve stimoli sia dall’interno che dall’esterno del corpo.

Lobi frontali selezionano le informazioni e influenzano le decisioni, collaborano con strutture coinvolte nelle emozioni e piacere.

Importante la corteccia orbitofrontale nei processi decisionali in ambito emotivo e sociale, interpreta i segnali e decide la risposta più
consona. È un punto di incontro tra emozione e cognizione.

14.5.4 prendere decisioni di pancia:

prendere una decisione coinvolge processi mentali ed emotivi connessi alla motivazione (finalità o causa della nostra azione).

Le scelte non sono sempre governate da criteri razionali, ma spesso sono condizionate da un coinvolgimento emotivo. La componente
emotiva nella decisione svolge il ruolo di informare, dirigere i processi di ragionamento verso specifiche strategie di pensiero, è
fondamentale quindi nella decisione.

Una lesione alla corteccia frontale rende incapaci di associare emozioni alle conseguenze delle proprie azioni (di prevedere le
conseguenze di una scelta) e quindi di decidere in modo vantaggioso nonostante l’intelligenza sia intatta (Damasio: sapere ma non
sentire).

Di fronte a un problema possiamo prendere una via razionale (ragionare su tutte le possibilità (il ragionamento oggettivo umano, il
calcolo delle probabilità non è però perfetto come sembra), oppure può intervenire il marcatore somatico (= Damasio).

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Il marcatore somatico è una sensazione fisiologica di risposta emotiva implicita che indirizza il ragionamento sull’esito negativo o
positivo a cui può portare una scelta. Può agire in maniera positiva o nociva.

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