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MANUALE DI PSICOLOGIA SOCIALE

a cura di L. Arcuri
CAP. 1 – Lineamenti di un quadro teorico da Lewin alle mini-teorie

La psicologia sociale degli anni ‘30/’40 trova nel behaviorismo la sua piattaforma
concettuale e metodologica di riferimento, e nello stesso tempo anche un paradigma da cui
distanziarsi. Il behaviorismo, tendendo a fondare una scienza dell'uomo rigorosamente
obiettiva, non possiamo espelle dal suo contesto concettuale non solo la nozione di coscienza,
ma L'attività intrapsichica in generale: la sua analisi sarà condotta costantemente a livello di
meccanismi periferici nell'ambito di catene di stimoli-reazioni. Ma in realtà il mancato
riconoscimento della "realtà" che il contesto relazionale assume per l'essere umano, finisce col
bloccare una psicologia sociale di specifica impronta S-R. Sarà solo più tardi che le ricerche degli
psicologi sociali contribuiranno a modificare il paradigma S-R ed a spostarlo supposizioni
capaci di tenere conto dell’elaborazione cognitiva degli stimoli. Lewin ha rappresentato in un
certo periodo il 95% della psicologia sociale. La teoria di campo, che Lewin elabora più come
"un metodo di analisi" che come una concezione aprioristica dell'uomo e della società, e diretta
a chiarire il senso dell'articolazione tra mondo psichico e mondo sociale, accogliere le relazioni
che collegano il soggetto al sociale attraverso il suo agire, attraverso una "situazione globale"
che contiene ad un tempo la dimensione soggettiva e quella obiettiva della realtà che si presenta
allo psicologo sociale. questo appare molto chiaramente quando Lewin, definito il campo come
la totalità dei fatti coesistenti ad un momento dato nella loro interdipendenza, chiarisce la
triplice natura di questi fatti, che sono rispettivamente, "lo spazio della vita, ovvero la persona
e l'ambiente psicologico come viene visto da essa", di natura "fisica e sociale che in quel dato
momento non influiscono sullo spazio di vita", ed infine di "confine" tra le due dimensioni del
soggettivo dell'oggettivo. In questo spazio di confine si svolgono specificamente i "processi di
azione". Particolarmente cruciale permane il ruolo del comportamento: nella concezione
lewiniana esso appare come un agire costantemente direzionato e motivato, che ha alla sua
base un soggetto capace di scegliere e di decidere in base ai suoi bisogni, alle sue aspirazioni ed
alle richieste delle specifiche situazioni. appare evidente che il soggettivo e di sociale non sono
da Lewin né isolati né tantomeno contrapposti, ma articolati dall'agire concreto. La sua tensione
verso una teoria rigorosa delle dinamiche psicologico-sociali si sposa così con una ricerca
rivolta aspetti concreti della vita, alle speranze, ai timori, alle aspirazioni. Il concetto di action
research, cioè di una ricerca che unisce la dimensione conoscitiva con la pratica dell'intervento,
esprime assai bene questa duplice lezione presente nell'opera di Lewin. L'analisi del gruppo
come totalità dinamica che trascende le singole persone dei membri è una delle grandi
acquisizioni che egli lascia alla psicologia sociale. Il gruppo non è solo un "oggetto teorico" ma
la dimensione concreta in cui il collegamento teoria-pratica si misura con le problematiche della
convivenza civile, con i temi della collaborazione, della partecipazione, del cambiamento.
La lezione teoretica di Lewin non viene ripresa: ma dopo la Seconda Guerra Mondiale la
generazione degli studiosi che si era formata attorno a lui matura, produce un gran numero di
ricerche e di riflessioni che spesso assumono la forma di mini-teorie. Queste mini-teorie sono
in realtà di portata diversa non solo per quanto attiene alle più generali concezioni dell'essere
umano che sottendono, ma anche perché, mentre alcune restano programmaticamente tali,
ancorate a specifiche aree e a specifiche ipotesi di ricerca, altre hanno assunto un ruolo generale
di indirizzo dell'intera psicologia sociale in certi periodi. Tale è, sicuramente, la teoria della
dissonanza cognitiva di Heider, che presenta i contorni di quella psicologia ingenua la quale
getta le basi del modello di uomo come scienziato ingenuo che apre la strada alla social cognition
come area di analisi e come orientamento teorico. La teoria della dissonanza cognitiva parte da
una constatazione propria del senso comune. La nostra mente tende ad una certa "consonanza"
tra le idee che si costruiscono attorno a un dato oggetto: quando questa conoscenza viene
turbata in qualche modo si crea uno stato di disagio che motiva a ripristinarla. Questo avviene
quando le condizioni presenti sono attivate dal dover prendere una decisione che
concretamente ci impegni ad un certo comportamento. La vita quotidiana ci presenta spesso
situazioni del genere in cui ci possiamo trovare a sostenere tesi contrarie alle nostre
convinzioni reali, a impegnarci in comportamenti e non sono sintonici con le nostre idee. In
queste situazioni, dice Festinger, se l'individuo non è costretto e se non è particolarmente
ricompensato, si crea una dissonanza che viene rimediata cambiando un elemento cognitivo:
cioè in genere l'atteggiamento (o l'opinione) precedente. La teoria della dissonanza cognitiva
ha avuto il merito di aprire la strada a vari approcci che in qualche modo mettono in causa un
soggetto capace di elaborazione cognitiva delle situazioni ma non isolato rispetto a queste, e
quindi coinvolto in senso motivazionale ed affettivo.

CAP. 3 – Gli schemi

La nostra conoscenza sociale è frutto di un complesso intreccio tra ciò che sta fuori di
noi e ciò che la nostra mente attivamente costruisce ed organizza, anche se gli individui non
sono di norma consapevoli della quantità di strutture cognitive che entrano in gioco e dei
processi psicologici che si attivano. Un costrutto teorico largamente impiegato nell'analisi di
tali strutture è quello di schema sociale. Gli schemi sono delle strutture di dati per rappresentare
concetti immagazzinati in memoria. Possiamo immaginarci uno schema come una struttura
piramidale gerarchicamente organizzata, al cui vertice sono rappresentate le informazioni nella
loro forma più astratta e generale; procedendo verso la base di tale struttura, la
rappresentazione assume sempre maggiore specificità referenziale fino ad arrivare a
descrivere i singoli esempi con riferimenti contenutistici precisi. Faremo una rapida rassegna
dei più frequenti tipi di schema in ambito sociale e nello stesso tempo Scriveremo il modo in
cui essi funzionano.
Schemi di persone. Sono strutture di conoscenza che si riferiscono a particolari categorie
di individui e che focalizzano i tratti di personalità che li distinguono e che ne rendono
significativo il comportamento. Quando classifichiamo le persone come estroverse, autoritarie,
tradizionaliste, usiamo delle etichette linguistiche che rendono particolarmente disponibile la
memoria di informazioni che su di esse già possediamo, e che, infine, favoriscono la produzione
di inferenze.
Schemi di sé. Una particolare categoria di strutture schematiche a disposizione delle
persone è quella che si riferisce alle conoscenze relative a sé stessi. Chiedendo a un soggetto di
giudicare quanto egli si consideri onesto, socievole, testardo, potremmo scoprire che per alcune
domande le sue risposte saranno particolarmente veloci e sicure, mentre per altre saranno più
lente e indecise. I tratti per i quali le risposte sono facili e immediate costituiscono le dimensioni
lungo le quali si organizza lo schema di sé del soggetto.
Schemi di ruolo. Lo schema di ruolo è la struttura cognitiva che organizza le conoscenze
circa i comportamenti previsti. Ci sono però dei ruoli che le persone incarnano fin dalla nascita
e che li accompagnano per tutta la loro vita: si tratta dei ruoli cosiddetti ascritti, come il genere
sessuale, la razza, l'età. Anche in questo caso il ruolo si traduce in aspettative riguardanti il
comportamento e queste danno luogo a strutture schematiche nella mente del soggetto
percipiente. Usare degli schemi di ruolo per categorizzare di interpretare i comportamenti delle
persone rende indubbiamente più facile la vita del soggetto percipiente, anche se gli fa correre
dei seri pericoli di semplificare eccessivamente la realtà sociale. Anche gli schemi di ruolo
acquisiti danno luogo alle stesse semplificazioni di tipo cognitivo: vi è una sorta di associazione
sistematica tra caratteristiche comportamentali di un ruolo professionale, il cui esercizio
implica qualche particolare abilità, e alcune specifiche dimensioni più stabili e profonde della
personalità di chi quel ruolo incarna.
Schemi di eventi. Gli schemi di eventi sono quelle strutture di conoscenza che descrivono
sequenze di azioni situate negli opportuni contesti. Questi schemi producono aspettative su ciò
che è probabile si debba verificare in una particolare situazione, generano prescrizioni su come
ci si deve comportare, offrono indicazioni sulla sequenza di azioni che porta al raggiungimento
di un obiettivo. Dal punto di vista psicologico è interessante notare che questi schemi operano
in maniera silente e spesso al di fuori della consapevolezza delle persone. Dobbiamo, però,
precisare che differenti culture forniscono agli individui schemi differenti per interpretare le
storie e questi schemi guidano i processi di codifica, di memoria e di inferenza degli elementi in
esse contenuti. Gli eventi e le loro descrizioni non si danno quindi in maniera diretta: il loro
significato emerge solo se esistono delle adeguate strutture di conoscenza in grado di
sintonizzarsi con i contenuti proposti.

CAP. 3 – Vari modelli nei processi di attribuzione causale

Le inferenze corrispondenti: il modello di Jones e Davis


La teoria dell'inferenza corrispondente, proposta da Jones e Davis, si pone l'obiettivo di
analizzare i modi in cui le persone effettuano stabili attribuzioni circa le disposizioni di chi
compie un'azione. Secondo questi autori, un'inferenza corrispondente suggerisce in che misura
il comportamento degli individui corrisponde o riflette disposizioni interne di tipo stabile.
L'assunto di base della teoria afferma che il comportamento di una persona risulta informativo
agli occhi di chi produce l'inferenza, quando esso è giudicato essere frutto di un'intenzione e
quando tale intenzione si mantiene stabile nel tempo non modificandosi da situazione a
situazione. Conoscere, o meglio, ricostruire le disposizioni permanenti degli individui, consente
di comprendere e di prevedere il loro comportamento.
L’analisi degli effetti non comuni. Quali sono gli strumenti conoscitivi che una persona
può utilizzare per collegare le intenzioni a criteri disposizionali? Si tratta di analizzare sia le
caratteristiche dell'azione intrapresa dall'attore sociale sia gli effetti da essa prodotti. Quando,
ad esempio, sono a disposizione di un individuo diverse opzioni comportamentali, ci si può
chiedere: quali sono le conseguenze che può produrre il comportamento scelto e in che cosa si
differenzia da altri comportamenti possibili che non sono stati invece messi in atto?
Confrontando le conseguenze derivanti dalle due diverse soluzioni comportamentali, è spesso
possibile inferire la forza e la qualità delle intenzioni che hanno preceduto la scelta operata.
La desiderabilità sociale. Non sempre l'analisi degli effetti non comuni porta delle
conclusioni sicure circa le disposizioni permanenti dell'attore. Vi sono infatti molte situazioni
in cui gli effetti a confronto danno luogo a condizioni "ambigue". Una possibile soluzione allora
è quella di basarsi sulla desiderabilità sociale del comportamento messo in atto. Secondo questo
principio, al diminuire della sua desiderabilità sociale, il comportamento consente inferenze
più attendibili circa le disposizioni personali che lo hanno determinato. Se una persona mette
in atto un comportamento particolarmente desiderabile dal punto di vista sociale, non
possiamo con sicurezza concludere che a tale comportamento corrisponda una disposizione
permanente. Al contrario, un comportamento socialmente indesiderabile è decisamente più
diagnostico a proposito delle disposizioni personali che ad esso sono collegate.
Le possibilità di scelta. Un'altra possibile strategia da seguire per inferire le disposizioni
di un attore sociale consiste nel verificare se il comportamento messo in atto sia in un qualche
modo frutto di vincoli situazionali o se invece sia frutto di una libera scelta. Sembra che le
persone tengano il minor conto di quanto vorrebbero questo fattore di libertà di scelta, quando
devono interpretare il valore diagnostico dei comportamenti. Sapere che ad una persona è stato
assegnato un ruolo in una discussione e che le opinioni espresse corrispondono a quel ruolo
ascritto, non impedisce comunque ai soggetti di pensare che, in fondo, se uno si impegna in
un'attività è perché questa è indicativa del suo modo di pensare.
Ruoli sociali. Sembra inoltre operare un principio che potremmo chiamare
dell'aspettativa: tutto ciò che conferma un'aspettativa è poco diagnostico, tutto ciò che la
contraddice è particolarmente informativo per le inferenze da effettuare.

Le attribuzioni causali basate su osservazioni multiple: il modello della


covariazione di Kelley
Secondo Kelly le persone valutano l'informazione riguardante la covariazione lungo 3
dimensioni che sono rilevanti per l'entità il cui comportamento deve essere spiegato. Esse sono:
• distintività, cui corrisponde la domanda: l'effetto si manifesta quando è presente l'entità
e invece non si presenta quando l'entità è assente?
• coerenza nel tempo e nelle modalità, cui corrisponde la domanda: l'effetto si manifesta
ogni volta che l'entità è presente, indipendentemente dalle forme di interazione?
• consenso, cui corrisponde la domanda: le altre persone subiscono lo stesso effetto in
riferimento alla stessa entità?
Le indagini sperimentali che sono state condotte per mettere alla prova il modello della
covariazione di Kelley hanno generalmente messo in luce una sua soddisfacente predittività: le
dimensioni della distintività, della consistenza e del consenso sono risultata essere importanti
nel produrre le attribuzioni causali.

La dinamica persona vs. situazione nei processi attribuzionali: il modello di Weiner


Le prime riflessioni di Heider a proposito delle attribuzioni causali avevano già messo in luce
quanto sia importante la dimensione che si articola nelle polarità interno vs. esterno. Ma questa
distinzione non esaurisce i problemi di attribuzione: determinare il locus (interno o esterno)
della causalità non è sufficiente. In quest'ottica diventa importante una terza dimensione,
quello della controllabilità: è in base a questa dimensione che una persona è in grado di
esercitare un controllo oppure se si tratta di un problema al di fuori del suo controllo. Weiner
applicato questo modello tridimensionale (locus, stabilità, controllabilità) a diversi contesti di
giudizio. Il modello proposto da Weiner possiede la caratteristica di essere dinamico, ossia si
focalizza sui cambiamenti attraverso il tempo: è infatti possibile analizzare come le attribuzioni
causali influenzino le aspettative per il futuro e le prestazioni del soggetto. Le dimensioni
previste dal modello di Weiner consentono di prevedere anche le specifiche reazioni emotive
collegate ad un’attribuzione. Alcune emozioni dipendono dal locus: se una persona ha ottenuto
un successo e se il locus della causalità è interno, ecco che la reazione emotiva più plausibile è
l'orgoglio. Ma anche la dimensione della controllabilità del risultato è importante per prevedere
i vissuti emotivi associati agli esiti della condotta. Ad esempio, se una persona sperimenta un
risultato negativo e tale risultato è sotto il controllo di un altro, è probabile che l'emozione
provata sia quella della rabbia. Così, se un risultato positivo per una persona proviene dall'aiuto
volontario di un altro, ecco che la reazione emotiva sarà di gratitudine. Il senso di colpa è invece
vissuto da chi si prende carico di un insuccesso, quando i fattori sono sotto il suo controllo.

CAP. 4 – Effetti della conoscenza di sé sull’elaborazione delle informazioni

Gli schemi di sé
Il sé come conoscitore è un'istanza che consente di organizzare l'esperienza passata entro
categorie di conoscenza omogenee e funzionali. Sulla base di un processo di generalizzazione
l'individuo va maturando un'idea sempre più precisa e ben differenziata del tipo di persona che
egli è in relazione ad un determinato dominio comportamentale. Al termine di tale percorso si
può affermare che l'individuo possiede uno schema di sé, ossia una struttura di conoscenza
capace di organizzare e direzionare i processi di valutazione, selezione, categorizzazione degli
elementi di informazioni riguardanti sé e gli altri. Gli schemi di sé sembrano operare nei
processi di percezione interpersonale, quando il soggetto acquisisce informazioni sugli altri al
momento del primo contatto. Il concetto di sé non determina solo l'elaborazione delle
informazioni riguardanti noi stessi ma influisce anche su come percepiamo gli altri e come
interagiamo con loro.

Quando lo schema di sé è negativo: un’interpretazione della depressione


Anche se normalmente le persone si considerano in termini favorevoli, non tutti gli schemi di
sé sono positivi; si dà il caso di soggetti che possiedono concezioni ben articolate su di sé
organizzate attorno ad attributi di tipo negativo. I soggetti che possiedono uno schema di sé
organizzato in termini negativi, di fronte ad un compito di autodescrizione sono molto veloci
nell'identificare ciò che essi non sono, mentre sono più lenti nel decidere ciò che essi sono. Uno
schema di sé di tipo depresso è organizzato principalmente attorno a contenuti negativi riferiti
al sé. Questa struttura di conoscenza, costantemente disponibile all'individuo, lo porta ad
elaborare le informazioni riguardanti il sé in maniera tendenziosa: viene facilitato il ricordo di
esperienze negative, si impone un'interpretazione pessimistica degli avvenimenti che
riguardano il soggetto, maturano aspettative negative circa gli eventi futuri. E tutto questo
secondo modalità di elaborazione che non sono il frutto di strategie consapevoli ma che invece
sono l'esito di processi automatici e non intenzionali.

Incongruenze negli schemi di sé


Un altro uso del costrutto "schema di sé" per rendere conto delle situazioni di disagio
emozionale collegati alla depressione è stato proposto da Higgins. Questo autore ritiene che
l'individuo pensi a sé stesso e concettualizzi una rappresentazione nei termini del proprio sé
effettivo (ossia nei termini della rappresentazione degli attributi che l'individuo ritiene di
possedere), nei termini del sé ideale (ossia riferendosi a quell'insieme di caratteristiche che egli
idealmente desidererebbe possedere), nei termini del sé imperativo, ossia ciò che l'individuo
ritiene di dover essere o fare. La situazione più felice si realizza quando non esistono
contraddizioni nel modo in cui l'individuo si rappresenta questi diversi schemi di sé. Purtroppo
le cose non sempre vanno così bene: si dà il caso in cui la stessa persona si rappresenta secondo
schemi incongruenti. In situazioni come questa è possibile che la persona riesca a risolvere la
contraddizione con strategie di azioni opportune. Capita però che tale contraddizione rimanga
irrisolta: in questo caso si manifestano situazioni emotive particolarmente spiacevoli la cui
tonalità è prevedibile sulla base del conflitto che le ha generate. L'applicazione di questo
modello ai fenomeni della depressione è stata recentemente proposta da Higgins. Le
circostanze della vita rendono talvolta consapevoli le persone di aver fallito nella realizzazione
degli obiettivi. Un soggetto può rendersi conto che egli sarebbe stato in grado di raggiungere gli
obiettivi posti dal sé ideale ma che, per una qualche circostanza, egli non si è impegnato in
maniera adeguata. Oppure può rendersi conto che in nessun modo egli avrebbe potuto
realizzare le mete proposte dal sé ideale, proprio perché non erano alla sua portata. Nel primo
caso si innescherà una sindrome depressiva collegata agli aspetti motivazionali della condotta
e caratterizzata da svogliatezza, senso di fatica. Nel secondo caso la sindrome depressiva sarà
collegata alla mancanza di abilità avvertita dal soggetto e produrrà scoramento e disperazione.

CAP. 6 – Socializzazione o sviluppo sociale? Verso una sintesi concettuale

I temi di un dibattito
Pur senza agire intenzionalmente in questa direzione, ogni generazione che ci ha preceduto ha
governato le relazioni sociali dei propri figli, regolando, secondo modalità anche
profondamente diverse, ciò che è riassumibile sotto il termine di "esperienza". Se assumiamo
la definizione di socializzazione come il processo secondo cui il bambino inerme diviene
gradualmente una persona consapevole di sé stessa, preparata, in grado di utilizzare
efficacemente le capacità specifiche della cultura in cui è nata, possiamo cogliere una
sistematizzazione dei temi già emersi, non sono dai risultati di ricerche recenti, ma anche dalle
ricerche storiche. Quattro sono i temi principali di questa definizione: sviluppo, identità,
istruzione e cultura. Un primo approccio che non vedeva il bambino come agente di sviluppo è
stato in gran parte oscurato dalla diffusione della teoria costruttivista di Piaget e
dall'integrazione di quest'ultima con il paradigma cognitivista e la teoria di Kohlberg. Ne
emerge una prospettiva evolutiva radicalmente opposta alla precedente: le interazioni fra il
bambino e le altre persone risultano essere orientate dal livello di sviluppo cognitivo attraverso
il quale il bambino elabora le proprie rappresentazioni del mondo. Inoltre, ampia rilevanza ha
avuto la teoria dell'attaccamento di Bowlby. Un altro tema centrale nel dibattito sulla
socializzazione è quello dell'identità e, in quanto la consapevolezza del mondo sociale non può
che andare di pari passo con la conoscenza di sé stessi. Infatti, il sentimento di identità
personale è strettamente legato alla capacità intenzionale del soggetto di perseguire
autonomamente uno scopo, anche per sottrarsi alle azioni, altrettanto intenzionali, che gli altri
rivolgono verso di lui per influenzarne il comportamento. Inoltre, l'importanza attribuita alle
influenze del contesto familiare ed extrafamiliare nel processo di socializzazione sottolinea la
centralità e l'attualità di quelli che Giddens definisce "agenti di socializzazione", cioè specifici
contesti o gruppi sociali che sono parte integrante dello sviluppo dell'individuo. Oltre alla
famiglia, l'autore indica il gruppo dei coetanei, la scuola, i mass media e il lavoro. Infine,
adottando una visione ampia ed articolata della socializzazione, è importante riprendere
l'aspetto culturale di questo processo, poiché l'appartenenza ad una determinata società traccia
i confini entro i quali adulti e bambini socializzano fra loro e sono indotti nel corso degli anni a
compiere alcune ulteriori risocializzazioni, se gli eventi della vita lo rendono necessario.

Il modello ecologico
Il lavoro teorico e metodologico di Bronfenbrenner ci offre uno strumento per tessere una
relazione concettualmente produttiva fra sviluppo sociale e socializzazione. L'autore propone
di considerare tutto l'arco dello sviluppo umano come un processo di costante adattamento
reciproco tra il soggetto e i cambiamenti che caratterizzano l'ambiente che lo circonda;
quest'ultimo è concettualizzato come l'insieme di alcune strutture gerarchicamente collegate
come livelli crescenti di complessità. La struttura più interna (microsistema) è caratterizzata
dalle interazioni faccia-a-faccia, ma anche e soprattutto dagli effetti di secondo ordine e dalle
reciproche relazioni di ruolo che sono sempre presenti in ogni relazione diadica. La struttura
successiva (mesosistema) comprende le interrelazioni fra due o più situazioni ambientali, nelle
quali il soggetto ha contemporaneamente un ruolo attivo. La caratteristica principale del
mesosistema è quella di produrre delle transizioni ecologiche, dei cambiamenti più o meno
radicali nel sistema di relazioni diadiche e di secondo ordine. La struttura dell’esosistema
ricorda quella del livello precedente, ma qui il soggetto non ha un ruolo attivo, anche se ciò che
accade a questo livello può influenzare, contemporaneamente o in tempi successivi, la
situazione ambientale che lo riguarda. Da ultimo, il macrosistema consiste in una sorta di
“cornice culturale” dell'ambiente ecologico, poiché in esso si esprimono le differenze sociali, le
ideologie, i sistemi di credenze.

Dal modello ecologico al modello riproduttivo-interpretativo


Poiché Bronfenbrenner ha come interesse centrale il progressivo adattamento tra l'organismo
umano che cresce e il proprio ambiente immediato e, contemporaneamente, le modalità
attraverso le quali tale adattamento viene mediato da forze che derivano da regioni più remote
e appartenenti ad un ambiente fisico e sociale più ampio, noi riteniamo che tale approccio
costituisca un suggerimento molto interessante ed innovativo per studiare i temi classici
caratterizzanti la socializzazione. Si tratta infatti di un modello che permette di studiare in
modo articolato le relazioni fra proprietà dell'ambiente sociale e proprietà degli individui nel
corso della loro vita. In particolare la nozione di transizioni ecologiche permette di descrivere e
comprendere l'insieme dei fenomeni che vanno sotto il nome generico di "cambiamenti". Le
transizioni ecologiche, infatti, si possono verificare lungo tutto l'arco della vita, in quanto
implicano cambiamenti di ruolo, di situazioni ambientali ovvero di entrambi. Da ultimo, il
modello ecologico risulta compatibile con l'approccio riproduttivo-interpretativo,
concretizzandosi negli studi di etnografia della vita quotidiana.

CAP. 6 – La socializzazione primaria

I bambini non nascono membri della società: essi piuttosto nascono predisposti alla socialità e
diventano membri della società. La socializzazione si configura così come una lunga marcia
nella decifrazione e ricostruzione dei processi oggettivi dell'Altro, del mondo in cui egli vive e
nella propria azione di quel mondo. Ogni bambino nasce in una struttura sociale entro la quale
incontra persone che si prendono cura di lui, persone che risultano oggettivamente importanti
in quanto sono esse, indipendentemente dalla volontà del bambino, che gli definiscono le
coordinate, le risorse e i limiti entro i quali conoscere e costruire i significati del proprio mondo.

Le relazioni con gli adulti: una o molte?


Se inizialmente si è data un’estrema importanza alla relazione diadica madre-bambino, in tempi
più recenti è stato poi sottolineato come la vita quotidiana in famiglia sia meglio descritta nei
termini di almeno due tipi di relazioni triadiche: padre-madre-bambino e madre-bambino-
fratello. Questo allargamento di prospettiva alle reazioni intrafamiliari impone una
riconsiderazione della gamma più ampia di "Altri significativi" che intervengono nella vita dei
bambini. Infatti, il fatto che la madre lavori oppure si occupi a pieno tempo del figlio rende
necessario il servirsi dell'asilo nido, oppure il fare ricorso a reti di supporto familiare (in pratica,
i nonni), oppure a baby-sitter. Il bambino, assumendo i ruoli e gli atteggiamenti delle persone
per lui importanti, interiorizza i significati del mondo in cui abita e, contemporaneamente,
costruisce sé stesso come avente un'identità coerente e plausibile.

La costruzione di regole e norme


Nel corso della socializzazione primaria si verifica una progressiva generalizzazione dei ruoli e
degli atteggiamenti degli Altri in particolare, ai ruoli e agli atteggiamenti degli Altri in generale.
Ci riferiamo al processo di costruzione delle regole e delle norme. Questa astrazione dai ruoli e
dagli atteggiamenti delle persone concrete e importanti vicine al bambino è stata chiamata Altro
generalizzato. Si tratta di un'acquisizione decisiva, in quanto essa permette al bambino di
identificarsi con una generalità di altri (con una società). La costruzione dell'Altro generalizzato
consente che la società, l'identità e la realtà vengano soggettivamente consolidate attraverso il
medesimo processo di interiorizzazione.

Si possono scegliere i propri adulti significativi?


Nella socializzazione primaria, i bambini non hanno la possibilità di scegliere le persone per
loro importanti: essi si devono "arrangiare" con quegli adulti che la sorte ha loro assegnato.
Questa apparente ovvietà ha come conseguenza che i bambini devono sottostare a questi ultimi
e alle "regole del gioco" che essi stabiliscono. Una seconda conseguenza è che l'identificazione
con quegli adulti che conducono il gioco diventa, praticamente, l'unica possibile e
l'interiorizzazione della realtà da essi proposta è quasi inevitabile. I contenuti specifici che
vengono interiorizzati variano in funzione della società di appartenenza, della posizione sociale
e delle particolari caratteristiche degli adulti. Ma alcune coordinate generali possono essere
considerate comuni. I bambini in tutte le culture, infatti, cominciano il proprio sviluppo in
situazioni di dipendenza totale dell'adulto, per raggiungere successivamente una certa
autonomia in ambiti di azione e di ragionamento diversi. È possibile sostenere, quindi, che
l'esercizio di queste modalità "universali" di partecipare alle relazioni sociali permette ai
bambini di fondarsi su di esse per costruire quelle regolazioni cognitive che vanno sotto il nome
di schemi, repertori comportamentali, motivazioni e, successivamente, per costruire operazioni
concrete e formali del pensiero. I bambini sono così chiamati al compito complesso di
costruzione dei molteplici significati dei “perché”: da un lato devono essere distinti i perché
come interrogativi dai perché come esplicativi; d'altro lato, devono essere distinte le domande e
le risposte nei termini di cause rispetto alle giustificazioni, o alle ragioni, prodotte nel corso
degli scambi quotidiani.

Socializzazione e apprendimento
Una delle caratteristiche cruciali della socializzazione primaria è la sequela di apprendimenti
che essa prevede, sia dal punto di vista scolastico sia dal punto di vista del tipo di cittadino che
essa deve predisporre per il futuro. Abbiamo già illustrato come la crescita dei bambini sia
sociale fin dalla nascita, e cioè scandita dalle caratteristiche organizzative della propria famiglia.
Si può ben dire che i ritmi fisiologici dei piccoli sono chiamati ben presto a negoziazioni
importanti con i ritmi sociali dei genitori, dei nonni, dell'asilo nido e così via. La relativa
diffusione di servizi per l'infanzia rende ormai indispensabile comprendere la socializzazione
primaria nei termini di tipologie di percorsi diversificati in funzione delle condizioni
socioculturali della madre e quindi, curiosamente, la figura della madre ritorna alla ribalta, ma
non più come naturale ed unica interlocutrice del proprio piccolo. Durante la scuola
elementare, la pluralità dei docenti e l'aggregazione dei contenuti disciplinari producono un
contesto educativo nel quale l'alunno è chiamato a instaurare rapporti differenziati con gli
insegnanti ed anche con i contenuti disciplinari. Queste innovazioni organizzative e
programmatiche producono un nuovo assetto della scuola elementare che influenzerà
certamente i processi di insegnamento-apprendimento. Infatti i cambiamenti che riguardano il
modello organizzativo e le relazioni professionali fra gli insegnanti (esosistema) hanno come
conseguenza ulteriori cambiamenti sulle relazioni con gli alunni delle diverse classi
(mesosistema) ed anche sulle relazioni con ogni singolo alunno (microsistema).

La cultura dei coetanei


Un approccio ecologico ed interpretativo alla socializzazione indica il riconoscimento che i
bambini, pure esposti ad una grande varietà di esperienze sociali, per definizione sono posti di
fronte a possibili difficoltà nel costruire il significato di tali esperienze e quindi a difficoltà di
comprensione e di apprendimento. Per questo non si può parlare né di semplice imitazione, né
di appropriazione immediata e diretta, ma di appropriazione creativa del mondo adulto. Il
termine usato per descrivere il processo di costruzione dei significati della realtà da parte dei
bambini è quello di riproduzione interpretativa. Ormai da molti anni si è capito che anche
coetanei svolgono la funzione cruciale nei processi di mediazione. Corsaro e Eder definiscono
la cultura dei coetanei come un insieme stabile di attività o routine, prodotti, valori, interessi e
obiettivi comuni che i bambini producono e condividono durante le interazioni con i coetanei. Due
temi centrali appaiono dagli studi sulle routine: i bambini cercano con tenacia di costruirsi
modalità di governo e di controllo della propria vita quotidiana, attraverso la creazione di una
rete di compagnia-amici che permetta loro di partecipare alla vita sociale e condividere l'un
l'altro queste modalità di governo e controllo. E infatti sono state documentate le complesse
strategie di accesso che i bambini elaborano e acquisiscono per cercare di superare le resistenze
e le frontiere alzate da coloro che stanno giocando insieme. Si tratta di vere e proprie abilità
sociali che vengono acquisite per partecipare alla cultura dei coetanei. Ottenere accesso nei
gruppi di gioco costituisce un vero e proprio successo sociale per i bambini: ma essi scoprono
anche, proprio grazie a queste attività, che cosa vuol dire essere amico e coetaneo. I tentativi da
parte dei bambini di provocare e mettere in discussione l'autorità degli adulti e di mantenere il
controllo sul fluire della propria vita quotidiana sono aspetti centrali della cultura dei coetanei
fin dai primissimi anni. Fra i 14 e i 24 mesi, i bambini mostrano segni inequivocabili di divertirsi
sempre di più nel compiere azioni proibite: non solo, ma essi condividono con i fratelli questi
azioni ridendone insieme. Entrando nelle scuole materne, questi bambini sviluppano
rapidamente un'identità di gruppo che si rafforza nel provocare e nel prendere in giro insieme
le educatrici. Tali routine possono essere interpretate come veri e propri adattamenti secondari
in quanto si concretizzano per l'impiego di sotterfugi. I bambini cercano anche di avere
controllo su paure, momenti di confusione e curiosità degli adulti, attraverso la creazione di - e
la partecipazione a - numerose routine di gioco e rituali. Una di queste routine è stata ben
descritta come approccio-fuga. Essa implica l'identificazione dell'agente che minaccia; un
approccio molto guardingo ed infine la fuga dal mostro in seguito ad un suo attacco. Questa
routine mostra due caratteristiche-chiave. I bambini minacciati hanno un controllo molto
elevato sullo svolgersi della routine. In secondo luogo, giocando in questo modo, i bambini
condividono in tensione crescente l'eccitamento della minaccia e la soddisfazione e la gioia per
lo scampato pericolo.

Verso l’età adolescente


Mentre la partecipazione sociale e l'amicizia sono elementi centrali della cultura dei coetanei,
una crescente differenziazione sociale e la presenza di conflitti nelle relazioni sociali sono
aspetti caratteristici nel corso dell'infanzia fino all'adolescenza. Il primo segnale di
differenziazione sociale è l'intensificarsi della separazione fra i sessi. Per la maggior parte degli
adolescenti, la vita scolastica è importante (e vale la pena di essere vissuta) in quanto "si sta
con degli amici". Attraverso le relazioni fra coetanei, vissute in gruppi amicali, gli adolescenti
sviluppano accettazione e comprensione, aiuto reciproco, nonché migliore conoscenza di sé e
capacità di riflessione reciproca. Mutua intimità, apertura, lealtà, impegno reciproco diventano
tratti caratteristici che tendono a sostituire le scelte di amici basate sulla popolarità oppure su
attività condivise, proprie dell'età precedente. Anche nel caso dell'adolescenza, si pone il
quesito circa le differenze di genere. Le descrizioni classiche vedono i gruppi di amicizia tra
ragazze come più piccoli, più uniti ed egualitari, mentre i gruppi di ragazzi appaiono meno uniti
e con gerarchie di status più marcate. Passare dalla scuola dell'obbligo alle scuole superiori
significa affrontare il compito di adattarsi ad un mutamento nelle dimensioni e nelle proprietà
dei gruppi dei coetanei: in particolare, il formarsi di gerarchie spesso rigide e a volte anche
crudeli di "cricche" e di gruppi. All'interno di essi, inoltre, alcuni studenti diventano più visibili
di altri e formano il nucleo di piccole élite. Un dato complementare riguarda i bambini ragazzi
marginali o rifiutati su questo tema, diversi studi hanno dimostrato che persiste una certa
carriera dei bambini marginali rifiutati fin da piccoli e che rimangono tali anche durante
l'adolescenza. Ciò sarebbe dovuto, in questi soggetti, alla combinazione di comportamenti
aggressivi e di povertà di abilità sociali.
Tre grandi temi che caratterizzano la cultura dei coetanei.
Il primo riguarda l'importanza del partecipare alla vita sociale. Negli anni prescolastici e
della scuola elementare i bambini godono moltissimo semplicemente nel fare delle cose
insieme. Nel corso della preadolescenza e adolescenza i ragazzi facilmente producono e
incrementano attività fra coetanei. Tuttavia, essi ora sono in grado di produrre collettivamente
gruppi gerarchici, e diventano temi cruciali quelli dell'accettazione, della popolarità e della
solidarietà.
Un secondo tema centrale è costituito dai tentativi di affrontare le incertezze, gli interessi,
le paure, i conflitti che punteggiano la vita quotidiana. Alcune di queste perturbazioni sono
generate all'interno della cultura dei coetanei, ma in molti casi esse provengono dall'esperienza
che i bambini e i ragazzi hanno del mondo degli adulti.
Un terzo tema riguarda l'opposizione e la messa in discussione delle regole e dell'autorità
degli adulti. Se è ormai documentato che i bambini cercano di opporsi alle regole fin dal primo
anno di età, tali attività diventano sistematiche e sofisticate quando i bambini scoprono i loro
interessi comuni nelle comunità infantili. In questi ambienti, i bambini producono in modo
cooperativo e condividono adattamenti secondari alle regole adulte che sono anche più
sofisticati delle regole medesime.

CAP. 6 – La socializzazione secondaria

Questa fase della socializzazione richiede un'identificazione emotiva con adulti significativi
meno intensa di quella inevitabile per la socializzazione primaria, ma occorre pur sempre un
certo grado di identificazione reciproca. Neppure i genitori sfuggono a questa vera e propria
ridefinizione dei significati del mondo adulto e della sua legittimità. Alcune delle crisi che si
verificano dopo la socializzazione primaria sono causate dal dover riconoscere che il mondo dei
genitori non è l'unico esistente, ma ha una collocazione sociale molto specifica. In termini
generali, la socializzazione secondaria implica riti più o meno espliciti e ufficiali di iniziazione
al mondo adulto, periodi di apprendistato e l'esperienza di possibili transizioni ecologiche che
punteggiano il ciclo di vita degli adolescenti e poi degli adulti. Come esempio di analisi di un
percorso di socializzazione secondaria, abbiamo scelto un lavoro recente che illustra come si
diventa studenti universitari.

Come si diventa studenti universitari?


Il primo compito per una matricola è quello di reimparare il mestiere di studente all'interno
dell'università. Apprendere questo mestiere significa apprendere a divenire membro del
mondo universitario. Coulon chiama questo processo affiliazione: l'affiliazione descrive il
processo attraverso il quale un soggetto si converte verso una condotta nuova per lui, ma già
adottata da altri che sono parte del suo contesto di vita. È possibile descrivere l'apprendimento
del mestiere di studente universitario distinguendo tre fasi nel processo di affiliazione:
1) la fase dell'estraneità, quando lo studente entra in un universo sconosciuto;
2) la fase dell'apprendistato, quando egli si adatta progressivamente e si produce un certo
conformismo nei comportamenti;
3) la fase dell'affiliazione vera e propria, dove si verifica un certo padroneggiamento delle
regole del mondo universitario.
Si può avere un’affiliazione istituzionale e successivamente un'affiliazione intellettuale.
L'affiliazione istituzionale riguarda, concretamente, l'abilità a imparare gli spostamenti da un
luogo all'altro, da un’aula all'altra; a fare i "pendolari", giornalieri o settimanali. L'affiliazione
intellettuale riguarda l'abilità di usare strumenti didattici; la presa di parola durante le lezioni,
il modo in cui prendere appunti, usare i libri e i programmi dei corsi; come studiare da soli o
con compagni; come distribuire il carico di studio lungo l'anno accademico. Affiliarsi significa
rendere abituali e quotidiani, incorporando, le pratiche e i modi di funzionare dell'università.
Come i bambini nelle scuole materne imparano le regole, così per diventare studenti
universitari occorre imparare a dare un'interpretazione, un significato ed una giustificazione al
sempre complicato sistema di regole. Un fenomeno importante nell'affiliazione è la scoperta
della temporalità clandestina o implicita delle regole: mettere in pratica una regola o
un'istruzione specifica significa comprendere che deve essere collocata in una prospettiva
temporale.
Per Coulon passare da un ciclo all’altro richiede:
a) l'apprendimento della competenza a diventare studente attraverso la manipolazione
delle regole;
b) la scoperta di quali sono le routine e i modi di agire "ovvi";
c) la trasformazione delle regole istituzionali e intellettuali in azioni pratiche;
d) la scoperta della manipolabilità delle regole, come condizioni di affiliazione e la scoperta
della temporalità esplicita delle regole.
Il passaggio dalle scuole superiori all'università può essere più e meno difficoltoso in funzione
del tipo di scuola frequentato; è possibile supporre, infatti, che gli studenti liceali si trovino
maggiormente in continuità rispetto al funzionamento dell'università: il "mestiere di liceale"
rappresenta una risorsa già consolidata che permette di accomodarsi più agevolmente ai riti
universitari e a decifrarne il loro funzionamento.

Socializzazione e risocializzazione
Uno dei fenomeni più interessanti nel corso della socializzazione secondaria è che la realtà da
essa definita può essere sempre suscettibile di trasformazioni. Ci sono diverse circostanze in
cui gli individui, giovani o adulti, "cambiano mondo". È stato impiegato il termine
"risocializzazione" per sottolineare le notevoli somiglianze con la socializzazione primaria, in
quanto vengono ridistribuiti i valori di realtà e riprodotte molte delle condizioni che
caratterizzano le identificazioni affettive dei bambini. Una risocializzazione riuscita richiede
requisiti sociali, affettivi e concettuali. La condizione sociale più importante è la disponibilità di
una "struttura di plausibilità". Nessuna trasformazione della realtà e quindi dell'identità può
fare a meno di persone o gruppi significativi sui quali concentrare tutta l'interazione
significativa. Ciò che diventa imperativo è una reinterpretazione del significato degli
avvenimenti passati e delle persone importanti nella propria vita. Poiché è più facile inventare
cose che non sono successe piuttosto che dimenticare quelle davvero accadute, gli individui
possono costruire ex novo, e inserire nella propria biografia avvenimenti che siano necessari
per armonizzare il passato ricordato e quello reinterpretato. Dal momento che è la nuova realtà
ad apparire in modo preponderante e plausibile, tutto ciò può essere fatto in modo sincero, in
quanto gli individui non mentono sul passato ma cercano di metterlo in armonia con la verità
che, necessariamente, deve abbracciare sia il passato sia il presente. Questo è il quadro generale
dei processi di risocializzazione "radicale" in cui gli individui sperimentano un "nuovo mondo".
Esistono poi tipi di risocializzazione piuttosto radicali ma temporanei: ad esempio,
l'addestramento militare di leva e le degenze brevi in ospedale. In questi casi, la coerenza con
realtà e identità precedenti è postulata dalla supposizione che prima o poi si ritornerà alla vita
normale. È interessante individuare una differenza sociopsicologica decisiva nelle dinamiche di
costruzione della prospettiva temporale. Nella risocializzazione, il passato viene reinterpretato
per adeguarlo alla realtà presente e aspetti cruciali che nel passato non erano disponibili
vengono comunque collocati proprio nel passato. Nella socializzazione secondaria "normale",
invece, le vicende presenti vengono interpretate in modo da porle in continuità e non in frattura
con il passato; le trasformazioni, pure effettivamente avvenute, sono minimizzate.

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