1.2 I Valori della psicologia di comunità: la psicologia di comunità, in quanto disciplina orientata al
cambiamento sociale, fonda teoria, ricerca e azione sia sulle evidenze empiriche che sui valori:
questi ultimi dicono alla scienza come dovrebbe essere la comunità ideale, la scienza indica quali
metodi utilizzare per arrivare al cambiamento sociale a partire dalle condizioni attuali.
Mayton e Loges definiscono i valori come una serie di credenze che sostengono la superiorità di un
determinato modello di condotta, o di alcune finalità di vita, rispetto a modalità alternative.
I valori di questa disciplina possono essere raggruppati in 3 categorie sulla base della sfera del
benessere che mirano ad incrementare (anche se i vari valori operano in maniera sinergica):
-Valori personali sono quelli che permettono il raggiungimento del benessere a livello individuale,
nei singoli membri della comunità, e sono rappresentati dall'autodeterminazione (autonomia nel
perseguire i propri obiettivi/controllo), salute (benessere generale), cura e interesse (permettono
di soddisfare i bisogni come empatia, attaccamento e solidarietà);
-Valori relazionali sono quelli che consentono di congiungere la sfera individuale a quella
collettiva e sono rappresentati da collaborazione e rispetto per la diversità. Collaborazione:
mediare tra diversi punti di vista, senza far primeggiare gli interessi di un gruppo; Rispetto per le
diversità: accettare il diritto di ogni persona di avere un’identità sociale unica.
-Valori a livello collettivo che promuovono il benessere sono quelli che assicurano un'equa
distribuzione delle risorse all'interno della comunità e che ne garantiscono l'accesso a tutti i
membri. La giustizia e la responsabilità sociale nei confronti dei gruppi svantaggiati, e il sostegno
alle istituzioni sanitarie, educative e sociali, costituiscono valori centrali per la promozione del
benessere a livello di comunità.
È importante che vi sia interdipendenza ed equilibrio tra i valori. Fondamentale deve essere il
principio di inclusione, ovvero rispetto per le diversità, sostiene il diritto di ogni persona di essere
unica e di non essere giudicata sulla base di uno standard convenzionalmente accettato.
I professionisti devono essere in grado di garantire il benessere dei gruppi svantaggiati presenti
nella comunità. Bisogna garantire un buono stato di salute e la possibilità di conseguire i propri
obiettivi di vita. L’inclusione però confligge con i sentimenti di appartenenza.
Adottare un approccio basato sulla prevenzione del disagio e sulla promozione del benessere
significa porsi in un'ottica proattiva, valutando i bisogni della comunità e promuovendo le risorse
dei suoi membri.
Empowerment: Rappaport, con l'introduzione del concetto di empowerment, propone un
approccio al lavoro di comunità centrato sul rafforzamento del senso di controllo che le persone
hanno sugli eventi della loro vita, in cui lo psicologo lavora con le persone svantaggiate per
promuoverne la capacità di autodeterminazione. A livello individuale è essenziale esercitare un
certo grado di influenza sulla propria vita; anche a livello relazionale è importante sperimentare
potere, infatti la relazione tra chi realizza gli interventi e chi li riceve dovrebbe essere basata sulla
collaborazione finalizzata ad un obiettivo comune; a livello collettivo, una prospettiva ancorata al
principio del potere mette in evidenza come gran parte dei problemi sociali derivino, da situazioni
di ineguaglianza, sia dal punto di vista economico che dal punto di vista dei meccanismi decisionali
attraverso la partecipazione.
2. La nascita della psicologia di comunità. Uno dei primi atti formali è la riunione di un ristretto
gruppo di psicologi e operatori della salute mentale riuniti a Swampscott nel Massachusetts
durante il quale prende forma e significato l'espressione psicologia di comunità. La psicologia di
comunità invita a ricercare anche nell'ambiente sociale la causa dei problemi e le risorse per la
loro risoluzione. Vista come Rivoluzione Nasce nel 1965, favorita dai cambiamenti del tempo. Può
essere considerata come la terza rivoluzione nell’ambito della salute mentale.
-Rivoluzioni nell’ambito della salute mentale
I: follia = malattia
II: problemi comportamentali e dell’umore hanno origine psicologica
III: cause e risorse di problemi nell’ambiente sociale
Anime della PdC:
La COMUNITÀ’ entra nella psic. clinica come luogo in cui si generano e manifestano le patologie e
all’interno della quale possono essere risolte in chiave preventiva. Paradigm Shift: Dalla Cura alla
Prevenzione nei primi anni si limita ad occuparsi della malattia mentale, usando il modello medico
e l’azione sul singolo. Dagli anni ’70 si sviluppa un’altra anima della psicologia di comunità che si
svincola sempre più dal trattamento della patologia psichica, orientandosi verso problematiche
sociali più generali. Secondo questa prospettiva gli oggetti di studio e di intervento della psicologia
di comunità sono gli individui in situazione e l’obiettivo principale delle ricerche degli interventi è il
cambiamento sociale complessivo.
La psicologia di comunità pone l’accento sulle influenze dei contesti di vita quotidiana, del
sistema pubblico dei servizi e di quello legislativo. L’attenzione ai fenomeni collettivi impone un
avvicinamento alla disciplina ad altre come la salute pubblica, l’epidemiologia, la sociologia e
l’antropologia → interdisciplinarità.
Sarason (psicologo allo Yale USA) in riferimento alla “seconda anima”, ovvero ai problemi più
generali, introduce il concetto di senso di comunità, inteso come sentimento di appartenenza e di
partecipazione attiva degli individui alla vita comunitaria. Sarason distingue il concetto di comunità
da un aggregato casuale di persone e lo definisce come la percezione di similarità con gli altri, un
accresciuta interdipendenza, una disponibilità a mantenere quest'ultima offrendo o facendo per
gli altri ciò che ci si aspetta da loro, la sensazione di essere parte di una struttura pienamente
affidabile e stabile.
Il cambiamento funzionale alla crescita passa attraverso l'incremento del senso di comunità. Uno
degli elementi costitutivi del senso di comunità è la disponibilità a dare agli altri; infatti, l'idea di
comunità intende esprimere il senso di una vita sociale fondata su rapporti più spontanei, meno
diretti dal calcolo dell'utilità dello scambio, più ricchi di affetti, solidarietà e sostegno.
Sarason elabora il concetto facendo riferimento a 3 dimensioni: le prime due sono la percezione di
similarità e di interdipendenza con gli altri, ovvero il riconoscimento negli altri individui della
comunità (similarità) e la consapevolezza dei legami inevitabili tra il proprio agire e l'agire altrui
(interdipendenza). La terza dimensione è invece un vissuto di appartenenza ad una struttura
affidabile e stabile, ovvero il riconoscimento della comunità stessa come contenitore che
racchiude e accomuna i membri appartenenti (chiaro riferimento alla dimensione relazionale della
comunità.) Vi è inoltre la disponibilità a dare agli altri.
SENSO DI COMUNITA’: “la percezione di similarità con gli altri, un’accresciuta interdipendenza con
gli altri, una disponibilità a mantenere questa interdipendenza offrendo o facendo per gli altri ciò
che ci si aspetta da loro, la sensazione di essere parte di una struttura pienamente affidabile e
stabile” (Sarason, 1974, pp. 157).
(Quadro 2.3) Mc Millan e Chavis definiscono il senso di comunità come un sentimento che gli
individui hanno di appartenere o essere importanti gli uni per gli altri e una fiducia condivisa che i
bisogni dei membri saranno soddisfatti dal loro impegno ad essere insieme. Gli autori propongono
quattro fattori del senso di comunità:
- l'appartenenza (il senso di avere investito parte di se stessi nella comunità e di appartenervi)
- l'influenza (il potere che i membri esercitano sul gruppo e il reciproco potere che le dinamiche di
gruppo esercitano sui membri)
- l'integrazione e soddisfazione dei bisogni (i valori condivisi dai membri come anche lo scambio di
risorse e la soddisfazione individuale dei membri)
- connessione emotiva condivisa (un legame spirituale, basato sulla condivisione di storie tra i
membri della comunità).
Studi hanno dimostrato come il senso di comunità risulti legato in generale a: un alto livello di
benessere individuale, agli effetti piacevoli, all’autoefficacia e a più bassi livelli di solitudine e ritiro
depressivo; il senso di comunità è anche in relazione con la capacità individuale di risolvere
problemi e fronteggiare gli eventi stressanti. La limitazione di questo modello è quella di non avere
trovato riscontri accettabili a livello empirico.
Anni ’80: periodo di crisi della psicologia di comunità in parte dovuto a drastici tagli alle politiche
sociali operati dal governo Reagan e in parte al mutamento del clima socio-culturale che ribalta
drasticamente il successo individuale a sfavore di quello collettivo. Per tale ragione la disciplina si
vede costretta in questo periodo ad elaborare interventi in chiave meno critica e radicale verso i
problemi sociali. In questo periodo gli psicologi di comunità aprono il loro campo d’azione a settori
applicativi rilevanti, anche nel contesto italiano:
- Valutazione di interventi nel sociale e nei programmi di prevenzione;
- La consulenza ai gruppi spontanei e ai gruppi di auto-muto-aiuto;
- Il lavoro di rete e la promozione del coordinamento tra enti pubblici diversi;
- La consulenza alla programmazione e lo sviluppo di interventi nella scuola.
La disciplina quindi non si è limitata solo a criticare ed evidenziare i limiti del tradizionale modello
medico- clinico nel trattamento di malattie psichiche, ma si è proposta di estendere le categorie, i
costrutti e le evidenze empiriche della ricerca psicosociale per risolvere problemi tra i quali:
povertà, discriminazione, diseguaglianze e ingiustizie sociali.
Riconoscimento formale. Dal ‘66 in America APA American Psychological Asssociation iniziano a
comparire le prime riviste di psicologia di comunità. Negli anni 70 nascono le prime riviste in
America ed incontri di comunicazione ed aggiornamento tra psicologi.
Ecologia del benessere: la metafora ecologica. Cosa significa lavorare con un approccio ecologico?
La ricerca studia l’individuo nel contesto attraverso l’analisi di fattori individuali e contestuali;
inoltre attua interventi che si propongono di modificare ambiente e relazioni tra individuo e
contesto al fine di promuovere il benessere umano.
La metafora ecologica serve a descrivere la complessa interazione individuo-sistema sociale; si
basa sull'idea che l'ambiente e i diversi contesti di vita in cui ciascuno è inserito esercitino
un'influenza significativa sul comportamento individuale ed assume che le persone possano
spiegare e controllare il proprio comportamento attraverso una maggiore comprensione delle
influenze ambientali specifiche.
Guida per ricercatori e professionisti della pdc:
• È necessario modificare il contesto per promuovere il benessere laddove sia necessario;
• Per decidere cosa modificare bisogna capire quali caratteristiche siano associate a maggiore o
minore benessere individuale..
• … studiando le caratteristiche contestuali di partenza e valutando le risorse disponibili;
• Quando un contesto viene modificato, tutti beneficiano del cambiamento, anche chi non
direttamente interessato ma che ha contatti con gli interessati.
Vedi esempio di analisi dei contesti su attività fisica (imitazione comportamento Bandura ma
anche sistema di norme sociali che ci indicano i comportamenti accettati in un determinato
gruppo, come famiglia e amici)
Le diverse teorie ecologiche nelle scienze sociali (mappa per gli ambienti di vita).
A) LEWIN, il comportamento come funzione dell’interazione delle caratteristiche personali e
ambientali. Tramite la “teoria del campo”, Lewin ha sviluppato un metodo di analisi dei problemi
sociali; la teoria si basa sul presupposto che qualsiasi cambiamento o comportamento entro un
campo psicologico dipenda dalla particolare e peculiare configurazione di quel campo psicologico
in quel dato momento (il comportamento dipende dallo spazio di vita, inteso come relazione tra la
persona e l'ambiente psicologico percepito dalla persona). Ambiente influenza individuo, ma
dipende dal modo in cui individuo percepisce ambiente.
A partire dalla teoria di Lewin sono nate molte teorie ecologiche.
B) BAKER: L'espressione “psicologia ecologica” si deve a Baker che negli anni ‘40 diede inizio ad
una serie di studi sulla relazione individuo-ambiente in condizioni naturali attraverso il metodo
osservativo individuando pattern di osservazione stabili che sono indipendenti dalle persone
coinvolte in quanto derivano da configurazioni spazio-temporali di un dato ambiente, coniando
l’espressione “setting comportamentale”: in chiesa si parla a bassa voce.
Tale sincronia è sinomorfica, ovvero deriva dalla struttura fisica dell’ambiente, delle pressioni
sociali al conformismo e dalla selezione degli individui. Teoria del dimensionamento relativo, in
cui setting sottodimensionati offrono agli abitanti maggiori opportunità rispetto a setting
sovradimensionati.
Capitolo 4
PREVENZIONE E PROMOZIONE DEL BENESSERE
Lavorare nella prevenzione significa fare previsioni sui comportamenti futuri di comunità o gruppi
di persone e agire così che alcune cose non avvengano per esempio che le persone non fumino,
non diventino obese o depresse. Il professionista risponde di una serie di dati di partenza che
descrivono la situazione di comunità rispetto a incerto problema, di un insieme di indicatori di
rischio e protezione (individuali, sociali e ambientali) su cui si stimano le probabilità che alcuni
comportamenti si possono verificare in futuro
1. La prevenzione in azione
Vantaggi dell’approccio preventivo in psicologia e il rapporto col trattamento psicologico:
Gli interventi volti alla prevenzione sono scarsi e spesso inutili, talvolta addirittura sortiscono
l’effetto opposto. Semplici incontri informativi (che si svolgono a scuola, per tanti ragazzi), non
danno i risultati per i quali vengono progettati, concentrandosi infatti spesso solo sul livello
individuale. Inoltre, questi servizi riescono a raggiungere una minima parte di cittadini, spesso
lasciando fuori chi ne avrebbe davvero bisogno. Spesso hanno accesso a servizi di aiuto
(psicoterapia) solo persone che hanno le possibilità economiche e il contesto culturale adeguato
ad incentivarli (gruppi di aiuto). È importante distinguere la prevenzione dalla cura, sebbene siano
due aspetti che spesso risultano essere complementari.
2. Livelli e classificazione degli interventi:
Sono cinque le maggiori categorie di fattori connesse alla salute e al benessere:
1. Fattori genetici e fattori biologici (abuso di sostanze perché sistema dopaminergico alterato)
2. Stili di vita come l'uso e l'abuso di sostanze e gli stili alimentari;
3. Assistenza sanitaria;
4. Ecologia e condizioni di vita (ex quartieri in cui viviamo);
5. Caratteristiche sociali della società (Stati con più disuguaglianze, hanno benessere inferiore)
Linee guida per gli operatori della salute. L'OMS raccomanda agli operatori della salute di
concentrarsi:
- sul miglioramento delle condizioni ambientali e sociali di vita delle persone,
- contrastare le ineguaglianze nella distribuzione economica, di potere e delle risorse troppo
concentrate in mano a pochi,
- misurare e comprendere la dimensione dei problemi e misurare gli effetti delle proprie azioni
professionali.
L'obiettivo dell'approccio preventivo è quello di raggiungere molte più persone ed in particolare
quelle bisognose di aiuto.
Principali APPROCCI ALLA PREVENZIONE
1) Classificazione di Caplan distingue tra:
- Prevenzione primaria: volta a ridurre l'incidenza di un disturbo agendo sulla popolazione sana e
quindi prevenendo lo sviluppo di nuovi casi; questo tipo di interventi è orientato a prevenire
l'insorgere di disturbi e patologie;
- Prevenzione secondaria: ha lo scopo di individuare precocemente nuovi casi problematici e di
fornire trattamenti ad uno stadio latente o precoce del disturbo; (Ridurre Prevalenza)
- Prevenzione terziaria: l'obiettivo è quello di ridurre la durata, l'impatto e la cronicizzazione di un
particolare disagio o disturbo. L'idea che un disturbo non debba necessariamente produrre
disabilità e che la disabilità non debba necessariamente diventare handicap è centrale in questa
definizione.
Il limite di questa classificazione è che non riesce a discriminare in maniera netta il confine tra
interventi di prevenzione secondaria e terziaria.
Sviluppando la teoria di Durlak di combinare target e livello di intervento si può individuare uno
schema che tiene conto dei 5 livelli possibili di intervento (individuale, di microlivello, di organizza-
zione, di comunità o macrolivello) e dei 3 target (universali, selettivi e indicati) proposti dallo IOM.
– Individuale: Cambiamenti nelle conoscenze, nelle competenze e nelle abilità sociali
– Microsistema: Azione non sul target ultimo ma sulle persone che vi stanno attorno
– Organizzazione: Cambiamento nelle risorse o regole dell’organizzazione o nella gestione
– Comunità: Azioni di sviluppo di comunità, delle risorse
– Macrosistema: Modifiche a livello legislativo o culturale
Esempio: prevenzione al consumo di sostanze: Livelli d’intervento
• Individuale -> Cambiamenti nelle conoscenze, nelle competenze e nelle life skills
• Microsistema -> Cambiamenti nelle relazioni, evitare frequentazioni con coetanei devianti
• Comunità e Macrosistema -> a livello legislativo, no tabacco in luoghi chiusi
Gruppi target dell’intervento (Universale, Selettivo, indicato)
Un intervento per la riduzione della violenza a scuola basato sull’incremento dell’abilità sociale
negli anni potrebbe essere considerato universale sella comunità oggetto di intervento fosse la
scuola e il training per l’apprendimento delle abilità fosse rivolto a tutti i suoi studenti. Ma lo
stesso intervento nella stessa scuola se fosse stato scelto alla fine di un processo che ha permesso
di individuare quelle scuole che nella provincia presentano un alto tasso di diffusione del
fenomeno andrebbe classificato come selettivo perché in questo caso la comunità e la provincia,
ossia la scuola diventa il gruppo selezionato all’interno della provincia perché caratterizzato da più
segnali problematici. Quindi per individuare e classificare correttamente un intervento oltre ad
identificare il problema da prevenire va definita la comunità a cui ci si riferisce ed eventualmente
all’interno di questa vanno definiti i suoi sottogruppi con cui agire.
Bisogna che lo psicologo di comunità tenga conto anche di tutta quella branca della psicologia
dello sviluppo che indaga sui processi di acquisizione e sviluppo delle competenze. I “compiti di
sviluppo” sono comportamenti legati alle aspettative specifiche basate sulle norme sociali. Se
affrontati con successo, possono favorire l’adattamento e l’integrazione in società.
2. Dai fattori di rischio alla promozione di benessere e sviluppo positivo
Per "interventi preventivi" si intendono tutte le azioni rivolte a ridurre la probabilità del verificarsi
di qualche cosa di sgradito. Questo può essere messo in pratica agendo su quei fattori che
aumentano o diminuiscono la probabilità che un disturbo possa manifestarsi.
In letteratura è possibile distinguere fra fattori di rischio (caratteristiche individuali o condizioni
ambientali la cui presenza si associa ad una maggiore probabilità di sviluppare disagio) e fattori di
protezione (caratteristiche individuali o condizioni ambientali che incrementano la probabilità e le
capacità di una persona di adattamento e di mantenere- aumentare uno stato di benessere).
Accanto agli interventi di prevenzione troviamo spesso anche interventi più propriamente definiti
di promozione della salute. Essi si orientano alla creazione di condizioni che permettono o
migliorano una condizione di benessere o sviluppo positivo, e vengono considerati entrambi gli
interventi azioni congiunte.
La contrapposizione tra queste due tipologie di interventi in passato è stata sostenuta da due
approcci: quello dei fattori di rischio e protezione e quello dello sviluppo positivo.
- Fattori di rischio e protezione: considera i comportamenti problematici come il risultato di uno
sviluppo compromesso. L'attenzione è posta sulla presenza di fattori di rischio e la mancanza di
fattori di protezione che determinano una maggiore probabilità di sviluppare problematiche o
disturbi, questi fattori possono essere individuati sia a livello ambientale che individuale. Un altro
costrutto importante nell'ambito della prevenzione è quello di resilienza e si riferisce alla capacità
di un soggetto di "resistere" all'influenza dei fattori di rischio. Il fine di questo approccio è dunque
quello di ridurre la probabilità di incorrere in problematiche.
- Sviluppo positivo: pone l'attenzione sullo sviluppo positivo, inteso come realizzazione del proprio
potenziale e di un positivo ed attivo coinvolgimento con la comunità, promuove il benessere la
salute e quindi il disagio da prevenire e le problematiche passano in secondo piano. Questo
approccio pone l'accento sulle risorse personali e si concentra sulle componenti dello sviluppo
positivo quali: competenza, fiducia, connessione, qualità morali e cura.
2. Il potere: catena che limita l'azione o ali per volare in alto? Il potere nel contesto
dell'empowerment rappresenta una ricchezza, una risorsa positiva per chi lo possiede e per chi gli
sta attorno; è mutevole, con possibilità di cambiamento e di sviluppo, si può allargare e può essere
raggiunto da tutti.
Il potere positivo è caratterizzato da collaborazione, condivisione, mutualità.
Foucault considera tre aspetti centrali nelle sue opere:
1. Libertà. Il potere può essere esercitato solo da soggetti liberi, che possono confrontarsi con un
ampio spettro di possibilità, reazioni e comportamenti realizzabili: la libertà si collega al potere, la
libertà di scegliere diventa lo strumento attraverso cui esprimere la propria libertà e acquisire
potere;
2. Conoscenza. L'esercizio del potere crea nuove conoscenze e le nuove conoscenze portano a
maggior potere: questo legame è un circolo virtuoso;
3. Onnipresenza del potere: è prodotto da un momento all'altro, da ogni relazione. Il potere è
ovunque, in quanto deriva da ogni cosa. Bisogna comprendere le relazioni di potere.
1. Come si conosce una comunità? Per ridurre quanto più possibile le distorsioni si può adottare lo
strumento dell'osservazione partecipante; l'osservatore passa un certo lasso di tempo all'interno
della comunità oggetto di studio utilizzando una varietà di indicatori e strumenti che egli
organizzerà poi secondo modelli cognitivi propri. Questo tipo di ricerca è stata modificata e
adottata dalla psicologia di comunità, la quale è giunta a definire uno degli strumenti che
maggiormente la contraddistinguono, ovvero la ricerca partecipata, in posizione antitetica rispetto
alla diagnosi-osservazione.
Fra i due tipi di ricerca esiste un continuum dove è possibile distinguere sia per il ricercatore che
per i membri della comunità diverse modalità d'azione e coinvolgimento così come diverse
modalità di restituzione (condivisione delle informazioni risultate dal processo di ricerca).
In questo continuum della partecipazione, dalla partecipazione conforme si arriva fino alla
coinvestigazione finalizzata all'empowerment dove il ricercatore lavora collaborativamente
coinvolgendo i membri nella presa di decisione circa tutte le fasi della ricerca e dove i membri della
comunità rimangono coinvolti nel processo di ricerca e si prendono la responsabilità circa le
decisioni che riguardano la ricerca.
Indipendentemente dall'approccio che si intende seguire, esistono degli aspetti della comunità a
cui lo psicologo è interessato:
- aspetti strutturali (come è composta la comunità);
- aspetti relazionali (come si comportano i membri della comunità, quali relazioni esistono);
- aspetti di gestione (quali regole, controlli, ecc esistono).
Gli 8 profili di comunità: sono un metodo di analisi della comunità che si struttura in forma
altamente partecipativa e che ha la finalità di produrre un cambiamento nel contesto oggetto di
studio, che solitamente è la comunità territoriale. Sono delle semplificazioni volte a rappresentare
schematicamente la comunità, aggregando dati che si riferiscono a quadri specifici per fornire un
quadro informativo integrato.
- il profilo territoriale (si riferisce a tutta quella serie di informazioni e dati strutturali che
caratterizzano l'aspetto fisico-geografico di una comunità);
- il profilo demografico (fornisce stime circa l'andamento demografico della comunità,
l'affollamento, l'incremento annuo e la distribuzione per sesso, età, immigrati oltre ad essere un
termometro dei bisogni)
- il profilo economico-occupazionale (offre info rilevanti circa la situazione professionale dei
membri della comunità);
- il profilo psicosociale (cerca di cogliere gli aspetti più affettivi della vita dei gruppi formali e
informali e delle loro relazioni, in particolare, le dinamiche e i comportamenti collettivi);
- il profilo istituzionale (rispecchia modelli comportamentali che si riflettono in aspetti di natura
normativa e valoriale);
- il profilo storico-antropologico (permette di ottenere rilevanti info su come gli individui o i gruppi
di una comunità costruiscono la loro identità)
- il profilo relativo al futuro (permette di indagare e comprendere le caratteristiche o i
cambiamenti nel tempo di una comunità, che influiscono direttamente sull'intero funzionamento
della stessa).
Tutti i profili sono tra loro comunicanti e interdipendenti. (NO 6.1)
Come avviene questa analisi? Si parte dalla formazione di un gruppo di ricerca interdisciplinare,
formato da uno o più operatori e da esperti della comunità. Si compone un'analisi e una sintesi dei
dati d'archivio. Devono emergere per ogni profilo gli aspetti salienti da presentare alla comunità. Si
suddividono le caratteristiche emerse in aspetti positivi e negativi e in proposte di cambiamento.
2. Gli strumenti per conoscere una comunità. Un modo semplice per classificare i vari strumenti è
quello di suddividerli in base al contatto:
- strumenti a nessun contatto (tutti gli strumenti ricavabili da database e indicatori già disponibili);
- strumenti a minimo contatto (riguardano metodi di osservazione del contesto fisico-strutturale; il
contatto è minimo poiché aumenta sì la vicinanza fra ricercatore e popolazione, ma il contatto con
questa rimane sporadico e occasionale);
- strumenti a moderato contatto (dove esiste un contatto intenzionale, anche se molto circoscritto,
tra ricercatore e soggetti; questionari e scale self-report);
- strumenti a elevato contatto (dove il coinvolgimento della pop in esame è considerevole; per
esempio interviste individuali o di gruppo come i focus group).
(Quadro 6.2)I focus groups sono un metodo di ricerca a elevato contatto e ricadono tra i metodi
qualitativi. Sono delle interviste di gruppo, solitamente centrate su un tema particolare o rivolte
ad un particolare gruppo di persone. L'assunto base è che l'interazione di gruppo favorisca
l'emergere di info originali e basate su una maggior riflessione. Vengono considerati l'anello di
congiunzione tra ricerca e ricerca-azione in quanto la psicologia di comunità ne fa un doppio
utilizzo: in ricerca, come metodo qualitativo da affiancare ai questionari, all'osservazione e ai dati
d'archivio per analizzare una comunità o un fenomeno; oppure come metodo o strumento della
ricerca-azione, per attivare la discussione su specifici temi all'interno della comunità (per la
differenza dell'uso del focus group nella ricerca e nella ricerca- azione vedi tabella pp150).
3. La ricerca-azione
Il termine ricerca-azione è introdotto da Lewin; per l'autore il cambiamento non doveva essere
solo osservato e spiegato, ma provocato o prodotto, poi analizzato e compreso. Scoprì inoltre che
la conoscenza più efficacemente utilizzabile ai fini dell'osservazione era proprio quella che
emergeva nel processo sociale condiviso.
Il photovoice (voce della fotografia) come strumento per la ricerca-azione partecipata: si rivolge a
coloro che fanno parte dei contesti sotto analisi (minoranze) e dà loro la possibilità di riflettere
sulle risorse della comunità e sui modi in cui queste possono essere utilizzate per risolvere i
problemi da affrontare. È un modo per dare voce alle persone che sono escluse dai processi
decisionali, e che attraverso la foto possono dare la loro visione della comunità. L'obiettivo
principale del photovoice è quello di attivare un processo di empowerment tra i partecipanti,
attraverso la condivisione di immagini con gli altri membri della comunità e la riflessione comune
sulle storie che queste immagini raccontano, fino al contatto con coloro che occupano ruoli
decisionali, ai quali vengono portati i risultati di questo scambio di opinioni e punti di vista. Questa
tecnica, unendo la fotografia documentaristica all'azione sociale, permette ai membri di una
comunità di riflettere e dialogare sulle questioni più sentite al suo interno, facendo arrivare la
propria voce fino ai responsabili politici. Ex donne cinesi o poveri, immigrati, disabili. Emozioni che
suscitano.
PREGI: l’immediatezza dell’immagine visiva e la ricchezza delle storielle accompagnano perché
facilitano la condivisione di pensieri e punti di vista. La flessibilità della tecnica che può essere
usata singolarmente o con altri metodi in contesti e comunità diverse.
LIMITI: il passaggio all’azione concreta, al cambiamento, che non dipende solamente dalla qualità
del lavoro svolto ma dal coinvolgimento attivo degli organi decisionali.
Esperienze di questo tipo raggiungono l’obiettivo solo se sono in grado di garantire la possibilità di
sperimentare l’importanza e l’efficacia del lavoro svolto. Si potrebbe prevedere quindi una fase
successiva in cui trasformare le riflessioni svolte in interventi che possono migliorare gli aspetti
risultati più critici
(Quadro 6.5) Ricerca HBSC (Health Behaviour in School-aged Children). Un esempio di ricerca
epidemiologica, che ha studiato le condizioni sociali che influenzano il decorso e la terapia di
alcune malattie, è la ricerca HBSC in grado di integrare le conoscenze offerte dalle scienze sociali e
psicologiche e le decisioni prese a livello politico.
La ricerca HBSC ha l'obiettivo di migliorare i sistemi nazionali della salute e verte quindi su
campioni rappresentativi della realtà nazionale; parte dagli assunti che specifici comportamenti
possano accrescere il rischio di insorgenza di alcune malattie e come possano talvolta esserne
considerati la loro stessa causa; inoltre considera che i comportamenti legati alla salute e lo stile di
vita in età adulta siano il prodotto delle fasi precedenti dello sviluppo.
La ricerca consente di individuare gruppi a rischio, comprendere i fattori di rischio, ottenere
strategie effettive di intervento, risorse e investimenti a scopo preventivo (vedi pp 159-160).
5. Quali sono i metodi più adeguati per cogliere la complessità ed indagare gli effetti dei contesti?
Lo studio delle caratteristiche e dell'influenza dei contesti sullo sviluppo umano si è basato
principalmente sulla percezione individuale e quasi mai si è adottata un'adeguata metodologia di
analisi dei dati che consentisse di esplorare il ruolo svolto dai contesti in maniera distinta dagli
aspetti di natura percettiva.
La metodologia HLM (metodo dei modelli gerarchici lineari) - L'unità d'analisi: gli studi empirici
sull'effetto dei contesti sono per loro natura gerarchici, dal momento che gli individui sono
raggruppati all'interno di gruppi che possono essere di diverso genere. L'utilizzo di questa
metodologia permette di giungere alla soluzione dei problemi statistici dell'analisi ad un livello:
esistono infatti tre problemi fondamentali quando si cerca di rispondere a domande di ricerca di
natura multilivello con metodologie ad un livello. Questi problemi sono:
- L'aggregation bias: si verifica quando una variabile assume significati diversi se considerata a
livello individuale o di gruppo;
- La non corretta stima dell'errore standard: dovuta all'assunzione impropria dell'indipendenza
delle osservazioni;
- L'eterogeneità dell'inclinazione della retta di regressione.
ESEMPIO
• Se cerco di capire i fattori legati al fumo negli studenti di una scuola, devo anche considerare il
fatto che gli studenti sono suddivisi per classe: gli studenti in una stessa classe sono più simili tra
loro rispetto agli studenti di classi diverse
– Effetto individuale
– Effetto classe
• L’analisi multilivello mi consente di analizzare entrambi gli aspetti:
– comprendere i fattori individuali legati al fumo
– comprendere i fattori della classe legati al fumo
• Le analisi tradizionali considerano individuali anche i fattori riferibili alla classe
• Analisi più sofisticata e adeguata per analizzare i soggetti nei contesti di vita
6. La ricerca valutativa: come si misura l'efficacia dei progetti? La valutazione dei progetti ha
diverse finalità e risponde, quindi, a diversi quesiti inerenti i progetti. Si distingue tra:
- Valutazione ex ante: in cui ci si interroga su come il progetto è stato definito e scritto, sulla
coerenza tra finalità e obiettivi specifici, oltre che tra obiettivi e strategie;
- Valutazione di processo e monitoraggio: ci si interroga sui processi che caratterizzano il progetto,
ovvero se ci sono ostacoli in corso d'opera alla sua realizzazione, se sta raggiungendo il target
designato, se le strategie vengono realizzate come previsto;
- Valutazione di efficacia: in cui si stabilisce se il progetto è stato efficace, ovvero se ha raggiunto
gli obiettivi prefissati. Per molti autori l'oggettività e validità dei risultati di un progetto possono
essere garantiti solamente utilizzando dati di tipo quantitativo e disegni rigorosi come i disegni
sperimentali o quasi sperimentali.
I disegni sperimentali sono quelli in grado di garantire i più alti livelli di validità interna; sono
caratterizzati dalla presenza di un gruppo sperimentale e un equivalente gruppo di controllo, e per
il fatto che i soggetti sono casualmente attribuiti a uno dei due gruppi. Questi disegni si scontrano
tuttavia con problemi etici, in particolar modo la mancanza di validità ecologica e l'impossibilità di
generalizzare i risultati (validità esterna).
I disegni quasi sperimentali, pur dividendo i soggetti in gruppo sperimentale e di controllo, non
prevedono l'assegnazione casuale dei soggetti a questi due gruppi, in quanto i soggetti sono
selezionati da gruppi già esistenti; questi disegni si dimostrano particolarmente utili nella
valutazione dell'efficacia di interventi su realtà complesse come intere aree locali, città, o
comunità. Uno dei disegni quasi sperimentale più utilizzato è il disegno con gruppo di controllo
non equivalente e doppia rilevazione.
CAPITOLO 7
LAVORARE PER LA COMUNITÀ: GLI STRUMENTI D'AZIONE DELLO PSICOLOGO DI COMUNITÀ
1. Introduzione all'azione.
La psicologia di comunità è una disciplina applicata e lo psicologo di comunità ha finalità pratiche:
il cambiamento della situazione, per migliorare la qualità della vita delle persone, diventa quindi
un aspetto essenziale del suo lavoro.
Tutte le metodologie hanno una forte connessione con i principi base della disciplina:
- Modello ecologico: molto spesso le azioni svolte dallo psicologo di comunità non agiscono
direttamente sul target o sulle persone che entrano in relazione con lui.
- Prevenzione: prevenzione e/o promozione del benessere, permettono di arginare potenziali
rischi e incrementare fattori protettivi importanti per il benessere dell’individuo. Esse si collocano
prevalentemente in un’ottica proattiva, ovvero intervengono prima che un disturbo si manifesti o
sia radicato.
- Empowerment: filo conduttore delle attività il cui obiettivo comune è quello di aumentare le
competenze attraverso la partecipazione attiva dei soggetti coinvolti per fare in modo che le
persone abbiano maggiore controllo e consapevolezza da sfruttare nei diversi contesti di vita.
Non ci sono metodologie migliori di altre ma è importante che queste siano coerenti con gli
obiettivi del progetto e adeguate alla comunità in cui si lavora.
Lo psicologo di comunità dovrebbe identificare:
-Qual è la comunità su cui vuole lavorare, analizzandone le caratteristiche peculiari e gli specifici
bisogni;
-Quale cambiamento vuole perseguire, individuando gli obiettivi dell'azione, il livello su cui agire, il
target ecc..
L’utilizzo congiunto di diverse tecniche sebbene meno utilizzato rende i progetti più efficaci
nell’affrontare i problemi da più punti di vista.
2. Il cambiamento individuale
Psicologia di comunità:
-proattiva (non reattiva)
-oggetto di interesse = individuo nel contesto
-modalità = non propone cura.
La psicologia di comunità si interessa anche al cambiamento individuale, cercando di potenziare,
attraverso le sue azioni, comportamenti e aspetti individuali in grado di incrementare il benessere
dei singoli e di rafforzare le relazioni con gli altri e con i propri contesti di vita. Propone percorsi o
modelli positivi per aiutare gli individui in difficoltà.
2.1 I training. Per agire a livello individuale si utilizzano solitamente dei percorsi formativi e
strutturati (training), volti a modificare alcuni aspetti del singolo. I training si basano sull'assunto
che molti aspetti della vita degli individui siano appresi naturalmente, nei diversi contesti in cui la
persona si trova, grazie all'interazione con gli altri, alle conseguenze derivanti dal proprio
comportamento, all'osservazione del comportamento altrui, alla percezione di norme e valori.
Questo apprendimento può essere guidato e strutturato al fine di cambiare un comportamento. I
training per arrivare al cambiamento si focalizzano soprattutto:
- Sulle conoscenze: intese come le nozioni che l'individuo possiede rispetto a un certo tema, per
evitare che basi le sue azioni su informazioni errate. Sono importanti soprattutto se date a soggetti
che indirettamente possono portare dei cambiamenti nei soggetti target. Bisogna stare attenti e
identificare le informazioni/conoscenze necessarie all'obiettivo che si vuole raggiungere e il
momento e le modalità ideali per far passare tali conoscenze;
- Sulle abilità: si cerca di far apprendere nuove modalità d'azione e competenze ai soggetti;
- Sugli atteggiamenti: che essendo fortemente collegati a credenze, esperienza e storia di ogni
soggetto, risultano gli aspetti più difficili da modificare.
Quelli che attirano maggiormente l'attenzione degli psicologi sono specifici comportamenti,
popolazioni, contesti o sé stessi.
Compito dello psicologo è quello di comprendere gli atteggiamenti esistenti, di mostrare alcune
visioni alternative, di far sperimentare le conseguenze negative di posizioni estreme in un
ambiente protetto.
La psicologia di comunità si interessa soprattutto dello sviluppo delle competenze relazionali, per
questo divengono molto importanti le abilità sociali (un esempio molto noto di training che agisce
su questo tipo di abilità è il life skills training).
Le principali life skills vengono raggruppate nelle seguenti aree: problem-solving, pensiero critico,
abilità comunicative, autoconsapevolezza e capacità di fronteggiare lo stress.
Questo tipo di training enfatizza e coniuga sia l’acquisizione di abilità personali, che riguardano
maggiormente la relazione dell’individuo con sé stesso, sia l’acquisizione di abilità sociali.
L’importanza delle relazioni sociali è sostenuta anche dalla presenza di una specifica forma del
programma il Life skills training Parent Program finalizzata a favorire la costruzione di relazioni
positive tra genitori e figli.
I training vengono inseriti tra le attività di tipo individuale a livello universale, però solitamente,
considerati i costi e lo sforzo, vengono utilizzati come azioni di prevenzione selettiva e indicata, in
base al target prescelto. Vengono prevalentemente svolti in gruppo, poiché il gruppo facilita
l'analisi di diversi punti di vista, permette più occasioni di feedback e rinforzi, innesca azioni di
mutuo-aiuto.
Uno psicologo di comunità può decidere di fare un training:
- direttamente con il target di suo interesse → modalità diretta;
- con non professionisti che si trovano a mettere in atto alcuni comportamenti e azioni per
modificare il comportamento altrui → modalità indiretta;
- operatori che metteranno in atto attività di formazione o che gestiscono interventi nel sociale →
training for trainers.
(Quadro 7.1) Il Life Skills Training - Life Skills Training Parent Program
Il Life Skills Training sviluppato da Botvin si basa sulla teoria delle life skills che sostiene che i
comportamenti problematici vengono mediati da variabili personali, quindi dalle sue abilità.
Le life skills possono essere rappresentate dal problem solving, pensiero critico, abilità
comunicative, autoconsapevolezza e capacità di fronteggiare lo stress. Tali strategie servono a
promuovere alternative valide all’adozione di comportamenti a rischio.
Le tre aree del Life Skills Training sono:
1. Abilità Personali (decision making, gestione dello stress, della rabbia, etc..)
2. Abilità Sociali (comunicazione, costruzione di relazioni sane e supportive, etc..)
3. Abilità di Resistere alla Pressione rispetto al consumo di sostanze (coetanei, media, etc..)
Life Skills Training Parent Program mira a costruire relazioni positive genitori-figli promuovendo la
comunicazione efficace.
3. Lavorare sulla rete sociale (il microlivello)
Agire sul microlivello è importante, ad esempio per gli adolescenti, i quali vengono a contatto con
diverse figure, oltre la famiglia, come insegnanti, amici, allenatori, animatori.
3.1 Il mentoring. Può essere considerato come un intervento individuale di tipo indicato. Si parla di
un'azione di tipo indiretto (il professionista non entra in diretto contatto con il target
dell'intervento), che si avvale dell'uso di non professionisti, che non viene individuato nella rete
sociale dei soggetti, ma è un volontario che rappresenta una nuova risorsa per il soggetto in
difficoltà.
Il mentoring può essere descritto come una relazione uno a uno, che nell'arco di almeno un anno
prevede l'affiancamento di un soggetto esperto/adulto (mentor), che deve essere una figura non
istituzionale, capace di creare un rapporto genuino, empatico, di accettazione senza giudizio
dell'altro, con un soggetto in possibile difficoltà (mentee).
Si basa sulla teoria dell'apprendimento di Bandura, che considera essenziale il ruolo di modelli
positivi nello sviluppo dell'individuo, che possa facilitare la riflessione ed il controllo di persone in
difficoltà.
La relazione di mentoring è asimmetrica, ma tende all'orizzontalità, deve cercare di stimolare la
partecipazione attiva e le iniziative del mentee, a favore dello sviluppo di una maggiore
autonomia, anche a intervento terminato.
Cosa vuole raggiungere la relazione tra mentor e mentee? In primis, di potenziare l'empowerment
sia del mentor che del mentee, potrebbe favorire la valorizzazione delle risorse psicologiche e
personali dei soggetti coinvolti, ma anche di quelle presenti nel territorio, facendo sì che vengano
conosciute e utilizzate.
Quali possono essere le difficoltà che si trova a dover gestire lo psicologo di comunità? Spesso un
grosso problema è trovare e reclutare volontari; è molto facile che lo psicologo si ritrovi a dover
affrontare cambiamenti da lui non previsti e condizionati da problemi esterni; può essere difficile
gestire gli incontri tra coppie e coinvolgere genitori e insegnanti in questi primi momenti; inoltre è
importante la formazione dei mentors, che deve essere sufficiente, ma non eccessiva, e fornire
strumenti pratici per la gestione della relazione.
3.2 Lavorare con le famiglie La famiglia è il primo luogo di socializzazione di ogni individuo e
diventa quindi un contesto primario su cui agire se si vogliono ottenere modificazioni
comportamentali dei suoi membri.
Difficilmente si otterrà un cambiamento duraturo senza il coinvolgimento delle famiglie e,
soprattutto, dei genitori, in quanto risultano essere i primi modelli comportamentali per i figli.
Lavorare però con le famiglie in un'ottica preventiva non è facile, in quanto spesso i genitori si
pongono nei confronti della scuola e de professionisti in modo ambivalente da una parte,
richiedendo aiuto nella gestione dei figli, ma dall'altra guardando con estremo scetticismo le
attività proposte. Bisogna quindi lavorare sulla motivazione dei genitori, assecondando i loro
bisogni, acquisendo fiducia e diventando per loro una risorsa e non un problema.
Lo psicologo deve identificare quali sono le modalità più adeguate di contatto con i genitori, quali
iniziative proporre e in che modo.
Svizzera - Triple P program: Positive Parenting Program.
Triple P è un intervento che coinvolge i genitori (intervento universale) con l’obiettivo principale di
aumentare le conoscenze, le abilità e la fiducia dei genitori e ridurre la prevalenza di problemi di
salute mentale, emotiva e comportamentale nei bambini e negli adolescenti.
Inizialmente il programma è stato concepito specificamente per bambini e genitori a rischio, ma
ora ci sono diversi livelli di Triple P progettati per funzionare insieme come un approccio generale,
universale, alla salute pubblica. (1550 FAMIGLIE esperimento gestito tramite manuale + video
informativo e telefonate settimanali di assistenza effettuate da operatori preparati). Ci si scontra
però con la scarsa motivazione dei genitori, la loro incostanza; diviene quindi importante il
supporto territoriale.
3.3 La peer education (educazione tra pari) rappresenta un particolare tipo di formazione-
relazione caratterizzata da un rapporto di simmetria tra utente ed esperto, in cui vengono
impiegati membri di un determinato gruppo per agire il cambiamento sugli altri. Viene sfruttato un
canale comunicativo naturale, quello tra pari, dato che l'esperto è un coetaneo adeguatamente
preparato tramite un training. Diverse teorie sostengono l'efficacia dell'utilizzo dei pari, ad
esempio:
- la teoria dell'apprendimento sociale di Bandura, che sottolinea l'importante ruolo dei pari come
modello comportamentale;
- la teoria dell'azione ragionata di Fishbein e Ajzen, la quale indica che per influenzare il
comportamento sia necessario agire sulle norme sociali, intese come ciò che le persone rilevanti,
cioè i pari, pensano o credono di un dato comportamento;
- la teoria della diffusione delle innovazioni di Rogers, sono spiegati i processi attraverso cui i pari
possono fungere da opinion leader e, diffondendo le proprie idee, possono diventare agenti di
cambiamento;
- la teoria della partecipatory education di Freire, che utilizza un'ottica di empowerment e
partecipazione nell'educazione da parte del target stesso e rende quest'ultima più efficace nel
raggiungere obiettivi anche complessi.
3.4 I gruppi di auto-aiuto. La differenza rispetto alle altre tecniche è che il ruolo del professionista
è marginale, infatti, i componenti del gruppo non vengono né formati né seguiti: il cambiamento
avviene spontaneamente sfruttando le dinamiche naturali del gruppo e la motivazione dei
partecipanti stessi.
Possiamo collocare tali interventi a livello micro, in quanto è attraverso il gruppo e le sue
dinamiche che avviene il cambiamento individuale.
I gruppi di auto-aiuto sono piccoli gruppi volontari, composti da persone con un problema comune
e il desiderio di superare efficacemente il momento di difficoltà. Essendo un gruppo di pari,
sfruttano le potenzialità delle relazioni orizzontali, in cui tutti i membri detengono lo stesso valore
e possono fornire sostegno agli altri componenti del gruppo. La proliferazione di questi gruppi
deve le sue ragioni al tentativo di colmare le lacune presenti nei servizi ufficiali, al fatto che la loro
struttura e organizzazione sia più economica e meno burocratica.
Gli aspetti principali sono:
- Scopo: fornire aiuto, migliorare la propria e altrui situazione attraverso il confronto e il sostegno
da parte di persone che possono capire;
- Origine: dal gruppo stesso, non dipende da esterni;
- Fonte d'aiuto: sono i membri stessi, che possono intervenire per affrontare temi specifici;
- Composizione: membri con un problema, una difficoltà comune, senza distinzione di ruolo;
- Controllo: attività sotto il controllo dei membri, raramente è presente un supervisore, che può
aiutare a gestire alcuni aspetti.
I gruppi di auto-aiuto possono risultare negativi nel momento in cui diventano autoreferenziali e
non si aprono verso l'esterno, se creano dinamiche di dipendenza e non favoriscono l'autonomia
dei propri membri, se scatenano lotte al potere e disuguaglianze interne.
4. Attivare o potenziare reti di attori collettivi. Gli esempi riportati fin qui si collocano a livello
individuale o a livello micro, mentre, lo psicologo di comunità lavora su tutto lo spettro del
modello ecologico. Infatti, presenteremo un'altra tipologia di intervento, che può essere collocata
a livello di organizzazione, comunità locale, ma anche macro. A questi livelli si attivano solitamente
cambiamenti di tipo strutturale, relazionale e legislativo.
Il metodo che viene utilizzato in questi casi è il lavoro di rete. Lo psicologo può attivare una serie di
legami tra gruppi presenti nel contesto d'interesse e aiutare nella gestione della soluzione
condivisa dei problemi, creando momenti di scambio e favorendo la valorizzazione delle idee di
ogni gruppo. La rete può essere definita strutturalmente come l'insieme degli attori
coinvolti/interessati a un problema e, funzionalmente, come una modalità particolare di
collaborazione e scambio tra i diversi attori.
Promuovere il lavoro di rete significa dunque passare ad un'ottica collaborativa in cui ogni gruppo
può portare le sue idee e risorse per affrontare i problemi esistenti.
Diversi motivi hanno rafforzato il lavoro di rete, come ad esempio, la maggior complessità dei
problemi da affrontare e la nuova consapevolezza che i fenomeni sociali sono multifattoriali, la cui
complessità deve essere colta e affrontata per arrivare ad una soluzione efficace.
Di fronte a questo è necessario mettere insieme risorse e competenze per individuare modalità più
organiche e olistiche di soluzione dei problemi. Il lavoro di rete permette di evitare la duplicazione
degli interventi e di diminuire la competizione, nonché di far fronte alle poche risorse, soprattutto
di tipo economico.
Lo psicologo di comunità può aiutare lo sviluppo e il funzionamento delle reti sia analizzando
quelle già esistenti per individuare difficoltà e aspetti vincenti, sia potenziandone le capacità
progettuali, sia costruendone e sviluppandone di nuove.
5. Consulenza a politici e introduzione di nuove norme sociali. Un'altra area su cui lo psicologo di
comunità dovrebbe agire è quella della consulenza ai politici o a dirigenti di organizzazioni, rispetto
al cambiamento di norme e regole, per facilitare da una parte un maggior benessere della
comunità, dall'altra una maggiore partecipazione dal basso.
Una delle finalità delle ricerche su ampie popolazioni dovrebbe essere quella di guidare le
decisioni politiche e lo stanziamento di fondi.
Altro modo in cui gli psicologi possono sostenere la creazione di norme è diventando i consulenti
di politici e decisori (grazie alla conoscenza dei fattori individuali e contestuali sottostanti ai
problemi e la capacità di motivare e coinvolgere i cittadini).
Altro ed ultimo modo è la modalità partecipativa. Lo psicologo di comunità potrebbe essere il
facilitatore di processi partecipativi volti a cambiare alcune norme, leggi e regolamenti (modalità
che meglio risponde alle esigenze della popolazione poiché viene direttamente ascoltata).
6. L’uso delle nuove tecnologie nella promozione del benessere di individui e comunità
6.1 Nuove tecnologie come risorse per il benessere (smartphone)
Smartphone: economici, pratici. Possono essere utili per consolidare abitudini in grado di
promuovere la salute fisica e mentale, come ad esempio assumere farmaci, fare terapie, etc.
Possono essere personalizzate ed aumentare la motivazione. Gli interventi via smartphones
possono aiutare gli operatori a monitorare i soggetti e a supportarli.
6.2 Interventi per la promozione del benessere psicologico (tecnologie positive - le app)
Smartphone come tecnologie positive utili per promuovere la felicità, rafforzare le relazioni sociali,
favorire la presa di significato della propria vita, promuovere il benessere.
L’app Live Happy propone 8 attività finalizzate all’aumento delle emozioni positive; gli studi
confermano l’efficacia di questa app (non vi è però gruppo di controllo).
Altre app si propongono di insegnare la gratitudine; promuovere la consapevolezza delle proprie
emozioni (Mood Map); consapevolezza di come si spende il proprio tempo (iHabit - invio ogni 20
min di sms che chiede cosa si è fatto in quel lasso di tempo); mindfulness (AEON - aiuta a prendere
le distanze dai comportamenti negativi - training di rilassamento); favorire l’autoaffermazione
(Viary).