a cura di L. Arcuri
CAP. 1 – Lineamenti di un quadro teorico da Lewin alle mini-teorie
La psicologia sociale degli anni ‘30/’40 trova nel behaviorismo la sua piattaforma
concettuale e metodologica di riferimento, e nello stesso tempo anche un paradigma da cui
distanziarsi. Il behaviorismo, tendendo a fondare una scienza dell'uomo rigorosamente
obiettiva, non possiamo espelle dal suo contesto concettuale non solo la nozione di coscienza,
ma L'attività intrapsichica in generale: la sua analisi sarà condotta costantemente a livello di
meccanismi periferici nell'ambito di catene di stimoli-reazioni. Ma in realtà il mancato
riconoscimento della "realtà" che il contesto relazionale assume per l'essere umano, finisce col
bloccare una psicologia sociale di specifica impronta S-R. Sarà solo più tardi che le ricerche degli
psicologi sociali contribuiranno a modificare il paradigma S-R ed a spostarlo supposizioni
capaci di tenere conto dell’elaborazione cognitiva degli stimoli. Lewin ha rappresentato in un
certo periodo il 95% della psicologia sociale. La teoria di campo, che Lewin elabora più come
"un metodo di analisi" che come una concezione aprioristica dell'uomo e della società, e diretta
a chiarire il senso dell'articolazione tra mondo psichico e mondo sociale, accogliere le relazioni
che collegano il soggetto al sociale attraverso il suo agire, attraverso una "situazione globale"
che contiene ad un tempo la dimensione soggettiva e quella obiettiva della realtà che si presenta
allo psicologo sociale. questo appare molto chiaramente quando Lewin, definito il campo come
la totalità dei fatti coesistenti ad un momento dato nella loro interdipendenza, chiarisce la
triplice natura di questi fatti, che sono rispettivamente, "lo spazio della vita, ovvero la persona
e l'ambiente psicologico come viene visto da essa", di natura "fisica e sociale che in quel dato
momento non influiscono sullo spazio di vita", ed infine di "confine" tra le due dimensioni del
soggettivo dell'oggettivo. In questo spazio di confine si svolgono specificamente i "processi di
azione". Particolarmente cruciale permane il ruolo del comportamento: nella concezione
lewiniana esso appare come un agire costantemente direzionato e motivato, che ha alla sua
base un soggetto capace di scegliere e di decidere in base ai suoi bisogni, alle sue aspirazioni ed
alle richieste delle specifiche situazioni. appare evidente che il soggettivo e di sociale non sono
da Lewin né isolati né tantomeno contrapposti, ma articolati dall'agire concreto. La sua tensione
verso una teoria rigorosa delle dinamiche psicologico-sociali si sposa così con una ricerca
rivolta aspetti concreti della vita, alle speranze, ai timori, alle aspirazioni. Il concetto di action
research, cioè di una ricerca che unisce la dimensione conoscitiva con la pratica dell'intervento,
esprime assai bene questa duplice lezione presente nell'opera di Lewin. L'analisi del gruppo
come totalità dinamica che trascende le singole persone dei membri è una delle grandi
acquisizioni che egli lascia alla psicologia sociale. Il gruppo non è solo un "oggetto teorico" ma
la dimensione concreta in cui il collegamento teoria-pratica si misura con le problematiche della
convivenza civile, con i temi della collaborazione, della partecipazione, del cambiamento.
La lezione teoretica di Lewin non viene ripresa: ma dopo la Seconda Guerra Mondiale la
generazione degli studiosi che si era formata attorno a lui matura, produce un gran numero di
ricerche e di riflessioni che spesso assumono la forma di mini-teorie. Queste mini-teorie sono
in realtà di portata diversa non solo per quanto attiene alle più generali concezioni dell'essere
umano che sottendono, ma anche perché, mentre alcune restano programmaticamente tali,
ancorate a specifiche aree e a specifiche ipotesi di ricerca, altre hanno assunto un ruolo generale
di indirizzo dell'intera psicologia sociale in certi periodi. Tale è, sicuramente, la teoria della
dissonanza cognitiva di Heider, che presenta i contorni di quella psicologia ingenua la quale
getta le basi del modello di uomo come scienziato ingenuo che apre la strada alla social cognition
come area di analisi e come orientamento teorico. La teoria della dissonanza cognitiva parte da
una constatazione propria del senso comune. La nostra mente tende ad una certa "consonanza"
tra le idee che si costruiscono attorno a un dato oggetto: quando questa conoscenza viene
turbata in qualche modo si crea uno stato di disagio che motiva a ripristinarla. Questo avviene
quando le condizioni presenti sono attivate dal dover prendere una decisione che
concretamente ci impegni ad un certo comportamento. La vita quotidiana ci presenta spesso
situazioni del genere in cui ci possiamo trovare a sostenere tesi contrarie alle nostre
convinzioni reali, a impegnarci in comportamenti e non sono sintonici con le nostre idee. In
queste situazioni, dice Festinger, se l'individuo non è costretto e se non è particolarmente
ricompensato, si crea una dissonanza che viene rimediata cambiando un elemento cognitivo:
cioè in genere l'atteggiamento (o l'opinione) precedente. La teoria della dissonanza cognitiva
ha avuto il merito di aprire la strada a vari approcci che in qualche modo mettono in causa un
soggetto capace di elaborazione cognitiva delle situazioni ma non isolato rispetto a queste, e
quindi coinvolto in senso motivazionale ed affettivo.
La nostra conoscenza sociale è frutto di un complesso intreccio tra ciò che sta fuori di
noi e ciò che la nostra mente attivamente costruisce ed organizza, anche se gli individui non
sono di norma consapevoli della quantità di strutture cognitive che entrano in gioco e dei
processi psicologici che si attivano. Un costrutto teorico largamente impiegato nell'analisi di
tali strutture è quello di schema sociale. Gli schemi sono delle strutture di dati per rappresentare
concetti immagazzinati in memoria. Possiamo immaginarci uno schema come una struttura
piramidale gerarchicamente organizzata, al cui vertice sono rappresentate le informazioni nella
loro forma più astratta e generale; procedendo verso la base di tale struttura, la
rappresentazione assume sempre maggiore specificità referenziale fino ad arrivare a
descrivere i singoli esempi con riferimenti contenutistici precisi. Faremo una rapida rassegna
dei più frequenti tipi di schema in ambito sociale e nello stesso tempo Scriveremo il modo in
cui essi funzionano.
Schemi di persone. Sono strutture di conoscenza che si riferiscono a particolari categorie
di individui e che focalizzano i tratti di personalità che li distinguono e che ne rendono
significativo il comportamento. Quando classifichiamo le persone come estroverse, autoritarie,
tradizionaliste, usiamo delle etichette linguistiche che rendono particolarmente disponibile la
memoria di informazioni che su di esse già possediamo, e che, infine, favoriscono la produzione
di inferenze.
Schemi di sé. Una particolare categoria di strutture schematiche a disposizione delle
persone è quella che si riferisce alle conoscenze relative a sé stessi. Chiedendo a un soggetto di
giudicare quanto egli si consideri onesto, socievole, testardo, potremmo scoprire che per alcune
domande le sue risposte saranno particolarmente veloci e sicure, mentre per altre saranno più
lente e indecise. I tratti per i quali le risposte sono facili e immediate costituiscono le dimensioni
lungo le quali si organizza lo schema di sé del soggetto.
Schemi di ruolo. Lo schema di ruolo è la struttura cognitiva che organizza le conoscenze
circa i comportamenti previsti. Ci sono però dei ruoli che le persone incarnano fin dalla nascita
e che li accompagnano per tutta la loro vita: si tratta dei ruoli cosiddetti ascritti, come il genere
sessuale, la razza, l'età. Anche in questo caso il ruolo si traduce in aspettative riguardanti il
comportamento e queste danno luogo a strutture schematiche nella mente del soggetto
percipiente. Usare degli schemi di ruolo per categorizzare di interpretare i comportamenti delle
persone rende indubbiamente più facile la vita del soggetto percipiente, anche se gli fa correre
dei seri pericoli di semplificare eccessivamente la realtà sociale. Anche gli schemi di ruolo
acquisiti danno luogo alle stesse semplificazioni di tipo cognitivo: vi è una sorta di associazione
sistematica tra caratteristiche comportamentali di un ruolo professionale, il cui esercizio
implica qualche particolare abilità, e alcune specifiche dimensioni più stabili e profonde della
personalità di chi quel ruolo incarna.
Schemi di eventi. Gli schemi di eventi sono quelle strutture di conoscenza che descrivono
sequenze di azioni situate negli opportuni contesti. Questi schemi producono aspettative su ciò
che è probabile si debba verificare in una particolare situazione, generano prescrizioni su come
ci si deve comportare, offrono indicazioni sulla sequenza di azioni che porta al raggiungimento
di un obiettivo. Dal punto di vista psicologico è interessante notare che questi schemi operano
in maniera silente e spesso al di fuori della consapevolezza delle persone. Dobbiamo, però,
precisare che differenti culture forniscono agli individui schemi differenti per interpretare le
storie e questi schemi guidano i processi di codifica, di memoria e di inferenza degli elementi in
esse contenuti. Gli eventi e le loro descrizioni non si danno quindi in maniera diretta: il loro
significato emerge solo se esistono delle adeguate strutture di conoscenza in grado di
sintonizzarsi con i contenuti proposti.
Gli schemi di sé
Il sé come conoscitore è un'istanza che consente di organizzare l'esperienza passata entro
categorie di conoscenza omogenee e funzionali. Sulla base di un processo di generalizzazione
l'individuo va maturando un'idea sempre più precisa e ben differenziata del tipo di persona che
egli è in relazione ad un determinato dominio comportamentale. Al termine di tale percorso si
può affermare che l'individuo possiede uno schema di sé, ossia una struttura di conoscenza
capace di organizzare e direzionare i processi di valutazione, selezione, categorizzazione degli
elementi di informazioni riguardanti sé e gli altri. Gli schemi di sé sembrano operare nei
processi di percezione interpersonale, quando il soggetto acquisisce informazioni sugli altri al
momento del primo contatto. Il concetto di sé non determina solo l'elaborazione delle
informazioni riguardanti noi stessi ma influisce anche su come percepiamo gli altri e come
interagiamo con loro.
I temi di un dibattito
Pur senza agire intenzionalmente in questa direzione, ogni generazione che ci ha preceduto ha
governato le relazioni sociali dei propri figli, regolando, secondo modalità anche
profondamente diverse, ciò che è riassumibile sotto il termine di "esperienza". Se assumiamo
la definizione di socializzazione come il processo secondo cui il bambino inerme diviene
gradualmente una persona consapevole di sé stessa, preparata, in grado di utilizzare
efficacemente le capacità specifiche della cultura in cui è nata, possiamo cogliere una
sistematizzazione dei temi già emersi, non sono dai risultati di ricerche recenti, ma anche dalle
ricerche storiche. Quattro sono i temi principali di questa definizione: sviluppo, identità,
istruzione e cultura. Un primo approccio che non vedeva il bambino come agente di sviluppo è
stato in gran parte oscurato dalla diffusione della teoria costruttivista di Piaget e
dall'integrazione di quest'ultima con il paradigma cognitivista e la teoria di Kohlberg. Ne
emerge una prospettiva evolutiva radicalmente opposta alla precedente: le interazioni fra il
bambino e le altre persone risultano essere orientate dal livello di sviluppo cognitivo attraverso
il quale il bambino elabora le proprie rappresentazioni del mondo. Inoltre, ampia rilevanza ha
avuto la teoria dell'attaccamento di Bowlby. Un altro tema centrale nel dibattito sulla
socializzazione è quello dell'identità e, in quanto la consapevolezza del mondo sociale non può
che andare di pari passo con la conoscenza di sé stessi. Infatti, il sentimento di identità
personale è strettamente legato alla capacità intenzionale del soggetto di perseguire
autonomamente uno scopo, anche per sottrarsi alle azioni, altrettanto intenzionali, che gli altri
rivolgono verso di lui per influenzarne il comportamento. Inoltre, l'importanza attribuita alle
influenze del contesto familiare ed extrafamiliare nel processo di socializzazione sottolinea la
centralità e l'attualità di quelli che Giddens definisce "agenti di socializzazione", cioè specifici
contesti o gruppi sociali che sono parte integrante dello sviluppo dell'individuo. Oltre alla
famiglia, l'autore indica il gruppo dei coetanei, la scuola, i mass media e il lavoro. Infine,
adottando una visione ampia ed articolata della socializzazione, è importante riprendere
l'aspetto culturale di questo processo, poiché l'appartenenza ad una determinata società traccia
i confini entro i quali adulti e bambini socializzano fra loro e sono indotti nel corso degli anni a
compiere alcune ulteriori risocializzazioni, se gli eventi della vita lo rendono necessario.
Il modello ecologico
Il lavoro teorico e metodologico di Bronfenbrenner ci offre uno strumento per tessere una
relazione concettualmente produttiva fra sviluppo sociale e socializzazione. L'autore propone
di considerare tutto l'arco dello sviluppo umano come un processo di costante adattamento
reciproco tra il soggetto e i cambiamenti che caratterizzano l'ambiente che lo circonda;
quest'ultimo è concettualizzato come l'insieme di alcune strutture gerarchicamente collegate
come livelli crescenti di complessità. La struttura più interna (microsistema) è caratterizzata
dalle interazioni faccia-a-faccia, ma anche e soprattutto dagli effetti di secondo ordine e dalle
reciproche relazioni di ruolo che sono sempre presenti in ogni relazione diadica. La struttura
successiva (mesosistema) comprende le interrelazioni fra due o più situazioni ambientali, nelle
quali il soggetto ha contemporaneamente un ruolo attivo. La caratteristica principale del
mesosistema è quella di produrre delle transizioni ecologiche, dei cambiamenti più o meno
radicali nel sistema di relazioni diadiche e di secondo ordine. La struttura dell’esosistema
ricorda quella del livello precedente, ma qui il soggetto non ha un ruolo attivo, anche se ciò che
accade a questo livello può influenzare, contemporaneamente o in tempi successivi, la
situazione ambientale che lo riguarda. Da ultimo, il macrosistema consiste in una sorta di
“cornice culturale” dell'ambiente ecologico, poiché in esso si esprimono le differenze sociali, le
ideologie, i sistemi di credenze.
I bambini non nascono membri della società: essi piuttosto nascono predisposti alla socialità e
diventano membri della società. La socializzazione si configura così come una lunga marcia
nella decifrazione e ricostruzione dei processi oggettivi dell'Altro, del mondo in cui egli vive e
nella propria azione di quel mondo. Ogni bambino nasce in una struttura sociale entro la quale
incontra persone che si prendono cura di lui, persone che risultano oggettivamente importanti
in quanto sono esse, indipendentemente dalla volontà del bambino, che gli definiscono le
coordinate, le risorse e i limiti entro i quali conoscere e costruire i significati del proprio mondo.
Socializzazione e apprendimento
Una delle caratteristiche cruciali della socializzazione primaria è la sequela di apprendimenti
che essa prevede, sia dal punto di vista scolastico sia dal punto di vista del tipo di cittadino che
essa deve predisporre per il futuro. Abbiamo già illustrato come la crescita dei bambini sia
sociale fin dalla nascita, e cioè scandita dalle caratteristiche organizzative della propria famiglia.
Si può ben dire che i ritmi fisiologici dei piccoli sono chiamati ben presto a negoziazioni
importanti con i ritmi sociali dei genitori, dei nonni, dell'asilo nido e così via. La relativa
diffusione di servizi per l'infanzia rende ormai indispensabile comprendere la socializzazione
primaria nei termini di tipologie di percorsi diversificati in funzione delle condizioni
socioculturali della madre e quindi, curiosamente, la figura della madre ritorna alla ribalta, ma
non più come naturale ed unica interlocutrice del proprio piccolo. Durante la scuola
elementare, la pluralità dei docenti e l'aggregazione dei contenuti disciplinari producono un
contesto educativo nel quale l'alunno è chiamato a instaurare rapporti differenziati con gli
insegnanti ed anche con i contenuti disciplinari. Queste innovazioni organizzative e
programmatiche producono un nuovo assetto della scuola elementare che influenzerà
certamente i processi di insegnamento-apprendimento. Infatti i cambiamenti che riguardano il
modello organizzativo e le relazioni professionali fra gli insegnanti (esosistema) hanno come
conseguenza ulteriori cambiamenti sulle relazioni con gli alunni delle diverse classi
(mesosistema) ed anche sulle relazioni con ogni singolo alunno (microsistema).
Questa fase della socializzazione richiede un'identificazione emotiva con adulti significativi
meno intensa di quella inevitabile per la socializzazione primaria, ma occorre pur sempre un
certo grado di identificazione reciproca. Neppure i genitori sfuggono a questa vera e propria
ridefinizione dei significati del mondo adulto e della sua legittimità. Alcune delle crisi che si
verificano dopo la socializzazione primaria sono causate dal dover riconoscere che il mondo dei
genitori non è l'unico esistente, ma ha una collocazione sociale molto specifica. In termini
generali, la socializzazione secondaria implica riti più o meno espliciti e ufficiali di iniziazione
al mondo adulto, periodi di apprendistato e l'esperienza di possibili transizioni ecologiche che
punteggiano il ciclo di vita degli adolescenti e poi degli adulti. Come esempio di analisi di un
percorso di socializzazione secondaria, abbiamo scelto un lavoro recente che illustra come si
diventa studenti universitari.
Socializzazione e risocializzazione
Uno dei fenomeni più interessanti nel corso della socializzazione secondaria è che la realtà da
essa definita può essere sempre suscettibile di trasformazioni. Ci sono diverse circostanze in
cui gli individui, giovani o adulti, "cambiano mondo". È stato impiegato il termine
"risocializzazione" per sottolineare le notevoli somiglianze con la socializzazione primaria, in
quanto vengono ridistribuiti i valori di realtà e riprodotte molte delle condizioni che
caratterizzano le identificazioni affettive dei bambini. Una risocializzazione riuscita richiede
requisiti sociali, affettivi e concettuali. La condizione sociale più importante è la disponibilità di
una "struttura di plausibilità". Nessuna trasformazione della realtà e quindi dell'identità può
fare a meno di persone o gruppi significativi sui quali concentrare tutta l'interazione
significativa. Ciò che diventa imperativo è una reinterpretazione del significato degli
avvenimenti passati e delle persone importanti nella propria vita. Poiché è più facile inventare
cose che non sono successe piuttosto che dimenticare quelle davvero accadute, gli individui
possono costruire ex novo, e inserire nella propria biografia avvenimenti che siano necessari
per armonizzare il passato ricordato e quello reinterpretato. Dal momento che è la nuova realtà
ad apparire in modo preponderante e plausibile, tutto ciò può essere fatto in modo sincero, in
quanto gli individui non mentono sul passato ma cercano di metterlo in armonia con la verità
che, necessariamente, deve abbracciare sia il passato sia il presente. Questo è il quadro generale
dei processi di risocializzazione "radicale" in cui gli individui sperimentano un "nuovo mondo".
Esistono poi tipi di risocializzazione piuttosto radicali ma temporanei: ad esempio,
l'addestramento militare di leva e le degenze brevi in ospedale. In questi casi, la coerenza con
realtà e identità precedenti è postulata dalla supposizione che prima o poi si ritornerà alla vita
normale. È interessante individuare una differenza sociopsicologica decisiva nelle dinamiche di
costruzione della prospettiva temporale. Nella risocializzazione, il passato viene reinterpretato
per adeguarlo alla realtà presente e aspetti cruciali che nel passato non erano disponibili
vengono comunque collocati proprio nel passato. Nella socializzazione secondaria "normale",
invece, le vicende presenti vengono interpretate in modo da porle in continuità e non in frattura
con il passato; le trasformazioni, pure effettivamente avvenute, sono minimizzate.