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Capitolo 1. Il pensiero come ambiente.

1. Pensiero primitivo, scienza e comprensione quotidiana.


Il pensiero primitivo:

• crede nel potere illimitato della mente di dar forma alla realtà e di determinare lo svolgimento degli
eventi;
• il pensiero agisce sulla realtà;
• l'oggetto e una replica del pensiero;
• teme le forze della natura.

La scienza invece:

• crede nel potere illimitato degli oggetti di dar forma al pensiero, di determinare la sua evoluzione,
di essere interiorizzati nella mente e dalla mente;
• il pensiero e una reazione alla realtà;
• il pensiero e la replica dell'oggetto;
• teme il potere del pensiero.

Questi due atteggiamenti sono nati a causa della paura istintiva dell'uomo verso le forze che non può
controllare, e il suo sforzo di compensare questa impotenza con l'immaginazione. La psicologia sociale
appartiene al pensiero scientifico e sul sistema cognitivo postula che:

• l'individuo reagisce ai fenomeni, alle persone e agli eventi nello stesso modo in cui reagiscono
scienziati e statistici;
• la comprensione consiste nell'elaborazione delle informazioni.

In sintesi noi percepiamo il mondo così com'è e tutte le nostre percezioni, idee o attribuzioni sono risposte
a stimoli ambientali. Per Moscovici, alcuni fatti comuni contraddicono questi postulati:

• alcune volte non riusciamo a vedere quello che ci sta proprio di fronte. La nostra vista o percezione
si altera di fronte ad una certa categoria di persone (es. i neri per i bianchi). Ci rifiutiamo di vedere
categorie di cose o persone, che diventano così invisibili. Tale invisibilità è dovuta ad una
frammentazione preesistente della realtà, ad una classificazione delle persone e delle cose che le
rende visibili o meno.
• alcuni fatti dati per scontati possono diventare pure illusioni (es. convinzione che il Sole girasse
intorno alla Terra prima di Copernico): noi distinguiamo l'apparenza dalla realtà per mezzo di una
nozione o immagine.
• i nostri comportamenti sono rapportati ad una certa definizione, comune a tutti i membri della
nostra comunità.

In tutti e tre i casi intervengono delle rappresentazioni che ci guidano verso ciò che è visibile e a cui
dobbiamo rispondere, oppure che collegano l'apparenza con la realtà, o che definiscono la realtà. Il nostro
sistema cognitivo e percettivo è adattato a queste rappresentazioni, che per quanto riguarda la realtà, sono
tutto ciò di cui disponiamo. Per Bower (1977) la percezione delle rappresentazioni e importante come
quella degli oggetti reali. Egli definisce le rappresentazioni come configurazioni di stimoli fatte dall'uomo
che sostituiscono una visione o un suono che potrebbero darsi in natura. Alcune di esse fungono infatti da
surrogati dello stimolo. A volte abbiamo bisogno di un segno di un qualche tipo che ci aiuti a distinguere
una rappresentazione da un'altra oppure una rappresentazione da ciò che rappresenta. Es. pittore Renè
Magritte: l'immagine di una pipa è contenuta in un dipinto che ugualmente rappresenta una pipa. Tale
quadro è una rappresentazione della pipa, non una pipa reale.
Noi tendiamo per natura a distorcere la realtà: le informazioni che ci arrivano vengono sempre distorte da

rappresentazioni sovra-imposte. Noi rendiamo gli oggetti e le persone cosi come li vediamo attraverso la
nostra predisposizione genetica ereditaria, le immagini e le abitudini apprese, i ricordi che abbiamo di essi e
le categorie culturali che utilizziamo.

2. La natura convenzionale e prescrittiva delle rappresentazioni.


In che modo le rappresentazioni intervengono nell'attività cognitiva? Le rappresentazioni hanno due ruoli:

1. Convenzionalizzano oggetti, persone ed eventi: gli danno una forma precisa, li assegnano ad una
data categoria e li fanno rientrare in un modello condiviso da un gruppo di persone. Quando
qualcosa non si conforma al modello, la forziamo ad assumere una data forma, a entrare in una
data categoria. Le convenzioni ci permettono di sapere che cosa sta per cosa, di sapere quando
interpretare un messaggio come significativo in relazione ad altri o quando ritenerlo casuale. A
volte è sufficiente cambiare il contesto di un oggetto o una persona per vederlo in un altro modo
(es. Duchamp che dal 1912 inizio a firmare oggetti belli e fatti: con questo gesto elevo oggetti
normali allo status di oggetti d'arte). Ciascuna esperienza si aggiunge quindi ad una realtà
predefinita dalle convenzioni. Nessuna mente è libera dal condizionamento imposto dalle
rappresentazioni, dal linguaggio e dalla cultura. Noi vediamo solo quello che le convenzioni ci
permettono di vedere, senza esserne consapevoli. Con uno sforzo siamo in grado di sottrarci
all'aspetto convenzionale della realtà, ma non riusciremo mai a liberarci di tutte le convenzioni o
pregiudizi. Una strategia migliore è quella di riconoscere che per noi le rappresentazioni
costituiscono un tipo di realtà: dovremmo cercare di isolare le rappresentazioni di persone e
oggetti e anche ciò che precisamente rappresentano. Lewin nel 1948 scrisse: «La realtà, per
l'individuo, è in grande misura determinata da ciò che è socialmente accettato come realtà»
2. Le rappresentazioni sono prescrittive, cioè si impongono a noi con una forza irresistibile. Tale forza
è la combinazione di una struttura presente prima che cominciamo a pensare e di una tradizione
che stabilisce cosa dobbiamo pensare. Es. qualsiasi bambino occidentale incontrerà la tradizione
della psicoanalisi: per tutte le sue domande troverà una risposta preconfezionata nel linguaggio
psicoanalitico. La rappresentazione che abbiamo di qualcosa non è direttamente connessa al nostro
modo di pensare: è il nostro modo di pensare e ciò che pensiamo a dipendere dalle
rappresentazioni. Le rappresentazioni ci sono imposte e sono il prodotto di un'intera sequenza di
elaborazioni e cambiamenti avvenuti nel corso di parecchie generazioni. Le nostre esperienze e
idee passate continuano ad essere attive e ad infiltrarsi in quelle attuali. infatti il passato è per certi
versi più reale del presente. Il potere e la chiarezza delle rappresentazioni sociali derivano proprio
dal fatto che esse controllano la realtà di oggi attraverso quella di ieri e dalla continuità che questo
presuppone. Le rappresentazioni sono entità sociali, dotate di vita propria: comunicano tra loro, si
oppongono l'una all'altra e cambiano in armonia con il corso della vita: svaniscono solo per
riapparire sotto vesti nuove. Coesistono e circolano in varie sfere di attività, dove una di esse ha la
precedenza sulle altre. Se si verificasse un cambiamento nella loro gerarchia o una di esse dovesse
essere minacciata di estinzione, questo turberebbe l'intero universo. Una parola e la sua definizione
nel vocabolario permette di classificare gli individui e contiene teorie implicite circa la loro
costituzione. Una volta che questo contenuto si è diffuso costituisce una parte integrale di noi
stessi, dei nostri rapporti con gli altri, del nostro modo di giudicarli, e di interagire con essi. Se una
parola dovesse essere sostituita con un'altra, tale evento trasformerebbe i nostri rapporti con gli
altri. il nostro pensiero collettivo, avrebbe cioè conseguenze che vanno al di là del suo significato
all'interno di una frase. In conclusione:
a. Le rappresentazioni sociali costituiscono un ambiente reale;
b. siamo portati a considerarle come realtà incontestabili. In base alla loro autonomia e ai
vincoli che impongono.

3. L'era della rappresentazione.


Tutte le interazioni presuppongono delle rappresentazioni. Ogni volta che conosciamo cose nuove, sono
implicate delle rappresentazioni: l'informazione che riceviamo, è sotto il loro controllo e noi attribuiamo
all'informazione il significato che è ad essa assegnato dalle rappresentazioni. Le rappresentazioni sociali
attraverso la natura del cambiamento influenzano il comportamento dell'individuo che fa parte di una
comunità. Di conseguenza esse ci appaiono quasi come oggetti materiali, poiché sono il prodotto delle
nostre azioni e comunicazioni. Di fatto esse sono create dai rappresentanti della scienza, della cultura, della
religione, ma la società si è evoluta, le professioni si sono moltiplicate e insieme ad esse le
rappresentazioni. Ecco perché questa epoca è conosciuta come l'era della rappresentazione. Le
rappresentazioni vengono create da individui e gruppi nel corso della comunicazione e della cooperazione,
ma esse rimangono comunque autonome egli individui inconsapevoli di esse. Queste una volta create
hanno vita propria, circolano, si fondono, si attraggono e si respingono, e danno origine a nuove
rappresentazioni, mentre le vecchie scompaiono: di conseguenza per comprendere una rappresentazione,
è necessario rintracciare quella di origine. Il condizionamento della rappresentazione precedente su quella
successiva avviene perché una rappresentazione è condivisa da tutti e rafforzata dalla tradizione:
costituisce una realtà sui-generis. Più l'origine di una rappresentazione viene dimenticata, più essa si
fossilizza: ciò di cui essa è l'ideale gradualmente si materializza e diventa permanente, durevole, immortale.
Per Moscovici e Durkheim è la psicologia sociale ad avere il compito di studiare le rappresentazioni, le loro
proprietà, le loro origini e il loro impatto. Moscovici dice che attualmente non abbiamo ancora una
conoscenza approfondita delle rappresentazioni sociali, ma ciò che è certo è che le principali forme del
nostro ambiente fisico e sociale sono fissate in rappresentazioni e noi stessi siamo modellati in relazione ad
esse. inoltre meno ci pensiamo e ne siamo consapevoli, maggiore è la loro influenza. Ed è anche vero che il
pensiero collettivo trasforma tutto ciò che tocca (credenza primitiva).

Capitolo 2. Cos'è una società pensante?


1. il comportamentismo e lo studio delle rappresentazioni sociali.
Lo studio delle rappresentazioni deve andare aldilà della visione behaviorista: esso prende in
considerazione i tentativi dell'uomo di conoscere e comprendere le cose e i suoi sforzi per risolvere gli
enigmi banali della sua vita. Si studia un uomo il cui scopo non è agire, ma comprendere. Per capire cos'è
una società pensante bisogna

• comprendere le circostanze in cui i gruppi comunicano, prendono decisioni e cercano di rivelare o


nascondere qualcosa;
• comprendere le loro imprese e le loro credenze, cioè le loro ideologie, conoscenze e
rappresentazioni sociali.

Molte facoltà umane come il mistero derivano dalla comunicazione sociale. Il mondo degli oggetti
costituisce quindi soltanto uno sfondo per le persone e le loro interazioni sociali. L'idea che la società pensi
viene rifiutata in due forme differenti:

1. Affermando che i nostri cervelli siano scatole nere che ricevono stimoli dall'esterno (informazioni) e
producono risposte (gesti, giudizi, opinioni). Per Moscovici i nostri cervelli non sono scatole nere
ma buchi neri, con una vita e attività proprie. La follia, quel buco nero nella razionalità, prova che le
cose stanno cosi.
2. Affermando che i gruppi egli individui sono sempre e completamente sotto l'influenza dell'ideologia
dominante e che quindi ciò che pensano o dicono riflette solamente tale ideologia. Tuttavia lo
studio dell'ideologia è stato trascurato dai sociologi, come sostengono Marx e Wood (1975). Quello
che Moscovici sostiene è che gli individui e i gruppi pensano autonomamente, producono e
comunicano le loro rappresentazioni e le soluzioni ai problemi che loro stessi si pongono. Gli eventi,
le scienze e le ideologie non sono niente in confronto alle rappresentazioni poiché sono per gli
individui semplice “cibo per la mente”.

2. Le rappresentazioni sociali.
Il concetto di rappresentazioni sociali ci è giunto da Durkheim. Sociologia: le considera entità esplicative,
non scomponibili e non si era preoccupata di ciò che le rappresentazioni facevano o a cui erano simili. Si
sapeva che ricorrevano nella società, ma la loro struttura e dinamiche interne non erano oggetto di studio.
Psicologia sociale: si preoccupa della loro struttura e dinamiche interne. Moscovici propone di considerare
fenomeno ciò che prima era stato visto come concetto. Per Durkheim le rappresentazioni collettive
descrivevano una gamma completa di forme intellettuali, come la scienza, il mito, la religione. Ma tale
gamma di conoscenze e credenze, era troppo eterogenea per essere coperta tutta. Quindi M. aggiunge due
qualificazioni significative:

1. Le rappresentazioni sociali dovrebbero essere considerate come un modo specifico di comprendere


e comunicare ciò che già sappiamo. Esse occupano una posizione singolare tra i concetti e i
percetti: i primi astraggono significato dal mondo e introducono ordine in esso, i secondi
riproducono il mondo in maniera significativa. Le rappresentazioni hanno due facce, una iconica e
una simbolica, che sono interdipendenti. La rappresentazione fa corrispondere ogni immagine ad
un'idea e ogni idea ad un'immagine. Il linguaggio, in quanto veicola rappresentazioni è collocato a
metà strada tra il linguaggio dell'osservazione, che esprime puri fatti, e il linguaggio della logica, che
esprime simboli astratti. Vi è una sottospecie di saldatura tra linguaggio e rappresentazione.
Questo perché se fino all'inizio del secolo il linguaggio verbale era condiviso dal senso comune e
dalla scienza, oggi il linguaggio della scienza è divenuto non verbale. Oggi siamo tanto interessati al
linguaggio perché esso è in declino, ha perso la sua relazione con la teoria. Ma nonostante ciò esso
mantiene la sua relazione con la rappresentazione. Quindi lo studio del linguaggio è divenuto
importante per la psicologia sociale perché esso è legato esclusivamente al nostro metodo di
comprensione e di scambio, al nostro modo di vedere le cose.
2. Durkheim ha una concezione piuttosto statica di queste rappresentazioni. In realtà le
rappresentazioni hanno un carattere mobile e circolante, sono plastiche. Noi le vediamo come
strutture dinamiche che operano su un aggregato di relazioni e comportamenti.

Le rappresentazioni sociali di cui si occupa Moscovici sono quelle della nostra società attuale. La loro
importanza continua ad aumentare in proporzione alla eterogeneità e alla variabilità dei sistemi unificanti
(scienze, religioni, ideologie) ed ai cambiamenti che esse devono intraprendere per entrare nella vita
quotidiana e far parte della realtà comune. I mass media hanno moltiplicato questi cambiamenti e
incrementato il bisogno di ricostituire il <<senso comune», senza il quale nessuna collettività può operare.
Allo stesso modo la società non funzionerebbe se non ci fossero rappresentazioni relative all'interazione tra
persone, che trasformano le idee in esperienze collettive e le interazioni in comportamento. In sintesi, per
noi le rappresentazioni sociali sono fenomeni che necessitano di essere descritti e spiegati. Esse sono
fenomeni specifici correlati ad un particolare modo di comprendere e comunicare (un modo che crea sia la
realtà, sia il senso comune).
3. Scienze sacre e scienze profane; universi consensuali e universi reificati.
Tempo fa il posto di una rappresentazione all'interno di una società pensante era determinato dalla
distinzione tra una sfera sacra e una sfera profana. La prima è degna di rispetto e venerazione, la seconda
riguarda attività banali e utilitaristiche. Ora questa distinzione è stata abbandonata e sostituita dalla
distinzione tra:

1. Universo consensuale:
a. l'uomo e la misura di tutte le cose
b. nella società gli individui sono uguali e liberi: nessuno ha una competenza esclusiva,
ciascuno può acquisire una qualsiasi competenza se richiesta dalle circostanze
c. il fatto che tutti possano acquisire qualsiasi competenza richiede una certa complicità, cioè
convenzioni linguistiche, domande che non si devono fare. ecc.
d. questi mondi sono oggi istituzionalizzati nei club, associazioni e caffè e a mantenerli in vita
è l'arte della conversazione, che incoraggia le relazioni sociali.
e. la conversazione crea nuclei di stabilità, comunanza di significato e condivisione di
immagini e idee tra coloro che vi partecipano.
2. Universo reificato:
a. tutte le cose sono la misura dell'uomo
b. la società è un sistema di entità indifferenti alla individualità e prive di identità: è un
sistema caratterizzato da ruoli differenti e da ineguaglianza di classe
c. il diritto di esercitare una professione è determinato dall'acquisizione di una certa
competenza, mentre l'intercambiabilità delle posizioni è un modo di acquisire competenze,
di isolarsi o di essere differenti
d. esiste un comportamento appropriato in ogni circostanza, una formula linguistica per ogni
confronto, l'informazione appropriata per un dato contesto: ogni organizzazione ha delle
proprie regole che non possono essere cambiate
e. siamo vincolati dalle regole dell'organizzazione, una sorta di accettazione generalizzata più
che una comprensione reciproca: per questo le persone elaborano le informazioni in
assenza di coinvolgimento.

Le scienze rappresentano gli strumenti attraverso cui comprendiamo l'universo reificato, mentre le
rappresentazioni sociali hanno a che fare con l'universo consensuale. Scopo dell'universo reificato è quello
di stabilire una mappa di forze, oggetti ed eventi che sono indipendenti dai nostri desideri, e ai quali non
possiamo reagire totalmente. Essi mirano a favorire la precisione intellettuale e l'evidenza empirica. Le
rappresentazioni sociali invece ristabiliscono la consapevolezza collettiva spiegando oggetti ed eventi in
modo tale da renderli accessibili a tutti. Rappresentazioni sociali: sono il prodotto dell'universo consensuale
e gli appartengono in modo esclusivo. La psicologia sociale è la scienza di questi universi, ideologie:
facilitano il passaggio dall'universo consensuale a quello reificato e subordinano il primo al secondo. Esse
quindi non hanno alcuna struttura specifica e possono essere percepite sia come rappresentazioni sia come
scienze, motivo per cui riguardano sia la sociologia che la storia.

Capitolo 3. Il familiare e il non familiare.


1. Gestire l'ignoto.
Moscovici ha dimostrato che:

• le rappresentazioni sociali devono essere viste come un “ambiente” in relazione all'individuo o al


gruppo
• sono specifiche della nostra società.

Ma perché le creiamo? Tre ipotesi:

1. ipotesi della desiderabilità: un individuo o un gruppo cercano di creare immagini, formulare frasi
per esprimere o nascondere le proprie intenzioni, che sono distorsioni soggettive di una realtà
oggettiva.
2. Ipotesi dello squilibrio: tutte le ideologie, tutti i concetti sono mezzi per risolvere le tensioni
psichiche o emotive dovute al fallimento o alla mancanza di integrazione sociale. Così esse sono
compensazioni immaginarie che ripristinano una sorta di equilibrio interno.
3. ipotesi del controllo: i gruppi creano rappresentazioni per filtrare l'informazione dall'ambiente e
controllare il comportamento dell'individuo. Esse quindi manipolano il pensiero e la struttura della
realtà.

Tali ipotesi sono pero troppo generali: secondo Moscovici lo scopo di tutte le rappresentazioni è quello di
rendere qualcosa di ignoto familiare, intende dire che negli universi consensuali ciò che viene detto
conferma solamente credenze o interpretazioni acquisite, conferma la tradizione piuttosto che
contraddirla. Il cambiamento è accettato solo quando evita che il dialogo venga soffocato dalla ripetizione.
Oggetti, individui ed eventi sono percepiti e intesi in relazione a paradigmi precedenti. La memoria prevale
sulla deduzione, il passato sul presente, l'immagine sulla “realtà”. Si utilizza ciò che è familiare come misura
di tutto ciò che accade e viene percepito. Il familiare è utilizzato per valutare ciò che è inusuale, anormale.
Infatti per l'uomo della strada, la maggior parte delle opinioni che si riferiscono agli universi reificati,
differiscono dalle opinioni familiari (a portata di mano) e per questo tende a pensarle come invisibili, irreali.
Questo senso di non-familiarità egli lo potrebbe sperimentare se le convenzioni e/o frontiere
scomparissero: non troverebbe più quello che si aspetta di trovare, e resterebbe con un senso di
incompletezza e confusione (es. handicap o culture). Tutte le cose proibite o remote sono dotate di
caratteristiche immaginarie: preoccupano e disturbano perché ci sono senza esserci. Poi diventano realtà
proprio dinanzi ai nostri occhi. Possiamo vedere e toccare qualcosa che prima non potevamo vedere o
toccare. Non familiarità: attualità di qualcosa di assente, la “non sufficiente esattezza” di un oggetto. Una
cosa sembra essere visibile senza esserlo, simile mentre è differente, accessibile mentre è inaccessibile. Il
non familiare attrae ed affascina gli individui, e allo stesso tempo li allarma, li costringe a rendere esplicite
le implicite assunzioni che sono alla base del consenso. La paura di ciò che è estraneo (e degli stranieri) è
profondamente radicata. Il timore di perdere i punti di riferimento consueti, di perdere il senso di
continuità e di reciproca comprensione è insopportabile. E quando la diversità si impone a noi sotto-forma
di qualcosa non abbastanza familiare, la rifiutiamo perché minaccia l'ordine prestabilito. La
rappresentazione è un mezzo per trasferire ciò che ci disturba dall'esterno all'interno: tale trasferimento
avviene separando concetti e percezioni normalmente collegati e ponendoli in un contesto dove l'ignoto
diventa familiare. Es. psicoanalisi -› inizialmente era considerata un paradosso, un "trattamento medico
senza medicina". Per renderla più familiare fu paragonata alla confessione religiosa (staccandola dal suo
contesto analitico) ed una volta divenuta a pieno titolo rappresentazione sociale, fu la confessione ad
essere vista più o meno come una forma di psicoanalisi. Quanto descritto sopra è un reale spostamento.
Ciò che un gruppo condivide determina il suo approccio verso l'inconsueto. Denise Jodelet studiò le reazioni
degli abitanti di vari villaggi francesi nei confronti di handicappati mentali che erano stati collocati tra loro.
Gli handicappati erano visti come alieni, nonostante condividessero la vita quotidiana degli abitanti del
villaggio. È chiaro che le rappresentazioni ad essi associati derivavano da visioni e nozioni tradizionali, che
determinavano le relazioni tra gli abitanti e handicappati. Tale discrepanza non può essere eliminata perché
negli universi consensuali la tensione di base tra familiare e non familiare si conclude sempre a favore del
primo: cosi come nelle relazioni sociali. Secondo Nelly Stephane, il verdetto ha la priorità sul processo.
Prima di vedere e ascoltare una persona noi l'abbiamo già giudicata e classificata: ogni informazione
ottenuta serve a confermare l'immagine che già ci siamo fatti.
2.Rappresentazioni sociali e senso di estraneità.
Creare una rappresentazione significa sforzarsi di rendere consueto ciò che ci appare estraneo. C'è da dire
che mentre la creiamo siamo sempre più o meno consapevoli delle nostre intenzioni, visto che le immagini
e le idee attraverso cui afferriamo l'inconsueto sono a noi note, e questo di conseguenza ci dà una
rassicurante impressioni di déjà vu e déjà connu (non noto -› noto). Tale processo ci rassicura poiché
restituisce un senso di continuità nel gruppo o nell'individuo minacciato dalla discontinuità o insensatezza.
Quando studiamo una rappresentazione dovremmo tentare di scoprire la caratteristica inconsueta che l'ha
motivata e ciò che essa ha assorbito. Ma è altrettanto importante osservare lo sviluppo di tale
caratteristica, proprio nel momento in cui essa emerge nella sfera sociale. Contrasto con la scienza:

- la scienza procede dalla premessa alla conclusione;


- deve stabilire certe leggi (non coinvolgimento, ripetizione esperimenti, distanza dall'oggetto.
indipendenza da autorità e tradizione) che non sono mai completamente applicate;
- crea un ambiente artificiale ricorrendo a ciò che è conosciuto come una ricostruzione razionale di
fatti e idee
- per vincere la nostra tendenza a confermare ciò che è familiare, allo scienziato si richiede di
falsificare o tentare di invalidare le sue teorie;
- da quando è diventata moderna e ha rotto con il senso comune essa si è occupata di smentire la
maggior parte delle nostre percezioni e opinioni correnti. Essa rende non familiare il familiare e in
questo modo prova lo scopo delle rappresentazioni sociali.

Capitolo 4. Ancoraggio e oggettivazione.


1. Scienza, senso comune e rappresentazioni sociali.
Ora le scienze generano le rappresentazioni e le ideologie, invece di esserne l'antidoto. I nostri mondi
reificati aumentano con il proliferare delle scienze: quando le teorie, l'informazione e gli eventi si
moltiplicano, essi vengono trasferiti all'universo consensuale, dove sono ripresentati in modo più
accessibile. Nel passato la scienza era basata sul senso comune e rendeva il senso comune meno comune:
ora invece il senso comune è la scienza resa comune. Ogni luogo comune nasconde dentro la sua banalità
un mondo di conoscenza, ed è per questo che è collettivamente efficacie. Non è infatti facile rendere
consueto ciò che non lo è.

2. I due processi alla base delle rappresentazioni sociali.


Per rendere familiare ciò che non lo è sono necessari due meccanismi:

1. si sforza di ancorare le idee insolite a categorie e immagini ordinarie, di porle in un contesto


familiare.
2. oggettiva le idee, trasforma l'astratto nel concreto, traduce ciò che è nella mente in qualcosa che
esiste nel mondo fisico

Ancoraggio: è un processo in cui confrontiamo qualcosa di estraneo o disturbante con il paradigma di una
categoria che riteniamo adatta (es. studio Denise Jodelet, i malati mentali furono giudicati mediante
standard convenzionali e paragonati agli idioti, ai barboni, agli spastici). Quando confrontiamo un'idea o un
oggetto con il paradigma di una categoria, esso acquisisce le caratteristiche di quella categoria, e se la
classificazione è generalmente accettata, qualsiasi opinione che si riferisca a quella categoria si riferirà
anche a quell'oggetto o a quell'idea. Ancorare è quindi classificare e dare un nome a qualcosa. Quando non
siamo in grado di valutare o descrivere qualcosa sperimentiamo una resistenza. Per superarla bisogna:

• categorizzare
• etichettare con un nome familiare.

In questo modo possiamo parlare di qualcosa, comunicarla, immaginarcela e rappresentarcela. Possiamo


riprodurla come qualcosa di familiare. in psicologia sociale gli studi sui fenomeni di valutazione,
classificazione e categorizzazione (Eiser e Stroebe 1972) non prendono in considerazione il fatto che essi
presuppongano una rappresentazione di esseri, oggetti ed eventi. Tuttavia un'indagine sulla percezione dei
colori ha dimostrato che gli individui a cui vengono presentati i colori li percepiscono in relazione ad un
paradigma e li classificano mediante un'immagine mentale (Rosch 1977). Quindi il processo di
rappresentazione implica anche la codifica degli stimoli fisici in una specifica categoria. Classificare: limitare
qualcosa ad un set di comportamenti e di regole caratteristici di una classe: imprigionarla in una serie di
limitazioni linguistiche, spaziali e comportamentali, in certe abitudini. Una classe fornisce un modello che
rappresenta tutti gli individui che le appartengono. Tale modello riassume le caratteristiche comuni ad un
certo numero di casi correlati (es. francese con baguette). Categorizzare qualcuno o qualcosa: scegliere uno
dei paradigmi nella nostra memoria e stabilire una relazione con esso. È molto più facile essere d'accordo
su che cosa sia un paradigma piuttosto che sul grado di somiglianza di un individuo ad esso. Si può dire che
le classificazioni sono fatte confrontando un individuo ad un prototipo, e che l'individuo è definito in virtù
della sua approssimazione, o a coincidenza con il prototipo. Se noi classifichiamo in base ad un prototipo,
tenderemo inevitabilmente a notare e selezionare quelle caratteristiche che sono le più rappresentative di
questo prototipo (Jodelet: abitanti erano più consapevoli dei comportamenti tipici degli

Handicappati, rispetto a quelli che avevano in comune con le persone normali). Il modello influenza perché
è concreto; lascia un'impronta così profonda nella nostra memoria che noi lo usiamo come metro di
paragone per i casi individuali e ogni immagine che lo ricordi. Cosi ogni modello contiene l'astratto nel
concreto, e questo permette di raggiungere lo scopo principale della società: creare delle classi a partire
dagli individui. Cosi non possiamo mai dire che conosciamo un individuo, bensì che tentiamo di riconoscerlo
o di scoprire a quale categoria appartiene (quindi anche nell'ancoraggio vi è la priorità del verdetto sul
processo). Il prototipo è ciò che meglio rappresenta tale priorità, poiché favorisce opinioni belle e fatte e
generalmente porta a decisioni frettolose. Tali decisioni sono raggiunte in due modi: generalizzando o
particolarizzando. Generalizzando riduciamo le distanze. Selezioniamo una caratteristica a caso e la usiamo
come categoria (es. il malato mentale). In seguito la caratteristica viene estesa a tutti i membri di questa
categoria. Specificando manteniamo la distanza e consideriamo l'oggetto in esame diverso dal prototipo.
Allo stesso tempo cerchiamo di scoprire che cosa lo rende diverso. La tendenza a classificare o per
generalizzazione o per particolarizzazione non è una scelta puramente intellettuale, ma riflette il desiderio
di definire l'oggetto normale o aberrante (anomalo). Gli psicologi sociali vedono la classificazione come
un'operazione analitica in cui l'individuo viene confrontato rispetto ad una lista di caratteristiche, per
essere poi incluso nella categoria con la quale ha più caratteristiche in comune. Questo secondo Moscovici
non ha nulla a che fare con il substrato delle rappresentazioni sociali (come ad esempio la visione collettiva
di ciò che viene così classificato). D'altra parte è impossibile classificare senza dare un nome. Nella nostra
società dare un nome ha un significato quasi solenne: assegnando un nome a qualcosa la liberiamo dalla
dimensione anonima, la includiamo in un complesso di parole specifiche, per collocarla di fatto nella
matrice d'identità della nostra cultura. infatti ciò che è anonimo non è comunicabile ed è relegato nel
mondo della confusione e dell'incertezza, anche quando siamo in grado di classificarlo
approssimativamente come normale o aberrante. Assegnare un nome, dire che qualcosa è questo o quello,
ci rende così capaci di rappresentarci questa cosa. Il risultato è che quando si stabilisce un consenso,
l'associazione della parola con la cosa diventa d'uso comune e necessaria. Dare un nome ad una persona o
ad una cosa ha tre conseguenze:
- una volta che le è stato assegnato un nome, la persona o cosa può essere descritta ed acquisisce
certe caratteristiche e tendenze
- in virtù di queste caratteristiche e tendenze, la persona o cosa si differenzia dalle altre persone o
cose
- la persona o la cosa diventano l'oggetto di una convenzione tra quelli che l'adottano e condividono
la stessa convenzione.

A ciò che non è identificabile viene data un'identità sociale, il concetto scientifico diviene parte del
linguaggio comune. Vi è un forte bisogno di identificare esseri e cose tramite la loro collocazione in una
rappresentazione sociale prevalente. Cosi quelli che parlano e quello di cui si parla sono costretti ad entrare
in una matrice d'identità che non hanno scelto e che non possono controllare. Dare un nome non è solo
un'operazione intellettuale che mira alla chiarezza e alla coerenza logica ma anche un atteggiamento
sociale (es. chiamiamo una persona le cui opinioni non sono conformi all'ideologia corrente “nemico del
popolo”, non solo lo definiamo ma la escludiamo anche dalla società a cui appartiene). In breve, classificare
ed assegnare un nome sono due aspetti dell'ancoraggio. Le categorie e i nomi fanno parte di quella che
Gombrich ha chiamato una “società di concetti”, sia per il loro contenuto che per le loro relazioni. Per
Moscovici categorie e nomi sono naturalmente logici e tendono alla stabilità e alla consistenza (come
sosteneva Heider). Tuttavia queste relazioni di stabilità e consistenza non partecipano alla creazione delle
rappresentazioni. D'altra parte è possibile vedere in azione relazioni differenti, indotte da modelli sociali.
Per quanto riguarda le relazioni personali, un'immagine molto popolare è quella della famiglia. il conflitto
implica un altro tipo di relazione ed è sempre implicito in qualsiasi descrizione di coppie contrastanti: cosa
implica il termine «normale» e cosa esclude: la parte conscia e la parte inconscia di un individuo. L'ostilità è
presente anche ogni volta che confrontiamo razze, nazioni o classi. I nostri modelli attuali sono troppo
artificiali e socialmente privi di significato. Se noi visualizziamo la stabilità come un tipo di amicizia o il
conflitto come ostilità è solo perché essi sono più accessibili e concreti in tali forme: siamo quindi in grado
di esprimerli in un modo che sarà comprensibile a chiunque. Questo è il risultato della routinizzazione
(processo che ci rende capaci di scegliere una nozione familiare al posto di una meno familiare). La teoria
delle rappresentazioni ha due conseguenze:

- esclude l'idea di un pensiero o di una percezione che sia senza ancora. Ciò esclude l'idea del
cosiddetto bias (pregiudizio): ogni sistema di classificazioni presuppone un punto di vista basato sul
consenso. I biases non esprimono un deficit sociale o cognitivo, ma una normale differenza nella
prospettiva tra individui e gruppi eterogenei all'interno di una società. Essi non possono essere
espressi per il semplice motivo che i loro opposti -l'assenza di deficit- non hanno senso. Ciò
equivale ad ammettere l'impossibilità di essere nella società e contemporaneamente osservarla
dall'esterno (prospettiva di Sirio).
- La classificazione e l'assegnazione di nomi hanno come obiettivo quello di facilitare
l'interpretazione delle caratteristiche, la comprensione delle interazioni e delle motivazioni dietro
le azioni delle persone, e formare opinioni. Per interpretare un'idea o un essere inconsueto sono
necessarie categorie, nomi, riferimenti, perché l'idea o l'essere siano integrati nella “società dei
concetti” di Gombrich. Man mano che i significati affiorano noi li rendiamo tangibili e simili alle idee
e agli esseri che ci sono familiari. in questo modo le rappresentazioni preesistenti vengono in un
qualche modo modificate e le cose che devono essere rappresentate vengono modificate anche di
più, in modo che acquisiscano una nuova esistenza.

Oggettivazione. Ciò che è inconsueto e non è percepito da una generazione, diviene consueto e ovvio per la
generazione successiva. Come un fatto improbabile diventi in meno di un secolo un fatto comune e
incontestabile è misterioso quanto la sua scoperta. Tale addomesticamento è il risultato
dell'oggettivazione. L'oggettivazione trasforma l'idea di non familiarità in realtà. Prima percepita in un
universo intellettuale, essa appare davanti ai nostri occhi fisica ed accessibile. Come diceva Lewin, ogni
rappresentazione realizza un differente livello di realtà. Questi livelli sono creati e mantenuti da una
collettività e svaniscono con essa, non avendo alcuna realtà propria. La materializzazione di un'astrazione è
una delle caratteristiche più misteriose del pensiero e del linguaggio. In un primo momento, oggettivare
significa scoprire le qualità iconiche di un'idea o di un essere imprecisi, riprodurre un concetto in
un’immagine. In ogni società vi sono tantissime parole che si riferiscono ad oggetti specifici, e noi siamo
costantemente obbligati a fornire i loro equivalenti significati concreti. Tuttavia non tutte le parole possono
essere collegate ad immagini, o perché non ci sono sufficienti immagini immediatamente disponibili, o
perché quelle che esse evocano sono tabu. Quelle che hanno la facoltà di essere rappresentate si fondono
con ciò che Moscovici chiama nucleo figurativo, un complesso di immagini che riproduce visibilmente un
complesso di idee (es. modello della psiche: conscio/inconscio, anima/mente, interno/esterno; assenza di
sessualità o libido: essendo l'oggetto di un tabu, essa rimane astratta). Inoltre i termini rappresentati sono
quelli meglio conosciuti e più comunemente impiegati. Una volta che la società ha adottato un paradigma o
un nucleo figurativo, essa trova più facile parlare di qualsiasi cosa il paradigma implichi, e in virtù di questa
facilita le parole che si riferiscono ad esso sono usate più spesso. Poi emergono formule e cliché che
sintetizzano e legano insieme le immagini che prima erano distinte. Un paradigma viene usato per
comprendere gli altri e se stessi, per scegliere e decidere. Quindi quando l'immagine collegata ad una
parola o ad un'idea si distacca e circola nella società essa è accettata come una realtà (convenzionale).
Anche se sappiamo che la parola “complesso” ha un equivalente molto vago, quando valutiamo una
persona ci comportiamo come se fosse qualcosa che esiste veramente. Tale complesso la rappresenta, è la
sua personalità “complessata” e il suo modo di comportarsi.

In effetti in tutti i casi, una volta che la trasformazione è stata compiuta, l'idolatria collettiva diventa
possibile. Ciò accade nella misura in cui la distinzione tra immagine e realtà è obliterata. L'immagine del
concetto smette di essere un segno e diventa una replica della realtà: allora la nozione o l'entità dalla quale
è derivata perde il suo carattere astratto ed acquisisce un'esistenza fisica, indipendente. Per tutti quelli che
la usano essa ha l'autorità di un fenomeno naturale. È precisamente questo il complesso. Questo è un
esempio della parola che crea i mezzi. Nella seconda fase l'immagine è totalmente assimilata e ciò che è
percepito prende il posto di ciò che è concepito. Le immagini sono essenziali per la comunicazione e la
comprensione sociale, questo perché esse non sono e non possono rimanere senza realtà. Esse devono
avere una realtà e noi ne troviamo una per loro, colmando la distanza tra rappresentazione e ciò che viene
rappresentato. Cosi ciascuno può percepire e distinguere le “epressioni” di una persona o i suoi “complessi”
come se essi fossero sue caratteristiche fisiche. Il nostro ambiente è in larga parte costituito di tali
immagini, e noi lo modifichiamo continuamente abbandonandone alcune e adottandone altre. Le immagini
non occupano più una posizione tra le parole e gli oggetti reali, ma esistono come oggetti, sono ciò che
significano. La cultura ci incita a costruire la realtà a partire da idee significative. Questo per rendere
patrimonio comune ciò per origine appartiene ad un campo specifico. Ma senza rappresentazioni, senza la
metamorfosi di parole in oggetti, ciò non può avvenire. Oggettivando i contenuti scientifici della psicanalisi,
il suo universo è divenuto familiare. L'individuo è in diretto contatto con questo universo senza la
mediazione di esperti ed è passato da una relazione secondaria ad una primaria con l'oggetto. Tale indiretta
appropriazione di potere è un atto generatore di cultura, infatti noi troviamo cosi incorporati nel nostro
linguaggio, sensi e ambiente, elementi ordinari le cui origini sono state dimenticate. La loro realtà è un
vuoto nella nostra memoria, infatti noi oggettiviamo per dimenticare che una creazione è il prodotto della
nostra attività. Nella nostra società la scienza si basa sul quantificabile, sugli oggetti misurabili. Essa si
riferisce agli organi fisici, ed essendo la psicanalisi una scienza, allora un complesso sarà visto come organo
del sistema psichico. Potrà quindi essere amputato, innestato e percepito. Ogni cultura ha il suo dispositivo
fondamentale per trasformare le sue rappresentazioni in realtà. Laddove si tratti di complessi, atomi o geni,
noi non immaginiamo tanto un oggetto, ma creiamo un'immagine con l'aiuto dell'oggetto, col quale noi li
identifichiamo. Nessuna cultura ha un unico dispositivo esclusivo. Essendo la nostra cultura favorevole agli
oggetti, essa ci incoraggia ad oggettivare tutto quello che incontriamo. Noi personifichiamo tutto
(sentimenti, classi sociali, grandi poteri) e quando scriviamo personifichiamo la cultura, dal momento che è
il linguaggio stesso a permetterci di personificare. La tendenza a trasformare verbi in sostantivi e la loro
predilezione tra le varie categorie grammaticali è un segno che la grammatica si sta oggettivando, che le
parole non solo rappresentano le cose, ma le creano e le investono delle loro peculiari proprietà. il
linguaggio in questo caso separa l'apparenza dalla realtà, e la rappresenta sotto forma di apparenza visibile
di un oggetto o di una persona, mettendoci in grado di valutarli come se fossero reali. Perciò i sostantivi che
creiamo per dare una forma astratta a sostanze o fenomeni diventano la sostanza o il fenomeno. I nomi
hanno una funzione rappresentativa: esprime prima l'immagine e poi il concetto come realtà. Per
comprendere le conseguenze dell'oggettivazione dovremmo prendere in considerazione fenomeni sociali
come la personificazione della nazione, delle razze e delle classi. Essi implicano una rappresentazione
sociale che trasmuta le parole in carne, le idee in poteri naturali, le nazioni o i linguaggi umani in un
linguaggio di cose. Cosi le nostre rappresentazioni rendono l'inconsueto consueto. Ancoraggio e
oggettivazione sono dunque modi di manipolare la memoria. Il primo la mantiene in moto: essendo un
processo auto-diretto. esso continuamente immette e toglie elementi, che classifica secondo il tipo, e che
etichetta con un nome. il secondo è più o meno eterodiretto e trae da essa concetti e immagini per
mescolarli e riprodurli nel mondo esterno, per decifrare le cose che bisogna conoscere attraverso il già
noto.

Capitolo 5. Causalità di destra e causalità di sinistra.


1. Attribuzioni e rappresentazioni sociali.
il problema della causalità è sempre stato cruciale per quelli che si sono occupati di rappresentazioni sociali.
Differenza tra psicologi sociali europei e americani: questi ultimi si basano sulla teoria dell'attribuzione e si
occupano principalmente del modo in cui noi attribuiamo cause alle persone e alle cose. La teoria delle
rappresentazioni sociali, invece, assume come punto di partenza la diversità degli individui, degli
atteggiamenti e dei fenomeni. il suo scopo è scoprire come gli individui e i gruppi possono costruire un
mondo stabile, prevedibile, a partire da questa diversità. Noi ci chiediamo sempre "perché", e questo
accade perché siamo convinti che nel mondo ogni essere e ogni oggetto è altro da quello che sembra.
Obiettivo della scienza è eliminare questi "perché?", mentre le rappresentazioni non possono farne a
meno. Le rappresentazioni sociali sono basate sul detto "Non c'è fumo senza fuoco". infatti quando
ascoltiamo o vediamo qualcosa, assumiamo istintivamente che esso debba avere una causa ed un effetto.
Abbiamo bisogno di decodificare tutti i segni del nostro ambiente sociale e di individuare il loro significato.
il pensiero sociale fa quindi un uso estensivo di sospetti che ci mettono sulle tracce della causalità. Un
esempio rilevante è costituito dai processi in cui gli accusati sono presentati come colpevoli e la causa serve
solamente a confermare un verdetto prestabilito. Esempi di manipolazione della causalità (come ad
esempio attribuire agli ebrei delle colpe, in quanto era impossibile che fossero stati torturati e uccisi senza
motivo), provano che il fumo non è sempre progettato per nascondere misure repressive, ma può anche
attirare l'attenzione su di esse, cosi da indurre le persone ad assumere che c'erano ottime ragioni per
accendere il fuoco.

2. Spiegazioni bicausali e monocausali.


La teoria delle rappresentazioni sociali assume che noi agiamo su due differenti classi di motivazioni. Quindi
il pensiero e bicasuale piuttosto che monocousale, e stabilisce simultaneamente una relazione di causa-
effetto e una relazione di fini e mezzi. È in questo che la teoria delle rappresentazioni sociali differisce dalla
teoria dell'attribuzione. Di fronte ad un fenomeno noi stabiliamo una correlazione tra esso e noi stessi, per
poi ricercare l'esistenza di una regola o di una legge che deve ancora essere scoperta. Questa operazione è
stimolata dalla nostra consapevolezza di una discrepanza tra la correlazione e qualcos'altro, tra l'eccezione
e la regola, tra il consueto e l'inconsueto. Come diceva McIver (1943), è l'eccezione che stimola la nostra
curiosità e sembra esigere una spiegazione. Quando una cosa o una persona non corrisponde alle nostre
rappresentazioni, ci sentiamo sfidati a trovare una spiegazione. C’è mancanza di riconoscimento, di
conoscenza. Come rispondere alla sfida? La causalità primaria alla quale noi spontaneamente ci rivolgiamo
dipende dalle finalità. Siamo continuamente posti a confronto con intenzioni e scopi, che per ragioni
pratiche non possiamo comprendere. Qualsiasi cosa le persone facciano o dicano, sembra avere un
significato, un'intenzione o uno scopo nascosti che noi cerchiamo di scoprire. Invece di chiederci il motivo
di un comportamento, ci chiediamo a che scopo sia quel comportamento. in altre parole, siamo sempre
convinti che le persone non agiscano a caso, che ogni cosa facciano corrisponda ad un piano. La causalità
secondaria è una causalità efficiente. non spontanea. È dettata dalla nostra istruzione, linguaggio, visione
scientifica del mondo e da tutto ciò che tende a farci considerare i fenomeni e le azioni solo come dati
sperimentali da studiare imparzialmente (senza la loro parte di intenzione e responsabilità). inoltre
tendiamo a raccogliere tutte le informazioni possibili su di loro, per spiegarli. Procedendo dall'effetto alla
causa, sulla base delle informazioni che abbiamo raccolto, noi mettiamo in relazione l'uno all'altra,
ascrivendo effetti e cause specifiche (es. inferiamo dal comportamento di una persona che è schizofrenica).

Heider ha dimostrato che il comportamento di una persona deriva da due differenti classi di motivazioni,
interne ed esterne, e che le ultime derivano non dalla persona ma dall'ambiente, dal suo status sociale e
dalle costrizioni che altre persone esercitano su di le ([es. il voto può essere una libera scelta cosi come un
obbligo). Processo di attribuzione: esiste un prototipo che serve come metro per eventi e comportamenti
che sono considerati come effetti. Se l'effetto è conforme al prototipo, esso ha una causa esterna. Se non è
conforme ha una causa specifica e interna (es. persona con baguette= francese=conforme=causa esterna.
Americano con baguette=non conforme=causa interna). Nelle rappresentazioni sociali le due causalità
agiscono insieme, e noi passiamo costantemente dall'una all'altra. Il risultato sarà un'inferenza se
cerchiamo un ordine soggettivo dietro fenomeni oggettivi, mentre sarà un'attribuzione se cerchiamo un
ordine oggettivo dietro fenomeni soggettivi. Da un lato ricostruiamo le intenzioni nascoste per spiegare il
comportamento di una persona (causalità in prima persona): dall'altro cerchiamo fattori invisibili per
spiegare un comportamento visibile (causalità in terza persona). il contrasto tra le due causalità dovrebbe
essere accentuato, visto che le circostanze dell'esistenza sociale sono spesso manipolate per svelare l'una o
l'altra (ad esempio far passare un fine per un effetto, come avevano fatto i nazisti dando fuoco al Reichstag:
essi fecero passare le loro persecuzioni come il risultato del fuoco appiccato dagli oppositori). Questo ci
permette di vedere che le attribuzioni implicano sempre una relazione tra fini o intenzioni, e mezzi. il
termine causalizzazione è adatto in questo caso poiché suggerisce che i tini sono camuffati come cause, i
mezzi come effetti e le intenzioni come risultati. Le relazioni tra individui fanno ampio uso di questa
procedura ogni volta che si deve interpretare il comportamento di altre persone (ogni volta che si deve
rispondere alla domanda "Perché?").

3. La causalità sociale.
Una teoria della causalità sociale e una teoria delle attribuzioni e delle inferenze che gli individui fanno e
anche del passaggio dalle une alle altre. Tuttavia gli psicologi hanno l'abitudine di studiare o le attribuzioni
o le inferenze e di ignorare il passaggio tra loro, il che è come studiare una relazione di causa-effetto senza
prima spiegarla. Questo atteggiamento ha i suoi limiti. La teoria dell'attribuzione fornisce un certo numero
di ragioni per spiegare perché un individuo attribuisce certi comportamenti ad un'altra persona e altri
comportamenti all'ambiente. Questi sono basati su un singolo principio: l'uomo è uno statistico e il suo
cervello lavora come un pc (assunzione infondata). Qualsiasi spiegazione ai comportamenti dipende
dall'idea che noi abbiamo della realtà. Tale idea domina le nostre percezioni, le inferenze che traiamo da
esse, le nostre relazioni sociali. Quindi noi diamo la risposta alla domanda “Perché?" all'interno di una
rappresentazione (es. spiegazioni differenti riguardo alla disoccupazione: alcuni la attribuiscono
all'individuo, altri alla società. Le due spiegazioni scaturiscono da due distinte rappresentazioni sociali).
Sono le rappresentazioni sociali che dettano le attribuzioni all'individuo o alla società. Quindi nelle società,
la causalità personale è una spiegazione di destra e la causalità situazionale e una spiegazione di sinistra. Il
mondo è strutturato e organizzato secondo tale divisione. Ognuno di noi e obbligato ad adottare questi due
tipi di causalità con la visione dell'altro che essa comporta. Conseguenze: i motivi delle nostre azioni sono
dettati dalla realtà sociale. Si era ritenuto che le motivazioni potessero essere attribuite ad un semplice
processo di pensiero, ma ora risultano essere determinate da influenze ambientali, status sociale, relazioni
interpersonali, opinioni preconcette della persona. Ciò preclude l'esistenza di categorie neutrali di
attribuzione personale e situazionale, e le sostituisce con determinate categorie di motivazioni di destra o
di sinistra. La sostituzione non avviene sempre, ma comunque spesso. Alcuni esperimenti sostengono tale
sostituzione. Psicologi canadesi Guimond e Simard: conclusero che le persone appartenenti alla
maggioranza o alla classe dominante ragionano secondo l'ottica "La gente ottiene solamente ciò che
merita", mentre quelle appartenenti alle minoranze o classi sotto-privilegiate davano le loro spiegazioni
coinvolgendo la società e non secondo un'ottica individualistica. Le classi dominanti e dominate vedono il
mondo secondo le proprie categorie, lo giudicano secondo criteri specifici. Per le prime l'individuo è
responsabile di ciò che gli accade e dei suoi fallimenti, per le seconde i fallimenti sono dovuti alle
circostanze sociali. È questo il senso dell'espressione causalità di destra/causalità di sinistra.

4. Conclusioni.
La teoria dell'attribuzione potrebbe migliorare se:

- passasse dalla sfera individuale a quella collettiva


- abbandonasse l'idea dell'uomo statistico e il concetto di relazione meccanica tra uomo e mondo
- reintroducesse le rappresentazioni sociali come mediatori necessari.

Dobbiamo ricordare che la causalità esiste solo all'interno di una rappresentazione che la sostiene, e che
quando consideriamo due causalità dobbiamo anche considerare la relazione che esiste tra loro. In altre
parole dovremmo sempre cercare quelle super-cause che costituiscono questa relazione, che agiscono sia
come causa sia come effetto. Ogni credenza, processo di pensiero e concezione del mondo ha una causa di
questo genere alla quale ricorriamo come ultima risorsa. (es. Dio, Progresso, Giustizia, parole che si
riferiscono ad un'entità o ad un individuo dotato di status sociale, che agiscono sia come causa sia come
effetto). Sono rilevanti poiché rendono conto di tutto ciò che accade nella realtà. È facile identificarle, ma
difficile descrivere il loro ruolo e potere.

Capitolo 6. Uno sguardo alle ricerche.


1.Alcuni temi metodologici comuni e i legami con le altre scienze sociali.
Le ricerche sulle rappresentazioni sociali condividono quattro principi metodologici:

1. Ottenere materiali da conversazioni che hanno luogo normalmente in una società. Tarde (1910) fu
il primo ad affermare che opinioni e rappresentazioni sono create nel corso delle conversazioni
come modi elementari di mettersi in relazione e di comunicare. Egli ha anche elaborato un piano
per una scienza sociale del futuro che consiste nello studio comparativo di conversazioni. infatti
nelle interazioni gli individui diventano capaci di familiarizzarsi con oggetti o idee incongrui e cosi di
dominarli. La conversazione è come il punto centrale dei nostri universi consensuali, poiché
modella e anima le rappresentazioni sociali, e da loro una vita propria.
2. Considerare le rappresentazioni come un mezzo di ri-costruzione della realtà. Attraverso la
comunicazione gli individui e i gruppi conferiscono una realtà fisica a idee e immagini, a sistemi di
classificazione e di denominazione. I fenomeni e le persone della nostra vita quotidiana sono
prodotti o incarnazioni di una collettività, non dati grezzi. Quindi prima di intraprendere uno studio
scientifico su un oggetto bisogna indagare sulle sue origini, e considerarlo non materiale grezzo ma
un manufatto. Si tratta di qualcosa di rifatto, di ricostruito. Il risultato di questa ricostruzione di
astrazioni come realtà e che esse si distaccano dalla soggettività del gruppo, dal tempo, acquisendo
cosi permanenza, stabilità, indipendenza.
a. Rappr. di fatti: spostano i loro oggetti da un livello astratto ad un livello cognitivo concreto.
b. Rappr. di idee: mediante un cambiamento di prospettiva, compongono e decompongono i
loro oggetti (es. proporre una palla da biliardo come illustrazione dell'atomo). Entrambe
creano quadri di riferimento prestabiliti e immediati per opinioni e percezioni, all'interno
dei quali le ricostruzioni oggettive (sia della persona sia della situazione) si verificano
automaticamente. Tali quadri sono alla base dell'esperienza e del pensiero individuali. Ad
essere sorprendente è il fatto che è la socievolezza ad esigere tali ricostruzioni sociali.
3. Il carattere delle rappresentazioni sociali è rivelato soprattutto in periodi di crisi e di agitazioni,
quando un gruppo o la sua immagine sono sottoposti a cambiamento. La crisi peggiore si verifica
quando le tensioni tra universi reificati e consensuali creano una spaccatura tra il linguaggio dei
concetti e quello delle rappresentazioni, tra la conoscenza scientifica e la conoscenza comune. È
come se la società stessa fosse divisa e non ci fosse un mezzo per colmare la distanza tra i due
universi. Tali tensioni possono essere il risultato di nuove scoperte, nuove concezioni, della loro
divulgazione nel linguaggio quotidiano e nella consapevolezza collettiva. Queste possono essere
seguite da reali rivoluzioni del senso comune.
4. Le persone che elaborano tali rappresentazioni sono viste come qualcosa di simile ad uno
“studioso” dilettante, e i gruppi che essi formano come equivalenti moderni di quelle società di
studiosi dilettanti che esistevano circa un secolo fa. Questa è la natura della maggior parte delle
riunioni informali (bar, club. etc.). D'altra parte, molte rappresentazioni derivano dai lavori
professionali indirizzati a questo gruppo di “dilettanti" (es. scritti di un sociologo che rendono
possibile a chiunque di sentirsi un sociologo). Una parte delle teorie di Moscovici coincide con
quelle di varie scuole di sociologia e sociologia della conoscenza dei paesi anglofoni. Farr in un paio
di articoli si riferisce alla relazione tra le teorie delle rappresentazioni sociali e quelle
dell'attribuzione, della costruzione sociale della realtà, dell'etnometodologia. Per quanto riguarda
l'etnometodologia, essa ha analizzato la distinzione tra la razionalità della scienza e la razionalità
del senso comune applicata alla vita quotidiana, mediante una sconnessione della società, per poi
ripristinarla, mettendo così in luce le norme sociali e le convenzioni. Ancora una volta il risultato è
una struttura della realtà derivante da una scelta, generalmente condivisa, di regole e convenzioni.
Moscovici preferisce le fratture naturali: in questo modo non vengono alla luce solo le norme e le
convenzioni, ma anche le teorie su cui si basano e i linguaggi che le esprimono.

2. Una breve rassegna di alcuni dei maggiori studi di campo.


Gli psicologi americani hanno riconosciuto l'importanza delle rappresentazioni sociali. come teorie
specifiche e globali che governano la nostra comprensione dei comportamenti (Nisbett e Ross 1980). Ma
una mancanza d'interesse per le produzioni non in lingua inglese li ha portati ad affermare che c'è stata
poca ricerca sulle rappresentazioni sociali, che si è concentrata perlopiù sulle differenze individuali nelle
credenze e nelle teorie (Nisbett e Ross). La verità invece è che proprio in quegli anni la ricerca stava
prosperando. E non era ristretta allo studio delle differenze individuali, il senso comune viene
continuamente creato nelle nostre società, e il suo contenuto, le immagini simboliche derivate dalla scienza
su cui esso si basa, viene costantemente ritoccato. In questo processo, il magazzino di rappresentazioni
sociali viene riempito. Inoltre queste rappresentazioni acquistano un'autorità sempre maggiore a mano a
mano che riceviamo materiale attraverso la loro mediazione: analogie, descrizioni e spiegazioni implicite
dei fenomeni, delle personalità, dell'economia. Ciò che diventa percepibile direttamente dai nostri sensi,
finisce sempre per essere il prodotto secondario della ricerca scientifica. Il senso comune non circola più dal
basso verso l'alto. ma dall'alto verso il basso. Non è più il punto di partenza, ma d'arrivo. La diffusione della
psicoanalisi in Francia ha fornito un esempio per indagare la genesi del senso comune. Come ha fatto la
psicoanalisi a penetrare la nostra società? Le sue teorie sono state ancorate e oggettivate, è stato elaborato
un sistema di classificazione e di denominazione di persone e di comportamenti, un nuovo linguaggio.
Studio sul problema delle comunicazioni di massa e il loro ruolo nella costruzione del senso comune: qui il
senso comune può essere elevato a status di ideologia principale. Per quanto riguarda l'evoluzione, la
presenza della rappresentazione sociale costituisce la premessa necessaria all'acquisizione dello status.
Evoluzione di tre fasi:

1. fase scientifica: elaborazione di una teoria da parte di una disciplina scientifica.


2. fase rappresentativa: la teoria si diffonde nella società e le sue immagini, i suoi concetti e il suo
vocabolario vengono adattati.
3. fase ideologica: la rappresentazione è destinata ad un certo uso da parte di un partito, una scuola
di pensiero o un organo di Stato, ed e ricostruita logicamente.

Un'ideologia ha un contenuto derivato da sotto e una forma da sopra, che conferisce al senso comune
un'aura scientifica. Studio sulle dinamiche dei cambiamenti tecnici e teoretici. Dal 1950 al 1960 in Francia vi
è stata una larga diffusione di tecniche e teorie mediche. Essa stava trasformando immagini e teorie
lungamente radicate. il primo a studiare la situazione fu Claudine Herzlich, nel suo lavoro sulla
rappresentazione della salute e della malattia. il suo scopo era quello di evidenziare la necessità di un
nuovo sistema di classificazione e interpretazione di sintomi. Studio sulla rappresentazione sociale del
corpo: rivelo che le nostre percezioni e concezioni del corpo non si adattavano più alla realtà che stava
prendendo forma, e che era inevitabile uno sconvolgimento maggiore. Jodelet e Moscovici (1975)
analizzarono queste rappresentazioni e capirono che sotto l'influenza dei movimenti giovanili. di liberazione
della donna e della diffusione della biodinamica i modi di vedere e di sperimentare il corpo erano
radicalmente mutati. Essendosi verificata una rivoluzione culturale, J. e M. ne osservarono gli effetti,
confrontando le rappresentazioni precedenti con quelle successive. Ebbero quindi a che fare con il
problema della modificazione delle rappresentazioni sociali e della loro evoluzione. Studio di Denise Jodelet
e Stanley Milgram (1977) sulle immagini sociali di Parigi: prova che lo spazio urbano, o il materiale grezzo
della vita quotidiana è totalmente determinato dalle rappresentazioni. Ciò conferma che è l'ambiente ad
essere pensante, dal momento che niente può essere più gravido di idee di una citta.

Capitolo 7. Lo status delle rappresentazioni: stimoli o mediatori?


1. Le rappresentazioni sociali come variabili indipendenti.
Secondo Fodor (1975), per conoscere la risposta che uno stimolo sta per elicitare, bisogna scoprire quale
rappresentazione interna il nostro organismo assegna allo stimolo. Quindi dalla rappresentazione dello
stimolo dipende la risposta. Secondo Fodor le rappresentazioni sono l'anello di congiunzione tra la causa
reale (stimolo) e l'effetto concreto (risposta), fungono da mediatori. Ma tale behaviorismo ri-condizionato
non è molto convincente. La teoria delle rappresentazioni dice che, per la psicologia sociale, le
rappresentazioni sociali sono variabili indipendenti, stimoli esplicativi. Ciò non significa che ciò che per noi è
esplicativo non richiede di essere spiegato. infatti ogni stimolo è scelto tra un'ampia gamma di possibili
stimoli e può produrre un'infinita varietà di reazioni. Sia le immagini prestabilite, sia i paradigmi,
determinano la scelta e restringono la gamma delle reazioni. Le reazioni emotive, le percezioni e le
razionalizzazioni non sono risposte ad uno stimolo esterno in quanto tale, ma alla categoria in cui noi
classifichiamo queste immagini, ai nomi che diamo loro. Noi reagiamo ad uno stimolo per come lo abbiamo
oggettivato e ri-creato al momento del suo inizio. L'oggetto a cui rispondiamo può assumere molti aspetti, e
l'aspetto specifico che assume dipende dalla risposta che associamo ad esso prima di definirlo. Le
rappresentazioni sociali determinano quindi sia il carattere dello stimolo sia la risposta che esso elicita. il
laboratorio, dove una persona finisce per essere oggetto di un esperimento, rappresenta sia per lui sia per
noi il prototipo di universo reificato (gli vengono date istruzioni, i fatti accadono all'interno di
un'istituzione).

2. Le rappresentazioni sociali in settings di laboratorio.


Esperimento di Claude Faucheaux e Moscovici (1968). Scopo: provare che le rappresentazioni modellano i
nostri comportamenti nell'ambito di un gioco competitivo. L'esperimento è basato su un gioco di carte: ad
un gruppo di soggetti viene detto che stavano giocando contro la natura, ad un altro che stavano giocando
contro il caso. il comportamento dei soggetti differì a seconda della rappresentazione che avevano del loro
avversario. il termine natura evoca un'immagine del mondo più rassicurante, comprensibile e controllabile:
i giocatori in questo caso dedicarono più tempo ad elaborare una strategia di gioco. il termine caso
richiama avversità e irrevocabilità: i giocatori concentrarono tutta la loro attenzione sul mazzo di carte,
cercando di indovinare quale carta sarebbe stata data, senza pensare alle regole del gioco. Risultati: 38/40
di quelli che giocavano contro la natura furono in grado di spiegare le regole del gioco. 12/4O degli altri
furono in grado di farlo. Esperimento Faucheaux, Moscovici, Abric e Plon (1967): un gruppo giocava contro
un pc (le scelte che avrebbero fatto sarebbero state programmate e il computer analogamente a loro,
avrebbe dovuto cercare di accumulare un massimo di punti), un altro gruppo contro uno studente.
Osservazioni: strategie e spiegazioni differenti a seconda del gruppo. Emerse una relazione più cooperativa
con l'altro che con il computer. Flament, Codol e Rossignol hanno considerato lo stesso problema. La
psicologia sociale si occupa ampiamente della scoperta dei cosiddetti meccanismi universali che si suppone
determinino le nostre azioni e pensieri. Essi sono nella società senza essere sociali. Sono meccanismi
formali non connessi né ad un contesto individuale né collettivo. Uno di questi meccanismi è quello della
coerenza e della stabilità, secondo il quale gli individui si sforzano di organizzare le loro credenze in
strutture internamente coerenti. Le relazioni interpersonali, positive e negative, sono determinate dal
principio di stabilità. La stabilita si applica solo agli “oggetti” che hanno in comune un quadro di riferimento
o che sono situati lungo una dimensione cognitiva. Flament ha mostrato che ogni individuo per valutare la
relazione esistente tra altri individui usa una gamma di rappresentazioni del gruppo al quale questi
appartengono e del tipo di legami che esiste tra loro. Questi possono essere convenzionali o mitici. il
principio di stabilità caratterizza queste relazioni solo se una persona ha già in mente la nozione di un
gruppo fondamentale, egalitario e amichevole. Allora egli cercherà di formarsi un'opinione coerente dei
membri del gruppo. Nelle rappresentazioni di un gruppo diverso, la cordialità e l'egalitarismo non sono
necessariamente collegati e non hanno lo stesso significato (amici dei miei amici=amici. Nemici dei miei
nemici=amici).

Infatti sembra che la funzione della stabilità sia quella di creare un paradigma sociale di relazioni
interpersonali positive o negative, e che il suo significato dipenda da questo paradigma. Quindi il principio
dell'equilibrio è esso stesso determinato dal modo in cui è rappresentato il contesto delle relazioni
interpersonali. Molti studi contemporanei di psicologia sociale assumono come paradigma un gruppo di
persone con idee simili, opinioni e gusti simili, ansiose di evitare i conflitti e di accettare lo status quo. Essi
trascurano che tale gruppo è un'oggettivazione della nozione tradizionale, mitica di una comunità ideale. in
questo caso la tendenza verso la stabilità e la coerenza può essere vista come fattore determinante delle
relazioni interpersonali. Ma se poi confrontiamo questa rappresentazione sociale del gruppo ad altre, ci
accorgiamo subito che tali tendenze “generali” sono veramente una sua peculiarità, che abbiamo
scambiato l'effetto per la causa. Questi esperimenti provano che sono le nostre rappresentazioni a
determinare le nostre reazioni, e il loro significato è quindi quello di una causa reale.
Osservazioni conclusive. implicazioni della teoria delle rappresentazioni sociali:

1. Tramite lo studio delle rappresentazioni, esaminiamo l'aspetto simbolico delle nostre relazioni e
degli universi consensuali che abitiamo. Le rappresentazioni sono sociali, quindi sono simboliche e
posseggono elementi sia percettivi che cognitivi. È questo il motivo per cui consideriamo il loro
contenuto così importante. e rifiutiamo di distinguerle dai meccanismi psicologici in quanto tali. In
varie occasioni la psicologia sociale tende a scegliere un meccanismo semplice, a trarlo fuori dal suo
contesto e poi ad attribuirgli un valore generale. Ma lo studio di tali meccanismi come processi
isolati è un errore che crea l'illusione di un possibile e facile contatto con l'essenza della realtà. Le
rappresentazioni sociali. sono la rappresentazione di qualcosa e di qualcuno. Esse hanno un
contenuto specifico. I processi sopra sono significativi solo in quanto rivelano la nascita di un tale
contenuto e le sue variazioni.
2. Lo studio delle rappresentazioni sociali esige che ritorniamo ai metodi dell’osservazione. Quando si
studiano rappresentazioni sociali che sono immagazzinate nel linguaggio e sono create in un
ambiente umano complesso i metodi sperimentali non sono adatti. Ciò che si chiede
all'osservazione è che essa presenti alcune delle qualità dell'esperimento mentre ci libera dalle sue
limitazioni (delle teorie).
3. La terza implicazione concerne la descrizione, ed è una conseguenza naturale della seconda.
Soltanto un'accurata descrizione delle rappresentazioni sociali, della loro struttura e della loro
evoluzione in vari campi ci consentirà di comprenderle, e una spiegazione valida può derivare
soltanto da uno studio comparativo di tali descrizioni.
4. Riguarda il fattore tempo. Le rappresentazioni sociali sono storiche nella loro essenza ed
influenzano lo sviluppo dell'uomo dalla prima infanzia. Le rappresentazioni che abbiamo del corpo,
delle relazioni con altre persone, della giustizia, del mondo, si evolvono dall'infanzia alla maturità:
dovrebbe essere preso in considerazione uno studio dettagliato del loro sviluppo, che esplorasse il
modo in cui una società è concepita da gruppi e generazioni differenti.

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