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CAPITOLO 1. QUALE PSICOLOGIA PER IL COLLOQUIO PSICOLOGICO?

PREMESSA

COLLOQUIO=dispositivo generale di analisi e di sviluppo della capacità del cliente di regolare i propri scopi e
le proprie azioni in relazione al contesto e ai sistemi di pratiche in cui è immerso.

2 ELEMENTI PRINCIPALI: -è un sistema di indagine e conoscenza in quanto è volto all’individuazione ed


elaborazione dei codici di significato con i quali i soggetti regolano il proprio rapporto con l’ambiente.

-volge all’intervento sulle competenze del cliente, quindi alla verifica, sviluppo e potenziamento dei codici
proposti dal cliente stesso. 2 FUNZIONI: -meta-regolatore delle simbolizzazioni e delle azioni compiute dal
consultante in rapporto con il consultato. -nello spazio del colloquio si producono delle simbolizzazioni che
vengono utilizzate per ordire la trama narrativa in cui si sviluppa il lavoro psicologico. Il costrutto colloquio è
un campo plurale attraversato da una molteplicità di punti di vista.

LA PSICOLOGIA COME “SCIENZA MODERNA”: INDIVIDUALISMO, OGGETTIVITA’, UNIVERSALITA’ E


ACONTESTUALITA’

L’epistemologia tradizionale intendeva le scienze come lo studio di strutture permanenti, immutabili e


universali. Gli scienziati dovevano tendere alla ricerca della verità e alla definizione di categorie invarianti
che permettessero di qualificare l’oggettività dei fenomeni del mondo. I dati fenomenici potevano essere
studiati nelle loro caratteristiche intrinseche, indipendentemente dal soggetto conoscente.

Gergen dice che la scienza moderna si è fondata su 3 assunti di fondo:

-la credenza di leggi generali che governano le relazioni fra i fenomeni osservabili;

-la credenza nell’esistenza di leggi generali concernenti la conoscenza scientifica che siano coerenti con i
riscontri empirici;

-l’operare attraverso la continua verifica empirica delle proposizioni teoriche e delle deduzioni da esse
derivanti.

Questi criteri epistemologici hanno guidato a lungo le ricerche in campo psicologico. Psicologia. Scienza
dell’individuo si fonda su una concezione realista ed essenzialista del soggetto e assume una prospettiva
fondazionista della conoscenza su di esso. L’approccio moderno si riassume quindi in alcuni assunti
principali:

-i fenomeni osservati dalla psicologia sono reali;

-i processi psichici e il comportamento sono riferiti alla dimensione soggettiva e intraindividuale;

-i fenomeni psichici rispondono a una intrinseca razionalità.

Fondandosi su una visione ontologica del mondo, la realtà esiste: è unica e universale. Russell elabora una
“teoria della corrispondenza”: apparenza e realtà coincidono nella misura in cui la realtà è fissata in una
rappresentazione tale per cui può essere da tutti condivisa. Quindi dice: dell’oggetto reale, se esiste, non
abbiamo nessuna conoscenza immediata, ma lo dobbiamo inferire da ciò che conosciamo
immediatamente. Uno dei frutti della visione moderna è la prospettiva moderna individualista. Si tendeva a
individuare fenomeni propriamente fondati sul processo individuale o meglio, presociali. Questa
prospettiva presenta una visione impoverita del sistema sociale: il contesto viene relegato a mero sfondo
delle attività e viene inteso entro una dimensione astorica. Sul finire degli anni '70 Lyotard iniziò a riflettere
sull’impossibilità di riferirci a forme categoriali e di pensiero che si qualifichino come sistema di riferimento
globali assoluti. Inizia a nascere una nuova epistemologia post-moderna che richiamava l'uso di categorie
locali e provvisorie ma contingenti ai contesti in cui le persone pervengono allo scambio sociale. La
psicologia viene ridefinita come studio della mente, come strumento di interazione personale all’interno di
un contesto sempre storicamente marcato: questo è l'approccio storico-culturale. Emerge quindi un
elemento del neopragmatismo: la conoscenza si applica e si concentrano su una dimensione locale e
applicata, a determinare proposizioni scientifiche non è necessario dare una risposta del tipo vero/falso ,
ma va capito se sono capaci di condurre gli esiti.

LA SVOLTA CONTESTUALE IN PSICOLOGIA

La contestualità si è andata definendo nel tempo attraverso varie prospettive di ricerca. I contributi
principali per lo sviluppo del socio costruttivismo sono derivati dalla psicologia sociale e dalla psicologia
dello sviluppo. Si riconosce come ogni processo sociale implichi, per i soggetti che ne fanno parte,
l'attivazione di un processo di significazione tramite il quale siano in grado di attribuire senso alle pratiche
che stanno svolgendo e il più ampio spazio di vita in cui tali pratiche si inscrivono. Realtà: risultato di un
processo di costruzione di significato messo in atto dagli attori sociali. Gli eventi sono il prodotto della
costruzione discorsiva dei significati dati agli eventi entro un certo contesto. Mente: regolata da dinamiche
sovraordinate di costruzione di senso. In questo senso si riprende l'ipotesi cognitivista secondo cui la mente
è strutturata gerarchicamente da: processi di elaborazione di base; processi sovraordinati. Questi schemi
costituiscono sistemi di conoscenza che derivano dalle esperienze fatte dagli attori entro i propri contesti di
vita. I dispositivi che sostanziano e orientano i processi sovraordinati di elaborazione sono forme socio-
simboliche: modelli di significato costruiti socialmente. Il socio costruttivismo implica una visione circolare
del rapporto tra i livelli di funzionamento mentale: da un lato i dispositivi simbolici regolativi orientano e
vincolano i processi di primo livello; dall'altro questi ultimi attraverso i prodotti in cui vogliono operare
come mediatori dello scambio sociale. Alla luce di questa integrazione il senso sarà inteso come prodotto
da: processo semiotico affettivo; categorizzazione semantica operativa.

Ciò che accomuna tutte le prospettive teorica che hanno arricchito la prospettiva socio costruttivista sono:

1. La concezione costruttiva del significato

A metà anni '50 si diffonde il costruttivismo. Kelly con la teoria dei costrutti personali affermo che il
significato è elemento cardine dell’interpretazione dell’orientamento delle persone nel proprio sistema di
vita. L'anticipazione è sia elemento predittivo che di controllo. I costrutti sono categorizzabili come
significati soggettivi e non universalmente definibili.

2. La concezione gerarchica della conoscenza

Sanford crede che il sistema mentale è organizzato in:

 Progetti di elaborazione primaria: attivazione di processi inferenziali che analizzano le info di base
e attivano gli schemi interpretativi di quelle info stessa. Questi processi regolano anticipatamente
l'attivazione di certi schemi interpretativi della realtà.
 Processi di elaborazione secondaria: rivolti all’elaborazione di specifici oggetti/input.
3. La prospettiva culturale

E’ necessario prima di tutto definire cosa si intende per cultura. Le 2 definizioni più interessanti sono: quella
proposta dalla psicologia clinica a orientamento dinamico, che pone l'accento sulla componente inconscia
dei processi di simbolizzazione culturale; l'altra è quella proposta dalla psicologia culturale che definisce il
concetto di cultura entro un aspetto che guarda al patrimonio dei significati condivisi che permettano agli
attori di dare senso al proprio mondo. La cultura è grande quando il suo contributo ci permette di
rappresentarci l'orizzonte storico e simbolico che appartiene a un certo ambito sociale. E’ estremamente
piccola quando mostra la sua capacità di intrufolarsi in tutti gli aspetti più minuti della vita sociale e del
quotidiano ma che faccia riferimento anche ai processi e ai prodotti che a loro volta vengono messe in atto
all’interno di quella stessa rete di senso. La cultura è un processo di costante produzione di significati ma
anche un processo sociale.

4. La prospettiva discorsiva

Si poggia sulla concezione che qualsiasi attività umana possa essere interpretata come un discorso: si
costruiscono testi in maniera dialogica che concorrono a dare significato agli scambi sociali in cui gli attori si
implicano. E’ utile sottolineare una differenza tra senso e significato. Il senso è determinato sulla base delle
condizioni contestuali e ci permette di collocare il significato entro una cornice contestuale facendo
riferimento a una dimensione pragmatica. Il senso è prodotto dalla relazione circolare tra il contenuto del
testo e il suo contesto. Austin nella teoria degli atti linguistici propone di riferirsi a questa dimensione
pragmatica come alla componente performativa del linguaggio. Egli distingue tre tipi di atti linguistici:

 atti locutori: le azioni che si compiono per il fatto stesso di parlare;


 atti illocutori: Atti che si compiono attraverso il parlare medesimo;
 atti perlocutori: dire qualcosa in rapporto agli effetti e le conseguenze degli atti.

Poiché il senso è costruito dagli attori entro il contesto in cui sono implicati esso viene condiviso da tutti
coloro che partecipano a quell’ambito discorsivo. Il concetto di posizione semiotica rimanda al senso di
come le persone sono e si sentono posizionate rispetto alle altre entro una comune produzione discorsiva.
Lo scambio sociale è costruito sulla base delle sequenze discorsive in cui ogni espressione linguistica è
prodotta dalla precedente e al contempo informativa della seguente. Salvatore e collaboratori intendono la
costruzione del senso come una proprietà che emerge attraverso lo sviluppo temporale della situazione
dialogica. Il senso verrà costruito dalla stessa catena associativa di atti linguistici. La narrazione generativa è
il prodotto dello scambio sociale/negoziazione tra i soggetti appartenenti a uno stesso ambito sociale che si
qualifica quale rete di significati orientati entro uno specifico contesto di vita. Generativa in quanto sono gli
scambi stessi ad informare i contesti. I modelli narrativi invece sono un prodotto pienamente
intersoggettivo, culturale e relazionale. È possibile concepire il pensiero attraverso una modalità di
funzionamento che lo vede collegato alle pratiche discorsive. Quindi parliamo di mente contingente cioè
legata alla circostanza. La natura della mente può essere definita dall’incessante dialogo fra le risorse
semiotiche disponibili in un contesto e i modi con cui gli attori le utilizzano.

LA FORMULAZIONE PSICODINAMICA DELLA MENTE

La teoria psicodinamica interpersonale ha sottolineato la matrice sociale della mente: le conoscenze sono il
prodotto della costruzione e degli scambi fra gli attori piuttosto che l'elaborazione della mente di un singolo
individuo. Mente: struttura emergente attraverso i processi narrativi. Questo permette di spostare
l'interesse dallo studio dei contenuti della mente allo studio del processo che ne regola l’attivazione. Questi
processi di conoscenza si organizzano contemporaneamente secondo due diversi piani di strutturazione che
corrispondono a due modalità di funzionamento mentale:

 semantico, che corrisponde alla modalità di funzionamento della razionalità cosciente che ci aiuta a
organizzare il significato;
 simbolico, che corrisponde alla modalità di funzionamento dei processi inconsci ed emozionali
condivisi che ci permette di costruire il senso in termini di simbolizzazione affettiva globale.

I fenomeni psichici quindi sono contemporaneamente regolati da processi distinti e contrapposti in una
dialettica inconscio-conscio. Matte Blanco avanza una proposta teorica secondo cui il sistema inconscio può
essere identificato come un modo di esprimersi della psiche. Propone un analisi logico formale
dell’inconscio basata su due fondamentali principi:

 il principio di generalizzazione: il sistema inconscio tratta una cosa individuale come se fosse un
membro o elemento di un insieme o classe che contiene altri membri;
 il principio di simmetria: il sistema inconscio tratta le relazioni asimmetriche come se fossero
simmetriche. Tratta come equivalenti tutti gli enunciati prodotti dalle possibili permutazioni dei
termini in gioco in un certo contesto.

L'inconscio tratta la realtà come una totalità omogenea e indivisibile per cui non permette di stabilire
alcuna differenza fra cose. C'è coincidenza tra emozioni e modo di essere inconscio: il pensiero osservato
nelle emozioni è infatti un pensiero simmetrico. Nel rapportarsi all’oggetto dell’emozione si possono
rintracciare i processi di:

-generalizzazione: l'oggetto possiede tutte le caratteristiche della qualità attribuita;

-massimizzazione: le caratteristiche attribuite all’oggetto sono supposte essere al loro grado più elevato;

-irradiazione: un oggetto viene a rappresentare tutti gli oggetti simili.

Fornari intende l’inconscio come un dispositivo di produzione semiotica infatti suggerisce di intendere il
principale scopo dell’inconscio come la tendenza primaria a rappresentare qualcosa per mezzo di segni. Sia
coscienza che inconscio sono processi di attribuzione di senso e dunque di semiosi. Ciò che li distingue sono
le qualità semiotiche dei processi di categorizzazione che implementano: la categorizzazioni operativa ,
coscienza e la similizzazione affettiva , inconscio. Negli ultimi anni Carli e Paniccia hanno elaborato una
concezione teorica e dell'intervento chiamata analisi della domanda: riconoscono nella domanda del cliente
l'elemento fondamentale per l'intervento clinico. La domanda quale costrutto psicologico non ha solo a che
fare con ciò che viene chiesto ma possiamo bensì individuare Tre componenti:

 componente semantica: la dimensione contenutistica tramite cui il cliente organizza e propone il


proprio problema a un consulente psicologico;
 componente relazionale: dimensione che esprime e mette in evidenza la prefigurazione del
rapporto che il cliente propone allo psicologo;
 componente per formativa: dimensione che orienta e organizza gli scopi della domanda.

Il colloquio clinico si costituisce come quel complesso processo di rappresentazione emozionale costitutivo
di ciò che identificabile come il problema entro una certa fantasia di rapporto ed è la prefigurazione di certi
modi attesi di trattarlo punta il colloquio è un processo dinamico , uno spazio di simbolizzazione istituito da:

 le fantasie di rapporto psicologico evocate dalla situazione di colloquio presso il consultante;


 il tipo di richiesta avanzata dal consultante al consulente;
 le premesse teorico-metodologica che organizzano il modo di trattare un colloquio da parte del
consulente.

Il colloquio è quindi un dispositivo simbolico entro il quale le istanze semiotiche individuali concorrono alla
costruzione della dimensione simbolico-affettiva condivisa.
CAPITOLO 2. NARRAZIONE GENERATIVA

PREMESSA

Il colloquio psicologico è luogo di costruzione di pensiero sulle narrazioni, nel quale psicologo e cliente, in
contesti variabili, ed entro regole minimi codificate (setting), nel perseguire obiettivi condivisi, generano
nuove storie che sono prodotte dalla relazione definizione generale.

CONCEZIONE DELL’INTERVENTO

Sono 3 le principali dialettiche su cui i critici discutono:

1. (Salvatore) Relativa alla rappresentazione dell’unità dell’intervento, contrappone il punto di vista


individualista e il punto di vista contestuale.
 Teorie individualiste: condividono l’assunzione che l’apparato intrapsichico abbia una sua
autonomia strutturale. I fattori contestuali possono influenzare le modalità di stato della mente
individuale, ma non partecipano alla definizione delle sue caratteristiche sostanziali.
 Teorie contestualiste: sostengono la necessità di considerare i processi mentali come
intrinsecamente intersoggettivi. Non esiste qualcosa come una “mente individuale”, comprensibile
al di fuori del contesto.
2. (Mossi) Relativa alla rappresentazione del significato, della mente e della natura di ciò che si
osserva, contrappone il punto di vista della varianza a quello dell’invarianza.
 Invarianza, i processi mentali e il repertorio di significati del soggetto sono sostanzialmente stabili.
 Varianza, la mente è contingente rispetto al contesto. Considereremo la narrazione che il cliente
propone di sé come indiziaria non solo di uno specifico contesto di valori o ideologie rispetto alle
quali il cliente prende una posizione, ma anche della relazione in atto con lo psicologo.
3. (Gennaro) contrappone due concezioni generali del soggetto:
 il soggetto come operatore logico, funzionante termini di elaboratore delle informazioni.
 Il soggetto come generatore semiotico, funzionante in termini di (co)-costruttore di significati.

COLLOQUIO GENERATIVO

Ci sono 2 principali modi di concepire la psicologia clinica e 2 connessi modelli di intervento: una
prospettiva individualistica e l’altra relazionale e contestuale.

La prospettiva individualistica

Gli approcci individualisti condividono una logica di fondo, di cui è utile evidenziare due assunti:

-una mancanza viene assunta ad oggetti degli interventi e trattata come una componente della soggettività
dell’individuo.

-tale componente viene descritta/interpretata coma la risultante di una specifica configurazione


intrapsichica.

Limiti della prospettiva individualistica

L’individuo si narra o si relaziona all’ambiente in cui è iscritto utilizzando le risorse di senso e i registri
narrativi disponibili entro il contesto e che si abilita a utilizzare in ragione del proprio partecipare a un
sistema di appartenenza. In quest’ottica il contesto smette di essere concepito come mera cornice della
mente individuale. Il contesto è il prodotto delle pratiche narrative, perché agendo, parlando,
producendo segni, gli attori generano significati affettivi da attribuire all’ambiente condiviso. Il significato
di un comportamento si sostanzia sul piano soggettivo e intersoggettivo in ragione dei modelli simbolici
propri di una comunità. Va riconosciuto come solo prendendo in considerazione il contesto si può cogliere
il valore di comportamenti. Si definisce collusione un accordo simbolico di natura affettiva sul significato da
dare agli eventi. Non vi è relazione che non sia organizzata da dimensioni simboliche condivise:
condividere determinate rappresentazioni effettive della realtà è ciò che consente la socialità, la stabilità
sui rapporti. Si tratta di un accordo sul senso da dare agli eventi. L’accordo su dimensioni simboliche
condivise consente agli attori di operare consensualmente, senza negoziare ogni volta il significato da
dare alle parole e agli atti che si compiono.

Il concetto di psicopatologia

La psicopatologia smette di essere identificata con una configurazione di processi cognitivi e


comportamenti specifici e universalmente definibili, per essere concepita come una modalità di
interpretare la realtà che appare disfunzionale rispetto alla possibilità di individui o gruppi di governarla al
fine di perseguire specifici progetti di sviluppo entro specifici concetti culturali e sociali.

OBIETTIVI, FRUTORE E NATURA DELLA SUA DOMANDA

Questa nuova visione della psicopatologia, porta ad una ridefinizione dei suoi obiettivi e ad una estensione
dei suoi campi di investigazione e di intervento.

-obiettivi di Stato: predefiniti sulla base di un modello normativo di riferimento.

-obiettivi metodologici: sostengono lo sforzo di un incremento di competenza del cliente per /nel prendersi
carico della propria condizione di crisi. Mentre l'obiettivo di Stato non discute i modelli a partire dai quali il
cliente definisce la tua richiesta di intervento, l'obiettivo metodologico rintraccia in questi modelli la
ragione dell'incapacità del cliente di perseguire ciò che dice di voler perseguire e l'individuo dunque come
oggetto e scopo dell'intervento. Lo sviluppo non è un passare da uno stato e un modo di essere a un altro
ma la possibilità di pensare le proprie modalità di funzionamento e la loro confluenza con gli obiettivi che ci
si propone di raggiungere. Il cambiamento viene inteso non più come passaggio dallo stato A allo stato B
ma come un ri-guardare la realtà in cui si vive che consente di comprenderla farla propria e trasformarla. In
questo senso la logica della clinica non è sostitutiva ma integrativa e generativa.

Utente vs cliente

Trattare il fruitore come un utente significa limitarsi a fornirgli ciò di cui crede di avere bisogno o ciò di cui il
consulente pensa il fruitore abbia bisogno. Trattare il fruitore come cliente significa viceversa trattarlo
come un attore che ha una teoria sull’utilizzo del servizio entro i suoi contesti di appartenenza. L'obiettivo
non è curare, correggere deficit o errori di pensiero ma promuovere la capacità di scopo del cliente ovvero
la sua competenza a prendere decisioni adeguate agli obiettivi che si propone di raggiungere.

La crisi di decisionalità motivo alla richiesta di colloquio

Definiamo decisionalità la competenza di un attore di mantenersi orientato allo scopo. Definiamo crisi di
decisionalità l’incapacità di prendere decisioni orientate allo scopo. Non riuscire a rimediare a una
situazione disfunzionale o di non sapere come fare per realizzare un progetto di sviluppo. In entrambi i casi
il cliente è alle prese con un deficit della propria capacità di scopo. Un attore in crisi di decisionalità potrà
adottare due modelli:

-assimilazione: ricerca di nuove opinioni all’interno dello schema di azione dato.

-accomodamento: la crisi di decisionalità interpretata come una conseguenza dell’inadeguatezza del


modello decisionale utilizzato punto la soluzione ricercata nella revisione del modello, nel suo
accomodamento al contesto ambientale.

Rispondere alla richiesta vs analizzare la domanda


Una donna in crisi matrimoniale ci domanda al primo colloquio se debba o no restare con il marito. Se ci
facessimo guidare dalla richiesta esplicita probabilmente cercheremo di capire come sia quel marito. La
proposta clinica è invece quella di esplorare la domanda sottesa al modo di presentarsi virgola di definire il
problema virgola di definire la richiesta di aiuto, terapia, sostegno.

La domanda come caso clinico

Una richiesta di intervento allo psicologo contiene sempre modi di rappresentare se stessi e il proprio
contesto. La simbolizzazione affettiva ci permette di dar conto delle valenze conservative/assimilative della
domanda. La differenza della categorizzazione operativa che rende presente alla mente degli attori le
richieste della realtà, la categorizzazione simbolica non può operare questa discriminazione in quanto non
vede differenza e non può percepire le novità o i cambiamenti. Il valore psicologico della domanda va
sempre oltre il contenuto. Il modo in cui il portatore della domanda fruisce e interpreta la prassi clinica non
può che essere prodotto dall’interno del modello culturale che guida il suo modo di stare al mondo. Sarà
dunque l'uso della domanda del cliente a orientare l'uso del colloquio e la definizione degli obiettivi
dell'intervento. Ci sono mondi culturali fondati su relazioni primarie che in quanto basati
sull’assimilazione /identità vincolano l'esercizio della funzione di modulazione del pensiero. Ci sono poi
mondi culturali propri delle relazioni di alterità che in un modo o nell'altro alimentano la funzione di
modulazione. Il colloquio generativo è scritto nel mondo culturale dell'alterità. Lo psicologo può sviluppare
la capacità generativa del colloquio, nella misura in cui lo configura non come mezzo per confermare ma
come veicolo di pensieri da pensare.

Dal settings istitutivo al setting istituente

L'assunzione di una cornice di senso condivisa che caratterizza il setting istitutivo autorizza lo psicologo a
non esplorare con il cliente il valore reciproco mento attribuito alla loro interazione e agli elementi che
intervengono in essa. Il setting istituente invita a non rispondere collusivamente alla richiesta di un azione
trasformativa e ad istituire spazi e tempi per pensare al senso di quello che il cliente dice e fa. Definire
strutturare questo spazio che indichiamo nella parola setting, ci consente di delimitare un campo mentale
in cui si svolge il colloquio psicologico.

Spiegazione della definizione di colloquio psicologico iniziale:

Pensare significa disconoscersi, trasformare le assunzioni e le rappresentazioni di sé e dell'altro e


rielaborarle. pensare significa aprire lo spazio di esplorazione di diversi ulteriori modi di categorizzazione.

Narrazione: usiamo il termine per sottolineare al contempo l'aspetto costruttivo, dialogico e dinamico della
storia che il cliente e propone di sé e che motiva la sua domanda di consulenza.

-Aspetto costruttivola valenza costruttiva va intesa come proprietà emergente del pensiero emozionale
che rende equivalenti rappresentazione in realtà.

-Aspetto dialogicol'attività semiotica di interpretazione-costruzione il significato del cliente e vincolata o


si alimenta dei dispositivi di significazione che lo psicologo gli mette a disposizione.

-Aspetto dinamico funzione del contesto. Il narrare tende ad evidenziare ciò che appare è utile e
interessante in quel momento e nella specifica situazione in cui la narrazione avviene.

Contesto: definiamo contesto l'insieme delle relazioni entro il quale ciascun individuo vive la propria
esperienza.

Setting: esso è da intendersi come spazio mentale organizzativo definitorio del colloquio clinico. In esso
riconosciamo una dimensione organizzativa fatta di spazi, tempi, costi, modelle e una dimensione simbolica
che fa riferimento all'uso che si fa del tempo, dello spazio. I parametri del setting sono: minimi perché
devono consentire di analizzare il rapporto e variabili perché la loro specifica declinazione è in funzione del
cliente e del perché del colloquio.

Obiettivo: implica l'elaborazione delle finalità alla luce delle risorse di cui l'intervento può disporre. Il valore
aggiuntivo che l'obiettivo produce per il cliente è dato dall’uso che il cliente fa dell'obiettivo.

Prodotto: va inteso come opportunità di praticare il superamento dei vincoli che le dimensioni simboliche
istituita e pongono alla possibilità di generale nuovo senso. Il prodotto del colloquio psicologico in termini
di cambiamento e l'aggiunta di un nuovo punto di vista che consente di proporre generare una narrazione
terza.

Relazione: le relazioni sono organizzatori del cognitivo punto e se sono al contempo strumento conoscitivo
ed intervento

CAPITOLO 3. IL COLLOQUIO PSICOLOGICO GENERATIVO: SETTING E/E’ RELAZIONE

La nostra proposta di colloquio ruota intorno a: chiave:

-il setting

-l’uso conoscitivo della relazione

-Quale setting?

Riguardo al setting distinguiamo 2 approcci:

 Quello che considera il setting un insieme di condizioni materiali, una cornice statica volta a
raccogliere informazioni sull’altro. Significa delimitare le condizioni fattuali adeguate all’attuazione
delle operazioni tecniche: setting come cornice.
 Quello che lo considera come un insieme di condizioni materiali e simboliche che parlano della
specificità della relazione e al tempo stesso contribuiscono a organizzarla e ad analizzarla: setting
come metodo.

Il set comprende: il dove, il quando, il quanto e il come. Tutti questi elementi delimitano i confini della
relazione. La competenza dello psicologo comprende:

 Osservare il modo del cliente di reagire all’istituzione di tali condizioni


 Organizzare un pensiero intorno a tali comportamenti

Possiamo quindi individuare 2 livelli del setting:

-uno reale, visibile, fatto di tempi, luoghi e costi

-uno simbolico, mentale, che fa riferimento all’uso che il cliente fa del tempo, dello spazio

Esso è quindi condizione organizzativa immediatamente interpretato, da parte del cliente che in essa agisce
le fantasie evocate dalla relazione, da parte dello psicologo che usa il setting come condizione per
analizzare le fantasie stesse.

-IL DOVE

Si vuole sottolineare come una stessa comunicazione abbia dignità di indagine in qualsiasi contesto ma a
seconda dell’ambiente varia il senso emozionale legato al comunicarlo. Definire lo spazio del colloquio
significa quindi garantirsi e garantire al cliente un confine che è anche un criterio ermeneutico per
comprendere le cose che si andranno dicendo. Lo spazio dove si svolge il colloquio necessita di confini che
gli conferiscono un’identità. Importante è tutelare il colloquio da squilli di telefono, colleghi.
Il dove come modalità comunicativa dello psicologo

Lo spazio non potrà essere concepito come neutrale e impersonale, si riempirà di informazioni comunque:
non c’è soggetto che non si presti ad essere simbolizzato.

Il dove come modalità comunicativa del cliente

Lo spazio del colloquio è il luogo entro il quale il cliente esprime le proprie fantasie. Il modo di agire entro lo
spazio del colloquio è un ulteriore modo con cui il cliente racconta il suo mondo culturale.

-IL QUANDO

Il tempo del setting ha sia funzione organizzativa e di tutela sia una funzione interpretativa. Definire un
tempo significa definire un giorno, orario, frequenza della consulenza.

Funzione organizzativa e di tutela

La fissazione e il mantenimento di un giorno e di un orario concordato segnala non solo che non ci
incontreremo quando capita ma anche che quella relazione, quel giorno, in quella ora sarà la nostra
reciproca priorità.

Modalità comunicativa del cliente

Il modo del cliente di usare il tempo del colloquio è un indizio per comprendere la sua proposta di rapporto.

Funzione interpretativa

Mantenere stabile la durata del colloquio è anche un messaggio di democrazia nei confronti dei contenuti
che il cliente deciderà di portare.

-IL QUANTO

Anche l’onorario, come costante del setting, contribuisce a definire l’identità del colloquio psicologico.
Definire una giusta tariffa è una competenza professionale anche di tipo imprenditoriale: bisognerà
conteggiare le spese vive dello studio, l’incidenza delle tasse e dei costi previdenziali.

Modalità comunicativa del cliente

Concordato giorno e orario riteniamo che il pagamento riguardi anche le sedute saltate seppure giustificate
con buoni motivi. E’ inevitabile poi sottolineare la differenza che emerge quando il pagamento spetta a un
terzo esterno alla relazione oppure è a carico dei singoli utenti. Costruire un pensiero sull’accadente è:

-funzione del setting

-criterio guida del come

-la chiave per risolvere l’apparente paradosso di pensare al setting come a una condizione che sia allo
stesso tempo:

1. minima, perché deve permettere di analizzare il rapporto ma senza per questo configurarlo o
anticiparlo preventivamente.
2. variabile, perché è in funzione dell’esplorazione della domanda che si definiranno le regole del
rapporto.
3. stabile, perché solo rispetto alla definizione delle costanti, le violazioni di canonicità del cliente
possono essere riconosciute interrogato nel loro significato.
-IL COME

Il prevalere del paradigma relazionale ha portato a:

1. Rinuncia alla pretesa di asetticità del setting. L'ideale di una totale neutralità dell' analista appare
impossibile, inutile e dannosa questo perché non consentirebbe allo psicologo di confrontarsi con
le fantasie che gli stessi sollecita o è sollecitato a portare nel rapporto.
2. Valorizzazione della concretezza psichica dei fattori di campo.
3. ridefinizione innovativa del transfert , controtransfert e del processo stesso di interpretazione. il
controtransfert acquista il valore di strumento conoscitivo del paziente. Nella formulazione di Gill,
transfert e l'esperienza che il paziente ha dell' analista nel qui e ora così come il controtransfert
dell' analista una reazione vivente alla presenza e comportamenti reali del paziente.

Ridefinizione delle associazioni libere

Le associazioni libere considerate nella formulazione originaria l'espressione dei rimossi i bisogni pulsioni
del paziente. Gill sottolinea che il loro filo conduttore è da ricercare nell’esigenza di quel paziente di
comunicare qualcosa a quell’analista in quello specifico contesto relazionale. L'attenzione dell'analista si
rivolge alle modalità con cui vengono espressi. Seguendo Grasso e De Coro, nel setting precipitano fantasie
relazionali prevalenti di tipo:

-personale, legate ai modelli di significazione di rapporto specifici e riproposti dal cliente.

-professionale, legate al modo di rappresentare comunemente l'esercizio di una professione.

-culturale, legate all’assimilazione del lavoro psicologico a quello di altre professioni.

L'uso conoscitivo della relazione

nel colloquio si confrontano due contesti:

-contesto culturale micro e macro sociale: organizza la rappresentazione della relazione pregressa o futura
tra il cliente e il contesto in cui è iscritto.

-contesto di significazione della relazione tra lo psicologo e il cliente che organizza la relazione nel qui e
ora.

Si accoglie come modello epistemologico un paradigma indiziario, un metodo d'indagine che prova a
comprendere eventi complessi attraverso l'attenzione alle loro tracce minime e più semplici.

Peirce individuò tre modalità di ragionamento:

-deduzione: dall' universale al particolare. È ascrivibile a una logica deduttiva il ragionamento di una
psicologi chiama, saputo che il paziente soffre di attacchi di panico, proponesse che quanto gli stia
capitando a che fare con un problema di separazione sulla base di una teoria psicologica sull’attacco di
panico.

-Induzione: dal particolare all’universale. È ascrivibile a questa logica induttiva il ragionamento di una
psicologa, riscontrati problemi di separazione in due pazienti venuti da lui per un attacco di panico ,
concludesse che il terzo paziente è venuto da lui per un attacco di panico rileverà presto tardi un problema
di separazione.

-Abduzione: dall' effetto alla causa probabile. Dall' osservazione di un caso specifico si estrae una legge
generale probabile di cui il caso sarebbe una manifestazione. in questo possiamo tracciare la differenza tra:

-prestare attenzione al racconto


-prestare attenzione alla narrazione

Il più importante indizio e quindi la relazione che il cliente stabilisce con lui nel presentarsi. La nostra
proposta è quella di pensare al colloquio come un processo di disconoscimento che si fonderà sull'ascolto e
tuttavia non va confuso con un silenzio conclusivo disposto a fare proprio il mondo simbolico dell’altro.
Metodologicamente l'analisi della domanda trova il suo comune denominatore nella sospensione
dell'azione. Sospendere l'azione vuol dire mettersi in una posizione meta in cui sia possibile parlare di ciò
che succede e non interagire con ciò che succede.

Grasso evidenzia i tre stili di domanda i:

1. domanda di trasformazione, trasformazione di un'altra persona o della propria testa e prevede da


parte dello psicologo un'azione onnipotente con meccanismi relazionali implicati:
scissione/proiezione.
2. domanda di mutamento pre-ordinato, ci vuole essere aiutati a cambiare per cambiare un altro
responsabile del proprio amore. Meccanismi relazionali implicati: scissione/diniego/identificazione
proiettiva.
3. domanda di cambiamento, vi è il riconoscimento di giocare una parte nella costruzione del proprio
problema. Meccanismi relazionali implicati: scissione /identificazione.

Indizi diagnostici

VollI indica con il termine paratesto l'insieme dei messaggi che accompagnano, precedono o seguono un
certo testo: informazioni preliminari che possono disporre il lettore a ritenere alcuni sviluppi più probabili
di altri. Si tratta di informazioni indiziaria , tuttavia fanno parte di quel contesto ermeneutico che lo
psicologo sarà chiamato a interpretare. Merita una sottolineatura le eventualità in cui il committente
richieda un intervento destinato un altro. Quando il caso descritto fa riferimento a sintomatologia riferibile
a quadri psicopatologici previsti dal DSM. Il racconto deve costruire contemporaneamente due scenari:

-uno basato sull’azione

-uno basato sulla soggettività

Il modo di raccontarsi del cliente è il principale indizio di come egli abbia organizzato la definizione di sé, del
suo problema e della sua storia. due principali criteri di lettura dei resoconti:

-annales: infatti non hanno rapporti di dipendenza, assenza di soggettivazione e infatti hanno significato in
sé. Cronaca: il criterio di causalità e in qualche modo suggerito ma manca di approfondimento. Storia: i fatti
sono incorniciati in un divenire dialettico che fa intravedere obiettivi e sviluppi futuri.

-trama: la propria storia è presentata come se fosse determinata interamente dalla propria volontà.
Complicazione: eventi presenti e passati sono presentati come agenti causale che determinano il presente
e determineranno il proprio futuro. dramma: si riconosce un attore, un azione connessa a uno scopo, un
contesto e uno strumento. Da uno squilibrio tra alcuni o tutti questi elementi viene messa in modo secondo
Burke una narrazione. il narratore percepisce se stesso come elemento attivo e come attore nella
situazione. Il prodotto della competenza psicologica consiste nel miglioramento delle capacità decisionali
del cliente punto tale incremento sarà segnalato dalle trasformazioni che subirà la struttura della
narrazione proposta dal cliente trasformazione generativa: da un racconto che presenta situazioni
statiche e immutabile a un racconto che viene incontro le trasformazioni nel tempi e le trasformazioni nello
spazio.

il colloquio come co-narrazione


acqua la narrazione è proposto dal cliente e necessariamente in dialogo con quella dello psicologo, il quale
ha in primo luogo un suo modo di raccontarsi la professione, la sua funzione, un modo di categorizzare la
gira competenza, una teoria della tecnica, che orienta anche l'uso dei segni che introdurrà nello scambio di
discorsivo. Il colloquio acquista i contorni di un progetto semiotico polisemico aperto all’autonomia
interpretativa dei colloquianti e dunque non vincolabile a priori nei percorsi di senso che rende possibili.
Riconosciamo lo psicologo un ruolo attivo nella costruzione della narrazione proposta dal cliente: un ruolo
che si dispiega attraverso la scelta dei commenti o della domanda. La prima competenza che lo psicologi
chiamato ad avere sul colloquio e quella di pensare il linguaggio con cui lo alimenta. Alcune tecniche utili
sono:

-precisazione

-messa in connessione semantico o metaforica

-sollecitazione

-soggettivazione

-esplicitazione

-chiarificazione

può essere considerata una direzione politica di sviluppo della psicologia clinica e lavorare per contesti
organizzativi entro cui gli individui vivono. Lo psicologo clinico può sopportare non solo il cliente in terapia
ma anche gli stessi contesti di vita degli individui.

Capitolo 4. Colloquiare con le organizzazioni

Introduzione.

La premessa da cui partiamo per ragionare e argomentare su questo determinato contesto è la convinzione
che non esista un modo definitivo, specifico sia da un punto di vista teorico che metodologico di “fare il
colloquio” con le organizzazioni differenti per esempio da ASL, studi privati e quant’altro: è nostra
convinzione, come già più volte sottolineato, che non è il luogo fisico o i destinatari dell’intervento a
definire modello e tipologia di colloquio e tanto meno di psicologo. Prendiamo le distanze da questa
impostazione per proporre che, nella diversità dei contesti e degli obiettivi, il colloquio possa trovare una
stessa declinazione clinica. Il colloquio psicologico in ambito organizzativo è spesso tradotto con la dicitura
“fare formazione”. La prospettiva che proponiamo intende la formazione come un metodo che lavora “su”
e “attraverso” i processi di scambio di significati che fondano il gruppo in formazione. Il colloquio di
formazione “generativo” identifica il suo prodotto nella “trasformazione di uno stato di realtà che una
tecnica scientificamente fondata e legittimata socialmente ha permesso di configurare come prevista e
perseguibile” e non prescinde dalla “fruizione che di tale prodotto farà il cliente”. Fare formazione allora va
inteso come partecipare attivamente ai processi interni alle organizzazioni, non dimenticando mai la stretta
interconnessione tra la programmazione, lo svolgimento, il prodotto e gli individui con i quali e per i quali
viene realizzato. La seconda questione che ci preme affrontare riguarda la “natura” stessa del colloquio, che
a nostro parere anche con le organizzazioni o è clinico o non è. È opportuno non confondere il concetto di
clinico con quello di terapeutico. Clinico, come sistema di studio dell’interumano attraverso un insieme di
osservazioni dirette, prescindendo da qualunque accertamento strumentale. Lavorare clinicamente implica
lavorare sul “campo”, cercando di ricostruire e comprendere le condizioni nella quali il soggetto, il gruppo,
l’azienda ha realizzato le sue esperienze e i suoi modi di interpretarsi e di interpretare il suo rapporto con i
clienti esterni ed interni, con l’ambiente e con il territorio. Proprio per questo, per colloquio clinico
intendiamo un vertice e un metodo non necessariamente connesso ad ambiti psicoterapici ma aperto al
campo della formazione. Il colloquio è una situazione interpersonale, di conversazione, dialogica e
generativa, le cui finalità non possono essere definite a priori, ma a partire da e attraverso lo svolgimento
dell’interazione tra i partecipanti. Concezione psico-sociale: concepisce il processo formativo come un
investimento atto a sviluppare le capacità professionali e relazionali dei membri dell’organizzazione. Questo
approccio focalizza l’apprendimento sui processi del gruppo di formazione che passa attraverso la
“metabolizzazione” della propria esperienza formativa; lo strumento più usato è il gruppo dinamico e i
cosiddetti metodi attivi che consentono una diagnosi di intervento sulle dinamiche del gruppo agite nel “qui
ed ora”. Possiamo quindi affermare che il formatore, secondo questo modello tende a essere il garante del
setting e della metodologia che, partendo da un progetto iniziale, andrà di volta in volta adattata, costruita
e pensata in funzione delle fasi che il gruppo sta attraversando.

La domanda: perché rivolgersi allo psicologo?

L’amministratore di una grande società di calcio con un problema per certi aspetti piuttosto ampio e poco
definito in termini di utenza e di tematica da trattare, si rivolge a un gruppo consulenziale con la richiesta
esplicita di contribuire a un generale “miglioramento” dello stato delle cose alla luce del periodo “difficile”
che la prima squadra attraversa e dello scarso rendimento ottenuto durante il campionato. Il primo
contatto sembra prefigurare una fantasia di intervento di tipo ortopedico: “per colpa dei problemi di
qualcuno” in questa organizzazione si è rotto un equilibrio per cui le cose non vanno come dovrebbero:
vediamo se lo psicologo è in grado di “rimettere a posto” quanto non “funziona più” e dunque di ristabilire
l’ordine e la tranquillità all’interno della società. La lettura e l’analisi del modo di pensare, di connotare e
prefigurarsi la professione psicologica è l’azione istituente che fonda la progettazione e la realizzazione di
ogni intervento.

La persona che ha richiesto l’intervento lo ha fatto a nome e per conto della società per le quali si ritiene
possa essere utile l’intervento dello psicologo. La problematica quindi che ha generato la domanda non è
da rintracciare solo ed esclusivamente nella persona ma ha sicuramente un’origine “contestuale”, deriva
cioè dall’intersezione di una serie di variabili sociali, economiche, culturali, presenti nel contesto da cui è
nata. Sarà utile richiamare alcuni concetti teorici per chiarire quanto stiamo discutendo:

•Collusione: l’insieme delle simbolizzazioni affettive evocate dal contesto nei differenti partecipanti alla
relazione sociale. Quindi il contesto evoca la collusione mentre quest’ultima influenza e orienta il contesto
stesso.

•Contesto: circostanze e fatti che costituiscono una determinata situazione, nella quale un singolo
avvenimento si colloca o deve essere ricondotto per poterlo intendere, valutare o giustificare.

•Fallimento collusivo: venire meno dell’accordo implicito ed emozionale sul modo di definire gli eventi. Il
fallimento collusivo è quella dinamica che motiva la domanda posta al formatore.

•Modelli culturali/cultura: insieme degli assunti e dei valori che contraddistinguono uno specifico gruppo e
ne orientano le scelte.

•Organizzazione/istituzione: l’organizzazione è definibile attraverso i ruoli, funzioni e obiettivi fondata sulla


razionalità degli individui che la compongono e sul consenso; l’istituzione può essere definita come la
traduzione emozionale e condivisa della prima.

•Simbolizzazione affettiva: prodotto dei due diversi modi d’essere della mente: il pensiero simmetrico che
rappresenta lo spazio intersoggettivo come un tutto, e il pensiero asimmetrico che si esercita come
stabilimento di distinzioni-differenze a partire dal magma omogeneizzante del modo di essere simmetrico
della mente.

La risposta alla domanda “cosa cercare e come?” è rintracciabile nell’insieme delle espressioni culturali
specificatamente localizzate prototipiche di quella organizzazione. Chiarito dunque il “cosa” ci serve sapere,
per poter intervenire, attraverso quali strumenti? È evidente che nessuna tecnica “introspettiva”
individuale potrebbe andare bene in casi dove, lo ribadiamo, la genesi della domanda è concepita i termini
“contestuali”. Quello che dobbiamo cercare sono da un lato tutti gli elementi oggettivi o strutturali che
compongono l’intero ambiente dell’organizzazione, e, specularmente, la connotazione che soggettivamente
e in gruppo viene affettivamente a questi attribuita. Questo vuol dire che aspetti come il fatturato, il
mercato di cui questa organizzazione fa parte, non possono essere considerate informazioni neutre, ma
categorie logiche, cariche di aspettative o di delusioni. Questi elementi costituiscono convinzioni da
smontare o certezze da mantenere. Struttura, cultura e la loro relazione sono perciò le variabili da sondare
al fine di identificare con quale sistema culturale locale ci stiamo confrontando e qual è il senso della
domanda.

L’analisi del contesto, i colloqui, gli incontri di gruppo, le interviste effettuate all’interno della società
committente hanno consentito non solo di “conoscere” la cultura dell’organizzazione, di rispondere o
comunque di avere un’idea più chiara del perché questa società avesse richiesto una consulenza e con
quale rappresentazione del problema, ma anche e soprattutto di definire un elemento di assoluta
importanza in qualsiasi intervento psicologico-clinico. Quando un “cliente” si rivolge a un professionista, lo
fa in funzione di una serie di elementi tra loro indiscutibilmente associati:

•La rappresentazione sociale che il cliente ha di quella professione nel suo contesto

•La seconda riguarda le fantasie relazionali prevalenti, ovvero la modalità con cui il cliente anticipa
fantasticamente la relazione con il consulente a cui ha deciso di rivolgersi.

Terminata l’analisi organizzativa, viene proposto di attuare una seconda fase di intervento volto a integrare
l’attenzione alla località, intesa come specificità dei problemi e delle strategie di settore, con quella alla
globalità, ovvero al contesto culturale organizzativo entro cui i diversi settori si trovano a convivere. Non
tutti i contesti sono in grado di affrontare e tollerare una consulenza psicologica che comporta un reale
processo di cambiamento, a volte percepito più che auspicabile come un pericolo da evitare.

Il primo aspetto fondamentale da trattare è il concetto di ruolo che è intimamente connesso a ogni attività
relazionale e la cui “analisi”, come abbiamo visto, è una parte essenziale in qualsiasi intervento psicologico-
clinico. Il ruolo è l’insieme dei comportamenti che ci si aspetta da chi si occupa una determinata posizione
all’interno di un gruppo; determina le “parti” assegnate a ciascuno in funzione di come viene percepito
dagli altri la sua specificità, e individua sia comportamenti prescritti che proibiti. Qualsiasi organizzazione ha
in sé una divisione più o meno rigida di ruoli e funzioni. Ogni ruolo si distingue in base:

 A un sapere
 A un saper fare
 A un saper essere.

Un ruolo, dunque, non può essere definito a prescindere dalle conoscenze relative a quel ruolo, dalle
competenze ad esso relative, e dall’atteggiamento da tenere: il tutto ovviamente inserito in uno specifico
contesto al quale poter fare riferimento. Contribuisce a determinare e definire la distribuzione di ruoli, il
potere che le persone hanno e detengono entro quel sistema che rispecchia le funzioni svolte in quel
contesto organizzativo. Ma quale potere spetta allo psicologo-formatore? Il suo potere si esplica nel
rapporto con il gruppo di formandi che partecipano all’esperienza. Il potere del formatore può essere
utilizzato o meno, ma sicuramente non può essere negato. Esiste, infatti, fra il docente e i formandi,
un’asimmetria: rispetto alle conoscenze e alle competenze, rispetto al potere e alla modalità di conduzione
della formazione e rispetto a una dimensione di tipo economico. Tutti gli individui che entrano a far parte
del gruppo di formazione giocano un ruolo, cioè recitano una parte congruentemente alle proprie
caratteristiche personali e alle motivazioni a stare nel gruppo. Nel dare una definizione di ruolo non ci
riferiamo ad una struttura rigida, non c’è un ruolo che non venga interpretato. Uno dei ruoli più studiati
dalle scienze dell’organizzazione è quello di leader. Gli studi sulla leadership hanno definito modi diversi di
intendere questo ruolo all’interno dei gruppi: leadership carismatica, situazionale, organizzativa,
emozionale.

La formazione può essere intesa come un processo che dovrebbe aiutare persone, gruppi, e organizzazioni
ad apprendere per cambiare, per raggiungere meglio i propri obiettivi e i traguardi organizzativi che si
propongono nel rapporto con l’ambiente. Tra le molteplici definizioni date della motivazione, quella che ci
sembra più contestuale al tema trattato è quella per cui la motivazione è la spinta che fa tendere un
comportamento verso un obiettivo. Se tale spinta viene da fattori esterni all’individuo si parlerà di
motivazione estrinseca. Il rischio in questi casi è che ciò che viene trasmesso venga tendenzialmente
accolto come informazione da aggiungere a quelle già possedute. Diverso è il caso in cui la spinta ad
apprendere venga direttamente dall’individuo, utente e committente della formazione, in questo caso si
può parlare di motivazione intrinseca. Durante il percorso formativo diventa fondamentale far emergere sia
le fantasie e le spinte motivazionali dell’utente a partecipare, che gli obiettivi e le motivazioni che hanno
portato il committente a richiedere l’intervento stesso.

La costruzione di un rapporto: il setting e le sue regole.

Come abbiamo più volte ripetuto è necessario istituire uno spazio che renda possibile la mentalizzazione
della proposta collusiva, ovvero organizzare delle dimensioni quadro e pianificare un percorso che renda
possibile la traduzione della proposta collusiva tramite un processo di pensiero. Questi aspetti quadro
attengono a quel concetto teorico-tecnico della professione psicologica chiamato setting, definibile come
rapporto tra la forma organizzativa del rapporto e le tecniche in esso utilizzate.

Lo spazio all’interno del quale avviene l’intervento di formazione assume un’importanza fondamentale
perché è a partire da questo luogo fisico che diventa possibile comprendere lo spazio mentale che
consulenti e utenza sono disposti a trovare affinché la domanda di intervento possa essere esplorata. È lo
spazio che contiene l’intervento formativo a conferire identità all’intervento stesso ed è per questo che la
sua collocazione, costruzione e protezione devono essere compito del formatore. L’importanza di questo
aspetto può essere ulteriormente sottolineata se ci soffermiamo a riflettere sulle differenti atmosfere e
informazioni che possono emergere da luoghi diversi in cui un intervento può avere luogo e ai differenti
significati da attribuire a pensieri, fantasie che emergono a seconda del luogo fisico in cui i partecipanti si
riuniscono. Attraverso l’istituzione del setting il formatore costruisce e rende operativa la prima fase del
colloquio; marca i confini metodologici sui quali gli sarà possibile osservare, comprendere, leggere ciò che
avviene nel corso della formazione. Ciò può essere rappresentato attraverso il triangolo ISO: individui,
setting e organizzazione. Il colloquio di orientamento, secondo un modello psico-sociale, ha come fine la
costruzione dei nessi, significati della storia portata dall’utente per arrivare a una nuova narrazione di sé,
che definiamo generativa, e della propria domanda formativa, contestualizzando quest’ultima all’interno di
scenari possibili di scelte formative e professionali future. Le azioni orientative sono volte alla promozione
di competenze che permettono di organizzare le proprie rappresentazioni/autorappresentazioni, di
migliorare la capacità decisionale e la consapevolezza di sé nel contesto. Il processo di consapevolezza a cii
il colloquio di orientamento mira individuare può essere descritto come una costruzione plurifocale a cui
concorrono una serie di aspetti che possono così essere sintetizzati: il sé, il contesto, risorse/opportunità. La
relazione tra costi e obiettivi è sicuramente uno dei temi più importanti e spinosi da un punto di vista
metodologico della psicologia clinica per la quale la competenza primaria dello psicologo è quella di essere
esperti in contratti relazionali, nel saper valutare clausole, vagliare situazioni, farsi carico di norme che
regolano tutta la situazione formativa, ossia nell’istituire e garantire il setting. Il parametro costi, ha quindi
una duplice valenza:
•Emotiva: è legato ai significati affettivi di cui viene investito il processo di formazione e connesso agli
aspetti simbolici del dare e avere, del chiedere e ricevere, dello scambio, degli interessi e dei valori
personali e aziendali.

•Oggettiva: il denaro nel suo essere oggetto di realtà con tutti i problemi di ordine pratico a esso collegati.

Anche rispetto al parametro tempo è possibile distinguere una dimensione interna e una dimensione
effettivamente e oggettivamente misurabile. Il quando del colloquio:

 E’ funzione organizzativa: consente alle emozioni, ai contenuti mentali, ai racconti e agli agiti di
colloquiare all’interno dei confini temporali che aiutano a capire, comprendere ed esplicitare;

•È funzione di protezione e tutela: costituisce un limite temporaneo pratico e mentale entro il quale
sviluppare un pensiero;

•È perimetro: entro il quale sviluppare una riflessione riguardo alla motivazione dell’utenza, della
committenza.

Il tempo quello reale di incontro, quanto quello di separazione tra i vari momenti della sessione formativa,
può e deve essere concepito come un prezioso momento di riflessione, di ristrutturazione e di
riorganizzazione del lavoro in atto.

Il gruppo: strumento e oggetto di intervento organizzativo.

La formazione cui abbiamo fatto riferimento fino a questo momento è una formazione che ricerca le
dimensioni simbolico-culturali generatrici dei problemi segnalati e utilizza “l’oggetto-strumento” gruppo
per intervenire sull’organizzazione. Il gruppo diventa lo “spazio” mentale e reale in cui i soggetti possono
incrementare la loro capacità di cogliere e istituire connessioni fra temi ed emozioni, fra affetti e storie, tra
dimensioni prevalentemente esterne e interne.

Chiamiamo gruppo non la sommatoria di individualità dialoganti, ma il fitto intrecciarsi di eventi


intrapsichici e interpsichici, di emozioni, di mondo interno e mondo esterno, di relazioni, una dimensione a
tratti riconosciuta a tratti invisibile, che costruisce le relazioni intersoggettive. Se è vero che lo stesso Freud
aveva accettato l’esistenza di due psicologie, quella dell’individuo e la psicologia di gruppo, è a Pratt che
dobbiamo il primo approccio alla psicoterapia di gruppo; nel 1927, Burrow, partendo dall’ipotesi che la
genesi dei disturbi psichici fosse da rintracciare nel sociale, gettò le basi per l’analisi di gruppo: è lui il primo
a considerare il gruppo come lo spazio più adeguato per affrontare problematiche che nel gruppo stesso
hanno avuto origine, soffermandosi per lo più sul qui ed ora delle narrazioni del gruppo piuttosto che
ricercare e focalizzare l’attenzione sul racconto di eventi passati. È in questo scenario che anche il setting
diventa un campo di interesse e di riflessione in quanto correlato ai processi che in esso avvengono e
comincia ad essere eletto condizione ineliminabile per la lettura, la comprensione e l’interpretazione delle
dinamiche gruppali. È questo il periodo dell’analisi sugli stadi dei gruppi e sugli assunti di base di Bion che
riconosce l’esistenza di una specifica mentalità gruppale. Dobbiamo a Lewin la concezione del gruppo come
complessa struttura di ruoli, di canali di comunicazione, di scambi, di posizioni, di dinamiche di potere:
secondo questo autore il gruppo è un fenomeno a sé stante, non la somma di fenomeni rappresentati dal
pensare e dall’agire dei suoi singoli componenti; è un’unità che la psicologia può assumere nel suo studio
così come altre unità. Il gruppo ha una struttura propria, degli obiettivi, un insieme di relazioni particolari
con gli altri gruppi. Ciò che ne costituisce l’essenza non è la somiglianza o la dissomiglianza riscontrabile tra
i suoi membri, ma la loro inter-indipendenza, il cui grado varia da un’unità compatta a una massa indefinita.
Un cambiamento di stato relativo a una sua parte o frazione qualsiasi riguarda lo stato di tutte le altre. È
tuttavia solamente con Heimann da una parte e con Foulkes dall’altra che il discorso sul gruppo e
sull’atteggiamento del formatore acquista spessore e significato all’interno dell’intervento non più come
elemento formale ma come uno degli strumenti principali del lavoro analitico e formativo. Foulkes propone
una concezione del gruppo come rete di legami affettivi, relazionali e comunicativi: rete da cui nasce una
psiche di gruppo, ha come obiettivo la terapia del singolo ma attraverso la struttura gruppale che facilita e
accelera i processi di miglioramento, grazie ai fenomeni di:

•Reazione speculare: riconoscimento nell’altro del proprio materiale rimosso;

•Popolarizzazione: rappresentazione dei diversi aspetti di un problema attraverso più persone;

•Risonanza: comunicazione inconscia tra due o più persone del gruppo.

Il setting, a questo punto, consegue un altro valore e specificità: non è più, o meglio non è unicamente,
connesso con le sole condizioni materiali su cui organizzare la formazione, ma diventa il luogo dove ogni
emozione, agito, espressione, può essere compreso, capito e contestualizzato per renderlo funzionale
all’obiettivo da perseguire. Il gruppo può essere definito a questo punto come un’organizzazione mentale,
un operatore psichico, un sentimento di appartenenza, anche un complesso reticolo di interrelazioni
psichiche fra persone da osservare da un punto di vista cognitivo e fenomenologico. Il gruppo, perciò, si
configura in quanto spazio di incontro dinamico, un insieme di soggetti e soggettività che si influenzano
vicendevolmente guardandosi, ascoltandosi, parlandosi, in una parola essendo nel gruppo, con il gruppo, il
gruppo. Ancora, il gruppo diventa, con Spaltro uno strumento diagnostico e uno strumento di intervento;
cioè, uno strumento per ottenere cambiamenti. La partecipazione a un gruppo consente una maggiore
consapevolezza dei propri atteggiamenti emotivi e quindi della propria realtà individuale.

Le dimensioni che caratterizzano il gruppo sono principalmente quattro:

•Dimensione strutturale: numerosità, tempi e spazi.

•Dimensione funzionale: compito e produttività.

•Dimensione psico-ambientale: modalità affettive con cui viene vissuto il gruppo.

•Dimensione psicodinamica: analisi dei singoli individui che compongono il gruppo.

È quanto mai complessa e articolata la definizione e la classificazione che è stata data di tutte le tipologie di
gruppo esistenti; tra le molteplici possibili ne proponiamo solo due. La prima è quella relativa al metodo
utilizzato che consente di differenziare sette tipi di gruppi. La seconda riguarda la differenziazione tra gruppi
relativa all’obiettivo che distingue diverse tipologie di gruppo, in funzione dello scopo, evidenziando
ulteriormente la complessità del soggetto gruppo.

Il colloquio di gruppo presuppone il passaggio da una cultura di coppia a una di gruppo, al transito, cioè, da
una cultura che ipostatizza nella convivenza la centralità del potere e la definizione di ruoli e funzioni in
maniera dogmatica, a una cultura che, non assumendo prospettive dicotomiche si fonda sulla circolazione
di ruoli e funzioni e sulla valorizzazione del gruppo quale fattore di crescita condivisa. La cultura di gruppo,
si fonda sulla circolazione dei ruoli e sulla possibilità di una co-crescita dei processi di comunicazione e
pensiero valorizzando e incentivando la soggettività gruppale. Tale passaggio ci può tornare utile per
chiarire meglio le tre diverse modalità di interazione tra colloquio e gruppo.

Il colloquio con il gruppo: modalità che guarda in modo specifico al mondo della formazione e ha chiari
intenti clinici.

Il colloquio in gruppo: valorizza l’equipe e le sue funzioni di processo e di intervento.

Il colloquio di gruppo: ha a che fare con il lavoro terapeutico e clinico, con gli aspetti di sostegno e guarda al
gruppo come allo spazio condiviso di discussione e di riflessione.
Ci soffermiamo su un ultimo concetto, fondante lo stesso lavoro di gruppo e obiettivo metodologico da
perseguire attraverso l’uso di questo strumento: l’attraversamento. Possiamo individuare sette differenti
aree di attraversamento nel colloquio di gruppo:

•L’attraversamento di sé: il soggetto ripercorre una sintesi della propria storia e costruisce la propria icona.

•L’attraversamento del colloquio: i due assi si attraversano ripetutamente, dialogando.

•L’attraversamento del conduttore: il conduttore rinuncia a una quota del potere.

•L’attraversamento dell’altro: trasformazione dell’altro in meta, l’altro è garanzia di una crescita e di un


cambiamento positivo.

•L’attraversamento del setting: attraversalo senza entrare all’interno dei criteri di scientificità, validità e
verifica.

•L’attraversamento del gruppo: permette di soggettivare le finalità e l’identità del gruppo stesso.

•L’attraversamento del delirio di onnipotenza: la necessità di rinunciare al possesso.

“Come si fa”? I metodi per intervenire.

Tutte le tecniche formative che delineeremo utilizzano un set di gruppo e rientrano in quelle metodologie
definite strumenti didattici attivi. A differenza di un corso di lezioni, dove l’assunzione dei concetti è di tipo
astratto, intellettualistico, nel gruppo esperienziale l’apprendimento riguarda prevalentemente i propri
atteggiamenti relazionali, interattivi, le proprie motivazioni, gli obiettivi del proprio e dell’altrui
comportamento. Il punto di vista con cui approcciamo al gruppo di formazione è un punto di vista narrativo
che consente di ricollocare la funzione formativa all’interno di un duplice senso: da un lato l’esigenza di
andare in profondità nell’analisi di problemi ed eventi, dall’altro di restituire ai soggetti una maggiore
capacità di collocarsi all’interno dei processi più generali e complessi, individuando percorsi e storie
esistenziali più soddisfacenti e significative. L’obiettivo, è, quindi, definibile come un generare racconti dagli
eventi, liberare narrazioni, creando lo spazio per un pensiero su tutto ciò che gli individui fanno, agiscono
nella quotidianità dei loro contesti organizzativi e che inevitabilmente riproducono nel qui ed ora del setting
formativo. La narrazione che si sviluppa nel setting formativo mette in connessione i codici di significazione
condivisi nel contesto organizzativo di appartenenza e il discorso che si va generando nel qui ed ora
dell’incontro. Porre attenzione alla narrazione significherà, non solo dare la parola ai formandi, ma anche
comprendere il valore comunicativo, e dunque narrativo, delle loro azioni, perché anche queste hanno la
funzione di esplicitare un racconto.

Tra le molteplici classificazioni dei giochi e delle tecniche d’aula proponiamo tre macro-raggruppamenti
diversificati tra loro: secondo l’obiettivo da perseguire, in rapporto alla cultura organizzativa in cui ci
troviamo ad operare in rapporto alla numerosità dell’utenza  esercitazioni e lavoro di gruppo, giochi di
ruolo e psicodramma, giochi analogici.

La verifica dell’intervento organizzativo.

La verifica del processo formativo risponde all’interrogativo: quali obiettivi sono stati raggiunti? In questo
senso è un momento sostanziale e fondante del processo formativo che caratterizza tutta la problematica
della formazione, il modo di concepirla, modellizzarla, nonché di renderla prassi operativa. Per i
responsabili delle organizzazioni il dato più sentito, più importante e impellente è quello di risponde al
quesito: a cosa è servita la formazione? Capire, quantificare e valutare, anche in senso economico,
l’apporto dato dal processo formativo rispetto alla funzionalità dell’organizzazione, al raggiungimento dei
suoi obiettivi, è dunque la preoccupazione primaria di chi ha commissionato l’intervento. Il “meta-
messaggio” che dovrebbe essere proposto da un percorso psicologico-clinico di formazione, consolidato
dalla valutazione, è che il cambiamento può essere possibile se si accetta di trasformarsi con gli altri,
attraverso l’acquisizione di consapevolezza di sé, l’impegno, la disponibilità personali a giocare e a giocarsi
con il nuovo. Per i consulenti la verifica è un aspetto strategico dell’intervento clinico; costituisce il
momento di valorizzazione della funzione professionale, e un ulteriore vettore di sviluppo della
committenza. In questo senso verifica non è solo analisi degli esiti raggiunti dall’intervento clinico in ragione
delle ipotesi di esito atteso assunte a monte della sua realizzazione, ma anche valutazione, giudizio di tipo
organizzativo-strategico sull’utilità e il senso che l’intervento ha sul fruitore. Si può ulteriormente
evidenziare come concepire l’azione professionale come servizio rivolto a un cliente, implichi un’estensione
dell’oggetto della valutazione, non la correttezza delle procedure, ma il loro valore d’uso per il cliente.

Il senso e il valore di un’esperienza formativa, o comunque di un qualsiasi intervento psicologico-clinico,


possono essere raccontati in mille modi diversi, ma in particolare con il resoconto. L’atto di scrivere un
resoconto è una vera e propria competenza, cioè la capacità di pensare l’esperienza vissuta e di organizzare
relazioni; con la possibilità ultima di far conoscere il proprio operato per sottoporlo a verifica. Il resoconto si
pone quindi come strumento narrativo privilegiato, in grado di connettere in modo adeguato le dimensioni
d’apprendimento con le narrative personali, che sono invece espressione della storia e dell’identità dei
soggetti, strumento in grado di generare percorsi di ascolto, confronto e discussione.

Epilogo.

La nostra proposta, di alternare il racconto di un caso e la teoria di riferimento, ha voluto sottolineare


l’importanza di possedere una teoria dell’intervento psicologico di cui il colloquio nella dimensione della
narrazione generativa rappresenta uno strumento fondamentale per la raccolta, l’elaborazione e la
restituzione dei dati. Gli elementi presenti nella domanda di intervento e a cui il colloquio deve rispondere
possono essere riassunti facendo riferimento a tre livelli, che riguardano:

1.La rappresentazione della perturbazione ambientale a fondamento della richiesta della prestazione
professionale: che cosa è successo e perché si decida di chiamare un consulente.

2.La rappresentazione sociale che l’organizzazione ha della prestazione professionale richiesta: come
l’organizzazione si rappresenta la professione del consulente, con chi crede di avere a che fare.

3.Le fantasie relazionali prevalenti: che cosa si vorrebbe che lo psicologo facesse.

Sono questi dati correlati che ci permettono di giungere a una diagnosi del problema e di formulare una
prognosi in merito. Tutto questo è possibile solamente all’interno di una cornice metodologica e teorica,
che definisce il processo di formazione e di cui il colloquio psicologico rappresenta il momento centrale, di
fondazione e progettazione.
CAPITOLO 6. LA RICERCA IN PSICOLOGIA COME SPAZIO COLLOQUIANTE

PREMESSA

Il concetto di colloquio viene utilizzato in una accezione clinica estesa che include la ricerca psicologica. Esso
non si esaurisca né identifichi con la fenomenologia del colloquio quale conversazione né con la definizione
di un setting organizzativo in cui dispiegarlo. Oh il colloquio è da intendersi in primo luogo come spazio
riflessivo, auto riflessivo e generativo di criteri di lettura del contesto . Criteri che possono riguardare ora il
cliente/sistema organizzativo in rapporto al quale lo psicologo è chiamato a intervenire , ora lo stesso
psicologo che può per esempio servirsi della ricerca psicologica come spazio di costruzione di criteri utili per
intervenire e/o verificare il suo operato. prospettive teoriche:

 i processi psicologici non sono collocabili allinterno della testa degli individuo. La menta è un
sistema che si costruisce entro e per mezzo del rapporto sociale. Spessa e costitutiva menter
sociale: i modelli mentali che sostanziano l'organizzazione del pensiero si qualificano come dei
repertori di significati negoziati scambiati recuperabili nell interazione sociale entro e attraverso
specifici sistemi culturale. La menta è intrinsecamente sociale: pensare è un atto finalizzato
strumentale subordinato alle esigenze di regolazione della relazione sociale.
 L'essere umano e la società non sono fenomeni naturali sempre uguali a se stessi: essi non esistono
al di là delle categorie interpretative che vengono utilizzate per osservarli e definirli.
 Il dispiegamento dei significati di qualunque produzione simbolica che ci si propone di indagare e
strettamente ancorato ai modelli rappresentazionali di chi ne ha odore e ai contesti relazionali
interagiscono con la costruzione la lettura di quel testo.

La revisione critica dei postulati epistemologici su cui si è tradizionalmente basata la cosiddetta psicologia
moderna suggerisce un modo di fare ricerca che non prende direttamente dalla realtà gli oggetti del proprio
discorso ma li costruisce concettualmente. Un modo di fare ricerca che pone al centro del suo interesse la
relazione individuo-contesto e la mediazione che entro tale relazione esercitano i dispositivi discorsivi di
negoziazione del significato.

OGGETTI

Interessa e focalizzato sulle forme e sui prodotti simbolici attraverso e nei termini dei quali il soggetto
simbolizza la propria presenza nel mondo e attribuisce significato ai testi che incontra. In questo senso il
socio costruttivismo qualifica i processi di significazione come dispositivi simbolici che il soggetto acquisisce
utilizza l'interno dei suoi contesti culturali di appartenenza. Da una prospettiva psicodinamica a essere
oggetto di interesse è il modo con cui gli attori impegnati in un'attività costruiscono emozionalmente gli
elementi dell'ambiente in cui sono implicati. Gli oggetti della ricerca sono riferibili alla relazione individuo-
con testo. Tre sono le proprietà della nozione di cultura locale:

 il suo carattere dinamico: la cultura locale rappresenta il repertorio di significati che gli attori
utilizzano per interpretare l'ambiente ma anche il prodotto simbolico delle produzioni discorsive. Il
linguaggio assume così una valenza centrale nella ricerca.
 Il suo carattere contingente: la cultura di un determinato gruppo sociale non si costruisce una volta
per tutte né si dà come un repertorio definitivo e e definito. Al contrario viene continuamente
rielaborato entro le pratiche discorsive punto il suo carattere locale e dunque da riferirsi non solo
alla specificità dell'ambiente ma il suo essere espressione della storia e del lavoro semiotico del
gruppo che lo esprime.
 Il suo carattere condiviso: la cultura locale non si definisce in rapporto ciò che gli attori sociali
hanno in comune. Essa si qualifica come codice generativo di modi di pensare anche molto
differenti tra loro.
UNITA’ DI OSSERVAZIONE

Un altro comportamentale e varia in funzione del contesto nel quale occorre e delle proprietà semiotiche di
quel contesto . Ciò determina il riconoscimento di come l'analisi debba implicare l'interpretazione della
relazione tra l'altro è il contesto simbolico, Sociale e culturale.

METODOLOGIE

Si ipotizzano procedure che tengono conto della natura internazionale del processo di conoscenza ed è il
carattere locale dei modi di percepire i fenomeni oggetto di analisi punto i metodi e gli strumenti sono volti
a raccogliere modalità di connotazione simbolica degli oggetti del lavoro di riflessione. Un tale modo di
concepire l'oggetto di osservazione richiede modelli interpretativi e sistemi di analisi capace di andare al di
là del dato. Il significato affettivo che gli attuali danno al contesto non risieda nei dimensioni di realtà nei
contenuti rappresentazionali si forma e si guarisce attraverso la relazione con altri segni. Ricercare la
dimensione simbolica dei testi prodotti nella struttura del discorso o nella struttura delle risposte che li
caratterizza ovvero nella posizione che i contenuti rappresentazionali prodotti scelti occupano nel contesto
di altri segni nel quale è in funzione del quale sono utilizzati. Nella prospettiva adottata rispondere al
perché alcuni dati stiano insieme e perché non stiano con altri è alla base della procedura di analisi. C'è la
necessità di operare una distinzione tra il significato disegni mobilitati dallo scambio comunicativo è il senso
dov'è la corrispondenza istituita tra significato e segno rimanda ho un ulteriore significato di secondo
livello. Sei la costruzione di senso si realizza a partire dai nessi che si stabiliscono tra i diversi significati
mobilitati le metodologie di analisi non possono operare come se il singolo dato-segno forse portatore di
un significato univoco punta il senso emerge in rapporto ai nessi soggettivi che si stabiliscono tra i segni in
questa logica il senso è sempre legato a una dimensione contestuale.

PROCEDURE DI ANALISI

i testi o i PATTERN di risposta raccolti attraverso intervista vengono sottoposti a procedure di analisi
multidimensionale volte a connettere il piano semantico dei contenuti rappresentazionali proposti dai
soggetti con il piano simbolico emergente della struttura del discorso ho dei pattern di risposta dove si
delinea la matrice effettiva fondante e generativa del piano semantico.

OBIETTIVI

gli obiettivi della ricerca non sono deducibili dall’interno della teoria psicologica. Gli obiettivi della ricerca
sono contingenti. Date queste premesse non è obiettivo delle analisi la generalizzazione dei risultati quanto
la capacità di funzionare quale strumento ermeneutico di costruzione di ipotesi sul contesto. In una
prospettiva di intervento la logica del CASE STUDY e una chiave di accesso per certi versi obbligata all’analisi
del rapporto tra modelli simbolici e contesti locali.

RICERCA E INTERVENTO

le giare la ricerca all’intervento significa considerare la relazione tra il contesto sociale e lo scopo che
motiva la ricerca quale organizzatore della metodologia delle tecniche di lavoro. Le tecniche si applicano a
un contesto dato a prescindere dalle situazioni relazionali in cui si trovano appunto l'intervento implica la
costruzione del contesto. In uno scenario del genere lo psicologo-ricerca Dora prende in considerazione:

-il setting dell'intervento organizzante la relazione psicologo-cliente

-il contesto di appartenenza del cliente fondamentale per la pianificazione di obiettivi verso i quali orientare
l'intervento

il cliente è colui che ha o avrà un cliente ovvero un interlocutore che con la sua domanda buone questioni
problematiche e non scontata. È il fondamento al denaro presente il contesto che motiva una ricerca che
sia orientata all’intervento. La psicologia e quindi anche la ricerca sì buon obiettivi di sviluppo.

Una concezione di ricerca come metodo, spazio e prassi colloquiante.

-metodo: impossibile modo di definire il lavoro clinico è quello di dare senso alle problematiche con cui i
nostri clienti si confrontano fornendo loro dispositivi generativi per rappresentarsi il contesto in cui si sono
iscritti e per ricavare dalla comprensione di questo contesto criteri di azione. Con il termine dispositivo ci
riferiamo a un elemento generale che non si configura nè con una tecnica in sé né con uno strumento
specifico né con una teoria particolare ma con un sistema complesso che integra tutti questi elementi. I
dispositivi non sono dati una volta per tutte e buoni e validi sempre vanno piuttosto di volta in volta ben
fatti in rapporto alle competenze che si intendono promuovere e in ragione delle domande del contesto
sociale che li motiva. Abbiamo proposto che i dispositivi di costruzione di senso possano EO debbano essere
richiamati anche in rapporto alla ricerca psicologica perché anche essa come qualsiasi altra forma
dell’intervento psicologico e sempre inscritta in una rete di simbolizzazione e socialmente condivisa e ha
sempre come oggetto la costruzione di conoscenza.

-Spazio: luogo in cui pensare ed elaborare fantasia simbolizzazione di ruoli e contesti cioè il setting
dell'intervento e il contesto di appartenenza del cliente.

-Prassi colloquiante: il ricercatore non può confidare nella tecnica in sé per la lettura dei dati. Prima va
riferimento a modelli e grida interpretativi su quale sia la natura da indagare punta le modalità simboliche
con cui si interpretano i contesti possano essere un comune oggetto della ricerca clinica che definisce
precisa i suoi scopi in ragione di specifici contesti.

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