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Capitolo 1: La Psicologia di Comunità tra Teoria e Pratica

DI QUALE COMUNITA’ PARLIAMO?


Di comunità in generale, non solo di comunità terapeutiche
Definizione: La psicologia di comunità può essere definita come una disciplina interessata alla
ricerca e all'intervento, guidata da un equilibrio tra valori collettivi e individuali, orientata ad un
cambiamento sociale che vada nella direzione di una più equa distribuzione delle risorse materiali
e psicologiche fra i membri della comunità.
Definizione complessa: Ps. di Comunità è una disciplina accademica (nel senso che studia i fattori
che possono avere influenza sul benessere dell’individuo studiando l’ambiente che lo circonda) e
una professione di aiuto (che contestualizza le teorie apprese con la ricerca cercando di far
diventare le persone consapevoli e responsabili dei processi di promozione del loro benessere).
CHE COS’E’ LA PSICOLOGIA DI COMUNITA’?
La vita ci pone di fronte a delle problematiche come i cambiamenti climatici, un disabile in
famiglia, figlio ossessionato dallo smartphone. Tutto questo può avere conseguenze come
l’aumento del tasso di suicidi o l’aumento della povertà. La psicologia della comunità tenta di
trovare un nuovo modo di pensare ai problemi sociali. Essa mira al cambiamento sociale come
strumento per ridurre le inuguaglianze e per creare giustizia sociale tra i gruppi di una comunità,
cercando di anticipare gli esiti negativi di alcuni percorsi di sviluppo. Si occupa di individuare
sperimentare strategie professionali per affrontare i problemi di una comunità che hanno rilevanti
implicazioni comportamentali e psicologiche, usando strumenti e strategie di cambiamento basate
sulla persona, per renderla più in grado di adattarsi alle condizioni sociali.
Mission della disciplina
a) aiutare le persone a diventare consapevoli del ruolo che hanno, le condizioni in cui vivono, nel
determinare la loro salute e il loro benessere;
b) aiutarle ad unirsi affinché attivino e diventino protagoniste di processi di cambiamento delle
loro condizioni di vita.
Dimensione Collettiva: L'interesse della psicologia di comunità è rivolto verso l'interdipendenza tra
le componenti contestuali e quelle individuali, nel tentativo di comprenderne la loro dinamica
transazionale (interazioni reciproche) e capire quali condizioni favoriscano lo sviluppo individuale.
Per correggere tale tendenza individualistica, la psicologia di comunità parte dall'assunto che il
comportamento delle persone possa essere meglio compreso se studiato in relazione ai contesti
sociali che caratterizzano la sua vita quotidiana.
Oggetto di studio: Le problematiche vanno studiate in relazione ai contesti di vita in cui è collocato
l’individuo. L'oggetto di studio viene infatti collocato nell'interfaccia fra la persona e l'ambiente,
creando una nuova unità di analisi e di intervento che può essere definita persona-nel-contesto.
Interdisciplinarità: crea ponti con altre discipline, talvolta distanti dal suo approccio ed estranee
alla psicologia e alle professioni d’aiuto (es. economia, urbanistica), ma che possono risultare utili
per comprendere appieno i contesti di vita.

La psicologia di comunità è caratterizzata da un'ottica proattiva, infatti cerca di intervenire prima


dell'insorgere dei problemi al fine di prevenire il disagio e promuovere il benessere delle persone.
Situa il problema delle possibili minacce alla salute dell’individuo dentro l’ambiente sociale. Si
concentra sulla salute.
La psicologia clinica invece è caratterizzata da un’ottica reattiva, intervenendo quando l’individuo
ha sviluppato già una qualche forma di malessere. Inoltre, situa il problema della salute mentale
dentro l’apparato emotivo/cognitivo individuale o tuttalpiù familiare. Si concentra sulla malattia.

Similarità/differenze con psicologia clinica


-Condividono:
1) finalità (raggiungere il benessere delle persone)
2) creazione alleanza terapeutica
-Si differenziano per:
1) ottica proattiva vs. ottica reattiva
2) problemi situati nei contesti vs. problemi situati negli individui
3) focus sulla salute e sulle risorse vs. focus sulla malattia
4) alleanza terapeutica più simmetrica vs. più asimmetrica
5) contesti di vita delle persone vs. setting terapeutico

1.2 I Valori della psicologia di comunità: la psicologia di comunità, in quanto disciplina orientata al
cambiamento sociale, fonda teoria, ricerca e azione sia sulle evidenze empiriche che sui valori:
questi ultimi dicono alla scienza come dovrebbe essere la comunità ideale, la scienza indica quali
metodi utilizzare per arrivare al cambiamento sociale a partire dalle condizioni attuali.
Mayton e Loges definiscono i valori come una serie di credenze che sostengono la superiorità di un
determinato modello di condotta, o di alcune finalità di vita, rispetto a modalità alternative.
I valori di questa disciplina possono essere raggruppati in 3 categorie sulla base della sfera del
benessere che mirano ad incrementare (anche se i vari valori operano in maniera sinergica):
-Valori personali sono quelli che permettono il raggiungimento del benessere a livello individuale,
nei singoli membri della comunità, e sono rappresentati dall'autodeterminazione (autonomia nel
perseguire i propri obiettivi/controllo), salute (benessere generale), cura e interesse (permettono
di soddisfare i bisogni come empatia, attaccamento e solidarietà);
-Valori relazionali sono quelli che consentono di congiungere la sfera individuale a quella
collettiva e sono rappresentati da collaborazione e rispetto per la diversità. Collaborazione:
mediare tra diversi punti di vista, senza far primeggiare gli interessi di un gruppo; Rispetto per le
diversità: accettare il diritto di ogni persona di avere un’identità sociale unica.
-Valori a livello collettivo che promuovono il benessere sono quelli che assicurano un'equa
distribuzione delle risorse all'interno della comunità e che ne garantiscono l'accesso a tutti i
membri. La giustizia e la responsabilità sociale nei confronti dei gruppi svantaggiati, e il sostegno
alle istituzioni sanitarie, educative e sociali, costituiscono valori centrali per la promozione del
benessere a livello di comunità.
È importante che vi sia interdipendenza ed equilibrio tra i valori. Fondamentale deve essere il
principio di inclusione, ovvero rispetto per le diversità, sostiene il diritto di ogni persona di essere
unica e di non essere giudicata sulla base di uno standard convenzionalmente accettato.
I professionisti devono essere in grado di garantire il benessere dei gruppi svantaggiati presenti
nella comunità. Bisogna garantire un buono stato di salute e la possibilità di conseguire i propri
obiettivi di vita. L’inclusione però confligge con i sentimenti di appartenenza.

1.3 Principi guida


Il modo in cui i problemi vengono definiti e affrontati dipende da una serie di principi su cui si
fonda la psicologia della comunità, che costituiscono l’espressione concreta dei valori
precedentemente considerati e rappresentano una guida per la ricerca e l’intervento.
I diversi principi sono: metafora ecologica; prevenzione e promozione; empowerment.
La metafora ecologica: secondo cui l’individuo non può essere compreso solo analizzando i suoi
processi base (cognizione, percezione, emozione), ma in relazione all’ambiente. Inoltre, le
comunità sono sistemi composti da vari livelli interconnessi tra loro e il comportamento delle
persone può essere meglio compreso quando viene studiato in relazione a molteplici livelli
d'analisi. I problemi vengono quindi considerati come il risultato dell'interazione nel tempo fra
individui, setting e sistemi e possono essere affrontati attuando cambiamenti nei contesti di vita e
promuovendo le capacità delle persone di utilizzarne le risorse.
Prevenzione e promozione: Affrontare i problemi di salute prima che questi insorgano. La
promozione del benessere e la prevenzione delle forme in cui si esprime il disagio, possono essere
realizzate nei diversi livelli ecologici. Inizialmente era rivolta solo al miglioramento delle
competenze individuali, ma può essere rivolta alla modificazione della comunità e alla promozione
del benessere attraverso i cambiamenti nelle politiche pubbliche (veto vendita di cibo spazzatura)

Adottare un approccio basato sulla prevenzione del disagio e sulla promozione del benessere
significa porsi in un'ottica proattiva, valutando i bisogni della comunità e promuovendo le risorse
dei suoi membri.
Empowerment: Rappaport, con l'introduzione del concetto di empowerment, propone un
approccio al lavoro di comunità centrato sul rafforzamento del senso di controllo che le persone
hanno sugli eventi della loro vita, in cui lo psicologo lavora con le persone svantaggiate per
promuoverne la capacità di autodeterminazione. A livello individuale è essenziale esercitare un
certo grado di influenza sulla propria vita; anche a livello relazionale è importante sperimentare
potere, infatti la relazione tra chi realizza gli interventi e chi li riceve dovrebbe essere basata sulla
collaborazione finalizzata ad un obiettivo comune; a livello collettivo, una prospettiva ancorata al
principio del potere mette in evidenza come gran parte dei problemi sociali derivino, da situazioni
di ineguaglianza, sia dal punto di vista economico che dal punto di vista dei meccanismi decisionali
attraverso la partecipazione.

Competenze Marker professionali dello psicologo di comunità


La professione dello psicologo di comunità: La varietà degli ambiti in cui un professionista e uno
psicologo di comunità lavora richiede competenze molto eterogenee tra loro. Risulta che
l’interdisciplinarietà e la collaborazione con altri saperi e ambiti sono parte integrante dell’attività
professionale.
Lo psicologo di comunità deve:
I° livello: - conoscere i principi base (prospettiva ecologica) e saperla applicare; usare il principio
l’empowerment sostenendo gruppi marginalizzati; tener conto delle implicazioni etiche delle
proprie azioni; raccogliere ed elaborare dati; gestire gruppi di ricerca-azione partecipata; insegnare
le life skills; parlare in pubblico; fornire feedback.
II° livello (più autonomia): - conduzione di assessment di comunità; progettazione di interventi
tramite mobilitazione delle risorse; problem-solving; ascolto riflessivo; supervisione;
partecipazione alla comunità.
III° livello (networking): ricerca di finanziamenti; gestione dei contatti con gli enti; creazione di
partnership; collaborazione con istituti e università; leadership; facilitazione delle organizzazioni
verso il raggiungimento di obiettivi.
Esempio operativo all’interno di una comunità:
Dopo una prima fase di definizione degli obiettivi della prestazione con la committenza il compito
principale del professionista sembra essere quello di individuare gli strumenti utili e adeguati allo
studio delle caratteristiche della comunità che gli permetta di comprenderne i bisogni e le risorse e
stabilire come rispondere alle richieste della committenza. Ciò che contraddistingue uno psicologo
di comunità è la mancanza di risposte preconfezionate e una conoscenza approfondita degli
strumenti appropriati per trovare le risposte insieme ai membri della comunità, inoltre si devono
sottolineare competenze volte alla diffusione delle informazioni affinché possano essere utilizzate
per progettare interventi efficaci che agiscano su quelli che sono stati identificati come i problemi
principali all’interno della comunità dai membri che ne fanno parte. Si nota quindi una fusione tra
competenze e saperi molto diversi (modelli teorici della psicologia che identificano i fattori di
rischio e di protezione che guidano l’intervento e la conoscenza della comunità stessa) e risulta
evidente come la compenetrazione di saperi diversi renda il sapere professionale sensibile alle
esigenze degli utenti.
Nelson e Prilleltensky parlano di depowerment ossia la capacità di tenere in considerazione il
sapere non professionale e di integrarlo con le conoscenze scientifiche. Il ritratto dello psicologo di
comunità che emerge dalle riflessioni effettuate delinea infine un professionista in grado di
operare in contesti molto diversi tra loro con una forte connotazione valoriale e capace di far
convergere le esigenze di attori molto diversi tra loro. Si sottolinea come risulti naturale la
coerenza tra la pratica professionale dello psicologo di comunità e la relativa vita privata.
Uno psicologo di comunità deve, quindi, saper gestire processi, più che possedere conoscenza di
fenomeni specifici
Capitolo 2: Le Origini
Le radici. Durante e dopo la seconda guerra nel mondo universitario nordamericano, avviene
l'apertura della psicologia accademica verso l'intervento sociale e verso la psicologia clinica.
Durante la II guerra mondiale vi era un predominio comportamentista, gli psicologi iniziano a
occuparsi di selezione e formazione dei soldati, propaganda politica.

Nello stesso periodo Lewin, in contrapposizione al tradizionale approccio scientifico di laboratorio,


teorizza la partecipazione attiva dello sperimentatore alle ricerche e la necessità di occuparsi di
problemi reali che interessano le persone. Fra i vari eventi decisivi ad aver favorito la nascita della
psicologia di comunità, oltre alla psicologia clinica, dove vi era il bisogno dei reduci di cure diverse
dalla classica relazione terapeuta-paziente, ci sono le varie riforme promosse da Kennedy e
Johnson (anni 60):
-il community mental health center act riorganizza in chiave comunitaria il sistema sanitario
relativo alle cure psichiatriche stabilendo il principio della territorialità dei servizi alle persone,
provocando la riduzione dei ricoveri presso gli ospedali psichiatrici, agevolando il ricovero presso
l’abitazione di residenza;
-la war on poverty prevede riforme in senso socio-assistenziale; il governo istituisce programmi di
compensazione per bambini svantaggiati, disoccupati e tossicodipendenti. Tra questi ricordiamo il
programma Head Start (istituito che forniva a bambini dell’asilo e famiglie provenienti dai ceti più
svantaggiati, dei servizi comprensivi di educazione, salute e nutrizione.) Attività variegate:
sostegno emotivo e sociale; educazione alla salute e alla nutrizione con screening, check-up
sanitari; sostegno alla famiglia; sostegno all’apprendimento
3 esempi di diverse modalità di implementazione:
- EARLY HEAD START→ promozione di un salubre funzionamento familiare e sul rinforzo di un
positivo sviluppo dei bambini fino a 3 anni.
- HEAD START→ aiuta a creare uno sviluppo salutare in bambini di basso status socioeconomico
dai 3-5 anni; programma offre servizi personalizzati che mirano ad influenzare tutti gli aspetti della
crescita e apprendimento del bambino.
- MIGRANT AND SEASONAL PROGRAM BRANCH→ offre assistenza ai figli degli immigrati e dei
lavoratori stagionali.
N.B. Tutti i servizi offerti mirano alla parificazione delle condizioni di accesso alla scuola primaria.

2. La nascita della psicologia di comunità. Uno dei primi atti formali è la riunione di un ristretto
gruppo di psicologi e operatori della salute mentale riuniti a Swampscott nel Massachusetts
durante il quale prende forma e significato l'espressione psicologia di comunità. La psicologia di
comunità invita a ricercare anche nell'ambiente sociale la causa dei problemi e le risorse per la
loro risoluzione. Vista come Rivoluzione Nasce nel 1965, favorita dai cambiamenti del tempo. Può
essere considerata come la terza rivoluzione nell’ambito della salute mentale.
-Rivoluzioni nell’ambito della salute mentale
I: follia = malattia
II: problemi comportamentali e dell’umore hanno origine psicologica
III: cause e risorse di problemi nell’ambiente sociale
Anime della PdC:
La COMUNITÀ’ entra nella psic. clinica come luogo in cui si generano e manifestano le patologie e
all’interno della quale possono essere risolte in chiave preventiva. Paradigm Shift: Dalla Cura alla
Prevenzione nei primi anni si limita ad occuparsi della malattia mentale, usando il modello medico
e l’azione sul singolo. Dagli anni ’70 si sviluppa un’altra anima della psicologia di comunità che si
svincola sempre più dal trattamento della patologia psichica, orientandosi verso problematiche
sociali più generali. Secondo questa prospettiva gli oggetti di studio e di intervento della psicologia
di comunità sono gli individui in situazione e l’obiettivo principale delle ricerche degli interventi è il
cambiamento sociale complessivo.
La psicologia di comunità pone l’accento sulle influenze dei contesti di vita quotidiana, del
sistema pubblico dei servizi e di quello legislativo. L’attenzione ai fenomeni collettivi impone un
avvicinamento alla disciplina ad altre come la salute pubblica, l’epidemiologia, la sociologia e
l’antropologia → interdisciplinarità.

(Quadro 2.2) MODELLO DI DOHRENWEND: risultano importanti le ricerche di Dohrenwend e


Dohrenwend sulla relazione tra classe sociale e disturbi mentali: hanno introdotto un modello che
ha spostato l'accento relativo all'eziologia dei disturbi dalle caratteristiche individuali alle
caratteristiche di alcuni gruppi sociali come i poveri. Passaggio dall’attenzione per il sintomo
all’interesse per le condizioni sociali (povertà, svantaggio sociale, tensioni etniche ecc.) che lo
creano.
Il modello, oltre a mettere l'accento sull'interazione fra fattori contestuali e individuali nello
sviluppo della patologia, pone particolare interesse al concetto di stress psicosociale.
Un secondo aspetto rilevante è quello di permettere ai professionisti della salute mentale di
pensare ad interventi che possano essere attivati prima che un individuo cerchi aiuto.
Un terzo aspetto pone l'accento sulla possibilità di concentrarsi sui singoli individui, ma anche su
interventi che si occupino dell'ambiente più allargato.
All'interno di questa visione ecologica del disagio, la crescita dell'intera comunità diviene dunque
un obiettivo fondamentale. Questo risultato è ottenibile grazie alla ridistribuzione delle risorse
mediante la promozione della partecipazione attiva delle persone e la condivisione del potere.

Sarason (psicologo allo Yale USA) in riferimento alla “seconda anima”, ovvero ai problemi più
generali, introduce il concetto di senso di comunità, inteso come sentimento di appartenenza e di
partecipazione attiva degli individui alla vita comunitaria. Sarason distingue il concetto di comunità
da un aggregato casuale di persone e lo definisce come la percezione di similarità con gli altri, un
accresciuta interdipendenza, una disponibilità a mantenere quest'ultima offrendo o facendo per
gli altri ciò che ci si aspetta da loro, la sensazione di essere parte di una struttura pienamente
affidabile e stabile.
Il cambiamento funzionale alla crescita passa attraverso l'incremento del senso di comunità. Uno
degli elementi costitutivi del senso di comunità è la disponibilità a dare agli altri; infatti, l'idea di
comunità intende esprimere il senso di una vita sociale fondata su rapporti più spontanei, meno
diretti dal calcolo dell'utilità dello scambio, più ricchi di affetti, solidarietà e sostegno.

Sarason elabora il concetto facendo riferimento a 3 dimensioni: le prime due sono la percezione di
similarità e di interdipendenza con gli altri, ovvero il riconoscimento negli altri individui della
comunità (similarità) e la consapevolezza dei legami inevitabili tra il proprio agire e l'agire altrui
(interdipendenza). La terza dimensione è invece un vissuto di appartenenza ad una struttura
affidabile e stabile, ovvero il riconoscimento della comunità stessa come contenitore che
racchiude e accomuna i membri appartenenti (chiaro riferimento alla dimensione relazionale della
comunità.) Vi è inoltre la disponibilità a dare agli altri.

SENSO DI COMUNITA’: “la percezione di similarità con gli altri, un’accresciuta interdipendenza con
gli altri, una disponibilità a mantenere questa interdipendenza offrendo o facendo per gli altri ciò
che ci si aspetta da loro, la sensazione di essere parte di una struttura pienamente affidabile e
stabile” (Sarason, 1974, pp. 157).

(Quadro 2.3) Mc Millan e Chavis definiscono il senso di comunità come un sentimento che gli
individui hanno di appartenere o essere importanti gli uni per gli altri e una fiducia condivisa che i
bisogni dei membri saranno soddisfatti dal loro impegno ad essere insieme. Gli autori propongono
quattro fattori del senso di comunità:
- l'appartenenza (il senso di avere investito parte di se stessi nella comunità e di appartenervi)
- l'influenza (il potere che i membri esercitano sul gruppo e il reciproco potere che le dinamiche di
gruppo esercitano sui membri)
- l'integrazione e soddisfazione dei bisogni (i valori condivisi dai membri come anche lo scambio di
risorse e la soddisfazione individuale dei membri)
- connessione emotiva condivisa (un legame spirituale, basato sulla condivisione di storie tra i
membri della comunità).
Studi hanno dimostrato come il senso di comunità risulti legato in generale a: un alto livello di
benessere individuale, agli effetti piacevoli, all’autoefficacia e a più bassi livelli di solitudine e ritiro
depressivo; il senso di comunità è anche in relazione con la capacità individuale di risolvere
problemi e fronteggiare gli eventi stressanti. La limitazione di questo modello è quella di non avere
trovato riscontri accettabili a livello empirico.

Anni ’80: periodo di crisi della psicologia di comunità in parte dovuto a drastici tagli alle politiche
sociali operati dal governo Reagan e in parte al mutamento del clima socio-culturale che ribalta
drasticamente il successo individuale a sfavore di quello collettivo. Per tale ragione la disciplina si
vede costretta in questo periodo ad elaborare interventi in chiave meno critica e radicale verso i
problemi sociali. In questo periodo gli psicologi di comunità aprono il loro campo d’azione a settori
applicativi rilevanti, anche nel contesto italiano:
- Valutazione di interventi nel sociale e nei programmi di prevenzione;
- La consulenza ai gruppi spontanei e ai gruppi di auto-muto-aiuto;
- Il lavoro di rete e la promozione del coordinamento tra enti pubblici diversi;
- La consulenza alla programmazione e lo sviluppo di interventi nella scuola.

La disciplina quindi non si è limitata solo a criticare ed evidenziare i limiti del tradizionale modello
medico- clinico nel trattamento di malattie psichiche, ma si è proposta di estendere le categorie, i
costrutti e le evidenze empiriche della ricerca psicosociale per risolvere problemi tra i quali:
povertà, discriminazione, diseguaglianze e ingiustizie sociali.
Riconoscimento formale. Dal ‘66 in America APA American Psychological Asssociation iniziano a
comparire le prime riviste di psicologia di comunità. Negli anni 70 nascono le prime riviste in
America ed incontri di comunicazione ed aggiornamento tra psicologi.

3. Lo specifico del contesto italiano.


La psicologia di comunità nasce in Italia nella seconda metà degli anni ’70 in ambito medico, specie
nel settore delle malattie mentali. Cambia il tradizionale approccio alla malattia, volgendo
l’attenzione alle condizioni di vita dei pazienti.
Lo specifico del contesto italiano: dieci anni dopo che Basaglia documentò le condizioni di vita dei
manicomi, nacque la legge Basaglia, che sancirà l'apice di un decennio di grandi riforme legislative,
iniziate con lo statuto dei lavoratori e proseguite con la legge che istituiva le unità territoriali di
riabilitazione e la legge che istituiva le forme di partecipazione diretta alla vita della scuola da
parte di studenti e genitori (nascono consultori familiari, e si sviluppa legge su interruzione
gravidanza). Ultimo importante atto di questa impegnativa serie di riforme è quello che riguarda la
creazione delle unità sanitarie locali che prevedevano forme di partecipazione dei cittadini agli
organi di gestione. La sanità diventa perciò un sistema universale e un diritto garantito a tutti.
Nello stesso periodo ricordiamo la pubblicazione del volume scritto da Donata Francescato: in tale
volume vengono descritti i presupposti che hanno dato avvio alla disciplina negli Stati Uniti.
La psicologia di comunità inizia a muovere i primi passi a Brescia e, nel primo decennio, si assiste
ad una forte interazione tra professionisti ed accademici che riescono ad organizzarsi anche
formalmente con una divisione specifica all'interno della società italiana di psicologia.
Lo sviluppo della psicologia di comunità italiana è legata a fattori contestuali, in particolare a due
trasformazioni che riguardano la psicologia:
- Riforma universitaria: il corso di laurea passa da 4 a 5 anni: dopo biennio, un triennio di
psicologia clinica e di comunità;
- La progressiva istituzione di molti nuovi corsi di laurea in psicologia in diverse università italiane
causano la necessità di formare nuovi docenti e ricercatori.
Nel 1994 viene fondata la Società italiana della psicologia di comunità con lo scopo di essere
riferimento identitario per chi studia e lavora in questo settore è la rivista italiana di Psicologia di
Comunità.

Capitolo 3: La metafora Ecologica


Il ruolo del contesto nel benessere delle persone. Diversi studi dimostrano che i paesi in cui le
persone si aspettano dai concittadini dei gesti di solidarietà (restituire il portafoglio), sono più
felici. Anche vivere nei piccoli centri, anziché nelle grandi città, sembra essere fattore di maggior
felicità. I luoghi dove le istituzioni mirano al benessere e alla felicità dei cittadini sono quei paesi
dove vengono promosse le relazioni armoniche e gli spazi affinché queste possano avvenire, ad
esempio creando aree pedonali e aree dove i cittadini possano riappropriarsi dei loro spazi.
Quindi ambiente e caratteristiche sociali giocano uno dei ruoli cruciali nell’ecosistema del nostro
benessere.
Che cosa è in grado di promuovere o ostacolare il nostro benessere?
I fattori individuali sono tutti quegli aspetti che coinvolgono direttamente l'individuo (capacità di
gestione delle situazioni, memoria, competenze); i fattori contestuali invece riguardano tutto ciò
che ci influenza dall'esterno (famiglia, amici, istituzioni - Possiamo contare sul loro aiuto?)
Ogni fenomeno è determinato da entrambi i fattori e dipende dalla relazione tra individuo e
contesto. L’ecosistema del nostro benessere è l’ambito di studio dello psicologo di comunità. Nella
lettura dei fenomeni e dei contesti, lo psicologo di comunità utilizza un approccio ecologico
considerando contemporaneamente fattori individuali e contestuali. L'attenzione congiunta
all'individuo e ai contesti di vita, ovvero l'individuo nel contesto, permette di cogliere e analizzare
la complessità dei fenomeni sociali e di rispondervi con azioni adeguate.

Ecologia del benessere: la metafora ecologica. Cosa significa lavorare con un approccio ecologico?
La ricerca studia l’individuo nel contesto attraverso l’analisi di fattori individuali e contestuali;
inoltre attua interventi che si propongono di modificare ambiente e relazioni tra individuo e
contesto al fine di promuovere il benessere umano.
La metafora ecologica serve a descrivere la complessa interazione individuo-sistema sociale; si
basa sull'idea che l'ambiente e i diversi contesti di vita in cui ciascuno è inserito esercitino
un'influenza significativa sul comportamento individuale ed assume che le persone possano
spiegare e controllare il proprio comportamento attraverso una maggiore comprensione delle
influenze ambientali specifiche.
Guida per ricercatori e professionisti della pdc:
• È necessario modificare il contesto per promuovere il benessere laddove sia necessario;
• Per decidere cosa modificare bisogna capire quali caratteristiche siano associate a maggiore o
minore benessere individuale..
• … studiando le caratteristiche contestuali di partenza e valutando le risorse disponibili;
• Quando un contesto viene modificato, tutti beneficiano del cambiamento, anche chi non
direttamente interessato ma che ha contatti con gli interessati.
Vedi esempio di analisi dei contesti su attività fisica (imitazione comportamento Bandura ma
anche sistema di norme sociali che ci indicano i comportamenti accettati in un determinato
gruppo, come famiglia e amici)

Le diverse teorie ecologiche nelle scienze sociali (mappa per gli ambienti di vita).
A) LEWIN, il comportamento come funzione dell’interazione delle caratteristiche personali e
ambientali. Tramite la “teoria del campo”, Lewin ha sviluppato un metodo di analisi dei problemi
sociali; la teoria si basa sul presupposto che qualsiasi cambiamento o comportamento entro un
campo psicologico dipenda dalla particolare e peculiare configurazione di quel campo psicologico
in quel dato momento (il comportamento dipende dallo spazio di vita, inteso come relazione tra la
persona e l'ambiente psicologico percepito dalla persona). Ambiente influenza individuo, ma
dipende dal modo in cui individuo percepisce ambiente.
A partire dalla teoria di Lewin sono nate molte teorie ecologiche.

B) BAKER: L'espressione “psicologia ecologica” si deve a Baker che negli anni ‘40 diede inizio ad
una serie di studi sulla relazione individuo-ambiente in condizioni naturali attraverso il metodo
osservativo individuando pattern di osservazione stabili che sono indipendenti dalle persone
coinvolte in quanto derivano da configurazioni spazio-temporali di un dato ambiente, coniando
l’espressione “setting comportamentale”: in chiesa si parla a bassa voce.
Tale sincronia è sinomorfica, ovvero deriva dalla struttura fisica dell’ambiente, delle pressioni
sociali al conformismo e dalla selezione degli individui. Teoria del dimensionamento relativo, in
cui setting sottodimensionati offrono agli abitanti maggiori opportunità rispetto a setting
sovradimensionati.

C) BRONFENBRENNER, ecologia del benessere a vari livelli.


Urie Bronfenbrenner ha cercato di ampliare il costrutto di ambiente ecologico; per comprendere il
comportamento umano è necessario analizzare il comportamento di più persone in interazione.
L'interesse è quindi rivolto al progressivo adattamento tra l'essere umano in crescita e l'ambiente
quotidiano e sociale. L'autore rappresenta l'ambiente ecologico come una serie ordinata di
strutture concentriche incluse l'una nell'altra.
I° microsistema (relazioni dirette individuo setting: come contesto familiare, luogo di lavoro);
II° mesosistema (rete di microsistemi in cui l’individuo è inserito, come interazioni tra famiglia,
amici, gruppi e contesto scolastico);
III° esosistema (ambienti che influenzano indirettamente il contesto dell’individuo, come il lavoro
dei genitori e la loro rete sociale che influenzano la vita del bambino);
IV° macrosistema (condiziona tutti gli altri sistemi, rappresentato dalle norme sociali, leggi,
credenze che guidano la società allargata, quindi anche sistema economico e politico).
L'autore elabora anche il concetto di "nicchie ecologiche” definite come quelle regioni
dell'ambiente che sono particolarmente favorevoli o sfavorevoli per lo sviluppo di individui che
hanno determinate caratteristiche.

D) KELLY, i principi dell’ecologia.


Popolazione: Individui con stessi interessi o caratteristiche
Comunità: Area geografica, in cui individui hanno interessi simili
Ecosistema: Comunità allargata, oltre confini geografici
Biosfera: Sistema politico, sociale ed economico, che governa le città
Kelly individua 4 principi in grado di supportare l'operatore e il ricercatore nella creazione di
interventi in una comunità e nella descrizione tra i diversi livelli d'intervento:
• interdipendenza (i membri di un'unità sociale sono in un rapporto di reciproca
interdipendenza e interazione; i cambiamenti che hanno luogo in un ambiente, ricadono anche
sugli altri ambienti che vengono a contatto col primo);
• circolo delle risorse (ogni intervento implica un cambiamento nel modo in cui le risorse sono
distribuite, bisogna quindi analizzare ed investire queste risorse su cambiamenti innovativi ed
efficaci nel promuovere il benessere all'interno del sistema);
• adattamento (tra individuo ed ambiente; non esiste un ambiente che non eserciti effetti sul
comportamento umano attraverso la presenza di risorse specifiche. L'ambiente è in grado di
contrastare o facilitare certi comportamenti e può essere plasmato per andare incontro alle
esigenze dei cittadini).
• successione (l'ambiente non è statico, ma è in continua trasformazione; un cambiamento
nell'ambiente può creare situazioni più favorevoli per una popolazione e meno per un'altra).
3.5 Definire gli ambienti a vari livelli ecologici: modello di analisi e di intervento.
Un individuo è parte di numerosi contesti. La prima competenza dello psicologo di comunità è
quella di riuscire a identificare le caratteristiche dell'individuo e del contesto che possono
determinarne il benessere.
Ecco i 5 livelli di analisi dove è possibile cogliere informazioni relative al fenomeno oggetto di
studio e identificare le linee guida ed ipotesi di intervento.
1) Livello individuale
L'interesse è centrato su diversi aspetti:
• I fattori organico-ereditari e demografici: tutte quelle caratteristiche che connotano un
individuo (genere, età, etnia); nonostante queste caratteristiche individuali siano
immodificabili, è comunque utile a livello di analisi, avere informazioni a riguardo perché
permettono di individuare gruppi maggiormente a rischio per un fenomeno. A livello di
intervento possiamo trarre da queste informazioni delle indicazioni sulle priorità
dell'intervento.
• Le competenze e abilità: comprendere quali abilità, conoscenze, credenze possiedono i
soggetti, e soprattutto quali di questi aspetti si legano maggiormente ai fenomeni di interesse
risulta centrale per definire il problema e per la prevenzione dello stesso. A livello di intervento
si potrebbero implementare attività volte a potenziare abilità sociali e individuali ecc...
• Fattori comportamentali e stile di vita: ci si concentra su cosa fanno le persone e come i diversi
comportamenti interagiscono tra di loro. A livello di intervento, si può pensare ad attività
generali sui singoli comportamenti ma solitamente si ricerca un'azione indiretta, modificando
fattori individuali e contestuali in grado di limitare i comportamenti adeguati.

2) Microsistema (sostegno sociale)


Per microsistema si intendono tutti quei contesti di vita e le persone con cui ha un contatto
diretto. La connessione tra individui e microsistema avviene attraverso la creazione di relazioni
sociali, che implica l'assunzione di ruoli sociali.
In generale si parla di rete sociale di ogni soggetto, e se ne può analizzare la struttura (ampiezza,
densità), la relazione (simmetria, reciprocità, vicinanza) e la funzione (il sostegno sociale).
È necessario comprendere le caratteristiche di ogni sottogruppo della rete sociale al fine di
potenziare o modificare la rete e favorire un buon clima, promuovere il sostegno sociale e la
comunicazione fra microsistemi.

Livello Organizzazione Meso


Si intende un insieme strutturato di microsistemi come ad esempio la scuola, il lavoro, i servizi
sociosanitari ecc... Gli individui, solitamente, partecipano tramite il microsistema alla vita di queste
organizzazioni. A tale livello di analisi si possono osservare sia le caratteristiche strutturali
(grandezza), che quelle organizzative (regole), sia il clima organizzativo (relazioni al suo interno). A
livello di intervento si potrebbero apportare modifiche sia a livello strutturale, sia a livello
organizzato che a livello relazionale.

Livello Comunità Eso


Si tratta di comunità sia nel senso geografico (quartiere, comune, città) del termine, sia in termini
di interconnessione tra individui e territorio. La comunità viene intesa come una vasta rete di
organizzazioni: comprendere come queste organizzazioni interagiscono, quali offerte comuni o
contrastanti sono presenti, come si attivano per risolvere i problemi appare rilevante. L'intervento
a questo livello dovrebbe essere rivolto alla creazione e/o potenziamento di gruppi e di reti tra
organizzazioni presenti nel territorio che favoriscano l'aggregazione per il raggiungimento di
obiettivi comuni.
Livello Macrosistema
Include i precedenti: È costituito dalle istituzioni nazionali e sovranazionali, ma racchiude anche le
condizioni economiche, culturali, politiche e sociali di un dato territorio. A tale livello è importante
considerare sia l'impatto politico sia l'impatto mediatico. Risulta fondamentale l'approfondimento
delle credenze culturali, le tradizioni, le leggi e le infrastrutture ideologiche, culturali, che sono in
grado di influenzare la vita quotidiana delle persone. A livello di analisi si procederà con lo studio
delle politiche nazionali ed internazionali, cercando di approfondire il loro impatto sulla vita
quotidiana delle persone. A livello di intervento è possibile creare tavoli di lavoro con politici e
cittadini per proporre modifiche legislative.

- Il sostegno sociale è la funzione principale della rete sociale(insieme di individui, gruppi o


istituzioni con cui entriamo in contatto e possiamo contare), è l'aiuto che posso ricevere dalle
persone che mi stanno accanto, e può essere: strumentale (aiuto concreto che posso ottenere
dalle persone che mi stanno accanto), emotivo (il sostegno affettivo che ricevo dalle persone e
può esprimersi attraverso ascolto, attenzione, affetto, consolazione, incoraggiamento),
informativo (si esplicita nei consigli e nelle informazioni che altri mi possono dare), affiliativo
(deriva dal fare-sentirsi parte di gruppi o associazioni).
- Possiamo inoltre distinguere tra sostegno diretto (dalla propria rete sociale) o indiretto; sostegno
formale (istituzioni) o informale (amici, parenti etc); ricevuto o percepito (non sempre chi riceve
aiuto è in grado di percepirlo, in questo lo psicologo può essere d’aiuto).
- Il lavoro di intervento può vertere su: riorganizzazione dei sistemi di sostegno, allentamento di
specifici legami, reperimento di nuove risorse, costruzione o ricostruzione della rete sociale,
contattare gli irraggiungibili (operatore di strada).
- Il legame fra sostegno e salute, può essere descritto da due modelli: il modello diretto (ad un
maggior sostegno sociale si associano maggior benessere e salute psicofisica) e il modello
indiretto o tampone (l'effetto negativo sul benessere di situazioni stressanti verrebbe tamponato
o mitigato dal sostegno sociale).
Modifiche a tale livello comportano benefici maggiori che coinvolgono tutti i soggetti compresi nel
microlivello. Gli interventi possono essere mirati a potenziare o modificare la rete sociale, a
contrastare credenze errate del gruppo rispetto al fenomeno oggetto di studio e favorire un buon
clima sociale.

Analisi e intervento a diversi livelli


• Non confondere il livello di analisi e intervento con il setting (il luogo) in cui questo avviene
• Livello e setting possono non coincidere
Ad ogni livello di analisi è possibile individuare fattori in grado di promuovere o limitare il
benessere dell’individuo o di un gruppo di persone. Lo studio e l’analisi di quali siano i fattori
prioritari guida successivamente la scelta delle azioni che verranno effettuate.
1) Analisi della letteratura esistente: permette di conoscere i fattori che la comunità scientifica
considera come rilevanti rispetto al problema. Necessità di approfondire le linee guida e i criteri e
le recenti strategie. Limite: non sempre ciò che viene evidenziato in letteratura è applicabile al
contesto storico e culturale di interesse.
2) Approccio epidemiologico: permette di conoscere come si distribuisce un fenomeno particolare
entro una popolazione, qual è la sua prevalenza. Queste informazioni supportano lo psicologo di
comunità nell’identificazione delle fasce della popolazione maggiormente a rischio.
3) Analisi delle ricerche locali già implementate: permette di approfondire a livello territoriale quali
ricerche sono già state svolte e a quali risultati hanno condotto. Tali ricerche presentano una
maggiore attenzione al contesto culturale specifico e possono quindi fungere da sostegno
importante. Limite: non facile reperibilità di queste informazioni.
4) Ideazione ed attuazione di una nuova ricerca: permette di raccogliere nuove informazioni
specifiche rispetto agli obiettivi dell’operatore. Favorisce la conoscenza dei bisogni della comunità
in un determinato momento e consente di raccogliere informazioni rispetto alle variabili più
recenti evidenziate dall’analisi della letteratura.
A livello di intervento si deve cercare di promuovere e potenziare i fattori che risultano protettivi
rispetto ad un potenziale rischio. Agire sugli ambienti permette di intervenire indirettamente sugli
individui raggiungendo un numero più ampio di persone. Tale modalità di intervento garantisce
inoltre maggiori probabilità che il cambiamento dell’individuo si mantenga nel tempo proprio
perché sono state create le condizioni ambientali in grado di sostenerlo. Le potenzialità di un
cambiamento aumentano all’aumentare del numero di azioni svolte e dei contesti considerati. Per
contro va detto che un cambiamento a livello individuale non sostenuto a livello sociale, basato
esclusivamente sulla motivazione intrinseca del soggetto, porterebbe ad un miglioramento
limitato nella vita dell’individuo proprio perché non sono presenti le condizioni di sostegno e le
risorse necessarie per favorire un cambiamento stabile.
Perché si ottenga un miglioramento della salute e del benessere protratto nel tempo e configurato
come risorsa stabile del sistema è necessario, infine, una sinergia tra cambiamento individuale e
sociale.
6 Processi sociali con cui agiscono i contesti (mediazione e moderazione). Tre livelli di analisi e di
processo per descrivere come i diversi contesti di vita influenzano i comportamenti e la vita
quotidiana, ed interagiscono tra di loro:
- Processi di primo ordine: influenze dirette che i contesti di vita hanno sull'individuo (famiglia,
contesto scolastico, parrocchiale, etc); non vi è accordo tra gli studiosi sui meccanismi che
favoriscono il benessere dell’adolescente.
- Processi di secondo ordine: costituiti dalle interconnessioni tra due o più setting all'interno dei
quali la persona partecipa attivamente; i diversi contesti interagiscono e influenzandosi tra loro
provocano ulteriori effetti sull'individuo. A questo livello agiscono diversi fenomeni come: l'effetto
coerenza, che si attiva quando si è esposti a setting contraddistinti da messaggi ritenuti normali,
comuni e condivisi dall'intera comunità, favorendo la presenza e l'apprendimento di determinati
valori e comportamenti. Genitori fumano, amici fumano, per me è normale fumare
Effetto moderazione e mediazione. La varietà di setting frequentati e i rapporti coi vari setting
possono svolgersi in modo differente; quindi, alcuni setting positivi possono mitigare aspetti
conflittuali in altri setting negativi (moderazione); ex. un insegnante comprensivo può moderare
gli influssi negativi dei conflitti familiari. Quando invece alcuni fattori di un contesto plasmano
caratteristiche di altri ambienti di vita che a loro volta influenzano il benessere o comportamento
di una persona, abbiamo un effetto di mediazione (ex quartiere svantaggiato limita il lavoro del
genitore creando stress che si ripercuote sul sostegno del figlio).
- Processi di terzo ordine: sono il prodotto delle interazioni dei vari elementi del sistema
“comunità” e sono la manifestazione di fenomeni che si sviluppano al livello gerarchicamente più
basso. Un esempio è il costrutto di capitale sociale; una comunità caratterizzata da elevato
capitale sociale si contraddistingue per la diffusa presenza di relazioni interpersonali basate sulla
fiducia e sulla solidarietà fra i membri. Ex. Genitore lascia figlio incustodito, perché conta sui vicini.

Il benessere è dunque la risultante di caratteristiche individuali/intrapsichiche, ma anche delle


condizioni di vita e dei processi caratteristici dei diversi contesti di vita. È quindi necessario
lavorare in un’ottica multilivello e rafforzare le interconnessioni tra subsistemi interni alla
comunità.
I principi di Levine
I cinque principi di Levine. Levine propose 5 principi pratici da applicare in psicologia di comunità
partendo dalla metafora ecologica:
1) Un problema sorge in un setting o una situazione. I fattori situazionali causano, innescano,
esacerbano e/o mantengono il problema. Importante quindi conoscere il setting e comprendere
l’adattamento degli individui a questo, lavorando su campo
2) Blocco della capacità adattiva. Un problema sorge perché la capacità adattiva del setting
(problem-solving) è bloccata. Vi è sempre interazione tra individuo e ambiente, le condizioni del
setting (es. presenza o meno di risorse) modificano le abilità del singolo e viceversa.
3) Interventi strategici. Per essere efficace un aiuto deve essere collocato in modo strategico
rispetto all'insorgere del problema. La tempistica dell’intervento è importante, la prevenzione
deve riuscire ad anticipare i fenomeni, inoltre le azioni in un setting devono coordinarsi e non
ostacolarsi.
4) Coerenza tra valori dell’intervento e contesto. Gli scopi e valori dell'operatore o del servizio di
aiuto devono essere coerenti con gli scopi o valori del setting. Ogni setting e ogni operatore ha dei
valori, spesso latenti. Per lavorare insieme i valori devono coincidere e non essere in
contrapposizione: questo creerebbe conflitti.
5) Implementare interventi sistematicamente. La forma d'aiuto deve essere stabilita in modo
sistematico, usando le risorse naturali del setting o mediante l'introduzione di risorse che possono
diventare istituzionalizzate come parte del setting. È importante comprendere e potenziare le
risorse esistenti. Se si creassero cambiamenti o aggiungessero risorse, queste dovrebbero
diventare parte del setting e permanere anche alla fine dell’intervento (es. uso di non
professionisti che vivono nel territorio).

Capitolo 4
PREVENZIONE E PROMOZIONE DEL BENESSERE

Lavorare nella prevenzione significa fare previsioni sui comportamenti futuri di comunità o gruppi
di persone e agire così che alcune cose non avvengano per esempio che le persone non fumino,
non diventino obese o depresse. Il professionista risponde di una serie di dati di partenza che
descrivono la situazione di comunità rispetto a incerto problema, di un insieme di indicatori di
rischio e protezione (individuali, sociali e ambientali) su cui si stimano le probabilità che alcuni
comportamenti si possono verificare in futuro

1. La prevenzione in azione
Vantaggi dell’approccio preventivo in psicologia e il rapporto col trattamento psicologico:
Gli interventi volti alla prevenzione sono scarsi e spesso inutili, talvolta addirittura sortiscono
l’effetto opposto. Semplici incontri informativi (che si svolgono a scuola, per tanti ragazzi), non
danno i risultati per i quali vengono progettati, concentrandosi infatti spesso solo sul livello
individuale. Inoltre, questi servizi riescono a raggiungere una minima parte di cittadini, spesso
lasciando fuori chi ne avrebbe davvero bisogno. Spesso hanno accesso a servizi di aiuto
(psicoterapia) solo persone che hanno le possibilità economiche e il contesto culturale adeguato
ad incentivarli (gruppi di aiuto). È importante distinguere la prevenzione dalla cura, sebbene siano
due aspetti che spesso risultano essere complementari.
2. Livelli e classificazione degli interventi:
Sono cinque le maggiori categorie di fattori connesse alla salute e al benessere:
1. Fattori genetici e fattori biologici (abuso di sostanze perché sistema dopaminergico alterato)
2. Stili di vita come l'uso e l'abuso di sostanze e gli stili alimentari;
3. Assistenza sanitaria;
4. Ecologia e condizioni di vita (ex quartieri in cui viviamo);
5. Caratteristiche sociali della società (Stati con più disuguaglianze, hanno benessere inferiore)
Linee guida per gli operatori della salute. L'OMS raccomanda agli operatori della salute di
concentrarsi:
- sul miglioramento delle condizioni ambientali e sociali di vita delle persone,
- contrastare le ineguaglianze nella distribuzione economica, di potere e delle risorse troppo
concentrate in mano a pochi,
- misurare e comprendere la dimensione dei problemi e misurare gli effetti delle proprie azioni
professionali.
L'obiettivo dell'approccio preventivo è quello di raggiungere molte più persone ed in particolare
quelle bisognose di aiuto.
Principali APPROCCI ALLA PREVENZIONE
1) Classificazione di Caplan distingue tra:
- Prevenzione primaria: volta a ridurre l'incidenza di un disturbo agendo sulla popolazione sana e
quindi prevenendo lo sviluppo di nuovi casi; questo tipo di interventi è orientato a prevenire
l'insorgere di disturbi e patologie;
- Prevenzione secondaria: ha lo scopo di individuare precocemente nuovi casi problematici e di
fornire trattamenti ad uno stadio latente o precoce del disturbo; (Ridurre Prevalenza)
- Prevenzione terziaria: l'obiettivo è quello di ridurre la durata, l'impatto e la cronicizzazione di un
particolare disagio o disturbo. L'idea che un disturbo non debba necessariamente produrre
disabilità e che la disabilità non debba necessariamente diventare handicap è centrale in questa
definizione.
Il limite di questa classificazione è che non riesce a discriminare in maniera netta il confine tra
interventi di prevenzione secondaria e terziaria.

3) Bronfenbrenner consente di considerare le forme di prevenzione a diversi livelli che riportano ai


contesti di vita dell'individuo:
1. Microlivello: progetti che agiscono sulle relazioni diadiche; (genitori-figli)
2. Mesolivello: interventi che puntano a favorire le relazioni tra diversi microlivelli (scuola-famiglia)
3. Macrolivello: azioni che introducono o modificano le norme o l'organizzazione dell'ambiente
socioculturale ampiamente inteso. (migliorare clima scolastico)

4) La più convincente concettualizzazione degli interventi preventivi è quella proposta


dall''Institute of Medicine, che distingue gli interventi preventivi in:
1. Universali: ovvero desiderabili per l'intera popolazione;
2. Selettivi: auspicabili per i sottogruppi della popolazione il cui rischio di sviluppare un qualsiasi
disturbo risulta significativamente maggiore rispetto alla media;
3. Indicati: applicabili cioè a persone che sono state identificate, per alcune caratteristiche
individuali, come portatrici di chiari sintomi o segni prodromici, tali da doverli considerare ad alto
rischio per quanto riguarda lo sviluppo futuro di un determinato disturbo.

Sviluppando la teoria di Durlak di combinare target e livello di intervento si può individuare uno
schema che tiene conto dei 5 livelli possibili di intervento (individuale, di microlivello, di organizza-
zione, di comunità o macrolivello) e dei 3 target (universali, selettivi e indicati) proposti dallo IOM.
– Individuale: Cambiamenti nelle conoscenze, nelle competenze e nelle abilità sociali
– Microsistema: Azione non sul target ultimo ma sulle persone che vi stanno attorno
– Organizzazione: Cambiamento nelle risorse o regole dell’organizzazione o nella gestione
– Comunità: Azioni di sviluppo di comunità, delle risorse
– Macrosistema: Modifiche a livello legislativo o culturale
Esempio: prevenzione al consumo di sostanze: Livelli d’intervento
• Individuale -> Cambiamenti nelle conoscenze, nelle competenze e nelle life skills
• Microsistema -> Cambiamenti nelle relazioni, evitare frequentazioni con coetanei devianti
• Comunità e Macrosistema -> a livello legislativo, no tabacco in luoghi chiusi
Gruppi target dell’intervento (Universale, Selettivo, indicato)
Un intervento per la riduzione della violenza a scuola basato sull’incremento dell’abilità sociale
negli anni potrebbe essere considerato universale sella comunità oggetto di intervento fosse la
scuola e il training per l’apprendimento delle abilità fosse rivolto a tutti i suoi studenti. Ma lo
stesso intervento nella stessa scuola se fosse stato scelto alla fine di un processo che ha permesso
di individuare quelle scuole che nella provincia presentano un alto tasso di diffusione del
fenomeno andrebbe classificato come selettivo perché in questo caso la comunità e la provincia,
ossia la scuola diventa il gruppo selezionato all’interno della provincia perché caratterizzato da più
segnali problematici. Quindi per individuare e classificare correttamente un intervento oltre ad
identificare il problema da prevenire va definita la comunità a cui ci si riferisce ed eventualmente
all’interno di questa vanno definiti i suoi sottogruppi con cui agire.
Bisogna che lo psicologo di comunità tenga conto anche di tutta quella branca della psicologia
dello sviluppo che indaga sui processi di acquisizione e sviluppo delle competenze. I “compiti di
sviluppo” sono comportamenti legati alle aspettative specifiche basate sulle norme sociali. Se
affrontati con successo, possono favorire l’adattamento e l’integrazione in società.
2. Dai fattori di rischio alla promozione di benessere e sviluppo positivo
Per "interventi preventivi" si intendono tutte le azioni rivolte a ridurre la probabilità del verificarsi
di qualche cosa di sgradito. Questo può essere messo in pratica agendo su quei fattori che
aumentano o diminuiscono la probabilità che un disturbo possa manifestarsi.
In letteratura è possibile distinguere fra fattori di rischio (caratteristiche individuali o condizioni
ambientali la cui presenza si associa ad una maggiore probabilità di sviluppare disagio) e fattori di
protezione (caratteristiche individuali o condizioni ambientali che incrementano la probabilità e le
capacità di una persona di adattamento e di mantenere- aumentare uno stato di benessere).
Accanto agli interventi di prevenzione troviamo spesso anche interventi più propriamente definiti
di promozione della salute. Essi si orientano alla creazione di condizioni che permettono o
migliorano una condizione di benessere o sviluppo positivo, e vengono considerati entrambi gli
interventi azioni congiunte.
La contrapposizione tra queste due tipologie di interventi in passato è stata sostenuta da due
approcci: quello dei fattori di rischio e protezione e quello dello sviluppo positivo.
- Fattori di rischio e protezione: considera i comportamenti problematici come il risultato di uno
sviluppo compromesso. L'attenzione è posta sulla presenza di fattori di rischio e la mancanza di
fattori di protezione che determinano una maggiore probabilità di sviluppare problematiche o
disturbi, questi fattori possono essere individuati sia a livello ambientale che individuale. Un altro
costrutto importante nell'ambito della prevenzione è quello di resilienza e si riferisce alla capacità
di un soggetto di "resistere" all'influenza dei fattori di rischio. Il fine di questo approccio è dunque
quello di ridurre la probabilità di incorrere in problematiche.
- Sviluppo positivo: pone l'attenzione sullo sviluppo positivo, inteso come realizzazione del proprio
potenziale e di un positivo ed attivo coinvolgimento con la comunità, promuove il benessere la
salute e quindi il disagio da prevenire e le problematiche passano in secondo piano. Questo
approccio pone l'accento sulle risorse personali e si concentra sulle componenti dello sviluppo
positivo quali: competenza, fiducia, connessione, qualità morali e cura.

Azioni proattive e reattive. La psicologia di comunità tenta di includere prevenzione e promozione


del benessere sotto un ombrello di interventi che cercano di collegarsi tra loro, ma adottando
sempre un’ottica proattiva. (senza aspettare che le persone si rivolgano ai servizi, interventi di
natura selettiva o indicata). Infine, allo scopo di prevenire il deterioramento di situazioni già
compromesse, gli interventi non possono che assumere una valenza reattiva e rispondere dunque
a delle problematiche già conclamate.
3. Cosa funziona di più in ambito preventivo e di promozione.
In campo preventivo si è arrivati a una base di conoscenza delle caratteristiche che i progetti
devono avere, per essere efficaci e per assistere gli operatori nella scelta dei progetti che sono
destinati ad avere maggior successo. Le caratteristiche dei progetti di prevenzione e promozione
efficaci sono:
- La molteplicità dei livelli di azione: interventi a diversi livelli (famiglia, pari, comunità) che hanno
un'influenza sullo sviluppo di un comportamento o di un vissuto difficile oggetto di intervento;
- Teoricamente fondati: le ragioni teoriche oltre che le evidenze empiriche sono fondamentali per
guidare i progetti; Nell’ambito della prevenzione vi sono due teorie alla base di un progetto
svolgono un ruolo importante:
1. Tipo eziologico: spiegano le cause del problema su cui si vuole agire (modelli esplicativi)
2. Quelle che illustrano quali sono i metodi migliori per modificare questi fattori eziologici (modelli
di cambiamento)
Es: Progetto Interpersonal Cognitive Problem-Solving: training che permette attraverso l’uso di vari
materiali come giochi, pupazzi ecc., di insegnare ai bambini come pensare
- Metodi misti di insegnamento e coinvolgimento: i progetti efficaci prevedono diversi metodi di
insegnamento basati sull’incremento della consapevolezza e sull’acquisizione o rinforzo delle
abilità; le strategie di tipo interattivo, ovvero quelle che promuovono l'interazione tra i
partecipanti, sono più efficaci;
- Sufficiente dosaggio: i progetti devono prevedere impegno e un corretto follow-up per il
mantenimento delle abilità; il grado di esposizione alle attività del progetto in cui sono coinvolti i
soggetti target può essere misurato in termini di qualità di ore, lunghezza delle sessioni di attività,
numero di sessioni, durata totale del progetto;
- Culturalmente rilevante: il progetto deve tenere in considerazione il contesto e la comunità
all'interno del quale viene implementato;
- Formazione adeguata dello staff: i progetti efficaci necessitano training, sostegno e supervisione
degli operatori sociali o degli altri attori coinvolti nella realizzazione delle attività;
- Valutazione degli esiti: analisi della capacità del progetto di raggiungere i risultati prefissati.
Devono essere definiti obiettivi; progetto deve essere valutato e monitorato.
4. Prevenzione e promozione del benessere a macrolivello
Le azioni di prevenzione e promozione del benessere a macrolivello si esplicano principalmente,
da un lato, a livello nazionale attraverso le leggi e le decisioni politiche prese dai singoli paesi
rispetto alle questioni di salute pubblica; dall’altro lato, a livello internazionale attraverso le linee
guida e leggi elaborate in accordo tra i diversi paesi, come ad esempio le linee guida dell’OMS. Nel
1986 vennero definite quindi le 5 strategie per promuovere la salute:
- definizione di politiche pubbliche finalizzate alla promozione della salute;
- creazione di ambienti supportivi;
- rafforzamento delle azioni di comunità;
- sviluppo di abilità e competenze individuali;
- miglioramento dei servizi di promozione della salute.
A partire da queste basi, è stato definito un sistema di promozione della salute a livello europeo
(OMS), il quale segue l'approccio Investment for Health, che ha come finalità quella di intervenire
sulle cause delle malattie e problematiche in modo efficace ed etico tramite azioni dirette sui
determinanti chiave della salute. Questo approccio propone di agire attraverso una combinazione
di azioni che intervengono per modificare comportamenti e stili di vita, e attraverso politiche
finalizzate ad investire per riorganizzare e migliorare le caratteristiche dei contesti e delle
condizioni di vita. Tale intervento mira ad intervenire sulle cause delle malattie e delle
problematiche in modo credibile, efficace ed etico, con particolare attenzione allo stile di vita in
un’ottica, quindi, preventiva.

5. Prevenzione all’interno del contesto nazionale.


La prevenzione in Italia opera soprattutto in Risorse umane ed economiche molto limitate. Spesso
il problema si valuta superficialmente a causa dei tagli finanziari per ridurre i costi.
Spesso gli interventi di prevenzione e valutazione prevista, sono realizzati in ambito accademico e
hanno finalità sperimentali. Vi è ancora oggi una distanza presente tra ricerca e lavoro sul campo,
e questo oltre ad essere limitante, rischia di fondare i progetti su basi teoriche talvolta
insufficienti. Spesso la valutazione di un progetto può rivelarsi un’occasione di crescita e
approfondimento teorico per operatori. Vi è in generale una poca condivisione delle esperienze.
CAPITOLO 5
EMPOWERMENT: il Potere attraverso la PARTECIPAZIONE
L'empowerment è da considerarsi come “potere di” come azione positiva (forza interiore,
possibilità, opportunità, scelta).
Il potere deriva dal sentirsi in grado di gestire la situazione, di essere riusciti a trovare la soluzione
adeguata con la soddisfazione di aver fatto del vostro meglio, magari includendo altri per il
sostegno dell’obiettivo.
1. Empowerment: uno nessuno centomila. Effettuando una analisi della letteratura, la prima cosa
che stupisce è certamente come il costrutto sia diventato un termine comune in molte discipline e
non solo nella psicologia di comunità come ad esempio la medicina, la politica, l'ambito educativo
e organizzativo. A causa dell'ampia diffusione che il termine ha avuto, il costrutto di empowerment
resta vago e di difficile definizione. Si pensa che sia la natura stessa dell'empowerment che non
faciliti la definizione: esso si esprime e si manifesta infatti in modi molto diversi sulla base del
contesto in cui si colloca, delle persone che coinvolge e delle discipline che lo considerano. È certo,
tuttavia, che all'interno della psicologa di comunità il costrutto di empowerment diventa un
caposaldo delle attività e delle azioni proprie dello psicologo di comunità che deve tendere in ogni
sua azione al raggiungimento di un maggior empowerment da parte degli individui dei gruppi,
delle organizzazioni e delle comunità.
L'empowerment allora finisce per rappresentare un processo che permette allo psicologo di
comunità di individuare ed attivare le risorse presenti nella situazione in cui lavora, di scorgere gli
aspetti da potenziare, di gestire le attività e di intuire la direzione in cui si vuole andare.
Il tema dell'empowerment può essere affrontato solo dopo aver definito i due concetti principali
su cui si basa:
a. Il potere che ne costituisce la radice etimologica
b. La partecipazione ossia l'aspetto pratico

2. Il potere: catena che limita l'azione o ali per volare in alto? Il potere nel contesto
dell'empowerment rappresenta una ricchezza, una risorsa positiva per chi lo possiede e per chi gli
sta attorno; è mutevole, con possibilità di cambiamento e di sviluppo, si può allargare e può essere
raggiunto da tutti.
Il potere positivo è caratterizzato da collaborazione, condivisione, mutualità.
Foucault considera tre aspetti centrali nelle sue opere:
1. Libertà. Il potere può essere esercitato solo da soggetti liberi, che possono confrontarsi con un
ampio spettro di possibilità, reazioni e comportamenti realizzabili: la libertà si collega al potere, la
libertà di scegliere diventa lo strumento attraverso cui esprimere la propria libertà e acquisire
potere;
2. Conoscenza. L'esercizio del potere crea nuove conoscenze e le nuove conoscenze portano a
maggior potere: questo legame è un circolo virtuoso;
3. Onnipresenza del potere: è prodotto da un momento all'altro, da ogni relazione. Il potere è
ovunque, in quanto deriva da ogni cosa. Bisogna comprendere le relazioni di potere.

Lukes descrive un modello a tre dimensioni:


- Decisione. La prima riguarda la presa di decisione reale e concreta nelle società o nel gruppo che
si sta considerando (varie opzioni, ad esempio il potere condiviso-presa di decisione comune,
capace di includere e accogliere le esigenze e il pensiero di diversi gruppi);
- Decisori ultimi. La seconda si interessa a quali aspetti o opinioni sono presentati ai decisori ultimi
(rapporto tra politica e organi di informazione);
- Forze. La terza riguarda le forze che determinano quali bisogni le persone riconoscono come
propri (implica un collegamento con aspetti individuali come; il dare forma ai bisogni che ognuno
sente, comprendere le richieste degli individui, determinare l'attenzione dei decisori ultimi).
Questi ultimi tre fattori che si legano alla motivazione si ricollegano a 2 concetti chiave del
costrutto di empowerment: il controllo (credere nelle proprie capacità) e la consapevolezza critica
(disporre di una serie di informazioni che ci permettano di leggere al meglio il problema nel suo
contesto).

3. Partecipazione: dal singolo alla comunità, l’empowerment diventa partecipazione.


La partecipazione è definita in psicologia di comunità come un processo in cui i soggetti prendono
attivamente parte ai processi decisionali nelle istituzioni, nei programmi e negli ambienti che li
riguardano. È quindi intesa come un processo per condividere decisioni e si stabilisce come un
diritto per la popolazione.
Amerio sottolinea come la partecipazione porti ad un allargamento del senso della relazione
all'intera comunità, in quanto conduce gli individui al dialogo.
Il nesso tra partecipazione e comunità va analizzato su 2 piani distinti:
- quello soggettivo (non c'è senso di comunità senza coinvolgimento nell'azione collettiva, è
centrato sull'intenzionalità e l'azione);
- quello oggettivo (centrato sulle forme attraverso cui la partecipazione si realizza interagendo con
le condizioni date).
La psicologia di comunità si interessa quindi sia di partecipazione volontaria, dal basso verso l'alto,
sia di partecipazione provocata, dall'alto al basso. Nei primi processi, infatti, è la comunità stessa
che promuove il proprio coinvolgimento e lo sviluppo di se stessa e del territorio in cui si identifica.
Mentre nei processi top-down, vi è un attore forte, solitamente l'ente pubblico, che facilita la
partecipazione della popolazione, creando le condizioni ideali, sia nei contesti che negli individui,
perché questa possa svilupparsi al meglio.
Scala di Arnstein. Il modello della sociologa Arnstein ritiene che la partecipazione possa essere
intesa come un continuum.
Informazione = non vi è potere reale nelle persone perché il coinvolgimento dei cittadini avviene
quando le decisioni sono già state prese.
Consultazione = prevede l’integrazione di un elemento qualitativamente importante, ovvero
l’interazione strutturata su un tema e su un problema specifico→ interazione strutturata comporta
la predisposizione e la gestione di un processo di scambio di informazioni bidirezionale (decisore-
cittadini), ma più spesso multi direzionale tra tutti gli attori coinvolti nel problema o nella decisione
da prendere. Una volta definito il quadro conoscitivo comune al problema si presentano e
ascoltano le diverse opinioni in relazione al tema e ne si valutano le possibili soluzioni. A questo
livello di partecipazione il “decisore” rilascia informazioni e si avvale delle opinioni emerse in
relazione ad un tema, scegliere una soluzione alternativa e costruire consenso. Il potere finale è
ancora nelle mani del decisore (top- down).
Concertazione = inizia ad essere effettiva una possibile partecipazione dei cittadini, anche se
perdurano aspetti di “pro forma”: es. inserimento di rappresentanze nei gruppi decisionali→ per
questi cittadini però non è comunque possibile esercitare una forma di influenza sulle decisioni. Di
solito vengono messi in minoranza numericamente o si tratta di una forma di coinvolgimento che
non si svolge con continuità nelle fasi di implementazione di programmi.
Una forma effettiva di partecipazione dei cittadini è la partecipazione sostanziale, con potere
distribuito tramite negoziazione tra cittadini e detentori di potere.
Che cosa favorisce la partecipazione? Secondo il modello di Perkins e colleghi, il framework
prevede l'azione di fattori distali (aspetti fisici, economici e sociali) e prossimali (cognizione e
comportamenti in relazione alla comunità). Gli studi attestano che i fattori prossimali sono
fortemente predittivi della partecipazione; quelli demografici ed economici hanno un peso
trascurabile, mentre gli aspetti ambientali influiscono talvolta positivamente talvolta
negativamente.
L'attivazione della partecipazione alla collettività è favorita da:
-senso di comunità: percezione di appartenere ad una comunità coesa;
- soddisfacimento dei bisogni e soluzione dei problemi (percepiti);
- senso di autoefficacia individuale e collettiva.
Per favorire la partecipazione occorre che le persone:
- si sentano "a loro agio" in spazi appositamente studiati;
- percepiscano la loro utilità nell’aiuto concreto;
- vedano favorita la realizzazione delle loro iniziative.
Occorre incoraggiare la collaborazione tra istituzioni e cittadini. A livello individuale, partecipare
sembra contribuire al benessere psicosociale delle persone. A livello collettivo, la partecipazione
mette in moto processi di influenza sociale.
4. L’empowerment tra individuo e contesto. Rappaport delinea l'empowerment come un processo
sociale multidimensionale che aiuta le persone a raggiungere un maggior controllo sulla loro vita.
Ci sono 3 aspetti che risultano centrali:
- processo sociale (in quanto percorso, si sottolinea lo stretto legame che esso ha con il
cambiamento e si sviluppa nella relazione con gli altri attraverso la partecipazione);
- multidimensionale (si esprime su diversi livelli e dimensioni);
- controllo (inteso come potere positivo, possibilità di scelta e di azione).
I processi di empowerment sono basati su quelle azioni che permettono agli individui, ai gruppi o
alle comunità, di acquisire e di far acquisire maggior potere, di ottenere le risorse necessarie, di
sviluppare una visione critica di ciò che li circonda. Il processo, quindi, riguarda le azioni che si
mettono in atto. I risultati dell'empowerment invece si riferiscono alle conseguenze dei processi
stessi, a ciò che le persone riescono a ottenere esprimendo un maggior controllo, più adeguate
abilità, partecipando attivamente nei loro contesti.
L’empowerment è un processo iterativo, dove individui e gruppi caratterizzati da scarsa influenza e
potere, acquisiscono competenze e partecipano alla comunità e riflettono sulle conseguenze delle
loro azioni. Non ha una fine; si raggiunge un obiettivo e se ne formulano altri.
L’empowerment può essere facilitato, ma non può essere imposto.
Empowerment: un costrutto multilivello.
Il costrutto prende forma solo se considerato come costrutto multilivello, in un’ottica ecologica.
Ogni livello è connesso agli altri, in quanto l'individuo è alla base sia dei gruppi, sia delle
organizzazioni che delle comunità. Inoltre per ogni livello, si può considerare il processo e il
risultato, definendo gli individui, i gruppi, le organizzazioni sia come empowered, che come
empowering.
Il livello individuale è la base del continuum.
4.1. Livello individuale: controllo, consapevolezza critica e partecipazione.
Zimmerman considera l'empowerment individuale come composto da 3 fattori principali:
- Controllo: credere nelle proprie capacità, sentimento di fiducia nelle proprie competenze;
definito come la componente intrapersonale dell'empowerment poiché si lega a caratteristiche
proprie dell'individuo includendo aspetti della personalità, cognitivi e motivazionali;
- Consapevolezza critica: capacità di comprendere e analizzare i propri contesti di vita e di capirne i
meccanismi di influenza per pianificare le azioni da compiere. Si riferisce all'abilità di capire: i
legami di potere, risorse, ostacoli legati al problema, fattori che influenzano le decisioni. Tale
aspetto viene considerato la componente interpersonale dell'empowerment in quanto necessita il
vivere e il relazionarsi con altri, i quali vanni in primis analizzati;
- La partecipazione: è considerata la componente comportamentale dell'empowerment
individuale e riguarda l'azione vera e propria; è quindi un insieme di strategie, motore del
cambiamento sociale.
In un certo senso lo psicologo di comunità dovrebbe essere un professionista empowering in
grado di potenziare controllo, consapevolezza critica e partecipazione delle persone con cui lavora.

4.2. Livello micro: il piccolo gruppo come promotore di cambiamento.


Per livello micro si intendono le relazioni all'interno della famiglia, nel contesto classe, tra amici,
nel gruppo di lavoro, ecc.
Il gruppo, in quanto situazione in cui le persone entrano in relazione, risulta un importante luogo
per la socializzazione, per la costituzione dell'identità individuale, per la sperimentazione di abilità
e competenze, per la condivisione di processi decisionali e di idee, per la gestione efficace dei
conflitti: può diventare quindi un importante motore per l'empowerment.
-Leadership. Di estrema rilevanza per l'empowerment di gruppo è la presenza di una figura “capo
empowering” in grado di creare l'empowerment nelle altre persone del gruppo. Il capo deve avere
una concezione del potere di tipo integrativo, cioè condividere con gli altri membri le decisioni ed
incoraggiarli ed allenarli nelle loro abilità.
-Auto-aiuto. Gruppi che condividono il medesimo problema e che cercano di aiutarsi. Possono
essere sia empowering che empowered.
-Alleanze con altri gruppi. Condividono il problema dialogando con associazioni o istituzioni nel
tentativo di trovare una soluzione, chiedendo modifiche legislative e/o attenzione.
4.3. Livello organizzativo: in situazione intermedia fra gruppo e comunità, l'organizzazione è un
insieme di microsistemi (di gruppi) e la comunità risulta essere un insieme di organizzazioni. Anche
in questo caso si distinguono: organizzazioni empowered (che riescono a manifestare il loro potere
nel contesto allargato, promuovendo il cambiamento sociale in generale e raggiungendo obiettivi
importanti per l'intera comunità) e organizzazioni empowering (che riescono a favorire
l'empowerment delle persone all'interno dell'organizzazione). Le due tipologie organizzative
possono essere distinte, ma appare più frequente una compresenza dei 2 aspetti.
Le organizzazioni empowered sono caratterizzate da:
- controllo (c'è la consapevolezza che l'organizzazione ha le competenze e le risorse per favorire il
cambiamento);
- consapevolezza critica (il legame e la conoscenza del territorio sono forti e approfonditi e
permettono di comprendere la priorità ma anche le altre organizzazioni con cui sono legate);
- partecipazione (analisi delle modalità e messa in atto delle azioni perché gli obiettivi vengano
raggiunti).
(Utilizzo del lavoro di rete per coordinarsi verso un effettivo cambiamento).
Le organizzazioni empowering hanno politiche interne in grado di aumentare il controllo, favorire
la consapevolezza critica, promuovere la partecipazione.

4.4 Livello di comunità locale. Si può distinguere tra:


- comunità empowered: riesce a rendere priorità i bisogni delle persone, a manifestare il loro
potere nel contesto allargato promuovendo il cambiamento sociale;
- comunità empowering: riescono a favorire l'empowerment delle persone all'interno delle
comunità stesse, creando le condizioni per una reale partecipazione.
Lo scopo principale dello psicologo di comunità è quello di creare comunità competenti; una
comunità diventa competente quando si rende collettivamente capace di analizzare la propria
situazione, ne riconosce i bisogni e si mobilita per il cambiamento.
Perché una comunità sia competente e perché si possa parlare di cittadini competenti occorrono
le conoscenze, l'influenza-potere e le motivazioni. Lo strumento chiave per lavorare su questi 3
aspetti è la ricerca-azione partecipata.
CAPITOLO 6
I METODI DI RICERCA IN PSICOLOGIA DI COMUNITÀ
Tra ricerca e ricerca-azione

Validità, qualità, quantità (non presente nella versione 2018).


Interna/esterna: lo psicologo di comunità tende a dare più attenzione alla validità esterna rispetto
a quella interna; la validità esterna si riferisce alla possibilità di generalizzare una relazione
osservata oltre le circostanze specifiche osservate dallo sperimentatore, è quindi possibile poter
generalizzare le conclusioni a individui e contesti diversi da quelli che il ricercatore ha considerato.
Qualitativa/Quantitativa: un ulteriore modo per distinguere vari tipi di ricerca è quello fra ricerca
quantitativa e qualitativa; solitamente la quantitativa si interroga sul perché delle cose, la
qualitativa sul come. Rispetto a quella quantitativa, la ricerca qualitativa è stata storicamente
caratterizzata secondo 3 tratti:
Qualitativa:
- assenza di una matrice di dati;
- non ispezionabilità di una base empirica;
- carattere relativamente informale delle procedure di analisi dei dati (modalità debole).

1. Come si conosce una comunità? Per ridurre quanto più possibile le distorsioni si può adottare lo
strumento dell'osservazione partecipante; l'osservatore passa un certo lasso di tempo all'interno
della comunità oggetto di studio utilizzando una varietà di indicatori e strumenti che egli
organizzerà poi secondo modelli cognitivi propri. Questo tipo di ricerca è stata modificata e
adottata dalla psicologia di comunità, la quale è giunta a definire uno degli strumenti che
maggiormente la contraddistinguono, ovvero la ricerca partecipata, in posizione antitetica rispetto
alla diagnosi-osservazione.
Fra i due tipi di ricerca esiste un continuum dove è possibile distinguere sia per il ricercatore che
per i membri della comunità diverse modalità d'azione e coinvolgimento così come diverse
modalità di restituzione (condivisione delle informazioni risultate dal processo di ricerca).
In questo continuum della partecipazione, dalla partecipazione conforme si arriva fino alla
coinvestigazione finalizzata all'empowerment dove il ricercatore lavora collaborativamente
coinvolgendo i membri nella presa di decisione circa tutte le fasi della ricerca e dove i membri della
comunità rimangono coinvolti nel processo di ricerca e si prendono la responsabilità circa le
decisioni che riguardano la ricerca.
Indipendentemente dall'approccio che si intende seguire, esistono degli aspetti della comunità a
cui lo psicologo è interessato:
- aspetti strutturali (come è composta la comunità);
- aspetti relazionali (come si comportano i membri della comunità, quali relazioni esistono);
- aspetti di gestione (quali regole, controlli, ecc esistono).
Gli 8 profili di comunità: sono un metodo di analisi della comunità che si struttura in forma
altamente partecipativa e che ha la finalità di produrre un cambiamento nel contesto oggetto di
studio, che solitamente è la comunità territoriale. Sono delle semplificazioni volte a rappresentare
schematicamente la comunità, aggregando dati che si riferiscono a quadri specifici per fornire un
quadro informativo integrato.
- il profilo territoriale (si riferisce a tutta quella serie di informazioni e dati strutturali che
caratterizzano l'aspetto fisico-geografico di una comunità);
- il profilo demografico (fornisce stime circa l'andamento demografico della comunità,
l'affollamento, l'incremento annuo e la distribuzione per sesso, età, immigrati oltre ad essere un
termometro dei bisogni)
- il profilo economico-occupazionale (offre info rilevanti circa la situazione professionale dei
membri della comunità);
- il profilo psicosociale (cerca di cogliere gli aspetti più affettivi della vita dei gruppi formali e
informali e delle loro relazioni, in particolare, le dinamiche e i comportamenti collettivi);
- il profilo istituzionale (rispecchia modelli comportamentali che si riflettono in aspetti di natura
normativa e valoriale);
- il profilo storico-antropologico (permette di ottenere rilevanti info su come gli individui o i gruppi
di una comunità costruiscono la loro identità)
- il profilo relativo al futuro (permette di indagare e comprendere le caratteristiche o i
cambiamenti nel tempo di una comunità, che influiscono direttamente sull'intero funzionamento
della stessa).
Tutti i profili sono tra loro comunicanti e interdipendenti. (NO 6.1)
Come avviene questa analisi? Si parte dalla formazione di un gruppo di ricerca interdisciplinare,
formato da uno o più operatori e da esperti della comunità. Si compone un'analisi e una sintesi dei
dati d'archivio. Devono emergere per ogni profilo gli aspetti salienti da presentare alla comunità. Si
suddividono le caratteristiche emerse in aspetti positivi e negativi e in proposte di cambiamento.

2. Gli strumenti per conoscere una comunità. Un modo semplice per classificare i vari strumenti è
quello di suddividerli in base al contatto:
- strumenti a nessun contatto (tutti gli strumenti ricavabili da database e indicatori già disponibili);
- strumenti a minimo contatto (riguardano metodi di osservazione del contesto fisico-strutturale; il
contatto è minimo poiché aumenta sì la vicinanza fra ricercatore e popolazione, ma il contatto con
questa rimane sporadico e occasionale);
- strumenti a moderato contatto (dove esiste un contatto intenzionale, anche se molto circoscritto,
tra ricercatore e soggetti; questionari e scale self-report);
- strumenti a elevato contatto (dove il coinvolgimento della pop in esame è considerevole; per
esempio interviste individuali o di gruppo come i focus group).

(Quadro 6.2)I focus groups sono un metodo di ricerca a elevato contatto e ricadono tra i metodi
qualitativi. Sono delle interviste di gruppo, solitamente centrate su un tema particolare o rivolte
ad un particolare gruppo di persone. L'assunto base è che l'interazione di gruppo favorisca
l'emergere di info originali e basate su una maggior riflessione. Vengono considerati l'anello di
congiunzione tra ricerca e ricerca-azione in quanto la psicologia di comunità ne fa un doppio
utilizzo: in ricerca, come metodo qualitativo da affiancare ai questionari, all'osservazione e ai dati
d'archivio per analizzare una comunità o un fenomeno; oppure come metodo o strumento della
ricerca-azione, per attivare la discussione su specifici temi all'interno della comunità (per la
differenza dell'uso del focus group nella ricerca e nella ricerca- azione vedi tabella pp150).

3. La ricerca-azione
Il termine ricerca-azione è introdotto da Lewin; per l'autore il cambiamento non doveva essere
solo osservato e spiegato, ma provocato o prodotto, poi analizzato e compreso. Scoprì inoltre che
la conoscenza più efficacemente utilizzabile ai fini dell'osservazione era proprio quella che
emergeva nel processo sociale condiviso.

(Quadro 6.3) Le fasi della ricerca-azione.


a) Pianificazione: in cui si prevedono le diverse fasi di conoscenza e azione, si identificano ipotesi,
target e azioni possibili;
b) Azione: in cui il ricercatore propone un cambiamento possibile;
c) Osservazione: degli effetti del cambiamento proposto sulla situazione;
d) Riflessione: momento di apprendimento attivo che permette sia di comprendere il fenomeno
sotto indagine, sia di procedere con nuove ipotesi di pianificazione per approfondire le
conoscenze.
Cunningham aggiunge:
e) Valutazione: serve a decidere se proseguire o meno verso la fase successiva.
Kemmis ha ripreso le idee di Lewin, ma cercando di entrare più nel dettaglio:
- Idea iniziale: nata da un interesse di ricerca particolare o da un problema sociale reale;
- Ricognizione: prima conoscenza del fenomeno, e se previsto, del contesto d'azione;
- Piano generale suddiviso in fasi del momento di ricerca e azione.
- Attuazione delle fasi del piano;
- Prima valutazione del cambiamento e del fenomeno sotto analisi;
- Revisione del piano, sulla base delle conoscenze acquisite;
- Nuova suddivisione in fasi (rielaborazione dei momenti salienti del piano d’azione);
- Nuova attuazione;
- Nuova valutazione.
La ricerca-azione partecipata. È possibile definire la ricerca-azione partecipata come un approccio
integrato in cui sono presenti una ricerca, solitamente quantitativa, un intervento di auto-
educazione, e un intervento sociale.
È possibile parlare di costruzione sociale del benessere, che comprende non solo i diritti sociali
standard, ma un più complesso insieme di diritti umani e sociali di wellness e well-being e che
quindi deve anche prevedere il ricorso al coinvolgimento di soggetti non istituzionali e all'appello
alle risorse proprie dei singoli gruppi primari e delle singole comunità locali.
Obiettivo. Fornire un contributo sia alle persone preoccupate che si trovano in una situazione
problematica, sia allo sviluppo delle scienze sociali.
Sul piano scientifico ci sono 9 caratteristiche rilevanti della ricerca-azione partecipata:
1. L'approccio olistico al problema: viene affrontata la situazione sottoponendo all'attenzione tutti
gli aspetti del processo;
2. Significatività del tema di ricerca per gli attori coinvolti: questi soggetti riflettono sui
miglioramenti da apportare al problema che sta loro a cuore e che vogliono risolvere;
3. Disponibilità del ricercatore a negoziare con gli attori le azioni da compiere: per prendere
decisioni all'interno di un gruppo è importante l'apporto di tutti;
4. L'intervento del ricercatore nelle azioni: il ricercatore diviene attore della comunità, in grado di
instaurare, all'interno del gruppo, dei rapporti educativi;
5. Assenza di un metodo predefinito da applicare: ma la sua costruzione insieme al gruppo della
ricerca- azione, a partire da alcuni principi strategici e sulla base delle reazioni rilevate in corso
d'opera;
6. Perseguimento dello sviluppo personale e professionale degli operatori-attori: gli attori cercano
di migliorare la propria professionalità, acquisendo una metodologia di lavoro che permetta loro di
crescere anche a livello personale;
7. L'emancipazione degli attori; i partecipanti diventano capaci di operare autonomamente grazie
al miglioramento della loro comprensione dei processi e della situazione che sta loro a cuore
(empowerment);
8. Impiego di strumenti descrittivi per la valutazione dei risultati: durante e alla fine della ricerca; si
focalizza l'attenzione sulla descrizione dei fenomeni cercando di comprenderne la complessità, ma
proponendo strumenti descrittivi chiari e leggibili da tutti;
9. Produzione di un mutamento sociale: differenze tra ricerca sperimentale e ricerca-azione.

Il photovoice (voce della fotografia) come strumento per la ricerca-azione partecipata: si rivolge a
coloro che fanno parte dei contesti sotto analisi (minoranze) e dà loro la possibilità di riflettere
sulle risorse della comunità e sui modi in cui queste possono essere utilizzate per risolvere i
problemi da affrontare. È un modo per dare voce alle persone che sono escluse dai processi
decisionali, e che attraverso la foto possono dare la loro visione della comunità. L'obiettivo
principale del photovoice è quello di attivare un processo di empowerment tra i partecipanti,
attraverso la condivisione di immagini con gli altri membri della comunità e la riflessione comune
sulle storie che queste immagini raccontano, fino al contatto con coloro che occupano ruoli
decisionali, ai quali vengono portati i risultati di questo scambio di opinioni e punti di vista. Questa
tecnica, unendo la fotografia documentaristica all'azione sociale, permette ai membri di una
comunità di riflettere e dialogare sulle questioni più sentite al suo interno, facendo arrivare la
propria voce fino ai responsabili politici. Ex donne cinesi o poveri, immigrati, disabili. Emozioni che
suscitano.
PREGI: l’immediatezza dell’immagine visiva e la ricchezza delle storielle accompagnano perché
facilitano la condivisione di pensieri e punti di vista. La flessibilità della tecnica che può essere
usata singolarmente o con altri metodi in contesti e comunità diverse.
LIMITI: il passaggio all’azione concreta, al cambiamento, che non dipende solamente dalla qualità
del lavoro svolto ma dal coinvolgimento attivo degli organi decisionali.
Esperienze di questo tipo raggiungono l’obiettivo solo se sono in grado di garantire la possibilità di
sperimentare l’importanza e l’efficacia del lavoro svolto. Si potrebbe prevedere quindi una fase
successiva in cui trasformare le riflessioni svolte in interventi che possono migliorare gli aspetti
risultati più critici

4. La ricerca epidemiologica. La ricerca di natura epidemiologica rappresenta un valido strumento


per stimare, all'interno di un dato contesto o popolazione, la prevalenza di problemi psichiatrici e
psicosociali, nonché le risorse e i punti di forza. Questo tipo di ricerca è in grado di rilevare
frequenze, diffusione incidenza di fenomeni patologici e non, ma soprattutto di verificare i fattori
socio-ambientali connessi, superando il tradizionale metodo clinico basato sull'analisi del singolo
caso, per inquadrare il problema in un contesto più ampio.

(Quadro 6.5) Ricerca HBSC (Health Behaviour in School-aged Children). Un esempio di ricerca
epidemiologica, che ha studiato le condizioni sociali che influenzano il decorso e la terapia di
alcune malattie, è la ricerca HBSC in grado di integrare le conoscenze offerte dalle scienze sociali e
psicologiche e le decisioni prese a livello politico.
La ricerca HBSC ha l'obiettivo di migliorare i sistemi nazionali della salute e verte quindi su
campioni rappresentativi della realtà nazionale; parte dagli assunti che specifici comportamenti
possano accrescere il rischio di insorgenza di alcune malattie e come possano talvolta esserne
considerati la loro stessa causa; inoltre considera che i comportamenti legati alla salute e lo stile di
vita in età adulta siano il prodotto delle fasi precedenti dello sviluppo.
La ricerca consente di individuare gruppi a rischio, comprendere i fattori di rischio, ottenere
strategie effettive di intervento, risorse e investimenti a scopo preventivo (vedi pp 159-160).

5. Quali sono i metodi più adeguati per cogliere la complessità ed indagare gli effetti dei contesti?
Lo studio delle caratteristiche e dell'influenza dei contesti sullo sviluppo umano si è basato
principalmente sulla percezione individuale e quasi mai si è adottata un'adeguata metodologia di
analisi dei dati che consentisse di esplorare il ruolo svolto dai contesti in maniera distinta dagli
aspetti di natura percettiva.

La metodologia HLM (metodo dei modelli gerarchici lineari) - L'unità d'analisi: gli studi empirici
sull'effetto dei contesti sono per loro natura gerarchici, dal momento che gli individui sono
raggruppati all'interno di gruppi che possono essere di diverso genere. L'utilizzo di questa
metodologia permette di giungere alla soluzione dei problemi statistici dell'analisi ad un livello:
esistono infatti tre problemi fondamentali quando si cerca di rispondere a domande di ricerca di
natura multilivello con metodologie ad un livello. Questi problemi sono:
- L'aggregation bias: si verifica quando una variabile assume significati diversi se considerata a
livello individuale o di gruppo;
- La non corretta stima dell'errore standard: dovuta all'assunzione impropria dell'indipendenza
delle osservazioni;
- L'eterogeneità dell'inclinazione della retta di regressione.
ESEMPIO
• Se cerco di capire i fattori legati al fumo negli studenti di una scuola, devo anche considerare il
fatto che gli studenti sono suddivisi per classe: gli studenti in una stessa classe sono più simili tra
loro rispetto agli studenti di classi diverse
– Effetto individuale
– Effetto classe
• L’analisi multilivello mi consente di analizzare entrambi gli aspetti:
– comprendere i fattori individuali legati al fumo
– comprendere i fattori della classe legati al fumo
• Le analisi tradizionali considerano individuali anche i fattori riferibili alla classe
• Analisi più sofisticata e adeguata per analizzare i soggetti nei contesti di vita

6. La ricerca valutativa: come si misura l'efficacia dei progetti? La valutazione dei progetti ha
diverse finalità e risponde, quindi, a diversi quesiti inerenti i progetti. Si distingue tra:
- Valutazione ex ante: in cui ci si interroga su come il progetto è stato definito e scritto, sulla
coerenza tra finalità e obiettivi specifici, oltre che tra obiettivi e strategie;
- Valutazione di processo e monitoraggio: ci si interroga sui processi che caratterizzano il progetto,
ovvero se ci sono ostacoli in corso d'opera alla sua realizzazione, se sta raggiungendo il target
designato, se le strategie vengono realizzate come previsto;
- Valutazione di efficacia: in cui si stabilisce se il progetto è stato efficace, ovvero se ha raggiunto
gli obiettivi prefissati. Per molti autori l'oggettività e validità dei risultati di un progetto possono
essere garantiti solamente utilizzando dati di tipo quantitativo e disegni rigorosi come i disegni
sperimentali o quasi sperimentali.
I disegni sperimentali sono quelli in grado di garantire i più alti livelli di validità interna; sono
caratterizzati dalla presenza di un gruppo sperimentale e un equivalente gruppo di controllo, e per
il fatto che i soggetti sono casualmente attribuiti a uno dei due gruppi. Questi disegni si scontrano
tuttavia con problemi etici, in particolar modo la mancanza di validità ecologica e l'impossibilità di
generalizzare i risultati (validità esterna).
I disegni quasi sperimentali, pur dividendo i soggetti in gruppo sperimentale e di controllo, non
prevedono l'assegnazione casuale dei soggetti a questi due gruppi, in quanto i soggetti sono
selezionati da gruppi già esistenti; questi disegni si dimostrano particolarmente utili nella
valutazione dell'efficacia di interventi su realtà complesse come intere aree locali, città, o
comunità. Uno dei disegni quasi sperimentale più utilizzato è il disegno con gruppo di controllo
non equivalente e doppia rilevazione.
CAPITOLO 7
LAVORARE PER LA COMUNITÀ: GLI STRUMENTI D'AZIONE DELLO PSICOLOGO DI COMUNITÀ
1. Introduzione all'azione.
La psicologia di comunità è una disciplina applicata e lo psicologo di comunità ha finalità pratiche:
il cambiamento della situazione, per migliorare la qualità della vita delle persone, diventa quindi
un aspetto essenziale del suo lavoro.
Tutte le metodologie hanno una forte connessione con i principi base della disciplina:
- Modello ecologico: molto spesso le azioni svolte dallo psicologo di comunità non agiscono
direttamente sul target o sulle persone che entrano in relazione con lui.
- Prevenzione: prevenzione e/o promozione del benessere, permettono di arginare potenziali
rischi e incrementare fattori protettivi importanti per il benessere dell’individuo. Esse si collocano
prevalentemente in un’ottica proattiva, ovvero intervengono prima che un disturbo si manifesti o
sia radicato.
- Empowerment: filo conduttore delle attività il cui obiettivo comune è quello di aumentare le
competenze attraverso la partecipazione attiva dei soggetti coinvolti per fare in modo che le
persone abbiano maggiore controllo e consapevolezza da sfruttare nei diversi contesti di vita.
Non ci sono metodologie migliori di altre ma è importante che queste siano coerenti con gli
obiettivi del progetto e adeguate alla comunità in cui si lavora.
Lo psicologo di comunità dovrebbe identificare:
-Qual è la comunità su cui vuole lavorare, analizzandone le caratteristiche peculiari e gli specifici
bisogni;
-Quale cambiamento vuole perseguire, individuando gli obiettivi dell'azione, il livello su cui agire, il
target ecc..
L’utilizzo congiunto di diverse tecniche sebbene meno utilizzato rende i progetti più efficaci
nell’affrontare i problemi da più punti di vista.

2. Il cambiamento individuale
Psicologia di comunità:
-proattiva (non reattiva)
-oggetto di interesse = individuo nel contesto
-modalità = non propone cura.
La psicologia di comunità si interessa anche al cambiamento individuale, cercando di potenziare,
attraverso le sue azioni, comportamenti e aspetti individuali in grado di incrementare il benessere
dei singoli e di rafforzare le relazioni con gli altri e con i propri contesti di vita. Propone percorsi o
modelli positivi per aiutare gli individui in difficoltà.

2.1 I training. Per agire a livello individuale si utilizzano solitamente dei percorsi formativi e
strutturati (training), volti a modificare alcuni aspetti del singolo. I training si basano sull'assunto
che molti aspetti della vita degli individui siano appresi naturalmente, nei diversi contesti in cui la
persona si trova, grazie all'interazione con gli altri, alle conseguenze derivanti dal proprio
comportamento, all'osservazione del comportamento altrui, alla percezione di norme e valori.
Questo apprendimento può essere guidato e strutturato al fine di cambiare un comportamento. I
training per arrivare al cambiamento si focalizzano soprattutto:
- Sulle conoscenze: intese come le nozioni che l'individuo possiede rispetto a un certo tema, per
evitare che basi le sue azioni su informazioni errate. Sono importanti soprattutto se date a soggetti
che indirettamente possono portare dei cambiamenti nei soggetti target. Bisogna stare attenti e
identificare le informazioni/conoscenze necessarie all'obiettivo che si vuole raggiungere e il
momento e le modalità ideali per far passare tali conoscenze;
- Sulle abilità: si cerca di far apprendere nuove modalità d'azione e competenze ai soggetti;
- Sugli atteggiamenti: che essendo fortemente collegati a credenze, esperienza e storia di ogni
soggetto, risultano gli aspetti più difficili da modificare.
Quelli che attirano maggiormente l'attenzione degli psicologi sono specifici comportamenti,
popolazioni, contesti o sé stessi.
Compito dello psicologo è quello di comprendere gli atteggiamenti esistenti, di mostrare alcune
visioni alternative, di far sperimentare le conseguenze negative di posizioni estreme in un
ambiente protetto.
La psicologia di comunità si interessa soprattutto dello sviluppo delle competenze relazionali, per
questo divengono molto importanti le abilità sociali (un esempio molto noto di training che agisce
su questo tipo di abilità è il life skills training).

Le principali life skills vengono raggruppate nelle seguenti aree: problem-solving, pensiero critico,
abilità comunicative, autoconsapevolezza e capacità di fronteggiare lo stress.
Questo tipo di training enfatizza e coniuga sia l’acquisizione di abilità personali, che riguardano
maggiormente la relazione dell’individuo con sé stesso, sia l’acquisizione di abilità sociali.
L’importanza delle relazioni sociali è sostenuta anche dalla presenza di una specifica forma del
programma il Life skills training Parent Program finalizzata a favorire la costruzione di relazioni
positive tra genitori e figli.
I training vengono inseriti tra le attività di tipo individuale a livello universale, però solitamente,
considerati i costi e lo sforzo, vengono utilizzati come azioni di prevenzione selettiva e indicata, in
base al target prescelto. Vengono prevalentemente svolti in gruppo, poiché il gruppo facilita
l'analisi di diversi punti di vista, permette più occasioni di feedback e rinforzi, innesca azioni di
mutuo-aiuto.
Uno psicologo di comunità può decidere di fare un training:
- direttamente con il target di suo interesse → modalità diretta;
- con non professionisti che si trovano a mettere in atto alcuni comportamenti e azioni per
modificare il comportamento altrui → modalità indiretta;
- operatori che metteranno in atto attività di formazione o che gestiscono interventi nel sociale →
training for trainers.

Quali possono essere i limiti di tali azioni?


- l'inadeguata preparazione dello psicologo nel gestire le tecniche formative: è importante
scegliere sia le attività da svolgere, sia il modo in cui vengono gestite queste attività;
- la mancata coincidenza tra i bisogni del gruppo con cui si fa formazione e i bisogni accolti dal
training stesso;
- incapacità di “creare un gruppo” e di saldare con i partecipanti un adeguato contratto formativo:
questo porta i partecipanti a boicottare l'attività.
Quali sono i vantaggi?
Possiamo considerare i training una tecnica flessibile ed efficace per far passare messaggi e
apprendimenti a popolazioni target.

(Quadro 7.1) Il Life Skills Training - Life Skills Training Parent Program
Il Life Skills Training sviluppato da Botvin si basa sulla teoria delle life skills che sostiene che i
comportamenti problematici vengono mediati da variabili personali, quindi dalle sue abilità.
Le life skills possono essere rappresentate dal problem solving, pensiero critico, abilità
comunicative, autoconsapevolezza e capacità di fronteggiare lo stress. Tali strategie servono a
promuovere alternative valide all’adozione di comportamenti a rischio.
Le tre aree del Life Skills Training sono:
1. Abilità Personali (decision making, gestione dello stress, della rabbia, etc..)
2. Abilità Sociali (comunicazione, costruzione di relazioni sane e supportive, etc..)
3. Abilità di Resistere alla Pressione rispetto al consumo di sostanze (coetanei, media, etc..)
Life Skills Training Parent Program mira a costruire relazioni positive genitori-figli promuovendo la
comunicazione efficace.
3. Lavorare sulla rete sociale (il microlivello)
Agire sul microlivello è importante, ad esempio per gli adolescenti, i quali vengono a contatto con
diverse figure, oltre la famiglia, come insegnanti, amici, allenatori, animatori.

3.1 Il mentoring. Può essere considerato come un intervento individuale di tipo indicato. Si parla di
un'azione di tipo indiretto (il professionista non entra in diretto contatto con il target
dell'intervento), che si avvale dell'uso di non professionisti, che non viene individuato nella rete
sociale dei soggetti, ma è un volontario che rappresenta una nuova risorsa per il soggetto in
difficoltà.
Il mentoring può essere descritto come una relazione uno a uno, che nell'arco di almeno un anno
prevede l'affiancamento di un soggetto esperto/adulto (mentor), che deve essere una figura non
istituzionale, capace di creare un rapporto genuino, empatico, di accettazione senza giudizio
dell'altro, con un soggetto in possibile difficoltà (mentee).
Si basa sulla teoria dell'apprendimento di Bandura, che considera essenziale il ruolo di modelli
positivi nello sviluppo dell'individuo, che possa facilitare la riflessione ed il controllo di persone in
difficoltà.
La relazione di mentoring è asimmetrica, ma tende all'orizzontalità, deve cercare di stimolare la
partecipazione attiva e le iniziative del mentee, a favore dello sviluppo di una maggiore
autonomia, anche a intervento terminato.
Cosa vuole raggiungere la relazione tra mentor e mentee? In primis, di potenziare l'empowerment
sia del mentor che del mentee, potrebbe favorire la valorizzazione delle risorse psicologiche e
personali dei soggetti coinvolti, ma anche di quelle presenti nel territorio, facendo sì che vengano
conosciute e utilizzate.
Quali possono essere le difficoltà che si trova a dover gestire lo psicologo di comunità? Spesso un
grosso problema è trovare e reclutare volontari; è molto facile che lo psicologo si ritrovi a dover
affrontare cambiamenti da lui non previsti e condizionati da problemi esterni; può essere difficile
gestire gli incontri tra coppie e coinvolgere genitori e insegnanti in questi primi momenti; inoltre è
importante la formazione dei mentors, che deve essere sufficiente, ma non eccessiva, e fornire
strumenti pratici per la gestione della relazione.

Le fasi di un progetto di mentoring sono:


- L'ideazione del progetto e attivazione: attraverso un'attenta analisi del contesto e delle
esperienze precedenti, per individuare le attività più adeguate a raggiungere gli obiettivi che ci si
prefigge;
- La progettazione: individuazione degli obiettivi specifici del progetto, delle attività e dei tempi;
- La realizzazione: si suddivide in diverse fasi, dalla promozione del programma e ricerca dei
mentors, all'individuazione dei ragazzi con difficoltà, dalla selezione e formazione dei mentors,
all'affiancamento vero e proprio, inclusa la supervisione;
- La valutazione: monitoraggio continuo e valutazione di processo e valutazione d'efficacia.
È efficace soprattutto nei contesti scolastici

(Quadro 7.2) Il progetto Mentor-UP - Mentees & Mentors


Sviluppando l’utilizzo del mentoring, si è sviluppato un programma apposito per ragazzi in età
scolare. Progetto come esempio: mentees = ragazzi delle medie; mentors = laureandi alla triennale
di psicologia.
Obiettivi per ciascuna coppia mentor-mentee: gestione del disagio sociale, cittadinanza attiva,
incremento dell’autostima e del sostegno sociale, coping e problem solving. Oltre a questi obiettivi
generali e condivisi, sono stati posti obiettivi individuali basati sulle esigenze del mentee.
Fasi del progetto:
- Selezione e formazione dei mentors + promozione dell’iniziativa.
- Selezione dei mentees ricercando alunni provenienti da famiglie poco integrate, di basso status
socio-economico, solitudine e situazioni di disagio.
- Formazione delle coppie mentor-mentee analizzando capacità dei primi e bisogni dei secondi.
- Incontri tra mentor e mentee con frequenza settimanale, a scuola o a casa. Si stabiliscono gli
obiettivi e si lavora per raggiungerli.
- Durante questo periodo, i mentors partecipano ad incontri di supervisione per piccoli gruppi.
- Alla fine del progetto si organizzano incontri con le famiglie e la scuola per rendere noti i
traguardi, capire eventuali ostacoli e strategie per il loro superamento.
- La valutazione viene effettuata tramite disegno di ricerca quasi-sperimentale e strumenti
quantitativi + interviste semi-strutturate con i mentees, valutazione dei mentors sia del percorso di
formazione che di tipo qualitativo.

3.2 Lavorare con le famiglie La famiglia è il primo luogo di socializzazione di ogni individuo e
diventa quindi un contesto primario su cui agire se si vogliono ottenere modificazioni
comportamentali dei suoi membri.
Difficilmente si otterrà un cambiamento duraturo senza il coinvolgimento delle famiglie e,
soprattutto, dei genitori, in quanto risultano essere i primi modelli comportamentali per i figli.
Lavorare però con le famiglie in un'ottica preventiva non è facile, in quanto spesso i genitori si
pongono nei confronti della scuola e de professionisti in modo ambivalente da una parte,
richiedendo aiuto nella gestione dei figli, ma dall'altra guardando con estremo scetticismo le
attività proposte. Bisogna quindi lavorare sulla motivazione dei genitori, assecondando i loro
bisogni, acquisendo fiducia e diventando per loro una risorsa e non un problema.
Lo psicologo deve identificare quali sono le modalità più adeguate di contatto con i genitori, quali
iniziative proporre e in che modo.
Svizzera - Triple P program: Positive Parenting Program.
Triple P è un intervento che coinvolge i genitori (intervento universale) con l’obiettivo principale di
aumentare le conoscenze, le abilità e la fiducia dei genitori e ridurre la prevalenza di problemi di
salute mentale, emotiva e comportamentale nei bambini e negli adolescenti.
Inizialmente il programma è stato concepito specificamente per bambini e genitori a rischio, ma
ora ci sono diversi livelli di Triple P progettati per funzionare insieme come un approccio generale,
universale, alla salute pubblica. (1550 FAMIGLIE esperimento gestito tramite manuale + video
informativo e telefonate settimanali di assistenza effettuate da operatori preparati). Ci si scontra
però con la scarsa motivazione dei genitori, la loro incostanza; diviene quindi importante il
supporto territoriale.

3.3 La peer education (educazione tra pari) rappresenta un particolare tipo di formazione-
relazione caratterizzata da un rapporto di simmetria tra utente ed esperto, in cui vengono
impiegati membri di un determinato gruppo per agire il cambiamento sugli altri. Viene sfruttato un
canale comunicativo naturale, quello tra pari, dato che l'esperto è un coetaneo adeguatamente
preparato tramite un training. Diverse teorie sostengono l'efficacia dell'utilizzo dei pari, ad
esempio:
- la teoria dell'apprendimento sociale di Bandura, che sottolinea l'importante ruolo dei pari come
modello comportamentale;
- la teoria dell'azione ragionata di Fishbein e Ajzen, la quale indica che per influenzare il
comportamento sia necessario agire sulle norme sociali, intese come ciò che le persone rilevanti,
cioè i pari, pensano o credono di un dato comportamento;
- la teoria della diffusione delle innovazioni di Rogers, sono spiegati i processi attraverso cui i pari
possono fungere da opinion leader e, diffondendo le proprie idee, possono diventare agenti di
cambiamento;
- la teoria della partecipatory education di Freire, che utilizza un'ottica di empowerment e
partecipazione nell'educazione da parte del target stesso e rende quest'ultima più efficace nel
raggiungere obiettivi anche complessi.

Le fasi di svolgimento del progetto sono:


- Reclutamento dei peers: fortemente accettati dal gruppo target, adatti alla formazione, non
coinvolti attivamente nel comportamento negativo da prevenire;
- Formazione: prevede una partecipazione fin dalle prime fasi, in modo da facilitare sia la
conoscenza dell'argomento, sia le abilità comunicative, necessarie per passare il messaggio ai
propri compagni;
- Azione dei peers: contesti naturali o specifici;
- Sostegno e monitoraggio ai peers: azioni di supervisione, sostegno tecnico, sociale e personale ai
peer educators e agli altri attori coinvolti nel programma;
- Valutazione: valutazione di efficacia finale sul target degli strumenti a cui il programma è diretto,
oppure sui peer educators.

Le esperienze di peer education non funzionano:


- se i peers sono solo strumento nelle mani degli adulti, che decidono quali obiettivi e strategie
dovrà avere il programma;
- se i programmi sono focalizzati solo sul passaggio di informazione e trascurano gli aspetti
relazionali e affettivi;
- se si realizzano interventi di peer education di breve durata;
- se non c'è condivisione di obiettivi e finalità.

3.4 I gruppi di auto-aiuto. La differenza rispetto alle altre tecniche è che il ruolo del professionista
è marginale, infatti, i componenti del gruppo non vengono né formati né seguiti: il cambiamento
avviene spontaneamente sfruttando le dinamiche naturali del gruppo e la motivazione dei
partecipanti stessi.
Possiamo collocare tali interventi a livello micro, in quanto è attraverso il gruppo e le sue
dinamiche che avviene il cambiamento individuale.
I gruppi di auto-aiuto sono piccoli gruppi volontari, composti da persone con un problema comune
e il desiderio di superare efficacemente il momento di difficoltà. Essendo un gruppo di pari,
sfruttano le potenzialità delle relazioni orizzontali, in cui tutti i membri detengono lo stesso valore
e possono fornire sostegno agli altri componenti del gruppo. La proliferazione di questi gruppi
deve le sue ragioni al tentativo di colmare le lacune presenti nei servizi ufficiali, al fatto che la loro
struttura e organizzazione sia più economica e meno burocratica.
Gli aspetti principali sono:
- Scopo: fornire aiuto, migliorare la propria e altrui situazione attraverso il confronto e il sostegno
da parte di persone che possono capire;
- Origine: dal gruppo stesso, non dipende da esterni;
- Fonte d'aiuto: sono i membri stessi, che possono intervenire per affrontare temi specifici;
- Composizione: membri con un problema, una difficoltà comune, senza distinzione di ruolo;
- Controllo: attività sotto il controllo dei membri, raramente è presente un supervisore, che può
aiutare a gestire alcuni aspetti.

Le tipologie principali sono:


- Controllo del comportamento e riorganizzazione della condotta: con il sostegno degli altri si trovi
la forza per modificare un comportamento inadeguato (interventi di tipo indicato);
- Sostegno e difesa dallo stress: confrontarsi con altre persone che stanno affrontando o hanno
affrontato la stessa situazione possa diventare una risorsa di informazione un modello
comportamentale per risolvere i problemi (interventi prevalentemente selettivi);
- Crescita personale e autorealizzazione: alcuni gruppi nascono con l'intento di diventare uno
spazio per la crescita e l'empowerment individuale dei soggetti che li compongono (interventi di
tipo universale);
- Azione sociale: il problema comune è, in questo caso, collettivo. L'azione non è rivolta all'interno,
ma viene rivolta all'esterno per portare dei cambiamenti generali alla comunità in cui si vive
(interventi di tipo universale).

I gruppi di auto-aiuto dovrebbero svolgere la funzione di famiglia ideale, favorire la condivisione e


assistenza reciproca, divenire luogo di accettazione, fiducia e conforto; fornire sostegno emotivo,
dando importanza al contributo del singolo e migliorarne l'autostima e l'identità, creare nuove reti
sociali.
Lo psicologo di comunità può:
- fungere da consulente esperto, per affrontare particolari tematiche o aiutare il gruppo a
modificare il proprio assetto;
- creare o proporre lo sviluppo di nuovi gruppi, attraverso l'identificazione di soggetti a rischio, la
definizione dei bisogni del singolo e della comunità;
- aiutare i gruppi ad integrarsi con il sistema formale di cura, sostenendoli nel tentativo di
riconoscimento, credibilità e di espansione, facendo in modo che lo stesso diventi risorsa
importante per la comunità;
- mappare i gruppi esistenti e analizzarne le caratteristiche, creando una sorta di valutazione di
efficacia degli stessi.

I gruppi di auto-aiuto possono risultare negativi nel momento in cui diventano autoreferenziali e
non si aprono verso l'esterno, se creano dinamiche di dipendenza e non favoriscono l'autonomia
dei propri membri, se scatenano lotte al potere e disuguaglianze interne.
4. Attivare o potenziare reti di attori collettivi. Gli esempi riportati fin qui si collocano a livello
individuale o a livello micro, mentre, lo psicologo di comunità lavora su tutto lo spettro del
modello ecologico. Infatti, presenteremo un'altra tipologia di intervento, che può essere collocata
a livello di organizzazione, comunità locale, ma anche macro. A questi livelli si attivano solitamente
cambiamenti di tipo strutturale, relazionale e legislativo.
Il metodo che viene utilizzato in questi casi è il lavoro di rete. Lo psicologo può attivare una serie di
legami tra gruppi presenti nel contesto d'interesse e aiutare nella gestione della soluzione
condivisa dei problemi, creando momenti di scambio e favorendo la valorizzazione delle idee di
ogni gruppo. La rete può essere definita strutturalmente come l'insieme degli attori
coinvolti/interessati a un problema e, funzionalmente, come una modalità particolare di
collaborazione e scambio tra i diversi attori.
Promuovere il lavoro di rete significa dunque passare ad un'ottica collaborativa in cui ogni gruppo
può portare le sue idee e risorse per affrontare i problemi esistenti.
Diversi motivi hanno rafforzato il lavoro di rete, come ad esempio, la maggior complessità dei
problemi da affrontare e la nuova consapevolezza che i fenomeni sociali sono multifattoriali, la cui
complessità deve essere colta e affrontata per arrivare ad una soluzione efficace.
Di fronte a questo è necessario mettere insieme risorse e competenze per individuare modalità più
organiche e olistiche di soluzione dei problemi. Il lavoro di rete permette di evitare la duplicazione
degli interventi e di diminuire la competizione, nonché di far fronte alle poche risorse, soprattutto
di tipo economico.
Lo psicologo di comunità può aiutare lo sviluppo e il funzionamento delle reti sia analizzando
quelle già esistenti per individuare difficoltà e aspetti vincenti, sia potenziandone le capacità
progettuali, sia costruendone e sviluppandone di nuove.

Esistono diverse forme di collaborazione in una rete di gruppi e/o istituzioni.


A livello minimo di collaborazione troviamo lo scambio di informazioni: i gruppi della rete si
aiutano vicendevolmente scambiandosi informazioni utili al loro lavoro, inerenti ad uno specifico
target o fenomeno. Le informazioni potrebbero verte anche sulle attività previste, così da evitare
possibili sovrapposizioni.
Un altro livello di collaborazione riguarda la segnalazione di un problema: la rete funge da
segnalatore di un problema o di una situazione da affrontare, favorendo una più rapida attivazione
di tutti i gruppi o servizi che potrebbero risultare importanti nella sua soluzione.
Il terzo livello riguarda la collaborazione su un caso: in questo modo, di fronte ad un caso
particolare i vari servizi e gruppi potrebbero coordinarsi per attivare iniziative per alleviare le
difficoltà.
Un ulteriore livello riguarda la collaborazione su un problema: conoscere e comprendere cosa altri
fanno permette di coordinare gli sforzi e affiancare le attività presenti con altre iniziative, senza
duplicarle ma rafforzando il raggiungimento dell'obiettivo finale.
L'ultima forma di collaborazione riguarda la realizzazione congiunta di progetti: in questo caso, il
problema viene affrontato dal gruppo di lavoro della rete (rappresentanti di ogni ente) e insieme si
identificano modalità, obiettivi, finalità strategie da mettere in atto per la miglior soluzione del
problema.
Ostacoli: possibilità che i diversi gruppi vedano la propria autonomia minacciata, confronto tra
background teorici differenti, talvolta inconiugabili, e sbilanciamento tra costi e benefici.
Lo psicologo può cercare di mediare tra esigenze contrastanti, di trovare un linguaggio comune e
condiviso tra operatori, nell'analizzare le risorse di ogni gruppo.
Alcuni aspetti facilitanti il lavoro di rete:
Aspetti facilitanti (fattori che facilitano il lavoro di rete):
- Accordo rispetto a chi fa che cosa-dove (partire da un consenso comune);
- Buona comunicazione all’interno dei singoli gruppi e tra i gruppi;
- Presenza di organizzazioni simili, con obiettivi affini;
- Disponibilità di fondi;
- Comprensione dell’importanza di mettersi in gruppo per la realizzazione degli interventi,
consapevolezza dell’efficacia dell’interdipendenza e reale bisogno reciproco;
- Gestione coordinata delle attività/decisioni, rafforzata da una pari dignità e responsabilità di ogni
gruppo membro.
Spesso gli accordi e le regole della rete vengono esposte in un documento comune denominato
“protocollo d’intesa” che deve essere sottoscritto da ogni membro. Esso sancisce gli accordi tra le
diverse organizzazioni, riguardanti aspetti di tipo amministrativo e di tipo operativo.

5. Consulenza a politici e introduzione di nuove norme sociali. Un'altra area su cui lo psicologo di
comunità dovrebbe agire è quella della consulenza ai politici o a dirigenti di organizzazioni, rispetto
al cambiamento di norme e regole, per facilitare da una parte un maggior benessere della
comunità, dall'altra una maggiore partecipazione dal basso.
Una delle finalità delle ricerche su ampie popolazioni dovrebbe essere quella di guidare le
decisioni politiche e lo stanziamento di fondi.
Altro modo in cui gli psicologi possono sostenere la creazione di norme è diventando i consulenti
di politici e decisori (grazie alla conoscenza dei fattori individuali e contestuali sottostanti ai
problemi e la capacità di motivare e coinvolgere i cittadini).
Altro ed ultimo modo è la modalità partecipativa. Lo psicologo di comunità potrebbe essere il
facilitatore di processi partecipativi volti a cambiare alcune norme, leggi e regolamenti (modalità
che meglio risponde alle esigenze della popolazione poiché viene direttamente ascoltata).

6. L’uso delle nuove tecnologie nella promozione del benessere di individui e comunità
6.1 Nuove tecnologie come risorse per il benessere (smartphone)
Smartphone: economici, pratici. Possono essere utili per consolidare abitudini in grado di
promuovere la salute fisica e mentale, come ad esempio assumere farmaci, fare terapie, etc.
Possono essere personalizzate ed aumentare la motivazione. Gli interventi via smartphones
possono aiutare gli operatori a monitorare i soggetti e a supportarli.

6.2 Interventi per la promozione del benessere psicologico (tecnologie positive - le app)
Smartphone come tecnologie positive utili per promuovere la felicità, rafforzare le relazioni sociali,
favorire la presa di significato della propria vita, promuovere il benessere.
L’app Live Happy propone 8 attività finalizzate all’aumento delle emozioni positive; gli studi
confermano l’efficacia di questa app (non vi è però gruppo di controllo).
Altre app si propongono di insegnare la gratitudine; promuovere la consapevolezza delle proprie
emozioni (Mood Map); consapevolezza di come si spende il proprio tempo (iHabit - invio ogni 20
min di sms che chiede cosa si è fatto in quel lasso di tempo); mindfulness (AEON - aiuta a prendere
le distanze dai comportamenti negativi - training di rilassamento); favorire l’autoaffermazione
(Viary).

6.3 Nuove tecnologie e relazioni sociali


Isolamento e rafforzamento dei legami sono due facce della stessa medaglia. Da una parte si
possono rafforzare le relazioni (specie per i rapporti a distanza), dall’altra possono alienare e
allontanare le persone. Utili nelle fasi di transizione (per es. passaggio dalla scuola superiore
all’università). Gli studi comunque rilevano una maggior felicità percepita data dalla possibilità di
avere relazioni sociali con i pari anche non presenti fisicamente.
Secondo la letteratura esistente, le nuove tecnologie hanno molte potenzialità di promuovere
interventi mirati a promuovere il benessere individuale o rafforzare le relazioni sociali.
A livello di comunità, creare una spazio online virtuale in cui moltiplicare le occasioni di contatto
tra persone che vivono nella stessa città o quartiere può essere molto utile. Le community
networks hanno infatti questo scopo e sono dimostratamente in grado di aumentare la
partecipazione civica, la coesione e l’attaccamento al quartiere.
Social Street (nata a Bologna) nasce per contrastare l’impoverimento delle relazioni sociali tra
vicinato, con obiettivi analoghi alle community networks. We App Heroes permette di postare
richieste di aiuto a cui possono rispondere “eroi” che si trovano in range.
Anche app di “sustainable development goals” sono utili ad incrementare l’aiuto e la coesione.
Urgono quindi studi più approfonditi per poter sfruttare meglio queste risorse.

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