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FONDAMENTI DI PSICOLOGIA DI COMUNITÀ

CAPITOLO 1: LA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ TRA TEORIA E PRATICA


Che cos’è?
La psicologia di comunità è una disciplina che si occupa di individuare e sperimentare strategie
professionali per affrontare i problemi di una comunità, problemi che hanno rilevanti implicazioni
comportamentali e psicologiche.
Orford → La mission della disciplina può essere ricondotta a due punti:
1. aiutare le persone a diventare consapevoli del ruolo che hanno le condizioni in cui vivono nel
determinare la loro salute e il loro benessere
2. aiutarle a unirsi affinché si attivino e diventino protagoniste di processi di cambiamento delle loro
condizioni di vita
Questa significa interrogarsi sulle determinanti dei maggiori problemi sociali e di salute della nostra
società e rispetto alle modalità più adeguate per affrontarli. (Esempio: il rapporto tra disuguaglianze
sociali/povertà e disturbi mentali o il rapporto tra suicidi e crisi economica).
Secondo Orford parlare di persone implica sottolineare una dimensione sociale, di reti e relazioni
interpersonali, di qualcosa che rimanda a processi identitari di appartenenza.
Mannarini → La psicologia di comunità si occupa di convivenza, di “noi” e quindi necessariamente anche
di “loro”. Si occupa dell’“altro necessario”, quell’altro senza cui l’essere umano non può darsi nella sua
natura propriamente umana, e che pur tuttavia pone il problema della differenza.
Questo significa che l’interesse della psicologia di comunità è rivolto all’interdipendenza tra le componenti
contestuali e quelle individuali, nel tentativo di comprenderne la dinamica transazionale e capire quali
condizioni favoriscono lo sviluppo e il benessere individuale e di quella comunità.
Brofenbrenner → L’evoluzione delle discipline psicologiche è stata segnata da un marcato squilibrio tra la
grande attenzione dedicata al concetto di personalità e agli stadi dello sviluppo individuale e lo scarso
interesse per il versante ambientale della classica equazione di Lewin (teoria del campo).
→ La psicologia di comunità parte dall’assunto che il comportamento della persona possa essere meglio
compreso se studiato in relazione ai contesti sociali che caratterizzano la sua vita quotidiana.
L’oggetto di studio viene collocato nell’interfaccia tra la persona e l’ambiente, creando una unità di analisi
e di intervento che può essere definita “persona-nel-contesto” (metafora ecologica). L’individuo e i
contesti sociali sono considerati inseparabili, in quanto connessi da complesse interazioni reciproche, e
le condotte interpretate come il miglior adattamento possibile per l’individuo in relazione alle condizioni
ambientali. Problematiche come depressione, alcolismo o integrazione sociale vengono studiate in
relazione ai contesti di vita in cui la persona è inserita, che creano una sorta di ecosistema.
Psicologia clinica di comunità: un confronto
Psicologia clinica e di comunità condividono la finalità ultima di perseguire il benessere delle persone ma
elaborano percorsi differenti per il raggiungimento di tale scopo:

Psicologia di comunità Psicologia clinica


Tempi per intervenire Ha un’ottica pro-attiva e cerca di Ha un’ottica reattiva e interviene
intervenire prima dell’insorgenza di quando gli individui hanno già
problemi, al fine di prevenire disagi e sviluppato una qualche forma di
promuovere il benessere delle persone. malessere psicologico.
Luogo in cui viene Colloca le minacce al benessere Colloca i problemi di salute mentale
collocato e affrontato il psicologico negli ambienti sociali e dentro il funzionamento degli apparati
problema nelle caratteristiche dei sistemi emotivi/cognitivi individuali.
legislativi e politici che danno forma
alle condizioni di vita degli individui.
Ciononostante psicologia clinica e di comunità sono in un rapporto di complementarietà: se è
indiscutibile che per le persone che già presentano un disturbo è più adeguato un approccio clinico, è
altrettanto vero che tempi e costi delle terapie non consentono di raggiungere tutte le persone che ne
avrebbero bisogno. La cura della patologia di affianca alla ricerca e alla rimozione delle condizioni di vita
in cui molti problemi di salute mentale affondano le loro radici.
Focus sulle risorse personali e sociali → Agire in un’ottica di comunità quindi significa guardare al
territorio e alla comunità in modo diverso, concentrandosi sulla salute invece che sulla malattia,
ricercandone le risorse prima ancora di comprendere la diffusione di forme di psicopatologia. Essa può
essere definita come una disciplina in cui è fondamentale interrogarsi su quali sono i valori che muovono
il nostro operare: l’assunto di partenza è quello dell’importanza che si realizzi un equilibrio tra valori
collettivi e individuali, che consenta un cambiamento sociale che vada nella direzione di una più equa
distribuzione delle risorse materiali e psicologiche tra i membri della comunità.
I valori
La psicologia di comunità, essendo una disciplina orientata al cambiamento sociale, fonda teoria, ricerca
e azione sia sulle evidenza empiriche sia sui valori: questi ultimi dicono alla scienza “come dovrebbe
essere” la comunità ideale, la scienza indica quali metodi utilizzare per arrivare al cambiamento sociale a
partire dalle condizioni attuali.
I valori su cui si fonda possono essere raggruppati in 3 categorie coerenti con tali livelli:
1. Valori personali: autodeterminazione, salute, cura e interesse verso gli altri e la comunità.
Permettono il raggiungimento del benessere a livello individuale.
2. Valori relazionali: collaborazione e rispetto per la diversità.
Permettono di congiungere sfera individuale a quella collettiva.
3. Valori collettivi: giustizia, responsabilità sociale nei confronti dei gruppi svantaggiati e sostegno
alle istituzioni sanitarie, collettive e sociali.
Promuovono il benessere assicurando un’equa distribuzione delle risorse all’interno della comunità
e ne garantiscono l’accesso a tutti i membri.
I diversi valori operano in maniera sinergica → I valori che guidano la promozione del benessere ai diversi
livelli sono interdipendenti e la loro capacità di indirizzare efficacemente gli interventi dipende
dall’equilibrio con cui vengono perseguiti: autodeterminazione e benessere psicofisiologico possono
essere raggiunti solo se sostenuti a livello relazionale, grazie a legami significativi tra i membri della
comunità e, a livello collettivo, attraverso la disponibilità e la possibilità di accedere alle risorse presenti
nel territorio. L’interdipendenza dei vari livelli del benessere permette dunque alla psicologia di comunità
di integrare la visione individualista e quella collettivista, rendendo tale disposizione priva di significato, e
dimostrando come interessi privati e collettivi possano sostenersi reciprocamente.
Il valore del rispetto della diversità quindi guida l’azione degli psicologi di comunità attraverso il principio
dell’inclusione, che sostiene il diritto di ogni persona a essere unica e a non essere giudicata sulla base di
un unico standard convenzionalmente accettato. I professionisti dovrebbero essere in grado di
promuovere il benessere di gruppi svantaggiati, riducendo la tendenza a “etichettare” gli utenti sulla base
dei loro problemi, lavorando con le persone allo sviluppo di risorse individuali, relazionali e di comunità
che permettano loro di cambiare le situazioni di ineguaglianza che sono alla base della loro difficoltà.
La psicologia di comunità ha scelto di adottare valori che permettano di promuovere il benessere a vari
livelli di analisi, senza che uno di questi venga privilegiato a spese di altri, ma tenendo presente come
l’equilibrio tra i valori possa essere modificato in relazione ai diversi bisogni che le persone possono
manifestare, alle loro esperienza di vita e alle caratteristiche dei contenti nei quali sono inserite.
I principi guida (lenti)
La metafora ecologica (James Kelly)
Ecologia: studio delle relazioni che intercorrono fra gli organismi e l’ambiente che li ospita.
La metafora ecologica viene adottata da quelle discipline che si propongono di analizzare le relazioni tra
gli individui e i sistemi sociali con cui interagiscono. Per la psicologia di comunità, essa costituisce il
“filtro” attraverso cui i fenomeni vengono definiti e analizzati. Questi fenomeni nascono e si sviluppano nei
contesti ed è al loro interno che possono essere compresi e modificati
La metafora ecologica è stata introdotta per superare il paradigma riduzionistico dominante della
psicologia tradizionale, che scompone l’individuo in processi di base (cognizione, percezione, emozione).
Secondo tale metafora, le comunità sono sistemi composti da vari livelli interconnessi tra loro, e il
comportamento delle persone può essere meglio compreso quando viene studiato in relazione a
molteplici livelli di analisi.
L’assunzione di tale metafora implica un’assunzione fondamentale sulle cause dei problemi, che vengono
considerati come il risultato dell’interazione nel tempo tra individui, setting e sistemi, e possono essere
efficacemente affrontati attuando cambiamenti nei contesti di vita e promuovendo le capacità delle
persone di utilizzarne le risorse.
All’interno della metafora ecologica convive la concezione simbolica di “comunità” come spazio sociale
multi-livello, importante per la vita individuale e la convivenza, ma contemporaneamente area di studio e
azione professionale nella quale anche dimensioni oggettive dell’ambiente fisico, interpersonale,
economico, e politico influenzano i comportamenti collettivi e individuali cercando di cogliere quali
meccanismi spieghino tali influenze.
Adottare la metafora ecologica significa partire dal presupposto che gli ambienti di vita in cui siamo
inseriti esercitano un’influenza significativa sul nostro comportamento. Implicazioni:
• se il comportamento individuale è strettamente connesso all’ambiente, per promuovere il loro
benessere è necessario modificare i contesti di vita
• per decidere quali modifiche apportare agli ambienti di vita è necessario innanzitutto sapere quali
caratteristiche contestuali sono associate a maggiori o minori livelli di benessere
• prima di intervenire su un contesto, bisogna studiarne le caratteristiche di partenza
• quando un contesto viene modificato, i potenziali benefici si estendono a tutti gli individui che
sperimentano tale ambiente in quel momento ma anche alle persone che entreranno in contatto
con quel particolare contesto in futuro
Prevenzione e promozione- ottica proattiva
La promozione del benessere e la prevenzione delle varie forme in cui si esprime disagio possono essere
realizzate nei diversi livelli ecologici. La promozione del benessere è inizialmente centrata sulla
promozione delle competenze individuali, mentre la prevenzione può essere applicata alla modificazione
della comunità (promuovere il benessere anche attraverso cambiamenti nelle politiche pubbliche).
Adottare un approccio basato sulla prevenzione del disagio e sulla promozione del benessere significa
porsi in un’ottica proattiva di fronte alla pianificazione dei servizi, valutando i bisogni di comunità e
promuovendo le risorse dei suoi membri.
Empowerment (Rappaport)
Rappaport propone un approccio al lavoro di comunità centrato sul rafforzamento del senso di controllo
che le persone hanno sugli eventi della loro vita, in cui lo psicologo lavora con le persone svantaggiate
per promuoverne la capacità di autodeterminazione.
Livello individuale → per le persone è essenziale poter esercitare un certo grado di controllo sulla vita,
soprattutto per coloro che vengono tipicamente esclusi dai processi decisionali che si ripercuotono sulla
loro quotidianità.
Livello relazionale → la relazione tra coloro che realizzano gli interventi e i gruppi a cui questi sono rivolti
dovrebbe essere basata sulla collaborazione finalizzata a un obiettivo comune.
Livello collettivo → una prospettiva ancorata al principio del potere mette in evidenza come gran parte
dei problemi psicosociali derivi da situazioni di inuguaglianza, sia da un punto di vista economico, sia
rispetto alla possibilità di avere voce nei meccanismi decisionali attraverso la partecipazione.
Il principio dell’empowerment mette in rilievo la necessità di considerare le dinamiche di potere che
caratterizzano la relazione tra i professionisti e gli utenti di un servizio o i soggetti di una ricerca. Questo
comporta l’apertura a interpretare insieme ai soggetti i risultati di una ricerca attraverso l’utilizzo di
metodologie partecipative, e la capacità di scegliere la strategia migliore per affrontare i problemi della
comunità insieme ai membri che ne fanno parte, considerati come depositari di conoscenze e
competenze fondamentali per il lavoro dei professionisti.

→ La psicologia di comunità è una disciplina accademica e contemporaneamente un modo di agire


professionale. Come disciplina si pone l’obiettivo di comprendere in che maniera fattori situati a diversi
livello possano interagire tra loro e avere un’influenza sul benessere degli individui; diviene fondamentale
comprendere le caratteristiche dell’ambiente familiare, del gruppo dei pari, delle organizzazioni educative
e lavorative, nonché approfondire il complesso insieme di influenze che collegano tali contesti tra loro.
La psicologia di comunità si configura anche come professione di aiuto, che si propone di trasmettere le
conoscenze acquisite con la ricerca affinché le persone divengano consapevoli del ruolo che le
condizioni in cui vivono hanno nel determinare la loro salute e il loro benessere.
I ruoli e le competenze dello psicologo di comunità
Prestazioni tipiche: una molteplicità di prestazioni possibili, tra cui
• elaborazione e costruzione di progetti di comunità
• organizzazione e conduzione di focus groups
• analisi/stesura di profili di comunità
• analisi organizzativa di istituzioni, gruppi, associazioni e comunità
Il professionista dovrebbe conoscere i principi guida ed essere in grado di applicarli nella pratica.
All’interno dei principi, al professionista non dovrebbero sfuggire le implicazioni etiche della propria
pratica professionale.
Competenze operative → Le competenze che vengono messe in atto qui includono: partecipare alla
raccolta e all’interpretazione di dati per rilevare la situazione di un quartiere o l’efficacia di un programma,
la gestione di gruppi per i progetti di ricerca-azione partecipata per le attività di apprendimento di life
skills, la capacità di parlare in pubblico e fornire feedback.
Competenze di pianificazione → Le abilità sottostanti alla pianificazioni degli intervenienti implica un
grado maggiore di autonomia e responsabilità e comprendono la conduzione di assessment di comunità
e la successiva progettazione di interventi in grado di soddisfare i bisogni individuati all’interno della
comunità, mobilitando le risorse esistenti. Le abilità comprendono inoltre l’ascolto riflessivo, la
supervisione condivisa e la comunicazione, orientate a fare in modo che i soggetti possano vivere un
percorso di crescita ed empowerment e di partecipazione alla vita della comunità più ampia.
Competenze di networking → Comprendono: ricerca di finanziamenti, gestione dei contatti politici e
amministratori, creazione di partnership su progetti, competenze di leadership nella gestione del
personale che lavora nel progetto.
Depowerment → capacità di tenere in considerazione il sapere non professionale e di integrarlo con le
conoscenze scientifiche

Lo psicologo di comunità come:


Attivatore di risorse → Coerentemente con l’idea che i membri di una comunità cono depositari di
competenze e conoscenze che derivano dal contatto quotidiano con l’ambiente in cui sono inseriti, lo
psicologo di comunità dovrebbe porsi come attivatore di tali risorse, aiutano la comunità a definite i propri
obiettivi e a elaborare delle strategie che ne permettano il raggiungimento.
Divulgatore di informazioni nella comunità → Per favorire la presa di decisione da parte dei cittadini, una
prima fase spesso coincide con la trasmissione delle informazioni ai leader della comunità, che
successivamente si occupano dell’ulteriore diffusione delle informazioni ai cittadini, permettendo così che
il loro sapere, derivante dalla conoscenza quotidiana del contesto in cui vivono, incontri le evidenze
scientifiche disponibile.
→ Dopo una prima fase di definizione degli obiettivi con la committenza, il compito principale del
professionista è costituito dall’individuazione di strumenti e metodi adeguati allo studio delle
caratteristiche della comunità, che gli permetta di comprenderne bisogni e risorse e di stabilire con
maggiore accuratezza come rispondere alle richieste della committenza (fasi di valutazione).
Decidere come studiare la comunità, o come aiutare la comunità a conoscersi, implica importanti scelte
di carattere valoriale (es: attivare dei processi che aiutino i soggetti della comunità a identificare i loro
problemi e bisogni).
Il ritratto dello psicologo di comunità risulta variegato e delinea un professionista in grado di operare in
contesti molto differenti tra loro, utilizzando competenze che vanno dalla progettazione e
implementazione di interventi alla gestione di contatti con istituzioni politiche e scolastiche.

CAPITOLO 2: LE ORIGINI DELLA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ


Le origini e la nascita
I valori che ispirano, insieme ai principi teorici e alle strategie d’intervento, sono stati fortemente
influenzati dagli eventi storici e politici di quel periodo. Secondo Seymour Sarason, queste radici sono da
ricercare nell’evoluzione sociale e culturale degli Stati Uniti iniziata con l’inizio della WW2. Eventi:
• Durante e dopo la WW2 → Nel mondo universitario avvengono due cambiamenti:
1. l’apertura della psicologia accademica verso l’intervento sociale
2. l’apertura della psicologia accademica verso la psicologia clinica
La psicologia accademica inizia ad interessarsi a questioni sociali rilevanti, come lo studio dei processi
individuali di dominio e sottomissione che hanno condotto alla tragedia della guerra. Allo stesso tempo, la
psicologia clinica inizia ad assumere un ruolo importante nell’affrontare i problemi sociali creati nel
dopoguerra.
Nel 1948, Lewin teorizza la partecipazione attiva dello sperimentatore alle ricerche e la necessità di
occuparsi di problemi reali che interessano le persone.
Nello periodo, Skinner ipotizza l’applicazione delle sue teorie in funzione del cambiamento sociale
attraverso l’elaborazione della comunità di Walden 2, in cui Skinner immagina una comunità utopistica in
grado di raggiungere uno scopo molto ambizioso: un’organizzazione più funzionale rispetto alle società
moderne in cui le persone possono sviluppare al meglio le proprie potenzialità vivendo pacificamente.
• Fine degli anni ‘50 → Gli Stati Uniti perdono la corsa allo spazio con l’Unione Sovietica; questa
sconfitta ferisce l’orgoglio nazionale e genera grande preoccupazione. Tutto ciò si concretizza in
una severa autocritica dell’intera società. Secondo Sarason, questo evento concorre a
trasformare quel contesto sociale, in quanto vengono attivate molte misure per migliorare il
sistema educativo e valorizzare le risorse intellettuali di ogni categoria sociale.
• Gli anni ‘60 → Grandi riforme promulgate da Kennedy e Johnson. In questo periodo vengono
poste le basi concrete per la realizzazione degli interventi di comunità. Si ricordano:
1. Community Mental Health Center Act → Riduce i ricoveri negli ospedali psichiatrici e
amplia l’offerta di trattamenti al cittadine all’interno della propria comunità di residenza.
2. War on Poetry → Introduce riforme in senso socio socioassistenziale.
In seguito a questi cambiamenti sociali:
Swampscott, 1965: un ristretto gruppo di psicologi e operatori della salute si riunisce. Questo evento è il
primo atto formale di fondazione della disciplina, durante il quale prende forma e significato l’espressione
“psicologia di comunità”, che invita a ricercare anche nell’ambiente sociale la causa dei problemi e le
risorse per la loro risoluzione. La comunità entra così nella psicologia clinica come luogo in cui si
generano e si manifestano patologie e all’interno del quale possono essere risolte, soprattutto in chiave
preventiva.
Nonostante lo spostamento paradigmatico, fino ai primi anni 70 la psicologia di comunità si limitò a
occuparsi della malattia mentale. In seguito, gli psicologi si svincolano dal trattamento della patologia
psichica e si orientano verso problematiche sociali più generale, seguendo il paradigma ecologico, dove
gli oggetti di studio e di intervento sono gli “individui in situazione” e l’obiettivo principale delle ricerche e
degli interventi è il cambiamento sociale complessivo. Ciò significa concettualizzare aspetti individuali a
un livello collettivo, il che la avvicina ad altre discipline come la salute pubblica, l’epidemiologia, la
sociologia e l’antropologia. Questo ha portato a fare dell’interdisciplinarità una caratteristica distintiva di
tutti gli psicologi di comunità.
Il modello di Barbara Dohrenwend → relazione tra classe sociale e disturbi mentali. Questo modello
sposta l’accento relativo all’eziologia dei disturbi dalle caratteristiche individuali alle caratteristiche di
alcuni gruppi sociali, come, per esempio, i poveri. Il modello:
• pone l’accento sull’interazione fra fattori contestuali e individuali nello sviluppo della psicopatologia
• pone attenzione al concetto di stress psicosociale
• pone l’accento sulla possibilità di concentrarsi sui singoli individui ma anche su interventi che si
occupano dell’ambiente più allargato
• permette ai professionisti di pensare a interventi di prevenzione
→ È stato introdotto allo scopo di fornire una cornice concettuale euristica che pone al centro il concetto
di stress psicosociale e che aiuta a pensare ai problemi delle persone in termini alternativi rispetto a quelli
di diagnosi e malattia. Il modello quindi può essere euristicamente utilizzato per guidare strategie mirate a
incrementare la qualità della vita e il benessere o per la prevenzione di disordini e psicopatologie.
Il senso di comunità
All’interno di questa visione “ecologica” del disagio, un obiettivo comune diviene la crescita dell’intera
comunità, ottenibile attraverso la redistribuzione delle risorse, la quale a sua volta avviene attraverso la
promozione della partecipazione attiva delle persone e la condivisione del potere → “ senso di comunità”:
sentimento di appartenenza e partecipazione attiva degli individui alla vita comunitaria.
Il senso di comunità diventa una pietra miliare e un valore centrale della disciplina. Dal punto di vista
operativo, il senso di comunità è il valore sovraordinato attraverso cui giudicare gli sforzi per cambiare
ogni aspetto del funzionamento di una comunità. Uno dei suoi elementi costitutivi è la disponibilità a dare
agli altri.
Sarason definisce la “comunità” come:
• la percezione di similarità con gli altri → dimensione: similarità.
• un’accresciuta interdipendenza con gli altri mantenuta grazie alla disponibilità a offrire o fare per
gli altri ciò che ci si aspetta da loro → dimensione: interdipendenza, ovvero la consapevolezza dei
legami inevitabili tra il proprio agire e l’agire altrui.
• la percezione di essere parte di una struttura pienamente affidabile e stabile → dimensione:
vissuto di appartenenza, ovvero il riconoscimento della comunità stessa come contenitore che
racchiude e accomuna i membri appartenenti.
McMillan e Chavis definiscono il senso di comunità come un sentimento che gli individui hanno di
appartenere e di essere importanti gli uni per gli altri, unita a una fiducia condivisa che i bisogni dei
membri saranno soddisfatti dal loro impegno a essere insieme. Per comprendere il modo in cui il senso di
comunità può operare, essere definito e misurato, propongono 4 fattori:
1. appartenenza
2. influenza
3. integrazione e soddisfazione dei bisogni
4. connessione emotiva condivisa
A livello comune, tutti gli studi condotti hanno confermato che il senso di comunità risulti legato a:
• un alto livello di benessere individuale
• agli affetti piacevoli
• all’autoefficacia
• bassi livelli di solitudine e ritiro depressivo
Il senso di comunità è stato messo in relazione anche con le capacità individuali di risoluzione dei
problemi e di fronteggiamento di eventi stressanti.
CAPITOLO 3: IMPLICAZIONI E APPLICAZIONI DELLA METAFORA ECOLOGICA
La felicità percepita- l’ecosistema del benessere e la metafora ecologica
La fiducia che riponiamo nelle altre persone sembra essere un ottimo indicatore della qualità delle
relazioni sociali che caratterizzano la nostra quotidianità.
La qualità delle relazioni con gli altri sembra essere il nucleo attorno al quale viene plasmato il nostro
benessere. Le relazioni a loro volta vengono incoraggiate dagli ambienti: quando gli ambienti vengono
riconfigurati per accogliere le persone, creando luoghi di aggregazione, i cittadini rallentano e si
riappropriano dei loro spazi → L’ambiente come ecosistema del benessere: l’ambiente che ci circonda,
con le sue caratteristiche fisiche e sociali, sembra essere il fulcro intorno a cui ruotano molti dei nostri
comportamenti, le relazioni con gli altri e il nostro benessere. I luoghi sono costituiti da strutture e
processi che si influenzano reciprocamente, in una relazione dinamica che crea l”ecosistema del nostro
benessere”.
Fattori partecipanti al benessere:
• Fattori individuali: conoscenze, capacità di affrontare e risolvere i problemi quotidiani, ottimismo,
tendenza a scoraggiarsi di fronte alle difficoltà.
• Fattori contestuali: rete relazionale con cui si ha un contatto diretto, frequente e con cui si
condividono la maggior parte delle esperienze (amici-famiglia).
Man mano che ci allontaniamo dalla sfera delle relazioni più strette e della comunità locale, siamo in
grado di valutare le caratteristiche della città/regione/nazione in cui viviamo. Le nostre conoscenze
saranno diverse se viviamo in una città che offre molti stimoli culturali e ci permette di raggiungere con
facilità i principali eventi organizzati. Allo stesso tempo, il sostegno degli amici sarà particolarmente
importante per gli individui con difficoltà familiari o economiche. → Questo complesso intreccio tra fattori
individuali e contestuali e le influenze che ne derivano può essere esteso a qualsiasi aspetto del nostro
benessere e a un’ampia gamma di comportamenti.
L’ecosistema del nostro benessere è l’oggetto principale della psicologia di comunità, il cui principale
obiettivo è quello di comprendere quali caratteristiche ambientali influenzano i comportamenti degli
individui, per riuscire a creare contesti in grado di promuovere il loro benessere.
Teorie ecologiche nelle scienze sociali
• Kurt Lewin: la teoria di campo→ Lewin viene considerato il pioniere dell’attenzione
all’ambiente per la spiegazione del comportamento individuale. Con la teoria di campo sviluppa un
metodo di analisi dei problemi sociali orientato a comprendere che cosa influenza il comportamento degli
individui. Secondo Lewin qualsiasi comportamento dipende dalla particolare configurazione del campo
psicologico entro cui avviene in quel dato momento. I fattori che influenzano il comportamento vengono
riassunti con la formula C= f(P,A) dove:
C= comportamento individuale
P= persona
A= ambiente psicologico percepito, definito come “spazio di vita”
Quindi, gli atti individuali sono il risultato della combinazione tra elementi personali e fattori ambientali,
filtrati dalla percezione individuale.
• Roger Barker: la psicologia ecologica → Barker ha cercato di evidenziare la sincronia tra
ambiente, inteso in termini oggettivi, e comportamento umano, individuando dei pattern di
comportamenti stabili, che si presentavano in alcuni contesti. Secondo la psicologie ecologica, tali
pattern comportamentali sono indipendenti dalle persone coinvolte, in quanto derivano da specifiche
configurazioni spazio-temporali in un determinato ambiente. Con l’espressione “setting
comportamentale” Barker descrive la sintonia all’interno di un setting tra ambiente sociale e
comportamento. C’è dunque una corrispondenza, un adattamento tra ambiente e comportamento, che
possono essere considerati “sinomorfici”: la sintonia tra ambiente e comportamento deriva dalla struttura
fisica dell’ambiente, dalle pressioni sociali al conformismo e dalla selezione degli individui.
• Urie Bronfenbrenner → Criticando la teoria di Barker, amplia la concezione di ambiente.
Secondo Brofenbrenner, per comprendere il comportamento umano non è sufficiente limitarsi all’analisi
delle caratteristiche oggettive dell’ambiente, ma è indispensabile considerare alcuni aspetti che vanno al
di là della situazione immediata. Nel suo modello è fondamentale la prospettiva temporale: l’interesse si
concentra sul progressivo adattamento tra l’essere umano in crescita e gli ambienti fisici e sociali con cui
la persona entra in contatto quotidianamente.
“La comprensione dello sviluppo umano richiede di andare oltre l’osservazione diretta del
comportamento; richiede inoltre l’analisi di molteplici sistemi in interazione tra loro (nicchie ecologiche:
regioni dell'ambiente che possono avere condizioni particolarmente s-favorevoli per lo sviluppo di
individui), analisi che non si limita allo studio di singoli ambienti e tiene conto di fattori ambientali al di là
della situazione immediata in cui l’individuo è inserito.”
All’interno dell’ecosistema di Brofenbrenner si individuano 4 livelli concentrici in grado di influenzare il
comportamento individuale e di gruppo:
1. Microsistema: include tutti gli ambienti con cui l’individuo ha un contatto diretto (contesta
familiare, gruppo classe, luogo di lavoro).
2. Mesosistema: composto dalla rete di microsistemi in cui l’individuo è inserito e dalle loro
reciproche interconnessioni.
3. Esosistema: comprende tutti quegli ambienti con cui l’individuo non ha un contatto diretto ma che
influenzano gli altri contesti in cui egli stesso è inserito.
4. Macrosistema: livello che condiziona tutti i livelli inferiori ed è rappresentato da leggi, norme e
credenze che guidano la società allargata, determinando il sistema economico, sociale, legale,
educativo e politico di una società o di un insieme.
Il comportamento degli individui, quindi, è il risultato dell’adattamento dell’individuo alle caratteristiche
degli ambienti in cui è inserito. Tale adattamento deriva a sua volta dall’interazione tra gli individui e le loro
nicchie ecologiche, e da come questa si sviluppa nel tempo.
• James Kelly → Kelly si riferisce alla “comunità” con una particolare area geografica, nella quale
convivono individui che possono avere interessi simili o molto diversi tra loro. Nel suo modello ecologico,
l’ecosistema è rappresentato dalla comunità allargata, che supera i confini della comunità geografica in
cui la persona è inserita, andando a comprendere l’ambiente fisico e sociale e l’insieme di norme, valori,
regole e tradizioni che regolano le interazioni tra gli individui. Con “biosfera” Kelly fa riferimento al sistema
politico, sociale ed economico che governa le diverse società.
Kelly elabora 4 principi ecologici che descrivono la relazione tra gli individui e i vari sistemi sociali. Tali
principi sono linee guida fondamentali per la ricerca e l’intervento nella comunità: permettono di
sviluppare ipotesi di ricerca sui fattori ambientali che influenzano il comportamento individuale e di
pianificare interventi che promuovano il benessere modificando alcuni aspetti del contesto.
1. Interdipendenza tra diversi ambienti: i diversi contesti si influenzano reciprocamente e i
cambiamenti in un ambiente avranno delle ripercussioni sugli altri setting e sulle loro relazioni.
Fondamentale è la prospettiva temporale: il modo in cui i vari ambienti si influenzano e in cui
modellano il comportamento individuale varia nel tempo, sulla base di cambiamenti storici e del
ruolo che un particolare ambiente assume nei diversi momenti di vita.
2. Ciclo delle risorse: le risorse possono includere conoscenze, competenze, beni materiali, denaro,
e vengono scambiate, utilizzate e distribuite all’interno dei vari sistemi sociali. All’interno della
distribuzione territoriale delle risorse è necessario prestare attenzione a investire in attività
innovative ed efficaci in grado di rispondere ai bisogni della popolazione, in seguito a un’attenta
analisi dei bisogni del territorio.
3. Adattamento reciproco tra individuo e ambiente: l’adattamento descrive il sistema di influenze
reciproche tra gli individui e gli ambienti in cui vivono. Quando un aspetto dell’ambiente cambia,
l’individuo si adatta; allo stesso modo, quando il comportamento subisce un cambiamento, anche
l’ambiente viene plasmato da un processo di adattamento (positivo o negativo). L’ambiente è in
grado di favorire o contrastare alcuni comportamenti a seconda delle risorse che offre.
L’equilibrio tra risorse e problematiche presenti in un ambiente può stimolare risposte adattive
differenti, a seconda del modo in cui queste interagiscono con le caratteristiche degli individui e
delle loro relazioni.
4. Successione: la successione enfatizza come gli ambienti e gli individui siano in costante
cambiamento. Ogni adattamento da parte di un individuo/ambiente crea un sistema di reazioni a
catena che, nel corso del tempo, modificano sia gli ambienti sia il comportamento e il benessere.
Modello per l’analisi e l’intervento nei contesti di vita
5 livelli di analisi
• Livello individuale, 3 aspetti:
1) Fattori organico-ereditari e demografici: tutte quelle
caratteristiche che connotano l’individuo (genere, età,
fattori genetici, etnia, ecc). Pur essendo immodificabili,
permettono di individuare gruppi maggiormente a rischio
per un determinato fenomeno.
2) Competenze e abilità: la raccolta di informazioni è
centrata su abilità relazionali e sociali, abilità di coping,
conoscenze e credenze e caratteristiche emotive e
cognitive.
3) Lo stile di vita: area relativa ai fattori comportamentali e
legati agli stili di vita. L’attenzione è centrata su che cosa fanno le persone e come i diversi
comportamenti interagiscono tra loro. In particolare, è necessario individuare i fattori comportamentali
che si caratterizzano come fattori di rischio o di protezione per un determinato fenomeno.
A livello di intervento, modificare i comportamenti è un aspetto centrale ma al tempo stesso complesso: è
difficile ottenere cambiamenti nelle abitudini di vita agendo solo sui comportamenti senza considerare
agli aspetti psicologici, sociali e i benefici secondari connessi all’attuazione di un comportamento.
Solitamente si ricerca un’azione indiretta, modificando fattori individuali o contestuali in grado di limitare i
comportamenti adeguati o di favorire condotte inappropriate.
• Microsistema (contatti diretti)
La connessione tra individui e microsistema avviene attraverso la creazione di relazioni sociali. Si parla di
rete sociale e se ne possono analizzare la struttura, la relazione, e la funzione (sostegno sociale).
A livello di intervento, la modifica a questo livello consiste nell’intervenire in un ambiente composto da
diversi attori e dalle loro relazioni sociali. Risulta un metodo dotato di maggiore efficacia, in quanto porta
benefici a tutti i soggetti compresi nel microlivello e non solo all’individuo. I programmi di intervento
potrebbero essere orientati a potenziare o modificare la rete sociale, a favorire un buon clima sociale nei
diversi ambiente, a promuovere sostegno sociale e un’adeguata comunicazione tra microsistemi diversi.
• Organizzazioni (scuola, servizi sociosanitari, luogo di lavoro).
Per organizzazione si intende un insieme strutturato di microsistemi. Gli individui partecipano tramite il
macrosistema alla vita di queste organizzazioni. Vi sono alcuni aspetti della vita organizzativa su cui il
controllo dell’individuo è minimo (es: collegio docenti)
Qui è possibile considerare sia le caratteristiche strutturali, sia le caratteristiche organizzative, sia il clima
relazionale.
A livello di intervento, è possibile agire su questi aspetti attraverso modifiche strutturali sia
dell’organizzazione, sia del clima sociale.
• Livello di comunità
Questo livello è rappresentato dalla comunità sia in senso geografico, sia in termini di interconnessione
tra gli individui. Aspetti che influenzano il benessere: fattori strutturali, organizzativi, relazionali, valoriali e
relativi ai livelli di interconnessione tra enti e servizi diversi. La raccolta di informazioni, strettamente
collegata al fenomeno che si vuole comprendere, può avvenire attraverso la mappatura del territorio, i
profili geografici di comunità o l’utilizzo di dati d’archivio.
La comunità viene intesa e analizzata come una vasta rete di organizzazioni; comprendere come queste
interagiscono, come si attivano per risolvere i problemi, è fondamentale per capire come stanno e come
si comportano i suoi membri.
Caratteristiche della comunità legate al benessere e al comportamento:
- Caratteristiche strutturali: composizione demografica, mobilità residenziale, status socio-econom
- Caratteristiche sociali: capitale sociale, coesione, efficacia collettiva, costrutti basati su relazioni
di fiducia e reciprocità tra i membri della comunità
• Macrosistema
Include tutti gli altri. Costituito dalle istituzioni nazionali e sovranazionali ma racchiude anche le condizioni
economiche, culturali, politiche e sociali di un dato territorio.
A tale livello è fondamentale l'approfondimento delle credenze culturali, delle tradizioni, delle leggi e delle
infrastrutture ideologiche, culturali, religiose ed economiche che sono in grado di influenzare la vita
quotidiana delle persone.
Interventi mirati a ridurre le disuguaglianze hanno la potenzialità di migliorare il benessere fisico e mentale
dell’intera popolazione. Inoltre, vari interventi a livello nazionale hanno la potenzialità di ridurre i
comportamenti violenti e antisociali (rafforzamento del welfare e degli ammortizzatori sociali, le politiche
di potenziamento del terzo settore e dell’associazionismo, la promozione di valori culturali di
cooperazione).
Come analizzare i diversi livelli ecologici
➢ Analisi della letteratura esistente: permette di conoscere i fattori che la comunità scientifica
considera come rilevanti rispetto al problema che si sta analizzando. Consente di approfondire: lo
sviluppo teorico dell’oggetto di studio, strategie e linee guida già proposte.
➢ Analisi epidemiologica: permette di conoscere come si distribuisce all’interno ella popolazione un
fenomeno qual è la prevalenza dello stesso nella popolazione e in specifici sottogruppi. Aiuta
nell’identificazione delle fasce della popolazione maggiormente a rischio.
➢ Analisi delle ricerche locali già implementate: permette di approfondire a livello territoriale quali
ricerche sono già state svolte e quali risultati hanno evidenziato. Queste ricerche presentano una
maggiore attenzione al contesto culturale specifico e permettono di distribuire le risorse in modo
più funzionale.
➢ Ideazione e attuazione di una nuova ricerca: permettono di raccogliere nuove informazioni
specifiche rispetto agli obiettivi dell’operatore. Favoriscono la conoscenza dei bisogni della
comunità in un determinato momento e consentono di raccogliere informazioni rispetto alle
variabili più recenti evidenziate dall’analisi della letteratura.
Vantaggi di agire sui contesti → A livello di intervento, è auspicabile cercare di promuovere e potenziare i
fattori che risultano protettivi rispetto a un potenziale rischio.
Agire sugli ambienti permette di intervenire indirettamente sull’individuo* e garantisce maggiori
probabilità che il cambiamento dello stesso si mantenga nel tempo, proprio perché sono state create le
condizioni ambientali in grado di sostenerlo.
*nel caso in cui si presentino cambiamenti a livello sociale si potrebbe parlare solo di cambiamento
potenziale (ovvero sono presenti le condizioni affinché questo possa avvenire). Al contrario, un
cambiamento individuale non sostenuto a livello sociale porterebbe a un miglioramento limitato nella vita
dell’individuo, proprio perché non sono presenti le condizioni di sostegno e le risorse necessarie per
favorire un cambiamento stabile.
Perché si ottenga un miglioramento della
salute e del benessere protratto nel tempo
e configurato come risorsa stabile del
sistema, è necessaria una sinergia tra
cambiamento individuale e sociale.
I processi sociali con cui agiscono i contesti
Verranno presi in considerazione il modo in cui i diversi
contesti di vita influenzano i comportamenti e la vita
quotidiana delle persone devono essere considerati tra livelli
di analisi e di processo.
Esempio: vita quotidiana di un adolescente.
1. Processi di primo ordine: sono costituiti dalle influenze
dirette che i contesti di vita hanno sull’individuo.
Non esiste una spiegazione condivisa tra gli studiosi circa
quali siano i meccanismi microsistemici che favoriscono o
inibiscono il benessere psicosociale dell’adolescente.
Secondo il modello dell’apprendimento sociale, ad esempio, i
ragazzi acquisiscono stili di vita e comportamenti dagli altri individui sia attraverso l’osservazione, sia
attraverso il rinforzo. Secondo le teoria dell’attaccamento, invece, le esperienze dei primi anni di vita
costituirebbero degli schemi cognitivi che influenzano il modo in cui i ragazzi entrano in relazione con gli
altri adulti e con le istituzioni (m.o.i).
2. Processi di secondo ordine: sono costituiti dalle interconnessioni tra due o più setting
all’interno dei quali la persona partecipa attivamente. I diversi contesti interagiscono e, influenzandosi tra
loro, provocano ulteriori effetti sull’individuo (es: rapporto genitori-insegnanti).
Uno dei processi che sembrano agire a questo livello di analisi è l’effetto coerenza, che si attiva quando
fra i diversi contesti di vita può essere identificata una comunanza di intenti e di valori; l’esposizione a
setting contraddistinti da messaggi normativi comuni e condividi (es:regole di condotta) dall’intera
comunità favorisce la presenza e l’apprendimento di determinati valori e comportamenti.
Un fenomeno strettamente legato all’effetto coerenza si riferisce alla presenza in diversi setting delle
stesse figure adulte significative: questa “costante presenza” rinforza alcuni valori e principi condivisi
nella comunità (es: allenatore come animatore dei centri estivi).
Le caratteristiche di un contesto possono anche modificare l’intensità dell’effetto che altri contesti hanno
sul comportamento e sul benessere delle persone (es: buone relazioni sociali con adulti che non fanno
parte della famiglia possono compensare la presenza di relazioni conflittuali all’interno della famiglia).
Questi effetti vengono chiamati “effetti di moderazione”, in quanto le caratteristiche di un ambiente di vita
sono in grado di moderare l’influenza di altri contesti. Non sempre le caratteristiche di un setting
agiscono influenzando direttamente il comportamento degli individui: a volte la presenza di alcuni fattori
in un contesto va a plasmare caratteristiche di altri ambienti di vita che, a loro volta, influenzano il
benessere e il comportamento della persona.
Un altro fattore importante è la qualità della comunicazione tra i diversi setting (es: scuola-famiglia).
3. Processi di terzo ordine: sono il prodotto delle interazioni dei vari elementi del sistema “comunità”
e sono la manifestazione di fenomeni che si sviluppano al livello gerarchicamente più basso (es:
interazioni tra istituzioni, associazioni, gruppi). Questi processi non sono semplicemente l’aggregazione
dei processi derivanti da tutti i setting microcontestuali (primo ordine), o dall’interazione tra questi
(secondo ordine), ma generano effetti imputabili al sistema comunitario nel suo insieme. Perciò molto
spesso i processi di terzo ordine risultano difficili da identificare.
Il sistema comunità è gerarchicamente organizzato e gli effetti dovuti ai processi di livello più basso
precedono quelli di ordine superiore. Infatti, le condizioni affinché si possano attivare e sviluppare
processi di terzo ordine sono quelle di avere a disposizione dei setting sufficientemente interconnessi tra
loro.
I cinque principi di Levine: il significato dell’approccio ecologico nella pratica
Partendo dalla metafora ecologica, Levine ha proposto cinque principi pratici da applicare in psicologia di
comunità:
1. Un problema sorge in un setting o in una situazione: i fattori situazionali causano, innescano,
esacerbano e/o mantengono il problema.
Il lavoro dell’operatore deve essere diretto alla comprensione delle caratteristiche individuali e alla
conoscenza delle caratteristiche dei setting in cui l’individuo è inserito. È necessario quindi valutare
l’adattamento degli individui e il contesto ambientale in cui sono inseriti. Il principio sottende che
l’operatore esca dal proprio ufficio o laboratorio e analizzi sul campo le modalità con cui i problemi si
stanno manifestano in quel determinato setting,
2. Un problema sorge perché la capacità adattiva del setting (di “problem solving) è bloccata.
La prospettiva ecologica presuppone una relazione di interdipendenza tra persone e setting, come parte
di uno stesso sistema integrato. Pertanto, le capacità adattive delle persone in un determinato setting
sono limitate dalla natura del setting stesso. I problemi, in ottica ecologica, sono analizzati in modo
diverso e richiedono di pensare al cambiamento come a un’opportunità per il sistema a breve e a lungo
termine.
3. Per essere efficace, un aiuto deve essere collocato in modo strategico rispetto all’insorgere del
problema.
È necessario fare uno sforzo per cambiare il proprio punto di vista, superando la nostra idea soggettiva di
come dovrebbe essere elargito l’aiuto. Bisognerebbe portare aiuto alla persona, o meglio al setting in cui
la persona è percepita come “problema”. È necessario tenere presenti le dimensioni temporali e spaziali
del problema, in modo da intervenire strategicamente nel momento più idonea rispetto allo sviluppo dello
stesso.
Inoltre, gli interventi attuati all’interno di un setting dovrebbero essere in collegamento con gli altri
interventi presenti in quel setting; dovrebbero poi essere fissati incontri periodici di aggiornamento e
confronto sulla definizione di una direzione comune e di discussione.
4. Gli scopi e i valori dell’operatore o del servizio di aiuto devono essere coerenti con gli scopi e i
valori del setting.
Ciascun setting presenta scopi e valori sia a livello manifesto che latente. Se gli obiettivi del cambiamento
sono coerenti con gli scopi latenti e manifesti di quel setting, il processo di cambiamento non susciterà
resistenze da parte degli attori. Se invece gli obiettivi del cambiamento proposto sono in conflitto con i
valori del setting, potrebbero verificarsi conflitti e tentativi di bloccare e ostacolare il cambiamento.
È tuttavia necessario affrontare alcune tematiche che confliggono con il setting per favorire un
cambiamento; in alcuni casi è necessario usare coscientemente alcuni temi che suscitano conflitto. È
però basilare, da parte dell’operatore, essere attento a non anticipare il conflitto prima che il setting sia
pronto ad affrontarlo. Questo principio suggerisce anche che il servizio o l’operatore che introducono il
cambiamento debbano confrontarsi relativamente al rapporto tra i propri valori personali e i valori del
setting e della committenza .
5. La forma d’aiuto deve essere stabilita in modo sistematico, usando le risorse naturali del setting o
mediante l’introduzione di risorse che possono diventare istituzionalizzate come parte del setting.
In base a questo, l’operatore dovrebbe cercare di comprendere quali sono le risposte presenti e come il
setting le utilizza. È preferibile introdurre un cambiamento che sia duratura nel tempo e che continui a
essere una risorsa nella risoluzione dei problemi in un dato setting. Affinché sia duraturo ed efficace è
necessario fare riferimento ai principi dell’interdipendenza e della successione precedentemente illustrati.

→ Gli operatori che scelgono di adottare un modello teorico basato sulla metafora ecologica per la
progettazione di programmi di intervento devono tenere in considerazione la complessità relativa al
cambiamento di un sistema come la comunità. La metafora ecologica evidenzia come il cambiamento
non sia un processo lineare: gli interventi volti alla risoluzione di un problema, infatti, possono generare
nuove difficoltà in altri contesti. Pertanto occorrerebbe prestare attenzione al raggiungimento di obiettivi
in contesti multipli di analisi. Infatti, in un intervento efficace basato su modelli ecologici è in grado di
mettere in azione il setting per la costruzione di altri interventi e di riattivare la percezione di potere e
controllo da parte delle persone coinvolte.
Il ruolo degli operatori → Gli operatori dovrebbero essere in grado di costruire relazioni con diversi
partner presenti nel setting, prendersi il tempo necessario per la conoscenza del contesto e creare
soluzioni con le persone utilizzando modalità partecipative. Deve saper tollerare l’ambiguità e la
frustrazione che possono derivare da alcune fasi dell’intervento e facilitare nel setting la mobilitazione e la
ricerca di risorse interne o esterne.
La ricerca → La metafora ecologica, come chiave di lettura della realtà, prevede l’utilizzo di diverse
tipologie di misurazione con lo scopo di preservare il maggior grado di complessità possibile per la
comprensione dei fenomeni oggetti di studio, così come si presentano naturalmente nei setting analizzati.

CAPITOLO 4: PREVENZIONE E PROMOZIONE DEL BENESSERE


Livelli e classificazione degli interventi
Sono 5 le maggiore categorie di fattori connessi alla salute e al benessere:
• Fattori genetici e associati a fattori biologici (es: l’abuso di sostanze psicotrope risulta collegato ad
alterazioni del sistema dopaminergico.
• Stili di vita (abuso di sostanze) e stili alimentari (obesità).
• Assistenza sanitaria.
• Ecologia e condizioni di vita.
• Le caratteristiche sociali e della società strettamente connesse e sovrapposte ad aspetti ecologici
e alle condizioni di vita.
L’ufficio europeo dell’OMS raccomanda che gli operatori della salute si concentrino su:
- migliorare le condizioni ambientali e sociali di vita delle persone
- contrastare le ineguaglianze nella distribuzione economica, di potere e delle risorse troppo
concentrate in mano di pochi
- misurare e comprendere le dimensioni dei problemi e misurare gli effetti delle proprie azioni
professionali
L’obiettivo dell’approccio preventivo è quello di raggiungere molte più persone e le più bisognose.
La prevenzione di pone come uno degli argomenti fondati della psicologia di comunità.
La classificazione di Caplan; tipologie di prevenzione:
1. Prevenzione primaria: è volta a ridurre l'incidenza di un disturbo, agendo sulla popolazione sana e
prevenendo lo sviluppo di nuovi casi.
2. Prevenzione secondaria: ha lo scopo di individuare precocemente nuovi casi problematici e di
fornire trattamenti a uno stadio precoce o latente dello sviluppo del disturbo. Esempi di questo genere di
interventi sono i gruppi di sostegno psicologico per le madri che manifestano qualche segnali di
depressione post partum.
3. Prevenzione terziaria: l’obiettivo è quello di ridurre la durata, l’impatto e la cronicizzazione di un
particolare disagio o disturbo. Un disturbo non deve necessariamente produrre disabilità e una disabilità
non deve diventare necessariamente un handicap.
Il limite di questa classificazione è che non riesce a discriminare in maniera netta il confine tra interventi
di prevenzione secondaria e terziaria e forme di trattamento, di terapia o di riabilitazione.
La classificazione basata sul modello di Brofenbrenner; Consente di considerare in un’unica cornice le
forme di prevenzione che non si limitano ad agire a livello individuale, ma propongono interventi che sono
riconducibili ai diversi contesti di vita dei soggetti.
1. Macrolivello → si possono collocare quei progetti che agiscono sulle relazioni diadiche.
2. Mesolivello → si possono collocare quegli interventi che puntano a favorire le relazioni tra i diversi
microlivellli (comunicazione scuola- famiglia).
3. Macrolivello → si possono collocare quelle azioni che introducono o modificano le norme o
l’organizzazione dell’ambiente socioculturale ampiamente inteso.
La classificazione dell’Insitute of Medicine; gli interventi possono essere:
• Universali: interventi considerati desiderabili per l’intera popolazione (≃prevenzione primaria).
• Selettivi: interventi auspicabili per quei sottogruppi il cui rischio di sviluppare un qualsiasi disturbo
è significativamente maggiore rispetto alla media (es: figli di tossicodipendenti).
• Indicati: interventi applicabili a persone che sono state identificate come portatrici di chiari segni o
sintomi prodromici, tali da doverli considerare ad alto rischio per quanto riguarda lo sviluppo futuro
di un determinato disturbo.
Questa classificazione offre il vantaggio di proporre delle categorie tassonomiche ben definite, senza
sovrapposizioni con gli interventi terapeutici rivolti a soggetti per i quali è stata fatta una chiara diagnosi.
La classificazione basata su target e livello di intervento; approccio che utilizza la classificazione dell’IoM
senza rinunciare ai vantaggi di un sistema di categorizzazione che considera un approccio multilivello.
Tiene conto contemporaneamente dei livelli possibili di intervento (individuale, microlivello,
organizzazione, comunità/macrolivello) e dei 3 target (universali, selettivi e indicati) proposti dallo IoM.
Prima dimensione: livello dell’intervento
I progetti focalizzati sull’individuo hanno l’obiettivo di indurre un cambiamento a livello informativo o di
incrementare competenze e abilità sociali.
I progetti focalizzati sul microsistema si pongono l’obiettivo di migliorare la qualità degli ambienti
relazionali delle persone, agendo non sul target ultimo dell’intervento ma sulle persone che vi stanno
intorno.
I progetti focalizzati sul macrosistema possono prefigurare interventi di sviluppo di comunità (es:
ampliamento piste ciclabili) o modificazioni legislative (es: tassazione dei cibi spazzatura)
Seconda dimensione: gruppo target → Non è facile individuare il confine tra i predittori del
disadattamento (per gli interventi selettivi) e i sintomi precoci (per cui ha senso pensare interventi
indicati). Non sono fissi.

Oltre a considerare livello di intervento e gruppo target, occorre considerare anche tuta quell’area di studi
di psicologia dello sviluppo che indaga su come avvengano i processi di acquisizione e sviluppo delle
competenze. Infatti, gli interventi di prevenzione possono considerarsi delle azioni professionali
intenzionali con lo scopo di alterare i processi di sviluppo.

Dai fattori di rischio alla promozione del benessere


Approccio dei fattori di rischio e protezione → l’attenzione a questi fattori è finalizzata alla prevenzione di
un disagio: il fine è la riduzione della probabilità di incorrere in problematiche.
Fattori di rischio: caratteristiche individuali o condizioni ambientali misurabili la cui presenza si associa a
una maggiore probabilità di sviluppare disagio.
Fattori di protezione: caratteristiche individuali o condizioni ambientali che aumentano la probabilità e le
capacità di una persona di adattamento e di mantenere-aumentare uno stato di benessere. In un
intervento di protezione l’obiettivo è di agire sui fattori modificabili specificamente per ridurre la probabilità
che un disturbo si manifesti. Per fattori protettivi si intendono quei fattori che interagiscono nella relazione
tra fattori di rischio e conseguenze, che sono in grado di ridurre l’impatto negativo del fattore di rischio
sull’insorgenza del problema.
Interventi di promozione della salute: si caratterizzano per un orientamento alla creazione delle condizioni
che permettono o migliorano una situazione di benessere o di sviluppo positivo, non ponendosi l’obiettivo
di prevenire un disturbo o una problematica specifica; la finalità è promuovere una condizione positiva.
Interventi di protezione e di promozione vengono considerati come azioni congiunte.
Fattori di resilienza: capacità di un soggetto di resistere all’influenza dei fattori di rischio; esso indica
l’abilità di lottare e imparare dalle avversità e cercare di integrare anche queste esperienze nella propria
vita.
Approccio allo sviluppo positivo → l’attenzione è posta sulla promozione di condizioni di benessere e
salute intese come sviluppo positivo.
Sviluppo positivo: realizzazione del proprio potenziale e di un positivo e attivo coinvolgimento con la
comunità. Componenti:
- competenza (es: capacità di risoluzione dei conflitti)
- abilità di decision making
- fiducia (autostima, autoefficacia)
- connessione (relazioni positive con famiglia, scuola, comunità)
- qualità morali (rispetto per norme e valori sociali e culturali)
- cura (empatia verso gli altri)
L’integrazione tra i due approcci ha condotto allo sviluppo di modelli e interventi che sono in grado di
spiegare e promuovere sia i processi che proteggono da esiti di sviluppo negativi, sia quelli che
promuovono uno sviluppo positivo.
Spettro dei possibili interventi:

Che cosa funziona di più in ambito preventivo e di promozione


• Agire contemporaneamente su vari livelli
Molteplicità dei livelli di azione → progetti che coinvolgono i diversi livelli o sistemi che hanno un’influenza
sullo sviluppo di un comportamento o di un vissuto problematico oggetto di intervento, quali il livello
individuale, il gruppo dei pari, la famiglia, la scuola e la comunità.
I progetti efficaci di prevenzione e promozione sono quelli che agiscono congiuntamente sui fattori di
rischio e di protezione collocabili a diversi livelli di analisi.
• Interventi con solide basi teoriche
Teoricamente fondati → progetti costruiti sulla base di un modello teorico, ovvero la cui definizione di
obiettivi e strategie è guidata e giustificata da una teoria. Nell’ambito della prevenzione, 2 tipologie di
teorie alla base di un progetto svolgono un ruolo importante:
1. modelli esplicativi: tipologia di tipo eziologico che spiega le cause di un problema
2. modelli di cambiamento: illustra quali sono i metodi migliori per modificare questi
fattori eziologici
Dopo aver identificato i fattori di rischio e di protezione per il disturbo che si intende prevenire in base a
un modello teorico, i progetti efficaci utilizzano teorie empiricamente verificate che illustrano come
ottenere i cambiamenti desiderati sui fattori eziologici e sul comportamento finale.
• L’utilizzo di metodologie interattive
Metodi misti di insegnamento e coinvolgimento → le strategie di tipo interattivo, che promuovono
l’interazione e il coinvolgimento attivo dei partecipanti, sono più efficaci delle metodologie di natura
strettamente informativo-nozionistica.
• L’importanza di un sufficiente dosaggio e della coerenza con le norme culturali
Sufficiente dosaggio → si riferisce al grado di esposizione alle attività del progetto in cui sono coinvolti i
soggetti target. Questo indicatore può essere misurato in termini di qualità, di ore, lunghezza delle
sessioni di attività, numero di sessioni, durata totale del progetto.
I progetti che si sono rivelati maggiormente efficaci sono quelli che prevedono un ampio dosaggio di
attività e che non risultino estemporanei nei progetti informativi che si svolgono all’interno delle scuole.
Culturalmente rilevante → spesso training e progetti vengono importati e tradotti da altre realtà culturali.
È opportuno che queste attività vengano pilotate per verificarne l’applicabilità in un contesto diverso.
• Formare lo staff e valutare gli esiti
Formazione adeguata dello staff → i progetti efficaci necessitano di training, sostegno e supervisione
degli operatori sociali o degli altri attori coinvolti nella realizzazione delle attività.
Valutare gli esiti → per valutazione di efficacia si intende l’analisi della capacità del progetto di
raggiungere i risultati prefissati. Essa permette anche il miglioramento del progetto.

CAPITOLO 5; EMPOWERMENT: IL POTERE ATTRAVERSO LA PARTECIPAZIONE


Il concetto di empowerment coglie il sentimento di “potere di”. Descrive quel sentimento di potere sentito
in una situazione in cui il potere è derivato dall’esserci sentiti in grado di gestire la situazione, di essere
riusciti a trovare la soluzione adeguata con la soddisfazione di aver fatto del nostro meglio, di aver inciso
sul contesto che ci stava attorno.
L’empowerment è l’obiettivo che si auspica di ottenere lo psicologo di comunità per le persone con cui
lavora. Viene identificato come uno degli obiettivi della promozione della salute.
Zimmerman → sostiene che cercare una singola definizione di empowerment contraddica il cuore stesso
del costrutto, poiché lo rende prescrittivo.
Si basa su 2 concetti principali:
1. Il potere, che ne costituisce la radice etimologica
2. La partecipazione, che ne sottolinea l’aspetto pratico e più relazionale
Il potere
Con il concetto di potere si indicano l’influenza e il controllo che si possono avere su altri.
Weber → il potere, in generale, non esiste in isolamento, ma implica un contesto relazionale tra persone o
cose. Essendo creato dalle e nelle relazioni, il potere e le relazioni di potere possono modificarsi.
Il potere può anche essere condiviso (es: movimenti di protesta) → potere positivo: caratterizzato da
collaborazione, condivisione, mutualità.
Il potere come esperienza personale: il contributo di Michel Foucault → 3 aspetti centrali:
1. Il potere può essere esercitato solo da soggetti liberi, che possono confrontarsi con un ampio
spettro di possibilità, reazioni e comportamenti realizzabili. La libertà si collega al potere e ne
diventa elemento caratterizzante. Chi lavora in un’ottica di empowerment deve necessariamente
considerare e affrontare nel modo corretto il legame tra potere, libertà e scelta.
Solo nel momento in cui io divento consapevole della mia libertà di decidere e capace di
analizzare le possibilità che ho di fronte posso esercitare il mio potere.
2. L’esercizio del potere crea continuamente nuove conoscenze e le nuove conoscenze portano a
maggior potere. Potere e conoscenza sono integrati. Lo stresso legame tra conoscenza e potere
viene sottolineato come un circolo virtuoso.
Solo se conosco i servizi del mio territorio e i miei diritti posso concretamente contribuire al loro
miglioramento ed esercitare il mio potere.
3. L’onnipresenza del potere: non tanto perché ha il privilegio di consolidare tutto sotto un’unità
indissolubile, ma perché è prodotto da un momento all’altro, da ogni relazione. Il potere è
ovunque, perché deriva da ogni cosa.
Ogni situazione della mia vita è intrisa di potere e mi dà la possibilità di esprimere il mio potere.
Il potere è distribuito nella comunità: il modello a tre dimensioni di Steven Lukes:
1. “Come vengono prese le decisioni e come vengono risolti i conflitti?”
Parlando di potere condiviso questa presa di decisione dovrebbe essere necessariamente comune,
capace di includere e accogliere le esigenze e il pensiero di diversi gruppi.
2. “Come si decide quali temi verranno inclusi o meno nell’agenda dei decisori finali?”
Porta alla luce il rapporto con la politica e gli organi di informazione. In teoria, ogni
gruppo/persona/organizzazione all’interno della comunità dovrebbe avere la possibilità di indicare le
priorità, quali problemi considerare e, successivamente, se e come collaborare alla soluzione dei
problemi stessi.
3. “Come decido quali sono i miei bisogni?”
Riguarda le forze che determinano quali bisogni le persone riconoscono come propri. Implica un
collegamento con aspetti individuali, che riguardano la percezione, le capacità cognitive, la visione di sé
e la comprensione del contesto in cui si vive.
Il modello di Lukes propone azioni a livelli diversi per fare in modo che ogni individuo o gruppo in un
contesto abbia le competenze e la possibilità di incidere sulle scelte che lo riguardano.
Dal singolo alla comunità: l’empowerment diventa partecipazione
Partecipazione: processo in cui i soggetti prendono attivamente parte ai processi decisionali nelle
istituzioni, nei programmi e negli ambienti che li riguardano. Si riferisce all’impegno e alla responsabilità
del singolo all’interno di un progetto volto a raggiungere un obiettivo collettivamente determinato.
Piero Amerio → la dimensione della partecipazione è quella che allarga il senso della relazione all’intera
comunità, in quanto conduce gli individui alla discussione, al dialogo come strumento che vale a costruire
mondi possibili e condivisi, decisioni comuni e responsabilità.
Il nesso tra partecipazione e comunità va analizzato su due piani:
1. Piano soggettivo → non c’è senso senso di comunità senza coinvolgimento nell’azione collettiva.
l'appartenenza, la condivisione di un’identità e i fini comuni presuppongono un certo grado di
“presenza sociale”: la comunità non deve essere subita, passiva o impostata.
2. Piano oggettivo → la comunità, in quanto sistema sociale, è regolata da norme che presiedono ai
processi di rappresentanza e all'interazione finalizzata di quell'insieme di istituzioni, reti,
regolamenti, norme, e usi politici che contribuiscono alla governance del territorio.
Le forme della partecipazione
• Bottom-up : forma di partecipazione spontanea. Sono i cittadini stessi che si attivano per creare
pressioni sui politici.
• Top-down: forma di partecipazione provocata. Vi è un attore forte (es: ente pubblico) che stimola e
facilita la partecipazione della popolazione, favorendo le condizioni affinché questa possa
svilupparsi al meglio (es: processi di riqualificazione di aree urbane).
→ Il professionista deve chiarire con i committenti quale modalità di partecipazione si ritene attivare e sia
più funzionale al progetto. Favorire varie forme di partecipazione implica indurre nei cittadini l’idea di
poter contare, influire sulle decisioni. Influire sulle decisioni implica che queste non siano già state prese
in precedenza da politici, tecnici, professionisti, ecc (empowerment)
• La scala della partecipazione di Arnsterin: la partecipazione può essere intesa come un
continuum.
Sostenere l’azione altrui Partecipazione sostanziale
Agire insieme
Livello e Decidere insieme
atteggiamento
Consultare Partecipazione apparente
Informare
Si parte da un livello di informazione in cui il ruolo delle persone è marginale e “senza potere”
reale. La consultazione, successivamente, prevede l’integrazione dell’interazione strutturata su un
tema o su un problema specifici. l’interazione strutturata comporta la predisposizione e la gestione
di un processo di scambio di informazioni per lo meno bidirezionale (decisore-cittadini), ma spesso
multi-direzionale tra tutti gli attori coinvolti.
Il terzo livello (decidere insieme) riguarda le strategie di concertazione in cui i cittadini hanno un
ruolo più importante, anche se perdurano aspetti “pro forma”.
La partecipazione sostanziale corrisponde alla partecipazione vera e propria: in essa il potere è
redistribuito, attraverso processi di negoziazione, tra cittadini e “detentori del potere”.
Questa scala evidenzia:
- come esistano vari livelli di partecipazione
- come situazioni comunemente considerate partecipative possono in realtà essere ritenute di
“falsa partecipazione”
- come la partecipazione sia un continuum più che una distinzione netta tra categorie di approcci
partecipativi
Cosa favorisce la partecipazione
L’attivazione degli individui su temi locali di interesse collettivo risulta favorita dal verificarsi delle seguenti
condizioni:
• la percezione di appartenere a comunità sufficientemente coese, la presenza di modelli
socioculturali orientati alla tolleranza della diversità e al pluralismo
• la percezione della situazione in termini di bisogni e problemi, e quindi la visione di possibili
soluzioni
• un senso di autoefficacia individuale e collettiva sufficientemente elevato
Per favorire la partecipazione bisogna quindi:
• scegliere luoghi in cui le persone si sentano a loro agio, luoghi già conosciuti
• dare modo alle persone di aiutare concretamente, attraverso l’azione di gruppo e la possibilità di
usare e mostrare le loro capacità
• dare sostegno al lavoro favorendo la continuità e la realizzazione delle iniziative, mantenendo alta
la visibilità delle azioni svolte
• non trascurare il livello istituzionale → bisogna far capire come un lavoro condiviso tra operatori
istituzionali e cittadini possa facilitare la continuità dei progetti e la loro efficacia: la partecipazione
è quindi una risorsa che deve essere gestita e conosciuta adeguatamente.
L’empowerment tra individuo e contesto
Zimmerman, Rappaport: l’empowerment è un processo ma anche un risultato. Questo implica la
presenza sia di fattori in grado di delineare e definire il percorso di crescita sia di alti che ne definiscono
gli esiti ultimi.
• I processi di empowerment si basano sulle azioni che permettono agli attori di ottenere le risorse
necessarie, di sviluppare una visione critica di ciò che li circonda.
• I risultati dell’empowerment si riferiscono alle conseguenze dei processi stessi, a ciò che le
persone riescono a ottenere partecipando attivamente nei loro contesti.
Lo psicologo di comunità è interessato a entrambi questi aspetti: comprendere come favorire il processo
dell’empowerment e verificare il risultato raggiunto attraverso di esso. Per fare ciò bisogna vedere
l’empowerment come processo iterativo, nel quale individui e gruppi caratterizzati da scarsa influenza e
potere individuano degli obiettivi ritenuti importanti e significativi, e intraprendono delle azioni per
raggiungerli. Come processo iterativo, non ha una fine precisa; il raggiungimento degli obiettivi spesso
porta a formularne altri (processo motivazionale circolare).
Livello individuale: controllo, consapevolezza e partecipazione
L’empowerment individuale è un processo di crescita del singolo che, attraverso un percorso terapeutico/
formativo/esperienziale, sviluppa nuove abilità e competenze, necessarie per gestire le difficoltà quotidia.
Zimmerman → l’empowerment individuale è un costrutto composto da 3 fattori principali:
1. Controllo: credere nelle proprie capacità, sentimento di fiducia verso le competenze possedute.
2. Consapevolezza critica (componente interpersonale): capacità di comprendere e analizzare i
propri contesti di vita e di capirne i meccanismi di influenza, capacità di analizzare la situazione. Si
riferisce all’abilità di capire i legami di potere, il ciclo delle risorse, gli ostacoli al cambiamento e i
fattori che influenzano il tema.
Con consapevolezza critica s’intende anche la capacità di “desiderare il cambiamento” e di
considerarlo possibile. È il prerequisito base per passare all’azione.
3. Partecipazione (componente comportamentale): riguarda le azioni vere e proprie e prende forma
attraverso la messa in atto di un piano condiviso e accettato da più individui. È il motore del
cambiamento, l’insieme delle strategie messe in atto per ottenere un cambiamento sociale.
Livello micro: il piccolo gruppo come promotore di cambiamento
Il gruppo diventa il primo contesto in cui poter sperimentare il proprio potere, attraverso la
partecipazione, il controllo e la consapevolezza critica.
Pearlstein → la presenza di un leader efficace è di estrema rilevanza per l’empowerment di un gruppo.
Il leader ha lo scopo di incoraggiare e consentire lo svolgimento dei compiti del gruppo al massimo delle
proprie possibilità: il suo ruolo è fondamentale per far sentire le persone capaci e autonome. La
leaderchip efficace rafforza il sentimento di autoefficacia e scoraggia i comportamenti passivi e non
assertivi dei membri del gruppo → il leader svolge un ruolo di creatore dell’empowerment nelle altre
persone del gruppo (leader empowering).
I gruppi di auto-aiuto (composti da individui accomunati da un problema) possono risultare sia
empowering che empowered. Il lavoro svolto all’interno del gruppo, di condivisione, passaggio di
informazioni, sostegno reciproco, ha come risultato quello di aumentare la forza e il controllo in soggetti
scoraggiati.
Spesso il gruppo realizza che solo attraverso relazioni con altri gruppi e associazioni può portare il
problema per cui è sorto a un livello di attenzione più diffuso → si avanza nel continuum.
Livello organizzativo
Il livello organizzativo si pone in una situazione intermedia tra gruppo e comunità. L’organizzazione è
infatti un insieme di microsistemi e la comunità risulta essere un insieme di organizzazioni. Distinguiamo:
• Organizzazioni empowered: che riescono a manifestare il loro potere nel contesto allargato,
promuovendo il cambiamento sociale in generale e raggiungendo obiettivi importanti per l’intera
comunità. Sono caratterizzate da controllo, consapevolezza critica e partecipazione, quindi sono
in grado di allargare il loro specifico obiettivo per avere un impatto maggiore sul benessere della
comunità.
• Organizzazioni empowering: che riescono a favorire l’empowerment delle persone all’interno
dell’organizzazione.
Essere possono essere distinte ma appare più frequente una compresenza dei due aspetti.
Lo psicologo di comunità può essere chiamato come consulente per rendere maggiormente empowering
ed empowered una data organizzazione. → lavoro di rete: strumento più usato per raggiungere finalità
empowered. Solo attraverso l’aggregazione e il lavoro coordinato si può sperare in un effettivo
cambiamento delle condizioni dei contesti.
Livello di comunità locale
• Comunità empowered: che riescono a rendere priorità i bisogni delle persone
• Comunità empowering: che riescono a favorire l’empowerment delle persone all’interno delle
comunità stesse.
Le azioni che si attivano in questo campo hanno l’obiettivo principale di coinvolgere e influenzare
decisioni politiche, di attivare campagne che incidano sui politici e azioni in grado di mobilitare l’opinione
pubblica.
I cambiamenti per rendere una comunità empowering devono essere sia amministrativo-funzionali sa di
tipo strutturale.

→ L’empowerment è un concetto è l’ingrediente base che caratterizza la disciplina e si integra


perfettamente con gli altri due principi: prevenzione e modello ecologico. La prevenzione svolta dalla
psicologia di comunità risulta differente da quella di altre discipline perché prevede azioni a diverso livello
e perché impone sempre azioni volte all’empowerment.
CAPITOLO 6; I METODI DI RICERCA: TRA RICERCA E RICERCA-AZIONE
Come si conosce una comunità?
Caratteristiche a cui fare attenzione:
• Aspetti strutturali: come è composta, da quali gruppi, con quali servizi e risorse
• Aspetti relazionali: come si comportano i membri, quali relazioni esistono, quali forme di
partecipazione ci sono
• Aspetti di gestione: quali regole, controlli, esistono nella comunità in esame
Gli otto profili di comunità:
• Profilo TERRITORIALE: si riferisce a quella serie di informazioni e di dati strutturali che
caratterizzano l’aspetto fisico-geografico di una comunità.
Variabili: confini geografici, superficie, risorse ambientali, degrado ambientale ed edilizio.
• Profilo DEMOGRAFICO: fornisce stime circa l’andamento demografico della comunità,
l’affollamento, l’incremento annuo e la distribuzione per sesso,età, gruppo degli immigrati.
Variabili: abitanti, densità, ripartizione per genere/età/sesso
• Profilo ECONOMICO-OCCUPAZIONALE: offre informazioni circa la situazione professionale dei
membri della comunità.
Variabili: reddito pro capite, settori di occupazione, disoccupazione, pensionati.
• Profilo DEI SERVIZI: si riferisci all’organizzazione e alla diffusione dei servizi.
Variabili: scuole, servizi sociosanitari, servizi ricreativi e culturali.
• Profilo PSICOSOCIALE: coglie gli aspetti più affettivi della vita dei gruppi formali e informali, delle
loro relazioni e delle dinamiche e dei comportamenti collettivi. Per stilare un profilo psicosociale è
necessaria la mappatura dei soggetti collettivi presenti nel territorio (gruppi, associazioni, enti) e la
comprensione dell’interconnessione tra questi, della loro apertura verso l’esterno, della loro
disponibilità a lavorare per il bene dell’intera comunità.
Variabili: rete sociale, rapporti di vicinato, senso di comunità, conflitti, bisogni.
• Profilo ISTITUZIONALE: attenzione alle istituzioni dello Stato, alle istituzioni religiose e ai partiti.
Variabili: organi istituzionali, partiti politici, chiese e confessioni, forze dell’ordine.
• Profilo ANTROPOLOGICO: ci permette di ottenere informazioni su come gli individui o i gruppi di
una comunità costituiscono la loro identità (personale o di gruppo).
Variabili: cultura/e di riferimento, storia, credenze e valori, feste tipiche.
• Profilo relativo al FUTURO: ha l’intento di individuare quali modelli di comunità, di quartiere o di
città si auspicano i residenti per il futuro e i modelli di convivenza che vengono proposti e acquisiti
dai mass media.
Variabili: credenze, speranze e paure per il futuro della comunità.
Gli strumenti per conoscere una comunità (tecniche e strumenti di indagine)
Continuum: da strumenti a nessun contatto, a minimo contatto, a moderato contatto, a elevato contatto.
• Strumenti a nessun contatto → ricavabili da indicatori e database già disponibili.
Includono variabili demografiche, indicatori sociali e globali di un’area o di un problema.
Fonti: ISTAT, anagrafe locale, servizi, istituzioni (polizia o chiesa), articoli di giornale, ecc.
Informazioni che si possono trarre: tassi di occupazione, numero dei divorzi, informazioni sullo stato di
salute, indicazioni sui servizi e sul loro utilizzo.
Ci forniscono un’immagine complessiva della situazione e permettono di capire la rilevanza di un
problema, o di comprendere alcune caratteristiche della comunità di interesse.
• Strumenti a minimo contatto → metodi di osservazione del contesto fisico-strutturale e sociale.
Il contatto con la popolazione è sporadico e occasionale. Questa modalità richiede la quantificazione
degli aspetti da considerare da parte del ricercatore.
• Strumenti a moderato contatto → sono costituiti da questionari e scale self-report, che possono
ricoprire un gran numero di aree tematiche. Esiste un contatto intenzionale, anche se molto circoscritto,
tra ricercatore e soggetti.
• Strumenti a elevato contatto → riescono a entrare maggiormente in profondità e creano le
condizioni per coinvolgere i soggetti in successive attività di intervento. Esempi: interviste individuali o di
gruppo (focus groups).
La ricerca-azione
La ricerca-azione risulta essere il metodo che sposa maggiormente gli elementi distintivi della psicologia
di comunità: permette infatti di creare un’alleanza inscindibile tra le due caratteristiche principali della
disciplina, la ricerca e l’azione, l’aspetto conoscitivo e quello applicativo.
Il suo intento principale è quello di sviluppare percorsi in grado di avere una comprovata utilità sociale.
L’assunto di base è che la ricerca-azione non sia solo un mezzo di conoscenza ma soprattutto uno
strumento di coinvolgimento.
Un aspetto della metodologia della ricerca-azione è quello di non poter definire a priori né gli esiti né le
azioni finali. Questi sono il risultato del lavoro condiviso e prendono forma solo nel processo
partecipativo: gruppi diversi in uno stesso contesti potrebbero far emergere bisogni e risorse differenti,
così come gruppi diversi di fronte a uno stesso problema potrebbero individuare soluzioni opposte.
Lewin → La riflessione teorica consente di puntare al nuovo e, quindi, al cambiamento dell’esistente, sia
nella ricerca sia nell’intervento, e proprio attraverso il cambiamento si arriva alla conoscenza più
profonda. In questo percorso è estremamente rilevante il coinvolgimento attivo della popolazione con cui
si andava a lavorare. Il processo conoscitivo diviene un’azione sociale nel momento in cui la popolazione
viene coinvolta. Lewin pensò di attribuire quindi alla popolazione capacità e competenze conoscitive,
coinvolgendola nello stesso processo di ricerca.
Il focus groups come anello di congiunzione→ l’assunto di base è che l’interazione di gruppo favorisca
l’emergere di informazioni originali e basate su una maggior riflessione poiché, discutendo con gli altri, i
partecipanti hanno la possibilità e l’opportunità di dire la propria, ma anche e soprattutto di farsi un’idea
riguardo a un certo argomento, in un modo molto prossimo e simile al processo naturale di formazione
delle opinioni.
Si sfruttano le conoscenze dei singoli, i loro pareri, l’ascolto, l’influenza reciproca, le relazioni tra le
persone. La psicologia di comunità da del focus groups un doppio utilizzo:
1. in ricerca, come metodo qualitativo da affiancare ai questionari, all’osservazione, ecc.
2. come metodo della ricerca-azione partecipata, per attivare la discussione su specifici temi
all’interno della comunità, per far partecipare i cittadini.
Nella ricerca-azione i focus groups possono essere utilizzati come metodo unico o ausiliario, ma l’intento
principale è quello di stimolare la riflessione e la discussione in gruppi di cittadini con finalità di
cambiamento.
La ricerca-azione partecipata → ha focus particolare sul miglioramento delle qualità della vita dei cittadini
attraverso il loro coinvolgimento attivo. È un approccio scientifico ma con finalità prevalentemente
applicative: è un approccio integrato, in cui sono presenti una ricerca, solitamente qualitativa, un
intervento di autoeducazione e un intervento sociale.
Il suo obiettivo è quello di fornire un contributo alle preoccupazioni pratiche delle persone e allo sviluppo
delle scienze sociali.
Gli interventi sono accomunati da:
➢ democratizzazione del processo di creazione del sapere scientifico
➢ l’idea della conoscenza come strumento di potere ed emancipazione delle masse
➢ il principio di partecipazione come mezzo e fine fondamentale del cambiamento sociale
d’intervento
Il photovoice come strumento → l’obiettivo principale del photovoice è attivare un processo di
empowerment tra i partecipanti, attraverso la condivisione delle immagini con gli altri membri della
comunità e la riflessione comune sulle “storie” che queste immagini raccontano, fino al contatto con
coloro che occupano ruoli decisionali, ai quali vengono portati i risultati di questo scambio di opinioni e
punti di vista.
I limiti maggiori riguardano (ovviamente) il passaggio all’azione concreta, al cambiamento, poiché non
dipende solamente dalla qualità del lavoro svolto, ma anche dal coinvolgimento attivo degli organi
decisionali.
La ricerca epidemiologica
La ricerca di natura epidemiologica rappresenta un valido strumento per stimare, all’interno di un dato
contesto o popolazione, la prevalenza di problemi psichiatrici e psicosociali, nonché le risorse e i punti di
forza. In questo modo è possibile rilevare frequenze, diffusione e incidenza di fenomeni patologici e
verificare i fattori socioambientali connessi (superando il tradizionale metodo clinico basato sull’analisi del
singolo caso inquadrando la problematica in un contesto più ampio).
Modalità indirette (nessun contatto) di analisi:
a) lavorare sui dati forniti dai servizi (es: numero di ospedalizzazioni per depressione, tx di criminalità)
b) l’uso di indicatori indiretti (es: antidepressivi venduti nella zona)
La ricerca valutativa: come si misura l’efficacia dei progetti
La valutazione dei progetti si distingue tra:
1. Valutazione ex ante → ci si interroga su come il progetto è stato definito e scritto, sulla coerenza
tra finalità-obiettivi e obiettivi-strategie
2. Valutazione di processo e monitoraggio → ci si interroga circa i processi che caratterizzano il
progetto, ovvero se ci sono ostacoli in corso d’opera alla sua realizzazione, se sta raggiungendo il
target designato, se le strategie vengono realizzate come previsto
3. Valutazione di efficacia → si stabilisce se il progetto ha raggiunto gli obiettivi prefissati. Per questo
tipo di valutazione, alcuni autori sostengono che l’oggettività e la validità dei risultati di un progetto
possono essere garantiti solamente utilizzando dati di tipo quantitativo e disegni rigorosi come
quelli sperimentali o quasi-sperimentali.
Le sperimentazioni evidenziano l’impossibilità di pensare alla valutazione dei progetti come una
meccanicistica operazione di confronto tra un gruppo sperimentale e un gruppo di controllo.
La ricerca valutativa deve essere in grado di rispettare la complessità dei fenomeni e dei contesti di cui si
occupa, per cui si raccomanda l’utilizzo di metodologie che assicurino rigore e precisione metodologica e
che sappiano cogliere le diverse sfaccettature dei risultati di un progetto.
Con il termine valutazione si intende un insieme di processi che vanno ben oltre la ricerca valutativa e
che, in psicologia di comunità, spesso prendono la forma di consulenza di valutazione. Tale consulenza
ha la finalità di attivare processi di empowerment con gli attori coinvolti nella valutazione, aumentare le
conoscenza e le competenze degli attori, massimizzare l’utilizzo dei risultati della valutazione, migliorare il
programma stesso, ecc.
Ricerca in psicologia di comunità, fasi:
1. Scegliere i confini della comunità di interesse. Dopo aver seguito un indicatore (statistico,
amministrativo o fenomenologico) di provvede alla definizione degli strumenti per conoscerla.
2. Attivarsi con la comunità stessa per creare un progetto condiviso e per raggiungere
concretamente le soluzioni ipotizzate, permettendo alla comunità di diventare l’attore principale
del suo stesso cambiamento. Qui risultano fondamentali le competenze, le capacità motivazionali,
la flessibilità e le abilità di networking dell’operatore.

CAPITOLO 7; LAVORARE PER LA COMUNITÀ: GLI STRUMENTI DI AZIONE DELLO PSICOLOGO


La psicologia di comunità è una disciplina applicata: lo psicologo di comunità, congiuntamente alla
ricerca, mira sempre a finalità pratiche.
Esempi di strumenti: ricerca-azione (principale), training, mentoring, peer education, gruppi di auto-aiuto,
lavoro di rete.
(mentoring, peer ed, gruppi di a-a → lavorano sul microlivello; lavoro di rete → lavora sul macrolivello)
Tutte le metodologie hanno una forte connessione coi principi basa della disciplina:
Metafora ecologica → in quanto molto spesso le azioni svolte non agiscono direttamente sul target, ma
risultano azioni indirette svolte sui contesti di vita del target o sulle persone che ci entrano in relazione.
Orientamento proattivo → spesso le azioni svolte sono azioni di prevenzione e/o promozione del
benessere, che permettono di arginare potenziali rischi e intervengono prima che un disturbo di manifesti
o sia radicato.
Empowerment → è il filo conduttore di tutte le attività. L’obiettivo comune a tutte le attività è quello di
aumentare le competenze, attraverso la partecipazione attiva dei soggetti coinvolti, per fare in modo che
le persone abbiano maggior controllo e consapevolezza critica.
Per una maggiore efficacia, è auspicabile l’integrazione di diverse tecniche, così da affrontare il problema
a più livelli.
Il cambiamento individuale: training e mentoring
Training
Percorsi formativi volti a modificare alcuni aspetti del singolo. Il fine è promuovere conoscenze,
competenze e abilità; lo psicologo di comunità dovrebbe essere un buon formatore, in grado di utilizzare
tali competenze sia con target diversi per età, ruolo, e professionalità, sia con diverse finalità.
I training si basano sull’assunto che molti aspetti della vita degli individui sono appresi all’interno dei
diversi contesti sociali, grazie all’interazione con gli altri, alle conseguenze che derivano dal proprio
comportamento, all’osservazione dell’altrui comportamento, alla percezione delle norme e dei valori.
L’apprendimento consegue o viene indotto da un’interazione con l’ambiente, è il risultato di esperienze
che conducono allo stabilirsi di nuove configurazioni di risposta agli stimoli esterni. Avviene
quotidianamente attraverso il contatto con diversi individui e contesti. Può essere modellato → i training si
focalizzano sul cambiamento dei seguenti aspetti:
- Aumentare conoscenze: intese come le nozioni che l’individuo possiede rispetto a un certo
tema, per evitare che basi le sue azioni su informazioni sbagliate. Nei training bisogna identificare le
informazioni/conoscenze necessarie all’obiettivo che si vuole raggiungere e trovare il momento e il modo
migliore per far passare tali conoscenze. Usare una modalità attiva di ricerca delle informazioni risulta più
efficace, come la discussione di gruppo o la sperimentazione delle nuove informazioni acquisite.
- Promuovere abilità: intese come qualcosa che permette al soggetto di fare. Molti training
cercano di far apprendere nuove modalità d’azione e competenze ai soggetti: problem-solving skills (es:
abilità di fronteggiare lo stress), social skills (es: abilità di comunicazione).
- Modificare atteggiamenti: essendo fortemente soggettivi, risultano essere gli aspetti più difficili
da modificare. Richiedono di agire su processi talvolta non espliciti. Se la modificazione delle conoscenze
e delle abilità può portare a smussare alcuni atteggiamenti, altre azioni dovrebbero essere previste per
aumentare la possibilità di cambiamento efficace e duraturo. Gli atteggiamenti di cui la psicologia di
comunità si interessa maggiormente riguardano specifici comportamenti (es: fumo), specifiche
popolazioni, contesti, oppure sé stessi.
Compito dello psicologo è quello che comprendere gli atteggiamenti esistenti, mostrare possibili visioni
alternative, far sperimentare la negatività di alcune posizioni estreme, ecc. Ciò richiede l’utilizzo di attività
mirate ma indirette che permettano ai soggetti di riflettere sui loro atteggiamenti e comportamenti, di
sperimentare le conseguenze negative delle loro azioni, in un ambiente protetto. È importante la gestione
delle attività e delle discussioni al loro termine, che dovrebbero aiutare a far emergere i significati
intrinseci di quello che si è fatto (debriefing).
→ La psicologia di comunità si interessa dello sviluppo di competenze relazionali, che facilitino gli individui
a stare in gruppo, a viverlo come risorsa, a gestire al meglio le relazioni con gli altri. Per questo,
diventano molto importanti le abilità sociali, intese come tutte quelle abilità che permettono di relazionarsi
in modo efficace, lavorando in gruppo. Lavorare su tali abilità porta benefici al singolo e a chi sta intorno,
e spesso diventa prerequisito necessario per poter impostare attività di partecipazione.
Caratteristiche dei training:
• vengono comunemente inseriti tra le attività di tipo individuale
• vengono utilizzati come azione di prevenzione selettiva e indicata in base al target prescelto
• training con obiettivi comuni dovranno essere strutturati in modo diverso rispetto a tempi, attività,
temi affrontati e modalità prescelte, a seconda se sia un intervento universale, selettivo o indicato
• si svolgono prevalentemente in gruppo
Mentoring
Il mentoring agisce sulle reti relazionali prossimali (microlivello). Si colloca tra gli interventi di tipo selettivo
o indicato, che si avvale dell’uso di non professionisti.
Il mentoring è una relazione uno-a-uno, che nel tempo prevede l’affiancamento di un soggetto adulto
esperto (mentor) con un soggetto in possibile difficoltà (mentee). Si basa sulla teoria dell’apprendimento
di Bandura, che considera essenziale il ruolo di modelli positivi nello sviluppo dell’individuo.
Il mentoring quindi prevede l’affiancamento con un modello positivo, che possa facilitare la riflessione e il
controllo di persone con difficoltà.
La relazione di mentoring è asimmetrica ma tendente all’orizzontalità: il rapporto tra soggetto in difficoltà
e adulto esperto, nonostante le differenze, deve cercare di stimolare la partecipazione attiva e le iniziative
del mentee, a favorire lo sviluppo di una maggior autonomia. La relazione risulta inutile se non ha il
riconoscimento e il contributo di entrambi.
L’obiettivo del mentoring è quello di potenziale l’empowerment sia del mentee sia del mentor. Altri obiettivi
risultano specifici dei singoli progetti.
Fasi dei progetti di mentoring:
1. Ideazione del progetto e attivazione: attraverso un’attenta analisi del contesto e delle esperienze
precedenti si individuano le attività più adeguate a raggiungere gli obiettivi prefissati.
2. Progettazione: individuazione di obiettivi, attività e tempi.
3. Realizzazione
4. Valutazione: inteso sia come monitoraggio continuo e valutazione di processo, sia come
valutazione di efficacia
Efficacia dei progetti → Appaiono più efficaci i programmi di mentoring fortemente connessi con
l’ambiente scolastico, rispetto a quelli finalizzati a promuovere benessere psicosociale e salute per
bambini e adolescenti a rischio, e a quelli svolti in ambiente lavorativo. I risultati ottenuti dai programmi di
mentoring sono fortemente influenzati da variabili inerenti alla realizzazione delle attività, quali la qualità
della relazione che si instaura tra mentor e mentee.
La peer education
La peer education viene definita come il condividere informazioni, atteggiamenti o comportamenti
attraverso ragazzi che non hanno qualifiche professionali di educatori ma il cui obiettivo è curare.
Importante è il rapporto di educazione-influenza reciproca che, a livello formale o informale, instaurano
rea loro persone afferenti a un medesimo gruppo di riferimento.
Interventi tra pari → la peer ed ha un particolare tipo di formazione-relazione caratterizzata da un
rapporto di simmetria tra utente ed esperto e dal fatto che questa metodologia implichi l’uso di membri di
un determinato gruppo per agire il cambiamento sugli altri membri dello stesso gruppo.
Teorie che sostengono la peer ed:
• la teoria dell’apprendimento sociale di Bandura, che sottolinea l’importante ruolo dei pari come
modello comportamentale
• la teoria dell’azione ragionata, che indica come, per influenzare il comportamento, sia necessario
agire sulle norme sociali, intese come ciò che le persone rilevanti (i pari) pensano o credono di un
dato comportamento
• la teoria della diffusione delle innovazioni, che dice che i processi attraverso cui i pari possono
fungere da opinion leaders possono diventare agenti di cambiamento
• la teoria della “participatory education”, che utilizza un’ottica di empowerment e partecipazione
nell’educazione da parte del target stesso
Fasi della peer ed:
1. Reclutamento dei peers: leader dei gruppi target, adatti alla formazione, con abilità comunicative
elevate, non coinvolti attivamente nel comportamento negativo da prevenire.
2. Formazione: deve fornire le conoscenze dell’argomento, le abilità comunicative necessarie e deve
affrontare temi legati all’immagine personale e questioni relative
3. Azioni dei peers: può avvenire sia in contesti e situazioni naturali sia in cotesti di formazione
specifici.
4. Sostegno e monitoraggio ai peers: azioni di supervisione, sostegno tecniche, sociale e personale
ai peer educators e agli altri attori coinvolti nel programma.
5. Valutazione: può riguardare la valutazione di efficacia finale sul target degli studenti a cui il
programma è diretto, al fine di verificare se gli obiettivi specifici sono stati raggiunti, oppure sui
peer educators.
→ Lo psicologo di comunità predilige l’utilizzo di modelli di peer education in cui vengono enfatizzati la
partecipazione attiva, l’empowerment e la responsabilità di tutti gli attori e in particolare dei giovani.
I gruppi di auto-aiuto
I gruppi di a-a sono un’azione non professionale per promuovere, mantenere o recuperare la salute.
Rispetto alle altre tecniche il ruolo del professionista è ancora più marginale.
I gruppi di a-a sono un piccolo gruppo volontario, composto da persone con un problema comune e il
desiderio di superare efficacemente il momento di difficoltà. Essendo un gruppo di pari si sfruttano le
potenzialità delle relazioni orizzontali, in cui tutti i membri detengono lo stesso valore e possono fornire
sostegno agli altri componenti del gruppo.
Aspetti principali:
• Scopo: fornire aiuto, migliorare la propria situazione attraverso il confronto e il sostegno dei pari
• Origini: dal gruppo stesso, non dipende quasi mai da esterni.
• Fonte d’aiuto: i membri stessi intervengono per affrontare temi specifici.
• Composizione: membri con un problema comune, senza distinzione di ruolo.
• Controllo: l’attività è sotto il controllo dei membri.
In base al loro obiettivo, i gruppi di a-a si distinguono in varie tipologie. Obiettivi:
1. Controllo del comportamento e riorganizzazione della condotte (es: Alcolisti Anonimi)
2. Sostegno e difesa dallo stress (es: divorziati, handicappati)
3. Crescita personale e autorealizzazione (simile al mentoring)
4. Azione sociale (il gruppo si struttura per trovare risorse e lottare insieme per l’affermazione dei
propri diritti, l’azione non è rivolta all’interno ma all’esterno, per portare cambiamenti alla comunità)
Cosa può fare lo psicologo di comunità per tali gruppi → fungere da consulente esperto/creare o
proporre lo sviluppo di nuovi gruppi attraverso l'identificazione di soggetti a rischio/aiutare i gruppi a
integrarsi con il sistema formale di cura/mappare i gruppi esistenti e analizzare le caratteristiche.
I gruppi di a-a possono rivelarsi negativi se diventano autoreferenziali e non si aprono verso l’esterno, se
creano dinamiche di dipendenza e non favoriscono l’autonomia dei propri membri, se scatenano
disuguaglianze interne e lotta al potere. L’aiuto di un consulente esterno può risultare importante in
momenti di impasse che potrebbero portare alla cronicizzazione dei problemi.
→ I gruppi di a-a sono un’importante risorse per la comunità, poiché diventano un tipo di intervento a
basso costo, fortemente legato ai bisogni dei partecipanti, meno stigmatizzante rispetto a un servizio
ufficiale e più facilmente disponibile. Promuovono l’empowerment del singolo, attraverso le naturali
dinamiche di gruppo e l’uso di non-professionisti.
Il lavoro di rete
Questa tipologia di intervento può essere collocata a livello di organizzazione, comunità locale, ma anche
macro. A questi livelli si attivano, solitamente, cambiamenti di tipo strutturale, relazionale e legislativo.
La rete viene definita, strutturalmente, come l’insieme degli attori (gruppi, enti, associazioni)
coinvolti/interessati a un problema e, funzionalmente, come una modalità particolare di collaborazione e
scambio tra i diversi attori. Promuovere il lavoro di rete significa passare dall’individualismo istituzionale,
in cui ogni ente affronta alcuni aspetti specifici di comunità, a un’ottica collaborativa in cui ogni gruppo
può portare le sue idee e risorse per affrontare i problemi esistenti. Il compito dello psicologo di comunità
è quello di favorire questo processo di scambio, per fare in modo che non emergano conflitti ma si
sfruttino al meglio le risorse e le conoscenze di ogni nodo della rete.
SENSO DI COMUNITÀ: COME E PERCHÉ I LEGAMI CONTANO
CAPITOLO 1: SENSO DI COMUNITÀ
McMillan, Chavis→ Componenti del senso di comunità:
• MEMBERSHIP; spirit: sentimento di essere parte della comunità. Subcomponenti:
boundaries: stabiliscono chi è in/escluso dalla comunità e hanno una natura perlopiù
simbolica. Una delle funzioni basilare è garantire la sicurezza fisica ed emotiva (emotional
safety). Inoltre facilitano i processi di appartenenza e identificazione collettiva (belonging
and identification). Il tutto pone le basi affinché le persone possano investire nella
comunità e nelle relazioni con gli altri membri (personal investiment)
• INFLUENCE; trust: processo bidirezionale che si esercita dagli individui nei confronti della
comunità e dalla comunità nei confronti dei suoi membri. Le persone sono maggiormente attratte
da quelle comunità sulle quali percepiscono di poter esercitare una qualche forma di influenza. La
pressione al conformismo deriva congiuntamente dal bisogno dell’individuo di ottenere dai
membri l’adesione alle sue norme. Subcomponenti: personal investiment; norme; conformismo.
È stata rinominata trust a voler sottolineare che l’elemento saliente per l’esercizio positivo del
potere è lo sviluppo della fiducia degli altri, nelle norme e nell’autorità istituzionale.
• INTEGRATION AND FULFILLMENT OF NEEDS; trade: perché una comunità esista e continui ad
esistere, è necessario che il farne parte sia per gli individui gratificante e premiante. Il senso di
comunità è tanto più forte quanto più gli individui sentono di poter soddisfare allo stesso tempo i
propri e altrui bisogni. Per conciliare bisogni individuali e collettivi la direzione è fornita dai valori
condivisi, che definiscono bisogni emotivi, bisogni intellettuali e i modi in cui soddisfarli. I valori
condivisi sono la forza integrativa della comunità.
Nominarla trade sottolinea lo scambio sociale sottinteso: reciprocità, equità e solidarietà sono i
principi che regolano lo scambio sociale in un consesso basato sulla fiducia e l’appartenenza.
La dinamica interna all’integrazione e alla soddisfazione di bisogni si spiega dall’assunto che le
comunità si organizzano intorno ai bisogni, e gli individui di affiliano a quelle comunità che sono in
grado di soddisfarli.
• SHARED EMOTIONAL CONNECTION; art: connessione emotiva condivisa- sottolinea il legame
emotivo che sussiste fra i membri di una comunità. Si basa su una storia comune (memoria
collettiva) e sulla possibilità di riconoscersi ed identificarsi in essa, ed è rafforzata dal
coinvolgimento e dalla condivisione di eventi significativi per la collettività. Le comunità forti sono
quelle che offrono all’individuo modi positivi per interagire, eventi importanti da condividere,
modalità per portare a termine i compiti, opportunità di ottenere riconoscimenti, di investire e di
sperimentare un legame spirituale con gli altri. Viene rinominata art per riaffermare che
l’espressione della memoria, il ricordo e la condivisione di eventi importanti sono costitutivi
dell’identità di un gruppo sociale e di una comunità.
Per la dinamica interna, gli autori ricorrono a due formule:
◦ specifica come alla base ci sia il contatto tra le persone e una buona qualità delle interazioni
◦ chiarisce quali fattori innalzino la qualità dell’interazione; condivisione di eventi, relazioni non
ambigue, azioni collettive portate a termini, ecc.
→ Lo spirito di comunità (membership), unitamente al riconoscimento e al rispetto di un’autorità, sono la
base della fiducia (influence), che è a sua volta il fondamento dello scambio sociale (integration and
fulfillment of needs); insieme, questi elementi definiscono una storia collettiva che viene simbolizzata
nell’arte (shared emotional connection), la quale è si radicata nell’esperienza, ma cristallizza i valori
trascendenti della comunità, sottraendoli alla contingenza.
Senso di comunità e processi di identificazione sociale
L’identificazione con la comunità ha un ruolo in almeno due dimensioni del senso di comunità: l’essere
parte e la connessione emotiva condivisa.
Le differenze inter-individuali nei livelli di senso di comunità potrebbero dipendere dalla forza con cui gli
individui si identificano con la loro comunità: un’identificazione debole si assocerebbe a un basso senso
di comunità e viceversa.
Una ricerca ha concluso che i processi di identificazione con la comunità non siano sostanzialmente
diversi dai processi di identificazione con i gruppi. Dal punto di vista psicologico, entrambi sono percepiti
in modi abbastanza simili. Nessun individuo può costruire la propria identità prescindendo dai vari gruppi
entro cui e tra i quali trascorre la propria esistenza. Una parte importante del senso del sé deriva da tali
appartenenze. Le appartenenze, quando sono soggettivamente rilevanti, contribuiscono a formare
l’identità personale, e poiché l’adesione ad un gruppo è in funzione del contributo positivo che esso
conferisce all’identità, l’individuo è portato a rafforzare la caratterizzazione del gruppo in modo che essa
risulti soddisfacente per il proprio sé. L’appartenenza conferisce un certo livello di autostima, un’immagine
positiva che essi tendono a mantenere costante.
Perchè le persone scelgono di identificarsi con un particolare gruppo?
Turner → gli individui si identificano in una categoria nella misura in cui essa offre loro la possibilità di
differenziarsi il più possibile dai membri di un’altra categoria
Teoria della distintività ottimale di Brewer → le persone sono portate a soddisfare, oltre al bisogno di
distinguersi dagli altri, anche il bisogno di appartenere, ricercando costantemente l’equilibrio tra
eccessiva assimilazione ed eccessiva differenziazione.
L’identificazione in un gruppo ha 3 dimensioni: affettiva, cognitiva (la consapevolezza dell’appartenenza al
gruppo) e sociale (il senso di connessione con gli altri membri). Mentre le dimensioni affettive e sociali
sono inglobate nel senso di comunità, la dimensione cognitiva (consapevole) non si sovrappone
all’appartenenza, ma è una dimensione distinta, se pur correlata.
L’identificazione consapevole è in grado di predire il senso di comunità più in una comunità di interessi
che in una comunità territoriale → l’identificazione tende ad assumere maggiore importanza per quelle
comunità alle quali le persone scelgono di appartenere.
SENSO DI COMUNITÀ
DIMENSIONE FISICA DIMENSIONE SOCIALE
Il processo di È alla base dell’identità di luogo, cioè di È alla base dell'identità sociale, che si forma
identificazione quella parte dell’identità personale che si attraverso l’inserzione nei gruppi sociali
struttura nel rapporto con l’ambiente fisico
Entrambi i processi influiscono sullo sviluppo del senso di comunità.
Le persone che dimostrano un forte senso di comunità territoriale tendano a percepire la propria
comunità come particolarmente coesa e dotata di caratteri distintivi e a percepire le altre comunità
territoriali come molto differenti, distanti e in competizione con la propria.
Determinanti a livello individuale del senso di comunità
• Variabili sociodemografiche (età, genere, livello di istruzione, reddito)
• Valori, sistemi di credenze organizzati secondo una gerarchia di priorità. Vanno intesi alla stregua
di obiettivi desiderabili che motivano e determinano l’azione finalizzata, costituendo degli standard di
giudizio. I valori tradizionali (lavoro, potere maschile, famiglia, autorità parentale e religione) sono in linea
con la nozione classica di comunità, richiamandone gli aspetti connessi all’ordine sociale e ai legami forti.
• Personalità; tutti i 5 tratti di personalità del Big Five sono associati al senso di comunità, in
particolare l’estroversione.
Determinanti a livello di comunità
• Densità abitativa, intesa o come densità sociale o come densità spaziale → sono gli aspetti
restrittivi della densità sono particolarmente determinanti, in quanto la percezione di un eccessivo
numero di individui all’interno dello stesso spazio può provocare la sensazione di affollamento e di forzata
riduzione dello spazio personale. Specularmente, un’alta densità implica dover dividere le risorse
disponibili, quindi sarebbe un nocumento al senso di comunità. Nelle aree residenziali molto popolate,
infatti, le persone tendono a vedere gli altri come potenziali concorrenti, influendo negativamente sulla
percezione dei benefici che essi pensano di poter ottenere attraverso un impegno attivo e un
coinvolgimento nella vita della comunità, favorendo indirettamente risposte di ritiro.
Plas, Lewis → hanno rilevato connessioni tra le caratteristiche urbanistiche del luogo e tre delle
dimensioni costitutive del senso di comunità di McMillan e Chavis: connessione emotiva, senso di
appartenenza e la soddisfazione dei bisogni.
• Progettazione urbana → L’importanza della progettazione urbana nel determinare un senso di
appartenenza e connessioni tra i residenti è confermata. Rilevante è il fatto di vivere in ambiente
pensati a favorire la circolazione delle persone prima che delle automobili o dei mezzi.
• Il verde pubblico → rende le persone più soddisfatte della qualità dei vita dell’ambiente
• Gli spazi pubblici → Non è tanto la frequenza con cui i residenti fruiscono degli spazi pubblici a
determinare il senso di comunità, ma la loro disponibilità, qualità e accessibilità.
Risorsa o responsabilità: qual è la teoria generale sottesa alla nozione di senso di comunità?
Il senso di comunità come risorsa
Teoria motivazionale di McClelland → la motivazione deriva da 3 bisogni fondamentali:
1. bisogno di riuscita: risiede in un confronto con uno standard di valore che l’individuo tende a
raggiungere o a superare attraverso un’autovalutazione delle proprie abilità
2. bisogno di potere: spinta a evitare l’isolamento e a cercare l'interazione con gli altri. McClelland
distingue tra un potere personalizzato, egoistico, e un potere socializzato, posto al servizio degli altri
3. bisogno di affiliazione: esigenza di controllare il proprio ambiente sociale e di influenzare gli altri
→ Il senso di comunità è stato inteso e misurato secondo una prospettiva basata sulla teoria dei bisogni,
intendendo la comunità come una risorsa che gli individui utilizzano per soddisfare una varietà di bisogni
materiali e psicologici. Giustapponendo i 3 macro-orientamenti alle 4 componenti del modello di McMillan
e Chavis, si vede che:
• appartenenza e connessione emotiva soddisfano il bisogno di affiliazione
• l’influenza soddisfa il bisogno di potere
• soddisfacimento dei bisogni è in grado di soddisfare tutti e 3 ed eventualmente altri ancora
Il senso di comunità, quindi, può essere ridefinito come la credenza soggettiva che la comunità sia una
risorsa in grado di rispondere ai bisogni individuali fondamentali. Questo spiega perché il sentirsi parte di
una comunità si associ a più alti livelli di benessere psicologico e a un impegno attivo delle persone nella
comunità.
Il senso di comunità come responsabilità
Nowell, Boyd → presentano un modello in cui la connessione individuo-comunità si fonda sul senso di
responsabilità, indipendentemente dall’aspettativa di soddisfacimento di qualunque bisogno.
Riprendono la distinzione logica tra:
• Logica delle conseguenze: si fonda sull’aspettativa, o sul calcolo di un effetto vantaggioso che
deriverebbe all’individuo da un certo comportamento. Informa l’azione razionale, ed è la logica che si
applica al senso di comunità come risorsa.
• Logica dell’appropriatezza : si fonda sulla premessa che le persone, attraverso i gruppi, le agenzie
e le istituzioni che incrociano nei loro percorsi biografici, sviluppano valori, norme e credenze circa ciò
che è appropriato in un dato senso. Questo insieme di cognizioni orienta il loro comportamento. Secondo
questa logica, il senso di responsabilità è la risultante dell’interazione tra il modo con gli individui
percepiscono la comunità e il loro insieme di credenze relativo a quale dovrebbe essere il loro rapporto
con quella comunità.
Gli approcci socio-costruzionisti
COSTRUZIONISMO COSTRUTTIVISMO
Privilegia la dimensione comunicativa e interazionale Privilegia la dimensione individuale, focalizzandosi
alla base dei processi di conoscenza. sulle caratteristiche fisiologiche della percezione.
Prospettiva sociale di analisi dei processi di Prospettiva individualistica
costruzione della conoscenza (socio-costruzionismo)
Ci si accosta allo studio del senso di comunità con un approccio che consente ai partecipanti di
esprimesi con il proprio linguaggio - e non con quello del ricercatore - e ci si accorge così che il
significato del termine “comunità”, nel momento in cui viene usato dai parlanti, è di tipo particolare e
locale, e non coincide necessariamente con quanto implicato o prescritto, da un modello teorico.
La stessa espressione “senso di comunità” risulta talvolta opaca e priva di senso per le persone, e il
significato si schiarisce solo attraverso un processo di negoziazione con il ricercatore.
Mentre la ricerca mainstream segue un approccio etico, e coerentemente procede utilizzando categorie
di ordine via via superiore, l’uso che le persone comuni fanno delle categorie è molto specifico, e come
tale può essere colto solo da un prospettiva emica, dell’insider.
Gli autori di approccio socio-costruzionista sottolineano che il senso di comunità non può essere
concettualizzato in forma statica, ma va inteso come un processo, in cui le persone interagiscono tra
loro, costruiscono la loro identità, trovano e offrono sostegno e contribuiscono al bene comune. Il senso
di comunità è una caratteristica mutevole delle relazioni, e come tale può essere un barometro del
cambiamento in una comunità.
Gli studi socio-costruzionisti abbandonano i metodi quantitativi per ricorrere a strumenti e tecniche di tipo
qualitativo, in grado di sollecitare e adeguarsi alla specificità e alla variabilità dei contesti di indagine e di
rispettare la pluralità delle voci parlanti, senza forzarle dentro una logica estranea a loro → l’approccio
narrativo si presta all’esame delle storie collettive per comprendere le relazioni tra l’identità personale e
l’identità sociale, e il modo in cui la comunità crea e trasforma la propria storia. In questa chiave, il senso
di comunità può essere codificato come un shared narrative. Gli studi socio-costruzionisti costringono a
interrogarsi sulla validità concettuale dello stesso costrutto e sulla sua effettiva capacità di cogliere e
descrivere fenomeni psicologici e psicosociali reali, riproponendo la questione della commensurabilità o
incommensurabilità del codice scientifico e del codice di senso comune → In società orientali, studi
condotti applicando gli strumenti di misura codificati nella tradizione occidentale hanno dato esiti univoci:
questi strumenti non sono in grado di catturare il senso di comunità in altre culture, perché esso è
chiaramente contesto-dipendente e inseparabile dai significati che gli individui assegnano alla comunità.
Senso di comunità negativo
La ricerca dimostra che il senso di comunità può avere una valenza negativa e non necessariamente
associarsi a esiti indesiderabili, ma svolgere una funzione protettiva. Non sempre un elevato senso di
comunità produce benessere psicosociale; in particolari circostanze è preferibile un atteggiamento di
distacco, che può realizzarsi attraverso un allontanamento, un disinvestimento emotivo o un meccanismo
di identificazione in negativo. → la valenza del senso di comunità non dipende solo dal numero di
componenti presenti, ma anche dalla qualità, dai valori e dai costi che gli individui associano alla loro
specifica comunità.
Ad esempio, un senso di comunità territoriale debole non si associa ad atteggiamenti di apatia e
indifferenza nei confronti del luogo in cui si vive, ma ad una percezione molto acuta del problema, che a
sua volta alimenta la tendenza a reagire o ad agire proattivamente per modificare lo status quo.
Alcuni autori propongono di pensare il senso di comunità negativo come una forza centrifuga che tende
ad allontanare le persone, a spingerle verso e oltre i confini della comunità.
Brodsky, Loomis e Marx propongono un modello a 4 componenti del senso di comunità negativo:
• Distintività (/bisogno di affiliazione)→ bisogno di distinguersi e differenziarsi dagli altri membri
• Astensione (/influenza)→ atteggiamento di passività e indifferenza nei confronti di ciò che accade
nella comunità, le persone non vogliono essere né bersaglio né fonte di influenza
• Frustrazione (/integrazione dei bisogni) → percezione della comunità come fonte di frustrazione,
come un ostacolo al loro bisogno di riuscita e di autorealizzazione
• Alienazione (/condivisione) → sentimento di estraneità, di non familiarità e di disconnessione dalla
comunità e dalla sua cultura.
Molteplicità e multiappartenenze: il senso di comunità multiplo
Ogni individui partecipa contemporaneamente a più comunità: familiare, amicale, professionale, di
interesse ,ecc. Brodsky e Marx esplorano il senso di comunità in comunità poste tra loro in relazione di
inclusione gerarchica:
• un setting educativo: centro semi-residenziale di inserimento socio-lavorativo
• un setting di ruolo: classi di studenti e membri dello staff del centro di formazione
• un setting territoriale: il quartiere di residenza degli studenti
mostrando la coesistenza di molteplici sensi di comunità, ciascuno agganciato a una comunità diversa, e
anche le reciproche relazioni di influenza. Gli autori hanno proposto un'espansione del senso di comunità
a una varietà di setting, sottolineando l’importanza di analizzare l’interazione tra le varie appartenenze:
ciò consente di definire un quadro di lettura degli effetti combinati → L’esplorazione di più comunità
(quelle che le persone incrociano nel percorso di vita) permette di comprendere meglio come agisce il
senso di comunità nei vari setting. Comunità diverse possono soddisfare bisogni diversi e offrono risorse
diversificate ai loro membri.
“Comunità primaria”: comunità che rinforza le norme, i valori, l’identità individuale e fornisce sistemi di
sostegno che sono fondamentali per il benessere delle persone.
“Comunità secondarie”: ascritte o acquisite, suscettibili anch’esse di fornire vantaggi e supportare i
processi identitari.
Il senso di comunità multiplo è anche un modo per concettualizzare le scelte che portano gli individui a
investire in un setting piuttosto che in un altro. Spesso i nuovi setting nascono coesistere o competere
con i vecchi, oppure per integrarli o sostituirli.
Teoria di Brofenbrenner → teorizza che l’individuo sia circondato e influenzato da 5 sistemi ecologici,
contenuti uno dentro l’altro e in reciproca relazione. Tali relazioni sono multidimensionali, multidirezionali e
complesse. Caratteristiche dei 5 sistemi:
• i microsistemi sono i setting dentro cui la persona vive e con
cui è in diretto contatto (es:famiglia)
• i mesosistemi sono costituiti dalle interrelazioni tra i più
importanti microsistemi che contengono l’individui (interazioni
tra famiglia, scuola e gruppo di pari)
• gli esosistemi sono quei setting sociali in cui l’individuo non ha
un ruolo attivo e diretto ma che influenzano i suoi
microsistemi (es:governo)
• i macrosistemi rappresentano gli aspetti culturali (ideologie)
• i cronosistemi descrivono le condizioni storico-sociali il cui
cambiamento nel tempo genera la rinegoziazione delle norme
sociali e della struttura istituzionale generale
➢ ad integrazione, a questi è stato aggiunto il sistema
ontogenico, che cattura la dinamica interna dell’individuo e
che rappresenta il contenitore più interno
I 6 sistemi rappresentano quanto generalmente si intende per “contesto di vita”.
CAPITOLO 2: IL TERRITORIO. QUARTIERI E CITTÀ
Cittadinanza attiva e partecipazione: community capacity building
Moro → la cittadinanza attiva è la capacità dei cittadini di auto-organizzarsi in una molteplicità di forme
associative e di agire nella sfera pubblica, esercitando potere e responsabilità. I poteri distintivi
dell’attivismo civico sono, ad esempio, il potere di produrre informazione e letture alternative della realtà,
o il potere di affermare nuovi valori o di far funzionare le istituzioni.
Anche la partecipazione politica assume una varietà di forme, collocabili lungo un continuum che va dal
tenersi informati sugli eventi al ricoprire una carica pubblica. 3 forme di partecipazione politica:
• la presenza, ovvero un atteggiamento ricettivo
• l’attivazione, ovvero la messa in atto di una serie di comportamenti che vanno dalla totale delega
alla totale presa in carico
• la partecipazione, ovvero il coinvolgimento dirette nelle decisioni politiche. La partecipazione
richiede una certa costanza ed impegno che si protrae per lunghi periodi. In assenza di questa
caratteristica, è preferibile il termine mobilitazione.
Tipi di partecipazione:
Partecipazione latente/invisibile → coinvolgimento che si traduce in interesse, informazione e fiducia
verso la politica (stampa, tv, internet).
Partecipazione manifesta/visibile → atti concreti di coinvolgimento nella sfera politica, come il voto o la
militanza a un partito.
Partecipazione convenzionale → si realizza attraverso le istituzioni politiche.
Partecipazione non convenzionale → raggruppa le forme partecipative alternative a quelle istituzionali
(manifestare in piazza, firmare petizioni,ecc).
Partecipazione strumentale → ha come finalità quella di soddisfare interessi o ideali personali o collettivi.
Partecipazione simbolica → ha come fine l’espressione e l’affermazione di un’identità e rimanda a concetti
di comunità e appartenenza.
COMMUNITY CAPACITY BUILDING: concetto che si riferisce alle strategie attraverso cui rafforzare le
capacità delle comunità territoriali di identificare le priorità e le opportunità e di lavorare per sostenere il
cambiamento. Consiste nel promuovere le "capacità" delle comunità locali di sviluppare, concretizzare e
sostenere le proprie soluzioni ai problemi. Proprietà di una comunità che ne costituiscono la capacità:
1. Il senso di comunità dei residenti.
2. L’impegno da parte di singoli individui, gruppi e organizzazioni.
3. I meccanismi di problem solving che permettono di tradurre l’impegno in azione.
4. L’accesso alle risorse, materiali, politiche o umane, necessarie per sostenere l’azione.
→ Nesso partecipazione-cittadinanza attiva-senso di comunità → L’attivazione dei cittadini è favorita dal
verificarsi di alcune condizioni, come:
- la percezione del contesto di vita individuale e sociale in termini di bisogni da ascoltare e
di problemi da affrontare
- la percezione che i cittadini hanno circa la possibilità che la loro azione possa
effettivamente incidere sulla situazione
- la percezione di far parte di una comunità coesa, caratterizzata da interazione e
integrazione sociale, fiducia e supporto reciproco, sentimenti di appartenenza
“Community engagement”: rapporto tra senso di comunità e impegno
attivo dei cittadini
Chavis, Wandersman → 3 motori della partecipazione potenziati o
attivati dal senso di comunità:
1. Il modo con cui gli abitanti percepiscono il proprio quartiere, i
suoi punti di forza e i suoi problemi. Questo determina quanto
essi siano soddisfatti di viverci.
2. Le relazioni di vicinato: se il loro senso di comunità è solito, è probabile che siano anche più inclini
a rafforzare il loro senso di connessione interpersonale.
3. La percezione di controllo sull’ambiente (locus of control) e di competenza, molto simile alla
percezione di autoefficacia, ossia di poter influenzare con le proprie azioni un qualche aspetto del
quartiere. Locus of control: variabile psicologica che indica la percezione che ciascun individuo ha
della possibilità di controllare la propria vita, dunque la convinzione che le azioni abbiano un peso
nella direzione degli eventi.
Felicità, qualità della vita e benessere → i tre termini sono contigui ma non sinonimi
Felicità
Filosofia ed economia si sono interrogate sui fattori che contribuiscono alla felicità delle persone:
Filosofia → richiamando la natura sociale della felicità, fondata su una valorizzazione dei legami e
della relazione con l’altro, sulla cura dei beni relazionali
Economia → elaborando l’idea che il reddito e la crescita economica degli stati non sono sufficienti
a garantire la felicità delle persone
Qualità della vita
World Health Organization Quality of Life: “è la percezione soggettiva integrata di quattro aree: salute
fisica, benessere psicologico, relazioni sociali e ambiente”.
Alla qualità della vita concorrono fattori tanto oggettivi quanto soggettivi → Veenhoven: elabora una
classificazione quadripartita,distinguendo tra le opportunità che le persone hanno di condurre una buona
vita e i risultati che ottengono. È la differenza tra
potenzialità e attualità, connesse tra loro informa non
lineare. Veenhoven distingue anche tra qualità interne
e qualità esterne, ossia relative all’ambiente o alla
persona.
Sul piano delle opportunità, la vivibilità dell’ambiente si riferisce alle caratteristiche dell’ambiente che sono
in grado di soddisfare i bisogni e di garantire lo sviluppo delle capacità individuali. Le abilità (di vita)
riguardano gli strumenti e le risorse interne di cui i singoli individui dispongono per affrontare i problemi
della vita e definiscono il potenziale adattivo.
Sul piano dei risultati, l’utilità (della vita) fa riferimento all’idea che una buona vita abbia un senso e un
valore che trascende il singolo individuo, trattandosi quindi di un giudizio esterno. La soddisfazione e
l’apprezzamento (della vita) è invece la valutazione interna e soggettiva di quanto raggiunto dall’individuo
nel corso della sua esistenza.
Benessere: non si tratta della semplice assenza di un disturbo ma di uno stato globale derivante dal più
generale funzionamento della persona,, nei suoi aspetti interni e di relazione con il contesto.
Benessere soggettivo: è definito come la combinazione di sentimenti di soddisfazione per la propria vita
(componente cognitiva), sperimentazione di emozioni positive e ridotta frequenza di emozioni negative
(componente affettiva).
Benessere psicologico: è stato declinato in una prospettiva eudaimonica, la quale considera il benessere
come la realizzazione del potenziale umano presente in ogni individuo. L'eudemonia non è la semplice
felicità, è la felicità intesa come scopo della vita, e come fondamento dell'etica. Il benessere psicologico è
qualcosa di più della felicità: non tutti gli obiettivi cui una aspira sono forieri di benessere, anche se
possono essere fonte di piacere. Il benessere psicologico include 6 diversi aspetti dell’autorealizzazione
personale (Keyes):
1. Un atteggiamento positivo nei confronti di sé stessi e del proprio passato
2. La percezione di un processo di crescita continua di sé stessi come persone
3. La convinzione che la propria esistenza abbia un senso e un significato
4. Il poter fruire di relazioni interpersonali di qualità
5. La capacità di gestire efficacemente la propria vita e l’ambiente circostante
6. Un senso di autodeterminazione
Benessere sociale: cattura la percezione soggettiva del funzionamento che le persone hanno di sé
stesse nella società. Si riferisce al rapporto che i singoli intrattengono con la comunità allargata, intesta
come qualcosa di più e di più complesso delle sole relazioni interpersonali. Ha 5 dimensioni:
1. Integrazione sociale: misura con cui le persone sentono di appartenere alla propria comunità.
2. Accettazione sociale: pensare che gli altri siano degni di fiducia.
3. Contributo sociale: percezione di poter offrire un contributo alla società.
4. Attuazione sociale: valutazione dell’andamento complessivo della società, credere che possa essa
possa evolvere positivamente.
5. Coerenza sociale: valutazione dell’organizzazione e del funzionamento della società.
→ Alla qualità della vita e al benessere concorrono:
• fattori interni ( aspettative, bisogni, valutazioni, credenza, atteggiamenti, abilità)
• fattori contestuali (relazioni interpersonali, richieste, sfide e opportunità che i contesti offrono)
Quale ruolo hanno l’appartenenza e i legami comunitari nel produrre benessere?
Epidemiologia sociale → dimostra che la coesione, il capitale sociale e le reti di relazioni sono molto
importanti nella salute fisica e mentale delle popolazioni. Una quota rilevante del benessere è da
ricercare in determinanti di tipo sociale.
Il senso di comunità, che esprime la qualità soggettiva della relazioni con un contesto in cui ci si
riconosce, è stato messo in relazione prevalentemente con il benessere soggettivo e solo di rado con il
benessere sociale.
Modelli di integrazione socio-culturale
Multietnicità: coesistenza in uno stesso sistema sociale di soggetti con identità etniche diverse. Concetto
descrittivo.
Multiculturalismo: si riferisce alle strategie politiche con cui si affrontano, o si dovrebbero affrontare, le
questioni connesse alle differenze etniche. Concetto normativo. Sul piano politico, il multiculturalismo si
traduce nella domanda di riconoscimento dell’appartenenza a un gruppo particolare, con una sua
peculiarità culturale.
I principali modelli di integrazione socio-culturale sono di 4 tipi:
• Modello assimilazionista: di matrice etnocentrica. Prevede che i migranti debbano adattarsi alla
cultura della società che li ospita, conformandosi alle regola che governano i comportamenti nella sfera
pubblica e relegando il mantenimento della specificità culturale nella sfera privata. Nonostante sia stata
respinta come modello normativo di integrazione orientato a cancellare le differenze, essa rappresenta
anche un processo sociale spontaneo nelle interazioni tra maggioranza e minoranza.
• Modello di fusione o melting pot: prevede che le varie differenze dovrebbero mescolarsi fino a
fondersi e dar vita ad una società e ad una cultura omogenea, in cui le differenze originarie sono
praticamente azzerate. Metafora del mosaico: le differenze possono combinarsi mantenendo ciascuno le
proprie qualità e caratteristiche.
• Modello multiculturalista o pluralista: fondandosi sulla valorizzazione dell’alterità, ammette la
possibilità di una coesistenza pacifica e armoniosa di culture diverse all’interno di una comunità
nazionale, che dialoga con le singole comunità riconoscendole lo status di interlocutori pubblici. La vita
pubblica è così considerata come mediazione tra gruppi differenti.
• Modello funzionalista/di istituzionalizzazione della precarietà: non prevede la possibilità di una
piena integrazione socio-culturale delle minoranze e tende a scoraggiarne lo stanziamento stabile e il
radicamento sul territorio. Vede gli immigrati come ospiti temporanei per ragioni utilitaristiche e
strumentali (lavoro); possono risiedere e lavorare nella società di accoglienze solo nella misura in cui il
loro apporto è funzionale alla società.
Quali sfide affronta una persona migrante?
• Identità → se si considera l’identità come la risultante dell’interrelazione di tre rapporti di
integrazione (spaziale-temporale-sociale), ne consegue che trasferimenti forzati, emigrazione ed esili
sono condizioni che minacciano tali vincoli, inducendo uno stato temporaneo di disorganizzazione
psichica.
• Processi di acculturazione → I migranti si devono confrontare con contesti differenti e devono
affrontare: cambiamenti comportamentali (indotti dall'apprendimento della cultura ospitante), i processi di
trasformazione dell’identità etnica e i meccanismi di identificazione culturale e le difficoltà di adattamento
psicologico e socioculturale al contesto di accoglienza.
L’analisi del senso di comunità dei gruppi di migranti è stata finalizzata ad approfondire le dinamiche
dell’identità, i processi si acculturazione e l’impatto sul benessere psicologico → il senso di comunità
relativa al gruppo etnico di appartenenza mitiga gli effetti dello stress, facilitando il processo di
inserimento e migliorando lo stato psicologico globale. È importante, per i migranti, poter disporre di reti
si relazioni omogenee dal punto di vita etnico-culturale, che fungono da ponte verso l’integrazione nelle
più ampie strutture sociali del paese ospitante. Tali reti funzionano come setting di apprendimento, in cui i
migranti possono sviluppare competenze e rinegoziare la propria identità.
Le sfide per le società ospitanti
Il processo di acculturazione, bidirezionale, pone delle sfide anche alle società ospitanti. Esso infatti
include tutti i cambiamenti che avvengono in seguito al contatto tra individui e gruppi di culture diverse e
si inserisce nel più generale quadro delle relazioni tra gruppi sociali.
Teoria dell’identità sociale e della categorizzazione del sé → ci ricorda che il processo di categorizzazione
del sé, alla base dello sviluppo dell’identità sociale, implica un posizionamento sociale, cioè una relazione
e un confronto con gli altri individui e gruppi. Ciò porta con sé un bias, ovvero la tendenza a valutare
positivamente il gruppo con cui ci si identifica e negativamente tutti gli altri. Questa tendenza è
giustificata dal bisogno di difendere l’immagine del gruppo dai processi di confronto sociale, proteggendo
così l’immagine di sé, e nei processi stessi di categorizzazione sociale. Sul piano cognitivo, la
categorizzazione di sé e degli altri come membri di gruppi (piuttosto che singoli individui) genera effetti di
stereotipizzazione, spingendo gli individui ad enfatizzare gli elementi che rendono i gruppi diversi gli uni
dagli altri. Ripercuotendosi sul comportamento, esso getta le basi per la formazione di un atteggiamento
che consiste nel considerare il proprio gruppo “migliore”.
L’ostilità delle società ospitanti nei confronti dei gruppi etnici stanziatisi sul proprio territorio è determinata
dal fatto che essi attivano incontrollabili sentimenti di paura (di essere “contaminati”, di vedere crollare i
propri valori, una generale paura del cambiamento).
Relazione col senso di comunità:
• non c’è relazione tra senso di comunità e pregiudizio per immigrati.
• se aumenta eterogeneità etnica in un territorio il senso di comunità degli abitanti tende a
indebolirsi.
→ quando la diversità e la numerosità delle presenza straniere supera una certa soglia, il mantenimento
del senso di comunità sembra accompagnarsi ad un aumento delle tendenze di tipo xenofobo.
Relazione tra senso di comunità e accettazione del diverso
Elementi del senso di comunità che possono indurre il rifiuto della diversità:
• Dimensione di appartenenza: definisce i confini tra chi è membro della comunità e chi non lo è.
Nel farlo favorisce la coesione e lo stabilirsi di rapporti stretti e significativi, garantendo sicurezza
psicologica ed emotiva → tendenza a dare valore ai gruppi e alle comunità che si percepiscono come
affini. Concetto di entitatività: chi appartiene a un gruppo percepisce anche un’elevata similarità con gli
altri membri, è la percezione che un aggregato sociale abbia natura di entità.
• Conseguentemente, i processi di identificazione con l’ingroup favoriscono distorsioni cognitive che
possono avere effetti deleteri nella valutazione della diversità → se si rafforza l’appartenenza, i confini
tendono a farsi rigidi e ad essere utilizzati in forma difensiva o esclusiva.
→ Omofilia: orientamento a creare più frequentemente relazioni con persone che si percepiscono come
simili invece che dissimili.
→ Prossimità: inclinazione a formare più facilmente relazioni con persone fisicamente vicine invece che
lontane.
Dialettica comunità-diversità
• Non sempre e non necessariamente i sentimenti di identificazione con il gruppo o con la comunità
di appartenenza si associano ad atteggiamenti negativi nei confronti degli outsider o dei diversi.
Una “buona comunità non è necessariamente una comunità che esclude.
• I sentimenti positivi che le persone sviluppano nei confronti del proprio gruppo tendono ad
accompagnarsi ad una parallela accettazione della diversità etnico-culturale. Nelle società che
accolgono gli immigrati, un atteggiamento favorevole al multiculturalismo si associa ad un giudizio
più positivo nei confronti delle comunità immigrate.

CAPITOLO 3: I LUOGHI DI APPRENDIMENTO


Walk the talk: la scuola come comunità
La comunità-scuola viene definito come un oggetto poliedrico e unità sociale in costante mutamento.
Il concetto di comunità-scuola ha 3 dimensioni:
1. Relazionale → è centrale, in quanto direttamente implicata dalla concezione dell’apprendimento
quale processo sociale fondato sulla collaborazione e l’interscambio fra le persone. Ci sono 3 modi di
declinare la dimensione relazionale:
1. come bisogno fondamentale di affiliazione → la comunità è la forma sociale base in
grado di soddisfare il bisogno di appartenenza che motiva gli attori scolastici a costruire e mantenere un
minimo di interazioni positive e significative, soprattutto nell’età dello sviluppo.
2. come risorsa → le relazioni supportive costituiscono una risorsa che favorisce il
positivo adattamento all’ambiente e promuove il senso della scuola come comunità.
3. come tessuto sociale che costruisce intorno al complesso delle pratiche
condivise → l’organizzazione scolastica si configura come una comunità di pratiche,
dove le relazioni sociali prendono vita a partire dall’insieme delle attività, dei modi di pensare, di agire e di
comunicare condivisi dai suoi protagonisti, rafforzando l’adesione al progetto formativo comune.
2. Partecipativa → condivisione degli obiettivi e della vision va di pari passo con la presa in carico
attiva del percorso formativo e/o lavorativo individuale. Questi, insieme, promuovono l’assunzione di
responsabilità da parte degli attori verso l’organizzazione scuola nel suo complesso, così come verso
singoli membri o piccoli gruppi, anche attraverso la partecipazione ai processi decisionali
3. Fisico-simbolica → consente di identificare ogni singola scuola come un’unità sociale specifica e
differente dalle altre. Coinvolgimento, collaborazione, pratiche comuni, valori, norme sociali e
obiettivi condivisi sono caratteristiche distintive della scuola come organizzazione e ne
rappresentano i tratti culturali tipici. Le proprietà strutturali contribuiscono ad alimentare l’idea
della scuola come comunità.
Strike: richiama l’attenzione su due componenti principali della scuola-comunità: orientamento
democratico (promuove autonomia, libertà di scelta e partecipazione alle decisioni) e vision condivisa.
Strike: la comunità scolastica rispetta 4 condizioni principali:
1. Coesione degli attori intorno al progetto educativo.
2. Contatto diretto tra gli attori.
3. Cura e sostegno reciproco da e verso tutti i protagonisti.
4. Coerenza fra il progetto condiviso e la sua traduzione pratica in azioni comuni.
Il senso di comunità a scuola
L’integrazione delle 3 dimensioni (relazionale, partecipativa e fisico-simbolica) permette di pensare al
senso di comunità scolastico come ad una trama psicologica e relazionale che mette in rapporto individui
e organizzazione. È un legame psicologico che connette attori alla scuola quale locus relazionale,
simbolico e fisico; è contesto-specifico e il modo di intenderlo è strettamente connesso al modo di
intendere la comunità a cui si riferisce (la scuola può essere vista anche come comunità dell’obbligo).
Royal, Rossi → l’organizzazione scolastica è concepita come un setting che favorisce l’interazione sociale
e lo strutturarsi dei legami sociali fra gli attori, sicché essa diventa un’esperienza stabile e supportiva che
alimenta il senso di comunità. Modello del senso di comunitàs colastico di Royal e Rossi:
McMillan e Chavis Royal e Rossi: le dimensioni di Ovvero
McMillan e Chavis sono declinate in:
Membership Trust Fiducia nel leader e nell’integrità di gruppo
Caring Conoscenza diretta e aiuto reciproco
Influence Teamwork Lavoro di squadra
Participation Partecipazione alle decisioni
Communication Espressione delle idee/punti di vista
Shared vision, values and purpose Condivisioni di valori, scopo e vision
Integration and Caring Rispetto e supporto sociale
fulfillment of needs Respect and recognition Riconoscimento del contributo e dei risultati membri
Shared purposes and values Condivisioni di valori e scopo
Shared emotional Trust Fiducia nella comunità e nei suoi membri
connection Caring Prendersi cura degli altri/Relazioni positive membri
Shared vision, values and purpose Futuro comune

Variabili strutturali e organizzative che influenzano il senso di comunità a scuola-comunità


STRUTTURA ORGANIZZAZIONE
Dimensione (grande/piccola) Relazioni dirette e sostegno reciproco
Risorse e attività extra-curriculari Partecipazione, teamworking e collegialità
Assetto istituzionale (pubblico/privato) Autonomia e libertà
Funzionamento burocratico Chiarezza nell’assegnazione di ruoli e compiti
Condivisione di obiettivi, valori e mission
Comunicazione paritetica e condivisione di info
Il senso di comunità scolastico è prima di tutto un’esperienza relazionale e si riferisce alla risonanza
psicologica che la scuola, come esperienza interattiva e sociale, ha per le persone (Bateman). Il senso di
comunità scolastico si tipizza infatti anche in relazione ai protagonisti dell'esperienza scolastica (studenti-
professori): dimora nelle relazioni fra gli attori. L'analisi privilegiata infatti è l'interazione che interconnette i
docenti agli studenti e gli studenti ai docenti, nonché gli studenti fra loro.
Clima scolastico: si riferisce all'insieme delle condizioni che rendono la scuola un contesto in grado di
favorire lo sviluppo e l'adattamento positivo dei suoi membri. Interseca diversi aspetti:
• percezione di sicurezza
• processi di insegnamento e di apprendimento efficaci
• relazioni interpersonali: qualità e solidità delle interazioni. Trova qui la sua dimensione più significativa →
guardare il modo in cui i docenti si relazionano agli studenti e gli studenti all'ambiente scolastico, agli
insegnati e fra loro, permette di raccogliere informazioni sul tipo di clima che le caratterizza. Poiché è
attraverso le relazioni e le interazioni che il senso di comunità si forma e cresce, questo può essere inteso
come una misura del clima o della "personalità" della scuola. Infatti, la scuola con uno sviluppato senso di
comunità si distingue per un sistema relazionale etico orientato alla cura e al sostegno reciproco → il
senso di comunità diviene una caratteristica della comunità piuttosto che degli individui: se docenti e
studenti valutano le reciproche relazioni come giuste, si sentono sostenuti e trovano conforto nelle
interazioni con gli atri, allora la scuola si contraddistingue per alti livelli di senso di comunità.
Gli studenti
Per il senso di comunità degli studenti appaiono centrali:
• il bisogno di affiliazione, che motiva a construire reti di relazioni
• i bisogni di autonomia e di competenza, che inducono a differenziarsi e a preservare un'immagine
positiva di sé stessi.
Una comunità scolastica è funzionale alla crescita dei giovani quando si configura come un luogo dove le
relazioni interpersonali sono orientate alla cura, promuove il coinvolgimento, la partecipazione ai processi
decisionali e la convergenza verso un insieme comuni di valori, obiettivi e norme.
Elementi in grado di promuvere il senso di comunità:
• fiducia reciproca
• rispetto
• senso di sicurezza, sia fisica che emotiva, da parte dei pari e degli adulti significativi
• coinvolgimento in attività strutturate all'interno della scuola (senso di partecipazione) → i contesti
che incoraggiano il protagonismo dei giovani sono luoghi sociali dove essi hanno modo di sentirsi
importanti, riconosciuti e stimolati dagli adulti. Cioò fa accrescere la fiducia in loro stessi e il sentimento di
rispetto e solidarietà.
I docenti
2 modi di considerare il senso di comunità dei docenti, a seconda della comunià di riferimento
1. la scuola → adotta una prospettiva macro e guarda al legame positivo che interconnette gli
insegnanti alla comunità scolastica nella sua globalità. Mette sullo stesso piano le relazioni fra i
veri membri della comunità, interrogandosi sulla loro capacità di promuovere o ostacolare il senso
di comunità degli insegnanti.
2. il gruppo di professionisti che operano al suo interno → adotta una prospettiva micro e guarda alle
connessioni positive fra i docenti che formano la comunità professionale, oltre che al modo in cui
questa microappartenenza possa favorire la comunità scolastica più ampia.
Modello di senso di comunità relativo al gruppo degli insegnanti articolato in 5 dimensioni:
• Identità di gruppo • Sicurezza emotiva e tolleranza delle
• Repertorio interattivo condiviso differenze individuali
• Ambito condivido, il “fare scuola” come • Relazioni significative che si fanno veicolo di
un’impresa condivisa cura e sostegno
In generale, l'organizzazione scolastica è risultata uno degli elementi che più significativamente rinforza il
senso di comunità degli insegnanti. È importante perciò che all'interno della scuola vengano previsti
incontri in cui ogni insegnante possa condivididere il proprio contributo. → La cooperazione rappresenta
un processo di riflessione e discussione che ha ad oggetto i valori, le norme, i traguardi e il modo di
concepire l'organizzazione. I docenti non cooperano solo per affrontare uno specifico problema ma
anche per trovare un'intesa sugli obiettivi da conseguire e sul come raggiungerli. Solo così la
collabolazione si fa strumento di promozione del rispetto, della fiducia e del senso di respondabilità nei
confronti della comunità.
La comunità universitaria
La comunità universitaria viene considerata un caso particolare di comunità di interessi, in quanto:
• comunità di interessi perchè spinge i giovani ad affiliarsi in base a uno scopo comune, ovvero
realizzare le proprio aspirazioni professionali
• caso particolare perchè è a scelta parzialmente svincolata, poichè gli studenti, principalmente
spinti dalle proprie ambizioni, devono raffrontarsi con una serie di fattori quali la disponibilità dei
posti o la sede geografica
• caso particolare perchè le comunità universitarie sono dotate di struttura fisica oltre che sociale, il
che le ancora ad un contesto territoriale specifico.
Cosa rafforza il senso di comunità universitario Cosa indebolisce il senso di comunità universitario
Relazioni interpersonali crescono senso di Sentimento di estraneità rispetto all’ambiente
comunità, in particolare rapporto con i docenti (più universitario
che con studenti)
Utilizzo di risorse e servizi dell’organizzazione Relazioni deboli
universitaria
Associazione positiva tra senso di comunità e Scarsa dimestichezza del funzionamento
lavoro dell’organizzazione
Retroterra personale (cultura, risorse economiche) Assenza di chiari obiettivi di carriera
Benessere a scuola
Concorrono 2 prospettive di analisi della comunità scolastica:
• Social community: rimanda al senso della scuola come comunità e concerne principalmente la
sua tenuta connettiva, focalizzandosi sugli aspetti psicologici del contesto che rimandano ai
sentimenti di coesione, fiducia, sicurezza, interdipendenza e scambio sociale fra i membri.
• Learning community: ha a che fare con la consapevolezza degli attori che le proprie aspettative e i
propri obiettivi sono sostenuti dall'appartenenza alla comunità scolastica.
Livello sistemico → Prospettiva macrosistemica → il senso di comunità si configura come il barometro
che misura la salute della comunità scolastica. Questa prospettiva guarda al senso di comunità come a
una caratteristica della scuola e presta attenzione al modo in cui esso contribuisce a renderla un
contestoglobalmente sano. Secondo quest'ottica gli elementi che maggiormente qualificano un ambiente
scolastico sono: il clima democratico, la cultura dell'organizzazione, la qualità del tessuto relazionale, la
configurazione dell'impianto burocratico.
Livello individuale →Prospettiva centrata sull'individuo → guarda al modo in cui il senso di comunità si
lega ai vissuti soggettivi di studenti e docenti promuovendone lo sviluppo e l'adattamento al constesto
scuola, nonchè disinnescando meccanismi psicologici e esiti comportamentali disfunzionali.
Empowerment dei docenti
Per quanto riguarda l'empowerment dei docenti si pone attenzione su due fattori:
• la relazione col dirigente scolastico → stile di leadership empowering del dirigente scolastico: egli
assegna incarichi di responsabilità ai docenti e li coinvolge nella definizione dei programmi e nelle
decisioni che riguardano la scuola. Così facendo il dirigente rinvigorisce la motivazione dei docenti,
riduce il conflitto interpersonale e aumenta la soddisfazione personale, sostenendo la consapevolezza
che il contributo personale alla comunità scolastica sia significativo.
Moye, colleghi: concezione multidimensionale dell'empowerment dei docenti, declinata secondo 4 fattori:
1. consapevolezza che il proprio lavoro abbia uno scopo
2. senso di autoefficacia
3. percezione di avere libertà di scelta nello svolgimento delle attività lavorative
4. consapevolezza di influire sul raggiungimento dei risultati
Ci sono 2 modi di intendere l'empowerment dei docenti:
✔ politico: inerente all'equità delle relazioni di potere; maggiormente implicato dalla struttura
burocratica e dall'assetto organizzativo della scuola.
✔ epistemologico: inerente alla scuola come ambiente educativo si focalizza sugli aspetti
connessi all'insegnamento e alla conoscenza.
• la configurazione dell'assetto burocratico della scuola → impianto burocratico di tipo enabling: gli
elementi caratterizzanti sono la condivisione e il meccanismo della delega dei compiti e delle funzioni da
parte del dirigente agli insegnanti. Esso dota l'organizzazione scolastica di una struttura flessibile e
cooperativa. Si contraddistingue per la chiarezza delle regole, i processi decisionali inclusivi e la
solidarietà come criterio di lavoro e di regolazione dei rapporti professionali. Rende gli insegnanti
collettivamente responsabili del benessere della comunità scolastica, della mission istituzionale e dello
sviluppo e dell'adattamento positivo degli studenti.
Approccio capacitante; Martha Nussbaum, Amartya Sen
"Cosa può fare ed essere ciascuna persona?" → l'approccio capacitante getta luce sui ruoli sociali, sulle
attività e sui comportamenti che ciasun individuo sceglie liberamente e
realisticamente di assumere e porre in essere compatibilmente con le
condizioni contestuali.
Esiste un set di 10 capacità centrali che rappresentano le condizioni di
base imprescendibili per lo sviluppo di ognuno, integrati in 3 macroambiti:
1. Integrità degli individui → comprende:
- Life: la possibilità di vivere una vita mediamente lunga e di non
morire prematuramente.
- Bodily health, ovvero la tutela della salute fisica (sana
alimentazione, possibilità di ricevere cure, ambiente sano)
- Bodily integrity, ovvero la tutela dell'integrità fisica, cioè
l'opportunità di muoversi in sicurezza al riparo da violenze e abusi.
2. Sano sviluppo emotivo, emotivo e relazionale → comprende:
- Sense, imagination and thought: possibilità di potersi esprimere
e sviluppare le proprie abilità cognitive e l'intelletto
- Ragion pratica: possibilità di partecipare ad attività di tipo
politico/religioso, poter esprimere la propria opinione sulle società e impegnarsi a livello sociale/politico.
Ciò consente di pianificare il proprio futuro e di perseguire le aspirazioni personali
- Emotions (sentimenti): capacità di stabilire un positivo attaccamento alle persone e di
sperimentare una vita emotivamente piena
3. Capacità di tipo sociale → comprende:
- Affiliation: capacità di interagire con gli altri e possibilità di sentirsi parte dell'ambiente,
sviluppando relazioni sociali coi membri della comunità.
- Other species: stabilire relazioni rispettose ed estranee da ogni forma di discriminazioni
anche con altre specie viventi (animale domestico).
- Play: capacità di divertirsi e avere momenti di svago
- Controllo sull'ambiente fisico e sociale: capacità di relazionarsi proficuamente all'ambiente circostante
esercitando un controllo attivo su si esso attraverso la politica, il lavoro, ecc.
Caratteristiche strutturali e organizzative del contesto sociale capacitante:
• presenza di una leadership stimolante
• sistema di valori basato sulla promozione dei punti di forza
• trama relazionale orientata al supporto reciproco
• presenza di occasioni di rivestire ruoli significativi
La comunità scolastica come contesto educativo sociale capacitante → può fungere da attivatore delle
capacità individuali garantendo le condizioni minime per coltivare l'autonomia, per svolgere attività e
rivestire ruoli di rilevanza sociale in sintonia con il complesso delle attitudini, aspirazioni e qualità
personali. Esempio:
Leadership stimolante → assetto burocratico enabling
Relatizioni supportive → comunità scolastica come social community
→ Il senso di comunità può fungere da indicatore della valenza capacitante della comunità scolastica e
come indicatore delle capacità tanto a livello individuale quanto a livello del setting scolastico.
Il senso di comunità scolastico contribuisce a rendere la scuola un ambiente sociale e di apprendimento
sicuro, costituendo un fattore di protezione contro a bullismo, condotte aggressive, vittimizzazione o
consumo di sostanze stupefacenti (per gli alunni) e di burnout o assenteismo (per i docenti).
La partecipazione rappresenta una delle componenti che stimola
maggiormente il senso della scuola come comunità. Un assetto
organizzativo e burocratico che abilita al protagonismo e stimola la comunicazione aperta è un aspetto
centrale del senso di comunità di studenti e docenti, in quanto accresce la percezione che l'ambiente
scolastico sia democratico e supportivo. → Agire sui CONTESTI per promuovere capacità.

CAPITOLO 4: IL MONDO DEL LAVORO E DELLE ORGANIZZAZIONI


Importanza di alimentare legami basasti sulla fiducia e sull'inclusione sociale nelle e tra le organizzazioni.
→ Responsabilità sociale d'impresa: capacità delle imprese di preoccuparsi e occuparsi volotariamente di
questioni sociali ed ecologiche nello svolgimento di operazioni commerciali e aziendali con gli
stakeholder, ossia i portatori d'interesse.
Le organizzazioni sono chiamate ad integrare simultaneamente:
• dimensione economica (business)
• dimensione ambientale (salvaguardia dell'ambiente)
• dimensione sociale (reti di stakeholder) → questa evoca dinamiche relazionali di inclusione,
appartenenza, fiducia, cooperazione, equità di opportunità e cittadinanza attiva.
Queste dimensioni rendono le organizzioni comunità di relazioni solidali, orientate alla costruzione di reti
sociali inclusive e alla promozione del benessere attraverso una consapevole realizzazione di pratiche
organizzative socialemnte responsabili.
Il concetto di comunità organizzativa può essere descritto posizionandolo simbolicamente sul continuum
contesto-iterazione. Con riferimento al contesto, il concetto di comunità organizzative è stato descritto
facendo riferimento alla natura contesto-specifica del locus organizzativo, riconoscendo gradualmente la
rilevanza della dimensione relazionale dell'essere parte dell'organizzazione.
Dopo di che, è stata rilevata l'importanza di vedere nella comunità organizzativa una struttura di
mediazione tra istituzioni, individui e comunità più ampia. Con riferimento all'interazione, il concetto di
organizzazione come comunità è stato teorizzato dal paradigma della "comunità di pratiche" (community
of practice), descritto da tre dimensioni tra loro strettamente integrate: impegno reciproco, impresa
comune e repertorio condiviso.
L'impegno reciproco in cui sono coinvolti i membri
dell'organizzazione determina l'appartenenza a una comunità
organizzativa e il suo stesso mantenimento. La reciprocità
dell'impegno dei membri è da intendersi come un insieme di
traiettorie di partecipazione diverse e complementari alle pratiche,
orientate a raggiungere un obiettivo comune. I processi di
negoziazione tra le persone fanno emergere gli obiettivi condivisi
della comunità.
L'impresa comune sottolinea la dimensione negoziale dalla pratica.
I processi di negoziazione tra le persone fanno emergere gli obiettivi condivisi della comunità, che si
sostanziano attraverso responsabilità reciproche agite e condivise.
Il repertorio condiviso sintetizza i processi collettivi di costruzione dei significati negoziati e condivisi nella
comunità.
→ Ogni organizzazione è una costellazione di comunità di pratiche, in cui i membri esperiscono
appartenenze multiple che ridefiniscono le loro identità professionali e personali. (Wengerm, McDermott).
Le organizzazioni sono luoghi in cui gli individui, o attivando processi di identificazione consapevole o
(non) partecipando alle sue pratiche socio-culturali, sviluppano appartenenze (o non) rilevanti per la
definizione della loro identità sociale e per lo sviluppo di dinamiche tra gruppi e comunità.
Intendere le organizzazioni come comunità invita a ripensare al ruolo strategico che possono avere le
appartenenze nei contesti organizzativi. Comprendere quale possa essere il potenziale del senso di
comunità per le organizzazioni diviene, dunque, essenziale per individuare strategie manageriali
innovative, che sappiano valorizzare la complessità sociale degli attuali scenari organizzativi.
Dimensioni e definizioni del senso di comunità psicologico in contesti lavorativi:
• MODELLO PSCW (Psychological Sense of Community at Work) di Burroughs e Eby, 1998. Le
caratteristiche individuali dei
dipendenti e la loro percezione
di aver stretto con l'azienza un
contratto psicologico
significativo hanno un impatto
positivo sul senso di comunità
organizzativo.

• MODELLO COSOC (Community Organization Sense of Community) di Hughey, Speer, Peterson,


1999. Il modello propone una visione
delle organizzazioni come comunità
ponendo il focus più sulla
dimensione collettiva che sulla
dimensione individuale.
L’organizzazione svolga una funzione
di mediazione tra l’individuo e la
comunità territoriale. Il modello
spiega le dinamiche in riferimento a
processi di connessione intra-
organizzativa e extra-organizzativa.

• MODELLO SOC-R (Sense of Community Responsability) di Boyd e Nowell, 2010. Il presupposto è


che il senso di comunità sia un costrutto
multidimensionale che cattura, da un
lato, la credenza degli individui che la
comunità possa essere una risorsa
attraverso cui soddisfare bisogno
psicologici e fisici; dall'altro, che
sintetizza il sentimento di responsabilità
che gli individui provano nei confronti del
benessere della comunità.
Negli studi di McMillan e Chavis :
• L’appartenenza si riferisce al
sentimento di appartenenza
percepito nei confronti del
vicinato, quartiere, paese, città.
Nel contesto organizzativo, l’appartenenza si riferisce al sentimento di essere parte di specifici
collettivi come team di lavoro, dipartimenti, o organizzazione più ampia.
• L’influenza è la percezione degli individui di avere voce in capitolo nel determinare l’evoluzione e il
cambiamento della comunità di riferimento e l’apertura verso gli altri membri della comunità. Nel
contesto organizzativo, l’influenza è la capacità percepita da dipendenti e menager di poter
esprimere la propria opinione sia nei processi decisionali sia nello sviluppo di piani organizzativi
strategici, e di essere aperti ad accogliere l’intervento di altri.
• La connessione emotiva condivisa si riferisce al legame emotivo tra i membri della stessa
comunità. Nel contesto organizzativo, i dipendenti si sentono emotivamente connessi
partecipando alle pratiche e al vissuto della comunità organizzativa.
• La responsabilità, nelle comunità territoriale fa riferimento al benessere dei vicini del quartiere. Nel
contesto organizzativo, i dipendenti percepiscono un senso di responsabilità per le attività
collaborative di lavoro, di supporto emotivo o orientato al compito, per il successo e il benessere
dell’intera organizzazione.
Queste teorie ci orientano nel riconoscere il senso di comunità organizzativo come un costrutto
multidimensionale e contesto-specifico, capace di catturare dimensioni individuali e relazionali del setting
organizzativo e di sintetizzare:
• la risposta della comunità ad esigenze personali dei membri dell’organizzazione (senso di
comunità come risorsa)
• la responsabilità consapevole dei membri, orientati proattivamente a supportare il benessere
dell’organizzazione stessa (senso di comunità organizzativo come responsabilità)
Due relazioni importanti tra senso di comunità organizzativo e:
➢ Il benessere psicologico nei luoghi di lavoro → il rapporto del senso di comunità con il benessere
psicologico è intrinsicamente radicato nel significato che si attribuisce al senso di comunità: esso si
caratterizza nello spazio della relazione tra individui e comunità, laddove la comunità è in grado di
soddisfare i bisogni psicofisiologici di un individuo, che si traducono in maggiore benessere psicologico.
- Le percezioni psicologiche associate alle attività lavorative (es: chiara identificazione dei compiti
lavorativi, percezione di autonomia, ecc) sono un fattore determinante della soddisfazione lavorativa.
- La soddisfazione lavorativa è influenzatra dalla percezione dei dipendenti di vivere in un contesto di
lavoro sfidante e stimolate.
➢ I comportamenti di cittadinanza organizzativa
-Cittadinanza organizzativa: coinvolgimento proattivo nella vita della comunità; insieme di comportamenti
di lealtà, virtù civica, altruismo e cortesia.
Se si pensa che i comportamenti di cittadinanza organizzativa, così come la responsabilità sociale
d’impresa, sono correlati con le prestazioni dei dipendenti e il tempo di permanenza in azienda, esplorare
in che modo il senso di comunità organizzativo possa accrescere la conoscenza dei processi
organizzativi può rappresentare un valore aggiunto per il management delle organizzazioni profit.
→ Tramite senso di responsabilità: i dipendenti tendono ad essere più coinvolti in pratiche organizzative
socialmente responsabili
→ Percepire l’impresa come socialmente responsabile influenza i comportamenti dei dipendenti,
orientandoli ad agire in modo sostenibile
Implicazioni pratiche per il management
L’uso strategico del senso di comunità organizzativo può applicarsi a differenti aree di gestione delle
organizzazioni, quali gestione del cambiamento, reti organizzative, politiche e strategie aziendali,
comportamento organizzativo, studi di genere e gestione della diversità nei contesti aziendali.
• Kreijns, Kirschner, Jochems (2003): il senso di appartenenza, creatosi in comunità di pratiche
favorevoli ad attivare dinamiche di apprendimento collaborativo può influenzare positivamente la capacità
di generare idee alternative e di mettere in atto strategie di problem solving efficaci.
• D’Aprile, Mannarini, Simons (2011): il senso di comunità può prevenire fenomeni come il “pensiero
di gruppo” o groupthink [si riferisce al modo di pensare che i membri di un gruppo fanno proprio
quando ritengono che consenso e giudizio unanime del gruppo siano più importanti della
proposizione e valutazione di nuove idee].
Il senso di comunità potrebbe avere un duplice ruolo:
1. potrebbe supportare i processi di coesione sociale all’interno del team o dell’organizzazione;
2. potrebbe stimolare collaborazione, condivisione dei processi decisionali, di comunicazione,
importanti per la creazione di idee innovative, e lo sviluppo di comunità organizzative che
costruiscono conoscenza.
Il senso di comunità può avere implicazioni nella creazione e nel mantenimento di network organizzativi
con gli stakeholder (portatori di interessi nell’azienda). Evidenze empiriche supportano l’idea che il senso
di comunità organizzativo gioca un ruolo strategico nello sviluppo di network sociali sostenibili:
• Foster-Fishman, Berkowitz, Lounsbury (2001): hanno sostenuto l’importanza sia del senso di
appartenenza sia dell’efficacia collettiva per accrescere la collaborazione.
• Allee (2000, 2008): gli studi sulla gestione e sulla configurazione di reti organizzative di valore
(value network) hanno evidenziato il ruolo del senso di comunità organizzativo. Ha messo anche in
evidenza che il senso di comunità può essere considerato una risorsa intangibile utile per definire
alleanze strategiche tra organizzazioni e stakeholder.
Un ruolo rilevante può essere ricoperto dal senso di comunità nella definizione delle politiche e delle
strategie aziendali. Lo sviluppo del senso di comunità potrebbe essere un importante obiettivo
organizzativo da raggiungere qualora dinamiche cognitive, emotive e relazionali del senso di
appartenenza possono in qualche modo incidere su fatturato, assenteismo, produttività e profitto:
• Mulroy, Lauber (2002): se i manager aziendali dovessero rilevare che il senso di comunità fosse
negativamente correlato con l’assenteismo, potrebbero prendere in considerazione l’attuazione di
interventi di costruzione di comunità (community building strategy).
• D’Aprile, Talò (2014, 2015) e D’Aprile, Loperfido, Talò (2014): il senso di comunità organizzativo
potrebbe avere un ruolo rilevante nel funzionamento organizzativo generale, per esempio nel rafforzare il
commitment organizzativo dei dipendenti.
• Meyer, Stanley, Herscovitch (2002): tutto ciò può ridurre il turnover e sostenere la produttività
aziendale.
Nell’ambito dei comportamenti organizzativi, i manager si concentrano su aspetti individuali e su
caratteristiche del gruppo di lavoro: il senso di comunità sembra essere una variabile in grado di predire o
influenzare leadership, coesione di squadra (team coesion) e motivazione.
• Il management aziendale potrebbe incentivare lo sviluppo della propensione a sviluppare senso di
comunità progettando piani formativi aziendali specifici.
• Magoshi, Chang (2009): nell’ambito della gestione delle diversità in azienda (diversity
management), il senso di comunità può rappresentare un valore aggiunto di grande rilevanza, nel caso in
cui la vicinanza con persone di genere, orientamento sessuale, etnie e religioni diverse creasse conflitti
capaci di interferire con le prestazioni lavorative. Il senso di comunità organizzativo può esprimere
l’appartenenza all’organizzazione come insieme sovraordinato alle specifiche sub-appartenenze.
• Gaertner, Dovidio (2000): lo spazio lavorativo potrebbe essere il luogo in cui il senso di comunità
potrebbe supportare la definizione di un’identità comune di gruppo (common ingroup identity). I manager
potrebbero valutare anche percorsi per step:
1. promuovere prima lo sviluppo di appartenenza in comunità di pratiche specifiche per poi
estenderli gradualmente all’intera organizzazione, così da intensificare le possibilità di contatto
focalizzate sul raggiungimento di un obiettivo;
2. promuovere processi di valutazione che tengano conto dell’inclusione sociale come indicatore di
prestazione efficace del team.
CAPITOLO 5: L'UNIVERSO 2.0
Grazie alle tecnologie digitali, le persone possono interagire sempre di più sulla base di interessi e
obiettivi comuni, indipendetemente dalla loro ubicazione. Negli ultimi anni, c'è stato un crescente
interesse per il ruolo svolto dalle comunità virtuali nell'incrementare il capitale sociale, inteso come
l'insieme di risorse, reali o virtuali, accessibili tramite connessioni sociali dirette e indirette.
Putman, 2000 → sostiene la tesi del "declino della comunità": concentrandosi sull'analisi dei trend di
partecipazione a club e organizzazioni d'impregno civico e sociale, rileva una riduzione complessiva dei
livelli di coinvolgimento. Dopo di che Putman aggiungerà che le giovani generazioni di oggi non sono
meno impegnate rispetto ai loro predecessori, ma lo sono in forme nuove → La lotta per le cause sociali
è una delle principali forme di partecipazione nelle comunità online, con l'81% dei membri dei gruppi
online coinvolti in questo tipo di attivismo (Pierce, Boekelheide). Putnam stesso suggerisce che internet
può offrire potenzialità sia positive che negative per l'espansione del capitale sociale e per le capacità
delle persone di fare comunità.
Rapporto interazioni reali e virtuali → Etzioni: una corretta combinazione di interazioni faccia-a-faccia e
interazioni online permette di soddisfare un maggior numero di esigenze di una comunità rispetto alla
separazione netta delle due forme. La sovrapposizione di interazioni reali e online innescherebbe un
processo virtuoso di arricchimento e crescita personale e sociale.
Le interazioni online, riducendo drasticamente i costi connessi ala distanza e al tempo, permettono alle
persone di scambiare più punti di vista e di allargare la personale visione dei problemi quasi a costo 0.
La comunità virtuale
Definizioni:
• Howard Rheingold: la comunità virtuale è un'aggregazione sociale che emerge dalla rete quando
un numero sufficiente di persone porta avanti una discussione pubblica per sufficiente tempo, con
altrettanti sentimenti umani, creando ragnatele di relazioni personali nel cyberspazio.
• Gruppo di persone che instaura interazioni online many-to-many.
• Gruppo di utenti uniti da un interesse comune.ù
Le definizioni di comunità virtuale possono essere:
➢ allargate: insistono sulla forma dell'interazione
➢ ristrette: pongono l'accento anche sugli obiettivi dell'interazione. → seguendo le definizioni
ristrette, possiamo identificare 4 ASPETTI BASILARI che descrivono una
comunità virtuale:
Similarità→ somiglianza tra i membri in termini di interessi, esperienze, tratti
geografici.
Interattività→ include 2 tipi di interazioni, quella tra il gestore del sistemi e i membri,
e quella tra i membri.
Continuità→ le interazioni devono continuare per un certo periodo di tempo.
Cyberspazio→ comprende tutti gli aspetti del mondo online.
I forum di discussione, i blog e i wiki hanno delle proprietà comuni:
• incoraggiano la collaborazione tra persone dislocate in luoghi e fusi orari diversi
• creano una registrazione non volatile delle discussioni, consentendo alle conoscenze condivise di
restare consultabili nel tempo
• permettono l'organizzazione della conoscenza, attraverso il thread (discussione tra due o più
utenti strutturata in una sequenza di domande e risposte).
Differenze→ I forum di discussione coinvolgono gli utenti in un processo di domande e risposte. I blog
incoraggiano commenti e una narrazione in prima persona. I wiki si concentrano sullo scambio
incrementale delle conoscenze e la partecipazione multi-utente, che li rende delle comunità open source.
Cosa trasforma un gruppo online in una comunità virtuale? Si distingue fra:
• Insediamenti virtuali: quando alcune misure oggettive d'interazione via computer (es: numero di
messaggi, la proporzione di membri attivi, ecc) superano alcune soglie base
• Comunità virtuali: insediamenti virtuali in cui i membri sviluppano legami affettivi
Chi si è in una comunità virtuale: le trasformazioni dell'identità
2 livelli in cui si sviluppa l'identità:
1. Identità di gruppo: il sentimento di appartenenza ad un gruppo. A sua volta, questa ha 2 livelli:
1. Uno super-ordinato, l'identià sociale. Le identità sovraordinate coinvolgono i gruppi
che condividono specifiche caratteristiche socio-demografiche, le identità legate a degli hobby o interessi
o anche le identità connesse all'essere portatori di problemi di salute o all'essere parenti di persone
malate. Per le comunità virtuali, l'identità sovraordinata è data dall'identità professionale dei loro membri.
Questa identità è definita come l'insieme delle caratteristiche centrali e distintive che le persone usano
per definire se stessi nell'ambito lavorativo. La caratteristica distintiva dei gruppi super-ordinati è che
generalmente interagiscono poco con gli altri gruppi super-ordinati.
2. Uno sub-ordinato, l'identità di gruppo vera e propria. Le identità sub-ordinate sono
legate a gruppi specifici in cui i membri interagiscono tra loro. Possono essere basati intorno agli stessi
gruppi super-ordinati, ma questi gruppi interagiscono maggiormente tra di loro. L'identità sub-ordinata è
collegata a un particolare gruppo interattivo anche se è probabilmente correlata all'identità super-
ordinata. I gruppi basati su un'identità subordinata sono più coesi e durevoli e facilitano la co-costruzione
di norme e di comportamenti condivisi che sono componenti molto importanti del senso di comunità
virtuale.
2. Identità personale: la capacità di riconoscersi e sentirsi riconosciuti dagli altri membri del gruppo.

Nell'uso non professionale della rete, l'identità viene spesso nascosta dietro uno pseudoimo o nickname.
Se da un lato, queste identità-altre garantiscono protezione e impersonalità, dall'altro fanno cadere ogni
collegamento con la realtà fisica del soggetto. In questo modo i memebri possono volutamente
estremizzare un'opinione o la loro reazione ai fatti per ottenere un particolare riconoscimento. Quando un
individuo si sente "accettato" sviluppo un senso di appartenenza maggiore.
Una variabile che può influenzare il tipo d'identità che un membro si andrà a costruire in un gruppo online
sono le norme di quel gruppo:
- le norme informali forniscono ai membri le regole implicite di comportamento: tanto più i membri
rispettano le norme, tanto più il loro legame con la comunità aumenta. Più un membro rispetta il gruppo e
se ne sente parte attiva, meno erige un'identità di sè deformata ed estrema.
- le norme formali possono spingere verso un eccesso di informazioni personali. In queste
comunità virtuali i membri possono impeganrsi in livelli di auto-rivelazione ben superiori a quelli dei gruppi
faccia-a-faccia e possono richiedere molte informazioni agli altri membri del gruppo. Qui il ruolo
dell'identià si lega strettamente al livello di fiducia che i membri instaurano tra loro e con il sito web che li
ospita.
TEORIE
SID (Social Identity Theory)→ Quando c'è un buon livello di fiducia nel gruppo, aumenta il livello di
identificazione allo stesso modo sia nei gruppi faccia-a-faccia sia nelle piattaforme web.
SIDE (Social Identity Model of Deindividuation Effects)→ un aumento di informazioni identitarie porta a
una diminuizione di interazioni positive con il gruppo e di fiducia. L'anonimato cambia la rilevanza relativa
all'identità personale rispetto a quella sociale e può avere quindi un effetto profondo sul comportamento
di gruppo. Indica che la presenza di qualsiasi informazione individuale nei gruppi online fa aumentare il
peso soggettivo dell'identità individuale a scapito dell'identità sociale, indebolendo così la coesione di
gruppo.
→ In ogni caso, creare la propria identità online e ritenere che gli altri l’abbiano recepita correttamente ha
un effetto significativo sulla soddisfazione del gruppo.
TEORIA DELLO SCAMBIO SOCIALE→ prospettiva psicologica e sociologica che spiega il cambiamento
e la stabilità sociale come un processo di scambio negoziato tra le parti. Presuppone che le relazioni
umane siano formate da un'analisi soggettiva costi-benefici e da un confronto delle alternative possibili.
Sostiene che l'attaccamento affettivo delle persone è determinato dall'entità con cui si condivide il
supporto. Se lo scambio è diadico, l'attaccamento rimane tra i due partner. Se lo scmabio avviene
indirettamente, all'interno di un gruppo o di un'organizzazione, l'attaccamento è verso il gruppo o
l'organizzazione stessa.
Il senso di comunità virtuale
• "il sentimento di adesione, appartenenza, identificazione e attaccamento ad un gruppo che
interagisce principalmente attraverso la comunicazione elettronica"
Il senso di comunità virtuale misura la communityness dei gruppi e distingue le comunità dagli altri tipi di
conglomerati virtuali.
MODELLO DI KOH E KIM, 2010 → il senso di comunità psicologice può essere ridotto, all'interno di
comunità virtuali, a tre caratteristiche chiave:
• appartenenza: sentimento di sentirsi parte della comunità virtuale
• influenza: sentire che i membri influenzano gli altri membri o l'intera comunità
• immersione: lo stato di flow (stato psicologico associato ad alti livelli di prestazione, l'esecutore è
totalmente assorbito da ciò che sta facendo) durante la navigazione nella comunità virtuale.
MODELLO DI TONTERI E COLLEGHI, 2011→ descrivono il senso di comunità virtuale come "human
experience of a community feeling in a virtual environment". Lo delinea in 5 dimensioni:
1. il senso di appartenenza e la percezione dei propri diritti e doveri nella comunità
2. la percezione di influenza nella comunità e di essere influenzato dalla comunità
3. la percezione diffusa tra i singoli membri di avere una propria e distinta identità nella comunità
4. la sensazione di avere una identificazione e una comune identità sociale con la comunità
5. la sensazione di una forte connessione emotiva tra i membri della comunità
Secono questo modello, il bisogno di auto-realizzazione precede lo sviluppo del senso di comunità
virtuale anziché essere una delle sue componenti. Il senso di comunità virtuale si concentra sulla
condizione di appartenenza alla comunità da parte del singolo membro.
Adesione, appartenenza, identificazione e attaccamento

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